Quante strade può offrirti il destino?

di GretaTK
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. E se la speranza fosse la prima a morire? ***
Capitolo 3: *** 2. Ritorno alle origini. ***
Capitolo 4: *** 3. Sangue del tuo sangue. ***
Capitolo 5: *** 4. Malinconia di una famiglia non tua. ***
Capitolo 6: *** 5. Un ritrovo inaspettato che puzza di guai. ***
Capitolo 7: *** 6. Dolore senza fine. ***
Capitolo 8: *** 7. L'inizio di un viaggio che porterà al traguardo. ***
Capitolo 9: *** 8. Qualcosa sta cambiando... sarò io o semplicemente tutto il resto? ***
Capitolo 10: *** 9. Amore e Morte. ***
Capitolo 11: *** 10. Non sono niente senza di te. ***
Capitolo 12: *** 11. C'è ancora qualcosa che non so di te: al centro del tuo cuore, che c'è? ***
Capitolo 13: *** 12. Dopo la tempesta c'è sempre l'arcobaleno. (?) ***
Capitolo 14: *** 13. Le persone mentono, i loro occhi no. ***
Capitolo 15: *** 14. L'infinito non è così lontano. ***
Capitolo 16: *** 15. L'ultima notte al mondo io la passerei con te. ***
Capitolo 17: *** 16. Amare una persona significa imparare la canzone che ha nel cuore. ***
Capitolo 18: *** 17. Qualcosa per cui vivere e morire. ***
Capitolo 19: *** 18. Siamo uno come lo Yin e lo Yang. ***
Capitolo 20: *** 19. Se avessi la possibilità di cambiare il tuo destino, lo faresti? ***
Capitolo 21: *** 20. Quante strade può offrirti il destino? ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


-Ragazzi, insomma, volete fare silenzio?! Non sento nulla!-.
David li stava riprendendo per l’ennesima volta, mettendosi nell’angolo più isolato possibile della piccola stanza e premendo con forza il cellulare contro l’orecchio destro.
I quattro musicisti fermarono la loro lotta coi cuscini per osservarlo un attimo, e poi riprendere il loro gioco come nulla fosse.
Solo uno di loro, a mio parere il più dolce, sensibile ed anche un po’ più ingenuo, rimase immobile a tentare di captare qualche cosa di comprensibile dalla conversazione che il loro manager stava avendo.
Aveva notato sul viso tirato dell’uomo un espressione preoccupata e quasi disperata.
Qualcosa non andava, e lui doveva sapere cosa di preciso lo spaventasse tanto che non riguardasse un guaio causato da loro quattro e che, solitamente, lui si ritrovava a dover risolvere, nonostante tutto.
Bill si avvicinò furtivo a David, tentando di passare inosservato, nascondendosi dietro un carrello scorrevole pieno zeppo di vestiti.
Allungò le orecchie nella sua direzione, concentrandosi con estremo impegno.
Dopotutto, la sua curiosità non aveva limiti, e credeva che gli sarebbe bastata quella come scusa per scamparla liscia se Jost l’avesse beccato ad origliare.
Ma in quel momento non ci dette troppo peso; se si sarebbe fatto scoprire come un emerito idiota avrebbe pensato al da farsi solo in quel preciso attimo.
-Karoline, ti prego, non puoi farmi questo-.
Karoline. La sua ex moglie. Cosa diavolo stava succedendo di nuovo? Non passava giorno che non litigassero, quei due.
-Sono anche figlie mie, dannazione! Sei stata proprio tu ad avermelo urlato contro qualche mese fa, prima che andassimo in tribunale per il loro affidamento! Non ci provare neanche! Ascoltami Karol, noi due ci odiamo, questo è risaputo, ma non permetterò mai che anche le mie figlie mi odino! Non puoi portarmele via così, ti prego, sono una delle poche cose a cui tengo che mi rimangono… senti, facciamo così, prima parlane con loro e senti cosa ti dicono. Dopotutto ormai sono grandi abbastanza per decidere per loro stesse. D’accordo, va bene, ciao-.
L’uomo si poggiò malamente al muro dietro di sé, massaggiandosi le palpebre chiuse.
Sospirò pesantemente, prima di rimettersi dritto e ricomporsi un po’.
Bill era caduto in uno stato catatonico che non gli permetteva di muovere nemmeno un muscolo. Era completamente scioccato da ciò che aveva appena sentito e che aveva ben capito, nonostante la conversazione intrapresa fra David e l’ex moglie fosse stata solo un monologo disordinato per lui.
Improvvisamente il cantante perse l’equilibrio e cadde addosso al carrello, spingendolo addosso al manager, che dopo qualche secondo emerse boccheggiante da un ammasso incolto di vestiti d’ogni genere.
Si guardò intorno in cerca del colpevole, che trovò poco dopo, intendo a guardarlo con un faccino colpevole e gli occhi sgranati, in attesa dell’ennesima ramanzina della giornata.
-Bill, mi vuoi spiegare che cavolo ci facevi qui dietro?! Non dirmi che mi stavi ascoltando mentre ero al telefono, altrimenti ti bandisco una volta per tutte dalla band! E cerca di essere convincente-
-Io?!- domandò con finta ingenuità indicandosi –Certo che no! Ma come ti viene in mente una cosa simile?! Sai che non oserei mai! Tsk, figurati- terminò con nonchalance, sminuendo la questione con un gesto della mano.
-Wilhem Kaulitz Trümper! Comincia a scappare perché stavolta non sarò magnanimo! Ti strapperò uno a uno i capelli che ti ritrovi in testa!-.
Il ragazzo emise un urletto tutt’altro che maschile, per poi alzarsi con uno scatto e cominciare a correre.
Tom, Georg e Gustav, rimasero un attimo allibiti di fronte a quella scena, seguendo con lo sguardo i due finché non uscirono dal camerino e li persero di vista.
Tutti e tre si guardarono perplessi, poi i loro sguardi si fecero nuovamente maligni e la lotta coi cuscini riprese da dove era stata interrotta.
 
Era il 30 Ottobre 2007, ed i Tokio Hotel quella stessa sera dovevano esibirsi al Mediolanum Forum d’Assago di Milano.
Avevano rispettivamente diciotto, diciannove e vent’anni, e la loro carriera era appena agli inizi, ma già ben promettente.
Quella, però, non fu solamente una notte da ricordare grazie alla meravigliosa esibizione e all’amore incondizionato che i fan italiani mostrarono loro.
Quella notte, qualcun altro, la ricorderà sempre come la notte in cui gli tolsero tutto ciò che di più importante si possa avere nella vita: le proprie figlie.
Sì, avete capito bene: David, quella sera, tornò ad essere solo un manager.
Il titolo di padre gli era stato strappato di dosso come le sue due piccole creature. 

NOTE DELL'AUTRICE
 

E' la prima volta che posto una Fan Fiction che sia più lunga di un capitolo. Sinceramente parlando, faccio molta fatica a portare a termine una storia, però giuro che mi impegnerò il più possibile per non abbandonarla :)
Spero che vi piaccia, e che le vostre manine fatate mi lascino una qualsiasi recensione, per capire se vale la pena continuare a postare i capitoli successivi o meno.
Detto questo, vi saluto!
Un grosso abbraccio, GretaTK. 

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Capitolo 2
*** 1. E se la speranza fosse la prima a morire? ***


Lo so, è corto e niente di chè, ma i fatti prenderanno una piega decisiva solo fra qualche capitolo.
Spero comunque possa piacervi :)
Ricordo che qualsiasi commento è gradito, anche non positivo, se costruttivo ;)
Un bacio, GretaTK.


 

Capitolo Primo, E se la speranza fosse la prima a morire?.

-Bene ragazzi, per oggi abbiamo finito!-.
La voce del manager si propagò per la piccola sala insonorizzata, dove i ragazzi avevano appena finito di registrare l’ultima canzone del nuovo album, che sarebbe uscito di lì a qualche mese, probabilmente a febbraio 2010.

-Ben fatto! Siete stati perfetti! Sono molto entusiasta di voi, continuate così e vedrete che vi lascerò più tempo per voi stessi, promesso!-
-Ce l’hai detto così tante volte che ormai non ci crediamo più, Dave- rispose ghignando il chitarrista, stravaccandosi su un divanetto della sala controllo e bevendo un lungo sorso d’acqua dalla sua bottiglietta di plastica.
-Oh andiamo, non è vero che non ho mai mantenuto la parola data!-
-Bene allora, se ne sei tanto sicuro, dicci quand’è stata l’ultima volta che hai lasciato andare Bill a fare shopping, o me e Georg ad una festa privata, o Gustav a pescare. Forza, stiamo aspettando-.
David cominciò a pensarci su, anche se, scavando a fondo nella sua memoria, non ricordava niente di tutto ciò.
-Oh, beh…- cominciò incerto, grattandosi il capo imbarazzato -Forse mi avete fatto arrabbiare e per punizione non vi ho permesso di uscire… d’altronde mi fate sempre sgolare, voi quattro!-
-Non tentare di cambiare il discorso, ora!- si intrufolò nella conversazione il bassista, prendendo posto in parte a Tom.
-Sei colpevole, non ci sono scuse- continuò Bill, sorseggiando un po’ di tè verde bollente per rilassare la gola secca dopo le lunghe ore di canto ininterrotto.
-E tu Gustav, non hai niente da dire riguardo al mio modo di prendermi cura di voi?- chiese scettico David, incrociando le braccia al petto e penetrandolo con lo sguardo.
Il biondino, da ottimo schivo e riservato qual è, non fece emergere nemmeno l’un percento della paura che gli attraversò l’anima.
-Se ora dico il contrario, domani mattina posso andare a correre un po’ al parco?-
-Mhm, probabilmente… accompagnato da un bodyguard, però!-
-Sei il miglior manager del mondo, ed un uomo di parola!-
-Ipocrita- sussurrarono a denti stretti gli altri tre componenti della band, scrutandolo accigliati.
-Comincio ad avvertire Tobias che domani dovrà accompagnarti-
-Fantastico!- esclamò euforico il batterista, prima di ricevere una bottiglia di plastica vuota in testa.
-Ahi! Ma che vi prende?-
-E ce lo chiedi?- chiesero scettici i tre nello stesso istante, mentre un David sorridente lasciava la stanza per dirigersi verso il suo studio, pensando a quanto fosse fortunato ad avere almeno loro nella sua vita ormai vuota e priva d’ogni affetto.
 
Erano passati due anni e poco più da quel concerto a Milano, e la situazione disastrosa in cui riversavano lui e le sue figlie non era cambiata per niente.
Almeno, non ancora. 

 

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Capitolo 3
*** 2. Ritorno alle origini. ***


Visto le dimensioni super ridotte del capitolo precedente, ho deciso di postare oggi, ed un capitolo decisamente più lungo x)
Spero vi piaccia, e che in questo modo mi perdoniate per l'insoddisfazione che vi ha lasciato il primo capitolo.
Recensite, mi raccomando! Un bacio, GretaTK.


 

Capitolo due, Ritorno alle origini.


Quello era il loro giorno di riposo dopo la conclusione ufficiale del nuovo album, e David, imprecando, si stava chiedendo perché allora il suo telefono di casa squillasse imperterrito, svegliandolo bruscamente e senza dargli pace.
L’uomo si alzò svogliato dal letto, raggiungendo quasi di corsa il salotto, rischiando più volte di schiantarsi contro qualche stipite o scivolare dalla scale.

Finalmente intravide la sagoma del cordless attraverso le palpebre ancora mezze abbassate, e con voce impastata e abbastanza incazzata, rispose.
-Pronto?-
-Buongiorno, ehm… c’è David Jost per caso?- domandò una voce femminile dall’altra parte della cornetta.
Era troppo sottile e fragile per essere quella di una donna adulta, ma qualcosa in quel tono determinato ed ansioso allo stesso tempo, aveva già una parvenza di maturità intellettuale più che fisica.
-Si, sono io, chi parla?-
-Sono Hanna-
-Mi dispiace, non conosco nessuna Hanna-
-Forse non mi sono spiegata bene. Sono tua figlia Hanna. Io e Lynet siamo appena atterrate ad Amburgo, puoi venirci a prendere?-.
Il silenzio di tomba che ne seguì fu la prova schiacciante di come il fiato di David si bloccò nel bel mezzo della sua gola, così come il cuore.
Sentì la sua presa indebolirsi, fino a che il cordless non rovinò a terra con un tonfo sordo che pareva quasi assordante in mezzo a tutta quella quiete.
Tua figlia Hanna. Lei e Lynet. Erano ad Amburgo? Come poteva essere? Non le sentiva da due anni, ed ora sbucavano fuori così come niente fosse? C’era sicuramente qualcosa che non andava.
Ripresosi dallo shock iniziale, il manager riprese prontamente il telefono senza fili e intimò alle ragazze di non muoversi da lì.
-Sono da voi fra circa quaranta minuti-.
La telefonata terminò in questo modo, con tante domande ancora non pronunciate e dubbi sempre maggiori ogni secondo che passava.
Non poteva essere vero. Hanna e Lynet, le sue due figlie adorate, ad Amburgo per vedere lui?
No, non era decisamente possibile.
Ma nonostante i pensieri negativi che gli affollavano il cervello, si fece coraggio e raggiunse la sua camera in fretta e furia, indossando qualcosa a caso e lavandosi frettolosamente la faccia.
Non fece nemmeno colazione, non ne aveva il tempo. Doveva andare a prendere le sue figlie.
Magari avrebbe mangiato qualcosa con loro più tardi, in un bar del centro.
Le sue figlie.
C’era qualcosa dentro di lui che non gli permetteva di smettere di ripeterlo. Probabilmente era la sua anima.
Le erano mancate così tanto, le aveva pensate così a lungo. Aveva provato varie volte a rintracciarle, ma non riusciva mai a contattarle.
Probabilmente Karoline aveva cambiato il numero di casa e quello del cellulare delle figlie.
Stronza, infida serpe.
Era tutto ciò che la sua mente riuscisse a formulare pensando alla sua ex moglie.
 
Il viaggio durò all’incirca una mezz’ora, il tutto rigorosamente effettuato ad almeno centocinquanta all’ora.
Non si sarebbe di certo stupito se un giorno gli sarebbe arrivata a casa una multa che gli avrebbe dimezzato lo stipendio.
Ma sapete una cosa? Non gliene importava nulla.
L’unica priorità in quel momento erano le sue due creature, le sue piccole gioie che gli erano state tolte con l’inganno.
Voleva riabbracciarle, stringerle forte fra le sue braccia e non lasciarle più andare, solo quello.
Parcheggiò l’auto nel primo posto libero che trovò, senza nemmeno guardare se fosse in divieto di sosta o meno.
Attraversò a grandi falcate l’aeroporto ancora poco affollato, dirigendosi ai terminal d’arrivo dei voli nazionali.
Conosceva quel posto meglio delle sue tasche ormai. Lui e i ragazzi ci metteva costantemente piedi per gli spostamenti da un Paese all’altro.
Una volta tanto questo lavoro torna utile, pensò, ormai quasi correndo.
Finalmente la scritta luminosa Arrivi su un pannello appeso al soffitto lo avvertì che era arrivato a fine corsa.
Cercò agitato fra le panchine del terminal, notando un uomo anziano con un cappello beige di lana, un ragazzo moro con in spalla uno zaino da campeggio e, finalmente, due ragazze, rispettivamente una dai capelli lunghi, mossi e biondi, l’altra lisci e castano scuro.
Erano loro, lo percepì da un calore in fondo al petto, in corrispondenza del cuore.
Si avvicinò a passo lento, quasi come se avesse paura di farsi sentire da loro, e prima che riuscisse ad attirare la loro attenzione, entrambe si voltarono verso di lui.
Le guardò dritte negli occhi, con espressione stupita e sconcertata.
Erano veramente loro. Solo un po’ più grandi.
La ragazza bionda aveva i suoi stessi occhi, di un grigio-verde molto raro, ma i capelli della madre; la ragazza mora, invece, aveva gli occhi scuri e profondi di Karoline ma i suoi stessi capelli.
Prima che potesse anche solo dischiudere le labbra, entrambe presero parola, anticipandolo.
-Ciao, papà- mormorarono all’unisono, mentre i loro occhi si riempivano di lacrime.
A David accadde lo stesso, e dopo aver aperto le braccia come per volerle accogliere, entrambe le gemelle si lanciarono letteralmente addosso all’uomo, in cerca di un abbraccio paterno che non sentivano da tanto, troppo tempo.
-Ci sei mancato così tanto, papà- singhiozzò Lynet, la ragazza mora.
-Sì, non immagini quanto- continuò Hanna –Abbiamo così tante cose da dirti…-
-Lo so, ma non ora, non ora… abbracciatemi adesso, tutto il resto lo vedremo poi-.
E fu così che finalmente, dopo due lunghi ed estenuanti anni, due ragazze all’epoca sedicenni ed ormai diciottenni, riabbracciarono un padre che credevano di aver perso per sempre, e che invece in quel momento era proprio stretto a loro.
La vita è proprio imprevedibile, non trovate?
E fortuna che è così.
 

 

***
 

 

Il tragitto in macchina fino alla casa di David non fu per niente imbarazzante.
I tre avevano così tante cose da dirsi e da raccontarsi che il tempo nemmeno bastava.
Arrivati alla splendida villetta con giardino, le giovani rimasero incantate al solo vederla, completamente bloccate dov’erano, con le mascelle a terra e gli occhi brillanti.
-E’ di vostro gradimento?- domandò sarcastico il loro padre, ridendo fra sé.
-E ce lo chiedi?- risposero all’unisono, trascinando le loro enormi valige all’interno.
Le due non ebbero nemmeno il tempo di dare una veloce occhiata al salotto e alla cucina che il manager le accompagnò di sopra, mostrando loro la camera che avrebbero utilizzato per il tempo che sarebbero restate lì.
A proposito di quello, quanto avevano intenzione di rimanere? Non ne avevano ancora parlato, e l’uomo d’altro canto nemmeno conosceva il motivo di quella visita.
Le osserverò pensieroso, mentre sistemavano le loro cose nella stanza, riempiendola di vita e di calore, mentre ridevano felici e spensierate.
Sul viso di David nacque un sorriso spontaneo, prima che i suoi pensieri vennero interrotti dalla voce dolce e quasi timorosa di Lynet.
-Dove possiamo trovare le lenzuola?-
-Oh, che sciocco! Non ci avevo neanche pensato. Vado a prendervele e ve le porto subito, intanto fate come se foste a casa vostra. Anzi, questa è casa vostra, quindi…- si interruppe, in visibile difficoltà -Ehm, comunque se vi serve il bagno è proprio qui di fronte- terminò imbarazzato, lasciandole sole.
 
Intanto le ragazze si scambiarono uno sguardo complice e pieno di significato.
Entrambe avevano lottato così tanto per riuscire a ritrovare il loro papà, quell’uomo che le aveva sempre amate più di qualunque altra cosa al mondo, anche se purtroppo il tempo che poteva dedicare loro era sempre stato decisamente molto poco.
Ma le gemelle non gli fecero mai una colpa per quello.
Sapevano perfettamente cosa il suo lavoro comportasse, e se lui era fiero ed orgoglioso di ciò che faceva, loro non potevano che essere felici per lui.
L’unica macchiolina nera in mezzo a quel cielo infinito di bianco brillante, era Karoline, la loro madre.
Lei era sempre stata una donna aspra e cinica, molto irascibile e severa, che con un solo sguardo sapeva tenerle buone.
Forse era anche un po’ per il loro colore insolito, di un castano talmente scuro da sembrare quasi nero.
Senza luce diretta, infatti, le pupille erano praticamente invisibili, ma quando le sue iridi venivano colpite dal sole, sembravano quasi sciogliersi un po’ -almeno nell’aspetto-, schiarendosi fino a diventare di un colore molto simile al cioccolato fondente.
La postura fiera e l’aspetto curato potevano benissimo denotare quanto fosse altezzosa e fin troppo perfettina, coi suoi capelli biondo-ramati costantemente lisci e che non arrivavano mai al di sotto delle scapole.
Il fisico asciutto e poco sinuoso era molto spesso fasciato da gonna a vita alta e camice di seta lucente, mentre i piedi erano solitamente imprigionati in decolté con tacco a spillo o zeppe molto eleganti.
Entrambe si erano sempre chieste cosa avesse trovato David in lei.
Insomma, di simile non avevano niente, nemmeno una passione o un desiderio in comune.
Niente.
Lei era la tipica tedesca fredda e fiscale, quasi ossessionata dal suo lavoro d’avvocato, che veniva prima di tutto. Anche prima delle sue due figlie.
Ancora si ricordavano i fine settimana passati dai nonni materni, nonostante fossero molto piccole, quando la donna era impegnata in un qualche processo in tribunale o in un congresso all’estero.
Non era mai stata una madre affettuosa, Karoline. Non aveva quello spirito materno che solitamente le donne hanno.
Non era portata a fare la mamma, ecco qual era la verità. Non era fatta per amare tutto ciò che non fosse sé stessa o il suo noiosissimo lavoro.
Ma allora perché insistere tanto sul voler tenere le figlie? Perché costringerle a non rivedere o risentire più il loro stesso padre? Per dispetto, era chiaro.
Quel suo inutile capriccio non era altro che una ripicca nei confronti di Jost.
Aveva utilizzato le sue stesse figlie come arma contro di lui. Si può definire “mamma” una donna così?
Hanna e Lynet se l’erano chiesto tante e tante volte, e la risposta era sempre la stessa.
No.
-Ecco qua le lenzuola!- trillò David entrando a perdifiato nella camera delle gemelle, appoggiando le coperte sulla scrivania -Avevo solo queste adatte ai vostri due letti singoli. Spero vi piacciano il verde e l’azzurro- commentò un po’ preoccupato, grattandosi il capo ansioso.
-Non preoccuparti pà, vanno benissimo- gli rispose Hanna sorridendo, abbracciandolo con lo sguardo.
-Bene, ehm… ora vi lascio da sole, così potete sistemarvi come meglio credete. Io oggi ho la giornata libera, quindi abbiamo tutto il tempo di parlare, perché sapete che dobbiamo farlo-.
Calò qualche secondo di silenzio, poi l’uomo riprese.
-Ora vado a fare la spesa, perché il frigo è sempre mezzo vuoto e non so cosa vi piace-
-Mangiamo di tutto, tranquillo- esclamò pacata Lynet, continuando a svuotare l’enorme valigia -L’unico problema è che ci saranno un po’ di discussioni quando dovremo preparare il pranzo e la cena-
-E perché?- domandò confuso David, aggrottando le sopracciglia.
-Perché non riusciamo mai a metterci d’accordo su cosa vogliamo mangiare, ecco perché. Insomma, quando io voglio la carne, Lynet vuole la pasta, quando lei invece vuole la pizza, io voglio l’insalata…-
-Ora non ricominciare con questa storia…- la bloccò la sorella con un’occhiataccia -Non è il caso di dare già preoccupazioni a David a causa dei nostri litigi, non trovi?- continuò, calcando le ultime due parole.
-Oh, se è per questo non c’è alcun problema, ci ho già fatto il callo con le discussioni fraterne-
-In che senso?- chiesero all’unisono le ragazze.
All’uomo venne spontaneo sorridere a quel coretto ben sincronizzato e per niente premeditato.
Erano molto simili a Bill e Tom.
Forse aveva già inquadrato i caratteri di entrambe basandosi sui due gemelli: Lynet era più dolce, introversa e timida, un po’ come il cantante, mentre Hanna era una ragazza espansiva, sicura, ed anche orgogliosa, come il chitarrista.
L’unica cosa che gli riuscì di pensare in quel momento, fu che erano fin troppo simili quei quattro.
Parlandoci chiaro, avrebbe anche potuto accettare un probabile futuro fidanzamento di Bill e la moretta, ma mai, e ripeto, mai e poi mai avrebbe accettato che Tom frequentasse la biondina.
Insomma, tutti conoscevano l’indole del maggiore dei Kaulitz e, dopotutto, Hanna rimaneva pur sempre la sua bambina. 

 

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Capitolo 4
*** 3. Sangue del tuo sangue. ***


Buongiorno Aliens :D
Eccomi qui con il terzo capitolo di questa storia. Spero vi piaccia come gli altri :)
Grazie mille a chi recensisce, legge, segue, ricorda, preferisce.

Enjoy it!

GretaTK

 

Capitolo 3, Sangue del tuo sangue.

Mentre il manager si recava al supermercato per portare in casa qualcosa di decente da mangiare che non fossero pizze surgelate o cibo in scatola, le due sorelle facevano i loro letti e si dedicavano ad una lunga doccia calda.
Erano i primi di Dicembre, e ad Amburgo le temperature non scherzano.
C’era già un lieve strato di neve sulle strade e sui rami degli alberi privi di foglie, ed il vento non smetteva mai di soffiare, freddo e pungente.
All’arrivo del padre, le ragazze indossarono velocemente una tuta felpata e corsero in cucina ad aiutare l’uomo a mettere a posto la spesa.
L’ora di pranzo era vicina, così Hanna e Lynet decisero di cucinare loro stesse qualcosa per ringraziarlo dell’ospitalità.
-E come avrei mai potuto abbandonarvi?- domandò retorico e con tono dolce, ricevendo però, come unica risposta, i volti rabbuiati delle figlie.
-Ho detto qualcosa di sbagliato?- chiese quasi sussurrando, spostando velocemente lo sguardo dall’una all’altra.
-No, tu non hai fatto niente- disse Hanna, alzando lo sguardo da una scatola di pasta per puntarlo in quello di David -Semai siamo noi quelle da incolpare. È vero, tu non ci hai abbandonate, ma noi sì. Noi l’abbiamo fatto con te-.
Il silenzio che ne seguì pareva avesse una consistenza solida, che poggiava sulle spalle dei presenti e li piegava sotto il suo stesso peso.
Il manager sentì come un macigno scagliarsi violento contro il suo cuore.
Un pugno nello stomaco avrebbe fatto sicuramente meno male.
-Bambine mie- mormorò Dave con le lacrime agli occhi, pronte a sgorgare fuori dalla palpebre come fiumi in piena -Non è colpa vostra. So per certo che se aveste potuto avreste fatto qualsiasi cosa pur di rivedermi. Non siete voi ad avermi abbandonato, è vostra madre ad avervi messo in questa condizione, e a farvi credere di essere le responsabili di tutto-
-Ci dispiace così tanto- confessò Lynet con la voce rotta da un pianto silenzioso che aveva già avuto inizio da un po’ -Ma non sapevamo come rintracciarti. La mamma aveva cancellato i tuoi numeri di telefono e il tuo indirizzo da tutte la parti, poi ci ha sequestrato i cellulari per cambiarci la carta sim ed ha chiesto un nuovo numero per il fisso. Ci ha persino tolto i computer per non permetterci di mandarti nemmeno un’insulsa email per spiegarti come stavano le cose…-
-Insomma, s’è comportata da vera stronza- esclamò d’un tratto Hanna con la sua solita schiettezza sempre un po’ volgare, stringendo i pugni e contraendo la mascella -E’ per questo che appena abbiamo potuto siamo scappate da te. Dal giorno del nostro diciottesimo compleanno abbiamo avuto tutto il tempo di organizzarci per scappare. L’unico problema restava il tuo indirizzo. Pensavamo che avessi lasciato Amburgo, ed invece abbiamo scoperto che eri ancora residente qui. Ci è voluto qualche mese per trovare il tuo indirizzo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta-.
Chiunque avrebbe potuto notare la luce orgogliosa che le brillava negli occhi, e nonostante Lynet e David sapessero quanto anche lei sentisse il bisogno immenso di piangere, nessuno di loro vide mai una lacrima solcare il suo volto.
Quello era il lato orgoglioso del suo carattere, che a prima vista poteva essere scambiato per altezzosità, ma che invece differiva completamente.
C’era qualcosa nella sua postura fiera, però, che ricordava molto Karoline.
Dopotutto, era pur sempre sangue del suo sangue.
-Quindi ora Karol non sa che siete qui, né che avete lasciato Francoforte- affermò ovvio, attendendo però una risposta dalle ragazze.
-Esatto- disse Lynet, che si era prontamente asciugata le guance, nonostante il rossore dei suoi occhi la tradisse ancora.
-Non vi ha ancora cercate al cellulare?- domandò un tantino sconvolto.
Insomma, ok non avere un briciolo di spirito materno, ma un minimo di preoccupazione è lecita! Sono pur sempre le tue figlie, dannazione!
-E’ un po’ difficile che riesca a chiamarci se non ha il nostro numero- esordì pacata Hanna, lasciando la frase un po’ nel vago.
Adorava le frasi ad effetto. Era un po’ una drammaturga, l’esatto opposto di sua sorella che, invece, doveva specificare ogni cosa. Lynet aveva sempre odiato le frasi ambigue e poco chiare.
Prima che David potesse chiedere spiegazioni, la mora prese parola.
-Abbiamo nuovamente cambiato il numero di cellulare, stavolta però per non farci rintracciare da lei-.
Il tono aspro con cui aveva pronunciato quel “lei”, stupì molto l’uomo, che non avrebbe mai creduto Lynet capace di parlare di qualcuno con tanto disprezzo.
Ma spesso le prime apparenza ingannano e, se non del tutto, almeno in parte.
-Ragazze mie, sapete quanto io sia immensamente felice di avervi qui con me, e che vorrei tanto che voi rimaneste al mio fianco per il resto dei vostri giorni, ma sono obbligato ad avvertire vostra madre-.
Di nuovo quel silenzio, denso e pesante, come qualche istante prima.
-Come scusa?-.
Il manager spostò l’attenzione su Hanna, che ora lo scrutava torva.
Aveva pronunciato quelle parole a denti stretti, facendo così inevitabilmente percepire tutta la rabbia che racchiudevano.
-Io non sono come Karoline, Hanna. Io mi sento in obbligo di avvertirla-
-Ma perché?! Per farci venire a riprendere all’instante?! Sai quanto è perfida quella donna, perché anche tu non puoi esserlo nei suoi confronti?! Dopo tutto quello che ti ha fatto, che ci ha fatto, ancora ti senti in obbligo di avvertirla?!-
-Adesso smettila, Han- la intimò Lynet, guardandola in faccia, anche se la bionda non ricambiava.
-Mi sembra giusto che sappia dove siete, dopotutto siete le sue figlie e…-
-Le sue figlie?!- berciò nuovamente la bionda –Ma se nemmeno gliene importa qualcosa di noi a quella serpe! Ci ha fatto passare le pene dell’inferno rinchiudendoci in casa per due stramaledettissimi lunghi anni, senza permetterci di vederti, e tu ti schieri dalla sua parte?!-
-Hanna, smettila di urlare!- la rimproverò la mora -Non sei capace ad avere una conversazione con qualcuno senza alzare la voce?! Quando fai così sei tale a quale a quella serpe, o come l’hai chiamata tu!-.
Hanna avrebbe accettato qualsiasi parola, ma non quella.
Lynet avrebbe potuto umiliarla in qualsiasi modo, ma non in quello.
Gli occhi della bionda si incatenarono alle pupille della sorella, freddi e distaccati, e ben presto pieni di lacrime.
Lynet, dal canto suo, si era pentita subito di ciò che aveva detto. Non intendeva davvero ciò che le aveva così spudoratamente schiaffato in faccia. È così facile sentirsi in colpa quando si tratta della propria metà…
Prima che anche solo una goccia d’acqua salata potesse uscirle dagli occhi, Han uscì correndo dalla cucina, diretta in camera, dove si chiuse a chiave.
Si buttò sul letto a peso morto, stringendo il cuscino a sé e piangendo, tanto da farsi venire il mal di testa.
Non aveva trovato le parole giuste per controbattere da quanto si sentiva tradita.
Dal suo stesso sangue, per giunta.
Da quella ragazza che avrebbe sempre dovuto sostenerla, in qualunque situazione.
Ma non era stato così, non quella volta.
Era arrabbiata con Lynet. Se l’avesse avuta a portata di mano in quel momento, probabilmente, l’avrebbe picchiata con tutta la forza che aveva.
Si sentiva tradita. Era stata tradita.
Delusa e affranta, si infilò fra le coperte pulite, continuando a macchiare la federa del cuscino col mascara ormai completamente sciolto.
Continuò a piangere fino a sentire la gola bruciare, sperando che nessuno, ma soprattutto lei, venissero a cercarla.
E, quando capì che il suo desiderio era stato esaudito, si addormentò fra le lacrime e il dolore.

 

***
 

Lentamente riaprì gli occhi, rimanendo un attimo stordita per quanto riguardava il luogo in cui si trovava.
Osservò la stanza con sguardo perso e la mente ancora assonnata, ricordandosi dopo pochi secondi del suo trasferimento improvviso a casa di David con sua sorella.
Sua sorella. Le lasciava l’amaro in bocca pronunciare quelle due semplici parole.
Lynet l’aveva fatta grossa, non aveva scuse per ciò che le aveva detto. Era stata una vera e propria cattiveria, uno schiaffo morale di prim’ordine.
Avrebbe di gran lunga preferito che le rasasse i capelli a zero mentre dormiva, perché tanto avrebbe potuto risolvere il problema indossando una parrucca.
Avrebbe di gran lunga preferito che le stracciasse i vestiti, perché tanto avrebbe potuto risolvere il problema ricomprandone di nuovi.
Avrebbe di gran lunga preferito che le avesse dato un pugno, perché tanto il livido sarebbe scomparso col tempo.
Ma non dirle che era uguale a lei, alla loro madre. A quel problema non poteva porre rimedio.
Hanna era fatta così, e non sarebbe mai potuta cambiare nemmeno se l’avesse voluto. Il suo carattere era ormai ben solido ed incorporato in lei, ed estirparlo per crearne uno nuovo risultava estremamente difficile ed alquanto impossibile.
Si mise seduta sul letto, stiracchiandosi per poi sbadigliare rumorosamente e dirigersi verso il piano terra.
Ben presto si accorse che la casa era completamente avvolta nel buio, e che in quella villa, a parte lei, non c’era nessun’altro.
Decise così di andare in cucina per un bicchier d’acqua, quando il suo sguardo venne attirato da un foglietto con sopra scritto il suo nome, appoggiato al tavolino dell’entrata.
Lo prese, confusa ma curiosa, e cominciò a leggere le poche righe che infettavano la purezza di quel bianco infinito.
Ehi Hanna, io e tua sorella siamo andati a fare un giro, ma per l’ora di cena siamo a casa. Comunque se ti viene fame ora il frigo è pieno, abbuffati senza fare complimenti J
Ci vediamo più tardi, David.
Ps: mi dispiace per il disguido che avete avuto tu e Lynet. È tanto dispiaciuta per quello che ti ha detto, infondo lei non crede davvero in quelle parole. Vedete di fare pace appena torniamo!”.
Sbuffando, Hanna lo accartocciò, per poi lanciarlo malamente nel cestino sotto al lavello.
Ebbe appena il tempo di appoggiare le labbra sul bordo del bicchiere che il telefono di casa cominciò a squillare.
Ringhiando, tornò a passo svelto e pesante nell’entrata, sollevando il cordless dalla sua postazione.
-Pronto?- domandò scocciata, senza il minimo timore di quello che avrebbe potuto pensare il soggetto dall’altra parte della cornetta.
-Ehm, credo di aver sbagliato numero- esordì una voce maschile, che Hanna avrebbe attribuito all’incirca ad un venticinquenne.
-Se stai cercando David è fuori, chiamalo al cellulare oppure aspetta che torna che ti faccio richiamare-
-Ehm, ok. Grazie…- lasciò in sospeso l’ultima parte della frase per farla completare alla ragazza.
-Hanna, mi chiamo Hanna- rispose svogliata e poco interessata, estraendo un block notes e una penna dal cassetto del tavolino.
-Tu saresti?- domandò lei decisamente annoiata, mentre pregava che quella conversazione finisse al più presto.
-Sono Tom. Digli che Bill sta dando fuori di matto e di richiamarci al più presto-
-Ok, quindi gli dirò che ha chiamato un certo Tom per dirgli che un tizio è schizzato di cervello-
-Bill, il tizio si chiama Bill- precisò il chitarrista.
-Si si, è lo stesso-.
Il ragazzo sembrò non far nemmeno caso al tono pungente e sbrigativo di Hanna, e continuò a parlarle come niente fosse.
-E tu invece, chi sei?-
-Ti sei già scordato il mio nome?- domandò lei sarcastica, lasciandosi scappare una risata sincera.
Quel tono melodico e cristallino bloccò il fiato al chitarrista per qualche secondo, prima di venire contagiato dalla sua improvvisa cordialità.
-No, me lo ricordo il tuo nome. Intendevo chi sei per rispondere al telefono di David senza che lui sia nemmeno in casa-
-Non sono affari tuoi- rispose pacata, senza la minima ostilità.
-D’accordo, scusami tanto- disse lui alzando una mano al cielo in segno di resa, nonostante la sua interlocutrice non potesse vederlo.
-Di niente. Comunque ora devo andare, ti faccio chiamare, mhm?-
-Va bene, grazie Hanna. Ci si sente-
-Non ci sperare troppo- esclamò con freddezza, prima di chiudere la telefonata.
Hanna tirò un sospirò di sollievo. Finalmente poteva bersi quel maledetto bicchiere d’acqua e, soprattutto, smetterla di interagire con le persone: se fosse stato un momento diverso ci avrebbe anche trovato gusto a parlare al telefono con uno sconosciuto di ogni sorta di cazzate, ma quello era decisamente il momento più sbagliato per poterlo anche solo pensare.
 
Tom rimase un attimo interdetto, fissando stupito il cellulare che teneva saldamente nella mano destra.
Ma che diavolo aveva quella per rispondergli in quel modo? E soprattutto, come si permetteva?
Mai nessuno si era preso la libertà di parlargli con quel tono da saputella acida, men che meno da quando tutto il mondo conosceva il suo nome.
Quella ragazzina strafottente avrebbe pagato cara la sua impertinenza, o lui non si chiamava Tom Kaulitz. 

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Capitolo 5
*** 4. Malinconia di una famiglia non tua. ***


Ciao a tutte Aliens :)
Sono felice che la storia stia piacendo, e così oggi ho deciso di postare il quarto capitolo di questa fan fiction
(anche perchè è l'unico momento libero che ho avuto in quest'ultima settimana >.<)
Avrei voluto postare Domenica, a dir la verità, ma non so se avrò tempo, quindi preferisco aggiornare oggi stesso ;)

Non ho nulla da anticipare o specificare riguardo la storia, quindi vi lascio direttamente al capitolo.
Un grazie, come sempre, va a chi recensisce, segue, ricorda, preferisce.
Spero di non deludere le vostre aspettative ;3
Un bacio, GretaTK.



 

Capitolo 4, Malinconia di una famiglia non tua.

Hanna sentì scattare la serratura della porta d’ingresso dal salotto.
Dei passi rilevarono la presenza di altre persone nella casa, ma lei nemmeno si voltò nella loro direzione.
Continuò imperterrita ad ingozzarsi di patatine al formaggio, con gli occhi ben puntati sullo schermo della televisione accesa, l’unica fonte di luce presente in quel momento nella grande casa.
-Ciao Han- la salutò David, mentre appendeva il giubbino e la sciarpa all’attaccapanni.
-Ciao- rispose lei atona, con la bocca piena.
Lynet non osò dirle niente.
Sapeva perfettamente che quando la sua gemella era arrabbiata non c’era verso di estorcerle nemmeno una fugace occhiata se non si fosse del tutto sbollita.
E la mora capì immediatamente che Hanna provava ancora rancore nei suoi confronti.
Per un attimo, solo uno però, una fitta pungente le attraversò il cuore: e se non l’avesse mai perdonata? Se, a causa della sua lingua incontinente, l’avesse persa per sempre?
Lynet non si sarebbe mai perdonata per essersi auto-lesionata in modo così grave. Non avrebbe resistito un giorno senza di lei, ne era consapevole.
-Allora, che stai guardando? Hai fame?- continuò il manager con un sorriso disarmante stampato in volto, sfregandosi le mani ghiacciate con l’intento di intiepidirle almeno un po’.
-MTV. Comunque no-.
Il suo menefreghismo avrebbe spiazzato chiunque, ma non un’amorevole padre che ha appena ritrovato le sue figlie.
-Non avresti dovuto mangiarti un intero sacchetto di patatine formato famiglia! Se questa notte stai male sappi che finirai in punizione-
-Fantastico- commentò sarcastica, leccandosi le dita.
David sospirò con un sorrisetto sghembo dipinto sulle labbra, per poi voltarsi e dirigersi verso la cucina.
Lynet, invece, rimase dov’era.
Fissava la sorella, in attesa che si girasse e la notasse. Ma non accadde.
Affranta, fece per raggiungere il padre, ma una voce la fermò.
-C’è la tua canzone preferita alla tivù-.
La mora, stupita, per un attimo pensò che si stesse rivolgendo a David, poi si diede mentalmente della stupida. Come poteva parlare con lui se nemmeno era lì? E, soprattutto, come faceva a conoscere la sua canzone preferita? Era più che ovvio che si stesse rivolgendo a lei.
A passi lenti e un po’ timorosi, Lynet si avvicinò al divano, sedendosi accanto alla sorella.
Hanna continuò imperterrita a fissare lo schermo come se ne fosse ipnotizzata, ma la verità è che nemmeno lo vedeva. Stava pensando a come cominciare un discorso con lei, per chiederle scusa per aver esagerato in quel modo. Si rendeva conto di aver sbagliato anche lei in parte, ma una cosa che proprio non sopportava era sua madre, ed essere definita uguale a lei dalla propria gemella l’aveva ferita.
-Mi dispiace-.
Le loro parole si intrecciarono l’una con l’altra, nello stesso istante.
Finalmente i loro occhi si incontrarono, e non servirono parole, non ne servì nessuna.
Bastò quello sguardo, pieno di scuse, comprensione e amore.
Sì, quell’amore fraterno che ti lega in modo viscerale all’altro, quell’amore che non ha limiti né confini.
Si sorrisero, mentre le lacrime gli offuscavano la vista, ed un abbraccio spontaneo le legò strette l’una all’altra.
David, inconsapevole di tutto ciò, stette per avvertirle che la cena era pronta, ma di fronte a quella scena le parole gli morirono in gola.
Non voleva interromperle proprio in un momento così delicato, così, con l’anima che esaltava euforica, aspettò che si staccassero per far finta di nulla e chiamarle.
-Ragazze, è pronta la cena!-
-Arriviamo!- risposero all’unisono, spegnendo la tv e dirigendosi nel salone.
-Ho preparato una semplice pasta al pomodoro perché di meglio non credo di poter fare-
-Va benissimo- lo tranquillizzò Lynet, sorridendogli con gli occhi colmi di gioia.
-Papà- lo richiamò Han -E’ un problema per te se non mangio? Sai com’è, non ho per niente fame-
-Figurati, non preoccuparti, la teniamo da parte per domani-
-D’accordo-
-Comunque ragazze, volevo dirvi che domani mattina devo andare a lavoro per…-
-Ah, è vero!- esclamò all’improvviso la bionda, facendo sobbalzare dallo spavento gli altri due -Scusa se ti interrompo, ma ho la memoria corta e poi mi dimentico! Oggi, nel tardo pomeriggio, ha chiamato Tom per dirti che Bill stava dando fuori di matto. Non mi ha detto altro, ma da quel che posso intuire, le possibilità non sono molte: o si è rotto un unghia, o ha finito il mascara, oppure non ha più la lacca-.
David sospirò con fare stanco, massaggiandosi le palpebre chiuse.
-Secondo me lo fanno apposta a fare danni solo per esasperarmi- affermò, parlando più con sé stesso che con le due ragazze -Ora vado a chiamarlo, scusatemi-.
Il manager si alzò da tavola diretto all’entrata, ma si bloccò subito dopo.
-Scusami un attimo, per caso gli hai detto chi sei?-.
La domanda di David lasciò un attimo interdetta la bionda, che cercò la sorella con lo sguardo.
-Gli ho solo detto che mi chiamo Hanna, niente di più. Non credo mi abbia riconosciuta, dopotutto sono tre anni e mezzo che non ci vediamo-
-Ok-
-Perché me l’hai chiesto?-
-Perché volevo fare una sorpresa ai ragazzi. Insomma, credo che anche a loro possa fare piacere rivedervi, no?-.
L’uomo sorrise, come ormai da abitudine in quel giorno, prima di dirigersi verso il cordless e comporre il numero di Tom. Sapeva quanto sarebbe stato imprudente chiamare il cantante in piena crisi emotiva.
Il telefono squillava e, dopo pochi secondi, una voce profonda rispose.
-Dave, menomale che mi hai richiamato! Ma si può sapere dov’eri finito? A caccia di donne, scommetto-.
Il manager poté benissimo immaginare il ghigno malizioso del ragazzo prendere posto sul suo viso anche se non poteva vederlo.
-Niente di tutto questo, e comunque non sono affari tuoi- berciò infastidito -Ma si può sapere cos’è successo? Non dirmi che ne avete combinata un’altra delle vostre!-
-Perché parli al plurale? Guarda che è stato Bill, mica io!-
-Posso sapere di cosa stai parlando o devo tirare a indovinare? Sai, la lista di possibili disastri che voi sareste in grado di fare è veramente molto lunga e non vorrei tirare l’alba-
-Bill si è messo in testa di voler fare la lavatrice nonostante Gisela domani sia qui, perché lui non poteva aspettare la donna delle pulizie per un giorno solo, no? Lui e i suoi dannati vestiti… comunque, non dirmi come diamine a fatto, ma credo abbia rotto la lavatrice-
-Che cosa?!-.
L’urlo di David fermò il chiacchiericcio allegro delle due ragazze, che ora avevano portato tutta la loro attenzione sul padre.
-Senti Dave, calmati, cosa vuoi che sia un elettrodomestico rotto? Ne abbiamo combinate di peggiori, ormai dovresti rallegrarti quando senti queste cose-
-Lo so Tom, ma vedi, questa sarà almeno la terza lavatrice nuova che vi compro in quattro anni! Si può sapere che gli fate a quelle povere macchine?-
-Te lo ripeto, non prendertela con me che io non c’entro niente! Secondo te perché io mantengo le distanze da quegli aggeggi infernali? Abbiamo chi ci lava i vestiti per noi, figurati se mi metto a fare il bucato da solo!-
-D’accordo, d’accordo- disse, tentando di darsi una calmata e pensare con la mente lucida -Facciamo così. Io ora vengo lì, ci do un’occhiata e vedo se è proprio da buttare o meno, va bene?-
-Ok, io però fra qualche minuto avrò compagnia, quindi sbrigatela con gli altri tre-
-Come sarebbe a dire che avrai compagnia? Tom, non ti porterai mica una groupie a casa, vero? Sai che i paparazzi aspettano solo di riuscire a fotografare qualche ragazza sotto casa vostra!-
-Tranquillo David, nessuna groupie-.
Il manager tirò un sospiro di sollievo, anche se troppo presto, dato che la frase del chitarrista non era ancora conclusa.
-E’ la cugina della ragazza di Georg-
-Ma allora sei ottuso! Groupie o non groupie non voglio assolutamente che vi portate a casa qualche ragazza, sono stato chiaro?-
-Che palle che sei! Se la metti così allora la porterò in camporella, contento?-
-Un po’ più di prima, anche se credo dovresti smetterla di usarle come fossero bambole gonfiabili. Anche loro hanno dei sentimenti, e ti ricordo che li hai anche tu, anche se in fondo. Molto, molto in fondo, ma prima o poi perderai la testa per una di loro, e poi sarai tu a stare male-
-Ma andiamo Dave, ti pare che io possa innamorarmi? L’amore non esiste, è solo la passione di una notte-
-Va bene, pensala come vuoi, l’importante è che non ti fai beccare dai giornalisti, non ti prendi malattie e non metti incinta nessuna, sono stato chiaro?-
-Cristallino. Ciao David-
-Ciao- ricambiò il manager allontanando il telefono dall’orecchio.
-Ah, a proposito, chi è questa Hanna che…- ma David, non sentendolo, riattaccò.
 
Non è possibile che non riesca a farmi dire da nessuno chi diavolo è questa Hanna!, pensò infastidito il chitarrista, componendo il numero della povera vittima di quella notte.
Mentre ascoltava assente gli squilli del cellulare sdraiato sul letto, un pensiero si fece largo nella sua mente.
E se la ragazza fosse stata quella Hanna?
No, non poteva di certo essere una delle sue figlie. Insomma, non le sentiva da anni! Era impossibile che fossero qui, e soprattutto che lui e gli altri tre non ne sapessero niente.
-Pronto?-.
Una voce cristallina lo risvegliò dai suoi pensieri, che accantonò in un angolo remoto del suo cervello -regredito e sottosviluppato, oserei dire-.
-Ehi Isabel, sono Tom. C’è stato un cambio di programma. Ti va se passo a prenderti io?-
-Certo, nessun problema-
-Perfetto-.
L’espressione maliziosa che prese posto sul suo volto gli diede un’aria quasi maligna, la stessa che ha un cacciatore pronto a balzare sulla sua preda.
 
-Ragazze, devo andare un attimo da quei quattro disastri ambulanti- le avvertì l’uomo mentre si metteva giubbino e sciarpa -Dovrei tornare subito, devo solo dare un’occhiata alla lavatrice. Per voi è un problema?-
-No, assolutamente, ma non mangi prima?- domandò premurosa Lynet, scrutandolo preoccupata.
-Preferisco risolvere il problema, poi quando torno infilo il piatto nel microonde-
-Facci sapere quando sei qui vicino allora, così te lo scaldiamo noi- lo rassicurò Han, tornata all’allegria di sempre.
-Siete due angeli- disse lui baciandole in fronte, per poi inoltrarsi nella gelida aria della sera.

 

***
 

Il trillo acuto del campanello echeggiò per l’intero loft dell’enorme condominio della zona residenziale di Amburgo.
Quattro presenze occupavano l’appartamento in quel momento, ma nessuna di esse sembrava voler interrompere ciò che stavano facendo per andare ad aprire il portoncino dell’alto edificio diafano, illuminato da due enormi fari posizionati nel giardino, accanto all'ingresso.
-Gustav, la porta- disse pacato Bill, facendo comunque intendere, con quel tono indifferente, un ordine.
-Se non te ne sei accorto sto lavando i piatti che avresti dovuto pulire tu, caro il nostro cantante che sei ancora in vita solo perché ci serve la tua voce per poter tirare avanti-
-Lo so che senza di me sareste persi, ma non mi sembra il caso di adularmi, ora. Se non te ne sei accorto, hanno suonato il campanello- gli fece eco il moro.
Il volto del batterista divenne paonazzo dalla rabbia, che tentò comunque di tenere sotto controllo le emozioni, nonostante la fatica che quel gesto gli costasse.
-E allora vai ad aprire, no?!-
-Ma mi sto mettendo lo smalto! È indispensabile che io abbia sempre le unghie curate-
-E perché? Se si può sapere-
-Beh, mi sembra più che ovvio, per la nostra immagine! Dobbiamo sempre avere un aspetto impeccabile-.
Gustav sbatté violentemente la fronte contro l’anta della dispensa dei piatti, sconfitto e rassegnato.
-Georg, perché non ci vai tu, per favore?- lo supplicò il biondino, mentre cominciava a subire gli effetti della botta alla testa.
-Non posso, sono occupato-
-Non aggiungere altro, non voglio nemmeno sapere cosa stai facendo-
-Bene, allora te lo dico. Sto guardando un servizio sulle conigliette di playboy, ed al momento il mio cervello è disattivato, quindi riprovate più tardi a scollarmi dal televisore, io da qui non mi muovo-.
Il campanello suonò per la seconda volta, ma la situazione rimase immutata, così il batterista, sospirando, si asciugò le mani per andare al citofono, ma venne preceduto dal maggiore dei gemelli.
-Dio, ma si può sapere quanto cazzo ci vuole a rispondere a un maledetto campanello?- esclamò nervoso Tom, raggiungendo l’entrata a grandi falcate.
-Potevi arrivare anche un po’ prima- lo rimproverò Gustav a bassa voce, sperando di non essere udito dal diretto interessato.
-Sentimi, bello, mi stavo cambiando, più in fretta di così non c’arrivo, mi dispiace- rispose sarcastico il chitarrista, avendo captato perfettamente l’affermazione di Gustav.
-Chi è?- chiese poi alla cornetta del citofono, con tono decisamente poco garbato.
-La fata turchina. Secondo te?! Vi decidete ad aprirmi sì o no? Non so se vi rendete conto che qui fuori ci saranno almeno dieci gradi sotto zero!-
-Ehi stai calmo, mica è colpa mia- rispose a tono il ragazzo, mentre gli apriva la porticina del condominio.
 
-Non è mai colpa di nessuno di loro se stai ad ascoltarli- pensò ad alta voce il manager, aspettando l’arrivo dell’ascensore che l’avrebbe portato al piano del loft che la band condivideva.
Ritrovatosi davanti all’uscio bianco candido dell’appartamento, suonò nuovamente, sperando di non dover aspettare ancora svariati minuti prima che qualcuno arrivasse ad aprirgli.
 
-La porta!- gridò Bill, intento a passare la seconda mano di smalto color fango sulle unghie.
-Bill, alza quel culo piatto che ti ritrovi e vai ad aprire- lo incitò malamente il fratello con gli occhi incollati allo schermo della televisione, con la stessa espressione concentrata che aveva anche il bassista.
-Ma perché proprio io?-si lagnò il cantante, mettendo su un broncio per niente adulto.
-Perché se non lo fai troverò il modo di far sparire tutti i tuoi maledetti smalti, per non parlare dei trucchi, della piastra e…-
-Ok, ok!- lo fermò il cantante, raggiungendo la porta con un sonoro sbuffo.
Perché devo sempre essere trattato così male?, pensò affranto, Sono il più piccolo qui, e dovrei essere sempre coccolato!
Quando aprì la porta, un David decisamente incazzato e infreddolito lo trapassò con lo sguardo, con l'intenzione di incutergli paura, cosa che, però, non successe.
-Ciao David!- lo salutò Bill col suo solito sorriso smagliante -Finalmente sei arrivato! Ma quanto ci hai messo?-.
Il manager, a quelle parole, diventò paonazzo dalla rabbia, e prima che potesse esplodere in uno dei suoi soliti rimproveri, Tom, senza averne l’intenzione, salvò il fratello da un’orrenda situazione.
-Ehi Dave, come va?-
-Vuoi davvero che risponda?- chiese a denti stretti l’uomo.
-No. Comunque sai dov’è la lavatrice, fatti accompagnare da Bill, che è colpa sua se si è allagata la lavanderia-
-Ehi!- protestò offeso il cantante, senza però essere minimamente considerato da nessuno dei due.
-Ora io esco, ci vediamo domani mattina a casa tua-
-A casa mia?- domandò confuso David, prima di sbattersi una mano in fronte –E’ vero, la riunione!-
-Inizi a perdere colpi Dave? Mi sa che dovremo cambiare manager se vai avanti così- ci scherzò sopra il chitarrista, sgusciando fuori dall’uscio e chiamando l’ascensore.
-Stai attento a ciò che dici se non vuoi finire a suonare le tue adorate Gibson in un pub sgangherato nei bassi fondi della città, sono stato chiaro?-
-Cristallino. A domani-
-E vedi di essere puntuale!- lo avvertì il manager, quando ormai le porte dell’ascensore si stavano chiudendo.
-Ehm, vuoi entrare?- chiese Bill quasi timoroso, scrutandolo incerto.
L’uomo alzò gli occhi al cielo, sperando nell’aiuto di un qualsiasi essere divino.
-E’ tutta sera che sto cercando di entrare- disse semplicemente, superando l’uscio.
Sapeva che arrabbiarsi con loro era inutile: o non capivano perché credevano di avere ragione, oppure trovavano sempre il modo di farti sentire in colpa.
 
-Tu te li ricordi i ragazzi?-
-Poco, Hanna. Diciamo che ricordo molto bene come mi sentivo a stare con loro… insomma, stavo bene, ero felice. Erano un po’ come la mia famiglia adottiva-
-Anche per me- confermò con amarezza Han, abbassando lo sguardo e tornando indietro con la memoria di tre anni e mezzo.
Lei e Lynet erano sempre state molto legate coi quattro ragazzi di Magdeburgo, e quando David le portava con loro si sentivano a casa, dovunque andassero. Non importava dove si trovavano, loro si sentivano sempre nel posto giusto se li avevano accanto.
La verità era che in quei lunghi anni alle due gemelle non era mancato solo il padre, ma anche i Tokio Hotel. Non ciò che il gruppo era per il mondo intero e per le migliaia di fan, attenzione, ma i componenti del gruppo stesso, ciò che la band rappresentava per loro: una famiglia. Un po’ strana e stravagante, ma pur sempre una famiglia.
Improvvisamente il cellulare di Lynet vibrò, avvertendo la proprietaria che le era arrivato un messaggio. Lo aprì, certa di chi fosse, per poi alzare il volto e cercare lo sguardo di sua sorella.
-Papà sta tornando, direi che è meglio cominciare a scaldargli la pasta-.
Han concordò con la sorella, e l’aiutò a sistemare la cucina intanto che aspettavano l’arrivo del padre.
Risero tanto in quella cucina, risero come non facevano da tanto, troppo tempo.
Risero sinceramente di una vita che, piano piano, cominciava ad appagarle di nuovo. 

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Capitolo 6
*** 5. Un ritrovo inaspettato che puzza di guai. ***


Capitolo 5, Un ritrovo inaspettato che puzza di guai.

Dei rumori lontani e indefiniti destarono Lynet dal suo sonno decisamente poco profondo.
Ancora un po’ stordita, si mise a sedere, tentando di capire cosa fosse stato esattamente ad averla svegliata.
Dopo aver teso le orecchie sino all’inverosimile, percepì un vociferare per niente trattenuto proveniente dal piano di sotto.
Si voltò verso il comodino in parte al suo letto, per guardare la sveglia, che in quel momento segnava le nove e tre del mattino.
Che diavolo stava succedendo in casa di David a quell’ora? Solitamente quando il manager non aveva da lavorare tendeva a dormire come minimo fino alle undici… che fosse successo qualcosa?
Improvvisamente preoccupata, la mora si alzò di scatto dal letto, indossò i suoi calzettoni di lana verde scuro ed uscì dalla camera, pronta per dirigersi verso il piano inferiore.
Man mano che scendeva le scale, poteva distinguere ben cinque voci diverse, di cui una apparteneva al padre.
Con estrema cautela, la maggiore delle gemelle raggiunse lo stipite d’entrata del salone, sbucando improvvisamente nella stanza.
-Papà, ma che…-.
Non riuscì nemmeno a terminare la frase, perché quattro paia di occhi glielo impedirono.
Erano tutti diversi, tranne due, che erano praticamente identici per colore, ma non necessariamente per profondità ed espressività.
Lei li osservò due a due, soffermandosi un po’ più a lungo in quelli -a suo parere- più belli ed emozionanti di tutti, di un color nocciola molto intenso, dall’aria dolce e gentile, risaltati da un trucco nero molto pesante.
Le si chiusero del tutto i polmoni, e le labbra le rimasero dischiuse con l’intento di dire qualsiasi cosa, ma senza alcun risultato.
Da quanti anni non fondeva le sue iridi scure con le loro? Quanto tempo era passato dall’ultima volta che i suoi occhi avevano brillato di felicità pura grazie a loro? Non voleva nemmeno pensare a cosa sua madre aveva rinnegato a lei e sua sorella.
Aveva fatto molto male ad entrambe, costringendole a spegnersi piano piano, giorno dopo giorno, senza che si preoccupasse di soffocare la loro vera essenza. Da ragazze spensierate e piene di vita erano state costrette a diventare adulte senza sogni e speranze. Troppo in fretta, per giunta.
Loro non si erano meritate tutto quello, eppure era successo davvero.
-L-Lynet?- chiese timoroso e stupito Gustav, rimasto basito ad osservarla con occhi sgranati, come gli altri tre.
-Oddio, non ci posso credere- mormorò Georg, ancora sotto shock.
-Ragazzi…- riuscì a sussurrare lei, prima di venire praticamente avvolta dalle braccia muscolose del bassista.
Lynet rimase pietrificata per qualche secondo, con la paura di fare qualcosa di sbagliato, ma a quell’abbraccio non poté non sciogliersi e stringerlo a sua volta.
Circondata da quel calore ormai non più familiare ma terribilmente vivido nei suoi ricordi, sentì le sedie spostarsi una dopo l’altra e dei passi avvicinarsi.
Georg lasciò la presa sulla ragazza che, già con le lacrime agli occhi, si accinse a salutare i restanti vecchi amici con lo stesso caloroso gesto.
-Siete davvero voi, non ci posso credere- affermò euforica, staccandosi da Gustav ed avvicinandosi a Tom.
-Ma come, cosa…- balbettò ancora confuso il cantante, prima di essere letteralmente travolto da Lynet.
Bill, a quel contatto, si sentì sciogliere l’anima. Le era mancata così tanto che al solo pensiero provava ancora dolore.
Lynet, la cotta segreta della sua infanzia e adolescenza. Aveva sempre saputo che lei era la ragazza giusta per lui, quella in grado di capirlo con un solo sguardo e di scaldargli il cuore con un semplice sorriso.
Era lei il suo vero amore, e nonostante durante le interviste si ostinasse a dire di non aver ancora incontrato la sua anima gemella, lui, segretamente, sapeva già di averla trovata, ma di non averla mai potuta avere.
Proprio nel momento in cui credeva di averla dimenticata, o meglio, di essere riuscito a rassegnarsi alla sua assenza nella sua vita, lei era ricomparsa, e gli aveva nuovamente sconvolto tutti i piani.
Non poteva essere vero. Eppure il cantante sentiva il suo calore ed il suo corpo letteralmente appiccicati a lui come se non se ne fosse mai andata.
Era lì. Lynet era veramente lì, e nonostante gli anni di lontananza, gli provocava ancora lo stesso meraviglioso effetto. Ennesima prova di quanto si appartenessero, anche se non gli era mai stato permesso di stare insieme. Un’ingiustizia bella e buona che, forse, aveva trovato il modo di riscattarsi.
-Ma Lynet, che ci fai qui? E Hanna dov’è? Perché vostra madre vi ha lasciate venire ad Amburgo?-.
Il bassista sembrava impazzito da quanta adrenalina aveva in circolo nelle vene, ed era ansioso di rivedere anche Hanna.
I due avevano sempre avuto un legame molto stretto: lei era sempre stata la migliore amica a cui dare consigli, la sorellina da proteggere, ma anche la madre dalla quale lui si rifugiava quanto si sentiva solo.
Un po’ lo stesso rapporto che si era creato, tempo addietro, fra Lynet e Gustav.
-Ehi, respira Georg!- rise euforica la mora dopo essersi staccata da Bill, nonostante quel gesto le fosse costata una gran fatica.
-Hanna è di sopra, sta ancora dormendo. Sapete che lei non si sveglierebbe nemmeno se le esplodesse una bomba in casa!-
-Beh, non è l’unica- ammiccò Bill guardando il fratello, che ricambiò infastidito.
-Che vuoi?-
-Oh ma come sei sempre acido! Rivediamo Lynet dopo un sacco di tempo ed hai il coraggio di essere di cattivo umore?-
-Non è questo il punto. E poi io ti ho solo chiesto che cavolo avevi da dire con quell’affermazione-
-Niente, ho solo detto che anche tu come Hanna hai il sonno pesante-
-Sei sicuro di stare bene, Tom?- domandò leggermente ansioso il batterista, scrutandolo curioso.
-Sto benissimo, perché dovrei avere qualche problema?- chiese retorico, con un tono di voce per niente calmo e rilassato.
-Sarà ancora sotto shock- esalò pacato Georg, sollevando le spalle con nonchalance.
-Ma si può sapere di che cavolo stai parlando?!- berciò infastidito, per poi sbuffare a lasciare il salone con passo pesante, diretto all’uscita.
-E dove te ne vai adesso?- domandò Bill, con un non so ché di rimprovero nella voce.
-A fare due pa…-.
Le parole gli morirono in gola.
Due occhi, chiari e brillanti, lo stavano scrutando allibiti.
La bocca, leggermente carnosa e rosea, rimase semi-aperta, modificando l’espressione naturale del suo viso in una smorfia sorpresa.
-T-Tom? Che… che ci fai tu qui?-.
Un brivido gli percorse l’intera spina dorsale nello scorgere una serie di scariche elettriche attraversarle le iridi quando aveva pronunciato il suo nome.
-Io… cioè, tu… insomma, dovrei fartela io questa domanda!-
-Non sei proprio cambiato per niente, Kaulitz- rispose lei con un sorrisetto beffardo, osservandolo però amorevolmente.
Sembrava quasi volesse accarezzarlo con lo sguardo.
Prima che lui potesse controbattere, la ragazza gli saltò letteralmente al collo, stringendolo con tutta la forza che aveva.
-Sono tornata per restare- gli sussurrò lei all’orecchio, sperando che quello non fosse solo uno stupido sogno.
Il ragazzo, senza nemmeno capirne il motivo, si sentì sollevato nell’udire quelle parole.
-Georg!- esclamò d’un tratto la bionda appena incrociò gli occhi vispi ed amorevoli dell’amico.
Han si allontanò dal chitarrista, che rimase stordito per qualche secondo a causa del suo profumo.
Era sempre lo stesso, anche a distanza di anni.
Improvvisamente si ritrovò ad osservarla, e a sorridere.
Le era mancata davvero, in ogni suo più piccolo gesto o dettaglio. Ma non come poteva mancargli il calore del corpo di una donna a contatto col suo, ma come ti manca il gelato d’inverno, o i pizzoccheri d’estate. In poche parole, una mancanza pura e sincera. Un sentimento vero, dettato dal cuore e non dagli istinti.
Era proprio quello ad aver sempre spaventato un po’ il ragazzo: Hanna era stata l’unica ad avergli fatto provare qualcosa di più profondo e diverso dai semplici desideri carnali, la sola ragazza a cui aveva davvero voluto bene con l’anima.
Che poi lui interpretasse male i suoi sentimenti scambiandoli per affetto fraterno, era tutta un’altra storia.

 

***
 

Il chiacchiericcio eccitato e confuso dei ragazzi rendeva l’aria più soffice ed accogliente.
In quelle risate sincere si poteva perfettamente distinguere una felicità che superava qualsiasi confine.
Era un ritrovo di vecchie amicizie perse, ma mai dimenticate o affievolite.
I sentimenti rimasero sempre gli stessi, nonostante la distanza che li aveva tenuti lontani per un periodo di tempo che sembrò durare un’eternità per le due gemelle.

Avevano così tante cose da raccontarsi, giornate ed istanti completamente antitetici, ma dallo stesso sapore dolce e frizzante. Attimi che non avevano potuto condividere, e che ora tentavano, in qualche modo, di farsi partecipi gli uni con gli altri.
-Quindi ora vostra madre non sa che siete qui- affermò Georg, chiedendone però conferma con una nota di dubbio nella voce.
-No- rispose Hanna, che lasciò continuare la gemella.
-Le abbiamo detto che stavamo da un’amica ieri. Lei fino alle tre del pomeriggio è impegnata in tribunale, ma appena tornerà a casa tenterà di contattarci, ne siamo sicure-
-E cosa farete quando lei scoprirà che siete scappate?- domandò un Gustav decisamente preoccupato.

Persino il ragazzo più mite e pacato del pianeta aveva timore di quelle iridi scure e penetranti.
-Insomma, avrà tutti i difetti di questo mondo, ma non si può di certo dire che è stupida-
-Sappiamo perfettamente che è impossibile fregarla, ed è proprio per questo che non abbiamo perso tempo ad ideare un piano complesso e sicuramente vano, conoscendo l’indole intuitiva e scaltra di nostra madre- gli spiegò razionale la bionda senza lasciar trasparire alcuna emozione, anche se dentro già tremava al’idea di ritrovarsela improvvisamente fuori casa.
-Quindi, che avete intenzione di fare?- domandò curioso Bill, interessato alla conversazione.
Han e Lynet si guardarono negli occhi per un attimo, poi la mora rispose.
-Niente. Siamo sicure che riuscirà ad individuarci prima o poi, e fino a quel momento preferiamo rimanere nella più totale ombra. Appena capirà che siamo scappate, comincerà a cercarci per tutto il globo, se necessario-
-Ma vi rendete conto del guaio nel quale vi siete cacciate? Se vi rintraccia che farete? La seguirete? Siete scappate senza nemmeno pensare alle conseguenze!- esclamò risoluto il batterista, con tono di rimprovero.
-E cosa avremmo dovuto fare? Rimanere schiave della sua autorità senza almeno provare a sfuggirle?- controbatté infastidita Han, con un moto di rabbia crescente dentro al petto.
-Ha ragione Gustav, Hanna-.
Tutti i presenti si voltarono verso il proprietario di quella voce.
Non aveva proferito parola da quando avevano cominciato quel discorso, e non poté intervenire in un momento più sbagliato e nel modo meno consono.
D’altronde, tutti conoscevano l’indole burrascosa e impulsiva di Hanna, alla quale bastava un niente per innervosirsi.
-Non sai nemmeno quello che dici, Tom. Non sei tu quello che era costretto a vivere con quella stronza, non sei tu ad aver passato le pene dell’inferno a causa delle sue costrizioni sempre fin troppo strette ed esagerate, non sei tu ad essere stato tenuto lontano dal padre con la forza. Quindi evita di parlare se non puoi immaginare nemmeno in minima parte cosa si prova a vivere una vita che non ti appartiene in alcun modo-
-Non volevo fare il saccente della situazione, Han, stavo solo esprimendo la mia opinione-
-Beh, la tua opinione è sbagliata-
-E chi sei tu per dirlo? E comunque evita di scaldarti tanto che non ti ho detto niente!-
-Ma ti senti quando parli? Credo tu abbia qualche problema, Kaulitz!-
-No, qui quella che ha problemi sei tu, dolcezza, ed anche seri, aggiungerei! Ti pare questo il modo di aggredire le persone solo per aver espresso un loro parere? E poi perché stai urlando solo con me? Mi sembra che a Gustav tu non abbia detto niente, o sbaglio?-.
Hanna non seppe più cosa dire.
Era stata spiazzata da quelle parole. Si era ritrovata con le spalle al muro, senza alcuna via d’uscita.
Perché aveva gridato solo con Tom? Non lo sapeva nemmeno lei.
Era stato il suo istinto ad averla spinta a farlo, e come sempre lei si era fidata ciecamente delle sue sensazioni, anche se non sempre erano nel giusto, bisogna ammetterlo.
La ragazza non riuscì più a reggere il suo sguardo profondo e penetrante, solitamente caldo, ma dall’apparenza ghiacciata in quel momento.
Abbassò il capo pentita. Si sentiva in colpa.
Fortunatamente, il silenzio imbarazzante e carico di tensione, venne abilmente interrotto da David.
-Credo che ora non sia il caso di continuare il discorso. Ci siamo appena ritrovati, non roviniamo questo momento con dei futili litigi. Ci penseremo un’altra volta a questi problemi, e soprattutto quando saremo solo io, Lynet e Hanna. Nessun’altro si deve impicciare in queste cose, chiaro?-.
Il manager fece scorrere i suoi occhi verdi su tutti i presenti per accertarsi di essere stato compreso da tutti, poi riprese.
-Ora, cambiando discorso, io e i ragazzi dovremmo parlarvi di una cosa molto importante-
-E’ qualcosa di grave?- chiese Lyn nervosa, aspettandosi di sentire chissà quale disgrazia.
Bill non poté fare a meno di sorridere nel vedere il suo volto coprirsi di un velo di preoccupazione, portandola così a mordicchiarsi l’angolo destro del labbro inferiore.
-No, assolutamente, però, come credo ben sapete, il nostro lavoro comporta molti spostamenti, e soprattutto molto frequenti. L’album è terminato, ed uscirà fra un paio di mesi, ma questo non significa che ce ne staremo qui a far niente fino all’inizio del tour. Abbiamo già prenotato qualche tappa in Germania e all’estero per promuovere l’album attraverso talk show e brevi apparizioni pubbliche. Niente di impegnativo, per ora, ma è giusto che sappiate che dovrete cominciare ad affrontare qualche spostamento repentino da uno Stato all’altro. Naturalmente voi dovrete rimanere il più in disparte possibile. Non voglio che qualcuno sappia di voi per il semplice fatto che vostra madre potrebbe venire a scoprire che siete con me prima del previsto, e non ho intenzione di vedervi scomparire nuovamente dalla mia vita. Fatto sta che il problema persiste, e credo sia giusto avvertire Karoline con un’e-mail, almeno per dirle che state bene, tutto qui. Un giorno penseremo anche a risolvere questo problema, ma non ora. Affrontiamo una cosa alla volta-
-Ok- rispose semplicemente Lynet, spostando poi lo sguardo dal padre, alla sorella.
Han teneva ancora il capo chino, ora coperto da due veli di spessi capelli biondi leggermente mossi.
-Hanna, è tutto chiaro anche per te?- domandò con tono dolce David, che ebbe la tentazione di accarezzarle il capo anche se, per precauzione, non lo fece.
Chi poteva sapere come avrebbe reagito? Dopotutto era talmente lunatica e imprevedibile che non se la sentì di rischiare.
-Si- affermò con voce fioca e mogia, senza muoversi di un solo millimetro.
-D’accordo allora- disse chiudendo il discorso -Che ne dite se ora ce ne andiamo tutti di là a farci una bella partita alla Play?- domandò con un lampo d’eccitazione degli occhi, ricevendo il consenso di tutti tranne, ovviamente, quello di Hanna.
La ragazza, infatti, non li seguì, e nemmeno sollevò il capo per guardarli.
Rimase immobile in quella posizione ricurva, ascoltando i passi e le voci dei presenti allontanarsi.
L’ultima cosa che fu in grado di percepire in modo chiaro, fu sua sorella domandare a loro padre quali sarebbero stati i Paesi che avrebbero visitato.
Dopodiché si chiuse in una boccia di vetro tutta sua, che le permise di isolarsi talmente bene che nemmeno si accorse di una presenza che non aveva ancora abbandonato la stanza.
Il suo passo silenzioso gli permise di avvicinarsi alla ragazza senza essere sentito. Appena le fu alle spalle, l’abbracciò stretta a sé, appoggiando la guancia sinistra sul suo capo, con la bocca in corrispondenza del suo orecchio destro.
La bionda, a quel contatto inaspettato, sobbalzò per la sorpresa, capendo però immediatamente chi fosse quella persona.
Avrebbe riconosciuto fra mille, anzi, migliaia quelle braccia esili ma muscolose, quel calore così confortevole e familiare, ma, soprattutto, l’odore dissetante e leggermente pungente della sua pelle, rimasto immutato nonostante gli anni.
Se lo ricordava bene quel profumo inebriante, proprio come il suo fiato umido dal sapore di menta e sigaretta. Lo sentiva sul suo collo, proprio sotto quello strato impenetrabile di capelli.
-Mi spieghi perché io e te dobbiamo sempre finire a litigare?-.
La risata cristallina del ragazzo le riempì le orecchie, la testa, ed il cuore, ora stretto in una morsa d’acciaio, proprio come lo stomaco.
Sorrise anche lei, non poté farne a meno.
-Perché siamo più simili di quanto possiamo immaginare, ed è facile scontrarci per ogni cosa. Siamo testardi, orgogliosi e impulsivi allo stesso modo-.
Quelle parole, quella consapevolezza, echeggiò per qualche secondo nella sua mente, stordendolo per pochi istanti.
Quanto era vero tutto ciò? Non l’avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stesso, ma quel loro essere così simili non faceva altro che gratificarlo.
-Nonostante il tuo caratteraccio impossibile mi sei mancata un sacco-
-Come sarebbe a dire caratteraccio?- esclamò divertita lei, dimenandosi fra le sue braccia per potersi voltare e prenderlo a pugni.
Tom la lasciò fare, ridendo insieme a lei e riparandosi un minimo da quei colpi decisamente leggeri per lui.
Finalmente poté vedere il suo volto illuminarsi, e prendere vita in una risata che contagiò anche i suoi occhi.

