πέστροφα (Trote)

di MissShinigami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Situazione a Brighton ***
Capitolo 2: *** Fratello freelance ***
Capitolo 3: *** Situazione al Campo di Ipswich ***
Capitolo 4: *** Una macchina, un sax ed un numero di telefono ***
Capitolo 5: *** Una normale giornata da mezzosangue nascosto ***
Capitolo 6: *** Amori e cibo ***
Capitolo 7: *** Indovina indovinello ... ***
Capitolo 8: *** Capra! ***
Capitolo 9: *** Il momento verità (?) ***
Capitolo 10: *** Primo incontro ... ***
Capitolo 11: *** Un piccione e ... shé ... ***
Capitolo 12: *** Dovete venire con noi senza fare domande ***
Capitolo 13: *** Divisioni e mezze verità ***
Capitolo 14: *** Trip in macchina ***
Capitolo 15: *** Finalmente 'ste trote di risposte! ***
Capitolo 16: *** Trote vs una povera madre con dei figli!! ***
Capitolo 17: *** La cacciatrice non è poi così peace 'n' love ***
Capitolo 18: *** A Londra ... ***
Capitolo 19: *** Il Campo Mezzosangue ***
Capitolo 20: *** Qualcuno è figlia di qualcun Altro ... ***
Capitolo 21: *** La Profezia e l'incredibile, straoridnario e meraviglio incontro di Ginny e Javier!!!!!!! ***
Capitolo 22: *** La cacciatrice, il gangster e le due dee ***
Capitolo 23: *** Qualcuno viene minacciato da qualcun'altro che non è altro che il genitore di qualcun'altro ancora! ***
Capitolo 24: *** In preparazione ***
Capitolo 25: *** Caccia alla bandiera ... ***
Capitolo 26: *** L'Impresa e le vendette ... poi una sorpresa ... ***
Capitolo 27: *** Prendere l'aereo o ... ***
Capitolo 28: *** Dear Dafne ***
Capitolo 29: *** Navigare innamorati e vestiti in modo adeguato! ***
Capitolo 30: *** I pirati!!!! ***
Capitolo 31: *** Padri e Madri ***
Capitolo 32: *** La tempesta ***
Capitolo 33: *** Tristezza ed impazienza ***
Capitolo 34: *** Filler!! In gondola con Caronte ... tutta colpa di Zoe e Bianca ***
Capitolo 35: *** Il diavolo veste Boutè ***
Capitolo 36: *** Sono tutti morti ***
Capitolo 37: *** Lo scontro sulla nave ***
Capitolo 38: *** Nuovo outfit in una soleggiata mattina a New York ***
Capitolo 39: *** Gli Inferi se non sei né un'ombra né un Di Angelo non sono poi così accoglienti ***
Capitolo 40: *** Forse qualcosa c'è ***
Capitolo 41: *** I sogni ***
Capitolo 42: *** Long Island ***
Capitolo 43: *** Al Campo Mezzosangue ***
Capitolo 44: *** Le Trote e l'Impresa ***
Capitolo 45: *** Disfatta ***
Capitolo 46: *** Quegli occhi. ***
Capitolo 47: *** La Spirale ***
Capitolo 48: *** Attacco notturno ***
Capitolo 49: *** Nuova tattica ***
Capitolo 50: *** Ultima chance ***
Capitolo 51: *** La prima battaglia ***
Capitolo 52: *** La guerra ***
Capitolo 53: *** Il Seme della Discordia ***
Capitolo 54: *** L'esplosione ***



Capitolo 1
*** Situazione a Brighton ***


“Acqua?”
“No.”
“Latte?”
“No.”
“Tè?”
“No.”
“Cappuccino?”
“No.”
“Caffè?”
“Ah.”
Guenevre sbuffò, iniziando ad armeggiare con la macchinetta del caffè.
Selena la guardava con un sorriso idiota sulla faccia, pensando: scusa, scusa, scusa! L’amica dovette capirlo, perché scrollò le spalle con rassegnazione.
Lei e Fran, la ragazza seduta scompostamente sulla poltrona, non andavano molto d’accordo, anche perché erano molto diverse l’una dall’altra: Guenevre, o Ginny (come la chiamavano in molti) era … bhè … era Ginny; fatta a modo suo. Superficiale all’apparenza: i capelli neri ben tenuti; sempre con un velo leggero di trucco sul volto, per valorizzare i suoi occhi castano/verdi; unghie curate con smalti sempre diversi e vari (cosa che aveva in comune con Selena: si divertivano a fare esperimenti con smalti sempre più strani).
Fran, invece, era meno curata, forse anche più trasandata rispetto all’amica: capelli biondicci con meches rosa, tagliati corti da poco (ma aveva già annunciato di volerseli far allungare di nuovo); quando si truccava, si limitava ad un po’ di matita nera intorno agli occhi, il che li rendeva ancora più scuri; smalto rigorosamente nero o viola scuro.
Gli stessi vestiti erano diversi: se in Ginny prevaleva in rosa, in Fran dominava il viola.
Selena stava nel mezzo: in tutti i sensi. Ogni tanto si sentiva un po’ Aristotele: la giustizia sta nel mezzo! Si diceva. Era l’unica che riusciva a contenere i litigi tra le altre due: assecondava quanto bastava la prima e riportava alla ragione l’altra. Anche se su una cosa in particolare andavano d’amore e d’accordo: la sua altezza. Era la più bassa delle tre e le altre non mancavano di ricordarglielo, ogni tanto.
Pensando a queste cose, scosse la testa, facendo ricadere i suoi capelli color caramello sugli occhi scuri. Spostò lo sguardo su Ginny, intenta a preparare caffè e tè nella sua grande cucina, ma spesso si fermava a fissare gli armadietti: le era toccato “cucinare” in prima persona, in casa non c’era nessuno per sua sfortuna, e la cosa la disturbava non poco.
“Tu sai dove sono le tazze?” chiese
Selena si alzò, aprì sicura un armadietto e tirò fuori tre tazze, che posò poi sul tavolo, sospirando.
“Hehe, grazie!” rise Ginny.
Fran reclinò la testa all’indietro, sorridendo; in quella posizione mostrava fiera il suo tatuaggio: una civetta maori … o forse era un gufo; Ginny glielo voleva chiedere, per stuzzicarla, ma Selena l’aveva persuasa a non farlo.
“Frà?” iniziò la ragazzina.
“He.”
“Perché hai ancora gli occhiali da sole?”
Fran rise. “Abitudine.” disse, mettendoseli sulla testa, a mo’ di passata.
“Sel, se non ti scoccia verresti a sistemare ‘sta roba?” chiese implorante Ginny.
La ragazza si alzò di nuovo, finì di preparare tè e caffè e li servì.
“Grazie.” mormorò Fran, afferrando la sua tazza.
“Perché non prendi mai il tè?” le chiese dopo un po’ Ginny.
“Ah! Non sono mica inglese, io!” rispose.
Cadde il silenzio.
Poi iniziò a ridere da sola. “La mia cazzata l’ho detta.”
Le ragazze abitavano a Brighton; frequentavano la stessa scuola: Ginny e Selena erano in classe insieme, Fran era un anno più piccola e frequentava un’altra classe. Si erano conosciute a teatro poco meno di un anno prima. Erano diventate amiche subito, o quasi: era stato un po’ difficile far uscire Fran dalla sua routine solitaria, ma ce l’avevano fatta.
Tuttavia, da un po’ di tempo, si era allontanata di nuovo: si perdeva tra i suoi pensieri, era essente.
Come in questo momento.
“Frà! Ma ti droghi o stai diventato un vampiro!?” sbottò Selena.
La ragazza sorrise e si mosse leggermente. “Sono solo un po’ stanca …”
“Solo un po’!?” s’intromise Ginny.
“Eh! Un po’ più del solito.” concluse Fran.
Selena e Ginny si scambiarono un’occhiata preoccupata.
La biondina alzò lo sguardo dalla tazza di caffè. “Cavolo, sono già le cinque! Devo andare; devo ancora far firmare l’autorizzazione per la gita!” disse, finì il contenuto della tazza e raccolse la sua tracolla da terra.
La salutarono mentre usciva e aspettarono qualche secondo, poi si precipitarono alla finestra per osservarla, per controllare che prendesse davvero la strada giusta. Ok, magari era un po’ troppo, ma sembrava davvero fatta!!!
Fran svoltò  a sinistra, diretta verso a casa di sua nonna. In fondo alla strada c’erano due ragazzi, fermi sul marciapiede. Passandogli accanto Fran li spintonò, per poi proseguire per la sua strada.
I due la seguirono.
“Ma cosa?!” si irrigidì Selena.
“Tranquilla, sono Mason e Alec.” disse Ginny.
Selena si rilassò un po’: aveva visto spesso l’amica parlare con i due ragazzi a scuola, ma non sembravano andare molto d’accordo … bhè, non che Fran fosse un tipetto socievole …
La ragazza stava camminando a passo spedito, sapeva che dietro di lei c’erano Mason e Alec. La loro “amicizia” era davvero strana: loro erano i belli della scuola, dietro ai quali andavano tutte le ragazza della scuola; lei era la ragazzina asociale, che parlava solo quando era necessario.
Rise tra sé.
“Bene, adesso puoi rallentare. Siamo abbastanza lontani da casa Beauté.” sentì dire Alec dietro di lei.
Fran si fermò di colpo. “Ok, capo!”
“Capo?” chiese il ragazzo dai capelli castani e gli occhi scuri.
“Certo! Mason non è il tuo scagnozzo?” rispose con aria di sfida.
Mason rise.
Fran scattò in avanti, piazzandosi davanti a lui.
“Tutto cosa? Prego sei libero di parlare …” sussurrò la ragazza.
Adesso i loro volti erano a due centimetri l’uno dall’altro, si fissavano.
Fran seguì il profilo del volto del ragazzo: capelli scuri; occhi verdi e profondi; aveva un accenno di barba volutamente lasciata incolta.
Poi Mason sorrise: era un sorriso semplice, felice … non c’era traccia di sfida o scherno.
La ragazza si sciolse di colpo, arrossendo vistosamente. “Sei così carino!” sospirò.
Restarono qualche istante così, ad osservarsi. Mason avvicinò piano le sue labbra a quelle di Fran.
Si sfiorarono per un attimo.
Poi fu come essere colpiti da un fulmine. Fran si riscosse all’improvviso, dando al ragazzo uno dei suoi schiaffi più forti. Mason si ritirò bruscamente.
“Non azzardarti a farlo con me! Riprovaci e ti mollò un cazzotto nella trachea, così vediamo quanto sai trattenere il respiro!” urlò furiosa. “Bastardo!” disse, riprendendo la sua marcia verso casa.
Dietro di lei sentiva Alec ridere di gusto.
Sperava davvero che le ragazze non avessero visto niente: non avrebbe potuto spiegare …
Raggiunse i giardinetti vicino a casa sua. Si lasciò cadere ai piedi di un albero: le batteva forte il cuore, le mancava il respiro. Quel bastardo aveva usato i suoi poteri su di lei: non poteva sopportarlo.
Per un istante ci aveva creduto davvero: ma era tutto falso!
Oppure no?
Quanto ancora avrebbe potuto resistere ad Eros?

Adesso vorrei fare dei ringraziamenti ...

alle mie SORELLE:
a Gin con cui puoi parlar seriamente di vestiti e di ragazzi
a So la jazzista pazza
a Silv la sorellina minore
ad Auro la mia gemella
a Sofy la sorrella maggiore di tutte noi

TROTE!!

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Capitolo 2
*** Fratello freelance ***


Selena tornò a casa poco prima di cena. Sapeva che Christopher, suo fratello, era ancora fuori. Sarebbe dovuto tornare quella sera con il volo delle sei da … da … già! Da dove!? Non si ricordava dove fosse andato questa volta, ma al momento non le interessava. Era preoccupata per altro, per qualcun altro … ma non voleva pensare neanche a quello.
Il suo non voleva essere un tentativo di sfuggire dalla realtà, lasciando che i problemi si risolvessero da soli, o che trovassero un equilibrio e la lasciassero in pace. Non lo faceva apposta. Solo che si sentiva la persona più sfortunata del mondo: neanche il più sfigato essere sulla terra avrebbe potuto eguagliarla.
Le venne da ridere: Ginny e Fran la prenderebbero in giro solo per averlo pensato: se le immaginava già con una mano alzata sulla fronte con indice e pollice perpendicolari, a formare una L, mentre urlano ‘Loser!’
Sopirò. Decise di preparare della pizza, così quando Christopher sarebbe tornato, avrebbe dovuto solo scaldarla. Già ma quando sarebbe tornato? Doveva fargli firmare l’autorizzazione per la gita!
Mentre la pizza si cuoceva, decise di provare a scrivergli un biglietto, dove gli diceva: “ Bisa e forno , virma lautorisasione grrasie!”
Brutta bestia la dislessia … anche Ginny era dislessica … pensò ed iniziò ad andare alla deriva con il pensiero.
Il campanello del forno la riportò alla realtà, avvertendola che la sua pizza era pronta, la tolse e, al suo posto mise quella del fratello.
Prima di mangiare, prese l’mp3 e lo collegò alle casse che aveva in cucina; scelse una canzone di Selena Gomez, la sua omonima.
Dopo cena decise di andare a letto presto nonostante il giorno dopo fosse sabato, il che indicava niente scuola, ma si sentiva molto stanca; non appena si infilò sotto le coperte, il sonno l’avvolse.
Così non poté vedere l’uomo in impermeabile scuro che le sistemò sul cuscino una dracma d’oro; qualche istante prima di andarsene, l’uomo si voltò a guardare il colto della ragazzina, sorrise poi scomparve nel nulla.
Quando si svegliò, la mattina dopo, a Selena sembrava di essersi addormentata cinque minuti prima. Aveva ancora sonno, ma sapeva che se non si fosse alzata ora, non lo avrebbe più fatto, tuttavia, prima d’uscire da sotto le coperte e scendere dal letto, ci si rigirò un po’, finché non sentì qualcosa di freddo sulla schiena, iniziò a cercare: trovò uno strano dischetto d’oro con delle forme strane sulle due facce, lì per lì le sembrò di capire cosa ci fosse scritto poi si ricordò di essere dislessica, forse era ancora troppo assonnata per cercare di decifrare il dischetto, così lo posò sulla scrivania.
Uscendo di camera, sentì delle voci e delle risate provenire del piano di sotto. Scese in fretta: Christopher era disteso sul divano. Si era addormentato profondamente mentre guardava la televisione, aveva ancora una fetta di pizza miracolosamente in bilico nella mano.
Selena rise fragorosamente. Chris si svegliò di soprassalto, la fetta di pizza gli sfuggi di mano, atterrandogli sui jeans.
Il ragazzo la guardò impotente poi sposto la sua attenzione sulla sorella, che, sulle scale, riusciva a astento a trattenere dei risolini.
“Buongiorno.” disse il ragazzo in tono neutro.
“’Giorno …” rispose l’altra continuando a ridere. “Hai l’aria di uno che non ci ha capito molto …” osservò.
“Infatti …”
Risero entrambi. Selena si gettò tra le braccia del fratello e lo salutò, dandogli il bentornato.
Fecero colazione svuotando definitivamente il frigo.
“Dovremmo fare la spesa oggi.” disse Chris.
“Sì, ok. Posso andare io! Convinco le altre ad accompagnarmi.”
“Ah! Davvero, bene!” sorrise il ragazzo. “Così potrò dormire!”
Selena lo guardò strano poi si ricordò della gita. “Giusto Chris!” scattò. “Firmami l’autorizzazione! Adesso!” ordinò.
Il fratello la guardò spaventato.
“Altrimenti me ne scordo!” si scusò
Chris continuò a guardarla poi si rilassò improvvisamente. “Ecco cosa c’era scritto nel biglietto di ieri sera!”
Selena lo fisso con uno sguardo omicida. “Perché cos’ho scritto?”
“Niente, niente! Ecco a te!” disse porgendole il foglio appena firmato.
Selena lo prese e diede un bacio sulla guancia al fratello poi corse in camera sua. Cercò di rimettere un po’ a posto ma non ci riuscì, si annoiò subito e poi non aveva molta voglia; così afferò il telefono e chiamò Ginny e Fran: si sarebbero incontrate alla fontana del centro commerciale alle quattro del pomeriggio.
La mattina passò in fretta, Selena tentò ancora di rimettere a posto la sua camera e una volta decise anche di fare lo stesso con il suo armadio, ma si perse tra i vestiti. Alla fine la stanza era in condizioni peggiori di prima. Rinunciò, avrebbe chiesto a Fran di aiutarla e a Ginny un consiglio sul rinnovamento del guardaroba.
Quando scese in cucina per l’ora di pranzo, trovò Chris nuovamente disteso sul divano in una posizione sghemba. Selena scosse la testa e andò in cucina, preparò qualcosa al volo e poco dopo era già tutto pronto in tavola.
“Chris! Si mangia!!” urlò poi.
Lo zombi entrò trascinandosi dietro le gambe.
“Wow, sembri uscito da Resident Evil!” notò la sorella.
“Perché non ho dormito abbastanza …” sbadigliò. “E poi, tu hai visto Resident Evil?”
Selena sbuffò. “Mi ha costretta Fran.”
Chris rise e iniziò a servirsi un’abbondante dose di pasta. Mangiarono chiacchierando del viaggio del giornalista: era stato a Barcellona per una corrida di tori; aveva scritto un articolo sui vari punti di vista di questa festa, dai conservatori agli animalisti.
Selena era affascinata da tutto quello che il fratello le raccontava. Le spiegò anche delle tecniche che i toreri usavano per stancare ed uccidere le bestie, non fu certamente la sua parte preferita ma ne rimase comunque icantata.
Dopo pranzo alla ragazza toccò fare i compiti per la settimana, ma non vedeva l’ora di uscire. Infatti alle tre e mezzo schizzò fuori di casa salutando il fratello.
Sulla strada c’erano poche persone: una vecchietta con dei cagnolini, una coppietta seduta su una panchina e una ragazza con dei lunghi capelli castani che camminava in fondo alla strada.
Quando Selena arrivò, Fran era già davanti alla fontana del centro commerciale.
“ È molto che aspetti?” chiese.
“No, no. Poi mi divertivo a guardar passare la gente.”
Selena si guardò intorno. “Certo.”
Poco dopo arrivò anche la ritardataria Ginny.
Il centro commerciale era pieno, ovvio era sabato, così nessuno notò una ragazza con lunghi capelli castani seduta dall’altra parte della fontana.

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Capitolo 3
*** Situazione al Campo di Ipswich ***


Sonny era in contemplazione mistica:gambe incrociate, occhi chiusi, le mani sul suo sax, il rumore delle onde del lago nelle orecchie, un rumore ritmico e calmo … iniziò a suonare: in ogni intervallo tra onda e onda, suonava un motivo in risposta all’acqua …
Era una giornata perfetta: il sole alto, il lago tranquillo, nessuno intorno … dal bosco giungevano dei rumori di battaglia, al campo si stavano esercitando, ma a lei non interessava. Le importava solo di suonare.
“Torte!” disse una voce proveniente dal lago.
Sonny smise di suonare all’improvviso facendo uscire uno strano suono dal sax. Si guardò intorno poi notò qualcosa brillare in modo strano sul pelo dell’acqua, si avvicinò.
Susan la guardava con un’espressione un po’ strana.
“Sue! Ho sentito il mio sax soffrire! Non apparire mai più così!!”
“Va bene, ma adesso ti devo dire una cosa importante!”
Sue era agitata, strano per lei che era sempre calma e tranquilla. Sonny si fece più attenta e divenne improvvisamente seria.
“I mezzosangue sono tre, non due! Sono tre ragazze, una di loro sembra saperlo; inoltre c’è qualcun altro che le vuole dalla sua parte.”
“Trote!” scattò Sonny.
Sue rise. “O cavolo!” disse guardando un punto davanti a lei. “Senti ho bisogno di rinforzi! Che figata dirlo!” concluse. “Si stanno muovendo, non posso perderle! Avverti Filly! Ciao trota!”
Il volto della ragazza scomparve dallo specchio d’acqua, lasciando Sonny a fissare il suo: capelli neri corti e i suoi occhi tremendamente celesti.
Si alzò e raccolse le sue cose, infine, con il sax legato sulla schiena, corse verso la capanna di Filòttete, attraverso tutto il campo passando davanti a tutte le 12 case, una per ogni dio, anche se non tutte erano usate; notò che c’era fermento nella casa di Artemide ma non poté fermarsi a vedere cosa stava accadendo.
In breve arrivò dal capo del campo senza neanche avere il fiatone.
“Filòttete! Ho delle novità da Brighton! Da Sue!”
Un sedere caprino aprì la porta facendola sbattere contro il muro poi spuntò anche il busto umano di un uomo sulla quarantina, teneva in braccio due scatole piene di pezzi di armature.
“Davvero!? Bhè, allora porta queste da quelli di Efesto, devono riparane il contenuto!!”
“Ci sono cascata!” urlò Sonny.
Filòttete rise. “Sapete cosa vi aspetta!! He-eh!”
Dieci minuti dopo, la ragazza era di nuovo davanti alla capanna del satiro.
“Fil! Adesso devo parlarti seriamente!” disse salendo le scale del portico.
“Entra entra!!”
Sonny lo fece e si diresse in cucina dove di solito facevano le riunioni per tutte le varie attività del campo. Quando entrò, vide Filòttete seduto al tavolo con una lattina di birra in mano, la sedia davanti a lui era occupata da un arco d’argento ed una faretra piena di frecce, sempre d’argento. La ragazza rimase sulla soglia, spostando lo sguardo dal satiro all’arco.
“Abbiamo visite.” disse lui, indicando una ragazza in piedi davanti alla finestra aperta.
I lunghi capelli biondi erano tenuti fermi da un cerchietto, anch’esso d’argento, due occhi verdi fissavano la nuova entrata con curiosità. “Salve, io sono Aurea.”
“Sonny … Sonia Bargins ma tutti mi chiamano Sonny”
“Aurea sarà nostra ospite qui al campo per un po’, insieme alle altre cacciatrici.”
“Capisco …” disse Sonny, ricollegando il trambusto nella casa di Artemide a loro. “Ma non c’è Artemide?”
“No, è in America, ora è là che risiede l’Olimpo. Noi siamo un gruppo di supporto affrancato all’Inghilterra.” spiegò la cacciatrice.
“Affrancato …” soppesò Sonny. “Ok, giusto! Non è per questo che sono qui, senza offesa!”
“Vero! Le novità da Brighton!” intervenne Fil.
“Il messaggio è più o meno: ‘Trote! Sono tre, non due; una sa di essere una mezzosangue! E trote! C’è qualcun altro che le vuole dalla sua parte! Sue ha bisogno di aiuto! Se le attaccassero è improbabile che riescano a spuntarla!” spiegò Sonny.
Fil ci pensò su. “Ok, provvederò ad inviare una squadra …”
“Voglio farne parte!” disse subito la ragazza.
Il satiro la guardò storta poi la squadrò da capo a piedi. “Ok, va bene! In fondo sei tu quella che ha gli agganci là!”
Sonny era contenta: finalmente avrebbe partecipato ad una missione! Non le interessava neanche chi fossero i suoi compagni! Uscì dalla capanna di Filòttete e si diresse verso la sua: una piccola casa ritinta di giallo, le tegole del tetto erano di tanti colori diversi; sulla porta c’era un sax che aveva disegnato lei stessa, con tante note musicali intorno. Era lì da quando aveva dieci anni, un’estate si era messa d’impegno e aveva disegnato tutto da sola. Entrata iniziò subito a preparare lo zaino per la missione.
Quella sera, a cena, Filòttete chiese silenzio per parlare della futura missione. “Susan è andata a Brighton, come sappiamo tutti , per verificare la veridicità delle informazioni che ci erano arrivate riguardo dei mezzosangue. Bhè, da due sono diventati tre e uno di loro sa la verità.
una squadra dovrà andare là a recuperare Susan e gli altri tre; ho già scelto chi andrà là … e più che una squadra sarà un duetto …!”  disse.
Poi iniziò a ridere. “Coloro che ho scelto per la missione sono …”  rise ancora. “La nostra Sonia e … “ rise ancora.
Qualcuno iniziava a spazientirsi ed il satiro stava perdendo gli ascoltatori. “E la nostra ospite … la cacciatrice Aurea!”
Sonny si alzò in piedi. “Trote!?”

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Capitolo 4
*** Una macchina, un sax ed un numero di telefono ***


“Pronta?” chiese una voce profonda e pacata.
“Hmm … credo proprio di sì!” annuì sovrappensiero la bionda minuta, i lineamenti quasi infantili che le davano al volto un’aria allegra e spensierata.
Sonny aveva avuto il tempo di osservarla per bene durante le riunioni per prepararle alla missione. “Essendo una cacciatrice non dovresti avere sempre un bagaglio leggero a portata di mano?” chiese.
Aurea spostò i suoi occhi verde acqua su di lei.
“Sonny, credo che tu abbia un’idea un po’ distorta di noi cacciatrici …”
Per tutta risposta lei scrollò le spalle e infilò le mani nelle tasche dei jeans scoloriti. “Sì, bhè … ecco, voi non dovreste essere al campo e …”
“E, come al solito, credete che siamo delle scroccone infantili.” disse issandosi lo zaino sulle spalle e lisciandosi la tunica bianchissima.
“Veramente, stavo pensando solo che è strano … non siete come mi immaginavo.”
Aurea si girò, colpita dalla sincerità delle parole della ragazza.
“Che c’è?! Sono senza pregiudizi, io.” Disse sistemandosi la tracolla per poi uscire all’aperto lasciando che l’aria tiepida di Ipswich, l’inverno stava lasciando il passo alla primavera. “Adiamo, mia nuova compagna d’avventure!” disse teatralmente.
La timida cacciatrice annuì, sorpresa dall’insolita compagna mezzosangue. “Dov’è che si trova la tua amica … Susan?”
“Sì, non lo so precisamente ma ci chiamerà lei quando sarà il momento.” rise, sollecitando la curiosità dell’altra, che la guardò interrogativa. “Di solito è in ritardo ... hehe … comunque dobbiamo andare a Brighton.”
Le due si guardarono un attimo: occhi verdi e scintillanti contro celesti, color del ghiaccio; capelli lunghi e biondi contro corti e neri; viso pallido ed infantile contro vispo e allegro …
Sonny si voltò ad ammirare la sua casa prima di partire.
“Figlia di Apollo?” chiese Aurea.
“Già …”
Partirono per Brighton, ad aiutare Sue con i mezzosangue.
In mezza giornata raggiunsero l’autostrada, si intrufolarono in un fastfood.
“Cosa dovremmo fare adesso?” chiese Sonny. “Prendere un autobus? Ci metteremo giorni per raggiungere Brighton altrimenti.”
“No … andrebbe troppo lentamente e sicuramente non andrebbe oltre Londra …” rimuginò Aurea.
Dei ragazzini la stavano fissando, probabilmente incuriositi dallo strano abbigliamento della ragazza, la nera infatti si stava trattenendo a stento dal ridere.
Passò qualche minuto in cui Sonny comprò un po’ di rifornimenti e delle caramelle gommose, roba di contrabbando nel campo.
Poi tornò dall’altra con la tracolla quasi del tutto piena.
“Bene, direi che adesso possiamo rubare un’auto …” disse Aurea senza neanche guardarla.
“No, dici sul serio!?” scattò Sonny.
La cacciatrice annuì.
“Io ti amo!!”
“Ok … avanti scegli …”
“Quella!”
“Bella Ferrari, ma mi troverei meglio con un’auto d’epoca …”
“Allora quella!”
“No, quella è solo vecchia …”
“Quella?”
Aurea sgranò gli occhi e iniziò a tremare. “U-una De-de-de … DeLorean!!” urlò eccitatissima.
Sonny la guardò malissimo, ma non le fu concesso il premesso si sapere.
“Ok, devo riprendermi.” inspirò ed espirò. “Adesso tu crea un diversivo, io collego due fili e ci rivediamo sul retro della costruzione.”
“Costruzione … okok a dopo!!”
La bionda scattò verso la macchina, avvicinandosi come se stesse cacciando; sonny sarebbe rimasta volentieri a guardarla ma doveva sbrigarsi, doveva attrarre l’attenzione su di se. Ma come?!
Iniziò a guardarsi intorno allarmata, non aveva idea di come fare. Poi notò un ragazzo con in mano una grande custodia nera. Le si illuminò il volto.
Si avvicinò e chiese: “È un sassofono?”
Il ragazzo sorpreso che qualcuno gli rivolgesse la parola in un fastfood in autostrada annuì.
“Ti dispiace mostrarmelo!?” continuò Sony con voce adulante.
“Certo!”
Era un sax tutto lucido e perfettamente pulito, la ragazza lo soppesava con mani esperte. “Posso provarlo? Sai lo suono anche io e ne sto provando vari tipi per fare un confronto: ne voglio comprare uno super!” disse con l’aria di una che in realtà non ci capisce gran che. “Tranquillo! Ho con me il mio bocchino!” si affrettò ad aggiungere.
Il ragazzo non rifiutò e le porse lo strumento.
Sonny si preparò per bene, cercò di individuare Aurea tra le auto ma non la vide, poi iniziò a suonare. Fu come se il tempo si fosse fermato e come se lei fosse l’unica persona al mondo, mentre suonava tutti la guardavano: li incantava, li costringeva a guardare lei e non ciò che capitava intorno … non a caso era figlia di Apollo …
Quando smise partì un applauso che durò per quasi dieci minuti.
Il ragazzo che aveva prestato il sax a Sonny le si avvicinò. “Wow … sai all’iniziò credevo fossi solo venuta per attaccare bottone, ma sai davvero suonare!”
“Ah, si … ok, bene! Ci vediamo!” disse e svicolò via, correndo verso il retro del … ‘della costruzione’.
Aurea era comodamente seduta in macchina con un braccio fuori dal finestrino aperto. “Bell’esibizione!” si congratulò.
“Grazie.” rispose, entrando in macchina, Sonny. “Andiamo prima che il ragazzo che mi ha prestato il sax torni per il numero di telefono!”
Aurea rise ed entrò in autostrada verso sud.

Scusate il ritardo ma qualcuno ci ha messo un po' prima di darmi un pezzetto di questo capitolo, vero Tappina_S_5!? XD

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Capitolo 5
*** Una normale giornata da mezzosangue nascosto ***


Fran ansimava, non aveva più fiato e Orto la fissava con la bava alla bocca che grondava a terra mescolandosi col sangue della ragazza che aveva appena morso al braccio. Le iniziava a girare la testa: doveva ucciderlo prima che lui uccidesse lei e che poi passasse a sua nonna, che era chiusa in casa; ce l’aveva chiusa a forza perché non voleva che morisse, ma se fosse morta ora non sarebbe servito a nulla.
Le risuonavano nelle orecchie le parole che Mason continuava a ripeterle: “Non potrai continuare per sempre a proteggere le persona che ami, un mezzosangue consapevole emana un odore più forte e attrae più mostri. Hai bisogno di aiuto, se ti unisci a noi lo avrai.”
Lo scacciò subito, gliel’avrebbe fatta vedere.
Inspirò, respingendo un conato di vomito, e strinse più forte la catena che usava come arma. Una civetta d’acciaio le si posò su una spalla stridendo triste per la ferita.
“Steel mi devi fare il grande favore di cavare gli occhi al cane …” disse cercando di mantenere la calma.
L’animale le fece segno di aver capito, seguito da uno strano verso di protesta.
“Lo so che ha due teste, ma tu cavagli gli occhi! Cavolo ha anche un serpente al posto della coda!”
La ragazza sapeva che anche l’animale iniziava a subire l’effetto delle ferite: erano collegate, tutte le volte che Fran la evocava, tra loro si stringeva un legame tale che solo la morte avrebbe potuto sciogliere.
Steel spiccò il volo e lei scattò in avanti: la civetta piombò su Orto con gli artigli sguainati, riuscendo a cavagli tre occhi; la mezzosangue riuscì a pestare la testa del serpente poi urlò, la sua compagna volò via e Fran poté strangolare il mostro con la catena.
Passò qualche minuto, il grosso cane tentava di divincolarsi ma la ragazza lo teneva stretto, poi crollò a terra.
Fran alzò gli occhi dalla bestia appena uccisa, che già andava trasformandosi in polvere: alla finestra ella cucina, sua nonna la guardava preoccupata ma con il sorriso sulle labbra.
Il giorno dopo non andò a scuola, infatti le squillò subito il telefono.
“Perché non sei qui?!” urlò la voce squillante di Ginny.
“Ieri sera non mi sentivo bene e ho dormito male, così stamani, considerata la mia assiduità scolastica, nonna mi ha concesso di restare a casa.” sospirò.
“Quindi fai forca!” continuò con voce trillante.
“Sì Ginny, sì …”
“Hei, ma ora come stai!?”chiese la voce di Selena.
“Be-NE!” scandì urlando Fran.
“Dovrò stringerla questa benda!” la rimproverò sua nonna, guardandola da sopra gli occhiali.
“Benda?”
“Hem, no hai capito male, ha detto … hem … attenta! Ho un tè bollente fra le mani!”
“Tu non lo bevi il tè … e poi cosa centra con stringere?” continuò Selena.
Fran non poteva crederci: metà delle volte non la ascoltava nessuno, ed ora erano spuntati a tutti dei radar come ai pipistrelli al posto delle orecchie.
“Zitta Sel!”
“Dobbiamo andare!”
“Buona forca!”
“Ciao ragazze!” sospirò e guardò sua nonna. “Proprio ora dovevi cambiarmi la fasciatura?”
“Proprio ora ti dovevano chiamare?” sorrise la donna.
Infine strinse più forte la benda facendo gemere di dolore la malcapitata. “Piagnogna! Che figlia di Afrodite che sei!” la ammonì.
La ragazza la fulminò con lo sguardo ma alla fine risero insieme.
Sua nonna era una piccola donna dall’aspetto giovanile: indossava sempre dei grossi maglioni colorati e un fiore intonato tra i capelli, dove trovasse quei fiori anche in pieno inverno resta tuttora un mistero. La casa dove abitava rispecchiava perfettamente la sua persona: era un piccolo cottage inglese circondato da piante di tutti i tipi; sul retro c’era anche una grande serra dove coltivava piante medicinali, di tè e, per la gioia della nipote, anche di caffè.
“No! Quanto ci metterà a guarire?!”
“Fra! Dipende da come seguirai le mie indicazioni!”
Fran la guardò spaventata. “Non dovrò bere intrugli strani,vero?”
“Sì, se non vuoi che durante la gita, nessuno sospetti qualcosa della ragazzina che tiene sotto il sole cocente le maniche lunghe!”
“Se mi prometti che sarà una cosa veloce e che aiuterà molto la guarigione, lo faccio.” disse. “Sei teatrale sai …” aggiunse poi.
“Già, mi sto un po’ preoccupando …”
La nipote pensò che tra le cose non ci fosse alcuna connessione logica, ma non le diede affatto fastidio.
“Come puoi continuare a sconfiggere tutti quei mostri da sola?”
“Te l’ho già detto: non mi unirò a quei due, sai cosa vogliono fare! E posso neanche dirlo alle altre perché l’odore di tre di noi ne attirerebbe di più!”
“Sì, ma anche Orto non è uno scherzo! Se tu non avessi avuto Steel con te saresti morta!!” la rimproverò, poi uscì dalla cucina.
Fran restò sola ad osservare la catenina argentea e il ciondolo a forma di civetta che aveva al polso.
“Grazie Steel.” sussurrò al ciondolo che fremette leggermente. “Grazie mamma.”
Il giorno dopo a scuola fu accolta dalle amiche con un sonoro applauso.
“Complimenti, sono fiera di te!!” urlettò Ginny piangente. “La tua prima forca!” disse mentre fingeva di asciugarsi una lacrima.
“Certo …”
“Ma come va ora?” chiese Selena salterellando.
“Bene, ieri mi sono presa solo un giorno di ferie, tutto qui.”
“Si chiama forca …” disse Ginny ammiccante.
“No …” rispose Fran frustrata ma quasi del tutto rassegnata.
“Sì …”
“No …”
“Sì …”
E continuarono così finché non si divisero per entrare in classe.

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Capitolo 6
*** Amori e cibo ***


Era l’ora di pranzo. Le ragazze si erano ritrovate davanti ai distributori di bevande. Il flusso continuo di persone che andavano chi a mensa, chi in segreteria, chi chissà dove, non le toccava ; così Alec ebbe la straordinaria idea di invitarle a ‘pranzo’.
“E paghi tu?” chiese Ginny con nonchalance, che sopportava a malapena la presenza del ragazzo accanto a lei.
Fran era infastidita e si teneva a debita distanza da Mason, che seguiva ovunque il compagno di classe.
Invece Selena non poteva neanche guardare il moro ricciolo ma per motivi diversi.
“Dai ragazze, state sempre qui durante il pranzo! La sala mensa non mangia mica!” disse incalzante Mason.
“Già, potrebbero mangiarvi gli insegnanti, non avete visto come razzolano sempre il meglio!?” continuò ridendo Alec.
Selena ridacchiò alla pessima battuta, beccandosi le occhiatacce delle amiche. “Pensavo solo che potremmo anche andare almeno per questa volta …” disse imbarazzata poi.
Fran guardò Mason, che ricambiò con un sorriso innocente. “Ok …” grugnì
Ginny dovette accettare a sua volta però i conti non le tornavano. “Ok, arriviamo subito! Voi ragazzi avviatevi e prendete i posti!” disse trascinandosi dietro le amiche.
La ragazza con i capelli mori fece sedere le altre su delle sedie nella prima classe che trovò libera. Le scrutò un po’ prima di dire: “Ti piace!”
“No!” urlarono le altre allo stesso tempo.
Ginny si piegò in due dalle risate. “No, ragazza … non ti piace!”
“Davvero! No!” dissero ancora in coro.
La ragazza rise ancora.
Fran si alzò di scatto con i pungi stretti e dighignando i denti. “No!” urlò convinta.
“A dire la verità … a me un po’ sì …” confessò Selena.
Ginny esplose in u lungo urletto sovracuto e saltellò qua e là chiedendo spiegazioni.
“Bhè … lo conosco da tanto tempo, fin da quando eravamo piccoli … e …”
“E da un po’ di tempo ti sei accorta di provare per lui qualcosa di più di semplice amicizia!”
“Sì. Si ma lo vedo distante … non è come prima. È cambiato dall’anno scorso …” disse sovrappensiero.
Fran la guardò in modo strano, ma Selena non poté capire cosa significasse perché Ginny entrò nella sua visuale tempestandola di idee per conquistarlo.
Mentre la mora andava in brodo di giuggiole e l’altra tentava di capire cosa dicesse, la bionda teneva lo sguardo basso, cercando di passare inosservata: così arrivarono sulla soglia della sala mensa.
“Tu!”
“Io, cosa?” chiese stancamente Fran.
“Ti piace Mason! Si vede! Ho intuito per queste cose!!” strillò Ginny.
“NON MI PIACE MASON!”
“Ok, allora se a te non piace io sono Cenerentola!”
“Ciao Cenerella!”
Selena pensò che le due stessero per uccidersi a vicenda.
“Allora se non è amore cos’è!?” chiese Ginny.
“È una fregatura … ecco cos’è …” disse l’altra andandosene verso il tavolo che avevano occupato i ragazzi.
Passarono uno strano pranzo: tutti avevano qualcosa da mangiare, tranne Mason che ammiccava al secondo panino di Fran.
“Visto che ne hai due: mi dai il secondo!?” chiese sfoderando gli occhi da cucciolo.
Lei lo fulminò. “Ok, mi è passata la fame …”
Il ragazzo rise e addentò il panino, ma non dovette piacergli perché fece un faccia molto strana.
“Oh! Dimenticavo di dirti che se non ci metti il ketchup non è un gran che!”
Ginny rise sotto i baffi.
Mason obbedì e lo addentò di nuovo. “Hai ragione. Così è meglio!” biascicò.
Alec gli diede una gomitate e indicò qualcosa alle spalle della ragazza, che non prestò attenzione e continuò a mangiare.
Poi accadde tutto molto velocemente: Mason lanciò il panino verso Fran che lo schivò facendolo andare a sbattere verso qualcos’altro o qualcun altro.
Qualcuno urlò: “Battaglia di cibo!”
E si scatenò la terza guerra mondiale, in cui le armi più potenti erano gli hamburger al formaggio.
Ginny e Selena si nascosero sotto il tavolo, Fran scattò in piedi, pronta a inseguire Alec e Mason, ma, quando dovette evitare un hot dog volante, li perse di vista. Si voltò per cercarli e si beccò una macedonia in testa.
“Adesso basta!” tuonò una voce autoritaria poco distante da lei. “Chi avrà lanciato questo panino?” chiese la voce.
Era una domanda retorica, il preside sovrastava la ragazza: l’uomo aveva una lunga striscia di ketchup sul visto e un po’ anche nei capelli. “È stata forse lei, signorina Owl?” chiese ancora retoricamente.
“È davvero una fregatura … “ rispose lei che aveva appena rintracciato i ragazzi sulla soglia della sala mensa.

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Capitolo 7
*** Indovina indovinello ... ***


Sue aveva preso il traghetto quella mattina ma ancora non era scesa: da dieci ore vagava sulla nave, ben attenta a non farsi beccare. Aveva scoperto tutto sulla gita che avrebbero dovuto fare le mezzosangue e riteneva che prelevarle in quel momento sarebbe stato perfetto, poi la Foschia avrebbe provveduto. Sapeva che avrebbero visitato l’isola davanti a Brighton (nota dell’autrice: non c’è nessun isola davanti a Brighton, mi serviva che ci fosse però …) per visitare le rovine dei templi greci di Zeus e Afrodite … informazione vitale … adesso sapeva a chi chiedere grazia se la missione falliva …
Decise di scendere, avrebbe dato un’occhiata all’isola. Non era tanto grande, si doveva pagare un biglietto per entrare nel sito archeologico, osservò le persone che entravano e notò che facevano tutte la stessa cosa: prendevano una guida. Così le venne l’idea che attendeva da dieci intere ore … sarebbe diventata una guida, anzi, proprio la guida del gruppo in gita … già ma come fare?
Rimase seduta in terra, lontana dagli occhi di tutti, ad aspettare.
“Su! È come fare una torta!” si disse. “Solo che ho già la torta in mano e devo scoprire come l’ho fatta e ce l’avrò fatta … è un discorso da figli di Atena!!” rise.
“Ok allora … per essere una guida devo avere un riconoscimento, una licenza. Già e come maschero i miei anni? A sedici anni uno va a scuola … avrò fatto una scuola specifica per questo lavoro … o qualcosa di simile … scuola … scuola! Certo! Faccio un corso apposta e mi hanno mandato a fare le stage qua!” disse alzandosi in piedi.
Poi si guardò intorno notando che dei ragazzi la stavano guardando male. Lei li salutò cortesemente e si incamminò verso il piccolo porto, pensando nel frattempo che sarebbe entrata negli uffici del sito quella notte quando non c’era nessuno e avrebbe anche manipolato la Foschia in modo da far collimare tutto.
Nascondersi al porto le restò facile quasi come sulla nave e a mezzanotte uscì dal nascondiglio e andò a cercare gli uffici.
Avevano lasciato una finestra aperta, erano certi di essere al sicuro: chi avrebbe mai rubato dei pezzi di pietra da un’isola?
Sue controllò che non ci fosse nessuno poi entrò  senza fare il minimo rumore. Lei non era il tipo d’azione, a meno che l’occasione non lo richiedesse ovviamente, le piaceva di più la parola e l’uso che di essa si può fare.
Le ci volle poco tempo per rimaneggiare i file e la casella e-mail del computer centrale. Così lei diventò Susan Pie, la nuova stagista, mandata da Londra, che sarebbe arrivata il giorno dopo verso le undici della mattina, inoltre c’era anche il consiglio di farle provare il lavoro con una classe di studenti.
Sorrise del lavoro compiuto e uscì dall’edificio. Non essendoci nessuno, si permise di passare da una finestra che dava sulla piazza centrale del sito.
Uscita iniziò a guardarsi intorno e ad osservare le rovine, se avrebbe dovuto fare la guida almeno doveva sapere in cosa guidava le persone. Entrò nel tempio di Zeus poi in quello di Afrodite, su strano stare in dei luoghi in decadenza che appartenevano a delle persone che avrebbe potuto incontrare.
Finito il giro delle rovine tornò nella piazza dove qualcuno la attendeva.
“Oh … eccoti finalmente, Susan. Ti aspettavo con ansia …” disse una voce suadente.
Una donna alta e slanciata era al centro della piazza, aveva lunghi capelli d’orati e la guardava con superiorità ma anche con curiosità.
“Prego?” chiese Sue un po’ confusa.
“Non ti ho ringraziato … ti ringrazierei se tu rispondessi ad un indovinello …”
La ragazza squadrò la donna da capo a piedi: una donna, solo una donna. Si nascondeva bene, anche lei sapeva usare la Foschia.
“Ti ascolto.”
L’altra rise. “Che ragazzina educata!” disse poi si schiarì la voce. “Questo indovinello lo fatto a molte persone, nessuna è stata in grado di rispondere correttamente.”
“E cosa succede se non rispondo in modo esatto?”
La donna fece un smorfia di rabbia. “Non si interrompono le persone signorina! E comunque se rispondi correttamente non avrei bisogno di saperlo … forse.” aggiunse sottovoce.
Fece una strana risatina, quasi simile a delle fusa o ad un ringhio.
“È un genere salmo comune,
ha tanti nomi
ma solo uno li accomuna tutti,
cos’è?”
“Facile!” scattò immediatamente Sue.
La donna si spaventò quasi ed iniziò ad emettere lo stesso verso di prima ma più forte.
“Se è così facile allora dillo!” disse con un tono di voce un po’ troppo arrabbiato …
“Una trota!”
Il volto della donna adesso era diventato totalmente rosso e si faceva anche sempre più peloso. No, anzi: tutto il suo corpo iniziava a diventare più peloso e grosso; la mani e i piedi iniziarono a diventare zampe munite di grandi artigli.
“Risposta esatta … “ ringhiò sbavando la sfinge. “Ma dovrà rimanere il nostro piccolo segreto!”
Attaccò ruggendo.
Sue si abbassò e schivò, rotolando a terra, mentre si rialzava infilò la mano in uno degli stivali estraendone una piccola bacchetta bordò bordata d’oro, che strinse forte nel pugno.
La sfinge era pronta a tornare alla carica, faceva le fusa e già pregustava il momento in cui avrebbe assaggiato la carne della ragazza; dal canto suo lei non attendeva altro che una mossa del grosso animale per fare la sua contromossa.
“Io non attaccherò. Sarò pur sempre un animale ma ho le mie regole.” disse dopo poco la sfinge.
Sue dighignò i denti: non ci voleva proprio … tanto valeva provare la nuova tecnica che le aveva consigliato Sonny poco prima di partire.
Così si mosse rapidamente, il più possibile che poté, perché sapeva che l’altra era molto più veloce di lei: lanciò in aria la bacchetta e iniziò a correre nella direzione del felino, che le venne incontro.
La sfinge caricò la zampata estraendo le unghie, ma Sue scartò di lato improvvisamente e saltò su un grosso blocco di pietra. La sua avversaria menò il colpo all’aria e perse l’equilibrio crollando a terra.
La ragazza le saltò sul dorso e afferrò la criniera.
“Cosa stai facendo!” tuonò la sfinge. “SCENDI IMMEDIATAMENTE! NON SONO UN CAVALLO!!”
Sue alzò lo sguardo e vide lo scintillio d’orato della bacchetta che calava su di lei. Alzò la mano si cura di prenderla al volo: così fu. Sorrise e strinse la sua arma. Ci fu uno scatto meccanico poi dalla bacchetta partirono due punte di lancia; con grande maestria la ragazza la fece ruotare nella sua mano e la conficcò nella testa della bestia.
La sfinge urlò e si dissolse in polvere d’oro. Sue finì a terra stremata, ma contenta di aver sconfitto l’avversaria anche con l’uso delle maniere forti e ringraziando l’amica degli ottimi consigli.

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Capitolo 8
*** Capra! ***


“In due ore abbiamo già attraversato mezza Inghilterra?” chiese Sonny che si era appena svegliata.
“Abbiamo appena superato Londra.” precisò Aurea.
La figlia di Apollo guardò fuori dal finestrino, vedeva in lontananza un cartello stradale, voleva leggerlo per vedere dove fossero. Il cartello si avvicinava velocemente, forse troppo … lo passarono senza che riuscisse a leggerlo.
Si voltò verso la cacciatrice. “A che velocità stiamo andando per fare mezza Inghilterra in due ore?”
“Oscilla tra i 150 e i 180 …”
“Ah …” si limitò a rispondere Sonny, poi realizzò. “Ma sei pazza!? Se ci vedesse qualcuno? La polizia!?!”
“Tranquilla! So governare la Foschia! E non per vantarmi sono anche brava. La polizia non ci vede neanche siamo praticamente invisibili … e poi … ho staccato la targa prima di partire …”
“Ragazza: mi piaci.” constatò Sonny.
Aurea sorrise un po’ imbarazzata.
“Sì … ok ma adesso … potremmo fermarci in un autogrill? Devo … andare in bagno …” disse arrossendo la nera. “
“Ok tra 500m ce n’è uno …”
Dopo mezzo minuto avevano già parcheggiato la macchina e Sonny era schizzata fuori dall’auto.
Aurea era seduta sul cofano della DeLorean ad osservare e studiare un pacchetto di caramelle gommose alla frutta.
Mentre mordicchiava un orsetto verde, sentì belare ma, quando si guardò intorno, non c’era nessuna capra. Pensò fosse un satiro che le dava un segnale, forse non poteva farsi vedere … ma nessuno le aveva avvertite …
Il verso continuò, le mani della ragazza corsero all’arco e alle frecce: era un suono straziante, sembrava che chi lo stesse emettendo fosse in pericolo.
Sonny arrivò di corsa. “ Che succede?” chiese allarmate dall’azione della compagna.
Le rispose il belare agonizzante dell’animale.
“Cos’è?”
“Non lo so …” rispose Aurea. “È una capra o forse un satiro … ma è strano …”
“Lo sento, andiamo a vedere!” propose avvicinandosi al casermone da cui proveniva il verso.
Aurea la bloccò. “Non hai armi! Dove credi di andare!”
Sonny alzò le mani mostrando i mignoli; la cacciatrice vide bene i due cerchietti d’oro con incise due note musicali.
“Questi  …” disse piantando gli occhi troppo celesti in quelli verdi dell’altra. “ … non sono da truzzo!”
Aurea la guardò prima un po’ intimidita poi interrogativa. “ A parte il fatto che non so cosa voglia dire truzzo, tu continui a non avere armi.” ribatté.
Sonny si allontanò un po’ da lei. Alzò le braccia con le mani aperte poi le abbassò velocemente: in aria rimasero due strisce d’oro liquido fluttuanti; la ragazza le afferrò e se le portò al petto. Mentre lo faceva, l’oro si ricomponeva in due piccole accette dorate, su di esse c’era incisa una vera e propria canzone.
“Adesso ce l’ho.” sorrise Sonny.
Aurea ricambiò il sorriso.
Corsero al casermone, la cacciatrice appoggiò un orecchio sulla porta.
“È proprio una capra.”
“Allora spostati!” urlò Sonny.
La ragazza diede un calcio alla porta di lamiera che crollò a terra facendo un rumore infernale, poi entrò con un balzo brandendo le accette, Aurea la seguiva con una freccia già incoccata.
Al centro della costruzione c’era un grosso boiler scoperchiato da cui spuntava la testa di una capra: era lei a fare quei versi strazianti.
Sonny abbassò le accette. “Una capra incastrata in un vecchio boiler arrugginito!” rise. “Sembra una barzelletta!”
Si avvicinò all’animale che vedendola aveva aumentato il volume del suo grido.
“Aiutiamola a uscire …” disse sfiorando il boiler.
“Aspetta!” disse serissima Aurea. “Ascolta.”
C’era solo il verso della capra … e … uno strano rumore di sottofondo … come un asciugacapelli acceso.
Sonny ritrasse la mano e il rumore cessò. Poi ce la riappoggiò e il rumore riprese. La ragazza riprovò di nuovo: successe sempre così.
“E se provassi …” sussurrò tra se.
Poi caricò il pugno.
“No, ferma!” urlò Aurea.
Sonny tirò un pugno al boiler che si ruppe tra schegge e ruggine.
Il rumore divenne un ruggito. La nera fu sbalzata lontano, ci fu un altro ruggito. La cacciatrice si nascose dietro a dei pezzi di lamiera mentre il boiler finiva in mille pezzi.
Tra i resti si ergeva un grosso leone, dalle sue fauci usciva del fumo, la sua coda era un serpente che guizzava a destra e a sinistra senza sosta. Sulla sua schiena, la testa d capra belava furiosamente.
“Chimera del cavolo!” farfugliò Sonny rialzandosi. “Che trota credi di fare?!”
La testa di leone ruggì.
La ragazza ne approfittò per andarle incontro con le accette pronte, ma fu scaraventata via da una zampata.
“Ok, questa tecnica con te non funziona … Aurea, ma dove trota sei!?”
“Nascosta! Tranquilla arrivo subito … devo solo …”
“Far che?!” chiese allarmata Sonny.
“Devo cambiarmi le scarpe!”
“COSA TROTA DEVI FARE!??!”
“Sonny, tu sai come uccidere un leone?” chiese l’altra senza ancora mostrarsi.
“No, pensavo solo di farlo a pezzi … che so! Di staccagli la testa!”
“Già! Quale delle tre? E meno male che sei animalista!”
Sonny non seppe rispondere. “OK, trota! Cosa devo fare?”.
Aurea sbirciò la scena dal suo nascondiglio. “Vai a mancina!”
“He!?”
“A sinistra!”
“Ah!”
Sonny si spostò lentamente.
“Basta. Ora distrailo!”
“He!?”
“Questo era comprensibile!”
Seguì uno schianto, Aurea controllò la situazione: Sonny stava facendo ciò che le aveva detto. Così la ragazza schizzò fuori dal suo nascondiglio.
La figlia di Apollo la guardò furiosa, ma la sua espressione cambiò in fretta quando vide che tipo di scarpe si era messa: delle converse celesti alate.
“Regalino di Ermes!” urlò.
Incoccò quattro frecce e volò più in alto che poté, le scagliò colpendo la coda-serpente con tutte e quattro. La chimera ruggì di dolore e rabbia, provò a ritirare la coda ma Aurea l’aveva inchiodata a terra.
Sonny approfittò dello spaesamento della bestia per ferirla alle zampe anteriori, si allontanò in fretta e si nascose.
“Bella trovata, trota!” urlò.
“Grazie, ma non sono una trota …” rispose Aurea dal soffitto.
“Lo sarai presto!”
“Sì, ma prima facciamo fuori la fiera?”
“Che fiera?”
“La bestia!”
“Pensavo volessi andare ad un festa …”
“Abbiamo dei problemi di comunicazione fanciulla …”
“Certo, ma la cosa non mi fermerà, ragazza!”
Il ruggito della chimera ricordò ad entrambe dove fossero.
Aurea si diede lo slancio e calò in picchiata sul mostro: altre due frecce si conficcarono nelle zampe posteriori poi la cacciatrice riprese quota.
“Ho un’idea!” urlò Sonny. “Potremmo …”
Ma uno strano rumore non le fece finire la frase, la chimera stava respirando in modo strano, come se avesse l’asma. Poi guardò Aurea con astio e sputò fuoco. Il volto della ragazza si tinse di sorpresa e paura ma riuscì con grande maestria a schivare il getto di fiamme
Sonny guardò la scena: adesso la compagna stava schivando in aria palle di fuoco e imprecava in greco antico. Così dovette cambiare i suoi piani: corse verso il fianco scoperto della chimera ma la testa di capra le sbarrò la strada, parando i suoi colpi con le corna.
“Ora ci voleva solo la testa di capra!”
Gettò un’occhiata ad Aurea che teneva a bada la testa-leone con destrezza, ma iniziava anche ad essere più lenta ed incerta, doveva sbrigarsi.
“Troteeeee!!!” urlò Sonny caricando la capra, ma un attimo prima dello scontro scivolò a terra ritrovandosi sotto il ventre della bestia.
“Mi dispiace” disse.
Iniziò a tirare affondi e a sventrare il mostro, rendendosi presto conto che non era stata una buona idea.
La chimera crollò di lato e la ragazza si rialzò completamente grondante del suo sangue e mentre il corpo dell’animale diventava polvere dorata, il suo sangue no.
“Che due trote!” si lamentò la ragazza.
Aurea era stesa a terra per riprendere aria. “Almeno tu non puzzi di bruciato …” ansimò.
“Sì … troviamo un posto per ripulirci?”
“Oh, sì … e consiglierei di non continuare per oggi … non ce la faccio …”
Sonny acconsentì.

Scusate l'assenza, ma la scuola rompe ... -.-''

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Capitolo 9
*** Il momento verità (?) ***


Olivia era seduta davanti al preside e accanto a lei sua nipote teneva la testa bassa.
“Oggi Fran ha dato inizio ad una battaglia di cibo, lanciando un panino contro di me …” disse con stizza l’uomo.
La donna guardò il fazzoletto macchiato di ketchup sulla scrivania poi la ragazza che non si era neanche pulita e aveva dei pezzetti di frutta in testa.
“Ovviamente si è già scusata dell’accaduto, ma devo comunque prendere provvedimenti al riguardo. Così ho deciso di non sospenderla ma di farle solo saltare la gita di fine anno.”
Fran alzò la testa incredula, stava per dire qualcosa poi rinunciò e la riabbassò.
“Certamente, è giusto e provvederò anche io a casa.” disse dura Olivia.
Quando uscirono dalla presidenza , Selena e Ginny erano fuori ad aspettare l’amica. Fran disse tutto quello che le aveva detto il preside, ma non spiegò perché aveva fatto iniziare la battaglia di cibo nonostante le amiche chiedessero con insistenza.
In macchina però raccontò tutto a sua nonna.
“Così Mason lo ha fatto apposta …”
“Sì, penso che lui e Alec sperassero che non andassi in gita.”
Seguì qualche istante di silenzio.
“Pensi che vogliano dire la verità alle ragazze durante la gita?” chiese seria e triste Olivia.
“ Si! E faranno passare me per la ‘cattiva’!” rispose rabbiosa la ragazzina.
Non parlarono fino a che non arrivarono a casa. Fran si bloccò davanti al calendario che avevano in cucina.
Sua nonna la osservò: aveva lo sguardo serio e il volto inespressivo, faceva così solo quando era arrabbiata. Andò da lei e la abbracciò. “Hai solo 15 anni e io che ne ho quasi 70 non posso fare nulla per aiutarti!” le sussurrò stringendola forte. “Ma sono certa che riuscirai a convincere le ragazze e tutto andrà per il meglio!”
Fran ricambiò l’abbraccio. “Sì … mancano solo tre giorni alla gita …” disse staccandosi. “Oggi è lunedì, entro venerdì dirò loro la verità. Devo … già devo solo trovare il modo ed il momento adatto …” poi si voltò verso Olivia. “Quindi mai! Me le immagino già mentre danno di matto!”
“Dovesti avere più fiducia in loro!” rise l’altra.
La bionda rise sarcastica e andò in camera sua, mentre lei iniziava a prendersi cura delle sue piante, magari le davano l’ispirazione per risolvere la situazione …
La raggiunse il suono cupo della chitarra di Fran: non sapeva cosa stesse suonando, anzi non sembrava neanche una canzone. Il volume era al massimo e i vetri della cucina vibravano.
Olivia scosse la testa rassegnata.
Passarono due giorni, due giorni in cui Fran non riuscì a dir nulla alle compagne,  ora era giovedì e doveva assolutamente dirglielo. Le ragazze erano al parco, sedute su una panchina, il momento era perfetto: intorno a loro c’era solo tranquillità e nessuna persona.
Si alzò in piedi, un po’ agitata.
“Ci dispiace davvero ce tu non possa venire domani!” stava dicendo Ginny e Selena annuiva.
“Non mi interessa.” esordì Fran.
Le altre due la guardarono come se avesse detto qualcosa di assolutamente irreale, ma lei non lo aveva ancora detto.
“Lunedì non sono stata io a far iniziare la battaglia di cibo …”
Le ragazze la guardavano storte; Ginny stava per dire qualcosa, ma doveva impedirglielo.
Così riprese. “È stato …”
“Hei! Ragazze!!” le chiamò una voce loro familiare.
“Mason …” farfugliò Fran.
“Ciao, anche voi qui?” disse Alec.
“Già, ma guarda che coincidenza!” rispose acida la ragazza.
Selena la guardò così male che ebbe paura ad aggiungere altro.
Passarono quasi un’ora su quella panchina con i ragazzi. Fran era sul chi va là, non poteva permettersi di cadere sotto l’influsso di Mason.
“Devo andare disse quando la situazione si fece insopportabile.
“Di già!?” scattò Ginny, che non aveva nessuna voglia di restare con i due ragazzi e la sbavante.
“Sì.” rispose lapidaria.
Alec guardò l’orologio. “Oh! Anche noi! Mason siamo anche in ritardo!”
Si salutarono: Selena e Ginny andarono verso il centro di Brighton, mentre Fran, Mason e Alec andavano nella direzione opposta.
Mason si affiancò alla ragazza. “Mi dispiace aver interrotto il tuo momento verità, ma non potevamo permettertelo.”
“Dispiace anche a me.” disse Alec.
Stava farneticando o era serio!?!
“A me no!” rispose lei. “Adesso non ho più motivi per non prendervi a calci!”
Alzò la mano destra, Steel  volò via e, al suo posto, una pesante catena cadde nelle mani della ragazza.
Alec scartò di lato allontanandosi: Mason restò al suo posto. “Perché? Se ti unissi a noi, non ci sarebbe bisogno di combattere …”
“Ora come ora, non ti attaccherei comunque. Estrai la tua arma!”
Il ragazzo le si avvicinò di più. Fran sentiva il suo odore invaderla: profumava di tiglio … amava il tiglio.
Scattò e si allontanò con un salto.
Alec aveva estratto la sua spada ed era pronto ad affrontarla, però aspettava: Mason di solito non combatteva, in fondo era figlio del dio dell’amore, Eros aveva le sue strade …
Ma quando neanche lui riuscì ad impedire la battaglia, attaccò.
La ragazza era pronta e non a caso … conoscere di quale dio era figlio il tuo avversario aiutava moltissimo: con Fran era inutile fare tante strategie di attacco, era sempre tre passi avanti a te.
“Figlia di Atena! Saresti perfette tra le nostre file, perché non ti unisci a noi?” le chiese.
Adesso lo riconosceva: freddo e distante. “Non aiuterò mai persone che vogliono rovesciare l’Olimpo!” rispose mentre schivava un affondo. “Gli dei possono anche essere crudeli ma è da anni che sono al potere. Il mondo ha visto momenti bui ma è ancora in piedi, no?” e questa volta fu lei ad attaccare.
“Sei contro il cambiamento …” constatò Alec.
“No, sono per evitare le cose inutili e controproducenti … perché distruggere qualcosa che ha trovato un’equilibrio?”
Steel teneva a bada Mason, che cercava di allontanarla con l’asta della sua alabarda. Cercava di seguire lo scambio di battute ma la civetta gli impediva d’intervenire. Poi sentì un sibilo vicino alla sua testa, Steel volò via, verso la cima degli alberi. Sentì un peso sulla sua schiena e cadde a terra.
“Che succede qui?” chiese una voce di ragazza che non conosceva.
“Io vado a fermare gli altri due!” disse un’altra voce.
Una ragazza bionda con una tunica bianca entrò nella visuale di Mason. “Alec!” urlò.
L’amico si voltò subito e lasciò perdere i suo combattimento con Fran. La bionda appena arrivata estrasse l’arco e due frecce, incoccandole velocemente. Ma l’altro non si fece intimidire e schizzò verso il compagno.
“No!” urlò Fran.
“Ferma!” le ordinò la ragazza con l’arco. “Sonny, lascialo andare!”
Il peso che bloccava il ragazzo scomparve, così poté rialzarsi. Quando Alec lo raggiunse, scapparono insieme: il loro scopo non era quello di combattere, dovevano solo impedire a Fran di dire la verità a Selena e a Ginny. Mason guardò chi lo aveva tenuto a terra: una ragazza dai corti capelli neri gli dava le spalle e non si curava di loro.
Le due nuove arrivate arrivarono davanti a Fran.
“Chi siete?” chiese
“Trote!” rispose prontamente la nera.
La figlia di Atena la guardò senza capire, poi Steel stridì forte e le due si distrassero abbastanza da lasciarle il tempo di scappare.

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Capitolo 10
*** Primo incontro ... ***


Venerdì mattina.
I ragazzi si accalcavano eccitati davanti a scuola, cercando di accaparrarsi i posti migliori sugli autobus che li avrebbero portati al porto per prendere il traghetto.
Solo una ragazza si trascinava per casa come fosse uno zombi bisognoso di caffè.
“Fran, va bene essere preoccupati, ma così esageri …” la rimproverò sua nonna.
“Non sto esagerando, non ho dormito bene. Anzi, non ho dormito affatto.” disse prendendo un’abbondante sorsata della bevanda calda.
“Appunto! Io vado ad annaffiare, che non mi venga qualche idea!”
Quando Olivia uscì dalla stanza, Fran si immerse ancora nel caffè poi si sedette al tavolo della cucina e si avvicinò il libro che stava leggendo, era utile essere una mezzosangue non dislessica, era pronta per passare l’intera mattinata a leggere, allontanando tutte le preoccupazioni …
… quando suonò il campanello …
“Nonna, vai te?”
“Non posso sto ramando!!”
Ma non doveva solo annaffiare!?
Fran si alzò controvoglia, molto controvoglia; davanti alla porta, alzò la cornetta del citofono. “Chi è?” chiese un po’ alterata.
“Trote!”
La ragazza abbassò la testa rassegnata. “Entrate …” e aprì il cancello.
Le due ragazze entrarono in casa, indugiando qualche momento sulla porta, vedendo l’aperta ostilità di Fran; quando arrivò Olivia però si accomodarono in cucina e presero anche una tazza di the biologico.
“Noi siamo Sonny …”disse la bionda in tunica indicando la nera dagli occhi di ghiaccio. “ … e Aurea. Siamo qui per trovare informazioni circa le mezzosangue dislocate in quest’area.”
“Dislocate …” fece eco Sonny.
Fran alzò un sopracciglio un po’ turbata dalla situazione o forse solo innervosita.
“Ah! Quindi si sono decisi ad inviare qualcuno!”
Tutte guardarono Olivia.
“Sì! Dal campo! Io non so dove si trovi il campo inglese, anzi, non sapevo neanche se esistesse! Sono americana …”
Fran sorrise. “Sì sì, ok. Ma adesso dite anche a me di cosa state parlando?”
“Del Campo Mezzosangue. Ci sono dei campi per i giovani figli di dei che devono imparare a controllare i loro poteri o che, più semplicemente non hanno un posto dove andare.” spiegò sua nonna.
“Esatto, è ad Ipswich! E dovremmo tornarci tutte insieme …” disse Sonny.
“Ma prima dobbiamo trovare Sue e le altre.” Finì Aurea.
“Io ho due domande, no anzi tre! Uno: vi divertite a finirvi le frasi a vicenda? Due: chi è Sue? Tre: come farete a salvare le altre due da Alec e Mason? Che poi sono quei due con i quali combattevo ieri.” intervenne Fran.
“Non sempre; una ragazza mandata in avanscoperta e trote.” rispose Sonny.
“Informaci su Alec e Mason.” disse Aurea poggiando la sua tazza vuota sul tavolo.
“Sono due mezzosangue che vogliono rovesciare l’Olimpo. Mason è figlio di Eros, mentre non so di chi sia figlio Alec … mi hanno sempre chiesto di unirmi a loro …” disse Fran guardando nel vuoto poi si accorse che le due stavano aspettando che finisse. “Ovviamente mi sono sempre rifiutata. Adesso Ginny e Sel sono su un traghetto insieme a loro. Potrebbero farle stare dalla loro parte dicendo qualsiasi cosa!”
“Loro sanno di essere mezzosangue?”
“No, avrei dovuto dirglielo ieri ma non ci sono riuscita.”
“Bene, adesso tocca a noi! Tu sai dove stanno andando e Sue è sicuramente già là; dobbiamo andarci anche noi!” ordinò Sonny risoluta.
“Conducici verso quei liti!” disse pacata Aurea.
“Ma cosa vi fumate?” chiese sbalordita e preoccupata Fran. “Comunque … sì, ok andiamo …”
Le due ragazze andarono verso la porta, pronte a partire di nuovo.
“Ferme! Dove credete di andare?!” urlò Fran che non si era mossa di un millimetro. “Io non posso andare là, sono in punizione, sono stata sospesa.”
Sonny scoppiò in una fragorosa risata. “Ma che trota dici!? Andiamo!” disse continuando a ridere.
Aurea la guardava un po’ storta poi chiese: “Che significa: sospesa?”
La nera la guardò e ricominciò a ridere come prima.
Questa volta fu Fran a guardarla storto. “Significa che non posso andare a scuola, sono in punizione e ciò influenzerà sul risultato finale.”
“Non è una cosa buona, cioè dico: non andare a scuola?”
“No, non in questo mondo … ma da dove esci?”
“Da questo mondo, ma non mi è mai piaciuto andare a scuola, l’ho sempre considerata una perdita di tempo.”
“Io la amo …” intervenne Sonny.
“Mi dispiace il sentimento non è ricambiato e sono casta per giuramento …” rispose seria Aurea.
“Mi sa che era una battuta.” l’avvertì Fran.
“Ah, scusatemi. Non l’avevo capito …”
“Comunque io non posso mettere piede sull’isola, cioè potrei farlo, ma preferirei di no … qualche idea?” chiese la bionda con i capelli corti.
“Ci vado io!”  disse Aurea. “Ho le scarpe! Posso volare fin là e avvertire Sue, prendiamo le altre due e torniamo qua da voi!” si propose indicando le converse celesti.
“Buona idea! Noi prendiamo l’auto, la piazziamo al porto e vi aspettiamo lì!” disse Sonny tornata improvvisamente seria. “Bene, andiamo!!”
“NO! Aspettate!” le fermò ancora Fran.
Le due la guardarono malissimo. “Che TROTA c’è ancora!?!” tuonò la nera.
La ragazza non si scompose. “A parte il fatto che non ho capito bene il vostro piano, ma se siete convinti voi mi fido. Comunque guardate Aurea …” disse piazzandola davanti allo specchio del corridoio d’ingresso.
La cacciatrice si irrigidì e si guardò: cerchietto d’argento in testa; tunica bianchissima, tenuta su da una cintura, anch’essa d’argento con una fibbia a mezza luna e , ai piedi, le converse … lei stessa si accorse di essere vestita con strani accozzamenti.
“Cosa dovrei fare?” chiese titubante.
“Vai in camera mia e fruga pure nella’armadio … qualcosa che ti vada bene la troverai. Credo … nonna!?” chiamò Fran.
La donna sbucò dalla porta della cucina. “Sì?”
“Daresti una mano ad Aurea, per favore? Non può andare in giro per Brighton vestita così!”
“Perché che c’è che non va?” chiese sinceramente sorpresa l’altra.
“Nonna, non abbiamo tempo per abbattere le barriere della diversità o cose del genere …”
Olivia sbuffò un po’ contrariata poi condusse la bionda dai capelli lunghi nella stanza della nipote.
Dopo una decina di minuti Sonny e Fran erano sedute alla tavola della cucina a bere l’ennesima tazza di caffè.
Poi la bionda alzò la testa. “Perché trote?”
La nera si limitò a sorridere.
“È l’anagramma per qualcosa … tro … t-r-o … trote … torte!”
L’altra immerse il sorriso nella tazza.
“Scoprirò perché trote …”  disse con aria di sfida Fran.
Olivia arrivò in cucina soddisfatta, seguita da Aurea: la ragazza si era tolta la tunica da cacciatrice e al suo posto indossava un paio i jeans chiari e una maglia fucsia con le maniche che si allargavano e le spalline leggermente rigonfie.
“Wow! Aurea! Stai benissimo!” saltò su Sonny.
“Davvero!” disse anche Fran.
La cacciatrice rispose diventando rossa.
“Nonna, ma da dove esce quella maglia?”
“Dal tuo armadio …” rispose con aria di rimprovero.
Fran rise colta in fallo.
“Ok, adesso possiamo andare?” chiese ancora rossa in volto Aurea.
Sonny si voltò verso la biondina con le meches regalandole il suo migliore sguardo omicida.
“Sì! Andiamo!” rispose lei con la voce un po’ troppo alta.

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Capitolo 11
*** Un piccione e ... shé ... ***


“Tra qualche minuto approderemo all’isola! Quindi ragazzi, iniziate a recuperare le vostre cose e siate pronti a scendere!” urlò la professoressa più eccitata dei suoi alunni.
Alec e Mason agganciarono immediatamente Selena e Ginny. Le ragazze erano sul ponte a respirare l’aria salmastra di fine maggio, quando i due le avvicinarono la tappetta mora arrossì leggermente mentre l’altra sogghignava.
“Contente di essere qua?” chiese Mason affabile, forse troppo.
“Molto” rispose Ginny un po’ evasiva. “Vorremmo che Fran fosse con noi però.”
“Oh, a lei non dispiacerà poi così tanto di aver perso la gita.” cercò di tranquillizzarla il ragazzo.
“Le dispiacerà più di qualcos’altro …” fece Alec tra se, ma lo sentirono tutti.
Selena lo guardò bene: era ancora il ragazzino dai ricci scuri con cui giocava da piccola, non riusciva a trattenersi dal gioire delle cose che gli capitavano, era come leggere un libro aperto. Ma perché aveva detto una cosa simile riguardo a Fran? La ragazza non ci pensò molto perché il traghetto stava entrando nel porticciolo dell’isola e i ragazzi dovevano scendere.
“Ok, allora mentre io vado a sistemare delle cose burocratiche dentro” iniziò la prof indicando un edificio basso e bianco, probabilmente gli uffici del personale. “Vi lascio in compagnia della nostra giovane guida!” finì e questa volta indicò una ragazza con dei lunghi capelli castani, che li guardava sorridendo.
Così la prof li lasciò e la guida si presentò. “Buongiorno, io sono Sue e questo ammasso di pietra disfatto u  tempo era un tempio greco-romano.
I ragazzi risero, così Sue continuò a spiegare molto dettagliatamente la struttura dei templi e i riti che vi si facevano al loro interno; straordinariamente i ragazzi ascoltarono, c’era qualcosa d’inebriante nella sua voce, no forse non nella sua voce … nella sua presenza …
Ginny iniziò a guardarsi intorno poi posò gli occhi sulla guida poi di nuovo sui massi bianchi, infine ancora sulla guida. “Ho come un deja vu …”
Selena la guardò con una faccia non proprio interrogativa.
“Sì, intendo su tutta questa storia dei miti greci e di queste cose!” si spiegò.
“Anche io …” annuì l’amica.
“In più …” accennò a Sue con un leggero movimento della testa. “L’ho già vista … ma non ricordo dove!”
La ragazza le sfiorò con lo sguardo, sorrise soddisfatta e fece spostare la classe davanti ad un altro edificio.
Mason si piazzò dietro a Ginny, che lo guardò malissimo, mentre Alec affiancava Selena chiedendole qualcosa in proposito ai greci.
Ginny si voltò verso il ragazzo. “Queste cose possono anche funzionare su Fran, ma ragazzo! Non certo su di me!” lo gelò di netto e continuò a camminare.
Alec e Selena dovettero avvertire il gelo e si separarono, lei andò dall’amica, lui fece lo stesso.
“Che hai combinato?” gli chiese.
“Niente! Ho solo tentato di usare il mio potere su di lei, come faccio sempre, mi sembrava il modo più veloce per risolvere la situazione!”
“Possibile che quella ragazza abbia un potere così forte?”
La mattinata continuò e i ragazzi fecero ciò che aveva previsto Fran, almeno tentarono. Tutte le volte che si avvicinavano alle ragazze la guida faceva spostare il gruppo o si metteva ne mezzo, sembrava lo facesse apposta.
Sue, dal canto suo, faceva il suo lavoro. Voleva mandare un messaggio-iride a Sonny ma non trova il tempo, così non poteva far altro che aspettare e sperare, ma soprattutto tenere le ragazze fuori dai guai e quando parliamo di mezzosangue è davvero difficile.
All’ora di pranzo non poté far più nulla, il ragazzo dai capelli riccioli si agganciò alla ragazzina che doveva chiamarsi Selena e non sembrava che a lei dispiacesse. Così si concesse una pausa. Una nuvoletta di vapore la avvicinò, vi guardò dentro, il volto di Sonny le sorrise. “Sta per arrivare un piccione!! Sta attenta!!” poi sparì.
Un piccione … avrebbe capito se una trota fosse venuta in suo aiuto, ma il piccione le rimaneva sconosciuto.
Aspettò un po’, guardandosi intorno: non vedeva nulla in giro, ma forse doveva guardare in aria, trattandosi di un piccione. Lo fece e con sua enorme sorpresa vide un qualcosa che si avvicinava nel cielo. Senza farsi notare dai ragazzi girò l’angolo del tempio e fece segno all’oggetto non identificato di atterrare.
Una ragazza dai capelli biondi atterrò leggera accanto a lei, hai piedi aveva delle converse celesti con delle ali, sigla inconfondibile di Ermes.
“Salve, io sono Aurea, la cacciatrice. Tu devi essere Sue.” si presentò.
“Oh! Sì, Sonny me lo aveva detto!” le strinse energicamente la mano. “Piacere di conoscerti!! E di lavorare con te! Qual è il piano?!”
“Sei agitata?” chiese la ragazza un po’ … terrorizzata?
“Un po’, sono stanca; dei ragazzi si attaccano alle due mezzosangue …” poi strabuzzò gli occhi. “Oh cavolo! Sono due! Dov’è il terzo!?!”
“Tranquilla! Lei è già con Sonny!”
Sue si tranquillizzò poi si informò sul piano, avvertendola di Mason e Alec.
“Ok e ora?” chiese Sue.
“Non lo so, per ora voglio vedere come si muovono quei due e poi siamo ancora in mezzo alla gita …”
Decisero di dividersi e si tastare il terreno.
Prima di tornare dai ragazzi Sue si voltò verso la nuova compagna. “Bei vestiti!”
Aurea rise e si allontanò.

No è successo un casino, ok cambiato un po' la storia ... XD

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Capitolo 12
*** Dovete venire con noi senza fare domande ***



“Ginny ma che fai?”
“Seguo la guida …”
Selena si bloccò all’improvviso. “Che fai?”
“Seguo la guida, ma tranquilla non ascolto! Voglio solo capire dove l’ho già vista.”
La ragazza scosse la testa e seguì l’amica che seguiva la guida.
I ragazzi rimasero tra gli ultimi, in fondo al gruppo, Mason si guardava attorno e sospirava mentre Alec pensava al modo migliore di far allontanare le due ragazze dal gruppo.
“Mason, le tratteniamo dopo l’imbarco così possiamo dir loro la nostra storia in tranquillità …  in più, se riusciamo a rimanere qua dopo la chiusura, arriverà sicuramente qualche mostro.”_
“E cosa vuoi farci con un mostro?” chiese il ragazzo senza guardarlo.
“Lo uccidiamo salvando le donzelle in pericolo, così non avranno più dubbi sulla nostra buona missione. Poi possiamo incolpare Fran di averlo inviato da loro, crederanno a tutto a quel punto.”
“Oh, già … lei …” Mason guardò a riva, nonostante non si vedesse nulla il suo sguardo si perdeva in dettagli inesistenti.
“Adesso smetti di pensarci e trova piuttosto il modo di far funzionare il tuo potere su Ginny!”
“Io ci provo, ma è lei! È  come fosse … impermeabile!”
I due continuarono a camminare in fila. Dietro di loro, poco distante, Aurea aveva seguito tutta la loro conversazione, ora doveva solo avvertire Sue ed organizzarsi: dovevano agire prima della fine della gita.
Si fermò vicino ad una fontanella e inviò un messaggio iride a Sonny.
“Hei ragazze!”
“Trote?”
“Sì, trote So!”
Aurea rise piano. “Ragazze dobbiamo agire in fretta, qualche idea?”
Sonny e Fran si scambiarono un’occhiata.
“Io e l’altra …” iniziò Sonny.
“L’altra!” ripeté stizzita Fran.
“Io e la carissima Fra, qui accanto a me, ci stavamo pensando e l’idea era quella di portare le ragazze qui senza dir loro niente. Solo quando saremo sufficiente mente lontane da questo posto daremo spiegazioni.”
“Sì perché Brighton sta diventando un’insalatiera per i mostri, se altri due mezzosangue dovessero venire a conoscenza della loro vera natura, l’odore sarebbe tale da attirare mostri anche molto grossi …” concluse la figlia di Atena.
Aurea ci pensò un po’ su. “Ok, le trasporto da voi subito. Con le scarpe ci vorrà un po’, posso trasportare solo una persona alla volta.”
“Perfetto! Iniziate subito!”concordò Sonny.
Il messaggio iride svanì nel vapore lasciando le due nella tensione.
“Ora non ci resta altro che pensare a cosa diremo alle ragazze per farle stare tranquille …” sospirò Fran.
Aurea corse subito da Sue, la trovò mentre ordinava di non lasciare cartacce per terra mentre i ragazzi si sistemavano per pranzare.
“Questo pomeriggio visiteremo il museo del sito dove sono …” si bloccò quando vide lo sguardo della bionda. “Scusatemi torno subito.” disse nonostante non la stessa ascoltando nessuno.
“Dobbiamo agire subito, quei due hanno intenzione di portarle via a fine gita. Dobbiamo precederli.” Spiegò la cacciatrice.
La ragazza annuì e le fece cenno di seguirla.
Si diressero verso Ginny e Selena.
Quando le videro avvicinarsi, Mason e Alec si alzarono di scatto allarmati, ma bastarono le occhiate raccapriccianti delle due per farli ricadere seduti al loro posto. Anche Ginny saltò su quando vide Sue venirle incontro, Selena invece fu incuriosita dalla figura di Aurea.
“Ragazze, vi sembrerà strano, ma dovete venire con noi.” iniziò la castana.
“Senza fare domande.” completò la bionda.
Ginny cacciò un urlo molto simile ad uno squittio. “Ho capito! Tu sei la figlia di zio Asdubrale!” disse indicando Sue.
La ragazza, scioccata, rimase impietrita per qualche secondo prima di riuscire a parlare; tuttavia non lo fece, anzi decise di squittire anche lei e poi urlare: “Tu sei la cuginetta di due estati fa!”
Selena e Aurea si scambiarono un’occhiata sorpresa mentre le altre due si abbracciavano saltellando.
“Perché fai la guida qui?” chiese Ginny continuando con i suoi saltelli.
Sue si fermò e toenò seria. “Ecco è lo stesso motivo per cui dovete venire con noi senza fare domande.”
“Ma …” provò a dire Ginny.
“Vi sarà spiegato tutto poi. giuro!” concluse la cugina.
“Ma adesso dovete venire con noi senza fare domande!” incalzò Aurea un po’ su di giri.
Selena che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissare la ragazza bionda, si alzò di scatto e divenne di un bel colore porpora.
“Allora ragazze, chi avete incontrato?” la voce di Alec s’intromise prepotentemente nel gruppo.
Aurea, Ginny e Sue gurdarono il nuovo arrivato come fosse una cariatide da cui tenersi lontani mentre Selena lo guardava e basta.
“Ho incontrato mia cugina.” rispose fredda Ginny.
“Già e adesso dobbiamo andare in bagno, prima che il giro del museo ricominci.” intervenne Sue.
Tutte insieme partirono verso il bagno per eseguire il piano come stabilito poco prima.
Tutte tranne Selena. “Arrivo subito!” disse.
Sue ed Area si scambiarono un’occhiata.
La cacciatrice seguì Ginny verso i bagni.
Sue si concesse due secondi. “Si comincia.”

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Capitolo 13
*** Divisioni e mezze verità ***


La reazione di Ginny alla vera forma delle converse di Aurea fu tranquilla: tirò un’urlo immane e non volle assolutamente volare tenuta in aria da ‘quei cosi’, chiamati così da lei. Ma quando la bionda bofonchiò qualcosa su Ermes e sul fatto che a lui non sarebbe piaciuto quell’epiteto, si disse epiteto, per le sue scarpe, Ginny rimase stralunata quanto bastava per consentire alla cacciatrice di caricarla e di iniziare il volo.
“Allora ti piace la gita?” chiese tranquillamente Alec a Selena.
“Sì, il tempio di Zues mi è piaciuto molto. sono davvero affascinanti tutti i miti e le leggende greche.”
Il ragazzo rise. “Tu credi?”
Selena lo guardò strano, era uno di quei momenti in cui non riconosceva il ragazzo con cui era cresciuta.
“Ti piacerebbe far parte in uno di quei miti?” continuò lui.
“Sarebbe bello …”  rispose dopo un po’ lei.
Alec sorrise, era fatta adesso gli avrebbe creduto. “Ti va di tornare al tempio? tanto è ancora presto e a quest’ora non ci sarà nessuno!”
Il volto di Selena si illuminò e annui con entusiasmo.
Si sedettero su un masso bianco dentro al tempio.
“Wow, è meraviglioso.” sussurrò la ragazza.
Alec la osservò mentre teneva il naso all’insù per vedere tutta la costruzione. Era rimasta la stessa, sin da quando erano bambini. Le voleva molto bene. per questo la voleva accanto a sé.
“Sel, ti devo dire una cosa importante.”
Lei lo guardò in modo davvero strano. “Anche tu vuoi che venga con te senza fare domande?”
“Cosa?! No, affatto …” si interruppe un attimo, per scegliere le parole giuste. “Sarà una tua scelta.”
Lapidario perfetto per attirare l’attenzione.
Selena lo guardò negli occhi, attendendo.
“Se ti dicesi che tutti i miti, le leggende e gli dei greci esistono davvero? Siamo circondati da loro creature che si muovono secondo il loro volere. Anche io sono figlio di uno di loro …”
La ragazza lo guardò sbalordita: stava sicuramente scherzando, si stava prendendo gioco di lei; tuttavia qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo le diceva che non mentiva.
“Tutto il mondo si muove come fosse un burattino! voglio che questo finisca, che il mondo sia nelle mani degli uomini che lo abitano.” si interruppe per riprendere fiato.
Lei lo guardava e ancora attendeva. Glielo avrebbe chiesto davvero? Forse are troppo pericoloso coinvolgerla, avrebbe ancora potuto dire: è tutto uno scherzo, ci sei cascata!
Ebbe un attimo di esitazione: “Vorrei che tu …”
Sue batté forte la sua arma a terra. “Ok, hai detto abbastanza Alec. Non la coinvolgere nella tua pazzia!”
Alec si alzò in piedi pronto allo scontro. “Non la sto costringendo.”
Selena era divisa, non conosceva neanche Sue, la ragazza che la stava proteggendo, ma non volve che si scontrassero, non voleva vedere Alec in pericolo. si alzò e si frappose tra i due. “Non ho la minima idea di cosa stiate parlando e non capisco perché vogliate scontrarvi, ma vi prego non lo fate!!”
“Selena le ragazze ti stanno aspettando! ti prego vieni con noi!”
“Sel, pensaci bene. loro ti hanno tenuto nascosto tutto!”
“Ginny è già là, ti sta aspettando! C’è anche Fran!”
“Ah ecco, Fran sa già tutto sin da quando è arrivata qua, non è vero? Ha tenuto nascosto tutto sia a te che a Ginny!”
Selena si bloccò improvvisamente, forse a questo non avrebbe potuto credere … ma sapeva che lui non mentiva … non a lei …
Sue non poteva fare niente, adesso toccava solo alla ragazza scegliere con chi schierarsi.
Selena si mosse lentamente, si voltò verso Alec poi verso Sue , ma non guardò lei.
Alle spalle della ragazza era appena atterrata Aurea con le ali delle scarpe che ancora si muovevano. La bionda guardò allarmata la posizione d’attacco di Sue poi Alec. Infine il suo sguardo si posò su Selena.
Fece un passo avanti e tese la mano verso di lei, sussurrò: “Ti prego, andiamo …”
Alec capì subito la situazione, così gettò a terra due sfere che pestò con forza.
Ci fu uno schianto poi un denso fumo nero si alzò nell’aria.
Aurea volò in avanti e afferrò Selena, insieme scapparono, volando sul mare.

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Capitolo 14
*** Trip in macchina ***


“Almeno diteci come farete a nascondere la nostra assenza dalla gita!”
“La Foschia penserà a tutto, tranquille. Non ci saranno problemi di alcun tipo.” spiegò Sonny dopo le presentazioni.
Aurea era tornata una terza volta sull’isola per recuperare Sue.
“Ma i nostri genitori? I nostri parenti? La scuola?” incalzò ancora Ginny.
“Genitori e parenti saranno avvertiti da mia nonna, lei sa tutto e penso che anche loro lo sappiano, se fai un figlio con un dio te ne accorgi.” rispose questa volta Fran. “E per la scuola, con la Foschia in giro la gente crederà a qualsiasi cosa.” era abbastanza fredda, era rimasta turbata dal racconto di Aurea.
Ginny era su di giri, molto su di giri; andava avanti e indietro borbottando e facendo domande sempre più precise.
Sonny rispondeva a tutto però, quando l’altra chiedeva il motivo di tutta quella confusione, non rispondeva proprio.
Selena spostava lo sguardo dalle ragazze, alla macchina e infine al mare e, di tanto in tanto, sospirava e guardava a terra.
Dopo una decina di minuti Aurea e Sue atterrarono sul selciato del piccolo porto.
“Ragaze, è ora di andare; i ragazzi resteranno ancora poche ore sull’isola: dobbiamo guadagnare un buon vantaggio.” disse subito Sue.
“Mi metto subito alla guida ma al primo fastfood che incontriamo ci fermiamo! Volare mi mette appetito …” scattò la cacciatrice entrando nella delorean.
Le ragazza iniziarono ad entrare in macchina, ma i posti non erano sufficienti.
“Credo che qualcuno dovrà sedere in collo a qualcun altro.” disse Sonny comodamente seduta accanto al guidatore.
Tutte si voltarono verso Fran e Selena.
“Ne dubitavi?” chiese la bionda.
“Ci speravo.” rispose la mora.
Quando partirono stavano tutte più o meno scomode, più più che meno.
“Sempre alla prossima fermata, ruberò un’altra auto, più grande!!” giurò Aurea.
“Rubare?” chiese Selena.
“Sì, non abbiamo altra scelta. tranquilla lascio sempre qualche dracma d’oro al posto dell’auto, chi le riceve sembra felicissimo, chissà cosa vede …”
Selena guardò un attimo Fran. “Per la Foschia.”
“Sei davvero impressionante: voli, rubi … cos’altro sai fare?” chiese Sue per iniziare un’amabile conversazione.
“Tira decisamente bene con l’arco, garantisco io.” disse Sonny.
Le uniche a voler parlare sembravano loro, o meglio: le altre volevano parlare ma non per fare un’amabile conversazione.
La tensione era alta tanto che calò nuovamente il silenzio.
Selena cercava di pesare meno a Fran e lei da parte sua voleva chiederle cosa era successo con Alec, ma temeva di ferirla e/o che no dicesse la verità o non tutta almeno, così avrebbe voluto chiederlo a Sue, ma così era certe che l’avrebbe ferita. tutto questo mentre Selena pensava a cosa e a come chiedere a Fran cos’era successo e perché lei e Alec cercavano lo scontro; ma anche lei era frenata dal fatto che voleva credere al ragazzo, e infatti gli credeva, ma non voleva perdere l’amica, così era tentata di far finta di nulla e proseguire per la proprio strada, ma sapeva che la verità sarebbe venuta a galla prima o poi, così era divisa … di nuovo …
Ginny si sentiva stretta, non solo sul sedile: cosa stava succedendo? Chi erano quelle due? Perché sua cugina era comparsa all’improvviso? Perché Fran era con loro? Dove stavano andando? Perché la bionda sapeva guidare così bene? e poi parlava di rubare!! Ma suo padre e Cecily, la sua compagna, cosa avrebbero pensato? non era sicura che la nonna di Fran dicesse il vero. E poi se suo padre, il suo adorato padre, sapeva di tutta questa storia, perché non le aveva mai detto niente? Cosa centravano Mason, che si era comportato così stranamente con lei quel giorno, e Alec? Ma soprattutto: perché non potevano fare domande?
Così smattò: “Adesso basta!! Esigo che questo catorcio di macchina si fermi immediatamente! E che voi ci spiegate subito cosa sta succedendo!! E voglio la verità!!”
Lo disse così furiosamente, senza riprendere fiato e, soprattutto, incuté una fifa tale che Aurea parcheggiò al lato della strada senza pensarci due volte.

Eccoci qua! Bene, lo sclero è l'inizio di molte cose ...
Ho una bella sorpresa riguardo alla nuova macchina che devono prendere le ragazze ... e l'unico modo di scoprirla è di continuare a leggere ... XD

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Capitolo 15
*** Finalmente 'ste trote di risposte! ***


Le terrorizzate uscirono dalla macchina.
“Adesso basta! Voglio tutta la verità!”
Le ragazze che la sapevano si scambiarono uno sguardo e silenziosamente annuirono.
“Ma non qui, c’è puzza di mostro.” disse Aurea serissima guardando il boschetto davanti a loro.
Fran annusò l’aria e fece una smorfia; alzò la mano destra e mormorò qualcosa in greco antico. la civetta del suo braccialetto si mosse, mentre la catenina diventava una vera e propria catena di acciaio, l’animale divenne a grandezza naturale, restando sempre d’acciaio, e iniziò a volare in cerchio fino a posarsi sulla spalla della ragazza. “Steel controlli se ci sono mostri in giro, per favore?” le chiese fingendo di non notare lo sguardo attonito delle altre.
La civetta inclinò la testa di lato e volò via stridendo.
“Tornerà tra poco, nel frattempo chi è dotato di un’arma la tiri fuori.”
“Una stratega …” notò Aurea.
“Già.”
Le bionde si guardarono in modo strano poi afferrarono le loro armi.
Steel tornò dopo pochissimo, tornò al suo posto, sulla spalla di Fran, e stridì.
“Non ne ha visti di nessun tipo, anche se c’è l’odore, molto probabilmente se ne sono appena andati.” tradusse.
Sonny la guardò strabuzzando gli occhi. “Tu capisci quello che dice?”
“Certo, da sempre. Ma funziona solo con lei, anche perché non ho incontrato nessun altro animale d’acciaio.”
La ragazza la guardò in modo strano poi si posizionò in fondo alla fila.
Così entrarono nella boscaglia: davanti Aurea con tre frecce incoccate, ai lati Sue con il bastone a doppia lama e Fran con la catena e Steel, a chiudere la fila Sonny con le accette d’oro strette in pugno.
“Non capisco … credevo che l’odore dovesse intensificarsi qua dentro , invece diminuisce. Forse se ne sono davvero andati.” disse Aurea abbassando l’arco.
“Ok, ma non mettiamo via le armi.” concordò Fran.
“Quelle due insieme, fanno effetto.” disse Selena a Ginny  e Sonny, accanto a lei.
“Ok, adesso ferme! Ora le risposte!!” tuonò Ginny.
Si fermarono tutte. Fran, Sonny e Selena crollarono su un tronco caduto e invitarono anche Ginny a farlo.
“Preferisco stare in piedi …” asserì vedendo la sporcizia sul tronco.
Aurea sorrise leggermente. “Bene, puoi iniziare a fare le domande di cui prima.”
“He?!” dissero in coro Selena, Sonny e Ginny.
“Di cui parlavi prima.” disse Fran.
“Ah!” dissero ancora in coro.
Sue rise di gusto della scenetta.
“Bene …” iniziò Ginny. “Che cavolo sta succedendo!?” chiese enfatizzando molto ogni singola parola.
“Conoscete gli dei e le dee greci, vero? Al contrario di quanto vi hanno sempre detto, sono più reali e vivi di quanto non crediate possibile. E molto più spesso di quanto sia possibile scendono sulla terra, si innamorano e hanno … figli.” disse Aurea.
C’era silenzio tra le ragazze, Selena si guardava le punte delle converse e Ginny invece il vuoto davanti a lei.
“Di che dio sarei figlia quindi?” chiese sempre guardando il vuoto.
“Non si sa quasi mai da subito, di solito è il dio che ti riconosce come suo figlio inviandoti un segno. Su di te ho fatto molte supposizioni, molto probabilmente l’ho capito, ma non sta a me dirtelo.” le rispose Fran.
“Ma non è possibile, io ho un padre! I genitori li ho!”
“Tua madre dov’è?” chiese Sonny. “A tutte qui manca un genitore o entrambi. Tua madre era una dea, il cerchio si stringe per te.”
“Non è possibile …” ripeté e questa volta si sedette.
“Io i genitori … ho un fratello anche lui è come … me?” chiese Selena.
“Non è detto, gli dei non fanno molto caso ai matrimoni umani, anzi …” disse Sue.
Ci fu ancora silenzio, le ragazze cercavano di capire ciò che era stato detto loro, anche se era difficile da accettare.
“Dove ci volete portare adesso?”
Ci fu un istante dove l’aria cambiò, un soffio di vento.
Steel stridì.
Aurea scattò con l’arco in mano.
Sue rispose alla domanda: “Ad Ispwich, al Campo Mezzosangue.”
“Credo che non ci arriverete, sssai?” disse una voce molto simile al rumore di unghie alla lavagna.
La catena di Fran cadde pesantemente a terra, Sonny avvicinò Selena e Ginny, ancora un po’ intorpidite e stordite dalla chiacchierata.
“Sto io in difesa!” urlò Sue piazzandosi davanti alle ragazze disarmate.
Chi doveva combattere era pronto.
Il nemico strisciò leggiadramente davanti a loro.


Sono tornata, ma putroppo non mi riavrete prima della fine della scuola! T_T
Dai dai manca una quindicina di giorniiiiiii!!! ^^

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Capitolo 16
*** Trote vs una povera madre con dei figli!! ***


“Ragassssse, non arriverete vive al Campo Mezzossssssssangue.”
Il nemico era davanti a loro, sibilante.
Ginny scattò in piedi spaventata e disgustata da ciò che stava davanti a loro.
“Echidna …” sussurrò Aurea.
Un serpente gigante con il busto di una donna: le dure squame verdi le salivano fino alla vita, rivestendola di una indistruttibile armatura. Ai lati del suo corpo flessuoso pendevano inermi ma molto pericolose le braccia con le mani artigliate, lame forti e affilate come rasoi.
“Già, ci rivediamo piccola cacciatrice.” un sorriso mostruoso le scomponeva il bel volto contornato da lunghi capelli neri lisci.
La bionda strinse i denti e tirò l’arco ancora di più.
“Che carino, conoscenza fatta. Cosa vuoi?” chiese Sonny .
Echidna la guardò stizzita. “Voglio vendetta!”
Tutte le ragazze strinsero più forte le loro armi.
“Vendetta per cosa?” chiese Fran.
“Proprio tu hai il coraggio di chiedermelo?!” ruggì il mostro.
La ragazza non mosse neanche un muscolo.
“Tu che uccisssso il più indifessssso dei miei piccoli!?”
“Cosa … ah. Echidna, la madre di Ortro …” intuì la ragazza. “Bhè, io non lo avrei proprio definito indifeso.”
“Certo perché tu non sssssei madre!”
“Un mostro madre di mostri …” sussurrò Sonny.
“Anche tu!” gridò Echidna indicandola. “E tu! E tu …” continuò additando anche Sue e Aurea. “ANCHE VOI AVETE UCCISSSSSO I MIEI PICCOLI! LA PAGHERETEEEE!!”
Attaccò.
Sonny volò in aria come un ramoscello secco.
Aurea scoccò ma nessuna freccia colpì l’obbiettivo.
Sue parò un colpo di artigli con la sua arma affondando i piedi nel terreno.
Poi Echidna si ritirò fulminea. “Piaciuto il primo assssssssssssssalto? Di sssssssssssssolito finissssssco i miei nemici in tre asssssssslti!”
“Ha attaccato chi sentiva più pericoloso …” notò Aurea. “Ma Sue era in difesa … RAGAZZE! VUOLE UCCIDERE SELENA E GINNY!”
“Coooooosaaaaaaaaaaaaa!?” strepitò quest’ultima.
Sue cercò con gli occhi Sonny, che però non si trovava. “Sonny tutto ok?”
“Ma porca di quella trota! Si, più o meno … più meno che più! Lo sentirò domani questo …” la ragazza dai capelli neri spuntò da dietro dei tronchi abbattuti. “Hei! Sottospecie di rettile! Cosa vuoi fare!?”
“Occhio per occhio … mi hanno detto che quelle due sono delle pivelline, sono simili hai miei piccoli, così mi prenderò loro …”
Fran, che non si era mossa fino a quel momento, fece volare via Steel e si voltò per poi correre dietro a degli alberi bassi.
“Simpatica la ragazzina! Utile soprattutto!” sbraitò Sonny.
“Sonny riprendi la difesa! Non ti distrarre!” la riprese Sue. “Abbiamo bisogno di un piano!”
Aurea corse in circolo intorno a Echidna scoccando frecce come una pazza ma nessuna colpiva il bersaglio.
“Non vi sssssservirà nessssssssun piano!”
Steel stridì dall’alto di un albero, al suono il serpente alzò le braccia come per coprirsi. Poi però attaccò di nuovo, si diresse strisciando verso Aurea, la cacciatrice si protesse nascondendosi dietro ad un albero.
Echidna persa di vista la preda si concentrò su Sonny e Sue che non si erano nascoste.
“Oh finalmente qualcuno l’ha capito che l’attacco frontale non funziona con questo tipo di nemico.” disse Fran a due centimetri da lei.
Aurea sobbalzò sorpresa.
“Scusa.” sorrise l’altra.
“Ti sei nascosta …”
“Non mi posso permettere di …” non completò la frase. “Ho notato una cosa: guarda.” si appoggiò all’albero e guardò Steel tra i rami.
La civetta stridì ancora e Echidna ripeté ancora quel gesto con le mani.
“Interessante.”
“Già. Ora pensaci tu, so osservare ma non riesco a stare ferma per troppo tempo.” detto questo schizzò fuori dal nascondiglio.
Raggiunse le spalle del mostro e lo colpì alla testa con la catena di ferro.
“Eccoti … ssssei quella che ssscappa!”
“Qualcun altro l’ha notato!”
“Sonny!” la riprese Sue.
“Non importa … ma ora tizia! Combatti con me!” urlò lei contro Echidna.
“Tissssssssia!? Cosa!?!?!”
Si scagliò contro la ragazza che bloccò gli artigli incastrandoli nella catena, ma Echidna aveva due braccia, due mani artigliate: le graffiò la spalla destra e fu costretta a mollare la presa.
“Ssssei penosssssa!!” rise. “Ora devo uccidere le tue amiche!”
Si voltò e attaccò ancora.
Si mosse velocemente, Sonny riuscì a parare un colpo di coda ma fu spostata dalla forza dell’urto: finì a terra travolgendo anche Sue.
Selena e Ginny erano senza copertura ora.
“Steel!!” urlò Fran senza riuscire a muoversi, ma la civetta non si mosse come lei.
Echidna diresse il suo attacco contro Selena: la ragazza indietreggiò ma inciampò nel tronco su cui era seduta poco prima.
Ginny, che era riuscita ad indietreggiare, cacciò un urlo incredibile.
Echidna si fermò di botto coprendosi le orecchie squamate a causa del suono che solo lei sentiva così forte.
Sonny si rialzò, approfittandone, spiccò un salto enorme atterrando sulla poderosa coda del mostro. “VEDIAMO SE ORA RIUSCIRAI A COLPIRMI ANCORA CON ‘STA CODA!”
La tagliò di netto con le accette d’oro.
Echidna si riprese grazie al dolore e si rivolse verso di lei. La attaccò furibonda.
Sue si mise in mezzo e sferrò un attacco dal basso verso l’alto, colpì il mostro proprio in bocca facendole saltare un canino assieme ad un bel po’ di sangue.
Echidna urlò dolorante e atterrita.
Fran la immobilizzò con la catena tenendola ferma con il braccio sinistro, quello non ferito.
Allora si voltò ancora e tentò ancora un ultimo attacco contro le ragazze disarmate.
“Non si passa.” disse Aurea davanti a loro.
Le tre frecce incoccate, partirono verso il corpo della bestia.
Di Echidna non restò altro che una finissima polvere dorata nell’aria.



