Assuefatto dalla sua presenza!

di cecchino_2028
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Raggiante ***
Capitolo 2: *** - Dolce Verità- ***
Capitolo 3: *** Piccoli attimi di dolcezza ***
Capitolo 4: *** Verità o bugie? ***
Capitolo 5: *** Ingannati ***
Capitolo 6: *** Dolore ***
Capitolo 7: *** Addio ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti ***



Capitolo 1
*** Raggiante ***


-Capitolo 1- Raggiante-
 
“Booth, ti vedi con qualcuno?” disse Cam, non appena ebbe finito l’autopsia.
“Più o meno, perché?”chiese Booth perplesso.
“Sei raggiante, esprimi felicità da tutti i pori!” rispose lei. Booth rise e pensò alla notte appena trascorsa.

Era arrivato a casa sua con l’intenzione di parlare un po’, aveva con sé anche un paio di buste con la cena presa da Sid. Aveva fatto con calma le scale per provare a rallentare il ritmo del suo cuore poi aveva bussato a casa di lei. Lei era arrivata e gli aveva aperto la porta, bella da mozzare il fiato, con un paio di jeans, una canotta bianca ed i capelli legati dietro la nuca fermati da una molletta. Sentì il suo profumo e capì di essere a casa. Era così strano, in fondo quella non era casa sua, però amava il suo odore, i suoi occhi, amava tutto di lei.

“… Booth?” disse Cam, ridestandolo dai suoi pensieri.
“Cosa?” chiese.
“Niente, non ti preoccupare, vado dalla Brennan a dirle ciò che ho scoperto!” disse lei.
“Ok!” rispose Booth atono.

Intanto nell’ufficio di Temperance Brennan, era appena arrivata Angela Montenegro, un po’ trafelata per aver fatto le scale di fretta.

“Ehi, dolcezza, ho saputo di Booth …” disse Angela.
“Cosa?” chiesi concentrandomi su i fogli del caso a cui stavamo lavorando.
“Che si vede con una!” disse Angela.
“Antropologicamente parlando è normale, Booth è un maschio alpha, è normale che cerchi una donna!” dissi.
“Sì, però quella donna non sei tu!” rispose Angela, come se quella fosse una cosa scontata.
“Non mi interessa!” dissi.
“Tesoro per favore, non dire bugie!” rispose lei.
“Non ti sto dicendo bugie, è libero di fare ciò che vuole, ehi Cam!” dissi. Cam era la mia salvezza, meglio chiudere con quella storia.
“Dottoressa dal tossicologico ho scoperto che la ragazza faceva uso di stupefacenti!” disse Cam.
“Bene, quindi abbiamo un giro di droga ed una ragazza torturata a morte! Cosa ci dice?” chiesi.
“Ok, me ne vado!” disse Angela. “Ciao!”
“Ciao!” rispondemmo all’unisono Cam ed io.
“Booth lo sa?” chiesi.
“Sì, è sulla piattaforma e se ne andrà tra poco!” disse sorridendo ed andandosene.
“Ehi Booth, potevi anche dirmelo che ti vedevi con una ragazza!” dissi arrivandogli alle spalle. Booth sussultò.
“Non si attacca mai alle spalle Bones …” rispose.
“Non ti ho davvero attaccato” dissi.
“Bones era sarcasmo il mio, comunque cosa non ti avrei detto?” chiese perplesso.
“Che ti vedi con una ragazza!” risposi sorridendo.
“Oh … scusa! Volevo dirtelo ma …” balbettò. Risi, mi divertivo a vederlo annaspare.
“Sì sì come no, andiamo!” risposi.
“Ci aspetta tuo padre al Diner!” disse.
“E perché?” chiesi.
“Bé conosceva la vittima!” rispose.
“E come mai?” domandai.
“Chiediamolo a lui!”rispose. Booth si rituffò nei ricordi della notte precedente.

“Accomodati!” disse lei, facendolo entrare. Si sedette sul divano ed appoggiò le buste sul tavolinetto da tè del salotto e lei si sedette accanto a lui porgendogli una birra. Lui la prese e iniziò a berla.
“Sono passato da Sid!” disse e lei prese la busta e tirò fuori il riso ed iniziò a mangiarlo, anche lui prese l’altra busta dove c’erano dei gamberi, lei accese la tv, ma le loro chiacchiere superavano il volume del televisore. Poi i loro sguardi si incrociarono dopo tanto tempo, era da molto che non si guardavano davvero. Finita la cena lei si avvicinò a lui impercettibilmente, lui invece separò la distanza tra loro, circondandole le spalle con un braccio e lei appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, inspirò il profumo dei suoi capelli, era dolce, voleva annegare in quell’odore poi lei si voltò e si guardarono di nuovo, stavolta affogò nel mare dei suoi occhi. Si sentiva perso, come ogni volta che la guardava.


“Ehi Booth sei distratto!” constatai.
“Pensavo! A ieri sera …” disse.
“Ah la tua nuova conquista …” risposi.
“La posso considerare tale?” chiese.
“Guarda c’è mio padre!” risposi ed entrai al Diner, seguita dalla risata cristallina di Booth.

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Capitolo 2
*** - Dolce Verità- ***