 

***
 

Il processo in tribunale era terminato, e come al solito Karoline aveva vinto la causa.
Da cosa si poteva intuire? Dallo sguardo fisso, le labbra storte in un sorrisetto beffardo e la schiena ritta come se avesse avuto un manico di scopa sotto la camicia.
Ma d’altronde era ormai risaputo che non esisteva caso che lei non riuscisse a chiudere a favore suo e del suo cliente, spiazzando qualunque avversario.
Era fra gli avvocati più famosi e pagati dell’intera Regione dell’Assia, e veniva ingaggiata solo da un élite di riccastri viziati e con la puzza sotto al naso, ma soprattutto con tanti, tantissimi soldi sul conto corrente bancario. Inoltre era molto conosciuta anche nell’intero Paese, in Austria e in Svizzera.
Insomma, la sua fama si espandeva anno dopo anno grazie al fatto che non perdesse mai alcuna causa.
Se Karoline Keller era il tuo avvocato, potevi dormire sonno tranquilli, sia che tu fossi nel giusto o nello sbagliato.
-Avvocato Keller- la salutò un uomo alto e con una pancia decisamente non indifferente, dai capelli grigi ed ordinati ed un grosso naso a patata sul quale poggiavano un paio di occhiali da vista quadrati.
-Giudice Ziegler- ricambiò la donna, procedendo verso l’atrio del tribunale ed uscendo da quell’edificio imponente e dall’aria antica.
Scese l’enorme scalinata di marmo bianco, avviandosi verso la sua Audi TT grigia metallizzata.
L’aprì e vi entrò, senza però mettere in moto il veicolo.
Prima di partire doveva fare un’ultima cosa: chiamare Casa Böhm per avvertire le figlie del suo ritorno.
Il telefono squillava da almeno mezzo minuto, e ancora nessuno le aveva risposto.
Cominciava ad innervosirsi non poco, e prima che avesse il tempo di imprecare e provare a rintracciare le gemelle sul cellulare, una voce dall’aspetto dolce e timoroso si presentò.
-Qui Casa Böhm, sono Lydia-
-Buon pomeriggio signora Böhm, sono la signora Keller, la madre di Lynet e Hanna-
-Oh, buongiorno! Come sta?- chiese sinceramente incuriosita la donna, anche se, dall’altra parte della cornetta, la reazione fu completamente diversa.
-Molto bene, grazie. Scusi il disturbo, ma ho molta fretta e vorrei parlare con le mie figlie se non le dispiace-
-Mi scusi, ma non capisco di cosa sta parlando- rispose confusa l’altra, cominciando a chiedersi se, per caso, l’antipatia potesse contagiare il cervello, facendo aumentare il processo d’espansione dell’alzheimer.
-Le ho chiesto se può passarmi le mie figlie. Sono ancora a casa sua, no?-
-Credo che lei si stia confondendo con qualcun’altra. Le sue figlie non sono mai state qui oggi-
-Cosa? Ma ieri sera non sono rimaste a dormire a casa sua con Anja?-
-No, le ripeto che non sono mai state qui signora-
-Com’è possibile? Loro mi hanno detto che avrebbero trascorso la nottata con sua figlia!-
-Mi dispiace tanto Karoline, ma credo le abbiano mentito-
-Loro non oserebbero mai mentirmi. E, tanto per la cronaca, non mi sembra di averle dato il permesso di chiamarmi per nome. Arrivederci-.
Karol riattaccò senza nemmeno aspettare una risposta dalla sua interlocutrice.
Un calore improvviso cominciò ad invaderle il petto, prima di cominciare a circolarle per tutto il corpo.
Strinse con forza le mani sul volante in pelle nera, fino a far impallidire le nocche.
I suoi occhi, scuri e bui come la pece, fissavano il vuoto di fronte a loro.
Parevano due oceani in tempesta, in preda di un vero e proprio cataclisma naturale.
-E così pensavate di fregarmi, eh?- pensò a voce alta la donna -Vi pentirete amaramente di avermi mentito- concluse, prima di accendere l’auto e premere al massimo l’acceleratore.


[ * NOTE DELL'AUTRICE * ]

Buonasera Aliens :) Ho deciso di postare il quinto capitolo dato che ho un pò di tempo stasera, poi scappo a dormire che sono stanca morta .-.
Beh, che ne pensate? Si sono cacciate in un bel guaio le due gemelle, non trovate? Non possono nemmeno immaginare cosa la loro madre ha in mente, lo so solo io quello, eheh v.v
Sinceramente non so quando riuscirò a postare il prossimo capitolo, quindi godetevi questo per ora! Spero di non farvi aspettare troppo, ed in caso contrario, bruciate i miei profe, non la sottoscritta u.u
Ho un'altra cosa da puntualizzare: non ho ricontrollato nei minimi particolari, quindi è probabile trovarci qualche schifezza o ingarbuglio strano: non fateci caso xD
Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate! E' importante per me avere una vostra recensione :)
Ora vi lascio, credo di avervi annoiate abbastanza ahah xP
Buonanotte fanciulle, STAY TOKIO <3

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Capitolo 7
*** 6. Dolore senza fine. ***


Ancora non ci credo: sono riuscita a finire un altro capitolo! :D
Ci ho messo tutto l'impegno possibile per finirlo il prima possibile, e mi sembra di essere riuscita abbastanza bene nella mia impresa v.v
Dopotutto, la scuola in questi giorni mi sta letteralmente distruggendo, e mi sa che sarà così quasi fino a Natale -.-"
Bene, detto questo vi lascio, non vorrei annoiarvi con la mia vita x)
Grazie, come sempre, a chi legge, recensisce, segue, ricorda, preferisce.

 

Un bacio Aliens.
Vostra GretaTK.
 


Capitolo 6, Dolore senza fine.

La donna lasciò la sua auto sportiva in un parcheggio pubblico, proprio di fronte ad un normalissimo condominio in mattoni rossi a tre piani.
Niente di particolarmente lussuoso e vistoso. Effettivamente, Karoline e la sua macchina stonavano non poco con un luogo del genere, privo di sfarzo e talmente spoglio da sembrare quasi un’area dei bassifondi della periferia della città.
La signora Keller si avvicinò ai campanelli dell’edificio, facendo scivolare lo sguardo su tutti i nominativi, fino a ché non trovò ciò che stava cercando.
Un sorrisetto per niente rassicurante prese vita sul suo volto magro e dai lineamenti quasi spigolosi, mentre premeva uno dei sei pulsanti con un piacere quasi sadico.
Tutto ciò non prometteva nulla di buono.
-Chi è?- domandò una donna con voce nasale.
-Sono l’avvocato Keller. Ho immediato bisogno di parlare col Dottor Schneider-
-Ha un appuntamento, signora?-
-No, ma sono sicura che non ce ne sarà alcun bisogno-.
Prima che la donna potesse controbattere, dall’altoparlante del citofono si udì uno strano fruscio; poi, una voce da uomo roca e con un non so ché di affascinante, prese il posto di quella precedente, decisamente meno attraente e melodica.
-Karoline, qual buon vento. Sali pure, ho tempo fino alle quattro e mezza-
Non passò neanche un secondo che un suono prolungato avvertì la donna che la porta d’ingresso era stata aperta.
Entrò senza esitazione, salendo le scale fino ad arrivare al secondo piano, dove bussò ad una delle due porte del pianerottolo.
-Prego, signora- la invitò ad entrare una donna sui cinquanta, bassa e molto esile, da far quasi paura, con un naso lungo e sottile, così come le labbra, e dei capelli corti, palesemente tinti di biondo, dall’aspetto paglierino.
Karol non la degnò nemmeno di uno sguardo, superando l’uscio col suo solito passo deciso, dirigendosi verso il fondo dell’appartamento, in un piccolo salotto arredato ad ufficio.
Qui, seduto su un’imponente poltrona in pelle nera e dietro una scrivania in legno di mogano lucida da potercisi quasi specchiare, un uomo alto e spallato, con folti capelli brizzolati e agghindato in giacca e cravatta, alzò lo sguardo da una serie di fogli e documenti sparsi per tutta la superfice del grande tavolo, puntando le iridi color ghiaccio in quelle nere pece di lei.
Un sorrisetto sghembo gli storse le labbra e, dopo essersi sistemato meglio nella sua poltrona girevole, incrociò le mani e le appoggiò sul petto, senza smettere mai di fissarla.
-Prego, Karol, siediti pure-
-Grazie, Gabriel. So che questo è un periodo abbastanza pieno per te, e ti ringrazio per essere riuscito a dedicarmi un po’ del tuo tempo senza il minimo preavviso-
-Figurati, è sempre un piacere per me vederti- sorrise lui, ammiccando.
-Non fare il ruffiano, Gabriel- lo riprese simpaticamente la donna -Sono qui per una questione importante. Oserei dire di vita o di morte-
-Devo spaventarmi?- domandò l’uomo aggrottando la fronte, indeciso se prendere sul serio le parole della donna o riderci sopra perché solo un’esagerata messinscena.
-In realtà non sei tu che dovresti spaventarti, bensì qualcun’altro. Comunque, sai che odio le questioni ambigue, così passerò subito al sodo senza tanti giri di parole. Le mie figlie sono scappate di casa, e so da chi erano dirette. L’unico problema è che non ho alcuna idea della città in cui si trovano adesso. Potrebbero essere anche dirette in America in questo preciso istante, da quel che ne so io-
-Quindi mi stai chiedendo di rintracciarle- affermò ovvio l’uomo, sporgendosi in avanti fino ad appoggiarsi con le braccia alla scrivania.
-Ovviamente. Non sarei venuta dal miglior investigatore privato di tutta la Regione, altrimenti-
-Sai, anche per un professionista come me è difficile trovare delle risposte senza avere la minima traccia-
-Beh, forse se ti dicessi che sono in compagnia di David Jost, nonché manager dei Tokio Hotel, sarebbe utile?-.
Uno strano silenzio invase la stanza, mentre gli occhi della donna venivano attraversati da uno strano luccichio decisamente agghiacciante.
-E’ molto più che utile, cara Karol. È un solo dettaglio, ma che è in grado di portarmi dove voglio. Fra le due e le quattro settimane avrai una lista completa dei luoghi nei quali le tue figlie sono state, e dove risiede il signor Jost. Meno di un mese, Karoline, e riavrai le tue figlie-
-Sapevo che potevo contare su di te, Gabriel- sorrise la donna, pregustando già l’estasiante sapore della vittoria.
-Ora però devo proprio andare, ho un sacco di cose da fare. Appena hai notizie fammi sapere, mi raccomando-
-Senza ombra di dubbio-.
L’uomo fece per alzarsi, ma Karoline lo fermò immediatamente con un gesto della mano.
-Stai pure comodo, conosco la strada-.
La bionda continuò il suo tragitto fino all’entrata del salotto, poi si bloccò, voltandosi nuovamente.
Cercò lo sguardo dell’investigatore, che trovò poco dopo, incatenando le sue pupille quasi invisibili in quelle perfettamente nitide dell’uomo.
-Fossi in te non esiterei a cambiare segretaria, Gabriel- esclamò secca e diretta, prima di sparire dalla sua vista accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi.
La verità era che, nonostante stimasse sin nel profondo quella donna, le metteva i brividi, in certi momenti.
Mai mettersi contro Karoline Keller, pensò quasi con timore, per poi cominciare a mettersi al lavoro.

 

[ *** ]
 

 Quel pomeriggio il cielo era di un grigio quasi plumbeo, segno di un’imminente nevicata in arrivo.
Il freddo era decisamente poco sopportabile, e ti entrava nelle ossa come una spugna assorbe l’acqua.
Il centro di Amburgo, quel giorno, era abbastanza affollato: le persone entravano ed uscivano dai negozi alla ricerca del regalo perfetto per amici, famigliari e fidanzati.
Dopotutto Natale non era lontano, e qualcuno, anche se in minima parte, preferiva portarsi avanti per non arrivare all’ultimo minuto e correre a perdifiato per tutti i centri commerciali per poi dover intraprendere, con uno sconosciuto, l’imbarazzante scenata del “tiro alla fune” per accaparrarsi l’ultimo sgangherato maglione di lana a pois verde rancido e che, per giunta, ti procura un prurito da spavento.
Insomma, meglio evitare.
-È stato gentile papà a portarci a fare un giro in centro città prima di andare alla Universal coi ragazzi- affermò euforica Lyn, sorridendo alla sorella.
-Già, e per fortuna ha avuto il buon senso di farlo! Non credo sarei resistita a lungo rinchiusa dentro casa-
-Beh, per ringraziarlo questa sera potremmo preparare noi la cena. Ti va?-
-Certo! Cosa possiamo fargli?-
-Non lo so, qualcosa di insolito e un po’ particolare, però. Lui non fa altro che mangiare schifezze e un po’ di pasta ogni tanto, quindi-
-Mhm, che ne dici di una frittata alle zucchine e del pollo ai ferri? Poi magari ci fermiamo in qualche pasticceria a prendere qualche dolcetto-
-Perfetto! Abbiamo tutto l’occorrente a casa?-
-Se non ricordo male, sì. Papà aveva preso tutto ieri-
-D’accordo, allora andiamo a comprare i pasticcini!- esclamò allegra Lynet, aumentando improvvisamente il passo e trascinandosi la gemella per il polso.
-Ehi, rallenta!- disse ridendo la bionda, pensando a quanto fosse fortunata ad aver avuto lei accanto che le tirasse su il morale praticamente tutti i giorni della sua vita.

 

[ *** ]
 

 -Allora ragazzi, come ben sapete le tappe pre-tour comprenderanno soprattutto Paesi all’infuori del continente Europeo. Le città che sono state scelte per voi sono Kuala Lumpur, in Malesia, e Tokio. È importante che andiate in questi paesi per farvi un po’ di pubblicità e interagire con il pubblico per invogliarlo a continuare a seguirvi e, soprattutto, a comprare l’album. Poi, per quanto riguarda l’America, abbiamo deciso di fare un tour promozionale con tre tappe decisive: New York, Los Angeles e Brasilia. Anche qui, come per le città precedenti, ci saranno una serie di Signing Session e brevi apparizioni pubbliche, comprendendo uno o due talk show per città. Per l’Europa, naturalmente, non c’è la necessità di bombardare i fans con tutte queste interviste e show vari: basterà un video nel quale annuncerete la data d’uscita dell’album e rispondere a qualche domanda per le riviste giovanili tipo Bravo, Viva, e quant’altro. Sono stato abbastanza chiaro?-.
La parlantina infinita di Hoffman era finalmente arrivata al termine, permettendo così ai ragazzi di riprendere fiato. Quando ci si metteva diventava veramente logorroico.
E poi, tutte quelle novità sparate una dietro l’altra a velocità record non aveva fatto altro che intontirli.
-Si- risposero sfiniti i quattro ragazzi, stravaccati sulle sedie girevoli in pelle, non riuscendo più nemmeno a fingere di essere interessati alla riunione. Erano lì dentro da quasi tre ore, e tutto solo per informarli in quali città sarebbero stati? Ormai nemmeno Gustav riusciva più a stare attento, il che è tutto dire.
-D’accordo ragazzi, credo che vi abbiamo tenuto qui dentro abbastanza. Ora potete andare-
-Arrivederci- salutò Bill, alzandosi subito e seguito immediatamente dagli altri tre, che salutarono le persone presenti nella sala con sorrisini e pacche sulle spalle.
Appena si ritrovarono nell’ascensore, Tom si appoggiò malamente alla parete, sbuffando esasperato.
-Finalmente siamo liberi! Non ne potevo più di stare lì dentro! Giuro, ancora un minuto e davo fuori di matto-
-Concordo- esclamò Georg, osservando impaziente i numeri rossi decrescere man mano che scendevano.
-Suvvia ragazzi, d’altronde sapete che questo tipo di riunioni sono sempre molto lunghe anche se non c’è bisogno di decidere gran ché- disse David, tentando di farli ragionare.
-Sì, ma Santo Cielo, stavo per diventare claustrofobico!- esclamò irritato il cantante, incrociando le braccia al petto con un’espressione indignata.
-Ma tu stai zitto che sei più logorroico di Hoffman!- lo schernì il gemello, facendo scoppiare a ridere Georg, che gli batté subito un cinque.
Gustav stava anch’esso per esplodere in una fragorosa risata, ma lo sguardo truce del cantante riuscì a dargli la forza di trattenersi.
-Tom, ti va se la smetti di fare il cretino una buona volta?- lo riprese David proprio mentre un sonoro ding avvertiva i presenti che l’ascensore era arrivato a destinazione.
Il manager fu il primo ad uscirne, seguito da un Bill offeso, un Gustav divertito e rassegnato, un Georg ridente, e un Tom decisamente confuso e sorpreso.
-Ma che ho fatto adesso?- domandò retoricamente, fermandosi in mezzo all’atrio con le braccia spalancate in segno di resa.
-Vuoi che Jost ti faccia un disegnino?- chiese sarcastico il bassista, girando il capo nella sua direzione senza smettere di camminare -Sei nato cretino, è questo il problema-
-Tu non osare nemmeno aprir bocca, microcefalo- si difese prontamente l’ex rasta dopo aver ripreso a camminare.
Il castano d’improvviso si fermò, voltandosi completamente verso di lui e fissandolo con occhi sbarrati.
-Stavolta che ho fatto?- domandò rassegnato Tom, sospirando con aria sfinita.
-Non so se mi stupisce di più il fatto che tu non mi abbia riempito di parolacce o che tu sappia dell’esistenza di termini come microcefalo-
-Georg, posso dirti una bella cosa? Vai a cagare, che è la cosa che sai fare meglio!-
-Tom!- lo richiamò il manager -La vuoi piantare di essere sempre così maleducato? Te l’ho appena detto!-
-Ma Dave, io…-
-Niente ma, Tom. O la finisci o al prossimo tour scarichi tu tutti gli strumenti. Da solo, per giunta!-
-Ok, ok. Ho capito- rispose nervoso il ragazzo, mentre il castano cercava in tutti i modi di mascherare una risatina sommessa.
-E tu che cavolo hai da ridere tanto?- berciò infastidito, procedendo con passo spedito per allontanarsi il più possibile da lui.
-È sempre colpa mia- mormorò fra sé e sé, raggiungendo il furgoncino scuro con le mani nelle tasche.

 

[ *** ]
 

 -Mhm, vediamo… ora metto le uova sbattute e le zucchine nel padellino…-.
Hanna ripassava a voce alta le cose che doveva fare, destreggiandosi qua e là nella cucina.
Lynet, intanto, preparava qualche fetta di pollo arrotolata con prosciutto cotto e sottiletta.
Erano estremamente tranquille mentre preparavano la cena. Cucinare era sempre stata una sorta di “momento relax” per le due gemelle.
La loro mente si svuotava da qualsiasi pensiero, il loro cuore da qualsiasi crucio.
Era una sorta di cura temporanea contro la tristezza e i problemi.
Non che ora stessero male, per carità, ma sapevano perfettamente di essersi cacciate in un brutto, bruttissimo guaio, e che prima o poi avrebbero dovuto affrontare la cruda realtà.
Prima o poi avrebbero dovuto affrontare la loro diabolica mamma senza scrupoli, e nessuna delle due sembrava aver la benché minima voglia di farlo.
-Lyn, tu sai a che ora torna papà?-
-Ha detto che per le otto era a casa-.
La mora si voltò verso la parete opposta per guardare l’orologio appeso al muro.
-Non manca molto. E poi doveva solo aggiornare parte della crew riguardo ai prossimi spostamenti-
-C’era anche Natalie alla riunione?-.
Le sorelle si scambiarono uno sguardo loquace. Non servirono inutili parole. Esse non avrebbero fatto altro che impoverire i loro veri pensieri e sentimenti.
Le loro iridi sembravano più scure e opache durante quel discorso telepatico.
Natalie, la loro zia.
Non di sangue, naturalmente. Era solo un nomignolo simpatico che le avevano affibbiato qualche anno addietro.
Erano sempre state molto bene con lei. Si sentivano in mani dolci e sicure ogni volta che le stavano accanto. Era stato davvero un importantissimo punto di riferimento per le ragazze.
I loro occhi, dall’aria affranta in quel momento, si stavano sussurrando un sacco di dubbi che volevano svelare. Una delle tante domande chiedeva proprio se lei avesse voluto rivederle proprio come loro sentivano il bisogno di stringerla di nuovo fra le braccia.
-Potremmo chiedere a papà- disse semplicemente Lyn, sapendo che Hanna avrebbe compreso le sue intenzioni.
-E se fosse arrabbiata con noi?- chiese preoccupata la bionda, mordicchiandosi una pellicina del pollice.
-E perché dovrebbe esserlo? Non abbiamo deciso noi di sparire dalla loro vita. Noi non ne abbiamo alcuna colpa, Han-
-Lo so, ma…- Han fermò la frase a metà, sbuffando tristemente -A volte non ti capita mai di guardarti alle spalle e pensare: e se non avessi fatto abbastanza?-.
E allora Lynet capì.
Aveva già intuito quale fosse il vero problema di tutta quella storia che affliggeva sua sorella, ma non aveva mai voluto sporgersi troppo per la paura di averla fraintesa, e di sbagliare.
Ma ora sapeva. Ora tutti i suoi sospetti erano fondati.
Hanna era oppressa dall’insana e errata idea che quei due anni di separazione da ciò che loro amavano davvero fosse anche causa loro.
Pensava che non si erano impegnate abbastanza per ritrovare il padre e mettersi in contatto con lui.
Aveva l’estrema paura che le persone che si erano lasciate alle spalle fossero arrabbiate con loro.
Ma come poteva essere così? Tutti sapevano come si erano svolti i fatti, e nessuno, ripeto, nessuno avrebbe mai potuto pensare una cosa del genere.
-Oh, Hanna- mormorò Lyn con le lacrime agli occhi, come la sorella.
Si sporse immediatamente verso di lei, abbracciandola. La strinse forte fra le braccia, cercando quasi di toglierle il respiro.
Con quel gesto voleva farle capire che lei c’era, che era lì, presente fisicamente, come era sempre stato e come sempre sarebbe stato.
-Se non ci fossi tu…- le sussurrò Han accanto all’orecchio, lasciandosi sfuggire qualche lacrima di sollievo mista a dolore.
Dolore di un passato ancora vivido nei suoi ricordi e pulsante nelle sue vene.
Sollievo nella certezza di avere ancora qualcosa a cui poter rimanere aggrappata, qualcuno in cui riporre le proprie speranze.
Quel momento d’affetto venne bruscamente interrotto dall’acuto suono del campanello.
Han e Lynet si allontanarono, cercando di asciugarsi per bene le lacrime e riprendere il controllo delle loro emozioni.
Entrambe si diressero verso il citofono, chiedendo ci fosse.
-Sono papà-.
Le gemelle aprirono il cancello a David, per poi spegnere il gas e correre all’entrata, pronte ad accoglierlo.
Appena sentirono i suoi passi sul porticato, spalancarono l’uscio, rimanendo basite e immobili.
Oltre gli occhi grigio-verdi del manager, c’erano un altro paio di iridi grigio-ghiaccio ad osservarle.
Le avrebbero riconosciute ovunque. Non solo per la loro singolare particolarità, ma per la loro incantevole espressività, per quelle dolci rughe d’espressione attorno alle palpebre. E poi, quelle inconfondibili fossette che si formavano sulle guance ogni volta che sorrideva, quel naso sottile e leggermente all’insù, proprio al centro di quel viso a forma di cuore.
No, non ci potevano credere.
-Natalie… sei proprio tu?- si ritrovò scioccamente a domandare Lynet, che teneva ancora la mano sulla maniglia della porta spalancata.
-E chi se no?- rispose retorica lei, prima di ridere euforica e stringerle fra quelle braccia esili, ma sicure allo stesso tempo.

 

[ *** ]
 

 Bill se ne stava malamente sdraiato sul divano con lo sguardo fisso sullo schermo del televisore, senza però vederlo realmente.
In onda stavano trasmettendo un vecchio episodio di “Una mamma per amica”, e lui nemmeno se ne era accorto. Era troppo perso nei suoi pensieri per notare ciò che gli accadeva intorno.
L’enorme appartamento era buio e silenzioso, freddo nonostante il fuoco acceso nel camino.
Oltre a lui, Gustav era l’unico che aveva deciso di rimanere a casa, quella sera.
Tom e Georg avevano accettato l’invito di un vecchio amico alla sua festa privata nella sua enorme villa con piscina al coperto. Avevano tentato più volte di convincere anche Bill e Gustav ad andare con loro, ma non c’era stato verso di fargli cambiare idea, così ci avevano rinunciato e se n’erano andati per i fatti loro.
Effettivamente, bastava guardare l’espressione vuota e assente del cantante per capire che non fosse per niente in vena di feste e divertimenti.
E Gustav? Gustav non poteva lasciarlo lì da solo, no. Nell’incrociare lo sguardo afflitto dell’amico gli si era stretto il cuore in una morsa. Come avrebbe potuto uscire e divertirsi sapendo quanto Bill stesse male? Il moro non gli aveva ancora spiegato il motivo di tutta quella infelicità -effettivamente non gli aveva ancora rivolto la parola in tutta la sera- ma lui aveva già intuito tutto. Ne fu talmente sicuro che non aveva nemmeno bisogno di chiederglielo. Un solo nome, bastava quello per spiegare ogni cosa: Lynet.
Oh sì, perché il problema era proprio lei.
Il batterista aveva sempre saputo dell’amore incondizionato che l’amico aveva sempre provato nei suoi confronti, e quel brutale distacco l’aveva ferito non poco.
E proprio ora che stava cominciando a farsene una ragione, che piano piano stava riprendendo in mano le redini della sua vita, che la stava accantonando nell’angolo dei ricordi, lei era riapparsa all’improvviso, così come se ne era andata.
Puff.
Certo, non era stata colpa della ragazza il casino che era successo, ma il punto era che Bill era stato male.
Anzi, che Bill stava male, ancora adesso.
Finito di mettere a posto la cucina, il biondino spense le luci della stanza e lo raggiunse in salotto.
Il vocalist nemmeno si voltò quando prese posto nella poltrona accanto al divano. Ma Gustav lo osservava. Cercava di capire l’intensità del suo dolore attraverso la pelle pallida e la mascella leggermente contratta. Sapeva che lui non voleva parlarne, ma il batterista si sentiva inutile. Se non poteva aiutarlo, che era lì a fare? Doveva agire.
-Bill- lo richiamò, non ottenendo però nessun risultato.
-Bill- riprovò, alzando il tono di voce.
Ancora niente.
-Bill- chiamò un’altra volta, con tono di supplica.
Finalmente il moro si voltò, osservandolo stupito.
-Scusami, non ti avevo sentito arrivare- disse, spostando nuovamente lo sguardo sulla tivù.
Gustav prese un respiro profondo, deciso ad attirare la sua attenzione.
-Io non posso capire come ti senti ora- cominciò -Ma mi sento in dovere di aiutarti. Ti prego, permettimi di capire cosa ti fa stare così male-.
La voce di Gustav era intrinseca di una preoccupazione talmente sincera che quella volta Bill non poté fare a meno di prestargli attenzione. Le loro pupille si incatenarono per diversi secondi, forse anche minuti, poi il moro sbuffò con fare triste, prima di cominciare a interagire con l’amico.
Dopotutto aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, ed in quel momento l’unico che poteva ascoltarlo era proprio lui.
-Sai già cosa mi passa per la testa- disse sicuro, parlando con voce decisamente mogia.
-È vero, però voglio sentirtelo dire. Bill, ti farà bene parlarne-.
Il vocalist non poté fare a meno di venire incontro all’amico e, dopo essersi messo a sedere a gambe incrociate, cominciò a torturarsi il bordo della maglietta bianca della tuta senza degnarlo di uno sguardo.
-Cosa vuoi che ti dica, Gus? Pensavo di averla persa per sempre, pensavo che non l’avrei più rivista e che ormai dovevo farmene una ragione. E lei è ricomparsa improvvisamente nella mia vita senza darmi neanche il tempo di abituarmi all’idea. Che devo fare? Io non ci capisco più niente-.
La voce del front man sembrò tremare un poco, ma il biondino decise di fare finta di nulla.
-Parlare, Bill. Deciditi una buona volta di dirle tutto ciò che provi-
-Non ci riesco, Gustav. Non ce la faccio proprio-
-Ma perché?- esclamò nervoso -Che male ci sarebbe? Non puoi continuare a vivere giorno dopo giorno chiedendoti cosa sarebbe successo se le avessi confessato tutto! E se rimanesse accanto al padre per tutta la vita? Tu dovresti vederla ogni minuto di ogni singolo giorno senza poter fare niente per averla-
-È proprio questo il punto. È quel se a bloccarmi. E se invece lei sparisse di nuovo improvvisamente dalla mia vita? Se sua madre la trovasse e se la portasse via, questa volta per sempre? Non sarei più in grado di reggere il dolore, Gustav. Non avrei più la forza di resistere alla sua assenza-.
Questa volta il batterista non riuscì più ad emettere alcun suono.
Le parole di Bill lo avevano colpito come uno schiaffo in pieno viso. E poi, a dirla tutta, non sapeva cosa dire.
Non poteva sapere con certezza quanto fosse profondo il dolore del suo amico, e non si sentiva in diritto di dargli un’ulteriore consiglio.
-Mi dispiace, Bill-.
Fu tutto ciò che riuscì a dire. Non ebbe la forza di aggiungere nient’altro. Ma, nonostante questo, Bill si sentì rincuorato. Aveva percepito perfettamente la sincerità pura e vera delle sue parole. Sapeva che l’amico l’aveva compreso sin nel profondo, nonostante il batterista stesso non ci credesse.
E Bill non poté fare a meno di trattenere quelle fastidiose lacrime che gli pizzicavano gli occhi, lasciandosi completamente andare e facendosi sovrastare dai suoi stessi pungenti sentimenti.
E Gustav, in cuor suo, non poté fare altro che sedersi accanto a lui ed abbracciarlo.
Anche per tutta la notte se fosse stato necessario.

________ * ________ * ________ * ________ * ________ * ________ * ________ * ________ NOTE DELL'AUTRICE

Ps: nel capitolo ho scritto che gli occhi di Natalie sono grigi... sinceramente non  ne sono sicura, non essendomi mai interessata a lei e alla sua esistenza, quindi se non hanno quel colore vi sarei grata di farmelo sapere :)

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Capitolo 8
*** 7. L'inizio di un viaggio che porterà al traguardo. ***


Ciao a tutte Aliens :)

Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Mi scuso enormemente del ritardo, ma la scuola non mi da pace un solo secondo!
Questo capitolo l'ho scritto tutto oggi, quindi vi chiedo in anticipo di perdonarmi per eventuali errori o ripetizioni.
Detto questo, posso anche lasciarvi al capitolo :)
Come sempre, un enorme ringraziamento va a chi recensisce, legge, segue, ricorda, preferisce; e, soprattutto, a loro.
Un grosso abbraccio, vostra GretaTK.


Capitolo 7, L’inizio di un viaggio che porterà al traguardo.

I giorni erano passati veloci, ed il tredici Dicembre era arrivato in un batter d’occhio.
La band e le ragazze si erano visti molto poco in quegli ultimi dieci giorni prima della partenza, e le questioni fra quattro di loro erano ancora del tutto in sospeso.
Bill, d’altronde, non aveva avuto modo di ragionare a lungo e con la mente lucida sul da farsi, dato che era stato occupato dai preparativi del pre-tour extra Europeo.
Il suo cuore, però, aveva già scelto ciò che la sua mente ancora non aveva elaborato: lui voleva Lynet, con tutto sé stesso, ma la paura di perderla frenava ogni suo sentimento e desiderio, persino quelli più forti e profondi.
Tom invece, dal canto suo, non aveva mai pensato ad Hanna in quei giorni. O almeno, non consciamente.
Il chitarrista sentiva che era, come si può dire… diverso dal solito, ormai da quasi due settimane, ma dava per scontato che fosse l’ansia dovuta all’imminente viaggio.
Beata ignoranza, come si suole dire.
Ma, per un motivo a lui sconosciuto, in quei dieci giorni l’ex rasta non aveva fatto altro che frequentare ragazze accomunate dalle stesse caratteristiche: capelli biondi, gambe lunghe, occhi verdi screziati di grigio.
Che fosse solo una strana coincidenza?
 

[ *** ]
 

 

Dopo sedici lunghe ore di viaggio, finalmente i ragazzi e la crew al seguito misero piede sulla terraferma.
Mai il chitarrista era stato così contento di camminare su una superficie stabile e ben piantata al suolo prima d’ora.
La prima parte del viaggio non era stata molto tranquilla a causa di qualche indesiderata turbolenza, e sappiamo tutte che il nostro caro Sexgott non ama particolarmente volare.
Se avesse potuto ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Gli spostamenti avrebbe di gran lunga preferito farli in Tour Bus, o addirittura a cavallo di uno struzzo se fosse stato necessario ma, aimè per lui, non è minimante pensabile una simile idiozia.
-Dannato trabiccolo volante- bisbigliò a denti stretti fra sé e sé dirigendosi spedito verso il pullman che li avrebbe portati via dalla pista d’atterraggio, invaso da una forte sensazione di sollievo sempre maggiore.
Bill, invece, era impassibile come suo solito dopo un lungo viaggio: sguardo già coperto da un paio di occhiali da sole neri firmati Gucci, passo deciso e fluido, bocca serrata senza la minima intenzione di emettere alcun suono per almeno qualche ora.
Insomma, meglio stargli alla larga se non si voleva rischiare di essere sfregiati dai suoi artigli smaltati.
Gustav, invece, era visibilmente spossato, con visibili occhiaie sotto alle palpebre ed occhi rossi, senza però perdere la sua solita espressione da tenero orsacchiotto: per un sorriso lui era comunque disponibile.
Georg, come suo solito, era talmente stravolto che gli si chiudevano le palpebre anche mentre camminava, inciampandosi un passo sì e tre pure. Fortunatamente ne erano già tutti al corrente, così uno dei bodyguards, come ogni volta, si apprestava ad affiancarlo ad ogni passo fino all’arrivo in hotel.
Anche gli elementi dello staff non erano in gran forma, ma se la cavavano ancora bene tutto sommato.
Le uniche due persone che invece non avevano ancora risentito più di tanto del fuso orario erano, ovviamente, le due gemelle: l’adrenalina era ancora in circolo nelle loro vene, e la stanchezza sarebbe arrivata solo successivamente.
Per loro era tutto così nuovo ed eccitante che avrebbero avuto persino la forza di conquistare il mondo se davvero avessero voluto.
Quella dolce euforia le inebriava come un nettare divino, facendole sentire forti, invincibili, addirittura immortali.
Parliamoci chiaro: dopo aver ritrovato il proprio adorato padre e i vecchi meravigliosi amici, e dopo aver scoperto di avere l’occasione di viaggiare in diverse parti del mondo proprio con quest’ultimi, non vi sentireste anche voi senza fine?
Come se potreste non morire mai?
Come se tutto, malgrado il naturale ciclo della vita, durasse per sempre?
Io credo proprio di sì.
 

 

[ *** ]

 
L’auto viaggiava a massima velocità, sfrecciando sicura lungo l’autostrada.
Il motore emetteva delle fusa piacevoli per chiunque fosse amante di macchine, soprattutto sportive.
Il colore grigio metallizzato della carrozzeria la faceva risplendere persino sotto quella luce bianca e accecante tipica delle giornate nuvolose.
Karoline era del tutto concentrata sulla strada e sulla meta da raggiungere.
Casa Bhöm.
Doveva risolvere la questione lasciata in sospeso e, soprattutto, parlare con Anja.
Quella ragazzina minuta ed introversa nascondeva sicuramente qualcosa dietro a quell’aspetto da bambolina di porcellana dagli occhi verde brillante e i lunghi capelli rossi.
Lei conosceva ogni cosa riguardo le sue figlie, ne era sicura.
Prima di scappare, Hanna e Lynet l’avevano certamente avvertita, chiedendole di mentire per loro.
Era abbastanza sveglia per averlo capito da subito.
Senza nemmeno pensarci, il piede premette ancora sull’acceleratore, avvicinandola maggiormente alla sua prossima destinazione.
Aveva il fuoco negli occhi.
 
Una villetta a schiera dai colori chiari e dal giardino ordinato.
Era quella la sua meta.
Appena la vide, parcheggiò l’auto proprio di fronte, scendendo dal veicolo in tutta fretta.
La puntò dritta e decisa, come un toro punta il tessuto svolazzante che si ritrova davanti agli occhi.
Suonò il campanello, aspettando solo pochi secondi prima che la porta le venisse aperta.
-Buonasera, Signora Keller- la salutò cordiale un uomo alto, dai capelli corti e castani, occhi scuri e vispi, parzialmente nascosti da un paio di occhiali da vista e un sorriso dolcissimo.
-Buonasera, Signor Bhöm. Per caso sua figlia Anja è in casa?-
-Si, certamente. È in camera sua a studiare. Gliela chiamo subito. Prego, si accomodi- la invitò sorridente, aprendo un po’ di più la porta e facendosi da parte per farla passare.
-Grazie, ci vorrà solo qualche minuto-
-Nessun problema. La faccio accomodare in cucina nel frattempo. Vuole qualcosa di caldo da bere? Un tè, un caffè? Fuori fa molto freddo-
-Un tè sarebbe l’ideale. Niente latte, solo del miele-
-Perfetto- rispose, per poi dirigersi verso la dispensa ed estrarne diverse scatoline colorate -Scelga pure il gusto che preferisce. Io intanto le metto l’acqua nel microonde e le chiamo Anja-.
Detto questo, mise a scaldare l’acqua e si diresse verso il piano superiore.
Nel frattempo, la madre della ragazza, apparve improvvisamente nella piccola stanza non potendo minimamente immaginare chi si sarebbe ritrovata dinnanzi.
Infatti, presa alla sprovvista dalla sua presenza, fece un piccolo balzo all’indietro appena la vide.
Le aveva sempre messo soggezione quella donna: le sue iridi senza fondo irradiavano un non so ché di malvagio.
Era fredda dentro, congelata fin nelle viscere, fin nell’anima.
-B-buonasera, S-Signora Keller. C-che, che ci fa lei qui?- domandò sinceramente turbata la Signora Bhöm, fissandola dall’angolo più lontano della cucina.
-Ho bisogno di parlare con sua figlia di una questione importante- rispose Karol senza fare una piega.
-Riguarda le sue figlie, non è vero?-
-Si, è proprio così temo-
-Quindi ne deduco che non sono più tornate a casa-
-Esatto-
-E cosa centra mia figlia con tutto questo?- chiese con un leggero tono d’indignazione nella voce.
-So per certo che Anja sa della fuga di Lynet e Hanna. L’hanno avvertita, chiedendole di mentire per loro. Purtroppo il piano è andato in fumo quando al telefono ha risposto lei invece che sua figlia-
-Beh, non mi stupirebbe affatto se fosse così. Con una madre del genere scapperebbe chiunque-
-Judith!- la rimproverò il marito appena apparso sulla soglia della cucina -Come ti permetti di trattare così la nostra ospite?-
-Oh, andiamo Alexander! Smettila di cercare di vedere solo il buono in tutte le persone! Lei è una donna aspra e senza scrupoli, incapace di provare sentimenti. Come puoi difenderla?-.
Ormai la tipica timidezza che la caratterizzava si era dissolta nel nulla, lasciando spazio alla rabbia nei confronti della bionda.
-Ma di cosa stai parlando? Sei forse impazzita?-.
Era vero che Alexander non sapeva vedere i difetti delle persone nemmeno se glieli mettevano sotto al naso, ma comunque si ostinava a difenderla per ben altri motivi: era a conoscenza della sua spiccata intelligenza ed innata furbizia.
Il lavoro che praticava lo metteva in guardia dal trattarla male, soprattutto conoscendo la sua fama da vero osso duro.
Se avesse deciso di fargli causa, per loro sarebbe stata senz’altro la fine.
-Non si preoccupi, Signor Bhöm. Quest’oggi, al telefono, ho risposto in modo decisamente poco garbato a sua moglie. Posso capire il suo astio nei miei confronti-
-Bene, ehm… vogliamo accomodarci tutti insieme?-.
L’uomo si voltò in direzione della moglie, spronandola con lo sguardo.
-Judith cara?-
-Certo- rispose lei secca, in tono diffidente più che acido.
-Credo che il microonde abbia suonato già da qualche secondo- pensò ad alta voce Alexander, andando a togliere la tazza d’acqua calda dall’elettrodomestico e porgendola a Karoline.
-Prego, qui c’è il miele-
-Grazie- rispose puntando le iridi in quelle dell’uomo, per poi abbassarle sulla sua bevanda, la quale stava già prendendo un colore rosato a causa della bustina al gusto di frutti di bosco appena immersa.
-Bene, Anja, ora vorrei farti qualche domanda- cominciò, continuando a prestare attenzione al suo tè -Sai per caso dove si sono dirette Hanna e Lynet?-.
La ragazzina, terribilmente timida e timorosa, lanciò uno sguardo spaventato alla madre, chiedendole aiuto.
La donna la spronò a rispondere con un cenno del capo.
-No, Signora-
-Ne sei proprio sicura? Io credo che tu stia mentendo-
-Non sto dicendo bugie-
-D’accordo- rispose visibilmente seccata, estraendo la bustina dalla tazza e poggiandola sulla carta nella quale era contenuta precedentemente -Allora, sai dirmi il perché se ne sono andate?-
-No-
-Non sai se avevano intenzione di tornare?-
-No, Signora Keller. Non so nemmeno questo-
-Vuoi forse farmi credere che non ti hanno messo al corrente di nulla?-
-È così, sono sincera-
-Mhm- esclamò a labbra chiuse, pensierosa, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza.
-Che ti hanno detto, esattamente?-
-Nulla. Non sapevo nemmeno che se ne fossero andate. Non le sento da qualche giorno-.
Con quell’ultima frase, la pazienza di Karol si frantumò del tutto, esplodendo in scintille di rabbia.
-Non osare mentire a me, insulsa ragazzina!-
-Ehi!- si intromise prontamente Alexander -Non le permetto di parlare così a mia figlia! Se permette, questa è casa mia, quindi, se vuole godere ancora della mia ospitalità, è pregata di calmarsi ed essere più cortese. Altrimenti può anche andarsene-
-Temo proprio che non riuscirei ad essere più paziente di così- rispose con tono pacato -Quindi, credo proprio che toglierò il disturbo. È stato un piacere, Signori Bhöm, statemi bene-.
Si alzò dalla sedia con aria fiera e sguardo fermo. Si diresse verso la soglia della cucina, arrivando al fianco di Anja.
Piegò il busto in avanti per raggiungere l’altezza dei suoi occhi e, con un sorrisetto beffardo, le disse: -Arrivederci, Anja-.
La frase in sé non suonava come una minaccia, ma quell’espressione risoluta e divertita le fece venire i brividi.
Non seppe dire se fu solo la sua immaginazione o meno, ma giurò di aver visto una strana luce, oserei dire sadica, attraversarle gli occhi.
Deglutì rumorosamente, sperando che fosse solo la sua mente a farle brutti scherzi.
Successivamente, la donna tornò ritta come un fuso, proseguendo verso l’uscita seguita dal padre di Anja.
-Buona serata, Signora Keller- la congedò Alexander con tono duro.
-Altrettanto- rispose, avviandosi verso la sua auto.
L’uomo la osservò sulla soglia per tutto il tempo.
Quando Karoline ebbe messo in moto, gli rivolse un ultimo sguardo.
Uno sguardo penetrante.
Uno sguardo deciso.
Uno sguardo diabolico.
Ad Alexander si gelò il sangue nelle vene.
Dopo che la donna ebbe notato gli occhi di lui sgranarsi un poco per lo stupore, ingranò la retro, immettendosi nuovamente in strada con un’espressione soddisfatta stampata in volto.
 

 

[ *** ]

 
Un suono lontano ed imperterrito disturbò il suo sonno, insinuandosi nella sua mente fino a costringerla a svegliarsi.
Sbadigliò rumorosamente, senza preoccuparsi di mettere la mano davanti alla bocca, e si guardò intorno ancora assonnata in cerca della fonte di quella musichetta irritante.
E finalmente, la trovò: era un oggetto luminoso posto sul comodino della sorella.
Senza preoccuparsi di svegliare la gemella, Lynet si allungò verso il cellulare di Hanna con l’intenzione di spegnerglielo una volta per tutte.
Ma è mai possibile che lo ha sempre acceso?! Persino di notte! E nemmeno si preoccupa di mettere il silenzioso. D’altronde lei non sente niente quando dorme, figurati se le importa di spegnerlo!
Mentre la mora continuava a imprecare mentalmente contro la bionda dormiente al suo fianco, afferrò quell’aggeggio diventato infernale per lei e, mentre lo stava per azzittire una volta per tutte, si bloccò.
La bocca e gli occhi le si spalancarono in un’espressione di puro stupore misto a terrore.
Una strana sensazione di freddo la pervase, e per qualche secondo smise di respirare.
In quel momento le sembrò di precipitare in un baratro buio e profondo.
Perché mai Anja avrebbe dovuto inviare un messaggio ad Han?
Si erano promesse di non sentirsi finché le acque non si fossero calmate, almeno fino a quando la situazione non si sarebbe stabilizzata un poco.
Allora perché scriverle? Che senso aveva?
Ebbe improvvisamente paura di scoprirlo. Non aveva il coraggio di aprire il messaggio e leggerlo.
Forse era meglio svegliare anche sua sorella.
La guardò per interminabili secondi, fino a che decise di lasciarla stare. Dormiva talmente bene che era un vero peccato richiamarla dal mondo dei sogni per riportarla bruscamente alla realtà.
Sorrise, un sorriso che però non le illuminò lo sguardo. Gli occhi rimasero spenti e opachi.
Dopo aver fatto qualche respiro profondo come per prepararsi ad un’immersione nelle profondità marine, premette il tasto apri nell’angolo in basso a sinistra dello schermo.
Lesse quelle parole come un fulmine, talmente veloce che fu costretta a tornare indietro e ricominciare da capo. E così per almeno altre cinque volte.
No, non ci poteva credere. Come poteva essere arrivata a tanto?
Che fosse realmente già arrivata a metà strada?
Come aveva potuto, in un solo pomeriggio, aver già compiuto metà dell’opera? Era una cosa impossibile.
Era una cosa veramente agghiacciante.
Improvvisamente, presa dal panico, decise di cancellare immediatamente il messaggio.
Non voleva che sua sorella leggesse, non voleva che perdesse il sorriso appena ritrovato, che si facesse scivolare via di dosso quella felicità e spensieratezza che a loro erano state portate via troppo prematuramente.
Non poteva permettere che Hanna stesse male come lei in quell’istante.
Velocemente, come se volesse sbarazzarsi di quel telefono maledetto al più presto, lo ripose dov’era, voltandosi dall’altra parte e tentando in tutti i modi di riaddormentarsi, ma fu tutto inutile.
Le parole scritte dall’amica l’avevano scossa, ed ora un’abbondante dose di adrenalina mista a terrore le circolava nelle vene, nutrendo ogni singola cellula del suo corpo.
Quelle maledette, spaventose parole, le vorticavano nella testa come un uragano.
 

 

Ragazze, vostra madre è appena stata da noi.
Mi ha fatto un sacco di domande su di voi, ma io non mi sono fatta sfuggire niente.
Le ho detto di non sapere nulla al riguardo, ma so che ha intuito fin da subito che stavo mentendo.
Lei sa, sa che io so. E questa non è per niente una buona cosa.
Tenterà in tutti i modi di farsi dire tutto ciò che so riguardo voi due.
Vi prego, ragazze, state attente. Siamo solo all’inizio, ma lei è già vicina, me lo sento.
Vi farò sapere se ci saranno altre novità. Per ora meglio che non ci sentiamo per nessun’altra ragione.
Spero vivamente che stiate bene. Mancate un sacco.
Vi voglio bene, Anja.
Ah, quasi dimenticavo: buona fortuna ♥
 

 

Non seppe perché, ma quell’improvviso senso di vuoto le fece pensare ad un’unica cosa: Bill. Lynet aveva bisogno di Bill.
Il più silenziosamente possibile, la moretta si alzò da letto, indossò le sue infradito arancio ed uscì dalla camera. Camminò lentamente lungo il corridoio, fino ad arrivare di fronte alla stanza 451.
Alzò il pugno per bussare, poi si immobilizzò, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Sicuramente anche lui stava dormendo, dato il fuso orario e le lunghe ore di viaggio. Era solo mezzanotte e mezza a Kuala Lumpur, ma la stanchezza era tanta. Forse Bill l’avrebbe odiata, ma in quel preciso attimo decise che non le importava. Aveva bisogno di lui, fine.
Nuovamente determinata, batté ripetutamente le nocche sulla porta in legno, aspettando qualche secondo in silenzio, in attesa di sentire i suoi passi avvicinarsi all’uscio.
Niente.
Riprovò di nuovo, questa volta più forte. Finalmente le sembrò di sentire dei lievi rumori provenire dall’interno.
Era sveglio.
Non seppe perché, ma quella consapevolezza le colpì il cuore come una scossa elettrica.
Quando la porta si aprì, incatenò le sue pupille a quelle del ragazzo.
Bill sembrò sinceramente stupito di vederla fuori dalla sua camera a quell’ora, ed era ancora troppo assonnato per capire in modo fulmineo come comportarsi, ma, appena vide gli occhi di Lynet riempirsi di lacrime, sembrò risvegliarsi completamente: aprì maggiormente il passaggio fra la porta, come un invito ad entrare.
Lei non se lo fece ripetere due volte, intrufolandosi nella stanza senza la minima esitazione.
Quando il cantante richiuse l’uscio, il buio invase nuovamente la stanza, ricoprendo ogni oggetto col suo colore scuro e impenetrabile.
Ma nonostante questo, Lyn sentiva la presenza di Bill come se fosse stata reale e palpabile a mano nuda, così come lui percepiva lei.
Grazie a questo, si trovarono anche in mezzo a quel buio denso e profondo. Le loro braccia strinsero il corpo dell’altro con una sincronia perfetta, scaldandosi a vicenda.
Entrambi avevano bisogno da tempo di quel calore ormai perso ma mai dimenticato.
Solo che, uno di loro, se ne accorgeva solo in quell’istante.
E fu così che quell’abbracciò non si sciolse per tanto, tantissimo tempo.
Un tempo incalcolabile, inimmaginabile, ma dall’aria magicamente infinita.
Senza tempo come loro, come quella notte, diventata il loro rifugio sicuro, la loro boa in mezzo al mare scuro e senza fondo. 

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Capitolo 9
*** 8. Qualcosa sta cambiando... sarò io o semplicemente tutto il resto? ***


Buongiorno a tutte, Aliens mie adorate!
Mi dispiace ENORMEMENTE del mio disastroso ritardo, ma non ho più avuto nemmeno un briciolo di tempo da dedicare a questa fan fiction!
Mi scuserò all'infinito se sarà necessario, qualsiasi cosa purchè voi mi perdoniate!
Comunque, sperando di non aver perso le mie care lettrici silenziose e non, sono fiera di annunciarvi l'ottavo capitolo di questa storia!
Spero vi piaccia come gli altri, anche se voglio avvertirvi che l'ho appena finito -quindi è fresco fresco di mattinata- e che non ho avuto molta voglia di ricontrollarlo come si deve, quindi perdonatemi eventuali errori o frasi un pò contorte x)
Un'ultima cosa ho da dirvi prima di lasciarvi in pace xP Nello scorso capitolo, ho scritto che la mamma di Anja si chiama Judith mentre, nel quarto capitolo, l'ho chiamata Lydia.
Non credo voi ve ne siate accorte, dato che non ci ho fatto caso nemmeno io fino a che non ho riletto da capo la mia FF xD, quindi volevo solo avvertirvi che, d'ora in poi, la Signora Böhm sarà Lydia :)
Bene, credo di aver finito di rimpervi le scatole! Ora godetevi pure questo capitoletto ;)
Un abbraccio a tutte ragazze!

GretaTK.


Capitolo 8, Qualcosa sta cambiando… sarò io o semplicemente tutto il resto?.

La flebile luce del mattino penetrò nella stanza attraverso le tende leggere, dai riflessi dorati.
I loro corpi erano ancora inermi fra le lenzuola, assopiti l’uno contro l’altro.
D’improvviso, Lynet si stiracchiò allungando gambe e braccia, tenendo gli occhi chiusi. Era ancora troppo spossata per avere la forza di sollevare le palpebre e, oltretutto, percepiva il tepore del sole sul viso che le procurava un leggero fastidio agli occhi, nonostante fossero chiusi. Se li avesse spalancati di colpo non avrebbe avuto il tempo di abituarcisi.
Così decise di accoccolarsi ancora qualche minuto fra le lenzuola, respirando a fondo il loro profumo alla vaniglia nell’attesa che la sveglia suonasse.
Nel frattempo, un sorriso bellissimo le storse le labbra: aveva fatto un sogno magnifico, uno di quelli che ti lasciano uno strano calore dentro, tenendoti di buon umore per tutta la giornata.
Ricordava ancora in modo nitido ogni sensazione: il senso di protezione mentre la teneva stretta fra le braccia, le farfalle allo stomaco nel momento esatto in cui le iridi cioccolato fondente di lei si erano fuse con quelle nocciola di lui, il suo respiro caldo e rassicurante che si insinuava senza fatica fra i suoi capelli.
Perfino il suo inebriante profumo, un misto di tabacco, Gucci e… pelle, la sua pelle.
Semplicemente il suo odore.
Senza abbandonare il sorriso, decise, piano piano, di aprire gli occhi. Contro luce vide i contorni di una persona sdraiata accanto a lei. All’inizio pensò subito a sua sorella, ma un secondo dopo notò delle ciocche corvine sparse sul cuscino e, in parte, sul suo viso, nascondendo un poco il volto pulito e dai lineamenti perfetti, facendole intuire che quella persona non poteva essere Hanna.
E di colpo, la sua mente mise insieme tutti i pezzi: quello che, fino a pochi istanti prima, credeva un sogno, non era altro che la realtà.
In quel preciso istante ricordò che, la notte precedente, si era diretta verso la stanza di Bill con l’intento di rifugiarsi nel suo abbraccio.
L’unica cosa che non capiva era come diavolo aveva fatto a finire nel suo letto.
Una nuova paura la pervase.
E se… no, non Bill. Lui non avrebbe mai osato.
Per esserne sicura, però, decise comunque di sollevare leggermente le lenzuola e scrutare il suo corpo.
Indossava ancora tutti i vestiti.
Sospirò sollevata, rilassandosi un poco.
Non che le sarebbe dispiaciuto, ma non avrebbe mai voluto che la loro prima volta fosse stata guidata da istinti carnali e per niente profondi.
Soprattutto perché sarebbe stata la sua prima volta in assoluto, e non se lo sarebbe mai perdonata.
Con gli anni aveva imparato a convivere con la parte di sé stessa che, ostinatamente, si rifiutava di immaginare il suo primo rapporto sessuale con qualsiasi altro ragazzo che non fosse Bill.
L’aveva sempre amato, in ogni modo con il quale è possibile amare una persona e, probabilmente, l’avrebbe sempre fatto, fino alla fine dei suoi giorni.
 
 
La sveglia suonò acuta e fastidiosa insinuandosi nelle sue orecchie, riportandolo così bruscamente alla realtà.
Aprì di scatto gli occhi, spaventato, per poi passarsi una mano grande e venosa sul viso e voltarsi velocemente verso il comodino, spegnendo quell’aggeggio infernale.
Sospirò con fare svogliato, imponendosi di alzarsi immediatamente dal letto altrimenti si sarebbe riaddormentato in meno di un secondo.
Si conosceva troppo bene per esserne assolutamente certo.
Fortunatamente - e stranamente, aggiungerei - il suo corpo lo ascoltò senza opporsi, dirigendosi automaticamente verso il bagno, dove si fece una lunga doccia rigenerante.
Quando ne uscì, si vestì con gli abiti scelti la sera precedente da Natalie e, dopo aver preso cellulare, occhiali da sole e tessera della stanza, uscì dalla camera.
Nello stesso istante in cui si chiuse la porta alle spalle, un altro rumore attirò la sua attenzione.
Si voltò verso la sua sinistra, incrociando gli occhi di Lynet.
-Ciao Lyn-
-Ciao Tom- rispose lei nervosa, tentando però di nascondere la sua ansia dietro ad un sorriso forzato.
-Dormito bene?-.
La ragazza sembrò percepire un non so ché di malizioso nella sua voce, ma alla fine, ridendo fra sé e sé, decise che era solo la sua immaginazione a farle dei brutti scherzi.
-Si, molto… tu? Oh, ma che domande! Ovvio che non avrai quasi nemmeno chiuso occhio. O sbaglio?-
-Ti sbagli- rispose, facendo spuntare un sorrisetto sghembo sulle labbra carnose -Questa notte niente groupies. Perfino il Sexgott ogni tanto ha bisogno di dormire e basta, sai?-.
Entrambi risero, poi lui continuò.
-E comunque, non dovrebbe essere Hanna quella maliziosa? Mi sembra strano che sia proprio tu a fare certe allusioni-
-Beh, ogni tanto capita anche a me-.
Ci fu qualche secondo di silenzio, una quiete pesante ed imbarazzante che il chitarrista riuscì abilmente ad interrompere.
-Sai, un’altra cosa che mi sembra strana è vederti sgattaiolare fuori dalla stanza di mio fratello ancora in pigiama. Evidentemente qualcuno ieri sera si è divertito al posto mio. O sbaglio?-.
La moretta si sentì avvampare in un attimo.
Con Bill non era successo nulla, questo era certo, ma quell’affermazione la fece comunque sentire in imbarazzo. Insomma, Tom credeva davvero che lei fosse stata a letto con suo fratello e quel pensiero, nonostante fosse errato, la mise in forte soggezione.
-N-n-no io, ehm… io sono, sono appena entrata in camera sua… ehm, dovevo solo… chiedergli se aveva dell’acetone per le unghie, ecco. Si insomma, tutto qua-
-Tutto qua- disse Tom retorico, sorridendo divertito.
L’agitazione della ragazza era un vero spettacolo per lui. Adorava mettere in difficoltà le persone solo per divertirsi un po’ a loro insaputa, soprattutto se quest’ultime erano già timide di loro.
-E alla fine l’hai trovato questo acetone almeno?-
-No, l’aveva finito-
-Capisco. Va bene, io ora scendo per la colazione. Ti conviene prepararti, sai? Fra un’ora dobbiamo andare-
-Certo, hai ragione. Allora, ehm, me ne torno in camera mia-
-D’accordo. A dopo-
-Ciao-.
Si diresse verso l’ascensore a passo lento, osservando attentamente ogni movimento di Lynet.
Tremava leggermente, ancora un po’ scossa dalla sua improvvisa apparizione.
Sicuramente pensava di riuscire a tornarsene nella sua stanza senza farsi vedere da nessuno, ma il suo piano era andato in fumo.
E poi, oltretutto, non le credeva per niente.
Non che volesse fare la spia con suo padre o parlar male alle sue spalle, sia chiaro, ma era troppo curioso per trattenersi dal voler sapere esattamente cosa fosse accaduto fra lei e Bill quella notte.
Dopotutto, entrambi si piacevano, questo non poteva essere certamente ignorato da nessuno dato che era fin troppo visibile l’attrazione fra i due; ma il punto era: davvero suo fratello avrebbe avuto il coraggio di violare la sua purezza senza ritegno alcuno?
Ne dubitava fortemente.
 
 
La sala della colazione era quasi totalmente deserta.
I tavoli erano già stati sparecchiati e sistemati per la mattina successiva ed i ragazzi, insieme a David, le gemelle, e parte della crew, si erano appena seduti ai loro posti.
Han, quella mattina, era particolarmente affamata, ed ogni volta che finiva il croissant o i biscotti si dirigeva a tutta birra verso il self service per riempirsi nuovamente il piatto vuoto.
Chi si era accorto della sua voracità senza fine la fissava sconcertata, a parte, ovviamente, sua sorella.
Per Lynet non era una novità che la gemella si abbuffasse in quel modo. La colazione era la parte della giornata nella quale mangiava di più, a volte addirittura in modo quasi esagerato.
-Mi spieghi come cavolo fai a mangiare tutta quella roba e avere due gambine così?!- le chiese retoricamente Gustav, sinceramente irritato per quell’ingiustizia bella e buona.
Perché lui non poteva ingozzarsi di schifezze e rimanere uno stecchino? Se lo domandava spesso.
-Costituzione, Gus, dato che non muovo un dito tutto il giorno-
-Bell’incoraggiamento, grazie-
-Oh Gustav, non volevo tirarti giù di morale! E poi tu vai bene così, scusa. Cosa c’è che non va in te?-
-Niente, è solo che faccio parte del mondo dello spettacolo e, nonostante faccia il musicista e non il modello, devo comunque mantenere una certa linea, ed ingrassare per ogni chicco di riso che ingoio non è di certo d’aiuto-
-Ma dai, di che ti lamenti? Sei pure dimagrito un sacco dall’anno scorso-
-Beh, questo è vero-
-Ecco, vedi? È già qualcosa-.
I due amici si sorrisero, prima che la voce del manager richiamasse l’attenzione di tutti.
-Forza, alzate i vostri regali didietro dalle sedie e andiamo-
-Ma come?!- si lamentò Han -Papà, ma io devo finire di fare colazione!-
-Tesoro mio, è quasi un’ora che sei seduta a tavola e ancora non hai finito?-
-No! Io ho bisogno di mangiare tanto la mattina- rispose imbronciandosi un po’.
Tom sorrise intenerito di fronte alla sua espressione, ma nessuno se ne accorse.
Nemmeno lui.
-Beh, prendi la brioches e i biscotti e mangiali in macchina-
-Grazie pà!- disse lei tutta felice saltando al collo del padre per poi lasciargli un bacio sulla guancia.
David rimase un po’ sorpreso dalla reazione decisamente esagerata di Hanna, ma Lynet lo tranquillizzò scuotendo la testa rassegnata.
-Papà, lasciala perdere. Ormai è un caso perso-
-Ehi! Guarda che sarò pure partita di cervello ma le mie orecchie funzionano benissimo!- esclamò irritata, raccogliendo tutti i biscotti in una mano.
Tutti si misero a ridere alla piccola ed ingenua “discussione” fra le gemelle, per poi seguire David verso la hall ed uscire dall’hotel per raggiungere il solito furgoncino.
-Se ti chiedessi un biscotto, me lo daresti?-.
Han si voltò verso la sua destra, trovandosi a pochi centimetri di distanza il viso di Tom che le sorrideva.
-No- rispose secca lei, per poi scoppiare a ridergli in faccia ed allungando la mano sinistra verso di lui -Tieni, prendi quelli che vuoi-.
Le gambe di Tom si bloccarono lungo il tragitto, mentre il suo viso perfetto si modificò in un’espressione di puro stupore.
-Che c’è?- domandò Han confusa e preoccupata.
-Da quando sei così altruista?-.
La voce del ragazzo era seria e sinceramente stupita, anche se l’ombra di un sorrisetto sarcastico tradiva la sua messinscena.
-Credo di aver capito male. Potresti riformulare la domanda?- chiese retoricamente lei, allungando l’orecchio destro nella sua direzione.
-Hai capito benissimo. Beh, forse è stato un errore mio. Effettivamente devo ammettere che ti ricordavo più antipatica-
-Ehi!- esclamò la bionda tirando uno schiaffo sul braccio del chitarrista -Come sarebbe a dire antipatica?-
-Stai troppo sulle tue. Rischi di diventare talmente acida da rimanere zitella a vita, lo sai?-.
Un ringhio per niente rassicurante uscì dalla gola di Hanna che, con i suoi adorati biscotti ben saldi nella mano sinistra, si mise a rincorrere Tom il quale, ridendo convulsamente, si teneva su i pantaloni con entrambe le mani.
-Ragazzi, la volete finire? Dobbiamo andare!-.
Nemmeno la voce del manager servì a richiamarli e a far sì che si ricomponessero come avrebbe dovuto essere.
David sospirò esasperato, passandosi una mano sugli occhi con fare stanco ma rassegnato.
-Prima o poi impazzirò, ne sono certo-.

 

[ *** ]

 

Tuuuu. Tuuuu. Tuuuu.
-Pronto?-
-Karoline, sono Gabriel-
-Se mi hai chiamata spero sia perché hai significative notizie da darmi-
-E’ così Karol-
-Bene. Spero siano positive. Odio le cattive notizie, mi mettono di malumore-.
Come se servissero quelle per renderti burbera e perennemente insoddisfatta, pensò l’uomo.
-Beh, diciamo che quello che sto per dirti può essere preso in maniera diversa a seconda di come uno la vede-
-Sarebbe?-
-Ho trovato le tue figlie. Sono in Malesia-.
L’attimo di profondo silenzio che ne seguì mise talmente in agitazione l’investigatore che deglutì emettendo un suono percepibile persino dall’altro capo della cornetta.
-In Malesia?-
-Si, a Kuala Lumpur. La band deve promuovere il nuovo album, e credo che la prossima tappa sia Tokyo, ma ancora niente di sicuro. Comunque appena saputo dove si trovavano Hanna e Lynet ho contattato un mio vecchio amico del luogo. È un ottimo investigatore privato, e gli ho chiesto di dare un’occhiata alle ragazze e di tenermi informato-
-Ci si può fidare di quell’uomo?-
-Gli affiderei la mia stessa vita, Karoline-
-Bene. Ottimo lavoro Gabriel, ottimo lavoro-.
La donna chiuse la conversazione premendo sul tasto rosso del cellulare, distendendo le labbra in un ghigno dall’aspetto diabolico.
La vendetta è un piatto che va servito freddo, pensò, quindi, ragazze mie, godetevela finché potete, perché poi sarà un incubo.
Il peggiore di tutti.

 

[ *** ]

 

-Bene ragazzi, sono molto fiero di voi! Stamattina le due interviste e i photo shoot sono andati alla perfezione, il giro della città per il nuovo episodio della TH TV è stato meraviglioso e questa sera, a cena dal presentatore del talk show che vi ospiterà domani nel pomeriggio, è andata benissimo. Per questo ho deciso che domani mattina per la Signing Session potrete raggiungere me e il resto della crew più tardi, diciamo verso le nove al posto delle otto, così avete un’ora in più per dormire. Poi domani sera siete liberi di fare ciò che vi pare senza, naturalmente, infrangere la legge o portarsi in camera sconosciute-.
Lo sguardo del manager si puntò immediatamente sul chitarrista, con un gesto del tutto automatico e con un non so ché di rimprovero, ma nessuno sembrò stupito da tale allusione non verbale.
-Beh, detto questo e fatti i dovuti avvertimenti, vi posso annunciare che siete liberi di andarvene nelle vostre stanze, per stasera la riunione è finita-.
I ragazzi si alzarono dalle loro poltroncine in velluto bordeaux del salotto comune dell’hotel con un sospiro di sollievo, dirigendosi spediti verso l’ascensore insieme alle gemelle.
-Allora ragazzi, avete intenzione di andare subito a letto?- domandò Han ancora elettrizzata dall’improvviso viaggio nelle lontane terre d’oriente.
-Beh, adesso sono le undici, magari un’oretta a parlare in camera di qualcuno non sarebbe male- concordò pacato il batterista, facendo scorrere lo sguardo sui suoi amici per cercare un qualsiasi segno d’assenso dipinto sui loro visi un po’ assonnati.
-Io ci sto- rispose il bassista, socievole come suo solito -Anzi, se volete potete venire tutti da me-
-Non fare tanto il galantuomo, Georg. Sappiamo tutti che dici così solo perché almeno, quando andremo tutti a dormire, tu sarai già nella tua stanza senza compiere il minimo sforzo- replicò scocciato Bill, incrociando le braccia al petto e squadrandolo con occhi simili a due fessure taglienti.
-E’ vero, non posso negarlo, però è anche vero che le ultime due volte siamo venuti nella tua di stanza, ed io ho saltato il mio turno! Quindi, diva permalosa, fammi il piacere di non fiatare nemmeno!-.
Mentre Tom si godeva la discussione con un sorrisetto sornione sulla faccia, Gustav si frappose prontamente fra i due, evitando così una guancia sfregiata al castano e un naso rotto al moro.
-Stiamo tutti calmi, ok?- berciò innervosito Gustav, facendo passare lo sguardo di rimprovero dall’uno all’altro -Bill, mi dispiace, ma Georg ha ragione, stavolta tocca a lui ospitarci in camera-
-Evvai!- esclamò euforico il bassista, lanciando uno sguardo di sfida a Bill.
-Oh, e piantala di fare tanta scena! Solo perché per questa volta te la lascio passare…-
-Ma…-
-Basta!- quasi urlarono le due gemelle ed il biondino, prima di guardarsi e scoppiare tutti a ridere, persino il cantante.
-Abbiamo il tempo di metterci comode prima di raggiungervi in camera di Georg?- domandò un po’ timorosa Lynet, facendosi piccola piccola sotto gli sguardi di tutti i presenti.
-Certo, nessun problema! Appena siete pronte venite pure, noi vi aspettiamo- disse solare il bassista.
Proprio in quell’istante, il sonoro ding dell’ascensore li richiamò, avvertendoli di essere arrivati al loro piano.
Dopo esserne usciti, si diressero ognuno nelle rispettive camere e, prima che riuscissero a entrare, la voce di Tom li raggiunse.
-Buonanotte ragazzi, ci vediamo domani-
-Ma come, te ne vai già a dormire?- domandò delusa la biondina.
Lei, però, nemmeno si rese conto - o forse preferiva far finta di non accorgersene - del tuffo che il suo cuore aveva fatto al solo sentire quelle parole, ma la sua voce e l’espressione triste del suo volto l’avevano tradita subito.
-Sì, sono abbastanza stanco-
-Oh ma dai, almeno stai un po’ in compagnia!-.
Appena pronunciate quelle parole, Hanna si morse il labbro inferiore, come se volesse rimangiarsi tutto.
Forse in camera sua c’era già qualcuna pronta a fargli compagnia, e non aveva bisogno di passare del tempo con loro… con lei.
Quasi come se le avesse letto nel pensiero, il ragazzo rise piano fra sé e sé.
-Non ho nessuna ragazza mezza nuda in camera che mi aspetta, se è questo che stavi pensando-.
Le gote di Han presero un colorito acceso, e i suoi occhi si spalancarono in segno di difficoltà e incredulità del fatto che lui, proprio lui, Tom Kaulitz, il Sexgott insensibile, l’avesse capita così bene.
-I-io non, non stavo pensando a nulla di simile! Era solo, solo per dire, insomma… sì, mi dispiaceva pensare che saresti rimasto solo, ecco tutto-.
Le iridi della ragazza si fusero con la moquette rossa del pavimento e, prima di dare il tempo di rispondere al chitarrista, si affrettò a raggiungere la sorella nella loro stanza.
-Beh, allora buonanotte- disse senza nemmeno guardarlo, chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Tom, d’altro canto, rimase qualche secondo a fissare quella porta con un sorrisetto amaro e due occhi un po’ tristi e pensierosi.
-Buonanotte, Hanna-. 

 

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Capitolo 10
*** 9. Amore e Morte. ***


Buonasera Aliens ! :D
Strano ma vero, sono riuscita a scrivere un altro capitolo ! Questa volta non vi ho fatto aspettare troppo ;) 
Prima che voi cominciate a leggere , voglio dirvi che questo capitolo è un pò più lungo rispetto agli altri , e che l'ho creato tutto oggi pomeriggio... in poche parole , è dalle due e mezza che sono attaccata a questo diavolo di computer per finire il capitolo !
Ce l'ho messa tutta perchè , ora che ricomincia l'inferno ( più comunemente chiamato " scuola " ) , non so se avrò ancora tempo di scrivere , anche perchè fra una settimana comincio lo stage in agenzia viaggi ( che durerà due settimane ) , poi sarò tre giorni a sciare con la scuola , in più dal 6 di Febbraio al 12 sarò a Sivilla sempre con la classe e quindi mi sa che non vedrete più uno straccio di capitolo per molto tempo !
Ho preferito avvertirvi con anticipo per non ricevere i vostri insulti più avanti >.<"
Io , comunque , cercherò di fare il possibile per trovare il tempo anche per questa FF !
Detto questo , penso proprio che posso lasciarvi in pace xP
Buona lettura ragazze ! E grazie a chi recensisce e continua a seguire questo mio piccolo sogno ad occhi aperti :)
Un bacio , GretaTK


Capitolo 9, Amore e Morte.

Il suono del campanello di casa arrivò ovattato alle sue orecchie.
Era rinchiusa in camera sua, al piano di sopra, a fare i compiti delle vacanze. O almeno, ci provava a concentrarsi sul libro di inglese, ma proprio non riusciva a leggere una frase senza distrarsi.
Sbuffò esasperata, scivolando sulla sedia girevole, chiudendo poi il libro.
Tanto era tutto inutile. La sua mente era proiettata sulle sue due amiche del cuore, chiedendosi come stavano, se la loro madre le aveva già rintracciate, cosa stavano facendo in quell’istante…
Se erano felici.
-Anja, c’è una persona che vuole vederti!-.
Il cuore della ragazza perse un battito.
Una persona che voleva vederla?
Nella sua mente, la prima immagine che venne a galla furono un paio di occhi scuri e gelidi e un ghigno malefico.
Poi però si fermò a ragionare: se fosse stata la Signora Keller sua madre non l’avrebbe chiamata con tono così calmo e sereno.
Anzi, nemmeno le avrebbe permesso di mettere la sua sottile appendice nasale oltre la soglia di casa.
No, non poteva essere lei. Ma allora chi? Anja non riusciva a pensare a nessuno in particolare.
-Arrivo!- urlò rivolta alla madre, indossando un paio di ciabatte per poi dirigersi verso il piano di sotto.
Quando arrivò agli ultimi gradini, alzò lo sguardo, fondendo le sue iridi verde brillante con due castane screziate di verde.
I lunghi capelli castano chiari erano un po’ scompigliati dal vento e, a causa delle sue gambe lunghe, doveva osservare la rossa dall’alto del suo quasi metro e ottanta.
-Christine, ciao- la salutò Anja, sorpresa e sollevata.
-Ciao Anja, come va?-
-Ehm… bene, grazie. Tu, invece?-
-Mhm, bene-.
Ci fu un attimo di pausa, poi Christine continuò.
-Senti, ti devo parlare di Lynet e Hanna-.
Il suo sguardo era fisso su Anja, e l’espressione del viso era ferma e seria.
Poteva però scorgere della preoccupazione attraverso le sue pupille dilatate.
-Non qui- rispose semplicemente la rossa, afferrando la ragazza per un polso e trascinandola su per le scale, diretta nuovamente nella sua stanza.
Appena entrarono, Anja lascò il braccio dell’amica e si affrettò a chiudere la porta e a tirare le tende.
Christine l’osservava preoccupata, non capendo il perché del dovere tapparsi in camera come se avessero dovuto organizzare una rapina.
O peggio, un omicidio.
-An, mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?- riuscì finalmente a sfiatare, spaventata dalla sua reazione esagerata.
Anja sospirò pesantemente, per poi voltarsi verso di lei ed osservarla con occhi stanchi e tristi.
-Siediti, Christine- le disse semplicemente, senza continuare finché l’amica non avesse fatto come le era stato detto.
-Ascoltami, io lo so che sei in ansia per Lynet e Hanna, ma devi stare attenta a fare certe domande alle persone giuste. Senti, lo so che non ci stai capendo niente, ma credo sia meglio per te che tu continui a non sapere nulla. Ne va della tua sicurezza, e di quella delle gemelle-.
Christine la fissò per qualche secondo in silenzio. I suoi occhi esprimevano confusione e incredulità.
-Ma che diavolo sta succedendo? Anja, ti prego, devi dirmi tutto quello che sai!-.
La implorò con lo sguardo, finché la rossa si lasciò convincere.
-D’accordo, ti dirò tutto quello che c’è da sapere. Ma ti avverto, nemmeno io so molto più di te-.
Anja prese la sedia girevole e la avvicinò al letto, ponendola di fronte all’amica, per poi cominciare.
-Le gemelle sono scappate di casa. Non ne potevano più della vita spenta che stavano conducendo a causa della madre. Naturalmente la Signora Keller ha capito tutto subito, e non ci ha messo molto a venire qui a farmi delle domande al riguardo. Io non le ho detto niente, figuriamoci! Ho fatto finta di non sapere nulla, ma lei sa che nascondo qualcosa. Il punto è che tutte le sere alle sette, quando finisco i compiti e tiro giù le tapparelle per andare a cena, vedo la sua auto posteggiata fuori dal mio vialetto, e lei che mi sorride dall’abitacolo, per poi andarsene via. Mi sta tenendo d’occhio, lo capisci? Osserva ogni mia mossa! E sono sicura che ogni tanto mi segue anche quando esco di casa… è disposta a tutto pur di ritrovarle, e non credo sia perché è preoccupata per loro-
-Ma cosa… insomma, non essere paranoica Anja! Mi sembra che tu stia leggermente esagerando-
-No Chris, ti prego, devi credermi! Loro se ne sono andate a causa sua! Le trattava come prigioniere, non potevano più restare qui!-
-Anche se fosse, dove se ne sono andate? Da qualche parente lontano? Non possono rimanere per strada, né tantomeno potersi permettere un motel, nemmeno il più squallido… prima o poi i soldi finiranno, e loro non lavorano. Come faranno?-
-Non lo so Christine, non lo so. Io non ho idea di dove si siano dirette! Non mi hanno detto nulla per non rischiare che mi sfuggisse qualcosa sul loro conto. Mi hanno solo avvertita con una lettera, dicendomi che se ne andavano da Francoforte e che avevano cambiato il numero di cellulare per non farsi rintracciare, tutto qui. Ne so poco più di te Chris, mi dispiace-
-Oddio, non ci posso credere!-
-Se vuoi leggere la lettera, ce l’ho ancora. La tengo nascosta nel doppio fondo del mio cassetto dei pigiami-.
Senza aspettare una risposta, la rossa si alzò dalla sedia per dirigersi verso l’armadio, aprendo il penultimo scompartimento e svuotarlo di ogni cosa, sollevando poi il fondo.
Christine si piegò verso di esso, cercando di vedere cosa c’era all’interno, e distinse un rettangolo bianco proprio nel centro.
Anja la estrasse, ponendola all’amica. Lei l’osservò quasi intimorita, come se avesse paura a leggerne il contenuto, per poi prenderla ed estrarla dalla busta.
 
