Ocean.

di Pickwick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il test, ovvero l' inizio di tutto. O forse solo una conferma. ***
Capitolo 2: *** Segreti e Scoperte ***
Capitolo 3: *** Megan. L' amica, o presunta tale. ***
Capitolo 4: *** Sentirti incredibilmente tradita da chi non avresti mai potuto neanche immaginare. ***
Capitolo 5: *** Cogli l' attimo, ma sappi che potrebbe essere l' ultimo. ***
Capitolo 6: *** Nessuno può ferirti, o almeno così dicono. ***
Capitolo 7: *** La svolta. Ciò che può sembrare una fine, ma che in realtà è un inizio. ***
Capitolo 8: *** Quasi uno scontato happy ending. ***
Capitolo 9: *** In un giorno di pioggia, ho imparato ad amarti. [Modena City Ramblers. ***



Capitolo 1
*** Il test, ovvero l' inizio di tutto. O forse solo una conferma. ***


O.O

Allora... niente di particolare da dire, a parte le scuse per le (forse) troppe parolacce scritte e il tanto, (decisamente) troppo tempo passato a cazzeggiare liberamente su questo sito  *v*

Leggendo qua e là nella mia testolina si è formato il desiderio ardente di scrivere qualcosa, ed eccomi qui! Pronta a creare, creare, creare!  E naturalmente a voi tocca sorbirvi  i miei deliri .

A parte questo, non ho grandi pretese per questa fanfiction, in quanto sono consapevole che non ho uno stile perfetto e che sono un po'  logorroica  (ehm...)

Enjoy:)

OCEAN

Now it’s gonna get harder
and it’s gonna burn brighter
and it’s gonna feel tougher each and every day
so let me say, that I love you.

PRIMO MESE

Giugno 2001

Cazzo.

 

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

 

Ti prego ti prego ti prego fa che non sia positivo.

 

Guardavo intensamente il piccolo schermo del test di gravidanza.

Come se maledirlo servisse a qualcosa.

No, non potevo essere incinta.

 

Avevo un’ avversione naturale per i bambini.

E poi, l’ idea che ‘là in fondo’ mi si aprisse un varco abbastanza grande da permettere ad un mostriciattolo di sbucare fuori mi spaventava a morte.

Ma soprattutto, provavo puro disgusto all’ idea di ospitare l’ erede di quel… di lui.

No, non potevo assolutamente essere incinta.

Mio padre mi avrebbe scuoiata viva.

Certo, in fondo non c’era niente di cui preoccuparsi. A molte ragazze capitavano ritardi del ciclo, ma la cosa non significava automaticamente essere incinte.

Dopotutto, perché proprio io? Perché a me?

No, non mi sarebbe successo niente.

Un attimo.

Sul test stava iniziando a vedersi qualcosa.

Ti prego ti prego ti prego ti preg…

Cazzo.

Il test era positivo.

No!

Non è possibile!

Scossi furiosa il test, cercando di farlo ragionare.

Dai, ti prego, dimmi che ti sei sbagliato… io non posso essere incinta! Non io!

Quell’ aggeggio infernale non dava segno di voler cambiare idea.

Rassegnata, raccolsi le mie cose e uscii dal bagno del bar.

- Cazzo - sibilai, gettando il test nel cestino.  

Ero consapevole che da quel momento la mia vita sarebbe definitivamente diventata un casino.

 

 

 ^^

 

Se qualcuno mi avesse vista in quel momento, probabilmente avrebbe pensato che mi fossi fatta di qualche sostanza illegale, e, tanto per sicurezza, avrebbe cambiato strada. Sicuramente non ero nello stato mentale adatto per preoccuparmi di quello che la gente avrebbe potuto pensare. Infagottata nei miei vestiti da secchiona sfigata, vagavo per le strade senza una meta precisa.

Avevo chiamato… lui, dicendogli di venirmi a prendere in fretta, e nella confusione avevo dimenticato di dargli un indirizzo.

Così mi misi a vagare a caso. Quello stronzo mi aveva rovinato la vita, e io non avevo nessuna intenzione di facilitargli le cose.

Dopo un’ infinità di tempo venni affiancata da una decappottabile rossa che gridava al mondo i validi motivi per cui qualcuno ( possibilmente io ) avrebbe dovuto strisciare la carrozzeria con un bel mazzo di chiavi.

- È un secolo che ti cerco, scusa, non avevo capito l’ indirizzo - disse.

- Perché sei stupido - io ero il ritratto dell’accoglienza.

Non rispose.

Aprii lo sportello e salii in macchina.

- Sei arrabbiata? - mi chiese lui guardandomi mentre mi mettevo la cintura.

- Te ne fregherebbe qualcosa? -

Lui mi guardò tranquillamente.

- No -

- Bene, quindi non rompere -

- Interessarmi di te mi sembra una cosa carina -

- Evidentemente non lo è -

Mise in moto senza dire altro e si inserì nel traffico.

- Dove ti porto? - mi chiese cercando di evitare un pedone.

- Sulla luna -

Ridacchiò, e in quel momento la luce gli illuminò il viso.

Quanto era sexy…

Prima che mi venisse la bava alla bocca mi tirai uno schiaffo sulla guancia.

“ Ricordati che sei arrabbiata con lui perché è uno stronzo… ricordatelo…”

- Certo che sei acida - Acida io? Ma come si permetteva? -Ti porto a casa? -

- Molto velocemente, anche, non ho molto tempo da perdere -

- Ti ricordi che questa sera abbiamo la cena, vero? Mio padre vi ha invitati la settimana scorsa -

La cena. 

Cazzo, me ne ero dimenticata.

- Certo che mi ricordo. Non sono mica come te, che ti dimentichi l’ indirizzo a cui ti dico di venirmi a prendere -

- A dire il vero, non sono neanche sicuro di avertelo sentito dire, quell’ indirizzo –

Stava facendo saltare il mio piano. Meglio cambiare discorso.

- Si insomma… per quanto tempo ancora dobbiamo fare finta di essere fidanzati? -

- Finché i nostri rispettivi padri non avranno concluso l’ affare per diventare soci… noi aspetteremo un po’ e poi ognuno per sé -

Fui presa da un fantomatico attacco di vomito. Era tantissimo tempo…

- Ricordami perché sto facendo tutto questo… -

- Perché così il reddito di entrambe le famiglie migliorerà e di molto. E poi, mio padre è molto felice di vedermi al fianco di una ragazza così per bene,e, sai, non vorrei farlo adirare. Il suo umore migliora terribilmente quando vede che ci baciamo -

- Quindi l’ accordo tra noi due non prevedeva anche che facessimo sesso -

- Quello serve per me -

Stronzo bastardo. Avrei voluto sbatterlo fuori dall’ abitacolo in corsa per vedere il suo sorriso da pubblicità di dentifrici spalmato sull’ asfalto.

Ma non so per quale ragione, una forza ignota mi trattenne.

Frenò improvvisamente sul piazzale di ghiaia davanti alla villa dei miei genitori.

- Scemo - sussurrai.  

- Amore - iniziò. Diventava incredibilmente dolce quando uno dei nostri genitori era nel raggio di un chilometro - per favore, stasera, quando ti bacerò, vedi di non mordermi. La mia reazione potrebbe destare sospetti, sai cucciola? Guarda cosa mi hai fatto l’ ultima volta - tirò leggermente il labbro inferiore e scoprì una serie di segni rossi e profondi. I solchi dei miei denti. Evidentemente non gli avevo fatto abbastanza male per zittirlo per sempre.

Notai una tenda della sala da pranzo muoversi. Se mia madre ci stava spiando, era meglio non crearle dubbi. Mi sporsi leggermente e baciai quel… lui. Poi scesi dall’ auto e da brava fidanzatina rimasi a guardarlo allontanarsi. Peccato che quell’enorme pezzo di merda facendo inversione fece in modo di ricoprirmi di polvere.

Stavo giusto per urlargli dietro una lunga serie di epiteti irripetibili quando mia madre si affacciò alla porta di casa.

- Ti amo! - urlai al mio incubo peggiore. Ero quasi sicura di aver visto il suo riflesso ridere nello specchietto. Avevo la nitida sensazione che lui, in quel casino, si stesse solo divertendo.

- Kelsey! - mi chiamò mia madre - Kelsey, vieni qui! -

- Arrivo… -

Entrai in casa e sentii la voce di mia madre dalla sala da pranzo.

- Mamma? -

- Kelsey, vieni a vedere!-

- Cosa c’è? -

Mia madre era seduta sul divano, e davanti a lei una donna che non avevo mai visto le stava mostrando un vestito.

- Guarda, ti piace? -

La donna - una sarta - si girò verso di me per mostrarmelo.

- Bello - dissi - bellissimo -

 Lo pensavo davvero. Era leggero, sopra il ginocchio, con le spalline ed era stretto sotto il seno da un laccetto che faceva increspare la gonna.

Era completamente nero.

- È per te, per stasera - mia madre interruppe i miei pensieri - voglio che tu faccia una bella figura con Matt -

- Grazie mamma, non dovevi -

- Te lo meriti -

La signora mi sorrise. -Allora te lo lascio? Dovrebbe essere della tua misura-

Presi il vestito e corsi in camera.

Non volevo che mi vedessero piangere.  

^^



*Pickwick*
Fatemi sapere cosa ne pensate... grazie:)
Baci:)

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Capitolo 2
*** Segreti e Scoperte ***


2222

OCEAN

 

 

 

 

Take to me softly,

There’s something in your eyes

Don’t hang your head in sorrow,

And please don’t cry...

[Guns ‘n’ Roses, Don’t cry]

 

 

 

 

 

 

PRIMO MESE

Giugno 2001

 

Stesa sul mio letto, per un attimo mi illusi all’ idea della reazione che Matt avrebbe potuto avere. Pensai che, per una volta, avrebbe potuto fare seriamente il carino con me. Poi mi ricordai che era un puttaniere del cazzo e mi buttai sotto una doccia consolatrice.

 

Naturalmente calcolai male i tempi, e i miei genitori erano pronti e mi aspettavano già da venti minuti quando scesi.

 

Durante il tragitto in auto, mia madre continuò a parlare ininterrottamente di quanto Matt fosse un così bel ragazzo. Io non le davo retta, e neanche mio padre sembrava farlo.

Arrivammo a quel cavolo di ristorante, costosissimo e alla moda, costantemente presidiato dai fotografi speranzosi di immortalare qualche super divo, incredibilmente in orario. Mio padre prese mia madre a braccetto e si avviarono al tavolo, lasciandomi ad affrontare la sala da sola. Tra i commensali riconobbi alcuni conoscenti.

Arrivai al tavolo di quel verme.

- Kelsey, sei bellissima.- Diane Wilde, la madre di Matt, mi salutò baciandomi sulle guance.

- Anche tu, Diane... buonasera, signor Wilde.- Il padre di Matt, George, mi strinse la mano.

Poi mi rivolsi a lui, che nel frattempo si era alzato.

Mi baciò piano sulle labbra, poi mi fece sedere al suo fianco.

- Sei bellissima.-

- Anche tu.- risposi io.

Una cameriera, che aveva più superficie del corpo scoperta di quanto in realtà fosse vestita, si affrettò ad avvicinarsi al nostro tavolo, sporgendosi tra me e Matt.

- Buonasera, volete ordinare?-

Continuava a lanciare occhiatine languide verso Matt, e lui non faceva niente per impedirglielo.

Che puttana.

Che puttaniere.

Perché non se ne erano andati a fanculo tutti e due molto tempo fa?

Avrei risparmiato la fatica di mandarceli io.

Non mi dava fastidio che Matt si interessasse ad altre ragazze. Ne’ mi dava fastidio che altre ragazze ci provassero con lui.

Ma se lo facevano quando io ero nel ruolo di fidanzata ufficiale, andavo letteralmente in bestia.

Quando lei – finalmente – levò le tende, sussurrai a Matt, piano – Sei un bastardo.-

Lui mi appoggiò la mano sulla gamba e rispose, a denti stretti – Cosa ti ho fatto, adesso?-

- Stronzo, ho visto benissimo la tua mano sulla sua gamba. Pensi che sia cieca?-

- Non fare la bambina stupida... vedi di non rovinare tutto.-

A quel punto non dissi più niente.

Se solo avessi aperto bocca avrei urlato alla sala della mia gravidanza... e allora le cose sarebbero diventate molto divertenti.

Dopo la cena presi Matt per mano e mi alzai.

- Devo parlarti.- Gli dissi.

Lui mi seguì senza dire niente... Stranamente.

Uscimmo dalle vetrate posteriori, che davano su un giardino che sembrava un orto botanico.

Peccato che questo era decine di volte più alla moda di un orto botanico.

Mentre camminavamo verso gli alberi, in modo da nasconderci alla vista dei commensali, Matt ruppe il silenzio.

- Che c’è, hai deciso di dichiararmi il tuo amore?-

- L’ unica cosa che dichiaro è che sei un’ idiota.-

Lui sbuffò. – Lo so che in fondo sei innamorata di me...-

Era così vicino... troppo, per i miei gusti.

All’ improvviso, quando stavo per rispondergli a tono, Matt si piegò su di me e mi baciò.

Ero stata presa alla sorpresa, e non feci nulla per allontanarlo.

Purtroppo Matt fraintese, e approfondì ancora di più il contatto, spingendomi contro un albero.

- Dillo ora, che non sei innamorata di me.-

Sussurrò al mio orecchio, riprendendo a baciarmi.

- Matt...-

Passò le mani sui miei fianchi, sollevando il vestito, senza che io riuscissi a fermarlo.

Quando iniziò a spingersi troppo oltre, lo fermai.

- Matt, non possiamo-

Io non posso.

- Non puoi?-

- Credo di doverti dire una cosa.- Perché avevo paura di dirglielo? Non aveva senso.

- Sei lesbica?- chiese lui ironizzando.

- No, ecco... insomma... vedi, sono leggermente incinta.-

- Leggermente?- mi chiese sorridendo.- Come si fa ad essere leggermente incinta?- Non era minimamente preoccupato. Probabilmente pensava che non fosse suo.

- Lascia stare il leggermente... Il problema è che il padre sei tu.-

Matt mi guardò senza dire niente. Il sorriso sulla sua faccia si era congelato, lasciando spazio a una smorfia indefinibile.

Dopo un’ eternità, riprese un po’ di colore.

- Come sarebbe, che sono io il padre?- mi chiese con un filo di voce.- Questo non è possibile!-

- Sei l’ unico con cui sono stata negli ultimi due mesi. Direi che non c’è dubbio.-

- Non c’è altra possibilità?-

Mi faceva quasi pena.

Quasi.

- No, sono sicura.-

- Cazzo!- urlò.

Adesso non mi faceva più così pena.

Si prese la testa tra le mani.

- E tu non hai intenzione di togliere... Cioè, fermare la gravidanza?-

Lo guardai.

- No. Cazzo, reagisci! Hai più paura di me!-

Ecco la vecchia Kelsey tornare alla carica.

- Invece di avere paura dovresti sentirti in colpa! Guarda in che casino mi hai ficcata! Facciamo finta di stare insieme, hai detto! Così i nostri genitori saranno costretti a vedersi di più! E poi deve essere stato divertente per te, no? Tanto, visto che una cosa tira l’ altra, la troietta te la saresti portata a letto, prima o poi!-

Forse non era un’ attacco molto razionale, ma volevo farlo sentire in colpa.

- Non ho mai pensato che fossi una troia- disse piano.

- Quindi tutto il resto si, quello l’ hai pensato?-

Mi guardò negli occhi in silenzio, per quella che mi sembrò un’ infinità di tempo. Poi, deciso a lacerare per sempre il mio autocontrollo, disse:

- Si. –

Deglutii. Forse sembravo molto addolorata, perché si affrettò ad aggiungere: - Ma io non sono stato del tutto sincero con te, non era per i nostri genitori che ti ho proposto di stare insieme. Io credo di essermi innamorato di te, Kelsey.-

Lo guardai a lungo in quegli occhi del cavolo che si ritrovava. Non stava parlando sul serio, ne ero sicura. Mi stava prendendo per il culo, mi stava mentendo.

- Sei un fottutissimo bastardo. -

E gli tirai uno schiaffo.

Lui era stato preso troppo in contropiede per fare qualsiasi cosa che non fosse spalancare la bocca e fissarmi esterrefatto. Se non fossi stata troppo incazzata, probabilmente gli avrei riso in faccia.

Che idiota.

-Stronzo bugiardo!- gli urlai mentre tornavo dentro il ristorante.

Lodando il cielo, trovai i miei genitori all’ ingresso, che salutavano e ringraziavano i Wilde. Mia madre mi vide.

- Kelsey! Dove hai lasciato il giovane Wilde?-

Le sorrisi.

- Matt è fuori, ha detto che vuole restare ancora un po’... ha anche aggiunto qualcosa riguardo al fatto che sarebbe tornato da solo.-

Diane sbuffò. – Possibile che non riesca mai a passare un po’ di tempo con mio figlio? A quanto pare dovrò rimandare ancora... buonanotte, tesoro.-

- Arrivederci.- La salutai io uscendo fuori.

