La parete di plexiglass.

di giulina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perle di saggezza da un'eccentrica sognatrice. ***
Capitolo 2: *** Un sorriso obliquo e una mente strana. ***
Capitolo 3: *** Luoghi, persone, storie. ***
Capitolo 4: *** Bolle di sapone e paranoie. ***
Capitolo 5: *** Incontri di prima mattina. ***
Capitolo 6: *** C'è un posto in più, per me? ***
Capitolo 7: *** E gira gira il mondo... ***
Capitolo 8: *** Dottore, che sintomi ha la felicità? ***
Capitolo 9: *** LeoPi, nomi e cognomi. ***
Capitolo 10: *** Gli occhi sono lo specchio dell'anima, no? ***
Capitolo 11: *** Le parole inutili. ***
Capitolo 12: *** Promesse in un sussurro. ***
Capitolo 13: *** Vedere oltre o semplicemente aprire gli occhi. ***
Capitolo 14: *** Vicini. ***
Capitolo 15: *** Guardaci. ***
Capitolo 16: *** Subbuglio. ***
Capitolo 17: *** Scoprire. ***
Capitolo 18: *** Questa notte è ancora nostra. ***
Capitolo 19: *** Trattenere il respiro. ***
Capitolo 20: *** Finestre rotte. ***



Capitolo 1
*** Perle di saggezza da un'eccentrica sognatrice. ***


 

 

 

-Ho trovato un libro adatto a te, Gin-

-Ah si? Come si intitola?-

-”L'amore fa schifo”. Compralo, solo 9,50 euro-

-L'amore non fa schifo, Lory! L'amore è un colore...un sapore che va gustato totalmente e nella sua varietà. È come una fragola matura che macchia le labbra e lascia il segno sui vestiti. Come si fa a non amare?-

-Credo sia più importante nutrirsi, sai, e a proposito di questo, che ne dici di un panino cotoletta e maionese? Andiamo sul leggero oggi!-

 

 

 

 

 

                                                                                           ‎"La felicità è accarezzare un cucciolo caldo caldo, è stare a letto mentre fuori piove, è passeggiare                                                                                                                                                                                 sull'erba a piedi nudi, è il singhiozzo dopo che è passato."

 

                                                                                                                                                                                                                                                                   -Charlie Brown- 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ginevra è una di quelle persone che se la incontri per caso per la strada, ti giri a guardarla. E non perché sia di una bellezza mozzafiato, intendiamoci.

Ginevra si porta sempre con sé un allegria contagiosa che sembra trapelare direttamente dalla pelle. Un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e una delle sue colorate sciarpe intorno al collo. Ne possiede quarantotto tutte stipate in un armadio dallo sportello rotto che ormai non riesce più a contenerle.

Esce di casa alle sette e dieci di mattina ogni giorno e sorride. Sempre.

Quale essere vivente alle sette di mattina ha un sorriso sfacciato sul volto? Solo chi fa uso di eroina o marijuana, ma la nostra Ginevra non è dipende da nessuna sostanza stupefacente se non consideriamo il burro di cacao.

Diciamo che scordarsi il burro di cacao a casa le può provare un leggero attacco di panico e un crisi d'astinenza.

Adora sentire le sue labbra morbide e il sapore delle mandorle sopra, dobbiamo forse condannarla per questo?

Ha anche un'altra fissazione: l'amore.

Lei è ossessionata da qualsiasi tipo d'amore. Bello, tragico, dolce, passionale, che fa male.

I centinaia di libri che ha nel suo piccolo bilocale in periferia cominciano principalmente con la parola Amore. O Giardinaggio, se la vogliamo dire tutta, essendo Ginevra un'appassionata di giardinaggio nonostante lei non possegga un metro quadrato di giardino e nemmeno un orto.

È riuscita comunque a trasformare il suo balcone, dove nemmeno una persona riusciva a muoversi, in una serra botanica.

L'amministratore del suo palazzo la voleva denunciare ma lei, grazie al suo sorriso smagliante e all'appuntamento che era riuscita a strappare alla parrucchiera del terzo piano, se l'era cavata.

L'amore per Ginevra è un qualcosa di strettamente necessario, fondamentale nella nostra esistenza.

Non si può vivere senza amore, secondo lei. Ammettere di non riuscire ad amare, poi,è la più grande stronzata che una persona può affermare.

Piuttosto bisogna parlare della paura di amare, che è ben diverso.

Gli essere umani, secondo la nostra Alberto Castagna, sono stati progettati per amare e, prima o poi, tutti trovano la persona a cui cedere questo amore; anche solo una piccolissima parte.

Ginevra non parla di anime gemelle, lei non crede a queste cazzate, ma si riferisce ad una persona qualsiasi, incontrata in un momento qualsiasi che renderà la tua vita normale un po' più speciale, migliore da vivere.

Non a caso, sua cognata Loriana, la chiama “La spara cazzate” di famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo, già, e con una nuova storia!

Dal prologo vi ho fatto conoscere Ginevra: sognatrice nata, sprizzante di allegria e buonumore, eccentrica, parecchio strana direi, e fissata con l'amore. L'amore come lo potrebbe concepire una bambina di dieci anni, probabilmente!

Questa storia, che non so assolutamente come proseguirà, parlerà si dell'amore, ma anche della fiducia, del dolore, dell'amicizia, della solitudine, il tutto concentrato nelle vite normali di persone che potremmo benissimo essere noi.

Come sempre, voglio che le mie storie siano il più reali possibili e che voi lettori vi ci possiate immedesimare.

Tanti sono i personaggi che voglio inserire ma i protagonisti saranno loro: Ginevra e Edoardo.

Lo sfondo di questa “storia”? Bè, lo scoprirete nel prossimo aggiornamento!

Un bacione e un grazie in anticipo a tutti coloro che mi vorranno seguire in quest'altra avventura, chiamiamola così.

 

Giulia.

 

IMPORTANTE!

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Capitolo 2
*** Un sorriso obliquo e una mente strana. ***


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Charlie Brown: “Cosa ti piacerebbe essere da grande?” 

Linus: “Felice da fare schifo!”

-Peanuts-

 

 

 

 

 

 

 

 

Ginevra ha ventisei anni e si è trasferita a Roma da appena un anno, abbandonando il piccolo paesino dell'Emilia Romagna dove è nata e cresciuta.

Ha deciso di partire all'improvviso, senza starci a ragionare troppo: una mattina si era svegliata con quell'idea che le ronzava in testa e la sera era già seduta su un treno, in un vagone con gente sconosciuta, con la sua enorme valigia colma di sciarpe tra i piedi.

Ginevra ha trovato lavoro dopo pochi mesi in un call center di un'azienda telefonica nel centro di Roma e con quel misero stipendio paga l'affitto del suo bilocale in periferia, i cui muri cadano lentamente a pezzi. Non si stupirebbe se un giorno di questi si ritrovasse la signora Santini del piano di sopra in collo.

Tutto sommato a Ginevra piace il suo lavoro, le piace stare seduta su quella poltroncina girevole blu, con un microfono e un paio di cuffie in testa per sei lunghe ore.

Il computer è a sua completa disposizione per alcune partite di canasta on-line, così come il telefono che lei usa a suo piacimento ogni volta che vuole senza spendere un centesimo.

Non le hanno concesso nemmeno la pausa pranzo, potrà rilassarsi in qualche modo?

Il miglior rilassante per Ginevra ha un nome e un cognome: Loriana Fornacetti, sua cognata.

-No, ma hai sentito cosa ti ho detto?-

-Si, Lory-

-E non dici niente?!-

-Falle causa-

-Causa?! Solamente causa? Io sto pensando all'omicidio. Ma hai visto cosa mi ha fatto?-

-Lory, ho la foto che ti sei fatta con la web cam davanti agli occhi-

Ginevra strizza leggermente gli occhi coperti da un paio di occhiali dalla montatura nera, e si avvicina con il volto allo schermo piatto del computer, ingrandendo la foto con il mouse.

-Sono bionda, le avevo detto di farmi castano chiaro e ora mi ritrovo bionda. Sembro quella fumata di Heidi Klum!-

-Se tu sembrassi Heidi Klum non saresti così arrabbiata, fidati-

-Lo so che c'è un'offesa sotto il tuo tono melenso ma voglio trattenere tutta la mia rabbia per quando mi ritroverò davanti quella sciagurata-

-Ottima scelta-

Ginevra allunga le gambe sotto la scrivania e si appoggia allo schienale della poltroncina scomoda cercando di trattenere un sonoro sbadiglio. Questa mattina è stata svegliata alle sei e ventidue dai rumori molesti dei vicini del civico trentadue del suo stesso piano.

A quanto pare, dopo la furibonda lite della sera prima dove qualche piatto è stato volato, hanno fatto pace. I muri del suo appartamento, oltre che a cadere a pezzi, sono molto ma molto sottili. Perfino troppo, visto che ora è ha conoscenza della posizione preferita della neo sposina.

-Allora, come va la tua ricerca di un auto?-

-Male-

-Cerca su E-bay, Gin. L'altro giorno stavo cercando un reggiseno di Victoria's Secret su quel sito e ho visto che un ragazzo vendeva sua nonna a 20 euro. Lì è sicuro che una macchina ce la trovi-

-Povera donna. Comunque oggi avevo deciso di fare un giro in centro per vedere se..-

-GINEVRA!-

La ragazza si allontana con la sedia dalla scrivania, facendo strusciare le rotelline girevoli sul pavimento scadente, e si affaccia nel corridoio con la fronte corrucciata.

-Che c'è, Angela?-

-Tesoro, com'è che si chiama la nuova promozione che tutti i giovani vogliano mettere sul telefono mobile?-

-La free promotion, dici? Quella a dieci euro al mese per 1000 messaggi e chiamate?-

-Eh si! Proprio quella dicevo! Aspetta..frie...pro..cosa?-

-Angela, il nome non importa, tranquilla-

La signora di sessantanni dalle labbra rosso fuoco e i capelli bianchi come la neve, si risiede alla sua scrivania con non poca fatica e quando cerca di ricontattare il cliente, capisce che ha buttato giù. Fanno tutti così, ma lei non riesce ancora a capire il perché.

Ginevra si appoggia con la testa al tavolo di legno e si perde ad osservare le doppie punte di una sua ciocca scura di capelli.

-Ti sei scordata di me?-

-No, Lory, sento Lady Gaga di sottofondo che proviene dal tuo stereo-

-Oh è vero, mi aiuta a rilassarmi. Devo andare ora, il ferro da stiro mi attende-

-Buona stirata, biondona!-

-Stronza-

Ginevra butta giù la chiamata con un sorriso e guarda fuori dalle finestrelle della stanza, il cielo grigio di novembre che piano piano si annuvola. Tra poco pioverà, è sicuro. Ad Angela oggi faceva male anche l'ernia e lei è meglio di Giuliacci quando si tratta delle previsioni metereologiche.

Con uno strano buonumore, si mette davanti al computer pronta per chiamare qualche cliente nei dintorni di Roma per informarli delle nuove tariffe e promozioni di cui potranno usufruire.

A volte, prima di chiamare, scommette con se stessa quanti le butteranno giù il telefono in faccia, non appena dirà il nome della compagnia telefonica: di solito ci azzecca sempre.

 

 

 

Edoardo ha la testa appoggiata sul braccio destro e gli occhi scuri sono nascosti dietro le palpebre che sembrano pesanti come pietre, sono come delle saracinesche che non riesce a tirare su.

È arrivato a lavoro con venticinque minuti di ritardo, la camicia macchiata di caffè vicino al colletto che non è stirato bene, e sulla guancia ancora il segno della fodera del cuscino.

Si è messo alla sua scrivania che aveva ancora il fiatone per la corsa con lo scooter per le strade troppo affollate di Roma, e si è accasciato sul tavolo di legno, privato della forza necessaria per fare qualsiasi cosa.

Sovrasta il vociare dei suoi colleghi e dei telefoni che squillano, il rumore della pioggia che si infrange sui vetri dello stabilimento e quel rumore è un qualcosa che lo innervosisce terribilmente.

Si tira lentamente su a sedere e prende una matita che tiene nel cassetto della scrivania insieme ad un foglio bianco.

Il computer lo ha solamente acceso ma non ha avuto neanche la voglia di aprire le cartelle con i file pieni di nomi e cognomi sconosciuti a cui si dovrebbe dedicare questa mattina.

Si morde il labbro inferiore, costellato da piccoli taglietti ormai rimarginati, e con la mano sinistra impugna la matita grigia che traccia linee astratte sulla carta.

La mano si muove a scatti, non è fluida, sembra posseduta da un'energia momentanea che prima o poi si esaurirà.

Edoardo inclina la testa cercando di regolare la posizione del foglio; ha tenuto la matita talmente stretta nella sua mano che gli ha lasciato un segno rosso sul palmo e sulle dita.

Disegnare è l'unico modo che conosce per rilassarsi quando gli prendono questi momenti di nervosismo sconosciuto che non riesce a controllare.

Si è sempre messo a disegnare quando sentiva che stava per scoppiare.

Posa la matita sul tavolo, che scivola sul pavimento, e chiude di nuovo gli occhi lasciando che i suoi polmoni si riempiano di aria.

Anche stanotte non è riuscito a chiudere occhio, sente sulle spalle tutta la stanchezza accumulata in questi giorni e tutto il caffè che ha bevuto nello stomaco.

Non sa come liberarsene e si sente spaesato.

Nella scrivania accanto alla sua, un numero viene composto da delle dita con delle unghie smaltate di blu, e la voce di Ginevra arriva senza ostacoli alle orecchie di Edoardo.

-Ciao mamma, oggi cosa vuoi che ti racconti? Sono a tua completa disposizione-

D'altronde, c'è solo una parete di plexiglass di una ventina di centimetri a dividerli.

Solamente quella.

 

 

 

 

Bè, che dire...ecco il primo capitolo di questa nuova storia!

Si, lo so, avevo detto che prima avrei aggiornato “Il garage” e poi avrei postato questo ma oggi mi sono messa al computer e sono uscite fuori queste righe.

So che è corto ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Questi primi capitoli sono per farvi abituare ai nuovi personaggi, alle loro personalità e al loro strano mondo.

Probabilmente avete capito pochissimo da questo capitolo ma questa storia sarà un po' così, la scoprirete passo passo.

Spero di rispondere quanto prima alle recensioni del capitolo scorso che mi hanno fatta felicissima, inutile dirlo, e mi ha fatto molto piacere vedere come avete accolto questa mia nuova pazzia e che la condividete con entusiasmo.

Un bacio e un abbraccio,

Giulia.

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Capitolo 3
*** Luoghi, persone, storie. ***


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Charlie Brown: ”Pare che i guai mi inseguano dappertutto,pare che non riesca a evitarli. Pare che i guai riescano a trovarmi in qualunque posto...”

Lucy: ”Dovresti farti togliere il nome dall’elenco della vita”

-Peanuts-

 

 

 

 

Capita parecchie volte che Edoardo si senta soffocare in quella scrivania di appena un metro e mezzo, separato dal resto dei suoi colleghi da delle pareti fini di plexiglass.

Lui si trova nel mezzo dell'enorme stanza e intorno ci sono altri trenta di quei blocchi fatti da tre pareti che sembrano volerlo schiacciare.

Gli unici rumori presenti sono gli squilli dei telefoni, il ticchettio di dita sui tasti dei computer, sedie girevoli che si spostano sul pavimento di linoleum e voci, tante, tantissime voci che parlano tutte insieme, confondendosi tra di loro.

Un ronzio continuo nella testa.

Tra quella voci, però, Edoardo è riuscito a focalizzarne una in particolare da qualche settimana a questa parte.

La voce che gli arriva ovattata a causa della parete di plexiglass alla sua sinistra, che ha uno strano timbro, delle volte perfino infantile. È una voce allegra, la classica voce che ti fa spuntare un sorriso sulle labbra e inarcare le sopracciglia.

Non è con le chiamate di lavoro che è riuscito a scoprirla, ma grazie a quella strana chiamata che arriva ogni santa mattina alla stessa ora.

La sua vita in brevi episodi, ecco cosa racconta quella ragazza, e lo fa con una semplicità difficile da apprezzare.

Edoardo non sa quando ha iniziato a prestare attenzione a quelle strane telefonate.

Forse è successo quel giorno, stanco più del solito e con tanta rabbia che gli scorreva nelle vene per la multa da pagare.

Forse quella mattina che era stato quasi licenziato per l'ennesimo ritardo ingiustificato, oppure quando a casa gli avevano staccato la corrente.

Edoardo sa solo che quella voce divertita ed ironica che racconta ogni giorno un aneddoto diverso, è un ottimo diversivo in quelle giornate monotone e spente, in cui combatte una lotta immortale contro la noia e la stanchezza.

 

-Era l'estate del 2004 ed avevo da poco finito l'ultimo anno delle superiori. La mia compagna di banco del tempo era Martina Zanni.

Mamma, ti ricordi come ero a diciannove anni? Testa perennemente tra le nuvole, sguardo perso, due lunghe trecce, gonnelle lunghe fino ai piedi, sempre un libro in mano e la spilla del W.W.F attaccata alla giacca.

Ecco, Martina Zanni era il mio opposto. Vestita perennemente di nero, matita nera sotto gli occhi e labbra rosse, non sapeva quasi leggere, amava i film horror. Il suo preferito era L'esorcista, mi ricordo. Mangiava a colazione, pranzo e cena carne al sangue, per questo aveva il ferro alle stelle e una tendenza al cannibalismo.

Eravamo l'opposto, non avevamo niente in comune. Mi divertivo con lei però, anche se in parecchi anni di scuola insieme l'avevo sentita aprire bocca poche volte e solo per sparare una bestemmia contro il povero Cristo.

Ci vedevamo spesso il pomeriggio e sono andata anche a casa sua a studiare qualche volta, te lo ricordi, mamma? Bè in verità io studiavo e lei si guardava i film di Stars Wars in cassetta nel videoregistratore che aveva in camera. Era fissata con quei film.

Fu proprio quella passione che le fece conoscere Paolo Di Martino e Sandro Conaccioni ad un ritrovo vicino a Bologna di appassionati della serie. Un ritrovo di matti a cui andai anche io, tra l'altro, sotto minaccia di Martina Zanni.

Paolo era alto con i capelli biondi a spazzola, due piercing sul labbro inferiore e un tatuaggio sul braccio, mi sembra fosse una tartaruga ma non ne sono sicura. L'altro, Sandro, aveva una faccia piuttosto anonima, normali occhi marroni, viso pulito, bassino, vestiti un po' antichi. Inutile dirti che dopo un'ora ero già innamorata persa di lui.

Ero giovane e volevo a tutti i costi trovare qualcuno da far innamorare di me e lui mi era sembrato il candidato ideale; la sua r moscia, poi, era un qualcosa di adorabile.

Così, io e Martina Zanni incominciammo ad andare ad ogni singolo ritrovo sui film di Stars Wars in Emilia Romagna, insieme a Paolo e Sandro.

Lei era veramente interessata alla serie, io volevo solo poter osservare Sandro in santa pace.

In quel periodo avevo anche rivisto il film “Il tempo delle mele”, e la mia mente fabbricava senza sosta film romantici da premio Oscar.

Questa passione ci portò addirittura ad un'asta a Milano di vari oggetti che arrivavano direttamente dal set dei film. Il biglietto del treno mi costò una fortuna, mi ricordo.

Io mi rifiutai di travestirmi da qualche strambo personaggio e Martina non aveva soldi per comprarsi un costume, così venne vestita come suo solito di nero, un nero tendente al grigio però. Paolo si vestì da Luke Skywalker e Sandro da suo padre Lord Dart Fener. Naturalmente non avevo la minima idea di chi fossero.

Quel giorno, ricevetti la mia prima delusione d'amore. Li beccai nel bagno dell'hotel dove era allestita l'asta, mentre stavano tentando di togliersi i costumi a vicenda, baciandosi appassionatamente. Martina Zanni mi consolò dicendomi che probabilmente era successo per l'emozione di indossare dei costumi.

Da quel giorno, io e Martina non ci parlammo mai più-

 

 

Ginevra termina il suo racconto con un sospiro mentre con la penna tra le dita, disegna un cuore su un foglio di carta stropicciato sopra la scrivania. Le loro facce spaventate quando li aveva beccati in fragrante avrebbe dovuto immortalarle, ripensa con rammarico.

-Grazie tesoro. A domani-

La voce di sua madre non arriva chiara alle orecchie di Ginevra; è sicura, però, che stia sorridendo.

Chiude la chiamata e si porta le mani tra i capelli scuri, chiudendo gli occhi per un attimo prima di aprirli per focalizzarli sullo schermo del computer dove appare in bella vista una lista di nomi e cognomi di persone che deve ancora chiamare per informarli della nuovissima ed economica promozione telefonica.

Le solite stronzate, la solita routine.

 

 

Edoardo è seduto alla sua scrivania e il suo sguardo è rivolto verso la parete verde che non gli permette di vedere Ginevra.

Lui sa il suo nome ed hanno preso anche qualche volta l'ascensore insieme, uno di quei pochi giorni in cui non è arrivato in ritardo.

È una ragazza normale, quasi anonima se non fosse per la sua voce particolare e le sue sciarpe colorate che le coprano completamente il viso piccolo.

Edoardo si appoggia allo schienale della sedia ed osserva l'orologio al suo polso.

Cinque ore. Mancano solo cinque ore alla fine del suo turno.

 

 

 

Gli impiegati del call center hanno età, famiglie, mentalità diverse. Sono persone differenti tra di loro che si incontrano sul posto di lavoro dove sono costretti a passare sei ore tutti i giorni.

Facendo due chiacchiere e bevendo un caffè della macchinetta difettosa nell'ingresso, aspettando le 12.30, l'ora della libertà, sperando che non ci sia troppo traffico per le strade.

Edoardo alle 12.31 è già fuori dall'edificio di mattoni grigi dalle poche finestre, e corre per raggiungere il suo scooter blu, parcheggiato in divieto di sosta vicino all'entrata del palazzo.

Come al solito, arriva davanti al mezzo che non ha ancora trovato le chiavi e le cerca nelle tasche dei jeans di cui una con un piccolo buco.

Quando le trova, si immette nel traffico romano sperando che i semafori siano dalla sua parte quel giorno.

Quando arriva a casa sono ormai le una passate. Il portone del palazzo è aperto ed Edoardo saluta di sfuggita Alberto, il portinaio ultra settantenne che guarda la piccola televisione portatile in bianco e nero dentro il casottino che l'amministratore dello stabile gli ha concesso dopo tanti anni di lavoro.

Sale le scale velocemente, visto che l'ascensore è di nuovo fuori servizio, e arriva davanti alla porta di casa con il fiatone.

Quando entra, sente subito l'odore di bruciato e delle risate che provengono dalla televisione accesa in salotto.

Edoardo posa la giacca e la borsa a tracolla sul mobile nell'ingresso e, sganciandosi i primi bottoni della camicia che limitano il suo respiro, cammina verso la sala.

Lei è lì. Sembra una bambina normale, che sta su un divano normale a guardare dei cartoni normali.

Ha i capelli castani legati con un gommino colorato e una maglia viola con dei simpatici disegni sopra. Tiene le gambe strette contro il petto piccolo e un bicchiere d'acqua in mano, che trema ogni volta che ride per una scena divertente del programma che sta guardando.

Sembra una bambina normale, Chiara.

-Ciao Dado!- Lo saluta non appena nota la sua figura sulla soglia della porta, sistemandosi gli occhiali rossi sul naso piccolo e simile al suo.

Beve un sorso d'acqua dal bicchiere e subito dopo un altro, un altro ancora e un altro ancora. Chiara tiene sempre quel bicchiere tra le mani, non lo lascia mai, quasi fosse diventato parte di sé.

Mania ossessiva compulsiva, ecco come definiscono gli psicologi e psichiatri di tutto il mondo, il suo problema.

-Ciao tesoro-

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo so, ora avrete mille domande in testa per questo capitolo di cui non avete capito niente e di cui non sono assolutamente convinta.

Come ho già detto, questa storia la scoprirete piano piano e io la scoprirò insieme a voi.

Nel prossimo capitolo vi parlerò della mamma di Ginevra di cui non vi ho detto praticamente niente e di Chiara, la sorella di Edoardo. Una bambina particolare da come avete potuto capire.

Non so perch* ma ci tengo tanto a questa storia, io tengo sempre ad ogni storia che scrivo, ma in questa ci credo molto.

Voglio che vi faccia sorridere ma anche riflettere, passando da momenti divertenti, felici ad altri un po' meno, facendovi scoprire delle vite di persone normali dove i problemi sono all'ordine del giorno, basta capire come affrontarli.

Un bacione enorme e un grazie speciale per tutti voi che mi seguite.

Giulia :)

 

 

 

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Capitolo 4
*** Bolle di sapone e paranoie. ***


 

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Lucy: ”La vita Charlie Brown è come una sedia a sdraio! Non sei mai stato su una nave da crociera? Alcuni piazzano la loro sedia a prua: vogliono vedere dove sono già stati. Altri mettono la loro sedia a poppa: vogliono vedere dove stanno andando. Sulla nave della vita,Charlie Brown, dove è la tua sedia a sdraio?””

Charlie Brown: ”Non sono mai riuscito ad aprirne una!”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

 

Edoardo, in ginocchio vicino alla vasca di ceramica, osserva la schiuma bianca che tiene sul palmo di una mano che piano piano svanisce.

Ogni tanto, un po' d'acqua cade sul pavimento lucido coperto da alcuni asciugamani, riproducendo il suono di uno schiaffo. Ogni volta che l'acqua trabocca, Chiara ride.

Lei se ne sta appoggiata con la schiena nuda al bordo e gioca con la schiuma che galleggia, passandosela sui capelli, sulle guance e soffiandola nel viso ad Edoardo.

Tra le mani, Chiara ha un flacone rosa di shampoo ed un bicchiere di vetro colmo di sapone che lei immagina panna montata. Non lo lascia nemmeno quando fa il bagno, quel maledetto bicchiere.

-La vuoi sentire si o no?-

-E sentiamola, questa poesia-

Chiara fa la linguaccia al fratello e si versa sulla spalla destra un po' di sapone profumato, lavando bene la pelle del collo come le dice sempre di fare Edoardo.

-La nebbia a gl'irti colli, piovigginando sale, e sotto il maestrale...urla e biancheggia il mar. Ma per le vie del... borgo, si borgo, dal ribollir de' vini..-

-Tini- La interrompe Edoardo, versandole dell'acqua calda sui capelli scuri per sciacquare dei residui di shampoo.

-Eh?-

-Dal ribollir de' tini, non vini-

Chiara rimane in silenzio e riempie d'acqua tiepida il bicchiere che tiene in mano, facendolo finire sul fondo della vasca con un tonfo secco.

-Non continui?- Le chiede Edoardo, arrotolandosi sopra al gomito la manica della felpa verde.

-Mi hai distratta e ora non mi ricordo più come continua-

-Questo vuol dire che non l'hai studiata bene-

Chiara si agita nella vasca e fa cadere dell'acqua che bagna i jeans che Edoardo si è scordato di togliere.

Lui assottiglia lo sguardo, e le soffia della schiuma sul naso, facendola ridere e sbattere la spalla al rubinetto dietro di lei.

-Si che l'ho studiata e domani prenderò dieci!-

-Sono sicuro che la maestra Sara al massimo ti darà un nove scarso- La prende in giro il ragazzo, alzandosi in piedi per prendere l'accappatoio rosso lasciato a scaldare sopra al termosifone.

La tira fuori dall'acqua che ha perso il suo calore iniziale e la mette in piedi sopra al tappo del water, mentre avvolge il suo corpicino nell'accappatoio.

Chiara si tappa il viso con il cappuccio e si lascia asciugare dal fratello. Le sue mani sono ancora occupate a tenere il bicchiere bagnato.

-Fatti asciugare, salsiccia-

-Io sono un salame, non una salsiccia, io odio le salsicce!-

Chiara scappa ridendo, lasciando le impronte dei suoi piedini bagnati per tutto il bagno mentre Edoardo la insegue, rischiando di scivolare per terra.

Sono una famiglia normale, in fin dei conti.

 

 

 

 

Chiara è a letto da qualche ora quando Edoardo chiude finalmente il quaderno contenente ricevute, pagamenti da effettuare e bollette, davanti a sé.

Si trascina senza forze in salotto e si lascia cadere malamente sul divano, appoggiando la testa sul bracciolo scomodo. Non ha nemmeno la forza di raggiungere la camera da letto a pochi passi di distanza.

Chiude gli occhi ma è come se davanti a sé ci fossero ancora tutti quei numeri che ha studiato fino a qualche momento prima.

Numeri che rappresentano cifre, soldi che non ha ma che servirebbero tanto, troppo.

La bolletta del gas è arrivata ieri l'altro e non ha avuto ancora il coraggio di aprirla. È riuscito a pagare l'idraulico che gli ha aggiustato due mesi fa la caldaia, ma ora non ha i soldi per lo psicologo di Chiara.

Edoardo si gira supino sul divano troppo duro e con un sospiro, si porta la mano sugli occhi che bruciano.

È due settimane che Chiara salta le sedute dallo psicologo ma come diavolo fa a pagarlo se non ha un centesimo?

Questo è il pensiero che lo preoccupa di più. Lui vuole che sua sorella guarisca, ma come fa se non può mandarla da chi ne è capace?

La stanchezza ha la meglio sui suoi pensieri, e in pochi minuti Edoardo si addormenta, scordandosi di mettere la sveglia sul cellulare per la mattina dopo.

Arriverà in ritardo a lavoro, ma questa non è di certo una novità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Lory, secondo te ho qualcosa che non va?-

-Intendi fisicamente o a livello mentale?-

-Entrambi i casi-

-Bè che sei una schizofrenica con una seria bipolarità da far curare già lo sai e poi hai qualche punto di cellulite sulle cosce ma niente di grave, tranquilla-

-E nel complesso?-

-Da cestinare. Come mai queste seghe mentali da donna in piena menopausa?-

-Ho voglia d'innamorarmi-

-E cosa c'entra questo con le tue paranoie su come sei? Maurizio Costanzo è calvo, senza collo e russa, eppure ha trovato l'amore-

-Mi stai nascostamente dicendo che rimarrò calva a breve?-

-No, ma sul russare non ci scherzerei-

Ginevra sbuffa contro la cornetta del telefono, e beve l'ultimo sorso freddo di thè dalla tazza posata sul tavolo della cucina.

L'orologio sopra la televisione spenta segna le una e cinquantadue di notte.

-Secondo te perché mi ha regalato questo libro, la mia collega?-

-Sarai stata la prima persona che le è passata davanti-

-Ha usato le parole “questo è il libro adatto a te, Gin!” e mi ha dato una pacca sulla spalla-

-Forse è lesbica e voleva una scusa per palparti-

-Ma se è sposata ed ha un figlio!-

-è tutta una copertura-

Ginevra si alza in piedi e cammina scalza fino al salotto, sprofondando nel piccolo divano di pelle, testimone di molte sue notti insonne.

Nella mano, ancora quel libro dalla copertina rosa che la tormenta.

-Io non mi merito un libro del genere, non mi merito il libro “Come uscire dalla depressione per l'amore non ancora trovato”!-

-Ti meriteresti una sedia tra capo e collo, per quanto mi riguarda, visto che sono le due di notte e io sono qui a parlare con te invece che a letto con tuo fratello-

-Ma io ho bisogno di te, di mia cognata! Se mi ha regalato questo libro c'è un motivo. La gente cosa pensa di me?-

-Che ti fa di sostanze illegali-

-Io sono una persona solare e allegra, tu mi vedi come una disperata?-

-Meglio che non ti dica come ti vedo in questo momento-

Loriana continua a imprecare dall'altra parte della cornetta mentre Ginevra si mangia l'unghia del pollice destro dal nervoso.

-Ginevra, brucia quel libro e buttalo dalla finestra. Ci sentiamo domani. Ah, e questa me la paghi, sia chiaro-

Quando la chiamata termina, la ragazza rimane a fissare il libro che ha posato sul piccolo tavolino di legno ai suoi piedi.

Sembra fissarla. Fa paura. La sua copertina rosa le provoca dei brividi lungo la schiena e sulle braccia.

Ginevra gli lancia un'ultima occhiata infuriata e corre in camera da letto.

Quel libro ha le ore contate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finalmente, ecco il quarto capitolo di questa storia. È stato un po' un parto, ma alla fine ci sono riuscita. Non mi soddisfa pienamente (ma va?!) però ho deciso lo stesso di pubblicarlo per non farvi aspettare oltre. In verità, avrei voglia di riscrivere la storia completamente da capo, ma non penso che voi siate d'accordo con me!

Allora, in questo capitolo ho voluto farvi conoscere meglio Chiara e la situazione difficile in cui è costretto a vivere Edoardo. Nella seconda parte, c'è invece la conversazione tra Ginevra e sua cognata Loriana che spero vi abbia fatto un minimo sorridere.

Ho voluto mettere a confronto due situazioni diverse, per farvi rendere conto della diversità e complessità dei personaggi.

Nel prossimo capitolo, ci sarà il primo strano e comico incontro tra Ginevra ed Edoardo; finalmente, direte voi! Spero di riuscire a scriverlo al meglio ma ci credo poco, ormai. 

Grazie in anticipo a tutte le persone che avranno voglia di lasciare un breve commento e a chi leggerà soltanto. Grazie mille,

vostra Giulia :)

 

 

Link della mia nuova storia romantica. Spero vorrete dare un'occhiata:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=858620&i=1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Incontri di prima mattina. ***


 

 

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Charlie Brown: ”Le stelle sono meravigliose, sai cosa penso? Penso che una di quelle stelline lassù sia la mia stella. E come io sono solo qui sulla terra fra milioni di uomini, quella stellina è sola lassù fra milioni di stelle. Ha un senso tutto ciò, Lucy? Credi che significhi qualcosa?”

Lucy: ”Certo! Significa che stai crollando, Charlie Brown!”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

Quella mattina, Edoardo si sveglia che sono le sette passate. Ha il segno della cucitura del copridivano su una guancia arrossata e la maglia di cotone a maniche lunghe tutta stropicciata.

A svegliarlo è il brusio del televisore acceso poco lontano da lui. Socchiude appena gli occhi pesanti e scorge la schiena coperta da una maglia rosa di sua sorella, seduta a gambe incrociate sul tappeto che guarda attenta un cartone animato.

Chiara lo sente muoversi alle sue spalle, e si gira per rivolgergli un sorriso che mostra il piccolo foro in mezzo ai due incisivi.

-Sono le sette- Gli dice vedendo la sua espressione confusa trasformarsi all'improvviso.

Osserva Edoardo alzarsi di scatto dal divano, cercando di non inciampare nelle scarpe lasciate in mezzo alla stanza, e correre in camera a cambiarsi.

Finisce di mangiare un biscotto al cocco mentre si infila il cappotto nell'ingresso di casa, aspettando che suo fratello finisca di prepararsi nel piccolo bagno.

Quella mattina, Chiara non tiene nessun bicchiere tra le mani. Ha due bottigliette d'acqua nello zainetto rosso ai suoi piedi che porterà a scuola, ma nessun bicchiere ostacola i suoi movimenti. È una di quelle mattine in cui sta meglio, meno ansiosa, meno preoccupata.

Edoardo esce velocemente dalla camera da letto, con la camicia ancora fuori dai pantaloni scuri.

Prende la sua borsa a tracolla dal divano e ci infila dentro le chiavi e il cellulare quasi scarico che si è scordato di mettere in carica quella notte.