Cara Anja,
entrambe ti scriviamo per avvisarti che ce ne andiamo via da qui, il più lontano possibile da Francoforte, da nostra madre.
Non riusciamo più a sopportare le sue severe restrizioni ed essere sempre tenute d’occhio ad ogni nostro insignificante gesto.
Dobbiamo scappare, è l’unica soluzione possibile con lei, perché parlarne sarebbe inutile.
Non ha un cuore, quella donna. Non l’ha mai avuto, nemmeno per noi, le sue due uniche figlie.
Non possiamo dirti altro, An. Ci dispiace tanto tenerti all’oscuro di tutto, ma è meglio per te e per noi se tu non sai dove siamo dirette.
Sappi solo che staremo bene, almeno finché Karoline non ci troverà.
Saremo al sicuro, non temere.
Abbiamo cambiato numero di cellulare per non farci rintracciare da nessuno: non vogliamo rischiare, però a te dobbiamo lasciarlo per forza. Lo so che ti chiediamo una cosa troppo grande Anja, ma devi aiutarci. Solo tu puoi farlo. Devi tenerci informate su quello che succede qui a Francoforte mentre noi siamo via, e soprattutto avvertirci se noti qualcosa di strano riguardo nostra madre.
Noi però non potremo mai risponderti o chiederti niente: sarebbe troppo pericoloso.
Ad ogni messaggio che ci invii ricordati poi di cancellarlo immediatamente.
Ci dispiace tanto di averti messa in mezzo, ma sei la nostra unica speranza.
Ti vogliamo bene Anja, e stai tranquilla, andrà tutto bene.
Ti abbracciamo forte, H&L.
Ps: Christine e Nora non sanno niente di niente, e ti chiediamo di non avvertirle di nulla finché non saranno direttamente loro a venire a cercarti per sapere se hai nostre notizie.
Mi raccomando, intima anche a loro il silenzio assoluto.
 
Terminato di leggere, Christine non riusciva più nemmeno emettere un suono.
Era troppo scioccata per poter credere a una cosa simile.
Hanna e Lynet scappate di casa? No, era tutto troppo strano, troppo spaventoso.
-Chris, lo so che sembra tutto uno scherzo di pessimo gusto, ma è la realtà. Ora sai anche tu quello che io conosco da tempo. Non ho detto niente né a te né a Nora solo perché me l’hanno chiesto loro, altrimenti vi avrei avvertite subito. Ma ora tu sei venuta a chiedermi se sapevo qualcosa, e ti ho accontentata come loro volevano. Adesso lo so che ti sembra tutto irreale, ma devi capire che non puoi assolutamente dire niente di niente a nessuno, tantomeno a Nora se non è lei direttamente che te lo domanda, ma solo a Nora, sono stata chiara?-.
Christine si limitò a scuotere velocemente la testa in segno d’assenso, senza aprire bocca.
-Bene, sono contenta che tu sia venuta da me finalmente. Ora non dovrò più sentirmi in colpa di averti tenuta nascosta una cosa simile-.
La castana alzò lo sguardo puntandolo su di lei, per poi sorriderle appena.
-Sei un’amica fantastica, Anja, ed ora ho capito perché le gemelle l’hanno detto proprio a te. Sei una persona leale e di parola, ed entrambe sapevano che avresti fatto come loro ti avevano chiesto. Io, conoscendomi, sarei impazzita a una notizia del genere, e Nora avrebbe fatto di peggio!-.
Entrambe si misero a ridere con leggerezza, come se tutto quello che fosse appena successo non fosse mai esistito, come se tutto non fosse mai cambiato.
Come se tutto procedesse nel migliore dei modi.
 

[ *** ]

 
Le gemelle stavano sognando tranquille e beate quando, come al solito, la suoneria di un cellulare penetrò con violenza nei loro sogni, svegliando di soprassalto Lynet e con lentezza Hanna.
-Pronto?- domandò la mora con voce spenta, sdraiandosi nuovamente sul comodo materasso tenendo le palpebre rigorosamente abbassate.
-Ciao tesoro, sono papà. È ora di alzarvi!-
-Come? Che, che ore sono?- chiese un tantino spaesata la ragazza, guardandosi intorno come se avesse potuto trovare un punto di riferimento utile per rimettere in sesto il suo senso dell’orientamento.
-Sono le otto signorina, e fra un’ora dovete raggiungere me e parte della crew in un negozio di musica in centro per la Signing Session, quindi massimo per venti alle nove dovete essere pronte! Sono stato chiaro?-
-Sì, papà, però non credi sia un tantino pericoloso che io e Hanna stiamo lì con voi? Insomma, ci saranno un sacco di giornalisti e fan che riprenderanno tutto, non possiamo permetterci di essere viste-
-Hai ragione bambina, non ci avevo pensato… allora, che facciamo?-
-O veniamo comunque però noi ci andiamo a fare un giro per il centro, oppure rimaniamo in hotel e ci rilassiamo fra massaggi e sauna qui in albergo… adesso sveglio Hanna e ne parliamo-
-D’accordo, ricordati di avvisarmi!-
-Certo. Ciao pà- rispose lei, riagganciando subito dopo.
La mora si voltò con uno scatto fulmineo verso la sorella che, a causa della sua immortale pigrizia tipica di un bradipo morto, aveva cambiato posizione per poi riaddormentarsi nuovamente.
-Hanna, forza, svegliati! Dobbiamo prepararci-.
Un mugolio sommesso le fece capire che la sorella l’aveva ascoltata, ma che avrebbe comunque fatto di testa sua.
-Oh Han, andiamo! Alza le tue chiappe da questo letto e vai subito a prepararti!-.
Altro verso soffocato ma nessun movimento.
Lynet sbuffò scocciata, levandosi di dosso il lenzuolo e uscendo dall’enorme letto matrimoniale.
-Senti, fai come vuoi, l’importante è che se devi fare tutto di fretta poi non urli dietro a me-.
La mora si diresse verso il bagno, dove si fece una doccia veloce senza capelli, si vestì e si truccò, sistemandosi un po’ i capelli scompigliati.
Erano le otto e mezza, ed entro dieci minuti dovevano partire, ed Hanna ancora non si era alzata.
-Hanna! Vuoi saltar fuori sì o no?! Guarda che fra dieci minuti dobbiamo andare!-.
Finalmente la bionda si voltò con la pancia verso l’alto, sollevandosi poi sui gomiti per osservare la gemella con un occhio chiuso e l’altro ancora non del tutto aperto.
-Andate voi- disse, passandosi una mano sul viso -Io me ne resto qui, sono troppo stanca-
-Ma come? Dai Hanna, almeno mi fai compagnia!-
-Non ho voglia geme, ti prego- rispose lei, ributtandosi a peso morto fra i morbidi cuscini di piuma.
-Ma mica stiamo nel negozio di dischi a guardare i ragazzi fare gli autografi alle fan! Noi ce ne andiamo in giro per negozi, che ne dici?- tentò di convincerla la mora.
-Ti dico che non ho voglia lo stesso- rispose secca Han, prendendo il cuscino della sorella e premerselo con forza sulla testa.
-Va bene, fai come vuoi- le disse scontrosa la mora, raccogliendo la sua borsa ed uscendo dalla camera senza aggiungere nient’altro.
Hanna, nel preciso momento in cui sentì la porta chiudersi, riportò la testa all’aria, osservando l’uscio sconsolata, per poi mettersi a fissare assente l’alto soffitto affrescato.
Le era dispiaciuto davvero da morire lasciare da sola Lynet, ma lei, al contrario della mora, quella notte non era riuscita a chiudere occhio.
Tutta colpa del suo cuore impazzito.
Per tutta la notte il suo battito non aveva accennato a calmarsi, provocandole uno strano senso d’ansia che l’aveva tenuta sveglia per tutta la notte.
Non riusciva proprio a capire cosa cavolo le era preso, ed ora sentiva l’estremo bisogno di starsene completamente sola.
Doveva calmarsi, e soprattutto rilassarsi.
Provò a chiudere nuovamente gli occhi, ma l’effetto non fu affatto quello desiderato.
Anzi, la sua mente sembrò quasi essersi alleata contro di lei dato che, ogni volta che abbassava le palpebre, le proiettava un volto dagli occhi profondi come l’oceano, mettendole l’anima in tumulto.
Ringhiò esasperata, alzandosi di scatto dal letto e cominciando a camminare avanti e indietro.
Cosa significava tutto quello? Cosa le stava succedendo?
Strizzò gli occhi stizzita, trovando, in quel buio infinito, lo stesso viso che la tormentava ormai da un’intera notte.
Li riaprì di scatto, sbuffando esasperata.
Perché non la lasciava in pace almeno per qualche insignificante minuto?
Insomma, che cavolo voleva Tom da lei?
O, forse, la domanda più giusta da porsi era: che cosa voleva Hanna da lui?
 

[ *** ]

 
Quando Lynet sbucò nella hall dell’hotel, i ragazzi si voltarono immediatamente verso di lei, osservandola avvicinarsi un po’ perplessi.
Nessuno di loro ebbe il coraggio di chiederle dove fosse Hanna, dato che il viso rabbuiato della ragazza faceva presagire che ci fosse stato un litigio fra le due.
-Allora, possiamo andare?- domandò cautamente Bill, guardandola con interesse.
Stava cercando di incrociare il suo sguardo per leggere in fondo a quelle iridi per lui semplicemente fantastiche, ma lei non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
In realtà non guardò nessuno di loro.
-Certo-.
Il tono secco ma privo di tono fece intuire a tutti i presenti che l’”argomento Hanna” era decisamente off limits.
Dopo che la band si fu alzata dalle comode poltroncine in velluto, Lyn li seguì con la testa bassa e un’espressione affranta sul volto.
Tom guardò un’ultima volta le scale e l’ascensore prima di prendere coraggio e raggiungere la ragazza in fondo al gruppo.
-Ehi-.
A quel richiamo, Lynet sobbalzò per la sorpresa. Era talmente fuori dal mondo in quel momento che non si era nemmeno accorta che il chitarrista l’aveva affiancata.
Lei gli fece un debole cenno del capo, per poi portare nuovamente lo sguardo al pavimento.
-Tutto bene?-.
Bravo idiota, bella domanda di merda!, pensò Tom, schiaffandosi mentalmente una mano sulla fronte.
-Ehm, sì- rispose Lyn, ricevendo uno sguardo scettico dal ragazzo coi vestiti over-size.
La mora sospirò, sapendo che con lui era inutile mentire, tanto sarebbe comunque riuscito a estrapolarti la verità con qualsiasi mezzo. Buono o cattivo stava a lei deciderlo.
-Non proprio- disse poi, cambiando la sua precedente affermazione.
-Non voglio sapere cosa è successo fra te e Hanna, non sono affari miei, però, beh, se lei non è venuta deve essere qualcosa di grave-.
La ragazza, per la prima volta in quegli ultimi dieci minuti, puntò le pupille proprio in quelle del chitarrista, che la osservava con una punta d’apprensione nelle iridi ambrate, ora di quel colore dorato a causa della luce del sole che le colpiva direttamente.
Lynet sorrise dolcemente e con un pizzico di malizia, capendo il reale motivo per il quale lui era andato a parlarle.
Voleva semplicemente sapere se Hanna sarebbe davvero rimasta in hotel o se li avrebbe raggiunti di lì a poco.
-Hanna non verrà con noi stamattina, Tom-.
Lui, decisamente preso alla sprovvista, spalancò gli occhi per la sorpresa, portandosi poi, alla velocità della luce, il braccio destro dietro la nuca con fare imbarazzato.
-Io, ehm, non era questo che volevo…- tentò di giustificarsi lui, ma la mora lo bloccò.
-Tom, vedo come guardi mia sorella quando pensi che gli altri non ti vedono. Conosco bene quegli sguardi-.
La ragazza si zittì per un momento, ed un bagliore di tristezza attraversò il castano scuro dei suoi occhi. Portò lo sguardo di fronte a sé, puntandolo sul cantante.
-E’ lo stesso sguardo che ha Bill quando, durante i concerti, guarda le milioni di fan sotto di lui-
-E’ vero- affermò il chitarrista, facendo poi spuntare un sorrisetto sghembo sul volto -Ed è anche lo stesso che rivolge a te quando pensa che gli altri non lo vedono-.
Lynet voltò di scatto la testa verso il ragazzo al suo fianco, che ora l’osservava con dolcezza.
-Sarà il nostro segreto- disse lui semplicemente, allungandole la mano destra, aspettando che lei la stringesse, come se quel gesto potesse vincolarli a vita a quella promessa.
Lei esitò un attimo, per poi sorridere e ricambiare la stretta.
Fatto questo, il chitarrista le passò un braccio attorno alle spalle, mentre Lynet fece lo stesso col suo fianco.
Si guardarono, e risero piano fra loro.
Chiunque, guardandoli, avrebbe potuto capire che quelle strette e quei sorrisi non erano altro che espressioni d’affetto per un amico, ma, l’unica persona che proprio in quel momento li stava fissando da un furgoncino dai vetri oscurati, pensò al peggio.
I suoi occhi nocciola si fecero duri ed inespressivi, e le nocche gli diventarono bianche da quanto forte stringeva i pugni.
Ma, in fondo, si sa che la gelosia è in grado di farci vedere o sentire ciò che nemmeno esiste.
È proprio una brutta bestia, non trovate?
 

[ *** ]

 
La Signing Session era finita, fortunatamente.
Bill era stato scontroso per tutta la mattinata, soprattutto con Tom.
Anzi, non era nemmeno scontroso con lui, semplicemente lo ignorava.
Il chitarrista aveva capito subito che qualcosa non andava, sin da quando aveva messo piede sul furgoncino.
Il gemello era stato zitto tutto il viaggio - cosa decisamente preoccupante sapendo quanto lui sia logorroico in realtà - voltato verso il finestrino, osservando assente ciò che si susseguiva velocemente di fronte a lui.
Poi, nel negozio di dischi, sorrideva solo quando parlava alle fan e hai giornalisti anche se, quei sorrisi plastici ma molto convincenti, non raggiungevano mai i suoi occhi.
E Tom, di questo, se ne era accorto immediatamente.
Insomma, avevano condiviso ogni singolo istante, sin da prima di uscire dall’utero della madre, come avrebbe potuto non capirlo così bene?
Fatto sta che dopo un po’ anche gli altri ragazzi avevano notato che il front man aveva qualcosa che non andava, ma come al solito fecero finta di niente, sapendo che era meglio lasciarlo stare, altrimenti sarebbe stato in grado di fare una delle sue scenate assurde di fronte a tutti, e non era proprio il caso.
Il ritorno fu anche peggio, dato che ora tutti percepivano quell’opprimente tensione che il cantante stava ancora emanando, facendola aleggiare nell’abitacolo del veicolo.
Persino Lynet, dapprima euforica per gli acquisti fatti in centro con Tobias, aveva perso tutta la sua voglia di ridere appena era salita sul furgoncino.
Arrivati in hotel, il bodyguard che aveva accompagnato la ragazza per negozi, si offrì spontaneamente di portarle le buste in camera, con grande gratitudine di lei.
Era affamata, come tutti gli altri del resto.
Mentre la band, Lynet e la crew prendeva posto alla loro enorme tavolata, David pensò di andare a vedere se Hanna stesse ancora dormendo.
-No!- aveva bruscamente affermato Lyn, pentendosi subito dopo della sua reazione.
-Ehm, cioè… stamattina mi aveva esplicitamente detto di non chiamarla per il pranzo, e che se le fosse venuta fame sarebbe scesa- tentò di riparare al danno, anche se suo padre continuò a guardarla con sospetto.
-C’è qualcosa che non so, per caso?- domandò lui, fissandola con fare intimidatorio.
-No, no… assolutamente!-
-Lynet, dov’è Hanna?-
-Nella sua stanza! Che c’è, non ci credi?-
-Beh, mi sembri… strana. Non è che ha deciso di fare qualcosa a mia insaputa e tu la stai coprendo?-
-Ma papà, che diamine stai…-.
La mora non terminò mai la frase, poiché la gemella fece il suo ingresso nella sala da pranzo.
Camminava con lo sguardo puntato in terra, facendo così che i capelli le coprissero leggermente il volto.
A Tom si mozzò il fiato quando lei alzò il viso e fuse le iridi chiare con le sue.
Per Hanna non fu diverso e quindi, da brava fobica dell’amore qual era, interruppe immediatamente quel contatto visivo col chitarrista.
-Ciao a tutti- salutò, con un sorrisetto per niente convincente.
-Ehi Han! Stai meglio?- le chiese apprensivo David, precipitandosi subito a toccarle la fronte.
-Oh papà, sto bene!- lo ammonì lei decisamente imbarazzata, prendendo posto fra Natalie e Lynet.
-Non devi sentirti in imbarazzo, sciocca- le disse Nat, sorridendole con dolcezza -Dave voleva solo accertarsi che stavi bene-
-Si, lo so, ma non ho più cinque anni, non serve che venga a controllare se ho la fronte calda o meno-
-Tesoro mio, se c’è una cosa che mi sento in diritto di dirti, essendo madre, è che anche quando avrai trent’anni, sarai sposata ed avrai dei figli tuoi, tu per lui sarai sempre la sua bambina-.
La donna le sorrise incoraggiante, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro.
Dal canto suo, Han non riuscì proprio a non ricambiare quel sorriso, ritrovando un po’ di quel buonumore che le sembrava di aver perso per sempre.
Proprio in quel momento, i camerieri portarono a tavola i piatti ordinati dai singoli individui, ed un fragore di forchette e bicchieri echeggiò per la grande sala, piena per metà.
Per tutta la durata del pranzo le persone parlarono, scherzarono e risero.
Tutte tranne due.
Bill e Hanna non avevano sollevato lo sguardo dal piatto nemmeno per un secondo, e nemmeno ne avevano toccato il contenuto.
La pasta al pomodoro di Bill e la tagliata con contorno di verdure miste di Han erano rimaste immutate nel corso del pranzo.
Quando tutti ebbero finito, ognuno si diresse svelto verso la propria camera per riposarsi un po’ prima di dirigersi verso lo studio televisivo di un programma musicale pomeridiano del luogo, molto seguito dai giovani. Si può dire che fosse un po’ come un’MTV della Malesia.
-Ragazzi, che ne dite se venite tutti nella mia camera e facciamo qualcosa prima del talk show?- propose raggiante Gustav, sperando così di far tornare il sorriso ai due amici.
-Per me va bene- rispose per primo Georg, come suo solito.
-Anche per me- affermò Lynet, cercando di fingere al meglio un sorriso spensierato.
-Io passo- disse Tom, attirando subito gli sguardi stupiti di tutti i presenti.
-Come passi? Oh dai Tom, anche ieri sera non sei stato con noi!- si lamentò il bassista, cercando di convincere il moro.
-Ci verrei volentieri ragazzi, è che mi è venuta un’idea improvvisa per una canzone e non voglio rischiare di dimenticarla-
-Ma che palle che sei!- sbottò sempre il castano -Insomma, tu oltre alla musica e al sesso non pensi proprio a nient’altro?-.
Tom, prima di rispondere, lanciò uno sguardo furtivo ad Hanna, cercando di captarne la reazione.
Con la coda dell’occhio, la vide puntare la sua attenzione su Georg per non più di due secondi, per poi riabbassare fulmineamente lo sguardo a terra, con espressione delusa e… ferita? Era forse dolore quell’ombra fredda e scura che aveva preso posto sul suo volto?
-A quanto pare- rispose atono il chitarrista, lasciando la frase un po’ nel vago.
Odiava profondamente quando uno dei suoi migliori amici non lo capisse, preferendo fermarsi all’apparenza senza voler andare a fondo in ciò che lui era veramente.
Non lo sopportava proprio, perché era una cosa che facevano tutti, partendo dai giornalisti, passando alle fan, e finendo con lo staff.
Ma i suoi migliori amici non erano tutti, giusto?
E allora perché, certe volte, anche loro si ostinavano a non capirlo?
Perché, in certi momenti, sembravano pensare che lui fosse superficiale e vuoto, nonostante sapessero perfettamente che non era così?
A volte si sentiva così solo, soprattutto in momenti come quello, dove suo fratello nemmeno gli rivolgeva la parola e non sapeva neanche il perché.
Gustav si schiarì la gola, tentando di interrompere quel silenzio pieno di parole senza voce, ma comunque percepibili con tutti e cinque i sensi.
-Tu invece Bill, che vuoi fare?- si rivolse al moro, che alzò, con fare svogliato, il volto per guardarlo.
-Sono un po’ stanco, preferisco riposare un po’-.
Rispose con così tanta schiettezza che, per un momento, sembrò che la temperatura nell’ascensore si fosse precipitosamente abbassata di almeno venti gradi.
-Ok. Ehm, Hanna?-
-Anche io preferisco andare in camera mia. Sto leggendo un libro davvero interessante e voglio assolutamente sapere come andrà a finire-.
Sorrise appena, fingendo quasi perfettamente.
Quasi però, perché a qualcuno non sfuggì di certo la falsità di quel gesto.
-Bugiarda-.
La bionda portò immediatamente lo sguardo su sua sorella, che la ricambiava decisamente paonazza dalla rabbia.
-Come scusa?- le domandò incredula Han, non riuscendo proprio a credere che sua sorella le avesse parlato con quel tono così distaccato e gelido.
Non si era mai sentita così lontana da sua sorella, nonostante ci fossero a malapena trenta centimetri a separarle.
-Hai capito benissimo. Sei solo una bugiarda-.
A quelle parole, la bionda esplose.
-Dio, ma si può sapere che hai oggi? Solo perché non ti ho accompagnata in quegli stupidi negozi per fare dell’ancor più stupido shopping!-
-Non è per quello, Han! E comunque quella che dovrebbe chiederti che cavolo hai sono io! Si può sapere che diavolo ti passa per quella testa in questi giorni? Non ti riconosco più!-
-Ah, tu non mi riconosci più?! Ed io che dovrei dire, che tu al posto di starmi vicina e capire che cos’ho te ne freghi e fai finta di niente?! Qui, quella dalla parte del torto, sei solo tu, Lynet!-.
Quell’improvviso silenzio carico di tensione venne interrotto unicamente dal suono metallico che produsse l’ascensore appena si fermò al loro piano.
La prima ad uscire da lì fu proprio la bionda, che con passo svelto e pesante si diresse verso la loro stanza, mentre Lynet era ancora bloccata in ascensore, con le lacrime agli occhi.
Nessuno osò dire nulla, ed in silenzio raggiunsero ognuno le rispettive camere mentre, prima di varcare la soglia, la bionda si voltò bruscamente verso la gemella, ancora in fondo al corridoio.
-Sai, è la prima volta in vita mia che penso a quanta poca differenza ci sia ad avere una sorella o meno-.
E, detto questo, entrò in camera sbattendo con violenza la porta.
Tutti gli occhi dei presenti si posarono preoccupati sulla mora, mentre la quiete di quel corridoio veniva interrotta dai singhiozzi sommessi della ragazza.
 

[ *** ]

 
La sua camera pareva il campo di battaglia di una guerra fra vestiti d’ogni genere, giochi della playstation e riviste di strumenti musicali.
Il suo enorme letto a baldacchino, rifatto quella stessa mattina da una delle cameriere, era stato nuovamente disfatto da lui stesso, mentre il copriletto era ormai completamente sommerso da fogli accartocciati e non, contenenti note che formavano melodie del tutto differenti.
Tom era seduto a gambe incrociate proprio in mezzo a quella miriade di spartiti, con una chitarra sulle gambe, un plettro fra le labbra e una matita tra le mani.
Osservava dubbioso la sua stessa musica, aggiungendo note e togliendone altre.
Finito di ritoccare, abbandonò la matita sul foglio e provò a tramutare quei segni in melodia.
Arrivò fin quasi alla fine del pezzo, prima di bloccarsi nuovamente.
C’era qualcosa che non gli piaceva lì in fondo.
Non capiva precisamente cosa, ma le ultime dieci note non gli piacevano per niente.
Sembravano stonare con tutto il resto della canzone.
Stette per ricancellarle, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Sbuffando esasperato, appoggiò con delicatezza la sua chitarra sul materasso, tentando di scendere dal letto senza far volare fogli ovunque sul pavimento.
Non che avesse fatto molta differenza, dato che la stanza era un vero e proprio disastro, però gli serviva tenerli tutti attorno a sé, per ricontrollarle e riprovarle finché non fossero state perfette.
-Arrivo!- urlò poi in direzione della porta, mentre tentava di raggiungerla senza inciampare nei suoi stessi vestiti.
Sarà qualche vecchietta rompipalle o qualche zitella acida che mi intimerà al silenzio, minacciandomi di farmi buttare fuori dall’hotel se non la smetto subito di suonare quell’”aggeggio infernale”, pensò scocciato e già pronto per ricevere la ramanzina.
Quando aprì la porta, però, non vide né nonnette rugose e mezze orbe pronte a picchiarlo con la loro borsetta di cuoio, né tantomeno bruttone incallite che gli puntavano contro, intimidatorie, un indice accusatore.
Tutto ciò che vide fu una massa di capelli folti e color dell’oro, ed un paio di occhi talmente straordinari da potercisi perdere all’infinito.
Per un primo momento rimase talmente incantato da quelle iridi grigio-verdi, che non si accorse di quante lacrime, quegli stessi splendidi occhi, avevano espulso, e che ancora continuavano a produrre.
-Hanna, che cosa c’è?- le domandò sinceramente preoccupato lui, non avendo idea di cosa fare.
Ma, a quel problema, fu lei a trovare soluzione, dato che, senza dire nulla, gli si avvicinò e gli mise le braccia attorno al collo, stringendolo come se fosse il suo unico appoggio stabile in mezzo alla tempesta.
Lui, preso alla sprovvista, rimase qualche secondo immobile, per poi riprendersi e ricambiare con fervore.
-Dai, vieni dentro-.
Lei, a quelle parole, si diede una leggera spinta e gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi, facendosi portare all’interno della stanza in braccio.
Il cuore del ragazzo perse un battito, per poi cominciare a battere all’impazzata.
Decise di fare finta di nulla e, con non poca difficoltà, si fece spazio fra la miriade di cose sparse per terra dirigendosi verso il divanetto del piccolo salottino, sedendosi sopra di esso tenendo la ragazza sulle gambe, mentre singhiozzava ancora sulla sua spalla.
-Ehi, piccola- le sussurrò, carezzandole dolcemente i capelli -Han, guardami- provò a convincerla lui, senza alcun risultato.
-Hanna- riprovò, con tono più deciso ma comunque dolcissimo.
Finalmente la bionda si allontanò dalla sua spalla, continuando però a singhiozzare e senza osare incrociare gli occhi del ragazzo sul quale era seduta a gambe divaricate.
-Ehi bellissima, che ti prende?- le domandò lui, prendendole il viso con entrambe le mani ed asciugandole le lacrime con i pollici.
-Io…- tentò di cominciare, ma una nuova ondata di dolore la sovrastò.
Si coprì il viso con le mani, lasciandosi andare in un pianto disperato.
-Hanna ti prego, non riesco a vederti così. Dimmi cos’hai, ti prego-.
Vedendo che la bionda non riusciva proprio a parlare, decise di aiutarla.
-Riguarda Lynet, non è vero?-.
La ragazza affermò col capo, guardandolo negli occhi.
-E’ per la discussione che avete avuto sull’ascensore o è successo qualcos’altro?-.
Lei scosse il capo come a voler negare la seconda parte della domanda.
-Ok, volevo solo sapere questo. Ora calmati, e quando sarai pronta io sono qui, disposto ad ascoltarti, anche per ore se necessario, d’accordo?-.
Hanna spostava velocemente lo sguardo da un suo occhio a un altro, sorridendogli grata.
Poi, improvvisamente, qualcosa dentro di lei scattò, ed il suo sguardo cominciò ad osservare anche le sue labbra, dall’aspetto così morbido e caldo.
Talmente invitanti da non poter resistere, non più.
Cominciò ad avvicinarcisi molto lentamente, guardandolo, ogni tanto, anche negli occhi, come se fosse in attesa di un suo rifiuto.
Quest’ultimo, però, non arrivava mai e, con sua grande gioia, notò che anche lui si stava avvicinando cautamente alle sue labbra, spostando le pupille dalla sua bocca alle sue iridi.
Erano così vicini che i loro respiri si incontravano a mezz’aria, mischiandosi, e scontrandosi sul viso dell’altro.
Entrambi ormai fremevano dalla voglia di congiungersi in quel bacio così disperatamente voluto ed atteso da tanti anni.
Mancava un solo centimetro, e poi si sarebbero toccati.
Una distanza così piccola, ma di così grande importanza.
Entrambi sapevano che, se fossero andati fino in fondo, tutto fra loro sarebbe cambiato.
Il modo di guardarsi, il modo di pensarsi, il modo di desiderarsi.
Semplicemente, il modo di volersi bene.
Ed entrambi ne erano spaventati a morte, ma quella strana attrazione magnetica che aleggiava intorno a loro li spingeva sempre di più ad avvicinarsi l’uno all’altra.
E non solo fisicamente. Quel contatto li avrebbe portati a toccarsi anche con l’anima.
E forse, proprio perché molte volte i sentimenti prevalgono sulla ragione, nessuno dei due si tirò indietro, continuando imperterriti a desiderarsi.
E finalmente, dopo un attimo che sembrò durare svariati minuti, ore, addirittura giorni, quella pungente agonia che li tormentava ormai da tempo si placò, morendo nello stesso istante in cui le loro bocche si erano poggiate l’una contro l’altra.
Un calore improvviso li pervase, partendo dal loro punto d’incontro.
Una serenità infinita si fece spazio nel loro cuore e, quando si staccarono, con loro grande stupore, quell’incredibile sensazione non li abbandonò, bensì si modificò, diventando più forte e irresistibile.
La stessa sensazione di quando sei vicinissimo ad una cosa che vuoi con tutto te stesso e sai di poterla avere.
Era come se già si mancassero ma, nello stesso istante, avevano la certezza di potersi riavere di nuovo.
Ancora, ancora e ancora.
E soprattutto, ogni volta che ne avrebbero sentito il bisogno.
Lui le sorrise appena, mentre lei lo osservava ancora estasiata, come incantata dalla perfezione assoluta di quel viso meraviglioso.
Tom, non avendo più la forza di trattenersi, le prese la nuca fra le mani, e l’attirò nuovamente a sé, unendoli nuovamente.
Questa volta, però, nessuno dei due ebbe la forza di allontanarsi di nuovo e, senza troppa fretta, schiusero le loro labbra per avere un contatto più profondo.
La lingua di Tom le bagnò il labbro superiore, mentre lei gli morse con delicatezza quello inferiore.
I loro respiri erano già affannati dall’emozione e, non potendo più aspettare, si insinuarono l’uno nella bocca dell’altra, dando il via ad un bacio appassionato, ma comunque non privo d’affetto.
Col passare dei secondi, quel bacio diventava sempre più profondo e passionale.
Le mani di lui scesero sui fianchi di Hanna, mentre lei si avvicinava maggiormente al busto di lui, premendo il petto contro quello di Tom.
Le dita di quest’ultimo cominciarono ad accarezzarla lentamente, insinuandosi poi, con estrema calma, sotto la magliettina leggera della ragazza, sfiorandole la pelle della schiena con i polpastrelli ruvidi.
Han ebbe un fremito di intenso piacere, ed il cuore le cadde del tutto in fondo ai piedi.
Si sentiva come se avesse finalmente imparato a volare, ma qualcosa la teneva con i piedi ben piantati a terra.
Dentro di lei sentiva le ali della sua anima sbattere con tutta la forza che avevano, senza però riuscire a sollevarsi di un solo millimetro.
Sentiva come delle spesse manette alle caviglie che non le permettevano di allontanarsi da lì.
Paura.
Ecco cos’era quella sensazione di pesantezza in mezzo a quel nulla senza gravità.
Quello che stavano facendo era un errore.
Con uno scatto, lei si staccò malamente da lui e, ancora col fiatone, diede voce ai suoi pensieri.
-Tutto questo è sbagliato-
-Come?- domandò stupito lui -Si può sapere cosa stai dicendo?-
-Noi… noi non possiamo, Tom-
-Non possiamo? Ma se è appena successo!-
-Appunto. Non doveva accadere-.
Il ragazzo la fissò, deluso ed arrabbiato, con la fonte aggrottata nel tentativo di capire il perché delle sue parole.
-Mi dici cosa ti è saltato in mente? Come puoi dire che tutto questo è sbagliato quando io, invece, per la prima volta nella mia vita mi sento così giusto?-.
Hanna sapeva che per convincerlo avrebbe dovuto usare parole dure e crudeli.
Doveva ferirlo.
Con uno sforzo disumano, la ragazza prese un respiro profondo e tentò con tutta sé stessa di non lasciar trapelare nemmeno l’ombra di un’emozione dal viso.
-Evidentemente non la pensiamo allo stesso modo-.
Hanna si alzò velocemente dalle sue gambe, dirigendosi il più in fretta possibile verso la porta.
Raggiunto l’uscio, lei si girò, incontrando subito lo sguardo distaccato ma sofferente del chitarrista.
-Mi dispiace tanto- disse, prima di catapultarsi fuori dalla stanza e scoppiare in un pianto disperato, correndo verso la sua camera senza mai voltarsi indietro.
Intanto, Tom era rimasto immobile su quel divano, nella stessa posizione, con gli occhi ancora inchiodati alla porta.
-Dispiace anche a me-.
E, con suo grande stupore, la vista cominciò ad annebbiarglisi, mentre una lacrima gli rigava già il volto.
 

 

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Capitolo 11
*** 10. Non sono niente senza di te. ***


Eccomi ritornata care ALIENS!
Mi dispiace enormemente per il disastroso ritardo, ma in questo periodo gli impegni scolastici e non, non mi hanno lasciata un attimo di tempo libero per scrivere un altro capitolo! E finalmente eccolo qua, finito proprio oggi solo per voi! :D
Vi avverto che l'ho riletto velocemente, e che quindi potrebbero esserci degli errori... se così fosse, scusatemi!
Sapete, avrei potuto farlo più lungo perchè oggi sono particolarmente ispirata, ma volevo lasciarvi un pò di suspance, altrimenti svelarvi tutto subito non è divertente v.v
Beh, spero apprezziate anche questo capitolo! Mi raccomando, lasciatemi qualche commento, anche corto, basta che so che seguite volentieri la mia storia! E' molto importante per me leggere le vostre recensioni, perchè mi fanno capire se sto procedendo bene o se devo modificare qualcosa...
Detto questo vi lascio tranquille alla vostra lettura!
Alla prossima ragazze! E non smettete mai di amare quei quattro ragazzi, che è anche grazie a loro se noi ora siamo quello che siamo :)

 

Un caloroso abbraccio a tutte voi,
vostra GretaTK.



 

Capitolo 10, Non sono niente senza di te.
Quella notte il chitarrista non riusciva proprio a chiudere occhio.
Troppe ansie tutte assieme, e troppo improvvise.
Il rigoroso - e misterioso - silenzio da parte del fratello, il bacio con Hanna, la sua fuga senza senso, e l’imminente concerto della sera successiva.
Tutto sembrava remare contro di lui senza il minimo ritegno, e soprattutto senza sosta.
Sbuffando, si mise a sedere, premendosi il pollice e l’indice sulle palpebre chiuse.
Si alzò con uno scatto e, con passo lento, si avvicinò alla sua adorata chitarra.
La prese in mano, poi osservò per un attimo gli spartiti sui quali aveva lavorato quello stesso pomeriggio e, come se qualcosa dentro di lui lo stesse guidando, prese il primo in alto insieme ad una matita.
Raggiunto il divano, si posizionò la chitarra sulle gambe, cominciando a suonare il primo pezzo della canzone. Arrivato alla fine si bloccò, scrutando torvo quelle ultime note che non gli andavano per niente a genio, e le cancellò sicuro, cominciando a scrivercene sopra altre.
Pian piano, la parte finale della canzone prese vita e, suonandola, capì che ora era semplicemente perfetta.
Si meravigliò di sé stesso, per essere riuscito a rendere quella musica migliore di quello che avrebbe mai potuto sperare, ma soprattutto si stupì di ciò che l’aveva ispirato così bene: Hanna.
A quel pensiero, Tom smise di sfiorare le corde dello strumento, e sospirò afflitto, poggiando la testa sullo schienale del divanetto, tenendo lo sguardo puntato in alto.
In quegli istanti, che sembrarono durare un’infinità, il ragazzo si chiese come avesse potuto lasciarsi prendere così tanto da quella ragazza.
Insomma, diciamocela tutta: di donne come lei, avrebbe potuto averne a bizzeffe.
Ed anche decisamente più disponibili.
Una dolorosa fitta gli trapassò il cuore quando, la sua mente, elaborò quelle parole.
Come poteva pensare quelle cose nei confronti di Hanna?
Dopotutto, le voleva bene. L’aveva sempre fatto, e non aveva mai smesso.
Nemmeno adesso, che lei l’aveva illuso per poi andarsene senza alcun motivo preciso, senza alcuna scusa plausibile, senza alcuna risposta sincera.
Sai che ti dico, ragazzo mio?, pensò nuovamente, Lascia perdere quella, non hai alcun bisogno di lei. Torna in te, dannazione! Dov’è finito quell’impeccabile conquistatore che poteva farle tutte sue con un semplice schiocco delle dita? Dov’è finito il famigerato Sexgott in grado di far provare a tutte quelle donne un piacere come mai nessuno è stato in grado di dargli? Fidati, l’amore è solo una gran seccatura.
Un sorriso beffardo gli storse le labbra, inondando così i suoi occhi castani di una luce sadica, da predatore.
Spostò la chitarra dalle gambe, alzandosi per dirigersi verso l’alta portafinestra che dava sull’enorme terrazza della sua stanza.
Osservò l’orizzonte, scorgendo una miriade di luci, insegne pubblicitarie e lampioni che, andando avanti, sembravano come congiungersi in un unico elemento, creando una fitta rete luminosa.
Purtroppo, a causa di tutto quell’inquinamento luminoso, non era possibile osservare il cielo notturno, sicuramente meraviglioso a causa delle miliardi di stelle che lo occupavano, come tanti diamanti splendenti incastonati nel soffitto di una grotta buia e profonda.
Tu non sei nato per amare, ricordi? Tu sei fatto per goderti la vita così come viene, senza la presenza di alcun legame a tenerti incatenato ad un’esistenza spenta e monotona.
Un altro sorriso beffardo prese posto sul suo volto, ora illuminato dalla pallida aura della luna.
Il suo cuore, però, non rise affatto.
Era diventato talmente bravo a sovrastare i sentimenti con la ragione che nemmeno se ne rese conto.
 
[ *** ]
 
Di fonte a sé lo specchio rifletteva il suo viso dalla pelle pallida e tirata, resa un po’ più colorita a causa delle occhiaie violacee sotto agli occhi nocciola, del tutto simili a quelli del fratello.
Il petto nudo si alzava ed abbassava al ritmo dei suoi respiri lenti e regolari, e la sua mente vagava in mondi lontani. Non si accorse nemmeno che il vetro dello specchio si stava appannando, segno che l’acqua della doccia era diventata bollente.
Passò una mano sulla superfice dell’oggetto riflettente, osservando con sguardo vitreo la sua immagine sfocata.
Si sentiva così vuoto, così spento… così inutile.
Più si guardava, più la ragione del suo vivere svaniva dai suoi occhi e dalla sua mente.
-Sarà meglio entrare in doccia- mormorò a sé stesso, stropicciandosi gli occhi e girando la manopola verso destra per raffreddare la temperatura dell’acqua.
 
 
Appena fu pronto, Bill uscì dalla sua stanza, pronto per scendere a fare colazione.
Proprio in quell’istante, anche Georg e Gustav uscirono in corridoio, volgendo lo sguardo verso il cantante con un sorriso.
-Buongiorno ragazzi- salutò Gustav, accennando anche un cenno della mano verso i suoi due amici.
-Allora, pronti per il concerto di stasera?- domandò eccitato Georg, sfregandosi le mani in segno di compiacimento, mentre la sua gola emetteva degli strani versi.
-Puoi giurarci!- rispose euforico il batterista, perdendo il sorriso appena notò il viso neutro e rabbuiato del moro.
-Ehi, tutto bene?- domandò poi, lanciando un veloce sguardo al bassista che, accortosi solo in quel momento dell’espressione dell’amico, affiancò Gustav per osservarlo attentamente.
-Sì, tutto bene- disse con tono decisamente poco convincente, abbozzando un sorrisino falso come Giuda stesso.
-Dalla tua faccia non si direbbe- affermò pensieroso il castano, osservandolo con le sopracciglia aggrottate e una mano sotto al mento.
-Sicuramente c’entra Tom- esclamò poco dopo, sorridendo soddisfatto appena gli occhi di Bill si sgranarono impercettibilmente.
Touché.
-In cosa dovrei c’entrare io stavolta?- domandò una voce dal tono sarcastico alle loro spalle.
-Niente, ehm… beh, forse noi è meglio che ce ne andiamo, vero Georg?-.
Il bassista, notando lo sguardo e soprattutto la punta di comando nella voce dell’amico, decise di dargli retta senza osare controbattere.
Dopotutto sapeva perfettamente che “ can che abbaia non morde “, e Gustav non abbaiava mai.
Quindi era più facile che ti mordesse senza che tu te l’aspettassi.
-Già. Allora, ehm… ci vediamo giù ragazzi- salutò infine il bassista, seguendo il biondino.
Quando i due ragazzi entrarono nell’ascensore, ogni rumore scomparve, lasciando il corridoio in uno strano silenzio, talmente profondo da essere quasi inquietante.
Tom si sentiva in tremendo imbarazzo, ed era una cosa decisamente strana dato che si trovava in compagnia di suo fratello. Gemello, per giunta. Come poteva sentirsi terribilmente fuori luogo?
Beh, forse era perché il cantante non emetteva nemmeno un suono, e neanche faceva qualcosa.
Era immobile come una statua, gli occhi ben piantati a terra e le braccia lungo i fianchi, coi pugni ben stretti.
Dopo qualche secondo di indecisione, finalmente uno dei due decise di cominciare una qualsivoglia conversazione.
-Cosa c’è che non va?-.
A quella domanda non ci fu risposta, così il ragazzo tentò di richiamare la sua attenzione ancora una volta.
-Bill?-.
Lo sguardo del gemello si puntò finalmente su di lui che, in quel momento, si maledisse di aver richiamato la sua attenzione.
Quelle iridi castane lo trapassavano come una lama tagliente e talmente calda da sentirsi bruciare l’anima.
-Hai pure il coraggio di chiedermi cos’ho?!- domandò scettico il cantante, con una voce decisamente poco rassicurante, così come l’espressione dura del suo volto perfetto.
Tom però non si fece intimorire.
-Certo che ce l’ho! E’ da ieri che non mi parli e non riesco proprio a capire il perché!-
-Oh, certo, fai pure il finto tono adesso!- contrattaccò il front man, alzando la voce di un’ottava.
-Se tu ti decidessi a spiegarmi che cazzo sta succedendo, forse riuscirei anche a capire di che cazzo stai parlando!-
-Mi sto riferendo a te e a Lynet!-.
Il chitarrista, decisamente stupito da quelle parole, rimase basito di fronte al fratello, del tutto incapace di reagire.
Gli ci volle almeno mezzo minuto prima di riuscire a dare vita ai suoi pensieri.
-Tu sei tutto scemo- esalò pacato, osservando il fratello con sguardo scettico.
-Vi ho visti ieri mattina, quando stavamo uscendo dall’hotel per raggiungere il negozio di dischi per la Signing Session. Ti ho visto mentre le mettevi un braccio attorno al collo e le sorridevi. Credevi davvero di potermela fare sotto al naso? Sarò pure ingenuo, Tom, ma di sicuro non sono un cretino!-
-Io invece sono sempre più sicuro che tu lo sia. Insomma, ti sei bevuto il cervello o l’hai donato in beneficenza?! Tu hai visto solo quello che la tua mente insana ha voluto vedere!-
-E allora spiegami che cazzo era tutta quella confidenza con lei-
-Stavamo semplicemente parlando! Mi vuoi spiegare che cosa c’è di male in questo?-
-A me sembrava qualcosa di più che una semplice chiacchierata fra amici-
-Solo perché sei innamorato perso di lei e sei geloso marcio di ogni singolo ragazzo che le si avvicina!-.
Entrambi rimasero a fissarsi in silenzio, leggendo l’uno i pensieri dell’altro.
-Bill, se proprio vuoi che te la dica tutta, Lynet mi stava dicendo di aver capito che io… io… sì, insomma, che mi piace Hanna-.
In quel preciso istante, Bill si sentì un vero idiota.
Come aveva potuto dubitare di Tom? Lui era la persona alla quale voleva più bene al mondo, e sapeva con estrema certezza che non avrebbe mai fatto nulla per ferirlo.
Nemmeno se fosse stato veramente innamorato di Lyn avrebbe osato avvicinarglisi in quel modo.
Come aveva potuto crederlo tanto meschino?
-Io…-.
Il vocalist sbuffò esasperato, sentendosi tremendamente il colpa per aver creduto davvero a quelle cose.
-Mi dispiace tanto Tomi- disse infine, osservando di sbieco il fratello, tremendamente imbarazzato.
-Non fa niente- chiuse il discorso Tom, sorridendogli solare come suo solito.
Finalmente l’atmosfera nel corridoio cominciò a tornare leggera e frizzante, come se le luci e i colori, da bui e opachi, cominciarono a ritornare luminosi e brillanti.
-Forza, scendiamo a fare colazione adesso- gli disse il chitarrista, cominciando ad avviarsi verso l’ascensore.
Bill, però, rimase fermo dov’era, guardandolo allontanarsi.
-Tom- lo richiamò poi, facendo voltare il gemello verso di lui.
-Io… io volevo soltanto dirti che mi dispiace, e che senza di te non sarei niente-.
Tom, a quella esplicita dichiarazione d’affetto, rispose con un sorriso ed uno sguardo dolcissimi, che riservava unicamente a lui.
Gli fece cenno con la testa di raggiungerlo e, appena gli fu accanto, gli mise un braccio attorno al collo.
-Sei proprio uno scemo, Bill-.
Quello era il meglio che riusciva a fare per esprimergli tutto il suo amore, ma Bill sembrò apprezzare davvero.
Dopotutto lo conosceva praticamente più di sé stesso e sapeva perfettamente che Tom non era mai stato bravo con le parole, ma coi fatti sì.
Lui era sempre stato in grado di donargli tutto l’affetto di cui aveva bisogno, di proteggerlo da ogni male - sia fisico che non - di fargli compagnia quando si sentiva tremendamente solo, di farlo ridere quando aveva solo voglia di piangere.
Insomma, nonostante fosse sempre stato restio ad esprimere i suoi sentimenti, Tom gli era sempre stato accanto, in ogni momento, bello o brutto che fosse.
In poche parole, agli occhi di Bill, lui era il fratello migliore che si potesse desiderare, coi suoi pregi e coi suoi difetti.
Non l’avrebbe mai cambiato per nessun altro al mondo e, cosa decisamente più importante, avrebbe dato la sua stessa vita per lui.
Ora e per sempre, ne era assolutamente certo.
 
[ *** ]
 
La sua colazione pareva di gran lunga più interessante di tutto ciò che lo circondava.
Non alzava lo sguardo dal suo piatto se non interpellato dai suoi amici che, per richiamarlo alla realtà, erano costretti a pronunciare il suo nome per almeno tre volte di seguito.
A Georg e Gustav quello sembrò uno strano comportamento da parte del chitarrista che, solitamente, era il primo ad intrufolarsi senza scrupoli nelle conversazioni altrui.
Bill però, a differenza degli altri, aveva già capito tutto.
Sapeva che, in qualche modo, Hanna c’entrava qualcosa perché anche lei, come il gemello, per tutto il tempo si era limitata a giocherellare con la sua colazione senza mangiarla.
Ogni tanto però, a differenza di Tom, alzava lo sguardo, e lo puntava nella sua direzione.
Rimaneva a fissarlo per interminabili secondi, con un’aria triste e colpevole.
Sicuramente fra di loro era successo qualcosa, probabilmente un litigio di quelli grossi dato che, conoscendo Tom meglio di sé stesso, il suo gemello non riusciva mai a rimanere arrabbiato con la stessa persona per più di due o tre ore.
Preso da un improvviso senso di smarrimento, il ragazzo si ritrovò a puntare le pupille su Lynet, studiando inconsciamente ogni suo lineamento morbido e delicato, ogni movimento delle ciglia, ogni sorriso, ogni gesto delle mani.
Lei, accortasi di essere insistentemente osservata da qualcuno, si voltò verso la sua destra, cercando la persona che la stava fissando dall’altra parte del tavolo.
Non ci mise niente ad incrociare quegli occhi nocciola che erano in grado di farla andare letteralmente a fuoco, come se il suo cuore, a quel contatto astratto, si fosse sciolto, trasformandosi in lava bollente pronta a scorrere nelle sue vene come sangue.
D’un tratto, la ragazza si riprese e, spalancando impercettibilmente gli occhi, spostò lo sguardo da quel ragazzo meraviglioso che la faceva sentire così in imbarazzo, e allo stesso tempo così bene.
Era tutto così strano per lei. Non riusciva a capire cosa Bill per lei fosse in realtà. Ok, gli voleva molto più che bene, questo lo sapeva ed aveva il coraggio di ammetterlo, ma c’era qualcosa di indescrivibilmente strano che non riusciva proprio a spiegarsi. Era come se fra lei ed il cantante fosse eretta una specie di barriera invisibile e sottile quanto basta per sentirsi ma non abbastanza da potersi raggiungere sul serio.
Forse era semplicemente una sua sensazione, un suo stupido pensiero dettato dall’insicurezza e dalla paura di perderlo di nuovo.
Sì, è sicuramente così, si ritrovò a convincersi Lynet.
Nel frattempo, lui si tartassava di domande. Non riusciva proprio a concepire il perché quella ragazza volesse farlo avvicinare a lei ma, allo stesso tempo, volesse tenerlo lontano.
Insomma, era un controsenso unico! Una contraddizione, però, che lui era deciso a risolvere una volta per tutte.
-Ragazzi- li chiamò euforico il loro manager -E’ ora di andare al Palasport per sistemare il palco e i vari attrezzi, forza!- li incitò, senza perdere il sorriso nemmeno per un secondo.
La band e le gemelle fecero come venne loro chiesto senza osare controbattere anche se, alcuni fra loro, non avevano la minima voglia di andarsene da lì perché troppo presi dai loro pensieri, dai loro piccoli problemi personali.
Che poi, per loro, piccoli non lo erano affatto.
 
[ *** ]
 
-Abbassate il volume del microfono! Rimbomba tantissimo!-.
Erano le tre del pomeriggio, ed il soundcheck era appena iniziato.
Bill aveva già trovato un problema - se lo si può chiamare problema - e sembrava già nervoso ancor prima che i ragazzi potessero cominciare a seguirlo con la musica.
Nonostante fossero solo delle prove per accordare gli strumenti e sistemare i microfoni, i ragazzi si stavano impegnando a fondo per far sì che tutto fosse perfetto.
Lyn si trovava sul palco insieme a loro, in fondo alla passerella, osservandoli mentre lavoravano.
Non aveva aperto bocca da quando aveva messo piede lì sopra. Sapeva quanto erano irascibili quando provavano - soprattutto Bill - e non aveva intenzione di essere motivo di disturbo.
Mentre li ascoltava si lasciava tutto il resto del mondo alle spalle, ma quando prendevano una pausa di pochi secondi, le tornava tutto a vorticarle nella testa come un uragano.
Era come se, mentre loro suonavano, una campana di vetro li sovrastava, racchiudendoli in un mondo tutto loro e, quando la musica finiva, quest’ultima sembrava svanire all’improvviso, facendola scontrare nuovamente con tutte le sue ansie e preoccupazioni.
Senza poterne fare a meno, si voltò verso l’ingresso del backstage, fissandolo con aria triste per qualche secondo.
Hanna non era lì ad ascoltare i ragazzi. Aveva preferito rimanere nel loro camerino a fare chissà che cosa.
Conoscendola, la mora sapeva che sua sorella stava semplicemente male, e non aveva alcuna voglia di stare in mezzo alla gente.
Lei faceva sempre così quando aveva qualcosa che non andava. Al posto di sfogarsi e di cercare di non pensarci, magari stando in compagnia, lei si rinchiudeva nel suo bozzolo senza rendere partecipe nemmeno la sua gemella.
Sospirando, Lynet cercò di scacciare dalla sua testa quelle orribili parole che Han le aveva detto la sera prima.
Sai, è la prima volta in vita mia che penso a quanta poca differenza ci sia ad avere una sorella o meno ”.
Quella frase le era penetrata nella testa con una violenza tale da averla lasciata stordita per almeno un minuto.
Ogni singola lettera l’aveva bruciata mentre le si era infilata nelle orecchie.
Nonostante non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire una cosa del genere da Hanna, lei sapeva che non l’aveva fatto apposta e che, sicuramente, non ci credeva nemmeno lei.
Era solo arrabbiata e frustrata, e quando la bionda aveva qualcosa che non andava, sputava sentenze ed insulti a destra e a manca senza nemmeno pensarci.
Buttava fuori tutto ciò che le passava per la testa senza pesare le parole.
Ed era proprio per questo che Lyn l’aveva già perdonata. Solo che, anche lei testarda ed orgogliosa, non aveva la forza di andare da lei e chiarire ogni malinteso. Però lo voleva, più di qualsiasi altra cosa.
 
[ *** ]
 
-Bene ragazzi, ottimo lavoro! Il soundcheck è finito! Andate pure nei vostri camerini a riposarvi e prepararvi che più tardi avrete i meet and greet!-.
Hanna spalancò gli occhi al solo sentire quelle parole.
Si alzò di scatto dal divanetto sul quale era malamente sdraiata e, controllando che in corridoio non ci fosse ancora nessuno, sgattaiolò fuori dalla stanza, dirigendosi furtivamente verso il bagno.
Ci si chiuse dentro, attendendo qualche minuto prima di uscire.
Quando lo ritenne giusto, tornò sui suoi passi, deviando però alla fine del corridoio, andando silenziosamente verso il palco, lasciandosi alle spalle il camerino dei ragazzi, dal quale provenivano le loro risate.
Dopo esserci salita, Han osservò il parterre e le tribune completamente vuote, provando ad immaginarsi cosa si potesse provare a stare lì sopra di fronte a milioni di persone cantando le proprie canzoni, mettendo così a nudo le proprie emozioni, i propri ricordi e segreti.
Le venne la pelle d’oca al solo pensiero e, senza un motivo preciso, decise di sdraiarsi accanto al microfono di Bill.
Uno strano senso d’angoscia le prese lo stomaco e, senza nemmeno pensarci, si voltò verso la sua destra, puntando lo sguardo sulla chitarra elettrica di Tom.
Calde lacrime cominciarono ad allagarle gli occhi e, per evitare crisi isteriche, tornò a guardare verso l’alto, tentando di ricacciare indietro - inutilmente - quell’indesiderata acqua salata.
Dopo un lasso di tempo che lei non seppe calcolare, dei passi disturbarono la sua quiete, facendo ricominciare il suo cuore a battere all’impazzata.
Fissò agitatissima le scale alla sua destra e, con suo enorme sollievo, vide che era Georg.
Tirò un sospiro di sollievo talmente forte che il castano la sentì, cominciando a ridacchiare.
La raggiunse, per poi sdraiarsi accanto a lei.
-Avevi paura che fossi Lynet, eh?- domandò sarcastico, volando il viso verso il suo.
Hanna, d’altro canto, non poté fare a meno di sorridere amaramente fra sé e sé.
Ci ha azzeccato per metà, pensò, prima di rispondergli.
-Già-
-Ehi- la richiamò lui con tono dolce, voltandole il viso verso di lui -Lo so che non credi davvero a quello che hai detto, ed anche lei lo sa. Quindi perché semplicemente non vai da tua sorella e le chiedi scusa? Sono sicuro che ti perdonerà-
-Sembra tutto così facile a parole- rispose la bionda, sorridendo amaramente, per poi puntare nuovamente lo sguardo verso l’alto -Ma tu non puoi capire, Georg. Noi non siamo solo sorelle, noi siamo gemelle. Ogni litigio, ogni parola, ogni torto, per noi è amplificato, capisci? Non posso semplicemente andare da lei e chiederle scusa e pensare che si risolva tutto! Le ho detto cose troppo cattive…-
-Ma lei ti ha già perdonata, Hanna. Qui l’unica che non l’ha ancora capito sei solo tu-.
La bionda, a quelle parole, si voltò bruscamente verso l’amico, guardandolo incredula.
Si tirò su, mettendosi seduta, tentando di alleviare le forti fitte che le trafiggevano il cuore.
Le lacrime tornarono in superficie, offuscandole la vista e facendole bruciare la gola.
Georg, al suono distinto dei primi singhiozzi sommessi, si mise nella sua stessa posizione, stringendola forte fra le sue braccia.
La cullò delicatamente, carezzandole i capelli con la stessa dolcezza di un fratello.
Quelle mani fra i suoi capelli e quelle braccia avvolte attorno al suo corpo la facevano sentire al sicuro, come se tutto il male che la circondava non potesse più toccarla né ferirla.
Quanto avrebbe voluto rimanere lì così per sempre, con il cervello azzerato ed il cuore pure.
 
[ *** ]
 
Il retro del Palasport era buio e desolato.
I tour bus e i vari tir erano ordinatamente parcheggiati negli appositi spazi, aperti e privati di ogni loro contenuto.
Quella sera c’era un vento umido che ti si attaccava alla pelle senza il minimo ritegno, gonfiandoti i capelli.
Ed Hanna se ne stava lì, da sola, seduta su dei gradini di metallo, a fumarsi una sigaretta rubata a Georg - col suo consenso ovviamente - poco prima, fregandosene altamente della sua messa in piega che se ne andava bellamente a quel paese.
Il fumo grigio che le usciva dalle labbra faceva fatica a dissolversi nell’aria, trattenuto nella sua forma originaria dalla presenza dall’umidità.
Lì si sentiva isolata dal mondo intero.
La musica e le grida all’interno del grande edificio la raggiungevano ovattate e dall’aspetto lontano, nonostante ci fosse solo un muro a dividerli.
In quel momento le pareva di appartenere ad un mondo lontano anni luce da lì, come se facesse parte di una realtà ben diversa da quella che stava vivendo in quel momento.
Si sentiva sola e scoraggiata, senza alcuna via d’uscita.
Sua madre era sulle sue tracce, pronta a riportarla a casa ed imprigionarla nuovamente fra le sue grinfie e le mura di casa, aveva forse perso irrimediabilmente Tom e probabilmente anche la gemella… poteva andare peggio di così?
, pensò la bionda, appena poco prima che la porta d’emergenza alle sue spalle si aprisse con un cigolio d’avvertimento.
Hanna non ebbe nemmeno il coraggio di girare il capo.
Sapeva perfettamente che poteva trattarsi unicamente di Lynet dato che il concerto era ancora in corso e tutto lo staff (compreso il padre) era occupato all’interno, assicurandosi che tutto andasse per il verso giusto.
La conferma a tutti i suoi pensieri arrivò quando una ragazza minuta e dai lunghi capelli scuri prese posto accanto a lei.
Entrambe tennero lo sguardo puntato di fronte a loro e, dopo un sospiro, Lynet cominciò a parlare.
-Mi ha fatto molto male quello che mi hai detto l’altra sera. Mi hai ferita-
-Lo so- rispose di scatto lei, quasi senza lasciarle il tempo di terminare la frase.
Non lo disse però in modo scontroso o arrabbiato, bensì colpevole e dal tono sommesso.
-Non pensavo davvero quelle cose quando le ho dette, e non le penso nemmeno ora-
-Lo so- le fece eco la sorella, accennando un piccolo sorriso, osservandola con dolcezza e malinconia.
D’altro canto, la bionda non poté fare a meno di ricambiare lo sguardo, senza staccarlo per degli attimi lunghissimi.
-Mi dispiace tanto Lynet, non so proprio cosa mi sia preso in quel momento! Non posso credere di aver davvero detto quelle cose. Mi sento così in colpa ed in imbarazzo. Sono così arrabbiata con me stessa Lyn…-
-Non dovresti esserlo, perché io non lo sono con te. È tutto passato. So che per te questo è un periodo difficile-
-Ma lo è anche per te!- proseguì la bionda, voltandosi verso di lei con un’espressione stupita ed irritata -Anche tu stai passando tutto quello che sto passando io, eppure non mi hai mai trattata male! Come puoi abbonarmi una cosa del genere? Come puoi paragonarci? Non me lo merito-
-Sei la miglior cosa che il mondo mi ha donato. Ti conosco più di me stessa e so quanto hai bisogno di sfogarti quando stai male, ed io non te ne ho dato l’occasione perché ero troppo presa da… altro-.
Per un momento la mora rimase in silenzio, poi riordinò le idee e continuò.
-Ho stupidamente creduto che se non avessimo parlato dei nostri problemi tu ci avresti pensato di meno e saresti stata meglio, ma non è stato così, ed ora sono io a sentirmi in colpa per non aver capito subito di cosa avevi bisogno in realtà. Volevi solo qualcuno che ti stesse accanto, ed io ti ho lasciata sola-
-Smettila Lynet, tu non hai colpe. Qui l’unica che ha sbagliato sono io-.
Il silenzio tornò a circondarle, interrotto unicamente da tutti i suoni e rumori del concerto all’interno del Palasport.
-Io ti ho perdonata, Hanna. Perché tu non riesci a fare lo stesso con te stessa?-
-Perché tu sei l’unica persona che mi può rendere qualcuno, l’unica grazie alla quale anche io posso sentirmi parte di questa vita. Mi odio perché tu mi rendi degna di stare al mondo, ed ho pure avuto il coraggio di attaccarti in quel modo. Non te lo meritavi per niente-
-Sai una cosa? Mi hai chiesto scusa, e tanto basta. So che sei dispiaciuta per quello che mi hai detto, e sono stanca di starti lontana e fare finta che tu non esisti. Sei parte di me, dannazione! Puoi spiegarmi come farei io se tu non ci fossi?-
-Tu non lo so, ma io non sarei niente senza di te-.
 
[ *** ]
 
Il concerto era ormai terminato da un pezzo, e tutti erano tornati in albergo per prepararsi per l’After Party.
Lo show era stato strabiliante, ed aveva lasciato senza fiato non solo le fan, ma anche l’intera crew e David stesso, che quella sera aveva deciso di togliere qualsiasi coprifuoco ai ragazzi.
In quel momento ognuno si trovava nella propria camera, intento a lavarsi e cambiarsi per una serata di puro divertimento. Ne avevano tutti bisogno dopo le lunghe giornate di lavoro e stress appena trascorse.
-Ne sei proprio sicura?-.
La voce preoccupata ed apprensiva di Lynet - che in quel momento si trovava in bagno a truccarsi - raggiunse le orecchie della sorella, sdraiata a gambe larghe e pancia in su sul grande letto matrimoniale.
-Sicurissima- affermò quest’ultima, tentando di essere il più convincete possibile.
-Ma Hanna…-
-Oh Lynet, te l’ho già detto tre volte! Stai tranquilla, tu vai e divertiti, a me non ci pensare-
-Come se potessi farlo!- sbottò esasperata la mora, uscendo dal bagno -Credi davvero che possa divertirmi come niente fosse mentre tu te ne stai qui da sola a fare niente?!-
-Lyn, ti prego, non costringermi a venire con voi-
-Non voglio di certo obbligarti a fare niente che non vuoi, però credo che sia sbagliato nei tuoi confronti non venire alla festa solo per colpa sua-
-E cosa dovrei fare? Sentiamo- rispose la bionda nervosa, appoggiandosi su entrambi i gomiti.
-Dovresti venire anche tu e fregartene di lui, di quello che è successo e divertirti-
-Sai Lyn, ne sarei davvero capace se fosse stato lui a lasciarmi lì come un’allocca dopo avermi baciata in quel modo, ma è stato il contrario, e sinceramente non sono abbastanza stronza da riuscire a far finta di nulla e divertirmi sotto ai suoi occhi-
-Chiedigli scusa-
-Cosa?-
-Chiedigli scusa-
-Sì, l’avevo capito cosa avevi detto…-
-Non fare tanto la spiritosa- la riprese la mora, seria -Vai da lui e chiarisci tutta questa storia una volta per tutte, così potrete lasciarvi ogni cosa alle spalle e ricominciare tutto da capo-
-Ricominciare che cosa, scusa?-
-Beh, a provare a frequentarvi come qualcosa di più che semplici amici…-
-Ma sei impazzita?! No scusa, nel dentifricio che hai usato prima hai controllato che non ci fosse sciolta dentro qualche sostanza stupefacente?!-
-Perché dici così?-
-Perché non è stato nulla di più di un bacio per entrambi!-
-Sì, certo, ed io sono Biancaneve…-
-Non ci credi?-
-No, ti conosco troppo bene-
-Però lui non lo conosci così bene-
-Come fai ad esserne così sicura? Cosa ne sai tu che lui non si sia confidato con me?-
-Perché altrimenti non saresti mai venuta a dirmelo. So che non sei il tipo da intromettersi in certe cose, preferisci che accadano da sole e senza l’aiuto di nessuno-
-Per questa volta potrebbe anche essere diverso. E poi io non ti ho detto proprio niente-
-Però hai accennato la cosa…-
-Io non ho detto che è successo davvero, ho fatto solo una supposizione…-
-Ma… Oh Lynet! In questo momento ti sto odiando- disse in tutta risposta Hanna, lasciando cadere pesantemente il busto sul materasso e coprendosi il volto con un cuscino.
Lynet rise di gusto, raggiungendo la sorella a gattoni e togliendole il capezzale dal viso.
-Senti, fai come vuoi. Se cambi idea questo è il biglietto da visita della discoteca- le disse sventolandole un cartoncino colorato davanti agli occhi -Te lo lascio qui sul comodino, così ti fai chiamare un taxi dalla reception e ci raggiungi, d’accordo?-
-Mhm mhm- mugugnò a bocca chiusa la bionda, in segno d’assenso.
-Ora credo sia meglio che vada, devo raggiungere gli altri nella hall. Per qualsiasi cosa chiamami senza esitare! Capito?-
-Sì, mammina!- rispose la bionda ridendo, per poi sbatterle un cuscino in testa.
-Ehi, i miei capelli!-disse l’altra scendendo dal letto e raggiungendo lo specchio sopra al comò, sistemandosi minuziosamente la chioma scura un po’ scompigliata.
-Buona serata gemellina- la salutò la bionda, sorridendole radiosa.
-Anche a te, anche se non so cosa potresti fare chiusa qui dentro per passare la serata…-
-Lynet!-
-Ok, ok! Adesso me ne vado e ti lascio in pace! Ci vediamo domani-
-Va bene, ciao-.
E, detto questo, la sorella scomparve dietro la porta chiusa della stanza.
Bene, pensò, ora devo trovare qualcosa da fare per non pensare a Tom
 Capitolo 10, Non sono niente senza di te.
Quella notte il chitarrista non riusciva proprio a chiudere occhio.
Troppe ansie tutte assieme, e troppo improvvise.
Il rigoroso - e misterioso - silenzio da parte del fratello, il bacio con Hanna, la sua fuga senza senso, e l’imminente concerto della sera successiva.
Tutto sembrava remare contro di lui senza il minimo ritegno, e soprattutto senza sosta.
Sbuffando, si mise a sedere, premendosi il pollice e l’indice sulle palpebre chiuse.
Si alzò con uno scatto e, con passo lento, si avvicinò alla sua adorata chitarra.
La prese in mano, poi osservò per un attimo gli spartiti sui quali aveva lavorato quello stesso pomeriggio e, come se qualcosa dentro di lui lo stesse guidando, prese il primo in alto insieme ad una matita.
Raggiunto il divano, si posizionò la chitarra sulle gambe, cominciando a suonare il primo pezzo della canzone. Arrivato alla fine si bloccò, scrutando torvo quelle ultime note che non gli andavano per niente a genio, e le cancellò sicuro, cominciando a scrivercene sopra altre.
Pian piano, la parte finale della canzone prese vita e, suonandola, capì che ora era semplicemente perfetta.
Si meravigliò di sé stesso, per essere riuscito a rendere quella musica migliore di quello che avrebbe mai potuto sperare, ma soprattutto si stupì di ciò che l’aveva ispirato così bene: Hanna.
A quel pensiero, Tom smise di sfiorare le corde dello strumento, e sospirò afflitto, poggiando la testa sullo schienale del divanetto, tenendo lo sguardo puntato in alto.
In quegli istanti, che sembrarono durare un’infinità, il ragazzo si chiese come avesse potuto lasciarsi prendere così tanto da quella ragazza.
Insomma, diciamocela tutta: di donne come lei, avrebbe potuto averne a bizzeffe.
Ed anche decisamente più disponibili.
Una dolorosa fitta gli trapassò il cuore quando, la sua mente, elaborò quelle parole.
Come poteva pensare quelle cose nei confronti di Hanna?
Dopotutto, le voleva bene. L’aveva sempre fatto, e non aveva mai smesso.
Nemmeno adesso, che lei l’aveva illuso per poi andarsene senza alcun motivo preciso, senza alcuna scusa plausibile, senza alcuna risposta sincera.
Sai che ti dico, ragazzo mio?, pensò nuovamente, Lascia perdere quella, non hai alcun bisogno di lei. Torna in te, dannazione! Dov’è finito quell’impeccabile conquistatore che poteva farle tutte sue con un semplice schiocco delle dita? Dov’è finito il famigerato Sexgott in grado di far provare a tutte quelle donne un piacere come mai nessuno è stato in grado di dargli? Fidati, l’amore è solo una gran seccatura.
Un sorriso beffardo gli storse le labbra, inondando così i suoi occhi castani di una luce sadica, da predatore.
Spostò la chitarra dalle gambe, alzandosi per dirigersi verso l’alta portafinestra che dava sull’enorme terrazza della sua stanza.
Osservò l’orizzonte, scorgendo una miriade di luci, insegne pubblicitarie e lampioni che, andando avanti, sembravano come congiungersi in un unico elemento, creando una fitta rete luminosa.
Purtroppo, a causa di tutto quell’inquinamento luminoso, non era possibile osservare il cielo notturno, sicuramente meraviglioso a causa delle miliardi di stelle che lo occupavano, come tanti diamanti splendenti incastonati nel soffitto di una grotta buia e profonda.
Tu non sei nato per amare, ricordi? Tu sei fatto per goderti la vita così come viene, senza la presenza di alcun legame a tenerti incatenato ad un’esistenza spenta e monotona.
Un altro sorriso beffardo prese posto sul suo volto, ora illuminato dalla pallida aura della luna.
Il suo cuore, però, non rise affatto.
Era diventato talmente bravo a sovrastare i sentimenti con la ragione che nemmeno se ne rese conto.
 
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Di fonte a sé lo specchio rifletteva il suo viso dalla pelle pallida e tirata, resa un po’ più colorita a causa delle occhiaie violacee sotto agli occhi nocciola, del tutto simili a quelli del fratello.
Il petto nudo si alzava ed abbassava al ritmo dei suoi respiri lenti e regolari, e la sua mente vagava in mondi lontani. Non si accorse nemmeno che il vetro dello specchio si stava appannando, segno che l’acqua della doccia era diventata bollente.
Passò una mano sulla superfice dell’oggetto riflettente, osservando con sguardo vitreo la sua immagine sfocata.
Si sentiva così vuoto, così spento… così inutile.
Più si guardava, più la ragione del suo vivere svaniva dai suoi occhi e dalla sua mente.
-Sarà meglio entrare in doccia- mormorò a sé stesso, stropicciandosi gli occhi e girando la manopola verso destra per raffreddare la temperatura dell’acqua.
 
 
Appena fu pronto, Bill uscì dalla sua stanza, pronto per scendere a fare colazione.
Proprio in quell’istante, anche Georg e Gustav uscirono in corridoio, volgendo lo sguardo verso il cantante con un sorriso.
-Buongiorno ragazzi- salutò Gustav, accennando anche un cenno della mano verso i suoi due amici.
-Allora, pronti per il concerto di stasera?- domandò eccitato Georg, sfregandosi le mani in segno di compiacimento, mentre la sua gola emetteva degli strani versi.
-Puoi giurarci!- rispose euforico il batterista, perdendo il sorriso appena notò il viso neutro e rabbuiato del moro.
-Ehi, tutto bene?- domandò poi, lanciando un veloce sguardo al bassista che, accortosi solo in quel momento dell’espressione dell’amico, affiancò Gustav per osservarlo attentamente.
-Sì, tutto bene- disse con tono decisamente poco convincente, abbozzando un sorrisino falso come Giuda stesso.
-Dalla tua faccia non si direbbe- affermò pensieroso il castano, osservandolo con le sopracciglia aggrottate e una mano sotto al mento.
-Sicuramente c’entra Tom- esclamò poco dopo, sorridendo soddisfatto appena gli occhi di Bill si sgranarono impercettibilmente.
Touché.
-In cosa dovrei c’entrare io stavolta?- domandò una voce dal tono sarcastico alle loro spalle.
-Niente, ehm… beh, forse noi è meglio che ce ne andiamo, vero Georg?-.
Il bassista, notando lo sguardo e soprattutto la punta di comando nella voce dell’amico, decise di dargli retta senza osare controbattere.
Dopotutto sapeva perfettamente che “ can che abbaia non morde “, e Gustav non abbaiava mai.
Quindi era più facile che ti mordesse senza che tu te l’aspettassi.
-Già. Allora, ehm… ci vediamo giù ragazzi- salutò infine il bassista, seguendo il biondino.
Quando i due ragazzi entrarono nell’ascensore, ogni rumore scomparve, lasciando il corridoio in uno strano silenzio, talmente profondo da essere quasi inquietante.
Tom si sentiva in tremendo imbarazzo, ed era una cosa decisamente strana dato che si trovava in compagnia di suo fratello. Gemello, per giunta. Come poteva sentirsi terribilmente fuori luogo?
Beh, forse era perché il cantante non emetteva nemmeno un suono, e neanche faceva qualcosa.
Era immobile come una statua, gli occhi ben piantati a terra e le braccia lungo i fianchi, coi pugni ben stretti.
Dopo qualche secondo di indecisione, finalmente uno dei due decise di cominciare una qualsivoglia conversazione.
-Cosa c’è che non va?-.
A quella domanda non ci fu risposta, così il ragazzo tentò di richiamare la sua attenzione ancora una volta.
-Bill?-.
Lo sguardo del gemello si puntò finalmente su di lui che, in quel momento, si maledisse di aver richiamato la sua attenzione.
Quelle iridi castane lo trapassavano come una lama tagliente e talmente calda da sentirsi bruciare l’anima.
-Hai pure il coraggio di chiedermi cos’ho?!- domandò scettico il cantante, con una voce decisamente poco rassicurante, così come l’espressione dura del suo volto perfetto.
Tom però non si fece intimorire.
-Certo che ce l’ho! E’ da ieri che non mi parli e non riesco proprio a capire il perché!-
-Oh, certo, fai pure il finto tono adesso!- contrattaccò il front man, alzando la voce di un’ottava.
-Se tu ti decidessi a spiegarmi che cazzo sta succedendo, forse riuscirei anche a capire di che cazzo stai parlando!-
-Mi sto riferendo a te e a Lynet!-.
Il chitarrista, decisamente stupito da quelle parole, rimase basito di fronte al fratello, del tutto incapace di reagire.
Gli ci volle almeno mezzo minuto prima di riuscire a dare vita ai suoi pensieri.
-Tu sei tutto scemo- esalò pacato, osservando il fratello con sguardo scettico.
-Vi ho visti ieri mattina, quando stavamo uscendo dall’hotel per raggiungere il negozio di dischi per la Signing Session. Ti ho visto mentre le mettevi un braccio attorno al collo e le sorridevi. Credevi davvero di potermela fare sotto al naso? Sarò pure ingenuo, Tom, ma di sicuro non sono un cretino!-
-Io invece sono sempre più sicuro che tu lo sia. Insomma, ti sei bevuto il cervello o l’hai donato in beneficenza?! Tu hai visto solo quello che la tua mente insana ha voluto vedere!-
-E allora spiegami che cazzo era tutta quella confidenza con lei-
-Stavamo semplicemente parlando! Mi vuoi spiegare che cosa c’è di male in questo?-
-A me sembrava qualcosa di più che una semplice chiacchierata fra amici-
-Solo perché sei innamorato perso di lei e sei geloso marcio di ogni singolo ragazzo che le si avvicina!-.
Entrambi rimasero a fissarsi in silenzio, leggendo l’uno i pensieri dell’altro.
-Bill, se proprio vuoi che te la dica tutta, Lynet mi stava dicendo di aver capito che io… io… sì, insomma, che mi piace Hanna-.
In quel preciso istante, Bill si sentì un vero idiota.
Come aveva potuto dubitare di Tom? Lui era la persona alla quale voleva più bene al mondo, e sapeva con estrema certezza che non avrebbe mai fatto nulla per ferirlo.
Nemmeno se fosse stato veramente innamorato di Lyn avrebbe osato avvicinarglisi in quel modo.
Come aveva potuto crederlo tanto meschino?
-Io…-.
Il vocalist sbuffò esasperato, sentendosi tremendamente il colpa per aver creduto davvero a quelle cose.
-Mi dispiace tanto Tomi- disse infine, osservando di sbieco il fratello, tremendamente imbarazzato.
-Non fa niente- chiuse il discorso Tom, sorridendogli solare come suo solito.
Finalmente l’atmosfera nel corridoio cominciò a tornare leggera e frizzante, come se le luci e i colori, da bui e opachi, cominciarono a ritornare luminosi e brillanti.
-Forza, scendiamo a fare colazione adesso- gli disse il chitarrista, cominciando ad avviarsi verso l’ascensore.
Bill, però, rimase fermo dov’era, guardandolo allontanarsi.
-Tom- lo richiamò poi, facendo voltare il gemello verso di lui.
-Io… io volevo soltanto dirti che mi dispiace, e che senza di te non sarei niente-.
Tom, a quella esplicita dichiarazione d’affetto, rispose con un sorriso ed uno sguardo dolcissimi, che riservava unicamente a lui.
Gli fece cenno con la testa di raggiungerlo e, appena gli fu accanto, gli mise un braccio attorno al collo.
-Sei proprio uno scemo, Bill-.
Quello era il meglio che riusciva a fare per esprimergli tutto il suo amore, ma Bill sembrò apprezzare davvero.
Dopotutto lo conosceva praticamente più di sé stesso e sapeva perfettamente che Tom non era mai stato bravo con le parole, ma coi fatti sì.
Lui era sempre stato in grado di donargli tutto l’affetto di cui aveva bisogno, di proteggerlo da ogni male - sia fisico che non - di fargli compagnia quando si sentiva tremendamente solo, di farlo ridere quando aveva solo voglia di piangere.
Insomma, nonostante fosse sempre stato restio ad esprimere i suoi sentimenti, Tom gli era sempre stato accanto, in ogni momento, bello o brutto che fosse.
In poche parole, agli occhi di Bill, lui era il fratello migliore che si potesse desiderare, coi suoi pregi e coi suoi difetti.
Non l’avrebbe mai cambiato per nessun altro al mondo e, cosa decisamente più importante, avrebbe dato la sua stessa vita per lui.
Ora e per sempre, ne era assolutamente certo.
 
