Il villaggio era piccolo e
povero, Köyum si chiamava, situato ai
piedi dei Monti Ululanti, chiamati così perché quando soffiava il forte vento
del nord tra le numerose gole ed intercapedini, le montagne ululavano come lupi
affamati.
Il
villaggio era costituito da cinquecento anime, gente semplice che viveva con
quello che riusciva a coltivare dalle aride terre montane. Le botteghe erano
poche e molto scarse, l’oro non era prezioso come nelle città, a Köyum la cosa più preziosa che un contadino possedeva
era la forza per continuare a lavorare a lungo e il cibo con cui sfamare la sua
famiglia.
Quel
poco d’oro che potevano ricavare dal commercio del raccolto, lo dovevano usare
per pagare le altissime tasse del re Xazumi.
Xazumi
governava la maggior parte dei regni da tantissimi anni, talmente tanti che le
leggende narravano che la sua vita non poteva avere fine, in quanto lui non era
del tutto umano. Il re aveva sfidato le antiche alleanze dell’uomo, quando
sulla terra regnava solo la pace e la prosperità, quando non c’erano conflitti,
non c’era povertà, non c’era misera e neppure carestia, quando gli esseri umani
non dovevano rubare per poter pagare il pane.
Le
antiche profezie narravano di un giuramento di sangue con un demone che gli
aveva promesso fortune e ricchezze in cambio del suo aiuto per aprire i
cancelli neri dell’oblio. I demoni e i non morti si erano riversati sulla
terra, e come un fiume in piena avevano travolto e distrutto tutto.
Dove
prima c’era vita, ora c’era solo morte e distruzione.
I
sovrani dei regni cercarono di arginare la potenza conquistatrice di Xazumi, ma
molti soldati perirono di fronte alle forze oscure del nemico, altri
impazzirono, altri ancora disertarono e iniziarono a lottare contro quelli che
una volta erano i loro compagni.
Gli
abitanti si sentirono immediatamente abbandonati, nacque il rancore e l’odio
verso i vecchi sovrani che li avevano lasciati morire inermi.
Ma
c’era un periodo dell’anno, una piccola settimana che coincideva con il
solstizio di primavera, quando gli alberi si riempivano di frutti e colori,
quando gli animali tornavano nei boschi.
Un periodo dove
si riusciva a dimenticare la guerra, dove il dolore era messo da parte, dove la
povertà e la stanchezza non sembravano più delle barriere così insormontabili,
un breve periodo di pace dove gli abitanti del paese ricordavano i vecchi
tempi… quando tutto era migliore.
I
bambini correvano nel grande campo che c’era fuori dai confini del paese, dove
vari mercanti avevano sistemato le loro bancherelle con la speranza di vedere
qualcosa, dove si respirava un’armonia di gioia e spensieratezza, i piccoli e i
grandi si sedevano attorno ai cantastorie, vecchi che ricordavano con nostalgia
i bei tempi ormai troppo lontani.
E la
nostra storia inizia proprio dal racconto di uno di questi menestrelli.
Sedetevi e ascoltate
la storia della nostra gente
vi debbo narrare.
Voi tutti sapete che anni fa,
questo era un regno di pace e tranquillità.
I nostri sovrani per eccellenza,
guidavano il popolo con grande saggezza.
Le alleanze con i regni vicini,
quelli dalla bellezza elfica e quelli più piccini.
C’era la regina più bella del mondo,
così bella che nessuno poteva mettersi a confronto.
E poi il re saggio e forte,
che amava il suo popolo in qualsiasi sorte.
Tutti noi eravamo felici,
perché lo sapevamo: nessuno poteva ferirci.
Ma un giorno tutto questo è cambiato,
un cattivo nemico ci ha attaccato.
Xazumi col suo esercito ci
attaccò,
nulla abbiamo fatto per fermare
ciò.
I nostri amati sovrani sono
scappati,
soli ci hanno lasciati.
E noi siamo qui in queste terre
deserte,
patendo la fame ed elemosinando
qualche offerte.
