La maledizione del Capitano

di xlairef
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1: Sangue e miracoli ***
Capitolo 2: *** Cap 2: La chiamata di Sedna ***
Capitolo 3: *** Cap 3: In vino veritas ***
Capitolo 4: *** Cap 4: la strada verso casa ***
Capitolo 5: *** Cap 5: La memoria e la follia ***
Capitolo 6: *** Cap 6: La belva addormentata ***



Capitolo 1
*** Cap 1: Sangue e miracoli ***


Salve! Piccola nota per precisare: questa storia si è classificata terza (su quattro ^^') al Pirates Contest indetto da vibs88, e ci sarebbe anche un banner, prodotto da MyPride (lode e onore a te!) ma non riesco a caricarlo, per cui se qualche anima pia legge e sa come fare, me lo dica, please!Ecco tutto...^^ Ferenc non credeva nei miracoli, ma non ne aveva colpa: nemmeno sua madre, abituata al duro lavoro, ci aveva mai creduto molto.
Perciò, nel momento in cui il fuoco si propagò alla vela maestra della fregata, non sprecò il poco tempo che gli rimaneva in vane speranze di soccorso, ma afferrò una sciabola dalle mani ormai rigide del suo tenente e si preparò a morire come un buon marinaio, assieme alla sua nave.
Non c’era bisogno di riflettere molto per capire che la battaglia stava per finire: il fuoco aveva avvolto la coperta della nave, e iniziava ad infilarsi nei boccaporti; l’odore nauseabondo di catrame e di sangue bruciati si univa alle urla di rabbia degli ultimi compagni di Ferenc, e agli ululati di vittoria della ciurma pirata, che stava rapidamente terminando il saccheggio.
I grandi iceberg che si innalzavano per centinaia di piedi sul livello del mare, incombendo sulle due navi avversarie, riflettevano i bagliori dell’incendio, il quale aveva fatto assumere ai ghiacci una tinta sporca, come se fossero anch’essi insanguinati. Sembrava quasi che immense torri stillanti sangue assistessero all’inevitabile destino della nave sconfitta.
Non appena il fuoco avesse raggiunto la santabarbara, l’esplosione avrebbe cancellato ogni traccia dell’esistenza della Flare, e con essa quelle del suo sfortunato equipaggio.
Per questo Ferenc non ebbe esitazioni, e nonostante le ferite si lanciò contro gli ultimi saccheggiatori, cercando una morte onorevole e rapida nella difesa della sua nave, il che era una cosa abbastanza insolita per un semplice mozzo.
Tra il fumo e il fuoco si batté con ostinazione, gettandosi contro i predoni che avrebbero preferito affrettarsi a mettere una buona distanza tra sé e la nave sul punto di esplodere, non curandosi del dolore che le ferite sempre nuove gli infliggevano, né della condensa dovuta al clima gelido, una nebbia che odorava di morte.
“Spostatevi.”
Il ringhio sommesso ebbe l’effetto di far sparire gli avversari di Ferenc, che si guardò intorno, cercando di distinguere il proprietario della voce. Una lama insanguinata sibilò velocemente davanti al suo naso.
Ferenc si scostò di lato, inciampando nei suoi stessi stivali: tentò di rispondere ai colpi del suo invisibile avversario, ma dopo poco era a terra, finalmente, e i suoi occhi furono rapidamente coperti da un velo di sangue.
Forse fu per questo che la sagoma che avanzò verso di lui nel momento della fine gli parve dello stesso colore maledetto.
“Che cosa abbiamo qui?”
La voce era roca, ma il mozzo non riuscì a distinguere il suo proprietario, il quale parve aver ottenuto la risposta che desiderava: “….ci serve uno nuovo…” Le sillabe divennero indistinte nella mente di Ferenc. Prima di sprofondare nel buio, sentì che qualcuno lo sollevava, poi il dolore ebbe la meglio: l’ultima cosa che vide fu un volto senza lineamenti, rosso come il sangue.
I miracoli a volte avvengono davvero.
 
 
 
 
“Pesn’samana…”
Una cantilena incessante fu ciò che Ferenc ricordò in seguito del suo lungo viaggio tra la vita e la morte.
Le sillabe, sussurrate una dopo l’altra, erano come colpi di un martello sulla zona che (a poco a poco se ne rendeva conto) era la sede del cuore, dell’anima, del cervello, delle gambe…Con la consapevolezza arrivò il dolore, e di nuovo tutto fu rosso.
 
 
 
“Yao…Chi yao…”
Fu svegliato da un gracidio e da uno sputacchio.
Il primo provvide a perforagli la testa, facendogli capire di averne ancora una sulle spalle; il secondo contribuì a inumidirgli il viso, portandolo a comprendere che, dopotutto, era ancora nel solito, vecchio mondo.
“Zaogao de haizi…cai chi chuang le….” Gracchiò qualcuno, e altra saliva lo raggiunse.
Ferenc aprì con fatica gli occhi: una lama di luce ferì la sua vista, ma gli consentì di scorgere qualcosa davanti alla sua faccia.
Un mostro.
“Yahhhhhh!!!!!” Il ragazzo si liberò della pelliccia che lo copriva e saltò indietro, terrorizzato: subito una fitta di dolore lo percorse dalla cima della testa alla punta dei piedi.
Il mostro rugoso allungò un artiglio, e parve inquietarsi.
“Biè…Biè…”
Cercò di avvicinarsi a Ferenc che, in preda al panico, afferrò la prima cosa che gli capitò sottomano, e si ritrovò a minacciare l’essere spaventoso con quello che sembrava essere un gambo di sedano, piuttosto appassito.
“Ehilà! Ti sei svegliato!” Un’altra voce, e il suono di alcuni passi che scendevano sottocoperta. (“Una nave...” Si rese conto Ferenc.) “In piena forma, a quanto vedo…Su, su: non è il caso di sventolare le medicine di Ma Cheng sotto il naso di Ma Cheng…” Una mano dalla presa sicura tolse il sedano dalla stretta di Ferenc. “…Soprattutto se devi a lei la tua salute, non trovi?”
Ferenc si girò, e si trovò ai piedi di un uomo magro, dal viso affilato, vestito con (e qui il mozzo sbatté le palpebre per essere sicuro)  una casacca di lana scintillante.
Rosa.
“Orbene, immagino che ti sentirai ancora stanco, provato, debilitato, e così via, giusto?” Senza curarsi dello sguardo stralunato del ragazzo, l’uomo in rosa lo afferrò per la collottola e lo alzò in piedi. “Bene, come dire? Non ha la minima importanza!” Esclamò allegramente, e diede a Ferenc una manata sulla spalla che mandò il ragazzo di nuovo lungo disteso a terra.
“Tutto bene?” Si informò l’uomo, mentre Ma Cheng, infagottata nelle proprie pellicce, agitava minacciosamente una serie di amuleti e di talismani nella sua direzione.
“Se tu non tentassi di uccidermi ancora una volta, forse si…” Biascicò il mozzo, scostandosi i capelli biondi dagli occhi e rialzandosi a fatica.
“Un fine umorista, a quanto vedo…Abbiamo fatto un vero affare questa volta con la tua nave…”
“Cosa…Che cosa intendi dire?”
 L’uomo continuò senza badargli: “Che bottino, signori miei, e con che facilità…”
Non poté continuare, perché Ferenc gli saltò al collo con un grugnito di rabbia: dopo pochi istanti il ragazzo era di nuovo a terra, questa volta sanguinante.
“Ascoltami bene ragazzo.” L’uomo socchiuse gli occhi, gelido. “Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte, eccetto che a trenta piedi sott’acqua.”
“La mai nave…avete ucciso i miei compagni…Tutti…”
“Quella nave non esiste più: ora sei parte dell’equipaggio della Dragonfly, e prima lo capirai meglio sarà.” L’uomo lo guardò, ora meno minacciosamente. “E, credimi, poteva andarti peggio…”
“Quale sarebbe stato il peggio?” Domandò ironico Ferenc, rimettendosi in piedi.
L’uomo allargò le braccia e sorrise.
“Mai sentito parlare di esche vive?”
 