Sta per abbottonarsi gli ultimi bottoni della camicia quando il suo sguardo si posa sulla figura immobile di Chiara, davanti alla porta chiusa di casa con in mano il suo piccolo casco bianco.

Lo sguardo del ragazzo si addolcisce subito e in pochi passi si ritrova inginocchiato ai suoi piedi che le aggancia il cappotto dalla cerniera difettosa.

-Se non ci fosse la mia donna..- Le dice vicino all'orecchio prima di lasciarle un bacio e una carezza sopra ai capelli che profumano di fragola.

-Dovresti proprio comprarti una sveglia-

-Lo so, ed è quello che farò oggi pomeriggio. Ti va di venire con me a comprarla?-

Edoardo sa quanto a Chiara piaccia il negozio di elettronica dalle televisioni gigantesche vicino casa loro dove lui lavora qualche pomeriggio a settimana per racimolare dei soldi in più per arrivare a fine mese. Per questo non si stupisce di vedere i suoi occhi allargarsi dallo stupore e la testa annuire vigorosamente.

Basta davvero poco per fare felice un bambino.

 

 

 

 

Edoardo ha accompagnato Chiara alla scuola elementare Marconi vicino al suo bilocale ed è corso per le strade di Roma con il suo scooter, passando tanti semafori rossi.

Quando arriva sotto al palazzo del call center sono le otto passate. Il suo turno è già iniziato e lui, come sempre, è in ritardo. Con ancora le chiavi strette nella mano destra, entra dalle porte scorrevoli nell'ingresso riscaldato praticamente deserto, e corre all'ascensore, pigiando con troppa forza il tasto verde per chiamarlo.

È appoggiato alla parete con ancora il fiatone quando le porte dell'ascensore si aprono davanti a lui, rivelandogli una presenza inaspettata.

Ginevra è appoggiata allo specchio alle sue spalle e si torce nervosamente una ciocca di capelli scuri intorno all'indice. L'interno di una guancia è massacrato dai suoi denti.

Si sta ancora maledicendo per aver scordato di inserire la sveglia nel cellulare la sera prima e di aver passato la notte a rigirarsi nel letto vuoto, ripensando a quello stupido libro che ha con sé dentro la borsa, anche in quel momento.

È talmente presa nelle sue riflessioni, che si accorge in ritardo che l'ascensore invece di salire è sceso, e che un ragazzo è immobile davanti a lei e sembra non decidersi ad entrare.

La guarda negli occhi per qualche attimo ed entra velocemente, appoggiandosi alla parete opposta della ragazza, il più lontano possibile da lei.

Il viaggio fino al terzo piano continua in un assoluto e teso silenzio che viene rotto da Ginevra, non appena l'ascensore passa il quarto piano.

-Ciao- Dice con voce sicura, rivolgendo la sua attenzione al ragazzo accanto a lei.

Edoardo pensa di aver sentito male. Pensa che quel 'ciao' se lo sia inventato di sana pianta il suo cervello e per questo rimane in silenzio, fissando con insistenza le porte sigillate davanti a lui.

In un attimo di curiosità, con la coda dell'occhio getta uno sguardo alla ragazza mora che lo sta fissando con un sorriso strano sul volto.

-Ciao- Risponde lui a bassa voce, aggrottando le sopracciglia confuso.

Il sorriso di Ginevra si allarga a dismisura e si gratta la punta del naso improvvisamente nervosa. Gesto che da bambina la smascherava sempre con suo fratello quando combinava qualche marachella.

-Lo so che noi non ci conosciamo e probabilmente dopo questa mia domanda mi catalogherai come una persona assolutamente da evitare per il resto dei tuoi giorni, ma ho bisogno che tu risponda a un quesito fondamentale per me-

Edoardo fissa gli occhi scuri e caldi della sconosciuta, semi sconosciuta diciamo, accanto a sé; non un'emozione trapela dal suo viso.

Ginevra aspetta che il ragazzo apra bocca ma questo non succede. Lei annuisce perplessa e, facendo un respiro profondo, pone la sua domanda di una notevolissima importanza per la sua misera esistenza.

-Ti sembro una depressa cronica con un istinto suicida barra masochista?-

Edoardo rimane immobile nella sua posizione e fissa la faccia in attesa di una risposta, di quella buffa ragazza. Gli sembra di tornare indietro nel tempo, ad una sua interrogazione di latino, quando la professoressa Marianna Coretti gli chiedeva di esporle il significato di perifrastica attiva e passiva e lui la guardava con quella stessa, identica espressione di tedio che ha ora impressa sul volto stanco.

-No- È la sua risposta proferita a voce bassa.

-No? E allora come mi vedi?- Ginevra lo guarda assottigliando gli occhi, continuando a mordersi l'interno di una guancia. Quel ragazzo ha qualcosa che non torna.

-Hai una bella voce-

-Bella voce?-

-Si..-

-Bella voce alla Aretha Franklin o Maria Callas? Magari come Nicole Kindman!-

-Bella voce. Accontentati-

Ginevra annuisce sovrappensiero, mordendosi il labbro inferiore mentre osserva i pulsanti luminosi davanti a sé. Subito dopo, rivolge di nuovo la sua attenzione a quello strano ragazzo.

-E dei miei problemi mentali cosa mi dici?-

Edoardo fissa i soffitto sopra le loro teste, ed osserva impegnato lo sfarfallio della luce chiara che illumina lo spazio ristretto in cui sente l'aria mancargli.

-Bella voce- Conferma.

Le porte dell'ascensore si aprono con un tintinnio ed Edoardo si catapulta fuori, non degnandola nemmeno di un ultimo sguardo.

Ginevra rimane impalata all'interno del piccolo ascensore, con le braccia molli lungo i fianchi, e un'espressione di meraviglia e stupore sul volto ovale.

In quel momento, la signora Angela entra tutta trafelata, con alcune fotocopie in mano, arrancando sulle sue tozze gambe coperte da un paio di collant color carne e una gonna blu.

Saluta Ginevra e schiaccia il pulsante del piano terra, cercando di sistemarsi gli occhiali su naso piccolo.

-Senti, Angela-

-Dimmi tutto, gioia-

-Secondo te, ho una bella voce?-

 

 

 

 

 

Edoardo si infila la giacca blu della divisa del negozio di elettronica sopra alla camicia bianca, e richiude l'armadietto dove ha infilato a forza la sua borsa e lo zainetto di Chiara.

Lei è già uscita correndo dallo spogliatoio e vaga tra le corsie illuminate. Edoardo attacca il cartellino sulla giacca e va alla ricerca della sorella.

Passa dalla cassa dove saluta Seline, la ragazza peruviana da poco assunta che sta servendo un cliente, e si dirige al reparto 'televisori'.

Edoardo trova Chiara in piedi davanti ad un Samsung 72 pollici a schermo piatto che occuperebbe su per giù, tutta una parete del loro bilocale.

Sorride mentre le si avvicina di soppiatto ed osserva la sua faccia meravigliata.

Chiara si gira verso il fratello quando lo sente arrivare alle sue spalle, e gli pone la solita domanda con gli occhi luminosi e speranzosi.

-Edo, la possiamo comprare?- Il ragazzo ride, passandosi una mano tra i capelli. Ride non tanto per il prezzo superiore ai sei mila euro, ma per il tono della richiesta di sua sorella.

-Quando vinceremo al Gratta e Vinci te la comprerò-

-Ma me lo dici ogni volta!-

-Non è facile vincere, lo sai-

-Scommetto che i cartoni visti con questa televisione sembrano più belli- Gli risponde sporgendo il labbro inferiore, continuando a fissare le immagini che si susseguono sul grande schermo.

Edoardo sorride apertamente, come gli succede poche volte, mentre trascina sua sorella nel reparto 'elettrodomestici'.

Arrivano davanti allo scaffale dove sono posizionate tutti i tipi di sveglia in vendita e si inginocchia per arrivare all'altezza del viso di Chiara.

-Puoi scegliere tra questa..- E indica una sveglia a forma di mucca da 18, 50 euro- e questa qui- Puntando l'indice verso una quadrata e digitale che sembra un pezzetto di cioccolato al latte.

Chiara osserva le due sveglie, portandosi l'indice sopra il labbro inferiore.

-Questa- Dice, indicando la seconda sveglia.

Edoardo la stringe tra le braccia per la vita stretta e la fa dondolare, strappandole una risata divertita.

-C'avrei scommesso che avresti scelto questa, golosona!-

-Per un buon risveglio- Biascica lei a mezza voce, soffocata dalle risa che il solletico delle mani del fratello le provocano.

Chiara sfugge alla sua presa e corre verso il reparto dei videogiochi mentre Edoardo si avvicina alla cassa dove lo aspetta il suo turno.

Mentre sta per dare il cambio a Seline, le porte scorrevoli del negozio si aprono, lasciando entrare un rivolo di vento freddo che lo fa rabbrividire. Il suo sguardo si posa sul cliente appena entrato.

No, quella non è proprio la sua giornata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E chi sarà mai il cliente appena entrato? Lo scoprirete nella prossima puntata!

Ok..ehm...buon pomeriggio a tutte, donne. Questo quinto capitolo, incredibilmente, mi soddisfa abbastanza. Un evento più unico che raro, non abituatevi troppo!

Il famoso incontro tra Ginevra ed Edoardo c'è stato, ed è stato anche un incontro fuori dalle righe se vogliamo dirla tutta, che spero vi sia piaciuto.

Ho descritto due momenti, a parer mio, molto dolci tra Edoardo e Chiara, volendo farvi notare il loro rapporto speciale. Molte di voi mi hanno chiesto dei loro genitori ma io non ho voluto rispondervi. Saprete di loro a tempo debito, un po' di suspance ci vuole!

Ringrazio con tutto il cuore chi continua a recensire facendomi commuovere ogni volta per le belle parole che mi scrive e chi legge ogni mio singolo obrobrio.

Vi ricordo anche la mia nuova storia romantica:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=858620&i=1

 

Un bacio e un abbraccio forte,

Giulia :)

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** C'è un posto in più, per me? ***


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Un grazie infinito a tutti.  Buona lettura,

Vostra Giulia.

 

 

 

 

 

Charlie Brown: "Mi domando cosa succederebbe se chiedessi alla Ragazzina dai Capelli Rossi di sederle accanto a pranzo.

Forse mi direbbe di sparire, o mi tirerebbe una pietra o mi colpirebbe con un bastone, o mi riderebbe in faccia, o invocherebbe aiuto o mi darebbe un calcio nello stomaco...Chissà se riuscirebbe a fare tutte queste cose contemporaneamente"

 

 

 

 

 

Pancia che sembra strabordare da un momento all'altro da sotto la camicia dai bottoni che chiedono pietà da quando sono tirati, baffi neri alla Sergente Garcia, pochi capelli sulla testa e una rigida cartellina bianca stretta tra le mani tozze.

Merda.

Edoardo si siede lentamente e con lo sguardo basso, sulla sedia girevole. Seline è in piedi accanto a lui che sta contando dei soldi e non sembra essersi accorta del cliente appena entrato.

Gli occhi di Edoardo si posano sulla figura dell'uomo immobile davanti a lui e accenna un saluto con la testa. Le sue mani sono gelate da quanto è nervoso.

È nella merda fino al collo.

-Amato, sai che giorno è oggi?-

-L'1 dicembre-

-Bravo, e te cosa devi fare di tanto importante l'1 dicembre?-

-Pagare l'affitto-

-Meraviglioso-

-Claudio, oggi non ho i soldi-

L'uomo scuote piano la testa, picchiettando la punta della penna stilografica sulla pagina bianca della cartellina di fronte a sé.

Si appoggia con entrambe le mani al bancone e scruta Edoardo da sotto le sue folte sopracciglia.

-Amato, non ci siamo, non ci siamo proprio-

-Lo so, dammi una settimana- La sua voce è bassa ed ha un tono supplichevole. Odia quel tono che si ritrova ad usare in momenti come quelli.

Lo fa sentire un fallito.

Quello che è, tutto sommato.

Claudio sposta lo sguardo sul soffitto e si passa una mano sugli occhi chiari che ha chiuso con un sospiro.

La stessa storia ogni mese.

-Non posso questa volta, mia figlia deve pagare il corso di nuoto ed io ho bisogno di quei soldi-

Edoardo si passa una mano sulla nuca, sui capelli scuri che si strapperebbe con le sue stesse mani se valessero qualcosa.

Sorride sarcastico incrociando le braccia al petto. Vorrebbe urlare.

-Il corso di nuoto..- Ripete con tono assente -I soldi con cui devo farci la spesa in questi giorni, con cui devo sopravvivere, tu li vuoi per pagare il corso di nuoto di tua figlia-

Fissa un'incrinatura sul vetro del bancone e continua a sorridere come se non riuscisse a fare altro.

Claudio rimane in silenzio e il suo sguardo serio si posa sulla figura di Seline che esce dallo spogliatoio riservato ai dipendenti, con una bambina saltellante al suo fianco.

-Una settimana, non un giorno di più. E stasera vieni in un palazzo in Via Riverani e dipingi le pareti della camera in un appartamento che devo affittare. Il mio imbianchino si è preso l'influenza-

Edoardo rimane fermo sulla sedia ed alza lo sguardo, incrociando quello dell'amministratore.

Anche questa volta ce l'ha fatta ma non è felice o sollevato. Lui sa che probabilmente tra una settimana non avrà i soldi che l'uomo vuole.

-Certo, va benissimo. Grazie, Claudio-

L'uomo annuisce appena e muove la mano in segno di saluto verso Chiara che è ferma vicino allo scaffale delle macchine fotografiche con in mano una bottiglietta d'acqua quasi a metà. Lei ricambia timida il saluto.

-Non mi ringraziare, lo faccio solo per quella bambina-

Edoardo annuisce e sposta lo sguardo sulla figura di sua sorella che corre al centro della corsia, sorridendo.

Lui vive, per quella bambina.

 

 

 

 

 

Quando chiude il negozio di elettronica sono le sette passate e al suo fianco, Chiara si dondola sui talloni con gli occhi socchiusi dalla stanchezza.

È stata tutto il pomeriggio a correre e a saltare, improvvisandosi cassiera, aiutando Edoardo a sistemare i soldi guadagnati quella giornata dentro alla cassa.

Il ragazzo abbassa la saracinesca e chiude a chiave con il lucchetto. Si infila lo zaino rosso di sua sorella sulle spalle e prende tra le braccia una Chiara che non riesce a tenersi nemmeno in piedi.

-Sei davvero così distrutta?-

La bambina annuisce appena appoggiando il viso tra il collo e la spalla del fratello. Un posto accogliente e profumato.

-Quindi stasera a letto presto..- Dice posandola sul sellino dello scooter prima di cercare le chiavi nella sua borsa.

-No! Stasera c'è Nemo alla televisione!- Risponde Chiara a voce alta, guardando Edoardo scandalizzata, con gli occhi arrossati per la stanchezza, sgranati.

-Già, è vero, me l'ero scordato- Le risponde nascondendo un sorriso giocoso.

-Scordato? Edo, aspetto questo giorno da una settimana-

-L'hai segnato anche sul calendario?-

-No, ma soltanto perché non abbiamo un calendario-

Edoardo scoppia a ridere e sente il peso di quella giornata infernale, scivolargli lentamente via dalle spalle.

Chiara e la sua solita ingenua magia.

-Stasera non ceno con te. Devo andare a fare una commissione-

Chiara che si stava infilando il piccolo casco, si blocca guardando sorpresa il fratello.

-E Nemo con chi lo guardo?-

-Con Angelica, la vicina sul nostro pianerottolo-

Chiara si aggancia il casco e rimane zitta, abbassando anche la visiera, gesto insolito. In quel momento, però, non vuole che suo fratello veda i suoi occhi delusi per quella notizia inaspettata.

Arrivano in pochi minuti sotto il loro palazzo ed Edoardo accompagna la sorella fino al loro piano, suonando il campanello del portone davanti al loro.

Chiara è ancora immobile e in silenzio al suo fianco, non si è nemmeno tolta il casco.

Il ragazzo si inginocchia davanti a lei e le sgancia il laccio di quella trappola che la soffoca e le tira alcuni ciuffi di capelli castani.

Osserva i suoi occhi arrossati, questa volta non per la stanchezza, e le posa un bacio sulla guancia fredda.

-Domenica prendiamo Nemo in Dvd e ce lo guardiamo insieme, ti va?-

Chiara non alza gli occhi scuri dal pavimento calpestato dalle sue scarpe, un misero 33, e annuisce con la testa.

La porta dell'appartamento si apre in quel momento e una donna sui quarant'anni dai capelli biondi si appoggia allo stipite, sorridendo materna e asciugandosi le mani bagnate sul grembiule blu che indossa legato ai fianchi.

Edoardo ricambia il sorriso e rivolge di nuovo la sua attenzione alla sorella che ha preso una bottiglietta d'acqua dallo zainetto e beve avidamente delle lunghe sorsate.

È preoccupata, è a disagio.

Il fratello si china su di lei e le bacia il collo fragile, facendole sputare dell'acqua sul giacchetto per la risata che esce dalle sue labbra rosa.

-Basta!- Si dimena tra le braccia del fratello ed entra in quella casa accogliente e sconosciuta, salutandolo con una linguaccia e mimandogli un 'ti voglio bene' prima di sparire dalla sua vista.

Quando è insieme a Chiara, non si sente un fallito.

 

 

 

Edoardo impugna il pennello dalla punta bianca e lo passa sulla parete grigia davanti a sé.

Dall'alto verso il basso, ripetendo gli stessi movimenti.

Si è tolto la camicia che indossava e si è infilato una vecchia maglia nera trovata in fondo all'armadio che usava agli allenamenti di calcetto.

Parliamo di cinque, sei anni fa.

Negli anni in cui si poteva permettere una pizza con gli amici, qualche serata in un pub e la macchina di seconda mano comprata con un po' di risparmi.

L'ultima volta che è andato al ristorante è stato per il compleanno di Chiara qualche mese fa; uno strappo alla regola, se si può dire.

Edoardo immerge il pennello nel secchio di vernice bianca e lo osserva allo sfarfallio della luce della lampadina.

Adora l'odore della vernice, è come una droga. Gli verrebbe da immergere una mano in quel liquido bianco e denso, e poi passarla sulla parete disegnando senza una logica precisa. Come ha sempre fatto.

Un tempo, Edoardo adorava la pittura. Lui, un genio nel disegno, amava riportare la sua arte sulla tela.

L'impugnare un pennello fine e tracciare linee e rette, forme piene, paesaggi, volti sconosciuti, sentimenti; la felicità di un dipinto concluso, l'odore di quella stanza dove teneva i colori.

“Un vero genio”, l'aveva definito il professor Marsilio quando frequentava il Liceo.

Edoardo fa un mezzo sorriso mentre passa leggero, la punta impregnata di vernice sul muro davanti a sé.

Genio.

I suoi pensieri vengono interrotti dal rumore del portone del palazzo che si apre con uno scatto secco e da un'imprecazione proferita ad alta voce.

Il portone si richiude e qualcosa cade sul pavimento del pianerottolo con un tonfo.

Edoardo scruta la stanza vuota intorno a sé, e posa il pennello nel secchio.

Si pulisce le mani leggermente sporche sulla maglietta ormai da buttare e si avvicina alla porta d'ingresso, affacciandosi curioso.

Si da dello stupido, per non aver riconosciuto subito la sua voce, la sua bella voce, come l'ha definita lui quella mattina.

A quanto pare, la giornata non è ancora finita.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** E gira gira il mondo... ***


 

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A tutte voi,

un grazie immenso.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

Lucy: ”Ogni fase della vita sembra avere un suo speciale significato, c’è un sacco di gente che parla dei suoi anni d’oro...tu credi che questi siano i tuoi anni d’oro, Charlie Brown?”

Charlie Brown:”No, a me sembrano piuttosto di rame”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

Ginevra osserva con gli occhi socchiusi e la fronte corrucciata, le borse arancioni della spesa rovesciate del loro contenuto sul pavimento del pianerottolo freddo di casa.

Ha le braccia stese lungo i fianchi e le mani chiuse a pugno. In quel momento ha una grandissima voglia di lasciare lì tutto e andarsene in casa per buttarsi sul divano e non rialzarsi mai più.

Fa un respiro profondo e si ripete dentro di sé che può farcela, che il budino al cioccolato spappolato sul pavimento è soltanto un bene per la sua forma fisica, che le calze bianche appena comprate inzuppate nel succo di frutta alla pesca fuoriuscito dalla confezione non è così grave. Che lei è una persona forte, una persona dalla pazienza infinita che ora raccoglierà tutto con un sorriso.

Ginevra si porta le mani sul viso e strofina forte le dita sugli occhi pesanti che sente pizzicare.

-Hai bisogno di una mano?-

Nell'angolo in penombra del pianerottolo, le arriva alle orecchie una voce bassa ma nitida.

Sembra rimbombare tra le pareti spoglie di quel palazzo.

Ginevra apre stupita gli occhi e scruta la figura appoggiata allo stipite della porta del civico 33.

-No, grazie ma.....hey, ciao!-

-Ciao- Replica Edoardo non fissando il volto della ragazza ma i vari acquisti sparsi sul pavimento con un sopracciglio alzato.

Ginevra sorride.

-Tu sei quello di stamani che ho incontrato in ascensore!- Dice puntandogli l'indice contro.

Edoardo rimane nella sua posizione e continua a pulirsi le mani sporche di tinta sulla maglietta nera.

Annuisce brevemente.

-Quello che mi ha detto che ho una bella voce!-

-Non ti emozionare troppo, è soltanto un complimento-

Ginevra continua a sorridere e si porta una mano a grattarsi la gola da sotto la sciarpa verde di lana che indossa da quella mattina.

-Un bel complimento-

-Un complimento normale-

-Carino-

-Normale-

-Ti piace contraddirmi, eh?-

Edoardo, che fino a quel momento è stato con lo sguardo basso e l'espressione seria, accenna un mezzo sorriso e le rifila una breve occhiata.

È simpatica, quella ragazza. Strana ma simpatica.

Ginevra si dondola sulle gambe coperte da un paio di pantaloni rossi e si guarda attorno impacciata. Punta di nuovo lo sguardo sul volto di quel ragazzo che è leggermente oscurato.

-Quindi tu vivi qui? Ti sei trasferito da poco? Io non ti ho mai visto, anche se è vero che mi sono sempre tenuta alla larga dai miei vicini-

Edoardo la guarda con indifferenza, non un'emozione su quel volto maturo e particolare.

Sembra quasi...spaventato da quella valanga di parole che sono uscite dalla bocca di quella sconosciuta. Si sente quasi sommerso.

Lui nega con la testa senza proferire una sillaba.

Ginevra lo fissa con la bocca aperta e la fronte increspata di piccole rughe.

-Cosa, no? Non vivi qui? O non ti sei trasferito da molto? Ah, ci sono! Forse non odi i vicini di casa come li odio io!-

-Non abito qui- Riesce a dire a voce bassa fissando un punto dietro la schiena della ragazza.

-E cosa fai al civico 33?-

-Un favore ad...un amico. Lunga storia- Le risponde guardandosi il palmo della mano sporco, allontanandosi di qualche passo verso la porta di casa.

Ora si sente meno in trappola dalle sue parole.

-Io adoro ascoltare le lunghe storie-

-Io odio raccontarle-

Ginevra sembra in difficoltà. Le risposte di quel ragazzo non sono mai quelle che si aspetta, la lasciano sorpresa, senza parole, il che è un autentico miracolo.

Rimane quindi in silenzio e porta le mani dietro la schiena annuendo appena con la testa coperta da un cappello scuro.

Fissa un pacco di pasta ai suoi piedi e si inginocchia per infilarlo nella busta bucata.

Poco dopo sente una presenza al suo fianco e vede quello strano ragazzo inginocchiarsi per terra e raccogliere alcuni prodotti, infilandoli dentro ad una busta.

L'espressione concentrata.

Edoardo si alza in piedi e le porge la busta strapiena allungando un braccio, macchiato vicino al gomito di tinta.

-Grazie-

Lui annuisce in risposta e infila le mani nelle tasche anteriori dei jeans.

Rimangono entrambi in silenzio. Ginevra osserva il suo viso con occhio critico, fissando ogni centimetro di pelle illuminata dalla luce leggera che arriva dal lampione sulla strada asfaltata.

-Grazie- Ripete continuando a guardarlo.

-L'hai già detto-

-Già, hai ragione-

Prende tra le braccia le due enormi buste e lanciandogli un'ultima occhiata, incomincia a salire lentamente le scale che la porteranno a casa, dove si sdraierà sul suo comodo divano e probabilmente non si rialzerà mai più.

Edoardo rimane immobile nella sua posizione ed osserva il semaforo rosso che intravede dal portone a vetri diventare verde e le macchine scorrere silenziose per le strade trafficate di Roma della sera.

Non gli ha detto nemmeno 'ciao'.

 

 

 

 

 

Edoardo è tornato in casa e si è rimesso a dipingere le pareti della camera da letto. Non c'è un soprammobile in quella stanza, eccetto una vecchia sedia a dondolo di legno bianco in un angolo e una lampadina spoglia calante dal soffitto, che illumina leggermente l'ambiente.

Immerge la punta del pennello nel secchiello della tinta ai suoi piedi, e lo passa sulla parete, intossicandosi con quell'odore gradevole.

Mentre si sposta verso la parete opposta, la suola di una delle sue scarpe da ginnastica rimane attaccata al giornale che copre il pavimento ai suoi piedi macchiato di tinta, ed Edoardo appoggia, senza pensarci, la mano nel punto dove ha appena passato il pennello, per togliersi quell'impiccio dal piede.

Quando si accorge dell'errore commesso, impreca a bassa voce pulendosi la mano sulla maglietta ormai da buttare.

E dire che un tempo era la sua preferita.

Una mezza risata e un colpo di tosse, lo distraggono dalla sua analisi, e il suo sguardo si sposta velocemente sulla ragazza ferma sulla soglia della porta, con in mano qualcosa avvolto in un involucro di carta stagnola.

Ginevra, stretta nella sua felpa verde che un tempo era di suo fratello, rimane al suo posto e accenna un saluto con la testa, stringendo quello che ha tra le mani.

-Hai cenato?-

-Si-

-Davvero?-

-Non vivo d'aria-

La risposta seria di Edoardo spegne il sorriso sulle labbra di Ginevra. Stringe tra le braccia quello che aveva tra le mani, abbassando lo sguardo.

Sembra una bambina delusa, con quegli occhi spenti. Come se l'avesse rimproverata.

Edoardo fissa il pennello tra le sue mani e lo getta nel secchio della tinta, ripulendosi le mani sui jeans logori.

-Cosa hai lì?-

Ginevra alza appena la carta stagnola per osservare il contenuto.

-Panino prosciutto crudo e mozzarella-

Diavolo.

Lo stomaco di Edoardo manda un segnale ben preciso. Il panino rinsecchito che ha comprato al bar dopo aver lasciato a casa Chiara non deve essergli bastato.

Si avvicina a Ginevra ed allunga una mano nella sua direzione. Lei alza lo sguardo e con un sorriso sarcastico, glielo cede.

-L'aria non ti riempie abbastanza?- Gli domanda sedendosi a gambe incrociate sulla sedia a dondolo non molto comoda essendo sprovvista di un cuscino, e guardando il ragazzo sedersi sul pavimento, poggiando le spalle al muro ancora da tingere, sussurrando un 'grazie' a mezza voce.

Lui le rivolge un'occhiataccia e da il primo morso al pane morbido, alzando gli occhi verso il soffitto.

Si sente studiato, dagli occhi scuri della ragazza davanti a sé, ma gli provocano soltanto un leggero fastidio.

-Quindi?-

-Quindi che?-

-Ti piace? L'ho fatto io- Esclama Ginevra con un tono alto di voce, complimentandosi mentalmente con se stessa.

Edoardo, con la bocca piena, le rivolge un sorriso che vale più di un complimento.

Si pulisce la bocca con un fazzoletto di carta e continua a masticare fissando la luce ad intermittenza della lampadina sopra la sua testa.

Nella stanza, si sente soltanto il rumore dei motori delle automobili fuori dalla finestra serrata. C'è silenzio, un silenzio piacevole.

Ginevra si guarda le mani coperte da un paio di guanti verdi e lancia delle breve occhiate al ragazzo che sta mangiando il suo panino. È completamente coperto di tinta. Anche alcuni ciuffi dei suoi capelli neri, neri come la notte che si intravede dalla finestra.

-Perché me l'hai portato?-

-Cosa?-

-Perché mi hai portato il panino?-

Ginevra sta zitta e continua ad osservare le sue mani dalle dita affusolate, da pianista dice sempre sua madre.

-Non lo so. Pensavo fosse un gesto carino-

-Carino?-

La ragazza sbuffa e si porta un ricciolo dietro l'orecchio, alzando gli occhi al cielo.

-Hai un avversione nei confronti di quest'aggettivo, per caso?-

Edoardo si mette a ridacchiare e da un morso al panino ormai a metà che tiene tra le mani.

La osserva senza farsi notare, e vede nel suo viso i tratti di una bambina, la sua ingenuità sembra quella di una bambina piccola che fa qualcosa senza porsi troppe domande, senza pensare se sia giusto o sbagliato.

Spontanea, è l'aggettivo giusto.

-È buono- Le dice, masticando l'ultimo morso prima di accartocciare la carta stagnola tra le mani.

Il sorriso che gli regala è una bella ricompensa.

 

 

 

 

 

 Quando entra in casa, Edoardo cerca di fare il meno rumore possibile.

Chiude a chiave la porta, appoggiando delicatamente le chiavi nella ciotola nell'ingresso, levandosi le scarpe con i talloni per non fare troppi movimenti.

Lascia la borsa in salotto insieme al cappotto ed accende la luce flebile della lampada sopra la televisione, per non inciampare nei vari oggetti sparsi per la casa.

Cammina a piedi nudi fino alla camera di sua sorella, e spingendo piano la maniglia della porta bianca, entra nella stanza buia.

Chiara ama il buio, non ha mai dormito con la luce accesa quando era piccola.

Edoardo cammina sulle punte dei piedi fino al letto e si congratula mentalmente quando vede la bambina ancora addormentata. Lui sa quando il sonno di sua sorella sia leggero.

Le posa una carezza sui capelli legati in una treccia, e le toglie il bicchiere di vetro che tiene tra le mani posandolo sul comodino vicino al letto.

Le tocca la fronte come fa sempre, e sente le sue guance bagnate. Sa che sono lacrime, forse versate quando era sveglia o per un brutto sogno.

Si allontana da quel corpicino nascosto soltanto da un lenzuolo leggero e si avvicina alla porta socchiusa da cui entra della luce.

-Edo..-

Quando sente la voce di sua sorella, Edoardo alza gli occhi al cielo e ritorna sui suoi passi, sdraiandosi sul letto con lei, le teste vicine.

-Quando sei tornato?-

-Da poco. Ti è piaciuto Nemo?-

Le chiede allontanandole dalla fronte dei ciuffi corti di capelli mentre gli occhi di Chiara lo guardano ancora socchiusi.

-Bellissimo. Bello come te-

Edoardo sorride e scuote appena la testa.

-Mi stai dicendo che ho il fascino di un pesce palla?-

-Ma no!- Ride Chiara, sbadigliando sonoramente. -Nemo è più carino!-

Sotto le carezze delle mani del fratello, si addormenta, stringendosi al suo fianco e portando una mano piccola tra i suoi capelli scuri.

Anche quella notte è in trappola tra le braccia di sua sorella.

Una trappola dolcissima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ginevra è la spontaneità in persona, è come una bambina ingenua, non stupita, attenzione.

Vive la sua vita prendendo delle decisioni senza starci a pensare troppo, non fa niente con malizia ma con il pensiero che farà qualcosa di “buono”per qualcuno, come in questo caso, portare la cena ad Edoardo, nonostante sia una persona appena conosciuta.

Lui, invece, è diffidente da tutto tranne che da sua sorella, e tende a mostrarsi una persona chiusa e di poche parole. Ginevra, però, riesce a strappargli qualche parole e a farlo sorridere. Pochi sorrisi ma buoni.

Sono due persone completamente diverse che si incontrano per caso. Io oserei dire, anche se è presto, che si completano.

Non so se avete notato che non si sono ancora presentati ufficialmente, non sanno i loro nomi. I loro incontri, come molte di voi mi hanno detto, sono strani, molto strani, e ce ne saranno degli altri, non temete!

Ci tengo a ricordarvi che Edoardo e Ginevra sono due ragazzi normali, ognuno che combatte con i problemi della sua vita ma normali. Pazzie e caratteri bipolari a parte ;)

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come i precedenti e vi ringrazio davvero per il calore che mi trasmettete nelle recensioni, mi fanno sentire apprezzatissima!

Ancora grazie, un bacione grande grande,

Giulia.

 

P.s. Per qualsiasi domanda riguardante il capitolo non esitate a chiedere!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Dottore, che sintomi ha la felicità? ***


 

Gruppo su Facebook dedicato alle mie storie dove potrete scambiare due chiacchiere con la sottoscritta:

http://www.facebook.com/groups/262965880410553/297052590335215/

 

Questa è invece la fantastica One-shot che Trigger Happy, alias Rò, ha scritto sul personaggio della piccola Chiara. Leggetela, non ve ne pentirete assolutamente e fatele sapere cosa ne pensate di questa meraviglia:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=878803

 


 

 

Charlie Brown:”Mi tocca sempre mangiare da solo. Come mi piacerebbe far colazione con quella ragazzina coi capelli rossi, chissà cosa succederebbe se andassi là e le chiedessi di far colazione con me...probabilmente mi riderebbe in faccia.

È duro per una faccia sentirsi ridere addosso...”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

 

 

 

 

A quindici anni, Edoardo aveva un sogno.

Un sogno di cui lui soltanto ne sapeva l'esistenza, su cui fantasticava a scuola durante le ore di inglese, sdraiato sul letto della sua camera dalle parete verdi, sotto la doccia finito l'allenamento di calcio.

Era un sogno che era nato in una data non precisa, che si era delineato nel tempo, aggiungendo dettagli precisi, modellandolo a suo piacimento.

Edoardo voleva visitare il mondo, preferibilmente a bordo della vecchia cinquecento bianca usata che aveva visto in vendita vicino ai grandi magazzini. Un viaggio in solitudine, con la maglia nera degli Oasis addosso, uno zaino di stoffa, la tela e i pennelli infilati a forza nel bagagliaio.

Si, perché Edoardo si sentiva un'artista, sapeva che nella sua vita, l'arte avrebbe avuto sempre la priorità.

Si immaginava sdraiato sull'erba di Hyde Park a Londra a disegnare i rami di quegli alberi imponenti. La faccia ricoperta di lentiggini di un bambino che correva per una strada sterrata in Irlanda.

Usare il carboncino sul foglio rigido per sfumare la pelle di una donna di colore in Egitto. Avrebbe dipinto le ombre della Torre Eiffel, i volti arrossati di un tedesco a Milano, la felicità nel sorriso di un pescatore greco.

Non lo sapeva Edoardo, che tutti quei sogni sarebbero sfumati come una nuvola di fumo grigio nel cielo chiaro. Non sarebbe rimasto niente, di quei piani costruiti con emozione.

Non lo sapeva, che il massimo che avrebbe potuto disegnare sarebbe stato il Colosseo e la faccia cupa di un impiegato impaziente in una giornata frenetica di lavoro.

Non lo sapeva, o forse si, ma Edoardo aveva comunque voluto provare a sognare una realtà diversa, una realtà che avrebbe voluto vivere.