Non possiamo più lottare,
il nostro nemico ci ha tolto
tutto,
anche le unghie per graffiare.
Ma non disperiamo io lo so!
Da un regno lontano arriverà,
qualcuno che presto ci salverà.
I bambini applaudirono
entusiasti mentre gli adulti si asciugavano le lacrime commossi, chi perché
ricordava i vecchi tempi, chi le sofferenze patite per tanti anni.
Il vecchio mendicante passò con il proprio barattolo di
latta ammaccato e arrugginito per racimolare qualche moneta per il pasto.
Nessuno gli diede del denaro ma
alcuni gli porsero un piccolo fagotto con viveri, il vecchio ringraziava con un
caloroso sorriso che gli spianava le profonde rughe della vecchiaia, e poi
nascondeva il prezioso fagotto sotto il mantello da viaggio tutto rattoppato
che indossava.
- Ecco…- fece una fanciulla
mettendo qualche moneta d’argento nel barattolo che il mendicante porgeva –
compratevi qualcosa di caldo.
Il cantastorie svuotò il
barattolo sulla mano incredulo: quattro monete d’argento.
Gli sarebbero bastate per un
mese, magari due se le usava nel modo giusto. Non aveva mai visto quattro
monete d’argento tutte assieme. Ne strinse una coi pochi denti gialli che gli
erano rimasti ancora incerto, convinto che fossero false, ma quando si assicurò
che fossero vere monete le strinse nella mano rugosa ed ossuta e alzò lo
sguardo verso quella stravagante benefattrice.
Tra la folla di contadini
riconobbe una giovane ragazza che camminava spedita verso una locanda, aveva
lunghi capelli d’oro, era alta e molto snella, un fisco atletico ma anche
delicato, indossava in completo di pelle marrone e aveva legate sulla schiena
due spade dalle lame argentate che si incrociavano formando una grande X.
- Grazie straniera!- urlò il
vecchio agitando il suo lungo bastone da passeggio ricavato dalla radice di un
albero secolare – Grazie mille! E che il cielo ti protegga!
La ragazza bionda alzò un
braccio come silenziosa risposta ed entrò nella locanda, il mendicante nascose
con cura le monete e tornò al suo lavoro sperando di ricavare qualcos’altro.
La locanda non era molto grande,
era costituita solo da un locale, il bancone era in fondo, dietro si vedevano i
barili di birra scura, alcune bottiglie su un ripiano e i boccali appoggiati su
un tavolo, c’era degli animali impagliati alla parete, un forte odore di pipa e
chiuso, ogni cosa era in legno, sedie, tavoli, anche i calici della birra erano
ricavati dal legno, levigati e perfetti non facevano cadere neppure un goccio
di birra e non ti ferivi mentre bevevi. Il soffitto era alto, attraversato
dalle travi portanti grosse quanto un albero intero, scendevano delicate
qualche lampada ad olio che veniva accesa la sera e qualche salame e prosciutto
lasciato appeso ad affumicare con i fumi delle pipe e della brace della stufa
posta nell’angolo vicino al bancone.
C’erano poche persone all’interno, si sarebbe riempito
verso sera quando tutti avrebbero voluto continuare i festeggiamenti
all’interno.
Un paio di uomini stavano seduti
ad un tavolo giocando con dei dadi, mentre quattro ragazze erano sedute
nell’ultimo tavolo all’angolo, lontano da occhi ed orecchie indiscrete, erano
chine su qualcosa e sembrava che complottassero tra di loro.
Il barista, un uomo burbero che
si chiamava Jang, le fissava sospettoso, erano forestiere e, a giudicare dalle
armi che portavano, erano guerriere... ma dell’Impero o di Xazumi?
Erano
lì da quattro giorni, dormivano nei boschi, in un piccolo accampamento che si
erano costruite da sole, avevano fatto rifornimenti, avevano aggiustato le armi
e avevo pagato con monete d’argento.
Nel
loro villaggio non si vedevano monete come quelle da anni.
Tutto
questo era sospetto per dei semplici contadini come loro.