[ *** ]
 
La sua colazione pareva di gran lunga più interessante di tutto ciò che lo circondava.
Non alzava lo sguardo dal suo piatto se non interpellato dai suoi amici che, per richiamarlo alla realtà, erano costretti a pronunciare il suo nome per almeno tre volte di seguito.
A Georg e Gustav quello sembrò uno strano comportamento da parte del chitarrista che, solitamente, era il primo ad intrufolarsi senza scrupoli nelle conversazioni altrui.
Bill però, a differenza degli altri, aveva già capito tutto.
Sapeva che, in qualche modo, Hanna c’entrava qualcosa perché anche lei, come il gemello, per tutto il tempo si era limitata a giocherellare con la sua colazione senza mangiarla.
Ogni tanto però, a differenza di Tom, alzava lo sguardo, e lo puntava nella sua direzione.
Rimaneva a fissarlo per interminabili secondi, con un’aria triste e colpevole.
Sicuramente fra di loro era successo qualcosa, probabilmente un litigio di quelli grossi dato che, conoscendo Tom meglio di sé stesso, il suo gemello non riusciva mai a rimanere arrabbiato con la stessa persona per più di due o tre ore.
Preso da un improvviso senso di smarrimento, il ragazzo si ritrovò a puntare le pupille su Lynet, studiando inconsciamente ogni suo lineamento morbido e delicato, ogni movimento delle ciglia, ogni sorriso, ogni gesto delle mani.
Lei, accortasi di essere insistentemente osservata da qualcuno, si voltò verso la sua destra, cercando la persona che la stava fissando dall’altra parte del tavolo.
Non ci mise niente ad incrociare quegli occhi nocciola che erano in grado di farla andare letteralmente a fuoco, come se il suo cuore, a quel contatto astratto, si fosse sciolto, trasformandosi in lava bollente pronta a scorrere nelle sue vene come sangue.
D’un tratto, la ragazza si riprese e, spalancando impercettibilmente gli occhi, spostò lo sguardo da quel ragazzo meraviglioso che la faceva sentire così in imbarazzo, e allo stesso tempo così bene.
Era tutto così strano per lei. Non riusciva a capire cosa Bill per lei fosse in realtà. Ok, gli voleva molto più che bene, questo lo sapeva ed aveva il coraggio di ammetterlo, ma c’era qualcosa di indescrivibilmente strano che non riusciva proprio a spiegarsi. Era come se fra lei ed il cantante fosse eretta una specie di barriera invisibile e sottile quanto basta per sentirsi ma non abbastanza da potersi raggiungere sul serio.
Forse era semplicemente una sua sensazione, un suo stupido pensiero dettato dall’insicurezza e dalla paura di perderlo di nuovo.
Sì, è sicuramente così, si ritrovò a convincersi Lynet.
Nel frattempo, lui si tartassava di domande. Non riusciva proprio a concepire il perché quella ragazza volesse farlo avvicinare a lei ma, allo stesso tempo, volesse tenerlo lontano.
Insomma, era un controsenso unico! Una contraddizione, però, che lui era deciso a risolvere una volta per tutte.
-Ragazzi- li chiamò euforico il loro manager -E’ ora di andare al Palasport per sistemare il palco e i vari attrezzi, forza!- li incitò, senza perdere il sorriso nemmeno per un secondo.
La band e le gemelle fecero come venne loro chiesto senza osare controbattere anche se, alcuni fra loro, non avevano la minima voglia di andarsene da lì perché troppo presi dai loro pensieri, dai loro piccoli problemi personali.
Che poi, per loro, piccoli non lo erano affatto.
 
[ *** ]
 
-Abbassate il volume del microfono! Rimbomba tantissimo!-.
Erano le tre del pomeriggio, ed il soundcheck era appena iniziato.
Bill aveva già trovato un problema - se lo si può chiamare problema - e sembrava già nervoso ancor prima che i ragazzi potessero cominciare a seguirlo con la musica.
Nonostante fossero solo delle prove per accordare gli strumenti e sistemare i microfoni, i ragazzi si stavano impegnando a fondo per far sì che tutto fosse perfetto.
Lyn si trovava sul palco insieme a loro, in fondo alla passerella, osservandoli mentre lavoravano.
Non aveva aperto bocca da quando aveva messo piede lì sopra. Sapeva quanto erano irascibili quando provavano - soprattutto Bill - e non aveva intenzione di essere motivo di disturbo.
Mentre li ascoltava si lasciava tutto il resto del mondo alle spalle, ma quando prendevano una pausa di pochi secondi, le tornava tutto a vorticarle nella testa come un uragano.
Era come se, mentre loro suonavano, una campana di vetro li sovrastava, racchiudendoli in un mondo tutto loro e, quando la musica finiva, quest’ultima sembrava svanire all’improvviso, facendola scontrare nuovamente con tutte le sue ansie e preoccupazioni.
Senza poterne fare a meno, si voltò verso l’ingresso del backstage, fissandolo con aria triste per qualche secondo.
Hanna non era lì ad ascoltare i ragazzi. Aveva preferito rimanere nel loro camerino a fare chissà che cosa.
Conoscendola, la mora sapeva che sua sorella stava semplicemente male, e non aveva alcuna voglia di stare in mezzo alla gente.
Lei faceva sempre così quando aveva qualcosa che non andava. Al posto di sfogarsi e di cercare di non pensarci, magari stando in compagnia, lei si rinchiudeva nel suo bozzolo senza rendere partecipe nemmeno la sua gemella.
Sospirando, Lynet cercò di scacciare dalla sua testa quelle orribili parole che Han le aveva detto la sera prima.
Sai, è la prima volta in vita mia che penso a quanta poca differenza ci sia ad avere una sorella o meno ”.
Quella frase le era penetrata nella testa con una violenza tale da averla lasciata stordita per almeno un minuto.
Ogni singola lettera l’aveva bruciata mentre le si era infilata nelle orecchie.
Nonostante non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire una cosa del genere da Hanna, lei sapeva che non l’aveva fatto apposta e che, sicuramente, non ci credeva nemmeno lei.
Era solo arrabbiata e frustrata, e quando la bionda aveva qualcosa che non andava, sputava sentenze ed insulti a destra e a manca senza nemmeno pensarci.
Buttava fuori tutto ciò che le passava per la testa senza pesare le parole.
Ed era proprio per questo che Lyn l’aveva già perdonata. Solo che, anche lei testarda ed orgogliosa, non aveva la forza di andare da lei e chiarire ogni malinteso. Però lo voleva, più di qualsiasi altra cosa.
 
[ *** ]
 
-Bene ragazzi, ottimo lavoro! Il soundcheck è finito! Andate pure nei vostri camerini a riposarvi e prepararvi che più tardi avrete i meet and greet!-.
Hanna spalancò gli occhi al solo sentire quelle parole.
Si alzò di scatto dal divanetto sul quale era malamente sdraiata e, controllando che in corridoio non ci fosse ancora nessuno, sgattaiolò fuori dalla stanza, dirigendosi furtivamente verso il bagno.
Ci si chiuse dentro, attendendo qualche minuto prima di uscire.
Quando lo ritenne giusto, tornò sui suoi passi, deviando però alla fine del corridoio, andando silenziosamente verso il palco, lasciandosi alle spalle il camerino dei ragazzi, dal quale provenivano le loro risate.
Dopo esserci salita, Han osservò il parterre e le tribune completamente vuote, provando ad immaginarsi cosa si potesse provare a stare lì sopra di fronte a milioni di persone cantando le proprie canzoni, mettendo così a nudo le proprie emozioni, i propri ricordi e segreti.
Le venne la pelle d’oca al solo pensiero e, senza un motivo preciso, decise di sdraiarsi accanto al microfono di Bill.
Uno strano senso d’angoscia le prese lo stomaco e, senza nemmeno pensarci, si voltò verso la sua destra, puntando lo sguardo sulla chitarra elettrica di Tom.
Calde lacrime cominciarono ad allagarle gli occhi e, per evitare crisi isteriche, tornò a guardare verso l’alto, tentando di ricacciare indietro - inutilmente - quell’indesiderata acqua salata.
Dopo un lasso di tempo che lei non seppe calcolare, dei passi disturbarono la sua quiete, facendo ricominciare il suo cuore a battere all’impazzata.
Fissò agitatissima le scale alla sua destra e, con suo enorme sollievo, vide che era Georg.
Tirò un sospiro di sollievo talmente forte che il castano la sentì, cominciando a ridacchiare.
La raggiunse, per poi sdraiarsi accanto a lei.
-Avevi paura che fossi Lynet, eh?- domandò sarcastico, volando il viso verso il suo.
Hanna, d’altro canto, non poté fare a meno di sorridere amaramente fra sé e sé.
Ci ha azzeccato per metà, pensò, prima di rispondergli.
-Già-
-Ehi- la richiamò lui con tono dolce, voltandole il viso verso di lui -Lo so che non credi davvero a quello che hai detto, ed anche lei lo sa. Quindi perché semplicemente non vai da tua sorella e le chiedi scusa? Sono sicuro che ti perdonerà-
-Sembra tutto così facile a parole- rispose la bionda, sorridendo amaramente, per poi puntare nuovamente lo sguardo verso l’alto -Ma tu non puoi capire, Georg. Noi non siamo solo sorelle, noi siamo gemelle. Ogni litigio, ogni parola, ogni torto, per noi è amplificato, capisci? Non posso semplicemente andare da lei e chiederle scusa e pensare che si risolva tutto! Le ho detto cose troppo cattive…-
-Ma lei ti ha già perdonata, Hanna. Qui l’unica che non l’ha ancora capito sei solo tu-.
La bionda, a quelle parole, si voltò bruscamente verso l’amico, guardandolo incredula.
Si tirò su, mettendosi seduta, tentando di alleviare le forti fitte che le trafiggevano il cuore.
Le lacrime tornarono in superficie, offuscandole la vista e facendole bruciare la gola.
Georg, al suono distinto dei primi singhiozzi sommessi, si mise nella sua stessa posizione, stringendola forte fra le sue braccia.
La cullò delicatamente, carezzandole i capelli con la stessa dolcezza di un fratello.
Quelle mani fra i suoi capelli e quelle braccia avvolte attorno al suo corpo la facevano sentire al sicuro, come se tutto il male che la circondava non potesse più toccarla né ferirla.
Quanto avrebbe voluto rimanere lì così per sempre, con il cervello azzerato ed il cuore pure.
 
[ *** ]
 
Il retro del Palasport era buio e desolato.
I tour bus e i vari tir erano ordinatamente parcheggiati negli appositi spazi, aperti e privati di ogni loro contenuto.
Quella sera c’era un vento umido che ti si attaccava alla pelle senza il minimo ritegno, gonfiandoti i capelli.
Ed Hanna se ne stava lì, da sola, seduta su dei gradini di metallo, a fumarsi una sigaretta rubata a Georg - col suo consenso ovviamente - poco prima, fregandosene altamente della sua messa in piega che se ne andava bellamente a quel paese.
Il fumo grigio che le usciva dalle labbra faceva fatica a dissolversi nell’aria, trattenuto nella sua forma originaria dalla presenza dall’umidità.
Lì si sentiva isolata dal mondo intero.
La musica e le grida all’interno del grande edificio la raggiungevano ovattate e dall’aspetto lontano, nonostante ci fosse solo un muro a dividerli.
In quel momento le pareva di appartenere ad un mondo lontano anni luce da lì, come se facesse parte di una realtà ben diversa da quella che stava vivendo in quel momento.
Si sentiva sola e scoraggiata, senza alcuna via d’uscita.
Sua madre era sulle sue tracce, pronta a riportarla a casa ed imprigionarla nuovamente fra le sue grinfie e le mura di casa, aveva forse perso irrimediabilmente Tom e probabilmente anche la gemella… poteva andare peggio di così?
, pensò la bionda, appena poco prima che la porta d’emergenza alle sue spalle si aprisse con un cigolio d’avvertimento.
Hanna non ebbe nemmeno il coraggio di girare il capo.
Sapeva perfettamente che poteva trattarsi unicamente di Lynet dato che il concerto era ancora in corso e tutto lo staff (compreso il padre) era occupato all’interno, assicurandosi che tutto andasse per il verso giusto.
La conferma a tutti i suoi pensieri arrivò quando una ragazza minuta e dai lunghi capelli scuri prese posto accanto a lei.
Entrambe tennero lo sguardo puntato di fronte a loro e, dopo un sospiro, Lynet cominciò a parlare.
-Mi ha fatto molto male quello che mi hai detto l’altra sera. Mi hai ferita-
-Lo so- rispose di scatto lei, quasi senza lasciarle il tempo di terminare la frase.
Non lo disse però in modo scontroso o arrabbiato, bensì colpevole e dal tono sommesso.
-Non pensavo davvero quelle cose quando le ho dette, e non le penso nemmeno ora-
-Lo so- le fece eco la sorella, accennando un piccolo sorriso, osservandola con dolcezza e malinconia.
D’altro canto, la bionda non poté fare a meno di ricambiare lo sguardo, senza staccarlo per degli attimi lunghissimi.
-Mi dispiace tanto Lynet, non so proprio cosa mi sia preso in quel momento! Non posso credere di aver davvero detto quelle cose. Mi sento così in colpa ed in imbarazzo. Sono così arrabbiata con me stessa Lyn…-
-Non dovresti esserlo, perché io non lo sono con te. È tutto passato. So che per te questo è un periodo difficile-
-Ma lo è anche per te!- proseguì la bionda, voltandosi verso di lei con un’espressione stupita ed irritata -Anche tu stai passando tutto quello che sto passando io, eppure non mi hai mai trattata male! Come puoi abbonarmi una cosa del genere? Come puoi paragonarci? Non me lo merito-
-Sei la miglior cosa che il mondo mi ha donato. Ti conosco più di me stessa e so quanto hai bisogno di sfogarti quando stai male, ed io non te ne ho dato l’occasione perché ero troppo presa da… altro-.
Per un momento la mora rimase in silenzio, poi riordinò le idee e continuò.
-Ho stupidamente creduto che se non avessimo parlato dei nostri problemi tu ci avresti pensato di meno e saresti stata meglio, ma non è stato così, ed ora sono io a sentirmi in colpa per non aver capito subito di cosa avevi bisogno in realtà. Volevi solo qualcuno che ti stesse accanto, ed io ti ho lasciata sola-
-Smettila Lynet, tu non hai colpe. Qui l’unica che ha sbagliato sono io-.
Il silenzio tornò a circondarle, interrotto unicamente da tutti i suoni e rumori del concerto all’interno del Palasport.
-Io ti ho perdonata, Hanna. Perché tu non riesci a fare lo stesso con te stessa?-
-Perché tu sei l’unica persona che mi può rendere qualcuno, l’unica grazie alla quale anche io posso sentirmi parte di questa vita. Mi odio perché tu mi rendi degna di stare al mondo, ed ho pure avuto il coraggio di attaccarti in quel modo. Non te lo meritavi per niente-
-Sai una cosa? Mi hai chiesto scusa, e tanto basta. So che sei dispiaciuta per quello che mi hai detto, e sono stanca di starti lontana e fare finta che tu non esisti. Sei parte di me, dannazione! Puoi spiegarmi come farei io se tu non ci fossi?-
-Tu non lo so, ma io non sarei niente senza di te-.
 
[ *** ]
 
Il concerto era ormai terminato da un pezzo, e tutti erano tornati in albergo per prepararsi per l’After Party.
Lo show era stato strabiliante, ed aveva lasciato senza fiato non solo le fan, ma anche l’intera crew e David stesso, che quella sera aveva deciso di togliere qualsiasi coprifuoco ai ragazzi.
In quel momento ognuno si trovava nella propria camera, intento a lavarsi e cambiarsi per una serata di puro divertimento. Ne avevano tutti bisogno dopo le lunghe giornate di lavoro e stress appena trascorse.
-Ne sei proprio sicura?-.
La voce preoccupata ed apprensiva di Lynet - che in quel momento si trovava in bagno a truccarsi - raggiunse le orecchie della sorella, sdraiata a gambe larghe e pancia in su sul grande letto matrimoniale.
-Sicurissima- affermò quest’ultima, tentando di essere il più convincete possibile.
-Ma Hanna…-
-Oh Lynet, te l’ho già detto tre volte! Stai tranquilla, tu vai e divertiti, a me non ci pensare-
-Come se potessi farlo!- sbottò esasperata la mora, uscendo dal bagno -Credi davvero che possa divertirmi come niente fosse mentre tu te ne stai qui da sola a fare niente?!-
-Lyn, ti prego, non costringermi a venire con voi-
-Non voglio di certo obbligarti a fare niente che non vuoi, però credo che sia sbagliato nei tuoi confronti non venire alla festa solo per colpa sua-
-E cosa dovrei fare? Sentiamo- rispose la bionda nervosa, appoggiandosi su entrambi i gomiti.
-Dovresti venire anche tu e fregartene di lui, di quello che è successo e divertirti-
-Sai Lyn, ne sarei davvero capace se fosse stato lui a lasciarmi lì come un’allocca dopo avermi baciata in quel modo, ma è stato il contrario, e sinceramente non sono abbastanza stronza da riuscire a far finta di nulla e divertirmi sotto ai suoi occhi-
-Chiedigli scusa-
-Cosa?-
-Chiedigli scusa-
-Sì, l’avevo capito cosa avevi detto…-
-Non fare tanto la spiritosa- la riprese la mora, seria -Vai da lui e chiarisci tutta questa storia una volta per tutte, così potrete lasciarvi ogni cosa alle spalle e ricominciare tutto da capo-
-Ricominciare che cosa, scusa?-
-Beh, a provare a frequentarvi come qualcosa di più che semplici amici…-
-Ma sei impazzita?! No scusa, nel dentifricio che hai usato prima hai controllato che non ci fosse sciolta dentro qualche sostanza stupefacente?!-
-Perché dici così?-
-Perché non è stato nulla di più di un bacio per entrambi!-
-Sì, certo, ed io sono Biancaneve…-
-Non ci credi?-
-No, ti conosco troppo bene-
-Però lui non lo conosci così bene-
-Come fai ad esserne così sicura? Cosa ne sai tu che lui non si sia confidato con me?-
-Perché altrimenti non saresti mai venuta a dirmelo. So che non sei il tipo da intromettersi in certe cose, preferisci che accadano da sole e senza l’aiuto di nessuno-
-Per questa volta potrebbe anche essere diverso. E poi io non ti ho detto proprio niente-
-Però hai accennato la cosa…-
-Io non ho detto che è successo davvero, ho fatto solo una supposizione…-
-Ma… Oh Lynet! In questo momento ti sto odiando- disse in tutta risposta Hanna, lasciando cadere pesantemente il busto sul materasso e coprendosi il volto con un cuscino.
Lynet rise di gusto, raggiungendo la sorella a gattoni e togliendole il capezzale dal viso.
-Senti, fai come vuoi. Se cambi idea questo è il biglietto da visita della discoteca- le disse sventolandole un cartoncino colorato davanti agli occhi -Te lo lascio qui sul comodino, così ti fai chiamare un taxi dalla reception e ci raggiungi, d’accordo?-
-Mhm mhm- mugugnò a bocca chiusa la bionda, in segno d’assenso.
-Ora credo sia meglio che vada, devo raggiungere gli altri nella hall. Per qualsiasi cosa chiamami senza esitare! Capito?-
-Sì, mammina!- rispose la bionda ridendo, per poi sbatterle un cuscino in testa.
-Ehi, i miei capelli!-disse l’altra scendendo dal letto e raggiungendo lo specchio sopra al comò, sistemandosi minuziosamente la chioma scura un po’ scompigliata.
-Buona serata gemellina- la salutò la bionda, sorridendole radiosa.
-Anche a te, anche se non so cosa potresti fare chiusa qui dentro per passare la serata…-
-Lynet!-
-Ok, ok! Adesso me ne vado e ti lascio in pace! Ci vediamo domani-
-Va bene, ciao-.
E, detto questo, la sorella scomparve dietro la porta chiusa della stanza.
Bene, pensò, ora devo trovare qualcosa da fare per non pensare a Tom

 

Capitolo 10, Non sono niente senza di te.


Quella notte il chitarrista non riusciva proprio a chiudere occhio.
Troppe ansie tutte assieme, e troppo improvvise.
Il rigoroso - e misterioso - silenzio da parte del fratello, il bacio con Hanna, la sua fuga senza senso, e l’imminente concerto della sera successiva.
Tutto sembrava remare contro di lui senza il minimo ritegno, e soprattutto senza sosta.
Sbuffando, si mise a sedere, premendosi il pollice e l’indice sulle palpebre chiuse.
Si alzò con uno scatto e, con passo lento, si avvicinò alla sua adorata chitarra.
La prese in mano, poi osservò per un attimo gli spartiti sui quali aveva lavorato quello stesso pomeriggio e, come se qualcosa dentro di lui lo stesse guidando, prese il primo in alto insieme ad una matita.
Raggiunto il divano, si posizionò la chitarra sulle gambe, cominciando a suonare il primo pezzo della canzone. Arrivato alla fine si bloccò, scrutando torvo quelle ultime note che non gli andavano per niente a genio, e le cancellò sicuro, cominciando a scrivercene sopra altre.
Pian piano, la parte finale della canzone prese vita e, suonandola, capì che ora era semplicemente perfetta.
Si meravigliò di sé stesso, per essere riuscito a rendere quella musica migliore di quello che avrebbe mai potuto sperare, ma soprattutto si stupì di ciò che l’aveva ispirato così bene: Hanna.
A quel pensiero, Tom smise di sfiorare le corde dello strumento, e sospirò afflitto, poggiando la testa sullo schienale del divanetto, tenendo lo sguardo puntato in alto.
In quegli istanti, che sembrarono durare un’infinità, il ragazzo si chiese come avesse potuto lasciarsi prendere così tanto da quella ragazza.
Insomma, diciamocela tutta: di donne come lei, avrebbe potuto averne a bizzeffe.
Ed anche decisamente più disponibili.
Una dolorosa fitta gli trapassò il cuore quando, la sua mente, elaborò quelle parole.
Come poteva pensare quelle cose nei confronti di Hanna?
Dopotutto, le voleva bene. L’aveva sempre fatto, e non aveva mai smesso.
Nemmeno adesso, che lei l’aveva illuso per poi andarsene senza alcun motivo preciso, senza alcuna scusa plausibile, senza alcuna risposta sincera.
Sai che ti dico, ragazzo mio?, pensò nuovamente, Lascia perdere quella, non hai alcun bisogno di lei. Torna in te, dannazione! Dov’è finito quell’impeccabile conquistatore che poteva farle tutte sue con un semplice schiocco delle dita? Dov’è finito il famigerato Sexgott in grado di far provare a tutte quelle donne un piacere come mai nessuno è stato in grado di dargli? Fidati, l’amore è solo una gran seccatura.
Un sorriso beffardo gli storse le labbra, inondando così i suoi occhi castani di una luce sadica, da predatore.
Spostò la chitarra dalle gambe, alzandosi per dirigersi verso l’alta portafinestra che dava sull’enorme terrazza della sua stanza.
Osservò l’orizzonte, scorgendo una miriade di luci, insegne pubblicitarie e lampioni che, andando avanti, sembravano come congiungersi in un unico elemento, creando una fitta rete luminosa.
Purtroppo, a causa di tutto quell’inquinamento luminoso, non era possibile osservare il cielo notturno, sicuramente meraviglioso a causa delle miliardi di stelle che lo occupavano, come tanti diamanti splendenti incastonati nel soffitto di una grotta buia e profonda.
Tu non sei nato per amare, ricordi? Tu sei fatto per goderti la vita così come viene, senza la presenza di alcun legame a tenerti incatenato ad un’esistenza spenta e monotona.
Un altro sorriso beffardo prese posto sul suo volto, ora illuminato dalla pallida aura della luna.
Il suo cuore, però, non rise affatto.
Era diventato talmente bravo a sovrastare i sentimenti con la ragione che nemmeno se ne rese conto.
 

 

[ *** ]

 
Di fonte a sé lo specchio rifletteva il suo viso dalla pelle pallida e tirata, resa un po’ più colorita a causa delle occhiaie violacee sotto agli occhi nocciola, del tutto simili a quelli del fratello.
Il petto nudo si alzava ed abbassava al ritmo dei suoi respiri lenti e regolari, e la sua mente vagava in mondi lontani. Non si accorse nemmeno che il vetro dello specchio si stava appannando, segno che l’acqua della doccia era diventata bollente.
Passò una mano sulla superfice dell’oggetto riflettente, osservando con sguardo vitreo la sua immagine sfocata.
Si sentiva così vuoto, così spento… così inutile.
Più si guardava, più la ragione del suo vivere svaniva dai suoi occhi e dalla sua mente.
-Sarà meglio entrare in doccia- mormorò a sé stesso, stropicciandosi gli occhi e girando la manopola verso destra per raffreddare la temperatura dell’acqua.
 
 
Appena fu pronto, Bill uscì dalla sua stanza, pronto per scendere a fare colazione.
Proprio in quell’istante, anche Georg e Gustav uscirono in corridoio, volgendo lo sguardo verso il cantante con un sorriso.
-Buongiorno ragazzi- salutò Gustav, accennando anche un cenno della mano verso i suoi due amici.
-Allora, pronti per il concerto di stasera?- domandò eccitato Georg, sfregandosi le mani in segno di compiacimento, mentre la sua gola emetteva degli strani versi.
-Puoi giurarci!- rispose euforico il batterista, perdendo il sorriso appena notò il viso neutro e rabbuiato del moro.
-Ehi, tutto bene?- domandò poi, lanciando un veloce sguardo al bassista che, accortosi solo in quel momento dell’espressione dell’amico, affiancò Gustav per osservarlo attentamente.
-Sì, tutto bene- disse con tono decisamente poco convincente, abbozzando un sorrisino falso come Giuda stesso.
-Dalla tua faccia non si direbbe- affermò pensieroso il castano, osservandolo con le sopracciglia aggrottate e una mano sotto al mento.
-Sicuramente c’entra Tom- esclamò poco dopo, sorridendo soddisfatto appena gli occhi di Bill si sgranarono impercettibilmente.
Touché.
-In cosa dovrei c’entrare io stavolta?- domandò una voce dal tono sarcastico alle loro spalle.
-Niente, ehm… beh, forse noi è meglio che ce ne andiamo, vero Georg?-.
Il bassista, notando lo sguardo e soprattutto la punta di comando nella voce dell’amico, decise di dargli retta senza osare controbattere.
Dopotutto sapeva perfettamente che “ can che abbaia non morde “, e Gustav non abbaiava mai.
Quindi era più facile che ti mordesse senza che tu te l’aspettassi.
-Già. Allora, ehm… ci vediamo giù ragazzi- salutò infine il bassista, seguendo il biondino.
Quando i due ragazzi entrarono nell’ascensore, ogni rumore scomparve, lasciando il corridoio in uno strano silenzio, talmente profondo da essere quasi inquietante.
Tom si sentiva in tremendo imbarazzo, ed era una cosa decisamente strana dato che si trovava in compagnia di suo fratello. Gemello, per giunta. Come poteva sentirsi terribilmente fuori luogo?
Beh, forse era perché il cantante non emetteva nemmeno un suono, e neanche faceva qualcosa.
Era immobile come una statua, gli occhi ben piantati a terra e le braccia lungo i fianchi, coi pugni ben stretti.
Dopo qualche secondo di indecisione, finalmente uno dei due decise di cominciare una qualsivoglia conversazione.
-Cosa c’è che non va?-.
A quella domanda non ci fu risposta, così il ragazzo tentò di richiamare la sua attenzione ancora una volta.
-Bill?-.
Lo sguardo del gemello si puntò finalmente su di lui che, in quel momento, si maledisse di aver richiamato la sua attenzione.
Quelle iridi castane lo trapassavano come una lama tagliente e talmente calda da sentirsi bruciare l’anima.
-Hai pure il coraggio di chiedermi cos’ho?!- domandò scettico il cantante, con una voce decisamente poco rassicurante, così come l’espressione dura del suo volto perfetto.
Tom però non si fece intimorire.
-Certo che ce l’ho! E’ da ieri che non mi parli e non riesco proprio a capire il perché!-
-Oh, certo, fai pure il finto tono adesso!- contrattaccò il front man, alzando la voce di un’ottava.
-Se tu ti decidessi a spiegarmi che cazzo sta succedendo, forse riuscirei anche a capire di che cazzo stai parlando!-
-Mi sto riferendo a te e a Lynet!-.
Il chitarrista, decisamente stupito da quelle parole, rimase basito di fronte al fratello, del tutto incapace di reagire.
Gli ci volle almeno mezzo minuto prima di riuscire a dare vita ai suoi pensieri.
-Tu sei tutto scemo- esalò pacato, osservando il fratello con sguardo scettico.
-Vi ho visti ieri mattina, quando stavamo uscendo dall’hotel per raggiungere il negozio di dischi per la Signing Session. Ti ho visto mentre le mettevi un braccio attorno al collo e le sorridevi. Credevi davvero di potermela fare sotto al naso? Sarò pure ingenuo, Tom, ma di sicuro non sono un cretino!-
-Io invece sono sempre più sicuro che tu lo sia. Insomma, ti sei bevuto il cervello o l’hai donato in beneficenza?! Tu hai visto solo quello che la tua mente insana ha voluto vedere!-
-E allora spiegami che cazzo era tutta quella confidenza con lei-
-Stavamo semplicemente parlando! Mi vuoi spiegare che cosa c’è di male in questo?-
-A me sembrava qualcosa di più che una semplice chiacchierata fra amici-
-Solo perché sei innamorato perso di lei e sei geloso marcio di ogni singolo ragazzo che le si avvicina!-.
Entrambi rimasero a fissarsi in silenzio, leggendo l’uno i pensieri dell’altro.
-Bill, se proprio vuoi che te la dica tutta, Lynet mi stava dicendo di aver capito che io… io… sì, insomma, che mi piace Hanna-.
In quel preciso istante, Bill si sentì un vero idiota.
Come aveva potuto dubitare di Tom? Lui era la persona alla quale voleva più bene al mondo, e sapeva con estrema certezza che non avrebbe mai fatto nulla per ferirlo.
Nemmeno se fosse stato veramente innamorato di Lyn avrebbe osato avvicinarglisi in quel modo.
Come aveva potuto crederlo tanto meschino?
-Io…-.
Il vocalist sbuffò esasperato, sentendosi tremendamente il colpa per aver creduto davvero a quelle cose.
-Mi dispiace tanto Tomi- disse infine, osservando di sbieco il fratello, tremendamente imbarazzato.
-Non fa niente- chiuse il discorso Tom, sorridendogli solare come suo solito.
Finalmente l’atmosfera nel corridoio cominciò a tornare leggera e frizzante, come se le luci e i colori, da bui e opachi, cominciarono a ritornare luminosi e brillanti.
-Forza, scendiamo a fare colazione adesso- gli disse il chitarrista, cominciando ad avviarsi verso l’ascensore.
Bill, però, rimase fermo dov’era, guardandolo allontanarsi.
-Tom- lo richiamò poi, facendo voltare il gemello verso di lui.
-Io… io volevo soltanto dirti che mi dispiace, e che senza di te non sarei niente-.
Tom, a quella esplicita dichiarazione d’affetto, rispose con un sorriso ed uno sguardo dolcissimi, che riservava unicamente a lui.
Gli fece cenno con la testa di raggiungerlo e, appena gli fu accanto, gli mise un braccio attorno al collo.
-Sei proprio uno scemo, Bill-.
Quello era il meglio che riusciva a fare per esprimergli tutto il suo amore, ma Bill sembrò apprezzare davvero.
Dopotutto lo conosceva praticamente più di sé stesso e sapeva perfettamente che Tom non era mai stato bravo con le parole, ma coi fatti sì.
Lui era sempre stato in grado di donargli tutto l’affetto di cui aveva bisogno, di proteggerlo da ogni male - sia fisico che non - di fargli compagnia quando si sentiva tremendamente solo, di farlo ridere quando aveva solo voglia di piangere.
Insomma, nonostante fosse sempre stato restio ad esprimere i suoi sentimenti, Tom gli era sempre stato accanto, in ogni momento, bello o brutto che fosse.
In poche parole, agli occhi di Bill, lui era il fratello migliore che si potesse desiderare, coi suoi pregi e coi suoi difetti.
Non l’avrebbe mai cambiato per nessun altro al mondo e, cosa decisamente più importante, avrebbe dato la sua stessa vita per lui.
Ora e per sempre, ne era assolutamente certo.
 

 

[ *** ]
 

La sua colazione pareva di gran lunga più interessante di tutto ciò che lo circondava.
Non alzava lo sguardo dal suo piatto se non interpellato dai suoi amici che, per richiamarlo alla realtà, erano costretti a pronunciare il suo nome per almeno tre volte di seguito.
A Georg e Gustav quello sembrò uno strano comportamento da parte del chitarrista che, solitamente, era il primo ad intrufolarsi senza scrupoli nelle conversazioni altrui.
Bill però, a differenza degli altri, aveva già capito tutto.
Sapeva che, in qualche modo, Hanna c’entrava qualcosa perché anche lei, come il gemello, per tutto il tempo si era limitata a giocherellare con la sua colazione senza mangiarla.
Ogni tanto però, a differenza di Tom, alzava lo sguardo, e lo puntava nella sua direzione.
Rimaneva a fissarlo per interminabili secondi, con un’aria triste e colpevole.
Sicuramente fra di loro era successo qualcosa, probabilmente un litigio di quelli grossi dato che, conoscendo Tom meglio di sé stesso, il suo gemello non riusciva mai a rimanere arrabbiato con la stessa persona per più di due o tre ore.
Preso da un improvviso senso di smarrimento, il ragazzo si ritrovò a puntare le pupille su Lynet, studiando inconsciamente ogni suo lineamento morbido e delicato, ogni movimento delle ciglia, ogni sorriso, ogni gesto delle mani.
Lei, accortasi di essere insistentemente osservata da qualcuno, si voltò verso la sua destra, cercando la persona che la stava fissando dall’altra parte del tavolo.
Non ci mise niente ad incrociare quegli occhi nocciola che erano in grado di farla andare letteralmente a fuoco, come se il suo cuore, a quel contatto astratto, si fosse sciolto, trasformandosi in lava bollente pronta a scorrere nelle sue vene come sangue.
D’un tratto, la ragazza si riprese e, spalancando impercettibilmente gli occhi, spostò lo sguardo da quel ragazzo meraviglioso che la faceva sentire così in imbarazzo, e allo stesso tempo così bene.
Era tutto così strano per lei. Non riusciva a capire cosa Bill per lei fosse in realtà. Ok, gli voleva molto più che bene, questo lo sapeva ed aveva il coraggio di ammetterlo, ma c’era qualcosa di indescrivibilmente strano che non riusciva proprio a spiegarsi. Era come se fra lei ed il cantante fosse eretta una specie di barriera invisibile e sottile quanto basta per sentirsi ma non abbastanza da potersi raggiungere sul serio.
Forse era semplicemente una sua sensazione, un suo stupido pensiero dettato dall’insicurezza e dalla paura di perderlo di nuovo.
Sì, è sicuramente così, si ritrovò a convincersi Lynet.
Nel frattempo, lui si tartassava di domande. Non riusciva proprio a concepire il perché quella ragazza volesse farlo avvicinare a lei ma, allo stesso tempo, volesse tenerlo lontano.
Insomma, era un controsenso unico! Una contraddizione, però, che lui era deciso a risolvere una volta per tutte.
-Ragazzi- li chiamò euforico il loro manager -E’ ora di andare al Palasport per sistemare il palco e i vari attrezzi, forza!- li incitò, senza perdere il sorriso nemmeno per un secondo.
La band e le gemelle fecero come venne loro chiesto senza osare controbattere anche se, alcuni fra loro, non avevano la minima voglia di andarsene da lì perché troppo presi dai loro pensieri, dai loro piccoli problemi personali.
Che poi, per loro, piccoli non lo erano affatto.
 

 

[ *** ]
 

-Abbassate il volume del microfono! Rimbomba tantissimo!-.
Erano le tre del pomeriggio, ed il soundcheck era appena iniziato.
Bill aveva già trovato un problema - se lo si può chiamare problema - e sembrava già nervoso ancor prima che i ragazzi potessero cominciare a seguirlo con la musica.
Nonostante fossero solo delle prove per accordare gli strumenti e sistemare i microfoni, i ragazzi si stavano impegnando a fondo per far sì che tutto fosse perfetto.
Lyn si trovava sul palco insieme a loro, in fondo alla passerella, osservandoli mentre lavoravano.
Non aveva aperto bocca da quando aveva messo piede lì sopra. Sapeva quanto erano irascibili quando provavano - soprattutto Bill - e non aveva intenzione di essere motivo di disturbo.
Mentre li ascoltava si lasciava tutto il resto del mondo alle spalle, ma quando prendevano una pausa di pochi secondi, le tornava tutto a vorticarle nella testa come un uragano.
Era come se, mentre loro suonavano, una campana di vetro li sovrastava, racchiudendoli in un mondo tutto loro e, quando la musica finiva, quest’ultima sembrava svanire all’improvviso, facendola scontrare nuovamente con tutte le sue ansie e preoccupazioni.
Senza poterne fare a meno, si voltò verso l’ingresso del backstage, fissandolo con aria triste per qualche secondo.
Hanna non era lì ad ascoltare i ragazzi. Aveva preferito rimanere nel loro camerino a fare chissà che cosa.
Conoscendola, la mora sapeva che sua sorella stava semplicemente male, e non aveva alcuna voglia di stare in mezzo alla gente.
Lei faceva sempre così quando aveva qualcosa che non andava. Al posto di sfogarsi e di cercare di non pensarci, magari stando in compagnia, lei si rinchiudeva nel suo bozzolo senza rendere partecipe nemmeno la sua gemella.
Sospirando, Lynet cercò di scacciare dalla sua testa quelle orribili parole che Han le aveva detto la sera prima.
Sai, è la prima volta in vita mia che penso a quanta poca differenza ci sia ad avere una sorella o meno ”.
Quella frase le era penetrata nella testa con una violenza tale da averla lasciata stordita per almeno un minuto.
Ogni singola lettera l’aveva bruciata mentre le si era infilata nelle orecchie.
Nonostante non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire una cosa del genere da Hanna, lei sapeva che non l’aveva fatto apposta e che, sicuramente, non ci credeva nemmeno lei.
Era solo arrabbiata e frustrata, e quando la bionda aveva qualcosa che non andava, sputava sentenze ed insulti a destra e a manca senza nemmeno pensarci.
Buttava fuori tutto ciò che le passava per la testa senza pesare le parole.
Ed era proprio per questo che Lyn l’aveva già perdonata. Solo che, anche lei testarda ed orgogliosa, non aveva la forza di andare da lei e chiarire ogni malinteso. Però lo voleva, più di qualsiasi altra cosa.
 

 

[ *** ]
 

-Bene ragazzi, ottimo lavoro! Il soundcheck è finito! Andate pure nei vostri camerini a riposarvi e prepararvi che più tardi avrete i meet and greet!-.
Hanna spalancò gli occhi al solo sentire quelle parole.
Si alzò di scatto dal divanetto sul quale era malamente sdraiata e, controllando che in corridoio non ci fosse ancora nessuno, sgattaiolò fuori dalla stanza, dirigendosi furtivamente verso il bagno.
Ci si chiuse dentro, attendendo qualche minuto prima di uscire.
Quando lo ritenne giusto, tornò sui suoi passi, deviando però alla fine del corridoio, andando silenziosamente verso il palco, lasciandosi alle spalle il camerino dei ragazzi, dal quale provenivano le loro risate.
Dopo esserci salita, Han osservò il parterre e le tribune completamente vuote, provando ad immaginarsi cosa si potesse provare a stare lì sopra di fronte a milioni di persone cantando le proprie canzoni, mettendo così a nudo le proprie emozioni, i propri ricordi e segreti.
Le venne la pelle d’oca al solo pensiero e, senza un motivo preciso, decise di sdraiarsi accanto al microfono di Bill.
Uno strano senso d’angoscia le prese lo stomaco e, senza nemmeno pensarci, si voltò verso la sua destra, puntando lo sguardo sulla chitarra elettrica di Tom.
Calde lacrime cominciarono ad allagarle gli occhi e, per evitare crisi isteriche, tornò a guardare verso l’alto, tentando di ricacciare indietro - inutilmente - quell’indesiderata acqua salata.
Dopo un lasso di tempo che lei non seppe calcolare, dei passi disturbarono la sua quiete, facendo ricominciare il suo cuore a battere all’impazzata.
Fissò agitatissima le scale alla sua destra e, con suo enorme sollievo, vide che era Georg.
Tirò un sospiro di sollievo talmente forte che il castano la sentì, cominciando a ridacchiare.
La raggiunse, per poi sdraiarsi accanto a lei.
-Avevi paura che fossi Lynet, eh?- domandò sarcastico, volando il viso verso il suo.
Hanna, d’altro canto, non poté fare a meno di sorridere amaramente fra sé e sé.
Ci ha azzeccato per metà, pensò, prima di rispondergli.
-Già-
-Ehi- la richiamò lui con tono dolce, voltandole il viso verso di lui -Lo so che non credi davvero a quello che hai detto, ed anche lei lo sa. Quindi perché semplicemente non vai da tua sorella e le chiedi scusa? Sono sicuro che ti perdonerà-
-Sembra tutto così facile a parole- rispose la bionda, sorridendo amaramente, per poi puntare nuovamente lo sguardo verso l’alto -Ma tu non puoi capire, Georg. Noi non siamo solo sorelle, noi siamo gemelle. Ogni litigio, ogni parola, ogni torto, per noi è amplificato, capisci? Non posso semplicemente andare da lei e chiederle scusa e pensare che si risolva tutto! Le ho detto cose troppo cattive…-
-Ma lei ti ha già perdonata, Hanna. Qui l’unica che non l’ha ancora capito sei solo tu-.
La bionda, a quelle parole, si voltò bruscamente verso l’amico, guardandolo incredula.
Si tirò su, mettendosi seduta, tentando di alleviare le forti fitte che le trafiggevano il cuore.
Le lacrime tornarono in superficie, offuscandole la vista e facendole bruciare la gola.
Georg, al suono distinto dei primi singhiozzi sommessi, si mise nella sua stessa posizione, stringendola forte fra le sue braccia.
La cullò delicatamente, carezzandole i capelli con la stessa dolcezza di un fratello.
Quelle mani fra i suoi capelli e quelle braccia avvolte attorno al suo corpo la facevano sentire al sicuro, come se tutto il male che la circondava non potesse più toccarla né ferirla.
Quanto avrebbe voluto rimanere lì così per sempre, con il cervello azzerato ed il cuore pure.
 

 

[ *** ]
 

Il retro del Palasport era buio e desolato.
I tour bus e i vari tir erano ordinatamente parcheggiati negli appositi spazi, aperti e privati di ogni loro contenuto.
Quella sera c’era un vento umido che ti si attaccava alla pelle senza il minimo ritegno, gonfiandoti i capelli.
Ed Hanna se ne stava lì, da sola, seduta su dei gradini di metallo, a fumarsi una sigaretta rubata a Georg - col suo consenso ovviamente - poco prima, fregandosene altamente della sua messa in piega che se ne andava bellamente a quel paese.
Il fumo grigio che le usciva dalle labbra faceva fatica a dissolversi nell’aria, trattenuto nella sua forma originaria dalla presenza dall’umidità.
Lì si sentiva isolata dal mondo intero.
La musica e le grida all’interno del grande edificio la raggiungevano ovattate e dall’aspetto lontano, nonostante ci fosse solo un muro a dividerli.
In quel momento le pareva di appartenere ad un mondo lontano anni luce da lì, come se facesse parte di una realtà ben diversa da quella che stava vivendo in quel momento.
Si sentiva sola e scoraggiata, senza alcuna via d’uscita.
Sua madre era sulle sue tracce, pronta a riportarla a casa ed imprigionarla nuovamente fra le sue grinfie e le mura di casa, aveva forse perso irrimediabilmente Tom e probabilmente anche la gemella… poteva andare peggio di così?
, pensò la bionda, appena poco prima che la porta d’emergenza alle sue spalle si aprisse con un cigolio d’avvertimento.
Hanna non ebbe nemmeno il coraggio di girare il capo.
Sapeva perfettamente che poteva trattarsi unicamente di Lynet dato che il concerto era ancora in corso e tutto lo staff (compreso il padre) era occupato all’interno, assicurandosi che tutto andasse per il verso giusto.
La conferma a tutti i suoi pensieri arrivò quando una ragazza minuta e dai lunghi capelli scuri prese posto accanto a lei.
Entrambe tennero lo sguardo puntato di fronte a loro e, dopo un sospiro, Lynet cominciò a parlare.
-Mi ha fatto molto male quello che mi hai detto l’altra sera. Mi hai ferita-
-Lo so- rispose di scatto lei, quasi senza lasciarle il tempo di terminare la frase.
Non lo disse però in modo scontroso o arrabbiato, bensì colpevole e dal tono sommesso.
-Non pensavo davvero quelle cose quando le ho dette, e non le penso nemmeno ora-
-Lo so- le fece eco la sorella, accennando un piccolo sorriso, osservandola con dolcezza e malinconia.
D’altro canto, la bionda non poté fare a meno di ricambiare lo sguardo, senza staccarlo per degli attimi lunghissimi.
-Mi dispiace tanto Lynet, non so proprio cosa mi sia preso in quel momento! Non posso credere di aver davvero detto quelle cose. Mi sento così in colpa ed in imbarazzo. Sono così arrabbiata con me stessa Lyn…-
-Non dovresti esserlo, perché io non lo sono con te. È tutto passato. So che per te questo è un periodo difficile-
-Ma lo è anche per te!- proseguì la bionda, voltandosi verso di lei con un’espressione stupita ed irritata -Anche tu stai passando tutto quello che sto passando io, eppure non mi hai mai trattata male! Come puoi abbonarmi una cosa del genere? Come puoi paragonarci? Non me lo merito-
-Sei la miglior cosa che il mondo mi ha donato. Ti conosco più di me stessa e so quanto hai bisogno di sfogarti quando stai male, ed io non te ne ho dato l’occasione perché ero troppo presa da… altro-.
Per un momento la mora rimase in silenzio, poi riordinò le idee e continuò.
-Ho stupidamente creduto che se non avessimo parlato dei nostri problemi tu ci avresti pensato di meno e saresti stata meglio, ma non è stato così, ed ora sono io a sentirmi in colpa per non aver capito subito di cosa avevi bisogno in realtà. Volevi solo qualcuno che ti stesse accanto, ed io ti ho lasciata sola-
-Smettila Lynet, tu non hai colpe. Qui l’unica che ha sbagliato sono io-.
Il silenzio tornò a circondarle, interrotto unicamente da tutti i suoni e rumori del concerto all’interno del Palasport.
-Io ti ho perdonata, Hanna. Perché tu non riesci a fare lo stesso con te stessa?-
-Perché tu sei l’unica persona che mi può rendere qualcuno, l’unica grazie alla quale anche io posso sentirmi parte di questa vita. Mi odio perché tu mi rendi degna di stare al mondo, ed ho pure avuto il coraggio di attaccarti in quel modo. Non te lo meritavi per niente-
-Sai una cosa? Mi hai chiesto scusa, e tanto basta. So che sei dispiaciuta per quello che mi hai detto, e sono stanca di starti lontana e fare finta che tu non esisti. Sei parte di me, dannazione! Puoi spiegarmi come farei io se tu non ci fossi?-
-Tu non lo so, ma io non sarei niente senza di te-.
 

 

[ *** ]
 

Il concerto era ormai terminato da un pezzo, e tutti erano tornati in albergo per prepararsi per l’After Party.
Lo show era stato strabiliante, ed aveva lasciato senza fiato non solo le fan, ma anche l’intera crew e David stesso, che quella sera aveva deciso di togliere qualsiasi coprifuoco ai ragazzi.
In quel momento ognuno si trovava nella propria camera, intento a lavarsi e cambiarsi per una serata di puro divertimento. Ne avevano tutti bisogno dopo le lunghe giornate di lavoro e stress appena trascorse.
-Ne sei proprio sicura?-.
La voce preoccupata ed apprensiva di Lynet - che in quel momento si trovava in bagno a truccarsi - raggiunse le orecchie della sorella, sdraiata a gambe larghe e pancia in su sul grande letto matrimoniale.
-Sicurissima- affermò quest’ultima, tentando di essere il più convincete possibile.
-Ma Hanna…-
-Oh Lynet, te l’ho già detto tre volte! Stai tranquilla, tu vai e divertiti, a me non ci pensare-
-Come se potessi farlo!- sbottò esasperata la mora, uscendo dal bagno -Credi davvero che possa divertirmi come niente fosse mentre tu te ne stai qui da sola a fare niente?!-
-Lyn, ti prego, non costringermi a venire con voi-
-Non voglio di certo obbligarti a fare niente che non vuoi, però credo che sia sbagliato nei tuoi confronti non venire alla festa solo per colpa sua-
-E cosa dovrei fare? Sentiamo- rispose la bionda nervosa, appoggiandosi su entrambi i gomiti.
-Dovresti venire anche tu e fregartene di lui, di quello che è successo e divertirti-
-Sai Lyn, ne sarei davvero capace se fosse stato lui a lasciarmi lì come un’allocca dopo avermi baciata in quel modo, ma è stato il contrario, e sinceramente non sono abbastanza stronza da riuscire a far finta di nulla e divertirmi sotto ai suoi occhi-
-Chiedigli scusa-
-Cosa?-
-Chiedigli scusa-
-Sì, l’avevo capito cosa avevi detto…-
-Non fare tanto la spiritosa- la riprese la mora, seria -Vai da lui e chiarisci tutta questa storia una volta per tutte, così potrete lasciarvi ogni cosa alle spalle e ricominciare tutto da capo-
-Ricominciare che cosa, scusa?-
-Beh, a provare a frequentarvi come qualcosa di più che semplici amici…-
-Ma sei impazzita?! No scusa, nel dentifricio che hai usato prima hai controllato che non ci fosse sciolta dentro qualche sostanza stupefacente?!-
-Perché dici così?-
-Perché non è stato nulla di più di un bacio per entrambi!-
-Sì, certo, ed io sono Biancaneve…-
-Non ci credi?-
-No, ti conosco troppo bene-
-Però lui non lo conosci così bene-
-Come fai ad esserne così sicura? Cosa ne sai tu che lui non si sia confidato con me?-
-Perché altrimenti non saresti mai venuta a dirmelo. So che non sei il tipo da intromettersi in certe cose, preferisci che accadano da sole e senza l’aiuto di nessuno-
-Per questa volta potrebbe anche essere diverso. E poi io non ti ho detto proprio niente-
-Però hai accennato la cosa…-
-Io non ho detto che è successo davvero, ho fatto solo una supposizione…-
-Ma… Oh Lynet! In questo momento ti sto odiando- disse in tutta risposta Hanna, lasciando cadere pesantemente il busto sul materasso e coprendosi il volto con un cuscino.
Lynet rise di gusto, raggiungendo la sorella a gattoni e togliendole il capezzale dal viso.
-Senti, fai come vuoi. Se cambi idea questo è il biglietto da visita della discoteca- le disse sventolandole un cartoncino colorato davanti agli occhi -Te lo lascio qui sul comodino, così ti fai chiamare un taxi dalla reception e ci raggiungi, d’accordo?-
-Mhm mhm- mugugnò a bocca chiusa la bionda, in segno d’assenso.
-Ora credo sia meglio che vada, devo raggiungere gli altri nella hall. Per qualsiasi cosa chiamami senza esitare! Capito?-
-Sì, mammina!- rispose la bionda ridendo, per poi sbatterle un cuscino in testa.
-Ehi, i miei capelli!-disse l’altra scendendo dal letto e raggiungendo lo specchio sopra al comò, sistemandosi minuziosamente la chioma scura un po’ scompigliata.
-Buona serata gemellina- la salutò la bionda, sorridendole radiosa.
-Anche a te, anche se non so cosa potresti fare chiusa qui dentro per passare la serata…-
-Lynet!-
-Ok, ok! Adesso me ne vado e ti lascio in pace! Ci vediamo domani-
-Va bene, ciao-.
E, detto questo, la sorella scomparve dietro la porta chiusa della stanza.
Bene, pensò, ora devo trovare qualcosa da fare per non pensare a Tom

 

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Capitolo 12
*** 11. C'è ancora qualcosa che non so di te: al centro del tuo cuore, che c'è? ***


Buonasera care Aliens! Anzi, buonanotte ormai! :D
Non so voi, ma noi grazie al carnevale siamo stati a casa da scuola ieri e lo saremo anche oggi.. che bello *-* L'unico problema è che i pagellini si avvicinano e i profe hanno bisogno di voti, quindi a noi poveri studenti sfigati tocca studiare anche se siamo in vacanza -.- pff, che palle!
Cooomunque, passando a cose ben più interessanti, avete fatto qualcosa voi domenica per carnevale? Io sono stata a Venezia ( per la prima volta, tra l'altro! ) E' una città bellissima *-*
Anche se era talmente piena di persone che riuscire a passare per le sue vie minuscole è stato un vero e proprio miracolo!
Ora, passando all'argomento capitolo, voglio avvisarvi che è più corto del solito, ma che contiene qualche passaggio importante.
Sinceramente io non sono molto sicura di quello che ho scritto, non mi convince per niente, però sta a voi lasciarmi un commentino e farmi sapere che ne pensate...
Spero a voi piaccia molto più che a me! Mi raccomando, fatemi sapere che ci tengo a leggere le vostre opinioni! ;)
Ora vi saluto carissime! Alla prossima! ( chissà quando sarà poi... la scuola mi sta distruggendo D: )
Vi abbraccio fortissimo!

Vostra GretaTK.




Capitolo 11, C’è ancora qualcosa che non so di te: al centro del tuo cuore, che c’è?
 




Luci psichedeliche e colorate si fondevano le une con le altre, stordendo per qualche secondo i ragazzi e le ragazze presenti in quell’enorme discoteca un po’ fuori dal centro della capitale.
Ai Tokio Hotel era stato riservato un soppalco grande come un’intera parete del locale.
Lo si poteva raggiungere grazie ad una scalinata diafana e l’intero pianerottolo era circondato da delle tende leggere e semi-trasparenti che cadevano dal soffitto.
Tutti e quattro i ragazzi erano intenti a fare qualcosa di diverso: Georg chiacchierava allegramente con due ragazze canadesi mentre, ogni tanto, beveva un po’ del suo cocktail ad alto tasso alcolico.
Dall’aspetto velato e un po’ perso dei suoi occhi si poteva già intuire come si sarebbe conclusa la serata.
Gustav, invece, se ne stava tranquillamente seduto al bancone del bar a bere una semplice birra, guardandosi saltuariamente in giro e scambiando due chiacchiere con chi gli passava accanto per ordinare da bere.
Tom, a differenza dei suoi due amici, si trovava in mezzo alla pista, intento a strusciarsi sensualmente contro una ragazza. Col consenso di lei, ovviamente.
Portava un abitino bianco molto attillato e decisamente succinto, decorato da qualche strass sul bordo inferiore. Aveva la pelle olivastra e lunghi capelli neri e mossi, con occhi scuri e leggermente a mandorla e labbra carnose.
Non era molto alta, ma sicuramente per il chitarrista quello era un dettaglio decisamente irrilevante.
Nel frattempo, suo fratello Bill lo osservava quasi disgustato dal divanetto del loro soppalco.
Se ne stava seduto con le gambe larghe ed il braccio sinistro appoggiato allo schienale del sofà, mentre con quello destro avvicinava, a ritmi quasi regolari, un bicchiere dal contenuto alcolico alla sua bocca.
Non poteva credere che Tom stesse veramente flirtando con quella ragazza mentre Hanna se ne stava tutta sola in albergo a logorarsi l’anima dal rimorso per ciò che aveva fatto.
Non ci aveva messo molto a farsi raccontare tutto da Lynet che, anche lei come il cantante, era venuta a conoscenza di quel fatto solo quella sera.
-Bill-.
Il ragazzo voltò di scatto il viso verso la sua sinistra, trovandosi faccia a faccia con la protagonista dei suoi sogni e delle sue canzoni, che ormai da anni erano totalmente ispirate a lei.
-Ehi, sei tornata finalmente! Ma quanto ci hai messo per darti una sistematina al trucco? Poi dite che sono io quello pignolo!-.
Il vocalist si mise a ridere di gusto dopo aver notato il volto imbronciato di Lynet, che cominciò a prenderlo a pugni sulla coscia.
-Se il bagno era pieno non è di certo colpa mia!- rispose lei tutta impettita, incrociando le braccia al petto e voltandosi dalla parte opposta con fare offeso.
-Oh andiamo, non fare così! Stavo solo scherzando- gli disse lui all’orecchio, ridendo, per poi poggiarle un dito sul mento obbligandola così a tornare a guardarlo.
Per dei secondi interminabili i loro occhi rimasero incatenati gli uni agli altri, e i loro respiri si fecero più affannati.
Erano così vicini l’uno all’altra che la tentazione era troppo forte per entrambi. Sentivano come una scossa elettrica attraversargli le labbra, avvicinandoli con una forza inarrestabile.
Bill le mise una mano dietro la nuca, infilando le dita lunghe e sottili fra i suoi capelli.
Dei brividi profondi e violenti la invasero, mozzandole il fiato, che le si bloccò nel bel mezzo della gola, emettendo così un gemito strozzato appena riprese fiato.
Il cantante sorrise malizioso a quella reazione, avvicinandosi deciso alle sue labbra, che finalmente poté toccare con le sue per la prima volta.
La bocca di Lyn gli pareva talmente morbida e soffice che avrebbe voluto non staccarcisi mai più in vita sua, non ora che finalmente l’aveva sentita poggiata sulla sua, dopo anni di attesa.
Si staccò delicatamente, per poi riavvicinarcisi con la stessa calma, aspettando che fosse lei a cambiare il ritmo di quel contatto così pudico e casto, ma non privo d’amore e di passione.
Lynet, d’altro canto, si sentiva ancora un po’ stordita e sorpresa da quel gesto così avventato da parte di Bill.
Effettivamente non avrebbe mai creduto possibile che un giorno l’avesse baciata. Anzi, non avrebbe mai pensato che anche lui potesse ricambiare i suoi sentimenti. Almeno, sperando che fosse davvero così.
E se si fosse trattato solo di attrazione fisica? Se fosse stato solo un momento così, nel quale lui sentiva il bisogno di calmare gli ormoni con una a caso?
Lei non avrebbe potuto sopportarlo.
Si staccò velocemente da lui, guardandolo fisso negli occhi, come se volesse leggergli l’anima.
Cercava una falla in fondo al suo cuore, un’imperfezione nel suo animo, qualsiasi cosa che avesse potuto metterla in allarme e farla allontanare immediatamente da lui, ma niente.
Il suo sguardo era limpido e sincero, così come ogni cosa dentro di lui.
Bill le voleva bene davvero. Forse da giorni, mesi, anni.
Chissà, forse da sempre, e lei l’aveva capito solo in quel preciso istante.
Così, sorridendogli euforica, si riattaccò alle sue labbra, stringendogli le braccia attorno al collo come se non volesse più farlo andare via.
La ragazza sentì che anche le labbra di Bill erano incurvate verso l’alto e quel bacio, da casto, diventò più profondo e passionale, senza però tralasciare mai i sentimenti che li legavano in quel modo.
Finalmente, per la prima volta in vita loro, entrambi si sentirono veramente completi, come se quell’unico tassello mancante della loro anima avesse trovato il posto al quale era destinato da sempre, ma che non era mai riuscito a trovare.
 

[ *** ]

 
Le strade erano affollate e caotiche, talmente illuminate che pareva quasi giorno.
L’ingorgo nelle strade sembrava non diminuire mai, ed i rumori assordanti dei clacson risuonavano ininterrottamente per le vie della città.
Quel vento umido che la perseguitava dall’arrivo della sera non se n’era ancora andato, ma sinceramente poco le importava.
L’unica cosa che aveva la forza di fare in quel momento era camminare senza sosta e senza un motivo preciso, senza una meta.
Voleva solo svuotare la testa da tutti i pensieri che l’affollavano e soprattutto allontanarsi da tutto ciò che le ricordava sua madre, la sua vita, Tom stesso.
Ancora non riusciva a spiegarsi del perché si fosse tirata indietro appena l’aveva baciato.
Insomma, non poteva di certo negare che l’avesse voluto davvero, ma come al solito la paura di essere ferita e abbandonata l’aveva frenata.
Non riusciva mai a lasciarsi del tutto andare quando si trattava dei sentimenti, a parte con sua sorella e le sue tre migliori amiche.
Quanto le mancavano.
Solo al pensiero le faceva male il cuore.
Chissà come stavano, se ora anche Christine e Norma erano a conoscenza di tutto come Anja. Lo sperava davvero, perché poteva immaginare come erano in pensiero per lei e Lynet in quel momento.
Non è di certo da tutti i giorni sparire senza lasciare alcuna traccia né senza avvertire.
Si sentiva in colpa per essersene andata senza alcuna spiegazione, ma era l’unica cosa che potessero fare sia lei che la sua gemella.
In quel preciso momento avrebbe solo voluto sentire le loro voci, tutte insieme, che chiamavano il suo nome.
-Hanna!-.
La ragazza si bloccò nel bel mezzo del marciapiede, con gli occhi sgranati per lo stupore, chiedendosi se fosse solo la sua immaginazione a farle dei brutti scherzi o se qualcuno avesse veramente urlato il suo nome.
Scuotendo piano il capo a quell’assurda idea, ricominciò a camminare a testa bassa.
-Hanna!-.
A quel secondo richiamo, la ragazza decise di voltarsi una volta per tutte.
Assottigliò lo sguardo, osservando attentamente fra la folla se ci fosse un viso familiare.
E poi, lo trovò.
Il cuore perse un battito, cadendole poi in fondo ai piedi.
Non si sarebbe mai aspettata di vedere proprio lui fra tutte le persone che erano a Kuala Lumpur con lei.
-Tom- sussurrò sorpresa e meravigliata, senza riuscire a togliere gli occhi di dosso a quello splendido ragazzo che le si avvicinava correndo, facendo così ondeggiare le sue lunghe treccine nere.
-Si può sapere che ci fai qui fuori da sola? Avresti dovuto chiedere a uno dei bodyguards di accompagnarti!-.
Il luccichio negli occhi di Hanna sparì all’istante, così come era arrivato.
Il tono e soprattutto l’espressione del ragazzo erano fermi e duri, senza la minima traccia d’affetto.
Delusa e ferita, decise di voltargli le spalle, incamminandosi verso la parte opposta.
Improvvisamente però, una mano dalla presa forte e sicura la bloccò per il braccio destro, facendola voltare bruscamente.
-Non ti permettere mai più di andartene in questo modo senza nemmeno avermi risposto!-
-Mica sei mio padre! Mollami subito il braccio e non osare mai più fare una cosa del genere!-
-Sentimi, ragazzina…-
-No, sentimi tu!- sbottò lei, furiosa -Ti ho detto di lasciarmi andare, ed è esattamente quello che farai!-
-Cosa sta succedendo qui?-.
Entrambi si voltarono verso la proprietaria di quella voce.
Hanna si sarebbe aspettata di trovarsi di fronte un’europea dato che aveva parlato in inglese - anche se l’accento non era dei migliori - ed invece si stupì quando vide che era una ragazza del luogo.
Indossava un vestitino bianco decisamente troppo corto e scollato, aperto su un fianco e su parte della pancia. Aveva dei lunghi capelli neri e due occhi un po’ a mandorla.
-Chi è questa?- chiese la sconosciuta, rivolgendosi a Tom.
Solo allora Hanna capì.
-Oh, bene!- esplose lei, parlando nella sua lingua madre senza degnare di un minimo sguardo la ragazza mora -Prima fai tanto l’offeso e non mi guardi per tutto il giorno perché dopo averti baciato me ne sono andata in fretta e furia, e poi ti porti in albergo questa qui?!- domandò sprezzante, facendo vagare lo sguardo schifato lungo tutto il profilo della ragazza.
-E che avrei dovuto fare? Starmene con le mani in mano a chiedermi perché ti sei comportata in quel modo? Non capisci che era solo il mio orgoglio ad essere stato ferito? Cos’è, pensavi che ci fossi rimasto male? Beh, sei proprio fuori strada, carina! Non ti ho degnata di uno sguardo oggi perché non accettavo il fatto che qualcuna mi rifiutasse!-.
Hanna non ebbe la forza di rispondere.
Nonostante dentro di sé sapesse con estrema certezza che Tom le stesse spudoratamente mentendo, si sentì ferita come mai prima d’allora.
-Vaffanculo, Tom- gli sibilò contro, mentre gli occhi le si velavano di lacrime.
Con uno strattone si liberò dalla sua presa, allontanandosi velocemente da lui e dalla sua compagna di quella sera.
Le lacrime le solcavano il volto senza sosta, mischiandosi al trucco che, in quel momento, colava giù a picco insieme all’acqua salata che sgorgava dai suoi occhi.
Ma proprio non le importava di come appariva in quel momento. Tutto ciò che la circondava era come sparito, lasciandola in balia di una solitudine senza fine.
Ad un certo punto però il fiato le si fece corto e, dopo essersi guardata attorno ed aver capito di trovarsi in un grande parco, decise di sedersi sulla prima panchina libera che vide, lasciando che le lacrime continuassero imperterrite a bruciarle gli occhi e la pelle.
 
 
Erano quasi le tre quando Hanna tornò in albergo.
Arrivata nella hall, si fece dare la carta magnetica della sua stanza e prese l’ascensore.
Il corridoio era vuoto e silenzioso, facendola sentire ancora più triste e sola di quanto già non era.
Si diresse immediatamente verso la sua camera, aprendola.
Prima di entrare, però, si voltò verso la stanza di Tom.
Purtroppo per lei, il suo spirito d’osservazione era infallibile, e proprio lì, appeso alla maniglia della porta, si poteva benissimo notare un cartello bianco recante la scritta “ Don’t disturb “ in nero.
Poteva esserci un solo motivo per il quale Tom avesse fatto uso di quel cartello, e non si stupì affatto quando pensò che avrebbe tanto voluto esserci lei al posto di quella ragazza.
La cosa che la lasciò veramente basita ed incredula fu un rumore secco e deciso proveniente dall’interno del suo corpo.
Il suo cuore si era definitivamente rotto.
 

[ *** ]

 
Quella notte non ci sarebbero stati baci e carezze per lei.
Quella sera Tom non aveva proprio la forza di fingere che, almeno per quella notte, di lei gliene importava qualcosa.
Era stanco di recitare una parte che gli stava fin troppo stretta.
Aveva bisogno di essere semplicemente sé stesso, di comportarsi come gli andava, di fare solo ciò che si sentiva di fare.
Non aveva più voglia di tentare di far sentire speciali le ragazze che si portava a letto.
Non quella volta, non più.
Quella notte Tom non aveva osato sfiorarle le labbra con le sue. Non l’aveva coccolata nemmeno per sbaglio, non gli era nemmeno importato di farla sentire a suo agio.
L’aveva semplicemente portata in camera, spinta sul letto e spogliata con rabbia.
L’aveva penetrata con violenza, senza nemmeno aspettare che fosse pronta.
Ogni spinta era un gemito di dolore per entrambi.
Fisico per lei, interiore per lui.
La forza con la quale affondava nella sua intimità era tale da farlo tremare dallo sforzo.
Ogni tanto qualche lacrima bagnava il volto della ragazza, ma lui non ci fece nemmeno caso.
Voleva solo venire, raggiungere l’apice del piacere così da sentirsi soddisfatto e poterla mandare via immediatamente perché non riusciva più a sopportare la vista del suo volto davanti agli occhi, di sentire la sua voce quando gemeva e sospirava di dolore.
Era così maledettamente diversa da Hanna, e più cercava di non pensarci, più quella donna sotto il suo corpo gli faceva schifo.
Lui si faceva schifo.
Si sentiva sporco dentro, logoro e mutilato fin nella parte più profonda dell’anima.
Si sentiva un mostro.
E la cosa più brutta è che, nonostante questo, non poteva fare a meno di continuare a spingere senza sosta e senza la minima delicatezza.
Aveva bisogno di sfogarsi e, purtroppo per la ragazza, lei era l’unica persona che aveva a disposizione in quel momento.
Se lì con lui ci fosse stato Bill sarebbe stato tutto diverso.
Ne avrebbero parlato, oppure sarebbero stati zitti perché tanto si sarebbero capiti comunque.
Suo fratello l’avrebbe abbracciato finché ne avesse avuto bisogno, facendolo sentire nuovamente a casa.
La loro vera casa.
In quel preciso momento avrebbe tanto voluto poter tornare indietro nel tempo e cambiare il corso delle cose.
Non avrebbe sicuramente più voluto imparare a suonare la chitarra, e avrebbe cercato di convincere il fratello che la musica era una cosa stupida e il desiderio di avere successo lo era ancora di più.
Avrebbe tanto voluto poter rimanere un ragazzino come tutti gli altri, che si limitano a giocare alla play station quando piove e a calcio quando c’è il sole invece di suonare in un garage sgangherato qualsiasi fosse stato il tempo fuori.
Ma, più di qualsiasi altra cosa, avrebbe voluto stare alla larga da Hanna sin dall’inizio, a costo di sembrare uno stronzo.
Avrebbe tanto voluto non affezionarsi così tanto a lei, avrebbe voluto non conoscerla mai.
Purtroppo però - o per fortuna, dipende da come uno la vede - certe cose non si possono cambiare, ed il passato è proprio una di queste.
Ciò che hai vissuto rimarrà immutato per tutto il resto dei tuoi giorni, qualsiasi siano le scelte che fai nel presente.
Ora l’unico problema era capire cosa avrebbe voluto vedere quando sarebbe stato vecchio e si fosse voltato indietro, immergendosi nei ricordi, e l’unica immagine che venne a galla nella sua mente fu il volto di Hanna che gli sorrideva prima di baciarlo.
Scosse la testa velocemente, spingendo con più foga e prepotenza.
No. Avrebbe potuto avere qualsiasi cosa, ma non lei.
Hanna non avrebbe mai dovuto far parte del suo passato e nemmeno del suo presente, quindi neanche del suo futuro.
Ma allora come poteva pensare così tanto a lei? Come poteva dedicarle così tante attenzioni?
Sarebbe tutto più facile se si desiderasse semplicemente quello che si ha o che si può avere, e non ciò che non potrà mai entrare in nostro possesso.
Ed Hanna, per Tom, rientrava proprio in quest’ultima categoria.
 

[ *** ]

 
L’appartamento era completamente buio, ad eccezion fatta per la luce abbagliante proveniente dal computer portatile dell’uomo.
Il profondo silenzio che lo circondava gli faceva fischiare le orecchie, ma ormai ci era abituato.
Il quartiere nel quale abitava era sempre molto silenzioso e solitario, soprattutto durante la notte.
Mentre metteva a posto i cassetti della sua scrivania, l’improvviso suono emesso dal pc attirò la sua attenzione sullo schermo.
Posizionò gli occhiali da vista sul naso e si concentrò sull’e-mail che gli era appena stata inviata.
Senza pensarci due volte, la inoltrò a Karoline.
 

Buonasera Karoline, spero di non disturbarti.
Ho appena ricevuto quest’e-mail dal mio collega di Kuala Lumpur.
Credo proprio che il contenuto ti interesserà parecchio.
Andando avanti di questo passo, appena torneranno in Germania sapremo dove alloggia David e potrai andare a riprenderti le tue figlie.
Per qualsiasi chiarimento chiamami,
Gabriel. “

 
Dopo averle girato l’e-mail, l’investigatore aprì le foto, osservandole pensieroso.
La situazione stava veramente prendendo una brutta piega per le due ragazze.
Ora, oltre al fatto di avere una madre vendicativa e severa alle calcagna, avrebbero dovuto fare i conti con l’amore, presto o tardi.
Gli attimi catturati dalla macchina fotografica dell’investigatore malese parlavano fin troppo chiaramente: cinque di essi ritraevano Lynet e Bill seduti su un divanetto in un locale mentre si scambiavano effusioni e si sorridevano con un’aria sognante in volto, mentre nelle altre Hanna e Tom che litigavano, probabilmente a causa di quell’altra ragazza presente accanto a loro.
Sarebbe stato impossibile per chiunque non credere che l’amore li aveva travolti in pieno.
Forse non in modo molto equo, vista la felicità di una ragazza e la tristezza dell’altra, ma aveva pur sempre colpito.
Che fosse stato un bene o un male, non aveva molta importanza però dato che, prima o poi, entrambe si sarebbero dovute allontanare dalla band e dal padre, e su questo non c’era ombra di dubbio, conoscendo l’indole spietata di Karoline.
Era più che certo che entrambe, prima o poi, avrebbero sofferto, e non sarebbe stato facile per loro riprendersi.
Gabriel si tolse gli occhiali da vista, poggiandoli sulla scrivania.
Poi, sbuffando pesantemente, si massaggiò gli occhi, per poi riaprirli e fissarli su quelle stramaledette fotografie, provando una strana sensazione di colpevolezza infondo all’anima.
L’uomo cominciava veramente a chiedersi se quello che stesse facendo fosse la cosa giusta o meno.
In un’altra occasione si sarebbe sentito rallegrato nel sapere di poter aiutare una madre a riavere le proprie figlie, ma in quel caso era stata proprio quest’ultima ad averle messe in condizione di andarsene.
Che le due gemelle non avessero tutti i torti riguardo alla madre? Che avessero avuto tutti i diritti di fuggire da lei?
Forse, in quel caso, le cose stavano così, e la cosa che lo faceva stare peggio è che tutto quello stava accadendo anche a causa sua.
Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma per la prima volta in tutta la sua carriera stava dalla parte sbagliata.