 
 
“I tuoi compiti saranno due.” Enumerò l’uomo in rosa, salendo sopraccoperta con Ferenc alle spalle. “Ramazza.” E ne lanciò una dietro di sé, colpendo dritto in faccia il mozzo. “ E secchio.” Concluse, ripetendo il movimento, con il risultato che, girandosi, poté ammirare Ferenc del tutto zuppo d’acqua sporca, completo di secchio rovesciato sulla testa.
“Non gingillarti e seguimi.” Ordinò poi, non appena il mozzo aprì la bocca per protestare.
Il ragazzo mise a tacere la rabbia, e controvoglia salì in coperta: non appena emerse con la testa la gelida brezza del vento polare lo colpì in pieno, causandogli una fitta di dolore alle ferite non ancora rimarginate totalmente.
Sbattendo gli occhi per contrastare il baluginio bianco del cielo e del mare, osservò per un istante le grandi vele spiegate,  indistinguibili dal paesaggio circostante, prima di essere trascinato via dalla sua guida.
“…E quello è Ben, il timoniere, sente la rotta con il naso…” Ferenc si accorse di aver perso buona parte del discorso. “Questione di fiuto, penso. Ah, ecco Herald, il carpentiere. Herald, ti presento il mozzo.” Un uomo immenso e rubizzo passò loro accanto con un grugnito. “Brav’uomo, ma beve come un porco…” Confidò l’uomo in rosa a Ferenc. “Liam è il cuoco: non sa cucinare, per cui vedi di arrangiarti a pescarti la cena. Asa, laggiù, quello nero, è il capocannoniere, mentre il capelli verdi accanto a lui è il quartiermastro, Van: non chiedergli nulla riguardo ai merletti, mi raccomando…”
“Perché proprio sui merletti?” Chiese Ferenc, suo malgrado incuriosito, ma l’uomo proseguì imperterrito.
“Ecco, Terent non fa altro che pensare alla madre lontana, ma è uno degli uomini più feroci in combattimento: stagli distante, in quei momenti…Puoi cominciare da qui.” Disse, fermandosi all’improvviso.
Ferenc per poco non andò a sbattere contro la casacca rosa.
“Ci sono domande, prima che me ne vada? No, non puoi dar fuoco alla nave; no, non puoi bere né giocare d’azzardo prima e dopo il coprifuoco, non puoi andare a puttane se non nei porti e non puoi disobbedire agli ordini di un tuo diretto superiore, ovvero tutti, su questa nave…”
“E tu chi saresti per dirmi tutto questo?” Sbottò infine il ragazzo.
L’uomo si colpì la fronte con la mano: “Perdona la maleducazione: io sono Phineas, il secondo. Piacere di conoscerti e tutto il resto. E ora, al lavoro.” E fece per andarsene, ma la domanda di Ferenc lo bloccò.
“Chi sono quelle?” Chiese il mozzo, stupefatto, guardando il castello di prora. “Donne a bordo? Ma le donne non…”
Phineas si girò di scatto, e gli abbassò la testa.
“Ma che cos…?”
“Non dire niente di cui potresti poi pentirti, ragazzo.”
“Il mio nome è Ferenc.” Digrignò i denti lui.
“Ferenc. Loro sono i capitani della Dragonfly.” Disse il secondo, e allentò la presa sulla testa di Ferenc: i due osservarono assieme le due donne. Una di loro, avvolta in una pesante cappa blu come la notte polare, era immersa in una cupa contemplazione del cielo lattiginoso. Il suo volto era sfregiato da lunghe cicatrici rossastre, che andavano dalla fronte al mento. Le armi che spuntavano da ogni angolo della sua giacca non aiutavano a renderla meno inquietante.
La donna in rosso invece, diversa dalla prima come il giorno dalla notte, con un sorriso malizioso, si voltò verso il secondo, salutando lui e il nuovo mozzo con la mano. Le trecce color papavero le piovvero sul volto, nascondendone per un istante l’incredibile capacità di apparire estremamente giovane un momento, tremendamente maturo l’attimo successivo.
 Il secondo rispose al saluto.
“Sai, qui tra la ciurma esiste un detto…” Commentò poi, vedendo lo sguardo di Ferenc fisso sull’ultima donna. “Se stai combattendo, e intendi annientare tutti i tuoi avversari, chiama Capitan Mary…” e indicò la donna rossa. “Ma se intendi salvarti la pelle, dopo, prega il cielo che Capitan Sue passi di lì in tempo…” E indicò la donna blu.
“Che cosa intendi dire?”
“Stai lontano da Capitan Mary e non dovrai scoprirlo….Benvenuto sulla Dragonfly.”
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 2
*** Cap 2: La chiamata di Sedna ***


Il rollio della nave, che solcava con il vento a favore le acque costellate di ghiaccio del Mare Ultimo, faceva dondolare i rami dei candelieri appesi al lampadario della cabina dei capitani, e rendeva nervosa Sue, poiché aveva su di lei l’effetto di rilassarla e di farle abbassare la guardia.
Perciò sbatté gli occhi, che aveva chiuso per un istante, e mise a fuoco ciò che la circondava: le pareti spoglie, adornate da carte nautiche per il possesso delle quali avrebbero dato la vita in molti, le sedie e la scrivania consunte, i vetri sporchi delle finestre che davano sulle onde più in basso, la sorella che, seduta sulla scrivania, la guardava divertita.
“Ti capita mai di dormire, ogni tanto?” Le chiese quest’ultima.
“Solo se me ne do il permesso.”
Mary non replicò, e rivolse l’attenzione al mare. “Se questo vento resiste, riusciremo ad arrivare alla Torre in meno di tre giorni…” Osservò.
“Sei impaziente di sbronzarti di nuovo, sorella mia…”
“Tu non sai davvero cosa sia il divertimento, Sue…” La donna in blu si strinse nelle spalle, controllando mentalmente che il suo equipaggiamento d’armi fosse in ordine. “Forse dipende dall’addestramento che hai ricevuto in marina a Vadek…” Aggiunse Mary, pensosa.
Sue non rispose, e la sorella subito si maledisse in silenzio per aver accennato a quell’argomento. Con un salto scese dalla scrivania, e si avvicinò ad una delle vetrate sporche: la superficie rifletté a fatica un volto che dimostrava ben poca maturità, coperto di lentiggini e avvolto da lunghe ciocche rosso fuoco, che sfuggivano ribelli da uno chignon in cima alla testa. La donna, o ragazza che sembrava, si sistemò meglio la capigliatura.
“Il nuovo mozzo non è male, non trovi?”
Sue si rabbuiò immediatamente.
“Non pensare a cose di cui poi ti pentiresti…”
“Perché tu mi conosci bene…” Sospirò Mary, staccandosi dal vetro. Un’onda più forte delle altre fece beccheggiare lo scafo. “Già, hai ragione, me ne pentirei davvero…dopo…come sempre…” Guardò la sorella, imperscrutabile come al solito, il viso giovane invecchiato anzitempo. “Per quella gran puttana di nostra madre, Sue, come puoi essere sempre nel giusto?”
“Forse dipende dalla voce del mio totem…” Sorrise l’altra.
In quel momento, il mondo si fece buio.
“Che cosa sta succedendo?” Chiese Ferenc, alzando gli occhi dalle assi del ponte.
“Niente di buono, figliolo…” Fu Terent a rispondergli, passandogli accanto di corsa, per andare ad aggrapparsi alle catene dell’ancora. Il mozzo vide che ogni membro della ciurma si affrettava a fare altrettanto, e, abbandonati secchio e ramazza, li imitò: appena in tempo.
La Dragonfly andò a sbattere contro un muro invisibile, fatto di aria e di frammenti di ghiaccio che scintillavano nell’aria tersa. Dopodiché si inabissò nel profondo del mare.
 
