Stella del Sud

di Halley Silver Comet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima - Atto Primo ***
Capitolo 2: *** Parte Prima - Atto Secondo ***
Capitolo 3: *** Parte Seconda - Atto Terzo ***
Capitolo 4: *** Parte Seconda - Atto Quarto ***



Capitolo 1
*** Parte Prima - Atto Primo ***


Stella del Sud - Atto I





Parte Prima - Atto Primo



Tanto gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 1-4


S
e avessimo l’occasione di osservare il porto di Alessandria d’Egitto dall’alto del suo antico e ormai scomparso faro, questo luogo così intriso di storia e di storie ci apparirebbe in tutta la sua magnificenza, giacché fin dai tempi più remoti è sempre stato un crocevia di scambi d’ogni genere: gente che viene, gente che va.
E proprio a questo pensava Yussef, mentre tirava le magre reti in barca, adocchiando un’imponente nave da crociera impegnata nelle manovre di attracco.
“Turisti, turisti, sempre e solo irrispettosi turisti!” borbottò fra sé e sé l’uomo. “Vengono, fanno i loro comodi e se ne vanno. Si chiedessero, piuttosto, se i loro comportamenti possono essere considerati lontanamente civili!”
L’uomo era un anziano pescatore egiziano dalla bianca barba incolta e con la pelle scura, nella cui famiglia, l’atavico mestiere era stato tramandato di generazione in generazione, essendo stato sempre ritenuto un lavoro bastevole a condurre una vita dignitosa. Tuttavia, negli ultimi tempi, le cose erano cambiate: non c’era più la sicurezza di una volta e doveva vendere il pesce a poco prezzo, ma comprare a tanto i beni di prima necessità.
Sospirò, constatando lo scarso risultato di un’intera notte di pesca, dopo di che si preparò per tornare indietro. Mentre la riva si faceva sempre più vicina, le sue preoccupazioni erano tutte rivolte a come piazzare bene quel poco che era riuscito a pescare, consapevole di quanto potesse essere spietata e sleale la concorrenza al mercato del pesce di Alessandria.
Quando finalmente la barchetta toccò terra, Yussef cominciò a scaricare le cassette con metodo e precisione. All’improvviso, però, una fiumana di gente si riversò sulla banchina del porto: la nave da crociera doveva aver dalle autorità locali il permesso per procedere con lo sbarco, così che i passeggeri potessero trarre diletto dalla tappa egizia; nel frattempo, il pescatore era giunto alla quarta cassetta, ancor più vuota delle altre, sul fondo della quale erano adagiate alcune orate, dalle dimensioni alquanto ridotte. Yussef si fermò a fissarle, grattandosi una guancia.
“Se oggi voglio mangiare, dovrò fare i salti mortali” pensò, amareggiato.
Intanto, la maggior parte dei crocieristi era già scesa a terra e stava passando il controllo del personale del terminal portuale così, poco dopo, la massa cominciò a dileguarsi e rimasero solo i passeggeri provenienti dalle cabine ubicate sui ponti più elevati, di norma ricconi o importanti celebrità.
Solitamente, l’uomo non prestava attenzione a quel genere di persone, perché aveva ben altro da fare, ma, quella mattina, ci fu qualcosa che lo distrasse dai suoi conti abitudinali, quando, sotto i suoi occhi, si trovò a passare un gruppo molto particolare, formato da quattro ragazzi e tre ragazze. Ciò che colpì principalmente l’anziano pescatore, però fu la straordinaria eterogeneità dei tratti somatici che connotavano i componenti della comitiva: lineamenti belli e fini, ma comunque diversi tra loro.
In testa al gruppo, infatti, avanzava, compostamente, un ragazzo dall’aria austera e impassibile e, in virtù di ciò, Yussef avrebbe scommesso con una certa sicurezza che fosse tedesco, avendo una certa esperienza con le fisionomie, anche le più improbabili, poiché, per via del suo lavoro, aveva visto transitare tanta gente proveniente dai più disparati paesi del mondo. Al braccio del turista, era appoggiata una bellissima fanciulla, dai capelli di un biondo così tenue da sembrare di platino, mentre gli occhi erano azzurro chiaro e la pelle bianca come il latte, indizi che portarono l’uomo ad immaginare che la giovane fosse di provenienza scandinava. L’espressione di sofferenza che aveva sul volto, inoltre, lasciava intendere che fosse piuttosto spossata.
Dietro la prima, procedevano affiancate altre due coppie, la prima delle quali era formata da un ragazzo dall’espressione annoiata, i capelli tendenti al mogano alzati con il gel, e da una ragazza tanto graziosa quanto crucciata, una mora dal caschetto perfettamente pettinato; gli abiti di entrambi dovevano essere molto costosi, ma, nel complesso, risultavano terribilmente anonimi.
“Britannici” azzardò Yussef.
La seconda coppia, invece, era composta da un giovane estremamente raffinato dal portamento elegante e la chioma verde sottobosco, abbracciato ad una fanciulla minuta, riccia e biondina, intenta a sventagliarsi in maniera compulsiva lamentandosi per il troppo caldo nonostante fosse settembre inoltrato. Chiudeva la fila un ragazzo, anche lui con i capelli dello stesso biondo della fanciulla che lo precedeva, che camminava con le braccia incrociate dietro la nuca, esibendo un sorriso sornione.
“Ed ecco gli ultimi tre. Quei due, nonostante siano biondi, hanno un’aria talmente strafottente che potrebbero essere italiani, mentre il terzo sembra così altezzoso che non potrebbe essere altro che... un francese!” concluse trionfante l’uomo.
Mentre ragionava in questi termini, intanto, la comitiva aveva proseguito indisturbata verso il terminal, sparendo presto dalla vista del pescatore, che, qualche istante dopo, si terse la fronte, madida di sudore, per poi tornare al suo lavoro, scuotendo la testa.
“Turisti”.

«Mi raccomando: non perdete i biglietti del traghetto per Patrasso. Jetzt1 preparate i passaporti, cerchiamo di velocizzare i tempi!»
A quanto pareva, anche se in vacanza, Ralf Jurgens non poteva fare a meno di atteggiarsi a caposquadra, scandendo i ritmi di tutti gli altri ragazzi del gruppo, ma, considerando che la sua ragazza era stata provata, da una notte passata su un Egeo forza sei2, era ben comprensibile che avesse tanta fretta.
«Sono a pezzi. Ralf, mi sento così debole…» sussurrò proprio in quel momento la biondissima fanciulla, appoggiandosi al braccio del proprio cavaliere.
«Forza, Christine, vedrai che tra poco potrai riposarti» la tranquillizzò subito lui, tirandosela vicino.
«Io ho un mal di testa terribile. Ho bisogno di una farmacia e di un’aspirina. Immediatamente! Andrew, verrai anche tu con me, vero?» avanzò, invece, la ragazza col caschetto, lanciando un’occhiata eloquente al giovane scozzese.
«Se non lo facessi, Mary Anne, saresti capace di citarmi in giudizio per omissione di soccorso!» replicò costui, schietto e disinvolto.
«Cosa?! Vuoi dire che mi lasceresti andare da sola, in giro per Alessandria? Hai una vaga idea di quanto sia lontano da qui il centro?» esclamò Mary Anne, sbarrando gli occhi.
«Dai, dai! Stavo scherzando, lo sai che non lo farei mai. Ci caschi sempre, è uno spasso prenderti in giro!»
«E poi dite che siamo noi inglesi, ad avere un senso dell’humor opinabile!» affermò la giovane, socchiudendo appena gli occhi e scrutando torva il fidanzato.
«Noi, invece, potremmo andare a fare un giro per negozi, perché ho bisogno di sentire la terra ferma sotto i piedi, senza però morire a causa di questo caldo soffocante… Che cosa ne dici, Olivier?» chiese la minuta ragazza bionda, continuando a farsi aria con il suo enorme ventaglio di pizzo sangallo.
«Mais certainement, ma petite fleur! Siamo qui in vacanza, perciò faremo tutto quello che vorrai» replicò dolcemente il francese.
«Appunto, voi fate quello che volete» intervenne, invece, Gianni, ravviandosi la frangia con un gesto studiato e seducente, «io so perfettamente come impiegherò il mio tempo».
Gli altri sei si voltarono verso di lui e nella hall del Mediterrean Plaza calò il silenzio.
«Facci indovinare, continuerai a dedicarti al tuo sport preferito?» chiese retoricamente la compagna di Olivier, mentre Mary Anne alzava gli occhi al cielo e Ralf sospirava rassegnato.
«Ah, già! La caccia alle... alle... come dite voi, in Italia?» si intromise immediatamente Andrew, facendo schioccare ripetutamente le dita per cercare di ricordare il termine esatto.
«Pollastre, impara caro mio, pollastre» lo aiutò il giovane italiano, sorridendo maliziosamente. «E tu, Claudia, mia adorata cugina, potresti spiegarmi perché con Olivier sei tutta sorrisi e moine, mentre con me sei sempre così scortese?» aggiunse, recitando la parte della vittima di turno.
«Bah, perché te lo meriti, forse? Come se non sapessi che hai dato già abbastanza spettacolo, sulla nave…» sbuffò lei.
«Ognuno è libero di fare quello che vuole» mise ordine Ralf, notando che la sua Christine sembrava sempre più pallida. Per fortuna, proprio in quel momento, si fece vivo il concierge che sviò immediatamente l’attenzione dei ragazzi sulle pratiche di registrazione del loro arrivo.
«Perfetto, signori. Qui ho quattro prenotazioni effettuate a nome di Jurgens, McGregor, Boulanger e Tornatore, corretto?»
«Ja, è così» rispose per tutti Ralf.
«Bene, se mi faceste la cortesia di consegnarmi i vostri passaporti, potrei sbrigare le incombenze d’ufficio senza che voi collaboriate ulteriormente. Immagino che sarete molto stanchi».
Era un bel ragazzo alto, dalla pelle abbronzata e i capelli neri, che aveva subito notato l’espressione sofferente di Christine e deciso di andare incontro alle esigenze degli ospiti.
«Dankeschön» lo ringraziò il tedesco, riconoscente.
«Dovere. Potrete ritirare i vostri documenti tra qualche ora. Intanto, il nostro personale porterà i vostri bagagli negli appartamenti a voi riservati, mentre le chiavi sono queste» spiegò, mostrando quattro carte magnetiche. «Per il momento è tutto, vi auguro buona permanenza ad Alessandria!» concluse, con un sorriso cordiale e professionale.
«Molto bene. Da questa parte, Christine. Ragazzi, noi vi auguriamo buon proseguimento, ci vedremo questa sera!» fece, allora, Ralf, spingendo la sua ragazza verso uno degli ascensori.
«Darling, andiamo anche noi!» esclamò subito dopo Mary Anne, trascinandosi dietro il fidanzato e impedendogli qualsiasi tentativo di opposizione.
Così, nella hall rimasero solo Olivier, Claudia e Gianni, ma, prima che chiunque di loro potesse aggiungere o fare qualcosa, passarono davanti a loro due ragazze dalla pelle ambrata, con indosso una divisa bianca e dal design lineare. Si stavano dirigendo verso la zona fitness & wellness, chiacchierando allegramente tra di loro, in arabo e una testa bionda si voltò immediatamente al loro passaggio, seguendole finché scomparvero dietro una pesante porta di vetro satinato.
«Uhm… Direi massaggiatrici» valutò, con interesse.
Nel sentirlo, la ragazza assunse un’espressione profondamente disgustata e solo la presenza, accanto a lei, di Olivier - il quale, per giunta, le stringeva una mano - evitò che tirasse qualche manrovescio all’inquieto cugino.
«Mi chiedo perché la zia abbia sempre vietato allo zio di corcarti a dovere. Forse, non saresti venuto così venale…» commentò, inviperita.
«Il dialetto non si addice ad una madamigella di classe come te» la prese in giro l’altro, sghignazzando. «Sai, ti preferisco quando fai la svenevole in francese con il tuo fiancé».
«Che razza di idiota! Io ti…» iniziò lei, sbraitando, con il viso contratto dalla rabbia.
A quel punto, solo l’arrivo provvidenziale dell’ascensore e la calma di Olivier salvarono il collo a Gianni.
«Vieni, ma petite fleur, ricordati che abbiamo tante cose da fare» l’addolcì il fidanzato.
Il parigino, allora, lasciò il passo a Claudia, che avanzò tutta impettita, sempre con il ventaglio in mano; quindi, si apprestò a salire a sua volta, lanciando prima un’occhiata indecifrabile al suo amico.
«Mon Dieu» sussurrò sconsolato, mentre le porte della cabina si richiudevano.
«Ah, ah! Libero!» gioì Gianni, fregandosi le mani, compiaciuto. «Ed ora, signori, dichiaro aperta la stagione di caccia!»
Il concierge, trovandosi a pochi passi di distanza a svolgere il suo lavoro, sentì tutto e alzò lo sguardo per spostarlo sul giovane, aggrottando la fronte. Infine, scrollò le spalle e sbuffò: «Turisti».
***

Posso consigliarvi un ottimo vino da abbinare alle portate di pesce che avete ordinato?» chiese garbatamente un cameriere, apprestandosi al tavolo dei Majestics e delle rispettive fidanzate. «Potrebbe andare bene uno Chardonnay, con la sua acidità elevata, nonostante sia delicato e fruttato».
I sette ragazzi gli puntarono addosso occhiate dubbiose, scrutandolo con aria di sufficienza e l’espressione sul viso del giovane si congelò, finché non si sollevò una risata cristallina.
«Non avrebbe potuto fare scelta più sbagliata! Un gusto delicato come lo Chardonnay si sposa bene con piatti consistenti e dal sapore particolare, come il roast-beef. Per l’astice, invece, ci vuole un vino fermo, leggero, ma sapido, che possa esaltare il gusto intenso del crostaceo. Avete una bottiglia di Vermentino di Gallura, per caso?» spiegò Claudia con pedanteria: il fresco della sera e il pomeriggio di shopping avevano davvero fatto miracoli, rimettendola in sesto e permettendole di tirare fuori il suo atteggiamento più superbo.
Il cameriere, rimasto non poco attonito dalla precisione della sua argomentazione, guardò stranito la giovane, increspando le labbra.
«Vado… vado a vedere se ne trovo una» borbottò, contrariato, allontanandosi in tutta fretta.
«Mia cara Claudia, anche quando sei lontana dal lavoro, non riesci proprio a fare a meno di essere professionale, vero?» commentò Christine, anche lei ormai ripresasi quasi del tutto, sorridendo alla bionda italiana.
«Un sommelier resta sempre un sommelier» rispose lapidaria la diretta interessata.
«E tu sei uno dei migliori» disse Olivier, prendendo una mano della sua fidanzata per sfiorarla delicatamente con le labbra.
“Un cuoco e un sommelier: che accoppiata vincente. Soprattutto, quando c’è da mettere in difficoltà qualcuno!” pensò Gianni, abbandonandosi contro lo schienale della sua sedia e poggiando il polso sinistro sul bordo del tavolo.
«Io, invece, di vino non capisco assolutamente nulla. Per me, uno vale l’altro, perché penso che sia una bevanda assolutamente inutile!» si intromise Mary Anne, facendo capire che teneva ad informare gli altri del suo punto di vista.
«Non dire eresie! Solo perché sei astemia, non significa che si debba bandire l’alcol dalla faccia della Terra!» replicò immediatamente Andrew che, da bravo scozzese, era un intenditore di alcolici e affini.
«Ah, be’, bandire magari no, ma si potrebbero operare più controlli sulla distribuzione pubblica. Io sono dell’idea che ci vorrebbero leggi più severe, per chi viene fermato alla guida in stato di ebbrezza, per esempio» obiettò animatamente la fanciulla, arrivando così a toccare uno degli argomenti che le stavano più a cuore. «Prima che partissimo, ho assistito ad un processo abominevole: l’avvocato Crimson è riuscito a far assolvere un ubriacone che aveva investito ben tre persone, uccidendole sul colpo. Non lo trovate assurdo?» chiese.
Gianni si soffermò a scrutare Mary Anne: aveva un carattere decisamente troppo ribelle e giustiziero per i suoi gusti. Non che la sua causa fosse sbagliata, erano i suoi modi di portarla avanti che non lo convincevano. D’altra parte, sapeva bene di non condividere le preferenze di Andrew in alcun campo. Infatti, non avrebbe mai potuto pensare nemmeno lontanamente di fidanzarsi con un avvocato, specie se con la stessa loquacità della ragazza. Ciononostante, doveva ammettere che lei era l’unica persona, ad eccezione di sir George McGregor, in grado di tenere testa a quell’arrogante dalla lingua lunga.
«Nel Regno Unito succedono queste cose? Da noi, in Svezia, sarebbero inammissibili! Anche in Germania i tribunali sono più severi, vero, caro?» si scandalizzò Christine, cercando il supporto del suo Ralf.
«Ja, assolutamente, ma non credo che dipenda dalla legislatura del paese: conosco Crimson e non perde mai un processo, è come der Teufels Advokaten3».
Il biondo italiano, allora, fece convergere la propria attenzione su Christine, in costante adorazione del suo fidanzato. Che ragazza esageratamente remissiva! Era davvero da far venire il latte alle ginocchia, ma, a quanto pareva, Ralf-tutto-d’un-pezzo l’adorava e, forse, proprio per questo motivo.
Annoiato dai discorsi che stavano intrattenendo i suoi commensali, a quel punto, Gianni spaziò la vista sul resto della sala ristorante, notando quanto le luci soffuse e la vetrata panoramica sul porto e sulla città lontana dessero a quell’ambiente un tocco di classe. L’arredamento, come aveva detto l’esperta svedese, proprietaria di un negozio di antiquariato, era certamente ispirato a quello del periodo della tredicesima dinastia.
In realtà, quella sera, la comitiva avrebbe dovuto cenare in un lussuoso locale del centro di Alessandria, ma, data l’indisposizione di Christine, nessuno aveva obiettato quando Ralf aveva proposto di non allontanarsi.
Per passare il tempo, l’instancabile casanova passò in rassegna ad uno ad uno, tutti i tavoli della sala: vi era seduta ogni sorta di bellezza e le rappresentanti più fascinose di ogni angolo del pianeta sembravano essersi radunate lì, anche se non avevano nulla a che fare con quelle due deliziose ragazze, Bahira e Ghada, che aveva conosciuto nel pomeriggio.
“Davvero due magnifici esemplari del gentil sesso!” pensò il biondo, riportando alla mente i ricordi del piacevole incontro pomeridiano, in cui Gianni si era divertito a fare, come suo solito, il gallo nel pollaio.

«Ho trovato quello che mi aveva chiesto, miss» annunciò in quel momento il cameriere di prima, soddisfatto, troncando l’illuminante discorso che aveva intavolato Mary Anne, riguardo la giustizia in Gran Bretagna e nel resto d’Europa.
«Molto bene!» approvò Claudia. «Ah, ed ecco anche il nostro astice in salsa verde!»
La maggior parte del personale di sala, infatti, si stava affannando intorno al loro tavolo, affinché i sette ragazzi fossero serviti a puntino, dal momento che tutti erano stati informati di chi fossero i Majestics e sembravano impegni ad adoperarsi affinché l’errore del povero sventurato fosse dimenticato quanto prima.
Gianni, intanto, stava seriamente valutando l’eventualità di tagliare la corda, non appena fosse finita la cena, poiché sarebbe stato molto, molto, più allettante concluderla con un dessert servito nella zona termale, anziché con un’altra arringa di Mary Anne.
Eppure, le cose non andarono come programmato. Infatti, proprio mentre il giovane si pregustava il suo dopocena, attraverso lo folla del personale in movimento, cominciò ad intravedere il preludio di ciò che lo avrebbe segnato da quel momento in poi:  un ragazzino, il quale non doveva aver superato i dieci anni, era in piedi all’ingresso della sala, da solo e si guardava intorno, come se stesse cercando qualcuno. Non trovandolo, arrivò perfino a muovere qualche passo, ma fu prontamente riacciuffato da un giovane che Gianni riconobbe essere il concierge.
Il ragazzo si era messo appena il bambino in spalla, dicendogli qualcosa concitatamente, quando sopraggiunse una terza persona: una giovane dalla carnagione scura e dai lunghi capelli corvini, lisci e fluenti, che somigliava molto al bambino. Quello, allora, le rivolse qualche parola, mentre lei si preparava a ricevere il piccolo tra le proprie braccia: alla fine, lo scambio avvenne e il giovane scarmigliò affettuosamente i capelli del bimbo, dando prima un bacio sulla fronte di quest’ultimo e poi sulla guancia della ragazza. A quel punto, lei sorrise, stringendo a sè il piccolino, e si allontanò dalla sala, quasi fluttuando, mentre il concierge, dopo aver lanciato un’occhiata circospetta all’interno, come ad assicurarsi che fosse tutto a posto, si dileguò a sua volta, imboccando la direzione opposta a quella degli altri due.
L’intera scena si era svolta in una manciata di secondi appena, ma questi erano bastati a turbare il biondo nel più profondo del suo animo. Possibile che quella ragazza, così giovane, fosse già sposata e avesse un figlio? E che il concierge, più o meno della sua stessa età, fosse un responsabile padre di famiglia, mentre a lui, Gianni Tornatore, interessava solo il puro divertimento? Eppure, a pensarci bene, era davvero così strano? La risposta era sotto i suoi occhi: per quanto le scelte compiute fossero o no discutibili, tutti i suoi amici avevano trovato le donne della loro vita e, per giunta, con il benestare delle rispettive famiglie.
Leopold Jurgens, infatti, aveva annunciato, da gran tempo, il matrimonio del figlio con la bella Christine. Galeotte erano state le antichità dell’arcaico maniero, che presieduto il fatidico incontro tra i due giovani. L’antiquaria svedese, che stravedeva per Ralf e per i cimeli custoditi nel castello di famiglia, era così riuscita a conquistarsi la fiducia del severo junker4.
Louis Boulanger, invece, aveva manifestato grande commozione, quando il suo unico erede gli aveva riferito di essersi fidanzato con la figlia di un’esponente della buona borghesia romana, per di più cugina di uno dei suoi compagni di squadra. L’honneur e il patrimoine sarebbero stati salvi e tutta Parigi avrebbe salutato la futura sposa di Olivier, lanciando petali di rosa dalle rive della Senna.
Infine, per quanto riguardava sir George McGregor, tradizionalista e conservatore, tutto porridge, tè delle cinque, Dio-salvi-la-Regina-Amen, il fatto che anche i reali del Regno Unito avessero consentito il matrimonio tra il principe ereditario e una non nobile, lo aveva portato ad accettare di buon grado la relazione tra Andrew e Mary Anne. D’altra parte, il vecchio barone era anche convinto che fossero doti come il carattere e l’intelligenza a contare veramente, due qualità che il giovane avvocato aveva dimostrato di avere a iosa.
E poi, c’era Marcello Tornatore, il quale non poteva certo reputarsi fortunato come gli altri signori, avendo ormai rinunciato a sperare che il proprio figlio potesse mettere giudizio.

Bruscamente, il biondo scosse la testa e scacciò quei pensieri, tornando a concentrarsi sul suo astice.
«Allora, Gianni, facci fare quattro risate e raccontaci delle tue conquiste pomeridiane!» lo incitò proprio in quel momento Andrew, interrompendo il silenzio dovuto alla masticazione.
Al giovane, andò di traverso il boccone al punto che fu costretto a sputarlo nel tovagliolo per evitare che gli rimanesse in gola.
Maledetto McGregor, incapace di farsi gli affaracci suoi, sempre e comunque! Pensasse piuttosto a come la sua ragazza lo teneva a bada, anche durante il semplice acquisto di un’aspirina!
«Non ho niente di particolare da dire» rispose laconico il ragazzo.
«Ma come!» esclamò sorpresa Claudia, mentre un lampo di cattiveria le passava nelle iridi scure. «Di solito, ti vanti fino alla nausea dei tuoi trofei! Non hai rimediato nulla, per caso?»
L’altro inarcò appena un sopracciglio, serrando le labbra fino a farle sbiancare.
«Forse le ragazze di qui sono più intelligenti e non cadono ai piedi del primo che capita» incalzò Andrew, beccandosi una gomitata nello stomaco da parte di Mary Anne.
«Cosa c’è, caro? Qualcosa non va?» fu, invece, la premurosa domanda di Christine.
Gianni, però, non rispose, disturbato da quei commenti, sopraggiunti proprio nel momento in cui la sua coscienza, che negli anni aveva imparato così bene a mettere a tacere, era riuscita a trovare uno spiraglio per farsi sentire. Allora, senza preavviso si alzò e, borbottando uno “Scusate, non ho più appetito, continuate pure senza di me”, lasciò la sala a grandi falcate.

Claudia posò la forchetta e lanciò un’occhiata gelida verso il punto in cui era sparito il cugino, poi, però, si ricompose e disse, con enfasi: «Oh, spero di non averlo offeso. Tra di noi c’è sempre stata una grande confidenza, siamo praticamente fratelli e non mi sono mai privata di fare apprezzamenti sulla sua condotta. Mi ha sempre risposto con una qualche battuta, perciò non pensavo potesse prendersela» spiegò, mettendo una mano sotto al mento e poggiando appena l’avambraccio contro il bordo del tavolo.
Subito, Olivier le accarezzò una guancia.
«Stai tranquilla, sono certo che c’è sotto qualcosa di più, perciò vado io a parlargli» la rassicurò immediatamente il giovane francese.
La bionda volse lo sguardo in direzione del fidanzato e gli sorrise, condiscendente. Il parigino ricambiò il sorriso, dandole un piccolo bacio sulla guancia per confortarla. Poi, in seguito, si alzò a sua volta e scambiò uno sguardo di intesa con Ralf, il quale annuì.
«Con permesso».
Tuttavia, Mary Anne non lasciò passare inosservato l’accaduto e si affrettò a rimproverare Andrew.
«Certe volte hai proprio la sensibilità di un haggin5
Lo scozzese, irritato dal rimprovero, si limitò bofonchiare “Non sapevo che fosse diventato così permaloso”.
«Non era il solito Gianni, vero caro?» domandò, allora, Christine, pacata.
Ralf poggiò la mano sinistra su quella destra della ragazza e, senza la benché minima ombra di turbamento, le disse: «Vedrai che Olivier riuscirà a capire cosa c’è che non va».

Gianni era riuscito a raggiungere il giardino dell’albergo in un batter d’occhio, scendendo gli scalini due a due, avvertendo nel suo animo il fortissimo impulso ad allontanarsi subito da quella sala.
Il vialetto che portava all’ingresso era deserto: evidentemente, tutti gli ospiti dovevano avere di meglio da fare che sostare in mezzo alle piante grasse che ornavano le aiuole lì vicino.
Giunto a circa metà della stradina, però, si fermò bruscamente, piantò le mani sui fianchi, e riversò il capo all’indietro, sbuffando sonoramente.
«Non avrei potuto scegliere momento migliore, per perdermi nei miei dubbi esistenziali» commentò, sarcastico, chiudendo gli occhi.
Il bilancio della sua vita, infatti, gli si era brutalmente presentato davanti, manifestandosi come una carrellata di immagini terribili a partire dalla scena alla quale aveva assistito quando la ragazza aveva preso in braccio il bambino.
Incredibile come un semplice gesto avesse avuto il potere di riportare a galla il senso di inadeguatezza che avvertiva latente da tempo, costringendolo a guardare in faccia la realtà: stava sciupando la sua esistenza, vivendo alla giornata, alle spalle dei suoi genitori, senza fare alcunché per migliorare la situazione. Perché, non poteva essere come Ralf, Andrew oppure Olivier? Perché suo padre doveva sempre avere un valido pretesto per urlargli contro volta che lo aveva sotto tiro?
Rimise dritta la testa e frugò nelle tasche, alla ricerca del pacchetto di sigarette, poi, una volta trovato, lo aprì e scelse uno dei tanti bastoncini di nicotina e tabacco contenuti all’interno: aveva perso il conto di quante volte, si era sentito dire da Massimo quanto fosse “utile” fumare.
Ma a chi? A cosa?
Lo fanno tutti! Aiuta a rilassarsi”.
Tutti. La stessa cosa che dire nessuno.
Gianni, infatti, aveva sempre vissuto, ovattato nel suo bel mondo fatto di agiatezze e ricchezze, all’insegna della consuetudine: si dice e si fa. Quando, invece, sarebbe arrivato il momento dell’io dico e io faccio?
Immerso nei propri pensieri, accese la sigaretta e aspirò una profonda boccata di fumo, sapendo perfettamente che si sarebbe limitato a guardarla consumarsi da sola, bruciando lentamente, - perché, a dirla tutta, fumare non gli piaceva affatto -, esattamente come stava facendo con la sua vita.
Subito, un sottile sbuffo grigio cominciò ad espandersi nell’aria, senza svanire nell’immediato: era una serata tranquilla e non soffiava un alito di vento; così, il ragazzo si soffermò ad osservare la strana forma che stava assumendo la coltre fumosa, simile a un drago…

Da piccolo, amava riconoscere le figure nelle nuvole, un gioco che faceva sempre con il suo adorato nonno Giancarlo. Durante l’estate, infatti, dopo pranzo, l’anziano uomo si sedeva con lui sotto i grandi pini del parco di Villa Aurelia, assaporando la piacevole frescura generosamente offerta dalle maestose conifere, mentre, tra le loro chiome, si intravedevano scorci di cielo azzurro e, talvolta, anche qualche graziosa nuvoletta.
«Quella cosa ti sembra, Giannino?» chiedeva allora l’uomo, sorridendo dolcemente.
«Quella? Assomiglia ad un grande mostro, come quello della storia che mi hai raccontato ieri sera!» rispondeva prontamente il bambino, alzandosi in piedi e spalancando le braccia, per mimare le dimensioni del malvagio essere immaginario.
«E questo mostro lo vogliamo lasciare libero?»
«No, dobbiamo sconfiggerlo! Dai, nonno, noi siamo gli eroi e dobbiamo sconfiggere i cattivi!».
E così, iniziava puntualmente la fantasiosa lotta contro le forze del male, un magnifico espediente che aveva il potere di annullare la differenza di età che c’era tra i due, perché il nonno diventava un perfetto compagno di giochi, il più fidato e il più affettuoso.
Quando si è nell’infanzia, però, si pensa che le cose belle non avranno mai fine e si vive alimentati da quelle fallaci certezze, ma, prima o poi, anche le favole più sublimi (si scontrano con la dura realtà, come imparò a sue spese il piccolo Giannino qualche tempo dopo.
Al bimbo, infatti, quell’estate sembrò subito strana, perché il nonno non usciva mai dalla sua stanza e i suoi genitori gli avevano tassativamente vietato di disturbarlo, mentre la nonna non faceva che piangere. E poi perché zio Tiberio aveva deciso di rimanere a Roma, invece di passare, come sempre, e i tre mesi estivi in qualche isola della Polinesia? Che strazio, aveva pensato, avrebbe dovuto anche sopportare quella rompiscatole di Claudia, notte e giorno! Come gli mancavano, invece, le avventure che viveva con il nonno…
Poi, una sera particolarmente agitata, Giannino, disubbidendo, era riuscito a sgattaiolare nella stanza del signor Giancarlo, senza che nessuno, compresa sua cugina, se ne accorgesse, e, una volta entrato, aveva trovato l’uomo disteso sul letto, sostenuto da un’altissima pila di cuscini, bianco come un cencio lavato e con le palpebre chiuse. Attento a non fare rumore, il bambino, allora, aveva spinto uno sgabello imbottito accanto al capezzale e vi si era arrampicato sopra. Ma, nel momento in cui aveva avvertito la sua presenza, l’anziano signore aveva schiuso lentamente le palpebre, sorridendogli.
«Come stai, nonno?» gli aveva chiesto subito il fanciullino, guardandolo con i suoi grandi occhi blu.
«Un po’ così. Questo stomaco non mi dà pace, ma, che vuoi farci, ormai sono vecchio».
«Tu non sei vecchio, nonno!» aveva protestato il nipotino, per cui il compagno di giochi era poco più che un coetaneo.
«Lo sono, lo sono… Senti, Giannino, me la fai una promessa?»
«Che cosa?»
«Mi prometti che continuerai a dare filo da torcere ai mostri cattivi, anche quando non potrò più starti vicino, nelle tue imprese?»
«Certo, nonno. Ma perché non dovresti starmi più vicino?» aveva domandato il biondino, accigliato.
«Perché sarò, diciamo così, impegnato da un’altra parte. Mi raccomando, però, lascia che ti aiuti lo spirito del beyblade che ti ho regalato. Lo hai sempre con te, vero?»
Giannino, allora, aveva preso Anfisbena dalla tasca e l’aveva mostrato all’uomo, raggiante.
«Eccolo!» esclamò.
«Sei proprio un bravo bambino... Tratta bene lo spirito e vedrai che ti proteggerà!» aveva poi aggiunto l’uomo, flebilmente.
«Ma non posso venire con te, nonno? Ti prego…»
«No, no. Meglio di no. Il tuo posto è qui. Inoltre, se saremo divisi, potremo sconfiggere più mostri, giusto?»
«Ah, è vero! Non ci avevo pensato! Ma li sconfiggeremo proprio tutti, tutti?»
«Tutti, tutti» aveva confermato il signor Giancarlo, dando un colpetto affettuoso sul nasino del nipote. «Ora, però, vai, bello di nonno, sono... stanco. Ho bisogno di riposare» si sforzò di concludere l’uomo, dando i primi segni di affanno.
Il bimbetto, a quel punto, era sceso dallo sgabello, di nuovo attento a non fare rumore.
«Ah, Giannino?»
«Sì?»
«Di’ a Claudia, che voglio molto bene anche a lei e cerca di stare accanto a papà, quando sarò lontano, d’accordo? Dovrai essere forte, anche per Marcello».
Ormai, la voce del nonno era ridotta ad un mero, impercettibile sussurro.
«Io sono forte!» aveva replicato immediatamente il bambino, piegando un braccio per mettere in mostra i muscoli. «Ma perché, non li saluterai tu?»
«Magari dopo... Comunque, ricordatene lo stesso, va bene? Buonanotte, bello di nonno..» aveva sussurrato il signor Giancarlo, sorridente.
Con un cenno della mano, il bambino aveva salutato il vecchio compagno di giochi, avviandosi verso la porta.
Quello di quella sera, fu un vero e proprio incrocio di vie e di vite: mentre Giannino usciva dalla stanza del nonno, l’uomo usciva per sempre dalla favola del nipote.

