MoonDance

di Revenge_Kurobara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** .................... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
 
Un giorno, due, tre...
Il tempo passa così velocemente.
Ma il dolore non scivola via come il tempo.
Il dolore è sordo e pesante.
Lento e inesorabile.
Forte e aspro.
Si può sconfiggere il dolore?
Si può colmare il vuoto nel cuore?

 
Camminavo lungo la strada con la testa china sul petto. I capelli color nocciola nascondevano il mio viso sconvolto, attraversato ancora da qualche lacrima. Lacrime che i miei occhi gonfi e arrossati non volevano fermare. Occhi verdi, spenti, incollati al terreno, persi nel nulla. Il nulla, il vuoto che avevo nel cuore, lasciato da persone a me care. Come poteva essere accaduto?!
Il cammino era ancora lungo e non riuscivo a non pensare a cosa fosse appena successo. Era reale? Speravo che fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale mi sarebbe bastato svegliarmi per tornare alla realtà e smettere di soffrire.
Speravo che nulla di ciò che era accaduto fosse vero.
Speravo di essere impazzita, di aver immaginato tutto.
Speravo che fosse colpa della prolungata mancanza di sonno.
Speravo che i miei occhi e la mia mente mi avessero ingannata, che quelli distesi sul pavimento in un lago di sangue nella mia stanza non fossero i miei genitori.
Forse stavo solo immaginando tutto. Probabile.  Ma dentro di me sapevo che la verità era quella. Potevo non crederci, cercare di auto convincermi che non fosse così,  ma la realtà mi sarebbe piombata addosso inesorabilmente, pesante come un macigno, pronto a schiacciare il mio mondo fatto di carta.
Ormai era tutto distrutto, cancellato, spazzato via. Dei bei momenti passati con i miei genitori non mi era rimasto nulla se non ricordi, ai quali mi aggrappavo con insistenza per non sprofondare nell’angoscia. Non avevo più nulla, nemmeno un posto in cui stare; la mia casa era stata inghiottita e mangiata dal fuoco,  appiccato dagli uomini che avevano ucciso i miei genitori.
Perché?
Perché ero sopravvissuta solo io?
Perché non mi era stato destinato lo stesso fato dei miei genitori?
Perché dovevo soffrire così tanto?
Avevo così tante domande a cui non riuscivo a dare una riposta.
Chi aveva ucciso i miei genitori? Chi aveva voluto la loro morte?
Ma soprattutto, perché?
Mi asciugai il viso con un gesto repentino del braccio. Sapevo che piangere non mi sarebbe servito a nulla ma in quel momento mi sembrava l’unica cosa che potesse alleviare il mio dolore.
:- “Hai intenzione di non parlarmi per tutto il tragitto?”-
La mia attenzione venne attirata dall’uomo che avevo al mio fianco, al quale, il fato mi aveva affidata.
Affidata.
Si, certo. Suonava meglio “costretta a seguire”, date le circostanze.
Mi girai per un istante verso il mio salvatore, il quale comprese dal mio sguardo che non avevo alcuna voglia di parlare.
Parlare.
Era l’ultima cosa che volevo fare in quell’istante. Cosa avrei dovuto dire?
La mia famiglia era distrutta, i miei genitori erano stati uccisi brutalmente o meglio, assassinati da qualcuno,  senza un motivo apparente. Io…ero rimasta sola.
Rievocai alla memoria i loro ultimi istanti di vita, il loro ultimo gesto di affetto nei miei confronti; un dolce “ti vogliamo bene” sussurrato all’orecchio mentre mi abbracciavano amorevolmente, cercando di infondermi più amore e coraggio possibile; i loro sorrisi rassicuranti, i loro occhi quieti prima di chiudere la porta del passaggio, celato dalle spesse mura di casa, che li avrebbe separati da me, per sempre. Sembravano così sereni, come se già sapessero cosa sarebbe accaduto. Come se si stessero preparando a quel momento da una vita.
Una piccola fessura nella parete mi permise di assistere alla loro morte.
Perché faceva male? Perché faceva così dannatamente male?
I miei occhi divennero lucidi e prima ancora che me ne potessi accorgere avevano ripreso a lacrimare.
Stavo piangendo.
Un pianto silenzioso, colmo di tristezza e dolore.
Un pianto che si perdeva nella mia gola, stretta in una morsa invisibile che mi impediva di respirare regolarmente.
