Salty's Ice Cream

di SunlitDays
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***



Nickname:
SunlitDays
Titolo: Salty's Ice Cream
Genere: Romantico, Fluff, Comico
Rating: Giallo/Arancione
Avvertimenti: piccoli spoiler
Introduzione: il proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una mano.
Note dell'Autrice: questa fic è stata scritta per il contest How Did They Meet? indetto da nan96. Purtroppo, avendo consegnato solo in due, non è stata fatta alcuna classifica. Ringrazio comunque la giudice per avermi dato la possibilità di scrivere una fic su PJ, cosa che avevo intenzione di fare da tempo.
Note dell'Autrice2: la storia è composta da tre capitoli, aggiornerò quindi regolarmente ogni settimana, in più è la prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo. Spero di aver fatto un lavoro decente.


Capitolo Primo


Era una giornata come tutte le altre alla “Creem’s Cream”, la gelateria più popolare di Montauk. Orde di bagnanti si accalcavano davanti al bancone gelato sventolando scontrini e urlando ordini; dei ragazzi si davano gomitate a vicenda indicando delle ragazzine in costume da bagno che, fingendo interesse verso i vari gusti, mettevano in bella mostra le gambe lisce e i sederi sodi, le mani che nascondevano le loro risate civettuole; un bambino, da qualche parte in fondo alla sala, lamentava il proprio gelato caduto.
Assolutamente una giornata come tutte le altre: calda, frenetica ed estenuante.
Sally Jackson, diciannove anni e cento sogni, si spostava da un lato all’altro del bancone, prendendo ordini e preparando coni gelato, un fazzoletto di stoffa che le penzolava dalla tasca, pronto per asciugarle il sudore.
Non era un lavoro difficile ed era anche piacevole talvolta; il trucco stava nel non distrarsi mai, o sarebbe stata la fine.