«Come mai sei scappato in quel modo?» chiese una voce, facendo tornare bruscamente Gianni alla realtà.
Il ragazzo, allora, si voltò e vide che Olivier era riuscito a raggiungerlo, così si asciugò in fretta la guancia sinistra e gettò a terra la sigaretta consumata e la sfregò con rabbia contro il lastricato del viale, con la punta della scarpa.
«Non mi andava più di mangiare, lo sai che il pesce non mi piace» rispose poi, con infantile semplicità.
In quel momento, sembrava essere tornato il piccolo Giannino che aveva fatto quelle sue belle promesse al nonno e che l’adolescente Gianni non aveva ottemperato.
Il parigino si accigliò per quella risposta, ma continuò comunque a parlare.
«Ebbene, si può sapere, allora, che fine ha fatto la tua proverbiale gioia di vivere?»
Il biondo, però, non rispose subito, prendendosi qualche secondo prima di aprire nuovamente la bocca: Olivier, infatti, era sempre stato, tra i suoi compagni di squadra, quello che l’aveva compreso meglio, anche se, ovviamente, non sempre si era mostrato entusiasta delle sue scelte. Tuttavia, si era comportato lealmente in ogni occasione, come un buon amico, pertanto, Gianni non aveva avuto niente da ridire quando aveva manifestato un serio interesse verso sua cugina.
Quella volta, però, la situazione era più complicata, perché il francese non avrebbe potuto capire fino in fondo l’angoscia che lo attanagliava, giacché non gli era mai capitato, prima di allora, di non riuscire a ricacciare indietro gli spettri che si portava dentro. I folli divertimenti che offriva la Capitale erano così solo una scusa per non pensare al futuro e il ragazzo sperava costantemente che l’ebbrezza nella quale cadeva ogni notte non svanisse il mattino successivo, come invece purtroppo accadeva, costringendolo a fare i conti con i suoi timori. Si era sempre sentito inferiore ai suoi amici, soprattutto da quando avevano deciso di formare una squadra, poiché sia Ralf, che Andrew, che lo stesso Olivier avevano dimostrato di avere più carattere, ultimando gli studi nel migliore dei modi e diventando, al contrario suo, ciò che avevano sempre aspirato ad essere. La differenza fra loro, però, si era delineata già anni addietro, in occasione del campionato europeo, nel corso del quale l’italiano si era piazzato al terzo posto, assieme all’amico francese. Eppure, quanto era stato effettivamente un terzo e non quarto posto?
La sensazione di incapacità di decidere chi essere nella vita, infatti, l’aveva sempre perseguitato e gli eventi sembravano dar ragione a questa convinzione: chi era davvero Gianni Tornatore? Quello che lasciava trapelare di sé al mondo lo dipingeva come un eterno insicuro, che non voleva assumersi le proprie responsabilità, spaventato dal confronto con la realtà. Un ragazzo che aveva fatto della tracotanza e della spavalderia le sue maschere predilette, indossate prima di svegliarsi e tolte dopo essersi addormentato.
Aveva lasciato l’università quasi subito, senza nemmeno provare ad andare avanti, adagiandosi nell’autoconvinzione di non essere portato per gli studi di economia, nonostante suo padre, con i suoi modi spicci, e sua madre, con i suoi affranti silenzi, avessero tentato più volte di fargli capire quanto stesse sbagliando, dicendogli in continuazione che ventitré anni non erano troppi per riprovare e che non era tardi per cambiare, anche se, per diventare un vincente, avrebbe dovuto prima volerlo.
«Sono davvero una nullità» bofonchiò, all’improvviso.
«Comment?» chiese l’altro, sorpreso.
«Hai capito perfettamente, non me lo far ripetere, anche perché so benissimo che è quello che pensate tu e quegli altri che sono rimasti di sopra».
«Ma non è così! Che sciocchezze vai dicendo?» replicò Olivier, negando energicamente con il capo.
«Sciocchezze? È la verità!» insistette Gianni. «Anzi, è un problema, il mio».
«A dire il vero, non credo che tu abbia chissà quale problema, sei solo un po’ troppo vivace e libertino. Blaise Pascal diceva che la sfida più difficile per un uomo è stare da solo chiuso in una stanza» commentò il francese, ispirato, come se, nei suoi pensieri, avesse sempre accostato il biondo italiano alla teoria del Divertissement6.
Gianni, in risposta, fece una smorfia di disappunto. Filosofia francese? Proprio quello che ci mancava per concludere in bellezza un serata andata da schifo! Ciononostante, per quanto gli dolesse ammetterlo, era proprio come diceva l’amico.
«Basta con i giri di parole! Cosa ho che non va, o cosa mi manca per essere come voi? E non ti azzardare a tirare fuori un altro dei tuoi compatrioti filosofi!» lo minacciò il biondo.
«Patience, mon ami, patience, ecco cosa ti manca!» fece il parigino, alzando un indice. «Devi aspettare che si presenti la tua occasione e vedrai che tutto andrà a posto».
Gianni lo guardò, accigliato.
«La mia occasione? ’na cosa da poco, insomma!»
Olivier sorrise: quando l’italiano usava il dialetto, era solo per ironizzare sul tono di superiorità che trapelava dai suoi intercalari francofoni.
«Personalmente, credo che tu debba soltanto maturare un altro po’, » concluse il ragazzo, senza abbandonare la sua sicurezza. «Tutto sta nel cominciare a fare meno il farfallone!»
Di primo acchito, l’altro lo guardò, inespressivo, poi, però, si abbandonò ad una risata che, però, aveva dell’isterico: «Praticamente, mi stai dicendo di ricostruirmi da capo».
«No, ti ho detto soltanto di cambiare certe tue abitudini sbagliate».
Gianni si soffermò un attimo a riflettere su quelle parole: il suo vero problema risedeva nel fatto che non aveva mai provato ad impegnarsi seriamente, affinché le cose prendessero una piega migliore, ma, forse, avrebbe dovuto finalmente prendere seriamente in considerazione l’idea di rimettersi totalmente in discussione.
«Claudia è molto dispiaciuta per quello che ti ha detto ed anche Andrew sembra essersi pentito» commentò l’altro. «Domani, cerca di parlare con loro, d’accordo? Qualcosa mi dice che, per stasera, non avremo più l’onore di averti tra noi, o sbaglio?»
«In effetti, sono stanco, perciò penso che mi ritirerò a vita privata» fece il giovane, piegando alternativamente la testa da una parte e dall’altra con gli occhi chiusi. «Comunque va bene, farò finta di credere al pentimento di quei due e domattina parlerò con loro. La convivenza sarà lunga».
L’amico sospirò.
«Credo che sia arrivato anche per me il momento di andare. Bonne nuit» lo salutò.
Gianni, però, si limitò a rispondere alzando pigramente il braccio sinistro in direzione dell’altro, per poi lasciarlo ricadere pesantemente lungo il fianco: aveva parecchi spunti sui quali meditare, ma era consapevole che, prima o poi, quel momento sarebbe dovuto arrivare, giacché non sarebbe potuto scappare per sempre dalle proprie responsabilità.
Così, Olivier era praticamente già nella hall, quando gli sorse spontanea una domanda e si decise a richiamarlo.
«Aspetta un attimo!»
«Dimmi pure» acconsentì il francese, voltandosi verso di lui.
Tuttavia, temporeggiò ancora per qualche secondo, prima di parlare, giacché il pensiero che aveva avuto era stato talmente rapido che ancora non l’aveva tradotto in parole.
«Come hai fatto a capire che Claudia era quella giusta?»
«Ad essere sincero» cominciò l’interlocutore, «è stato proprio quello il momento in cui non ho capito più nulla. Ricordi? Avevo appena vinto il titolo di Chef dell’anno quando sei arrivato tu, accompagnato da tua cugina, la più giovane e bella sommelière che avessi mai conosciuto. Da allora è stato tutto relativo: c’era solo la mia Claudine e nient’altro».
Il biondo parve riflettere su quelle parole: aveva ben presente l’episodio e convenne che non gli era mai capitato nulla del genere, poiché, fino ad allora, aveva giudicato solo l’aspetto esteriore di una ragazza, confrontandolo con i propri canoni. Inoltre, a ben pensarci, quelle che frequentava lo cercavano solo per passare una serata o più in buona compagnia, sperando di rimediare anche qualche gradito regalo, senza però voler andare oltre le apparenze e costruire qualcosa di più duraturo.
Poco dopo, Olivier lo salutò nuovamente e sparì oltre la soglia dell’ingresso del Mediterrean Plaza, lasciandolo assorto nei propri pensieri, tutti concentrati sulla certezza che il cammino che avrebbe dovuto intraprendere sarebbe stato lungo e periglioso. Gianni fece, quindi, per rientrare a sua volta, quando notò in terra qualcosa che brillava.
Sentendo come un imperativo interiore che lo invitava a raccogliere il misterioso oggetto, si chinò per recuperarlo e si rese conto che si trattava di un piccolo fermaglio dorato, di fattura molto pregiata, curvilineo e sottilmente intrecciato, un oggetto particolare come non ne se ne vedono spesso in giro. Senza stare a pensarci, allora, se lo mise automaticamente in tasca.
“Domani lo porterò alla reception e se la vedranno loro, perché ora sono distrutto. E dire, che avevo pianificato un così bel dopocena!” pensò, amareggiato, dirigendosi verso gli ascensori, mentre un sorriso amaro gli affiorava sulle labbra.
***

Il mattino seguente si ritrovarono tutti allo stesso tavolo per la colazione.
«Buongiorno!» esordirono Ralf e Christine, salutando Gianni.
«‘Giorno» rispose lui, con un sorriso di cortesia stampato sulla faccia, soddisfatto delle proprie capacità recitative affinate nel tempo, tali da consentirgli di far credere agli altri che tutto fosse tornato alla normalità, quando, invece, aveva dormito malissimo a causa della sua coscienza, che, a differenza del solito, non si era lasciata mettere a tacere. Se fosse stato un tipo leggermente più ansioso, non sarebbe riuscito a portare avanti quella commedia nemmeno per un minuto, tuttavia, contava comunque di liberarsi presto degli amici e della parente ed essere finalmente lasciato in pace.
Claudia, nel frattempo, lo scrutava dall’altra parte del tavolo, sventagliandosi con movimenti appena percepibili.
«Allora, cuginetta, non mi saluti, stamane?» le disse, tirato, consapevole del vero motivo per cui lei continuava a fare allusioni sulle sue amanti: era gelosa di loro e non sopportava che lui non la venerasse come avrebbe voluto.
La ragazza lo fissò per qualche secondo in silenzio, per poi rivolgergli un sorriso che aveva un che di sinistro.
«Credevo non volessi parlarmi» fece, simulando rammarico. «Mi dispiace per ieri sera, ma sai che dico sempre quello che penso».
«Tranquilla, ho già dimenticato tutto» mentì il giovane, deciso a tagliare corto e per nulla intenzionato a rispondere alle provocazioni di Claudia.
Lei, allora, gli porse la mano da sopra il tavolo: «Facciamo pace, dunque?»
Il giovane la osservò per qualche istante, prima di prenderla con estrema lentezza. A quel punto, la bionda sorrise, ma questa volta trionfante ed Olivier la squadrò, increspando appena le labbra e sollevando un sopracciglio, contrariato, così Gianni lasciò immediatamente la cugina.
«Credo possa bastare» commentò, ritraendosi.
In quel momento, Mary Anne diede una gomitata ad Andrew, fissandolo in modo eloquente.
«Ho capito! Un momento, eh…»
«Sbrigati!» lo incalzò, però, lei, decisa.
Il ragazzo si schiarì ancora la voce per prendere tempo, ma poi disse, piano: «Gianni, be’, volevo dirti che, sì, insomma, forse ho esagerato ieri sera».
«McGregor che si scusa con me? Questo giorno dovrà essere ricordato negli annali!» fece il biondo, incrociando le braccia sul petto e rivolgendo all’amico un sorrisetto di scherno.
«Se le mie scuse non ti piacciono, posso sempre aggiungere qualcos’altro di più consistente» ringhiò l’altro, minaccioso, mostrandogli il pugno.
«Andrew!» lo richiamò subito Mary Anne, infastidita. «Non ricordi il discorso che abbiamo fatto sull’autocontrollo?»
«Oltre al danno, anche la beffa? Fantastico!» sbuffò lui, sarcastico, lanciando da una parte il tovagliolo, offeso a morte. Gianni, allora, si ritrovò a sorridere, giacché vedere lo scozzese bacchettato dalla rispettiva fidanzata, di solito così brava a tenere a freno il suo temperamento aggressivo, era una delle migliori soddisfazioni che potesse ricevere.
«Se avete finito con le scuse direi che possiamo iniziare» comandò Ralf, cominciando a servire Christine e richiamando tutti all’ordine.
Nel corso del pantagruelico pasto, la comitiva ebbe anche modo di parlare dei programmi per la giornata e l’avvocato si lanciò in un appassionato elogio di Alessandria, città con una storia lunga e affascinante: fondata da Alessandro Magno e portata all’apice da uno dei suoi generali, all’indomani della disgregazione del regno di Macedonia. Per secoli si era arrogata la fama di capitale della cultura mediterranea, sorpassando, per molti aspetti, anche la ormai vecchia Atene e, in virtù di tutto questo, per lei meritava davvero di essere esplorata da cima a fondo.
«Potremmo cominciare con la nuova Bibliotheca! Certo, non sarà come quella che c’era secoli fa, ma credo che una visita sia d’obbligo! Non è vero, Andrew?» propose, alla fine del suo discorso la ragazza, quando ebbe ultimato il suo discorso.
«Fa’ come vuoi» le rispose, però, lui, atono. In risposta, lei alzò gli occhi al cielo, cosciente che cercare di smussare le piccole scabrosità della personalità del suo fidanzato fosse una cosa e ottenere una levigatura perfetta un’altra e, quindi, che l’unica soluzione possibile fosse cercare un compromesso.
«A mio parere, invece, sarebbe molto meglio vedere la Grande Piazza o Piazza Muhammad ‘Alī» si inserì Claudia, con tono saccente, non volendo mostrarsi inferiore all’inglese. «Per non parlare degli storici caffè o del lungomare… Che cosa ne dici, Olivier?»
«È fattibile, ma petite fleur» rispose il francese.
«A me, al contrario, interesserebbe particolarmente visitare le catacombe di Kom El-Shogafa oppure la colonna di Pompeo. Ah, Claudia, devi assolutamente dirmi dove hai trovato quelle piccole botteghe di cui mi stavi raccontando ieri sera! Chissà che non trovi qualcosa di interessante da mettere nel mio negozio… Mi ci accompagnerai, non è vero, Ralf?» chiese subito dopo l’antiquaria, in tono supplice e con le mani giunte.
«Se è quello che desideri, Christine, non vedo perché no» replicò il tedesco, con la sua precipua imperturbabilità.
«Visto che vi state dividendo in coppiette e che non ho problemi ad ammettere che non mi interessa niente di tutto questo, senza contare che non voglio fare il terzo incomodo, vi annuncio che preferirei non venire, se non vi dispiace».
L’attenzione dei ragazzi, allora, si spostò immediatamente su Gianni, il quale, però, ignorò tutte le occhiate di disapprovazione che gli indirizzarono - in primis quella di sua cugina, che sembrava sul punto di esplodere -, consapevole che, molto probabilmente, stavano pensando che volesse soltanto spassarsela con qualche avvenente fanciulla. Sinceramente, non aveva voglia di spiegare loro quanto bisogno avesse di stare da solo, anche perché, a suo parere, non era una faccenda che li riguardava.
A quel punto, Ralf si alzò, seguito immediatamente da Christine.
«Se la cosa ti fa piacere, sei libero di fare quello che ritieni opportuno. Per gli altri, resta invariato l’orario di ritrovo: alle dieci meno un quarto nella hall».
«All right» annuì Andrew.
«Très bien» concordò Olivier.
Gianni, invece, si concesse di mostrare un mezzo sorriso al capitano della squadra.

Quando tutti se ne furono andati, il giovane pensò bene di fare quattro passi, così da avere il tempo di raccogliere i pensieri: si era svegliato di pessimo umore e con uno strano e opprimente senso di nausea, tanto che a colazione non era riuscito a mandar giù nemmeno un sorso d’acqua, perciò riteneva che magari una breve passeggiata sulla spiaggia di Alessandria, immerso in quel suo clima che sapeva d’oriente, gli avrebbe giovato.
Uscendo dalla sala ristorante, si ritrovò nel doppio salone dove era ubicato anche il bar e, sulla destra, notò un enorme specchio che rifletteva la sua immagine, così si avvicinò lentamente, per poi fermarsi proprio lì davanti a scrutare il proprio riflesso con aria critica e diffidente: non era certo un brutto ragazzo, giacché il passare del tempo aveva fatto il suo corso, rendendolo nel fisico sempre più simile a suo padre fino a renderli quasi indistinguibili, anche se, quando si osservava con vera attenzione, sfortunatamente, veniva rovinato dalla sua indole irrequieta ed esuberante.
Alzò il braccio per passarsi una mano tra i capelli, così da ravviare la frangia bionda e ribelle, ma all’ultimo momento esitò ed il gesto rimase compiuto a metà, poiché, dopo le ultime riflessioni, era davvero intenzionato a impegnarsi per cambiare in meglio, smettendo di pensare unicamente a se stesso. Era ancora impegnato a studiarsi e a cercare di riconoscersi in ciò che vedeva, quando si sentì prendere per ciascun polso.
«Gianni, che fine hai fatto ieri sera? Ti abbiamo aspettato a lungo!».
Bahira e Ghada, comparse dal nulla, non avevano perso tempo e si era avvinghiate a lui, che subito si voltò prima a destra e poi a sinistra, per scoprirsi, suo malgrado, circuito. Cosa fare? Cedere all’invito, all’ennesima tentazione e comportarsi come un debole, oppure reagire?
Infatti, due personificazioni del suo vizio più grande, la lussuria, lo stavano provocando, invitandolo a lasciare da parte i buoni propositi, appena formulati, per gettarsi nuovamente nell’abisso della perdizione. Tuttavia, non era molto convinto del fatto che concedersi un ultimo piacere sarebbe stata una scelta saggia e quando avvertì quella strana sensazione di nausea che sentiva dentro farsi sempre più intensa, ebbe la nitida consapevolezza che quella non fosse la strada giusta.
«Ecco, ragazze… vedete…» cominciò, certo che il destino lo avesse fatto trovare al momento sbagliato, nel posto sbagliato. Eppure, proprio in quell’istante, accanto al proprio riflesso nello specchio, scorse anche qualcos’altro: seduta ad uno dei tavolini alle sue spalle, concentrata a fare qualcosa, c’era, infatti, la ragazza della sera precedente. Era esattamente come l’aveva vista la prima volta, solo che, quel giorno, portava una divisa bianca da barista e i capelli corvini erano raccolti in una coda laterale.
«Scusate, ragazze, ho una cosa da fare» disse Gianni, bruscamente, divincolandosi dalla presa di entrambe e voltandosi indietro.
«Ma Gianni…» cercò di protestare una delle due, ma senza successo: era troppo lontano, sia mentalmente che fisicamente, perciò i lamenti delle massaggiatrici gli giunsero alle orecchie come suoni senza senso.
Tuttavia, si addentrò all’interno della stanza avanzando lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa. L’interesse che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto nuovo e sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo animava quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa conto di nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza, si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più sorprendente per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi trovò raffigurato, perché era l’ultima cosa alla quale avrebbe pensato.
«Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti, alternati» disse, improvvisamente, rendendosi conto a malapena di aver parlato.
Interrotta bruscamente, la ragazza smise di disegnare, alzando la testa e lui si ritrovò ad essere fissato da due occhi come non ne aveva mai incontrati prima di allora, dello stesso colore delle viole selvatiche che ornano i boschi a primavera.
«Come ha detto, prego?» esclamò, sorpresa, non avendolo sentito arrivare.
«Quello è uno dei primi bozzetti della facciata del Collegio di Propaganda Fide di Borromini, vero?»
La sua interlocutrice lo fissò perplessa, tuttavia fece cenno di sì, anche se, probabilmente, non aveva la minima idea di dove volesse arrivare il ragazzo.
«E allora il prospetto che stai facendo è parzialmente incorretto: in alto, oltre ai timpani, devi disegnare anche degli archetti. La versione definitiva, invece, è molto più semplice, perché non ci sono né gli uni, né gli altri» le spiegò, indicando il disegno con l’indice.
Corrugando la fronte, l’altra estrasse un librone da una borsa che teneva sotto la sedia e prese a sfogliarlo finché non arrivo alla pagina cercata e non si mise a osservare a lungo in silenzio l’immagine che vi era raffigurata, confrontandola con il proprio lavoro.
«Ha ragione! Eppure, credevo di averlo studiato a dovere... Mi ha evitato di farlo due volte, grazie!» fece lei, tornando a guardare il giovane e inarcando le labbra in un leggero sorriso.
A questo punto, la salivazione di Gianni subì una nuova battuta di arresto.
«Figurati, per così poco!» stentò a dire, ringraziando col pensiero sua madre e la sua passione per l’arte, che l’aveva indotta ad appendere, per tutta casa, riproduzioni e stampe dei grandi capolavori.
«Per me è molto. Grazie di nuovo, signor…»
«Oh, sì, scusami, non mi sono presentato: Giancarlo Tornatore7, al tuo servizio» rispose lui, facendo un’elegante riverenza, stranamente senza sembrare ridicolo, ma poi si bloccò, rendendosi conto di averle rivelato il suo nome per intero, cosa che non faceva mai, considerandolo un oltraggio alla memoria di suo nonno. «Ma puoi chiamarmi Gianni, come fanno tutti. E non darmi del lei, non credo che ce ne sia bisogno» si affrettò ad aggiungere.
La ragazza corrugò lievemente la fronte.
«D’accordo, come vuoi, Giancarlo» rispose, scandendo bene l’ultima parola. «Sai, il tuo nome completo è così musicale… mi dai il permesso di chiamarti così? Non capisco proprio perché tu debba storpiarlo!»
«Se lo preferisci, non è un problema» convenne il ragazzo, annuendo. Non sapeva perché, ma non gli dispiaceva che lei lo chiamasse come solo pochi altri facevano. «E tu sei..?»
«Ah, già, che sbadata. Io mi chiamo Aida, piacere» esclamò la giovane, sorridente, tendendogli una mano, ma lui ricambiò la stretta in maniera rigida, gelato dalla strana coincidenza: Aida, come l’opera preferita da suo nonno.
«Porti il nome di una delle nostre più belle opere liriche, lo sai?»
«Sì, la conosco» replicò lei, in un italiano fluente. «Quando vivevamo ad Harar, avevamo due vicini italiani che mi ripetevano continuamente: “Ti chiami come la principessa dell’opera verdiana”.  Ma, in verità, il mio è un nome abbastanza comune da noi».
«Ah, ma parli anche l’italiano!» fece il giovane, sempre più attonito.
La fanciulla, però, strinse le spalle.
«Non è nulla di straordinario, credimi. Maria e Franco sono stati due bravi insegnanti e ci hanno praticamente cresciuti loro» spiegò. «E, comunque, ho ancora qualche problema con i plurali e i verbi» terminò, arricciando il naso.
Gianni, allora, si accomodò sulla sedia antistante alla giovane, osservandola in ogni suo particolare: era di una bellezza semplice, non forzata o esasperata da strati e strati di trucco ma, nel modo di fare, aveva un qualcosa di fuori dal comune, qualcosa di decisamente lontano dagli atteggiamenti che avevano le ragazze che frequentava di solito, a cominciare dal fatto che non rideva come un’oca giuliva per ogni minima cosa.
«I nostri vicini erano ex-coloni, provenienti da Livorno. Tu, invece, da dove vieni?» chiese Aida, allora, con sincera curiosità.
«Da Roma, niente di che».
«Niente di che?!» esclamò lei, incredula. «Io darei qualunque cosa per poterci venire anche solo una volta! Forse non ti rendi conto della fortuna, che hai nell’abitare in una città piena di ogni sorta di opere d’arte, che puoi vedere dal vivo ogni volta che vuoi!»
«Sembri molto più entusiasta di me» mormorò lui, vagamente accigliato.
«Oh, sì! Amo la vostra arte e, quando posso, scelgo sempre di fare progetti sulle opere italiane» replicò la giovane, mostrando tutto il suo entusiasmo. «Tuttavia, sembra proprio che abbia bisogno di studiarle un po’ meglio per evitare figuracce come quella di poco fa, oltre a un voto basso all’esame» notò infine con una smorfia, alzandosi.
Il biondo la seguì con lo sguardo, sorpreso dal fatto che le parole appena pronunciate da dalla ragazza gli avessero dato da pensare, poiché vi aveva notato una sottile autoironia associata ad estrema concretezza. Decisamente, non era come quelle che era abituato a frequentare, impossibilitate a formulare anche solo una frase di senso compiuto, ad esclusione delle petulanti pressioni che facevano per ricevere altri regali, vestiti o gioielli.
«Bene, scommetto che prenderesti volentieri un caffè. Voi italiani, senza un espresso, siete persi!» commentò allegra la fanciulla a quel punto.
Si dice. Si fa.
«Veramente, io non ne vado matto. Preferirei qualcos’altro» cominciò lentamente Gianni, ancora impegnato nelle sue riflessioni.
«Allora, cosa posso offrirti?»
«Si potrebbe avere del latte al cioccolato con una spolverata di cannella?» chiese il ragazzo, sorridendo tra sé e sé.
“Saranno diciassette anni che non ne bevo una tazza” pensò.
«Volendo, si può tutto» rispose Aida, per nulla stupita per quella particolare richiesta.
Io dico. Io faccio.

Inaspettatamente, la mattinata trascorse rapida e, tra i due ragazzi, si instaurò presto un clima sereno e cordiale. Gianni venne a sapere che Aida era una studentessa di belle arti e questa gli parlò dei suoi studi con molta passione, mentre lui la ascoltava attento, come dimostrarono gli interventi, incredibilmente pertinenti, che fece sorprendendosi da solo per quell’insolito avvenimento, poiché non riusciva a ricordare di aver mai sostenuto una conversazione tanto elevata con una ragazza.
Poi, all’improvviso, notò che la fanciulla portava tra i capelli un fermaglio uguale a quello che aveva trovato la sera precedente, quindi si sporse oltre il tavolino e le girò delicatamente il volto per vederlo meglio.
«Cosa c’è?» chiese lei, un po’ sorpresa. «Ho forse qualcosa fuori posto?»
«No, no...» rispose il ragazzo, mettendosi una mano in tasca e cacciandone fuori il fermaglio che aveva trovato e per confrontarlo con quello posseduto dalla giovane.
«Mi sembra che questo sia tuo» disse, dopo essere arrivato alla conclusione che fossero uguali.
Quando Aida lo vide, non riuscì a trattenere la sua meraviglia: «Non posso crederci! Dove l’hai trovato?»
«Nell’ingresso. Volevo portarlo alla reception, ma penso che non ce ne sia più bisogno».
«Non immagini che gran favore mi hai fatto! Non voglio nemmeno pensare a cosa avrebbe detto Samir, se lo avesse saputo, dato che è un regalo suo!» esclamò Aida, prendendolo in mano. «Sono sempre con la testa tra le nuvole, purtroppo. E, a volte, il lavoro in bassa stagione può essere peggiore che in alta».
Gianni sorrise e solo allora si rese conto di essere ancora a contatto con il bel visetto della giovane, così bruscamente, tirò indietro la mano, mal dissimulando l’imbarazzo e convenendo che fosse un comportamento piuttosto anomalo per uno che, fino a meno di ventiquattro ore prima, avrebbe cercato le peggiori scuse, anche solo per sedersi accanto ad una bella presenza.
Tuttavia, non ci fu tempo per fare altre riflessioni, poiché, di punto in bianco, un ciclone irruento si buttò tra le braccia di Aida, interrompendo il momento: era il bambino del ristorante.
«Samir, che modi!» lo rimproverò subito la ragazza.
«Ma io ti voglio bene, mi sei mancata a scuola» replicò il bimbo.
«Come ogni giorno» notò lei, baciandolo sulla testa.
Il giovane rimase toccato dalla tenerezza del momento e osservò meglio Samir, accorgendosi che somigliava davvero molto a sua madre.
«Chi è?» chiese il ragazzino, essendosi accorto di Gianni.
«Lui è Giancarlo. È stato molto gentile e mi ha evitato un po’ di guai» rispose la giovane, sorridendo riconoscente al biondo.
«Io sono Samir» si presentò a sua volta il bimbo, mostrando di essere beneducato.
«Molto piacere, Samir. Qua la mano!»
Il piccolo, allora, batté soddisfatto il palmo su quello che gli era stato porto dal ragazzo.
«Tuo figlio ti assomiglia davvero tanto, ha il tuo stesso sorriso» le disse.
A quelle parole, Aida rimase a fissare Gianni in cagnesco per alcuni secondi, poi, però, scoppiò a ridere fragorosamente.
«No, no... Samir non è mio figlio! Ha otto anni ed io non l’ho avuto a tredici!»
Il giovane sbatté le palpebre, facendo rapidamente un paio di conti: aveva dato così per scontato che Samir fosse il figlio di Aida e del concierge, vista la grande confidenza tra loro, che non aveva pensato ad altre ipotesi.
«S-Samir... è... mio fratello!» riuscì a dire infine la ragazza tra una risata e l’altra, mentre si asciugava le lacrime.
«Sì, Dada è la mia sorellona, la migliore di tutte!» confermò Samir, annuendo.
«M-Ma allora, ieri sera... il concierge...» balbettò Gianni, sbigottito oltre ogni dire.
«Rami? È nostro fratello maggiore, lavora qui abitualmente e mi chiama per aiutarlo durante i mesi estivi e autunnali. E, quando siamo entrambi occupati, ovviamente anche Samir si trasferisce qui» gli spiegò Aida, che si era finalmente ricomposta.
«Mi dispiace, ho frainteso» si scusò subito lui, in difficoltà per essersi dimostrato poco sveglio e attento. Chissà cosa avrebbe pensato Aida di lui dopo quella figuraccia! Tuttavia, ciò che lei disse poco dopo aveva qualcosa che lo rassicurò.
«Fa niente, può capitare. In fondo, da noi non è così raro trovare ragazze della mia età sposate e con figli, anche se, magari, non di otto anni...» considerò lei, lasciandosi scappare l’ennesimo sorriso divertito.
Giancarlo Tornatore, a quel punto, trovò un significato a due parole fino ad allora conosciute solo per sentito dire: imbarazzo e mortificazione. Infatti, abbassò subito lo sguardo, avvertendo che la maggior parte del sangue che circolava dentro di lui aveva deciso di andare in vacanza sulle sue guance.
All’improvviso, Samir prese la sorella per una manica e le chiese: «Dada, Dada, allora mi porti al parco?»
«Non posso, lo sai che devo lavorare» gli rispose, però, lei, dispiaciuta, accarezzandogli la testa.
«Non è giusto, non hai mai tempo per me!» strepitò il ragazzino.
«Samir, per favore, non fare i capricci, ormai sei grande!» lo rimproverò Aida.
«Me l’avevi promesso! Avevi detto che mi avresti portato al parco, dove vanno tutti per allenarsi con i beyblade! Perché io, invece, non posso mai?» protestò a viva voce il bambino, con tono lamentoso.
Non appena udì quelle parole, Gianni si riprese all’istante. Ma certo, il beyblade! Gli sembrava che fossero passati secoli da quando aveva lanciato in campo Anfisbena per l’ultima volta, in occasione degli ultimi campionati mondiali ai quali aveva partecipato tre anni prima.
«Quando l’avevamo deciso, non immaginavo che ci sarebbe stato tutto questo lavoro da sbrigare!» spiegò la ragazza, irremovibile, fissandolo con una punta di severità.
«Non è vero, lo fate apposta! Come quella volta che Rami aveva promesso di portarmi a vedere i Desert Blaze contro i Wild Fang8 e non l’ha fatto» fece il bimbo, mettendo il broncio.
«E se ci allenassimo insieme noi due? Sarò io il tuo sfidante» propose Gianni, con naturalezza, perché, in quel momento, passare del tempo in maniera costruttiva, giocando con quel bambino, gli sembrò una buona idea
I due fratelli, allora, smisero di battibeccare e si voltarono subito verso di lui, stupiti.
«Davvero?» gli chiese Samir, inarcando le sopracciglia e assumendo un’espressione buffissima. «Sei sicuro di saper giocare con i beyblade?»
«Ragazzino, tu non sai chi hai davanti! Io faccio parte dei Majestics, la squadra che fino a tre anni fa rappresentava l’Europa ai campionati mondiali!»
Il bambino rimase a fissare il giovane per qualche istante, per poi strillare: «Allora avevo ragione a cercarvi, ieri sera!»
Dopo quell’affermazione, al biondo cominciarono ad essere sempre più chiare le dinamiche della serata precedente: Samir, chissà come, doveva aver saputo che i Majestics erano nei paraggi, così si era messo a cercarli, essendo stato richiamato dai fratelli prima ancora di riuscire a iniziare la sua ricerca.
Poi, il piccolo cacciò fuori un album molto ben tenuto dallo zaino, aprendolo ad una pagina ben precisa.
«In queste foto sembri molto più brutto e vecchio» notò, semplicemente.
Aida aprì la bocca e, scandalizzata dalla schiettezza del fratello, lo riprese: «Samir, che maniere!»
Successivamente, si rivolse direttamente al giovane, in evidente imbarazzo: «Ti prego di scusarlo».
«Figurati» la rassicurò lui, per nulla offeso, alzando la mano. In effetti, ciò che aveva detto il bambino era la verità, poiché era lui il primo a sostenere, con assai poca modestia, che le foto dell’albo non gli rendessero giustizia; senza contare che le parole di Samir, confrontate a quello che usciva dalla bocca di McGregor, erano davvero complimenti.
«Devi essere davvero forte, visto che hai sconfitto il nostro ex-campione Kairone del Team delle Tenebre. Adesso andiamo, però?» chiese Samir, guardandolo con i suoi occhioni e attaccandosi alla mano del ragazzo.
Gianni si ritrovò a sorridere, avvertendo, nel frattempo, che la nausea era definitivamente sparita. Così, si abbassò all’altezza del bambino e, ammiccandogli, disse: «Prima di tutto dobbiamo chiedere il permesso a tua sorella!»
Poi, alzò la testa verso di lei, chiedendole: «Dunque, possiamo, gentile Aida?»
A quel punto, entrambi la guardarono supplichevoli, a mani giunte, e la ragazza si puntò i pugni chiusi sui fianchi, scrutandoli tra il severo ed il divertito: nonostante avesse appena conosciuto quel giovane così particolare, non pensava che ci fosse niente di male a permettergli di giocare con suo fratello che, tra l’altro, sembrava trovarlo simpatico. Inoltre, non si sarebbero allontanati dai giardini dell’albergo, pertanto avrebbe potuto benissimo andare, di tanto in tanto, a controllarli, sia di persona, sia attraverso la vetrata del bar, dalla quale si godeva di un’ottima visuale su tutto il parco.
«Filate via, ma voglio che Samir passi a prendere il pranzo in cucina e che per le cinque siate di ritorno, intesi?» concesse loro, alla fine.
«Sissignora!» esclamarono il ragazzo ed il bambino, mettendosi scherzosamente sull’attenti. «Ed ora, si va!»
In men che non si dica, i due sparirono oltre la porta.





***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
- New Edit -
Aggiunto nuovo banner, la grafica del titolo è opera mia.
L’ispirazione per questa storia è giunta in seguito a svariate vicende, ma è stata la lettura di un racconto di Melitot Proud Eye che mi ha spinta maggiormente a dare forma a tutte le mie idee.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
***

[N.d.A.]
1. Jetsz: ora;
2. forza sei: grado della scala di Beaufort, che si basa sulla misura empirica dell’intensità del vento, basandosi a sua volta sullo stato del mare; corrisponde ad un vento abbastanza sostenuto (con velocità tra i 40 e 50 km/h) e ad onde alte fino a 4 m.
3. der Teufels Advokaten: l’avvocato del Diavolo (derivata dall’espressione latina Advocatus diaboli);
4. junker: antico membro dell’aristocrazia terriera tedesca;
5. haggin: tipico piatto scozzese a base di frattaglie di pecora;
6. Divertissement: punto della filosofia pascaliana, secondo il quale l’uomo cercherebbe il divertimento (nell’accezione di “deviazione”) per estraniarsi da sé;
7. Giancarlo Tornatore: come avrete avuto modo di notare, tutti i nomi sono presi dalla versione originale (giapponese); solo Andrew non è diventato Johnny, perchè mi sembrava meno scozzese. Per chi non lo sapesse, St. Andrew è il patrono della Scozia;
8. Desert Blaze... Wild Fang: rispettivamente, la squadra araba e quella africana (nell’adattamento italiano tradotte come Bagliore del Deserto e Zanna Selvaggia) nella serie Beyblade Metal Masters [al momento della pubblicazione di questa storia (Aprile 2011) la serie era ancora inedita in Italia, quindi ho conservato i nomi della versione originale-giapponese].
***

Quando ho iniziato tutto questo, non sapevo dove sarei arrivata. Così, poiché il progetto si è espanso a macchia d’olio, ho deciso di uniformare questa storia a tutte le altre che ne sono seguite.
I vecchi lettori, se ripasseranno da queste parti, troveranno un testo un po’ diverso, corretto e totalmente riscritto in alcuni punti, mentre i nuovi arrivati leggeranno direttamente la versione 2.0 (l’unica cosa rimasta uguale alla stesura precedente è la spaventosa lunghezza dei capitoli).
Halley S.C.

