Licantropi

di Athwen
(/viewuser.php?uid=31855)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mia amata ***
Capitolo 2: *** Per sempre ***
Capitolo 3: *** Assassino! ***
Capitolo 4: *** Sogni di lupo ***
Capitolo 5: *** Mostro ***
Capitolo 6: *** Astinenza ***
Capitolo 7: *** Essere Alfa ***
Capitolo 8: *** Cara Mamma... ***
Capitolo 9: *** Vita quotidiana ***
Capitolo 10: *** Benvenuta ***
Capitolo 11: *** Vita e morte ***



Capitolo 1
*** Mia amata ***


 
Non un rumore è provocato dai miei passi che silenziosi accarezzano la terra viva. Tutto il mio corpo è teso, tremante per l’eccitazione e la paura.
Questa notte è speciale. Finalmente ti rivedrò, mia amata. Non posso resistere al tuo richiamo, urlato a gran voce dalle stelle e portato fino a me da un soffio di vento.
Nascosto nell’oscurità, assaporo il pensiero del nostro incontro, come un bambino aspetta Babbo Natale. Colmo la mia mente solo di te e, come un ubriaco, continuo il mio cammino con gambe malferme. Non ho bisogno di guardare, il mio corpo conosce la strada, attraversata mille e mille volte nelle buie notti della mia vita. Ascolto il frinire dei grilli che arriva come un concerto alle mie orecchie, riempio i polmoni del forte odore della natura cercando di identificare tutti i suoi figli, posso sentire la calda terra pulsare sotto i miei piedi nudi.
Ma non ho il tempo per crogiolarmi nella bellezza della vita. Lei mi sta chiamando, mi vuole da sé, vuole amarmi.
Tremante arrivo al luogo del nostro incontro, il tuo invito è ormai un grido straziante. E finalmente ti vedo, amore mio. Mi guardi ridente e soddisfatta, sai che non posso resisterti mia signora e, vestito solo di cielo, ammiro la tua bellezza, argentea come il mio nemico più grande.
Il tuo richiamo è ormai insostenibile e mi dono a te e alla maledizione che mi hai inflitto.
Cado a terra, l’intensità del tuo grido è tale che il mio corpo sembra infrangersi contro di esso, la mia pelle rivoltarsi, le mie ossa spezzarsi. Per questa notte sola, sarò una tua creatura.
Prima che il dolce dolore mi annebbi la vista, ti dedico un ultimo sguardo e ti dono le mie parole.
Ti amo, mia amata e odiata Luna.   
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Per sempre ***



« Mamma, mamma! » mi chiamò con dolce e flebile voce. Voce di bambina.
Mi inginocchiai davanti a lei con movenza ferina, come solo quelli come noi possono fare, accogliendo fra le braccia mia figlia, il mio amore, il mio unico tesoro.
« E’ vero che i lupi amano solo una compagna per tutta la vita? » mi chiese con i grandi occhi innocenti pieni di lacrime che facevano brillare l’oro delle sue iridi come fossero oggetti preziosi. I suoi occhi inumani erano dilatati dalla paura. « Non voglio volere bene solo a un bambino…non voglio! »
La fissai piagnucolare con dolcezza. Piccola mia, che ancora non conosci la cattiveria del mondo, che ancora non capisci la tua situazione.
Le accarezzai i capelli per tranquillizzarla, corti, lanosi e disordinati capelli castani simili a una piccola pelliccia invernale. Le presi la mano piccina fra le mie, mani le cui dita potevano spezzare ossa come un normale bambino può rompere un ramoscello.
Mi si strinse il cuore. La mia bimba sarà dannata per sempre, dannata per colpa del mio sangue impuro, sporco e infetto. Sarà incompleta per l’eternità, né umana né animale, con il primitivo desiderio della carne a seguirla come un’ombra. Maledetta ad essere un licantropo, punita per colpe non sue.
« E’ vero piccola mia, ma il tuo cuore ti appartiene, potrai donarlo a tutte le persone che vuoi… »
Mi fissò sollevata e confusa.
« Ma io sono un lupo… » rispose con voce squillante di bambina, che, nelle notti di luna poteva trasformarsi in un ringhio rabbioso, infernale.
« Sei anche una bambina, e la tua parte umana amerà più volte come tutti… »
« E il lupo? »
Sorrisi, i miei canini erano leggermente appuntiti, letali come coltelli, ed avevano ormai conosciuto la gioia di affondare in un corpo vivo.
« Lui ha già una compagna… » E a lei sarai sempre fedele.
Abbracciai la mia bambina cercando di riempirla di tutto il mio amore. Prima o poi capirà, il lupo verrà a farle visita alla porta, strisciando nell’oscurità come un’ombra e sussurrandogli sentimenti primitivi ma lussuriosi come un amante. Ululerà alla luna piena, la sua bocca conoscerà il sapore della carne e le sue mani saranno sporche di sangue. Anche lei alla fine, si farà ingoiare dal lupo, perché così deve essere, e così sarà per i suoi figli e i figli dei suoi figli, e chiunque avrà il nostro sangue infetto in corpo, che non si estinguerà mai. Ma per ora, che rimanga innocente.
« Vedi tutti noi siamo già stati promessi, il tuo cuore appartiene già a qualcuno »
« Chi? Chi? »
« Tu, appartieni alla Luna » E così sarà per sempre.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Assassino! ***