Con non ho capito bene neanche io la dinamica dello scontro, comuqnue mi sono divertita molto a scriverlo!! Spero vi piaccia!!
^ ^

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Capitolo 17
*** La cacciatrice non è poi così peace 'n' love ***


La macchina era piena di un silenzio denso e stanco.
Dopo lo scontro contro Echidna erano quasi tutte un po’ ammaccate: Aurea aveva dei piccoli tagli sulle braccia e Sue qualche livido qua e là. Quelle messe peggio erano Sonny, che aveva una grossa abrasione sull’addome dovuta ai colpi di coda del mostro, e Fran, che si era dovuta fasciare la spalla ferita anche se il taglio non era molto profondo. Ginny e Selena erano molto silenziose dopo tutte quelle rivelazioni ed il combattimento.
Fran si stava per addormentare ma era molto turbata per quello che era successo con Steel: se il loro legame era così forte lei sarebbe dovuta diventare più forte.
Aurea la vide dallo specchietto retrovisore. “Sarebbe meglio che tu non ti addormentassi.”
“Lo so, ma … sono stanca …” disse cercando di riscuotersi muovendo di conseguenza Selena in collo a lei.
Sonny fece uno strano verso.
“Cosa ti affligge?” domandò la cacciatrice.
La nera sbuffò sonoramente.
“Puoi esplicarti.”
“Esplicarti …” ripeté la ragazza. “Credo che l’ultima che si deve lamentare sia proprio tu, Fran.”
“Che vuoi dire?” chiese da dietro la schiena di Selena la diretta interessata.
“Voglio dire che chi non combatte seriamente non ha in diritto di lamentarsi!”
Silenzio.
Si sentì Fran prendere fiato. “È perché mi sono nascosta.” dedusse.
“Non ti sei nascosta soltanto! Sei scappata!! Abbandonandoci!!”
“Era più che ovvio che non potevamo attaccare Echidna direttamente, ci avrebbe solo abbattute una alla volta.”
“Questo non ti autorizzava a scappare!!”
“Sai cos’è la strategia?!”
Avevano alzato la voce entrambe, adesso si stavano praticamente urlando addosso.
“A causa tua e della tua stupida strategia ci siamo ferite tutte!”
“Sbaglio o grazie alla ‘mia stupida strategia’ abbiamo abbattuto l’avversario!?”
“È stata pura fortuna!! Non sapevi che Ginny avrebbe urlato!! E smettila di fare domande retoriche!!!”
“Wow, sai cosa sono le domande retoriche, mi congratulo!”
“Sta zitta sapientona!!! Solo perché tua madre è la dea della strategia in battaglia, questo non ti da il permesso di abbandonare le tua compagne!!!”
“BENE ADESSO BASTA!”
L’aria nella macchina si congelò: Aurea era sbottata urlando. Accelerava, guidando come un pazza superava tutte le auto davanti a lei.
“L’UNICA COSA CHE NON DOVETE FARE È INCOLPARVI A VICENDA! NON SI FA COSì UNA SQUADRA!”
“Squadra?! Con lei?!” sbottarono entrambe le ragazze.
Fran beccò un pizzicotto da Selena e un pugno sulla spalla ferita da Ginny mentre Sonny riceveva uno scappellotto bello forte da Sue dietro di lei.
“Non voglio più sentirvi litigare voi due!!” disse Aurea continuando a guidare come una pazza. “Se quando arriveremo al campo vorrete ancora farvi la festa vi sfiderete a duello!”
Ancora silenzio e tensione nella macchina.
Aurea continuò a guidare come una scellerata lungo l’autostrada.
“Adesso siamo vicino a Londra, ci fermeremo e ci cureremo per bene infine, cambiata macchina, riprenderemo il viaggio dirette a Ipswich.”
“Questa volta prendiamo un furgone …” sbuffò Sonny.
“Sì, va bene.” rispose la cacciatrice tranquilla come se nulla fosse accaduto.

Mi sembra cortino ma divertente .......... in attesa per una cosa strana nel capitolo dopo ....... a chi non andrà a genio la scelta: non voletemene, li trovo simpatici. ^^

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Capitolo 18
*** A Londra ... ***


Posteggiarono l’auto in un parcheggio nella periferia di Londra e si avviarono verso il centro città guardinghe. La gente le guardava male: si vedeva che c’era qualcosa di strano in loro, forse credevano che fossero scappate di casa o peggio …
“Ma cosa vede la gente vedendoci?” chiese Selena. “Cioè perché ci guardano tutti così male?”
Sonny sogghignò. “La Foschia ci protegge e la gente deve ciò che gli interessa vedere.”
“Come?” incalzò Ginny.
“La Foschia è uno strato di … nebbia, che confonde le idee hai mortali e se non stiamo attenti anche a noi.” spiegò Aurea. “Alcuni mezzosangue posso anche imparare ad usarla a loro piacimento.”
“Fantastico, dovrò impararlo …” mormorò Fran.
Aurea sorrise leggermente e accelerò il passo.
Raggiunsero i confini di Hide Parck e si fermarono a riprendere un attimo fiato.
“Ok, qualcuno ha qualche idea su dove possiamo trovare un furgone?” Fran punzecchiò Sonny.
Sue si schiarì la voce molto rumorosamente. “Non so potremmo dividerci e fare un giro per la città.”
“Già ma dividiamoci in modo da fare squadre uniformi.” concordò Aurea. “Sentite ma perché prima non cerchiamo qualcosa da mangiare? È quasi ora di desinare e, infatti, ho un incipit di fame!”
“He?” chiese Sonny.
“Ha fame!” esplose Fran. “Troviamo un posto dove mangiare, per favore?”
Selena scattò sui tacchi. “Conosco un posto! Si mangia benissimo e non costa tanto … anche perché non … non credo che abbiamo molti soldi tra tutte …”
“Per tutte le trote del mondo! Ragazza! Noi abbiamo le dracme!” esclamò Sonny.
“Per tutte le trote del mondo mi piace …” pensò ad alta voce Sue.
“Allora facci strada!” sorrise Aurea.
Selena iniziò a camminare e fu subito affiancata da Ginny. “Sai dove stai andando vero?”
“Certo, conosco Londra, la adoro …” rispose poi assunse un’espressione crucciata.
“Che c’è?” sbottò Ginny con i nervi a fior di pelle.
“Stavo pensando alle dracme …”
“Come si chiama il posto in cui ci stai portando?” chiese gioviale Sue interrompendo il suo ragionamento.
“Ehm … è un piccolo pub vicino al Big Ben, si chiama McRory’s.”
“Oh! Un pub!! Sono così accoglienti, in più c’è sempre una lunga lista di piatti tipici!!” gli occhi le si illuminarono al solo pensiero e sembra che stesse per toccare il cielo con un dito.
“Sapete Sue è affascinata da tutto ciò che riguarda la cucina e il cucinare, quindi anche il mangiare!” spiegò Sonny poco dietro di loro.
“Già, sono una degna figlia di mio padre!!” concluse lei tutta fiera.
“Perché chi è tuo padre? Waaaa!”
Selena, Ginny e Sue andarono a sbattere contro qualcuno che veniva dalla parte opposta e che faceva tanta attenzione quanta ne facevano le ragazze, le due finirono a terra e la terza rimase tra le braccia di qualcuno.
“Hei, ma che diavolo è successo?!” disse una voce abbastanza profonda davanti a loro.
Selena sollevò lo sguardo e … le cadde la mascella.
“Ooooh! Tutto bene?” chiese ancora il ragazzo ricciolo davanti a lei.
Mentre accanto a lei succedeva la stessa cosa a Ginny, che stava cercando di recuperare l’aria che le era uscita dai polmoni non appena aveva riconosciuto il ragazzo che le stava davanti con gli occhi scuri che la scrutavano preoccupati da dietro i ciuffi di capelli castani.
“Ragazze, tutto bene?” chiese ancora un altro ragazzo bruno che aveva ripreso al volo Sue prima che cadesse, ora anche lei stentava a rispondere.
“Sì, stanno bene sono shockate, ma stanno bene.” intervenne Fran con uno sguardo furbo.
Da dietro i tre davanti alle ragazze si vedevano spuntare altri tre ragazzi: uno aveva una barbetta incolta e lo sguardo divertito, un altro biondo che guardava la scena curioso e l’ultimo sembrava molto simile al biondo accanto a lui, avevano la stessa espressione sul volto.
“Bhè, allora avanti ti aiuto ad alzarti.” si propose il ragazzo castano tendendo la mano a Ginny.
Lei la prese riprendendo a respirare.
“Che sta succedendo?” chiese in un sospiro Sonny.
“Ragazze loro sono … bhè …” Fran arrossì leggermene notando lo sguardo del ragazzo biondo su di lei. “Sono gli One Direction.”
“Salve!” salutò divertito il ragazzo con gli occhi furbi. “Io sono Louis!” e tese la mano a Sonny che ricambiò interessata.
“Harry.” disse tendendo la mano a Selena che la strinse e si rialzò dicendo: “Io mi chiamo Selena.”
“Ciao il sono Liam.”
“Lo so!” rispose Ginny su di giri come non mai. “Piacere Guenevre, ma puoi chiamarmi Ginny, lo fanno tutti!” sorrise la ragazza.
“Bhè, io sono Zayn!” disse il ragazzo bruno a Sue.
“Io Sue Pie!”
Fran si limitò a sorridere a Niall che ricambiò.
“Ma cosa sta succedendo? Perché sembra che tutte siano impazzite!?” Aurea aveva proprio perso dei passaggi importanti.
“Hei sai cosa sono i colpi di fulmine che avvengono con personaggi famosi? Ne stai avendo una prova adesso. Ciao, mi chiamo Fran.” disse la bionda al biondo.
“Niall molto piacere.” rispose con il suo peculiare accento.
“Ma cosa stai combinando?!” continuò la cacciatrice.
“Rilassati!”
“Rilassati uno Stige! Io non posso trastullarmi come voi con dei ragazzi! Sono una cacciatrice di Artemide! Castità e purezza sono le parole d’ordine!”
“Salve, io sono il fratello di questo piccoletto, piacere Greg!” disse porgendo la mano alla ragazza che era sul punto di avere una crisi isterica.
Ma Aurea si sciolse e strinse la mano al ragazzo. “Mi chiamo Aurea.”
“Siete sorelle?” chiese lui di rimando.
“Cosa? No.” rispose Fran subito.
Aurea non emise suono.
“Hem hem, ragazze dove stavate andando con così tanta fretta?” chiese Liam.
“A metter qualcosa sotto i denti perché stiamo letteralmente morendo di fame!” disse subito Sonny.
“Sì, stavamo andando ad un pub chiamato McRory’s, qua vicino.” continuò Sue.
“Vi dispiace se veniamo con voi? Stavamo vagando anche noi in cerca di qualcosa da mangiare.” disse Harry.
“Che coincidenza …” disse Aurea.
“Che fortuna.” corresse Fran.
“Andiamo?” incalzò Niall.
“Sapevo che sarebbe stato in prima fila.” notò Louis.
“Di qua.” fece strada Selena.
“Cosa ci sarà da mangiare?” chiese Zayn con una mano sullo stomaco evidentemente vuoto.
“Probabilmente piatti tipici.” informò Ginny.
“Che bello!” esultò Greg.
Il gruppo di ragazzi arrivò in breve al pub che era praticamente vuoto per loro fortuna, era un luogo tranquillo ed accogliente. Si sedettero tutti insieme, i ragazzi da un lato e le ragazze dall’altro formando della coppie le une davanti alle altre: Fran davanti a Niall, , Aurea a Greg, Harry davanti a Selena, Liam a Ginny, Sonny a Louis e Sue davanti a Zayn. Tutti parlavano del più e del meno a coppie come se non dovessero fare altro in vita loro.
“Allora qual è il piano?” chiese Aurea a Fran mentre il cameriere prendeva le loro ordinazioni.
“Che piano? Ho intenzione di gustarmi del cibo tipico e parlare con Niall …”
“Cosa?”
“Ok ok fammi pensare un attimo … mmm … ecco!” scattò la ragazza. “Louis ha un furgoncino! Sono sicura lo hanno usato per girare il loro primo video!” disse in fretta mentre il cameriere se ne andava e Niall tornava a concentrarsi su di lei.
“Hei, ma non pensi a Mason?” sbottò Ginny apparsa dietro di lei.
“Sta zitta, occhi non vede cuore non duole …” disse tra i denti l’altra.
“Quindi ammetti che c’è qualcosa?”
“Perché non vai da Liam?”
Ginny sbuffò ma prima di andarsene fu fermata da Aurea che le disse qualcosa nell’orecchio. La ragazza annuì e fece lo stesso con Sonny, che sorrise astuta a Louis. Fran capì subito che la bionda si era già mossa per attuare un piano.
Il cibo arrivò e tutti iniziarono a mangiare senza però interrompere nessuna delle conversazioni.
“Allora perché siete finite a Londra?” chiese Harry a Selena poco più in là.
“Oh, bhè! Siamo, ecco andando ad un campo estivo …”
“Un campo estivo?”
“Già, sai una cosa che ci costringono a fare i nostri genitori … e così abbiamo deciso di fare tappa qui per visitare la città.”
“Sei brava ad inventare frottole.” le sussurrò Ginny accanto a lei.
Selena sorrise. “Sei sul rischio di morire …”
“Oh, quindi non rimarrete per questa sera?” chiese Liam un po’ dispiaciuto.
“Purtroppo no …”
In quel momento Sonny si alzò i piedi sorridendo a Louis e facendogli l’occhiolino, prese per il colletto Sue che stava sprofondando nella sedia, causa sdolcinatezze con Zayn, e girando intorno al tavolo si fermò dietro la sedia del ragazzo. “Torno subito giuro!” le due andarono via in direzione del bagno.
“Che hai fatto al braccio?” chiese Niall a Fran che si era distratta seguendo le mosse della nera.
“Oh … sono caduta e mi sono sbucciata. Niente di grave.” disse con tono rassicurante lei.
Il ragazzo non sembrò del tutto convinto della risposta ma non replicò.
“Hei, ma dove sono andate quelle due?” chiese ad un certo punto Ginny, riscossa da chissà cosa.
“Perché non andiamo a vedere noi tre?” intervenne subito Aurea.
“Ma veramente …” tentò di fermarla Selena.
Ma era troppo tardi la cacciatrice le aveva già spostate di peso e le stava letteralmente trascinando verso la porta del bango.
Fran sorrise ad un Niall un po’ confuso poi si alzò anche lei. “Scusateci tanto, ma non abbiamo avuto altra scelta. A nome di tutte: ci dispiace.” disse con voce grave.
Senza che nessuno dei ragazzi avesse il tempo di replicare infilò anche lei nel bagno.
I ragazzi rimasero soli davanti ai piatti mezzi vuoti e mezzi pieni.
“Bhè, credo che ci abbiano fregato ragazzi.” disse Harry con uno strano sorriso sulle labbra.
Contagiò tutti.
“Non credo sia stato un peccato essere fregati da loro sei …” sogghignò Zayn.

Ok questo doveva essere qui già da una settimanuccia, ma chissà perchè non me lo cariava ... mmmm vabbhè!!
Il prossimo presto perchè l'ho già scritto!!! ^^

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Capitolo 19
*** Il Campo Mezzosangue ***


‘That’s what makes you beautiful!’
Le ragazze risero mentre la canzone finiva alla radio. Bhè … non tutte le ragazze erano di buon umore però.
“Non capisco proprio perché ce ne siamo dovuti andare così!” si lamentò per la milionesima volta Ginny.
“Devi capire che non potevamo stare lì!” rispose per la duecentesima volta Sonny.
“Ma tu devi capire che si stava così bene là dentro! C’era un’aria … magica!” continuò la ragazza.
“Ecco allora è bene che ce ne siamo andate: per un mezzosangue la parola magia è uguale a pericolo!” spiegò Sue.
“Ma non era una magia malvagia … woooooooo! Non capite: si stava bene!!”
Era tutte nel furgoncino arancione fregato a Louis. Sonny aveva spiegato che con l’aiuto di un po’ di Foschia era riuscita a far dire al ragazzo dove lo aveva parcheggiato e a fregargli le chiavi di tasca, poi aveva aggiunto che le era dispiaciuto tanto perché la faceva ridere, che era un ragazzo estremamente divertente e carino.
Aurea borbottò disapprovazione di cacciatrice ma ne seguirono tante domande su Greg così dopo pochissimo tacque.
Ginny proseguì sulla linea della magia buna per molto anche quando sembrava che l’unica che la stesse ascoltando fosse Sue.
Selena si era piazzata in fondo all’abitacolo a guardare fuori dal finestrino pensando a suo fratello, alla reazione che potrebbe aver avuto, a se già sapeva tutto su di lei. Ginny urlò qualcosa su una canzone che passava alla radio in quel momento, Selena si voltò e vide Sonny chinarsi in avanti per alzare il volume. Poi diede uno sguardo all’interno del furgoncino che era tenuto davvero bene. Guardò le ragazze, si fermò su Fran accanto a lei che dormiva senza accorgersi di niente intorno a lei.
Passò un'altra mezzoretta.
“Ma quanto manca ancora?” scalpitò Sonny.
“Alla velocità a cui andiamo ancora due ore piene, se non qual cosina di più.” si lamentò Aurea.
“Hai il coraggio di lamentarti della velocità!? Vai come un treno!!” la rimproverò Sue da sopra la spalla.
“No, non arriviamo neanche a 150.”
“Tu sei matta!” sentenziò Ginny.
Selena rise dal fondo.
“Sì, comunque potete anche dormire voi, io prenderò un po’ di ambrosia e continuerò a guidare, ci sono abituata e sono resistente!” fece l’occhiolino la cacciatrice.
Sonny tirò fuori dal suo zainetto una barretta, come quelle di cioccolata, coperta da uno strato di stagnola, quando l’aprì però era tutta ambrata, ne spezzò due cubetti  e li offrì alla guidatrice.
Nell’aria si diffuse un odore di buono.
Fran aprì di scatto gli occhi. “Chi l’ambrosia!?” si alzò.
“Ma come ha fatto a …?” iniziò Sonny mentre la ragazza ne prendeva un quadretto.
“Nessuno lo sa.” disse Ginny.
“Quando c’è qualcosa che le piace è famelica …” completò Selena osservando la bionda che tornava a posto.
Per risposta lei fece spallucce e torno a dormire con il cibo in bocca.
“Fa fene!” disse Aurea con la bocca impastata.
“Ma cosa sarebbe esattamente quella roba?” chiese Selena.
“È ambrosia: ci rigenera, da una mano a curare le ferite e cose così.” spiegò subito Sue “Tuttavia se ingerita in quantità eccesive, si rischia … bhè.”
“D’incenerire sul posto!” concluse per lei Sonny divertita.
“Beeene …” fece Ginny. “Sapete una cosa? Io dormo!”
Risero della sua schiettezza ma poi la imitarono tutte tranne Aurea.
La cacciatrice guidava e guidava, non si sentiva stanca né tanto meno assonnata. Era felice che la missione stesse procedendo senza grossi intoppi, infatti non considerava Echidna ‘grossa’, aveva visto di peggio. Ora voleva arrivare al campo il prima possibile.
Andava velocissima sulla strada, non le interessavano i limiti di velocità, la Foschia la proteggeva.
Diede uno sguardo dallo specchietto retrovisore alle compagne addormentate nel furgoncino, soffermandosi su ognuna di loro con fare protettivo.
Si fece buio e lei continuò a guidare senza soste ad una velocità pazzesca.





“Hei! Ragazze!” tuonò la bionda al posto di guida.
“Ma sei pazza? Non urlare così!” bofonchiò Ginny tra il sonno.
“Ma lei è pazza …” rispose Sonny ancora con gli occhi chiusi. “… è una cacciatrice.”
Aurea le rifilò uno scappellotto veloce. “Ci siamo! Dobbiamo solo girare a mancina!”
“Mancina …” ripeté una Sonny ora sveglia anche se non del tutto .
Mentre lo diceva il furgoncino svoltava in una strada sterrata a sinistra, i ciottoli scricchiolavano sotto il peso del furgoncino mentre intorno a loro si ergevano decine e decine di alti alberi sempreverdi. Davanti a loro si stagliò un grande arco un grande arco a tutto senso greco di marmo bianco senza neanche una sbeccatura o un segno del tempo. Due enormi bracieri ai lati mandavano tanta luce, dietro di essi in due nicchie nell’arco c’erano due guerrieri in tenuta greca sempre di marmo, reggevano i loro grandi scudi e le lance.
Aurea parcheggiò proprio prima dell’entrata.
Accorsero subito una decina di ragazza armati.
La cacciatrice saltò in fretta giù dal furgoncino seguita da Sue e Sonny mentre Fran,Selena e Ginny rimasero un po’ rallentate dalla meraviglia.
La cacciatrice andò incontro ad una ragazza in tunica bianca che non doveva avere più di 14 anni e la salutò in greco antico.
“Perché ho capito quello che hanno detto?” domandò Ginny.
“I mezzosangue capiscono e leggono il greco. Siete dislessiche perché il vostro cervello è impostato su quella lingua in pratica.” disse Fran.
“Perché ‘siete’?” continuò Selena mentre si avviavano verso gli altri ragazzi.
“Non so perché ma io non sono dislessica, posso leggere tutte le lingue.”
“La solita tirata …” borbottò Ginny.
Arrivarono dagli altri e notarono un signore non tanto alto e di mezz’età tra i ragazzi. Quando lo inquadrarono per bene videro anche le zampe da capra.
Ginny era decisamente allarmata.
“Buonasera, ragazze! Benvenute nel mio campo, vedete di non combinare casi ok? Io sono Philottete!”
“Come quello di Ercules?” disse Selena.
Il satiro la guardò malissimo. “Seguitemi.” disse in tono burbero, più del solito.
Selena stette zitta per tutto il tragitto.
Phil fece una battuta sul fatto che era da tempo che non arrivavano tre mezzosangue al campo, cioè tre tutti insieme di solito arrivavano ma uno o due erano morti durante il tragitto. Risero tutti tranne Ginny e Selena. Si sentivano confuse da tutto, tuttavia si sentirono come a casa.
“Bene!” iniziò Phil arrivati al tavolo della cucina nella sua capanna. “Chi è già stato riconosciuto?”
“Solo io.” disse subito Fran.
Il satiro la guardò a lungo, dopo un po’ fece: “Perciò …”
“Oh, ehm … Atena, sono figlia di Atena.”
“C’è un modo per esserne sicuri?”
Fran sollevò il braccio destro e mostrò Steel, segno inconfondibile.
“Bene! Sue le mostri la sua capanna?” non sembrava una domanda.
“Certo!” rispose tranquilla la ragazza che doveva essere abituata ai modi duri del capo campo.
Fran si congedò e salutò le ragazze, prima di andarsene notò che Aurea la stava guardando incuriosita, ma non disse nulla.
“Allora, voi due non sapete di chi siete figlie, he?” le canzonò il satiro.
Ma le due non colsero lo scherzo e stettero zitte, provocando il riso di Sonny.
“Vedremo di farvi riconoscere in fretta, Sonny portale alla capanna di Ermes nel frattempo.”
“Trote!!” disse scattando in piedi la ragazza.
“Aurea tu resta qui e fai rapporto, per quello che sai poi domani penserò a Sue!”
Le tre ragazze uscirono mentre la cacciatrice stava iniziando a parlare.
“Perché proprio nella casa di Ermes?” chiese Selena.
“Bhè, lui è il dio dei viandanti e di coloro che non hanno una casa, per questo vi accoglie.” disse Sonny.
“E tu di chi sei figlia?” proseguì con le domande Ginny.
“Apollo.”
La risposta fu coperta da un boato proveniente dalla capanna di Atena che festeggiava la nuova arrivata, erano in pochi ma sapevano come far confusione.
Sonny scosse la testa. “Speriamo che nessuna di voi sia figlia di Ares, loro sarebbero capaci di far venir giù il campo!” disse mentre passavano davanti ad una capanna in legno scuro e tetto rosso, con la veranda interamente ornata con disegni di fiamme e raffigurazioni di eroi che sconfiggevano mostri.
Selena e Ginny si scambiarono un’occhiata allarmata.
“Eccoci arrivati!” annunciò Sonny.
Erano davanti una capanna di legno chiaro, ciliegio probabilmente, c’erano ali scolpite ovunque e disegni fatti con tempere, gessi e qualsiasi cosa i ragazzi avessero trovato. Le luci erano ancora accese, nonostante fosse tardi, dall’interno arrivavano voci eccitate anche se alcune però chiedevano di mettersi a dormire. Doveva essere abbastanza affollato là dentro.
“Alice!!” chiamò da fuori Sonny.
Passò qualche istante poi una ragazza dai capelli chiari lunghi e lisci e gli occhi color nocciola saltò fuori dalla porta, sembrava che le fosse esplosa una bomba molto vicino.
Quando vide l’amica sul sentiero davanti alla casa, saltò giù dalla veranda eccitata.
“Sooooonny!!! Ciao! Sei tornata finalmente!! Com’è andata!?!?” chiese su di giri.
“Oh, tutto bene. La cacciatrice poi non è così male come sembra!” rise. “Queste due sono nuove! Verranno a stare da te per un po’ di tempo!”
“Speriamo che sia solo un po’! So che gli dei hanno fatto quel giuramento ma la situazione qua non cambia di tanto!” disse un po’ preoccupata Alice. “Comunque voi siete le benvenute!!” fece un sorriso enorme.
Le ragazze non poterono non rispondere serene.
“Allora voi seguite Alice, ci vediamo domani mattina!!” le salutò Sonny, poi corse via verso la sua capanna.
“Seguitemi!” disse baldanzosa Alice.
Le due la seguirono. Entrate nella capanna videro che era quasi del tutto piena.
“Bhè adesso vi cerco dei sacchi a pelo, dovrete dormire per terra, tutti coloro che non vengono riconosciuti finiscono qua!” anche se diceva cose che la preoccupavano non smetteva mai di sorridere e di avere un’aria incoraggiante e solare.
“Davvero dovremmo dormire per terra?” chiese Ginny.
“Per oggi si purtroppo, poi vi cercheremo dei letti e ovviamente speriamo che veniate riconosciute in fretta.” le guardò per bene tutte e due. “Pregate gli dei!” sospirò.
“TU sei figlia di Ermes o non sei stata riconosciuta?” fece Selena mentre l’altra porgeva loro le coperte.
“No, io sono figlia di Ermes. Sono il capo della capanna qui!” disse fiera.
Poi si guardò attorno: tutti i ragazzi le stavano fissando curiosissimi. “Voi andate a letto! Date il buon esempio alle nuove arrivate!!”
Tutti si infilarono sotto le coperte in fretta. Alice rise e anche alle ragazze tornò un po’ di buon umore.
Alla fine Alice riuscì a spengere le luci e dormire.

Ecco qui!! Questo viene direttamente da Londra!! L'ho scritto mentre ero là!!
Ovviamente ho finito anche la saga di Percy, tutti i libri!!! E senza neanche farlo apposta il finale calza a pennello con la mia ff!!
Wwowowowowowo!!
Ok, in questo capitolo c'è anche la personificazione di una mia cara amica, tengo molto al suo personaggio!! ^^
Commentate!!! Commentate!!!

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Capitolo 20
*** Qualcuno è figlia di qualcun Altro ... ***


Il giorno dopo al Campo c’era eccitazione per le nuove arrivate. Tutti volevano conoscere loro e le loro avventure per arrivare fino a là, anche se in realtà ormai già tutti le conoscevano poiché non si può tenere a lungo nascosto qualcosa in un Campo di poco meno un centinaio di semidei, infatti era stato costruito solo un anno prima. Le informazioni erano circolate in fretta … e si erano ingigantite … a volte Fran al posto di Ortro si trovava ad affrontare Cerbero oppure Sonny e Aurea avevano ucciso il Leone di Nemea piuttosto che la Chimera.
Ginny e Selena si svegliarono che il sole era già alto e la capanna era ormai quasi del tutto vuota.
“Hei, tu credi che tutto questo …” iniziò Ginny allargando le braccia per indicare la capanna. “Sia uno scherzo?”
Selena si stropicciò gli occhi e mise a fuoco ciò che le stava attorno. “Non lo so davvero …” rispose.
Le due si alzarono, si sistemarono e uscirono.
Dalla soglia videro Alice che le aspettava appoggiata al parapetto della veranda. “Bene svegliate!!! Ho detto agli altri di lasciarvi dormire un po’ di più e di fare silenzio, incredibilmente lo hanno fatto!” le salutò vispa e sorridente. “Oggi vi mostrerò il Campo Mezzosangue!! Che sarà la vostra casa per quest’estate e per molte altre … se sopravviverete più di un anno …”
“Come?”
“Ma prima vi porterò al Refettorio per fare colazione!” le ignorò Alice.
Poi fece per scendere le scale ma si fermò prima del primo scalino e si fece serissima. “Avete preso tutte le vostre cose da dentro? Tutte?”
“Hem ... sì …”
“Credo di sì.”
“Dovete essere sicure, siamo pur sempre figli del dio dei ladri.”
Le ragazze si scambiarono un occhiata veloce poi controllarono di avere tutto, la fortuna era che non avevano molto.
“Ho tutto.”
“Anche io.”
“Perfetto!” tornò con il sorriso sulle labbra e scese tutti gli scalini con un balzo. “Andiamo!?”
Alice le condusse attraverso le capanne destinate ai figli dei semidei, ce n’erano molte, quasi una per ogni dio dell’Olimpo. Alcune erano vuote, come quella di Poseidone, Era, Ecate eZeus; Alice spiegò che non per forza gli dei dovevano avere figli per metà umani chi per un motivo chi per un altro: l’importante è che tutti avessero una casa in cui andare e non fare arrabbiare nessuno ai piani superiori.
“Quella è la capanna di Sonny.” indicò Alice mentre passavano davanti ad una in legno chiaro e con le tegole colorate. “Sì, ma tanto starà ancora dormendo. È una delle pochissime persone che se lo possono permettere: è sola nella capanna.”
Selena e Ginny guardarono la casa dell’amica con un misto di curiosità e invidia.
Camminarono per un altro po’ incontrando la Casa Grande, dove pareva abitasse soltanto Phil; ad un certo punto ci fu un esplosione enorme.
Alice non batté ciglio ma si voltò per tranquillizzare le altre due. “Non vi preoccupate è solo il campo di addestramento, ci andremo dopo … mmmm credo che i figli di Efesto, gemelli, stiano provando di nuovo i loro esplosivi …” sospirò esasperata la ragazza riprendendo a camminare. “Eccoci arrivate!!” schizzò dopo qualche istante.
Erano davanti ad un tempio greco in piena regola, le colonne e i fregi erano di chiaro impianto dorico, quando entrarono notarono che non aveva il tetto. Al centro era situato un grande focolare che bruciava ardente, alle ragazze sembrò di vedere una figura minuta tra le fiamme, ma scomparve subito.
“Questo è il nostro tavolo!” disse Alice davanti un banco di legno grande due volte lei. “Siamo una famiglia allargata!” scherzò la ragazza.
Selena e Ginny si sedettero e subito davanti a loro comparvero due piatti pieni di cose da mangiare. Rimasero sbalordite ed increduli per qualche secondo poi la fame ebbe la meglio.
“Avete appetito, he?” sogghignò Alice addentando una mela saltata fuori da chissà dove.
La colazione durò una mezz’oretta o poco più.
“Ora dove andiamo?” chiese Ginny quando fu sazia.
“Bhè … ora … al campo di addestramento.” rispose con aria furba Alice.
Le ragazze si guardarono allarmate.
Attraversarono a ritroso la metà del Campo che avevano già visto, notando molti ragazzi che andavano nella loro stessa direzione agitati e di fretta.
“Chi si è sfidato?” chiese un ragazzo bruno accanto a loro.
“Non lo so, due che non hanno niente di meglio da fare sembra!” rispose un altro che un po’ gli somigliava.
“Cosa?” scattò Alice. “Scusatemi ragazze, ma dobbiamo accelerare il passo, se è coinvolto uno dei miei ragazzi ne sarò direttamente responsabile!” spiegò iniziando a correre.
Le ragazze, non avendo molta altra scelta, la seguirono.
Arrivarono di corsa davanti ad una parete rocciosa, per Selena e Ginny era già un bel tratto di strada fatta tutta di corsa, ma Alice proseguì senza soste. Incontrarono anche un campetto circolare con della terra rossa a terra e decine e decine di pesi di varie dimensioni sparsi ovunque. Poi Alice, sempre continuando a correre, infilò in un sentierino nel bosco che circondava tutto il Campo, dopo qualche attimo ancora di corsa si fermò.
Erano sbucate in una radura che dava a dirupo un una gigantesco lago. L’erba era tagliata corta ed era incredibilmente verde, come se qualcosa che non fosse proprio un giardiniere ci avesse messo lo zampino. C’era un gruppo di ragazzi che stavano disposti a cerchio ai lati della radura. Al centro c’erano Sonny e Fran con le armi in pugno.
Sulla destra Sonny ansimava e stringeva in pugno una delle sue accette, l’altra era hai piedi di Fran che sogghignava contenta di aver parzialmente disarmato l’avversaria, aveva un leggerissimo graffio su una guancia.
Nel cerchio degli spettatori in mezzo alle due, come a fare da arbitro, c’era Aurea con la faccia cerea e Sue che fissava la scena incredula ma nessuna delle due interveniva, forse ci avevano provato ma era stato inutile.
“Oh, bene. Sonny non dorme. Vado a chiamare Phil, gli scontri devono essere regolamentati, non fatti a caso. Voi state lontano dallo scontro, anche se sono vostre amiche lasciatele fare, l’iperattività dei semidei è pericolosa se non addestrata!” e corse via nuovamente.
Le ragazze rimasero ferme qualche istante per riprendere fiato e per capire quello che c’era davanti ai loro occhi.
“Ma cosa??” ansimo Ginny.
Selena fece qualche passo in avanti.
Insieme arrivarono in prima fila, percorsero tutta la circonferenza di spettatori e si piazzarono, ancora cercando di recuperare fiato, accanto a Sue e Aurea.
“Cosa è … successo?” chiese Selena.
“Hanno preso in parola le parole di Aurea. E hanno iniziato a combattere …” spiegò Sue.
Aurea non distoglieva gli occhi dalle due, che nel frattempo avevano ripreso lo scontro, Sonny era riuscita a recuperare l’accetta ma ora era a terra inciampata sulla catena di Fran.
La cacciatrice espirò emettendo uno strano gemito di rabbia.
“Ma A … Alice ha detto che … gli scontri devono essere regolamentati …” continuò Ginny.
“Infatti ma, Fran non lo sa e Sonny penso non se lo ricordi o che faccia finta di non ricordarselo.”
Poi Fran cadde all’indietro al seguito du un potente calcio di Sonny, ma la bionda non tradì alcun cedimento e convertì il movimento all’indietro in una capriola e fu nuovamente in piedi e sorrideva.
La nera non capì perché finché non si ritrovò con la faccia a terra. Sollevò sull’avversaria i suoi occhi celesti. “Ma come fai a prevedere sempre tutto?” le chiese sbuffando terra.
“È facile prevedere le tue strategie sono semplici.”
“Ok.” disse poi iniziò ad attaccare come una furia.
Selena mosse istintivamente un passo avanti.
Fran schivava tutti i colpi di accetta e cercava di accusare meglio che poteva i calci. “Smettere di pensare anche se potrebbe riuscirti bene, non ti servirà.” disse Fran mentre parava con la catena un colpo d’accetta.
Sonny urlò di rabbia. “Credi di essere chissà chi, giusto?! Sei insopportabile!! Non ti senti quando parli? Non fai altre che sparare cavolate scientifiche e grammaticalmente corrette!!”
“Ma che vai blaterando?”
“Ancora usi quella parola!? È del 1500!!”
Fran sembrò non capire bene l’affermazione di Sonny, forse per l’insensatezza che lei ci trovava o per le botte prese.
Selena adesso fremeva e non riusciva a contenere la sua ansia e la sua agitazione, mosse ancora un passo avanti.
“CHE TROTE!! Magari ti ridimensioni se ti batto.” attaccò ancora.
Sonny corse in avanti e saltò caricando un colpo a doppia accetta che se fosse calato forse avrebbe colpito Fran.
Ma mentre stava iniziando a calare l’attacco Selena scattò in avanti, nessuna delle ragazze intorno a lei riuscì a fermarla.
La ragazza si piazzò nel mezzo alle due avversarie e sollevò le mani, come volesse fermare il colpo a mani nude. Poi ci fu un lampo incredibile, seguito da un tuono che fece tremare la terra. Un fulmine si abbattè sulla ragazza.
 Sonny fu sbalzata via da una grande onda d’urto mentre anche Fran finiva schiacciata a terra a qualche metro da dove si trovava prima.
Selena era rimasta ferma al centro della radura, intorno a lei l’erba era bruciata e secca, ma lei era perfettamente incolume.
Nessuno dei presenti non capì quello che era accaduto, forse solo Phil arrivato per vedere tutta la scena.
“Qualcuno è figlia di qualcun Altro …” cantilenò con la sua voce burbera.




Eccomi!! Sono tornata, avevate paura he?!!?!?
Ben, spero di avervi sbalordito :D sono brava heeeee??
Ok adesso basta con i gasamenti!!
Bene per darmi un ordine di scrittura, perchè davvero non ci capisco nulla :P, d'ora in avanti pubblicherò TROTE tutti i martedì!! (non fate caso che oggi è mercoledì, anzi quasi giovedì ... sorry ...)
Ora commentate!! Commentate!! E .... TROOOOOOTEEEEEEEEEEEEE!!!!
capitemi dormo poco!!!!

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Capitolo 21
*** La Profezia e l'incredibile, straoridnario e meraviglio incontro di Ginny e Javier!!!!!!! ***


Casa Grande, intorno al tavolo della cucina di Phillottete. Lui spostava lo sguardo da Fran, Selena e Sonny, poi gettava un’occhiata alla finestra aperta non tanto distante da lui. Le ragazze rimaste fuori non tentavano neanche di fare meno confusione, anche se continuavano a nascondersi.
Una di loro disse: “Che dicono?!”
“Per lo Stige, silenzio!”
“Ahi! Chi mi ha pestato la mano?”
Phil rise. “È inutile, ragazze entrate pure!”
Loro fecero capolino dalla finestra con dei sorrisetti colpevoli sulla faccia.
Ora c’erano tutte nella cucina del satiro.
“Bene allora devo dirvi solo due cose, poi siete libere.” disse rivolto alle tre sotto processo. “Allora iniziamo da te, signorina?”
“Selena Cloud …”
“Ah, Selena! Bhè devo solo dirti che ti sarà assegnato un altro alloggio, uno più adatto ad una figlia di un dio del Suo calibro.”
“Posso fare una domanda prima?” chiese un po’ titubante.
“Certamente.”
“Perché nessuno ha mai fatto il nome del dio di cui sono figlia?”
Phil si prese un po’ di tempo prima di rispondere. “I nomi sono pericolosi e potenti quando si tratta di dei.” si zittì in fretta. “Aurea, appena abbiamo finito con le altre due mostrale il suo alloggio.”
La cacciatrice lo guardò male per un po’.
“Sì, sì! Okey! Fallo tu Sue.”
Ginny guardò la bionda accanto a lei interrogativa, questa mimò con le labbra: ‘Ti esplico dopo.’
No, non fu facile da capire …
“E ora: voi due!” iniziò molto molto molto più serio il satiro. “Non posso credere che vi siate messe a combattere senza nessuno a controllare la regolarità dello scontro!”
“Cosa? Serve qualcuno che assista agli scontri?!” Fran era incredula. “Non lo avevi detto!” ringhiò a Sonny.
“Me ne sono dimenticata.” mugugnò con aria furba la ragazza dai capelli neri.
Phil la guardò torvo. “Comunque sia siete entrambe nei guai … vediamo un po’ cosa posso farvi fare …”
“Non la pulizia dei bagni … non la pulizia dei bagni, per favore! Dei ascoltatemi: non la pulizia dei bagni!” iniziò a pregare Sonny accanto a Selena che la guardò malissimo.
“Ok, ho trovato! La pulizia dei bagni sarà affidata a voi due per tutta l’estate!”
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!”
Uscite dalla Casa Grande Ginny si parò davanti a Aurea.
“Oh, giusto la spiegazione, bhè è facile: noi cacciatrici eseguiamo solo le istruzioni di Artemide. Non siamo dei semplici Mezzosangue del Campo come voi.”
Mentre lo diceva Sonny la imitava dietro le sue spalle. Quando la bionda si girò smise. Fran scosse la testa.
“Selena, vieni ti mostro la tua nuova capanna. Da oggi in poi abiterai là dentro.” disse Sue.
“Cosa?” scattò Ginny. “Un attimo questo significa che rimarrò da sola nella capanna di Ermes? Non che abbia qualcosa contro di loro ma …”
“Bhè, così avrai più spazio per dormire questa notte.” le fece notare Sonny.
Selena guardò l’amica impotente. “Venite anche voi alla capanna?” chiese.
Le altre annuirono e si incamminarono dietro a Sue.
La sua nuova casa era la più lontana dal centro del Campo, proprio dietro di essa c’era una parte del bosco che nascondeva tutto il complesso. La capanna era interamente fatta in legno scuro, un marrone lucido che sapeva di casa e di conforto, nonostante ciò incuteva comunque uno strano timore riverenziale.
“Bhè, non c’è mai stato nessuno. E  non penso che a parte te ci sia qualcun altro. Potrai sbizzarrirti a personalizzare il posto come vuoi.” le sorrise Sue.
“L’unico lato positivo.” si lamentò una cupa Ginny.
Selena le si affiancò. “Mi darai una mano.”
“Forte però, averne una tutta per te …” disse Fran mentre osservava la capanna.
“Si, certo.” le fece eco Sonny sarcastica.
“Ti basta contraddirmi o vuoi farmi finire a pulire anche le stalle dei Pegasi?” rispose alterata la figli di Atena.
“VOI DUE!” intervenne prontamente Aurea.
‘Le due’ si zittirono all’istante.
Poi l’attenzione della cacciatrice si posò su Selena. “Vai a dare un’occhiata dentro, no?”
Selena salì le scale, c’era un buon odore dentro, non se l’aspettava. Era buio però.
Aprì tutte le finestre mentre  pensava a come sarebbe stata adesso la sua via che sapeva di essere figlia di Zeus.
Dopo poco, tutte le ragazze tornarono al campo di allenamento, perché Sue fece notare che, a parte Fran, nessuna di loro aveva una vera e propria istruzione alle armi, che è il fondamento della vita di un semidio.
Arrivarono al prato affiancate, l’una accanto all’altra.
C’erano molti ragazzi che si allenavano con qualsiasi tipo di arma, alcuni di loro si stavano sfidando in simulati scontri a coppie. Tutti però sembravano divertirsi mentre si allenavano cosa che Selena e Ginny dubitavano fortemente di fare.
Le ragazze fecero qualche altro passo nell’erba bassa poi accadde l’impensabile.
Ginny emise uno stranissimo suono e fermò tutte le altre alzando le braccia. “Lui chi è?”
Tutte guardarono nella stessa direzione in cui guardava lei.
Un ragazzo alto, ben piazzato, bruno e con degli occhi così chiari che si potevano vedere anche a quella distanza stava duellando con un altro molto basso con l’elmo. Lo scontro terminò subito mentre i due ridevano.
Poi il ragazzo si tolse la maglietta arancione del Campo.
A Ginny si stampò un sorriso incredibilmente grande sulla faccia e la sua gamba destra si sollevò in perfetto stile Pretty Prioncess. “Questo è un coro di angeli?” chiese.
“No, è solo Javier.” le spiegò Sonny.
“Chi è?!” scattò Ginny prendendola per il bavero minacciosa.
Un po’ terrorizzata la nera rispose: “Javier, figlio di Ares, è qui da qualche anno … single.”
A Ginny bastò. “Se fosse lui il mio insegnate imparerei perfino ad usare una spada …”
“Bene, allora chiediamoglielo, no?” s’incamminò Sue.
Tutte la seguirono, Ginny sbavando.
“Salve ragazzi, già ad allenarvi? Siete proprio figli di Ares!”
“Sai, com’è: dobbiamo tenerci bene!” rispose una voce pacata ma metallica da sotto l’elmo del duellante più basso.
“Bravi! Ora: loro sono le nuove arrivate al Campo!” iniziò Sue. “Selena.”
“Buongiorno.”
“E Ginny.”
Silenzio.
“E Ginny.” disse con più insistenza la mora.
“Pia-piacere!” scattò l’altra.
Javier sorrise perfetto.
Ginny perse i sensi.
“Bhè, ci chiedevamo se potete dar loro delle lezioni di scherma, o di qualsiasi cosa loro vogliano, basta che entro fine giornata sappiano le basi del combattimento.” spiegò Sue.
“Certamente non ci sono problemi.” sorrise ancora Javier.
Ginny rinvenne.
“Perfetto! Ve le lasciamo!”
“Fate i bravi!”
“Buona fortuna!”
“Datevi da fare!”
“Siamo rimasti solo noi.” disse la voce metallica da sotto l’elmo.
Javier guardò l’altro. “Cosa ne facciamo di loro, sorellina?”
‘L’altro’ si tolse l’elmo: ne uscì un viso minuto circondato da tanti capelli neri scompigliati e corti. “Non so, comunque dobbiamo allenarle come si deve.” la voce adesso era solo pacata ma amichevole. “Piacere, io sono Mally e questo è il mio fratellone, Javier.”
Si divisero in coppia, Selena fece in modo che l’amica finisse con il ragazzo mentre lei si allenava con Mally. La figlia di Ares portò Selena all’armeria prima di cominciare.
“Allora, prima di gettarci su un’arma a casaccio credo che debba essere tu quella motivata ad imparare ad usarne una che ti piace. Quindi … scegli pure!” sorrise.
Selena inizò a vagare indecisa tra tutte quelle armi pericolose.
Intanto Ginny era alle prese con una piccola daga di bronzo celeste.
“Aaaah!” cadde all’indietro.
“Come hai fatto a finire così? È leggerissima!” chiese il ragazzo un po’ sbalordito.
“Bhè! Non credo che tirar di spada sia il mio forte!” rispose seduta a terra lei. “Non riuscirò ad imparare ad usarne neanche una di quelle armi.” mugolò persa.
Javier si sedette accanto a lei, se doveva essere sincero con se stesso: lei era carina, non gli dispiaceva darle una mano. “Senti, non ti devi preoccupare. Molti qui non lo sanno fare.” rise, una risata di chi se ne intendeva. “Allora senti ti va se ti insegno qualche mossa di auto difesa oggi? Con le armi riproviamo domani!” le propose.
Ginny sorrise felicissima e annuì.
Fran sorvegliava la scena da lontano. “È persa.” decretò.
“Che?” chiese Aurea accanto a lei. “Ah! Oh, si …”
Si stavano allenando insieme, le simulazioni a coppia erano molto meglio degli esercizi per questo molti sceglievano di stare nel prato.
Sonny e Sue erano poco distanti dalle altre e stavano facendo stretching e chiacchieravano del più e del meno.
“Susan!!!!!!”  urlarono due voci contemporaneamente.
La ragazza fece appena in tempo a voltarsi e fu travolta da due enormi ragazzi ridenti.
“Sorellina, sei tornata!!” urlarono ancora insieme coccolandola.
“Ragazzi! Ci siamo visti ieri sera!!”
“Sai che quando siamo nel dormiveglia non capiamo gran che!” disse uno dei due.
“Ok ma adesso mi state soffocando!!” sbraitò lei.
I due si spostarono. Si vedeva perfettamente che loro erano gemelli omozigoti, perfettamente identici.
“Ciao Elia, ciao Gioele!” salutò Sonny che non aveva interrotto i suoi moviementi.
“Ciao Sonny!” dissero i due all’unisono.
“Ok, adesso noi andiamo a dare una mano ai ragazzi di Efesto!! Ci hanno costruito una nuova coppia di spade gemelle!” disse eccitato Elia.
“Non vediamo l’ora di provarle!!” continuò Gioele.
Corsero via.
Sue sorrise della spensieratezza dei fratelli maggiori.
Tutto era tranquillo anche se c’erano urli di lotta ovunque. Il sole si alzava sempre di più nel cielo e molti ragazzi iniziavano ad andarsene per pranzare nel Refettorio.
Selena era uscita dall’armeria e ora stava cercando d’imparare a maneggiare un arco corto, Mally le stava mostrando come impugnarlo e come mirare.
Ora il sole era allo zenit.
Il bosco all’improvviso tacque.
Tutto cadde nel silenzio più assoluto.
Un fruscio, un lieve movimento.
Tutti si voltarono attenti.
Dal bosco emerse una figura minuta, i capelli rossi legati in una coda disfatta, gli occhi lampeggiavano di un’inquietante luce verde brillante.
Una voce vecchia di millenni parlò:

L’irrazionalità aprirà le porte
giungerà fino nel Regno della Morte.
Il gruppo delle prove affrontare dovrà,
tuttavia un membro del tutto inutile risulterà.
La storia non finirà con la salvezza,
i Mezzosangue dovranno fermare la sventatezza.


Silenzio, la figura si accasciò a terra priva di sensi.


Eccoci!!! Prima del previsto eprchè non potevo aspettare oltre a pubblicare!!!!!!!!!!!
Okey .... si capisce molto da questo capitolo e posso anche dire che inizia la seconda parte della mia ff!!!
Ecco anche in questo capitolo ho voluto mettere un'altra Trota ... infatti c'è un personaggio ispirato ad una mia amica, quindi non posso dire altrose non che questo capitolo è dedicato a lei e ovviamente a Ginevra che è il motivo per cui pubblico adesso (=sennò mi uccideva).
E ora Commentateeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
^_^

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Capitolo 22
*** La cacciatrice, il gangster e le due dee ***


La ragazza si era ripresa e ora era seduta sul letto dell’infermeria e stava parlando con Philottete. Le ragazze appostate fuori non riuscivano a sentire.
Incredibile è la seconda volta in un giorno che ci ritroviamo in questa situazione …” notò Sue.
Il satiro uscì in quell’istante e le vide. “Ancora …” mormorò. “Ragazze, voi avete assistito potete andare da lei ma … ve ne prego! … non la infastidite.” e andò via.
Cercando di fare più tranquillamente possibile, le ragazze entrarono e si diressero dalla ragazza. Quando le vide, le salutò con la mano e sorrise. Sembrava perfettamente normale, niente più inquietante luce verde negli occhi solo il loro verde naturale e vivo. Si era rifatta la coda per tenere fermi i capelli che comunque sembravano essere usciti in quel momento da un getto d’aria potentissimo.
Tutte e sei le ragazze si riunirono intorno a lei, chi si sedette sui letti accanto, chi prese una sedia.
La ragazza le guardava silenziosa. Poi, quando tutte si furono sistemate e l’avevano fissata per un po’, disse: “Sono così interessante?”
“Piuttosto, sì.” acconsentì Fran.
La ragazza la guardò per un attimo come se l’avesse riconosciuta poi si mise a fissare il lembo del lenzuolo che stava tormentando con le mani.
“Come ti chiami?” chiese dopo un po’ Selena.
“Sono Rachel Elizabeth Dare.”
“E cosa sei?” chiese poi Sonny.
Tutte la guardarono male.
Lei fece spallucce. “Scusatemi ma quella scena inquietantissima e i raggi verde fluorescente dagli occhi vorrei saperlo …”
“Già per non parlare del resto …” concordò Aurea.
“Giusto, la profezia.” disse Rachel. “Bhè, io sono l’Oracolo di Delfi. O meglio la sua ultima reincarnazione.”
“Intuibile …” fece sarcastica Ginny.
Rachel le guardò tutte ancora una volta poi scese dal letto. “Bene, io adesso forse è meglio che cerchi un modo per tornare alla mia gita … anche se credo che la Foschia stia coprendo la mia scomparsa.”
“Sicuramente, però sarebbe più saggio se tu ti fermassi almeno per questa notte. Poi ci penserà Phil a far in modo di farti tornare indietro.” suggerì Sue.
“Okey, forse è meglio.” rispose Rachel rimettendosi a sedere.
“Bhè, allora perché non andare a cena?”
Tutte si voltarono ancora verso Sonny.
“Sante trote! Ho fame!!!!!”
Così andarono a cena, ognuna al tavolo della propria capanna, cosa che contrariò molto Ginny e Selena che era da sola al suo tavolo. Rachel finì al tavolo della Casa Grande con Phil e gli insegnati d’armi. Ma tutte mangiarono il loro pasto alla velocità della luce, quella sera avevano deciso di ritrovarsi nella capanna della figlia di Zeus.
La prima ad arrivare fu Ginny che sembrava una profuga e si sentiva una profuga. Poi vennero raggiunte dalle altre, c’erano tutte e stavano parlando del più e del meno quando bussarono alla porta.
“Sonny non dicci che anche questo ha bisogno di un regolatore …” disse con poco vigore Fran.
La nera non raccolse neanche la sfida.
Selena andò ad aprire la porta di legno. “Rachel …”
“Salve … ehm questo pomeriggio vi ho sentito dire che vi ritrovavate qui così …”
“Sei venuta.” finì per lei la ragazza.
La rossa annuì.
“Entra allora!”
“Dormire nella Casa Grande non deve essere un gran che!” le sorrise Sue.
“Dicono che Phil russi da morire!!” spettegolò Sonny.
Le altre risero.
Si sistemarono per la notte in cerchio con i sacchi a pelo e le lenzuola sparse un po’ ovunque.
“Allora che facciamo?” chiese Ginny che era un po’ meno profuga.
“Mmmmhh … idea!” si alzò Sonny. “Incontro degli alcolisti anonimi!”
“Cosa?” domandò Aurea.
“Sì, dai inizio io!!”
“Ok … ma così non è che diventa … incontro dei mezzosangue anonimi?” scherzò Selena.
“Trote! Sì!! Dai faccio io!” si risedette in tutta fretta. “Ciao io sono Sonia Bargins, ma tutti mi chiamano Sonny.”
“Ciao Sonny.” dissero tutte in coro.
“Sono figlia di Apollo. Ho quindici anni e suono il sax! Cos’altro … mmm … passo tutte le estati al Campo Mezzosangue, perché mio padre mi ha mollato qui senza dire niente su mia madre e non so dove si trovi.”
“Wow, l’hai presa piuttosto bene …” commentò Fran.
“Sì, ci ho fatto l’abitudine, poi credo che sia meglio per entrambe che io me ne stia qua. Lei non corre rischi inutili.”
La bionda sorrise in modo strano. Si rigirò e si mise supina. “Bene, ora sta a me!” si offrì. “Mi chiamo Fran Owl.”
“Ciao Fra!” fecero le altre.
“Ho quattordici anni. Sono figlia di Atena, nonostante ciò non sono dislessica, perché mia nonna mi ha raccontato che mia madre mi ha insegnato a leggere quando ero piccola. Poi non l’ho più vista e non ricordo neanche come sia fatta, ma è la routine. Oh, giusto mia nonna … mi ha sempre detto di essere la madre di mia madre … poi mi ha detto che mia madre è Atena e che lei è figlia di un dio minore, Esculapio dio della medicina omeopatica, detto in termini moderni.”
“Quindi tu vivi con una persona che tu chiami nonna, ma con cui in realtà non hai alcun legame di sangue con te …” cercò di capire Sonny.
“No, in realtà non so neanche da dove salti fuori … però è sempre mia nonna …”
La nera sorrise.
“Finito a chi sta?” chiese poi Fran.
“Hei, no! Non credere di sfuggire!” la minacciò Ginny. “Tu non hai finito!”
Le ragazze si voltarono verso di lei.
“Mason …” disse.
Fran si mise un braccio sugli occhi poi parlò: “Giusto … mi sono innamorata di un ragazzo che vuole distruggere l’Olimpo …” silenzio. “Era questo che volevi sentire?”
Ancora silenzio. Per un po’ nessuno parlò.
“Ok, io sono Rachel Elizabeth Dare.” interruppe il silenzio Rachel.
“Ciao Rachel.”
“Sono l’Oracolo di Delfi e sono mortale, mi sono costretta da sola a frequentare una scuola che odio, ero in gita quando, non so bene come, sono capitata qua da voi. Vediamo … sono di New York … e mi ritengo un arista concettuale. Comunque le visioni che ho mi fanno sembrare pazza anche se non lo sono, non troppo almeno.”
“Ora io. Ciao a tutti. Mi chiamo Susan Pie.”
“Ciao Sue.”
“Ciao, sono figlia di Dioniso e ho quindici anni. Mia madre è morta quando ero piccola, lei faceva delle torte eccezionali e sto cercando di imparare anche io.”
“Vero … fa delle torte di mele!!!!!” sbavò un po’ Sonny.
“Sì e ho due fratellastri gemelli che mi assillano, ma gli voglio un mondo di bene … e sono le cavie per le mie torte, ma non sono molto utili perché dicono che sono sempre buonissime.”
Risero.
“Allora … ciao mi chiamo Guenevre Boutè , o Ginny.”
“Ciao Ginny.”
La ragazza rise. “Bene, ho quindici anni. Non ho la minima idea di chi sia mia madre a quanto pare perché un padre ce l’ho ed’è il migliore! Mi coccola in tutti i modi possibili! Poi … ho una matrigna che mi porta a fare shopping e paga sempre lei! È favolosa!! E adoro cucirmi i vestiti! Sono diventata anche abbastanza brava!”
“Ciao io sono Selena Cloud.”
“Ciao Selena!”
“Salve. Sembra proprio che io sia figlia di Zeus ma ci credo ancora poco, tutto questo è abbastanza surreale. Ho quindici anni. Vivo con mio fratello, un giornalista freelance, perché i nostri genitori sono morti in un incidente d’auto. Giusto, si vede che mia madre a tradito mio padre mortale con il mio padre divino senza accorgersene, che strano.”
“No, succede spesso, anche Perseo è nato così … solo che poi la donna è stata uccisa dal re …” informò Aurea.
“S’è … bene e così eccomi qui! Tocca a te Aurea.”
La cacciatrice bionda si sistemò per bene. “Spero che non abbiate sonno …”
Tutte le ragazze presenti si allungarono verso di lei.
“Ciao, mi chiamo Aurea Smith.”
Nessun ciao.
Aurea fece uno strano verso con la bocca, come per costatare che tutte la stessero ascoltando. “Sono nata nel 1932 e ho 78 anni … ma ne dimostro solo 16 perché sono immortale, avendo accettato l’offerta di Artemide.” sorrise lievemente, ma era un sorriso dolce amaro. “Avevo 16 anni quando il destino mi portò a compiere questa scelta … non so se lo rifarei. All’inizio volevo solo poter tornare indietro per aggiustare tutto e tornare da mio padre… ma avevo già scelto il mio destino seguendo lui.”
Le sue ultime parole si persero nell’aria, rimbombando nel suo cuore. Era da tempo che non ne parlava con qualcuno e l’uniche con cui aveva parlato erano … bhè … irraggiungibili. O meglio una era morta, l’altra era una dea.
Riprese a parlare. “Bene, avevo 15 anni la prima volta che lo vidi, credevo davvero fosse un semplice ragazzo che veniva a passare le estati nel nostro paesino, come tanti in fondo. Ma lui non ci passava solo le estati, per lui era un modo di nascondersi. Si chiamava Hunter, cioè tutti lo chiamavano così … credo che il suo vero nome fosse Anthony. Una notte ci eravamo dati appuntamento come tante altre sere per vedere un film, arrivai un po’ prima sul luogo dell’appuntamento sperando che lui fosse già lì; infatti c’era. Lo sentii parlare di qualcosa che non capii subito: stavano parlando di fare un colpo alla banca cittadina e poi scappare a Los Ageles.” sospirò. “Allora ancora non ero una cacciatrice e mi beccarono. Hunter mi chiese di andare con loro e io accettai.” abbassò lo sguardo un attimo. “Ero giovane, innamorata e sciocca, col senno di poi, nel credere nel suo amore. Anche se forse all’inizio c’era nella nostra relazione. Così facemmo il colpo, andò tutto liscio come l’olio, io lo aiutai. Presi da casa mia tutte le cose più costose e quando mio padre mi chiese cosa stavo facendo, lo mandai al diavolo. Non lo avevo ancora perdonato per la storia di mia madre … Comunque partii con Hunter per la grande città che avrebbe dovuto essere l’inizio della mia nuova vita. Invece fu l’inizio della fine. Rapinammo molte banche, davvero; lui era un vero gangster.  E io la sua ragazza, ero follemente innamorata, tanto da non vedere quello che mi capitava intorno. Avevamo un piano, un buon piano, per rapinare la banca più grande di Los Angeles. Dovevamo fare beccare uno dei nostri, che sarebbe finito in prigione chissà per quanto tempo, ma a noi due non importava perché eravamo insieme e nient’altro contava … per me era così, per lui le cose già erano cambiate da tempo. Mettemmo in atto il piano, ma qualcosa andò storto, terribilmente storto.” si prese un po’ di tempo per scegliere le parole giuste. “Hunter uccise i due poliziotti a guardai nella banca e … lasciò me … a fare l’esca. Ci fu una sparatoria, rimasi anche ferita, non gravemente ma ho ancora la cicatrice.” si sfregò un punto  sul braccio con un gesto lieve e incontrollato. “Finii in prigione, qualche giorno dopo il mio avvocato mi chiamò per alcune domande … ma io non avevo un avvocato … Si presentò da me una donna, lo trovai un po’ strano in effetti, ma in quel periodo ancora speravo che Hunter mi tirasse fuori. La donna aveva qualcosa di strano, come  … come posso dire? Un’aura argentea ed evanescente? Non avrei dovuta vederla in teoria, per la Foschia e cose così, ma questo lo capii poi. Comunque quel giorno non parlammo affatto della mia difesa. Il mio avvocato ovviamente era Artemide, che cosa strana da dire … mi propose di diventare una sua cacciatrice. Non accettai subito, convinta dell’amore di Hunter. Il giorno dopo non ricordo chi mi disse a cosa andavo incontro senza un avvocato: la pena di morte. La cosa positiva è che potevo scegliere tra sedia elettrica e puntura letale.” rise da sola. “Quella notte arrivò da me una civetta con un biglietto, sopra c’era scritto: ‘Hai un ultima possibilità.’. Lo lessi e mi sembrò davvero strano, perché io sono dislessica. Aspettai ancora, sperando in Hunter … poi lo vidi … era venuto a vedere la mia esecuzione. Mi sedetti e, mentre i medici trafficavano con varie siringhe, io fui pronta ad accettare la proposta della dea. Poi il resto è storia … da immortale, tornai più volte da mio padre, ero stata messa in quella zona a cercare altre ragazze da arruolare, ma non mi presentai mai da lui, avevo paura. Poi Artemide dovette andare sull’Olimpo per una riunione importante e chiese a me di andare con lei, disse di dovermi far conoscere una persona. Dopo la riunione a cui non partecipai Artemide tornò con il suo solito aspetto da quattordicenne e disse solo: ‘Io ti lascio con lei, comportati bene.’ e se ne andò. Così conobbi anche mia madre e scoprii di essere una mezzosangue e perché la Foschia aveva meno effetto su di me.”
Silenzio … nessuno parlava.
Fran non si era mossa dalla sua strana posizione da quando era stata lei a parlare. “Chi è tua madre?” chiese.
“Atena.”



Eccoci!!
Questo è un capitolone!!!!
Commentate ora commentateeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 23
*** Qualcuno viene minacciato da qualcun'altro che non è altro che il genitore di qualcun'altro ancora! ***


Il giorno dopo parecchi si riunirono per salutare l’Oracolo che veniva accompagnato alla gita scolastica con il furgone del Campo.
Le ragazze erano tutte là.
“Bhè, ciao ragazze! Mi sono divertita stanotte!”
“Di niente! Siamo nate per dare spettacolo!” disse Sonny.
“Parla per te!” rimbeccò Ginny.
Rachel rise poi le salutò ad una ad una. “Complimenti.” fece a Ginny.
“He?” chiese lei.
Ma la rossa le rispose con un semplice sorriso.
“Ok, non puoi dire altro … bene.”
Per ultima salutò Fran.
“Ciao, figlia di Atena. Sai non sono abituata ad andare d’accordo con voi.” rise.
“Sei abituata a dire cose che la gente non capisce, vero?”
“Sì già … ma questa la capirai: sta attenta … non potrai resistere …”
“Infatti, lo so.” rispose abbassando lo sguardo.
“Bhè, tu provaci lo stesso …” l’abbracciò.
Fran ricambiò lentamente. “Okey.”
Così Rachel se ne andò lasciando alle ragazze una profezia tra capo e collo.
Le attività del Campo Mezzosangue ripresero come tutte le estati l’eccitazione causata dalle nuove arrivate e dall’Oracolo di Delfi scemò dopo due settimane, anche perché niente che somigliasse all’irrazionalità si presentò.

Fran non si ricordava come era finita nel prato, sapeva solo che doveva allenarsi ancora e ancora per non dover pensare a lui.
Poi la terra tremò.
Eccolo,  pensò.
Ne seguì la calma più assoluta, tutto intorno a lei sembrò comparire nel nulla, rimase solo lui che emergeva dalla boscaglia e le tendeva la mano dicendo: ‘Fammi entrare.’
Poi tutto divenne nero
.

“Fraaaan!!! Svegliati!!!”
La ragazza si sollevò dal letto. “Stiamo scherzando vero, mi sono addormentata due minuti fa.”
“Ahahah, no! Ahi dormito per quasi dieci ore!”
“Incredibile … mai fatto in vita mia, allora grazie per avermi svegliato, Jay.”
Il ragazzo le sorrise radioso. “Di niente, però devo avvertirti, ti sei agitata per tutta la notte. Ancora.”
“Scusa se ti ho svegliato. Ancora.”
“Non ti preoccupare.” disse uscendo dalla capanna.
Jay dormiva sopra di lei nel letto a castello, da qualche settimana aveva iniziato a dirle che si agitava durante la notte e da qualche settimana lei faceva degli strani sogni, in cui non ci capiva gran che. Sapeva solo che doveva tener duro e resistere.
Era passato un mese e qualche giorno dal loro arrivo e adesso avevano preso il via con tutte le attività da svolgere, e di solito Fran se ne caricava il più possibile addosso, per evitare di pensare come succedeva nei sui sogni.
Andò a fare colazione. Non incontrò nessuna delle ragazze, in effetti era molto tardi per la colazione, non c’era praticamente nessuno nel Refettorio. Mangiò in fretta e raggiunse Sonny che la aspettava davanti al capanno per le pulizie, come tutte le mattine.
“Sei di nuovo in ritardo.” l’ammonì.
“Dormito male.” si scusò lei.
La nera la guardò storto. “Di nuovo?”
“Ma vi ripetete tutti oggi?” scherzò Fran.
L’argomento non fu ripreso in mano. Pulirono i bagni in silenzio, dopo i primi bisticci le ragazze avevano iniziato ad andare d’accordo, anche se sembrava un equilibrio precario. Avevano iniziato a scherzare tra di loro e a prendersi in giro senza cattiveria.
“Allora che succede in giro di questi tempi?” chiese Fran.
“Ma anche tu abiti qui, non sai le novità?”
“No, in effetti in questi giorni non ho fatto altro che allenarmi e pulire.”
“Ok ok, allora da dove comincio? Bhè … sapevi che Ginny adesso sa difendersi con una spada?”
“Incredibile!”
“Già, lo ammette anche Javier, che ovviamente ha una cotta per lei. Si vede lontano un miglio! E anche lei non è da meno, ma nessuno dei due ha fatto ancora il primo passo. Si limitano ad allenarsi insieme.”
“Sono timidi che vuoi farci, anche se da Ginny non mi aspettavo che resistesse così tanto in un posto del genere …”
“Ma tu hai idea di chi possa essere sua madre?”
“Oh, certo mille! Ma una è davvero sciocca, un’altra è talmente troppo possibile che la ritengo una fregatura.”
“Si, anche io all’inizio con te … non avrei mai creduto che potessi essere figlia di Atena. Eri troppo … codarda.”
“Continui a scambiare la codardi con la strategia, sei troppo impulsiva quando combatti …”
Continuarono a punzecchiarsi per un po’, la cosa finì tra le risate.
“Tu ora che fai?” chiese Sonny a Fran.
“Hmmm … non so, credo che mi allenerò.”
“Bene, strano … non lo fai mai, ma ok. Che ne dici se facciamo una simulazione?”
“Sì.”Raggiunsero il prato, dove tutti si stavano allenando. Videro in lontananza Ginny allenarsi con Javier, Selena che seguiva le istruzioni di Aurea e un piccolo scontro cinque contro cinque, da un lato la squadra di Mally, dall’altro una guidata da Alice.
Le due ragazze iniziarono ad allenarsi. Sonny era davvero riposata e scattante attaccava e scansava ad una velocità esagerata per i riflessi rallentati di Fran. La ragazza faticava a seguire i sui movimenti e più di una volta si ritrovò ad indietreggiare. La figlia di Apollo, che combatteva a distanza ravvicinata, doveva sempre annullare lo spazio tra lei e l’avversaria, così Fran sperò di fiaccarla un po’ con questo sistema , ma il risultato era solo quello di farle girare la testa.
Con qualche colpo alla catena e un calcio ben piazzato, Fran finì a terra ansimante chiedendo un pausa.
Sonny che aveva iniziato a sudare in quel momento si lamento ma non infierì. “Stai davvero peggiorando.” le disse porgendole la mano.
“No, lasciami giù. Te l’ho detto non dormo bene negli ultimi tempi.” guardò in alto verso il sole. “Ho bisogno dell’ombra.” disse spostandosi.
“Ecco perché dormi male!! Dovresti smetterla di stare appesa al soffitto come un pipistrello, non hai più l’età! Prova con un confortevole bara!”
“Sonny , non scherzare sul mio vampirismo.”
“Hei, qualcosa che non va?” chiese Selena, arrivata in quel momento.
“No, ho solo confermato che la nostra figli di Atena qui fa schifo in duello.”
Sonny si prese un calcio nella spalla e il combattimento riprese senza armi, e se fu possibile le ragazze si fecero anche più male di prima.
Dall’altra parte del prato Ginny cercava di capire cosa fosse un affondo.
“Dai, è molto semplice.” la incoraggiò Javier.
“Lo sarà anche ma per ora non mi è riuscita neanche una volta.”
“Aspetta …” disse e le passò dietro prendendole le spalle e posizionandogliele in attacco, poi le sue mani percorsero le braccia della ragazza e raggiunsero le sue mani. “Adesso asseconda i miei movimenti.”
Ginny con i brividi, lo fece così arrivò a fare anche il suo primo affondo.
I mezzosangue che seguivano la vicenda da vicino le fecero anche l’applauso.
“Hai dei fan!” scherzò Javier.
“Si come no, mi stanno solo prendendo in giro!”
“Può anche darsi … ma ora passiamo all’attacco laterale!”
“Oh, nooo!”
“Su, su!”
Ripresero ad allenarsi fino a che non giunse l’ora di pranzo.
Così tutte le ragazze si ritrovarono davanti al Refettorio.
Ginny era a dir poco raggiante.
“Ragazza ti si leggono in faccia i progressi che fai!” le disse Sue.
“Sono anche arrivata a fare l’attacco laterale questa mattina!”
“Non penso che parlasse di quello sai …” la canzonò Selena.
Ginny divenne rossa come un peperone. “Oh, bhè … non credo che …” bofonchiò.
“Tu credi benissimo è che ancora non hai trovato il coraggio!” le batté un pacca sulla spalla, che di pacca aveva poco, Sonny.
La ragazza storse la bocca.
Risero tutte tranne Fran che sorrise lievemente, era felice per l’amica ma non aveva la forza di continuare.
Mangiarono e nel pomeriggio le ragazze decisero di ritrovarsi nella loro piccola radura, l’avevano scoperta da poco tempo, per loro era assolutamente perfetta. Selena, Ginny, Sue ed Aurea si schiantarono al sole e si distesero sull’erba, Fran si sedette su delle rocce al fresco mentre Sonny decise di cogliere alcune bacche commestibili come dessert.
“Ragazze, come facciamo per tirar su un po’ Fran?” confabulò Ginny.
“Potremmo farle il pizzicorino …” suggerì Sue.
“Non lo soffre.” avvertì Selena.
“Cosa allora?”
“Ecco le bacche!” le interruppe Sonny.
La povera ragazza fu tirata giù con forza, metà delle bacche cadde a terra.
Restarono parlare con aria cospiratoria per un po’, Fran non sembrò accorgersene perché si stava lentamente addormentando, anche se faceva di tutto per non farlo visto i suoi ultimi sogni.
“Trovato! Gettiamola ne fiume!” disse Sonny.
“Così è sicuro che ci uccide!” scattarono Ginny e Selena.
“Bhè, ma almeno si sveglierebbe un po’.” asserì Aurea.
“Sì … comunque la sua faccia la conosco! È uno struggimento d’amore!” disse sicurissima Ginny.
“Già, ma lei più che struggersi sembra si stia deteriorando.”
“Mi sono persa un pezzo?”
“Sì, Aurea, il pezzo si chiama: Mason Hardison … e vedessi che pezzo!”
“Ginny!”
“Hei, è vero! Ma ho altro per la testa.”
“Lo sappiamo!” dissero tutte in coro.
“Hei!”
“Allora è andata per il fiume?” chiese Sonny.
Tutte si guardarono. “Sì.”
Fran si era definitivamente addormentata, ma il sonno era leggero, non appena si sentì afferrare, iniziò il suo contrattacco, ma erano cinque contro una e non aveva possibilità di scampo.
“Cosa volete fare!?”
“È per il tuo bene! Tranquilla!” la rassicurò Sonny.
“Sei l’ultima persona a cui crederei!!” urlò di rimando.
Tutte risero, in breve raggiunsero il fiume che costeggiava il Grande Tempio greco.
“Prendi un gran respiro Fra!” le consigliò Selena.
Poi la gettarono in acqua, era abbastanza profonda e andò giù tutta.
Le venne voglia di far loro un scherzo e di non riemergere più, ma non aveva seguito il consiglio dell’amica, o meglio non ne aveva avuto il tempo. Riemerse in fretta. “Maledette!!!!!” tuonò raggiungendo la riva.
Le ragazze erano piegate in due dalle risate.
Poi avvenne qualcosa di strano, anche se ormai c’erano abituate.
Un lampo rosa rischiarò l’aria tutt’intorno a loro.
Dopo qualche secondo videro Phil correre sul per la larga scalinata bianca che conduceva al Grande Tempio.
In meno di un minuto, molti semidei si radunarono là sotto.
“Ma che è accaduto?” chiese Ginny.
“È arrivato un dio a farci visita.” spiegò Sue senza staccare gli occhi dall’ingresso del tempio.
Qualche minuto ancora e Phil scese le scale, poi si fermò sull’ultimo scalino e urlò: “Fran Owl! Sei desiderata nel Grande Tempio!”
Fran si irrigidì.
Chi avrebbe mai potuto chiamarla?
Sperò con tutto il cuore fosse sua madre e che almeno lei avrebbe potuto darle un qualche aiuto.
Salì le scale con lentezza, perché credeva che se fosse corse fino in cima sarebbe crollata senza forze a terra, anche se la tentazione era fortissima.
Raggiunta la cima entrò un po’ titubante, in fondo stava per incontrare un dio, di qualsiasi dio si trattasse se ne poteva sentire il potere da lontano.
Nel tempio era tutto bianco anche se c’era poca luce diurna, sul terreno si stendevano le ombre deformi e fluide gettate dalle torce accese. C’erano tanti troni enormi, tutti erano vuoti ovviamente, ce n’era uno per ogni capanna che c’era giù al Campo.
Fran passò davanti a tutte poi si fermò, aveva visto in lontananza una donna, una donna normalissima con i lunghi capelli neri ricci.
La ragazza si fermò un attimo.
La dea se ne accorse. “Prego, vieni pure avanti.”
Fran ubbidì e si avvicinò. Non era sua madre, sapeva che i suoi occhi erano di un terribile grigio-blu, esattamente il contrario dei suoi pozzi neri.
Questa donna aveva gli occhi assolutamente verdi … verdi come quelli di Mason.
All’improvviso le sembrò di ritrovarselo davanti, come in uno dei suoi sogni, poi chiuse gli occhi e scosse la testa, quando li riaprì il ragazzo non c’era più.
“Scusa faccio questo effetto di solito. Ma che mi scuso a fare!” rise la dea.
Fran ancora non aveva aperto bocca.
“Mi presento io sono la dea dell’amore e della bellezza, ma questo si capisce la primo sguardo, no?” rise ancora.
“Afrodite.” biascicò la ragazza.
“Esattamente! Sorpresa di vedermi?”
“Molto …”
“Anche spaventata si … tranquilla non serve essere un dio per capirlo.”
Afrodite la guardò un istante, le girò intorno e notò con infinita tristezza il suo abbigliamento, la sua pettinatura e tutto ciò che non andava bene in lei.
“Sei un disastro tesoro …”
Fran rimase un po’ interdetta. “È venuta qui per dirmi questo?” chiese scossandosi di dosso l’acqua come avrebbe fatto un animale.
La dea rimase assolutamente shoccata. “Così non va affatto bene!!” tuonò quasi minacciosa. “A te piace lo stile dark, giusto?”
“Un po’, non in modo esagerato, perché?”
Afrodite schioccò le dita e Fran si ritrovò perfettamente asciutta.
“Su guardati! E ringrazia!”
Le comparve davanti uno specchio della sua grandezza: indossava degli abiti neri e viola, jeans e maglietta attillati, anfibi e giacchetta di pelle. Aveva un’acconciatura elaborata in testa che le piacque davvero, poi si guardò in faccia: aveva un trucco micidiale di quelli che aveva provato tante volte a farsi ma che non le era mai riuscito per bene. Rimase di stucco.
“Non è il mio stile ma stai davvero bene ragazza.”
Fran si guardò un altro po’, poi lo specchio scomparve.
“Non ti piacerebbe farti trovare così da Mason?”
La bionda si riscosse e si irrigidì. “È per questo che è qua, giusto.”
“Infatti, beccata!” fece l’occhiolino. “Sareste favolosi insieme!”
“Sta scherzando vero? Sa cosa vuole fare lui.”
“Sì, lo so … ma sono certa che gli faresti cambiare idea.”
Fran si sentì quasi un pupazzetto nelle sue mani, capiva che gioco stava giocando al dea. “Certo e lei lo sa perché lo sa o lo spera!?” chiese a voce molto alta con un chiaro tono di sfida.
Il volto di Afrodite s’indurì e lei divenne spaventosa e bellissima.
Eccolo il suo potere … si disse Fran.
“Tu non sai con chi hai a che fare. Conosco l’amore: di coppie come voi non ce ne sono da quando mio figlio si innamorò di Psiche.”
“Bel paragone … lei rimase fregata …”
“Povera piccola Owl, sciocca anche. Tu non conosci il mio vero potere ma presto, te lo prometto, lo conoscerai!” la minacciò.
“Non aspetto altro.” disse Fran traendo la forza di rispondere dalla sua incoscienza.
La ragazza fece per andarsene.
“Ferma là! C’è ancora una cosa che devo dirti.”
Fran scese la scalinata dopo quella che sembrò un’eternità per le altre.
Era vestita in modo diverso da prima ed era truccata … e davvero davvero arrabbiata.
Ginny le corse incontro.
Nel frattempo ci fu un altro lampo rosa che segnalò l’allontanamento del dio.
“Hei, cos’è successo lassù!?” le chiese agitatissima.
Fran lo degnò di uno sguardo e continuò a camminare.
Ginny la raggiunse. “Fran, ma che ti prende!? Cosa è successo!?”
La ragazza si fermò di botto. “Tu!” urlò.
Si voltò all’improvviso puntandole il dito contro. “Tu … LEI! Siete uguali! Riuscite a farmi imbestialire!!”
“Ma di che diavolo stai parlando!?” le chiese Ginny ora anche lei arrabbiata.
“Tu!”
Adesso si era formato un bel gruppetto intorno a loro due, c’erano anche Sue, Sonny, Aurea e Selena.
“Tu! Tu sei figlia di Afrodite!” urlò.
Poi se ne andò lasciando Ginny da sola al centro del cerchio di mezzosangue.



Ok sono decisamente in anticipo ma avevo l'ispirazione e poi casini vari!!
Comunque ecco a voi l'inizio della fine!!!
^^

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Capitolo 24
*** In preparazione ***


“Ora è tutto chiaro! L’ho sempre saputo! L’ho sempre saputooo!!”
Ginny era al settimo cielo, non stava ferma un attimo ed era super-emozionata. Stava facendo il trasloco delle poche cose che aveva dalla capanna di Ermes a quella di Afrodite.
“Scusa ma tu non dovresti avercela a morte con Fran?” le chiese Sonny.
“No e perché mai?! Mi ha dato la migliore notizia della mia vita!”
“Per come te l’ha data?”
“Oh, lei è così! E comunque la notizia prevarica il modo!!!”
Raggiunsero tutto la nuova casa della ragazza, c’erano davvero tutte tranne Fran ovviamente che era scomparsa da qualche parte.
La capanna era fatta di un legno chiarissimo e aveva le rifiniture rosa, stuccava un po’ alla vista, ma per Ginny era la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua, era davvero esaltata.
Sulla soglia la stava aspettando una ragazza alta, snella e perfettamente truccata aveva i capelli scuri raccolti in una crocchia perfettamente centrata.
“Buon pomeriggio! Sorella!!”
A Ginny si illuminarono gli occhi.
“Sono tutti così … teatrali qui?” chiese Selena.
“A volte è anche peggio.” affermò Sue.
Ginny salì in fretta le scale e fu introdotta nella capanna rosa …
“Aspettiamo fuori?” chiese Selena.
“Sì, non vorrei non riuscire più ad uscirne …” disse Sonny intimorita.
Ginny era dentro e là dentro c’era tutto ciò che le era mancato di più in quel mese passato nella capanna di Ermes. “Fantastico …” mormorò.
“Già è la prima reazione di tutti … pensa quando arrivammo io, mia sorella e mio fratello abbiamo dovuto dipingerla tutta ed arredarla! È stato divertente!” sorrise la ragazza che l’aveva accolta
Si chiamava Penny ed era il capo capanna, come lo erano Mally e Alice, era più grande di lei anche se di poco ed era stata la prima ad arrivare al Campo insieme a pochi altri. Disee che il Campo Mezzosangue inglese era davvero nuovo aveva solo un anno o poco più.
“Ecco questo è il tuo letto, piano piano potrai abbellirlo con ciò che vuoi.” sorrise Penny.
“Grazie mille!!” disse Ginny fuori di sé.
La ragazza la lasciò a sistemare l poche cose che aveva.
Tutto l’à dentro aveva un colore rassicurante e odorava di lavanda, fiori e Chanel. Già si sentiva perfettamente a  suo agio.
 Uscì dopo quasi un ora tutta contenta e con un sorriso enorme sulle labbra. “Ragazze là dentro è fantastico! Siamo in dieci in tutto abbiamo un letto enorme per uno ed ‘è tutto rosa!!!”
Le ragazze le fecero dei versi di felicità poco convincenti ma lei non se ne accorse molto o forse era troppo elettrizzata per accorgersene.
“Dai entrate! Vi faccio vedere!!” urlò Ginny.
Poi si udì uno strano gracchiare e in breve la voce di Phil riempì l’aria: “Tutti i mezzosangue al Refettorio per la cena che ho anche un annuncio dell’ultima ora da fare!! Veloci!”
“Oh, che peccato Ginny!”
“Sarà per la prossima volta … hem …”
Lei sorrise e si diresse per prima verso la grande struttura di pietra bianca.
Quando tutti i ragazzi furono là dentro per ma di iniziare a mangiare, il satiro si alzò dal tavolo della Casa Grande e si schiarì la voce. “Bene adesso posso annunciarvi con gioia che domani si terrà la solita caccia alla bandiera!”
Il Refettorio risentì gravemente della cosa.
“Ma ce lo dite solo ora!?”
“Sapete che ci vuole del tempo per preparare tutto!”
“Facciamola la prossima settimana!!”
A tanti altri urli di simile genere.
“E no! L’ho fatto apposta a dirvelo solo ora! L’ultima volta che ve l’ho detto per tempo avete iniziato a sistemare trappole non consentite e a boicottare i vostri avversari! Soprattutto voi … Casa di Efesto.”
I tre grossi ragazzi figli del dio dei fabbri risero sommessamente.
“Comunque ho deciso di apportare anche una piccola modifica alla solita caccia alla bandiera …”
Tutti trattennero il fiato terrorizzati dalle idee geniali del capo Campo.
“Le squadre non saranno più due ma ogni singola capanna formerà una squadra!”
Silenzio.
Sonny si alzò in piedi, lei era sola non aveva né fratelli né sorelle nella sua casa. “Cosa!? E chi è da solo come pretendete che faccia!?!?”
Anche Selena si era alzata e ora attendeva la risposta del satiro.
“Chi non se la sente può sempre rinunciare e non partecipare.”
Era uno schiaffo in pieno volto ma in fondo così Phil cercava di non far partecipare alcune capanne, ad esempio Apollo, Zeus e Dioniso, che erano solo in tre. I ragazzi questo lo capirono al volo.
“Io non mi tiro indietro!” urlò Sonny e si rimise a sedere.
La cena di quella sera si consumò nel brusio generale. Tutte le capanne stavano già parlando della strategia da adottare e come fare a mettere fuori gioco i soliti trucchi di alcune case.
Al tavolo di Afrodite si parlava invece se partecipare o meno, tanto perdevano sempre e perché poi infilarsi in una guerra, anche se finta, contro tutte gli altri?
Ginny prese parola. “Secondo me dovremmo partecipare invece.”
“Come?”
“Sarebbe inutile”
“Non protestate subito e sentiamo cos’ha da dire!” recuperò il silenzio Penny.
“Bene ... hem … forse se partecipassimo potremmo … anche farcela. Intendo dire conosco alcune strategie di attacco.”
Tutti la guardarono male per un istante.
“E come fai a conoscerle? Cioè io sono qui da un po’ e sinceramente continuo a non capirci un gran che in strategia …” disse una ragazza bionda.
“Bhè, ecco voi sapete che sono amica di Fran.”
“Sì, la figlia di Atena.”
“E lei giocava spesso con video giochi di guerra e cose così quando eravamo a casa. Un giorno le chiesi cosa ci trovasse di divertente e lei me lo spiegò. La stetti a sentire anche quando spiegava di una strategia complicatissima  che non capii subito.”
“E tu te la ricordi?”
“Sì, è difficile farmi stare attenta. Ma una volta che ci riesci le cose me le ricordo molto bene.”
Il tavolo esplose nel giubilo.
Sonny dal suo sorrise e rivolse lo sguardo al tavolo di Selena che rimestava il suo cibo sovrappensiero così le venne in mente una strana idea ma che avrebbe anche potuto funzionare, si alzò.
Sue e i suoi fratelli stavano escogitando diversi modi di nascondere la loro bandiera, per loro non era un problema sconfiggere chi li attaccava e difendere le loro postazioni ma gli restava difficile attaccare, poi Gioele ebbe un idea che fece impazzire gemello e sorella.
Aurea stava già spiegando alle sue sorelle cacciatrici come avrebbero agito l’indomani.
“Scusa perché partecipiamo?” chiese una.
“Sì, certo perché no? In fondo ci stanno ospitando ed’è bene rispettare le tradizioni degli ospiti.”
“Tradizioni?”
“Sì, questo gioco non è esclusivo di qua, ma anzi, è comune a tutti i Campi nel mondo.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Bhè me lo hanno spiegato bene, anche se non sono mai stata nel Campo americano dicono che la tradizione venga da lì.”
Le cacciatrici annuirono e continuarono ad ascoltare il loro luogotenente.
Il tavolo di Atena si dilungava in strategie combinate di attacco e difesa, Fran stava ad ascoltare: per lei era la prima volta che assisteva ad un concilio di guerra anche se solo finto. Sorrise pensando ai suoi videogiochi a casa.
“Owl tu che ne pensi?” le chiese Cole, il Capo capanna, un ragazzo biondo con gli occhi grigio scuri, simili a quelli della loro madre.
“Non saprei, so che queste tattiche hanno tutte dei nomi non è così?”
Cole la guardò un attimo. “Sì, perché?”
“Se hanno un nome sono stati brevettati e già usati, è probabile che anche qualcun altro li usi o che comunque se li ricordi, per non parlare del fatto che ci sono anche le cacciatrici che sono sicuramente più esperte di noi con i vecchi trucchi.” sospirò. “Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo …”
Jay la guardò. “Ha ragione.”
“Sì, ok … a parte il fatto che sembra di parlare con una figlia di Afrodite … e anche con uno zombie … però ti daremo ascolto, sei hai già qualche idea ovviamente.” disse Cole.
Tutti annuirono.
“Il mio aspetto è colpa di Afrodite e non sono ancora riuscita a capire come disfarmi questa maledetta acconciatura e il trucco non se ne va, ho provato in mille modi. Comunque si ho un idea.”
Phil si guardava attorno compiaciuto della confusione che aveva provocato.
“Non sarai stato un po’ … hem … stronzo?” gli chiese la naiade che era l’infermiera capo del Campo.
“Sì, bhè … ho la mia reputazione da tenere in piedi.”
“Quella del satiro scorbutico, attaccabrighe e anche un po’ guardone?” lo canzonò il Maestro d’Armi.
Il satiro lo guardò male poi scosse la testa sbuffando.
Gli altri del tavolo risero.

Scusate per il ritardo e la brevità ma dovevo mettere a punto delle cose e dividere un capitolo gigantesco così ora vi beccate questo alla prossima il resto ... mwahahahaha
:D

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Capitolo 25
*** Caccia alla bandiera ... ***


“Tutti pronti!?” urlò Phil dalla cima del suo tavolo nel Refettorio.
L’urlo di tutti i ragazzi squarciò l’aria in segno di assenso.
“Allora partite al mio … VIA!”
Tutti scattarono verso una direzione diversa stringendo la propria bandiera al centro della formazione, tutti cercavano un posto sicuro, facile da proteggere da cui si potesse vedere bene ciò che li circondava.
Sonny scattò più veloce degli altri accanto a lei, reggeva la sua bandiera con una nota musicale su campo d’oro in una mano mentre con l’altra teneva un’accetta, sempre pronta all’attacco. Dopo poco si fermò, aveva visto ciò che cercava da quando aveva iniziato a correre: la bandiera blu elettrico con il simbolo di una saetta sopra. La seguì, correndo ad una velocità pazzesca e facendo anche abbastanza rumore. La bandiera scomparve dietro un piccolo dosso, lei accelerò, ma, quando lo superò, si fermò di botto: Selena le puntava una freccia dritta alla testa.
“Hei! Sai che non puoi uccidermi.”
“Infatti non voglio, ma fa più paura se ti vedi la punta di una freccia davanti al naso.”
“Questo è vero.” fece una pausa, compiacendo si del fatto di aver pensato bene il suo piano. “Non sono qui per rubarti la bandiera però … hmmm, solo per chiedere, ma quale era il tuo piano?”
“Perché te lo dovrei dire!?”
“Oh, bando alle trote! Sono qui per proporti un alleanza! Siamo le uniche con la capanna vuota, dobbiamo darci man forte!”
“Non so come funziona con le alleanze, non è che comunque alla fine deve restare solo uno con tutte le bandiere.”
“Non per forza. Se ci sono le alleanze posso essere rispettate così a beccarsi i premi sono entrambi i contraenti dell’unione.” Sonny si bloccò all’improvviso. “Oh trote! Sto parlando come Aurea!”
Selena rise poi accettò.
“Allora qual è il piano, socia?”
“Bho, io ho pensato solo a questo.”
“Ok … io pensavo di trovarmi un posto molto riparato, magari anche in alto, per via dell’arco, dove aspettare che gli altri si massacrino un po’ tra loro, così sarà più facile dopo rubar loro tutte le bandiere.” spiegò Selena.
“Genio! Conosco il posto giusto andiamo!!”
Mentre correvano si imbatterono nella capanna di Ermes che si stava dividendo in gruppi per rubare le altre bandiere, non si fecero notare e scivolarono via non viste.
“Quanto manca!? Quest’asta con la bandiera pesa!”
Poi Sonny indicò una piccola collinetta nel bosco in cima alla quale c’era una grande albero pieno di foglie.
“Perfetto.”
Mentre salivano sentirono in lontananza un esplosione poi del fumo si levò da quella zona.
“Figli di Efesto.” affermò Sonny.
Nel luogo dell’esplosione c’era una piccola battaglia. Le trappole messe dai ragazzi di Efesto erano scattate quasi tutte perché il gruppo di Ares ne sapeva abbastanza per evitare le peggio nascoste, nonostante che due di loro si siano ritrovati appesi in cima agli alberi e altri due chiusi in delle resistenti reti.
“Avanti con le fruste!!” urlò Javier incitando gli esploratori davanti a lui.
I ragazzi fecero scattare le fruste davanti a loro, altre due trappole scattarono risultando inutili.
I ragazzi di Efesto non indietreggiarono neanche un istante e furono pronti, il loro capo squadra urlò: “DIONISO!”
I tre della capanna di Dioniso si gettarono sulla prima fila dei ragazzi di Ares che finirono a terra tra le trappole ancora attive. Iniziò uno scontro diretto tra le due capanne.
Erano tutti talmente presi dallo scontro che nessuno di loro si accorse dei piccoli della casa di Ermes che si muovevano furtivi tra i cespugli.
Alice da sopra un albero coordinava il furto perfettamente.
I ragazzi biondi riuscirono a rubare la bandiera bordeaux di Dioniso, nascosta dietro delle rocce, Alice sapeva che da quel momento in poi aveva solo qualche secondo per prendere anche quella in bella vista di Efesto, che era stata usata come esca per quelli di Ares, così si gettò dall’albero in caduta libera verso l’asta.
I ragazzi, intenti a darsi battaglia a terra, si fermarono ad osservare impotenti la scena.
La voce di Phil, giunta da non si sa bene dove, annunciò: “La capanna di Dioniso ha perso la bandiera!”
In quell’istante Alice atterrò agile accanto a quella di Efesto e la afferrò trionfante.
“Oh! Anche quella di Efesto ha perso la sua bandiera!!”
Tutti si rivolsero verso Alice che fece spallucce e riprese il volo verso il fitto degli alberi.
Javier venne affiancato da Mally. “Il bello di avere un padre con le ali alle scarpe!”
“Mi ero dimenticato che la nostra Alice le aveva. Errore mio!”
“Andiamo!!!” urlò poi Mally riprendendo l’ordine dei suoi soldati. “Liberiamo i ragazzi nelle reti e cerchiamo un’altra capanna da attaccare!”
Alice arrivò al punto d’incontro con le altre due squadre che aveva formato prima, la sua bandiera sventolava non toccata da nessuno  e i ragazzi che aveva messo di guardia, con l’ordine di scappare a qualsiasi attacco e di dirigersi al secondo punto d’incontro, le dissero che non si era visto nessuno. Arrivarono anche gli altri della sua piccola unità stringendo la bandiera che avevano preso e insieme depositarono il bottino hai piedi della loro bandiera, come sempre.
“Oh-oh! Incredibile a dirsi ma le nostre care ospiti, le cacciatrici, perdono la loro bandiera!” urlò Phil il telecronista.
“Deve essere stato un attacco da quelli di Atena o la nostra squadra è riuscita a rubare la bandiera!” disse entusiasta un ragazzo.
“Speriamo!” concordò Alice.
Passarono cinque minuti e entrambi i gruppi tornarono a mani vuote.
“Ragazzi è successa una cosa incredibile!!”
“Davvero! Non sappiamo di preciso cosa sia accaduto!”
“Allora noi stavamo seguendo le Cacciatrici, sperando che ci conducessero alla loro bandiera, ma stavano facendo un attacco.”
“Erano dirette contro la capanna di Afrodite che noi stavamo cercando per derubarla.”
“Solo che da lontano da una bandiera di Afrodie ne sono comparse due.”
“Poi quattro!”
“Poi otto!”
“Era un infero! C’era ovunque quella maledetta bandiera rosa!”
“Com’è possibile?!” esclamò Alice.
“Non lo sappiamo.”
“Dopo qualche rumore di battaglia poi c’è stato l’annuncio di Phil, ma non sappiamo come i ragazzi di Afrodite siano riusciti a tenere impegnate le cacciatrici tanto da capire dove si trovasse la loro bandiera e a prendergliela.”
“Vado a dare un’occhiata. Mi muoverò tra gli alberi così non mi vedranno.” disse Alice e subito partì.
Saltava di ramo in ramo aiutandosi con le scarpe alate del padre. Mentre aggirava una radura per mantenersi nascosta dagli alberi, vide chiaramente la squadra di Ares arrivare e andare nella direzione da cui lei era arrivata, temendo subito per la sua bandiera, fece inversione di marcia e volò ad avvertire i suoi compagni.
“Javier, chi pensi di attaccare ora che anche le Cacciatrici sono fuori?” gli chiese Mally.
Erano a capo del gruppo insieme, ma era lui che di solito decideva chi attaccare, perché la sorella era di animo pacifista, cosa davvero strana per dei figli di Ares.
“Pensavo di trovare Ermes, sono venuti da questa parte, ma non ci sono impronte … comunque ora che sono fuori quelle di Artemide credo che potremmo anche cercare la capanna di Atena. Non si aspettano un attacco frontale, si considerano difendibili da quel punto di vista, ma se noi arriviamo a sfondamento loro non ci potranno fermare.”
“Pensi a qualcosa che ci consenta di sfruttare il vantaggio numerico, quindi … si forse potremmo farcela. Però tu sai dove sono?”
“Possiamo provare alle grandi rocce, di solito è lì che vanno.”
“Non credo che ci siano oggi … sono corsi da quella parte quando è iniziata la caccia, di solito non lo fanno.”
“Ok allora?”
“Tentiamo con degli esploratori.”
“Sì, vai tu?”
“Certo, che domande!”
Mally si alzò e chiamò altri tre ragazzi, la missione: esplorazione senza contatto ravvicinato.
Partirono. Passò quasi un’ora prima che il primo si facesse rivedere al campo. E ancora una mezz’ora prima che ritornassero tutti.
“Qualcuno li ha trovati?!” scattò un ragazzo alto e muscoloso.
“No, nessuno, è come se fossero spariti.”
“Impossibile.” fece Javier.
“Fratello, non li ho trovati neanche io.”
“Siamo in un momento di stallo, non c’è stata nessun altra bandiera rubata.”
“Già.”
Mentre decidevano di rimettersi in marcia per trovare un punto dove poter difendere meglio la loro bandiera, avvertirono dei rumorosi movimenti nel bosco.
Dal nulla comparve la bandiera rosa di Afrodite tra i rami a sud della loro posizione.
“Se hanno fatto tutto questo rumore non sanno che siamo qui.” disse Javier.
“Attacchiamo?” chiese il ragazzo muscoloso.
“Hem, ragazzi …” chiamò Mally rimasta accanto alla bandiera.
Si voltarono: a nord sventolava la bandiera di Afrodite.
“Un momento è anche di qua!”
“Laggiù!!”
Da ogni lato iniziarono ad arrivare bandiere di Afrodite, in breve la radura fu circondata.
“Ok, non perdiamo la calma!” riprese il controllo Javier. “Gruppi di due in avanscoperta! E capite cosa sta succedendo! Mally! Tu resta qua con me!”
La ragazza annuì e si posizionò in modo da coprire con lo sguardo a 180° il terreno davanti alla bandiera, il fratello la affiancò immediatamente, una difesa perfetta. Erano al centro della radura non c’era possibilità che non riuscissero ad arrestare qualsiasi attacco.
Passarono dieci minuti e nessuno dei ragazzi di Ares era tornato e le bandiere di Afrodite erano ancora là, immobili.
Mally sbuffò senza perdere la posizione.
“Che Stige sta succedendo?” fece piano Javier.
“Non lo so ma non è normale …”
Fu interrotta da un bruschissimo movimento tra i cespugli. Entrambi si girarono in quella direzione.
“Io vado a vedere.”
“Mally sta attenta, non sappiamo cosa sia.”
“Non ce la faccio più ad aspettare!!”
Si incamminò circospetta verso i cespugli che erano stati smossi. La daga sguainata e pronta a colpire o difendersi.
Arrivo proprio davanti al luogo del rumore e non accadde nulla. Nessun suono.
Si voltò per tornare al proprio posto. “Macché! Niente di nie …”
Non terminò la frase. Javier vide la sorella risucchiata dai cespugli come fossero stati un buco nero.
“MALLY!!” strinse i denti e si preparò a difendersi.
“Vai tu allora?”
“Si, non vi preoccupate io lo distraggo e voi rubate la bandiera.”
“Bene allora andrò io a prenderla.”
Javier sentiva ma non sapeva da dove provenissero le voci, solo di una cosa era sicuro: c’era lei.
“Gin?” chiamò.
La ragazza emerse dagli arbusti con una piccola spada di bronzo celeste tra le mani; il figlio di Ares non poté non notare che aveva raccolto i capelli in una crocchia e che gli sorrideva timida e anche un po’ … dispiaciuta.
“Sarai il mio avversario?”
“Sì.”
“Non riuscirete a prendere la bandiera.”
“Vedremo …” il suo tono di voce era cambiato.
Il ragazzo sorrise: gli piaceva quel lato di lei, così diverso da come poteva apparire.
Scattò in avanti con un affondo, lei parò e indietreggiò. Javier invece tornò alla sua posizione con un movimento circolare a protezione della bandiera.
Ginny strinse i denti e questa volta attaccò lei: si scambiarono stoccate e affondi, poi la ragazza iniziò  un attacco laterale, muovendo la spada solo con la mano sinistra. Javier sorrise dell’errore da principianti e si preparò a parare il colpo e a  usare la sua superiore forza bruta contro di lei. Nel momento in cui le due lame si incontrarono però Ginny gli sferrò un gancio destro ad altezza diaframma, non era molto forte ma la zona colpita è debole. Javier cadde a terra con il fiato mozzato.
“Ora!” urlò Ginny.
La radura si fece buia all’improvviso.
Javier sentì Ginny dire solo: “Scusa ma non voglio pulire i bagni …” non poté non sorridere.
Dal nulla comparve una ragazza, non tanto alta con dei lunghi riccioli neri che le coprivano la schiena, stava pronunciando a bassa voce delle parole strane, che però tutti riconobbero per greco antico.
Javier si sentì diventare di piombo. La ragazza appena arrivata annuì all’espressione di Ginny.
“Bel lavoro Irma, grazie.”
“Come sempre e di niente!” sorrise.
Javier le guardò entrambe, poi si fissò su Irma. “Figlia di Ecate?”
“Sì!”
Poi si rivolse a Ginny. “L’alleanza con Ecate è un’idea tua?”
“Certamente!”
“E il piano? Le false bandiere?”
“Sì … mmm … progetto originale di Fran.”
“Sei comunque un genio.”
Ginny sorrise come se avesse avuto cinque anni e le avessero regalato un panda.
“Okay … io prendo … io prendo la bandiera …” disse imbarazzata Irma.
Si avviò verso il vessillo di Ares e lo estrasse dal terreno.
“Oh oh!! Colpo di scena signori!! Ares è fuori gioco!! Ripeto Ares è fuori gioco!!”
La voce incredula di Phil riempì l’aria, che lentamente aveva ripreso a diventare chiara.
Javier si rialzò. “Se non fosse intervenuta lei …” disse indicando Irma dietro di se. “Ti avrei battuto.”
“Certo, certo!” ribatté Ginny avvicinandosi a lui.
L’aria era tornata completamente limpida, Irma aveva annullato l’incantesimo del tutto. Era l’ora del tramonto, e nella radura c’era una particolare aria arancio-ambrata. Ginny si focalizzò sul volto di Javier, che con quella luce sembrava fatto di bronzo.
Erano molto vicini.
Irma si voltò silenziosamente verso il bosco, complice, e con un ampio gesto della mano fece svanire una ad una le false bandiere di Afrodite.
“Sei stata molto brava oggi.”
“Non dire sciocchezze, lo sono sempre!”
“Sei stata geniale …”
“Ti stai ripetendo …”
Avvicinarono ancora di più i volti, Ginny sentiva che le labbra del ragazzo chiamavano irresistibilmente le sue …
Ci fu uno schianto, come di rami spezzati.
Tutti si voltarono in tempo per vedere qualcuno con la bandiera di Atena piombare nella radura giù da un albero, portandosi dietro un grosso ramo spezzato.
La figura si alzò: era Fran, l’asta della bandiera legata alla schiena.
“Che fate adesso? Rubate il vessillo anche a lei?” chiese Javier un po’ rosso in volto.
“N-no … non ora …” riprese il controllo di se una Ginny paonazza.
Fran era rimasta ferma al limite della radura, non li aveva degnati di un minimo sguardo, fissava un punto imprecisato tra gli alberi del bosco … come stesse aspettando l’arrivo di qualcuno.
Irma fece un passo nella sua direzione, aveva una strana faccia. “Ginny, prova a chiamarla.”
“He?”
“Prova a chiamarla.” disse di nuovo cupa.
Il volto e il tono preoccupato della ragazza, la mise in crisi.
La bionda non si era mossa di un millimetro.
“Fra?”
Niente.
“Fraaaaaaa?!”
Ginny si arrabbiò. “Fran!”
Lo sguardo della ragazza si posò su di lei poi, lentamente, Fran, voltò anche la testa.
Adesso si spaventò.
Il sole era calato oltre l’orizzonte e il cielo iniziava ad assumere toni cupi e violacei.
Ginny guardò bene l’amica: rimase impietrita nel vere i suoi occhi totalmente bianchi: la pupilla non c’era e l’iride, un tempo scuro, adesso era di un inquietante celeste argentato.
“Hei figlia di Atena!” la chiamò anche Javier.
Fran continuava a fissarli, senza muoversi, senza vederli realmente, senza volontà, senza coscienza, senza vita …
La notte era ormai calata ed era senza stelle.
Irma accese un piccolo globo di fuoco per riuscire a vedere, illuminò il volto di Fran, in quella luce sembrava molto più pallida, come fosse l’ombra di se stessa.
Era una scena che faceva accapponare la pelle.
Dalle sue spalle sentirono arrivare qualcuno di corsa. Così anche Alice sbucò nella radura: aveva le scarpe ricoperte di fango con le ali rattrappite e incapaci di volare.
“Finalmente ti ho trovato! Adesso posso prendere la bandiera!” fece sorridente e  ansimante, poi si accorse degli altri tre ragazzi nella radura. “Buonasera!” li salutò.
Fran non si muoveva.
Arrivarono anche gli altri ragazzi di Ermes, sette in tutto.
“Scusate facciamo che noi prendiamo la bandiera e non ci siamo visti?” chiese Alice divertita dalla caccia.
Si fermò vedendo i volti tesi e spaventati degli altri, ma ciò non la fermò dall’attaccare Fran, pensando che si stessero preoccupando della loro bandiera.
Alice volò dall’altra parte della radura, scaraventata via da un colpo di catena di Fran. Stell le si appollaiò sulla spalla destra, la civetta aveva gli occhi rossi, non li aveva mai avuti.
Stridì e volò via.
Tutti i figli di Ermes furono atterrati dalla ragazza con colpi veloci e decisi. Nessuno di loro si rialzò, sembravano morti …
Silenzio.
All’improvviso il volto di Fran si contrasse in una smorfia di disperazione e dolore.“Dove sei?” disse con una voce straziata e agghiacciante.
Silenzio.
Stell tornò sulla sua spalla.
“Qua … ti aspetto. Devi farmi entrare …”
La voce aleggiò nell’aria.
Fran voltò di scatto la testa verso nord e corse via con una velocità sovrumana.
Ginny rimase impietrita. Si aggrappò ad Javier che la sorresse.
“Quella non è Fran …”
“Si sta dirigendo verso l’entrata del Campo, dobbiamo fermarla …” la guardò con intensità.
“Irma, avverti Phil di cosa è successo qui.” le chiese Ginny.
La figlia di Ecate annuì, poi vide i due correre nella stessa direzione presa poco prima da Fran.