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Capitolo 2
*** Parte Prima - Atto Secondo ***


Stella del Sud - Atto II





Parte Prima - Atto Secondo



Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 5-8


A
sera inoltrata, quando finì il suo turno, Aida ebbe finalmente modo di parlare con Samir, il quale era rientrato puntualmente alle cinque e, dopo aver fatto diligentemente i compiti, si era sdraiato su uno dei divanetti appoggiati alla parete, impegnato a giocare una partita sul suo videogame, in attesa che i fratelli maggiori terminassero di lavorare.
«Passato un bel pomeriggio?» gli chiese la sorella, quando gli fu vicina.
«Puoi dirlo forte! Giancarlo mi ha insegnato un sacco di cose e mi ha raccontato che ha conosciuto di persona i Blade Breakers, i Neo Borg e tanti altri campioni super famosi!» esclamò il bambino, euforico, dimenticando per un attimo la console.
«Sarebbero i tizi dei poster appesi in camera tua?»
Samir annuì con un enorme sorriso stampato sul volto ed Aida corrugò la fronte, poiché aveva un’idea molto vaga degli strani personaggi ritrattati nelle foto che tappezzavano le pareti della camera del fratello. Al contrario, il bambino era una specie di enciclopedia vivente sull’argomento e conosceva vita, morte e miracoli di ognuno di loro.
«Sì! Ne ho anche uno dei Majestics. Lo sai che cinque anni fa, durante un campionato, furono sabotati dal Barthez Team? Però, l’anno successivo li hanno sconfitti!»
«E tu come fai a saperlo? Avevi solo tre anni!» fece la ragazza, un po’ sorpresa.
«Dada, su internet ci sono tutte le vecchie registrazioni degli incontri e mi piace troppo vederli! Quelli di oggi sono noiosi...» affermò il bambino, con tono esperto, «anche quelli degli Excalibur1».
Alla sorella, a quel punto, sfuggì un sorriso divertito: Samir adorava il beyblade a tal punto da conoscere alla perfezione anche i campioni del passato, esattamente come i cultori dei vecchi gruppi musicali che sanno a menadito tutti i testi delle loro canzoni.
«Mi fa piacere sapere che ti sei divertito» disse lei.
«Da matti! E Giancarlo ha promesso che giocherà di nuovo con me, prima di andare via!»
«Davvero?»
«Sì, sì!»
Aida corrugò appena la fronte, guardando il fratellino che le sorrideva radioso: non si era ancora fatta un’idea precisa sul giovane italiano, tuttavia non pensava che fosse malvagio, sicuramente un po’ eccentrico, ma non cattivo.
«D’accordo, però tu cerca di non essere insistente, non puoi importunare gli ospiti con i tuoi capricci!» gli ricordò.
«Ma era contento anche lui! Mi ha detto che non si divertiva così da tanto tempo» replicò l’altro, con naturalezza.
A quella risposta, la fanciulla strinse le spalle, arrendendosi di fronte all’evidenza dei fatti.
«Se va bene a lui, allora credo non ci siano problemi. Ora, però, metti via il gioco e va’ a lavarti le mani, perché appena arriverà Rami, andremo a cenare, d’accordo?»
«Evviva, si mangia!» esclamò il bambino, scattando su e correndo in direzione delle scale che portavano alle stanze del personale.
Nel seguirlo con lo sguardo, la ragazza scosse la testa, sorridendo, per poi dedicarsi a togliere i petali secchi caduti dai vasi di fiori ai lati del bancone del bar, tuttavia, non passò molto tempo che sopraggiunse il fratello maggiore, distrutto dalla stressante giornata.
«Ricordami di mettere in guardia gli ospiti contro i cammellieri: hanno davvero toccato il fondo! Se dovessi incrociare quel vecchio fennec2 di Alì, di sicuro gliene dirò quattro!» sospirò il giovane, lasciandosi cadere su una poltrona vicino alla sorella.
«Oh, non dirmi che è successo di nuovo!» esclamò lei, tra l’incredulo e lo sconcertato, lasciando cadere in terra tutti i petali che aveva raccolto.
«E invece sì!» replicò Rami, indicando la mensola dove erano poggiati tutti i liquori. Aida, che sapeva che, con quel gesto, le stava chiedendo due dita di sherry, si affrettò a raccogliere tutti i petali e, dopo averli buttati, prese la bottiglia.
«Indovina quanto hanno sborsato, oggi, i mariti di due turiste spagnole?»
La giovane versò il liquore ambrato in un bicchiere basso e spesso e glielo porse, per poi tornare indietro, con aria pensierosa, per richiudere la bottiglia con il tappo.
«Non ne ho idea, anche se, l’altra volta, mi pare abbiano chiesto cento dollari. Hanno forse preteso la stessa cifra?» azzardò.
«Sì, ma solo per salire sul dromedario, ai quali devi aggiungere altri centocinquanta per scendere».
«Duecentocinquanta dollari?!» esclamò la ragazza, sbattendo le palpebre, scioccata.
«Per ciascuna turista, cinquecento in totale» precisò Rami, sorseggiando il suo sherry e scuotendo la testa.
Aida fece una smorfia di assoluto disappunto: «Oh, be’, avranno davvero un bel ricordo del nostro paese!» commentò, ironica.
A quel punto, però, entrò correndo Samir, chiamando a gran voce il fratello maggiore e buttandosi tra le sue braccia.
«Rami, Rami!»
«Ciao, campione!» lo salutò quello con un ampio sorriso, arruffandogli affettuosamente i capelli. «Cosa hai fatto oggi di bello?»
«Oh, non ci crederai mai: Aida mi ha fatto conoscere un autentico fuoriclasse del beyblade!»
«Ah, sì?» domandò il giovane, guardando la sorella che, contrariata, stava ancora rimuginando sulle truffe macchinate dai cammellieri.
«Sì!» esclamò il bambino. «Abbiamo giocato tutto il pomeriggio e mi ha insegnato un sacco di tecniche fantastiche. Adesso sono certo che batterò tutti i miei amici!»
«Ah, ah, ah!» rise Rami. «Vedremo. Comunque, chi sarebbe questo ragazzo? È un nostro ospite, per caso?»
«Certo! È Giancarlo Tornatore, il grande blader italiano» rispose Samir, con entusiasta semplicità.
Nel sentire quel nome, il sorriso sulle labbra di Rami scomparve lentamente, man mano che gli riaffiorava alla mente il ricordo degli ospiti arrivati il giorno prima e della conversazione che aveva accidentalmente ascoltato, realizzando presto che il ragazzo di cui parlava Samir era lo stesso che aveva alluso alla volontà di divertirsi con le sue lavoranti. Adirato, il concierge prese subito il bimbo e lo posò delicatamente in piedi sul pavimento, quindi si alzò a sua volta, mentre Aida, allarmata da quel repentino cambiamento di umore, lo scrutava confusa.
«Samir, scendi in cucina e chiedi a Nadira di servirti la cena!» ordinò poi il ragazzo, asciutto, puntando sulla sorella uno sguardo truce. Quella, però, continuando a non capire cosa si nascondesse dietro ad un simile atteggiamento, cominciò a sentirsi inquieta, ma non osò comunque chiedere spiegazioni, giacché sapeva che Rami non avrebbe parlato, finché Samir non si fosse allontanato.
«Ma io vorrei mangiare con voi!» protestò il bimbo, incrociando le braccia con fare ostinato.
«Non insistere e fai come ti dico!» lo rimproverò, invece, energicamente l’altro, senza smettere di fissare la ragazza in modo ostile. «Io devo scambiare qualche parola con Aida».
«Non è giusto!» sbuffò il ragazzino, allontanandosi di malavoglia, e, non appena i due fratelli maggiori rimasero soli, scoppiò un putiferio.
«Si può sapere cosa ti è preso?!» domandò la giovane, scrutando Rami perplessa.
«Ah, hai anche il coraggio di chiederlo?» sbraitò lui. «Sapevo che hai sempre la testa tra le nuvole, ma non credevo fossi così irresponsabile da lasciare Samir nelle mani del primo idiota che passa!»
«Rami!» lo richiamò Aida. «Non urlare, potrebbero sentirci gli ospiti! E poi, si può sapere cosa avrei fatto di tanto tremendo?» aggiunse, indignata per le offese che aveva ricevuto.
«Ti sei fatta raggirare da un coglione, ecco cosa hai fatto!» continuò imperterrito lui, ignorando il suo rimprovero. «Non voglio più vedere te o Samir dare confidenza a quel pervertito!»
La ragazza aprì la bocca per replicare, ma dovette richiuderla, colpita dai pesanti insulti che erano stati pronunciati dal fratello.
«Perché ti stai rivolgendo a Giancarlo in questo modo? È stato molto gentile e…»
«Ah, lo chiami pure per nome!» incalzò Rami, ormai davvero infuriato.
Aida, a quel punto, socchiuse gli occhi, profondamente urtata dal suo atteggiamento irrispettoso, sia verso di lei, sia verso il ragazzo italiano.
«Certo, visto che ci siamo presentati! Io non sono una sciocca come credi: oggi pomeriggio li ho controllati spesso attraverso la vetrata, mentre erano in giardino e posso dirti che Giancarlo ha davvero giocato con Samir, permettendomi di lavorare, aiutandomi perfino con il mio prospetto architettonico. Non è successo altro!»
Rami, però, scoppiò in una risata arcigna.
«Tesoro, come sei ingenua... Non mi interessa quello che ha finto di fare, mi basta quello che ho visto e ho sentito personalmente! Possibile che tu riesca a capire che non gli interessa un accidente, né di te, né tanto meno di Samir? Quello lì ha un solo scopo: farti diventare la sua concubina africana!»
Dopo tali parole, la ragazza capì che qualsiasi argomentazione avesse usato, sarebbe stata inutile, poiché non aveva nulla da aggiungere a quanto già espresso; così, si lasciò cadere sul divanetto dietro di lei, mentre la sua mente si affollava di domande.
«Io non voglio venire meno alla promessa che ho fatto a nostro padre, pertanto tu e Samir starete lontano da quel playboy da strapazzo. Fine della storia».
Il giovane pronunciò quest’ultima frase con un tono estremamente basso e lento, ma che, nel complesso, risultò più inquietante e minacciosa che se l’avesse urlata a gran voce.
Aida, allora, sospirò, anche se non rispose, limitandosi a distogliere lo sguardo dal fratello, che, nel frattempo, la stava scrutando severo, poiché non trovava giusto essere stata rimproverata in quel modo. In realtà, sapeva che lui voleva soltanto il suo bene e che non le avrebbe mai mentito senza una ragione più che comprovata, tuttavia, restava il fatto che a lei quel ragazzo, anche se conosciuto da poco, aveva fatto un’impressione diversa da quella che gli aveva proposto Rami: c’era stato qualcosa che l’aveva spinta a fidarsi, pertanto continuava ad essere più che convinta che Giancarlo fosse stato sincero.
Ciononostante, ammise a se stessa che, per fugare ogni dubbio, l’unica cosa da fare fosse parlarne con il diretto interessato.
***

«Cosa hai combinato ieri, mentre noi eravamo fuori?» chiese Olivier all’amico, mentre scendevano le scale per arrivare nella hall prima che Ralf cominciasse l’appello e Claudia si facesse venire una crisi di nervi, sia per la mancata presenza del fidanzato che per la sospettosa assenza del cugino.
«Niente di particolare, ho solo giocato un po’ con un bambino, trovando, intanto, l’occasione per rispolverare il mio vecchio beyblade» rispose evasivo Gianni. «Mi ha fatto piacere, perché era da parecchio tempo che lo portavo in giro solo a cambiare aria, poiché, da quando gli Excalibur hanno preso il nostro posto, non c’è stata più occasione per un serio allenamento».
«E quell’aria trasognata deriva solo da un incontro di bey con un bambino?» chiese, allora, l’altro, accigliato, scrutandolo a fondo.
«Trasognata?» replicò Gianni, piuttosto vago.
«Oui, mon ami, è da ieri pomeriggio che sembri essere su un altro pianeta».
«Deve essere solo una tua impressione» tagliò corto il biondo, leggermente infastidito da tutte quelle insistenze, giacché, contrariamente a quello che pensavano in molti, non amava divulgare le faccende che lo riguardavano troppo da vicino.
Tuttavia, il caso volle che il parigino non dovesse comunque attendere molto per avere una risposta che soddisfacesse pienamente la sua curiosità, poiché stavano procedendo entrambi abbastanza spediti, quando il ragazzo si arrestò di colpo, senza preavviso.
«Ed ora, perché ti sei fermato?» chiese il compagno, sorpreso.
Si trovavano davanti alla doppia porta che separava i due saloni e, non ottenendo risposta, Olivier si accigliò, per poi voltarsi verso l’amico e notare che teneva lo sguardo fisso su qualcosa o, meglio, su qualcuno. Seguì quindi la traiettoria e scorse una ragazza piuttosto minuta ed esile con la pelle color nocciola e una treccia nera, intenta a servire ad alcuni clienti cappuccini e croissant, distribuendo cortesi sorrisi e muovendosi con grazia e precisione; ogni tanto, però, distoglieva la sua attenzione e gettava un’occhiata affettuosa ad un bambino seduto accanto all’altra barista, intento a consumare la colazione latte e cerali, tenendo il cucchiaio con una mano e la sua console con l’altra.
«Ecco svelato il mistero!» commentò Olivier, con un sorrisetto. «Dovevo immaginare che, oltre ad un petit enfant, ci fosse anche una ragazza! Di’ la verità: hai cercato di accattivarti la simpatia del bambino per entrare nelle grazie di sua sorella!» concluse, convinto di aver capito tutto e, di conseguenza, di aver smascherato l’amico.
Il biondo, allora, lo guardò, manifestandogli il suo disappunto con un’espressione talmente disgustata, che quello sgranò gli occhi per lo stupore.
Gianni non si era certo aspettato che i suoi amici, che lo avevano ormai etichettato come un indolente farfallone, comprendessero quanto si fosse sentito bene con se stesso, addirittura utile a qualcuno, mentre giocava con Samir; aveva perfino avuto la sensazione di trovarsi, come mai prima, nel posto giusto.
«In realtà, Samir ci sa davvero fare con il bey, ha un buon potenziale e poi Aida doveva lavorare, così mi sono offerto di darle una mano» precisò, seriamente irritato da quelle insinuazioni.
«Aida? Nome interessante, ma ciò non toglie che tu abbia fatto da baby-sitter» notò Olivier, incredulo. «E, conoscendoti, non credo tu l’abbia fatto senza un tornaconto».
«Se la pensi così, non credo tu mi conosca granché bene, sai?» si difese il biondo, stizzito per tanta malafede. Sapeva benissimo di non essere mai stato uno stinco di santo, ma ciò non voleva significare che ogni suo gesto avesse un doppio fine, soprattutto in quel caso.
«Excuse-moi, non volevo offenderti!» ribatté l’amico, cercando di mitigare il tono che aveva usato prima. «Però, se sai il suo nome, qualcosa vi sarete pur detti, o sbaglio?»
«A dire il vero, abbiamo parlato abbastanza a lungo» ammise l’altro, tornando a posare istintivamente lo sguardo su Aida.
«E, mentre parlavate, immagino tu abbia trovato parecchie cose di cui vantarti, per cercare di impressionarla» commentò, allora, Olivier, con una punta di malizia.
Gianni scosse appena la testa, dicendo semplicemente: «Sarebbe stato inutile, non credo che quella graziosa fanciulla si lasci impressionare tanto facilmente».
Durante il loro colloquio, infatti, aveva capito che, per fare una bella figura con lei, avrebbe dovuto evitare di menzionare proprio tutto ciò di cui si era sempre vantato per fare colpo su una ragazza; anzi, per la prima volta, si era sentito a disagio proprio perché desiderava fare una buona impressione, ma non aveva i mezzi per farlo.
Aida non era superficiale e lui era certo che sarebbe rimasta del tutto indifferente, se non addirittura contrariata, di fronte al suo millantare le sue ricchezze e la sua bella villa antica che, per altro, non possedeva per proprio merito, poiché le prime derivavano dal lavoro di suo padre e l’altra dall’eredità del bisnonno Antonio.
Per quel che riguardava, invece, le sue abilità di seduttore consumato, quelle rappresentavano decisamente l’ultima cosa che avrebbe voluto raccontarle di sé.
«Graziosa
«Cosa?» fece il biondo, trasecolato, ridestandosi dai suoi pensieri.
«Hai detto “quella graziosa fanciulla”» osservò Olivier, corrugando leggermente la fronte.
«Ma no, devi esserti sbagliato» fece Gianni, rendendosi conto di essersi lasciato scappare senza volerlo quell’aggettivo compromettente.
«Oh, no, no, ho sentito benissimo, invece! Ti concedo il dubbio che io non ti conosca perfettamente, ma so bene quali apprezzamenti rivolgi alle belle ragazze e, di certo, non sono così delicati» insistette il giovane. Poi, dopo qualche secondo di pausa, batté le mani, come se avesse avuto un’importante intuizione ed aggiunse, ridacchiando: «Mon Dieu, ora sì che ho capito cosa è successo! Mon ami, tu sei cotto, anzi, sei proprio lesso come une courgette
Nel sentire queste parole, le guance di Giancarlo assunsero il caldo colore di un bel pomodoro maturo.
«Ah, ah!» fece l’altro, continuando a ridere, nel vedere la sua reazione. «Cosa avresti intenzione di fare, ora? Dovresti recitarle la tua consueta sceneggiata, magari ne rimarrà colpita».
«Cosa?!» esclamò il ragazzo, inorridito alla sola idea. «Gran bel suggerimento: così perderei per sempre l’opportunità di parlarle!»
Olivier stava per aggiungere qualcosa, ma, prima che potesse anche solo aprir bocca, fu interrotto da una vocina sottile e allegra che irruppe all’improvviso: «Giancarlo!» chiamò.
Subito dopo, Samir corse incontro al giovane, il quale, vedendolo, dimenticò all’istante la discussione con l’amico e si abbassò affinché il bimbo potesse saltargli in braccio.
«Buongiorno, campione! Pronto per la nostra nuova sfida?»
«Certo, non vedo l’ora!» rispose il ragazzino, sorridendo. Poi notando la presenza dell’altro ragazzo, si voltò verso di lui e, dopo qualche secondo di stupore, esclamò, ammirato: «Non posso crederci, tu sei Olivier Boulanger!»
Di fronte a tanta partecipazione, il giovane non poté non sorridergli e rivolgergli qualche parola gentile: «Oui, mon petit ami. E tu, invece, come ti chiami?»
«Samir. Posso chiederti una cosa? Mi faresti l’autografo? Io ho visto tutti i vostri incontri passati, siete stati dei grandi!»
«Mais certainement!» gli rispose Olivier. «Per un fan tanto affezionato, credo che potremmo procurarci anche l’autografo di Jurgens e di McGregor, cosa ne dici?»
A tale proposta, le pupille del bimbo si dilatarono per l’emozione: «L’autografo dei Majestics al completo? Sarebbe fantastico!»
«Allora vedremo di fartelo avere prima di partire» decise il francese. Poi aggiunse: «Molto bene, Gianni, io vado dagli altri, credo che abbiano aspettato abbastanza, ma tu raggiungici pure quando preferisci. Au revoir, Samir» concluse, allontanandosi mentre ed esibendo l’ennesimo sorrisetto divertito della mattinata.
Nel vederlo andar via, il ragazzo sospirò, rassegnato: era certo che l’amico avrebbe riferito tutto al resto della comitiva e, ormai, nulla al mondo avrebbe avuto il potere di sottrarlo alle salaci battute di McGregor.

«Jamila, hai visto dov’è finito Samir?»
La ragazza che era con Aida gettò una fugace occhiata alla solitaria scodellina contenente ancora latte e cerali, notando solo in quel momento che il commensale e la sua console erano spariti, così, stava appunto per rispondere negativamente alla domanda che le era stata fatta dall’amica, quando vide spuntare il bambino e si accorse, soprattutto, che non era solo.
«Ah, però, sembra proprio messo bene!» commentò.
La giovane guardò Jamila con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Vorrai dire, chi! Comunque, mi riferivo al ragazzo incredibilmente carino che ti sta riportando tuo fratello» spiegò la ragazza. «Stanno chiacchierando vivacemente, sembrano in confidenza e, dalle occhiate che ti lancia, pare che conosca anche te. Sei sicura che non ti sei dimenticata di dirmi qualcosa?» chiese poi, sorridendole maliziosamente.
Aida, però, la ignorò, poiché, se non fosse stata più che certa di essere ancora viva, avrebbe potuto facilmente credere di essere andata in arresto cardiaco; infatti, si voltò al rallentatore sperando che, per una volta, due più due non facesse quattro... ma, come è noto, le leggi della matematica sono uguali per tutti.
«Buongiorno, Aida» la salutò dolcemente Gianni, quando fu abbastanza vicino.
«Ehm, sì, ciao» gli ripose distrattamente lei, guardandosi intorno e temendo che Rami potesse sbucare all’improvviso davanti a loro e vedere ciò che non avrebbe mai dovuto, mentre il giovane, percependo quell’apparente freddezza, convertì molto presto il sorriso in un’espressione delusa.
«Dada, lo sai che ho conosciuto Olivier Boulanger, il blader francese? Mi ha promesso l’autografo di tutti i Majestics. Ci pensi? Avrò l’autografo di un’intera squadra di campioni!» fece subito dopo il bambino, tenendo le braccia intorno al collo del biondo, per nulla infastidito da quell’infantile euforia.
La sorella, allora, smise di cercare con lo sguardo anche il più piccolo segno di Rami e guardò severa il fratello minore.
«Samir, ne abbiamo già parlato, non puoi importunare gli ospiti!» lo rimproverò.
«Glielo abbiamo proposto noi, non ti preoccupare» replicò, però, pacatamente Giancarlo, con tono rassicurante, sebbene fosse rimasto davvero male per l’atteggiamento di lei.
Aida rimase a fissarlo per qualche secondo, incerta su cosa dirgli, poiché non voleva dare l’impressione di volerlo cacciare via, ma, al tempo stesso, sapeva che era necessario che lui si allontanasse da lì il prima possibile, preferibilmente senza farsi vedere da suo fratello. Per scusarsi con il giovane e dargli le dovute spiegazioni, avrebbe certamente trovato un modo in seguito, tuttavia, la priorità, in quel momento, era evitare che succedesse qualcosa di tremendamente spiacevole.
Così, la fanciulla aprì appena la bocca per parlare, per poi accorgersi che la voce che tuonava in tutta la sala non era affatto la sua.
«Samir, scendi subito a terra!»
Maledicendo mentalmente quel dannoso tempismo, la giovane chiuse gli occhi, contò fino a tre e si voltò indietro, mostrando uno dei suoi migliori sorrisi.
«Buongiorno, Rami! Dormito bene?»
Il fratello, però, ignorò quella domanda e le si avvicinò con fare intimidatorio, sbraitandole contro: «Cosa stai combinando?! Mi ero raccomandato di…»
«… servire adeguatamente i clienti? Non vedi quanti ce ne sono?» fece Aida, con tono eloquente, indicando la sala piena di persone e, allo stesso tempo, cercando di evitare che qualcuno si rendesse conto di cosa stava accadendo.
Rami fece per rispondere, ma, invitato a guardarsi intorno dal gesto di lei, si bloccò, scrutando attentamente la stanza gremita. Poi, però, tornò a rivolgersi alla sorella e, infine, dardeggiò Gianni con uno sguardo truce.
«Metti giù mio fratello!» gli ordinò, sibilando come un cobra sul punto di azzannare il suo nemico.
Il biondo socchiuse gli occhi, incredulo, faticando a credere di avere avanti lo stesso concierge che li aveva cordialmente accolti il giorno prima, ma fece quanto gli era stato ordinato.
«Samir, lo scuolabus sta per passare, ti conviene sbrigarti se non vuoi perderlo!» continuò l’altro, sempre sussurrando, con la sua calma inquietante.
«Uffa, mi interrompi sempre sul più bello!» sbuffò il bambino, contrariato, raccattando con malagrazia lo zaino e uscendo dalla porta, non senza aver prima baciato la sorella e salutato con la manina il suo nuovo amico, ovviamente.
Quando il ragazzino ebbe varcato la soglia, anche l’ultimo residuo di calore sparì e l’atmosfera, che fino a quel momento era stata serena, diventò così tesa da poter essere tagliata con una lama.
«Tu!» intimò il ragazzo a Gianni, puntandogli contro un dito, minaccioso. «Devi venire con me, ed anche tu» aggiunse, rivolto alla sorella, «fatti sostituire da Jamila, perché dobbiamo fare una lunga chiacchierata».
Aida scosse la testa, furibonda all’idea di dover ascoltare la lavata di capo che le avrebbe fatto il fratello, perché sentiva di non aver fatto niente di male, ma, alla fine, chiamò comunque l’amica e le disse qualcosa, per poi tornare al cospetto di Rami.
A quel punto, lui l’agguantò per un polso senza troppi convenevoli e, con un cenno del capo, indicò a Gianni di seguirlo e il ragazzo non si sottrasse a quello che si preannunciava come un brutto quarto d’ora.

«Rami, lasciami, mi stai facendo male!» protestò Aida, cercando di sottrarre il proprio polso dalla presa d’acciaio che lo teneva, per poi massaggiarsi lentamente la parte martoriata, riservando al fratello uno sguardo ostile.
Lui, però, la scrutò inespressivo, chiudendo la porta della saletta in cui aveva condotti, lontano da occhi e orecchie indiscreti e, quando ebbe fatto, riversò su Gianni un’occhiata carica di disprezzo.
«Aida, mi hai disubbidito: ti avevo detto di stare lontana da quest’essere e, soprattutto, di badare che Samir facesse altrettanto!» si infiammò Rami, diretto contro la giovane. «E tu, sciupa femmine da quattro soldi, non devi azzardarti nemmeno a guardare mia sorella! Se vuoi divertirti, Alessandria può offrirti alcove e postriboli adatti ad uno come te» disse, rivolto al biondo, con tono disgustato.
Gianni serrò la mascella: almeno quella volta, tali parole così offensive non erano meritate.
«Davvero credi che io consideri tua sorella come un potenziale divertimento?» chiese poi, inclinando la testa da una parte e socchiudendo appena gli occhi.
Rami sorrise beffardo e gli rispose: «C’è forse da chiederlo? Direi che è chiaro come il sole».
«Ah, sì? Sentiamo allora, da che cosa lo avresti dedotto?» domandò il giovane, spavaldo e deciso a non dargliela vinta, soprattutto davanti ad Aida.
L’altro, allora, rafforzò ancor di più il sorriso, ormai divenuto un vero e proprio ghigno mefistofelico.
«Dai disgustosi discorsi che hai fatto appena arrivato qui» fece, sicuro delle prove in suo possesso. «Ti ho visto e sentito mentre pensavi a quale fosse il metodo migliore per abbordare le nostre lavoranti!»
Fu allora che il ricordo delle prime ore passate in Egitto si fece prepotentemente spazio nella mente di Gianni, facendogli capire che, al contrario di ciò che aveva pensato, al momento dell’esposizione del suo piano, rivelatosi successivamente quanto mai fallimentare, nella hall non c’erano solo lui, sua cugina ed il suo amico.
“Dannazione!” si ritrovò a pensare, mentre le punte delle orecchie prendevano fuoco. “Sono stato uno maledettissimo e superficialissimo cretino”.
«Rami, finiscila!» esclamò all’improvviso Aida. «Ti stai rendendo ridicolo, piantala con questa scenata!» lo rimproverò, mostrandosi molto decisa.
«Aspetta, sorellina cara... Il meglio deve ancora venire, non ho finito, sai? Tornatore, perché non racconti ad Aida delle piacevoli conoscenze che hai fatto in sala massaggi? Devo mandarle a chiamare, o te le ricordi da solo? Però, credo di doverti rendere merito, casanova da strapazzo, che oltre alle parole, passi anche ai fatti. O avresti anche il coraggio di negarlo?»
In quel momento, Gianni avrebbe davvero voluto discolparsi e dire alla ragazza che quella era tutta un’orribile menzogna messa in scena a suo danno, ma sapeva che sarebbe stata una bugia e mentire non rientrava affatto nei suoi progetti per provare a cambiare in meglio. Perciò, non gli restava che un’unica scelta: dire la verità, anche se questo avrebbe pregiudicato per sempre la considerazione che Aida aveva di lui.
Così, dopo quelli che gli sembrarono interminabili secondi di dolorosa agonia, scandì, con voce chiara: «No, non lo nego».
A quel punto, ottenuta la confessione che desiderava, Rami ghignò di cinica soddisfazione.
«Ah-ha!» esultò, trionfante, riafferrando la sorella e mettendogliela davanti. «Ne ero certo. Ammettilo che non vedi l’ora di metterle le mani addosso! Non è forse vero che stai sbavando al solo pensiero di poter assaggiare le ragazze d’Africa, depravato che non sei altro?»
Quello che, però, desiderò ardentemente Gianni, in quel preciso istante, fu sprofondare nelle viscere della Terra e rimanervi per un bel po’, ma il pavimento dimostrò scarsa collaborazione e rimase bello integro e liscio. Così, il ragazzo abbassò lo sguardo, non osando guardare la fanciulla negli occhi, giacché temeva che lei gli avrebbe rivolto solo un’occhiata disgustata.
In quel momento si rese conto di aver fatto la conoscenza della signora Vergogna e della signora Umiliazione, trovandole brutte e ripugnanti. Non come la bella signora Solitudine di cui cantava Morandi!
Invece Aida, dal canto suo, aveva cominciato a fissare il soffitto e, dipinta sul volto, aveva una smorfia che tradiva un’enorme irritazione.
«Rami, basta. Hai capito? Basta!» sbottò, infine, mostrando dignità ed intelligenza, per nulla intenzionata a prendere parte ai teatrini inscenati dal fratello. «Giancarlo ha fatto compagnia a Samir e lo ha trattato come il bambino di otto anni che è. Per quanto mi riguarda, ha solamente dato un giudizio sul mio prospetto, aiutandomi a correggerlo. Se poi vuole divertirsi, è libero di farlo, non devi essere tu a decidere, e se quelle due che hai assunto ci stanno, problemi loro. Punto. Ora, scusatemi, ma ho molto lavoro da sbrigare».
Poi, si liberò dalla sua morsa con uno strattone ed uscì rapidamente dalla sala, senza rivolgere a Gianni nemmeno l’ombra di un’occhiata e ciò fece parecchio male al ragazzo, che non sapeva davvero quale fosse il male minore tra il disgusto e l’indifferenza di lei.
Tale comportamento, però, indispettì all’inverosimile Rami che, ormai, fumava dalla rabbia, ritenendo che sua sorella avrebbe dovuto essere più incisiva. A quel punto, si voltò verso il biondo e gli sibilò a denti stretti: «Ringrazia che domani te ne andrai, altrimenti non te l’avrei fatta passare liscia!»
Dopo quell’ennesimo insulto, Gianni fissò a lungo il concierge, passando velocemente in rassegna i modi più crudeli con cui fargliela pagare: tanto per cominciare, avrebbe potuto minacciare di sguinzagliargli contro metà degli avvocati più esperti di Roma, querelandolo per calunnia e poi trascinandolo in tribunale. Tuttavia, dopo un’analisi più attenta della sua situazione, decise di non farlo, poiché quella sarebbe stata la tipica mossa di uno stupido ragazzino viziato che vuole averla vinta a tutti i costi, pur sapendo di non essere esattamente dalla parte della ragione, come lui non voleva più essere. Pertanto, alla fine, decise di resistere alla tentazione di fare fuoco e fiamme, nonostante il suo orgoglio fosse stato seriamente ferito e, per natura, avesse un carattere piuttosto vendicativo.
«Buona giornata, signor al-Nassar» si congedò subito dopo, dandogli le spalle e uscendo dalla stanza, lasciandolo a schiumare di rabbia in solitudine.

La nuova vita di Giancarlo Tornatore era iniziata e presto avrebbe dimostrato quanto la sua volontà potesse essere forte. L’unica cosa di sui si rammaricava era l’aver procurato, anche se indirettamente, una sofferenza inutile ad Aida. Nel corso della lite, infatti, sia lui che Rami avevano parlato di lei in terza persona nonostante fosse lì presente, come se stessero discutendo di un oggetto. La ragazza se ne era accorta e la sua espressione che aveva sul volto quando era uscita aveva lasciato inendere che, certamente, non le aveva fatto piacere.
Allora, il giovane sentì l’impellente bisogno di tirarsi uno schiaffo sul volto, cosicché il dolore fisico potesse distrarlo da quello morale, molto più profondo e nauseante: la pelle chiara si chiazzò immediatamente di rosso, ma non fu certo quella a provocargli il violento bruciore che sentiva all’altezza del petto.
Di sicuro, se suo padre fosse stato al corrente di tutto, lo avrebbe guardato con aria di sufficienza, per nulla sorpreso, poiché era avvezzo ai fallimenti del figlio, tanto che ormai non si sprecava nemmeno ad essere originale nei rimproveri e Gianni sentì quasi la voce profonda e beffarda di Marcello cantilenargli il solito e odiato proverbio.
Chi è causa del suo male, pianga se stesso”.
Il ragazzo fece una smorfia, pensando come, in certe occasioni, la saggezza popolare potesse rasentare il puro sadismo.
***

Sei paia d’occhi, disposti intorno ad un tavolo, lo guardarono divertiti, mentre lui, piuttosto imbarazzato, evitava quelli sguardi insistenti con fare scocciato.
«Cosa avete da guardare?» chiese, irritato.
«Niente di particolare, è che stentiamo ancora a prendere per vero quello che ci ha raccontato Olivier» rispose per tutti Claudia, mettendo a posto la carta dei vini, giacché aveva appena finito di prendere accordi con il maître e il sommelier circa le bottiglie da abbinare alle portate che avevano ordinato. Poi, sollevò lo sguardo sul cugino e gli riservò un’occhiata talmente sinistra che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Tuttavia, Gianni la conosceva bene ed era così furibondo per l’indelicatezza che gli aveva riservato il suo amico, che non si scompose minimamente: Radio Vive la France aveva adempiuto al suo dovere ed ora lui doveva pagarne le conseguenze.
«Grazie tante, mon ami» fece, lanciando un’occhiata piuttosto velenosa ad Olivier.
Quello, però, strinse le spalle e scosse la testa, come a voler sminuire la gravità della cosa, nonostante Gianni non fosse dello stesso parere, poiché non trovava affatto corretto che l’intera comitiva fosse stata messa a conoscenza degli intrecci che correvano tra lui, Aida e il severo fratello di lei. Inoltre, era consapevole anche che ciò che non avevano potuto sapere per vie dirette, lo avevano aggiunto lavorando di fantasia, come si fa di solito quando si creano i migliori pettegolezzi e l’aver atteso che fossero tutti riuniti nel famoso e prestigioso Pointe Bleu aveva garantito ad ognuno l’opportunità di dire la sua in merito, standosene comodamente seduto davanti a leccornie di ogni tipo e approfittando della lussuosa ospitalità di cui stavano godendo in quel momento. Infatti, lo chef che gestiva il ristorante, tale Jacques Dupont, era un amico di vecchia data del blader francese ed era stato sufficiente sussurrare il nome Boulanger, che la lista d’attesa, fitta di prenotazioni fino all’autunno successivo, si era miracolosamente ridotta.
Fra tutti, Andrew, alla luce delle nuove rivelazioni, aveva assunto una perenne aria di scherno che non accennava a voler abbandonare.
«Ah, ah, that’s so incredible, avrei pagato per poter assistere a quello spettacolo in prima persona!» sghignazzò, rumorosamente.
«Io, invece, trovo che sia eine gute Sache» affermò Ralf, con la sua solita calma, prendendo in mano il suo calice. «Sarà un buona occasione per temprare la tua indole così… passionale».
Nel sentire le sue parole, Christine e Mary Anne ridacchiarono, ma, almeno, ebbero il buon cuore di farlo con discrezione.
«Da quando in qua fai dello spirito, Herr-se-cade-il-mondo-io-mi-sposto-Jurgens?» si risentì il giovane, scrutando il suo amico con severità.
«A dire il vero, non stavo facendo dello spirito» rispose pronto quello.
«Be’, era ora che qualcuno mettesse un freno a questo tuo continuo importunare giovani e affascinanti fanciulle!» sin intromise nuovamente Andrew, sempre ridendo di gusto.
«Se non vado errato, non sono io quello che stava per essere denunciato per stalking, o sbaglio, Andrew?» notò, allora, Gianni, piccato.
A quella risposta, lo scozzese si ricompose, giacché non aveva dimenticato le prime conseguenze della sua corte spietata a Mary Anne, aggiustandosi il colletto e bofonchiando: «Io, almeno, ho riportato qualche risultato».
«Suvvia! Io propongo di non dare giudizi e di stare a vedere come si evolveranno le cose, piuttosto. D’altra parte, Aegyptus captus ferum vicitorem cepit3» si intromise Olivier, provocando la comparsa di una ruga sottile sulla fronte di Claudia che, nonostante non avesse aperto bocca per tutto il tempo, con la sua espressione oltraggiata aveva lasciato trapelare perfettamente quanto fosse urtata da quella conversazione.
A quel punto, Gianni li guardò uno per uno con un’espressione indecifrabile.
«Avanti, forza! Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa? Sono in vena di sentire altri consigli, stasera» chiese, infine, con marcato sarcasmo.
«Spero che questo tuo diversivo duri il meno possibile» parlò finalmente Claudia, con estrema freddezza. «Altrimenti, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che ci sia sotto qualcosa di serio, non trovi?»
I due cugini si scambiarono un’occhiata gelida e, dopo qualche istante, il giovane afferrò il tovagliolo, poggiato accanto al suo braccio, e lo scagliò verso il centro del tavolo.
«Adesso basta, mi avete seccato! Trovatevi un altro diversivo per passare la serata!» esclamò, per poi alzarsi e dirigersi verso l’ingresso, evitando con destrezza tutto lo sciame del personale di sala impegnato nel servizio, sparendo all’interno della fila di persone che sostavano all’ingresso in attesa che si liberasse un tavolo.