Se solo avessero saputo!

 

 

^^

 

 

Salve a tutti!

Allora... prima di tutto grazie per le recensioni, mi dispiace di non aver risposto ma non ho fatto in tempo... Sono felicissima di vedere che qualcuno legge *w*

Il capitolo: Molto, molto corto. Lo riconosco, e mi dispiace. Sono consapevole del fatto che ci siano molti dialoghi e poca azione, ma nel prossimo dovrei riuscire a farmi perdonare... 

Mi sembra di aver detto tutto...

Baci 

 

Pickwick

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Capitolo 3
*** Megan. L' amica, o presunta tale. ***


capitolo 3

Ocean

 

I never want to see you unhappy
I thought you'd want the same for me...

[ A Fine Frenzy, Almost Lover]

 

 

 

 

Il giorno dopo dormii fino a tardi. Poco prima di pranzo fui svegliata dal mio cellulare che suonava.

 

Maledetto coso.

 

Risposi senza guardare il display, cosa che, col senno di poi, reputai totalmente da irresponsabile.

- Kelsey!- una voce molto, troppo forte mi distrusse il timpano.

- Ciao, Meg...-

- Non sei contenta di sentirmi?- chiese la mia migliore amica leggermente delusa.

- Meg, sarei contenta di sentirti se potessi!-

- Non puoi?- era leggermente confusa.

- Mi hai distrutto il timpano! Sento un fischio continuo!-

- Esagerata... comunque, ho ricevuto il tuo messaggio. Cosa devi dirmi?-

- È  una cosa importante, Meg, vorrei dirtelo di persona. Ti va di venire dai miei, ora?-

- Sono già lì! Arrivo!- urlò dall’ altro capo del telefono.

- Megan?-

- Si?-

- Non fare incidenti...-

- Che c’è? Non ti fidi del mio modo di guidare?-

- Non penso proprio.-

- Bella amica che ho!-

E interruppe la telefonata.

 

Suonò il campanello venti minuti dopo.

- Kelly!- urlò saltandomi addosso. Lei e i suoi slanci di affettività...che apprezzavo.

- Meggy!-

- Non mi chiamare così...Meg è più bello-

- Meggy... -

- Stronza!-

- Sei noiosa!-

-Anche tu!-

 

Una volta nella mia camera, si sedette sul mio letto.

- Kel, dimmi cosa succede.-

- Prometti di non rimproverarmi.-

- Prometto... ma cosa c’è di così grave?-

Non risposi.

Spalancò gli occhi.

- Oddio, Kel… non dirmi che sei… -

La guardai.

- Incinta?-

Perché doveva sempre indovinare tutto?

Megan annuì, portandosi la mano alla bocca.

- Sono incinta-

- Sai di essere nei casini, vero? Oddio… incinta… e non hai ancora compiuto diciannove anni!-

- Meg, calmati. Neanche fossi tu quella che è stata fottuta.-

- Con chi è stato?- mi chiese.

- Matt-

- Ma tu… tu non lo ami! Come hai potuto andare a letto con un ragazzo di cui non sei innamorata?-

- Meg… ne abbiamo già parlato… era solo sesso. E poi non è detto che la tua teoria dell’ amore vero sia reale. Insomma… perché aspettare un amore che forse non arriverà mai? Sono solo stata sfortunata a restare incinta, punto. –

- Kel, tu non capisci… il problema non è di chi è figlio, se del tuo amore vero o di una cosa momentanea… non sei in tv, non sei su Mtv, non sei Amy. Sarà difficile che i tuoi genitori accettino la tua gravidanza, e in ogni caso la tua vita non sarà più la stessa… non prenderla alla leggera-

- Sai, è questo che mi spaventa di te. Passi da romantica credulona a razionale melodrammatica in meno di un secondo. Non so mai con chi sto parlando-

- Scema- mi disse tirandomi un cuscino.

- Allora… come va tra te e Jaden?-

Jaden era il migliore amico di Matt. Meg l’ aveva conosciuto la notte che io avevo conosciuto il padre di mio figlio.

- Bene, è così dolce… spero che sia quello giusto. -

- Buon per te… tu hai tutte le fortune! -

- Figurati… ma hai detto a Matt del bambino? -

- Oh, si… ieri sera. Diciamo che non l’ ha presa molto bene… -

- e cosa ha detto? -

- ha cercato di convincermi ad abortire. -

- che enorme figlio di puttana. -

- sono completamente d’ accordo. -

- ha detto altre stronzate? -

- dopo che gli ho rinfacciato che siamo nei casini anche per la storia del finto fidanzamento, è saltato su dicendo che in realtà l’ ha fatto perché mi ama … come se non mi fossi resa conto che era una balla per pararsi il culo… allora l’ho mandato a ‘fanculo, gli ho mollato uno schiaffo e me ne sono andata -

- Sei fantastica! Avrei pagato per poter vedere la sua faccia… e poi non capisco come faccia Jaden ad essere amico di uno così.-

- Oh, credo che faccia il bastardo solo con me.-

- Ribadisco, quel tipo è un gran figlio di puttana.-

- Non me lo dire.-

- Ho un idea… perché non andiamo a farci un giro, così te lo levi dalla mente? -

- Ok… ma solo se giudo io.-

- Ma Kel… se fai così ogni volta non imparerò mai! -

 

^^

 

 

Un quarto d’ ora dopo eravamo sedute ai tavolini di un bar a pochi metri dal mare, davanti a due coppe enormi di gelato, altresì il nostro pranzo.

- E c’è anche un’ altra cosa rispetto a ieri sera.- Proferii io sputando gelato ovunque e puntando il cucchiaino verso Meg - Quel bastardo ci ha spudoratamente provato con la cameriera, e sotto i miei occhi!-

- Certo che te lo sei scelto proprio bene, eh? -

- Come se me lo fossi scelta… me lo ha praticamente messo tra le gambe prima ancora di togliersi le scarpe! E poi io ho gusti migliori in fatto di caratteri maschili… -

- Si, perché esteriormente ti piace.-

- è un bel ragazzo, ed è così sexy… ma la sua stronzaggine batte tutto.-

- Ma la prima volta che l’ hai visto, cos’ hai pensato? -

- La prima volta… sinceramente, e non ridere, quando l’ ho visto ho pensato che se non fosse venuto lui da me spontaneamente, sarei andata là e l’ avrei stuprato -

Meg iniziò a ridere.

- Ti avevo detto di non ridere! -

- Scusa Kel… è che è così paradossale! Adesso sei incinta e lo vorresti distruggere… -

- Meg, averti accanto è una consolazione. Davvero, con te vicino finisco sempre a tormentarmi sui miei errori.-

- Kel, ti hanno mai detto che sei polemica?-

- Un sacco di volte.-

 

^^

 

 

 

Salutai Meg dalla finestra della mia camera, convinta che se continuava a guidare in quel modo, prima o poi avrebbe investito qualcuno. Sospirai, chiudendo le tende, e mi ritrovai a fissare il vuoto.

Pensierosa.

In che cazzo di casino mi ero cacciata?

Mi massaggiai la pancia.

C’era ancora qualche vaga possibilità che il test avesse preso qualche botta e che mi avesse indicato il risultato sbagliato.

Ma non ci speravo.

C’era lo zero per cento delle possibilità che per una volta nella vita avessi fortuna.

Pensai a Matt, alle sue mani.

Ammisi di aver creduto che fosse il ragazzo giusto…

Ma insomma.

A pensarci, quel casino in cui ero finita aveva iniziato ad avvolgermi solo dal momento in cui Matt era entrato nella mia vita, pochi mesi prima. Avevo appena mollato il mio ultimo fidanzato, Kyle, perché non mi permetteva neanche più  di guardare un’ altro ragazzo senza farsi prendere da attacchi di gelosia e possessività.

Non era durato molto.

Come tutti gli altri, del resto. In quel periodo eravamo nel bel mezzo dell’ ultimo anno di liceo, e l’ astro di Kelsey Delvecchio irrorava tutti con la sua aura di superiorità. Allora cambiavo ragazzo al ritmo di uno ogni due settimane, a volte anche meno.

Dopotutto, quando puoi avere chiunque, nessuno ti basta più.

Di lì a poco, con il termine dell’ anno e l’ inizio delle vacanze estive, sarei tramontata.

“Il crollo di un mito”, lo chiamava Meg quando ne parlavamo.

Allora avevo conosciuto Matt.

Senza sapere che fosse il figlio di un conoscente (ricco) di mio padre.

Ci eravamo conosciuti ad una festa privata in una discoteca.

La maggior parte dei presenti era sconosciuta, per noi.

Meg si era appartata da qualche parte con un tipo, Jaden. A me non era rimasto altro che sedermi su uno dei divanetti sul bordo della piscina interna a farmi offrire da bere da perfetti sconosciuti. Com’ è prevedibile, dopo neanche un’ ora pensavo di essere Lisa Simpson e cantavo canzoni sconosciute abbracciata a gente che non avevo mai visto, con cui condividevo il momento di allegria.

Poi ricordo che qualcuno mi aveva afferrata per un braccio prima che cadessi nell’ acqua, e mi aveva trascinata lontano, in una stanza piccola, una specie di salottino di attesa, o qualcosa del genere.

Completamente intontita dall’ alcol, non mi ero neanche chiesta perché mai uno sconosciuto mi stesse baciando ovunque, e non mi preoccupai molto neanche quando mi spogliò.

Iniziai a pormi qualche domanda quando lui mi prese il viso tra le mani e mi sussurrò, con una voce resa roca dal desiderio: -Mi vuoi?-

Lo guardai un attimo, tanto per focalizzare bene il mio interlocutore.

 

Era bello.

 

-Si- dissi, stanca di aspettare.

“E chi se ne frega delle conseguenze”, pensai.

Nonostante fossi mezza stordita dall’ alcol, di una cosa mi resi conto.

 

Era bravo.

 

Magari un divanetto striminzito in una stanza vuota di un locale affollato non era proprio il posto più ispirante per avere un rapporto con una emerita sconosciuta, però lui se la cavava molto bene.

Venne, ansimando.

Lo fissai fino a che non appoggiò la testa sul mio seno, esausto.

- Come… ti chiami?- riuscii a biascicare debolmente io.

Lui non alzò neanche la testa.

- Matt.-

- Kelsey.- sussurrai io, chiedendomi perché cavolo nella stanza ci fosse un odore di alcol così penetrante.

- E sono ubriaca- ridacchiai- completamente ubriaca! E anche tu!-

Anche lui iniziò a ridere, sommessamente, sempre appoggiato a me.

– Siamo ubriachi tuuutti e due!-

Risi ancora un po’, poi mi fermai.

- Perché… perché mi hai presa per mano, prima? Perché mi hai portata qui?-

- Perché sei bella.-

- Grazie.- dissi io. Poi ricominciai a ridere.

 

Lui con una spinta mi fu dentro di nuovo. Più forte di prima.

Cademmo sul pavimento, e io mi trovai sopra.

- Ah!- mi stupii. - È bello!-

 

Non so quanto tempo restammo lì.

Poi, improvvisamente lui si fermò.

- Alzati!-

- Cosa…?-

Poi capii. Nonostante la mente offuscata mi accorsi che dalla sala arrivavano rumori forti, urla spaventate, una serie di tonfi sordi che potevano essere corpi che cadevano, o mobili che venivano rovesciati… era difficile capire bene.

- La polizia.- disse Matt infilandosi i jeans.

Non sapevo di aver fatto qualcosa di male, ma nel dubbio era meglio scappare. Mi infilai il vestito e ficcai mutandine e reggiseno nella borsa, poi rinunciai a infilarmi le scarpe, decisamente con troppo tacco per un’ eventuale fuga dalla legge.

Sentii qualcuno urlare il mio nome, e subito dopo la porta si aprì, da dove entrò nella stanza Meg, seguita da un ragazzo alto.

- Kelsey, finalmente! Dobbiamo andarcene!-

Il ragazzo la superò e prese Matt per un braccio. – Muoviti idiota, se ci trovano qui siamo nella merda.-

Matt borbottò qualcosa e entrambi sparirono nel casino.

- Kelsey!- urlò Meg per superare il rumore.- Dobbiamo scappare!-

Mi prese per mano e mi tirò. Non avevo capito perché stessimo scappando, ma continuai a correrle dietro. Nel locale si era scatenato una specie di inferno in miniatura: ragazzi e ragazze correvano da tutte le parti, cercando di evitare i poliziotti. Ne vidi alcuni armati.

Per guardarmi intorno, però, non feci molto caso a dove stavo mettendo i piedi, e nonostante Meg mi avesse appena urlato di stare attenta, andai dentro la piscina.

Finii dove l’ acqua mi arrivava  appena sopra il ginocchio, ma cadendo andai sotto con la testa.

 

Lì sotto c’era una tale calma… mi sarebbe piaciuto restarci per sempre.

Non mi preoccupai di respirare. Era tutto così tranquillo…

 

Qualcuno mi tirò fuori dal mio paradiso personale.

- Kelsey, cazzo! Si può sapere cosa ti prende?- mi urlò Meg in faccia, scuotendomi. – Dobbiamo andare via!-

- Si… si.- sussurrai io annuendo.- Andiamo.-

Continuammo a correre, finchè, quando eravamo quasi arrivate all’ uscita, un poliziotto afferrò Meg per il braccio.

- Dove pensi di andare, eh?-

- Mi lasci andare!- urlò lei spaventata.

- La lasci!- urlai io, tirando lo schiaffo più forte della mia vita sulla guancia dell’ uomo.

Approfittando dello stupore del poliziotto, Meg si divincolò e corremmo fuori, sempre per mano.

Non ci fermammo neanche dopo un isolato. Solo quando finalmente salimmo sul taxi, ritornai a respirare normalmente.

Meg mi guardò.

Io la guardai.

Scoppiammo a ridere, risata che si amplificò alla vista della faccia sbigottita dell’ autista messicano.

Doveva essere nuovo, se reagiva così a scene come questa.

 

 

 

^^

 

 

 

*Pickwick*

 

Esatto, è la pazza che ha inventato questa storia.

Ma sorvoliamo.

 

Dunque... si, volevo solo dire una cosa :)

Adesso la dico.

 

Un attimo di concentrazione, devo ordinare i pensieri.

 

Bene, allora: volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno lasciato una simpatica recensione, e tuuuutti quelli che in generale la leggono.

Non sapete quanto questo mi renda felice.

 

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Capitolo 4
*** Sentirti incredibilmente tradita da chi non avresti mai potuto neanche immaginare. ***


capitolo 4

Taa daan! Sono tornata:) ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo, grazie soprattutto all' assurdo numero di verifiche che ho in questo periodo -.- Scuola.
Che brutta cosa.
Comunque, grazie mille a tutti. Anche a Soffiotta, che ogni tanto sparisce.
 
 
 
 
 

 

 

Ocean

 
 
 

 

 

 

Has no one told you she's not breathing?

[ Hello, Evanescence]


 
 

 

 

 

 

 

Secondo mese

Luglio 2001

 

Il primo mese della mia gravidanza passò, scorrendo piano, senza che io fossi mai andata dal medico o dal ginecologo. Non ne avevo neanche intenzione, a dire la verità.

Non mi erano mai piaciuti quel tipo di medici, che mettevano le mani dappertutto, anche e soprattutto dove non dovevano.

 

Ma se fosse stato questo, il problema più grande, avrei fatto i salti di gioia.

 

Megan –la mia adorata, dolce e amata migliore amica Megan- mi dannava la vita ogni singolo istante delle mie giornate con allusioni al fatto che forse avrei dovuto informare i miei genitori del mio stato interessante, cosa che, naturalmente, cercavo di posticipare con ogni singola cellula del mio misero corpo.

Oltre a questo, Matt era stato dato per disperso, almeno per me. Si era fatto sentire un paio di volte per “mantenere le apparenze”, come si premurava di assicurarmi ogni volta che ci vedevamo.

Mantenere le apparenze per lui era piombare in casa mia senza preavviso, con la certezza che i miei fossero in casa, per recitare la sua parte da fidanzatino verginello che portava i cioccolatini alla sua bellissima rosellina (testuali parole). Inutile sottolineare che la sottoscritta aveva dovuto soffocare i conati di vomito per non destare sospetti.

Poi basta. Non un messaggio, una chiamata. Ero pur sempre incinta di suo figlio, cazzo!

Nonostante fossi così enormemente incazzata con lui, non avevo la minima intenzione di chiamarlo per urlargli contro. Avevo pensato che la cosa sarebbe stata come fargli avere mie notizie, e non mi andava proprio di fargli un favore così grande.

Se voleva sapere come stavo, doveva prendere in mano il suo simpatico cellulare da fighetto e chiamarmi.

O scrivermi.

E allora sì che lo avrei riempito di parole.

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

Unico aspetto positivo della mia “situazione” era che, per dirla così, mi erano cresciute le tette.

Sembra stupido da pensare, in una posizione come la mia, quando il corpo è prossimo a dilatarsi e espandersi fino a non avere più una forma, ma io non ero mai stata una persona razionale.

