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di Idra_31
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Sherlock 1
Questa storia si basa sul presupposto che Sherlock sia tendenzialmente asessuale, cosa della quale sono fermamente convinta, e ruota attorno a 4 canzoni dei Coldplay, in particolare The Scientist, che apre questo capitolo.  

I was just guessing at numbers and figures,

pulling your puzzles apart.
Questions of science, science and progress,
do not speak as loud as my heart.
(The Scientist-Coldplay)

Sherlock sentì lo scalpiccio dei passi sulle scale. Prima ancora che lo sgradito visitatore annunciasse la sua presenza il detective si strinse nella vestaglia dando le spalle alla porta con fare ostile.

"Signora Hudson, le ho detto che non ci sono per nessuno."

La testa della signora Hudson fece capolino dalla porta.

"Sherlock, sono solo io."

 La signora scostò la porta col piede e si introdusse audacemente nell'appartamento del detective. Poggiò sul tavolo il vassoio che le ingombrava le braccia e, mani sui fianchi, puntò i suoi occhi sulla schiena di Sherlock, raggomitolato sul divano.

"É inutile che se ne stia lì impalata, signora Hudson. Il suo sguardo implacabile sulla mia schiena non mi convincerà a voltarmi e prestarle l'attenzione che pretende da me"

La signorà Hudson sbuffò seccata e mosse alcuni passi verso il divano.

"Ha bisogno di mangiare, Sherlock."

"La sua affermazione non è del tutto esatta. É scientificamente dimostrato che un essere umano può vivere senza nutrirsi per almeno 40 giorni. Naturalmente sono da considerare le variabili di età, sesso, peso e condizioni climatiche del luogo in cui il suddetto essere umano si trova."

"La sua scienza non può nulla contro la mia determinazione. Lei deve mangiare."

La signora Hudson recuperò il vassoio che aveva lasciato sul tavolo e si diresse verso la poltrona affianco al divano.

"Non si sieda lì, per favore. Anzi non si sieda affatto e se ne vada, se le è possibile. Se non le è possibile se ne vada lo stesso."

La donna dovette cercare una sistemazione alternativa. Avvicinò con una certa difficoltà una sedia al divano, facendo tintinnare le tazze sul vassoio e tremare pericolosamente la teiera.

"Non me ne andrò finchè lei non avrà mangiato, Sherlock!"

"Allora temo che dovrò mettere a dura prova la sua pazienza, signora."

Passarono alcuni minuti durante i quali Sherlock, trincerato in un ostinato silenzio, si dedicò a sfilacciare la manica della sua vestaglia, con la stessa minuziosa concentrazione con la quale avrebbe sezionato il cadavere di un insetto.

La signora Hudson batteva ritmicamente un piede contro il tappeto, sperando di dare sui nervi al detective. Fu lei a rompere il silenzio, tentando di catturare l'attenzione di Sherlock con una frase a effetto.

"Ha telefonato John. Mi ha detto che lei ha il telefono staccato."

Sherlock ebbe uno sussulto. Tentativo riuscito. Tuttavia non si voltò.

"É preoccupato per lei, Sherlock. Mi ha intimato di costringerla a mangiare qualcosa", continuò la donna, scrutando le reazioni dell'altro. Sherlock affondò la testa contro la spalliera del divano, dalla quale alcuni secondi dopo provenne un suono soffocato.

"Non ho capito cosa ha detto, Sherlock. Se continua a darmi le spalle sarà difficile comunicare."

Il detective si girò, riluttante.

"Almeno non ha chiamato mio fratello."

La signora Hudson proruppe in una risatina.

"Suo fratello ha telefonato ogni giorno, da una settimana a questa parte. Ho dovuto mentire sulla sua situazione psico-fisica per scongiurare il pericolo che si presentasse di persona."

Sul volto di Sherlock apparve un accenno di sorriso.

"Di questo le sarò eternamente grato."

Quando Sherlock si mise seduto, raccolse la testa fra le mani e fissò gli occhi sul pavimento la signora Hudson temette che il silenzio sarebbe ripiombato tra di loro, e che Sherlock avrebbe mantenuto quella posizione per un numero indefinito di minuti, ore, forse. Invece, l'uomo alzò la testa di scatto, come colpito da un pensiero improvviso.

"Torta di mele? L'ha preparata con le sue mani?"

La donna rimase interdetta per qualche secondo, poi abbassò gli occhi sul vassoio che teneva sulle ginocchia e del quale sembrava essersi dimenticata e annuì.

"É l'ora del tè, Sherlock. "

"E chi siamo noi per contravvenire a una tradizione britannica radicata e secolare?"

 Si allungò per prendere il vassoio e poggiarlo sul tavolino davanti a lui. La signora Hudson si domandò perchè non ci avesse pensato prima.  Sherlock prese a versare il tè nelle due tazze. "Zucchero?"

La donna fece cenno di sì con la testa e sollevò due dita per indicare all'altro la quantità di zollette di zucchero desiderate.

"Da quanto tempo non risolve un caso?", chiese qualche momento dopo, sorseggiando il suo tè nero, mentre Sherlock addentava una fetta di torta, calmo e composto come se non avesse digiunato per giorni.

"Ho risolto due casi questa settimana. Sciocchezze", rispose l'altro dopo aver deglutito.

La signora si fermò con la tazza a mezz'aria.

"Ma l'ispettore Lestrade non viene qui da almeno due settimane!"

"Non ce n'è stato bisogno. Lei non legge il mio blog, signora Hudson?"

La donne scosse la testa, non del tutto sicura di aver compreso la domanda.

"Scrivo sul mio sito le soluzioni agli enigmi che Lestrade mi propone via mail."

Il gergo tecnologico non era del tutto estraneo alla donna, che stavolta si convinse di aver capito.

"La torta è di suo gradimento?"

"Sì, molto. Apprezzo quel pizzico di noce moscata che lei ha avuto l'accortezza di inserire tra gli ingredienti."

La signora Hudson sorrise compiaciuta. Il suo sguardo si posò sulla poltrona il cui uso prima le era stato interdetto da Sherlock.