Il cuore sembra un tamburo da quanto batte nel petto, le mani sono diventate calde e appiccicose, il respiro pesante. Il motivo è semplice: ho paura.
Posso sentire i loro passi che si avvicinano, distanti. Le loro urla, le loro grida di rabbia. Il suono degli spari dei loro fucili come dei tuoni improvvisi.
Mi cercano, con spasmodica ira inseguono le mie tracce, colmi di rabbiosi pensieri. Armati di asce e forconi, pistole e fucili, consumati dal loro pregiudizio.
Dicono che sono stato io. Dicono che è mia la colpa. Urlano che sono un adepto del diavolo, che sono indegno di camminare sulla terra di Dio. Mi guardano con odio e mi chiamano mostro.
Perché? Perché? Io non ho fatto nulla! Io sono innocente!
Non devono credere a questo! Non potrei mai fare un simile scempio. Tremo nel ricordare quel corpo, l’ennesima vittima trovata. Le carni lacerate, le ossa luccicanti mostrate alla luce del giorno, il sangue che copre l’erba circostante al suo povero corpo spezzato. I suoi bellissimi capelli color del sole diventati di uno scintillante rosso carminio e il volto, devastato anch’esso dagli artigli.
Come potrei fare ciò? Come potrei essere io un simile mostro?
Solo perché non ricordo, non ricordo dov’ero la notte scorsa, solo perché non riesco a rammentare. Solo perché ieri la luna si è completamente svelata alla notte.
Loro dicono che è la notte in cui gli adepti del diavolo rivelano la loro vera natura. Ma io non lo sono! Non lo sono!
Mi hanno visto inoltrarmi nel bosco. E non uscirne più.
Mi hanno trovato nudo come un verme, fra le rosse foglie di autunno. E non mi hanno svegliato dolcemente.
Sono scappato, ed ora mi stanno ancora inseguendo.
I loro passi si avvicinano sempre di più. Sempre di più. Sempre di più. Ho paura, non voglio morire. Cerco di ricordare, di trovare un alibi, ma tutto è inutile. Io non ricordo.
Forse sono un mostro. Forse sono stato io. Tutte quelle persone morte, lacerate, sbranate, mutilate. Ed io non ricordo mai niente.
Sono vicini, molto vicini, eppure non mi muovo. Le catene d’argento tintinnano ad ogni passo. Le useranno, se riusciranno a prendermi. Poi mi daranno fuoco, per purificare il mio corpo. Se sono innocente il Signore mi salverà.
Sorrido, nella confusione della mia follia. Dicono che sono il lupo cattivo, che mi sono sfamato di troppe pecore, oramai. Devo morire.
Uno sparo mi prende la spalla. Guardo il sangue colare dalla ferita, incurante del dolore, incantato da quel liquido, dal suo odore, da come brilla alla luce del sole.
Un altro sparo. Premo le mani sullo stomaco, lacerato dalla pallottola, riempiendomi le mani di quel vischioso liquido rosso. Ha un odore così buono.
Forse è vero che sono stato io. Alzo gli occhi sulla folla che mi ha raggiunto, i loro occhi pieni di odio e d’orrore.
E allora bruciatemi.
Io non ricordo, ma sono stufo di scappare. Mi porto le mani alla bocca, leccando via il mio stesso sangue. Oh, Dio! E’ come miele, è impossibile non lasciarmi ubriacare di quel sapore.
Mi legano i polsi, e so che mi costringeranno ad andare fino in piazza, mi legheranno ad un palo e daranno fuoco alla paglia sotto i miei piedi.
Non importa. È giusto, probabilmente sono stato io, anche se non ricordo, sono stato io. Ogni volta mi sveglio nel cuore del bosco, senza memorie della notte precedente, notti in cui la luna era piena. Sempre notti maledette. Sempre una vittima.
Sì, sono stato io.
Allora bruciatemi, non posso sopportare il ricordo di tutti quei corpi straziati. Con il dolce sapore del sangue sulle labbra e il ricordo delle vittime in testa finirò la mia vita.
Che il diavolo prenda la mia anima.
 
NdA:
Mi è uscito un capitolo molto deprimente nonostante avessi in testa tutt’altra cosa, ma i pensieri di questo licantropo inconsapevole volevano proprio essere scritte. Prometto che la prossima non sarà così triste.
Ringrazio Redarcher e Dark Ailbhe per i loro commenti, mi hanno dato la spinta per continuare questa piccola impresa! Grazie!
Arianrhod

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sogni di lupo ***



Spalanco la finestra facendo entrare la frizzante brezza notturna che mi scompiglia gentilmente i capelli. Scruto in silenzio la strada sottostante, illuminata dalla debole luce dei lampioni, e le persone che l’attraversano, ignare di tutto. Per loro è una notte come tante altre, per me, invece, è sacra. Alzo lo sguardo sul cielo buio, individuando la luna piena in mezzo al cosmo.
Questa notte è speciale, penso mentre mi infilo sotto le coperte illuminate dall’astro argentato.
‘Buona notte’ sussurro alla luna prima di chiudere gli occhi.
Un rumore sordo mi costringe a riaprirli, spaventandomi. Mi guardo intorno cercando di individuarne la fonte. Il buio avvolge tutto come una pesante coltre di lana ma fortunatamente non è problema, ci vedo meglio durante la notte.
Non noto nulla e le mie orecchie non captano più nessun rumore. Mi alzo incurante, se non sento niente significa che la fonte è lontana. Il mio udito non sbaglia mai.
M’inoltro fra gli alberi, seguendo il forte odore di casa che emana il terreno. Il mio branco, invece, è vicino. Più avanzo più l’odore è forte, alle mie orecchie arrivano i familiari suoni emessi dai miei compagni, e finalmente li vedo.
Sono tutti e sei lì, e stavano aspettando me. E’ ora di andare a caccia. Un mio simile si avvicina e struscia il muso sul mio collo, lo lascio fare e ricambio. Il suo odore è forte, è un maschio e sa che sono in calore, lo sanno tutti. Ma lui non permetterà a nessun’altro di avvicinarsi a me, noi siamo compagni, siamo il maschio e la femmina alfa del branco.
Ma ora non c’è tempo per certe cose. Abbiamo troppa fame, sono giorni che non mangiamo che piccoli animali. Dobbiamo andare a caccia.
Ci mettiamo in cammino, cercando di captare qualcosa che ci possa portare da una preda.
Dopo una lunga e vana ricerca siamo quasi tentati di rinunciare, finché non lo sento. Non è che un flebile odore, una debole traccia del suo passaggio, ma questo a noi basta. E’ odore di una  preda.
Produco un basso ululato, richiamando l’attenzione dei miei compagni, che dopo pochi minuti compaiono fra gli alberi.
Eccitati cominciamo a seguire quella lieve pista che diventa sempre più forte man mano che la rincorriamo. E finalmente compare, al limitare della foresta, un bisonte che si è perso, lasciando le sue dolci e più sicure praterie.
Stando attenta a non far rumore muovendo il terreno con le zampe, cerco di bloccare l’eccitazione che sta salendo dentro di me. Finalmente cibo.
Quando anche il resto del branco si è disposto e il mio compagno mi ha raggiunta, siamo pronti.
Con i miei potenti muscoli faccio un balzo verso la preda che, spaventata inizia a fuggire. Tutti e sette cominciamo ad inseguirlo.
Il bisonte cerca di scappare in direzione della prateria, dove sicuramente si trova il suo branco, ma un mio compagno non glielo permette, bloccandogli la strada. La preda allora si lancia fra i radi alberi. La nostra cena ci costringe ad inseguirlo per molto tempo, ma non importa, anche questo fa parte dell’eccitazione della caccia.
Finalmente riusciamo a circondarlo e uno ad uno lo attacchiamo, io mi lancio senza indugi sul collo, affondando nella carne le mie forti zanne. E’ il mio compagno a finirlo confermando la sua supremazia. Finalmente possiamo nutrirci. Affondo il muso nel corpo del bisonte strappando pezzi di carne con forza.
Alzo il muso insanguinato verso il cielo dove la luna splende con vigore. Chiudo gli occhi godendo della bontà del cibo.
Il rumore di un clacson mi costringe a riaprirli. Mi tiro a sedere assonnata, e, scostando le coperte vado a vedere la fonte del rumore. Un piccolo incidente mattutino. Sbadiglio mentre accetto la brezza del giorno. La luna si vede ancora in cielo, pallida e sbiadita, certo, ma c’è. Le sorrido.
Anche stavolta mi ha regalato sogni da lupo.
 