“Ehi papà!” dissi.
“Oh, Tempe!” rispose lui “Booth!”
“Max!” disse Booth. “Come va?”
“Bene, voi ragazzi tutto ok?”
“Tutto bene!” rispose Booth.
“Papà perché conoscevi Jenny Trescot?” chiesi.
“Ero nella stessa cella con suo fratello, mi ha parlato spesso di lei, le ho fatto visita qualche giorno fa perché?” rispose.
“Oh, ok. Sai chi la voleva morta?” domandai.
“E’ morta?” disse lui.
“Oh, sì Max, è morta, sei stato tu?” chiese Booth. Gli diedi un calcio sul polpaccio. Lui si morse un labbro ma non disse nulla.
“Non uccido le persone!” rispose mio padre. Ah, risposta sbagliata, era un assassino. Ok l’aveva fatto per me e Russ ma era comunque un assassino. Booth sorrise.
“Oh, Max, non è vero, tu hai ucciso!” disse Booth.
“Sì, ma per proteggere i miei figli!” rispose mio padre.
“Conta che tu l’abbia fatto, hai ucciso, non hai avuto scrupoli!” disse Booth.
“Anche tu, hai ucciso un uomo, la sera di halloween, mi pare!” rispose Max.
“Papà! L’ha fatto per salvarmi!” sbraitai io.
“Anche io l’ho fatto per salvarti!” rispose lui.
“E’ diverso!” dissi.
“Oh, ho capito!” concluse lui.
“Cosa?!” dicemmo all’unisono Booth ed io.
“Voi andate a letto insieme!” rispose.
“Ma papà!” risposi.
“Perché pensi questo Max?” chiese Booth.
“Non vi tirate frecciatine, non vi guardate minimamente e mia figlia sta difendendo te invece che me!” concluse lui con un sorriso. “Tua madre lo approverebbe, è un brav’uomo!”
“Papà! Lo difendo perché ha ragione lui e non tu!” urlai e scattai in piedi.
“Calmati Bones!” rispose Booth,afferrandomi per il polso e facendomi sedere. “Max, Bones ed io non andiamo a letto insieme!”
“Calmatevi tutti e due, la mia era una supposizione!” rispose Max.
“Ecco tienitele per te le supposizioni papà!” risposi infuriata. “Torno al Jeffersonian! Scusate!” dissi bruscamente.
“Ci vediamo dopo Bones!” disse Booth.
“Ciao Tempe!” urlò mio padre. Ok ero infuriata con mio padre, molto infuriata. Anche se non aveva tutti i torti, cioè Booth ed io non andavamo a letto insieme, però … oh basta meglio concentrarsi su altro.
“Ehi tesoro!” disse Angela non appena entrai al Jeffersonian.
“Dottoressa ho ripulito le ossa, sono sulla piattaforma!” disse Daisy.
“Bene, allora andiamo ad analizzarle!” risposi. Salimmo sulla piattaforma e mentre guardavo una rotula della vittima il mio telefono vibrò. Lo estrassi dalla tasca, un nuovo messaggio.

“Tempe, scusa se prima ho pensato che tu e Booth andaste a letto insieme, però so che ci siete quasi, gli uccellini cantano! Ti rispetta e ti ama, si vede, gli brillano gli occhi quando parla di te.
                                                                                                          Baci. Papà.”


Riposi il telefono in tasca, bene ora ero infuriata anche con Booth. Cosa diavolo aveva detto a mio padre? Ah, sì giusto!

Era apparso sul pianerottolo di casa mia con due buste del take away di Sid in mano. Era lì fermo e mi squadrava, un sorriso compiaciuto gli era apparso sulle labbra. Ok, anche sulle mie labbra.
“Accomodati!” dissi, per non fargli notare che stavo sorridendo anche io. Seleey Booth era davvero bello. Ci sedemmo sul mio divano, al solito, quattro chiacchiere, birra, tv accesa e il cibo tailandese. Poi però dopo cena lui mi aveva abbracciata e io mi ero sdraiata su di lui. E poi voltandomi l’avevo visto guardarmi. Stavo letteralmente annegando nel cioccolato fuso. Sì il cioccolato fuso dei suoi occhi. Poi era arrivato l’attimo in cui l’azzurro dei miei occhi si era mescolato con il marrone dei suoi, ed era arrivato il bacio, con foga, quasi con disperazione, un lungo bacio, non come quello a Natale sotto il vischio al sapore di menta, oppure quello fuori da quel locale con i litri di tequila, un bacio molto più profondo rispetto anche a quello dopo la seduta con Sweets. Un bacio in cui erano davvero chiari i sentimenti di entrambi, poi era suonato il suo cellulare e eravamo dovuti uscire di fretta per via del ritrovamento della ragazza.


“Seleey Joseph Booth!” urlai non appena sentii la sua voce.
“Ehi amico cosa hai combinato?” chiese Hodgins, dandogli una gomitata.
“Già cosa ho fatto Bones per meritarmi di essere chiamato con nome, cognome e secondo nome addirittura?” domandò ridendo.
“Non riderei troppo al posto tuo!” risposi trascinandolo nel mio ufficio.
“Bones cosa ho fatto?” chiese perplesso.
“Hai detto a mio padre di ieri sera?” domandai infuriata.
“Mi ha fatto delle domande! Non sapevo cosa dirgli!” rispose lui.
“Sei un agente dell’FBI e non sai come rispondere ad un ex carcerato?” chiesi.
“Non se l’ex carcerato in questione è il padre della donna che amo!” rispose lui. Bravo Booth. Bella risposta. Ma mi aveva detto davvero quelle parole? Booth aveva davvero detto di amarmi?
“Cosa?” chiesi.
“Hai capito bene! Ti amo Temperance! Lo dovresti sapere ormai!” rispose lui. Certo come se fosse la cosa più ovvia.
“E’ la prima volta che lo fai!” dissi.
“Cosa?” chiese perplesso.
“Che mi chiami col mio nome di battesimo! Ok in realtà non è il mio vero nome …” dissi.
“Ho capito cosa intendi … Non ti avevo mai chiamata Temperance!” rispose lui sorridendo. Oh al diavolo i pregiudizi. Era così dannatamente dolce il modo in cui diceva il mio nome e poi il suo sorriso, avrebbe sciolto un iceberg. Ok dov’è finita la gelida ed infuriata Temperance Brennan? Giusto Booth l’aveva fatta quasi scomparire del tutto. Mi avvicinai a lui e lo baciai, lentamente, non con la foga della sera precedente, con calma, fino a che lui non prese in mano i giochi, mi strinse a sé cingendomi i fianchi,e le nostre bocche si aprirono, le lingue si cercarono e fu come se un vuoto si riempisse, più dei polmoni che prendono aria, più delle vene che prendono sangue, era un vuoto molto più grande da colmare, ma lui con la sua anima lo colmava. Anzi straripava. La mancanza d’ossigeno ci fece staccare.
“Immagino che questo significhi che non sei più infuriata con me!” sussurrò lui all’orecchio.
“Non la passerai liscia!” risposi. Mi diede un bacio sulla fronte ed uscì. Quella sera ero certa non l’avrebbe passata liscia, avrei fatto in modo che la pagasse cara. 