 
“Ci risiamo.”
Mary si fece largo tra le sedie e la scrivania, che le erano quasi rovinati addosso a causa del brusco urto. Sue si alzò dal pavimento di assi, e strinse più forte la presa sulla carabina che portava al fianco.
“La mia spada preferita…” Si lamentava intanto la sorella, china su un cassettone rovesciato da sotto il quale spuntavano alcune sottili lamine di metallo. “Questa volta la uccido.”
Sue non rispose, e aprì la porta della cabina.
Non un muscolo del suo viso lasciò intendere che era colpita dallo spettacolo che si svolgeva sotto i suoi occhi, uno spettacolo che negli ultimi dieci anni era diventato fin troppo familiare.
La nave sprofondava negli abissi oscuri dell’acqua, lasciandosi dietro una scia di schiuma in cui nuotavano vari tipi di pesci polari. Sul ponte fluttuava la solita nebbia iridescente che permetteva agli uomini di respirare, ma non li proteggeva dalla velocità spaventosa con cui la nave scendeva nei flutti sempre più bui.
Sue si aggrappò ad una trave, e si issò a fatica sul ponte di comando, dove di lì a poco la raggiunse Mary.
Un istante più tardi l’imbarcazione si arrestò.
“Ecco, è arrivata…” Sussurrò qualcuno della ciurma all’orecchio di Ferenc, il quale aveva le mani rosse per la forza con cui si era aggrappato ai grossi anelli della catena.
“Chi? Il demone dei sette mari?” Sbuffò il mozzo.
“Ci sei vicino, ragazzo, ci sei vicino…”
I due capitani si girarono all’unisono verso un punto dietro le loro spalle, da dove scaturì un lampo di luce rossa: dal bagliore nuotarono verso la nave tre enormi balene, che si fermarono accanto alle fiancate della Dragonfly.
 “Sedna…Che sorpresa…Ti ucciderebbe usare altri metodi per fare due chiacchere?” Chiese Mary rivolgendosi alle onde vuote.
“Ho un nuovo compito per voi.” La voce era roca, inquietante, e Ferenc si ritrovò a tremare, assieme al resto della ciurma, per il timore crescente.
“Che cosa vuoi?” Sue saltò seccamente al nocciolo della questione.
“Niente che voi non possiate fare…” All’improvviso, dietro le due capitane si materializzò qualcuno.
Una dea.
“Ho avuto una piccola discussione con l’imperatore di Vadek…” Esordì Sedna, agitando il lungo groviglio di capelli neri, che la rivestiva interamente, con aria languida.  “…A seguito della quale il caro vecchietto è entrato in possesso di un piccolo e inutile oggettino, di valore puramente sentimentale, ma che vorrei avere di nuovo tra le mani…”
Le due sorelle si guardarono. Mary prese la parola: “Puramente sentimentale? Come lo specchio della volta scorsa?”
“Oh, tesoro, non posso proprio ricordarmi…”
“Quello per cui abbiamo navigato fino a raggiungere i deserti ardenti di Ghiela? Quello per cui le tribù nomadi di Feren ci hanno inseguito per giorni tra le foreste pietrificate? Quello per cui per poco non ho perso un occhio e tre uomini della ciurma?”
Ma Sedna si era già voltata verso Sue. “E’ di vitale importanza che tale oggetto, ripeto, di valore sentimentale, torni da me entro il plenilunio…”
“Mi stai ascoltando?”
“…Altrimenti le conseguenze potrebbero…”
“Lasciami indovinare….” La interruppe Sue, sarcastica. “ Le conseguenze potrebbero avere risultati apocalittici per il mondo intero?”
“Precisamente…” Sedna sorrise, mostrando i denti affilati. “Per cui dovrete restare in vita almeno fino a quando non mi riporterete l’oggetto…Questo totem….” E agitò una mano priva di dita, creando dal nulla un’immagine di fumo, che riproduceva un piccolo totem, una balena.
Sue impallidì. “Non può essere….Non è possibile!”
Sedna annuì, improvvisamente seria. “Invece è proprio quel totem…Capite adesso?”
“Com’è potuto succedere?” Domandò Mary. “Cioè, spiegami…Eri sbronza, o cosa? Come hai potuto fartelo rubare da sotto il naso?”
“Di questo non dovete occuparvi.” Rispose Sedna, gli occhi improvvisamente ridotti a due fessure di ghiaccio furenti. “Pensate solo a recuperarlo, e nessuno si farà male…non troppo, perlomeno…”
“Non abbiamo possibilità di scelta, vero?” Chiese Sue, stringendo l’elsa dello spadone convulsamente.
La divinità rise, portando davanti alla bocca i monconi delle mani. “Certo che no, tesori miei…Considerando tutto quello che ho fatto per voi…”
Entrambe le sorelle non replicarono.
Sedna si ritenne soddisfatta: “Molto bene…Ricordate, entro il plenilunio, e nelle mie mani…” E istantaneamente, così com’era arrivata, scomparve alla vista.
La Dragonfly, con uno scossone, si raddrizzò e iniziò a risalire a tutta velocità, fino a riemergere con grandi spruzzi sulla superficie del mare, dove era calata ormai una notte senza luci.
Mary scese sul ponte a controllare se disponeva ancora di una ciurma. “Allora, uomini…” Si rivolse ai vari membri dell’equipaggio, distesi in diversi modi sulle assi attorno all’ancora, con innumerevoli parti del corpo doloranti. “E’ stato divertente anche questa volte, non trovate anche voi?” Chiese con un gran sorriso. “Dobbiamo rifarlo più spesso, non siete d’accordo?”
La ciurma mugugnò qualcosa di irripetibile.
Phineas fu il primo a rialzarsi da terra: “Capitano, ordini.”
“Rotta verso la Torre…E in fretta.”
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 3
*** Cap 3: In vino veritas ***


Nemmeno i gabbiani polari osavano addentrarsi nei meandri delle Isole Fossili: perfino gli impavidi pennuti preferivano cambiare rotta, per non dover attraversare il dedalo di canali e di iceberg dove i venti spiravano incostanti e traditori, pronti ad approfittare del primo momento di distrazione di ogni essere vivente che si fosse addentrato tra le terre abbandonate da millenni, ormai divenute un tutt’uno con le lastre di ghiaccio.
Non una focena, né un dragone, nemmeno i trichechi abitavano le coste spoglie, scintillanti di innumerevoli spigoli bianchi di gelo.
Questo era il luogo che generazioni di predoni e filibustieri aveva eletto come covo, casa e occasionalmente come camposanto: qui si ergeva la Torre.
Invisibile ai coraggiosi che si fossero messi alla sua ricerca, a meno di conoscere la via tra i tortuosi canali, il leggendario covo era scavato nel ghiaccio di un enorme iceberg, alto più di cento piedi, in cui trovavano posto botteghe, abitazioni, bordelli, locande, dedali di vie, riscaldati e illuminati dalle luci di mille e più fuochi, che permettevano lo svolgersi della vita in comune.
Nessuno che non fosse un avventuriero incallito dalle lame di molteplici battaglie aveva accesso qui, nella cittadella dei pirati del nord del mondo.
Nessuno che non fosse un pazzo avrebbe mai provato ad entrarvi.
 
 
Riguardo alle avventure, Ferenc aveva un’opinione tutta sua particolare, in altre parole: le avventure significavano guai, per cui era meglio restarne alla larga. Sfortunatamente, l’atmosfera della Dragonfly, e ancor più quella della Torre, sembrava attirare proprio questo genere di guai.
Il ragazzo scosse la testa, abbattuto dal pensiero, mentre posava sul tavolo sporco della locanda il boccale di birra bollente.
“Ehi, mozzo!” Lo apostrofò con voce impastata di alcool Herald, il carpentiere. “Se non sei in grado di scolarti in un sorso solo una pinta di quell’acqua sporca che qui chiamano birra, non sei degno di essere chiamato mozzo…”
Tentando di ignorare le ondate di commenti salaci che la battuta aveva richiamato, Ferenc scrollò le spalle, concentrandosi sul monologo di carattere storico che il secondo stava sciorinando da più di un’ora.
“…E quando l’ imperatore fu assassinato, il trono passò al nipote, Grimendel, l’attuale vecchio porco, che impose la legge marziale e tutto il resto…Ma se la seconda moglie del cognato del defunto marito della giovane reggente avesse fatto valere i diritti del figlio adottivo, allora forse, con l’appoggio della guardia imperiale…”
“Aspetta, aspetta…mi ero fermato al figlio del secondo cugino cadetto del ciambellano…”
“In tal caso hai perso la parte migliore della vicenda!” Protestò Phineas addolorato. “Devo ricominciare tutto da capo!”
Ferenc sogghignò. “Dimentica la storia, e dimmi come fa il secondo di una nave pirata a conoscere così bene i fatti privati dell’Impero.”
“Lunga storia…Che prevede l’intervento di un sarto, una concubina, e un cespo di lattuga... Una vita fa ho avuto modo di trascorrere del tempo con un uomo istruito…”
Venne interrotto da un urlo belluino, proveniente da uno dei tavoli accanto.
“Non mollare Herald!”
Il povero Herald però si accasciò proprio in quel momento tra lo sporco sotto al tavolo, lasciando vuoto il suo sgabello.
“Allora!” Una voce femminile risuonò nella taverna. “C’è qualcun altro in grado di sfidarmi?”
Capitan Mary si alzò in piedi sopra il tavolo, reggendo sopra la testa una bottiglia di brandy.
“Nessuno?” Domandò agli uomini radunati in cerchio attorno a lei. “Non c’è nessun uomo in grado di bere più di una donna?”
“Nessuno all’altezza di voi, capitano!”
Le labbra di Mary si stirarono in un ampio sorriso. “Allora dovrò scegliere da me il mio avversario…” A quelle parole tutti si zittirono. 
La donna saltò a terra, e percorse a grandi falcate lo spazio tra i tavoli. Se qualcuno avesse ben osservato, avrebbe notato che istintivamente ogni filibustiere retrocedeva al suo passaggio, quasi per non varcare il confine invisibile che separava la donna dal resto del gruppo: Capitan Mary si sbronzava con la ciurma, ma non assieme ad essa.
“Vediamo…Voglio un bevitore incallito….Anzi, no!” Decise infine. “Voglio un volto nuovo…Tu!” E si fermò davanti a Phineas e Ferenc.
“Tu, mozzo!” Ordinò, puntando un indice verso Ferenc. “Ti sfido alla gara del guardiamarina!”
“Sostanzialmente, dovete bere fino a che uno di voi non cede…” Spiegò Phineas a Ferenc, mentre quest’ultimo veniva portato da una folla in tumulto fino al tavolo di Herald. “Se perdi, lo sfidante, in questo caso il capitano, può decidere quale pena infliggerti…Nel migliore dei casi sarai appeso all’albero maestro durante la prossima tempesta di neve…”
“E se vincessi?” Sussurrò Ferenc, sedendosi.
“Non ci provare nemmeno…”
“Basta con le chiacchere! E’ tempo di bere!” E Capitan Mary svuotò il boccale di brandy in un sorso solo, dando inizio alla gara.
 