...

“È notte ormai!!”
“Ti annoi, vero?”
Sonny e Selena erano rimaste fino a quel momento sopra all’albero, in attesa.
“Sii!! Non succede una trota  di nulla!!”
“Strana questa.”
“Suonava meglio nella mia testa … fatto la rima!!”
“Mioddio …”
Uno stridio.
Un movimento.
“Ah! C’è qualcuno finalmente!!”  scattò su Sonny.
“Shhhh! Così ci sente!”
“Meglio!!”
Qualcuno si fermò sotto l’albero.
“Sei tu?”
Era la voce di Fran.
“OOOOOO! Bene c’è la figlia di Atena e ha anche la bandiera con se!! Perfetto!!” fece Sonny trascinata da un’onda di vitalità combattiva.
“Aspetta!” la fermò Selena. “C’è qualcosa di strano … la sua voce … è come se stesse soffrendo …”
“Ti prego dimmi dove sei …”
Sonny la guardò bene dall’alto, poi annuì. “Andiamo a vedere cosa sta succedendo.”
Scesero dall’albero.
Fran non le degnò di uno sguardo.
Selena le si avvicinò. “Fran? Fran, che ti prende?”
Non si voltò neanche a guardarla.
La ragazza allungò una mano per scuoterla.
“Non farlo!” tuonò Ginny correndo a tutta velocità assieme a Javier.
Ma era troppo tardi.
Sonny bloccò l’attacco con la catena della figlia di Atena. “Hei, che ti prende?”
Nessuna risposta.
Fran perse la posizione di difesa e guardò alla sua destra.
“Fran, ti sto aspettando …”
“Ancora quella voce!” fece Javier.
“Non la toccate!”disse Ginny.
La bionda scappò via mentre gli altri la seguivano.
“Che sta succedendo?!” chiese Selena.
“Perché è diventata inquietante tutto insieme!?” continuò Sonny.
“Non lo sappiamo ma è pericolosa.” spiegò Javier.
Uscirono dal bosco dopo poco, si trovarono davanti al tavolo dei commentatori totalmente distrutto e alcuni ragazzi, tra cacciatrici e mezzosangue, a terra.
“Che è successo qui?” chiese Sonny.
Phil la guardò. “Fran ha distrutto tutto, ragazzi è una cosa seria. Ho visto solo una volta una forza simile e la si ha quando si è Ammaliati, vi spiegherò cosa significa ma prima andate a fermarla potrebbe combinare qualcosa di straordinariamente stupido.”
Annuirono e ripresero a correre.
Le urla di un combattimento li portarono davanti all’arco greco dell’entrata: Sue e Aurea sbarravano la strada  Fran che fissava un punto imprecisato a terra.
“È qui, dannazione! È qui!! Non potete fermami ora!” iniziò a piangere. “NON POTETE!”
Aurea scagliò due frecce verso di lei. non si spostò fino all’ultimo, finché non le sentì presenti accanto a lei.
“Ragazzi!” Sue aveva richiamato i nuovi arrivati. “È cieca! Attaccatela da lontano! Se riusciamo a colpirla forse tornerà in se!”
“Ma non possiamo farle del male!” protestò Selena.
“Possiamo curarla in fretta qua al Campo!” le disse Sonny. “L’importante è non ucciderla!”
Poi lanciò una delle sue accette contro Fran.
Stell bloccò il colpo con la sua ala d’acciaio.
Aurea e Selena scagliarono quattro frecce.
“Io, Fran Owl, permetto a Mason Hardison di entrare nel Campo Mezzosangue.”
Nessun colpo andò a segno, il vento deviò la traiettoria di tutti e quattro.
Aurea e Sue furono scagliate lontano da una fortissima ventata.
Mason fece il suo ingresso nel Campo attraversando l’arco, portando con se due strani piccoli vasetti, non guardò nessuno ad eccezione di Fran che gli andò incontro vacillante.
Si abbracciarono.
“Finalmente ti ho trovato.” disse.
“Sì, adesso sono qui. Però devo chiederti un ultimo favore …” sembrava triste.
“NO!” urlò Ginny.
“Fran fermati! Hai lottato fino ad ora, non puoi mollare.” le urlò Selena.
La ragazza non si mosse, restò inerme tra le braccia del ragazzo.
“Cosa le hai fatto?!” chiese furente Aurea. “Cos’hai fatto alla mia sorellina!?”
Mason la guardò sbalordito. “Io ho solo usato il mio potere, ma con lei è stato al tempo stesso facile e complicato …”
“Perché è cieca!?” chiese Sue che si era appena rialzata.
Il ragazzo puntò il suo sguardo verde su di lei. “L’amore rende cechi.”
“Bastardo!” Sonny gli lanciò l’altra accetta.
Mason aprì con un veloce gesto della mano uno dei due vasetti, il vento fermò il colpo. Richiuse in fretta il contenitore alzandolo poi per mostrarlo agli altri, era celeste e riportava fregi che ricordavano il cielo e le nuvole. “Un piccolissimo regalo di Eolo, me lo diede prima che … prima che morisse …” poi si rivolse di nuovo verso Fran. “Hei, ti prego devi fare solo quest’ultima cosa …”
“Okay …” rispose lei flebilmente.
“Aprì questo vaso.”
Mason le porse l’altro vasetto, era di una strana tonalità di viola, vicino al bordo c’erano dipinte delle stelle alla base c’era una striscia bianca ondulata.
“NO! Fran, quello è il vaso del Sonno Eterno!” le urlò Aurea.
Non la ascoltò e aprì il piccolo vaso.
Tutti sentirono di essere risucchiati verso di esso, l’aria stessa si diresse in quella situazione.
Videro del fumo pervinca uscire dal suo contenitore.
Fran che lo respirava.
Il volto triste di Mason.
Il sorriso di sollievo della ragazza.
Poi il fuoco delle torce si spense.

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Capitolo 26
*** L'Impresa e le vendette ... poi una sorpresa ... ***


Il Campo Mezzosangue era nel silenzio, un silenzio sibilante: c’erano tanti sussurri che gli uni si accavallavano sugli altri producendo un sottofondo quasi inudibile, quasi …
Pochi sapevano cosa fosse successo realmente, ma tutti sapevano della scomparsa di Fran.
Selena era seduta sul pavimento della veranda della capanna di Zeus.
Dei ragazzi passarono l’ha davanti sussurrando …
“Si dice che sia stata rapida da un segugio infernale o da un mostro del genere!!”
“Ma cosa stai dicendo!?”
“Non è andata così!”
“Ragazzi, io l’ho vista quando è uscita dal bosco …” fece uno con il braccio fasciato legato al collo. “Non è stata rapita, lei ha tradito il Campo.”
Quattro frecce si conficcarono nel terreno tra i piedi di ognuno dei ragazzi.
“Hei! Ma che …”
Si voltarono verso colui che aveva scagliato l’attacco.
Selena era in piedi con l’arco in mano, faceva paura.
Se ne andarono senza aggiungere altro.
Aurea salì i gradini della scala di legno in silenzio.
La mora la guardò arrivare restando zitta, indossava di nuovo la tunica bianca delle cacciatrici.
Si mise a sedere accanto alla figlia di Zeus. “Come va?” le chiese.
“Non lo so … tu?” fu la risposta.
Aurea si rialzò sbuffando, andò un paio di volte su e giù attraverso la veranda. “Io … io non lo sopporto più! È tutto il giorno che la denigrano in tutti i modi possibili!! Dicono che lei abbia tradito il Campo!! Che lo abbia fatto per danaro!! Turpitudini di tutti i tipi!! Vorrei … vorrei … vorrei MONDARGLI LA TESTA!!!” si sfogò tornando poi a sedere sul legno della capanna.
Selena, nonostante si fosse persa alcune parole del discorso, aveva capito il senso.
Rimasero per un po’ sedute là, a terra, a pensare …
Sonny passò davanti alla capanna correndo a rotta di collo e urlando: “TORTEEEEEEE!!”
Aurea e Selena si guardarono.
“Ha detto ‘trote’, giusto?” fece quest’ultima.
“No, credo che questa volta abbia detto ‘torte’.”
“Andiamo a vedere?”
“Sì, andiamo a vedere.”
Il profumo di torta appena sfornata aleggiava in tutto il Campo infatti, proveniva dalla capanna di Dioniso dal comignolo della quale usciva del denso fumo bianco.
Ginny era seduta su uno sgabello davanti al grande piano di lavoro sul quale Sue pesava, mescolava, impastava, spianava e decorava come fosse pazza.
“Cosa sarà questa?” chiese la figlia di Afrodite.
“Una crostata di fichi …” fece Sue senza smettere un attimo di lavorare.
“Ah … e quella in forno?”
“ È inizio di una sacher … mentre questa …” disse indicando con il cucchiaio ancora sporco di marmellata di fichi la teglia sotto di lei. “ … cuoce, ci metterò la marmellata di albicocche dentro e la cioccolata fusa sopra …” non smetteva un attimo di cucinare.
Fece il cambio di torta in forno mentre Ginny si sistemava le braccia sul tavolo poi ci appoggiava il mento sopra.
“La sacher è la torta preferita di Fran.” fece la mora.
Dalla porta aperta entrò con un balzo Sonny. “Dove sono le torte!?!” chiese smaniosa.
Ginny, senza scomporsi, gliele indicò con un gesto della mano: al centro della capanna, tra i letti dei figli del dio del vino, c’era un tavolo stracolmo di torte di tutti i tipi.
“Quelle sulla destra sono torte salate con prosciutto o pancetta!” l’avvertì Sue.
“BENE!”
“Sono le sue preferite?” chiese Ginny.
“No, è vegetariana … le avita.” finì di dire mentre finiva anche di sciogliere il cioccolato fondente in una piccola padella.
“Ma mangerei anche quelle da quanto sono buone le torte della nostra figlia di Dioniso!!” si complimentò prendendo posto accanto alla mora al tavolo.
Si era portata con se tre torte: due salata, una alla zucca e l’altra con spinaci e ricotta, poi una crostata di fragole.
Si servì anche Ginny, mangiando lentamente. “Come fai a mangiare così e così tanto?!” chiese dopo un po’ a Sonny.
Lei deglutì prima di rispondere: “Quando sono nervosa o agitata, e non posso fare nulla per evitarlo, mangio!”
“Oh … quindi tu mangi e tu cucini, quando stai come lei?” intuì la ragazza in rosa rivolgendosi a sua cugina.
“Si, esatto …” finì di sistemare la cioccolata fusa con delle veloci e precise mosse della paletta.
“Abbiamo sentito Sonny urlare circa a delle torte, è qui?” domandò Aurea sulla soglia.
Dietro di lei c’era anche Selena che salutò le altre con un sorriso.
“FI!!” rispose con la bocca piena la diretta interessata dalla domanda.
“Mastica prima!” la rimproverò Ginny.
Le nuove arrivate entrarono e si presero due sgabelli.
“Cucina ansiosa?” chiese Selena sedendosi.
“Sì …” rispose la figlia di Afrodite, visto che Sue non sembrò neanche accorgersi delle altre due.
Restando quasi completamente in silenzio, le ragazze assaggiarono molte torte. Sue era un dio ai fornelli, degna figlia di suo padre che secondo alcune moderne leggende non scherzava.
Dopo un po’ però si fermò. “Ho finito.” e si ritrasse per ammirare la sua ultima creazione.
Mostrò a tutte la sacher appena completata in tutto e per tutto, aveva aggiunto una rete fatta di fili di marmellata alle albicocche sopra.
Nell’aria c’era ancora odore di cioccolato fuso.
Sue tagliò sei fette poi si fermò. “Oh … ne ho tagliata una in più …”
“Infatti siamo in sei, no?” fece Selena poi abbassò lo sguardo sulla sesta fetta. “Ah …”
Aurea si alzò di colpo, il suo sgabello cadde a terra producendo un rumore metallico. “Io vado da Phil e mi faccio dare un’Impresa.”
“Aspetta! Non è che piovono giù dal cielo quando ne desideri una!” le disse Sonny.
“Bhè, se non vuole darmela ci andrò comunque!”
“Dove!?” chiese ancora la figlia di Apollo.
“Nell’Ade!”
Quella parola piombò nella stanza con forza e prepotenza.
Silenzio.
“Di cosa stai parlando Aurea? Perché andare laggiù?” chiese Ginny.
“L’ha detto la Rachel. La profezia parlava del ‘regno della morte’” s’intromise Selena. “Io vengo con te!” sostenne Aurea.
Ginny fissò per un attimo il pavimento. “Quindi la profezia intendeva questo con ‘irrazionalità’.”
“Che andate farfugliando tutte?” chiese sbalordita e confusa Sonny.
“’L’irrazionalità aprirà le porte’, lo ha fatto! L’amore … Fran ha aperto le porte del Campo per amore.” spiegò la figlia di Afrodite. “Vengo anche io.”
“Ci saranno delle prove, vengo anche io.” decise subito Sue. “Anche se rischierò di ‘risultare del tutto inutile’.”
“Siete tutte pazze!! Ricordate come va a finire la profezia? ‘Ma la storia non finirà con la salvezza’!!” scattò in piedi Sonny.
“Che fai ti tiri indietro?” le chiese Selena guardandola dritta negli occhi.
La ragazza con i capelli neri sorrise spavalda. “No è troppo TROTE!”
“Allora ci stiamo tutte?” chiese Ginny.
“Certo!” fece Sue poi prese una fetta di sacher in mano. “Alle TROTE e all’impresa!”
Tutte presero una fetta e la alzarono.
“TROTE!!!”
Mangiarono poi uscirono dalla capanna, dirette alla Casa Grande dove avrebbero di sicuro trovato Phil. Entrarono come fossero in una scena di NCIS.
Il satiro fu sorpreso mentre prendeva una lattina di birra dal frigo. “Che ci fate ora tutte qui? Ah, non tutte.”
Aurea fece un passo in avanti. “Siamo qui per chiederti un’impresa per salvare Fran!”
“Sappiamo dove si trova, possiamo andare a prenderla.” continuò Selena.
Poi Sue prese parola: “Più siamo, più sarà facile riuscire a superare le prove!”
“Non possiamo abbandonarla negl’Inferi!” fece Ginny enfatica.
“Visto che è una sciocchezza andrò con loro, non si sa mai!” completò Sonny.
Phil le guardò una ad una, aprì la lattina e diede un lungo sorso, si mise a sedere e diede un altro lungo sorso.
Le ragazze sbuffarono impazienti.
Il satiro le guardò ancora. “Meno male che siete venute voi da me …” soffiò via affaticato. “Mi avete risparmiato un giro del Campo per cercarvi.” prese una busta di carta dal tavolo e la gettò alla cacciatrice. “Lì ci sono i biglietti dell’aereo, per arrivare a Los Ageles. Da lì troverete facilmente l’ingresso, basta saper chiedere in giro.”
“GRAZIE!!” scoppiarono tutte le ragazze.
“Di niente, ora andate!! Siete confusionarie!!”
Uscirono continuando a ringraziare in tutti i modi possibili Phil.
Lui rimase sulla sua sedia e finì la lattina. “Fate in modo di tornare, stupide …”
Diede un morso all’alluminio.
Le ragazze stettero il resto del giorno a prepararsi per la partenza. Si ritrovarono solo all’ora di cena, insieme distribuirono una fetta delle torte fatte da Sue a tutti, c’era l’imbarazzo della scelta.
Selena stava aiutando Sonny con il tavolo di Ares quando Mally si alzò.
“Ragazze, c’è la crostata di more?”
“Sì, tieni!” gliene porse una fetta Sonny.
“No, non è per me.” scosse la testa la ragazza, poi le spuntò un sorrisetto maligno sul volto. “Dovete darla a Irma.”
Le due annuirono spaventate dalla piccola figlia del dio della guerra.
“Bene! Però prima consentitemi una modifica.” estrasse una boccettina dalla tasca dei Jeans, dentro c’era una finissima polverina rossa, ne sparse un po’ sulla fetta di torta. “Ora è perfetto, andate!”
Selena prese la fetta di torta e si diresse al tavolo di Ecate; erano in cinque in tutto, tutti avevano i capelli neri riccioli e ti sentivano arrivare grazie alla tua aura.
“Hem, Irma questa è per te.” le disse la ragazza porgendole la fetta di crostata.
Lei si girò. “Davvero!? Grazie!!” fece.
Selena le appoggiò la fetta davanti poi si allontanò un po’ impaurita di cosa sarebbe potuto succedere.
Irma mise in bocca il primo morso di torta.
Mally iniziò a sorridere maligna e inquietante.
La figlia di Ecate prima sbiancò poi urlò: “È PICCANTEEEEEEEEEE!!!!!!! WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!”
La figlia di Ares rise fino a farsi venire i crampi allo stomaco. “Ok, adesso vado a darle una mano.” Prese un bicchiere di latte dal suo tavolo e lo portò all’amica. “Con questo passerà il bruciore.” le disse.
Dopo aver bevuto Irma le urlò in faccia: “Ma sei matta!?!”
“No, sono vendicativa!!” rise l’altra.
Poi iniziò a ridere anche la ragazza dai capelli riccioli.
Aurea aveva osservato tutta la scena da lontano appoggiata ad una colonna.
“Hei!!! Capo!!” la chiamavano dal suo tavolo.
“Allora è vero che parti?”
“E ci lasci qui da sole.”
“Di nuovo.”
Aurea rise. “Tranquille!! Torno presto … e comunque devo anche io prendermi la mia vendetta …”
Ginny terminò di distribuire le torte con Sue quando Javier le si avvicinò. “Hem salve.” salutò.
La ragazza arrossì. “Salve!”
“Ginny qui abbiamo finito!” le fece l’occhiolino Sue. “Ci penso io a portare via le teglie vuote!!” e scappò via.
Javier rise. “Strana tua cugina.” disse con il sorriso sulle labbra. “Ti … ti dispiace se parliamo un attimo?” le chiese indicando la porta.
“Okay.” rispose Ginny seguendolo.
Mentre uscivano sentivano dei fischi di approvazione sia dal tavolo di Ares che da quello di Afrodite.
I due ragazzi si diressero verso il lago, si sedettero su delle rocce che sporgevano dal terreno. Giù al lago faceva un po’ più freddo rispetto a dove si trovavano le capanne ma l’aria era comunque tiepida; era ormai notte e la luna si stava affacciando dalla cima degli alberi del bosco, il suo riflesso sull’acqua creava dei fantastici giochi di luce.
“Cosa volevi dirmi?” chiese Ginny mentre si sistemava a sedere.
Poi si voltò.
Javier le prese il volto tra le mani e la baciò.
Avrebbe voluto farlo con meno irruenza, con più calma ma era la sua natura di figlio di Ares a comportarsi così. Avrebbe voluto avere anche più tempo ma lei il giorno dopo sarebbe partita e chissà se l’avrebbe vista.
Ginny però non si ritrasse da quel bacio, lo aveva cercato anche lei la sera della caccia alla bandiera, anche lei avrebbe voluto avere più tempo …
Il bacio finì, si guardarono negli occhi.
Javier si schiarì la voce dopo poco, era un po’ imbarazzato. “Hem, ecco volevo che lo sapessi …” guardò l’acqua argentea cercando di mantenere la calma.
Ginny si alzò e gli andò alle spalle, lo abbracciò. “Anche io.” gli disse all’orecchio.
Si baciarono ancora.
“Io volevo anche darti una cosa … forse non è il regalo più adatto ad una figlia di Afrodite, ma ti sarà molto utile durante il viaggio.” il ragazzo le mostrò due grandi bracciali di bronzo celeste. “Ecco, mettiteli.”
Ginny, un po’ incredula, se li mise. “Mi stanno enormi!”
“Aspetta!” le disse lui.
I bracciali si adattarono subito alla forma delle sue braccia, proteggendola.
“Forte …” commentò Ginny.
“Adesso pensa al pugno. Come se dovessi sferrarne uno.”
Era titubante ma caricò il colpo: il bronzo del bracciale le si arrampicò sulla mano fino a diventare un guanto da attacco.
Ginny rimase basita.
“Te li ho dati perché mi sono accorto che tiri un gancio molto forte.” rise lui.
Rise anche lei. “Sono fantastici, non pensano neanche come sembra … ma reagiscono a qualsiasi mia volontà?”
“Hmmm … in teoria si.”
“Allora …”
Ginny fece un solo pensiero, da brava figlia di Afrodite, pensò: ‘Non potrebbero essere un po’ meno rozzi?’
I due bracciali tornarono al loro posto intono ai polsi ma lasciarono un piccolo anello intorno al dito medio, questo, con due catenelle, si unica al corpo principale del braccialetto, adesso diventato quasi argenteo e lucido.
“Wow …” fece Javier. “Sei fantastica …”
“Mi sono sempre piaciuti questi braccialetti indiani …”
Si baciarono ancora, un ultima volta prima che lei partisse, poi si salutarono.

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Capitolo 27
*** Prendere l'aereo o ... ***


“Eccoci arrivate a Stansted!” disse Selena scendendo dall’autobus, era su di giri ed eccitatissima.
“Cos’ha fatto questa per essere così?” chiese Sue a Ginny.
“Ha preso il caffè, aveva paura che andasse storto qualcosa così non voleva addormentarsi in nessun modo …” spiegò la figlia di Afrodite guardando quella di Zeus saltellare qua e là trascinando Sonny e elogiare tutte le caratteristiche possibili e immaginabili di Londra.
“Andiamo a vedere da dove dobbiamo partire.” incoraggiò tutte Aurea.
“Anche tu non vedi l’ora di salire non è vero?” la stuzzicò un po’ la figlia di Dioniso.
“Bhè … è la prima volta che prendo l’aereo, sono un po’ emozionata.” arrossì la cacciatrice.
“Ma scusa, tu non eri nata in America? Allora come hai fatto la prima volta a venire qua se non in aereo?” chiese Ginny sorpresa.
“Oh! No, Artemide ha scortato una parte di noi qua con la sua slitta volante!” disse lei con una naturalezza disarmate.
Le altre la guardarono allibite mentre entravano dell’aeroporto. Non appena varcarono la soglia furono investite da un forte odore di muschio e stalla. Si bloccarono sul posto.
“Non aveva questo odore l’ultima volta che ci sono stata …” avvertì Selena.
“Infatti non è una cosa normale … vediamo di tenere gli occhi aperti e stiamo in guardia …” suggerì Aurea guardinga.
Insieme si diressero verso i giganteschi televisori che indicavano i gate di partenza, il loro volo non era ancora stato assegnato, così decisero di fare il check in ed aspettare su delle panchine più comode.; fecero davvero velocemente visto che non avevano praticamente bagagli, le armi che si portavano dietro erano tutte trasformate in oggetti comuni e nessun mortale sembrava prestar loro attenzione.
“Ok, visto che dobbiamo aspettare … che facciamo?” chiese Sue.
“Potremmo mangiare qualcosa! Che ne dite?” propose Sonny.
“Ma hai sempre fame?” chiese Ginny.
“È sintomo di buona salute!” si giustificò l’altra.
“Non di quella mentale però …”
“Che battuta da Fran!”
“Mi manca un po’!!”
Selena schizzò via dal gruppo di corsa urlando qualcosa tipo: “STARBUCKS!!”
Le altre ragazze non poterono che seguirla.
“Chi ha i soldi umani?” fece Aurea.
“Selena.” rispose Sue.
“Vediamo di trovarla prima che svaligi questo posto!” disse Ginny un po’ preoccupata.
Infatti la ragazza mora si stava già gustando un frappuccino al caramello e le salutava seduta su uno dei divanetti in eco pelle nera del locale. Ognuna di loro prese qualcosa, che sia stato da mangiare o da bere, pagarono e uscirono n tutta tranquillità. Fuori scoprirono che il loro volo ancora non aveva un gate, così si ritrovarono sedute sulle sedie di metallo della sala di attesa.
Aurea si voltava in tutte le direzioni, come se stesse cercando qualcuno, e la sua espressione era molto preoccupata.
“Cacciatrice?” la chiamò Sonny.
“Hmmm?”
“Che trote stai facendo?”
“C’è sempre quello strano odore.” spiegò.
“È vero,sembra anche più forte adesso.” continuò Selena.
“Già …” annuì Sue.
“Bleah!” fece Ginny tappandosi il naso.
Un muggito sconquassò l’aria, anche le persone che erano accanto a loro si voltarono nella direzione da cui era venuto. La terra ebbe un leggero sussulto poi iniziò a tremare sotto i passi di ciò che stava arrivando.
Le ragazze si alzarono in piedi e si misero in posizione di difesa, senza però estrarre le armi non volendo allarmare i mortali.
Una specie di asta sbucò da dietro l’angolo subito seguita da un’altra.
“Trote divine …” mormorò Aurea.
Un altro muggito e la creatura si rivelò del tutto ai loro occhi: il gigantesco Minotauro si ergeva tra i negozi di souvenir camminando tra i passanti non visto.
Ginny chiese: “Secondo voi … se noi fingiamo di non vederlo, lui ci lascerà in pace?”
“Potremmo provare …” suggerì Sonny rimettendosi a sedere.
Il mostro si voltò nella loro direzione e, non appena le vide, urlò tutta la sua furia.
“Ok non funziona!” scattò su la figlia di Apollo.
“Via!!” urlò Sue iniziando a scappare.
Le persone urlavano dietro spropositi e ingiurie ma loro continuavano a correre.
Il Minotauro le seguiva, ma a lui nessuno diceva nulla.
“Ma perché fa così?” chiese Selena.
“Perché? Deve avere un motivo!?” fece Sonny.
“Adesso basta!” Sue scartò di lato ed estrasse il suo bastone a doppia lama, attendendo il mostro.
Quando quello passò, Sue scattò in avanti con un movimento veloce e lo colpì alle zampe posteriori, fu però sbalzata lontano da un calcio.
“Ma che diavolo?!” fece rialzandosi e riprendendo a correre. “Ragazze questo coso sembra invulnerabile!!” urlò massaggiandosi il ventre.
“Non è possibile, stai scherzando?!” le rispose Aurea.
La cacciatrice scagliò tre frecce che colpirono il bersaglio rimbalzando sui pettorali scolpiti e coperti di pelo.
“Ok, non  scherzavi!!!”
“Trote! Scappiamooo!!!” consigliò Selena correndo ancora più velocemente.
Arrivarono dietro i rulli dove passavano le valige dopo il chek in.
“Siamo bloccate!!” strillò Ginny.
“Che facciamo adesso?” chiese ansimando la figlia di Zeus.
“Sfondiamo tutto questa roba qua e continuiamo a correre?” propose Sonny.
“Non possiamo, troppi umani!” le disse Aurea.
“Allora lo uccidiamo!?” continuò la nera.
“NO! Come fai se non riesci neanche a colpirlo!?” le fece Sue indicandolo con il suo bastone.
“Quindi indietreggiamo finché non ci infilza con le sue corna?!!?”
“Hei, dov’è Ginny?” s’intromise Selena.
La figlia di Afrodite era salita su un muletto per il trasporto di carichi pesanti; lo mise in moto e lo scagliò contro il Minotauro a tutta velocità, si schiantarono l’uno contro l’altro. Ginny fu sbalzata in aria mentre il mostro si inginocchiava a terra colpito alla gamba destra.
“Ginny!!” urlò Selena impaurita dal volo dell’amica.
La ragazza fece una capriola in aria e strinse i pugni, subito i suoi braccialetti li foderarono con il duro bronzo celeste, il pugno che diede sul muso taurino del mostro lo rintronò del tutto facendolo crollare all’indietro.
Ginny rotolò a terra procurandosi soltanto qualche livido. “Che ne dite di andare adesso?”
Le ragazze ripresero a correre fruttando la nuova via di fuga creata dall’inaspettata azione della figlia di Afrodite.
Dopo poco però sentirono che il Minotauro si era ripreso e le stava inseguendo.
“Waaaaaaaaaaaaaa!!!! Se scoprissimo il motivo di questo folle inseguimento forse potremmo trovare il modo di fermarlo!!” continuò a dire Selena.
“Sì! Fermati e chiediglielo!!” le fece Sonny sarcastica.
Però Selena si fermò e si voltò notando che il mostro si era fermato e scalciava come un matto ma non si avvicinava di un millimetro. “Hem ... ragazze, non ci segue più.”
Tutte si fermarono e guardarono la strana scena.
Aurea si avvicinò ansimando per la lunga corsa. “Ha un comportamento che ho già … visto …” si diresse verso il mostro senza paura.
“Cacciatrice, ma che stai facendo!!?! Non ne combinare una delle tue!!!” cercò di riprenderla Sonny.
“Ahhh! È solo … che … mmmh …” si fermò a qualche metro dal Minotauro.
Quello non si mosse né tentò di attaccarla.
“Sì, sta nel suo territorio … non viene in un posto che non è suo …”
Si riunì alle altre.
“Ma se quello è il suo territorio, questo di chi è?” chiese Sue un po’ spaventata.
“Non lo so, non c’è niente di diverso da prima …” disse la bionda.
“Comunque, sia andiamocene da qui, per favore.” fece Ginny.
Si inoltrarono nel nuovo territorio e arrancarono verso delle panchine di metallo.
“Io non ne posso più!” disse Aurea mentre si sedeva. “Ma prendere l’aereo è sempre così?!”
“No, di solito io la trovo una cosa rilassante.” le spiegò Sue.
La cacciatrice annuì poco convinta poi si diresse a passo svelto ma controllato a controllare se avessero assegnato un gate al loro volo, cosa che non era avvenuta.
“Perché ci mettono così tanto?!” sbottò nervosa.
“Non ti preoccupare, lo fanno sempre!” le disse Selena che le si era affiancata. “Senti ti va di fare un giro? Che ne so, andiamo a darci una rinfrescata ai bagni, ok?” le propose vedendola molto agitata.
Aurea annuì e la seguì.
“Vedrai ti piacerà di sicuro il volo! Non guardare adesso che ci è andata male trovando il Minotauro!” sorrise la figlia di Zeus.
“Ok, cercherò di non pensarci.” Rispose un po’ più tranquilla la bionda.
Erano arrivate proprio davanti alla porta del bagno così Selena la aprì con un movimento veloce del braccio: un odore di putrefazione e morte assali le loro narici, era insopportabile e intossicante, mescolato all’odore polveroso della terra e a quello pungente del sudore.
“Ma che trota …?” iniziò Aurea dietro la mora.
Dalla poca luce che entrava dalla porta aperta si vedeva il pavimento sporco e macchiato, più in là i lavandini sotto lo specchio rotto.
“Selena … dobbiamo vedere cosa è successo qui dentro.” le disse all’orecchio la cacciatrice.
Lei annuì e spostò lentamente la mano sull’interruttore della luce …

“Allora ragazza, prima volta contro un Minotauro?” chiese Sonny a Ginny.
“Sì, e spero di non incontrarne più.”
“Dai, è stato divertente!”
“Sue, ma ti sei fatta di trote?”
Risero tutte e tre.
“Che ne dite se andiamo a ripescare le due in bagno?” fece Sonny alzandosi in piedi.
Le altre due annuirono pronunciando sonori ‘Sì’.
Fecero neanche due passi nella direzione che avevano preso Selena e Aurea che le videro correre nella loro direzione.
“Oh! Meglio così non ci toccherà fare tanta stra-”
Le due le superarono continuando a correre come delle pazze.
“Hei!”
“Che modi!!”
“Hem … ragazze …”
Ginny aveva richiamato l’attenzione di Sonny e Sue: le loro amiche stavano scappando da qualcosa e quel qualcosa era ...
“Il Leone di Nemea!?”
“Qui!?”
“Corriiiiii!!!”
Scapparono tutte.
“Non di là!!” urlò Aurea ritrovandosi davanti al Minotauro scalciante.
“Ho un idea!!” fece Selena. “Seguitemi!!”
Svoltò a destra, proprio sul limite del confine del Minotauro.
Tutte la seguirono.
“Sel! Ma dove vai!?!”
La ragazza non rispose, ma in compenso indicò uno degli schermi disseminati un po’ ovunque: Los Angeles, gate 5.
Accelerarono in passo, con gli inseguitori alle calcagna: a sinistra il Minotauro, a destra il Leone di Nemea.
Aurea imprecò in greco antico.
Selena all’improvviso scartò a sinistra entrando nel territorio del Minotauro, tutte la seguirono e si infilarono nel piccolo corridoio che le avrebbe condotte al gate numero 5.
Dietro di loro ci fu un grande impatto, seguito da ruggiti e muggiti furiosi.
“Ragazze possiamo rallentare!! Si sono messi a combattere tra di loro.” urlò Sonny.
Si fermarono ansimanti.
“Era quella l’idea?”
“Sì … ma … è stata una fortuna che ci sia capitato il gate …”
“Cosa!?!? Non lo avevi visto quando sei partita a correre!?!?” sbottarono tutte.
Selena si fece piccola piccola. “No … ho avuto un po’ di fortuna …”
“Bhè … almeno ha funzionato!!” fece Ginny.
Si incamminarono tra i corridoi e raggiunsero il controllo biglietti, superato quello si inoltrarono nei numerosi corridoi di vetro, girarono a destra a sinistra.
Poi Sue si girò per vedere la strada appena fatta: il suo sguardo si impigliò in una grande criniera giallo-arancio. La guardò bene, diede dei colpetti ad Aurea che la  precedeva e le indicò l’ammasso informe di peli.
Aurea si voltò, vide ciò che stava indicando e annuì sorridendo. Poi esclamò: “PORCA TROTA …”
Il Leone ruggì forte e loro ripresero a correre come pazze furiose, dando gomitate a destra e a manca.
Uscirono all’aria aperta, sembrava che il loro inseguitore fosse rallentato dai corridoi stretti e contorti.
Ma loro continuarono a correre fino ad arrivare proprio sotto il loro aereo, ancora non facevano salire, sembrava che dovessero fare qualcos’altro prima.
Così ne approfittarono per riprendere fiato, per la ventesima volta.
“Sto ini … ini … iniziando a pensare che … che … prendere l’aereo non sia un buona idea …” fece Aurea totalmente fuori controllo.
La ragazza si voltò verso gli hangar degli altri aerei e sgranò gli occhi. “Ragazze guardate là …”
Tutte si voltarono.
C’era un addetto hai lavori che ne stava aprendo uno, non appena fu del tutto aperto si voltò verso di loro, le guardò e sorrise sadico, poi scomparve in una nuvola di fumo nero.
Un ruggito che non avevano mai sentito prima uscì dall’hangar, seguito subito da un forte odore di pesce e fumo.
Una fiammata si propagò dalla struttura annunciando l’arrivo del mostro: l’Idra uscì allo scoperto con tutte le sue teste.
“ADESSO BASTAAAAAA!!! IO L’AEREO NON LO PRENDO!!!”
Aurea scappo via impazzita e, le altre, non poterono non seguirla.


Quanto mi sono divertita a scrivere ...

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Capitolo 28
*** Dear Dafne ***


*da leggere con il tono di uno che sta per addormentarsi*
E a grande richiesta un altro capitolo di trote ... succedono un po' di cose qui ...
Buona lettura ... voi che ancora leggete nonostante la mia lunaticità!




Aurea scese dal furgoncino arancione stiracchiandosi.
Era il tramonto e il mondo sembrava racchiuso in una bolla di sapone che rifletteva un milione di colori diversi in quella luce giallo-d’orata.
“Aaaaah … eccoci qua!”
“Sì, ma qua, dove?” domandò Sonny con la faccia verde.
La bionda aveva guidato come una pazza da Londra fino a là, e sembrava anche riposata!
“Non lo so! So solo che sono riuscita ad arrivare fin qua con il pieno!”
“Sì, sì esatto e come ci sei arrivata fin qua!?” la incalzò Ginny, anche lei con il volto tendente al verde.
“Guidando come una pazza, ovvio!!” sorrise l’interrogata.
“E cosa ti ha portato fino a qua?” fece Sue barcollando e cercando di nascondere lo stesso colorito delle altre due ragazze.
“Non so … è stato come se mi stesse trasportando il vento …”
“Che carino quaaaaaaa!!” saltò giù dal furgoncino Selena.
“Ah! Ti sei svegliata!” le disse Aurea.
“Sì, ho dormito davveroooo bene!” fece, poi si voltò verso le altre tre amiche. “Perché mi guardate così male?”
Sonny, Sue e Ginny le guardarono come se guardassero due alieni.
“OK! Lasciamo perdere! Che facciamo ora qua!?” sbottò Sonny.
“Beviamo qualcosa?!” propose Ginny. “E magari la smettiamo di ripetere ‘qua’ in continuazione?”
“E per QUAle motivo?” le chiese Sue.
“QUAlsiasi cosa per te!” la canzonò la figlia di Apollo.
Aurea e Selena risero mentre la mora scappava in un pub, la cui insegna recitava: ‘Artistic Pub: Erba Gatta’.
All’interno c’era una tenue luce soffusa che lasciava alcuni tavoli quasi totalmente al buio, in fondo alla sala c’era un palchetto, sopra un ragazzo emo, con un lungo ciuffo chiaro e vestito completamente di nero, stava declamando la tristezza della vita in endecasillabi.
“Ma in che razza di posto siamo finite!?” si chiese Sonny. “Sono tutti matti qua …”
“Non avevamo deciso di smetterla?” le fece notare Ginny.
“L’hai deciso solo tu, principessa …”
L’altra sbuffò e si diresse verso il bancone. “Una cioccolata calda con panna!” ordinò e si sedette.
Alla fine anche le altre la imitarono, si misero tutte a bere ascoltando le persone che si avvicendavano sul palco.
Un giovane uomo dai capelli dorati  salì e si sistemò sullo sgabello, alzando l’asta del microfono. Indossava dei jeans attillati e una maglia grigia a maniche corte che faceva risaltare l’abbronzatura.
“Ma lui è …”iniziò Aurea strabuzzando gli occhi dallo stupore.
Ma quello iniziò a recitare a memoria …

“E' stata tramutata nel mostro dei suoi incubi,
colei che piombò, come uccello di morte
con ali sfregiate dalla gelosia,
e cavò la vita dalle sue creature,
come fanno i corvi agli occhi dei cadaveri.
Rimase solo una piuma di pavone,
sui lenzuoli insanguinati.
Ora, le spire delle tenebre
l'hanno avvolta nel dolore.
ora, la densa linfa scarlatta
fa fremere le sue membra di bramosia.
Il sapore dell'innocenza sulle sue labbra
le ricorda memorie nostalgiche,
come un bacio della buonanotte,
e lei non può resistervi.
Così, vagando nell'oscurità,
in cerca di una vendetta che non la disseta,
di un sentimento che ha perso,
affoga il rancore nella tenera carne
e mentre il bimbo geme
lei sussurra ‘buonanotte’.”

Le ragazze rimasero immobili per tutta la poesia.
“Ma quel tizio …” fece Selena ancora incantata.
“Si.” rispose Aurea sicura.
Ginny finì l’ultimo sorso della sua cioccolata. “Perché è qui?”
“Non pensi possa essere un caso?” chiese Sue.
“Hei, è normale che il poeta venga dalla nostra parte?” lo indicò Sonny.
Il biondo si stava avvicinando a passi sicuri tra i tavoli della sala. “Salve ragazze, come ve la passate?” fece l’occhiolino, un balenio verde brillante nel buio.
“Divino …” fece la cacciatrice.
“Oh! No, non voglio che voi seguiate il galateo! Siete troppo carine e poi siamo tra amici!”
“Ma …”
“Niente ma! Chiamatemi solo Febo.”
Tutte rimasero un po’ sbalordite dall’affermazione ma si adeguarono.
Poi Sue si schiarì la voce: “C’è qualcosa che possiamo fare per lei?”
“Hem … no, in realtà farete anche troppo …” disse incupendosi e sembrò che la stanza fosse diventata più buia per un istante. “Sono io che posso aiutare voi quest’oggi! Seguitemi!!” le incitò pagando loro anche le cioccolate.
Sonny si avvicinò ad Aurea. “Questo parla come te, non è che vi conoscete?”
“Ti stai forse burlando di me?” le chiese andandosene.
La nera rimase sorpresa dalla reazione dell’amica ma non aggiunse altro.
Febo condusse le ragazze tra le intricate vie della cittadina fino a raggiungere il porto.
“Hem … ci sta suggerendo di attraversare l’oceano Pacifico in nave?” domandò Ginny molto spaventata dall’idea e pregando che il dio stesse facendo uno scherzo.
“Sì, è l’unico modo. Vi assicuro che la nave arriverà sicuramente in America.” fece il dio con la mano sul cuore.
“Allora, va bene …” disse Sue anche se non sembrava molto convinta.
Il porto era illuminato da diversi lampioni che davano un aria spettrale alle imbarcazioni.
Selena si tenne lontana dal bordo del molo, lontano dall’acqua nera e profonda, nel farlo urtò Febo.
“Hei, non preoccuparti. Poseidone  non ha motivo di arrabbiarsi con te, né tanto meno di ucciderti … per ora …” completò la frase con un bel occhiolino.
La ragazza pensò che avesse uno strano modo di rassicurare le persone.
“Eccoci qua!!”
“Oddio anche lui no …” sussurrò Ginny.
Il dio del sole, con i capelli biondi che brillavano anche al buio di quella notte, si era fermato davanti ad una caravella di legno chiaro, tre alberi si innalzavano verso il cielo con poche stelle perdendo le cime nell’oscurità e le vele erano afflosciate senza alcun vento che vi spirava dentro, sembravano quasi morte. Era una visione che ricordava alle ragazze casa ma c’era una strana tinta scura che non riuscivano ad identificare.
“Wow …”
“Che trotata …”
Non credevano neanche che esistessero ancora navi come quella che funzionassero al mondo.
Sul fianco della prua c’era scritto in una bella grafia dorata: Dear Dafne.
“’Cara Dafne’ …” lesse Ginny. “Quindi ci guiderà l’amore …”
Febo annuì sorridendo. “Sapevo che vi sarebbe piaciuta, ma adesso devo lasciarvi.” sospirò rumorosamente. “Devo incontrare la tua datrice di lavoro.” sorrise ammiccante ad Aurea.
Lei sorrise fieramente.
Poi il dio biondo si spostò verso Sonny e le posò una mano sulla testa nera. “Sei tutta tua madre …” rise. “Non so se riusciremo a rivederci ancora, ma farò in modo che non ci sia né odio né dolore …” la sua voce era colma di una tristezza densa e profonda. Si chinò sulla ragazza e l’abbracciò forte. “Ti voglio bene.” finì.
Poi scomparve con un bagliore che riscaldava il cuore.
Sonny era rimasta ferma, una lacrima le solcava il volto. “Hei … ma … ma era mio padre quello?” chiese mentre ancora fissava il punto fino a cui poco prima c’era il dio.
“Buongiorno!” fecero le altre in coro cercando anche di spezzare il pianto generale che stava per esplodere.
Poi tutte si rivolsero alla nave.
“Allora che facciamo? Saliamo sopra così?” domandò Ginny.
“Hem … no, ma si!” rispose Aurea convinta.
“Giusto! Meglio chiamare da fuori ed assicurarci che non ci sia nessun personaggio strano a bordo!” completò Sue.
“Ma che sono telepatiche queste due?” commentò Selena nell’orecchio di una Sonny allibita.
“Comunque ora come ora siamo noi i personaggi strani.” riprese il controllo la nera. “HEI!! C’È QUALCUNO A BORDO!?!”
“Ma sei impazzita?! Avverti, prima di fare queste cose!!” l’ammonì Ginny con un leggero scappellotto.
“Non succede nulla …”mormorò Sue.
Attesero e nulla accadde.
La nave scricchiolò rumorosa oscillando sulle onde color della pece.
“Apollo ha detto che la nave è sicura vero?” sorrise nervosa Selena.
“Tranquilla figlia di Zeus, si può sempre credere nelle parole di un dio!” disse Aurea poggiandole una mano sulla spalla.
“Soprattutto se è mio padre e ci assicura un viaggio sicuro e tranquillo!” ghignò Sonny.
“Non ha detto tranquillo …” fece notare Sue.
“Bhè, era sott’inteso!”
La caravella ondeggiò ancora e il legno si lamentò poi, però, a quel rumore se ne aggiunse un altro: un ticchettio regolare.
Le ragazze scattarono sull’attenti, pronte ad affrontare di tutto e di più.
Dal parapetto si affacciò una donna vestita di un elaborato abito di velluto rosso, i lunghi capelli corvini ondeggiavano nella brezza salmastra che si era alzata alla sua comparsa, si teneva una ciocca fastidiosa dietro l’orecchio con una mano. Era molto giovane, i suoi occhi ,così celesti da sembrare quasi bianchi, sorrisero con lei. “Mi avete chiamato?”
“B-buona sera!” ripeterono tutte le ragazze.
Qualcuno diede una spinta in avanti a Selena invitandola a parlare.
L a ragazza diede uno sguardo veloce alle sue spalle, giusto in tempo per vedere Sonny alzare i pollici, poi parlò: “Ci …” deglutì. “Ci hanno detto che questa nave salperà per l’America e …”
“Vi chiedevate se potevate avere un passaggio.” rise la donna. “Sì, vi stavamo aspettando, salite pure! Prego!” le invitò con la mano, gentile e sempre con il sorriso sulle labbra.
Le ragazze s’incamminarono sulla passerella e la raggiunsero.
“Benvenute sulla miglior caravella del mondo! Non che ci sia molta concorrenza ovviamente!” scherzò. “I miei figli sono degli ottimi marinai, la nave non ha mai avuto un incidente in vita sua!!” i suoi occhi scintillarono di orgoglio mentre parlava dei figli. “Prego, andiamo sotto coperta, vi mostro le vostre stanze e la sala da pranzo.”
“Stanze? Sala da pranzo? Ma è la nave di Mary Poppins?” commentò tra sé Sonny.
“Hem … in realtà abbiamo già mangiato, Apollo ci ha offerto delle cioccolate calde.” spiegò Aurea.
“Oh, quello sconsiderato!” si voltò di scatto la donna. “Vi avrà rovinato sicuramente l’appetito! Gli dei! Non capiscono mai cosa significhi mantenere delle buone abitudini alimentari!!”
Le ragazza annuirono ridendo per non contraddirla.
Poi la donna scosse i capelli corvini e riprese a camminare.
Selena la raggiunse in fretta. “Mi scusi ma non ci ha ancora detto come si chiama.”
“Oh, davvero!? Quale mancanza!” sorrise giuliva. “Mi chiamo Mia …” lo disse senza guardarle, fissava il pavimento di legno. “Bhè, in effetti questo è il mio soprannome, ma lo preferisco.” sorrise ancora e contagiò tutte.
Mia le condusse giù per delle scale, si fermarono subito avanti ad una grande porta con delle grandi ma finissime fantasie floreali intagliate. “Questa è la sala da pranzo, al momento non vi faccio entrare! Sarà tutta una sorpresa tra poco meno di un oretta!!”
Le ragazze annuirono sorridendo.
“Poi di là …” indicò alla sinistra della sala da pranzo. “C’è la mia stanza e la dispensa. Mentre noi adesso andiamo da quest’altra parte!” spiegò incamminandosi a destra, poi svoltò in un corridoio lungo con un sacco di porte fatte dello stesso legno di cui era fatta tutta la nave.
“Allora le due porte in fondo al corridoio sono i bagni e sono più grandi di quello che non sembra, quello a sinistra è tutto vostro. E  le porte, sempre sulla sinistra, sono le vostre ragazze!” disse.
In effetti  c’erano proprio cinque porte chiuse con la chiava appesa con una cordicella alla maniglia.
“Quelle davanti sono dei miei figli, potrebbe capitare che vi incontriate qualche volta. loro sono sempre in giro, indaffarati a sistemare quel verricello o quella cima, se non ci fossero non saprei proprio come far muovere questa nave!” rise. “So solo cucinare e modestamente sono anche molto brava!” fece un po’ più piano come se fosse una confessione fatta a delle care amiche.
“Allora non possiamo certo rifiutare la cena che ci offre questa sera!” sorrise Sue.
“Certamente!”
“Ah-ah, non si libererà più della nostra Susan sa! Va matta per tutto ciò che riguarda il cibo!” fece Sonny passando un braccio intorno alle spalle dell’amica.
“Veramente!? Allora potremmo scambiarci delle ricette!!” fece elettrizzata Mia.
Sue sorrise un po’ rossa in volto e annuì.
“Ma adesso avanti! Tra un ora mangiamo e voglio che vi siate sistemate e rinfrescate a dovere!” disse con una seria aria materna la donna. “Che a cena ci sono anche i miei ragazzi! Voglio che li conosciate!!” e le brillarono gli occhi.
Poi se ne andò canticchiando.
“Sbaglio o sta cercando di sistemarci con i suoi figli?” chiese Aurea.
“E che male ci sarebbe!?” rise Ginny.
Tutte infilarono contemporaneamente in una stanza diversa ridendo, chi più chi meno. Le stanze erano uguali: anche se piccole erano complete di tutto, dal letto all’armadio, c’era anche una piccola scrivania proprio sotto all’oblò che mostrava fuori, il mare e la notte.
Selena poggiò a terra il suo zaino e si gettò sul letto, con la faccia sprofondò nel cuscino inspirando il buon odore. Dopo tanto tempo le sembrò di essere tornata a casa per un momento, poi tutto le oscillò paurosamente attorno e le venne la nausea.
Si mise subito a sedere cercando di riprendere il controllo, ma il gesto fatto di fretta la causò una fitta terribile allo stomaco e per poco non vomitò. Si alzò a fatica e uscì dalla stanza cercando di raggiungere quella di Ginny, e, barcollando barcollando, ci andò a sbattere contro.
“Che fretta!” si sentì fare la bruna dall’interno. “Prego?” chiese poi aprendo la porta.
Non vide nessuno poi abbassò lo sguardo, attratta da uno strano uggiolio.
“Accidenti Selena! Che hai?” si chinò sull’amica.
“Credo … credo mal di … mal .. mal di …” un conato di vomito la stroncò.
“Mal di mare … credo che ci fosse da aspettarsi una cosa del genere dalla figlia di Zeus. Vieni in camera, stenditi.”
L’aiutò ad alzarsi.
“ È peggio poi …” mugolò.
“Sì, ma intanto fallo!”
Ginny stese l’amica sul suo letto poi uscì dalla stanza con un veloce ‘aspetta un secondo’, tornò con un altro cuscino. Lo piazzò sotto a quello su cui già Selena si era accomodata per rialzarla un po’,  infine si chinò sul suo zaino mentre la morettina sul letto iniziava a non vederci più doppio per la posizione estremamente comoda.
“Ma … che stai facendo?” chiese a Ginny.
“Hem …” si era fermata con un pacchetto di fazzoletti in una mano e una boccetta con del liquido giallognolo nell’altra. “Cerco di ricordare.” prese un fazzoletto, lo aprì poi ci versò dentro un po’ della roba che c’era nella boccetta, la morbida carta l’assorbì subito. “Tieni, annusa.” ordinò alla paziente porgendole il fazzolettino bagnato.
Selena storse la bocca, indicando la sua irremovibile voglia di non farlo.
Ginny si sedette sul letto e, prima che l’altra avesse il tempo di fermarla, le premette su naso e bocca il fazzoletto.
La figlia di Zeus prima sgranò gli occhi incredula poi fu costretta ad inspirare. Ed ad espirare …
“Ma … è … profumo …”
“Certo, cosa volevi che fosse?” lo sguardo di rimprovero della ragazza era uno spettacolo.
Selena continuò per un po’ ad annusare il fazzoletto, dopo qualche minuto la nausea si attenuò riducendosi ad un mal di stomaco clamoroso ma controllabile. “Grazie per questa favolosa cura.” fece all’amica.
“Non dovresti ringraziare me, ma Fran appena la rivediamo.”
“Fran? Te l’hai ascoltata mentre blaterava delle fantomatiche cure di suo nonna?!”
“Certo … io la ascolto sempre … quasi sempre, a volte non capisco proprio cosa dice!”
Selena rise poi si mise lentamente a sedere.
La porta di spalancò di scatto e Sue si precipitò dentro la stanza. “Avanti non andiamo a cena?!” chiese tutta eccitata.
“Davvero ho fame anche io …” sbadigliò Sonny.
“O è il sonno che parla?” le fece Aurea.
Selena mugolò. “Al solo parlar di cibo …” la sua faccia tornò verde.
“Uh … che brutta brutta cera …” commentò Sonny.
“Sarà meglio chiedere a Mia se ha qualche rimedio meglio del mio semplice fazzolettino profumato.”
Le altre annuirono e lentamente si avviarono tutte verso la sala da pranzo. Non ci voleva che mezzo minuto per fare il tragitto dalle loro camere alla porta della sala, ma ci misero poco meno di dieci minuti, cercando di far camminare Selena con il minor numero di oscillazioni possibili.
“Il mal di mare gioca brutti scherzi.” constatò Aurea. “Ma sempre meglio dell’aereo!”
Nessuna rispose iniziavano tutte a pensarla allo stesso modo.
A parte Selena: “La prossima volta mi faccio tritare dal Minotauro, rosicchiare dal Leone e abbrustolire dall’Idra!”
“Ti ci voglio vedere …” la sfidò Ginny.
Le altre risero mentre Sue e Aurea aprivano la porta della sala da pranzo: era grande almeno il doppio delle loro camere il che la rendeva al tempo stesso ariosa ma confortevole, l’aria era calda e densa di odori buoni; la tavola era già imbandita, c’erano cinque sedie a sinistra e cinque a destra, era stato apparecchiato per un solo capo tavola in fondo alla sala, dietro allo schienale della sedia si apriva una porticina che dava sulla cucina. Mia ne uscì con un vassoio pieno di crostini con una strana salsa verde sopra.
“Avanti sedetevi pure, ragazze!” poi si accorse della faccia pallida di Selena. “Oh, come immaginavo. C’è sempre qualcuno che soffre il mal di mare. Ma per fortuna ho preparato questi!” disse sollevando il vassoio di crostini verdi.
Le ragazze presero posto, la figlia di Zeus si sedette proprio accanto a Mia, che si era seduta a capo tavola, e le stava offrendo un crostino. La faccia della ragazza diventò dello stesso colore della salsa mentre dava un morso alla pietanza, masticò e deglutì. Prima sentì una strana sensazione di fresco in bocca poi anche nello stomaco, ebbe un ultimo poderoso giramento di capo poi più niente. Alzò la testa per guardarsi intorno, cosa che non aveva ancora fatto perché le avrebbe provocato dei terribili urti di vomito. “Non ho più niente!!”
Mia sorrise compiaciuta. “Le erbe con cui ho preparato questi crostini sono magiche, crescono sulle coste degli oceani ed hanno effetti praticamente immediati, gli antichi navigatori e marinai le mangiavano anche crude, ma hanno un saporaccio. Sapete il segreto è metterci due spicchi di aglio interi, che poi però vanno tolti prima di servire il tutto, così il sapore buono viene fuori e l’amaro viene eliminato!”
“Davvero? Di solito l’aglio lo evito perché mi vengono pietanze troppo pesanti.” commentò Sue.
Mia le rispose subito, dandole anche altri consigli e delucidazioni.
“Ecco sono partite per la tangente …” si accasciò sul tavolo Sonny.
“Mantieni la corretta postura.” l’ammonì Aurea.
Ginny rise.
“Hem, giusto. Ragazze, ho una cattiva notizia: purtroppo i miei figli non ceneranno con noi, devono stare dietro alla nave, sapete partire di notte non è così semplice, ci sono molte cose da calcolare.” si scusò Mia.
“Non si preoccupi! Davvero!” iniziò Sue.
“Sì, capiamo!”
“Non si deve preoccupare.”
“Anzi vi dobbiamo ringraziare tutti per l’ospitalità, il cibo e l’aiuto che ci state dando!”
“Già.” completò Selena con un altro mezzo crostino in bocca.
Mia sorrise riconoscente. “Bene ora mangiate pure!!” disse sollevando i coperchi di due enormi vassoi: verdure stufate con aromi e spezie e roast beef perfettamente adagiato su una salsa al pepe nero.
Non avanzò praticamente nulla.

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Capitolo 29
*** Navigare innamorati e vestiti in modo adeguato! ***


“Quiindiii … hai liberato tutti quei mostri all’aeroporto perché volevi farle finire su una caravella diretta qua?”
La domanda gli era stata fatta senza che neanche lui avesse il tempo di rendersi conto di non essere da solo. Sorrise.
“No, cercavo di non farle partire proprio.”
“Non ci sei riuscito, ma era ovvio. Non puoi far rapire una loro amica e sperare che non facciano di tutto per venire a riprendersela.”
Alec guardò lo strapiombo sotto di lui, il mare si infrangeva sulla scogliera facendo giungere alle sue guance solo piccole fredde goccioline. Stava ancora sorridendo mentre pensava alla faccia delle ragazze quando apriva l’hangar dell’idra: si era davvero divertito poi però aveva visto la sua faccia. Selena … possibile che non riuscisse a togliersela dalla testa?
Si passò una mano tra i capelli e guardò l’orizzonte davanti a se, la divisione tra oceano e cielo era assolutamente netta: nero e arancione, nessuna nave in vista, ma era ovvio, era troppo presto.
“Dobbiamo avvantaggiarci su di loro, non devono arrivare prima che riesca a completare il mio piano o almeno quello che serve per metterlo in atto …” si voltò verso Mason che lo guardava con la solita espressione da cucciolo bastonato, aveva le occhiaie ancora più profonde.
Un legame amoroso rende fragili a tal punto, ragazzo …
Alec annuì alla voce poi riprese: “Ci divideremo. Devi andare negli Inferi e chiedere a Dedalo se ha finito la Spirale, poi assicurati che nessuno arrivi a lei.” sapeva che avrebbe fatto ciò che gli chiedeva, non poteva starle lontano, sorrise quasi felice del sentimento dell’amico. Ma fu un attimo. “Io andrò a cercare una piattaforma petrolifera adatta.”
Mason annuì e si inoltrò nel boschetto che gli era alle spalle.
Alec rimase solo con i suoi pensieri.
Ragazzo mio … “Sei molto più maturo adesso che ti rivedo.” una mano fredda si posò sulla sua testa con fare protettivo. “Sono fiera di te, stai seguendo le mie istruzioni con grande capacità ed affetto.”
“Madre …” tornò a guardare il mare.
Ma davanti a lui adesso c’era una donna incappucciata, solo una ciocca di capelli dorati ondeggiava nel vento; sentì che stava sorridendo così sorrise anche lui.
La donna si avvicinò ancora di più e gli diede un bacio sulla fronte. “Perfetto …” mormorò. “Sei proprio il figlio perfetto.” sorrise maligna.
Mason chiuse gli occhi, aveva sentito abbastanza: forse il suo amico non era perso del tutto, ma aveva fatto una promessa …
Se ne andò camminando nell’oscurità. Sarà meglio credere aiuto alla mia giovane e bellissima nonna …
*****
“Anche la colazione è favolosa qua!!” fece Sonny due nano secondi prima di azzannare una fetta di pane piena di marmellata.
Aurea, che stava sorseggiando un succo di frutta all’arancia, le lanciò uno sguardo di ammonimento, che la nera, ovviamente, non colse continuando a mangiare famelica.
“Sembra che non tocchi cibo da anni …” commentò Ginny, mentre spalmava un po’ di cioccolata sulla propria fetta di pane.
“Non è la sola!” Sue indicò Selena che si stava rimpinzando di crostini alla salsa verde.
“Che ci posso fare!? Non voglio stare male come ieri e poi sono FA-VO-LO-SI!!”
Mia rise da capo tavola. “Grazie mille, ma cercherò di prepararti quell’erba anche in altri modi, altrimenti ti stancherai di mangiarla.”
La morettina annuì e passò a mangiare una fetta di torta allo yogurt.
“Oggi staremo in viaggio per tutto il tempo, niente in vista. Perciò ragazze siete libere di fare tutto ciò che volete.” sorrise la donna.
Toni di felicità si alzarono dalla tavola.
“Ma Mia tu non mangi?” chiese Sue.
“Hem … no, ho già fatto colazione molto presto con i miei figli, si alzano presto tutte le mattine per controllare la rotta, stringere le cime e mettere in assetto le vele!”
“Sei davvero molto fiera di loro.” sorrise Selena.
“Sì, li amo. Sono tutta la mia vita.” arrossì un po’ mentre lo diceva.
Tutte le commensali sorrisero.
“Non vediamo l’ora di conoscerli!” continuò Ginny.
Aurea finì il suo succo prima di sorridere assieme alle altre. “Che ne dite se adesso non usciamo un po’ sopra coperta?”
“Si già, prima di dover rotolare fuori! Vero Sonny?”
“Mpfh-ph!”
Risero tutte anche la nera che per poco non si soffocò.
Selena fu la prima a schizzare fuori.
“Wow!! Com’è bello!!”
La distesa dell’oceano era completamente piatta e serena, il sole non era ancora tanto alto nel cielo così il suo calore era facilmente sopportabile, non c’era una nuvola.
“Hei ragazze, se volete vi posso dare delle sdraio, così potete rilassarvi un po’, che dite?” fece Mia dalla soglia della porta per scendere sottocoperta.
“Sì!!” esplosero tutte insieme.
“Ti do una mano!” fece Aurea.
“Idem!” si avviò di sotto anche Sonny.
“Bhè, se ci pensano loro!”
“Sfaticata come sempre vero Ginny?”
“Mpf!”
La figlia di Afrodite si diresse verso la cima della poppa e si appoggiò al parapetto sospirando. Abbassò gli occhi: i braccialetti indiani erano lì, fini catenine che partivano da un bracciale un po’ più spesso al polso per unirsi in un anellino sottile al dito medio.
Javier … tentava di non pensarci di solito, ma quella notte l’aveva sognato. Non facevano nulla, erano solo seduti ancora in riva al laghetto del Campo, proprio dove lui le aveva fatto quel regalo. Strinse i pugni e i bracciali si indurirono arrampicandosi ed estendendo le loro placche di armatura su entrambe le mani, dei guantoni da boxe in puro bronzo celeste: l’ultima cosa che avrebbe usato per combattere. Ma erano giusti  per lei e le andava bene così. Sospirò ancora e i bracciali tornarono della loro molto femminile forma. Fantastico! sorrise la ragazza.
Poi si voltò sentendo che le altre erano appena arrivate con le sdraio.
“Alla buon’ora!” le prese in giro.
Le due la guardarono storto.
“La principessa avrebbe potuto anche darci un mano!” scattò Sonny.
“Ma anche da sole ci siete riuscite, o sbaglio? Brave!”
Aurea non si trattenne e rise. “Sei troppo seria, queste cose le dici con un candore tale che non riesco a non ridere!!”
Ginny arrossì un po’.
“Perché è una principessa!” fece Selena già stesa sulla propria sdraio alzando l’indice in aria.
La mora se ne prese una per se. “Adesso fate poco chiasso!” disse prima di mettersi al sole a dormigliare.
Tutte le ragazze si disposero in modo tale da poter fare ci che più preferivano. Sonny ci mise davvero poco ad addormentarsi. Selena, dopo aver fatto una corsa nella sua cabina, si era infilata le cuffie e ci provava anche lei. Le altre, compresa Ginny che non aveva affatto sonno e non riusciva a stare zitta sentendo Sue e Aurea parlare e si era unita a loro, spettegolavano un po’ sulle ragazze e i ragazzi del Campo inglese, e sembrava che a Sue piacesse un figlio di Ares.
“Siamo proprio cugine, he?” scherzò con Ginny.
Aurea rideva come non faceva da tanto.
“Sì, ragazza mia! Dovremmo uscire in quattro una volta!”
Uscire …
“Per poi finire in riva al laghetto in cerca di intimità?!” la prese in giro la cacciatrice.
“Dai!!” la figlia di Afrodite era diventata color peperone maturo. “Come fate a saperle certe cose!?”
“Le sa tutto il Campo!”
“Non avrai creduto che rimanesse un segreto?”
“Lo sanno anche le mie cacciatrici!”
Ginny fece uno squittio sovracuto strano.
“Allora … voi …” si avvicinò Aurea.
“Vi siete baciati!?!?” completò Sue supercuriosa.
Baciati …
Selena si voltò dalla parte opposta alle ragazze. Era ancora sveglia e la musica non era abbastanza alta per coprire le loro voci. Era felicissima per l’amica, anzi sperava che le accadesse una cosa del genere quanto prima quando erano al Campo Mezzosangue. Era felice per lei … ma sentirle parlare di ragazzi innamorati, baci e addii le aveva fatto ricordare la persona di cui era innamorata, dell’addio mancato e del fatto che non si parlassero da molto tempo senza che sembrasse una cosa strana ed illecita.
Quella sensazione era iniziata quasi un anno prima, dopo che avevano conosciuto Fran: lei evitata Alec in tutti i modi, se veniva a sapere che c’era lui se ne andava con qualche scusa. Poi era arrivato anche Mason e la cosa era diventata certa, lei si volatilizzava. Teneva molto anche a lei e vedere che non riusciva a capire perché si comportasse così, non riusciva a conciliare la sua amica con il suo amore. All’inizio era frustrante, poi solo penoso e triste. Ora sapeva perché Fran si comportava così e che cosa aveva rischiato mantenendo il segreto, ma di Alec ancora non sapeva niente … e lui certamente non si faceva né vedere né trovare.
Iniziò lentamente a piangere, le lacrime erano caldissime sulle sue guance, le facevano quasi male. Per fortuna nessuno poteva vederla: non sopportava quando gli altri la consideravano piccola e la compativano o provavano pena per lei. essere la sfigata di turno non le era mai piaciuto, ma non poteva evitarlo. Sapeva che le altre scherzavano quando le facevano la L sulla fronte e cose così, lo facevano per tentare di risollevarle il morale, a volte però era davvero sfiancante. Ed ora era anche arrabbiata, con se e con il mondo, che non le consentiva di fare ciò che riteneva giusto, ciò che voleva fare.
Ma perché devo essere così indecisa su tutto!? si chiese. ‘tuttavia un membro del tutto inutile risulterà’… non sarò di certo io! Non lo sarò, farò di tutto per non esserlo.
Iniziava a sentirsi stanca e chiuse gli occhi, le lacrime continuavano a venir giù.
Tutto a suo tempo piccola mia … non c’è bisogno di aver fretta. Ma se vuoi delle spiegazioni, ricordati del dono che ti ho fatto.
Selena sorrise al sentire quella voce familiare e calda, sentì un leggero peso nella tasca dei pantaloni, poi si addormentò.

Era strano come tutto cambiava di notte sulla nave.
Selena si era alzata per andare in bagno, era davvero tardi ma per fortuna la luna faceva penetrare molta luce dai vari oblò. Ma non nel corridoio, dove solo una piccola lanterna ad olio illuminava lievemente il legno di alloro.
La ragazza sospirò ed iniziò ad incamminarsi verso la porta del bagno ma un rumore la fermò.
Mia aveva spiegato a tutte che la nave produceva rumori in continuazione, scricchiolava, ticchettava e sciabordava, era a causa del suo movimento sulle onde, anche quando il mare era calmo, anzi, calmissimo c’erano di questi rumori. Ma in quel momento era differente, la nave non poteva certamente sibilare a quel modo.
Selena si voltò di scatto verso la cima del corridoio, dove esso si incurvava per dirigersi alle scale per il sopracoperta.
Sentì ancora quello strano sibilo.
Deglutì.
E decise di andare a vedere. Camminò lentamente e il più silenziosamente possibile verso l’angolo del corridoio in legno. Lo voltò.
Niente.
Un movimento nel buio, qualcosa che saliva le scale per salire sul ponte.
Selena si mosse e saltò i gradini a due a due, fu in cima. Spalancò la porta.
Il mare era placido tanto quanto lo era la luna sopra di lui che tutto tingeva di toni argentei.
A poppa una figura scura era china a terra, sembrava piangesse.
Selena si avvicinò lentamente. Voleva chiedere alla figura cosa ci facesse lì e chi era, come aveva fatto a salire sulla nave.
Uno scricchiolio rivelò la sua presenza.
La figura si alzò e si girò.
“Alec …”
Il ragazzo era là, in piedi davanti a lei. Teneva le mani nella gigantesca tasca della felpa nera.
“Selena … io …”
Una lacrima gli rigò il volto e il ragazzo riprese a piangere.
Si chinò nuovamente a terra tra i singhiozzi … poi qualcosa nella sua voce cambiò … i singhiozzi sembrarono diventare … risate … folli risate di una furiosa gioia rabbiosa.
Sollevò la testa, una lingua biforcuta scintillò sanguignea. Poi scattò in avanti urlando: “Kaaaaaaaaa!”


“Kaaaaaaaaa!! Kaaaaaaaaaaa!!!!”
Selena si svegliò di soprassalto urlando.
Ma nessuna delle ragazze la degnarono di uno sguardo, erano tutte intente ad osservare un piccolo piccione appollaiato sopra al parapetto della torre del timone.
“Kaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!” fece ancora questo.
“Da quando in qua un piccione fa ‘kaaa’?” chiese Ginny.
Sonny posò una mano sulla spalla di Aurea. “Hei mi sa che ti ha spodestata … eri tu il piccione prima.”
La cacciatrice le assestò uno scappellottò e si alzò. “Andiamo a vedere cos’ha portato.”
“Portato?” chiese Sue.
“Sì, quello è il piccione viaggiatore di Ermes.” spiegò salendo le scale della torre.
“Giusto e tu lo sai perchèèèè …” domandò ancora Sonny sfregandosi la nuca.
“Io ed Ermes siamo amici.”
“Aha!”
Aurea si voltò. “Cosa?”
“No … nulla.”
Ginny scosse la testa e sospirò, poi si voltò verso Selena. “Hei tutto bene?”
La ragazzina la guardò di rimando con un espressione interrogativa.
“Sembra che tu abbia pianto …”
“He?”
La nave scricchiolò e ondeggiò.
Selena divenne verde.
“Oh, ecco perché!”
“Vado a chiamare Mia!” si offrì Sue aprendo la porta del sottocoperta.
“Ma questi sono … costumi da bagno …” fece Aurea sorpresa.
“Cosa!?” Sonny salì le scale in fretta e si piazzò accanto ad Aurea. “Accidenti! Sono bikini!!”
“Scherzia … mo?” inclinò la testa una verde Selena.
In quel momento Mia salì sul ponte portando un ghiacciolo verde chiaro e visto che tutte erano voltate per guardare qualcosa sopra di lei, sollevò la testa. “Ah. È arrivato quindi!”
“He?” fece Ginny.
“Avevo chiesto se potevano procuravi delle cose un po’ più casual per stare sotto il sole di questo mare.” sorrise Mia.
“E hai chiesto dei bikini?”
“Si.”
“Sei fantastica!” Ginny schizzò al piano superiore per vedere.
La donna rise poi si voltò verso Selena. “Stai proprio male adesso … che strano. Comunque eccoti un ghiacciolo alle erbe!”
La ragazza lo assaggiò avendo fretta di tornare a star bene. “È  favoloso …” fece tornando del suo colore normale.
“Felice che ti piaccia.” Si voltò nuovamente verso le altre ragazze, adesso c’era anche Sue lassù. “Ce n’è anche per voi se volete!!”
“Bene, io lo voglio!”
“Ma se non sai neanche cos’è?”
“Anche fossero trote crude le mangerei cucinate da Mia.”
“E sei anche vegetariana!”
Selena rise, la strana ed inquietante sensazione che le aveva lasciato quell’incubo stava svanendo ma era comunque preoccupata per Alec.
Aurea sollevò lo sguardo sull’orizzonte. “Hei, ragazze. C’è qualcosa là!”
Tutte si concentrarono per vedere cosa vedeva lei: all’orizzonte iniziava a prendere forma un’enorme piattaforma di metallo e cemento.
“Verrà usata per l’estrazione del petrolio.” cercò di spiegare Sue.
“Petrolio o non petrolio, io mi vado a provare questo fantastico due pezzi!” fece Ginny con gli occhi che le brillavano.



Scusate ma nello scorso capitolo mi sono completamente dimenticata di dire che la poesia non era mia, ma di una mia cara amica: la figlia di Ares Peace 'n' Love (che però fa paura lo stesso ed'è una befana, detto con affetto) MALLY ... la stessa che è finita nel cespuglio. ^^
Grazie Mally!! <3
Grazie per aver letto e se commenterete mi renderete felici.

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Capitolo 30
*** I pirati!!!! ***


Sì, ho messo il turbo ... buona lettura.



Aurea era nella sua cabina a mettersi il bikini che la gentilissima Mia aveva procurato a tutte loro.
“Fantastico!” aveva mormorato mentre tirava fuori dallo scatolone quello che indossava proprio in quel momento: era totalmente bianco con dei brillantini argentei che si intonavano perfettamente alla sua tenuta da cacciatrice. Era proprio il suo.
Uscì dalla stanzetta e si affrettò a raggiungere le altre sopracoperta.-
“Ragazze, non sono estremamente comodi questi costumi?” chiese mentre si sistemava a dovere la parte superiore.
“Dire comodi è un eufemismo!” rispose Sonny, lei ne aveva uno celeste chiaro a fantasia musicale, aveva note e pentagrammi ovunque.
La bionda rise e prese posto accanto a Ginny che si pavoneggiava con il suo rosa antico con corone.
“Raaagazze! Guardate cos’ho trovato in cambusa!!!” chiese su di giri Sue.
Tutte si voltarono verso la ragazza in costume verde con tante piccole ciliegine.
“Un pallone!” saltò su Selena indossando il suo nuovo bikini blu elettrico con le saette.
“Giochiamo!!” si alzò Sonny.
Le ragazze iniziarono a giocare a schiaccia sette, mentre Aurea controllava morbosa mente l’orizzonte.
“Oh, avanti signorina occhi di falco! Vieni a giocare con noi!”
“Hem … non so se …”
“Dai Aurea, vieni!” continuò ad invitarla anche Selena.
La cacciatrice sospirò e prese la palla dalle mani della figlia di Apollo urlando: “Uno!”
Giocarono, ma ogni tanto Aurea non poteva evitare di dare un occhiata vero la piattaforma petrolifera che si avvicinava sempre di più.
“Waaaaaah!” schiacciò Sonny.
Ginny modificò i suoi bracciali e bloccò la palla come se fosse fatta di gommapiuma.
Ormai la piattaforma era proprio accanto a loro, stavano passando sotto alle enormi gru montacarichi.
“Hei non vale!”
“Nessuno ha detto che non potevo usarli!”
“Ma!”
“Oh, lasciala stare!”
“Come se vincessimo qualcosa!”
Risero.
“Ah-ah! UNO!”
Ginny lanciò in alto la palla.
Una freccia lo infilzò facendolo atterrare completamente sgonfio.
“Ma che diavolo succede ora?” fece Sue raccogliendolo.
Selena sollevò lo sguardo ritrovandosi il teschio di uno scheletro perfettamente pulito e bianco davanti. Urlò e inciampò all’indietro.
“Hei che numero ho fatto? Due giusto!”
“Ahahaha giusto non sei eliminato!” gli rispose un altro scheletro appeso a teschio in giù ad una corda legate alla sue anche che era proprio accanto a Ginny.
Anche lei urlò e si spostò dietro Sue alla velocità della luce.
“Che c’è puzzo?” fece lo scheletro un po’ indignato.
“Quando mai non puzzi, he?!” commentò il primo scheletro.
“Ma mi sono lavato via tutta la carne putrefatta da un pezzo ormai, come faccio a puzzare ancora?!” sembrava davvero scioccato della cosa.
“ALLORA QUANTO CI METTETE!?”
Altri tre scheletri si erano affacciati dal bordo della piattaforma e muovevano gli omeri.
“Oh, giusto!” il primo scheletro atterrò con un suono tintinnante di ossa. “Scusate quella porta conduce sotto coperta, vero?” chiese carinamente ad Aurea.
La ragazza deglutì.
“Oh, bhè. Chi tace acconsente e comunque non ce ne sono altre, volevo solo essere gentile.” si avviò verso la porta.
“Fermo!” Selena gli si parò davanti. Non gli permetterò di scendere da Mia!
“Ohoh! Che ragazzina determinata!” rise lo scheletro battendo i denti.
“Avanti! Prendi ciò di cui abbiamo bisogno e andiamocene!” disse scendendo dalla corda il secondo scheletro.
“Selena ma che stai facendo?” mormorò Sonny poi però scattò in avanti facendo lo sgambetto allo scheletro e staccandogli di netto la tibia.
“Hei quella mi serve per camminare!”
“No, non è vero!”
“Zitto There!”
“Allora vai avanti Here!”
“Ma si chiamano qua e là!?”
“A quanto pare.”
“Qualcosa da ridire?” chiese There dietro a Ginny e Sue.
“No no!!”
Here rise sfregando i denti superiori su quelli inferiori. “Avanti ragazze abbiamo bisogno solo di una cosa … non ci metteremo molto …”
“Di cosa necessitate?!”
Lo scheletro si voltò.
La bionda lo fissava nelle orbite vuote.
“Che hai detto?”
“Di cosa necessitate?” lo chiese più lentamente.
Here si voltò verso Sonny e Selena e, nonostante la faccia scheletrica, le due vi lessero l’interrogativo per eccellenza: CHE HA DETTO?
“Di cosa avete bisogno?” gli suggerì Selena.
“Ah, ah ok.” si voltò nuovamente verso Aurea. “Perché dovremmo dirtelo?”
“Se cercavate di essere gentili un attimo fa, perché non esserlo anche adesso?”
Gli scheletri si scambiarono un’occhiata d’intesa.
“Bhè … in effetti …”
“Aspetta Here …” There fece un passo in avanti afferrando con i metatarsi le spalle di Sue e Ginny. WCome vi chiamate ragazze?”
Rimasero tutte in silenzio.
“Avanti non mi sembra una domanda così difficile … come vi chiamate?”
Ginny guardò Sue. “Hem … io sono Guenevre … e lei è Susan.”
“Io mi chiamo Aurea Smith.
“Selena.”
“Sonny.”
Here e There i guardarono.
Poi Here fece una cosa strana: fischiò, nessuna delle ragazze seppe come aveva fatto, visto che non aveva labbra. Ma in pochi secondi molti altri scheletri scesero sulla loro Dear Dafne.
Uno aveva un grande cappello ed lo scheletro di un pappagallo legato sulla spalla destra. “Buongiorno care ragazze, piacere di conoscervi!” si inchinò e si tolse il cappello. “Questa nave è sequestrata.”
“NO! Perché?!” scattò subito Selena.
“Fate gettare l’ancora.” ordinò ancora, doveva essere il capitano. “Ragazze d’ora in avanti siete mie prigioniere.” era la calma fatta scheletro.
Le ragazze si trovarono in ginocchio a terra con i polsi legati dietro la schiena.
“Hei attenti ai braccialetti!!” strepitò Ginny stizzita.
“Già Ginny!!”
“I braccialetti!”
“Ah giàààà …”
Quattro ragazze su cinque basite.
“Scusate … ehehe.”
Poi inspirò e i braccialetti divennero guantoni di bronzo che ruppero le funi che la legavano. La figlia di Afrodite iniziò ad abbattere scheletri su scheletri, c’erano teschi volanti ovunque. Ginny iniziò a ridere.
“Ma che fa si diverte!?”
“È troppo facile con degli scheletri!!” esultò.
 Si fermò ansimante ad osservare la distesa di ossa.
“Complimenti principessa …” iniziò il capitano. “Ma non credo che tu abbia capito che noi …”
Le ossa intorno a lei iniziarono a tremare, vibrare e a emettere strani rumori tintinnanti.
“Noi siamo già morti … tanto tempo fa. Non ricordo bene né perché né come abbiamo fatto ad arrivare qua, ma la nostra nave è stata schiantata sopra a questa piattaforma. E noi non siamo morti del tutto, sarà per una maledizione di Poseidone oppure siamo avversi al grande dio degl’Inferi. Sta di fatto che … non c’è modo che tu riesca a ucciderci definitivamente, da sola per giunta!” rise di gusto. “Oddio siete davvero divertente oltre che molto carine in costume!”
Ginny arrossì vistosamente dando il tempo agli scheletri di ricomporsi del tutto atterrarla e di sfilarle i bracciali che nei loro metatarsi tornarono ad essere come la prima volta che li aveva visti in mano a Javier.
“Avanti potiamole su!” ordinò infine. “Here tu resta qui! E cercala!”
“NO!” urlò ancora Selena mentre cercava divincolarsi dalla presa ossea dello scheletro che la stringeva.
Sulla piattaforma regnavano due soli colori: il grigio ed il nero. Tutto era grigio e nero. Regnava il cemento.
“Che orrore …” sussurrò Aurea.
“È quello che ci è capitato cacciatrice … non lo abbiamo scelto noi.” sospirò il suo scheletro. “Bhè, in realtà c’è una cosa che rallegra il tempo che passiamo qua …”
“Crak! Zitto, perché dovremmo parlare con loro di queste cose?”
“Facevo per chiacchierare!”
Lo scheletro che reggeva Sue sembrava molto contrariato. “Portiamo queste cinque nell’ufficio e basta!”
“Va bene, Aristofane.”
Le cinque vennero trasportate da cinque scheletri in quello che era proprio un ufficio, con grandi vetrate, scrivanie, computer fracassati e sedie con le rotelle.
“State qua buone finché il capitano non ha deciso cosa fare con voi!”
“Ma non aveva già deciso di darle in pasto al Carcino?”
“Zitto Crak!”
Gli scheletri che non erano Crak e Aristofane risero e si chiusero dietro le spalle la porta.
Ci fu un attimo di silenzio poi Sonny si sedette sbuffando rumorosamente su una sedia.
“Comportati per bene! Se anche in bikini!”
“Uffa!! Non siamo neanche a metà oceano e siamo già state bloccate!”
“Non è possibile, cosa vorranno da Mia?”
“Dovremmo preoccuparci del Carcino in realtà.”
“SILENZIO!”
Sue spiazzò tutte.
“Vi pregherei di fare silenzio! Qui fuori ci sono due scheletrini vorrei sentire quello che dicono!”
Le altre rimasero in silenzio per due nano secondi, poi si precipitarono tutte dietro alla porta chiusa con le orecchie appoggiate contro il finto legno.
“ … ma ho voglia di torta!”
“Tutti vogliamo le torte! Crak!”
“Si ma io la voglio più degli altri! Sono quasi due settimane che non ne tocco una!”
“Ci sono scheletri che stanno anche peggio di te sai!”
“Si lo so, scusa. Questa mancanza di zuccheri mi uccide …”
Silenzio.
Le ragazze si guardarono basite.
“Ma non potremmo provare comunque a farne una o due?”
“No! Abbiamo troppa poca farina! Non possiamo rischiare di usare le dosi sbagliate! Rischieremo di buttare via tutto.”
Crak sbuffò.
Sue si allontanò dalla porta e tutte le altre la imitarono alla velocità della luce. Si voltò e le guardò tutte. “Credo che abbiamo capito quale sia il loro problema.”
“Hem … sono torte-dipendenti?”
“Bhè, ma lo è anche Sonny.”
“Vero!”
“No, non hanno una bilancia!”
“E come hai fatto a capirlo?” chiese Selena seduta sopra un tavolino.
“Bhè, non possono certamente rischiare di usare le dosi sbagliate per fare le loro torte, sciuperebbero il cibo e sprecherebbero gli ingredienti.”
“Quindi cosa volevi fare?” incalzò Aurea.
“Oh, bhè … facile!” Sue sollevò l’indice in aria. “Noi dobbiamo solo …”
“Fare silenzio quando entra il capitano!”
“Aristofane, non sei divertente …” Ginny lo rimproverò.
Lo scheletro la guardò, per quanto posso farlo uno scheletro dalle orbite vuote, storto poi si stpostò per far entrare il capitano.
“Salve ancora ragazze, pronte per il Carcino?”
“No, abbiamo una proposta invece!” Sue prese in mano la situazione.
Il capitano rise. “Ragazze mi fare ridere davvero tanto oggi, cosa volete proporre se siete delle misere prigioniere.”
La ragazza sorrise e i suoi occhi castani scintillarono. “Io posso risolvere i vostri problemi.”
Agli scheletri che erano entrati nell’ufficio si staccò la mandibola e dovettero chinarsi per raggoglierla e rinfilarsela.
“Di cosa stati parlando ragazzina?”
“Parlo delle dosi per fare le torte, posso darvi una mano …”
“Non puoi parlare sul serio!”
“Oh, credile scheletro!” sbottò Sonny.
“Silenzio!” scattò Aristofane puntandole alla gola la sua sciabola.
“Hei hei!” il capitano lo prese per la clavicola invitandolo a fermarsi. “Parliamone …” il capitano si voltò. “Prendete la ragazzina con bikini verde e le ciliegie! Le altre non le fate muovere da qua!”
Sue fu presa per le spalle e condotta fuori da Crak, le altre rimase al loro posto senza poter dire neanche un: ‘Kaaaaaaaaaaa!’.
Fuori dalla stanza era  tutto più luminoso ma certamente non amichevole. Tutto quel grigio era assolutamente deprimente, forse era anche per questo che gli scheletri erano così scontrosi.
“Allora tu ti chiami …”
“Sono Susan …”
“Ti chiamerò Miss S.”
“Ma non mi chiamo così.”
“Non importa a nessuno! Con i pirati cambi il tuo nome e basta!” spiegò poco gentilmente.
“Allora voi come vi chiamate, capitano?”
“Von Rio!”
“Meraviglioso.”
“Dici sul serio?”
“Certo!”
Lo scheletro con cappello e pappagallo si voltò verso i compagni che lo fissavano andar via con la prigioniera. “LEI APPREZZA IL MIO NOME!” urlò.
Sue rise.
Il capitano la portò verso una struttura ben tenuta e sembrava lo fosse a discapito di tutte le altre: perfettamente bianca e perfettamente cubica, come fosse stata fatta da una macchina di precisione millimetrica.
Giunsero davanti alla porta d’ingresso, l’unica.
“Prego Miss S, si accomodi!”
Sue entrò senza mostrare titubanza, ma una volta varcata la soglia si bloccò di colpo. Rimase a bocca spalancata, tra l’inorridito e incredulo. “Come fate a cucinare in una cucina così in disordine?!” sbottò con voce stentorea.
Von Rio rimase un po’ sorpreso poi rise: quelle ragazze lo divertivano incredibilmente. “Oh, non ti preoccupare di questo, i nostri cuochi non mettono a posto dall’ultima volta che hanno imbastito qualcosa ed il problema è altro …” si fece improvvisamente serio. “Vedi laggiù?”
Sue annuì fermandosi davanti ad una porta bianca con un piccolo oblò, dentro era scuro e non si vedeva nulla, all’esterno, proprio sopra alla finestrella, una targhetta diceva ‘dispensa’. La ragazza si voltò di nuovo verso Von Rio. “Il problema è con le dosi, giusto?”
“Sì.”
“Non conoscete la ricetta?”
“No.”
“Allora qual è il problema?”
“Apri la porta.”
Il capitano sorrise leggermente, non cattivo … solo curioso.
Sue aprì la porta della dispensa: davanti a se trovò una distesa più o meno uniforme di sacchetti di diversi colori differenti. “Questo posto …” i sacchetti erano riversi anche a terra, stesi ovunque, non c’era ordine, non c’era senso … non c’erano etichette! “Questo posto è peggio delle camere di Ginny e Selena messe insieme!!”
Von Rio riprese a ridere come un pazzo. “Ragazza dal bikini verde, buona fortuna!”
“Cosa!?” Sue si voltò di scatto.
Lo scheletro era proprio sulla soglia della dispensa, sfregò un po’ i denti tra di loro poi disse: “Metti tutto a posto, fa un bell’inventario, dicci quanti chilogrammi di farina e zucchero ci restano e, magari, se farai un buon lavoro, io vi lascerò andare.” rise realmente divertito dalla situazione. “Oppure morirete qua e i vostri scheletri si uniranno alla mia immortale ciurma!”
Sue, che aveva fino a quel momento tenuto lo sguardo basso, piantato su un sacchetto bianco ai suoi piedi, lo alzò e guardò Von Rio dritto nelle cavità oculari sorridendo. “Allora abbiamo un patto.”
“Abbiamo un patto Miss S!” rise.
La figlia di Dioniso si voltò verso la distesa di sacchetti. “Avrò bisogno di una bilancia però.” sospirò.
“È questo il problema Miss S … non ne abbiamo!” rise ancora a crepapelle, sbattendo la porta dietro le sue scapole e chiudendo la ragazza all’interno.
Sue si guardò attorno e l’unico commento adatto alla situazione che le giunse alle labbra fu: “Ma porca trota!”
Crollò sedendosi a terra a gambe incrociate ad osservare tutti quei sacchetti bianchi o celestini che le stavano di fronte, avrebbero potuto contenere anche arsenico … tanto gli scheletri erano già morti!
Sospirò e scosse la testa sconsolata. Eccola la fregatura, aveva voluto evitare di pensarci ma sapeva che c’era … c’era sempre …
Il flash di sua madre che piangeva di notte da sola in camera sua la travolse come non aveva mai fatto prima. Perché le tornava in mente proprio in quel momento? Perché non riusciva a ricacciarlo nuovamente in fondo alla sua memoria per non tirarlo fuori mai più. Sua madre stessa glielo aveva detto, le aveva detto che se la sarebbero cavata anche da sole … sola … lei era da sola in quel momento.
Si allungò verso due sacchetti. Li guardò: uno bianco a sinistra, uno celestino a destra. Al contatto quello a sinistra era più compatto ma morbido dell’altro che invece sembrava sformarsi facilmente ed avere all0interno grani più duri.
Bianco nella sinistra, celeste nella destra.
Farina nella sinistra, zucchero nella destra.
I sacchetti bianchi sono pieni di farina, quelli celesti di zucchero?
Ne provò altri sembravano tutti rispettare la divisione.
Più Sue li alzava, li tastava e controllava e ricontrollava, più si rendeva conto che avevano tutti la stessa grandezza e lo stesso peso. Si fermò a sollevare e abbassare un sacchetto di farina … il peso nella sua mano era davvero familiare. Si fermò e se lo rigirò tra le mani, era proprio … proprio come … come quelli che usava lei stessa in cucina!!
Fu come un fulmine a ciel sereno, capì quanto ogni singolo sacchetto pesasse sia che si trattasse di farina che di zucchero.
Si alzò di scatto in piedi con un esclamazione di vittoria.
“E ora devo solo contare …” le venne quasi la nausea mentre pensava a quanti sacchetti potessero essere ma iniziò a dividerli in gruppi da dieci, ben ordinati e a seconda del colore. Ogni tanto si fermava e si concedeva di guardare il lavoro che aveva fatto fino al quel momento. Era a più della metà dell’opera quando si rese conto che oramai era pomeriggio, il che le fece ricordare che non mangiava da quella mattina e che, con tutta probabilità, neanche le ragazze avevano mangiato. Chissà poi come stava Mia!
Per fortuna c’erano i suoi figli a bordo della nave, l’avrebbero protetta perfettamente, lo sapeva, ne era sicura.
Si rimise all’opera con ancora più lena e velocità.
In tutto ci mise cinque ore a mettere tutta la dispensa a posto, aveva trovato dei fogli su uno scaffale, sotto a delle cassette che dovevano essere state piene di mele un tempo. Aveva appuntato il peso dei sacchetti e il numero degli stessi, poi li aveva divisi e addossati due diversi scaffali ai muri a sinistra e a destra della porta li aveva sistemati là sopra a riparo dall’umidità e dallo sporco che poteva esserci in terra, e tutto questo senza neanche doversi risistemare il bikini alla fine!
Bussò energicamente alla porta della dispensa che non si aprì se non dopo dieci minuti di urla.
“Allora mia cara Misssssss …” Von Rio era esterrefatto, gli cadde la mandibola in mano. Iniziò a ringraziare in tutti i modi possibili ed immaginabili la povera ragazza che era frastornata da tutto quel parlare.
“Hem, capitano.”
Lo scheletro si voltò e la guardò bene bene orgoglioso.
“Volevo darle l’inventario e poi dirle che in un sacchetto di farina c’è il quantitativo adatto a fare due torte, mentre con uno di zucchero ce ne può fare tre, e tutto senza sprecarne un granello.” sorrise. “Le provviste dureranno ancora per quasi mille e mille torte!”
Von Rio le diede un forte abbraccio scheletrico e la sollevò in alto. “Miss S! come avremmo fatto senza il tuo proverbiale arrivo?!”
Sue rise con lo scheletro che la rimise a terra dopo qualche giravolta.
Usciti dalla dispensa, alcuni scheletri avevano già iniziato ad entrarvi ed ad uscirvi con i sacchetti in mano.
“L’avete sentita la ragazza no? Muovetevi miei cuochi!”
“SI! MIO CAPITANO!” e si misero a fare impasti, guarnizioni e glasse tutte colorate.
Scheletro e ragazza in bikini uscirono dalle cucine, Sue vide in lontananza l’ufficio con la porta aperta.
Si voltò di scatto verso il capitano. “Von Rio dove sono le mie amiche?”
“Ah, loro ti aspettano sulla vostra nave …” lo scheletro si era rabbuiato un po’ a menzionare la Dear Dafne.
“Che c’è capitano?”
Il suo teschio si fece ancora più cupo sotto il grande cappello piratesco. “Quella donna si comporta bene con voi vero?”
Sue non capì ciò che Von Rio stava insinuando, fece un passo indietro. “Mia è assolutamente gentile con noi, non fa altro che aiutarci e prendersi cura di noi! Proprio come se fossimo figlie …”
“Figlie sue.” completò lo scheletro poi riprese a camminare. “Allora state andando in America?”
“S-si …” Sue lo affiancò nuovamente.
“Noi venivamo da là quando siamo morti per aver perso la rotta a causa di una tempesta. Abbiamo continuato a vagare senza meta per molti anni, poi un onda ci ha sbalzati quassù, non tanto tempo fa. E guarda la nostra bella nave dov’è!”
La ragazza si rese conto che ancora non aveva visto la loro nave in effetti e ora il capitano gliela stava indicando con la falange dell’indice che puntava proprio sopra alla sua testa. Sue alzò lo sguardo e la vide: una nave pirata, non tanto grande poi, infilzata nell’antenna delle comunicazioni della piattaforma petrolifera.
“Non so cosa vedessero i mortali quando iniziammo a scendere da lassù, ma scapparono tutti!” rise.
E lo fece anche la ragazza.
Giunti in prossimità delle funi che erano state gettate per scendere sulla Dear Dafne, Von Rio strinse in un altro forte abbraccio Sue, poi le diede in mano una scatola di legno chiarissimo legata con dello spago, dicendole di tenerla ben stretta mentre Here la riportava giù.
Poi si salutarono.
“Tornerò a trovarvi pirati scheletro delle torte!”
“Mia cara Miss S, spero che un giorno saremmo noi a venire con te!”

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Capitolo 31
*** Padri e Madri ***


Il contenuto della scatola di legno non durò più di due giorni, le tre torte che vi erano contenute finirono negli stomaci di tutti in un lasso di tempo davvero breve. Le cose andavano bene, le ragazze mangiavano bene, scoprivano ogni anfratto della nave, che non era poi così grande. Ancora non erano riuscite ad incontrare i figli di Mia, a quanto pareva avevano i ritmi di vita inverti: quando le ragazze andavano a letto, i ragazzi si alzavano per controllare la rotta della nave di notte; se le ragazze pranzavano, i ragazzi controllavano il vento e stringevano le funi e i nodi; quando erano i ragazzi a dover mangiare le ragazze erano sempre fuori a giocare, chiacchierare o prendere il sole; e tante cose così. Mia era molto felice in quei giorni, disse che non appena attraccati avrebbe cucinato una cosa speciale per tutti loro e, visto che non avrebbero dovuto controllare più la nave, ci sarebbero stati anche i suoi figli.
La navigazione era perfetta il primo giorno, un po’ lenta il secondo ed erano fermi il terzo, sembrava che non ci fosse proprio vento. Erano passati cinque giorni da quando erano partite, iniziavano tutte a preoccuparsi della sorte di Fran ma non potevano certo scendere dalla nave e nuotare o soffiare nelle vele per farle gonfiare.
Sonny iniziava a spazientirsi, passava la maggior parte del giorno a sbuffare e soffiare, forse lei sarebbe davvero riuscita a gonfiare le vele …
Sbuffò ancora.
“Ah! Va in camera se devi sbuffare ancora!!” anche Ginny era abbastanza nervosa e certamente pericolosa.
Sonny agitò braccia e gambe sulla sdraio su cui era stesa poi si calmò, infine sbuffò ancora.
La figlia di Afrodite si alzò in piedi e si diresse a passi lenti accanto all’amica, poi con un calcio al bordo del lettino la fece volare dall’altra parte a terra.
La nera mugolò un po’ rimanendo faccia a terra. Si alzò. “Vado a fare un pisolino in camera mia.” sbuffò con le mani nei jeans.
Tutte la guardarono lasciare il ponte e chiudersi la porta dietro le spalle.
“Sbaglio o dorme per tutto il giorno?” chiese Selena con un mezzo bicchiere di frullato verde tra le mani.
“Si, in pratica non fa altro.” sospirò Aurea.
“Sono un po’ preoccupata, non è da lei fare così.” disse Sue.
Ginny rimise in piedi la sdraio e ci si mise a sedere sopra accavallando le gambe. “Magari si annoia, di solito non è sempre in giro a fare?” si lisciò la bianca gonna da tennis.
Quel giorno niente bikini.
“Sì, è una testa calda che ne ha sempre una diversa per la testa.” fece Selena convinta.
Aurea sorrise e le fregò un po’ di frullato, le si congelò il cervello e fece strane smorfie per un po’.
“Bhè.” iniziò Sue. “Magari la cosa che le frulla in testa ora è solo un po’ triste.”
“Vedrete che le passerà allora!” Ginny convinse tutte.
Sonny sbatté la porta della cabina in un gesto di stizza.
Si poggiò con la schiena al legno e scivolò a terra, sperando che nessuno avesse sentito il botto.
Dopo qualche minuto, passato a tentare di capire se qualcuno fosse venuto a vedere, si alzò in piedi e si affacciò all’oblò: erano in alto mare, in balia del niente, né venti, né correnti, neanche dei sani mostri marini da affettare. La caravella era ovviamente magica, andava molto più veloce di una qualsiasi nave mortale, ma se, e solo se, c’era vento. Era il vento che la faceva muovere, lo sfruttava per tutto, se non ce n’era, non c’era neanche possibilità di arrivare in alcun posto.
Sonny sbuffò, non era suo padre ora a tenere le redini dei venti? Non era stato proprio lui ad assicurar loro quel passaggio? Non aveva detto che avrebbe pensato lui a far sì che fosse sicuro … senza dolore?
La nera si gettò sul letto frustrata.
Cosa significava? Perché ci sarebbe dovuto essere dolore? L’unica che aveva sofferto era stata Fran, infatti quella era una missione di salvataggio. Prendi e riporta a casa, pensò.
Ma forse non era così, la profezia aveva detto che dopo un viaggetto nel ‘Regno della Morte’ non sarebbe finita. Non bastava quello, aveva aggiunto che non sarebbe finito con la ‘salvezza’, poi suo padre l’aveva abbracciata e salutata, le aveva salutate tutte …
Ma cosa importava a lui!?
Sonny tirò un pugno al muro accanto al letto.
Lui l’aveva lasciata al Campo Mezzosangue quando era ancora in fasce e si era dileguato, non l’aveva mai più visto …
Aveva sentito delle storie al Campo: ragazzi che sentivano la voce dei loro genitori immortali nei momenti di difficoltà, che li consigliavano o li elogiavano. Lei li invidiava, li invidiava davvero. Era felice per loro ma non poteva esimersi dal provare quell’orribile sentimento.
Allora si era data da fare, aveva partecipato a tante imprese per mettersi in mostra, per far vedere quanto valeva, per dimostrare a suo padre cosa si era perso, cosa si stava perdendo e cosa sarebbe potuto essere suo.
Si rannicchiò sulle coperte, portando i pungi al petto in una posizione di difesa che non prendeva da tempo.
Non pretendeva certo che lui passasse tutto il tempo con lei, era un dio! Non si aspettava questo e non lo voleva, ma che almeno si facesse vivo … ogni tanto … magari per il suo compleanno … per la festa di qualche impresa … invece questo restava solo nei suoi sogni.
Il sonno che la accolse fu profondo e senza sogni, fu ristoratore anche se le lasciò un leggero mal di testa che non la abbandonò neanche per la cena.
Sentiva si aver dubitato dell’amore del padre e si sentì scema e stupida per averlo fatto, ma sapeva di non aver certo tutti i torti, alla fine però non era così tanto arrabbiata con lui. Si ripromise che la prossima volta che l’avesse visto, gli avrebbe fatto una bella ramanzina.
“Sonny, sei molto silenziosa stasera.” notò Ginny accanto a lei.
Erano sedute a tavola e il piatto della nera, carciofi lessi in besciamella cotti in forno, non era neanche quasi stato toccato. “Hem, sì. Mi ha solo rincoglionito il pisolino di oggi.” spiegò.
“Ecco cos’era quell’orribile rumore che proveniva da camera tua!! Russavi!” la stuzzicò Selena.
Sonny le diede una spallata. “Che trotate dici!? Io non russo!”
Aurea, dall’altra parte del tavolo, rise della scena.
Sue accanto a lei sorrideva, ma non era molto presente e sembrava presa dal suo pesce alla mugnaia.
“Sue se ne sta andando per la tangente ‘cibo’.” fece Sonny tentando di distogliere l’attenzione da sé.
A che servirebbe?, pensò Sue prima di alzare la testa e dire: “Sì, questo non è stato fatto al forno elettrico ma in quello a legna, appena Mia torna le chiedo dove lo ha cotto per non farlo asciugare.”
Rimasero in silenzio tutte.
“È peggio di Fran quando parla di videogiochi.” fece Selena.
“O peggio di Aurea sempre.” continuò Sonny.
La cacciatrice si voltò verso la nera e la guardò malissimo, ma non poté parlare avendo la bocca piena di patate al forno.
Finirono di mangiare di lì a poco ed aiutarono Mia a riordinare e pulire.
£Ragazze, siete così gentili!” diceva sempre sorridendo la donna mentre metteva via quel piatto o quell’altro mestolo.
“Non preoccuparti!” iniziò Aurea.
“È il minimo che possiamo fare.” continuò Ginny asciugando le posate.
“Tu sei sempre così gentile con noi!” finì sorridendo Selena mentre porgeva a Mia i piatti appena lavati ed asciugati.
Grazie al lavoro di squadra finirono presto poi andarono tutte a letto.
Dopo mezz’ora che Sue si rigirava senza sosta tra le lenzuola, senza riuscire proprio a chiudere occhio, decise di alzarsi e andare a prendere una boccata d’aria. Uscita dalla sua cabina notò che una porta davanti alle loro si chiudeva con uno scatto della serratura.
Uno dei figli!, si disse subito la ragazza mentre scivolava via lungo il corridoio ed usciva all’aria aperta.
Il cielo era coperto da dense nuvole che rendevano tutto molto più scuro ed il buio era quasi totale, solo ogni poco la luna sbucava dalle nuvole meno spesse che lasciavano trapelare la sua argentea luce. Era freddo per stare a maniche corte come invece, lei, era uscita; si strinse nelle spalle soffiando.
Si diresse a prua ed inspirò l’aria fresca, si sentiva enormemente triste da quando aveva lasciato la piattaforma petrolifera. L’esperienza le aveva consentito di conoscere Von Rio, capitano e pasticcere, e conoscere nuove persone e avere nuovi amici era certamente una cosa che adorava. Ma l’aveva scossa … non si sentiva sola in quel modo da tanto tempo. Da quando un vecchio satiro non era venuto a prenderla in una casa famiglia all’età di tredici anni.
Continuava a pensare che sarebbe dovuto venire lui a prenderla, avrebbe dovuto pensare lui a sua madre, avrebbe dovuto almeno tentare di salvarla, invece non c’era neanche mentre moriva in un letto d’ospedale dopo tre operazioni d’emergenza a causa di emorragie interne.
Sua madre.
Voleva dimenticarne il volto al funerale. Voleva ricordare solo il suo sorriso che brillava e scaldava, le sue braccia ch la tenevano stretta la notte dopo un incubo, le sue mani che mescolavano gli ingredienti e guarnivano le torte più buone che avesse mai mangiato in vita sua. Era una pasticcera con controfiocchi, nel loro paesino tutti si rivolgevano a lei per avere le loro torte, che fossero per un compleanno o per un matrimonio, lei era sempre pronta a soddisfare tutti.  Sue l’aiutava sempre a cucinare, le passava ogni posata o frusta che le servisse e farciva, con le sue piccole mani, le tortine più delicate.
Poi una sera era uscita per comprare delle nuove guarniture, a temi floreali; era questione di pochi minuti, ma non era più tornata … incidente d’auto. La piccola non volle sapere altro, non lo poteva sentire, non lo poteva sopportare.
E non era arrivato nessuno a prenderla.
Il vecchio satiro che la portò con sé le spiegò tutto, raccontandole.
Quindi un padre ce l’aveva, ed un padre potente. Ma allora perché non era mai venuto, avrebbe potuto; perché non aveva aiutato in qualche modo sua madre in ospedale, nessuno glielo avrebbe impedito; perché non era venuto a prenderla quando era rimasta sola?
Mentre osservava l’acqua marina sciabordare contro il legno chiaro della Dear Dafne, Sue iniziò a piangere in silenzio. Erano anni che non lo faceva.
Si era sempre ripromessa di non farlo da quando sua madre era morta: se aveva un problema l’avrebbe risolto senza piangersi addosso.
Ma l’inattività della nave ti costringeva a pesare e rimuginare sempre sulle stesse cose e il gorgo del risentimento che provava per il padre l’aveva inghiottita.
Sentì che la porta per il sotto coperta si apriva e si chiudeva e uno strano ticchettio sibilante.
Si voltò colta alla sprovvista del nuovo arrivato, ma la luce della luna occultata dalle nuvole non era sufficiente per vedere ciò che le stava davanti. Le sembrò di vedere una figura alta, di quasi tre metri, con un corpo affusolato e torto; lo strano ticchettio sibilanti proveniva da dietro la cosa.
A Sue sembrava di essere diventata scema, le lacrime le dovevano aver appannato la vista, se le asciugò strofinandosi le mani sugli occhi.
Ci fu un rumore di legno graffiato.
Quando la ragazza riaprì gli occhi, la luna illuminava l’esile figura di Mia davanti a lei, il suo volto esprimeva tutta la sua preoccupazione e il suo dolore.
“M-Mia …” cercò di dire Sue con un filo di voce.
La donna si avvicinò prendendole il volto tra le mani.
Al contatto, la ragazza riprese a piangere.
“Che c’è piccola mia? Cos’è che ti rende così infelice?”
Sue si lasciò cadere tra le braccia di Mia che la accolsero stringendola in un abbraccio caldo che sapeva di buono, di dolci e torte appena sfornate … sapeva di casa, sapeva di mamma.
Mia le accarezzò i capelli mentre la lasciava piangere e sfogarsi.
Quando la ragazza si fu calmata, si districò un poco dall’abbraccio. “Scusa, non dovevo lasciarmi andare così. Tu non c’entri nulla, non devi preoccuparti per i miei problemi e …”
“Ma io voglio.”
Sue la guardò con gli occhi arrossati, Mia era assolutamente determinata e convita di ciò che diceva.
“Io desidero che tu, che voi, che tutte voi possiate sentirvi a casa e al sicuro qui. Non voglio che soffriate. Se c’è qualcosa che posso fare per aiutarvi, qualsiasi cosa, allora la farò senza pensarci due volte!” sorrise risoluta e materna. “Se hai bisogno di sfogarti, di liberarti di qualche peso o preoccupazione, puoi parlare con me. Non farti scrupoli.” la strinse a sé più forte.
Sue si abbandonò a quella stretta. “Grazie Mia.”