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Capitolo 13
*** 12. Dopo la tempesta c'è sempre l'arcobaleno. (?) ***


Eccomi di nuovo ALIENS ! :D
Scusate per il ritardo ma non ho proprio avuto tempo di scrivere e , lo ammetto , nemmeno l'ispirazione si è fatta avanti in quest'ultimo periodo !
Finalmente ho terminato un altro capitolo , non vedevo l'ora ! Spero soltanto che lo apprezziate , dato che a me non fa impazzire .-.
Vi prego , lasciatemi un vostro parere , bello o brutto che sia ! Le vostre recensioni sono come un monito ad andare avanti a scrivere questa FF :)

Alla prossima ragazze !
Un caloroso abbraccio , GretaTK .

 

Capitolo 12, Dopo una tempesta c’è sempre l’arcobaleno. (?)


-Bene, ora che siamo tutti presenti possiamo partire!-.
La voce del manager esprimeva un non so ché di euforico e squillante che, in quel momento, nessuno dei presenti era in grado di sopportare.
Era l’una del pomeriggio, ma ancora nessuno dei ragazzi si era ripreso dalla serata precedente;
 
Georg, dopo svariati bicchieri di Mojito, Gin Lemon e Cuba Libre, era cascato sul divanetto della sala privata come un sacco di patate buttato lì a caso.
Fortunatamente i ragazzi erano costantemente accompagnati da guardie del corpo alte due metri e con un bel paio di spalle possenti, altrimenti sarebbe toccato a Gustav e Bill riportarlo in albergo in braccio; ma voi vi immaginereste mai il nostro caro cantante alle prese con l’inerme corpo del bassista fra le braccia? Ne dubito seriamente e, se ci riuscite, mi congratulo con voi per la vostra fervida fantasia.
Fatto sta che, tralasciando cinici commenti personali, Tobias l’aveva sollevato con un solo braccio e se l’era messo in spalla senza il segno del minimo sforzo.
Entrambi i ragazzi si erano guardati stupiti e un po’ affranti: il biondino osservava l’uomo con un po’ d’invidia a causa della sua altezza, mentre Bill spostava insistentemente lo sguardo dai muscoli del bodyguard ai suoi esili ramoscelli comunemente chiamati “braccia”, sentendosi improvvisamente troppo magro.
Dovrei cominciare ad andare in palestra coi ragazzi, si era detto poi, mentre il suo subconscio già sapeva che il suo buon proposito non sarebbe andato a buon fine. Come sempre d’altronde.
Arrivarono in albergo che erano passate da poco le tre.
Fortunatamente Tobias fu così gentile da trasportare il bassista fino in camera, posandolo sul letto e dirigendosi tranquillamente verso la sua stanza dopo aver salutato i ragazzi.
-Forse è meglio se io rimango qui- aveva affermato Gustav, rivolgendosi a Bill e Lynet -Non vorrei che stesse male durante la notte e avesse bisogno di aiuto-
-In questo momento sarebbero utili quegli aggeggi che si usano coi bambini mentre dormono per poter sentire se piangono anche se sei in un’altra stanza-
-Oh, Bill!- aveva esclamato Lynet -Quanto sai essere antipatico a volte!- aveva terminato, colpendolo sulla spalla.
-Ma che ho detto di tanto sbagliato?!- aveva retoricamente chiesto il moro, allargando le braccia col palmo delle mani rivolti verso l’alto in segno di innocenza.
Nel frattempo, Gustav li osservava divertito, mentre un sorriso gli storceva le labbra.
Li aveva visti in discoteca mentre si baciavano. Aveva notato la felicità che emanavano i loro visi in quel momento.
Finalmente erano riusciti a lasciarsi andare l’uno con l’altra, confessando i sentimenti reciproci senza l’utilizzo di una sola parola.
Il batterista ricordava ancora quella sera di poco tempo prima in cui, da bravo amico, aveva fatto compagnia a Bill per tutta la sera, mentre piangeva per lei.
Ed ora, invece, era tutto diverso. Le cose fra di loro erano cambiate, cambiate in meglio.
Finalmente potevano smetterla di fingere di non provare nulla l’uno per l’altra, di non sentire il bisogno di stare vicini e baciarsi fino a che non avessero più avuto fiato nei polmoni.
-Sei sicuro che vuoi stare qui allora?- gli aveva chiesto premurosamente Lynet, osservando apprensiva il biondino.
-Non preoccuparti, è tutto sotto controllo. Ci vediamo domani verso l’ora di pranzo nella hall-
-D’accordo. Buonanotte allora! E se hai problemi con Georg non esitare a chiamarmi- gli aveva detto Bill, salutandolo poi dall’uscio con un gesto della mano.
-Ciao Gustav, a domani-
-Ciao Lynet, ciao Bill. Buonanotte!-.
La ragazza chiuse la porta dietro di sé notando, solo dopo essersi voltata, che Bill la stava aspettando, fissandola intensamente.
Nonostante lo conoscesse da tanto tempo, in quel momento, il profondo silenzio che li circondava la faceva sentire in imbarazzo.
Cercò di concentrarsi sul rumore ovattata dei loro passi a contatto con la moquette, sollevando lo sguardo da terra solo quando Bill si fermò.
-Beh, io sono arrivato- le aveva detto il moro con fare imbarazzato, sorridendole.
-Oh, certo. Ehm, allora buonanotte-
-Anche a te-.
Il ragazzo si avvicinò con calma a lei, lasciandole un lieve bacio sulla guancia.
Lyn non poté fare a meno di sorridergli, prima di incamminarsi verso la sua stanza.
-Aspetta-.
La voce ansiosa di Bill ruppe la quiete regnante in quel corridoio.
La ragazza si voltò di scatto, incatenando le sue pupille a quelle di lui.
-Vuoi, ehm… ti va di farmi un po’ di compagnia?-.
Il cuore di Lyn smise di battere per un lunghissimo, interminabile, raggelante attimo.
Sinceramente rimase un po’ delusa da quella domanda. Come poteva già chiederle di passare la notte con lui? Insomma, era già tutto così strano e complicato, velocizzare i tempi in un modo tanto violento non le sembrava proprio il caso.
-Non intendo portarti a letto, se è a questo che stai pensando-.
Il volto di Lynet, da stupito e spaventato, era passato ad imbarazzato, con conseguente colorazione delle gote come a voler sottolineare il fatto che si sentisse in imbarazzo.
Sulle labbra di Bill comparve un sorrisetto beffardo e divertito.
-Non ho molta voglia di andare a dormire, sinceramente. Ti va di fermarti a parlare un po’?-
-Certo- aveva semplicemente risposto lei, tornando sui suoi passi e seguendolo all’interno della sua camera.
Appena il ragazzo accese la luce, Lynet poté notare, con un’improvvisa voglia di ridere, a quanto la suite di Bill fosse in realtà molto più disordinata di ciò che si sarebbe mai aspettata.
-Qualcosa non va?- le aveva chiesto lui, alzando lievemente il sopracciglio con fare curioso ed ironico.
-No, è tutto a posto. Solo che…- si bloccò lei.
-Solo che?- la incitò il cantante, sedendosi sul letto e cominciando a slacciarsi gli alti anfibi.
-Solo che ti facevo più ordinato, ecco tutto- ammise con una scrollatina di spalle.
-Non sei l’unica che lo pensa, sai? Sono in tanti che credono che io sia un perfettino maniacale anche per queste cose, oltre che per il lavoro, ma la verità è che l’ordine non è il mio forte-
-L’ho notato- rispose Lyn ridacchiando, guardandosi intorno con aria divertita.
-Togliti pure le scarpe, non fare complimenti- le disse ammiccando.
Con un po’ di imbarazzo, la ragazza fece come suggerito e, successivamente, lo raggiunse sul grande letto matrimoniale, sedendosi ad almeno un metro di distanza da lui.
Vederla così a disagio fece ridere il cantante che, per evitare incomprensioni o discussioni varie, aveva deciso di nascondere la risatina con un colpo ben assestato di tosse.
-Bene, ehm… che ti va di fare? Sai, mi sono portato dietro qualche dvd se ti va di vedere un film-
-Oh, ehm… certo. Quali hai portato?-
-Mhm, vediamo- disse alzandosi e cominciando a trafugare all’interno di un grosso borsone nero -Allora, ho qui Fast and Furious Tokio Drift, Marley, Arthur e i Minimei 1 e 2, Up, Alice in Wonderland, Avatar, Matrix, Edward mani di forbici e Wanted-
-Oddio, me li sono già dimenticata!- ammise Lynet ridendo -Ma quanti ne hai presi dietro? Sono tantissimi!-
-Lo so, ma bisogna sempre tenersi pronti per qualsiasi evenienza! E poi, come dico sempre io, meglio abbondare!-
-Me ne sono accorta- aveva risposto divertita, osservandolo mentre estraeva i dvd dal borsone.
-Allora, quali preferisci?-.
Lynet ci pensò un po’, facendo scorrere lo sguardo su tutte le copertine, ed infine puntò l’attenzione su uno in particolare.
-Arthur e i Minimei- affermò decisa, puntando un dito sul film desiderato.
-Ottima scelta! Dopotutto è un bellissimo film, soprattutto perché il doppiatore di Arthur è veramente straordinario-
-Ah si?- chiese scettica lei -E chi sarebbe il suo doppiatore scusa?-
-Come, non lo sai?- rispose lui, stando al gioco -È Bill Kaulitz! Il cantante dei Tokio Hotel, la band migliore che esista!-
-Non sapevo che facesse anche altre cose oltre a cantare! E già si dovrebbe limitare a quello dato che non è nemmeno così bravo…-
-Cosa?!-.
Bill si voltò verso la ragazza con uno scatto quasi felino, fulminandola con lo sguardo e tenendo la bocca semi-aperta dallo stupore.
-Hai capito perfettamente. Non lo reputo un bravo cantante. Che c’è di così sconvolgente?- controbatté la ragazza, tentando in tutti i modi di trattenere una fragorosa risata.
-C’è che adesso o scappi o sei morta!- aveva risposto lui, lasciando il dvd per terra e cominciando a rincorrerla per tutta la stanza.
Lynet, pensando di riuscire a dimezzare la strada passando sopra al letto, si ritrovò faccia a faccia con il cantante appena raggiunse la parte opposta del materasso.
Lui la bloccò e la ragazza perse l’equilibrio, ritrovandosi sdraiata sul letto con Bill sopra al suo corpo.
Per un primo momento entrambi risero, poi piano piano si calmarono, e la consapevolezza di essere l’uno sopra l’altro li colpì come un’improvvisa secchiata di acqua gelata.
Le loro iridi si fusero a tal punto di non vedere nient’altro attorno a loro.
Le dita si intrecciarono le une alle altre in modo talmente naturale che i rispettivi proprietari non se ne accorsero nemmeno.
Il loro respiri si fecero più affannati appena furono più vicini.
Entrambi potevano sentire il battito accelerato dell’altro rimbalzare contro il proprio petto.
I loro nasi si sfiorarono delicatamente, come se avessero paura di prendere la scossa, continuando però ad avvicinare i loro visi.
Le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza e, prima di unirsi in un bacio, i due ragazzi si guardarono un’ultima volta negli occhi, prima di abbassare le palpebre ed abbandonarsi alla gioia infinita di quel contatto decisamente poco casto, ma non per questo privo d’amore.
Quando si staccarono per riprendere fiato, Lynet abbassò lo sguardo, incapace di incrociarlo con quello di Bill.
-Sai, voglio provarci sul serio con te- esclamò d’un tratto il moro, riacquistando così la completa attenzione della ragazza.
-Cosa?-
-Io ci tengo a te, Lynet, molto più di quello che tu possa pensare ed anche da molto più tempo di quello che credi. Sono stato veramente male quando tua madre ha portato via te e tua sorella dalla nostra vita; mia, dei ragazzi e soprattutto di David. Ero distrutto, completamente, ma il motivo di tale dolore l’ho compreso solo dopo, quando ormai non c’era più alcuna possibilità di riaverti. Credo di averti sempre amata, sai? Sin dal primo istante che i tuoi occhi si sono rispecchiati nei miei-.
Per un primo momento Lynet non ebbe la forza di dire niente. Le parole le si erano spente in gola, rimanendone incastrate proprio nel mezzo.
-Ed ora che sono qui con te, che ti ricambio allo stesso modo e forse anche di più, che hai intenzione di fare?-
-Ciò che avrei dovuto fare più di quattro anni fa: stringerti a me e non lasciarti più andare-.
 

 

[ *** ]

 
Il viaggio per Tokyo durò poco meno di una mezza giornata, ma nessuno dei passeggeri riuscì ad addormentarsi dopo aver dormito fino all’ora di pranzo, perdendosi così in balia dei loro pensieri, qualsiasi essi fossero.
Bill e Lynet erano seduti l’uno accanto all’altra e, ogni volta che Hanna portava l’attenzione su di loro, una fitta di dolore le colpiva il cuore e le chiudeva la gola in una morsa d’acciaio invisibile.
Doveva così, per forza di cose, distogliere immediatamente lo sguardo e puntarlo oltre l’oblò, immergendo la mente in quel cielo limpido e senza fine.
Quello spettacolo meraviglioso la faceva sentire libera da ogni restrizione e sentimento, come se tutto il male non potesse raggiungerla così in alto, fra le rare, candide nuvole.
Ma era solo un’illusione che spariva non appena qualcuno la riportava alla realtà, su quello stesso aereo nel quale c’era anche il protagonista dei suoi pensieri e dei suoi mali.
-Caffè?-.
La ragazza si voltò verso la sua destra, trovandosi di fronte ad un viso dai lineamenti dolci e morbidi, con due occhietti scuri e corti capelli biondi nascosti sotto ad un cappello da baseball.
Aveva un sorriso premuroso ed amabile, il solito tenero sorriso che riservava solo a chi era riuscito ad ottenere la sua più totale fiducia ed amicizia.
-No, grazie- rispose lei, tentando di ricambiare il gesto ma, per quanto ci provò, il risultato non fu dei migliori.
Gustav lo notò subito e, senza tanti complimenti, si sedette accanto a lei, che aveva riportato lo sguardo verso l’orizzonte in cerca di chissà quali risposte alle sue domande silenziose ed i suoi tormentosi dubbi.
-Sai, i ragazzi dicono che molte volte i miei consigli sono fin troppo razionali e schematici, ma potrebbe darsi che per te sia diverso. Sono sicuro che non sei esigente e difficile come loro-.
Hanna non poté fare a meno di ridacchiare divertita, seguita subito dopo dal biondo.
-Voglio solo aiutarti in qualche modo a risolvere ciò che ti sta tormentando in questi giorni. Con me puoi parlarne, lo sai-.
La ragazza lo guardò un po’ titubante, mentre lui ricambiava con un sorriso sincero e gentile.
Non è che Hanna non si fidasse di Gustav, anzi, però aveva timore ad esternare i suoi sentimenti più profondi ad uno dei migliori amici di Tom.
Insomma, per quanto il ragazzo potesse essere corretto ed affidabile, prima o poi sarebbe sicuramente saltato fuori qualcosa che Hanna avrebbe preferito tenere in segreto per sempre.
-Gustav, capiscimi, io…-
-Hai paura che vado a spifferare qualcosa in giro?-
-No, assolutamente! So che non lo faresti mai, però potrebbe comunque scapparti qualcosa per sbaglio mentre parli con gli altri e, insomma, non voglio che lo sappiano-
-Prima di tutto, toglimi una curiosità. Ora stai parlando al plurale riferendoti a tutti e tre i ragazzi, ma in realtà c’entra solo uno di loro, non è vero?-.
Hanna non se la sentì di mentire, anche perché non avrebbe avuto alcun senso dato che era chiaro a tutti cosa stava accadendo.
Beh, forse non proprio tutti. Uno in particolare ancora non aveva capito nulla.
O forse fingeva soltanto?
-Sì- sfiatò lei con una difficoltà immane, osservando distrattamente il sedile di fronte al suo.
-Bene, è già qualcosa- affermò lui sorridendo -Ora dimmi cosa c’è che non va-
-Beh, da dove posso cominciare…?- rispose Hanna pensierosa, mordendosi il labbro in modo nervoso -Diciamo che fra noi è successo qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere, qualcosa che è andato male e che ha provocato fra noi delle distanze che sembrano invalicabili. Insomma, noi… è successo che ci siamo avvicinati troppo, fisicamente e sentimentalmente parlando, e stava andando tutto bene finché io non ho avuto paura di quello che stava accadendo. Erano anni che non ci vedevamo, e pensavo che non ci saremmo trovati mai più. E poi, tutte queste emozioni sono tornate a galla all’improvviso, ed io non ho più saputo gestirle. Mi sono ritrovata sommersa da tutto ciò che avevo cercato di cancellare fino al giorno prima, e non ho potuto fare a meno di sottostare alle mie emozioni. Poi però…- Hanna si fermò un istante, sospirando rassegnata e voltando lo sguardo fuori dall’oblò -Poi però ho capito che ci stavamo spingendo troppo oltre e sono scappata con la scusa che di lui non mi importava niente. Grandissima balla. Lo sanno tutti cosa provo nei suoi confronti, tranne lui. O è stupido oppure semplicemente non vuole guardare in faccia la realtà. Io… io non lo so, non so più niente Gusti… non so più cosa ha in serbo per me il futuro, non so più che strada voglio intraprendere, non so più cosa voglio, forse non so più nemmeno chi sono…-
-Lascia che ti dica la mia opinione. Riguardo gli ultimi due punti posso dirti che tu sai perfettamente cosa vuoi, ma hai paura a prendertela. Non so cosa c’è che ti frena nel lottare per fare tuo ciò che vuoi da anni, forse da sempre. Per quanto riguarda il non sapere più chi sei, invece, posso assicurarti che sei sempre la stessa persona, forse solo più confusa e spaventata, ma niente che non possa passare un giorno. Cosa posso dire invece del tuo futuro? Beh, su quello non posso di certo dirti molto. Nessuno sa cosa ci riserva la vita. Essa è imprevedibile e lunatica la maggior parte delle volte. Sembra quasi che lo faccia apposta a vederti soffrire, ma l’importante è che, nonostante tutto, si riesce ad andare avanti e superare ogni difficoltà che essa ci mette di fronte al nostro cammino. È proprio in questi momenti che ognuno di noi capisce quanto vale davvero, quanto è forte e determinato. Nessuno è mai felice e soddisfatto al cento per cento, c’è sempre qualcosa che ci preoccupa o che ci affanna, ma è proprio questo il bello della vita. Se fosse tutto facile e a portata di mano non ci sarebbe nemmeno un motivo per cui combattere ed ottenere ciò che vuoi, non ci sarebbe alcun motivo per essere ambiziosi e cercare di raggiungere il meglio per noi. Saremmo vuoti e superficiali, privi di qualsiasi valore e sentimento. Certo, essere felici è bello, non lo nego, però se non ci fosse quel costante amaro in bocca, se non provassimo nessuna fitta la cuore, se non sentissimo l’anima pesante, non ci sarebbe nemmeno un motivo valido per vivere. La nostra esistenza si basa sul fatto di trovare uno scopo e tentare di raggiungerlo in tutti i modi, nonostante non sia facile e molte volte le cose vadano male. Ma dimmi, secondo te sarebbe così eccitante crescere se tutto ci fosse regalato ad ogni schiocco di dita? Io non credo proprio. Quindi, se anche tu la pensi come me, vai e conquista ciò di cui hai più bisogno in questo momento. Lotta per quello che ami e che vuoi tenere al tuo fianco, fagli capire che, almeno per te, lui ne vale davvero la pena-.
Per dei secondi interminabili le parole di Gustav le volteggiarono nella testa senza darle la possibilità di formulare una risposta intelligente da dargli.
Quel ragazzo era stato illuminante per lei. Le aveva fatto capire il vero significato della vita, e cioè che non è importante avere tutto ciò che vogliamo, ma tanto più trovare la forza interiore per lottare con le unghie e coi denti per ottenerlo. Non è la fine del mondo se non si riesce a raggiungere una meta che ci si è prefissati, magari da tanto, tantissimo tempo, la cosa più eccitante è la strada che percorriamo per arrivare al traguardo, il rendersi conto che noi suscettibili e fragili umani siamo in grado di superare qualsiasi ostacolo se davvero ci mettiamo il cuore in quello che facciamo.
-Gustav, io… io non so cosa dire, tu…-
-Non c’è bisogno che tu mi risponda- la interruppe lui -L’importante è che tu, nel tuo profondo, sappia di aver compreso appieno ciò che ti ho detto e che, grazie a questa nuova consapevolezza, tu possa trovare la determinazione necessaria per mettere in pratica ciò che hai appena imparato-.
Hanna annuì con il capo, sorridendo sincera, come conferma di ciò che l’amico le aveva appena detto.
-Grazie Gustav, mi hai fatto aprire gli occhi. Fino ad ora non ho fatto altro che piangermi addosso e chiudermi in me stessa quando invece avrei potuto fare qualcosa. È importante per me credere che c’è ancora una speranza-
-C’è sempre una speranza nella vita, Hanna, solo che molte volte noi la scambiamo per sconfitta-.
 

 

[ *** ]

 
-Ti prego David, dimmi che per domani non ci hai preparato uno dei tuoi soliti programmini prosciuga forze perché non sarei in grado di sopravvivere!-
-Quanto sai essere esagerato a volte, Georg-
-Ma è vero! Chi è d’accordo con me alzi la mano-.
Il manager vide quattro mani sollevarsi di fronte a lui, tutte accompagnate da espressioni scettiche e sguardi taglienti.
-Oh andiamo, ora non coalizzatevi tutti contro di me solo perché siete quattro contro uno!-
-David, non vogliamo remarti contro per divertimento, lo pensiamo veramente tutti e quattro che sei esagerato- confermò Tom serio, facendo scorrere lo sguardo sui suoi amici per ricevere un loro qualsiasi segno d’assenso.
-E va bene, va bene! Ammetto che a volte mi faccio un po’ troppo prendere la mano, ma dopotutto è grazie a me se il mondo intero parla di voi ogni santissimo giorno!-
-D’accordo, ci può stare. Te ne diamo atto, ma questo non toglie che sei esagerato!- ribadì Bill, incrociando le braccia al petto e stampandosi in faccia un’espressione risoluta.
L’uomo sospirò esasperato, passandosi una mano sul volto dai lineamenti un po’ tirati e qualche ruga d’espressione di troppo a causa di tutto lo stress che comportava quel lavoro.
Molte volte, in quell’ultimo anno, aveva avuto voglia di mollare tutto ed andarsene per un po’ -forse per sempre- e cercarsi un nuovo lavoro, ma quando i suoi pensieri sfocati si erano trasformati in idee decisive, le sue figlie erano ripiombate improvvisamente nella sua vita e non se l’era sentita di provocargli altro dolore non permettendogli di rivedere i ragazzi.
Insomma, quello era un po’ anche il loro mondo, e impedirgli nuovamente di raggiungerlo sarebbe stato un totale disastro.
Voleva talmente bene ad Hanna e Lynet che non avrebbe mai potuto farle soffrire, a costo di rischiare di perdere il senno ed essere rinchiuso in un manicomio a causa di una schizofrenia fulminante precoce.
-Ok, ora non perdiamoci in chiacchere inutili. Siamo tutti qui per fare il nostro dovere, anche voi, quindi non voglio sentire storie-.
David fece scorrere lo sguardo sui ragazzi e, notando che nessuno osava fiatare, continuò col suo discorso.
-Allora, prima di tutto domani mattina avete un’intervista radiofonica, successivamente gireremo un episodio della THTV in centro, poi dopo pranzo dovrete firmare delle card per il programma televisivo per il quale dovrete fare un’intervista in diretta. Il resto del pomeriggio è libero, e la sera dalle nove ci sarà un fan party in uno dei locali più in di Tokyo. Il resto del programma ve lo dirò domani a pranzo, se troverete la forza necessaria per alzare i vostri famosissimi fondoschiena dal letto. Ora, se avete fame e volete cenare in compagnia, venite con noi della crew nella sala da pranzo, altrimenti siete liberi di andare a riposarvi nelle vostre stanze-
-Bene, io allora vengo con voi!- confermò subito il bassista, pregustandosi già una sostanziosa cena.
-Io seguo Georg- disse Gustav, osservando i rimanenti due amici.
-Vengo anche io- esclamò Tom, affiancando David, il batterista e Georg.
-Tu che fai Bill?- gli domandò il gemello, aspettando una sua risposta prima di cominciare ad avviarsi verso la sala da pranzo.
-Io, ehm… io credo che me ne andrò subito a letto, non ho molta voglia di mangiare-.
A quelle parole, i presenti lo salutarono, allontanandosi verso la parte opposta.
Uno di loro, però, rimase immobile nella stessa posizione di prima, con gli occhi ben fissi nei suoi.
Per Tom era molto più vero ciò che dicevano le sue iridi delle sue labbra, e capì immediatamente che il fratello, in quel momento, non voleva altro che andarsene in camera per passare del tempo con Lyn.
Non che fosse una cosa grave o brutta, certo, però il chitarrista cominciò seriamente a chiedersi se suo fratello non si stesse lasciando troppo andare con lei.
In fin dei conti era stato proprio lui a dire che non voleva legarsi a Lynet proprio perché non era sicuro che sarebbe rimasta per sempre a causa di sua madre -che sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro per portargliela via nuovamente- ed ora non riusciva a starle lontana nemmeno per un fottutissimo secondo.
Quasi quasi se la portava appresso anche per pisciare.
Non che ce l’avesse con Lynet, per carità, la colpa di quello che era successo in passato non era sua, e sicuramente la ragazza non avrebbe mai voluto che Bill soffrisse in quel modo per la sua scomparsa, ma era successo, che lei fosse in buona fede o meno, e Tom non poteva e non voleva assolutamente che tutto si ripetesse di nuovo.
Alla fine Bill era il suo gemello, e non riusciva proprio ad accettare il fatto che stesse male.
E, cosa ancor meno sopportabile, era che Tom, nonostante avesse un corpo suo e sicuramente non in condivisione col gemello, provava tutto ciò che provava Bill, ed era una cosa che non riusciva proprio ad accettare.
Indagando ancor più a fondo nel suo sguardo, però, capì quanto fosse importante la moretta per suo fratello e, con un grugnito rassegnato, si era voltato verso la parte opposta.
-Fa un po’ come ti pare-.
Nonostante Tom gli avesse dato le spalle, sentì lo sguardo di suo fratello puntato sulla sua schiena e, per quanto a voi tutti possa sembrare impossibile, unicamente da quel contatto a distanza capì che Bill stava sorridendo.
E quest’ultimo, d’altro canto, sapeva perfettamente che Tom stava facendo lo stesso.
 

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Capitolo 14
*** 13. Le persone mentono, i loro occhi no. ***


Sono un pò delusa, sapete? Delusa del fatto che l'ultimo capitolo ha ricevuto più di cento visite e nemmeno una recensione.
Non posso di certo obbligarvi a fare nulla, ma sappiate che le autrici  di questo sito postano le loro Fan Fiction non solo per soddisfazione personale, ma anche e soprattutto per voi, lettrici silenziose, che passate di storia in storia senza lasciare nemmeno un piccolo segno del vostro passaggio.
Il problema non credo sia soltanto mio, ma riguarda anche molte altre scrittrici. Noto con sempre più amarezza che anche quelle storie che erano abituate a ricevere un sacco di recensioni, ora fanno fatica ad averne due o tre.
Ripeto, io non posso obbligare nessuno a fare niente, ma almeno rammentate su ciò che vi sto dicendo.
E non usate la solita banale scusa del " non ho tempo , devo studiare , devo uscire col mio moroso , ecc . " perchè non sono motivi validi, soprattutto perchè il tempo lo sprecate comunque per leggere, e vi posso assicurare che ne serve molto meno per recensire.
Detto questo, vorrei cambiare discorso e tornare la solita simpaticona di sempre :D
Questo tredicesimo capitolo è stato creato con tanto impegno e amore ( xD ), anche se non ho avuto tempo per ricontrollarlo come si deve >.<
Spero comunque che vi piaccia e, se invece fosse il contrario, non esitate nel farmelo sapere, almeno posso anche fare a meno di potare a termine la Fan Fiction.
Sperando che le mie parole vi abbiano fatto ragionare sulla questione, vi mando un bacio.  

 

Vostra GretaTK  .



Capitolo 13, Le persone mentono, i loro occhi no.


Il sole già spuntava all’orizzonte, tingendo il cielo limpido di un arancio intenso che toglieva il fiato.
Due furgoncini dai vetri oscurati sfrecciavano lungo la statale affollata, immergendosi nel traffico fino a confondersi totalmente con la folla di veicoli di ogni tipo e dimensione.
Su uno di essi c’erano i quattro ragazzi, David, Benjamin e quattro bodyguards, mentre sull’altro c’erano le due gemelle e qualche membro della crew, tra cui Natalie.
Quest’ultima stava allegramente parlando con Lynet, mentre Hanna ascoltava musica a tutto volume, osservando lo scenario che le si presentava dinnanzi.
Oltre i confini della strada si estendevano piccoli campi spogli e mezzi innevati, interrotti subito dopo dall’inizio della città.
Gli alti palazzi e grattacieli erano visibili da chilometri di distanza anche se le luci brillanti e colorate delle insegne e dei lampioni non erano accese.
Mentre osservava da lontano quella città nuova e sconosciuta, Hanna si sentì pervadere da un senso di agitazione misto ad adrenalina che la fecero inevitabilmente sorridere.
La gioia della scoperta e della novità sembrò riprendere vita nei suoi occhi, illuminandole lo sguardo come un tempo, quando era una semplice bambina capace di emozionarsi per poco, quando tutto andava per il verso giusto e l’ignoranza era ancora parte integrante di lei e della sua infanzia, come era giusto che fosse.
Improvvisamente fu come se le cose attorno a lei prendessero una piega ed un significato diverso, come se tutto ciò che vedeva fosse meraviglioso e senza eguali.
Si voltò di scatto verso la sua gemella e, senza il minimo stupore, la trovò intenta ad osservarla.
Lynet aveva già capito come si sentiva la gemella in quel momento.
Aveva notato da subito il suo sorriso raggiante attraverso il riflesso del finestrino e, come se fosse contagiosa, l’allegria aveva invaso anche le sue membra.
Aveva aspettato pazientemente che la sorella si girasse verso di lei, sapendo perfettamente che l’avrebbe fatto, ed effettivamente la sua intuizione venne confermata pochi secondi prima.
Fondendo le loro iridi, così diverse per colore ma, allo stesso tempo, così simili per profondità, entrambe si sorrisero, completamente rapite da un sincero moto di felicità, di quelli che non avevano da tempo ormai.
Nelle loro menti tutti i problemi, le incomprensioni, le paure e i dubbi, svanirono in un istante, come se non fossero mai esistiti, rendendole leggere come l’aria fredda del mattino che soffiava fuori dal furgoncino.
Senza aggiungere alcun suono a quel silenzio carico di parole, le loro mani si intrecciarono senza nemmeno guidarle, ed insieme si misero ad osservare la loro meta con impazienza crescente.
Nel frattempo, qualcuno era intento ad osservarle dal sedile accanto.
Persino Natalie percepì la gioia che aveva riempito i cuori delle due ragazze, e attraverso le loro espressioni sognanti, quell’allegria improvvisa non poté che scaldare anche il suo di cuore.

[ *** ]

Lo studio radiofonico non si trovava esattamente in centro, ma leggermente spostato verso la periferia, diciamo proprio all’inizio di essa.
Visto esternamente l’edificio non lasciava presagire nulla di particolarmente buono.
Anzi, tutto il contrario.
La sua forma quadrata dai muri scrostati di un color grigio sporco lasciava affiorare nella mente unicamente l’immagine di una prigione, ed il marciapiede sporco non migliorava di certo la situazione.
L’unico elemento di riconoscimento della stazione radiofonica era un’insegna luminosa - in quel momento chiaramente spenta - sopra al tetto, che citava il nome del canale: What about Tokyo?.
Un po’ scoraggiati e quasi spaventati all’idea di vedere come sarebbe stata all’interno, David e la band si fecero forza, ed entrarono nella stazione seguiti da alcuni membri della crew - tra cui il cameramen della THTV - Benjamin Ebel, le gemelle, e tutti e quattro gli uomini della security.
Immediatamente, tutti si dovettero ricredere: l’arredo non era fantastico, di più!
Pareti bordeaux, porte nere lucide composte per metà da vetrate decorate con fiori di loto neri, tavolini bassi dalle forme più strambe circondati da comodi divanetti in pelle rosa scuro e sedie particolarissime nere e lucide come gli stessi tavolini.
Il pavimento in marmo panna, talmente splendente da potercisi riflettere, con soffitti di un bianco candido e lampadari dalle forme più stravaganti che emanavano una luce dorata che infondeva una sensazione di calore e serenità.
-Buongiorno e ben arrivati!- li accolse raggiante un uomo di poco sotto la trentina, con capelli neri e lisci di media lunghezza, una frangetta su parte dell’occhio destro.
Indossava una camicia bianca dentro ad un paio di pantaloni neri, con scarpe di cuoio nere.
-Sono veramente onorato di avervi qui con noi oggi- continuò il ragazzo, stringendo le mani di tutti i presenti.
-Io sono Tetsuji Tamayama, ed oggi sarò io ad intervistarvi di persona in diretta nazionale col mio collega Hiroki Narimiya-.
Nello stesso istante che pronunciò quel nome, un ragazzo pressoché della stessa età di Tetsuji li raggiunse, stringendo le mani ai nuovi arrivati.
Quest’ultimo portava dei corti capelli di un color giallo pannocchia, con le punte sparate verso l’alto grazie all’utilizzo di una quantità industriale di gel.
Lui, a differenza del primo, indossava un paio di jeans scoloriti, delle sneakers grigie con inserti blu, una t-shirt grigio scuro con decorazioni tribali nere ed almeno tre catenelle d’argento di lunghezze differenti.
-Ci dispiace tanto per l’impressione che dà l’esterno dello studio- si scusò Hiroki -Ma questa non è la nostra sede. Questa seconda stazione radio è stata costruita per le emergenze, e ci hanno trasferiti momentaneamente qui perché l’altra la stanno ristrutturando-
-Nessun problema!- si affrettò a precisare David, mettendo due mani avanti e scuotendole con vigore -Va bene lo stesso, non ci scandalizziamo per queste cose-
-D’accordo. Allora, siamo pronti a cominciare? Ragazzi, venite pure di là che vi mostro due cosette e poi possiamo anche dare il via allo show-.
Dopo aver salutato parte della crew e le gemelle, i due ragazzi giapponesi si allontanarono dall’ingresso insieme alla band, mentre nel frattempo una ragazza magra e molto alta rispetto alle sue connazionali, con capelli medio lunghi di un color cioccolato, si avvicinò a passo svelto verso di loro, rivolgendogli un sorriso disarmante.
Anche lei come Tetsuji indossava una camicia bianca e un paio di pantaloni neri, con scarpe di vernice nera di almeno dodici centimetri.
-Ciao e benvenuti. Io mi chiamo Mika Nakashima. Prego, seguitemi. Vi mostrerò dove si trova la sala controllo per seguire l’intervista e l’area relax, nel caso voleste del caffè o del tè-.
Le due stanze si trovavano nello stesso corridoio, quasi una affacciata all’altra.
Dopo aver dato la sua disponibilità per qualsiasi domanda o richiesta, la ragazza se ne andò svelta come era arrivata.
Il manager, Benjamin e le ragazze fecero subito amicizia con gli addetti agli strumenti della saletta di controllo e, quando il programma andò in onda, tutti si fecero attenti e silenziosi.
Tetsuji cominciò a parlare, ma nessuno di loro riuscì a capire cosa stesse dicendo.
Naturalmente l’intera puntata sarebbe stata in giapponese e, per la comprensione reciproca delle domande e delle rispettive risposte, Hiroki faceva da interprete dalla sua lingua madre all’inglese, e viceversa.
Come al solito, le domande erano pressoché le stesse del primo periodo della loro carriera, essendo appena sbarcati ufficialmente anche in Oriente, e quindi le ragazze rimasero poco attente all’intervista.
Almeno finché non si addentrarono nel discorso “amore”, ed allora le orecchie di entrambe le gemelle si drizzarono come quelle di due cani da guardia perfettamente addestrati.
-Bene ragazzi, abbiamo parlato di tutto ciò che si poteva sapere riguardo la vostra carriera musicale ed il vostro successo internazionale. Ora vorremmo tanto sapere qualcosa in più su di voi, e soprattutto sul lato amoroso della vostra vita. Allora, chi vuole essere il primo?-.
Tutti e quattro si limitarono a ridere, per poi scambiarsi sguardi confusi, chiedendosi a vicenda - senza l’utilizzo di alcuna parola - chi aveva il coraggio di farsi avanti per il bene degli altri tre.
Purtroppo, nonostante il bene immenso che provavano l’uno nei confronti dell’altro, nessuno dei quattro era disposto a sacrificarsi per i propri amici.
In loro discolpa posso dire che hanno un istinto di sopravvivenza davvero molto sentito…
-Vedo che nessuno di voi sembra aver voglia di cominciare. Va bene, allora partiamo da Bill. Sappiamo che i testi delle vostre canzoni nascono proprio da te. Quei brani che crei parlano molto spesso di amori finiti, difficili, eterni, addirittura sacri. Canti di cose molto profonde, e sono proprio curioso di sapere chi ti ispira così a fondo. In poche parole, chi è la tua Musa?-
-Ehm…- cominciò il vocalist in estremo imbarazzo, per poi scoppiare in una risatina nervosa -Partendo dal presupposto che ci tengo molto alla mia privacy, posso solo dirvi che sicuramente le parole non mi nascono dal cuore senza un motivo ben preciso. Insomma, qualcosa che ti ispira tanto a fondo da tirarti fuori parole del genere deve esistere per forza, quindi non negherò che al mondo c’è qualcuno che è sempre stato in grado di trasmettermi emozioni talmente forti da non poter assolutamente essere tenute all’oscuro dentro di me. Se non mostrassi queste sensazioni al mondo mi farebbe stare davvero molto male. Ho sempre avuto l’insaziabile bisogno di esternare ciò che provo. Forse è proprio per questo che mi risulta facile scrivere una canzone-
-Quindi con tutto questo discorso ammetti che là fuori c’è una persona speciale anche per te-
-Oh sì, c’è eccome-
-E questa persona sa di essere il soggetto della maggior parte delle tue canzoni?-
-Credo di sì. Penso che infondo l’abbia sempre saputo, ma la certezza assoluta di questa cosa l’ha acquisita solo da poco-
-Se ti chiedessi di rivelare l’identità di questa persona, tu che risponderesti?-
-Direi semplicemente che è una persona speciale, che le voglio bene e che sicuramente senza di lei non sarei andato tanto lontano-.
In quel preciso istante, Hanna non poté fare a meno di voltarsi verso sua sorella.
L’osservò stupita, notando che lei non era da meno.
Fissava Bill con la bocca semi aperta e gli occhi lucidi, incapace di compiere qualsiasi altro gesto.
Respirare era l’unica cosa che le riusciva al momento.
Così la bionda strinse la mano di Lynet con forza, come a voler farle capire che tutto quello non era un sogno, ma la pura e semplice realtà.
Quando riportò nuovamente l’attenzione sui ragazzi, poté giurare di aver visto il cantante lanciare uno sguardo fugace alla mora.
Le due ragazze, però, non furono le uniche spettatrici di quel gesto fulmineo.
Ci fu una terza persona che si accorse di quello scambio di sguardi fra Bill e Lynet, e di certo non faceva parte di chi stava nel bel mezzo di un’intervista radiofonica in diretta.
-D’accordo, non voglio insistere ulteriormente sull’argomento, anche perché sembra proprio che non ci rivelerai niente di più. Grazie comunque della tua pazienza-
-Di nulla, figurati-
-Bene, ora a chi posso rompere le scatole?-
-A Tom!- dissero Bill e Georg all’unisono, per poi scoppiare a ridere e battersi un cinque con fare complice.
-Siete due stronzi!- rispose ridendo il chitarrista.
-Come mai tutta questa voglia di far parlare te, Tom? C’è qualcosa che il mondo dovrebbe sapere?-
-No, assolutamente- rispose con tutta la pacatezza di cui era capace -È che loro due amano mettermi in mezzo a certe situazioni solo per farsi due risate!-
-Che amici d’oro che hai! Vedo che ti vogliono proprio bene-
-Già, visto che fortunato che sono ad averli al mio fianco?- rispose ridendo, lanciando uno sguardo divertito ad entrambi.
-Beh, se neghi di avere una ragazza o qualcuna di speciale, almeno posso sapere se ti sei mai innamorato?-
-No, mai. Ho sempre visto l’altro sesso come una semplice valvola di sfogo sessuale, e mai come qualcosa di più-.
Stavolta fu Lynet a voltarsi verso la sorella, che sembrava essersi tramutata in una statua di marmo da quanto era immobile e pallida.
Quella frase le vorticò nella mente come un uragano che, sbattendo contro le pareti del suo cervello, le fecero venire un mal di testa improvviso.
Come poteva mentire così spudoratamente e, soprattutto, senza il minimo segno d’ansia?
Le alternative non erano poi molte: o era un bravo, no, bravissimo attore, oppure, più semplicemente, non aveva un cuore.
Forse più la seconda, si ritrovò a pensare la bionda.
Perché Hanna sapeva che Tom aveva avuto tre amori nella sua vita.
Beh, forse i primi due erano state solo cottarelle da poco conto, ma di una ragazza era stato certamente innamorato.
La sua prima cotta fu per Isabella Schneider, all’età di dieci anni.
Lei aveva un anno più di lui, lunghi capelli boccolosi dello stesso color del grano, occhi azzurri e limpidi ed un sorriso d’angelo.
Fu proprio a lei che Tom diede il suo primo bacio.
La cotta però non durò poi molto. Finì esattamente una settimana dopo, nello stesso istante in cui l’aveva vista baciarsi con suo fratello Bill.
Da quel momento in poi aveva creduto che non c’era da fidarsi delle donne, né allora, né mai, e che il suo gemello valeva sicuramente di più di una ragazzina; quindi, per evitare di litigare con Bill e rischiare di rovinare il loro rapporto, decise di vederla unicamente come una “nuova esperienza di accrescimento personale”.
Tutta questa convinzione del chitarrista riguardo il sesso opposto durò fino a che non compì quattordici anni e non incontrò lei, Julia Richter: capelli rossi e lisci a caschetto, occhi verde brillante e tenere lentiggini sugli zigomi e sul piccolo naso.
Con lei Tom perse la sua verginità, e forse anche la convinzione che le donne erano la menzogna fatta a persona, e che con loro esistevano unicamente due possibilità: usarle o starci semplicemente alla larga.
Julia fu una vera e propria infatuazione per il giovane rasta.
Si vedevano tutti i giorni dopo scuola, passando i pomeriggi al parco sdraiati nell’erba o a casa a fare i compiti.
Fra loro stava nascendo davvero qualcosa di speciale, ma purtroppo non tutte le cose belle sono destinate a durare, ed improvvisamente accadde qualcosa che avrebbe cambiato per sempre Tom e il suo modo di vedere l’amore: Julia si trasferì permanentemente in Francia con la sua famiglia.
Fu più che un duro colpo per il ragazzo, che si ritrovò a piangere tutte le notti per almeno due settimane, finché un bel giorno non decise che non ne valeva la pena, che al mondo ne avrebbe trovate migliaia come lei, e che non valeva la pena stare male per qualcuno che non fosse suo fratello o sua madre.
Da qui cominciò la sua ben nota carriera da playboy, che giurò di mantenere a vita.
Veramente pochi però sanno che, in realtà, il chitarrista non rimase del tutto fedele alla sua parola.
Ci fu un momento in cui Tom confessò ad Hanna di essersi affezionato sinceramente ad una ragazza, ma che non aveva idea di cosa fare e di come comportarsi.
In quel periodo di confusione totale, la biondina scoprì il suo lato tenero ed insicuro che aveva sempre tentato di mantenere segreto al mondo intero.
Non avrebbe voluto per niente al mondo che qualcuno capisse quanto in realtà lui fosse fragile e bisognoso d’affetto, anche se il suo piano non andò a buon fine.
Furono almeno in sette ad aver capito cosa stava accadendo al ragazzo: Bill, Simone, David, Georg, Gustav, e le figlie del manager.
Nessuno però - oltre suo fratello- osò chiedergli nulla, mentre Hanna fu l’unica persona al mondo ad essere informata di tutto senza intromettersi mai, poiché fu proprio Tom a confidarsi con lei appena ne ebbe l’occasione.
La cosa più strana, però, fu che il chitarrista non rivelò mai il nome della ragazza in questione, nonostante Hanna gliel’avesse chiesto più di una volta.
Al terzo tentativo decise che era meglio lasciar perdere, altrimenti avrebbe rischiato di farlo arrabbiare e magari addirittura di perderlo per una cosa decisamente poco importante.
Naturalmente la bionda sapeva perfettamente che Bill e gli altri componenti della band erano a conoscenza della vera identità dell’amore impossibile di Tom, ma nessuno riuscì mai a convincerla del contrario.
Come potevano non saperlo? Era pressoché impossibile.
C’era stato però un momento in cui Tom stava per rivelarle il nome della ragazza, ma la sola idea ebbe appena il tempo di formarsi nella sua mente poiché, subito dopo, Karoline portò via sia lei che Lynet.
Le gemelle vennero strappate da quel mondo con una fulmineità talmente imprevista che non ci fu nemmeno il tempo materiale di salutarsi o confidarsi gli ultimi segreti.
Da quel giorno fatidico, David e la band non videro né sentirono più nessuna delle due ragazze per anni che sembrarono infiniti.
-Hanna, Hanna… ehi, ci sei?-.
La ragazza sbatté velocemente le palpebre, guardandosi attorno spaesata.
Non riusciva più a capire dove si trovava.
-Hanna, stai bene?-.
Quella voce così dolce e familiare la richiamò nuovamente, facendola voltare di scatto alla sua destra, dove incrociò due occhi castani, scuri come il cioccolato fondente.
-S-sì Lyn. Sto… sto benone-.
Finalmente tornata alla realtà, Hanna si ricordò anche il motivo per il quale era tornata così indietro nel tempo con la memoria.
Alzò fulmineamente lo sguardo, puntandolo dritto verso il chitarrista che non esitò a ricambiarla immediatamente.
Lei, infuriata, si alzò dalla sedia ed uscì a passo spedito dalla sala controllo.
Lynet la seguì senza pensarci due volte.
Anche Tom tentò di fare lo stesso, ma venne prontamente bloccato dal manager, che lo intimò a risedersi puntando l’indice verso l’alto e sgranando gli occhi come ad avvertirlo che, se avesse lasciato la saletta, ne avrebbe pagato le dure conseguenze.
Ci pensò su per qualche secondo, finché decise di fare come David gli aveva ordinato dal solo gesto delle mani e degli occhi, risedendosi con lentezza sul suo sgabello e continuando l’intervista, senza però essere totalmente presente.
La sua mente era lontana da lì, dispersa da qualche parte alla possibile ricerca del perché Hanna l’aveva guardato in modo tanto ferito ed arrabbiato, per poi scappare via in una maniera così brusca.
E poi capì.
Intuì ciò che nessun’altro poteva sapere bene tanto quanto lui.
Tutti i momenti che avevano passato insieme a chiacchierare e a confessarsi i loro segreti più profondi tornarono a galla fra i suoi ricordi, e si sentì un vero idiota.
Come ho potuto dimenticarmene?, pensò affranto, con l’unico desiderio di raggiungerla e spiegarle ogni cosa, magari partendo con la confessione di quel nome che era stato sul punto di rivelargli poco più di due anni prima.

[ *** ]

Il cielo era scuro, del tutto ricoperto da uno strato impenetrabile di nubi dense e compatte, dalle quali cadevano imperterriti fiocchi candidi che si ammassavano l'uno sopra l'altro, tingendo ogni cosa di un bianco senza fine.
Il 25 Dicembre si avvicinava sempre di più, e non tutti erano presi dal pensiero dei regali e da cosa preparare per la cena della Vigilia ed il pranzo di Natale.
C’era anche qualcuno che aveva ben altro per la testa; pensieri che riguardavano il futuro, il giusto e lo sbagliato, chi meritasse aiuto e chi invece no.
Gabriel se ne stava in piedi accanto all’alta finestra del suo studio, illuminato unicamente dal fuoco nel camino e da una piccola abatjour posta sulla scrivania.
Osservava pensieroso il paesaggio che si imbiancava sempre di più, minuto dopo minuto, coprendo ogni strada, albero e tetto di un bianco candido e brillante.
Con gli occhi fissi su un punto ben preciso e le mani intrecciate dietro la schiena, prendeva consapevolezza che si era ritrovato fra due fuochi, e prima o poi avrebbe dovuto decidere in quale volesse bruciare.
Il suo collega di Kuala Lumpur l’aveva appena chiamato, riferendogli che ora le gemelle si trovavano a Tokyo, e che aveva già contattato un suo vecchio conoscente giapponese di nome Hayato Yamaguchi per continuare il lavoro che lui stesso aveva iniziato.
Ma come poteva portare a termine l’impegno preso con Karoline? Non se la sentiva proprio di rovinare un’altra volta la vita delle due ragazze. Avevano già sofferto abbastanza per avere solo diciotto anni, non voleva essere un’ulteriore carnefice della loro serenità, non ora che erano finalmente tornate a casa, la loro vera casa.
Non un edificio di mattoni e fredde stanze vuote, no, casa intesa come famiglia, come calore, sentimenti, amore.
Lui aveva forse il diritto di distruggere tutto questo? Di rovinare le vite di altre persone che di male non avevano fatto proprio niente?
La risposta era sempre no.
L’uomo raggiunse la sua scrivania pervaso da una sicurezza che finalmente aveva ritrovato e, senza alcun tentennamento, sollevò la cornetta del telefono componendo un numero ormai a lui talmente noto da saperlo a memoria.
Aspettò con pazienza e con una calma non solo apparente finché, dall’altra parte, qualcuno rispose.
-Qui casa Keller. Chi parla?-
-Buonasera Karoline, sono Gabriel-
-Oh, ma che sorpresa. A cosa devo la tua chiamata?-
-Volevo semplicemente dirti che d’ora in poi non seguirò più il tuo caso. Non ho il diritto di fermare le ricerche, ed è per questo motivo che da adesso, se vorrai avere notizie riguardo alle tue figlie, dovrai rivolgerti direttamente ad un investigatore di Tokyo di cui mi occuperò personalmente di inviargli ogni tuo recapito-
-Aspetta un attimo, Gabriel. Come sarebbe a dire che non lavorerai più per me?-
-Significa proprio quello che ho detto, Karoline-
-Spero tu abbia anticipato il Pesce d’Aprile, Gabriel, perché non è affatto divertente-
-Infatti non c’è niente da ridere. Niente di personale, Karol, davvero, ma proprio non vedo perché debba fare qualcosa di cui poi mi pentirei. Le tue figlie non si meritano tutto quello che gli stai provocando, ed io non voglio di certo essere il complice della loro rovina-
-Se la metti in questo modo, la rovina non sarà della vita delle mie figlie, ma della tua, caro Gabriel. A presto, stanne certo-.
Un fastidiosissimo ed imperterrito tu-tu-tu invase le orecchie dell’investigatore che, per niente sorpreso dalla reazione dell’avvocato, rimise la cornetta al suo posto con estrema pacatezza.
Nonostante le parole di Karol non fossero state per niente rassicuranti, lui si sentiva bene e, soprattutto, con la coscienza pulita.
Con una strana e nuova leggerezza nel cuore, l’uomo si alzò dalla sua poltrona in pelle, dirigendosi verso un comò poco lontano, versandosi del brandy in un bicchierino di cristallo.
Tornò vicino alla finestra, appoggiandosi allo stipite di essa e prendendo un sorso dal bicchiere.
Quella bevanda alcolica gli bruciò la gola, fino ad arrivare nello stomaco, dove subito sembrò accendersi un fuoco che, ben presto, gli prese anche le viscere, diffondendosi poi per tutto il corpo.
I fiocchi di neve continuavano a scendere imperterriti dal cielo completamente ricoperto da spesse nubi che, a causa del riflesso delle luci dei lampioni, rendevano tutto più luminoso, nonostante fosse sera inoltrata.
D’un tratto si soffermò ad osservare il suo riflesso sul vetro, notando che stava sorridendo.
E non solo con la bocca, bensì con gli occhi.
Sorseggiando un altro po’ di brandy, Gabriel non poté fare a meno di pensare che aveva fatto la cosa giusta.
Per quella sera non avrebbe avuto rimpianti.


Nel frattempo, in una villetta a schiera lontana da lì, qualcuno era tutt’altro che contento.
Una donna andava avanti e indietro nel grande salotto, furiosa come non mai.
Tutti i suoi piani che all’inizio le sembrarono perfetti cominciarono a rivelarsi un vero e proprio disastro.
Tanto per cominciare, Anja e le altre due amiche delle gemelle non si erano fatte intimidire nemmeno un po’ dai suoi appostamenti serali fuori dalle loro abitazioni; il viaggio della band sembrava non avere mai fine e, finché le ragazze non sarebbero ritornate in Germania, lei non avrebbe potuto fare niente; inoltre sembrava che nessuno si fosse accorto della presenza di due nuove persone all’interno della ristretta cerchia autorizzata a passare del tempo con i Tokio Hotel: né una rivista né un programma televisivo avevano accennato alla cosa, e Karoline cominciava a chiedersi se Lynet e Hanna fossero realmente con il loro padre oppure se quest’ultimo avesse fruttuosamente pagato i giornalisti per non farne parola con nessuno; infine, come se non bastasse, ora anche Gabriel le voltava le spalle, tirandosi indietro come uno sciocco sentimentalista pentito.
-Come al solito dovrò fare tutto io- pensò ad alta voce, cercando di calmarsi un poco e di pensare con la mente lucida.
Si diresse in cucina, appostandosi di fronte al suo PC portatile, trovando un’e-mail di Gabriel dove le spiegava che le aveva inviato il numero di cellulare dell’investigatore di Tokyo, e che avrebbe dovuto rintracciare lui da quel momento in poi.
Con la rabbia che prendeva velocemente possesso di lei, Karoline lanciò un ringhio per niente confortante, digitando nervosamente quel numero presente sullo schermo di fronte a lei, premendo il verde con forza quasi disumana.
Dall’altra parte della cornetta, qualcuno rispose in una lingua incomprensibile per lei, ma questo non la intimorì affatto.
-Sono Karoline Keller, di Francoforte. Voglio sapere dove sono le mie figlie, ora!-.

[ *** ]

Ed anche per quel giorno tutti gli impegni erano stati terminati con successo, nonostante la preoccupazione di David riguardo alle sue figlie che, dopo la fuga improvvisa e senza senso di Hanna dallo studio radiofonico, avevano deciso di prendere un taxi e tornare in hotel con l’intenzione di non uscirne fino a sera.
Erano quindi le cinque del pomeriggio quando i ragazzi tornarono in albergo con la forza di continuare a camminare solo per raggiungere le loro rispettive stanze e rilassarsi sotto il getto d’acqua bollente della doccia, e magari sdraiarsi per un po’ nei loro comodi letti.
-Sai, dovresti parlare con Han- disse improvvisamente il vocalist nell’ascensore.
Tom si voltò a guardarlo stupito ed anche un po’ scettico, senza dire nulla.
-Oh andiamo, non fare il bambino. Ti vanti tanto di essere in grado di fare sesso anche nelle pose più strane e forse neanche mai inventate con delle perfette sconosciute, e poi ti caghi addosso se devi parlare con una ragazzina più piccola di te e che, tra l’altro, conosci da un sacco di tempo?-
-Non è quello, cosa hai capito! Non ho di certo paura di una ragazzina, di Hanna per di più! Figurati se io, proprio io mi lascio intimorire da una donna!-
-Sì certo, come no- controbatté Bill, incrociando le braccia al petto e girando il viso dall’altra parte con un sopracciglio sollevato come a voler sottolineare il suo scetticismo.
-Sentimi, Bill, lo sai che io con le scuse e con le parole faccio schifo!-
-Allora lo ammetti che hai paura!- affermò euforico il fratello, con gli occhi che quasi gli brillavano per essere riuscito a fargli ammettere di essere non solo spaventato, ma oserei dire terrorizzato all’idea di avere una conversazione lunga e profonda con una persona dell’altro sesso.
-Non ho detto questo! Ho solo detto che non avrei idea di cosa dirle, quindi tanto vale lasciar perdere-
-Oh, ma quante storie!- prese parola Georg, guardando il chitarrista con espressione scocciata -Cazzo, cosa c’è di così complicato? Devi solo parlarle, Santo Iddio! Sono sicuro che se te la dovresti scopare non ti faresti tanti problemi-
-Ma che intuito caro Hagen, complimenti! Vuoi una medaglia adesso?-
-Tom, smettila di fingere di essere un uomo quando in realtà sei solo un ragazzino! Ti rendi conto che pur di metterti a confronto con una donna te la porti a letto senza nemmeno lasciarle il tempo di dirti il suo nome? I veri uomini sanno gestire le donne anche fuori dalle lenzuola-.
Prima che un silenzio imbarazzante potesse calare sui quattro amici, le porte dell’ascensore si spalancarono, dando loro la possibilità di sgattaiolare immediatamente fuori per rifugiarsi nelle loro suite.
-Fidati, Tom, devi ancora imparare più cose di quello che credi-.
Detto questo, il castano entrò nella sua camera, lasciandoli gli altri tre soli in corridoio.
Gustav, in tremendo imbarazzo, faceva saettare lo sguardo da un gemello all’altro e, non trovando niente da dire, sparì anche lui nella sua stanza.
Tom si stropicciò gli occhi, che riaprì non appena sentì la mano di suo fratello poggiarglisi sulla spalla.
Quando Bill ebbe la sua più totale attenzione, si limitò a sorridergli, guardandolo dritto negli occhi.
Bastò quel gesto, quell’espressione incoraggiante dipinta sul volto, e Tom capì che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare il problema, quindi tentare di girargli attorno e lasciarselo alle spalle era impossibile.
Sospirando sconfitto, il trecciato si avviò con passo pesante verso la camere di Hanna e Lynet.
Posizionatosi di fronte alla porta la osservò un po’ titubante, per poi voltarsi verso il gemello, che aspettava pazientemente poco lontano da lì sempre con lo stesso sorriso a storcergli le labbra.
Tom chiuse gli occhi e strizzò la bocca, picchiando le nocche sul legno rosso scuro.
Un rumore di passi lo avvertì che qualcuno dall’interno stava venendo ad aprirgli.
A quella consapevolezza, il cuore cominciò a battergli a duecento battiti al minuto come fosse un pivellino alle prime armi.
E forse, in qualche modo, per quello che stava per fare, lo era davvero.
 

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Capitolo 15
*** 14. L'infinito non è così lontano. ***


Ciao Aliens! Da quanto tempo, vero? *fischietta guardandosi intorno*
Lo so, molte di voi vorrebbero la mia testa su un piatto d'argento in questo momento, ma veramente, tra la scuola, il lavoro e qualche "problema" di famiglia non ho mai avuto il tempo di continuare a scrivere, e se devo essere sincera, nei momenti in cui avrei potuto buttare giù qualcosa, non avevo mai la minima voglia di farlo.
Insomma, non è stato un bel periodo per questa Fan Fiction!
Comunque adesso sono tornata col quattordicesimo capitolo di questa storia, e spero che basti per farmi perdonare, dato che c'è una novità fresca fresca che vi aspetta!
Spero tanto vi piaccia, anche se ammetto di averlo terminato pochi minuti fa e di non averlo nemmeno riletto!
Vi sarei molto grata se come al solito lasciaste una qualsiasi traccia del vostro passaggio, mi rende molto felice ricevere le vostre recensioni :)
Ora vi saluto, che lo studio di aspetta! (come di routine, ormai -.-)
Ci sentiamo alla prossima Aliens!
Vi abbraccio forte, e... STAY TOKIO FOREVER <3




Capitolo 14, L’infinito non è così lontano.


-Ma che…- esclamò ad alta voce, azzittendosi subito dopo, guardandosi alle spalle spaventata.
Spinse velocemente Tom lontano dall’entrata ed uscì in corridoio, socchiudendo la porta dietro di lei.
-Si può sapere che ci fai tu qui?!- sussurrò a denti stretti, scrutandolo in malo modo.
-Ci dormo anche io in questo hotel, ricordi?-
-Non intendevo quello, lo sai benissimo!-
-E va bene, d’accordo- si difese immediatamente, mettendo due mani avanti -Stavo solo scherzando-.
Lynet sospirò, con lo sguardo perso altrove, per poi puntarlo sul ragazzo di fronte a sé.
-Scusami Tom, è che quando Hanna è nervosa lo divento anche io-
-È ancora di cattivo umore?-
-Arrabbiata è il termine più adatto in questo momento-
-Allora posso anche ripassare più tardi…- disse Tom, sperando di riuscire a cavarsela anche quella volta.
-Fermo dove sei tu!- lo bloccò subito Lyn, puntandogli un indice intimidatorio davanti al viso -Ora dirigi il tuo ricco e famoso fondoschiena nella nostra stanza e non fare storie! Potrebbe anche andare a fuoco l’hotel per quanto mi riguarda, ma con Hanna ci devi chiarire lo stesso!-
-Sai essere veramente persuasiva quando vuoi, sai piccoletta?-
-È una della mie tante doti- disse sorridendo sorniona, spalancando la porta e facendosi da parte per farlo passare.
Tom, sospirando come per farsi coraggio, mosse i primi passi all’interno della stanza, osservandosi attorno furtivo, in attesa di un attacco a sorpresa da parte di una Han decisamente furiosa.
Un attacco che, però, non arrivò mai, poiché la ragazza se ne stava seduta con le gambe strette al petto sulla larga ringhiera in acciaio del balcone, col viso rivolto all’orizzonte.
Il vento le scompigliava i capelli, spostandoglieli in ogni direzione, ma a lei sembrava non importare minimamente.
I deboli raggi del sole - spuntato poche ore prima - ormai calante la colpivano in pieno viso, circondandola di una strana aura che dava quasi l’impressione che i capelli e la pelle della ragazza brillassero di luce propria.
Purtroppo non si poteva dire lo stesso dei suoi occhi.
Parevano spenti e vuoti, persi alla ricerca di una qualsiasi cosa che la potesse rendere veramente felice.
Tom, immobile al di là del vetro della portafinestra, la osservava senza la minima idea di cosa dirle.
Cosa avrebbe potuto fare lui, dopotutto, per tirarla su di morale se da quando era tornata nella sua vita non faceva altro che deluderla?
Era la prima volta in venti anni della sua esistenza che non aveva le parole giuste al momento giusto.
Si sentiva un vero idiota.
-Stai tranquillo, non tenterà di buttarti di sotto appena ti avvicinerai-.
Il ragazzo si voltò di scatto, incontrando il viso di Lynet modificato in un’espressione sarcastica, ma anche intenerita.
In quel momento le ricordò tanto Hanna, e fu come se qualcosa dentro di lui si risvegliasse da un sonno profondo durato per anni.
Senza più esitare, raggiunse la ragazza, deciso a parlarle e a confidarsi con lei come un tempo.
Non fece nemmeno in tempo ad appoggiarsi alla solida ringhiera che Hanna si voltò nella sua direzione, rimanendo imbambolata per qualche secondo di fronte alle sue iridi calde e luminose.
Solo quando una dolorosa fitta le prese il cuore trovò la forza necessaria per distogliere lo sguardo dal suo, puntandolo nuovamente sull’orizzonte.
E, senza riuscire a controllarsi, lasciò che le lacrime prendessero il sopravvento.
Nascose subito il viso fra le ginocchia per non farsi vedere da Tom, ma i suoi singhiozzi erano perfettamente udibili.
Al ragazzo si strinse il cuore vederla così. Gli mancò quasi il fiato nell’udire il primo gemito di dolore fuoriuscire dalla sua gola.
-Hanna, io…- cominciò, poggiandole una mano sulla schiena.
A quel tocco, Hanna sollevò di scatto la testa, allontanando in malo modo le dita di Tom dal suo corpo.
-Non mi toccare- disse, rivolgendosi a lui in modo duro e freddo, scrutandolo in modo tagliente.
-Han, ti prego, ascoltami-
-Credo di averlo fatto abbastanza. Non ho più voglia di sentire altre cazzate uscire dalla tua bocca-
-Voglio solo sistemare le cose fra noi-
-E se io non volessi?-
-Non ci crederei mai. So quanto sono importante per te-
-Tu non sai niente di me-
-Ti conosco meglio di quel che pensi, credimi-.
Un sorriso beffardo prese vita sul volto del ragazzo, ricevendo in risposta uno sguardo sprezzante dalla biondina, che subito dopo portò le sue pupille verso il paesaggio lontano.
-Chi tace acconsente- insisté Tom, senza perdere il sorriso.
Hanna sbuffò sonoramente, facendo roteare gli occhi.
-Quanto sei bravo a rompere le palle, Tom Kaulitz!-
-È uno dei miei tanti pregi-.
La bionda lo fissò scettica e lui, per non scoppiarle a ridere in faccia, portò il viso di fronte a sé, giocherellando col Labret.
Quell’inaspettato gesto del ragazzo provocò una strana reazione in Hanna.
Si sentì… imbarazzata? Lei, proprio lei, era arrossita di fronte a quella mossa sfrontata e strafottente del chitarrista? Non voleva crederci.
Non fece in tempo a schiaffeggiarsi mentalmente e riprendere il suo normale colorito pallido, che Tom si voltò verso di lei, notando subito le sue gote accaldate.
-Perché sei arrossita?-
-Non sono arrossita. Perché dovrei essere arrossita?- rispose Hanna nel panico più totale, parlando troppo velocemente.
-Sì certo, come no! Vallo a dire a qualcun altro!-
-Ma non è vero!-
-Ma se ci potrei cuocere delle bistecche sopra le tue guance!-.
Hanna strinse forte i pugni e gli occhi, ringhiando furibonda.
-La vuoi piantare di fare lo stronzo?! Se sei venuto qui solo per sparare cazzate e peggiorare la situazione allora puoi anche andartene!-
-E dai, stavo solo scherzando, davvero-
-Come tuo solito, perché tu non riesci a fare la persona seria per una dannatissima volta, no?-.
Il volto di Tom si fece improvvisamente neutro, ed i suoi occhi persero l’aria giocosa di poco prima.
-Questo non è vero, e lo sai-.
Hanna incatenò per qualche secondo le sue pupille a quelle del ragazzo, per poi sospirare abbassando il capo.
-Quanto ti odio quando hai ragione-
-Quindi vuol dire che in tutti gli altri momenti mi ami?-.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo, mentre lui già metteva le mani avanti.
-Scherzavo Hanna, scherzavo-
-E per fortuna che riesci ad essere serio-
-Dai, adesso lo sarò davvero, promesso-.
Le labbra del trecciato si storsero in un sorriso dolce ed affidabile, così come il suo sguardo.
Hanna sentì nitidamente il tonfo del suo cuore in fondo ai piedi, ma quanto le parole di Tom tornarono a vorticarle nella testa il freddo si rimpossessò nuovamente di lei.
-Mi hai fatto così tante promesse in passato, Tom, eppure non ne hai mai mantenuta nemmeno una. Quindi puoi anche fare a meno di fingere che per questa volta sarà diverso-
-Ma è proprio questo il punto, Hanna. Non lo capisci? Ora niente è lo stesso! Sono cambiate tante cose da allora, anche io, soprattutto io. Sono una persona nuova, pronta ad ammettere i suoi errori e cercare di ripararli, per quanto mi è possibile. Voglio essere diverso, lo capisci? Voglio poter sorridere alle telecamere senza fingere che vada tutto bene, voglio poter parlare liberamente alle interviste senza aver paura di dire qualcosa che non dovrei, voglio svegliarmi ogni mattina con la stessa persona stesa al mio fianco. E voglio promettere cose che poi sarò in grado di mantenere-.
Le parole di Tom erano sincere, Hanna glielo leggeva negli occhi, quelle stesse iridi che, con gli anni, aveva imparato a leggere.
Nonostante il lungo periodo di lontananza, la loro complicità non si era affievolita e nemmeno sbiadita, ma era rimasta la stessa di sempre.
-Tom, io…- Hanna si bloccò un attimo, stropicciandosi gli occhi e sospirando.
-Non serve che dici nulla- disse lui, capendo la sua difficoltà nel trovare le parole giuste -Basta solo che tu mi creda-.
La ragazza portò lo sguardo sulla sua mano, ora coperta da quella di Tom, molto più grande e venosa, e si sentì incredibilmente a suo agio, come se in quel momento si trovasse nel posto giusto, al momento giusto e, soprattutto, con la persona giusta.
Perché Tom era proprio questo per lei: la persona giusta; quella che era in grado di farla ridere e subito dopo piangere, quella che era in grado di proteggerla e farle del male, quella che sapeva comprenderla e, a volte, non capirla.
Lui era tutto, e tutto l’opposto.
Lui era l’unico ragazzo al mondo a riuscire a cambiarle l’umore, ed Hanna ancora non riusciva a capire se doveva spaventarsi di questo oppure no.
E poi, dopo aver fuso nuovamente le sue iridi con quelle del chitarrista, Hanna capì che, sì, Tom ne valeva davvero la pena.
-Io ti credo, Tom-.
E, come se quelle parole avessero espresso molto di più di ciò che poteva sembrare in apparenza, le labbra di Tom trovarono rifugio su quelle di Hanna, incastrandosi perfettamente le une alle altre.
Quando il ragazzo, dopo pochi secondi, si staccò da lei, vide che aveva gli occhi leggermente spalancati ed il fiato corto.
Per un momento lunghissimo Tom ebbe paura di aver fatto un’altra delle sue cazzate.
Non si sarebbe mai perdonato di aver rovinato tutto così scioccamente.
Ma poi accadde qualcosa che lui non si sarebbe mai aspettato.
Hanna gli sorrise euforica, e gli si sciolse il cuore.
-Io, credevo che…-
-Shhh- lo zittì lei, poggiandogli un indice sulla bocca rosea e carnosa.
Prima che lui potesse rendersene conto, le labbra di Hanna erano nuovamente sulle sue, e quella volta era stata proprio lei ad annullare la distanza fra loro.
Quel bacio, da casto, si trasformò in qualcosa di più profondo e sensuale, ma comunque non privo di sentimento.
Con quel contatto, Han poté sentirsi finalmente completa, come se quella parte di lei che era sempre rimasta sola avesse finalmente trovato la compagnia di cui aveva bisogno.
Tom, d’altro canto, ammise senza paura a sé stesso che quella era la prima volta che un bacio gli procurava i brividi. Non brividi di piacere, innescati dall’eccitazione sessuale, bensì brividi veri e talmente profondi da scuotergli persino il cuore.
Sapete, a volte, quando due vuoti si incontrano, sono in grado di riempirsi.
E finalmente, dopo un tempo lunghissimo, entrambi capirono che a loro era successo lo stesso.
 

[ *** ]

 
-L’hai baciata?!- chiese sorpreso Bill, sgranando gli occhi e spalancando la bocca-Non ci posso credere!-
-Non voglio nemmeno immaginare come ha reagito lei!- disse Georg con espressione beffarda -Conoscendola come minimo ti ha dato uno schiaffo-
-Ti sorprenderà sapere invece, caro Moritz, che successivamente mi ha ricambiato con impetuoso ardore- ci tenne a precisare Tom, drizzando le spalle e mettendosi in una posizione da Conte del 1800.
Poi scoppiò a ridere insieme ai suoi amici, ricevendo una cuscinata in pieno viso dal castano.
-Perché devi fare lo scemo anche quando si discute di cose serie?-
-Perché è felice-.
Tutti si voltarono verso Bill, che teneva lo sguardo fisso sul gemello.
I loro occhi si specchiarono gli uni negli altri, e dentro le pupille del fratello, il cantante trovò la conferma alle sue parole.
I due ragazzi si sorrisero teneramente, ma quell’atmosfera svanì quasi subito, dato che Georg interruppe quello scambio telepatico di pensieri con la sua solita grazia.
-Ohh, il nostro piccolo dolce Kaulitz si sta innamorando!-
-Ma smettila!- rispose lui, rilanciandogli il cuscino di poco prima -Voglio andarci piano con lei. Dopotutto è la prima volta che mi succede una cosa del genere, e comunque lei è speciale, non voglio bruciare le tappe-
-Quindi non te la porterai a letto già da stasera, vero?- domandò Gustav con un tono indagatore.
-Certo che no! A meno che non sia lei ad insistere, allora sarebbe tutta un’altra cosa…-
-Tom!- gridarono tutti e tre i suoi amici, tornando poi a ridere tutti insieme.
-Sei proprio incorreggibile- gli disse Gustav, scuotendo la testa con un sorriso divertito sulle labbra.
 

[ *** ]

 
-Come sto?-.
Lynet si voltò verso la sorella, rimanendo imbambolata per qualche secondo di fronte alla perfezione che Hanna, quella sera, era riuscita a sottolineare ulteriormente.
Indossava un vestitino nero a balze in pizzo, sorretto su una sola spalla. I lunghi capelli biondi erano stati lasciati sciolti, lisciati nella parte superiore ed acconciati in morbidi boccoli sulle punte.
Il trucco sfumato andava dal nero all’oro, ed un leggero strato di lucidalabbra le enfatizzava la bocca in modo naturale.
-Sei bellissima, davvero. Tom rimarrà sicuramente senza fiato-.
Le gote di Han si fecero improvvisamente più rosee, probabilmente accaldate dalla frase detta dalla gemella.
-Guarda che non mi sono mica fatta bella per Tom!- esclamò dopo pochi secondi la bionda, ripresasi dall’imbarazzo iniziale.
-Certo- le rispose con scetticismo la mora, sorridendole intenerita -Comunque di me invece che ne pensi? Dici che vado bene vestita così?-.
Hanna la squadrò da capo a piedi, studiando il suo abitino in morbida stoffa Taffettà di uno strano oro-argentato, con una sola lunga manica a coprirle il braccio destro.
I capelli, rigorosamente lisci, erano stati gonfiati nel mezzo, e raccolti ai lati.
L’eyeliner d’oro era stato abbinato ad un ombretto bianco glitterato, e le labbra erano state messe in risalto da un rossetto rosso chiaro.
-Dire che sei bella è un eufemismo bello e buono!- le rispose, sorridendole poi compiaciuta -Mi sa che stasera il nostro caro piccolo Bill perderà la sua nota fama da tenero e dolce romanticone- affermò Han, con un’espressione di pura malizia stampata in faccia.
-Smettila!- la rimproverò Lynet, nascondendosi il viso fra le mani.
Hanna, dal canto suo, non poté fare a meno di ridere divertita, avvicinandosi a lei, abbracciandola.
-È così facile metterti in imbarazzo, e devo ammettere che è uno dei miei passatempi preferiti!-
-Vaffanculo- borbottò la mora in tutta risposta, senza però allontanarla da lei.
-Ti voglio bene anche io, gemellina-.
 