Avevo notato che i reggiseni iniziavano ad andarmi stretti, e la pancia ancora non si vedeva, quindi sfoggiavo la mia – finalmente piena – terza il più possibile.

Passavo le notti per locali, spesso accompagnata da Meg ma altrettante volte da sola, cercando di vivere il più possibile quei pochi, ultimi mesi di normalità. Ero conscia che una volta visibile la pancia avrei ridotto drasticamente le pubbliche uscite.

La gente parlava troppo.

Io odiavo chi parlava troppo.

 

Io odiavo la gente.

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

- Davvero, Kelsey, così peggiori le cose.-

- Ti ho detto di no, Meg. Voglio vivere, ancora un po’.-

- Jaden, per favore! Diglielo tu!-

- Kelsey,- iniziò lui, bloccandosi un attimo alla vista del mio sguardo assassino- Forse… be’, non lo dico solo perché me lo chiede Megan…-

- No, certo.- lo interruppi.

- No, infatti. Dicevo…-

- Figuriamoci.-

- Cosa?-

- Niente… continua, continua. Mi interessa.- dissi, sbadigliando senza curarmi di coprirmi la bocca.

- Dicevo che se tu lo dicessi ai tuoi non daresti che una prova di responsabilità, il che sarebbe un punto a tuo favore.-

- Sai Jaden, io so che in realtà tu la pensi come me… non devi darle per forza ragione. Lei è il demonio.-

Meg mi fulminò con lo sguardo. – Non cercare di plagiarlo.-

- Vedi, Jad? È così che fa! Cerca di convincerti con le sue occhiatacce strategiche!-

- Kelsey, finiscila!-

- Neanche per sogno! Lui deve sapere! Siamo in un paese libero! Posso fare quello che voglio!-

Megan si girò verso di me, sorridendo in maniera alquanto sadica.

- E allora perché sei legata sul sedile posteriore della macchina di Jad?-

- Perché siete due traditori bugiardi, ecco perché!-

I due esseri (perché solo così potevano essere definiti), avevano fatto irruzione in casa mia prelevandomi con la forza, e, tanto per assicurarsi che non mi buttassi dall’ auto mentre era in corsa, mi avevano immobilizzata con una cintura e gettata come un sacco di patate sul sedile posteriore.

Una cintura.

 

Ma dico io.

 

- Sono incinta! Dovreste avere rispetto!-

- Ma noi ti rispettiamo… è per questo che lo facciamo.- disse Jad sorridendomi dallo specchietto.

- Almeno volete dirmi dove stiamo andando?-

- È una sorpresa.- disse Meg abbassando il finestrino e accendendosi una sigaretta.

- Da quando è che fumi?- chiese Jad stralunato.

- Giusto, Meg. Spiega un po’…-

- Solo qualche volta… raramente. Quando sono preoccupata, principalmente. Niente a che fare con la dipendenza, tranquilli.-

- Spero bene per te, ragazza- dissi io mostrandole il pugno.- Perché potrei farti smettere io.-

- È la prima cosa intelligente che ti sento dire, Kelsey.- disse Jad ridendo.

- Ma… sei morto!- dissi io cercando di colpirlo, incurante del fatto che stesse guidando e che avrebbe potuto farci morire tutti.

- Siamo arrivati!- gridò Meg all’ improvviso.

 

Subito non capii dove eravamo.

Poi vidi l’ edificio.

 

St. Kathleen’s  Hospital.

 

- Vaffanculo!- urlai.- Io la dentro non ci entro!-

- Sì che ci entri! -

- No! Scordatevelo! Vi denuncio per sequestro di persona incinta!-

- Non credo che si possa.- disse Jad entrando nel parcheggio e infilandosi nel primo posto libero.

- Non potete obbligarmi.-

- Sì che possiamo…- disse Meg scendendo e spegnendo la sigaretta a terra.

- Non vedo come.- risposi stringendo i denti.

- Aspetta che ti spiego.- disse Jad prendendomi per le gambe e tirandomi fuori senza problemi.

- No! Cazzo, Jared, mettimi giù! Non voglio entrare!-

- Kelsey, non rompere i coglioni. Adesso entriamo tutti e tre insieme e tu dici che Jared è il padre del bambino e tenti di fare la persona civile.-

- Obbligami.-

- Ho chiamato Matt, lui è d’ accordo con me.-

- Tu hai…? Ma come ti sei permessa! Potevamo parlarne, almeno!-

- Parlarne? Kelsey, tu sei la negazione della discussione pacifica!-

- Basta tutte e due, adesso!- ci interruppe Jad.- Entriamo.-

 

L’ ospedale puzzava di pulito. E di detersivi e medicine e tristezza. All’ accettazione stava una donna sui trenta, bionda e pallida, così immobile da sembrare finta.

Sembrava una bambola di porcellana, solo che le bambole di porcellana di solito non hanno le occhiaie.

Chissà da quanto non dormiva.

Meg si avvicinò e le sorrise. – Megan Russell, ho un appuntamento con la dottoressa Williams tra…- guardò l’ orologio alla parete – tre minuti.-

 

Lo studio della dottoressa A.J. Williams, se possibile, era ancora meno ospitale. Non mi andava per niente di farmi toccare da quella lì, ma Megan mi teneva d’ occhio.

Se mi fossi comportata male, mi avrebbe sbranata.

E sapevo che l’ avrebbe fatto.

 

La situazione stava prendendo una brutta piega.

Dopo una lunga e logorante serie di convenevoli, la dottoressa mi fece stendere sul lettino e mi fece cose che – oddio, mi viene male solo a pensarci – non cito solo per il mio immenso rispetto al pubblico pudore.

 

- Allora, Kelsey- disse poi la tipa togliendosi gli occhiali – come stai?-

 

Perché non me lo dice lei?

 

- Bene, credo.-

- Hai spesso nausea o vomito?-

 

Ma non sono la stessa cosa? Comunque sì, ovvio. Sono incinta, cazzo!

 

- Tutte le mattine, quasi. Ultimamente di più.-

- Sei sieropositiva?-

 

Ma che cazzo…?

 

- No, no. Neanche in famiglia.-

- Tu?- fece, rivolta a Jad.

- Nemmeno.-

- Bene, siete fortunati. In quanto alla nausea, è normale che tu ce l’ abbia.-

 

Questa donna è un genio.

 

Non stavamo risolvendo un benedetto cavolo, e sapevo da Meg che la visita non sarebbe durata ancora per molto. Se la tipa aveva anche studiato, per venirmi a esporre queste noiose illuminazioni, tutto quello che mi sentivo di  dirle era che secondo la mia modesta opinione aveva buttato un bel po’ di anni della sua vita nel cesso.

Ma naturalmente questo non glielo avrei mai detto.

Non con Megan nei dintorni, almeno. E soprattutto non mentre mi visitava e aveva libero accesso a zone sensibili del mio corpo.

Quando finalmente ebbe finito, mi sorrise e mi disse di scendere dal lettino.

- È tutto a posto, per il momento. Ci vediamo tra qualche settimana.-

- Grazie.- borbottai io sistemandomi la maglia. Non sopportavo il fatto che mi avesse messo le mani dappertutto senza problemi. La donna non si meritava il mio rispetto.

O lo meritava solo in minima parte.

- Molte grazie, dottoressa Williams.- salutò Megan.

- Arrivederci cara, salutami tua madre.-

Un secondo. Si conoscevano? Ecco come aveva fatto Meg ad ottenere una visita gratuita! Mi sfiorò il pensiero che forse avrei dovuto mostrarmi un po’ più riconoscente con la dottoressa, ma la riconoscenza non era nel mio patrimonio genetico. Abbandonai l’ idea.

 

Quando uscimmo, rincorsi Megan.

- Meg! Ma… mi hai pagato la visita?-

- No.-

- E allora… era gratuita?-

- Nemmeno. Dio mio, non hai neanche un po’ di fantasia?- Ok, era leggermente urtata. Però non mi sembrava di essermi comportata così male.

- Senti un po’, che ti ho fatto?- Era troppo nervosa per essere solo leggermente urtata. Mi nascondeva qualcosa, ne ero sicura.

Meg sbuffò solo, cercando il cellulare nella borsa e salendo nella vecchia Camaro di Jad.

- Allora?- chiesi, sedendomi dietro.

- Matt, Kelsey. È stato Matt a pagare la visita.- Mi disse Megan fulminandomi. Poi si mise a scrivere un messaggio, tutta concentrata sul display.

- Matt? Ma… come? Perché?-

- Forse non è il bastardo senza cuore che credevamo all’ inizio.-

- O forse è solo bravo a mascherarlo.- sentenziai io, stendendomi molto comodamente sui due sedili.

- Giù i piedi dalla mia tappezzeria.- mi disse Jared guardandomi male.

- Fidati.- gli risposi chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dal moto dell’ auto.

Mi addormentai.

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

Mentre me ne stavo stravaccata su uno dei tappeti della sala del soggiorno cercando di capire qualcosa – anche la più insignificante delle cose, per occupare il tempo – di quello che alla televisione Oprah Winfrey stava amabilmente discutendo con un suo molto importante ospite, tanto per farmi una cultura generale, ricevetti un messaggio.

E quando mi resi conto di chi fosse l’ ameba che finalmente si era degnata di scrivermi, per poco non iniziai a fare i salti di gioia, sorprendendo per prima me stessa.

Matt – Matt! – evidentemente era tornato in possesso della conoscenza necessaria per l’ uso dei touch screen, ed era riuscito a mettere insieme due parole di fila.

Anzi, una parola e un segno di punteggiatura.

 

 -Novità?

 

Ma per chi cavolo mi aveva presa?

In ogni caso, per una volta nella mia vita decisi di essere cortese.

 

-Stronzo.

 

Andiamo, mi ero trattenuta. Soprattutto perché a scrivere tutte le parolacce che avevo in mente sarei rimasta lì fino alla nascita del bambino, e la prospettiva non mi ispirava molto.

Tre secondi dopo il mio cellulare squillò.

- Pronto.- risposi, con il tono più annoiato che mi riuscì.

- Si può sapere chi cazzo ti ha insegnato le buone maniere?- chiese una voce che conoscevo troppo bene.

- Ma da che pulpito…-

- Non fare la stronza con me. Ti conosco, Kelsey.-

- Già, in confronto a te Freud era uno che scriveva le parole crociate.-

- Spiritosa.-

- Dico sul serio. Ma passiamo ai fatti, non ho tempo da perdere. Che vuoi?-

- Volevo solo sapere come stai, ecco. E come sta il bambino.-

- Io sto bene, il bambino anche. Fine della conversazione.-

-Aspetta.-

- Che c’è, ancora?-

- Mi… dispiace. Di non esserti stato vicino, di essere scomparso. È che tutto questo mi confonde, molto.-

 

Matt mi stava chiedendo scusa. Si stava scusando. Si stava umilmente scusando, cercando di rimediare ai casini che aveva contribuito a creare. E nonostante questo mi stupisse e mi eccitasse particolarmente – e come fosse umanamente possibile, eccitarsi per delle scuse, mi è tuttora oscuro -, probabilmente gli estrogeni nel mio corpo si stavano riproducendo come conigli, perché schizzai molto, molto male.

 

- Ah.- risposi, stringendo la presa attorno al telefono.

- Tutto… tutto qui?- chiese Matt un po’ stupito.

- Be’, cosa ti aspettavi? Credevi che sarei stata felice di sentirti? Che avrei accolto la tua voce con piacere? O che ti avrei ringraziato per esserti degnato di farti sentire, dopo quasi due settimane di silenzio?- stavo alzando un po’ la voce. – Se ti aspettavi questo, be’, mi dispiace molto per te, perché hai chiamato per niente!-

- Kelsey, ma che…?-

- Sei solo capace a chiedere, Matt? Cosa credevi, che pagandomi la visita sarebbe stato tutto a posto? Pace amore come prima?-

- No, non era questo l’ obiettivo! Non ti ho pagato la visita per farmi perdonare!-

- No! Però non deve essere stato difficile, tanto sei abituato a pagare donne, vero?-

- Senti, si può sapere cos’ hai?-

- Niente! Io non ho assolutamente niente, a parte un enorme e spropositata voglia di prenderti a pugni!-

- Mettiamo in chiaro una cosa, io non ho nessun altra, ho capito quali sono le mie responsabilità! E anche se fosse, non vedo come la cosa dovrebbe interessarti!-

- Non mi interessa, infatti! Ma non voglio che mi tratti come una delle tue amichette, io sono incinta di tuo figlio, cazzo! La mia vita è rovinata!- urlai, iniziando a piangere.

- Kelsey, maledizione! Non ho bisogno di sapere da te quello che devo fare!-

- Mi hai rovinato la vita, Matt… stavo così bene, prima…- singhiozzai.

Matt non rispose, per un attimo pensai che avesse messo giù. Poi sentii la sua voce mentre si rivolgeva a qualcuno – una donna – mentre le diceva in malo modo di andarsene.

 

“Ben ti stà, troia.”

 

- Kelsey, non piangere, per favore.- sembrava che si sentisse in colpa.

-  Ma come faccio? Tu… tu non capisci cosa sto passando!- Non riuscivo più a fermarmi, ormai. Ero come un fiume in piena con gli argini troppo bassi. Non si può asciugare tutta l’ acqua che ne fuoriesce con un semplice fazzoletto.

- Sì che capisco, lo capisco! Solo… aspetta un secondo.- disse, con un’ ansia che da lui non mi sarei mai aspettata. Il cuore mi batteva forte, ma non riuscivo a spiegarmi bene il perché. Poi sentii la sua voce rivolgersi di nuovo alla donna di prima, alla troia.

 

<< Veloce, amore.>> sussurrò lei ridendo.

<< Arrivo.>> Le rispose lui, sempre piano, mentre il rumore attutito di un bacio copriva la risata di lei.

 

Sentii il mondo cadermi addosso. Se fino a quel momento ero stata sicura che la mia vita fosse finita, be’, dovevo ricredermi. La mia vita era finita, e ora lo era anche la mia anima. Sentii qualcosa – qualcosa di indescrivibile, che non avevo mai provato prima – nascermi all’ altezza dei polmoni, e opprimerli. Non riuscivo a respirare bene.

 

- Kelsey?-

 

Non sapevo bene cosa provavo nei confronti di Matt, ne perché, improvvisamente, mi sentissi così male. Eppure c’era qualcosa… Qualcosa che stava facendo crescere in me una furia ceca, odio allo stato puro. Non mi ero mai sentita così violenta.

 

- Kelsey, ci sei?-

 

Forse mi ero innamorata di Matt. Sarebbe stato logico. Mi sentivo così perché il solo pensiero che lui fosse con un'altra mi faceva impazzire.

 

- Kelsey, amore, ci sei?-

 

Amore?!

 

- Vaffanculo!- gli urlai, spaventando anche me stessa e lanciando con tutte le mie forze il cellulare contro il muro, dove con un rumore secco, quasi liberatorio, si ruppe in diversi pezzi, che, con mio sommo piacere, si sparsero per la stanza.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

Ok, ok. Matt è un bastardo. Però, forse, (e dico forse) riuscirà a farsi perdonare.

Forse.

 

Non so quando riuscirò ad aggiornare... booooooh. Chi vivrà vedrà XD

Un bacione:)

 

Pickwick

 

 

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Capitolo 5
*** Cogli l' attimo, ma sappi che potrebbe essere l' ultimo. ***


capitolo 55

Salve, dolcezze *w* eccomi qua! Quinto capitolo, abbastanza impegnativo. Anche se, ancora una volta, piuttosto corto.

Tra parentesi, c’è una parte in cui il narratore è Matt, anche se, per come si svolgeranno le cose in futuro (e questa è una parte molto delicata, in quanto potrei rivelare troppo), è piuttosto improbabile che Matt possa raccontare qualcosa. O.o

Ma, mi sono detta, amen! Questa è la tua storia, fanne quello che vuoi. E così ho fatto. Quindi, tagliando corto su altre eventuali et noiosissime chiacchiere, sarebbe meglio che prendeste il Pov. Matt come un inciso in cui vengono trascritti i suoi pensieri. L’ obiettivo è che non pensiate che alla fine, Matt, per così dire, si metta a ripensare a quanto è successo. Perché ciò non accadrà, per cause di forza maggiore. XD

Bene, mi sono scavata la fossa da sola. Non importa, fate finta di non aver letto niente… Un bacio J

Pick.

 

 

 

 

OCEAN

 

 

 

 

 

 

 

 

You wanna kiss the girl,

go on and kiss the girl.

[Ashley Tisdale, Kiss the girl]

 

 

 

 

 

 

 

Secondo mese

Luglio 2001

 

 

 

Ora, l’ obiettivo principale era sbollire la rabbia e capire. Sì, capire: non potevo ridurmi in quello stato da selvaggia ogni volta che parlavo con Matt. La situazione rischiava di degenerare; sapevo da me che se lo avessi avuto sotto mano lo avrei sfigurato. E questo non doveva succedere.