"Quella è la poltrona di John?"

"Tecnicamente l'ho comprata io, ma era la poltrona dove lui si siedeva sempre", rispose l'uomo, apparentemente concentrato a recuperare una briciola attaccata al copridivano.

"Deve sentirsi solo, da quando John se ne è andato", osservò la donna, con finta noncuranza.

"Non fa differenza. Ero abituato a vivere da solo prima che le necessità economiche mi spingessero a cercare un coinquilino", replicò l'uomo, tagliandosi un'altra fetta di torta, avendo cura di non guardare la signora Hudson negli occhi. Questo tentativo di sfuggire il suo sguardo non passò inosservato alla donna.

"Ma John non era solo il suo coinquilino", azzardò la signora.

"Dimenticavo la sua ossessione per le coppie di fatto, signora Hudson", rispose secco Sherlock, prima di addentare la torta e voltarsi dalla parte opposta.

La signora Hudson era cosciente di possedere una fantasia galoppante che a volte la spingeva a vedere le cose per come non erano, ma nel caso di Sherlock e Watson credeva di averci visto giusto.

"Sherlock, mi sembra che lei voglia evitare questo discorso."

"Devo prendere atto che lei possiede un ottimo intuito", fece sarcastico l'altro, sfoggiando un sorriso falso. Poi si passò le dita affusolate tra i ricci, poggiò la schiena al divano e accavallò le gambe.

"Intuisce cosa sto cercando di comunicarle adesso?"

"Vuole che me ne vada?", borbottò risentita la donna.

Sherlock non rispose. Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, ignorando le proteste della donna.

"Lei ha bisogno di parlare con qualcuno, Sherlock! Non può starsene chiuso in casa tutto il tempo! Da solo! Impazzirà!"

"Ho già qualcuno con cui parlare, non si preoccupi per me."

"E chi sarebbe, di grazia?"

"Yorick."

All'espressione interdetta della donna Sherlock indicò col mento la mensola del caminetto.

"Il teschio?"

"Esattamente. Sapesse che ottimo ascoltatore che è! E poi non mi parla mai di John e non mi obbliga a mangiare."

"Sherlock, lei è già impazzito!"

Il detective sfoderò un'espressiona fintamente offesa. Poi, prima che la donna potesse aggiungere altro si sollevò dal divano in uno svolazzare di vesti, improvvisamente preda di una frenesia facilmente imputabile a un matto.

"Sono costretto a chiederle di andarsene, signora. Ho voglia di strimpellare un po' il mio violino. Grazie per la torta. E il tè. Non dimentichiamo il tè".

L'uomo sparì in cucina. La signora Hudson non fece in tempo ad alzarsi dalla sedia che vide Sherlock tornare con un'espressione afflitta sul volto. Si gettò a peso morto sul divano e puntò gli occhi al soffitto.

"John non ha comprato le corde di ricambio."

"Non poteva comprarle lei?", ribattè la donna.

"Ero occupato a pensare a cose più importanti", rispose l'altro, poi si voltò verso la sua interlocutrice "ancora qui, signora Hudson?"

La donna si strinse nelle spalle.

" A differenza di lei io a volte ho bisogno di parlare con una persona viva."

"Allora è lei che si sente sola! Se si è spinta fin nel mio appartamento a cercare la mia compagnia deve essere davvero disperata!"

"Non sia ridicolo, Sherlock. Sono qui perchè sono preoccupata per lei!", protestò la donna, indignata.

"Ho mangiato, le ho dimostrato che svolgo ancora il mio lavoro e che non soffro la solitudine. Continua a essere preoccupata?"

"Certo, perchè almeno una delle sue affermazioni è falsa."

Touchè.

 Sherlock non replicò . Congiunse le mani sotto al mento e si immerse nelle sue elucubrazioni.

"Cosa le fa pensare che mi manchi, John?", chiese dopo qualche interminabile minuto.

La donna non si aspettava questa domanda a bruciapelo, tuttavia aveva la risposta in tasca.

"A parte il fatto che non mangia, non esce di casa e si comporta in modo ancora più bizzarro del solito?"

Il detective non ribattè alle domande retoriche della donna.

"Sherlock, quando la persona che amiamo ci lascia è normale che ne sentiamo la mancanza."

"Chi ha parlato d'amore? L'amore è un'emozione e tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al di sopra di tutto."*

La donna si avvicinò con la sedia al divano, per poter poggiare una mano sulla spalla del detective.

"Sherlock, lei sarà anche un ottimo detective ma è un pessimo bugiardo."

La consapevolezza di essere stato scoperto si manifestò sul viso di Sherlock sotto forma di una smorfia.

"A quanto pare lei è una detective migliore di me."

Sherlock si passò una mano sugli occhi, gesto che, a dispetto della vita sedentaria che aveva condotto da due settimane a quella parte, palesava la sua stanchezza di esistere.

"Chiamerà John?"

L'uomo proruppe in una risatina triste.

"A che pro?"

"Quando qualcosa si rompe, dobbiamo cercare di riparla, con ogni mezzo."**

"E se fosse troppo tardi?"

"Non è mai troppo tardi per fare qualcosa."

Il detective si mise seduto. Sollevò la manica della vestaglia e mostrò il braccio nudo alla donna.

"Secondo lei è un problema da 3 o 4 cerotti?"

La signora scosse la testa con veemenza.

"La pianti con questo stupidi cerotti! Quello che deve fare e alzare il culo dal divano e andare a parlare con John!"

La donna si tappò subito la bocca con la mano, quasi spaventata dalla propria audacia. Sherlock ridacchiò e si alzò dal divano.

"Non credevo che avrei mai preso ordini da una donna!", commentò sarcastico, prima di mettersi a rovistare tra i cuscini del divano.

"Adesso posso andare senza il timore che lei muoia solo e denutrito?"

La signora Hudson si alzò dalla sedia e fece per recuperare il vassoio dal tavolino.

"Se sta cercando il suo cellulare è sulla poltrona di John."