«Penny, il cioccolato è finito. Muoviti!». L’urlo roco del signor Creem arrivò proprio mentre Sally contava il resto da dare alla vecchia signora Callanger mentre un posticino della sua mente teneva ben stretto il ricordo delle prossime ordinazioni da preparare.
«Mi chiamo Sally» urlò, cercando di sovrastare il chiacchiericcio della folla.
«Muoviti!». Naturalmente, non c’era modo di spiegare al suo capo che se si fosse allontanata anche solo un attimo, ci sarebbe stata una rivolta dei clienti. Avrebbe potuto andarci lui stesso, ma Sally dubitava che il signor Creem potesse disturbarsi tanto da alzarsi dal suo comodo sgabello.
L’umidità le si attaccava sulla fronte e il labbro, e ciocche di capelli le sfuggivano dalla cuffietta incollandosi sulle sue guance sudate.
Solo quando l’ultimo cliente uscì, Sally poté finalmente sedersi un attimo e massaggiarsi i piedi stanchi. Non che potesse andare a casa, doveva ancora pulire e organizzare tutto per il giorno successivo.
La gelateria “Creem’s Cream” era una spaziosa e luminosa sala rivestita di marmo chiaro. Sulla sinistra facevano bella mostra tutti gli attestati e premi che aveva collezionato il signor Creem, un tempo un noto gelataio dai folti capelli rossi e la passione per il suo lavoro, divenuto poi un uomo sovrappeso con una decina di capelli bianchi riportati di lato come per nascondere la calvizie, e le dita perennemente inumidite per far scivolare le banconote più fluidamente.
Dietro al grande bancone gelato, c’erano foto del signor Creem con gente famosa passata per il locale negli anni: un’ulteriore dimostrazione dell’egocentrismo e amore per gli affari dell’uomo.
Sulla destra, invece, c’erano decine di tavoli di metallo messi a disposizione della clientela, e, in un angolo, una porta conduceva al magazzino e alla cucina.
La parte che Sally preferiva era la parete d’ingresso: era completamente di vetro e, nelle ore morte — non che ce ne fossero molte — Sally spesso si scopriva a fissare i vari bagnanti e a desiderare di essere una di loro.
Come dipendente di una gelateria di successo, non aveva molto tempo per se stessa, ma il salario era abbastanza da conservare i soldi necessari a pagarsi gli studi, e il suo capo le aveva permesso di usare la sua cabina: una minuscola catapecchia dalle tende sbiadite e il perenne odore di muffa. Ogni sera, prima di andare a letto, Sally doveva agitare le lenzuola per liberarsi della sabbia entrata dalle innumerevoli fessure e, ogni mattina, si svegliava con una sensazione di prurito e la pelle che sembrava un’arancia. Ma all'alba, Sally apriva la finestra facendo entrare il profumo di salsedine e osservando la spiaggia bianca e vuota, l'oceano che si estendeva immenso. Un posto magico. Sally sognava di tornare lì ogni anno, magari col suo futuro marito e il loro bambino.
Sapeva di meritare di più, ma la vita le aveva riservato diverse difficoltà, quale la perdita prematura dei suoi genitori, la malattia e, successivamente, la morte di suo zio. Ma non se ne rammaricava. Avrebbe lavorato di più e più duramente. La fortuna bisogna crearsela da soli, le ripeteva zio Rich.
«Penny, è arrivato un nuovo carico da sistemare. Che fai lì impalata, muoviti!» la rimproverò il signor Creem. Sally sospirò in silenzio. Adesso si sarebbe alzata e gli avrebbe urlato che non era lei quella che se ne stava impalata, e il suo nome non era Penny, per la miseria!
«Arrivo subito, signor Creem» rispose, invece. Lo guardò mentre si allontanava, il solito sguardo scorbutico, il pancione che si appoggiava sul pantalone come una pasta da pane lievitata troppo. Poi il suo sguardo si spostò verso gli scatoli da sistemare e sospirò di nuovo.
«Buongiorno» disse una voce limpida e con un accento orientale alle sue spalle.
«Mi dispiace» disse Sally con voce forzata, mentre cercava di issare una scatola di latte in polvere. «Siamo chiusi».
Riuscì finalmente a posizionare la scatola precariamente tra le sue braccia, si voltò, sorriso in volto, verso il cliente ritardatario e lanciò un urlo. La scatola cadde a terra con un tonfo aprendosi, e il latte in polvere si sparse ai suoi piedi. Il folle pensiero di Sally, mentre guardava con occhi sgranati l’uomo bizzarro che le si parava davanti, fu: il signor Creem mi detrarrà i soldi del latte dal mensile.
Nel frattempo, il proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una mano.
Il signor Creem entrò correndo e allarmato, un sigaro cubano che gli penzolava tra le labbra.
«Che succede?».
Esaminò per qualche secondo la situazione, poi il suo sguardo divenne vacuo e, inspiegabilmente, s'inchinò verso il nuovo cliente. Evidentemente sembrò giudicare le sue azioni e l’abbigliamento dell’uomo del tutto regolari, perché si raddrizzò e, sbuffando una nuvola di fumo, sorrise al cliente. Poi si voltò verso Sally.
«Guarda cosa hai combinato, sciocca ragazza. Adesso—». Si bloccò come se qualcuno avesse premuto il tasto “pause”. Restò per qualche secondo con la bocca aperta e il dito indice puntato verso la sua dipendente, e proprio mentre Sally stava per chiedergli se stesse bene, lui sorrise e disse: «Adesso perché non prepari al gentiluomo qui un bel gelato al cioccolato? Penso io a pulire».
Aggrottò le sopracciglia come se anche lui, come Sally, si stesse chiedendo il motivo dietro le sue parole. Poi si voltò rigidamente e si diresse verso l’armadio delle scope.
Sally respirò profondamente, gli occhi incollati verso il posto dove un momento prima si trovava il suo capo. Cominciava ad avere un sospetto: non era la prima volta che le capitava di vedere cose strane che, a quanto pareva, non esistevano. Come quella volta, quando aveva nove anni e suo zio l'aveva portata al centro commerciale. Avrebbe potuto giurare che nella lunga fila per il bagno, ci fosse stato un enorme serpente con la testa da leone. Quando l'aveva detto ad alta voce, una signora si era voltata e l'aveva guardata male, come se avesse detto una cosa terribilmente scortese verso un uomo perfettamente rispettabile. E quell’altra volta, in terza elementare, aveva costretto zio Rich a cambiarle scuola perché la sua maestra non le piaceva: aveva otto tentacoli e un becco d’aquila.
Zio Rich le diceva sempre di smetterla di giocare con i suoi amici mostri immaginari.
Ma quella non era immaginazione, e, di certo, non era neanche la realtà. Forse era un qualche disturbo post traumatico dovuto alla perdita dei suoi genitori? Sally sapeva soltanto che in quei momenti l’unica cosa da fare era comportarsi come se non ci fosse nulla d'inusuale.
Sorrise forzatamente all’uomo bizzarro appoggiato al bancone, cercando disperatamente di non guardare il letale tridente che lui stringeva nella mano destra, né la porzione di pettorali che s'intravedeva dall’armatura. Tossicchiò.
«Gelato al cioccolato, dunque? Subito». Cominciò ad armeggiare con la spatola, la mano che le tremava e i capelli umidi che le finivano negli occhi.