Quindi, colsi l’ occasione di chiarire con lui (cosa di cui mi stupii io per prima) appena si presentò.

E naturalmente si presentò il prima possibile, senza che io avessi ancora deciso che parole usare.

Matt si presentò da me un pomeriggio tra i tanti di quella estate. Fu il tono allegro di mia madre a richiamarmi all’ ordine e a farmi uscire dalla mia camera.

- Matt caro, che piacere vederti!- trillò lei ad un tono tanto alto da permettermi di sentirla da due piani più su.

- Matt!- urlai io altrettanto forte, precipitandomi per le scale e – letteralmente – volandogli in braccio.

Magari essere inciampata a metà rampa mi aveva un po’ aiutata, ma era più bello pensare di avere dei poteri nascosti.

- Ehi, amore.- mi salutò lui abbracciandomi per tenermi in piedi. – Come stai?-

- Benissimo.- Sorrisi, baciandolo su una guancia. – Non mi avevi detto che venivi.-

- Infatti, era una sorpresa…- disse, mentre ci spostavamo in un’ altra stanza, e mia madre sussurrava qualcosa che sembrava terribilmente un “Ma che dolce”.

- Uhm… mi ispira.- Gli dissi, seduti vicini su un divano. – Scommetto che hai qualcosa in mente.-

- Esattamente.- disse, prima di baciarmi la fronte.

Sembrava una cosa vera. E per un attimo pensai che mi sarebbe piaciuto che non fosse una bugia.

Ma lo era.

- Cos’è?- chiesi. – Dimmi dimmi dimmi dimmi!-

- Mmm… non ne ho tanta voglia…- disse ridacchiando.

Ma che carino!

- Dai Matt… ti voglio tanto tanto bene! Dimmi!- Sapevo che mia madre, dalla stanza di fianco, non si stava perdendo una parola.

- Ti va di venire a fare un giro… con me?-

- Dove?- chiesi, molto… incuriosita.

- Questo non posso proprio dirtelo.- disse, pienamente consapevole del fatto che stessi morendo dalla curiosità.

- Ok!- urlai. – Mi preparo!- e sparii nella mia camera.

 

Come se non sapessimo entrambi che era tutta una stupida farsa.

 

Ma era meglio per tutti che fingessimo. Era meglio… almeno noi ne eravamo convinti, e più per abitudine che per altro portavamo avanti tutto. Era la cosa giusta da fare… o no?

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

- Dove stiamo andando?- chiesi a Matt appena salimmo in auto.

- In un posto.- rispose lui, criptico, senza neanche l’ ombra di un sorriso.

- Uhm.- risposi io stringendo i pugni, cercando di mantenere un po’ di autocontrollo. – Bene.-

Lui non replicò, ne io mi aspettavo che lo facesse. Non volevo provocarlo, già il silenzio teso nell’ auto era complicato da gestire, e non ero così masochista da complicarmi l’ esistenza. Quella era un casino già di suo.

Ma dopo un ora di viaggio verso l’ ignoto in completo silenzio, seduti accanto a un essere che trasuda antipatia, anche i migliori esplodono. O forse no, ma l’ importante è dire che a quel punto io esplosi.

Da quel che potevo capire eravamo usciti dal New York da un po’, e ci stavamo muovendo lungo Long Island.

- Matt.- dissi, inspirando profondamente.- saresti così gentile da dirmi dove cazzo stiamo andando?-

- Di’ un po’- disse lui sorridendo, senza guardarmi .- Chi è quel completo incapace che ti ha insegnato le buone maniere?-

- Nessuno, quando sono nata le conoscevo già.-

- Oh, beh, spero proprio che il bambino non prenda il tuo carattere.- continuò lui.

Rimasi spiazzata per un istante, era la prima volta che Matt parlava del bambino in questi termini. Era la prima volta che ne parlava come un figlio.

- Certo, perché se prende da te siamo messi meglio, vero?-

- Certo che sì.-

- Evito di commentare, altrimenti potremmo continuare a discutere fino a Febbraio.-

Febbraio, perché secondo la dottoressa era il mese in cui sarebbe nato il bambino.

- No, per carità. Altrimenti dovrei sopportare due nevrotici al posto di uno.-

Rimasi spiazzata per la seconda volta in meno di un minuto. Aveva quasi - quasi – detto che sarebbe rimasto con me.

Oddio.

Non riuscivo a pensare.

Insomma… non me l’ aspettavo. La classica doccia fredda.

 

- Ehi. Sei con me?-  La sua voce mi riportò alla realtà.

- Cosa? Oh, sì, non sono nevrotica, io.-

- Sicura di stare bene?- mi chiese guardandomi storto.

- Certo, certo. Mi gira un po’ la testa, tutto qui.-

- Vuoi che mi fermi?- chiese, abbassandomi il finestrino.

- No, tranquillo, passa… Spero.- dissi, chiudendo gli occhi e stringendomi la pancia. Dio, stavo per vomitare anche l’ anima.

- Sicura?-

- No, meglio se ti fermi.-

- È urgente?-

- Matt…- dissi, sentendo qualcosa di acido risalirmi in gola.

- Togliti, coglione!- urlò, rivolto al camionista che andava ai venti in corsia di sorpasso.- Chi cazzo ti ha dato la patente?- gli urlò, accompagnando il tutto con un ben noto gesto della mano.

- Matt…- sussurrai, tenendo una mano sulla bocca. Sentivo che non sarei riuscita a trattenermi ancora per molto.

- Trattieniti, per carità! Ci siamo quasi!-

Con una manovra alquanto improbabile, riuscì ad entrare in un’ area di servizio.

Frenò improvvisamente in un parcheggio enorme, occupato solo da tre pullman, uno dei quali vuoto, e una decina di camion.

Scesi –o meglio, rotolai- giù dall’ auto finendo carponi sull’ asfalto bollente di luglio in preda a una nausea incredibilmente forte. Alcuni conati mi toglievano il respiro, ma non avevo il tempo di tossire e liberare la gola che subito ne saliva un’ altro.

- Kelsey!-

Sentii le mani di Matt spostarmi i capelli dal viso.

Un’ altro conato.

Rimasi a fissare l’ asfalto, in ginocchio, le mani che bruciavano, mentre l’ odore acre dello schifo che avevo appena prodotto mi pizzicava il naso.

Matt mi tirò su.

- Come ti senti?-

- Meglio, sono… sono un po’ stordita.- dissi, cercando di pulirmi le mani sui jeans. Matt sorrise. – Chiunque lo sarebbe, a questo punto.-

- Mi sento un sapore schifosissimo in bocca. Abbiamo dell’ acqua?-

- Credo che dovremo andare a comprarla.- disse lui, indicando il supermercato dietro al distributore di benzina. – E già che ci siamo, forse è meglio se mangi qualcosa.-

- Ottimo.- dissi, muovendomi per recuperare la borsa che avevo lasciato in macchina.

Ma calcolai male tutto.

Quando mi resi conto di quello che era successo, Matt rideva come un’ idiota e io ero seduta per terra, le gambe distese e una vaga sensazione di… umido.

Oh, no.

Dimmi che non…

Ero caduta sulla mia personale pozzanghera di vomito.

Cazzo!

- Che merda, porca puttana! Matt, dammi una mano!- gridai all’ idiota che piangeva dal ridere.

- Ma… neanche… per idea!- disse lui, cercando di parlare nonostante l’ improvviso moto di ilarità. – E non pensare di salire nella mia macchina in quelle condizioni!-

- Dannazione!- urlai alzandomi, in preda a istinti omicidi. – Come faccio?- gli chiesi, cercando di guardare il retro dei miei jeans per calcolare il valore del danno.  Cosa abbastanza superflua, visto che sentivo chiaramente roba bagnata scendermi lungo le gambe.

- Toglili.- disse Matt ridacchiando. – Vado a comprarti qualcosa da metterti.-

- Che merda.- borbottai sfilandomi i jeans, buttandoli nel bagagliaio e sedendomi in macchina.

Vidi Matt girarsi un paio di volte ridendo.

Accesi la radio e mi guardai intorno.

Faceva caldo, e nel parcheggio non c’erano tettoie o alberi, nessuna fonte di ombra. Qualche camionista fumava o mangiava qualcosa all’ ombra della propria vettura, il pullman pieno di turisti giapponesi era partito e un’ altro andava riempiendosi. Il terzo si era quasi svuotato del tutto. Lasciai penzolare il braccio fuori dal finestrino e mi tolsi anche la maglietta, restando in reggiseno. Faceva incredibilmente caldo.

Come diamine mi era venuto in mente di mettermi i jeans? Mi ero resa conto della temperatura solo quando la macchina si era fermata, e quindi l’ aria condizionata aveva smesso di andare. Mi feci aria con un depliant che stava nella tasca laterale.

Quando Matt si sedette, mi stavo sistemando i capelli in una coda alta.

- Ho fatto acquisti.- disse lui passandomi la borsa e guardando la mia tenuta anti-caldo con un’ aria vagamente maliziosa. – Che c’è, stai cercando di sedurmi?-

- Ho solo caldo.- risposi, infilando le mani nel sacchetto. Ne tirai fuori un vestitino leggero, con una fantasia floreale astratta sui toni del rosa e del marroncino.

Passabile.

-  È il meglio che ho trovato.- disse lui, intercettando il mio sguardo.

- Meglio di niente.- risposi io alzandomi e infilandolo.

- Ti sta bene.- disse con noncuranza.- Possiamo andare?-

- Si, se mi spieghi dove stiamo andando.- Eravamo partiti ormai da due ore.

- A passare un pomeriggio un po’ diverso dalla solita routine newyorkese.-

Oh. Io e lui da soli? Interessante.

- Tipo?-

- Lo scoprirai.-

- Se non mi dici dove stiamo andando mi ficco due dita in gola e ti vomito sul sedile.-

- Devi solo provarci, bionda. Poi pulisci.-

- Dai, Matt! Per favore!-

- Non ti sento!- gridò lui alzando il volume della radio. – Parla più forte!-

Ok, Kelsey. Hai perso la battaglia. Rassegnati.

- Antipatico.- dissi, chiudendo gli occhi e addormentandomi quasi subito.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

 

 

Dormivo, con una vaga sensazione di fastidio ai piedi. Freddo, probabilmente. Freddo? A luglio? Impossibile. Aprii gli occhi.

Ero seduta nell’ auto di Matt, con i piedi appoggiati sul coso dell’ aria condizionata. Ecco spiegato il freddo.

Di Matt, neanche l’ ombra. Sbadigliai e aprii la porta, pronta per mettermi alla ricerca del fuggitivo. Mi guardai intorno, e vidi che la macchina era parcheggiata su uno spiazzo di terra laterale a una strada sterrata, che dopo pochi metri spariva tra i pini. Camminai lungo la strada, fino a dove nasceva un sentiero seminascosto dai cespugli. E quando alzai gli occhi, quello che vidi mi lasciò senza fiato.

L’oceano.

Matt mi aveva portata a vedere l’ oceano.

- Matt!- gridai, guardandomi intorno. – Matt!- Iniziai a camminare tra i cespugli, maledicendo le mie scarpe di tela che non mi proteggevano dai rami secchi e il vestito troppo corto che lasciava buona parte delle gambe scoperte, libere di essere graffiate dalle spine.

-  Matt, maledizione!- gridai ancora, quando scorsi la sua figura seduta sulla sabbia, sola. Si girò.

 

 

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

 Matt.

 

 

 

La sentii gridare prima di vederla. L’ educazione di quella ragazza era sconcertante.

Mi girai, stupendomi ancora una volta di quanto fosse bella. Era bella così, con addosso quel vestito improbabile e troppo corto, mentre lottava con un cespuglio dove si era impigliata i capelli. Poi, vedendo che non riusciva a camminare bene, si sfilò le scarpe e rimase scalza, camminando verso di me.

Mi girai, tornando ad osservare le onde. Mai, in quasi ventidue anni della mia vita, mi ero sentito così. Non ero innamorato, no; conoscevo bene quella sensazione che prendeva lo stomaco e toglieva il respiro, e nonostante mi capitasse, qualche volta, di sentirmi così con Kelsey, non era quello il mio problema principale. No, il mio problema era l’ assoluta dipendenza che avevo da quella ragazza, oltre al fatto che la suddetta ragazza era incinta di mio figlio.

E quindi lei aveva tutti i diritti di essere arrabbiata con me, anche se non era totalmente colpa mia. Eravamo ubriachi e consenzienti entrambi, non solo io.

Non sapevo neanche io perché avessi deciso di portarla alla spiaggia. Avevo solo voglia di passare un po’ di tempo con lei, punto.

Mi attraeva, perché era così fottutamente bella.

Eppure, non riuscivo ad avere con lei un rapporto normale. Non potevamo provare a conoscerci, come tutte le altre persone di questo mondo? No, non era possibile. Avevamo saltato troppe fasi per pensare di avere un rapporto normale.

- Matt, porca miseria, quando decidi di darti alla vita selvaggia, almeno avvisa!- disse Kelsey sedendosi al mio fianco, allungando le gambe sulla sabbia.

- Oh, non mi sembra che ti dispiaccia.- le risposi guardandola di sottecchi. Lei strinse le labbra e sbuffò, come faceva sempre quando non voleva darla vinta a qualcuno. – Non abbiamo i costumi.- disse poi, indicando l’ acqua e guardandomi storto.

- Io si.- le dissi alzandomi in piedi e togliendomi la maglia.

- Cosa!? Ma tu sei…- disse lei con il suo tono più indignato, alzandosi in piedi.

- Cosa sarei?- le chiesi ridendo, sfilandomi anche i pantaloni e restando in costume.

- Tu… sei un approfittatore, un vile bugiardo calcolatore!- gridò lei, trattenendo le risate.

- Davvero? E ti par poco?- Risi, scappando verso l’ acqua mentre lei mi rincorreva.

- Matthew Wilde, se ti prendo sei morto!-

Mi buttai in acqua completamente, trovando finalmente sollievo dal caldo estivo. Anche sott’ acqua riuscivo a sentire Kelsey sbraitare, e quando riemersi rimasi leggermente stupito.

Si era tolta il vestito ed era rimasta in intimo. La vidi infilarsi la mia maglietta – la mia maglietta – e sfilarsi il reggiseno, abbandonandolo sulla sabbia.

- Vengo ad annegarti.- disse ghignando, in un modo che le dava un’ aria leggermente inquietante.

E in un attimo me la trovai addosso, mentre cercava di tenermi la testa sott’ acqua, la maglietta appiccicata addosso come una seconda pelle.

Ad un tratto andai sotto e rimasi lì, in apnea, giusto per farla preoccupare un po’. Rimasi fermo, ad occhi chiusi, nella mia migliore interpretazione di me stesso annegato anche quando sentii le sue mani sulla faccia e poi mentre tentava di tirarmi fuori.

“Sei troppo magra, signorina” pensai.

Poi di colpo riemersi, riprendendo aria.

- Idiota! Mi stavo preoccupando!- gridò Kelsey con un tono che ricordava vagamente l’ isterico andante. – Ti stavi preoccupando per me?- le chiesi sorridendo, lasciando che i suoi deboli tentativi di pugni andassero a segno sul mio petto.

- Idiota…- sussurrò ancora, abbracciandomi, mentre sentivo che cercava di soffocare un sorriso.

Se gli estrogeni portavano questi risultati, benvenuta gravidanza!

E, dall’ alto del mio metro e ottanta buono, mi trovai a contemplarla. Era bella, troppo. Troppo perché riuscissi a trattenermi.

- Kelsey…- sussurrai, mentre lei continuava a stringermi. Le accarezzai i capelli bagnati, lasciando che la mia mano scendesse, quasi inconsapevolmente, lungo la sua schiena.

- Kelsey.- dissi ancora, con una voce roca che stupì me per primo.

- Dimmi.-

- Guardami.-

E lei, in quella che a me sembrò un’ eternità di tempo, alzò la testa verso di me.

Era troppo bella. Troppo perché non mi tentasse. Troppo perché potessi, in qualche assurda fantasia, resistere. E la baciai. La baciai come se quella fosse stato il mio ultimo desiderio, l’ ultima libertà che mi fosse concessa in questa vita.

E, con mio enorme stupore, lei non mi allontanò, né si divincolò.

Semplicemente, ricambiò il bacio, con altrettanta foga e altrettanta disperazione.

E ad un tratto, tutto attorno a noi sparì. Sparì l’ acqua che ci circondava, sparirono i trentatré gradi estivi, sparirono i suoi genitori e i miei, sparì la mia maglietta dal suo corpo. Restò solo lei, la sua gamba attorno al mio fianco e l’ altra a sostenerla, i suoi seni premuti sul mio torace, e restai io, con lei.

Finalmente.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sento un po’ una fottuta bastarda (XD) a finire così, però sono consapevole del fatto che, se avessi continuato a scrivere, questo capitolo sarebbe stato da me postato a Natale dell’ anno prossimo, cosa tuttavia impossibile in quanto Natale dell’ anno prossimo è dopo il 21 dicembre, data in cui moriremo tutti.

Almeno secondo i Maya.