Sherlock interruppe la ricerca sfrenata che lo aveva indotto a mettere sottosopra il divano.

"Sono fuori allenamento. Mi lascio sfuggire troppi dettagli."

Trovato il cellulare, digitò il pin con dita agili e veloci. C'erano cinque chiamate di John, tre di Lestrade e una ventina di messaggi in segreteria lasciati da suo fratello.

"Lei e John avete bisogno di ricominciare daccapo", fece la signora Hudson, prima di andarsene e lasciare Sherlock alle prese col suo telefono.


*da "Il segno dei quattro"
**traduzione libera del verso di X&Y "When something is broken and you try to fix it, trying to repair it, any way you can"

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Sherl 2
I'm diving off the deep end
You become my best friend
I wanna love you
But I don't know if I can
(X&Y-Coldplay)

Sherlock affrettò il passo. Una foglia di uno dei secolari alberi di Kensington si posò sul suo cappotto. L'uomo scorse John seduto sulla panchina concordata per l'appuntamento. Strinse più forte la presa sulle tazze di cartone che teneva in mano. Se non avesse indossato i guanti si sarebbe scottato.

"É un autunno piuttosto rigido", commentò prima di sedersi affianco dell'uomo che lo stava aspettando.

"Ciao, Sherlock."

Sherlock si aspettava di vederlo cambiato, nell'aspetto, nell'abbigliamento, nei modi. Invece si trovò davanti il solito John. Nell'ultimo mese solo un filo di barba e la distanza tra loro erano cresciute.

"Vuoi berli tutti e due, quei caffé?", domandò John, facendosi più vicino sulla panchina.

Sherlock allungò all'altro una delle due tazze del Criterion Bar*, dove era passato pochi minuti prima.

"Premuroso da parte tua", commentò il medico, ringraziando Sherlock con un sorriso.

Una folata di vento scosse gli alberi intorno e fece turbinare le foglie per terra.

Sherlock bevve un sorso di caffè.

"Come sta Sarah?"

John sbuffò, attirandosi uno sguardo interrogativo da parte dell'altro.

"Non devi chiedermelo solo per cortesia!", gli fece notare.

"Ah, grazie a Dio! Non potrebbe importarmene di meno", ribattè cupo Sherlock, continuando a sorseggiare il suo caffè, gli occhi fissi davanti a se.

John fu irritato da questa risposta, ma non lo diede a vedere, avvezzo ai modi bruschi e diretti dell'altro.  

"Non chiedi come va a me?", chiese, invece, al profilo di Sherlock.

"Mi sembra che tu stia abbastanza bene. Non sembri raffreddato nè depresso", ribattè l'altro uomo, voltandosi a fronteggiare l'amico, "forse un po' stressato dal lavoro", si passò una mano sulla guancia e John ne dedusse che si stesse riferendo al suo accenno di barba incolta.

"Che bisogno ha il grande Sherlock di fare domande se può dedurre tutto solo guardandoti!"

"É un mio pregio", rispose l'altro, scrollando le spalle.

"O forse un difetto", replicò John, in segno di sfida.

"É un grande vantaggio possedere questa abilità. Come sai, i cadaveri non parlano. E nenche i criminali sono molto propensi al dialogo."

"Ma gli amici sì."

Sherlock sgranò gli occhi, colpito dall'affermazione dell'altro. Alla sua mente, alla quale non sfuggiva nulla, forse era sfuggito qualcosa. Qualcosa forse di troppo evidente, per essere notata.

"Ti ho trascurato, John?"

Il medico non rispose.

"Immagino che Sarah non ti trascuri."

"Affatto."

Se ne stettero un po' in silenzio, Sherlock a osservare i passanti e John a mordicchiare il bordo della tazza.

"Potresti ricordare a tuo fratello che il sequestro di persona è un reato?"

"Quando ci vedremo, più o meno a Natale, vedrò di dirglielo."

Un uomo anziano passò e diede il buongiorno a John. Il medico in un primo momento non se ne accorse, poi, riscossosi dai suoi pensieri, ricambiò il saluto, quando ormai il vecchio aveva proseguito per la sua strada.

"Come va il lavoro?", domandò Sherlock.

John lo fissò per alcun secondi, come a volergli leggere nel pensiero.

"Te lo sto chiedendo perchè mi interessa", lo rassicurò l'altro.

John si rilassò.

"A gonfie vele, la clientela è aumentata. Non è il mestiere più eccitante del mondo ma non mi dispiace occuparmi dei malanni altrui."

"E riesci a sopportarlo?"

John sbuffò.

"Intendi se riesco a sopportare il fatto di non dover avere a che fare con cadaveri, assassini psicopatici che vogliono farmi saltare in aria e via dicendo?", ribattè John , con più di una punta di sarcasmo.

Sherlock scosse la testa.

"Intendo se riesci a sopportare la noia."

John parve oltraggiato, ma a Sherlock sembrò che stesse esagerando. In fondo la domanda, pensò il detective, era del tutto legittima.

"La mia vita non è per niente noiosa."

Sherlock sollevò il bavero del cappotto e si appoggiò meglio allo schienale della panchina. Accavallò le gambe una, due volte e prese un respiro profondo.

"C'è qualcosa che vorresti dirmi?", intervenne John. Non l'avrebbe mai detto, ma Sherlock sembrava teso.

"Ti manco mai?"

Quella domanda era facile intuire fosse costata una certa fatica a Sherlock.  

John si grattò il mento.

"Se ti dicessi di sì avresti la dimostrazione che la mia vita è terribilmente noiosa?"

"Rispondi e basta"

"Io ti manco mai, Sherlock?"

"Ogni singolo istante."

Fu allora che la prima goccia di pioggia si abbattè sul viso di Sherlock, facendolo rabbrividire. John lo fissava, immobile.

"Perchè mi stai dicendo questo?", domandò, serio.

Sherlock si passò una mano tra i capelli.

"Secondo te?"

"Cosa vuoi che ne sappia, Sherlock? Non sei quello che si può definire un libro aperto!"

Sherlock si morse il labbro inferiore.

