Salty's Ice Cream di SunlitDays (/viewuser.php?uid=122686)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 1 *** Capitolo Primo ***
Nickname: SunlitDays
Titolo:
Salty's
Ice Cream
Genere:
Romantico,
Fluff, Comico
Rating:
Giallo/Arancione
Avvertimenti:
piccoli
spoiler
Introduzione:
il
proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno
sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì,
fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con
una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una
mano.
Note dell'Autrice: questa
fic è stata scritta per il contest How Did They
Meet? indetto da nan96. Purtroppo, avendo consegnato solo in due, non
è stata fatta alcuna classifica. Ringrazio comunque la
giudice per avermi dato la possibilità di scrivere una fic
su PJ, cosa che avevo intenzione di fare da tempo.
Note dell'Autrice2:
la storia è composta da tre capitoli, aggiornerò
quindi regolarmente ogni settimana, in più è la
prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo. Spero di aver fatto un
lavoro decente.
Capitolo
Primo
Era
una giornata come tutte le altre alla “Creem’s
Cream”, la gelateria più popolare di Montauk. Orde
di bagnanti si accalcavano davanti al bancone gelato sventolando
scontrini e urlando ordini; dei ragazzi si davano gomitate a vicenda
indicando delle ragazzine in costume da bagno che, fingendo interesse
verso i vari gusti, mettevano in bella mostra le gambe lisce e i sederi
sodi, le mani che nascondevano le loro risate civettuole; un bambino,
da qualche parte in fondo alla sala, lamentava il proprio gelato caduto.
Assolutamente una giornata come tutte le altre: calda, frenetica ed
estenuante.
Sally Jackson, diciannove anni e cento sogni, si spostava da un lato
all’altro del bancone, prendendo ordini e preparando coni
gelato, un fazzoletto di stoffa che le penzolava dalla tasca, pronto
per asciugarle il sudore.
Non era un lavoro difficile ed era anche piacevole talvolta; il trucco
stava nel non distrarsi mai, o sarebbe stata la fine.
«Penny,
il cioccolato è finito. Muoviti!».
L’urlo roco del signor Creem arrivò proprio mentre
Sally contava il resto da dare alla vecchia signora Callanger mentre un
posticino della sua mente teneva ben stretto il ricordo delle prossime
ordinazioni da preparare.
«Mi
chiamo Sally» urlò, cercando di sovrastare il
chiacchiericcio della folla.
«Muoviti!».
Naturalmente, non c’era modo di spiegare al suo capo che se
si fosse allontanata anche solo un attimo, ci sarebbe stata una rivolta
dei clienti. Avrebbe potuto andarci lui stesso, ma Sally dubitava che
il signor Creem potesse disturbarsi tanto da alzarsi dal suo comodo
sgabello.
L’umidità
le si attaccava sulla fronte e il labbro, e ciocche di capelli le
sfuggivano dalla cuffietta incollandosi sulle sue guance sudate.
Solo
quando l’ultimo cliente uscì, Sally
poté finalmente sedersi un attimo e massaggiarsi i piedi
stanchi. Non che potesse andare a casa, doveva ancora pulire e
organizzare tutto per il giorno successivo.
La
gelateria “Creem’s Cream” era una
spaziosa e luminosa sala rivestita di marmo chiaro. Sulla sinistra
facevano bella mostra tutti gli attestati e premi che aveva
collezionato il signor Creem, un tempo un noto gelataio dai folti
capelli rossi e la passione per il suo lavoro, divenuto poi un uomo
sovrappeso con una decina di capelli bianchi riportati di lato come per
nascondere la calvizie, e le dita perennemente inumidite per far
scivolare le banconote più fluidamente.
Dietro
al grande bancone gelato, c’erano foto del signor Creem con
gente famosa passata per il locale negli anni: un’ulteriore
dimostrazione dell’egocentrismo e amore per gli affari
dell’uomo.
Sulla
destra, invece, c’erano decine di tavoli di metallo messi a
disposizione della clientela, e, in un angolo, una porta conduceva al
magazzino e alla cucina.
La
parte che Sally preferiva era la parete d’ingresso: era
completamente di vetro e, nelle ore morte — non che ce ne
fossero molte — Sally spesso si scopriva a fissare i vari
bagnanti e a desiderare di essere una di loro.
Come
dipendente di una gelateria di successo, non aveva molto tempo per se
stessa, ma il salario era abbastanza da conservare i soldi necessari a
pagarsi gli studi, e il suo capo le aveva permesso di usare la sua
cabina: una minuscola catapecchia dalle tende sbiadite e il perenne
odore di muffa. Ogni sera, prima di andare a letto, Sally doveva
agitare le lenzuola per liberarsi della sabbia entrata dalle
innumerevoli fessure e, ogni mattina, si svegliava con una sensazione
di prurito e la pelle che sembrava un’arancia. Ma all'alba,
Sally apriva la finestra facendo entrare il profumo di salsedine e
osservando la spiaggia bianca e vuota, l'oceano che si estendeva
immenso. Un posto magico. Sally sognava di tornare lì ogni
anno, magari col suo futuro marito e il loro bambino.
Sapeva
di meritare di più, ma la vita le aveva riservato diverse
difficoltà, quale la perdita prematura dei suoi genitori, la
malattia e, successivamente, la morte di suo zio. Ma non se ne
rammaricava. Avrebbe lavorato di più e più
duramente. La fortuna bisogna crearsela da soli, le ripeteva zio Rich.
«Penny,
è arrivato un nuovo carico da sistemare. Che fai
lì impalata, muoviti!» la rimproverò il
signor Creem. Sally sospirò in silenzio. Adesso si sarebbe
alzata e gli avrebbe urlato che non era lei quella che se ne stava impalata,
e il suo nome non era Penny, per la miseria!
«Arrivo
subito, signor Creem» rispose, invece. Lo guardò
mentre si allontanava, il solito sguardo scorbutico, il pancione che si
appoggiava sul pantalone come una pasta da pane lievitata troppo. Poi
il suo sguardo si spostò verso gli scatoli da sistemare e
sospirò di nuovo.
«Buongiorno»
disse una voce limpida e con un accento orientale alle sue spalle.
«Mi
dispiace» disse Sally con voce forzata, mentre cercava di
issare una scatola di latte in polvere. «Siamo
chiusi».
Riuscì
finalmente a posizionare la scatola precariamente tra le sue braccia,
si voltò, sorriso in volto, verso il cliente ritardatario e
lanciò un urlo. La scatola cadde a terra con un tonfo
aprendosi, e il latte in polvere si sparse ai suoi piedi. Il folle pensiero di Sally, mentre guardava con occhi sgranati l’uomo bizzarro che le si parava davanti, fu: il
signor Creem mi detrarrà i soldi del latte dal mensile.
Nel
frattempo, il proprietario della voce la guardava con un sorriso di
scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana,
lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in
una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto
due metri in una mano.
Il
signor Creem entrò correndo e allarmato, un sigaro cubano
che gli penzolava tra le labbra.
«Che
succede?».
Esaminò
per qualche secondo la situazione, poi il suo sguardo divenne vacuo e,
inspiegabilmente, s'inchinò verso il nuovo cliente.
Evidentemente sembrò giudicare le sue azioni e
l’abbigliamento dell’uomo del tutto regolari,
perché si raddrizzò e, sbuffando una nuvola di
fumo, sorrise al cliente. Poi si voltò verso Sally.