 

 

 

 

Ripensa a quelle fantasticherie, Edoardo, mentre fissa il suo viso cambiato dal tempo allo specchio del bagno, con le guance ricoperte in parte dalla schiuma da barba ed una lametta impugnata nella mano destra.

Fissa quegli occhi dello stesso identico colore di quando aveva quindici anni, ma che hanno perso una luce che prima c'era; se la ricorda lui, quella luce. Una luce di speranza per un giovane adolescente.

Fissa quel volto inespressivo con una rabbia sconosciuta che gli corrode lo stomaco.

In quel momento, Chiara apre di scatto la porta bianca del bagno e si ferma immobile, con il suo pigiama a cuori rosa, sulla soglia, con la bocca spalancata e la treccia fatta la sera prima, completamente sfatta che penzola su una spalla che sembra tanto fragile.

-Ti stai facendo la barba?-

-A quanto pare..-

Le labbra di Chiara si appiattiscono in una linea rigida e le sue braccia si incrociano sul petto. Lo sguardo fisso sulla figura del fratello.

-Perché non mi hai chiamata?-

Edoardo posa la lametta sulla guancia destra e si guarda allo specchio, assottigliando lo sguardo. Vorrebbe ridere ma vuole evitare di tagliarsi.

-Stavi dormendo-

-Lo sai che quando ti fai la barba mi devi svegliare!-

-Ma non era quando facevo le brioche alla Nutella?-

-Anche!- Chiara sbuffa e gonfia le guance arrossate. I piedi che ballano di già sul pavimento, nervosi ed impazienti.

Edoardo si allontana dal lavandino e con uno sbuffo si siede sul water, chiudendo gli occhi con un sospiro.

Chiara sorride di un sorriso di denti da latte, alcuni dondolanti, e si avvicina al fratello che le tende la lametta.

Lei la prende con gli occhi luminosi e le mani tremanti.

-Stai attenta-

Si infila tra le gambe di Edoardo, ed appoggia delicata la lametta vicino alla sua bocca.

Ha paura di sbagliare, Chiara, paura di danneggiare il volto bello di suo fratello.

Mentre toglie della schiuma dal punto in cui ha passato la lametta, la bambina si ferma ad osservare i tratti del fratello, quei tratti da uomo dolci come il miele che lei beve tutte le mattine nel latte.

Anche lei vorrebbe essere bella come lui. Forse lo sarà, un giorno. Chiara lo spera tanto.

-Chià, stai attenta a cosa fai-

-Sono un'ottima barbiera, lo sai-

-Certo, ma so anche che hai la delicatezza di un'elefante-

-Edo!- Chiara protesta alla battuta del fratello, dandogli una spinta sulla spalla.

-A te... a te puzza l'alito!- Dice, posando la lametta sul mento levando uno strato di schiuma che odora di menta fresca.

-Anche a te, brutta scimmietta-

-Piano con le parole, io non ti ho offeso, ho costatato un dato di fatto-

-'Constatato'? Chiara, lo sai cosa significa?- Le chiede il fratello, aprendo un occhio.

-No, ma l'ha detto ieri alla televisione una giornalista. È una parolaccia, Edo? Non è una parolaccia, vero? Io non dico le parolacce, lo sai!-

-Non dici le parolacce ma ti puzza l'alito quindi, su, a lavarsi i denti- Edoardo prende la lametta e finisce il lavoro che aveva iniziato prima che quell'esserino di un metro e venti lo interrompesse.

Chiara si lava i denti al lavandino al fianco del fratello, sfregando energicamente con lo spazzolino i denti davanti, lasciando sulla lingua il sapore del dentifricio alla fragola. Il suo preferito.

Getta un'occhiata alla superficie che riflette la loro immagine davanti a sé, e sorride. Sembrano marito e moglie. Il fratello la osserva sospettoso.

-Perché sorridi?-

-Così-

-Stai pensando alle brioche con la Nutella, ammettilo-

Chiara sbuffa, pettinando con una mano la frangia scompigliata che copre leggermente i suoi occhi.

-Sei te quello che pensa sempre al mangiare, Dado-

-Hai ragione-

-Ora ho fame anche io, però-

Il ragazzo chiude il rubinetto e si pulisce il viso all'asciugamano prima di caricarsi in spalla una ridente Chiara, che scalcia e cerca di mordere il fratello.

Vedesse i suoi occhi in quel momento, Edoardo ci scorgerebbe dentro una luce, una luce speciale che soltanto Chiara riesce ad accendere.

 

 

 

 

 

 

Edoardo e Chiara pranzano in silenzio, seduti al tavolo apparecchiato della cucina. I loro piatti colmi di pasta al pesto fumante. Il piatto che riesce meglio al ragazzo.

La bambina mangia un chicco di pasta ogni tanto, troppo presa a guardare, da sotto i suoi occhiali dalla montatura rossa, il cartone animato alla televisione, Balto, e a stringere con la mano destra il bicchiere di vetro colmo d'acqua che viene riempito ogni minuto.

-Mangia- Le dice il fratello, osservandola di sottecchi.

-Sto mangiando-

Edoardo osserva il piatto praticamente intatto della sorella. Che bugiarda.

-Il finale non cambia, Chiara. Balto si mette insieme alla cagna rossa e fanno tanti cuccioli-

Lei sbuffa, infilzando un po' di pasta con la forchetta e rivolgendo la sua attenzione al fratello.

-Finisco la pasta se mi giuri che prenderemo un cane-

-Un cane? Ho già una scimmietta di cui occuparmi, grazie-

Chiara si mette a ridere, rischiando di affogare mentre mastica il boccone.

-Allora un'oca!-

-Che ne dici di un ragno bello peloso?-

La sorella fa una faccia schifata, sentendo i peli delle braccia rizzarsi al solo pensiero di quell'animale.

-Dado, non scherziamo!-

-Oppure un pipistrello..-

Chiara finisce di mangiare, ascoltando la voce bassa del fratello che le cataloga gli animali più brutti e schifosi di questa terra, facendola ridere e sporcare la maglietta pulita.

Mangia anche il dolce al cioccolato bianco che il ragazzo ha comprato nella mattinata alla gelateria vicino casa, volendo addirittura una seconda porzione.

-Cosa stai facendo?- Chiede Edoardo osservando Chiara alzarsi sulle punte dei piedi per prendere il piatto sporco davanti a lui.

-Sparecchio la tavola-

-E per quale motivo?- Chiara si alza le maniche della maglia fino al gomito e concentrata, cerca di aprire il rubinetto dell'acquaio troppo in alto per lei.

-Perché sono la tua donna, e le donne sparecchiano sempre dopo che il loro uomo ha finito di mangiare-

Negli occhi di Edoardo, in quel momento, c'è solo tanto amore.

 

 

 

 

 

Edoardo entra nel palazzo in Via Riverani con le chiavi che Claudio l'amministratore gli ha dato ieri. La sera è già calata e il freddo punge attraverso il giaccone pesante che indossa in quel momento.

I suoi pensieri si rivolgono alla sorella che sta dormendo, molto probabilmente, nel suo lettino, con il riscaldamento spento.

Ma per lei non ci sono problemi, non è di certo freddolosa come lui.

Appoggia il secchio della tinta nell'appartamento deserto, ed incomincia ad osservare il suo operato sulle pareti dipinte di bianco.

Nota dei punti il cui la vernice non è venuta bene e su cui darà una seconda mano a lavoro finito, e tira fuori i pennelli che ha lavato a casa, dalla busta di plastica.

Sta per immergere la punta nella tinta, quando il rumore di passi alle sue spalle, distoglie la sua attenzione.

Nella stessa posizione della sera scorsa, c'è la ragazza mora protagonista degli incontri strani avvenuti in questa settimana.

Sembra farlo apposta, di apparire nei momenti più impensabili.

Ginevra sorride ad Edoardo, ed alza una mano nascosta dalla felpa troppo larga in segno di saluto.

Ha i capelli umidi sciolti sulle spalle e le guance rosse probabilmente per il freddo che congela le dita delle mani e dei piedi nascoste in un paio di pantofole blu.

-Ciao!-

Il ragazzo risponde con un cenno limitato della testa.

Ginevra continua a sorridere per niente turbata dalla non risposta del ragazzo. Sembra essersi già abituata alla sua poca loquacità.

Continua a guardare Edoardo negli occhi, mentre formula la sua domanda inaspettata.

-Vuoi cenare? Con me? Bè, ci sarà anche Leopoldo, il mio pappagallo, insieme a noi-

-Perché?-

-La risposta dovrebbe essere: si o no-

Il moro continua a fissarla, assottigliando gli occhi per scrutare il viso pulito di Ginevra. Vorrebbe capire cosa le sta passando per la testa.

O anche nella sua, di testa, visto la risposta che le da.

-Si-

Pronunciato a bassa voce, in quell'appartamento deserto e freddo, con la sola compagnia di quella sconosciuta dal sorriso ingenuo e la felicità per un qualcosa di ignoto, che traspare dai suoi occhi caldi.

Si, le ha detto di si.

 

 

 

 

 

 

Un appuntamento? Nah, non vedetelo come un qualcosa di romantico e nemmeno la richiesta di Ginevra, la dovete vedere con un doppio fine. Come ho già ripetuto, lei è l'ingenuità in persona.

Mi dispiace di avervi fatte aspettare tanto ma l'ispirazione questa volta non voleva decidersi a farmi scrivere. Spero che questo capitolo vi piaccia e che la storia non vi stia annoiando troppo.

Mi dispiace che il capitolo sia così corto ma se avessi aggiunto anche la seconda parte, avrei postato probabilmente la prossima settimana.

Un bacione grande grande e un abbraccio, spero di risentirvi presto,

Giulia :)

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** LeoPi, nomi e cognomi. ***


 

 

Gruppo in cui chiunque è benvenuto:

http://www.facebook.com/groups/262965880410553/

 

 

 

Un grazie immenso a tutte voi, che mi fate venire voglia di scrivere.

Un grazie speciale a Rò (TriggerHappy), che mi fa addolcire e che io addolcisco un po' tutti i giorni. La nostra maschera di fredde acide ottantenni è da buttare, ormai.

Buona lettura :)

 

 

Linus: ”Sai il nome di quella ragazza, Charlie Brown?”

Charlie Brown: ”No ma mi ricordo di lei. Un giorno, il mese scorso, le ho offerto metà della mia tavoletta di cioccolata e lei se n’è andata via. Non ricordo i nomi ma non dimentico mai un’ offesa!”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

 

Edoardo se ne sta immobile, seduto sul divano al centro del salotto di un piccolo bilocale in periferia. Le mani che si muovono nervose sulle ginocchia coperte dai jeans sporchi di tinta e lo sguardo serio, fisso su un vaso di vetro trasparente posato sopra la televisione, dall'acqua verdognola, in cui galleggia - ormai privo di vita - un pesce rosso.

Sente la ragazza che lo ha invitato a cena nemmeno qualche minuto prima, trafficare in cucina con la compagnia del rumore di piatti che vengono sbattuti, il cassetto delle posate che si apre e si chiude e di parole biascicate a mezza voce.

In tutto quel trambusto, Edoardo osserva cosa lo circonda, rimanendo sorpreso dall'aria particolare che si respira tra quelle pareti, colorate di arancione da una mano inesperta. C'è calore, tanto calore a cui lui non è abituato.

Gli sembra strano anche vedere la casa già decorata per il Natale, nonostante sia il 2 dicembre: il piccolo albero vicino alla televisione decorato con delle palline tutte rosse, le soffuse luci colorate attaccate al davanzale della finestra da cui si possono vedere i tetti di alcune case e un buffo Babbo Natale coperto solo da un paio di boxer rossi, sul basso tavolino davanti al divano, che fa da porta cellulare.

In casa sua non si respira quell'aria.

Lui l'albero lo fa con Chiara addirittura il 23 dicembre sera.

In quegli scatoloni che vengono tirati fuori dalla cantina una sola volta l'anno, ci sono palline riciclate negli anni, alcune fatte dalla sorella a scuola e altre comprate in mercatini di Natale, i festoni argentati sono spelacchiati e le luci che arrotolano tra i rami rinsecchiti sono troppo grosse e fanno talmente tanta luce, che la bolletta dell'elettricità di gennaio è il peggior incubo del ragazzo.

Il sorriso di Chiara mentre lo decorano insieme però, vale tutta quella fatica e i soldi spesi per quel giorno.

 

Ginevra esce dalla porta socchiusa della cucina pochi minuti dopo, con le guance arrossate e i capelli raccolti in una coda alta che dondola sulle sue spalle.

Sorride al suo ospite e gli passa di fianco per prendere una felpa dimenticata sul bracciolo del divano, e piegarla, per poi posarla sulla poltrona poco lontana da loro, dove giacciono delle riviste dimenticate.

Prende un bel respiro e si siede accanto ad Edoardo che ha seguito attento e in silenzio tutti i suoi movimenti.

Ginevra, rigida al suo fianco che si tormenta la pellicina del pollice destro, pensa a qualcosa da dire, qualunque cosa. Sembra non essere un'azione facile con il suo ospite.

Sembra quasi impossibile, a dirla tutta.

-E’ morto- Stranamente, il primo a parlare è Edoardo.

-Chi?-

-Il pesce-

-Che pesce?-

-Il tuo pesce rosso-

-Io non ho nessun pesce rosso-

Edoardo non muta espressione, e con un cenno della testa, indica alla ragazza la brocca di vetro davanti a loro.

Ginevra si porta entrambe le mani alla bocca e sgrana gli occhi scuri, sorpresa e incredula allo stesso tempo.

-Pietro! Oh mio Dio!-

La ragazza si alza di scatto dal divano e corre verso l'ormai defunto pesce, la cui sola pancia bianca è visibile.

Edoardo pensa che si stia per mettere a piangere. In quel caso, nessuno lo fermerebbe da uscire seduta stante da quella casa.

Odia vedere le persone piangere.

Ginevra, però, si limita ad osservare l'animale domestico dimenticato probabilmente da settimane, con occhi tristi.

-Io te l'avevo detto-

Ginevra non ha parlato e nemmeno Edoardo. Pietro è sempre a pancia in su e dalla sua bocca non uscirà più nessun suono, ormai.

Il ragazzo si guarda intorno stupito, senza capire la provenienza di quella voce acuta e stridula.

-Te l'avevo detto! Povero, Pietro, povero povero Pietro-

-Stai zitto-

-Hai ucciso Pietro Il Grande!-

-E’ stato un incidente, va bene?-

-No che non è stato un incidente. Assassina, assassina, assassina. Ginevra è un'assassina!-

Finalmente, il moro lo vede.

Se ne sta appoggiato su un piccolo trespolo giallo, dentro ad una gabbia azzurra posata sul mobile del telefono alle sue spalle.

Edoardo non riesce a capacitarsi di non essersene accorto prima. Lui, sempre attento ad ogni piccolo particolare.

Il pappagallo colorato dondola la testina piccola avanti e indietro, spostandosi lateralmente sul corto bastoncino giallo. Sembra si stia godendo la scena.

Il pennuto emette un fischio acuto.

-Lui è Leopoldo II- Lo presenta la ragazza, con uno strano sbuffo.

-Già, Leopoldo I l'ha ucciso dandogli da bere la Varichina. Ginevra è un'assassina, Ginevra è un'assassina!-

La ragazza gonfia le guance arrossate e prende la brocca di vetro tra le braccia, trasferendosi in cucina.

Edoardo rimane da solo con l'animale. Si alza lentamente dal divano, e si avvicina alla gabbia incuriosito.

-Lontano, stai lontano! Chi sei? Cosa ci fai in casa mia? Chi sei?! Ginevra! Ginevra!-

La voce stridula dell'animale riempie la stanza e fa nascere un sorriso sulle labbra del ragazzo.

-Chi sei?! Mi vuoi uccidere? Ginevra! Chi sei?! Il nuovo fidanzato di Ginevra? No! Ginevra è mia! Ginevra!-

La ragazza riappare da dietro la porta della cucina con un telo nero in mano.

-Che cosa vuoi fare? Ginevra, sei una stronza! Ginevra stai lontana da me! Lontana, brutta vecchiaccia!- Lo posa velocemente sopra la gabbia e la voce insopportabile del pennuto, si spegne all'improvviso, facendo calare nella stanza il silenzio.

-Leopoldo I è morto d'infarto quando un piccione è entrato dalla finestra, non gli dar retta. La cena è pronta, vieni?-

Con un sorriso, Ginevra osserva Edoardo seguirla nel piccolo cucinotto, invitandolo a sedersi a tavola, su cui un piatto di cannelloni al ragù fa bella mostra di sé.

Edoardo si siede impacciato sulla sedia di legno, grattandosi nervoso il punto del collo poco sotto l'orecchio. Gesto che fa quotidianamente quando non si trova a suo agio.

Ginevra prende delle bottiglie d'acqua dal frigo posandole sul tavolo, uscendo dalla stanza subito dopo, quando sente il cellulare squillare nella tasca della felpa.

Intuisce già chi è il mittente della chiamata.

 

 

 

-Lory?-

-In persona, tesoro. Ti sei scordata di avere una cognata?-

-Certo che no, ma questi due giorni sono stata impegnata-

-Non ci credo nemmeno se me lo viene a dire Michael Jackson di nuovo nero. Lo so che non mi vuoi più bene come un tempo-

-Sei ubriaca?-

-No, ma sono parecchie ore che non do libero sfogo alle mie cazzate e quindi mi devo rifare. Comunque, come stai, carotina mia?-

-Bene ma ora non posso parlare. Ti posso richiamare più tardi?-

-Più tardi ho la seduta di Yoga con tuo fratello che ha finto una paralisi al mignolo destro, sfaticato com'è. Perché non puoi parlare? Sei in chiesa? Oppure in carcere?-

-Sono a casa mia, in bagno precisamente-

-Ah, ho capito tutto-

-Che cosa?-

-Stai spiando il pezzo di manzo che abita nel palazzo davanti al tuo-

-E’ successo soltanto una volta, va bene?! E poi non lo stavo spiando, stavo lavando dei panni del lavandino e mi è caduto l'occhio su lui che stava prendendo il sole sul terrazzo-

-...ed era in boxer-

-Non è un dettaglio importante-

-...e te stavi sbavando-

-Ti odio- Sbuffa in un sussurro Ginevra, buttando un'occhiata allo specchio davanti a lei.

-Lo so. Su Gin, dimmi perché non puoi parlare!-

-Ho un'ospite a cena, va bene?!-

-Maschio o femmina?-

-...maschio-

-Ginevra Di Francescantonio, hai ordinato su internet un gigolò come ti avevo suggerito di fare?- La voce entusiasta di sua cognata arriva dritta alle sue orecchie.

-Se ti dicessi di si mi lasceresti in pace?-

-No, finché non mi mandi una sua foto via MMS-

-Te sei matta. Non è un gigolò, Lory, ma soltanto un ragazzo che ho conosciuto da poco, un amico-

-E’ un appuntamento romantico? Sento delle vibrazioni strane che provengono dal tuo corpo-

-Non è un appuntamento e le vibrazioni che senti è la centrifuga della lavatrice-

-Oh, vabbè. Ora ti lascio, ma dopo voglio tutti i dettagli, soprattutto quelli piccanti-

-Spero ti venga il colpo della strega mentre fai Yoga!-

-Un vero zuccherino. Mi puoi dire almeno come si chiama?-

Ginevra chiude la chiamata senza pensarci due volte con gli occhi sgranati e senza parole.

Merda...

 

 

La corsa di Ginevra verso la cucina è quasi acrobatica.

Con il fiatone e la mano posata sul petto ansante, riesce a sedersi sulla sedia davanti a quella del ragazzo ed a porgli una domanda in un fioco sussurro.

-Io...noi..no-non ci siamo nemmeno presentati!-

-Ma io lo so come ti chiami-

Ginevra guarda il moro dubbiosa.

-Davvero?-

-Si, lavoriamo insieme-

-Davvero? Era per questo che l'altro giorno eri in ascensore?-

-Si-

Edoardo e Ginevra rimangono in silenzio.

-Ma dici sul serio?-

-Già-

-Non ti ho mai visto! Io conosco tutti, perché non conosco te?!- Ginevra non riesce a credere che quel ragazzo lavori nel suo stesso Call Center, magari a pochi metri di distanza.

Come ha fatto a non notarlo in tutto questo tempo?

-Edoardo Amato, piacere- La ragazza stringe la mano che gli porge senza pensarci due volte, sorridendo senza un motivo preciso. È solo una stretta di mano.

Edoardo. Le piace come nome.

-Ginevra Di Francescantonio, nessun commento sul cognome, grazie-

Edoardo le sorride e il suo sorriso arriva fino agli occhi neri, che per un istante, uno solo, vengono illuminati di una luce particolare, pensa Ginevra continuando a guardarlo.

Probabilmente è la lampadina che si sta fulminando.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Gli occhi sono lo specchio dell'anima, no? ***


 

 

Il mio augurio in ritardo per un 2012 speciale.

Una nevicata di baci al cioccolato,

Giulia :)

 

 

 

Charlie Brown: ”Penso sempre alla ragazzina coi capelli rossi, ma so che lei non pensa a me. Non pensa a me perchè io sono un niente e non si può pensare a un niente”

Linus: ”Tu non sei proprio un niente, Charlie Brown”

Charlie Brown: ”Quando mai una ragazza va in giro pensando a uno 0,00001?”

 

 

 

 

 

La pelle delle mani è arrossata per l'acqua calda, che esce lenta dal rubinetto d'acciaio e ci si infrange sopra.

Nell'aria c'è sempre l'odore di sugo bruciato che si confonde con quello aspro del detersivo, che Edoardo sta usando per lavare i piatti sporchi, e sono davvero tanti. Alcuni li ha ritrovati nello scompartimento sotto il lavandino e sono di almeno una settimana fa; sta usando tutta la sua buona volontà per scrostare dei residui di uovo e pancetta dal fondo di una pentola.

La sua pazienza è al limite.

Strofina energicamente la spugnetta ruvida, gettando un'occhiata attenta a sua sorella, seduta al tavolo della cucina, che sta facendo i compiti con la televisione accesa davanti a sé, che trasmette alcune notizie di attualità.

Dondola i piedi - che non sfiorano nemmeno il pavimento lucido - mordendosi il labbro inferiore, impegnata nel risolvere una semplice addizione.

Anche lei, come il fratello anni prima, non ha un buon rapporto con i numeri e le cifre. Diciamo che non ha proprio un rapporto, con quella materia incomprensibile e noiosa, tanto noiosa.

Ogni volta che deve fare i compiti, Edoardo la ricatta con le caramelle Galatine, che nasconde in un barattolo su una mensola troppo in alto per lei.

Solo quelle la fanno cedere.

-Dado?-

-Mh..-

-Io odio la matematica-

Edoardo fa un mezzo sorriso, riponendo un bicchiere pulito nello scompartimento davanti a lui.

-Questa è la terza volta che lo dici in un'ora. Stai diventando ripetitiva-

-Ma è la verità! Mi gira anche la testa-

-Mi hai detto anche questo. Quanti problemi ti mancano?-

-Tre, ma sono difficili-

-Ti aiuto io-

Chiara ride, lanciando per aria la matita che tiene in mano.

Il fratello si gira stupito verso di lei.

-Pensi non ne sia in grado?-

-Sì che ne sei in grado ma poi verrebbe il mal di testa anche a te. Tu odi la matematica-

Risponde guardandolo con quel sorriso che le fa formare due fossette meravigliose sulle guance arrossate.

Lei, si preoccupa per lui.

E sembra non essere la sola.

 

 

 

 

Edoardo era seduto al tavolo di legno ed osservava inespressivo la porzione di melanzane alla parmigiana nel piatto davanti a sé.

Ginevra era seduta accanto a lui e lo guardava senza preoccuparsi di essere vista, con una forchetta in bocca e le sopracciglia corrugate.

Lui aveva sentito il suo sguardo su di sé ed aveva alzato gli occhi, incontrando quelli confusi della ragazza.

Erano rimasti in silenzio ad osservarsi, finché lei non aveva aperto bocca.

-Che c'è?-

-Niente-

-Non è vero-

Edoardo era rimasto in silenzio e aveva stretto le mani a pugno sopra i jeans che stava indossando.

-Sei turbato per la morte di Pietro Il Grande?-

-Mi turba di più la tua fissazione per i nomi di personaggi storici-

Ginevra aveva sorriso, mutando completamente espressione. Era incredibile come i suoi occhi potessero illuminarsi all'improvviso quando sorrideva, un sorriso rivolto a lui, in quel caso.

-Sono laureata in storia ed ho una passione smisurata per la Russia. Pensa che il cane che avevo a dieci anni si chiamava Ivan Il Terribile: era un tenero bassotto-

Per la prima volta, Ginevra aveva sentito la silenziosa risata di Edoardo diffondersi tra le quattro pareti che li circondavano. Sembrava quasi non volesse farsi sentire, come se non avesse voglia di far uscire da quelle labbra, contornate da un filo leggero di barba, quel suono che rappresentava la gioia pura.

-Non voglio sapere come si chiamava il gatto-

-Stalin-

-Scommetto che era un cucciolo di appena 500 grammi-

-Come lo fai a sapere?- E il tono incredulo di quella ingenua ragazza, lo aveva fatto ridere di nuovo.

Ginevra aveva ripreso in mano la forchetta e si era messa in bocca un pezzetto ancora bollente di melanzana. Edoardo era rimasto immobile, lo sguardo di nuovo basso.

-Guarda che non ho cucinato io, se è questo che ti preoccupa.‎ Ho preso tutto alla rosticceria in Via Mameli, non so se la conosci. Il proprietario, Gigi, fa le costolette di maiale più buone del mondo, te lo giuro. Ha convertito non so quanti vegetariani! Se a te piace il maiale, devi assolut...hey, perché ti sei allontanato con la sedia?-

-Mi fai paura-

-E dire che oggi mi sono fatta anche le sopracciglia e la pulizia del viso. Ore e ore sprecate per niente!-

-Parli-

-Come tutti i comuni mortali. Non avevi detto che ti piaceva la mia voce?-

-Mi piace sentirla ogni tanto-

Ginevra si era zittita un attimo, continuando a scrutare il ragazzo con quegli occhi caldi che lo mettevano a disagio.

-Ti prego, non dirmi che sei vegetariano-

-No-

-E allora perché non mangi?-

-Sono allergico alle melanzane-

Ginevra si era alzata di scatto dalla sedia, con gli occhi sgranati di puro terrore. Aveva preso il suo piatto e lo aveva lanciato nel lavandino, aprendo in fretta e furia il frigorifero alle sue spalle.

Biascicava qualcosa a mezza voce, tanto che il moro non riusciva a recepire una sola parola. Si limitava ad osservarla muoversi frenetica in cucina, senza accennare un sorriso o una ruga di preoccupazione.

Qualche minuto dopo, una fetta calda di polpettone era comparsa davanti al suo viso.

Ginevra si era riseduta a tavola con un sospiro e un sorriso che stava nascendo sulle labbra rosa.

-Attento, l'ho appena scaldato e quindi rischi di scottarti. Buon appetito!-

Dopo avergli detto questo, si era rimessa a mangiare. Aveva continuato a sorridere felice ed a Edoardo non era rimasto altro che impugnare la forchetta.

Un accenno di un sorriso sulle labbra.

 

 

 

 

-Dado?-

-Mh....-

-Sono le pere che devi moltiplicare, non le mele-

-Cosa? Ah, scusami, mi ero distratto-

-Ho visto, ti è già venuto il mal di testa?- Edoardo sorride mentre scrive su foglio di carta davanti a sé un 10 bello grosso con la penna blu.

-Nessun mal di testa, per ora. Stavo pensando-

-A che cosa?- Chiede Chiara inclinando la testa di lato sorreggendola nel palmo della piccola mano sinistra mentre continua ad osservare il fratello.

Edoardo la guarda per un attimo e subito dopo le scompiglia la frangetta che le copre leggermente gli occhi.

-Che la matematica è davvero orribile-

-Dici lo stesso della cioccolata!-

 

 

 

 

 

La cena era continuata in un silenzio privo d'imbarazzo.

Edoardo non aveva più alzato lo sguardo dal suo piatto ma sentiva sulla sua testa, gli occhi della ragazza che lo studiavano attenti. Quasi fosse un qualcosa di particolare; particolare, non strano. Eppure era così che si era sentito per ventotto anni.

Ginevra aveva sorriso entusiasta quando aveva visto il piatto del ragazzo vuoto e, fischiettando, gli aveva dato una fetta di dolce al cioccolato e vaniglia.

Edoardo l'aveva guardata scettico e non aveva accennato ad alzare la forchetta dalla tovaglia. Lei aveva sospirato alzando gli occhi al cielo.

-Sei allergico al cioccolato?-

-No-

-Alla vaniglia?-

-Nemmeno-

-Sei a dieta?-

-No-

-E allora cosa c'è?!-

Lui l'aveva guardata. Un sorriso stava risalendo dal suo stomaco.

-Odio il cioccolato-

Ginevra, contrariamente a quello che si aspettava, era scoppiata a ridere buttando la testa all'indietro e appoggiandosi alla sedia con le spalle.

Com'era bello, quel sorriso.

Lei si era alzata, ancora sorridente, dal tavolo ed aveva strappato un post-it giallo da sopra lo sportello bianco del frigo, e preso una penna da un cestino sul bancone.

Glieli aveva messi entrambi davanti agli occhi.

-Ora scrivi tutto quello che odi e a cui sei allergico, d'accordo?-

-Perché?-

-Bè, la prossima volta che verrai a mangiare da me vorrei non avvelenarti o farti vomitare disgustato-

Edoardo era rimasto in silenzio, gli occhi quasi di vetro. Nessuna espressione in quel viso che lei conosceva a malapena.

-Vorresti rivedermi?-

Il sorriso che Ginevra si era stampato sulla bocca era talmente dolce e privo di malizia che aveva reclamato tutta l'attenzione di Edoardo.

Com'era bello, quel sorriso.

-Non la vuoi risentire, la mia voce?-

 

 

 

 

 

Chiara si sta infilando una felpa rosa sopra la maglietta bianca a maniche lunghe che indossa ed il fratello, sdraiato sul suo lettino su quel ridicolo piumone di un cartone animato, sommerso da alcuni pupazzi, la guarda assottigliando gli occhi e sbuffando ogni minuto.

-A me piace questa felpa!-

-E a me no-

-L'abbiamo comprata insieme, Edo-

-Soldi spesi malissimo-

Chiara sorride, cercando di centrare il buco della manica. Azione difficilissima quando hai un fratello che brontola alle tue spalle.

Si sistema la traccia dietro la schiena e cammina fino al suo letto, si abbassa per guardare il fratello negli occhi, le mani che sorreggono il mento. Lo osserva per qualche minuto, ascoltando il ritmo del suo respiro, e poi parla.

-Sei felice-

Glielo dice con quella semplicità che hanno solo i bambini. Con quella voce piccola e bassa come se gli dovesse dire un segreto impronunciabile ad alta voce.

Glielo dice come solo lei può fare.

Edoardo rimane in silenzio. Si bagna la punta del pollice con della saliva e le pulisce una guancia sporca di cioccolata. Lei, a differenza sua, ama il cioccolato. E il cocco, naturalmente.

-Cosa te lo fa pensare?- Le risponde a voce bassa, avvicinandosi al suo viso. Stanno bisbigliando come due complici in un gioco.

-I tuoi occhi. Sono splendidi splendenti-

-Ti piacciono?-

-Mi piaci quando sei felice, sei ancora più bello-

Edoardo ride. Con Chiara viene naturale, è sempre stato così.

-Senti, ti devo proporre una cosa- Continua a parlare.

-Dimmi, salsiccia-

-La mia maestra di matematica non ha il fidanzato, puoi uscire con lei?-

Un'altra risata spenta sulla pancia di un pupazzo a forma di orso.

-E perché mai?-

-Così mi da 10! Sono l'unica in classe che ha 9! Dado, fallo per me!!-

-Mi dispiace, sono già fidanzato-

Chiara respira l'aria tutto in un colpo e rimane con gli occhi sgranati, le mani che stringono il piumone.

-Con chi?-

Il fratello le si avvicina all'orecchio.

-Con una salsiccia che indossa una felpa veramente bruttissima-

E dopo averle detto questo, incomincia l'ennesima lotta di solletico.

 

 

 

 

Erano le dieci passate quando si era avvicinato alla porta di casa, seguito da una silenziosa Ginevra.

Lei gli aveva aperto la serratura arrugginita e sorriso imbarazzata.

-Bè, spero che la cena sia stata di tuo gradimento-

-Si, abbastanza-

-Scusa per il quasi avvelenamento-

-Cose che capitano-

Erano rimasti di nuovo in silenzio; Edoardo sulla soglia della porta con le mani gelate nelle tasche anteriori dei jeans e Ginevra con le braccia incrociate al petto che si guardava intorno spaesata.

-Grazie- Aveva detto impassibile Edoardo, sentendosi in dovere di dire qualcosa di gentile.

-Grazie un cazzo!!-

I due ragazzi si erano girati spaventati e confusi verso l'angolo del salotto dove stava la gabbia di Leopoldo.

Il telo nero che la copriva era caduto infatti per terra e il pennuto sbatteva le ali colorate, zampettando sul trespolo giallo tutto agitato.

-Leopoldo!- L'aveva ripreso la sua proprietaria, sconvolta dal suo linguaggio.

-Niente grazie, niente grazie, niente grazie! Lui è un assassino come te, assassino, assassino, assassino. Mi vuole uccidere! Ginevra, Ginevra, Ginevraaa!-

-Stai zitto, animale da due soldi!-

-Lui è un porco, un porco! Si, si, siii! Ginevra mandalo via, Ginevra!-

Edoardo era rimasto a guardare incantato la scena che si svolgeva sotto i suoi occhi, ascoltando incredulo le parole che uscivano dal becco di quel pappagallo.

La risata uscì dai suoi polmoni senza che potesse fare niente. Era libera di mostrarsi e farsi ascoltare da lei che non aspettava altro.

 

 

 

 

Quando il lunedì dopo Edoardo si siede alla sua scrivania al Call Center, si sente stanco e privo di forze.

Vorrebbe tanto un caffè ma la macchinetta vicino all'ascensore è rotta. Vorrebbe anche un cuscino su cui poggiare la testa, ma lo vede come un miraggio.

Sta imprecando contro se stesso, cercando di smacchiare un lembo della camicia bianca che indossa quando sente una voce al di là della parete di plexiglass alla sua sinistra.

-Buongiorno mamma, la vuoi sentire questa storia?-

Si, la sua voce gli piace.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Le parole inutili. ***


 

Buon pomeriggio, donne!

Con un giorno d'anticipo aggiorno e spero che questo aggiornamento sia gradito.

Voglio ringraziarvi con tutto il cuore per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato allo scorso capitolo e quelle lasciate al breve missing moment    http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=914755&i=1 . Siete stupende, davvero.

Per qualsiasi dubbio sul capitolo come sempre, non esitate a chiedere!

Un bacione grande grande,

Giulia.

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Charlie Brown: ”Non è un bel biglietto di San Valentino? Se lo apri dice –ti amo!- Penso di darlo alla ragazzina coi capelli rossi.”

Sally: ”Ti riderà in faccia.”

Charlie Brown: ”Almeno le sarò vicino.”

 

 





-‎Mamma, ti ricordi di quando ero innamorata di Don Giuliano, il prete asiatico della nostra parrocchia? Bene, Fabrizio Cortellesi lo amavo cento volte di più. Peccato che scoprii che organizzava combattimenti tra galli e viveva su una panchina al parco pubblico.