Sentii sospirare e successivamente una mano si appoggiò saldamente alla mia spalla. Mi voltai pur sapendo di chi era.
Mario.
L’uomo che mi aveva salvato da quell’inferno qualche ora prima, mi stava sorridendo.
Lui era un piccolo bagliore di luce in tutta quella oscurità.
Il mio salvatore.
Colui che mi aveva strappato alle fiamme.
Colui a cui dovevo la mia vita.
Se non fosse stato per Mario probabilmente sarei bruciata viva insieme ai corpi dei miei genitori.
Perché non trovai alcuna via di fuga da quel passaggio nel muro: era un semplice nascondiglio privo di uscite secondarie. Forse i miei genitori non avevano calcolato che i loro assassini potessero dare fuoco alla nostra abitazione. Sconvolta com’ero non ero riuscita a razionalizzare che poco a poco le fiamme stavano avanzando nella mia direzione. Ero rimasta rannicchiata nel mio nascondiglio con le gambe strette al petto, incurante del pericolo.
Un boato.
La porta dello stanzino segreto che si apriva.
Il calore delle fiamme si era diffuso nel piccolo spazio angusto.
Sollevai il capo e i miei occhi si incontrarono nei suoi.
Azzurri. Uno splendido azzurro.
Non vidi altro, poi tutto si fece nero. A quanto pare qualche attimo dopo svenni, forse per il troppo fumo inalato.
Il mio salvatore mi ridestò dai miei pensieri con un lieve scossone. Sollevai il viso e mi ritrovai a fissarlo . Era la prima volta che lo guardavo direttamente in volto e notai una cosa che mi lasciò alquanto perplessa: non aveva gli occhi azzurri, bensì marroni. L’occhio sinistro era attraversato da una cicatrice che lo aveva reso cieco, forse una ferita che si era procurato durante uno scontro.
Ora che ci pensavo anche i lineamenti non erano gli stessi.
Forse avevo scambiato i suoi occhi marroni per azzurri durante l’incendio.
Forse le lacrime mi avevano offuscato la vista, ed era per questo che non avevo notato prima la cicatrice.
Forse il fumo mi aveva confuso e annebbiato i sensi.
Molto probabile.
:- “Dobbiamo sbrigarci. Non manca molto al tramonto e la foresta di notte non è certo luogo per bambine”- con la mano avvolta nel guanto si preoccupò di asciugarmi le guance umide con un movimento deciso.
:- “Ci sarà un grande banchetto”- a quanto pare stava tentando di sollevarmi il morale
:- “Avrai una stanza tutta tua, bei vestiti e una dama da compagnia. Potrai farti un bel bagno prima di andare a dormire e…..”- si bloccò a metà frase.
Mi sforzai di sorridergli.
A quanto pare l’uomo capì che non sarebbe servito a nulla cercare di consolarmi in quella maniera.
:- “....coraggio andiamo.” -
Mi diede qualche pacca sulla spalla poi riprese a camminare. Qualche attimo dopo mi decisi a seguirlo ma rimasi sempre a qualche passo dietro di lui. Sapevo che stava soltanto cercando di aiutarmi.
Ma…chi era in realtà quell’uomo?
Perché mi stava aiutando?
Conosceva i miei genitori?
Altre domande che per ora non avrebbero trovato risposta.
Non nascondevo che la sua figura mi incuteva un po’ di timore, ma il suo carattere bonario mi rassicurava.
Mi voleva fare del male?
Esclusi subito quell’opzione. Se solo l’ avesse voluto lo avrebbe fatto da un pezzo.
Nonostante l’età, forse una cinquantina, dava l’impressione di essere ancora nel bel pieno delle forze. Il fisico non era certamente quello di una volta ma avevo la netta sensazione che avrebbe potuto sbaragliare un gruppo di 20 uomini armati, da solo.
Sobbalzai nel sentire strani rumori provenire da dietro di me, avvicinarsi.
Aumentai il passo fino ad affiancarmi a Mario. Non appena lo feci, il mio salvatore si voltò a guardarmi e scoppiò in una grassa risata. Il mio gesto lo aveva divertito così tanto? Eppure ero terrorizzata all’idea che qualche brigante potesse attaccarci. Come faceva ad essere così tranquillo? Rimasi a guardarlo con una faccia che non doveva essere molto intelligente. Qualche attimo dopo capii come mai stesse ridendo così tanto: da uno dei tanti cespugli alle mie spalle, vidi sbucare un cerbiatto. Mi diedi della stupida da sola. Ecco spiegati quegli strani rumori.
Ma allora….come mai mi sentivo osservata? 