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Capitolo 3
*** Piccoli attimi di dolcezza ***


Ero a casa con Hot Blooded in sottofondo, ricordavo quando l’esplosione del mio frigorifero aveva quasi ucciso Booth. Stavamo cantando quella canzone pochi attimi prima che lui rischiasse la vita. Il suono del campanello mi distrasse dal ricordare quella sera, andai ad aprire la porta e lui era lì, in carne e ossa, bello come non mai, unico, reale, davanti a me e tutto per me.
“Ehi!” disse.
“Ciao!” risposi e mi scostai per farlo entrare. Chiusi la porta e mi voltai non pensavo di trovarlo così vicino, fece un passo verso di me ed io arretrai, ma ero sulla porta, quindi non potevo far nulla, mi diede un bacio a fior di labbra. Poi si staccò e si sedette sul divano, mi sedetti accanto a lui e presi il fascicolo del caso in mano e gli mostrai le lastre della ragazza.
“L’hanno torturata davvero quindi?” chiese lui.
“Sì, fino alla morte!” risposi.
“Cosa poteva aver fatto di tanto grave?” domandò.
“Qui quello che scopre le cause sei tu!” dissi.
“Sì ma tu e la tua banda di squint mi date il giusto input!” rispose lui sorridendo.
“Cam dal tossicologico ha rilevato tracce di droghe, per cosa è stato incriminato suo fratello?” chiesi.
“Spaccio ed omicidio!” disse.
“Quindi era un affare di famiglia!” risposi.
“Sì, direi proprio di sì Bones! Credo dovremmo partire proprio da questo, la famiglia!” sorrise lui.
“Sì, ma perché torturarla?” chiesi.
“Forse perché sapeva cose che non doveva rivelare!” rispose.
“Come qualcun altro!” dissi.
“Era sarcasmo il tuo? Alludevi forse a qualcosa?” domandò ridendo.
“Più probabilmente alludevo a qualcuno!” risposi.
“Mi dovrei preoccupare?” chiese.
“Conosco molti metodi per torturarti!”
“Sono stato un cecchino ed un ranger, resisto bene alle torture!” disse.
“E se il tuo aguzzino fosse la tua donna?” domandai.
“Aspetta … Ho capito bene? La mia donna?” chiese perplesso.
“Sì cos’è non ti va bene?” risposi.
“No, mi va molto più che bene!” disse sorridendo. Mi misi a cavalcioni su di lui ed appoggiai la mia fronte sulla sua, occhi negli occhi. Iniziai a baciargli una tempia, poi scesi fino all’orecchio, gli morsi il lobo e poi continuai fino alla guancia, lo vidi socchiudere gli occhi, gli baciai l’angolo della bocca, poi sfiorai con la lingua le sue labbra, ma non andai avanti, iniziai a scendere, il mento e poi il collo. Lui mi prese il mento tra le dita e mi guardò, di nuovo occhi negli occhi, era una sensazione fantastica, lui era fantastico. Mi baciò, con calma, con molta tranquillità, sentii la sua lingua sul mio labbro e aprii la bocca per farlo entrare ed iniziò a giocare con la mia lingua, poi ad un certo punto presi e morsi il suo labbro, lui trattenne un gemito. Ricominciai la mia discesa, di nuovo l’angolo della bocca, poi il mento, il collo, arrivai alla base del collo e lì iniziai a baciarlo, su e giù, dall’orecchio alla carotide. Mi era sempre piaciuta l’anatomia, ma con Booth sarebbe stato molto più bello studiarla. Gli sfilai la maglietta, i suoi pettorali erano in evidenza, un po’ meno gli addominali, ma continuavano a vedersi, l’addestramento militare aveva giovato ai suoi muscoli, ma sicuramente si teneva in costante allenamento. Presi a baciargli la clavicola, poi la spalla, forte di un fascio di muscoli, lasciai un morso anche lì, stavolta il gemito gli sfuggì dalle labbra. Continuai a baciarlo, lasciavo le tracce con la mia saliva leccandolo, ogni tanto lasciavo qualche morso e lui gemeva, continuavo a baciarlo, poi tornai sul suo viso, quel viso perfetto, lo baciai sempre intorno alle labbra, le sfioravo con la lingua a volte e lui gemeva, stava soffrendo per la lontananza del contatto tra le nostre labbra, lo capivo, però gli avevo promesso una lenta agonia.
“Me la stai facendo pagare è Temperance?” chiese. Era così dolce il suo del mio nome sulle sue labbra, a pensarci bene neanche io lo avevo mai davvero chiamato solo col suo nome.
“Sì Seeley, devi soffrire!” risposi. Aprì gli occhi e mi guardò, di nuovo l’azzurro dei miei occhi affogò nel marrone dei suoi. Il suo sguardo brillava.
“Non mi hai chiamato mai solo Seeley, continua a farlo!” disse e poi mi baciò. Con passione, con voglia, mi lasciai cullare nella dolcezza di quel bacio, lui si alzò dal divano, con me ancora accoccolata addosso. Gli baciai il petto nudo. Era davvero magnifico.
“Dimmi che domani mattina mi sveglierò e tu sarai accanto a me!” disse Booth in un sussurro.
“Se è questo che vuoi!” risposi.
“Sì dannazione Temperance!” disse lui.