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Capitolo 32
*** La tempesta ***


Il quinto giorno, forse, di viaggio fu nero.
Le nuvole, che c’erano state per tutta la notte, si erano compattate e aveva iniziato a cadere una pioggerellina tanto fitta e sottile che era quasi impossibile vederla.
Le ragazze si erano rifugiate nella cabina di Ginny ma non facevano niente: stavano sedute scompostamente in quella stanzina di due metri per tre borbottando, solo ogni tanto, di quanto fosse noiosa la pioggia in mare.
Sue aveva lo sguardo perso nel vuoto; Sonny non sbuffava più e si addormentava pressoché ovunque; Selena giocherellava con i cordicini della sua felpa come se fosse il suo scopo nella vita, li legava e li scioglieva, mentre Ginny si cambiava il colore allo smalto ogni giorno.
Aurea le fissava una ad una poi decise di dar loro una smossa. Uscì dalla stanza.
Nessuna si mosse, tanto meno Sonny che si era riaddormentata.
Dopo una decina di minuti, bussarono alla porta, Selena andò ad aprire.
La cacciatrice portava un grande vassoio di biscotti verdi con gocce di cioccolato e tre bottiglie di soda. Posizionò il tutto a terra, al centro della stanza, poi tirò fuori dalla casacca bianca un mazzo di carte.
“POKER!” urlò mettendosi a sedere in terra.
Tutte, tranne Sonny, si voltarono a guardarla stupite.
“Non so giocare.” fece Ginny.
“Idem, passo.” mugolò Selena con la bocca nascosta nella felpa.
“Neanche per sogno!” si agitò subito Aurea. “Giochiamo tutte! Sue sveglia la Bella Addormentata!”
La figlia di Dioniso diede una spallata a Sonny che aprì lentamente gli occhi e sbadigliò farfugliando: “Ok, ok gioco.” e si fece un bicchiere di soda mentre la cacciatrice spiegava le regole alle altre.
“Cominciamo?”
Risposta: mugolii sommessi.
Aurea ne fu contrariata e diede le carte sospirando. “Allora i biscotti sono il cash! Il piatto parte da un biscotto, vedete o rilanciate!”
La prima partita fu alquanto mogia e di piatto scarso, dalla terza il piatto ingrassò ma l’umore rimase ancora ai minimi storici.
Come poteva Aurea riuscire a risollevare gli animi di tutte quando anche lei si sentiva un po’ abbattuta?
Sospirò, ancora, afferrò un biscotto e lo mangiò.
“Non ti mangiare i soldi …” la rimproverò Sonny da dietro le sue cinque carte.
Selena imitò la cacciatrice.
“Hei figlioccia di Zeus, non la seguire!” continuò la nera.
Poi anche Sue ne prese uno, gustandoselo.
“Ma vi state coalizzando!?”
Alla fine anche Ginny mangiò il suo ‘vedo’.
Sonny esplose in un mugolio frustrato e si accasciò all’indietro poggiandosi al letto.
Risero tutte e presero a mangiare i biscotti erbe e cioccolato.
“Ma come farà Mia a cucinare così bene?” espresse la sua domanda filosofica Selena.
“Chissà, magari ha un super ingrediente segreto che mette in tutti i piatti.” Suppose Sonny.
“Sì, come l’aceto …” una Ginny intenta nell’osservazione del suo biscottò morsicato si destò.
“Non direi …” fece Sue. “È molto brava, fa le cose con amore, per questo le viene tutto così bene.”
“Fa le cose con amore …” l’eco di Sonny riempì la stanza.
Seguì uno strano silenzio, ognuna di loro ripensò a ciò che aveva amato e lasciato indietro o aveva perso: pensarono al futuro, che sembrava così cupo come le nuvole tempestose che sovrastavano l’oceano e la loro caravella, un futuro che le avrebbe costrette a stare lontane dall’amore ancora e ancora, fino a quando?
“Voi avete capito cos’è Mia?”
Aurea ruppe il silenzio con questa domanda che irruppe come una lama dalla fredda schiettezza all’interno del gruppo.
“Come: cos’è?”  chiese Sonny assolutamente attonita.
La cacciatrice la guardò stupita. “Non vi siete mai chieste chi sia? Cosa ci faccia qua? O perché ci stia aiutando?”
“Sono domande diverse da: ‘cos’è?’” precisò Sue stizzita.
Un lampo illuminò la cabina a giorno per un solo istante, poi il tuono esplose in tutto il suo fragore, rintronando ed echeggiando per tutta la nave che rispose scricchiolando cupamente.
“Scusate, mi sono espressa male …”
“No, era una domanda precisa.” la incalzò Selena.
Il vento aveva iniziato a soffiare furioso in ogni direzione, come un cavallo imbizzarrito a briglie sciolte.
La tempesta era iniziata.
Aurea sollevò lo sguardo, diventato improvvisamente duro, ripose il biscotto che teneva in mano, intoccato. “Sì, ho pensato che Mia potesse essere un mostro. Che c’è di strano? Sfinge, Manticora, Medusa … hanno tutti un aspetto umano prima di trasformarsi, molti altri ancora lo fanno.”
“Mia non è un mostro.”
Un altro tuono, la nave ondeggiò paurosamente.
Era stata Selena a parlare, il suo volto era pallido iniziava a sentirsi seriamente male a causa dei cavalloni che sbattevano la caravella.
Anche le altre ragazze lo notarono, insieme la aiutarono ad andare in cucina a chiedere un rimedio alla gentile Mia.
Aurea rimase per un po’ a sedere a terra nella cabina di Ginny, nessuno tornò. Si alzò in piedi prendendo qualche biscotto dal vassoio e infilandosene uno in bocca, farfugliando: “Schifosamente buoni.”. Restò nella sua stanza per il resto della giornata.
Il rombo rintronante di un tuono la svegliò, si sentiva frustrata e debole. Guardò fuori fall’oblò: era scesa la notte, solo i frequenti lampi illuminavano il mare burrascoso, le onde gigantesche sovrastavano la caravella pronte ad inghiottirla tra i flutti. La Dear Dafne ondeggiava paurosamente, molte cose nella cabina erano a terra e rotolavano seguendo l’inclinazione che prendeva il pavimento.
La cacciatrice uscì, scalza, in corridoio tutta le porte erano chiuse. Corse in cucina, ci avrebbe trovato sicuramente Mia. La donna infatti era seduta in sala da pranzo a leggere un libro, quando la vide i suoi occhi cambiarono più volte espressione: sembrò sorpresa, adirata poi preoccupata. Aurea si bloccò sulla soglia.
“Che c’è Aurea? Non riesci a dormire con questo temporale?” le chiese.
“Temporale?! Questa è una tempesta vera e propria! Rischiamo di andare fuori rotta, o peggio!”
Mia rimase a sedere, rivoltò il libro ponendolo aperto sul tavolo, così da non perdere la pagina. “I miei figli sono abituati anche alle peggiori tempeste. Sono i migliori: in questo momento sono fuori, stanno governando la nave e la conducono fuori dai venti avversi.”
“Vado ad aiutarli!” disse determinata Aurea già girata verso le scale per il sopra coperta.
“No!”
Mia era dietro di lei, la teneva per una spalla.
“Non puoi!” era calma, la voce ferma e dura, non per la preoccupazione, nel suo tono di voce vi si sentiva anche altro.
“Ma sono soli! Avranno bisogno di aiuto!” insisté Aurea.
“No, è troppo pericoloso, voi non dovete essere messe in pericolo in alcun modo.” le mise entrambe le mani sulle spalle. “Ti prego, ci sono già loro fuori, non vorrei che alcuna di voi rischiasse.”
Il suo volto era sincero.
La cacciatrice  abbassò lo sguardo, sembrava davvero preoccupata …
“Va bene, tornerò in camera.” si voltò e prese la via del corridoio.
“Grazie …”  sentì dire Mia prima che un tuono la sovrastasse.
Rientrò in camera e si mise a raccogliere le cose da terra, le infilò tutte nello zaino in modo che non andassero in giro. Poi, seduta sul letto, ripensò agli occhi di Mia. Sembrava l’unica a non credere ai suoi sguardi. C’era qualcosa in lei che le impediva di credere alle persone come quella donna, con coloro che nascondono qualcosa quasi non riusciva a parlarci. Iniziò a sentirsi stanca, chiuse piano gli occhi e si addormentò mentre la tempesta imperversava folle.
L’oceano era gonfio, ribolliva ed esplodeva, i lampi erano le sue scintille che infiammavano le bianche creste spumose delle onde più alte.
“ … c’è stato anche troppo vento.”
“Sì, siamo finiti fuori rotta, ma tra poco i miei figli faranno nuovi calcoli e ripartiremo entro stasera.”
Aurea si svegliò intontita, la tempesta era durata tutta la notte rintronandola per bene. Uscì dalla cabina, si ritrovò davanti tutte le ragazze e Mia.
“Ma adesso dove siamo finite?” chiese Sonny senza notare l’arrivo della bionda.
“Non lo capiamo di preciso, ma sembrano le coste del Canada …”
“Canada!?” sbottò Aurea.
Ricevette quattro occhiatacce orribili ed una comprensiva.
“ Sì, fuori fa freddo, forse è meglio se rientrate in cabina, negli armadi ci sono dei cappotti.” Mise una mano sulla spalla di Ginny. “Non saranno all’ultima moda ma vi terranno al caldo.”
La figlia di Afrodite sorrise.
“Cambiatevi, avanti!” le indirizzò Mia.
Rifilarono tutte in cabina.
Il corridoio vuoto.
“Vengo ignorata perché sono ancora arrabbiate con me o hanno il cervello per altri liti?!” si chiese Aurea e visto che era da sola, nessuno le chiese cos’avesse detto.
Nell’armadio c’era effettivamente un grosso cappotto peloso. Speriamo sia di eco-pelle, pensò, povero animale … “È così caldo!” finì a voce alta.
Sul ponte si era depositato uno strato di neve che bastava per far scivolare tutti ma non per farci un pupazzo di neve, anche se non impedì di farne uno microcefalo a Selena e Ginny. A babordo il mare sciabordava calmo, la costa bianca era totalmente immersa nella nebbia, non si distinguevano che pochi abeti.
“Che razza di posto …” fece Sonny.
Lei e Sue si erano affacciate dal corrimano.
Aurea si avvicinò loro. “Tra poco il sole salirà, la nebbia dovrebbe andarsene.”
“Speriamo altrimenti non capiremo il percorso da seguire per raggiungere New York.” intervenne Mia.
Tutte si voltarono verso la donna, indossava un cappotto bianco lungo fino alle ginocchia.
A Ginny brillarono gli occhi.
“Ragazze per ora siamo bloccati qui. Adesso i miei figli sono andati a letto, dopo la notte appena passata.”
Toni di assenso.
“Perché noi non torniamo un po’ alla civiltà?” chiese la donna.
“Che intendi dire?” saltò su Selena.
“Bhè, sbarchiamo e andiamo in una cittadina qui vicino.”
Questa volta brillarono gli occhi a tutte.
Una piccola scialuppa le portò sulla costa dove fu ancorata per bene, mentre Mia ricordava che anche la Foschia l’avrebbe nascosta.
Dopo qualche minuto di cammino verso nord incontrarono finalmente una strada poco frequentata,  non ci volle molto cammino sul ciglio che giunsero in un piccolo paesino immerso nella nebbia. Già a quell’ora del mattino brulicava come un formicaio, un piccolo formicaio ma c’erano comunque abbastanza persone da popolare le strade, ed ad ogni incrocio c’era un orso di legno con un pesce in bocca.
“Se, al posto della neve, mettete la polvere e al posto degli orsi barili di cognac, è uguale al mio villaggio natio.” disse Aurea.
“Posticino tranquillo allora.” fece Mia.
“Affatto!” risposero le altre quattro in coro.
“Andiamo a prenderci una cioccolata calda?” propose Sue.
Approvarono tutte.
Il bar era piccolo, caldo e marrone; un pesce ballerino, appeso sopra l’entrata, si metteva a cantare e danzare tutte le volte che qualcuno apriva la porta.
“Sei cioccolate calde.” ordinò Mia.
“Qualcosa da mangiare?” chiese il barista da dietro il bancone.
Le ragazze ordinarono una ad una la loro colazione.
Accostarono due tavolinetti lontano dalla porta, tentando di scappare dalle atroci note del pesce.
“Anche le trote canterine ora?!” dove finiremo?” fece Sonny sedendosi scompostamente su una sedia.
Per risposta il pesce prese a cantare e ballare poiché qualcuno era uscito dal bar.
Bevvero e mangiarono, le conversazioni al tavolo variavano dal cibo ai giochi da tavolo, Aurea non capiva come fossero riuscite ad arrivare a quell’argomento.
Dovette ancora fare la guastafeste. “Come faremo a recuperare il tempo perso a causa della tempesta?” domandò.
Sonny sbuffò.
“Non credi che adesso potremmo riposarci un po’?” chiese Sue mentre girava la sua cioccolata con cucchiaino.
“Riposarci!?” scattò la cacciatrice. “Fran è nel Tartaro!!”
“Sta dormendo, non si accorge del tempo che passa.” ricordò Selena.
“Non c’è da preoccuparsi, abbiamo tutto il tempo che vogliamo.” concluse Ginny.
“Che … caspiterina! Quali assurdi sproloqui!” si alzò in piedi Aurea. “Gaglioffaggini!!”
“Aurea, calmati …”
Tutte le persone presenti all’interno del bar si erano voltate verso di lei e la fissavano.
Si rimise a sedere. “Come potete dire queste cose?” chiese piano.
Nessuno le rispose.
Le conversazioni tornarono alla loro strana normalità.
Quando tutte ebbero finito, Selena si comprò una bottiglietta di acqua e si avviò all’esterno mentre le altre pagavano. Non capiva perché Aurea fosse così arrabbiata e preoccupata per la situazione: andava tutto bene, erano arrivate in America più velocemente di quanto nessuna di loro avesse sperato, finché rimanevano con Mia non c’erano problemi di sorta! Sarebbero andate presto a liberare Fran … anche se ciò avrebbe significato dover abbandonare Mia … scosse la testa per cacciare il pensiero.
Non concepiva neanche l’idea di poterlo fare.
Le altre uscirono dal bar tra le chiacchere.
Su, nel cielo appena visibile attraverso la nebbia che ancora persisteva sulle loro teste, un’aquila stridì e calò in picchiata su di loro. Rubò la bottiglietta d’acqua a Selena, gli artigli dell’animale per poco non le ferirono le mani.
La ragazza urlò.
“Quell’aquila …” iniziò Aurea.
“Aveva qualcosa di strano.” concluse Mia.
“Ha dato di matto, ecco cosa!” fece Sonny mentre controllava che le mani di Selena non fossero ferite.
“Inseguiamola.” iniziò a correre la cacciatrice.
Tutte la seguirono.
“Ma perché!? Era solo un aquila!” urlò Ginny mentre faceva lo slalom tra i passanti.
“Come ha detto Mia: aveva qualcosa di strano!”
La donna annuì.
Superarono anche le ultime case del paese, arrivando al limitare di un bosco verde scuro di alti abeti, prima di perdere di vista l’animale.
“Che facciamo adesso?” chiese Selena ansimante.
Aurea riprese fiato. “Non lo so …”
“Che idee sciocche ti vengono in questi giorni!” la rimproverò Sonny.
La cacciatrice le rifilò un occhiataccia.
Un vento tiepido si levò leggero, spirava dal mare e portava con se il buon odore della primavera. Si infilò tra i tronchi marroni sussurrando lieve.
Aurea iniziò ad addentrarsi nel bosco.
“E ora che fai!?” continuò Sonny sbigottita.
Mia fu la prima a seguire la cacciatrice, le altre la imitarono poi.
Gli aghi degli abeti bucavano loro le mani mentre il vento continuava leggero la sua corsa, le guidò fino ad un’apertura tra gli alberi.
Una radura enorme si rivelò ai loro sguardi: era totalmente immersa nel verde lucente della primavera, che si manifestava anche nei fiori dai mille colori disseminati tra i grassi fili d’erba; tutto era rigoglioso e traboccante di vita. Al centro di tutto si ergeva un imponente ghiacciaio dalle pareti lisce come specchi che riflettevano luccicanti i raggi del sole, era un cono perfetto, in alto sembrava non avere la punta.
Fecero un solo passo nel giardino e già sentirono il calore del sole che senza la coltre di nebbia brillava nel cielo benevolo.
“Chi è là?!” tuonò una voce rauca e stanca.
Rimasero pietrificate.
“Allora chi c’è?!”
Tra l’erba alta, un tronco marrone scuro era riverso a terra: la voce proveniva da lì, ma non c’era nient’altro.
Seguirono dei rumori di plastica accartocciata, poi la bottiglietta di Selena fu scagliata in alto e presa al volo da un aquila, che la portò via. Nel frattempo un’altra aquila stava volteggiando a spirale sopra di loro per atterrare poi vicino al tronco che si mosse e disse: “Grazie.”
Un’altra bottiglia fu accartocciata e fatta volare via sotto gli occhi basiti delle ragazze.
“Allora voi! Chi siete!?” il tronco si voltò: era un aquila americana in tutto e per tutto, dalla fiera testa bianca alle penne della coda, ma era venti volte più grande di un qualsiasi volatile e sembrava anche avesse imparato ad aprire le bottiglie di plastica.
Qualcuno (Sonny) spinse avanti Selena, che ancora una volta si ritrovò a dover presentare tutte.  “Hem, siamo mezzosangue e …”
“Mezzosangue?!” esplose l’aquila, si alzò di scattò a spalancò le enormi ali. “Mi piacciono i mezzosangue!!”
“Da mangiare o del tipo che simpaticoni!?” chiese Ginny nel terrore più completo.
L’aquila si bloccò e le guardò una ad una poi rise così fragorosamente da far scuotere gli alberi intorno alla radura. “O Stige! O Zeus! Miei dei!” si ribaltò all’indietro. “Che sete che mi mettete!”
“Ma non era …”
“Ginny zitta!” le piazzò una mano sulla bocca Sue.
Quando l’aquila si fu calmata, recuperò la sua potente presenza. “Ma che ci fate qua?”
Le ragazze un po’ intimidite non parlarono.
“Oh avanti! Non riesco quasi più a muovermi! Se mi capita qualcuno con cui parlare è festa grande!” rise.
Aurea fece un passo avanti. “Stiamo cercando di arrivare a New York, perché non ti puoi muovere.?”
“Sono davvero molto vecchio e ho perso lo smalto che avevo un tempo! Sapete ero un grande aviatore!”
“Poi cos’è successo?” domandò Selena.
“Oh, molto tempo fa aiutai una giovane e bellissima ragazza a recuperare l’acqua che sgorga dalla cima di questo monte.” fece indicando il ghiacciaio con l’ala. “Bevvi di quell’acqua e crebbi fino alle dimensioni a cui mi vedete adesso, ma una volt ache hai assaggiato di quell’acqua non puoi più bere altro. Niente mi disseta mai abbastanza.”
“È come una condanna …” disse piano Sue.
“Per questo invio le mie amiche a cercarmi l’acqua in città.”
“Ed ecco perché hai rubato l’acqua a me.” fece Selena.
 “Oh, mi dispiace.”
“Non preoccuparti, non ci sono problemi. Ma non ti ha dato sollievo vero?”
“No.” abbassò lo sguardo l’animale.
L’ennesima aquila calò dal cielo, consegnandogli l’acqua che bevve e in un attimo, finì anche quella bottiglietta e la fece portare via.
“Per fortuna le mie amiche mi vogliono molto bene e mi restano sempre vicino.”
Furono le ragazze ad abbassare lo sguardo.
Aurea digrignò i denti. “Dobbiamo aiutarla!” si tolse il cappotto ed estrasse due frecce e tentò di conficcarle nel ghiacciaio, ma si ruppero ferendole le mani. “Dannazione!” scivolò a terra.
Sonny grugnì qualcosa poi anche lei si tolse il cappotto e trasformò i suoi due anelli d’oro. “Adesso ci penso io.” Strinse le accette più forte possibile.
La figlia di Apollo balzò sul ghiacciaio e conficcò le accette nel ghiaccio. Rise e urlò: “Alla faccia delle tue frecce!” iniziò la scalata.
“Che sta facendo la vostra amica?” chiese l’aquila.
“Ti procura l’acqua …” rispose Aurea alzandosi. “Per sempre.” sollevò lo sguardo verso Sonny poi lo rivolse alle altre tre che osservavano la nera. “Spero che questo serva a far tornare un po’ di lucidità a tutte.” si rivolse a Mia che osservava preoccupatissima la ragazza quasi sulla vetta. Era davvero preoccupata … davvero … c’era qualcosa che non andava.
La donna si rivolse verso di lei, si era sentita osservata: i suoi occhi erano completamente bianchi a parte la pupilla nerissima.
Aurea strinse i denti. “So che stai nascondendo qualcosa.”
Mia tornò a concentrarsi su Sonny.
La nera urlò non appena toccata la cima. “Hei, ma quassù c’è proprio una piccola vaschetta!!”
“Adesso usa le accette per creare un solco che porti l’acqua da là a qua!” le consigliò Sue.
“Bene.” respirò a fondo e si preparò alla discesa: le accette conficcate nel bordo di ghiaccio, si reggeva con tutta la forza che aveva, poi si lasciò scivolare in basso. Le accette la seguirono, creavano solchi non tanto profondi ma precisi, le schegge le procuravano graffi ovunque, fu costretta a chiudere gli occhi.
“Non guardo dove vado prendetemi quando atterro!!!” urlò avvisando.
“Che?!” in coro le altre.
Sonny era quasi arrivata ai piedi del ghiacciaio, Sue, Ginny e Selena si mossero di scatto cercando tutte di afferrare l’amica che cadeva.
Ruzzolarono a terra per qualche metro e si rialzarono mugolanti, ma sorrisero vedendo l’aquila bere l’acqua che colava giù dai canali.
“Ragazze siete grandiose!! Dico davvero!! Grazie grazie!!” urlava quasi piangesse.
Non riuscendo a capire come le ragazze furono invitate ad un pranzo preparato dalle aquile, arrivarono così numerose e così cariche di frutta, verdura e altri cibi che sembravano dei veri e propri camerieri. Era una scena assurda, da non credere; le ragazze però si sentivano tranquille là in mezzo a tutti quegli amici.
Si parlò del più e del meno, l’aquila gigante raccontava miti su miti, sembrava che li avessi vissuti, il che era probabile.
Ginny inghiottì un’altra manciatina di lamponi. “Hei, ma prima dicevi di aver aiutato una ragazza.”
“Oh, si! Non la scorderò mai!! Finché vivo!!”
“Chi era?” chiese poi lei dopo le more.
“La bellissima Psiche!”


Risorge e torna a letto ... settimana prossima sono in gita quindi credo che ci rivedremo tra un po'!
Comunque c'è una cosa che ho capito: detesto la scuola -.-''
Miss Shinigami che va a nanna, 'notte!!

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Capitolo 33
*** Tristezza ed impazienza ***


Il silenzio durante il viaggio di ritorno fu la cosa più atroce che mezzosangue avrebbe potuto sopportare. Aurea camminava in fondo al gruppo, testa china, sguardo a terra ed un perso sulle spalle che cresceva di minuto in minuto: chi era o cosa era Mia? Perché era così gentile con loro? Anche con lei che non le dava fiducia?
Ma forse era colpa sua; la donna dai capelli corvini non nascondeva niente ed era gentile perché era nella sua natura e basta, e lei era solo una sciocca ragazzina che nonostante gli anni non aveva ancora imparato a conoscere le persone. Ma non si era sognata il cambiamento di colore degli occhi di Mia né la forza nella sua voce quando l’aveva fermata la sera prima.
Nonostante il tiepido vento primaverile che spirava da quella mattina, le loro impronte nella neve non erano state cancellate. Con un commento di Sonny sulla stranezza del clima d’Alaska, ritrovarono la scialuppa con cui avevano raggiunto la riva e raggiunsero la nave.
Sul mare faceva già più caldo e il vento era lieve ma odoroso, trasportava il profumo di fiori e primavera.
Aurea fu intontita da tutti quegli odori, poi scosse la testa e avvertì la presenza di qualcuno che prima non era sulla nave. Sbalzò sulla scala calata per farle risalire sulla Dear Dafne, pestando quasi le mani a Sue, che la rimproverò.
Con circospezione salì a bordo, il vento di primavera la investì e si coprì gli occhi a causa del sole.
“Il risveglio dalla natura in anticipo può effettivamente creare confusione.”
La cacciatrice si bloccò: c’era qualcuno dalla parte opposta del ponte.
Abbassò le mani non appena lo vide sorridente, seduto sul parapetto della nave, tranquillo come se nulla potesse toccarlo.
Il ragazzo la guardava con i suoi occhi incredibilmente blu. “Buongiorno, vi spettavo.”
“Aurea, davvero! Che diavolo ti prende in questi giorni?!” tuonò Sonny mentre saliva. “Ma che stai … oh.”
Anche le altre ebbero la stessa reazione.
“Vedo che ci siete tutte ora.” sorrise il ragazzo passandosi una mano tra i capelli castano dorati. “Io sono Zefiro, condurrò la vostra nave a New York, in un porto sicuro.”
Rimasero tutte a bocca aperta davanti al dio così bello.
“Allora che ne dite di mollare gli ormeggi?” cercò di riscuoterle lui.
“S-sì …” fece Sue.
“Vado a preparare la partenza.” disse Mia.
“Hem … ti aiutiamo.” la seguì Selena.
“Sì, se i tuoi figli dormono ancora, lasciamoli riposare …” la imitò Ginny, senza però staccare gli occhi dall’incarnazione del vento.
Se ne andarono sotto coperta, solo Aurea rimase. Si diresse a passo sicuro verso il ragazzo. “Che ci fa qui?”
“Io?” la guardò strabuzzando un po’ gli occhi.
“Sì, non faccia il finto tonto? Perché un dio si sarebbe scomodato per far spostare questa caravella che ormeggia alla deriva?” poi guardò le altre che si affaccendavano per dare una mano a Mia. “In tutti i sensi …” concluse.
Zefiro sorrise divertito. “Sono qui perché mi hanno chiesto di esserci.”
“Wow. Chi farebbe cambiare la direzione dei venti per noi?”
“Qualcuno a cui in fondo dispiace molto.”
Aurea si voltò accigliata, gli occhi scuri in quelli tremendamente blu del dio. Non diedero risposta alla sua tacita domanda. Li abbassò.
A chi poteva dispiacere? Oh, ce n’erano molti, Mason e Alec tanto per cominciare. Ma non avevano abbastanza potere per piegare un vento. Un dio … si ma chi? Non si dispiacevano di niente loro. E poi era solo stata rapita una ragazza! Capitano cose anche peggiori per una scaramuccia tra semidei! Ma se non fosse l’unica cosa accaduta? Se dovessero accaderne altre? Cosa?
Il suo cuore accelerò all’impazzata i battiti.
Cosa stava per accadere realmente? E se la missione di salvataggio fosse stata solo un diversivo, per coprire altro? In fondo solo Mason era venuto al Campo Mezzosangue …
Aurea sollevò lo sguardo dalle assi del ponte.
Erano partiti, Zefiro mosse leggermente una mano ed il vento di primavera si alzò e la caravella schizzò veloce sull’acqua salmastra.
La mente della cacciatrice continuò a vagare tra le domande che rimanevano senza risposta.
Cosa sarebbe accaduto da quel momento in avanti? La profezia cosa diceva?
La storia non finirà con la salvezza … non finirà con il salvataggio di Fran o …
Non poteva formulare quel pensiero, spostò la sua attenzione su altro.
 Le prove … il gruppo delle prove affrontare dovrà … ma certo! Le prove di Psiche!! Separare il grano, raccogliere l’acqua … poi? Le pecore assassine e il vaso del sonno eterno … quello lo aveva già aperto Fran. Infatti l’ultima prova era di scendere nell’Ade per andare a riprenderla. Tutto tornava.
Ma cosa c’entrava Mia in tutto questo? Da che parte stava? Perché si comportava così? Chi era?
Troppe domande.
Aurea guardò le amiche che controllavano le cime e le vele: avrebbe potuto parlarne con loro?
Molto probabilmente le sarebbe stato più di aiuto un dio che tutto sapeva ma che non poteva parlare.
Guardò Zefiro e disse: “Tu sai.”
Non si voltò neanche per risponderle. “Già.”
“Bene.”
“Non molto.” sussurrò.
Silenzio, solo il vento nella stoffa delle vele, il chiacchiericcio delle ragazze; le venne mal di testa cercando di non farsi prendere dal sonno e dalla pace del momento.
Inspirò profondamente ed espirò.
Doveva fare qualcosa, cosa?
Zefiro fece una stranissima smorfia con la bocca. “Giusto! Devo dare una cosa alla figlia di Zeus. Qual è?”
La cacciatrice non rispose.
“Allora?”
“No, ora no. Non è il momento giusto per parlare con nessuna di loro.” il suo sguardo si indurì. “Non sono in loro.”
“Può capitare.”
“Cosa intendi? Già, ma non può parlare.”
Sorrise. “Bhè, potrei comunque darla a te. Vedo che le sei amica, non avrà niente in contrario.”
“Ok, adesso si deve spiegare!”
Zefiro rise e le porse una piccola sfera di vetro, al suo interno si agitavano miriadi di minuscoli fulmini.
“Caspiterina!” esclamò osservandolo da vicino. “Ma cos’è?”
“Per ora? Qualsiasi cosa che la proprietaria desideri che sia.”
Selena aveva un grande potere a sua disposizione.
Aurea sorrise. “Bello avere genitori influenti.”
“Già.” concordò il bel dio del vento di primavera.
Quella sera stessa riuscirono a vedere le coste illuminate della Nuova Scozia.
Durante la cena, un banchetto degno di un dio, infatti Zefiro non disdegnò di parteciparvi, Mia prese la parola: “Tuttavia dovremmo fermarci per fare rifornimento di viveri, dopo la tempesta il conto dei giorni passati in mare ha completamente stravolto il mio uso delle provviste.”
Tutte concordarono.
Aurea stette zitta, comprendendo che era un modo per prendere tempo e poi c’era un’altra prova da affrontare prima della discesa agli Inferi.
La voce di Mia fremeva un po’. Tristezza? Impazienza?
Si stava avvicinando la fine del viaggio, c’era impazienza in tutte e tristezza in tutte tranne Aurea.



Ok, è schifosamente breve e avrei dovuto apporpare questa parte con il capitolo precendente, ma in fondo mi serve per dirvi che non sono morta.
Ci avviciniamo alla fine della scuola e quest'anno ho l'esame quindi sarò ancora più incostate, scusatemi davvero!!!
E ora iniziate a capirci qualcosa o ancora no? hihihi

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Capitolo 34
*** Filler!! In gondola con Caronte ... tutta colpa di Zoe e Bianca ***


Filler è un termine inglese che significa "riempitivo" e che, nel mondo dei media indica una parte di un'opera che non è coerente, o che lo è solo debolmente, con il resto della stessa. questo capitolo perciò non è fondamentale per la storia, è solo per riprendere le vicende di un personaggio che non appare da un po'.



Aprii gli occhi senza mettere bene a fuoco ciò che vedevo. Era strano: ero circondata dal grigio scuro e dal marrone terroso, non vedevo forme, solo colori.
Sospirai, ma non lo feci realmente.
Un terrore cieco mi attanagliò la gola e in breve capii di essere stesa a terra, non perché sentissi fisicamente il pavimento duro sotto di me ma perché realizzai di star osservando il soffitto di una caverna.
Mi alzai. No, mi sollevai da terra senza muovere un muscolo. Poi rimasi scioccata da ciò che vidi: il mio corpo a  terra, svenuto.
Ero io, stessi capelli biondi , stesso volto, anche la maglia del Campo, di quell’arancione che sembrava più un cazzotto in un occhio che un colore, al polso la catena con Steel …
Dormivo? No … ero sveglia, ero cosciente ma dormivo.
Mi allungai per sfiorare la civetta d’acciaio ma la trapassai: non avevo più un corpo, non potevo toccare qualcosa di fisico, ero puro intelletto, ero solo la mia mente, la mia volontà … poi capii: ero un ombra, ma non ero morta, ero solo … un anima con un corpo che non si svegliava …
Ma cos’era successo? Non ricordavo niente, solo qualcuno … Phil? Che urlava qualcosa in proposito alla caccia alla bandiera.
Mi portai una mano alla testa, capii che potevo entrare in contatto con ombre e con tutto ciò che era originario di quel posto. Iniziai a cercare l’uscita della grotta in cui giaceva il mio corpo. vidi una spaccatura come creata da un colpo di ascia da qui trapelava una luce aranciata. Doveva essere l’uscita.
Ma dove mi trovavo? Perché era tutto marrone e grigio? Terra e roccia …
Dall’uscita arrivava anche un suono forte di tamburi, delle voci alte e sonore ma non sicuramente intonate.
Uscii all’aperto.
“Nessuna razza,
io non sostengo nessuna razza a vostra altezza,
zero sassi contro i lapidati della piazza,
sul labbro soltanto un po’ d’amarezza
per chi mi ha giudicato con asprezza.”
Davanti a me si stendevano le pianure del Tartaro. Ero agli Inferi ed ero esterrefatta, capii perché la mia ombra fosse potuta uscire dal corpo.
“Nessuna razza,
ma un posto a sedere in una carrozza che schizza
fango nei sentieri di un bosco che terrorizza,
chi è fuori dal branco conosce con fermezza
ogni insicurezza.”
Scheletri bardati con pezzi di armature greche, romane e delle guerre mondiale teneva trombe, tamburi, chitarre, bassi, piatti giganti: la banda degli Inferi mi sfilò davanti cantando e suonando; aprivano la fila tre scheletri vestiti come majorette che facevano i loro esercizi.
Le rincorsi e urlai per superare il frastuono: “In che zona degl’Inferi siamo?!”
O non mi sentirono o non ero degna di risposta, io decisi di seguire tutta la banda mentre nell’aria riecheggiavano dei potenti: ‘Dagli all’Untore! Dagli all’Untore!’. Forse non sapevano neanche loro dove si trovavano.
Dopo qualche minuto e qualche altra rimata canzone, raggiungemmo un ponte largo di legno e pietra, era perfettamente costruito. Rimasi stupida davanti alla straordinaria capacità dell’architetto di aver arrangiato una tale struttura con quei pochi materiali che aveva trovato laggiù. Mi sporsi dal parapetto per vedere il ‘fiume’ (era più che altro era qualcosa che andava a fuoco, non capii che) mentre lo facevo uno scheletro che suonava una gran cassa mi prese per una parte del suo strumento urtandomi con il pezzo di legno che usava per colpirla. Caddi in avanti e riuscii a rimanere aggrappata al parapetto con una mano. Ora la notizia positiva è che avevo scoperto che potevo toccare ed essere toccata dalle cose nate nel Tartaro, quella cattiva era che per scoprirlo ero dovuta rimanere sospesa su un fiume di fiamme roventi, ma una domanda mi attanagliava le viscere: se fossi stata risucchiata da quel posto e mi fossi comportata come un’ombra dannata laggiù sarei morta definitivamente?
Sudavo freddo, teoricamente parlando e non fisicamente ma la sensazione era quella.
“Oh, di nuovo!”
Una mano mi prese di peso e mi sollevò.
“Devo fare i parapetti più alti.” la voce era di un uomo muscoloso con i capelli e gli occhi grigi.
Rimasi a bocca aperta.
“Salve piccola, io sono Dedalo e mi scuso per aver fatto questo ponte così insicuro.” fece un piccolo inchino con il capo.
Annuii velocemente. “Mi potrebbe mettere giù … adesso?”
Mi mise a terra, io mi sistemai i ‘vestiti’.
Lui mi osservava divenuto silenzioso. “Sei nuova di qui? Una mezzosangue morta così giovane …”
“No, non sono morta!” lo fermai subito sentendo il dolore nella sua voce. “Non sono morta …” ripetei: era vero?
Mi squadrò per bene. “Allora cosa sei?”
“Io … credo … non lo so.” sospirai. “Il mio corpo è dentro una grotta, non lontano da qui, è vivo ma la mia ombra se ne è distaccata …”
“Può capitare.” ora era lui a voler tranquillizzare me. “Se il sonno è tanto profondo da farlo accadere.”
Guardai il fiume: che diavolo era successo? Non ricordavo assolutamente niente.
Dedalo mi posò una mano sulla spalla. “Senti io devo andare, ti consiglio di andare in riva allo Stige. Chissà! Di là passano persone vive, alle volte.” sorrise.
Annuii ancora, poco convinta, ma era così gentile con me, sorrisi leggermente.
“Ma chi sei? Da dove vieni? Perché sei finita qui?” mi chiese.
“Mi chiamo Fran. Era al Campo Mezzosangue inglese … non so perché sono qui, non ricordo …”
Dedalo mi accompagnò fino ad un ponte traballante, disse che stava ancora lavorando ad un progetto particolare per nuovi ponti, poi mi indicò la strada almeno due volte. Lo ascoltai bene o male, so di non avere molto orientamento e di solito è Steel che compensa questa cosa, ma non riuscivo a non pensare al mio vuoto di memoria. Mi incamminai per le vie, strade con terra rosso sangue, del Tartaro cercando di ricordare.
Non ci riuscii.
Un cartello di legno mezzo smangiucchiato mi apparve davanti, ero così distratta che per poco non ci crollai sopra. C’erano delle scritte rosse ripassate più volte.
Esclamava: STIGE BEACH; ero arrivata. Sotto continuava: vietato l’ingresso ai mortali, ai cani (soprattutto Cerbero) e gli struzzi, rispettare l’ambiente, sono vietati gli schizzi e gli schiamazzi e per favore! Indossate il costume.
Rimasi basita ma per poco: gli scheletri che cantavano Caparezza avevano alzato il livello del mio ‘sorpresometro’.
In giro c’erano poche ombre e scheletri, mi sedetti vicino alla battigia, sulla sabbia fredda e nera. Sembrava davvero la fine del mondo: forse non ero morta ma ero un ombra e non sapevo perché; era come non esistessi più sulla terra, anche se qualcuno mi fosse venuto a riprendere il mio corpo avrebbe continuato a dormire senza che l’ombra ci tornasse dentro e ‘resuscitasse’. Mi girava la testa. Chiusi gli occhi ed inspirai l’odore di zolfo bagnato, mi concedetti di farmi piacere quell’odore.
Un parlottio un po’ animato mi raggiunse alle spalle.
“Io credo che tuo fratello alla fine debba …”
Cessò di colpo. Silenzio e rumore di passi sulla sabbia.
“Hei, tutto ok?”
Era la voce di una ragazzina, non tanto grande, forse della mia stessa età. Non avevo molta voglia di parlare con altre … persone? Ombre?
Sbuffai.
“Non vuole essere aiutata, avanti andiamo?” un’altra voce più brusca della prima, sempre di una ragazza.
“Zoe, smettila! Sarà morta da poco e confusa!”
“Bhé anche noi siamo state morte da poco ma non eravamo confuse.”
Ci fu uno strano silenzio.
“Zo, sei indecente.”
Risi piano a quell’uscita così spontanea.
“Ma allora ci senti …” fece la voce gentile.
Alzai lo sguardo: davanti a me c’era una ragazzina dagli occhi marroni e i capelli castani, sorrideva.
Sorrisi di rimando.
“Allora … come … come ti senti?”
“Bianca, come vuoi che si senta? È morta!”
A questo punto, Bianca, si alzò e diede un pugno sulla spalla dell’amica, una ragazza alta dai capelli neri. “Zoe, taci.”
Lei, Zoe, fece una smorfia e si tenne il punto colpito con una mano.
Bianca tornò da me. “Se vuoi possiamo farti fare un giro per farti … ecco ambientare.” mi porse la mano.
“No …” le guardai: Zoe sembrava sul punto di sbuffare, forse Bianca faceva così con tutte le ombre in crisi che vedeva. “Io … non sono morta …”
Rimasero a bocca aperta.
“È impossibile. Sei un’ombra ...” Zoe era categorica.
Tornai a concentrarmi sullo Stige. “Sto … dormendo …”
Non seppi la reazione delle due alla mia confessione ma il silenzio che seguì fu lungo.
Poi Zoe mi poggiò una mano sulla spalla. “Vieni con noi, conosciamo un posticino …”
Non so bene perché ma le seguii senza farmelo ripetere due volte.
“Io sono Zoe Nightshade.”
“Io Bianca Di Angelo.”
“E tu bell’addormentata?”
“Oh … io mi chiamo Fran Owl.”
Continuammo a parlare fino ad arrivare al ‘posticino’ che intendeva la ragazza dai capelli neri: era un piccolo baracchino gestito da uno scheletro con una barba finta e una benda sull’occhio.
“Hola Ciro! Tre special!”
“Arrivano, chicas!”
In breve riempì tre bicchieroni di ghiaccio e uno strano succo rosa, poi li frullò. “Tre special per le mie chicas preferite! Ma un momento! Chi è la nuova, qui?” chiese indicandomi.
“Lei è Fran, rimarrà con noi per un po’.”
“Ma forse non per tanto.”
Lo scheletro sembrò essere felice per me e mi porse uno dei bicchieroni.
Ci mettemmo a sedere ad uno dei tavolinetti lì vicino.
Le altre due avevano già iniziato a bere ma io ero un po’ titubante, cioè di beveroni ne avevo già assaggiati, con  mia nonna che ne preparava di continuo ed io che ero la sua cavia preferita,però questo era … rosa … non sono mica Ginny io!
“Tutto bene?” mi chiese Bianca.
“Hem … sì.” risposi distogliendo lo sguardo ed i miei pensieri dal beverone.
“Dai assaggia, non è così terribile come sembra.” mi incoraggiò Zoe.
Allora presi la cannuccia e bevvi un po’ … era buono sapeva di: “Mango?”
“Giusto!! Batti cinque!” Zoe alzò la mano pronta per ricevere la mia.
La guardai un attimo storto poi la assecondai.
Ma un attimo prima che si scontrassero, lei riunì tutte le dita insieme e toccò il centro del mio palmo urlando: “Pollo!”
Rimasi a dir poco shockata mentre lei se la rideva da matti.
Bianca si tratteneva a stento dall’imitarla. “Zo, sei una bastarda.”
“Aahaha!! Se mi sto divertendo da matti.”
Io mi guardai il palmo della mano ancora confusa.
“Tranquilla, te ne insegnerò moooolti altri!”
Bianca tossì leggermente.
“Quindi …” sorso di frullato. “ … tu sei viva.” fece Zoe.
“In teoria.”
“Allora devi conoscere mio fratello!!” schizzò su la ragazza dagli occhi marroni.
“Che?!”
Zoe annuì poi riprese a ridere.
“Va bene …”
“Ma prima se la tua ombra è libera di girare per l’Ade significa che il tuo corpo è qui.” congetturò Bianca.
Annuii. “In una caverna un po’ distante da qua.”
“Lo hai lasciato lì?” domandò la nera.
“Non si vede l’apertura della grotta da fuori e sinceramente ci ho messo un po’ anche da dentro …” finii il mio beverone.
“Allora andiamo!” propose l’altra.
La guardai ancora con la cannuccia in bocca.
“Giusto, ottima idea.” Bianca pagò i tre special.
Arrivammo prima di quanto mi aspettassi alla caverna ed entrammo: il mio corpo era sempre lì.
Zoe lo osservò seria. “Sei proprio tu e stai proprio dormendo.”
“Ve l’avevo detto.”
“Ma come hai fatto a finire qui?”
Abbassai lo sguardo. “Non lo ricordo. Non ricordo niente da dopo l’inizio della Caccia alla Bandiera.”
“Campo Mezzosangue?”
“Ad Ipswich, Inghilterra.”
Bianca guardò Zoe. “Hanno mantenuto la promessa.”
La nera sorrise leggermente.
Rumore di passi.
“Nascondiamoci.” la reattività della ragazza mi sorprese, avrei dovuto chiedere di più sul loro conto.
Ci sistemammo dietro a delle stalagmiti dalla base larga e attendemmo.
Qualcuno entrò nella grotta con passi lenti.
Zoe e Bianca si sporsero per vedere chi fosse.
“Quello è un ragazzo?”
“Hei ma è vivo …”
Il mio cuore perso un battito. Mi tirai su di scatto ed osservai la scena
Mason stava avanzando verso il mio corpo steso a terra, aveva il volto scavato, la solita barbetta più lunga del solito e delle profonde occhiaie scure, non l’aveva mai visto così.
Sospirò. “Tu non ti muovi di qui, vero?” sorrise ma era triste. Si sedette accanto a me.
“Che razza di …” sussurrò Zoe, era su tutte le furie.
Ma Bianca la fermò. “Guarda.”
Mason si tirò le ginocchia al petto, sembrava un ragazzino sperduto. “Mi dispiace … mi dispiace tanto …” con voce rotta iniziò a piangere piano ed in silenzio.
Osservai tutta la scena con il cuore spezzato. Sarei voluta andare da lui, ma non sarebbe servito a niente, lo avrebbe solo fatto soffrire di più. Scivolai a terra dietro le stalagmiti e mi rintanai come avevo fatto sulla riva dello Stige e piansi anche io, fui scossa da singhiozzi anche dopo che Mason se ne fu andato dalla grotta.
“Fran … se n’è andato.”
Non risposi, annuii soltanto.
“Dovremmo andare anche noi …” Bianca si alzò in piedi.
Riaprii gli occhi lentamente, mi sentivo davvero stanca ma seguii comunque le due ragazze.
Non parlammo per tutto il tragitto che facemmo. Quando mi guardai intorno vidi che eravamo di nuovo alla Stige Beach, pensai che quella sarebbe stata la mia casa per molto tempo … volevo rivedere Mason. Perché non l’avevo seguito?! Stupida! Ma dov’erano le ragazze? Stupida ancora! Sarebbero arrivate, certo che sarebbero arrivate!
La spiaggia era ancora deserta a parte per una figura  seduta su quella che sembrava una gondola, poco dietro a questa ce n’erano delle altre ed un cartello: ‘Ormeggio gondole Caronte, canzoni tipiche escluse.’
Ci stavamo dirigendo proprio verso la figura seduta.
Bianca accelerò il passo. “Nico!”
Era un ragazzino forse della mia stessa età ed era vivo, in carne ed ossa.
La ragazza lo salutò calorosamente, doveva essere suo fratello. “E lei è Fran!!” mi presentò allegra.
“Piacere.” lui mi porse la mano.
Mi riscossi e la strinsi: poteva toccarmi. Rimasi sorpresa.
“Oh, già dimenticavo di dirti che noi siamo figli di Ade, per cui lui può toccarci e fare su e giù dagli Inferi quando vuole.”
“Sì, giusto.” fece Nico un po’ distratto.
“Allora che ne dite di fare un giro in gondola? Offro io.” saltò su Zoe dando una gomitatina d’intesa a Bianca.
“Certo!” fece lei.
Fu così che mi ritrovai su una gondola per due con Nico Di Angelo e non seppi neanche per bene come ci finii. Le nostre conversazioni non duravano molto e quasi tutte finivano con un: ‘Hem … sì … cofcof’
Eravamo penosi.
“Figlia di?”
“Atena … e tu … Ade, he?”
“Già.”


“Insomma non abbiamo molte cose da dirci …”
“Proprio no!”
Ridemmo.
Quando fummo a riva, Nico disse qualcosa tipo: “Se mi combini un altro appuntamento al buio giuro che ti tolgo la parola! E ora torno in superficie!” poi se ne andò.
Alla fin fine mi stava simpatico quel ragazzo, mi aveva aiutato a non pensare molto a Mason. “Ragazze … credo che io me ne tornerò alla grotta … almeno per un po’ …”
Loro annuirono.
“Ci vediamo da Ciro.” disse Zoe.
Annuii poi me ne andai.
Non arrivai mai alla grotta, forse sbagliai strada, comunque non ci avevo prestato molta attenzione. Sta di fatto che mi ritrovai in una piccola piana dalla terra rossa; c’erano, qua e là, delle casette mezze sfasciate. Vi passavo accanto continuando a non prestare attenzione.
“Devi capire che non puoi! È una guerra lo capisci!?!”
L’avevo già sentita quella voce, era irritante e triste: Alec. Mi avvicinai alla casetta alla mia sinistra e mi portai sotto una finestra.
“Io adesso devo controllare la Spirale poi andrò ad assistere all’ultima Prova, tenterò di fermarle o di rallentarle ancora. Non devono arrivare qua!” era agitato.
“Sì.”
Mason.
Alec stava per uscire, per fortuna ero dal lato opposto, non poteva trovarmi.
“Tu come farai con Selena?”
Silenzio.
“Non puoi nascondermi questa cose. Sono il figlio di Eros, conosco quei sentimenti. Cosa vuoi fare?”
Ancora silenzio.
“Non sono affari tuoi!” uscì.
Mason rimase da solo.
Non potevo restare lì o mi avrebbe scoperto. Scivolai via e lentamente compresi ciò che avevo appena sentito: non potevo fare niente per il piano di Alec, però avrei potuto far arrivare qui le ragazze … Nico conosceva sicuramente qualche passaggio segreto o scorciatoia per arrivare all’Ade. Mi misi a correre alla ricerca del ragazzo.
Trovai Bianca e Zoe da Ciro, come avevano detto, sembrava che non ci fosse altro da fare in tutto il Tartaro che bere frullati al mango!
“Ragazze ho bisogno di Nico! ORA!”
“Ha fatto colpo!”
“Non dire sciocchezze Zo!” la riprese Bianca. “È salito ma puoi aspettarlo a palazzo, ti ci portiamo subito.”
Mi sentivo stanca, confusa, preoccupata, frastornata e incredibilmente fuori luogo e non sapevo nemmeno da quanto tempo era che giravo per quelle lande desolate su e giù, destra e sinistra, comunque arrivammo davanti un palazzo gigantesco tutto nero e spaventoso, ci sarei potuta arrivare anche da sola che quello era il palazzo di Ade, giusto … se solo lo avessi visto …
Le ragazze non mi seguirono, in fondo chi glielo faceva fare e Bianca non voleva rivedere suo padre, erano in strani rapporti.
Bussai forte.
La porta di aprì piano rivelando una splendida donna alta, aveva lunghi capelli neri mossi e gli occhi verdi come un prato in primavera.
“Proserpina …” rimasi di stucco, mi ero dimenticata che lei era la moglie di Ade. Ma chi pensava che avesse aperto lei la porta? Quando mai gli dei aprono le porte!? Ma che gli prendeva a tutti!?!?
“Oh, figlia di Atena … bella addormentata, che ci fai qui?”
Stava diventando un soprannome? “Hem … cercavo Nico e …”
“Ora non c’è ma puoi aspettare dentro se vuoi, il nostro divano è molto comodo.” entrò senza lasciarmi il tempo per rispondere.
“Grazie …” potei solo dire.
In … casa? … aleggiava una musica forte carica di bassi e colpi di batteria … conoscevo quella canzone …

“I never wanted to say this
You never wanted to stay
I put my faith in you, so much faith
And then you just threw it away!!”

Entrai nel loro salotto. “For a pessimistic, I’m pretty optimistic …”
“Esatto!!! Dieci punti per te!!”
Un uomo vestito totalmente di nero saltò giù da una poltrona con una chitarra rosso sangue a tracolla.
“E tu chi sei?” mi chiese.
Lo shock non mi fece neanche aprire bocca: ero davanti ad Ade, a quell’Ade! Il dio della morte in persona, re degl’Inferi e tutti gli altri epiteti che potessero venirmi in mente.
“Sì, faccio quest’effetto.” si vantò. “Ma adesso scantati e dimmi chi sei!”
“M-mi chiamo … Fran O-owl.”
“Ah! Vero vero!! La bella addormentata!”
Rise alla mia espressione.
“Non ti piacerà ma ti si addice. E che ci fai qui?”
Parlo con il dio della morte come se niente fosse … “Aspetto che Nico torni dalla superficie …”
“Allora, sei benvenuta. Accomodati avanti!”
Mi sedetti.
Lui continuò a suonare e canticchiare altre canzoni, alcune le conoscevo altre no, ma me le insegnò lui. Gli piaceva che avessimo gli stessi gusti musicali.
Quando passò Follow me dei Muse, io iniziai a canticchiare a mia volta, non ero molto brava però.
Ade iniziò a suonare la chitarra da vero maestro. “Su, su … ragazza, non sbavare. Ti insegno, se vuoi …”
Non potei dire di no … un po’ perché mi spaventava l’idea di rifiutare una sua offerta poi soprattutto perché volevo davvero imparare. Col senno di poi non seppi se era davvero voglia oppure se ero stata plasmata da quella voce melliflua e suadente.
Le ore passarono, da ombra non ci facevo molto caso, non avevo bisogno di dormire o mangiare, e avevo imparato molte basi quando Ade decise di prendersi una pausa, ero un po’ dispiaciuta che se ne andasse.
“Va bene se resto qui a provare?” domandai.
“Certo certo! In fondo finché non torna il mio figlioccio puoi rimanere.”
Mi misi subito a fare qualche giro di accordi a caso, venne fuori qualcosa di carino: una specie di jazz-country dal ritmo strano.
“Hei, Fran! Niente male!” Ade era rimasto ad osservarmi. “Sai una cosa? Mi stai davvero simpatica, ti regalerò quella chitarra! È tua! Io la chiamo Ascia, ma fa pure tu!” poi il dio della morte mi sorrise e non lo vidi mai più.
Nico entrò nella stanza che stavo provando a seguire una canzone punk senza molto successo. “Che diavolo ci fai qui?”
Mi fermai e lo guardai un po’ sorpresa poi ricordai. Saltai giù dalla poltrona e con Ascia sulla schiena lo afferrai per le spalle: “Devi farmi un favore enorme!!”



Eccoci, non sono morta ... sto solo dormendo ... no basta!
Davvero dovevo solo finire gli esami, sono passata, non so con quanto e non mi interessa alla fine, comunque sia adesso devo riprendere a studiare per i vari test di ammissione a varie università -.-'' non ne posso più! La buonissima notizia è che ora non devo farlo più tutte le ore di tutti i giorni!
Capitolo filler! Spero sia piaciuto! :D Diciamo che è una caramellina per farvi avvicinare felici e contenti al finale ... sì, siamo quasi alla fine, haimè! Il viaggio sta per finire ... non odiatemi.
Detto questo ecco alcune canzoni citate in questo capitolo:
- Caparezza, Nessuna razza:
 http://www.youtube.com/watch?v=EugiTe8ecxo
-
 Paramore, For a pessimistic, I'm a pretty optimistic: http://www.youtube.com/watch?v=RBacON8vGIE
-
 Muse, Follow Me: http://www.youtube.com/watch?v=Qiu3rvYveSg
C
ome avrete capito, la musica è fondamentale per la mia scrittura ^_^

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Capitolo 35
*** Il diavolo veste Boutè ***


Ho scoperto che mi piace confondere le persone. Buona lettura ...



Il sole era basso ad est. Sul continente ad ovest si stavano raggruppando noiose nuvole grigiastre.
Ginny sbuffò sonoramente. “Mia, dobbiamo inoltrarci là dentro?”
La donna le stava accanto scrutando la costa. “Sì, una volta raggiunto Sherbrooke per i rifornimenti, ripartiremo.  Là conosco una buona merceria, ci faranno un buon prezzo.” sorrise.
La figlia di Afrodite contraccambiò.
Si spostarono dal parapetto andando dalle altre ragazze.
Aurea osservava la scena dalla cima della torre di poppa.
“Non stai facendo nulla.”
“Lei resta seduto a gambe incrociate sospeso a mezz’aria per tutto il tempo.”
Zefiro fece una strana smorfia con la bocca, cercava di non far vedere alla cacciatrice che stava per ridere. “Bhè … sai che non ti posso aiutare.”
La ragazza annuì e si sedette a terra ad occhi chiusi. Come fare a svelare i piani di Mia? Era furba e sapeva come far leva sulle debolezze degli altri. Come faceva a conoscerle così bene? Era davvero … premurosa … come una mamma …
Scattò in piedi.
“Hai capito qualcosa.” asserì il dio.
“Sì e no. Non so ancora come devo fare  o cosa ma almeno adesso ho una vaga idea di contro cosa sto combattendo.” strinse i pugni. “Spero … spero davvero di sbagliarmi.”
Sherbrooke era una cittadina perfettamente tranquilla: strade larghe, case bianche con giardino, zona pedonale per accedere alla biblioteca. Era là che Mia le stava portando.
“Sapete, il secondo piano della biblioteca è protetto dalla Foschia e i mortali pensano sia perennemente in ristrutturazione. In realtà ci abita una mia vecchia amica!” rise. “Chissà che non ci scappi un po’ di sconto!”
Anche le altre risero, a parte Aurea che restava sempre in fondo alla fila. Vedeva che Mia ogni tanto le si avvicinava e tentava di conquistarsi la sua simpatia con piccoli gesti, quelli stessi che avevano convinto  anche le altre. Ma non c’era niente che quella donna potesse usare per entrare nella sua testa, all’età di 78 anni non aveva certamente questioni in sospeso o rimpianti: mancanza, sconforto e abbandono erano cose già provate molto tempo prima ed era stata salvata, adesso Artemide era sua madre. E fu a causa di questo che Mia iniziò ad odiarla, certamente non in modo aperto e chiaro, non poteva svelarsi alle altre. Non ancora. Altrimenti il suo piano non sarebbe giunto a compimento.
Ma qual’era il suo piano?
Mentre la cacciatrice si arrovellava con questi dilemmi giunsero alla biblioteca, una non poi così grande struttura bianca con una veranda sul davanti sorretta da colonne in stile dorico, chiaro segno dello zampino di qualche ospite millenario. Sul retro c’era un grande campo verde, con l’erba corta; in lontananza si distinguevano delle pecore, se ne udivano i belati.
“Che posto carino.” sorrise Selena.
“Peccato per le nuvole!” fece Sue con un po’ di broncio.
In effetti sopra le loro teste si stavano addensando nuvoloni grigiastri che lasciavano intravedere pigramente qualche tenue raggio di sole.
Aurea si guardò attorno: sarà stato il suo umore ma tutto le sembrava forzato, si sentiva sull’orlo di una crisi isterica. Stava per esplodere, per urlare, per saltare addosso a Mia per strapparle quel sorriso materno dalla faccia. Poi fece un respiro profondo e si tranquillizzò. Crisi finita per ora … seguì le altre dentro.
L’ingresso principale era ampia e piena di libri, a destra si vedeva una traballante scala di legno sbarrata da un cartello con su scritto: ‘Pericolo: non salire.’
Salirono.
Furono accolte da un’aria pesante e calda, quel piano sembrava avere solo quella sala. Opposto al muro delle scale, c’era un bancone enorme e dietro di questo una piccola signora ricurva sul suo lavoro a maglia.
Le vide arrivare e salutò Mia con un lento movimento del capo. “Tu, qui …” osservò una per una le ragazze poco dietro di lei. “ … Mia …” lo disse ridendo.
La donna si irrigidì un attimo. “Sì, siamo venute per delle provviste. Dobbiamo arrivare fino al porto di New York.” poi riprese il controllo di sé. “Però abbonda con i cibi e le spezie, voglio preparare una cena speciale d’addio l’ultimo giorno.”
A quel punto fu la vecchietta a diventare seria. “Capisco.” e fece cenno di seguirla.
Il gruppetto eseguì inoltrandosi in un corridoio reso stretto da tutte le cose che erano accatastate in terra, appese ai muri e attaccate al soffitto.
“Ovviamente sapete che dovrete pagare ... o, per meglio dire, dovrete dimostrare di essere all’altezza di proseguire.”
Sbucarono in una camera larga con tante finestre larghe sul lato opposto alla porta.
La vecchietta era al centro della stanza circondata da mucchi di lana da filare e tessuti malamente intrecciati. “Benvenute nel mio laboratorio tessile.” iniziò con voce profonda e rauca mentre la sua stazza aumentava e la sua pelle diveniva coriacea. “Questa sarà la vostra ultima prova.”
La vecchietta non c’era più, al suo posto un gigantesco demone squamato sollevò le braccia nella loro direzione.
Le ragazze fecero un passo indietro sconcertate.
“Importava trasformarsi in questo modo per mostrar loro la strada?” chiese protettiva Mia.
“Devo rendere la cosa formale. E poi mi hanno detto che devo fermale qua.” rise lasciva mostrando la lingua biforcuta; si avvicinò alla donna, ferma e neanche intimidita dal demone orribile che si trovava davanti. “Non come non sei stata capace tu fino adesso.”
“Ma di cosa stai parlando!?”
“Mia non ci hai mai ostacolate! Non potrebbe!”
“Lei ci ha sempre aiutate e sostenute!”
“È dalla nostra parte!!”
Ginny, Selena, Sue e Sonny si fecero avanti, parandosi tra Mia e il demone.
La figlia di Zeus fece un ulteriore passo avanti, digrignando i denti. “Tu non sai niente di lei.”
Il demone rise fragorosamente, così forte da far tremare le mura ed il pavimento.
Aurea fece un passo indietro e si voltò, coprendosi la bocca con le mani.
“Accettiamo quest’ultima prova!” si fece ancora avanti Sonny.
La cacciatrice si rese conto di quello che stava facendo: rideva. Rideva come il demone.
“Benissimo …”
Mia la osservava, alle sue spalle.
“La prova è semplice.” il demone le guardò per bene una ad una. “Dovrete confezionare un vestito.”
Gli occhi della figlia di Afrodite si illuminarono come fossero due diamanti.
“Ma ci sono due condizioni!” alzò il grande dito indice. “Non potrete uscire da questa stanza per nessun motivo e …” sorrise. “ … dovrete farlo con un tessuto immortale.”
Le ragazze si guardarono attorno: c’era solo lana, giganteschi mucchi di lana, niente più.
Il demone si avvicinò alle finestre in fondo alla stanza. “Sapete, la stessa Psiche mi ha procurato quella lana tanto tempo fa, ma, in tutti questi anni sono riuscita solo a filarla e non ho più l’età per usare ago e filo.” si voltò nuovamente e mentre parlava si avvicinò ad un mucchio più piccolo degli altri, coperto da un telo di lana grezza. “Non vorrei sprecare tutto questo tessuto di lana d’orata!” e lo scoprì.
A terra era stato ripiegato ordinatamente un enorme telo d’oro che brillava e riluceva nonostante la poca luce nella stanza. I suoi riflessi rapirono subito lo sguardo di tutte le presenti.
“ lo faccio io!” scattò Ginny.
Il demone rise. “Che giovane caparbia! Come ti chiami?”
“Guenevre Boutè!”
“Perfetto piccola Boutè! A te i macchinari ma solo tu potrei usarli!!” schioccò le dita e dal nulla, in una nuvoletta di fumo, comparvero un grande tavolo con una macchina da cucire, forbici, nastri, aghi, spilli e fili di ogni genere.
“Avete un giorno!” poi il demone scomparve lasciandole nella semi oscurità, chiuse in quella stanza dove si reggeva un precario equilibrio di forze.
Aurea rimase da un lato e Mia da un altro, sempre opposte: la ragazza dai capelli biondi e la donna dai capelli corvini, si osservavano a vicenda, cercando di capire le rispettive mosse e di prevedere quale sarebbe stata quella più adatta alla situazione. Nessuna delle altre sembrava accorgersi della situazione.
Ginny stava osservando il tessuto di lana dorata. Lo misurò e ne considerò la consistenza poi scelse ago e filo adeguati, e anche qualche cambio in caso di bisogno, poi osservò una ad una le persone presenti nella stanza. “Ho bisogno di qualcuno che mi faccia da modello.”
Si guardarono tutte le une con le altre.
La ragazza continuò. “Se il vestito è per quella donna dovremmo scegliere la persona che le somiglia di più come corporatura.”
Allora tutti gli sguardi si posarono su Selena alta quanto la signora demone, prima della trasformazione ovviamente.
La figlia di Zeus rivolse a tutti uno sguardo sconcertato. “Mi fate rimpiangere Fran.” disse mentre alzava le braccia per consentire all’amica di prendere le spalle.
“Prenderò uno o due centimetri in più così il vestito starà sicuramente bene a quella cosa!” era un po’ arrabbiata.
“E noi che facciamo?” chiese Sonny che non riusciva a restare ferma per più di qualche minuto.
Ginny la guardò. “Non lo so, ma ci dobbiamo rimanere un giorno qui … anzi … datemi una mano o non riuscirò a finire in tempo.” era già assolutamente presa dal lavoro e dava direttive e ordini.
“Ha detto che questa è l’ultima prova.” osservò Selena.
“Sì … effettivamente questa era l’ultima prova anche per Psiche, giusto?”  chiese Sonny mentre reggeva una parte del tessuto per consentire a Ginny di ritagliare la parte che le serviva.
“Non esattamente. Sembra che tutte le prove che abbiamo dovuto affrontare siano già state affrontate.”
diede voce al suo pensiero Sue. “Come se noi stessimo proseguendo il cammino di Psiche. Però lei affrontò quattro prove, questa per noi è solo la terza.”
“Ce ne sarà un’altra allora?” chiese ancora Sonny.
“No.” Aurea si mosse dalle finestre. “L’ultima prova di Psiche consisteva nel prendere il Vaso del Sonno eterno da Persefone, ma quello ce l’ha già Fran e lo ha anche aperto.”
Rimasero in silenzio.
“Stai dicendo che se non riuscissimo a liberarla dall’Ade, lei resterebbe sempre là a … dormire?” la voce di Selena era preoccupata.
Aurea pensò che forse se continuava a parlare di Fran sarebbe riuscita a slegare le amiche dalla presa psicologia che Mia aveva posto loro. “Sì, eternamente addormentata da qualche parte nel Tartato. E quando morirà è probabile che la sua ombra resterà là senza riuscire a trovare una sede. È come non essere mai esistiti.”
“Momentaneamente però non sa quello che sta accadendo. Non si accorgerà del tempo che passa.” intervenne Mia. “Abbiamo tempo.” continuò guardando Aurea dritta negli occhi. “Non possiamo permetterci di rischiare neanche minimamente di correre un qualche pericolo.”
La cacciatrice si trattenne a stento dall’urlarle in faccia quanto le faceva schifo il suo essere. Non reggeva più quegli atteggiamenti e, adesso, il danno era fatto: non era più una persona che doveva solo svolgere il suo compito, stava diventando piano piano, nelle menti delle ragazze, una specie di capo, la loro guida … loro madre.
Si voltò di scatto e tornò alle finestre. La rabbia le stava facendo esplodere le tempie, il sangue le rombava nelle orecchie e gli occhi le pizzicavano. In quel momento era sola. Poggiò la testa sul vetro freddo e cercò di restare calma. Si straniò del resto del gruppo e, sconvolta da quello stato di semi-lucidità, iniziò a pensare ad un piano.
“Ahi!”
“Scusa scusa! Ma se riuscissi a stare ferma, magari non ti bucherei così spesso!”
“Sono iperattiva per la miseria! Potrò essere agitata?!” Selena aveva la voce un po’ più alta del solito.
“In questa situazione poi vorrei ben dire.” Mia le stava accanto, le posò una mano sulla testa e la accarezzò un attimo.
La figlia di Zeus si voltò e le sorrise grata.
Dopo qualche ora Ginny batté forte le palme delle mani sul tavolo facendo girare tutte. “Non ce la faccio più!” e crollò a sedere sul posto.
Sonny rise un attimo e piano, per non farsi sentire e non beccare qualche rimprovero. Mia comunque le rivolse uno sguardo più che eloquente e la ragazza non poté non abbassare lo sguardo dispiaciuta.
“Su, piccola. Se sei stanca non ci sono problemi. Come ho detto non c’è fretta: riposati e riprenditi.”
Ginny scosse la testa, un movimento tra l’oscillare e l’annuire. “Ma dobbiamo rimetterci in viaggio in fretta e …”
Le prese il volto tra le mani. “No, no. Non ti devi preoccupare o non riuscirai mai a tornare in forze.”
La mora ripropose il gesto con le mani in grembo, erano intorpidite e con qualche puntura d’ago qua e là; anche gli occhi le facevano male. Li chiuse e dopo poco si addormentò poggiata alla donna.
Sonny ancora non riusciva a star ferma e giocava a morra cinese con Sue e perdeva sempre.
“Rinuncio! Hai vinto!”
“Wow … è la prima volta da anni che mi lasci vincere.”
La figlia di Apollo si sdraiò a terra. “Basta!” sussurrò.
L’amica rise.
C’era un’atmosfera tranquilla, come se non fossero state rapite da un demone enorme e nessuno stesse per morire. Dopo poco si erano quasi tutte addormentate.
La cacciatrice tentava di restare sveglia ma c’era qualcosa nell’aria, una specie di torpore, che le offuscava la vista e le faceva girare la testa. In breve si addormentò anche lei.
Ginny era seduta al centro di una stanza buia. Sentiva intorno a se dei sibili contorti e striscianti che si insinuavano nella sua testa infilandosi nella sua mente nonostante la sua resistenza. Lentamente iniziò a girarle la testa ma non avrebbe saputo dire se era solo una sensazione o se tutta la stanza si stesse muovendo davvero. All’improvviso qualcosa brillò nel buio: degli occhi assolutamente celesti la scrutarono dalle ombre. Poi la luce, accecante. Cinque sagome scure davanti a lei, apparse dal nulla, si squagliarono. Del sangue, più avanti, un corpo a terra …
Aurea era in piedi con l’arco teso in mano. Tremava, non le capitava più da quando Artemide le aveva insegnato a tenerne uno in mano. Ma la scena davanti a lei era raccapricciante. Le sue amiche erano a terra, le ferite erano profonde, artigli spessi, gli occhi vacui, inespressivi, morti. Dietro di loro una figura alta si stagliava contro la luce del sole: aveva la testa inclinata di lato e si leccava le labbra. Era enorme. Prese a pulirsi le mani artigliate.
“Non ci sei riuscita.” disse gorgogliando nel sangue che le scendeva in gola. “Sono state un ottimo pasto.” si concentrò su di lei. “Ma con te non ha funzionato niente, dico bene?” guardò, godendoselo, lo spettacolo sotto di lei. “La carne non è buona se non c’è fiducia …” le parole sfumarono in un ringhio.
La cacciatrice scagliò la freccia nello stesso istante in cui la creatura scattò.
Si svegliò di soprassalto con gli occhi sbarrati e il gelo nelle vene. Era buio ma vedeva distintamente, alla luce della luna, Mia fissarla inespressiva. Non posso permettermi di farmi trovare vulnerabile e finché io sarò vigile non potrà attaccare neanche le altre …
Poi notò che Ginny era nuovamente all’opera. Ora stava passando i pezzi di tessuto sotto la macchina da cucine, sembrava a buon punto. Aveva il volto concentrato e straniato dalla realtà, ma una cosa la cacciatrice la capì: era terrorizzata.
“Ho finito!” la sua voce trillante svegliò tutte le altre che il sole era appena spuntato dal mare piatto come una tavola.
“He!? Non stavo dormendo!” scattò subito Sonny con un colpo di reni incredibile.
“Ma sta zitta …” le fece Sue molto più realista e impastata dal sonno.
“Selena, devo vedere se tutte le cuciture tornano, se sono adeguate e controllare che siano resistenti. Altrimenti tutto il lavoro che ho fatto sarà inutile!”
La mora si alzò barcollando e alzò le braccia.
“Guarda che non lo puoi mettere indossando la felpa …” le fece notare la nera.
“Ah …” fu la risposta ad occhi chiusi.
Con un po’ di difficoltà riuscirono a far indossare il capo alla ragazzina e a svegliarla del tutto.
“Incredibile!!! È spelindo! Wow! Ma come hai fatto! Caspiterina!”
“Sì, ho capito! Commina! Devo vedere come si muove.”
L’abito era perfetto: le maniche leggere erano a sbuffo, alle spalle i ricami facevano si che si creassero increspature nel tessuto dorate che scintillavano anche con quella pochissima luce mattutina come se fossero colpite dal sole d’agosto, la gonna calava fino a terra con un cortissimo strascico che rendeva tutto più elegante e principesco.
La figlia di Afrodite sorrise. “Possiamo chiamare quel demone di vecchietta.”
Mia schioccò le dita.
Da una nuvoletta di fumo grigio spuntò l’anziana signora che le aveva accolte nel suo bazar solo qualche ora prima, non aveva l’aspetto del terrificante demone che aveva imbastito quella prova.“Sì?” gracidò.
“Ho finito.”
La donnina si voltò verso Selena che mostrò l’abito sfavillante in tutto il suo fulgore. Inclinò la testa prima da un lato … poi dall’altro. “Be’ …” si raddrizzò con la schiena e il suo corpo iniziò a mutare, le squame presero il posto della pelle e le zanne quello dei denti.
Sonny, Sue e Aurea si frapposero, armi in pugno, tra il demone e le altre, pronte allo scontro.
Ma Ginny fece un passo in avanti. “No, questa cosa la risolvo alla Boutè.” avanzò tra le amiche armate. “Forse non è di tuo gradimento!?” dalla voce si capiva che era furiosa, gli occhi le lampeggiavano come fossero stati quelli di un diavolo reincarnato.
Il demone ebbe un tentennamento poi allungò una gigantesca mano verso di lei. “È questa la forma che per contratto devo assumere per concludere … un ottimo affare!”
E la gracilina figlia della dea dell’amore strinse la mano ad un demone di vecchietta, o forse sarebbe meglio dire che il demone le strinse un braccio e la scosse su e giù per qualche secondo. Poi ci fu una festa in cui la donnina, nuovamente umana, indossò l’abito. Le calzava a pennello, nonostante fosse comunque assolutamtne ridicola con un abito tanto elegante addosso, le misure erano perfette, Ginny ci aveva visto lungo scegliendo Selena come modello. D’altronde la ragazza dai capelli caramello non fu lusingata dalla cosa, ma era felice che tutto fosse andato per il meglio e che adesso potevano tornare tutte alla nave, cariche di cibo, e, anche se stanche morte, insieme come una famiglia.
La bionda cacciatrice era in coda, pensava: niente le risultava adatto per sconfiggere quella donna.
Solo forse una cosa.
Lentamente formulò quel pensiero quasi inconsciamente: avrebbe dovuto uccidere Mia.




Gestazione lunga per scelte difficili: ora siamo agli sgoccioli, nel prossimo capitolo succederà la cosa che molti sperano! Credo ... fate un po' voi!
Dopo un Filler caotico e ssolutamnte surreale, anche per questa storia, un po' di sangue ci voleva e avverto: più sono cattiva con i personaggi più scrivo bene perciò ...
^^   grazie per aver letto e se faccio qualche casino avvertitemi che sono molto distratta in questi giorni!   @o@  

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Capitolo 36
*** Sono tutti morti ***


Ora volevo aspettare e finire di scrivere il resto prima di pubblicare questo però non ho resistito ...



La nave dondolava tra i flutti agitati. Era notte fonda. Mancava poco all’attracco a New York.
Aurea era rimasta sveglia, seduta a sul legno freddo a fissare il corridoio buio e deserto. Come aveva immaginato nessuno mise piede fuori dalla propria cabina, né nessuno vi rientrò. A quel punto i suoi dubbi si dissolsero come nebbia. Il piano era quasi pronto, sperava con tutta se stessa che Mia cascasse nella sua trappola … e se non fosse successo? Cosa sarebbe capitato se avesse capito le sue intenzioni prima che riuscisse a preparare tutto?
Scosse la testa con energia, non doveva farsi prendere dal panico e crearsi un piano di riserva. Era comunque in vantaggio sull’altra: non le era entrata in testa almeno.
Si alzò in piedi, prima di fare qualsiasi altra cosa, doveva accertarsi che fosse tutto vero. Arrancò dondolando seguendo i movimenti della caravella e raggiunse la prima porta. Posò una mano sulla maniglia e aprì decisa.
Una cabina arredata, nella penombra si distinguevano poche cose: qualche gioco, un coniglietto di pezza accasciato a terra. Tutto era ricoperto da uno spesso strato di polvere. Chiuse la porta in fretta. E controllo anche le altre, sulla scrivania della terza c’era un quaderno con tanti disegni colorati, disegni di bimbo, composti da soli, casette, alberelli e una famiglia felice, cinque bambini e una madre.
Uscendo dall’ultima stanza Aurea scivolò a terra coprendosi gli occhi con i dorsi delle mani, cercando di evitare di piangere. Capiva ma non poteva permettersi di provare pietà. Ma una sensazione di pesantezza le si ancorò alle membra, così decise di tornare nella sua cabina e tentare di riposare prima dell’attracco.
La Dear Dafne arrivò al porto di New York e si nascose dietro una vecchissima nave cargo, sembrava che non la usassero da abbastanza tempo per essere ignorata ancora qualche giorno. Sul ponte c’era fermento preparativi per la cena della sera, addobbi e festoni.
Il clima era più caldo in quella parte di mondo, Mia si era cambiata ed il suo vestitino di seta blu notte aleggiava leggero nella brezza un po’ maleodorante del porto, ma a nessuno sembrava importare un gran che (soprattutto dopo che Zefiro si premurò di far muovere i venti per tenerlo lontano). La donna osservò per qualche minuto le ragazze che si affaccendavano qua e là per pulire, poi prese fiato e parlò: “Siamo proprio a buon punto, però devo scendere per procurarmi alcune spezie che mi servono per fare il curry. Chi vuole venire con me?”
Prima che chiunque tra le quattro mezzosangue potesse rispondere, la cacciatrice salì le scale del sottocoperta. “Verrò io.”
Tutti i presenti sul ponte attesero delle spiegazioni, tanto era improvviso il cambiamento della ragazza.
“Be’ ecco …” iniziò fissando il terreno. “Non credo di essermi comportata bene con Mia in questo periodo, anzi con nessuna di voi e … e mi dispiace di tutto ecco.” sollevò lo sguardo portando le mani unite in grembo con l’aria veramente dispiaciuta.
Mia sorrise lievemente poi si mosse in fretta ed abbracciò forte Aurea che, piano piano, si sciolse e ricambiò.
“Finalmente, finalmente hai capito. Non voglio niente altro che il vostro bene.” le prese il mento tra le dita. “Vi voglio davvero bene.” e l’abbracciò ancora.
“Sì … sì.” annuì la ragazza.
Poi qualche lacrimuccia e qualche pacca sulle spalle Aurea riuscì a scendere dalla nave al seguito di Mia.
Il porto era pieno di persone, marinai e addetti alla sicurezza, non sembrano molto interessati ad una ragazzina e ad una donna con un abito più vistoso del normale, molto probabilmente la Foschia era molto forte, chissà cosa c’era a New York per renderla tale.
Non ci misero molto prima di riuscire a comprare tutto il necessario, Mia stava zitta ma canticchiava a bocca chiusa. Sembrava felice.
Aurea non capiva più perché si comportava come fosse un’altra in determinate situazioni: era quella la vera Mia? Quella che canticchiava beata in mezzo alla gente che non la degnava di uno sguardo? Oppure era quella dagli occhi senza iride? Cos’era? Chi era?
Ma lei lo sapeva. Sapeva tutto, impossibile non saperne avendo le conoscenze che aveva lei. Tuttavia vederla così felice, spensierata e indifesa, rendeva la cacciatrice confusa sulla sua vera identità.
La guardava ancora mentre pagava il commesso di un minimarket, mentre questo le faceva uno sconto enorme sorridendole come un beota, e lei gli sorrideva di rimando cortese e carina.
Possibile che lei non sapesse chi era?
Quando capì di essere osservata, la donna si voltò e sorrise anche a lei.
Non poté fare a meno di ricambiare.
Iniziarono a camminare dirette nuovamente verso il porto, a quell’ora del pomeriggio sembrava ci fosse meno gente in giro. Aurea iniziava a sperare di non arrivare mai alla Dear Dafne.
Doveva agire prima … di scatto si voltò verso un gruppo di container impilati uno sull’altro e vi girò intorno.
“Aurea che fai!?”le urlò dietro Mia.
Non sembrava averla seguita.
Prese un respiro profondo poi calciò con forza il container dietro al quale si era fermata. Il colpo produsse un rumore alquanto sinistro.
Sentì Mia emettere un gemito di paura poi iniziava a correre nella sua direzione.
Aurea iniziò a correre ancora, doveva trovare un punto adatto per il suo piano, corse a perdifiato sempre con la donna che la seguiva, poteva sentire anche il suo respiro veloce e spaventato.
Si fermò guardandosi intorno: era al centro di uno spiazzo abbastanza grande, a destra e sinistra i container color ruggine erano abbastanza alti da evitare che ci si potesse arrampicare sopra con facilità, davanti a lei si stendeva il mare, nessuna recinzione, nessun parapetto per evitare cadute in acqua. “Trovato …” mormorò mentre cercava di riportare il respiro alla normalità.
Poco dopo di lei arrivò Mia paonazza per l’affanno di una corsa a cui non era abituata da molto tempo. Non aveva più le borse del minimarket, doveva averle gettate a terra per inseguirla, gli occhi erano sgranati all’inverosimile colmi di terrore. Stava per piangere.
“Mia! Sono qua!” urlò la cacciatrice.
Stava fingendo. Era ovvio. Non poteva che essere così … ma nessuno poteva fingere una paura così forte e viscerale.
La donna si voltò e la spuntare da dietro una pila di casse di legno con l’arco in pugno ed una freccia incoccata, tesa fino allo spasimo.
“Aurea … cosa … cosa stai facendo?” chiese con il fiatone.
“So chi sei e non posso … non posso lasciarti tornare alla nave!”
“Ma di cosa stai parlando?! Non capisco!”
“SMETTILA DI MENTIRE!”
Adesso tremava, era lei ad avere il fiatone. Davvero? Davvero non lo sapeva?
Iniziava a crederlo.
Mia fissò il cemento sotto di lei. “Bene, quello che vuoi fare è solo proteggere le tue amiche. Lo capisco, io farei lo stesso per i miei figli e anche per loro.” rialzò la testa. Sorrideva. “Capisco.” era calma mentre alzava le braccia e si mise in attesa del colpo. “Fa quello che devi fare.”
Aurea iniziò a piangere. “Mia … i tuoi figli … non sono sulla nave.” deglutì rumorosamente per tentare di sciogliere il nodo che le si era formato in gola. “Loro … sono … sono morti.”
Fu un attimo.
Un fortissimo colpo a torace ed addome la fece schiantare contro le casse dietro di lei mandandole in mille pezzi, le schegge la ferirono ricoprendola di tagli. Poi avvertì qualcosa le perforava una spalla e l’aria che le si era bloccata nei polmoni uscì con un urlo disumano.
“Se i miei figli sono morti allora anche tu devi morire.”
La cacciatrice mise a fuoco la creatura che ancora la teneva inchiodata a terra: il busto di donna si allungava da una squamosa coda di serpente che terminava con un sonaglio, le braccia coperte da una pelle ruvida e coriacea terminavano con enormi mani artigliati.
Afferrò quello che le trapassava la carne e tentò di sollevarlo ma sembrava pesare quanto una tonnellata.
La ragazza alzò lo sguardo sul volto dell’avversaria: era Mia, era ancora lei, i tratti del viso, i capelli … la pelle però era diventata come quella sul resto del corpo, squamosa e ruvida … poi gli occhi. I suoi occhi mancavano dell’iride, erano completamente bianchi, si vedeva solo la pupilla rimpicciolita all’inverosimile.
Aprì la bocca nel tentativo di recuperare ossigeno e di parlare.
La donna serpente inclinò la testa. “Vorresti dire qualcosa?” avvicinò il volto a quello della ragazza. “Non credo che tu ne abbia il diritto …” le sussurrò nell’orecchio.
La sollevò da terra e la lanciò contro i container con una forza inaudita, accartocciando la lamiera come fosse fatta di carta.
La cacciatrice rotolò a terra e iniziò a respirare a grandi boccate; teneva stretto in mano ancora l’arco. Si rialzò a stento poggiando la schiena al muro di ferro dietro di lei. Estrasse una freccia ma spezzata a metà, la punta giaceva in fondo alla faretra, allora si mise a cercarne una che non si fosse rotta durante i due impatti.
Nel frattempo Mia la osservava divertita, sembrava non vedesse l’ora di mangiarla ma al tempo stesso volesse godersi fino all’ultimo la sua agonia ed il suo terrore. La spingeva verso l’acqua, Aurea non poteva fare a meno di indietreggiare.
La ragazza riuscì ad incoccare una freccia, tremava tutta, doveva essersi rotta qualche costola, sperava solo che non le perforassero i polmoni.
“Cattiva idea affrontarla da sola.” disse Mia al suo posto. “È quello che stai pensando … non è così?”
Non rispose, la fissava e basta da dietro la punta della freccia.
Sapeva quanto era veloce ma si immaginava anche che tutta quella velocità era a discapito della sua precisione. Doveva attendere solo il momento più opportuno.
La donna serpente inclinò nuovamente la testa poi scattò.
Aurea scoccò.
Mia vide la freccia dirigersi precisamente contro la sua testa, scartò di lato, la evitò, sentendola fischiare vicinissima al suo orecchio sinistro, e cambiò la sua azione, colpendo con la coda l’avversaria.
Il corpo della cacciatrice volò in acqua, quasi non avesse peso.
La vincitrice dello scontro lo osservò mentre affondava. “Peccato.” sollevò l’artiglio con il quale l’aveva ferita e ne leccò il sangue. “Sembrava deliziosa.”
Avvertì qualcosa di caldo che le colava lungo la guancia. Se la sfiorò con il dorso della mano e se la portò sotto gli occhi: sangue. Ringhiò.
Guardò le onde tra le quali era scomparso il corpo. “Meglio così.” grugnì.
E strisciò via.




Scusate scusate scusate, chiedo immensamente perdono per la mia assoluta mancanza di costanza. PERDONO!!
 

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Capitolo 37
*** Lo scontro sulla nave ***


Mentre scrivevo sono impazzita, quindi fatemi sapere se ho scritto delle oscenità di cui non mi sono resa conto, grazie.



“Dove diavolo son finite quelle due?” Sonny era a prua e osservava il molo di cemento e la strada tra i container che avevano preso Aurea e Mia.
“Oh, vuoi stare tranquilla?” fece Ginny stesa su una sdraio.
“Ora arrivano, magari Mia non ha trovato le spezie alla prima e hanno girato mezza città per trovarle.” tentò di intuire Sue.
“Ce la vedo.” rise Selena.
Il sole superò completamente l’orizzonte.
Un ombra superò un container e si accasciò al suolo, qualcosa cadde tintinnando.
Sonny trasformò i suoi anelli in asce e iniziò a scendere lentamente la passerella.
“Quella è …” iniziò Ginny.
“È Mia.” disse la figlia di Zeus sporgendosi dal parapetto.
Anche Sue aveva seguito l’amica giù dalla nave e, insieme, si dirigevano verso la donna stesa a terra.
La nera si mise in posizione di difesa sulla piccola strada mentre la bruna aiutava Mia a rialzarsi.
“Cos’è successo?” le chiese.
“Siamo state … attaccate.” la donna posò i suoi occhi celesti su due pezzi di legno chiaro tenuti insieme da una sottilissima corda che con quella poca luce non si vedeva praticamente più.
“L’arco di Aurea.” grugnì Sonny.
Sue tirò in piedi Mia e la aiutò a salire sulla nave.
“Sei ferita?” chiese Ginny quando vide il graffio sulla guancia della donna.
“No, sto bene.” si sedette su una delle sdraio del ponte. “Solo che non sono riuscita a …” non riuscì a finire la frase, fu interrotta da un singhiozzo, poi iniziò a piangere.
“Aurea è …” cercò di formulare Selena, senza riuscirci.
Mia annuì. “È riuscita a farmi fuggire, a salvarmi. Ma lei non ce l’ha fatta.”
Sonny conficcò nel legno una delle sue accette con tutta la forza che aveva. “Chi vi ha attaccato?”
“No-non lo so.” scosse la testa. “Era un mezzo serpente. Aveva … aveva il busto umano e il resto del corpo era quello di un grosso serpente, con agli artigli, le zanne e ... e … non so, Aurea mi ha detto di scappare, pensavo mi seguisse!”
“Echidna? Ma l’abbiamo uccisa.” pensò Sue.
“Non avete detto che si riformano nell’Ade e ritornano?” chiese Ginny.
“Sì, ma è troppo presto.” continuò sua cugina.
“Non mi interessa, andiamo a prenderlo. Facciamogliela pagare.” ringhiò la nera riprendendosi l’arma.
“NO!” scattò in piedi Mia. “No, vi prego. Non lo fate.” afferrò Sonny per le spalle e la fissò negli occhi attraverso le lacrime. “Non sopporterei di perdere anche voi così. Non lo fate. Dobbiamo cercare aiuto.” scosse forte la testa. “Vi prego.”
La figlia di Ermes la fissò poi distolse lo sguardo da quel volto rigato dalle lacrime. “Va … va bene.”
“Grazie …” scivolò a terra la donna. “Grazie.”
Il silenzio che seguì quella scena si riempì piano piano dei singhiozzi e del pianto i tutte. Solo Sonny non pianse, fece solo tornare le accette due anelli, le mani strette a pugno lungo i fianchi.
“Mia, adesso dovresti andare a riposarti.” si riscosse Sue. “Ci penseremo noi alla cena stasera. Non dovrai preoccuparti di nulla.”
“Sì.” concordò Selena. “Sulla nave non corriamo pericoli di alcun tipo, stai tranquilla.”
Mia annuì piano, quasi non capiva più cosa le stava accadendo intorno e si fece portare in camera sua.
“Pensate che dovremmo svegliare i suoi figli? Per dir loro … cosa.” Selena si asciugò una lacrima. “Cosa è successo?” chiese una volta che furono tornate sul ponte.
“No, hanno lavorato duramente per portarci fino a qui. Prepareremo qualcosa in più per loro poi Mia saprà che fare.” pianificò Sonny.
Nessuna controbatté.
“Io vado a preparare la cena … hem …” Sue si passò una mano tra i capelli e si avviò sottocoperta.
Selena e Sonny fecero per seguirla, ma la figlia di Zeus si fermò. “Ginny, tu non vieni.”
La ragazza sollevò lo sguardo dalle assi di legno. “Arrivo tra poco, sì … arrivo.”
Annuirono e scesero.
La mora restò per un po’ ad osservare la luce che abbandonava definitivamente il mare, lasciando il posto alla notte. Ripensava al sogno che aveva fatto in Nuova Scozia: il corpo a terra, circondato dal sangue … possibile fosse …
Scosse la testa, scacciando il pensiero. Si risistemò i capelli velocemente, infine si alzò per andare ad aiutare le amiche. Il suo sguardo si posò su Zefiro, il dio non si era mosso dalla torretta della caravella, neanche dopo ciò che aveva visto. Adesso i suoi occhi erano su Ginny e la osservavano severi. Lei mantenne lo sguardo finché non entrò nella porta del sotto coperta.
“Tsk, tutta sua madre.” rise l’altro.

Alla fine la cena fu portata in tavola che era notte fonda. Non sembrava che qualcuno avesse molto appetito per cui nessuno se ne lamentò. Sonny pensò che sarebbe stato carino allestire il tavolo sul ponte e mangiare al lume di candela; non faceva freddo quella sera, l’estate ormai era praticamente cominciata, quindi non ci furono opinioni opposte.
Mia si sedette a capotavola, aveva gli occhi gonfi e rossi, doveva aver pianto anche dopo che l’avevano lasciata da sola.
Mangiarono in silenzio.
Quando arrivarono alla seconda portata, quiche di formaggio, spinaci e cime di rapa allo zafferano, la donna alzò lo sguardo su Sue e disse: “Sei migliorata molto in questi giorni, sai.”
“Davvero?” chiese conferma la ragazza, lusingata e un po’ arrossita.
“Sì questa torta è fantastica.” le sorrise in risposta.
“Grazie.” la imitò la figlia di Dioniso.
Anche le altre non poterono fare a meno di fare dei timidi sorrisi.
Finirono di mangiare scambiandosi discorsi semi sussurrati.
Poi Mia si alzò in piedi con il bicchiere in mano. “Ragazze ringrazio gli dei che siate qui in questo preciso momento.” sospirò profondamente. “Non riesco ancora a credere a quello che è successo oggi, sembra tutto così irreale e assurdo. L’unica cosa di cui mi posso rallegrare è che almeno voi … voi siete qui.” due lacrime le solcarono il volto, facendola sembrare al tempo stesso più giovane e più vecchia, con le guance un po’ scavate e gli occhi stanchi. “Vorrei brindare ad Aurea.” sollevò in alto il bicchiere colmo di vino. “Se non ci fosse stata lei, sarei morta anche io oggi. La ringrazio e le auguro i Campi Elisi.”
Le ragazze si alzarono anche loro sollevarono i bicchieri.
“Ad Aurea.” fece più forte Mia.
Qualcosa volò brillando sopra il tavolo e colpì frantumando il bicchiere, i pezzetti di vetro tintinnarono a terra.
“Grazie, ma non ce n’è bisogno.”
Si voltarono tutte a prua: Aurea era in piedi sul parapetto di legno, il braccio destro lungo il fianco con la spalla abbassata, aveva un pugnale nella mano, la sinistra era sollevata, ne aveva appena lanciato uno.
“Adesso allontanatevi da lei, è pericolosa.”
Rimasero tutte immobili.
“Aurea … cosa stai dicendo?” iniziò Sue.
“Mia ci ha detto cosa è successo, siete state attaccate e …” prese parola Sonny.
“No.” la interruppe la cacciatrice. “È stata lei ad attaccarmi.” non distoglieva lo sguardo dalla donna dai capelli neri. “Non ha detto la verità … o almeno non tutta.”
Mia non sollevava lo sguardo dai frammenti di vetro a terra, sembrava come in trance, gli occhi vacui.
“Mia ...” tentò di chiamarla Ginny, che le era seduta accanto.
Nessun movimento.
“Non è il suo nome.” Aurea fece un passo avanti, saltando giù dal parapetto, e prese il coltello dalla mano destra con la sinistra.
“Il tuo braccio …” Selena aveva gli occhi sbarrati, totalmente incredula alla scena che le si presentava davanti. Istintivamente si portò una mano allo stomaco: avvertì qualcosa di circolare e duro nella tasca della felpa, era la dracma d’oro che aveva trovato neanche un mese prima sul suo cuscino, sembravano passati anni; non ce l’aveva messa lei lì.
La cacciatrice fece un altro passo avanti. “Ho capito chi sei, Mia … no …” deglutì rumorosamente. “So qual è il tuo vero nome.”
Sembrava spaventata da qualcosa, aveva timore di finire quella frase.
“Lamia.”
Un pesante silenzio schiacciò tutte le presenti.
Solo il dio del vento d’ovest sembrava al di fuori degli avvenimenti che gli stavano avvenendo sotto gli occhi cerulei.
Lentamente la donna alzò gli occhi sulla ragazza, così anche le altre poterono vedere gli occhi che Aurea aveva già visto. Bianchi all’inverosimile, avevano solo la pupilla, centrale,  ridotta ad un punto.
Il suo corpo fu scosso da forti tremori; si piegò in due.
Selena e Ginny, le più vicine, iniziarono a indietreggiare, fino quasi ad arrivare al parapetto ai lati della nave.
Il tavolo fu sbalzato via, le candele caddero a terra sul telo che avevano usato come tovaglia che prese fuoco velocemente, facendo attecchire le fiamme anche al legno del ponte.
Aurea non si era mossa, sapeva che attaccare in quel momento sarebbe stato stupido, non potendo prevedere le reazioni dell’avversaria. Ma temeva anche per le compagne, troppo vicine alla fiera. “Allontanatevi, ragazze! Avanti!!” urlò loro.
Ma non sembrava che la ascoltassero. Al contrario non sembravano davvero spaventate da ciò che stava accadendo.
“Che state facendo!? Venite via!”
“Aurea smettila! Non vedi che Mia sta male!?”
La cacciatrice rimase spiazzata dalla risposta.
Era stata Sonny a parlare, accanto a lei c’erano anche Sue e Selena. Ginny era poco più in là, troppo distante per riuscire a tirarla verso di sé.
Nel mezzo le fiamme continuavano a divorare le assi del pavimento.
“Ragazze, cosa state facendo?”
“Non lo vedi? Loro si fidano di me.”  Lamia si alzò per tutta la lunghezza del suo busto di donna più buona parte della coda da serpente, il sognalo in fondo oscillava tintinnando e sibilando. “Sono sempre stata loro vicina, come potrebbero non esserlo?” il volto sfigurato di Mia si inclinò verso quello di Sue e le accarezzò una guancia con il dorso della mano. “Se solo anche qualcun altro lo avesse fatto.” fece scivolare giù gli artigli ferendo il volto alla figlia di Dioniso che però non si mosse.
“Cosa hai fatto loro?!”
“Incredibile come la tua dizione diventi meno moderna quando sei agitata.” le rise in faccia Lamia. “Io sono una madre, come tale …” posò una mano sulla testa di Sonny, con fare protettivo. “ … ho aiutato le mie figlie a superare i loro traumi, così hanno riconosciuto in me qualcuno su cui poter contare, qualcuno di presente. Si sono fidate e adesso sono mie.”
La cacciatrice aveva i brividi tutte le volte che l’altra toccava le sue compagne, un solo movimento e avrebbe potuto ucciderle in ogni modo.
“Sei sola … Aurea anche tu. Hai perso tutto.” strisciò avanti la donna serpente. “Ti conosco, prima hai abbandonato la tua vita per inseguire l’amore, e sei stata abbandonata; tua sorella è stata rapita e ora … ora le tue compagne ti si sono rivoltate contro.” le si avvicinò senza fare rumore, evitando il fuoco a terra. “Ma potresti salvarti … se solo ti lasciassi aiutare.” era a pochi centimetri dal suo volto. “Da me.” la sua coda vibrava e il suono del sonagli era frastornante.
Aurea si sentì improvvisamente stanca: non voleva più combattere strenuamente senza sapere neanche se sarebbe sopravvissuta o meno. Tentare di contrastare l’avversario questa volta sembrava più difficile, era più forte di lei, aveva già avuto un assaggio di come sarebbe potuta morire. Il ricordo dell’acqua salata che le entrava nella ferita la fece sussultare, era stato un dolore incredibilmente acuto. Non voleva, non voleva in alcun modo rivivere una cosa del genere.
Guardò avanti, verso le sue amiche: erano ferme e la guardavano di rimando con gli occhi persi nel vuoto.
“Forse …” sussurrò.
Lamia inclinò la testa per sentire meglio.
“Forse potrei.”
Il sorriso mostruoso che solcò il volto della fiera era raccapricciante.
Aurea chiuse gli occhi per non vedere, sentiva però il respiro dell’altra e ancora il suono della sua coda.
“Ma preferisco di no.”
Sollevò di scatto il sinistro e lo conficcò con tutta la forza che aveva sotto la mascella di Lamia.
Lei urlò disumanamente per il dolore. Afferrò la cacciatrice per il braccio sano e la scaravento contro le assi di legno, che si incrinarono graffiando la schiena della ragazza.
Lamia continuava ad urlare per il dolore, il sangue le colava tra gli artigli con i quali si teneva lo squarcio, mentre Aurea si alzava tenendosi la spalla destra perché le si era riaperta la ferita.
La bionda avvertì un rumore di passi dietro di lei, si voltò di scatto appena in tempo per evitare un colpo di accetta di Sonny, che perse l’equilibrio e dovette allontanarsi con un salto.
“Dannazione!” mormorò la cacciatrice a denti stretti. Non immaginava che fossero sotto il suo controllo in questo modo.
Le fiamme erano diventate alte ed il fumo non le consentiva di vedere oltre il suo braccio steso. Avanzò lentamente, tenendo il coltello davanti a se, non avrebbe voluto combattere con le sue amiche ma doveva difendersi in qualche modo.
Un rumore a destra. Roteò su se stessa per schivare un fendente, era Sue con il suo bastone a doppia lama.
Ma la perse di vista in fretta.
“Per la misera!” fece un altro passo indietro. “Maledizione!” si abbassò per evitare un accetta volante.
All’improvviso andò a sbattere con la schiena contro qualcosa di duro, era arrivata sotto la torretta della nave. Si voltò: la porta di sotto coperta.
Riuscì ad entrare e a chiudersela dietro.
Un urlo disumano sconquassò l’aria.
Lamia era su tutte le furie, iniziò a cercare Aurea a colpi di coda tra le fiamme ed il fumo, che seguiva i suoi movimenti, non le interessava cosa colpiva, distrusse completamente il parapetto da babordo per poi ritrovarsi sui frammenti di ciò che una volta era il tavolo su cui avevano cenato. Avvertì un movimento alla sua sinistra, menò un altro colpo di coda e centrò il bersaglio.
Ginny fu scagliata contro l’albero maestro, sbatté la testa sul legno e si afflosciò a terra chiudendo gli occhi.
La donna serpente non capì quello che aveva fatto e continuò a infuriare sul ponte, fino ad arrivare sotto la torre di poppa. Vide la porta di sotto coperta chiusa, la perforò con gli artigli e la sradicò gettandola in acqua. Riconobbe l’odore del sangue fresco di Aurea, conduceva alle cabine di tribordo.
Quando entrò nel corridoio vide che solo le stanze di destra erano aperte, solo le camere dove dormivano i suoi figli. Vide roso: nessuno poteva disturbare il sonno dei suoi piccoli.
Aurea era nella terza stanza. Sapeva che Lamia la stava cercando ma aveva già trovato ciò che cercava. Fece sporgere di poco la lama del suo pugnale fuori dalla porta: non vide nessuno nel corridoio, doveva muoversi in quel momento o l’altra l’avrebbe presa.  Scattò fuori ma il fiato le si mozzò, le costole rotte le procuravano molto dolore, rendendola goffa e lenta.
Per questo Lamia la sentì e la vide passare davanti alla porta della camera in cui era. Fece saettare l propria coda e la afferrò per una caviglia.
Alla ragazza scappò un urlo tra il dolore e la rabbia.
“Sei mia!” sibilò la donna sollevandola da terra.
Aurea era tenuta a testa in giù, appesa per una gamba alla coda dell’altra, le era scivolato di mano il pugnale, o meglio: lo aveva lasciato cadere per non perdere ciò che adesso stringeva tra le braccia.
Anche Lamia se ne era accorta e la annusava come avrebbe potuto fare con del cibo. “Ti mangerò per prima, ho deciso. Per fortuna che non sei morta in mare, sarebbe stato un peccato perderti.” Gli occhi bianchi le brillarono famelici. “Ma prima, cos’hai preso dalla camera di mio figlio?”
La cacciatrice la colpì con il piede libero e la suola della sua converse si stampò sul muso della fiera, facendo schizzare il sangue della ferita alla mascella ovunque.
“Sei una ragazza davvero ostinata, ma sei anche giovane. Purtroppo per te però non potrai capire i tuoi errori. Morirai prima!”
“Ho più di ottant’anni, di errori ne ho capiti in notevole quantità.”
“Tu sei una stupida!” urlò Lamia, poi si innalzò sfondando il soffitto.
Aurea fu sbalzata in aria e ricadde al suolo tra fiamme e fumo. Sollevò la testa di poco, era intontita e non capiva dove si trovava di preciso.
Le fiamme avevano divorato quasi tutto e stavano aggredendo anche l’interno della nave; l’albero maestro era caduto di lato, ora era riverso per metà nell’acqua dell’oceano.
La cacciatrice si sentì tirare su da due paia di mani, ciò che era riuscita a stringere fino a quel momento le scivolò via. Si voltò per vedere che la sosteneva: erano Sonny e Selena, ancora con gli occhi vacui ed inespressivi. Accanto, Sue le puntava una lama alla gola.
Davanti le si parò Ginny, fissava quello che le era caduto.
Aurea tentò di divincolarsi ma le doleva tutto il corpo e il filo dell’arma della mora era molto fine, un rivolo di sangue le colò dal mento alla clavicola.
“Cos’è?”
La cacciatrice sollevò il volto verso l’amica.
Ginny la guardava negli occhi, una striscia di sangue le segnava il lato del volto dalla tempia al mento, macchiandole la camicetta, ma era lei. Era lei.
“Ciò che potrebbe salvarci.”
La figlia si Afrodite si spostò di lato quando sentì Lamia che si avvicinava, nascose le mani dietro la schiena.
“Dov’è?!” chiese urlando in faccia ad Aurea la donna serpente.
“Cosa?”
“LO SAI!” e caricò il colpo.
Ginny si intromise. “È qui!”
Lamia si voltò e vide che la ragazza teneva alta sopra la testa un orsacchiotto di pezza, fatto di stoffa scura, sciupato e rattoppato in più punti. “Volevi questo!?”
“LAMIA!” la chiamò ancora la cacciatrice. “Quello è tutto ciò che rimane dei tuoi figli!”
La fiera urlò al cielo, si prese la testa tra le mani e ruggì: “MENTI!”
“MIA! Tu mi hai colpito!” urlò più forte che poteva Ginny.
Il mostro si fermò, tremava. “No … no, non avrei mai … potuto …” sembrava la solita voce di donna che aveva avuto fino a quel momento.
La ragazza, con ancora il pupazzo in mano, fece un passo avanti. “Lo hai fatto. Guardami.”
Lamia abbassò lo sguardo su di lei e vide il suo volto e il sangue. Urlò ancora, molto più forte di prima. Era straziata dal dolore.
Aurea scivolò a terra, le altre avevano mollato la presa e Sue non teneva più alta l’arma.
“Cosa diavolo sta succedendo!?” chiese a voce molto alta Sonny.
“Aurea!” Selena si abbassò per riprenderla.
“Dobbiamo spostarci, se perde il controllo di nuovo ci ucciderà tutte prima di poter far qualcosa.” disse loro la cacciatrice.
Però mentre tentavano di spostarsi la coda di Lamia colpì la schiena della figlia di Zeus facendole cadere a terra.
Aurea si ritrovò di nuovo ad osservare il pavimento, poi vide brillare qualcosa poco distante dalla sua faccia: una dracma d’oro, sopra vi era inciso il profilo di un uomo. Ne aveva già viste di simili e riconosceva il volto: era Zeus. Un’idea folle e sconsiderata le balenò in testa. “Selena!”
L’amica la sollevò per la spalla buona.
“No, non devi pensare a me! Prendi quella dracma e lanciala verso Lamia!!”
“Cosa? La dracma?!” guardò avanti, era la sua, le era scivolata di tasca.
La prese, al tatto le sembrava calda e molto più leggera di quello che forse non era.
“Lanciala!!” le urlò ancora Aurea.
Lei non capiva ma si preparò a farlo.
Lamia ancora urlava come una pazza, sembrava spaventata da Ginny o da quello ciò che teneva in mano.
Selena non poteva credere a quello che stava accadendo, non capiva cosa era successo e come era potuto succedere. “Padre aiuto.” lanciò la dracma verso Mia.
Un fulmine si abbatté su di lei.
Una luce abbagliante costrinse tutte a distogliere lo sguardo e un fortissimo colpo fece tremare la caravella che, già mal ridotta com’era, non resse lo schiantò e si spezzò.
“VIA!!” urlò Sonny mentre si issava sulle spalle Aurea.
Poi tutte si gettarono in mare alla ricerca di un punto in cui salire a terra.