Ciao a tutti ^w^
grazie a quei pochi che leggeranno la mia FanFiction ^W^
è la prima che scrivo e, essendo consapevole della mia scarsa capacità nella scrittura, accetto molto volentieri critiche e suggerimenti ^^
spero a presto ^^

un grosso saluto da Revenge_Kurobara

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 

Non saprei di preciso stabilire a che ora arrivammo a destinazione e quanto ore passarono, sapevo solo che il sole aveva lasciato il suo posto alla luna, che si ergeva maestosa in quella notte scura, unica protagonista di quel cielo privo di nuvole. Perfino le stelle sembravano così insignificanti al suo cospetto.
Una folata di vento gelido mi fece rabbrividire. Mi strinsi un poco nelle spalle nel vano tentativo di riscaldarmi. La leggera veste che indossavo, più simile a una camicia da notte che ad un vestito, non bastava a ripararmi da quel lieve venticello. L’estate era ormai alla fine ma non mi sarei mai aspettata che potesse fare così freddo.
Qualcosa di pesante e caldo mi cadde sulle spalle facendomi sussultare appena per lo spavento. Una giacca. Volsi lo sguardo verso Mario e trovai il suo sorriso, ancora una volta divertito. Portò un braccio attorno alle mie spalle, avvolgendole bruscamente e, sempre bruscamente,  mi strattonò a sé. Stavo iniziando ad abituarmi ai suoi modi bruschi ma affettuosi.
Mi beai del tepore del suo corpo. Potevo sentirlo entrare nelle ossa e riscaldarmi appieno dall’interno.
:- Vedi quelle luci?- indicò delle torce in fondo alla strada. Almeno, pensai che fossero torce.
Annuii.
:- Siamo a Monteriggioni, cara mia - sentenziò l’uomo, dopodiché mi arruffò i capelli, scompigliandoli più di quanto non lo erano già.
Riprese a ridere con la sua solita grassa risata. Non capivo cosa avesse così tanto da ridere. Prima di lasciare la presa sulle mie spalle e proseguire, si preoccupò di darmi una nuova serie di scossoni.
Sbuffai, facendo attenzione a non farmi sentire e con un piccolo scatto lo raggiunsi. Continuavo a guardarmi attorno; ero nervosa. Stavo attenta ad ogni singolo rumore, i nervi tesi pronti a scattare in qualsiasi momento.
Avevo paura?
Non potevo definirla propriamente paura.
Da quando?
Come mai tutta ad un tratto?
Non mi era mai capitata una cosa del genere, nemmeno quando ero bambina.
Il buio mi stava terrorizzando, o meglio, quello che le tenebre potevano celare al suo interno.
L’ignoto mi spaventava…
Quello che non potevo vedere mi spaventava….
Ciò che non potevo comprendere mi spaventava….
In quel momento rimanere sola mi terrorizzava…
Ecco, forse era proprio quello.
Per fortuna il bagliore della luna rischiarava il nostro cammino e evitava di farmi prendere da un attacco di panico.
Da quando questa paura insana per il buio?
Immersa nelle mie riflessioni non feci caso a quanto ci fossimo avvicinati alla nostra meta.
Alzai lo sguardo da terra e le mura di Monteriggioni mi si pararono davanti, possenti, invalicabili, maestose.
A quanti assedi avevano resistito? Quante battaglie e quanto sangue avevano visto versare nel corso degli anni?
Alcuni soldati di guardia camminavano lungo la passerella delle alte mura, illuminate da qualche torcia che le rendevano grottesche.
Vidi Mario avvicinarsi all’entrata principale che si aprì subito dopo. Mi allungò la mano, invitandomi ad entrare
:- “Bhé? Che aspetti lì impalata? Vuoi stare qui fuori per tutta la notte? -
Scossi la testa in segno di dissenso. Non volevo rimanere fuori al buio un secondo di più, soprattutto da sola.
Allungai timidamente la mano fino a trovare quella del mio Salvatore, il quale mi trascinò all’interno della città.
Ovunque posassi lo sguardo vedevo solo persone. A quanto pare Monteriggioni era molto attiva verso sera, oppure era una giornata particolare?
In un istante tutti gli occhi si posarono su Mario. Mi nascosi dietro alle sue enormi spalle nel vano tentativo di non essere scorta. Volevo solo che se ne andassero al più presto ma, neanche a farlo apposta, la folla iniziò a radunarsi intorno a noi.
:- “Ehi Mario!” - salutò qualcuno
:- “Bentornato Mario!” - urlò qualcun altro
Ero visibilmente a disagio, il cuore aveva iniziato a scalpitare forte, minacciando di scoppiare per l’agitazione. Se avessi appoggiato una mano sul petto ero sicura che l’avrei sentito battere a una velocità superiore a quella normale.
Mi appoggiai al mio salvatore con tutto il corpo, lasciando che il mio viso sprofondasse nella sua schiena; le mie mani strinsero la stoffa della sua camicia e iniziarono a tremare.
C’era troppo rumore. Non ero abituata a un simile trambusto. Le loro voci mi rimbombavano nella testa creando più confusione di quanta non ce ne fosse già. Continuai a camminare dietro al mio salvatore, lungo il vialone principale.
:- “ E quella, chi è?” - domandò qualcuno. La voce stridula era di una donna.
Qualcuno mi aveva notata.
Cercai di scomparire, di farmi piccola, piccola. Non mi piaceva per niente quella situazione
:- “ Una nuova conquista? - scherzò qualcuno.
:- “Anche le ragazzine non riescono a resistere al tuo fascino ” - un’altra voce di donna, poi risate.
Volevo scomparire.
Era per quello che mi aveva portata con se? Voleva che diventassi la sua donna?
Quell’idea mi spaventò al solo pensiero.
Non potevo sposarmi!
Non volevo sposarmi!
Avevo appena compiuto i sedici anni e sapevo benissimo che, a quell’età,  molte delle mie coetanee erano già promesse in sposa a giovani pretendenti o, addirittura, erano già maritate.
Ma io ero diversa da tutte loro.
Avevo sempre ritenuto gli uomini un impiccio, creature capaci solo ti tarparti le ali e distruggere i sogni di noi giovani fanciulle.
Io non volevo.
Volevo sognare.
Volevo vivere libera.
Non avrei mai permesso a nessun uomo di distruggere i miei sogni.
Per questo non mi ero mai innamorata, per questo avevo rifiutato ogni pretendente che mio padre mi aveva presentato
Io, volevo realizzare i miei sogni.
Ancora una volta fu Mario a strapparmi dai miei pensieri. Aveva notato quanto mi sentivo a disagio. Si scansò di lato rendendomi visibile a tutta la folla. Divenni rossa dall’imbarazzo e mi strinsi ancora di più nella giacca che mi aveva dato il mio salvatore. Continuai a camminare accanto a lui. Perché lo aveva fatto?!
Una delle sue grosse mani si posò sulla mia testa, arruffandomi i capelli energicamente. Scoppiò in una delle sue solite grasse risate e sembrava molto divertito dall’affermazione della donna.