“Ok Seeley!” risposi io e gli sorrisi e lui sorrise di rimando, il solito sorriso da fermare il cuore e illuminare l’anima, scientificamente impossibile, ma al diavolo la scienza, con Booth nulla era scientifico, era tutto un fatto di sentimenti. Mi travolse in un bacio, io mi sfilai le scarpe e le gettai all’ingresso della mia camera, lui mi gettò sul letto, si tolse le scarpe e si sdraiò accanto a me. Ci guardammo per un attimo, l’unico chiarore era quello della luna piena fuori dalla finestra. Poi mi baciò di nuovo, con passione, con trasporto, con tanta voglia.
“Ti amo Temperance!” disse.
“Lo so, anche io ti amo Seeley!” risposi e lo baciai. Poi lui mi sfilò la maglietta e mi ammirò per un attimo, al chiarore della luna la mia pelle sembrava più diafana di quanto già non fosse, lui iniziò a lasciarmi dei caldi baci sul collo, poi nell’incavo tra i seni e poi sul ventre. Intanto io corsi alla sua cintura, la slacciai lentamente e la sfilai, con una calma innaturale, non da me, come se Booth fosse uno dei miei cadaveri sulla piattaforma, chissà come sarebbe stato analizzarlo, così forte, chissà come erano le sue ossa. Lui slacciò i miei jeans e li sfilò, ero rimasta in biancheria intima, e lui li a fissarmi con uno sguardo trasognato, chissà se aveva sognato questo momento tante volte quanto me. Poi anche io sfilai i suoi jeans, mi fermai a rimirare i suoi quadricipiti sviluppati, poi mi misi a cavalcioni su di lui e lo baciai di nuovo.
“Non puoi avere sempre il comando, lasciami fare l’uomo per una volta!” disse.
“Oh ecco uscire fuori il maschio alpha che c’è in te!” risposi sorridendo, ma lo lasciai fare. Lasciai che mi sfilasse il reggiseno e che iniziasse a giocare con la lingua sui miei seni, mi aggrappai con i denti alla sua spalla, lui gemette, ma continuò la dolce tortura della sua bocca in ogni centimetro di pelle scoperta. Gli sfilai i boxer neri, la sua anatomia era davvero perfetta, lo guardai e sorrisi. Chiunque attorno a noi, in qualunque attimo del giorno, sentiva la tensione sessuale che c’era tra noi, eppure ora la sentivo davvero anche io, avevo immaginato molte volte come sarebbe stato con lui, quella volta a Londra, Ian mi aveva detto che volevo sempre il meglio, anche dovevo voler l’uomo migliore, chiaramente alludeva a lui, ma non sapeva che io reputavo Booth come il miglior uomo a letto. Sette anni di partnership, tre baci, tante battutine, avevano avvalorato la mia tesi, Booth era davvero quello giusto, come avrebbe detto Angela, ma per me era davvero giusto? Avrei saputo amarlo? Oh al diavolo tutto questo, quello che contava era essere lì, lui ed io. Mi sfilò gli slip e mi baciò, risposi al suo bacio con foga, con voglia, volevo torturarlo ancora un po’, così con una spinta di reni, e tanta partecipazione da parte sua, ribaltai la situazione, sopra c’ero io. Lo guardai e sorridemmo, l’intesa era perfetta, l’aria carica di elettricità, mi abbassai e baciai la clavicola, parte dello sterno, poi scesi ancora un po’, mi spostai e baciai la sua coscia, il ginocchio, lo guardai, aveva gli occhi chiusi, il volto rilassato, capii che la mia tortura stava per finire. Tornai alle sue spalle, lasciai un bacio ed un morso, lui gemette di nuovo, lasciai una scia calda con la mia saliva sulla sua carotide, fino a dietro l’orecchio, infine mi concentrai sulle sue labbra, mi accucciai e lo baciai, come se in vita mia non avessi mai sperato di meglio, anche perché di meglio non c’era. Lui era il migliore in tutto, abbastanza quanto me. Sorrisi sulle sue labbra e anche lui sorrise. Poi si rimise sopra di me e si insinuò dentro di me, fece male davvero, però era un dolore dolce, la sua dolcezza era anche in questo, nelle dolci spinte per permettere alla sua intimità di entrare fino in fondo nella mia. Mi baciò, sentii il suo odore, capii di non poterne più fare a meno, così come il calore della sua pelle sopra la mia, delle sue labbra sulle mie. Non avrei potuto mai più separarmi da Seeley Booth. Sussurrai il suo nome, tante volte, lui sorrideva e rispondeva col mio. Arrivammo all’orgasmo insieme, eravamo sincronizzati anche in quello. Si spostò per cadere accanto a me sul letto. Mi voltai verso la sveglia, le luci rosse segnavano 1:24, lo abbracciai e mi accoccolai con la testa sul suo petto. Lui mi baciò i capelli.
“Una volta mi avevi detto che serviva sfidare le leggi della fisica per il sesso!” dissi.
“No, Tempe, per fare l’amore serviva un miracolo, in cui due persone diventino una!” rispose.
“Ecco, bene, Seeley, stasera ho capito che si possono sfidare le leggi della fisica!” dissi. Lui rise, mi addormentai sul suo petto, sicura che la mattina seguente l’avrei trovato lì.
 