«Ecco a lei» disse quando ebbe finito, porgendogli il cono gelato. L’uomo la guardava con una tale intensità che Sally si sentì vacillare. Nei suoi occhi verdi vide un mare in tempesta, maremoti, resti distrutti di un’imbarcazione, un marinaio dallo sguardo disperato. Ebbe il folle istinto di inchinarsi, di promettere eterno servigio...
Batté le palpebre. Aveva ancora il braccio teso verso lo strano uomo, la voce dei bambini che giocavano sulla spiaggia arrivava fresca e gaia nelle sue orecchie. Guardò il cono gelato che stringeva in mano, aspettando di trovarlo sciolto. Era intatto: era passato solo un attimo.
Adesso l’uomo la guardava con sguardo interrogativo.
«Grazie» disse lui, la voce limpida e profonda. Prese il gelato che Sally gli porgeva, ma non lo mangiò, non si mosse. Continuava a guardare Sally come se lei avesse appena fatto apparire un coniglio dal suo cilindro e lui stesse cercando di capirne il trucco. Era snervante. Sally si rimise a lavoro, accanendosi su una ciotola particolarmente incrostata.
Dovevano esser passati svariati minuti quando alzò di nuovo gli occhi. L’uomo la stava ancora osservando, il tridente nella mano destra e il cono nella sinistra. Non una goccia di gelato era colata. Devo diminuire la dose di latte in polvere, pensò Sally.
Aprì la bocca, decisa a dirgli che c’erano dei tavolini molto comodi laggiù e che la vista, lì, era migliore, ma l’uomo la batté sul tempo.
«Straordinario!» disse inspiegabilmente. «Erano anni che non ne incontravo una». Sally stava cominciando ad avere seri dubbi sulla propria sanità mentale.
La porta si aprì ed entrò Tommy Fragola e Pistacchio Nel Cono Grande Grande: un bambino di non più di cinque anni che ogni giorno scappava dallo sguardo vigile della madre per scroccare un gelato gratis. Sally lo adorava.
«Fammi indovinare» disse Sally, fingendosi seria. «Una vaschetta di cioccolato e vaniglia» finì, con un gesto teatrale.
Il bambino gonfiò le guance con espressione frustrata. «Nooo» cantilenò. «Fragola e pistacchio nel cono grande grande».
«Oh, perdoni una gelataia distratta, messere. La servo subito» rispose lei. Prese la spatola e il cono più grande che avevano, consapevole che il bambino non l’avrebbe mangiato tutto.
Felice per l’enorme cono ricevuto, Tommy andò a sedersi su una delle sedie, leccando entusiasta il suo gelato, mentre Sally, avvertendo lo sguardo dell’uomo strambo su di sé, si accovacciò dietro al bancone con la scusa di pulire il danno che aveva fatto. Il signor Creem, notò distrattamente, non era ancora tornato dall’armadio delle scope.
«Bella canna da pesca, signore» sentì dire il bambino.
«Ti piace? È una Michell, un assetto perfetto. Ottimo se vuoi pescare dei bei pezzi grossi» rispose l’uomo, e il sorriso che accompagnò quelle parole si poteva percepire chiaramente.
Sally guardò attraverso il vetro e vide Tommy annuire con convinzione, come se lui fosse un esperto di pesca.
«Ti piace il mare?» gli chiese l’uomo. Aveva delle rughe attorno agli occhi, segno che dovesse ridere spesso. La sua zazzera spettinata di capelli neri suggeriva lunghe notti fredde passate sulla riva dell’oceano. E quegli occhi così verdi... un momento. Canna da pesca?
«Il mio papà mi porta sempre a pesca» stava dicendo il piccolo Tommy.
Canna da pesca, pensò Sally, ma certo! Deve essere un aggeggio che serve a pescare pesci, non un'arma letale.
Si sentì rincuorata e anche un po’ stupida per non averci pensato prima. Che poteva mai farci un uomo con un tridente? Certo, un’armatura non le sembrava un abbigliamento adatto a quel tipo di sport, ma cosa poteva mai saperne lei. E la reazione del signor Creem... l’uomo losco doveva essere un tipo famoso o molto ricco. Non era raro vedere gente del genere a Montauk.
Pulì con più vigore, sentendosi come una pazza a cui era stato detto di essere perfettamente sana.
Quando ebbe finito, si alzò dalla sua posizione accovacciata, sentendo la schiena scricchiolare.
L’uomo aveva appoggiato un gomito sul bancone, mentre con l’altra mano batteva il tridente ritmicamente a terra. Di Tommy Fragola e Pistacchio nel Cono Grande Grande non c’era traccia.
«Erano anni che non incontravo una come te» disse l’uomo e la guardò come il signor Creem guardava una catasta di banconote.
«Oh, ma dove sono le mie maniere. Le chiedo umilmente perdono, signorina, io sono Poseidone. Onorato di fare la sua conoscenza». Le prese la mano con delicatezza, chinandosi e sfiorando lievemente il dorso con le labbra.
Sally era senza parole, l’unica cosa che riuscì a blaterare fu: «Quale genitore chiamerebbe suo figlio Poseidone?» e poi si maledì fino al profondo del suo essere.
Ma l’uomo, Poseidone, rise, una risata profonda e di gola, come se mai avesse ascoltato qualcosa di più comico. Sally avrebbe voluto sprofondare.
Si trovava al suo posto di lavoro, con la divisa da lavoro, sudata e appiccicaticcia, i capelli umidi e in disordine, in compagnia di un uomo affascinante e bizzarro vestito come se fosse appena tornato dalla guerra di Troia, e doveva anche farsi prendere in giro. Ritirò la mano e le incrociò entrambe dietro la schiena.
«Chiedo scusa, signor Poseidone, ma come può ben vedere, siamo in orario di chiusura. Sarebbe molto cortese da parte sua se potesse mangiare il suo gelato fuori, grazie» disse gelidamente, perché Sally Jackson era sempre gentile e disponibile, e raramente diceva di no, ma non sopportava di esser presa per i fondelli, e grazie tante.
Il signor Creem scelse quel momento per tornare, secchi, stracci, spugne e detersivi di ogni tipo incastrati in ogni giuntura del corpo.
«Sono venuto a pulire» disse, come se non fosse stato ovvio, e s'inchinò per eliminare lo sporco che non c’era più.
Chiaramente, Sally doveva tornare a casa e farsi una lunga dormita.
Lo guardò incredula e frastornata per qualche momento e, quando rialzò lo sguardo, l’uomo non c’era più.
Un bambino dalla spiaggia urlò più forte: aveva fatto goal. Sally si voltò verso di loro, poteva vederli chiaramente dalle porte di vetro del locale. Correvano, urlavano, si spingevano. Uno di loro doveva considerare il goal irregolare, o forse non voleva accettare la sconfitta, perché prese il pallone sotto braccio e cominciò a protestare. Una donna adulta, una madre, si avvicinò a loro, un pareo rosso alla vita e un cappellino di paglia in testa. Prese il bambino piagnucolante per il braccio e lo portò via. Dai suoi gesti, Sally dedusse che lo stesse rimproverando, dopodiché gli accarezzò la testolina e gli dette un bacio sulla fronte. Poi entrarono nel fitto degli ombrelloni e Sally li perse di vista.
Il signor Creem canticchiava una canzone anni ‘60 mentre puliva, e Sally, gli occhi sui padri che insegnavano i figli a nuotare, sentì una morsa allo stomaco. Pensò a zio Rich che le prendeva la testa e con poca delicatezza la spingeva sott’acqua. “Nuota, Sally. Andiamo, nuota!”
Improvvisamente, una brezza entrò nel locale, portando con sé l’odore di salsedine, di libertà e speranza. Sentì tutta la stanchezza della giornata scivolare via dal suo corpo, portata via dal vento e, mentre guardava la spensieratezza dei bambini e l’amore negli occhi dei genitori, sorrise.