:- “ Avete ragione, è una fanciulla davvero graziosa”- fece una piccola pausa - “Ammetto che chiunque farebbe follie per me. Sono un uomo piacente dopotutto” - molto modesto il mio salvatore - “ Ma…sfortunatamente non provo alcun interesse per le ragazzine ancora in tenera età ” - rise, divertito da quella sua “battuta”.
Sbaglio o mi aveva appena dato della bambina?
Mi morsi il labbro inferiore per tenere a freno la lingua.
Bhe, almeno ora ero sicura che non mi aveva portato con sé per diventare sua moglie.
Continuammo a camminare lungo il vialone principale e poco dopo raggiungemmo un piccolo spazio. Mi trovai di fronte a un piccolo muretto, dal quale partivano da ambi i lati due rampe di scale, che si ricongiungevano su quello che doveva essere un piccolo spiazzo. Mi incuriosii il simbolo sulla parete e mi soffermai a guardarlo per qualche secondo.
Ero sicura di averlo già visto da qualche parte. Ma dove?
Non mi accorsi che nel frattempo Mario stava già salendo una delle rampe. Mi affrettai a raggiungerlo e per poco non inciampai in uno degli scalini.
Stando bene attenta a dove mettessi i piedi, lo raggiunsi sul piccolo spiazzo.
Una sorta di recinto in legno delimitava quella che doveva essere un’arena o una zona di allenamento, ma non fu quello ad attirare la mia attenzione.
:- “Benvenuta a Villa Auditore” - il mio salvatore si voltò verso di me, allargando le braccia come a darmi il benvenuto.
Non avevo mai visto un edificio di quelle dimensioni, era spettacolare. La poca illuminazione data da alcune fiaccole mettevano in risalto la sua struttura ,e il fatto che fosse sopraelevata rispetto al resto della città le conferivano un non so che di maestoso e imponente. Inutile dire che ne rimasi incantata.
Qualche attimo dopo entrammo all’interno della villa, passando per la porta principale.
:- “Anna! Anna! ANNAAAAAAAAA!!!” - iniziò a urlare a squarciagola Mario, perforandomi i timpani. Mi guardai attorno. Non c’era nessuno.
Chi era quell’ Anna?
:- “Arrivo, arrivo!” - qualche attimo dopo sentii una voce femminile farsi sempre più distinta.
Da una delle tante porte vidi sbucare una donna corpulenta con i capelli corti, riccioli e biondi che le mettevano in risalto il volto paffuto. Indossava un grembiule sporco e unto, che una volta doveva essere bianco. Pensai che stesse cucinando. Gli avrei dato quaranta, massimo cinquant’anni.
A quanto pare doveva essere una domestica.
Si avvicinava a noi in modo minaccioso, agitando le braccia in aria, energicamente.
:- “Cos’hai da sbraitare ora, brutto vecchio brontolone?!?!” - rimasi sorpresa dal tono di voce della donna. Se Mario era il padrone della villa e lei la domestica, avrebbe dovuto portargli più rispetto, no?
:- “Mi aspettavo una bella accoglienza e invece mi tocca stare ad ascoltare una vecchia megera” - gli rispose a tono il mio salvatore. Quei due non sembrava andassero molto d’accordo.
:- “Villano!”-
:- “Strega!” -
:- “Mascalzone!” -
:- “Donnaccia!” -  urlò Mario.
:- “COSA?!” - strillò Anna.
Qualche attimo dopo smisero di insultarsi per posare i loro sguardi su di me.
Inconsciamente mi ero messa a ridere sommessamente, divertita da quella scenetta esilarante.
:- “Oh! Finalmente, un vero sorriso!” - il mio salvatore non riuscii a trattenere una delle sue solite risate, che venne messa a tacere da Anna, la quale gli sferrò un colpo in pieno petto, facendogli mozzare il respiro a metà. La vidi avvicinarsi a me. A quanto pare si era appena accorta della mia presenza.
:- “Povera piccola creatura” - Mi strinse forte a se in un caloroso abbraccio, con grande stupore da parte mia. Rimasi ferma, tra le sue forti braccia, incapace di fare altro,  per la forte presa che esercitava - “ Cosa ti ha fatto quel bruto?” -
:- “Per la verità…” - cercò di rispondere il mio salvatore ma senza alcun successo.
Anna aveva ripreso la parola senza lasciagli il tempo di parlare.
:- “Dovresti vergognarti!” - gli sbraitò contro - “Portare in giro una ragazzina, al freddo, quasi senza nulla addosso, per di più di notte! Vecchio maniaco!” - sentii la sua presa farsi ancora più forte.
:- “Non ti preoccupare, ora c’è la zia Anna con te” mi sussurrò  dolcemente in un orecchio.
Mario sembrò alquanto irritato dal comportamento della donna, tanto che si ritirò in una stanza. Lo sentii brontolare e lanciare qualche imprecazione prima di sbattere la porta alle sue spalle.
:- “ Oh stella, sarai stanca. Scommetto che quel bruto non ti ha fatto nemmeno mangiare, vero?” allentò la presa fino ad allontanarsi da me - “Vieni, abbiamo sempre una stanza pronta per eventuali ospiti. Potrai usare quella per riposarti”- mi sorrise dolcemente - “Ti porto da mangiare in camera così nel frattempo potrai farti un bel bagno caldo” - mi invitò a salire una scalinata che conduceva al piano superiore - “Non esitare a chiamarmi se hai bisogno di qualcosa” -ci fermammo davanti una porta. Doveva essere la stanza di cui mi stava parlando - “Ecco, entra pure. Tra poco ti porterò la cena e dei vestiti puliti” - il suo sguardo si posò sulla mia lunga canotta sporca di fango.
Prima di congedarsi mi pizzicò una guancia e quel gesto mi fece sorridere.
Entrai nella stanza, lasciando richiudere la porta alle mie spalle.
Sbadigliai.
Ero stanca. Molto stanca, il viaggio e tutto il resto mi avevano sfiancata.
Senza pensarci due volte feci scivolare a terra la giacca, seguita immediatamente dalla lunga canotta, e mi diressi verso il bagno.
Una volta che la vasca fu piena d’acqua mi ci immersi completamente.
Sentivo tutta la tensione e i sentimenti negativi scivolare via; la mente sgombrarsi da ogni pensiero, farsi più leggera; le palpebre farsi sempre più pesanti….
Uscii dalla vasca 10 minuti dopo.
Se fossi rimasta un attimo di più mi sarei addormentata.
Senza nemmeno mettermi qualcosa addosso o tentare di asciugarmi un po’ i capelli, mi diressi verso il letto.
Non feci molto caso all’arredamento della stanza, per ora l’essenziale era un letto, oltre a quello non mi importava.
Spostai a lato le coperte, quel poco che bastava per infilarmi sotto, e lasciai che la testa sprofondasse sul cuscino. Mi strinsi le coperte addosso a coprire il mio corpo nudo e ancora bagnato e abbracciai il secondo cuscino che si trovava accanto all’altro. Non ebbi nemmeno il tempo di ripensare agli avvenimenti di quel giorno, che Morfeo mi accolse tra le sue braccia.