Mezz’ora più tardi, Ferenc era ancora seduto al tavolo: questo gli aveva fatto guadagnare una sempre più larga schiera di sostenitori, in primis Phineas, il quale, abbandonato ogni scrupolo, si stava sgolando in urla di incoraggiamento.
“Forza, ragazzo! Un altro bicchiere ancora!”
Ferenc sollevò con fatica il boccale (o erano tre i boccali?) e lo portò alla bocca, sotto lo sguardo sornione del suo capitano.
“Non sei stanco, mozzo? Non preferiresti abbandonare?” Domandò, vedendo la testa del ragazzo ondeggiare pericolosamente dopo aver tracannato l’ultimo sorso di liquore.
“Il mio nome è Ferenc, capitano…” Balbettò il mozzo, afferrando la bottiglia e versando ancora brandy, ormai allo stremo.
“Ferenc…” Mary assaporò il nome assieme ad un altro bicchiere. “Credo che un giro di chiglia ti potrebbe piacere davvero…”
“Adesso basta.”
Nella taverna cadde il silenzio.
La turba di uomini si aprì per lasciar passare Capitan Sue: la donna puntò dritta su Mary, senza badare a nessun altro.
Solo la sorella finse di non vederla, e sfidò di nuovo Ferenc: “Dai, mozzo, bevi!”
Sue le mise una mano sulla spalla. “Mary, torniamo alla nave. Sei ubriaca.”
Con una mossa repentina Mary le afferrò il polso e la sbatté sul tavolo, rovesciando le bottiglie vuote.
“Non dirmi quello che devo fare, sorella…” La minacciò.
Altrettanto rapidamente Sue fu di nuovo in piedi, e le torse il braccio dietro la schiena. Mary scoppiò a ridere: “Tutto qui? Ti sei rammollita, forse?”
“Torniamo alla nave.” Ripeté quietamente Sue, e qualcosa nella sua voce fece rabbrividire Ferenc nel midollo delle sue ossa.
Mary rise di nuovo, con una luce folle nello sguardo, e provò a liberarsi, ma Sue si chinò sul suo orecchio e le mormorò qualcosa: all’istante Mary cambiò espressione, e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
“Bene, alla prossima, amici e compagni!” Salutò Mary, andandosene con la sorella, silenziosa come al solito.
Ma la sua voce non era più la stessa.
 
“Cosa è successo?” Chiese Ferenc a Phineas, mentre tornavano alla Dragonfly qualche ora dopo.
Phineas, rimasto di umore tetro per tutto il resto della serata, ci mise parecchio a rispondere.
“Capitan Mary…Capitan Sue…Di loro si sa solo che provengono da oltre il Confine…”
Il mozzo si fermò. “Come è possibile? Nessuno è mai riuscito ad attraversare le montagne di ghiaccio…”
“Loro sì, a quanto sembra…” Phineas agitò una mano in aria. “Quello che si mormora in giro, è anche peggio…Alcuni dicono che c’è stato un tempo in cui i nostri capitani non comandavano una nave pirata, bensì una fregata della marina di Vadek…Alcuni affermano che fossero la punta di diamante della difesa navale dell’imperatore…Alcuni mormorano che un giorno la ciurma della fregata non fece ritorno al porto della capitale: sulla nave erano rimaste solamente Capitan Mary e Capitan Sue…Alcuni sussurrano che le mani di entrambe erano macchiate di sangue…Ma quelle di Capitan Sue erano innocenti, capisci?”
Ferenc scosse il capo, affascinato. “E cos’altro?”
Il secondo lo guardò afflitto. “Tu non riesci a stare lontano dai guai, eh?” Ma continuò: “Se proprio lo vuoi sapere, altri assicurano che di notte, proprio sulla Dragonfly, se un marinaio durante il turno di guardia ascoltasse attentamente i sussurri provenienti dalla cabina di prua, potrebbe udire dei colpi di tamburo…E tu sai cosa significa questo?”
Il ragazzo rabbrividì e pronunciò una sola parola “Sciamani.”
“Esattamente…Per cui, il mio consiglio è uno solo.” Ormai i due avevano raggiunto la Dragonfly, e Phineas si voltò verso Ferenc, prima di salire sull’imbarcadero. “Stai lontano dai guai, Ferenc.”
 
Quella notte il mozzo sognò i cadaveri bruciati dei suoi vecchi compagni di equipaggio.
Riuscì a trattenere l’urlo che gli risuonava nella mente mentre si svegliava di soprassalto, urtando la testa contro le travi basse della stiva. Nella branda accanto il capocannoniere, Asa, russava come un mantice a pieno ritmo, sdraiato nell’amaca accanto a Van.
Ferenc si calò a terra, con le orecchie ancora rintronanti, e respirò aria viziata a pieni polmoni.
Mosse alcuni passi verso le scale.
“Non salire in coperta.” Gli occhi di Van erano aperti, e luccicavano gialli nel buio.
Il mozzo non rispose.
“Non salire.” Ripeté Van. “la Dragonfly di notte è il regno degli spiriti…Non fidarti di loro.”
Senza replicare il ragazzo si gettò addosso un cappotto e salì le scale; poco dopo era all’aperto, e con precauzione si spostò dalle zone illuminate dalle lanterne, per andare a sedersi su uno dei cornicioni esterni all’imbarcazione.
L’aria qui era pungente, c’era odore di neve nell’aria, che Ferenc inspirò fino a scoppiare.
Tra il mare e la notte, era più difficile cedere agli incubi che popolavano la sua mente, che lo accusavano di tradimento e di pene peggiori della morte.
Tutto questo non tanto per il fatto di essere rimasto in vita, ma perché il suo animo, come tutti gli animi umani, dopo aver perso tutto ciò che aveva considerato ‘famiglia’, stava iniziando ad affezionarsi alla nuova ciurma, alla nuova nave, e al nuovo capitano…anzi, capitani…E Ferenc non riusciva a perdonarselo.
Una voce lo scosse dai suoi tetri pensieri.
“Mozzo…Ci incontriamo di nuovo…”
Ferenc si girò di scatto: silenziosa come un delfino, Capitan Mary scivolò alla sua destra, accomodandosi poco distante da lui, anch’ella sul cornicione.
“Lo senti anche tu?” Chiese, dopo qualche minuto.
“Che cosa?”
“Ascolta…”
Tra il rumore delle onde che si infrangevano contro la nave, Ferenc distinse un suono più sommesso, incessante: “E’…” Non completò la frase.
Mary annuì. “Lo suona quasi tutte le notti, da quando Sedna ci affida i suoi lavori sporchi…”Abbassò la voce. Non era mai sembrata tanto giovane quanto in quel momento, e così Ferenc osò porle quella domanda.
“Come è successo? Il braccio, intendo…”
Il capitano lo guardò, stupita. “Come te ne sei accorto?”
“Il mio vecchio quartiermastro aveva una gamba curata dal Tocco: nessun arma poteva ferirla…”
Mary sorrise lievemente, ed arrotolò la manica della casacca di pelle. Sotto la stoffa cremisi, il braccio sinistro era completamente bianco, solcato da un unico segno argentato all’altezza dell’incavo del gomito.
“Un ricordo dell’Imperatore…”Spiegò al mozzo. “Non sente più né fatica né dolore, ma è rischioso: se non si è preparati, il Tocco può uccidere…”
“Lo so. L’ho visto accadere.”
Seguì un altro silenzio.
“Cosa ti ha già detto la ciurma di noi? Dei tuoi nuovi capitani?”
Ferenc ci pensò un istante. “Che siete i capitani.” Rispose infine. La donna parve immergersi nei suoi pensieri.
“Nonostante tutto, la ciurma ama mia sorella.” Mary parlava tra sé. “I tamburi, la faccia da funerale che si ritrova, l’armeria che si porta addosso…Nonostante tutto, Sue sa farsi amare: gli uomini si fidano di lei…” Commentò con aria assorta.
“Anche di voi…”
Il capitano sorrise ironica. “Di me? Sicuro, come ci si potrebbe fidare dei vapori di zolfo…Oh, certo, possono scherzare, mi lasciano sbronzare nelle taverne come loro…Ma mai insieme a loro, quello no…” Si rivolse a Ferenc. “E tu? Non hai paura?”
“Di cosa?”
“Non hai paura di me?” Ripeté Mary.
Il ragazzo la guardò negli occhi, dello stesso colore della notte attorno a loro. “No.”
“Dovresti.”
Il capitano si alzò e se ne andò, lasciando il mozzo a contemplare le stelle, mentre il battito del tamburo si inoltrava tra le tenebre.
  