NdA:
Come sempre ringrazio Dark Ailbhe per i suoi commenti che sono il mio sostegno, Annichan (che dopo mille anni ha commentato – questa non te la perdono! Comunque, grazie, ti adoro anch’io!)
Lettori, vi prego commentate. Le vostre voci sono il sostegno delle autrici!
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Mostro ***



Perché mi guardi così, amore mio? Hai paura di me?
Come biasimarti, ho fatto crollare il tuo credo, hai scoperto che non sono l’uomo che conoscevi. Non sono solo la persona irritabile e taciturna che ami, non sono solo quello.
Guardi i miei occhi folli e primitivi con una nuova luce. Hai scoperto chi sono: un licantropo.
Sono un mostro. Non uno zombie che non ha coscienza, non un fantasma che è solo un impronta di un’anima morta, non uno demone che è nato con questa natura, e nemmeno un vampiro che è un cadavere senz’anima e imbottito dal male. Io sono vivo e cosciente di tutto, sono un mostro ma non per mia scelta e non posso cambiare questa realtà. Sono infettato da una malattia incurabile o maledetto in modo immutabile, scegli tu. Io ce l’ho un’anima, e quando morirò, dove finirà? All’inferno non c’è dubbio.
Non posso controllare la belva che c’è in me, non posso fare a meno di annusare il tuo profumo e chiedermi come sarebbe assaggiare la tua carne. La carne della donna che amo.
Segui il mio corpo tremante fino alla mia alcova, impietrita dal terrore. Dici di non avere paura, non sai che la riesco a fiutare e che ti avvolge come un vestito seducente.
Scendiamo le scale di pietra senza dire una parola, accompagnati solo dal rumore dei nostri passi il cui eco rimbalza sulle umide pareti. Infine arriviamo davanti a delle sbarre, formate da argento puro, e ci fermiamo. Senza toccare quel materiale prendo una chiave di ferro e apro la serratura. E’ un crudele scherzo del destino che il materiale a me nemico sia dello stesso colore della mia persecutrice: la luna.
Non ti permetto di entrare, sarebbe troppo pericoloso. Richiudo le sbarre con perizia e nascondo la chiave in una frattura della parete. Mi giro verso di te e ti prego per l’ennesima volta di cambiare idea. Il tuo diniego non fa che aumentare il mio dolore. Dopo questa notte non mi amerai più. Eri l’unica persona a dare un po’ di luce nella mia dannata esistenza ed infine perderò anche te.
Mi siedo in mezzo alla stanza, ad aspettare. Quando mi chiedi cosa sto aspettando ti rispondo che la luna sta arrivando e accenderà la mia maledizione.
Ed infatti eccola fare capolino da una piccola fessura. Il mio corpo comincia a sussultare, sotto i tuoi occhi sorpresi, pieni di timore e preoccupazione.
Un basso ringhio esce dalle mie labbra mentre una folle ira si impossessa di me. Sta cominciando. Ti spaventi quando urlo di andartene, la mia voce non è quella che ti sussurra dolci parole nell’orecchio, è una voce cavernosa, primitiva, animale e piena di furia cieca. Cominci a tremare e scuoti la testa con gli occhi pieni di lacrime. Non te ne vuoi andare. So che hai paura, è inutile che fingi, non mi commiserare. Vattene.
Le convulsioni sono sempre più forti, ormai la trasformazione è iniziata. Con le pupille color dell’ambra non stacco gli occhi da te mentre comprendi ciò che sono, mentre le mie ossa si spezzano per ricomporsi in maniera diversa. Tu non sai che sofferenza è dover ricostruire il proprio corpo.
Cado a bocconi e quando il mio corpo cambia cominci ad urlare. Dai miei piedi la pelle comincia a rivoltarsi riempiendosi di pelliccia, prima che arrivi alla testa fai in tempo a vedere come il mio cranio si allunghi, diventando quello di un lupo, un enorme lupo.
Ho ancora un briciolo di coscienza, ma non posso controllare la furia che mi scuote. Con un ringhio mi lancio contro le sbarre, tu fai un salto indietro, per puro istinto. Non preoccuparti, non posso toccare l’argento.
Ormai il tuo viso è inondato di lacrime. Hai scoperto che l’uomo che amavi è un mostro, e non puoi sopportarlo, è troppo per te. Se sei stata tu ad insistere per vedere il mio vero io, ora non scappare, penso con amarezza.
E allora affoga nel tuo dolore, sguazzaci dentro fino a non poter più tornare in superficie, perché nessuno può mitigare il mio, di dolore. Mi hai fatto comprendere una cosa, stanotte.
Nessuno, a parte l’inferno, accoglierà la mia anima maledetta, sono condannato ad un eterno e solitario dolore condivisibile solo con i miei simili. Questo è il nostro destino, il destino del più vivo e patetico dei mostri.
 