ok ce l'ho fatta XD
anche il secondo capitolo è andato ^^
grazie mille x aver letto fino a qui senza esservi addormentati XD
che dire......alla prossima ^w^

Revenge_Kurobara


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
 
 
La mattina seguente mi svegliai con gli occhi gonfi.
Quella sera non ero riuscita a dormire serenamente; il mio sonno era stato continuamente disturbato da incubi che mi avevano tenuta sveglia per buona parte della notte, dandomi tempo di riposare soltanto verso l’alba.
Incubi riguardanti la morte dei miei genitori.
Era come se la mia mente si rifiutasse di dimenticare e cercava in ogni momento di ricordare i fatti appena accaduti.
Perche?
Quelle orribili immagini erano impresse vividamente nella mia mente. Non sembravano sbiadire per poi scomparire, anzi ogni singolo dettaglio mi sembrava più chiaro, più definito.
Quegli incubi mi fecero svegliare svariate volte, ma non solo quelli.
Rumori.
Rumori sinistri che si propagavano per la stanza.
Rumori sinistri che cessavano misteriosamente non appena aprivo gli occhi.
Erano stati solo frutto della mia immaginazione?
La candela sul comodino, che prima illuminava la stanza, si era consumata nel corso della notte, e aveva lasciato la camera avvolta dalle tenebre.
Avevo avuto il presentimento di non essere sola, che qualcuno mi stesse osservando mentre riposavo, ma a causa del buio non ero riuscita a scorgere nulla.
Ma quelle erano solo supposizioni.
Era solo una sensazione che avevo avuto.
Non ne avevo la certezza.
La cosa però era alquanto inquietante.
Mi issai sui gomiti e sollevai un po’ il busto, lasciando liberamente che la coperta mi scivolasse sul grembo.
Per quanto avevo dormito?
La stanza ormai era completamente illuminata dai raggi del sole, che filtravano attraverso le finestre, e riscaldavano l’ambiente circostante.
Dei lievi giramenti di testa mi obbligarono ad appoggiarmi con la schiena alla testata del letto.
Chiusi gli occhi per qualche istante, nell’attesa che finissero.
La sera prima non avevo toccato cibo, era normale che avessi qualche capogiro.
Appena i giramenti di testa si placarono, lasciandomi mettere bene a fuoco la stanza, mi guardai intorno freneticamente, cercando qualcosa.
Neanche io sapevo bene cosa, forse solo una conferma dei miei dubbi.
C’era davvero qualcuno che mi stava osservando?
Per un attimo quel pensiero prese possesso della mia mente, facendo aumentare i battiti del mio cuore in maniera vertiginosa.
Scostai le coperte e scesi dal letto.
I miei piedi non poggiarono sulla superficie fredda del legno, ma su un morbido e caldo tappeto.
Mi guardai attorno.
Non c’era nessuno.
Sospirai e mi sedetti sul letto lasciando che il mio cuore si calmasse.
Per un attimo mi soffermai a osservare la stanza: ero seduta su un letto matrimoniale a baldacchino, molto suntuoso, con quattro colonne in legno di uguale altezza, che sorreggevano dei tendaggi in cotone verde, come le coperte; tre grandi finestre, posizionate sulla parete di fronte al letto, illuminavano tutta la stanza, mettendo in risalto il colore rosso della carta da parati che ricopriva il muro.
Per una come me, non era necessario tanto lusso.
Per loro non ero nessuno.
Successivamente iniziai a cercare i miei abiti con lo sguardo; ero convinta di averli lasciati sul pavimento, accanto alla porta, ma non ve ne erano traccia.
Solo qualche attimo dopo ricordai le parole di Anna, poco prima che entrassi nella camera.
Aveva detto che sarebbe passata quella sera a portarmi da mangiare e degli abiti puliti, ma a quanto pare si era dimenticata.
No, molto probabilmente era entrata nella stanza ma, trovandomi addormentata,  aveva preferito lasciarmi riposare tranquilla. Peccato che a tenermi sveglia ci pensarono i miei incubi.
Quella poteva essere anche una spiegazione plausibile a quegli strani rumori che avevo sentito.
Sbuffai; per quanto ci pensassi non riuscivo a venirne a capo.
Guardai in direzione del bagno.
Avevo ancora gli occhi impastati e la mente poco lucida; dovevo svegliarmi completamente e, una bella sciacquata alla faccia mi avrebbe sicuramente aiutato.
La porta della stanza si aprì di scatto, prima ancora che potessi raggiungere la mia meta, facendomi raggelare sul posto per la sorpresa inaspettata.
Anna.
La donna entrò nella camera senza alcun preavviso.
Da come “richiuse” la porta, che per un attimo mi parve potesse staccarsi e far crollare con se tutte le mura, capii che era nervosa.
Mi coprii con le lenzuola del letto prima ancora che il suo sguardo potesse posarsi su di me.
:- “Quell’uomo, prima o poi io, io…..” - si fermò a pensare - “ ….non ho più parole per uno come lui!” -  riprese poco dopo, non riuscendo a trovare un continuo alla frase precedente.
Appoggiò bruscamente  su una sedia, quelli che mi parvero dei vestiti.
Era chiaro con chi fosse adirata. Chi altro poteva essere se non Mario?
Per un secondo mi lasciai sfuggire un sorrisetto divertito, ricordando la discussione che quei due avevano avuto soltanto la sera precedente.
C’era uno strano rapporto tra Anna e Mario.
Amore e odio?
O era solo odio?
Impossibile, Mario l’avrebbe cacciata da tempo se era così.
Guardai la domestica sbuffare e muoversi per tutta la stanza, senza sapere esattamente cosa fare.
:- “A volte quell’uomo mi fa imbestialire” - sbuffò, mentre apriva una delle finestre per far cambiare aria alla stanza.
:- “Scusami stella, ti ho svegliata?” - disse la donna con tono materno, guardandomi.
Per fortuna ero già sveglia.
La sua entrata mi avrebbe fatto sicuramente saltare giù dal letto, nel vero senso della parola.
Come minimo sarei morta dallo spavento.
Scossi la testa, voltandomi a guardarla.
:- “Ti avrei dovuto svegliare comunque, il padrone di casa vuole parlarti” - si era soffermata sulla parola “padrone” assumendo un tono quasi….stizzito.
:- “Fosse stato per me ti avrei lasciato riposare di più, cara. Hai bisogno di riposo…” - sentenziò la donna.
A quanto pare non dovevo avere un bell’aspetto.
Rimase a guardarmi in silenzio per quasi un minuto aspettandosi forse una mia risposta, che però non arrivò, prima di riprendere a parlare.