[continua...]


Nota: in “The Battle Of The Labyrinth” Sally afferma che da giovane aveva la capacità di vedere oltre la Foschia e che questa era una delle cose che aveva attirato l’attenzione di Poseidone su di lei.
Nota2: in nessun libro viene indicato quanti anni avesse Sally quando ha incontrato Poseidone, né se si fosse trovata a Montauk per vacanze o lavoro. Ma essendo ancora giovane durante la saga, ho pensato che all’epoca avrebbe dovuto essere appena maggiorenne, e considerati i suoi problemi economici, dubito avesse sprecato soldi per una vacanza a mare.

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo


Le domeniche erano senza ombra di dubbio i giorni peggiori. Oltre ai villeggianti di Montauk, arrivavano persone da tutta Long Island armati di ombrelloni, sedie a sdraio e borse frigo. Partivano la mattina presto con la speranza di non trovare traffico, ma, Sally pensava con un sorriso divertito, evidentemente lo pensavano tutti, perché non c’era modo di scansarti le lunghe ore di coda. Accaldati e nervosi, con bambini irrequieti e desiderosi di divertirsi, entravano nella gelateria “Creem’s Cream” col solo pensiero di comprare qualcosa di fresco.
La gente era così strana; cercavano momenti di relax nei modi e tempi più stressanti.
Sally aveva lavorato ininterrottamente tutto il giorno. Le facevamo male gambe e braccia e aveva i muscoli delle guance atrofizzate a furia di sorridere a tutti. Nonostante la sua mente fosse stata concentrata sulle innumerevoli ordinazioni, i suoi occhi non mancavano di scattare sulla porta d’ingresso ogni qualvolta la sentiva aprirsi. Ma nessuno strano uomo dall’antica armatura di guerra entrò. Si disse di esserne sollevata.
L’unico aspetto positivo era che, di domenica, lavorava anche Dominique.
Dominique Creem, nonché nipote del signor Creem, era la tipica sedicenne americana ribelle e viziata, che, con i suoi capelli biondi e la bocca perennemente imbronciata, riusciva ad ammaliare buona parte dei ragazzini brufolosi che popolavano la spiaggia di Montauk.
Quella mattina Dominique si presentò con l'immancabile sigaretta tra le dita e lo sguardo annoiato. Indossava una t-shirt con su scritto “Yeah, I’m Just That Awesome” e si era smaltata le unghie di nero. In realtà, dietro il suo aspetto da Non Avvicinarti O Potrei Morderti, Sally sapeva che si nascondeva una ragazza insicura e confusa.
Per il signor Creem, naturalmente, Dominique era solo una “nullafacente che dovrebbe imparare il valore dei soldi”. Per questo motivo, durante i turni della ragazza, non era Sally la vittima degli sbalzi d’umori del capo.
«Questo tu lo chiami pulire? No, dico, tu questo lo chiami pulire?» sbraitò il signor Creem verso sua nipote.
«Puliscitelo tu, questo cesso, se sei così bravo» ribadì Dominique, il tono di voce che suggeriva quanto la disgustasse pulire il bagno dai liquidi altrui.
Il signor Creem rispose con una serie scelta d'imprecazioni. Sally vide una donna coprire le orecchie del suo bambino con le mani e lanciare sguardi di disapprovazione verso l’angolo da dove provenivano le urla.
Dopo un altro paio di botta e risposta alquanto coloriti, Dominique entrò impettita nella sala e cominciò a servire i clienti col tono più scortese che riuscisse a utilizzare.
Sally sapeva che quando la collega era di cattivo umore era meglio fingere che non esistesse.
Si diresse verso i tavoli per pulirli dalle macchie di gelato sciolto, e lì, seduto comodamente con un grosso bicchiere di vetro pieno del gelato blu, c’era l’uomo strambo. Quel giorno indossava una camicia hawaiana e dei bermuda color kaki, e se non fosse stato per quei brillanti occhi verde mare e quel sorriso sghembo Sally non l’avrebbe riconosciuto.
«Ehilà, Sally» disse lui allegramente, come fossero due amici di vecchia data che s'incontrano per caso.
Sally avrebbe voluto dirgli molte cose, tipo come diavolo fai a conoscere il mio nome? e dove hai lasciato il costume da gladiatore? Quindi disse: «Non vendiamo gelati blu qui».
«Oh, sì, mi sono permesso di sedermi qui per gustarmi questo gelato di ambrosia. Spero non ti dispiaccia, ma i cibi umani sono un po’ troppo pesanti» replicò lui e leccò il suo cucchiaino con tutta la naturalezza possibile, come se avesse detto la cosa più sensata del mondo.
Sally restò qualche secondo in piedi con lo straccio in mano, senza sapere cosa dire, poi, sentendosi ridicola, fece per andarsene.
«Aspetta!» la fermò l’uomo — Poseidone, rammentò Sally — agitando il cucchiaino come per indicarle di avvicinarsi. «Perché non ti siedi? Mi farebbe piacere un po’ di compagnia».
«Io... non posso. Devo lavorare». Per qualche motivo, dire di no a quell’uomo le risultava particolarmente difficile.
Poseidone storse la bocca, piccole rughe si formarono agli angoli delle labbra e Sally dovette distogliere lo sguardo.
«Hei, Sally» gridò dall’altra parte del locale il signor Creem. «Prenditi una pausa, ragazza». Sally era talmente sorpresa che non fece nemmeno caso alla sedia vuota che si allontanò dal tavolo da sola.
«Adesso puoi sederti» disse Poseidone, indicando con la mano il posto vacante.
Sally si sedette perché che altro avrebbe potuto fare?
Si sentiva terribilmente conscia del suo aspetto: i capelli sudati raccolti in uno chignon nascosto dalla cuffietta, il grembiule da lavoro e la pezza umida tra le mani.
«Te ne offrirei un po’, ma non vorrei che il tuo corpo prendesse fuoco» disse Poseidone, con un’espressione apologetica in volto.
«Oh! No, certo, immagino sarebbe doloroso» replicò Sally.
Poseidone sembrò pensarci su. «Non so che sensazione si provi a bruciare, ma sì, penso che faccia male».
Sally cercò di ricordare come ci si comporta con i pazzi e l’unica cosa che le venne in mente fu che bisogna sempre assecondarli e non fare movimenti bruschi, per cui annuì con forza come per dire “questo discorso ha perfettamente senso”.
«Immagino tu ti stia chiedendo cosa io voglia da te» disse Poseidone dopo qualche minuto di silenzio.
«Ma no» replicò Sally, con quanto più sarcasmo riuscisse a infliggere nel tono della sua voce.
«Vedi» continuò lui come se non l’avesse sentita. «Il fatto è che io non dovrei essere qui, ma tu mi hai incuriosito molto. Insomma, io in genere non sono così incauto, ma sono abituato a fare affidamento sulla Foschia, e quando ho sentito l’inspiegabile esigenza di entrare in questa gelateria non avevo previsto la necessità di prendere ulteriori misure di sicurezza».
«Sono cose che capitano» rispose Sally, adesso più confusa che mai.
La bocca di Poseidone si piegò in un sorriso. La guardò intensamente e Sally avvertì di nuovo quella terrificante sensazione d'immenso, come se si trovasse ai piedi di una montagna e, guardando in alto, si rendesse conto di quanto piccola e insignificante lei fosse.
«Non posso ancora spiegarmene il motivo, ma tu sei destinata ad avere un ruolo fondamentale nel destino del mondo, Sally» disse lui, e non sorrideva più.
«Forse inventerò un gelato che non fa ingrassare» replicò lei, tentando di alleggerire la tensione che sentiva emanare dal corpo dell’uomo che le stava di fronte.
«Forse» disse Poseidone sorridendo. «Fa’ solo in modo che sia blu. Mi piace il blu».
«Sally, ho bisogno del tuo aiuto, qui» le gridò Dominique.
Infatti, convenne Sally guardandola, sembrava in difficoltà. Si voltò verso Poseidone per salutarlo, ma lui non c’era più.