Pensavate fosse morta he!!!
Non potrei uccidere nessuno U.U ... non ancora ...

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Capitolo 38
*** Nuovo outfit in una soleggiata mattina a New York ***


Questo capitolo par più uscito da Leverage che da Percy Jackson!


I raggi del sole giunsero sulla spiaggia che gli abiti delle ragazze erano ancore bagnati. Si trascinavano affondando nella sabbia, sempre più ad ogni passo.
“Dobbiamo toglierci di qui.” Disse piano Sue osservando le ancora poche persone che facevano jogging sul lungomare.
“E dove andiamo?” chiese Selena sconsolata.  “Abbiamo anche lasciato tutte le nostre cose sulla nave.”
“Central Park …” sussurrò Aurea con un filo di voce.
Le altre la guardavano: era distrutta, aveva ferite ovunque e camminava solo perché Sonny la sosteneva.
“Ma non possiamo andarci così: è troppo lontano per far sì che la Foschia ci copra in modo adeguato.” Sue pensava velocemente.
“Hai già qualche idea?” chiese la figlia di Apollo.
La mora iniziò a guardare dall’altra parte della strada. “Trovato!” fece indicando una palestra già aperta in cui stavano entrando due donne sulla cinquantina.
“Bene, io e Aurea restiamo qui.” disse Ginny. “Siamo quelle che danno più nell’occhio con queste … ferite.” finì con una faccia decisamente disgustata dal sangue che aveva ancora sulla camicia.
“Sì.” concordò al figlia di Dioniso. “Andiamo.”
Attraversando la strada Sue spiegò il piano alle altre due.
“Ottimo!” convenne Sonny. “La prima parte la faccio io.” e corse avanti.
Entrando nell’edificio all’improvviso, colse tutti impreparati riuscendo a scavalcare il tornello in entrata, per quale sarebbe servita la tessera d’iscrizione alla palestra.
Da fuori si avvertì il trambusto dell’interno.
“Vado io ora.” disse Selena scivolando dentro all’apertura delle porta automatiche.
La reception era vuota, chiunque sarebbe dovuto esserci al momento era sicuramente dietro a Sonny; così nessuno la notò mentre cercava nel computer la lista dei clienti e la stampava, poi sgattaiolò via non vista proprio come era venuta.
“Ecco.” porse il foglio a Sue che attendeva poggiata al muro.
“Grazie.”
“Adesso non rimane che l’ultima parte del piano.”
“No, prima …” la ragazza fissava il foglio che aveva in mano concentratissima. “Devo capire per bene come si chiama questo tizio ...” la dislessia semidivina le invertiva la maggior parte delle lettere che le si presentavano.
Dopo all’incirca cinque minuti annuì convinta ed entrò.
Adesso alla reception c’era un ragazzo un po’ rosso in viso che cercava di risistemarsi la maglia, doveva aver rincorso Sonny per mezza palestra.
“Buongiorno.” salutò cordiale lei.
“S-salve.” aveva immediatamente notato il suo abbigliamento trasandato e l’evidentissimo fatto che era bagnata da capo a piedi.
Lei sorrise ancor più cordialmente di quanto un umano potrebbe fare.
“Hem … scusa, c’è stato un po’ di subbuglio poco fa e devo riprendermi.” tentò di spiegarsi annaspando un po’.
“Non ci sono problemi, le devo solo chiedere una cosa. Sono venuta qui per conto di mio zio Braham Smith …”
Il ragazzo si accigliò pensoso. “Abrham intendi?”
“Oh sì certo … quello … quello è il … il nome che gli ho dato io da piccola, che sciocca.”
Lui la fissò un attimo un po’ scettico.
“Comunque mi ha detto che non trova più la sua felpa preferita e che forse l’aveva lasciata qui, mi ha chiesto di vedere se c’era tra gli oggetti smarriti.”
“Quando l’ha persa?”
“Ah, non lo so. Non credo lo sappia neanche lui!” rise tentando di far calare la tensione che si era creata.
Lì per lì il ragazzo non fece una piega poi sorrise leggermente e sospirò. “Bene, vieni.” Prese un paio di chiavi dalla scrivania del computer e le fece segno di seguirla attraverso un corridoio alla sinistra del bancone.
Aprì la prima porta sulla sinistra e le mostrò una stanza con una serie di ceste in plastica di vari colori con sopra un cartello su cui probabilmente c’era scritto ‘Oggetti smarriti’.
“Grazie.” disse mentre si avvicinava al cesto più vicino.
“Figurati, non appena hai fatto potresti chiudere e riportare la chiave alla reception? Io dovrei andare a sistemare delle cose.” fece scusandosi prima di allontanarsi.
Sue non poteva sperare in qualcosa di meglio: rovistò tra gli abiti, la gente lasciava un sacco di cose in palestra. Trovò anche due zaini, uno nero e uno arancione, dove stipò le cose. Poi si voltò, nella stanza non c’era molto altro, qualche mobiletto pieno di quaderni ad anelli, cartelline e altre scartoffie; poi però trovò quello con le scorte per l’infermeria della palestra di fasciature e cerotti. Così ne ficcò alcune in una tasca laterale dello zainetto arancione e prese anche una boccetta di disinfettante.
Finito di razziare il posto, si affacciò cautamente nel corridoio: nessuno. Si chiuse la porta alle spalle e corse all’entrata. Prima vi svoltare per la reception controllò che il ragazzo non fosse ancora tornato, per sua fortuna era così. Schizzò via gettando in malo modo le chiavi sul banco.
Due minuti dopo era ansimante accanto a Selena e Sonny che le presero gli zaini.
“Hei questa roba è enorme.” si lamentò Ginny.
“O questo o vai in giro nuda.” le fece notare Sonny.
“Okey, okey ...”
Avevano trovato dei cabine aperte per i bagnati vicino ad un bar sulla spiaggia. Le due si parlavano attraverso la porta.
La figlia di Afrodite uscì rivestita, aveva una gonnellina bianca da tennista, l’unica cosa davvero decente in entrambi gli zaini, una T-shirt rossa enorme annodata all’altezza della pancia e una felpa, sempre bianca, più grande di lei di almeno due taglie sulle spalle. “Spero che almeno questi cosi che ho addosso siano puliti.”
“Sì, certo. Ho preso solo le cose pulite.” rispose Sue. Lei indossava una maglietta corta sformata con su scritto ‘NEW YORK GIRL’ in nero su fondo bordeaux sopra ad un paio di pantaloni da ginnastica neri, stretti il più possibile in vita dai lacci.
“Sempre meglio di niente.” concordò Selena mentre stacca un filo dai pantaloncini grigi che si era fatta tagliando un paio troppo lungo di una tuta da ginnastica con il coltello di Aurea. “Almeno la mia maglia mi piace.” sorrise, infatti era bene o male nel suo stile, di cotone leggero blu scuro con le maniche lunghe.
“Se dovesse farti caldo poi, puoi sempre usare nuovamente il coltello per modificare qualsiasi cosa.” fece Aurea seduta a terra con la schiena poggiata al muro della cabina. Si era disinfettata le ferite e, con l’aiuto delle altre, si era bendata e rivestita, adesso una grande camicia a scacchi verde copriva le fasciature e anche buona parte jeans da uomo.
Ginny intanto stava rovistando nuovamente tra i vestiti emettendo versi di disgusto ad ogni maglia XXL di colori improponibili che trovava.
“Che stai facendo?” la riprese Sue.
“Prendo un cambio anche per Fran.”
“E perché?” continuò Selena.
“È passata una settimana da che siamo partite, quindi è una settimana che lei indossa quei pantaloni neri e l’orrida maglia del Campo Mezzosangue!” mentre diceva questo ripiegava alla meno peggio una maglia nera con il logo di BatMan e un paio di jeans da uomo tutti strappati.
“Bene, adesso siamo vestite ma manca ancora una cosa.” Sonny se ne uscì dalla stanzetta vestendo un paio di pantaloni al polpaccio di stoffa nera con un top sportivo, sempre nero, coperto da una felpa gialla.
“Cosa?” domandarono di rimando le cugine in coro.
“Il cibo! Non mangiamo da ieri a pranzo e con tutto quello che è successo, anche se ancora non l’ho capito, dobbiamo rimetterci in forze.” spiegò pragmatica. “Soprattutto tu, Aurea.” aggiunse poi guardando il colorito biancastro dell’amica.
Lei annuì. “Ma non abbiamo danaro.”
Prima, la nera, la guardò un po’ crucciata. “Vero.” disse quando ebbe tradotto. “Idee?”
“Di rubare ancora non se ne parla.” disse Sue.
E concordarono tutte.
Sonny si sedette accanto alla cacciatrice e prese a fissare l’oceano. “Servono cose già pronte, possibilmente a lunga conservazione. Non sappiamo quanto ci vorrà ancora per arrivare gli Inferi.”
“Per non parlare dell’uscirne.” concluse Aurea.
Selena calciò via un po’ di sabbia da un asse di legno della passerella su cui erano poggiate le cabine e si mise le mani nelle tasche dei pantaloncini. Le dita urtarono qualcosa di freddo e duro, lo riconobbe subito ed estrasse la mano in fretta: sul palmo della mano era adagiata una dracma d’oro, in tutto e per tutto uguale a quella che aveva lanciato addosso a Mia.
“Hem, ragazze …”
Tutte sollevarono lo sguardo su di lei.
La figlia di Zeus sventolò la moneta all’altezza del viso, un po’ basita.
“Certo, dev’essere un dono di tuo padre. Tutte le volte che la userai ti tornerà in tasca.” spiegò Aurea. “È un po’ come il nostro arco.”
“Ma il tuo si è rotto.” le fece notare Ginny.
“No.” sollevò il braccio sano come se si stesse togliendo una tracolla e l’arma le comparì da nulla in mano. “Solo che non ho più frecce.”
“Adoro le cose divine …” sospirò la ragazza giocherellando con i suoi due braccialetti.
Sonny si alzò. “Idea! Usaimola!”
“Cosa?” chiesero le altre.
“La dracma!”
“Perché?!” scattò Selena.
La figlia di Apollo la guardò un po’ scocciata. “Se ti torna sempre in tasca puoi spenderla tutte le volte che vuoi!”
“V-vero … ma cosa vedranno i mortali?”
“Vediamo.” la prese sotto braccio e la condusse al bar lì vicino.
Era un posticino piuttosto piccolo ma dietro ai vetri del banco c’erano tante cose da mangiare.
Sonny si diresse al frigo e prese una semplice bottiglietta d’acqua poi andò alla cassa dietro la quale c’era una signora anziana con un’evidente parrucca bionda con tanti complicati boccoli e troppo rossetto sulle labbra.
La ragazza porse ciò che aveva preso dicendo: “Purtroppo abbiamo solo questo.”
Selena sollevò la dragma per meglio mostrarla.
La proprietaria sgrano gli occhi e aprì un po’ la bocca sorpresa. “Dovrò andare a prendere altri soldi sul retro per il resto …” iniziò.
“Oh, sì certo, aspetteremo. Non ci sono problemi. Grazie!” rispose la nera.
“Grazie mille.” le fece eco l’altra, sospirando sollevata dal lavoro della Foschia.
Tornarono che avevano comprato anche alcuni tramezzini e altre bottigliette d’acqua.
“Ci ha dato anche il resto.” raccontava Sonny mentre mangiava il panino a grandi morsi. “A fare un piccolo calcolo sembra che la dracma valga cento dollari.”
“Siamo a cavallo!” esultò Sue.
“A te è tornata in tasca?” chiese Ginny a Selena.
La ragazza controllo subito e tirò fuori la moneta tenendola tra indice e medio. “Sì! Per fortuna.”
“Non dubitarne.” le fece Aurea. “Artemide mia che fame che avevo! E giurare che non mi sembrava finch non è arrivato il cibo!” rise.
Finirono i tramezzini e decisero di fermarsi in un market sulla strada per Central Park per poi prendere la metropolitana solo nel tratto finale. Riempirono gli zaini di cibo e acqua, poi presero anche altre bene e fasciature per Aurea e in caso di necessità.
Arrivarono a destinazione che era mezzo dì. Central Park era pieno di turisti, persone che correvano, portavano a spasso il cane o facevano dei pick-nick o semplicemente di impiegati che prendevano una scorciatoia per l’ufficio con le loro ventiquattrore luccicanti strette in mano.
“Adesso che siamo qui dove andiamo?” chiese Sue ad Aurea.
“Non lo so.”
“Che?” si voltò di scatto Sonny. “Allora perché ci hai fatto venire qui?”
“Perché mi è stato consigliato. Ecco … a volte sento la voce di Artemide che mi parla. È come se vegliasse su di me …”
Il silenzio che scese sul gruppo fu molto strano, non proprio teso ma si sentiva che c’era qualcosa che non andava. Non doveva essere per tutte così.
“Credo … credo sia capitato anche a me.” si espose Ginny. “In Nuova Scozia ho fatto un sogno … penso si riferisse a Mia … possibile che mia madre mi stesse mettendo in guardia?”
Aurea annuì convinta e l’altra sorrise.
Ripresero a vagare per le strade e le stradine del parco, finché non decisero di fermarsi a riposare; nessuno le avrebbe notate: molte persone approfittavano del caldo per farsi un pisolino stesi sull’erba, in più avevano trovato un posto riparato tra alcune piante. Si misero a sedere a terra e decisero di dividere una barretta di cioccolato.
“Mentre attendiamo il prossimo intervento divino.” iniziò Sonny un po’ sulle sue. “Qualcuno spiega cos’è accaduto ieri notte?” e addentò il suo pezzetto di dolce. “Tu hai chiamato Mia Lamia, perché?” domandò confusa rivolta ad Aurea.
“E cosa ci ha fatto, soprattutto. Perché eravamo in quello stato?” aggiunse la figlia di Dioniso.
La cacciatrice finì di masticare il suo ultimo pezzetto di cioccolata e sopirò. “Lamia era una giovane e bellissima donna, regina di Libia, era tanto belle che addirittura Zeus se ne innamorò. Ebbero dei figli insieme, ma quando Era scoprì della storia del marito andò su tutte le furie e li uccise … Lamia sconvolta dall’accaduto divenne una bestia: divorava i figli delle altre donne, succhiando loro il sangue.” ebbe un brivido ripensando ai commenti della fiera sul sapore delizioso del suo. “Così il suo aspetto cambiò, diventando quello che avete visto ieri sera.” finì la storia. “Ritengo che vi avesse stregato, facendovi credere che era lei vostra madre non vi sareste mai messe contro di lei. Si è approfittata delle vostre insicurezze e le ha usate contro di voi.”
“Perché con te non ha funzionato?” domandò Ginny.
“Io ho anche due madri.” sorrise. “Atena non mi sarà stata vicina nella mia vita mortale ma non gliene faccio una colpa, non credo che non ci vogliano bene quando non si fanno sentire. Non si mostrano perché ormai sentono di non far più parte di questo mondo.” poi alzò lo sguardo al cielo come a cercare conferma di ciò che stava dicendo. “È infinitamente lontano il tempo in cui erano loro a governare il mondo e adesso i mortali li stanno dimenticando …”
Il mondo intorno a loro era pieno di rumori, risate e abbaiare di cani ma loro erano quasi come escluse da tutto quello. Erano a metà tra due mondi.
“Comunque Mia è stata una bella bastarda a fare così, eppure sembrava una persona fantastica!” tornò sull’argomento precedente Sonny.
Selena e Sue concordarono annuendo, solo Ginny rimase zitta a giocherellare con la cerniera della felpa.
“Non penso che Mia avrebbe mai voluto farci del male.” disse.
“Neanche io.” la seguì Aurea.
“State dicendo che Mia voleva mangiarci senza farci del male? Cioè non ci masticava, giusto?” fece Selena confusa dalla loro affermazione.
“No, solo che forse Mia non è Lamia. La prima volta che mi ha attaccato l’ho costretta a farlo.” ammise la cacciatrice. “Avevo scoperto chi era, avevo scoperto che i suoi figli erano morti. Sono entrata nelle loro cabine e l’ho capito immediatamente. Credevo che dicendoglielo si svelasse, invece non l’ha fatto. Almeno non subito è rimasta scioccata, non capiva che le stessi dicendo. Poi si è trasformata.”
“È accaduto lo stesso sulla Dear Dafne. Quando sei ricomparsa era sotto shock …” contribuì la figlia di Afrodite. “Mia e Lamia erano due persone distinte a livello cosciente. Mia non mi avrebbe mai attaccato, quando si è resa conto di cosa aveva fatto Lamia è impazzita.”
“In  termini psicologici potremmo dire che Mia era bipolare.” enunciò Sue.
“Bei pazzoidi che ci capita di affrontare!” sbottò Sonny gettandosi all’indietro sull’erba.


A questo giro devo ringraziare Gin che mi ha aiutato nella scelta del vestiario! (proprio figlia di tu' ma!)

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Capitolo 39
*** Gli Inferi se non sei né un'ombra né un Di Angelo non sono poi così accoglienti ***


“Avete intenzione di svegliarvi o devono passare  altre dieci ore?”
La voce era brusca ma molto giovane, di un ragazzo.
Sonny aprì un occhio, ma non riuscendo a distinguere niente, perché era calata la notte e non doveva essere da poco, dovette aprire anche l’altro; allora distinse alla poca luce di un lampione una figura non tanto alta e niente di più. Scattò e gli puntò un’accetta alla gola. “Che vuoi? Chi sei?”
Con quel rumore si svegliarono anche le altre. Sue estrasse la sua asta per dar man forte alla compagna, le altre si misero sul chi va là. Aurea rimase praticamente immobile, non riuscendo neanche a sollevarsi da sola se non con grande fatica.
La figura si scostò dalla luce per farsi vedere bene in faccia, stando ben lontano dalla lama della figlia di Apollo. “Non qualcuno di cui preoccuparsi.” era un ragazzino dai capelli completamente neri, lunghi quasi fin alle spalle, e gli occhi come due pozzi oscuri. “Mi hanno chiesto di venire qua a darvi una mano e …”
“Chi lo avrebbe fatto?!” continuò Sonny.
Lui fece una smorfia, non doveva piacergli essere interrotto. “La vostra amica, Fran.”
Il gruppo ebbe un fremito d’agitazione.
“È sveglia?” domandò Ginny.
“Certo che no, però è certamente in grado di combinarmi dei gran casini!” si lamentò. “Comunque sia mi ha chiesto, praticamente supplicato, di venirvi a prendere, sapendo che non sareste mai riuscite a trovare l’entrata in tempo.”
“Che carina, perché stiamo andando a salvarla, scusate?” commentò Sonny abbassando l’arma.
“Che significa … in tempo?” chiese affannosamente Aurea.
“Non lo so. Non me l’ha voluto dire, cioè aveva iniziato poi si è fermata e mi ha ordinato categoricamente di venire da voi.”
“Sì, è Fran.” commentò Selena.
Il ragazzo rise digrignando i denti. “Allora volgiamo andare?”
Le ragazze si scambiarono un’occhiata veloce e annuirono.
Mentre rimettevano a posto quelle poche cose che avevano tirato fuori dagli zaini, Sue si voltò verso il ragazzino e domandò: “Ma tu chi sei? Come ti chiami?”
“Nico Di Angelo, sono il figlio di Ade.” rispose senza neanche guardarla, era troppo abituato e stufo delle reazioni che le persone avevano quando lo diceva, ma era quello che era e non poteva cambiarlo.
Non parlarono più.
Nico le portò verso il laghetto a nord poi si fermò davanti a delle rocce che non avevano niente di così strano, erano solo … rocce. “Questa è la Porta di Orfeo.”
“Quello con l’arpa?”domandò Sonny.
“Quello con la lira!” rispose molto bruscamente. “Ho un dejavù … comunque serve della musica per aprirla.”
“Niente di più facile!” rispose Sue guardando la figlia di Apollo.
“Ah, se non ho nessuno strumento voglio vedere come posso!” rispose alzando le mani a livello delle spalle.
“Scusa ma tu come fai a passare di solito?” chiese Ginny al ragazzino.
“Tramite i varchi oscuri che creo, ma non vi posso portare tutte di là: non è così semplice come può sembrare. Inoltre da questa parte non dovete passare né da Caronte né da Cerbero.” poi si infilò una mano in stanca e ne estrasse una fisarmonica. “Spero basti.” disse lanciandola a Sonny. “Potrei provare io ma non sono ancora così bravo da non sbagliare qualche nota …”
“Basterà!” fece la ragazza soppesando lo strumento. “Che volete? Michael Bublé, Jovanotti …”
“Tchaikovsky!” saltò su Ginny.
La nera strabuzzò gli occhi poi iniziò a suonare un brano riarrangiato del Lago dei Cigni e piano piano le rocce che in fondo non erano solo rocce si mossero, spaccandosi e rivelando un’apertura irregolare.
“Ecco a voi il passaggio.” fece Nico senza grande enfasi.
Il passaggio si apriva su un cunicolo stretto con degli scalini disfatti che conducevano in basso, l’odore era terribile, puzzava di zolfo, muffa e morte.
“Bene, io adesso me ne vado.” sbuffò il ragazzo mentre si riprendeva la fisarmonica dalle mani di Sonny.
“Hei, no, un momento, una volta scese che dobbiamo fare?” scattò Selena visibilmente preoccupata per il viaggio che stavano per affrontare.
“Semplice, andate a diritto, sulla scogliera girate a sinistra fino alla Stige Beach, siete vive per cui non entrate, continuate avanti, alla bancarella chiedete a Ciro informazioni. Lui vede e sa praticamente tutto. Ci vediamo …” si fermò. “Forse …” poi scomparve nelle ombre del parco.
“Stige Beach?”
“Ciro?”
“Dove stiamo andando?”
“Avanti, prima scendiamo prima risaliamo.” fece Aurea accendendo un fiammifero all’inizio dell’apertura.
Presero a scendere nel silenzio e nel buio, era ovvio che non potevano andare avanti a fiammiferi per cui ne accendevano uno solo ogni tanto, ma niente nel cambiava durante il tragitto: roccia nera, scalino, roccia rossa, scalino … poi il rimbombo di un fiume in piena. Accelerarono il passo.
Il cunicolo si aprì poco prima di una scogliera, proprio come aveva detto Nico. Le ragazze andarono a sinistra e continuarono a camminare, adesso ci vedevano alla luce rossa del luogo, affatto rassicurante tanto meno se si mettevano ad ascoltare le urla che sembravano provenire da ogni direzione. Era surreale. Superarono il cartello che indicava in rosso rimarcato l’inizio della spiaggia, sabbia nera vulcanica e zolfosa. L’odore di bruciato adesso aveva sostituito quello di muffa del cunicolo. Si fermarono a riprendere fiato, soprattutto per far riposare Aurea, sedute su delle rocce sporgenti dal terreno. Non c’era nessuno nei paraggi, così si sentivano più tranquille anche, pensando che un incontro agli inferi non avrebbe potuto che portarsi dietro altri guai e problemi.
“Per quanto ancora dovremmo continuare a camminare?” si lamentò Ginny. “Non è che quel ragazzetto ci ha ingannate?”
“Non credo …” iniziò Aurea ma senza riuscire a continuare.
Tutte le altre si scambiarono un’occhiata preoccupata: senza dell’ambra divina non sapevano quanto potevano metterci le ferite a guarire e lei a riprendersi.
Mangiarono qualcosa velocemente, anche se avevano lo stomaco chiuso, poi ripresero il cammino non volendo rimanere ferme tanto a lungo nello stesso posto.
Dopo poco in lontananza videro una piccola baracca completamente di legno, lì intorno c’erano dei tavolinetti rotondi, un posticino quasi carino non fossero stati nel bel mezzo degl’Inferi, solo le ombre avrebbero potuto trovare ristoro in un luogo del genere.
Al dì là del banco sopraelevato e completamente di legno c’era uno scheletro con un’orribile barba finta, ingiallita e che emanava un odore putrido che si sentiva benissimo anche da una certa distanza, e una benda sull’occhi che non ci incastrava per niente.
“Sonny, va tu!” la spinse avanti Sue
“Perché?!  Non eravamo d’accordo a mandare avanti la piccoletta in queste situazioni?”
“Hei!” brontolò Selena.
“Vado vado!” si mosse la figlia di Apollo prima di ricevere un pugno. “Hem … hem …” si schiarì la voce.
Ma non c’era bisogno di attirare in qualche modo l’attenzione dello scheletro: era viva e tanto bastava a dare nell’occhio tanto quanto avrebbe potuto farlo un cartello gigante a forma di freccia con le luci al neon puntato su di lei.
“Scusi … lei è Ciro?”
“Sí, señorita, y ella está viva.”
“Cosa!?”
“Sei viva, è una cosa non di poco conto quaggiù.” una voce brusca le rispose non proprio carinamente.
Non si erano accorte che un tavolino era occupato da due ombre: erano due ragazze. Quella che aveva parlato sembrava più grande con le gambe accavallate e le braccia conserte, l’altra le salutava con la mano sorridendo affabile, ma entrambe erano vestite come Aurea.
“Cacciatrici di Artemide.” mormorò Sue.
“Ragazze vive … è dai tempi in cui l’altro scemo non è sceso per farsi un bagnetto che non si vedevano. Se non contiamo la Bella Addormenta-TA!” sembrava che qualcuno le avesse tirato un pizzicotto e anche parecchio forte.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata sorpresa, non sapendo bene cosa dire.
“L’altro scemo?” si focalizzò Selena.
“Credo che noi siamo qui per la Bella Addormentata.” fece notare Aurea.
“La vostra amica non ha una bella cera.” alzò la testa la più piccola. “Dovremmo portarla da mio fratello …”
“Tu vuoi portare chiunque da tuo fratello. È ovvio che stia male, è ferita e poi l’aria di qui non ti invita certo a tenerti stretta la tua vita.”
“Ma chi siete voi?” domandò alla fine Sonny, visibilmente scocciata dello scambio di battute in cui ci capiva davvero poco.
L’altra nera fece un verso strano con la bocca. “Io mi chiamo Zoe, ex-cacciatrice di Artemide, come avete già ben capito. E lei è Bianca.”
“Bianca Di Angelo, anche io ex-cacciatrice di Artemide.”
“Di Angelo!?” scattarono in coro le vive.
“S-sì …”
“Abbiamo conosciuto tuo fratello, è stato lui a dirci come entrare qua e anche di …” iniziò Ginny.
“Di venire qua perché avremmo avuto informazioni.” finì Sue.
“Stiamo cercando una nostra amica, è qua sotto da qualche parte e …”
“Dorme come un ghiro. Ahia!” fece Zoe come pizzicata ancora un volta.
Bianca si alzò. “Vi porto da lei. Noi ci vediamo dopo, okey?” diede un’occhiataccia all’altra. “Comportati bene.”
“Tanto mi sta rimproverando da quando sono arrivate.” e completò la frase con un sorriso sarcastico.
“Andiamo andiamo!” invitò le altre senza ascoltarla realmente l’altra che già si era incamminata.
Il gruppo non seppe bene quanto ci mise per giungere davanti all’ingresso di una piccola grotta, dal soffitto alto ma minaccioso che incombeva sulle loro teste.
“Lei è là dentro …” fece cupa Bianca. “Io adesso me ne andrei, va bene?”
“Sì, grazie del tuo aiuto.” parlò Aurea.
Le due si scambiarono un’occhiata, la bionda avrebbe voluto ringraziarla meglio come si confà ad una cacciatrice morta in battaglia, ma non ci riuscì era stravolta dalla situazione e dalle ferite. Così fu Bianca a chinare il capo e a sorriderle comprensiva prima di andarsene.
Le ragazze entrarono avanzando con cautela. In breve le pareti si aprirono in uno spazio più ampio, una grotta vera e propria, a terra al centro di essa era stesa Fran, immobile ancora con  i suoi pantaloni neri e la maglia del Campo, come aveva previsto Ginny.
Si precipitarono da lei.
“Fran!” la scosse Sonny.
Ma lei non si mosse e continuò a dormire.
“Diavolo!”
“Non la strapazzare così potrebbe farsi male!” la riprese Sue.
Ginny e Selena si avvicinarono piano.
La loro amica dormiva, non faceva altro ma sembrava morta.
La figlia di Afrodite le si sedette accanto e iniziò a darle dei colpetti sulle guance con l’indice.
“Non si sveglierà neanche così.” fece Aurea mentre si sedeva con difficoltà a terra.
Accanto a lei si piazzò Sonny in modo da aiutarla a tenere su la schiena, infatti la cacciatrice si appoggiò all’amica stando spalla contro spalla.
“Come si svegliò Psiche?” domandò la nera.
“Fu Eros a svegliarla …”




Spero che quest'ultima frase ve l'abbia fatta prendere b-b-bene ^^
Mi dispiace che sia corto, ma rimproverate gli esami non me!!
Ok, settimana prossima, precisamente da mercoledì pomeriggio, finisco di scrivere la parte negli Inferi, per la vostra g-g-gioa!

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Capitolo 40
*** Forse qualcosa c'è ***


Alec si ritrovò in un vicoletto stretto di New York, era molto vicino all’Empire State Building. Girò in un altro vicolo, ancora più stretto del primo per quanto fosse possibile, infine scese in una cantina.
Accese le luci: era un’unica stanza circolare e grande, dal soffitto alto. Al centro si ergeva una strana struttura di metallo: aveva un lungo asse centrale di carbonio, molto spesso, da esso, dipartivano a raggiera e sfalzati tanti fili robusti che tenevano in tirare una sottilissima membrana metallica; in fondo un grande piedistallo teneva tutto in piedi, in cima la struttura terminava con una punta di lancia.
Quella era la Spirale, creata con l’unico scopo di togliere il potere agli dei.
Non sapeva se avrebbe davvero funzionato. Era una mossa sventata  …
Prova, avanti non ti costa nulla, no?
No, niente … o forse, qualcosa c’era?
Non ci pensare, vai avanti. A cosa ti servirà poi lei?

"Perché, Stige, non ti sei mostrata loro?" sbottò Zoe non appena Fran, o meglio l'ombra di Fran, ebbe ripreso posto sulla sedia accanto a lei.
"Non voglio che mi vedano così. Problemi?"
"Tanti. Per cominciare sono morta; in secondo luogo ci sono due pazzi che voglio sovvertire l'ordine naturale del mondo, di nuovo. Terzo: uno dei due ti ama."
La figlia di Atena abbassò lo sguardo. "Lo so ..."
"Ma forse non lo è davvero, he?" pensò a voce alta la nera. “Comunque sempre meglio di darmi i pizzicotti.”
“Non siamo d’accordo.” Fran si alzò.
“Adesso dove vai?”
“Non lo so … ho bisogno di camminare …”
“Avresti bisogno di tornare nel tuo corpo, fingerti morta non ti aiuta. Chissà magari questa tua morte non è nient’altro che un’occasione per cominciare a vivere.”
La bionda sorrise. “Sei saggia, cacciatrice.”
“Pensa e la figlia di Atena sei tu.” rispose irriverente Zoe. “Va a cercarlo.”

“Allora che facciamo? Non possiamo rimanere qua ad aspettare un miracolo!” Sonny era arrabbiata, l’impotenza le dava sui nervi, non poter far niente era come perdere a tavolino.
“Calmati.” la riprese Sue. “Aurea si è appena addormentata.”
La cacciatrice bionda aveva chiuso gli occhi da neanche qualche minuto che si era addormentata profondamente.
“Forse è una cattiva idea lasciarla dormire, non credete?” chiese Selena.
“Sì, ma è talmente stanca che non me la sento di svegliarla.” annuì la figlia di Dioniso.
La nera emise un grugnito di frustrazione e incrociò le braccia al petto.
“Però Sonny ha ragione.” Ginny sollevò la testa, era ancora accanto al corpo di Fran. “Dobbiamo fare qualcosa.”

Nella casetta della piana di terra rossa, Mason era seduto con i piedi sul tavolo. Alec se n’era andato da due o tre giorni, difficile tenere il conto là sotto. Non aveva ricevuto altri ordini.
Sbuffò sonoramente.
Si alzò in piedi e andò alla finestra, distinse in lontananza la lunga fila della banda degli scheletri, erano troppo lontani, per sua fortuna, per far sì che capisse cosa stessero cantando.
Si voltò e tornò a sedere prendendosi la testa fra le mani. Aveva mal di testa e le tempie gli pulsavano dolorosamente.
Poteva allontanare la sua mente dall’unica cosa che davvero lo preoccupava in quel momento, come aveva detto di fare Alec, ‘per il bene della missione’. Ma non poteva fingere che non esistesse.
“Cosa dovrei fare?”  lasciò scivolare la testa sul tavolo e poggiò le mani sul collo. “Cosa?”

 
Era poco più di un bambino quando le Erinni attaccarono.
La mattina procedeva come al solito, era stato a scuola e aveva anche preso un buon voto, sua madre sarebbe stata davvero contenta. In quel periodo avevano finalmente trovato un appartamento decente nella periferia di Londra, suo padre gli inviava una lettera praticamente ogni settimana con scritto i progressi del suo libro fotografico dell’America del Nord, assieme ad essa c’era sempre una foto; sembrava che tutto sarebbe andato per il meglio da quel momento in poi.
Arrivò trotterellando giocoso a casa e si fermò davanti alla cassetta delle lettere, estrasse le sue chiavi dalla tasca esterna dello zainetto, e la aprì. La busta di carta celeste chiaro era lì: la prese e la strinse al petto. Corse in casa felice.
“Hei, dove corri!?” lo riprese la madre, una donna alta e slanciata con i capelli di un castano scuro, quasi color del mogano, e gli occhi verdi e profondi. Si chiamava Felicity.
“È arrivata una lettera di papà!” il ragazzino cambiò traiettoria e al posto di infilare in camera sua svoltò per la cucina, saltò sulla sedia sventolando la busta.
La donna sorrise. “Avanti, avanti: leggi!” si voltò verso lo scaffale dei biscotti e li posò sul tavolo, immediatamente dopo preparò anche due tazze di latte.
Mason si schiarì la voce ed iniziò a leggere: “Ciao famiglia, vi scrivo poco prima di partire per un’escursione nel Parco di Yellowstone, dopo vi allegherò la foto della settimana. Fa un freddo micidiale qua! Spero che voi stiate bene e che l’inverno vi colga davanti alla stufa con in mano una tazza di latte caldo.”
Felicity sorrise e mangiò un biscotto mentre il figlio continuava.
“Non so quanto ci vorrà ancora per finire di visitare tutta questa meraviglia che mi circonda, ogni giorno torno alla tenda esterrefatto da ciò che ho visto, vorrei mandarvi più di una foto a settimana! Purtroppo, già per il fatto di mandarne una, il mio editore si lamenta. Ma che si lamenti pure!” il ragazzetto rise poi proseguì: “Non vedo l’ora di tornare da voi, è sempre difficile starvi lontano per così tanto tempo. Vi voglio bene. Adesso sarà bene che vada, la guida sta urlando in francese e sembra mi stia offendendo pesantemente per il mio ritardo, ma chi lo sa! Non capisco davvero niente di francese! A presto.”
Non era una delle lettere più lunghe che avesse scritto ma bastava anche una sola frase di ognuna di esse per far si che a Felicity salissero le lacrime agli occhi. Poi, quando vedeva Mason così felice, la tristezza passava subito e la voglia di non far altro che abbracciare il suo angioletto prendeva il sopravvento su tutto il resto.
Dalla busta scivolò giù una foto di una cresta rocciosa completamente coperta dalla neve, il sole la colpiva così che, anche a grande distanza, la luce riflessa dei cristalli di ghiaccio si rifrangesse sull’acqua viva di un fiumiciattolo che andava scomparendo sul lato destro dell’inquadratura. Un trionfo di luce e brillantezza.
“Wow …” commentò Mason estasiato.
Felicity si alzò. “Vieni a metterla qua assieme alle altre.” prese una calamita a forma di piccola alce dal frigo e attese che il figlio piazzasse la foto dove più gli piaceva poi la fermò.
Suonò il campanello.
La donna guardò l’orologio d’istinto: non aspettava nessuno. “Dai, fa merenda ora.” fece al figlio che ubbidì obbediente.
Sbirciando dallo spioncino non vide nessuno, anni di esperienza le avevano insegnato che a volte non vedere non significava nulla. Fece un passo indietro e lentamente tornò in cucina.
“Mamma che fai? Non apri?”
“Hem … no piccolo, saranno stati dei bambini che facevano uno scherzo.” sorrise tranquilla.
Mason riprese a mangiare il suo biscotto.
Felicity si affacciò anche alla finestra che dava sulla strada per essere certa: nessuno. Magari erano stati davvero dei bambini …
Si diresse al tavolo dove la attendeva ancora piena la sua tazza di latte, bevve assieme al figlio. Stranamente in silenzio.
Ormai anche il ragazzo si era accorto che c’era qualcosa di strano. “Mamma, tutto bene?”
Lei sembrava assorta e distante. Finì il latte. “Ma sì. Scusa mi sono ricordata che dovevo fare la spesa stamani e non l’ho fatta.” bugia. “Dopo ti va di venire con me?”
Lui ci pensò su per un tempo infinitamente breve. “Sì!” sorrise.
E la madre ricambiò. Riprese la tazza e si voltò per dirigesti al lavello per lavarla.
Mason sentì uno schianto di vetri che si rompevano ma vide solo che la tazza le scivolava dalle mani e si frantumava a terra, in tanti pezzetti di ceramica colorata.
Sua madre era davanti a lui e gli dava le spalle.
Qualcos’altro, davanti a lei, si muoveva in modo strano.
“Dannata, tu possiedi la Vista!” sibilò.
Felicity non rispose.
Un altro schianto e la porta d’ingresso cadde sul pavimento.
“TISIFONE!”
La cosa che teneva ferma la donna spuntò da dietro una sua spalla.
Il ragazzo poté vederla: aveva il volto di una semplicissima donna ma i suoi occhi erano completamente neri e, quando sorrise malefica, si potevano distinguere due file di zanne appuntite.
“Il piccolo eroe è venuto in soccorso di un piccolo mezzosangue.”
Un ragazzo dai ricciuti capelli neri apparve in cucina, con uno scatto fulmineo si scagliò sulla creatura. “Maledetta bastarda!! Se volete me perché attaccare degli innocenti!?”
Quella schivò, facendo cadere Felicity a terra, aprì le ali e si attaccò con gli artigli neri piano di lavoro della cucina. “Sciocco, siamo la vendetta: ci vendichiamo del fatto che ci ignori!” rise gorgogliante.
Quando vide sua madre a terra, Mason si riscosse. “Mamma!” si gettò a terra accanto a lei.
“Stronza!” urlò il ragazzo sfoderando una spada di un grigio metallico così scuro da sembrare quasi nero, poi attaccò.
Tisifone non lo fece avvicinare tanto usando le ali come scudo e il giovane fu costretto a fare un passo indietro per evitare di essere colpito dagli artigli. Lui scartò di lato e colpì con il piatto della spada il rubinetto che iniziò a schizzare acqua ovunque. La Erinni fu presa alla sprovvista e fu colpita dal getto d’acqua dritta in faccia. Il ragazzo approfittò della sua sorpresa per infilzarla sopra lo sterno con la spada.
La creatura urlò di dolore poi scomparve disfacendosi in sabbia dorata.
Nella cucina era tornata la calma.
Felicity era a terra. Mason l’aveva girata per vederla in faccia.
La maglietta che indossava era già intrisa dal sangue, Tisifone l’aveva colpita allo stomaco ed era andata in profondità.
“Mamma!” continuava a chiamarla il ragazzo.
“Piccolo …” un flebile sussurrò le uscì dalle labbra, un rivolo si sangue le percorse la guancia andando a mescolarsi alle lacrime.
Anche Mason iniziò a piangere.
“No … non piangere.” tentò di alzare una mano fino al suo volto.
Lui gliela strinse nelle sue.
“Mi … mi dispiace.” riuscì a dire poi la donna.
“Cosa? Mamma, non dire niente adesso chiamo un’ambulanza e ti porto in ospedale e …”
“Non servirebbe a niente.” il ragazzo che aveva sconfitto la Erinni parlò con loro per la prima volta.
Mason gli rivolse uno sguardo pieno di rabbia e di rancore.
“No, Mason … ha ragione …” Felicity riuscì a riportarlo alla realtà. “Ascolta. Non ti ho detto tutta la verità … mi dispiace …” ebbe un sussulto.
Lui le strinse più forte la mano.
“Tuo padre … tu … tu sei speciale piccolo mio. Non sei una persona comune … quello che hai visto … oh volevo nasconderti a tutto questo.” perse un respiro e tossì. “Tu.”
Il ragazzo dai capelli neri non l’aveva mai guardata ma ora lo fece e fissò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei.
“Lo hai salvato una volta, adesso portalo al sicuro spiegagli chi è.”
“Mamma, ma cosa stai dicendo?! E che c’entra mio padre? Chi sono? No! Non mi interessa, voglio solo che tu non muoia! Ti prego!”
Felicity sollevò ancora la mano, lui la lasciò andare.
La madre sfiorò la guancia del figlio in un’ultima carezza.
“Ti troverà, non ti preoccupare. Lui saprà dirti chi sei.” disse dolcemente. “Gli somigli così tanto …” sospirò.
E non si mosse più.


Con la mente immersa in questi tristi ricordi, Mason si addormentò lasciandosi sfuggire un’unica lacrima.


Dico solo che, mentre scrivevo, ho tremato tutto il tempo.

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Capitolo 41
*** I sogni ***


Buona decapitaz-cofcofcof!! Hem ... Buon SanValentino!!!
E in questo giorno ciò che alcuni attendono e che ad altri farà cambiare idea ... ah! Giusto! Alla mia kohai Grimrose: ti prego, quando lo leggerai, non smattare.



Sue rientrò nella grotta dopo essersi affacciata fuori ed aver controllato che non ci fosse nessuno in giro che avrebbe potuto trovarle, ma per loro fortuna quella zona non sembrava molto frequentata.
“Niente?” le chiese Sonny.
L’altra scosse la testa e si sedette poco distante poggiando la schiena ad un masso.
Selena camminava avanti e indietro poi si fermò. “Salvezza … significa sia che uno si salva sia che … non muore?”
Fu osservata da tre paia di occhi increduli. Ginny, Sue e Sonny la stavano osservando confuse.
“Scusate … stavo ripensando alla profezia.
Sonny sospirò. “Però è vero …” il suo tono di voce era teso. “Quale dei due … mmhpf … significati avrà inteso la profeta?”
“L’Oracolo.”
“Quello che è.”
Sue roteò gli occhi poi rispose: “È probabile che intendesse entrambi.”
“Perciò?” domandò Ginny.
“Perciòòò … non lo so …” chinò il capo la figlia di Dioniso. “Certo è che l’Impresa non finirà quando saremo uscite di qua assieme a Fran.
“Assieme a Fran che cammina con le sue gambe …” precisò Sonny.
“Be’ sì.” concluse la mora.
 “Ma così … dicendo ‘la storia non finirà con la salvezza’ praticamente dice che …” Ginny diede voce ad un suo pensiero ma non riuscì a terminare la frase.
“Continueremo a combattere anche dopo esserci riprese Fran e probabilmente non finirà bene …” completò Selena scivolando a terra, sedendosi accanto a Sue.
Nella grotta scese il silenzio più assoluto.
Nessuna si mosse per un bel po’.
“Quasi quasi ci provo anche io.” borbottò Sonny.
“Che stai farfugliando ora?” le domandò Ginny ancora seduta accanto al corpo addormentato di Fran.
“No, qui tutti dormono … magari se lo faccio anche io la situazione si sblocca.”
“Momentaneamente le uniche con i sensi abituati al pericolo siamo solo io e te.” le fece Sue. “Per cui vedi di non farlo.”
Aurea si mosse nel sonno e sollevò leggermente un braccio.
“Ok … se inizia anche a parlare giuro che la sfotto.” promise la figlia di Apollo.
Aurea però non stava sognando, tutto quello che stava provando e facendo in quel momento era piuttosto reale, o almeno lo era per il dio con cui stava parlando.
 Un uomo alto dai riccioli corvini era comparso dal nulla, la guardava da lontano con i suoi occhi blu come il mare; fece un passo avanti e tutto intorno a lui iniziò a prendere forma, come se emergesse dal buio. Adesso la cacciatrice si trovava su una strada poco battuta, sembrava una pista in un parco, una di quelle su cui puoi incontrare molte persone fare jogging o a portare a spasso il cane.
Lei salutò timidamente lo con la mano, lui le sorrise e le si avvicinò.
“Aurea, è da molto che non ci vediamo. Non ti dispiace se camminiamo?”
Annuì e presero a camminare. “Non poi così tanto, se consideriamo che io non posso invecchiare e che lei è un dio.”
Ermes rise.
“Ma dove sono Martha e George?” domandò la ragazza sorpresa della mancanza dei due serpenti.
“Ci sono sì.” il dio sollevò il caduceo.
“Buongiorno Aurea.” la salutò Martha sollevandosi dal bastone.
“Buongiorno.” poi la sua attenzione ricadde sull’altro serpente che ancora non aveva parlato. “George? Tutto bene?”
“Abbiamo fatto un patto, se lui la smette di chiedere topi  a tutti io gliene do uno.” fece l’occhiolino la serpente. “Solo che adesso, per paura di non riuscire a trattenersi, non parla proprio.”
“E chi lo farebbe?” commentò George.
Martha gli fece un sibilo. “L’ultima volta quel povero ragazzo lo hai fatto blu con questa storia!”
“He … gli stava bene il blu, no?”
“Ma senti questo!”
“Ok, ragazzi …” Ermes parlò e il terreno sotto ai piedi dei due che camminavano cambio divenendo soffice neve, intorno solo pochi alberi e monti di neve.
Aurea rise ma dopo un attimo tornò seria. “Sa perché sono qui?”
“Certo che lo so, non si parla d’altro sull’Olimpo.” scosse un attimo la testa. “Per meglio dire, Afrodite è molto eccitata della cosa e non vede l’ora di un ricongiungimento tra i due.”
“Peccato noi abbiamo trovato solo lei e se lui arrivare, per quanto buone siano le sue intenzioni, credo che Sonny potrebbe staccargli la testa a colpi di accetta.”
Il dio sospirò profondamente, quante cose sapeva e le avrebbe potuto dire? Ma lei era più spaventata da quelle che non avrebbe potuto dirle.
Distolse lo sguardo. Si accorse che mentre camminavano, lo scenario intorno a loro era cambiato, non erano più nel parco ma su una spiaggia dalla sabbia soffice e bianca, le onde del mare battevano ritmate contro la bagnasciuga.
“Cosa avevi in mente?”
“L’idea era di farli riavvicinare tenendoli lontani.”
Ermes si fece più attendo.
“Lei potrebbe farli incontrare in un sogno?”
Il dio sorrise. “Posso come ho potuto portare tu qua ora.” allargò le braccia e l’ambiente cambiò di nuovo, erano sul bordo di una crinale roccioso e sotto di loro si stendevano ettari ed ettari di bosco.
“La ringrazio. La ringrazio infinitamente.” sorrise Aurea chinando il capo. “George vedrò cosa posso fare per quel topo ...”
“Ci conto dolcezza!” fece l’occhiolino il serpente.
Martha scosse il capo con l’aria di una che aveva perso le speranze.
Aurea rise poi lentamente intorno a lei si fece sempre più buio.
“Intanto potremmo portarla in superficie, no?”
“Non credo sia una buona idea spostarla.”
Riconobbe le voci delle sue compagne.
“È una pessima idea.” fece mente apriva lentamente gli occhi.
“Alla buon’ora!” sbottò Sonny. “Dormito bene?”
“Meravigliosamente.” fu la risposta della cacciatrice.
Mason era come sospeso tra la coscienza e l’incoscienza, sapeva di star dormendo ma non capiva se quello che sentiva era un sogno o la realtà.
All’improvviso toccò terra e da sotto le sue scarpe iniziarono ad allargarsi colori diversi e tanto vividi che sembravano colpiti direttamente dalla luce del sole anche se tutto intorno a lui era buio. Alla fine vide che si componevano formando un gigantesco rosone gotico, su cui poteva camminare come se non fosse fatto di fragile vetro.
Sollevò lo sguardo da terra, qualcun altro era atterrato sul rosone assieme a lui.
Fran.
Si guardava intorno sorpresa senza capire dove fosse; doveva avere anche lui la sua espressione, ma adesso niente importava: lei era lì, qualsiasi espressione avesse potuto fare il suo volto era solo per lei, nessun altro l’avrebbe vista oltre che lei.
Non si era accorta che era lì.
Dopo aver visto il rosone, aveva notato che era davvero lei, in carne ed ossa e non la sua ombra. Ora si osservava con una facci ancora più stupita. E rise sollevando le braccia al cielo, felice.
Anche se tutto quello fosse stato solo un sogno, anche lui era felice. Felice di vederla così, felice che lei fosse lì.
Fran abbassò lo sguardo su di lui, lo vide chiaramente, e il suo aspetto cambiò.
Mason vide chiaramente il cambiamento: divenne più piccola, incurvò un po’ le spalle e fece un passo indietro, sulla sua faccia si dipinse un’espressione stranamente apatica e diffidente.
Paura? Non di lui. Non poteva, gli avrebbe spezzato il cuore.
Il ragazzo fece un passo avanti.
“Fermo.” la voce era ferma anche se le batteva il cuore a mille e le mani non smettevano di tremare.
Mason si fermò.
“Perché … che posto è questo?”
“Non lo so, credo sia solo un mio sogno.”
“Impossibile, stavo correndo e …” scosse con forza la testa. “La mia ombra stava correndo poi sono come caduta nel vuoto e sono atterrata qua.” riprese fiato. “Questo è il mio corpo, com’è possibile?”
“Per questo pensavo fosse solo un mio sogno …” ribadì lui.
La sua voce era triste. Non poteva vederlo triste, ma non voleva neanche ammetterlo.
Mason era ferma e si dondolava irrequieto, voleva avvicinarsi a lei ma non gli era permesso. “Fran, io …”
non sapeva esattamente cosa dire.
“Ti ho visto.” iniziò lei. “Venivi da me, a vegliare sul mio corpo. Piangevi.” non c’era tono nelle sue parole. “Poi … poi te ne andavi.” ebbe un tremito.
Il ragazzo iniziò a camminare verso di lei a passi sicuri.
Lei rimase immobile.
Erano faccia a faccia adesso, al centro del rosone, circondati dal buio più totale.
“Fran, mi dispiace. Non sai quante volte abbia certo un’altra via per evitare tutto questo, per evitarti tutto questo dolore. Non potevo lasciare che tu incorressi in pericoli così grandi. Ci sarà una guerra. Non volevo che tu vi prendessi parte. Volevo solo proteggerti, non volevo che le cose andassero così. Volevo solo evitarti di soffrire!” sembrava un fiume in piena e gli tremava  la voce ad ogni parola di più.
“Mason, Mason …” dovette chiamarlo più di una volta per farlo tranquillizzare. Alla fine gli prese il volto tra le mani. “Mason, sono qui. Non sto soffrendo.”
Lentamente, senza neanche accorgersene, si baciarono.
Il terreno tremò e il vetro sotto i loro piedi si incrinò all’improvviso. Si spaccò e li divise.
“Fran!!”
Lei riprese l’equilibrio appena in tempo per evitare di cadere nel nulla. Vide lui in piedi sull’altra parte del rosone che si allontanava inesorabilmente.
“Fran!! Ti verrò a prendere, in qualche modo. Ti ritroverò!!” le urlò.
Poi scivolò all’indietro e non lo vide più.
“Mason!”
E anche lei cadde.
Si sentì precipitare, stranamente felice.
Riaprì gli occhi all’improvviso con ancora addosso la sensazione di cadere all’indietro ed ebbe un tremito.
Poi avvertì qualcosa che le tastava insistentemente la guancia e le faceva anche male.
“Ginny, smettila!” disse ancor prima di aprire gli occhi.
Si sentì distintamente che tutte le presenti nella grotta trattennero il respiro.
Poi Fran aprì gli occhi. “Stige, che buio che c’è qua dentro, non vedo niente.” disse mentre tentava di mettersi lentamente a sedere tastando intorno a sé.
Poi sentì che qualcuno le si gettava al collo e la faceva ricadere a terra.
“Fraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaan!!” squittì la figlia di Afrodite.
“Così mi ammazzi del tutto …” fu la risposta strozzata dell’altra.
Poi si avvicinarono anche le altre e piano piano si salutarono tutte.
Aurea si avvicinò alla sorellastra e la abbracciò, mentre erano ancora strette le avvicinò le labbra all’orecchio e sussurrò: “Come andata?”
Fran si irrigidì un attimo poi sorrise e rispose piano: “Bene …”
“Hei, figlia di Atena perché ci hai messo così tanto a svegliarti?” la canzonò Sonny.
Fran si voltò nella sua direzione. “Non so, voi quanto ci avete messo ad arrivare qui?”
La nera rise: “Non ne parliamo.” e alzò la mano in alto e attese un cinque volante.
Che non arrivò.
“Ohi … il sonno ti ha rallentato le sinapsi?” le domandò.
“Cosa?” Fran era sinceramente sorpresa dell’osservazione.
“Vuoi lasciarmi con la mano in aria ancora per molto?”
“Sonny, che stai dicendo?”
“Ma non vedi?”
“È completamente buio come faccio a vedere?” tentò di guardarsi intorno facendo strani versi con gli occhi, sgranandoli e socchiudendoli ma niente cambiava. “Certo che non mi sembrava così buio quando ero ombra …”
Le si posò una mano sulla spalla.
“Fran … non vedi davvero niente?” la voce era di Sue.
“No, ma è buio, giusto?” non era più tanto sicura della cosa.
“Proviamo ad uscire di qua.” suggerì Selena.
Uscirono dalla grotta lentamente, Fran teneva le braccia tese lateralmente per sentire la roccia ruvida ed evitare di andare a sbatterci contro.
“Ci siamo.” fece Sue dopo che ebbe controllato che non ci fosse nessuno in giro.
Adesso c’era molta più luce, se così si poteva chiamare la luce cupa e rossastra degli Inferi.
Tutte si voltarono verso la figlia di Atena.
“Ora non puoi non vedere …” le fece Selena.
Lei guardava avanti a lei, poi abbassò le sguardo cercando di vedere le sue mani. Le strinse una nell’altra c’erano. Se le portò all’altezza del viso, proprio davanti agli occhi.
“Allora?” chiese impaziente Sonny.
La ragazza lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. “No … niente.”
“Fran, tu sei …” iniziò Ginny.
“Io sono cieca.”



Queste sono le canzoni che mi hanno influenzato mentre veniva fuori la storia tra Mason e Fran:
Avril Lavigne:  
Rock 'n' Roll            http://www.youtube.com/watch?v=uuNTO31FlY8    
I'm with you             http://www.youtube.com/watch?v=dGR65RWwzg8
Take me away         http://www.youtube.com/watch?v=KE4Ykg0ETpw
I love you                 http://www.youtube.com/watch?v=MDQk0IOSDHM
Sto standing there    http://www.youtube.com/watch?v=7bzAIwU6Mpw
 

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Capitolo 42
*** Long Island ***


“SEI PAZZA! ECCO COSA!”
La voce di Ginny era di qualche decibel sopra la natura umana e stava rimproverando Sonny.
“Senti volevi uscire da là sotto: sì o no?!”
Il gruppetto riemerse dalla Porta di Orfeo che ancora il sole era molto alto nel cielo, probabilmente era primo pomeriggio ma alle ragazze non sembrava poi importare così tanto.
“VA BENE! MA IMPORTAVA RUBARE UN SOSSOFONO A QUEI CAVOLO DI SCHELETRI CHE CI HANNO INSEGUITO FINO ALLO STIGE!?!?!” la figlia di Afrodite era proprio fuori di sé.
Erano riuscite ad uscire dagl’Inferi grazie ad un piano di Fran anche se avevano dovuto faticare non poco per portarlo a termine.
“CHE SCHIFO! CHE SCHIFO! CHE SCHIFO!” riprese a fare Ginny ancora sotto shock per aver visto tutti quegli scheletri e corpi mezzi decomposti che suonavano e facevano le majorette con tanto di bastoni. “E TU!” indicò indignata l’amica bionda. “LA PROSSIMA VOLTA FAI IL PIANO E LO METTI IN PRATICA! CHE SCHIFO!”
“Continua pure a dare di matto. Intanto sono io che ho dovuto usare lo stesso bocchino di quello scheletro romano … mi serviranno un centinaio di lavaggi di denti per mandare via quella sensazione disgustosa …”
Sue si guardava intorno circospetta. “Mi dispiace interrompere i vostri battibecchi ma dobbiamo andarcene di qui. Non voglio stare ancora così vicino agli Inferi, non ne voglio proprio più sentir parlare! E poi dobbiamo trovare un posto dove poterci riposare in modo decente!”
“Idee?” chiese Aurea sedendosi a terra con l’aiuto di Selena.
Tutte si voltarono verso Fran che stava appoggiata con le mani dietro la schiena all’albero accanto al quale l’aveva messa Sue.
Dopo dei brevi lunghi attimi di silenzio fece: “Ragazze, ci siete ancora? Che sta succedendo?”
“Aspettiamo il prossimo piano.” fece Sonny.
“Non ho la minima idea di dove siamo, sono cieca e non potete sfruttarmi così. Sono appena tornata!”
“Bell’Addormentata, non sei stata in crociera.” la rimbeccò la nera.
“Non ti vedo ma ti sento. Attenta a te.”
“Che paura!”
“Ecco che ricominciano!” si batté una mano sulla fronte Sue. “Basta! Decido io! Mmmh … andiamo a nord.”
“A nord?” domandò subito Sonny con una smorfia.
“Sì, perché?”
“No, perché te lo chiedo io.”
“Non lo so.”
“Andiamo e basta!” Ginny si era ripresa dallo schifo. “Tutto questo bisticciare mi fa venire il mal di testa.”
“Figlia di sua madre …” sussurrò Selena.
“Molto.” concordò Aurea.
“Scusate, prima di andare … ecco, vorrei … pulirmi. So di zolfo e puzzo di chiuso.” balbettò Fran.
“Ah, giusto! Ti ho preso il cambio!!” squittì la mora saltellando.
“Oh Stige …”
“Tranquilla tranquilla!!” la prese sotto braccio. “Andiamo a cercare un bagno pubblico … sperando siano puliti di mattina presto, no?”
Anche le altre la seguirono perché, come aveva detto Sue, nessuno voleva rimanere ancora accanto ad una porta per l’Oltretomba un minuto di più. Tutte si diedero una rinfrescata e Aurea sempre aiutata da Selena si cambiò le bende, aveva evitato di fare movimenti bruschi ma ogni tanto le ferite le si riaprivano macchiando le bende di sangue.
“Dobbiamo trovare dell’Ambrosia … assolutamente.” commentò la cacciatrice stessa con il volto bianco e segnato.
“CHE STAI FACENDO?!”
“Zitta un po’!”
“Da quanto vanno avanti così?” domandò Sonny con l’alito che sapeva di menta piperita tanto che l’odore poteva essere sentito da kilometri di distanza.
“Circa mezz’ora.” rispose la figlia di Dioniso.
“C’è da dire che Fran era davvero sporca.” commentò Selena osservando gli alberi.
“Prova tu a stare una settimana negl’Inferi a prendere polvere …” la giustificò la sorellastra.
Erano tutte sedute sulla stessa panchina proprio fuori dai bagni ad osservare il parco.
Sospirarono sonoramente.
Poi Sonny balzò in piedi e gli anelli divennero istantaneamente delle accette. “Vieni fuori! Non sei bravo a nasconderti.”
Anche le altre scattarono sul chi va là.
Aurea rimase seduta aspettando.
Una mano spuntò da dietro un albero. “Sono disarmato.”
“Figurati se mi interessa? Anzi meglio così!” lo incalzò ancora la figlia di Apollo.
“Va bene.”
Mason si mostrò uscendo dalla protezione dell’albero. “Non ho cattive intenzioni.”
“Vallo a dire alle mie accette.” sbottò la nera.
“Come puoi presentarti qui come se nulla fosse dopo quello che hai fatto?” lo attaccò Selena.
Poi la cacciatrice bionda si alzò aggrappandosi alla maglia di Sue che abbassò l’arma. “Ragazze …” sospirò. “Lui non vuole farci del male, sul serio.”
“Aurea che ti prende?” le domandò l’amica che la sorreggeva.
Lei però non staccava gli occhi da lui. “Non più. Giusto?”
Il ragazzo annuì.
In quel momento Ginny e Fran uscirono dal bagno.
“Promettimi che non mi aiuterai più a vestirmi, promettilo!”
“Ma che vuoi? Hai anche la maglia di Batman.”
“Io sono Batman.”
Poi la figlia di Afrodite vide il ragazzo e si bloccò di colpo facendo andare a sbattere l’amica contro la sua schiena.
“Sei impazzita?!” la rimproverò.
“M-Mason?”
“Mason.” Fran spalancò gli occhi e sollevò la testa per cercarlo, un riflesso condizionato, ma fissò il vuoto.
“Fran …” fece un passo avanti ma si bloccò. “Cos’hai?” la sua voce era piena di apprensione.
Lei sorrise debolmente nella sua direzione. “’L’amore rende ciechi’, ricordi?”
Lui rimase completamente spiazzato da quelle parole.
“Ed’è per colpa tua.” rincarò la dose Sonny sollevando nuovamente le accette.
“No. No, ho tolto l’incantesimo: non dovresti più avere niente.” rispose Mason nel panico.
“Come potrebbe non avere più niente!?” sbottò allora Ginny. “Sei figlio di Eros e ancora non ci arrivi?”
“Basta!” Fran fece un passo avanti. “Basta, vi prego.” e iniziò a camminare nella direzione del ragazzo.
“Che fai?” tentò di fermarla l’amica.
“Io non ce l’ho con lui!” e continuo ad avanzare fino a che non inciampò, chiuse d’istinto gli occhi.
Mason si mosse veloce e la riprese prima che cadesse a terra.
“Mi hai presa.” disse riaprendo gli occhi ma senza vederlo.
Il ragazzo non rispose.
“Sapevo che mi avresti ritrovata.” con una mano gli sfiorò la guancia.
“Te l’avevo detto.” sussurrò alla fine.
E si abbracciarono stretti.
A quel punto anche Sonny abbassò le armi e le fece tornare dei semplici anelli.
Aurea si risedette esausta ma felice che tutto fosse finito bene.
“Sì, sì … allora Principe Azzurro …” iniziò la nera.
“Filippo.” Ginny la osservava attendendosi un ringraziamento.
“Fi … Filippo …” scosse la testa. “Insomma: tu! Che ne pensi del nord?”
Mason di morse il labbro inferiore. “Perché il nord?”
“Vogliamo andare a Grande Inverno.” fece Fran giocherellando a tentoni con la linguetta della cerniera della felpa nera di lui.
Mason rise lievemente.
“Così.” rispose dopo un’espressione confusa Sue. “Istinto.”
“Perché quella faccia?” domandò Aurea al ragazzo.
“Niente. È solo che Alec mi ha detto chiaramente di non andare in quella direzione.”
“Be’ e perché cosa c’è in quella direzione?” Selena si era rimessa a sedere con la cacciatrice.
“Non lo so … cioè là c’è Long Island, ma non so da cosa voleva tenermi lontano.” precisò il figlio di Eros.
“Aspetta, quindi fammi capire.” Sonny alzò le mani come per fermare tutti nelle loro posizioni. “Hai intenzione di venire con noi? Cioè tu non stai con Alec?”
“Non ti fidi proprio.” constatò Fran.
“Ha ragione.” Mason fermò la ragazza prima potesse aggiungere altro. “Non ho intenzione di unirmi a lui. Ho smesso di eseguire i suoi ordini. Avevo promesso di seguirlo, perché mi ha salvato la vita in più di un’occasione ma dopo quello che mi ha costretto a fare non lo seguirò mai più.” spiegò tutto d’un fiato.
La bionda oscillò un po’ ancora tra le sue braccia arrossendo un po’.
“Va bene …” fece ancora non del tutto convinta la figlia di Apollo. “Giuro che mi unisco alle cacciatrici nel momento stesso in cui iniziano a fare strani versetti acuti per salutarsi.” borbottò mentre si sedeva accanto ad Aurea, che rise per risposta.
“Per cui andiamo a nord.” fece Mason per concludere la discussione.
Tutte annuirono.
Lui voltò Fran verso di sé prendendola per le spalle. “Ti porto in collo, ok?”
“Cosa?! No!”
“Perché no? Non ci vedi, dobbiamo muoverci camminare e non ci vedi. Ti porto in collo.”
“No, ho detto.” sfuggì dalla presa e gli diede le spalle. “Tu porti mia sorella.”
“Che!?” saltò su Aurea.
“Sei ferita, meglio se ti riposi. Io posso camminare, sono cieca mica invalida.”
Nessuno rispose a quella logica ma stentavano comunque a credere che passeggiare per le strade di NY in quelle condizioni con tutte le cose che minacciavano sempre i mezzosangue fosse una buona idea.
“Hei, non fate quelle facce.”
A quel punto il silenzio fu totale.
Fran sbuffò. “Ok, io terrò per mano … hem … Ginny, che non combatte nemmeno se la spingi in mezzo al campo di battaglia.”
“Hei!”
“Così starò al sicuro, no?”
Mason la osservò un attimo, poi guardò Aurea e lei annuì. “Va bene, hai vinto.”
“Non avevo dubbi.”
“Andiamo?” brontolò Sonny.
Tutti si mossero e in breve furono pronti a partire.
Solo Fran rimase ferma in mezzo il gruppetto.
“Hei, tutto bene?” le fece Sue passandole accanto.
“Sentite io mi sono trattenuta fino ad ora ma non credo resisterò ancora per molto …”
Gli altri si scambiarono sguardi preoccupati.
“Cos’hai? Non farci preoccupare.” domandò Ginny con voce tesa.
Fran mugolò un attimo poi disse: “Ho fame.”
Per poco non la strangolarono, ma era anche vero che non mangiava da una settimana per cui le ficcarono un tramezzino in bocca e il gruppo si mise in marcia.
“Ok, questa cosa è ridicola.” si lamentò Aurea con i gomiti sulle spalle di Mason.
“Sei leggerissima.” commentò lui.
“Questa cosa è ridicola.” ripeté Fran.
Ginny la tirò per la mano. “Sei in mia balia, vedi di fare la brava.” la minacciò.
“Dovremmo trovare una macchina …” sbuffò Sonny.
“Decisamente.” concordò Selena.
Sue rise della situazione complessiva.
“Avremmo bisogno di un furgoncino … potremmo noleggiarlo.” propose Mason.
“E come? Siamo minorenni e non abbiamo documenti.” chiese Sonny.
“Io li ho.” rispose lui. “E poi la Foschia è dalla nostra parte.”
La nera fece un passo indietro. “Fran … non potevi dircelo subito che il ragazzo qua era la soluzione a tutti i nostri problemi?”
La ragazza per tutta risposta sorrise.
Camminando un po’ a caso per le strade della città trovarono un piccolo noleggio d’auto, videro da fuori che c’era anche una specie di piccolo caravan di un colore bianco sporco e delle strisce lungo la fiancata che una volta dovevano essere state si un arancione brillante ma che ora erano poco più che marroni. Non sapevano quanto sarebbe costato loro ma avevano la dracma si Selena con loro.
L’uomo che dirigeva il posto stava seduto dietro la sua scrivania in una piccola struttura fatta principalmente di cartongesso; quando vide entrare il ragazzo smise di mangiare le patatine fritte che si era preso per colazione e si pulì le mani sulla maglietta bianca.
Mason evitò di stringergli la mano ad affare concluso e se ne uscì molto velocemente con le chiavi in mano.
“Grande!” commentò Sue.
“Ok, ti sto rivalutando ragazzo.” gli fece l’occhiolino la figlia di Apollo.
Poi entrarono nella vettura: al posto di guida si sistemò Mason, accanto a lui Aurea teneva una cartina che avevano comprato in un negozio vicino all’autonoleggio; le altre si sistemarono dietro sedute più o meno scompostamente sui divanetti.
“Potremmo anche trovare un posto sicuro e sorvegliato e dormire qua dentro stanotte.” propose la figlia di Dioniso.
“Effettivamente.” concordarono le altre dietro.
“Vedremo!” le bloccò subito Aurea. “Solo se troviamo un posto davvero adatto.”
Così iniziarono a muoversi verso nord.
Ogni tanto il caravan però dava degli strani rumori e rallentava improvvisamente. Niente che Mason non sapesse compensare con la guida ma sul suo volto si dipinse un’espressione diffidente. “Se questo coso si ferma saremo davvero persi …”
Aurea non replicò, continuava ad osservare la mappa cercando un posto il più vicino possibile dove potersi fermare. Senza trovarne.
Calò il buio più in fretta di quanto si aspettavano.
“Ok, gira qua a destra e più avanti dovrebbe esserci una sosta per camper sorvegliata. Non sarà il massimo come protezione ma sempre meglio di niente.” avvertì la cacciatrice.
“Bene.” annuì Mason, svoltò e accelerò un poco.
Si ritrovarono in una lunga strada con nessun’altra macchina in vista, senza capire se questo fosse una cosa buona o una cattiva, alla loro sinistra, dall’altra parte della carreggiata, il terreno saliva e iniziava un boschetto di alberi non tanto alti e pini sempre verdi, mentre a destra c’erano pascoli a perdita d’occhio pieni di mucche.
All’improvviso ci fu uno schianto metallico, il caravan sobbalzò e dal suo cofano iniziò a salire un denso fumo nero.
“Oh dei …” commentò il ragazzo.
“Quello era sicuramente il motore.” fece Fran dal retro. “Sale del fumo?”
“Sì.”
“Bene … siamo a piedi!”
Mason scese a controllare il danno alla vettura ma capendoci davvero poco di motori si fidò di quello che aveva detto la figlia di Atena e rientrò. “Non si muoverà di qui …”
“Non mi piace.” mormorò Aurea.
Sue si alzò e iniziò a guardare fuori dai finestrini. “Cosa facciamo? Restiamo qua dentro?”
“Forse è la cosa migliore, siamo protetti qui, no?” fece Selena.
“Potremmo montare dei turni di guardia.” propose Sonny.
“Sarebbe meglio andarsene di qua.” la cacciatrice si era alzata. “Non mi piace affatto restare allo scoperto in questo modo, e se dovessero attaccarci non siamo nelle condizioni di difenderci.”
“Ma chiunque e qualsiasi cosa che potrebbe dovrebbe prima trovarci.” pensò Ginny. “Qua siamo in mezzo al nulla …”
“Tuttavia un caravan con sette semidei riuniti dentro manda un forte odore, facilmente ritracciabile.” spiegò Mason.
“Usciamo allora.” Fran picchiettò con il dito il vetro del finestrino accanto al quale era seduta.
Decisero di inoltrarsi nel bosco, Aurea si sentiva più a suo agio e gli alberi avrebbero fornito loro un po’ di copertura. Mentre salivano disse che anche se poteva far freddo durante la notte non avrebbero acceso un fuoco e che i turni di guardia sarebbero stati fatti a coppie tra tutti coloro che potevano combattere, sbuffò mentre lo disse, Fran le fece eco: doveva pesare loro il fatto di non poter combattere o comunque agire.
Si sistemarono sotto un vecchio e alto pino in cima alla collina il primo turno di guardia lo avrebbero fatto Sue e Sonny, una rivolta verso la parte di collina che avevano appena risalito e l’atra nella direzione opposta.
Gli altri iniziarono più o meno a tentare di dormire.
Fran si sedette con la schiena poggiata al pino sicura che comunque non avrebbe dormito.
 Mason se ne accorse subito e le andò vicino. “Perché non ti sistemi per bene e ci provi almeno?”
Lei non mosse neanche la testa nella sua direzione, come aveva fatto fino a quel momento come riflesso condizionato. “Non voglio dormire, il solo pensarci mi da i brividi …”
Non poté vedere l’espressione terrea del ragazzo.
“Tranquillo, non ce l’ho con te. In realtà non sono mai stata realmente arrabbiata con te.” si affrettò a dire arrossendo un poco quando non sentì nessuna risposta.
Mason si sedette accanto, sempre con la schiena poggiata al tronco, e non disse niente. Iniziò a giocherellate con la mano di lei.
“Allora ragazze ditemi cosa mi sono persa in questa settimana.” propose la figlia di Atena.
“Niente di che …” rispose Selena. “Le solite cose.”
“Io ho fatto una torta.” disse Sue.
“Io sono scivolata giù da un monte” aggiunse Sonny.
“Io ho fatto un vestito!!” contribuì ancora su di giri al pensiero Ginny.
“Io sono morta.” fece Aurea.
“Aspetta che!?” la fermò Fran.
Mason le voltò il viso nella direzione opposta a quella verso la quale si aera girata. “Di là.”
“Grazie.” gli disse lei e poi: “Aspetta che?!”
Così una ad una le ragazze raccontarono all’amica quello che era accaduto in sua assenza.
“Quindi nessuna è stata inutile durante il viaggio.” constatò alla fine lei.
“No, non è vero.” intervenne Selena. “Io non ho fatto niente, non ho affrontato nessuna prova, non ho combattuto.” sbuffò. “Sono stata inutile.”
“Ma hai lanciato la moneta del fulmine contro Lamia.” ricordò Ginny.
“Se non ci fosse stata Aurea a dirmi di farlo, non ci avrei mai neanche pensato!” distolse lo sguardo concentrandosi sulle sue scarpe.
“Non è finita …” intervenne Mason. “La profezia parlava di altro … e ho buone ragioni di credere che tu possa salvare tutti dalla Sventatezza …”
Ci fu un attimo di silenzio poi Sonny scattò: “Aspetta! Chi ti ha detto la profezia?”
“Sono stata io!” alzò le mani Fran.
E il gruppetto rise.
Dopo neanche un’oretta però si erano addormentati quasi tutti.
Mason per primo, doveva aver passato molto notti insonni negl’Inferi; era scivolato in una posizione più comoda con la testa sul grembo di Fran che gli arricciava distrattamente i riccioli fino a che anche lei non sentì di essere stanca. Chiuse gli occhi e poggiò la testa al tronco.
Ancora non riusciva ad addormentarsi che sentì un rumore, come di metallo contro il legno.
Spalancò gli occhi di scatto. “C’è qualcuno.” disse ma non abbastanza forte che qualcuno potesse sentirla.
Una voce di ragazza le sussurrò all’orecchio: “Rimani in silenzio.”
Forse non si erano accorti di Mason …
“Abbiamo visto che siete in sette, la tua compagna qua dietro è già stata immobilizzata.”
Sonny …
Non sembrava essere minacciata con nessuna lama, ma non poteva saperlo. Si concentrò su ciò che la circondava e iniziò a pensare:
quanti sono? Dove? Da dove sono arrivati? Sono armati?
Inspirò profondamente e mormorò alla voce. “Siete in cinque, tre armati di spada; siete arrivati dall’altra parte della collina nascosti dai tronchi dei pini … con voi … c’è una capra?” finì la frase sorpresa.
“Ma come hai fatto?” replicò anche l’altra sorpresa.
Fran sorrise. “Siamo in una posizione di stallo?”
“Non direi, e comunque è un satiro.”
“Ma certo un satiro.”
“Annabeth, si può sapere che … Fran?”
“Mally?” e questa volta la ragazza parlo a voce alta.
Mason si svegliò e Sue che non si era accorta di niente si voltò di scatto con l’asta a doppia lama pronta all’azione.
“Tu fermo e tu ferma.” fece Fran.
“Che?” mugolò Ginny ancora nel sonno.
“Ginny?”
“Mally?”
“Continuiamo ancora per molto oppure qualcuno spiega quello che sta accadendo?” una ragazza dagli scompigliati capelli castani sovrastò tutti con la sua voce.
“Sonny!” chiamò Sue.
“Ah, allora è stata lei a bloccarla.” constatò Fran.
“Clarisse, puoi lasciarla andare.” fece la voce di Annabeth.
“Ma chi sta parlando?” la figlia di Dioniso guardava a destra e a sinistra del pino senza vedere nessuno a parte Mally con le mani sui fianchi.
“Annabeth …”
Una ragazza dai riccioli biondi comparve dal nulla mentre era nell’atto di togliersi un berretto da baseball e attaccarselo alla cintura.
Nel frattempo Sonny era stata liberata e adesso  si strofinava la nuca. “Che diavolo di presa era quella.”
“Una decente moscerino.” la schernì Clarisse.
“Che hai detto?!” si infiammò subito la nera.
“Clare, sei sempre la solita!” la rimproverò una ragazza alta con i capelli biondi e degli occhiali quadrangolari con la montatura nera che era appena arrivata camminando lentamente, si stava sfregando le mani in un panno completamente macchiato di diversi colori di, sembrava, vernice.
“Guarda chi si è deciso ad arrivare!!”
“Avevo da fare …” rispose questa.
“Presentazioni! Presentazioni!!” urlò Fran per superare la confusione. “Troppe persone, non capisco …”
Mason si era rialzato. “Insomma chi siete?”
“E lui che ci fa qui?” sbottò Mally.
“Amico tuo anche lui?” domandò Annabeth.
“Decisamente no.”
“Ora sì!”
“Perché?”
“Perché lo dico io!” la zittì Fran.
“Bene, bene …” la bionda con i riccioli si portò le mani alle tempie. “Facciamoli entrare e basta!”
“Entrare dove?” domandò calma Aurea alzandosi faticosamente.
“Nel Campo Mezzonsague.” fu la risposta.
“Sì ma la capra che c’entra?” Fran ancora non capiva.
“Sono un satiro in realtà …” rispose un ragazzo con il volto gentile che dalla vita in giù aveva delle pelose zampe da capra. “Mi chiamo Grover …” si presentò sistemandosi il berretto giamaicano sui riccioli.
“Scusa, Grover.”
La ragazza bionda che era arrivata per ultima rise.
Il gruppo fu scortato dall’altra parte della collina, lasciandosi il pino alle spalle.
All’improvviso si sentì un urlo a dir poco sovrumano provenire da una struttura molto simile alla loro mensa: “MIDORI!!!!!”
Clarisse rise forte. “Greeny beccata!!” fece poi rivolta alla spilungona bionda che se la diede da gambe.
Più che avvicinavano alle costruzioni più vedevano che sulle colonne della struttura sulla collinetta c’era stato dipinto qualcosa, ma era troppo buio per capire cosa.
“Andiamo alla Casa Grande.” disse Annabeth dopo un momento di pausa.
Ripresero a camminare.
Mally si accostò a Fran che camminava tenendo una mano sulla schiena di Ginny. “Ho piacere di rivederti sana e salva ma si può sapere che ti prende?”
“Non saprei come spiegarti al momento. Ma voi che ci fate qui?” domandò evasiva senza guardarla.
L’altra non rispose continuò a camminare fissandola.
“Non fare quella faccia sono solo cieca.”
Mally rimase spiazzata ma non sapeva se più per la rivelazione o se per il ‘non fare quella faccia’.
In breve arrivarono davanti alla Casa Grande, lo capirono subito: era quasi uguale a quella che avevano anche in Inghilterra e dall’interno provenivano voci di qualcuno che stava rimproverando qualcun altro e neanche con tanta calma.
“Questa voce …” mormorò Sue facendo un passo avanti.
“E vedi di pulire quella roba!!”
La ragazza bionda che Clarisse aveva chiamato Greeny saltò fuori dalla finestra.
“Te la sei cavata con poco.” notò Annabeth.
“A parte uccidermi, al Signor D non rimangono molte altre punizioni da infliggermi!” rise lei e si diresse verso la mensa.
“Vado a vedere che svolga davvero il suo lavoro.” fece Grover prima di rincorrerla con la sua andatura ondeggiante rivolto ad Annabeth.
“Bene.” si voltò la ragazza. “Pronti a rispondere ad alcune domande?”
“E a morire?”
“Clarisse!”
“Deviazione professionale.” alzò le mani come se non potesse farci niente l’altra.


Da ora in poi arriveranno un sacco di nuovi personaggi, praticamente tutti ispirati a persone che esistono realmente per cui ... sarà un bordello indecente ...
Spero di pubblicare il più presto possibile visto che dovrei avere una settimanuccia di vacanza ^_^ ovviamente prima farò la nerd giocando a SuperMarioBros finché non mi escono gli occhi dalle orbite ... poi pubblico, he! Giuro!

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Capitolo 43
*** Al Campo Mezzosangue ***


Il capitolo che alcuni non volevano che pubblicassi e che altri non vedevano l'ora di vedere.



Le domande erano quelle che chiunque si sarebbe aspettato in un momento come quello.
Il Signor D si fece quattro risate quando notò che Fran era cieca, lei non sembrò darci tanto peso quello a cui però la cosa pesò non poco fu Mason.
Sue rimase per tutto il tempo ferma in un angolo della stanza in piedi poggiata contro il lavello della piccola cucinetta della Casa Grande, non distoglieva lo sguardo da quell’uomo burbero che nei pochi minuti che passarono lì si scolò ben tre lattine di Diet Coke; era fin troppo familiare, immaginava perché ma non voleva essere la prima a parlare, oltre che quello non le sembrava il momento più adatto ad un ricongiungimento padre e figlia poi non voleva che quel momento si realizzasse in quel modo. Era strano: voleva ma non voleva, le sarebbe piaciuto ma era terrorizzata all’idea. In più c’era quella perenne sensazione che tutto ciò che le accadeva non stesse accadendo realmente e che non la riguardasse che fosse solo qualcosa di passeggero senza importanza, si sentiva altrove.
A rispondere alle varie domande, a quelle serie di Chirone, un uomo distinto di mezza età con la lunga barba brizzolata che sedeva su una sedia a rotelle con una coperta sulle gambe, e a quelle un po’ meno serie, e che a volte parevano più minacce che altro, del Signor D, ci pensavano Sonny e Ginny, a meno che non fosse interpellato direttamente qualcuno.
“Bene, direi che può bastare.” disse ad un certo punto Chirone sorridendo affabile. “A sentire la vostra storia si direbbe che ne avete passate davvero tante. Adesso non vorrete far altro che farvi un lungo sonno ristoratore, he?”
Il gruppo annuì.
“Allora ognuno nella sua capanna!” ordinò loro il Signor D chiudendosi il frigo dietro le spalle dopo aver preso la quarta lattina. “Sarete abituati alle divisioni secondo il genitore, no? Andate andate …” continuò facendo segno loro di andare con la mano libera.
Così gli altri uscirono seguendo Annabeth, che diceva loro che avrebbe fatto da scorta, e Clarisse, che invece urlò che sarebbe tornata al suo turno di guardia e si portò dietro Mally sollevandola di peso neanche fosse un gattino.
Sue rimase per ultima sulla soglia della Casa Grande, aspettando che Mason avesse preso di peso Fran che continuava a rifiutarsi di farsi portare sulle spalle; sentì una pacca sulla spalla e si voltò. Dioniso stava bevendo la sua Diet Coke senza guardarla, poi la spinse leggermente in avanti e lei capì che era venuto il momento di andare assieme agli altri e si affrettò a seguire il gruppo.
Annabeth distribuì ognuno nella sua capanna: Selena si ritrovò una stanza enorme tutta per lei mentre Sonny invece si ritrovò per la prima volta circondata da ragazzi che le facevano mille domande su che strumenti sapeva suonare, se scriveva poesie o preferiva le canzoni; Aurea fu portata in infermeria; Sue e Ginny si unirono al resto dei loro fratelli mezzi addormentati nelle loro capanne.
Poi Annabeth, Mason e Fran passarono davanti a quello che sembrava una fornace e si sentì distintamente: “Dove sono!?” seguito da una risata di puro divertimento provenire dall’interno.
La bionda che guidava gli altri due si fermò portandosi una mano davanti agli occhi incredula.
“Ecco ecco!! Ma tu ce l’hai la mia di roba? Non dovrei rifare tutto quello che ho fatto stanotte solo con le pennellesse!! Ho bisogno dei rulli!”
Altra risata indecente.
“È Greenie questa?” chiese Fran.
“Una delle tre, sì.” rispose l’altra. “Quella che ride dovrebbe essere a letto e con l’altra ci ho perso le speranze. Ma andiamo … non ho voglia di essere bersagliata di tempera verde.” e riprese a camminare.
Mason la seguì. “Annabeth, ma tu di chi sei figlia?” le domandò.
“Davvero?” fece Fran da sopra la sua spalla.
“Davvero, cosa?”
“Atena.” fu la risposta decisa della ragazza.
Il ragazzo sospirò. “Sono nel covo dei leoni …”
Le altre due risero.
“Sì, sono figlia di Atena.” riprese l’altra mentre arrivavano davanti alla loro capanna. “E anche tu lo sei.”
Fran annuì.
“La porto dentro.” si offrì Mason e Annabeth lo accompagnò davanti ad un letto libero. “A domani.”
“A domani.” gli rispose senza aggiungere che comunque non avrebbe chiuso occhio per il resto della notte.
Poi lui andò con Annabeth alla capanna di Ermes, l’unico posto in cui lui potesse andare.
Il mattino non arrivava mai per alcuni e arrivò troppo presto per altri. Ma tutti poterono ammirare lo splendido murale di Greenie sui muri della mensa: la rappresentazione completa dell’Odissea.
Anche per la colazione le ragazze rimasero con i loro fratelli e sorelle, a parte Mason che aiutava Fran qualsiasi cosa facesse. I suoi fratelli la osservavano mentre lei fissava il vuoto finché lei non sbottava con un: “Perché quelle facce?” facendoli ridere.
“Comunque penso sia figo.” fece un ragazzo.
“Sì, fantastico: va in battaglia in quel modo!” rispose invece una ragazza dall’altra parte del tavolo.
“Non credo che ci abbia mai pensato.” continuò il primo rivolto a Fran.
“Invece sono preoccupata per questo.” non sapendo quanto potesse dire e quanto effettivamente sapesse non aggiunse altro, però si ripromise di chiedere a Mason cosa stesse succedendo a New York.
Selena mangiava la sua ciotola di cereali in silenzio con nessuno a farle compagnia fino a che Mally non le si presentò davanti con il suo piatto di sabadas e si sedette.
La figlia di Zeus la guardò bene. “Ma perché la maglietta rosa?” domandò.
L’altra sollevò lo sguardo su di lei con gli occhi di brace. “Non-ne-voglio-parlare.” disse tra i denti.
La mora annuì in fretta distogliendo lo sguardo e diede un occhiata al padiglione, praticamente tutti i ragazzi del campo dovevano essere lì in quel momento. “Ma voi perché siete qui?” domandò all’altra.
Mally finì di mangiare uno dei suoi dolci. “Non ricevevamo più notizie da un paio di giorni così Phill ha deciso di fare una squadra e venire a dare un occhiata.”
“Stai dicendo che c’è anche lui?”
“Sì, ieri sera non l’avete visto perché non era il suo turno di guardia e lo abbiamo lasciato dormire.”
Selena annuì mangiarono per un altro po’ di tempo in silenzio. “Ma come avete fatto ad arrivare prima di noi?”
La figlia di Ares sollevò lo sguardo su di lei con una sabadas a mezz’aria. “Con l’aereo.”
“Sì, non dovevo chiederlo.”
All’improvviso si sentì un urlo di sconcerto, sorpresa e dolore provenire dal tavolo di Ermes.
Mally non si scompose minimamente e continuò a mangiare come se niente fosse mentre Selena era sconcertata.
“Ma qui è sempre così?” domandò.
“Sì e no, diciamo che stiamo anche contribuendo.”
“MALEDETTA!!” si sentì ancora.
Poi  dal capannello di gente intorno al tavolo da cui era venuto l’urlo emerse una figura non ben distinguibile da lontano che si dirigeva a grandi passi nella loro direzione.
“Irma?” domandò Selena tra il sorpreso e lo spaventato.
La ragazza dai riccioli scuri era furiosa aveva il volto paonazzo e le lacrime agli occhi.
“TU! PICCOLA BASTADA! DI NUOVO!?”
“Sei tu quella che ci casca sempre con tutte le scarpe.”
“Un’altra torta piccante?” domandò Selena.
“SI!”
La ragazza iniziò a ridere e continuò finché le due davanti a lei continuarono a litigare. A quanto pareva quello era solo l’ennesima vendetta tra di loro: tutto era iniziato durante caccia alla bandiera, Irma aveva fatto finire Mally in un cespuglio, poi la torta piccante … la figlia di Ecate si era presa la sua rivincita facendo diventare tutte le maglie dell’altra rosa; allora le era toccata una bombetta puzzolente nella capanna, la figlia di Ares non ci andava leggero. Così, secondo la legge dell’occhio per occhio, dente per dente, Mally si era ritrovata anche tutto il resto dell’armadio rosa, dal pigiama alla biancheria intima, perciò il contrattacco non poteva che essere un’altra torta piccante.
Nel frattempo il tavolo di Afrodite era tutto concentrato sulla nuova arrivata che tentava di mangiare, considerando che la colazione era l’unico momento in cui lo faceva davvero.
“Sei inglese?”
“Sì.”
“Londra?”
“No.”
“Ma ci sei stata a Londra, no?!”
“Sì.”
“Da Harrods? Ci sei mai stata da Harrods!?”
“Sì ma …”
“No, la domanda più importante è: ce l’hai il ragazzo?”
“Ok, adesso basta! Sto cercando di mangiare per favore le domande dopo!” riportò tutti all’ordine riprendendo in mano il suo yogurt con gli anellini di cioccolato.
La sua voce si udì addirittura dal tavolo a cui era seduta Sonny che si stava rimpinzando di ciambelle.
“Le tue amiche sono chiassose, he?” le disse un suo fratellastro indicando anche il tavolo di Selena.
“Sì, ma si stanno anche trattenendo. Al nostro Campo il peggiore è Phill!” inghiottì l’ultimo boccone di ciambella e ne prese un’altra. “È come Chirone qui da voi immagino, oppure il Signor D. comunque sia lui …”
“LUI, COSA?”
La domanda le gelò il sangue nelle vene. Si voltò lentamente: il satiro era dietro di lei con le braccia incrociate al petto e la osservava con uno sguardo di rimprovero.
“Lui  … è il miglior insegnate del mondo, non ci sfrutta come muli e non tenta di ucciderci durante le cacce alla bandiera …” finì poco convinta la nera.
“Ah, ecco sarà meglio!” disse lui scompigliandole i capelli e ridendosela.
“Ma quindi ci sei anche tu!” commentò lei rimettendoseli bene o male a posto.
“Sì, non è che ho mandato un branco di ragazzini a recuperare un gruppo senza una guida!”
“No … non lo hai fatto …”
“Taci!”
Aurea varcò la soglia della mensa in quel momento, si sentiva meglio rispetto al giorno prima: le avevano cambiato le bende e fatto mangiare ambrosia finché non si era addormentata, e al risveglio non si sentiva più enormemente stanca come prima. Si guardò un po’ intorno: le ragazze sedevano ai tavoli delle rispettiva capanne, più o meno. Vide Sue che parlava animatamente con i ragazzi del suo tavolo di non si sa bene cosa ma sembrava fosse pizza. Allora decise di sedersi accanto a Fran, tutti la osservarono incuriositi.
“Una cacciatrice?” fece un ragazzo.
“Sì, la sorellona ha preso questa strada.”
“Sorellona?” domandò ancora il ragazzo.
“Sono figlia di Atena anche io, ovviamente l’ho scoperto dopo essere diventata una cacciatrice.”
E tutti si misero ad ascoltare la storia di Aurea.
Dopo un po’ Fran e Mason si alzarono per riportare i piatti a posto.
“Aspettami qui.” fece il ragazzo mentre fermando l’altra accanto al braciere al centro del salone. “Porto questi e torno subito.”
“Okey …”
Lo sentì allontanarsi.
“Quindi state insieme?” le domandò una voce lì accanto.
“Greenie?”
“Sì … allora?”
“Tu sei Rob.”
“Cosa c’entra?”
“Hai capito?”
“Sì.”
“No, nel senso che tu … hai CA-PI-TO!?”
“Sì!!”
“Questo significa che tu …”
“Che?”
“Tu … tu sei … sei …”
“Cheeeeeee!?”
“Figlia di Atena.”
“Ah … sì …”
“Non ci si aspetta da lei vero?” un’altra voce.
“Sì, mamma avrà avuto un bel mal di testa quando sono nata io.”
“Che bel tumore …”
“Blackie, zitta o ti tingo.”
“Blackie?”
“Piacere, mi chiamo Blackie e sono figlia di Efesto.” poi la ragazza dai capelli neri dalle punte arancioni prese a guardare gli occhi di Fran attraverso i suoi occhiali. “Hei … li vuoi degli occhi bionici.”
“Hem … no … grazie …”
Una risata spaccò un timpano alla povera ragazza. “Che Stige c’è ora?”
“Ahahaha!! Scusa non mi sono presentata io mi chiamo Pinkie!” una terza ragazzina le si avvicinò di più saltellando e doveva averle teso la mano perché qualcuno, forse Blackie, sollevò il suo braccio e gliela fece stringere.
“Ma cos’è qui vi chiamate solo per colori?” commentò Fran.
“No, ma io mi chiamo davvero verde …” fece l’altra figlia di Atena.
“Midori?”
“Sì, significa verde in giapponese.”
“Suo padre era un otaku del cavolo.” la prese in giro Blackie.
“Intanto mi manda in manga che leggi pure tu! E poi avanti dillo il tuo nome!” la sfotté Greenie mentre Pinkie rideva.
“ Mi chiamo Ilga ma, essendo troppo figa per questo nome, ho deciso di chiamarmi Black, siete state voi a chiamarmi Blackie!”
“Io sono Eleonor, ma visto che la prima cosa che ho detto è stata ‘pink’ mamma mi ha soprannominato Pinkie. Dice anche che un nome del genere fa sorridere, per cui me lo sono tenuto.” spiegò la morettina saltellante.
“Ma chi sarebbe tua madre?” domandò Fran.
“Estia, la dea del focolare!”
La figlia di Atena aggrottò le sopracciglia. “Ma lei non è …”
“Figlia adottiva.” la frenò la nera.
“È un umana che possiede la Vista e prima che i mostri potessero mangiarsela, Estia l’ha portata qua.” Finì di spiegare Greenie.
“Ah, adesso capisco … quindi siete tutte … nerd …”
“Certo!!”
“Ok, ieri sera erano vostre le voci che parlavano di rulli … pennellesse e cos’altro poi?”  iniziò Fran.
“Ci hai sentito parlare nella fornace?” domandò Blackie. “Comunque sì. Eravamo noi.”
“Io porto a lei le sigarette e lei mi fornisce colori, pennellesse e rulli.” spiegò Greenie.
“Anche se ancora non abbiamo capito come fai a procurarti le cicche.” le fece notare Pinkie.
Fran inclinò la testa da un lato. “Secondo me neanche l’autrice lo sa.”_
Silenzio …
“Forse è perché sono forte, bella e intelligente.” si lusingò la spilungona.
“PALMO DELLA SAGGEZZA!!!” la figlia di Efesto le rifilò un frontino micidiale.
“Ahia!!”
All’improvviso qualcuno disse: “È tornato il gruppo di ronda!”
Tutti i presenti nella mensa si voltarono per assistere all’ingresso di una decina di persone, per la maggior parte cacciatrici che si fiondarono immediatamente al tavolo di Atena dove si ricongiunsero con Aurea, dopo averla lasciata a Ipswich sembrava passato un sacco di tempo, non erano abituate a dividersi così spesso dalle compagne. A chiudere la fila c’erano due ragazzi.
Ginny alzò la testa per vedere meglio e vide Javier che si avvicinava al centro della mensa mentre parlava e scherzava con l’latro ragazzo e si precipitò da lui.
Quando fu più vicina lo chiamò: “Jav …” poi vide il ragazzo che gli stava accanto: era alto con i capelli nerissimi e scompigliati, non si poteva non notare i suoi occhi verdi, di un colore simile a quello dell’acqua cristallina del mare stesso quando è calmo, che si guardavano attorno cercando chissà cosa.
“… vier …” finì Ginny che dal correre passò al camminare per finire allo stare ferma con le mani a mezz’aria, era partita con il voler abbracciare il figlio di Ares poi si era fermata a metà del gesto con la bocca aperta e rivolgeva lo sguardo prima ad uno poi all’altro senza trovar posa. Sembrava totalmente imbambolata.
“Ginny?” la chiamò a sua volta Javier facendole un gesto con la mano davanti al viso.
Lei si concentrò su di lui ed infine si riscosse e lo abbracciò.
“Mi sei mancata tanto …” le sussurrò nell’orecchio lui.
“Anche tu a me.”
Il ragazzo la strinse più forte poi la baciò
Dopo poco l’altro ragazzo lì accanto si schiarì la gola.
I due si divisero diventando rossi in volto.
“Ecco Ginny … lui è Percy, figlio di Poseidone. Percy, lei è Ginny figlia di Afrodite.”
“Si vede … ahia ahai ahai!!” si piegò in due dal dolore e all’improvviso accanto a lui comparve Annabeth nell’atto di togliersi di testa il suo cappello da baseball, che gli stringeva un orecchio in una morsa d’acciaio.
“È onorato di fare la tua conoscenza.”
“Esatto! Esatto!!”
Javier rise.
Ginny si perse di nuovo negli occhi del figlio di Poseidone finché la bionda non lo portò via sgridandolo sul fatto di averci messo troppo a tornare.
Il ragazzo accanto a lei le pizzicò la guancia.
La mora si rivolse a lui mesta: “È colpa sua. Come diammine fa ad avere quegli occhi!!”
Javier rise ancora. “Credo che questi siano i rischi dello stare con te giusto?”
Lei annuì silenziosa.
Lui la prese per mano e la condusse al tavolo di Ares per presentarla ai suoi fratelli.
“Credo che tu ti sia appena persa una delle scene più imbarazzanti che potessero mai capitare alla tua amica lì … la figlia … di …?” iniziò Blackie rivolta a Fran.
“Afrodite.” le suggerì Greenie.
“A Ginny? Stai scherzando vero?”
“No.” le fece ancora la spilungona bionda.
La figlia di Atena sollevò le braccia al cielo: “Noooooooooooooooo!!!!!” concluse con un gesto molto teatrale. “Almeno l’avete filmata?”
“No.” rispose la nera.
“Noooooooooooooooo!!!!” riprese allora.
La giornata al Campo passò bene o male tra un riposo e l’altro, le ragazze non avevano la forza per fare niente di costruttivo.
Aurea se ne tornò in infermeria, disse che là non c’era tutto quel baccano che c’era nel resto del campo e che avrebbe potuto dormire meglio, in più alla sera le avrebbero cambiato le bende.
Sonny prese a gironzolare tra l’armeria, il muro di lava e le zone dove gli altri semidei si allenavano per poi finire nel bosco, verso l’ora del tramonto, seduta a gambe incrociate su delle alte rocce che affioravano dal terreno.
Rimase sola fino a che Sue non riuscì a trovarla. “Perché non sei ad allenarti come fai sempre quando sei pensierosa?” le domandò.
“Non lo so … non ne avevo voglia.”
La mora si sedette accanto a lei con le gambe che penzolavano dalla pietra verso il terreno sotto di lei.
Passarono qualche minuto in silenzio ad osservare gli alberi muoversi nel vento.
“Anche tu la senti questa sensazione di …” Sonny sbuffò senza riuscire a trovare le parole.
“Di irrealtà? Come se le cose che ti accadessero stessero accadendo a qualcun altro?”
“Sì … quella.” annuì la nera.
Ancora silenzio.
“È da quando ho incontrato mio padre che la sento … e non riesco a togliermela di dosso. Non mi sono mai sentita così.” scosse la testa.
“Io da quando ho salutato Von Rio … quello che ha detto, non so è stato strano. Non so cosa pensare ma è come se ci fosse altro da sapere.” sospirò. “Chissà … poi magari è soltanto preoccupazione per quello che sta per avvenire.”
“La guerra … non sappiamo esattamente contro chi o che cosa combatteremo … sappiamo così poco …” fece sovrappensiero Sonny.
Sue la osservò: era entrata in modalità strategia. “E se chiedessimo una riunione a Chirone e il Signor D? magari loro sanno meglio di noi ciò che sta per accadere.”
“Dobbiamo dirlo anche alle altre.” concordò la figlia di Apollo.
Fran era riuscita ad tormentarsi stesa sotto ad un albero in prossimità dei campi di fragole. Mason vegliava su di lei e controllava che nessuno si avvicinasse e finisse con lo svegliarla, non poteva sapere se avrebbe accettato ancora di provare anche solo a chiudere gli occhi.
Adesso gli sembrava strano che lei fosse lì a pochi centimetri da lui … ma ancora non era completa. Aveva sbagliato qualcosa, sicuramente era colpa sua se Fran era ridotta in quel modo. A lei non sembrava importare più di tanto ma lui sapeva che non era così, se lo sentiva. Era impossibile che le stesse bene una cosa del genere. Finì con lo stringersi le ginocchia al petto come quando era piccolo e sua madre era morta da non più di una settimana, lui era solo un peso per Alec …
Alec.
Non sapeva dove potesse trovarsi adesso: non gli aveva mostrato il luogo dove teneva la Spirale, il piano era un altro. Adesso iniziava a pensare che il piano era di non dirglielo fin dall’inizio in caso fosse successo quello che poi era effettivamente accaduto.
Aveva abbandonato anche lui?
Mason si alzò, non riusciva più a stare fermo. Si sgranchì le gambe camminando un po’ vicino alle piantine cariche di piccoli frutti rossi, senza allontanarsi mai troppo dalla ragazza stesa sotto gli alberi lì vicino.
Non avrebbe abbandonato il suo amico. Colui che gli aveva salvato la vita in più di un’occasione e che gli aveva insegnato chi era e che cosa poteva fare.
Ma come?
Era inutile chiederselo, lo sapeva e lo aveva sempre saputo … si voltò ad osservare il volto calmo di Fran mentre dormiva.
Niente e nessuno avrebbe potuto salvare il suo amico se non questo.
Raccolse qualche fragola poi tornò dalla ragazza.
Javier aveva rapito Ginny verso metà pomeriggio e l’aveva portata al laghetto delle canoe.
“Sicuro che non ci ribaltiamo?” gli chiese quando la invitò a salire su una.
“Tranquilla l’ho già fatto, ti aiuto io a non cadere.”
Così l’imbranatissima figlia di Afrodite riuscì anche a salire su una traballante canoa.
Raggiunsero il centro del laghetto in breve, non era quel caldo afoso da estate inoltrata e tirava una leggera brezza che rinfrescava piacevolmente.
Ginny muoveva lentamente le dita nell’acqua creando piccoli cerchi e linee sinuose.
L’acqua scintillava sotto i raggi del sole.
“Allora? Ti piace qui?” domandò Javier.
“Molto … è davvero splendido.”
Il ragazzo sorrise, le sembrava ancora più abbronzato dall’ultima volta che l’aveva visto al campo inglese.
Si innervosì in un attimo e prese a giocherellare con i suoi braccialetti indiani torturandoli per sfogare un po’ di tensione.
“Ti sono stati utili?” le chiese ancora l’altro.
Lei lo guardò senza capire. “Oh …” fissò i due bracciali. “Hem … in realtà non li ho mai usati …”
Javier alzò un sopracciglio.
“Ecco tendo a non fiondarmi in combattimento …”
Lui sorrise piano. “In fondo è questo che mi piace di te, sai?” e i suoi chiarissimi occhi verdi scintillarono sotto il sole.
Ginny arrossì violentemente.
Intanto nascosta in un cespuglio Mally osservava la scena assieme a Irma e Greenie.
“Non se la caverà con così poco …” sogghignò la ragazzina.
“Mally, essere un po’ gelosi è un conto qui rischi di far prendere fuoco alla barca se continui a fissarla in quel modo.” la rimproverò la ricciola.
“Sì … ma perché io sono qui?” domandò la spilungona rincalcata su se stessa perché troppo lunga per stare semplicemente seduta  come le altre due.
“Perché volevi scappare da Clarisse.” le fece Blackie dietro di lei.
“Così da non dover subire nessuna punizione per quello che hai fatto alla mensa.” completò Pinkie.
“Ok, e loro perché sono qui?!” domandò ancora la bionda.
“Se mi beccano a fumare anche solo una sigaretta in un posto che non sia la fornace mi fanno secca.” rispose la figlia di Efesto accendendosi una cicca con la punta dell’indice.
“Io avevo voglia di fare qualcosa di divertente.” sorrise l’altra dondolando un po’sul posto.
“INSETTO!!” si sentì urlare dal centro del laghetto.
“Ginny così ribaltia-“
Qualcosa si schiantò nell’acqua.
“Non ci posso credere … sono finiti in acqua …” mormorò Mally.
Selena si ritrovò a camminare sulla spiaggia al tramonto. Non sapeva bene come ci fosse finita ma solo che aveva bisogno di camminare e il campo era tanto grande che era facilissimo perdersi. L’acqua era calma sotto il sole che la tingeva di un color arancio brillante, le piccole onde che si rifrangevano contro il bagnasciuga rilucevano di schiuma dorata. Sembrava un posto paradisiaco ma la ragazza non si sentiva affatto al settimo cielo.
Avvertiva come un peso al cuore, qualcosa che le schiacciava il petto e le impediva quasi di respirare. Si fermò con il viso rivolto al mare, una mano sul petto e inspirò profondamente. Una lieve tensione. Espirò e il peso si alleggerì un poco. Ma qual sollievo non duro per molto, anzi non durò affatto.
Continuò a camminare per un po’ sollevando sabbia ad ogni passo finché non decise di sedersi sempre col volto al mare. Più osservava l’oceano più voleva somigliargli: a lui non importava di quello che accadeva sulla terra, se ne stava nel suo umido letto e osservava gli umani confusionari che si facevano le guerre tra loro senza che vi fosse motivo alcuno. Invece lei era come il vento, veniva sballottata da forze più grandi senza avere la possibilità di contrastarle, di opporvisi …
I pensieri che continuavano a ferirla erano sempre i soliti: non aveva fatto niente durante tutto il viaggio, la paura della guerra e … e Alec … paura che potesse fare qualche sciocchezza, paura di non riuscire a fermarlo in tempo, a fargli cambiare idea … paura di Alec … di quello che avrebbe potuto fare al mondo e a sé stesso.
Nascose la faccia tra le ginocchia. Non pianse, anche se pensava che forse le sarebbe stato di aiuto, magari sarebbe riuscita ad allentare un po’ la tensione, sfogarsi un po’ non le avrebbe fatto male, ma non ci riusciva. Avrebbe voluto parlare con Alec ma non sapeva dove fosse né se lui avrebbe voluto parlarle: se brava che nell’ultimo mese avesse tentato di ucciderla più che cercare di esserle amico. Una volta non era così. Lei ricordava ancora il ragazzetto timido ed un po’ impacciato che giocava con lei ai giardini di Brighton, poi un giorno era scomparso. Aveva chiesto a sua madre dove fosse, lei disse solo che si era trasferito o qualcosa del genere. Con quello che la ragazza sapeva in quel momento capì che doveva essere accaduto qualcos’altro, di molto più grave. Ma alla fine Alec era ricomparso in città lo vedeva spesso in giro, per i corridoi della scuola, assieme a Mason ma non aveva mai avuto il coraggio di parlargli, si vergognava ed’erano anni che non si sentivano. Alla fine era arrivata anche Fran e i litigi tra lei e quei due l’aveva allontanata ulteriormente da Alec.
Avrebbe dovuto parlargli subito, la prima volta che lo aveva riconosciuto, con il suo sguardo torvo e triste, chiedergli come stava. Se andata tutto bene. Se avesse potuto fare qualcosa per lui … allora magari non sarebbe giunti fino a quel momento.
Adesso le veniva davvero da piangere. Per distrarsi si frugò in tasta trovando la piccola dracma, iniziò a rigirarsela tra le dita, la picchiettò con l’unghia del pollice e da questa sprigionarono piccole scintille.
Selena si fece più attenta e ripeté il gesto: dalla dracma partirono altre scintille, poco più grandi delle prime … se si fosse concentrata ancora cosa sarebbe potuto venir fuori? Continuò a tentare, a provare e testare ciò che poteva far uscire dal metallo della moneta. Fulminare la sabbia non le sembrò mai più così divertente.
Quella sera, nella mensa si era riunito praticamente tutto il campo, sarà stato anche che quella sera c’era la pizza. I ragazzi ridevano e scherzavano creando una gran confusione.
Sembrava che il tavolo più rumoroso fosse quello della capanna di Ares.
Mally, avendo aiutato Fran a prendersi da mangiare, se l’era portata dietro fino al suo tavolo e adesso stavano litigando … e non è mai bene che un figlio di Ares inizi a litigare con un figlio di Atena.
“Per me la pizza deve essere croccante ma morbida.” aveva iniziato la ragazzina dalla maglietta rosa sventolando una crosta a pochi centimetri dal naso della bionda.
Che molto probabilmente non se ne accorse nemmeno. “E che mi sta a significare?! È come mangiare una foglia di lattuga sostenendo che sa di filetto al manzo!! Sottile e ben cotta: ecco come!”
“Ma starai scherzando?!”
“Non scherzo sulla pizza!!”
Annabeth la vide e si avvicinò al tavolo. “Fran, che ci fai qui?”
“Litigo!”
“No, perché sei qui!?” insisté.
La ragazza si guardò intorno. “Perché dove sono?”
“Al tavolo di Ares!”
“Colpa sua!” fece indicando Clarisse.
“E io che c’entro?” fece la sfortunata.
Annabeth sbuffò e guardò Mally.
“Sapeva dove si stava sedendo.” le fece allora la piccoletta.
Fran si scandalizzò molto teatralmente. “Non ricordi?! Sono cieca!” disse sventolandosi le mani davanti agli occhi. “E non mi guardare con quella faccia!”
“ANDIAMO!” la prese la bionda con i riccioli tirandola fino al tavolo di Atena. “Ma perché litigavate?”
“Ha detto che la pizza deve essere croccante ma morbida!”
“E mi sta a significare!?”
“È quello che ho detto anche io!”
Poi Chirone fece il suo ingresso nella sala, rivelando agli ultimi arrivati la sua vera natura. Batté con uno zoccolo più volte a terra finché non ottenne il silenzio della platea.
Accanto a lui c’erano Sonny e Sue che sondavano con lo sguardo tutti i tavoli.
“Ragazzi, vorrei annunciare che questa sera ci sarà una riunione speciale. I capitani delle capanne e i nuovi arrivati sono pregati di riunirsi in Casa Grande entro e non oltre le nove e mezza!” annunciò con voce solenne. “Bene adesso finite pure di mangiare.” e anche lui si mosse alla ricerca di un trancio di pizza.