[ *** ]

 
-Credo che la situazione si stia facendo più seria del previsto- cominciò Anja, spostando lo sguardo da un’amica all’altra.
Notando le loro espressioni confuse, la rossa continuò senza lasciare il tempo a nessuna delle due di fare domande.
-Passerò subito al sodo, senza tanti giri di parole- affermò, decisa come non mai nella sua vita -Ieri sera ho deciso di fare il suo stesso gioco-
-Sarebbe?- chiese Nora preoccupata, sempre più agitata.
-Mi sono appostata sotto casa sua. Ho cercato di spiare dalle finestre del suo studio alla ricerca di qualche indizio che potesse farmi capire quale sarebbe stata la sua prossima mossa, ma non ho trovato niente di rilevante, non riuscivo nemmeno a leggere l’e-mail aperta sul display del portatile... Stavo ormai perdendo tutte le speranze quando, improvvisamente, Karoline ha aperto la finestra dello studio per fumare, e l’ho sentita parlare con qualcuno al telefono… in inglese. Ora, non so come la pensate voi, ma con chi avrebbe mai potuto parlare un’avvocatessa tedesca a quell’ora di sera in una lingua non sua?-.
Anja aspettò che una delle due ragazze dicesse la sua, ma entrambe sembravano più confuse di prima.
-Ok, effettivamente le risposte potrebbero essere molte. Comunque, da quel che ho capito, stava parlando proprio di Lynet ed Hanna, chiedendo notizie su di loro e di avvertirla appena avessero preso il volo di ritorno per Amburgo… Del resto non ci ho capito molto, dato che parlava molto in fretta, ma mi ha dato da pensare che probabilmente Karoline ha ingaggiato qualcuno per seguire le gemelle…-.
Un attimo di silenzio, e le due amiche capirono immediatamente.
-Un investigatore privato!- esclamarono Christine e Nora all’unisono, spalancando occhi e bocca dallo stupore.
-Esatto- mormorò Anja, distogliendo lo sguardo dalle sue amiche e portandolo fuori dalla finestra della sua stanza, lontano da lì, diretto col pensiero ad Hanna e Lynet -Dobbiamo avvertirle, capite? Non possiamo permettere a quella stronza di trovarle!-
-Anja, da quando tu dici parole come stronza?- domandò stupita Nora, che venne subito schiaffeggiata sul braccio da Christine, seduta accanto a lei.
-Che c’è?- domandò confusa e leggermente offesa, massaggiandosi il punto colpito -Chiedevo soltanto- si giustificò, facendo inevitabilmente sollevare all’amica gli occhi al cielo.
-Allora, che facciamo?- chiese poi Chris riferendosi ad Anja, fissandola dritta nelle pupille nere.
-Dobbiamo dirglielo, non possiamo più aspettare-
-Cosa stiamo aspettando, allora? Mandiamogli subito un messaggio!-
-No, dobbiamo chiamarle. Adesso-.
 

[ *** ]

 
La discoteca era gremita di ragazzi che andavano dai diciassette ai ventotto anni.
Ognuno col suo stile, con un taglio di capelli differente, e pure un modo diverso di ballare.
Tutti in quel posto si stavano divertendo, ballando, bevendo o chiacchierando, per quanto la musica alta lo permettesse.
Beh, tutti tranne due persone.
-Si può sapere che ti prende?- domandò Lynet alla sorella che, attaccata al bancone, aspettava il suo drink.
-Niente, perché?- chiese la bionda senza nemmeno guardare la gemella in faccia.
-È tutta sera che scappi da Tom. Mi vuoi dire perché lo stai facendo?-
-S-scappando? Credo che tu ti sia fatta un’idea sbagliata…-
-No invece- rispose sicura lei, tentando in tutti i modi di incrociare lo sguardo di Hanna -Lo sai che puoi mentire a tutti, ma non a me. Sarebbe da sciocchi anche solo provarci, no?-
-Non capisco di cosa tu stia parlando, ti stai facendo un sacco di paranoie-
-E allora perché non mi guardi nemmeno in faccia?-.
Colpita ed affondata, pensò Han, chiudendo gli occhi e sospirando, prima di voltarsi verso la sorella e guardarla dritta negli occhi.
-Contenta, adesso?- domandò scocciata la bionda, guardandola in cagnesco.
-Sì- rispose soddisfatta Lyn, sorridendo beffarda.
Hanna poteva pure essere testarda e, all’apparenza, sicura e forte, ma Lynet sapeva che poteva ottenere tutto ciò che voleva da lei, persino farle ammettere di avere la colpa di qualcosa che nemmeno aveva fatto.
Era dura come il coccio, è vero, ma Lyn lo era come il cemento, ed il coccio, se lanciato sull’asfalto, si rompeva, quest’ultimo invece no.
-Avanti, spara a raffica tutte le domande che vuoi, così la facciamo finita una volta per tutte e posso continuare a bere e a nascondermi in santa pace!-
-Come vuoi tu- rispose Lyn, facendo spallucce come se della cosa non le importasse poi molto, anche se, dalle labbra contratte, si capiva perfettamente che riusciva a stento a trattenere un sorriso.
-Allora- cominciò, ignorando deliberatamente lo sguardo assassino che le lanciò Hanna -Perché è tutta la sera che cerchi di evitare Tom? Stare con lui non era quello che volevi?-
-Certo che lo voglio! Insomma, sono sempre inconsciamente stata cotta e stracotta di Tom, ed ora tutto ciò che vorrei è starmene comodamente avvinghiata al suo corpo, ma…- un attimo di esitazione, poi le sue iridi grigio verdi si fusero con quelle color cioccolato di Lynet, e tutto fu finalmente chiaro.
-Sei veramente una sciocca. Credi che non approverebbe se, col tempo, si accorgesse di quanto entrambi siete felici?-
-Non lo so. Insomma, Tom è sempre il solito Tom, sotto certi aspetti, e non credo che ad un padre faccia molto piacere avere la certezza che la sua bambina faccia certe cose con uno che ha la fama del Sex Gott!-
-Anche se fosse qualcun altro credo che lo capirebbe lo stesso-
-Ma è comunque diverso- cercò di spiegare la bionda, sentendosi sempre più a disagio -Hai presente Tom Kaulitz, che parla sempre e solo di scopare, e che ogni volta che è stato a letto con qualcuna racconta ogni dettaglio per filo e per segno senza il minimo pudore? Ormai papà sa meglio com’è a letto Tom che il suo codice del bancomat!-
-È normale, considerando che le password ed i codici non sono mai stati il suo forte-
-Lynet- la richiamò Hanna con tono di rimprovero.
-Ok, scusami, comincio ad essere un po’ troppo spiritosa. Comunque, tanto per la cronaca, guarda che papà ha già capito tutto-
-Cosa?!- domandò stupita Hanna, non accorgendosi nemmeno che il barista le aveva appoggiato di fronte il suo cocktail -E cosa aspettavi a dirmelo?!- domandò poi infastidita, aspettando una risposta quanto meno valida.
-Se devo essere sincera mi stavo divertendo a vederti così in difficoltà- si giustificò pacata, rispondendo poi ad una domanda silenziosa che però era balenata subito negli occhi di Han -Mentre tu stavi facendo la doccia, papà è venuto in camera per parlare un po’ di me e, beh… di Bill. Ha visto che ci comportavamo in modo strano, diciamo un po’ più affettuoso del solito, e mi ha chiesto delle spiegazioni, benché non ce ne fosse alcun bisogno dato che ormai aveva capito tutto. Comunque, dopo che ho risposto ad ogni suo dubbio, mi ha chiesto di te e Tom. Ha notato che c’era molta tensione fra di voi, almeno più di quello a cui era abituato, e mi ha chiesto se anche voi non vi stesse innamorando l’uno dell’altra. Io gli ho detto che la questione era un po’ più complicata rispetto a me e Bill, ma che c’erano grandi probabilità che vi sareste messi insieme presto-
-Oddio, e lui che ha detto? Ti prego, non dirmi che l’ha presa male!-
-Presa male? Ma stai scherzando?! Diciamo che è rimasto stupito, conoscendo l’indole libertina che accomuna entrambi voi, ma poi l’ho visto sereno. Credo che sia felice che finalmente entrambi abbiate deciso di mettere la testa a posto-.
Hanna non ci poteva credere. Aveva passato metà serata ad evitare appositamente Tom per paura di deludere suo padre e lui, oltre a sapere già tutto, ne era pure contento?
Cazzo, pensò fra sé e sé, con la sua solita finezza, ora chissà cosa penserà Tom di me!
-Lyn, scusami tanto, ma adesso devo andare! Tom sarà sicuramente furioso e…-
-Non devi spiegarmi nulla- l’interruppe lei, sorridendole dolcemente -Vai e basta-.
Hanna le sorrise raggiante, voltandosi per andare alla ricerca del chitarrista, ma, prima di essersi allontanata troppo, tornò indietro, baciò Lynet su una guancia e poi si immerse tra la folla di giovani divi dell’area VIP della discoteca.
La mora sorrise, osservandola fino a ché non sparì dalla sua vista.
Finalmente siamo felici, eh sorellina?
 
 
Dopo cinque minuti di spintoni e pestate di piedi, finalmente Hanna trovò chi stava cercando.
Se ne stava appoggiato al muro con una birra in mano, intento a discutere con Georg.
Chiunque, anche senza ascoltare il loro discorso, avrebbe potuto intuire che stavano parlando animatamente, ma non litigando, semplicemente scambiandosi pareri su qualcosa che li toccava nel profondo.
Anzi, che toccava Tom nel profondo.
Poi successe tutto in fretta: il chitarrista si voltò verso di lei, incatenando subito le sue pupille a quelle di Han.
Il suo sguardo lasciava trasparire un mix di emozioni che non facevano presagire niente di buono.
Era come se nelle iridi nocciola del ragazzo ci fossero tatuati tutti i suoi pensieri.
Per Hanna non fu per niente difficile trovare rabbia, delusione e tristezza in quelle pupille profonde.
Bastò meno di un secondo perché la bionda capisse che la causa di tutte quelle emozioni era proprio lei.
Senza aspettare più, Han lo raggiunse di corsa, ignorando del tutto la presenza di Georg.
Non per cattiveria o chissà che altro, semplicemente perché in quel momento nemmeno lo vedeva.
C’era ben altro in quell’istante che attirava la sua attenzione, e la paura di aver sbagliato di nuovo tutto la colpì come un pungo nello stomaco.
-Tom, ti devo parlare-
-E cosa vorresti dirmi?- domandò sprezzante -Magari potresti cominciare col perché è tutta la sera che mi stai evitando!-
-Io… Tom, non è come credi!- tentò lei, con una disperazione quasi palpabile nello sguardo.
-Sì certo, ed io sono Mary Poppins! Andiamo Hanna, non sono nato ieri!-
-Ma io…-
-Sono proprio curioso di sentire che scuse idiote inventerai per dirmi che…-
-SE TU MI LASCIASSI SPIEGARE FORSE CAPIRESTI COSA E’ SUCCESSO!-.
Esasperata da tutte quelle interruzioni, Hanna aveva urlato così forte che qualche persona attorno a loro si era voltata, incuriosita da tutto quel gridare improvviso.
Tom, decisamente sorpreso, non ebbe nemmeno la forza di risponderle, e rimase imbambolato a fissarla con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
-Possiamo uscire di qui un attimo? Non riesco nemmeno a parlare!-.
E, senza aspettare che lui accettasse o meno, lo prese per una manica e se lo trascinò appresso, uscendo da una porta anti incendio sul retro del locale.
Anche da lì fuori si potevano benissimo distinguere le parole delle canzoni, ma la musica era ben attutita, come se avessero due pezzi di cotone nelle orecchie.
-Posso parlare, ora? O hai intenzione di darmi della troia o che so io per il resto della vita?-
-No, io…- Tom sospirò esasperato, passandosi una mano sul viso -Non ho mai insinuato che tu fossi una poco di buono-
-Da quando ti trattieni nel dire parolacce?-
-Da quando abbiamo cominciato a parlare di te-.
Han non seppe perché, ma quella frase le fece pensare che Tom dovesse avere molto rispetto di lei, più di quello che avrebbe mai potuto pensare.
-Tom- cominciò la ragazza, dopo essersi ripresa dai suoi pensieri -È vero, sono scappata da te per tutta la serata, ma non per i motivi che sicuramente hai pensato tu. Io…- sospirò, in crescente difficoltà, poi appoggiò la fronte contro il suo petto.
Da quella posizione privilegiata poteva benissimo crogiolarsi nel suo profumo, ormai impregnato non solo nei suoi vestiti oversize, bensì nella sua pelle.
Sapeva di fumo e profumo da uomo, che si ripromise di scoprire quale di preciso quando ne avrebbe avuto l’occasione.
Quasi si sentiva in imbarazzo a non conoscere la marca di profumo preferita di Tom.
Non so niente di lui, in fondo
Si appigliò alla sua enorme maglia con entrambe le mani, come se si aspettasse che da un momento all’altro il pavimento si sarebbe aperto sotto ai suoi piedi, facendola precipitare fra il cuore bollente della Terra se non si fosse prontamente aggrappata a qualcosa.
E chi meglio di lui avrebbe potuto salvarla dal baratro?
E lui, senza dire nulla, strinse le braccia muscolose attorno al suo corpo, chinandosi per appoggiare la guancia sinistra sulla sua testa.
Dai respiri profondi che prendeva, la ragazza pensò che Tom le stesse annusando i capelli.
Sapeva che il profumo di albicocca del suo shampoo lo faceva impazzire, e sorrise inconsciamente nel pensarlo.
Sei proprio cotta, carina.
-Avevo solamente paura che mio padre non approvasse-.
E finalmente quelle fatidiche parole uscirono dalla sua bocca.
Si sentì più leggera dopo quella confessione, e se era riuscita a cominciare il discorso, sicuramente tutto il resto sarebbe venuto fuori con più naturalezza.
Hanna sentì improvvisamente le mani del chitarrista spostarsi sul suo viso, togliendolo dal nascondiglio sicuro nel quale si era rifugiato.
Fece scorrere lo sguardo da un occhio di Hanna all’altro, con un misto di stupore e dolcezza nelle pupille.
-E perché non avrebbe dovuto?- si ritrovò poi a domandare lui, non potendo trattenersi oltre.
-Beh, parliamoci chiaro: non sei proprio il tipo di ragazzo che dei genitori vorrebbero vedere affianco alla figlia-
-Sarà il mio modo di vestire, forse?-.
Entrambi risero, consapevoli che era ben altro a renderlo poco gradito agli occhi dei genitori.
-Probabile- rispose lei, continuando poi ad esprimere ciò che l’aveva tormentata fino a quel momento -Non volevo creare problemi, né fra noi né fra te e David. Insomma, qui ci sono in ballo non solo i sentimenti, ma anche il lavoro, i tour, le fan, i pettegolezzi, e pure un sacco di soldi… avevo paura che il nostro avvicinamento avrebbe causato dei seri problemi a tutti voi, e alle persone dello staff. Non volevo che succedessero casini di nessun genere, ecco-
-E come mai hai cambiato idea, allora?-.
Han lo osservò con le sopracciglia aggrottate, confusa.
-Adesso sei qui con me, no?-.
Hanna gli sorrise, e lui ricambiò senza alcun indugio.
-Oggi lui e Lynet hanno parlato della relazione che sta nascendo fra lei e Bill, e naturalmente il discorso si è poi spostato su noi due e, beh, Lyn gli ha detto qualcosa riguardo al fatto che volevamo provare a frequentarci, e ne sembrava contento-
-Quindi ho ricevuto la benedizione da tuo padre?-
-Adesso non esagerare- chiarì lei, abbassando lo sguardo -Diciamo che hai il via libera- concluse poi, puntando nuovamente lo sguardo nel suo.
-Quindi, se io adesso volessi baciarti, lo potrei fare senza rischiare di venire cacciato dalla band e pestato a sangue dai miei stessi bodyguards?-.
La risata cristallina che uscì dalle labbra di Han fecero venire la pelle d’oca al ragazzo che, senza più aspettare, si chinò su di lei per baciarla.
Le loro labbra si mossero all’unisono, in modo lento e delicato, per poi dischiudersi quel tanto che bastava per poter approfondire il contatto.
Il calore che percorse i loro corpi e l’elettricità che mandò in fibrillazione i loro cuori non era paragonabile a niente che entrambi avessero già provato prima di quel momento.
Col fiatone e le gambe che tremavano, Tom si staccò appena da lei, quel tanto che bastava per riuscire a parlare.
-Se mi fai questo effetto con un solo bacio non oso pensare a cosa proverò quando faremo l’amore-
-Non dirlo a me- rispose lei, per niente intimidita da ciò che il ragazzo le aveva appena detto -È tutto così strano, però…-
-Però?-
-Però è una delle cose più belle che mi sia mai successa-
-Lo so che sono un Dio sceso in Terra, ma se continui a ricordarmi quanto io sia magnifico sarei capace di diventare rosso pure io!-
-Scemo!- lo riprese lei, ridendo -Non parlavo di te in senso fisico, ma quello che mi fai sentire dentro solo con la tua vicinanza-
-Con questo vorresti dire che non sono bello?-
-Ma no, cosa hai capito! Tu non sei bello, sei meraviglioso e…- Hanna si zittì immediatamente, le guance in escandescenza.
-Ce l’ho fatta finalmente a farti dire che sono bellissimo! Era ora!- dichiarò Tom esultante, facendola arrossire maggiormente.
-Smettila! Dai, sei uno stronzo!-
-Ed è proprio per questo che ti piaccio tanto, vero?-.
Il tono ammiccante che usò e lo sguardo malizioso che le propinò le mozzarono il fiato nel bel mezzo della gola, ed il cuore, dapprima spento per qualche secondo, cominciò a battere impazzito, in un tumulto che le provocò pure il mal di stomaco.
-Forse- rispose senza sbilanciarsi troppo, dopo aver ripreso le capacità mentali perse per qualche istante.
Tom sorrise beffardo, per poi riconciliare le labbra con quelle di Hanna, dando vita ad un ulteriore bacio che trasportò entrambi in un mondo parallelo tutto loro, dove dello spazio e del tempo non ce n’era nessuna traccia.
-Vorrei che questo momento non finisse mai- mormorò la ragazza ancora fra le sue braccia, la fronte appoggiata alla sua.
-E allora sarà per sempre adesso, te lo prometto-.
E, nonostante Hanna si fidasse ben poco delle promesse, il tono con cui Tom disse quelle parole le diedero la forza di credergli senza limite alcuno.
E si sentì come se non avesse né capo né coda, fra le sue braccia forti, il suo profumo rilassante ed il suo respiro rassicurante.
Si sentiva come se non fosse fatta di materia, bensì solamente di puro spirito, e per la prima volta nella sua vita poté comprendere appieno cosa significasse realmente la parola infinito.
 

Die Wärme trägt uns bis in die Unendlichkeit,
alles treibt an uns vorbei,
im Mondlicht sind nur noch wir zwei.
Die Unendlichkeit ist nicht mehr weit,
die Unendlichkeit ist jetzt nicht mehr weit.
Die letzte Ewigkeit ist an der Zeit,
für immer ist alles was uns bleibt,
durch den Horizont am Himmel vorbei.

 



Traduzione (fatta da me, quindi se c'è qualche errore sarei felice di essere corretta!):

Il calore ci ha portato verso l'eternità,
tutto ci sta sorpassando,
nella luce lunare ci siamo solo noi due.
L'infinito non è così lontano,
l'infinito non è così lontano ora.
E' giunto il momento per la prossima eternità,
"per sempre" è tutto ciò che ci è rimasto,
attraverso l'orizzonte oltre il cielo .......



 

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Capitolo 16
*** 15. L'ultima notte al mondo io la passerei con te. ***


Ciao a tutte carissime ALIENS ! :D
Allora , non siete ancora emozionate per l'ennesima vittoria dei nostri amati Tokio Hotel agli OMA ?! Siamo o non siamo le migliori fan di tutto il mondo ?! Io direi proprio di sì ! Sono così fiera di tutte noi , perchè per l'ennesima volta siamo state in grado di dimostrare loro quanto gli siamo grate per tutte le emozioni che riescono a trasmetterci con ogni singola canzone !
TOKIO HOTEL & ALIENS PER SEMPRE , è una promessa ! <3
* siriprendedalloscleromomentaneo * Cambiando discorso , mi dispiace tanto per l'attesa di questo quindicesimo capitolo , ma l'ispirazione non ne voleva proprio sapere di farsi viva !
Spero che le lettrici di questa Fan Fiction siano ancora tutte lì a seguire la mia storia ! ;)
Un unico avvertimento , comunque .
Il raiting di questa FF è verde , ma scrivendo quest'ultimo capitolo mi sento in dovere di dirvi che c'è una parte che descrive una scena sessuale . Non è volgare , ma comunque abbastanza descritta , quindi , per il rispetto di chi non se la sente di leggere certe cose , colorerò quella parte di blu , così potrete saltarla senza problemi :)
Detto questo posso anche lasciarvi al capitolo ! Ci sentiamo alla prossima e , mi raccomando , lasciatemi un pensierino ! <3

Un grosso abbraccio,
Vostra GretaTK .



Capitolo 15, L’ultima notte al mondo io la passerei con te.



Il cielo era coperto da nubi grigie che, sullo sfondo buio del cielo notturno, parevano nere.
Pressoché nessuno dei giovani presenti fuori dal locale aveva sollevato lo sguardo verso l’alto, ma Gustav non è di certo superficiale come tutti gli altri.
È l’esempio lampante di ciò che si intende per anticonformista.
Non che lui lo facesse per volontà propria, semplicemente era… diverso.
In senso più che buono del termine, naturalmente.
Mi sento in dovere di specificarlo perché, nella maggior parte dei casi, tutto ciò che è diverso viene preso per qualcosa di brutto dalla gente, qualcosa da cui è meglio stare alla larga.
Ma come si può stare lontani da Gustav?
Ok, non sarà un gran chiacchierone, ma non bisogna mai soffermarsi sulle apparenze.
Che cosa ne possiamo sapere noi, dopotutto, di cosa si nasconde realmente dietro gli occhi della gente? Come possiamo pretendere di sapere quali ricordi e pensieri aleggiano dentro le menti altrui? Non siamo tenuti in alcun modo a pensare davvero di sapere cosa di preciso il cuore delle persone che incontriamo per caso nella nostra vita abbia passato solo guardandole in viso.
E questo era proprio ciò che succedeva sempre con Gustav.
Essendo più discreto e silenzioso degli altri, tutti preferiscono soffermarsi su ciò che vedono materialmente davanti a loro.
Forse questo succede perché in realtà, ognuno di quegli individui, dentro di sé, percepisce che il batterista dei Tokio Hotel è molto più profondo ed amichevole di quello che si può pensare.
Ma è una sensazione talmente flebile che nessuno la percepisce, oppure semplicemente preferiscono ignorarla.
Purtroppo, più si va avanti più le persone preferiscono scegliere la strada più facile che quella giusta, e Gustav è una di quelle persone che fa l’esatto contrario.
Non sarebbe così se, nonostante un’amarezza costante nel cuore, non gioirebbe della felicità dei suoi stessi amici.
Non che lui fosse triste, ma di quegli ultimi tempi Gustav si sentiva solo.
Costantemente.
Insomma, Georg era fidanzato con Katline da sei mesi, ed era sicuro di non aver mai conosciuto in vita sua una coppia più innamorata.
Nonostante i lunghi periodi di distanza, loro due sembravano non perdere mai il loro amore e la loro voglia di stare insieme.
Non che fosse facile, sia ben chiaro, dato che il batterista aveva beccato il suo amico piangere più di una volta per Katline.
Le mancava, e glielo si leggeva in ogni sorriso sincero ma sempre un po’ amaro che faceva.
Capitavano persino delle volte in cui litigavano violentemente al telefono, ma persino in quegli istanti Gustav era in grado di percepire l’infinito affetto che li legava.
Era proprio per questo che, molte volte, quando il castano cominciava a parlare di lei o quando la chiamava faceva il possibile per non ascoltare il tono dolce ed esuberante della sua voce e, soprattutto, di non guardarlo mai.
Gli era capitato una sola volta nel giro di quei sei mesi di voltarsi verso l’amico mentre era al telefono con Kat, per poi non rifarlo più nemmeno per sbaglio.
Quello sguardo sognante, esaltato da una luminosità delle iridi fuori dal comune, e quel sorriso puro e destabilizzante lo avevano colpito come un pugno nello stomaco.
Allora è questo l’amore, pensò in quel momento, rammaricato del fatto che lui non poteva ritenersi altrettanto fortunato e che, probabilmente, mai lo sarebbe stato.
Il fatto che però gli altri due fossero ancora degli scapoli instancabili gli aveva risollevato un po’ lo spirito.
Almeno fino a che Hanna e Lynet non erano ritornate nella loro vita.
Dal preciso istante in cui le aveva viste comparire in cucina all’incirca due settimane prima, aveva sentito crescere dentro di sé la consapevolezza che, a quel punto, solo lui sarebbe rimasto senza amore.
Solo.
Era felice per loro, non fraintendete, soprattutto in quel momento, dove tutto sembrava essersi messo a posto, ma un po’ di invidia l’aveva provata, e questo lo faceva sentire tremendamente in colpa.
Come posso essere così meschino?, pensò, espirando dalla bocca il fumo della sigaretta, Dovrei essere al settimo cielo per loro, per il fatto che abbiano trovato qualcuno che li apprezzi realmente per quello che sono e nonper quello che hanno, ed invece la maggior parte delle volte mi sento afflitto dalla gelosia. Comincio a pensare di non essere un vero amico come credevo.
Un ennesimo sbuffo di fumo si disperse nell’aria difronte ai suoi occhi, ma il suo sguardo lo oltrepassò, non degnandolo nemmeno di un briciolo d’attenzione.
Stette per riportarsi la sigaretta alle labbra quando si accorse che ormai era arrivata alla fine, buttandola così per terra e spegnendola una volta per tutte con la punta della scarpa da ginnastica.
Sospirò pesantemente, mettendosi le mani in tasca e puntando nuovamente lo sguardo verso il cielo.
Perso in tutti i suoi pensieri, non si era nemmeno accorto dell’aria fredda che aveva soffiato imperterrita fino a quel momento, ed ora un brivido lo percorse lungo tutta la spina dorsale.
Si strinse maggiormente nel giubbino, tirando su il colletto per proteggersi meglio dalle folate di vento gelido, anche se non servì a molto.
Decise così di tornare dentro, al caldo tropicale del locale, ma prima che potesse anche solo pensare di muovere un passo, sentì la porta antincendio spalancarsi in modo brusco e, voltandosi, vide uscirne Lynet, seguita da Bill, Tom e Hanna.
Lo sguardo preoccupato dei quattro lo mise all’erta.
Qualcosa non andava, chiunque avrebbe potuto capirlo.
Mentre la mora si allontanava con Bill e sua sorella, Tom si voltò nella sua direzione.
-Dov’è Georg?- domandò agitato, raggiungendolo.
-È al telefono con Katline, qui fuori nei paraggi. Ma si può sapere che succede?-
-Non c’è tempo per spiegarlo prima a te e poi a Georg. Trovalo, e raggiungeteci qui. Poi vi racconteremo tutto-.
Ahi, qui si mette male, pensò il batterista, Se Tom ha parlato tutto il tempo senza nemmeno l’ombra di un sorrisetto sghembo o uno sguardo malizioso la cosa è veramente più grave del previsto.
 


[ *** ]

 


Appena il biondo tornò con il bassista al suo fianco, il mondo crollò loro sulle spalle.
Tutto ciò in cui credevano e speravano esplose come un vetro infranto da una pietra.
Tutto distrutto, diviso in tanti piccoli e grandi pezzi buoni solo ad essere buttati nella spazzatura.
Non servirono molte parole per capire che questa volta la questione era più disastrosa del previsto.
Bastava osservare gli sguardi vuoti e assenti dei due gemelli, puntati inconsciamente nello stesso identico punto sull’asfalto, e quelli disperati e terrorizzati delle due ragazze che, in quel momento, non riuscivano a fare altro se non fissarsi senza quasi sbattere le palpebre.
C’era così tanta paura in quegli sguardi che persino a Gustav e Georg si strinse il cuore.
-Che succede? Ero al telefono con Katline quando Gus mi ha detto di raggiungervi immediatamente-
-Abbiamo un problema, Gé- disse Hanna -Un enorme problema-.
Vedendo l’espressione confusa e spaventata del castano, Lynet continuò al posto di sua sorella.
-Nostra madre ci ha rintracciate-.
Al batterista e al bassista si congelò il sangue nelle vene.
-Ha ingaggiato un investigatore privato per seguirci, e a quanto pare sa di ogni nostro spostamento-
-Quando torneremo in Germania sarà la prima a saperlo- prese nuovamente parola Han -E state certi che non esiterà a venirci a riprendere-.
Nessuno ebbe più la forza di parlare. Tutti sembravano come pietrificati.
-Come avete fatto a scoprirlo?- domandò successivamente Gustav, sperando che fossero solo loro infondate supposizioni.
-Ce l’ha detto Anja. Ci ha scritto un messaggio dicendoci di richiamarla immediatamente. Non l’avremmo mai fatto se non ci avesse detto che riguardava Karoline, e del fatto che ci aveva rintracciate-
-Che farete adesso? Insomma, dovete dirlo a David!- scoppiò Georg, preso da un’improvvisa paura di perdere di nuovo le sue amiche, come già successo in passato.
All’inizio però nessuno disse niente.
Hanna abbassò lo sguardo, come se si sentisse in colpa per qualcosa, e lo sguardo truce di Tom la sovrastò come se gli avesse fatto un torto imperdonabile.
Bill, al contrario, incatenò le sue pupille a quelle di Lyn, già con le lacrime agli occhi.
-Non glielo diranno- sbottò d’un tratto il chitarrista, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche -Preferiscono stare zitte e farsi riportare via-
-Smettila- mormorò Hanna, tenendo sempre lo sguardo ben puntato a terra.
-Smettila un cazzo!- esclamò il ragazzo urlando -Non puoi pretendere che me ne stia qui buono a non dire niente! Non ti è bastato il male che hai provato due anni fa?! Non ti è bastato che ti portasse via da tuo padre, dai tuoi amici… da me?! Io non sono più disposto a perderti Hanna, non adesso che ti ho ritrovata ed ho capito quanto tu in realtà conti per me!-
-Non sono decisioni che spettano a te, Tom!- disse in tutta risposta la bionda, alzandosi di scatto dalle scale antincendio del locale, puntando le pupille in quelle del ragazzo -Non spetta a te decidere della mia vita!-
-Ed invece sì da quando le nostre esistenze si sono intrecciate! Non lo capisci proprio che adesso anche io faccio parte della tua vita e di tutte le tue scelte?! Ogni tua azione si riflette su di me!-
-Come puoi dire questo?-
-Perché mi sono innamorato, cazzo!-.
Il silenzio che ne seguì raggelò  tutti i presenti.
Nessuno di loro avrebbe mai potuto credere di provare un freddo simile come in quel momento.
L’espressione stupita di Han e le lacrime nei suoi occhi fecero capire a tutti i presenti che lei era l’unica a non aver capito i veri sentimenti di Tom nei suoi confronti.
Tom, d’altro canto, non osava distogliere lo sguardo dal suo.
-D’ora in avanti tutto ciò che farai influenzerà anche la mia vita, ricordalo. Quindi se per te valgo veramente qualcosa pensaci bene prima di prendere una decisione definitiva-.
E, detto questo, il trecciato se ne andò, voltando le spalle ai suoi amici e tornando nel locale con le mani nelle tasche.
La bionda, ancora scioccata, si lasciò cadere sulle scale, incredula.
-Han, stai bene?- provò a chiederle sua sorella, ma, prima che potesse finire la frase, la biondina stava già correndo lontano.
-Hanna!- provò a richiamarla la sua gemella, ma Bill la bloccò.
-Lasciala andare, ha bisogno di stare da sola-.
Con quelle semplici parole, Lynet si sentì come un’estranea nei confronti di sua sorella.
Bill l’aveva compresa meglio di quanto lei avesse fatto, e questa consapevolezza la stava distruggendo.
Senza nemmeno accorgersene, la mora iniziò a piangere.
-Shh, vieni qui-.
Il cantante si avvicinò a lei stringendola forte fra le braccia, con l’intenzione di non lasciarla più andare.
Avrebbe davvero voluto che bastasse solo quello per tenerla con sé per sempre, ma sapeva che, purtroppo, quell’abbraccio non avrebbe potuto farla sua per l’eternità.
Ma nonostante questo, lui non la lasciò e lei, risollevata da quel contatto, non poté fare altro che ricambiare il gesto e stringersi a lui, sperando nelle stesse cose per le quali lui stesso stava pregando.
 


[ *** ]

 


Sul tetto di quell’hotel poteva avere una vista magnifica.
Le insegne luminose ed i lampioni creavano una fitta rete luminosa che, man mano che spostava lo sguardo verso l’orizzonte, si infittiva sempre più, ed i rumori lontani dei clacson lo facevano quasi sentire distante anni luce dal centro caotico della capitale giapponese.
Il vento era freddo ed insistente, e le spesse nubi erano perfettamente visibili anche nel buio infinito della notte.
Presto si metterà a nevicare, pensò, osservando pacato quel soffitto di vapore acqueo a metri e metri di distanza da lui.
Con lo sguardo perso e la mente completamente sgombra, alzò meglio il colletto del cappotto e si strinse fra le braccia con l’inutile intento di scaldarsi almeno un po’.
Dovrebbe esserci qui lei con me per non sentire più freddo.
Al solo pensiero, il moro scosse violentemente la testa e sbatté velocemente le palpebre.
-Ma che diavolo mi passa per la testa?- disse a voce alta -Dopo tutto quello che mi sta facendo passare sto ancora qui a pensarla? Sono proprio un’imbecille-
-Perché quando te lo dico io invece mi mandi sempre a cagare?-.
Il ragazzo si voltò di scatto, spaventato al suono di quella voce che, sebbene conosciuta, era stata improvvisa e inaspettata.
-Ehi Hagen, mi hai fatto prendere un colpo- affermò sorridendo con una mano sul petto, per poi voltarsi nuovamente verso il paesaggio incantatore che la città offriva lui -Che ci fai qui? Sei venuto a controllare che non mi stessi buttando di sotto? Tranquillo, non sono di certo disposto a morire per una ragazzina!-
-Nemmeno se questa ragazzina fosse una delle cose a cui tieni di più?-.
Silenzio.
Una quiete piena di pensieri caotici e domande senza possibilità di risposta.
Il ragazzo sbuffò sconfitto e, passandosi una mano sul capo, arrivò fino al collo, dove giacevano i suoi lunghi cornrows neri.
-Sai Moritz-
-Non chiamarmi così- lo rimproverò infastidito il castano, venendo però deliberatamente ignorato dall’amico.
-Stavo cercando di capire come diamine ho fatto a lasciarmi andare così. Come ho potuto farmi trascinare in questa situazione? Non avrei mai dovuto permetterglielo-
-Non è una cosa che puoi controllare, sai? Non sei tu che decidi da che parte stare. È il tuo cuore che ha il comando, e devi mettertelo bene in testa d’ora in avanti, perché ti assicuro che né la tua mente né i tuoi bollenti spiriti presenti lì sotto possano farti cambiare idea tanto facilmente-.
Tom si voltò di scatto verso il bassista con sguardo turbato.
Uno sguardo che però non venne in alcun modo ricambiato.
Il moro sorrise.
Ancora oggi non sa spiegare se fosse un sorriso amaro o semplicemente consapevole.
Evidentemente un mix di entrambi.
-Da quando stai con Katline sembri tutta un’altra persona. Prima di incontrarla eri tale e quale a me, forse solo meno esibizionista. E meno sexy. Mi dispiace, ma nemmeno i tuoi capelli lunghi, gli occhi verdi e i muscoli possono competere con un donnaiolo incallito come me che spurga sex appeal da tutti i pori-.
Per un primo momento Georg rimase immobile com’era, senza nemmeno il cenno di un battito di ciglia. Poi, piano piano, girò il viso verso l’amico, ed un piccolo sorriso si allargò sempre più, fino a dar vita ad una risata sguaiata.
Naturalmente Tom non poté che venire contagiato dal castano, ed entrambi smisero di ridere solo quando arrivarono alle lacrime.
-Io fossi in te andrei da lei adesso. Dormi con lei questa notte, stalle vicino, falle capire che tu ci sarai sempre per lei, qualsiasi decisione lei prenda-
-E perché dovrei? Non voglio illuderla, prometterle di sostenere qualsiasi scelta lei faccia. Sarebbe da infami-
-Non fare il duro con me, Tom. Lo so cosa provi per lei, e so che proprio per questo motivo, per quanto tu lo voglia o meno, le starai vicino in ogni caso. Quindi adesso muoviti e non fartelo ripetere più, altrimenti lo rimpiangerai per tutto il resto della tua vita, credimi-.
Il moro puntò le pupille in quelle di Georg e, senza dire niente altro, il castano capì quanto gli fosse grato di avergli (per l’ennesima volta) aperto gli occhi.
-Lo so, ora va-.
Tom gli sorrise e, senza aspettare un secondo in più, si avviò a passo svelto verso la porta antincendio che portava all’interno dell’albergo.
Georg osservò l’amico andarsene e, quando lo perse completamente di vista, un sorriso amaro e spento prese vita sulle sue labbra sottili.
Tom, a differenza sua, se voleva abbracciare la donna che amava poteva farlo.
Lui invece no.
Si sentiva  mancare il fiato ogni volta che pensava al suo sorriso, e se la chiamava prima di andare a letto non era più in grado di chiudere occhio tutta la notte.
Gli mancava, punto.
Aveva bisogno di lei, di averla vicina, di sentire il suo calore, il corpo minuto e sottile sul suo, gli occhi ambrati riflessi nei suoi.
Quelli erano stati i sei mesi più belli e più dolorosi di tutta la sua vita, ma l’amava così tanto che per lei era disposto a tutto, persino a non riuscire più a fare niente senza averla pensata prima.
 


[ *** ]

 


Le mani fra i suoi capelli le provocavano delle sensazioni incredibili.
Si sentiva bene fra quelle braccia, felice e tranquilla.
Era il suo angolo di Paradiso nel bel mezzo del Purgatorio quel ragazzo, ed ogni qual volta lui si allontanava da lei si sentiva svuotata di ogni forza e di ogni gioia.
A lei non servivano regali costosi, viaggi all’altro capo del mondo, macchine di lusso.
A lei bastava lui, le bastava averlo vicino, niente altro.
Era la sua acqua, indispensabile per la sua sopravvivenza.
-Sai- cominciò il moro con lo sguardo fisso sullo schermo del televisore e le dita ancora intrecciate fra i suoi lunghi capelli mori -Io sosterrò ogni tua scelta. Non posso dirti che condivido il fatto che tu non voglia parlarne con David, ma sarò sempre al tuo fianco, non ti lascerò sola-
-Lo so Bill, lo so-.
Lynet si strinse di più al suo busto, poggiando la testa nel centro esatto del suo petto.
-Vorrei che fosse tutto un incubo. Vorrei che tutto procedesse senza intoppi, senza problemi. Io voglio solo tenerti vicino, mi basta questo. Ma se mi strapperanno nuovamente via da te, che mi rimarrà? Certo, ho mia sorella, e senza di lei non so nemmeno dove sarei ora, e soprattutto chi sarei, ma adesso ho bisogno di entrambi. Non mi basta più mia sorella purtroppo, necessito anche di te. È da egoisti, lo so bene, ma non ci posso fare niente-
-Allora siamo due egoisti-.
Lyn sollevò il capo e guardò il ragazzo negli occhi, perdendosi nel nocciola intenso delle sue iridi.
-Cosa possiamo fare Bill?-
-Non lo so- rispose lui, sfiorandole una guancia -Ci penseremo domani. Ora pensiamo solo al presente, al fatto che siamo qui, insieme, e di tutto il resto non ci deve importare affatto-.
Le dita di Bill si spostarono più in basso, raggiungendo le labbra della ragazza. Ne seguì il profilo morbido e carnoso, avvicinando successivamente il viso al suo orecchio.
-Questa notte è solo nostra-.
Lynet non seppe nemmeno spiegare i brividi di piacere e di gioia che la sovrastarono.
Seppe solo che quelle emozioni le riempirono il cuore, la mente ed il corpo. Era un tutt’uno, dove ogni singola parte delle sue membra aveva bisogno della stessa cosa: l’amore incondizionato di Bill.
E l’avevano, senza costrizioni e senza limitazioni.
Il cantante catturò la bocca di Lyn con la sua, e quel bacio inondò entrambi di un calore che poche persone al mondo hanno la fortuna di poter provare.
Dopotutto, non tutti riescono a trovare la loro anima gemella nella vita, e loro lo sono, senza ombra di dubbio.
Con una lentezza disarmante, Lynet si ritrovò sotto il corpo di Bill, con le braccia e le gambe avvinghiate al suo busto.
Le mani del ragazzo presero a carezzarle la schiena ed i fianchi, ed alla fine riuscirono ad intrufolarsi sotto il vestitino della mora, sfiorando finalmente la sue pelle con i polpastrelli lisci e delicati.
Salì sempre più in alto, fino a raggiungere il bordo del suo reggiseno.
Si staccò da lei, guardandola negli occhi.
Era così bella. Così delicata e pura, eppure forte e determinata.
Lei ricambiò il suo sguardo, ed in quelle pupille nere Bill trovò il suo consenso per andare oltre quei tocchi casti.
Riprese a baciarla, sempre con la solita delicatezza di cui era capace, e senza fretta le sfilò l’abito, lasciandola in intimo.
Lei, nonostante il tremore implacabile delle mani, gli tolse la maglia, e continuando a baciarlo gli slacciò la cintura ed i jeans.
Presto anche lui rimase unicamente in intimo, e le loro dita continuavano imperterrite a percorrersi e conoscersi a vicenda.
Erano emozioni così nuove e forti per loro. Mai in tutta la loro esistenza avevano provato un coinvolgimento simile.
Era come rinascere una seconda volta, l’uno nelle braccia dell’altra.
Bill invertì nuovamente la posizione, ritrovandosi seduto con Lynet sulle gambe, avvinghiata al suo corpo.
Cominciò a baciarle il collo in un modo tanto lento e delicato che la ragazza credette di morire da un momento all’altro.
Quando sentì le mani di lui trafficare con l’apertura del suo reggiseno il cuore cominciò a pomparle in petto come impazzito.
Le labbra di Bill si impossessarono delle gemme rosate poste all’apice dei piccoli seni, e Lynet si sentì avvampare come mai prima d’ora.
Aveva persino paura di muoversi. Se ne stava lì, immobile, lasciando al cantante la possibilità di fare di lei quello che voleva.
Si fidava ciecamente di lui, e sapeva con certezza assoluta che non avrebbe mai fatto niente per ferirla.
Così lo strinse maggiormente a sé, appoggiando una guancia sul suo capo, e rimasero in quella posizione per svariati secondi.
Il respiro caldo ed affannato del ragazzo le solleticava la pelle del petto, dove ogni tanto lui le lasciava qualche dolce bacio. Poi Lyn si staccò appena dal moro, prendendogli il volto fra le mani e guardandolo dritto negli occhi.
Erano così belli. Ci sarebbe annegata volentieri in quel mare dorato. Adesso che erano offuscati dall’eccitazione, poi, erano ancora più spettacolari.
Parevano più scuri del solito, ma comunque brillanti come pochi altri al mondo.
-Cosa c’è?- le domandò in un sussurro, chiudendole un polso fra le dita e baciandole il dorso della mano piccola e fredda.
-Niente, mi mancavano i tuoi occhi-.
Bill sollevò lo sguardo su di lei, inchiodandola dov’era.
Le sue pupille erano dilatate a causa del buio, e sembravano volerla mangiare da quanto si fecero decise.
-A me erano più di due anni che mancava tutto di te-.
Con un movimento veloce ed improvviso Bill si tuffò sulle sue labbra con impeto, stringendola a sé e riportandola sotto il peso del suo corpo.
I polpastrelli del ragazzo percorsero leggeri i fianchi di Lyn, fino a che arrivarono al bordo dei suoi slip neri in cotone.
Sempre con calma e delicatezza glieli fece scivolare lungo le gambe sottili, facendoli scomparire per terra, in fondo al letto.
Era completamente nuda, sotto al suo tocco ed al suo sguardo famelico, eppure dolce.
Senza esitazione alcuna si abbassò sul suo orecchio, appoggiandoci sopra le labbra.
-Sei bellissima-.
La sua voce bassa e roca le fece venire la pelle d’oca, e le gote le si tinsero di un porpora non visibile nell’ombra della camera.
Vedendo quanto fosse impacciata, Bill decise di togliersi da solo i boxer neri, che probabilmente finirono accanto all’intimo di Lynet.
-È la prima volta per te, vero?- gli domandò dolcemente lui, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lei si limitò ad annuire col capo.
-È una delle cose più belle che tu potessi dirmi-.
Lui le sorrise euforico, realmente felice del fatto che Lynet sarebbe stata veramente sua. Le avrebbe portato via la purezza che l’aveva caratterizzata sin dalla nascita, ed avrebbe custodito il ricordo come il più prezioso di tutti.
-Ora stai tranquilla, lo sai che non potrei mai farti del male. Ti fidi di me, vero?-
-Sì, con tutta me stessa-
-Allora rilassati, non pensare a niente. Siamo solo io e te, e presto diventeremo una cosa sola-.
Bill riprese a baciarla ripetutamente a stampo sulle labbra carnose ed accaldate mentre, nel frattempo, estraeva un preservativo dal primo cassetto del comodino.
Lo indossò, per poi accarezzarla delicatamente, prima di penetrarla con le dita.
Dapprima Lynet provò un bruciore intenso che con il tempo si affievolì e, senza sapere dove trovò il coraggio, decise di ricambiarlo allo stesso modo.
Il respiro di Bill si fece più veloce e profondo, andandosi a scontrare contro il viso di Lynet, che ormai aveva la gola secca dall’eccitazione.
Improvvisamente il ragazzo allontanò le dita da lei, fondendo le iridi nocciola con quelle cioccolato di lei.
-Sei pronta? Guarda che se non ti va io…-
-No- lo fermò subito lei -Ti voglio, adesso-.
Lui le sorrise, baciandola sulla fronte mentre la penetrava.
Quando fu completamente in lei non gli sembrò vero. Era così emozionato, così felice.
In quel momento ebbe la conferma che non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Lei era tutto ciò che gli mancava, ed ora che poteva ritenerla completamente sua giurò che non avrebbe desiderato nient’altro dalla vita.
Intrecciò le dita con le sue e cominciò con la prima spinta, alla quale ne seguì una seconda ed una terza.
Le gambe della ragazza erano rannicchiate vicino al busto del ragazzo, ma era comunque tesa, e Bill lo percepiva.
-Lasciati andare, non avere paura- mormorò lui, e Lynet si rilassò subito.
Da quell’istante capì che il dolore iniziale era causato unicamente dalla sua tensione poiché, col passare dei minuti, il piacere cresceva sempre di più.
Un calore strano e diverso si propagò per tutto il suo corpo.
Era piacevole, tremendamente, e Lynet si ritrovò a pensare (imbarazzandosi da morire) che avrebbe voluto non smettesse mai.
I baci di Bill poi non facevano altro che contribuire a quel godimento fisico e mentale.
Era come entrare in un mondo parallelo nel bel mezzo dell’Universo, dal quale lei poteva vedere ogni cosa.
Ad un certo punto si sentì come scoppiare, ed entrambi si lasciarono sfuggire dei gemiti acuti.
Bill le si accasciò addosso, col respiro accelerato.
Nonostante fosse tutto finito Lynet si sentiva ancora eccitata, e delle strane scosse continuavano a nascerle nel basso ventre.

Quando i loro respiri si fecero più calmi e regolari, il cantante prese a lasciarle una scia di baci lungo tutto il braccio, fino a risalire alla clavicola.
Poi, in un secondo, fu di nuovo accanto al suo orecchio.
-Ora posso veramente dire che sei mia-.
E, nonostante il tono di possessività nella sua voce, Lynet non poté che sentirsi appagata e al sicuro.
Dopotutto, era lui o non era lui ciò a cui lei aveva sempre desiderato appartenere?
 


[ *** ]

 


Era di nuovo nella stessa situazione di sempre.
Ultimamente si ritrovava inspiegabilmente di fronte alla camera di Hanna, aspettando che lei venisse ad aprirgli per chiarire una delle loro discussioni.
Entrambi testardi ed orgogliosi: era impossibile non litigare per i due ragazzi.
Ma poi, chissà come, alla fine era sempre lui a mettere da parte tutto il resto ed andare da lei.
Cosa non si è disposti a fare per le persone a cui vuoi bene, pensò lui, sorridendo fra sé e sé.
In quel preciso istante sentì scattare la serratura della porta, che venne aperta violentemente.
Dinnanzi a lui apparve una Hanna coi lunghi capelli biondi un po’ spettinati ed il visino imbronciato.
Le lunghe gambe erano a malapena coperte da dei inguinali short blu attillati, sovrastati da una canotta bianca e quasi trasparente ben aderente al suo ventre piatto e alla terza scarsa del suo seno ancora intrappolato dal reggiseno grigio.
Riuscì persino a notare il suo piercing all’ombelico, e dei pensieri poco pudici gli attraversarono la mente.
-Allora, mi dici che vuoi o preferisci startene lì imbambolato a fissarmi le gambe e sbavare come un cane?!-.
Tom chiuse subito gli occhi e se li stropicciò con le dita, per poi riaprirli lentamente e, soprattutto, puntandoli fra i suoi.
-Scusami, io… cioè tu… insomma, sei bellissima- riuscì finalmente a dire, quasi senza fiato, con una mano nella tasca dei jeans e l’altra intenta a grattarsi il capo in segno di imbarazzo.
-Lascia perdere le smancerie, non ti si addicono per niente- rispose lei in tono piatto, nonostante dentro di sé stesse urlando dalla gioia.
Senza aggiungere nient’altro, Hanna raggiunse nuovamente il suo letto, lasciando però la porta aperta.
Quello era un chiaro segno che poteva entrare.
Non si lasciò sfuggire l’occasione, e si inoltrò nella camera senza esitazione. Chiuse la porta dietro di sé ed il buio tornò ad invadere la stanza.
L’unica luce che vi era all’interno era quella dello schermo del televisore che Hanna faceva finta di guardare, dato che il suo sguardo immobile la tradiva non poco.
Aveva le braccia incrociate sotto al seno, e le lunghe gambe affusolate rannicchiate vicino al corpo.
L’espressione imbronciata non se n’era ancora andata, e questo fece sorridere Tom che, fortunatamente, non venne visto dalla ragazza.
Lentamente la raggiunse gattonando, passandole un braccio attorno al busto e appoggiando il capo sul suo petto.
Lei non diede segno di volerlo allontanare, così si rilassò maggiormente e restarono in quella posizione per minuti interi senza aprire bocca.
Poi, quando Tom capì di non riuscire più a resistere, affondò il viso fra i suoi seni, baciandola e mordendola con un tale trasporto da mozzarle il fiato.
-Tom- lo richiamò lei col fiatone, senza però avere la forza di allontanarlo.
-Mhm-
-Non fare così, ti prego, altrimenti finiremo per andare a letto insieme e lasceremo in sospeso la questione-.
A quelle parole il ragazzo sollevò immediatamente il viso, incatenando le pupille a quelle di Han.
Le sue iridi trasudavano preoccupazione ed una tristezza talmente sentita da contagiare anche lui.
Le lacrime ci misero poco ad affiorare, e la ragazza voltò il viso dall’altra parte, come se, in quel modo, potesse non farsi vedere da Tom, come se potesse nascondergli la sua sensibilità, il suo amore nei confronti del chitarrista.
Lui le prese il mento fra le dita e la fece girare nuovamente verso di lui.
La osservò, la studiò a lungo.
Le iridi chiare e rare, di un grigio azzurro tendenti al verde, le ciglia lunghe e le sopracciglia lunghe e sottili quanto basta. Il naso dritto e piccolo, e le labbra morbide non molto carnose.
La pelle era così chiara, eppure le gote sempre un po’ più rosee.
Per non parlare dei suoi capelli, poi. Lunghi e dello stesso color dorato del grano al sole, in quel momento lisci sulla cute e a boccoli sulle punte.
Erano un po’ spettinati, ma a lui piaceva lo stesso.
Gli piaceva lei, nel suo insieme, dentro e fuori, punto.
Non c’erano più alternative, e ormai lui lo sapeva: non poteva più tornare indietro.
Ormai era schiavo di quegli occhi e di quella bocca, e non sarebbe più riuscito a sfuggirgli nemmeno volendo.
-Hai ragione, scusa- rispose sospirando, per poi tirarsi su e sedersi con la schiena appoggiata alla testiera del letto.
Le mise un braccio intorno alle spalle, e lei si accoccolò contro di lui come un gatto in cerca di coccole.
-Mi dispiace per come mi sono comportato con te stasera. Sono stato brusco ed anche un po’ stronzo. Sai che quando mi innervosisco non rispondo delle mie azioni-.
Rise piano, e a quel suono Han si sentì fremere.
-È vero, un po’ stronzo lo sei stato- rispose lei trattenendo una risata -Però devo ammettere che io non sono stata di certo da meno. Ho deciso tutto senza chiedermi cosa ne pensassi tu, e mi sono comportata da vera egoista. Tu sei importante per me, davvero, però credevo che sarebbe stato meglio tenerti fuori da questa storia. Evidentemente mi sbagliavo-.
Lui strinse maggiormente la presa su di lei, lasciandole un lungo bacio sul capo ed appoggiando poi la guancia su di esso.
Il profumo d’albicocca dei suoi capelli aveva il paradisiaco potere di rilassarlo e farlo sentire bene.
-Era stato solo uno sfogo, Hanna. Lo sai come sono fatto. Quello era il mio modo per farti capire che tu per me sei importante davvero, e che le mie non sono solo parole vuote. Voglio solo che tu capisca che se mi vuoi bene come dici devi farmi partecipe di ogni tua decisione importante. Se tua madre dovesse riportarti via un’altra volta io giuro che non me ne starò con le mani in mano! Farò di tutto per riaverti di nuovo con me, con i ragazzi… con tuo padre. È qui che è giusto che tu stia! Siamo noi la tua famiglia, non lei!-
-Shh- lo intimò lei, nascondendo il viso fra la sua maglia oversize -Non voglio passare una delle nostre ultime notti insieme a sentirmi dire cose che so già. Dimmi cose che non so, parole che non mi sono mai state dette. Fammi sentire speciale, ne ho bisogno, ti prego…-
-Ma tu lo sei, senza il bisogno di inutili parole. Sei fantastica in ogni tuo gesto, in ogni tua parola. Devi smetterla di credere di non valere niente perché per David, Lynet, i ragazzi e soprattutto me, tu vali più di qualsiasi altra cosa al mondo. Sei una persona meravigliosa e una ragazza forte e sveglia, e devi imparare a credere di più in te stessa. Io mi fido di te, perché tu non puoi fare lo stesso?-
-Perché mi sento una fallita in ogni cosa che faccio- rispose la ragazza fra le lacrime, stringendo un lembo della felpa del ragazzo fra il pugno.
-Smettila stupida- disse lui ridacchiando e accarezzandole i capelli -Cosa posso fare per dimostrarti che sei solo tu a pensare una cosa del genere?-
-Non ne ho idea. Per ora comincia a baciarmi-.
Il ragazzo, nonostante fosse stato preso alla sprovvista, ci mise un solo secondo a prenderle il viso fra le mani, asciugarle le lacrime e fare come Hanna gli aveva chiesto.
Con le labbra intrappolate fra quelle di Tom, Hanna pensò di voler solo starsene accanto a lui e non pensare a niente, di ascoltare il battere lento ed inesorabile del suo cuore ed il suo respiro calmo e profondo, assaporare fino in fondo il suo profumo e farsi stringere dalle sue braccia.
Non oserò mai più lamentarmi di nulla, pensò fra sé mentre sorrideva sulle labbra del ragazzo, Giuro che potrei anche farmi bastare quest’ultima nottata insieme se la nostra fine fosse realmente vicina. Dopotutto ci sono amori che non importa come finiscono, l’importante è che siano esistiti.

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Capitolo 17
*** 16. Amare una persona significa imparare la canzone che ha nel cuore. ***


Ok, non so quanto vi ho fatto aspettare per il capitolo questa volta... però ora è qua ! :D
Ho un pò di fretta , quindi vi dirò solo che l'ho finito pochi minuti fa, quindi non ho avuto molto tempo per rileggerlo !
Spero tanto che vi piaccia ! Fatemi sapere che ne pensate perché in certi punti non sono molto sicura di quello che ho scritto...
Beh , buona lettura !
Vi abbraccio fortissime Aliens <3
GretaTK


Ps: grazie mille a chi ha recensito il capitolo precedente ! Al più presto prometto di rispondervi :)






Capitolo 16, Amare una persona significa imparare la canzone che ha nel cuore.




La neve scendeva candida e veloce dai nuvoloni grigi ed impenetrabili, coprendo ogni cosa di un bianco puro ed infinito.
Erano le otto e quaranta del mattino e, nonostante la sveglia fosse suonata già da dieci minuti, l’uomo sembrava non avere la minima intenzione di alzarsi dal letto.
Se ne stava rannicchiato fra le coperte calde, godendosi lo spettacolo al di fuori della grande finestra della sua suite.
Quel tempaccio gli ricordava tanto la Germania, ed un moto di nostalgia lo travolse.
Nonostante si fosse lamentato svariate volte del freddo costante della sua Patria, ora quasi gli mancava.
A causa dei viaggi sempre più lunghi e lontani, David aveva cominciato ad apprezzare ogni caratteristica della sua Terra, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Improvvisamente guardò l’ora sulla sveglia elettrica sul suo comodino e, notando che mancavano solo dieci minuti alle nove, decise che era arrivata l’ora di alzarsi.
Con uno scatto deciso si mise a sedere sul materasso, massaggiandosi gli occhi, per poi dirigersi in bagno e farsi una bella doccia calda.
Finito di prepararsi raggiunse la sala della colazione, dove trovò poco più della metà dello staff.
Naturalmente non si sarebbe mai aspettato di vedere i ragazzi o le sue figlie, immaginando che non si sarebbero fatti vivi almeno fino alle undici.
Facciamo mezzogiorno, pensò poi fra sé e sé sorridendo.
Dopo aver fatto tappa al buffet, prese posto accanto a Natalie, che era già a metà della sua colazione.
-‘Giorno David, dormito bene?- gli chiese lei cordiale, sorridendogli amorevolmente.
-Benissimo, stranamente! Tu?-
-Anche io devo dire che non mi posso lamentare. Non mi ricordo di aver mai dormito così bene quando eravamo in tour. Credo che sia qualcosa che mi hanno messo ieri sera nella tisana-.
Entrambi scoppiarono a ridere, e smettere fu davvero difficile.
-Comunque dove sono Lynet ed Hanna? Volevo parlargli di una cosa ma non riesco mai!-
-Stanno ancora dormendo, figurati! Sono tali e quali a quei quattro che ci portiamo appresso da un sacco di anni-
-Oh su, non recitare la parte dell’orso bruno, non ti si addice per niente-
-Beh, qualcuno deve pur farlo!-.
Appena terminata la frase, il batterista comparve nella sala.
-Buongiorno a tutti!- salutò allegramente, appoggiando il marsupio beige ad una sedia per poi dirigersi verso il buffet.
Quando tornò prese posto e cominciò ad abbuffarsi di prosciutto e toast al formaggio.
-Hai per caso visto gli altri girovagare per i corridoi?- domandò David prendendo un sorso di aranciata.
-Credo che stia per scendere Lynet insieme a Bill, degli altri non ho visto nemmeno l’ombra-
-Chissà perché non me ne stupisco…-
-Buongiorno!- esclamò euforico Bill, richiamando l’attenzione di tutti i presenti.
-Ehi, già sveglio? È un vero e proprio miracolo!- affermò sarcastica Natalie, ridacchiando.
-Tutta colpa di questa distruttrice di sonni lunghi e profondi!- rispose il cantante indicando Lynet.
-Ehi! Se tu sei un ghiro senza speranza io non ci posso fare niente!-
-E come mai sei andata a svegliarlo?-.
La domanda maliziosa ed un po’ invadente di Natalie fece arrossire la ragazza e deglutire rumorosamente il cantante, mentre David li osservava sospetto.
-Beh, ecco… insomma, Hanna non ne voleva proprio sapere di svegliarsi, e non volevo scendere da sola, così… così ho deciso di andare a chiamare qualcuno per farmi compagnia, e Bill mi sembrava il meno difficile da convincere!-.
La scusa non faceva una piega, ma le gote infuocate di Lyn la tradivano non poco.
Di sicuro c’è sotto qualcosa di più, pensò la make-up artist.
-Beh, se entro mezzogiorno non scendono mi toccherà andare a chiamarli di persona, e non sarà affatto un risveglio piacevole!- affermò David, per poi bere un sorso del suo caffè senza zucchero.
-Tranquillo, ci pensiamo noi!- esclamarono in un coretto perfettamente sincronizzato Bill e Lynet, colti da un’improvvisa agitazione ben visibile a tutti.
Persino un cieco avrebbe percepito la loro ansia a metri di distanza!
-Come mai tutto questo altruismo?- domandò il manager assottigliando gli occhi a due fessure sottili e dall’aria minacciosa -Soprattutto da parte tua, Bill-
-Beh, ecco… ho pensato che alla tua età fare troppi sforzi fisici può essere dannoso!-
-Come sarebbe a dire alla mia età?! Wilhem Kaulitz Trümper, comincia a dartela a gambe perché stavolta non la passerai liscia!-.
Il moro non se lo fece ripetere due volte e, prima ancora che David potesse muovere anche un solo piccolo ed insignificante muscolo, lui si era già catapultato fuori dalla sala da pranzo.
-Lyn, tesoro, vai a riprendere quel fifone senza dignità e riportalo qui, che se non fa colazione poi diventa più irritabile del solito- esalò pacato l’uomo, finendo l’ultimo sorso di caffè.
-Consideralo già qui- rispose lei sorridendo, pensando che, nonostante i quattro ragazzi gliene facessero di tutti i colori, suo padre ci era più affezionato di quanto volesse far credere.
 


[ *** ]

 
 


Si sentiva schiacciata da qualcosa di non ben definito, che la teneva saldamente piantata dov’era senza darle la minima possibilità di movimento.
Non si sentiva minacciata però, tutt’altro.
Si sentiva sicura sotto quella presa ferrea, le pareva di non essere mai stata più felice in vita sua.
Finalmente trovò la forza di sollevare le palpebre, accorgendosi di essere a pochi centimetri dal viso di un'altra persona.
Aveva gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, ed un respiro lento e profondo.
Restò incantata da quella visione per diversi secondi, sentendo poi l’irrefrenabile impulso di toccare quella bocca con la sua.
Senza pensarci due volte seguì il suo istinto, e delicatamente lo baciò, per poi rannicchiarsi maggiormente accanto al suo corpo.
Sorrise soddisfatta e felice, tenendo gli occhi chiusi per riuscire ad assaporare fino in fondo il profumo della sua pelle.
Quell’odore era in grado di farla sentire protetta, amata… a casa.
Poche altre cose al mondo erano mai state in grado di farla sentire così.
Poco prima che Hanna si riaddormentasse, il ragazzo si stirò per bene i muscoli, ed infine la strinse con forza fra le braccia muscolose.
Ogni gesto che compì lo fece con le palpebre rigorosamente abbassate, ma con un sorriso raggiante stampato in faccia.
Hanna allontanò il viso dall’incavo del suo collo per baciarlo nuovamente, e questa volta lui ricambiò.
-Buongiorno- disse lui aprendo finalmente gli occhi per osservarla.
I lunghi capelli biondi erano spettinati e sparsi su tutto il cuscino e su parte del suo collo bianco ed affusolato, e le iridi erano più tendenti al grigio quel giorno, probabilmente a causa del brutto tempo che aveva deciso di sovrastare l’intera città.
Spostò lo sguardo sulle sue labbra, leggermente più rosee  della pelle del viso, che lo richiamavano bramose.
-Buongiorno- rispose lei, prima di ritrovarsi nuovamente a contatto con la bocca del chitarrista.
-Mhm, che bel risveglio- mormorò Han appena Tom si staccò da lei -Pagherei per averne così tutte le mattine-
-Non serve pagare, sono abbastanza ricco da potermi permettere di farlo gratuitamente-.
Non seppe dire quanto forte fu lo scappellotto che gli arrivò dritto dritto sulla nuca, facendolo guaire dal dolore.
-Ma sei scema?- domandò retorico il moro, massaggiandosi la parte del capo colpita.
-No, sei tu che sei un’idiota!- rispose risoluta, prima di scoppiare a ridere senza contegno -Avresti dovuto vedere la tua faccia! Ci sei rimasto malissimo!-
-Questa me la paghi!- esclamò maligno Tom -Nessuno, ripeto, nessuno può permettersi di prendersi gioco del Sexgott in questo modo e farla franca!- e, senza darle nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo, la sovrastò completamente, cominciando a pizzicarle i fianchi.
-No ti prego! Tom, il solletico no, ti scongiuro!- urlò Han fra le risate, tentando in tutti i modi di farlo smettere.
-Avresti dovuto pensarci prima di fare quello che hai  fatto! Ora ne pagherai le conseguenze!-
-Ti supplico, smettila Tom! Non respiro più!- continuò lei, sperando che lui fosse magnanimo e la lasciasse stare.
-Non credere che mi farò abbindolare! Non la smetterò finché non sarò soddisfatto-.
Hanna continuava a contorcersi a più non posso, e finalmente riuscì a liberare un braccio dalla sua stretta. Senza pensarci un attimo di più, prese fra le dita una delle sue tante treccine nere e cominciò a tirarla senza scrupoli.
-Ahia! Hanna, mollami i capelli, mi fai male!-
-E tu smettila di farmi il solletico!-
-Mai!-
-E allora soffri!-.
Tom riuscì a resistere per pochi secondi, poi si sentì costretto a fermarsi.
-Ok ok, mi arrendo! Hai vinto tu!-
-Era ora!-
-Per forza, mi stavi staccando una treccia!-
-Va beh, sai che perdita? Ne hai un’altra quindicina!-
-Ma sì dai, dato che ne ho altre staccamene pure una, tanto io non sento niente!-
-Non dirlo due volte- rispose minacciosa lei, sorridendo beffarda.
-Non oseresti- mormorò lui a pochi centimetri dal suo viso, con fare malizioso.
-Scommettiamo?-.
Hanna non fece nemmeno in tempo a riappropriarsi della suddetta treccina che Tom, con un movimento preciso e veloce, le bloccò il braccio, inchiodandoglielo sul materasso.
-Aha, non provarci neanche-.
Il modo terribilmente malizioso con cui la guardò la fece tremare in ogni remoto angolo del suo corpo.
Le iridi sembravano come attraversate da intensi e constanti lampi di pura bramosia, e senza darle nemmeno il tempo di riprendere a respirare, Tom la baciò con una passione che mai prima d’ora aveva usato con lei.
Aveva cominciato a strusciarsi piano sul suo basso ventre, facendole perdere del tutto il senno.
Senza aspettare un attimo di più si impossessò del suo collo, mordendoglielo e succhiandoglielo in modo quasi doloroso.
-Tom- lo richiamò lei con il fiato corto e le pupille già opache a causa dell’eccitazione.
-Scusami- le sussurrò lui, fermandosi e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo -È che ho così tanta voglia di fare l’amore con te-
-Anche io ne ho tanta, Tom-.
Il moro alzò di scatto la testa, puntando le pupille in quelle di lei.
-Cosa?-
-Ho tanta voglia di fare l’amore con te- ripeté lei con tranquillità, sorridendogli dolcemente.
-Sì, questo l’avevo capito, però pensavo che…-
-Che non volessi?- esclamò divertita -E come potrei?-.
Tom, per qualche secondo, non le disse niente.
Giocherellò con una ciocca dei suoi capelli finché non ebbe il coraggio di prendere nuovamente parola.
-E lo faresti con me adesso?-.
Le sue iridi nocciola si fusero perfettamente con quelle grigio-verdi di lei, in attesa di una qualsiasi risposta da parte della ragazza.
E quando quest’ultima arrivò, per un primo momento si sentì quasi spaventato.
Lui non aveva mai fatto l’amore prima d’allora, e si chiese stupidamente se fosse diverso dal sesso occasionale.
In un certo senso, sì, lo era. Totalmente opposto.
Fare l’amore significa unire due persone in un unico corpo ed un’unica anima.
Significa fondere completamente nell’altro, con ogni senso, mettendo a nudo le proprie emozioni.
E Tom era così estraneo a tutto quello.
Aveva quasi paura di ciò che avrebbe provato andando a letto con lei.
Insomma, aveva detto che voleva farlo con lei, ma ora quasi quasi voleva tirarsi indietro.
Lei, d’altro canto, riuscì perfettamente e leggergli lo sguardo e l’espressione corrucciata del suo viso.
Sembrava un bambino spaventato in quel momento.
Un piccolo uomo che aveva l’estremo bisogno di essere rassicurato.
-Nemmeno io ho mai fatto l’amore, Tom. Nessuno dei ragazzi con cui sono stata a letto è stato mai in grado di farmi provare tutto quello che tu sei sempre stato in grado di trasmettermi. Anche io sono agitata, ed emozionata, ma nonostante tutto ti voglio lo stesso. Non devi sentirti spaesato, non stai facendo questa cosa da solo. La stai facendo con me. Non devi vergognarti di provare dei sentimenti mentre sei qui con me. Sarà bellissimo, te lo prometto- gli disse dolcemente lei, accarezzandogli le guance.
-Lo so che sarà bellissimo, e forse è proprio questo che mi fa paura-
-E come puoi essere spaventato da una cosa così?-
-Perché non sono abituato ad amare-.
Quella consapevolezza un po’ la rallegrò.
Si sentì un’emerita egoista, ma il pensiero che lei fosse la prima ragazza a cui Tom teneva davvero la fece sentire più importante di quanto si fosse mai sentita in vita sua.
-Un motivo in più per farlo insieme-.
Lei gli sorrise, e lui non poté fare a meno di ricambiarla con trasporto.
Successivamente si abbassò per raggiungere le sue labbra, morbide e piccole.
Una sua mano grande e venosa si intrufolò al di sotto della stoffa leggera della canottiera bianca che la bionda ancora indossava, andandosi ad adagiare sul seno destro, massaggiandolo da sotto il reggiseno.
Ad Hanna cominciò già a mozzarsi il fiato, e non volle nemmeno immaginare cosa avrebbe provato quando sarebbe entrato in lei.
Prima che riuscisse anche solo a pensare una cosa del genere, Tom si mise su un fianco, trascinando anche lei.
Le prese una coscia e gliela fece appoggiare sul fianco sinistro, carezzandogliela con i polpastrelli ruvidi, poi si staccò dalle sue labbra e cominciò a lambirle il collo, facendole perdere anche quel briciolo di razionalità rimasta ancora in lei.
Con estrema lentezza, Tom oltrepassò il bordo dei suoi pantaloncini e dei suoi slip, giocherellando con le dita con la massima essenza della sua femminilità.
Tom sapeva trasmetterle talmente tante emozioni che dovette aggrapparsi alla sua schiena con le unghie per riuscire a rimanere lucida.
Poi, come se l’istinto la guidasse, anche lei cominciò a scendere verso le parti intime di lui, stuzzicandolo dapprima sopra ai jeans, ed infine all’interno dei suoi boxer.
Il ragazzo cominciò a respirare pesantemente, ed il suo sguardo si faceva sempre più opaco mano a mano che la velocità di quel contatto aumentava.
Quando decisero che era arrivato il momento, cominciarono a spogliarsi con avidità crescente, sfiorando ogni parte di pelle a loro possibile, e senza mai smettere di baciarsi.
Quando furono completamente nudi, Tom appoggiò il busto alla testiera del letto mettendosi seduto, ed Hanna lo sovrastò mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
Mantennero un contatto visivo fino a che Tom non fu dentro di lei.
In quel preciso istante una scossa di piacere intenso aveva scosso entrambi, che ora si baciavano nuovamente con ardore e avidità.
Le spinte aumentavano di minuto in minuto, e nessuno dei due sembrava voler smettere quella dolce agonia.
Ad un certo punto Tom la buttò sul materasso, sdraiandosi sopra di lei.
Le fece rannicchiare le gambe lunghe vicino al suo busto, per poi penetrarla nuovamente e continuare da dove si erano fermati.
Lei, intanto, gli mordeva il collo, cercando di non lasciargli segni visibili che avrebbero potuto smascherarli inevitabilmente.
-Penso di amarti sul serio, sai?-.
Quelle parole gli uscirono di bocca nello stesso istante in cui entrambi raggiunsero l’apice del piacere.
Stremati e senza fiato, rimasero sdraiati uno sopra l’altra per almeno dieci minuti.
Lei giocherellava con le sue treccine ad occhi chiusi, mentre Tom ogni tanto le lasciava qualche delicato bacio sulle spalle o sul collo.
Quando si furono ripresi, il ragazzo si appoggiò sui gomiti, guardandola dritta negli occhi.
Era così bella anche dopo aver fatto l’amore. Anzi, forse lo era di più.
-Anche io credo di amarti, Tom- gli rispose lei, senza interrompere il loro contatto visivo.
Lui avvicinò il viso a quello di Hanna, baciandola lentamente, come se volesse assaporare quel momento con ognuno dei cinque sensi, e stamparselo a lettere cubitali nella mente e nel cuore.
All’improvviso a Tom venne in mente una cosa che aveva tenuto nascosta alla ragazza per tanto, troppo tempo, ed era giunto il momento migliore per svelargliela.
O almeno, così credeva.
Con un po’ di timore e di batticuore, prese coraggio e si liberò di quel peso che lo opprimeva da più di due anni.
-Ti ricordi quando ti parlavo di quella ragazza di cui mi ero innamorato prima che tua madre ti portasse via?-
-Sì, me ne ricordo- rispose lei corrugando la fronte, in segno di confusione.
-Non ti ho mai svelato il suo nome. Lo vuoi sapere?-.
Quella domanda l’aveva presa alla sprovvista.
Insomma, avevano appena finito di fare l’amore e lui si metteva a parlarle di un’altra?
-Non sono tanto sicura di volerlo sapere, adesso- mormorò lei incerta, abbassando lo sguardo.
-Ti posso assicurare che ne rimarrai piacevolmente sorpresa- le disse, sollevandole leggermente il viso con una mano.
Tom le sorrideva in un modo talmente incoraggiante e destabilizzante che persino una testarda ed orgogliosa come lei non poté fare a meno di acconsentire alla sua richiesta, che lei volesse o meno.
Sapeva perfettamente come far sciogliere il cuore di una ragazza, e metterlo in pratica per lui era facile come bere un bicchier d’acqua.
-Si chiama Hanna-
-Wow… come me- rispose senza il minimo entusiasmo, poi vide il sorriso di Tom allargarsi a dismisura, fino a mostrare i denti bianchi e perfetti.
Il cuore cominciò a pomparle nel petto come impazzito, e gli occhi le si sgranarono dallo stupore.
-Co-come si chiama di cognome?- domandò titubante lei, senza capire se voleva davvero sentirselo dire o meno.
-Jost. Si chiama Hanna Jost-
-Oddio- le scappò di bocca, alzandosi di scatto e facendo cadere Tom sul materasso.
-Stai scherzando spero!- esclamò lei con aria minacciosa.
Tom rimase stupito dal repentino cambiamento d’umore della ragazza, rimanendo spiazzato di fronte quell’improvvisa ostilità.
-N-no- fece incerto –Mai stato così serio in vita mia-.
Dallo sguardo feroce di Hanna si pentì di aver aperto bocca.
Ma perché quando parlo io faccio solo casini?, pensò fra sé e sé.
-Tu!- urlò lei, prendendo in mano il cuscino e cominciando a colpirlo -Quando avevi intenzione di dirmelo, eh? Quando sarei stata lontana e magari con ottant’anni in più!? Per tutto questo tempo me l’hai tenuto nascosto! E mi parlavi pure di lei! Cioè… di me! Sei un’idiota, Kaulitz!-.
Concluse la frase con una cuscinata ben assestata, per poi togliersi di dosso le lenzuola ed alzarsi velocemente dal letto.
-E dove vai adesso?- le domandò lui spaesato, temendo che lo lasciasse lì solo.
-A farmi una doccia, è vietato per caso!?-.
E, detto questo, sbatté violentemente la porta, facendolo sobbalzare.
Si massaggiò prepotentemente gli occhi, per poi lasciarsi ricadere sul letto e sospirare esausto.
-Me l’avevano detto che amare è difficile, ma non pensavo fosse tanto spossante-.
 