Ma partiamo dal principio.

Avevo vent'anni e lavoravo da qualche mese al ristorante Celleri in Piazza Dante, che un tempo era stato del padre di una mia compagna di classe al Liceo.

Fabrizio faceva il cameriere ormai da qualche tempo. Aveva un sorriso meraviglioso, dei capelli biondi lunghi fino alle spalle ed una rosa tatuata sull'avambraccio che mi perdevo ad osservare ogni volta che arrotolava le maniche della camicia bianca della divisa.

Era alto, altissimo, e fumava come una ciminiera, tanto che a metà servizio doveva sempre andare in bagno a fumarsi una sigaretta e delle volte anche qualche canna. Lo so, mamma, non era di certo il classico bravo ragazzo dalla faccia pulita. A me piaceva però, anzi, lo amavo!

Probabilmente si era accorto dei miei sguardi, dei miei occhi luccicanti, della bavetta quando si metteva i pantaloni neri, delle vibrazioni che emanava il mio corpo quando lui era vicino. Fatto sta che una sera mi chiese d'uscire.

Quel giorno il mio cuore rischiò grosso.

Fu una serata magnifica, ancora la ricordo! Girammo abbracciati per tutta la città, quasi deserta, raccontandoci la nostra vita e guardandoci innamorati. Bè, io lo guardavo negli occhi, innamorata, lui guardava leggermente più in basso dei miei occhi.

Ma in quel momento ero talmente presa da quelle farfalle che svolazzavano nel mio stomaco che non facevo nemmeno troppo caso alle sue mani che mi toccavano possessivamente i fianchi oppure ai suoi sguardi lascivi.

Ci baciammo sotto il portone di una casa sconosciuta e mamma, quello fu un signor bacio!

Il sabato seguente uscimmo di nuovo. Questa volta mi portò a cena a mangiare delle cozze in un piccolo ristorantino sul mare. Trenta mila lire a testa, pensa un po'! Poi decidemmo di fare una passeggiata sulla spiaggia; mentre ci stavamo appassionatamente baciando, mi disse che voleva portarmi in un posto.

Io pensai subito a casa sua. Mamma, so cosa stai immaginando! Stai tranquilla, non volevo certo concedergli più di qualche bacio.

Peccato che da me non volesse nulla di carnale: gli servivano soltanto dei soldi, 300 mila lire per la precisione.

Non pensavo di certo che dietro al ristorante Celleri dove lavoravamo, organizzasse combattimenti di galli e che fosse indebitato fino al collo. Credeva che sapere che lui facesse quello sporco lavoro potesse eccitarmi.

La cosa peggiore fu sapere che quei galli venivano rubati dalla fattoria del povero Antonio Guazzanti, che aveva anche sporto denuncia alla polizia!

Mamma, la più grande delusione della mia vita. Dopo Don Giuliano, naturalmente.

Lo vidi qualche anno dopo al Parco Il Brughetto che stava dando da mangiare alle oche del laghetto, seduto su una panchina che doveva essere la sua umile dimora, con una scatola di cartone sulla testa e un pail verde a coprirgli le spalle che un tempo avevo tanto amato.-

 

 

 

Edoardo ascolta la chiamata giocando con una matita che passa leggera su un foglio di carta, tracciando profili di persone senza un volto ed oggetti senza una forma.

Le sue labbra sono modellate in una linea rigida e gli occhi seguono attenti la sua mano destra che disegna.

Ha ascoltato la voce di Ginevra attentamente, cogliendo ogni sorriso nella sua voce, leggendo la sua delusione nei sospiri e aspettando che continuasse a parlare quando faceva della pause.

Quando la chiamata è finita, Edoardo è rimasto immobile al suo posto. La matita che ancora si muoveva su quel foglio bianco spiegazzato, trovato in un cassetto della scrivania.

Non si è alzato dalla sedia girevole per salutarla, nemmeno un gesto od un mezzo sorriso.

È rimasto nell'ombra ad aspettare che la sua voce gli facesse spegnere il cervello per qualche attimo, e dimenticare dove si trovasse e che vita stesse vivendo.

Dimenticando per un breve attimo chi fosse, immaginandosi come uno spettatore di uno spettacolo senza un prezzo.

 

 

 

 

Edoardo arriva a casa che sono le due passate.

Trova Chiara seduta sul divano con un dvd in mano e gli occhiali rossi da vista posati sopra il piccolo naso.

Lo saluta con un gran sorriso e gli si avvicina per prendergli la borsa dalle mani e appoggiarla sul divano insieme al suo casco, che non riesce nemmeno a tenere tra le braccia per quanto è grosso.

Edoardo osserva i movimenti della sorella con un sopracciglio alzato, mentre si toglie le scarpe da ginnastica nell'ingresso.

-Che cos'è?- Chiede indicando la custodia che tiene gelosamente tra le mani.

-Red & Toby-

-No-

-Per favore, Dado!-

-Per favore lo dico io-

Silenzio e guance arrossate che si gonfiano.

-È da tantissimo che non lo vediamo!-

-Sarà un mese, al massimo- Le risponde incamminandosi verso la camera a testa bassa.

È nervoso, Edoardo.

Forse è quel cielo grigio che preannuncia pioggia a renderlo così irritato, a farlo sentire fuori posto. Oppure è stato quel messaggio che gli è arrivato mezz'ora prima sul cellulare dal suo amministratore:

“So che sono passati solo 3 giorni ma io ho bisogno di quei soldi, Amato. Domani alle 15 da te”

Sembrava il messaggio di un mafioso, non quello di un amministratore a cui deve dare 500 euro per l'affitto di quel fottuto bilocale in cui abita.

Chiara lo segue in camera, aprendo la porta che lui si era chiuso con un tonfo alle spalle.

Ora tra le mani tiene un bicchiere di vetro colmo d'acqua ed osserva sospettosa suo fratello, seduto sul bordo del letto con il cellulare stretto tra le mani.

Sembra tanto stanco.

Gli si avvicina con un sorriso e cerca di farlo alzare tirandogli la manica della felpa grigia.

-Dai Dado, guardiamo il cartone insieme!-

-Ho detto che non ne ho voglia, Chiara-

-Ma ti prego, solo questo!-

-Ma capisci quando ti parlo oppure no?!-

Chiara stacca la mano che aveva appoggiato sul braccio del fratello e fa qualche passo indietro stringendo di nuovo il bicchiere tra le mani piccole e fredde.

Gli occhi di Edoardo sono di vetro e non un'emozione traspare da quello sguardo.

Lei non è mai stata guardata così. Questa è la prima volta che i suoi occhi spenti si posano sulla sua figura. Sono sempre splendidi splendenti quando parla con lei.

Anche quando si era rotto il polso del braccio destro e pativa un male cane, suo fratello aveva gli occhi sorridenti quando la guardava.

-E lascia stare quel bicchiere- Continua a parlare lanciandole un'occhiata di traverso.

-Ho sete-

-Lo sai che non è vero- La sua voce è bassa e seria; i suoi occhi sono sempre di vetro, non riflettono niente, però.

-Invece si!- Alza la voce Chiara allontanandosi dalla stanza con le guance rosse dalla rabbia e dalla vergogna. Vergogna perché sa che non sta dicendo la verità.

-Non è vero, Chiara, lo sai benissimo anche te. Lascia andare quel bicchiere, non ne hai bisogno-

-Ti sto dicendo che ho sete!-

-è un bugia, una bugia che stai raccontando a te stessa!-

Urlano entrambi. Chiara ha gli occhi lucidi ma non verserà una sola lacrima.

Le non piange davanti agli altri, soprattutto davanti a suo fratello.

Non vuole farsi vedere debole o spaventata dalle sue parole, dalla verità che le sta dicendo. Non vuole essere una codarda mentre lui è sempre così coraggioso, senza una paura.

Se solo Chiara sapesse quante paure tengano sveglio suo fratello la notte.

-È la verità, lo sai che non dico le bugie!-

Si fronteggiano al centro del salotto come due avversari di una guerra che purtroppo non ha un nome.

Chiara sta odiando suo fratello in questo momento. Forse, odia più se stessa che lui.

-Chiara, tu non hai bisogno di quel fottuto bicchiere per stare bene, mi capisci?-

-Io sto bene!-

-Non è vero! Non stai bene, non stai affatto bene!- Urlano fino a sentire la gola bruciare.

Bruciano anche gli occhi arrossati di Chiara. Il suo corpo da bambina di appena otto anni trema come una foglia sotto una tormenta autunnale, che fa socchiudere gli occhi e arricciare le labbra screpolate.

-Sto bene, sto benissimo! Tu sei mio fratello non mi puoi dire come mi sento, non lo puoi saper..-

-Sono l'unica persona che hai al mondo!-

Chiara rimane in silenzio a fissare suo fratello. Il bicchiere scivola lento dalle sue mani, senza nessuno ad impedirne la caduta, infrangendosi sul tappeto sotto i suoi piedi. L'acqua si estende sulla stoffa rossa impregnandola, infiltrandosi tra i ricami, in ogni angolo. Dappertutto.

Guarda un'ultima volta suo fratello negli occhi e poi corre in camera sua lasciando che la porta sbatta violentemente.

Quel rumore rimbomba tra le pareti di quell'appartamento, che sembra essere disabitato.

Edoardo si siede lentamente sul divano e nasconde il volto nelle mani tremanti.

I falliti hanno il diritto di piangere?

 

 

 

 

 

Edoardo se ne sta immobile davanti alla finestra del civico 33 in Via Riverani, all'interno dell'appartamento, la cui maggior parte delle pareti devono essere ancora imbiancate.

Ha i pugni appoggiati al termosifone, spento da ormai qualche settimana, e i suoi occhi fissano qualcosa al di là del vetro, reso opaco dal suo fiato freddo che ci si infrange sopra.

Ha gli occhi fissi sul semaforo a qualche centinaio di metri di distanza, sui suoi colori che si danno il cambio seguendo un ritmo regolare; guarda le auto che scorrono su quell'asfalto caldo, una ragazza di colore in sella ad una bicicletta gialla, una signora anziana seduta alla fermata dell'autobus che cerca di ripararsi il collo, segnato dall'avanzare del tempo, con il cappotto marrone che indossa.

Sembra troppo leggero per coprire bene il suo fragile corpo.

Edoardo appoggia la fronte coperta da qualche ciuffo scuro di capelli umidi, sul vetro freddo della finestra, e chiude strettamente gli occhi cercando di isolare i rumori fuori dalla sua testa.

Desidera il silenzio, in quel momento. Solo quello.

Sente un peso all'altezza del petto. Non riesce quasi a respirare.

Stacca per un breve istante la testa dalla finestra e poi la riappoggia facendo vibrare il vetro a contatto con la sua pelle.

Quella pelle che si strapperebbe a morsi se potesse stare meglio, se potesse fargli dimenticare le sue parole. Quelle parole maledette che sente risuonare nella sua testa come un carillon, che suona una melodia ascoltata troppo a lungo.

Le parole che ha rivolto alla persona più importante della sua vita.

Ed è un lieve bussare che interrompe bruscamente quel carillon maledetto.

Edoardo sente dei passi leggeri sul parquet di legno che si avvicinano a lui. Non riesce nemmeno a voltarsi per vedere chi è.

-Sapevo che ti avrei trovato qui! Bè, in verità non lo sapevo, ho tirato ad indovinare ma sembra proprio che ci abbia azzeccato.-

Il ragazzo continua a guardare il caos fuori da quella finestra sporca.

-Hai cenato?-

Richiude gli occhi, stringendo le palpebre che tremano appena.

-Hey, mi hai sentita? Edoardo?-

-Si, ho cenato-

-Sicuro? Se vuoi puoi venire su da me a mangiare qualcosa. Ho preparato delle lasagne che sono la fine del mondo! Niente melanzane, tranquillo. E poi anche Leopoldo ha detto che vuole rivederti, bè, penso voglia minacciarti in realtà..-

La sua voce rimbomba in quell'appartamento spoglio e sembra essere più squillante ed entusiasta del solito.

Lo disturba.

-Ho già cenato-

-Sei sicuro?-

-Sei sorda?-

Il suo è un sussurro ma che viene sentito benissimo.

Il silenzio che ha tanto agognato torna prepotente tra quelle quattro mura. Edoardo chiude di nuovo gli occhi e ascolta il rumore che producono le ruote dell'autobus sull'asfalto umido.

Quando riapre gli occhi, getta un'occhiata alle sue spalle, e non rimane sorpreso quando nota di essere solo.

Di nuovo. Come sempre. Come una storia già vista troppe volte il cui finale è venuto a noia.

Si stacca dalla finestra e calpesta qualche foglio di giornale che tappezza alcuni punti del parquet, andandosi a sedere per terra, vicino alla porta d'ingresso. Le spalle appoggiate al muro ormai asciutto e le braccia sulle ginocchia in cui nasconde il volto.

Lui non è bravo con le parole, non lo è mai stato.

E non ci sa fare con le persone. Non gli piacciono o molto più probabilmente, lui non piace a loro.

È troppo preso nell'osservare una venatura nel legno sotto di sé per accorgersi dei passi frettolosi che risuonano nell'atrio del palazzo e poi all'interno della stanza.

Sente il respiro pesante della ragazza e il suo corpo che si siede accanto al suo. Sente il suo calore attraverso i vestiti.

Alza lo sguardo arrossato (lacrime che vorrebbe versare?) e vede davanti a sé un piatto fumante di lasagne e due posate avvolte in un tovagliolino di carta.

Premure inutili.

Ginevra è al suo fianco, appena un metro di distanza tra i due, e mangia la sua porzione di lasagna guardando al di là della finestra che è proprio davanti a lei. I suoi capelli sembrano più scuri del solito. Forse sono bagnati.

Stanno in silenzio, il rumore di una forchetta che tocca il piatto di ceramica e due piedi coperti da un paio di pantofole che strusciano sul parquet.

È una scena insolita, una scena che non è mai stata vista.

-Sono allergica alle nocciole e alle fragole. Si, lo so. Sono una sfigata di prima categoria. Sono quasi andata in shock anafilattico per ben due volte. Ma ero soltanto una bambina curiosa che voleva assaggiare quei meravigliosi frutti rossi!-

Silenzio.

-E le nocciole?-

-Bè, quella è tutta un'altra storia-

-Raccontamela-

Le parole non vanno sprecate, si devono dosare.

Un po' come le fragole e le nocciole. Non è mai un bene esagerare.

Non mi riferisco alla Nutella, naturalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Promesse in un sussurro. ***


 

Questo capitolo lo dedico a tutte voi che non vi stancate di seguirmi e di leggere qualsiasi cosa scrivo.

Un grazie immenso come non ve lo potete nemmeno immaginare.

Bacio e buona lettura,

Giulia :)

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Linus: ”Questi sassi sono una valvola per la mia emotività. Quando mi sento teso vengo qui e tiro pietre in quello spazio vuoto.”

Lucy: ”Ciao, stupido di un Charlie Brown!”

Charlie Brown: ”A volte penso di essere anche io una specie di spazio vuoto.”

 

 

 

 

 

 

Ad Edoardo le parole hanno sempre fatto paura.

Spesso lo infastidiscono.

Ne ha sempre usate poche nella sua vita e solo quando era necessario.

Odia soprattutto le parole vuote, quelle parole dette senza un senso, solo per dare aria alla bocca, per attirare l'attenzione o esprimere un proprio pensiero.

Il più delle volte risulta essere una cazzata.

Lui preferisce il silenzio, alle parole, che delle volte rende meglio di discorsi preparati davanti ad uno specchio ed arricchiti con vocaboli importanti e di cui nessuno conosce il significato.

In un respiro, sospiro, pausa, si possano capire più cose di quanto si possa immaginare.

Edoardo ha sempre usato il silenzio per comunicare le parole più importanti della sua vita, che invece, restavano senza voce dentro la sua testa.

Delle volte, sono le parole stesse a non voler uscire dalle sue labbra e rimangono lì, sulla lingua e nel palato, a sostare in attesa del momento giusto o semplicemente, della persona che riuscirà ad ascoltarle.

-Tu sei pazza-

La risata di Ginevra si espande in quell'appartamento spoglio, come una macchia d'olio.

Si infiltra tra quelle pareti di cartongesso e vibra sui vetri delle finestre appannate. Riempie.

È squillante, di gola, quella risata che è impossibile da trattenere e ti fa portare una mano sullo stomaco.

Quella è ancora meglio del silenzio che Edoardo tanto adora.

La risata sfuma e si trasforma in un sorriso di labbra rosse ed occhi lucidi.

-Non sei il primo che me lo dice-

-Lo immaginavo-

Un'altra risata bassa, quella che ti fa mostrare appena i denti ma ti fa sospirare senza fiato.

-Era un complimento?-

-Lo reputi tale?-

-No, ma visto che a dirmelo sei stato tu posso fare un'eccezione-

-Sono così importante?-

-No, le tue parole lo sono-

Edoardo impugna la forchetta sporca che aveva abbandonato nel piatto, e inforca l'ultimo boccone di lasagne ormai fredde. I suoi occhi di nuovo seri, nessun sorriso sulle sue labbra piene.

Da quant'è che sono seduti su quel pavimento coperto di giornali vecchi e sporchi di tinta?

Da quant'è che la sta ascoltando parlare?

-Comunque non stavo scherzando. Ho davvero rincorso Gianni Morandi per le vie di Roma per farmi fare un autografo. A dodici anni era il mio idolo!-

Edoardo annuisce appena; è impossibile trattenere un sorriso.

-Dopo di lui c'è stato Roberto Baggio, Cristina D'Avena, Michael Jackson, Nelson Mandela, Kurt Cobain, Freud e Claudio Baglioni-

-Con quale logica li sceglievi?- Chiede il ragazzo confuso, guardando le sue gambe stese sul pavimento.

-Di solito li vedevo al Tg di mezzogiorno quando pranzavo a casa di mia nonna. Di Freud trovai una foto nel diario di una mia amica e me ne innamorai perdutamente. Il fascino dell'intellettuale, probabilmente-

-Tu sei pazza-

-Sei ripetitivo-

-Sei una folle, ti piace di più?-

-Meglio-

Un'altra risata dolce, che si scioglie come miele sulla lingua, il cui sapore rimane per ore.

Ginevra appoggia la testa al muro e divide il toast che tiene tra le mani, passandone una metà ad Edoardo, seduto sempre al suo fianco.

Si sporca un dito con il formaggio colante e lo lecca, macchiandosi la punta del naso come una bambina.

Il ragazzo sussurra un grazie a bassa voce e ne addenta un'estremità.

Mangiano in silenzio, ma Edoardo desidera quasi che sia colmato con qualche sua parola.

Anche la più vuota.

Il suo pensiero sembra sia stato sentito.

-Te l'ho detto che Leopoldo oggi mi ha chiesto di te? In verità mi ha detto che vorrebbe farti diventare sterile, ma tranquillo, non sa nemmeno cosa significa quella parola. L'ha sentita l'altro giorno nella puntata di Grey's Anatomy e l'ha ripetuta credendo che fosse attinente al suo discorso.-

Edoardo appoggia le braccia sulle ginocchia che ha piegato ed accenna un sorriso ed un'occhiata in direzione della ragazza. Lei sta osservando curiosa un articolo stampato sul giornale vicino alla sua mano.

I suoi capelli, leggermente mossi, le coprono gran parte del viso.

-Mi piace-

-Grey's Anatomy? Non ti facevo il tipo da telefim di quel genere!- Ginevra ha gli occhi sgranati per la sorpresa.

-Parlavo di Leopoldo-

-Stai dicendo sul serio?

Edoardo annuisce leccandosi la punta del pollice.

-Anche se ha minacciato di renderti sterile?-

-Ognuno ha i suoi difetti-

-Si ma lui ne ha milioni!-

-Mi piace- Conferma Edoardo, pulendosi le mani con un tovagliolo di carta portato da Ginevra.

Lei lo sta ancora guardando sospettosa. Ha il busto girato nella sua direzione ed il moro può vedere per la prima volta un piccolo neo sul collo che tiene sempre coperto con sciarpe colorate.

Gli piace quel neo, quel particolare di lei.

-L'ho trovato due anni fa al Gianicolo, ero andata andata a fare una passeggiata con mia cognata Loriana e all'improvviso, un esserino dalle piume colorate mi è volato direttamente in braccio; aveva una zampa ferita e un'ala malandata.

Lasciando perdere il fatto che subito dopo mi abbia chiamata “stronza maniaca”, è da quel giorno che ce l'ho con me. Non ho fatto un bell'affare, me ne rendo conto-

-Al Gianicolo?-

-Già-

-Dov'è?-

Ginevra tossisce l'acqua che sta bevendo dalla sua bottiglietta e si porta una mano al petto, facendo dei lunghi respiri per incanalare ossigeno.

Quando gli parla ha gli occhi arrossati e lacrimanti per lo sforzo di non morire affogata. La sua voce è un debole sussurro.

-Te sei di Roma e non sai dov'è il Gianicolo!?-

Edoardo nega con la testa; la osserva, indifferente della reazione che ha avuto.

Ginevra si alza in piedi prendendo i piatti sporchi tra le braccia, insieme alle posate e alla bottiglia d'acqua non ancora finita, sparendo dalla visuale del ragazzo.

Perché deve sempre scappare così?

Risuonano solo i suoi passi sulle scale di marmo e poi una porta che sbatte violentemente.

Edoardo rimane immobile al suo posto, buttando un'occhiata al di là del vetro sporco della finestra.

Pazza è un eufemismo.

Fa questo pensiero sorridendo apertamente. Come se prima, con lei, non fosse stato autorizzato a farlo, a mostrarsi.

Si è appena alzato in piedi, quando vede comparire sul pavimento l'ombra di Ginevra seguita dalla sua figura dai capelli scompigliati.

Ha indossato un giubbotto azzurro sopra la felpa verde, ma non si è cambiata i pantaloni a quadretti rossi del pigiama, che le fasciano le gambe. Ha un cappello grigio in testa, dello stesso colore della sciarpa che si è legata al collo.

Edoardo la fissa senza accennare un movimento o una parola.

Non ne ha, di parole, nella testa. Quella scena è talmente surreale che si sente smarrito.

Lei gli sorride e incomincia a camminare all'indietro verso il portone chiuso del palazzo.

Lui la segue senza che lei gli abbia detto niente.

Senza che abbia pronunciato una sola parola.

 

 

 

 

Pochi minuti dopo, si trova su un autobus di linea, il numero 40 per Castel Sant'Angelo, seduto su un sedile scomodo in fondo al mezzo.

Edoardo si torce le mani nervoso ed osserva il conducente che parla al cellulare, mentre effettua una curva spericolata.

L'autobus è completamente vuoto, se non fosse per loro due.

Ginevra ha lo sguardo perso fuori dal finestrino, coperto da scritte colorate e numeri di telefono sconosciuti, ed osserva Roma come se la stesse vedendo per la prima volta. Sorride con le guance rosse per gli spifferi d'aria gelata che entrano dalle porte del mezzo.

Ha una mano appoggiata sul vetro freddo, ma lei sembra non farci caso. È come se volesse accarezzare il paesaggio con le dita, come se riuscisse a vedere qualcosa che lui non può nemmeno scorgere assottigliando lo sguardo.

I loro corpi sono scossi dai tremiti causati dal movimento e dalle buche in cui le ruote inceppano.

I vestiti sono a contatto, le gambe si sfiorano leggermente ma lei non sembra far caso a tutto questo.

-Dove stiamo andando?- Chiede Edoardo gettando un'occhiata fuori dai finestrini sigillati e polverosi.

-Al Gianicolo-

-Sono le nove di sera-

-Di sera quel posto è magico-

-Non credo nella magia-

-Cambierai idea-

Edoardo è nervoso. Si gratta il polso, si tocca i capelli, guarda il mondo che l'aspetta fuori dall'autobus.

Ha paura, e questa volta del silenzio.

-Sei uscita con i pantaloni del pigiama?-

Ginevra annuisce con gli occhi rivolti sempre verso il finestrino.

-Perché?-

-Non vedo quale sia il motivo per cui avrei dovuto cambiarmi-

-E se qualcuno ti vedesse?-

-Che si giri pure dall'altra parte-

Non le importa del giudizio degli altri, se ne frega altamente.

Altra piccola caratteristica da aggiungere alla sua persona.

-Non capisco nemmeno perché abbiamo dovuto prendere l'autobus. Io ho lo scooter-

-Ed io la bicicletta. Ma non la uso mai. Adoro usare questo mezzo-

-Io lo odio-

-Roma l'ho scoperta così. Passando ore sugli autobus di linea a memorizzare ogni zona, via, edificio. Arrivavo la sera a casa che puzzavo di fumo e smog, ma ne valeva assolutamente la pena. Per non parlare delle persone che puoi osservare, studiarne i movimenti, i volti. Mi sembrava di essere in un museo-

E' bella la vita come la vede lei. Anche a lui piacerebbe vederla da quella prospettiva, con i suoi occhi, che sembrano quelli di una bambina cresciuta troppo in fretta, e che vuole assaporare il mondo come meglio può.

Ginevra gira il viso verso di lui e con un sorriso di denti bianchi, gli sussurra -Siamo arrivati-

Il mezzo si ferma con una brusca frenata ed un fischio sordo, facendo sobbalzare i loro corpi ancora seduti. Fermata: Ponte Vittorio Emanuele.

Ginevra scavalca il suo sedile e si fionda verso l'uscita senza nemmeno aspettare che le porte si aprano del tutto.

Lui la insegue di nuovo, senza proferire una sillaba.

I suoi silenzi sembrano dolci comandi a cui è un dovere rispondere.

 

 

 

 

 

 

 

-Dimmi, ora, che cos'è questa, se non magia?- Quella frase Ginevra gliela sussurra vicino all'orecchio. Ci sono solo loro, su quel colle da cui si vede tutta Roma illuminata, eppure lei sussurra come se nemmeno le foglie gialle sugli alberi vicino a loro, siano autorizzate a rubare quella rivelazione.

Lei fa qualche passo lontano da lui, su quella terrazza panoramica che, orgogliosamente, mostra le perle preziose di quella città immortale.

Si lascia cullare dal vento ghiacciato, e si perde a contare, con lo sguardo, le luci su quella distesa d'inchiostro nero.

Solo una mano esperta può aver creato quell'opera.

Edoardo imita i suoi passi e si guarda intorno come se Roma gli si fosse rivelata solo in quel momento. Affianca la ragazza che, immobile, osserva ciò che la circonda.

-Questo posto mi rende felice.-

Gli confessa alzando lo sguardo e fissando il cielo sopra di loro.

-Ti piace?- Continua a parlare Ginevra, voltandosi verso di lui per guardarlo negli occhi, che seguono ogni suo gesto.

-Carino- Dice serio, per poi aprirsi in un sorriso.

Sorriso nascosto che viene fuori, come chiamato da una voce silenziosa.

Lei scoppia a ridere, la risata che ormai conosce, che gli è diventata familiare da quante volte l'ha ascoltata mentre lo riempiva.

-Ti voglio far conoscere la bellezza-

-Di cosa?-

-Della vita-

-Non so se ci riuscirai-

-Lasciami tentare-

Ed è con quel sussurro, che Edoardo si sente libero di sorridere ancora, osservando un punto di luce in lontananza in quell'infinito.

 

 

 

 

 

 

Edoardo sale le scale per arrivare al suo appartamento, con una stanchezza nuova sulla pelle.

Quella stanchezza piacevole, dolce, che gli fa ricordare come ha passato la sua serata e la camminata che ha fatto sotto una distesa di luci intoccabili.

Suona per due volte il campanello del portone dell'appartamento davanti al suo e se ne sta in attesa con lo sguardo basso.

Pochi secondi dopo, la porta si apre e la figura di una donna matura fa la sua comparsa.

Lei gli sorride gentile e si fa spazio per farlo entrare senza accennare ad aprire bocca. Forse anche lei è stanca quanto lo è lui.

Entra silenzioso nel salotto, illuminato appena dalla luce del televisore acceso.

Sul divano, in un angolo, può vedere un piccolo esserino rannicchiato sotto una coperta rossa, con la testa appoggiata al bracciolo di pelle.

Ha gli occhi strettamente chiusi ma è sicuro che non stia dormendo. Lo ha sentito arrivare, forse lo ha addirittura aspettato sveglia.

Riporta il suo sguardo su Angelica che lo attende in cucina e lo guarda con le braccia incrociate, appoggiata al frigorifero.

Le parla a voce bassa avvicinandosi -Grazie-

-Lo sai che non ci sono problemi. Sono felice di stare con Chiara ogni tanto-

-Anche a lei piace stare con te- Le confessa, osservando una busta di biscotti al cioccolato e cocco aperta sul tavolo rotondo. Quelli sono i preferiti di Chiara ed anche Angelica lo sa.

-Però io non sono te- Gli occhi chiari di quella donna non gli stanno rimproverando niente. Sono gli occhi tristi di una mamma.

-Edoardo, sei la persona migliore che conosca ed anche Chiara lo sa-

-Oggi abbiamo litigato, le ho detto delle cose..-

-Quando si è arrabbiati si dicono sempre delle cose che non vorremmo dire, spesso si dicono a chi non se le merita, ad uno spettatore capitato davanti al nostro sfogo, che diventa una vittima innocente-

Edoardo chiude gli occhi, stringendo forte le palpebre, per scacciare la scena di lui che urla contro sua sorella come non hai mai fatto. Di quel bicchiere che cade silenzioso sul pavimento.

Di nuovo quel senso di colpa che lo logora, quella paura che tutto sia cambiato.

Che lei non gli sorrida più.

Una mano gli tocca il braccio in una carezza leggera, appena accennata.

-Sei il suo tutto-

Angelica si allontana dopo quella frase, lasciandolo libero di andare in salotto per svegliare sua sorella.

Lui si inginocchia lentamente davanti al viso di Chiara. È troppo rigida, è impossibile che stia dormendo.

Le soffia sopra le palpebre serrate, vendendole vibrare appena.

Si avvicina al suo orecchio, sentendo il profumo del suo shampoo sui capelli, e le parla con il tono più dolce che possiede.

-Non mi merito il tuo perdono, salsiccia. Non mi merito niente da una bambina bellissima e buonissima come te. Mi dovresti ripudiare come fratello, non merito niente da te.

Non ti merito ma ti voglio bene, un bene infinito che è impossibile da misurare. Quel bene che stasera mi ha fatto comprare una crostata al caramello alla pasticceria sotto casa, e prendere in noleggio il dvd della 'Bella e la Bestia'. Quel bene che mi fa pensare che non avrei potuto essere più fortunato di così, avendoti nella mia vita-

Qualche secondo dopo, un corpo piccolo si muove sotto la coperta pesante.

Gli occhi arrossati di sua sorella si aprono e lo studiano facendolo sentire inadatto, sporco di quel senso di colpa che è ancora presente.

Rimane in silenzio, facendogli ascoltare il suo respiro calmo.

-Cosa vuol dire 'ripudiare'?-

-Stasera lo cerchiamo insieme sul dizionario, ti va?-

Il suo annuire lo fa sorridere, di un sorriso felice, riservato solo a quella bambina, che è capace di modellarlo a suo piacimento.

Lei si mette a sedere sul divano e poggia le sue mani sulle spalle forti del fratello.

-Lo so che odi 'La Bella e la Bestia' per cui possiamo anche vedere Robin Hood-

-Sei troppo magnanima, salsiccia-

-Magnache?-

-Tranquilla, cerchiamo anche quello sul dizionario-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ginevra vuole mostrargli le bellezze della vita, ci riuscirà?

Edoardo si lascerà coinvolgere dai suoi sorrisi e dalle sue promesse sussurrate?

Staremo a vedere  :)

Grazie ancora, per tutto!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Vedere oltre o semplicemente aprire gli occhi. ***


 

Lo so, sono in terribile ritardo con l'aggiornamento ed in più mi presento con questo capitolo che non mi soddisfa molto.

Non soddisfa me, ma spero che piaccia a voi.

Non so come ringraziarvi per le spledide recensioni dell'ultimo capitolo che mi hanno fatta emozionare, lo devo ammettere.

Fa davvero piacere vedere quante persone seguono con calore la propria storia. 

Buona lettura,

Giulia.

P.s. LINK GRUPPO SU FACEBOOK: http://www.facebook.com/groups/262965880410553/

Banner fatto con tanto amore e sudore dalla mia TriggerHappy. Tutti i complimenti vanno a lei <3

 

 

 

 

                                               

 

 

 

Linus: "Dovresti andare dalla ragazzina con i capelli rossi, Charlie Brown, e chiederle di far colazione con te! Dille che saresti felice di stare con lei un'ora o poco più."

Charlie Brown: "Un'ora? Mi accontenterei di poco più!"

-Penauts-

 

 

 

 

 

 

 

 

Ginevra è seduta sul secondo scalino di cemento grigio, fuori dal portone del suo palazzo.

Ha le ginocchia strette al petto ed il viso nascosto da una sciarpa blu che le è stata regalata da alcune colleghe del Call Center per il suo compleanno.

Le mani arrossate, con le nocche screpolate per il vento, si strofinano tra di loro per trasmettere un minimo di calore a quel corpo ghiacciato che è immobile da troppo tempo.

Gli occhi sono socchiusi per il freddo gelido che si infiltra impertinente sotto la giacca pesante che ha indossato e le fa battere i denti involontariamente.

Non verrà. Ne è sicura.

 

 

 

 

-Domani ci vediamo?-

-In che senso?-

-Vedersi, io e te-

-Per quale motivo?-

-La vuoi vedere la bellezza sì o no?-

-Io non riesco a vederla-

-Eppure stasera l'hai vista-

-È stato un caso-

-Sei solo un po' arrugginito. È difficile riuscire a guardare il sole dopo che siamo stati costretti al buio per tanto tempo. Ci sembra di essere diventati improvvisamente ciechi, ma la verità è che si ha soltanto paura di aprire gli occhi e vedere un qualcosa che non ci piacerebbe-

Edoardo era rimasto in silenzio, appoggiato alla balaustra che dava su quel piccolo pezzo di mondo.

-Alle dieci sotto casa tua- Le aveva risposto gettando un'ultima occhiata al cielo di Roma sopra la sua testa.

Lui non sarebbe rimasto intrappolato nel buio. No.

 

 

 

 

Un autobus si ferma dall'altra parte della strada e scendono dei ragazzi con degli zaini stracolmi di libri sulle spalle. Corrono sul marciapiede tutti insieme, vanno tutti nella stessa direzione, ridendo di gola mentre gli occhi lacrimano per gli schiaffi del vento insolente sui loro giovani visi.

Ginevra è talmente presa da quella scena, che non si accorge della figura che si siede sullo scalino accanto a lei con un sospiro che si ghiaccia nell'aria di quel dicembre dal cielo bianco di neve.

Lei gira il viso coperto verso di lui e sorride nascosta dalla lana, consapevole che lui non potrà vederla.

Il ragazzo non ricambia il suo sguardo ed infila le mani ghiacciate nelle tasche del cappotto, calandosi il cappuccio sulla testa. Le labbra sono più scure del solito.

-Odio il freddo-

-Più del cioccolato?-

-La scelta è difficile-

Ginevra ride mentre si alza in piedi lentamente.

-Vogliamo andare?-

-Preferirei tornare a casa-

-Per il freddo o per me?-

Lui le lancia un'occhiata ed accenna un sorriso che rivolge al cemento ghiacciato sotto i suoi piedi.