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Capitolo 4
*** Cap 4: la strada verso casa ***


Il chiarore del mattino illuminava di luce fioca il cielo plumbeo e il mare agitato, dove la sagoma della Dragonfly si stagliava distintamente sull’orizzonte.
“Sono giorni che navighiamo, e non abbiamo ancora una rotta, capitano…” Fece notare Phineas a Mary, mentre salivano sul castello di prora.
“Aspetteremo, signor Phineas: non possiamo permetterci uno sbaglio, in questa situazione…” Il capitano aggrottò la fronte. “Anche se questa volta mia sorella ci sta impiegando troppo tempo…”
“Gli uomini sono nervosi.”
“Davvero?” Mary sogghignò. “Dovremo trovare un modo per distrarli dai loro tristi pensieri…”
 
La cabina di Sue era situata all’estremità della nave, nel luogo più lontano dal resto delle cabine dell’equipaggio.
Nessuno, nemmeno Mary, aveva mai osato entrarvi: non senza motivo. Perfino Capitan Sue cercava di passarvici il minor tempo possibile.
Eppure erano ormai cinque giorni da che vi si era rinchiusa all’interno.
Immersa nella trance sciamanica, Sue era distesa al centro della stanza, immobile e fredda, a braccia spalancate: se qualcuno avesse avuto l’ardire di entrare, l’avrebbe senz’altro creduta morta.
Non avrebbe potuto commettere uno sbaglio più grande: Sue non era mai stata così viva.
Il suo spirito, separato dal corpo mortale, privo di vincoli, era diventato un tutt’uno con il suo animale totemico: l’enorme lupo bianco correva nelle steppe del sogno, senza accennare a fermarsi.
In ultima, dopo un tempo che parve infinito, la consapevolezza di Sue cominciò a riaffiorare: voci, pensieri, desideri…Lo spazio cambiò forma, senza perdere significato. Di colpo furono due entità divise, totem e sciamano, seduti uno di fronte all’altra.
Le parole non erano necessarie: la creatura sapeva per cosa Sue aveva intrapreso il viaggio verso il mondo degli spiriti, e conosceva la risposta alla sua domanda. Ma non intendeva rispondere.
Sue, frustrata, capì che il lupo temeva per la sua sorte qualora avesse comunicato alla sciamana la rotta da intraprendere per obbedire a Sedna.
Mostrami la via…Sue chiamò a sé il potere insito nel proprio sangue, per costringere lo spirito a rispondere alla domanda.
La battaglia tra volontà contrapposte terminò infine con la resa del lupo. A malincuore, il potente totem inviò alla sua protetta la visione da lei desiderata.
E poiché il legame tra di loro andava al di là del rapporto tra sciamano e totem, anche l’entità soffrì con lei quando Sue capì qual era il luogo dove i voleri di Sedna l’avrebbero portata questa volta.
 
 
 
“Coraggio, mozzo, facci vedere come nuoti!”
Tra le risate della ciurma, Capitan Mary pungolò di nuovo Ferenc con l’arpione, costringendolo a reggersi sull’estremo limite dell’asse di legno che sporgeva sulle acque del mare.
Lo spettacolo fu interrotto da una frase.
“Abbiamo una rotta.” Il volto di Sue era cadaverico più del normale.
Mary, abbandonato il suo passatempo, si precipitò accanto alla sorella. “Che cosa è successo?”
“Abbiamo la rotta…” Ripeté Sue, e aprì la pergamena che stringeva nel pugno.
“E quella cos’è?” Chiese Ferenc a Phineas, sbirciando il contenuto del foglio come il resto della ciurma.
“Secondo te cos’è?” Domandò Asa a Van.
“…Una chiave?” Ipotizzò Herald, strizzando gli occhi per focalizzare meglio l’intrico di linee d’inchiostro.
“E…cosa fanno le chiavi?” Spiegò pazientemente Phineas all’equipaggio.
“Le chiavi…aprono!” Il pensiero folgorò Terent.
“E questa chiave cosa apre?” La domanda di Ferenc espresse quelle di tutta la ciurma.
“Apre una strada…” Rispose Sue, atona. “La strada verso casa…” Disse, rivolgendosi solo a Mary.
“No. Non si può fare.”
Sulla nave calò un silenzio sbalordito.
“Non possiamo disobbedire a Sedna.” Replicò Sue, in tono piatto.
La sorella sferrò un pugno alla balaustra.
“Ma non comprendi che…”
“Capisco più di quello che pensi, e so che non abbiamo scelta. Signor Phineas:” Sue non smise di fissare le acque gelide del mare. “Rotta verso il Confine.”
 
 
 
“Nessuno attraversa il Confine, è pura follia!”
Ferenc quasi urlava, mentre si recava sottocoperta assieme al secondo.
Phineas si voltò e lo afferrò per il bavero della camicia. “Ascolta bene, mozzo: se Capitan Sue mi chiedesse di andare fino agli abissi infernali a recuperare qualcosa, l’unica cosa che le domanderei sarebbe l’orario della partenza.” Lo sbatté a terra. “Non si discutono gli ordini del tuo capitano, nemmeno quando sembrano impartiti da un folle.”
Phineas si allontanò nella stiva, mentre il ragazzo raggiungeva la cucina.
Le patate di Liam avevano effettivamente bisogno di un aiuto: la montagna di tuberi incombeva pericolosamente in un angolo della cambusa, dove il cuoco le aveva stipate al momento della partenza senza più toccarle.
Con un sospiro Ferenc si accinse all’immane compito: fu risparmiato dal rumore assordante dei cannoni che all’improvviso riempì la stiva.
“Cosa sta succedendo ora?” Domandò il mozzo, correndo per le scale.
“Altri guai, come sempre…” Brontolò Liam, impugnando una sciabola e abbandonando il rancio del mezzogiorno.
 