«Guarda
cosa hai combinato, sciocca ragazza. Adesso—». Si
bloccò come se qualcuno avesse premuto il tasto
“pause”. Restò per qualche secondo con
la bocca aperta e il dito indice puntato verso la sua dipendente, e
proprio mentre Sally stava per chiedergli se stesse bene, lui sorrise e
disse: «Adesso perché non prepari al gentiluomo
qui un bel gelato al cioccolato? Penso io a pulire».
Aggrottò
le sopracciglia come se anche lui, come Sally, si stesse chiedendo il
motivo dietro le sue parole. Poi si voltò rigidamente e si
diresse verso l’armadio delle scope.
Sally
respirò profondamente, gli occhi incollati verso il posto
dove un momento prima si trovava il suo capo. Cominciava ad avere un
sospetto: non era la prima volta che le capitava di vedere cose strane
che, a quanto pareva, non esistevano. Come quella volta, quando aveva
nove anni e suo zio l'aveva portata al centro commerciale. Avrebbe
potuto giurare che nella lunga fila per il bagno, ci fosse stato un
enorme serpente con la testa da leone. Quando l'aveva detto ad alta voce,
una signora si era voltata e l'aveva guardata male, come se
avesse detto una cosa terribilmente scortese verso un uomo
perfettamente rispettabile. E quell’altra volta, in terza
elementare, aveva costretto zio Rich a cambiarle scuola perché la
sua maestra non le piaceva: aveva otto tentacoli e un becco
d’aquila.
Zio
Rich le diceva sempre di smetterla di giocare con i suoi amici mostri
immaginari.
Ma
quella non era immaginazione, e, di certo, non era neanche la
realtà. Forse era un qualche disturbo post traumatico dovuto
alla perdita dei suoi genitori? Sally sapeva soltanto che in quei
momenti l’unica cosa da fare era comportarsi come se non ci
fosse nulla d'inusuale.
Sorrise
forzatamente all’uomo bizzarro appoggiato al bancone,
cercando disperatamente di non guardare il letale tridente che lui
stringeva nella mano destra, né la porzione di pettorali che
s'intravedeva dall’armatura. Tossicchiò.
«Gelato
al cioccolato, dunque? Subito». Cominciò ad
armeggiare con la spatola, la mano che le tremava e i capelli umidi che
le finivano negli occhi.
«Ecco
a lei» disse quando ebbe finito, porgendogli il cono gelato.
L’uomo la guardava con una tale intensità che
Sally si sentì vacillare. Nei suoi occhi verdi vide un mare
in tempesta, maremoti, resti distrutti di un’imbarcazione, un
marinaio dallo sguardo disperato. Ebbe il folle istinto di inchinarsi,
di promettere eterno servigio...
Batté
le palpebre. Aveva ancora il braccio teso verso lo strano uomo, la voce
dei bambini che giocavano sulla spiaggia arrivava fresca e gaia nelle
sue orecchie. Guardò il cono gelato che stringeva in mano,
aspettando di trovarlo sciolto. Era intatto: era passato solo un attimo.
Adesso
l’uomo la guardava con sguardo interrogativo.
«Grazie»
disse lui, la voce limpida e profonda. Prese il gelato che Sally gli
porgeva, ma non lo mangiò, non si mosse. Continuava a
guardare Sally come se lei avesse appena fatto apparire un coniglio dal
suo cilindro e lui stesse cercando di capirne il trucco. Era snervante.
Sally si rimise a lavoro, accanendosi su una ciotola particolarmente
incrostata.
Dovevano
esser passati svariati minuti quando alzò di nuovo gli
occhi. L’uomo la stava ancora osservando, il tridente nella
mano destra e il cono nella sinistra. Non una goccia di gelato era
colata. Devo
diminuire la dose di latte in polvere,
pensò Sally.
Aprì
la bocca, decisa a dirgli che c’erano dei tavolini molto
comodi laggiù e che la vista, lì, era migliore,
ma l’uomo la batté sul tempo.
«Straordinario!»
disse inspiegabilmente. «Erano anni che non ne incontravo
una». Sally stava cominciando ad avere seri dubbi sulla
propria sanità mentale.
La
porta si aprì ed entrò Tommy Fragola e Pistacchio
Nel Cono Grande Grande: un bambino di non più di cinque anni
che ogni giorno scappava dallo sguardo vigile della madre per scroccare
un gelato gratis. Sally lo adorava.
«Fammi
indovinare» disse Sally, fingendosi seria. «Una
vaschetta di cioccolato e vaniglia» finì, con un
gesto teatrale.
Il
bambino gonfiò le guance con espressione frustrata.
«Nooo» cantilenò. «Fragola e
pistacchio nel cono grande grande».
«Oh,
perdoni una gelataia distratta, messere. La servo subito»
rispose lei. Prese la spatola e il cono più grande che
avevano, consapevole che il bambino non l’avrebbe mangiato
tutto.
Felice
per l’enorme cono ricevuto, Tommy andò a sedersi
su una delle sedie, leccando entusiasta il suo gelato, mentre Sally,
avvertendo lo sguardo dell’uomo strambo su di sé,
si accovacciò dietro al bancone con la scusa di pulire il
danno che aveva fatto. Il signor Creem, notò distrattamente,
non era ancora tornato dall’armadio delle scope.
«Bella
canna da pesca, signore» sentì dire il bambino.
«Ti
piace? È una Michell, un assetto perfetto. Ottimo se vuoi
pescare dei bei pezzi grossi» rispose l’uomo, e il
sorriso che accompagnò quelle parole si poteva percepire
chiaramente.
Sally
guardò attraverso il vetro e vide Tommy annuire con
convinzione, come se lui fosse un esperto di pesca.
«Ti
piace il mare?» gli chiese l’uomo. Aveva delle
rughe attorno agli occhi, segno che dovesse ridere spesso. La sua
zazzera spettinata di capelli neri suggeriva lunghe notti fredde
passate sulla riva dell’oceano. E quegli occhi
così verdi... un momento. Canna da pesca?
«Il
mio papà mi porta sempre a pesca» stava dicendo il
piccolo Tommy.
Canna
da pesca, pensò
Sally, ma
certo! Deve essere un aggeggio che serve a pescare pesci, non un'arma
letale.
Si
sentì rincuorata e anche un po’ stupida per non
averci pensato prima. Che poteva mai farci un uomo con un tridente?
Certo, un’armatura non le sembrava un abbigliamento adatto a
quel tipo di sport, ma cosa poteva mai saperne lei. E la reazione del
signor Creem... l’uomo losco doveva essere un tipo famoso o
molto ricco. Non era raro vedere gente del genere a Montauk.
Pulì
con più vigore, sentendosi come una pazza a cui era stato
detto di essere perfettamente sana.
Quando
ebbe finito, si alzò dalla sua posizione accovacciata,
sentendo la schiena scricchiolare.
L’uomo
aveva appoggiato un gomito sul bancone, mentre con l’altra
mano batteva il tridente ritmicamente a terra. Di Tommy Fragola e
Pistacchio nel Cono Grande Grande non c’era traccia.
«Erano
anni che non incontravo una come te» disse l’uomo e
la guardò come il signor Creem guardava una catasta di
banconote.