 


[ *** ]

 


 
-Eccoli che arrivano!- avvertì Georg, per poi continuare -Che ore sono Dave?-.
Il sorrisetto ironico e beffardo che gli si dipinse in volto ricordò moltissimo l’espressione maliziosa di Tom.
-Ahh, smettila di fare tanto il simpaticone e prenditi i cinquanta euro che ti spettano senza fiatare!-.
L’uomo estrasse i soldi dal portafoglio e glieli porse imbronciato.
-Perché gli spettano cinquanta euro?- domandò curioso Bill, osservandoli stranito.
-Abbiamo scommesso sull’ora che Hanna e Tom si sarebbero fatti vivi. Io ho detto le undici e quaranta, lui mezzogiorno. A quanto pare ho vinto io!- spiegò eccitato il castano.
Non tanto per i soldi - essendo un miliardario - ma perché l’aveva fatta al manager.
-Avete scommesso su una cosa così stupida?- chiese retoricamente Lynet, sospirando poi esasperata -Sapete, i malati del gioco d’azzardo cominciano sempre così-.
Naturalmente la ragazza stava mentendo solo per godersi le loro espressioni scioccate.
-Ma smettila!- aveva sminuito Georg con un gesto della mano ed uno sbuffo divertito.
-Non sto scherzando. Fatti un giro su internet e vedrai che è così. Però attento a non entrare nei siti di poker online!-.
Scoppiarono tutti a ridere tranne il bassista che, seriamente spaventato, li guardava come fossero alieni.
-Ciao a tutti!- salutò Tom appena fu accanto agli altri, interrompendo le loro risate.
-Ciao- mormorò Hanna visibilmente nervosa, con gli occhi coperti da un paio di Rayban marroni a goccia e le braccia incrociate sotto al petto.
-Che hai tesoro?- domandò subito David preoccupato.
Quell’uomo di giorno in giorno diventava sempre più apprensivo con le sue piccole.
-Niente- rispose atona lei, senza cambiare in alcun modo la posizione nella quale si trovava.
-Che le hai fatto?- chiese poi stizzito a Tom, osservandolo accigliato.
-Non le ho fatto niente!- si difese prontamente lui, alzando le mani al cielo.
-No, non mi hai fatto niente!- berciò lei più furiosa di prima, come se quella frase l’avesse fatta scattare come una molla -Mi hai solo mentito per un sacco di tempo! Cosa credevi, di potermelo nascondere per sempre!?-
-Oh andiamo, sai che te l’avrei detto! Anzi, stavo proprio per farlo ma poi ti hanno portata via e non ne ho più avuto l’occasione! Secondo te cosa avrei dovuto fare!?-
-Dirmelo subito! Senza aspettare niente e nessuno! Tirare fuori i coglioni che solitamente elogi tanto e dirmelo, solo questo!-
-Ero spaventato, ok!? Era una cosa nuova per me!-
-Non è una buona scusa- rispose lei con tono flebile, per poi sospirare affranta -Io comincio ad andare sul furgoncino- aveva continuato poi rivolgendosi al padre, lasciando tutti basiti e confusi.
-Vuoi ancora dirmi che tu non c’entri niente?- disse scettico David, per poi alzarsi dal divanetto dell’atrio dell’hotel -Forza ragazzi, è ora di andare. Natalie, ti fa niente per oggi salire sul furgoncino coi ragazzi? Devo parlare con Hanna…-
-Tranquillo, nessun problema- rispose cordiale lei, per poi incitare la band ad uscire dall’albergo.
-Credi che rimarrò troppo scioccato da quello che sentirò?- domandò incerto il manager a Lynet.
-Beh, dipende tutto da te. Se guardandoci vedi ancora le bambine che facevano castelli di sabbia al mare, allora sì-.
Il manager si stropicciò gli occhi, e la mora gli appoggiò una mano sulla spalla come per confortarlo.
-Tranquillo, ti aiuterò io se ti sentirai in difficoltà-
-Sai cos’è? E’ che non abbiamo mai parlato di certe cose e per me è strano… anche un po’ imbarazzante, devo ammetterlo!-
-È normale che sia così, però non sei da solo ad affrontare la cosa, ci sono io con te. Se ti bloccherai continuerò io per te, d’accordo?-
-Va bene- affermò un po’ più tranquillo l’uomo, sorridendole grato -Grazie amore di papà-
-Per così poco?- si limitò a rispondergli lei, per poi passargli una mano sul fianco ed uscendo insieme a lui dalla hall.
 


 

[ *** ]

 


 
Arrivarono al palazzetto verso mezzogiorno e venti.
Scaricarono tutti gli strumenti e ciò che serviva per il concerto di quella sera.
Lasciarono i membri dello staff ad occuparsi di montare il palco e le luci, e loro andarono a pranzare insieme a David, Natalie, Dunja e le ragazze.
-Finalmente si mangia! Avevo una fame che non potete nemmeno immaginare!-
-Lo immaginiamo benissimo, invece- rispose Bill lanciandogli uno sguardo annoiato -Tutti i giorni è la stessa storia. Ma c’è un fondo nel tuo stomaco?-
-Ah-ah, come sei spiritoso!- disse arricciando gli occhi e il naso -Ho un limite pure io, cosa credi?-
-E quando arrivi a questo limite? Dopo dieci pizze, due braciole di maiale e tre piatti di profiteroles?-.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere. Persino Hanna non riuscì a trattenere un sorrisino divertito.
-La smetti di farmi sembrare un trita rifiuti umano?- berciò infastidito il bassista, mettendo su un broncio scocciato ed incrociando le braccia al petto.
-Povero Gè!- esclamò Han intenerita, abbracciandolo amorevolmente, per poi accarezzargli il capo come fosse un animaletto da compagnia.
Il castano lanciò uno sguardo vittorioso al cantante.
-Non sembra un cagnolino!?- esclamò poi Lyn con gli occhi che brillavano, cominciando anche lei a carezzarlo.
Gli occhi di Georg si sbarrarono in un espressione scioccata, ed il vocalist scoppiò in una fragorosa risata, seguito dagli altri.
-Questa me la paghi, diva perennemente mestruata!-.
Il bassista si alzò cominciando a rincorrere il frontman che, sapendo già come sarebbe andata a finire, se l’era già filata fuori dalla stanza.
-Ragazzi, smettetela di fare i bambini!- gli urlò dietro il manager, seguendoli spazientito.
-Credo sia meglio che vada a dare una mano a David- disse Dunja, per poi essere seguita da Gustav.
-Solo il caro vecchio zio Gustav è in grado di dividerli!- aveva esclamato prima di uscire.
Nella stanza erano dunque rimasti unicamente la make-up artist, le gemelle e Tom.
All’inizio l’aria fu un po’ tesa, ma Natalie riprese velocemente il controllo della situazione.
-Almeno noi cominciamo a mangiare, se no chi lo sente Dave!-
-Ma mi sembra maleducato iniziare senza di loro- disse Lynet arrossendo.
-Forse hai ragione- concluse Natalie, sospirando e alzandosi dal suo posto.
-Vado ad avvertirli che se non si sbrigano a tornare noi cominciamo senza di loro!-
-D’accordo, io intanto vado in bagno un momento-.
Quando Lynet disse quelle parole, la bionda si voltò di scatto per fulminarla con la sola forza del pensiero.
Lei le rispose con uno sguardo colpevole ed un sorrisino beffardo.
Giuro sulla tomba di Bob Marley che questa stronza di mia sorella morirà per mano mia prima dell’inizio del soundcheck!, aveva pensato rabbiosamente Hanna.
Poi, quando si accorse di essere effettivamente rimasta in quella stanza sola con Tom, la rabbia nei confronti di sua sorella lasciò il posto all’imbarazzo nei confronti del chitarrista.
Si sentiva così fuori luogo lì con lui, ed era una sensazione che la spaesava e spaventava contemporaneamente.
Non si era mai sentita così in imbarazzo alla sua presenza, non ci era proprio abituata.
Aveva sempre avuto un feeling particolare con Tom, si era sempre sentita a suo agio al suo fianco, ed ora che lo aveva di fronte avrebbe solo voluto sparire con uno schiocco di dita.
-Non puoi tenermi il broncio per tutta la vita, lo sai?-
-Scommettiamo?- rispose scontrosa lei, alzando lo sguardo solo per un’istante.
-Andiamo Hanna, cerca di capirmi- sospirò esasperato, alzandosi e sedendosi accanto a lei.
Hanna si voltò dall’altra parte.
-Anche tu la prima volta che ci siamo baciati qualche giorno fa ti sei sentita vulnerabile ed insicura, e te ne sei andata con una scusa veramente terribile. Io però ho accettato il modo in cui mi hai trattato, perché sapevo come ti sentivi e so come sei fatta tu. Non pensare che non ci sia rimasto male, perché non è così-
-Si vede infatti come eri distrutto!- scattò lei, voltandosi di colpo nella sua direzione -Sei andato in discoteca a divertirti e ti sei scopato una sconosciuta del cazzo! È così che volevi dimostrarmi quanto tieni a me!?-.
E proprio in quell’istante, Hanna non fu più in grado di trattenere le lacrime che, da qualche ora ormai, minacciavano di scappare al suo controllo.
Tom sì sentì morire dentro.
Le rinfacciava il modo in cui lei si era comportata, e lui aveva fatto anche di peggio.
-Mi dispiace tanto- le aveva detto con la voce rotta e, senza stupirsene poi troppo, con le lacrime agli occhi -Non voglio perderti per una cosa così stupida! Ho sbagliato tutto con te, sin dall’inizio, e nonostante mi sono ripromesso varie volte di provare ad essere perfetto per te, ricado nei miei stessi insulsi errori-
-Non ho bisogno che tu sia perfetto, Tom. Le cose perfette mi vanno strette. Ho solo bisogno che tu mi apri il tuo cuore-.
Prese coraggio e lo guardò.
I loro occhi erano arrossati e lucidi, e le loro iridi erano più chiare del solito, forse a causa della luce al neon sopra di loro, o forse solo perché in quel momento stavano permettendo all’altro di leggerli dentro.
-Ho sbagliato anche io con te, Tom. Ho fatto tutto senza pensare, seguendo solo l’istinto, ed ho finito per ferire entrambi. Non voglio più che succeda. Quindi voglio solo dirti che, anche io come te, ti capisco, nonostante il dolore che mi hai provocato. Ora voglio solo lasciarmi andare e donarti tutta me stessa, senza maschere né bugie. Voglio viverti, Tom. Non ho più intenzione di perdermi un solo attimo con te-
-Allora non sei l’unica- le rispose, studiando ogni lineamento ed ogni caratteristica del suo viso.
Poi, senza pensarci troppo, l’abbracciò, stringendola tanto forte da toglierle il respiro.
-Non permetterò più a niente e nessuno di dividerci. Né alla paura né a tua madre. Voglio amarti incondizionatamente, come ho sempre inconsciamente fatto-.
A quelle parole, Hanna sentì il cuore esploderle dalla gioia.
Una felicità oltre tutto ciò che avesse mai provato.
Una gioia talmente grande e potente da sembrare qualcosa di ultraterreno.
Non riuscì ad aspettare oltre e, facendo ciò che credeva giusto in quel momento, alzò il viso dall’incavo del suo collo e lo baciò.
Lo baciò come non aveva mai fatto prima d’allora.
Con disperazione, con amore, con passione, con l’anima e con la mente.
Con tutto ciò che poteva donargli.
Le sue mani su di lei la fecero fremere, ed i suoi sospiri, dal suono così caldo e sensuale, la colpirono con una forza disumana sia al cuore che al basso ventre.
Ma non se ne vergognò.
Infondo il loro amore era spirituale, platonico, ma anche fisico, carnale.
-Allora, vogliamo comincia…-.
Le parole di David si mozzarono a metà frase, continuando ad echeggiare nel camerino della band.
Tom ed Hanna si allontanarono subito, anche se ormai erano stati visti.
-Beh, noi, io… ehm, se volete torniamo più tardi-.
Entrambi si voltarono verso di lui con espressioni a dir poco scioccate.
-Oh andiamo, non fate quelle facce! So cosa sta succedendo fra voi. Un po’ perché l’avevo intuito, un po’ perché tu, Hanna, in parte me ne hai parlato prima. Non pensate che la cosa non mi piaccia. Anzi, mi fa molto piacere. Finalmente avete messo la testa a posto voi due, eh?-
-Già. Strano vero?- sorrise Tom grattandosi il capo in segno d’imbarazzo.
Hanna si tolse velocemente le ultime lacrime dal viso, per poi tornare a guardare suo padre.
-Grazie papà-.
Disse quelle uniche due parole, ma David percepì tutto l’amore e la gioia con il quale vennero espresse.
-Beccati!- esclamò poi ridendo Bill.
-Tu stai zitto che ti sei messo con l’altra mia figlia!-.
Le gote del cantante divennero bordeaux nel giro di un secondo, e tutti scoppiarono a ridere.
-Beh, ma io non ho mai avuto vergogna a dire che volevo innamorarmi! Tom invece a sempre fatto il figo ma sotto sotto si è sempre sentito un po’ solo-.
Lo sguardo del moro andò ad incatenarsi con quello del gemello che, senza alcun bisogno di aprire bocca, riuscì a dirgli tutto ciò che pensava.
-Forza, adesso mangiamo- disse il manager come niente fosse successo, sfregandosi le mani compiaciuto –Comunque il discorso non è finito qui, Tom. Ho un paio di cosette da dirti, avvertimenti che spero vivamente vorrai seguire se non vuoi finire un disoccupato senza un soldo, sono stato chiaro?-
-Cristallino- rispose lui tentando di sembrare il più tranquillo possibile, anche se chi lo conosceva davvero non ebbe difficoltà a percepire tutta la sua agitazione.
-Tu non pensare di farla franca- continuò il manager rivolto a Bill -Anche a te devo fare un discorsetto da suocero a genero-.
Il ragazzo sbiancò d’improvviso, rimanendo imbambolato sull’uscio come una statua di marmo.
Lynet, notando subito il suo disagio, intrecciò le dita alle sue senza dire niente.
Bill la guardò, e lei gli sorrise come se si trovasse difronte all’ottava meraviglia del mondo.
Che tra l’altro, per lei, lui era in assoluto la prima.

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Capitolo 18
*** 17. Qualcosa per cui vivere e morire. ***


Eccomi ragazze! Sono tornata con un nuovo capitolo! Ho fatto prima del solito, eh? :D Ma come sono stata brava! *siapplaudedasola*
Cooomunque, bando alle ciance, questo è un capitolo di transizione -o almeno io lo vedo così- quindi non ci saranno grandi sconvolgimenti o svolte.
Fatto sta che l'ho finito proprio in questo preciso istante e non ho avuto la forza di aspettare a ricontrollarlo quando sarei stata più sveglia perchè volevo postarlo immediatamente!
Non so se mi convince o meno, questo dovete essere voi a dirmelo!
A proposito, ora che mi viene in mente, la volta scorsa mi sono dimenticata di "colorare" di blu la parte dove era descritta la scena di sesso fra Hanna e Tom *opsi'msosbadata*
Scusatemi tanto! Spero che la cosa non abbia disturbato nessuna di voi!
Ora vi lascio al capitolo, comunque, e fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! Che senza le vostre recensioni sarebbe inutile continuare a scrivere e postare :(
Proprio per questo motivo voglio ringraziare chi ha inserito la storia fra le seguite, le ricordate e le preferite, ma anche chi legge soltanto e, soprattutto, recensisce!
In ogni caso contribuite a far andare avanti questa storia, perchè se vedo che voi siete interessate mi viene voglia di continuare e di impegnarmi per non deludervi :)
Bene, ora vi lascio sul serio!
Ciao Aliens!
Un calorosissimo abbraccio!

Vostra GretaTK






Capitolo 17, Qualcosa per cui vivere e morire.







Il soundcheck procedeva abbastanza bene tutto sommato.
Bill si era lamentato come al solito, ma i membri dello staff avevano risolto i vari piccoli problemi tecnici senza fiatare.
Ogni tanto Tom e Georg cominciavano a prendersi a calci come due ragazzini e, mentre il batterista se la rideva sotto ai baffi, il cantante li rimproverava a suon di urla e sguardi maligni.
Per lui era impossibile riuscire a fare lo scemo in certe situazioni, e si chiedeva se, in quel caso, fosse lui l’esagerato o loro due gli imbecilli.
Nel frattempo le gemelle se ne stavano sedute sulle tribune centrali, proprio di fronte al palco e, nonostante i loro discorsi seri, ogni tanto non potevano fare a meno di ridere guardandoli.
Poi le loro espressioni tornavano neutre e preoccupate.
Si erano sedute lì per stare lontano da occhi e, soprattutto, orecchie indiscrete.
Non volevano che qualcun altro si fosse preoccupato per loro prima che avessero deciso cosa fare.
-Sai, credo che l’unica alternativa sia dirlo a David- disse Hanna, con lo sguardo perso dinnanzi a sé, intento ad osservare ogni singolo movimento compiuto dal chitarrista.
-C’ho pensato anch’io- confessò la mora in un sussurro, con la stessa espressione della sorella, intenta a perdersi a guardare il cantante.
-Non voglio lasciarli di nuovo-
-Nemmeno io- confermò Lynet -Soprattutto ora che abbiamo avuto la conferma che il nostro mondo è con tutti loro, non a Francoforte-
-Però devo ammettere che mi mancano le ragazze-
-Anche a me, da morire. Chissà come stanno adesso, se ci stanno ancora pensando…-
-Mi dispiace che siano state coinvolte in questa faccenda, però. Non se lo meritano per niente-
-Concordo, ma sai che sarebbe stato impossibile escluderle. Anche se avessimo voluto tenerle lontane loro avrebbero fatto di tutto pur di capire cosa fosse successo. Le conosci tanto quanto me, e lo sai-.
Hanna non rispose. Si limitò a sospirare affranta.
Le pupille erano ancora incollate a Tom.
-Dobbiamo decidere quando dirlo a papà, allora- disse d’improvviso Lyn, spostando lo sguardo da Bill a sua sorella.
-Non abbiamo più molto tempo. Dopodomani torniamo in Germania, e a quel punto non ci sarà più niente che possiamo fare-
-Invece sì- rispose risoluta la mora, con gli occhi che le brillavano di speranza -L’affidamento era stato dato a Karoline perché il lavoro di David non gli ha mai permesso di starsene fermo in un solo posto, però il giudice aveva detto che lui avrebbe avuto il diritto di vederci quando voleva, dato che non era mai a casa, quindi…-
-Quindi dato che Karoline non ha permesso a nostro padre di vederci come detto dal giudice, lei può essere multata e l’affidamento potrebbe essere modificato a suo sfavore!- terminò Hanna con un luccichio euforico nelle iridi.
-L’ho sempre detto che io e te abbiamo i cervelli collegati-.
Le due sorelle scoppiarono a ridere, per poi abbracciarsi forte e lasciarsi scappare qualche lacrima di gioia.
Erano piene di speranza e, questa volta, non si sarebbe spenta tanto facilmente.
 
 




[ *** ]

 




 
Il Meet and Greet stava per avere inizio, e l’agitazione dei ragazzi si faceva sempre più forte e visibile, così come quella delle fan che aspettavano impazienti qualche stanza più in là.
I componenti della band se ne stavano nervosamente seduti sullo stesso divanetto, stretti l’uno accanto all’altro.
Era il loro modo per farsi forza a vicenda e dirsi, senza alcun bisogno delle parole, che erano tutti insieme, che non erano soli ad affrontare quell’incontro che, per quanto ormai abituale, provocava in loro la stessa sensazione di ansia del loro primo meet.
Non era cambiato niente d’allora.
Le emozioni, le paure, l’adrenalina e la gioia erano sempre le stesse, nonostante gli anni, ed era una consapevolezza bellissima quella per i quattro ragazzi.
Significava che erano ancora in grado di stupirsi ed emozionarsi per le cose piccole anche in mezzo a tutto lo sfarzo di cui ormai facevano parte.
Grazie a questo, erano rimasti umili e, cosa decisamente importante, sé stessi.
-Forza ragazzi, è ora di andare-.
La voce di Benjamin li riportò improvvisamente alla realtà, scuotendoli dal loro torpore senza alcun ritegno.
Bill lo guardò preoccupato, mordendosi il labbro inferiore e tormentandosi le mani grandi e magre.
-Di già?- riuscì a domandare, quasi con la speranza che Ebel avesse deciso di fare loro uno scherzo di pessimo gusto.
-Di già, sì. Ora forza, alzatevi da lì e venite con me-.
Senza osare protestare o dire qualsiasi altra cosa, i quattro amici e colleghi si sollevarono dal divano contemporaneamente, con gli stessi identici movimenti, come se fossero una cosa sola ed unica.
Ed effettivamente, per chi li vedeva davvero, loro erano veramente un tutt’uno.
Prima di uscire, Bill e Tom si voltarono verso le gemelle che, sorridenti, li sostenevano con la sola forza di uno sguardo.
-State tranquilli- li rassicurò Lynet -Dopotutto è sempre andato tutto bene, no? Questa volta non sarà diverso-
-L’unica cosa diversa- prese parola Hanna -È che adesso avete le ragazze, quindi se osate guardare qualcuna più del dovuto e, soprattutto, con pensieri decisamente poco casti, noi saremo qui apposta per farvela pagare. Sono stata abbastanza chiara?-.
Lo sguardo eloquente che aveva lanciato al chitarrista lo mise bene in guardia su come comportarsi in mezzo a tutte quelle ragazze che, sicuramente, lo avrebbero squadrato maliziose e con la brama di ottenere lo stesso sguardo in risposta.
Tom sbiancò talmente tanto da potersi quasi mimetizzare con le pareti bianco candido che li circondavano, mentre Bill divenne tutto rosso all’idea che Lynet sarebbe stata a poche stanze di distanza e lo avrebbe tenuto d’occhio anche solo con la forza del pensiero, se necessario.
Non che gl’importasse poi molto dell’aspetto fisico delle fan che li stavano aspettando, ma solo il fatto che la sua Lyn credesse davvero che lui potesse osservarle con interesse, lo metteva in estremo imbarazzo.
Soprattutto perché aveva la certezza assoluta che qualcuna di loro, durante le foto, lo avrebbe stretto a sé con fare possessivo e provocante, e la moretta lo sapeva tanto quanto lui, il ché lo agitava non poco.
Lei, d’altro canto, percepì i suoi pensieri solo puntando le pupille profonde nelle sue, e sorrise intenerita di fronte al suo improvviso imbarazzo.
-Stai tranquillo, Bill, lo so-.
Non aggiunse nient’altro, solo un sorriso dolce e pieno d’amore e fiducia.
Lui ricambiò sollevato ed elettrizzato del fatto che lei lo avesse capito così bene.
-A dopo ragazze!- salutò allegro Bill e, senza avere nemmeno il tempo di accorgersene, si ritrovò Lyn aggrappata al suo collo con le labbra carnose premute sulle sue.
Il suo movimento fu talmente improvviso e veloce che il vocalist non ebbe nemmeno il tempo di chiudere gli occhi, riuscendo così, con la coda dell’occhio, a notare due paia di occhi puntati su di loro con fare malizioso, il che lo imbarazzò parecchio.
-Buon meet amore- gli disse lei, per poi slegare le braccia da lui e lasciarlo libero.
Ancora con le gote in fiamme, Bill uscì dal camerino seguito poco dopo dal fratello che, prima di andarsene, si era abbassato per raggiungere con i suoi occhi lo sguardo della biondina.
Le aveva messo due dita sotto al mento e, avvicinandosi ulteriormente al suo viso, le aveva soffiato, con tono decisamente accattivante, un saluto a fior di labbra.
-A dopo, piccola-.
Hanna non seppe dire quanto forte fu la scossa che le trapassò l’intero corpo, mandandole il cuore in fibrillazione e bloccandole i polmoni per dei pochi, ma infiniti, secondi.
Era sempre così quando lui le stava accanto: il tempo sembrava andare alla velocità dalla luce ma, nonostante questo, ogni attimo trascorso con lui sembrava senza fine, ogni volta.
 





 

[ *** ]

 
 







-Bene ragazzi, sono contento che anche l’incontro con le fan sia andato bene. Ora rilassatevi e cercate di scaricare la tensione per il concerto-.
I componenti della band si avviarono verso la sala relax, munita di calcetto, tavolo da ping pong, e macchinette di snack e bevande, ma prima che potessero mettere anche un solo piede fuori dal camerino, il manager richiamò due di loro.
-Bill, Tom, voi restate qui un attimo. Ho bisogno di parlare con voi due-.
I quattro amici si guardarono, capendo perfettamente il motivo di tale richiesta, e poi tutti e quattro puntarono le pupille sulle gemelle.
-Ehm, ce ne andiamo allora?- aveva detto imbarazzata Lynet, lanciando uno sguardo di supplica alla sorella.
-Sì, credo sia meglio- rispose lei facendo tirare un sospiro di sollievo alla mora, per poi voltarsi verso il padre -Comunque papà, non strapazzare troppo Bill, povero cucciolo-.
Vide con la coda dell’occhio il cantante ridacchiare fra sé e sé.
-E con Tom che ci devo fare?- domandò sarcastico il manager, guardando divertito la figlia.
-Oh, lui puoi anche tormentarlo fino a spomparlo del tutto di ogni energia-.
La bionda spostò lo sguardo sul diretto interessato, che già la stava fissando.
Le loro iridi si fusero le une nelle altre, ed un sorriso beffardo prese vita sulle labbra di Hanna.
Lei gli strizzò l’occhio e, dopo aver ricevuto un sorrisetto divertito dal trecciato, lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Un improvviso ed inaspettato silenzio invase il camerino, sovrastando i presenti con la sua ombra invisibile ma perfettamente percepibile.
David cominciò a camminare su e giù per la stanza, passando davanti a Bill e Tom che, seduti su uno dei due divanetti, lo seguivano con lo sguardo.
Le loro espressioni erano neutre, come fossero sotto ipnosi, e non osavano muovere il minimo muscolo dall’ansia che attanagliava loro lo stomaco.
Improvvisamente il manager si fermò a metà strada, voltandosi verso di loro e guardandoli dritti nelle pupille profonde.
-Ho un paio di cose da dirvi, e vorrei che mi ascoltaste con la massima attenzione-.
Ancora un attimo di quiete e, dopo un sospiro rassegnato, finalmente l’uomo trovò il coraggio di dare fiato ai suoi pensieri.
-Sono stupito del fatto che voi e le mie bambine vi siete messi insieme. Insomma, devo ammettere che, a causa della vostra grande complicità e somiglianza di carattere, l’idea mi ha attraversato il cervello, ma solo per un istante! Non avrei mai pensato che sarebbe successo davvero… ed invece eccoci qui, ad affrontare una questione che avrei preferito evitare-.
David dovette prendere un’altra pausa per trovare la forza di continuare il discorso.
-Sei talmente sconvolto della cosa che non riesci più a parlare, Dave? Se lo sapevo prima mi sarei messo subito con Hanna, dal primo momento in cui l’ho vista-.
Bill lo fulminò con lo sguardo, per poi assestargli una gomitata nelle costole.
-Ahia, ma sei scemo?!- berciò accigliato il trecciato, massaggiandosi dolorante il punto colpito.
-Ti sembra il caso di fare battute del genere?- domandò retorico lui, pregando un Dio per lui inesistente che David non desse fuori di matto a causa del sarcasmo del fratello.
-Ti sembra il caso di rompermi qualche osso per zittirmi?- rispose a tono il maggiore dei Kaulitz, maledicendolo in tutte le lingue a lui conosciute.
Cioè tedesco e inglese, più un bel “vaffanculo” italiano con tanto di accento tedesco.
-Ragazzi, non cominciate per favore, è già abbastanza difficile per me, non complicate le cose. Comunque volevo solo mettere in chiaro due questioni decisamente di prim’ordine. Uno, se le state prendendo in giro o le state solamente usando- e qui lo sguardo dell’uomo cadde su Tom -Giuro che non solo vi sbatto dalla band a calci nel culo, ma farò in modo che moriate di fame sotto ad un ponte. Due, riguardo al… insomma, avete capito, no?-.
I due ragazzi lo fissavano confusi, con tanto di scritta luminosa sulla fronte che citava “questo è completamente schizzato”, per poi voltarsi l’uno verso l’altro per vedere se avevano capito a cosa il manager alludesse, ma i loro sguardi vuoti suggerivano tutto tranne che comprensione.
-Vi prego, non costringetemi a dirlo ad alta voce!- li supplicò l’uomo disperato.
E fu proprio quell’espressione da cucciolo bastonato che permise alla lampadina del cervello di Tom di accendersi.
-Adesso ho capito! Ti stai riferendo al sesso, vero?-.
David a quelle parole, non solo sbiancò, bensì perse l’equilibro per un momento, vacillando pericolosamente.
Bill lo afferrò per un braccio prima che rovinasse a terra, anche se il modo schietto con cui suo fratello aveva introdotto il discorso lo aveva scombussolato tanto quanto il padre di Lynet e Hanna.
-Tom, ma ti sembra il modo!? Guarda che Dave non è più giovane come una volta, è facile che gli venga un infarto! Vuoi per caso rischiare di privare la band del suo manager solo per atteggiarti da figo?-
-Come sarebbe a dire che non sono più giovane come una volta!?- berciò paonazzo il diretto interessato, concentrandosi completamente sul cantante, sperando di vederlo prendere fuoco da un momento all’altro.
Bill, sbiancato all’improvviso, si era lentamente avvinghiato al braccio del fratello senza osare distogliere le iridi da quelle del manager.
-Adesso non cercare asilo da me!- disse il chitarrista allontanandolo in malo modo.
-Ok, farò finta di niente anche per questa volta, anche se la mia pazienza ha un limite, e sta per finire- li avvertì –Comunque, continuando il discorso, beh, ecco… so che loro non sono più delle bambine, e nemmeno voi, almeno fisicamente…-
-Cosa stai insinuando, David!?- esclamarono minacciosi i gemelli, non ricevendo però nessuna risposta da parte del manager.
-… quindi vorrei che stiate attenti quando… insomma, avete capito!-
-Tranquillo Dave, prenderemo le giuste precauzioni-
-Ahhh basta Tom! Non voglio nemmeno ascoltare!- esclamò il manager tappandosi le orecchie e scuotendo velocemente la testa come per far uscire certe immagini insopportabili dalla sua mente.
-Ma allora sei proprio cretino!- lo rimproverò suo fratello.
-Che cazzo vuoi che mi sono anche impegnato per non essere volgare!-
-Adesso basta ragazzi- li richiamò David, ma questi non l’ascoltarono minimante.
-Va beh, ma che cosa vuol dire? Stai comunque parlando con il loro padre, non puoi pretendere che si metta a esultare sapendo che abbiamo rapporti intimi con le sue figlie!-.
Senza che loro se ne accorgessero, David sgranò gli occhi e divenne più bianco di un lenzuolo d’ospedale.
-Rapporti intimi? Ma in che cazzo di mondo vivi tu, si può sapere?-
-Non sono io che vivo in un altro mondo, sei tu che sei un cafone!-
-Io un cafone? Chiamo solo le cose con il loro nome!-
-E cioè tu avresti il coraggio di chiamarlo sesso!? Quello lo fai con le puttanelle che ti porti in camera tutte le sere, non con Hanna!-.
E lì David ebbe un lancinante dolore al lato sinistro del petto.
-Che mi portavo, Bill, PORTAVO!-
-Scusami, è la forza dell’abitudine-
-Di niente, tranquillo-.
L’uomo non ce la fece più, e crollò per terra esausto.
-David!- urlarono all’unisono i due gemelli, affiancando il manager nel giro di un secondo.
-Dave, come stai!?- gli domandò spaventato il frontman, scrutandolo preoccupato.
-Non riesco proprio a credere che le mie figlie si siano innamorate di questi due idioti senza speranza-.
Fu tutto ciò che riuscì ad esalare prima di perdere del tutto i sensi.
 






 

[ *** ]

 
 




-Sì! Ti sto battendo! Alla faccia tua Hobbit!-.
Gustav stava esultando come un ragazzino difronte alla sua stracciante vittoria nei confronti del bassista che, fumante di rabbia, cercava in tutti i modi di rimontare e recuperarlo, senza risultato.
-Non mi chiamare Hobbit! Lo odio persino più di Hagen o Moritz!-
-Come vuoi tu, Hagen-
-Comincia a scappare, Winnie, perché adesso vengo lì e ti ammazzo!-.
Gustav cominciò a ridere a più non posso mentre correva attorno al tavolo da ping pong, cercando si stare il più possibile alla larga da Georg.
-Sei sempre così scontroso, caro Moritz, credo che dovresti fare un po’ di yoga, ti farebbe bene-.
Il suono gutturale che uscì dalla gola del castano lo fece seriamente preoccupare per la sua incolumità e, senza pensarci due volte, scappò fuori dalla sala relax per cercare rifugio in bagno o alle spalle di qualche bodyguard, probabilmente.
Le ragazze intanto se la ridevano come non mai dinnanzi alla scena, riuscendo a calmarsi solo dopo essere arrivate alle lacrime.
In quell’istante la porta difronte si spalancò, e videro Bill e Tom uscire con in braccio un David inerme fra le braccia.
-Papà!- urlò spaventata Lynet, correndo incontro ai tre mentre appoggiavano il manager sul divanetto della sala relax.
-Tranquilla Lyn, è solo svenuto- la rassicurò il cantante accarezzandole una guancia.
-Che cavolo è successo?- domandò Hanna accigliata, non capendo il motivo del suo malessere.
-Chiedilo a lui il perché!- aveva risposto Bill indignato, puntando un indice accusatore contro il fratello.
-E certo, adesso è colpa mia!-
-Tom, che cavolo hai fatto!?- berciò subito la bionda, incenerendolo con lo sguardo.
-Ma niente! Stavamo semplicemente parlando di noi quattro e del fatto che ci siamo messi insieme, poi siamo passati all’argomento sesso e gli ho semplicemente detto che l’avremmo sempre fatto col preservativo perché non volevamo assolutamente diventare genitori adesso!-
-E tu pensi di non aver detto niente!? Ma sei scemo per caso? Ma ti rendi conto di che shock che gli hai provocato!? Non ci vede da un sacco di tempo e tu pretendi che riesca a prendere alla leggera il discorso!?-
-Ma io pensavo che si sarebbe tranquillizzato sapendolo…- rispose imbronciandosi un po’, imbarazzato.
-Sei proprio un’imbecille!- le aveva detto invece lei, schiaffeggiandolo sul capo.
-Ahi! Ma perché mi prendete sempre tutti a sberle in testa?!- piagnucolò scocciato.
-Perché cerchiamo di riattivare la circolazione sanguigna del tuo cervello nella speranza che i neuroni ricevano ossigeno e si animino!-
-Sei cattiva- le aveva sussurrato offeso, osservandola di sottecchi con le braccia incrociate al petto con fare indispettito ed un broncio per niente maturo.
-Con te devo esserlo per forza, altrimenti non riesco a tenerti a bada-
-Sembra che tu stia parlando di un cane- disse squadrandola malamente.
-Ma no, non potrei mai considerarti come un cane!- lo sguardo di Tom sembrò illuminarsi d’improvviso, così come il suo sorriso -Tu sei un cucciolo d’uomo, e ti tratto come tale-.
Il chitarrista non sembrò apprezzare molto la sua conclusione, ma subito dopo un sorrisetto beffardo ed un’occhiata maliziosa gli mutò i lineamenti del viso.
-Però stamattina quando lo abbiamo fatto non mi vedevi come un “cucciolo”, o mi sbaglio?-.
Le gote di Hanna si colorarono nel giro di un secondo, soprattutto quando sentì gli sguardi degli altri due puntati addosso.
-Non me l’hai detto!- ribatté indignata la mora, guardandola con la bocca semi aperta.
-Non ne ho avuto il tempo!- ribatté la sorella ancora tutta rossa.
-Non vorrei interrompere questa simpatica riunione di famiglia- si intromise Bill, nervoso -Ma David è ancora privo di sensi sul divano! E non vorrei che si svegliasse per poi svenire un’altra volta a causa dei vostri discorsi!-
-Hai ragione!- concordò Hanna -Forse è meglio chiamare qualcuno-.
Prima ancora che potesse alzarsi dal pavimento, Natalie entrò nella stanza con una rivista aperta sotto al naso, intenta a leggere un articolo su nuovi prodotti cosmetici.
-Nat! Per fortuna che sei arrivata tu!-.
Sentendosi chiamare così bruscamente si spaventò, sussultando appena.
Quando si accorse che David era inerme sul divanetto, lasciò cadere la rivista a terra e si precipitò al suo capezzale.
-Cosa gli è successo?- domandò preoccupata, accarezzandogli il capo ed osservandolo senza distogliere lo sguardo nemmeno per un millisecondo.
-Lunga storia- tagliò corto Hanna, lanciando uno sguardo furtivo al trecciato.
-Farò finta di crederti- disse lei osservandola per niente convinta -Comunque uno di voi deve tenergli su le gambe-
-Ci penso io- si offrì Lynet senza la minima esitazione.
-Perfetto. Chi ha voglia di star qui a fargli aria con la mia rivista mentre io vado a prendere dell’acqua?-
-Dalla a me- rispose Hanna, allungando la mano nella sua direzione per farsi passare il giornale.
-Ok, intanto voi due andate a cercare Benjamin o Silke, e ditegli di chiamare immediatamente il Dottor Fürchterlich, o come cavolo lo chiamate voi-
-Perfetto! Andiamo Tom-.
I due gemelli si alzarono senza farselo ripetere due volte, ed in un lampo furono fuori dalla stanza.
-Arrivo subito- le rassicurò Natalie mentre si dirigeva verso il bagno con un bicchiere di plastica in mano.
-Lo ammazzerò un giorno quel dannato Tarzan dei miei stivali!- berciò Hanna minacciosa, sventolando la rivista a pochi centimetri dalla faccia di David.
-Sì certo, come no. E tu saresti felice senza di lui poi, giusto?- domandò scettica la mora, sorridendole beffarda.
-Eccome se lo sarei!-.
Hanna tentò di far finta di niente, ma lo sentiva lo sguardo di Lynet puntato addosso, e la metteva in soggezione come quello di nessun altro al mondo.
-Ohhh, e smettila di fissarmi! E va bene, d’accordo, lo ammetto! Senza di Tom sarei morta, così va meglio?!-
-Molto- rispose soddisfatta Lyn, sorridendo felice per sua sorella che, come lei, finalmente aveva trovato un’altra persona per cui vivere.
O anche morire.
-Sai- cominciò con espressione triste la bionda -Secondo me è giusto che anche Bill e Tom sappiano che abbiamo intenzione di raccontare tutto a David riguardo nostra madre. Dopotutto non possiamo tenerli all’oscuro-
-Se è per questo non dovreste tenere all’oscuro nemmeno me-.
Le gemelle si voltarono spaventate verso la porta, vedendo la make-up artist che le raggiungeva con il bicchiere colmo.
Nessuna delle due ebbe più la forza di aprire bocca.
-Cos’è che non avete detto a vostro padre? Sapete che dovete tenerlo al corrente di tutto-
-Lo sappiamo, Nat, ma non è per niente facile- rispose affranta Lynet, sentendosi tremendamente in colpa.
-Nessuno ha mai detto che lo sia, ma nella vita le cose giuste non sono mai facili, ricordalo-.
La donna le sorrise come per incoraggiarla, e forse, in parte, ci riuscì sul serio, perché quello stesso sorriso contagiò anche lei e, successivamente, la sorella.
-Direi che è proprio arrivata l’ora di dire le cose come stanno- affermò Hanna un po’ più sicura.
-Lo penso anche io, ma almeno prima aspettate che David si svegli!-
-Effettivamente- pensò Lyn ad alta voce.
E bastò un attimo, uno soltanto, e le loro risate squarciarono la quiete profonda di quella stanza.
 
 
 
Finalmente l’uomo era riuscito a riprendersi e, nonostante il suo colorito pallido non presagisse niente di buono, il suo sguardo assassino nei confronti del chitarrista provò quanto in realtà il manager stesse meglio.
-TU- disse, puntandogli un dito ad un solo millimetro dal naso -Vedi di starmi alla larga per tutto il resto della serata. E già che ci sei fallo anche tutto domani!-
-Oh andiamo Dave, non prendertela così! Dopotutto io volevo solo essere sincero e…- il viso paonazzo del manager lo dissuase dal continuare -Ok, ho capito! Adesso me ne sto zitto e buono, tranquillo!-
-Ecco bravo. Soprattutto buono te ne devi stare-.
Natalie, a quel battibeccare continuo, non poté fare a meno di coprirsi la bocca con una mano per non rischiare di scoppiare a ridacchiare di fronte a tutti.
-Ascolta papà, io e Hanna dobbiamo parlarti di una cosa. Sappiamo che ti sei appena ripreso e che probabilmente non sarà il massimo per te sentire queste cose, ma è davvero molto importante-
-Basta che non riguarda voi due e loro due- disse indicando i gemelli -E poi credo di essere in grado di affrontare qualsiasi argomento!-
-Bene, preparati allora, perché non sarà affatto facile come credi-.
La mascella di David si contrasse preoccupata, e la fronte gli si aggrottò appena, in segno di preoccupazione.
-Di cosa dovete parlarmi?- domandò sempre più agitato, anche a causa dello scambio di sguardi dei fratelli Kaulitz che, con espressione stupita e vagamente consapevole, avevano cominciato un dialogo telepatico tutto loro.
-Riguardo me, Lynet e… e Karoline, papà. La mamma ci ha intercettate-.
E, nel preciso istante in cui quelle parole gli oltrepassarono i timpani per penetrare violente nella sua mente scombussolandola del tutto, credette di non aver mai sentito il cuore arrivargli tanto in alto nella gola in vita sua.
Anzi, ne era assolutamente certo.
Gli era rimasto fermo per un attimo talmente lungo che credette di poter morire sul serio quella volta.
-Che cosa ha intenzione di fare?- riuscì a sussurrare quasi privo di forze, facendo saettare velocemente lo sguardo da una figlia all’altra.
-Crediamo stia aspettando il nostro ritorno in Germania per venirci a riprendere. Anzi, ne siamo certe. Appena rimetteremo piede ad Amburgo, lei verrà lì a prenderci-
-E che venga pure- disse a denti stretti l’uomo, colto da un’inaspettata forza e sicurezza -Non le permetterò di portarvi via di nuovo. Questa volta sarà lei a perdere-.
Alle gemelle bastò guardare nelle iridi chiare dell’uomo per capire che, sì, era sincero e, sì, lui avrebbe fatto di tutto pur di tenerle con sé.
E, quella volta, avrebbe vinto.
 

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Capitolo 19
*** 18. Siamo uno come lo Yin e lo Yang. ***


Eccomi quii Aliens ! Ho fatto prestissimo questa volta ! Sono sinceramente stupita di me stessa *^*
Questo capitolo lo trovo decisamente più carino del precedente , e spero lo apprezziate tanto quanto l'ho fatto io !
Sinceramente l'ho appena finito , e come al solito l'ho ricontrollato alla veloce x3
Fatemi sapere che ne pensate , vi prego ! Non vi chiedo tanto , solo di spendere mezzo minuto per lasciarmi una recensione qualunque !
Dopotutto , il tempo per leggere la mia storia lo trovate , no ? Cosa vi cambiano 30 secondi in più !? :(
Comunque , ora che mi viene in mente , questo molto probabilmente è il penultimo capitolo , e devo ancora decidere se fare un epilogo o meno .
Beh , ora me ne vado e vi lascio in pace ! Godetevi il diciottesimo capitolo della mia Fiction !
Un bacio ( anche se mi fate disperare ! xP )
Vostra GretaTK





Capitolo 18, Siamo uno come lo Yin e lo Yang.







Le urla, gli schiamazzi, le lacrime.
Mille e mille voci unite in un unico grande coro indefinito e caotico.
Le luci forti, il palco enorme, la musica e la voce del cantante.
Era un'emozione incomparabile a qualsiasi altra cosa per le Aliens presenti al concerto.
Ai loro occhi sembrava tutto un sogno, come se stessero guardando i loro idoli da uno schermo gigantesco.
Non riuscivano proprio a concepire che quei quattro ragazzi davanti a loro, intenti a suonare sul palco, erano reali e proprio lì, a pochi metri da loro.
Erano carne e ossa, sangue e cuore.
Sì, quattro cuori che battevano veloci, allo stesso ritmo di quelli delle fan presenti in quel Palasport di Tokyo.
Loro non lo sapevano, nessuno di loro poteva saperlo, ma erano un tutt'uno.
I Tokio Hotel e le Aliens formavano un unico elemento.
Forte, magico, infinito.
Indistruttibile.
Erano come una grande famiglia piena d'amore e di comprensione.
Non importava quanto gli interessi, il modo di vestire o le abitudini fossero diverse.
Loro erano finalmente riuniti sotto lo stesso tetto, e questo bastava per capire che, nonostante tutto, dentro ogni fan c'era un pezzetto del gruppo, e viceversa.
Non avevano lo stesso sangue in circolo nelle vene, ma il loro cuore batteva per la stessa cosa, e questo li rendeva tutti fratelli e sorelle d'anima, e non c'è cosa più meravigliosa sulla faccia della Terra.
Dopotutto i parenti non puoi sceglierteli, e non possono starti per forza simpatici, mentre il legarsi così profondamente ad una persona considerandola parte di te e della tua famiglia è una scelta cosciente e voluta, con tutta tè stessa.
E tutte quelle persone presenti al concerto non volevano altro che quei quattro ragazzi nella loro vita.
E, anche se non lo erano proprio fisicamente, i Tokio Hotel erano sempre con loro, in ogni momento.
Erano parte integrante del loro cuore, e della loro anima, e proprio per questo non avrebbero mai potuto abbandonarle nemmeno volendo.
Cosa che, in ogni caso, non avrebbero mai desiderato fare.
 
 




 

[ *** ]

 
 



-Siete stati fantastici ragazzi!- urlò Lynet eccitata, correndo incontro ai ragazzi che avevano appena messo piede nel corridoio del backstage.
Si congratulò con tutti e quattro, soffermandosi un po’ di più con Bill, che la baciò dolcemente trattenendole il viso fra le mani.
Lei si lasciò totalmente andare a quel contatto, sperando con tutto il cuore che non finisse mai.
Non gli importava nemmeno di trovarsi in mezzo ad un corridoio affollato dove chiunque avrebbe potuto vederli.
Tutto ciò che voleva era proprio lì, fra le sue braccia e a contatto con le sue labbra, e tutto il resto del mondo poteva anche sparire per quel che le importava.
Quando il cantante si staccò da lei, osservò incantato il suo volto, notando che teneva ancora gli occhi chiusi.
Sorrise intenerito, per poi lasciarle un bacio delicato sulla fronte.
-Il tuo modo di stupirti di ogni cosa grande o piccola della vita riesce a darmi il coraggio di credere che non è tutto perso a questo mondo. Tu mi dai speranza, Lynet, quella speranza che credevo di aver perso, ma che ora si è risvegliata dentro me-.
La ragazza aprì gli occhi, fondendo le sue iridi cioccolato in quelle nocciola del cantante, sentendosi magicamente parte di qualcosa di grande.
Qualcosa che comprendeva entrambi e che, dentro di lei, sentiva sarebbe durato per sempre.
-Sei tu il motivo per il quale guardo alla vita come a qualcosa di fantastico. In te ho trovato un motivo per vivere appieno la vita, coi suoi lati brutti e con quelli belli-
-E di quale faccio parte, io?- domandò malizioso il cantante, sorridendo in modo sghembo e portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio di Lyn.
-Di quelli brutti, ovviamente!-.
Per un primo momento il cantante rimase stupito dalla risposta della ragazza, ma dopo poco meno di due secondi scoppiò a ridere insieme a lei, passandole un braccio attorno alle spalle e dirigendosi con le verso il loro camerino.
Sentendola al suo fianco non poté fare a meno di pensare a quanto fosse assurdo e magnifico tutto quello.
Finalmente, dopo tanti anni di dolore e rassegnazione, si erano ritrovati, e dentro di sé sentiva che, questa volta, tutto sarebbe stato diverso, migliore.
-Ammettilo, all'inizio ci eri rimasto malissimo!- esclamò divertita la mora, riprendendo poi a ridere.
A quel suono acuto ma cristallino, Bill provò dei brividi intensi passargli lungo tutta la schiena.
Si era sempre chiesto se la felicità si potesse calcolare o associare a qualche profumo o luogo, ed ora aveva trovato la sua risposta.
La felicità era il suono delle risate di Lynet.
Se lei era felice, lo era inevitabilmente anche lui.
 
 





 

[ *** ]

 




 
-Ho tanta voglia di stare un po’ da solo con te- le sussurrò vicino all'orecchio, col capo appoggiato alla sua spalla e le braccia avvinghiate alla sua esile vita.
-Ho sentito bene? Credo che tu abbia sbagliato a parlare. Sicuramente volevi dire che hai tanta voglia di fare sesso con me-.
Il ragazzo si alzò di scatto, guardandola con occhi sbarrati.
-Ma non è vero! Io voglio davvero...-
-Shh- lo intimò lei, poggiandole l'indice sulle labbra -Stavo solo scherzando, Tom. Anche io ho tanta voglia di stare con te-.
Il broncio preoccupato del ragazzo si trasformò in un sorriso bellissimo, così luminoso da poter mozzare il fiato a chiunque.
Il cuore di Hanna cominciò a scalpitare impazzito, come se qualcuno gli avesse iniettato una dose eccessiva di adrenalina nelle vene.
Ed infondo, era proprio così.
Era stato lui, col suo sorriso sincero e splendente ad averla fatta agitare tanto.
Senza pensarci due volte, Hanna si avvicinò velocemente a lui, catturando le labbra del ragazzo con le sue.
Gli mise le mani sul viso, mentre lui la strinse con più vigore alla vita, attirandola a sé.
Quando i loro corpi furono del tutto a contatto l'uno con l'altro, una scarica elettrica li aveva fatti rabbrividire fino a triplicare in loro la voglia di stringersi e di sentirsi.
Il loro bacio appassionato diventava sempre più profondo e quasi disperato, come se volessero diventare veramente un'unica persona, fin nell'anima.
Quando furono senza fiato troncarono quel contatto, senza però osare allontanarsi di un solo millimetro.
Tenevano la fronte appoggiata l'una contro l'altra, con le palpebre abbassate ed i respiri affannati e veloci.
Nessuno dei due aveva mai provato prima in vita sua un bisogno tanto forte ed insaziabile di aversi e di sentirsi di proprietà esclusiva di qualcun altro.
Era più che amore il loro, era qualcosa che superava i limiti del sentire umano, come se tutto ciò che avevano a disposizione per esprimere i loro sentimenti non bastasse mai.
Era straziante quella sensazione di impotenza e limitazione, ma, ad essere sinceri, non dispiaceva a nessuno dei due.
Se non fossero mai stati in grado di far uscire tutto il loro amore ed il loro desiderio dal loro corpo, sarebbe stato solo un bene, perché questo non avrebbe fatto altro che far aumentare il bisogno impellente l'uno dell'altra e, se non ci fosse mai stata la possibilità di esprimere del tutto quelle emozioni, esse non sarebbero mai potute svanire, rendendoli in grado di stare insieme fino alla fine dei loro giorni, ed anche oltre.
Abbracciandosi stretti l'uno all'altra, Hanna si perse ad osservare il paesaggio che scorreva veloce sotto ai suoi occhi.
L'autostrada era caotica come al solito, ma aldilà del guardrail i piccoli campi, che terminavano poco più in là, all'inizio della città vera e propria, erano una distesa di bianco intenso.
Tutto ciò non poteva che emozionarla.
Odiava profondamente il freddo, ma la neve le era sempre piaciuta, soprattutto quando se ne stava in casa ad osservarla scendere con lentezza comodamente seduta sotto alla finestra, circondata da una coperta di lana e con una fumante tazza di caffè-latte fra le mani.
Le dava una sensazione di pace infinita la neve, come se tutto il frustrante caos nella sua mente svanisse solo perdendosi ad osservarla.
-A che pensi?- le domandò Tom a bassa voce, osservandola incuriosito.
-Alla neve. E' così bella- mormorò lei, con gli occhi che le brillavano.
Lui sorrise, pensando a quanto potesse essere forte e determinata, ma anche piccola ed ingenua nello stesso istante.
-No, tu lo sei-.
La biondina spostò velocemente lo sguardo dal panorama per puntarlo dritto dritto negli occhi del chitarrista.
Non seppe cosa dire.
O meglio, non trovò il modo per esprimere a parole ciò che sentiva, così decise di ascoltare semplicemente il suo cuore, che gli suggeriva solamente una cosa: abbracciarlo.
Avvinghiò le braccia al suo collo e strinse quanto più poteva, nascondendo il viso fra di esse.
Il respiro di Hanna era lento e profondo, ed il suo fiato caldo e rassicurante.
Lo sentiva sul collo e sulle spalle, donandogli una sensazione di pace interiore che non avrebbe mai pensato di poter provare in vita sua.
Era diverso dal respiro di tutte quelle donne che c'erano state prima di Hanna.
Quelli proprio non li sopportava.
Era per quel motivo che, terminato il divertimento, Tom le aveva sempre cacciate via.
Non voleva assolutamente dormire con loro perché le loro braccia ed il loro fiato sul suo corpo gli davano fastidio.
Ma Hanna era diversa da chiunque altra, e lei era l'unica che poteva e che avrebbe mai potuto godere della compagnia di Tom in ogni modo possibile.
Lui era disposto a tutto per lei, perché se gli era accanto aveva la forza di fare qualsiasi cosa.
Ed il suo respiro, scontrandosi con la sua pelle, gli faceva percepire quanto Hanna gli fosse vicina, e non solo fisicamente.
Quel calore che emanava lo raggiungeva fin nell'angolo più profondo e buio di sé stesso, scaldandolo come niente altro al mondo.
Ed in quel momento capì perfettamente che era quello il vero significato delle parole "appartenenza", "vicinanza" e "comprensione".
E quelle parole, associate al viso di Hanna, poteva essere riunite in un unico gruppo, chiamato "felicità".
Eh sì, perché il suo essergli così adorante non poteva far altro che rallegrarlo sinceramente.
Allora è questa ciò che chiamano felicità, pensò fra sé e sé stringendola a sua volta, tanto forte da sentirsi scoppiare il cuore.
 
 




 

[ *** ]

 



 
La sala riunioni dell'albergo, nonostante l'ora tarda, era occupata dalla band insieme al manager, Benjamin, Silke e Dunja.
Tutti gli altri membri della crew, compresi i bodyguards, erano già nelle loro stanze, probabilmente al calduccio sotto alle coperte o mezzi assonnati difronte alla tv che, sicuramente, andava per il niente.
Le gemelle invece avevano preferito aspettare i ragazzi e il padre nella hall dell'hotel, comodamente sedute sulle poltroncine in velluto bordeaux.
Ad entrambe si chiudevano gli occhi dalla stanchezza, ma non volevano cedere a quel torpore che, malignamente, cercava di trascinarle fra le braccia di Morfeo.
Ma, nonostante questo, loro erano decise più che mai ad aspettare la fine della riunione.
Il motivo era più che comprensibile.
Quella notte le ragazze non avrebbero dormito nella stessa stanza e, per non farsi scoprire dal padre, avrebbero dovuto farsi vedere mentre entravano nella loro suite.
Poi si sarebbero cambiate e, successivamente, sarebbero sgattaiolate una nella camera di Bill e una in quella di Tom.
Avevano bisogno di stare vicino a loro, quella notte.
Il giorno dopo sarebbero tornate in Germania, e nessuno di loro poteva sapere cosa sarebbe successo.
E se Karoline avesse avuto nuovamente la meglio su di loro? Non avrebbero sopportato l'idea di non aver approfittato di stare al loro fianco per un'ultima volta.
Già sapevano che non avrebbero chiuso occhio tutta la notte, comunque.
Sarebbero state talmente agitate che sarebbe stato impossibile azzittire i pensieri e lasciarsi cullare dalle braccia di Morfeo.
Avrebbero passato la notte ad osservare quei due ragazzi che loro ormai consideravano Angeli.
I loro Angeli Custodi.
Si sarebbero stampate ad inchiostro indelebile ogni lineamento, caratteristica e neo del loro viso nella memoria.
Avrebbero conservato con estrema gelosia la loro immagine nel cuore, così che, appena avrebbero abbassato le palpebre, si sarebbero trovate dinnanzi la loro immagine in modo nitido e ben definito, così da riuscire a sentirli almeno un po’ vicino nonostante la distanza che li avrebbe separati.
Sempre se sarebbero stati divisi di nuovo.
Le ragazze speravano con tutte loro stesse che quel fatto non si sarebbe ripetuto, e per questo il loro piccolo organo posizionato a sinistra del petto non la smetteva un solo attimo di battere a velocità assurde.
-Non ce la faccio più-.
Hanna si voltò verso la sorella che, con la testa poggiata alla testiera della poltrona, fissava distratta l'alto soffitto ocra dell'hotel.
Non ci fu bisogno di altre futili parole, perché la bionda capì immediatamente che Lynet non si stava riferendo all'attesa dell'uscita dei ragazzi e di David dalla sala, bensì all'ansia e irrequietezza che quella dannata tachicardia non aveva intenzione di far cessare.
Hanna, senza aprire bocca, le prese una mano fra la sua, e la strinse forte.
Con quel contatto gli trasmise tutta la sua comprensione e la sua vicinanza in modo tanto dolce e sincero che Lynet non poté che sorridere fra sé, senza staccare comunque gli occhi dal soffitto.
-Sai, Hanna, credo che, qualunque cosa accadrà domani, noi resteremo per sempre di loro proprietà, così come loro due con noi. Nessuna distanza e nemmeno lo scorrere del tempo potrà mai cambiare questa cosa. E' una consapevolezza agghiacciante, nonostante tutto, non trovi?-.
La biondina si voltò nuovamente a fissarla, catalogando le parole della gemella, pensandole più e più volte, senza mai trovare una risposta adatta.
Si sentiva così sciocca in quel momento.
Non aveva più nemmeno la forza di parlare.
Si stava fasciando la testa prima che fosse rotta e, questo, la faceva inevitabilmente chiudere in sé stessa, a differenza di Lynet che, invece, aveva l'estremo bisogno di parlare e sfogarsi.
Per sua fortuna, anche se la sorella non era più nelle facoltà di formulare frasi di senso compiuto, rimaneva comunque un'ottima ascoltatrice.
Improvvisamente la porta della sala riunioni si spalancò, e le persone al suo interno cominciarono ad uscire una dietro l'altra.
Arrivati nella hall, le ragazze si alzarono dalle poltroncine, avviandosi con tutti loro nell'ascensore.
Bill, vedendo Lynet andargli incontro, le sorrise dolcemente, guardandola con così tanto amore da poter commuovere persino il più insensibile degli Uomini.
Lei ricambiò il sorriso, e le loro dita si intrecciarono senza nemmeno riceverne il comando dal cervello.
Era una cosa automatica, spontanea. Un gesto dettato dai sentimenti, e non dalla razionalità.
Appena furono nell'ascensore, Tom, ben nascosto dagli sguardi indiscreti di David grazie alla presenza di altre quattro persone davanti a lui, abbracciò Hanna dal dietro, attirandola a sé e facendola aderire perfettamente al suo corpo.
La biondina, a contatto con quel calore rassicurante, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dolcemente dalle sue braccia forti che la trattenevano in un modo così soffocante da suonare come una promessa.
Ed infondo lei sapeva davvero che Tom, con quell'abbraccio, le stava confessando tutti i suoi sentimenti nei suoi confronti senza alcuna maschera a nasconderli.
D'altronde non era mai stato bravo con le parole, e faceva quel che poteva per farle capire ciò che la sua voce non era in grado di spiegarle.
E ad Hanna bastava quello, non aveva bisogno d'altro.
Per lei non era importante il modo in cui una persona esprimeva i suoi sentimenti, bensì che lo facesse, e basta.
Dopotutto nella vita la cosa più importante è raggiungere uno scopo che ci si è prefissati, e non la maniera con cui ci si arriva.
Se davvero vuoi qualcosa, la raggiungi senza il minimo scrupolo, facendo tutto quello che ti è possibile, anche se questo, a volte, comporta conseguenze che devi essere disposta ad affrontare.
E lei, per Tom, sarebbe stata in grado di accettare qualsiasi condizione per averlo ma, soprattutto, per renderlo felice.
Qualsiasi.
Persino quella di sparire per sempre dalla sua vita, se lui gliel'avesse chiesto.
Nonostante sia una ragazza combattiva e che non si fa mettere i piedi in testa, Hanna avrebbe comunque accettato la sua scelta, se questo lo avrebbe rallegrato.
Perderlo per renderlo felice era un prezzo che sarebbe stata disposta a pagare, se fosse stato necessario.
I suoi pensieri vennero interrotti dai delicati baci del ragazzo che, con estrema lentezza, le percorreva tutto il collo, fino ad arrivare al suo orecchio.
Lei, essendo ultra sensibile in quella zona, non poté che mettersi a ridere.
Tutti si voltarono verso Hanna e Tom, osservandoli incuriositi, incrociando le gote imporporate di lei ed il sorrisetto divertito di lui.
Se si fossero trovati in un'altra situazione, Hanna li avrebbe sicuramente guardati accigliata, per poi domandare, con ben poco tatto, un: "Che cavolo avete da guardare?".
Ma la verità era che quel ragazzo le distruggeva ogni difesa.
Si sentiva sempre così piccola ed insignificante al suo fianco, come se la luce emanata da Tom coprisse inevitabilmente la sua.
Lui era il suo Sole, e lei un piccolo satellite solitario che godeva della sua aura dorata e bollente per poter risplendere a sua volta.
Hanna si sentiva un niente in confronto a Tom, un puntino lontano e pallido nel bel mezzo dell'Universo che aveva bisogno della sua luce per sopravvivere, proprio come la Luna con il Sole.
Qualsiasi cosa facesse, aveva l'impressione che non avrebbe mai potuto raggiungere il suo splendore abbagliante.
Finalmente l'ascensore si fermò, ed Hanna poté riprendere a respirare ora che i presenti avevano distolto gli sguardi da loro.
Ognuno si diresse verso la propria camera, augurando la buonanotte nel corridoio prima di ritirarsi nei rispettivi alloggi.
-Buonanotte, bambine mie- le salutò dolcemente David, dando un bacio sulla guancia ad entrambe le sue figlie.
-'Notte papà- ricambiarono all'unisono, sorridendogli intenerite.
Appena David fu nella sua stanza, le gemelle si scambiarono uno sguardo fugace con i due Kaulitz che risposero con un cenno del capo.
Lynet ed Hanna si catapultarono nella loro camera cambiandosi in fretta e furia, per poi ispezionare furtivamente il corridoio e, infine, raggiungere le suite dei rispettivi ragazzi.
-Allora la tengo io la chiave della stanza?- domandò Lynet in un bisbiglio, dopo aver picchiettato delicatamente sull'uscio della stanza di Bill.
-Sì, è meglio! Tu solitamente ti svegli prima di me, almeno quando dobbiamo tornare nella nostra camera non mi devi aspettare in corridoio!-
-D'accordo, allora buonanotte- le augurò la mora, poco prima che la porta difronte a lei si aprisse.
-'Notte anche a voi- sussurrò ai due, prima di vederli scomparire dietro l'uscio della loro camera e notare che Tom le aveva appena aperto.
-Wow, chi è questa gran gnocca che ha appena bussato alla mia porta?- domandò retorico il chitarrista, squadrandola con malizia pura nelle iridi e leccandosi ammiccante il piercing al labbro.
-Ti interessa davvero sapere il mio nome?- stette al gioco lei, ricambiando lo sguardo con la stessa bramosia.
-Sì, almeno so che nome devo urlare quando arriverò all'orgasmo-
-Tom!- lo rimproverò lei, lasciandosi però scappare una risata divertita.
Il ragazzo si lasciò contagiare dal suo sorriso e, ridendo insieme a lei, la issò su una spalla per portarla nella penombra della camera.
Quella notte, al sicuro fra quelle braccia, entrambe le gemelle si ritrovarono presto nel mondo dei sogni.
Avevano dato per scontato che non si sarebbero addormentate nemmeno se avessero ingerito del sonnifero, ed invece, a contatto col corpo dei loro ragazzi, ogni pensiero e timore si era volatilizzato come fumo nel vento.
Ormai erano consapevoli che quei due, per loro, erano una cura a tutti i mali.
Persino alla paura agghiacciante che provavano ogni volta che gli occhi scuri di Karoline emergevano dalle loro menti.
Niente e nessuno poteva spaventarle se al loro fianco c'erano Bill e Tom, e quella nuova consapevolezza le rese ancora più sicure del fatto che, quell'amore, era terribilmente giusto.
Si sentivano uno come lo Yin e lo Yang.
 




 

 

[ *** ]

 





 
-È tutto confermato, Signora Keller. Il volo che le riporterà ad Amburgo partirà domani sera alle nove, parlando col fuso orario di Tokyo. Calcolando le dodici ore di viaggio più il cambiamento del fuso, in Germania sarà l’una di notte quando arriveranno-
-Perfetto- affermò maligna la donna, con un sorriso molto simile a un ghigno -La ringrazio tanto per il lavoro impeccabile che ha svolto. I soldi che le spettano le verranno accreditati sul suo conto corrente domani mattina-
-Non mi ringrazi, è il mio lavoro, dopotutto. Arrivederci Signora Keller, se avrà bisogno di altri servizi in futuro non esiti a chiamarmi-
-Ne terrò conto- rispose la donna, nonostante sapesse che non avrebbe più usufruito di lui -Arrivederci, è stato un piacere-
-Il piacere è stato tutto mio-.
E, detto questo, entrambi conclusero la chiamata, pienamente soddisfatti.
Dopodomani ci sarà una bella sorpresa per voi, care le mie figlie adorate, pensò sarcastica, pregustandosi già il sapore fresco e frizzante della vittoria.
-Ora che tutto è sistemato, posso anche pensare a come far fallire te, mio caro Gabriel. Ti pentirai amaramente di avermi voltato le spalle!-.
Dopo aver espresso i suoi pensieri ad alta voce, la donna si alzò dal divano e, dopo aver spento le luci del piano inferiore, percorse le scale raggiungendo la sua camera da letto.
Si arrotolò fra le coperte, ancora trepidante per i successi appena raggiunti.
Prima di farsi trascinare nel mondo dei sogni, però, si voltò verso il comodino alla sua destra ed afferrò il Black Berri per spegnerlo, ma qualcosa glielo impedì.
L’icona gialla dei messaggi lampeggiava sullo schermo touch, e qualcosa nel suo modo di risplendere sul display, la mise a disagio.
Non che la luminosità dell’icona cambiasse come ne aveva voglia, ma la donna percepì chiaramente puzza di guai in quella bustina virtuale.
Probabilmente, nonostante fosse fredda come un iceberg, il suo sesto senso femminile la mise comunque all’erta.
Cosa vuoi che sia?, pensò fra sé e sé, ma stranamente, quell’auto-incoraggiamento, non funzionò affatto.
Dopo aver preso un respiro profondo ed essersi auto-etichettata come una fifona da quattro soldi, Karoline aprì il messaggio, e ciò che vi lesse la rese pallida come un lenzuolo.
 

 

Ti lascio il beneficio di credere di aver vinto anche questa volta perché sono pur sempre un gentiluomo, Karol, nonostante ti odi tanto,
però cerca di credere meno in tè stessa perché, a quanto vedo, ad avere troppa autostima ti sei fregata da sola.
Ci vediamo dopodomani, Karoline, perché lo so che verrai, ti conosco troppo bene per esserne certo.
A presto, D.”.

 
La donna non seppe di preciso cosa intendeva con il fatto che si fosse fregata da sola.
Insomma, era impossibile che avesse commesso qualche errore! Lei non sbagliava mai.
Evidentemente le aveva detto quelle cose solo per farla preoccupare.
Eppure, alla sua stessa rassicurazione, non ci credeva nemmeno lei.
David non si era mai spinto tanto in là da mandarle un messaggio in quegli ultimi due anni e mezzo e, se questa volta aveva trovato il coraggio, significava solo una cosa: guai in vista.
E, per la prima volta in vita sua, l’astuta ed imbattibile avvocatessa Karoline Keller sì sentì con le spalle al muro.
Era una sensazione che non aveva mai provato prima d’ora e, al solo pensare che era stato proprio lui a metterla in quella condizione, la spaventava maggiormente.
Che, per una volta tanto, qualcuno avesse trovato il modo di batterla?
Non poteva ancora trovare una risposta, ma i dubbi erano tanti, e sempre più insistenti.
Non le era mai successo prima di sentire la sua sicurezza scivolarle via di dosso come un getto d’acqua dalla pelle e, per quanto possa sembrare impossibile, si sentì vulnerabile.
Karoline era in trappola, e quella sensazione di impotenza la spaventava come niente altro al mondo.
Avrebbe dovuto mettere alla prova la sua astuzia per l’ennesima volta, ma questa volta non era più tanto sicura di vincere.

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Capitolo 20
*** 19. Se avessi la possibilità di cambiare il tuo destino, lo faresti? ***


Ciao a tutte!
Prima di lasciarvi al capitolo volevo solo dirvi che... questo non è l'ultimo! Sento sospiri di sollievo o mi sbaglio?! ;) ahahah
E' che scrivendo mi sono dilungata un pò troppo e alla fine si è creato un ulteriore capitolo :P
Vedo che il diciottesimo ha fatto scalpore.... spero sia lo stesso anche per questo!
Godetevi questo penultimo capitolo (questa volta per davvero!)
Fatemi sapere che ne pensate, ne sarei davvero enormemente contenta!
Un bacione a tutte,
GretaTK.




Capitolo 19, Se avessi la possibilità di cambiare il tuo destino, lo faresti?








Il Sole stava sorgendo, come ogni mattina. Era pallido e debole, ma c'era.
I suoi raggi lo raggiunsero, illuminandogli il volto, ma senza scaldarlo.
A causa del loro riflesso sulla neve, la luce era accecante.
Era una bella situazione, dopotutto.
Si voltò ad osservare la sveglia. Le nove del mattino.
Nonostante la stanchezza doveva costringersi ad alzarsi e prepararsi per una nuova sessione di interviste e photo-shoot, come al solito.
Insomma, era una mattina come tutte le altre, quella.
Il Sole spuntava all'orizzonte, la sveglia strillava esasperante e la colazione lo attendeva al piano di sotto.
Però, nonostante la solita routine, per Georg quel giorno era cominciato in modo completamente diverso.
Ed anche per le gemelle Jost ed i gemelli Kaulitz.
Persino per David.
Quella stessa sera avrebbero preso il volo per Amburgo, ed ognuno di loro si aspettava qualcosa di diverso dal loro ritorno in patria.
Il bassista proprio non riusciva a smettere di pensare alla sua Katline, a come l'avrebbe accolto, al suo profumo dolce, così intenso e rilassante da farlo sentire veramente a casa.
L'avrebbe stretta forte fra le braccia, come a sigillare una specie di patto fra loro che li avrebbe destinati a stare insieme per tutta la vita.
Le sue iridi verdi si sarebbero fuse con quelle ambrate di lei, ed un sorriso enorme sarebbe comparso su entrambi i loro volti.
Sarebbero stati felici di nuovo.
Realmente felici di nuovo, perché sarebbero stati insieme.
Completi come non mai.
Già il cuore gli batteva all'impazzata nella cassa toracica al solo pensiero.
Ma poi, senza poterne fare a meno, si ritrovò a pensare di essere uno schifoso egoista.
Certo, lui era contento di tornare a casa dalla donna della sua vita, da sua madre, dai suoi vecchi amici. Ma i suoi compagni di viaggio sarebbero stati altrettanto euforici di questo?
Certo che no.
Loro avevano paura a tornare.
Se avessero potuto non avrebbero rimesso mai più piede in Germania. Avrebbero di gran lunga preferito girare il mondo intero senza fermarsi mai, piuttosto.
E come dargli torto? L'ombra scura e spaventosa di Karoline incombeva su di loro e sul loro destino decisamente in bilico precario.
Era tutto così incerto ed insicuro, per loro.
Poteva solo immaginare come si sentissero persi e terrorizzati. Per non parlare di David, povero.
Il manager avrebbe avuto i nervi a fior di pelle tutto il giorno, e quello dopo ancora, ne era assolutamente certo.
Era sicuro anche del fatto che non avesse minimamente chiuso occhio, quella notte.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma aveva come avuto la sensazione di captare la sua angoscia.
Infatti, durante il sonno, aveva fatto sogni agitati e confusi, di quelli che non ti ricordi cosa succede, ma la sensazione di pesantezza che ti grava sul cuore rimane lì per tutto il giorno.
E Georg riusciva unicamente a pensare che quelle sensazioni gli fossero state trasmesse proprio dall'uomo.
Sospirò demoralizzato, mettendosi seduto sul letto con i piedi per terra.
Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, ed il viso fra le mani grandi e callose.
Tutt'a un tratto si sentì svuotato.
Nemmeno il pensiero di Katline riusciva a risollevarlo completamente.
Si rendeva conto solo in quel momento che, mentre lui non aveva desiderato altro che tornarsene a casa fra le braccia della sua ragazza, i suoi amici ed il suo manager stavano soffrendo come mai prima d’allora.
E sì sentì un emerito stronzo.
Per aver pensato solo a sé stesso.
Egoista.
Per aver consolato i suoi amici senza averli in realtà capiti davvero.
Ipocrita.
Per aver gioito mentre loro soffrivano.
Insensibile.
Intrufolò le dita fra i suoi lisci capelli castano ramati, stringendoli con tutta la forza che gli rimaneva.
In quel momento credette che non sarebbe più stato in grado di muoversi da lì, nemmeno se avesse avuto Kat ad un solo metro di distanza intenta ad invocare supplichevole il suo nome.
 
 





 

 

[ *** ]










 
 
 
Aveva assaggiato appena un angolino del suo toast prosciutto, pancetta, formaggio e uovo.
E già gli veniva da star male.
Eppure tutte le mattine Gustav si ingozzava come un matto di quei toast che lui amava tanto.
Quel giorno, però, non era proprio in vena di mangiare.
Il suo sguardo era vuoto, ed il suo stomaco chiuso.
Come tutti gli altri, del resto.
Georg aveva bevuto un sorso del suo succo d'arancia e dato un morso ad un muffin alla vaniglia, abbandonando poi il tutto sul piatto e cominciando a giocherellarci distratto.
Bill aveva preso solo una tazza di caffè amaro, ma appena l'aroma gli aveva sfiorato le narici, aveva riposato la tazza sul piattino, togliendosi dalla testa di provare almeno ad assaggiarlo.
Tom, invece, aveva bevuto un bicchiere di acqua e successivamente tentato di mandar giù almeno un morso di quel waffeln ricoperto di zucchero a velo, ma i risultati erano stati decisamente scarsi, dato la fatica che aveva fatto per ingoiarlo.
Le due gemelle invece non avevano nemmeno fatto finta di provarci.
Si erano sedute ai loro posti senza nemmeno prendere qualcosa da bere dal tavolo del buffet.
Fissavano un punto non ben definito sul tavolo, in silenzio e perse in pensieri tutti loro.
E si tenevano per mano.
Quella era l'unica cosa che erano in grado di fare, in quel momento.
Solo quello, niente altro.
E David le osservava, osservava tutti.
Faceva scorrere il suo sguardo preoccupato e ferito su ognuno di loro, notando che nemmeno lui aveva toccato cibo, proprio come i suoi ragazzi e le sue bambine.
Quella situazione stava prendendo una piega decisamente insopportabile.
Nemmeno Natalie era riuscita a bere più di una tazza di caffè latte.
E pensare che dovevano tutti affrontare una giornata pesante.
Nonostante fosse l'ultimo giorno a Tokyo, loro avrebbero dovuto darsi un gran da fare.
Ma ce l'avrebbero fatta? Aveva fiducia in loro, ma il manager era sicuro che non sarebbero mai stati in grado di dare il cento per cento di loro, soprattutto Tom e Bill.
Avrebbero dovuto affrontare due interviste radiofoniche, avrebbero avuto appena il tempo di mettere qualcosa sotto ai denti per poi cominciare con delle interviste per tre riviste diverse, comprendendo anche i photo-shoot.
Verso le cinque, se tutto fosse andato bene, sarebbero stati di nuovo in hotel, dove avrebbero fatto i bagagli e si sarebbero preparati per raggiungere l'aeroporto, dato che dovevano essere là due ore prima della partenza.
E poi era tutto un grande punto interrogativo.
Nessuno sapeva cosa sarebbe successo dopo. Sapevano solo che, se avessero potuto, avrebbero evitato quella partenza in qualsiasi modo, oppure avrebbero cambiato destinazione.
Purtroppo per loro una cosa del genere non era minimamente pensabile, e si sarebbero dovuti adeguare ai doveri e alle loro responsabilità senza fiatare.
E per ora, la voglia di controbattere e opporsi, non ce l'aveva proprio nessuno.
Nemmeno Tom, che solitamente si divertiva a mettere in discussione tutte le decisioni del manager.
Vederlo così silenzioso e preoccupato non poteva che far accrescere in lui la paura.
Il maggiore dei Kaulitz aveva sempre affrontato ogni situazione a testa alta e del tutto sicuro di sé, tanto da sembrare solamente uno sbruffone egocentrico, eppure era sempre stato lui a confortare Bill, a caricarsi di responsabilità, nonostante sembrasse così svogliato e buono solo a scherzare e a provarci con le ragazze.
Ma Tom era più di questo, e se perdeva lui la speranza, la perdeva automaticamente anche Bill.
Lui, che era così disperatamente dipendente dal gemello, sarebbe stato perso senza il suo punto fermo che era il chitarrista.
D'altronde cosa avrebbe potuto fare vedendo il suo appiglio crollare? Sarebbe crollato insieme a lui, e a catena sarebbe sprofondato tutto il resto, comprese le sue figlie.
E pensare che tutta quella sofferenza e paura erano provocate da una sola persona lo faceva arrabbiare, gli faceva del tutto perdere il controllo.
Era tutta colpa di Karoline.
Solamente colpa sua.
Se l'avesse avuta di fronte in quel momento sarebbe persino stato in grado di picchiarla da quanto era forte la rabbia in lui.
Voleva fargliela pagare in ogni modo possibile, solo quello, e sapeva che, impegnandosi con tutto sé stesso e lottando per quello che voleva, ce l'avrebbe fatta.
L'avrebbe sconfitta, oh se l'avrebbe fatto!
Ed in un modo talmente perfetto che lei non sarebbe più tornata.
David, le gemelle ed i ragazzi avrebbero potuto continuare a vivere la loro vita senza la paura di perdersi.
E quel giorno sarebbe arrivato presto.
Quel giorno era proprio lì, dietro l'angolo, e quello stesso giorno loro si sarebbero sentiti invincibili come mai prima d'allora in tutta la loro vita.
 