:- “Ho portato dei vestiti puliti, il tuo mi sono permessa di lavarlo. Appena sarà pronto te lo farò avere” - ritornò velocemente dove aveva abbandonato i vestiti.
:- “Puoi usare questi, li ho presi stamani ” -  mi sorrise dolcemente - “Non sapendo che taglia porti,  ho dovuto improvvisare. Sono l’unica donna in questa enorme villa e non ho mai avuto il piacere di ospitarne un'altra.” - prese i vestiti e me li appoggiò sulle gambe - “Appena hai finito di cambiarti conviene che tu vada nel suo studio, non è un uomo a cui piace aspettare” - e detto questo uscì dalla stanza senza sbattere la porta, con mia grande sorpresa.
Non mi aveva dato nemmeno il tempo di ringraziarla.
Rimasi qualche attimo a stringere al petto i vestiti che mi aveva portato.
Inspirai a fondo l’odore di pulito che emanavano.
Mamma.
Per un attimo mi ritornò alla mente la figura di mia madre che stendeva il bucato nella nostra casa.
Strinsi con maggiore forza le vesti.
I ricordi facevano male, troppo male.
Ma non dovevo piangere, non dovevo assolutamente piangere.
Dovevo sorridere, dovevo imparare a sorridere di quei ricordi e farne tesoro.
Dovevo essere forte, per me stessa, per chi avevo attorno.
Dovevo soprattutto far tesoro della mia vita, per quanto fosse un momento difficile.
Dovevo vivere anche per i miei genitori. Avevano sacrificato la loro preziosa vita per me.
Era questo che avrebbero voluto.
Mio padre non avrebbe mai voluto vedermi piangere, non lo aveva mai sopportato.
Repressi le lacrime lasciando che formassero un nodo attorno alla mia gola.
Gettai le coperte da un lato e balzai in piedi, raggiungendo a grandi passi il bagno.
Presi una delle vesti che Anna si era gentilmente preoccupata di farmi avere, e me la misi, senza far troppo caso a come mi stesse.
Lasciai ricadere i miei lunghi capelli nocciola dietro alle spalle, dopo avergli dato una sistemata,  aiutandomi con una spazzola trovata sopra a un mobiletto.
Mi sciacquai la faccia abbondantemente con dell’acqua gelida. Per un attimo mi venne la pelle d’oca, ma servì a svegliarmi completamente.
Alzai il capo e il mio sguardo cadde inesorabilmente sulla figura riflessa nello specchio.
Il volto sciupato e pallido.
Occhi rossi e gonfi.
Labbra serrate, prive di sorriso.
Istintivamente mi voltai dalla parte opposta.
Non volevo osservarmi oltre, c’era troppa sofferenza su quel volto.
Diedi dei lievi colpetti alle guance con entrambe le mani. Dovevo smetterla di piangermi addosso.
Mpf, era facile a dirsi….
Iniziai a pensare ad altro, distraendo me stessa da pensieri che mi avrebbero soltanto fatto male, e uscii dal bagno. A passo veloce mi diressi verso la porta della stanza e ne varcai la soglia, trovandomi nel corridoio del piano superiore.
Dovevo andare nello studio di Mario, semplice, niente di complicato, se non fosse stato per il fatto che Anna si era dimenticata di dirmi dov’era!
Voltai la testa a destra e a sinistra dando una veloce occhiata in giro, giusto per capire dove mi trovassi. La cosa però non mi aiutò molto, considerato che era un ambiente del tutto a me estraneo.
Avrei potuto cercare Anna e chiedere aiuto a lei, ma per farlo mi sarei dovuta comunque allontanare dalla stanza e girare per la villa. E poi non avrei voluto disturbare la domestica più del dovuto, anche se sapevo bene che quello era il suo lavoro. Oppure avrei potuto urlare con tutto il fiato che avevo in corpo, nell’attesa che qualcuno venisse in mio soccorso.
Pessima idea, proprio pessima.
Alla fine decisi di cercare lo studio da sola; al massimo mi sarei persa.
Da dove potevo cominciare la mia ricerca?
Già che c’ero optai per il piano superiore.
Chissà di cosa voleva parlarmi il mio salvatore. Avevo molte domande da porgli che non sapevo nemmeno da dove cominciare, sempre se aveva intenzione di darmi delle risposte.
Avanzai per il corridoio fino a che, quella che dalla porta della mia stanza sembrava solo una rientranza, apparve per quello che era in realtà: un corridoio. Un corridoio che sembrava portare a un terzo piano, forse una specie di soffitta dove il mio salvatore teneva vecchie cianfrusaglie.
Senza pensarci ulteriormente mi ci intrufolai.
Ero sempre stata curiosa e molte volte, questa mia curiosità, mi aveva cacciata nei guai.
Dopo pochi passi notai che non era stata solo una mia prima impressione; continuavo a salire scale senza accorgermene. Svoltai parecchie volte fino a che mi trovai di fronte a un muro, sul quale era appoggiata una scala in legno.
Cosa ci faceva una scala lì?
Mi avvicinai ulteriormente e scoprii, con mia grande sorpresa, che continuava il suo percorso.
Chissà cosa avrei trovato una volta in cima.
Senza indugiare oltre, mi ci arrampicai e ne raggiunsi la sommità a passo svelto.
Una lanterna appesa a una trave di legno mi permise di osservare il contenuto della nuova stanza.
Una scrivania, una sedia, dei dipinti, una libreria, scatole, bauli e altri oggetti. Questi ultimi erano sparsi lungo le pareti.
In poche parole….un grandissimo disordine.
Era uno studio, o una soffitta?
Non si capiva bene.
E se fosse stato lo studio di Mario?
Bhe, era stato davvero facile;  lo avevo trovato senza  troppa fatica.
Anche se mi stavo chiedendo come mai lo avesse collocato in un posto così inusuale.
Posto ce ne era abbastanza nella villa, perché proprio nella soffitta?           
Salii l’ultimo scalino con fatica; il vestito che indossavo non facilitava i miei movimenti.
Delle carte erano sparse su tutta la lunghezza della scrivania, riempiendola completamente, mentre altre coprivano parte del pavimento.
Più guardavo quella stanza, più mi chiedevo come facesse Mario a lavorare in un posto del genere.
Ma…dov’era il mio salvatore?
Di lui nemmeno l’ombra.
Probabilmente lo avevo fatto attendere troppo ed era andato a fare altro. Ma prima o poi sarebbe tornato, no?
Decisi di aspettare il suo ritorno e, per ingannare l’attesa, iniziai a curiosare in giro alla ricerca di qualche cosa di interessante, ma ovunque mi girassi non trovavo altro che vecchie scartoffie.