Nei giorni che seguirono, Poseidone continuò a tornare nei momenti più disparati, convincendola a sedersi con lui — con l’entusiastico e sospettoso consenso del signor Creem — e parlando di cose che le sembravano ogni giorno più insensate. Parlava come un uomo di grande esperienza, e spesso metteva a confronto le cose più banali a com’erano nei tempi antichi. Ma più di tutto, sembrava interessato a Sally, tanto che lei quasi si aspettava di vederlo prendere appunti: quali erano i suoi cibi preferiti? Mare o montagna? ( sembrò molto soddisfatto da quella risposta ). E se stesse facendo un viaggio in macchina e dovesse perdersi, chiederebbe indicazioni a qualcuno o continuerebbe a girare in tondo finché non avesse trovato la strada giusta?
Ben presto Sally si scoprì ad attendere con trepidazione quegli incontri, ma non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione che le diceva che un giorno Poseidone non sarebbe più venuto.
Una domenica il signor Creem, nel suo ennesimo attacco di gentilezza, le disse di andare via prima, che avrebbe pensato lui agli ultimi clienti e a pulire e, anzi, le avrebbe anche dato un aumento. Sally era stata troppo occupata a restare a bocca aperta per dire grazie.
E così si ritrovò alle otto di sera da sola sulla spiaggia di Montauk, il borsone con il ricambio di vestiti attaccato al fianco e zero idee su come occupare il suo tempo libero. Generalmente, sarebbe uscita da lavoro intorno alle due di notte e sarebbe stata troppo stanca anche solo per pensare.
Ma erano solo le otto, la spiaggia era deserta se non per poche coppiette appartate negli angoli più bui, e in quell’istante, Sally si rese conto di non conoscere nessuno. Doveva tornare a casa e recuperare qualche ora di sonno? Ma le sembrava un tale spreco. Zio Rich le diceva sempre di occupare il suo tempo in maniera ragionevole e costruttiva.
Sospirò pesantemente e si sedette sul bagnasciuga. Un granchio camminava lentamente verso una conchiglia, lasciando minuscole scie dietro di sé. Sally affondò le mani nella sabbia morbida e bianca, e immaginò che nella conchiglia ci fossero i suoi familiari ad aspettarlo, e poi rise divertita dalla propria stupidità. Una moglie dispotica che prima di farlo entrare nella casa-conchiglia gli dice di indossare quattro paia di ciabatte.
«Animali affascinanti, vero? Sembrano lenti e goffi sulle loro zampine, ma riuscirono a sconfiggere i topi anni addietro». Sally si voltò, ma aveva già riconosciuto la sua voce. Non l’aveva sentito avvicinarsi, ma lei non se ne stupì. Poseidone aveva l’abitudine di comparire dal nulla e poi scomparire improvvisamente. Era seduto al suo fianco, in mano aveva il suo tridente.
«Batracomiomachia» rispose. Lui la guardò sorpreso.
«Sì, Batracomiomachia, La Guerra dei Topi e delle Rane. Conosci la storia». Non era una domanda. Sally annuì lo stesso.
Poseidone sorrise un sorriso malinconico. «Erano bei tempi quelli» disse, come se lui avesse assistito di persona a quella guerra.
Restarono in silenzio per qualche minuto. Un’onda particolarmente grande le raggiunse i piedi nudi.
Sally guardò il mare di fronte a sé, calmo e infinito, la luce lunare si rifletteva sulle onde come tante strisce argentate.
La testa di un cavallo spuntò improvvisamente dal mare e a Sally scappò un urlo. Una coppia di passati la guardarono incuriositi, si voltarono verso il mare, probabilmente per indagare su cosa l’avesse spaventata, ma non sembrarono sorpresi nel vedere un cavallo galleggiare tra le onde.
«Niente paura. È solo un Hippocampus, creature estremamente intelligenti e fedeli. Chissà cosa hanno visto quei due attraverso la Foschia» disse Poseidone mentre allungava una mano per accarezzare lo strano incrocio tra un cavallo e un pesce che era appena apparso in mare.
«Foschia...?» chiese Sally, frastornata.
«Sì, la Foschia. Una forza che distorce la vista degli umani, facendo vedere loro solo ciò che la loro mente può processare». Infilzò il tridente nella sabbia come fosse un ombrellone, con tutta la naturalezza possibile, come se le avesse appena spiegato che due più due è uguale a quattro e non avesse usato la parola “umani” come la si usa per “esseri unicellulari”.
«Torna in mare, tu» disse poi rivolto all’Hippocampus, il quale sembrò comprendere — o forse era solo una coincidenza — e si tuffò tra le onde.
La mente di Sally correva a mille all’ora, collegando tutti i dettagli significativi che era riuscita a cogliere fino a quel momento. Una coppia di mezza età camminava mano nella mano, la schiuma delle onde ai loro piedi illuminata dalla Luna. Il granchio era finalmente entrato nella sua conchiglia.
«Chi sei?» Sally sussurrò, la sua voce vibrava come corde di un violino.
Poseidone le sorrise un sorriso antico. «Hai mai pensato di andar via da questo posto? Dalle persone che ti comandano, dalle responsabilità. Salpare e lasciare che la corrente del mare ti porti verso il futuro che meriti? Io posso dartelo, Sally, dimmi ciò che vuoi e io te lo darò».
Sally non sapeva perché, ma le vennero le lacrime agli occhi. Sì che ci aveva pensato. Durante le lunghe notti passate sul ciglio del letto di zio Rich, mentre tutti i suoi coetanei si diplomavano, bevevano birra e si fidanzavano, tutto ciò che Sally riusciva a pensare era scappare.
«La fortuna bisogna crearsela da soli» rispose, citando suo zio.
«Capisco, tu sei un pesce di fiume. Un salmone che per deporre le sue uova dal mare risale controcorrente il suo fiume d’origine». Per qualche strana ragione, questo paragone la fece sentire in imbarazzo.
«Già, e muore nel tentativo» disse, con una risata nervosa.
«Non tu, tu ci arriveresti sana e salva». Sally guardò il tridente, riusciva a sentirne la potenza. Zio Rich le ripeteva sempre di stare con i piedi per terra, di guardare la realtà. Uno dei pochi consigli che Sally non aveva mai seguito.
«Ti piacerebbe scappare? Solo per stanotte?». Le prese la mano, come se già conoscesse la sua risposta. La sua era calda e screpolata. L’aiutò ad alzarsi con la facilità con cui alzi un bambino. Poi sorrise in modo birichino, come se lo fossero davvero, dei bambini.
«Andiamo» disse con eccitazione. Sally rise per il suo entusiasmo, lasciandosi coinvolgere. Fece per raccogliere borsa e scarpe, ma Poseidone la fermò.
«No, lasciala qui. Nessuno le toccherà» agitò la mano come per scacciare una mosca e borsa e scarpe divennero roccia.
Sally aveva un milione di domande in gola che litigavano su quale dovesse esser detta per prima, ma Poseidone le prese di nuovo la mano e ripeté: «Andiamo» e lei gli permise di farsi tirare verso l’oceano.
Quando i piedi di Poseidone toccarono l’acqua, il mare sembrò fermarsi, come in una fotografia. Sally poté percepirne il calore. La luce della Luna sembrò essere più luminosa. Sembrava essere su un cielo stellato.
Lui fischiò e un secondo dopo la testa dello splendido Hippocampus sbucò dall’acqua, la coda di pesce scodinzolante. La creatura emise un verso deliziato quando Poseidone le accarezzò la testa. Poi lui si voltò verso di lei.
«Prima le signore». L’aiutò a montare il cavalluccio, i piedi penzoloni nell’acqua calda. Sally non sapeva bene dove aggrapparsi. Lo sentì salire dietro di lei e toccarle la vita con entrambe le mani. Dovette trattenere un fremito.
«Non preoccuparti. Non ci lascerà cadere». E un attimo dopo erano partiti, a una velocità che, Sally intuì, non avrebbe dovuto essere normale per un semplice cavalluccio marino.
Chiuse gli occhi d’istinto e gridò, la sua voce inghiottita dal vento. Poseidone rideva, Sally poteva avvertirla dalle vibrazioni che sentiva dietro la schiena.
Poi aprì gli occhi e... dovette richiuderli di nuovo. Perché quello che vedeva era impossibile e inimmaginabile.
«Apri gli occhi, Sally». Fece come le era stato detto.
Nuotavano, no, volavano sull’acqua verde e blu, la Luna che la illuminava con striature argentee. Pesci e strane creature marine sorridevano loro dai fondali. Non si riusciva a capire dove finisse il mare e cominciasse il cielo. Era un enorme, infinito oceano, fatto di luci e colori. Nelle sue orecchie, solo la risata di Poseidone e il fischio del vento.
Se alla fine della mia scalata sul fiume devo morire, pensò, voglio che questo sia il mio paradiso.
«Tieniti pronta» urlò Poseidone un attimo prima che l’Hippocampus si tuffasse. Sally trattenne il respiro d’istinto. Splendide donne - nereidi, ricordò Sally - ridacchiavano e sussurravano tra di loro. Era chiaro che stessero parlando di Sally e Poseidone.
«Respira». La voce di Poseidone le giunse amplificata. Fu difficile, ma lei si costrinse a inspirare e non si meravigliò quando scoprì di poter respirare sott’acqua. Era una sensazione magnifica, sentiva di poter fare qualsiasi cosa.
Il cavalluccio li portava sempre più giù, fin dove il corpo umano non si era mai addentrato e la luce diventava sempre più fievole. Le sembrava di essere in una sfera verde, una di quelle che Sally, da bambina, adorava agitare e aspettare che l’ultimo fiocco di neve cadesse a terra.
Sentiva le alghe solleticarle i piedi nudi. Non riuscì più a controllare l’istinto e si voltò.
Dalla sua bocca uscirono tante bolle che si ruppero quando toccarono il viso di Poseidone e solo allora si udì la sua voce «È bellissimo». Lui sorrise quel suo sorriso saggio e dolce e le toccò il viso, la mano calda e asciutta.
La baciò, la bocca screpolata e umida. La baciò e Sally si sentì diventare un tutt’uno con l’acqua, si sentì dilatare e sciogliere e diventare tante minuscole particelle. Sentì il suo corpo galleggiare, leggero e informe, nell’acqua bollente. Il suo respiro in milioni di bollicine che custodivano gelose un solo nome...