Personaggi nuovi, amori, delusioni, fulmini e pizza.
Queste canzoni mi hanno ispirare la storia di Ginny e Javier:
- Proof, Paramore ... http://www.youtube.com/watch?v=5bPEnio7tuw
- My number one, Paramore ... http://www.youtube.com/watch?v=8bkJ9wkt99Q
E d'ora in poi ... botte.

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Capitolo 44
*** Le Trote e l'Impresa ***


La cucina della Casa Grande conteneva molta più gente di quanto potesse in realtà; le finestre erano aperte perché faceva davvero troppo caldo e si tentava di far entrare un po’ di fresca aria notturna.
C’era una confusione tale che nessuno capiva l’altro se non si urlavano nelle orecchie.
Fran era frastornata. Sedeva su una delle quattro sedie intorno al tavolo, anche se ce l’avevano costretta perché avrebbe preferito restare in piedi come gli altri, e stringeva la mano di Mason, in piedi dietro di lei. Poggiata con la schiena al frigo c’era Mally e, davanti a lei, Clarisse si era impossessata di una sedia. Intorno al tavolo c’erano tutti i capi delle capanne del campo, alcuni si riconoscevano bene, come ad esempio il capo della capanna di Efesto, un ragazzo molto alto e muscoloso con la guancia sporca di carbone. Annabeth e Percy stavano in qualche modo parlando con Aurea annuendo e sorridendo, anche a lei era stata riservata una sedia. Sull’ultima rimasta disponibile si sedette il Signor D e accanto a lui Chirone, dalla sua sedia a rotelle, controllava con lo sguardo che fossero tutti presenti prima di cominciare con la riunione. Sue e Sonny erano dietro di lui e aspettavano parlando tra loro. Dall’altra parte della stanza Selena era riuscita ad arrampicarsi e sedersi sul piano della cucina e sene rimaneva in silenzio ad osservare le coppie o i gruppetti che si erano formati e che parlavano tra loro, c’era chi tentava di mantenere una sorta di contegno in tutto quel marasma e chi invece urlava per farsi sentire esasperato dalla confusione. Dopo  qualche minuto arrivarono anche Ginny e Javier, seguiti da Irma e Phil, che rimase sulla soglia della porta perché non riusciva fisicamente ad entrare nella stanza.
Alla fine Dioniso fece tacere tutti battendo una mano sul tavolo. “Allora avete voluto questa riunione esattamente per cosa?” fece alle due ragazze  lì vicino.
“Lei lo sa. Comunque sia …” si schiarì la voce Sue. “Sappiamo tutti che ci sarà una guerra, solo che forse non sarà una cosa su larga scala.”
“Ci abbiamo pensato: riteniamo che Alec non disponga realmente di un esercito, ma piuttosto di alleati a cui a promesso qualcosa.” prese parola Sonny. “E l’unico che può confermare questa teoria è Mason.” e posò lo sguardo su di lui.
Il ragazzo annuì. “Non so esattamente chi siano, dovevo occuparmi di altro, ma posso assicurarvi che è così.”
Mormorii preoccupati e diffidenti percorsero tutta la stanza: alcuni non si fidavano di qualcuno che era passato dalla loro parte praticamente dal nulla.
Fran strinse più forte la mano al giovane; Clarisse vide la sua espressione vacua ma preoccupata e si schiarì forte la gola riportando tutti al silenzio.
“Solo che …” continuò Mason senza curarsi molto di ciò che avveniva intorno a lui. “… non penso sia stato lui a promettere qualcosa.”
“Qualcun altro?” alzò la testa Selena.
“Sì, Alec non ha tanto potere quanto si pensa.”
“È una pedina?” domandò Aurea.
“Non è colpa sua quindi?!” raddrizzò le spalle la figlia di Zeus.
“Non è così facile …” intervenne Annabeth sovrappensiero.
“Potrebbe comunque essere pericoloso. Qual è il suo scopo? Cosa desidera?” aveva parlato Percy con una strana durezza nella voce che non gli si addiceva.
A Selena crollò ancora il mondo addosso.
“Ci siamo già trovati di fronte a persone che sono state guidate su strade sbagliate, c’è chi si salva e chi sbaglia ancora e ancora rischiando di distruggere tutto.” continuò con severo.
Calò un silenzio teso tra i presenti; solo il Signor D produceva rumore mentre poggiava la lattina di Diet Coke sul tavolo.
“E se … e se riuscissimo a scoprire e a fermare la mente che è dietro a tutto questo?” pensò ad alta voce Ginny.
“Non credo comunque che agli dei interessi qualcosa, saranno più propensi a punire entrambi e fare pari!” aveva parlato il capo della capanna di Ermes, un ragazzo biondo con gli occhi celesti e la carnagione scura.
L’unico dio presente sorride sarcastico ma non parlò.
“Ma chi potrebbe essere?” lo ignorò proseguendo Selena.
“Un altro semidio?” provò Javier dall’altra parte della stanza.
“Un dio.” disse Sue in una frase che sembrava più un’affermazione che una supposizione.
“Azzardato …” commentò Phill poggiato allo stipite della porta.
“Però giusto, no?” intervenne Clarisse. “Non ci capirò molto tra intrighi e inganni ma so che non sempre scorre buon sangue tra gli dei, tutti lo sanno.”
“Hai ragione.” concordò Annabeth. “Ma non credo che appartenga ai 14 che siedono sull’Olimpo.”
La figlia di Ares annuì. “Non possono permettersi di bisticciare tra loro … di nuovo.”
“Un dio minore …” ci pensò su Percy. “Non avevamo sistemato questa storia con il patto che ho fatto stringere agli dei?”
“Che patto?” domandò Irma.
“In pratica ho fatto promettere loro di riconoscere ogni loro figlio e di dare importanza anche agli dei minori e ai loro figli ovviamente.” la fece breve il ragazzo. “Sembra che ci sia qualcuno ancora scontento della situazione.”
“Il problema è capire chi.” prese a parlare Aurea. “Sapendolo potremmo muoverci di conseguenza.”
“Ed organizzarci meglio …” concordò Javier.
“Direi che dei come Estia, Eros e Asclepio sono da escludere.” avvertì Mally. “Non sarebbe nella loro natura.”
“Ecate?” fece una ragazza non tanto alta che doveva essere a capo della capanna di Demetra.
“No, mia madre mantiene l’equilibrio, non lo distrugge.” rispose stizzita Irma.
“E allora chi? Non è che possiamo fare l’elenco infinito degli dei minori!”
“Dobbiamo concentrarci su coloro che ne ricaverebbero qualcosa e che potrebbero fare una cosa del genere anche a rischio della loro stessa posizione!”
“Potrebbe essere Morfeo?”
“Impossibile. Lui farebbe addormentare tutti e fine della storia, come la volta scorsa!”
“Tanatos?”
“Enio?!”
“Ker!?!”
In breve la stanza tornò a risuonare di urla e schiamazzi: ognuno dei presenti urlava il nome di una dea o di un dio e supportava la sua tesi scavalcando la voce degli altri.
“BENE! BASTA!!” la voce di Fran si levò sopra le altre. “Vi state perdendo in discussioni inutili! Adesso è più importante conoscere il giorno dell’attacco, la modalità ed il luogo per poter organizzare una squadra omogenea e calibrata per affrontare qualsiasi situazione o dio che gli si presenti davanti. Se riusciamo a risolverla noi non ci sarà bisogno di alcun intervento divino.” e sentendo che nessuno fiatava continuò: “Tenteranno di attaccare sicuramente l’Olimpo, quindi l’Empire State Building, potremmo usare questa cosa a nostro vantaggio …” pensò tra sé. “Mason, tu sai il giorno e le modalità d’attacco?”
Il figlio di Eros si grattò la barbetta incolta e disse: “Come sarà l’attacco non mi è stato detto … so che Alec dovrebbe usare uno strumento, chiamato Spirale, ma non so a cosa possa servire.”
Al nome, Dioniso sollevò la testa continuando a bere la sua lattina e osservò attentamente il ragazzo.
“Comunque deve essere il fulcro del suo piano … o troviamo quella cosa e la distruggiamo o troviamo lui e lo fermiamo.” decretò Fran.
Selena osservava la scena prendendone le distanze: avrebbe voluto partecipare, essere nel gruppo che sarebbe andato a New York a combattere. Aveva una sola cosa in testa, voleva solo quella: salvare Alec. Salvare Alec … salvarlo e tornare indietro insieme.
“Il giorno scelto per l’attacco è il 4 luglio.” riprese a parlare Mason.
“Durante la Festa dell’Indipendenza?!” strabuzzò gli occhi un ragazzo, capo della capanna di Afrodite.
“Se ci pensi bene non c’è giorno migliore: i mortali non noteranno tante stranezze perché tutta la città sarà in subbuglio, se ci aggiungi la Foschia, l’occasione è davvero perfetta.” spiegò Annabeth.
“Aspettate ma è tra quattro giorni!” fece notare un agitato figlio di Apollo.
“QUATTRO GIORNI!?” esplosero Sue, Aurea, Sonny, Ginny e Selena.
“Non è possibile!” fece la nera.
“Siamo partite solo da una settimana!” continuò la figlia di Zeus.
“A dir tanto due!!” concordò la mora.
“Aspettate forse è possibile.” le fermò Sue.
“Potremmo essere state plagiate dalla Dear Dafne e dagl’Inferi.” spiegò Aurea.
Non molti tra i presenti capivano cosa stesse accadendo, così dopo un po’ di confusione le ragazze spiegarono che, senza volerlo avevano strascorso un mese in mare, se non di più. Era per questo motivo che Phill aveva proposto di andare a cercarle, spiegò lui stesso. Dopo lo shock iniziale e dopo che fu spiegato loro che in molti luoghi pieni di foschia la percezione del tempo variava di molto, le ragazze si ripresero, più o meno, e tornarono al discorso di partenza.
Durante la spiegazione, Mason si chinò e chiese a Fran nell’orecchio: “Perché tu non sembri così sorpresa?”
Lei fece spallucce. “Io ho dormito, la mia ombra ha … diciamo … ‘vagato’ per gli Inferi, per me potevano passare anche anni, non me ne sarei accorta.”
Lui suo malgrado annuì, si sentiva a disagio: lei parlava tranquillamente di quello che le aveva fatto come se non fosse successo niente di che. Ma la sua stessa cecità, il fatto stesso che mentre parlava non lo guardasse negli occhi non facevano altro che ricordargli il dolore che le aveva provocato.
“La cosa sta così: abbiamo quattro giorni per organizzare una squadra che vada a New York.” prese parola Chirone che aveva ascoltato e osservato tutto e tutti con molta attenzione. “Avremmo bisogno a scegliere i semidei più adatti a tale impresa: Mason, potresti restare? Ci saresti d’aiuto conoscendo Alec. Annabeth, Clarisse …”
Le due annuirono in sincrono.
“E Fran?”
La ragazza rimase sorpresa. “Io? Non sarò molto di aiuto in questo e proprio di nessuno dopo, non vedo perché dovrei partecipare.”
“Per la logica del discorso.”
Lei rimase un po’ in silenzio. “Giusto.” Ammise.
“Allora ci aggiorniamo, domani sera durante la cena chiameremo i partecipanti.”
“Io voglio partecipare!!!” una voce chiara e squillante rempì l’aria della stanzetta.
“Ssssh!!”
“Becca, ti abbiamo portato con la promessa che stavi zitta!”
“Ma Tyago! Hai sentito anche tu, no?!”
“Ssssh!!”
“Crado che ormai ci abbiano scoperto, Jay …”
Il Signor D sollevò lo sguardo al cielo. “Tyago, Jay, Henry e Rebecca!”
Nel quadro della finestra che dava sulla veranda comparvero tre ragazzi molto alti e ben piazzati, uno di loro teneva in braccio una bambina che aveva si e no cinque anni con il volto rosse di rabbia e la determinazione che le infiammava gli occhi. Avevano tutti lo stesso colore di capelli, castano scuro, e la pelle bronzea negli spazi in cui la maglia del Campo e la leggera armatura in cuoio che portavano lasciavano filtrare i raggi solari.
“Ragazzi, stavate origliando di nuovo!” li rimproverò Clarisse alzandosi e dirigendosi verso di loro attraverso i presenti che si strinsero tra loro per farla passare. “Ormai nessuno lo fa più poi!”
“Scusaci …” fecero i ragazzi.
“E tu, piccoletta! Te lo abbiamo già detto: è troppo pericoloso per te! Sei troppo piccola … anche se apprezzo davvero il tuo spirito guerriero.” concluse la ragazzona.
Rebecca grugnì qualcosa di incomprensibile e si agito in braccio a quello che doveva essere Henry, che le disse: “Su su, abbi pazienza ancora qualche annetto.”
“Sono stanca di aspettare!” si lamentò teatralmente lei.
Gli altri risero.
“Arya?” disse con una faccia strana Fran.
“Cosa?” le chiese Mason.
“Niente niente … una sciocchezza.”
“Resta il fatto che non dovete origliare le riunioni! Le cose vi verranno dette se necessario!!” riprese Clarisse. “Adesso filate!!”
I tre ragazzi schizzarono via, Henry con la bambina sulle spalle, giù per i gradini della veranda e poi dalla collina.
La figlia di Ares scosse la testa. “Scusateli …” e riprese posto.
“Bene, comunque avevamo finito.” disse Chirone.
I presenti emisero toni di assenso ed iniziarono ad uscire.
Con il movimento intorno a lei, Fran avvertì uno strano odore nell’aria.
“Che stai facendo?” domandò ancora Mason un po’ esasperato.
“No.” scosse la testa lei. “Niente …” si alzò dalla sedia.
“Domani mattina torniamo qui per decidere il da farsi …” iniziò il ragazzo.
“Ah-ah.”
“Mi ascolti?”
“Mason, non posso fare altro … mmmh …” si voltò nella direzione in cui era sicura ci fosse lui. “Ci vediamo domani, allora!” sorrise.
Il ragazzo rimase un po’ spiazzato.
Fran ne approfittò. “Mally! Mi porteresti alla capanna?”
“Due cose: perché io e come facevi a sapere che ero ancora qui.”
“Il tuo odore e perché sei qui. Andiamo!!”
Ed uscirono lasciando il povero Mason confuso.
“No, scusa: il mio odore?” continuò intanto Mally.
“Sì, mi affido agli altri sensi  per riconoscere chi ho davanti.”
“E di che so?”
“Oh Stige!! Ma … sabadas e ferro!” non appena Fran capì di essere scesa dalla veranda tirò l’altra di lato.
“Dove diavolo stai andando!?”
“Vengo anche io, comunque.” si aggregò a loro Irma che le aveva viste uscire in modo così strano e confusionario.
“Che? Perché?!” sbottò la figlia di Ares.
“Bone! Mi devo concentrare.” fece la figlia di Atena in testa al gruppetto, poi prese ad annusare l’aria.
“Ma che sei un cane?” la canzonò incredula Mally.
“Zitto, gattaccio!”
“Sentitela!”
Irma rise.
“Di qua.” Fran si tirò dietro la mora che si tirò dietro a sua volta la figlia di Ecate.
“Attenta!” fece quest’ultima.
“Dillo al cagnolino qui!!”
“Allora guidami tu!”
Mally superò velocemente la bionda, lasciando il braccio della ricciola, e fece posare la mano di Fran sulla sua spalla. “Dove?” chiese.
“Sei sempre stata così bassa? Intorno alla Casa Grande.”
La sua guida svoltò a sinistra e si ritrovò davanti Greenie, Blackie e Pinkie. “Voi che ci fate qui?”
“Come avete fatto a trovarci?” chiese la nera dalle ciocche arancioni.
“Fumo di sigaretta, vernice, torta.” fu la risposta di Fran.
“Cosa sei un cane?” domandò Greenie.
“Ti faccio diventare una stella cadente.”
La bionda fece un passo all’indietro un po’ preoccupata.
“Comunque è stato l’odore di fumo a guidarmi qui.”
“Te l’avevo detto che era meglio che non fumavi!” Pinkie iniziò a rimproverare la nera elencandole anche tutti i rischi del fumo.
Alla fine della scenetta alquanto comica, le ragazze decisero di andare a rifugiarsi nella fucina prima che qualcuno, ad esempio il Signor D, le beccasse sotto la sua finestra a fare cosino a notte fonda.
“Avete sentito tutto, quindi.” Fece Fran dopo un po’ di silenzio, era seduta su una sedia con lo schienale poggiato contro il muro della grande stanza, il viso rivolto alla fornace sempre accesa, intorno a lei, come anche ovunque in quel posto, c’era un marasma di pezzi di ferro, bronzo celeste e altri metalli non ben identificabili da parte di chiunque non fosse un esperto, per cui tutti tranne i figli di Efesto.
“Hem … sì.” annuì Greenie.
“Sei tra coloro che dovranno decidere chi va a New York!” alzò la testa Pinkie.
“Già, solo che non conosco molto del campo qui … anzi in realtà non conosco proprio niente. Ditemi come funzionano le cose tra voi.”
“In che senso?” chiese confusa Blackie.
“Avete mai combattuto insieme?”
Le ragazze si guardarono tra loro ma non risposero.
“Be’, avrete almeno giocato una caccia alla bandiera, no?” le incalzò allora la figlia di Atena.
“Ovvio!” scattò la sorellastra.
La figlia di Efesto rise. “L’ultima volta vi abbiamo proprio fregato!”
“Oh, zitta! Solo perché eri in squadra con i tre di Ares!” ribatté Pinkie.
“Tsk! L’idea della catapulta albero ed il suo corretto funzionamento è stata mia!”
In breve presero il via e continuarono per quasi un ora parlando e rievocando aneddoti divertenti o meno e  vantandosi di questa o quell’azione.
Fran non si muoveva praticamente mai, con la testa inclinata di lato e gli occhi chiusi; ogni tanto Mally le tirava una ciocca di capelli per controllare che non stesse dormendo, mentre Irma continuava a porre domande alle altre tre  interessata e divertita da quello che raccontavano.
Ad un certo punto Blackie si voltò verso di loro. “E voi invece cosa fate di solito al vostro campo?”
“Le cose che fate qui alla fine. Cacce alla bandiera, gare di bighe …” iniziò la figlia di Ecate. “ … poi allenamenti, allenamenti e allenamenti.”
“Ma se scappi sempre verso metà pomeriggio?” le fece Mally.
“Il mio allenamento è diverso! Devo esercitare i miei poteri illusori!” fu la risposta secca e stizzita dell’altra e sembrò che i riccioli si muovessero come tanti piccoli serpentelli.
“Sì, okey, va bene!”
“Tu, Fran?” domandò allora Greenie lasciando il litigio delle altre due alle risate di Pinkie e Blackie.
“Ho sempre combattuto da sola, cioè con me c’è sempre stata Steel ma non credo che possa valere come compagna di squadra.”
“Steel?!” alla figlia di Efesto anche solo il nome provocò un moto di curiosità immane.
La bionda sollevò il braccio destro, mostrando la catenina argentea con la piccola civetta d’acciaio, poi spiegò loro cosa poteva fare. “Siamo praticamente in simbiosi. Ora che non ci vedo, ad esempio, non ci vende nemmeno lei.” finì di spiegare e dopo poco sentì che  qualcuno le teneva fermo il braccio con una mano mentre con l’altra esaminava l’oggetto. “Blackie, che stai facendo?”
“Osservo … che figo … no davvero …”
“Bene, comunque: io combatto con lei e per ora non mi è capitato praticamente mai di affrontare un combattimento di gruppo.”  disse ignorando l’altra.
Qualcuno la colpì con un dito alla nuca.
“Comunque sempre meglio di Mally, che combatte sul serio solo se c’è suo fratello.” intervenne Irma.
“Siamo sempre stati solo io e lui.” rispose la ragazza poggiata al muro vicino a Fran. “Non mi piace combattere e preferisco non farlo. Ma se Javier combatte è per un motivo giusto, quindi anche io estrarrò la mia spada.”
“Nobile da parte tua.” inclinò la testa la figlia di Atena lì accanto, poi si alzò. “Bene, io ho fatto!”
“Hai fatto?” chiese Pinkie confusa come anche le altre.
“Sì, direi che si è fatto tardi e che voi dobbiate andare a dormire.”
“No, aspetta un momento!” tentò di capirci qualcosa Blackie.
“Ragazze, è tardi e devo ancora fare una cosa! Mally avrò ancora bisogno del tuo aiuto, Greenie potresti venire anche tu, così poi mi riporti alla capanna di Atena?”
“Bene …” fece Mally scrollando le spalle e tirando fuori la bionda mentre Greenie le seguiva.
“Non c’ho capito nulla.” disse la figlia di Efesto.
“Nemmeno io …” si unì Pinkie.
“Credo che a questo punto sia normale.” scosse la testa Irma.
Nel frattempo le altre tre erano quasi giunte alla capanna di Ares.
“Certo che sei strana.” Sbottò Mally rivolta a Fran.
“Lo so.”
“E anche modesta.”
“Uffa, se la devo dire tutta è che non sono abituata a rendere gli altri partecipi dei miei ragionamenti!”
“Pensi ad una cosa, la fai e basta.” annuì Greenie.
“Esatto!”
“Figlie di Atena! Chi le capisce è bravo!”
Le altre due risero ed in breve raggiunsero la capanna rossa fiammante dei figli del dio della guerra.
“Adesso che sei qui, cosa vuoi fare? Sono le due di notte.”le chiese Mally scettica.
“Entra e chiama Henry, Jay e Tyago.”
“Per favore, magari?” fu la risposta detta a denti stretti dalla morettina.
Fran sorrise affabile. “Per favore, entreresti e sveglieresti quei tre?”
La figlia di Ares rimase un po’ sorpresa dalla reazione ed entrò.
“Sei indecente.” le fece notare Greenie.
“Mi adoro per questo. Mi aiuteresti a sedermi sugli scalini della veranda?”
Così si sistemarono sul legno freddo e attesero.
“Ma esattamente perché tu sei cieca?” domandò la spilungona.
Fran si irrigidì tutta. “Hem …”
“Sei arrossita spaventosamente.”
“Non è vero! E comunque è colpa di un incantesimo che non si vuole spezzare.”
“E sai come spezzarlo?”
La ragazza prese a torturarsi le mani. “Sì … ecco, non lo so! È … è difficile … per me.”
“Okey! Okey!! Parliamo di altro!”
Silenzio …
“Ti piacciono i manga?” iniziò Fran questa volta.
Greenie si voltò di scatto verso di lei. “Sì, e tu sei la prima persona che incontro che li conosce senza che glieli abbia mostrati io!”
“Immagino che tu mi stia fissando con gli occhi fuori dalle orbite.” rise l’altra. “Shonen o shojo?”
“Meglio shonen, ogni tanto qualche shojo lo guardo ma tutte quelle moine mi annoiano dopo un po’ …”
E partirono per la tangente, tanto che non si accorsero neppure dell’arrivo dei tre ragazzi al seguito di Mally.
“Hem-hem!” si schiarì la voce la ragazzina per far notare la loro presenza.
“Sono arrivati?” domandò Fran.
Greenie annuì: “Sì!”
“Comunque ci tengo a precisare che Free è carino se lo guardi tutto fino alla fine e che Junko rimane il pezzo meglio anche se continua a morire.” disse tutto di un fiato poi si voltò verso dove pensava si trovassero gli altri e fece: “Scusate se vi ho fatto svegliare, ma …”
Mally le girò la testa nella direzione giusta.
“Ma vi volevo chiedere: che tipo di armi usate?”
“Yaaawn … in che senso? Tutte!” fece Jay ancora mezzo addormentato.
“Intendi in battaglia, giusto?” cercò di capire Henry con fare pratico.
Fran annuì. “Se doveste affrontare una schiera di nemici come vi armereste? Cosa usereste?”
“Di base: lancia e scudo, poi la daga per il ravvicinato.” rispose grattandosi la testa Tyago. “Non capisco dove vuoi arrivare.”
Il commento fu ignorato: “Equipaggiamento classico.”
“È il più sicuro.” assentì Henry. “Quello in cui siamo assolutamente più esperti.”
“È da quando abbiamo cinque anni che lo usciamo.” fece Jay che alle parole lancia, scudo e daga si era svegliato di botto.
“Mi ha ignorato …” tentò di far notare Tyago, senza riuscirci.
“Okey …” mormorò sovrappensiero la figlia di Atena poi li guardò uno ad uno e chiese ancora: “Volete davvero bene a Rebecca. L’avete salvata voi, no?”
I tre figli di Ares divennero molto più seri di prima.
“Sì, l’abbiamo trovata in un vicolo di New York, quasi per caso …” iniziò Tyago.
“Stava scappando da dei segugi infernali. Conoscendola ora penso che fosse stata lei e disturbarli come minino.” sorrise Jay sospirando.
“Siamo riusciti a sconfiggerli e a portare lei qui.” concluse Henry. “È passato ormai un anno: prima litigavamo sempre tra noi, non c’era verso di andare d’accordo su qualcosa. Da quando c’è Rebecca, da quando ci prendiamo cura di lei accade sempre meno spesso.”
“Non so se un dio si è mosso per farci incontrare ma sembra quasi che sia stata lei a salvare noi: se prima eravamo noi i combina guai, adesso dobbiamo stare attenti che non ci finisca lei, bellicosa com’è!” Jay parlava e dondolava da un piede all’altro.
Fran aveva ascoltato tutto in silenzio, alla fine annuì e si alzò. “Grazie mille, è stato un piacere parlare con voi. E scusate ancora se vi ho fatto svegliare nel bel mezzo della notte.” sorrise cordiale. “Greenie, andiamo?”
“Sì …” rispose l’altra e la prese per mano aiutandola a scendere i gradini della veranda poi si avviarono verso la loro capanna.
“Ancora non ho capito perché ci ha fatto tutte queste domande.” ribadì Tyago.
“Non chiedere!” fece Jay ridendo.
“I figli di Atena sono strani.” dissero quasi in coso Henry e Mally rientrando in capanna.
Il mattino seguente il Campo si attivo prima del previsto.
Si era sparsa la voce che si stava preparando un impresa e che si cercavano semidei per comporre la squadra, così tutti gli interessati, praticamente tre quarti del Campo, si erano attivati per mostrarsi pronti ed efficienti, sperando di rientrare tra i fortunati che sarebbero usciti e che avrebbero partecipato.
Clarisse e Annabeth si ritrovarono davanti alla Casa Grande come d’accordo e aspettarono Mason e Fran prima di entrare.
“Ma dove sono?” la figlia di Ares si stufò in fretta.
“Arrivano … spero.” non la rassicurò affatto l’altra.
“Spero?”
“Fran non era in capanna quando mi sono svegliata, o la avrei portata con me …”
“Anche se non sai dove ha passato la notte potrai chiederglielo.” sbuffò Clarisse. “Arrivano.”
In lontananza infatti le due videro il figlio di Eros correre s per la collinetta con la ragazza sulle spalle. “Scusate … il … ritardo …” disse affannosamente una volta che si fu fermato.
“Dove eravate?” li rimproverò la castana.
“Non mi trovava da nessuna parte.” fece spallucce Fran scendendo dalla schiena di lui.
“E dove eri?”
“Non lo so … Greenie mi ha portato da qualche parte stanotte, le ho dato una mano … ma non so a fare che.” rispose molto vaga.
Annabeth guardò Clarisse. “Questo spiega l’Iliade comparsa sui muri dell’armeria.”
“Il problema è che non hai dormito neanche stanotte!” Mason era davvero arrabbiato.
“Ma non voglio!”
“Non fare la bambina piccola!”
“Uffa!!”
“Incredibile …” l’altra figlia di Atena non credeva ai propri occhi.
“La mancanza di sonno  l’ha resa schizofrenica!” sbottò Clarisse.
“No, questa è Fran.” fece Mason mentre stringeva le braccia attorno alle spalle della ragazza.
Questa divenne rossa fino alla punta delle orecchie e balbettò: “Okey … adesso entriamo …”
Dopo quella scenetta un po’ folle, salirono le scale della veranda ed entrarono.
“Chirone! Ci siamo!” chiamò Annabeth.
Il centauro li attendeva in cucina già pronto sulla sua sedia a rotelle. “Bene, allora cominciamo subito.” Si mosse intorno al tavolo e vi posò sopra alcuni fogli e una penna. “Metodi di scelta per decidere chi viene?”
“Organizzazione dei ruoli nella squadra e osservazione di gruppi campione.” partì in quarta la figlia di Atena.
“Tortura dei ‘gruppi campione’.” finì Clarisse facendo un po’ il verso all’altra.
“Sì, Mason conosci la forza di attacco dei nostri avversari?”
Il giovano si grattò la barbetta e annuì pensieroso. “Non so niente di certo ma proverò a spiegarvi la loro potenza di assalto.” si sedette ad un capo del tavolo e prese un foglio. “L’idea principale era quella di rimanere più che altro sulla difensiva e di proteggere la Spirale.”
“Quindi ci saranno individui massicci, difficili da abbattere.” pensò Clarisse.
Lui annuì.
“Allora servirà una buona forza d’attacco. Da cinque a dieci figli di Ares.” continuò lei.
“Forse sono troppi.” intervenne Annabeth. “Si aspettano un attacco diretto, volto solo alla distruzione della spirale, un blitz. Per cui dobbiamo creare un piano d’azione di meno facile interpretazione.”
“Che intendi dire?” inclinò la testa l’altra.
“Un attacco forte ma pronto ad una ritirata veloce. Più una piccola squadra che si avvicini alla Spirale senza essere vista o considerata una minaccia.”
“Ottimo, in numeri?” domandò Chirone.
“L’attacco composto da cinque o sei figli di Ares con equipaggiamento standard più combattenti esperti.” contò la ragazza. “E arcieri.”
“Perché?” domandò Mason alzando la testa dal foglio.
“La nostra azione deve concentrarsi sulla distruzione della Spirale, non è una vera e propria guerra. Sarebbe sciocco pensare di combattere in oltranza fino ad esaurimento soldati.” gli disse Fran. “Dobbiamo limitare i rischi, in più non sappiano esattamente contro cosa ci stiamo muovendo, avere qualcuno che ci copre le spalle è sempre meglio che andare allo sbaraglio.”
I presenti annuirono.
“Quindi siamo già a due squadre: i fanti e gli arcieri.” segnò il figlio di Eros su un altro foglio.
“Ne serve una terza veloce per l’attacco alla Spirale.” disse Annabeth. “Direi una decina … no, anzi meno: cinque, sei non di più. Ci vogliono persone che si sappiano muovere, che si conoscano tra loro magari e che …”
“Per questo ruolo pensavo già a qualcuno.” la interruppe Mason.
“Bene, scrivi pure la tua idea.” acconsentì il centauro. “Forse dovremmo comporre una squadra di difesa e supporto per curare e proteggere i feriti.”
Il ragazzo annuì e scrisse ancora.
“Poi come facciamo a scegliere i semidei più adatti?” chiese Chirone.
“Esercitazioni specifiche durante il pomeriggio di oggi.” disse Clarisse.
“Decidiamo quali esercizi fare allora.” annuì Annabeth.
La riunione non durò molto oltre, tra discussioni e decisioni prese a mezzo, alla fine decisero di aggiornarsi per quella sera prima di cena, così da poter comunicare la lista dei partecipanti a fine cena.
Mason si stiracchiò, aveva scritto fino a quel momento e si sentiva un po’ rattrappito, poi prese ad osservare Fran seduta con le gambe accavallate e gli occhi chiusi, non parlava da un po’. “Ma stai dormendo?”
“No, tu mi stai fissando?”
“Sì.” sospirò. “Non sei più intervenuta o quasi, almeno ascoltavi?”
“Certo che ascoltavo!” sbottò lei.
“Allora non hai niente da aggiungere?” le chiese Clarisse.
“No.” Fran aprì gli occhi sul nulla. “È solo che in realtà saprei già chi proporre per l’impresa.”
Gli altri rimasero in silenzio ascoltando le sue idee.
“Ma come fai ad essere sicura delle loro capacità?” le chiese Annabeth dopo che ebbe finito di parlare.
“Abbiamo bisogno di persone unite. E cosa c’è di meglio degli amici?”
Durante il pranzo Chirone, Annabeth e Clarisse spiegarono al Campo come avrebbero scelto i partcipanti all’impresa e l’organizzazione delle esercitazioni.
I ragazzi aderirono in mazza a quelle di spada e di arco, non molti a quelle di primo soccorso.
Selena le provò tutte: era determinata a non restare indietro, non fu molto brava né con la spada né con il primo soccorso, cose di cui sapeva poco; andò meglio con l’esercitazione da arciere. Dopo il terzo colpo fuori segno, si irritò abbastanza da produrre scintille tramite la dracma così poté fulminare il bersaglio centrandolo in pieno.
Quando arrivò la sera però iniziò a pensare che avrebbe dovuto fare di più, impegnarsi di più … le sembrava di non aver fatto abbastanza. Si ritrovò da sola al tavolo della sua capanna a rigirare il suo pollo all’ananas nel piatto senza avere realmente intenzione di mangiarlo.
“Hai davanti la panca, siediti!”
“Potresti essere più gentile con me.”
Fran e Ginny si sederono ai suoi lati.
“Che ci fate qui?” domandò la figlia di Zeus.
“Be’, eri tutta sola qui. Così ho preso quella furba di là, che era seduta al tavolo di Efesto, di nuovo, e l’ho portata qui!” spiegò la mora.
“Non è colpa mia se mi lasciano dove capita!” si lamentò l’interessata.
“Lo sai dove ti portano.” Aurea posò il suo piatto davanti a Selena e si sedette.
Fran si posò l’indice sulle labbra e fece: “Sssssh!!”
“Sempre la solita!” accanto alla cacciatrice comparve Sonny che si sedette bruscamente.
“Ragazze!! Guardate cosa ho rimediato!” s’intromise Sue arrivando con una torta gigante in mano.
“Wow!” fecero in coro.
“Cosa? Cosa?” domandò la figlia di Atena agitata.
Le ragazze risero poi cominciarono a mangiare la super-torta.
“Le Trote finalmente riunite, he?” fece Sonny prima di inforcchettare la sua super-fetta.
“Ancora con le trote?” domandò Ginny.
“Certo, questa cosa non finirà mai!” rispose con fare saccente la nera.
“Bene.” annuì Aurea.
“Meglio così!” asserì anche Sue.
“Che intendete esattamente allora? Non è una cosa detta così? Trote?” chiese Selena tra un boccone e l’altro.
“Trote è TROTE!” sbottò Sonny. “È ‘ciao’! È ‘come va’! È ‘bene’! È forte! Ed’è figo! SOPRATTUTTO FIGO!!!!” disse tutto d’un fiato, quasi urlando.
Le altre rimasero ferme e zitte per un po’.
“Ma sì!” fece poi Fran. “Ci può stare.” ammise.
“Ah! Ho convinto anche la rompi-balle!!” si alzò in piedi di scatto la figlia di Apollo.
La bionda le puntò contro la sua forchetta piena di torta con fare minaccioso.
“Fran, non sei credibile …” le diede una gomitata Selena.
“Per cui: ALLE TROTE!” Aurea sollevò in aria la sua forchetta intortata.
Fu seguita subito da Sue. “ALLE TROTE!”
“ALLE TROTE!!!” si sollevarono anche le altre quattro forchette.
In sei finirono una torta da almeno dieci persone.
“Non mangiavo così tanto da …” iniziò Ginny poi si bloccò. “Io non ho mai mangiato così tanto!”
“Non è esatto.” le fece notare Aurea. “Hai partecipato all’ultima crisi di nervi di Sue.”
“Quella volta è stata davvero grave.” la ragazza si coprì le guance con le mani.
“Mai nessuna torta salata fu così buona quanto quella ai cavoletti di bruxelles e fontina!” rise Sonny seguita a ruota dalle altre.
Solo Selena sembrava un po’ sovrappensiero e si perdeva nel fissare questo o quella cosa tanto da sembrare le la cieca piuttosto che Fran.
“Sel, tutto okey?” le passò una mano davanti agli occhi Sue allungandosi sul tavolo.
“Hem … sì.” rispose riscuotendosi e annuendo poi però prese a torturare il tovagliolo che aveva tra le mani.
“Non sembra …” inclinò la testa Sonny.
“Qual è il problema?” chiese Aurea.
La ragazza abbassò lo sguardo sulla felpa celeste che stava indossando, presa in prestito da non sapeva nemmeno chi del Campo. “Ecco …” titubò.
“Puoi dirlo.” le fece Fran. “Lo sappiamo tutte ormai.”
“Ma …” replicò Selena presa alla sprovvista.
“Problemi di cuore! E vuoi che non me ne accorga?” le disse Ginny alzando gli occhi al cielo.
La figlia di Zeus era paonazza.
“L’hai detto tu che ti piaceva, no?” continuò l’amica. “Credo che vada bene. Quello che stai facendo, quello che stai provando ora, va bene.”
“Io voglio salvarlo.” cominciò. “Voglio riportarlo indietro, vorrei che anche lui potesse vivere una vita come questa al Campo. Vorrei poter stare con lui. Vorrei che tornasse quel bambino che giocava con me a Brighton … per questo … per questo io lo riporterò indietro!”
Il rumore di zoccoli risuonò in tutta la mensa, Chirone comparve accanto al tavolo della Casa Grande attendendo che anche gli ultimi brusii si spengessero e lo lasciassero parlare. “Adesso leggerò i nomi di coloro che parteciperanno all’impresa! Partiranno tra due giorni! Philottete accompagnerà la squadra e supervisionerà tutta l’azione!” spiegò velocemente poi prese un foglio e cominciò: “Partirò con i nomi dei semidei del Campo americano! Adam Owe; Annabeth Chase; Ben Wellstone; Clarisse La Rue; Eleonor Buttercake; Grover Underwood; Henry Redhood; Ilga Hardback; Isak Thure; Jay Redhood; Lukas Alate; Midori Akuma; Percy Jackson; Ted Verner e Tyago Redhood!”
Dai vari tavoli si levarono urla di approvazione o dispiacere ma Chirone non si fermò: “Tra le cacciatrici presenti in questo momento al Campo sono state scelte: Alicia Pierre; Aurea Smith; Khloe Eirene; Danielle Torsten; Galene Kerkyra; Theodora Waldemar!!”
Le cacciatrici non furono confusionarie come gli altri ragazzi e il centauro andò avanti tranquillamente: “Ora i nomi dei nostri ospiti: Irma Bluemar; Fran Owl; Guenevre Bouté; Javier Rei; Mally Rei; Mason Hardison; Selena Cloud; Sonia Bargins; Susan Pie!” finì di leggere. “Il piano ed il ruolo di ognuno di voi vi verrà detto durante il viaggio! Buona fortuna!”





Devo avvertire che mi sono riprese le lezioni e gli esami (T_T), in più passerò la prossima settimana a definire le ultime cose per i capitoli che seguiranno, per cui passerò giornate intere tra vecchi libri a rileggermi tutti i miti e i poemi esistenti per trovare un buon supporto alle mie folli folli FOLLI idee!! Mwhahaahahahahaahahahahahahahahahahahaahahahahahahahahahahahah
*cofcof*
Sono calma ora ... forse ...

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Capitolo 45
*** Disfatta ***


 “Stige … sei una gattara ... finirai a vivere da sola con i tuoi settecento gatti di cui non ricorderai mai i nomi e glieli scambierai, poi loro svilupperanno un cervello superiore dopo aver mangiato un po' della tua pizza biomolecolarmente impossibile da produrre, perché croccante ma morbida, e si ribelleranno, ti prenderanno e imprigioneranno per estorcerti informazioni sul mondo umano, una volta che avranno imparato tutto ti mangeranno e conquisteranno il mondo con il loro musetto dolce e gli occhi streganti, le loro fusa riecheggeranno in tutta la terra ... solo in pochi ... un gruppo di ribelli cinofili rimarrà a resistere contro gli oppressori felini … ecco, contenta? Che hai combinato!?!?!?”
“Fran?”
“Sì?”
“Quanto tempo ci perdi a pensare queste cose?” Mally era davvero incredula.
“Meno di quanto pensi!” s’intromise Ginny rispondendo. “È così di suo, il metodo è: sorridere e annuire.” disse stampandosi in volto un sorrisetto tiratissimo e scuotendo ripetutamente la testa su e giù.
“Siamo arrivati, ragazzi!” avvertì Phil che per l’occasione si era completamente rivestito da umano, con tanto di jeans e t-shirt dei New York Jets, sedeva accanto ad Argo, che lavorava come autista, in cima al bus e teneva in mano il microfono urlandoci dentro come se non lo usasse.
Erano partiti di prima mattina, tra le lamentele di molti, ma ci avevano messo molto più del previsto e ormai si era fatta quasi ora di pranzo: era il tre luglio e un sacco di persone si stavano avvicinando alla città per i festeggiamenti del giorno seguente; c’erano macchine piene e autobus anche molto più grossi di quello su cui viaggiavano in quel momento loro, camper con bambini che facevano le linguacce più disparate.
Durante il viaggio, il vecchio satiro aveva spiegato il piano in ogni suo dettaglio, dato a tutti un ruolo preciso e diviso le squadre. “Ma prima di tutto dobbiamo trovare la Spirale!” aveva ordinato. “Dovete cercare un luogo pieno di Foschia, ovviamente non finite in trappola voi! Chi lo trova dovrà avvertire Irma con un messaggio telepatico.”
“Un che!?”
“Un messaggio telepatico!! Adesso vi darà delle pietre, sono amuleti chiamati Abraxas, tramite i quali potrete tenervi in contatto. Non perdetele!!” aveva spiegato. “Ah, rimanete in un raggio di cinque chilometri dall’Empire State Building e tornateci subito non appena sentirete che vi richiamiamo! Capito tutti?!”
“Sì!!”
“Bene, ricordate di prendere l’ascensore  e premere lo strano pulsante triangolare che comparirà in cima agli altri!”
I ragazzi lo guardarono storto poi annuirono lentamente accettando semplicemente l’ordine.
Ora il bus era fermo al lato di una strada cittadina poco trafficata e i ragazzi stavano scendendo uno ad uno formando via via gruppetti di tre, quattro o cinque persone. Argo ripartì subito dopo e sul marciapiede restarono solo Phil, Fran e Irma.
La bionda si sistemò la tracolla in cui tenevano i kit medici. “Andiamo?”
Il satiro annuì. “Sì, Irma va tu per prima e controlla i livelli di Foschia che incontri.”
“D’accordo.”
Lui sospirò. “Dobbiamo occuparci solo di una strada ma non si sa mai!”
Fran poggiò la mano sulla sua spalla, facendo segno che era pronta, e partirono. Dovendosi fermare continuamente, sia per far concentrare Irma sia per la confusione ed il marasma in strada, impiegarono quasi un ora per arrivare fin sotto al grattacielo. Entrarono, notando che anche all’interno c’era un gran fermento,  e Phil si avvicinò sicuro ad una receptionist e le disse qualcosa ma la confusione era tale che le ragazze non colsero nemmeno una parola. La donna prima guardò bene l’uomo barbuto che le aveva parlato poi le due ragazze, infine annuì e diede al satiro quello che sembrava una chiave però aveva una strana forma: aveva la presa come ogni altra comunissima chiave ma la parte da inserire nella serratura era un prisma triangolare.
Phil mosse Fran e Irma e le portò accanto agli ascensori spiegando: “Dovete sapere che c’è un piano in più in questo posto, un piano nascosto. È il vero attico! È stato creato da Dedalo in persona e i mortali non ne sanno nulla. Il posto perfetto per un campo base, in definitiva.”
“Forte …” commentò la figlia di Atena.
“D-davvero …” concordò la ricciola poi ebbe un tremito e cadde a terra.
“Irma!”
La ragazza aveva il volto cereo ed il respiro affannato. “Troppi … sono troppi … non riesco …”
“Calma.” Fran si chinò su di lei prendendola per una spalla per capire bene come muoversi, inoltre non poteva fare nient’altro. “Respira piano.” e imitò un’ispirazione profonda ed una lunga espirazione.
Così fece anche l’altra.
“Meglio?”
“S-sì …” era ancora scossa da tremiti ma poté parlare con più calma. “Tutti hanno inviato un … un segnale …”
“Contemporaneamente? Che diceva?”
“Attacco!”
La bionda si irrigidì. “Ritirata ...” mormorò. “Ordina la ritirata a tutti! Che vengano qua subito!”
Poi qualcosa si mosse vicino alla sua testa, Irma gemette spaventata.
Fran rimase immobile. “Phil?” chiamò piano. “Phil?!” un po’ più forte, la paura le attanagliava le viscere.
“Phil è …” iniziò Irma terrorizzata.
“Morto.” fece una voce gelida, una voce di donna.
Una ragazza, che non pareva tanto più grande di loro, le sovrastava, teneva in mano un kris la cui lama ondulata riluceva sanguigna. “Scusate, mi presento: io mi chiamo Isis. Molto piacere.” abbassò il capo. “Forse dovrei spiegarvi cosa ho fatto, è che mi serviva il sangue di un combattente esperto.” sorrise e i suoi occhi celesti si illuminarono, il volto sembrava quello di una bambina circondato da lunghi e lisci capelli corvini che ondeggiavano ad ogni suo movimento di capo. “Che fosse davvero  esperto …” ribadì con voce cattiva e si abbassò a livello di Fran prendendole il mento con la mano libera, le sue dita erano fredde come il marmo. “Avevo inizialmente pensato ad una giovane e vitale figlia di Atena, ma tu sei cieca!” rise poi si raddrizzò. “Adesso devo andare …” fece. “Ma tranquille. Ci rivedremo.” scompigliò i capelli biondi della ragazza e si allontanò seguita dal rumore di tacchi.
“Irma …” Fran sapeva che era lì, la teneva ancora per una spalla ma non sembrava reagire. La scosse: “Irma!” nel frattempo tastava freneticamente intorno a sé nel tentativo di trovare Phil.
La figlia di Ecate si riprese. “Fran …”
Ma lei non le consentì di parlare. “Avanti alzati! Si è avvicinata approfittando del fatto che eri distratta! Attiva la Foschia, proteggici! Dobbiamo entrare nell’ascensore!”
Irma si alzò in piedi anche se le tremavano le gambe e le mani, richiamò l’ascensore, si concentrò e creò un denso strato di Foschia.
Nel frattempo la figlia di Atena aveva trovato il satiro e lo stava trascinando per la maglietta fin dentro l’ascensore, una volta che questo era arrivato. Continuando a tastare, aveva trovato nella sua mano la chiave che la receptionist gli aveva dato. “Tieni.” e sentì che l’altra gliela prendeva di mano.
“Diavolo!”
“Piano, le porte sono chiuse. Siamo solo noi qua dentro, portaci su!”
La ragazzina ormeggiò ancora un po’, lottando contro il tremore alle mani, alla fine riuscì ad infilare la chiave nella serratura triangolare e a girarla. L’ascensore iniziò a muoversi e salì fino al loro attico.
Le porte si aprirono su un salone enorme, con le vetrate dalla parte opposta a quella dove erano; ovunque c’erano lettini e tavoli, sopra ai quali si vedevano alcuni utensili non ben identificati e varie stoviglie.
Irma entrò per prima, controllando che fosse tutto nella normalità. “Che razza di posto …” soffiò.
Insieme a Fran, trasportarono dentro anche Phil.
La bionda si inginocchiò accanto al satiro e gli prese il polso, poi tastò il collo volendo controllare il battito ma incontrò del tessuto bagnato e si fermò a controllare; seguendo il profilo della macchia bagnata, le sue dita infilarono in un foro caldo e molle.
“Cos’è stato usato per farla?”
“Un pugnale.” Irma aveva iniziato a piangere.
“Quindici … venti centimetri?”
“Non so … penso di sì …”
Fran scrollò le spalle. “È morto.” gli sfiorò il viso con il dorso della mano fino ad arrivare alla fronte. “Non possiamo fare niente …” si sentiva la mano bagnata di sangue, usò l’altra per chiudere gli occhi a Philottete e rimase ferma a fissare il niente. “Ripeti il messaggio della ritirata.” disse atona. “Non devono combattere, che fuggano e basta. Non devono fermarsi neanche una volta entrati nel palazzo, che vadano diretti all’ascensore.”
Irma si sedette a gambe incrociate su uno dei lettini e prese a concentrarsi, in breve il suo volto divenne bianco per il consumo di energie e dovette stendersi non appena ebbe inviato il messaggio a tutti.
Fran si rannicchiò su sé stessa accanto al corpo che diventata sempre più freddo col tempo, si stringeva le gambe al petto circondandole con un braccio mentre lasciava pende la mano insanguinata il più lontano possibile da lei.
Il primo gruppo ad arrivare fu il gruppo delle quattro cacciatrici che si bloccarono alla vista del corpo poi andarono da Irma.
“Cos’è successo qui? Non doveva essere un luogo sicuro?!” domandò sconcertata Khloe, una ragazza abbronzata dal caschetto castano chiaro.
“Adesso lo è.” rispose l’altra mentre si alzava lentamente per evitare giramenti di testa. “Ci hanno preso alle spalle. Nessuno di noi ha potuto reagire.”
“Come è successo a noi …” divenne scura in volto Theodora. “Eravamo a controllare un vicolo qua vicino poi abbiamo voltato l’angolo e ci siamo ritrovate all’inizio del vicolo stesso … eravamo come bloccate lì …” lo disse a denti stretti, con rabbia. “Poi, non abbiamo neanche capito bene come, ma siamo riuscite a cambiare strada da un momento all’altro come se la trappola non fosse mai esistita!”
In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo ed entrarono a passo svelto Aurea, Sue e Sonny.
“No …” sussurrò Sue.
La cacciatrice fece un passo indietro, sul volto un espressione sconvolta.
La figlia di Apollo si avvicinò al corpo di Phil e gli si inginocchiò accanto, di fianco a Fran. “Chi è stato?”
“Isis.” rispose lentamente la ragazza senza alzare al testa. “Si chiama Isis.”
Gli occhi della nera si velarono, ma solo una lacrima sfuggì dal suo controllo mentre osservava la ferita. “Non si poteva fare niente …” non sembrava una domanda, poi posò una mano sulla testa di Fran. “Per fortuna voi state bene.” sospirò tremando.
La figlia di Atena si lasciò sfuggire un singhiozzo strozzato. “Scusa.” pianse. “Non abbiamo potuto fare niente … sono stata completamente inutile. Avrebbe dovuto prendere me!”
Sonny l’afferrò per le spalle. “Non lo dire!”
“Lei lo ha detto!”
“No! È stato Phil!” la scosse. “Conoscendolo aveva capito tutto! Si sarà messo nel mezzo! Prendersi una pugnalata a caso è una cosa che farebbe!”
Fran annuì in silenzio scuotendo forte la testa.
Allora la figlia di Apollo la abbracciò. “È stato lui … quello stupido vecchio …” un’altra lacrima le rigò il volto. “Ma …” inspirò forte e sospirò.
La bionda sentiva che l’amica tremava ancora tutta.
“Lo vendicherò.” disse alla fine Sonny con voce ferma, smise di essere scossa da fremiti e divenne sicura e certa di quello che doveva fare. Si rialzò in piedi. “Sarà meglio sistemare questo posto come un campo base.” fece asciugandosi le guance con forza, strappandosi via le lacrime.
“Prepariamo una zona come infermeria, a noi è andata bene ma chissà agli altri!” propose Aurea ancora con lo sguardo perso nel vuoto.
“Dovremmo … dovremmo sistemare anche lui.”  disse Sue avvicinandosi a Philottete.
Così tutti si mossero e sistemarono lo stanzone, presero anche un tavolo su cui distesero la mappa del centro città che si era portato dietro il satiro.
Il corpo di Phil fu portato su un lettino un po’ in disparte e coperto con un telo bianco, non appena quella storia sarebbe finita gli avrebbero fatto tutte le onoranze funebri adeguate ma in quel momento dovevano occuparsi d’altro.
Mentre organizzavano lo spazio arrivò anche il gruppo dei ragazzi di Apollo: Adam si teneva una spalla mentre Lukas e Ted aiutavano Ben a camminare. Li fecero sedere su due lettini poi Irma e Theodora iniziarono a medicare le ferite come meglio potevano.
“Siamo stati sorpresi da una dannatissima Erinni!” disse Isak a Sonny muovendosi freneticamente le mani. “Era solo uno ma sembravano mille!”
“Com’è possibile?” scuoteva la testa la nera.
“Mentre combattevamo contro una, ce ne comparivano altre! Due! Tre! Alle spalle! Quando ci siamo ritirati, scappando come donnette, ce n’era solo una a ridere di noi!” tentò di spiegarsi meglio il ragazzo.
“Di nuovo … qualcuno ha usato la Foschia. Ci stiamo battendo contro qualcuno molto esperto in questo campo.” rifletté Irma. “Neanche io sono in grado di controllare contemporaneamente la Foschia in più punti, in più sembra mantenere una certa distanza …”
“È lei.” intervenne Fra.
“Isis. Quasi sicuramente sì.” concordò la ricciola.
“Ma chi è?” chiese Sue picchiettando nervosamente le dita sul tavolo.
“Una semidea, figlia di chissà chi! Non ricominciamo come con Alec!” esplose arrabbiata la figlia di Ecate. “Come fa ad essere così esperta!? Non avrà neanche un anno più di me!”
“Cosa?” la fermò Fran sorpresa. “Una ragazzina? Ma la voce era di donna …”
Gli altri non capirono e non parlarono per questo la ragazza tentò di spiegarsi meglio. “La voce era sicuramente giovane, ma i toni erano bassi e sicuri, una ragazzina non parla in quel modo. Per questo pensavo fosse più grande di noi.”
“Potrebbe aver usato ancora la Foschia o qualche altro tipo di magia?” domandò la cacciatrice Alicia dopo un po’di silenzio.
“Non lo so …” ammise la figlia di Ecate.
Poi il discorso fu interrotto dall’arrivo di Ginny, Javie e Mally seguiti da Percy e Annabeth.
“Clarisse e Grover stanno arrivando.” stava spiegando il figlio di Poseidone. “Ci hanno diviso!”
“Chi?” chiese subito Sonny.
“Efialte!” rispose secco lui.
“Impossibile!”
“Non può essere!”
“Come può nascondersi?!”
“Calmi!” riprese il controllo Aurea. “Ci stai dicendo che il capo dei giganti della Gigantomachia è in città e vi ha attaccati?”
“Sì …” annuì Annabeth. “Prima sembrava un uomo normale, ci ha presi per dei ragazzi di una qualche scuola.”
“Poi BOOM! La sua mano è diventata grande quanto lui e ci ha scaraventato contro un muro!”
“Grover e Clarisse sono finiti in un vicolo. Hanno urlato che sarebbero venuti qua come aveva detto di fare Irma.” finì di spiegare la figlia di Atena.
“Cavolo …”
“In giro ci sono le Erinni, una tizia strana ed Efialte …” contò Sue.
“Direi che siamo messi bene.” fece sarcastica Khloe beccandosi poi una gomitata da Danielle.
Le porte dell’ascensore si riaprirono facendo entrare Galene, l’ultima cacciatrice che mancava all’appello, Mason e Selena, tanto bianca in volto da sembrare quasi un fantasma.
“E a voi cos’è successo?” chiedeva intanto Sue alla cugina.
“Non trovavamo la strada giusta.” disse Ginny. “Arrivavamo alla fine di una via, giravamo l’angolo ma ci ritrovavamo all’inizio di quella che avevamo appena lasciato.”
“È successo anche a voi …” notò Danielle passandosi una mano tra i capelli scuri.
Mally annuì. “Poi abbiamo notato che i mortali non cadevano in trappola così ci siamo infilati in un gruppo di turisti giapponesi e siamo riusciti ad uscirne.”
Mason si era avvicinato al gruppo e aveva visto Fran con la mano ancora sporca di sangue, credendo fosse ferita si era precipitato da lei, mentre Selena era crollata su una sedia in disparte.
Galene si unì agli altri intorno al tavolo. “L’abbiamo trovata.” annunciò soffiando via una ciocca di capelli bruni dagli occhi. “Ma lì c’era anche Alec e nessun problema, ci stavamo parlando, quando è comparsa una ragazza che ci ha letteralmente teletrasportato qua sotto! Proprio davanti all’entrata dal grattacielo! Era come se non le servissimo, non che ci abbia ignorato ma …” si fermò un attimo titubante.
“Ma?” la incalzò Sonny.
“Ecco sembra che abbia decido di mandarci via nell’istante stesso in cui i suoi occhi si sono posati su … Selena.”
“Diavolo! Ma chi cazzo è!?” esplose Sonny battendo i pugni sul tavolo. “Dannata bastarda!”
“Lei sa qualcosa.” mormorò Ginny tra sé poi osservò Selena  seduta da sola ad osservare la stanza come se stesse cercando disperatamente qualcosa, così la raggiunse.
Nel frattempo la discussione continuava: “Per caso aveva un kris in mano?” domandò Irma.
“Se intendi uno di quei pugnali lunghi con la lama ondulata, sì, ce l’aveva.” rispose Galene. “Di chi era il sangue sulla lama?” chiese preoccupata.
Allora la figlia di Ecate raccontò tutto quello che era accaduto loro mentre gli altri restavano in silenzio.
Dopo qualche minuto rientrarono anche Clarisse e Grover, un po’ ammaccati ma salvi, che furono subito aggiornati della situazione.
“Chi manca?” domandò Fran mentre Mason la aiutava a lavarsi le mani.
“I fratelli di Ares, Pinkie, Blackie e Greenie.” le risposero.
La ragazza strinse la bacinella con forza. “Dannazione …”
“Fran … non possiamo fare niente ora.” tentò di parlare il ragazzo.
“Non potrei fare niente comunque.” disse dura lei mentre finiva di lavarsi le mani con rabbia.
Era ormai tardo pomeriggio e Galene e Mason avevano spiegato molto bene dove avevano trovato la Spirale, dissero che l’avevano messa su una specie di carro.
“Prevedono di spostarla domani, durante la parata.” intuì Annabeth osservando la mappa davanti a lei e contò almeno tre percorsi ma tutti si allontanavano dall’Empire State Building.
“Dove vogliono andare?” si chiese Sue controllando tutte le strade assieme alla figlia di Atena.
Dopo gli ultimi avvenimenti anche Clarisse scartò l’idea di un attacco diretto, a quel punto poteva significare solo morte certe per chiunque ci avesse provato.
Passò un'altra ora, era quasi il tramonto, e ancora nessuno era tornato.
“Dove sono?!” domandò frustrata Mally alzandosi in piedi di scatto.
“A chi ti riferisci?” le chiese Sonny.
“A tutti! A tutti … dovevano già essere qui …” disse sconsolata e si avvicinò alle finestre.
“Se non tornato entro la notte …” iniziò Irma ma non poté finire la frase.
Pero tutti avevano capito quello che intendeva dire.
Nessuno parlò ancora, se non per qualche frase detta a mezzo o domande senza risposta; su tutti gravava un grande peso: erano stati sconfitti, avevano fallito e non avevano neanche combattuto. Come sarebbe potuta finire bene tutta quella storia? … non finirà con la salvezza … così diceva la profezia, che intendeva di preciso?
All’improvviso qualcosa colpì forte le finestre ma non le ruppe.
Mally cadde all’indietro per lo spavento.
“Hei! Tutto bene?!” le chiese Javier corso accanto alla sorella.
Un ringhio di rabbia entrò nel salone. “Sciocchi semidei!! Se rivolete i vostri compagni salite sul tetto!”
“Ma fate in fretta!” seguì una risata mostruosa e gracchiante.
“Ci potrebbero scivolare dagli artigli!”


Avevo detto che ci sarebbero state le botte.
Alla prossima! Che spero sia in settimana.

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Capitolo 46
*** Quegli occhi. ***


Non ho mai fatto di queste cose ma questa mi ha colpito davvero: fate partire questa traccia https://www.youtube.com/watch?v=m6kb96YWXMA al mio segnale! 


Le Erinni volavano a neanche un metri fuori dal parapetto del terrazzo dell’Empire State Building, tra gli artigli che avevano al posto dei piedi umani reggevano le ragazze del campo americano, le ali sbattevano regolarmente per mantenere quota mentre i loro volti erano contratti in sorrisi furiosi e famelici.
Quando il gruppo arrivò per soccorrere le tre inorridirono davanti alle ferite inferti ai loro corpi, fortunatamente sembravano superficiali: Blackie aveva dei graffi su una guancia e un braccio sporco di sangue, a distanza non si vedeva la ferita ma almeno l’emorragia si era fermata; Pinkie aveva un labbro spaccato e uno zigomo nero, i pantaloni leggere strappati e macchiati alle ginocchia per il resto sembrava integra; invece Greenie aveva un brutto graffio sopra all’occhio destro, il sangue le era colato sulla faccia fino al mento, macchiandole anche la maglietta che era strappata al fianco sinistro ma non si riusciva a capire se ci fosse una ferita o quanto questa potesse essere grave.
Le tre creature ridevano delle espressioni dei ragazzi con un gusto inquietante dipinto sul volto.
“Tranquilli, piccoli semidei!” sghignazzò Aletto.
“Non sono gravi!” urlò Megera. “Sono ancora vive!”
Tisifone rise ancora più forte. “Ma chissà se sopravviverebbero se dovessero cadere da quassù!”
Clarisse strinse i denti e la lancia le tremò tra le mani per la rabbia.
Javier si fece avanti con lo sguardo scuro. “Henry, Jay e Tyago … dove sono?” chiese con voce ferma.
“Chi?!” fu la risposta tra le risa.
“Dove sono?! Dove sono i miei fratelli?!” il ragazzo alzò uno sguardo di brace sulle Erinni estraendo la spada.
Queste fremettero, spaventate da quella reazione, ma si ripresero in fretta.
“I tuoi fratelli … intendi quei ragazzi che hanno quasi staccato la testa ad Efialte?” ci pensò su Megera.
Aletto inclinò la testa di lato. “Se sono loro allora sono morti!”
Silenzio e risa.
“Quel gigante si è preoccupato davvero quando se li è visti sulle spalle!”
“Ci sono andati vicini!”
“Ma lui li ha schiacciati come moscerini!”
Una freccia passò accanto alla testa di Tisifone così velocemente che non ebbe neanche il tempo di capire che era stata scoccata.
Aurea le fissava con l’arco in mano e già aveva incoccato un’altra freccia.
“Restituiteci le nostre amiche.” anche Mally aveva estratto la sua spada completamente rosa. “CHE È!?!?”
Poi Tisifone e Aletto scattarono in avanti lanciando i corpi di Blackie e Pinkie sul terrazzo. Anche lo schieramento si mosse: Percy e Grover riuscirono a prendere al volo la figlia di Estia mentre la ragazza dalle ciocche arancioni cascò addosso a Isak.
L’impatto la fece svegliare. “Accidentaccio! Che dolore!” mugolò notando però con piacere che era bene o male tutta intera.
“Non ti preoccupare, adesso ti porto giù e ti cureremo!” le disse il ragazzo mentre ancora erano stesi a terra. Poi la sollevò, tenendola tra le braccia e corse sicuro verso l’ascensore mentre suo fratello Lukas copriva la loro fuga.
La battaglia era tra i semidei e le due Erinni che potevano muoversi liberamente tra il cielo e il terrazzo: attaccavano veloci, con picchiate e cambi di direzione repentini, ferivano e tornavano in aria. Dopo poco i ragazzi capirono che sarebbe stato difficile per loro riuscire a colpirle in modo adeguato e assolutamente impossibile ucciderle se non restavano più di quei pochi secondi a terra.
Javier e Mally combattevano come fossero un individuo solo: lui teneva alto il grande scudo mentre la sorella vi si riparava dietro per poi scattare e menare fendenti e affondi praticamente infallibili, se solo quelle maledette creature si fossero messe ad attaccarli seriamente.
Aurea, vedendo come si stava svolgendo lo scontro, decise di provare ad usare le sue converse alate. Corse lungo il parapetto poi balzò in alto mentre mirava Aletto con l’arco, ma ancora prima che potesse anche solo pensare di scoccare Tisifone le era passata accanto, sopra, sotto e alle spalle tentando di colpirla con tutti gli artigli che possedeva. Col corpo pieno di graffi e lividi la cacciatrice atterrò accanto alle sue compagne per riprendere fiato.
Sembrava che ogni strategia che veniva in testa ai ragazzi fosse inutile.
Ma non tutti erano saliti sul tetto per partecipare alla battaglia, i feriti e coloro che non si ritenevano capaci di affrontarla erano rimasti nell’attico nascosto, dove aspettavano l’arrivo di altri feriti e si preparavano a curarli e a medicarli in fretta e con efficienza.
Ginny si era presa una sedia e si era messa accanto a Selena, che ancora non si era mossa e spostava lo sguardo da un punto ad un altro senza trovare tregua.
“Adesso basta!” si alzò di scatto la figlia di Afrodite. “Mi ha stancato questo tuo comportamento! Ti arrendi solo perché non hai potuto fare niente!?”
La morettina fece ciondolare un po’ la testa poi guardò l’amica con gli occhi velati di lacrime. “Lui non mi vuole …”
Ginny spalancò gli occhi sorpresa. “Che significa? L’ha detto lui?”
“N-no …” la figlia di Zeus riabbassò gli occhi a terra e si portò le ginocchia al petto, era abbastanza piccola da stare in quella posizione sulla sedia senza cadere. “Quando eravamo lì e Mason ha iniziato a parlargli a chiedergli di venire con noi di porre fine a tutto questo, lui ha detto … ha detto che non poteva fare altrimenti perché lei voleva così …”
“Lei?”
Selena si voltò verso le finestre per osservare fuori, come se volesse quasi fuggire. “Quella che hanno detto chiamarsi Isis … è lei.”
Ginny si rimise a sedere. “È stata lei a dirti che lui non ti vuole?”
La ragazza annuì e nascose il volto tra le ginocchia. “Io … vorrei … vorrei …”
“Affrontarla?”
“Pestarla!”
“Spaccarle la faccia?”
“Fulminarla!” adesso Selena si era alzata in piedi, le mani strette a pugno ed il volto rosso di rabbia. “Devo solo avere la possibilità di avvicinarmi! Di poter parlare con Alec! Ma era così distante …” rilasciò le mani. “Sembrava che non volesse essere lì. Era triste e spaventato … forse … o forse quella ero solo io …”
Ginny seduta accanto a lei, la ascoltava in silenzio lasciando che si sfogasse e che parlasse.
“Voglio salvarlo. Ma adesso ho paura … tanta paura …”
“Ma vuoi salvarlo.”
La morettina annuì, una lacrima le scese lungo la guancia.
“Come ha detto Mason: forse tu sei l’unica che potrebbe fare qualcosa.”
Le porte dell’ascensore si aprirono e Percy e Grover entrarono portandosi dietro Pinkie ancora svenuta, seguiti da Isak con in braccio Blackie che insisteva per essere messa a terra.
Alle due ragazze furono pulite le ferite e medicate alla meno peggio mentre gli altri parlavano di quello che stava accadendo sul terrazzo. Alla notizia della morte dei fratelli di Ares molti rimasero sconvolti.
Fran era seduta dove l’avevano messa prima, si prese la testa fra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia.
“Le Erinni?!” Mason esplose. “Non è possibile! Erano loro a perseguitare Alec  da piccolo! Furono loro ad uccidere mia madre!”
Poi le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo.
“Lukas!” Isak al capezzale di Blackie chiamò il fratello che era appena entrato tenendosi la mano destra che grondava sangue.
“Mi ha spaccato l’arco! Quella stronza maledetta!”
“Come procedono le cose su?” chiese Irma mentre gli legava un laccio emostatico a metà avambraccio.
“Male! Ci feriscono poi riprendono il volo!” urlò con rabbia il ragazzo.
“Greenie?” si alzò lentamente Pinkie non appena si fu ripresa. “Dov’è Greenie?”
Tutti si scambiarono sguardi preoccupati.
“È ancora nelle loro mani … non riusciamo ad avvicinarci abbastanza da tirarla giù.” scosse la testa il figlio di Apollo.
Fran si coprì il volto con entrambe le mani.
Mason le si avvicinò. “Io salgo …” la voce gli tremava.
“Non sai combattere, non sei un guerriero, cosa credi di poter fare?” gli chiese la ragazza con voce fredda, quasi cattiva.
Lui rimase bloccato. Poi le si pose davanti ma lei continuava a nascondere il viso. “So cosa stai facendo.” iniziò ancora titubante.
“Ah, sì?”
“Sì. Sei arrabbiata, spaventata e frustrata. Vorresti essere lassù a … a combattere.”
“Sei perspicace … dimmi qualcosa che non so, almeno.”
Mason deglutì a fatica tentando di scacciare il nodo alla gola che gli si era formato, sapeva che Fran attaccava solo quando era sull’orlo di una crisi, quando stava quasi per cedere e lasciar uscire la parte più fragile di sé. “Tu … tu vorresti essere morta al posto di Phil. Hai sulla coscienza la morte di Henry, Jay e Tyago  … ma … ma non li hai uccisi tu!”
“Sono stata io a proporli!” scattò abbassando le mani e sollevando il volto. “Adesso Rebecca è di nuovo sola! Ed’è colpa mia! Li ho mandati in prima linea e sono rimasta indietro, come una codarda …” aveva gli occhi lucidi e la pupilla che una volta quasi si mescolava con l’iride tanto scura, adesso era grigiastra.
Il figlio di Eros abbassò lo sguardo.
“E tu non riesci neanche a guardarmi in faccia.” mormorò ed iniziò a piangere silenziosamente.
Il ragazzo chiuse gli occhi. “Mi dispiace. È colpa mia se tu sei così, le cose sarebbero andate diversamente se non ci fossi stato io!”
Fran cercò la sua guancia con la mano e la sfiorò costringendolo a voltarsi. “E dici a me che non dovrei farmi carico della vita degli altri? Tu ti preoccupi per questa cosa che … che non è importante …”
“Come può non esserlo?! Fran, sei cieca! È terribile! È la cosa peggiore che ti potessi fare!”
“La cosa peggiore che avresti potuto fare era non tornare da me.”
Mason si fermò e la guardò in faccia: il volto rigato dalle lacrime, i suoi occhi erano su di lui, non lo vedeva ma sapeva che c’era e lo cercava, lo voleva.
“Fran …”
“Mason, ti amo.”
La baciò senza pensarci, lasciando il mondo fuori.
La amava. La amava anche lui ma non era riuscito a dirglielo, strano per il figlio di Eros.
Era il loro primo vero bacio, quello avvenuto negl’Inferi era stato un sogno, un bel segno, ma quello era reale.
Poi ciò che entrambi volevano, anche se non ci speravano più, accadde.
I tentativi di attacco dei semidei subirono una battuta d’arresto: non potevano colpire senza esporsi o esporre qualcuno a loro volta, in più era sempre costante la minaccia che Megera lasciasse casere la ragazza in ostaggio.
“Non pensavo fosse così difficile!” urlò Javier con lo scudo alzato in protezione di Mally. “Dobbiamo solo recuperare Midori!”
Un colpo d’artiglio sul metallo e la ragazzina scattò con un affondo uscendo allo scoperto da un lato dello scudo trovandosi perfettamente in linea sul fianco dell’Erinni.
Questa urlò di dolore ferita ad una gamba e riprese quota in fretta.
“Ottimo lavoro.”disse il ragazzo alla sorella.
“Avrei potuto ucciderla! Ma non so come reagirebbe quella che ha Greenie!”
“Se solo potessimo portarla sopra il tetto …” strinse i denti il giovane, poi vide che ancora gli attacchi avversari si fecero più veloci. “RAGAZZI! RIUNIAMO LA FORMAZIONE!!”
La squadra iniziò ad avvicinarsi per riunirsi formando un unico schieramento difensivo, ma le due Erinni presero ad attaccare al centro, destabilizzando il movimento. Di fatto di battaglie ne sapevano si più loro, ormai questo era chiaro.
Lo spazio sul tetto non era molto.
“Chi non può attaccare a distanza scenda!” ordinò Clarisse.
Con riluttanza, anche se si mossero con uno scatto estremamente veloce, Annabeth, Sonny e Sue entrarono nell’ascensore di Dedalo evitando gli artigli di Aletto per un soffio.
“Javier! Mally! Andate anche voi!”
I fratelli si guardarono.
“Prima io e coprimi.” disse Mally.
Javier  annuì. “Uno, due … tre!”
La ragazzina corsa verso l’ascensore mentre il fratello contava fino a dieci secondi per proteggere il suo scatto e non esserle d’intralcio nella corsa.
Ma Tisifone partì in picchiata non appena la vide muoversi e niente era più veloce di lei quando era a caccia.
Mally sentì la risata dell’Erinni ad un metro da lei e vide che le porte dell’ascensore si aprivano, si voltò, decidendo di affrontarla faccia a faccia, per non offrire le spalle; lo fece nel momento stesso in cui le sembrò di vedere uscirne qualcosa ma per la velocità dell’azione non capì di cosa si trattasse.
Vide nero e sentì che gli artigli cozzarono su qualcosa di ferro, chiuse gli occhi di riflesso, contemporaneamente qualcosa la urtò facendola cadere all’indietro. Il dolore per la botta le fece riaprire gli occhi: davanti a lei qualcuno aveva fermato la picchiata di Tisifone.
“Tutto bene, testina?”
Mally guardò meglio chi le stava di fronte dandole la schiena. “Fran ma tu …?”
“Mally …” la sua voce era contratta, teneva a freno la creatura davanti a lei con la sola forza delle braccia, la spessa catena di arrotolata intorno al destro contro cui premeva con insistenza l’artiglio dell’Erinni. “Ti spiacerebbe …”
“ … CI VEDI!!”
“ … ENTRA IN QUEL DANNATO ASCENSORE!!”
“S-sì!” e schizzò dentro.
Tisifone urlò in faccia alla figlia di Atena la frustrazione di aver perso la preda.
“Zitta! Bavosa!” urlò Javier investendola con lo scudo poi il ragazzo si fermò accanto alla ragazza libera dalla presa dell’avversaria. “Grazie per aver protetto mia sorella.”
*ora*
“Grazie a te per non aver abbandonato la mia. Ora è il mio turno.” 
I due si scambiarono sul campo di battaglia battendo i pugni.
Javier raggiunse la sorella in ascensore e le porte si chiusero. “Fran è …”
“Un’esibizionista, le piacciono le entrate spettacolari.”
“Ah.”
Intanto sul tetto Fran si avvicinò ad Aurea intenta a tenere sotto mira Megera che ancora reggeva Midori. “Hei!”
“Per Artemide!” fece spaventata la cacciatrice.
“Oh, che c’è? Sono solo io!”
“È questo il punto!”
“Ti spiego dopo! Ho un piano!”
Aurea demandò il suo ruolo a Danielle e ascoltò quello che aveva da dire la sorella. “Sicura?” chiese.
“Sono l’unica che ha questo tipo di arma.”
La bionda la guardò negli occhi: le pupille non erano più grigiastre e lo sguardo triste aveva lasciato posto alla determinazione. Alla fine annuì e scattò fuori urlando: “Apollo! Prendete Tisifone! Cacciatrici! Aletto!!”
Gli arcieri cambiarono istantaneamente i bersagli.
Le due Erinni rimasero spiazzate da tale contromossa e si allontanarono dal grattacielo volando più in alto e mantenendo una certa distanza.
Aurea incoccò una freccia e mirò nuovamente Megera, caricando quell’unico colpo con tutta la forza che la sua rabbia poteva darle.
Non appena la vide in posizione, Fran uscì allo scoperto correndo verso l’ultima creatura volante che era rimasta in prossimità del tetto, mentre si avvicinava all’obbiettivo faceva roteare la catena con movimenti decisi del polso. Una volta arrivata sul bordo del tetto, al limite del parapetto e vicinissima a Megera, scagliò in alto il capo della sua arma urlando a pieni polmoni: “Megera! Guarda qua!”
Quella si voltò appena in tempo per prendersela in faccia, urlò di dolore agitandosi così tanto che la catena le si attorcigliò ad una delle zampe.
“Bene.” esultò tra sé Fran poi iniziò a tirare con tutte le sue forze.
Megera, intontita del colpo perse velocemente quota ritrovandosi a poco meno di un metro sopra al tetto.
“ORA!” urlò la figlia di Atena.
Aurea scoccò, la freccia si conficcò nella coscia dell’Erinni con forza e andò in profondità.
La reazione fu istantanea: la creatura mollò la presa e Greenie cadde.
“Steel!” chiamò Fran e la civetta d’acciaio prese al volo la ragazzina in caduta libera e la adagiò a terra.
“Ritirata!” urlò Danielle.
Tutti scattarono verso l’ascensore portando in salvo Midori.
“Aspetta! Figlia di Atena!” l’urlo furente di Megera squarciò l’aria.
Aurea e Fran si voltarono, armi in pugno, a pochi passi dall’ascensore aperto.
L’Erinni era atterrata sul tetto e si reggeva la gamba ferita, puntò il dito sulla ragazza dalla maglia nera. “Guardami tu ora!” il suo volto era sporco di sangue e la sua voce suonava piuttosto nasale, doveva averle rotto il naso, cosa che procurò a Fran non poco piacere.
Si scrutarono, occhi negli occhi, umani occhi neri e mostruosi occhi rosso sangue.
“Quelli  occhi.” sputò rabbiosa Megera, il viso contorto in una strana espressione di disgusto ed invidia. “Quegli occhi …”
Fran sentì che Aurea la tirava per la maglietta vero l’ascensore, non riusciva a distogliere lo sguardo dall’Erinni, poi le porte si chiusero.




Bene, siamo ad un dunque.
La storia della canzone: stavo scrivendo mentre ascoltavo canzoni random e quella è partita nell'istente stesso in cui ho scritto quella frase ... è stato spettacolare *^*
Ok, non fangirlerò tanto ... ASDFGHJKL!!!!! ... basta ... grazie per aver letto! ^_^

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Capitolo 47
*** La Spirale ***


Il sole scese sotto lo skyline della città.
I ragazzi erano tutti riuniti nell’attico nascosto a curarsi le ferite più o meno lievi, alla fine contarono che non molti erano usciti completamente indenni da quel pomeriggio, sei feriti e quattro morti.
I nemici si erano dimostrati più pronti di quanto potessero immaginare; non avevano potuto fare niente , nessuna azione, nessun attacco, solo difesa e fuga.
Sonny si muoveva su e giù per la stanza tenuta sott’occhio da Aurea e Sue, che tra un passo e l’altro discutevano su come potersi muovere da quel momento in poi, senza raggiungere alcun risultato.
Selena, Ginny e Mason parlavano tra loro animatamente ma non a voce abbastanza alta per essere sentiti da tutti. Annabeth era seduta al tavolo con il suo portatile aperto davanti, batteva i testi neanche fosse stata lei la macchina e ogni tanto annuiva o borbottava qualcosa tra sé. Poco più in là Fran sedeva a terra poggiata con la schiena al lettino di Greenie ancora incosciente.
“Dobbiamo attaccare!” disse a voce alta la figlia di Apollo così che tutti potessero sentirla.
“Scherzi vero?!”
“Ci hanno distrutti!”
“Vuoi morire per caso?”
“Spiegati meglio.” fece Danielle zittendo gli altri.
“Prima di tutto dobbiamo toglierci da questa situazione e, la cosa vale almeno per me in particolare anche se credo di non essere l’unica, se non faccio qualcosa mi suicido adesso! Secondo: credono che non attaccheremo dopo questo pomeriggio, saranno colti alla sprovvista, cosa che molto probabilmente non ci darà la vittoria ma un minimo di soddisfazione nel vedere le loro facce distorte in espressioni di incredulità! Terzo: non c’è da escogitare niente perché il piano resta il solito, quello ideato al Campo insomma.”
Molti scossero la testa rassegnati all’idea che non avrebbero combinato comunque niente.
“Capisco quello che vuoi dire ma forse dovremmo ridimensionare i numeri, a questo punto credo che dovremmo concentrarci solo sulla Spirale ed evitare proprio lo scontro.” disse Fran. “Toccata e fuga.”
“Sei la figlia della dea della guerra e non vuoi mai combattere, che hai?!” sbottò la nera.
“Non mi piace l’agonismo, preferisco la disciplina.”
“Qui si tratta delle nostre vite!”
“Per questo è veramente da stupidi pensare ad un attacco frontale! Sarebbe solo un suicidio! A questo punto perché non ti imbottisci di fuoco fatuo e ti butti nel loro covo!?”
“Basta ragazze!” Sue si mise nel mezzo fermando l’avanzata di Sonny. “Non vi era passata questa stupida cosa della rivalità? Adesso non è il momento per risolverla comunque!”
La figlia di Apollo annuì, voltò le spalle alla bionda.
“Hanno ragione entrambe però …” ammise Percy. “Potremmo fare due gruppi: uno attacca, composto da chi crede di poter resistere ed’è anche disposto a darsi alla fuga in ogni istante; e uno che entra nello scantinato a distruggere quell’aggeggio.”
Annabeth, sempre seduta davanti al suo portatile, alzò la testa verso il ragazzo e lo fissò.  “Ogni tanto ti vengono buone idee anche a te …”
“Deve capitare, anche per sbaglio …” concordò Clarisse.
Il moro fece un po’ l’offeso poi iniziarono tutti ad organizzare quella missione semi-suicida.
Orma il sole era tramontato da molto; decisero che si sarebbero mossi alle due di notte, non mancava molto.
“Trovata! Sapevo che c’era qualcosa da qualche parte!” Annabeth sollevò le braccia al cielo liberando l’esasperazione cresciutale fino a quel momento in corpo.
Tutti si voltarono verso di lei.
“L’ho trovata!” ripeté quasi incredula.
“Ma di cosa stai parlando?” le domandò Percy andandole accanto. “Wow …”
“PISTACCHIO GRATINATO!” l’urlo si levò da un lettino.
“Si è svegliata Greenie.” avvertì Fran senza scomporsi.
La ragazzina era scattata a sedere poi, tutta dolorante, era crollata nuovamente lamentandosi dei lividi.
“Non muoverti tanto o le ferite si riapriranno!” la rimproverò Irma venuta a controllare il suo stato.
“Sì, sì!”
Fran si alzò in piedi. “Cos’hai trovato?” chiese avvicinandosi al tavolo su cui la sorellastra picchiettaca la tastiera del portatile.
Annabeth non rispose ma aprì dei file.
“Wow …”
“Ma qualcuno sa dire altro?” si lamentò Sonny avvicinandosi al gruppo. “Porca trota!” esclamò guardando lo schermo. “Cosa sono di preciso?!”
“Gli appunti sulla costruzione e l’uso della Spirale.” spiegò la figlia di Atena. “Sembra che l’idea originaria sia stata di Leonardo Da Vinci …”
“Leonardo Da Vinci?”
“Sì, era figlio di  Atena anche lui o almeno queste sono le voci che circolano. Comunque è una macchina che ha creato mentre compiva i suoi studi sul volo …”
“Leggi! Leggi!” la incalzò la nera.
“Cosa leggo? È italiano!”
Fran si chinò sullo schermo. “Non c’è scritto niente di che in realtà.”
“Sai leggerlo?” chiese Percy sorpreso, come anche gli altri.
“No, aspettate: ci vede?!” si rialzò Greenie subito rimessa a posto da un pugno in testa di Irma.
“Sì, sono capace di leggere tutto. Scrivere è un’altra storia …”
“Com’è possibile?” domandò ancora.
“Mi insegnò una signora quando ero molto piccola, non ricordo bene … okey …” scosse lievemente la testa. “Comunque c’è scritto che la sua macchina tentava un controllo dell’aria e come pensava di usarla ma non credo che ci interessino queste cose … anche perché metà delle parole non le conosco … Dedalo che ha scritto?”
Annabeth picchiettò qualche altro tasto e la schermata cambiò e un file di scrittura si aprì davanti a loro. “È il suo diario.” spiegò la ragazza poi si schiarì la voce: “L’ho modificato con un sistema per aumentare le capacità divine dei semidei, potrebbe funzionare anche sugli dei forse, ma non vedo come essendo loro sempre al massimo delle loro capacità. Tre giorni dopo ha scritto: … come incrementa le doti può inibirle! Inizio il progetto per l’inversione di processo. E una settimana dopo: Ci sono riuscito!
Un silenzio denso seguì le sue parole.
“Potrebbero privarci delle nostre capacità da un momento all’altro …” fece Sonny.
“Cosa potrebbe accadere a noi cacciatrici?” chiese Khloe spaventata.
“No, se avessero voluto usarlo su di noi lo avrebbero già fatto.” disse Aurea.
“Come se ne avessero bisogno!” sbottò Ben steso un lettino in disparte con una gamba ferita che non voleva cessare il suo dolore pulsante.
“Che vogliano il Campo?” fece Isaak.
“Possibile, ma non è troppo distante?” domandò Blackie accanto a lui.
“Gli dei.” mormorò Ginny.
“Cosa?” chiese Selena sedutale vicino.
“Vogliono gli dei! Certo, era ovvio alla fine.”
“Dedalo non sapeva che effetti poteva a vere la Spirale su di loro …”
“Ha scritto che non sapeva niente dell’incremento dei poteri, ma poi ha invertito il processo della macchina, no? Non credo lo abbia testato ma potrebbero comunque provare ad azionarla e vedere cosa succede, se non funziona be’ significa solo che hanno perso non so quanti anni della loro vita …”
“Ma se dovesse funzionare …” la figlia di Atena la guardò poi pose i suoi occhi sullo schermo del computer infine su Fran. “Battute in ragionamento da una figlia di Afrodite.”
“Figurati, a volte dice tali assurdità che non capisco se è pazza oppure un genio.”
Ginny fece un sorriso a trentadue denti.
“Non credo fosse un complimento.” le fece notare Selena.
“Prendo quello che mi interessa.”
“Va bene ma una volta fatta partire la macchina cosa vogliono fare? Uccidere tutti gli dei?” domandò Clarisse un po’ cinica. “Voglio dire: se così fosse Zeus non sarebbe già intervenuto a … stemperare gli spiriti?”
“Un termine eufemistico per dire: ad ucciderli tutti.” annuì Mally.
“Gli dei non intervengono più negli affari dei mortali … cioè …” si riprese Grover. “Non più di tanto.”
“Oppure ritengono che possiamo farcela.” disse determinata Sonny. “Allora, pensiamo a questo piano.”





Salve, scusate l'assenza (di nuovo) e il capitolo estremamente breve (di nuovo) ma volevo pubblicare qualcosa prima che gli esami mi portassero via del tutto impedendomi di scrivere. Molto probabilmente scomparirò fino ad agosto, devo sostenere una quindicina di esami e mi DEVONO andare tutti bene per avere un minimo di vacanze! T^T dannata università!
Bene! Grazie per aver letto, se leggerete ancora e per tutta la pazienza che so di richiedere! ^_^

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Capitolo 48
*** Attacco notturno ***


Okey, sono riuscita a strappare una mezza giornata allo studio per questo capitolo! Spero di riuscire a rifarlo presto ... dubito ma spero tanto, buona lettura.



Faceva piuttosto fresco nei vicoli vicini all’Empire. Le strade erano ancora affollate anche se i tre quarti delle persone che le avevano popolate durante tutta la giornata erano scomparse.
Efialte gironzolava nei pressi del vicolo con non curanza, si stava annoiando. Il ricordo di quella mattina era ancora vivo in lui: quei tre figli di Ares erano arrivati troppo vicini, ci erano quasi riusciti e lui era quasi morto. Il pensiero lo fece nuovamente infuriare come non mai e iniziò a camminare più veloce. Poco più avanti volò nel mezzo del marciapiede un volantino giallo con su scritto ‘GRANDE APERTURA STRAORDINARIA DA LUIGI’, poco sotto c’era la foto di una pizza enorme e il disegno di un signore baffuto che alzava il pollice ammiccando. Il capo dei giganti inclinò la testa si guardò attorno per un po’, controllando che non ci fosse nessuno poi raccolse il volantino e schizzò via alla volta della pizzeria.
“Che scemo.” commentò Mally.
“La pizza è pur sempre pizza.” fece Fran.
“Sì … certo …” si schiarì la voce la figlia di Ares.
“Oh, vi prego dividete quelle due prima che inizino!” scattò Annabeth.
“Bene bene vado prima io!” si alzò la bionda e iniziò a camminare tranquillamente nel vicolo.
“Esibizionista.” borbottò la nera seguendola a ruota.
“Non era questo il piano!!” scosse la testa la figlia di Atena.
Fran e Mally si fermarono davanti alle porte della cantina e bussarono.
“Ohe! C’è qualcuno con un po’ di materia grigia lì dentro oppure gli Inferi hanno vomitato la peggio feccia?!” chiese la figlia di Atena a voce molto alta.
Dall’interno proruppero urla di rabbia.
Fran rise. “Corri!! Corri!!” urlò a Mally.
“Accidenti a te!!”
Le due schizzarono via poco prima che le porte di ferro si spalancassero con forza, sbattendo sul muro e producendo un incredibile fracasso.
“Semidei!!” sibilò rabbiosa Aletto.
“Quella è mia!!” partì scattosa Megera.
Intanto le due ragazze erano arrivate in fondo alla via, Fran girò a destra e proseguì la sua corsa mentre Mally si fermò un attimo abbassandosi al passaggio dell’Erinni che era partita per prima. Poi davanti a lei giunsero Aletto e Tisifone, allora riprese a correre come una matta nella via di sinistra. Superò un cassonetto blu e proseguì decelerando un poco.
“Ora!” urlò superando l’inizio di un vicolo.
Clarisse scattò fuori e scagliò la sua lancia contro le Erinni: Aletto fu costretta a virare bruscamente e a fermarsi mentre Tisifone continuò la caccia a Mally.
Aletto si voltò verso Clarisse con gli occhi che ardevano di rabbia e un forte ringhio che stava salendole dal petto. “Maledetta!!”
La figlia di Ares sorrise feroce. “Fatti sotto.”
L’Erinni ruggì e partì.
“Via!” Percy uscì allo scoperto e fermò la picchiata del mostro con un potente getto d’acqua.
“Continuo a pensare che non sia stata un buona idea sradicare l’idrante …” stava dicendo Grover mentre Clarisse approfittava della sorpresa dell’avversaria per recuperare la sua arma.
“Stolti, piccoli ed inutili semidei! Tanto non potete più evitare la fine! Noi siamo già pronti!” inveì Aletto.
“Interessante.” commentò Percy, e mentre lo diceva sollevava il getto d’acqua che ancora usciva dal foro nel terreno in cui doveva esserci stato l’idrante.
“La cosa che ritengo più interessante io sono i suoi insulti da maestra elementare.” fece sardonica Clarisse.
“Certo! Offendiamo l’Erinni brutta e cattiva che vuole farci pelo e contro pelo! Beehee!!”
Nel frattempo Mally aveva portato Tisifone in un altro vicolo, non tanto distante, e aveva arrestato la sua corsa. Con lei c’erano Isaak e Blackie che tenevano a distanza l’avversaria mentre la figlia di Ares armeggiava con degli ammassi di ferro che le aveva consegnato l’amica.
“Senti ma quanto ti ci vuole!?” le urlò Blackie subito dopo aver lanciato una bomba in aria che si era disintegrata esplodendo in un flash di luce abbagliante.
“Dammi le istruzioni! Non ci si capisce niente! Dov’è il sopra? Da dove si infilano? E questo laccio cos’è?!?”
“Per tutti i tizzoni ardenti! Sei peggio di Greenie!!” borbottò allora l’altra. “Isaak, ce la fai da solo per mezzo minuto?”
“Che sia mezzo minuto!” il figlio di Apollo scoccò una freccia che per poco non colpì il bersaglio ancora accecato dall’onda di luce di poco prima. “Questa è velocissima!!”
Blackie si voltò ed estrasse una cosa dal suo zaino. “Tieni, usala quando sarai sicuro di centrarla.”
“Cos-“ il ragazzo si ritrovò davanti ad una freccia fatta completamente di metallo, aveva la punta lunga che sembrava un piccolo missile, nonostante lo strano aspetto era però leggerissima. “Wow …”
“Solo quando sei sicuro, sicurissimo!!” gli puntò l’indice in fronte lei.
“Sì sì, ho capito!”
“Bravo!” poi si voltò verso Mally che ancora stava armeggiando seduta a terra. “Sei davvero imbranata …”
“Sei tu quella troppo troppo troppo complicata!”
“Agitata?”
“Potremmo morire!”
“Per questo è divertente.” lo diceva ma già la stava aiutando a sistemarsi. “Fatto.”
“Veloce!”
“Già! Ora vai!”
Mally si mise in piedi oscillando paurosamente. “È facile … facile. Okey, ci sono.” piegò le gambe e balzò a cinque metri da terra ritrovandosi a sorvolare il  vicolo, era anche più in alto di Tisifone. Allora estrasse la sua spada rosa.
L’Erinni la vide troppo tardi, riuscì ad evitare la lama ma comunque la ragazzina la colpì forte alla schiena con  un doppio calcio per poi ricadere a terra atterrando con un rimbalzo di altri due metri e mezzo.
“Fantastico! Ma cos’è?!” urlò Isaak a Blackie.
“Semplice: supertrampoli di bronzo celeste che sfruttano la compressione degli impatti come propulsione.”
“He?”
“Scarpe a molla.”
Tisione si riprese in fretta dall’impatto tornando in quota. “MALEDETTI!!!” ringhiò. “Questo è il mio mondo!”
Mally saltò di nuovo ma l’Erinni si spostò di lato evitandola ancora.
La figlia di Ares afferrò il cornicione di una finestra semi aperta e si diede un’altra spinta. “Evitami ora!”
Tanta era la velocità che il marchingegno le aveva impresso che perse il controllo e usò il piatto della spada come contrapposizione tra lei e Tisifone.
Lo scontro fu fortissimo.
La ragazza perse il respiro, l’aria le uscì completamente dai polmoni; sentì uno strano scricchiolio poi il rumore di ossa che si spezzano, tanto vicine che non riuscì a capire se fossero le sue o quelle dell’Erinni.
Poi precipitarono verso il suolo.
Tisifone urlò disperata. “Ti ucciderò!!” l’afferrò e avendo ancora un po’ di controllo in aria riuscì a ruotare il busto.
Mally si ritrovò con la schiena verso l’asfalto mentre continuava a precipitare, provò in tutti i modi di liberarsi dalla presa dell’avversaria ma sembrava come d’acciaio, non aveva modo di muoversi.
“I-isaak …” Blackie tramava. Aveva una bomba in mano ma non sarebbe servita, anche avesse colpito il bersaglio sarebbe rimasta coinvolta anche l’amica.
Il ragazzo digrignò i denti e incoccò la freccia metallica senza pensarci molto poi scoccò.
“No!” urlò la figlia di Efesto, era troppo tardi però.
La freccia le superò, il tiro era più alto della loro posizione, sfiorò però l’ala dell’Erinni ma questo bastò per far sì che la piccola carica esplosiva nella punta esplodesse.
La detonazione fu incredibile.
Tutti i vetri delle finestre che si affacciavano sul vicolo esplosero, i frammenti di vetro crollarono a terra ferendo Blackie e Isaak che non riuscirono a proteggersi in tempo. Il ragazzo prese l’altra tra le braccia e le fece scudo con il suo corpo.
Mally e Tisifone furono scaraventate contro un muro, ma l’onda d’urto costrinse il mostro a mollare la presa e la figlia di Ares finì contro l’impalcatura di una finestra che si frantumò  in una miriade di schegge di legno, la sua caduta fu arrestata da un enorme letto polveroso. L’Erinni si schiantò contro dei cassonetti di ferro poi rotolò al suolo e rimase immobile.
Dopo qualche istante di calma Isaak sollevò la testa lentamente, vide che Mally era sparita e che l’arpia giaceva a terra. “Non è ancora esplosa …”
Blackie guardò il vicolo, si mosse lentamente, con la vista offuscata a causa del sangue che colava dalle ferite sulla fronte, e si avvicinò alla figura stesa a terra con le ali che fremevano leggermente accartocciate in una posizione innaturale, dava i brividi. Prese un grande pezzo di vetro da terra ferendosi anche le mani poi lo conficcò con forza nella schiena di Tisifone che si disintegrò lasciando solo un po’ di polvere dorata. “Andiamo a cercare Mally, adesso. Qui abbiamo finito.” Poi si voltò e vide la spada rosa dell’altra conficcata sotto una finestra e la indicò all’altro.