Un grazie di cuore a chi legge questa storia! 

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Capitolo 4
*** Verità o bugie? ***


Il sole entrava dalla finestra della mia camera. Mi svegliai, sentendo il calore sulla pelle, mi ritrovai sul petto di Booth, praticamente nuda e lo guardai, sorridendo. Lui si svegliò e mi trovò a rimirarlo.
“Buongiorno!” disse, dandomi un bacio a fior di labbra.
“Buongiorno …” risposi alzandomi. Sentii il suo sguardo perforarmi la schiena.
“Allora hai mantenuto la promessa!” disse.
“Eh già … Mi hai trovato accanto a te svegliandoti!” dissi in filandomi la vestaglia orientale.
“Sì, come pensi di affrontare questa situazione?” chiese baciandomi il collo.
“Con razionalità! Per ora teniamolo come il nostro dolce segreto!” risposi e andai in cucina. Lui si defilò per una doccia e ricomparve poco dopo nella cucina mentre facevo il caffè, con  i capelli bagnati e i vestiti della sera precedente. Si avvicinò e mi baciò sul collo di nuovo ed  io sospirai.
“Dobbiamo andare a lavorare!” dissi.
“Già, dobbiamo prendere a calci in culo i cattivi! Vai a vestirti, facciamo colazione al Diner!” rispose lui. Entrai in bagno, mi feci una doccia, per vestirmi optai per un paio di jeans chiari, una t-shirt azzurra e un paio di stivali neri, era pur sempre il 14 dicembre. Uscii dalla camera, dopo essermi truccata ed asciugata i capelli, afferrai il montgomery nero e mi avvicinai a Booth.
“Andiamo?” chiesi.
“Sì, sei sempre più bella!” rispose. Risi, uscii di casa e lo feci passare, chiusi a chiave ed entrai nell’ascensore con lui. Si voltò e mi baciò, con trasporto, a lungo, poi la mancanza di ossigeno ci fece staccare.
“Dovrò aspettare stasera per baciarti vero?” chiese.
“Sì, mi spiace …” risposi.
“Non è vero!” disse.
“Invece sì!” dissi.
“Era sarcasmo, Bones, continui a non afferrarlo!” concluse ridendo mentre l’ascensore si apriva, uscii e lo lasciai indietro, arrivata al portone mi dovetti fermare.
“Piove!” constatai.
“Lo vedo!” rispose. Afferrai l’ombrello ed uscii con Booth accanto a me, il SUV era parcheggiato non molto lontano, passeggiamo per un attimo  sotto l’ombrello per arrivare alla macchina, pensai che da fuori dovevamo sembrare una di quelle coppie fatte e finite, ma in realtà a sapere quante peripezie c’erano state dietro era un po’ più complicata la situazione. Ma la notte appena passata chiariva tutti i dubbi, Booth ed io eravamo davvero una coppia fatta e finita, serviva solo la causa scatenante.
“A cosa pensi?” chiese accendendo il motore.
“Alle cause scatenanti!” risposi.
“Ad esempio?”  chiese.
“Come fanno due persone che sembrano una coppia fatta e finita ad arrivare ad esserlo davvero!” risposi.
“Basta avere dalla propria parte il destino e una buona dose di fortuna!” disse.
“Sai che non credo né nel destino né nella fortuna, non sono due fattori scatenanti scientificamente accettabili!” risposi.
“Bones, smettila! Lascia fuori la scienza!” disse lui esasperato.
“Come faccio? Hai presente il fatto che mi guadagno da vivere con la scienza?” chiesi.
“Sì ma non tutto è spiegato dalla scienza!” disse. Ecco qua che il suo lato Booth tutto cuore e sentimenti usciva fuori, praticamente non era un suo lato, era tutto lui.
“Per me sì!” dissi. Ma il suo cellulare squillò.
“Booth!” rispose. Attese un po’, ascoltando la voce dall’altro capo del telefono, annuendo. “Arriviamo!” disse chiudendo la comunicazione.
“Dove andiamo?” chiesi.
“Hodgins ha scoperto qualcosa sui vestiti della vittima!” rispose.
“E perché Hodgins ha chiamato te e non me?” domandai perplessa.
“Era Cam!” disse.
“Ah questo spiega tutto!” risposi. La mia era gelosia? Ok non era da me!
“Spiega cosa?” chiese lui.
“Che siamo arrivati!” dissi scendendo dal SUV ed entrando al Jeffersonian, seguita da Booth.
“Buongiorno!” dissi rivolta ad Angela, Hodgins e Cam sulla piattaforma.
“Dottoressa Brennan … Booth!” risposero loro.
“Ragazzi!” salutò Booth.
“Daisy?” chiesi.
“C’è Sweets!” rispose Angela. Booth ed io ci guardammo scuotendo la testa, lo psicologo da strapazzo no, non ora.
“Hodgins cosa hai scoperto?” chiesi.
“Sono stato tutta la notte ad analizzare le tracce sui vestiti!” rispose.
“E …?” domandò Booth impaziente.
“Ho trovato particolati di …” disse.
“Parla come mangi! Sii chiaro!” lo interruppe Booth.
“Smettila!” dissi io fulminandolo con lo sguardo.
“Sbaglio o state di nuovo battibeccando?” chiese Sweets alle nostre spalle.
“Buongiorno dottoressa Brennan!” disse Daisy posizionandosi accanto a Cam.
“No, pulcino, se tu non avessi interrotto, stavamo cercando di risolvere un omicidio!” rispose Booth.
“Se lasciamo parlare Hodgins!” risposi.
“Grazie dottoressa, allora dicevo, che sui vestiti della vittima ho trovato fiori ed erba che si possono trovare solo in una zona particolare di Washington, uno dei parchi appena fuori città, ecco questo!” disse indicando un punto sulla cartina che aveva sullo schermo dietro di lui.
“Il che vuol dire che è stata uccisa lì” disse Booth.
“Esatto e c’era anche droga!” rispose Hodgins.
“Sapevamo che faceva uso di stupefacenti!” dissi.
“Sì ma ne aveva fatto uso da poco, era emerso anche dal tossicologico!” rispose Cam.
“Oh, vado ad interrogare il fratello!” disse Booth.
“Vengo con te!” aggiunsi.
“No, dolcezza, rimani con me!” disse Angela.
“Perché?” chiesi.
“Ho bisogno del tuo aiuto!” rispose.
“Ok … Va bene!” dissi. “Tienimi informata!” urlai a Booth che stava uscendo.
“Vieni con me!” sussurrò Angela al mio orecchio. Entrammo nel mio ufficio e ci sedemmo sul divano.
“Cosa succede Angela?” chiesi.
“Questo me lo devi dire tu!” rispose lei.
“Io?” chiesi perplessa.
“Perché Booth stamane portava gli stessi abiti di ieri sera e tu lo vuoi seguire dappertutto?” domandò. Colta in fallo, come diamine aveva fatto a capire tutto questo? Angela non si smentiva mai, sapeva sempre tutto, in fatto di pettegolezzi.
“Non saprei, voglio sempre assistere agli interrogatori!” risposi.
“Sì ma eravate diversi questa mattina! Sai cosa intendo …” disse.
“No Angela, non ti capisco, spiegati per favore!” conclusi.
“Booth ha dormito da te?” chiese.
“No, Seeley non ha dormito da me!” risposi.
“Ah, adesso è Seeley?” domandò. Grave errore Temperance Brennan, conosci la tua migliore amica, capta ogni minima cosa. Come mi era venuto di chiamarlo Seeley? Soprattutto davanti ad Angela, però lo avevo chiamato così tutta la notte. Ok basta, dovevo affrontare la situazione.
“Sì è il suo nome!” risposi innocente.
“Hai capito cosa voglio dire!” disse.
“No, Angela non ti capisco!” conclusi. Il mio telefono mi salvò dal tribunale dell’Inquisizione di Angela.
“Bones, il fratello della nostra vittima, mi ha spiegato cosa c’è in quel luogo, ti va di andare sotto copertura?”
“Ovvio Booth, sai che amo andare sotto copertura, cosa dobbiamo fare?”
“Ti spiego appena arrivo!”
“Chi è? Seeley?” chiese Angela.
“Smettila!” risposi sorridendo.
Poco dopo arrivò Booth, mentre ero sulla piattaforma a guardare il cranio della vittima.
“Bones!” disse fermandosi sotto la piattaforma.
“Ehi Booth!” risposi.
“Andiamo nel tuo ufficio?” chiese.
“Va bene!” risposi. Salimmo nel mio ufficio e lui si sedette sul divano
“Allora, il fratello della nostra vittima crede che ad ucciderla sia stata uno dei suoi rivali!” disse.
“Bene, quindi?” chiesi.
“Quindi stasera andremo nel loro luogo di ritrovo, sotto copertura!” rispose.
“Perfetto!” conclusi e lui si alzò e mi baciò, fortunatamente la parete ci nascondeva.