«Oh,
ma dove sono le mie maniere. Le chiedo umilmente perdono, signorina, io
sono Poseidone. Onorato di fare la sua conoscenza». Le prese
la mano con delicatezza, chinandosi e sfiorando lievemente il dorso con
le labbra.
Sally
era senza parole, l’unica cosa che riuscì a
blaterare fu: «Quale genitore chiamerebbe suo figlio
Poseidone?» e poi si maledì fino al profondo del
suo essere.
Ma
l’uomo, Poseidone, rise, una risata profonda e di gola, come
se mai avesse ascoltato qualcosa di più comico. Sally
avrebbe voluto sprofondare.
Si
trovava al suo posto di lavoro, con la divisa
da
lavoro, sudata e appiccicaticcia, i capelli umidi e in disordine, in
compagnia di un uomo affascinante e bizzarro vestito come se fosse
appena tornato dalla guerra di Troia, e doveva anche farsi prendere in
giro. Ritirò la mano e le incrociò entrambe
dietro la schiena.
«Chiedo
scusa, signor Poseidone, ma come può ben vedere, siamo in
orario di chiusura. Sarebbe molto cortese da parte sua se potesse
mangiare il suo gelato fuori, grazie» disse gelidamente,
perché Sally Jackson era sempre gentile e disponibile, e
raramente diceva di no, ma non sopportava di esser presa per i
fondelli, e grazie tante.
Il
signor Creem scelse quel momento per tornare, secchi, stracci, spugne e
detersivi di ogni tipo incastrati in ogni giuntura del corpo.
«Sono
venuto a pulire» disse, come se non fosse stato ovvio, e
s'inchinò per eliminare lo sporco che non c’era
più.
Chiaramente,
Sally doveva tornare a casa e farsi una lunga dormita.
Lo
guardò incredula e frastornata per qualche momento e, quando
rialzò lo sguardo, l’uomo non c’era
più.
Un
bambino dalla spiaggia urlò più forte: aveva
fatto goal. Sally si voltò verso di loro, poteva vederli
chiaramente dalle porte di vetro del locale. Correvano, urlavano, si
spingevano. Uno di loro doveva considerare il goal irregolare, o forse
non voleva accettare la sconfitta, perché prese il pallone
sotto braccio e cominciò a protestare. Una donna adulta, una
madre, si avvicinò a loro, un pareo rosso alla vita e un
cappellino di paglia in testa. Prese il bambino piagnucolante per il
braccio e lo portò via. Dai suoi gesti, Sally dedusse che lo
stesse rimproverando, dopodiché gli accarezzò la
testolina e gli dette un bacio sulla fronte. Poi entrarono nel fitto
degli ombrelloni e Sally li perse di vista.
Il
signor Creem canticchiava una canzone anni ‘60 mentre puliva,
e Sally, gli occhi sui padri che insegnavano i figli a nuotare,
sentì una morsa allo stomaco. Pensò a zio Rich
che le prendeva la testa e con poca delicatezza la spingeva
sott’acqua. “Nuota, Sally. Andiamo,
nuota!”
Improvvisamente,
una brezza entrò nel locale, portando con sé
l’odore di salsedine, di libertà e speranza.
Sentì tutta la stanchezza della giornata scivolare via dal
suo corpo, portata via dal vento e, mentre guardava la spensieratezza
dei bambini e l’amore negli occhi dei genitori, sorrise.
[continua...]
Nota:
in
“The Battle Of The Labyrinth” Sally afferma che da
giovane aveva la capacità di vedere oltre la Foschia e che
questa era una delle cose che aveva attirato l’attenzione di
Poseidone su di lei.
Nota2:
in
nessun libro viene indicato quanti anni avesse Sally quando ha
incontrato Poseidone, né se si fosse trovata a Montauk per
vacanze o lavoro. Ma essendo ancora giovane durante la saga, ho pensato
che all’epoca avrebbe dovuto essere appena maggiorenne, e
considerati i suoi problemi economici, dubito avesse sprecato soldi per
una vacanza a mare.
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Capitolo 2 *** Capitolo Secondo ***
Capitolo
Secondo
Le
domeniche erano senza ombra di dubbio i giorni peggiori. Oltre ai
villeggianti di Montauk, arrivavano persone da tutta Long Island armati
di ombrelloni, sedie a sdraio e borse frigo. Partivano la mattina
presto con la speranza di non trovare traffico, ma, Sally pensava con
un sorriso divertito, evidentemente lo pensavano tutti,
perché non c’era modo di scansarti le lunghe ore
di coda. Accaldati e nervosi, con bambini irrequieti e desiderosi di
divertirsi, entravano nella gelateria “Creem’s
Cream” col solo pensiero di comprare qualcosa di fresco.
La
gente era così strana; cercavano momenti di relax nei modi e
tempi più stressanti.
Sally
aveva lavorato ininterrottamente tutto il giorno. Le facevamo male
gambe e braccia e aveva i muscoli delle guance atrofizzate a furia di
sorridere a tutti. Nonostante la sua mente fosse stata concentrata
sulle innumerevoli ordinazioni, i suoi occhi non mancavano di scattare
sulla porta d’ingresso ogni qualvolta la sentiva aprirsi. Ma
nessuno strano uomo dall’antica armatura di guerra
entrò. Si disse di esserne sollevata.
L’unico
aspetto positivo era che, di domenica, lavorava anche Dominique.
Dominique
Creem, nonché nipote del signor Creem, era la tipica
sedicenne americana ribelle e viziata, che, con i suoi capelli biondi e
la bocca perennemente imbronciata, riusciva ad ammaliare buona parte
dei ragazzini brufolosi che popolavano la spiaggia di Montauk.
Quella
mattina Dominique si presentò con l'immancabile sigaretta
tra le dita e lo sguardo annoiato. Indossava una t-shirt con su scritto
“Yeah, I’m Just That Awesome” e si era
smaltata le unghie di nero. In realtà, dietro il suo aspetto
da Non Avvicinarti O Potrei Morderti, Sally sapeva che si nascondeva
una ragazza insicura e confusa.
Per
il signor Creem, naturalmente, Dominique era solo una
“nullafacente che dovrebbe imparare il valore dei
soldi”. Per questo motivo, durante i turni della ragazza, non
era Sally la vittima degli sbalzi d’umori del capo.
«Questo
tu lo chiami pulire? No, dico, tu questo lo chiami pulire?»
sbraitò il signor Creem verso sua nipote.
«Puliscitelo
tu, questo cesso, se sei così bravo»
ribadì Dominique, il tono di voce che suggeriva quanto la
disgustasse pulire il bagno dai liquidi altrui.
Il
signor Creem rispose con una serie scelta d'imprecazioni. Sally vide
una donna coprire le orecchie del suo bambino con le mani e lanciare
sguardi di disapprovazione verso l’angolo da dove provenivano
le urla.
Dopo
un altro paio di botta e risposta alquanto coloriti, Dominique
entrò impettita nella sala e cominciò a servire i
clienti col tono più scortese che riuscisse a utilizzare.
Sally
sapeva che quando la collega era di cattivo umore era meglio fingere
che non esistesse.
Si
diresse verso i tavoli per pulirli dalle macchie di gelato sciolto, e
lì, seduto comodamente con un grosso bicchiere di vetro
pieno del gelato blu, c’era l’uomo strambo. Quel
giorno indossava una camicia hawaiana e dei bermuda color kaki, e se
non fosse stato per quei brillanti occhi verde mare e quel sorriso
sghembo Sally non l’avrebbe riconosciuto.