Quasi dall’altra parte della città, Fran aveva condotto Megera in una piccola piazzetta appartata, circondata da palazzi semidisabitati, adesso assieme a Greenie e Irma tentavano di subire meno ferite possibile ma l’Erinni sembrava come impazzita, folle ed inarrestabile.
“Sì, può sapere perché è così furiosa!?” chiese Irma dopo che l’altra aveva rotto il suo ennesimo incantesimo di contenzione.
“Non lo so, ma se continuiamo così ci ucciderà prima del segno di ritirata.” ansimò Greenie sfinita.
Fran era al centro della piazza e ruotava una piccola porzione della sua catena.
Megera atterrò a qualche metro da lei.
Irma e Greenie fecero per scattare in suo aiuto ma un urlo stridente di Steel le fermò al loro posto.
“Perché?” domandò la figlia di Atena alla sua avversaria. “Perché sembri così furiosa con noi? Perché combatti?”
Megera la fissò improvvisamente atona in volto poi emise la più agghiacciante risata che le altre avessero mai sentito. “Tu sai come mi chiamano?”
Fran strinse i denti.
“Oh sì che lo sai, tu sai tutto, no? Figlia di Atena!” iniziò a scivolare in giro per la piazza seguendo un andamento circolare. “Io sono Megera, l’invidiosa e la gelosa. Io istigo a commettere delitti passionali per gelosia ed invidia, perché chiunque senta quello che provo io ogni volta che vedo tutta quella … quella felicità ed amore!” rise ancora più forte però e di disgusto, adesso le era alle spalle ma ancora non si avvicinava. “Quindi immagina la mia gioia quando su quel tetto mi sei comparsa davanti tu, piccola, dolce e tenera innamorata del figlio di Eros … cosa potrebbe esserci di più idillico?”
“Be’ una crepes alla nutella potrebbe andare.”
Megera rimase pietrificata. “Osi prenderti gioco di me?!”
Fran si voltò verso di lei in volto un sorriso a metà tra il divertito e l’agitato. “Per cui cosa vorresti da me? Che uccidessi chiunque posasse gli occhi su di lui? Potrei farlo, perché no?”
“Troppo facile!” l’arpia si avvicinò di qualche passo con le ali di piume scure trascinate dietro di lei. “Io vorrei solo una piccola cosa da te … anzi meglio dire due.” si avvicinò ancora. “In fondo il mio unico desiderio non è vedere gli altri infelici ma è vedere l’amore. Ma sono una creatura mostruosa del mondo sotterraneo, nessuno si potrebbe mai innamorare di me …” la sua voce era calma, rassegnata, sembrava avesse calcolato tutto alla perfezione e che non aspettasse altro che quel momento. “Dopo aver ottenuto ciò che voglio magari potrei anche aiutarvi con la vostra mitica impresa.”
“Quindi?”
I loro volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, Megera sovrastava Fran di molto così si era abbassata fino al suo livello, la figlia di Atena era ferma ma non aveva mai smesso di far ruotare la catena nella mano destra.
“Voglio i tuoi occhi.” Lo disse inclinando leggermente la testa di lato e sfiorando con il dorso degli artigli la guancia della ragazzina. “Questi occhi l’hanno visto … hanno visto l’amore, quello che sopravvive nonostante le avversità, quello cantato dagli aedi e che solo pochi eletti hanno visto.”
“Tu … dovresti conoscere la mia amica Ginny, secondo me andreste molto d’accordo.” Fran ghignò. “In quanto alla tua proposta devo declinare, essere cieca è stato figo, davvero, ma non è un’esperienza che voglio ripetere, spiacente.”
Megera si ritirò un poco, il suo petto si gonfiò come un palloncino poi ruggì la sua rabbia al cielo e agli dei. Poi calò i suoi artigli sulla semidea.
Fran parò con la catena ma il colpo fu così forte che le ginocchia le cedettero e finì a terra, schiacciata dal peso dell’avversaria.
Greenie scattò in avanti ed estrasse un piccolo bastoncino scuro bombato in alto dall’interno della felpa.
“Che vuoi fare?!” le urlò dietro Irma.
“Ora lo vedrai!” saltò e girò la bombatura con un veloce movimento del pollice, nelle sue mani il bastone si allungò assumendo l’aspetto di un bastone con in cima una specie di testa di martello anch’essa di legno scuro, colpì tra le ali dell’Erinni con tutta la forza che aveva.
Megera urlò e mollò la presa sulla catena di Fran che poté rotolare via e rimettersi in piedi.
“Grazie sorellina.”
“Di niente. Ma non farlo mai più, intesi?!”
“Non posso prometterlo!” poi partì  di lato e Greenie la imitò dalla parte opposta. “Irma!!”
“Sì!” e sollevò le mani recitando una strana formula in greco antico.
Il mondo intorno a loro ebbe un tremito poi restò immobile. Megera sentì le figlie di Atena ridere e si guardò intorno: era circondata da una decina di ragazze, c’erano cinque Greenie e cinque Fran che si muovevano veloci intorno a lei. “Credete di potermi fregare in questo modo? Con questi biechi trucchetti?! Mi basterà uccidervi tutte!” partì con gli artigli in alto e tranciò di netto la prima figura di Fran che le si parò davanti.
Poi un colpo di catena la sbilanciò e la fece cadere a terra.
Urlò di rabbia e si avventò su altre due figure, una di Greenie e un’altra di Fran. Non si fermò e usò un colpo d’ala per disintegrarne una terza. Poi si fermò all’improvviso, la sua testa oscillò un po’ a destra e un po’ a sinistra, sembrava che stesse pensando a come agire. Infine scattò velocissima e si diresse dritta verso Irma.
La ricciola aveva gli occhi chiusi concentrata nello sforzo di mantenere l’illusione attiva e non si stava accorgendo di niente.
Fran si mosse per prima era più vicina, non più veloce, decise di gettarsi nel mezzo per arrestare la corsa dell’Erinni e usare la catena per tenerla lontana dopo l’impatto.
Megera la vide e spalancò le ali, frenando improvvisamente la sua corsa, in tempo per controllare l’impatto con la figlia di Atena ed inchiodarla a terra con le mani sopra alla testa, tenute insieme dalla catena e le ginocchia sul petto, la sua mole era troppo per la ragazza che adesso giaceva a terra in balia della furia.
“Adesso otterrò quello che desidero.” le sibilò nell’orecchio poi affondò i suoi artigli nella carne.
L’urlo di dolore di Fran sconquassò tutta la piazza mentre Megera rideva di gusto.
Irma perse la concentrazione e le immagini sparirono, tremò ti terrore alla scena.
L’Erinni teneva in alto la mano insanguinata e tra gli artigli il bulbo oculare sanguinante.
Greenie corse verso di loro, mosse il suo bastone veloce e sfilò la testa di legno rivelando una lama larga dall’andamento curvo terminante in due punte, una più lunga ed una più corta. La roteò nell’aria poi l’afferrò saldamente nell’estremità più lontana dalla lama. Caricò Megera piantandole l’alabarda nel fianco.
L’Erinni smise di ridere e fissò Greenie prima di esplodere e ridursi in cenere color miele.

Dopo che le Erinni furono portate via da Fran e Mally il secondo gruppo si mosse nel vicolo, non erano in molti e si sarebbero divisi ulteriormente: solo Selena, Ginny, Mason e Aurea sarebbero entrati mentre gli altri avrebbero aspettato fuori e avrebbero fatto la guardia, così se qualcuno dei loro avversari fosse tornato avrebbero dato l’allarme e sarebbe partito il piano di fuga veloce.
Sue e Sonny, che aveva espressamente parlato della sua antipatia nei confronti di Alec, aspettarono fuori assieme ad Annabeth, Javier e le cacciatrici, tutti gli altri erano rimasti sull’Empire State Building.
“Quando avrete fatto o avrete capito che non c’è modo di vincere o di fare qualsiasi azione risolutiva dovrete dare l’allarme e vi porteremo fuori.” diceva per l’ennesima volta Annabeth.
“Sta’ tranquilla! Sanno come cavarsela!” la riprese Sonny.
“Sì, non preoccuparti se ci saranno problemi ci penserò io a chiamarvi.” annuì Mason.
La figlia di Apollo gli scoccò un’occhiata terribile. “Sì …”
Il ragazzo sorrise mesto poi si voltò verso l’entrata.
“Ancora non ti fidi?” chiese Sue all’amica.
“Per niente, ma meglio di quel viscido che ‘sta là dentro e si fa aiutare da una maga da quattro soldi!”
Selena sentì il commento e abbassò lo sguardo sulle converse.
La nera si beccò una gomitata tra le costole da Ginny che non le disse niente, lasciando il compito a Sue, e, dopo aver dato un bacio di buona fortuna a Javier, prese la figlia di Zeus per un braccio portandola accanto a Mason.
“La tua l’hai fatta.” fece calma Aurea per poi seguire gli altri tre.
“Scusatemi se la penso così … ma è vero.” mise il broncio Sonny.
“Ma non glielo puoi dire davanti … la verità fa male.” disse Sue senza staccare gli occhi da Selena.
“Per quanto possa far male va affrontata comunque, no?”
Sue sorrise.
“Adesso che c’è?!” borbottò Sonny.
“Sembra di sentir parlare Fran.”
“Non lo dire!!”
I quattro ragazzi erano fermi sulla soglia della cantina.
Aurea incoccò due frecce e iniziò a camminare lentamente in avanti, Selena le era dietro ad illuminare un poco la strada grazie alla sua moneta.
Ma lo stretto corridoio si aprì praticamente subito in un grande garage dalle pareti in cemento grigio illuminato da poche lampade pendenti dal soffitto alto, al centro si ergeva la Spirale in metallo scuro che assumeva una strana lucentezza sotto quelle poche e fioche luci. In basso la struttura era montata su quello che doveva essere un carrello, e tutto sembrava essere circondato da una strana aurea lattescente.
In alto, su un soppalco fatto di ferro c’erano Alec e Isis, la ragazza sembrava come in trance con gli occhi aperti sul vuoto e le pupille completamente dilatate.
Il ragazzo li vide entrare ad armi spianate e non si mosse di un millimetro.
“Alec! Siamo qui, adesso puoi dirci cosa vuoi fare?” Mason iniziò a parlare.
“Aveva detto che sareste venuti.” disse piano, quasi tra sé e sé, ma anche gli altri lo sentirono.
“Alec, ti prego! Siamo venuti qui per te! Possiamo aiutarti!”
“Aiutarmi? Davvero?! Allora prestate un po’ della vostra energia a lei, ci sta mettendo troppo!” sbottò indicando la ragazza le cui labbra si muovevano impercettibilmente.
“Cosa sta facendo?” chiese a voce alta Aurea che ancora non aveva abbassato l’arco.
“Sta caricando la Spirale, la ferma sui suoi cardini e la rende pronta all’attivazione.” illustrò lentamente il ragazzo.
“Perché ce lo dici così tranquillamente?” domandò ancora la cacciatrice.
Lui rise lievemente ed incrociò le braccia. “Non potete più fermarci adesso. Non appena Isis avrà finito l’incantesimo non ci sarà modo per impedire l’attivazione della macchina.”
“Davvero?” Aurea sollevo un sopracciglio piuttosto sorpresa. “Bene allora è semplice: dobbiamo fermarla adesso!” scattò in avanti balzando sulle scale.
“Non così di fretta.” Alec fece un ampio movimento con il braccio destro e la realtà si incrinò.
Le rampe di scale divennero una ventina tutte contorte, alcune sottosopra, altre mancanti della maggior parte degli scalini. Il ragazzo mosse l’altro braccio e dal terreno emersero mille e mille figure scure, tra il nero, il blu ed il viola scuro, che assumevano le forme più bizzarre: esseri umani, animali di ogni tipo, figure mitiche e irreali.
“Se non vi basta posso fare di meglio.” con un movimento potente delle braccia, batté le mani ed il rumore che produsse fu un rombo fortissimo che fece tremare la terra e una melodia ondeggiante di chitarra elettrica partì, in pochi secondi anche tutti gli altri strumenti esplosero contemporaneamente e le creature formatesi iniziarono a muoversi scompostamente e ad attaccare.
Era il caos.
Selena fece partire un fulmine che fece esplodere un ippopotamo viola rendendolo simile a fumo. Mason fu costrette ad estrarre la daga che gli avevano dato poiché non aveva armi ma si vedeva che non era pratico ad usarla e l’unica cosa che lo spinse a farlo era per proteggere Ginny, ancor meno avvezza al combattimento di lui.
Aurea si ritrovò la strada bloccata da tre conigli viola armati di forcone, tagliò loro la testa con un colpo veloce di arco, erano tanti quegli esseri ma affatto resistenti, e proseguì al sua salita. “Avanti anche voi! Salite, non ce la faccio da sola altrimenti!”
“Come fosse facile!” le urlò di rimando Ginny che era stata costretta a sfoderare i suoi guanti di ferro per difendersi.
“Perché il numero di questi cosi sembra aumentare!?” Selena colpì con altri tre fulmini una decina di strane forme nere davanti alle scale.
“Perché forse aumentano … ne crea in continuazione.” le rispose Mason tagliando di netto il braccio ad una giraffa che si ergeva sue due zampe.
“Avanti su!” fece Ginny sul primo gradino.
Gli altri due la seguirono e con non poche difficoltà raggiunsero Aurea rimasta bloccata tra una rampa e l’altra a causa di due grossi minotauri blu che nonostante non si muovessero bene a causa della loro stazza riuscivano molto bene a chiudere ogni passaggio.
“Ci penso io!” urlò sopra alla musica Selena e caricò un gigantesco fulmine che si abbatté su entrambi i mostri.
Uno dei due afferrò la ringhiera di ferro delle scale per tentare di reggersi prima di scomparire.
Aurea lo vide e urlò: “Saltate più in alto che potete!!”
Gli altri lo fecero e evitarono che l’elettricità del fulmine, passata attraverso il copro del mostro al ferro delle scale, li friggesse sul posto.
“Selena ma sei impazzita!? Non lo fare mai più!” urlò Ginny furiosa.
“SCUSA! Non sapevo che sarebbe successo! Come potevo!?” rispose l’altra alquanto alterata.
“DOVEVI SAPERLO! Avresti potuto ucciderci tutti! Te ne rendi conto!?”
“Lo so! Me ne rendo conto, ho chiesto scusa o no?!”
“Ragazze, calmatevi …” tentò di fermarle Mason.
“Calmarci!?” Selena si rivolse a lui con un tono furioso. “Tu faresti meglio a stare zitto! È già tanto se non ti abbiamo scuoiato mentre dormivi dopo quello che hai fatto!”
“Parla quella!” Ginny riprese a parlare senza neanche aspettare che l’altra avesse finito. “Tu! Che dopo tutto quello che è successo e che sta accadendo ancora continui a non renderti conto di chi sia realmente quel ragazzo che dici di amare da tanto tempo! Svegliati! A causa sua sono morte molte persone che conoscevi anche tu! Forse altre stanno morendo in questo momento! Non puoi continuare a mentire a noi e a te stessa in questo modo!”  la afferrò per le spalle. “Alec non è più quel ragazzino che giocava con te al parco quando eravate piccoli! Ormai è solo un mostro! Un assassino!”
“ADESSO BASTA!” Aurea si intromise e divise le due prima che Selena potesse reagire violentemente a quelle parole, frappose tra loro l’arco ed una freccia. “BASTA! QUESTE NON SIETE VOI! È LA SUA MAGIA!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola. “Non vedete?! Vi sta facendo litigare per impedirvi di fermare il suo piano! Ma non potete cascare in una trappola così semplice!”
Ginny e Selena si fissavano ancora, poi la figlia di Afrodite abbasso lo sguardo.
“Scusa Sel, Aurea ha ragione. Perdonami.”
La mora la guardò. “Perdonata, adesso muoviamoci.” fece con voce ancora indurita.
Mason ripartì per primo seguito da Ginny, facevano strada eliminando quelli che Aurea non riusciva a colpire con le frecce dalla retroguardia.
Alla ventesima rampa di scale si scontrarono con quattro figure umane: in un primo momento quelle cose non si mossero poi, lentamente, cambiarono la loro morfologia diventando esattamente uguali ai quattro ragazzi.
“CAVOLO!” urlò Mason.
“MA COME PUO’ FARLO!?” esplose anche Ginny.
Il suo clone viola partì contro di lei con i pugni di ferro protesi in avanti, la ragazza schivò in tempo e si mise in posizione di difesa. Parò e fermò un paio di colpi prima di provare a contrattaccare ma sempre senza successo, era come se quel coso fosse tre volte più veloce di lei.
Mason era riuscito a tranciare il braccio del suo avversario blu scuro ma, proprio davanti ai suoi occhi, gli si rigenerò completo di spada, come se non fosse successo niente. Fu preso dal panico ed iniziò a colpire alla cieca. Il suo nemico evitò un affondo ed un fendente veloce poi attaccò ferendo il ragazzo in profondità alla spalla.
Selena era in bilico su degli scalini per poco non cadde all’indietro dovendo schivare un affondo della spada del suo clone nero. Prese a correre su per altre scale fino ad arrivare in cima ad un giro della morte e ritrovarsi a testa in giù con i piedi per attaccati al suolo di ferro. Si fermò presa da un attacco di vertigini, per poco il mostro non la colpì con un fendente laterale, riuscì a scartare saltando poi però sentì che la gravità era cambiata e la stava trascinando a terra, sulle scale sotto di lei. Con un calcio in aria riuscì a tornare in una posizione normale prima di atterrare rovinosamente sul metallo. Si rialzò controllando che non avesse arti rotti, per fortuna niente solo qualche escoriazione e livido, avrebbe sentito il dolore il giorno dopo. Guardò in alto dove il mostro nero la stava fissando a testa in giù prima di balzare verso di lei con la spada in avanti. Selena schivò e corse verso gli altri mentre il nemico tentava di divellere la spada dal metallo.
Aurea aveva smesso di scoccare frecce da un po’, capendo che le avrebbe finite in fretta ed inutilmente con un avversario come sé stessa, vide con la coda dell’occhio la figlia di Zeus avvicinarsi.
“Selena?!”
“Ascoltatemi dobbiamo saltare!!”
“Cosa? Di nuovo!?” fece Mason riprendendo un po’ di distanza dal suo avversario.
“Il mio clone non ha la moneta e poi guardate!!”
I ragazzi capirono subito cosa intendesse la ragazza.
“BENE!”  urlarono Mason e Aurea.
“Moriremo così lo sai?!” fece Ginny poco convinta.
“Moriremo comunque se non facciamo fuori questi quattro!! Al tre!” iniziò Selena. “UNO!”
I ragazzi si riunirono al centro della pedana su cui stavano combattendo.
“DUE!”
Le figure identiche a loro si stavano avvicinando paurosamente. Caricarono il colpo.
“TRE!!”
Saltarono e in breve la gravità cambiò, si ritrovarono a testa in giù.
Mentre cadevano Selena fece deflagrare un fulmine che colpì l’esatto punto in cui erano prima loro facendo esplodere in cortine di fumo violaceo e bluastro le loro brutte copie.
“Prometti che non lo faremo mai più!!” urlò Ginny terrorizzata.
“Io non prometto niente! Avanti!” ripartì subito Selena.
L’ultima piattaforma su cui arrivarono era totalmente sgombra, Alec da solo li attendeva con le braccia dietro la schiena.
La musica spacca timpani cessò lasciando i ragazzi intontiti.
“Anche se siete arrivati qui non dovete credere che possiate fermare il rito.” si voltò verso Isis che aveva iniziato a parlare più forte, con gli occhi vacui, recitava in continuazione poche parole in greco antico creando una cantilena quasi melodiosa. “Manca così poco che anche io posso trattenervi qui.” schioccò le dita e il suono distorto di chitarra elettrica ad un volume spropositato riempì l’aria costringendo i ragazzi a tapparsi le orecchie. Alec rise forte allo stesso livello della musica poi batté un piede a terra e un’onda della stessa cosa con cui aveva creato le creature di prima emerse dal terreno diretta verso i quattro semidei.
Le ragazze riuscirono a schivare ma Mason rallentato dalla ferita alla spalla fu colpito e scaraventato contro la ringhiera.
“MASON!” lo chiamò Ginny avvicinandosi. “È TUO AMICO!” urlò a Alec.
“AMICO!” sbottò lui. “Mi ha tradito! Come tutti! E lei me lo aveva detto! Mi aveva avvertito, ma per una volta volevo credere che ci fosse del buono in qualcuno in questo mondo.” dighignò i denti tra il disgustato ed il rabbioso. “Mi sbagliavo. Bene e ora che è tornato con l’intenzione di … salvarmi non posso far altro che ringraziarlo a dovere per quello che ha fatto.” lo disse quasi sputando qualcosa di amaro.
Selena lo guardò bene: aveva il volto contratto dalla rabbia e dal dolore, gli occhi erano tristi non rabbiosi però, era davvero ferito ma non capiva. Mason non l’aveva tradito, voleva davvero aiutarlo … chi era che gli diceva tutte quelle cose sbagliate? Non poteva essere Isis, anche lei era una semplice semidea, come loro, non poteva vedere il futuro … Chi era lei?
La ragazza scattò in avanti urlando: “ALEC! TU NON SEI QUESTO E LO SAI!!”
Il ragazzo, che fino al quel momento non l’aveva sfiorata neanche con lo sguardo, la guardò negli occhi ed ebbe un tremito. “Mi ha avvertito anche su di te! Ha detto che vuoi solo che loro mi uccidano! Sei dalla loro parte!” adesso era spaventato, fece in passo indietro.
“Alec di cosa stai parlando? Chi ti ha parlato? Chi ti ha detto queste cose!? Io non ti farei mai del male!” Selena era sull’orlo di piangere, gli occhi le si riempirono di lacrime ma non era il momento di piangere, non ora, non davanti a lui.
“È Isis che ti dice tutte queste cose?” chiese Ginny ancora china su Mason privo di sensi.
“Isis?” sibilò il nome come qualcosa di sporco. “Lei?! Non sarebbe in grado neanche di pensare se non fosse per me!”
Adesso il suono della voce della ragazza si fece più forte ed intenso: l’incantesimo era giunto a termine.
Isis chiuse gli occhi con l’ultima parola, detta urlando, poi li riaprì di scatto. Era molto più pallida del solito, la sua carnagione tendeva quasi al blu, non sembrava aver risentito dello sforzo di un incantesimo così potente. Quando vide i semidei non emise un suono, guardò Alec.
Il ragazzo guardò uno ad uno i volti di coloro che erano quasi arrivati fino a lui. Il mondo intorno a loro tornò alla realtà: la Spirale al centro della stanza ormai pronta all’uso, le scale di metallo annerite da tutti i fulmini  che aveva lanciato Selena e nessun mostro nero amorfo.
“Addio.” disse Alec.
Isis si mosse e li teletrasportò ai piedi dell’Empire State Building assieme anche a coloro che li attendevano fuori.




Il bordello più assoluto!!! Yeeeeeeh!!!
Le due canzoni a cui mi sono ispirata per le musiche create da Alec:
- Muse, Assassin:    https://www.youtube.com/watch?v=Vsapab5LwcY
- Muse, Plug in Baby:   https://www.youtube.com/watch?v=YfRQXIJ3fEM

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Capitolo 49
*** Nuova tattica ***


Altro buco nello studio; per grazia divina sono quasi a fine, da settimana prossima dovrei essere libera ... non farò mai una vacanza reale ma almeno non avrò nessuna spada si Damocle (=esami) a pendermi sulla testa!!




C’era subbuglio nel piano segreto.
Tutti stavano facendo più cose contemporaneamente così che ognuno di loro capisse davvero poco di quello che stava accadendo. Tra la confusione generale c’era anche quella creata dai feriti che dovevano essere curati  e rimessi in piedi e non sempre era facile senza dover procurar loro altro dolore.
Clarisse si era scorticata un braccio, ma diceva di star benissimo e che non aveva bisogno di niente, parole che Irma ignorò caldamente infilandole un pezzo di ambra divina in bocca; poi la giovane figlia di Ecate tornò a controllare se Mason si fosse svegliato, cosa che ancora non sembrava voler fare, seduta a terra al lato del lettino Fran la notò passare, aveva la testa bendata per metà, le bende che le coprivano l’occhio sinistro avevano smesso di inzupparsi di sangue dall’ultima volta che gliele aveva cambiate, ma le aveva ordinato di restare a letto senza fare la sciocchezza di alzarsi o fare qualsiasi cosa rischiando di svenire per mancanza di sangue in circolo. Sembrava non averla ascoltata.
Irma passò avanti, fingendo di non vederla, e puntò diritta verso i letti di Blackie, Isaak e Mally: la figlia di Efesto era in piedi e stava rimproverando il ragazzo biondo perché aveva voluto fare l’eroe, dal suo punto di vista.
“Non lo fare mai più!” disse ancora, rossa in viso.
“Cosa esattamente? Salvarti la vita?” lui era calmo con voce pacata, quasi non volesse che gli altri sentissero.
“NO! RISCHIARE LA TUA!” Blackie urlò tanto forte che la sentirono tutti, quando si accorse della situazione se ne andò da lì, lasciando Isaak solo, e rifugiandosi dall’altra parte del piano accanto al tavolo che le avevano dato per i suoi marchingegni.
La ragazza dai capelli riccioli la vide andare via senza proferire parola poi guardò Isaak che la fissò di rimando fino ad esplodere con un: “È pazza! Ecco cosa!” gettandosi all’indietro sulla sua branda.
Irma cosse la testa e andò da Mally stesa pancia sotto, con la faccia immersa nel cuscino. “Che sei facendo?”
“Mi sto suicidando per non sentirli più litigare.” si riuscì a capire dopo un’attenta analisi.
“Bene, ma ora dimmi se le ferite ti fanno ancora male.”
“No.”
Irma poggiò la sua mano sulla schiena della ragazzina e spinse neanche tanto forte.
Mally ebbe un tremito poi urlò: “Basta!! Sì okey! Fa male! Fa malissimo!!”
“Bene.”
“Bene un cavolo!” scattò in piedi la figlia di Ares, aveva una benda che le fasciava una striscia di volto, proprio sopra al naso, sotto l’occhio destro era macchiata di sangue. All’improvviso ebbe una vertigine e dovette aggrapparsi con forza al lettino.
“Hei, no! Piano!” la riprese anche Irma, poggiandole le mani sulle spalle.
Mally sembrò calmarsi un po’ ma aveva i muscoli tesi sotto la presa dell’amica, i dolori e le fitte che le causavano i tagli sulla schiena la facevano tremare, le era stato detto che era stata fortuna che non avesse perso le gambe a causa dell’esplosione e degli stivali creati da Blackie, ma probabilmente erano stati proprio quelli a salvarle le ossa, per cui non si lamentava anche se aveva la schiena squarciata e che pareva un colino per la pasta. “Io voglio combattere.”
Irma la fissò e le vide la determinazione negli occhi, una determinazione disperata.
“Voglio combattere.” ripeté poi abbassò lo sguardo sulle punte delle sue scarpe.
Rimasero entrambe un po’ in silenzio poi la figlia di Ecate disse: “Prova a camminare un po’, ma piano! Usa la spada come appoggio.”
L’altra annuì.
Irma aspettò qualche secondo poi tornò a completare il giro dei feriti.
Non appena ebbe lasciato la zona, Fran si alzò in piedi e raggiunse la figlia di Ares che tentava di alzarsi da sola. “Non ti ha appena detto di usare la spada come appoggio?”
“E a te non ha detto di dover stare ferma, immobile a letto?”
La biondina si fregò il mento pensosa. “Non mi sembra … no … sicuramente non ha detto ‘immobile’.”
Mally tornò a sedersi, rinunciando momentaneamente, e prese a fissare la ragazza che stava davanti a lei.
“Che c’è?” fece allora quella.
“Stavi per morire.”
“Hei, ho provato ad offrirle una crepes, ma non ha voluto!”
“Sei una stupida!!”
Fran serrò le labbra e strinse i denti, era strano vederle fare le stesse espressioni facciali con solo metà volto visibile, quasi grottesco. Poi, dal nulla, si rilassò e si mise a sedere a terra poggiando la fronte sulle ginocchia dell’altra. “Scusa.” disse piano.
“Resti la persona più stupida che io abbia mai incontrato.” la rimbeccò la figlia di Ares posandole una mano sulla testa.
Irma  constatò infine che fortunatamente non c’erano feriti gravissimi, così andò diretta verso il tavolino dove ancora Annabeth scriveva veloce sul suo computer, si schiarì la voce poi parlò: “Siamo messi tutto sommato bene, ci sono otto feriti neanche tanto gravi, i più recenti con un po’ di riposo potrebbero anche tornare in piedi …” s’interruppe a metà frase.
“Ma?” la squadrò Sonny che per la prima volta in tutta la nottata distoglieva lo sguardo dalla mappa di NY.
Irma sbuffò. “Ma non dovrebbero tornare in piedi, è un rischio farli alzare figuriamoci combattere!”
“Quindi in quanti sono perfettamente in grado di farlo?”
La ricciola rimase spiazzata dall’irruenza della domanda. “Una ventina …”
“Ma?” domandò ancora.
“Ma alcuni di loro non sono portati al combattimento.”
“Sarebbe sciocco farli combattere allora.” intervenne Annabeth alzando leggermente lo sguardo dallo schermo.
Sonny la guardò con un espressione severa, non doveva andarle a genio nessuna figlia di Atena, poi annuì e si avviò al centro della grande sala. “CHI DI VOI VUOLE COMBATTERE OGGI?!”
Alzarono quasi tutti la mano.
Ginny rimase un po’ in disparte riconoscendo di non essere stata utile nell’ultima missione, e ancora la tormentava il modo con cui aveva trattato Selena: quelle cose le pensava davvero? Su di Alec e su di lei? o le aveva dette solo a causa della foga del momento? Possibile l’avesse fatto proprio per ferire l’amica? Alzò lo sguardo, cercandola tra i lettini sparsi ovunque e la vide in piedi con la mano alzata che iniziava a camminare verso Sonny. Doveva trovare un modo per parlarle …
Javier accanto a lei le posò una mano sulla spalla, così da farla voltare verso di lui, poi le sfiorò una guancia e sorrise incoraggiante, anche la bocca di lei si piegò in un timido sorriso.
Anche Aurea aveva alzato la mano ma era una cosa scontata, era lì per quello, così come anche tutte le altre cacciatrici che non si tirarono indietro. Il capo squadra si avvicinò al tavolo dove si erano ormai riuniti praticamente tutti coloro che volevano combattere, anche Mally li aveva raggiunti, nonostante dovesse fare ancora affidamento alla spada per sostenersi quando veniva assalita dalle vertigini che però piano piano diventavano sempre meno frequenti; la cacciatrice ascoltò tutte le proposte e le informazioni che si scambiavano i ragazzi.
“ … poi proseguirà lungo questa strada fino ad arrivare in riva al fiume.” finì di dire Percy che ne aveva visti molti di 4 luglio a New York.
“Quindi non dovremmo fa altro che distruggerlo durante la parata, no?” domandò poco convinto Isaak.
“Sì.” rispose Sonny, sempre più scura in volto e sul punto di uccidere chiunque l’avesse fatta arrabbiare.
“Però la Spirale è protetta da un incantesimo.” fece Irma.
“Mmh-mh …” annuì Annabeth. “Ma ancora non ho capito se l’incantesimo fosse di protezione o per caricarla.”
“Speriamo la seconda.” commentò qualcuno dal fondo.
“Per cui … che facciamo?” chiese Sue, anche lei a corto di idee.
Il silenzio che seguì la domanda era pesante e incredibilmente vuoto.
Si sentivano tutti demoralizzati, praticamente già sconfitti, nonostante avessero riportato una vittoria contro le Erinni. La piccola fiammella di rivalsa che li aveva spinti a tentare quell’incursione notturna sembrava essersi definitivamente spenta.
“Ricorriamo al Piano D’Oro!!”
Si sentì dall’altra parte della sala.
Tutti si voltarono appena in tempo per vedere Fran crollare di faccia sul lettino di Ben, dove il ragazzo stava dormendo.
“AAAAAAH!!” urlò lui spaventatissimo ritrovandosi la ragazzina tra le braccia.
“Urli come una femminuccia.” fece lei.
“Mi stai spezzando definitivamente la gamba!!”
“Quanto parli …” e scivolò giù.
Greenie le andò accanto e l’aiutò ad alzarsi. “Irma non ti aveva detto di stare ferma?”
“Sssh … non glielo ricordare.”
“Me lo ricordo benissimo!!” la rimproverò la figlia di Ecate.
“Allora non ricordarlo a te stessa!”
“Sembri brilla.” commentò la minore delle sue figlie di Atena.
“Con tutta l’ambra divina che ho buttato giù … potrebbe essere … ma dicevo!” riprese il discorso quando fu abbastanza vicino al tavolo da potercisi appoggiare. “Il Piano D’Oro!”
Sonny stringeva tanto i denti che quasi scricchiolavano. “Che trota sarebbe!?”
“Il piano a cui si deve ricorrere se tutto va storto.” spiegò Fran. “Spaccare tutto.”
“Spaccare tutto?”
“Spaccare TUTTO! TUTTO TUTTO!!”
“No, aspetta un attimo.” la fermò Sue. “Con spaccare tutto intendi la Spirale?”
“La Spirale, i nemici, tutto e tutti.” barcollò sul posto un attimo. “Sto davvero male … sì, la Spirale … facciamola in mille pezzi.”
“Ti riporto a letto.” disse Greenie seria.
Fran annuì, stranamente senza fare storie.
La riunione riprese.
“Come idea non è male.”
“Per ora è l’unica valida.”
“L’unica e basta.”
“Ma non abbiamo i mezzi.” Aurea riportò tutti alla realtà. “Le nostre armi non basterebbero a distruggerne neanche una parte. Quell’arnese andrebbe smantellato pezzo per pezzo, no?”
“Oppure fatto esplodere.” se ne uscì Sonny facendo una smorfia con la bocca, come se quell’idea fosse scontata.
Tutti soppesarono l’idea poi si voltarono contemporaneamente verso Blackie.
“Buoni … buoni … non ho tutto quell’esplosivo, e poi cose ne penserebbero i mortali?”
“Chissenefrega!!” disse con foga la figlia di Appolo, con gli occhi che brillavano di una strana luce distruttiva.
“Affatto.” s’intromise Galene, al fianco di Aurea. “Ma non sarà un grande problema, basterà di loro che c’è stato un guasto o una fuga di gas, una cosa del genere. Tanto si bevono tutto.”
“Il problema resta: come fare se si hanno solo pochi esplosivi e nessun detonatore a distanza?” disse Blackie. “Non vorrete mica che io o chiunque altro resti lì in un attacco kamikaze, vero?”
“No, certo …” scosse la testa Sue. “Per cui siamo sempre da capo?”
Ancora una volta nessuno rispose.
“I FUOCHI D’ARTIFICIO!!” esplose acutissima Ginny praticamente dal niente.
Tutti si voltarono un po’ intimoriti a guardarla.
“Hem … scusate.” corresse il tono di voce. “Volevo dire che a mezzanotte fanno i fuochi d’artificio sull’East River!”
“Stige, è vero! Perché non c’ho pensato io?” commentò Percy tra sé e sé, beccandosi una gomitata da Grover.
“Okey, per cui, tu, figlia di Afrodite, hai appena consigliato a tutti noi di distruggere un gigantesco coso di metallo con dei fuochi d’artificio?” chiese Sonny per essere certa di aver capito bene.
Ginny annuì più volte convintissima.
“Bene, adesso sappiamo cosa fare.” sorrise Sue.
“Pensiamo ad una strategia.” fermò tutti Annabeth.
“Dai! Ma se non funzionano mai!” commentò scocciata Clarisse piegando indietro la testa per accentuare l’alzata di occhi al cielo.
“No, sei solo tu quella scema che si fa del male comunque perché fa cose sceme e corre pericoli senza motivo apparente.” la rimbeccò.
“Anche qui hanno problemi con le figlie di Atena, mh?” commentò Sonny.
Grover alzò le spalle mostrando le mani, come per tirarsi fuori dalla faccenda.
“Pensate! Ci vogliono due squadre: una che vada a sistemare gli esplosivi sulla Spirale e una che vada a requisire una postazione per il lancio dei fuochi.” continuò imperterrita la ragazzina davanti al computer.
“Noi cacciatrici penseremo a tenere lontani i mortali quando starete per sparare.” fece Galene. Poi guardò -Aurea: “Se per te va bene.”
“Ci mancheranno i vostri archi durante la battaglia ma la sicurezza dei civili è egualmente importante.” rispose.
E l’altra, straordinariamente, capì.
“Bene, per cui chi resta per formare le altre due squadre?” fece il conto Sue.
“No … aspettate un momento.” alzò la testa Mally. “Ci stiamo dimenticando dei nostri avversari. A forza di concentrarci sulla Spirale non abbiamo pensato al fatto che potrebbero respingerci ancora prima di riuscire anche solo ad avvicinarci.”
“Quindi che proponi di fare?” chiese Clarisse.
“Un’altra squadra che tenga occupato Efialte.” disse. “Dovrà essere più numerosa però, altrimenti faremo la fine di … dei ragazzi.” finì a stento, persone che aveva conosciuto da neanche una settimana già non c’erano più e questo era accaduto in un tempo tanto breve da non riuscire neanche a capacitarsene, nessuno di loro aveva neanche avuto il tempo di pensarci in realtà, e non dovevano soffermarsi in quel momento, dovevano ancora pensare alle loro vite.
Iniziarono a stilare una lista delle quattro squadre, la più numerosa fu proprio quella che avrebbe combattuto contro il gigante: anche Adam e Ben vollero scendere in campo, il secondo poteva ancora tirare con l’arco, invece al secondo fu affidato uno strano dispositivo di Blackie, una specie di balestra con un grosso e rudimentale grilletto.
“Si può sapere quante cose ti sei portata dietro?” le chiese il ragazzo non appena lei ebbe finito di spiegagli il funzionamento.
“Tsk … molta! Ho uno zaino speciale, che mi fa tipo da borsetta Granger, dentro ci stanno un sacco di cose.”
Adam rimase un po’ interdetto, poi disse: “Hei! Ma come faccio a ricaricare con un braccio solo?”
“Ti aiuterò io!” gli saltò accanto Pinkie. “Non sono molto portata per i combattimenti e sarei d’intralcio ma sono velocissima e nelle retrovie posso fare praticamente tutto … e poi … in caso di necessità ho sempre il mio cannone.”
“Quale cannone?” il ragazzo sgranò completamente gli occhi.
Lei si mise l’indice sulle labbra. “Sssh!”
Irma si avvicinò al tavolo, mentre ancora i più esperti nel combattimento stavano decidendo i vari componenti delle squadre, tossì lievemente ma nessuno la sentì. Allora provò a schiarirsi la voce, un po’ più forte, ma ancora erano tutti tanto assorti che non la notarono. “HEI!” amplificò la sua voce con la magia.
Il gruppetto ebbe uno scossone, ma finalmente tutti le rivolgevano la più totale attenzione.
“Voglio far parte della squadra che si occuperà della Spirale.” disse tutto d’un fiato.
Clarisse rise e per poco non cadde all’indietro dalla sedia.
Sonny la squadrò una decina di volte. “Al Campo non combattevi praticamente mai.”
“No, no! Non voglio combattere … almeno non come fate voi. Ma se Isis sarà là sopra a proteggere la Spirale con qualche sua magia, vi servirà il mio aiuto. Altrimenti potrebbe benissimo teletrasportavi nuovamente qua.” le tremava un po’ la voce. Li aveva quasi convinti, mancava poco: “Come ha fatto più di una volta …”
“Bene, allora verrai con noi.” disse la ragazza dai capelli neri.
Irma sorrise. “Bene!” fece rimanendo lì impalata. Dopo un po’ si riscosse: “Ora torno … torno a rimettere in piedi tutti …” e schizzò via.
Blackie, che era rimasta seduta ad ascoltare più o meno in silenzio la riunione, si alzò non appena le avevano detto che sarebbe stata tra coloro che avrebbero preso la postazione dei fuochi d’artificio. Si diresse con passo lento verso il suo tavolo, arrivata prese in mano due lamine di ferro e le osservò interessata anche se in realtà non lo era. Le riabbassò sbuffando.
“Non sei convinta …” commentò Greenie accanto a lei.
Blackie non trasalì ma la guardò malissimo. “Rifallo e ti incenerisco.”
“Ma non ho fatto niente.”
“Ci hai provato.”
“Mmmh!!”
“Perché sei qui? Non dovresti ascoltare la riunione fino in fondo?”
“Vorrei, ma Fran si è messa a litigare per voler partecipare all’attacco anche se Sonny non vuole.” si lamentò la figlia di Atena.
Blackie scosse lievemente la testa.
Greenie rise.
Passarono un paio di minuti.
“Per cui …”
“Non proferir parola.”
“Bene.” la spilungona si mise la mani in tasca e fece per andarsene. “Ah, noi siamo in gruppo insieme ma lui no.”
La figlia di Efesto la guardò andarsene poi si accese una sigaretta.
Quasi dall’altra parte del salone, Mally guardava il fratello che dava un bacio veloce a Ginny e le diceva qualcosa che non poteva capire da quella distanza. Poi il ragazzo si voltò ed iniziò a dirigersi verso di lei così la ragazzina dovette alzarsi a sedere.
Javier la guardò un attimo: tutta bendata com’era gli sembrava più piccola di quanto non fosse mai stata, eppure sentiva che era diversa, forse più combattiva, non che non lo fosse prima ma c’era qualcosa di diverso adesso. Sorrise.
Lei lo guardava di rimando senza proferir parola.
“Certo che sei buffa.” disse alla fine il ragazzo sedendosi accanto a lei. “Con quell’affare sul naso sembri un ninja.”
“Tsk.” si dondolò un po’ avanti e indietro. “Magari lo sono, che ne sai?”
A quel punto lui rise proprio di gusto. “Certo certo!” fece continuando a ridere.
“Non ti picchio solo perché non credo alla violenza, e poi perché mi procurerebbe ancora dolori.”
Javier smise di ridere e si fece più serio. “Sicura di voler combattere?”
“Certo.” quasi non gli lasciò il tempo di finire.
“Mmmh … siamo in gruppo insieme.”
“Mi guarderai le spalle, allora.”
Sua sorella era davvero cambiata. “Devo approfittarne.”
“Cosa?” chiese lei confusa da quelle parole.
“Ho notato che sei cambiata, adesso … be’, combatti e sul serio, non è un allenamento questo o una stupida caccia alla bandiera.”
“Be’ no … in quel caso specifico ho proprio rinunciato finendo sempre nel cespuglio di turno.”
“Sono serio.”
“Anche io.”
“No, non sei cambiata affatto.” le diede un pugno lieve sulla spalla.
Mally dondolò ancora, di lato questa volta, poi si poggiò alla spalla del fratello. “Mmmh … non so … ci ho pensato anche io a questa cosa della lotta.” Si fermò un attimo ad osservare la sala a guardare tutte le persone che vi erano riunite che svolgevano i loro compiti, si riposavano o attendevano qualcosa. “Forse ho solo trovato un motivo per combattere.”
Javier sorrise poi le mise una mano sulla testa e le baciò i capelli. “E brava sorellina.”
Non molto lontano da loro, Fran era tornata accanto a Mason e si era stesa supina sul lettino vicino a quello del ragazzo. Se ne stava stesa con il volto immobile e l’unico occhio rimastole puntato contro il soffitto, solo la mano che stringeva quella del ragazzo ogni tanto aveva un fremito, forse un tentativo di svegliarlo stringendogliela. Quando lui riprese lentamente coscienza, la prima cosa che sentì fu proprio il suo tocco lieve nella mano. Si alzò a sedere sul letto e si voltò verso di lei e vide le sue fasciature.
Fran si era addormentata, Mason non volle svegliarla ma rimase a fissare il suo volto per un po’ finché non riuscì a non sfiorarle la guancia libera dalle bende, nel rimorso di non averla potuta proteggere ancora una volta.
La ragazza si svegliò aprendo piano l’occhio. “Sei sveglio.” le uscì con un filo di voce.
Lui annuì mesto. “Mi dispiace.”
Fran allungò la mano e gliela posò sul volto, al tatto la sentì ruvida: era da un po’ che il ragazzo non si faceva un minimo di barba e questa aveva già iniziato a ricrescere. Così lei sorrise: “Ho un ragazzo barbuto.”
A quel punto anche lui non poté fare a meno di sorridere di rimando e chinarsi per baciarla.
“Hei, piccioncini! Fatemi spazio!”
Fran si staccò e sospirò: “Ginny, io ti voglio bene ma non credo sia il momento più adatto.”
La figlia di Afrodite si sedette accanto a Mason. “Eccome se lo è!” fece poi ebbe una specie di fremito e guardò il pavimento per un istante, poi i suoi occhi scrutarono la stanza alla ricerca di qualcosa finché non si posarono su Selena che se ne stava seduta su una sedia in disparte, un piede poggiato sulla seduta e l’altro penzoloni, abbracciava il ginocchio come fosse un’ancora di salvezza e osservava la città immersa nella notte illuminata dai lampioni e dai neon. “Mi sa che ho combinato un casino …” disse tutto in una volta.
Mason le posò una mano sulla schiena. “Sta ancora male per il vostro litigio?”
“No. Sì … sì, sicuramente ci sto male io. Molto male.” inspirò in fretta ed espirò: “Non vuole neanche che le si parli, di niente.”
Fran si mise a sedere davanti agli altri due fissandosi le scarpe da ginnastica che aveva ai piedi ma non disse niente.
Ginny si morse il labbro inferiore, tentando di trovare una valvola di sfogo alla frustrazione. “Prima di entrare nella cantina anche Sonny ha detto che non si fidava di Alec e che non le piaceva affatto.”
“Senza offesa, ma su questo siamo tutte d’accordo.” fece la figlia di Atena. “Ma c’è qualcosa che mi sfugge ancora. A parte che ci siamo sempre odiati per cui non lo conosco nemmeno in pratica, ma ha la faccia di qualcuno che nasconde qualcosa.” completò la frase guardando Mason, cercando una conferma in quello che diceva.
Lui annuì piano e dopo un po’ disse: “Non so di cosa si tratti ma … ma da quando l’ho incontrato è cambiato. Prima voleva soltanto trovare un rifugio da un mondo che non sentiva più suo. Poi una notte lui è … è scomparso.”
Ginny sollevò la testa per guardarlo in volto. “Scomparso?”
“Sì, non era mai successo prima che mi svegliassi e mi ritrovassi da solo, mai.” i suoi occhi si persero nel niente al pensiero poi si fissarono sul lembo della coperta del letto di Fran. “Poi, la mattina del giorno dopo, tornò, non mi parlò per diverso tempo finché non notai che aveva cambiato il nostro itinerario di viaggio. Mi disse che aveva trovato un modo essere al sicuro per sempre, per non dover più viaggiare e nascondersi, per avere una casa ed una famiglia …” il figlio di Eros emise un sospiro tremante. “Da quel momento divenne un po’ ossessivo, molto più riservato di quanto già non fosse, a volte mi sembrava di sentirlo parlare da solo durante la notte.”
“Perché non gli hai mai detto che ti sembrava cambiato? Diverso?” chiese la ragazza sedutagli accanto.
“L’ho fatto, o almeno ci ho provato. Non immaginate la reazione.” la sua bocca si imbronciò e prese a mordicchiarsi l’interno del labbro.
“Tu hai detto che però possiamo fare qualcosa.” fece Fran.
“Sì … be’ più che voi …” Mason si voltò verso la piccola figlia di Zeus che non si era mossa neanche di un millimetro dalla sua posizione. “Lei potrebbe.”
La figlia di Atena gli rivolse uno sguardo intenso.
“Ne sono certo.” annuì allora lui.
“Il membro inutile durante le prove … potrebbe concludere questa storia e fermare la sventatezza.” recitò la ragazza.
“La profezia …” Ginny guardò Selena poi tornò a Fran. “Parlava di noi e di lei.”
“Non ci resta altro che convincerla.”
E si mossero in sincrono: Fran andò a chiamare Aurea mentre Ginny Sue e Sonny, e tutte insieme si diressero verso Selena.
“Hei, trota solitaria!” fece Sonny arrivandole alle spalle di soppiatto.
La morettina schizzò giù dalla sedia portandosi una mano al cuore. “MA SEI MATTA?! NON FARLO MAI PIU’!!”
L’altra rise.  “Bene, ma non è stata una mia idea ma di Fran.”
La figlia di Atena annuì. “Ma lei è stata d’accordo.”
Selena scosse la testa. “Bene ma insomma, che volete?”
Rimasero tutte ferme, quasi indecise sul da farsi o attendendo un qualche intervento divino.
“Ecco, mi dispiace.” si fece avanti Ginny. “Non so quanto possa importarti, ma mi dispiace davvero averti parlato in quel modo … e di aver detto quelle cose su Alec.” si fissò la punta delle ballerine quasi del tutto sciupate dagli avvenimenti degli ultimi giorni.
La ragazzina scosse ancora una volta la testa, come se volesse scacciare i pensieri che le annebbiavano la mente e non disse nulla.
La figlia di Afrodite si immaginava un altro tipo di reazione, pensava le avrebbe urlato in faccia o che avrebbe respinto le sue scuse. Una delle due sarebbe stata meglio che quel silenzio.
“Sel, tu sei certa di chi sia realmente Alec?” domandò Sue.
Selena sollevò la testa spiazzata. “Che … che vuoi dire?”
“Tu hai detto di conoscerlo, Mason ha detto che è cambiato.” fece Fran.
“Tu sai chi lui è realmente o credi, o forse meglio … speri che invece lui non sia diverso del tuo vecchio amico d’infanzia?” si spiegò meglio la ragazza dagli occhi castani.
E lei non lo sapeva. Non sapeva cosa gli era successo durante il periodo in cui era praticamente scomparso. Si portò le mani alle tempie, mentre un fastidioso mal di testa si insinuava in lei. “Non lo so … non credo di saperlo …” si voltò, dando loro le spalle, con lo sguardo rivolto alla città che cominciava a rianimarsi un po’ dopo la nottata e qualche lampione iniziava a spengersi in qua e in là. “Sperare … adesso credo sia l’unica cosa possibile …” si sedette a terra tirandosi le ginocchia al petto.
Sue la imitò mettendosi accanto a lei, le mise una mano sulla spalla. “Dipende da cosa vuoi fare tu alla fine.”
Sonny si piazzò dall’altro lato di Selena. “Noi comunque fermeremo il casino che sta combinando, così che non ci dovremmo più preoccupare di grandi catastrofi o robe simili.”
“So cosa provi per lui, tutte lo sappiamo, e ti appoggeremo se vorrai salvarlo.” annuì Ginny mentre si sedeva compostamente di fianco a Sue.
Aurea si avvicinò. “Ricordati però che tenteremo sempre di salvare prima te di lui.” fece prendendo posto. “Per cui dovrai fare un buon lavoro!” sorrise.
“Questa cosa di una frase per una fa molto strano, sapete?”
“Fraahaan!” la ripresero in coro.
La ragazza rise e prese posto vicino a Sonny e alla cacciatrice.
Sospirarono quasi all’unisono.
“Dopo che tutto questo casino sarà finito che ne dite di andare a cena fuori?” propose Sue.
“Ottima idea.” acconsentì subito Ginny.
“Aspettate un attimo!” le interruppe Sonny. “Prima di tutto ce ne torneremo in Inghilterra, e con l’aereo stavolta!” scoccò un’occhiataccia ad Aurea sedutale di fianco.
“Non denigrarmi! Non ho niente da ridire … solo … io vengo a nuoto.”
Risero.
“Poi?” domandò Fran alla figlia di Apollo.
“Poi andremo al Campo a dare degna sepoltura a Phill. E dopo averlo fatto inizierò ad occuparmi del Campo Mezzosangue.” la sua espressione era seria, lo avrebbe fatto davvero.
“Molto nobile da parte tua.” la appoggiò Aurea.
Sonny fissò lo sguardo sullo skyline della città che piano piano andava schiarendo sempre di più. “Be’ alla fine è questo che ci ha insegnato Phill. A resistere nelle situazioni avverse e reagire quando le cose vanno male.” prese un respiro profondo poi proseguì: “Il Campo ha perso la sua guida, ma non i suoi insegnamenti.”
Le ragazze sorrisero in silenzio.
“Sai, credo che questa sia la prima cosa sensata che sento uscire dalla tua bocca.” la canzonò Fran.
“Hei, ad ognuno il suo momento di gloria! Tu dovrai indossare una fighissima benda sull’occhio!”
“Giusto … di nuovo … mioddio, sono ancora brilla da ambra divina per darti ragione così spesso?”
Sonny rise.
“Mmmh … è bello vedervi andare d’accordo, ma dovreste rivedere il vostro concetto di ‘figo’.” disse Ginny con un’espressione disgustata in viso che risero proprio tutte a quel punto.

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Capitolo 50
*** Ultima chance ***


La gente si accalcava in ogni via di New York, che era diventata una specie di gigantesco formicaio: in qualsiasi luogo c’erano persone, che si trattasse di cittadini, curiosi o turisti non contava perché tutti avevano stampato in faccia un sorriso un po’ ebete, da festa nazionale.
Solo un pugno di ragazzini si aggirava tra le grandi strade newyorkesi con il volto scuro e la bocca tirata, lo sguardo concentrato.
Si fermarono all’incrocio tra la 34th Street e la Park Avenue, davanti ad un caffè con le tende verde scuro. Il marciapiede benché ampio stentava a contenerli tutti e molti passanti si lamentavano e dicevano loro di lasciar libero il passo, mentre i commessi nel locale li guardavano quasi spaventati, sperando che quella mandria confusionaria non entrasse nel caffè praticamente già pieno.
Ormai era praticamente tardo pomeriggio, quasi il tramonto. Sonny guardava in continuazione l’orologio sul polso di Ginny. “Allora è tutto a posto? Non c’è bisogno di ripetere niente, vero?” domandò con aria preoccupata e seria, la fronte tanto corrugata che le sopracciglia nere quasi si toccavano facendo risaltare gli occhi incredibilmente celesti.
 “Stige divina! Ti prego basta ripetere il piano!” Fran si portò le mani sulle orecchie con il volto contratto in una disperazione molto teatrale.
Aurea e Ginny risero della scena.
“Davvero, è tutto okay.” disse la figlia di Afrodite.
“Certo, rimembriamo tutto alla perfezione.” annuì anche l’altra.
“Rimem … heeem, sì, bene … allora mi raccomando.” Sonny si mosse un po’ a scatti mentre parlava.
Fran le porse la mano con il braccio piegato per metà ed il busto un po’ piegato in avanti.
La ragazza l’afferrò, le mani delle due si unirono con un piccolo scoppio.
“Mi raccomando.”
La figlia di Apollo sorrise beffarda. “Ci vediamo domani mattina.”
“A domani, allora!” le restituì il sorriso la biondina. “E un’altra cosa!” disse trattenendo l’amica nella stretta. “Non appena torniamo al Campo, voglio la rivincita.”
Sonny allargò ancora quel suo sorriso provocatorio. “È inutile, non mi batterai, ma va bene.”
E si staccarono.
Poco più in là Aurea stava parlando con le altre cacciatrici su come poi fare riferimento ad Artemide dei loro spostamenti, ne uscì anche qualche battuta su come i ragazzi del Campo fossero confusionari ed un poco indisciplinati.
Ginny e Javier era in un angolo, a vederli non si poteva dire chi dei due era più preoccupato per l’altro.
“Stai attento, davvero. Non voglio che ti accada niente di male!” fece lei passandogli una mano tra i capelli neri sulla nuca.
“Non ti preoccupare, con me c’è Mally. Io e lei abbiamo sempre combattuto in coppia, siamo praticamente perfetti insieme.” replicò lui in tono dolce ma deciso.
Ginny rimase un po’ pensierosa, con entrambe le mani sulle spalle di lui a fissare le auto che si muovevano lente sulla strada. “Se non sapessi che è tua sorella, sarei mostruosamente gelosa.” disse lamentosa a mezza bocca e senza guardarlo realmente in volto.
Javier rise di gusto. “Scherzi vero?”
“No, già lo sono …” mise il broncio.
“Be’, ma io con lei non faccio questo.” mormorò e la baciò lentamente.
“E meno male!” sbottò Mally dall’altro lato dei marciapiede.
Il ragazzo si voltò verso di lei. “Che fai origli?”
“Ho sentito il mio nome, così ho sentito anche il resto.”
“Che orecchie da pipistrello ...” sussurrò ancora il figlio di Ares.
“Ti sento!”
Isaak non riusciva a stare fermo e camminava tra gli altri ragazzi senza sosta, con un pensiero formulato a metà che gli ronzava in testa. Poi i suoi occhi si posarono sulla testa nera e arancio di Blackie, era quasi come se fossero destinati a farlo, poteva anche andare dall’altra parte della strada ma si sarebbe comunque voltato per assicurarsi dove quella ragazzina fastidiosa fosse.
La ragazza gli dava le spalle ed era concentratissima a finire di stringere un bullone agli stivaletti jet di Mally, che stava rimproverando il fratello per qualche motivo. Dopo poco si sentì osservata, scrutò le persone intorno a lei infine si voltò. Non inquadrò subito il ragazzo dagli scompigliati capelli biondi, vide solo i suoi occhi verdi che la fissavano. “Che vuoi?” gli chiese scontrosa.
Lui strinse le labbra, un po’ contrariato. “Niente.”
Blackie tornò ai suoi ingranaggi fingendo che non esistesse.
“Che fai?”
“Aggiusto questi affari.”
“Bene … bene.”
La ragazza alzò lo sguardo. “Quindi?”
“Che?”
“Hai qualcosa in particolare da dirmi oppure preferisci fissarmi con quell’aria da pesce fuor d’acqua?”
Isaak aprì la bocca per ribattere e dire qualcosa di pungente, poi la richiuse in fretta e divenne rosso sugli zigomi. “Resta viva. Intesi?”
Blackie allora lo guardò davvero, le labbra lievemente aperte per la sorpresa. “Vale lo stesso per te.”
“Mmmmh …” Mason osservava la scena a qualche passo di distanza.
“Ci stai pensando?” gli domandò Fran che gli era appena arrivata accanto.
“Sì …” la guardò, era la solita ragazzina che lo scrutava con il suo occhio nero e che sembrava perennemente arrabbiata, lui ci aveva sempre visto altro dietro a quell’aria da mezza teppista che si ostinava a voler mostrare. “Sono cose da pupetti alati con le frecce.”
“Non mi piaceresti con il pannolino e le gambe paffutelle.” ribatté quasi ghignando lei.
Mason rise in risposta. “Non mi piacerei neanche io.”
Fran si avvicinò e si scambiarono un bacio veloce. “Adesso noi andiamo. Stai attento. Sia a te stesso che a …” il suo sguardo fece un giro veloce in quel marasma di volti, si fermava brevemente su ognuno di essi. “Insomma, hai capito. Sta attento.” annuì, poi aggiunse: “E comportati bene!” piazzandogli l’indice sotto il mento con fare minaccioso.
Lui le abbassò la mano con la sua poi gliela posò sul volto. “Tranquilla.” la baciò ancora. “Sono preoccupato per te invece …” ammise, e il suo volto assunse un’espressione triste.
La figlia di Atena fece uno strano verso con la bocca. “Tsk! Non preoccuparti! Tanto di pazze furiose con gli artigli non ce ne dovrebbero essere più in giro!” sorrise giocosa.
Fosse stato un altro momento, Mason forse l’avrebbe rimproverata e si sarebbe sentito sprofondare nel senso di colpa per non averla protetta, ma in quell’occasione rise anche lui, probabilmente a causa della tensione e della paura che provava, e si sentì pazzo quanto lei.
Neanche cinque minuti dopo il gruppo si staccò, continuando sulla 34th verso l’East River.
Quando si allontanarono gli uni dagli altri sembrò a tutti di diventare ancora più piccoli di quanto quella città in sé non facesse sentire ognuno di loro. Quella divisione aveva un che di definitivo.
Camminando tra la folla non si poteva fare a meno di scontrarsi con gli altri, di sgomitare la fine della strada o superare quel negozio e di sentirsi spintonare da ogni direzione, tanto da sentirsi come dentro un flipper ed essere la pallina. Non solo i marciapiedi erano affollati ma anche le strade, dove le auto e i taxi si stipavano e rimanevano fermi anche per ore, alcuni ne approfittavano per alzare il volume della musica al massimo e continuare a fare festa sull’asfalto, ma i più suonavano il clacson come degli ossessi. Molto spesso il caos concitato delle feste sembrava proprio fuori controllo, non era raro vedere passare le volanti della polizia a sirene spiegate, cosa che rendeva la confusione ancora più difficile da sostenere.
Alicia correva schivando mortali e auto, si era legata i capelli in una coda di cavallo ma che le si stava già disfacendo, tanto andava veloce. Raggiunse in fretta gli altri che la stavano aspettando benché continuassero a camminare tra la folla avvicinandosi il più vicino possibile alla strada dove i carri sfilavano più o meno lenti. Le persone si accalcavano sulle transenne per vedere questo o quello oppure osservare le acrobazie di cheerleader o majorette che si dilettavano all’inizio di numerosi e rumorosi cortei.
“Trovati …” disse la cacciatrice ansimante. “Sono più avanti … dopo quella sfilata di strani personaggi in costume …”
“Come hanno fatto a far passare la Spirale per un carro celebrativo?” domandò piuttosto esterrefatto Javier.
Alicia tentennò un attimo. “Se non ho capito male: è una specie di scultura in onore di Leonardo Da Vinci, per il suo … mmmh … cinquecento sessantesimo anniversario della nascita.”
Mally scosse la testa e Pinkie rise fragorosamente.
Galene scrutò la folla con i suoi occhi verde mela. “Bene, allora noi andiamo al nostro punto e iniziamo a far evacuare la zona.”
“Allora noi ci muoviamo, prima Pinkie poi starà ad Irma.” disse Sonny riassumendo alla buona il piano.
La figlia di Ecate aveva l’espressione seria e grave anche se il volto tradiva l’agitazione con un lieve pallore. “Sì, io porterò il carro là e ci ricongiungeremo.” parlò con la voce che le tremava un po’; sapeva che quello che si apprestava a fare le sarebbe costato una grande energia spirituale. Pensò ad Isis che teletrasportava tutto e tutti con estrema facilità anche dopo aver compiuto altre magie.
Mason le posò una mano sulla spalla e le rivolse uno sguardo comprensivo. “Hei, andrà bene. Saremo tutti con te, non ti succederà niente di male.”
La ragazzina si sentì un po’ rincuorata e annuì: sì, ci sarebbe riuscita, a qualunque costo.
Il ragazzo sorrise lievemente  poi osservò tutti coloro che erano lì intorno.
Orma quella era la loro ultima chance.
Da quando Mason si era ricongiunto con Fran si sentiva strano, come se un turbinio di emozioni lo travolgesse ogni volta che si trovava in mezzo alle altre persone: agitazione, eccitazione, batticuore, angoscia, paura … quelle erano emozioni da battaglia, lo sapeva e le odiava. Non era un guerriero e non voleva esserlo. Iniziò a concentrarsi sul proprio respiro, sapeva che stava per essere sopraffatto dalla preoccupazione: doveva calmarsi. Il suo sguardo agitato si posò su Selena che si teneva in disparte con le spalle un po’ ricurve, il volto contratto in un’espressione cupa, fissava senza interesse i carri viaggiare lenti per la strada. Le si avvicinò: “Sel …”
Lei si voltò e il suo sguardo gli si conficcò nelle retine, fu travolto da una sola emozione fortissima, quasi lo schiacciò: aveva paura.
Selena si raddrizzò. “Sì?”
Tutto cessò, fu un attimo: si sentiva combattuto adesso. Gli girava la testa, si portò una mano alla testa.
“Tutto bene?” fece la ragazza.
Mason scosse la testa. “Non lo so … è strano …” poi la guardò preoccupato, il cuore attanagliato da uno strano miscuglio di sensazioni.
“Sicuro?” continuò lei.
“E tu?” fece di rimando il ragazzo. “Come ti senti?”
Il volto della ragazzina si rabbuiò, ma tentò di mostrarsi sicura. “Bene, sono pronta.”
Il figlio di Eros la osservò mentre lei abbassava lo sguardo. “Sei tu a non essere sicura, lo sento: hai paura, e tanta. Forse più di chiunque altro qui.”
Selena sgranò gli occhi. “Sì, quindi?! Non capisco cosa volete esattamente da me! Sono spaventata, e allora?! Lo sarebbero tutti!”
Mason sentiva che era la verità, ma era come se mancasse qualcosa nel discorso della ragazza: gli stava tenendo qualcosa nascosto. E ancora quella strana sensazione di tormento interiore gli prese le interiora, come se volesse giocarci come il gatto con il topo. Abbassò lo sguardo e strinse i denti mentre Selena si allontanava. Il ragazzo tornò da Irma che si stava rigirando una piccola abraxas tra le mani. “Ti dispiace farmi un favore?”
Lo guardò un attimo. “Okay.” annuì scuotendo i riccioli scuri.
“Tu dovrai pensare a qualcosa che ti piace, io terrò gli occhi chiusi poi ti sposterai in una direzione, non dirmi quale. Bene?”
“Non capisco, ma va bene.” e si portò una mano al mento.
Mason chiuse gli occhi e inspirò profondamente, sentì le voci della folla, le grida di festa e i canti ubriachi, i clacson, anche Sonny che continuava a chiarire parti del piano … espirò, pensò a Fran, in quel momento non erano insieme ma sentiva che era come se non fossero separati, non lo sarebbero stati mai più, e tutto tacque. Si accesero intorno a lui ciò che gli sembrò essere delle piccole fiammelle, sentiva il loro calore. Dietro di lui ce ne era uno piuttosto flebile ma costante, non vacillava.
Irma lo vide voltarsi ancora con gli occhi chiusi, quando le mise una mano sulla spalla rimase sorpresa.
“Non esserlo.” Mason riaprì gli occhi “Credo di essere empatico … o qualcosa del genere.”
“Della serie non ti si può nascondere niente?”
“Non lo so.” ammise e il suo sguardo cercò tra la folla Selena, che ancora una volta era in disparte immersa nei suoi pensieri. “Spero solo che possa tornare utile.”
“Avanti! Muoviamoci!” chiamò Sonny che aveva appena finito di parlare con le cacciatrici, che stavano già correndo veloci in mezzo alla folla dirette al loro punto di azione.
Un altro gruppo che si staccava.
“Andiamo anche noi.” disse Javier poi si rivolse a Pinkie. “Pronta?”
“Certo!” sorrise lei mentre faceva stretching.
“Dovrai farti più di un miglio di corsa in mezzo alla gente e alle macchine, sei sicura?”
“Sì, dovrò far pur qualcosa anche io, e poi sarò protetta prima da loro e poi da voi!”
“Sì, ma …”
Mally intervenne: “Basta, ti prego. Non sfogare su di lei le tue preoccupazioni.” fece poi sorrise rassicurante ed incoraggiante.
“Allora? Si va?” Isaak agitatissimo.
I figli di Ares annuirono.
Anche gli ultimi due gruppi si separarono, adesso non avrebbero potuto tornare indietro neanche se avessero voluto.
Pinkie saltellò sul posto un paio di volte poi respirò profondamente, il cuore che già le batteva all’impazzata. Iniziò a muoversi verso la Spirale, la vedeva bene adesso: era stata caricata su una specie di furgone o un pickup, come anche gli altri carri, il manufatto si ergeva al centro della parte posteriore, ma lasciava quel minimo di spazio per poter salire sulla vettura; su un lato, il sinistro, c’era anche una piccola scaletta in ferro, che portava sopra al cassone del guidatore, dove c’era una specie di palco arrangiato con assi di legno unite da pezzi di lamiera saldati alla meglio, sopra ad esso Isis, sempre più pallida e tendente ad un blu cadaverico che ad un rosa pallido, e Alec, con le occhiaie tanto scure che sembravano far paio con i suoi vestiti neri, osservavano tutta la folla con fare altero, si poteva però riconoscere lo sguardo di coloro che temono un attacco.
La ragazzina avanzò ancora e scavalcò i frangi folla che bloccavano la folla sui marciapiedi, attirando l’attenzione dei poliziotti, il cui scopo era di evitare che ciò accadesse, oltre che dei due personaggi sul carro. Perfetto! pensò soddisfatta che il piano procedesse alla perfezione.
Isis sollevò una mano, stava per trasportala, ma Alec la fermò vedendo che Pinkie stava puntando alla cabina dell’autista.
Alla guida c’era Efialte, completamente appoggiato al volante e completamente annoiato, quasi sul punto di addormentarsi.
Pinkie sbatté con forza un foglio sul parabrezza e urlò: “Scusa per l’altra sera! Ma è stato davvero divertente vederti cercare come un matto qualcosa che non esisteva!” rise di gusto poi schizzò via correndo velocissima, schivando e sfuggendo anche agli agenti di polizia.
Il gigante si era quasi spaventato a morte per il colpo contro il vetro davanti a lui, poi, lentamente, riuscì a mettere a fuoco ciò che gli stava davanti: un volantino, sopra c’era scritto ‘Grande apertura straordinaria Pizzeria da Luigi’
Gli ci volle un secondo per capire di cosa si trattava ed un altro secondo affinché la rabbia si impossessasse completamente di lui. Scattò fuori dall’abitacolo, per poco non divelse la portiera, urlando: “MALEDETTA RAGAZZINA! LASCIA SOLO CHE TI PRENDA!” e iniziò a correre dietro a Pinkie che si era allontanata di quasi un isolato e mezzo.
Annabeth compì un velocissimo scatto con la mano, anche lei poi scavalcò i frangi folla e si infilò alla guida della vettura. Allora il gruppo partì: sapevano che i poliziotti non ci avrebbero messo molto a tornare, desistendo dall’inseguire Pinkie che alla fine non aveva fatto nulla di male, per cui dovevano sbrigarsi.
Clarisse, Sonny e Sue avanzarono subito e si issarono sul lato delle scale del carro, pronte a salire. Alec creò immediatamente una decina di figure scure che si scagliarono contro di loro, ma, come avevano previsto, più della metà di quelle cose furono fatte cadere fuori bordo dalla figlia di Ares con un colpo veloce della sua asta.
Selena e Mason salirono sul fondo, coperti dalla mole della Spirale, e aiutarono Irma a fare lo stesso. Non appena fu sopra al veicolo, la ragazza si sedette a terra a  gambe incrociate ed iniziò a recitare ad occhi chiusi una specie di canto lamentoso in greco antico.
L’aria intorno al carro fu percorsa da piccole scariche elettriche.
Isis percepì il pericolo. “Sta recitando una formula per il teletrasporto!” urlò e si voltò verso Alec. “Fermala! Fermala assolutamente! Se ci porta lontano dal luogo per l’attivazione della Spirale non potremmo fare niente.”
Alec la guardò in silenzio, sembrava arrabbiato, non gli piaceva che quella ragazzina si rivolgesse a lui in quel modo. Molto lentamente compì un altro movimento con la mano.
In fondo alle scalette di metallo si generarono due grosse creature d’ombra armate di ascia bipenne e si scagliarono contro la figlia di Ecate.
Clarisse saltò addosso ad una e la atterrò subito, conficcandole l’asta nella testa e facendola esplodere, urlò trionfante.
Ma l’altra creatura continuò al sua avanzata, Sonny iniziò a correrle dietro in un tentativo disperato di fermarla. Mentre Sue rimase a fronteggiarne una delle ultime rimaste a protezione di Isis e Alec.
Mason si fece avanti ed estrasse la daga dal fodero, la tenne stretta davanti a sé pronto a colpire la creatura che avanzava. Poi sentì uno strano tintinnio alle sue spalle e si voltò appena in tempo per vedere Selena scagliare un piccolo fulmine facendo volere la sua dracma in aria. L’essere esplose in una nuvoletta di fumo.
La figlia di Zeus aveva un’espressione seria, la fronte aggrottata, le labbra serrate in una smorfia che sembrava quasi di dolore.
“Selena, tutto bene?” le chiese subito Mason.
Lei annuì ma non rispose.
Il ragazzo la guardò un attimo poi si rivolse verso l’amico: “Alec! Non vogliamo combattere! Ti prego ferma questo carro e vieni con noi!”
L’altro lo osservava in silenzio, più stanco e pallido che mai. “Mason, mi dispiace ma ormai è troppo tardi, ho preso la mia decisione e non posso … non voglio più tornare indietro. Non posso aspettare oltre.” Alzò entrambe le braccia e creò altre creature mostruose.
“Mi dispiace, ma allora saremo noi a fermarti!” urlò in risposta il figlio di Eros e, anche con sua grande sorpresa, abbatté uno degl’esseri che lo stavano caricando con un movimento fluido dell’arma.
Intanto Irma aveva iniziato a cantilenare più forte, a voce più alta, le parole si distinguevano bene nell’aria tanto che si vedevano delle scintille bluastre guizzare qua e là intorno alla Spirale.
Isis che non le aveva staccato gli occhi di dosso si voltò verso Alec: “Devo fermare quella stupida ragazzina! Proteggi questo corpo!”
Lui le rivolse uno sguardo di odio ma creò altri mostri da mandare contro agli avversari.
La ragazza lo guardò compiaciuta poi chiuse gli occhi e iniziò anche lei a recitare formule con voce lamentosa, e ben presto altre scintille, rosse questa volta, attraversarono lo spazio che li circondava.
Andarono avanti tutti così, chi a combattere chi a fare magie, non seppero neanche loro per quanto. All’improvviso ci fu una specie di rombo dall’eco sinistra. Irma e Isis, allo stesso tempo, spalancarono gli occhi dalle orbite rigirate mentre ancora continuavano a recitare le proprie formule. I tuoni continuava a scuotere l’aria, le scosse di energia elettrica che le due streghe rilasciavano si scontravano nell’aria, blu contro rosso, lampi viola illuminavano il metallo sotto i piedi dei guerrieri in basso.


Irma si ritrovò in piedi in quello che le sembrava uno spazio vuoto, completamente bianco.
Davanti a lei c’era Isis, la fissava piena di rabbia: poteva vederla bene adesso ed era pallidissima, dalla pelle diafana, tanto che le si potevano distinguere le vene sulle tempie; e i suoi occhi erano di un celeste indefinibile, translucido, le pupille velate di grigio, la vedevano ma non la guardavano.
Le corse un brivido gelido lungo la schiena, una sensazione mai provata prima in vita sua.
“Maledetta ragazzina!” ringhiò la strega. “Non puoi battermi qui!”
La figlia di Ecate fece un passo indietro impaurita.
Isis fece per muoversi in avanti ma si bloccò dopo qualche passo. Il suo corpo fu scosso da spasmi muscolari incontrollati. Si portò le mani al volto, urlando di dolore, un urlo disumano … infernale.
Poi tutto tacque.
Isis era ferma, il corpo bloccato in una posizione dolorosa, allungata all’indietro, i muscoli tesi allo sfinimento. Il volto in avanti guardava verso di lei, con le mani ancora a coprirlo. Ma le dita, tirate ad ossuti artigli, lasciavano intravedere una parte di bocca ghignante e un occhio terrificante e carico d'odio.
Irma sbatté le palpebre.
Ed il volto di Isis era cambiato, quasi calmo dietro a quella cella di dita, ma era spaventata. “Salvami …” sussurrò con voce sottile e stremata.
Ma Irma lo sentì.
Poi il corpo della strega crollò su sé stesso, a terra, riprese ad urlare come prima e più forte, rabbiosamente.
Il mondo iniziò a tingersi di un rosso intenso, vivo e pulsante, come se davvero del sangue sgorgasse da una ferita, partendo dal corpo contorto di Isis ancora steso al suolo.
Irma cadde in ginocchio travolta dalla forza magica sprigionata dalla ragazza, era sul punto di svenire. Strinse i tenti, non poteva cedere … ricominciò a recitare la formula per la telecinesi e si concentrò sul punto in cui sarebbe voluta andare. Sussurrò, parlò, urlò.
Un rombo scosse quel mondo bianco tinto di rosso.
E tutto fu blu.

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Capitolo 51
*** La prima battaglia ***


Pinkie correva già da quasi quindici minuti, i polmoni le bruciavano e il cuore le batteva fortissimo nel petto, riverberando i suoi scossoni a tutte le sue ossa, lo sentiva anche nelle gambe quel battito, nella punta delle dita delle mani, non udiva altro che il rombo del suo sangue pompato in circolo. Finalmente Central Park, dall’altro lato della strada bastava attraversare ...
Semaforo rosso.
Imprecò in greco antico mentre frenava, non poteva rischiare di attraversare con tutto quel casino sulle strade, e si voltò per cercare con lo sguardo Efialte che sapeva essere dietro di lei, anche se distante c’era, la seguiva come uno spettro, spinto dalla rabbia. Infatti eccolo là, fermo al semaforo prima, era furente stringeva i pugni tanto forte che gli tremavano. Quando vide che lo stava guardando, sorrise debolmente con un’aria di soddisfazione e malignità. Iniziò a diventare più altro, più grande, tanto che neanche lei riusciva a distinguerlo bene a causa dell’enorme quantità di Foschia che stava richiamando per mascherarsi agli occhi dei mortali.
Senza pensarci neanche per un istante, Pinkie riprese a correre gettandosi in mezzo di strada, mille volte meglio finire sotto ad una macchina che finire letteralmente in mano al gigante. Scartò di lato per evitare un taxi, si fermò appena in tempo per evitare un motorino poi inciampò contro il marciapiede, era arrivata sana e salva dall’altra parte ma non poteva restare lì. Boccheggiando in cerca d’aria, si rialzò e prese a correre lungo il perimetro del parco. Le luci dei lampioni iniziarono a sfarfallare fino ad accendersi, nonostante ancora ci fosse la luce del tramonto a dar colore alle cose.
Correva ancora, trascinata dalla consapevolezza che non le mancava neanche mezzo miglio per arrivare a destinazione, ma aveva paura di essere raggiunta, un terrore folle che la faceva incespicare più del dovuto e sui suoi stessi passi.
Un’ombra oscurò la sagoma della ragazza.
In un istante Pinkie frenò e si schiacciò contro il muretto alla sua destra, appena in tempo per non essere schiacciata dall’enorme palmo di Efialte. La forza che aveva impresso a quel attacco a mano aperta era tanto forte da fracassare il marciapiede lastricato fino alla polvere.
Il gigante rideva di gusto nel vedere la paura sul volto della ragazzina e tornò a dimensioni umane per schernirla. “Povera sciocca! Pensavi che non riuscissi a raggiungerti?” rise ancora. “In realtà non sono tanto in collera per la storia della finta pizzeria, anzi per niente in confronto alla furia che provo se penso che mi hai fatto perdere uno scontro con quegl’altri piccoli e disgustosi semidei …” le si fece più vicino e annusò l’aria. “Sporca mortale …”
Fu allora che Pinkie gli pestò un piede, caricando il colpo con tutto il suo peso.
L’uomo urlò più per rabbia che per dolore.
Poi l’umana saltò dal muretto, un volo di quasi sei metri. Atterrò sull’erba con una capriola, l’urto però era stato comunque piuttosto forte e l’impatto mal calibrato a causa della fatica e dell’agitazione, adesso le dolevano anche le spalle e tutta la schiena oltre che i muscoli delle gambe, consumati dallo sforzo della velocità. Riprese subito a correre più in fretta che poteva, sapendo che se si fosse fermata non si sarebbe più mossa.
Un urlo di guerra la seguì, e uno schianto tanto forte da far tremare la terra, per poco non cadde, stabilizzata dalla scossa.
Solo altri cento metri … pensò e dopo neanche un minuto di corsa tra la vegetazione del parco vide ciò che cercava:  un cancellino costituito da quattro tubi e una rete di ferro. Era aperto.
Pinkie iniziò a correre in quella direzione ed entrò.
Quando ebbe fatto qualche passo all’interno fu sbalzata via da un’onda d’urto. Efialte l’aveva raggiunta grazie alle sue lunghissime gambe ed era atterrato sull’erba verde al centro del campo. “Adesso basta! Hai firmato la tua condanna non può più scappare da nessuna parte!”
Pinkie respirava male a terra tra la polvere rossiccia su cui era distesa. “Neanche tu …” soffiò.
Il capo dei gigante continuava a sorridere senza capire ma gli bastava sapere che quella ragazzina di lì a poco sarebbe morta. Sollevò una mano, pronto a colpire proprio come aveva fatto prima, sapendo che lei non aveva la forza per rialzarsi.
La freccia si conficcò sull’indice raggiungendo l’osso della falange. Efialte questa volta urlò di dolore e ritrasse la mano.
“Hei, cacca di Cerbero!” urlò Javier provocatorio. “Non la sfiorerai!”
Dietro di lui, Adam teneva alzata la balestra steampunk tentando di dipingersi in volto più risolutezza di quanta non ne avesse. Si diresse da Pinkie e la aiutò ad alzarsi.
Nel frattempo il gigante il volgeva il suo sguardo rabbioso verso il figlio di Ares, così facendo notò il posto in cui era finito: era un campo da softball, l’Heckscher Field numero quattro, con gli spalti di metallo vicini e le panchine per le squadre lievemente interrate di fronte a lui, lì si erano nascosti i mezzosangue, ne contò altri sette e tutti armati, invece alle sue spalle c’era il prato piuttosto ampio circondato dagli alberi.
“Forse l’appellativo che gli hai dato non è stato gradito …” Mally avanzò fino a raggiungere al sua destra. “In fondo è il generale dei giganti. Un nomignolo più adeguato potrebbe essere: gigantesca cacca di Cerbero.”
Fu la goccia che fece traboccare il vaso, la rabbia che Efialte provava in quel momento era qualcosa che non gli era capitato mai prima, neanche quando la guerra contro gli dei stava volgendo in suo sfavore, ma almeno allora stava affrontando gli dei dell’Olimpo … adesso erano solo una decina di poppanti. “VOI!” grido con tutto il suo fiato, la voce trasformata ed arrochita dall’ira. “MORIRETE TUTTI!”
“No.” disse calmo, glaciale Javier. “L’unico a morire stasera sarai tu.”
“Devi pagare per la morte dei nostri fratelli.” Mally estrasse la sua spada rosa, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Efialte iniziò a prendere la sua vera forma, ad ingigantirsi.
Loro scattarono.
Tutti gli altri componenti del gruppetto presero posizione: erano tutti arcieri e si disposero a cerchio per coprire le spalle ai due spadaccini.
Mally era più lenta a causa delle fitte che le ferite alla schiena le infliggevano. Javier fu più veloce e attaccò l’avversario con la spada causandogli un lungo taglio sotto al ginocchio, quello fu costretto a voltarsi per scacciarlo e si mosse come avrebbe potuto fare se si fosse trattato di una mosca, ma il ragazzo se l’aspettava e si era già allontanato. Ben e Lukas scoccarono le loro frecce, approfittando che Efialte stesse dando loro le spalle, la cosa lo fece infuriare non poco. Il gigante emise un grugnito assordante e si voltò ancora verso i due figli di Apollo questa volta e allungò la mano, protendendo il braccio, per schiacciarli. Nel frattempo Mally lo aveva superato e gli era arrivata alle spalle, intuendo le sue intenzioni era già scattata in avanti: la ragazzina saltò più in alto che poté e, afferrando la daga con ambo le mani, la piantò nel braccio di Efialte affondando fino all’osso. Lei continuò a cadere verso il basso e l’arma si divelse dalla ferita, che schizzò sangue a fiotti; Mally si ritrovò in gran parte ricoperta. “Disgustoso …” borbottò.
Il gigante, che stava diventando sempre più grande anche se molto più lentamente, la colpì con il braccio ferito scagliandola quasi al centro del campo; colpi suolo con le spalle e rotolò per un paio di metri, incapace di fermarsi, il fiato mozzato dall’urto e dal dolore.
“MALLY!” Javier era già scattato dietro di lei, correva a perdifiato.
Efialte iniziò a spostare la sua enorme mole per seguirli.
Ted e Isaak non aspettarono oltre e lasciarono la presa sulle loro frecce mirando alle parti scoperte e molli del gigante tentando di colpire i punti più dolorosi, così da riuscire ad attirare la sua attenzione su di sé e lasciare il tempo ai due figli di Ares di riprendersi. E ci riuscirono, molto più velocemente di quanto si aspettassero Efialte voltò il capo verso di loro e allungò la mano per schiacciarli, mentre si abbassava piegando anche le ginocchia, tanto era diventato grande.
Quando il suo palmo fu ad una ventina di metri dalle teste dei due arcieri, che ancora non si erano mossi nonostante tremassero loro le gambe in modo irrefrenabile, e ogni fibra del loro corpo gli stesse urlando di scappare il più lontano possibile, Ben e Lukas scoccarono. Le frecce colpirono il collo del mostro poco sotto alla mascella, strappando un urlo di dolore ad Efialte che ritrasse di scatto la mano e tentò di menare un calcio nella loro direzione. Nel farlo lasciò scoperto parte del cavo popliteo, dietro al ginocchio, dell’altra gamba e fu lì che Adam mirò e colpì con un dardo di fuoco creato da Blackie. L’esplosione che seguì l’impatto fece crollare il gigante su quel ginocchio, la carne ancora sfrigolava a causa del fuoco slabbrata in più punti, proprio davanti al figlio di Apollo e a Pinkie che stava già caricando un altro dardo dello stesso tipo, ma lo schianto del mostro con il suolo fece tremare la terra e lei cadde.
Adam era riuscito a saltare e ad evitare di imitarla, più lontano anche Javier e Mally erano in piedi e correvano nella loro direzione, pronti a sferrare il colpo finale, quello che avrebbe potuto mettere fine allo scontro. Efialte era ancora intontito dal dolore e non si muoveva, non ancora. Il ragazzo sollevò lo sguardo: il sole ormai doveva essere completamente sparito, circondati com’erano dagli alberi non le vedevano da molto, ma capiva che il tramonto stava lasciando spazio alla notte ed il cielo stava cambiando il suo colore, dal rosso cupo al viola poi al blu notte … forse, se le cose fossero andate male avrebbero potuto scappare coperti dall’oscurità, Efialte non sarebbe stato capace di ritrovarli ed inseguirli. Efialte … Adam posò gli occhi sul suo volto trasformato dalla rabbia, dal dolore e dalle dimensioni e li stava fissando.  Stava fissando Pinkie, ancora a terra quasi incapace di alzarsi. Così si mosse.
Il figlio di Apollo capì subito che voleva ucciderla prima di fare qualsiasi altra cosa, anche fosse stata l’ultima che faceva. Mollò la balestra a terra  e si gettò sulla ragazza.
Efialte abbassò la mano su di loro, nessuno del gruppo poté fare qualcosa: Ted, Isaak, Ben e Lukas erano a terra e non poterono riarmare l’arco, Mally e Javier, nonostante la corsa folle, erano ancora troppo lontani.
Adam fu preso al posto di Pinkie dal gigante che lo tirò su, in alto quasi allo stesso livello della sua bocca mostruosa. “Stupido coraggioso eroe, il tuo gesto non mi impedirà di prendermi la mia vendetta.” parlò normalmente, come chiunque avrebbe fatto in una conversazione normale, ma sembrava che urlasse tanto era grande e tanto era vicino.
Il figlio di Apollo riuscì a far scivolare fuori il braccio non ferito dalla mano che lo cingeva e lanciò un pugnale contro l’occhio del gigante. Era poco meno di uno spillo in confronto alla sua stazza ma quando penetrò nell’iride, Efialte urlò come un ossesso e mollò la presa per portarsi entrambe le mani al voltò.
E Adam cadde.
Si schiantò a terra con un raccapricciante scricchiolio cupo. Il suo corpo aveva assunto una posizione inumana, come una marionetta a cui avessero tagliato i fili, ogni osso del suo corpo era andato in mille pezzi, in alcuni punti si potevano vedere anche uscire dalla carne, esposte all’aria della notte. La sua testa era reclinata da un lato, lo sguardo vacuo rivolto verso Pinkie.
Efialte ancora urlava di dolore e la ragazzina iniziò a piangere in silenzio, senza controllarsi.
Mally e Javier erano a pochi metri dalle gambe del gigante, lanciarono un grido di battaglia.
Il segnale fu colto da Ben e Lukas che si spostarono verso il centro del campo da softball ed incoccarono le frecce.
I due figli di Ares invocarono il nome del proprio padre e si gettarono ad armi spianate contro le caviglie dell’avversario. I tendini d’Achille si recisero all’istante e il gigante iniziò a perdere l’equilibrio.
Allora i figli di Apollo scoccarono le loro ultime frecce, tentando di far cadere l’avversario dove volevano loro.
Efialte quasi non capì quello che stava accadendo, il taglio era stato tanto netto che non si era quasi accorto di essere stato ferito, dopo poco arrivò il dolore assieme alle frecce, tentò di scacciarle ma i suoi gesti erano spropositati e gli fecero perdere definitivamente l’equilibrio. Crollò a terra, gli alberi che gli ferivano il corpo trafiggendolo, e la sua testa si fracassò contro il grande strato di pietra affiorante dall’Heckscher Playground. Ci fu un istante di quiete, mentre ancora la terra tremava, poi il suo cadavere si dissolse in una nube di polvere dorata.

Era già il tramonto quando Aurea e Blackie individuarono un’imbarcazione con cloche per i fuochi d’artificio che la figlia di Efesto sapesse manovrare.
“È sull’Hudson, attraccata in un porticciolo.”
“Molto bene.” commentò Fran.
“Bene?” esclamò Ginny piuttosto preoccupata. “È una nave! Sarà piena di gente!”
“E noi li facciamo scappare.” Percy fece un passo avanti battendo una mano sulla spalla di Grover.
Il satiro si voltò verso di lui. “Hei, hei! Calmo, vuoi che un mezzo umano col culo di capra salga là sopra e inizia a urlare come un ossesso?”
“Non urli come un ossesso, usi il Terrore e comunque sì.” gli fece l’amico.
“He … potrebbe funzionare davvero.” annuì anche Fran.
“Cosa?” Aurea arrivò rallentando la sua corsa.
Blackie era rimasta un po’ indietro e raggiunse gli altri qualche secondo dopo ansimando per la corsa. “Fuoco divino! Come … fa a correre … così?!”
“Suppongo che dopo settant’anni di allenamento con un corpo eternamente giovane si possa fare questo e altro.” commentò Greenie alzando saccentemente l’indice in aria. “Ahia.” fece dopo una gomitata dell’amica.
Si mossero tutti insieme tra le banchine del piccolo porto, aiutati dalle ombre sempre più fitte.
“È quella?” chiese Grover.
“Sì.” Rispose Aurea.
“Avanti Gro! Siamo tutti con te.” Percy prima lo incitò poi gli diede una spinta e lo fece entrare nella luce dei lampioni.
“Beehe.” si sentì fare.
“Coprite le orecchie, il suono potrebbe essere un po’ assordante.” disse poi il figlio di Poseidone.
Tutti lo fecero e sentirono poco del frastuono che il satiro produsse, ma si poterono godere lo spettacolo dei mortali che fuggivano spaventati dal rumore con incredibili espressioni del volto, tanto distorte e contorte che sembrava maschere kabuki.
Quando Grover tornò a loro camminando ondeggiante e a spalle basse abbassarono le mani e gli andarono incontro, si complimentarono e tentarono di spiegarli che far paura a volte è un bene, ad esempio a questo giro non avrebbero avuto adulti responsabili tra i piedi mentre facevano un rave su una chiatta.
Poi Blackie gli si fece vicino e domandò: “Una volta potrei … be’ ecco …” fece una pausa, nel frattempo i suoi occhi iniziarono a spalancarsi sempre più e a brillare, tanto che l’altro ne fu spaventato. “Potrei registrarti mentre lo fai e riusare l’effetto tramite un cannone a onde elettromagnetiche che ne aumenteranno la portata, la forza, la velocità e quindi anche l’effetto risultante sarà amplificato per circa quasi dieci volte se stesso, cioè lo stesso che è adesso, ma questi sono solo calcoli fatti sull’unghia, potrei anche arrivare ad un quindici volte o se mi impegnassi davverodavverodavvero tanto anche ad un venti, benché credo che potrebbe servirmi un cannone con la bocca larga, oppure potrei metterci una membrana che filtra il suono per renderlo più …”
“Sì,  sì, Blackie … quando torniamo a casa ti procuro altre sigarette e ti metti a costruire tutto quello che vuoi, ora vieni, su …” Greenie era intervenuta prendendo l’amica, più bassa di lei di dieci centimetri o più, per sotto le braccia e la stava letteralmente spostando di peso.
Salirono in fretta sulla piccola imbarcazione prima che potesse tornare qualcuno su cui l’effetto del Terrore era finito o che li vedesse qualcuno.
“Blackie, Percy, Ginny e Fran! Voi sul ponte di comando.” annunciò Aurea indicando un piccolo casotto rettandolare in fondo alla chiatta. “Noi restiamo qui in caso ci sia bisogno di difendere il battello.”
“No, aspetta un attimo.” Fece per controbattere la ragazza bionda. Poi incrociò lo sguardo con la sorellasta che la freddò sul posto.
“No, Fran, tu vai dentro.”
“O-okay.” Fran girò sui tacchi degli anfibi e corse dietro agli altri.
“Non ci posso credere.” rimase a bocca aperta Greenie.
“Il mio potere è infinito, relativamente piccola fanciulla.” disse Aurea.
Nella cabina di comando Blackie armeggiava con mille e mille levette, interruttori e lucette diverse; Ginny e Fran si erano messe in un angolo portandosi fuori tiro dallo sclero  tecnologico della figlia di Efesto.
“Bene, adesso parte.”
E la nave si mise in moto producendo strani suoni cupi e meccanimentosi, e il pavimento di metallo grezzo iniziò a tremare.
“Percy, adesso io la farò muovere, tu dovrai … mmh … sintonizzarti, sì è appropriato. Dovrai sintonizzarti con la sua velocità e con il movimento che causa nell’acqua quando si muove. Così che tu possa aumentarne la velocità più che puoi.”
Il ragazzo annuì. “Certo, certo! Niente di più facile.”
“Figata.” commentò piano Fran.
“Cosa?” chiese Ginny.
Si sentivano piuttosto inutili lì a non fare niente.
La chiatta di iniziò a muoversi lentamente e prese il via lungo l’Hudson diretto verso l’East River, che avrebbe percorso controcorrente.
“Avere una mente geniale che vede tutti i meccanismi oppure anche controllare le maree e i flussi d’acqua. Sembrano superpoteri.”
Ginny la guardò un attimo e Fran le restituì lo sguardo con il suo unico occhio. “Riesci a sentirti normale anche  in mezzo ai miti greci e alle leggende!”
“Be’ per me tutte queste cose sono sempre state la realtà, mai una leggenda.”
“Per cui anche mentre mi rompevi l’anima a scuola, poi uscivi, tornavi a casa e nel tragitto se ti capitava uccidevi qualche minotauro, così perché è il lavoro di ogni bravo semidio.”
“Di minotauro ce n’è uno solo, e credo ci metta un po’ per ricrearsi negl’Inferi, comunque la risposta è no. Io li uccidevo dietro casa.”
La figlia di Afrodite le scoccò un’occhiataccia. “Sì sì va bene, ma non ti sembrava alquanto … strano?”
“Mmmh … no, ci sono cresciuta, mia nonna …”
“Che non è tua nonna.”
“Sì, mia-nonna-che-non-è-mia-nonna non me l’ha mai tenuto nascosto.”
Ci fu un attimo di silenzio in cui entrambe osservarono i movimenti di Blackie e la nuca concentrata di Percy, che guardava fuori dai finestrini osservando chissà cosa.
“Per cui la ragazzina asociale che non parlava con nessuno, in realtà ascondeva un segreto.” Commentò Ginny.
“Mh, più che altro avrei potuto lasciare il mio odore da mezzosangue su qualche mortale, se questo poi fosse stato attaccato da qualche mostro mi sarebbe scocciato molto.”
“Tu zitta mai?”
“Mai.”
Poi Ginny fece scivolare una mano in quella dell’altra, che gliela strinse per un attimo, ricambiando il gesto.
Blackie premette un tasto luminescente verde e le luci dell’imbarcazione si accesero.
Fuori era ormai calato il buio, ma grazie all’azione di Percy si stavano avvicinando velocemente alla meta: il Socrates Sculpture Park.

Il carro e tutti coloro che vi erano sopra furono materializzati ad un metro di altezza sopra al centro di un grande prato, l’intero gruppo crollò a terra e molti semidei furono sbalzati fuori dalla vettura e caddero a terra; anche Isis, che si era sporta dal parapetto per contrastare gli attacchi magici di Irma, cadde fuori.
Il luogo in cui erano finiti era quasi completamente immerso nel buio, solo la Spirale, carica di energia luminescente, consentiva di vedere. Intorno a loro c’era solo erba, ogni tanto si ergeva una scultura o una strana rappresentazione di qualcosa di non ben identificato, e, non poi così distante, c’era l’East River che scorreva veloce, puntellato dalle luci delle imbarcazioni che solcavano le sue acque.
I presenti si riscossero dall’incantesimo di teletrasporto e dalla caduta: i combattenti furono subito tutti in piedi.
Mason andò da Irma, pallida e stesa a terra. Non si muoveva ma era cosciente. “Scusa, devo riprendere fiato. L’incantesimo mi ha stravolta.” disse in un soffio.
Anche Isis non si muoveva, con la faccia rivolta a terra, con il tubino blu notte che indossava sporco di erba fresca. Poi lentamente alzò il busto, puntellandosi con i gomiti e osservò chi aveva di fronte. Aveva un aspetto terribile e terrificante: il volto cereo contorto in una smorfia di rabbia, le labbra bluastre e gli occhi che sprizzavano odio. Si rialzò piano e con fatica, sembrava che il corpo non articolasse i movimenti giusti. “Dannata … come hai fatto?”
Il rombo della sirena di una nave li raggiunse. L’East River, molto più vicino alla riva di quanto una normale imbarcazione avrebbe fatto, c’era una piccola chiatta.
“Sono arrivati, ce l’hanno fatta!” disse Clarisse.
Sonny sorrise. “Dubitavi forse?”
Isis si ritrovò a guardare in ogni direzione i nemici che si affollavano, era praticamente circondata, ma il piano doveva andare avanti a qualunque costo. Estrasse tre pugnali dalla lama corta e liscia, erano sporchi di sangue rappreso. Tutti si bloccarono, non sapendo che fare, mentre lei li conficcava nell’erba e urlava parole in greco antico. Dalla terra sporca di sangue si ersero tre figure umanoidi composte interamente di terriccio, ognuna di loro aveva il classico equipaggiamento spartano, lancia scudo e daga alla cintura di terra. La ragazza indicò con un gesto carico di rabbia l’imbarcazione appena giunta a riva e quelle tre creature scattarono: erano velocissime, compirono tre salti incredibilmente lunghi e atterrarono sul ponte, prendendo alla sprovvista chi era a bordo.
“Adesso  tocca a voi.” sibilò Isis tornando a guardare coloro che le stavano davanti. Estrasse un quarto coltello. Era il kriss col quale aveva ucciso Phill, quando lo vide Irma ebbe un sussulto. Poi il coltello cerimoniale fu lanciato contro una statua fatta in lamiera dalle strane forme ondulate ed inquietanti, e vi si conficcò.
Sonny scattò in avanti e scaraventò Isis a terra con un colpo secco alle gambe, poi le fu sopra con un’accetta puntata alla gola. “Basta con questi trucchetti da strega! O ti uccido!”
La ragazza rise sguaiatamente, un verso di disperazione. “Troppo tardi, cara la mia figlia di Apollo! Sei arrivata troppo tardi!” rideva ancora poi indicò con un braccio libero la scultura su cui si era conficcato il kriss.
Il ferro di cui era composta aveva preso a modificare la sua forma: era come se si fosse prima accartocciato su se stesso, poi altre forse avevano iniziato a ergersi dall’ammasso informe di metallo, e un’altra forma umanoide dagli occhi robotici rossi come il carbone incandescente si era eretta dove prima c’era solo una rappresentazione di forme nello spazio.
Sonny tornò a concentrarsi su Isis. “CHE TROTA È!?” sbraitò senza controllo.
“Un kere.” sputò quell’altra a denti stretti. “Come anche gli altri tre che ho mandato dai vostri amici. Sono creature fatte con le anime guerriere dei vostri amici … i figli di Ares sulla nave e il satiro qui da voi. Così potrete riabbracciarli, ma loro vi uccideranno. Non si fermeranno finché non vi avranno uccisi tutti!” rise ancora.
“Maledetta …” mormorò la figlia di Apollo. “Perché …”
Ma Isis aveva smesso di ridere e si era accasciata al suolo. All’improvviso aprì occhi e bocca, da essi iniziò a uscire una specie di luce nera che schizzò verso il cielo. Sonny su sbalzata via dalla potenza dell’onda d’urto che ne derivò. Poi un fulmine nero si abbatté sul carro, accanto ad Alec in uno sfolgorio di lugubri scintille.
“Alec!” urlò Selena.
Ma Mason la tenne la bloccò. “Aspetta! È pericoloso!”
Sonny intanto era tornata da Isis, immobile e accasciata mollemente sull’erba. Era morta ma l’espressione sul suo volto era rilassata, come se finalmente avesse raggiunto la pace che agognava da molto, troppo tempo.




Capitolo pre-esame-catastroficamente-enorme-da-diciannove-crediti-aiuto, spero sia piaciuto. :)
Ora per il prossimo, per metà già scritto, attendo un consulto da un mentore, per cui non so quando potrebbe arrivare, anche se spero presto!
Grazie di aver letto!