[Continua...]



Angolo dell'autrice
Ed ecco a voi il secondo capitolo, ne manca ancora uno e poi la fic sarà finita. Ringrazio calorosamente chi ha recensito o anche solo letto. Frequento da poco il fandom di PJ e sto già conoscendo tante persone simpatiche e talentuose. Spero di non essere da meno^^
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***



Capitolo Terzo


La mattina dopo, Sally si svegliò di soprassalto. Era già vestita e stava infilando la seconda scarpa quando si rese conto che era lunedì: il suo giorno di riposo. Sbuffò, ma si sentì subito meglio e si lasciò cadere sul letto di schiena. Avrebbe potuto dormire un po’ di più, poi studiare e infine— e poi ricordò. Poseidone, l’oceano, le nereidi. Abbiamo davvero... ? Strinse le gambe e, come c’era da aspettarsi, sentì un leggero fastidio. Arrossì.
Restò in quella posizione per lungo tempo, ricreando i momenti della notte prima nella sua testa. Fili confusi di pensieri le volteggiavano nella mente. Un misto di sensazioni contrastanti le galleggiavano nello stomaco.
Alla fine, non potendone più di star ferma, si alzò e decise che, siccome era già vestita, tanto valeva uscire.
La città era allegra e caotica. Gente con indosso solo costumi e vestitini leggeri affollavano le strade. Sally decise di andare al mercatino e sacrificare una piccola parte della sua paga per il piacere personale. Comprò un paio di sandali e uno strano cappellino che sapeva non avrebbe mai indossato. Si divertì a chiacchierare con i venditori e a osservare il via vai di gente.
A metà mattinata, il sole cominciava a scottare sulla sua testa. Il calore s'impregnava sull’asfalto e saliva lentamente e invisibile, pronto ad affogarti. Decise che una bibita fresca era d’obbligo e attraversò la strada per recarsi in un bar all’angolo. Si sedette a un tavolino riparato da un ombrellone, la cannuccia tra le labbra e la frescura della limonata nella gola.
Stava cominciando a pensare che forse era il caso di tornare a casa a studiare quando vide una libreria dall’altra parte della strada. L’insegna era dipinta a mano e scrostata in più punti. Aveva l’aria di un posto vecchio e abbandonato. Sally finì la sua limonata in un solo sorso e si alzò.
Da dentro, il posto si rivelò essere trascurato come lei aveva pensato. Cataste di libri erano ammucchiati uno sopra l’altro, senza alcun ordine, sembrava. Odore di carta ingiallita permeava l’aria e nuvolette di polvere si alzavano al passo di Sally. Si addentrò in silenzio e lentamente, gli occhi meravigliati sulle montagne di libri.
In fondo, una vecchietta era dietro al bancone. Gli occhiali le rendevano gli occhi enormi come palle di vetro e la pelle era ingiallita e rugosa come carta crespa.
«Buongiorno, cara, come posso aiutarti?» le chiese, la voce impastata e stridente.
«Io... vorrei dei libri» disse stupidamente. «Cioè, dei libri sulla mitologia greca».
Un’ora dopo, Sally sedeva ai piedi del suo letto con le mani nei capelli, libri impolverati giacevano aperti attorno a lei. Un milione di pensieri si scontravano come trenini per bambini.
Respirò profondamente. Doveva affrontare la situazione, voleva risposte.

La spiaggia, all’ora del tramonto, era quasi deserta. La sabbia era tiepida sotto le sue mani e il sole enorme e liquido nel cielo. Da lontano, alcuni ragazzi facevano surf, mettendo bene in mostra la loro pelle abbronzata e i muscoli scolpiti per le ragazzine che dalla riva li osservavano. Sally non era mai andata al mare con gli amici, non aveva mai schiamazzato per un ragazzo. Quando da ragazzina andava al mare con zio Rich, non si era mai fermata sulla riva lamentando l’acqua ghiacciata. Si era sempre buttata senza pensarci. Lo zio diceva sempre che doveva mettere un freno ai suoi istinti.
Una figura si avvicinava alla spiaggia sulla sua tavola da surf, aggraziata e agile, come se fosse nel suo elemento naturale. Le ragazze cominciarono a fare il tifo per lui, per lo sconcerto dei ragazzi. Ma la figura non si fermò da loro, bensì continuò a spingere la sua tavola fino a fermarsi ai piedi di Sally.
Poseidone le sorrise tristemente. «Non saresti dovuta venire qui».
«Io ci abito qui» rispose Sally, forse un po’ troppo aggressivamente. «Non sapevo che questa spiaggia fosse tua».
«Beh... tecnicamente lo è il mare, ma detengo i diritti anche di parte della spiaggia» disse lui, divertito.
«Voglio risposte» disse lei, e c’era finalità nel suo tono. Poseidone sospirò e si sedette al suo fianco, la tavola da surf abbandonata ai suoi piedi.
«D’accordo. Com’è che dicono i ragazzi oggigiorno? Ah, sì, spara».
«Cosa... chi... » respirò profondamente. «Com’è possibile? Tutte quelle cose che ho visto da bambina, erano reali? E tutte le teorie scientifiche che fine fanno? Tutto in fumo? E—».
«Hei, hei, frena» rise Poseidone. «Per Zeus, ragazza, non intendevo spara letteralmente». Sally aspettò in silenzio.
Poseidone raccolse una stella marina e cominciò a parlare. «È possibile, perché è possibile. Sono qui, no? Cogito ergo sum. Il Monte Olimpo si sposta insieme al centro del potere. Dalla Grecia, a Roma, fino ad arrivare in America. Tutte le cose che vedevi da bambina probabilmente erano mostri. Ti ho già spiegato cos’è la Foschia. Beh, sembra non avere effetto su di te e, credimi, è raro trovare un umano immune. Sei molto speciale. Teorie scientifiche?» rise, come se avesse detto una battuta. «Gli umani riescono sempre a trovare una risposta quando la cercano. Se poi sia la verità è tutto da vedere».
«Ma nessuno più crede in te» disse Sally, poi arrossì, temendo di averlo offeso.
«No, infatti» rispose semplicemente il dio greco.
La realizzazione di avere un uomo secolare di fronte la colpì come una delle onde che lui cavalcava e domava così bene.
«E quindi adesso che succede?»
Lui le prese la mano e avvicinò il viso al suo. Odorava di salsedine e di pelle abbronzata.
«Io non dovrei essere qui, Sally. Non sarei dovuto venire. Non avrei dovuto seguire quell’istinto che mi ha detto di entrare in quella gelateria. Io e te non avremmo mai dovuto incontrarci».
Sally sentì una parte di sé staccarsi dal suo corpo e morire.
«Ma siamo qui e siamo insieme e, ricordi? Seguire la corrente. Non mi importa di stupidi giuramenti e profezie. Non sono mai stato un tipo ubbidiente, io» disse, con un luccichio negli occhi. Sally non sapeva niente di giuramenti e profezie, ma quando lui la baciò, questa volta, si sentì ricomporre, intera e piena.