“Questa è una faccenda che riguarda solo me!” si ritrovò a pensare Gianni, furibondo per come era stato trattato dai suoi compagni, mentre usciva sul trafficatissimo lungomare sfavillante di luci nella fresca notte alessandrina.
Poi, all’improvviso, si fermò, con la testa china e le mani piantate sui fianchi, incerto sul da farsi, cercando di riappropriarsi del proprio autocontrollo: la partenza da Alessandria era stata fissata per il giorno dopo e aveva già perso abbastanza tempo, pertanto, se voleva davvero parlare con Aida, doveva agire in fretta e scrollarsi di dosso la sua indolenza.
Pian piano, la rabbia sbollì ed il giovane ritrovò un certo grado di lucidità, tanto che ebbe la giusta ispirazione e capì, finalmente, che avrebbe fatto tutto il possibile per parlare con lei, con o senza l’approvazione di suo fratello.
L’abbondanza di taxi che passavanolungo la strada in entrambi i sensi di marcia, invece, gli suggerì come avrebbe fatto a tornare indietro, quindi, senza stare troppo a pensarci, si avvicinò al bordo del marciapiede e, poggiando appena due dita sulle labbra, fischiò per richiamarne uno.

In meno di un’ora, fu di ritorno in albergo e, una volta entrato nella hall, stranamente deserta, scorse il solito grande specchio, pronto per fargli nuovamente compagnia e offrirgli l’occasione per un nuovo confronto con il giudice che temeva più di tutti: se stesso.
Subito si avvicinò all’enorme lastra di vetro e scoccò un’occhiata commiserevole alla sua immagine, poiché, costretto in quei vestiti, sentiva di assomigliare ad un pezzo di gesso e faticava persino a respirare.
Qualche secondo dopo, però, quasi incoscientemente si portò una mano al collo e cominciò ad allentare il nodo della cravatta, prima piano, poi con sempre più forza, finché non se la sfilò del tutto; a quel punto, si aprì i primi due bottoni della camicia bianca e quelli dei polsini, rendendosi conto che, così, andava decisamente meglio, inspirando a fondo e godendosi l’aria fresca che gli entrava nei polmoni.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non lo soddisfaceva, quindi si passò più volte una mano tra i capelli, facendo assumere loro all’istante la solita piega ribelle. Allora, arrotolò la cravatta e se la mise in tasca, riprendo poi a guardarsi e accorgendosi che il suo riflesso lo stava invitando ad un nuovo confronto.
“Chi non muore, si rivede. Non vuoi più mettermi a tacere, adesso?”
«Se proprio vuoi saperlo, sono stato uno stupido a farlo e me ne pento».
“Be’, meglio tardi che mai! Comunque, cosa aspetti ad andarla a cercare?”
«E se non volesse ascoltarmi?»
“Ne avrebbe tutte le ragioni, ma devi tentare, non puoi arrenderti alle prime difficoltà!”
«Più che difficile, lo trovo doloroso. Non potrei sopportare il suo disprezzo».
“Ah, be’, se vuoi startene lì a leccarti le ferite senza fare alcun che e aspettando la compassione di qualcuno, accomodati pure. D’altronde, ultimamente non hai fatto altro che rinunciare. Per inciso, con ultimamente intendo gli ultimi diciassette anni”.
«Rinunciare a lei? Mai, è troppo… importante, mi sta facendo capire tante cose».
“Allora cosa stai aspettando? Non hai tutta la notte a disposizione!”
«Sì, ma gli altri… suo fratello...»
“Gli altri non c’entrano, sono tutte scuse. Non trovi che sia arrivata l’ora di decidere in autonomia?”
«Già, penso proprio di sì. In fondo, sono io che devo decidere cosa fare della mia vita».
“Ottima risposta! Tuo nonno ne sarebbe fiero”.
Giancarlo, a quel punto, vide il suo riflesso che gli sorrideva compiaciuto. Più rinfrancato nello spirito rispetto a quando era arrivato, avvertì crescere in lui una sicurezza del tutto diversa dalla consueta spavalderia, poiché, questa volta, sapeva davvero cosa voleva: trovare Aida e chiarirsi con lei.
Già, ma dov’era la ragazza?
Proprio in quel momento, come se il fato volesse premiare i suoi sforzi e dargli una mano, di punto in bianco udì un indistinto chiacchiericcio proveniente dalle sale situate oltre l’atrio in cui si trovava in quel momento. Così, tese l’orecchio e si mise in ascolto con maggiore attenzione, distinguendo due voci diverse, delle quali una era quella che gli interessava: la sua.

Oltre l’ampia vetrata che chiudeva la sala da un lato, si vedevano chiaramente ad intervalli irregolari alcune deboli lucine che si perdevano nel blu della notte, segno che le lampare dei pescatori erano uscite in mare aperto, come accadeva ogni giorno al calar della sera.
La saletta, con vista sul golfo di Alessandria, era stata quasi interamente riordinata: mancavano solo i cuscini dei divanetti e poi, finalmente, Aida e Jamila avrebbero potuto concludere la loro giornata lavorativa, mentre, poco distante, Samir già sonnecchiava placidamente su uno dei divani neri dell’angolo bar.
«Ah, che stanchezza, certi giorni c’è davvero troppo da fare!» commentò Jamila, sbadigliando, mentre si stiracchiava.
«Eh» sospirò Aida, assente, sprimacciando, con un gesto automatico, lo stesso cuscino da almeno mezz’ora.
«Dovremmo proprio uscire ed andare a divertirci!» continuò l’altra.
«Sì».
«Mi hanno detto che hanno aperto un nuovo locale, poco lontano da qui» le propose l’amica, con energia. «Per una volta che non c’è Rami a sindacare sull’orario del coprifuoco, potremmo rientrare con più calma».
Era più alta di Aida di parecchi centimetri, aveva i capelli più corti, le forme decisamente più abbondanti e, certamente, anche qualche annetto in più.
«Potremmo...» mormorò, in risposta.
Jamila, allora, fissò la sua futura cognata e alzò un sopracciglio, buttando sul divano l’ultimo cuscino e incrociando le braccia sul petto.
«Aida?»
«Sì?»
«Tu non mi stai ascoltando».
«Come no?» protestò la ragazza, senza la benché minima enfasi. «Ho sentito tutto quello che hai detto».
Tuttavia, Jamila la guardò, ironica: «Sì, certo. Perché non ammetti, piuttosto, che non hai ascoltato una parola, perché stai pensando ancora a quel ragazzo?»
A tale affermazione, la fanciulla trasalì.
«Cosa? No, è che…»
«Guarda che non c’è niente di male! Per essere carino, è carino e, per quanto riguarda la storia delle vipere del Sahara, credo tu sappia come la penso: strusciarsi e avvinghiarsi ai bei ragazzi è la loro specialità. Anzi, mi meraviglio che Rami non abbia ancora preso provvedimenti. Altro che massaggio shiatzu e fesserie varie, se mai mi capiteranno sotto mano, saranno loro ad avere bisogno di un bel trattamento, riabilitativo, però!»
«Non so davvero che cosa pensare, Jamila» replicò stancamente Aida, sedendosi su un pouf color tamarindo, accanto ad uno dei tavolinetti bassi. «Quando abbiamo parlato, è stato così gentile, non mi è sembrato che volesse...» iniziò, ma senza concludere la frase.
«Cercare una scusa per portarti a letto?» completò l’altra, con estrema disinvoltura.
Allora, la fanciulla, leggermente imbarazzata, prese a lisciarsi, assorta, la lunga treccia nera, ma, alla fine, si limitò a sospirare: «Già. Però non riesco proprio a credere che stesse fingendo».
«A quanto pare, Samir lo adora e sai che il tuo fratellino è fin troppo intelligente per farsi raggirare» notò l’amica, prendendo posto sull’altro pouf, disposto davanti a lei.
«Questo è vero. Eppure, Rami mi è parso così furioso…»
«Io ho visto come ti guardava quel biondino stamattina, Dada. Come se fossi chissà quale miracolo» concluse Jamila, sognante.
Tale osservazione ebbe il potere di strappare un sorriso ad Aida, che replicò: «Sai, dovresti smetterla di leggerti tutti quei romanzi, la vita non è così semplice».
«Be’, non esistono solo i saggi barbosi di architettura e archeologia che leggi tu. Saranno pure storie inventate, ma le cose accadono comunque, prima o poi» sostenne, invece, l’altra, convinta. «Sai bene che, quando ho deciso di stare con Rami, non è stato tutto rose e fiori, ma, nonostante tutto, sono ancora qui».
Aida spostò lo sguardo verso la veduta sul golfo: suo fratello e la sua ragazza ne avevano passate davvero tante prima di poter stare insieme. Molte non si erano nemmeno risolte come speravano e gli stralci della complicata situazione sortivano ancora numerosi effetti sulla vita di Jamila: da quanto tempo non vedeva i suoi? Due anni? O, forse, erano tre? Non lo ricordava di preciso.
«E cosa dovrei fare, secondo te?» le chiese, allora, sinceramente interessata al suo parere.
«Dargli una piccola possibilità, parlare con lui ed esigere che ti dica la verità. Solo così potrai decidere che cosa fare» sentenziò quella con decisione.
Aida scosse appena la testa, poiché dubitava seriamente che quella possibilità potesse avverarsi realmente, soprattutto dopo il grottesco teatrino a cui aveva dato vita suo fratello quella stessa mattina.
«Le offese di Rami sono state pesanti, non penso che lui voglia perdere ancora tempo con me» osservò, ben decisa a rimanere coi piedi per terra e a non lasciarsi contagiare dall’entusiasmo dell’amica.
«Ne sei proprio sicura? Io penso, invece, che lui a te tenga davvero tanto».
«Come puoi dirlo?»
«Guarda tu stessa!» rispose Jamila, indicando con un cenno del capo qualcuno davanti a sé.
Aida la scrutò aggrottando la fronte, poi, all’improvviso, capì, voltandosi lentamente verso la direzione che le era stata indicata e, finalmente, lo vide anche lei: il ragazzo era lì, in piedi all’ingresso della sala, con le mani in tasca. La stava osservando con la testa leggermente inclinata da un lato e un’espressione dolcemente malinconica sul volto, ma non sembrava troppo abbattuto, né tanto meno arrabbiato, e ciò le fece sperare che, nonostante il putiferio che aveva scatenato Rami, non provasse risentimento verso di lei.
«Giancarlo!» esclamò, alzandosi di scatto, incapace di trattenere la sorpresa.
Lui incurvò appena le labbra e la salutò con un elegante inchino del capo: «Ciao, Aida».
Jamila, allora, decise di sfruttare la situazione per studiarlo meglio, rimanendo soddisfatta di quello che vide; quindi, si girò verso l’amica per dirle qualcosa, ma non ci riuscì, trovandola molto presa dal nuovo visitatore. Subito, spostò lo sguardo su di lui, vedendo la stessa espressione, e capì istintivamente che quei due si trovavano in un momento di reciproca, mistica contemplazione.
«Allora, Dada, non mi presenti?» si intromise, lanciando all’altra uno sguardo eloquente.
«Ah, sì certo» farfugliò Aida, sbattendo le palpebre e ritornando bruscamente alla realtà. «Giancarlo, ti presento Jamila, una mia cara amica. Jamila, questo è Giancarlo Tornatore, membro italiano della squadra europea e campione di beyblade».
«Più che altro, ex-praticante» la corresse il giovane. «Ormai è solo una vecchia passione, i veri campioni sono altri».
«A sentire Samir non sembrerebbe... comunque, piacere!» fece Jamila, sorridente, stringendogli la mano. «Tu devi essere la vittima contro cui Rami ha continuato a borbottare fino al pomeriggio, ma non preoccuparti... abbaia, ma non morde».
«Su questo avrei i miei dubbi» si lasciò scappare lui, soprappensiero, dopo aver appreso quanto fosse forte l’astio che il concierge covasse nei suoi confronti.
«Ah, ah, come sei simpatico! Lo so, il mio fidanzato non ha un carattere semplice, ma, in fondo, è buono» commentò allegra la ragazza. «Be’, lieta di averti conosciuto, comunque! Sarà il caso che recuperi la mia borsa e vada, adesso, stavo proprio dicendo ad Aida che sono stanca morta».
La fanciulla guardò l’amica stranita, dato che, in realtà, aveva appena finito di dire l’esatto contrario, esprimendo il desiderio di andare per locali e dopo aver preso la sua pochette, Jamila si avvicinò a lei quel tanto che bastava per essere sicura che fosse l’unica a sentire quello che le avrebbe sussurrato.
«Visto da vicino, è ancora più carino e stasera, tra la giacca nera e la camicia bianca, è assolutamente da capogiro. Su, bella, datti da fare!»
A tali parole, la fanciulla, che ancora non si era del tutto ripresa da quella visita inattesa, spalancò gli occhi e boccheggiò a vuoto, imbarazzata: «C-Cosa dici, Jamila!» balbettò.
«Perché, scusa? Preferisci forse quella mummia stantia di Mohammed?»
«Certo che no, cosa vai a pensare!»
«Allora rifatti un po’ gli occhietti e comportati da persona intelligente. Almeno senti cosa ha da dirti».
Aida fece per replicare, ma non lo fece, soffermandosi a pensare su quanto aveva appena udito, poiché sapeva che Jamila aveva ragione: l’espressione grave di Giancarlo, infatti, lasciava intendere che doveva dirle qualcosa di molto serio e, dal canto suo, era piuttosto curiosa di sapere di cosa si trattasse.
«E non preoccuparti di Rami: con lui me la vedo io» terminò, intanto, l’altra, strizzandole l’occhio. Poi, improvvisamente, alzò il tono di voce. «A Samir ci pensi tu, vero? Bene, bene, buona serata, cari!»
Quindi, fece un ultimo cenno di saluto all’amica e al giovane e si allontanò, affinché i due avessero, finalmente, l’occasione di restare soli.

A quel punto, Giancarlo, tenendo ancora una mano in tasca e lisciandosi il mento con l’altra, aveva assunto un’aria meditabonda, nel tentativo di trovare le parole più adatte per iniziare il suo discorso.
«Delusa?» chiese, osservandola attentamente.
Aida, sorridendo leggermente, negò, poi si diresse verso Samir e si sedette vicino a lui, cominciando ad accarezzarlo dolcemente sulla testa.
«Non proprio, direi più sorpresa, perché non pensavo che fossi il tipo che cade vittima dei giochetti di quelle approfittatrici».
Gianni si prese due secondi per riflettere su quanto lei gli aveva appena rivelato, poi domandò: «Mi stai forse dicendo che era tutto programmato
«Più o meno, sì» rispose lei, sollevando lo sguardo verso di lui. «Lavoro a stretto contatto con quelle due da circa un anno e mezzo, perciò ormai so come si comportano ed è sempre la medesima storia».
A quel punto, il giovane increspò le labbra, trattenendosi a stento dallo schiaffeggiarsi da solo per la seconda volta nell’arco della giornata.
«Allora, concorderai con me su quanto sono stato idiota».
«Non più di tanti altri, in realtà» considerò lei, alzando le spalle e sorridendogli divertita. «Dai, non stare lì, vieni, accomodati pure» lo esortò poi, invitandolo a sedersi accanto a lei. Lui, però, prima di accettare, si gettò una rapida occhiata alle spalle, guardingo.
«Non preoccuparti, Rami non c’è. È andato a sbrigare alcuni affari a Il Cairo e non sarà qui prima di domani mattina» lo informò lei.
«In questo caso, non credo di correre rischi» commentò il biondo, prendendo posto ad un’adeguata distanza dalla giovane.
«Prima di andarsene, però, ha ordinato a Jamila di accertarsi che ti stessimo lontano...»
A queste parole, Gianni si irrigidì, temendo per un attimo che la fanciulla aggiungesse che condivideva quel punto di vista; tuttavia, le parole che seguirono furono abbastanza rassicuranti.
«... ma, come hai visto, lei si fida di te, quindi non ci sono problemi» finì, infatti, la ragazza e, poco dopo, sui due calò un silenzio piuttosto imbarazzante.
«Io…» cominciarono entrambi dopo qualche secondo, bloccandosi subito dopo, ma i sorrisi che comparvero sui loro volti li aiutarono a far diminuire la tensione.
«Vuoi iniziare prima tu?» chiese educatamente la fanciulla.
«Non so, io avrei molte cose da dirti e potrei impiegare diverso tempo, perché non sono mai stato bravo nella sintesi» replicò lui, piuttosto imbarazzato, torturandosi nervosamente le ciocche di capelli che gli ricadevano sulla nuca.
«Va bene, allora. Comincerò io» fece la ragazza, accennando un sorriso. «Ecco, quello che volevo dirti è soltanto che mi dispiace per oggi. D’altra parte, però, mi piacerebbe che anche tu provassi a capire Rami: da quando nostro padre è in carcere, sente su di sé tutte le responsabilità della famiglia».
Per stare più comodo, Gianni si sistemò meglio sul divano, ascoltando attentamente Aida, incantato dal suo modo di parlare e raccontare.
«Nostra madre se ne è andata di casa due mesi dopo la nascita di Samir e, nel giro di qualche settimana, a causa di un malinteso, nostro padre è stato arrestato. Rami, all’epoca, aveva solo diciotto anni ed era poco più di un ragazzino, così, Maria e Franco, i due vicini di cui ti ho parlato, ci hanno accolto tutti e tre in casa loro, crescendoci come se fossimo stati loro nipoti» continuò a raccontare la ragazza, riprendendo ad accarezzare il fratellino.
«Crescere senza genitori non deve essere stato facile, per nessuno di voi» osservò il biondo, sorpreso da una tale rivelazione.
«No, per niente. Sai, i miei sono due giornalisti» spiegò lei. «Papà si è incaponito a portare avanti inchieste scomode, voleva il grande servizio della sua vita, ma si è messo nei guai e, adesso, è nel carcere di Addis Abbeba».
«Ma... non è la capitale etiope?» domandò il suo interlocutore, perplesso, aggrottando la fronte.
«Sì, mio padre è egiziano, ma mia madre era… è etiope. Ti ho già detto che da piccoli abbiamo vissuto ad Harar».
«Ah, già, è vero. E dov’è, adesso?» chiese, allora, Gianni, che cominciava ad avere un quadro molto più chiaro dell’intera faccenda, e iniziava a capire meglio perché il modo di fare di Aida fosse così europeizzato e perché la pelle della giovane fosse di qualche nota più scura, rispetto alla tonalità propria del popolo egiziano.
A quel punto, la ragazza smise di accarezzare Samir e, lasciando trapelare un grande risentimento, alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi blu di lui.
«Mia madre? In California con il suo nuovo marito, un ricco industriale statunitense. Ce l’ha fatta, sai? È diventata una giornalista affermata, riuscendo a realizzare la sua massima aspirazione, perché prima, per lei, noi figli eravamo soltanto un peso, un ostacolo alla sua carriera. Si è ricordata di noi solo due anni fa, chiedendoci se, per caso, avevamo voglia di trasferirci da lei. E noi, per caso, le abbiamo risposto che stiamo bene qui».
Man mano che parlava, Aida aveva assunto un’espressione dura e arrabbiata, ma anche sofferente.
Il ragazzo, a quel punto, rimase in silenzio, ritenendo che non ci fosse nulla da aggiungere, visto che, in una situazione del genere, qualunque cosa sarebbe suonata inopportuna. Tuttavia, alla luce di quanto udito, il mosaico, finalmente, era quasi terminato e anche la reazione di Rami stava acquistando un significato più comprensibile.
«Quindi» riprese Aida, «è per questo che ti chiedo di scusare mio fratello. È molto protettivo nei nostri confronti, anche se non avrebbe dovuto comunque autorizzarlo a dirti tutte quelle cose».
«No, non ti scusare, Rami fa bene ad andarci cauto» mormorò il giovane, pensieroso. «Ha reagito in maniera legittima».
«Avrebbe potuto farlo in maniera meno aggressiva, però» ribatté con convinzione la fanciulla. «Ti ha trattato come se fossi l’essere più spregevole della Terra!»
«Non si è poi sbagliato di molto» considerò il biondo, chinando il capo, mentre Aida assumeva un’espressione accigliata.
“Devo essere sincero, almeno con lei” disse, tra sé e sé.
Poi, alzò piano la testa e vide la giovane che lo fissava, ma, contrariamente a quanto si aspettava, senza tradire alcun genere di ribrezzo, anzi, era più che altro incuriosita.
«Credo sia arrivato il mio turno di raccontare e parlare un po’ di me, adesso. Non ho avuto il coraggio di dirti tutto quando ci siamo conosciuti, perché...»
Gianni fece una pausa, mentre le sue guance assumevano un’ombra scarlatta, anche se non smise comunque di guardare Aida negli occhi, «... non c’è niente di incredibile o meraviglioso da dire. Io non sono un’icona di rettitudine come Rami. Sei sicura di voler conoscere chi sono davvero
«Sì» sussurrò la ragazza, annuendo; poi, si accoccolò contro lo schienale imbottito del divano e raccolse le gambe da una parte, appoggiando la guancia su una mano aperta, pronta per l’ascolto.
«Non sarà una bella favola» aggiunse il giovane, amareggiato.
«A volte, bisogna essere disposti a farsi raccontare anche storie reali» replicò Aida, con tono incoraggiante.
A quel punto, Gianni fece un respiro profondo: le parlò di ogni cosa che avesse caratterizzato la sua esistenza in passato, a cominciare dal suo amore per la bella vita e per le belle donne, fino al fallimento in università e al senso di inferiorità che avvertiva nei confronti dei suoi compagni di squadra, accennando perfino alle occhiate angustiate che gli rivolgeva suo padre e ai sospiri di sua madre.
Le sue gote si imporporarono ogni volta che citò un episodio del quale si vergognava maggiormente, come, ad esempio, quando aveva iniziato una tresca con la personal trainer solo per vincere una scommessa che aveva fatto con Massimo Colonna.
La ragazza, però, rimase tutto il tempo ad ascoltarlo in silenzio, rispettando le sue pause ed evitando inutili commenti o giudizi sommari, poiché sapeva che, per lui, non doveva essere semplice affrontare argomenti così scottanti; inoltre, aveva compreso che aveva riposto in lei una grande fiducia, rendendola partecipe delle sue sconfitte e confessandole i suoi errori.
Gianni le riferì anche di come fossero andate effettivamente le cose con le due massaggiatrici, spiegandole che non era andato oltre il fare il cascamorto con loro, e di come, al contrario, fosse rimasto, invece, profondamente colpito da lei e dal suo atteggiamento, così affettuoso, nei confronti dei due fratelli.
Nell’udire l’ultima parte, l’espressione di Aida si ingentilì parecchio, ma il ragazzo non ebbe modo di accorgersene, impegnato com’era a vergognarsi di quanto stava ammettendo, giacché si era spogliato delle sue maschere, consentendo finalmente a qualcuno di vederlo per ciò che era in realtà: ammettere a voce alta tutto quello che non andava nella sua vita gli era costato molto, eppure, dopo averlo fatto, ebbe l’impressione di sentirsi meglio. Prima di allora, non aveva mai creduto possibile che la confessione delle sue colpe e l’ammenda delle sue scelleratezze potessero apportargli una nuova dignità e una ritrovata serenità d’animo, sentendosi bene come non accedeva da tanto, forse troppo tempo…

«Ecco, ora sai tutto anche tu» concluse, nervoso, temendo la reazione di lei. Cosa avrebbe pensato di lui, dopo tutto quello che aveva ascoltato?
Dal canto suo, Aida era ancora appoggiata al cuscino, in posizione rilassata e per nulla turbata, intenta a scrutare il ragazzo con attenzione, mentre Gianni, a sua volta fermo di fronte a lei, non mosse nemmeno un muscolo, in attesa di una risposta che, per fortuna, non tardò ad arrivare.
«Mi dispiace, ma in te io non ho visto niente di tutto questo» considerò la fanciulla, accennando un sorriso, mentre il giovane inarcava le sopracciglia, sorpreso.
«Quello che ho detto a Rami questa mattina, lo penso davvero. Non posso colpevolizzarti per cose che non ho visto direttamente!» continuò lei. «Per natura, sono una persona che deve sperimentare ciò che le viene riferito. Non mi piace basarmi sul si dice…»
«… e si fa» concluse Giancarlo, colpito.
«Esatto!» annuì Aida, sorridendo, poi, però, si staccò dal cuscino e si mise seduta, sussurrandogli: «Dammi la mano».
Vedendo che il ragazzo la guardava accigliato, rimanendo immobile, si sporse e gli prese la mano destra, tenendola tra le sue.
«Guardami e rispondimi sinceramente: quando mi hai rivolto per la prima volta la parola, era un elegante tentativo di provarci con…»
«No!» esclamò lui, senza nemmeno lasciarle terminare la frase.
«No?» ripeté lei, scoccandogli una profonda occhiata indagatrice.
«No, assolutamente no, volevo solamente sapere qualcosa in più su di te. Sei libera di non credermi, ma... solo dopo averti visto quella sera, ho capito quanto stessi sbagliando» cominciò a spiegare lui, con fermezza. «E poi, sarò stato anche un libertino ed uno scapestrato, ma non ho mai cercato di fare il furbo con la donna di un altro: anch’io ho dei limiti, per quanto nessuno voglia riconoscermeli».
La fanciulla parve soddisfatta della sua risposta, perché, qualche secondo dopo, scoppiò in una risata argentina.
«Ah, ah, già, è vero! Pensavi che Rami ed io fossimo sposati e che Samir fosse nostro figlio!»
Allora, Giancarlo, che già al contatto fisico aveva avvertito le punte delle orecchie avvampare tremendamente, a quell’affermazione sentì che anche le sue guance non volevano essere da meno e presero la stessa tonalità dell’astice che gli era stato servito qualche ora prima, ma, nonostante tutto, non gli sfuggì la bellissima sensazione, mai provata prima, che gli procurava quella situazione: era diviso tra l’imbarazzo e il piacere che gli offrivano quel tocco e la semplice presenza della ragazza.
D’altra parte, non era abituato ad arrossire così spesso, perché di solito erano le ragazze a farlo, quando rivolgeva loro i più svariati apprezzamenti, veri o presunti, però dovette ammettere che provarlo sulla propria pelle non era così brutto come immaginava, anzi, forse gli piaceva anche di più.
«Aida?» la chiamò, dolce.
«Sì?» fece la fanciulla, smettendo di ridere e tornando a guardare il ragazzo negli occhi.
«Posso chiederti un favore?»
«Quale?»
«Mi daresti il permesso, diciamo, di conoscerti... un po’ meglio? Vorrei imparare a poco a poco quello che ti piace e quello che, invece, odi, quello che ti fa stare bene e quello che non puoi sopportare. Ti prometto che non sarò invadente od oppressivo, ma, ti prego, non negarmi questa possibilità» spiegò Gianni, concitato, sperando di ricevere una risposta positiva, ma temendo il contrario.
La ragazza rimase sbalordita da una richiesta del genere e lasciò immediatamente la presa, soffermandosi a guardarlo con aria mesta.
«Non fare promesse che sai di non poter mantenere, perché mi daresti un motivo per avercela seriamente con te» disse, quasi sottovoce.
«Non è così, posso mantenerle eccome!» si risentì lui. «Perché, proprio ora, hai deciso di non fidarti?»
«Giancarlo, sai bene che domani partirai ed io diventerò presto soltanto un ricordo. Spero bello, ma comunque un ricordo che svanirà poco a poco» gli spiegò Aida, sussurrando.
«E se ti dimostrassi che, al contrario di ciò che credi, non dimenticherò tutto quello che mi hai dimostrato in questi giorni?» ribatté il biondo, deciso.
La ragazza, allora, lo guardò, serrando le labbra, poiché era certa che le sue intenzioni fossero buone e una parte di lei era davvero lusingata che quel giovane mostrasse tutto quell’interesse nei suoi confronti; tuttavia, un’altra era offuscata dai dubbi, giacché, in fondo, era pur sempre una cameriera ed una studentessa, mentre Giancarlo apparteneva ad una facoltosa famiglia italiana. E, come se non bastasse, avrebbe dovuto considerare anche la presenza di suo fratello: cosa avrebbe pensato Rami, così attaccato ai pregiudizi, di tutta quella situazione?
Lui, però, parve intuire i pensieri di lei e, infatti, aggiunse: «Anche Rami dovrà accettarlo, perché mi piacerebbe anche continuare a sentire Samir, per sapere i suoi progressi con il bey, come procede con la scuola e così via... glielo devo, visto che, per ovvie ragioni, oggi non ho potuto giocare nuovamente con lui. Inoltre, ho notato che è molto intelligente e scommetto che è molto bravo in tutte le materie».
«Sì, è così, non ci dà alcun problema con lo studio» confermò Aida, soprappensiero.
«Davvero un bravo bambino...»
«Giancarlo?»
«Cosa c’è?»
«Se mi stai prendendo in giro, sappi che non ti perdonerò. Non sopporto le delusioni» gli disse la fanciulla, guardandolo con serietà mista tristezza.
In quell’istante, gli vennero in mente le parole che la ragazza aveva usato nei confronti della propria madre e si intrattenne a contemplarla, sorridendo dolcemente.
«Bene, ho già appreso un’informazione importante, ma» considerò, «resta il fatto che, nonostante tutto, credo di avere ancora una parola d’onore. Accordo fatto, dunque?» le propose, tendendole la mano.
Aida la scrutò un attimo, poi la strinse.
«Accordo fatto» confermò. «Ma come farai…?»
Il ragazzo, allora, le sfiorò delicatamente le labbra con l’indice, senza, però, che si stabilisse un vero e proprio contatto.
«Lascia fare a me, tranquilla. Ti ho promesso che non sarò oppressivo, ma comunque presente. Solitamente, seguo l’ispirazione ed amo le sorprese, perciò non penso che avrai mai modo di annoiarti».
In risposta, la giovane si lasciò sfuggire un sorriso sereno, dopo di che fece per avvicinarsi al fratellino, così da prenderlo in braccio e portarlo al suo letto.
«Me ne occupo io» si offrì subito il giovane, oltrepassandola: quindi, sollevò il bimbo con cautela e lo prese tra le braccia, distribuendo equamente il peso tra di esse.
«Non c’è bisogno che ti disturbi!» esclamò lei, sorpresa dal gesto.
«Nessun disturbo, tranquilla. Mi spiace solo non poterlo salutare come si deve, dato che sarà a scuola quando partiremo» bisbigliò Giancarlo, indicando Samir con un cenno del capo.
Aida fu sul punto di protestare per la troppa gentilezza, poi, decise di accettarla e lo ringraziò ancora, precedendolo per guidarlo verso le stanze del personale.