«Ehilà,
Sally» disse lui allegramente, come fossero due amici di
vecchia data che s'incontrano per caso.
Sally
avrebbe voluto dirgli molte cose, tipo come
diavolo fai a conoscere il mio nome?
e dove
hai lasciato il costume da gladiatore? Quindi
disse: «Non vendiamo gelati blu qui».
«Oh,
sì, mi sono permesso di sedermi qui per gustarmi questo
gelato di ambrosia. Spero non ti dispiaccia, ma i cibi umani sono un
po’ troppo pesanti» replicò lui e
leccò il suo cucchiaino con tutta la naturalezza possibile,
come se avesse detto la cosa più sensata del mondo.
Sally
restò qualche secondo in piedi con lo straccio in mano,
senza sapere cosa dire, poi, sentendosi ridicola, fece per andarsene.
«Aspetta!»
la fermò l’uomo — Poseidone,
rammentò Sally — agitando il cucchiaino come per
indicarle di avvicinarsi. «Perché non ti siedi? Mi
farebbe piacere un po’ di compagnia».
«Io...
non posso. Devo lavorare». Per qualche motivo, dire di no a
quell’uomo le risultava particolarmente difficile.
Poseidone
storse la bocca, piccole rughe si formarono agli angoli delle labbra e
Sally dovette distogliere lo sguardo.
«Hei,
Sally» gridò dall’altra parte del locale
il signor Creem. «Prenditi una pausa, ragazza».
Sally era talmente sorpresa che non fece nemmeno caso alla sedia vuota
che si allontanò dal tavolo da sola.
«Adesso
puoi sederti» disse Poseidone, indicando con la mano il posto
vacante.
Sally
si sedette perché che altro avrebbe potuto fare?
Si
sentiva terribilmente conscia del suo aspetto: i capelli sudati
raccolti in uno chignon nascosto dalla cuffietta, il grembiule da
lavoro e la pezza umida tra le mani.
«Te
ne offrirei un po’, ma non vorrei che il tuo corpo prendesse
fuoco» disse Poseidone, con un’espressione
apologetica in volto.
«Oh!
No, certo, immagino sarebbe doloroso» replicò
Sally.
Poseidone
sembrò pensarci su. «Non so che sensazione si
provi a bruciare, ma sì, penso che faccia male».
Sally
cercò di ricordare come ci si comporta con i pazzi e
l’unica cosa che le venne in mente fu che bisogna sempre
assecondarli e non fare movimenti bruschi, per cui annuì con
forza come per dire “questo discorso ha perfettamente
senso”.
«Immagino
tu ti stia chiedendo cosa io voglia da te» disse Poseidone
dopo qualche minuto di silenzio.
«Ma
no» replicò Sally, con quanto più
sarcasmo riuscisse a infliggere nel tono della sua voce.
«Vedi»
continuò lui come se non l’avesse sentita.
«Il fatto è che io non dovrei essere qui, ma tu mi
hai incuriosito molto. Insomma, io in genere non sono così
incauto, ma sono abituato a fare affidamento sulla Foschia, e quando ho
sentito l’inspiegabile esigenza di entrare in questa
gelateria non avevo previsto la necessità di prendere
ulteriori misure di sicurezza».
«Sono
cose che capitano» rispose Sally, adesso più
confusa che mai.
La
bocca di Poseidone si piegò in un sorriso. La
guardò intensamente e Sally avvertì di nuovo
quella terrificante sensazione d'immenso, come se si trovasse ai piedi
di una montagna e, guardando in alto, si rendesse conto di quanto
piccola e insignificante lei fosse.
«Non
posso ancora spiegarmene il motivo, ma tu sei destinata ad avere un
ruolo fondamentale nel destino del mondo, Sally» disse lui, e
non sorrideva più.
«Forse
inventerò un gelato che non fa ingrassare»
replicò lei, tentando di alleggerire la tensione che sentiva
emanare dal corpo dell’uomo che le stava di fronte.
«Forse»
disse Poseidone sorridendo. «Fa’ solo in modo che
sia blu. Mi piace il blu».
«Sally,
ho bisogno del tuo aiuto, qui» le gridò Dominique.
Infatti,
convenne Sally guardandola, sembrava in difficoltà. Si
voltò verso Poseidone per salutarlo, ma lui non
c’era più.
Nei
giorni che seguirono, Poseidone continuò a tornare nei
momenti più disparati, convincendola a sedersi con lui
— con l’entusiastico e sospettoso consenso del
signor Creem — e parlando di cose che le sembravano ogni
giorno più insensate. Parlava come un uomo di grande
esperienza, e spesso metteva a confronto le cose più banali
a com’erano nei tempi antichi. Ma più di tutto,
sembrava interessato a Sally, tanto che lei quasi si aspettava di
vederlo prendere appunti: quali erano i suoi cibi preferiti? Mare o
montagna? ( sembrò molto soddisfatto da quella risposta ). E
se stesse facendo un viaggio in macchina e dovesse perdersi,
chiederebbe indicazioni a qualcuno o continuerebbe a girare in tondo
finché non avesse trovato la strada giusta?
Ben
presto Sally si scoprì ad attendere con trepidazione quegli
incontri, ma non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione che
le diceva che un giorno Poseidone non sarebbe più venuto.
Una
domenica il signor Creem, nel suo ennesimo attacco di gentilezza, le
disse di andare via prima, che avrebbe pensato lui agli ultimi clienti
e a pulire e, anzi, le avrebbe anche dato un aumento. Sally era stata
troppo occupata a restare a bocca aperta per dire grazie.
E
così si ritrovò alle otto di sera da sola sulla
spiaggia di Montauk, il borsone con il ricambio di vestiti attaccato al
fianco e zero idee su come occupare il suo tempo libero. Generalmente,
sarebbe uscita da lavoro intorno alle due di notte e sarebbe stata
troppo stanca anche solo per pensare.
Ma
erano solo le otto, la spiaggia era deserta se non per poche coppiette
appartate negli angoli più bui, e in
quell’istante, Sally si rese conto di non conoscere nessuno.
Doveva tornare a casa e recuperare qualche ora di sonno? Ma le sembrava
un tale spreco. Zio Rich le diceva sempre di occupare il suo tempo in
maniera ragionevole e costruttiva.
Sospirò
pesantemente e si sedette sul bagnasciuga. Un granchio camminava
lentamente verso una conchiglia, lasciando minuscole scie dietro di
sé. Sally affondò le mani nella sabbia morbida e
bianca, e immaginò che nella conchiglia ci fossero i suoi
familiari ad aspettarlo, e poi rise divertita dalla propria
stupidità. Una
moglie dispotica che prima di farlo entrare nella casa-conchiglia gli
dice di indossare quattro paia di ciabatte.
«Animali
affascinanti, vero? Sembrano lenti e goffi sulle loro zampine, ma
riuscirono a sconfiggere i topi anni addietro». Sally si
voltò, ma aveva già riconosciuto la sua voce. Non
l’aveva sentito avvicinarsi, ma lei non se ne
stupì. Poseidone aveva l’abitudine di comparire
dal nulla e poi scomparire improvvisamente. Era seduto al suo fianco,
in mano aveva il suo tridente.