NdA:
Oggi vi diletto con un licantropo amaro e pessimista che svela alla sua donna il suo segreto. Purtroppo, per colpa delle pagine ridotte non ho potuto esprimere bene i suoi sentimenti (ad esempio avrei voluto soffermarmi di più su ciò che prova vedendo la sua donna scappare da lui… si lo so, sono sadica!). Spero vi accontentiate di questo, e che vi piaccia come gli altri. Come al solito ringrazio Dark Aillbhe che mi commenta sempre, e prego agli altri lettori di lasciarmi un commentino, anche piccolo piccolo. Mi farebbe molto piacere!
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Astinenza ***



Adoro questo momento, il momento della caccia. Posso sfogare il bisogno, quella voglia che mi corrode per un intero mese, costringendomi ad una dura astinenza. E poi arriva questa notte, la notte di luna piena, e non posso più fermarmi, il bisogno è talmente forte da far male, come un eroinomane ha bisogno della sua dose. No, non è solo bisogno, è fame.
Mi faccio passare la lingua sulle labbra con una folle espressione estasiata mentre pregusto la mia cena. Mi appollaio sul tetto, ignorando il cadere della pioggia che rende afosa tutta la città. Lascio che le gocce mi cadano sulla testa e mi bagnino i vestiti, rinchiuso nella mia follia ormai non le sento più scivolare sulla pelle.
Scruto la folla cercando di individuare la mia preda.  Ho un’ampia scelta, il mondo è pieno di cibo, di stupidi deboli ed insignificanti umani. Loro non capiranno mai cosa si prova ad essere un Dio, come me, ad essere superiore.
Una piccola parte di me, rinchiusa nel luogo più nascosto del mio inconscio, si riscuote leggermente dal suo sonno, ricordandomi la verità. Scuoto la testa producendo al contempo un basso ringhio di fastidio. Lo so, non me lo scordo mai, metà di me è umana, proprio di quella razza che stanotte detesto e di cui mi ciberò, e sarà proprio quella parte a rammaricarsi delle mie azioni domani.
Ma non m’importa, non stanotte. Questa notte io sono un cacciatore, un felino, e non posso certo preoccuparmi della morale.
Non ho fretta, ho tutto il tempo che voglio. Sorrido divertito mentre mi alzo senza produrre rumore e comincio a camminare sul cornicione del palazzo. Sopra di me la pioggia continua a cadere, incessante come la mia fame.
Ed infine la mia attesa viene ripagata. Un’umana si è staccata dal branco e si è inoltrata nelle buie traverse della città. Povera piccola umana, non te l’hanno detto che è pericoloso andare in giro da sola?
Senza indugi mi lascio cadere, godendo dell’eccitante sensazione del salto, per poi atterrare con grazia sul terreno come solo i felini sanno fare. Comincio a seguire la mia preda, senza fretta, nascondendomi nelle ombre degli alti palazzi della metropoli. Ora non sono che un silenzioso predatore.
Sorrido divertito, con tutto il rumore che producono i tacchi della mia gustosa preda non mi sentirebbe nemmeno se fossi un semplice umano.
La seguo con pazienza mentre percorre le buie e isolate vie che si estendono in lungo attorno al centro, finché non si ferma per accendere una sigaretta. Non ho esitazioni, è il momento di agire.
Comincio a correre, una corsa innaturalmente veloce, ed in pochi secondi mi trovo dietro di lei. Prima che si accorga della mia presenza e cominci ad urlare le prendo la testa fra le mani e le spezzo il collo, senza fatica. Lo dicevo io: sono solo dei deboli ed insignificanti umani.
A quel punto comincio a sfamarvi. Mentre assaporo il gusto della carne umana provo finalmente sollievo. Mi sento completo. Almeno per stanotte l’astinenza è finita.
 
NdA:
Oggi vi ho presentato un felino. Volevo fare un cacciatore solitario, non un lupo che invece è un animale da branco. Ho visto un video sulle tigri ed ho voluto assecondare il mio capriccio momentaneo! XD Anche se, lo devo ammettere, non mi sono impegnata molto. Chiedo umilmente perdono, non ero particolarmente ispirata stasera. Prometto che la prossima volta sarà migliore.
Come sempre ringrazio Dark Ailbhe e stavolta una new entry, Kabuki, grazie per i complimenti, spero che tu continua a commentare.^^
Arianrhod.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Essere Alfa ***