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Capitolo 5
*** Ingannati ***


Arrivammo in quel parco a  mezzanotte, ci avvicinammo ad una casa diroccata, un uomo, alto, capelli neri e lunghi ci venne incontro.
“Qualche problema?” chiese.
“No, in realtà stiamo cercando un po’ di sballo?” rispose Booth.
“Sballo?” domandai sottovoce.
“Lascia fare a me Bones!” rispose.
“E chi vi ha detto di venire qui?” chiese.
“Jenny Trescot!” rispose Booth.
“E’ da un po’ che non la vedo!” disse l’uomo.
“E’ stata ritrovata torturata a morte, si dice l’abbiano sciolta nell’acido!” risposi.
“Strana la vita, suo fratello fa questo tipo di cose!” disse.
“Cioè?” chiese Booth.
“Che Jim Trescot, di solito tortura e poi scioglie le sue vittime!” disse l’uomo.
“Davvero?” chiese Booth stringendo i pugni.
“Già, perché?” domandò l’uomo.
“Nulla, allora ci può portare il nostro sballo?” chiesi.
“Certo, seguitemi!” disse. Entrammo in quella casa che sembrava abbandonata e quell’uomo ci fece segno di sederci su due sedie in una stanza.
“Cosa dobbiamo fare?” chiesi.
“Aspettate qui!” disse e se ne andò. Chiuse la porta dietro di sé e probabilmente vi appoggiò davanti un mobile. Tutt’intorno a noi c’erano armadi, sedie ed ogni altro tipo di mobilio, guardai Booth, il suo volto era scuro e non solo per il poco chiarore nella stanza, aveva capito di essere finito in una trappola.
“La pecora è finita nella tana del lupo!” disse una voce dietro di noi. Booth si girò di scatto e puntò il suo sguardo in quello dell’uomo di fronte a noi, lo riconobbi dalla conformazione ossea, era Jim Trescot. “Ed ha portato anche un agnello!” disse avvicinandosi a me e accarezzandomi il volto.
“Toglile le mani di dosso!” disse Booth.
“Smettila Booth, so difendermi!” risposi.
“Ti pare questo il momento di lamentarti del mio bisogno di proteggerti?” chiese.
“Che carini che siete quando litigate, continuate pure!” disse Jim.
“Perché ha ucciso sua sorella?” domandò Booth.
“Era un ingrata, quando i nostri genitori sono morti, l’ho cresciuta io, poi si è innamorata di quel verme del mio peggior nemico, stava per sposarlo, avevo solo bisogno che lei mi dicesse da chi si riforniva, ma lei ha preferito non dirmelo, quindi l’ho uccisa!” rispose.
“Ha sciolto nell’acido sua sorella!” dissi.
“Già!” rispose.
“E’ senza cuore!” disse Booth.
“Scientificamente impossibile, altrimenti non potrebbe vivere!” risposi.
“Smettila con le tue congetture scientifiche!” disse.
“Non sono congetture, sono fatti ovvi e razionali!” conclusi.
“Siete proprio carini insieme, è per questo che risparmio la vita a te e uccido lei!” disse Jim indicandomi.
“Se le torcerai un solo capello, ti ucciderò!” disse Booth.
“Non farlo Booth!” urlai.
“Teme per te!” disse Jim. Fu veloce, estrasse la pistola e sparò il colpo, ma gi gettammo entrambi a terra e il proiettile finì da qualche parte nelle mura cadenti di quella casa.
“Siete bravi!” disse.
“Sono un agente dell’FBI, che ti aspettavi?” chiese Booth estraendo la pistola e puntandola contro quell’uomo, poi però lui di scatto si voltò verso di me e sparò il colpo, Booth come già era successo, si parò tra me e il proiettile, e si accasciò a terra, il sangue che sgorgava dalla ferita sull’avambraccio, guardai il nostro aguzzino sorridere.
“Peccato sarebbe stato bello approfondire il nostro discorso, ma ho un aereo per la Spagna che mi aspetta!” disse e prima che potessi rispondere, aprì la finestra e si gettò di sotto, eravamo al primo piano, quindi la caduta non gli avrebbe procurato alcuna frattura, stavo per seguire il suo esempio, così presi Booth, e lo trascinai fino alla finestra, ma non feci in tempo a provare ad alzarlo da terra, che le fiamme ci circondarono, mi accasciai accanto a lui e poggiai la sua testa sul mio ventre, accarezzai i suoi capelli.
“Ti amo Seeley, non lasciarmi!” dissi, poi un boato e il buio mi circondò.

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Capitolo 6
*** Dolore ***


Sentii una mano toccarmi, spalancai gli occhi ed urlai. Non era razionale ciò che stavo facendo, poi i ricordi di quella notte mi arrivarono alla mente ed urlai di nuovo.
“Booth!” urlai il suo nome, forte, la mano che mi aveva fatto urlare mi strinse il polso.
“Calmati!” disse Angela, era lei a tenermi il polso.
“Angela, come sta Booth?” chiesi.
“E’ ancora in coma,le esalazioni sono state quasi fatali, la pallottola non ha contribuito alla sua stabilità!” disse.
“Ma non può morire, non così, lui è Seeley Booth è sopravvissuto in guerra!” iniziai a parlare, probabilmente a vanvera, Angela mi accarezzò la fronte, la guardai, aveva gli occhi arrossati di chi ha pianto a lungo.
“Stai calma dolcezza, vedrai che starà meglio!” disse.
“Deve smetterla di prendere le pallottole al posto mio!” risposi.
“Ti ama, per questo lo fa!” rispose lei.                                            
“E’ una cosa stupida e irrazionale!” dissi.
“L’amore è stupido e irrazionale!” rispose.
“Da quanto tempo sto qui?” chiesi.
“Sono quattro giorni che sei in coma, siete stati fortunati perché due ragazzi passeggiavano nel parco ed hanno visto la casa in fiamme!” rispose.
“Dovete trovare Jim Trescot!” dissi.
“Perché?” domandò Angela perplessa.
“E’ stato lui a ridurci in questo stato!” dissi.
“Come facciamo a trovarlo?” chiese.
“Partiva per la Spagna!” risposi.
“Sei sicura?” domandò.
“Ricordo ogni momento di quella sera!” conclusi e poi mi voltai, per non farle notare le lacrime che sgorgavano dai miei occhi, Booth era in pericolo, poteva non riprendersi più.

Intanto in un’altra stanza dello stesso ospedale, una donna ed un bambino sedevano di fronte ad una porta chiusa, attendendo notizie.