-Scelta difficile-

Ginevra scuote la testa e sale gli scalini che la portano al portone di casa che apre con la chiave che teneva in tasca.

Edoardo la osserva confuso.

-Allora? Cosa stai aspettando?-

Il ragazzo la segue rigido dentro il palazzo, salendo le scale di marmo fino ad arrivare al pianerottolo deserto del quarto piano. Si sentono solo i loro respiri affrettati e il chiacchiericcio di una televisione di qualche condomino lontano da loro.

Ginevra si alza in punta di piedi ed apre la piccola finestrella che dà sulla strada, forzando la maniglia sigillata dal freddo.

Si sporge sul cornicione appoggiandosi sui gomiti, sorridendogli e invitandolo a fare lo stesso.

Nella medesima posizione, Edoardo non sa cosa deve guardare.

Vede solo una strada trafficata ed un palazzo verniciato di verde davanti a sé. Dei passanti coperti da strati di vestiti per proteggersi da quella giornata ghiacciata e il postino che si muove sul suo scooter rimpiangendo di non aver preso il furgoncino.

-Li vedi?- Gli chiede Ginevra, sussurrando.

-Chi?- Si guarda attorno confuso, socchiudendo gli occhi per vedere più lontano che può.

Lei glieli indica con la mano ed Edoardo, finalmente, riesce a vederli.

Dalla finestra aperta nel palazzo di fronte a loro, due anziani signori si muovono abbracciati nel loro salotto che è appena visibile.

Si dondolano sul posto, strascicando appena i piedi sul pavimento, mentre si agguantano per le braccia. Forse per paura di cadere o solo per stare più vicini.

I loro volti scavati dai segni del tempo sembrano sereni, anche se parzialmente nascosti.

Sul balcone, appoggiata alla ringhiera di ferro, una bambina dai lunghissimi capelli biondi ha inserito un disco di vinile nel giradischi accanto a lei, e ride assistendo a quella scena insolita.

-Loro sono Piero e Carmela. Sono sposati da sessantacinque anni, hanno cinque figli e dieci nipoti. Quella bambina che stai vedendo si chiama Michela ed ha otto anni. Ogni giorno, alla stessa ora, mettono su un disco di Frenk Sinatra e ballano un lento.

Ballano per minuti interi, così, abbracciati stretti stretti senza sapere di essere spiati da molti occhi curiosi. Sono così belli che fanno provare invidia-

Edoardo osserva l'anziano signore che fa fare alla moglie un giro su se stessa, sorridendo di un sorriso stanco ma non meno felice, quando la vede tornare tra le sue braccia.

-Li vedi Edoardo, li vedi quanto sono belli?-

-Sì-

-Cosa pensi che sia questa?-

-Appartenenza-

-Pensi che si appartengano?-

-Come poche persone-

Edoardo e Ginevra rimangono lì per qualche minuto. Forse anche qualcosa di più.

Osservano quei due amanti ancora insieme, che si muovono ascoltando le note di una canzone malinconica.

Loro li osservano ascoltando la loro canzone, sentendosi anche quasi inopportuni a spiare quel momento di vita quotidiana.

Il primo fiocco di neve cade e si posa accanto alle loro mani vicine ma che non si toccano.

All'improvviso, il vento sembra essersi placato.

 

 

 

 

 

 

 

 -Tu pensi che sia...-

-Assolutamente si-

-Ne sei sicura?-

-Il mio sesto senso non sbaglia mai-

-Ma quello non era delle donne?- Una bassa risata a contatto con la cornetta infilata tra l'orecchio e la spalla.

-Hai il senso dell'umorismo di Geronimo Stilton-

-Scusami, Lory. Comunque, cosa stavamo dicendo?-

-Che secondo me è gay al 99%-

-Perché 99%?-

-Il fatto che sia così maledettamente scopabile-

-Loriana!- Urla Ginevra allargando gli occhi dalla stupore mentre sbatte il mignolo destro nell'angolo della vasca di ceramica.

-Non riuscivo a trovare termine migliore, puritana-

-Sei terribilmente scurrile- Le risponde sedendosi zoppicante sul tappo del water.

-Sì, me lo dice spesso anche tuo fratello. A letto. Quando siamo nudi. E sudati-

-Loriana, la telefonata sta per finire, ti avverto-

-Scusami, ora mi censuro. Comunque, ritornando al nostro discorso, per me lui è gay-

-Mi stai rovinando la vita felice che avevo immaginato-

-Con tanto di casa con la staccionata bianca e un San Bernardo che corre nel giardino con a cavallo uno dei vostri figli, mentre tu cucini una torta alle mele con indosso un grembiule a quadri rossi? Mi dispiace, meringa, George Clooney è allergico al pelo dei cani. E tu non sai cucinare-

Un gemito di disperazione esce dalle labbra di Ginevra che si appoggia con la schiena alle mattonelle bianche e fredde alle spalle, osservando il suo riflesso nel grande specchio rotondo davanti a lei.

-Vado a farmi latte e miele, il raffreddore peggiora. Ci sentiamo stasera- Parla stropicciando il naso colante con alcuni pezzetti di carta igienica.

-Nemmeno mia nonna Paola si riduce a farsi latte e miele quando sta male. Comunque io vado dall'estetista, preparati a sentirmi imprecare anche in turco stasera: ho la ceretta all'inguine!-

-Masochista-

-Preferisco il sadomaso. Con tuo fratello. Tutti nudi. Armata di un guinzaglio di pelle-

Chiude la chiamata senza nemmeno risponderle.

È davvero difficile sopravvivere quando la tua migliore migliore amica è anche la donna che ha sposato tuo fratello e ci dorme insieme tutte le notti.

È quasi impossibile.

Ginevra si alza in piedi con un sospiro e si appoggia con le mani al lavandino freddo.

Avvicina il suo volto allo specchio ed osserva le sue occhiaie scure, un piccolo taglietto sul labbro superiore, un punto rosso vicino all'orecchio ed il naso spellato per il raffreddore.

I capelli quel pomeriggio sono più mossi del solito, per questo li ha legati con un elastico in una coda alta.

Fissa per un attimo lo specchio e poi se li scioglie, lasciandoli liberi sulle spalle coperte dalla felpa.

Osserva il suo riflesso per qualche secondo, lisciandosi una ciocca di capelli scuri con le dita.

Lei non è bella come lui.

Con uno sbuffo secco si lega di nuovo i capelli e tira su il cappuccio della felpa.

Una donna patetica.

Una donna patetica con un brufolo sul mento.

Esce dal bagno sbattendosi la porta alle spalle e passa per il salotto per raggiungere la cucina.

Una voce gracchiante la blocca sul posto. -Ti piace!-

-Leopoldo?- Ginevra si avvicina lentamente alla gabbia nell'angolo del salotto ed appoggia le mani sulle sbarre fini. Osserva il pennuto colorato dondolarsi su un'altalena azzurra, muovendo la testina su e giù in un movimento ipnotico.

-No, il fantasma di Pietro Il Grande! Ginevra tu sei matta! Matta, matta, matta!-

-Che linguaggio!-

-Una matta che le piace un assassino! L'assassino, l'assassino che mi vuole uccidere!-

-Non capisco niente, Leopoldo! Chi è l'assassino?-

-Il porco!-

-è un assassino o un porco?!-

-Assassino porco, assassino porco, assassino porco!-

La ragazza scuote appena la gabbia, facendo volare il pappagallo sulla mangiatoia bianca.

-Sei un'assassina anche te! Si, si, anche te!-

-Leo, sei impazzito?-

-No, tu sei pazza di lui!-

-Di lui chi?!-

-Il porco assassino, il porco assassino, il porc..-

-Edoardo?!- Chiede non riuscendo a capire gli strepitii dell'animale che svolazza per tutta la gabbia.

-LUI!!-

Ginevra fa qualche passo all'indietro con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.

-Non è vero!- Urla all'indirizzo dell'animale correndo in cucina.

-La matta è cotta del porco, la matta è cotta del porco!-

Dovrebbe prendere in considerazione l'idea di comprarsi un altro pesce rosso e riportare quell'essere colorato nel posto maledetto in cui l'ha trovato.

 

 

 

 

 

Edoardo è sdraiato sul suo divano, la testa appoggiata ad un bracciolo, che osserva minuscoli fiocchi di neve passare sul vetro della finestra e fermarsi sul cornicione esterno mentre il cielo è così bianco che è impossibile fissarlo.

Per pochi minuti ha pensato che quella fosse la prima neve dell'anno -e probabilmente anche l'ultima-, che quei fiocchi di neve che si scioglievano sulla sua pelle subito dopo averla sfiorata fossero belli, che tutto quel bianco fosse bello, troppo bello e sembrasse quasi innaturale in quella città che lui ha sempre visto troppo grigia.

Ha pensato alla neve in questi termini per qualche minuto, quando è uscito fuori dal palazzo di Ginevra, ed ha visto un bambino in braccio a sua madre disperarsi per poter scendere dalle sue braccia a studiare meglio quelle 'cose' che scendevano dal cielo.

Quando un ragazzo di vent'anni, pensando di non essere visto, ha tirato fuori la lingua per sentire sul palato il sapore -che sapore in realtà non è- di quei fiocchi bianchi impercettibili. Come se volesse ritornare solo per un attimo bambino.

Poi, alla sua mente si sono subito affacciati i problemi.

Come diavolo farà ad andare al Call Center se le strade si riempiranno di neve e ghiaccio? Quando potrà finire di imbiancare l'appartamento che l'amministratore gli ha chiesto come favore?

Chi uscirà di casa per andare a fare la spesa in quel caos che saranno i supermercati?

Si è ritrovato stupito dei propri pensieri.

Un tempo, la neve per lui assumeva tutt'altri significati. Significati banali ma che per un ragazzo avevano un’importanza speciale.

 Oggi la neve gli ha ricordato del suo appuntamento con Claudio, l'amministratore.

L'ha vista scendere sui profili dei palazzi di Roma mentre era in piedi davanti ad un Bancomat per prelevare i soldi che gli avrebbe dovuto dare, mentre sentiva l'ansia crescere nel suo stomaco al pensiero di rimanere bloccato nel traffico dell'ora di pranzo e non poterlo raggiungere per l'ora prestabilita.

 Perso nelle sue considerazioni, riesce ugualmente a sentire la presenza di sua sorella alle spalle, grazie al rumore delle sue ciabatte sul parquet.

Butta la testa all'indietro e vede i suoi occhi marroni, le sue ciglia lunghissime sbattere troppo velocemente.

Questo è lo sguardo che assume quando vuole qualcosa.

Quando gli occhi di Edoardo ispezionano la sua figura, si ritrova a ridere piegato su se stesso, le spalle che tremano.

Chiara cammina velocemente di fianco al divano, dando dei leggeri colpi alla schiena del fratello.

-Dado?-

-Tu sei pazza!-

-Non vuoi?-

-Ma dove l'hai trovata?-

-In camera mia-

-Non mi ricordavo che tu ce l'avessi-

-Non cambiare discorso!-

-Sto invecchiando..-

Chiara sale con un balzo sul divano, a cavalcioni sulle gambe del fratello. Gli prende il volto tra le mani piccole -sente la barba di qualche giorno sotto i suoi polpastrelli delicati- e lo avvicina al suo.

-Scendiamo, Dado?-

Lui si limita ad annuire senza parole.

Guarda sua sorella negli occhi e poi osserva quella ridicola tuta rosa da scii che indossa in quel momento per poter uscire sotto la neve quasi inesistente.

Vede solo tanta, tantissima bellezza, in quel momento, ed in fondo, ai problemi della vita, ci può pensare domani.

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Vicini. ***


Scusate per il terribile ritardo, scusatemi davvero. 

Come sempre vi ringrazio per le meravigliose recensioni e le parole che mi dedicate. Ringrazio in particolar modo TriggerHappy che ha betatao il capitolo nonostante stia male ed ha fatto il banner. Amo ti <3

Un grazie anche a Clara, la mia carissima psicologa che sopporta le mie paranoie.

Buona lettura,

Giulia.

 

                                 

 

 

 

 

Schroeder: ”Credo che non ci vedremo fino a lunedi, Charlie Brown. Quindi abbi un felice weekend!”

Charlie Brown: ”Grazie! A proposito, cos’è la felicità?”

 -Peanuts-

 

 

 

 

Edoardo infila le mani arrossate dal freddo e dalla neve che ha toccato fino a qualche secondo fa, all'interno delle tasche del giaccone per cercare riparo e calore.

Nasconde le labbra screpolate nella sciarpa di lana che si è legato al collo e si siede, ancora tremante, su una panchina umida che la neve sembra aver risparmiato.

Lancia un'occhiata al cielo sopra di lui, socchiudendo gli occhi per il fastidio che gli provoca tutto quel bianco puro.

Non l'ha mai visto un cielo così.

Perso nelle sue riflessioni, non si accorge di un corpicino che si butta su di lui, facendolo appoggiare allo schienale duro di legno a causa della spinta.

-Hey, salsiccia!-

-Lo hai visto?- Gli chiede Chiara, strusciandosi una manina coperta da dei guanti rossi, sulla fronte irritata dalla lana del cappello che il fratello le ha fatto indossare con la forza. Anche a lei tremano i denti per il vento gelido che passa tra i loro corpi.

-Che cosa?-

-Ma come che cosa?!- Lei lo guarda imbronciata e corre verso la sua opera d'arte. Sembra un puntino rosa chicco in quel bianco che si sta pian piano depositando sul terreno e sugli alberi che fanno da coperta sulle loro teste.

-Quello sarebbe un pupazzo di neve?- Chiede confuso il ragazzo.

La bambina alza gli occhi al cielo e allarga le braccia esasperata. -Ma certo che no! È un igloo, come quelli che costruiscono gli Eskimesi. L'ho visto a National Geografic l'altra sera. Lo sai che odio i pupazzi di neve-

Quella minuscola cupola di neve ghiacciata non assomiglia assolutamente ad un igloo, ma Edoardo glielo lascia credere.

-Veramente, veramente un bellissimo igloo-

-Dado, non mi prendere in giro-

-E' artistico-

-Fa schifo, lo so, ma io mi ci sono impegnata!-

Edoardo si alza dalla panchina e le va incontro, cercando di non scivolare sul terreno, piegandosi sulle gambe e arrivando alla sua altezza.

-Mi piace, davvero, ma spero tu non ci vorrai dormire stanotte- Gli dice, soffiandole sul viso una nuvola di alito ghiacciato che la fa sorridere.

-No, preferisco il mio letto e la tua schiena grande e calda-

-Quindi stanotte dovrei dormire con te?- Le chiede il ragazzo divertito, prendendo un fazzoletto di carta dalla tasca dei pantaloni per farle soffiare il naso gocciolante.

Lei si limita ad annuire sorridendo con uno starnuto.

-Basta neve per oggi, piccola dittatrice. Ti sei presa anche il raffreddore-

Chiara si mette a ridere e prende tra le mani le dita tiepide del fratello, guardandolo negli occhi lucidi dal freddo.

-Perché sorridi?- Le chiede, alzandosi in piedi ed incamminandosi verso l'uscita del piccolo parco vicino casa, in cui si sono rifugiati nelle ultime ore; da quando ha iniziato a nevicare.

Alcuni bambini accompagnati dai loro genitori entrano in quel momento dal grande cancello spalancato, buttandosi sulla neve che si è depositata sulla terra, senza preoccuparsi di bagnarsi i vestiti. Le urla infuriate delle loro madri fanno sorridere i due fratelli.

-Hai sentito come mi hai chiamata?-

-Piccola dittatrice?-

-Si, 'piccola' ci chiama sempre l'uomo, la sua donna-

Edoardo ride, mentre l'afferra da sotto le ascelle e se la carica sulle spalle intrecciando le sue mani con quelle piccole e ghiacciate della sorella.

Una presa saldissima.

-Bè, tanto piccola non direi..sei ingrassata, Chiara?-

 

 

 

Arrivano a casa che sono ancora tremanti dal freddo, sporcando tutto il parquet con i residui di ghiaccio attaccati ai loro scarponcini.

Edoardo mette il pigiama di lana a Chiara, che si ribella perché dice che le fa pizzicare la pelle, e la fa stendere sul divano con una coperta calda a coprirla.

-Mi scaldi la pizza, Dado?-

-Alle cinque del pomeriggio?-

-Certo-

Edoardo scuote la testa e si passa una mano tra i capelli umidi -Margherita o quattro formaggi?-

-Quattro formaggi, fai veloce-

-Altro che dittatrice, sei una schiavista!- Le dice il ragazzo, togliendosi le scarpe dai talloni ed entrando in cucina.

-Che vuol dire 'schiavista'?- Le urla la sorella dal salotto, mentre si prodiga in delle meravigliose capovolte sul grande tappeto davanti alla televisione nonostante sappia benissimo che il fratello non vuole che le faccia.

-Cercalo nel Treccani-

-Non ne ho voglia..-

-Allora rimarrai ignorante-

-Hey! So cosa vuol dire 'ignorante'! Lo ha detto anche ieri il signor Cipulli del primo piano alla signora Cerbbetti del quarto perché il nipote gli aveva preso il tappetino che era fuori dal portone e l'aveva buttato in mezzo alla strada. Le ha detto anche ' enf..infame!' o qualcosa del genere-

Edoardo si affaccia dalla porta della cucina con la fronte aggrottata.

-Hai appena detto una parolaccia- Le dice, osservando la sorella sgranare gli occhi e mettersi entrambe le mani davanti alla bocca.

La bambina si siede imbronciata sul divano, portandosi le ginocchia al petto.

-Non l'ho fatto apposta!-

-Lo so. Comunque, la signora Cipulli cosa gli ha risposto?- Chiede Edoardo, prendendo una pizza dal freezer, scartando la pellicola che la ricopre.

-Che lui è così nervoso perché non ha un'erezione da vent'anni. Dado, cosa vuol dire?-

-Credimi, non lo vorresti sapere-

Quando la pizza è pronta si siedono sul divano, la televisione sintonizzata su un canale scientifico, mentre cercano di non sporcare di formaggio colante il copri divano già tappezzato da macchie sconosciute.

-Mi dici cosa significa 'erezione'?

-Chiara..-

-Ma devo arricchire il mio bagaglio culturale!-

-E questa dove l'hai sentita?-

-Da una pubblicità-

-Guardi troppa televisione, salsiccia-

Chiara si zittisce e continua a guardare il documentario.

Suo fratello non si può azzardare a toccarle la televisione dove guarda i cartoni animati in VHS, sarebbe da persone crudeli.

-Tra poco viene Angelica e ceni con lei, anche se ti sei appena divorata metà pizza. Io devo andare a finire di imbiancare l'appartamento- Edoardo si alza dal divano e porta i piatti sporchi nel lavandino.

Chiara rimane in silenzio e si appoggia alla spalliera del divano, osservando con un occhio curioso, i movimenti del fratello.

C'è qualcosa che non torna, pensa Chiara. C'è qualcosa diverso nel suo Dado e lei se ne è accorta subito. Non è solo felice come gli ha già detto qualche giorno fa, sembra anche...impaziente di uscire di casa.

Forse di scappare lontano da lei.

-Dado?-

-Mhm-

-Ma hai anche un'altra sorella che mi tieni nascosta?-

Il moro scoppia a ridere aprendo il rubinetto da cui esce l'acqua calda.

-Come ti è venuta quest'idea?!-

-Sembra che tu non veda l'ora di andare via..- Gli risponde appoggiando il mento sulle mani intrecciate continuando ad osservalo.

Lui le si avvicina lentamente e le strizza le guance con le mani bagnate, fissandola negli occhi scuri.

-Secondo te ho il tempo di occuparmi anche di un'altra sorella malefica?-

-Forse lei è più buona di me-

-Tutti i bambini sono più buoni di te, salsiccia- Le dice chiudendole i bottoni sul collo della maglia.

-Non è vero! Il nipote della signora Cerbbetti? Lui è tremendo!-

-Sareste una bella coppia, in effetti-

La bambina si lascia cadere sul divano ed incrocia le braccia sul petto, le guance arrossate per l'impertinenza di quell'affermazione.

-Sei te il mio uomo, quante volte te lo devo ripetere?-

 

 

 

 

Edoardo si sente un idiota.

Non si è mai sentito così idiota in vita sua.

Nemmeno quando per poco, a diciassette anni, non uccise la sua professoressa di storia mettendola sotto con il motorino sulle strisce pedonali. Nemmeno quando si ubriacò per la prima volta e si maledì per tutta la sera con la testa ficcata dentro ad un cesso per vomitare.

Gli viene quasi da ridere di se stesso, mentre cammina sul marciapiede illuminato a malapena da un palo della luce difettoso e dal semaforo rosso a pochi passi da lui.

Apre il portone del palazzo in Via Riverani con le chiavi che gli ha dato l'amministratore e, con i secchi pieni di tinta, entra sul pianerottolo gettando un'occhiata fintamente distratta alle scale buie.

Un idiota.

Raggiunge l'appartamento che deve imbiancare ed osserva il lavoro degli altri giorni che sembra andare abbastanza bene.

Passa le mani sulle pareti ormai asciutte e guarda gli ultimi punti su cui deve passare l'ultima mano di vernice.

Si toglie la felpa e si mette a lavoro alzando i coperchi dei secchi che ha portato.

Mentalmente continua a ripetersi di essere un idiota.

Passa un'ora maneggiando un pennello e stendendo giornali vecchi sul pavimento per paura di rovinare il parquet.

È sporco di vernice come sempre ed il freddo che passa attraverso i muri ed i vetri delle finestre sembrano non toccarlo.

Sta fissando da qualche minuto un incrinatura sulla parete ma in realtà la sua testa è da tutt'altra parte.

 

 

 

 

 

-Stasera devi imbiancare l'appartamento al pianoterra?-

Un rapido annuire.

-Se vuoi, ti posso portare la cena-

-Non importa-

-Ma io lo faccio volentieri-

-Perché?- Aveva guardato Ginevra negli occhi aspettando la sua risposta.

-Mi piace passare del tempo con te- Era arrossita, leggermente, ma era arrossita.

Edoardo aveva fissato quel rossore diffuso come se fosse ipnotizzato.

L'avrebbe voluto cancellare con le sue dita sfiorando appena la pelle, avvertendo sotto i suoi polpastrelli i contorni delle sue ossa fragili.

-Mi vuoi far vedere la bellezza di un piatto di pasta al ragù?-

-Penso non ci sia cosa più bella di un piatto di pasta al ragù-

 

 

 

 

 

La parola 'idiota', è ripetuta nella testa di Edoardo quasi come se fosse un mantra.

Strano che nella sua testa ci sia qualche offesa rivolta a se stesso invece che al mondo interno.

Suona al campanello con l'indice sporco di tinta bianca ormai secca, ed aspetta sul pianerottolo con le braccia incrociate al petto mentre conta le mattonelle che distano dalle scale all' ascensore, che a quanto pare non funziona da parecchi mesi.

È arrivato a 23 mattonelle quando la porta si apre. Non quella desiderata, però.

Un signore anziano si affaccia dall'uscio del portone a destra di quello di Ginevra.

L'uomo indossa una vestaglia rossa sgualcita con dei calzini bianchi fino a metà polpaccio e delle infradito.

Lo fissa sospettoso senza accennare ad aprire bocca. Sembra che lo stia studiando.

Edoardo odia le persone che lo fissano senza motivo, lo fanno irritare incredibilmente.

-Ti va di venire a farmi compagnia? Sono solo soletto in questa casa grande-

La domanda improvvisa dell'uomo paralizza Edoardo sul posto. Pensa di non aver sentito bene.

-Io..io no, sto aspettando..No, non posso-

L'uomo fa qualche passo incerto nella sua direzione, uscendo sul pianerottolo dove si trova Edoardo ancora fermo nella posizione di poco prima.

-Ti prego, sono tanto solo. Ma proprio solo, solo, solo- Edoardo non può fare a meno di notare quegli odiosi calzini che si stanno arrotolando alle caviglie, mostrando le gambe secche e deboli dell'uomo.

Cosa ha fatto di male nella vita?

Sta per scappare verso le scale quando la porta davanti a lui si apre.

Ginevra esce in pigiama, i capelli nascosti in un cappuccio, il naso rosso e gli occhi socchiusi che osservano quella scena insolita.

-Gianfranco, torna in casa. Questo ragazzo non ti può soddisfare-

-Ma io volevo solo un po' di compagnia..- Protesta l'anziano, guardando deluso la ragazza che sembra non riuscire a reggersi in piedi.

-Gianfranco, hai ottantotto anni e la libidine di un quattordicenne! Vai a letto, buonanotte-

Ginevra prende debolmente per un braccio Edoardo, che ha seguito in silenzio la scena, e ritorna in casa chiudendosi la porta alle spalle.

-Scusalo, il Viagra gli ha dato alla testa-

Il ragazzo non sa se ridere o piangere per la scena a cui ha appena assistito.

Ginevra sembra essersi improvvisamente dimenticata della sua presenza e si butta a peso morto sul divano, affondando il volto nei cuscini, non muovendo un solo muscolo.

Edoardo rimane a guardarla per qualche secondo, fermo nell'ingresso.

-Stai bene?- Le chiede, facendo qualche passo timoroso all'interno della stanza in penombra. Le persiane della finestra sono serrate.

Anche la gabbia di Leopoldo è coperta dal solito telo nero.

-Si-

-Cos'hai?-

-Raffreddore, mal di gola, mal di schiena, vomito. Ah, ho anche un polso slogato che mi sono procurata cadendo dalla sedia prima-

Edoardo si accuccia davanti al suo viso infilato tra i cuscini, osservandola attento.

-In gran forma-

-Morirò-

-Non credo. Hai preso qualcosa?- Le chiede guardandola negli occhi lucidi dalla febbre che probabilmente ha, quando il suo viso emerge dal divano. Ha le guance rosse ed ha i capelli scompigliati sul viso.

Il ragazzo allunga una mano e le toglie una ciocca scura da davanti agli occhi.

Rimangono immobili entrambi dopo quel gesto inaspettato.

Per la prima volta in vita sua, Ginevra rimane in silenzio e si limita a negare con la testa alla domanda di lui.

Edoardo annuisce e le chiede dove sono i medicinali.

-Nello scompartimento vicino al microonde-

-Perché tieni i medicinali in cucina?-

-Potrei tenerli anche nella gabbia di Leopoldo, questa è casa mia-

Edoardo la osserva in silenzio, mentre si alza in piedi.

Ginevra sbuffa e si porta le mani sul viso stanco.

-Scusami, sono terribilmente acida quando sto male-

-L'ho notato-

-Non dovevi confermarlo!-

Il ragazzo si avvicina al cucinotto ed apre lo scompartimento che gli ha suggerito la ragazza.

Prende un termometro e la confezione della Tachipirina, riempiendo un bicchiere d'acqua.

Ginevra intanto si è messa a sedere sul divano con una coperta a coprirle le spalle. Sembra che non gliene freghi assolutamente niente di essere vista in quello stato, delle sue occhiaie marcate ed i capelli senza forma.

Edoardo le si avvicina e le porge il termometro.

-Non ce l'ho la febbre- Gli dice, prendendo riluttante quell'oggetto di vetro troppo freddo per stare a contatto con la sua pelle calda.

-Io penso proprio di si-

-Io penso di no-

-Non ti reggi nemmeno in piedi, Ginevra-

La ragazza non controbatte e rimane in silenzio a guardarlo con quegli occhi socchiusi per la febbre e le labbra screpolate e secche.

-È la prima volta che dici il mio nome...- Glielo dice così, senza nascondere il suo stupore nelle parole che sono uscite senza un freno dalla sua bocca.

Lui rimane in silenzio, la faccia seria non sapendo cosa risponderle.

-Non mi piace- Mente.

-Ma come?! È bellissimo, io amo il mio nome! Non lo cambierei per niente al mondo- In un attimo sembra che abbia ritrovato l'energia battagliera che possiede ogni giorno.

Il ragazzo si limita a sorriderle, prendendo di nuovo tra le mani il termometro tiepido per il contatto con il suo corpo.

-38.4. Complimenti, questa è una signora febbre-

-Signora Fletcher?-

-Già in stato confusionale?-

Ginevra butta la testa all'indietro con un sonoro sbuffo, muovendo freneticamente le gambe sotto la coperta che ha addosso.

-Mi rispondi?! Perché la Signora Fletcher?-

Edoardo si siede sorridendo sul divano, vicino ai suoi piedi, e la fa concentrare sulla sua domanda.

-Hai mangiato?-

-No, ma perché la Signora Fletcher?-

-Bene, ora cerco qualcosa e poi prendi la Tachipirina-

Ginevra continua a sbuffare ed incrocia nervosa le braccia sul petto.

-Non ho bisogno che tu ti prenda cura di me. Fa così tanto da film romantico di bassa categoria!-

A volte, la febbre riesce a far confessare le persone più dell'alcool.

-Non mi sto prendendo cura di te. Mi sto solo assicurando che tu non muoia-

-La bevanda non cambia!-

-Si dice 'il succo non cambia'-

-Da quando hai così voglia di parlare?-

Edoardo le sorride e sparisce in cucina.

Ha ragione, Ginevra: da quando gli piace tanto parlare?

 

 

 

 

Sono seduti entrambi sul pavimento con le schiene appoggiate al divano dietro di loro, che mangiano il riso bianco leggermente scotto cucinato dal ragazzo e guardano un telefilm spagnolo alla televisione.

Ginevra si è messa tre felpe una sopra l'altra ed ha due coperte: una sulle spalle ed una che copre le gambe. I piedi li ha infilati in un paio di ciabatte pelose rosa.

Davvero terribili ma probabilmente calde.

Lei interrompe il silenzio, posando il piatto per terra. Subito dopo parla.

-Mi dispiace-

-Di cosa?-

-Di essere in questo stato-

-Chiacchieri meno quando hai la febbre- Lei gli sorride, tirandosi il cappuccio della felpa sopra le testa.

-Perché sei venuto qui?-

Edoardo gioca con la forchetta, facendole sfiorare il bordo del piatto che tiene in mano. Troppe domande per i suoi gusti, troppe parole.

-Non ti avevo visto scendere-

-E non hai sospirato di sollievo?- Pone un'altra domanda Ginevra, con il sorriso, spostandosi leggermente verso di lui.

-No, ero..preoccupato- Le risponde, come se però la sua mente fosse impegnata in tutt'altro che in quella misera conversazione.

-Ammettilo: volevi mangiare la mia pasta al ragù-

Edoardo sorride, passandole il bicchiere con la pasticca di Tachipirina.

-Mi hai scoperto-

-Comunque, cosa c'entrava prima la signora Fletcher?-

 

 

 

 

 Ginevra dorme da qualche minuto, sdraiata sul divano, con la testa affondata nel cuscino e la bocca leggermente aperta.

Il ragazzo è seduto vicino ai suoi piedi, gli occhi socchiusi mentre guarda distrattamente il telegiornale.

È stanco, Edoardo. Dovrebbe andare a casa eppure non riesce a lasciarla da sola. Non gli sembra giusto.

Gli occhi gli si stanno per chiudere quando il cellulare della ragazza, posato sopra al tavolino inizia a squillare, la suoneria a tutto volume.

Per paura che Ginevra si svegli, Edoardo prende il telefono in mano e pigia il tasto verde.

-Pronto?-

-.....Oh, merda-

Edoardo rimane in silenzio, sorpreso da quell'esclamazione.

-Chi sei?-

-Edoardo Amato-

-Vai a letto con mia cognata?-

-Io..no, no!!-

-Mi sembri agitato: forse ci vorresti andare-

-No, non voglio andare a..l.etto con Ginevra. Posso sapere con chi diavolo sto parlando?-

-Loriana, ma per gli amici Lory. Anche per gli amici di letto di Ginevra-

-Sono un conoscente-

-Il sesto senso mi dice di non crederti. Comunque, dov'è la mia dolce fragolina di bosco?-

Edoardo si porta una mano tra i capelli alzando gli occhi verso il soffitto.

-Sta dormendo-

-Le cose sono due: o non sei molto bravo o un vero e proprio stallone-

-Che diav...sta male, ha la febbre!-

-Davvero? A quanto?- La voce improvvisamente seria della donna lo stupisce.

-Prima a 38.4 ora dovrebbe essere scesa, ha preso la Tachipirina-

-Oh bè, grazie amico di letto di Ginevra-

-Sono un..-

-Si, si, conoscente, va bene. Comunque, ricordati che quando ha la febbre diventa leggermente acida-

-Lo so-

-...e violenta, in senso sessuale, naturalmente. Comportati bene con lei e non la lasciare guardare documentari su animali in via d'estinzione: dopo cade in depressione da barattolo di Nutella. Buonanotte, Edoardo!-

La chiamata finisce prima che il ragazzo possa risponderle.

Rimane senza parole, limitandosi ad accasciarsi sul divano, la testa penzoloni dalla spalliera ed il cellulare che scivola dalla sua mano e cade per terra.

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Guardaci. ***


Un capitolo importante, che ho scritto lentamente e, se devo essere sincera, mi ha emozionato. Spero con tutto il cuore che vi piaccia!

Un grazie immensissimo a tutte voi che siete delle lettrici eccezionali, grazie davvero.

Buona lettura, 

Giulia.

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Floyd: ”Ho fatto male a chiamare –Frittella- la tua amica, capo?”

Piperita Patty: ”No, ma fai male a chiamare me capo!”

Floyd: ”La trovo bellissima...credo di essere innamorato di lei”

Piperita Patty: ”L’amore può essere doloroso, Floyd”

Floyd: ”Me ne sono accorto quando mi ha colpito con la scatola del pronto soccorso!”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

 

 

Edoardo cammina velocemente tra gli alti scaffali del piccolo supermercato vicino casa, guardandosi intorno come se si fosse perso, ripensando a cosa si era mentalmente appuntato di dover comprare.

Non è mai stato un tipo da liste, schemi ed appunti, ha sempre fatto affidamento sulla sua memoria fotografica che a scuola gli era amica durante compiti ed interrogazioni.

In questo periodo però, anche la sua memoria sembra essere contro di lui, sabotarlo.

Edoardo si ferma al reparto surgelati, davanti al frigorifero delle pizze da scaldare in forno.

-Quattro formaggi!-

-Sei una drogata, Chiara-

-È buonissima e c'è il formaggio che contiene il calcio e mi fa crescere-

-La devi smettere di guardare quei programmi tutta scienza e natura, hai capito?- Le risponde il fratello con un finto tono serio nella voce, prendendo due pizze di due gusti diversi e passandole alla sorella che le infila nel carrello in cui è seduta da quando sono entrati nel supermercato.

-Lo faccio per arricchire la mia cultura, lo sai!- Lo riprende la bambina, giocando con il barattolo di marmellata alle more che piace tanto a suo fratello ma che lei odia.

Gratta l'etichetta che è attaccata sul vetro e viene ripresa da Edoardo con un'occhiataccia.

-Senti, piccolo genio dall'enorme bagaglio culturale, dov'è il banco degli affettati?-

-In fondo al corridoio a destra. E poi non sono un genio, ho 9 in matematica!-

Edoardo spinge il carrello con entrambe le mani nella direzione che gli ha indicato Chiara, guardando se tra gli scaffali quasi identici c'è qualcosa che gli potrebbe servire.

-La verdura, invece?- Le chiede mentre prende la busta con la carne dalle mani del macellaio, che sorride a sua sorella e le fa un cenno di saluto con la mano. Lei lo saluta sorridente.

Ama le attenzioni che le persone le rivolgono, anche quelle sconosciute.