« Ti sfido »
Ho sempre pensato che queste due parole possano segnare la fine di un uomo. Peccato che adesso siano rivolte a me.
Questi sono gli unici pensieri che attraversano la mia mente dopo che lo sfidante ha pronunciato la mia condanna, o molto probabilmente la sua. Sbatto due volte le palpebre sorpreso, questa non me la aspettavo proprio. Insomma, uno si sveglia la mattina convinto che vada tutto bene e invece ecco che ti arriva tra capo e collo la disgrazia. Una vera ingiustizia.
Mi accorgo che tutti hanno sospeso le loro attività e l’aria sembra quasi essersi congelata. Lascio che le mie labbra si distendano in un pigro sorriso canzonatorio.
« Potresti riproporre la sfida fra un paio d’ore? Qui ci sono lavori in corso parecchio importanti… » dico indicando con un cenno del capo la bellezza che tengo fra le braccia.
E’ ormai arrivata la stagione degli accoppiamenti e l’intero branco è … eccitato, se così si può dire. Questa notte dopo aver raggiunto la tana, ho notato quella piccola lupa e mi sembrava talmente in calore che sarebbe stato un peccato lasciarla insoddisfatta. Tutti i lupi cercano di attirare l’attenzione della femmina Alfa o di qualche altro membro con un’alta posizione sociale, io invece la penso diversamente. Le donne sono tutte uguali, più sono desiderate più diventano arroganti, meglio una bella lupa sottomessa. Oltre al fatto che in questo modo non si rischia di venire sfidato per gelosia.
Un basso ringhio esce dalle labbra dello sfidante, evidentemente non ha apprezzato il mio tentativo d’umorismo. Che dire… ogni teoria ha il suo buco nero.
Mi alzo talmente in fretta che molti membri del branco non riescono a notare il movimento, ma, nonostante il mio scatto, il sorriso non lascia mai le mie labbra. Perché perdere le buone maniere proprio adesso?
Tutto il branco è ancora bloccato sul posto, attendono una mia risposta. Studio lo sfidante e noto che è parecchio incazzato. Non è per sete di potere né per vendetta che vuole lo scontro, è per ragioni personali. E’ il tipo di sfidante che odio di più, il tipo di persona fondamentalmente pura, dalla mente semplice e leale. Loro sono i tipi più difficili da uccidere.
Impreco a denti stretti, basta guardarlo negli occhi, trasparenti come l’acqua, per capire che non si tirerà indietro. Probabilmente è per la biondina al mio fianco. Fanculo le teorie, giuro che la prossima volta punterò solo alla femmina Alfa.
Sposto una ciocca di capelli con una mano mentre i miei occhi si fanno più freddi e il sorriso scompare lentamente, la mia espressione diventa letale. Basta uno sguardo e lo sfidante perde quasi tutta la sua rabbia rimpiazzandola con terrore.
Fai bene ad avere paura, perché io non avrò pietà, questa sfida durerà pochi secondi, ma ti basteranno per pentirti della tua scelta. Combatteremo, e circondati dal branco con i loro sguardi come spettatori e il silenzio come colonna sonora, tu morirai. Perché hai sfidato il maschio Alfa, l’unico lupo Libero, e nessuno mi potrà mai incarcerare nemmeno tu, con i tuoi occhi sinceri. Se questo è quello che vuoi allora muori, io continuerò a vivere e mi prenderò la tua bella, che mi accoglierà fra le sue cosce alla tua morte e si ciberà delle tue carni.
Nei miei occhi non c’è più calore, ormai. Dalle mie labbra esce solo una parola pronunciata con voce talmente bassa che sembra provenire dall’oltretomba.
« Accetto »
 
NdA:
Ho ritardato, lo so, ma ho avuto un casino di cose da fare e neanche un minuto libero negli ultimi giorni… bhe, meglio tardi che mai, no?
Che dire di questa shot… mi piace un casino. Il personaggio è un cliché piuttosto banale… il tipo che vuole fare il figo… ma l’ho trovato perfetto per questo preludio di battaglia, così arrogante nella sua sicurezza…
Per quelli che non lo sanno i branchi di lupi hanno una gerarchia molto ferrea fra cui ci sono il maschio e la femmina Alfa che sono i ‘capi’ (anche se, come ho detto non è che prendono le decisioni, hanno solo libertà di scelta e solitamente il resto del branco li segue per spirito di gruppo) il maschio e la femmina Beta che sono i ‘secondini’ (ma non sempre ci sono) e l’Omega che è l’ultimo della gerarchia, il maltrattato da tutti (Ho generalizzato il tutto per amore di sintesi, chiaramente la cosa è un po’ più complessa!^^).
Come sempre ringrazio Dark Ailbhe e anche Kabubi (questa volta l’ho scritto giusto!)
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cara Mamma... ***