"Hai idea di quanto mi sia costato dirti quello che ti ho appena detto?"

John accartocciò il bicchiere di cartone tra le dita. Alcune gocce  di caffè colarono lungo la sua mano.

"Non mi hai detto proprio un bel niente!", sputò tra i denti,  "Per quanto ne sappia potrei mancarti perchè hai bisogno di qualcuno che alimenti il tuo ego!"

"Non dire sciocchezze", lo liquidò l'altro.

"Non sto dicendo sciocchezze!", ribattè John, aumentando il tono di voce.

Cominciò a piovere più forte, ma nessuno dei due sembrò curarsene.

"Perchè non hai protestato quando ti ho detto che mi sarei trasferito da Sarah?", incalzò il medico.

"Che diritto ne avevo?"

"Che diritto ne avevi?! Se non volevi che me ne andassi dovevi dirmelo, Sherlock, dovevi dirmelo!" John scagliò il bicchiere di cartone al suolo.

Sherlock fece per replicare ma John non gliene diede il tempo.

"Al posto di pretendere che non te ne importasse nulla, al posto di farmi credere che fosse indifferente che io ci fossi o meno, dovevi fermarmi, su quella cazzo di porta, e pregarmi di non andarmene!"

"Pregarti, John? Solo se mi fossi umiliato davanti a te saresti rimasto?!", protestò il detective.

"Umiliato? Da quando dimostrare i propri sentimenti a qualcuno significa umiliarsi?"

"John-"

"So cosa stai per dire! Quali sentimenti?", ormai John era un fiume in piena, così come quello che si stava effettivamente abbattendo su di loro, sotto forma di temporale.

"Non so cosa ti blocchi, Sherlock, se si tratta di orgoglio, di freddezza, se sei affetto da una malattia mentale, non capisco, non riesco a capirti! Ti ho aspettato due fottuti anni, due, e tu niente! Non potevo aspettarti per l'eternità!"

"Cosa ti aspettavi da me?", fece Sherlock con tono dimesso.

"Che mi parlassi, mi dicessi cosa provassi! Che mi toccassi, se proprio le parole non sono il tuo forte in questo campo e invece nulla, neanche quello!"

"Forse non hai notato che sono fatto così."

"Allora perchè non ti rassegni al fatto di avermi perso?"

Sherlock singhiozzò. La pioggia era penetrata fin dentro il suo cappotto, il freddo lo aveva immoblizzato, assieme alle parole di John.

Era stato sconfitto.

"Non potremmo ricominciare daccapo, John?" Sherlock si alzò in piedi.

"Che vuol dire?"

"Torna da me, torna a vivere da me! Io ti-"

Un lampo attraversò gli occhi di John.

"Io ti voglio con me", concluse Sherlock.

"E cosa cambierebbe? Cosa ci sarebbe di diverso?"

Sherlock tirò su col naso. Era fradicio.

"Non ti ho dimostrato abbastanza quanto tenga a te, quella volta con Moriarty?"

"E poi? Hai continuato a ignorarmi, concentrandoti solo sulle ricerche di quel pazzo!"

"HO RISCHIATO LA MIA VITA PER TE!", urlò Sherlock, a pieni polmoni. Il parco era pressocchè deserto, la pioggia aveva messo in fuga tutti.

"Voglio poterti toccare, Sherlock, voglio poterti baciare!"

John mosse alcuni passi verso l'altro, che si ritrasse.

"Visto? Non potremmo mai avere una relazione normale!"

"Cos'è per te una relazione normale? Mandarsi sms tutto il giorno e mangiare focaccine col tè insieme**?"

"No, è poterti dire che ti amo e sentirmi rispondere che mi ami anche tu, è poterti abbracciare quando ne ho voglia, e poter fare l'amore con te dopo aver rischiato per l'ennesima volta la vita! Ma tu non sei normale proprio per niente e io non ce la faccio a vivere così!"

John si accasciò esausto sulla panchina.

"Avrei dovuto portare l'ombrello."

Sherlock si avvicinò all'altro.

"Non so se ci riesco", mormorò.

"Non avevo dubbi."

John tremava da capo a piedi.

"Sarà meglio che torni a casa."

"Da Sarah?"

"Da chi altri?"

" Voi avete una relazione normale?"

"Più di quanto desideri."





*Il "Criterion Bar" è il locale nel quale, in "Uno studio in rosso", Watson incontra il suo amico Stamford, quello che gli presenterà Holmes. Nella serie BBC, Moffat ha voluto inserire un riferimento piuttosto velato a questo locale. Infatti, quando John incontra l'amico al parco, tiene in mano una tazza con la scritta "Criterion". Non me ne sono accorta io (figuriamoci!), lo dice il Moff nei contenuti speciali del DVD.

** Riferimento a una battuta del Dottore (Doctor Who) nell'ultima puntata della sesta serie. Sono consapevole che solo chi guarda il Dottore può capirla! In sintesi, per il Dottore l'appuntamento ideale è fatto di texting and scones, ovvero sms e focaccine (in realtà gli scones sono dei dolcetti che gli inglesi accompagnano al tè. Mai mangiati, ma sembrano così invitanti!). Il Dottore è sentimentalmente imbranato, così come Sherlock, quindi mi piaceva mettere questa frase in bocca la nostro detective!


Ps: la mia beta deve perdonarmi se non l'ho pubblicamente ringraziata nel capitolo precedente...Scusami, Blaise, se  ti ho data per scontata! Grazie del supporto e delle correzioni (ah, se ci sono ancora errori non è colpa tua, è colpa mia che non faccio tesoro dei tuoi insegnamenti!). E grazie anche a Madame Butterfly per la recensione...sono contenta che la storia ti piaccia e che ne apprezzi la colonna sonora!

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


sherly 3
Every step that you take
Could be your biggest mistake
It could bend or it could break
But that's the risk that you take
What if you should decide
That you don't want me there in your life.
That you don't want me there by your side.
(What if-Coldplay)
Sherlock sentì distintamente il rumore del freno a mano. Un' auto si era fermata sotto casa sua. Si avvicinò cautamente alla finestra e quello che vide confermò i suoi sospetti.