Pochi minuti dopo, il ragazzo adagiò il bambino sul letto, lasciando che la sorella lo coprisse accuratamente.
«Dovresti vedere la sua stanza a casa nostra, le pareti sono coperte interamente da poster dei campioni di beyblade!» commentò la ragazza, rimboccandogli le coperte.
«Sì, me lo ha detto» disse lui, accarezzando la testa di Samir. «A proposito, anche quei due asociali di Jurgens e McGregor hanno dato il loro contributo, quindi domani, quando verrò a salutarti, Rami permettendo, ti darò anche l’autografo di tutti noi».
«Non credo che Rami possa fare molto, sai? Ci saranno anche i tuoi amici» considerò Aida. «Comunque, grazie, mio fratello ne sarà contento».
«Figurati, è stato un piacere» fece lui, in risposta, alzando le spalle.
A quel punto, rimasero entrambi a guardarsi per qualche istante, finché il giovane non trovò il coraggio di staccarsi, poiché sapeva perfettamente che, se avesse continuato ad ammirarla, non se ne sarebbe più andato.
«Allora, buonanotte» la salutò, voltandosi indietro.
«Buonan… No, aspetta!»
A quel richiamo, il biondo si fermò di colpo e Aida gli fu vicino in un paio di istanti, mettendosi davanti a lui.
«Aspetta solo un attimo...» mormorò, mentre, concentrata, gli appoggiava i polsi sulle spalle, facendo scorrere le dita sotto il colletto della camicia e sistemandoglielo meglio sul bavero della giacca.
«Samir deve essersi aggrappato a te nel sonno e ti ha sgualcito il colletto. Succede sempre anche quando lo porta Rami» spiegò la fanciulla, semplicemente. Si intuiva che aveva a che fare tutti i giorni con degli uomini, anche se erano i suoi fratelli, perché il suo approccio era sicuro ed affettuso, ma non sfacciato.
Mentre la ragazza gli riservava quelle premure, Gianni posò lo sguardo su di lei, avvertendo sensibilmente il suo tocco delicato trasmettersi dagli abiti alla pelle; in quel momento, si trovavano ad una distanza pericolosamente inesistente, tanto che lui poteva distinguere nettamente ogni, singola ciglia.
Non era un mistero, infatti, che il giovane avesse sempre incarnato la quintessenza delle pulsioni vitali, l’ideale dell’amante passionale e, se si fosse trovato in un altro momento e con una diversa disposizione d’animo, avrebbe certamente colto al volo l’occasione per sedurre la sua preda di turno. L’aveva fatto tante volte: illudere una ragazza con le sue lusinghe, solo per soddisfare un effimero istinto ferino, esaudendo un desiderio materiale, senza coinvolgere alcun genere di sentimento.
Tuttavia, era stato prima di conoscerla e, in quel momento, fu certo che per nulla al mondo avrebbe toccato Aida senza che anche lei lo volesse o che ci fosse un valido motivo per farlo, perché lei meritava rispetto, così come era per l’impegno e la dedizione con i quali affrontava la vita.
Ridestandosi da quei pensieri, si allontanò delicatamente dalla fanciulla e, lasciandosi sfuggire un sorriso malinconico, le sussurrò: «Ti ringrazio, non me ne ero reso conto».
«Oh no, sono io ad essere un po’ pignola su queste cose» ammise la ragazza, arricciando il naso e ricambiando il sorriso.
«Allora... buonanotte, Aida».
«Buonanotte a te».
Giancarlo, allora, aprì la porta e fece per uscire ma, colto da un’improvvisa illuminazione, si voltò verso di lei e disse: «Grazie per avermi ascoltato, sono felice di averti incontrata. Non a tutti viene concessa una seconda occasione ed io cercherò di meritare questa fortuna».
Lì per lì, Aida fu talmente sorpresa da quella dichiarazione, che si riscosse solo al tonfo della porta che si chiudeva, realizzando che lui se ne era davvero andato.
Con estrema lentezza, cominciò a spogliarsi e a sistemarsi per mettersi sotto le coperte, poi, quando ebbe fatto, si avvicinò al suo letto, lasciandosi cadere e soffermandosi a guardare il soffitto bianco, considerando quanto le diverse emozioni provate durante la serata l’avessero scombussolata, mentre Samir, inconsapevole di tutto, continuava a dormire sereno.
Ancora con la mente impegnata a pensare al giovane, si girò su un fianco, poggiando il viso all’altezza del suo polso, e, in quella posizione, avvertì il suo profumo, rendendosi conto che era bastato un breve contatto per lasciare su di lei una traccia intensa di quel piacevole aroma, composto da una base delicata con qualche nota più marcata. Era proprio come era chi lo indossava: sorprendente.
Chissà come sarebbe andata a finire... Cosa avrebbe detto Rami? Si sarebbe convinto delle serie intenzioni di Giancarlo?
Conosceva l’indole sospettosa di suo fratello e scardinare le sue convinzioni, da lui considerate come veri e propri dogmi, non sarebbe semplice, anche se non impossibile.
Tuttavia, Aida sapeva di avere le sue insicurezze, per lo più legate alla distanza e al tempo: quel ragazzo era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto fino a quel momento e si trovava bene con lui. Forse provava più di una semplice simpatia nei suoi confronti, anche se ancora non lo sapeva con certezza, e ora lui le aveva promesso che si sarebbero conosciuti meglio, ma... avrebbe mantenuto il suo impegno? Era difficile mentire guardando negli occhi una persona e, mentre le aveva esposto le proprie intenzioni, lui l’aveva scrutata a lungo con quelle sue iridi blu. Oh, quanto le piaceva il colore dei suoi occhi, lo stesso del mare più profondo. Tuttavia, doveva anche ammettere che, di bello, Giancarlo non aveva solo gli occhi e, in quel momento, le tornarono in mente gli apprezzamenti che aveva fatto Jamila verso di lui, stuzzicandola e costringendola a nascondere il viso nell’incavo del gomito piegato, lasciando che la traccia rimasta del suo profumo la stordisse piacevolmente, fino a farla scivolare nel mondo dei sogni.
***

Il mattino seguente, Gianni si svegliò di buon umore come non accadeva ormai da diverso tempo, senza fare nemmeno caso al fatto che, accanto o addossate a lui, non erano presenti ragazze delle quali non ricordava nemmeno il nome.
Subito, scosse la testa per scrollarsi di dosso quel poco di sonnolenza che gli era rimasta e, senza ulteriori indugi, si diresse in bagno, avvertendo che c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Dopo essersi fatto una doccia veloce, si mise davanti allo specchio e, mentre si frizionava i capelli per asciugarli sommariamente, si osservò attentamente: qualche goccia residua, proveniente dalle ciocche bionde ancora umide, gli scese lungo il viso, per poi avventurarsi lungo il collo e proseguire per il declivio delle spalle, quindi scendere giù per la schiena e per il torace. Sentirle percorrergli la pelle gli procurò un piacevole senso di benessere, ma mai quanto ne avvertì nel rendersi conto che la lastra di vetro e metallo gli stava nuovamente rinviando la sua immagine, sorridente e compiaciuta.
Negli ultimi giorni, infatti, aveva avuto modo di confrontarsi con gli specchi più di quanto avesse mai fatto in vita sua, perché, pur compiacendosi del proprio aspetto, non aveva mai amato troppo vedere e meditare sul proprio riflesso in nessun momento della giornata e meno che mai al mattino, momento in cui si riprende il contatto con la vita dopo la pausa notturna, ritrovandosi sempre diversi da come ci si ricordava.
Tuttavia, quella mattina fece eccezione, poiché, per la prima volta, Giancarlo riuscì a contemplarsi senza provare vergogna ed il suo volto, così composto e sereno, non gli diede ribrezzo: aveva accettato il suo riflesso, aveva accettato se stesso, proprio perché non aveva nulla da dimenticare, nessuna notte brava da archiviare nei meandri della sua memoria, nessun rimpianto per il fatto che l’ebbrezza da alcool fosse svanita, anzi, voleva ricordare, proseguire nel suo intento e, quindi, raggiungere il suo obiettivo.
“La mia seconda occasione non dovrà essere sprecata” si disse.
La leggera e rada peluria bionda presente sul suo viso lo sollevò anche dall’incomodo di farsi la barba che, nonostante i suoi ventitré anni, non aveva, pertanto finì rapidamente di prepararsi con modesta cura, per poi rimettere via gli abiti della sera precedente. Quando, però, prese in mano la giacca, percepì intorno al bavero un delicatissimo aroma, buono ma completamente diverso dal suo, in quanto era fresco, estivo e leggermente speziato.
«No, questo non è mio, sembra una fragranza decisamente esotica, come una rosa del deserto» sussurrò, chiudendo gli occhi e cominciando a meditare su quella che sarebbe stata la sua mossa successiva.
Avrebbe dovuto farsi venire in fretta un’idea per continuare a sentire Aida senza risultare insistente, ma, nello stesso tempo, senza dare l’impressione di essere superficiale o di star prendendosi gioco di lei; infatti, avrebbe dovuto cercare di fare qualcosa per aiutare lei e Samir, senza però che la fanciulla lo percepisse come un gesto di carità e considerare il suo atteggiamento come un’offesa, vista la sua grande dignità e il suo indubbio orgoglio.
Inoltre, il giovane avrebbe dovuto trovare un appiglio anche per ingraziarsi Rami e non sembrava facile trovare un punto in comune a tutti quegli aspetti; ciononostante, nel silenzio di quel mattino di tardo settembre, arrivò quasi subito ad una grande intuizione.
Rianimato dalla folgorante idea, si ridestò dai propri dilemmi e ripiegò sommariamente la giacca, per poi avviarsi a passo di marcia verso la stanza di Andrew: se il suo piano fosse andato a buon fine, sarebbe stato davvero un ottimo inizio.

Rami fischiettava, soddisfatto, mentre finiva di registrare a computer il materiale che aveva raccolto durante la sua trasferta a Il Cairo, la quale aveva avuto esito positivo; infatti, aveva sbrigato le sue commissioni prima del dovuto, traendone anche anche un profitto maggiore a quanto aveva stimato e nulla avrebbe potuto fargli andare di traverso la giornata, soprattutto perché il motivo di tanto gaudio non era ascrivibile unicamente ai suoi successi lavorativi.
Accanto a lui, impegnata in un’interessante lettura sulla sezione aurea, era seduta sua sorella Aida, ben consapevole di quale fosse la vera ragione che rendeva così allegro Rami: l’imminente dipartita dei turisti europei.
«Potresti smettere di fischiare? Mi stai deconcentrando» lo apostrofò all’improvviso, manifestando tutto il suo disappunto verso il comportamento del fratello, che le aveva appositamente scambiato la sua abituale mansione al bar con un turno in cucina, così che fosse relegata lì e non avesse modo di salutare personalmente Giancarlo.
«Sei acidula, stamattina, o sbaglio? Non dovresti, guarda che bel clima autunnale abbiamo quest’oggi!» esclamò, però, il giovane, gaio, non lasciandosi turbare dal rimprovero.
Di fronte a tanta sfacciataggine, Aida sbuffò, tornando a concentrarsi sul suo libro e a sottolineare i concetti più importanti, finché non batterono le dieci. Non appena i rintocchi terminarono, Rami si allontanò un momento per andare a prendere i fogli necessari a rifornire la stampante, mentre la ragazza chiuse il trattato con un gesto di stizza, per nulla intenzionata a pulire e tagliare verdure in isolamento per tutto il resto della mattinata.
Se solo per un qualsiasi motivo suo fratello avesse tardato a tornare alla reception, lei sarebbe riuscita ad incrociare Giancarlo prima di essere sepolta viva da patate e pomodori.
«Dove stai andando?» la richiamò improvvisamente una voce femminile. «Voglio sapere per filo e per segno come è andata ieri sera!»
«Oh, buongiorno Jamila» rispose Aida, mettendo via il libro. «Purtroppo ora non ho tempo per parlare, perché mi aspettano in cucina. Rami mi ha scambiato il turno».
«Cosa? E perché mai?» chiese la ragazza, stralunata. Poi, però, ci rifletté su un attimo e arrivò da sé alla soluzione. «Questa volta ha superato ogni limite! Non può decidere per te e manipolare la tua vita a suo piacimento!» esclamò.
«Lascia stare, è inutile rimuginarci su» replicò, però, l’altra, amareggiata.
«Dada, ti arrendi troppo facilmente! Facciamo così: prenderò io il tuo posto in cucina» propose Jamila. «Io adesso ho un buco fino all’ora di pranzo, quindi sarai assolutamente libera».
«Davvero lo faresti?» domandò stupita la fanciulla, incapace di credere a quella fortuna.
«Certo, sei mia amica! Però, non credere che sarà gratis, eh. Infatti, mi renderai il favore appena potrai, raccontandomi anche cosa hai deciso di fare riguardo ad un certo biondino molto affascinante».
La giovane sorrise e stava anche per rispondere, quando fecero la loro apparizione le due massaggiatrici.
«La vecchia fata madrina che aiuta la sua protetta ancora in fasce, che scena commovente!» commentò una di loro, scoppiando a ridere subito dopo, prontamente imitata dall’altra.
Jamila, però, fece finta di non aver sentito e non rispose alla provocazione, almeno finché le due non sparirono dalla loro vista.
«L’undicesima e la dodicesima piaga d’Egitto. In confronto, l’invasione delle locuste è quasi una sciocchezza!» considerò, indispettita.
Aida rise, scuotendo la testa: «Non penso tu possa aspettarti niente di diverso da quelle due».
«A te sembra normale che mi diano della vecchia solo perché ho due anni in più di loro?» le domandò l’amica. «Anche se sospetto che il loro accanimento contro di me derivi dal fatto che stia col capo».
«Non lo escluderei» concordò l’altra, alzando le spalle.
«Aida, sei ancora qui?!» tuonò Rami proprio in quel momento, rientrando con un’enorme risma di fogli tra le mani, scorgendo la sorella nella hall.
La fidanzata, però, si parò subito davanti a lui, nascondendogli la ragazza alla vista.
«Oh, ma guarda chi c’è! Ti spiace se prendo il posto di Dada, per oggi?»
Il giovane la guardò irritato, aggrottando la fronte e storcendo lievemente le labbra.
«Jamila, non ti intromettere» fece, imperativo, «lo sai che Aida deve fare tutto quello che le dico io!»
«Dai, Rami! Non essere cattivo!» lo supplicò lei.
«Ho detto di no!» replicò il ragazzo, cercando di aggirarla per agguantare la sorella.
Tuttavia, mentre i due erano impegnati a battibeccare, furono raggiunti dai turisti spagnoli che erano stati truffati dai cammellieri, i quali avevano bisogno di Rami per poter saldare il soggiorno, tradendo una certa fretta di lasciare l’Egitto.
Allora, approfittando del fatto che il concierge fosse preso dai clienti, Jamila sfuggì al suo controllo, ammiccando ad Aida, per poi dirigendosi verso le cucine e il giovane non poté far altro che guardarla andar via con la coda dell’occhio.

Era passato più di un quarto d’ora da quando la comitiva europea aveva chiesto il conto del soggiorno e, finalmente, Rami era riuscito a stampare e firmare tutte le ricevute, senza, però, smettere nemmeno per un istante di guardare Giancarlo in tralice, ampiamente ricambiato dal giovane.
Nel frattempo, anche Claudia, intenta a farsi aria con il suo immancabile ventaglio, non aveva staccato un momento gli occhi da Aida, sul volto un’espressione di orrore misto a disgusto, perché, se aveva pensato che il cugino stesse recitando la solita farsa, divertendosi come era solito fare, in quel momento fu costretta a ricredersi. Infatti, l’essersi prodigato per lasciare un regalo a Samir e le occhiate ammirate che lanciava furtivamente alla ragazza non lasciavano spazio ad altre interpretazioni, se non quella che fosse fin troppo coinvolto.
La giovane era così irritata che, ad un certo punto, si voltò per non essere costretta a guardare quello scempio, ma il fidanzato si limitò ad alzare le spalle e muovere le labbra come a dire: «Te l’avevo detto!»
Intanto, mentre Ralf dava direttive per la partenza, Andrew scrutava la scena a braccia conserte, sempre più meravigliato, convinto ormai che le avesse viste tutte, dopo che quel cialtrone di Gianni aveva dimostrato di essere molto accorto se era in gioco qualcosa che gli interessava veramente, come aveva dimostrato quando era andato a bussare alla loro porta, facendo fatto leva sui valori nei quali credeva la giovane avvocata per ottenere quello che gli sarebbe tornato utile.
Osservando la scena che si stava svolgendo davanti a sé, lo scozzese inarcò un sopracciglio, giacché sapeva, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto minaccia di morte, che la mossa che aveva progettato il biondo era alquanto interessante, così come lo sarebbe stato vedere se e quali risultati avrebbe ottenuto.
Aida, invece, era rimasta per tutto il tempo in disparte in un angolo della stanza, fissando rassegnata Rami e Giancarlo, impegnati in un muta e reciproca offensiva, sicura che non si sarebbe estinta tanto presto, fino a coinvolgere chissà quanti altri personaggi e teatri.
«Na schön» annunciò infine Ralf. «Abbiamo sbrigato tutte le formalità ed ora possiamo andare!»
Tese quindi la mano a Christine, preoccupatissima per la traversata che la attendeva, aiutandola ad alzarsi da uno dei divanetti, per poi prenderla sottobraccio e condurla fuori.
La coppia venne dapprima imitata da Andrew e da Mary Anne e poi da Olivier e da Claudia, la quale distolse rapidamente lo sguardo schifato che aveva rivolto ad Aida. Quella, però, se ne accorse e dedusse di non andarle particolarmente a genio, tanto è vero che si sentì immediatamente sollevata quando vide la sparire oltre la porta.
In realtà, sapeva perfettamente che era la cugina di Giancarlo, poiché avevano in comune la carnagione chiara e gli stessi capelli dorati li facevano somigliare molto, tuttavia, per fortuna, gli occhi erano diversi, in quanto quelli della ragazza erano scuri, altezzosi ed in grado di farla sentire inferiore, nonché insignificante con un solo sguardo.
Claudia, però, era molto bella e, indubbiamente, doveva aver ricevuto un’educazione molto raffinata, come si vedeva dal modo in cui camminava, si vestiva, parlava e perfino da come sventagliava, muovendo appena il polso e lasciando il resto del braccio immobile e Aida era cosciente che non sarebbe stata mai così.
Infine, arrivò il momento dei saluti definitivi e nella hall rimase solo Giancarlo, perso nella contemplazione di quella fanciulla che aveva cambiato tanto il suo modo di vedere le cose.
«Non è il momento di andare?» lo esortò Rami, impaziente di vederlo fuori dalla circolazione una volta per tutte, ma, in risposta, il biondo gli scoccò un’occhiata beffarda.
«Oh, non credere che ti libererai di me così presto, perché ho fatto a tua sorella una promessa che intendo mantenere!»
Il giovane si rivolse quindi alla ragazza, cambiando completamente tono: «Mia dolce Aida, sappi che il mio pensiero sarà costantemente rivolto a te» annunciò, con istrionica e ampollosa ispirazione. Poi, ammiccò nella sua direzione e lanciò un’ultima occhiata di sfida al concierge, per poi uscire di scena, come un attore alla fine di un atto.
Tuttavia, tale esibizione ebbe il potere di far ridere di cuore Aida, che ritrovò subito la serenità che la boriosa e insopportabile Claudia, con il suo atteggiamento pieno di superbia, le aveva tolto.
«Promessa? Di quale promessa sta parlando?» si intromise Rami, sospettoso.
«Niente, una cosa tra di noi» rispose rapidamente lei, rimanendo sul vago.
L’altro, allora, sembrò essere seriamente sul punto di perdere la pazienza.
«Si può sapere cosa ci trovi in lui?!» abbaiò. «Non riesco ancora a credere che tu abbia rifiutato la proposta del mio amico Mohammed. Mi pare che sia molto apprezzato dalle donne, inoltre gestisce il traffico di petrolio verso mezza Europa: cos’altro avresti voluto di più? Se avessi accettato di sposarlo, a quest’ora saresti stata ricca quanto una regina!»
«Non lo metto in dubbio, ma sarei stata una regina triste, poiché non lo amo e non è affatto il mio tipo» rispose con giudizio lei. «Invece, Giancarlo è gentile, sa la differenza tra Bernini e Borromini, mi fa sorridere e...»
Poi si fermò un attimo, abbassò lo sguardo e, incurvando dolcemente le labbra, aggiunse: «Ha davvero un buon profumo».
«Ancora ti ostini a giudicare le persone in base al profumo che indossano?!» la riprese il fratello, tra lo sconcertato e il furente.
«Alcuni sono proprio disgustosi e mi fanno venire il voltastomaco, mentre il suo è veramente piacevole e rispecchia pienamente il suo carattere» replicò serenamente Aida e, dopo aver recuperato il regalo per Samir, si allontanò, canticchiando.
Rami, allora, le riservò uno sguardo spiritato, additandola come se fosse uscita di senno.
«Sei impazzita, per caso? Che razza di risposta è?!»
***

Il terminal del traghetto per Patrasso era pressoché vuoto: era una pigra mattinata di fine settembre e nessuno, sia tra i passeggeri che tra il personale, sembrava disposto a correre o ad affaticarsi.
L’unica che, invece, sembrava fremere era Claudia, la quale fissava insistentemente suo cugino sventagliandosi nervosamente, con tanta foga che, se non avesse smesso, nel giro di poco avrebbe ridotto a brandelli tutto il prezioso pizzo sangallo.
«E così quella era il tuo nuovo giocattolo?» gridò, inviperita, ignorando volutamente tutti quelli che si girarono a guardala, sorpresi.
In risposta, Gianni si limitò a lanciarle un’occhiata obliqua, per nulla intenzionato ad assistere all’ennesima scenata di gelosia.
«Claudia, per favore, non qui!» le sibilò, infastidito.
«Nel fare il galletto, però, non mi pare tu abbia mai fatto caso a dove ti trovassi!» ribatté lei, con voce stridula.
Il ragazzo, allora, assottigliò appena lo sguardo, reprimendo faticosamente l’istinto di strozzarla, e poi valutò attentamente cosa fare, poiché non voleva che nessuno, compresi i loro compagni, sentisse, poiché non erano affari loro ciò che si sarebbero detti.
Così, si avvicinò cautamente a Claudia e le propose di uscire un attimo fuori per discuterne in maniera adulta e fortunatamente la cugina, con una smorfia altezzosa, accettò. Ovviamente, li seguì anche Olivier, il quale aveva il privilegio di poter assistere, essendo il fidanzato di lei.
«Cosa ti sei messo in testa?!» esordì la ragazza, minacciando il cugino con il ventaglio chiuso. «Quella sciacquetta non fa assolutamente per te! Non ha un briciolo di fascino, è troppo infantile, troppo vuota4
Il giovane, che solo a sentire l’orribile epiteto, aveva inarcato inverosimilmente le sopracciglia, fissò a lungo l’altra ad occhi socchiusi, cercando di capire dove volesse arrivare.
«Puoi avercela con me quanto ti pare per la storia di Maria Chiara» le rispose, sicuro, «ma non cambierò idea, perché non sono disposto a fare da zerbino ad una fredda calcolatrice come lei».
«Una fredda calcolatrice? Maria Chiara muore per te, anche se davvero non so come faccia! Ha uno stuolo di pretendenti che le vanno dietro, eppure ha avuto il coraggio di rifiutarli perché ti adora! E poi, è bellissima, colta, ricca ed educata secondo le maniere più fini!» strillò sguaiatamente Claudia, gettando definitivamente alle ortiche il suo charme.
Giancarlo, a quel punto, la fissò talmente tanto disgustato che lei, anche se per un misero istante, tentennò, smarrita.
«Non hai alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare» le sibilò, infarcendo di disprezzo ogni parola. «Conosco Maria Chiara Odescalchi e so che l’unica cosa che le interessa di me sono i soldi e le proprietà, che vuole per accrescere le sue finanze».
«Perché, quelle due baldracche non sono attratte dal tuo patrimonio?» replicò la ragazza, inferocita. «Di’ la verità, quante chiamate ti hanno fatto, da quando siamo partiti?»
«Ti riferisci a Rosetta e Bianca5?» domandò lui, infastidito dall’esser stato costretto a citarle. Avrebbe dato qualunque cosa, pur di poter cancellare l’ambigua relazione che, in passato, era intercorsa tra lui e quelle due. «Forse hai dimenticato che, recentemente, ho cambiato sia il cellulare che la sim e che non hanno il mio nuovo numero».
«E per fortuna!» esclamò l’altra. «Altrimenti quelle due pezzenti poco di buono ci avrebbero rovinato la vacanza!»
Il ragazzo stava per replicare, ma lei glielo impedì, riprendendo il discorso e rincarando la dose, fino ad arrivare a dire quello che, probabilmente, voleva sin dall’inizio: «Puoi dire quello che vuoi, ma la verità è che Maria Chiara dovresti sposarla e questo non ti va bene, o sbaglio? Tu preferisci essere libero! E adesso hai la tua nuova sgualdrina, della quale ti dimenticherai ancor prima di mettere piede in Grecia!»
Seguì una pausa, durante la quale Olivier, che era stato in disparte per tutta la lite, decise di avvicinarsi alla sua ragazza, prevedendo guai seri, poiché non gli era sfuggito l’impeto iracondo che era passato sul volto di Giancarlo nel sentire quelle parole. Quello, infatti, dovette contare fino a dieci per farsi passare la tentazione di metterle le mani al collo.
«Non ti azzardare mai più a chiamarla così» le ringhiò contro, infuriato come non era mai stato. «Non ti permetto di riferirti ad Aida, che è quanto di più incontaminato abbia mai visto, con appellativi che meriterebbero, invece, le amiche che tanto ti affanni a sponsorizzare! Io so quello che voglio e non sarai certo tu ad impedirmi di ottenerlo, chiaro?»
Il francese rimase colpito da quanto udì, anche se sapeva già che, quando voleva, Gianni sapeva essere molto profondo, come anni prima, quando era stato l’unico della squadra ad insistere strenuamente sul fatto che quei i Blade Breakers avessero dalla loro qualcosa di speciale, una forza che andava oltre ogni aspettativa quale è la vera amicizia.
Claudia, invece, serrò le labbra, riprendendo a sventagliarsi in maniera più tranquilla, ma ciò che disse poco dopo dimostrò che era solo apparenza.
«Non finisce qui!» gli sussurrò, minacciosa, rivolgendogli il suo solito sorriso sinistro. Poi, fece un cenno ad Olivier e si avviò verso il terminal per raggiungere il resto del gruppo. A quel punto, il francese salutò l’amico con un cenno del capo, come a fargli capire che era d’accordo con lui sul fatto che la sua fidanzata avesse esagerato, affrettandosi a raggiungerla.
Rimasto solo, Giancarlo si ritrovò a pensare che Claudia aveva superato tutti i limiti con quella sua gelosia ossessiva. Non si meravigliò, a quel punto, che la sua storia con Massimo Colonna fosse finita nel peggiore dei modi, poiché, tra l’eccessiva avidità di attenzioni esclusive da parte di lei e la natura davvero poco fedele di lui, avevano formato una coppia veramente male assortita.
Scacciando quelle ultime considerazioni, il giovane scosse la testa, voltandosi ad osservare il mare rifulgere come un cristallo sotto i raggi del sole autunnale e rimanendo incantato dalla bellezza della natura che troppo spesso aveva ignorato, preso da frivoli passatempi, e fu contento che il destino lo avesse condotto fino a lì.
Dopo l’importante crisi di coscienza che aveva affrontato, non si sarebbe certo lasciato influenzare da qualche commento gratuito, soprattutto se detto da una cugina retrograda, anzi, al massimo, avrebbe tenuto conto di ciò che avrebbero detto Marcello e Beatrice, poiché rimanevano pur sempre i suoi genitori.
La prospettiva di avere una seconda occasione lo riempì improvvisamente di una voglia di ricominciare: a lui quella ragazza piaceva sul serio e sentiva chiaramente che non era solo una questione di attrazione fisica, perché Aida, con la sua dolcezza e la sua forza interiore, era stata la prima a riuscire a smuovere qualcosa nel suo animo. Così, deciso più che mai a perseguire il suo obiettivo, alzò la testa e, con incedere sicuro, ripercorse i propri passi, facendo ritorno dai suoi compagni.

Come al solito, Yussef stava scaricando le cassette sul molo, ma, dopo la quinta, dovette tirarsi su tenendosi la schiena, giacché la fatica si faceva sentire e da diverso tempo non era più un giovanotto nel fiore degli anni.
Ad un tratto, però, notò uscire dal terminal, diretta verso l’attracco di uno dei traghetti, la stessa comitiva eterogenea che aveva visto arrivare il martedì precedente, nelle stesse posizioni in cui li aveva visti la prima volta: la nordica era sempre preoccupata, probabilmente perché non era amante delle traversate, mentre il tedesco camminava sicuro e impassibile, i due britannici ancora annoiati e la bionda e il suo fidanzato, invece, si atteggiavano a coppietta in viaggio di nozze, perciò l’unico del gruppo a sembrare diverso fu il ragazzo dall’aria strafottente che, quel giorno, appariva molto serio e camminava assorto nei propri pensieri, preso da qualcosa. O, forse, da qualcuno.
Il pescatore, mentre i giovani gli passavano davanti senza notarlo, concesse loro solo una fugace occhiata, poco prima di riprendere ad impilare le cassette, dopo aver fatto una breve valutazione di quante ancora doveva scaricarne. Scorgendone ancora troppe sulla barca, sospirò e si rimise a lavorare, borbottando: «Turisti...»





***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
***

[N.d.A.]
1. Excalibur: la nuova squadra europea nella serie Beyblade Metal Masters;
2. fennec: mammifero carnvoro dei deserti africani, simile ad una piccola volpe con orecchie enormi;
3. Aegyptus... cepit: rivisitazione voluta della citazione oraziana “Graecia capta ferum vicitorem cepit” [ossia la Grecia presa (dai Romani) conquistò il feroce vincitore (con la grandezza della sua cultura) - Orazio, Epistulae, II]. Qui, Olivier gioca sul fatto che l’Egitto sia stato in passato colonia romana, nonché sulla considerazione che Giancarlo, conquistatore romano (anche se non di terre), sia stato a sua volta conquistato dalla dolce Aida, appartenente al popolo egiziano;
4. vuota: Claudia, in quanto sommelier, usa questo termine nell’accezione enologica; esso denota un vino mancante dei componenti essenziali della corposità e privo di qualità;
5. Rosetta e Bianca: secondo il doppiaggio originale e quello americano, sono le due ami(o)chette di Giancarlo, incontate negli episodi 35/36 della prima serie.
* Trovandomi in fase di rielaborazione del testo, aggiungo anche delle “curiosità”. I diminutivi di Aida e Jamila sono dei retaggi rimasti dal periodo in cui Samir era molto piccolo e non riusciva a pronunciare correttamente il nome di nessuna delle due.
***
Ad Aly,
mia fidata Cappellaia,
che mi ha aiutato a riordinare i Palmi Pedoni

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Capitolo 3
*** Parte Seconda - Atto Terzo ***


Stella del Sud - Atto III





Parte Seconda - Atto Terzo



Mostrasi si’ piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender non la può chi no la prova;


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 9-11


M
ancavano solo pochi minuti a mezzogiorno, quando Rami si accorse che, per il resto della mattinata, non era previsto l’arrivo di altri ospiti.
“Perfetto, vorrà dire che terminerò la revisione dei fatturati del mese scorso” pensò, prima di chiamare un collega a sostituirlo al banco della reception e dirigersi verso il suo ufficio, continuando per tutto il tragitto a prendere appunti sul suo taccuino personale, giacché erano proprio l’avere sempre tutto sotto controllo e il non lasciare nulla al caso i punti cardine della sua professionalità, anche se, negli ultimi tempi, le cose non stavano andando come avrebbe voluto.
A quella constatazione, il concierge sospirò sconsolato, aprendo la porta del suo ufficio ed entrandovi, posando subito l’agendina sulla scrivania e alzando poi lo sguardo in direzione della finestra, vicino a cui scorse sua sorella, intenta a guardare il cielo, pensierosa.
«Sei davvero ridicola a credere che quello si ricorderà di te» l’apostrofò, acido. Poiché la ragazza non l’aveva sentito arrivare, sobbalzò.
«Rami! Mi hai fatto prendere un colpo!» lo rimproverò subito lei, stizzita, ma il fratello non si scompose, riservandole in risposta una fugace occhiata beffarda, prima di accomodarsi sulla sua poltrona sotto il suo sguardo irritato. Poi, quella scosse la testa e tornò a guardare fuori.
Lanciandole un’occhiata torva, il ragazzo aprì il suo portatile e scosse la testa, incapace di comprendere l’ostinazione della sorella: come aveva potuto cedere alle parole lusinghiere di quell’idiota bugiardo e credere che sarebbe tornato, o le avrebbe fatto avere sue notizie? Un tale donnaiolo poteva solo essere paragonato ad un marinaio: ogni terra aveva il suo porto ed ogni porto aveva la sua ragazza. Perciò, da quando aveva lasciato l’Egitto, chissà quante altre donne erano già entrate nel suo letto…
«Invece di perdere tempo alla finestra, vai a dare il cambio a Jamila. Le sue quattro ore sono scadute da un pezzo!» le ordinò, a quel punto, il giovane, perentorio, scacciando quei fastidiosi pensieri dalla testa, ma quella non si lasciò abbattere dal suo tono e si girò verso di lui, regalandogli un sorriso radioso.
«Vado!» rispose, con entusiasmo.
Il concierge la guardò andar via e poi tornò a smanettare con il computer, sbuffando pesantemente ed appoggiando il mento contro il pugno chiuso, risoluto a trovare il modo di far uscire Aida dal mondo fatato in cui viveva: invaghirsi di un seduttore depravato come quello? Che assurdità!
***

Una mattina di metà ottobre, approfittando del fatto che ad Alessandria il caldo aveva cominciato a diminuire, Rami si era fatto preparare da Jamila un infuso al karkadè, quando fu chiamato in tutta fretta da uno dei suoi assistenti.
Allora, sorpreso, lasciò la tazza fumante sul bancone del bar e, mentre seguiva il ragazzo nella hall, venne a sapere che era appena arrivata una donna che doveva assolutamente parlare con lui, cosa che lo stupì ancora di più, visto che non aveva proprio idea di chi potesse essere e, soprattutto, cosa avesse da dirgli di tanto urgente.
Tuttavia, il concierge decise di non perdere tempo nel farsi domande e si affrettò a raggiungere la misteriosa visitatrice, trovandola girata di spalle ad ammirare i vasi con le orchidee.
Incerto su quale potesse essere l’approccio migliore, il giovane, allora, si schiarì la voce per annunciare il suo arrivo: «Buongiorno, signorina. Posso fare qualcosa per lei?» esordì.
Subito, la nuova venuta si girò e, senza un attimo esitazione, gli chiese: «È lei Rami al-Nassar?»
«Ecco, sì... sono io» rispose lui, squadrandola con diffidenza. Aveva qualcosa di familiare ed era certo di averla già vista da qualche parte, ma… dove?
«Quindi, sua sorella deve essere Aida al-Nassar» continuò la ragazza, sicura di sé.
«Sì, è così» affermò il giovane, socchiudendo appena gli occhi. «Ora potrei sapere, però, con chi ho l’onore di parlare?» aggiunse, spazientito, desideroso di capire qualcosa di quella situazione.
A quel punto, la donna si tolse gli occhiali da sole, svelando due profondi occhi grigi, e si ravviò il caschetto bruno.
«Mary Anne Darland, sono qui per conto dello studio legale Woodrow di Londra» spiegò, con tono risoluto. «Mi risulta che suo padre sia stato incarcerato qualche anno fa, dopo un sommario processo. È corretto?»
Nell’udire quelle parole, Rami assunse un’espressione di sincero stupore.
«Ma come fa a..?» cercò di chiedere, ma venne interrotto subito dall’altra, che riprese: «Fonti attendibili dimostrano che l’avvocato della difesa era corrotto, pertanto il processo non è stato altro che una farsa».
«Miss Darland, mi potrebbe cortesemente spiegare come fa ad essere al corrente di queste informazioni?» le chiese, allora, il giovane, sempre più attonito e inquieto. «Dovrebbero essere riservate».
L’avvocata, però, non sembrò per niente turbata da quell’affermazione, anzi, si chinò per afferrare la valigetta che aveva poggiato a terra e, nel rialzarsi, decretò, severa: «Signor al-Nassar, infatti sarebbe opportuno continuare la nostra conversazione in un luogo più consono alla riservatezza di ciò che devo comunicarle. Inoltre, sarebbe opportuno che anche sua sorella assistesse al nostro colloquio».
Aggrottando le sopracciglia, non osando contraddire quella donna che sembrava davvero sapere il fatto suo, Rami fece immediatamente chiamare Aida e condusse Mary Anne in ufficio.
Nel vederla, la fanciulla, al contrario del fratello, la riconobbe immediatamente come una delle ragazze che faceva parte della comitiva di Giancarlo, ma non disse nulla, poiché preferì prima verificare il motivo di quella visita inattesa, che, comunque, non tardò ad essere svelato.
Infatti, poco tempo dopo, Mary Anne riuscì ad esporre una sintesi perfetta dei punti oscuri del processo contro Abul al-Nassar, precisando che era riuscita ad ottenere le autorizzazioni per consultare il fascicolo del processo e che aveva trovato abbastanza materiale per far riaprire il caso e cercare così di ottenere un verdetto più giusto, offrendosi, per giunta, come nuovo avvocato della difesa.
Aida, che aveva ascoltato ogni parola con estrema attenzione, sempre più meravigliata ogni minuto che passava, non appena Mary Anne ebbe finito, intervenne: «Miss Darland, noi non sappiamo che cosa dire... Sarebbe meraviglioso se nostro padre fosse scarcerato. Tuttavia» aggiunse, lanciando prima un’occhiata furtiva a Rami, «mi lasci dire, parlandole anche a nome di mio fratello, che non sappiamo davvero spiegarci come lei possa essere al corrente di tutto questo».
«Già, perché non ci dice cosa c’entra in questa storia?» chiese quello a sua volta, incrociando le braccia sul petto e guardandola in modo ostile. «Senza contare che dovremmo parlare anche del suo compenso, no?»
L’avvocata li guardò entrambi, inarcando leggermente un sopracciglio, come se avesse il presentimento che la stessero prendendo in giro.
«Volete davvero farmi credere che non vi ha detto niente?» domandò, senza scomporsi.
«Chi?» replicò Aida, perplessa.
Mary Anne, allora, sospirò e scosse la testa, ma si guardò bene dal rispondere, limitandosi a prendere la sua valigetta e ad aprirla per estrarne due pacchetti: una scatolina cubica e un’altra che aveva tutta l’aria d’essere un tubo portadocumenti.
«Questo è per Samir al-Nassar» disse, porgendo il primo a Rami. «E questo, invece, è per lei, signorina Aida» concluse consegnandole il secondo.
«Da parte di chi?» insistette lei, confusa.
«Lo apra e lo scoprirà» fece l’altra, risoluta, sistemandosi meglio sulla poltrona e accavallando le gambe.
A quel punto, avendo intuito che, proseguendo in quel modo, non avrebbe cavato un ragno dal buco, sotto lo sguardo incuriosito di Rami, la fanciulla si decise a scartare il pacco, ritrovandosi in mano un sottile cilindro di carta avvolto da uno strato di cellophane. Sempre più ansiosa di sapere cosa fosse, strappò via la plastica e, quando ebbe srotolato il foglio, ebbe un leggero giramento di testa.
«Non è possibile…» sussurrò.
«In fondo, non era così difficile da capire, non trova?» commentò, invece, l’avvocata, con un sorrisetto ironico.
Osservando la reazione della sorella, anche Rami mise in ordine i tasselli ed improvvisamente si ricordò dove aveva visto prima quella donna.
«Questo significa che gli hai parlato della situazione di papà!» esclamò, boccheggiando e riservando alla sorella uno sguardo truce. «Tu… tu…»
Tuttavia, Aida lo ignorò, trovando molto più costruttivo interagire con Mary Anne.
«Miss Darland, mi dica la verità: è stata pagata per seguire la causa di mio padre?»
«Intende sapere se la mia parcella è stata saldata?» domandò quella, avendo intuito dove volesse arrivare Aida, che, infatti, annuì decisa, cominciando ad arrotolare nuovamente il foglio per evitare che si sciupasse.
«No, non ho intenzione di percepire nemmeno un centesimo per questa causa» spiegò, a quel punto, l’altra, con enfasi, come se ne valesse della sua integrità morale. «Qui è la giustizia che reclama! È una vergogna che esistano avvocati senza un minimo di coscienza…»
Quando, molto, molto tempo dopo, Mary Anne riuscì a mettere il punto alla sua arringa contro i colleghi privi di scrupoli ed ebbe esposto le tappe preliminari del processo, i due fratelli presero accordi con lei, prima che si congedasse da loro dicendo che il volo per Heatrow era imminente.