Simpatici, quei tizi.

 

Orsù, non buttiamoci giù! Tanto io non ci credo (alla fine del mondo), quindi il problema si risolve da sé XP.

Bene, ho finito di farneticare. Un bacio! J

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Capitolo 6
*** Nessuno può ferirti, o almeno così dicono. ***


capitolo6

Beh, che dire. Sarà un capitolo molto corto, veloce e coinciso. E anche molto incasinato. Ma questo lo vedrete voi, e mi direte cosa ne pensate :3 (Velata minaccia, non poi così velata) che più o meno starebbe per: Le recensioni sono gradite XD Un bacio,

Pick.



 

 

 

OCEAN

 

 

 

 

 

 

 

 

 

No one can hurt you, or so they say.

[Shinedown, Her name is Alice]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo mese

Luglio 2001

                   

 

Non sapevo perché, né per quale oscura ragione, mi fossi lasciata finalmente andare. Non avevo neanche troppa voglia di psicanalizzarmi, sinceramente. Magari in un altro momento… magari in un’ altra vita. Sì, l’ opzione “posticipiamo la razionalità”, in quel momento mi piaceva terribilmente.

E Matt, che mi sosteneva con un braccio ed era l’ unico punto fisso in tutta quell’ acqua scura e tiepida, che si muoveva attorno a noi in un unico, fluido e ininterrotto movimento, era il motivo principale per cui, di razionalità, non volevo neanche sentir parlare. Perché sentirlo mentre mi stringeva a sé e mi baciava, sentire le sue mani ovunque sulla mia schiena, mi aveva fatta letteralmente impazzire. Tanto che non mi resi nemmeno conto di come avessimo fatto, improvvisamente, ad arrivare sulla spiaggia.

La sabbia mi si attaccava addosso e finiva tra i miei capelli bagnati, ma il problema non era quello. Anzi, non c’era proprio nessun problema. Forse il rotolarsi sulla sabbia come due cani non era proprio il massimo della maturità, però era molto meglio che farlo in un’ auto, sui sedili posteriori. Almeno lì la scena non era comica.

- Dio, quanto sei bella…- disse Matt, continuando a baciarmi. La spalla, per la precisione.

Il sole ci scaldava, e la mia schiena nuda reclamava un po’ d’ ombra per evitare un ustione storica.

Forza, Kelsey, fallo per la squadra, mi diceva una voce nella mia testa, non ruota tutto attorno al tuo egoistico bisogno di mantenerti la schiena sana!

E aveva ragione, oh se l’ aveva. Non mi sarei separata da Matt per niente al mondo, in quel momento. Neanche se la mia schiena avesse preso fuoco.

- Matt…-

-Kelsey…-

- Io…-

- Ssh, non dire niente…- disse, baciandomi e chiudendomi la bocca.

Con una mano, molto teatralmente, per essere sicura che lui mi vedesse, afferrai il bordo delle mie mutandine e molto, molto lentamente, me le sfilai. Ora ero completamente nuda su di lui, e dal mugugno che fece quando la sua mano scese sulle mie natiche dedussi che la cosa non gli dispiacesse.

Dio, se lo volevo. Volevo sentirlo dentro di me, sentirlo morire e rinascere e morire ancora dal piacere che io gli procuravo. Io, solo e soltanto io.

Non mi sfiorò neanche il pensiero, o il semplice dubbio che fare sesso in gravidanza potesse non essere consigliato, ma visto che non ero informata su quel punto e che sinceramente in quel momento la cosa non mi interessava poi molto, lasciai che Matt mi facesse stendere sulla sabbia e non opposi resistenza, anzi – emisi una specie di risolino entusiasta – quando lui si sfilò i boxer. Poi si piegò di nuovo su di me, riprendendo a baciarmi, e, aggiungendo il suo peso al mio, a farmi sprofondare nella sabbia.

E se fosse passato qualcuno?

- Kelsey, Kelsey…- ripeteva, ansimando.

Era così… eccitante. Erotico. Da sballo totale. Non potevo e non volevo resistergli.

- Matt, ti… prego… oh!- gridai, quando sentii la sua mano farsi largo in me.

- Ti… piace?- chiese lui, con un tono di voce reso terribilmente roco e seducente dall’ eccitazione.

- Oh Matt, Matt…- riuscii solo a dire, ansimando senza ritegno, consapevole che i miei gemiti contribuivano a farlo eccitare ancora, e ancora.

- Sei… tutta… bagnata, amore.- osservò lui tra un bacio e l’ altro. Non potevo resistere… non per molto, ancora. Aprii ancora di più le gambe, circondandogli i fianchi e sentendo la sua erezione, dura, enorme – due parole che da sole potevano produrre nella mia testa pensieri che avrebbero fatto impallidire porno attori e attrici vari – premermi contro.

- Matt, ti prego… voglio… adesso.-

Ringraziando il cielo non si fece pregare. Lo sentii penetrarmi con un’ unica, forte spinta, che mi strappò un mezzo gemito di sorpresa.

- Stai… bene?- mi chiese lui, fermandosi un secondo per guardarmi.

Mai stata meglio.

- Si, io… continua, Matt…-

Se la prima volta, fare l’ amore con lui mi era sembrato bellissimo, ora era a dir poco sublime. Perché finalmente mi sentivo completa, appagata. E nulla, nulla mi avrebbe separata da lui, per niente al mondo. Decisi, nella mia egoistica visione delle cose, che Matt da quel momento sarebbe stato mio, e di nessun’ altra. Solo e soltanto mio.

Ero finalmente felice, a fare l’ amore – amore, ne ero certa – con lui su una spiaggia deserta nel luglio più caldo che avessi mai vissuto, certa che in quel momento, l’ importante fossimo solo noi, l’ oceano che ci osservava e la sabbia su cui stavamo.

Tanto che una lacrima di felicità mi scese solitaria lungo la guancia, senza che lui la vedesse.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

E se fosse passato qualcuno?

 

Restammo li, sulla spiaggia, nudi. A guardare l’ acqua, principalmente. O almeno, io fissavo l’ acqua, come stregata dal suo movimento ritmico, mentre Matt stava fermo ad occhi chiusi. Ogni tanto allungava una mano e mi sfiorava la pelle, il naso, le labbra. Poi tornava immobile.

E in quel silenzio, come un fottuto tarlo che nasceva solo per rovinare la pace che regnava, un pensiero sorse nella mia testa.

All’ improvviso, ebbi paura di non piacergli, di non andare bene per lui. Di aver fatto qualcosa di male, e soprattutto pensai che forse lui mi stava vicino per un utopistico senso di responsabilità dovuto alla gravidanza. Una smorfia amara mi si dipinse sul volto, all’ idea che, ancora una volta, fosse tutta una finzione. Ormai neanche io riuscivo a distinguere bene ciò che provavo da ciò che volevo provare, e ebbi paura all’ idea che la mia vita sarebbe dipesa da quei sentimenti. Provai, improvvisamente, una scarica di frustrazione, che mi partiva dalle dita e mi faceva fremere tutta.

- Matt?- dissi, la voce rotta. Da cosa, poi?

- Si.- disse, senza aprire gli occhi.

Non sapevo più cosa dire. Non sapevo nemmeno perché avessi aperto bocca, in realtà.

- Niente.- dissi, sentendomi una vigliacca.

Non rispose, non disse niente. Rimase semplicemente immobile.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

Ci fermammo a dormire in un motel. Un anonimo e sconsolato motel trovato per caso lungo la strada, in cui avevo insistito ci fermassimo. Era tardi, eravamo entrambi stanchi e avevamo deciso di fermarci. Nei motel nessuno fa caso a nessuno, e c’erano poche possibilità di incontrare qualche conoscente.

Perché lo spettacolo che avevo in mente per quella notte non prevedeva pubblico.

L’ idea mi era balenata in testa così, senza motivo.

Già quando eravamo stesi sulla spiaggia avevo iniziato a riflettere sulla mia vita, e mi ero resa conto che non era niente di importante, per me. Nonostante la vita fosse tutto - perché la vita, per un qualsiasi essere vivente, è tutto – paradossalmente la ritenevo futile, troppo insulsa e insignificante per essere vissuta. E quindi, quasi senza rendermene conto, accettai la soluzione più drastica che avessi mai preso. Decisi di suicidarmi.

Presi quella decisione senza pensarci veramente, come se, in realtà, avessi sempre saputo che sarebbe finita così. E fu con il sorriso sulle labbra che mi rivestii e cercai, una volta in macchina, qualcosa su cui scrivere.

 

 

Flashback

 

 

- Che fai?- chiede Matt a Kelsey allungando gli occhi per cercare di leggere quello che la ragazza sta scrivendo ormai da mezz’ ora su un vecchio depliant.

- Niente- risponde lei inclinando il foglio in modo che lui non possa vedere, non possa capire. Lui sbuffa e torna a guardare avanti, sta guidando ed è tardi, ormai tutti i lampioni sono accesi e lui è stanco, stanco di guidare. Mancano almeno tre ore prima di arrivare a casa, forse è meglio dormire da qualche parte, si dice.

- Stai scrivendo il tuo testamento?- le chiede ancora, prendendola in giro. Lei sorride, rabbrividendo all’ idea di quanto lui sia andato vicino alla verità. Quella verità che neanche lei ha ancora capito bene.

- Si, e stranamente il tuo nome non compare.- lo prende in giro, cerca di alleggerire l’ atmosfera. All’ improvviso ciò che vuole fare le sembra improvvisamente più importante, e sa che non può rischiare di essere scoperta.

Lui non risponde, si limita a sorridere. Uno a zero per Kelsey, si dice lei. E intanto continua a scrivere, imperterrita. L’ idea della lettera le è venuta all’ improvviso, come se dovesse, in qualche modo, delle spiegazioni a qualcuno. A Matt, per primo. Ai suoi genitori, che non l’ hanno mai capita veramente. Eppure lei sente di doverlo fare, si sente in debito.

“Caro Matt.” Come inizio può andare, si è detta. Anche se sa che probabilmente quel foglio per primo verrà letto da un poliziotto, decide di rivolgersi a Matt.

“Ora sei seduto qui di fianco a me in macchina e sei stanco, lo vedo. Probabilmente ti chiederai perché io abbia preso questa decisione. Voglio che tu sappia che non è colpa tua. È da quando ci siamo conosciuti che le cose vanno male, tra di noi. Io... mi dispiace, immagino che avrei potuto fare qualcosa per evitarlo. Però cerca di capirmi. Da quando sei entrato nella mia vita tutto ha iniziato ad andare a rotoli. Non ti sto colpevolizzando, ricordatelo bene. Sto solo considerando la mia vita.” Si ferma e rilegge, si sente stupida. Però sa di doverglielo. Sbadiglia.

“ Vedi, prima era tutto perfetto. Avevo ragazzi, vita, feste e mi divertivo. Chiedi a Meg. Poi una sera mi hai presa per mano e mi hai regalato – si, regalato – la notte di sesso migliore della mia vita. E me lo ricordo bene nonostante fossi ubriaca, quindi probabilmente è stato anche meglio. E da quel momento sono iniziati i guai. Sono rimasta incinta, e ho iniziato ad odiarti. Abbiamo iniziato a fingere di essere fidanzati, e ammetto di non aver mai capito bene perché. Ma non mi sono fatta grandi problemi, perché in fondo stare con te mi piaceva. Tu mi piacevi. Ma l’ odio – o quello che era – che provavo per te, e che in minima parte provo ancora, mi impediva di rendermi conto bene di quello che provavo.” Kelsey sospira e guarda di sottecchi Matt, che continua a scrutare la strada. Si chiede cosa penserà quando leggerà quelle parole. Forse piangerà, pensa, o forse sarà solo triste. Non lo saprà mai, ma vuole farlo lo stesso. Ormai niente è più importante.

“Quindi, decido di mettere fine alla mia inutile vita così, senza rimorsi. Forse con il rimorso di non poterti vedere da padre, ma dopotutto tu un figlio neanche lo vuoi. Di questo ne sono fermamente convinta, mi hai già dimostrato che la mia situazione non ti tocca. Ma, ancora una volta, non ti colpevolizzo; anche io, al tuo posto avrei reagito così. Matt, ti prego, vivi la tua vita e sii felice. Non lasciare che il ricordo di una ragazzina viziata e di un bambino mai nato ti impedisca di vivere serenamente. Vivi anche per me.

Ti amo.” Kelsey guarda sbalordita quelle ultime due parole, non si è neanche resa conto di averle scritte. Ma decide di lasciarle, perché finalmente se ne è resa conto: lei è innamorata di Matt, in fondo lo ha sempre saputo. Ed è anche per quello – perché sa che lui non la ricambia e mai lo farà – che si sente ancora più decisa. E si asciuga velocemente una lacrima, senza che lui la veda.

“Kelsey.”

 

 

 

Ero tranquilla. Piegai il foglio e lo misi nella borsa, nascondendolo bene. Poi, da dietro una curva, vidi spuntare l’ insegna luminosa di un motel. Ed ebbi l’ ispirazione.

- Potremmo fermarci lì.- dissi, indicandolo a Matt.

Lui annuì e svoltò nel parcheggio semivuoto. Sorrisi.

Quella era la mia notte.

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

 

- Sei sicura di volerti fermare qui?- mi chiese Matt prima di entrare nella hall, scrutando l’ interno attraverso la porta a vetri. – Non mi sembra un posto troppo sicuro.-

Sorrisi. – Oh, non dire sciocchezze!- gli dissi stirando le pieghe del vestito con le mani. – Andrà benissimo, vedrai.- E spinsi la porta.

Dentro, l’ illuminazione era scarsa, e rischiarava malamente i pochi metri quadri della stanza. Dritto avanti a noi si apriva una stretta rampa di scale, mentre sulla sinistra un bancone, che più che un’ accettazione sembrava una portineria – e magari lo era davvero – dietro il quale sedeva una vecchia afro-americana obesa, enorme per il poco spazio ritagliato dietro il banco. La donna stava seguendo da un vecchio televisore striminzito una telenovela strappalacrime in argentino, con i sottotitoli in inglese. Non sembrava essersi accorta di noi. Dopotutto era tardi, magari non era abituata a vedere clienti a quell’ ora.

- Ehm… buonasera.- dissi io, avanzando incerta verso la reception. O quello che era, insomma. La donna alzò gli occhi, piuttosto sorpresa. O magari era solo scocciata perché stavo interrompendo la sua visione. – ‘Sera.- fece, osservando prima me e poi Matt, al mio fianco.

- Vorremmo una camera per questa notte.- dissi. Magari Matt avrebbe preferito dormire da solo, pensai, ma prendere due stanze singole sarebbe stato ridicolo e inutile. E poi lui non ribattè, quindi mi dissi che avevo fatto la scelta giusta.

- Certo.- disse la donna, improvvisamente rianimata. – la 143 è libera, su al terzo piano. Fanno cinquanta dollari.- Matt le allungò una banconota e firmò sul registro. Lei non disse più niente e tornò alla visione dei suoi eroi sudamericani. Presi le chiavi e ci avviammo lungo le scale, strette e maleodoranti di muffa.

La stanza era meglio di quello che mi ero immaginata. Aveva un piccolo terrazzino e una finestra sul lato opposto alla porta, e un grande letto matrimoniale. Accanto alla porta del bagno c’erano una scrivania e un armadio. – Poteva andare peggio.- dissi a Matt mentre appoggiavo la borsa su una sedia.

- Infatti.- mi rispose. – Nonostante sia costata una fortuna mi aspettavo un buco senza acqua corrente.- aggiunse poi, entrando in bagno e aprendo il rubinetto. – E c’è addirittura l’ acqua calda!- osservò ridendo.

- Oddio Matt, l’ acqua!- Risi, cadendo sul letto. – L’ acqua…- ridevo da sola, continuando a ripetere tra me e me cose senza senso. Vidi Matt sbucare fuori dal bagno con la testa e guardarmi sorpreso e divertito. Lo fissai un paio di secondi e ripresi a ridere come una mentecatta.

- Kelsey?- mi chiese Matt uscendo dal bagno e stendendosi di fianco a me – Stai… bene?-

- Mai stata meglio.- risposi, sospirando e fermandomi a fissare il soffitto. – Davvero, è colpa degli estrogeni, io sto bene.- Sto solo per suicidarmi, dopotutto.

- Sicura?- mi chiese, girandosi su un fianco per guardarmi.

- Si, sicurissima. Davvero.- Ci fu un momento di silenzio, in cui mi concentrai sui gemiti femminili provenienti dal piano superiore. Evidentemente i due al piano di sopra non si erano persi in chiacchiere. Era un po’ imbarazzante, in effetti.

- Sai…- disse, interrompendo lo spettacolino mentale che mi ero creata – Pensavo… dovremmo pensare a dei nomi.-

Lo guardai.

- Nomi?-

- Per… il bambino.-

- Oh. Beh, c’è tempo… potremmo decidere, ma poi avremmo altri sette mesi utilizzabili per cambiare idea.- La verità era che non avevo voglia di sprecare le mie ultime ore a pensare a dei nomi che non sarebbero serviti a niente. Non mi dava neanche fastidio pensare alla mia più che imminente fine, ormai. Avevo solo una vaga idea di come fare.