Ma,
fino a quando avrebbero pagato con monete d’argento e fino a quando non
avrebbero creato scompiglio, potevano restare.
Il barista le aveva osservate
bene, passavano quasi tutto il pomeriggio nella sua locanda, bevendo e
parlottando tra di loro. Nessuno si avvicinava, quelle cinque spaventavano
tutti, lui serviva solo da bere, una volta aveva visto uno stralcio della
pergamena che tutte osservavano così avidamente: era una mappa del regno, molto
probabilmente quelle ragazze erano combattenti… strane combattenti.
La porta della locanda si aprì
ed entrò la quinta delle ragazze, la più strana di tutte su avviso di Jang.
Era una bellissima donna, con
lunghi capelli biondi, occhi blu e penetranti, i lineamenti erano leggeri,
dolci e il suo portamento non era quello di una guerriera. La sua figura era
sottile, inadatta per portare le due grosse spade pesanti che aveva dietro la
schiena, quelle spade da cui non si separava mai.
Eppure sembrava avere più potere
tra quelle ragazze, tutte le chiedevano consiglio, tutte aspettavano ogni sua
mossa, ogni sua decisione, se dava un ordine era immediatamente svolto, alla
fine Jang aveva capito che quell’esile figura
aggraziata era il capo di quelle stravaganti donne guerriere.
Si
era spesso chiesto cosa avesse portato un’apparentemente innocua ragazzina a
comando di quattro ragazze armate fino ai denti.
Il
barista abbassò immediatamente lo sguardo quando vide che la ragazza bionda lo
stava fissando incuriosita, come se stesse leggendo i suoi pensieri.
La giovane distolse lo sguardo e
andò verso le sue amiche, prese una sedia da un tavolo vicino e si mise a
sedere a cavalcioni osservando la mappa che una delle altre ragazze teneva
aperta mentre indicava un punto nero.
Una delle quattro si alzò e andò
verso il bancone.
- Quattro birre scure. – fece
decisa osservando il barista.
A differenza di quella che era
appena entrata, questa aveva una corporatura molto più muscolosa, aveva visto
la ragazza all’opera due sere prima quando aveva diviso due dei contadini più
forti del villaggio durante una rissa. Aveva lunghi capelli castani legati
assieme in una folta coda e gli occhi verdi come smeraldi, lei non aveva spade
ma portava sempre con se un lungo bastone dove alle estremità erano fissate due
lame affilate.
- Ehi hai capito? – chiese la
ragazza guardando intensamente Jang.
L’uomo si riscosse dal suo
torpore, borbottò qualche scusa, riempì i cinque calici e li sistemò su un
vassoio rotondo, stava quasi per portarlo al tavolo quando la ragazzona glielo
strappò dalle mani.
- Faccio io. – disse con un tono
quasi minaccioso – Non vorrai ficcare il naso di nuovo in cose che non ti
riguardano vero?
- No, signora. – rispose lui con
voce inclinata.
- Bene…- fece afferrando un
sacchetto che aveva legato alla cinta di cuoio nera e prendendo due monete –
ecco qua. – lanciò i soldi e prese il vassoio dal bancone prima di dirigersi
verso le compagne.
Jang sistemò le monete al sicuro
e riprese il suo lavoro stando ben attendo ad evitare quelle cinque suonate.
- Non dovresti esser così
scortese. – l’ammonì la ragazza bionda quando l’altra tornò con le birre.
- Si meritava una lezione. –
rispose lei sistemando i boccali davanti alle altre – Aveva ficcato il naso in
cose che non gli riguardavano.
- Beh… dobbiamo anche ammettere
che attiriamo parecchio l’attenzione. – fece un’altra sorseggiando la bevanda
scura.
Questa ragazza aveva lunghi
capelli mori e occhi color nocciola, aveva un vestito di pelle tinto di rosso,
alla cinta aveva appesi quattro pugnali molto affilati.