«Batracomiomachia»
rispose. Lui la guardò sorpreso.
«Sì,
Batracomiomachia, La Guerra dei Topi e delle Rane. Conosci la
storia». Non era una domanda. Sally annuì lo
stesso.
Poseidone
sorrise un sorriso malinconico. «Erano bei tempi
quelli» disse, come se lui avesse assistito di persona a
quella guerra.
Restarono
in silenzio per qualche minuto. Un’onda particolarmente
grande le raggiunse i piedi nudi.
Sally
guardò il mare di fronte a sé, calmo e infinito,
la luce lunare si rifletteva sulle onde come tante strisce argentate.
La
testa di un cavallo spuntò improvvisamente dal mare e a
Sally scappò un urlo. Una coppia di passati la guardarono
incuriositi, si voltarono verso il mare, probabilmente per indagare su
cosa l’avesse spaventata, ma non sembrarono sorpresi nel
vedere un cavallo galleggiare tra le onde.
«Niente
paura. È solo un Hippocampus, creature estremamente
intelligenti e fedeli. Chissà cosa hanno visto quei due
attraverso la Foschia» disse Poseidone mentre allungava una
mano per accarezzare lo strano incrocio tra un cavallo e un pesce che
era appena apparso in mare.
«Foschia...?»
chiese Sally, frastornata.
«Sì,
la Foschia. Una forza che distorce la vista degli umani, facendo vedere
loro solo ciò che la loro mente può
processare». Infilzò il tridente nella sabbia come
fosse un ombrellone, con tutta la naturalezza possibile, come se le
avesse appena spiegato che due più due è uguale a
quattro e non avesse usato la parola “umani” come
la si usa per “esseri unicellulari”.
«Torna
in mare, tu» disse poi rivolto all’Hippocampus, il
quale sembrò comprendere — o forse era solo una
coincidenza — e si tuffò tra le onde.
La
mente di Sally correva a mille all’ora, collegando tutti i
dettagli significativi che era riuscita a cogliere fino a quel momento.
Una coppia di mezza età camminava mano nella mano, la
schiuma delle onde ai loro piedi illuminata dalla Luna. Il granchio era
finalmente entrato nella sua conchiglia.
«Chi
sei?» Sally sussurrò, la sua voce vibrava come
corde di un violino.
Poseidone
le sorrise un sorriso antico. «Hai mai pensato di andar via
da questo posto? Dalle persone che ti comandano, dalle
responsabilità. Salpare e lasciare che la corrente del mare
ti porti verso il futuro che meriti? Io posso dartelo, Sally, dimmi
ciò che vuoi e io te lo darò».
Sally
non sapeva perché, ma le vennero le lacrime agli occhi.
Sì che ci aveva pensato. Durante le lunghe notti passate sul
ciglio del letto di zio Rich, mentre tutti i suoi coetanei si
diplomavano, bevevano birra e si fidanzavano, tutto ciò che
Sally riusciva a pensare era scappare.
«La
fortuna bisogna crearsela da soli» rispose, citando suo zio.
«Capisco,
tu sei un pesce di fiume. Un salmone che per deporre le sue uova dal
mare risale controcorrente il suo fiume d’origine».
Per qualche strana ragione, questo paragone la fece sentire in
imbarazzo.
«Già,
e muore nel tentativo» disse, con una risata nervosa.
«Non
tu, tu ci arriveresti sana e salva». Sally guardò
il tridente, riusciva a sentirne la potenza. Zio Rich le ripeteva
sempre di stare con i piedi per terra, di guardare la
realtà. Uno dei pochi consigli che Sally non aveva mai
seguito.
«Ti
piacerebbe scappare? Solo per stanotte?». Le prese la mano,
come se già conoscesse la sua risposta. La sua era calda e
screpolata. L’aiutò ad alzarsi con la
facilità con cui alzi un bambino. Poi sorrise in modo
birichino, come se lo fossero davvero, dei bambini.
«Andiamo»
disse con eccitazione. Sally rise per il suo entusiasmo, lasciandosi
coinvolgere. Fece per raccogliere borsa e scarpe, ma Poseidone la
fermò.
«No,
lasciala qui. Nessuno le toccherà»
agitò la mano come per scacciare una mosca e borsa e scarpe
divennero roccia.
Sally
aveva un milione di domande in gola che litigavano su quale dovesse
esser detta per prima, ma Poseidone le prese di nuovo la mano e
ripeté: «Andiamo» e lei gli permise di
farsi tirare verso l’oceano.
Quando
i piedi di Poseidone toccarono l’acqua, il mare
sembrò fermarsi, come in una fotografia. Sally
poté percepirne il calore. La luce della Luna
sembrò essere più luminosa. Sembrava essere su un
cielo stellato.
Lui
fischiò e un secondo dopo la testa dello splendido
Hippocampus sbucò dall’acqua, la coda di pesce
scodinzolante. La creatura emise un verso deliziato quando Poseidone le
accarezzò la testa. Poi lui si voltò verso di lei.
«Prima
le signore». L’aiutò a montare il
cavalluccio, i piedi penzoloni nell’acqua calda. Sally non
sapeva bene dove aggrapparsi. Lo sentì salire dietro di lei
e toccarle la vita con entrambe le mani. Dovette trattenere un fremito.
«Non
preoccuparti. Non ci lascerà cadere». E un attimo
dopo erano partiti, a una velocità che, Sally
intuì, non avrebbe dovuto essere normale per un semplice
cavalluccio marino.
Chiuse
gli occhi d’istinto e gridò, la sua voce
inghiottita dal vento. Poseidone rideva, Sally poteva avvertirla dalle
vibrazioni che sentiva dietro la schiena.
Poi
aprì gli occhi e... dovette richiuderli di nuovo.
Perché quello che vedeva era impossibile e inimmaginabile.
«Apri
gli occhi, Sally». Fece come le era stato detto.
Nuotavano,
no, volavano
sull’acqua verde e blu, la Luna che la illuminava con
striature argentee. Pesci e strane creature marine sorridevano loro dai
fondali. Non si riusciva a capire dove finisse il mare e cominciasse il
cielo. Era un enorme, infinito oceano, fatto di luci e colori. Nelle
sue orecchie, solo la risata di Poseidone e il fischio del vento.
Se
alla fine della mia scalata sul fiume devo morire,
pensò, voglio
che questo sia il mio paradiso.
«Tieniti
pronta» urlò Poseidone un attimo prima che
l’Hippocampus si tuffasse. Sally trattenne il respiro
d’istinto. Splendide donne - nereidi, ricordò
Sally - ridacchiavano e sussurravano tra di loro. Era chiaro che
stessero parlando di Sally e Poseidone.
«Respira».
La voce di Poseidone le giunse amplificata. Fu difficile, ma lei si
costrinse a inspirare e non si meravigliò quando
scoprì di poter respirare sott’acqua. Era una
sensazione magnifica, sentiva di poter fare qualsiasi cosa.
Il
cavalluccio li portava sempre più giù, fin dove
il corpo umano non si era mai addentrato e la luce diventava sempre
più fievole. Le sembrava di essere in una sfera verde, una
di quelle che Sally, da bambina, adorava agitare e aspettare che
l’ultimo fiocco di neve cadesse a terra.
Sentiva
le alghe solleticarle i piedi nudi. Non riuscì
più a controllare l’istinto e si voltò.