Sul ponte, la situazione stava rapidamente degenerando.
“Sue! Hai un minuto per decidere, poi manderò a picco la tua barchetta da pesca!”
“Che Sedna ti accolga nel suo regno, un minuto sarà ci sarà sufficiente per colare a picco la tua bagnarola, Gary!”
Una corvetta della marina imperiale di Vadek stava per affiancare la Dragonfly, con tutte le bocche da fuoco pronte a sputare ferro sulla nave pirata.
Sul castello di prora il capitano avversario si stagliava nell’aria tersa: un uomo non più giovane, tarchiato, con un’espressione di disperato desiderio impressa in tutta la sua figura.
“Cane dell’impero! Non osare minacciare la mia nave, altrimenti…” Urlava Mary, dalla cima dell’albero maestro.
Senza badarle, il capitano della corvetta impugnò nuovamente il megafono per rivolgersi a Sue: “Torna indietro! Non sei come quel mostro di tua sorella: ritorna con me a Vadek, e l’imperatore ti ridarà la tua vecchia carica…”
Ferenc non aveva mai visto Capitan Sue così furiosa: non l’aveva mai creduta in grado di esprimere sentimenti così forti.
Aveva torto.
“Non nominare mia sorella!” Ruggì Sue, e, strappata la miccia ad Asa, fece partire lei stessa una cannonata che sfiorò la fiancata della corvetta imperiale. “Lasciaci passare!”
“Non vi è concesso attraversare queste acque, per ordine dell’imperatore.”
“Vuoi che ti dica quello che penso di te e del tuo imperatore?” Domandò Mary.
“Tu, mostro” Mary impallidì a quelle parole. “Non intendo rinunciare a Sue per causa tua, non di nuovo…Per cui, cerca di morire in fretta, assieme alla tua nave!”
E ci fu un nuovo scambio di cannonate.
“Gary, non avrai altre parole da me: non puoi far rivivere il passato: è tempo che tu te ne vada…”
“Non mi rassegnerò mai…”
“Allora non mi lasci scelta.”
E proprio allora, come se mossa direttamente dal pensiero di Capitan Sue, la Dragonfly si sollevò in aria.
Migliaia di sottili ali di libellula spuntarono dalle assi esterne delle paratie, iridescenti nonostante la mancanza di sole, vibranti nel vento gelido.
“Nel nome di una nave sta scritto il suo destino, non lo sapevi?” Phineas apparve magicamente alle spalle di Ferenc. (N.d.A. Dragonfly significa libellula) “E, prima che tu mi ponga la domanda, sì, è un potere sciamanico che muove la Dragonfly…Ma non è opera del capitano, anche se solo il comandante può comandarlo…”
“Chi è quell’uomo?” Domandò invece il ragazzo.
“Eh? Quello? Il signor Gary Stuart, ammiraglio della marina imperiale di Vadek. L’uomo che doveva diventare il marito di Capitan Sue.”
La Dragonfly, incurante delle urla di rabbia del capitano avversario, si allontanò tra le nuvole, dirigendosi verso i ghiacci eterni del Confine.
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 5
*** Cap 5: La memoria e la follia ***


Il Confine non aveva età. Fin dalle origini del mondo il Mare Ultimo segnava il limite fin dove le creature viventi potevano spingersi: nessuno sapeva cosa si nascondeva al di là degli enormi iceberg che bloccavano le acque marine, e nessuno si era mai spinto oltre alle vette di cristallo per scoprirlo.
Non poteva esserci alcuna vita al di là del Confine, dicevano i vecchi marinai….
Se solo fosse vero….
“Capitano, Confine a dritta di prua.” Mary si risvegliò dalle sue fantasticherie ad occhi aperti.
“Fate gettare le ancore, signor Phineas.”
Si alzò e si rassettò la cappa: illuminata dalla sola luce delle candele, il colore dell’indumento era del tutto simile a sangue bruciato. Perfetto per quella serata.
“Sue…” Mary chiamò la sorella, ancora immersa nella meditazione che si era imposta dal momento in cui la rotta era stata decisa. “Sue, è il momento.”
Nella mente di Sue regnava l’assoluto caos: la volontà della sciamana era stata duramente messa alla prova dalla decisione che aveva preso, ed ora i suoi demoni personali avevano preso il sopravvento.
Ricordi su ricordi si affastellavano davanti alle palpebre chiuse, memorie che avrebbero dovuto essere rimosse…
Il primo momento in cui sei nata: ricordi gli specchi d’argento che ti hanno fissato con tristezza, prima di abbandonarti in un angolo, e i gemiti e gli ansiti dell’uomo per cui l’attesa era già stata troppa…
 
Il primo istante in cui il sangue ha iniziato a bruciarti nelle vene, mentre visioni incredibili ti passavano davanti agli occhi: quello fu il tempo in cui venne alla luce la natura del tuo padre sconosciuto…
 
La prima volta che lei ti ha fissato, quando i suoi capelli di sangue ti spaventarono come una profezia di morte; il sorriso che ti rivolse, la prima palla di neve; il momento in cui tua madre ti spiegò il tuo compito: proteggerla e tenere gli altri al sicuro…
 
Il tempo in cui la tenda azzurra non fu più in grado di nascondervi alle pretese del mondo: il tempo della guerra e del sangue, in cui non sei riuscita a compiere la tua missione. Il tempo del dolore di chi ha perso ogni cosa, e il tempo dell’ostinazione, di chi non intende rinunciare a quello che possedeva…Il tempo dei patti con esseri oscuri…
 
Il tempo della partenza.
Il tempo del ritorno a casa.
Oltre il Confine.
 
E proprio quando tutto stava per svanire nel dolore, venne il Lupo, e di nuovo furono un’unica entità che correva nel Sogno.
I ricordi sbiadirono in lontananza, perdendo il potere che avevano acquisito sull’anima di Sue. Il totem protesse la sua sciamana donandole parte della sua aura, rafforzandola e, infine, separandosi da lei, perché la sua coscienza potesse riaffiorare.
Sue aprì gli occhi: le sue iridi erano divenute dorate come quelle dell’entità sovrannaturale. Ogni cosa le apparve più chiara, e una nuova determinazione la pervase, dandole la forza necessaria al compito che l’aspettava.
Senza più esitazioni, uscì dalla cabina.
 
La notte era gelida e oscura, illuminata solo dai riflessi delle lanterne sulle lastre di ghiaccio che galleggiavano sul mare agitato.
Gli iceberg che chiudevano l’orizzonte in una linea invalicabile di ghiaccio non erano visibili, ma la loro massa incombeva sulla Dragonfly, ancorata alle loro pendici.
La ciurma era insolitamente silenziosa, come presagendo gli eventi che sarebbero accaduti. In seguito Ferenc avrebbe desiderato aver davvero previsto ciò che sarebbe avvenuto, ma sarebbe stato troppo tardi.
“Uomini, ai posti.” Ordinò Capitan Mary, non appena Sue salì in coperta.
“Il tamburo…”Mormorò Ferenc, vedendo l’oggetto rotondo, rivestito di pelle decorata di strani simboli.
“Lo strumento degli spiriti…Ciò che aprirà la via verso il mondo proibito…” Impallidì Herald, toccando ferro.
“Non è il momento di essere superstiziosi.” Phineas intervenne, ma anche il suo viso aveva assunto una tinta smorta. “Potresti spaventare il mozzo.” Aggiunse, tentando un sogghigno.
“Non ho paura.” Ferenc allungò il collo per meglio osservare lo spettacolo che si presentava sul ponte di comando. Capitan Sue, in piedi al centro del ponte, fissava gli occhi al cielo, come aspettando un segnale.
Mary sedeva sul timone, aspettando la mossa d’inizio.
E infine le prime luci dell’aurora boreale rischiararono le vele ammainate: immediatamente il suono ipnotico del tamburo si espanse su tutta la superficie del mare, riecheggiando contro le pareti scoscese delle montagne di ghiaccio.
“Si comincia.” Sussurrò Mary.
 