Ricordo che quando ero piccola, la domenica, poco prima della messa, mi fermavi all’entrata della chiesa e mi dicevi di guardarmi intorno ed ammirare la bellezza della casa di Dio, che mi amava più di chiunque altro. Io, ogni volta, ero affascinata davanti alle grande arcate dipinte, sostenute da elaborati pilastri a fascio più larghi di me, e rimanevo incantata vedendo l’altare e l’enorme cupola che incombeva su di esso. Allo stesso tempo rimanevo anche terrorizzata davanti a tutta quella maestosità, mi sentiva piccola e inutile davanti alla magnificenza della casa del Signore. Potevo quasi sentirla, l’essenza stessa di Dio, che ci avvolgeva in un grande abbraccio, e ogni volta mi sentivo amata, nonostante la Sua grandiosità. A quei tempi credevo che Lui ci sarebbe stato sempre, con tutto il Suo amore e la Sua bontà.
Illusione di bambina. Ora so che non è così.
Sai mamma, è stato proprio un uomo di chiesa a ridurmi così, a farmi diventare quello che sono. A mordermi, a infettarmi, a trasformarmi in un mostro assetato di carne e sangue.
Fu dopo la messa di mezzanotte di Natale, avevo fatto la chierichetto e, passando davanti alla sacrestia, sentii un pianto. Incuriosita sbirciai dentro la stanza, nonostante sapessi che non dovevo farlo. Vidi di spalle quel nuovo prete coadiutore che tu lodavi tanto, singhiozzava così forte che gli tremava tutto il corpo. Impietosita entrai e debolmente chiesi se stava male, tu mi avevi insegnato ad essere sempre presente e aiutare gli altri nel loro dolore. Mi ringhiò di andarmene. Letteralmente.
Quando si girò non c’era niente di umano in lui, gli occhi erano iniettati di sangue, la bava gli usciva dalla bocca e aveva quell’orrenda e folle espressione di bramosia sul viso. Non credo che la scorderò mai.
In un secondo fu addosso a me, non ebbi nemmeno il tempo di avere paura, mi morse il braccio. Fu il mio urlo a farlo scappare, lasciandomi l’arto tutto intero.
Quel prete scomparve la mattina successiva ed io, dopo quel giorno, non misi mai più piede in una chiesa. Tu piangesti, e pregasti tutte le sere chiedendo a Dio che la mia anima confusa ritrovasse chiarezza. Io ti spiavo in silenzio, dietro la porta, cercando di trovare il coraggio di dirti che non poteva più essere ritrovata, la mia anima. Quella notte Dio mi aveva abbandonata.
La sera, prima di andare a letto, invece di dire una preghiera, mi rivolgevo a Lucifero per chiedergli di avere un po’ di clemenza verso la mia anima, quando sarebbe andata da lui.
Le ragazze della mia età leggevano romanzi d’amore, io rileggevo l’Inferno di Dante mille e mille volte, chiedendomi in quale girone sarei capitata dopo la mia morte.
Le ragazze della mia età dicevano di andare a dormire da un’amica per poter passare la notte con il fidanzato, io per rinchiudermi in una gabbia d’argento e rimanerci fino a che l’influsso della Luna non fosse calato.
Le ragazze della mia età avevano paura del sangue, io lo bramavo.
Le ragazze della mia età quando fissavano i ragazzi, si chiedevano come baciassero, io di che sapore fosse la loro carne.
Come faccio a dirtelo, mamma? Come faccio a dirti che sono un mostro? Che sono un lupo mannaro? Come faccio a dirti che non sarò mai felice, qui?
Mi dispiace, ma la mia anima non si può redimere, e, a questo punto, preferirei addirittura non averla.
A volte passo davanti alla chiesa, ma ho troppa paura di entrarci. Ho paura che un fulmine cada dal cielo per punire la mia anima condannata, come per le streghe. Ormai Dio non mi vuole più bene, o forse non me ne ha mai voluto, data la sorte che mi ha concesso.
L’unica cosa che mi rimane da fare è andarmene, prima che la bestia che è dentro di me si ribelli totalmente e sbrani te o papà. Ti prego, non cercarmi.
So che piangerai quando avrai letto questa lettera, scusa se non ti ho detto nulla prima, ma non ne avevo il coraggio. Anche adesso ti confesso tutto così, come una codarda, prima di fuggire. Non ho la forza di sapere se accetterai con amore o mi guarderai disgustata nello scoprire la mia natura.
Forse un giorno avrò il coraggio di entrare in una chiesa e chissà, magari in quel momento anche tu ti metterai a fissare la grandiosità della Sua casa, come tu mi hai insegnato, e le nostre preghiere si incontreranno.
Ti voglio bene.
 
NdA:
Ok, l’ho postata notte fonda (sono tornata poco fa, scusate!) ma almeno sono in orario, no?
Questa è la più lunga che di quelle scritte finora, ed è anche la più strana. Confesso che neanche io capisco bene se parla veramente di licantropi o di crisi di credo… sono un po’ confusa!
Non mi sembra offensivo verso il cattolicesimo, ma se lo è e qualcuno si sentisse offeso chiedo scusa e dico che questa storia non è assolutamente stata scritta per essere offensiva né criticarne la religione.
 
Come sempre un Grazie a:
Dark Ailbhe: Spero che il fatto che tu non abbia saputo commentare non sia una cosa esageratamente negativa…^^ come la devo prendere? :P
Kabubi : Credo più che altro che quelli come lo sfidante non abbiano paura di morire e quindi sono più temerari! Spero che questa ti sia piaciuta, credo che sia la più malinconica di tutte.
Nikeforos: Complimenti, mi piace il tuo nick! Lo posso ammettere, anche io una volta al mese divento pelosa! XD Io, come avrai capito, sono dalla parte dei pelosi, che non capisco perché vengano sempre surclassati da quei dannati succhiasangue… in fondo sono solo dei cadaveri! XD Si, ho letto i libri della Hamilton, ma non mi sembra di scrivere come lei, forse l’ultima può assomigliarci, più che altro per colpa del protagonista che è un dannato arrogante bastardo come Anita Blake :P (senza offesa, ovviamente!). Spero che ti sia piaciuto anche questo! Baci
Bhe, che altro dirvi? Alla prossima settimana, e commentate!
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Vita quotidiana ***