Dalla
sua bocca uscirono tante bolle che si ruppero quando toccarono il viso
di Poseidone e solo allora si udì la sua voce
«È bellissimo». Lui sorrise quel suo
sorriso saggio e dolce e le toccò il viso, la mano calda e
asciutta.
La
baciò, la bocca screpolata e umida. La baciò e
Sally si sentì diventare un tutt’uno con
l’acqua, si sentì dilatare e sciogliere e
diventare tante minuscole particelle. Sentì il suo corpo
galleggiare, leggero e informe, nell’acqua bollente. Il suo
respiro in milioni di bollicine che custodivano gelose un solo nome...
[Continua...]
Angolo
dell'autrice
Ed ecco a voi il secondo capitolo, ne manca ancora uno e poi la fic
sarà finita. Ringrazio calorosamente chi ha recensito o
anche solo letto. Frequento da poco il fandom di PJ e sto
già conoscendo tante persone simpatiche e talentuose. Spero
di non essere da meno^^
Al prossimo capitolo.
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Capitolo 3 *** Capitolo Terzo ***
Capitolo
Terzo
La
mattina dopo, Sally si svegliò di soprassalto. Era
già vestita e stava infilando la seconda scarpa quando si
rese conto che era lunedì: il suo giorno di riposo.
Sbuffò, ma si sentì subito meglio e si
lasciò cadere sul letto di schiena. Avrebbe potuto dormire
un po’ di più, poi studiare e infine— e
poi ricordò. Poseidone, l’oceano, le nereidi.
Abbiamo davvero... ? Strinse le gambe e, come c’era da
aspettarsi, sentì un leggero fastidio. Arrossì.
Restò
in quella posizione per lungo tempo, ricreando i momenti della notte
prima nella sua testa. Fili confusi di pensieri le volteggiavano nella
mente. Un misto di sensazioni contrastanti le galleggiavano nello
stomaco.
Alla
fine, non potendone più di star ferma, si alzò e
decise che, siccome era già vestita, tanto valeva uscire.
La
città era allegra e caotica. Gente con indosso solo costumi
e vestitini leggeri affollavano le strade. Sally decise di andare al
mercatino e sacrificare una piccola parte della sua paga per il piacere
personale. Comprò un paio di sandali e uno strano cappellino
che sapeva non avrebbe mai indossato. Si divertì a
chiacchierare con i venditori e a osservare il via vai di gente.
A
metà mattinata, il sole cominciava a scottare sulla sua
testa. Il calore s'impregnava sull’asfalto e saliva
lentamente e invisibile, pronto ad affogarti. Decise che una bibita
fresca era d’obbligo e attraversò la strada per
recarsi in un bar all’angolo. Si sedette a un tavolino
riparato da un ombrellone, la cannuccia tra le labbra e la frescura
della limonata nella gola.
Stava
cominciando a pensare che forse era il caso di tornare a casa a
studiare quando vide una libreria dall’altra parte della
strada. L’insegna era dipinta a mano e scrostata in
più punti. Aveva l’aria di un posto vecchio e
abbandonato. Sally finì la sua limonata in un solo sorso e
si alzò.
Da
dentro, il posto si rivelò essere trascurato come lei aveva
pensato. Cataste di libri erano ammucchiati uno sopra
l’altro, senza alcun ordine, sembrava. Odore di carta
ingiallita permeava l’aria e nuvolette di polvere si alzavano
al passo di Sally. Si addentrò in silenzio e lentamente, gli
occhi meravigliati sulle montagne di libri.
In
fondo, una vecchietta era dietro al bancone. Gli occhiali le rendevano
gli occhi enormi come palle di vetro e la pelle era ingiallita e rugosa
come carta crespa.
«Buongiorno,
cara, come posso aiutarti?» le chiese, la voce impastata e
stridente.
«Io...
vorrei dei libri» disse stupidamente.
«Cioè, dei libri sulla mitologia greca».
Un’ora
dopo, Sally sedeva ai piedi del suo letto con le mani nei capelli,
libri impolverati giacevano aperti attorno a lei. Un milione di
pensieri si scontravano come trenini per bambini.
Respirò
profondamente. Doveva affrontare la situazione, voleva risposte.
La
spiaggia, all’ora del tramonto, era quasi deserta. La sabbia
era tiepida sotto le sue mani e il sole enorme e liquido nel cielo. Da
lontano, alcuni ragazzi facevano surf, mettendo bene in mostra la loro
pelle abbronzata e i muscoli scolpiti per le ragazzine che dalla riva
li osservavano. Sally non era mai andata al mare con gli amici, non
aveva mai schiamazzato per un ragazzo. Quando da ragazzina andava al
mare con zio Rich, non si era mai fermata sulla riva lamentando
l’acqua ghiacciata. Si era sempre buttata senza pensarci. Lo
zio diceva sempre che doveva mettere un freno ai suoi istinti.
Una
figura si avvicinava alla spiaggia sulla sua tavola da surf, aggraziata
e agile, come se fosse nel suo elemento naturale. Le ragazze
cominciarono a fare il tifo per lui, per lo sconcerto dei ragazzi. Ma
la figura non si fermò da loro, bensì
continuò a spingere la sua tavola fino a fermarsi ai piedi
di Sally.
Poseidone
le sorrise tristemente. «Non saresti dovuta venire
qui».
«Io
ci abito qui» rispose Sally, forse un po’ troppo
aggressivamente. «Non sapevo che questa spiaggia fosse
tua».
«Beh...
tecnicamente lo è il mare, ma detengo i diritti anche di
parte della spiaggia» disse lui, divertito.
«Voglio
risposte» disse lei, e c’era finalità
nel suo tono. Poseidone sospirò e si sedette al suo fianco,
la tavola da surf abbandonata ai suoi piedi.
«D’accordo.
Com’è che dicono i ragazzi oggigiorno? Ah,
sì, spara».
«Cosa...
chi... » respirò profondamente.
«Com’è possibile? Tutte quelle cose che
ho visto da bambina, erano reali? E tutte le teorie scientifiche che
fine fanno? Tutto in fumo? E—».
«Hei,
hei, frena» rise Poseidone. «Per Zeus, ragazza, non
intendevo spara letteralmente». Sally aspettò in
silenzio.
Poseidone
raccolse una stella marina e cominciò a parlare.
«È possibile, perché è possibile.
Sono qui, no? Cogito ergo sum. Il Monte Olimpo si sposta insieme al
centro del potere. Dalla Grecia, a Roma, fino ad arrivare in America.
Tutte le cose che vedevi da bambina probabilmente erano mostri. Ti ho
già spiegato cos’è la Foschia. Beh,
sembra non avere effetto su di te e, credimi, è raro trovare
un umano immune. Sei molto speciale. Teorie scientifiche?»
rise, come se avesse detto una battuta. «Gli umani riescono
sempre a trovare una risposta quando la cercano. Se poi sia la
verità è tutto da vedere».
«Ma
nessuno più crede in te» disse Sally, poi
arrossì, temendo di averlo offeso.
«No,
infatti» rispose semplicemente il dio greco.
La
realizzazione di avere un uomo secolare di fronte la colpì
come una delle onde che lui cavalcava e domava così bene.
«E
quindi adesso che succede?»