“Pesn' samama
Kotero pero biaso muro koro poro…
Ndoro…
ro…”
 
La voce di Sue suonava aspra e selvaggia tra il silenzio della notte polare.
Il canto suonava familiare alle orecchie del mozzo.
A Ferenc parve di vedere, tra le luci che saettavano nel cielo, sagome di animali balzare gli uni sugli altri, in una silenziosa battaglia. Una delle sagome si staccò dal gruppo, e scese davanti alla sciamana, la quale ormai latrava il suo canto con voce sempre più acuta, accompagnandosi con il tamburo e con pazzi di una danza frenetica.
Sue ululò assieme al suo totem, e finalmente cadde a terra, come morta.
“Fermo, mozzo.” Asa trattenne con una mano il ragazzo, sul punto di andare a soccorrere la donna a terra. “Non intrometterti nelle cerimonie sciamaniche.”
Capitan Mary, scesa dal timone con un balzo, camminò tre volte attorno al corpo della sorella, per poi sollevarla.
“Cosa vedi?” Le chiese calma.
“Vedo ghiaccio.” La voce che le rispose non aveva niente di umano, eppure era ancora la voce di Sue. “Vedo la terra sotto di esso, vedo quella terra dividersi, vedo i ghiacci aprirsi per farci passare.”
E in quel preciso istante il mare ribollì sotto alla nave.
Le montagne di ghiaccio si divisero ruggendo, e una via si aprì nel Confine inviolabile.
“Uomini, spiegate le vele!”
La Dragonfly si affrettò a imboccare il canale, mentre un vento innaturale gonfiava le grandi vele bianche.
Blocchi di ghiaccio caddero sulle loro teste, ma senza effetto: poche ore più tardi, la nave solcava per la prima volta le acque al di là del Confine.
“Ed ora?” Borbottò Terent, inquieto: il nuovo orizzonte lasciava intravedere tra le nubi cariche di tempesta una costa frastagliata e sconosciuta.
Quasi come se l’avesse udito, Sue estrasse in trance la pergamena che aveva in tasca. I simboli arcani guizzarono sulle sue braccia, si espansero sul suo viso. Linee di forza che partivano dal suo corpo si attorcigliarono per tutta la nave, allungandosi poi in mare. Nelle acque si formò un cerchio luminoso, al di là del quale si poteva scorgere un lieve bagliore.
“Ci siamo: ecco il portale per penetrare nella sala del tesoro di Vadek.” Esultò Mary. “Ciurma! Preparate le scialuppe: stiamo per compiere il colpo del secolo!”
 
 
All’interno del cerchio, le acque erano calme, come se vi fossero stati versati barili d’olio di foca.
La luce avvolse le tre scialuppe, inglobandole nella nebbia che si formava sempre più velocemente attorno a loro.
E l’istante successivo furono materializzati in un’enorme grotta scarlatta.
La caverna si reggeva su alti pilastri di marmo, le cui cime non era possibile distinguere, e sembrava non avere mai fine.
“Il Cuore del Tempo…” Mormorò Mary, come per spiegare alla ciurma la stranezza del luogo. “Qui l’imperatore nasconde i suoi tesori più preziosi: vi si può accedere solo dalla camera imperiale nel palazzo di Grimendel…E da qui.”
Le pareti della grotta erano scolpite in migliaia di arabeschi aguzzi, intrecciati intorno a innumerevoli nicchie, ognuna delle quali conteneva un oggetto differente.
Le scialuppe si fecero strada tra i canali che attraversavano la sala, costeggiando tutte le pareti: solo il capitano sapeva cosa cercare: tra le mani reggeva una bussola, che non avrebbe mai indicato il Nord.
Infine l’ago si fermò davanti ad una nicchia più nascosta delle precedenti: all’interno giaceva una piccola figura sbozzata nella pietra. Mary sollevò il totem, una balena, e subito un tremore percorse le pareti della caverna.
“Dunque è così?” Sogghignò Mary. “Come può un oggetto così piccolo essere tanto importante?”
“Capitano, forse è meglio andarcene…” Suggerì Phineas, innervosito dal fatto che la caverna non cessava di vibrare.
“Vorresti lasciare questo posto senza nessun’altra preda che questa pietra?” Chiese allibito Liam.
Agli occhi di tutti balenarono i bagliori dell’oro e dell’argento, inseriti nelle nicchie circostanti.
“Il cuoco ha ragione!” Tuonò Herald, e si allungò per afferrare uno scettro pesantemente ricoperto di gemme.
Il resto della ciurma trattenne il fiato.
Non accadde nulla.
“Visto?” Iniziò Herald, ma fu interrotto da un boato: sopra la sua testa una nicchia dischiuse i suoi viticci di marmo, i quali repentinamente si gettarono su Herald per ghermirlo.
Un momento dopo i tralci erano frammenti di pietra ai piedi del carpentiere: davanti a lui Capitan Mary lo proteggeva con il braccio sinistro alzato.
“Tutto bene?” La donna si girò a controllare. L’uomo si scostò indietro, bofonchiando parole di ringraziamento.
Gli occhi di Mary si assottigliarono, ma non disse nulla, e riprese il comando della scialuppa.
In una delle altre imbarcazioni, Ferenc la osservava.
 
 
Uscendo dalla nebbia luminescente, si ritrovarono nelle acque burrascose del Confine.
Anche qui l’aurora boreale illuminava le onde con colori spettrali, e si rifletteva nei volti dei marinai, rendendoli simili a creature fantastiche.
Una folata di vento ghiacciato percosse le scialuppe; il suono di uno sparo si propagò nell’aria.
“Capitano! La nave è…”
Ma Capitan Mary si era già tuffata, nel tentativo di raggiungere la Dragonfly, prima che le tre fregate battenti il vessillo di Vadek e una bandiera sconosciuta affondassero la nave dove Sue, ancora in trance, attendeva l’arrivo della sorella.
“Che aspettiamo, uomini?” Asa mise mano ai remi, subito imitato dai compagni. “Andiamo a salvare la nostra nave e il nostro capitano.”
Le fregate nemiche risposero a cannonate al passaggio delle scialuppe, ma invano: entro pochi minuti la ciurma della Dragonfly abbordava la nave più grande, quella dai colori sconosciuti.
“Non ho la benché minima idea di chi voi siate, gentili signori…” Argomentò Phineas, salendo sul ponte avversario con la sciabola in pugno. “Ma attaccare la Dragonfly in nostra assenza denota una certa mancanza di cortesia…” Continuò, schivando un affondo di uno dei marinai nemici. “E io detesto la villania.” Concluse, squarciando il ventre del suo nemico. La casacca rosa si coprì di sangue.
Capitan Mary abbordò la Dragonfly e saltò sul cassero. Una dozzina di soldati di Vadek l’accolsero con le armi in pugno.
“Non ti permetterò di portare anche lei alla rovina.” L’ammiraglio Stuart uscì dalle cabine del capitano reggendo Sue tra le braccia. Mary ebbe un fremito.
“Lasciala.”
“Non diventerà mai un mostro come te. Hai valicato il Confine, di nuovo: restaci, e trova una morte onorevole, prima di sterminare altri innocenti…come la tua gente.”
“Tu non sai di cosa stai parlando…”
Mary curvò la schiena in posizione d’attacco, mentre le pupille le divenivano enormi e scarlatte.
“Tu non hai idea di cosa sia un mostro.” Ringhiò.
E, sguainata la spada, si avventò sugli avversari.
 
Sulla fregata nemica la battaglia infuriava cruenta: i misteriosi avversari, affiancati da alcuni marinai di Vadek, si battevano come furie, mettendo a dura prova le forze dell’equipaggio pirata.
“Coraggio, uomini!” Si sgolò Phineas, scambiando colpi su colpi con un marinaio armato di accetta.
“Quello che vorrei sapere…” Si domandò pensosamente, mozzando finalmente la testa dell’avversario. “…E’: chi sono questi bifolchi e da dove sono sbucati…”
“Sono le truppe del Confine.” Lo informò Van, passando davanti a lui con un’alabarda in ciascuna mano.
“E tu come lo sai?” Si stupì l’altro, passando ad un nuovo nemico.
“Non è il momento adatto per i pettegolezzi, signorine…” Urlò loro Asa, circondato dai nemici.
“Ma come è possibile che Vadek sia alleato con truppe di cui ogni essere vivente ignora l’esistenza?” Phineas sgominò il suo rivale e si gettò al salvataggio di Asa, preceduto da Van.
Dalla Dragonfly provennero una serie di urla agghiaccianti.
Tutti si bloccarono, compresi i marinai nemici, che impallidirono e iniziarono a borbottare tra loro.
“E’ lei…” Sussurrò Terent, piegando le dita sporche di sangue e resti di interiora in gesti scaramantici.
“Non si salverà nessuno su quella nave…” Mormorò Van.
Phineas annuì. “Capitan Sue la riporterà indietro…” Poi la consapevolezza si fece strada in lui come ghiaccio nell’acqua. “Capitan Sue è ancora in trance!”
“E questo che vuol dire?” Ferenc, che durante il combattimento aveva cercato di restare in vita, senza fermarsi a pensare all’ultima battaglia a cui aveva partecipato, volse gli occhi verso la Dragonfly.
“Che questa volta moriremo tutti!” strillò isterico Terent.
“Ma noi non…”
“Tu non capisci, mozzo!” L’uomo era in lacrime. “Capitan Mary è stata maledetta nel momento stesso in cui è stata concepita: la maledizione del sangue, la follia dei guerrieri, è questo ciò che si nasconde dentro di lei!”
“Non risparmierà nessuno, donna o uomo, amico o nemico, finché non le passerà la sete di sangue.” Sussurrò Phineas, agghiacciato. “Solo Capitan Sue ha il potere di fermarla, grazie agli incantesimi degli sciamani…Ma adesso anche lei è in pericolo.”
Sulla Dragonfly le urla dei nemici si fecero disumane, poi si zittirono del tutto.
 