-Mhm..non so- Finge di pensarci la bambina, portandosi addirittura l'indice al mento ed assottigliando gli occhi, pensierosa.

Edoardo si appoggia con i gomiti al carrello ed avvicina il volto al suo.

-Sputa il rospo, tanto l'insalata stasera te la mangi lo stesso. A costo di strappare quella davanti casa!-

-Ma lì ci fa la pipì il cane della signora Romano!-

-Ancora meglio-

Chiara sbuffa e si risiede lentamente sul fondo del carrello, cercando di non rompere le uova dentro la confezione che tiene in mano.

-A sinistra e poi a destra-

Edoardo le sorride, baciandole una guancia coperta a malapena da una sciarpa azzurra.

-Brava la mia salsiccia-

 

 

 

Arrivano alla cassa con il carrello talmente pieno da non riuscire più a contenere Chiara, che si è dovuta alzare e camminare al fianco del fratello con una confezione di caramelle alla menta in mano, prese all'insaputa del ragazzo, naturalmente.

-Lo sai che Anita si è presa l'influenza?-

-Anita quella che ha i pidocchi?-

-Bravo, proprio lei. Cioè, lo ha detto Michele che ha i pidocchi ma io mica ci credo! Lei si lava, è lui quello che puzza-

La cassiera davanti a loro non nasconde un sorriso alle parole di Chiara che continua a parlare senza accorgersi di niente.

-Michele dice anche che Amedeo dorme ancora nel lettone dei suoi genitori-

-Ma quel Michele non sa farseli gli affari suoi?- Le risponde Edoardo, passando delle banconote alla donna davanti a lui, mentre infila distratto la spesa in delle buste di plastica.

-Una pettegola. Comunque, ti stavo dicendo che Anita ha l'influenza ed ho paura di essermela presa anch'io- Spiega Chiara con la voce improvvisamente bassa, come se avesse paura che qualcuno possa sentirli.

-E perché? Ti senti male?-

-No, ma ho mangiato un pezzo della sua merendina giovedì scorso. È grave, secondo te?-

Edoardo si mette a ridere, mentre escono dal supermercato e si avviano a piedi a casa.

Le strade sono pulite adesso, resta solo qualche cumulo di neve sporca agli angoli di alcune vie poco trafficate dalle auto romane.

L'aria è ancora fredda però, e cappotti e sciarpe non sono state riposte nell'armadio come in molti speravano di poter fare.

-Non morirai, tranquilla- Le risponde fermandosi ad un semaforo rosso.

-Ma io non voglio prendermi la febbre! Odio ammalarmi!-

-Ma che bugiarda! Non vedi l'ora di startene a casa a guardare cartoni animati tutto il giorno!-

-Sì, ma solo se te puoi stare a casa con me-

Edoardo le prende la busta troppo pesante che teneva tra le mani e le sorride pensieroso.

-Odio stare male, odio vomitare, odio trattarti male-

-Mi faccio maltrattare volentieri da te, salsiccia-

E mentre percorrono la via di casa sotto il sole tiepido di quella giornata di metà dicembre, Edoardo pensa a Ginevra, e non è di certo una novità.

È passata una settimana o poco più dall'ultima volta che l'ha vista, quella volta che si è preso cura di lei con una devozione che ha sempre riservato solo e soltanto ad una persona.

 

 

 

 

Quando aveva visto l'ora che si era fatta, Edoardo si era lentamente inginocchiato davanti al viso della ragazza, e l'aveva osservata per qualche secondo dormire. La bocca spalancata coperta timidamente da una mano a pugno ed alcuni ciuffi di capelli sulla fronte sudata.

Edoardo aveva allungato un braccio indolenzito ed aveva posato delicatamente due dita sulle sue guance leggermente meno arrossate di qualche ora prima. Sembrava che la temperatura fosse diminuita.

Nel ritirare la mano, aveva sfiorato il suo polso, lasciato scoperto dalla felpa calda, e l'aveva sentita muoversi appena sul divano.

Pochi secondi dopo, i suoi occhi arrossati ed ancora pesanti dal sonno, si erano aperti ed avevano focalizzato la sua figura non molto distante da lei.

-Ho il sonno leggero- Aveva biascicato accennando uno sbadiglio e sistemando una mano sotto la guancia a farle da cuscino.

-Russi-

-Bugiardo. Al campeggio organizzato dalla mia parrocchia in terza media ero l'unica in una tenda di cinque ragazze che non russava. Due settimane terribili-

Edoardo aveva accennato un mezzo sorriso, continuando a guardarla negli occhi con un coraggio improvviso.

Aveva di nuovo allungato la mano, posandole il palmo freddo sulla sua fronte tiepida, continuando quel dialogo silenzioso fatto di sguardi che parlavano una lingua che forse nessuno dei due comprendeva realmente.

-Devo andare- Le aveva detto lasciando per qualche attimo in più la mano a contatto con la sua pelle.

-Lo so- Gli aveva risposto con un sorriso stanco.

-Non posso rimanere-

-Ho capito.- Aveva risposto Ginevra, nascondendo un sorriso sul dorso della mano che si era portata alla bocca.

-Chiuditi a chiave, non vorrei che quel vecchio si fosse preso qualche altra pillolina blu-

-Tranquillo, non sono dotata di quello che lui cerca- Gli aveva sorriso, mordendosi il labbro inferiore screpolato dal freddo.

-Già, e poi hai Leopoldo a farti da cane da guardia- Le aveva detto a bassa voce, gettando un'occhiata distratta alla gabbia nell'angolo del salotto ancora coperta dal telo nero.

-Con lui sono al sicuro-

Lei aveva accennato una bassa risata, sistemandosi la coperta di lana sulle spalle.

Edoardo l'aveva guardata un'ultima volta, facendo scivolare i suoi occhi sulle sue labbra socchiuse.

Ginevra era arrossita all'istante, come poche volte le era successo in vita sua. Sentiva le guance scottare per l'imbarazzo come quella volta che era cascata davanti a tutta la classe in prima superiore, inciampando nelle stringhe sciolte delle sue scarpe.

Quello sguardo non la metteva a disagio, non l'aveva mai fatto; la lasciava semplicemente con troppe parole che circolavano nella sua mente senza un filo logico, desiderose di uscire dalla sua bocca.

Il ragazzo aveva appoggiato il pollice in mezzo alle sue labbra, nel punto in cui sembravano più rovinate, quasi volesse farle tornare del solito rosa acceso, senza imperfezioni come era il sorriso che rivolgeva a lui. O forse anche a qualcun altro.

Era talmente bello lo sguardo di Ginevra in quel momento, che lui si era dovuto allontanare da lei ed uscire da quella casa senza nemmeno salutarla.

C'era tanta di quella bellezza, nei suoi occhi, che Edoardo era dovuto scappare via, ritornare nel buio in cui si era crogiolato fino a quel momento.

Ginevra avrebbe passato tutta la notte a ricordarsi i suoi occhi neri, scuri, di quel momento tanto particolare che li aveva visti respirare appena.

Erano del colore del buio in cui si sarebbe persa volentieri.

 

 

 

 

Arrivano a casa che sono le due passate ed Edoardo deve ancora prepararsi per andare al Call Center.

Qualche giorno fa, infatti, ha fatto cambio di turno con un suo collega che è stato assunto da poco, che questo pomeriggio aveva la consegna della pagella della figlia a scuola.

Edoardo ha accettato senza problemi, pensando di potersi svegliare per una mattina leggermente più tardi del solito, nonostante dovesse accompagnare la sorella a scuola.

-Fai i compiti e non ti azzardare a mettere in forno la pizza, sono stato chiaro?-

Urla Edoardo dal bagno, allacciandosi i bottoni della camicia bianca allo specchio coperto da piccole macchie di dentifricio. Ma come se li lava i denti quella bambina?

Quando entra in salotto, Chiara è sdraiata sul tappeto con il quaderno di italiano davanti agli occhi, mentre cerca di imparare una poesia a memoria.

Il bicchiere colmo d'acqua è vicino a lei, ma non sembra farci caso più di tanto.

Chiara, sta meglio, si ripete mentalmente Edoardo. Ce la sta facendo da sola, è forte, è coraggiosa la sua salsiccia e lui è tanto orgoglioso di lei.

Lui le si avvicina e le lascia tanti baci sui capelli, facendola ridere e coprirsi con le braccia.

-Fai la brava, Angelica viene tra poco a farti compagnia-

-Mi piace Angelica!-

-Solo perché ti fa mangiare la pizza a qualsiasi ora!-

Il ragazzo esce di casa in fretta e furia, mettendosi il cappotto fuori dal portone, con la cinghia della tracolla ancora in bocca avendo le mani occupate.

Quando arriva al Call Center gli sembra strano trovare un posto per lo scooter non molto lontano dal posto di lavoro e si incammina verso l'entrata principale.

Sta aspettando che l'ascensore si apra quando il cellulare squilla all'interno della borsa.

Ci vogliono due minuti buoni prima che lo trovi.

-Pronto?-

-Amato, sono Claudio, l'amministratore-

-Dimmi, Claudio-

-Come va con l'appartamento in Via Riverani? L'hai finito di imbiancare? Gli inquilini dovrebbero arrivare tra qualche giorno- Gli spiega con la sua solita voce dura.

-Finito, stasera quando esco da lavoro vado a prendere i secchi di tinta che ho lasciato lì e controllo se ci sono alcuni punti in cui devo passare un'altra mano di pittura-

-Perfetto, Amato. Puoi lasciare le chiavi dell'appartamento nella cassetta della posta, la numero 2-

-Non ci sono problemi-

-Molto efficiente, Amato-

Prima di raggiungere la sua scrivania, ad Edoardo gli sembra di vedere con la coda dell'occhio, una coda rimbalzante di capelli castani che si allontana verso le scale che portano al pianterreno.

Il ragazzo continua a rivedere nella sua mente quell'immagine, anche quando si siede sulla sedia girevole ed accende il computer.

No, non era Ginevra.

Si passa entrambe le mani sul volto stanco quando sente una voce abbastanza alterata chiamarlo.

-Amato!-

Alle sue spalle c'è il direttore Sireni, che lo guarda dal suo misero metro e sessanta d'altezza, con le mani posate sui fianchi ossuti coperti da una camicia a quadri a maniche corte nonostante la temperatura esterna.

Roberto Sireni è un omuncolo di sessant'anni con la passione per l'ippica ed i giochi da tavolo. È sposato da dodici anni e cornuto da probabilmente cinque. Molti impiegati del Call Center raccontano di aver visto la moglie fare sesso su una fotocopiatrice in copisteria, con Antonio Liberti del terzo piano, detto anche 'Il monopalla'.

Tutte voci a cui Edoardo non ha mai fatto caso più di tanto.

-Signor Sireni...-

-Amato, cosa ci fai qui a quest'ora?-

-Ho scambiato il mio turno con quello di ..-

-E perché non stai lavorando?-

-Io..-

-Tutti a non fare niente, a vedere film porno sfruttando la nostra linea ed i nostri computer! Mario Brunetti del secondo piano ieri è stato licenziato perché era su una Chat Erotica! Quel porco! Lo sai qual era il suo nickname? Lo sai?!-

-No, signore..-

-Porcellino69, se ne rendo conto, Amato?!- Molti impiegati si girano incuriositi dalle grida dell'uomo.

Edoardo rimane senza parole per qualche secondo, cercando di non fissare le enormi sopracciglia dell'uomo che sembrano essere un tutt'uno con le ciglia.

-Solo telefonate di lavoro, signore. Nessuna Chat...Erotica-

-Ti tengo d'occhio, Amato-

Deve cambiare lavoro, e al più presto.

 

 

 

 

 Sorride alla parete di tinta bianca davanti a sé, quando sente dei passi leggeri alle sue spalle.

Stringe l'impugnatura di legno del pennello tra le mani, tanto da sentire dolore ai palmi, e chiude per un attimo gli occhi per riuscire a sentire meglio la sua presenza che si avvicina. L'aria fredda di quella sera entra dalla finestra, accostata per far circolare l'aria pesante all'interno dell'appartamento in Via Riverani.

-Ma allora sei ancora vivo!-

La sua voce non lo sorprende. È pimpante, allegra, frizzante come è sempre stata dalla prima volta che l'ha sentita. L'influenza sembra non averla modificata di una sola nota.

Si sente quasi sollevato.

Edoardo si gira verso di lei, la sua espressione che non fa trapelare i pensieri nella sua testa, e ce ne sono molti, quella sera. Tutti ingarbugliati tra di loro che lottano per riuscire a liberarsi.

Ginevra sta sorridendo, la solita fossetta sulla guancia sinistra colorata dal solito rossore e la solita sciarpa rossa legata al collo.

-Come stai? È tanto che non ci vediamo! Cosa hai fatto in questa settimana? Stai ancora tinteggiando l'appartamento? Ma non avevi finito?!-

Edoardo ride, di una risata piena di stupore, sentendo la raffica di domande che gli vengono poste con quella voce arzilla degna di una bambina curiosa che però, risulta non essere indiscreta.

Ginevra rimane con un timido sorriso sulle labbra ad ascoltare quella risata che sente troppo poco.

Si gode quella risata, il suo sorriso e gli occhi socchiusi ma accesi.

Non vuole nemmeno più che risponda alle sue domande, vorrebbe continuare a sentirlo ridere come se fosse un disco in vinile che si è inceppato nel punto più bello della canzone preferita.

Il ragazzo si appoggia con le spalle al vetro della finestra, sentendo ancora i suoi occhi addosso.

-Devo rispondere alle tue domande?-

-No, continua a ridere-

Edoardo fa un mezzo sorriso ed abbassa lo sguardo a disagio. A lui non è mai piaciuta la sua risata. Forse perché l'ha sentita soltanto rare volte uscire dalle sue labbra.

Ginevra gli si avvicina e si appoggia con i gomiti al davanzale della finestra, inclinando la testa di lato per osservarlo meglio.

La luce che proviene dalla finestra lo illumina appena e metà del suo volto è oscurato.

-Come stai?- è Edoardo a farle quella domanda, mentre nasconde le mani ghiacciate all'interno delle tasche della felpa.

-Oh, bene, benissimo! Mi sono ripresa alla grande, ieri sono andata addirittura al Call Center!- Gli risponde entusiasta.

-Mi dispiace non esserti potuto venire a…-

-Non importa- Lo blocca lei, guardando aldilà del vetro polveroso e macchiato in un angolo di tinta.

Se è dispiaciuta, non lo mostra. -Avrai avuto da fare, ognuno ha i suoi impegni, il lavoro, commissioni da fare-

-Ma io volevo vederti-

Ginevra gli sorride imbarazzata, fissandolo dritto negli occhi.

-Anch'io, volevo vederti. Cioè, vederti anche solo per ringraziarti per essere stato con me l'altra sera, ecco, e soprattutto per aver cucinato!-

Edoardo rimane in silenzio, osservando un punto imprecisato davanti a sé.

-Io volevo vederti. Ti ho.. pensata, in questi giorni-

-Pensata in che senso?-

-Non in senso romantico, cioè, sì.. in senso positivo-

Ginevra lo guarda confusa. -Mi hai pensata come si potrebbe pensare ad un gatto che fa le fusa?-

Edoardo scuote la testa passandosi una mano sul volto, rimanendo ad occhi chiusi per respirare l'aria fresca che gli rinfresca il cervello.

Vorrebbe scappare, vorrebbe rimanere lì immobile per ore, vorrebbe essere una persona diversa.

Al suo fianco, Ginevra si sposta lentamente vicino a lui.

Quando Edoardo apre gli occhi, il suo volto è vicino, troppo vicino al suo. Non ha mai visto i suoi occhi da quella distanza. Riesce a notare anche un segno della varicella sulla fronte, vicino all'attaccatura dei capelli.

-Cosa stai facendo?- Le chiede a bassa voce, osservando il suo volto alla ricerca di particolari, imperfezioni, emozioni.

-Stavo per baciarti..-

Edoardo rimane immobile nella sua posizione, gli occhi che rimangono aperti anche quando la ragazza avvicina il viso. Sente il suo respiro sul mento, sulle labbra socchiuse che sono in attesa di tutto o di niente.

C'è solo un breve sfioramento fatto ad occhi aperti, come due ragazzini inesperti e curiosi, avidi di scoprire sensazioni nuove.

Ginevra posa un bacio leggero sulle sue labbra e poi un altro ancora.

Quando allontana di qualche centimetro il suo viso, porta una mano sulla sua guancia ruvida per la barba. La accarezza teneramente, godendo di quel tocco, e si mette a ridere, una risata felice di quella felicità che stanno esprimendo i suoi occhi scuri in quel momento.

Edoardo ruba quella risata assaporando di nuovo le sue labbra, e la sente rimbombare dentro di sè, nel cervello, nei polmoni, nello stomaco.

La fa sua, senza neanche accorgersene.

 

 

-Cosa vedi?-

-Tanta bellezza, troppa-

-Riesci a sopportarla da solo?-

-Aiutami tu-

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Subbuglio. ***


Buonasera! Mi scuso in ginocchio sui sanpietrini, se è necessario, per questo immenso ritardo giustificato, però. In queste settimane vorrei che le giornate fossero di 48 ore per fare tutto quello che devo fare!

Mi scuso ancora per avervi fatto aspettare e spero che il capitolo vi piaccia!

Un grandissimo bacio,

Giulia :)

P.s. Link Gruppo Facebook dedicato alle storie: http://www.facebook.com/groups/262965880410553/

P.s.s. Link di un contest su Efp dedicato a storie Originali GIà edite, in cui farò da giudicessa insieme ad altre ragazze! Dateci un'occhiata se volete partecipare, è un contest molto ma molto interessante!   http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10165972


 

 



Capitolo dedicato a Clara.

Donna, grazie.  Solo questo.

Ti stritolacchio tutta.

 

 

 

                                                                 

                                                                                       

 

 

Perché credi che noi siamo qui sulla terra, Charlie Brown? Per far felici gli altri!


-Peanuts-


 

 

 

 

 

Ginevra sente sotto di sé il legno duro e freddo del parquet di casa sua, mentre le gambe coperte dai pantaloni del pigiama a quadri strusciano su quella superficie solida con un ritmo preciso.

Il telefono è incastrato tra la testa e la spalla, e lei osserva ipnotizzata una mosca che svolazza con il suo brusio irritante intorno al lampadario attaccato al soffitto bianco.

-Ci siamo baciati- Dice come un automa, la voce bassa e quasi tesa, mentre continua ad osservare il nulla sopra di sé.

-E...come è stato?- Ginevra rimane in silenzio e si porta una mano sopra al seno sinistro, lì dove si trova un preciso muscolo che in quel momento sta battendo troppo velocemente per i suoi gusti.

Conta le crepe presenti sul soffitto e poi parla, quasi imbarazzata: -Non so risponderti-

-Oddio, c'ha messo troppa lingua? O forse troppa poca? Non ha mica fatto 'la centrifuga', vero? Se lo ha fatto ti impongo di eliminarlo dal giro delle tue conoscenze!-

-Lory!-

-Lory niente! 'La centrifuga’ ti può traumatizzare per anni, devi stare attenta!-

Ginevra sorride appena e passa il palmo della mano sul tappeto accanto a sé, su quella stoffa morbida che le accarezza la pelle.

Continua a rimanere in silenzio mentre rivive nella sua mente quel momento. E non può farci niente lei, è come un disco che si ripete in continuazione e noi non abbiamo il potere di fermarlo. Quella musica ci entra talmente tanto nella testa che si pensa non ce la dimenticheremo mai e che, nei momenti più improbabili, ci si ritroverà a canticchiare a bassa voce.

-Come stai?- Le domanda Loriana con tono cauto.

-Male-

-Diavolo, è peggio del previsto. Quante te ne sei fatte fuori?-

-Nessuna..-

-Dimmi la verità!-

-Due, soltanto due!- Confessa mordendosi la pellicina dal pollice da cui incominciano ad uscire piccole gocce di sangue che le macchiano anche l'indice dell'altra mano.

-Due tazze di camomilla. Ginevra, tu hai un problema-

-È stato bello, troppo bello. Io...mi viene da vomitare se ci ripenso-

-Questa non mi sembra una cosa molto positiva, però..-

Ginevra sbuffa alzando gli occhi al cielo sentendo le parole mancare. Non riesce a descriverlo, o forse non vuole. Le piace che rimanga un ricordo senza parole ma solo suoni e sguardi.

-Sono felice per te- E la frase di Loriana è quella giusta.

Ginevra sorride imbarazzata e si porta un cuscino sulla faccia su cui nasconde un urlo nato dal nulla e tutti i suoi ricordi.

 

 

 

 

Edoardo aveva un neo dietro al collo, vicino all'attaccatura dei capelli scuri. Lei l'aveva scoperto quando ci aveva passato il palmo della mano sopra, prima che le dita si impigliassero nei suoi ciuffi neri.

Ginevra lo aveva osservato ed aveva affermato che anche Gigi D'Alessio ne aveva uno simile.

Edoardo l'aveva baciata per farla stare zitta e perché sentiva una risata graffiargli i polmoni per uscire dalla sua bocca occupata.

Si baciavano ad occhi aperti, ma li socchiudevano quando il bacio diventava qualcosa di più intimo, quando la distanza tra le loro pelli scompariva.

Una mano di Edoardo era finita sul suo fianco e glielo accarezzava da sopra la maglia larga, senza essere mai troppo invadente, senza voler esagerare troppo.

Ginevra invece lo toccava, lo studiava, lo scopriva con le mani, con le labbra e con lo sguardo.

Stava scoprendo piccoli dettagli di lui che non avrebbe confessato a nessuno.

Era tutto uno scoprire e catalogare nella mente.

Si baciavano lentamente, quasi come se stessero vivendo una scena a rallentatore. Altre volte, invece, con una passione che nessuno dei due credeva di possedere ed era in quei momenti che Edoardo le prendeva il viso con entrambe le mani e la costringeva ad alzarsi sulle punte dei piedi per riuscire a baciarla meglio, lasciando che lei si appoggiasse a lui e lo stringesse forte facendogli quasi mancare l'aria che era lei a donargli.

Le lingue si intrecciavano, si scoprivano, toglievano il respiro e cancellavano il tempo delle parole superflue.

Piccoli e flebili gemiti uscivano dalle labbra di Ginevra che si stringeva a lui, lo abbracciava con le sue braccia fragili e gli sorrideva.

Nei loro occhi la medesima sorpresa.

E ancora baci, baci, baci...

 

 

 

 

-Gin...-

-Lo so-

-Te ne rendi conto?-

-Si..-

-Ti voglio bene-

-Anch'io, Lory-

-E non gliela dare subito, aspetta almeno qualche giorno per fargli credere che sei una ragazza seria-

-Hey! Ma io sono una..-

-Una porca, lo so. D'altronde sei sorella di mio marito!-

 

 

 

 

 

Edoardo è seduto dietro la scrivania del Call Center, tra quelle tre mura soffocanti, e sta disegnando quella che sembra una finestra su un foglio di carta bianco davanti a lui.

Dalla borsa a tracolla poco lontana dal suo braccio, spuntano dei fogli colorati con colori vivaci. Quelli sono alcuni disegni che Chiara ha fatto la scorsa settimana a scuola, durante l'ora di educazione artistica.

L'insegnante glieli ha consegnati personalmente ieri pomeriggio quando è andato al colloquio genitori-insegnanti che si tiene ogni anno a fine quadrimestre.

La signorina Antonia Covalossi ha definito Chiara 'un autentico talento nel disegnare'. Quando ha chiesto ad Edoardo se qualcuno nella loro famiglia avesse avuto a che fare con l'arte oppure sapesse disegnare lui ha subito negato e se ne è andato in fretta e furia da quell'aula soffocante.

Troppe domande, per i suoi gusti.

Mentre ripassa la matita sui bordi del vetro disegnato, sente la voce severa del direttore Sireni avvicinarsi alla sua scrivania.

Edoardo nasconde subito il foglio sotto la tastiera del computer e si infila velocemente le cuffie attaccate al monitor.

L'uomo passa lentamente di fianco a lui, muovendosi silenzioso alle sue spalle, si ferma alla sua sinistra, abbassandosi vicino al suo orecchio.

-Ricordati la fine di Porcellino69..- Gli sussurra a bassa voce, facendolo sobbalzare sulla sedia girevole.

-Nessun sito porno, ho capito-

-Amato, ti tengo..-

-D'occhio. Lo so-

L'uomo – le cui stempiature sulla fronte sembrano essersi allargate nel giro di qualche giorno- si allontana indispettito da Edoardo e richiama qualche impiegato trovato a non lavorare o lontano dalla propria scrivania.

Distratto dalla conversazione avuta con il direttore, non si accorge subito della voce pimpante al di là della parete alla sua sinistra. Sono passati due giorni dall'ultima volta che l'ha sentita.

-Mamma? Non ci potrai credere! Indovina chi si è appena fracassata un polso in bicicletta? Ma io! Sono cascata davanti al semaforo rosso. Lo so, mamma. È da quando ho dodici anni che non porto più le polsiere...Certo, mamma. Comunque, la vuoi sentire la storia che ti voglio raccontare oggi?-

Edoardo appoggia il mento sulle braccia che ha incrociato sopra la scrivania e chiude gli occhi.

 

 

 

'Era il 2006 ed era l'anno dei mondiali di calcio. A me del calcio non è mai fregato niente, ma al bar 'Puccioni&figli' quell'anno il proprietario aveva assunto un giovane universitario della facoltà di lettere, in modo che lo aiutasse durante il periodo estivo e nei pomeriggi in cui i clienti appassionati andavano a vedere le partite tra le nazioni.

Si chiamava Giuseppe ma tutti lo chiamavano Peppe.

Non era bellissimo, anzi, piuttosto anonimo e con gli occhi troppo grandi per il viso allungato. Era gentile però, talmente gentile -e te sai che adoro le persone gentili- che tempo una settimana me ne innamorai. Lo so, sembra la solita storia ma in realtà non lo è. Io Peppe lo amavo davvero.

Era gentile, simpatico, mi offriva ogni pomeriggio alle quindici la cedrata fresca e si sedeva al mio stesso tavolino, fuori nel giardino interno del bar e chiacchieravamo per ore fino a quando sentivamo gli stomaci incominciare a brontolare per la fame. Dimagrii tre kg quando mi misi con lui!

A differenza mia però, era un patito di calcio.

Alle sedici in punto si sedeva insieme ad alcuni clienti del bar davanti alla televisione a schermo piatto nella sala fumatori e si guardava le partite dei mondiali. Urlavano, si picchiavano, tiravano bicchieri e bestemmiavano infamando il povero Cristo. Peppe si trasformava per quei '90 minuti.

Nessuno è perfetto però, vero mamma?

Bè, è per questo che continuai ad accettare Peppe e le sue cedrate fresche. Mi ero innamorata di lui e il suo lato bellicoso durante le partite non mi dispiaceva più di tanto.

Fu durante la partita Germania- Portogallo però, che qualcosa andò storto.

La mamma di Peppe, la signora Consulo De Marcianita, era di origini portoghesi da parte di padre. Quando il Portogallo perse, quella sera, Peppe distrusse il televisore a schermo piatto tirandoci contro un boccale di birra e spaccò una sedia in testa a Giancarlo Didoli, il fioraio vicino a casa nostra. Fu denunciato dal proprietario del bar e finì in carcere per sei mesi.

Mamma, la delusione più grande della mia vita!'

 

 

 

 

 

 

-Chiara!-

-No!-

-Vieni subito qui-

-Mai!-

Edoardo si alza di corsa dalla sedia in cucina e corre in salotto inseguendo Chiara che indossa ancora il pigiama nonostante sia quasi mezzogiorno.

La bambina sale sul divano con le ciabatte che indossa ai piedi e si posiziona sul naso gli occhiali che le sono scivolati durante la fuga dal fratello.

Edoardo è sulla soglia del salotto con un flacone di sciroppo in mano e un cucchiaio nell'altra.

-Se non torni in cucina..-

-Niente! Non fai niente!-

-Vendo il lettore VHS-

-No! Non puoi!- Chiara cade in ginocchio sul divano e si copre il volto sudato e arrossato con le mani piccole.

-Chiara, smettila di fare la lagna-

Le spalle della bambina incominciano a tremare e alcuni colpi di tosse la scuotono leggermente.

Edoardo le si avvicina lentamente e le sfiora una spalla. Lei scosta la sua mano con forza e corre nella sua camera, sbattendo la porta.

E dire che mancano ancora parecchi anni all'adolescenza.

Edoardo attraversa il salotto ed entra nella camera buia senza bussare. Chiara è sdraiata sul suo letto con la testa nascosta sotto ad un pupazzo e le spalle ancora tremanti.

Suo fratello si siede ai suoi piedi ed appoggia le braccia sulle cosce, guardando il poster che ritrae un cartone animato appeso al muro bianco davanti a sé.

-Chiara...devi prendere lo sciroppo-

Nessun segno dall'altra parte.

-Chiara, non fa schifo. Lo sai benissimo, perché oggi devi fare queste scene?-

-Non sono scene, mi fa vomitare quello sciroppo!- Biascica la bambina a bassa voce, interrompendosi per un colpo di tosse secca che la fa tremare tutta e lacrimare gli occhi già lucidi.

Edoardo si inginocchia davanti al suo viso e le accarezza una guancia umida.

-Prendi lo sciroppo- Le dice a voce bassa, usando un tono calmo e paziente di voce.

-No!-

-Se vuoi fare la bambina, continua a fare la bambina. Io mi sono stancato-

Appoggia il flacone e il cucchiaio sul comodino accanto a letto, producendo un tonfo sordo, ed esce dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.

Dall'altra parte della porta riesce a sentire i singhiozzi soffocati di sua sorella.

 

 

 

 

 

Edoardo accarezza lentamente alcuni ciuffi scomposti sulla fronte sudata della bambina che tiene tra le braccia; le sue guance sono accaldate ed i capelli sul collo sudati.

Il ragazzo se la stringe al petto, appoggiando il capo sul cuscino del suo letto, sentendo il suo respiro -ora- calmo sopra la maglietta che indossa.

Chiara lo ha raggiunto in camera sua qualche ora fa, ancora lacrimante e con gli gonfi, che non riusciva a respirare per la tosse.

Si è buttata su letto e si è rannicchiata al suo fianco, ammettendo riluttante e a bassa voce, di aver preso lo sciroppo e di essere dispiaciuta per essersi comportata in quel modo.

Edoardo la sta abbracciando da quel momento, coccolandola e accarezzandola senza riuscire a toglierle le mani di dosso.

Per farla addormentare non c'è voluto molto: qualche carezza sopra le palpebre e dopo pochi minuti era già nel mondo dei sogni. Ha sempre fatto così anche quando era piccola e di dormire non ne voleva sapere.

Il ragazzo la copre meglio con il piumone caldo e scende lentamente dal letto, avvicinandosi alla finestra per chiudere le persiane oscurando la stanza.

È appena entrato in cucina quando il suo cellulare squilla.

-Pronto?-

-Edoardo? Ciao! Hey, sono io! Cioè, io Ginevra! Non mi ricordavo se avevi il mio numero salvato per cui volevo evitare di fare figur..-

-Ciao-

La interrompe, con la sua voce bassa -così diversa dalla sua-, sedendosi sulla sedia di paglia in cucina, appoggiando le braccia scoperte sul tavolino freddo.

-Ciao. Come stai?-

-Bene-

-Anch'io, ho un po' di mal di gola, se devo essere sincera. Dovrei andare in farmacia a prendermi qualcosa, delle caramelle, uno spray, ma l'altra mattina c'era una fila immensa! Ho avuto sinceramente paura e non ho più voluto entrarci-

-Sono traumi-

-Esatto! Come quando in terza elementare stavo per affogare con della liquirizia: non ne ho più toccato un pezzo-

-Io l'adoro-

-Davvero?! Pensavo non ci fosse niente che tu potessi adorare!-

-Mi piacciono anche le ciliegie-

-Non ci credo! Anche a me! Mio nonno ha un frutteto in Emilia Romagna ed ogni anno...-

Edoardo si accomoda sulla sedia, appoggiando la guancia sulla superficie fredda del tavolo e mettendo il vivavoce al cellulare.

Ascolta il racconto di Ginevra ad occhi chiusi, quasi come se gli stesse raccontando una favola bellissima a bassa voce, quasi come se gliela sussurrasse direttamente nell'orecchio.

Sorride, sentendola espandersi per tutta la stanza, entrargli nel cervello.

Farebbe di tutto, per non farla mai smettere di parlare.

 

 

 

 

Lei sta parlando da quando è entrato in casa qualche minuto prima, non ha smesso per un solo secondo e lui non ha aperto bocca. Si è limitato ad ascoltarla e studiarla in silenzio; come sempre, d'altronde. Gli torna in mente per un attimo la chiamata che hanno avuto qualche ora prima, il suo invito a cena impacciato:

 

 

-Allora...vuoi?-

-Cosa?-

-Ma non hai seguito cosa ti stavo dicendo? Lo so, sono talmente pedante che neanche Leopoldo mi sta più a sent..-

-Ripeto: cos'è che devo volere?-

-Venire a cena da me-

-Stasera?-

-Si, ma non è un appuntamento eh!-

-E cos'è?-

-Un incontro di svago e chiacchiere tra due persone che dispongono di una spiccata personalità e tempo libero da poter impiegare in vario modo!-

-A che ora?-

-Alle sette e venticinque. Dopo c'è CIS e non me lo posso perdere-

-Ci sarò-

 

 

Edoardo osserva Ginevra che si muove nella sua cucina, con le solite ciabatte di pelo rosa ai piedi e i capelli legati in una treccia complicata che si posa sulla spalla destra.

Sorride, Edoardo, e incrocia le braccia al petto guardandola mentre si lega un grembiule rosso intorno alla vita e tira fuori due pentole da una credenza troppo in alto per lei.

-...e si, sono ossessionata dalle calamite a forma di gatto e le pantofole di pelo, rosa, preferibilmente-

-A forma di gatto?-

-Si! Quando avevo dodici o tredici anni collezionavo le calamite dei gatti di tutte le razze. Molte me le aveva regalate il veterinario del paese, un certo Giancarlo Orsini.. forse Ossetti, non mi ricordo. Lui era...perché fai quella faccia?- Gli chiede lei appoggiandosi ai fornelli, studiandolo in volto mentre di sottofondo si sente la sigla del telegiornale della sera.

-Troppe parole, posso baciarti?-

Ginevra arrossisce e si gratta la base del collo, scoppiando subito dopo a ridere. È nervosa ed è in imbarazzo come non lo è mai stata prima in sua presenza.

-Smettila-

-Di fare cosa?-

-Di mettermi in imbarazzo. Di essere...così come sei-

-E come sono?-

-Perfetto- Glielo dice guardandolo negli occhi, nonostante senta le guance andare a fuoco e gli occhi lucidi per l'emozione.

Edoardo scuote la testa e chiude gli occhi appoggiandosi con la fronte ad uno sportello di colore arancione.

-Non sono perfetto-

-Ma baci bene- Edoardo scoppia a ridere senza riuscire a trattenersi. Si sente in imbarazzo, in soggezione, felice, emozionato. Si sente esattamente come lei.

-Vuoi un altro bacio?- Chiede a Ginevra, guardandola di sbieco mentre abbassa di qualche tono la sua voce, rendendo quel momento più intimo, più loro.

-Ma prima non dovremmo cenare? Cioè, ci possiamo baciare anche prima di cena?- Chiede Ginevra, corrugando le sopracciglia e trovandosi un secondo dopo le labbra di Edoardo sopra le sue.