Mi è sempre piaciuto camminare la sera nelle strade affollate dalla gente che torna a casa dal lavoro o ragazzi che ridono, gustandosi i loro ultimi momenti di libertà prima che scatti il coprifuoco. Anche ora, mentre mi amalgamo con la calca nelle vie principali, non posso fare a meno di guardare affascinato quella calma quotidianità, talmente familiare per loro – e per me – da renderla tanto cara.
Ma c’è qualcosa di diverso, stavolta. Tutto è diverso da quel dannato giorno. Angosciato, affondo nel caldo conforto della sciarpa, per proteggermi dalle folate di vento che sono comparse in città da quando è iniziato l’inverno. O forse per proteggermi dai brutti ricordi.
Da quando, neanche un mese fa, quel dannato lupo – non lupo, cane, cane! Devo continuare a ripetermelo, i lupi non ci sono nelle città! – quel dannato cane rabbioso mi è saltato addosso in quel vicolo, nulla è più lo stesso. Affondo ancora di più nella calda sciarpa di lana, cercando di dimenticare il dolore del morso e del terribile ululato che aveva fatto scappare quell’enorme cane prima che riuscisse a farmi a brandelli. Chiudo gli occhi cercando di non tremare, mentre mi si rizzano tutti i peli del corpo al ricordo di quel richiamo bestiale.
Non ha alcuna importanza che quel morso sia scomparso il giorno dopo – mi avrebbe dato molto fastidio avere cicatrici sul corpo! – l’unica cosa rilevante è che ora tutto è diverso. O forse è solo una mia impressione e sto impazzendo.
Scuoto la testa cercando di lasciar andare quei pensieri e di godermi la mia passeggiata serale.
Il buio invernale è calato da un pezzo e ormai solo i lampioni accesi e i negozi aperti illuminano le strade. Per me non fa differenza. I miei occhi vedono perfettamente, come se fosse ancora primo pomeriggio. Da quando è successo la mia vista è migliorata al buio, ma alla luce ha qualche problema. È come se i miei occhi, a contatto col sole, si volessero proteggere e formassero una membrana leggermente opaca fra me e il mondo.
Scuoto nuovamente la testa. Non pensarci, non pensarci!
Mi concentro sulle persone che passano, ma è cosa vana. I loro odori sono talmente forti ed i l rumori talmente alti. Il profumo di una donna mi colpisce come se me l’avessero appena spruzzato in faccia, mentre parte della sua conversazione al telefono mi segue fino a quando non scompare dietro l’angolo. L’uomo alla mia destra odora di sudore e sapone, deve aver ritirato da poco la giacca dalla lavanderia, e la sua tosse arriva alle mie orecchie come un tuono. Due ragazzini si guardano complici mentre mi superano correndo, lasciandosi dietro un forte odore di sigarette e di paura, probabilmente per il terrore che la madre scopra la loro bighellonata, le loro risate mi trapanano la mente. Il profumo delle castagne avvolge tutta la strada, emanato dal carretto ai margini del marciapiedi, lo sfrigolio dei tizzoni ardenti è forte come se avessi la brace al mio fianco. Il barbone nell’angolo puzza di alcol e sporcizia.
Comincio a correre. Spaventato da tutti quegli odori e rumori che mi riempiono la testa. Mi fermo in una piccola stradina buia, che odora di stantio. Alzo gli occhi verso il cielo, a me così luminoso, e vedo la luna piena che si nasconde fra le luci dei lampioni. Almeno quella posso ancora guardarla, lei non fa rumore e il suo odore non mi arrivi alle narici.
Mentre mi perdo nelle sua luminosità un dolore improvviso mi spezza le gambe, come se il mio sangue fosse diventato fuoco liquido, corrodendomi le vene. Il pulsare accelerato del mio cuore mi tappa l’udito. E’ come se qualcosa mi stia rompendo in due, distruggendomi in mille pezzi, per poi ricostruirmi lentamente e altrettanto dolorosamente. Piango e urlo in mezzo a tutto quel male fisico, sento di star per svenire.
Io non volevo tutto questo, volevo solo una vita immersa nella quotidianità, una calda e semplice vita. Lacrime di rammarico si aggiungono a quelle di dolore.
La luna, dall’alto, sembra ridermi in faccia.
 
NdA:
Lo so, chiedo umilmente perdono, ho saltato un aggiornamento, ma ho passato tutta la settimana sui libri e ho avuto a malapena il tempo di respirare, figurati di scrivere!
Comunque, per farmi perdonare, oggi – attenzione perché non si ripeterà XD – ve ne posto due.
Spero che vi piacciano e se commentaste mi fareste un grande favore!
Dark Ailbhe: troppo buona, davvero! In effetti anche a me piace molta la scorsa shot, ma quella prima era un disastro! :P No, ti prego non nasconderti in un luogo sperduto di EFP, o io come farò senza le tue recensioni?
Nikeforos: eh eh! Siamo nemiche quindi! XD Io adoravo Richard, ma la Hamilton me l’ha fatto proprio cadere in basso…e solo per i suoi sporchi scopi! Tzè! Può essere, ma se è vero è una cosa del tutto casuale. No, non ho letto i libri in inglese ma so vagamente cosa succede… Il prossimo capitolo è nuovamente con protagonista da carattere tipo Anita…XD alla prossima!
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Benvenuta ***



Un attimo prima ero nel mio letto, grondante di sudore per la febbre, con un mal di testa titanico, una gamba che sembrava voler andare a fuoco ed a urlare maledizioni verso quel dannato licantropo, ed ora, tutto a un tratto, mi ritrovo qui.
Non saprei dire cos’è questo posto, non riesco neanche a descriverlo, ma mi sento bene, a casa. Probabilmente sono svenuta e questo è tutto un sogno, l’aldilà mi è apparsa come nei film e fra poco vedrò la mia nonna morta sorridermi da lontano. L’unica cosa che posso fare è guardarmi attorno spaesata ed incuriosita, ho una gran voglia di esplorare questo posto sconosciuto.
Faccio un passo zoppicando, la febbre sarà sparita ma il morso è ancora lì, meno doloroso ma visibile e infetto. Mi ha strappato molta carne quel maledetto, se riesco a sopravvivere mi faccio un tappeto con la sua pelle. E’ una promessa.
Cercando di non pensare al dolore accecante, comincio a rendermi conto di una cosa: qui non c’è nessuno, sono sola. Evidentemente la nonna Sara ha dimenticato di venire all’appuntamento, niente aldilà per me.
Mi giro, cercando di ampliare il mio campo visivo, ma anche alle mie spalle non c’è nessuno.
Confusa, ritorno alla posizione iniziale, ed il cuore mi sale su per l’esofago quando vedo un cane a pochi metri da me.
No, non è un cane, è un lupo. No, una lupa. Questo i film non l’hanno mai mostrato e capisco perché. Forse avrei preferito essere morta.
Stranamente non ho paura, e non faccio una piega quando comincia ad avvicinarsi, anzi, anch’io voglio sentirla più vicino.
Si ferma davanti a me ed io, senza dire una parola, affondo le dita nel suo pelo ruvido, consapevole che lei sarà la mia nuova compagna, la mia ombra, sempre con me ovunque vada. Una benedizione e una maledizione, così l’aveva chiamata quel dannato licantropo. Altro che paradiso, altro che l’aldilà. Tutte a me le sfighe.
Senza dire nulla la lupa comincia a leccare la mia ferita, ed ogni volta che la sua lingua ruvida tocca la mia pelle, il dolore si attenua. Dopo un po’ mi rendo conto che la ferita non c’è più.
Una benedizione e una maledizione…
Prendo il muso della lupa fra le mani e la guardo dritta negli occhi. Lei sostiene il mio sguardo, lotta per essere dominante, ma non ce la fa, e abbassa la testa. Sorrido, sarà anche una maledizione, ma non mi lascerò sovrastare da lei. Sarò io ad avere il controllo.
La lupa ulula al cielo e dopo un po’ mi accorgo che la sto imitando. Mi fermo irritata. Non è ancora il momento di diventare come lei. Godiamoci gli ultimi istanti da umana che mi restano.
Infine l’accetto. Le sorrido e apro le braccia in segno di approvazione. Va bene, ho capito, d’ora in poi noi due saremo sempre assieme. Litigheremo, una vorrà prevalere sull’altra, e ci odieremo a vicenda, ma saremo per il resto della nostra vita due metà dello stesso insieme.
Una benedizione e una maledizione.
Dannato licantropo.
 