Una volta soli, Rami fissò a lungo la sorella e, infine, le disse: «Non credere che abbia cambiato idea sul suo conto. Ci vuole ben altro per dissuadermi dal crederlo in cattiva fede».
Tuttavia, Aida era troppo contenta che lui si fosse ricordato di lei e di Samir per permettere al fratello di rovinarle la giornata così, sorridendogli, gli domandò: «Hai detto qualcosa, per caso?»
Il fratello, sicuro che avesse sentito benissimo, la guardò minaccioso, ma poi se ne andò, borbottando qualcosa di cui la giovane non si curò, presa com’era dalla certezza di essere ancora nei pensieri di Giancarlo.
Poi, la ragazza tornò in ufficio e sistemò la scatolina di Samir sul ripiano di mezzo della libreria, così che, appena tornato da scuola, potesse vederla subito; poi riprese il suo regalo e lo srotolò per ammirarlo ancora una volta: era esattamente come l’aveva descritta.
Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti alternati”: era, infatti, la versione del 1725 della facciata del Collegio di Propaganda Fide di Borromini.

«Non ci posso credere!» esclamò Samir, non appena ebbe aperto il suo pacco. «I nuovi anelli d’attacco del P.P.B! Ma questi sono usciti solo negli Stati Uniti... se l’è ricordato!»
Seduta ad uno dei tavolini della veranda che dava sul golfo, Aida guardava sorridente il bambino che saltellava, su di giri, mentre Rami, invece, li scrutava entrambi con un’espressione davvero contrariata.
«Vi siete lasciati comprare con poco da uno che crede che con i soldi si possa ottenere tutto» insinuò, velenoso.
«Ti prego, non ricominciare…» lo supplicò la ragazza, rabbrividendo al solo ricordo dell’energica lavata di testa che l’altro aveva fatto a Jamila soltanto perché le aveva permesso di parlare con Giancarlo.
Il fratello, allora, scosse la testa con vigore, come per sottolineare la propria ostinazione nel pensar male del biondo.
«Possibile che tu non capisca che sei solo una novità per lui? Si sarà stancato di assaggiare i soliti slavati dolcetti alla vaniglia, così gli è venuta voglia di un bel cioccolatino!» berciò, sbattendo un pugno sul tavolo. «Ti considera solo un degno bottino, una piccola schiava egiziana e, ricordati: quelle come te saranno sempre considerate inferiori, frivoli ninnoli da intrattenimento. Una volta soddisfatto il suo perverso desiderio, ti abbandonerà e chi si è visto, si è visto!»
Aida, però, non mutò espressione, decisa a non dargliela vinta, ma, al tempo stesso, consapevole di quanto fosse testardo: ci sarebbe voluto del bello e del buono, infatti, per fargli cambiare idea su Giancarlo, ma lei non si sarebbe certo arresa con facilità.
«E se non fosse come dici? Le occasioni di mettermi le mani addosso non gli sono mancate, eppure non l’ha mai fatto» gli fece notare, a quel punto, piccata.
«Sei proprio ingenua! Prima si è voluto guadagnare la tua fiducia, evidentemente. È stato astuto!» ribatté Rami, sempre più adirato. «Non vuoi darmi ascolto e troncare qui la cosa? Bene, allora non venire a piangere da me, dopo che ti avrà usata e buttata via come un oggetto vecchio! Cosa ti aspetti da uno che ha come unico scopo quello di saltarti addosso come un animale in calore?!»
«Rami, adesso basta!» sbottò Aida, estremamente disgustata da quell’assoluta mancanza di rispetto nei confronti di Giancarlo; cercò, però, di non alzare troppo la voce per evitare di far sentire a Samir, che giocava lì accanto, cosa stava dicendo il fratello maggiore.
«Non ti vergogni a rivolgerti con queste parole offensive a chi non c’è e non può dire niente a sua discolpa?» continuò, rimproverandolo. «E poi, per quale motivo dovrebbe continuare a pensare a me, se può divertirsi con tutte le ragazze che vuole e persino più belle della sottoscritta?»
L’altro la fissò ad occhi socchiusi e le sibilò, inferocito: «Perché continui a difenderlo? No, aspetta, non dirmelo... ti sei presa una cotta per lui!»
La ragazza, nel sentire quelle parole, distolse lo sguardo, sentendosi avvampare, poiché non voleva che i suoi sentimenti fossero giudicati in quella maniera, tuttavia, il fratello se ne accorse e riprese, sempre più adirato: «E magari, speri anche che possa ricambiare i tuoi sentimenti! Come ti ha raggirata? Promettendoti di farti diventare la sua amante prediletta, per caso?»
Aida, però, non si lasciò scalfire e, infastidita da quel comportamento così ottuso, replicò: «Tu non puoi capire, Rami. O, forse, non vuoi».
Questa risposta lo urtò terribilmente il giovane che, senza indugiare oltre, si alzò con uno scatto e lasciò la veranda, biascicando improperi sia verso di lei che verso il suo spasimante.
«Io sì, invece» sussurrò, invece, impercettibilmente Aida, con lo sguardo fisso sul golfo di Alessandria.

«Come facciamo a ringraziare Giancarlo per quello che ci ha regalato?» domandò all’improvviso Samir, mentre la ragazza lo aiutava a prepararsi per andare a letto, ma lei si fermò a fissarlo, ritenendo che, in effetti, sarebbe stato educato farlo.
«Un modo lo troveremo. Su, ora mettiti giù e dormi, va bene? Domani c’è scuola» gli disse, dopo averci riflettuto su un po’.
«Dada, ma perché Rami dice tutte quelle cose brutte a Giancarlo? A me piace, mi sono divertito con lui. Non è cattivo come il fidanzato che tu non vuoi».
La ragazza gli sorrise debolmente e, sospirando, rispose: «Rami pensa di sapere sempre tutto e non sa perdonare chi ha fatto degli errori, senza rendersi conto di essere proprio lui il primo a farli».
«Quindi anche i grandi sbagliano?» chiese, allora, Samir, meravigliato.
«Certamente, a volte, persino più dei bambini!» replicò la sorella, prima di fargli cenno di mettersi giù per farsi coprire.
«Però possono essere perdonati? Tu e Rami mi perdonate sempre tutto, quando sbaglio» continuò il bambino, con una buffa espressione pensierosa sul volto.
Questa volta, Aida sorrise più serenamente e, dopo avergli accarezzato la testa, replicò: «Dipende, se c’è un pentimento sincero, non vedo perché non dare una seconda possibilità. Ora, però, dormi, d’accordo? Abbiamo chiacchierato abbastanza per stasera».
Il bambino, allora, sbadigliò ed annuì, accoccolandosi su un lato e stringendo a sé il suo peluche a forma di scimmia: «Buonanotte, Dada».
«Buonanotte, Samir» gli rispose l’altra, chinandosi su di lui e posandogli un bacio sui capelli.
Poi, spense la luce ed uscì dalla stanza in punta di piedi, intenzionata a dirigersi in veranda per ritagliarsi un po’ di tempo per sé, giacché sentiva il bisogno stare in compagnia esclusivamente dei suoi pensieri. Aveva già messo un piede fuori, quando si sentì chiamare: «Dada! Non ci crederai!»
Voltandosi, scorse Jamila che arrivava di gran carriera verso di lei e, senza nemmeno aspettare che le fosse più vicina, le chiese, leggermente infastidita: «Si può sapere che cosa ti prende?»
«Non puoi nemmeno immaginare…» fece l’altra, bloccandosi davanti a lei per riprendere fiato.
Aida aggrottò appena la fronte, perplessa.
«Cosa?»
Tuttavia, l’amica non rispose subito, prendendosi altro tempo per fare qualche respiro profondo.
«Oh, insomma, Jamila, che cosa c’è?!» sbottò, alla fine, spazientita.
«C’è il biondino al telefono... vuole parlarti!»
Non aspettandosi una risposta simile, la fanciulla rimase imbambolata per qualche secondo, per poi ridestarsi e fiondarsi a prendere la chiamata.
«A quanto sembra, ha scelto di fare la difficile» commentò, invece, sottovoce Jamila, sogghignando divertita.

Una volta entrata in ufficio, Aida chiuse dietro di sé la porta e si accomodò sulla poltrona del fratello, sentendo il cuore che le batteva all’impazzata: stava provando un misto di emozioni troppo ingarbugliato poter essere sbrogliato e compreso, poiché ancora non sapeva con certezza cosa provava verso di lui. L’unica cosa che sapeva era che sicuramente non si trattava di una semplice simpatia.
Decisa a calmarsi, allora, inspirò a fondo e, dopo aver appoggiato lentamente la cornetta all’orecchio, parlò, per poi sentirsi rispondere, immediatamente: «Masah el kheir».
Riconobbe subito quella voce, così calda e gioviale, e sorrise, piacevolmente colpita da quell’approccio originale.
«Buonasera a te. Sai che il tuo accento è davvero buono?» disse, divertita.
«Trovi? Sono solo agli inizi, sai? Si può sempre migliorare» fece, però, lui, con sicurezza.
«Oh, non ne dubito» ribatté lei, rendendosi conto di averlo fatto con tono più canzonatorio di quello che avrebbe voluto e sentendosi avvampare per questo.
Per fortuna, Giancarlo non la considerò una provocazione e proseguì: «Piaciuto il regalo?»
La fanciulla sentì che cominciava ad essere meno tesa e si appoggiò allo schienale della poltrona, prima di rispondere: «Molto. Credo di aver cominciato a capire perché hai detto che ami le sorprese».
«Sì, ma solo quelle che riescono bene. Anche a Samir è piaciuto?»
«Assolutamente. È letteralmente impazzito, era certo che ti saresti ricordato di lui!»
Approfittando di quell’affermazione, l’altro la stuzzicò, cantilenante: «Perché, tu ne hai dubitato, forse?»
«Be’, sai già che credo solo a quello che verifico di persona» rispose lei, pronta, ringraziando che lui non fosse lì a vedere il suo imbarazzo.
«In realtà, non credo ti mancheranno le cose da verificare. Ho solo iniziato a mantenere la mia promessa».
«Allora, aspetterò».
Ci fu una breve pausa di silenzio, poi il giovane riprese: «A proposito, hai un indirizzo e-mail? Non essendo un fan dei social network, temo dovremmo accontentarci di posta elettronica e cellulare, quando non potremo sentirci via telefono».
Nell’udire quella bizzarra richiesta, Aida aggrottò la fronte, attonita e perplessa per quella rivelazione.
«So bene che sarà un modo di comunicare un po’ freddo e distaccato, ma trovo che sia perfetto per garantire la mia ri-educazione riguardo al corteggiamento».
«Ah!» esclamò lei, sorpresa per l’uso della parola corteggiamento. «Ehm... sì, va bene, come vuoi, per me non ci sono problemi» balbettò, prima di rimanere qualche secondo in silenzio, incerta su cosa dire.
 «Grazie per quello che hai fatto per mio padre, comunque».
«Io non ho fatto niente, devi ringraziare Mary Anne: non hai visto come è felice di occuparsi di un caso vero, anziché della solita diatriba tra assicurazioni?» si schermì Giancarlo, tradendo anche un certo divertimento.
«Miss Darland mi ha detto che non l’hai pagata per seguire la causa. Almeno per questo accetta il mio grazie».
A quest’ultima affermazione, però, il giovane non rispose, così lei ebbe il presentimento che sapesse che lei non avrebbe mai accettato, se lui avesse pagato al posto del fratello, anche se ne aveva davvero bisogno, considerando la disastrosa situazione del padre.
Poco dopo, per fortuna, il biondo riprese la conversazione, cambiando del tutto argomento, scambiandosi rapidamente tutti i contatti necessari prima di salutarsi.
«Allora, a presto?» chiese, infine, la ragazza, quasi sussurrando, staccando il post-it su cui si era appuntata tutto e pensando a dove nasconderlo, affinché non capitasse tra le mani di Rami.
«Già senti la mia mancanza, gioia?» replicò, allora, il giovane, in perfetto stile Gianni Tornatore.
Tuttavia, Aida non si fece cogliere impreparata e non si lasciò disorientare tanto facilmente.
«Non più di quanto tu senta la mia» rispose, sicura, accennando anche un’inflessione divertita e non sapendo che, in realtà, lui stava gongolando beato per quanto udito, né che erano proprio quei brillanti e sottili confronti ad alimentare l’alchimia che si era innescata tra loro due.
«Se tu lo vorrai, a presto» concluse poco dopo lui, più dolcemente.
«Tesbah ala kheir» lo salutò, a quel punto, la fanciulla, curiosa di mettere alla prova la sua conoscenza dell’arabo.
«Buonanotte a te, Aida. E non scordarti di salutare Samir da parte mia!».
Aida sorrise: Giancarlo aveva risposto correttamente.
***

Marcello Tornatore e sua moglie Beatrice erano seduti al tavolo della sala da pranzo, intenti a consumare la prima colazione, lui impegnato a leggere il giornale, lei in attesa che il suo tè verde aromatizzato al bergamotto si raffreddasse.
Madonna Beatrice, come l’aveva prontamente ribattezzata la servitù, per via delle sue origini fiorentine, era davvero una bella donna, con quei lunghi, ondulati capelli ramati, gli occhi blu e le labbra rosee e delicate; aveva anche uno spiccato temperamento artistico, e sapeva essere tanto mite, quanto ferma e decisa.
Accanto a lei, invece, Sor Marcello, nonostante avesse raggiunto i cinquanta, mostrava ancora i segni di quell’innegabile bellezza che, in gioventù, aveva fatto sospirare molte ragazze: fisico statuario, lineamenti eleganti e occhi tendenti al verde chiaro, un’ombra di barba e capelli ancora biondi. Uomo pratico e di poche cerimonie, non aveva mai prestato troppa attenzione ai vincoli imposti dal proprio status sociale, preferendo improntare la propria vita in base agli antichi e inviolabili valori. Perciò il fatto che la sorte, invece, gli avesse dato un figlio, che aveva fatto del pressappochismo il suo credo, rappresentava il suo più grande motivo di rammarico.
Per questo, marito e moglie si ritrovavano spesso a discutere della pessima condotta di Gianni e così fecero anche quella mattina.
«Da quando è tornato da quella vacanza, si comporta in maniera strana. Secondo me, sta tramando qualcosa…» esordì l’uomo, mettendo da parte il giornale.
«Ti riferisci al nostro Pulcino?» temporeggiò l’altra, scegliendo con cura una fetta di pane tostato dal cestino di stoffa che aveva davanti.
Marcello si voltò immediatamente nella sua direzione e la fissò inarcando appena un sopracciglio, come se si sentisse preso in giro.
«Secondo te? Comunque, per favore, smettila di chiamarlo così: l’unica cosa seria che ha è il nome, ereditato dal nonno» le fece notare, irritato. «Sai, a volte penso che sia davvero un bene che mio padre non possa sapere cosa sta combinando il nipote…»
«Son sicura che non sta facendo niente di male. Non hai notato, forse, che non rincasa più all’alba, che ha smesso di fumare e ha anche ripreso a studiare per gli esami?» replicò Beatrice, tradendo una certa soddisfazione, iniziando a spalmare la marmellata di albicocche sulla fetta di pane.
«Ti ha ingaggiato per fargli pubblicità, per caso?» replicò, però, acidamente l’altro.
La donna sospirò: «Suvvia, Marcello! Ha perfino chiesto aiuto ad Emiliano e ora sta seguendo le su’ direttive per recuperare al meglio il tempo perso!»
«Mi stai forse dicendo che è tornato amico di Emiliano... Corsini…?»
L’uomo, stralunato, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Oh, sì!» confermò la moglie, entusiasta, poggiando la fetta di pane su un piattino.
«Finalmente, ha lasciato perdere quell’idiota del figlio di Colonna?» continuò l’altro.
«Già. Non trovi che sia un bel passo in avanti?»
Marcello osservò la moglie di sbieco, poco convinto, così lei continuò, dolcemente: «Non hai visto che è più sereno? Non ci giurerei, ma secondo me potrebbe essersi innamorato».
Tale affermazione fu il massimo che il marito potesse tollerare, infatti, inarcò marcatamente un sopracciglio e sbottò: «Questa te la sei inventata or ora di sana pianta! Tuo figlio è troppo impegnato a vedere solo se stesso e quelle svergognate che gli ronzano perennemente intorno, per accorgersi che là fuori ci sono tante brave ragazze. Non credo che avremo mai il piacere di vederlo sistemato con una donna che possa essere chiamata tale».
«Suvvia!» replicò subito Beatrice, scuotendo la testa. «Secondo me gl’è successo qualcosa di bello che ancora non c’ha raccontato».
«Finché non lo vedrò, non ci crederò» sentenziò l’altro, irremovibile. «Anche tuo fratello dava il meglio di sé, quando doveva svelare tutti gli altarini delle sue bravate!»
«Be’, l’è innegabile che Guido abbia fatto spesso il bischero e che tutt’ora non si comporti troppo bene, ma...»
«Non è Guido, è Giuda. Non aveva nemmeno finito di promettere di prendersi le sue responsabilità, che tuo padre ha dovuto svendere la vostra proprietà all’Argentario e la casa vicino a Santa Maria del Fiore, per saldare i debiti di gioco di quella sanguisuga! Inoltre, come se non bastasse» aggiunse Marcello, rabbrividendo al solo ricordo, «ti stava per vendere a quel bastardo schifoso di Conrado de Navarra!»
La moglie sospirò per la seconda volta, alzando gli occhi al cielo.
«Oh, ma non c’è riuscito, visto che un aitante e fascinoso giovane l’è intervenuto in tempo» gli sussurrò poi, teneramente, sperando di rabbonirlo, ma, purtroppo il tentativo non ebbe l’effetto sperato, perché l’altro, poco dopo, proseguì la sua accesa orazione.
«E poi, Tiberio mi ha proprio seccato con quel suo continuo sottolineare che ragazza virtuosa sia Claudia, copia esatta di nostra madre».
A questo punto, la donna, memore delle angherie che le aveva riservato la suocera ogni volta che aveva potuto, cambiò repentinamente espressione.
«Oh, tu sa’ che fortuna!» commentò, sarcastica e il marito, che condivideva pienamente quel punto di vista, rincarò la dose.
«Sai qual è la cosa peggiore? Che, secondo loro, è un vanto. Come il fatto che si sia fidanzata con il rampollo dei Boulanger. Da quando è successo, mio fratello e sua moglie sono diventati ancora più insopportabili, dato che si augurano che Giancarlo sposi al più presto la figlia degli Odescalchi».
E, poco dopo, disgustato, aggiunse: «Sono davvero ridicoli!»
«In effetti, tra la Maria Chiara e la Claudia non so davvero chi debba star più lontana dal mi’ figliolo» concordò la moglie, sdegnata, zuccherando il proprio tè con troppa foga. «Comunque, l’è piacevole vedere come il tu’ fratello e la su’ moglie non abbian perso il vizio d’impicciarsi dei nostr’affari».
«Le sane abitudini non vanno mai perse» fece Marcello, ironico, infastidito anche solo a nominare i suoi parenti, verso i quali non nutriva la benché minima stima e non approvando che, dall’alto della loro villa ad Albano Laziale1, si sentissero in dovere di fare commenti su suo figlio. A suo tempo, infatti, lo aveva già abbastanza schifato il matrimonio d’interesse tra il fratello Tiberio e la ricca Ortensia Torlonia, spingendolo, addirittura, a decidere di non sposarsi, ignaro di ciò che aveva in serbo il destino per lui.
D’altra parte, allora, anche l’appena diciottenne Beatrice, giunta nella Capitale poco dopo la morte di suo padre e ospite di una zia e di una cugina tutt’altro che generose, era convinta che la sua vita sarebbe stata costellata solo dall’infelicità, prima di essere costretta a ricredersi la sera che il suo dissoluto e libertino fratello aveva avuto la prodezza di trascinarla ad uno dei ricevimenti ai quali era solito imbucarsi, cui, eccezionalmente, erano presenti, in rappresentanza della famiglia, Tiberio, la sua neoconsorte e il suo giovanissimo fratello minore Marcello.
Era stata una festa come tante, con molta musica e tanti discorsi futili, una perfetta vetrina di tutta la sedicente buona borghesia romana, quindi un evento che, agli occhi del minore dei due fratelli, si annunciava persino più noioso degli altri. Si stava appunto allontanando dall’ennesima fanciulla che aveva cercato, invano, di attaccare bottone con lui, quando era accaduto l’inatteso: era letteralmente rimasto stregato dalle iridi blu zaffiro della ragazza che, maldestramente, lo aveva appena fatto cadere per terra, finendo curiosamente tra le sue braccia, mentre scappava da un corteggiatore un po’ troppo insistente.
Dal canto suo, quella fanciulla, abituata a cucirsi i vestiti da sola e a discorrere per ore di letteratura e opere d’arte, era rimasta a sua volta rapita dal fascino misterioso di quel giovane, il più bell’uomo che avesse mai visto, a tratti così burbero e severo, a tratti così gentile e delicato.
Tuttavia, a distruggere l’idillio, ci aveva pensato Madama Claudia, la Matrona, che non voleva assolutamente che il ribelle figlio minore, avendo ormai passato i venticinque anni, sposasse una fanciulla senza dote, poiché, anche se i Tornatore non erano nobili, potevano comunque considerarsi molto ricchi e di antica stirpe. Ciò che, però, non aveva messo in conto era che a Marcello piacesse quella giovane bambola e così, era riuscito a prevalere su di lei, forte dell’appoggio del padre Giancarlo, sposando, nonostante le proteste fatte anche il giorno del matrimonio, l’unica donna che avrebbe mai potuto renderlo felice.

Beatrice, cominciò a sorbire il tè e, nel riappoggiare la tazza sul piattino, provocò un tintinnio di ceramica, che si propagò nella mente dell’uomo, distogliendolo dai suoi pensieri e portandolo a guardare nuovamente la moglie che, approfittando del momento di quiete, gli sussurrò, affranta: «Comunque, Marcello, ti prego, cerca d’esser più comprensivo con Giancarlo... pensa che ti vergogni di lui, sai?»
Nel sentire ciò, Marcello si voltò in direzione della finestra aperta e, per qualche secondo, contemplò il cielo.
«Sai bene che non è così, ma non posso comunque far finta di approvare il suo comportamento scellerato» mormorò, infine. «Non so davvero dove ho sbagliato con lui…»
La donna, allora, gli poggiò una mano sulla sua e, rivolgendogli un’occhiata rassicurante, cercò di confortarlo: «Non hai sbagliato nulla, l’è solo che...»
Tuttavia, non riuscì a finire la frase, giacché, proprio in quel momento, il ragazzo fece la sua comparsa.
«Buongiorno, mamma» esordì, entrando nella sala con alcuni libri e quaderni in mano. «Buongiorno... papà».
«Buongiorno, caro» gli rispose la madre, sorridendogli.
Marcello, invece, gli scoccò uno sguardo severo, per poi riprendere immediatamente il suo quotidiano e sparire dietro la prima pagina, emettendo un grugnito a mo’ di saluto.
«Ti fermi a fare colazione con noi, Pul… Giancarlo?» chiese, a quel punto, la donna, lanciando uno sguardo al Quotidiano seduto al suo fianco.
«No, grazie, mamma, vado di corsa. Questa mattina ho la lezione di economia finanziaria alle nove in punto, perciò devo scappare».
Beatrice annuì, sempre sorridendo, mentre la Prima Pagina continuava nel suo mutismo, e Giancarlo fece finta di niente, abituato all’atteggiamento ostile del padre.
«Sarà meglio che vada» annunciò, dando una scorsa veloce al cellulare. «Buona giornata!»
Si era appena voltato, quando la madre, lasciando che un sorrisetto furbo si affacciasse sul suo volto, lo richiamò, con tono apparentemente casuale: «Stai controllando i tuoi impegni, caro, oppure aspetti una chiamata da Emiliano?»
Il figlio si fermò immediatamente e si voltò verso di lei.
«No, non ce n’è bisogno, ci siamo già messi d’accordo» replicò, distrattamente, alzando le spalle.
«Però, deve essere comunque una cosa importante» insistette Beatrice.
«Sì, certo» rispose il giovane, continuando a scorrere l’indice sul touch-screen del suo i-Phone.
«Importante quanto una… ragazza?» avanzò lei, continuando il suo interrogatorio.
«Eh?» fece l’altro, trasalendo, e facendo quasi cadere i libri che teneva sotto il braccio.
«Caro, ho notato che se’ un pochino assente in quest’ultimo periodo e il babbo ed io siamo un po’ preoccupati».
«Parla per te!» replicò, asciutto, il Quotidiano, increspandosi appena.
La moglie chiuse gli occhi e, dopo aver preso un bel respiro, decise di ignorarlo e continuare la sua indagine: «Tuttavia, e credo che sarebbe meno preoccupante, se ci fosse di mezzo una fanciulla...»
A quel punto, Giancarlo corrugò la fronte e si sedette al tavolo, appoggiando i libri ed il cellulare da una parte ed afferrando una fetta di pane tostato dal cestino con la mano libera, convenendo che, se doveva davvero rivelare tutto ai suoi genitori, era meglio farlo a stomaco pieno.
«Ecco, a dire il vero, ho conosciuto una ragazza che...» cominciò a raccontare, dopo aver inghiottito un paio di bocconi.
Tuttavia, non riuscì a finire, perché il Quotidiano scoppiò in una risata di scherno: «Una? E da quando avresti ammesso il concetto di singola unità, nel tuo sistema numerico?»
«Marcello, fallo parlare!» intervenne la donna, prendendo le parti del figlio e rivolgendosi, subito dopo, proprio a lui.
«Caro, per te l’è davvero così importante?» gli chiese, gentile.
«Sì, molto» rispose lui, esibendo un sorriso che aveva un che di imbarazzato.
«Allora perché non ce la fai conoscere?»
Il ragazzo stava per rispondere affermativamente, quando un “no” secco riecheggiò nella sala così si ritrovò a guardare alternativamente sua madre e la Prima Pagina.
«Perché no, Marcello?» si stizzì la consorte.
In risposta, l’uomo abbassò lentamente il giornale e la guardò severamente.
«Non ho tempo da perdere con le mignotte con le quali si intrattiene» rispose, secco spostando lo sguardo su Giancarlo e facendogli un cenno con il capo. «E ti posso assicurare che, finché in questa casa ci sarò io, queste mura non saranno spettatrici di alcuna oscenità!»
Beatrice lo guardò ironica, inarcando un sopracciglio, disapprovando certi termini con il quali si era espresso il marito, trovandolo un controsenso: se stava rimproverando il figlio, doveva almeno dargli il buon esempio!
«Come puoi dire questo, se non l’hai nemmeno mai vista?» protestò, invece, il giovane, buttando il resto del pane tostato sul tavolo. «Ti assicuro che non è come le altre... Se non vuoi dare a me un’altra possibilità, almeno offrila a lei, che non merita un tuo giudizio così severo e, soprattutto, così sbagliato prima ancora di averti conosciuto!»
Dopo tali parole, Marcello lo squadrò attentamente, rimanendo alquanto sorpreso nel notare che sul volto del figlio, al posto della consueta e apatica accidia e di quel suo solito sorrisetto da schiaffi, c’era un espressione decisa e appassionata.
«Perché insisti tanto per farcela conoscere? Finora hai fatto i tuoi disgustosi comodi tacitamente, come è negli accordi: fuori di qui puoi fare tutte le nefandezze di questo mondo, purché tua madre ed io non ne veniamo a sapere niente» gli ricordò, assottigliando lo sguardo, sospettoso. «Cosa ti spinge adesso a volerci rendere partecipi della tua miserabile vita?»
Il ragazzo incassò le offese, consapevole di essersele in gran parte meritate, ma non si lasciò intimidire e replicò, con veemenza: «Quando la conoscerete, capirete. E, comunque, sarebbe opportuno che cominciaste al più presto a prendere confidenza con quella che, spero, potrebbe essere la vostra futura nuora».
Beatrice spalancò gli occhi per la sorpresa e trattenne il fiato, mentre Marcello ebbe la reazione peggiore, poichè sapendo che, invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, arrivò ad un’univoca conclusione: suo figlio si era fatto incastrare.
Per questo, si mise lentamente in piedi e dardeggiò il giovane con uno sguardo assassino: «Ah, ora ho capito, delinquente perverso! Sapevo che, prima o poi, sarebbe finita così!» esclamò, alzando il tono della voce.
«No, aspetta, non è come credi tu!» si affrettò a smentire Giancarlo, diventato scarlatto, dopo aver intuito a cosa stava pensando il padre. «È vero, c’è anche un bambino di mezzo, ma ha otto anni... ed è suo fratello!»
L’uomo lo guardò, scettico, anche se dovette ammettere che non aveva mai visto il figlio così sicuro e, allo stesso tempo, così imbarazzato.
«Ti prego, dammi fiducia, almeno per questa volta. Dammi l’opportunità di dimostrarti che tengo davvero ad Aida e a Samir…»
Marcello, allora, espirò molto lentamente e appoggiò le mani sul tavolo.
«Aida? È così che si chiama?»
«Sì. Samir, invece, è il suo fratellino. Poi ne ha anche uno più grande, Rami, al quale però non sono affatto simpatico».
«E posso immaginare il perché!» commentò l’altro, facendo una smorfia.
Per tutto il tempo, Beatrice osservò entrambi, rimanendo sempre in silenzio e lasciando che fosse il marito a fare le domande più opportune.
«Quando e, soprattutto, dove l’hai conosciuta?»
«Mentre ero in vacanza, ad Alessandria» rispose il ragazzo, senza staccare gli occhi da quelli del padre. «Studia Belle Arti e lavora insieme a suo fratello per pagarsi gli studi. Fa la cameriera, è un lavoro di tutto rispetto, non trovi?» precisò, prima che il padre giungesse a qualche altra conclusione affrettata.
L’uomo, allora, tenendo i palmi saldamente aderenti al tavolo, si rizzò in tutta la sua altezza e lo guardò severamente. Anche se non sapeva se gli stava davvero raccontando la verità, doveva ammettere che era una storia troppo limpida e credibile per essere frutto della fantasia del figlio, per quanto fervida; inoltre, nel caso avesse mentito, prima o poi la verità sarebbe comunque venuta fuori. C’era da dire, però, che, quel nome gli aveva subito fatto riaffiorare alla mente qualcosa che a lui era nostalgicamente noto, attirando positivamente la sua attenzione.
Nel frattempo, il giovane era rimasto in silenzio, in penosa attesa di conoscere la risposta.
«E va bene» sospirò Marcello, dopo secondi che parvero infiniti, «conosceremo questa misteriosa ragazza, fautrice dell’illuminazione sulla via di Damasco! Tuttavia, sappi che ti tengo d’occhio» lo redarguì alla fine, pronunciando quest’ultima frase molto lentamente.
Giancarlo annuì, con fare consapevole, poi si alzò, recuperò i libri e, dopo essersi scambiato un’ultima occhiata con i genitori, li salutò e si diresse verso la porta.
Rimasta sola con lui, Beatrice si avvicinò al marito e cominciò a dargli affettuose pacchette sulla spalla, sussurrandogli dolcemente: «E son sicura che sa quel che fa».
«Me lo auguro» borbottò lui, in risposta, recuperando il giornale e rimettendosi seduto. «Altrimenti, preparati a diventare vedova e a venire a piangermi al cimitero».
La donna sospirò, lasciandosi comunque scappare un sorriso.
«Oh, non essere così disfattista e catastrofico!» esclamò, rimproverandolo scherzosamente.
«In effetti, ci sarebbe una prospettiva migliore: venire a trovare me a Rebibbia e tuo figlio al Verano2» ribatté lui.
A quel punto, lei scosse la testa e, finalmente, cominciò a sorseggiare il suo tè, ormai completamente freddo.
***