 










 

 

[ *** ]










 
 
 
Quella giornata era stata noiosa e lugubre, nonostante il Sole non avesse mai smesso di brillare.
Eppure il tempo era passato così in fretta.
Sembrava tutto così surreale: il vento freddo, il suono assordante dei clacson per le vie della città, il sapore delizioso del sushi fresco.
Era come vivere un sogno sfocato, dove nessuno dei sensi era abbastanza potente per poter vedere in modo nitido, per poter gustare il sapore del cibo, per poter ascoltare i rumori che li circondavano.
Avrebbero solo voluto che quello fosse un brutto incubo, e che al loro risveglio si sarebbero ritrovati nei loro comodi letti l'uno fra le braccia dell'altra.
Avrebbero tirato un sospiro di sollievo e sarebbero tornati a dormire con un gran sorriso stampato sul viso.
Ma erano svegli, e lo sapevano fin troppo bene.
-Siete stanche, vero?- mormorò David, accarezzando le guance di entrambe le figlie ed abbracciandole con lo sguardo -Ancora un photo-shoot e poi possiamo andare in albergo-
-Vorrei che questo servizio fotografico durasse per sempre, allora- sussurrò atona la mora, facendo attenzione a tenere lo sguardo ben piantato a terra.
La bionda invece non disse niente, limitandosi a lanciare una veloce occhiata alla gemella per poi tornare a fissare anch'essa un punto impreciso di fronte a sé.
-Bambine mie...- all'improvviso una voce stridula e acuta si propagò per tutta la stanza, interrompendo il manager sul nascere.
-Insomma, non riesco a capire cosa vi prende!- esclamò furioso il fotografo, evidentemente omosessuale -Non vi state impegnando nemmeno un po’! Cosa sono quei musi lunghi e quegli sguardi vuoti?! Tirate fuori qualche emozione perdio!-.
Gustav e Georg si guardarono nello stesso istante, tristemente, per poi spostare la loro attenzione sui gemelli.
Bill aveva abbassato lo sguardo, inerme a qualsiasi cosa, a qualsiasi parola.
Il suo sguardo trasudava disperazione.
Tom invece, come da prassi nel suo carattere, venne attraversato da un lampo di rabbia, e all'improvviso i suoi occhi si colmarono di fuoco.
-Vuoi qualche emozione?!- esclamò furibondo contro il fotografo, puntandogli un indice davanti al petto -Vuoi qualche cazzo di emozione?!- urlò più forte, avvicinandosi a lui mentre quest'ultimo faceva un passo indietro per la paura.
-Tom, smettila- riuscì a riprenderlo il gemello, guardandolo preoccupato.
Lui però non l'ascoltò.
-Eccoti un'emozione!- disse, prima di sollevare lo sgabello sul quale era seduto e lanciarlo contro lo sfondo del set, lasciandoci un grosso buco nel mezzo.
Dopo di che se ne andò, uscendo dalla stanza a grandi falcate.
-Tom, ma sei impazzito?!- gli urlò dietro Bill, già pronto a rincorrerlo, ma Hanna lo bloccò.
-Voglio andarci io-.
Lo guardò dritto negli occhi nocciola, implorandolo senza l'uso di parole.
Il cantante sospirò, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi grigio verdi, per poi dare il suo consenso con un solo cenno del capo.
Lei non perse tempo, voltandosi immediatamente per raggiungere il chitarrista.
Sapeva perfettamente che si sarebbe diretto all'esterno dell'edificio per fumare una o due sigarette col tentativo di scaricare la tensione.
Cosa che non gli sarebbe sicuramente servita.
Tom per sbollire aveva bisogno del tempo. Non molto, a dirla tutta, ma solo di quello.
Appena Hanna aprì la porta d'entrata, lo cercò con lo sguardo, trovandolo subito.
Se ne stava in piedi in fondo alla scalinata dell'edificio, aspirando nervosamente dal filtro di una sigaretta.
Per un primo momento la ragazza non seppe cosa fare.
Se ne stette qualche secondo ferma in cima alle scale a pensare, decidendosi poi a raggiungerlo.
Non aveva idea di come comportarsi. Avrebbe dovuto chiamarlo o semplicemente arrivargli accanto?
Prese un respiro profondo e silenzioso, e lo abbracciò stretto stretto da dietro.
Lui, preso alla sprovvista, sobbalzò, facendo poi cadere lo sguardo sulle mani appoggiate sul suo addome.
Capendo subito chi fosse si calmò, sovrastando una delle mani di Hanna con la sua.
Sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi e godendosi il torpore di quel corpo avvinghiato a sé.
-Fortuna che sei tu- sussurrò caldamente, accarezzandole un braccio -Se era Bill a quest'ora uno dei due era sicuramente morto. Probabilmente io-.
Il ragazzo ridacchiò fra sé e sé senza alcun sentimento, ed Hanna si alzò sulle punte per lasciargli un bacio sul collo.
Dei forti brividi lo invasero, e dopo aver buttato via la sigaretta che teneva fra le dita, si voltò verso di lei, prendendole il viso fra le mani.
Hanna lo guardò intensamente, e poi abbassò le palpebre, incapace di reggere un secondo di più il suo sguardo, e gli baciò il palmo della mano.
-Hai esagerato- gli disse, senza alcun tono di rimprovero nella voce -E poi sono io quella impulsiva-
-Mi dispiace- rispose lui, appoggiando la fronte sulla sua.
-Sei sempre il solito- sussurrò con difficoltà lei, trovandosi ad un solo centimetro dalle labbra di Tom.
-Se non fossi così però non ti piacerei così tanto, no?- gli chiese lui ammiccando, lanciando uno sguardo furtivo alle sue labbra dischiuse.
-Forse hai ragione- rispose Han con voce roca, lasciandosi completamente andare al bacio caldo e passionale del chitarrista.
Le dita di Tom penetrarono in profondità fra le mosse ciocche biondo grano di Hanna, attirandola maggiormente a sé.
Voleva sentirla ancora più vicina, come se quel contatto con gli bastasse, e sapeva con assoluta certezza che mai gli sarebbe bastato.
O più semplicemente non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei.
Hanna, a quell'esplicito bisogno di Tom di sentirla vicina, gli allacciò le braccia attorno al collo, stringendolo più che poteva.
I loro corpi erano l'uno completamente attaccato all'altro, eppure loro volevano di più.
-Vorrei tanto poterti ammanettare a me per poterti avere accanto senza aver paura che qualcuno possa portarti via-
-Non succederà più Tom, te lo prometto-.
E per suggellare quella specie di patto vincolante, lo baciò per l'ennesima volta.
 
 
 







 

 

[ *** ]

 
 









 
 
-E' un imbecille, ecco che cos'è!- sbraitò Bill fuori di sé, inveendo contro il gemello -Si è comportato da stupido come al solito! Perché lui deve sempre farsi vedere, no? Perché se non recita la parte del figo non è contento!-.
Il cantante camminava su e giù per il loro camerino, gesticolando come un matto.
-Bill- lo chiamò Lynet, senza risultato.
-Oh no, spariamo parolacce a raffica e lanciamo le cose, tanto io posso fare tutto perché sono Tom Kaulitz!-
-Bill, calmati. Stai andando fuori di testa come tuo fratello-.
Finalmente, a quelle parole, il vocalist fermò la sua intensa e logorroica parlantina, bloccandosi nel bel mezzo del camerino.
Incatenò le pupille con quelle della mora, riprendendo fiato.
Lyn si alzò dal divanetto sul quale era seduta, avvicinandosi a lui senza interrompere il loro contatto visivo.
Gli prese le mani fra le sue, stringendogliele forte, appoggiando successivamente la fronte alla sua.
Chiuse gli occhi e respirò a fondo il suo profumo, facendosi inondare da una sensazione di pace che niente altro al mondo era in grado di darle.
-Calmati, non serve a niente arrabbiarsi. Lo sai anche tu come si sente in questo momento. E' spaventato e preoccupato, e sai meglio di me che sa essere veramente impulsivo quando vuole. Ora però non ha bisogno di rimproveri, ma solo di sentire che le persone che gli vogliono bene gli sono accanto, tutto qui-.
Era incredibile il modo in cui Lynet aveva capito Tom, e la cosa che lo lasciava ancora più basito era che, a causa della rabbia nei suoi confronti e nella voglia si scaricare la sua preoccupazione su chiunque gliene avesse dato l'occasione, Bill non l'aveva capito.
-Hai ragione- concordò lui, slegando le dita da quelle della ragazza per abbracciarla -Come farei se non ci fossi tu che costantemente mi riporta sulla giusta strada?-
-Ah non lo so, ma non credo che resisteresti a lungo- rispose lei sogghignando, stringendo le braccia attorno al busto del vocalist.
-Purtroppo devo darti ragione per una seconda volta- sussurrò, lasciandole un leggero bacio sul capo.
-Come sarebbe a dire purtroppo?!- esclamò indignata lei, alzando il capo per poterlo guardare negli occhi.
Lui scoppiò a ridere, stringendola ancora più forte per non farsela scappare.
-Che stronzo! Lasciami!- esclamò Lynet, tentando di recitare bene la parte dell'offesa.
-Non te lo ricordi?- domandò improvvisamente serio lui, fissandola intensamente.
-Cosa?- chiese confusa lei, tentando in tutti i modi di capire a cosa lui si riferisse.
-La sera del nostro primo bacio ti ho detto che ti avrei stretta a me e non ti avrei più lasciata andare, ed è quello che ho intenzione di fare-.
Lynet non seppe spiegare cosa provò in quel momento, era un'emozione troppo grande da poter essere espressa a parole.
Probabilmente si sentì come se avesse finalmente trovato il suo destino.
Ed effettivamente, era proprio così.
 
 
 









 

[ *** ]

 
 
 









 
-Mi dispiace tanto per quello che è successo. Purtroppo i ragazzi oggi sono un po’ alterati e Tom è difficile da gestire, certe volte-.
Come al solito il manager si ritrovava a mettere a posto i casini che quei quattro mettevano in piedi.
In questo caso di uno solo di loro, quello che di guai ne causava più di tutti.
-Per quanto i problemi che hanno possano essere gravi non credo che sia l’atteggiamento giusto per affrontarli, questo- esclamò irritato il fotografo, mettendo a posto le sue attrezzature.
-Le pagheremo i danni per il telo, ma la prego, finisca il servizio fotografico. Le prometto che non succederà più nulla del genere-.
L’uomo ci pensò per qualche secondo, per poi sospirare sconfitto ed accettare la richiesta di David.
-Quel ragazzo deve capire che per quanto sia ricco, famoso e reclamato dalle donne di tutto il mondo, non gli è comunque concesso di fare quello tutto che vuole quando meglio crede-.
-Non ha nemmeno idea di quanto concordo con lei- rispose David esasperato, sollevato dal fatto che, al mondo, qualcuno la pensava come lui, una volta tanto.
 
 
 









 

 

[ *** ]

 
 
 










 
Erano le cinque, ed erano appena arrivati in hotel.
Non si erano mai sentiti tanto infelici di tornarsene in albergo in tutti quegli anni di tour e viaggi promozionali.
Era la prima volta che desideravano con tutti loro stessi di arrivare in ritardo, così da non riuscire a preparare i bagagli e raggiungere l'aeroporto in tempo per prendere il loro volo.
Prima che i ragazzi riuscissero a mettere piede nell'ascensore insieme alle gemelle, il manager li richiamò.
-Lo so che nessuno di voi è entusiasta di tornare, ma vi voglio tutti pronti per le sei spaccate. Se pensate che non preparare i bagagli per perdere l'aereo sia una mossa da furbi, vi sbagliate di grosso, perché non mi interessa come vi troverò a quell'ora, vi trascinerò comunque con me, a costo di portarvi fuori dall'hotel in mutande. Sono stato abbastanza chiaro?-.
Nessuno rispose a parole, si limitarono tutti a scuotere il capo in segno d'assenso.
-Bene- disse come ultima cosa il manager prima di voltarsi e raggiungere il bancone della reception.
Intanto, nell'ascensore, nessuno sembrava aver voglia di parlare.
Ognuno di loro teneva la testa bassa, aspettando in silenzio di arrivare al loro piano.
-Sapevamo che prima o poi questo giorno sarebbe dovuto arrivare- esclamò ad un certo punto Bill.
-Questo non significa che sia la fine di tutto- controbatté Lynet decisa, alzando lo sguardo sul suo ragazzo.
-Ho sempre amato tanto questo lato di te che non perde mai la speranza, ma questa volta credo che non basterà sperare nell'impossibile-
-E chi ti da la garanzia che sia impossibile averla vinta su Karoline? Non è invincibile, né un Essere Divino, è semplicemente un Essere Umano. Forse solo un po’ troppo furba e sicura, ma pur sempre una donna senza superpoteri-
-Che provi anche solo a presentarsi a casa di David- prese parola Hanna, puntando la sua attenzione su Bill -E la prenderò a sberle fino a farla diventare viola. Vedrai come cambierai subito idea sul fatto che lei sia sovrannaturale- terminò decisa, incrociando le braccia al petto.
-Lo sapevo che io e te siamo uguali- disse Tom sorridendo sghembo -A volte mi spaventa addirittura un po’ la cosa- terminò, passandole un braccio sulle spalle ed attirandola a sé.
Il sonoro e metallico ding dell'ascensore li avvisò che erano arrivati a destinazione.
I ragazzi uscirono da lì con passo lento, dirigendosi come al solito alle rispettive stanze.
Quando ognuno si trovò dinnanzi alla propria porta, si guardarono tutti, uno per uno.
Non dissero niente. Dare aria ai loro pensieri era inutile, perché tanto i loro occhi tristi e le loro espressioni preoccupate dicevano tutto ciò che c'era da sapere.
E, come per incoraggiarsi, tentarono di scambiarsi un sorrisetto appena accennato, prima di entrare nelle loro suite del tutto privi della voglia di ribellarsi, consci ormai del fatto che, al loro destino, non sarebbero potuti sfuggire per sempre.
Era tempo di fare i conti col fato, che loro lo volessero o no. 

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Capitolo 21
*** 20. Quante strade può offrirti il destino? ***


Ok, non ci posso credere! LA MIA FAN FICTION E' UFFICIALMENTE ARRIVATA AL TERMINE!
Questo è l'ultimo capitolo, e spero davvero di cuore che lo apprezziate tanto quanto l'ho fatto io!
Se devo essere sincera mi dispiace che sia finita, ma d'altra parte è stato anche meglio così perchè la voglia di terminarla cominciava a svanire!
Eppure eccomi qui, FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Nonostante i Tokio Hotel e i vari membri dello staff compariranno anche in altre mie FF, Hanna e Lynet non ci saranno più, e mi mancheranno davvero un sacco!
Mi ci sono affezionata tantissimo, anche perchè alla fine Hanna è praticamente la mia fotocopia, mentre Lynet quella della mia migliore amica Irene, quindi non sarà facile per me  scrivere altre storie con ragazze dalle caratteristiche diverse dalle nostre! E' più forte di me, ma giuro che mi impegnerò il più possibile...
Comunque sia, prima di dirvi che ho già in mente un'altra FF (ops, ve l'ho già detto! :3) sto ancora pensando se scrivere un epilogo di questa storia oppure no... se così sarà la posterò come one-shot e, in parte al titolo che le darò, scriverò "EPILOGO QUANTE STRADE PUO' OFFRIRTI IL DESTINO?", così la riconoscerete sicuramente :3
Mhm, ho altro da dire?! Ovvio che !
Prima di tutto voglio ringraziare di cuore tutte le persone che hanno seguito la mia storia in modo assiduo e puntuale, ma anche chi è stata più saltuaria e scostante;
quindi GRAZIE INFINITE alle ragazze che hanno commentato la mia bimba:


RadioHysteriaBK
_Selenia_
TokioFastFoodTK
andy94
LichtNacht
BillsMilady
M o o n
_Catia_
micol__pat
Phoenix_483
_MINA_
Whitered
Holly94
Ann Sayu T
Alien_tonight
Dianna Scarlett
unleashedliebe

MILLE GRAZIE a chi l'ha messa fra le preferite:


cris94
Dan 
freiheit483 
LichtNacht 
M o o n 
macky_love 
Paolina91 
Phoenix_483 
RadioHysteriaBK 
SchwarzeMeer483 
uranie 
_Lucky_ 
_MINA_ 
_VoCaLiSt_ 

UN ENORME GRAZIE a chi l'ha inserita nelle ricordate:


Ann Sayu T
BillsMilady
Louder_
 
UN SUPER GRAZIE anche a chi l'ha messa fra le seguite:

Anna Kaulitz 
damnkiiim 
Eleanor19 
Fee17 
Giulia_Cullen 
GiumoKirkland 
JCMA 
JuJy_ToKieTTA_ 
kelly_th_ 
lady vampira 
luchia nanami
lullaby92
MadnessAlice 
micol__pat 
nuria elena 
TokioFastFoodTK 
Whitered 
_Catia_ 
_RoBeRtInA96_ 
_Selenia_

E ovviamente ringrazio anche chi ha solamente letto e basta!
Comunque avete contribuito a far andare avanti questa storia, quindi non pensate che non vi abbia prese in considerazione lettrici silenziose (:
Ora, per finire, voglio lasciarvi il link del mio profilo Facebook: http://www.facebook.com/greta.g.gozzini?ref=tn_tnmn
Chi ha piacere ad aggiungermi faccia pure! :D Però scrivetemi che siete di EFP, altrimenti rischio di non accettarvi, perchè elimino sempre le richieste di chi non conosco!
Bene, credo aver detto tutto!
Ora vi lascio al ventesimo e ULTIMO capitolo: mi aspetto gli ultimi commenti e tante tante visualizzazioni! Diciamole addio come si deve 
Vi abbraccio fortissimo Aliens del mio cuore!
E... STAY TOKIO FOREVER 













Capitolo 20, Quante strade può offrirti il destino?









Non si sarebbero mai aspettati di trovare l'aeroporto così pieno, eppure le code ai check-in procedevano lente, ed un vociare di sottofondo rimbombava fra le alte e spesse pareti dell'edificio.
La maggior parte delle persone presenti indossava completi eleganti, neri o gessati, il che faceva pensare che si trovassero quasi tutti lì a Tokyo per lavoro, ed ora per loro era il tempo di tornarsene a casa.
Tutti si muovevano veloci e sicuri fra quelle mura, come se conoscessero quel luogo meglio delle loro valigette in cuoio nere o marrone scuro, evidentemente abituati a spostarsi con l'aereo.
E nessuno sembrava far caso a quelle quattro star internazionali sedute su una panchina di fronte ai check-in, mentre aspettavano David coi loro biglietti.
Ai loro occhi, probabilmente, erano solo dei ragazzi di ritorno da un viaggio di svago, oppure nemmeno veniva notata la loro presenza. Cosa che, sinceramente, non dispiaceva a nessuno di loro.
Si stavano però anche rendendo conto che, nonostante la loro sofferenza, il mondo continuava ad andare avanti imperterrito, come nulla fosse.
Il tempo non si fermava, e le lancette degli orologi appesi alle pareti non facevano che ricordarglielo, muovendosi secondo dopo secondo.
Eppure, quel via vai di gente dal bar all'edicola, o dal negozio d'articoli sportivi al bagno, non faceva altro che aumentare la tristezza nei loro cuori.
Quella, per loro, fu la prova schiacciante di come un'anima ghiacciata non potesse impedire a tutto il resto di andare avanti.
Il problema era solo il loro, e tutti gli altri nemmeno potevano immaginare cosa si scatenasse nei loro cuori ogni volta che qualcuno rispondeva al telefono con espressione sollevata ed un sorriso sincero a storcergli il viso.
Era tutto così frustrante.
Ed erano sempre più arrabbiati, perché loro non si meritavano tutto quello che gli stava capitando, nemmeno in minima parte. Anche loro volevano godersi la loro più che meritata felicità, ma chissà perché non potevano. Non riuscivano proprio a spiegarselo, eppure non gli sembrava di aver mai commesso chissà quale peccato per dover scontare una pena simile.
Come al solito arrivarono alla conclusione che la vita è un burattinaio lunatico e sadico, che tiene stretti nei pugni i fili che permettono loro di muoversi.
Cosa avrebbero potuto fare loro per liberarsi da quella presa che li avrebbe inevitabilmente portati nel fondo del baratro?
Nulla.
-Eccomi coi vostri biglietti ragazzi- disse loro David, raggiungendoli -Non ho fatto caso ai posti, scusate, mi sono dimenticato. Se volete scambiateveli fra di voi-.
Il manager non aggiunse altro, porgendo i biglietti a Gustav ed andandosi a sedere accanto a Benjamin e Dunja.
Le gemelle lo seguirono con lo sguardo, per poi puntare le pupille l'una in quelle dell'altra.
Non diedero fiato ai loro pensieri, semplicemente li fecero scorrere nelle loro iridi, capendosi così senza il bisogno di aprire bocca.
Si alzarono all'unisono e, raggiunto l'uomo, lui si voltò verso di loro.
-Papà- cominciò Lynet, un po’ timorosa.
-Vogliamo stare vicine a te sull'aereo- terminò Hanna, fissandolo intensamente.
David, preso alla sprovvista da quelle parole, sollevò leggermente le palpebre, facendogli così inevitabilmente ingrandire gli occhi.
-Ma certo bambine mie! Mi farebbe molto piacere- rispose sorridendo a entrambe, evidentemente felice della richiesta delle sue figlie.
Una cosa che però non si sentirono proprio di dirgli, era che volevano stare accanto a lui durante il volo perché avevano paura che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbero visto.
E, questa volta, per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[ *** ]
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
Il volo era stato lungo, noioso e a dir poco straziante.
Le gemelle avevano provato in tutti i modi ad addormentarsi, così come Bill e Tom, ma con scarsissimi risultati.
Erano troppo agitati e pieni di pensieri per riuscire anche solo a sperare di chiudere occhio.
Il problema, però, era che non c'era niente che volessero fare.
I film non riuscivano a seguirli, e la musica li faceva innervosire maggiormente.
Così, dopo vari tentativi miseramente falliti, avevano deciso di lasciar perdere e di sorbirsi ogni singolo minuto di quel viaggio dall'apparenza infinita.
Georg, invece, era inevitabilmente crollato, vista la nottata insonne appena passata, e Gustav, in qualche modo, era riuscito a distrarsi come sempre.
Il manager, piuttosto, sembrava profondamente addormentato.
Aveva un respiro profondo e lento, la testa appoggiata alla spalla di Lynet -che si trovava accanto al finestrino- e, con la mano sinistra, teneva stretta quella di Hanna.
Eppure, a volte l'apparenza inganna.
Infatti l'uomo era rimasto sveglio tutto il tempo, solo che non aveva avuto il coraggio di guardare le sue figlie. Sarebbe stato troppo doloroso poi se le avesse perse.
Non che il dolore sarebbe stato diverso, certo, ma se le avesse osservate per tutto il tempo si sarebbe ritrovato inevitabilmente a studiare ogni caratteristica del loro volto e delle loro mani minute.
Si sarebbe messo a contare ogni neo, ogni più piccola e quasi invisibile lentiggine sui loro nasini piccoli e sottili, e avrebbe cercato nelle loro iridi ogni più sottile screziatura.
Avrebbe scannerizzato la loro immagine nella mente in modo talmente perfetto da poterle vedere nitidamente in qualsiasi momento della giornata, e se quello sarebbe stato uno dei loro ultimi momenti insieme non avrebbe mai saputo sopportare giorno per giorno di trovarsi i loro volti davanti agli occhi senza poterle avere lì fisicamente di fronte a lui.
Il solo pensiero gli provocò una profonda crepa nel bel mezzo del cuore.
Non avrebbe mai pensato, un giorno, di provare un dolore così simile alla morte.
Per ben due volte, tra l'altro.
Ma a volte la paura fa bene, perché aiuta a tenere insieme i pezzi di qualcosa che non c'è più.
O, come in questo caso, fa aumentare la voglia di lottare per tenersi stretti quel tanto o quel poco che si ha.
E le due ragazze, per David, ormai erano tutto.
Cosa ci avrebbe perso, lui, combattendo? Proprio niente.
Anzi, forse sarebbe pure riuscito a vincere il migliore dei premi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
[ *** ]
 
 
 
 






 
 
 
 
 
 
 
 
Aeroporto di Amburgo, l'una del mattino.
Il caos presente in quell'edificio era spaventoso nonostante l'ora tarda.
Le fan dei Tokio Hotel avevano invaso il luogo, tentando in ogni modo di farsi strada per avvicinarsi il più possibile ai loro idoli.
Il loro percorso fino all'uscita era protetto da una schiera di uomini della security dell'aeroporto, ed il gruppo, insieme a David, Natalie e le gemelle, era completamente circondato dai bodyguards dei ragazzi.
I flash li accecavano secondo dopo secondo, e le domande insistenti dei giornalisti venivano deliberatamente ignorate.
Qualche ragazza, nel frattempo, cercava in tutti i modi di alzarsi sulle punte per vederli o aprirsi un varco fra gli omoni che facevano loro da scudo per poterli anche solo sfiorare con i polpastrelli.
E poi accadde ciò che per più di due settimane si era cercato di tenere nascosto.
Le ragazze vennero viste.
Non che la cosa avesse più così importanza, dato che Karoline ormai sapeva che loro due erano col padre, ma comunque David non avrebbe mai voluto che finissero sul web e giornali di tutto il mondo, e magari che venissero pure scritte cose insensate sul loro conto.
O peggio, che i paparazzi non le avrebbero lasciate in pace nemmeno un attimo della loro vita.
Il manager tremò.
Si voltò di scatto verso le figlie, ma si accorse, con enorme sollievo, che si erano ben preparate: entrambe avevano alzato i cappucci dei loro cappotti di lana, e si erano coperte metà del volto con la sciarpa, lasciando fuori solo gli occhi, che comunque tenevano bassi, impedendo così a chiunque di vederle.
L'unica cosa che forse un giorno avrebbe permesso di riconoscerle, erano alcune ciocche di capelli sfuggite al loro nascondiglio e che, in quel momento, ondeggiavano al ritmo dei loro passi.
Proprio per quel motivo, qualche fan che era riuscita a sbirciare meglio delle altre, le aveva notate, cominciando a far girare la voce che c'erano due ragazze sconosciute accanto ai loro idoli.
In pochissimo tempo degli insulti cominciarono a raggiungere le loro orecchie.
"Chi cazzo sono quelle puttane?!", "Cosa ci fanno lì con loro quelle due troie?! Ma cosa vogliono poi?!", oppure "Toccatemi Bill e vi uccido!", "Stronze! Ma morite!".
I ragazzi, come ormai ben abituati a fare, continuavano a camminare imperterriti senza calcolarle minimamente, ma Hanna, a quegli insulti immeritati, si alterò.
Di colpo voltò il viso alla sua destra, incrociando gli occhi di una ragazza dai corti capelli castani scalati e gli occhi verde screziato.
La vide ghiacciarsi sotto il suo sguardo.
-Ma muori tu, se proprio ci tieni! E comunque meglio morti che essere una stronza patetica come te!-
-Hanna, vieni via!- l'aveva richiamata il manager, prendendola per le spalle e spingendola avanti.
-Azzardati ancora a insultarmi brutta troia e ti spacco la faccia se ti becco in giro!- continuò a urlarle dietro la bionda mentre veniva portata via con la forza dal padre.
Appena furono fuori dall'edificio presero tutti una profonda boccata d'aria, e successivamente David si mise di fronte alla bionda, fissandola intensamente.
-Si può sapere che ti è saltato in mente?! Devi lasciarle perdere quelle lì, non dar loro corda! Anche io mi sono incazzato a sentirle parlare in quel modo di te e tua sorella, ma che avrei dovuto fare? Se ogni volta che sento le loro stronzate starei lì a polemizzare non vivrei più! E poi non credere che i giornalisti lasceranno passare inosservata al notizia! La pubblicheranno sulle loro stupide riviste da quattro soldi e ingigantiranno i fatti! Diranno che una delle misteriose ragazze presenti con la band ha picchiato una ragazzina solo perché l'ha guardata un secondo di troppo! Lo capisci che devi sempre fare finta di niente?! Non puoi permetterti di fare queste cose! Non farlo mai più, mi hai capito?!-.
Hanna per un primo momento non ebbe la forza di rispondere perché troppo impegnata a ricacciare indietro le lacrime.
-Scusa- riuscì poi a sussurrare debolmente, con la voce tremante.
Avrebbe voluto aggiungere che non l'aveva fatto apposta, che aveva perso per un momento le staffe a causa della stanchezza e dell'angoscia.
Ed anche per il suo caratterino irascibile, perché no.
Eppure non aveva più fiato nei polmoni.
Ma l'uomo sembrò capirla sul serio, e la abbracciò tanto stretta da farle quasi male.
-Lo so che t'è sfuggito, non preoccuparti. L'importante è che non lo fai mai più, d'accordo?!-.
David le prese il viso fra le mani asciugandole le guance e sorridendole incoraggiante.
Lei ricambiò inevitabilmente il sorriso, ed in quel preciso istante si sentì stringere la vita da due braccia non troppo forti, ed il fiato caldo di qualcuno sul collo.
-Stai tranquilla sorellina, io stavo per fare la stessa cosa. Tu hai solo avuto la sfortuna di anticiparmi-.
Han guardò la sorella dritta nelle pupille, ed un calore ben conosciuto le prese le viscere.
Sapeva che Lynet le stava dicendo quelle cose per tranquillizzarla, anche se non erano vere.
Poteva vantarsi di conoscere la sua gemella talmente alla perfezione che era certa del fatto che Lyn, in realtà, non era pronta a dire niente alla ragazza che le aveva insultate.
Anche se Hanna sarebbe stata zitta lei non avrebbe aperto bocca, perché sapeva che era meglio così.
Ma Lynet aveva sempre avuto un modo tutto suo per non farla sentire sola, ed Han ringraziò il cielo che ,anche quella volta, era stato così.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








 
 
 
[ *** ]
 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La villetta del manager era immersa nel buio della notte.
Le luci dei lampioni, grazie all'alta siepe tutt'intorno al giardino, creavano delle lunghe ombre che si riversavano sul prato e sulle pareti bianche della casa, rendendole più scure.
I due furgoncini dai vetri oscurati erano fermi davanti al grande cancello di ferro battuto col motore spento.
Gli autisti stavano aiutando David e le ragazze a togliere i loro bagagli dai bauli, appoggiandoglieli sul marciapiede lì accanto.
Improvvisamente, mentre Lynet stava per trascinare il suo trolley vicino al cancellino, vide una valigia non sua cadere pesantemente accanto a lei.
Si voltò sorpresa, trovandosi di fronte ad un alto ragazzo dai jeans attillati ed un cappotto grigio chiaro lungo fino a metà cosce, legato in vita da una cinta di media altezza.
Sollevò lo sguardo un po’ più in alto, fondendo le iridi con quelle nocciola di lui.
-Pensavi che ti avrei lasciata da sola stanotte?- le domandò retorico lui, sorridendo divertito dalla sua espressione piacevolmente stupita.
-Oddio, stai scherzando?- chiese lei quasi senza fiato, con gli occhi che le brillavano.
-Ti ho mai presa in giro, Lynet?-
-No, però... sì, insomma, non so come la prenderà papà...-
-Tranquilla, David sa già tutto. Anzi, è stato proprio lui a proporci di restare a casa vostra per stanotte-
-Davvero?- domandò ancora più sbalordita la ragazza, spalancando gli occhi in segno d'incredulità.
-Strano ma vero- rispose lui, prima di prenderle il mento fra due dita ed abbassarsi verso di lei per lasciarle un delicato bacio sulle labbra fredde e un po’ screpolate.
-Cosa? Stanotte rimani qui?- domandò Hanna presa alla sprovvista, appoggiando la sua valigia di fronte a loro -Sono contenta, però evitate di urlare troppo altrimenti non mi farete chiudere occhio!- terminò seria, per poi lasciarsi scappare un risolino divertito.
-Hanna!- la richiamò la sorella terribilmente in imbarazzo, che in quel momento stava ringraziando il cielo che fosse notte fonda e nessuno potesse notare il rossore sulle sue guance.
-In realtà questa battutina dovrebbero essere loro a farla a noi- si aggiunse improvvisamente un'altra voce, e tutti si voltarono verso il proprietario di quest’ultima, che si trovava proprio al fianco destro della biondina.
-Beh, ma adesso che c'entra? Se stanotte dormo da sola non poss...-.
Con gli occhi ancora puntati in quelli di Tom, la ragazza bloccò la frase a metà, accorgendosi del sorrisetto sarcastico che stava prendendo forma sul suo viso.
-Vuoi dire che...-
-Che resto anche io, sì- terminò lui per lei, sorridendole raggiante.
-Oddio, che bello amore!- rispose lei di slancio, saltandogli al collo.
Si accorse solo dopo del termine che aveva usato nei suoi confronti, e si sentì terribilmente in imbarazzo.
Avrebbe voluto rimanere abbracciata a lui per sempre pur di non doverlo guardare in faccia mai più, ma qualcosa le fece cambiare improvvisamente idea.
-Anche io sono felice di restare qui con te, amore mio-.
Il nodo tremendo che le si era creato nel bel mezzo delle viscere svanì velocemente così come si era formato, e dopo essersi allontanata leggermente da lui gli aveva sorriso raggiante, per poi baciarlo profondamente.
-Ehi, ehi, ehi! Lo so che state insieme, ma evitate di scambiarvi effusioni davanti a me, grazie-.
I quattro diretti interessati puntarono la loro totale attenzione sul manager, che aveva appena finito di togliere l'ultima valigia dal portabagagli.
-Grazie mille Lucas, buonanotte- disse all'autista.
-Buonanotte a te David, ed anche a voi ragazzi! Ci vediamo fra poco più di una settimana!- e, detto questo, l'uomo saltò nuovamente sul furgoncino e ripartì, sparendo dietro l'angolo della via.
La seconda vettura, invece, era ancora ferma sul ciglio della strada, e due figure stavano uscendo dall'abitacolo.
Georg e Gustav li raggiunsero, salutando il manager e i loro due amici di sempre, per poi avvicinarsi alle ragazze e stringerle in un caldo abbraccio.
-Buonanotte ragazze, e vedrete che andrà tutto bene- le incoraggiò Georg sorridendo, con però un pizzico di preoccupazione in fondo alle pupille.
-Mi scoccia ammetterlo, ma concordo con l'Hobbit- prese parola il batterista, trattenendo un sorrisino divertito sotto lo sguardo omicida del batterista -Sono sicuro che questa volta sarete voi ad averla vinta-
-Grazie ragazzi, siete veramente due persone fantastiche- li elogiò Lynet, con un nodo in gola.
-Si può davvero contare sempre su di voi, e ne ho avuto conferma ogni giorno da quando ci siamo ritrovati- disse Hanna, sorridendo a entrambi.
-Bene- esclamò il manager, sfregandosi le mani con l'intento di scaldarsele un po’ -Ora è meglio se ce ne andiamo tutti a casa a riposare-
-Hai ragione- rispose Georg -Beh, allora noi ce ne andiamo! Buonanotte a tutti, ci sentiamo domani!-.
Detto questo Gustav ed il castano salirono nuovamente sul furgoncino diretti verso casa, mentre David e le due coppie di gemelli si avviarono verso la villa.
Appena furono nell'atrio, l’uomo accese la luce, trovando tutto al suo posto e dall'impeccabile pulito di sempre.
-Comodo avere la donna delle pulizie anche quando sei via, vero David?- domandò sarcastico Tom, sorridendo sghembo verso il manager.
-Ti ricordo che ce l'hai anche tu, bello mio!-
-Ma io almeno l'appartamento me lo faccio pulire quando a casa ci sono anch'io, se no è inutile!-
-Guarda che Gìsela viene a fare i mestieri a casa vostra anche quando siete in tour!-
-E perché io non lo sapevo?-
-Perché sei un povero ignorante che non vede più in là del suo naso!-
-Guarda che...-
-Basta!- li interruppe d'un tratto Hanna, esasperata da quella inutile ed infantile "discussione" iniziata dal suo ragazzo solo per tormentare il povero manager -Che ne dite se ce ne andiamo tutti a letto? Sono stanca e mi fa male la testa, e giuro che se sento ancora qualcuno che al posto di sussurrare parla con un tono di voce normale do fuori di matto e vi rinchiudo in cantina dopo avervi imbavagliato come si deve, chiaro?!-.
Hanna notò, con la coda dell'occhio, che Bill e Lynet stavano trattenendo a stento una risata, mettendosi una mano davanti alla bocca e guardando da tutt'altra parte.
-Hanna ha ragione, finiamola qui e andiamo a letto che domani sarà una giornata particolarmente stressante! Poi non viene a trovarvi vostra madre?- domandò infine il manager rivolgendosi ai due ragazzi.
-Sì, dovrebbe arrivare verso le undici in aeroporto- rispose il cantante -Va a prenderla Georg e la porta al nostro appartamento-
-Ma come- proseguì subito dopo Lynet -Domani viene vostra madre e voi state qui con noi?-
-In questo momento siete voi ad avere più bisogno di noi. Vedrai che capirà- la rassicurò Bill, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed accarezzandole una guancia, mentre un sorriso ed uno sguardo dolcissimi gli illuminavano il volto.
Lei si ritrovò a fissarlo come un'ebete, completamente persa nei suoi occhi e fra i suoi lineamenti perfetti resi più sensuali dai vari piercing e orecchini.
-Ehm, io credo che... sì insomma, me ne vado a letto- borbottò imbarazzato ed anche un po’ imbronciato David, avviandosi verso le scale con la sua valigia.
-Papà!- lo richiamarono Lynet e Hanna, facendolo voltare -Ti vogliamo bene- dissero all'unisono, sorridendogli piene di gratitudine per tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto per loro due.
-Ve ne voglio tanto anche io. Ma ora è davvero meglio che me ne vado in camera mia prima che mi penta di aver fatto venir qui quei due a dormire!-.
Tutti e quattro scoppiarono a ridere, contagiando anche l’uomo, che riprese a salire le scale scuotendo la testa divertito.
-Ce ne andiamo a letto anche noi?- domandò Tom spostando lo sguardo su tutti i presenti.
-Sì, credo sia meglio! Io non mi reggo più in piedi!- esclamò Lynet, sollevata del fatto che qualcuno la pensasse come lei.
-Bene, ehm... volete farci strada, allora? Noi non sappiamo dove andare!- informò loro Bill, stringendosi nelle spalle.
-Certo, venite!- esclamò squillante Hanna, precedendo i ragazzi insieme a sua sorella -Tom, io e te dormiamo nella stanza degli ospiti, e la camera mia e di mia sorella la lasciamo a lei e Bill!-
-Nessun problema- concordò lui sorridendole, infondendo in lei un calore così famigliare e profondo che ancora non ci si era abituata, e probabilmente mai l'avrebbe fatto.
Quando Bill e Lynet raggiunsero la porta della loro stanza, si salutarono, e gli altri due proseguirono ancora un po’, fino ad arrivare alla loro camera.
Le pareti erano color ocra, ed il letto alla francese era sovrastato da un piumone dorato e da tre cuscini dalle federe ocra come le pareti.
Da entrambi i lati del letto c'erano due finestrelle sormontate da delle corte e leggere tendine giallo-oro in stoffa taffetà, e sotto di esse giacevano due piccoli comodini in legno bianco dalle rifiniture d'oro.
Infine, sulla parete sinistra della stanza, era posta una scrivania in legno di nocciolo, sovrastata da tre scaffali pieni zeppi di libri e, attaccato alla parete destra, si poteva trovare un armadio a due ante e quattro cassetti dello stesso colore della scrivania.
-Che carina che è questa stanza!- si ritrovò a dire Tom, non potendo fare a meno di notare quanto fosse ben arredata -Siamo sicuri che David non abbia scelto i mobili con l'aiuto di qualcuno?- domandò sarcastico, sollevando il sopracciglio sinistro.
-Ovvio che si è fatto aiutare! Si è fatto fare la bozza del mobilio dall'architetto d'interni!-
-Mica scemo-
-Direi proprio di no!-.
Entrambi ridacchiarono sottovoce, poi la ragazza sbadigliò e Tom, intenerito a quella scena, la spronò a cambiarsi ed infilarsi sotto le coperte.
Non ci misero molto ad infilarsi nei loro pigiami -nel caso del ragazzo una tuta grigia ed una maglia a mezze maniche blu scuro- ed infilarsi nel letto.
All'inizio le lenzuola ed il materasso erano freddi, così si abbracciarono stretti stretti l'uno all'altra nel tentativo di scaldarsi il più velocemente possibile.
-Brrr, che freddo!- esclamò Hanna nascondendo il viso nel petto di Tom ed avvinghiandosi a lui anche con le gambe.
-Tira giù quei piedi! Sono gelati! Cos'è, vuoi farmi morire assiderato per caso?!- chiese ridendo il trecciato, pizzicandole i fianchi con l'intento di stuzzicarla.
-Smettila Tom! Lo sai che odio il solletico!- lo rimproverò bloccandolo per i polsi -E comunque daiii, fammi scaldare un po’ i piedi sui tuoi, poi li tolgo, giuro!-
-Non è che mi danno fastidio. Il problema è che quando i tuoi avranno ripreso una temperatura normale, i miei saranno due blocchi di ghiaccio!-
-Adesso non fare il bambino- affermò un po’ imbronciata lei, guardandolo dritto negli occhi.
-Comunque, se ti interessa, conosco un metodo molto più divertente per scaldarsi, e non implica l'ibernazione dei miei poveri piedi innocenti- propose ammiccante, lanciandole uno sguardo malizioso e seducente.
-Ma sei pazzo?! E tu saresti in grado di farlo dopo un viaggio così?! Scusami, ma davvero non ne ho la forza!-
-Te la do io la forza, non preoccuparti di questo- cominciò lascivo, baciandole piano il collo e stringendole uno dei glutei fra la mano sinistra.
-Tom, smettila! Dai, non provare a tentarmi!- si oppose la ragazza, nonostante il tono della sua voce per niente fermo la smascherò in un secondo.
-Lo so che ti piace, ti sento tremare sotto le mie mani-.
A quelle parole, il cuore di Hanna fece un tuffo in fondo ai piedi, per poi tornarle su alla velocità della luce e cominciare a schizzarle impazzito in gola.
-Sei proprio indomabile, vero caro il mio Sexgott?!- domandò divertita lei, stringendogli le braccia attorno al collo e chiudendo gli occhi per godere maggiormente dei tocchi leggeri delle sue labbra sul suo corpo.
-Secondo te mi chiamano così per il niente?- asserì vanitoso, ed Hanna poté sentire perfettamente sulla pelle del petto le labbra di lui incurvarsi all'insù.
-Beh, un fondo di verità ci deve essere per forza, ma non credi che questa storia del "Dio del sesso" cominci a diventare un po’ troppo ridicola?- lo stuzzicò lei, incapace di non punzecchiarlo con qualche battutina sarcastica.
Lui, come lei si aspettava, alzò il di scatto il viso, incatenando le pupille a quelle di Hanna.
La luce era spenta, ma il bagliore dei lampioni che penetrava dalle finestrelle permetteva loro di distinguere i contorni dell’altro.
-Stai forse mettendo alla prova le mie doti? Guarda che poi te ne penti- ammiccò, stringendole il seno destro fra la mano grande e venosa.
Lei riuscì a trattenere a stento un gemito di piacere, e dei brividi intensi la invasero.
Dovette persino chiudere gli occhi per qualche secondo per assaporare quelle sensazioni fino in fondo.
-Mai giocare col fuoco- ribadì lui, cominciando a massaggiarle quel punto così delicato e sensibile come se stesse sfiorando i petali sottili e vellutati di una rosa.
-Tom, fermati ti prego- lo implorò lei con voce roca e bassa, con le palpebre ancora rigorosamente abbassate.
-Perché?- domandò interessato lui, continuando però a stuzzicarla.
-Perché nonostante abbia una voglia pazzesca di fare l'amore con te credo proprio di non potercela fare. Ho paura di crollare addormentata da un momento all'altro-
-Dai amore, il mio amichetto lì sotto sì è appena svegliato, lo vuoi mandare a dormire senza nemmeno un po’ di coccole?- azzardò con voce seducente, leccandole il lobo dell'orecchio sinistro.
Il fiato le si bloccò nel bel mezzo della gola, e le unghie le si piantarono automaticamente nella carne della sua schiena.
-Aggiudicate le coccole, allora- concordò lei, premendo le labbra contro le sue e baciandolo con passione.
Senza bisogno di mandare il comando al cervello, le loro mani trovarono da sole la loro strada, andandosi a rifugiare nell'intimo l'uno dell'altra.
I loro movimenti erano veloci e precisi, ormai ben consci di cosa piacesse al proprio compagno.
I loro denti mordevano avidi le labbra dell'altro, ed i loro sospiri e gemiti bassi non facevano altro che eccitarli maggiormente.
Non ci volle molto prima che entrambi raggiungessero l'orgasmo, sfociando in un unico, rauco, gutturale urlo soffocato.
Col fiatone e l'eccitazione ancora persistente nel loro corpo, si appoggiarono fronte contro fronte, e dopo essersi scambiati un ulteriore, caldo e lento bacio, si lasciarono rapire dalle braccia confortevoli di Morfeo.
 
 
 
 
 
 
 
 







 
 
 
 
[ *** ]
 
 
 









 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bill la osservava attento mentre lei si cambiava.
La luce fioca proveniente dall'esterno rifletteva sulla pelle ambrata della sua esile schiena, seguendone il profilo lungo la colonna vertebrale ben visibile.
Lynet, percependo il suo sguardo insistente addosso, si voltò verso di lui mentre era ancora intento a fissarla.
-Che c'è?- domandò lei confusa, ma comunque lusingata dalle sue attenzioni, aggrottando la fronte.
-Niente, mi piace guardarti- rispose lui pacato, scrollando le spalle.
Un sorriso intenerito prese vita sul volto di Lyn, e le gote le si accaldarono appena.
-Scusami, ma io sono stanco morto. Ti aspetto a letto- la informò, infilandosi sotto le coperte e rannicchiandosi fra di esse.
-Ti raggiungo subito, vado un secondo in bagno- lo avvisò lei, lasciando la stanza.
Quando tornò trovò Bill profondamente addormentato. Respirava lentamente e in modo leggermente rumoroso. La bocca era ancora chiusa, e sotto gli occhi c'era ancora qualche traccia di trucco appena sbavato, ed i lineamenti del viso erano morbidi e rilassati.
Vederlo così tranquillo e sereno le fece stringere il cuore.
Negli ultimi giorni non aveva scorto altro che preoccupazione, paura e stanchezza sul suo viso e nei suoi occhi.
Il loro colore nocciola era sempre rimasto un po’ più opaco da quando era venuto a sapere di Karoline.
Da quanto tutti ne erano venuti a conoscenza.
Una nuova ondata di terrore le trapassò le membra, facendola tremare.
Improvvisamente la penombra della stanza sembrava così scura ed impenetrabile, ed il freddo ghiacciato del pavimento sembrava esserle penetrato attraverso i grossi calzettoni di lana, sovrastandola fino alla radice dei capelli lunghi e scuri.
Ebbe anche un breve giramento di testa, ed in tutto quel caos il suo sguardo si aggrappò a l'unica cosa che, in quella stanza, avrebbe potuto farla tornare alla realtà.
Bill.
Il suo volto era la sola cosa che era in grado di distinguere in quel momento, e pure l'unico motivo per farsi forza e andare avanti nonostante non ne avesse la minima voglia.
Avrebbe voluto che quella notte sarebbe potuta durare per sempre, così da poter restargli accanto per un tempo infinito senza preoccuparsi di cosa sarebbe successo il giorno dopo, perché non sarebbe mai arrivato un domani.
L'avrebbe stretto forte fra le braccia e avrebbe dormito con lui fino alla fine del tempo, ed anche oltre.
E sarebbe stata davvero in grado di farlo, se avesse potuto.
D'altronde, da quando Bill l'aveva baciata, aveva capito che lui era tutto ciò che voleva, tutto ciò di cui aveva bisogno oltre sua sorella.
Certo, Hanna era la sua metà perfetta, e sempre lo sarebbe stata, ma nonostante questo aveva sempre sentito, nel profondo di sé stessa, di avere ancora un angolino spoglio e vuoto che nemmeno sua sorella era mai stata e mai sarebbe stata in grado di riempire e riscaldare.
E, da quando lei ed il cantante si erano dichiarati l'uno con l'altra, Lyn aveva capito immediatamente che, quel buco nel bel mezzo del suo cuore, era riservato a lui.
Quello era il posto di Bill. C'era inciso il suo nome ancora prima di incontrarlo.
Perché lei lo sapeva -eccome se lo sapeva!- che era sempre appartenuta a lui, ancora prima di conoscerlo.
Era come se qualcuno lassù li avesse creati appositamente per stare insieme, facendo sì che la vita li conducesse l'uno nelle braccia dell'altro, dove era giusto che stessero.
E Lynet non poteva essere più grata di così a chiunque li aveva aiutati a trovarsi.
Si sentiva così felice, così fortunata ad aver trovato la persona perfetta per lei in mezzo a tutti gli abitanti del pianeta.
Quante probabilità si possono avere di trovare la propria anima gemella? Così poche e così rare, eppure lei ce l'aveva fatta.
Lui ce l'aveva fatta.
Lynet non poteva credere di riuscire a provare un sentimento simile. Era talmente forte da essere impossibile da spiegare appieno.
Era come riemergere da acque gelate e profonde, come farsi scaldare dai bollenti raggi solari dopo una raffica di vento freddo e pungente. Era come veder spuntare il primo bocciolo verde dopo l'inverno lungo e buio, come guardare sé stessi allo specchio e sentirsi terribilmente giusti.
Perché è proprio questo che Bill era per lei: la sua contro-immagine. O meglio, la contro-immagine della sua anima.
Formavano una cosa unica, loro due e, nel suo profondo, l'aveva capito dal primo sguardo che si erano scambiati.
Ancora non riusciva a credere di averlo accanto ed in quel momento, nonostante fosse stanca morta, non voleva chiudere gli occhi.
Stava lottando con tutte le sue forze per tenere le palpebre sollevate, ma la fatica era sempre più grande e la sua forza sempre minore.
Aveva paura a lasciarsi andare, a cadere addormentata.
E se, svegliandosi, non l'avesse trovato al suo fianco? Se tutto quello fosse stato solo un sogno e lei si trovava ancora a Francoforte con sua sorella e sua madre? E se lei e Hanna non fossero mai fuggite, se tutto quello che aveva vissuto in quelle due settimane fosse solo un'illusione?
Non avrebbe saputo reggere il dolore di quella perdita, non più.
Avrebbe preferito morire piuttosto.
E, nel preciso istante in cui le palpebre non ce la fecero più a reggere, trovò ancora la forza di cercare la sua presenza accanto al suo corpo, e la trovò.
Sentì la sua consistenza ed il suo calore sotto i palmi delle mani, e si strinse a lui con disperazione, come se Bill fosse stato l'unico appiglio sicuro in mezzo al nulla più lugubre e spaventoso.
E capì che tutto quello non poteva essere un miraggio, perché lo percepiva, in ogni modo a lei possibile.
Il cuore che batteva lento ed inesorabile nella sua cassa toracica, il respiro lento e profondo, la temperatura calda della sua pelle, il suo profumo dolce e dal retrogusto fruttato, il sussurrare lieve e rassicurante della sua anima, che le confessava ogni suo sentimento.
Era lì, cavolo! Aveva avuto la fortuna sfacciata di averlo, ed ora poteva goderselo senza limiti.
In quel momento, talmente si sentiva scoppiare di gioia, il pensiero di Karoline e della fatidica resa dei conti non la spaventavano nemmeno un po’.
Anzi, a dire il vero non ci pensava nemmeno. Come poteva interessarsi a tutto il resto quando si trovava rannicchiata al calduccio sotto alle coperte avvinghiata a lui?
Proprio non era in grado di dedicarsi ad altri pensieri e, prima di addormentarsi, realizzò che tutto il resto del mondo non esisteva se aveva Bill al suo fianco, perché in quel momento tutto il suo mondo era solo e soltanto lui.
-Ti amo- le sfuggì inevitabilmente dalla bocca e, osservandolo per un'ultima volta, poté giurare di averlo visto sorridere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
[ *** ]
 
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La sveglia cominciò a trillare acuta, svegliandolo bruscamente.
Appena ripresosi dallo spavento iniziale, l’uomo azzittì quell’aggeggio infernale per poi stropicciarsi stordito gli occhi.
Rimase seduto sul letto per qualche minuto, finché trovò la forza necessaria di mettere i piedi fuori dalle coperte ed infilarli nelle ciabatte.
Sì alzò stiracchiandosi a lungo, accompagnando ogni movimento con qualche mugugno dovuto allo sforzo.
Grattandosi il capo si diresse fuori dalla sua camera da letto, chiudendosi in bagno per circa mezz’ora, il tempo necessario per farsi una bella doccia tiepida, rasarsi la barba, vestirsi e domare i capelli sempre un po’ ribelli.
Sceso al piano di sotto cominciò a prepararsi il caffè, apparecchiando il tavolo della cucina unicamente per sé.
Conoscendo le altre quattro persone presenti nella casa era certo che, prima dell’ora di pranzo, non si sarebbe fatto vivo nessuno.
Eppure si dovette ricredere dato che, appena si era seduto al suo posto per mangiare, Bill aveva fatto capolino nella stanza.
-‘Giorno Dave- lo salutò lui sorridente, pimpante come non mai.
-Ciao- ricambiò perplesso l’uomo -Come mai così arzillo stamattina? Ti rendi conto che sono solo le nove, vero?-
-Certo, e con questo?- domandò confuso il ragazzo lanciandogli una veloce occhiata sconcertata, per poi continuare a frugare fra le ante della sua cucina.
-Cosa stai cercando?- gli chiese il manager decidendo di chiudere lì il discorso, anche se gli sembrava un po’ troppo strano che il cantante fosse sveglio a quell’ora del mattino.
-Qualcosa da mettere sotto ai denti- rispose quasi distratto il moro, senza nemmeno girarsi a guardarlo ma andando avanti a cercare in ogni dove.
Come al solito devo fare tutto io, pensò esasperato Dave, ritrovandosi però a sorridere divertito.
-Lascia, faccio io. Tu siediti-
-Ma così ti si raffredda il caffè!- commentò in disaccordo il vocalist.
-Non preoccuparti, ci metto un attimo. E poi è troppo bollente- rispose lui pronto, sorridendogli per incoraggiarlo ad ascoltarlo.
-Ok, come vuoi- asserì il frontman alzando le spalle -Io intanto vado a chiedere a Lynet se ha fame-.
Detto questo il ragazzo fece per andarsene, ma poco prima di uscire dalla stanza si girò verso Dave, guardandolo dritto negli occhi.
-Grazie, comunque- proferì sorridendo, sperando che l’uomo capisse che, quel ringraziamento, non era solo per la colazione, ma per tutto ciò che l’uomo aveva sempre fatto per lui e gli altri tre ragazzi in tutti quegli anni.
E, senza aspettare una risposta da parte sua, Bill lo lasciò solo, non potendo così notare il sorriso paterno e lo sguardo fiero che gli avevano stravolto i lineamenti del volto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
 
[ *** ]
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il sole era già spuntato all’orizzonte, e lei l’osservava dall’oblò dell’aereo.
Il veicolo era praticamente vuoto, se non si contava la presenza di altre cinque persone oltre a lei.
Il biglietto le era costato un occhio dalla testa, ma sembrava non importarle minimamente.
Voleva solo arrivare ad Amburgo il più velocemente possibile e chiudere quella storia una volta per tutte.
Guardò l’orologio che portava sul polso.
Le nove del mattino.
In quel preciso momento il motore dell’aereo si accese, e percorse la pista per prendere velocità.
Durante lo stacco dal terreno, Karoline si sentì invadere dalla solita sensazione di risucchio allo stomaco tipica di ogni decollo, e l’adrenalina, provocata da ben altro, cominciò a scorrerle veloce per tutto il corpo.
Non sapeva se quell’irrequietezza era dovuta alla certezza di ottenere ciò che voleva, oppure, al contrario, alla paura di fallire miseramente.
Poteva soltanto sapere che ci voleva un’ora e un quarto per arrivare ad Amburgo, e quella consapevolezza la fece sorridere malignamente.
 
 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
[ *** ]
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-A che ora avete detto che arriva vostra madre?- domandò curioso il manager, osservandoli mentre finivano la loro colazione.
-Se non ci sono ritardi il suo volo atterra alle undici- lo informò il chitarrista, parlando con la bocca piena.
-Finisci di mangiare prima di parlare- lo rimproverò il manager, lasciandogli un’occhiata infastidita.
-Aha- asserì lui disinteressato, infilandosi l’altra metà del cornetto in bocca.
-Fai un po’ schifo, lo sai vero?- gli disse Hanna, tentando miseramente di apparire disgustata.
-Te lo si legge in faccia che non credi davvero a quello che hai detto- gli rispose sicuro, guardandola ammiccante.
-Vedila un po’ come ti pare- si difese lei, ostentando menefreghismo con una ben visibile scrollata di spalle.
-Ma siete sicuri che a vostra madre non dispiaccia? Insomma, viene qui apposta per vedervi e non andate nemmeno a prenderla!- domandò preoccupata Lynet, intervenendo anche per interrompere la discussione che entro poco si sarebbe scatenata fra Tom e sua sorella.
-Ti ho già detto di stare tranquilla- tentò nuovamente di tranquillizzarla Bill -Fidati di me, conosco abbastanza bene nostra madre per essere certo che non se la prenderà-
-In ogni caso chiedetele scusa da parte nostra appena la vedete- commentò la biondina, inquieta quanto la sorella di dare a Simone l’errata impressione di volerle portare via i figli.
-Potrete farlo voi direttamente, no?- le suggerì Bill, spostando poi lo sguardo su Lynet.
-No aspetta, volete farci conoscere vostra madre?!- esclamò agitata Hanna, chiedendo aiuto alla sorella col semplice uso delle pupille.
La mora aveva la sua stessa espressione stupita e agitata.
-E che problema c’è scusa?- tentò di capire il trecciato -Noi conosciamo vostro padre, perché voi non potete conoscere Simone?-
-Beh, ma è diverso!- polemizzò la sua ragazza, sempre più irrequieta.
-In cosa?- chiese Bill perplesso, cercando di capire cosa ci fosse di tanto male in quello.
-David è il vostro manager, lo conoscete da quando avete quattordici anni. Si può quasi dire che vi ha cresciuto, quindi è diverso!- chiarì Lyn, assecondando i pensieri della gemella.
-Io mi chiedo cosa sto ancora qui a fare ad ascoltare i vostri discorsi- mormorò il manager, alzandosi dal suo posto per dirigersi verso il salotto -Vado a guardare la tv-
-Dai papà!- esclamò ridendo Lynet, seguendo il manager con lo sguardo.
Però, prima che l’uomo riuscisse a raggiungere il salotto, il campanello di casa suonò, rimbombando minaccioso per l’intera villa.
Le risate si bloccarono a mezz’aria, e tutti vennero presi da un fortissimo batticuore.
Chi poteva essere a venti alle undici di un giorno di riposo vicino alla Vigilia di Natale? I componenti dello staff erano sicuramente al calduccio sotto le coperte dei loro letti, o in cucina a preparare il pranzo con le mogli, i mariti ed i figli.
Che fosse… lei? Ma di già? Perché non aveva aspettato ancora un po’ prima di tornare a tormentare Hanna e Lynet? Perché non lasciarle almeno un attimo di respiro? Era veramente senza cuore, allora.
-Vado… ehm, vado a vedere chi è- aveva avvertito David un po’ titubante, guardando prima i quattro e poi la porta.
-Papà…- mormorò Lynet appena lo vide avvicinarsi all’uscio di casa.
Hanna invece trattenne il respiro.
Il manager raggiunse la porta, esitando un attimo. La osservò preoccupato e, sospirando, afferrò la maniglia. La strinse talmente forte da farsi male, e le mani gli diventarono bianche dallo sforzo.
Poi, con un colpo secco e deciso, l’abbassò, aprendo l’uscio.
Di fronte a sé due ragazzi lo fissavano sorridenti con un vassoio in mano.
-Ciao Dave! Tutto bene?- salutò Georg, passandogli accanto per entrare in casa.
-Sei un po’ pallido- osservò Gustav con la fronte corrugata -Sicuro che vada tutto bene?-.
Il manager, a quelle parole, scoppiò.
-Davvero pensate che possa essere tutto ok?! Sapete che oggi arriverà Karoline, e voi spuntate così dal nulla chiedendomi come sto? Come volete che stia?! Male! Ecco come sto!-
-S-scusa David, hai ragione…- affermò il batterista abbassando il capo, sentendosi tremendamente in colpa.
-Avremmo dovuto avvisarvi, ci dispiace…- concordò Georg, venendo successivamente colpito (in modo molto poco delicato) al braccio.
-Aia Tom! Ma che cazzo fai?!- esclamò irritato, massaggiandosi il punto colpito.
-Sei un coglione! Hai presente che ci avete quasi fatto morire d’infarto?!-
-Allora perché non picchi anche Gustav?-
-Perché tu sei un passatempo più divertente- sogghignò il chitarrista, lanciandogli uno sguardo malizioso.
Georg sospirò sconfitto, stropicciandosi gli occhi.
-Ho come l’impressione che mi tormenterai fino alla fine dei miei giorni-
-Non hai idea di quanto il tuo intuito ci abbia azzeccato-
-Zitti un attimo!- li riprese il manager, facendo tornare il silenzio nella grande casa.
-In questo momento non dobbiamo litigare per nessuna ragione al mondo, d’accordo? Ora dobbiamo restare uniti e farci forza a vicenda. Riuscirete a stare tranquilli per un po’? Almeno per oggi?-.
Tutti i presenti si guardarono con apprensione, come a voler dare ragione al manager e firmare una specie di patto solo con l’ausilio dello sguardo.
-Bene, ehm… che avete portato lì?- domandò l’uomo, un po’ per curiosità, un po’ per sciogliere la tensione.
-Sono dei pasticcini. Avevamo pensato che li avreste mangiati volentieri- rispose pacato Georg, appoggiando il vassoio sul tavolo.
-Sei un tesoro!- affermò eccitata Hanna, strappando con foga la carta per prendere il primo bignè al cioccolato che aveva avvistato, metterselo successivamente in bocca tutto intero.
-Fai schifo!- le disse ridendo sua sorella, osservandola mentre masticava a fatica.
Tom, invece, le si avvicinò furtivo all’orecchio.
-Però, che bocca grande che hai…- gli sussurrò malizioso lui, allontanandosi un po’ da lei, che poté perfettamente notare il sorrisetto sghembo che aveva preso vita sul suo volto pressoché perfetto.
Hanna si ingozzò, cominciando a tossire.
-Ma sei scemo?!- riuscì a dire appena aveva ripreso il controllo delle sue vie respiratorie, squadrandolo in malo modo.
-Eh dai, lo sa che se non faccio qualche battutina allusiva non sto bene. Dopotutto sei tu che mi hai messo l’opportunità di farla su un piatto d’argento!-
-Tom, che hai detto ad Hanna?- si intromise il manager, assottigliando gli occhi sospettoso.
-Niente Dave, niente…- si affrettò a rispondere lui, per poi voltarsi nuovamente verso la biondina.
-Sei un maiale- aveva infine dichiarato lei, facendo spallucce mentre si puliva le labbra con un tovagliolo.
Tom stava per ribattere nuovamente, ma David lo bloccò prontamente.
-Ok Tom, ora è meglio se la finite! Lo sai che certe cose proprio non riesco ad ascoltarle…- aveva quasi supplicato l’uomo, cercando in tutti i modi di cancellare dalla sua mente le immagini delle sue bambine che avevano dei rapporti intimi con quei due.
Insomma, sapeva che ormai Lyn ed Hanna erano giovani donne, ma il senso di protezione nei loro confronti non era cambiato nemmeno di una virgola: per Dave loro due erano ancora le sue piccole bimbe da proteggere dai mostri nascosti sotto al letto.
-Il cannolo alla crema è mio, chiaro? Toccatemelo e siete morti!- li minacciò improvvisamente Gustav, lanciandosi letteralmente sul dolce.
-Ehi, a me lasciate la fiamma al cioccolato!- aveva esclamato il chitarrista, imitato poi da tutti gli altri a prendere una pastina.
Quando tutti stavano masticando allegramente, il campanello di casa suonò nuovamente.
-Deve essere Natalie- li avvertì il manager alzandosi da tavola -Le avevo mandato un messaggio circa un’ora fa per invitarla a stare qui da noi per il pranzo-.
L’uomo aprì la porta con sicurezza, trovandosi dinnanzi una donna bionda e della sua stessa altezza.
Ma non era ciò che lui si aspettava.
Indossava un tajer nero con gonna a vita alta e camicia bianca, scarpe col tacco in vernice ludica da dieci centimetri e teneva i capelli legati in un alto chignon tirato e ordinato.
Il naso sottile, così come le labbra, e gli occhi castano scuri come quelli di Lynet, con l’unica differenza che la ragazza non aveva quella luce maligna e perfida nelle pupille.
-Karoline…- mormorò stupito David, sperando con tutto il cuore che quella fosse solo un’orrenda allucinazione.
-David, da quanto tempo- ricambiò lei con un sorrisino sarcastico sulle labbra -Posso entrare?- domandò, senza però poi aspettare una risposta dall’uomo e varcare comunque la soglia.
-Vedo che ti tratti bene- gli disse poi guardandosi intorno, sinceramente stupita della bella villa che il manager aveva comprato.
Al solo sentire quella voce, le due ragazze si guardarono spaventate, correndo nell’atrio.
Quando la videro il loro cuore si fermò di colpo, per poi ricominciare a battere impazzito e cadere loro in fondo ai piedi, tornando successivamente su, nel bel mezzo della gola.
Lo stomaco si era completamente rivoltato, e l’intestino sembrava annodarsi di per sé.
Erano immobilizzate, del tutto prive della forza di muovere un solo muscolo, persino di respirare.
-Oh, ecco le mie bambine. Forza, il divertimento è finito, è ora di tornare a casa-.
Prima che qualcuno potesse dire qualsiasi cosa, i quattro ragazzi comparvero dalla sala da pranzo.
-Ah, ci siete anche voi! Mi stavo proprio chiedendo che fine avevate fatto-
-Non fa ridere- rispose scontroso Bill, fulminandola con lo sguardo.
-Non era mia intenzione infatti- esalò pacata, per poi rivolgere nuovamente l’attenzione sulle sue figlie -Non fatemelo ripetere un’altra volta. Andate di sopra a prendere le vostre cose e venite con me-
-Non ti permettere di dire loro cosa fare!- esclamò furibondo David, facendosi avanti e mettendosi fra Karol e le gemelle -Hanno diciotto anni e fanno quello che vogliono! Tu non puoi obbligarle in alcun modo!-
-Scommettiamo?- rispose del tutto sicura di sé, storcendo le labbra in un sorrisetto sghembo.
-No, non scommettiamo un bel niente!- berciò arrabbiata e ormai priva di pazienza la bionda -Sono stufa di giocare! È da tutta la vita che fai di noi ciò che hai voglia tu, ed ora mi sono decisamente rotta le palle!-
-Attenta ai modi, signorina!- la rimproverò l’avvocato, fulminandola con lo sguardo.
-Lei ti parla come cavolo le pare- la difese la gemella, ricambiando lo sguardo decisa.
-Bene, vedo che siete più stupide di quel che credevo. Sapete che state facendo tutte le scelte sbagliate, vero?-
-Ed anche se fosse?- rispose a tono Hanna -La vita è la nostra, e se commetteremo degli errori, beh, ben venga! Noi non ti abbiamo mai chiesto una vita perfetta e priva di sbagli, noi volevamo semplicemente godercela e imparare dai nostri errori! Ti è tanto difficile da capire?!-
-A me non interessa nulla di quello che volete voi. Dovete fare quello che vi dico io e basta!- esclamò furibonda la donna, con le vene del collo sempre più esposte -Ed ora filate di sopra a prendere le vostre cose che ce ne torniamo subito a Francoforte!-
-Non ci pensiamo neanche!- berciò arrabbiata Lynet -Stavolta non faremo quello che vuoi tu, mettitelo bene in testa!-
-Sentite, stupide ragaz…-
-No, senti tu!- prese parola il manager, puntando un indice intimidatorio contro l’ex moglie -Loro sono maggiorenni, e per legge possono fare quello che vogliono, non le puoi costringere! E, secondo, se proprio vogliamo parlare di legge, tu non è che l’abbia rispettata molto in questi ultimi anni, vero Karoline?!-.
La donna sbiancò improvvisamente, e la sua espressione impaurita la tradì per un attimo, ma che bastò a David per capire che lei aveva intuito dove l’uomo voleva andare a parare.
-Credo tu stia delirando, David- commentò lei tentando di essere il più credibile possibile.
-Non prendermi per il culo, Karol! Lo so che hai capito a cosa mi riferisco, ed essendo un avvocato dovresti pure saperlo meglio di me come funziona!-
-Ma di cosa state parlando?- chiese Bill senza riuscire più a resistere alla curiosità e, soprattutto, alla speranza di una soluzione favorevole alle ragazze.
-Quando le ragazze sono state affidate a Karoline, il giudice ha dichiarato che Hanna e Lynet avrebbero potuto vedermi quando avrebbero voluto, ed io avrei avuto il diritto di andare a trovarle ogni volta che ne avrei avuto occasione, ma Karol ha fatto tutt’altro che rispettare gli accordi, e questo non può che andare a suo svantaggio-
-In che modo?- domandarono le gemelle confuse, ma ormai col cuore già pieno di gioia.
-Il mantenimento potrà essere modificato a suo sfavore, e voi verreste affidate a me, mentre lei potrà vedervi solo in giorni prestabiliti e sempre affiancata da un’assistente sociale che la tenga controllata per impedirle di portarvi via di nuovo-
-Queste sono solo menzogne, non statelo ad ascoltare! Ora andate a prendere le vostre cose o giuro che me la pagherete cara!-.
Nel preciso momento in cui Karol aveva terminato di parlare, il ronzio di sirene in lontananza raggiunse le loro orecchie.
La donna si voltò preoccupata verso la porta ancora aperta della villa, capendo che la polizia si stava avvicinando sempre di più.
In un secondo puntò di nuovo il suo sguardo duro e furibondo sulla folla di persone presente di fronte a lei, facendo scorrere lo sguardo su ognuno di loro alla ricerca di un indizio che avrebbe potuto farle capire chi aveva chiamato le autorità.
Improvvisamente le sue pupille si bloccarono sulla mano di Gustav, che teneva stretto nella mano destra il cellulare.
I suoi occhi puntarono quelli del ragazzo, che ricambiò senza esitazione.
-Tu, piccolo sudicio…-
-Signora, stia ferma dove si trova!- gridò una voce profonda e sconosciuta sulla soglia di casa -Ora lei deve venire con noi in centrale-
-No, non potete farlo!- si ribellò Karol presa dal panico.
-Io invece ne ho tutto il dovere signora- commentò tranquillo l’agente, poggiando le mani sui fianchi -E se non farà come le dico, dovrò arrestarla per resistenza a pubblico ufficiale-
-Ma è una follia!-
-Non mi metta alla prova-.
La donna, sconfitta, asserì col capo, per poi voltarsi nuovamente verso David e le gemelle.
Non disse nulla però, si limitò a guardarli arrabbiata e fuori di sé, come a volerli maledire con la sola forza del pensiero, ed infine si girò incamminandosi verso la porta, raggiungendo l’auto della polizia di sua spontanea volontà.
-Grazie agente, davvero grazie!- disse David al poliziotto stringendogli forte la mano in segno di gratitudine.
-E di che? È il mio lavoro dopotutto! Ed ora state pure tranquilli, la signora non potrà più darvi problemi. Arrivederci-
-Arrivederci!- salutarono tutti insieme, osservando increduli e sollevati l’uomo che portava Karoline lontano da loro.
A quel punto, David riuscì finalmente a guardare le figlie, che stavano facendo lo stesso.
Le lacrime presero il possesso dei loro occhi, velando loro la vista.
Senza bisogno di dire alcuna parola, i tre si corsero incontro, abbracciandosi come non avevano mai fatto in vita loro, nemmeno quando si erano ritrovati qualche settimana prima in aeroporto.
I loro singhiozzi di gioia riempirono l’atrio, e alla loro stretta si unirono anche gli altri quattro.
-È finita bambine mie, è tutto passato- continuava a ripete il manager come un mantra, mentre le gemelle continuavano a farsi cullare dalle sue braccia.
-Ora finalmente potremo vivere insieme, e voi verrete con noi in tour se vorrete!-
-E ce lo chiedi pure?- commentarono entrambe le ragazze all’unisono, per poi scoppiare a ridere.
-Però se vengono in tour con noi le lascerai dormire nella stanza mia e di Bill!- esclamò sorridendo Tom, beccandosi un’occhiataccia dal padre delle gemelle.
-Tom! Mi puoi spiegare come fai ad essere così… così te anche in momenti come questi?- domandò sconvolta Hanna, osservandolo divertita.
-È più forte di me, che ci devo fare!-
-Per fortuna che anche se siamo gemelli non siamo del tutto uguali- mormorò Bill con l’intento di farsi sentire solo da Lynet, fallendo però miseramente.
-Oh ma grazie fratellino caro, anche io ti voglio bene!-
-Figurati, non c’è di che- si limitò a dire Bill serio, per poi scoppiare a ridere insieme a tutti gli altri.
Erano così euforici e tranquilli che ogni cosa risultava loro esilarante in quel momento.
Finalmente l’ombra scura e terrorizzante di Karoline si era dissolta nel nulla, come quando da bambino ti sembra di vedere una sagoma minacciosa nell’oscurità e, accesa la luce, ti accorgi che erano solo i tuoi vestiti appesi all’attaccapanni.
Ora avrebbero potuto stare insieme come una vera famiglia, e condividere ogni singolo momento insieme.
Avrebbero potuto vivere appieno la loro storia con Bill e Tom, assaporandone ogni sfumatura e ed ogni angolo nascosto, fino in fondo, oltre i limiti della conoscenza umana.
Non avrebbero dovuto dire addio a nessuno di loro, nemmeno a Gustav e Georg, nemmeno a Natalie.
Sarebbe stato tutto perfetto d’ora in poi, lo sentivano nel centro esatto del cuore, ora appagato e felice, non più timoroso del futuro.
Finalmente il fato aveva trovato il modo di farle stare dove dovevano essere sin dall’inizio.
Sembrava strano, ma in qualche modo ce l’avevano fatta a trovare il posto giusto per loro.
E chi lo sa se avrebbero trovato in ogni caso la giusta via per raggiungere la loro vera casa.
Voi che ne dite? Secondo voi, quante strade può offrirti il destino?
Infinite, io credo.
Ma, qualsiasi voi scegliate, in qualche modo vi porterà sempre allo stesso punto. L’unica differenza sta nel percorso da affrontare per arrivare al traguardo.
Quella, però, è tutta un’altra storia.

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