“Lasciala…” Ripeté Mary, ridendo follemente alla vista dei cadaveri dilaniati attorno a lei.
“Mai.” L’uomo strinse al petto Sue, indietreggiando verso la balaustra.
“Allora morirai…”
L’ammiraglio si gettò con Sue in mare: prese a nuotare velocemente verso l’altra nave con il braccio libero, senza guardarsi indietro.
La risata di Mary risuonò nelle orecchie della ciurma: con un salto impossibile ad un essere umano la donna fu sull’altra nave, proprio nel momento in cui Gary riemergeva con Sue e si arrampicava su di essa.
Phineas fu pronto ad afferrare Sue, strappandola dalle braccia dell’ammiraglio, e con cautela la depose dietro ad alcuni barili, senza osare sperare nel suo risveglio: sapeva bene che la trance poteva durare giorni.
“A chi tocca?” Mary si rivolse all’equipaggio del Confine. “Vi conosco…” Disse con voce acuta. “Siete coloro che hanno costretto mia madre a diventare una puttana per vivere…E che hanno costretto me ad uccidere per loro…” Si avvicinò con passo felino agli uomini tremanti. “Sapete, non posso proprio lasciarvi vivere…”
Ferenc non avrebbe mai dimenticato la furia selvaggia con cui Capitan Mary distrusse quegli uomini da sola in pochi minuti, senza alcuna pietà e ridendo istericamente.
In quell’istante desiderò che tutto non fosse altro che un sogno, perché sapeva che, qualora non si fosse svegliato in tempo, quello sarebbe stato anche il suo destino, morire per mano del suo capitano.
“A chi tocca?” Canterellò Mary, una volta sterminati i marinai del Confine.
Nessuno le rispose.
“Voi chi siete?” Domandò la donna: il sangue nelle pupille le impediva ormai la visione di alcunché. “Siete i miei nemici? Siete quelli che mi avvelenano le notti di incubi? Siete gli emissari di Sedna, venuti per portarmi via?” Il viso di Mary divenne furioso. “Dov’è Sue? Dov’è mia sorella? L’avete presa voi? Voglio uccidere anche lei, non mi fa divertire…”
E detto questo Mary si piegò sulle ginocchia, pronta a saltare sulla sua stessa ciurma, congelata dal terrore.
“Capitano, fermatevi!”
Solo una persona era ancora in grado di parlare; solo uno di loro non sapeva quello a cui poteva andare incontro.
Ferenc andò verso il suo capitano, senza esitare.
“Capitano, aprite gli occhi!” Riuscì a gridare, prima che Mary gli si avventasse contro a spada tratta.
Con un balzo il ragazzo schivò il fendente, e con un coraggio che gli proveniva dall’ignoranza, afferrò con entrambe le mani le tempie di Mary. “Capitano: svegliatevi…” Sussurrò, guardandola negli occhi. E per un attimo parve che gli occhi dell’invasata si schiarissero, che le iridi divenissero meno sanguigne…
“Pesn’samana…”
L’istante dopo la voce di Capitan Sue si alzò nell’aria, carica di potere: e, richiamato dalla sciamana, venne il sonno a posarsi su Mary, relegando la sua furia al regno del sogno, facendola cadere nell’oblio, al sicuro da se stessa.
Sue barcollò, alzandosi, ma con passo fermo si diresse al timone. “Rotta verso casa.” Ordinò, senza guardare le coste natie.
Grazie…
 
 
 
  

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Capitolo 6
*** Cap 6: La belva addormentata ***


Una volta che si fu lasciato alle spalle il Confine, Sedna non tardò ad arrivare.
La nave affondò di nuovo nei flutti gelidi, fino a raggiungere il fondo del mare, quasi fosse anch’essa un’enorme e misteriosa creatura marina.
Se la divinità fu sorpresa di non trovarsi di fronte entrambe le sorelle, non lo diede a vedere.
“Giusto in tempo, il plenilunio è stanotte…” Esultò Sedna, congiungendo le mani estasiata. “Che efficienza, che professionalità…Come sono…”
“Non fingere sentimenti che non sei in grado di provare.” La interruppe Sue.
Le mani senza dita si bloccarono.
“Perché tu invece ne sei capace?” Abbandonata ogni parvenza di cordialità, Sedna raddrizzò la schiena: all’improvviso sembrò quale doveva apparire agli uomini del mare che la temevano e la veneravano, altera, distante, imperscrutabile come gli abissi degli oceani di ghiaccio.
Sue si morse il labbro inferiore.
“Agli sciamani non è consentito avere sentimenti, non è vero?”
L’altra non rispose.
“…Ed ora dammi il totem…”
“Alle divinità del mare non è consentito farsi depredare delle insegne del proprio potere…”
“Che cosa significa? Dammelo!” Urlò Sedna, e la sua voce era l’eco di ogni tempesta e di ogni maremoto avvenuti fino ad  allora. “Non puoi ribellarti al mio vincolo, sei una mia creatura!”
“...Per cui…” Sue fece una pausa. “…Vallo a prendere.”
E detto ciò lanciò il totem fuoribordo, tra le correnti vorticose.
Con un urlo di stizza Sedna disparve, mentre le sue balene si lanciavano all’inseguimento del piccolo totem.
La Dragonfly riemerse in mare aperto, sotto il cielo plumbeo.
“Ordini, capitano?”
La donna si passò una mano sul volto, scostando la frangia dalle cicatrici.
“Turni di riposo per le prossime sei ore, poi rotta verso ovest.”
Lasciato il timone a Phineas, scese le scale ed entrò nelle sue cabine.
 
“Non si sveglierà fino a domani.”
La voce del capitano suonò ovattata alle orecchie del mozzo, intento a vegliare il sonno dell’altro capitano.
Distesa su un largo materasso di piume, frutto di qualche razzia ai danni di navi meridionali, Mary dormiva, finalmente serena, come testimoniava l’espressione sul suo volto.
“Non so come sia successo.” Confessò infine Ferenc, dopo un lungo silenzio. “Intendo…Quando stava per ucciderci tutti: ad un tratto è stato come se…come se…”
“Come se tu fossi dentro la sua mente, e potessi indicarle la strada verso la ragione.”
Sue parlava osservando ogni impercettibile guizzo sul volto della sorella. “La maledizione del sangue non ha cura: una volta preda della follia, non si può far altro che uccidere, senza fare distinzioni. Alcuni decidono di diventare folli, come gli eserciti del Confine. Ad altri la scelta viene imposta: il padre di Mary voleva un figlio invincibile in battaglia, ed andò da nostra madre…Ma nacque lei.”
Si interruppe, come se avesse detto già troppo, ma poi proseguì.
“Io posso accedere alla mente di mia sorella, in virtù del legame di sangue e del potere sciamanico. Se la situazione non diventa troppo grave, posso parlarle e riportarla alla realtà.
Questo solo grazie  a Sedna: in cambio delle nostre vite, ha ridato la vita a me, come richiestole da Mary, e mi ha concesso la facoltà di fermarla, quando la follia prende il sopravvento su di lei.
 Tu…Forse il rito di guarigione che ho usato per riportarti indietro dai cancelli dell’aldilà ti ha lasciato qualche traccia di potere…Ma forse hai creato un legame con lei, in questi giorni: per questo ti ha lasciato entrare…”
Confuso, Ferenc scrollò le spalle, e chiese: “E Sedna?”
Sue si incupì ancora.
“Non immischiarti più del dovuto.”
Si alzò e andò alla porta della cabina. “Il legame che Sedna ha con me e Mary è indissolubile. Ma forse un giorno…” E uscì, immersa nei suoi pensieri.
Ferenc si appoggiò con la schiena alla parete, stanco: nel dormiveglia gli sembrò di vedere un sorriso sul volto del suo capitano addormentato, come se stesse sognando, ma fu solo un attimo.
Infine chiuse gli occhi.
 
 
  

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