“Lei chi è?” chiese il medico uscendo dalla stanza di Booth.
“Sono la madre del figlio di Seeley!” rispose.
“Non è un famigliare quindi?” chiese.
“Più o meno, come sta?” domandò Rebecca.
“Le sue condizioni sono stazionarie, ha inalato molto fumo, quindi è tanto se ancora è vivo!” disse il medico.
“Oddio!” rispose Rebecca abbracciando il piccolo Parker.
“Mamma, perché papà  non si sveglia?” chiese il piccolo.
“Vedrai che presto si alzerà da quel letto e ci verrà ad abbracciare!” rispose Rebecca stringendo ancora di più il figlio. Rebecca si voltò e mi vide, arrancavo, ancora scossa, mi ero ripresa da poco ma avevo percorso tutto il corridoio per vedere Booth.
“Come sta?” chiesi a Rebecca sedendomi accanto a lei.
“Non si è ancora ripreso!” disse.
“Dottoressa Bones, vedrai che papà si alzerà da lì e porterà noi due al parco, me l’ha promesso!” urlò Parker abbracciandomi.
“E quando te l’ha promesso?” chiesi.
“Qualche giorno fa eravamo in macchina, mi era venuto a prendere agli allenamenti e mi aveva detto che aveva una sorpresa per me, e quando io gli ho chiesto cosa fosse, lui ha detto che avrebbe portato me e te al parco per giocare un po’ insieme, ma non ha voluto dirmi il resto, perché era una sorpresa!” disse.
“Ieri doveva stare con Parker!” concluse Rebecca guardandomi. Presi Parker e lo misi sulle mia ginocchia, gli misi una mano nei capelli e glieli scompigliai, come faceva sempre Booth.
“Ci voleva portare al parco insieme per conoscerci meglio, dato che il tuo papà ed io usciamo insieme!” dissi sorridendogli.
“Non è giusto!” rispose Parker arrabbiato.
“Cosa Parker?” chiesi.
“Che tu diventi la fidanzata di papà,io ti voglio bene, non voglio che tu vai via!” disse il piccolo abbracciandomi, sorrisi di quel gesto e lo abbracciai, Rebecca si era allontanata un po’ da noi e ci stava guardando con la coda dell’occhio. Feci scendere Parker dalle mie ginocchia, lui si sedette e iniziò a ballonzolare i piedi.
“Ti adora!” disse Rebecca.
“Parker?” chiesi.
“Sì, quando sta con te è felice, saresti una buona madre!” disse.
“Non credo, il mio lavoro non mi darebbe tregua!” risposi, portando le mani al ventre, avevo accarezzato un paio di volte l’idea di diventare madre, una volta c’ero quasi riuscita, Booth mi aveva permesso di usare il suo seme. Guardai oltre il vetro il letto di Booth, un groppo mi salì in gola, era così indifeso, era già la seconda volta che prendeva una pallottola al posto mio, il dolore mi assalì, non era un dolore fisico, era un dolore mentale, iniziai di nuovo a piangere.

Siamo quasi alla fine, mancano solo due capitoli...
Cosa ne pensate della storia?
Siccome non ho una grande considerazione di me come scrittrice, vorrei il vostro parere.
Grazie... 

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Capitolo 7
*** Addio ***


Una settimana dal mio risveglio e Booth ancora era in coma, mi permisero di entrare nella sua stanza, mi avvicinai al suo letto, sedetti accanto a lui, lo guardai per non so quanto tempo, piansi lacrime amare, non facevo altro, poi mi alzai, lasciai un leggero bacio sulle sue labbra ed una busta sul suo comodino. Uscii da quella stanza e mi posizionai oltre il vetro, nessun cambiamento, forse era giunto il momento di farlo io il cambiamento. Uscii dall’ospedale, prenotai un volo per l’Indonesia per il giorno successivo, preparai le valigie e andai da Angela.
“Me ne vado!” dissi.
“Dove?” chiese.
“Indonesia!” risposi.
“E Booth?” domandò.
“Potrebbe non riprendersi mai!” dissi.
“E se invece si svegliasse e chiedesse di te?” chiese.
“Non lo farà, gli ho spiegato tutto in una lettera!” dissi.
“Te ne stai andando come una codarda! Hai paura che amare Booth ti faccia male?” chiese.
“No, fa male a lui, male fisico, è la seconda volta che prende una pallottola per me, per non parlare di quante volte abbia rischiato la vita per me!” risposi.
“Non pensi al fatto che lui è disposto a tutto questo per starti accanto?” domandò.
“Non lo metto in dubbio, ma è meglio che me ne vada!” dissi.
“E quanto hai intenzione di stare in Indonesia?” chiese.
“Non lo so Angela, quando mi sentirò pronta per tornare ed andare avanti senza Booth tornerò, devo permettergli di farsi un’altra vita!” dissi.
“Non ci riuscirà mai e lo sai, nel suo cuore ci sarai sempre tu!” concluse. Me ne andai, Angela era l’unica persona che aveva il coraggio di rinfacciarmi i miei errori, oltre Booth, ma non potevo avere ripensamenti, passai a salutare mio padre, tornai a casa, mi infilai nel letto ma non riuscii ad addormentarmi, i miei pensieri erano concentrati su di lui. Seeley Booth, l’unico che avrebbe potuto convincermi a rimanere, ma anche l’unico impossibilitato a farlo, l’Indonesia era la scelta migliore. Mi sveglia di soprassalto la mattina dopo, il telefono stava squillando, lo afferrai e risposi.
“Dolcezza, ho una buona notizia!” disse.
“Già e io un aereo da prendere!” risposi.
“Non partire! Booth sta migliorando!” disse.
“Non posso rimanere!” risposi e chiusi la chiamata, mi vestii in tutta furia e mi precipitai fino all’aeroporto, presi l’aereo e mi tranquillizzai solo quando finalmente l’aereo arrivò a destinazione, quando toccai terra capii che tutto stava per cambiare, poi svenni.

TRE ANNI DOPO…

“Mamma!” urlò la bambina uscendo dalla stanza.
“Kathy!” risposi.
“Chi è questo nella foto?” chiese indicando la foto che teneva in mano.
“Dove l’hai trovata?” domandai.
“Cercavo quel bel pennello che mi hai regalato!” disse. Una bambina fantastica, capelli scuri ed occhi nocciola come il padre, ma un cervello sviluppato come la madre, tre anni e riusciva a parlare e camminare benissimo.
“L’uomo nella foto con la mamma è un amico, di cui non ricordo il nome!” dissi, invece il nome me lo ricordavo benissimo, Seeley Booth, inutile essere andata in Indonesia per tre anni, il capitolo Booth per me non si era mai chiuso, poi aver scoperto di essere rimasta incinta non aveva giovato, soprattutto sapendo che la bambina che portavo in grembo era sua, non avevo avuto il coraggio di dirglielo.
“Mamma perché sei triste?”chiese Kathy. Era da un po’ che pensavo di tornare a casa, ma in quel momento ogni dubbio terminò, sarei tornata indietro. Ero stata impulsiva nello scegliere, non era da me. Che fine aveva fatto la razionale e cinica Temperance Brennan? All’uragano Seeley Booth ero riuscita a scampare, ma a Kathy Booth invece no.
“Nulla, piccola mia, che ne dici se andiamo a trovare Angela?” chiesi.
“Sì zia Angela!” urlò tornando nella sua stanza,prenotai due biglietti per Washington D.C., preparai le valigie, ricordai di aver fatto nello stesso modo per venire in Indonesia, solo che stavolta partivamo in due. Prendemmo l’aereo ed atterrammo a Washington ad ora di cena, presi Kathy per mano e fermai un taxi, mi feci portare a casa di Hodgins. Suonai il campanello, Hodgins mi venne ad aprire con uno cappello di Babbo Natale in testa, ricordai solo allora che era Natale.