- Giusto, non ci avevo pensato. Comunque io non ho sonno, e tu?- disse, sorridendomi. Strano.

Oh. Oh oh oh oh.

- Matthew Wilde, non ci pensare nemmeno!- gridai quando capii che la sua unica e inequivocabile intenzione era quella di saltarmi addosso. Lui sorrise, mentre io cercavo di sfuggirgli.

- Oh, si, bionda, preparati.- ghignò, alzandosi e afferrando un cuscino. Voleva prendermi a cuscinate?

- Cosa…?- feci, mentre osservavo il cuscino tra le sue mani mezza nascosta dietro la porta del bagno. – Rendi note le tue intenzioni, vile marrano!-

- Mia diletta, le assicuro che le mie intenzioni sono più che nobili.-

- Si, certo.- Risposi, mentre un’ idea particolarmente malvagia si faceva strada nella mia testa. – Dimostramelo.-

Lui si limitò a sorridere. – Vengo a prenderti…-

- No, dai!- urlai, chiudendomi nel bagno. Proprio quello che mi serviva. L’ idea particolarmente malvagia si stava ingrandendo… soprattutto decisi di metterla in atto quando mi accorsi che nell’ armadietto sotto il lavandino c’era un vecchio secchio sbeccato. Lo infilai sotto il getto dell’ acqua.

- Kelsey…-

- Dimmi!-

- Esci?-

- Naaaa… aspetta, ti sto preparando una sorpresa.-

- Spero che preveda te in versione poco vestita…-

Non risposi, ma guardandomi allo specchio mi accorsi di essere arrossita furiosamente.

 

 

 

 

 

 

Matt

 

 

 

 

 

“ Spero che preveda te in versione poco vestita.” Che idiota! Perché l’ avevo detto? Magari si era offesa, e mi sarebbe toccato passare la sera a farmi perdonare. Maledizione!

Mentre mi maledivo mentalmente, sentii Kelsey girare la chiave nella toppa e aprire la porta. La socchiuse, in modo da far filtrare solo un debole spiraglio di luce.

- Kelsey?- chiesi. Non rispose.

Spalancai la porta, e la bastardella mi rovesciò addosso una secchiata d’ acqua gelida.

- Ma che…?-

Lei aveva ancora il secchio in mano, ed era piegata in due dalle risate. Stupidamente, dopo pochi secondi iniziai anche io a ridere come un’ idiota.

- M-Matt… sembri… un… pulcino… bagnato!- riuscì a dire, tra un attacco di ilarità e l’ altro. Poi, sempre ridendo, venne avanti e mi abbracciò. – Ho sonno…- disse, con la faccia premuta sul mio petto. La strinsi, senza sapere bene il perché. Forse mi sembrava davvero indifesa, e tra i due il pulcino bagnato era lei. Anche se ero io quello che gocciolava come una grondaia. Mi accorsi che cercava di soffocare i singhiozzi nella mia maglietta fradicia, con scarsi risultati.

- Che c’è?- le chiesi, accarezzandole i capelli.

- Niente.- disse, alzando la testa e guardandomi.- Niente, è solo questa fottuta gravidanza, cambio umore ogni due minuti, è normale.- Eppure, sentii che mi nascondeva qualcosa. Qualcosa di grande, che la opprimeva come un macigno. – Matt, ho sonno.- disse ancora, staccandosi da me. – Tu da che parte dormi?-

 

 

 

 

 

^^

 

 

Kelsey

 

 

 

Nel buio, ascoltavo il respiro ritmico di Matt, regolandolo al mio. Stavo cercando di calmarmi, l’ enormità di quello che stavo per fare mi opprimeva.

Mi alzai dal letto e mi infilai in bagno. Erano le tre di notte, anche gli amanti del piano superiore dormivano. Guardai la mia faccia stanca allo specchio, mentre mi saliva una gran voglia di vomitare; osservai a lungo i capelli annodati, la pelle pallida e le occhiaie appena accennate. “Non avresti neanche il diritto di farla finita” mi dissi, provando un profondo disgusto verso tutto quello che aveva in qualche modo a che fare con la mia vita. “Faresti soffrire delle persone che non se lo meritano, mettendo fine a tutto. Impediresti a un bambino innocente, a una nuova vita, di vedere la luce. Morirebbe con te, e il suo ricordo torturerebbe la tua anima. Sei troppo insignificante per pensare al suicidio, cara mia. Troppo comodo. Non te lo meriti.”

Coscienza del cazzo. Ero stanca di soffrire, chiedere una fine veloce e indolore era troppo? Avevo paura di affrontare le gravidanza, di affrontare i miei genitori. Volevo indietro la mia vita… ma non era possibile, e piuttosto che avere un esistenza patetica preferivo conservare un po’ di dignità e lasciare dietro di me un cadavere gradevole. Si, decisamente.

 

Restai qualche minuto immobile, al buio, a fissare Matt appoggiata alla porta del bagno. Iniziai a piangere in silenzio, istericamente, mentre con una mano mi stringevo la pancia, quasi a scusarmi con il bambino per quello che stavo per fare. Poi aprii la porta finestra che portava al terrazzino. Uscii, e la brezza leggera che rinfrescava la notte mi assalì.

Davvero, sei sicura di voler lasciare tutto questo?

Avevo addosso solo la maglietta di Matt, ancora un po’ umida, e gli slip, ma stavo bene. Il cielo era limpido, non c’era una nuvola.

Che bella notte per morire.

Eppure, avrei potuto vederne molte altre. Avrei potuto vederle tutte, se avessi cambiato idea. Tornai dentro e presi il foglio per Matt, la lettera.

 

Strinsi forte la ringhiera del terrazzino, sporgendomi per guardare sotto. Quattro metri abbondanti mi separavano da terra, nell’ impatto con il suolo non avrei sentito nulla. Dolore zero. Perché no?

Chiusi gli occhi. Erano i miei ultimi istanti su quella terra, volevo godermeli. La notte era silenziosa. Il vento produceva leggeri fruscii, e c’era addirittura qualche grillo. Strinsi ancora di più la presa sul metallo gelido, pensando che sarebbe bastato sporgermi e poi lasciarmi andare… e basta, sarebbe tutto finito in un attimo. Sorrisi. Sentivo le macchine passare sulla superstrada, qualche metro dopo gli alberi. Un gatto. Ancora il vento, uno scricchiolio…

- Che fai?-

Matt?

- Niente, io… non riuscivo a dormire.- Aprii gli occhi e mi girai verso di lui. –Torna pure dentro.-

Cazzo! Kelsey, il piano è in serio pericolo.

- No, non ho più sonno.- Si mise di fianco a me, appoggiato alla ringhiera.

- Che ore sono?-

- Le tre e venti, più o meno.- disse. Lo guardai. Era scalzo, come me, e addosso aveva solo i boxer. Mi trovai a pensare che era incredibilmente dolce, a venire fuori a farmi compagnia.

Nessuno disse più niente. Restammo fermi, in silenzio.

- Fa un po’ freddo.- disse, raddrizzandosi.

- Torniamo dentro?- chiesi, restando però immobile.

- Non mi sembra che tu ne abbia molta voglia…-

- Arrivo subito, entra pure.- Matt mi guardò sconcertato, poi entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé.

Aspettai ancora qualche secondo, poi strinsi forte la lettera. Il vento continuava a soffiare lentamente, leggeri fruscii rompevano il silenzio ovattato di una calda notte di mezza estate.

Solo un attimo… poi sarà tutto finito.

Eppure c’era qualcosa. Qualcosa che mi tolse definitivamente tutto il coraggio accumulato in un lento processo di autoconvinzione. Strinsi la carta nel pugno, sentendo il sudore della mano che la rendeva più morbida. Kelsey Delvecchio, sei una fottuta codarda.

- Kelsey?- chiese Matt da dentro. – Stai bene?-

- Arrivo.- risposi, e prima di entrare, in velocità, strappai la lettera, lasciando che i pezzetti di carta svolazzassero nell’ aria per venire, poi, portati via dal vento.

 

 

 

 

 

 

^^

 

 

 

 

 

Bè bè bè, avete visto. Ho fatto un po’ di esperimenti, in questo capitolo… vediamo come và, perché se iniziate a lanciarmi i pomodori ci ripenso e torno al modo normale XD Sul capitolo non ho molti commenti, mi è venuto così. Magari nella mia testa l’ effetto era molto meno crudo, ma riuscire a descrivere le sensazioni di Kelsey immedesimandomi in lei questa volta mi è venuto un po’ difficile.

Boh.

Avrei voluto scrivere un po’ di più, come al solito, ma gli sviluppi avrebbero tirato tutto per le lunghe e avrei prodotto una pappardella insostenibile. Perdonatemi, e risparmiate sugli ortaggi.

Un bacio J

 

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Capitolo 7
*** La svolta. Ciò che può sembrare una fine, ma che in realtà è un inizio. ***


Ocean

 
 
 
 
 
 
 
 
 
           

Oh, my little sister,
Don't shed no tears.

  

D 

[Bob Marley, No woman no cry]
 

           
 
 
 
 

 
 
 
Terzo mese
Agosto 2001
 
Una mattina, senza un motivo preciso, mi svegliai e decisi che era arrivato il momento di comunicare ai miei genitori che presto il mio volume corporeo avrebbe iniziato ad aumentare vistosamente e che entro la fine della primavera avrei sfornato il mio primo discendente. E, che, di conseguenza, loro sarebbero diventati nonni.
La cosa che più mi aveva spinta a prendere una decisione così improvvisa era stato l’ aumento delle nausee al mattino, appena sveglia, – che già da un po’ mi tormentavano - e il malessere che mi assaliva appena mi arrivava al naso un qualsiasi tipo di odore vagamente sgradevole.
Non pensai subito che avrebbe dovuto essere presente anche Matt, nonostante quello che era successo tra noi, perché la giudicai una cosa tra me e mia madre, e avrei dovuto affrontarla senza mediatori. E poi da quando eravamo tornati dalla nostra gita cercavo di evitarlo, perché lo ritenevo l’ unico vero responsabile della faccenda e l’ unico che non era preoccupato – o almeno non abbastanza – dalle possibili conseguenze. Mi dicevo che in fondo dovevo essere arrabbiata con lui perché lui non portava dentro di sé una bestiola che sarebbe diventata la sua vita e la sua rovina. La sua vita, a differenza della mia, non avrebbe seguito un corso diverso perché avrebbe dovuto adempiere ai suoi doveri di genitore. Non ne era obbligato.
In realtà, però – e dentro di me lo sapevo bene – era tutta una stupida scusa per non incontrarlo. Vederlo sarebbe stata la conferma dei miei sentimenti per lui, che mi spaventavano più del lecito. Se Matt non avesse ricambiato non sarei sopravvissuta, me lo sentivo. E io non avevo il coraggio di correre un rischio simile.
 
Non avevo niente da fare, quel giorno. Matt aveva da fare qualcosa con Jared – qualcosa su cui non aveva voluto darmi troppe informazioni, quindi passai la giornata scartabellando qua e là tra le cose che da tempo prendevano polvere in una stanza vuota e che non consideravo più importanti. I miei vecchi diari, i quaderni, i disegni... tutto sembrava appartenere ad una Kelsey che non ero più. In un vecchio quaderno trovai dei disegni che avevamo fatto io e Meg minimo dieci anni prima. Meg aveva disegnato un lungo abito da sposa bianco e molto, molto fiabesco (decisamente nel suo stile) e io avevo aggiunto sotto, con una calligrafia ancora incerta, - Qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato e qualcosa di blu.– e la data, ormai mezza cancellata, seguita dai nostri nomi.
Un pensiero mi attraversò. E se i nostri genitori, alla notizia della gravidanza, avessero deciso di farci sposare?
Una prospettiva che non mi piaceva per niente. Avevo dei progetti, per me. Avrei voluto studiare al college e laurearmi e diventare qualcuno.
Scossi la testa e allontanai il pensiero. Non avevo bisogno di altri casini.
 
 
 

**

 
 

Presi  decisione che avrebbe segnato il mio futuro d’ impeto, senza pensarci troppo. Quella sera dopocena mi alzai in piedi. Avevo pensato che fare finta che tutto andasse bene avrebbe alleggerito le cose.
- Ho un’ annuncio da fare.- iniziai solennemente.
- Tu e Matthew vi siete fidanzati?- disse mia madre.
- Meglio.- dissi io.
- Vi sposate?!- chiese, incredula. Sarebbe stato il suo sogno che si realizzava. Ci fu un momento di silenzio enfatico, in cui anche mio padre mi prestò un po’ di attenzione.
- Sono incinta.- dissi sorridendo.
Sputò nel piatto quello che stava mangiando.
Non avevo proprio intenzione di essere così diretta, ma mi era sfuggito.
Il sorriso svanì improvvisamente dal volto di mia madre, per lasciare il posto al gelo più totale.
- Cosa!?- urlò mio padre saltando sulla sedia - Kelsey! Stai scherzando, vero?-
Non sopportavo quando mi si rivolgeva con quel tono.
- Vedo che l’ hai presa bene.- dissi, mandando a farsi fottere tutti i buoni propositi.
- Non mi parlare così!- urlò lui.
- Non mi parlare tu così!- urlai io. Lui mi guardò male, respirando rumorosamente.
- Mary?- chiese, rivolto a mia madre.
Lei si schiarì la voce. Era livida.
- Puttana.- sentenziò, con una voce fredda e irreale che non era la sua.
- Mary!- disse mio padre. Era sconvolto.
Io avevo la gola secca, e non riuscivo a connettere bene.
- Fa’ silenzio!- disse ancora, rivolta a mio padre. Poi si rivolse a me - Tu, sgualdrina. Esci da questa casa.-
 - Cosa?- urlammo io e mio padre contemporaneamente.
- Mi hai sentita!-
- Mary, stai esagerando.- disse mio padre.
- Mamma, io...-
- No, tu non sei mia figlia! Mia figlia non mi avrebbe mai dato questa delusione!-
Mi sentivo in colpa ed ero sul punto di una crisi di nervi, ma ero convinta che stesse esagerando.
- Stai esagerando.- dissi.
- Ah, si? Io starei esagerando? Fatti un’ analisi di coscienza! Sei tu l’ esagerata! Sei sempre stata una delusione per noi!-
- Mary, io non la penso come te.- la interruppe mio padre. - E tu lo sai.-
- Non ti voglio più vedere!- urlò lei alla fine, come per chiudere la discussione.
- Ah si? Bene!- urlai io. Ero incazzata nera. - Bene! Ma sai una cosa? Sono io che non voglio più vedere te!-
Uscii dalla stanza e corsi nella mia camera, raccogliendo più cose possibili.
Non mi voleva più vedere?
Bene.
Ma tanto per la cronaca, ero io che non volevo più vedere lei.
Sarei andata da Meg.
O sotto un ponte.
O dentro uno scatolone in metropolitana.
Ovunque, ma non lì.
Se fosse dipeso da me, quella sarebbe stata l’ ultima volta che mettevo piede in quella casa.
Che si fottessero, quegli stronzi.
 
Marciai giù dalle scale trascinandomi dietro borse su borse, dove avevo gettato a caso parti del mio guardaroba.
- Vaffanculo!- urlai al vuoto.
Aprii la porta e uscii fuori.
Arrivai fino al cancello, dove, esausta, lasciai cadere tutto a terra.
- Vi odio!- Urlai verso la casa. - Posso benissimo vivere senza di voi!-
Poi presi il cellulare e chiamai Meg.
- Ciao, Kel. Che c’è?-
- Meg, passeresti da me adesso? Ho bisogno di un passaggio.-
- A quest’ ora? Scusa baby, ma sono fuori città con il corso di teatro... mi sembrava  di avertelo detto.-
- Oh, certo, me ne ero dimenticata. Fa niente.-
- Ehi, cos’ è successo?-
- Niente, tranquilla. Ti dico quando torni.-
- Va tutto bene?-
- Si, certo. Chiamerò Matt, non importa.-
- Kel, se mi chiami alle nove di sera perché hai bisogno di un passaggio direi che non è tutto a posto, decisamente.-
- È a posto, tranquilla. Nessun problema, davvero.-
- Ok… ci vediamo.-
- Scrivimi quando arrivi.-
- Promesso. Baci.-
Cazzo. Mi ero completamente dimenticata del corso di Meg.
Avrei dovuto chiamare Matt. Non era una bella prospettiva, ma avrei fatto di tutto, pur di andarmene da lì.
Composi il numero.
- Kelsey?-
- Che fai?-
- Che ti serve?-
- Un passaggio. Adesso, a casa mia. Il prima possibile.-
-  Sono a dieci minuti. Arrivo.-
- Ok.-
Pratico, funzionale, veloce. È molto comodo usufruire dei servigi di qualcuno che stai ricattando, soprattutto se ti ha messa incinta. Soprattutto se lui ne è convinto, dato che tu, visto che sei innamorata di lui, non faresti assolutamente nulla per danneggiarlo.
Quando arrivò, dall’ auto scese anche Jared, il ragazzo di Meg.
- Jared!-
- Ehilà.- disse lui, accennando qualcosa con la mano. un saluto, forse.