Test Chi-Quadrato, T di Student, intervalli di confidenza... statisticamente parlando, quante probabilità aveva di passare l’esame?
Voltando pagina, Giancarlo smise di tamburellare ritmicamente la matita contro il libro e buttò giù sul foglio una formula matematica, alla quale fece seguire una nutrita schiera di passaggi e calcoli algebrici, che si conclusero con un esiguo numero decimale. Allora, si fermò, fissò le cifre, e, per un attimo, smise perfino di respirare, cercando febbrilmente il risultato dell’esercizio nelle appendici del volume che aveva fra le mani. Nel vedere che corrispondevano, sorrise, soddisfatto, prima di tornare a concentrarsi sul problema, risoluto a concluderlo nel passaggio successivo. E fu proprio quello che fece, confrontando poi quanto ottenuto con la soluzione data, che coincideva perfettamente: l’ipotesi poteva essere rifiutata.
Compiaciuto, il giovane depennò l’esercizio dalla lista e, stiracchiandosi, appoggiò la schiena contro lo schienale della poltrona di Marcello. Quando ne aveva occasione, infatti, andava spesso a studiare nella stanza che il padre aveva attrezzato come studio, poiché aveva una scrivania molto più comoda della sua, oltre ad essere un ambiente deliziosamente caldo e accogliente che, per giunta, permetteva di godere dalla balconata di una fantastica visuale sul parco della villa.
Per qualche secondo ancora, Giancarlo tornò ad ammirare il piccolo successo raggiunto, dopo di che scorse gli altri esercizi da fare e ne scelse un altro, visto che la possibilità di superare bene l’esame di statistica era direttamente proporzionale alla cura che ci metteva nel prepararlo e quell’ostacolo del terzo anno di economia doveva essere oltrepassato.
Tuttavia, doveva ammettere che, con la matematica non aveva mai avuto un buon rapporto: da adolescente infatti, non aveva fatto altro che architettare piani sempre più stravaganti per saltare le lezioni private di algebra, procurando non pochi guai all’anziano maggiordomo e subendo innumerevoli lavate di testa da parte del padre, impotente di fronte al fatto che odiava quella materia quasi quanto preferiva uscire con le sue ragazze.
A quel ricordo così poco piacevole, il suo sorriso si convertì all’istante in una smorfia di disappunto, poiché quel periodo gli sembrava molto lontano ed estraneo, come se non fosse stato lui il protagonista di quelle scorribande.
Tuttavia, subito dopo, poco intenzionato a perdere tempo con quei fastidiosi aneddoti, scosse la testa, riportando la mente sugli esercizi, e stava proprio per iniziare una nuova gincana numerica, quando qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» fece, alzando la testa.
Subito, entrò una donna ben piazzata e dai folti capelli corvini, che richiuse immediatamente e malamente la porta dietro di sé, come se fosse stata inseguita.
«Cosa è successo, Annetta?» domandò il ragazzo, preoccupato.
La governante, allora, fece una smorfia seccata, prima di rispondere: «Una disgrazia, ecco cosa! Sono appena arrivati la prima donna e quel damerino del suo fidanzato e vogliono parlarti».
Avendo intuito da quegli epiteti che si stava riferendo alla cugina e ad Olivier, il giovane si alzò e sospirò: «Falli accomodare».
Tuttavia, la donna, che aveva una bassa considerazione di Claudia, non si mostrò d’accordo con quella decisione: «Ricordati che non sei tenuto a riceverli: stai studiando ed è molto più importante questo che ascoltare le loro chiacchiere inutili!»
Giancarlo corrugò la fronte e aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a dire nulla, perché, prima che potesse farlo, Annetta scosse la testa e proseguì: «Ho capito, ma cerca di mandarli via presto, d’accordo?»
E, dopo aver detto questo, senza aspettare una risposta, spalancò la porta e attese che i visitatori entrassero. Claudia avanzò immediatamente, sfoggiando un abito di velluto color malva, reggendo con la mano destra un paio di guanti di nappa leggera e con il braccio sinistro una preziosa borsetta abbinata alle décolletées in pelle di camoscio che indossava; i capelli, invece, erano stati minuziosamente acconciati in splendidi boccoli che scendevano sinuosi da un lato del volto. Subito dietro di lei, comparve Olivier, rigorosamente azzimato in un sopraffino completo blu e bianco che gli cadeva perfettamente, mettendo in risalto la sua figura aggraziata.
«Merci, madame» fece ad Annetta, che, invece, fece una frettolosa, rigida riverenza e lanciò un’occhiataccia alla ragazza, per poi uscire, sbattendo leggermente la porta dietro di sé.
«Personale sempre molto scortese e inefficiente, noto» commentò Claudia, accomodandosi, senza chiedere il permesso su una delle poltroncine, subito imitata dal fidanzato.
«In realtà, Annetta è la migliore governante che potessimo avere» notò Giancarlo, con una punta di irritazione. «Piuttosto, come mai siete qui?»
«Ci intratterremo a Roma solo per qualche ora, siamo venuti perché mi sono resa conto che la moda parisienne di quest’anno non mi soddisfa. Madame Morue ha dato un ricevimento e non posso assolutamente presentarmi con un vestito simile a quello che ha preparato per quella manche de balai della figlia. È ancora convinta che la sua Ottilie sarebbe perfetta come futura Madame Boulanger e non perde occasione per mettermi in difficoltà» spiegò subito Claudia, visibilmente scocciata.
Sentendo quelle parole, Olivier indugiò di nascosto sulla figura della fidanzata, pensando evidentemente allo scampato pericolo, poiché, nonostante fosse superba e altezzosa, fisicamente non aveva nulla da criticarle.
«Che affronto imperdonabile!» esclamò, allora, il biondo, ironico, attirando immediatamente l’attenzione dell’amico, che lo guardò accigliato, mentre Claudia, invece, lo scrutò con gli occhi ridotti a due fessure, prima che il suo sguardo cadesse sui libri aperti sulla scrivania.
«Cosa stavi facendo?» chiese, guardandoli incuriosita.
«Stavo studiando statistica» rispose Giancarlo, con noncuranza, lasciando i due sbigottiti.
«Statistica? Tu sei allergico alla matematica!» strillò subito la ragazza con voce acuta, osservando il cugino con occhi spiritati.
«Risolverò con un antistaminico, oppure con una bella dose di cortisone» replicò l’altro, con leggera strafottenza, cominciando a irritarsi.
«Hai ripreso a studiare?» riprovò Olivier, scettico. A quel punto il giovane, facendo appello a tutta la pazienza che aveva e cercando di non essere troppo scortese, ribatté: «Avete bisogno di certificato timbrato e firmato dal rettore per esserne convinti, per caso? Sì, ho ricominciato a frequentare i corsi».
Claudia assottigliò lo sguardo, stranamente risoluta a non indagare oltre sull’improvviso interesse che il cugino stava ostentando verso quella materia per lui così ostica.
«Comunque, ancora non mi avete detto perché siete venuti» riprese Giancarlo, appoggiandosi contro la scrivania e incrociando le braccia, desideroso di arrivare quanto prima al dunque.
«Oh, vedi, Olivier ed io abbiamo avuto un’idea per festeggiare adeguatamente la sua vittoria al Bocuse d’Or» cominciò Claudia, contenta che le si desse l’attenzione che desiderava. «Avevamo intenzione di organizzare il tutto tra qualche settimana, sai, il tempo di liberarci dagli ultimi inviti... ma l’idea ci è venuta all’improvviso così, trovandoci nei paraggi, abbiamo deciso di venirtene a parlare di persona!»
Vedendo che il cugino, però, si limitava a fissarla con un sopracciglio alzato, senza dimostrare interesse verso ciò che stava dicendo, la ragazza proseguì: «Stavamo pensando di fare qualcosa di particolare… una settimana a Bora Bora a goderci il sole estivo, mentre qui è pieno inverno!»
A quel punto, tacque, soddisfatta, in attesa della risposta di Giancarlo, come se pensasse di meritare un premio solo per aver avuto un’idea del genere. Tuttavia, il biondo non fu dello stesso avviso, come si affrettò a mettere in chiaro.
«Non credo di poter partecipare, è periodo di esami e non posso muovermi» spiegò, con tono grave.
«Che cosa?!» strillò l’altra, con voce acuta.
«Ho l’esame di statistica, in quei giorni, perciò non posso muovermi» ripeté, allora, il ragazzo, scandendo bene le parole, come se sospettasse che la cugina fosse diventata sorda tutto d’un tratto.
«E non puoi telefonare a Palombelli e far spostare l’appello? Appena sentirà che sei tu, non ti negherà niente» gli suggerì subito lei.
«Ma sei impazzita o cosa?! Spostare l’appello per una vacanza? È assurdo, Claudia! Non sono solo io a dover affrontare quest’esame!»
In quel momento, Olivier aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua fidanzata lo precedette: «Non ti riconosco più, sei così... diverso. Immagino che questo tuo cambiamento dalla notte al giorno sia stato orchestrato da lei».
Giancarlo si concentrò sul ripiano più alto della libreria che aveva di fronte, dedicandosi all’inventario dei volumi lì sistemati, invece di rispondere, non avendo la benché minima intenzione di mettersi a discutere con la ragazza di cose che non la riguardavano.
«Come temevo…» commentò quella, dopo avergli riservato un’occhiata carica di risentimento. «Se le cose stanno così, fai pure quello che vuoi, allora, ma spero che, prima o poi, tu riesca a rinsavire».
Poi tacque per qualche secondo, ma, poiché la gelosia nei confronti del cugino era più forte di lei, non riuscì a trattenersi ancora e sbottò: «Dovresti smetterla di andare dietro a quella piccola sguattera, non merita le tue attenzioni!»
Il ragazzo, però, continuò a rimanere in silenzio, deciso a non alimentare oltre una discussione che trovava insensata: sapeva che Claudia amava profondamente e sinceramente il fidanzato, ma era anche consapevole del fatto che quella relazione non le impediva comunque di sopire l’insano e morboso attaccamento che aveva sviluppato verso di lui, giacché, se fosse stato per lei, avrebbe voluto per sé sia l’uno che l’altro.
Finché Giancarlo si era divertito, conscia che le altre fossero solo insignificanti passatempi, era riuscita a controllarsi, accettando perfino l’idea che lui sposasse Maria Chiara, sapendo che non sarebbe stato un problema condividerlo con la sua migliore amica. Tuttavia, ciò non sarebbe stato più possibile, se il ragazzo, invece, si fosse interessato ad un'altra e il fatto che il biondo, appunto, si fosse invaghito di una barbara3 di umili natali, per Claudia, rappresentava il peggiore degli affronti.
«Ma petite fleur, va bene così. Non credo che dovremmo reputarla un’offesa, d’altra parte Gianni rifiuta per un serio motivo, non è vero, mon ami?» fece a quel punto Olivier, scoccando all’altro un’occhiata eloquente e prendendo la fidanzata per una mano.
Intuendo che l’amico desiderava, giustamente, togliere il disturbo al più presto, il biondo gli rispose, con un sorriso sghembo: «A quanto pare, mon ami».
L’atmosfera, a quel punto, era diventata piuttosto pesante così, non avendo altro da aggiungere, il giovane francese sospirò: «Bene, ora che abbiamo chiarito le cose, mi pare il momento di andare, Paris ci aspetta».
Subito, si alzarono entrambi e lui offrì il braccio alla ragazza, che lo accettò con grazia impostata, senza mai smettere di scrutare il cugino con rabbia mista a indignazione.
«Au revoir, Gianni. In bocca al lupo per tutto!» lo salutò, allora, Olivier, impaziente di togliere le tende.
«Quella servetta scialba e selvaggia non ti merita» sussurrò, invece, Claudia, poco prima di voltarsi e andarsene.
«I pregiudizi sono sempre un limite» le rispose Giancarlo, senza guardarla, «perché giudicare male gli altri non ti rende una persona migliore».
A quelle parole, l’altra si arrestò sulla soglia, senza tuttavia aggiungere altro; rimase semplicemente immobile per qualche secondo, per poi uscire in tutta fretta, seguita prontamente dal suo ragazzo.

Una volta solo, Giancarlo si riaccomodò alla scrivania, per nulla toccato dagli infantili capricci della cugina: la principessa Claudia doveva rassegnarsi al fatto che non tutti fossero disposti a venerarla e a pendere dalle sue labbra. Inoltre, ciò che pretendeva in particolare da lui, oltre ad essere egoistico e scabroso, andava anche contro i suoi sentimenti e desideri. Infatti, per quanto potesse volerle bene, ciò che provava per lei non era nemmeno paragonabile a quello che nutriva per Aida.
A lui non importava affatto che non fosse ricca e che non trasudasse leziosa e seducente femminilità da ogni grado delle sue curve, poiché aveva una grazia e una dolcezza che non era riuscito a trovare in nessun’altra donna. E, infatti, solo a pensarla, il giovane sentì il suo animo farsi più sereno e nella sua mente cominciò a maturare la decisione di dare uno scossone a quella situazione fin troppo statica. D’altra parte, se era vero che i suoi genitori avevano acconsentito a conoscerla, lui non si era ancora deciso a riferirlo alla diretta interessata, per paura di ricevere un rifiuto. Tuttavia, non avrebbe potuto andare avanti in quel modo in eterno, allora, approfittando del fatto che la concentrazione era ormai svanita, chiuse il libro con un colpo secco e controllò l’orario. Non era tanto presto, soprattutto considerando il fuso orario con l’Egitto, perciò il ragazzo prese il telefono e cominciò a comporre un numero.
A quel punto, restava solo una persona con cui mettere in chiaro le cose: Rami al-Nassar, quella volta, avrebbe dovuto ascoltare tutto quello che aveva da dirgli.
***

Quando il telefono squillò, Aida si precipitò a rispondere, sotto lo sguardo torbido di Rami, sempre più meravigliato dalla costanza con cui l’italiano si faceva sentire. Per essere solo una sciocca infatuazione, quella storia stava durando da troppo tempo, anche se doveva ammettere che, fino a quel momento, Giancarlo aveva rispettato tutto quello che aveva promesso alla sorella. Ogni sera, infatti, la ragazza metteva da parte la stanchezza derivata dal lavoro extra che aveva accettato per fare un favore al fratello, per parlare con il suo spasimante lontano e, se era lei a chiamarlo, la volta successiva era il ragazzo a fare la prima mossa e viceversa.
Per giunta, quella sera, la fanciulla rispose con un entusiasmo simile a quello mostrato dalle fidanzate dei militari al fronte, quando ricevevano una lettera da parte del proprio amato, perché era una di quelle persone che riescono ancora ad emozionarsi per le piccole cose.
Rami, perciò, scosse la testa nel vedere un simile comportamento, riprendendo a seguire il telegiornale, che stava annunciando proprio in quel momento che un assassino era stato appena condotto in carcere e sarebbe stato presto sottoposto ad un processo. Immediatamente, riaffiorò in lui lo sgomento provato quando dalla medesima fonte aveva appreso ciò che era successo a suo padre: non avrebbe mai potuto dimenticare l’ansia e l’angoscia provate in quei momenti e negli otto anni successivi. Tuttavia, considerando le ultime notizie che aveva ricevuto in merito, sembrava proprio che la situazione sarebbe migliorata e che l’uomo stato fuori entro otto mesi: quell’avvocata inglese aveva fatto un miracolo!
Perciò, nonostante per lui Tornatore rimanesse un idiota, il giovane dovette ammettere che aveva fatto qualcosa di veramente utile, anche se, con molta probabilità, era stato mosso da un unico scopo ben preciso: sua sorella.
«Ah!»
In quel momento, l’esclamazione di assoluta delusione della ragazza allarmò Rami, il quale sussultò sul divano e le rivolse immediatamente uno sguardo preoccupato osservando l’espressione triste sul suo volto. Quali oscenità le stava dicendo quell’essere?
Insospettito e deciso a prendere il telefono per rispondere per le rime a quel dongiovanni da strapazzo, si alzò e si avvicinò alla sorella, ma, inaspettatamente, non dovette nemmeno aprire bocca per avere ciò che voleva..
«Stasera non vuole parlare con me, ma con te» gli spiegò lei, guardandolo torva.
«Con me?» ripeté meccanicamente il concierge.
Aida annuì, abbastanza infastidita prima di allontanarsi, contrariata. Dal canto suo, Rami fissò per parecchi istanti e con aria interrogativa la cornetta, come se potesse rivelargli perché mai Giancarlo Tornatore volesse parlare con lui, anziché fare il solito galletto gaudente con la sorella.

Quando il concierge uscì dall’ufficio, tre quarti d’ora più tardi, aveva un’aria meditabonda.
Aida e Jamila stavano parlottando a bassa voce nell’ingresso, riposandosi dalla stressante giornata di lavoro, giacché, nonostante fosse gennaio avanzato, i clienti non erano certo pochi. Samir, invece, picchiettava pigramente la stilo sullo schermo della console, sbadigliando, con le palpebre sul punto di chiudersi, segno che non sarebbe rimasto sveglio ancora a lungo.
Quando si accorse della comparsa di Rami, però, le due ragazze smisero immediatamente di parlare, in attesa che riferisse loro qualcosa.
«Allora?» lo incalzò poco dopo Aida, che non riusciva a mettere a tacere la curiosità e si aspettava una seria motivazione al rifiuto di Giancarlo di parlare con lei.
«Ha detto che deve parlarmi di persona di cose importanti e che vorrebbe che tu conoscessi i suoi genitori».
Non avendo messo nemmeno lontanamente in conto questa ipotesi, la ragazza spalancò gli occhi, esterrefatta.
«Il biondino strafigo fa sul serio, Dada» commentò, invece, Jamila con un sogghigno, accomodandosi meglio sul divano. «A quanto pare, l’hai proprio steso!»
A quel commento, l’altra la guardò, ma non riuscì a spiccicare mezza parola, incapace di emettere anche solo monosillabi.
Il fratello guardò la sua fidanzata in tralice, poi proseguì: «Gli piacerebbe che andassimo tutti e tre a Roma l’ultima settimana di febbraio».
«E noi ci andremo, vero?» intervenne Samir, che nel frattempo si era ridestato del tutto.
Rami trasalì, non aspettandosi che anche lui avrebbe partecipato alla conversazione.
«Samir, ma non stavi dormendo?!» sbottò.
«Andiamo da Giancarlo, vero, Rami? Dai, ti prego-ti prego!» lo supplicò il bambino, saltellandogli tutt’intorno.
«E tu... cosa gli hai detto?» chiese Aida, allora, sulle spine, ritrovando la capacità di parlare.
«Già, cosa gli hai detto?» le fece eco Jamila, squadrando sospettosa il ragazzo.
«Eh, cosa gli ho detto… che ci andiamo!» sbuffò lui, infastidito dal fatto che gli stessero tutti addosso. «Tuttavia, ho accettato solo perché sono mesi che il mio amico Domenico mi chiede di andare da lui, per aiutarlo a risolvere alcuni problemi che ha con l’hotel che gestisce a Piazza Barberini» precisò subito dopo. «Inoltre, non ci fermeremo più di due giorni».
«Ti sei sprecato!» commentò la fidanzata, incrociando le braccia e facendo una smorfia di disapprovazione.
Samir, felice per quella novità, si attaccò subito ad una gamba del fratello grande ed esultò: «Grazie, Rami, grazie!»
«Sul serio, Rami... grazie» ripeté Aida, ancora un po’ stordita dagli ultimi eventi.
«I tuoi fratelli sono dalla parte del biondino, mio caro» gli fece notare Jamila, facendo schioccare la lingua.
Il ragazzo emise in risposta un grugnito di disappunto, staccandosi Samir di dosso e mettendolo sul divano: «Non riesco proprio a capire perché tu stia perdendo il tuo tempo con quello» sbuffò, rivolto alla sorella. «Mi pare che tu abbia già un pretendente di tutto rispetto!»
La fanciulla aprì la bocca per replicare, ma l’amica la precedette.
«Ancora insisti, Rami? Mohammed non va bene per Aida, lo sai che non ha alcun interesse verso di lei e che la sposerebbe solo per amicizia verso di te!» esclamò, furibonda. «E poi, ha più di quarant’anni, è scontroso e non parla nemmeno sotto tortura, praticamente è una mummia! Questa bella ragazza merita un corteggiatore giovane, affascinante e con una buona prestanza fisica, che possa farle tutte le coccole che merita» concluse, riservando all’amica un’occhiata maliziosa.
Le ultime parole, però, ebbero il potere di far avvampare Aida, che, istintivamente, abbassò subito lo sguardo.
«Dada, stai bene?» le chiese immediatamente il fratellino, preoccupato, prendendole una mano, e lei gli sorrise, annuendo.
«Sì, Samir, non preoccuparti».
«Figurati, quello non vede l’ora di fare una cosa del genere!» replicò, invece, Rami, spazientito. «Voglio proprio vedere cosa ha in mente Tornatore, ma, se pensa che con me avrà vita facile, si sbaglia di grosso!»
La giovane avvertì dentro di sé una confusione, un miscuglio di emozioni che non aveva mai provato prima: esattamente, cosa c’era ad attenderla?
Per saperlo, però, non poteva fare altro che aspettare, poiché, prima o poi, quel mese e mezzo sarebbe passato e, allora, tutti i misteri sarebbero stati svelati.
***

Rami osservava con fare interessato il raffinato arredamento esposto nel salotto in cui li aveva fatti accomodare una burbera governante, contemplando, in particolare, il pavimento.
«Tappeti della migliore fattura persiana!» esclamò, interessato. «Inoltre, presumo che questo sia quel marmo di Carraia tanto prezioso che nomini sempre».
Carrara” lo corresse mentalmente la sorella che, faticando a gestire l’ansia per l’imminente incontro con i genitori di Giancarlo, non aveva neanche osato alzare gli occhi su tutta quell’opulenza. Figurarsi fare congetture sulla provenienza dei materiali e degli oggetti d’arredo!
Tuttavia, non soddisfatto per via dell’indifferenza della ragazza, l’altro insistette: «Sai, credo che ti converrebbe proprio sposarlo. Male che vada, potresti sempre chiedere il divorzio dopo qualche mese... Scommetto che potremmo vivere tranquillamente tutti e tre, per un anno intero, con un solo assegno mensile!»
A tale considerazione, Aida sobbalzò e fulminò il fratello con lo sguardo, indignata.
«Rami! Sei disgustoso! Perché mi devi sempre far vergognare per quello che dici?» replicò poi, indispettita da tanta strafottenza.
Dal canto suo, lui, per nulla intimidito dal rimprovero della fanciulla, sogghignò.
«Forse hai ragione, questi snob occidentali non potrebbero mai ammettere una schiava africana alla loro corte, meno che mai lasciarti avvicinare al loro rampollo, perché non faresti altro che insudiciare il loro nome. Sono convinto che, in realtà, hanno già deciso chi dovrà sposare quel riccastro viziato…» commentò, gesticolando con fare sprezzante. «In fondo, lo sai anche benissimo tu che ti hanno fatta venire qui solo per umiliarti!»
«Oh, ma noi non siamo così cattivi!» replicò una voce profonda alle loro spalle. «E nemmeno così attaccati ad arcaiche e obsolete convenzioni; però, devo ammettere che hai fatto bene a chiamare quel mascalzone riccastro viziato».
Immediatamente, i tre fratelli si voltarono nella direzione da cui era arrivato il suono e videro un uomo di bella presenza e dal portamento elegante che avanzava verso di loro.
«Mia moglie e mio figlio saranno qui a momenti, ma credo che, almeno tra di noi, possiamo cominciare a presentarci… Marcello Tornatore, piacere di conoscervi» fece l’uomo, tendendo loro garbatamente la mano. «Immagino voi siate Rami, Samir e... Aida» aggiunse, soffermandosi a guardarla per qualche secondo.
Lei annuì lentamente, in leggera soggezione, giacché aveva capito chi era prima ancora che si presentasse grazie alla grande somiglianza con il figlio. Certo, le iridi di Marcello erano verde chiaro, il volto non imberbe e nel fisico dimostrava un più maturo e accentuato vigore, ma, fondamentalmente, erano uguali.
Rami, invece, era ammutolito, spiazzato da quel faccia a faccia immediato e inatteso con il padrone di casa, anche perché sapeva con certezza che l’uomo aveva sentito tutto quello che aveva detto. In quel momento, per una volta, il ragazzo si ritrovò a biasimare la sua bocca larga.
«Tu sei il papà di Giancarlo?» domandò, allora, Samir, avvicinandosi a Marcello.
Quel confidenziale intervento, però, richiamò prontamente sia Aida che Rami, i quali si riebbero malamente dallo stato catalettico in cui erano caduti.
«Samir... che modi sono!» lo sgridò la sorella.
«No, non c’è bisogno di rimproverarlo, non ha fatto niente di male. È solo un bambino» replicò pacatamente l’uomo, prima di rivolgersi direttamente a lui. «Sì, sono io. Mio figlio mi ha raccontato che sei un appassionato di beyblade».
«Oh, sì, mi piace tanto giocarci!» esclamò il piccolo, spalancando gli occhi per l’entusiasmo. «Spero un giorno di diventare un campione, proprio come Giancarlo».
Incurvando lievemente le labbra, Marcello gli scarmigliò affettuosamente i capelli e lo incoraggiò: «Sono certo che puoi puntare molto più in alto e diventare perfino più bravo!»
A tali parole, il bimbo sorrise, raggiante e stava per aggiungere qualcosa, quando, fecero il loro ingresso Beatrice e Giancarlo.
Rami, scorgendo la donna, strabuzzò gli occhi, perché aveva immaginato la madre del giovane come una vecchia e rinsecchita megera, invece, si era ritrovato davanti una giovane donna affascinante, davvero simile alla Primavera di quel tale che piaceva tanto alla sorella... come si chiamava? Ponticelli, forse?
Aida, da parte sua, sentì il proprio cuore sussultare quando rivide il ragazzo: aveva un aspetto decisamente più fresco e riposato, perché i mesi di vita regolare dovevano aver sortito il loro effetto, ma, per il resto, aveva gli stessi capelli biondi con quei buffi ciuffetti ribelli, gli stessi occhi blu magnetici, lo stesso fisico slanciato e tonico.
Nello scorgerlo, Samir, invece, non perse tempo e gli saltò subito in braccio.
«Ecco il mio sfidante preferito! Allora, che cosa mi racconti?» lo salutò il biondo, facendogli fare una piccola giravolta.
A quel punto, Beatrice si avvicinò al marito e agli ospiti, rivolgendosi direttamente a loro: «Benvenuti, cari! Siamo molto contenti che abbiate accettato il nostro invito».
Poi, strinse gentilmente la mano alla fanciulla e poi al giovane, il quale, però, si dimostrò assai restio a lasciare la presa.
«Grazie a voi» rispose educatamente Aida per tutti, cercando di esprimere tutta la sua riconoscenza.
La donna rimase a guardarla un po’, sorridendo amabilmente, ma, subito dopo, arrivarono Giancarlo e Samir e l’attenzione di Beatrice fu catturata immediatamente dal bambino.
«Oh, ma l’è così piccino! Posso prenderlo in braccio?» chiese, all’indirizzo dei due fratelli.
Aida aveva appena aperto la bocca per replicare, quando fu anticipata da Rami, che si affannò subito a rispondere: «Certamente... se a lei fa piacere!»
Così, avendo ricevuto il permesso, la donna lo carezzò con lo sguardo e gli domandò: «Samir, vorresti venire un po’ con la Beatrice?»
Il bambino la fissò per qualche secondo, poi, fidandosi del suo atteggiamento dolce e materno, annuì.
A quel punto, il figlio le passò con cautela il bimbo, come se stessero maneggiando chissà che antico e prezioso cimelio; quando poi il ragazzo fu libero, si avvicinò ai due fratelli.
«Grazie di aver accettato» fece al giovane, prima di girarsi subito verso la fanciulla e sciogliersi istantaneamente: «Sono contento che tu sia qui…».
In risposta, Aida assunse un’espressione tanto lieta quanto imbarazzata e si limitò a sorridere. Allora Marcello, che non si era perso nulla delle reazioni di lei, né tanto meno di quelle di Giancarlo, istintivamente cercò con lo sguardo la moglie, che, con una sincronia simbiotica, fece lo stesso con di lui: era dunque quella la ragazza che aveva mandato in brodo di giuggiole il loro scapestrato figlio?

Al contrario di quello che aveva immaginato Rami, Beatrice e Marcello si dimostrarono molto benevoli con tutti e tre e, superato l’imbarazzo iniziale, dovuto alla pessima figura che aveva fatto al suo arrivo, il ragazzo riuscì anche ad impostare un fluente discorso con il padrone di casa, rimanendo seriamente colpito dalla vastità di argomenti che sapeva trattare in modo molto approfondito, senza inciampare nella saccenteria. Beatrice, invece, si divertì a coccolare il piccolo Samir come un figlio, discutendo contemporaneamente con la ragazza e informandosi sulle sue preferenze artistiche e sugli studi che le accomunavano.
Non erano passate nemmeno due ore che già Aida e Rami, con grande sorpresa, erano arrivati alla stessa conclusione: Marcello e Beatrice erano davvero strani per essere dei ricchi borghesi abituati alla vita di società in una città così grande. Infatti, nonostante fosse molto evidente che i due coniugi appartenevano alla Roma bene, non erano costruiti né affettati. Tuttavia, se da una parte i fratelli maggiori erano rimasti abbastanza interdetti da quella rivelazione, dall’altra, Samir si era immediatamente adagiato nel clima armonioso aleggiante a Villa Aurelia, come se gli fosse stato familiare da sempre: era sereno tra le braccia della donna, percepita come una madre.
Durante la cena, infatti, Giancarlo aveva lasciato che i suoi genitori gestissero la situazione come meglio credevano, affidandosi alla loro esperienza e sapendo che non avrebbero mai fatto nulla per mettere a disagio gli ospiti, prendendo sì e no qualche boccone e dedicandosi, quindi, esclusivamente ad ammirare la sua Aida, la quale aveva risposto ai suoi sguardi incantati accennando timidi sorrisi.
Ovviamente, Marcello non si era perso una virgola nemmeno di questo, ma, come sempre, non lo aveva dato a vedere.
Una volta terminato il pasto, i tre vennero fatti accomodare in soggiorno e, a quel punto Samir cominciò a dare segni di cedimento, sbadigliando e lasciando che, ogni tanto, gli si chiudessero le palpebre; il viaggio era stato lungo e su un bambino così piccolo la stanchezza stava prendendo facilmente il sopravvento.
Allora, il biondo si decise a chiedere a Rami un colloquio privato, staccandosi, anche se di malavoglia, dalla fanciulla e affidandola alla compagnia dei suoi genitori, prima di condurre l’altro in un salottino un po’ appartato e ammobiliato in stile impero con tonalità verde e oro; dal soffitto, pendeva un lampadario in cristalli di Boemia, che tracciava sul muro sottili giochi di luce policroma.
Dopo aver fatto entrare il suo ospite, Giancarlo richiuse la porta dietro di sé e lo invitò ad accomodarsi su un divanetto accanto al camino, mentre lui prese posto su quello di fronte.
«Desideri bere qualcosa?» gli chiese, mentre si sistemava meglio.
A quella richiesta, Rami aggrottò la fronte, stupito.
«Cos’è, un modo per farmi vedere come si trattano gli ospiti, per caso?»
Il biondo fece una smorfietta divertita e replicò: «Be’, aggredirli non è certamente molto educato».
L’altro socchiuse appena gli occhi, ma scosse la testa e decise di andare avanti: «Dunque, cosa devi dirmi di così importante da farmi correre a Roma e da non poter aspettare che papà esca di prigione?»
Giancarlo, a quel punto, spostò lo sguardo sul pavimento, in cerca delle parole più giuste per dire ciò che voleva, ma alla fine, per scaricare la tensione, si alzò dalla poltrona, avvicinandosi alla finestra e scrutando il buio del giardino.
«Non lo immagini?»
«In parte» rispose immediatamente il suo interlocutore. Poi fece una piccola pausa e aggiunse: «Quali sono le tue intenzioni con lei?»
A quella domanda, il giovane si voltò immediatamente, contento di poter entrare subito in argomento senza fare inutili giri di parole: «Bene, vedo che ti piace andare subito al sodo».
«Tornatore, mia sorella non è interessata a farti da concubina nel tuo harem» lo incalzò subito Rami, fissandolo severamente. «Ha sognato una vita semplice fin da bambina, con un lavoro che abbia a che fare con i suoi artisti, una famiglia salda con dei figli ed un marito che la rispetti e che le voglia bene. Ma, per realizzare tutto questo, non le servirà la tua misericordiosa mano».
Inasprito da quell’ultimo comento, il biondo inarcò un sopracciglio e commentò: «Dovresti sapere che Aida non si lascerebbe mai comprare. Se fosse stato così, non mi sarebbe interessata».
Sorpreso da una tale risposta, Rami si alzò a sua volta e si avvicinò a lui finché non fu solo a qualche passo di distanza.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?»
«Nulla, tu devi solo starmi ad ascoltare e, questa volta, per davvero» affermò Giancarlo, allontanandosi da lui e iniziando a passeggiare su e giù per la stanza. Deciso a dire tutto quello che sentiva all’altro, si concesse qualche secondo per ordinare le idee, quindi prese un respiro e cominciò: «Al contrario di Aida, fino a qualche mese fa, io non avevo la più pallida idea di che cosa avrei fatto della mia vita. Non sapevo cosa avrei fatto da grande, l’unica cosa di cui ero certo era che non sarei mai stato all’altezza di mio padre, e non avevo nemmeno alcuna intenzione di sposarmi, per quanto mia cugina si fosse adoperata per trovarmi un’adorabile mogliettina, degna del nostro status».
Rami, però, non disse niente, rimanendo immobile nella sua posizione limitandosi a seguirlo con lo sguardo.
«Ero solo un gretto, apatico, menefreghista e materialista. Non volevo avere preoccupazioni o pensare al futuro ed ero soddisfatto dalla realizzazione istantanea di ogni capriccio che mi passasse per la testa. Se volevo una cosa, la prendevo. Così, semplicemente: detto, fatto!» esclamò, schioccando le dita. «E con le ragazze non ero diverso: se me ne piaceva una o anche più, facevo di tutto per portarmele a letto, senza tanti scrupoli. D’altra parte, a loro non interessava chi o come fossi, l’importante era che le ricompensassi bene. Non ne vado fiero, ma questa è la verità, la stessa che ho già raccontato ad Aida».
A quel punto, ritornò sui suoi passi e si avvicinò nuovamente al ragazzo, guardandolo con estrema fermezza.
«Vedi, al-Nassar, quando mi hai inveito contro, avresti potuto avere ragione su quello che le avrei fatto, se… tua sorella non fosse stata quello che è».
Alle orecchie di Rami, tale frase dovette sembrare poco meno di uno scioglilingua, giacché inclinò la testa da una parte e lo scrutò perplesso, ma Giancarlo non vi badò e, senza esitazione, proseguì: «È stata la grazia di tua sorella, così pura e lontana dalle cose meschine di questo mondo, a farmi capire quanto stessi sbagliando e il suo carisma è stato un vero e proprio dono4 per me, ricevuto affinché prendessi coscienza di quello che ero diventato. Perché aspirare ad averla solo per una notte, quando avrebbe potuto illuminare tutta la mia vita? Potrà sembrarti una stupida e banale frase fatta, ma Aida è la mia luce e vorrei averla sempre con me. Io…» a quel punto fece una pausa, prima di arrivare al punto più importante del suo discorso. «Vorrei chiederle di diventare la mia fidanzata e, quindi, di sposarmi. Per quanto intensamente la possa desiderare, non potrò mai avere la sua dolcezza, se non sarà lei a concedermela: questa volta, infatti, volere qualcosa non basterà per ottenerla. Per questo ti chiedo di concedermi l’opportunità di chiederle che cosa ne pensa».
Aveva detto tutto questo senza mostrare alcun tipo di insicurezza, non vacillando neppure per un istante, ispirato da un sentimento che, fino a qualche prima, aveva deriso e considerato una debole favola per gli stolti: l’amore non esiste, c’è solo l’appagamento degli istinti. Tuttavia, questo era stato prima di conoscere Aida...
«Infatti, è con lei che devi parlare» replicò Rami, dopo aver riflettuto per diversi secondi.
Giancarlo sollevò lo sguardo su di lui, distogliendo l’attenzione dai suoi pensieri che, come sempre, convergevano sulla giovane.
«Intendo dire che approvo il fatto che debba essere Aida a decidere» aggiunse l’altro, cominciando a passeggiare avanti ed indietro a sua volta. «Anch’io ho i miei torti: sono stato egoista con mia sorella, volevo solo che rimanesse accanto a me e a Samir. Non mi importava che dovesse rinunciare alla sua felicità, che dovesse sposare un uomo che non la ama, perché volevo solo che non si allontanasse da noi, dalla sua famiglia. Sono stato un pessimo fratello e ora tu hai tutto il diritto di prenderti la tua vendetta».
«Non mi interessa la vendetta, non ci trovo più nulla di appagante nel vedere soffrire i nemici» affermò il biondo, mesto, appena l’altro finì di parlare.
Colpito da quelle parole, Rami, girò la testa verso di lui e si arrestò di colpo, fissandolo attentamente, prima di riprendere a camminare.
«Ero talmente accecato da ciò che volevo io che non ho voluto vedere quanto sinceramente fossi interessato a lei» ammise, dopo qualche secondo. «In fondo, credo che tu abbia il diritto di chiederle tutto quello che vuoi. Se anche lei ti ama, non posso impedirti di entrare nella sua vita».
Tuttavia, Giancarlo non aveva nemmeno finito di meravigliarsi per una tale affermazione, che l’altro tornò a guardarlo severamente e aggiunse: «Tornatore, solo una cosa, da uomo a uomo: se mia sorella dovesse dirti di sì, vedi di raffreddare la tua tempra focosa e di tenere le mani al loro posto. Vacci piano con lei e comportati come il gentiluomo che dici di essere».
«Certo che, quando ti fissi, non c’è modo di farti cambiare idea, eh! Ti risulta che le abbia mai fatto qualcosa di male?» ribatté quello arrossendo leggermente.
«No, finora no, ma non dimenticarlo» precisò Rami. «Per colpa mia, Aida non ha mai avuto un fidanzato, dato che non le ho mai permesso di cercarlo, perché troppo impegnato a propinarle pretendenti più vecchi di lei. Perciò, tu vedi di fare le cose con delicatezza e di ricordarti sempre la sua situazione».
Il biondo, allora, sospirò, arruffandosi i capelli, in evidente imbarazzo.
«Sinceramente, non vorrei mai metterla a disagio o in difficoltà» mormorò.
«Se così non dovesse essere, sappi che non sarò indulgente con te».
«Be’, in questo caso, credo che dovrai metterti in fila, al-Nassar, perché, se non dovessi rigare dritto, il primo a farmelo scontare sarebbe mio padre».
A quel punto, i due giovani si guardarono e Rami lasciò che sulle sue labbra affiorasse un sorriso sornione.
«Non penso che avrai problemi a dichiararti, perché la parlantina non ti manca di certo. Il discorso che hai fatto prima è stato molto, come dire... toccante. Peccato che non dovessi convincere me a sposarti».
Giancarlo inarcò un sopracciglio e, con una smorfietta ironica, commentò: «Oh, ma sarebbe stato inutile, perché tra di noi non funzionerebbe: sei troppo serio e scorbutico!»
«E tu sei un irritante saltimbanco!» replicò l’altro, irritato, fissandolo torvo, subito pienamente ricambiato: la maturità che avevano dimostrato fino a quel momento sembrava già essersi dileguata.
Trascorse qualche istante di silenzio, poi, stancamente, Rami sospirò, per affermare subito dopo: «Si è fatto tardi e dobbiamo andare, però prima vorrei ringraziare i tuoi genitori per l’ospitalità».
Il giovane annuì e lo invitò a seguirlo fuori dalla stanza, ma, di punto in bianco, quello lo fermò, prendendolo per un braccio e puntandogli negli occhi uno sguardo a metà tra il severo ed il malinconico.
«Ti sto concedendo di prenderti una delle cose più belle e preziose che ho. Cerca di compensare le mie mancanze verso di lei, Giancarlo».
Esterrefatto da quella rivelazione, il ragazzo ci mise qualche istante per annuire e manifestare all’altro il massimo grado di riconoscenza che sentiva di dovergli esprimere.
«Lo so. E, credimi, se accetterà la mia proposta, farò di tutto per renderla felice, Rami».
***

Beatrice invitò i ragazzi a tornare anche l’indomani, prima che lasciassero la Capitale alla volta di Alessandria, e l’entusiasmo di Samir, al quale erano piaciuti molto entrambi i coniugi, non lasciò possibilità di appello ai due fratelli maggiori, che non poterono fare altro che accettare.
Quando per gli ospiti arrivò l’ora di andar via, Giancarlo li accompagnò di persona alla porta e il bambino lo salutò con un bacetto affettuoso sulla guancia, tuttavia Rami non permise che la sorella gli riservasse lo stesso trattamento, anche se il giovane non si perse certo d’animo e augurò la buonanotte alla ragazza con il tono più passionale di cui era capace, suscitando un grugnito contrariato da parte del ragazzo.
Ciononostante, Aida ignorò quell’intromissione, rispondendo al giovane con la sua solita dolcezza e, qualche minuto più tardi, i tre si congedarono definitivamente, scendendo la scalinata elicoidale in travertino verso il taxi che era arrivato a prenderli.
Rimasto solo, il giovane rimase a guardare per qualche istante il punto in cui lei era scomparsa, per poi sospirare e decidersi, finalmente, a rientrare. Tuttavia, mentre era diretto in camera sua, con tutte le intenzioni di prendersi un po’ di tempo per lasciarsi cullare dalla gioia di aver rivisto la ragazza dopo mesi, si sentì richiamare a gran voce.
«Dove credi di andare? Non pensare di potertela svignare così facilmente! Dobbiamo parlare!».
«E di cosa?» fece lui, vago, voltandosi verso il padre, che lo fissava ad occhi socchiusi, con le mani ben piantate sui fianchi.
«Dell’aumento del livello del Tevere in seguito alle piogge invernali» rispose quello, ironico.
«Davvero? Eppure, ultimamente, non sta piovendo molto…» replicò con strafottente facezia Giancarlo che, ancora su di giri per la giornata appena trascorsa, non riuscì a dire qualcosa di più serio.
Tuttavia, Marcello non sembrò apprezzare particolarmente quella trovata di spirito, perché, dopo avergli riservato un’occhiataccia, lo redarguì: «Non osare prendermi per i fondelli, maleducato! Anche se so da chi tu abbia preso questo atteggiamento, dato che io ho cercato, invano, di importi un po’ di buone maniere. Di cosa vuoi che si debba parlare, secondo te?»
«Non possiamo farlo domani, papà?» suggerì il figlio, anche se, conoscendo il genitore, sapeva di nutrire speranze piuttosto vane che potesse cambiare idea.
Infatti, quello non tardò a replicare, secco: «Tra due minuti nel mio studio. E ti conviene venirci di tua sponte, altrimenti ti ci porterò io... trascinandoti per le orecchie!»