Durante quel lasso di tempo, che mi parve durare ore, mi intrattenni in svariati modi: contemplai i vari quadri presenti nella stanza, che sembravano abbastanza recenti, notando che la maggior parte erano ritratti di persone; mi sedetti sulla sedia posta dietro alla scrivania e mi ci dondolai,  rischiando più di una volta di cadere e spezzarmi l’osso del collo; tolsi dalla libreria qualche vecchio libro e ne lessi qualche pagina, starnutendo svariate volte per la troppa polvere che usciva da ogni singola pagina. Da quanto non veniva pulito quel posto?
Stavo osservando il paesaggio di Monteriggioni da una delle finestrelle della soffitta, quando sentii l’inconfondibile risata di Mario provenire dal piano inferiore e riecheggiare per tutta la stanza.
Data la posizione del sole e dai lievi brontolii del mio stomaco, doveva essere quasi mezzogiorno.
Ripercorsi la strada a ritroso, fino a ritrovarmi nel corridoio dal quale ero venuta. Guardai istintivamente a sinistra, nella direzione da cui sentivo provenire le voci. Seguii il corridoio e mi trovai davanti a un parapetto in marmo che impediva di cadere al piano di sotto, con delle colonne con capitello che terminavano al soffitto.
Non mi sporsi molto, giusto il tempo e quanto bastava per scorgere due figure.
Una la riconobbi subito; era quella di Mario.
Ma l’altra?
Non riuscì a vederlo in volto; il cappuccio calato sul viso me lo impedì.
Mi ritrassi dal parapetto appena in tempo.
L’altro uomo si era accorto della mia presenza e si era voltato nella mia direzione.
Senza fermarmi troppo a pensare se mi avesse vista o meno, ripresi a camminare alla ricerca della porta che mi avrebbe condotto in quella stanza. Scesi le scale fino al piano inferiore, ritrovandomi davanti all’entrata dell’ enorme villa. Sotto il porticato, alla mia sinistra, c’erano una serie di porte, ma solo una era aperta; era un invito ad entrarvi?
La raggiunsi e ne varcai la soglia velocemente.
Raggirai quello che mi parve una ricostruzione in miniatura di un borgo, e mi avviai verso un ulteriore corridoio. Non badai molto a quella stanza.
Le voci si erano fatte più vicine e distinte.
C’ero quasi.
Sporsi lievemente la testa all’interno della stanza, giusto per dare una sbirciatina all’interno prima di entrare.
Con mio grande rammarico trovai Mario in piedi, dietro a una scrivania in legno, intento a guardarmi con aria divertita.
Arrossii dalla vergogna.
Mi ero messa in ridicolo da sola.
:- “Ecco la nostra ospite! Entra pure” - esclamò.
Feci un passo in avanti tenendo le mani strette in grembo, intimorita dalla presenza dell’altro uomo.
Ormai era inutile starsene semi-nascoste.
Mi addentrai nello studio avvicinandomi al mio salvatore, ma rimanendo sempre a una certa distanza da entrambi.
:- “Vogliate scusare il mio ritardo…..” - riuscii a pronunciare a fatica - “…non riuscivo a trovare la stanza” - tentai di giustificarmi in qualche modo.
Quello era lo studio di Mario, non c’erano dubbi.
Perfettamente in ordine, come mi sarei aspettata.
Ma allora….dove ero finita prima?
:- “Anna si è scordata di dirti dove si trova il mio studio,vero?” - sbuffò - “Quella donna……” -
Mentre il mio salvatore mandava al diavolo la povera domestica, il mio sguardo cadde sul giovane che nel frattempo si era voltato, dandoci le spalle. Osservava con particolare attenzione una parete, sulla quale erano posizionati meticolosamente alcuni fogli. Sembravano pergamene o…pagine.
Si, pagine!
Erano simili a quelle su cui lavorava mio padre!
A volte passava intere giornate chiuso nel suo studio intento a decifrarle, ma con scarso successo.
Ricordavo che non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Molte volte si scordava anche di mangiare e questo suo comportamento faceva sempre preoccupare mia madre.
Le teneva sottochiave, in un bauletto, che si ricordava sempre di chiudere con un lucchetto. Avevo tentato più volte di scoprire cosa contenesse, cercando anche di “prendere in prestito” la chiave, ma mio padre era attento, molto attento, e sventava ogni mio singolo attentato al povero baule.
:- “Cosa sono…..quelle?” - la domanda mi era sorta spontanea ed era uscita dalla mia bocca senza volerlo.
Il mio salvatore non si fece attendere e, ridestatosi dai suoi pensieri, si preoccupò di darmi una risposta. :- “Quelle, ragazza mia, sono le pagine di un antico Codice…..” -
:- “Mario, non dovete raccontarle più del dovuto”-  una voce calda e profonda interruppe il mio salvatore - “Ricordate la lettera? Volete forse infrangere le ultime volontà del suo defunto padre?” - Il misterioso ragazzo si era voltato nuovamente verso di noi e aveva preso tranquillamente parola.
:- “Che lettera?” - guardai prima il ragazzo e poi il mio salvatore, non capendoci nulla.
Di cosa stavano parlando? Perché erano così enigmatici?
Nessuno dei due sembrò considerarmi.
:- “Suvvia, la ragazza ha tutto il diritto di sapere” - gesticolò con le mani mentre mi raggiungeva, posizionandosi di fronte a me.
:- “Di cosa state parlando?” - chiesi spazientita. Perché non rispondevano alle mie domande?
:- “Mariooo…..” - ancora una volta il ragazzo si fece sentire. Questa volta il suo tono di voce era lievemente irritato.  A quanto pare era contrario all’idea di Mario.
Sentii la mano del mio salvatore appoggiarsi e stringere la mia spalla destra. Istintivamente sollevai il volto a guardarlo non capendo il perché del suo gesto. Trovai gli occhi seri di Mario che fissavano intensamente i miei. Attese qualche secondo prima di parlare, come se quelle parole che stava per pronunciare avrebbero sconvolto la mia vita.
:- “Tu, Diana Occhibianchi, sei figlia di un Assassino”.  
E lo fecero….. 