- E’ gente semplice, - echeggiò
la quarta ragazza che scrutava attentamente la cartina e, ogni tanto, annotava
qualche appunto o calcolo su un quadernetto che aveva accanto, aveva i capelli
color turchese e gli occhi neri, appoggiati al tavolo c’erano un grande arco di
legno chiaro con delicati intarsi d’argento e una faretra con all’interno molte
frecce, il piumaggio all’estremità era nero come le piume di un corvo – li
abbiamo molto incuriositi con il nostro arrivo.
- Già. – disse l’ultima, anche
lei aveva lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri ma, a differenza della
prima, i suoi lineamenti erano molto più decisi e il suo fisico molto più
atletico, alla cinta aveva arrotolata una lunga catena d’argento, scintillante
e molto resistente, spezzava gli alberi come grissini ed era utilissima per
cacciare.
- Dobbiamo tenere gli occhi
aperti,- si giustificò la ragazza castana incoraggiata dai commenti delle sue
compagne di viaggio- i nemici sono ovunque.
- Beh questo non è un buon
motivo per incutere paura Makoto. – la sgridò la prima ragazza – La prossima
volta gradirei che usassi più diplomazia.
- Come desideri Usagi. – rispose
l’altra imbarazzata.
- Potremmo pensare al modo in
cui arrivare alla Valle ora?- chiese la ragazza con i capelli neri.
- Da qui non possiamo passare. –
rispose l‘altra con i capelli turchesi.
- Perché no Ami? – domandò Usagi
facendosi attenta al discorso.
- Sono i Monti Ululanti, -
spiegò l’amica – sono un labirinto e ci sono gole profonde molti metri…
- Troppo rischioso insomma, ma
mi sembra che abbiamo già superato situazioni critiche. – echeggiò l‘altra
ragazza bionda a cui non mancava il coraggio.
- La luce scarseggia lassù
Minako, - spiegò la ragazza mora guardando cupa la compagna – il luogo ideale
per i demoni. Noi siamo solo in cinque, siamo in poche e siamo anche deboli,
non ne usciremmo vive.
- Rei perché devi esser sempre
così fatalista?
- Sono solo realista. – ribatté
l’altra – Usagi tu cosa ne dici?
La ragazza di nome Usagi guardò
la cartina in silenzio per parecchi minuti.
- Qual’è l’altra strada Ami?-
chiese pacata senza staccare gli occhi dalla mappa.
Ami segnò silenziosamente un
altro percorso, molto più lungo, che attraversava la foresta di Hung Jan e le
pianure fredde del regno di Tobias, uno dei vecchi alleati ora nascosto chissà
dove.
- Quelle pianure brulicano di
non morti, vampiri e demoni. – ragionò Rei osservando i cerchi neri che Ami
aveva segnato durante i loro viaggi – Sarà pericoloso quanto i Monti ma,
almeno, potremmo lottare più facilmente e ci saranno maggiori nascondigli,
sopratutto nella foresta.
- E’ l’unica alternativa? –
chiese Usagi.
- Sì.
- In entrambi i casi è molto
rischioso. – valutò Makoto – Ma con i monti troveremmo molte più difficoltà,
non potremmo scappare dove vogliamo, saremo esposte e poi…
- Abbiamo capito… abbiamo
capito. – fece Minako fermando l’amica.
- Di quanto allunghiamo il
percorso?
- Due settimane all’incirca,
demoni permettendo ovviamente. Se ci saranno delle deviazioni durante il
viaggio potrebbe volerci un mese prima di raggiungere la Valle.
- Un mese?- quasi urlò Minako
che non vedeva l’ora di tornare a casa.
- Non é l’unico problema,-
continuò Ami sorvolando sulle smorfie di disapprovazione di Minako - ci sono
solo due villaggi per fare rifornimenti e noi non possiamo caricarci troppo o
rallenteremo.
Usagi annuì taciturna, occhi
ostinatamente fissi sulla mappa, sentiva lo sguardo delle altre quattro ragazze
puntate su di lei, sapeva che stavano aspettando una sua decisione.