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Capitolo 8
*** Cambiamenti ***


“Mi sei mancata dottoressa!” disse, lui sorrise e mi abbracciò.
“Anche tu Hodgins!” risposi.
“E questa bella bambina chi è?” chiese abbassandosi per guardare in faccia mia figlia.
“Kathy Brennan!” disse.
“Ma che bella che sei!” rispose Hodgins. “Il suo cognome dovrebbe essere Booth non è vero?” chiese.
“Sì!” risposi.
“Gli assomiglia tantissimo!” disse.
“Lo so!” conclusi.
“Amore chi è?” urlò Angela dall’altra stanza.
“Una sorpresa!” disse Hodgins ed entrammo nel corridoio, Angela era in sala da pranzo.
“Che sorpresa?” chiese entrando in corridoio, poi mi vide e mi corse incontro, abbracciandomi.
“Ciao Angela!” dissi.
“Ciao dolcezza!” rispose stringendomi nell’abbraccio.
“Zia Angela è molto più bella così che in foto!” disse Kathy.
“E tu chi sei?” chiese Angela.
“Mia figlia!” risposi.
“E di Booth!” concluse incupendosi.
“Già!” risposi, cancellando il sorriso anche dal mio volto.
“Arriverà anche lui a momenti!” disse Angela.
“Immaginavo, chi altro viene?” chiesi. In quel momento il campanello suonò di nuovo e Hodgins aprì e vidi tutti gli invitati, tranne Booth. Non appena mi videro, mi abbracciarono, uno per uno, da Cam a Sweets, passando per Wendell, Daisy e Vincent.
“Quando sei tornata?” chiese Cam.
“Meno di un’ora fa, lei è Kathy, mia figlia!” dissi rivolta a tutti. Notai che tutti avevano la stessa espressione estasiata vedendola, era davvero una bambina bellissima, poi il volto incupito notando la notevole somiglianza con Booth.
“Kathy, vieni a giocare con zia Angela e Michael?” disse Angela portandola in un angolo della cucina, notai accanto a lei un bambino.
“Sì hanno avuto un figlio!” disse Sweets accanto a me, il campanello suonò e Cam mi spinse in cucina, Jack aprì la porta e sentii la voce di Booth, in quel momento il mio cuore ebbe un fremito.
“Siccome è un po’ che ti vediamo giù di morale, abbiamo una sorpresa per te!” disse Cam e lo guidò in cucina, poi ci lasciò soli, ero di spalle, non volevo vedere la sua espressione.
“Bones? Sei un’allucinazione?” chiese perplesso.
“No, come va?” risposi voltandomi, fu una pugnalata, era bello come sempre, ma la sua espressione era buia, i suoi occhi non erano più luminosi, le sue labbra non erano piegate in un sorriso.
“Come va? Te lo chiedi adesso dopo tre anni di assenza? Come pensi che sia stato quando mi sono svegliato e non ti ho trovata, quando ho letto la tua lettera e poi ho saputo da Angela che eri in Indonesia? Come pensi che stia?” chiese infuriato.
“Male, hai ragione, scusa, ma ti ho messo in pericolo per sei anni, ho ritenuto che allontanarmi fosse la scelta migliore!” dissi.
“Per te mi sarei gettato da una montagna, per te avrei fatto di tutto, tu mi hai ferito di più scappando senza aspettarmi piuttosto che facendomi prendere le tue pallottole!” rispose.
“Mi dispiace!” dissi.
“Perché se ti è dispiaciuto non sei tornata indietro?” chiese.
“Perché volevo che tu ti facessi una nuova vita!” risposi.
“ E come credevi che potessi fare? Ti ho sempre amata!” disse.
“Ho provato a farti andare avanti, nell’altra stanza c’è tua figlia Booth!” dissi.
“Non ho una figlia!” rispose.
“Sì invece, quando sono arrivata in Indonesia ho scoperto di essere incinta di te, ero felice che fossi tu il padre, ma non sapevo come fare a dirtelo, ti assomiglia tantissimo!” dissi.
“Potevi almeno fare una telefonata!” rispose.
“Non ne ho avuto il coraggio! Però ora sono tornata, perché non proviamo ad andare avanti?” chiesi.
“Credi che essere tornata basti?” domandò.
“No, hai ragione, scusa!” dissi e mi avviai verso la porta, solo che lui era in mezzo, mi prese un polso e mi fece voltare verso di lui, con una mano mi alzò il mento e ci guardammo negli occhi per la prima volta dopo tre anni, mi baciò, in quel momento sentii di poter sopravvivere a tutto se lui era al mio fianco. Ora ero davvero a casa. Uscimmo dalla cucina, mano nella mano e Kathy mi corse incontro e mi abbracciò.
“Mamma lui è l’uomo nella foto!” sussurrò nel mio orecchio.
“Già, è tuo padre!” risposi.
“Davvero?” chiese.
“Sì, guardalo, non è bellissimo?” domandai.
“E’ tanto bello!” rispose.
“Lo so, gli assomigli tantissimo, se bellissima anche tu!” dissi.
“Piccola dì alla mamma che anche lei è bellissima!” disse Booth alla piccola.
“Papà!” disse la bambina e gli saltò in braccio, risi di quella scena, ero certa in quel momento che ce ne sarebbero state altre di queste scene da famiglia, una strana famiglia certo, ma bellissima ed unica nel suo genere. Finalmente potevo dire di essere felice, io la gelida Temperance Brennan, ero felice nel vedere la mia famiglia unita, io che fino a prima di conoscere Seeley Booth neanche la volevo una famiglia.
“Ti amo!” sussurrò Seeley al mio orecchio.
“Ti amo anche io!” risposi.

Siamo arrivati alla fine…

Grazie a chi ha letto la mia storia… 

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