Ecco qui il terzo capitolo, mamma che fatica.....
Vorrei scusarmi con quelle poche persone che seguono questa storia, che ringrazio con tutto il cuore, per averle fatte attendere così tanto per un miserio capitolo ^^"
Purtroppo con la scuola e altri impegni, il tempo da dedicare alla scrittura è davvero molto poco ç_ç
Senza contare che scarseggio di idee e finisco sempre per scrivere stupidate......
Spero di non deludere troppo le vostre aspettative ^^
Alcune precisazioni da fare:
1_come avrete notato ho modificato la struttura della villa, chiudendo una stanza e aggiungendo un bagno
2_non riesco a seguire il carattere dei personaggi
3_faccio fatica a scrivere dialoghi e a fare descrizioni; o mi dilungo troppo o scrivo il minimo indispensabile ^^"

A volte viene la voglia irrefrenabile di buttare all'aria tutto quanto e cancellare tutto XD
è normale? o_o
Mi sembra così squallida come storia.......
Bhe, a voi ^w^
Grazie di cuore ^^

Un saluto
Revenge_Kurobara

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Capitolo 4
*** .................... ***



Sto abbastanza male, quindi la farò breve....
Vorrei scusarmi con quei pochi che seguivano la mia storia........
Per vostra fortuna non me la sento più di scrivere quindi metterò fine a queste mie oscenità....
Motivazione? Brutto periodo......non ho più voglia di fare nulla......mi sento troppo male, e credo che la cosa andrà avanti per molto tempo.....
Scusatemi tanto se vi ho fatto perdere tempo inutilmente......
Vi ringrazio^^, per tutti i consigli, gli incoraggiamenti che mi avete dato ma soprattutto per aver letto questa storia insignificante fino a qui ^^
Non so se riprenderò mai a scrivere.....per ora vi saluto ^^
Grazie ancora, di tutto...

Revenge_Kurobara

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