Prese il calice con la birra e
ne buttò giù un lungo sorso, aveva imparato a combattere come un uomo e a bere
come un uomo. Aveva compreso i benefici di un buon boccale di birra da poco, e,
ogni volta che le sue labbra toccavano quella bevanda, sentiva i rimproveri
della madre sul comportamento che avrebbe dovuto tenere in certe situazioni...o
meglio, in tutte le situazioni in cui si trovava.
Ma lei non ascoltava più sua
madre da molto tempo.
Ignorò quella fastidiosa voce
autoritaria che le rimbombava nella testa e buttò giù la birra, gustandosi quel
sapore amaro e quel retrogusto quasi dolce che aveva solo la birra scura di
Jang. Posò il boccale e si tolse la schiuma dalle labbra con il dorso della
mano.
- I monti sono troppo rischiosi…
hai ragione Minako quando dici che abbiamo superato ostacoli peggiori, -
aggiunse subito notando l’occhiata di disapprovazione che l’altra le aveva
lanciato – ma siamo arrivate fino a qui. Abbiamo raccolto informazioni preziose
e dobbiamo consegnarle alla Regina. E non voglio rischiare proprio ora, andremo
attraverso la foresta e le pianure, staremo attente, vigili e pronte ad ogni
attaccato. Makoto abbiamo provviste a sufficienza?
- In questo posto ho potuto
comprare cibo solo per una settimana, dovremmo cacciare.
- Questo non è un problema.
Rei.. le armi sono riparate?
- I fabbri sono stati molto
abili.
- Minako… tu sei in forma?
- Mai stata meglio.
- Ami, quanto ci metti a
tracciare il percorso più adatto e meno pericoloso.
- E’ già pronto.
- Benissimo, - fece Usagi
osservando attentamente le sue amiche – partiremo domani mattina all’alba.
Il palazzo era immenso, una
volta era splendete, con un ricco parco che lo circondava, fontane che
sprizzavano acqua cristallina, ora molto poco era rimasto degli antichi
splendori, l’erba era annerita e secca, le fontane asciutte, perfino il maniero
sembrava molto più scuro e cupo.
Il comandante delle guardie
armate entrò quasi correndo nella stanza principale del trono dove i quattro
generali, nonché i suoi più cari amici, stavano scrutando con attenzione una
riproduzione dell’intero regno. Il plastico mostrava il castello e i villaggi
vicini, quasi tutti avevano una bandierina nera posta in cima: segno che il
villaggio era stato saccheggiato e preso d’assalto dai nemici.
- Siamo nei guai. – lo accolse
immediatamente il più alto di grado dei quattro. Si chiamava Kunzite, aveva
lunghi capelli argentati e gli occhi color del ghiaccio.
- I nemici ci hanno attaccato da
tutti i fronti. – fece lo stratega del gruppo. Il suo nome era Zoisite: lunghi
capelli biondi legati assieme da un rozzo cordoncino di juta, gli occhi erano
verdi e luminosi.
- E i soldati non hanno più le
forze di combattere. – echeggiò il terzo, il più abile nel combattimento.
Nephrite era il suo nome, aveva una lunga chioma castana e occhi nocciola.
- Jadeite...- fece il ragazzo
osservando la schiena del quarto generale – cosa ci consigli?
Il generale si voltò lentamente,
aveva i capelli biondi molto più corti rispetto ai suoi compagni e occhi neri
come l’ossidiana. Era il più pacato di tutti loro, razionale e molto attento, il
consigliere come amavano prenderlo in giro i suoi amici.
- Dobbiamo andarcene da qua. –
dichiarò Jadeite sicuro– Siamo in pochi e i demoni aumentano ogni giorno... tra
poco loro saranno troppo forti.
L’altro annuì solamente
cominciando a camminare su e giù per la stanza.
- Dobbiamo chiedere aiuto.
- A chi?- chiese Nephrite per
nulla propenso ad ammettere che erano stati sconfitti, il suo orgoglio a volte
superava anche l’odio per Xazumi.
Il comandante camminava ininterrottamente
cercando la soluzione giusta, a dire il vero pensava a questa ipotesi già da un
paio di settimane ma sperava di riuscire ad evitare questa parte: i suoi
generali non avrebbero visto di buon occhio quella soluzione.