Si fiondò sul divano, si avvolse attorno le coperte e se ne stette perfettamente immobile.  Una manciata di secondi dopo udì il suono del campanello e uno scambio di parole concitato. Dopo aver salito, non senza

una certa urgenza, le scale, l'intruso fece irruzione nel suo appartamento, seguito dalla signora Hudson, che borbottava fra se "Sherlock non la prenderà bene."

"Signora, ci lasci soli", disse il nuovo arrivato, col tono di uno abituato a dare ordini.

"Ma non vede che Sherlock sta dormendo? Torni un'altra volta!", lo implorò la signora Hudson, riducendo le sue parole a un sussurro.

"Non sta dormendo affatto!", replicò l'altro, senza attenuare il proprio tono di voce, "ora, per favore, se ne vada", la congedò con un breve inchino.

La signora tentò un ultimo atto di resistenza, ma lo sguardo implacabile dell'altro la fece desistere.

Quando la porta fu chiusa alle sue spalle, l'uomo si mosse verso il divano.

"Hai intenzione di mettere fine alla tua recita?"

Sherlock continuò a ignorarlo.

"Vorrà dire che dovrò passare alle maniere forti."

L'uomo fece roteare il proprio ombrello e prese a pungolare Sherlock sulla schiena. Quest'ultimo emise un ringhio basso e, dopo l'ennesima stoccata dell'altro, si voltò furioso.

"Mycroft, finiscila!"

"Non c'è un porta-ombrelli in questa casa?",domandò Mycroft, guardandosi intorno.

"C'è una ragione per la quale te lo porti sempre appresso, anche quando non minaccia di piovere?", replicò Sherlock, guardando tanto il fratello quanto l'ombrello con ostilità.

"Gli imprevisti capitano", si limitò a rispondere l'altro.

"Cominciavo a pensare si trattasse di un'arma super sofisticata in dotazione ai servizi segreti inglesi."

Mycroft si mise a ridere.

"Mi dispiace deluderti."

Sherlock tirò su col naso e cominciò a frugarsi nelle tasche della vestaglia. Suo fratello gli allungò un fazzoletto, che lui rifutò sdegnosamente.

"Posso accomodarmi?", chiese con cortesia Mycroft, ripiegando il proprio fazzoletto di stoffa.

"Fa' come vuoi."

"Va bene qui?", Mycroft indicò la poltrona di John. Sherlock la fissò per alcuni secondi, con uno sguardo impenetrabile, infine annuì.

Sedutosi, Mycroft incrociò le mani sotto il mento e puntò i suoi occhi sul fratello.

"Sei venuto per contemplarmi?", fece Sherlock stizzito.

"In realtà sono venuto per verificare di persona le tue condizioni di salute."

"Sto magnificamente bene, ora puoi andare."

"A vederti non si direbbe",  lo sbeffeggiò l'altro, "tanto per cominciare, hai il raffreddore.  É inutile che ti rammenti che stare a lungo sotto la pioggia battente può provocare malanni."

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia.

"Poi c'è dell'altro, e questo ti rende più intrattabile del solito. Ti va di dirmi cos'è?"

"Dimmelo tu, possiedi il dono dell'onniscienza*."

Mycroft parve compiaciuto dal commento del fratello. 

"Non mi serve quello per capire cosa non va."

"Coraggio, fai sfoggio delle tue capacitò deduttive, che superano di gran lunga le mie."

Mycroft chiamò a raccolta i propri pensieri.

"L'ispettore Lestrade lamenta la tua assenza sul campo da più di un mese",  iniziò, " più di un mese fa il tuo coinqulino John è andato a vivere con la sua fidanzata."

"E questo cosa dimostrerebbe?"

"Che questo evento ha inciso sul tuo stato d'animo. Anche se la proprietaria di casa tua si è rifiutata di dirmelo so che anche le tue abitudini alimentari sono cambiate."

"Mi sono messo a dieta anche io", scherzò Sherlock.

"E poi c'è quell'episodio al parco..."

Sherlock si drizzò a sedere.

"Cos- mi hai fatto pedinare? La tua perversione non ha limiti!"

Mycroft scosse il capo con veemenza.

"No, no. Ti ho seguito di persona."

"Tu!" Sherlock saltò in piedi sul divano, "quel vecchio eri tu!"

Mycroft annuì, con un sorrisetto da far saltare i nervi.

"Devo dire che sono impressionato", commentò il detective, rimettendosi a sedere e ricomponendosi.

"Non credevi che mi sarei spinto a tanto?"

"Credevo che avresti delegato il lavoro sporco ad altri, come fai sempre."

"Cosa non si fa per amore di un fratello", commentò Mycroft, con tono melenso.

"Cosa non si fa per soddisfare la propria morbosa curiosità", replicò, invece, Sherlock.

Mycroft finse di offendersi.

"Tirando le fila del nostro discorso", proseguì  "ami il tuo ex coinqulino."

Sherlock rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva. Prese a tossire convulsamente, sotto lo sguardo impassibile del fratello.

"Forse hai bisogno di un medico", osservò Mycroft, sollevando un angolo della bocca.

"Non-non sei divertente", protestò Sherlock, cercando di riprendere fiato.

Mycroft ridacchiò tra se e se.

"Che ne dici di farci portare del tè dalla signora Hudson?", propose.

"Non è la mia cameriera."

"Peccato."

"Come intendi risolvere il problema?", riprese Mycroft poco dopo, giocherellando con l'ombrello.

"Non c'è un modo per risolverlo."

Mycroft si piegò in avanti, verso il fratello.

"Sherlock, ti rendi conto che in questo stato non rendi dal punto di vista...professionale."

"E da quando questi sarebbero affari tuoi?"

"Da quando il livello di criminalità a Londra rischia di aumentare", Mycroft si fece serio "i casi che negli ultimi tempi hai risolto per Lestrade sono sciocchezze. Scotland Yard è nei guai fino al collo. L'ispettore è venuto da me più di una volta, ma io non ho tempo di occuparmi di queste cose."