Le settimane successive furono per Sally le più felici di tutta la sua vita. Di giorno andava in gelateria a lavorare dove, sospettosamente, il signor Creem diventava sempre più disponibile e generoso. Di sera, invece, tornava sulla spiaggia, al solito posto, dove sapeva che l’avrebbe raggiunta Poseidone. Si rifiutava di pensare al giorno in cui lui non sarebbe venuto.
Parlavano per ore e ore — Sally voleva sapere tutto sul suo mondo — finché, stanco, Poseidone non le prendeva il viso tra le mani per baciarla. Spesso lui la portava nei fondali marini dove, seppur potessero parlare come trovandosi sulla terra ferma, non sprecavano fiato con inutili parole.
Una sera, Sally si recò con lo stomaco in subbuglio e tutta impettita verso il loro punto di ritrovo. C’era la festa del paese e lei la sera prima aveva espresso il desiderio di andarci. La mattina dopo il signor Creem le dette la serata libera.
E ora Sally era seriamente arrabbiata, e la sua nausea di certo non aiutava.
Sentì la sua risata, prima di vederlo. Era steso di pancia e stava costruendo un tunnel insieme a dei bambini. Sally si schiarì la gola.
Poseidone alzò lo sguardo, un sorriso da orecchio a orecchio.
«Eccola, la mia regina dei mari. Che ne pensi della nostra fortezza?» disse, quella faccia da schiaffi.
L’espressione di Sally doveva essere esauriente, perché lui si alzò, spiegando ai bambini che ora doveva fare quelle cose noiose da grandi e, tra i lamenti dei bambini, le si avvicinò, guardandola con aspettativa.
«Allora?» disse Sally, le mani sui fianchi. «Pulisco io, Sally, che ne dici di un aumento, Sally, oh, Sally cara, perché non te ne vai prima, hai già fatto abbastanza per oggi» imitò meglio che poté la voce del signor Creem, gonfiando le guance e dondolando le braccia proprio come faceva lui. Poseidone, per tutta risposta, scoppiò in una sonora risata.
«Saresti bellissima anche se fossi un uomo viscido e grasso» le accarezzò la guancia.
«Oh, non mi incanti con i tuoi complimenti. È opera tua, vero?»
«Sì» disse lentamente. «Ho pensato potesse farti comodo—»
«Come ti è venuto in mente? Non ho bisogno del tuo divino aiuto, sai? Posso cavarmela da sola» sbottò.
«Ma, Sally tesoro—»
«Niente “Sally tesoro”. Tu adesso rimetti le cose a posto e fai tornare il signor Creem il brontolone rompiscatole che è sempre stato» ordinò.
«Ma... perché?» sembrava genuinamente sorpreso e confuso.
«Perché sì, Poseidone. Perché è la mia vita e devo farcela da sola» disse, questa volta più dolcemente.
Poseidone scrollò le spalle. «Continuo a non capire, ma se proprio insisti». Le prese la vita tra le mani e la tirò a sé.
«Questo vuol dire che preferisci lavorare stasera?» disse, alzando un sopracciglio.
«Beh... facciamo che per stasera passi, ma che non si ripeta di nuovo».
Si recarono verso la città, passeggiando lentamente mano nella mano e fermandosi di tanto in tanto di fronte a delle bancarelle.
Era una serata piacevole e allegra. Un vociare indistinto arrivava alle loro orecchie, le luci delle bancarelle si riflettevano sui visi dei passanti, e diversi profumi di dolci permeavano l’aria.
Poseidone si divertiva a osservare tutto quello che per Sally — una comune mortale — era banale e scontato, trascinandola da questa e quella bancarella con l'entusiasmo di un bambino.
Si fermarono di fronte alla ruota panoramica.
«Mio fratello andrà su tutte le furie» disse Poseidone ridendo. Se Sally aveva capito bene, doveva esserci una sorta di competizione fraterna tra i due.
«Non ci farà cadere, vero?» disse lei, seriamente preoccupata.
«Non preoccuparti, sei sotto le grazie di un dio» le fece l'occhiolino.
Quando si sedettero e la giostra entrò in funzione, Sally sentì lo stomaco fare una capriola.
Poseidone le toccò una guancia e le voltò il volto. «Cos’hai?» le chiese.
«Sono solo un po’ disturbata». Poseidone la guardò intensamente negli occhi per vari secondi, e quando la lasciò andare c’era un’espressione devastata sul suo volto.
«Che c’è?» chiese Sally.
«Sei incinta» rispose lui con voce piatta.
Sally non poté trattenersi dal ridere. «Cosa? Un po’ di nausea e subito mi decreti incita?»
«Sei incinta» ripeté Poseidone, e Sally, semplicemente, gli credette.
«Oh!» esclamò, non sapendo come affrontare una notizia del genere. «Ed è una brutta cosa?» domandò, ma già conosceva la risposta.
«È colpa mia. Mi dispiace»
Mi dispiace.
«Ti dispiace...»
«Sally, ascolta, tu non hai idea di cosa questo comporti» le disse, prendendole le mani.
«So benissimo cosa comporta, grazie» ribadì Sally gelidamente. Si voltò dall’altra parte. Tutta Long Island si stendeva ai suoi piedi in un multicolore di luci.
«Sally» Poseidone la chiamò, e lei non poté evitare di voltarsi. «Un figlio mio... non avrà vita facile... e neanche tu». Strinse la presa sulle sue mani. «Volevo aiutarti, volevo eliminare tutte le tue sofferenze e i tuoi problemi, e invece ho complicato tutto quanto».
La ruota panoramica si fermò e Sally si alzò di scatto.
«Torno a casa» gli disse.
«Sally—».
«Ho bisogno di pensare». E per una volta, non fu Poseidone ad andarsene improvvisamente.