- Si può sapere che è successo?- chiese Matt osservando le mie valigie con un vago senso di terrore.
- Uh, niente. Ho solo comunicato ai miei adorati genitori che sono incinta.-
Per poco Matt non fece un infarto. La sua faccia era da Oscar.
- Tu! Cosa…?-
- Gliel’ ho detto, Matt. Me lo sono levata dalle palle.- dissi tranquillamente, osservandomi ben bene le unghie.
- Quindi?- mi chiese. – Che hanno detto?-
- Mi hanno buttata fuori di casa.- gli dissi, indicando le valigie.
- Stai scherzando?- mi disse Jared, a metà tra il preoccupato e il divertito.
- No che non scherza, maledizione! Che dirò ai miei se lo vengono a sapere?- Matt stava leggermente sclerando.
- Ehm, mister ovvio, credo che i miei vecchi non siano proprio felici di far trapelare in giro la notizia. Se conosco i miei polli, daranno l’ annuncio solo quando il bambino avrà raggiunto la maggiore età.-
- Sei grande, ragazza.- disse Jared mentre iniziava a buttare le mie borse nel bagagliaio.
- Ma… che stai facendo?- gli chiese Matt.
- Beh, amico, è chiaro che non ha un posto dove dormire, quindi starà da noi finché Megan non torna.-
- Ti amo, Jad.- gli dissi, saltando a bordo.
- Immagino di non avere scelta.- disse Matt afferrando le ultime due borse e salendo in macchina. – Però non ho nessuna intenzione di dormire sul divano, sia chiaro.-
 
 

 

**

 


Il posto dove vivevano Matt e Jared era una via di mezzo tra un appartamento e un loft. Una specie di salotto con un angolo cucina che più che un angolo era un vertice, separato dalla zona giorno da un bancone nero da ristorante comprendeva un divano e due poltrone, rivolte verso un televisore sproporzionato circondato dalle consolle dei videogiochi, era la prima stanza a cui si accedeva; da lì l’ unica scelta era dirigersi verso il corridoio, sul quale si affacciavano le stanze di Matt e Jared e il bagno. Il bagno. Un solo bagno per tre persone. Non sarei sopravvissuta…
Matt appoggiò – anzi, buttò – le mie cose sul divano, stravaccandosi poi su una poltrona. Jared, invece, dopo aver scaricato le borse non con grazia maggiore del suo compare, mi si avvicinò e mi obbligò a seguirlo.
- Dove…?- chiesi. Lui mi fece entrare in uno sgabuzzino - che non avevo notato – in cui troneggiava una vecchia scala a chiocciola, che portava al tetto piano dell’ edificio. Sopra la vista era bellissima, eravamo a un solo isolato da Central park e da lì si poteva vedere tutto il quartiere.
- Sai,- disse Jad appoggiandosi sull’ inferriata – Matt è un po’ stressato, ultimamente. È stato inserito nell’ azienda di famiglia da suo padre, che ci tiene a fargli presente le sue responsabilità, e lui non vuole deluderlo… lo capisco, sai? So cosa vuol dire, essere nella sua situazione.-
- Io… non lo sapevo.- gli dissi, pensando alla differenza di età tra me e Matt. Io avrei compiuto diciannove anni solo a dicembre, mentre lui ne aveva fatti ventidue a giugno, da quel che sapevo. Si era diplomato un po’ in anticipo e quindi aveva già finito il college, ed era stato preso sotto l’ ala protettiva del padre.
- Sì. Ma te lo dico solo perché probabilmente sarà un po’ scorbutico e maleducato, o almeno più del solito.- mi disse, facendomi l’ occhiolino. – Credo che andrò ad ordinare la pizza, hai già mangiato?-
- Non ho fame.- gli risposi sorridendo. - Scendo tra un attimo.-
Lui sorrise e tornò giù. Ripensai a mia madre, alle sue parole. L’ avevo davvero delusa così tanto?
- Kelsey!- mi chiamò Matt. – Kelsey, scendi?-
Scesi le scale facendo attenzione a non scivolare. – Come stai?- mi chiese, appena entrai nella zona giorno. Se ne stava appoggiato al bancone della cucina, a distanza di sicurezza da me. – Bene, credo. Direi che ci siamo…- mi bloccai, pensando a quello che avrei voluto dire.- Mi sono tolta un peso.- dissi, sorridendo.
- Sembri stanca.- disse, sospirando. – Dormirò sul divano.- aggiunse, passandosi una mano tra i capelli. L’ improvviso scrosciare dell’ acqua nella doccia ci annunciò che Jared aveva occupato il bagno.
- Scherzi?- dissi, sentendo l’orgoglio che montava. – Sul divano ci dormo io, sono io l’ intrusa, qui. E poi tu domani lavori, quindi devi dormire bene.-
- Ok.- Sorrise, realizzando di non avere scelta. – Non è molto comodo però, ti avviso.-
- Non preoccuparti.- dissi, andando a cercare le mie borse.
Matt entrò nella sua stanza, lasciandomi sola. Sbadigliai. Mi feci strada fino al divano, e gettai alcuni cuscini a terra. Era agosto, faceva caldo. Mi infilai una vecchia maglietta e un paio di pantaloncini, e mi addormentai quasi subito.
 
Mi svegliai urlando, quella notte. Non svegliai nessuno per pura fortuna, sarebbe stato piuttosto imbarazzante. Mi guardai attorno spaventata, non rendendomi subito conto di dove mi trovavo. Poi ricordai mia madre, Meg che era fuori città e Matt e Jared. Ma nonostante quello, nonostante fossi al sicuro – lontano dalla mia famiglia- ero troppo agitata per prendere sonno. Quindi feci l’ unica cosa che mai, nella mia vita, avrei dovuto fare; mi alzai dal divano, scoprendo così di avere la schiena a pezzi, e silenziosamente entrai nella stanza di Matt. Rimasi ferma sulla porta per qualche minuto, indecisa; ma poi il ricordo di mia madre e dell’ incubo che mi aveva svegliata mi spinse ad infilarmi nel suo letto e ad abbracciarlo con tutte le mie forze.
 

 

***
 

 
 

 
 
Oh, lo so, è cortissimo! Però… prendiamolo come una specie di capitolo introduttivo, ecco. Perché da qui la travagliata love story tra i miei due amati polli inizierà a svilupparsi in meglio :D E io sono molto felice di questo. Perché finalmente si entra nel vivo, bellezze! XD
Avrete notato che il fattaccio del capitolo precedente è solo accennato, ebbene: non preoccupatevi! È tutto calcolato.
Grazie delle recensioni, tra parentesi. Siete una soddisfazione grandissima, per me.
Ahum.
Non so più cosa dire.
Vabbè, fa niente. Grazie ancora, e un bacio ♥
Pick. 

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Capitolo 8
*** Quasi uno scontato happy ending. ***


Ocean
 

 
 

 

 
 
 
 

 And when the broken hearted people
living in the world agree
There will be an answer, let it be.

[Let it be, The Beatles]




 
 
 
 
 
 
 

Terzo mese
Agosto 2001
Mi svegliai nel letto di Matt, quella mattina: subito non riuscii a spiegarmene il motivo, ma, dopo qualche secondo impiegato dal mio cervello per connettersi, ricordai come ci ero finita. Ero sola; Matt doveva essere già andato in ufficio da suo padre. Pensai all’ espressione che doveva aver fatto quando si era svegliato e mi aveva trovata nel suo letto, e mentalmente mi preparai un discorso difensivo convincente. Che non avrebbe mai funzionato, per inciso.
Sospirai.
Matt faceva finta che tra noi non fosse cambiato niente, i miei mi avevano bandita da casa e Megan era lontana. Non avevo altri amici stretti con cui parlare. Jared mi era già stato molto d’ aiuto, ma non eravamo abbastanza intimi perché mi sentissi a mio agio a confidarmi con lui. E poi era il migliore amico di Matt, quindi era un punto a suo sfavore.
Sbadigliando, mi alzai e andai a cercare qualcosa da mangiare. Trovai il mio cellulare abbandonato sul tavolo della cucina: il display segnalava undici chiamate perse, tutte dal cellulare di mio padre. Spensi il telefono.
Aprii il frigo e, alla sola vista di tutte le birre – centinaia – stipate là dentro, sentii la nausea salire. – Cazzo.- sibilai, premendomi la bocca con una mano e correndo verso il bagno. Arrivai ad inginocchiarmi di fronte al water appena in tempo, un attimo prima di arrendermi e vomitare anche l’ anima. Tra un conato e l’ altro sentii la porta di casa aprirsi e la voce di Jared chiamarmi. – Kelsey? Sei sveglia?-
- Sono… bagno.- dissi, sperando che mi avesse sentita, mentre mi piegavo ancora.
- Kelsey!- disse, appena aprì la porta del bagno. – Stai bene?- mi chiese, avvicinandosi per tenermi i capelli lontani dalla fronte.
– È… normale.- sussurrai, facendo un cenno disinvolto con la mano. Vomitai ancora.
- Fa schifo.- disse lui, ridacchiando. – Non vorrei mai restare incinto.-
- Muori.- gli sussurrai, mentre mi aiutava ad alzarmi in piedi. Rise. Mi appoggiai al lavandino e mi sciacquai la bocca. – Abbiamo del collutorio?- gli chiesi, mentre mi insaponavo ben bene le mani. – Nell’ armadietto.- rispose, uscendo – Vicino al disinfettante.- Feci qualche risciacquo distrattamente, fino a non sentire più il sapore della bile.
-Jared!- gridai a quel punto, uscendo dal bagno e trovandolo disteso – o meglio, stravaccato - sul divano a fissare la televisione con un espressione ebete stampata in faccia. – Quando torna Matt?- chiesi, sedendomi sulle sue gambe. – Mai.- mi rispose, cercando di farmi scendere. – Non è che sei leggera, eh.- Gli tirai una manata decisamente poco gentile su una gamba. – Molto carino, da parte tua.- dissi, facendo l’ offesa e scendendo dal divano. – Potrei decidere di non rivolgerti più la parola, per questo.- Lo sentii ridere, mentre entravo nella stanza di Matt. Misi un po’ a posto le sue cose. Raccolsi qualche vestito e lo piegai, poi feci il letto. – A me non lo metti a posto?- chiese Jared, appoggiato allo stipite della porta.
- Non ti ho sentito arrivare.- dissi, senza alzare la testa. – E comunque no, tu ti arrangi.- conclusi, sorridendogli.
- Ma che cara- mi disse, sorridendo. – Comunque pensavo di andare a fare un giro fuori, visto che qua non c’è niente di interessante da fare. Vieni?-
- Non so, fuori fa caldo.-
- Grazie al cazzo, è agosto.-
- Sono incinta.- gli ricordai. – Mi si vede anche un po’ la pancia, guarda.- dissi, alzandomi la maglietta.
- Sei al terzo mese, Kelsey, non corriamo nessun rischio. E poi un po’di movimento non può che farti bene.-
Sbuffai. Aveva dannatamente ragione.
- Ok.- dissi. – Dammi il tempo per cambiarmi.-
- Certo, madame.- disse, accennando un inchino – Tutto quello che desidera.-
 
Usciti dal portone di casa, Jared si girò a guardarmi. – Allora, dove vuoi andare?- mi chiese.
- Mmm… è tanto che non entro a Central Park.- dissi.
- E Central Park sia, allora!- disse lui, iniziando a camminare. Dopo dieci passi mi fermai. – Jad, sono stanca.- dissi, sbuffando. Faceva oscenamente caldo.
- Kelsey.- disse lui, guardandomi storto. – Devi camminare, altrimenti tra un mese le tue dimensioni aumenteranno terribilmente e raggiungerai i livelli di una balena obesa.-
- Ma se ho camminato anche ieri!- dissi, muovendo qualche passo.
- Sì, il percorso dal divano alla camera di Matt è molto impegnativo, in effetti.- disse, ridacchiando.
- Fottiti, Jad.- dissi, incrociando le braccia e accelerando il passo. Eravamo arrivati alla fine della strada, all’ incrocio con Park Avenue. Attraversai senza guardare ed entrai nel parco, puntualmente seguita da Jared.
- Che vuoi?- gli chiesi, vedendo che ancora mi seguiva.
- Ma come siamo educate, principessa.- disse, prendendomi a braccetto. – Sbaglio, o c’è qualcosa che ti turba?- mi chiese, mentre camminavamo sotto gli alberi.
- Non so, Jad.- dissi, sospirando. – Tu come ti sentiresti, al mio posto?-
- Al tuo posto immagino che sarei molto più confuso e stressato di te. Mi accuccerei in un angolino buio in preda ai miei isterismi.-
- Non pensare che per me sia diverso da così, sai? Sapere che la mia vita, da adesso, non sarà più uguale a prima, è qualcosa che non puoi neanche immaginare. E c’è da dire che non ho ancora metabolizzato del tutto la cosa, anzi… l’ unico che sembra averlo fatto è Matt.-
- Sì, Matt tra voi due è quello che sta prendendo la cosa più seriamente.- disse lui.
Per poco non scoppiai a ridere. – Cosa? Seriamente? Ma se gioca a fare finta di niente!-
- Scherzi?- mi chiese, incredulo. – Matt è molto preso da te, sei tu che non te ne rendi conto! Lui… lui passa le giornate pensando a te, credo. E dico credo perché non essendo mai stato nella sua testa non ne ho le prove, però sono sicuro che lui l’ abbia presa seriamente. Sa quali sono le sue responsabilità, ora, davvero. Naturalmente a te la cosa pare impossibile perché lui è perennemente nascosto dietro alla sua resistente maschera da bello e dannato, però io sono sicuro di quello che dico. Sono anni che lo conosco, una volta non era così.-
- Come posso crederci? Non ha fatto altro che evitarmi! Jad, se ci siamo frequentati è stato solo per fingere di essere fidanzati!- dissi, guardandolo. Lui si sedette su una panchina all’ ombra, e mi indicò il posto libero accanto a lui. – Matt è insicuro, una delle persone più insicure che io conosca. Lui…- si interruppe, osservando dei bambini giocare su un prato. Non interruppi il silenzio, lasciai che si prendesse il suo tempo. – Vedi, Kel, tutto questo non è molto corretto, verso di lui.- disse, sorridendomi. – Lo sto, a dir poco, sputtanando senza ritegno. Se lo sapesse non mi rivolgerebbe più la parola.- sorrise ancora. – Matt è abituato a nascondersi, perché ha paura di non riuscire a sostenere la fiducia che le persone ripongono in lui.-
- Impossibile.- decretai. – Tutto questo è un sogno, una maledetta fantasia! Matt è un egoista approfittatore, niente di più, e io lo so bene. Da quando abbiamo saputo del bambino non ha fatto altro che mettermi i bastoni tra le ruote, o meglio, non ha mai fatto nulla per sostenermi, per aiutarmi.-
- Lo stai colpevolizzando.- disse.
- Lo stai difendendo.- risposi, a tono.
- Così non andiamo da nessuna parte.- disse Jad sospirando. – Nella tua testa sei fermamente convinta che Matt sia un lurido bastardo, ma io credo che la tua sia una sorta di autodifesa. Kelsey, è evidente che sei innamorata di lui.-
Poche parole.
Poche, stupide parole, capaci di infrangere l’ ultima debole barriera che mi proteggeva. Un soffio, un respiro. Una manciata di lettere unite a caso, che in un colpo solo mi liberarono dai fantasmi e dalle paranoie che mi ero creata. Quell’ ultima frase – quella stupida, inutile frase – pronunciata da Jared mi aprì gli occhi. Ero innamorata di Matt. Chiaro, limpido. Era stato evidente fin dall’ inizio, l’ unica che non se ne era resa conto ero io. Io, la stupida. Forse anche Matt sapeva. – Matt…?- sussurrai, più a me stessa che a Jared.
- Matt non lo sa.- disse Jared. Mi presi la testa tra le mani.
- Aiuto...- dissi, stringendo i capelli tra le dita. – Aiuto.-
- Beh?- fece Jared, alzandosi. Lo guardai. – Beh?! Come sarebbe a dire, beh? Tu… tu ti rendi conto? Se Matt dovesse… se Matt dovesse capire,accorgersi… sarebbe terribile.-
- Terribile? Perché, terribile? Qual’ è il problema?-
- Il problema, il problema,- sussurrai, sull’ orlo di una crisi isterica, - il problema è che sono una deficiente!-
- Kelsey, stai bene?- mi chiese Jared, ignorando le mie ultime parole.