- Io… io avevo pensato…- mormorò
esitante il ragazzo, gli altri quattro allungarono il collo cercando di vederlo
bene, era raro leggere l’imbarazzo su quel volto sempre di ghiaccio e pacato -
Al regno d’argento. – finì scrutando le reazioni degli altri.
Per un attimo i quattro generali
rimasero sbigottiti di fronte a quella dichiarazione.
Già.. il Regno Argentato..
chiamato così grazie agli innumerevoli giacimenti d’argento che vi erano nel
sottosuolo, ogni oggetto era fatto d’argento e gli abitanti del luogo erano
esperti nella sua lavorazione, i manufatti più pregiati e costosi provenivano
da quelle terre. Era un loro antico alleato, avevano cooperato per decenni,
avevano schierato in campo gli stessi soldati come se fossero fratelli e poi la
Regina, la donna forte che tutti temevano, si era arresa, si era ritirata dalle
sue terre, abbandonando gli antichi alleati al loro crudele destino. Ed ora
stava isolata nel suo piccolo territorio che era riuscita a tenersi stretto,
non combatteva più, non comunicava più con nessuno, dava rifugio ai combattenti
ma solo per un breve periodo.
Non era più considerata una
minaccia dal loro nemico.
Il loro rancore era del tutto
giustificato, non avrebbero più voluto sentire nulla riguardo la regina che li
aveva traditi e il Regno Argentato, ma lui era del parere contrario.
- Tu sei pazzo Mamoru! – fece
sbigottito Kunzite dando conferma ai timori del comandante – Quella ci ha
tradito... ci ha venduto al nostro nemico e ora voi che strisciamo da lei a
chiedere asilo?
- Non ho detto di chiederle asilo.
– rispose l’altro adirandosi subito – Voglio andare da lei e chiederle il
motivo del suo ritiro. Voglio capire perché l’ha fatto... e voglio una risposta
convincente. Non credo che possa essersi ritirata per puro egoismo o paura.
- Lo so che ti senti legato a
quel posto ma... – iniziò Zoisite.
- Ma non mi sembra saggio
tornarci. – finì Jadeite.
Mamoru scosse gravemente il
capo, si era aspettato questa reazione... me lui doveva andarci, non solo per
la guerra... c’erano anche fatti personali.
Doveva andare nel Regno
Argentato, c’era in gioco la riuscita di quella guerra.
- Voglio che i soldati rimasti
raggiungano le famiglie nei colli dove abbiamo radunato i pochi superstiti, là
saranno al sicuro. Se volete andate con loro, io mi dirigo a ovest con o senza
di voi.
I tre generali abbassarono il
capo perplessi.
- Io vengo con te. - dichiarò
Nephrite dopo pochi attimi di riflessione – Non ho nessuna famiglia da
raggiungere sui colli, da solo periresti in un viaggio così lungo. In due
possiamo almeno provare ad arrivare a Lei.
- Uff... va bene..- sbuffò
Jadeite – avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti a trasportare la roba no?
- E vi servirà qualcuno che
tracci il percorso più sicuro. – sorrise Zoisite.
Tutti e quattro si voltarono a
guardare Kunzite che non aveva ancora proferito parola.
- Io dico che é una
stupidaggine! – replicò deciso incrociando le braccia al petto – Ma non posso
neppure lasciarvi andare via da soli... altrimenti potrei perdermi
l’opportunità di dirvi: Ve l’avevo detto!
Mamoru sorrise e guardò grato i
suoi amici.
- Benissimo... partiamo tra due
giorni.
Bene, bene, bene... eccomi qua con una nuova
fic.
Come al solito non c’entra nulla con la storia
originale! Ma sono fatta così mi piace creare nuovi scenari per i miei
personaggi preferiti ^^.
Attendo
con ansia i vostri commenti e spero che riesca ad incuriosirvi come le altre
fic!
Al prossimo cappy!
Un bacione
Elena
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