"Dovranno imparare a cavarsela da soli, prima o poi."

"Esatto, prima o poi. Ma fino a che ci sarai tu in giro è meglio sfruttare le tue abilità e non lasciare la città in mano ai balordi."

"Ti riferisci ai criminali o a quelli di Scotland Yard?"

Mycroft fece un sorrisetto complice.

"Appunto per questo è necessario che torni in piena attività. E poi...non posso mica pagare il tuo affitto a vita!"

"Non te l'ho mai chiesto."
 
Sherlock, lanciò uno sguardo truce al fratello.

"Non ce n'è mai stato bisogno", ribattè l'altro, con superiorità.

"Mi serve trovare un altro coinquilino", osservò Sherlock.

"Non dire stupidaggini!", esclamò suo fratello "quello che ti serve è far ritornare John in questa casa."

Sherlock si strinse nelle spalle.

"C'eri o non c'eri, al parco?"

"Sì, e mi sono trovato assolutamente d'accordo con John."

"Allora sai che non tornerà mai!"

"Mai! Che parolone! Ti ha solo posto delle condizioni!"

"Che non riuscirò mai a osservare. Ahia!", Sherlock si afferrò il braccio colpito dall'ombrello del fratello.

Mycroft fece leva sul suo orgoglio.

"Di nuovo questo mai! Non ti facevo uno che si arrende così facilmente!"

Sherlock sospirò stancamente.

"Mi è successo qualcosa che non era nei miei piani, che non avevo calcolato, qualcosa che sfugge a ogni logica..."

"Ti sei innamorato", concluse Mycroft per lui,  "e adesso non sai come proseguire."

Qualcosa di molto simile a una fitta di dolore attraversò il volto di Sherlock.

"Tu non vuoi che John soffra, giusto?", domandò Mycroft.

Sherlock annuì.

"No, soprattutto se per colpa mia."

"Allora fa' quello che vuole lui. Presto ti accorgerai che è quello che vuoi anche tu."



*Come afferma Sherlock ne "L'avventura dei piani Bruce-Partington" a proposito di Mycroft:  "tutti gli altri uomini sono specialisti, ma la sua specializzazione è l'onniscienza."

Oh, Mycroft, quanto mi piaci!  

Ringrazio tantissimo Blaise, remvsg e JimmyHouse per le loro belle parole che mi hanno resa taaanto felice! Auguro a tutti coloro che hanno letto questa storia un BUON NATALE e un BUON SHERLOCK il primo Gennaio (non ce la faccio più ad aspettare questa seconda serie! Mi sento come una bambina che aspetta che arrivi Babbo Natale)!

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


sherlock 4
...and I never meant to cause you trouble
and I never  meant to do you wrong
ah, well if I ever caused you trouble
oh no I never meant to do you harm
(Trouble - Coldplay)


Sherlock pagò il tassista e lo salutò con un cenno del capo. Si mosse verso il portone e rimase qualche secondo a fissarlo, prima di decidersi a bussare.

Ingannò l'atteso guardandosi intorno distrattamente, tradendo una certa ansia. Non avendo ancora ricevuto risposta decise di sfilarsi un guanto e riprovare a bussare.

Aveva appena allentato la pressione sul campanello, quando la porta si aprì. Sapeva chi si sarebbe trovato davanti.

"Disturbo?", domandò a colei che gli aveva aperto.

Sarah era genuinamente sorpresa.

"John è al supermercato", riuscì ad articolare.

"Posso aspettarlo dentro?".

La donna annuì, dopo un momento di incertezza, e spalancò la porta per lasciarlo passare. Sherlock le rivolse un sorriso di ringraziamento, chiaramente di circostanza, e si affrettò a entrare.

"Andiamo in cucina", propose Sarah, facendo strada. Sherlock annuì e la seguì, lanciando occhiate in giro, come un gatto curioso fuori dal suo habitat.

Non avevano mai avuto modo di parlare da soli, loro due. Non si erano visti molto in quei due anni durante i quali John e Sarah, tra alti e bassi, si erano frequentati e l'imbarazzo di essere due sconosciuti  era palpabile.

"Gradiresti un tè?", domandò Sarah, muovendosi automaticamente verso il bollitore, come per tenersi occupata con qualcosa.

"Sì, ti ringrazio", rispose Sherlock sfilandosi l'altro guanto e iniziando a slacciarsi il cappotto.

"Purtroppo non ho niente con cui accompagnarlo, John è appunto andato a fare la spesa", Sarah distolse l'attenzione dalla credenza, dalla quale aveva estratto due tazze e si accorse di Sherlock che armeggiava col cappotto, "oh, che sbadata, da' qua!".

Sherlock le fece cenno di non preoccuparsi e andò da solo ad appendere il cappotto all'attaccapanni. Colse l'occasione per dare un altro sguardo intorno.

"John non dovrebbe tardare ancora molto", lo rassicurò Sarah, disponendo le bustine di tè nelle tazze, "ah, non ti ho chiesto se il Principe di Galles ti andasse bene!".

Sherlock annuì distrattamente e distolse lo sguardo, aumentando la confusione, e l'imbarazzo, che già albergavano in Sarah da quando si era presentato alla porta di casa.

"Non dovresti sentirti minacciata da me", asserì Sherlock, guardando fuori dalla finestra, "dal momento che tu e John non state più insieme".

Sarah si bloccò col bollitore in mano.

"Non disturbarti a chiederti come lo so", Sherlock posò nuovamente gli occhi su di lei, "è piuttosto ovvio, sarebbe un'offesa alla mia intelligenza".

"Ma tu muori dalla voglia di dirmelo", ribattè Sarah, dopo essersi ripresa dalla sorpresa.

Sherlock ridacchiò, punto sul vivo.

"Basta che ti dica che John dorme sul divano da un po' e che tu non indossi più il braccialetto che ti ha regalato per il vostro anniversario. Niente zucchero per me, grazie, solo un po' di latte".

Sarah allungò a Sherlock la sua tazza.