NdA:
Ecco la seconda (per chi fosse entrato da ‘ultimo capitolo’ ne ho postate due). Questa è piuttosto semplice, ma mi piace molto. Il primo incontro.
Come sempre commentate e baci a tutti!
Arianrod
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Vita e morte ***



E’ tardi. Questo è l’unico pensiero che mi concedo, concentrato solo sul mantenere il poco autocontrollo che mi sostiene, ormai davvero precario. La luna e già alta in cielo, e non posso permettermi di rallentare, devo raggiungere il branco prima che sia troppo tardi, devo raggiungere un luogo sicuro prima di potermi trasformare, prima di lasciarmi andare.
Giro l’angolo verso una via sperduta, pronto ad aumentare la velocità della mia traversata come solo noi licantropi riusciamo a fare, uno dei pochi lati positivi dell’essere uno di noi.
La puzza di morto mi colpisce improvvisamente, è forte e corrosiva.
Un ringhio mi esce dalla gola, vibrante di rabbia. So a chi appartiene.
Quando giro l’angolo la vedo, in tutta la sua perfezione. E’ immobile, come solo la morte può essere, la pelle candida è del colore della luna, gli occhi lucenti mi fissano lussuriosi e le labbra sono colme di sangue. Per un secondo è come se tutto si fermasse ed io non posso fare a meno di guardare quelle corpose gocce rosse che le colorano le labbra incorniciando una dentatura perfetta fra cui spiccano un paio di canini in tutta la loro splendida ferocia. Il sangue scivola in maniera sensuale sulla sua pelle fino ai seni, che abbracciano il corpo di una ragazza avvolta dal rosso carminio del suo stesso sangue in una scena colma di macabro erotismo.
E’ l’odore a riscuotermi. Un puzzo di morto, un fetore così forte da ricordarmi che non è viva. Potrà essere perfetta alla vista, ma il mio fiuto me la presenta come un cadavere in putrefazione. Il tanfo di morte è antico, probabilmente è sulla terra da molto tempo, quando i miei antenati non erano che un labile pensiero nella mente della loro madre.
Sulle sue guance compare un leggero rossore a darle una parvenza di vita, vita che ha rubato alla preda fra le sue braccia. Quasi sentisse il filo dei miei pensieri lascia la presa sul cadavere dissanguato, che cade a terra come un rifiuto ormai inutilizzabile.
Il mio ringhio aumenta di tono, lo sento vibrare nella cassa toracica e devo utilizzare tutto il mio autocontrollo per non azzannarle la gola.
Lei mi guarda, immobile ed elegante e nonostante questo so che basterebbe un minimo movimento da parte mia per farla scattare con velocità.
Potrei attaccarla, un vampiro in meno su questa terra gioverà sicuramente a molti, al mio umore in primis. Non devo neanche preoccuparmi di un’eventuale compagno, loro sono creature solitarie.
Per loro scelta, certo. Sono convinti che la loro individualità li renda più affascinanti e misteriosi.
Dannati arroganti.
La verità è che un nido di vampiri è peggio di un branco di lupi, la loro malvagità si mescola e cresce rendendoli peggio di noi durante le notti di luna piena. Solo che loro non si limiterebbero ad un giorno al mese.
Sono dei ciechi, a cui non piace ricordargli che sono stati umani, quegli stessi umani di cui si cibano con così tanta noncuranza. Si cullano nel pensiero di essere la razza perfetta, che ha superato la morte mantenendo una bellezza ineguagliabile. Ci disprezzano perché convinti che non abbiamo grazia, che siamo solo un branco di animali schiavi dei loro istinti.
In fondo ci disprezzano per tutto ciò che ci rende umani.
Ma noi riusciamo a vederli per quello che sono: un ammasso di carde morta, che la magia salva dalla putrefazione ma che dovrebbero essere cibo per vermi da ormai molti secoli.
Probabilmente dovrei ricordarglielo che non è altro che cenere.
Un basso ululato mi riscuote dalla mia rabbia. Non ho il tempo per queste cose, non è sicuro trasformarsi in mezzo alla città. La supero, fissandola negli occhi. Lei non sbatte neanche un ciglio, e mi guarda immobile lasciando trapelare disprezzo dalle sue iridi perfette.
Aumento il passo divertito. Potrà vivere per sempre, ma non potrà mai assaporare la vita vera, sarà costretta a rubarla agli umani per l’eternità, perché in fondo loro bramano ciò che più disprezzano.
Mentre io questa notte sarò parte della natura, sarò un tutt’uno con la terra, con la luna e con il mio branco. La vita mi scoppierà nella vene inondando tutto il mio essere in un modo che un cadavere non potrà mai sapere.
Il fetore di morte mi è rimasto sulla pelle, ma sparirà nella mattinata. Rido più forte mentre mi avvicino al mio branco. Che mi disprezzi pure. Io rido al pensiero della sua eterna non vita, che sarà immobile come la morte e che non toccherà mai davvero il mondo.
La vita potrà anche avere paura della morte, ma la morte non potrà fare a meno di bramare la vita.
 
NdA:
In questi giorni, mentre ripulivo il mio computer, mi sono messa a rileggere questa raccolta. Mi è venuta voglia di riprenderla in mano, finendo quegli scritti che avevo iniziato ormai quattro anni fa.
Non sarà una pubblicazione con una continuità regolare, quando avrò voglia ne aggiungerò qualcuna.
Quindi ho deciso di finire questa piccole one shot, che avevo iniziato e mai finito e che mette a confronto licantropi e vampiri, vita e morte.
Spero che vi piaccia. J
Arianrhod
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=164625