La porta della cabina si aprì cigolando, e Sally entrò richiudendola di botto. Dell'intonaco cadde dal muro e un rumore sinistro preannunciò che i cardini dovevano essersi staccati.
Sally lanciò un urlo strozzato.
«Stupida... inutile... catapecchia!» accompagnò ogni parola con un calcio alla porta.
Si diresse verso il minuscolo angolo cottura che lei stessa aveva creato dividendo la camera da letto con delle vecchie lenzuola, con l’intenzione di prepararsi del caffè nero.
Accecata dalla rabbia, dimenticò di aprire la credenza con attenzione e la maniglia dell’anta si staccò. La gettò a terra con tutte le sue forze e maledisse il signor Creem che se ne fregava che l’impianto idraulico fosse rovinato, zio Rich se si era ammalato ed era morto lasciandola sola e senza un soldo, se stessa perché era una disgraziata, e Poseidone, stupido, idiota di un dio!
Rinunciando al caffè, si diresse verso la sua libreria sbilenca, ma tutti i libri avevano titoli come “Miti e Leggende dell’Antica Grecia”, “Vizi e Virtù degli Dei dell’Olimpo” e “Dieci Buoni Consigli Per Andare D’Accordo Con Il Tuo Divino Partner”, e li gettò a terra con un colpo.
Mandò mentalmente tutti gli dei dell’Olimpo all’inferno, o nell’Ade, o quello che era, e si gettò di peso sul letto, strofinando la guancia sul cuscino scomodo e ruvido, e piangendo lacrime di rabbia e disperazione.
Quando le lacrime si fermarono e l’unica sensazione rimasta fu una logorante stanchezza, Sally si alzò traballante. Si avvicinò a uno specchio appeso alla parte; era talmente vecchio che ai bordi il vetro non esisteva più e in alcuni punti era sfocato.
Sally appoggiò entrambe le mani su un mobiletto, la sua immagine riflessa le ricambiava lo sguardo. Lunghi capelli castani cadevano in disordine su spalle piccole e forti, due grandi occhi blu cerchiati di rosso accentuavano in modo quasi grottesco il loro colore naturale.
Sally Jackson, diciannove anni, cento sogni e zero possibilità di renderli realtà.
Allargò il suo campo visivo nello specchio e osservò la piccola cabina in cui alloggiava. Un letto a una piazza era posato a ridosso del muro, proprio sotto la finestra dove Sally ogni mattina osservava il sole sorgere; di fianco, delle lenzuola con degli orribili fiori ricamati nascondevano la cucina che comprendeva un piccolo frigo, un fornello con due fuochi e una credenza fatiscente; sulla destra c’era la libreria che Sally aveva creato con pezzi di legno che erano sopravvissuti a un falò, c’erano voluti giorni perché la puzza di bruciato svanisse.
«Questa è la tua vita, Sally: un buco umido e vuoto».
Chiuse gli occhi per non vedere più l’immagine della sua solitudine e, chiara come se si trovasse al suo fianco, sentì la voce di zio Rich: «Ti arrendi di già? Nuota, Sally!»
«Non posso» sussurrò lei e la sua voce diventò condensa sul vecchio specchio. «La corrente mi spinge indietro».
Non ci fu nessuna risposta, ma improvvisamente una raffica di vento aprì la finestra portando con sé granuli di sabbia e il fresco, intenso profumo di salsedine, e Sally seppe cosa doveva fare.


Il sole era nascosto per metà dal mare come un enorme pallone rosso galleggiante. Tanti gabbiani volavano intrecciandosi tra loro, i raggi solari donavano loro strane sfumature violacee.
La sabbia era morbida e tiepida, Sally ci affondò i piedi e si schermò il volto con una mano, la brezza marina che le scompigliava i capelli.
Un mare rosso e blu le si parava davanti, così immenso, così indecifrabile, così misterioso come il futuro che Sally sapeva di dover affrontare.
Una mano grande e callosa le si posò sulla spalla.
«Vieni con me. Ti costruirò un castello nel fondo del mare. Avrai tutto, sarai felice, non dovrai più lavorare, non dovrai più soffrire, Sally. Vieni con me».
Parole calde, parole sensuali e invitanti...
Sally si voltò. Con i colori del tramonto sul viso, la pelle di Poseidone sembrava ancora più abbronzata, i suoi occhi verdi ancora più vividi. La guardava intensamente aspettando una risposta. Indossava di nuovo l’armatura con cui l’aveva conosciuto, il tridente che brillava sotto il sole calante.
Mai come allora le era sembrato più potente... e più irraggiungibile.
«Non promettermi cose che non puoi darmi» gli rispose.
Lui abbassò lo sguardo. Un dio sconfitto e affranto. Sally strinse le sue mani tra le sue.
«Voglio sapere. Dimmi a cosa andrò incontro. Dimmi a cosa andrà incontro nostro figlio».
Poseidone la invitò a sedersi sulla sabbia, non staccò gli occhi dal suo volto nemmeno per un attimo, e poi cominciò a parlare: «C’è questo Campo... il Campo Mezzosangue...».
Sally ascoltò tutto con attenzione, memorizzando ogni parola, ogni sfumatura sul suo viso, ogni intonazione della voce, respirando profondamente il profumo di mare che emanava la sua pelle.
E quando ebbe finito, Poseidone l’abbracciò e la baciò e Sally avrebbe voluto piangere e stringerlo e costringerlo a restare con lei per sempre. Ma fu lei la prima a staccarsi da quell’abbraccio.
«Devi andare» gli disse e non sapeva se era una domanda o un’affermazione.
«Sì» rispose lui.
«E non tornerai mai più»
Lui guardò il sole ormai quasi completamente scomparso, come se stesse cercando la risposta scritta nel cielo.
«Forse... fra qualche anno... ».
Si alzarono, senza dire una parola, consapevoli di star solo ritardando l’inevitabile. Sally fece un passo indietro e le sembrò l’azione più difficile che avesse mai compiuto.
«Vai» disse e la sua voce s'incrinò sull’ultima lettera.
«Mi mancherai, Sally. Nei prossimi secoli, nei prossimi millenni, per sempre... non ti dimenticherò mai».
«Addio» disse Sally, le labbra che tremavano.
«Arrivederci» rispose Poseidone, poi prese un respiro profondo e si voltò, camminando lentamente verso l’oceano.
Poseidone si voltò per l’ultima volta, le sorrise tristemente e poi, in un attimo, non c’era più.
Sally rimase sola, la sera era calata, il mare adesso era un’infinita pozza d'inchiostro nero. Si toccò con dolcezza il ventre e sussurrò al vento: «Lo chiamerò Perseus».
Una brezza marina le accarezzò il volto e Sally sorrise e pianse, e seppe, in quel momento, di essere una donna — una madre — fortunata, e che avrebbe dato tutta se stessa per il bambino che portava in grembo.

[Fine]


Angolo dell'Autrice:
E così finì. Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito, inserito la storia tra i preferiti, nan96 per aver indetto il contest, e anche chi ha solo letto.
Al momento sto lavorando su un'altra fic su PJ, perché a quanto pare sono caduta nel baratro di questo fandom.
Domanda: qualcuno conosce per caso un forum o un archivio italiano dedicato a PJ? E, se non esiste, sareste interessati a uno? Stavo pensando di creare una community dove è possibile postare fic e discutere sui libri di PJ, ma prima di cimentarmi in questa impresa, volevo il parere di qualche altro fan e assicurmi che qualcosa del genere non esista già^^  Che ne dite?
A presto,
Tera

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