- Sì. Sì, va tutto bene.- gli risposi, sospirando. – No, Kel.- disse. – Non ti ho chiesto come va, ti ho chiesto se tu stai bene. E mi aspetto una risposta coerente.-

Maledetto Jared. Per un attimo mi sembrò di avere di fronte Megan. Avevano lo stesso modo di ragionare, gli stessi atteggiamenti. Solo allora capii il vero significato di affinità.
- Sono solo confusa, Jad. E stanca, mortalmente stanca. E credo che mi stia tornando la nausea, sai?-
- La donna vomito si sta risvegliando.- disse lui, ridendo. – Ho fame, tra parentesi.- aggiunse poi.
- Direi che è meglio se torniamo. L’ uomo di Nehandertal potrebbe preoccuparsi, se torna e non ci trova.-
Jared sorrise. Camminammo fianco a fianco
   po , chiacchierando del più e del meno. Tranquillamente, come due vecchi amici. Nonostante il caldo opprimente e il vago senso di nausea che avvertivo, mi sentivo bene. Forse perché avevo finalmente fatto pace con la piccola parte di me che da tempo ormai mi urlava la verità. Quella verità che avevo sempre saputo ma che avevo faticato ad accettare.
Sono innamorata di lui.
 

 
 

**
 
 

Arrivata a casa mi sentii improvvisamente meglio. Jared si fiondò – nel vero senso della parola – sul frigo un secondo dopo aver messo piede in casa, mentre io afferrai il mio cellulare e mi buttai sul divano. Dodici chiamate perse, di cui otto da mio padre, due da Meg, una da un numero sconosciuto e una da casa. Richiamai il numero sconosciuto. Dopo solo due squilli, qualcuno rispose.
- Kelsey?-
- Salve, ho trovato questa…- iniziai, senza curarmi del fatto che la persona all’ altro capo conoscesse il mio nome.

- Kelsey, sono Diane. La mamma di Matt.-
- Ciao, Diane.- dissi, stupendomi nel sentirla.
- Come stai, Kelsey?-
- Bene, grazie.- risposi, chiedendomi perché la cosa dovesse interessarle.
- Kelsey, Matt mi ha detto tutto.- Tutto cosa? - So del bambino, Kelsey. E so anche di come hanno reagito i tuoi genitori.-
- Io…-
- Kelsey, ti ho chiamata perché voglio aiutarti. So come ci si sente.-
- Diane, davvero…-
- Sarebbe un supporto psicologico, più che altro. So che ne hai bisogno, e lo sai anche tu. O hai intenzione di continuare a vivere con Matt e Jared tutta la vita?-

- Non lo so, Diane. Non credo che mi vorrebbero.-
- Certo, io credo proprio che ti butterebbero fuori.- rispose lei ridendo. –Piuttosto, mi preoccupo molto di come possa venir su il bambino, a stretto contatto con due elementi come loro.-
- In effetti…- sussurrai, mentre Jared mi portava da bere.
- Essere madri non è semplice, soprattutto alla tua età. Voglio che mi chiami subito appena hai un problema, anche se è una cosa stupida o anche se è notte fonda. Parliamo del mio primo nipotino, in fondo.- disse.
Sorrisi. – Grazie, Diane. Avevo bisogno di un supporto femminile.- dissi, mentre Jad attraversava la stanza ruttando sonoramente.
 

**
 

Matt rientrò verso le cinque. Io stavo cercando di dormire – il mio mal di testa era tornato a farsi sentire – anche se il divano non sembrava disposto a collaborare. Anzi, sembrava piuttosto deciso a spezzarmi la schiena.

- Già a casa?- chiesi, ridestandomi dal mio discutibile dormiveglia. Lui sembrò accorgersi solo in quel momento di me – o almeno a me sembrò così, data la sua espressione stupita.
- A dire il vero sono in ritardo.- disse, sorridendo e slegandosi la cravatta. – C’ era un sacco di roba da fare, sono distrutto.-
E a vederlo così, mentre si stiracchiava, in quel completo scuro che lo rendeva ancora più sexy di quanto fosse, dissi la cosa più intelligente della mia vita.
- Vieni.- dissi, indicandogli il divano vuoto accanto a me. – Credo di poter fare qualcosa per la tua schiena.-
Si avvicinò tranquillamente, senza accennare neanche un sorrisino malizioso. Semplicemente, si sedette e lasciò che gli massaggiassi i muscoli contratti.
- Mmm.- sussurrò, piegando il collo – Grazie.-
Gli sfilai la giacca.
- Figurati… immagino che sia faticoso.-
- Oh, lo è – disse. – Soprattutto con mio padre come capo. Vedi, lui è tra le persone più pignole e meticolose che io conosca.-
- Lo so.- risposi, concentrandomi sul suo collo. – Mio padre lo diceva sempre. È il motivo maggiore per cui ha accettato di collaborare con lui.-
- Immagino.- rispose lui, sospirando. – Ho caldo.- disse, facendosi aria con una mano.
- Aspetta.- sussurrai.

Gli sfilai la camicia.
- Và meglio?- chiesi, continuando con il mio massaggio.
- Perfetto.- rispose. – Sai,- disse, interrompendosi un attimo.- Forse… forse sarò ripetitivo, ma… mi dispiace. Ci… ci ho pensato a lungo, vedi… quello che è successo… alla spiaggia… sono stato uno stronzo con te, Kelsey. E tu non te lo meriti. E vorrei guardarti in faccia mentre te lo dico.- disse, voltandosi verso di me e prendendomi le mani.
- Matt…-
- Mi dispiace. Perdonami, Kelsey. Non mi merito nulla di tutto questo, ne sono consapevole. Non mi merito un figlio da te, né tantomeno il tuo perdono, ma ti prego. So di non esserne degno, e se fosse per me non ti implorerei nemmeno così tanto, ma c’è un problema. Un problema che mi obbliga a farlo. Sono costretto a farlo perché ti amo, Kelsey. E non potrei mai vivere sapendo di averti persa perché mi sono comportato da idiota.-
- Matt… tu non mi hai persa.- dissi, riuscendo a malapena a rendermi conto di ciò che stavo dicendo. – Ti amo, Matt, e Dio solo sa quanto ho aspettato questo momento.-
Lui mi fissò per qualche secondo. Poi, con la foga di un disperato, mi baciò.
Fu un bacio dolce, atteso. Un bacio in cui, finalmente, mi sentii leggera, libera. Avrei potuto restare in eterno, così, protesa verso di lui con una mano sul suo petto per non cadergli addosso, facendomi baciare. Era tutto ciò che avevo atteso, tutto ciò che volevo. Forse… forse era tutto finito, finalmente. Ora il bambino avrebbe avuto anche un padre, e saremmo stati felici. Matt mi abbracciò, stretta, mentre continuava a baciarmi. Passai una mano tra i suoi capelli. Mi era mancato, troppo. E finalmente, finalmente era mio.
- Ehm ehm.- Fece una voce fastidiosa, che un secondo più tardi collegai alla faccia di Jared, che in quel momento ci stava facendo la radiografia con un sorrisetto idiota stampato in faccia.– Non per disturbarvi, ma Meg arriva alla stazione degli autobus tra venti minuti e, visto che voi due qui siete molto impegnati, mi chiedevo se, Matt, potessi prestarmi la tua macchina.-
Matt sbuffò. – E la tua, Jad, che fine ha fatto?- chiese.
- Sono senza benzina.- rispose quello. Matt gli lanciò le chiavi. – Vedi di riportarmela intera.- disse, piegandosi di nuovo su di me.

- Certo, papà.- rispose Jad uscendo.
- Ti amo.- mi disse Matt appena quello chiuse la porta. – Io di più, scommetto.- gli risposi, ridendo. – E Meg mi ucciderà, visto che ho ignorato tutte le sue chiamate.-
- Sai che roba.- mi rispose lui, baciandomi ancora. – Sei sopravvissuta a quasi un mese senza di me, puoi benissimo sopravvivere a questo, amore.-
- Lo spero.- gli risposi, mentre mi prendeva in braccio e mi portava in camera sua. – Lo spero proprio.-
 
 
 

 

**
 
 
 
 

Va bene, sto iniziando a vergognarmi della ristrettezza di questi capitoli!
Ma che ci posso fare, se scrivessi tutto quello che mi passa per la testa stareste ancora leggendo il primo capitolo XD
Ma sì, che sarà mai…
Interessanti sviluppi, eh? Ho dovuto affrettare tutto, perché altrimenti avrei sforato con i tempi e allora sì che avrei combinato un bel casino.
Quindi, mi dispiace se vi pare un po’ caotico o forzato. Non ho potuto farci niente.
Non è la fine. Ci siamo quasi – prevedo altri cinque capitoli, anche meno.
Hasta luego!
 
Vale.  

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Capitolo 9
*** In un giorno di pioggia, ho imparato ad amarti. [Modena City Ramblers. ***


So che è passato tantissimo tempo dall’ ultima volta.

Scusate. È successo, in sostanza, che avevo perso la voglia di scrivere. In questo capitolo se ne vedono i risultati, purtroppo. Spero di non aver fatto troppi errori, e di non metterci di nuovo così tanto tempo per il prossimo capitolo.

Un bacio.

 

V.

 

 



OCEAN

 

 

 

 


Quarto mese

2 Settembre 2001

 

Paradiso.

La mia vita si era trasformata in un autentico paradiso. Ero completamente assorbita da Matt – ogni singola fibra del mio corpo lo era.

Ci eravamo trasferiti, io e lui, soli, non troppo lontani dal loft dove convivevano Jared e Meg; la vicinanza con la mia amica era importante, quando Matt era al lavoro. Lo amavo, dannazione.

Passavamo molto più tempo insieme, ora: in un’ improvviso slancio di misericordia – dovuto, molto probabilmente, alla divina intercessione di Diane – il padre di Matt, George, gli aveva drasticamente ridotto le ore di lavoro. Passavamo le giornate insieme: giravamo per la città, compravamo le cose per il bambino (o bambina) oppure ci chiudevamo in casa a rotolarci tra le lenzuola finchè la fame non prendeva il sopravvento, e allora scappavamo a mangiare senza aver prenotato nei migliori ristoranti della città.

Spesso andavamo a fare il bagno nell’ oceano, in quel posto speciale che era diventato solo nostro.

Ancora non avevo riaperto il dialogo con mia madre: al suo posto avevo Diane, che mi trattava come se fossi stata la sua figlia preferita. Mio padre, al contrario, mi chiamava spesso; e nonostante fossi ancora risentita nei suoi confronti perché non mi aveva appoggiata apertamente nelle mie scelte, dentro di me sapevo che, se solo fosse stato di tempra più dura, l’ avrebbe fatto senza rifletterci su troppo. Motivo per cui l’ avevo perdonato. Mi chiamava quasi con la stessa frequenza con cui lo faceva Diane: lei si informava su tutto, dai calci che il bambino mi tirava alla temperatura interna della casa. Spesso la chiamavo di notte in cerca di conforto, quando avevo i miei attacchi di nausea che cercavo di soffocare per non svegliare Matt.

Adesso la mia pancia era ben visibile, e avevo due tette da sballo. Cioè, almeno questo era quello che aveva detto Matt; era lui che teneva sotto controllo questi fattori.

Nonostante avessi iniziato a vivere sopra la mia personale nuvoletta il mio paradiso personale, ci pensavano Matt e Meg a tenermi con i piedi per terra. Infatti continuavano a insistere sull’ argomento ‘College’, in quanto secondo loro non aveva alcun senso che mandassi a monte il mio futuro per un semplice inconveniente. A quel punto, di solito, rispondevo che certo, ovvio che sarei andata al college, se solo loro ne avessero trovato uno in cui alle studentesse madri fosse concesso di portare il proprio figlio in aula, perché io non avrei lasciato il mio per nulla al mondo.

A quel punto di solito Megan sbuffava o cercava di ribattere, mentre Matt sorrideva e le diceva di lasciarmi stare, che tanto – è più testarda di un mulo.-

- Finirai come mia madre.- mi disse una sera Matt, mentre eravamo a letto. – Senza un livello d’istruzione sufficiente a permetterle di trovarsi un lavoro. Non che lavorare le serva, ma ho come l’ impressione che la sua vita sia un po’ vuota.-

- La vita di tua madre è perfetta.- risposi, massaggiandogli la schiena.

- Mia madre è piena di soldi - disse lui - ma è ben lontana da essere una donna realizzata.-

- Oh, dai, milioni di persone ucciderebbero per essere nella sua situazione.-

- Davvero? Non so, Kelsey. Non voglio che tra vent’anni tu rimpianga di non aver fatto scelte diverse.-

- Io ho te - gli risposi - e mi basta.-

 

Matt mi aveva resa più matura e più razionale. Dicevo la metà delle parolacce che ero solita pronunciare solo due mesi prima, il che era, di per sé, un fatto straordinario.

Megan aveva debuttato a Broadway con la sua compagnia teatrale, nel ruolo di uno dei protagonisti di Fame: a parer mio era stata spettacolare, superba, tanto che ero quasi arrivata a tirare su una rissa con degli stronzi con la puzza sotto il naso che non avevano fatto altro che criticarla per tutto lo spettacolo.

Ho detto di essere maturata, non di essere diventata una persona civile.

Jared ogni tanto rievocava, tra le risate generali, la scena della bionda incinta - testuali parole - “che cercava di spaccare il naso a due femminucce visibilmente scandalizzate”.

Era così infantile!

Ogni tanto, mentre Matt era al lavoro (in quegli ultimi giorni doveva essere spesso presente a riunioni con i rappresentanti dell’ azienda di mio padre; da quel che avevo capito, si prospettava la conclusione di un’ affare molto importante per entrambi i partiti) salivo in metropolitana e facevo i giri per le fondamenta della città, osservando la gente. Probabilmente il mio atteggiamento spesso arrivava a sfiorare la maleducazione; immagino che essere fissati da una sconosciuta dall’ espressione vagamente schizzata non rassicuri nessuno.

Mi piaceva guardare le persone, mi faceva sentire una di loro. La cosa spettacolare era vedere persone diverse per età, razza e ceto sociale sedersi senza problemi uno accanto all’ altro per pochi, distratti minuti delle loro vite.

(Va bene, magari nessuno si sedeva volentieri di fianco ai barboni a causa dell‘ odore, ma questa è un’ altra storia.)

Il punto è che lì nessuno mi considerava strana o diversa. La gente si sedeva nel posto di fianco a me senza badare alla mia pancia, come se, invece che della ribellione di una diciottenne insicura essa fosse il frutto di troppe birre bevute davanti alla tv.

Avevo riallacciato i rapporti, per così dire, con qualche vecchia compagna del liceo, amiche dell’ epoca cheerleader, per intenderci. Cioè, ad essere sinceri erano presenti la sera dello spettacolo di Meg e avevano gratuitamente assistito al mio spettacolino, che le aveva poi spinte ad attaccare discorso, e, si sa, una cosa tira l’ altra fino a che non avevamo deciso di uscire a fare un po’di shopping insieme.

Mi ero trovata bene nella mia estate da solitaria asociale sclerotica, ma dovevo ammettere che tutto quello mi mancava. Mi mancava avere delle amiche, uscire, non pensare a niente, se non ad essere belle e a fare i pigiama party.

Magari quest’ ultima parte non s’ incastra molto bene con l’ immagine giovane madre - indipendente - prossima al mondo del lavoro eccetera, ma non posso negare che la prospettiva di farsi le unghie e mangiare gelato alle due di notte non abbia un certo fascino.

Avevo preso gusto anche a fare i controlli, ormai. Alla clinica avevo fatto amicizia con l’ inserviente/uomo delle macchinette e la portinaia, che mi faceva sempre grandi sorrisi e mi chiedeva del bambino.

Avevo l’ impressione che quella donna vedesse oltre le cose. Un giorno disse che, a suo parere, il bambino sarebbe stato un maschio: previsione che venne accertata all’ ecografia seguente.

Non lo dissi mai a nessuno, perché ero sicura che mi avrebbero passata per scema: tuttavia rimasi della mia opinione, ostentando una dignitosa indifferenza alle bizzarrie di quella vecchia signora che lasciva dietro di sè un vago sentore di naftalina.

Tornai a casa in taxi, osservando preoccupata il cielo che andava via via annuvolandosi. Di quel passo, il pic-nic con Meg e Jared organizzato per quel week-end sarebbe tristemente sfumato.

Quella sera Matt tornò a casa tardi, quando con mio immenso dispiacere la cena era già fredda.

Facemmo l’ amore con più foga del normale. Di solito stavamo attenti ad andarci piano, per non fare male al bambino, ma quella sera era diverso. Era come se entrambi avessimo una strana sensazione addosso, che cercavamo di allontanare l’ uno tra le braccia dell’ altro.

Matt si addormentò quasi subito, con la testa appoggiata sulla mia pancia. Era bellissimo. Ero legata a lui da un sentimento forte, unico; una dipendenza che non avevo mai sperimentato con nessun altro.

Se era felice lo ero anche io, se era triste cercavo il modo di tirargli su il morale. Vivevo le mie giornate in funzione del momento in cui avrei potuto abbracciarlo; e avevo tante, tantissime cose da dirgli, che non gli dicevo perché avevo paura di sembrare stupida e banale. Lo amavo perché dava un senso alla mia vita, ed ero sicura che senza di lui non avrei mai trovato la forza per sopravvivere.

Mi addormentai. 

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