È bello ritrovare il suo sapore, la ruvidezza della sua barba ed il neo dietro al collo.

È bello farsi di nuovo baciare da lui, sentirsi abbracciare mentre l'angolo della tavola le si sta conficcando nella schiena, nell'aria c'è l'odore del risotto ai totani che cuoce sul fornello e il telegiornale sta trasmettendo un servizio di cronaca nera.

È...semplicemente bello.

 

 

 

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Capitolo 17
*** Scoprire. ***


 

 

Buona lettura e un grazie di cuore. Per tutto.

Giulia :)

Ps. Link gruppo Facebook : http://www.facebook.com/#!/groups/262965880410553/




 

Lucy: ”Domani è il compleanno di Beethoven...cosa mi regali?”

Schroeder: ”Non ti regalo un bel niente e sai Perchè? Perchè a te di Beethoven non importa niente! Non ti è mai importato! Non ti importa che soffrisse! Non ti importa che avesse dei dolori allo stomaco e che fosse privo dell’udito!

Non ti è mai importato che la contessa l’abbia respinto o che Therese abbia sposato il barone invece di lui, o che Lobkowitz gli abbia sospeso l’assegno!”

Lucy: ”Se la contessa non lo avesse respinto me lo avresti fatto il regalo?”


-Peanuts-




 

Ginevra ha sempre i piedi freddi, le piace mangiare con le mani, le fa schifo la parte grassa del prosciutto e guarda vecchi film in bianco e nero perché pensa ci sia più amore, in quei film.

Edoardo le fa domande su domande e la ascolta mentre, seduta a gambe incrociate sul parquet del salotto, elenca tutti i nomi dei suoi compagni della scuola elementare, quante volte è caduta dal motorino quando aveva quindici anni e i cibi a cui è allergica.

Mangia il cuscus -che ha ordinato al messicano sotto casa quando il risotto ai totani, dimenticato sul fornello acceso, si è bruciato- con le mani, fregandosene di sporcarsi i vestiti e ridendo a bocca piena.

Edoardo mangia la sua cena seduto sul pavimento davanti a lei -usando la forchetta, però- e i suoi occhi non lasciano la sua figura nemmeno un attimo.

La guarda mentre gli parla con veemenza di quella ragazzina che in terza media le rubò il fidanzato e del concerto dei Pink Floyd a cui non è mai andata ma a cui vorrebbe tanto andare.

Ride -con lo stomaco, i polmoni, la faccia- quando la vede alzarsi in piedi, mettere un cd di Bob Dylan nello stereo e incominciare a muoversi al centro del salotto, sotto le note di Blowin' in the wind.

Edoardo non ha mai visto una persona ballare così male.

Non ha nemmeno mai riso così tanto. Gli fa male la bocca per i sorrisi che gli sta regalando.

-Siediti-

-No! Balla anche te!-

-No, grazie. Preferisco guardare la tua...ottima performance-

Ginevra ride e fa una giravolta scoordinata davanti al televisore, tornando a sedersi sul pavimento e bevendo avidamente dal suo bicchiere di vetro l'ultimo sorso di vino.

-Adoro ballare- Gli confessa, addentando una fetta di pane. La coda in cui aveva legato i capelli scuri si è sfatta durante il ballo ed ora dei ciuffi scomposti le ricadono sul viso e sulle spalle. I suoi occhi sono arrossati per il vino rosso che hanno bevuto e per i movimenti dell'ultimo minuto.

Il suo respiro è accelerato e lei, invece di riprendere fiato, torna a parlare rapidamente.

-Adoro ballare, ma non ho mai preso lezioni-

-Si vede-

Ginevra ride all' affermazione del ragazzo e si inginocchia davanti al lettore DVD per inserire Casa Blanca, un film che adora e che il ragazzo dice di non aver mai visto in vita sua.

-Ho preso qualche lezione di danza quando avevo quindici anni, ad un corso che si teneva dopo la scuola in una palestra vicino casa. Ci andavo così, tanto per fare qualcosa durante il pomeriggio-

-Poi, cosa è successo? Ti hanno cacciata via?- Edoardo sorride mentre il film parte con una malinconica canzone di sottofondo.

-No, mio padre se n’è andato di casa ed io ho smesso di prendere lezioni-

Rimangono entrambi in silenzio dopo quell'affermazione. Ginevra continua a sorridere pulendosi le mani con un tovagliolo di carta; gli occhi bassi, timidi.

Edoardo posa il suo piatto sul pavimento e getta un'occhiata al televisore -unica luce che illumina i loro volti- e osserva le prime scene sfuocate del film.

-Perché se n'è andato?-

-Aveva un'amante. Da tempo, tanto tempo. Lui lavorava come infermiere in una clinica privata e lei era una chirurga molto conosciuta nel suo campo.

Ha operato anche me di appendicite, mi ricordo. Era così gentile, simpatica e aveva dei denti perfetti, bianchi come la neve. Mi ricordo che avrei voluto avere un sorriso bello come il suo-

C'è malinconia nel suo tono, una voce fioca che ricorda i pensieri di una bambina ingenua.

Edoardo si alza in piedi e porta entrambi i piatti in cucina, li posa all'interno dell'acquaio ed apre il rubinetto, attendendo che l'acqua diventi tiepida.

Ginevra lo raggiunge qualche secondo più tardi con i bicchieri usati e la bottiglia di vino ormai vuota tra le mani. Appoggia tutto sul tavolo e si siede lentamente sulla sedia di paglia, osservando il ragazzo cercare il detersivo negli sportelli alti.

-Armadietto in basso a destra. Lascia tutto com'è, faccio io domani mattina-

-Mi piace lavare i piatti, mi rilassa-

Ginevra appoggia una guancia arrossata sul tavolo freddo ed osserva le spalle del ragazzo muoversi seguendo i movimenti delle sue mani.

Ha i capelli scompigliati e leggermente più lunghi sul collo. Allunga una mano nella sua direzione, senza farsi vedere, consapevole della distanza tra di loro.

Alla mente le ritorna il ricordo del bacio -molti baci- che si sono scambiati appena qualche ora prima.

Le sue labbra sapevano di miele, lo stesso sapore che avevano le caramelle che sua nonna Lina le regalava quando andava a casa sua a mangiare dopo la scuola.

Si ricorda che le teneva nascoste all'interno di una vetrina, in una scatola rossa con un angioletto sopra e che un tempo era stata una bomboniera.

Erano così buone quelle caramelle.

-Quando papà se n’è andato non è stato un bel momento per me, per mio fratello e per mia madre. Avevamo pochi soldi, mio fratello aveva perso la sua figura di riferimento con cui passava il pomeriggio a giocare a calcio nel cortile ed io non sorridevo più.

Mi sembrava tutto così nero.

Quando le cose sono iniziate piano piano a migliorare, sono iniziati gli attacchi di panico di mia madre. Io avevo ventidue anni e mio fratello venticinque. Abitavamo ognuno per conto suo, Nicola abitava insieme a Loriana da qualche anno ormai.

I primi attacchi succedevano sempre di notte, di solito quando la sera prima eravamo stati a cena tutti insieme da lei.

Da uno al mese a cinque ogni due settimane. Quando sentivo squillare il telefono alle cinque del mattino avrei voluto uccidermi. L'abbiamo portata da un neurologo, da uno psicologo e da uno psichiatra, i più bravi di Bologna.

Solo dopo qualche mese abbiamo capito che la sua era solo paura di restare da sola.

Soffriva di solitudine-

Edoardo strofina lentamente la spugnetta sul fondo di una pentola nera, ascoltando attentamente le sue parole. Non si gira a guardarla; sa come sono i suoi occhi in quel momento, cosa stanno esprimendo. La lascia insieme ai suoi ricordi, come se fosse da sola in quella stanza.

-Le abbiamo comprato un appartamento vicino casa di mio fratello, un gatto rosso che dopo qualche settimana è scappato e due tartarughe di terra. La chiamavo ad ogni ora, le facevo ascoltare la mia voce e le promettevo che la sarei andata a trovare la sera. Nicola faceva dei turni mostruosi a lavoro solo per passare la mattinata con lei.

Era un inferno. Per questo me ne sono andata e mi sono trasferita qui.

Ho lasciato tutto nelle mani di mio fratello e mia cognata perché non ce la facevo più. Ho abbandonato mia madre.

Non sai quante volte mi sono pentita della scelta che ho fatto-

Per un lungo periodo, Ginevra non aveva sorriso e la sua bella voce era stata udita poche volte. Sciarpe colorate lasciate ad ammuffire nell'armadio insieme alla sua allegria.

Era una persona spenta.

-Ora come sta?- Le chiede il ragazzo, chiudendo il rubinetto e asciugandosi le mani ad uno strofinaccio.

-Bene, l'ultimo attacco risale a marzo dell'anno scorso. E questo perché frequenta un corso di tango e salsa insieme ad una sua compagna di Tombola!- Sorride Ginevra, la voce di nuovo allegra e piena di vita.

-La chiamo ogni mattina per dirle come sto e lei vuole che le racconti qualche aneddoto della mia vita. Dice che la fanno sentire più vicina a me, come se in realtà non fossimo lontane centinaia di chilometri-

Il ragazzo sorride, pensando a tutte quelle telefonate con cui ha iniziato a conoscerla. A quella voce così bella e allegra che lo ha spinto a sapere a chi appartenesse.

Chi fosse quella persona speciale che raccontava la sua vita a piccoli sorsi.

-Andiamo-

-Dove?- Chiede Ginevra aggrottando la fronte confusa e appoggiando il viso sul palmo della mano.

-Voglio farti vedere un po' di bellezza anch'io-

 

 

 

 

 

 

Ginevra ha gli occhi leggermente lucidi mentre appoggia lentamente la mano su quella parete ruvida colorata con colori accesi. Ce la passa sopra delicatamente, quasi avesse paura di sporcarsi la pelle con la tinta asciugata anni fa o di rovinare il disegno perfetto.

È qualcosa di talmente bello che le toglie il fiato.

Rimane in silenzio ad osservare l'opera davanti a sè, dimenticandosi anche di indossare la giacca che giace ai suoi piedi, sopra l'erba umida di quella sera fredda.

Il fiato le si condensa davanti alla bocca e le guance sono arrossate per la corsa che ha fatto dalla fermata dell'autobus fino a quel punto sperduto in un campo di grano.

Non ha la minima idea di dove siano.

-Un tempo qui c'era una fattoria, era di proprietà del nonno di un mio compagno delle superiori.

Quando il nonno morì, noi avevamo diciannove anni e l'edificio fu raso al suolo: rimase in piedi soltanto questo muro alto appena due metri. Io ed alcuni amici ci venivamo la notte a disegnare murales, a fumare canne seduti sulla staccionata lì in fondo, aspettando che sorgesse l'alba. Certe volte ci abbiamo fatto un falò e passato Ferragosto con un fiasco di vino rosso. Era diventato il nostro campo, il nostro muro-

Ginevra non ha mai sentito Edoardo parlare così tanto, le tante sfumature della sua voce e il tremolio di alcune sillabe.

È immobile vicino a lei, di spalle al murales, che guarda il campo spoglio che sembra non avere una fine.

-Dicevano che avessi l'arte nel sangue. Che sarei diventato un artista affermato e che avrei disegnato fino a quando non avessi perso l'uso della mano-

Edoardo fa qualche passo in avanti, osservando il nulla davanti a sè e cercando di ricordare alcuni dettagli di quel posto che non vedeva da dieci anni. La terra scura però, sembra essere la stessa di tanto tempo fa.

-Chissà cosa direbbero tutti quelli che credevano in me vedendomi adesso...-

Ginevra lo affianca, lo sguardo sempre rivolto all'opera che ha davanti; allunga un braccio e stringe le dita ghiacciate nella sua mano, donandogli un minimo di calore.

-Chi è questo ragazzo?-

Edoardo getta un'occhiata di sbieco al murales alle sue spalle.

-Il mio migliore amico. Non so più niente di lui da anni. Non so nemmeno se è ancora vivo-

Ginevra osserva il sorriso tratteggiato con della tinta nera, sul volto di quel giovane ragazzo che in quel momento sembra quasi essere realmente lì, davanti a loro.

-Gli volevi bene-

-Chi te lo dice?-

-Questo disegno. Tu parli attraverso colori e linee-

Edoardo sorride alzando la testa verso il cielo.

Quando dipinse il volto del suo migliore amico, si ricorda che era una sera come quella, forse c'era più nebbia e risate libere e fresche nell'aria.

Il ragazzo si china verso Ginevra, lasciandole un bacio sulla testa e un altro vicino all'orecchio.

-Quindi sono pessimo come oratore?-

-Si- Ginevra ride appena, guardandolo negli occhi prima di posare le labbra sulla sua guancia ispida. Ride per quel freddo che le sta congelando le ossa e le fa gocciolare il naso; ride per la sensazione della ruvidezza della barba a contatto con la sua pelle; ride perché ha scoperto un pezzo di Edoardo.

-Torniamo a casa?-

-E il tuo migliore amico?-

Gli chiede Ginevra abbracciandolo stretto e guardandolo negli occhi neri.

Lui guarda il suo disegno leggermente sbiadito e sorride.

-Magari lo chiamo uno di questi giorni-

 

 

 

 

 

 

 

 

Edoardo sale velocemente gli scalini del suo palazzo, fermandosi davanti alla porta dell'appartamento di Angelica.

Suona una, due volte. Tenta anche di bussare, ma non si sente nessun rumore dall'altra parte. Solo silenzio.

Si avvicina al portone del suo bilocale, credendo che siano lì, quando sente la serratura della sua vicina scattare con un rumore secco. La donna compare sull'uscio della porta con i capelli scompigliati, la fronte sudata e gli occhi gonfi. Gli fa segno di entrare ed Edoardo entra velocemente in casa, scandagliandola alla ricerca della figura minuta della sorella.

-Dov'è?-

-In camera. Ha la febbre, alta-

-Perché diavolo non mi hai chiamato?!- Le domanda a voce alta, allontanandosi a lunghi passi per raggiungere l'ultima stanza in fondo ad un corridoio.

Angelica si tormenta le mani che ha raccolto vicino al petto e trema leggermente davanti al tono di voce del ragazzo.

Un tono di voce spaventato e tormentato.

-Ti ho chiamato, cinque volte per la precisione-

Edoardo si ferma davanti alla porta e si tasta le tasche anteriori dei jeans, poi controlla quelle del cappotto pesante. Si è dimenticato il cellulare a casa prima di uscire, talmente preso dal pensiero di raggiungere Ginevra.

Non gli era mai successo prima.

Quando entra nella stanza in penombra, nota subito il corpo steso di Chiara che si rigira tra le coperte pesanti: è sudata, i capelli scompigliati e il respiro affannoso.

Il ragazzo si siede sul bordo del letto, posando subito la sua mano sulla guancia arrossata e le labbra sulla fronte calda.

-Pizzica..- Biascica la bambina, riferendosi alla barba del fratello.

-Domani me la taglio, ok? Anzi, me la tagli te, va bene? Va bene, Chiara?-

La bambina annuisce quando un colpo di tosse la costringe a mettersi a sedere sul letto, chinandosi in avanti sorretta dalle mani forti di Edoardo.

Le mani del suo bellissimo e fortissimo eroe che è appena venuto a salvarla da tutto quel caldo e freddo che la fa tremare e sudare.

Lui la prende tra le braccia, mentre Angelica la copre con un plaid caldo.

Lo sguardo di Edoardo è colpevole e sta chiedendo scusa alla donna per le parole accusatorie che le ha rivolto poco prima.

Non apre bocca ed esce silenzioso nel pianerottolo, per poi entrare nel suo appartamento, lasciando che la porta si chiuda da sola.

Angelica riesce a malapena a sentire Chiara che, con voce flebile, dice: -Dado, ma davvero ti posso fare la barba?-

 

 

 



 

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Capitolo 18
*** Questa notte è ancora nostra. ***


 

Tranquilli, questi due non li abbandono.

Ci litigo spesso, ma abbandonare mai.

Grazie in anticipo a tutti voi che leggerete.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Charlie Brown: ”A volte la notte resto sveglio a pensare alla ragazzina coi capelli rossi. Non voglio dimenticare mai la sua faccia ma se non la dimentico impazzirò.

Come posso ricordare il volto che non so dimenticare?

Eccomi trasformato di colpo in un cantautore!”

 

-Peanuts-

 

 

 

 

 

 

 

Edoardo nella sua vita ha dato tanto, forse troppo - tempo, denaro, amore, speranze, pensieri - senza ricevere mai niente in cambio.  

Solo con Chiara, Edoardo è sempre stato disposto a dare, qualsiasi cosa, ricevendo in cambio solo dei sorrisi che delle volte valevano come oro colato.  

Lei è sempre stata l'eccezione nella sua vita: l’unica donna per cui avrebbe fatto di tutto, per cui si sarebbe lasciato cadere nel vuoto e si sarebbe fatto asportare perfino la pelle.  

Con Chiara, Edoardo cerca di riempire il silenzio assordante in cui si crogiola da quando è nato. Quel silenzio in cui si trovava a suo agio e che lo faceva sentire sereno.

Non felice, però.

È Chiara che in quel momento il ragazzo sta osservando mentre mangia seduta al tavolo da pranzo.

La guarda mentre con il cucchiaio gioca con un chicco di riso e lo porta fino al bordo del piatto. Lascia che si raffreddi, perché lei odia scottarsi la lingua con il cibo troppo caldo.  

Ha i capelli scuri appiccicati alla fronte sudata e come pigiama una maglia smessa di suo fratello che le arriva fino quasi ai piedi. Dice che si sente comoda, con quella addosso, e che il suo profumo le fa fare dei sogni più tranquilli.  

Da quando glielo ha detto, Edoardo non ha smesso un attimo di sorridere.  

Le guance di sua sorella sono ancora rosse per la febbre e i suoi occhi cerchiati da leggere occhiaie violacee. Quella notte, infatti, non ha dormito più di tre ore, svegliata da alcuni attacchi di tosse oppure per gli incubi. Edoardo non ha chiuso occhio, invece. Ha passato la notte con il telefono vicino, sperando di non dover chiamare la guardia medica per una seconda volta.

 È rimasto sveglio a guardare un cartone giapponese alla televisione senza volume, mangiando dell'uva troppo matura che gli aveva messo una sete incredibile; ha dovuto bere l'acqua del rubinetto perché quella nelle bottiglie di plastica era finita.  

- Devi mangiare. -  

- Lo so, ma ora è troppo caldo. Aspetto cinque minuti e venti secondi. -  

- Facciamo quattro minuti e ti do solo una pasticca di vitamina C. -  

- Sei un ricattatore! - Lo accusa la bambina, alzando il cucchiaio colmo di riso nella sua direzione. Qualche chicco cade sulla tavola senza tovaglia, arrivando vicino alla mano di Edoardo.  Lui sorride e apre il giornale. Lo ha trovato sotto alla porta di casa quella mattina; fuori dal portone c'era anche una bottiglia di latte fresco, dei biscotti al cioccolato e un'altra confezione di antipiretici per bambini.  

È stata Angelica prima di andare a lavoro: Edoardo l'ha sentita mentre usciva di casa e posava la roba sul pianerottolo. Era in ritardo, stranamente.

Forse anche lei ha passato la notte senza dormire per l'ansia. Vuole molto bene a Chiara.  

- Dado, ma non vai a lavoro oggi? -  

- No, ho chiesto un permesso per stare con te. -  Chiara fa un sorriso larghissimo e poi inizia a dondolare i piedi sotto al tavolo.

- Guardiamo un film dopo? -  

- Prima finisci il riso e prendi la vitamina. -  

- Non ho tanta fame. -  Edoardo prende un altro cucchiaio da dentro il cassetto vicino al forno e inizia ad imboccarla. Chiara ride forte rischiando di strozzarsi e cerca di prendere con le mani il riso che sta cadendo sulla sua maglia e sul pavimento.  

- L'ultima volta che ti ho imboccato avevi quattro anni! -  

- Macché, cinque. Eravamo alla pizzeria vicino a scuola mia ed io non volevo finire la mia pizza al salamino perché dicevo che era troppo piccante. -  

Il ragazzo rimane stupito dalla memoria della sorella. È un dono che lo riempie di orgoglio, come se fosse un qualcosa di veramente speciale. Per lui però è davvero speciale il suo ricordarsi ogni momento, ogni piccolo dettaglio come messo a fuoco dal suo cervello.  

- Adesso nei hai otto di anni, sei grande abbastanza per finire questo riso da sola, che ne dici? -  Lei annuisce e prende una grande cucchiaiata che finisce dritta dritta tra le sue labbra. Mastica a bocca aperta e suo fratello la osserva sorridendo.  

Dopo qualche minuto guarda il giornale davanti a sé e legge le notizie di attualità. La parola 'crisi' è scritta in neretto ovunque. Quella parola gli mette ansia come gli articoli che vengono scritti da dei giornalisti troppo ottimisti.  

Lui la crisi la sente sulla sua pelle.  

- Finito! - Urla Chiara scendendo con un salto dalla sedia per correre in salotto buttandosi sul divano. La televisione è già accesa e lei infila subito un VHS nel lettore delle videocassette che ormai sarebbe da buttare.  

- Free Willy? Per favore, quella è la videocassetta che va peggio. Il novanta per cento delle scene non si vedono. -  

- Lo so ma a me piace ascoltare. Siediti vicino a me e prendi la vitamina C anche te che ti fa bene. -  

Edoardo con Chiara dà tanto e riceve in cambio molto più di quello che si meriterebbe.  

 

 

 

 

 

 

 

"Mamma, ti ricordi quando a diciassette anni volevo per forza le lentiggini sul volto?

Tu mi dicesti che se io ero nata senza e mio fratello con il viso pieno, non era di certo colpa mia e nemmeno tua. Tu l'amore con babbo l'avevi fatto pensando a campi di grano e spremute d'arancia. Io a quel tempo rimasi traumatizzata da quell'immagine, te lo ricordi?  

Comunque, avevo diciassette anni e volevo a tutti i costi le lentiggini. Le volevo come quelle di Beatrice Mirabelli, una mia compagna dell'università.

Era bellissima, mamma: aveva gli occhi azzurri come le pareti della camera di Nicola, i denti bianchissimi e perfetti, i capelli quasi arancioni e le lentiggini. Indossava un vestito bianco per venire a lezione la mattina che tutte le ragazze le invidiavano.

Diceva che se l'era fatto cucire su misura da uno stilista francese. Diceva anche che prima o poi l'avrebbe presa a recitare in un film straniero.  Tutti la invidiavano, me compresa, ed i ragazzi volevano avere il suo numero a tutti i costi ma lei non cedeva a nessuno.  

Verso agosto dovevamo dare un esame di letteratura medievale insieme e mi chiese di andare a studiare a casa sua. Rimasi sorpresa da quella sua richiesta ma accettai senza remore, curiosa di conoscere meglio Beatrice Mirabelli. E quel pomeriggio la conobbi veramente: Beatrice viveva in un garage in affitto, mamma, insieme a suo fratello di cinque anni e una madre che c'era e non c'era.  

Mi disse che da quando il padre se ne era andato di casa loro non ce la facevano andare avanti, che avevano dovuto vedere la casa dove stavano e che lei avrebbe dovuto smettere di frequentare l'università tra qualche mese. Suo fratello mi ricordo che se ne stava sul letto matrimoniale dalle lenzuola bianche a colorare e a bere tè caldo mentre noi studiavamo. Io in verità, mamma, quel pomeriggio non riuscii a studiare. Pensavo a Beatrice e mi sentivo male, male davvero.

Prima di uscire dalla porta di casa mi disse che quel vestito se lo era cucita da sola. Dopo quel giorno, non la vidi più."  

 

 

 

 

Ginevra ripensa spesso a quel pomeriggio insieme a Beatrice Mirabelli. Fu una delle giornate più brutte della sua vita.

Si rese conto di cosa volesse dire veramente 'l'apparenza inganna' e di come quella ragazza stesse soffrendo dietro gli occhi azzurri e le lentiggini scure.

Non ha mai raccontato a nessuno cosa le fu detto quel giorno a bassa voce dentro ad una stanza in penombra, illuminata solo da una lampada a muro; lo confessa in quella telefonata a sua madre.

Non sa nemmeno lei bene il perché.

Forse perché la notte prima ha sognato quella ragazza o forse per le notizie che circolano nel call center da qualche giorno.  Voci che dicono che l'impiegata che lavora nel blocco 34 sia stata abbandonata dal marito dopo due mesi di matrimonio e che ora si ritrovi incinta e senza un soldo a casa dei suoi genitori.

Non lo sa nemmeno Ginevra il perché stia raccontando quella vicenda triste a sua madre, che avrebbe soltanto bisogno di storie divertenti e leggere. Ha solo avuto bisogno di confessarlo a qualcuno, perché se fosse rimasto ancora dentro al cervello, non l'avrebbe sopportato.  

- Hai pianto, quel giorno? -  

- Sì. Nicola mi vide ma non mi chiese niente. -  

- E io? Io dov'ero quel giorno? -  

- Lavavi in piatti in cucina. Mi ricordo che uno si ruppe tra le tue mani. Faceva parte del servizio buono, quello che usavamo ogni volta che avevamo ospiti a casa. Ti mettesti a piangere. -  La telefonata termina con un saluto frettoloso sussurrato a bassa voce e con imbarazzo.  

Entrambe cercano di rivivere quel giorno lontano come se potessero vederlo attraverso una fotografia in bianco e nero.  

 

 

 

 

 

 

Ginevra fa metà delle chiamate nella zona Fregene che quella mattina avrebbe dovuto fare , in un'oretta buona.  

Si lascia mandare a quel paese un paio di volte e intrattiene una chiamata di venticinque minuti con un'anziana professoressa in pensione che non la finiva più di parlare di filosofia.  

Verso mezzogiorno si alza in silenzio dalla sua poltroncina blu girevole e si dirige senza fiatare e con lo sguardo basso alla macchinetta del caffè al terzo piano - che fa solo tè e cioccolate calde - rotta da ormai decenni e senza nessuno che si prenda la briga di chiamare un tecnico.

Ginevra fissa il vuoto mentre aspetta il suo turno davanti alla macchinetta. Non lo vuole ammettere, ma quella chiamata con sua madre l'ha scombussolata più del previsto.

Forse non le avrebbe dovuto raccontare quell'episodio, forse avrebbe dovuto tenerlo per sé ancora per un po’ di tempo.

Ora si sente vuota, non sa bene il perché. Senza parole e pochi pensieri.  

Ci sono due colleghe davanti a lei, rispettivamente del blocco 31 e del blocco 32. Si chiamano Marinella e Giuliana Diddi: gemelle, migliori amiche, colleghe di lavoro e le più pettegole dell'intero edificio.  

Sono quel tipo di donna da cui Ginevra si tiene alla larga; quelle che non ti guardano ma ti studiano, che parlano di te sottovoce, quelle che ti umiliano con mezza parola.  

Ginevra si appoggia alla fotocopiatrice alle sue spalle e si mangia l'unghia del pollice sinistro, ricoperta per metà da uno smalto verde.

Senza rendersene conto, presta attenzione alle parole che escono dalle bocche rosse delle due donne a pochi metri da lei, dai capelli dello stesso identico biondo.  

- Ho sentito che lo diceva il direttore Sireni. -  

- Quello dice un sacco di stronzate! -  

- No, no, è vero, questa volta è vero. Ne parlava con Minetti dell'amministrazione: questo mese ne vogliono fare fuori dieci. -  

- Dieci?! Ma sono matti? Perché? -  

- C'è crisi, Mari, lo sai. Il prossimo passo è il fallimento e noi ci ritroviamo per la strada. -

- Hai sentito se facevano qualche nome? - Giuliana inserisce la moneta dentro alla macchinetta.  

- Sì, mi pare che parlassero della vecchia Angela del blocco 12, di quell'uomo del 23 e del ragazzo con la barba al 2. -  

- Il muto dici? -  

- È muto? - Marinella sgrana gli occhi e si porta una mano sopra alla bocca. Si scotta anche la lingua con la cioccolata.  

- No, almeno credo. Non parla mai con nessuno, se ne sta sempre zitto alla sua scrivania. Alcuni dicono sia pazzo o che soffra di autismo. Io so solo che è davvero carino! -  

- Ma ho capito di chi parli! La Gigia, quella alla reception, mi ha detto che ha una figlia piccola. L'ha visto insieme a lei al parco qualche settimana fa, che facevano un pupazzo di neve. - 

- È sicura che fosse lui? -  

- Certo! Ha riconosciuto il cappello che delle volte gli ha visto in testa e poi la bambina lo chiamava per nome. -  

- Ah già, com'è che si chiama? -  Ginevra non fa in tempo a sentire la risposta della donna che le porte dell'ascensore a pochi metri da lei si aprono e rivelano la figura del direttore Roberto Sireni, che indossa una camicia a maniche corte macchiata vicino alla cintura e con gli occhi contornati da delle profonde occhiaie coperte malamente - da quanto può notare - da un correttore color terra di Siena.

Ginevra vorrebbe scoppiargli a ridere in faccia ma non può. Le due colleghe corrono alla loro postazione e così fanno tutti gli altri, appena scorgono la figura di quell'uomo dalle stempiature sempre più evidenti.  

La ragazza torna al suo blocco con un piccolo sorriso sulle labbra.  

 

 

 

 

All'interno del salotto di quel bilocale di periferia regna il silenzio.

Un silenzio dove non c'è imbarazzo o aspettativa, un silenzio in cui si respira piano e ci si guarda negli occhi mentre alla televisione senza volume scorrono le immagini di un film anni '60. Ginevra ed Edoardo sono seduti sul divano di lei, con le teste poggiate alla spalliera troppo dura e le gambe stese in avanti sopra al tappeto comprato in una televendita vista di notte; la mano del ragazzo sfiora leggera il braccio scoperto di Ginevra, lasciandole delle brevi carezze che la fanno rabbrividire e ridere piano.

Ogni tanto si allontana da lui con un sorriso e si mette ad osservare le scene del film, sembrando quasi che volesse fargli un dispetto.  

Ritorna dopo poco vicino a lui, volendo risentire le sue dita sulla pelle chiara, macchiata da alcuni nei vicino al gomito.

Il problema è che sono belle, quelle sue minuscole attenzioni. Sono quelle attenzioni che ha sempre desiderato ma che non ha mai ricevuto. Come un bacio dato sotto l'orecchio o un ciuffo di capelli arrotolato tra le dita; come l'essere guardata negli occhi per più di un minuto e una risata soffiata sulla pelle trasparente del polso.  

Non ci sono state molte parole, tra di loro, quella sera. Come se entrambi avessero soltanto bisogno della presenza l'uno dell'altro e di un silenzio senza ansie o aspettative.

Quello che si ricerca dopo aver ascoltato mille voci parlare contemporaneamente.  

Gli ha chiesto Ginevra di vedersi per cena a casa sua, appena tornata da lavoro. La sua voce, è stata la bellezza di quella giornata in cui si è sentita per tutto il giorno vuota.

L'ha riempita, come può fare il dolce cucinato da una madre o il colore a tempera su una tela completamente bianca.  

 

 

 

- Vuoi venire? -  

- Non so... devo vedere alcune cose. Non sono certo di essere libero. -  

- Va bene. -  

- C'è qualcosa che non va? -  

- No, no, tutto alla grande. Volevo soltanto una scusa per poter cucinare la pizza ai quattro formaggi, stasera! - Edoardo aveva sorriso, osservando Chiara dormire tra le sue braccia, con il naso che sfiorava il suo collo. Era così bella in quel momento.  

- Solo per quello? -  

- Anche per sentire la tua voce. -  

- Non stai bene. -  

- Non molto, in verità. -  Il ragazzo aveva sospirato, mentre non percepiva nessun sorriso dall'altra parte.  

- Incomincia a preparare l'impasto. -  

 

 

 

 

Ginevra chiude gli occhi e prende dei profondi respiri.

Appoggia la fronte sopra la spalla di lui, coperta da una maglietta di cotone blu, lasciando che nessun abbraccio goffo le tolga l'aria di cui ha bisogno.

La mano sul suo braccio rimane, come è giusto che sia. La luce della lampada sopra al tavolino basso viene spenta, però. C'è solo la televisione e il rumore di uno sbattere leggero di ali dentro ad una gabbia. Leopoldo che sta sognando, probabilmente.  

- Lo sai che quando ero bambina odiavo la luce? -  

- In che senso? -  

- Odiavo le stanze dove c'era troppa luce che entrava dalle finestre oppure usciva dai lampadari. Non riuscivo a sopportare le stanze dove c'erano la luce e gli specchi insieme. Scappavo ogni volta. -  

- Perché? -  

- Non lo so. Ho sempre avuto questa fobia, nel tempo però è passata. Ora ho solo il terrore dei ricci di mare! -  

- Scherzi? -  

- Assolutamente no! All'età di quindici anni, d'estate in Sardegna, ne presi uno con l'intera pianta del piede. Da quel giorno, ogni volta che vado al mare, ho il terrore. - 

Edoardo fa un sorriso e le lascia un bacio all'angolo della bocca screpolata. Ginevra sorride di rimano, mostrando i denti bianchi, e allunga le sue gambe sopra quelle del ragazzo, rannicchiandosi su se stessa.  

Quella sera si sono scambiati solo un bacio leggero, a fior di labbra. Dato quasi per caso, come se fosse un gesto normale tra di loro.

Ginevra, dopo quel bacio, si è dimenticata della pizza nel forno e l'ha quasi fatta bruciare.  

Il ragazzo si alza in piedi ed accende di nuovo la lampada sul tavolino basso. Guarda Ginevra negli occhi arrossati - probabilmente per il sonno - e va vicino alla parete bianca in penombra dove c'è una sola mensola con dei libri e delle foto che lui non ha mai guardato. Un giorno lo farà.  

Allunga una mano verso di lei che si alza e si siede tra le sue gambe,con le testa appoggiata al petto e gli occhi rivolti al muro, cercando di armonizzare il respiro al suo.  

- Stasera te la faccio vedere io, la bellezza. -  

Edoardo ha imparato a giocare con le ombre cinesi quando aveva cinque anni e nella sua camera dalle pareti rosse corallo c'era una sola lampada ai piede del letto, vicino ai fumetti che leggeva ogni sera prima di cena.  

Ha imparato le ombre cinesi grazie ad un compagno di classe che sapeva fare le barchette con un figlio di carta e toccarsi la punta del naso con la lingua.  

Ci giocava per ore, seduto sul pavimento di cotto freddo pure l'estate, con le persiane chiuse per non fare entrare un filo di luce. La porta anch'essa chiusa a chiave, perché non voleva che nessuno scoprisse cosa sapeva fare.

Era come un gioco di magia con le carte. Lui si sentiva speciale nel saper fare una cosa tanto difficile che riusciva soltanto a Saverio.  

Anche lui aveva paura della luce e quelle ombre gli insegnavano ad accettarla.  

- Sei più bravo di me, a mostrare la bellezza agli altri. -  

È quello che gli dice Ginevra nell'orecchio, con la voce tesa per l'emozione, che trema leggermente alla fine della frase. Subito dopo, le sue labbra secche si posano su quelle di lui: i loro occhi sono leggermente sfuocati come l'obiettivo di una macchina fotografica.  

Edoardo vorrebbe risponderle che lui la bellezza la sa far vedere soltanto a lei. Non le dice niente però, e le sue diventano altre parole non dette.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'autrice si inginocchia per le scuse.