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Capitolo 52
*** La guerra ***


Sopra la cresta degli alberi, si alzò e ricadde improvviso un fulmine nero e fu come se la luce creata dai lampioni nella strada fosse risucchiata per qualche secondo. Poi tornò ma più pallida e timida. I mortali non ci fecero neanche caso, ma le cacciatrici videro tutto.
“Cos’è successo?” chiese Alicia osservando il cielo slavato sopra alla città e le sue mille luci.
“Sembra che tutto abbia perso qualche tono di colore …” commentò Khloe mentre si osservava mani e vestiti.
Galene scrutò le ombre del Socrates Sculpture Park. Erano riuscite ad evacuare e tenere la zona interdetta ai civili con la semplice scusa di una fuga di gas, sembrava che nessuno volesse morire intossicato. La cacciatrice socchiuse gli occhi chiari.
“Cosa vedi?” le domandò Theodora accanto a lei.
“Quell’affare luminescente era sulla radura dove sono gli altri …” azzardò Danielle.
“Sicuro! Con la fortuna che hanno!” sbottò Khloe.
Alicia stava ancora osservando il cielo, si strinse nelle spalle e si voltò per raggiungere le altre.
Theodora aveva preso a guardarsi intorno con sospetto, era strano vederla agitata o anche solo dubbiosa.
Galene le posò una mano sulla spalla. “Vorrei anche io ancora ad aiutare, ma i mortali vanno protetti.” disse a malincuore.
“Sì …” guardò gli alberi ormai divenuti neri con preoccupazione.
Danielle si avvicinò facendo un passo avanti, stringeva fra le dita una ciocca dei suoi capelli e la guardava interessata e crucciata. “Khloe ha ragione.”
“Ah-ah!” fece allora quella. “Su cosa?” si riprese poi.
“Sui colori.” la indicò e la prese per le spalle usandola come pupazzetto dimostrativo, visto che nonostante sembrasse esile come un ramoscello d’ulivo era circa più alta di dieci centimetri della compagna. “Guardate: tu non sei castana? Allora perché vedo i tuoi capelli stranamente grigi?”
Tutte osservarono Khloe, che arrossì vistosamente, non abituata ad essere al centro dell’attenzione e un po’ offesa per la storia dei capelli grigi. “Il tuo essere Afroditea sta uscendo?” disse balbettando un poco.
Danielle le fece una linguaccia mentre la lasciava andare. “Tento di farvi notare una cosa, non c’entra il …”
“No, no! Hai ragione!” Galene ora si osservava le mani, le vesti e i capelli, la strada e i lampioni.
“Stige …” se ne uscì Alicia. “Siamo in … bianco e nero.”
Rimasero ferme immobili per circa un minuto.
Finché Thoedora non scosse la testa. “Non possiamo star qui a rimirarci, dobbiamo fare qualcosa. Questo può essere solo opera di un dio.” e fece per muoversi verso il boschetto che la divideva dal gruppo d’Assalto alla Spirale.
Ma Galene la fermò prendendola per mano. “Intendi dire che c’è un dio qui?”
“Ma non si può combattere un dio … giusto?” chiese Alicia angosciata.
“Dovremmo farlo se siamo costretti.” affermò seria e decisa la cacciatrice in bianco e nero. Poi  aprì la bocca, come per aggiungere qualcosa ma dalle labbra uscì solo un rivolo di sangue che le percorse il mento, sgranò gli occhi incredula, le sue pupille divennero pallide e lei cadde in avanti.
Galene la prese tra le braccia, le sue mani toccarono la schiena dell’amica e la sentirono umida. Se le guardò sopra alle spalle del corpo esanime di Theodora: era sangue.
Le cacciatrici estrassero le armi e tre archi argentei brillarono nella luce grigia, neanche il più forte degli incantesimi avrebbe potuto spengerne lo scintillio.
Davanti a loro si ergevano delle sagome scure, poco visibili nell’ombra, parevano umanoidi, almeno lo era quella che stringeva in mano il cuore di Theodora ancora grondante di sangue.
Una delle figure sibilò, sembrava avere la testa di serpente, un’altra fece schioccare la mascella lupesca, accanto a questa c’era una specie di uomo con le braccia tentacolari, mentre un’altra ancora muoveva la testa di coniglio con i movimenti che avrebbe fatto un piccione dando fastidio ad una specie toro con le corna biforcute. Non avevano una forma reale, ma mostruosa come se qualcuno si fosse divertito a ficcare ogni specie di animale in un frullatore e azionarlo creando solo e unicamente incubi: un nero esercito di terrificanti ombre.
Tre frecce partirono all’unisono e abbatterono un mostro. Questo però non si dissolse, come le ragazze speravano, ma si rialzò ed estrasse la freccia che gli si era conficcata in un occhio poi ruggì come un felino e scattò in avanti.
Le cacciatrici si dispersero.
Galene dovette abbandonare il corpo di Theodora per scansare le curve e seghettate zanne di una delle ombre, questa si portò via parte della sua tunica lasciandole anche un graffio superficiale al fianco.
“Galene!” la chiamò Alica e le fu accanto.
Entrambe scoccarono bloccando il secondo attacco del mostro.
“Sto bene. È solo un …”
Una mano artigliata comparve sopra alla testa bionda di Alicia; la cacciatrice fece appena in tempo a gettarsi su di lei. Finirono a terra ai piedi della creatura, ne sentivano chiaramente la presenza ma non riuscivano quasi a distinguerla dal buio che la circondava.
L’urlo di dolore di Khloe riempì l’aria come qualcosa di tangibile e distrasse tutti i mostri, ne sembravano attratti …
La ragazza cacciò un altro urlo. Un’ombra l’aveva atterrata rompendole una gamba, per questo aveva urlato la prima volta, poi la creatura doveva aver capito che il dolore le piaceva e aveva nuovamente schiacciato l’osso già rotto.
Due frecce si piantarono nella spalla e un’altra su una mano, la cosa sembrò quasi turbare le sue due teste di gallina. Danielle le fu subito sotto dove conficcò una freccia nel piede del mostro tenendolo fermo per il tempo che le servì per portare Khloe sotto il lampione, allora lei poté sedere con la schiena poggiata ad esso e continuare a scoccare frecce contro i nemici.
L’ombra che era sopra a Galene ed Alicia si concentrò di nuovo su di loro, vide il sangue di Galene e calcò a fondo la ferita con l’artiglio. La ragazza grugnì ma non emise altro suono. Il mostro si portò il dito insanguinato al mento squamato e piumato pensieroso e deluso.
Alicia ne approfittò per scivolare di lato e colpirlo con un calcio allo zoccolo facendogli perdere l’equilibrio e quello cadde sul ginocchio. La ragazza tirò via Galene, prendendola per sotto le spalle. “Se ci riuniamo alle altre saremo più al sic …” una zampata la fece volare di lato. Ricadde al suolo con un gemito soffocato, l’aria dei polmoni le era letteralmente esplosa fuori. Il mostro le fu sopra sollevò ancora una volta il suo artiglio e lo conficcò lentamente nel ventre di Alicia.
La ragazza tentò di non urlare ma alla fine non poté che cedere e il suo urlo bloccò tutta la mandria di mostri, distogliendoli da ciò che stavano facendo. Iniziarono a muoversi verso di lei.
“No … no, no, no, no!” Khloe era nel panico e fissava la scena impotente poi tese l’arco.
“Ferma! Rischi di colpire Alicia o Galene!” la bloccò Danielle.
“Cosa facciamo allora?!” aveva le lacrime agli occhi.
Danielle non seppe rispondere.
Alicia urlò ancora poi gridò Galene.
Khloe batté i pugni a terra, il movimento le procurò una fitta alla gamba rotta e gemette. “Il dolore …”
Danielle si voltò e la fissò spaventata.
“Sono attratti dal dolore!” ripeté più precisa e visto che l’altra non diceva niente continuò: “Fammi male!”
“Sei pazza!?” sbottò allora la cacciatrice.
“No! Avanti! Colpiscimi la gamba! Loro si distrarranno e potrai salvare le ragazze!!”
Ancora non si muoveva.
“Se non lo fai tu: lo farò da sola!” estrasse una freccia dalla faretra e la conficcò nella gamba, ignorando le urla di Danielle, il suo urlo riverberò ancora nell’aria.
“Pazza!! Folle! Perché!?” si gettò su di lei per aiutarla e toglierle di mano la freccia.
“Si … si stanno muovendo?” chiese Khloe con un filo di voce, era pallida, il volto praticamente bianco, e madida di sudore.
Danielle si voltò: tutti i mostri si stavano davvero dirigendo verso di loro. “Sì … vengono …”
“Splendido!”
“Era sarcasmo?” chiese con una punta di panico incredulo.
“Mi sono … mi sono appena resa conto che stanno venendo qui.”
Una delle ombre era vicina, solo i tre metri o poco più del cono di luce grigiastra gettata a terra dal lampione sopra di loro le divideva da lei, ma non si avvicinò oltre.
“Non avanza … a causa della luce …”
“Scomparirebbe se ci entrerebbe.” annuì Danielle recuperando un po’ della sua tenacia. “Secondo te riesco ad arrivare da Alicia e Galene?”
Khloe non rispose, deglutì e si asciugò la fronte con il dorso della mano. “Vai, io li distraggo.”
“Khloe, non devi per forza …”
“Faremo così, avanti.” e fermò altre proteste con un movimento scocciato e stanco della mano, poi strappò parte della tunica con cui coprì la ferita e ci legò la freccia così da poterla usare per fare più forza e stringere meglio la fascia intorno alla gamba. Le sue mani si tinsero di grigio scuro, il colore del sangue in quella strana ed assurda realtà. Con la manovra che si apprestava a fare avrebbe fermato l’emorragia e bloccato l’osso rotto, così da evitare complicazioni dopo, ma avrebbe fatto parecchio male. “Pronta.” la cosa suonò alle sue orecchie più come una domanda che come un’affermazione .
Danielle le scoccò un’occhiata apprensiva poi si voltò verso le ombre che non capiva più a chi dover dare la caccia.
Lo straziante urlo di dolore le diede il via. Scattò in un varco tra le gambe antropomorfe dei mostri e in fretta individuò Galene a terra.
“Cosa ci fai qua in mezzo?! Vai ad aiutare Khloe!” le urlò.
“Non ce n’è bisogno.”
Un altro urlo.
Danielle serrò gli occhi e sospirò: “Lei li sta distraendo.” aveva la voce rotta.
“Andiamo allora. In fretta.” Galene fece per rialzarsi ma le ginocchia le cedettero. Aveva una ferita all’addome e un’altra zigzagante alla spalla.
La cacciatrice la aiutò a reggersi in piedi, passandole un braccio dietro la schiena. “Dov’è Alicia?”
Gli occhi chiari ed ingrigiti di Galene corsero qualche metro più in là: oltre ai piedi dei mostri, scorsero la mano della ragazza, era macchiata da schizzi di sangue nero e aveva assunto una irreale posa rilassata.
Per poco le due non caddero a terra, riuscirono a tornare al lampione con lentezza, stando attende a non attirare l’attenzione dei mostri.
Khloe sorrise debolmente vedendole arrivare, quando capì che erano solo in due iniziò a piangere in silenzio. Galene le si sedette accanto mentre Danielle si occupava delle ferite di entrambe.
“Gli altri staranno bene?” chiese quando ebbe finito.
Khloe si era assopita con la testa poggiata alla spalla sana di Galene. “Davvero, non lo so.” rispose lei.
 

Le tre forme di pietra si erano schiantate sul ponte della chiatta contorcendone il metallo sotto il loro peso.
I semidei caddero al suolo a causa del colpo che scosse l’intero corpo della nave.
“Percy, alzati!” imperò Blackie faccia a terra.
“Pensa per te!” replicò il ragazzo. “Ma che diavolo è stato? Per gli dei!! Sono grigio!”
“Siamo tutti grigi …” notò Fran poi alzò lo sguardo sulla porta. “Vado a vedere fuori.” affermò.
“Noooo!! Aurea ha detto che devi restare qui!” la fermò Ginny aggrappandosi al suo braccio.
“Daaiiiiii!!! Ti pregoooooo! Non ce la faccio a stare feeeermaaaa!!”
“No! Ho detto! Ferma!”
Un’altra scossa percorse la nave.
Sul ponte la lotta era iniziata: Grover si era accanito sul primo soldato di terra ma era stato scagliato contro il parapetto e aveva battuto la testa perdendo i sensi.
I soldati avevano abbandonato le lance per usare le spade in un combattimento ravvicinato e a loro favore.
Greenie e Aurea combattevano vicine tentando di coprire la porta della torre di comando e riuscendoci a stento.
“Porco Cal!!” imprecò Greenie schivando per un soffio un affondo di un soldato.
“Che vai dicendo?!” chiese Aurea e scoccò due frecce in testa ad un altro.
“Ah … eeeeehmm … niente!” la ragazzina saltò in altro, sfruttando delle casse di legno dietro di lei, abbassò la lama dell’alabarda sulla mano che reggeva la spada di uno dei soldati e ci rimase appesa. “No, he!!”
Aurea rotolò in avanti, fuori dalla portata di un attacco di spada, e scoccò una freccia, colpì il polso già incrinato sul quale si era accanita Greenie e questo si staccò di netto facendo cadere a terra anche la spada.
La ragazza cadde assieme alla terra. “Ahi …”
“Via di lì!”
L’urlo della cacciatrice la fece scattare ed evitare di essere calpestata. Aurea tirò un sospiro di sollievo ma fu colpita alle gambe con il piatto della spada di uno soldato.
Il guerriero senza mano saltò oltre di lei, arrivando alla porta di ferro e la sfondò entrando nello stretto corridoio che conduceva alla sala dei comandi.
La ragazza tossì e si rimise in piedi, le frecce le erano cadute dalla faretra finendo sparse un po’ ovunque intorno a lei.
Greenie urlò per la sorpresa: era stata sollevata in aria da un altro guerriero che ora la stava sballottando in aria, lei lo colpiva alla testa e sulle spalle con la sua alabarda ma quello non la mollava. Lo fece solo quando fu vicino alla cacciatrice, Greenie fu lasciata cadere su Aurea, poi le superò entrando nella torretta.
“Ahio … ohia … questo domani farà molto male.”
Le due si rimisero in piedi.
“Siamo nella merda, vero?” parlò ancora Greenie guardando le spalle del soldato muoversi goffamente nel corridoio.
“Più di quanto non voglia ammettere …” ammise Aurea osservando quello sul ponte davanti a loro.
La cacciatrice recuperò cinque frecce e ne scoccò subito una, ad una velocità strabiliante; la semidea ne approfittò per scattare ed attaccare direttamente una gamba del nemico, cosa che non fece altro che innervosirlo. Quello sferrò un calcio, lei saltò più in altro che poté e, mettendo l’alabarda sotto di sé, ci atterrò sopra pestando i piedi con forza.
La gamba si frantumò all’altezza del ginocchio.
La figlia di Atena atterrò pesantemente tra le macerie e si udì il rombo di un'esplosione e il tremore dell'onda d'urto.
"Non sono stata io!" si affrettò a dire la giovane.
Aurea si voltò: una parte della torre di comando era esplosa ed un denso fumo grigio si sollevava sopra le loro teste. "Greenie, va a vedere!"
Greenie guardò prima la ragazza, il guerriero di pietra che si stava rialzando ed infine il fumo.
"Ora che hai perso tempo: VA!"
Greenie corse dentro terrorizzata più dalla sorella che da altro.
Aurea osservo il fumo, qualcosa brillò al suo interno: un civetta.
"Fran ..." era preoccupata e arrabbiata, le aveva detto di starsene buona, ma adesso doveva affrontare il suo avversario. Si voltò.

- POCHI ISTANTI PRIMA -

I colpi sconquassavano la porta di ferro chiusa della sala di comando.
Fran e Ginny erano avanti, armate, la figlia di Afrodite era in posizione di difesa, i guanti di ferro alzati, mentre quella di Atena faceva roteare la catena nell’aria. Dietro di loro Blackie aveva estratto dalla tracolla una balestra semiautomatica e copriva Percy che controllava la stabilità della chiatta, cosa che gli costava energie e la possibilità di agire, suo malgrado, ma la ragazza dai capelli neri e arancioni, adesso divenuti inspiegabilmente neri e grigio chiaro, era stata chiara ‘NON DOVEVA MUOVERSI’ altrimenti avrebbe perso le coordinate della Spirale e addio piano per la salvezza del mondo.
Un pugno di terra creò un buco nella porta e vi rimase incastrato.
“Cosa Stige sta …” le parole le morirono in gola, Fran fece un passo indietro quando quello che pareva un moncherino piegò il ferro in due assieme all’aiuto di un altro paio di mani.
Due grandi soldati di terra entrarono nella sala dei comandi, ingobbiti e goffi. Ad uno mancava una mano ed era disarmato, l’altro aveva crepe e spaccature su testa, collo e spalle come se qualcuno lo avesse preso a randellate.
“Porco Cal.” aggiunse ancora la figlia di Atena.
“Sono in svantaggio, non possono muoversi bene qui dentro …” disse Ginny.
“Ma neanche noi.” la smontò Blackie.
Percy mugolò impotente.
Fran si voltò di scatto e ficcò le mani nella tracolla della figlia di Efesto che non appena aprì bocca per protestare le ordinò: “Copri Ginny!”
Una raffica di dardi bloccò il primo attacco dei guerrieri.
“AH!” Fran alzò un pungo al cielo.
“No! Hei! Che hai preso!?”
La ragazza corse in avanti incurante dei richiami e per poco non andò a sbattere contro Ginny. “Oh, scusa, sai ancora non capisco molto bene le distanze.” poi la prese per una spalla. “Ti lascio quello disarmato.” disse seria poi staccò la linguetta della granata che aveva in mano, attese un istante e la lanciò verso il soffitto.
L’esplosione scosse l’intera nave.
La figlia di Atena lasciò che Steel prendesse forma e uscisse dallo squarcio formatosi. La seguì saltando sul corpo del soldato con la spada, gli legò un cappio intorno al collo con la catena e saltò fuori, arrivando sul tetto.
“CHE-ESIBIZIONISTA-DEL-CAZZO!” il rimprovero di Ginny fu addirittura più forte della confusione che il bestione di terra fece per seguire la sua avversaria al piano di sopra.
La ragazza avrebbe voluto seguire Fran per schiaffeggiarla per bene, ma bene, un paio di volte, o più ma l’altro soldato le si parò davanti e sferrò un pugno da sinistra.
Ginny si gettò a terra e lo schivò, si rialzò e schivò un altro attacco del moncherino che distrusse metà dei comandi della nave.
Percy non si mosse e la chiatta neppure.
La figlia di Afrodite corse in avanti, arrivando sotto il mento del guerriero, allora sferrò un montante in salto. Il colpo fu abbastanza forte da far ribaltare al’indietro la testa di terra e a coglierlo di sorpresa; l’umanoide barcollò un po’ poi finì in ginocchio. La ragazza colse l’opportunità e gli mollò un diretto alla mascella che si staccò frantumandosi, lasciando in bella vista la bocca senza lingua.
Ginny urlò qualcosa di incomprensibile a dei decibel che solo i cani avrebbero potuto sentire e balzò all’indietro.
“Wow! Bella mossa!” si complimentò Blackie.
La figlia di Afrodite la guardò con gli occhi sgranati. “Non lo farò MAI PIU’! CHE ORRORE!”
E la ragazza in nero non seppe che rispondere.
Il guerriero d’altro canto sembrava piuttosto arrabbiato e raccapricciante con la testa ridotta a quel modo, i suoi occhi, adesso divenuti argentei e non più rossi, scintillarono maligni, lui si rialzò e caricò un altro sinistro portando indietro il braccio.
Gli si conficcò una lama larga poco sotto al gomito. “Hei! Chi lo ha fatto incazzare così!?”
Il soldato sollevò il braccio e Greenie ci rimase appesa, di nuovo.
“E che palle!” mugolò.
Fu scagliata contro Ginny, che però la schivò e riprese ad avanzare. Intanto la figlia di Atena era finita addosso a Percy: la chiatta ebbe uno scossone e per poco tutti non caddero a terra.
“Per tutte le fornaci vulcaniche!” Blackie prese per il colletto della maglia grigiastra la ragazza. “Fallo ancora e ti faccio esplodere una bomba in faccia.”
“Potrebbe migliorare.”
“Percy, zitto! O faccio esplodere anche te!”
“Sì! Blackie! Facciamolo!!” Greenie aveva lo sguardo folle delle idee geniali che veniva a tutti i figli di Atena sovraeccitati.
Percy si spaventò. “COSA?”
Ginny urlò di rabbia: aveva afferrato l’avambraccio del soldato, grande quasi quanto il suo busto,  e lo stava tirando con tutte le sue forze. Dopo poco iniziò a scricchiolare e tremare tutto ed il braccio si ruppe dove Greenie già lo aveva intaccato, e la figlia di Afrodite lasciò cadere a terra almeno novanta kili.
La ragazza bionda la raggiunse e la aiutò a retrocedere. “Non sapevo che fossi così forte!”
“Sciocca! Posso fare tutto, io!” anche le se gambe le tremavano e i muscoli delle braccia le andavano a fuoco.
Blackie era a terra a rovistare nella sua borsa, ne estrasse due bombe a mano.
“Ma che?!” fece allarmata Greenie.
“Non era questo che intendevi?”
“Sì … non ne hai di più?”
“Ne avevo tre! Ma TUA SORELLA ne ha usata una per fare quello!”sbottò indicando il buco sul soffitto.
Lo spazio di cielo fu coperto dalla mole del soldato.
“Forza! Che c’è da fare?!”domandò Ginny.
Greenie le passò una bomba. “L’idea era quella di farlo saltare in aria piantandogliele nel corpo.”
“Bene. Lo faccio io.”
“Che!? NO! Ti aiuto.”
“Scordatelo!”
“Perché!?” protestò la spilungona facendosi grossa.
“TRE MOTIVI!” Ginny le si fece sotto e nonostante la differenza sostanziale nel conteggio dei centimetri totali la ridimensionò in un attimo. “UNO: la tua arma è a terra, sei disarmata e non riusciremo a riprenderla senza prenderne! DUE!” le prese di mano l’altra granata. “Se ti fai male, o peggio, Fran prima ammazza te! Poi me! TRE!” iniziò ad avanzare verso il soldato staccando le linguette delle sue armi che teneva una in ogni mano. “Se non ne faccio fuori almeno uno, quella rompi palle mi prenderà in giro finché campo!!” saltò. Il primo diretto andò a segno, si conficcò nel suo palato, Ginny si liberò dal guanto; atterrò e sferrò il secondo colpo nel basso ventre e anche questa volta ci lasciò il guanto con la bomba chiusa nel pungo.
“VIA!” sentì urlare Blackie, stava estraendo uno scudo spartano dalla tracolla.
Ginny saltò all’indietro e si voltò.
La detonazione la prese alla schiena, fu scagliata contro i vetri della sala finendo sulla prua della nave.
Quando il rumore cessò si senti urlare: “GINNY!” al di là della coltre di polvere e terriccio che ricopriva l’intera stanza.
Fran e Aurea ne emersero correndo.
Aurea fu più veloce. “Vado io da lei! Tu sistema qui!”
Fran si bloccò, era più pallida del solito, ma poteva anche sembrarlo solo a causa del cambiamento dei colori; aveva il braccio sinistro inerte lungo il fianco e una striscia di sangue fresco che andava dalla fronte al mento, passando da sopra la benda sull’occhio.
“Cosa ti è successo?!” esplose Greenie.

- ECCO COS’ERA SUCCESSO AD AUREA E FRAN –

Aurea si voltò per affrontare il suo avversario.
Il soldato era in difficoltà a causa della gamba mancante ma riuscì a mettersi in ginocchio e ad afferrare delle zolle di terra che prima componevano il suo stesso corpo e le scagliò contro la cacciatrice. Lei riuscì a schivarne tre prima che una quarta ed una quinta la colpissero alle gambe, facendola finire a terra, faccia avanti. “Ahi … che male.” brontolò poi, uno spostamento d’aria sopra la sua testa la mise in allarme, rotolò di lato evitando di rimanere schiacciata dal palmo del soldato. Si fermò, schiena a terra, sotto la testa del nemico che si piegò a guardarla: scoccò due frecce, appena raccolte da terra, che si conficcarono in uno degli occhi luminescenti. Mentre lui tentava di togliersele, Aurea si rialzò e si allontanò abbastanza da essere sicura di non poter essere afferrata e stritolata dalle grandi mani di terra.
Adesso la ragazza era molto vicina alla torre di prua, poteva sentire la confusione all’interno e gli stridii e sferragliamenti del duello che si stava svolgendo sul tetto.
Fran aveva ingaggiato battaglia con l’ultimo dei tre guerrieri e stava decisamente perdendo, quasi. Aveva iniziato a spingere l’avversario verso il bordo del tetto, per farlo finire fuori bordo, ci era quasi riuscita con l’aiuto di Steel, ma sembrava che il suo avversario de ne fosse accorto e era saltato sopra di lei, superandola, ora la situazione si era ribaltata.
Il guerriero abbassò la lama scura, la figlia di Atena fece una corsa per schivarla ma si allontanò più di quanto avrebbe voluto, Steel stridette nel cielo grigio della notte. “Sono ridicola, sì!!”
La realtà è che era stanca, troppo, ancora non capiva bene la profondità e l’occhio le si appannava in continuazione; iniziò a pensare seriamente che Aurea avesse ragione sulla sua convalescenza. Scosse la testa per allontanare il pensiero: anche fosse stato davvero, adesso era decisamente controproducente pensarci. La sua catena era ancora intorno al collo dell’umanoide terroso, però sembrava tenere la testa inclinata un po’ all’indietro, forse grazie a tutte quelle crepe e intaccature era riuscita a fargli un danno non di poco conto … ma adesso era disarmata, poteva solo schivare e sperare di prender bene le misure. Prese mentalmente appunto di auto flagellarsi per tutte le colte che si era cacciata nei guai facendo tutto da sola.
Il soldato iniziò ad avanzare sicuro verso di lei.
Fran fece un passo indietro ed urtò qualcosa con il piede: era un pezzo di ferro acuminato, un bordo era frastagliato e l’altro liscio, doveva essere saltato via dopo l’esplosione. Lo raccolse e scartò di lato.
Il nemico la seguì con la spada facendola cadere, si voltò supina e vide che l’altro le era sopra e stava per schiacciarla con il piede. Sollevò il pezzo di lamiera verso l’alto e recise parte del piede, riuscendo a colpire anche parte della gamba.
Steel scese in picchiata contro la faccia del soldato graffiando e spingendo all’indietro, ed il guerriero cadde.
La figlia di Atena si rialzò, si guardò le mano: erano rosse e scorticate, bruciavano da impazzire.
Un colpo ed il suono di ferro squarciato attirarono la sua attenzione, corse verso il bordo della torre che si affacciava sul ponte e vide l’avversario di Aurea che si stava rialzando usando la spada come stampella.
Si voltò verso il suo: anche lui si stava riprendendo, sembrava piuttosto malconcio e zoppicava ma poteva comunque tranquillamente lanciarla fuori bordo, infilzarla, spiaccicarla, tagliarla in due e tante altre belle cose che sul momento non le vennero in mente.
Uno scossone della nave per poco non la fece cadere di sotto, proprio addosso ad Aurea.
La cacciatrice alzò lo sguardo in cerca di una spiegazione e la vide, con un anfibio che le pendeva sopra la faccia.
Fran salutò in imbarazzo: sapeva di aver disubbidito alla sorella, ma purtroppo non aveva pensato alla sua reazione, almeno non fino a quel momento. “Scusa, è stata un’emergenza!” le urlò.
“E lo è davvero, per tua fortuna!” replicò l’altra.
Entrambe dovevano fronteggiare qualcosa contro la quale le loro armi erano praticamente inefficaci ed erano letteralmente spalle al muro.
“Che si fa?” chiese la ragazza con la maglia di BatMan.
“Ah-ah … odo il suono del panico nella tua voce?”
Fran inclinò la bocca in una smorfia e tirò fuori la lingua poi disse: “Forse.”
I soldati erano in piedi adesso e si stavano avvicinando.
Le due si scoccarono una fugace occhiata: “Schiantiamoli l’uno contro l’altro.”
Fran sorrise pazza mentre Aurea sogghignava corrugando la fronte e sperando in bene.
“Io tengo fermo il mio.” disse.
“Io faccio imitare Lara Croft a questo …”
La cacciatrice raccolse tre frecce e ne incoccò una, attese che il guerriero senza una gamba si fosse avvicinato un altro po’ poi scoccò: la freccia si conficcò nella mano che reggeva la spada ancorandocela. Fece partire un’altra freccia verso l’occhio ancora integro.
Il soldato fece uno strano rumore e si portò la mano libera al volto.
L’ultimo colpo gli si piantò nel dorso.
Il soldato compì un movimento confuso e perse l’equilibrio finendo steso molto vicino alla torre.
Aurea sollevò lo sguardo: Fran non era più sul bordo, ma vide Steel scendere in picchiata contro una testa di terra.
La civetta colpì da destra, lui tentò di scacciarla con la spada; la figlia di Atena scattò ed afferrò la catena che pendeva sul petto polveroso del suo avversario e gli corse intorno, aggirandolo. Quello non poté che seguirla preso in contropiede e incapace di mantenere l’equilibrio.
Fran si gettò di sotto con il guerriero che la imitava, ma prima di finire sul ponte si schiantò contro il bordo.
La ragazza subì il colpo: il braccio con cui teneva la catena fu tirato all’inverosimile e fece un’inquietante scricchiolio sordo; lei non ebbe neanche il tempo di urlare perché cadde di sotto, addosso ad Aurea.
Intorno a loro i detriti e la polvere continuavano a cadere ricoprendole come fossero stati zucchero a velo.
“Prima Greenie! Ora tu! Per Artemide!! Non sono un cuscino!!” si lamentò la cacciatrice.
Fran rise ma non si rialzò. “Scusa …”
“Oh … tutto a posto?” Aurea si alzò e vide che aveva una striscia di sangue lungo il volto, probabilmente un detrito doveva averla tagliata.
“Non lo so … non mi sento più il braccio.”
Steel atterrò goffamente vicino alla sua testa e si mosse in modo strano, mostrando di non riuscire a piegare l’ala sinistra.
Aurea si affiancò alla ragazza e le osservò il braccio sinistro: c’era un’innaturale protuberanza all’altezza della spalla. “Riesci a muoverla?”
“No … non lo so, non ci voglio provare.”
“Okay …” sfiorò la zona.
La ragazza a terra digrignò i denti e soffiò. “Allora dottore? Sto per morire?”
“Bene, è lussata.”
“Qual gioia …” sospirò Fran. “Risistemami.”
La cacciatrice non si mosse.
“So che sai farlo, so che puoi.” la sua voce era implorante.
C’era ancora confusione nella sala dei comandi, dovevano andare ad aiutare.
Aurea era combattuta, più aspettava più Fran sarebbe peggiorata, ma la manovra comportava dei rischi, cosa sarebbe successo se qualcosa fosse andato storto? Sospirò rumorosamente. “Alzati.”
La sorella le sorrise debolmente e ubbidì.
Aurea le prese il braccio e se lo passò sopra alla spalla, dandole la schiena. “Pronta?”
Fran mugolò una risposta affermativa e strinse i denti, cosa che non le impedì di imprecare quando l’osso tornò al suo posto. La cacciatrice fece leva con il suo braccio e la sollevò da terra, la gravità fece il resto. Ci fu uno schiocco attutito e la ragazza tornò a terra. “Una … passeggiata …” ansimò scivolando a terra.
“Il tuo sarcasmo mi impressiona …” Aurea le posò una mano sulla testa comprensiva.
La scenetta fu interrotta dell’esplosione in sala comandi.
Le due scattarono ed entrarono tra le macerie.
“GINNY!” Fran la vide al di là dei vetri rotti.
“Vado io da lei! Tu sistema qui!” le fece Aurea correndo più veloce.
“Cosa ti è successo?!” esplose Greenie.
 

Sonny raggiunse Sue più in fretta che poté mentre il kere finiva di prendere forma.
Il mostro avventò su Clarisse così velocemente che la ragazza non ebbe il tempo di alzare la sua lancia per difendersi, e l’arma volò via conficcandosi nel terreno, non riuscì neanche a pensare di schivare. Fu sbalzata via finendo contro un solitario arco a botte composto da una riproduzione in alluminio di carta di giornale, e non si mosse più.
Irma andò da lei, non poteva combattere avendo esaurito ogni energia nello scontro magico con Isis, o quello che era; trovò la figlia di Ares svenuta, non sembrava volersi riprendere ma almeno respirava.
Il kere posò i suoi occhi rosso brace su Sonny e Sue che erano come bloccate, armi in pugno, quasi si fossero dimenticate come usarle.
“Porca trota …” disse a denti stretti la figlia di Apollo, poi guardò l’amica acanto a lei.
Sue le restituì lo sguardo e capirono che dovevano combattere, liberare l’anima di Phill e dare una possibilità di riuscita all’intera impresa.
Si divisero: Sue corse aprendo a destra e facendo ruotare la sua asta a doppia lama; Sonny scattò in avanti diretta contro il kere. Il mostro di lamiera modellò le dita in artigli affilatissimi e tentò un affondo. La ragazza riuscì a fare un ulteriore scatto in avanti, rotolando ed evitando l’attacco, poi sfruttò la velocità ottenuta e protese le braccia con le accette impugnate al rovescio, così da avere il manico contro l’avambraccio e le lame verso l’esterno, e poter mettere tutta la forza che aveva nel colpo. Lacerò i cavi che consentivano i movimenti delle gambe del kere che finì in ginocchio.
Sue aveva continuato a correre ed ora era abbastanza vicina: affondò una lama nella gamba piegata del mostro.
Il kere si voltò verso di lei di scatto.
La figlia di Dioniso capì: l’aveva fatto apposta.
Fu afferrata da una mano di ferro gelido, fu costretta a lasciare la sua arma piantata dov’era, e pensò che sarebbe finita stritolata in quella morsa d’acciaio, invece il kere la scaraventò contro Sonny che si stava rialzando poco più in là.
Poi fu su di loro in un lampo, era più veloce di qualsiasi cosa avessero mai affrontato.
Sue era ancora a terra, le doleva una caviglia a causa dell’impatto; al mostro non sfuggì la sua debolezza, la attaccò subito.
Sonny intercettò il colpo del mostro, piantandosi davanti all’amica con le accette a bloccare gli artigli affilati. “SUE!” urlò sopra al fracasso che faceva l’uomo di lamiera muovendosi. “VA VIA!”
La ragazza osservò le braccia dell’altra tremare nello sforzo di contrastare l’incredibile forza dell’avversario.
Rotolò all’indietro sull’erba lievemente umida, con la coda dell’occhio, durante il movimento, scorse la lancia di Clarisse conficcata a terra. Un’idea la fulminò: Magari l’elettricità dell’arma può interferire con la corrente del kere!, iniziò a correre. “Sonny! Resisti più che puoi! Tienilo fermo!”
“N-niente di più facile …” ringhiò quella piegando lievemente la testa, così da spostare un ciuffo di capelli neri che le si era appiccicato alla fronte imperlata di sudore.
Il kere aumentò la pressione di su lei. Sonny urlò di dolore e per farsi forza, la macchina contro cui stava combattendo possedeva l’anima di un suo caro amico, del suo mentore, Phill era stato praticamente un padre per lei … per la sfortuna del momento, il satiro era anche uno dei migliori combattenti che avessero solcato la terra. Il mostro aumentò ancora la forza con cui la stava schiacciando, fu una cosa così improvvisa che la ragazza fu presa alla sprovvista, l’aria le uscì dai polmoni tutta insieme e crollò in ginocchio, ma riuscì a mantenersi abbastanza salda da non consentire al nemico di sopraffarla.
“Ares concedimi la forza di un tuo figlio …” Sue impugnò in quel momento la lancia della figlia di Ares, tutto il suo corpo fu attraversato dall’elettricità magica dell’arma. Un altro urlo la costrinse a voltarsi: il kere aveva spinto Sonny allo stremo delle sue forze, un braccio le aveva  ceduto ed un artiglio della mano del mostro le si era conficcato in una spalla. Si costrinse a muoversi nonostante la sensazione assurda che aveva addosso, tornò indietro, correndo e corse più velocemente di quanto non avesse mai fatto. Fu addosso al kere nella metà del tempo che pensava di dover impiegare. Conficcò con forza la lancia nella mano metallica che stava schiacciando Sonny.
L’essere  tremò, dalla sue giunture scaturirono piccole scintille ed iniziò a muoversi a scatti.
“Andiamo!” Sue si riprese la sua arma estraendola dalla lamiera ed aiutò l’amica ad alzarsi e ad allontanarsi il più possibile; lasciando la presa sull’arma di Clarisse sentì che la sensazione di forza che l’aveva accompagnata nell’assalto stava scemando in fretta, così com’era venuta, una pesante stanchezza prese il suo posto.
“Quell’asta è portentosa!” fece Sonny una volta che si furono fermate, si teneva la spalla ferita.
“Sarà … ma non la so usare nel modo giusto … mi ha distrutta.” Sue ansimava per lo sforzo, parlare le risultava difficile.
La figlia di Apollo le diede una lieve gomitata con il braccio sano. “Avanti.”. Si voltò verso il kere, che ancora tentava di estrarre la lancia elettrica dalla mano, e lanciò una delle sue accette, piantandola nel cranio del mostro. “Stacchiamogli la testa.” sorrise selvaggia.
Sue sorrise di rimando. “Avanti … e per le Trote!” fece con un po’ di convinzione in più rispetto al solito.
La ragazza le porse la mano. “Per le Trote.”
Si strinsero in un mezzo abbraccio e dissero insieme: “Padre proteggimi.”
Poi partirono: Sonny in testa, Sue immediatamente dietro.
Il kere si muoveva ancora con difficoltà.
La figlia di Apollo sfruttò la gamba a terra del mostro per saltare più in alto e arrivare allo stesso livello della testa. Sue arrivò scivolando sull’erba pronta a scattare.
Sonny attaccò e la sua accetta dorata penetrò a fondo nella giuntura del collo che sprizzò scintille e sfrigolò. La ragazza sapeva di dover saltare via e lasciare che l’amica completasse l’opera, ma la corrente che teneva in piedi il grande corpo metallico arrivò a lei tramite la sua arma e la bloccò sul posto.
Il kere si mosse fulmineo e i lunghi artigli della sua mano trapassarono il corpo inerme di Sonny, trascinandola a terra, verso la figlia di Dioniso.
Sue lanciò il suo bastone a doppia lama con tutta la forza che le era rimasta, quella si conficcò nella breccia aperta da Sonny e la testa di ferro iniziò a cadere. Ma non c’era modo di bloccare il colpo sferrato dal kere: la ragazza fu schiacciata dalla lamiera che lentamente tornava ad essere solo un ammasso di ferri vecchi.
Chi aveva assistito alla scena rimase immobile finché la terra non smise di tremare sotto i suoi piedi. Selena e Mason sembravano come pietrificati, il ragazzo ancora stringeva le spalle dell’altra per trattenerla dal combattere, ma adesso la sua presa era meno decisa, praticamente inesistente. La ragazzina aveva gli occhi sbarrati, la testa le esplodeva eppure non stava pensando a niente, non ci riusciva, non poteva. Si fece avanti tremando. Un passo dopo l’altro, si avvicinò ai rottami del mostro. Riuscì a scorgere per un attimo i corpi immobili delle due ragazze: erano stese l’una accanto all’altra, le teste poggiate su un lato, così da far credere che si stessero guardando.
Per un istante Selena pensò che potessero rialzarsi: Sonny le avrebbe dato una pacca sulla spalla e le avrebbe detto di muoversi, mentre Sue avrebbe sorriso e l’avrebbe incoraggiata ad andare avanti e a farsi valere.
Ma non lo fecero e non lo avrebbero fatto
Una lacrima le scivolò sul volto.
Poi le sembrò davvero di impazzire, le sembrava che le lamiere le stessero per divorare; si asciugò gli occhi in fretta e si gettò sui pezzi di ferro per spostarli ma si fermò con uno ancora sospeso a metà tra il terreno ed il suo gesto.
Non era il metallo a variare la sua forma, erano  i corpi delle due ragazze che stavano mutando come plasmati da mani invisibili: diventavano più piccoli, mentre le braccia assumevano una strana posizione arcuata e sembrava che si allargassero diventando più grandi rispetto al resto del corpo; al contempo le gambe iniziavano a rimpicciolire sempre più, fino a diventare esili, sottili; in alto i volti assumevano lineamenti affilati, le labbra ingiallivano e si protendevano in avanti, i capelli si riunivano il ciocche spesse e  cambiavano colore e consistenza. Tutto questo dapprima accadde lentamente, la mano dell’artista sembrava fosse indecisa sul da farsi, poi, come se avesse capito tutto , ad una velocità strabiliante, con fluidità e morbidezza; l’unica cosa che restò perfettamente immobile in tutto quel divenire furono gli occhi: il caldo nocciola rassicurante di Sue e l’imperscrutabile celeste provocatorio di Sonny.
Selena fece un passo indietro, incredula ed inorridita al tempo stesso. Seguì con lo sguardo le sue amiche che prendevano il volo, trasformate in due piccole rondini.




Se volete: https://www.youtube.com/watch?v=k3QzERACr-Q
La sentivo mentre scrivevo e la ritengo piuttosto adatta.

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Capitolo 53
*** Il Seme della Discordia ***


Selena fissava il cielo divenuto nero, ogni colore del mondo sembrava essersi spento. Non c’erano suoni, solo silenzio, il battito forsennato del suo cuore ed il rombo del sangue nelle sue orecchie.
Degli occhi grigio chiaro le si piazzarono davanti, delle mani grandi ma delicate le si posarono sulle spalle. Si sentì chiamare sopra a quel frastuono, poi tutti i rumori tornarono e lo sguardo le si allargò.
“Selena! Per gli dei! Rispondi!”
“Mason …”
“Grazie Zeus!” il ragazzo si passo una mano tra i capelli castani arruffandoli. “Tutto bene?”
La ragazza abbassò lo sguardo sui rottami ai suoi piedi. “Io …” gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Hei … guardami.” Mason le sollevò il mento e lei tornò a fissarlo. Uno strano calore iniziò ad irradiarsi dalle mani che la toccavano: era rassicurante e calmo, colmo di una tristezza infinita ma carico di speranza. “Non sono morte. Si sono sacrificate e sono diventate altro. Capisci?”
No, non capiva, non voleva capire. Voleva solo che tornassero indietro, che tutto quello finisse …
“Selena, gli dei sono stati clementi: sono morte in battaglia e sono state ricompensate.”
La mente della ragazza si era schiarita. Capiva di essere stata stupida ad avere fiducia negli dei, era stata stupida nel credere che quella missione di salvataggio sarebbe finita bene, ed’era stata stupida ad aver coinvolto le altre in una cosa che avrebbe dovuto fare da sola fin dall’inizio e adesso aveva perso troppo … non voleva perdere anche lui.
Scansò le mani del figlio di Eros con un gesto brusco e iniziò a correre verso il carro e la Spirale, che ora sembrava circondata da un alone di fumo più che da una luminescenza lattea. Non vedeva Alec, era certamente nascosto dalla struttura, non si era esposto neanche per assistere allo scontro. Saltò sul cassone del carro e infilò su per le scalette laterali.
Mason le era dietro, aveva intuito il cambiamento in lei non appena l’aveva presa per le spalle, non era servito il suo tentativo di calmarla. Al contrario: sembrava che l’avesse fatta scattare.
Una volta in cima alle scale, proprio sopra alla cabina di guida della vettura, poterono vedere ciò che stava accadendo: Alec era in piedi dal lato opposto al loro, era bianco in volto, le occhiaie scure ancora più marcate e lo sguardo apatico, solo quando scorse Selena ci fu un piccolo cambiamento, che però fu offuscato dalla luce nera emanata da una figura dalla forma vagamente umanoide con i contorni in continuo movimento, era di un color grigio scuro quasi luminoso, ma sembrava che stesse mangiando la luce intorno a sé piuttosto che emetterne, ogni tanto sulla superficie scura, scintille di elettricità guizzavano e scoppiettavano sibilline.
Mason fece un passo indietro, verso le scale. “Ma cosa …”
L’essere si voltò, i movimenti erano lenti e lasciavano una scia brillante nell’aria, sembrava fosse sott’acqua. “Ecco che arriva la cavalleria!” la sua voce era meccanica e stridente, acuta con un chiaro e calcolato tono sardonico. “Non vedevamo l’ora! Vero, caro?” si rivolse nuovamente ad Alec.
Il ragazzo serrò la mascella e si rabbuiò. “Non dovreste essere qui.” borbottò. Poi si rivolse alla creatura: “La Spirale sta per attivarsi, mancano solo pochi minuti, dovreste andarvene Madre.”
La cosa rise metallica.
“Madre?” Selena parlava appena, l’unica cosa che voleva era raggiungere Alec ma in mezzo a loro c’era quell’essere che la terrorizzava e ad ogni sua parola quella paura diventava sempre più profonda, e lei si sentiva senza speranza. Deglutì a fatica e tentò di alzare la voce: “Che significa, Alec?”
“Senti che vocina!” schioccò la creatura. “È spaventata, piccola …” il tono era  comprensivo ed irrisorio al tempo stesso, le diede le spalle e si incamminò verso Alec. “La figlia di Zeus …” parlava con fare molto teatrale come volesse soppesare l’idea dietro le parole piuttosto che le parole stesse. “Facevo bene a dirti di lasciarla perdere, di  dimenticarla … non è niente, quello che provi passerà, non esiste niente di duraturo a questo mondo.”
“Per questo faccio quello che sto facendo.” finì il ragazzo come se stesse recitando un mantra.
La cosa accanto a lui sollevò le braccia in segno di scusa e ridacchiò.
Mason si fece più vicino a Selena. “È una dea, non possiamo combatterla, deve esserci un altro modo.”
“Ma che scortese che sono.” riprese a parlare la dea con tono lamentoso. “Non mi sono presentata … e poi questa forma è divertente solo per le entrate in scena spettacolari, per chiacchierare è … mmh … be’ …” smise di parlare e sollevò una mano verso il cielo.
Per un istante non accadde nulla poi i suoni si annullarono per esplodere improvvisamente in un fulmine nero scaturito dalla mano alzata della dea.
Un lampo di luce incredibilmente forte costrinse i presenti a chiudere gli occhi.
Quando li riaprirono i colori erano tornati e i suoni iniziavano a riecheggiare nuovamente nelle loro orecchie.
Al centro della torretta c'era una donna in abito bianco, succinto in stile greco antico con i finimenti dorati, i capelli biondi e mossi le ricadevano sulle spalle nude e le incorniciavano il volto, dai lineamenti sottili e lievemente affilati, rilassato in un mezzo sorriso soddisfatto e presuntuoso; osservava i due ragazzi con gli occhi scuri segnati da un trucco nero e pesante, molto simile al khol egizio. Era bella, innegabilmente, ma c'era qualcosa di strano in lei, più che ammaliare inquietava, così come un ragno tesse la sua tela con raffinata finezza e attende la preda, pronto a divorarla.
“Adesso va molto meglio!” sorrise raggiante. “Adoro il bianco e nero, fa tanto film romantico degli anni ‘50, ma è stancante dopo un po’.” continuò a sorridere mentre riportava la mano in basso e se la piazzava sulla vita. “Bene bene, dicevamo?” si guardò attorno con aria di finta sorpresa e interesse. “Oh! Il figlio di Eros! Mason, giusto?”
Il ragazzo rimase immobile al suo posto.
“Oh, scusatemi ancora. Piacere, il mio nome è Eris. Sono felice che finalmente ci siamo incontrati.” sorrise come se si volesse mangiare il ragazzo.
Selena si irrigidì. “Eris …”
La dea inclinò la testa di lato continuando ad osservare il figlio di Eros senza degnare la ragazza di uno sguardo. “Davvero un piacere …” ripeté con aria assorta. “Sei colui che ha giurato di restare sempre accanto ad Alec … no?”
Mason socchiuse gli occhi e le sue labbra si tirarono fino a diventare una linea, rivolse uno sguardo ad Alec, ancora fermo dall’altro lato della torretta, ma lui non li guardava neppure, sembrava più preoccupato per cosa stava accadendo sul fiume.
“Lui mi ha parlato molto di te.” intanto Eris continuava a parlare. “Diceva che ci si poteva fidare e che …” si fermò e mimò le virgolette con le dita. “ … gli volevi bene.” finì facendo una smorfia e alterando la voce per scimmiottarlo. “Però eccoti lì! Nello schieramento opposto, a combatterlo.” non era un’insinuazione, né un’accusa, solo un dato di fatto. Attese che quelle parole penetrassero nella mente del ragazzo, attese un suo segno di cedimento, un sospiro. E riprese: “Certo che non ci si può fidare più di nessuno.” disse come pensasse a voce alta iniziando a camminare elegantemente verso il parapetto dal lato del fiume. “Una sciocca ragazzina è bastata per farti dimenticare ed abbandonare tutto!” schioccò la lingua contro i denti con aria di rimprovero e gli si fece più vicino. “Ma questa volta ho sbagliato io. Devo proprio ammetterlo.” adesso era a solo un passo da lui. Abbassò la voce: “Avrei dovuto assicurarmi che il figlio di Eros fosse gay prima di affiancarlo a mio figlio.” poi si voltò finalmente verso Selena e quasi urlò: “Invece mi è capitata questa ragazzina!” la guardò con disprezzo. “Da quanto tempo è che conservi quel tenue sentimento per mio figlio? Dall’asilo? Ma forse avrei dovuto cercarti prima, forse eri il cavallo giusto su cui puntare … in fondo quel piccolo e tenero sentimento è cresciuto, è diventato sempre più grande e sempre più forte.” la guardava negli occhi senza mai distogliere lo sguardo.
Selena all’inizio si sentiva messa a nudo, come se un gigantesco riflettore fosse puntato su di lei e lei fosse accusata di chissà quale terribile errore, poi invece, mentre le parole della dea entravano nel suo cervello, la ragazza capiva: adesso c’era qualcuno che capiva cosa provava, finalmente, se capiva quello aveva capito quello che lei aveva provato da quando Alec era tornato a Brighton fino a quel momento, e avrebbe capito ciò che stava per fare. “Io lo amo.” disse fissando i suoi occhi color nocciola in quelli neri di lui, che adesso la guardava, alla fine l’aveva vista davvero.
Qualcosa in lui si incrinò, Alec assunse un’espressione dolorante, come se lo avessero colpito. “No, è impossibile, non puoi. Nessuno può amare il seme della discordia.”


Aveva tre anni quando il padre non tornò a prenderlo a scuola.
Non che non fosse mai capitato, ma solitamente arrivava un’ora o due dopo, oppure chiamava per chiedere se qualcuno poteva riportare a casa il bambino; quella volta non si fece sentire. Quando arrivarono a casa, scoprirono che era stata ripulita e lui era sparito. Quell’uomo era così, non pensava alle conseguenze, non pensava proprio, credeva che bastasse avere un bell’aspetto e la faccia di bronzo per vivere. Voleva tutto e subito, non gli importava di coloro che gli stavano intorno. Ritrovarsi un neonato sulla soglia di casa era stato come ricevere una pugnalata: a vent’anni ne aveva combinate di sciocchezze, ma persino lui quella volta riconobbe la gravità di una situazione del genere, per questo tenne con sé il bimbo. Giusto il tempo per rendersi conto che non lo voleva.

Alec fu portato in un orfanotrofio di Londra, data l’impossibilità di rintracciare entrambi i genitori.
Visse qualche anno in mezzo a pochi altri bambini come lui. Quando aveva compiuto da poco sei anni, una notte fece un incubo: ombre mostruose lo seguivano ovunque senza lasciargli scampo. Si svegliò nel cuore della notte, madido di sudore con le palpitazioni e l’affanno. La cosa si ripeté molte volte, alla fine decise di dirlo ad un’insegnate dell’istituto. L’uomo gli disse che non doveva preoccuparsi e che se avesse avuto bisogno gli avrebbero fornito tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. Al bambino quelle parole non piacquero così origliò la conversazione che l’insegnante ebbe con il direttore dell’orfanotrofio. Li sentì parlare di lui e il direttore spiegò che aveva una storia complicata, l’abbandono e la scomparsa del padre lo avevano sicuramente segnato. Sentì parole come ‘Disturbato’, ‘Aggressivo’, ‘Instabile’, disse anche che gli avrebbero fornito uno psicologo infantile se la cosa fosse continuata.
Alec era ancora piccolo ma non stupido, non fece mai più parola dei suoi incubi.
Qualche anno più tardi iniziò ad andare a scuola insieme ai ragazzi della sua età e iniziò anche a saltare da una famiglia affidataria all’altra. La sua vita gli scorreva davanti e lui si sentiva inerme, cresceva e si spostava da una parte all’altra della città. Continuava a fare i soliti incubi: le ombre lo inseguivano e non lo abbandonavano mai, qualsiasi vita vivesse, qualunque famiglia lo accogliesse, che fosse buona o lo facesse solo per i soldi del sussidio statale, lui si isolava da tutto e da tutti, teneva un comportamento intrattabile e combinava sempre qualche guaio, dal saltare le lezioni a commettere piccoli furti. Ogni notte correva e scappava negli angoli più bui della sua mente a cercare un riparo dai mostri senza mai trovarlo e si svegliava all’improvviso, affannato, gettava via le coperte per la rabbia. Dormiva sempre di meno, tentando di evitare la paura e l’orrore che la notte portava sempre con sé, ma dopo un’altra giornata sfiancante fu facile perdere conoscenza e dormire. Esasperato, correva ancora e ancora, finché non si fermò bruscamente e si voltò per fronteggiare le ombre, era stanco di scappare. Ma quelle creature lo accerchiarono e non fecero un passo oltre. Si svegliò scattando a sedere sul letto.
Qualche giorno dopo si ritrovò in mezzo ad un litigio tra due dei ragazzi con cui conviveva in una specie di casa famiglia; bisticciavano non capì neanche per cosa, alla fin fine non gli interessava neppure. Era seduto al tavolo di cucina a leggere un libro mentre gli altri due erano nella stanza adiacente ad urlarsi addosso, poteva vederli molto bene, e rimase affascinato e divertito da ogni parola usata, per biasimare e ferire, ogni urlo era quasi musicale, i goffi gesti di rabbia divertenti. I due furono divisi dopo che uno ebbe colpito l’altro con un pugno, ma si capiva che la cosa non sarebbe finita lì. E Alec non voleva che finisse, tutta quella confusione, quel caos … era la prima cosa vera che vedeva da tempo. Ne voleva ancora.
Lasciò un biglietto di sfida sotto il cuscino di entrambi, nascondendo la sua calligrafia scrivendo con la sinistra e copiò le firme dei due. Il suo piano funzionò e durante la notte quei due ragazzi così rancorosi si ritrovarono nella sala e ripresero a litigare; Alec era appostato in cima alle scale, un posto migliore anche della cucina per osservare.  Capì che le persone sono facili da manovrare e controllare, bastava toccare i tasti giusti e fare leva sulle debolezze, il caos che ne usciva era la cosa più divertente a cui avesse mai assistito. Ma durante la lite le cose degenerarono davvero e i due finirono col picchiarsi e distruggere anche il tavolinetto basso cadendoci sopra. Alec corse a rifugiarsi in camera sua, spaventato e conscio che se lo avessero trovato lì ad osservare senza fare niente lo avrebbero punito. I due ragazzi furono portati all’ospedale, non si erano fatti niente di grave, ma avrebbero potuto.
Il ragazzino decise di confessare che era colpa sua, capiva di essere andato oltre, le sue scuse non furono accettate e dal canto suo non aveva spiegazioni plausibili: gli era piaciuto stare a vedere, gli piaceva, avrebbe potuto rifarlo, e la cosa lo spaventava a morte.
Quella sera fu liquidato e portato via dagli assistenti sociali mentre la donna che si era presa cura di lui per quasi sei mesi urlava dalla soglia di casa: “Nessuno potrà mai amare il seme della discordia!”
Così cambiò famiglia, ma fu mandato lontano questa volta. Arrivò a Brighton che stava finendo l’estate dei suoi undici anni. Dalla famiglia in cui stava non c’erano regole particolari, bastava che tornasse un’ora prima di cena in casa e che non portasse voti brutti a casa poi era libero di fare ciò che voleva.
Passava le sue mattine a scuola e i suoi pomeriggi nei giardinetti vicino a casa, se ne stava da solo, seduto sotto un albero a leggere o ad’osservare quello che avveniva intorno a lui, imparò a riconoscere i bambini che giocavano poco distanti dal suo albero anche senza sapere davvero come si chiamavano: c’era il ragazzino sbruffone, la principessina che non voleva mai sporcarsi, il patito dei robot e la tappetta. Lei attirò più degli altri la sua attenzione. Dovevano avere tutti la sua stessa età, li aveva visti anche a scuola qualche volta, ma lei sembrava avere qualche anno di meno, era più bassa e gracile degli altri.
Un pomeriggio d’autunno inoltrato, mentre le foglie ingiallite cadevano dagli alberi, lo sbruffone calciò troppo forte la palla facendola finire vicino al laghetto e spaventando le anatre che si allontanarono contrariate. Alec rise vedendole zampettare via con le ali semi-aperte. La ragazzina corse a recuperare il pallone e gli passò molto vicino, lui poté osservarla meglio: aveva i capelli lunghi color caramello ed’era davvero piccola come sembrava da lontano. Raggiunse la palla e la prese, ma non si accorse che le anatre stavano tornando arrabbiate per scacciare chi le aveva disturbate.
Alec scattò in piedi e corse verso di loro urlando. Gli animali furono terrorizzati ancora di più e si dispersero volando dall’altra parte del piccolo specchio d’acqua. La ragazzina che aveva fatto tant’occhi nel vederlo fiondarsi su di lei, adesso lo guardava come si guarda un eroe, con i suoi occhioni marroni in adorazione.
Alec arrossì vistosamente ed iniziò a balbettare qualcosa d’incomprensibile sulla stupidità delle anatre.
“Grazie!” fece lei con la sua voce squillante, stava per aggiungere qualcosa ma fu richiamata dagli altri ragazzi. “ARRIVO!!” si rivolse loro, poi si voltò nuovamente verso di lui. Fece qualche passo e calciò la palla mandandola da tutt’altra parte rispetto al gruppetto che se ne lamentò rumorosamente. “SCUSATE!” urlò ancora lei, ma li ignorò in fretta. “Come ti chiami?” chiese.
Lui si ficcò le mani nelle tasche del giubbino nero. “Alec.” bofonchiò.
“Ciao Alec. Io sono Selena! Vuoi venire a giocare?” sorrise lei.
Il ragazzino arrossì ancora e scosse la testa agitato. “Non credo che …” guardò a terra. “Forse è meglio di no.” mugolò.
Selena lo guardò imbronciata. “Bene! Allora domani torna! Okay!?” esclamò, sembrava un comando che una richiesta.
“S-sì …”
“OKAY!?”
“O-OKAY!”
Così tornò il giorno seguente, dicendosi che non aveva un altro posto dove andare che non fosse la casa puzzolente in cui viveva, e che non lo faceva per quella bambina in particolare, ma perché lo avrebbe fatto comunque. Camminava calciando un sasso trovato lungo la strada, l’ultimo colpo lo mandò più lontano, finì tra gli stivaletti marroni di qualcuno.
“Ci sei davvero!” squillò Selena.
Alec sollevò lo sguardo su di lei e annuì, in realtà avrebbe voluta dirla lui quella frase, invece disse :”Be’ che vuoi fare?” con un tono brusco.
La ragazzina gli sorrise senza farci caso. “Vieni con me!” e lo prese per mano trascinandolo via.
Qualcuno dietro di loro urlò: “Sel! Non ti allontanare troppo!”
“Sì!” rispose senza voltarsi la ragazzina.
Alec invece le fece e vide un ragazzo molto più grande di loro che si stava grattando la nuca seduto su una panchina poco distante. Selena intanto lo stava tirando verso le altalene e lo scivolo montanti insieme in una costruzione di legno completa di ponte traballante e funi annodate. Non si fermarono finché non ebbero raggiunto i cespugli color rosso autunno sotto lo scivolo. Lei si guardò attorno con fare circospetto, il volto stretto in un’espressione dubbiosa e sospetta, benché non ci fosse nessuno voleva procedere con cautela, infine si mise a quattro zampe e infilò sotto il cespuglio facendolo smuovere tutto, tanto che molte foglioline scure caddero a terra.
“Che stai facendo?” chiese sorpreso Alec.
“Avanti sbrigati! Prima che ti veda qualcuno!”
Coinvolto dal tono ansioso della bambina, si tuffò nel cespuglio: in breve i rametti appuntiti e le foglie secche lasciarono il posto ad un pavimento di legno sconnesso. Alzò la testa e vide che erano circondati da pareti dello stesso legno, capì di essere sotto lo scivolo, in un casottino completamente nascosto alla vista esterna dal cespuglio, in alto c’erano delle fessure che facevano entrare la luce ma non consentivano di vedere l’interno da fuori. Era una piccola tana nascosta agli sguardi del mondo.
“Wow.” fece Alec.
Selena ridacchiò. “Bello vero?! E sono l’unica a saperlo!” esclamò orgogliosa. Poi si mise a sedere a terra ed estrasse dal cappotto due caramelle lunghe alla liquirizia, se ne mise una in bocca e l’altra la offrì a lui. “Affaggia!”
Alec la prese e diede un piccolo morso ad una cima. Masticò poi esclamò: “Hei, è buona davvero!”
Da quel pomeriggio si incontrarono sempre, solo quando pioveva rinunciavano, perché Selena non veniva accompagnata al parco. Alec si ritrovò a maledire il tempo, seduto da solo sul pavimento di legno umido.
Quello è il periodo più felice della sua infanzia, ed’è anche quello in cui conobbe sua madre.
Era gennaio e mancava poco al suo tredicesimo compleanno, faceva freddo e lui stava andando a scuola di corsa nel tentativo di riscaldarsi un po’. Mentre sfrecciava tra le persone che già al mattino camminavano sui marciapiedi vide un’ombra dall’altro lato della strada che andava alla sua stessa velocità. Si fermò di botto ma quella proseguì indistinta tra la gente.
Era quasi impietrito di colpo: quella cosa era identica a quelle dei suoi incubi quando era piccolo.
Guardò l’ora: era in anticipo, la campanella sarebbe suonata tra almeno dieci minuti. Attraversò la strada e seguì quella strana ombra incuriosito come non mai, si sentiva strano, eccitato dalla scoperta, spaventato ma incredibilmente attratto. Corse ed inseguì quella cosa fino ad arrivare in un vicolo. Si fermò prima di imboccarlo e riprese fiato, ancora un po’ ansante iniziò ad entrare tra le ombre della strette via e guardarsi attorno. La luce arrivava dalla fessura tra i tetti dei palazzi in alto; era freddo e umido là sotto, il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore che salivano verso il cielo per disgregarsi sopra alla sua testa.
Non c’era niente lì. Solo il freddo e lo sporco dei cassonetti. Attese un po’ ma infine dovette andarsene o avrebbe fatto davvero tardi a scuola.
Quel pomeriggio mentre stava rincasando dopo la scuola e pensava di dirigesti al parco da Selena, rivide quell’ombra. Era più grande questa volta, aveva un aspetto umanoide ma i contorni erano deformati, era ferma, era come se lo fissasse e lo aspettasse. Scattò e la seguì per la strada, ma non era come quella mattina, adesso sembrava volesse esser seguita. Corse per la città alle calcagna di quell’essere che aveva affollato i suoi incubi per anni cieco di qualsiasi altra cosa.
Arrivò fino al parco senza rendersene conto, quel pomeriggio era piuttosto affollato benché il tempo non fosse dei migliori. Alec evitò qualche suo compagno di scuola senza fermare la sua corsa, finché non raggiunse l’entrata del casotto sotto lo scivolo dove si era rintana l’ombra. Vi entrò in fretta e abbandonò lo zaino sul legno di botto. Quella creatura adesso era davanti a lui: era completamente nera, senza occhi o altra fisionomia, solo il contorno si era fatto un po’ più definito grazie all’oscurità di quel posto, e se ne stava ferma immobile.
Alec protese la mano verso la creatura che continuava a restare immobile come volesse quel contatto.
“ALEEEC! So che sei qui! Ti ho visto entrare!” era la voce di Selena che stava entrando nel piccolo rifugio.
L’ombra tremolò poi fu come risucchiata da una delle aperture in alto e scomparve alla vista, Alec urlò per la frustrazione e la rabbia.
Selena entrò proprio in quel momento e lo vide a pugni stretti ed il volto contratto.
“TU! L’hai fatta scappare!! L’ho rincorsa fino a qui e tu l’hai messa in fuga!” il ragazzino la spintonò così forte da farla sbattere contro una parete di legno e farla crollare a terra.
Lei non riuscì neanche a reagire tanto era stato improvviso quell’impeto di rabbia. Una volta a terra lo fissò qualche istante sconcertata, iniziò lentamente a piangere poi urlò, si rialzò e fuggì dal casottino.
Alec rimase qualche secondo con gli occhi incollati ai rametti del cespuglio tremando di rabbia. Poi prese coscienza di quello che aveva fatto, i suoi muscoli, tesi per la collera, si rilassarono e sul suo volto si tinse il rammarico. Scappò anche lui, ma non tornò nella casa della famiglia affidataria, se qualcuno lo avesse cercato sarebbe sicuramente andato lì e lui non voleva essere trovato. Corse e si ritrovò in una parte della cittadina che conosceva davvero poco, era una via di villette a schiera fatte nell’ultimo decennio probabilmente, alcune si esse infatti erano ancora disabitate con i cartelli vendesi appesi un po’ ovunque.
Smise di correre e prese a camminare sempre più lentamente fino a fermarsi davanti al vialetto di una di quelle supercase. Era fuggito ancora, le lacrime gli salirono agli occhi. Tirò su col naso e scosse la testa.
“Hei, piccolo … tutto bene?” una voce lo raggiunse dal porticato della casa.
Alec sollevò lo sguardo annebbiato e vide sulle seduta sulle scale una giovane donna bionda in abito bianco che lo fissava.
“Tutto bene?” ripeté la donna.
Lui rimase sulle sue, pensò anche di riprendere a correre, quando alla fine riconobbe la figura scura dietro quella giovane: era l’ombra, l’ombra che gli era sfuggita al parco.
Lei si accorse che stava fissando la creatura e sorrise lievemente. “Ti piace? È mia amica, sai?”
Il ragazzino si fece attento ma non disse niente e non si avvicinò.
La donna sembrò dispiaciuta. “Puoi stare tranquillo, non vuole farti del male e non è pericolosa.” spiegò. “Non per te, almeno.” aggiunse dopo una pausa.
Alec non capì: “Che … che intendi dire?”
“Che tu sei come me.” disse l’altra con gravità nella voce.  “Tu sei un amico delle ombre.”
Lui si irrigidì e una strana paura lo avvolse.
La donna dovette accorgersene perché si alzò in piedi e fece qualche elegante passo verso di lui. “No, non devi esserne spaventato! Non è un cosa cattiva, affatto!” si fermò a distanza di qualche passo con il volto piegato in un’espressione contrita. “Io ti sembro una persona cattiva?” chiese con voce dolce anche se triste.
Alec scosse la testa. “N-no …”
Il sorriso che si disegnò sulle labbra della donna fu per lui ciò che dissipò la paura.
C’era qualcuno come lui allora. Qualcuno che poteva capirlo e che lo avrebbe fatto.
“Tu ti chiami Alec, quindi? Che bel nome! Io mi chiamo Eris, e ho molto da raccontarti piccolo.”
Parlarono molto quel pomeriggio. Alec rincasò tardi e si prese anche una bella lavata di capo ma non gli importava, adesso aveva trovato qualcuno come lui.
Iniziò a fare visita a quella casa in vendita quasi tutti i giorni, quando attraversava la soglia ed entrava nell’atri si sentiva molto più a casa di quanto non si fosse mai sentito in qualsiasi altro posto. Ma a volte la donna non c’era, e lui restava anche ore fuori ad aspettarla che ci fosse il sole o che piovesse.
Erano oramai quasi due mesi che conduceva questa vita. Dopo quella specie di litigio nel parco con Selena non aveva il coraggio di tornarci, non voleva che lei lo vedesse, anche a scuola la evitava. Si vergognava troppo per parlarle ancora.
Un pomeriggio si diresse come suo solito alla casa di Eris, la trovò seduta sulle scale, sembrava distrutta come se avesse pianto tutto il giorno. Corse da lei.
“Hei, Alec.” la sua voce era flebile e molto più triste del solito benché sorridesse.
“Cosa è successo?!” chiese lui agitatissimo.
“Tranquillo piccolo.” gli posò una mano sulla testa. “Ho solo una cattiva notizia.” abbassò lo sguardo e sospirò.
Il ragazzino aspettò in silenzio che lei parlasse ancora.
“Alec … ti ho tenuto nascoste molte cose, su di me, su di te e su tutto il mondo che ci circonda … ma soprattutto ti ho nascosto una verità enorme.”
Lui iniziò a tremare anche se non faceva freddo.
“Voglio dirti tutto, ma non appena lo farò poi non potrò più venire qua a trovarti. Mi capisci?” sollevò lo sguardo su di lui e si fissarono: avevano gli stessi identici occhi neri come la pece. “Io ti voglio bene e voglio essere sincera con te, niente segreti, niente bugie. Ma per fare ciò dovrò lasciarti.”
“No!” finalmente lui reagì. Alec strinse i pungi e pestò i piedi. “No! Ci dev’essere un modo per non separarci! Tu sei l’unica persona al mondo che ho e che mi capisce! Che sa chi sono realmente!”
“Esatto piccolo … io so chi e cosa sei …”
Gli raccontò tutto: degli dei, dei semidei, dei mostri e che le ombre erano frutto di una magia, di un potere che loro due avevano.
“Alec noi condividiamo questo potere perché …” si fermò un attimo come fosse indecisa se parlare o meno. “Io sono una dea.” sospirò infine. “E tu sei mio figlio, Alec.”
Il ragazzo sgranò gli occhi, una miriade di sensazioni lo attraversarono in un istante: sorpresa, rabbia, rammarico, rancore, felicità e disperazione. Nonostante tutto quello che era successo, adesso che si erano ritrovati, lei avrebbe dovuto andarsene. Esplose e urlò la sua disperazione ed incredulità. Non voleva perderla adesso, non ora che sembrava che i pezzi di sé stesso si fossero ricomposti e tutto iniziava ad avere un senso.
“Sono gli altri dei! Sono loro che hanno imposto questa divisione tra i genitori e i figli! Io sono solo una divinità minore non posso oppormi al loro volere!” stava spiegando Eris nel tentativo di calmarlo.
Alec si fermò all’improvviso. “Tu non puoi … ma io sì.” sussurrò.
“Alec che stai dicendo?”
“Tu non puoi perché devi sottostare a determinate leggi ma io sono per metà mortale, posso ribellarmi! Posso trovare un modo per …”
“Distruggerli.” finì la frese per lui. “Se tu lo facessi io potrei stare per sempre con te, come una vera madre.” gli prese le spalle e lo guardò diritto negli occhi, la sua voce era decisa ora, più pacata ma imperante. “Distruggi gli dei figliolo.”

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Capitolo 54
*** L'esplosione ***


“Cosa hai fatto!?” Greenie era in piedi accanto a Fran.
La figlia di Atena, bianca in volto, la guardò accigliata come se la sua preoccupazione le fosse superflua. “Mi sono lussata la spalla.”
“Ti sei lussata la spalla.” ripeté interrogativa la ragazza guardandola dall’alto in basso.
“Mi sono lussata la spalla.”
“Ah, okay.” disse neutra Greenie. “COME?!” esplose un secondo dopo.
“Tirando sul ponte uno dei guerrieri di terra dal tetto.” spiegò Fran.
La ragazza fece una smorfia strana digrignando anche i denti e iniziò a colpirla con la mano aperta. “CHE TI SEI MESSA IN TESTA! Avrei voluto farlo io … MA CHE DICO? SEI FAVA! NON LO FARE MAI PIU’!!”
“Aiho … Greenie … soffro.” mugolò l’altra, poi le afferrò la mano prima che la colpisse ancora. “Sto bene.” disse con voce ferma e la lasciò andare per dirigersi verso Blackie alla cloche dei comandi.
Greenie la seguì, era ovvio che non ci credesse, sapeva che voleva dimostrare che era tutto a posto ma la sua stretta era stata debole e la mano le aveva tremato. La affiancò pensando a quanto fosse scema sua sorella.
“Blackie, il telefono.” ordinò Fran.
“HEI! CIAO! Fammi capire dov’è il sopra e dove il sotto magari!” si lamentò la figlia di Efesto, ma una volta messasi in piedi le passò l’apparecchio.
La bionda compose un numero e attese. “Non risponde.”
“Chi è?” domandò la ragazza dai capelli scuri e arancioni spolverandosi maglietta e jeans.
“Annabeth. Doveva piazzare gli esplosivi.”
Percy si era avvicinato, aveva lo sguardo preoccupato ed il volto teso nello sforzo di mantenere la chiatta ferma alle coordinate giuste. “E se fosse ferita?”
“Non gufare!” lo rimproverò Blackie.
Fran aveva ancora il telefono all’orecchio. “Noi teniamoci pronti.” fece indicando i comandi.
La figlia di Efesto annuì e iniziò a premere tasti sulla cloche. “Quanta potenza di fuoco vuoi sul bersaglio?”
“Tutto.”
“Tutto?”
“TUTTO!” sbuffò. “La smettete di ripetere quello che dico come fossi pazza? Voglio tutto!” stava quasi urlando. “Facciamo sparire dalla faccia della terra quella cosa!” ringhiò. “Oh! Annabeth!” cambiò radicalmente tono di voce, adesso quasi musicale. “A che punto sei?” guardava a terra mentre ascoltava. Poi sorrise: “Ripetilo, che il tuo ragazzo sennò non ci crede.” abbassò il telefono e premette il tasto del vivavoce.
“Che? Dicevo che ho sistemato tutto e sto bene, mi sono riunita a Clarisse e Irma. Ci stiamo allontanando ulteriormente.”
Esclamazioni di sollievo e gioia riempirono la stanza.
“Aspettate!” li interruppe la figlia di Atena. “Selena e Mason sono ancora sopra.” la sua voce era dura. “Selena è salita sul carro poco fa … Mason l’ha seguita.”
Tutti avvertirono Fran trattenere il respiro.
“La Spirale è quasi pronta, non hanno molto tempo.” la voce della ragazza tradì la sua agitazione. “Per mezzanotte sarà pronta.”

Eris rideva poggiata alla ringhiera del piccolo palco su cui erano, era piuttosto divertita dall’assoluta incapacità di parlare dei ragazzi davanti a lei: Mason sembrava sul punto di vomitare, paurosamente pallido e piantato sul posto, lo vedeva chiaramente che era rimasto sconvolto da quello che gli aveva detto, fare leva sul suo senso di colpa per aver praticamente tradito il suo amico era stata la mossa giusta, anche se lo aveva fatto totalmente per il suo bene e per tentare di evitargli l’ira degli dei, l’importante era che non se lo ricordasse. Rise ancora divertita dal suo pensiero. Selena invece se ne stava zitta con la bocca lievemente aperta per l’incredulità. Una ragazzina come lei, sbattuta in un mondo del genere: doveva essere stato duro, era un miracolo se non era impazzita prima … certo è che Lamia aveva avuto molta presa su di lei. La dea aveva visto e osservato attentamente ogni mossa del suo gruppetto, ognuna di loro aveva un lato oscuro, un punto debole: chi la superbia, chi la solitudine e chi il rancore … ma lei era in qualche modo diversa. Si era sentita tradita da tutto e da tutti. I genitori erano morti lasciandola sola con un fratello che non si era fatto minimamente vivo da quando era sparita durante la gita scolastica, per giunta non sapeva niente della sua vera natura; delle sue amiche una sapeva ma aveva taciuto, all’altra sembrava non importare che il mondo fosse un altro rispetto a quello che era sempre stato e a quello che sarebbe dovuto essere; coloro che aveva conosciuto negli ultimi mesi non approvavano né capivano le sue scelte; il ragazzo che amava sosteneva di non poter essere amato … e lei non era ancora impazzita!
Divertente, molto divertente.
E ora lei se ne stava lì, con i pugni stretti, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso su Alec. Nonostante lo shock sembrava proprio sul punto di dire e fare qualcosa. Era partita bene, anche lei aveva tentato di darle man forte ma, dopo quello che suo figlio aveva detto, sembrava essersi scoraggiata. Qualsiasi cosa volesse fare avrebbe dovuta farla in fretta, la Spirale era quasi pronta, brillava sempre più forte grazie all’energia che stava accumulando. Tuttavia: più tempo avrebbe passato in quel suo stato d’indecisione meglio sarebbe stato. Temporeggiare era quello che doveva fare e che stava facendo: gli altri semidei non potevano sferrare un attacco decisivo finché dei loro compagni erano sopra al carro, c’erano già state troppe vittime per lasciare che qualcun altro morisse o fosse lasciato indietro. Più Selena impiegava ad uscire dalla sua immobilità, più speranze aveva che i suoi piani si compissero. Doveva temporeggiare fino a mezzanotte. Adorava temporeggiare.
Sorrise e si staccò dalla ringhiera, ad ogni modo doveva agire anche lei, assicurandosi che nessuno fermasse la Spirale mentre lei se ne allontanava il più possibile per non rimanere coinvolta nel campo magico che ne sarebbe scaturito e che avrebbe tolto agli dei presenti ogni loro potere, e poi voleva farsi ancora qualche risata. Si avvicinò a Selena camminando elegantemente e le parlò piano: “Allora che vuoi fare? Ma forse non ha importanza … neanche lui ti ascolterà.” il tono della voce era modulato appositamente per apparire ed essere comprensivo e confidenziale. “Davvero ci ho provato anche io a fargli avere una vita normale, ma lui non mi ascolta … sono sua madre, vorrei il meglio per lui, vorrei che fosse felice. Ma lui non ascolta nessuno.” finì in un soffio e si allontanò.
Selena la fissò preoccupata, sull’orlo delle lacrime.
Eris le voltò le spalle compiendo un movimento veloce ma aggraziato storcendo la bocca in una smorfia di disgusto e rabbia, quanto le facevano ribrezzo i mortali. Ma quando fu completamente rivolta verso Alec quell’espressione era del tutto scomparsa per lasciare spazio ad un lieve sorriso di approvazione. Con qualche passo fu anche da lui. “Ci siamo quasi figliolo, manca così poco che ho le lacrime agli occhi.” si asciugò teatralmente il volto con il dorso di una mano, i braccialetti d’oro al suo polso tintinnarono. “Mi raccomando, non farti distrarre. Io tra poco devo andare.” gli sfiorò una guancia con la punta delle dita perfettamente curate, provando il compiacimento infastidito che la investiva ogni volta che osservava quel suo figlio mortale. “E quando tornerò potremmo stare finalmente assieme.” quanto le costò dire quelle parole, erano come fiele sulla sua lingua.
Il ragazzo annuì, i riccioli neri gli ballarono sulla fronte. Somigliava terribilmente a suo padre, glieli sistemò scostandoglieli dagli occhi, unico particolare che aveva preso da lei, che di certo avrebbe preferito una femmina. Sospirò e disse: “Vado.” e si voltò a contemplare la Spirale. La struttura era completamente bianca, la luce che emanava illuminava a giorno il palco, roteò la mano e degli occhiali da sole le comparvero tra le dita, li indossò, poi pensò che forse era meglio andare.
“Mamma.” la chiamò Alec.
Nonostante la rabbia che la assalì, Eris si girò verso di lui assumendo un’espressione il più commossa possibile. “Sì?”
“Cosa hai detto a Selena?” chiese lui mentre guardava la ragazzina.
Anche la dea la guardò: aveva il volto rigato dalle lacrime, lo sguardo fisso su di lui e le labbra serrate. Che fosse arrabbiata? Oppure era finalmente impazzita? Sarebbe stato piacevole da vedere.
Eris inclinò la testa di lato, un’idea le era venuta in mente. “Niente, figliolo.” abbassò un po’ la voce per simulare la gravità della confessione e con il reale intento di non farsi sentire. “È lei che ha detto una cosa a me.” pausa ad effetto per caricare la frase successiva. “Dice che è stato stupido venire qui.” cosa che significava tutto e niente.
Poi la dea del caos fece un passo indietro.
“Sei stata una sciocca.” disse suo figlio con quella rabbia che gli aveva sempre visto e che gli si addiceva terribilmente, rompendo la pressione che si era creata lui e la ragazza.
Lei riprese a piangere in silenzio. “Sono venuta qua per te e non fai altro che rifiutarmi.”
Eris sorrise. Un litigio tra innamorati era un vero spasso! Quanto tempo avrebbe acquistato così? abbastanza probabilmente. Rise di gusto, come una bimba a cui veniva offerto un sacchetto pieno di caramelle gommose. Doveva andarsene ma quelle parole erano meglio della musica metal per le sue orecchie.
“Non ti ho chiesto di venire. Non ti ho MAI chiesto niente!”
“Allora perché sei tornato a Brighton?” lo incalzò lei pestando i piedi a terra.
“Avevo bisogno di alleati e lì avevo degli appoggi.” spiegò come se la cosa avesse poca importanza.
Selena abbassò lo sguardo. “Ma sei tornato.”
Alec rimase sorpreso. “Che significa?” chiese con voce rotta.
La ragazza si asciugò le lacrime. “Potevi andare ovunque, conosci tutta Londra, sei qui adesso … potevi andare ovunque.” lo ripeteva come un mantra. “Ma sei tornato a Brighton.” lui non parlava per questo Selena proseguì: “Per questo sono venuta qua io, sono venuta a cercarti. Ero … ero partita con l’intenzione di venirti a salvare …” la voce le tremava terribilmente, c’erano così tante cose che avrebbe voluto digli e che lo avrebbero sicuramente convinto, voleva dirle tutte insieme ma la sua voce era flebile e fragile come una foglia secca strattonata e spinta da un vento burrascoso. Non poteva controllare il batticuore, le gambe che le tremavano e l’esplosione dei pensieri che aveva intesta, e fu costretta ad interrompersi.
Alec scuoteva la testa rabbioso. “SALVATO!? NON HO BISOGNO DI ESSERE SALVATO!” urlò, la sua voce invece riecheggiò paurosamente nell’aria come la prima volta che lo aveva visto nel garage nel vicolo dove nascondeva il carro.
Eris sorrideva malevola e compiaciuta, aveva uno sguardo folle ed emetteva una specie di verso d’esultanza smorzato dalle dita incrociate davanti alla bocca.
Anche Mason questa volta si riscosse e si affiancò a Selena protendendosi in avanti con fare protettivo. “Alec …”
“NO!” Selena svicolò dal braccio del ragazzo. “Alec ti sbagli!” e gli si avvicinò.
Lui tentò di fare un passo indietro ma era arrivato alla ringhiera, era senza vie di fuga.
“Non voglio salvarti Alec!” gli urlò addosso.
“NO?!” ribatté lui alzando il tono di voce più di lei. “ALLORA PERCHÉ SEI QUI?! CON LUI! A TENTARE DI FARMI CAMBIARE IDEA SU TUTTO QUESTO?!”
“A ME NON INTERESSA NIENTE DI TUTTO QUESTO!” Selena urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, superando il frastuono che lasciava dietro di sé la voce di Alec. Allo stesso tempo un tuono sconquassò il cielo e fece tremare l’aria tutto intorno a loro.
Sopra al Socrates Sculpure Park iniziarono a riunirsi nuvole temporalesche grigio scuro.
“Oh-oh … qui si mette male.” schioccò con la lingua Eris mentre osservava il nugolo scuro sulla sua testa. All’improvviso di voltò e saltò giù dal carro con un’agilità sorprendente.
“Madre!” urlò Alec sorpreso e spaventato dalla reazione della dea, indeciso se seguirla.
Mason scartò di lato, scostandosi dai due ragazzi, e scattò all’inseguimento.
“NO!” stava invece urlando Selena. “TU ADESSO RESTI E MI ASCOLTI!” la ragazza afferrò Alec per un braccio costringendolo a guardarla, un lampo illuminò il cielo ed un altro tuono sostenne la sua voce. “NON MI INTERESSA PIU’ NIENTE! VORREI CHE LO CAPISSI!! Se sono qui è per te, SOLO PER TE!!” continuava ad urlare ma più che in collera, sembrava forte e decisa, assolutamente risoluta, sapeva esattamente ciò che voleva dire e finalmente ora poteva dirlo, riusciva a dirlo, e nessuno l’avrebbe fermata. “Gli dei, i semidei, le famiglie che ci sono capitate non hanno importanza! Non mi importa neanche se stanotte il potere degli dei finirà o meno, neanche se finisse il mondo mi importerebbe qualcosa. Ho già perso tutto … ma non voglio perdere te.” le sue parole si confusero piano con il rumore della pioggia che aveva iniziato a cadere, tanto erano diventate tenui e la sua voce flebile. “Sono venuta qui per te e non me ne andrò se non sarai al mio fianco.”
Alec non avrebbe saputo dire se Selena stesse piangendo, ormai la pioggia aveva coperto tutto, bagnando la camicia blu di lei e la maglia nera di lui e facendo loro grondare i capelli. Ma il volto della ragazza era davvero rigato da delle gocce translucide. Le passò una mano sul viso, col pollice sfiorò lo zigomo, lì dove pensava ci fosse una lacrima. Lei rimase ferma, lo guardava con insistenza attendendo una risposta, ma non poté stare immobile. Sollevò la mano e coprì il dorso di quella di lui, facendovi aderire perfettamente il palmo. Rimasero fermi così, sfiorandosi, per quello che sembrò loro un piccolo infinito. Alec prese fiato per rispondere, ma Selena si mosse prima e più in fretta, si sollevò in punta di piedi e lo baciò. Temeva quella risposta, temeva che lui la rifiutasse ancora, che le dicesse di no, che la abbandonasse ancora, e che fosse come quella volta al parco, nel loro posto segreto. Era tutto ciò che aveva desiderato per tutto quel tempo. Era arrivata a pensare che se solo avesse parlato con lui subito, dicendogli quello che provava e che pensava, se avesse potuto stringerlo come stava facendo in quel momento, allora tutto sarebbe stato diverso. Ma aveva anche pensato di lasciar perdere, la paura di un suo ulteriore rifiuto era assoluta tanto da bloccarle ogni muscolo del corpo. Adesso però lui era lì e non la lasciava andare, la sosteneva cingendole la vita, aiutandola a stare alla sua altezza, era presente e consapevole dei suoi sentimenti e dei propri, li stava accettando a cuore aperto e mente sicura. Tutte le sue cattive azioni furono annullate da quel bacio, fu come se si fosse tolto un peso enorme dalle spalle, un peso che non sapeva neanche di avere ma che adesso si rendeva conto gravare sulla sua intera vita. La sua redenzione doveva iniziare in quel momento.
Non si divisero finché il metallo del palco sotto i piedi non iniziò a tremare.
Erano l’una ad nulla dal volto dell’altro.
Alec parlò piano, ma a quella distanza la ragazza poté sentire il suo fiato sulle labbra. “Via …” si scostò da lei senza lasciarle la mano. “VIA!” urlò ancora.
La Spirale aveva completato il caricamento, adesso era del tutto circondata da una luce bianco dorata tanto luminosa da aver cambiato colore al metallo reso incandescente. All’improvviso tutto si spense, il ferro scaldato fumava sotto i colpi della pioggia. La luce si era concentrata nella base della struttura. Subito iniziò a risalire lungo le lamiere tese e tirate dai fili d’acciaio a formare la vera e propria spirale intorno all’asta centrale. La luce, oramai divenuta energia, scaldava e faceva sfrigolare l’aria umida, alla fine fu convogliata nella punta rivolta verso il cielo della Spirale facendola brillare quasi quanto il sole.
Alec e Selena corsero. Si gettarono giù dal carro e continuarono freneticamente a correre il più lontano possibile dal marchingegno, giù per il prato e verso gli alberi in lontananza. Dietro di loro iniziarono a sibilare i fuochi d’artificio, accelerarono il pazzo ma erano ancora piuttosto vicini. Ci fu il suono del metallo colpito da qualcosa di pesante. Poi l’esplosione.
La deflagrazione fu così potete che li fece cadere a terra e rotolare per qualche metro. Le orecchie fischiavano e rombavano, le gambe tremavano assieme al suolo. I ragazzi si sollevarono lentamente.
Pezzi di lamiera e scintille cadevano a terra.
I botti ripresero inaspettati, per un primo istante cedettero che stesse per arrivare un’altra scarica poi, ancora stringendosi la mano, alzarono gli occhi e videro il cielo di New York nonostante la pioggia era infiammato dai colori vivaci e festosi dei fuochi d’artificio.



Selena si svegliò all’improvviso . Si trovava in una stanza a lei poco familiare, in più le tenebre la avvolgevano e non le consentivano di vedere praticamente niente. Ormai completamente sveglia, buttò le gambe fuori dal letto e accese la lampada che aveva sul comodino. Era sola nella capanna di Zeus, al Campo Mezzosangue americano, non aveva fratelli o sorelle, benché le avessero detto che una figlia di Zeus si era unita da non molto alle cacciatrici americane, per cui adesso era chissà dove. Sospirò e sbuffò. Faceva un gran caldo quell’estate, benché ci fossero stati alcuni temporali con lampi e tuoni da far paura. Suo padre doveva essere piuttosto arrabbiato. Si alzò del tutto e si diresse verso l’unico specchio presente in stanza: era pallida, con lo sguardo triste e gli occhi arrossati, delle occhiaie violacee che facevano loro da cornice. Si strofinò la faccia, era del tutto sveglia, anche se si sentiva tutti i muscoli intorpiditi. Guardò fuori verso est: si stava rischiarando, tra forse poco più di un’ora sarebbe sorto il sole sul quinto giorno dalla battaglia di New York e lei sarebbe finalmente partita.
Si voltò verso lo zaino ai piedi dell’armadio e controllò che ci fosse tutto dentro per l’ennesima volta. Poi si ributtò a letto anche se riteneva che non si sarebbe addormentata di nuovo. Ancora qualche ora poi sarebbe partita alla ricerca di Alec negli Inferi. A quel pensiero il suo cuore accelerò i battiti e lo stomaco le si contrasse in una stretta dolorosa, si rannicchiò in posizione fetale nel tentativo di calmarsi.
Le immagini del 4 luglio le tornarono alla mente: la Spirale, Eris e Alec, la morte e metamorfosi di Sue e Sonny … infine il Concilio degli dei che decidevano il loro futuro.
Le parole di Zeus nella sua forma divina le risuonavano continuamente nelle orecchie: “Coloro che hanno combattuto nella guerra e sono morti, verranno ricordati e festeggiati, i rimasti li acclameranno e si occuperanno delle loro spoglie.” poi l’essere che sarebbe dovuto essere suo padre ma che non le era sembrato avere niente di paragonabile all’umano, posò gli occhi su Alec accanto a lei e riprese: “Figlio di Eris, vieni avanti.” lo invitò perentorio Zeus.
Il ragazzo fece qualche passo verso il centro dell’enorme sala circolare in cui risiedevano i troni degli dei, ora tutti occupati dal loro proprietario in forma divina. Selena aveva provato ad allungare una mano per fermarlo o almeno affiancarlo, ma lui l’aveva fermata scuotendo la testa. “Va bene così.” e si era fatto avanti, mani conserti dietro la schiena e testa alta. “Eccomi.”
“Tu sei il principale responsabile di ciò che è accaduto e …”
“NO!” Selena lo affiancò, non poteva credere che gli dei fossero così stupidi e ciechi. “È stata Eris! Eris lo ha manipolato fino a convincerlo a fare quello che lei voleva e che lei desiderava!”
Gli dei non si scomposero ma era facile intuire che non avevano apprezzato l’intervento, e che in generale odiavano essere interrotti, neanche se ad averlo fatto era la figlia del re del Concilio.
Zeus aveva risposto con voce dura e grave: “Lui ha agito per lei. Aveva una scelta, avrebbe potuto scegliere di ignorarla riconoscendo la follia delle proprie azioni, ma non lo ha fatto.” tuonò.
La ragazza stava per ribattere e dire che lui era solo, era stato abbandonato da tutti e che se solo loro avessero agito prima e meglio, conoscendo la natura della dea del caos, niente di tutto quello sarebbe accaduto. Ma Alec la fermò ancora, prendendola per mano e fissandola con i suoi occhi scuri. Lui non era arrabbiato, sembrava invece felice di essere lì. “Selena, non importa che mi difendi.” le sfiorò la guancia. “Ho capito i miei errori, e devo rimediare ad ognuno di essi.” poi alzò la voce per farsi sentire da tutti i presenti. “Sono pronto e disposto ad accettare ogni punizione che vogliate impormi.”
Il dio sollevò un po’ il mento. “Alec Ruins, figlio di Eris, sei destinato a vagare negli Inferi finché non troverai l’uscita o che qualcuno non venga a cercarti.” dichiarò e sollevò una mano gigantesca.
Selena vide che Alec stava iniziando a svanire sotto i suoi occhi, prima lentamente poi sempre più in fretta, quando non rimase altro che un'immagine sbiadita che le sorrideva urlò: "Verrò a prenderti!" "Verró a prenderti." mormorò anche in quel momento rendendosi conto di essersi addormentata. Si alzò gettando uno sguardo fuori dalla porta: ormai il sole era sorto, non sapeva che ore fossero, comunque non voleva aspettare oltre. Doveva partire. Si preparò, controllò per la decima volta lo zaino ed uscí nell'aria mattutina che già si stava scaldando attraversata dai raggi del sole. Raggiunse la Casa Grande, dove sapeva esserci Chirone ad aspettarla. Infatti era sul patio, la sedia a rotelle ferma accanto ad un tavolinetto di legno, su di esso c'erano un paio di fette di pane, burro, marmellata e una bottiglietta di succo alla pesca.
Mentre la ragazza passava in rassegna le cibarie, benché non avesse fame, Chirone parlò: "Sei già pronta." la sua voce era sfumata da una stanchezza millenaria. "Mangia pure." la invitò, poi sembrò pensare a che parole usare e aggiunse: "Se vuoi puoi riprovare a vedere se l'Oracolo di Delfi ha un'Impresa per te ... non penso che a Rachel dispiaccia provare ancora a ..." "No. Non importa, davvero." scosse la testa Selena distogliendo lo sguardo dalla fetta di pane e dal burro che ci stava spalmando sopra. Ecco cosa la attendeva: non un'impresa, nessuna missione, era solo una sua scelta e di nessun altro, sarebbe partita da sola. "Lo farei comunque." Il maestro di molti eroi annuì e lei seppe che lui capiva davvero perché lo stava facendo, magari neanche lui lo approvava ma almeno teneva la cosa per sé. Scosse la testa quando le tornarono in mente i litigi avuti con Ginny, Aurea e Fran; la figlia di Afrodite aveva tentato di dissuaderla anche la sera precendente, la cacciatrice le era stata accanto, anche se non aveva parlato poi molto. Fran invece dopo il secondo giorno di litigi era praticamente scomparsa. "Parto dopo aver fatto colazione." disse Selena alzando la mano con cui teneva il pane e si sforzò di dargli un altro morso e mangiare davvero. "Va bene, prenditi pure tutto il tempo che vuoi." le disse con gentilezza Chirone, poi spinse la carrozzina oltre la soglia della casa.
Selena impiegò molto tempo per finire la sua colazione, lo stomaco chiuso e il nodo alla gola non la aiutavano. Dopo poco che fu lasciata sola si accorse che nella cucina, la cui finestra che dava sul lato del patio in cui c'era lei era aperta, si stava svolgendo una riunione dei ragazzi del Campo Mezzosangue inglese, riconobbe le voci dei suoi amici. Il giorno seguente sarebbero partiti. Javier stava dicendo che avevano aspettato anche troppo, ora che i feriti stavano piuttosto bene avrebbero potuto prendere un aereo per Londra in tranquillità. "Capito tutto?" chiese il ragazzo alla fine un po' esasperato e frustrato. "Sì!" risposero in un coro stonato il gruppo di ragazzi. "Allora potete andare." disse sospirando di sollievo. Si sentirono le sedie spostarsi e i piedi muoversi sul legno, poi la voce di Fran che li fermava: "No! Aspettate! Devo ... devo chiedervi una cosa! Be' in realtà è più una richiesta ..." aveva un tono strano, grave e incerto. "Arriva al punto!" le fece Ginny colpendola alla spalla, ma anche lei sembrava sotto tono, parlava sforzandosi di non sussurrare. "Mi fa ancora male lì. Comunque ..." si schiarì la voce, si sentiva che era in imbarazzo, ma alla fine sospirò e disse tutto d'un fiato: "Sonny mi ha detto che dopo la morte di Phill il Campo è sprovvisto di una figura di riferimento, avrebbe voluto esserlo lei, in realtà era da molto tempo che voleva affiancare Phill nel suo lavoro ... ecco, adesso vorrei essere io ad amministrare il Campo. So di star chiedendo molto e che avrete molto da ridire, capirei anche se mi mandaste subito a quel paese e la cosa finisse qui ... ma ... per favore, vorrei che mi prendeste in considerazione. Sento ..." sospirò. "Sento di dover questo a Sonny e a Phill, che mi ha salvato quando ero cieca e ..." "Coloro che sono d'accordo con Fran e vogliono soprattutto che il suo infinito monologo impanicato cessi adesso dicano 'Sì'!" chiese cantilenante Javier. Risero tutti ma ci fu il coro dei sì.
Selena rimase ferma nell'angolo del patio in cui si era rifugiata mentre i ragazzi uscivano dalla Casa Grande senza notarla. C'erano anche le cacciatrici, benché non avessero aperto bocca. Erano pochi, davvero pochi ... a New York sembravano di più. Le uscì un sospiro tremante mentre ripensava ancora una volta alle battaglie affrontate e agli amici che aveva perso. Quando avevano comunicato la notizia della metamorfosi di Sue e Sonny alle altre lei non c'era, trattenuta sull'Olimpo per il Concilio degli dei, ma Clarisse le aveva raccontato tutto. C'era stato uno strano attimo di silenzio incredulo. Erano riunite nel piano segreto dell'Empire State Building, tra le brande dei feriti e i tavoli ingombri di oggetti, carte e garze. "Com'è potuto succedere?" chiese cupa Fran. "Erano le migliori del gruppo." Clarisse le si era fatta più vicina, zoppicava e anche lei aveva il braccio stretto in un bendaggio rigido. "Quel coso era praticamente imbattibile, mi ha steso con un solo colpo." ammise non senza fatica. "Sue, mentre combatteva, ha addirittura usato la mia lancia, nessuno lo aveva mai fatto prima." sospirò e aggiunse seria: "Erano davvero le guerriere più forti del gruppo."
Ginny aveva iniziato a piangere in silenzio. Non voleva credere a ciò che le avevano detto, a ciò che era successo, non poteva credere che non avrebbe più rivisto sua cugina e la sua amica, non ci riusciva. Il problema era che ci credeva. Credeva al racconto di Clarisse, credeva che loro due avessero combattuto fino alla morte pur di salvare i loro compagno e liberare l'anima di Phill. Non voleva credere alla loro morte, ma credeva al loro sacrificio e questa era la cosa che più la straziava. Urlò e tirò un calcio al tavolo che le stava davanti, facendo cadere a terra tutto ciò che vi era poggiato sopra facendo un gran fracasso, avrebbe dovuto farsi male, considerato che indossava solo delle semplici ballerine, ma quel dolore era niente rispetto a quello che le straziava il petto. Scivolò a sedere su un lettino dalle lenzuola appallottolate tenendosi la testa tra le mani.
Aurea le si sedette accanto passandole un braccio intorno alle spalle. Stava in silenzio, le era già capitato di perdere delle compagne o addirittura di vederle morire davanti ai suoi occhi. Neanche un'ora prima era stata avvertita da Galene della morte di Alicia e Theodora, era stato un brutto colpo, soprattutto per le che era il capo e avrebbe dovuto essere presente e proteggerle. Ma quello era peggio, molto peggio. La morte in battaglia era la prima compagna di una cacciatrice, lo aveva accettato quando era diventata una di loro, l'eterna giovinezza aveva un prezzo. Col passare del tempo si era dimenticata come fosse avere amici mortali, le cacciatrici in fondo avevano un modo diverso do vivere la vita di tutti i giorni. Quando aveva conosciuto Sonny, nonostante le diversità, aveva piano piano ricordato com'era essere sempre a contatto con la realtà mortale; poi aveva conosciuto le altre e con tutte loro aveva stretto una forte amicizia, erano le sue compagne e come tali erano divenute immortali con lei. Non aveva mai pensato di poterle perdere, ma era accaduto, e adesso faceva male. Rimase accanto a Ginny scossa dai singhiozzi, nonostante anche lei avesse iniziato a piangere e tremasse.
Fran era rimasta in piedi davanti a loro.
Clarisse le posò una mano sulla spalla. “Mi dispiace.” disse con voce ingentilita.
La ragazza annuì lievemente. “Mh.” fissando il vuoto con l’occhio vacuo, come se cercasse qualcosa che sapeva non avrebbe mai più ritrovato. Aggrottò la fronte, questa cosa non le tornava. Era un ragionamento inconsistente che portava a niente, era inutile. Sentì il bisogno di rialzare il tavolo fatto cadere da Ginny, ma non si mosse e restò lì a fissarlo come fosse di vitale importanza.
Nessuna di loro si spostò, neanche quando la figlia di Ares le lasciò sole, finché Selena non fu di ritorno dall’Olimpo e le aggiornò su quello che era accaduto durante il Concilio degli dei ed il verdetto finale su Alec, poi disse loro della sua decisione. Avevano iniziato a litigare da quel momento.
La figlia di Zeus rannicchiata sotto la finestra sul patio della Casa Grande stava osservando il mare in lontananza mentre ancora ricordava quella mattina, erano passati neanche cinque giorni ma sembrava molto di più. Completò il suo pensiero pensando a quanto fosse strano il tempo. Si alzò pulendosi le briciole di pane dai jeans e dalla maglietta chiara, raccolse lo zaino da terra e scese per l’ultima volta quei pochi gradini, in breve fu sulla strada che l’avrebbe condotta fuori dal Campo.
Il silenzio la accompagnò fino all’arco d’ingresso, nascosto tra gli alberi ed i pini marini secolari.
Una volta lì sentì dire: “Eccola.”
Selena sollevò lo sguardo dal terreno umido e dal fogliame aghiforme caduto a terra: le sue amiche la stavano aspettando.
Ginny si fece avanti lentamente, era ancora quasi completamente bendata, indossava un leggero vestito bianco, pareva una camicia da notte e probabilmente era l’unica cosa che davano in infermeria. Le si potevano vedere le braccia fasciate e parte del collo, si intuiva bene che la medicazione le copriva gran parte del corpo. All’inizio aveva detto ridendo che sembrava una mummia, ma si vedeva che era preoccupata per le ferite che si era procurata. Quando Aurea l’aveva soccorsa aveva molti pezzi di vetro conficcati nella schiena e nelle braccia, per fortuna non erano andati in profondità e lei aveva perso i sensi a causa dell’esplosione o sarebbe stato difficile farle le manovre per estrarli.
La cacciatrice la affiancava, era ancora vestita di tutto punto, non sembrava neanche si fosse cambiata dal giorno prima quando c’era no stati i funerali dei semidei caduti e delle cacciatrici, ma almeno lei sembrava essere ormai in perfetta salute, niente medicazioni o ferite, solo se uno sapeva dove guardare si potevano scorgere macchie scure dove c’erano stati i lividi. Però Selena sapeva che durante lo scontro doveva essersi rotta qualche costola e che ancora le facevano male, si intuiva dalla piccola linea che le solcava la fronte proprio in mezzo agli occhi così da farla sembrare sempre preoccupata per qualcosa. Ma delle due era quella sicuramente più abituata alle battaglie.
“Parti allora.” disse Ginny un po’ titubante.
Selena annuì e prese fiato per parlare.
“No, no, no! Non sono qui per convincerti a restare! Davvero!” alzò le mani in segno di resa la ragazza mora.
“Siamo venute per salutarti.” le disse Aurea sfiorandole il braccio.
La ragazza le guardò e di getto le abbracciò forte, tanto che entrambe si lamentarono per il dolore.
“Sta attenta e non fare sciocchezze.” le raccomandò la cacciatrice.
“E se puoi, fatti sentire! Non sono in che modo, ma trovalo! Manda un piccione.” aggiunse Ginny.
Selena allora rise lievemente. “Certo, ci proverò.” rispose tenendole ancora strette.
Si separarono e la ragazza fu pronta per partire, le superò e si fermò a due passi dall’uscita.
Davanti a lei c’era Fran, non l’aveva vista forse perché fino a quel momento non aveva né parlato né si era mossa. Aveva un’espressione ferma, sembrava quasi esser arrabbiata, incupita dall’abbigliamento completamente nero, come suo solito, sulla maglia vi era solo una frase di una canzone del suo gruppo preferito: It’s just a spark, but it’s enough (
https://www.youtube.com/watch?v=AEm7q5feofk ). Aveva una fascia intorno al collo che le sosteneva il braccio per non fare peso sulla spalla che si era lussata e la guardava con il suo unico occhio scuro mentre sull’altro, di cui oramai non restava che l’orbita vuota, era stata posta una benda quadrata sostenuta da due fili che le attraversavano il volto. “Non dire niente, okay? Sono ancora dell’idea che tu non debba andare, ma dovevo almeno salutarti.” disse parlando bruscamente.
Selena si avvicinò e la abbracciò, la figlia di Atena non reagì subito poi però la strinse con il braccio libero. “Chiedi di Zoe e Bianca, trovale. Se avrai bisogno di aiuto Nico ti troverà … spero.” le sussurrò all’orecchio.

Lei annuì e disse: “Ciao.”
Si divisero e Fran raggiunse Ginny e Aurea, insieme la salutarono ancora poi Selena scomparve tra i tronchi degli alberi.




La storia delle Trote è ufficialmente conclusa, ma la loro vita è proseguita.
Prossimamente l'Epilogo, con tante divertenti sciocchezuole e una non da poco sorpresa, infine un OAV, in cui i personaggi principali della storia vestiranno i panni ad dir poco inappropriati per i loro gusti, almeno per la maggior parte di loro, alcuni si sono divertiti.

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