"Dal momento che era piuttosto ovvio", gli fece il verso, "non mi disturberò a dirti che hai ragione". Sembrava aver recuperato un po' di sicurezza, anche se non aveva ancora debellato l'imbarazzo.

Sherlock prese un sorso di tè, lasciandosi sfuggire un mugolìo di apprezzamento.

"Sono contenta che ti piaccia", commentò la donna.

"Da quando vivo da solo non ne bevo molto", si limitò a rispondere Sherlock.

Dopo alcuni secondi di silenzio, scanditi dal ticchettìo dell'orologio della cucina, Sarah cominciò a parlare.

"É finita poco dopo che John si è trasferito qui-"

Sherlock la bloccò con un cenno della mano.

"Non è necessario", disse semplicemente.

Sarah parve ferita dall'ostentata insensibilità di Sherlock, ma lui se ne rese conto in tempo e corse ai ripari .

"Mi dispiace", mormorò.

"Non è colpa tua", disse Sarah, sorseggiando il tè, "nonostante tutto non è colpa tua".

Sherlock valutò per un allarmante secondo la possibilità di prenderle una mano, come per consolarla, quando lei parlò di nuovo.

"Il fatto che non se ne sia ancora andato, quello sì che è colpa tua", aggiunse la donna, poggiando di nuovo le labbra sulla tazza e guardandolo di sottecchi.

Sherlock si mosse nervosamente sulla sedia.

"Se non vuole tornare a Baker Street io non posso farci nulla".

"Allora che ci saresti venuto a fare qui?", ribattè Sarah in tono canzonatorio.

Sherlock sospirò.

"Mi è stato detto di riprovarci".

"E da quando Sherlock Holmes prende ordini da qualcuno?"

Fu Sarah ad allungare una mano a toccare la sua.

"Sarai anche un genio, ma a volte ti comporti proprio da idiota!"

La risata di lei fu coperta dal suono del campanello.

Sherlock scattò in piedi.

"Non agitarti", gli intimò la donna, "vado ad aprire."

Sarah si diresse verso la porta. Dopo qualche secondo la voce di John lo raggiunse.

"Scusami, ho di nuovo dimenticato le chiavi. Aiutami a portare dentro i sachetti."

Il rumore della porta che si richiudeva e i passi nel corridoio aumentarono il groviglio di ansia nello stomaco di Sherlock.

"Ho comprato il latte di soia come mi avevi chie-"

John si bloccò sulla porta della cucina. Lasciò scivolare con noncuranza i sacchetti della spesa per terra e mosse alcuni passi verso Sherlock.

"Ehi", mormorò Sherlock con un filo di voce.

"Che ci fai qui?", domandò John, sulla difensiva.

Sherlock abbozzò un sorriso, ma ne venne fuori una specie di smorfia.

"Immagino che voi due dobbiate parlare", Sarah fece capolino dietro le spalle di John, "sistemeremo la spesa più tardi",  gli strinse il braccio a mo' di incoraggiamento e se ne andò.

Sherlock, temendo che le gambe non lo reggessero, si rimise a sedere.

"Da quanto sei qui?", lo interrogò John.

"Abbiamo bevuto un tè", si limitò a rispondere il detective, come se quella semplice informazione fosse sufficiente a John per inquadrare cronologicamente la durata della sua visita.

"Che vi siete detti?", continuò John con tono diffidente.

"Lo so, John."

John lo squadrò interrogativo.

"Cosa sapresti, di grazia?".

L'atteggiamento scontroso di John non aiutò Sherlock a rilassarsi. Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe perso il controllo in quella maniera, gli avrebbe riso in faccia.

"Che vi siete lasciati".

"Già, tu sai sempre tutto".

"Perchè non me l'hai detto?", chiese Sherlock, timidamente. Si sentiva un equilibrista inesperto che rischia di cadere dalla fune da un momento all'altro. Se avesse sbagliato a parlare avrebbe rischiato di mandare all'aria la sua ultima possibilità.

"Perchè prima o poi lo avresti dedotto. Non sei tu quello intelligente tra noi?", ribattè John velenoso, prima di avvertire una fitta di rimorso. Se quello davanti a lui non fosse stato Sherlock avrebbe giurato che c'era un velo di lacrime a coprire i suoi splendidi occhi.

John si passò una mano sulle palpebre e si sedette, dove prima c'era Sarah.

"Non potevo continuare a stare con lei, visto che sono innamorato di un'altra persona", incrociò lo sguardo di Sherlock, "e mi sembra superfluo specificare di chi sto parlando".

Sherlock ebbe un tuffo al cuore. Non che John non glielo avesse già urlato in faccia quello che provava per lui, ma la prima volta era suonata più come un'accusa che come una confessione.

"E perchè continui a vivere qui e non torni da questa persona?", azzardò.

"Perchè questa persona non prova per me quello che io provo per lei e viverle accanto sarebbe una tortura", e dal tono di voce sembrava che John quella tortura la stesse già provando.

Fu il turno di Sherlock di sentirsi in colpa.

 Prese un respiro profondo e si schiarì la voce, sperando che l'equilibrista dentro di lui non lo tradisse.

"Sono sicuro che questa persona ti ama come non ha mai amato niente e nessuno in vita sua e ti rivuole con se. A qualunque condizione".

Sherlock trattenne il fiato, scrutando il viso dell'altro per vederne la reazione.

John alzò il capo di scatto. Gli si erano rimepiti gli occhi di lacrime.

"Dici sul serio?", domandò con voce rotta.

"Non potrei scherzare su una cosa simile."

John cominciò a singhiozzare, senza vergogna, di cuore. Sherlock lo invidiava, lo invidiava da morire, avrebbe dato metà del suo cervello per poter avere metà del cuore di John, per riuscire a esprimere i suoi sentimenti senza quella reticenza alla quale era stato abituato sin da bambino, per poter avere quella spontaneità grazie alla quale non avrebbe mai rischiato di perderlo, per lasciarsi andare senza remore alle emozioni, quelle emozioni che guidavano le vite degli altri, ma mai la sua, perchè le emozioni non hanno niente di logico, non possono essere studiate al microscopio, sezionate, catalogate! Quante cose si era perso nella vita a causa della sua assurda convinzione di dover separare cuore e cervello? Adesso, l'uno aveva rischiato di atrofizzarsi e l'altro di implodere! Se non ci fosse stato John a rimettergli in moto il cuore...