 

Mi sento in dovere di scusarmi per quest'enorme -immensissimo- ritardo, ma quest'estate non sono riuscita a scrivere molto (a causa di varie partenze e viaggi) ed Edoardo e Ginevra sono finiti in un angolino come temevo che accadesse. Erano sempre nei miei pensieri ma mi sembrava quasi impossibile poter tornare di nuovo a scrivere di loro e riprendere in mano le loro vite. Ci sono riuscita, però, e ne sono felicissima.

Mi scuso ancora per questo ritardo e spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto emozionare come mi sono emozionata io scrivendolo. è stato un pò come un ritorno a casa.

Grazie per chi leggerà o continuerà a seguire la storia nonostante io sia una tremenda autrice.

Un bacio,

 

Giulia.

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Trattenere il respiro. ***


Perlomeno questa volta non c'ho messo cinque mesi!

Buona lettura, scusatemi per l'attesa.

(Chiunque mi voglia uccidere dopo questo capitolo si rivolga alla mia segretaria per un appuntamento. Grazie)





                                                                     

 



 


Lucy: ”Se non mi dici che mi vuoi bene sai cosa farò?Tratterrò il respiro fino alla morte!”
Schroeder: ”Il trattenere il respiro è un fenomeno interessante nei bambini...può indicare un disordine metabolico.Una dose da 40 milligrammi di vitamina B6 2 volte al giorno dovrebbe giovare...credo proprio che sia così,hai bisogno di vitamina B6,potresti provare a mangiare anche molte banane,avocado e fegato di manzo!”
Lucy: ”Io chiedo amore e tutto ciò che ottengo è fegato di manzo...sigh!”


-Peanuts-








La sua pelle è chiara ed è costellata da nei, soprattutto sulla schiena.
Ogni volta che ne sfiora uno lei ride piano, con gli occhi socchiusi e le guance rosse, rosse.

Edoardo ci passa sopra le labbra più e più volte. Poi sul collo, sul seno, vicino all'ombelico e sulle ginocchia che tremano appena quando lui le separa.

Ginevra gli sospira piano nell'orecchio e lui le bacia la clavicola sporgente, cercando la sua mano sotto quegli strati di lana sotto cui l'ha costretto a nascondersi. Nuda gli sorride e lo bacia piano, godendosi la sensazione della sua barba sulla pelle che viene irrimediabilmente arrossata.

Gli sussurra di spegnere la luce, ad un tratto, ma lei non può saperlo che anche al buio Edoardo riesce a contare le sue costole, vedere la sua pelle tendersi e i suoi capelli scuri sopra quel cuscino bianco che sa di lei.
Edoardo non chiude mai gli occhi.




Edoardo è seduto sul pavimento freddo, completamente al buio; la finestra da cui non si è mai affacciato è stata oscurata dalle persiane che fanno entrare solo un filo di luce nella stanza, illuminando solo un piumone bianco.
Lui si sta legando le stringhe di una scarpa da ginnastica, trovata dopo interi minuti di ricerche in silenzio, sotto al letto insieme a dei libri di giardinaggio e una scatola contenente centinaia di bottoni dalle diverse forme e dimensioni.
L'altra scarpa, invece, non ha la minima idea di dove possa essere. Controlla per una seconda volta sotto al letto, sbattendo la testa sulle doghe di legno del materasso, e poi si alza lentamente in piedi cercando di reprimere la voglia di accendere l'interruttore della lampada sul comodino basso.

Al momento, però, non ha la minima idea nemmeno di come arrivarci, a quella lampada.
Fa qualche passo nel vuoto, passando sopra quella che sembra la felpa che aveva quella sera e un paio di pantaloni. Sale su un libro dalla copertina liscia, quasi scivolosa, e poi sbatte contro la gamba di quella che sembra una sedia. Probabilmente, la sedia a dondolo bianca che ha visto di sfuggita qualche ora prima.
Una risata bassa e contenuta proviene da sotto al piumone che occupa l'intero letto ad una piazza e mezza del materasso troppo duro per lui ma che profuma di lei.
Una mano spunta da sotto tutti quegli strati di tessuto caldo, e trova in un secondo l'interruttore della lampada. Una luce soffusa illumina la piccola stanza in cui regna la confusione, dalle pareti colorate di un verde scuro, il suo colore preferito.
Una massa di capelli scuri compare all'improvviso insieme ad un sorriso di labbra rosse che a lui sembra non aver mai smesso di baciare.
Gli occhi di Ginevra sono ancora chiusi, ma Edoardo sa esattamente che stanno ridendo, probabilmente di lui o solamente per l'imbarazzo che prova.
Si mette a sedere sul letto lasciando scoperta solo la testa, mentre il corpo è ancora avvolto dal pesante piumone, vergognandosi anche solo di fargli vedere un altro pezzo di pelle che lui quella sera ha visto comunque. Ha visto tutto di lei.
- Scappare al buio non è facile come sembra. -
- Soprattutto dalla tua stanza. Da quant'è che non dai una sistemata? -
Ginevra ride ancora e cerca di non notare che lui sia ancora senza maglietta. Sente che le sue guance sono arrossate però lo fissa negli occhi senza vergogna o paura.
- Mai pulito questa camera. Mi trovo a mio agio nel caos. -
Edoardo fa un pallido sorriso e si porta una mano sui capelli scompigliati come quelli della ragazza se non di più. Si guarda intorno, con solo i pantaloni addosso e una scarpa, e osserva, per la prima volta, quella stanza che sa di Ginevra. Ha sempre pensato che le stanze raccontassero molto delle persone e ora ne ha la conferma.
Quella camera è piena di colori, di profumi, di sorrisi disegnati su dei fogli o che può vedere su delle fotografie attaccate a una bacheca. La sedia a dondolo è occupata dai molti vestiti della ragazza e appoggiata al muro c'è la custodia di una chitarra, anche se lui sa benissimo che Ginevra non ne possiede una. Sopra al letto ci sono dei poster di qualche cantante famoso di cui non ricorda il nome e sulla mensola di acciaio, che sembra quasi stonare in quelle pareti, dei libri accatastati.
- Non stavo scappando - dice dal nulla Edoardo, studiando la sua espressione.
Ginevra continua a sorridere e si gratta la punta del naso arrossata. Gli ha detto che si è presa il raffreddore ieri, quando è uscita per portare Leopoldo dal veterinario e un acquazzone l'ha presa in pieno.
- Lo so. -
- Pensavo che dormissi. -
- Stavo dormendo, ma ho il sonno leggerissimo e tu ti muovi con molta poca delicatezza. -
- Senti chi parla: stasera sei cascata per due volte e hai sbattuto contro il tuo comodino. -
- Ma solo perché avevo bevuto un pochino! Non reggo la Sambuca. -
- Tu non reggi l'alcool, è diverso. - Ginevra sbuffa e si butta all'indietro sui cuscini. Ne ha quattro, Edoardo li ha contati.
La sua risata arriva improvvisa alle orecchie del ragazzo che si sta infilando la maglia trovata sotto la sedia a dondolo. Si alza di nuovo a sedere, tenendo tra le mani la scarpa del ragazzo che ha trovato sotto al cuscino.
- Ma che numero porti? Il 50? - Edoardo le si avvicina e si siede pesantemente sul letto, iniziando a legarsi le stringhe della scarpa ritrovata.
Quando la guarda di nuovo non può fare a meno di baciarla due o tre volte sulle labbra e poi sulla spalla nuda dove ha un neo piccolissimo, facendola ridere. A Edoardo sembra che non abbia sentito altro che la sua risata, da quando la conosce.
Quando esce dalla stanza, le getta un'ultima occhiata e trova, ancora una volta, la bellezza.
La bellezza di quella camera fatta di colori, con Ginevra avvolta nella coperta che gli sorride e continua a ridere. Edoardo le vorrebbe chiedere di non smettere mai.





La mattina dopo Edoardo è al call center, seduto alla sua scrivania nel suo blocco claustrofobico, che si rigira tra le mani il disegno che gli ha fatto Chiara quella mattina, mentre faceva colazione.
Lo ha fatto su un foglio di carta bianco, con dei pennarelli che il fratello le ha regalato per il suo onomastico. È una specie di suo ritratto: c'è lui, in piedi davanti a quello che sembra il fornello della cucina, con una tazza in mano e un sorriso enorme che prende quasi tutta la faccia.
La prima cosa che gli ha chiesto Chiara, quella mattina quando si è svegliata, è stata perché fosse così felice e perché stesse cucinando le crepes con la Nutella nonostante non fosse domenica.

- Io sono sempre felice. -
- Secondo me è perché sai che tra poco mangerai la Nutella. -
- È probabile. -
- Poi dici a me che sono golosa! Quanto manca perché siano pronte? -
- Qualche minuto. Siediti e stai buona che mi serve concentrazione. -
- Posso far volare in aria la crepes come fanno a quel programma dove ci sono tutti i cuochi? -
- No, perché tu in aria ci tiri anche la padella e poi ti spacchi il cranio. -
- Che schifo. Ma allora queste crepes? -
- Ho detto che manca qualche minuto! Intanto bevi il latte. -
- Ma è freddo! -
- Lo sai o no come si usa il microonde? -
- Sì, ma non ce la faccio. Sono stanca. -
- Hai dormito undici ore di fila! Angelica mi ha detto che ti sei addormentata alle dieci davanti a C'è posta per te. -
- Già, è vero. Tu cosa hai fatto ieri sera?-
- Sono stato da un amico, te l'ho detto. -
- Il tuo amico profuma di buono. -
- Cosa? -
- Hai un odore diverso addosso, lo sento. Probabilmente è quello del tuo amico. Vi siete abbracciati per tanto tempo per caso? -
- Le crepes sono pronte, Chiara. Comunque mi sono fatto la doccia stamane, ho il mio solito odore.-
- No, io lo sento. È sotto la pelle ormai. -

Edoardo accende il computer ripensando a quella conversazione, agli occhi di Chiara che ridevano di lui. Forse ha già capito tutto, anche cose che al ragazzo sono ancora sconosciute.
Si infila le cuffie nere e incomincia con le telefonate nella zona di Trastevere.
Quella mattina piove, come piove da giorni, e la pioggia colpisce quei vetri fragili che gli mostrano file interminabili di auto ferme a un semaforo rosso e gente che mastica bestemmie mentre corre riparandosi con delle buste della spese vuote oppure una giacca troppo leggera per quel tempo.
Nel blocco accanto al suo non c'è nessuno. Ginevra quella mattina non occupa la scrivania con la sua voce allegra e le sue unghie dipinte di blu non ticchettano sulla tastiera a cui manca una lettera. Lavorerà nel pomeriggio, avendo fatto un cambio di turno con quella simpatica signora anziana che indossa sempre un rossetto rosso fuoco sulle labbra raggrinzite dal tempo.

La donna quella mattina aveva una visita dall'ortopedico e Ginevra non si è sentita di dirle di no, quando le ha chiesto di cambiare orario solo per un giorno.
Quando glielo ha detto, ieri sera, mentre erano ancora nudi nel letto e ascoltavano il ritmo dei loro respiri, Edoardo ha storto il naso, rendendosi conto che la mattina seguente non avrebbe ascoltato nessuna sua telefonata.
Le manca e questo gli fa terribilmente paura. Come gli fa paura il suo sorridere quando lei è presente.
Qualcuno si schiarisce la voce dietro di lui. Edoardo ruota con la sedia girevole che cigola sul linoleum e incontra il volto serio del direttore Sireni. Quella mattina indossa una camicia a mezza maniche -nonostante abbia nevicato solo qualche giorno prima- e una cravatta viola stirata male. Tiene le mani incrociate dietro la schiena e si dondola sui suoi mocassini di pelle marrone, dalla punta rovinata.
- Amato, hai un attimo? -
Edoardo annuisce e si alza in piedi per seguire l'uomo che lo sta conducendo al quinto piano, nel suo ufficio. La paura che ora prova è diversa, ed è ancora più orrenda.
Quando si siede davanti alla scrivania del direttore, su quella poltrona nera scomoda, che sembra quasi fatta di chiodi, si domanda quasi come sia il suo volto e che fine abbia fatto il sorriso di quella mattina che Chiara ha incorniciato su un foglio di carta.
- Amato, da quanto tempo sei qui? -
- Quasi due anni, forse qualcosa di più. -
- Due anni e tre mesi. Tu lo sai in che periodo siamo, vero? È il periodo che stiamo vivendo un po' tutti. Un periodo sfortunato che ha colpito anche l'azienda. In questi giorni ho avuto un incontro con il proprietario della compagnia, il dottor Grilli, che ha deciso di fare dei tagli. -
- Direttore, io... -
- Ha deciso di tagliare un'azienda tra le tante sul territorio, questa per la precisione. Il mese prossimo questa sede chiude. -
Edoardo si porta le mani sul volto e sembra quasi dimenticarsi di essere davanti al suo direttore che lo sta guardando con la pietà negli occhi, probabilmente.
L'uomo si avvicina con la sua poltrona alla scrivania e appoggia le mani sul legno lucidissimo, prendendo un respiro profondo.
- Amato, ho letto la tua cartella. So che non te la passi benissimo, inoltre hai anche una bambina piccola di cui occuparti, se non mi sbaglio. -
- Mia sorella. -
- Giusto, tua sorella. So che non è stato affatto professionale da parte mia andare in giro a chiedere informazioni sul tuo conto e leggere la tua cartella privata ma in quel momento mi è sembrato giusto. -
Edoardo continua a non fiatare e a osservare il pavimento grigio sotto le sue scarpe.
- Ho letto che hai un diploma di ragioneria. Li sai ancora fare due conti? -
Edoardo alza gli occhi e guarda confuso l'uomo, rendendosi improvvisamente conto che le sue mani sono gelate.
Annuisce rapido.
- Mio fratello ha due aziende farmaceutiche: una a Pavia e l'altra a Catania. Ha deciso di aprirne una terza qui a Roma ed ha bisogno di un contabile fidato, qualcuno che gli faccia due conti, preparare le buste paga, IVA e roba varia. Mi ha domandato se io conosco qualcuno e di telefonargli appena avessi avuto sotto mano una persona adeguata. Tu mi hai assicurato che qualcosa la sai fare. -
- Qualcosa mi ricordo. -
- Naturalmente mio fratello ti pagherebbe un corso di formazione in contabilità e in informatica. -
Il ragazzo annuisce un'altra volta.
- Ci stai, Amato? La faccio questa telefonata? -
Le mani di Edoardo sono ancora fredde ma non ha più paura.






- Da quanto tempo hai detto che è nel forno? -
- Quaranta minuti, forse. -
- E le lasagne non sono ancora cotte? -
- Per niente. -
- Ma che modalità hai messo? -
- Ventilato! -
- E la temperatura? -
- Cazzo, la temperatura! -
- Sei fuori come un balcone, ciccia. -
- Hai ragione. Lo metto a 150? -
- Vai. Comunque, devi ancora raccontarmi dell'altra sera. -
- Scusa? -
- Sì, la tua seratina romantica con il tuo trombamico! -
- Ma non è un mio amico! -
- Però tromb... -
- Loriana! -
- Come se non lo sapessi! Allora, com'è a letto? -
- Lory, basta. Sono cose private. -
- Allora ci sei stata, brutta porcona che non sei altro! Lo sapevo! Lo dico subito a tuo fratello! -
- Loriana, giuro che cambio numero di telefono. -
- E io vengo a Roma! Dai, Gin, dimmi qualcosa. Qualche dettaglio piccante. -
- Loriana mi stai mettendo terribilmente in imbarazzo. -
- Dimmi qualcosina. -
- Uffa. Mi ha fatto stare bene, sei contenta? -
- Un corno! Sii più precisa. -
- Sono stata molto bene. -
- Ancora qualcosina in più... -
Ginevra si stende sul letto e guarda il soffitto sopra di sé, sbuffando.
- Loriana, mi sa che sono rovinata. -
- Ho capito, tromba bene e mi sa che ti ha anche fatta innamorare. -
- Oddio, innamorare forse… -
- Non mi interessano i tuoi sentimenti melensi verso quel ragazzo, voglio i dettagli fisici. -
- È molto carino, ha la barba. -
- Secondo me è proprio topo. -
- Topo? Si dice figo, a limite. -
- No no, topo rende di più l'idea. Ha una bella voce, da quello che mi ricordo, molto da maschio dominante. È voluto stare sopra lui, vero? Ci scommetterei le palle! -
- Dio, come sei triviale! -
- Hai ragione, sono volgare oggi. Ma a tuo fratello piaccio così, soprattutto a letto. -
- Quanti ormoni circolano nel tuo corpo? -
- Parecchi, dicono succeda così quando si è incinta. -
- ... -
- Cazzo! Tuo fratello mi ammazza se scopre che te l'ho detto. -
- Loriana… -
- Sì, diventerai zia. Per favore, puoi piangere dopo e ora continuare a descrivermi il tuo nuovo boyfriend? Magari descrivi anche la parte a sud dell'equatore. -
- Oddio, Lory… -
- Niente, sento che stai prendendo i Kleenex dalla scatola sul comodino. È finita, addio descrizione porno! -
Ginevra ride tra le lacrime e quella risata sembra rimbombare per tutta la casa.








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Capitolo 20
*** Finestre rotte. ***


Spero non vi siate dimenticate di loro.

Buona lettura,

Giulia. 

 






Floyd: ”Ho fatto male a chiamare 'Frittella' la tua amica, capo?”
Piperita Patty: ”No, ma fai male a chiamare me capo!”
Floyd: ”La trovo bellissima...credo di essere innamorato di lei.”
Piperita Patty: ”L’amore può essere doloroso, Floyd.”
Floyd:”Me ne sono accorto quando mi ha colpito con la scatola del pronto soccorso!”

 
-Peanuts- 


                                                               










“-Mamma, penso di non essermi mai innamorata nella mia vita.
Tommaso Tobia è stato l'unico a cui ho voluto talmente tanto bene da confonderlo con l'amore. Te lo ricordi Tommy, mamma? Te li ricordi i suoi occhi azzurrissimi? Sono sicura di sì.
Avevo ventitrè anni quando lo vidi per la prima volta. Era novembre e faceva un freddo cane; infatti, andare all'università sulla Vespa celeste che era stata di babbo molto tempo prima, era una vera e propria tortura. Mi venne un raffreddore che durò per tre settimane, mi ricordo.
Mi alzavo alle sei di mattina e andavo fino a Bologna per frequentare le lezioni mattutine e delle volte rimanevo in biblioteca a studiare fino alla sera. Mi ricordo che il lunedì avevo due ore di Storia e civiltà orientali mentre il giovedì Antropologia con quel professore giovane e tanto gentile per cui mi ero presa una cotta stratosferica che durò per ben quattro mesi.
Fu in quel periodo che incontrai Tommaso. Lui si sedeva spesso accanto a me durante le lezioni che frequentavamo insieme in facoltà e una volta mi aveva addirittura offerto un caffé alla macchinetta automatica perchè non mi prendeva due monete da dieci centesimi. Non c'eravamo mai detti i nostri nomi, però.
Sapevo soltanto che aveva una calligrafia orrenda e che aveva gli occhi di un celeste che non avevo mai visto prima.
Qualche settimana dopo, inaspettatamente, mi chiese di uscire. Ero davanti alla macchinetta del caffé che bevevo un cappuccino caldo, mentre ripassavo le ultime pagine della dispensa che mi aveva dato il professore con cui avrei avuto l'esame di lì a qualche minuto, quando mi si era parato davanti all'improvviso. Mi disse che si chiamava Tommaso ma tutti lo chiamavano Maso e che gli piacevano i Led Zeppelin, la storia greca e il mio sorriso. Io gli dissi che avrei accettato il suo invito solo se avessi potuto chiamarlo Tommaso.
Il giorno dopo ci vedemmo in una cioccolateria in centro a Bologna e giuro, mamma, quello fu l'appuntamento più bello e comico della mia vita.
Dopo quel giorno ci vedemmo tutti i pomeriggi per due settimane. Parlavamo, parlavamo, parlavamo per ore e ore, e ridevo come non avevo mai riso in vita mia. Aveva sempre parole con cui riempirsi la bocca e io lo adoravo anche per questo, non lasciava mai vuoti di silenzio tra di noi. Un giorno mi confessò che parlare lo aiutava a non avere paura.
Mi baciò per la prima volta dopo tre settimane che uscivamo e con quel bacio mi attaccò l'influenza che mi fece rimanere a letto per nove giorni. Sono sempre stata di salute cagionevole, lo sai.
Anche i quei giorni in cui stavo male, Tommaso veniva a casa nostra e stava sdraiato insieme a me sul letto, al buio, parlando a bassa voce. Te lo presentai e tu mi dicesti che aveva un sorriso difficile da dimenticare. Lo feci conoscere anche a mio fratello e Loriana, che mi disse di non lasciarmi sfuggire uno gnocco del genere, che piuttosto l'avrei dovuto legare al letto per non farlo scappare.
E invece, alla fine, dopo un anno che stavamo insieme, fui io a scappare da lui.
Una mattina mi disse che mi amava e che ero diventata, senza che se ne rendesse conto, la persona più importante della sua vita.
Io non mi sentivo pronta per essere la persona più importante della vita di qualcun altro e me ne andai.
Io non ero ancora pronta per amare, mamma.-
- E ora lo sei?
- Forse.”








- Non hai mai avuto un cane?
- No.
- Mai? Davvero?
- Mai. Ho paura.
- Scherzi?!
- Giuro. Quando avevo dieci anni un pastore tedesco mi saltò addosso per rubarmi il panino alla cotoletta che avevo in mano e mi fratturò un polso.
- Sei rimasto traumatizzato, povero piccolo pulcino.
- Ginevra, per favore.
Ginevra arrossisce e si ferma in mezzo alla corsia del supermercato per animali, con il carrello ancora vuoto di fronte a lei, mentre dagli altoparlanti disposti sulle travi del soffitto parte una canzone natalizia che si diffonde in tutto l'enorme edificio.
- Mi piace quando mi chiami per nome.
- E io odio essere chiamato piccolo pulcino.
- A me piacciono tanto i nomignoli. Mio fratello quando aveva dodici anni lo chiamavo passerotto.
La ragazza gli sorride e si ferma davanti allo scaffale dei mangimi per volatili.
- Evita con me, grazie.
- Oggi sei più acido del solito. Senti, secondo te a Leopoldo gli piace di più la miscela con semi e noci oppure quella di semi arricchiti con minerali e vitamine? In questo periodo lo sento tossire spesso.
- Ma non dovevi solo compragli una gabbia nuova?
- Sì, ma già che ci sono faccio scorta di mangime per i prossimi mesi. Allora, semi e noci o semi con minerali?
- Quelli con le noci, a me piacciono le noci.
- Davvero? Allora ti devo far assaggiare il pesto con le noci che preparo personalmente a casa!
Ginevra prende quattro o cinque sacchi da tre kg di cibo per pappagalli e li butta nel carrello che hanno preso qualche minuto prima, fuori dal centro commerciale che hanno raggiunto con l'autobus di linea. Quel giorno di dicembre piove senza sosta su una Roma affollata da turisti che desiderano visitarla sotto le feste e cittadini che corrono per le vie più frequentate, per fare gli ultimi acquisti prima del giorno di Natale che sta per arrivare.
Ginevra ha già spedito per posta il regalo per sua madre, Nicola e Loriana, con allegate alcune sue foto insieme a Leopoldo e qualcuna del suo appartamento con i ritocchi che ha fatto negli ultimi mesi alle pareti della sua camera e del salotto.
Ha comprato pure un regalo per Angela, la sua collega del call center, e altre due o tre amiche di Roma che non vede spesso.
Qualche giorno prima ha deciso che anche il suo pappagallo quel Natale si sarebbe meritato un regalo, per questo ha chiesto ad Edoardo di accompagnarla a compragli una gabbia nuova. Magari una di quelle con le sbarre d'acciaio che ha visto spesso nelle pubblicità in televisione.
Il regalo per Edoardo, invece, è nascosto nel suo armadio sotto i maglioni natalizi. Non sa se avrà mai il coraggio di darglielo.
- Cosa mi dici di questa?
- Quale?
- Questa blu. Guarda, c'è anche il trespolo che luccica.
- Leopoldo odia le cose che luccicano. Penso che lo facciano sentire poco maschio.
- E allora questa con bianca e rossa?
- No. Però quest'altra è magnifica!
- È una voliera che ti occuperebbe tutto il salotto.
- Lo so ma è bellissima. Leopoldo sarebbe felicissimo. Ha pure l'altalena a forma di cuore!
Edoardo si mette a ridere, trascinando dall'altra parte della corsia Ginevra, e fermandosi davanti a una piccola gabbia celeste, con dentro un pappagallo verde e rosso che cammina velocemente sul legnetto inserito tra le sbarre di ferro.
- Guarda come è carina.
- Sì.
- E senti come chiacchiera!
- La gabbia?
- No! La pappagallina! Secondo te la possiamo portare a casa? Magari insieme alla gabbia.
- Forse è un maschio.
- No, è femmina. Certe cose le capisco. Oh mio Dio, mi ha sorriso, hai visto?
- Vado a chiamare un commesso.
- Edoardo! Ha detto 'Ciao signora!'! Edoardo, torna qui e sentila! La prendiamo vero? Vero?








Quando arrivano all'appartamento di Ginevra è mezzogiorno passato e lui tra poco deve andare a prendere Chiara a scuola. Sale le scale del palazzo in silenzio, mentre Ginevra canticchia a bassa voce una canzone natalizia e cerca le chiavi di casa dentro alla sua borsa. Lui tiene tra le mani la nuova gabbia per Leopoldo, senza nessun pappagallo dentro, però. Era una maschio, aveva ragione lui. Quando il commesso glielo ha detto, Ginevra stava quasi per mettersi a piangere.
Quando entrano in casa la ragazza accende la luce nel piccolo ingresso e si toglie silenziosamente le scarpe, facendo segno ad Edoardo di non fare rumore. Il ragazzo alza gli occhi al cielo esasperato e, aiutato da Ginevra, trasporta la gabbia del pappagallo fino in camera della ragazza. Leopoldo non si è accorto di niente perchè la loro vista era oscurata dalla coperta scura che la ragazza mette di solito prima di uscire di casa.
- Perché l'abbiamo portata qui?
- Per non farla vedere a Leopoldo, chiaro!
- Perché?
- Perché non è il 25 dicembre!
- E quindi?
- Questo è il suo regalo di Natale e glielo farò scartare il 25 di dicembre! - Edoardo si butta sul letto della ragazza ridendo e rimbalzando sul materasso dal piumone bianco e morbido. Si porta le mani sulla faccia su cui compare ancora un sorriso divertito.
Ginevra sale sul letto e gattona vicino a lui, buttando sul pavimento il suo eskimo pesante e la sciarpa di lana rossa che le copriva la gola. Si stende accanto al ragazzo e appoggia la testa sul suo petto che si alza e si abbassa velocemente, per la risata che ancora sta uscendo dalla sua bocca socchiusa.
- Non ridere di me.
- Ma come, mi dici sempre che devo ridere di più!
- Lo so, ma ora mi stai prendendo in giro! - Edoardo china il viso su quello di Ginevra e le sistema alcuni ciuffi di capelli intorno al viso, passandogli i polpastrelli sotto gli occhi e sopra le palpebre chiuse.
- Mi piace prenderti in giro.
- Come la mia voce?
- Di più.
- Come il mio pesto alle noci?
- Di più.
- A proposito, vado a preparartelo!
- Ora?
- Sì, altrimenti potresti baciarmi per un po'. - Ginevra si sdraia su un fianco ed Edoardo la imita. La ragazza si stringe a lui talmente forte da farlo ridere tra i suoi capelli profumati.
- O se no te potresti baciare me.
- Già. Però mi fa fatica. Sono stanca.
- Vuoi dormire?
- Sì, facciamo un riposino?
Edoardo la bacia per tutto il viso facendola ridere e poi sulle labbra leggermente sciupate per la tramontana che gliel'ha rovinate e arrossate. La guarda vicinissimo negli occhi e poi gli sorride annuendo. Ginevra continua a guardarlo per qualche secondo e poi si alza improvvisamente in piedi, correndo verso il suo armadio.
- Cosa stai facendo?
- Sto cercando la macchina fotografica che usavo quando ero all'università.
- Perchè?
- Perché voglio una foto insieme a te.
- No.
- No?
- Non mi piacciono le foto.
- A me invece piacciono tanto. Le cose che abbiamo in comune si contano sulle dita di una mano. Se mi dici che odi Armageddon o che non l'hai mai visto puoi uscire da questa casa.
- L'ho visto, tranquilla. Ma ora posa quella macchina fotografica.
- Guarda che non è una calibro 38. Non morirai se ti faccio una foto.
- Non sono fotogenico.
- Io non ho le gambe di Naomi Campbell però ogni tanto la gonna la metto lo stesso. Su, facciamoci questa foto. Una sola. Così quando te ne andrai avrò qualcosa che non mi farà dimenticare di te.
- Una foto sola, però. E non sorrido.
- Tranquillo, sorrido io per tutti e due.







Edoardo è seduto su una scomoda sedia di plastica nera ormai da mezz'ora e sfoglia distrattamente un giornale scandalistico con in copertina una star holliwodiana che parla dei suoi successi cinematografici. Ai piedi del ragazzo ci sono tre bottigliette d'acqua frizzante -due delle quali vuote- e uno zainetto rosso macchiato di terra vicino alla bretella sinistra insieme a un piccolo casco bianco.
Lui si trova al centro di un breve corridoio illuminato e davanti a lui ci sono altre sedie identiche a quella su cui si trova seduto in quel momento. Bassi tavolini di vetro sono disposti vicino alle sedie, e sopra vi sono accatastate alcune riviste di medicina e psicologia o dei giornali di gossip.
Edoardo, da quando ha messo piede in quello studio, non ha fatto altro che fissare il finto Picasso attaccato alla parete colorata di fronte a sé, non accorgendosi nemmeno dei vari pazienti che ogni tanto entravano rumorosamente nella stanza, anche solo di passaggio.
Sembrano passate due ore quando finalmente la porta bianca alla sua destra si apre in modo silenzioso, e sente la risata di sua sorella rimbombare in quella stanza spoglia. Chiara cammina sorridente davanti a un uomo alto, dai capelli scuri e gli occhiali, che indossa un completo elegante. Anche l'uomo sorride e tiene tra le mani un plico di fogli con dei disegni.
Edoardo si alza nervosamente in piedi e si schiarisce la voce.
Stringe la mano del dottore che gli viene allungata e stringe tra le braccia Chiara che continua a sorridere con ancora addosso il grembiule blu che aveva quella mattina a scuola.
- Oggi io e Chiara ci siamo divertiti tanto. - Dice l'uomo porgendo ad Edoardo i disegni che la bambina ha fatto quel pomeriggio nel suo studio.
- Tantissimo! Ho colorato nove disegni di fila e mi ha fatto parlare per cinque ore! Ora non ho più voce.
- Guarda che eri tu a non smettere un attimo di parlare. E poi lo sai che a me piace ascoltarti.
- Lo so. E grazie per i biscotti. Tua moglie è più brava di mio fratello.
- Cosa dici?
- Che la moglie del dottore è bravissima a fare i biscotti al cioccolato.
- Davvero?
- Sì, ma tranquillo Dado, te sai lavare i piatti benissimo.
Chiara scende dalle braccia del fratello e corre davanti alla televisione a schermo piatto vicino alla scrivania della segretaria, e si mette a fissare la pubblicità di un documentario.
Edoardo e quell'uomo alto con gli occhiali parlano per qualche minuto a voce bassa. Il dottore saluta il ragazzo con un sorriso e una stretta forte di mano, lanciando un'ultima occhiata a Chiara che si dondola sui talloni davanti alla televisione che è troppo in alto per lei.
Quando escono dallo studio dello psicologo Carlo Muti, la bambina non ha più nessuna bottiglietta d'acqua con sé ma le sue mani sono occupate a giocare con i capelli del fratello che per lei sono sempre troppo corti.
Quando si fermano vicino al semaforo rosso, Edoardo le bacia due o tre volte la fronte e le promette che si impegnerà di più la prossima volta che proverà a cucinare i biscotti al cioccolato. Chiara gli risponde che a lei va bene anche se continua a farli poco dolci e bruciacchiati.
A lei va bene tutto quello che il suo uomo fa per renderla felice.







- Lory, la smetti di piangere?
- S-scusa...scusa ma...non ci riesco!
- Per favore, calmati!
- Io...oddio, questi cazzo di ormoni non riesco a controllarli. Sono tutti in fermento dentro al mio corpo e si agitano come si agita tuo fratello quando cucino i tortellini oppure quando tiro fuori dall'armadio le manette di pelo!
- Loriana, ti prego. Sedati con qualcosa.
- Scusami, Gin. Tra poco mi faccio una camomilla o un Whisky con ghiaccio.
- Loriana! Sei incinta!-
- E pure con le voglie! Senti, trottolino, secondo te se Nicola vede che mi sono fatta fuori tutti i suoi budini al cioccolato mi butta fuori di casa?
- No, ma ti manda al supermercato a comprali.
- Che palle! Non è colpa mia! Loro mi chiamavano dal frigorifero, come mi chiamavano le tre carote che mi sono mangiata prima e il gelato al pistacchio. Dio, diventerò una balena...
- Stai piangendo di nuovo?
- Sì, cazzo! Una balena, hai capito?! Una balena grassissima arenata sul divano di casa 20 ore su 24!
- E nelle altre quattro ore cosa farai?
- Mangerò o farò sesso con tuo fratello, dipende.
- Loriana! Comunque sono quasi arrivata davanti alle Poste. Menomale mi hai ricordato che dovevo inviare il regalo di Natale anche a zia Rosaria. Me ne stavo dimenticando.
- Io mi sono praticamente dimenticata di lei. Ma è quella con i baffi e il pizzetto?
- Quello è zio Antonio, scema. Zia è quella con i capelli rossi e il crocifisso sempre al collo.
- Ah, la spiritata! Secondo me fa parte di qualche setta satanica.
- Ma se è suora!
- Te l'ho detto di quando andavo all'asilo dalle suore e Suor Giacinta mi strappò la testa della mia Barbie Malibù?
Ginevra ride mentre attraversa un ponte correndo, con il telefono tra capo e collo e le mani immerse nelle tasche del giacchetto per trovare il portafoglio che ha paura di essersi dimenticata a casa. Attraversa le strisce finendo quasi arrotata da un Micra rossa e, per caso, osserva i passanti dall'altro lato della strada trafficata.
In quella confusione, lei riesce a notare una figura conosciuta che, alta e immobile, si staglia in mezzo a tutte quelle persone che corrono. Quel ragazzo tiene tra le braccia una bambina che gli strizza le guance coperte da un leggero strato di barba, che qualche ora prima lei aveva sentito pizzicare sulla sua stessa pelle. Quella pelle che prima bruciava e ora invece è pallida, senza colore.
Edoardo è a qualche metro da lei e sorride, come non lo ha mai visto fare, con una bambina al suo fianco che si agita e ride, ride e ride. Sembra non riuscire a smettere un attimo di farlo.
Ginevra, invece, mentre il cellulare le cade dalla mano, si domanda se riuscirà a sorridere di nuovo.












Per le lamentele, prendete appuntamento con la mia segretaria come sempre. 

By the way, spero che il capitolo vi sia piaciuto e di non dovervi fare aspettare altri venticinque anni per il prossimo. Siamo quasi alla fine, donne, e io so già che 

mi mancherà terribilmente scrivere di questi personaggi. 

Una pioggia di baci perugina. 


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