Lui
le prese la mano e avvicinò il viso al suo. Odorava di
salsedine e di pelle abbronzata.
«Io
non dovrei essere qui, Sally. Non sarei dovuto venire. Non avrei dovuto
seguire quell’istinto che mi ha detto di entrare in quella
gelateria. Io e te non avremmo mai dovuto incontrarci».
Sally
sentì una parte di sé staccarsi dal suo corpo e
morire.
«Ma
siamo qui e siamo insieme e, ricordi? Seguire la corrente. Non mi
importa di stupidi giuramenti e profezie. Non sono mai stato un tipo
ubbidiente, io» disse, con un luccichio negli occhi. Sally
non sapeva niente di giuramenti e profezie, ma quando lui la
baciò, questa volta, si sentì ricomporre, intera
e piena.
Le
settimane successive furono per Sally le più felici di tutta
la sua vita. Di giorno andava in gelateria a lavorare dove,
sospettosamente, il signor Creem diventava sempre più
disponibile e generoso. Di sera, invece, tornava sulla spiaggia, al
solito posto, dove sapeva che l’avrebbe raggiunta Poseidone.
Si rifiutava di pensare al giorno in cui lui non sarebbe venuto.
Parlavano
per ore e ore — Sally voleva sapere tutto sul suo mondo
— finché, stanco, Poseidone non le prendeva il
viso tra le mani per baciarla. Spesso lui la portava nei fondali marini
dove, seppur potessero parlare come trovandosi sulla terra ferma, non
sprecavano fiato con inutili parole.
Una
sera, Sally si recò con lo stomaco in subbuglio e tutta
impettita verso il loro punto di ritrovo. C’era la festa del
paese e lei la sera prima aveva espresso il desiderio di andarci. La
mattina dopo il signor Creem le dette la serata libera.
E
ora Sally era seriamente arrabbiata, e la sua nausea di certo non
aiutava.
Sentì
la sua risata, prima di vederlo. Era steso di pancia e stava costruendo
un tunnel insieme a dei bambini. Sally si schiarì la gola.
Poseidone
alzò lo sguardo, un sorriso da orecchio a orecchio.
«Eccola,
la mia regina dei mari. Che ne pensi della nostra fortezza?»
disse, quella
faccia da schiaffi.
L’espressione
di Sally doveva essere esauriente, perché lui si
alzò, spiegando ai bambini che ora doveva fare quelle cose
noiose da grandi e, tra i lamenti dei bambini, le si
avvicinò, guardandola con aspettativa.
«Allora?»
disse Sally, le mani sui fianchi. «Pulisco io, Sally, che ne
dici di un aumento, Sally, oh, Sally cara, perché non te ne
vai prima, hai già fatto abbastanza per oggi»
imitò meglio che poté la voce del signor Creem,
gonfiando le guance e dondolando le braccia proprio come faceva lui.
Poseidone, per tutta risposta, scoppiò in una sonora risata.
«Saresti
bellissima anche se fossi un uomo viscido e grasso» le
accarezzò la guancia.
«Oh,
non mi incanti con i tuoi complimenti. È opera tua,
vero?»
«Sì»
disse lentamente. «Ho pensato potesse farti
comodo—»
«Come
ti è venuto in mente? Non ho bisogno del tuo divino aiuto,
sai? Posso cavarmela da sola» sbottò.
«Ma,
Sally tesoro—»
«Niente
“Sally tesoro”. Tu adesso rimetti le cose a posto e
fai tornare il signor Creem il brontolone rompiscatole che è
sempre stato» ordinò.
«Ma...
perché?» sembrava genuinamente sorpreso e confuso.
«Perché
sì, Poseidone. Perché è la mia vita e
devo farcela da sola» disse, questa volta più
dolcemente.
Poseidone
scrollò le spalle. «Continuo a non capire, ma se
proprio insisti». Le prese la vita tra le mani e la
tirò a sé.
«Questo
vuol dire che preferisci lavorare stasera?» disse, alzando un
sopracciglio.
«Beh...
facciamo che per stasera passi, ma che non si ripeta di
nuovo».
Si
recarono verso la città, passeggiando lentamente mano nella
mano e fermandosi di tanto in tanto di fronte a delle bancarelle.
Era
una serata piacevole e allegra. Un vociare indistinto arrivava alle
loro orecchie, le luci delle bancarelle si riflettevano sui visi dei
passanti, e diversi profumi di dolci permeavano l’aria.
Poseidone
si divertiva a osservare tutto quello che per Sally — una
comune mortale — era banale e scontato, trascinandola da
questa e quella bancarella con l'entusiasmo di un bambino.
Si
fermarono di fronte alla ruota panoramica.
«Mio
fratello andrà su tutte le furie» disse Poseidone
ridendo. Se Sally aveva capito bene, doveva esserci una sorta di
competizione fraterna tra i due.
«Non
ci farà cadere, vero?» disse lei, seriamente
preoccupata.
«Non
preoccuparti, sei sotto le grazie di un dio» le fece
l'occhiolino.
Quando
si sedettero e la giostra entrò in funzione, Sally
sentì lo stomaco fare una capriola.
Poseidone
le toccò una guancia e le voltò il volto.
«Cos’hai?» le chiese.
«Sono
solo un po’ disturbata». Poseidone la
guardò intensamente negli occhi per vari secondi, e quando
la lasciò andare c’era un’espressione
devastata sul suo volto.
«Che
c’è?» chiese Sally.
«Sei
incinta» rispose lui con voce piatta.
Sally
non poté trattenersi dal ridere. «Cosa? Un
po’ di nausea e subito mi decreti incita?»
«Sei
incinta» ripeté Poseidone, e Sally, semplicemente,
gli credette.
«Oh!»
esclamò, non sapendo come affrontare una notizia del genere.
«Ed è una brutta cosa?»
domandò, ma già conosceva la risposta.
«È
colpa mia. Mi dispiace»
Mi
dispiace.
«Ti
dispiace...»
«Sally,
ascolta, tu non hai idea di cosa questo comporti» le disse,
prendendole le mani.
«So
benissimo cosa comporta, grazie» ribadì Sally
gelidamente. Si voltò dall’altra parte. Tutta Long
Island si stendeva ai suoi piedi in un multicolore di luci.
«Sally»
Poseidone la chiamò, e lei non poté evitare di
voltarsi. «Un figlio mio... non avrà vita
facile... e neanche tu». Strinse la presa sulle sue mani.
«Volevo aiutarti, volevo eliminare tutte le tue sofferenze e
i tuoi problemi, e invece ho complicato tutto quanto».
La
ruota panoramica si fermò e Sally si alzò di
scatto.
«Torno
a casa» gli disse.
«Sally—».
«Ho
bisogno di pensare». E per una volta, non fu Poseidone ad
andarsene improvvisamente.
La
porta della cabina si aprì cigolando, e Sally
entrò richiudendola di botto. Dell'intonaco cadde dal muro e
un rumore sinistro preannunciò che i cardini dovevano
essersi staccati.
Sally
lanciò un urlo strozzato.
«Stupida...
inutile... catapecchia!» accompagnò ogni parola
con un calcio alla porta.
Si
diresse verso il minuscolo angolo cottura che lei stessa aveva creato
dividendo la camera da letto con delle vecchie lenzuola, con
l’intenzione di prepararsi del caffè nero.