"John", lo chiamò con voce carezzevole, "John, vieni, vieni a sentire come mi batte forte il tuo cuore*".

John si ritrovò a sorridere tra le lacrime. Si alzò dalla sedia e con passo incerto si diresse verso Holmes. Allungò una mano verso di lui, chiedendogli con lo sguardo il permesso di toccarlo. Sherlock si alzò in piedi e John posò la mano sul suo cuore, che batteva a ritmo forsennato.

"Allora ce l'hai un cuore!", ironizzò, per allentare la tensione.

"Sì e tu ne sei la prova vivente!", Sherlock gli regalò un sorriso obliquo, prima di prendere con dolcezza la mano di John tra le sue e poggiarvi sopra le labbra.

John ebbe un sussulto quando Sherlock baciò la sua mano.

"Come primo bacio non è male, devo dire", sussurrò sopraffatto.

Sherlock si rabbuiò, ma non lasciò andare la mano dell'altro, stringendola anzi con più fermezza.

"Dico sul serio", disse John, con trasporto.

"I primi baci non sono più...appassionati di solito?".

"Sherlock, sto tremando, ti rendi conto di che effetto mi fai?".

Sherlock non era mai stato così vicino alle lacrime in tutta la sua vita e lo doveva a John.

"Mi dispiace", sussurrò John.

"Per cosa?", domandò Sherlock con una nota di panico.

"Per quello che ti ho detto l'altro giorno".

"Sono io che devo essere dispiaciuto", ribattè Sherlock, sollevato.

"No, Sherlock, sono stato un egoista, fammi parlare", gli intimò dato che Sherlock aveva cercato di interromperlo, "sono stato uno stronzo, non avrei dovuto trattarti in quel modo".

"Va tutto bene, John".

"No, ascoltami, Sherlock", lo pregò," io ti amo per quello che sei, per come sei, e non è giusto pretendere di cambiarti, tutto ciò che desidero è vivere con te, passare con te il resto della mia vita, a qualunque condizione! Quel giorno ero spaventato, ho avuto paura per tanto tempo, Sherlock, paura di essere il solo a trovarmi in questa condizione, non sai quanta paura può fare il pensiero di non essere ricambiato, ti fa impazzire!, ero geloso del tuo lavoro, del tempo che dedicavi ai tuoi esperimenti, che cosa ridicola!", si fermò a prendere fiato, "avevo paura di essere per te solo un immagine sullo sfondo, prima venivano le tue indagini e poi io, prima venivano le tue teste mozzate in frigorifero e poi io-"

"Come hai potuto pensare una cosa simile?".

"Infatti è una cosa stupida da pensare, me ne rendo conto. Ma l'idea che io ti avrei amato con tutto il cuore e con tutto il corpo e sarei stato ricambiato con del tiepido affetto, non la potevo sopportare! Sai quante volte avrei voluto solo tenerti la mano come stiamo facendo adesso? Quante volte avrei voluto poggiare la testa sulla tua spalla mentre guardavamo la tv? E quante volte avrei voluto scivolare nel tuo letto dopo un brutto sogno e accoccolarmi contro di te? Non pretendevo molto! Ma tu mi avresti respinto, perchè il tuo amore non era abbastanza grande-"

"Non è per quello", lo interruppe Sherlock, posando un altro bacio sulla sua mano

"Lo so che non è per quello, lo so, e per questo mi dispiace di averti detto quelle cose,  di averti fatto sentire a disagio, di averti trattato come fanno Donovan e Anderson, come le persone che non ti capiscono, e non ti rispettano e non ti amano! Non ti spingerò mai a fare cose che non vuoi fare, a me basta stare con te, ogni giorno. Non immaginavo che sarebbe stata così dura starti lontano. Mi manca essere svegliato nel cuore della notte dal tuo maledetto violino, mi manca alzarmi la mattina e sentire l'odore di quegli intrugli chimici che ti piacciono tanto al posto dell'odore del caffè, mi manca essere trascinato in giro per i tuoi casi, mi manca rischiare la pelle, perchè mi fa sentire vivo, mi fai sentire vivo, Sherlock, come mai nessuno mi ha fatto sentire vivo, e chi se ne frega di scopare!"

Sherlock rise.

"John, sei un miracolo".

"Siamo diventati religiosi?", lo prese bonariamente in giro l'altro.

"Non essere sciocco, sai cosa intendo", replicò Sherlock, posando piccoli baci sulle dita di John e mandandogli brividi lungo la schiena.

"Sherlock, non devi, se non vuoi", protestò John, tentando di allontanarsi.

"Non ho mai fatto niente che non volessi e non inizierò adesso".

"Ma tu...non fai queste cose".

"Prima di incontrarti erano tante le cose che non facevo, che non credevo di essere in grado di fare", Sherlock si bloccò, "è interessante".

"Cosa?", chiese John, non staccando gli occhi dalle labbra dell'altro.

"L'amore".

John ridacchiò.

"Hai trovato una nuova materia di studio".

"E tu mi farai da cavia".

FINE 




* Dovete perdonarmi se ho preso in prestito questa frase, tratta dalla splendida poesia  "Ogni caso" di Wislawa Szymborska.

Sono giunta alla fine di questo mio piccolo esperimento. Non sono del tutto soddisfatta del risultato, ma è stato divertente (e liberatorio, dopo l'ultima puntata della seconda stagione).
Grazie a tutti quelli che l'hanno seguito. Un ringraziamento particolare va alla mia amica e beta  Blaise, che mi incoraggia sempre e mi ispira (perchè invidio le cose che scrive e provo ad eguagliarla! xD).
Spero di tornare presto  in questo fandom con un'altra storia, dato che Sherlock e John sono sempre nel mio cuore e nella mia mente.










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