Accecata
dalla rabbia, dimenticò di aprire la credenza con attenzione
e la maniglia dell’anta si staccò. La
gettò a terra con tutte le sue forze e maledisse il signor
Creem che se ne fregava che l’impianto idraulico fosse
rovinato, zio Rich se si era ammalato ed era morto lasciandola sola e
senza un soldo, se stessa perché era una disgraziata, e
Poseidone, stupido,
idiota di un dio!
Rinunciando
al caffè, si diresse verso la sua libreria sbilenca, ma
tutti i libri avevano titoli come “Miti e Leggende
dell’Antica Grecia”, “Vizi e
Virtù degli Dei dell’Olimpo” e
“Dieci Buoni Consigli Per Andare D’Accordo Con Il
Tuo Divino Partner”, e li gettò a terra con un
colpo.
Mandò
mentalmente tutti gli dei dell’Olimpo all’inferno,
o nell’Ade, o quello che era, e si gettò di peso
sul letto, strofinando la guancia sul cuscino scomodo e ruvido, e
piangendo lacrime di rabbia e disperazione.
Quando
le lacrime si fermarono e l’unica sensazione rimasta fu una
logorante stanchezza, Sally si alzò traballante. Si
avvicinò a uno specchio appeso alla parte; era talmente
vecchio che ai bordi il vetro non esisteva più e in alcuni
punti era sfocato.
Sally
appoggiò entrambe le mani su un mobiletto, la sua immagine
riflessa le ricambiava lo sguardo. Lunghi capelli castani cadevano in
disordine su spalle piccole e forti, due grandi occhi blu cerchiati di
rosso accentuavano in modo quasi grottesco il loro colore naturale.
Sally
Jackson, diciannove anni, cento sogni e zero possibilità di
renderli realtà.
Allargò
il suo campo visivo nello specchio e osservò la piccola
cabina in cui alloggiava. Un letto a una piazza era posato a ridosso
del muro, proprio sotto la finestra dove Sally ogni mattina osservava
il sole sorgere; di fianco, delle lenzuola con degli orribili fiori
ricamati nascondevano la cucina che comprendeva un piccolo frigo, un
fornello con due fuochi e una credenza fatiscente; sulla destra
c’era la libreria che Sally aveva creato con pezzi di legno
che erano sopravvissuti a un falò, c’erano voluti
giorni perché la puzza di bruciato svanisse.
«Questa
è la tua vita, Sally: un buco umido e vuoto».
Chiuse
gli occhi per non vedere più l’immagine della sua
solitudine e, chiara come se si trovasse al suo fianco,
sentì la voce di zio Rich: «Ti arrendi di
già? Nuota, Sally!»
«Non
posso» sussurrò lei e la sua voce
diventò condensa sul vecchio specchio. «La
corrente mi spinge indietro».
Non
ci fu nessuna risposta, ma improvvisamente una raffica di vento
aprì la finestra portando con sé granuli di
sabbia e il fresco, intenso profumo di salsedine, e Sally seppe cosa
doveva fare.
Il
sole era nascosto per metà dal mare come un enorme pallone
rosso galleggiante. Tanti gabbiani volavano intrecciandosi tra loro, i
raggi solari donavano loro strane sfumature violacee.
La
sabbia era morbida e tiepida, Sally ci affondò i piedi e si
schermò il volto con una mano, la brezza marina che le
scompigliava i capelli.
Un
mare rosso e blu le si parava davanti, così immenso,
così indecifrabile, così misterioso come il
futuro che Sally sapeva di dover affrontare.
Una
mano grande e callosa le si posò sulla spalla.
«Vieni
con me. Ti costruirò un castello nel fondo del mare. Avrai
tutto, sarai felice, non dovrai più lavorare, non dovrai
più soffrire, Sally. Vieni con me».
Parole
calde, parole sensuali e invitanti...
Sally
si voltò. Con i colori del tramonto sul viso, la pelle di
Poseidone sembrava ancora più abbronzata, i suoi occhi verdi
ancora più vividi. La guardava intensamente aspettando una
risposta. Indossava di nuovo l’armatura con cui
l’aveva conosciuto, il tridente che brillava sotto il sole
calante.
Mai
come allora le era sembrato più potente... e più
irraggiungibile.
«Non
promettermi cose che non puoi darmi» gli rispose.
Lui
abbassò lo sguardo. Un dio sconfitto e affranto. Sally
strinse le sue mani tra le sue.
«Voglio
sapere. Dimmi a cosa andrò incontro. Dimmi a cosa
andrà incontro nostro figlio».
Poseidone
la invitò a sedersi sulla sabbia, non staccò gli
occhi dal suo volto nemmeno per un attimo, e poi cominciò a
parlare: «C’è questo Campo... il Campo
Mezzosangue...».
Sally
ascoltò tutto con attenzione, memorizzando ogni parola, ogni
sfumatura sul suo viso, ogni intonazione della voce, respirando
profondamente il profumo di mare che emanava la sua pelle.
E
quando ebbe finito, Poseidone l’abbracciò e la
baciò e Sally avrebbe voluto piangere e stringerlo e
costringerlo a restare con lei per sempre. Ma fu lei la prima a
staccarsi da quell’abbraccio.
«Devi
andare» gli disse e non sapeva se era una domanda o
un’affermazione.
«Sì»
rispose lui.
«E
non tornerai mai più»
Lui
guardò il sole ormai quasi completamente scomparso, come se
stesse cercando la risposta scritta nel cielo.
«Forse...
fra qualche anno... ».
Si
alzarono, senza dire una parola, consapevoli di star solo ritardando
l’inevitabile. Sally fece un passo indietro e le
sembrò l’azione più difficile che
avesse mai compiuto.
«Vai»
disse e la sua voce s'incrinò sull’ultima lettera.
«Mi
mancherai, Sally. Nei prossimi secoli, nei prossimi millenni, per
sempre... non ti dimenticherò mai».
«Addio»
disse Sally, le labbra che tremavano.
«Arrivederci»
rispose Poseidone, poi prese un respiro profondo e si voltò,
camminando lentamente verso l’oceano.
Poseidone
si voltò per l’ultima volta, le sorrise
tristemente e poi, in un attimo, non c’era più.
Sally
rimase sola, la sera era calata, il mare adesso era
un’infinita pozza d'inchiostro nero. Si toccò con
dolcezza il ventre e sussurrò al vento: «Lo
chiamerò Perseus».
Una
brezza marina le accarezzò il volto e Sally sorrise e
pianse, e seppe, in quel momento, di essere una donna — una
madre — fortunata, e che avrebbe dato tutta se stessa per il
bambino che portava in grembo.
[Fine]
Angolo dell'Autrice:
E
così finì. Ringrazio di cuore tutte le persone
che hanno recensito, inserito la storia tra i preferiti, nan96 per aver
indetto il contest, e anche chi ha solo letto.
Al momento sto lavorando su un'altra fic su PJ, perché a
quanto pare sono caduta nel baratro di questo fandom.
Domanda: qualcuno conosce per caso un forum o un archivio italiano
dedicato a PJ? E, se non esiste, sareste interessati a uno? Stavo
pensando di creare una community dove è possibile postare
fic e discutere sui libri di PJ, ma prima di cimentarmi in questa
impresa, volevo il parere di qualche altro fan e assicurmi che qualcosa
del genere non esista già^^ Che ne dite?
A presto,
Tera
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