Non potendo declinare un invito così gentile, Giancarlo si arrese all’evidenza e, dopo essere entrato nello studio del padre, si andò a sedere sul divano porpora damascato, accanto a sua madre, già lì ad aspettarli.
Intanto, Marcello si aggirava per la stanza come un leone in gabbia, con un’espressione seria, le mani incrociate dietro la schiena, come se fosse alle prese con una teoria che non riusciva ad accettare. Poi, di punto in bianco, si arrestò davanti al figlio e, dopo averlo squadrato a lungo, esordì, duro: «Sul serio Aida non è incinta?»
«Non so più come dirtelo... no! Durante quei tre giorni non l’ho nemmeno sfiorata! E poi, se fosse come dici tu, non credi che sarebbe evidente, a quest’ora?» sbuffò il ragazzo, il cui viso era ormai in tinta con la tappezzeria del sofà. «Perché ti ostini a non volermi credere?»
L’uomo, allora, si protese verso il figlio e scandì, molto lentamente: «Perché mi sembra molto strano che tu possa interessarti ad una ragazza del genere. Sinceramente, credevo che avrei conosciuto un prototipo di “Barbie avventura alla piramide di Cheope”».
«Oh, Marcello, non fare queste battute!» lo riprese immediatamente la moglie che, all’uscita del marito, aveva trattenuto a stento un sorriso.
Quello, però, si voltò verso di lei ed aggiunse, serio: «Non sono battute, Beatrice. Non puoi certo negare che quella è una ragazza normale».
La donna non rispose, girandosi verso il figlio che, dal canto suo, socchiuse appena gli occhi, giacché il padre aveva aggravato quell’aggettivo con un’inflessione che non era riuscito a decifrare.
«E dove sarebbe il problema, scusa? Io la trovo eccezionale. E, comunque, ormai Rami mi ha dato il permesso di chiederle di sposarmi».
A quel punto, Marcello si tirò su e lo squadrò, tra lo scettico e lo sprezzante.
«Tu vorresti… sposarla
Al ragazzo, però, non piacque affatto l’enfasi negativa che c’era in quella domanda e cominciò ad inquietarsi.
«Certamente» ribatté, irritato. «Io voglio che diventi mia moglie».
A quel punto, ci fu qualche istante di silenzio assoluto, durante il quale l’uomo studiò attentamente il figlio, senza tradire alcuna particolare espressione e Giancarlo sostenne quello sguardo inquisitorio con grande dignità, non lasciandosi prevaricare, nemmeno quando il padre riprese a stuzzicarlo: «Sicuro di aver scelto bene? Hai capito con che tipo di ragazza vorresti condividere la tua vita?»
Dopo quell’ennesima insinuazione, il giovane non riuscì più a trattenersi e si alzò in piedi, sbottando: «Quindi, è vero: sei convinto che Aida non sia al nostro livello. Davvero credi che non vada bene per me solo perché ha la pelle scura e non appartiene ad una famiglia altolocata?»
Tuttavia, con sua grande sorpresa, tali parole non sortirono alcun effetto su Marcello, che si limitò a guardarlo di sottecchi.
«Sai, mi sono sempre chiesto se ci fossi o ci facessi e, finalmente, ho capito che ci sei. Oppure, lo fai apposta per farmi schiattare» lo apostrofò. «Infilati bene in quella zucca vuota che non sto dicendo che Aida non va bene per te, ma l’esatto contrario: sei tu che non vai bene per lei».
«C-Cosa?» balbettò, allora, il giovane, sbigottito.
«Ora che ho avuto modo di conoscerla, mi sono reso conto che si tratta di una persona vera, con dei sentimenti! Niente a che fare né con Maria Chiara, che è tanto cara ai tuoi zii, né con le puttane che...»
«Certo che, Marcello, potresti anche parlare in maniera più pulita!» intervenne la moglie, interrompendolo a metà frase, indignata dalla piega che stava per prendere la conversazione. «Rimproveri nostro figlio, ma anche tu l’hai le tu’ pecche!»
«A volte, Beatrice, solo certe parole rendono bene l’idea» ribatté, però, l’uomo, sicuro. «Comunque sia, stavo dicendo che Aida non è certo come le poco di buono che era o è abituato a frequentare. Effettivamente, che sia solo passato è da accertarsi».
Nell’udire le ultime parole, Giancarlo si risentì della diffidenza che continuava a dimostrargli il padre e non tardò a far valere le proprie ragioni: «Io non sono più quello di una volta, sono cambiato, papà! E voglio sposare Aida perché ne sono seriamente innamorato!» esclamò, deciso. Tuttavia, ancora una volta, Marcello rimase del tutto indifferente, per poi replicare con sorprendente rapidità.
«Hai mai pensato che, magari, lei potrebbe non volerti sposare? Dai per scontate troppe cose, Giancarlo. Perché dovrebbe rovinarsi con uno come te, quando può avere un ragazzo come si deve? Ricordati che è una testa pensante e non si farà manovrare come le altre» considerò l’uomo, fermandosi un attimo per conferire più enfasi a quanto espresso. «Non è un’oca che si esprime a monosillabi... cosa se ne deve fare di uno che la sposerebbe solo per esibirla come un trofeo, tradendola di continuo con la prima scema che gli si concederebbe senza ritegno?»
A quel punto, il ragazzo, adirato per quell’insistente mancanza di fiducia da parte del genitore, scattò in piedi, digrignando i denti e fissando l’altro con gli occhi ridotti a due fessure.
«Già, hai proprio ragione, la esibirei come un trofeo!» ringhiò. «E sai il motivo? Perché è stata l’unica alla quale sono piaciuto per quello che sono, che ha provato a migliorarmi senza stravolgermi. Che tu lo voglia o no, ti garantisco che le chiederò di sposarmi, perché deve sapere quello che provo per lei!»
Tuttavia, nemmeno questa appassionata dichiarazione ebbe il potere di smuovere Marcello Tornatore, il quale non fece una piega, né, a maggior ragione, si lasciò minimamente commuovere.
«A parole sembri molto bravo... ora, però, voglio proprio vedere se saprai tradurle in pratica: se quella ragazza dovesse follemente dirti di sì, ricordati ciò che sto per dirti» lo ammonì l’uomo, subito dopo. «Quei ragazzi non meritano di essere presi in giro. Rami sarà quel che sarà, ma si è fatto in quattro per non far mancare nulla ai suoi fratelli, mentre Aida ha fatto da madre a Samir, nonostante non fosse altro che una ragazzina, e quel bambino ha per te un’ammirazione spropositata. Rendi felice quella fanciulla e, quindi, la sua famiglia, e avrai la mia benedizione. Azzardati, invece, a farla soffrire e neanche l’invocazione di tutti i santi in ordine alfabetico potrà esserti di aiuto: come ti ho messo al mondo, così ti ci toglierò».
«Bene, benissimo!» replicò freddamente il giovane. «Staremo a vedere come andrà a finire!»
Poi, non essendo disposto a trascorrere un secondo di più a farsi insultare in quella maniera, girò i tacchi e fece per uscire, ma il padre lo richiamò immediatamente: «Fermo là! Non ho ancora finito».
«Cos’altro c’è?» sbuffò Giancarlo, irritato, voltandosi appena.
«Ormai ci hai messo in mezzo, pertanto dovrai sottostare alle nostre regole: se Aida dovesse decidere di assecondare le tue pazzie, sappi che esigerò un fidanzamento tradizionale. Non semplicemente in bianco, dovrà essere trasparente. Mi pare che tu ti sia divertito abbastanza, o sbaglio?»
«Forse ti stupirà, ma il tuo stupido figlio c’era già arrivato da solo!» affermò, però, l’altro con spavalda ironia, mentre lasciava lo studio e i suoi genitori, furente ed indignato.

«C’è rimasto davvero male, non ti sembra d’esser stato un po’ troppo duro?» avanzò Beatrice, quando la porta si richiuse e lei e il marito rimasero soli. Nonostante fosse consapevole del perché l’uomo aveva adottato un simile comportamento, non riuscì a trattenere le sue preoccupazioni.
Marcello, però, non rispose subito, perché prima si affacciò fuori dalla porta per controllare che non ci fosse nessuno e poi la richiuse, avvicinandosi a lei.
«Stai scherzando?! Proprio adesso che stiamo ottenendo qualcosa di buono? Dobbiamo battere il ferro finché è caldo, perché, finalmente, si è deciso a comportarsi da uomo!» esclamò, visibilmente soddisfatto. Quella sera aveva dovuto recitare la parte del cattivo a fin di bene, poiché era convinto che suo figlio andasse un po’ scosso, nonostante avesse capito quanto fosse preso da Aida fin dal primo sguardo che le aveva riservato quando l’aveva rivista.
«Sono davvero fiero di lui... anche se non è ancora arrivato il momento di dirglielo» aggiunse, poco dopo.
Beatrice, allora, corrugò appena la fronte, non del tutto convinta.
«E quando lo farai? L’è stato bravo e merita il nostro sostegno!»
In risposta, l’uomo si limitò a sorriderle lievemente, con l’aria di chi la sa lunga.
«Tempo al tempo, prima voglio vedere come andrà a finire. Speriamo, piuttosto, che il polletto riesca a dire tutto a quella ragazza».
«Tu dagli fiducia e aspetta» gli sussurrò la donna, abbracciandolo teneramente. «Il che t’ho a dire, l’Aida mi garba, trovo che sia una ragazza assennata. Spero solo che sia seriamente interessata al nostro Pulcino. Tu che ne pensi?»
«Ma come!» esclamò l’altro, sorpreso. «Sei una donna e non hai colto ciò che avranno hanno capito anche i muri?»
«Cosa, Marcello?»
Lui sospirò e, finalmente, si concesse di addolcire un po’ la propria espressione, commentando con tono d’approvazione: «Giancarlo e Aida si attraggono come due calamite».
«E, allora, prima o poi, si avvicineranno» commentò lei, saggiamente. «Per noi, non l’è forse stato lo stesso?»
«Veramente, la prima volta che ci siamo incontrati, sei stata tu ad essermi caduta addosso!» precisò il marito.
«Certo, ma deve esserti piaciuto abbastanza, visto che non accennavi a farmi rialzare!»
Marcello fissò di sbieco la moglie che gli sorrideva complice e, prudentemente, decise di non aggiungere altro.
***

Quando, il mattino seguente, Rami annunciò ai suoi fratelli che li avrebbe raggiunti a Villa Aurelia solo in un secondo momento, poiché prima aveva alcuni affari da sbrigare con Domenico, sia Samir che Aida tirarono un sospiro di sollievo.
Appena i due arrivarono, Marcello ordinò al figlio di portare il piccolo nelle sue stanze per farlo giocare, oltre che con il beyblade, anche con la sua nutrita collezione di videogiochi, perché, almeno per una volta, fosse un bambino vero ad adoperarli. Il giovane, allora, ancora indispettito per l’alterco della sera precedente, gli borbottò in risposta che aveva già avuto un’idea simile, poi chiese ad Aida se le andava di accompagnarli, proposta che lei accettò subito di buon grado.
Così, mentre Giancarlo e Samir se ne stavano sdraiati su un tappeto, intenti a montare i pezzi dei bey o ad interessarsi ad una delle numerose console presenti nella stanza, la giovane, che si era accomodata su un confortevole divanetto di pelle, ebbe modo di guardarsi discretamente un po’ intorno.
Dopo essere arrivata alla conclusione che quell’ambiente era esageratamente grande per essere utilizzato solo come sala-giochi, la ragazza non osò neppure pensare a quante altre camere avesse a disposizione il giovane solo per sé; dopotutto, ogni cosa, in quella villa, emanava classe e lusso, senza contare che gli stessi Marcello e Beatrice, per quanto avessero fatto di tutto per metterla a suo agio, dimostravano di possedere una raffinatezza innata.
Intristita da quei pensieri, si soffermò, allora, a guardare Giancarlo che, come sempre, era vestito con tanta ricercatezza da sembrare appena uscito da una boutique, un’ulteriore conferma di quanta distanza ci fosse tra di loro che la fece sospirare, affranta. Infatti, nonostante fossero stati tutti molto gentili con lei e con i suoi fratelli, si ritrovò a pensare che forse, Rami aveva ragione: i due coniugi non le avrebbero mai permesso di frequentare il loro rampollo, anche se, in fin dei conti, il problema non si poneva, in realtà, più di tanto, poiché il giovane, fino a quel momento, era stato molto evasivo. Nulla aveva lasciato intendere, infatti, che avesse serie intenzioni nei suoi confronti.
A quel punto, sorridendo mestamente, la ragazza si ritrovò a scrutare il fratellino che, invece, sembrava felice come una pasqua, con la magra consolazione che, almeno per lui, tutto quello era soltanto un ingenuo divertimento. Tutt’a un tratto, però, con la coda dell’occhio, Aida notò che il ragazzo aveva cambiato posizione: aveva una gamba stesa e l’altra piegata, sul cui ginocchio aveva poggiato il corrispettivo gomito, per poterla guardare e studiare con vivo interesse.
«Perché mi guardi così? C’è qualcosa che non va?» gli chiese subito lei, un po’ a disagio.
«Oh, no, anzi...» fece lui, sorridendo appena e inclinando la testa da un lato. «Lo so, è da maleducati fissare la gente in questo modo, ma mi piace farlo e non credo di voler cambiare atteggiamento».
A quella risposta, Aida distolse immediatamente lo sguardo, imbarazzata, poiché ancora non si era abituata alla sua insolente disinvoltura e, d’altra parte, forse, non lo sarebbe mai stata.
Il giovane, allora, fece per alzarsi ed aggiungere qualcos’altro, quando Samir lasciò il joystick che teneva in mano ed esclamò: «Giancarlo, lo sai che  in aeroporto abbiamo visto Julius e Nero5
«Ah, avete visto Caesar?» replicò l’altro, vagamente sorpreso.
«Sì, forse stavano partendo per raggiungere gli altri Excalibur, perché tra un po’ ci sono i campionati!» spiegò il piccolo.
«Ah, già. Oramai sono fuori dal giro e ho perso dimestichezza con i periodi dei tornei» mormorò il giovane, ma quello non parve farci caso.
«Secondo me perderanno, però, perché non sono molto bravi».
«Sai, da quel poco che ho visto, di talento ne hanno...» cominciò il biondo, incerto. «Comunque, ammetto che sono stati più in gamba di noi solo per il fatto di aver costituito subito una squadra».
«Sì, ma non sanno giocare... Non mi piacciono, eravate più bravi voi!» replicò il bambino, intestardendosi.
«È passato tanto tempo e i beyblade hanno una nuova tecnologia: non si può fare il paragone» constatò pacatamente Giancarlo, ma Samir, per nulla d’accordo con lui, insistette: «Io dico che tu sei più bravo di Julius!»
Non volendo indispettirlo, il ragazzo rifletté accuratamente su cosa dire, prima di aprire bocca di nuovo.
«Be’, se devo dire proprio tutto...» cominciò poi, lentamente, «non so se, effettivamente, sono stato più bravo di lui. Di sicuro, però, sono più bello e affascinante!» concluse, passandosi una mano in mezzo ai capelli, con seducente noncuranza, esibendo il suo più spietato sorriso ai feromoni.
A quell’uscita, Aida non riuscì a trattenere un sorriso divertito e ad intromettersi: «Immagino che il tuo secondo nome sia Modestia, giusto?»
Sorpreso da una tale prontezza, il ragazzo la guardò per alcuni secondi, per poi aiutare Samir a rimettersi in piedi e, quindi, alzarsi a sua volta.
«Be’, in realtà, sono queste le occasioni nelle quali mi rendo conto di quanto, in passato, sia stato arrogante e spaccone» considerò poi, meditabondo.
Sorridendo ancora, la ragazza, allora, scosse la testa e aprì la bocca per replicare, ma venne interrotta da qualcuno che bussava alla porta.
«Cara, pensavo di far servire il pranzo tra un’ora... l’è troppo tardi, forse?» esordì Beatrice, entrando con discrezione nella stanza e rivolgendosi direttamente a lei.
«Oh, no, affatto. Sarebbe perfetto, visto che, secondo Rami, dovremmo essere in aeroporto per le sei e mezza» rispose lei, sperando di aver coniugato adeguatamente tutti i verbi, poiché non voleva fare una figuraccia. Tuttavia, poiché la donna aveva annuito, riservandole un’espressione dolce, la fanciulla lo prese come buon segno.
«Con l’Annetta abbiamo deciso di fare una cosetta semplice, ma spero vi piaccia» proseguì, allora, l’altra, stringendo le spalle.
«Non si preoccupi, signora» la rassicurò Aida, «sono certa che sarà ottimo, come ieri sera».
A quel punto, Beatrice sorrise e spostò lo sguardo su Samir, il quale le si avvicinò e, dopo aver dondolato sul posto, le chiese, con una vocina sottile: «Posso avere un bicchiere d’acqua, per favore?»
La donna, sorpresa, spalancò gli occhi e, subito, gli rispose: «Ma certo, Samir!»
Poi, alzò lo sguardo sul figlio e, corrugando la fronte, lo rimproverò: «Giancarlo, con i bambini ci vuole attenzione, perché non gl’hai chiesto se aveva sete?»
Il ragazzo sbiancò immediatamente, per poi voltarsi verso la ragazza, mortificato: «Io... mi dispiace, Aida, non...»
«Oh, ma non è successo niente!» si affrettò a replicare lei, a disagio per quel piccolo equivoco. «La colpa è anche mia, avrei...» cominciò, ma si interruppe dopo poche parole, vedendo la donna che prendeva in braccio il fratellino.
«Vieni qui, Samir, ora la Beatrice ti porta a bere» gli disse quella, riservandogli un’occhiata piena di dolcezza.
La rapidità con cui si era mossa, però, insospettì non poco la ragazza, che ebbe il presentimento che la donna stesse cogliendo l’occasione per lasciarli da soli.
«Cari, noi vi aspettiamo di là. Mi raccomando, Pulcino, non arrivare tardi, altrimenti farai inquietare il babbo» raccomandò, poi, Beatrice, sorridendo serafica, prima di uscire dalla stanza assieme a Samir, a lei teneramente aggrappato.
Nell’udire quell’epiteto così particolare, Aida si riscosse dalle sue congetture e, dapprima, credette che la donna si fosse riferita ancora al fratello, poi, però, realizzò che così non era e voltò la testa verso Giancarlo, diventato bordeaux.
«Pulcino?» ripeté, divertita.
«Ah, ehm… ecco… sì…» farfugliò lui, incerto, arruffandosi ancora di più i capelli, in evidente imbarazzo. «Sai, secondo mia madre, sono ancora il bambino biondino, basso e timido di un tempo».
«Tu... basso e… timido?» domandò, allora, la fanciulla, esterrefatta. «Stai dicendo sul serio, o mi stai prendendo in giro?»
«Che cosa c’è di strano?» si risentì il ragazzo, spostando lo sguardo sul muro per evitare di guardarla in faccia. «Quando sono piccoli, è normale che i bambini siano timidi come lo ero io».
«In effetti, quello che non è normale è l’exploit che hai fatto dopo!» continuò a punzecchiarlo Aida, abbandonandosi subito dopo ad una fragorosa risata. «Guardati, ora sei tutto l’opposto: altissimo e disinvolto! L’unica cosa che deve esserti rimasta uguale sono i tuoi begli occhi!»
Tale osservazione, però, ebbe il potere di invertire i ruoli: Aida, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto, richiuse subito la bocca, mentre Giancarlo, invece, lasciando affiorare un sorriso birichino sulle sue labbra, ridivenne immediatamente padrone di sé. Infatti, si spostò immediatamente con un gesto elegante la frangia da un lato, ben scoprendo le iridi cobalto, e si avvicinò lentamente alla ragazza, squadrandola interessato.
«E così ti piacciono i miei occhi… allora, ammetti che qualcosa di me ti attrae…» mormorò.
Riservandogli un’occhiata di sottecchi, la ragazza capì di aver parlato troppo, ma sapeva anche di non potersi rimangiare quanto detto, giacché avrebbe finito solo per confermare quanto aveva espresso. Così, poiché non voleva ancora concedere al giovane troppi vantaggi, decise che la cosa migliore da fare sarebbe stata proprio ribadire il concetto, anche se in modo più velato.
«Il colore è simile a quello del nostro mare, una sfumatura di blu che mi piace molto» replicò, tranquillamente, certa di non aver detto una bugia, bensì solo taciuto una parte della verità.
Dopo tale risposta, Giancarlo si portò le mani sui fianchi e la fissò intensamente, mentre lei cercava di mostrarsi più calma di quanto fosse in realtà, percependo in quel confronto appena concluso una forte carica magnetica e alchemica.
«Sai difenderti bene ed io so riconoscere quando perdo» commentò lui, seriamente soddisfatto, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi, all’improvviso, si voltò e si diresse verso la finestra, scrutando pensieroso ciò che c’era all’esterno.
«Questo dimostra che sei una persona d’onore, anche se non ho mai avuto dubbi in proposito» replicò dolcemente la ragazza, avvicinandosi a lui e cominciando a sentirsi più rilassata, anche se dovette ammettere con se stessa che quegli intriganti scambi di battute non le dispiacevano affatto. 
«Peccato che tu sia l’unica a pensare una cosa del genere…» sospirò, allora, il giovane, mostrandole un’espressione amareggiata.
Tale reazione la lasciò talmente perplessa e intristita, che non riuscì ad evitare di chiedergli spiegazioni: «Perché dici così?»
«Tutti credono che io sappia solo prendere per i fondelli la gente, in primis mio padre» le sussurrò lui in risposta, lasciando vagare lo sguardo sul giardino. A quelle parole, però, la ragazza scosse la testa, contrariata.
«Io, invece, trovo che somigli molto a tuo padre e non solo fisicamente» ribatté, convinta. «Credimi, Giancarlo, siete più simili di quanto vogliate ammettere».
Sorpreso, l’altro si voltò repentinamente verso di lei, scrutandola con scetticismo.
«Ma se non facciamo altro che litigare perché non mi sopporta!» replicò a sua volta, corrugando la fronte. «Ha smesso di considerarmi, da quando non sono più un bambino».
Aida, però, manifestò ancora una volta il suo disaccordo: «Secondo me, avete solo smesso di parlarvi sinceramente e di capirvi, ma vi basterà ricominciare a farlo, per tornare come eravate un tempo» insistette.
Tuttavia, avendo avuto l’impressione di aver detto più di quanto avrebbe dovuto, si affrettò a precisare: «Non fraintendermi, non voglio fare quella che arriva all’improvviso e risolve i problemi, ti ho detto soltanto quello che ho capito da persona esterna. Anzi, scusami per essermi intromessa».
«Ma no, figurati, hai solo espresso il tuo parere» le mormorò, però, il biondo, pensieroso, mostrandosi tutt’altro che contrariato per il suo intervento.

A quel punto, nessuno disse nulla, finché non fu Giancarlo, dopo diversi minuti, ad interrompere il silenzio: «La verità è che non mi sentivo alla sua altezza e, forse, ho cominciato a comportarmi da irresponsabile e superficiale anche per attirare la sua attenzione. Nel modo sbagliato, ovviamente... che idiota che sono stato!»
La ragazza, però, non rispose, poiché sentiva di aver parlato anche troppo; ciononostante, gli strinse comunque una mano, per fargli sentire il suo appoggio, mentre cercava un argomento di conversazione che potesse distrarlo dai suoi turbamenti interiori.
«Allora, vuoi finalmente fare meno il misterioso e dirmi come è andato l’esame di statistica?» gli chiese, tutto ad un tratto, ricordandosi che, nonostante le avesse detto di essere andato a darlo, non le aveva fornito ulteriori particolari.
Fortunatamente, il tentativo andò a buon fine, perché Giancarlo sembrò subito più rilassato e le rispose, con un sorriso: «Il mistero accresce la curiosità, non trovi? Comunque, è andato bene».
Attese qualche secondo e poi si chinò, sussurrandole qualcosa nell’orecchio.
«Direi che è andato più che bene, sei stato molto bravo!» esclamò lei, annuendo soddisfatta, quando si scostò. A sua volta compiaciuto dall’entusiasmo che gli aveva riservato, il ragazzo le ammiccò e tornò a guardare fuori, subito imitato da Aida, che rimase colpita dal sole di mezzogiorno che inondava di luce il parco di Villa Aurelia e dalle chiome dei suoi maestosi pini marittimi, tra cui si intravedevano scorci della Città Eterna.
«L’unica cosa che mi dispiace di questo viaggio è che Rami non abbia voluto farci rimanere più giorni, perché mi sarebbe piaciuto visitare Roma» sospirò la fanciulla, ispirata da quella visuale.
«Ci saranno altre occasioni, non preoccuparti. A me piacerebbe molto che tornassi, ti farei vedere tutto quello che desideri» le rispose, allora, il giovane, guardandola in maniera talmente dolce, che la fanciulla non poté fare a meno di sorridere.
«Chi può dire che non ci sarà!» fece, alzando le spalle.
«Be’, per ora ti posso portare sulla terrazza dell’ufficio di papà, se vuoi. Da lì si vede quasi tutto, è come se fosse una cartolina dal vero. Andiamo, dai!» esclamò lui, entusiasta, rinsaldando la presa sulla mano di lei e conducendola con delicatezza fuori dalla stanza.

«Ma… è spettacolare!» esclamò Aida, senza fiato per lo stupore, non appena uscì sulla terrazza. Giancarlo aveva detto la verità: quel panorama era davvero migliore della più riuscita cartolina cartacea, giacché non c’era un solo particolare che non valesse la pena d’esser ammirato, a partire dalla mole candida del Vittoriano che si erigeva imponente sullo sfondo, fino alla cupola michelangiolesca, che dominava centralmente la scena, incastrata alla perfezione tra i profili dei palazzi, mentre, dal lato opposto, anche Trinità dei Monti reclamava la sua importanza.
Affinando la vista, la ragazza riuscì anche a scorgere la sagoma di quasi tutti i più importanti monumenti della città, riconoscibili da un particolare dell’architettura o dal colore del rivestimento: era come se, in quel momento, tutta Roma fosse ai suoi piedi.
Così, rapita da ciò che i suoi occhi non avrebbero potuto vedere di nuovo tanto facilmente, la fanciulla osservò un silenzio di estatica meraviglia, concentrandosi nell’imprimere nella sua mente quel meraviglioso ricordo, per poterlo conservare e richiamare a sé quando più ne avrebbe avuto il desiderio.
Davanti a tanto entusiasmo, il biondo, a sua volta, non poté fare a meno di tacere, appoggiandosi con discrezione al parapetto per contemplare il genuino stupore e l’incontenibile contentezza che trapelavano dall’espressione di lei.
«Immagino sia così che concludevi il tuo rituale di corteggiamento. Non c’è da stupirsi che cadessero tutte tra le tue braccia, dopo aver mostrato loro una tale meraviglia!» commentò improvvisamente Aida, ancora traboccante di gioia, senza smettere di guardare il paesaggio.
Quell’osservazione, però, fece comparire una sottile ruga sulla fronte del giovane, che, infatti, ripeté, perplesso: «Rituale di corteggiamento?»
«Sì, certo, quello che seguivi con le altre ragazze» gli spiegò lei, accigliata, voltandosi verso di lui. «Non è forse vero che le portavi qui, per mandarle in estasi con questa visuale stupenda?»
A quell’uscita, l’altro la fissò per qualche istante, per poi scoppiare a ridere.
«Estasi? No, no, nessuna di loro aveva una sensibilità così profonda per poter apprezzare una tale bellezza... In realtà, sei la prima alla quale mostro tutto questo».
Nell’udire una simile affermazione, la fanciulla inclinò appena la testa da un lato, confusa, ed insistette: «La prima di quest’anno, vorrai dire».
«No, la prima e basta» confermò Giancarlo. «Gli accordi con mio padre erano chiari: nessuna ragazza da me frequentata avrebbe dovuto varcare il cancello di casa. Altrimenti mi avrebbe disconosciuto e l’intera impresa sarebbe passata a Gerardo Marini, suo socio e migliore amico. Che poi, tra l’altro, è anche il mio padrino».
Tutte quelle rivelazioni stupirono ancor di più la ragazza, che, rimasta senza parole, continuò a fissarlo inebetita: sembrava proprio che, ormai, il giovane avesse abbandonato le risate e stesse facendo sul serio.
«Inoltre, come ti ho già detto, con te sto improvvisando, seguendo semplicemente l’ispirazione, senza alcun rituale predefinito» aggiunse lui, ormai a meno di un passo da lei, gli occhi saldamente fissi nei suoi. «Tu non devi essere trattata come una delle tante, perché con te deve essere tutto diverso».
Proprio in quel momento si alzò un sottile venticello e lei, presa com’era a cercare di capire dove volesse arrivare, si ritrovò inconsapevolmente a rabbrividire e, quando lo notò, il giovane si affrettò a scusarsi: «Oh, già, che imbecille, tu non sei abituata a questi climi e io ti ho fatta uscire senza cappotto!» borbottò.
Subito dopo, sfilò il proprio golf di cachemire, per poi poggiarglielo sulle spalle e la ragazza, sotto quell’indumento ancora imbevuto del profumo e del calore di lui, rabbrividì per la seconda volta.
«Ma ora sarai tu a sentire freddo...» obiettò, imbarazzata.
Tuttavia, l’altro scosse appena la testa, incurante del vento gelido di febbraio e, allora, Aida si soffermò a studiarlo per qualche istante, non riuscendo, però, a cogliere sul suo volto nemmeno il più piccolo segno di millanteria. A quel punto, avendo avuto la conferma che si trattava di un gesto fatto con il cuore e non per farsi bello ai suoi occhi, gli diede le spalle e gli sussurrò: «Abbracciami».
A quell’invito, il ragazzo sbatté le palpebre e non si mosse, sicuro di non aver capito bene, perciò lei ripeté, più decisa: «Abbracciami. Hai paura che venga a saperlo Rami, forse? È solo per evitare che tu prenda troppo freddo!»
Non del tutto convinto, lui esitò ancora un attimo, poi, però, cedette a quella tentazione e cinse delicatamente la vita della ragazza, in attesa che si sistemasse alla distanza che preferisse. Con sua grande sorpresa, Aida scelse di stringersi quanto più possibile e, sentendola aderire contro di sé, il biondo smise all’istante di avvertire qualsiasi gelo, percependo le membra illanguidirsi e il suo stomaco contrarsi spasmodicamente. Infatti, anche se non era la prima volta che abbracciava una ragazza, avvertì che le sue viscere non erano mai state così in tumulto e che non si era mai sentito completamente succube di un piacere che lo rendeva quasi mansueto, pur amplificando, al tempo stesso, le sue percezioni.
«Scommetto che con le altre ragazze non facevi tutti questi complimenti!» esclamò l’altra, prendendolo un po’ in giro.
«Cosa? Ah... Ecco, io non…» farfugliò lui, ancora troppo stordito per dire qualcosa di sensato.
«Giancarlo, se esternare fisicamente i tuoi sentimenti fa parte della tua personalità, con me non devi comportarti in altro modo. Una carezza o un abbraccio non sono offensivi, se l’intento è sinceramente affettuoso» gli sussurrò, allora, Aida, lasciandosi cullare dal suo profumo e dal suo tepore.
Nel sentirla così fiduciosamente abbandonata tra le sue braccia, il ragazzo capì quello che voleva dire e, finalmente, si rilassò anche lui, stringendosi maggiormente a lei e appoggiandole leggermente la testa su una spalla.
Trascorsero qualche istante in silenzio, poi, Aida gli chiese: «Va meglio, ora?»
A quella domanda, Giancarlo trattenne il fiato, perché sapeva perfettamente che non andava affatto meglio, anzi, dopo quel contatto, il suo cuore aveva preso ad agitarsi, rabbioso, suggerendogli le parole che avrebbe dovuto dirle e che, invece, erano ferme in gola: infatti, avrebbe dovuto confessarle che era la cosa più bella che gli fosse mai capitata, un miracolo che si era preso cura della sua anima già condannata, insegnandogli a godere di un piacere buono e positivo e ad allontanarsi dalla libidine e dalla concupiscenza che lo stavano dilaniando.
Alla fine, dopo aver preso un bel respiro, decise che non aveva più senso rinviare e, così, si preparò a dirle tutto: «Aida, c’è una cosa che devo chiederti…»
«Che cosa, Giancarlo?»
Non volendo indugiare oltre, il biondo la prese per i fianchi e la voltò con delicatezza nella sua direzione, perché potesse guardarlo negli occhi.
«Si tratta di una cosa importante» affermò, deciso.
«Ti ascolto» lo incoraggiò, allora, la fanciulla, sorridendogli e permettendogli di tenerla stretta senza sollevare obiezioni.
«Ecco, tu vorresti…» cominciò lui. Tuttavia, si arrestò subito dopo, poiché, tutto d’un tratto, dichiararsi non gli sembrava più una buona idea.
Davvero avrebbe fatto bene a dirle ogni cosa? Aida avrebbe davvero continuato ad essere la sua balia? Oppure, magari, al posto di un ragazzino che bruciava dal desiderio di baciare le sue labbra salvifiche, come era lui, avrebbe preferito un uomo maturo? A volte, era capitato che qualche ragazza con un minimo di pudore l’avesse rifiutato, ma non ne aveva fatto un dramma, perché ce ne erano state tante altre. Invece, Aida era unica e, in quel momento, sentì di aver raggiunto la consapevolezza che non avrebbe potuto accettare di essere respinto.
«Tu vorresti… ti piacerebbe…» riprovò, prendendo tempo, riducendo tuttavia con lenta evidenza l’esigua distanza frapposta tra di loro.
«Sì?» sussurrò l’altra, in attesa e il giovane poté quasi sentire il suo volto sfiorare il proprio: era così vicina, così raggiungibile, eppure così lontana...
«Ti piacerebbe… rientrare? Sai, comincia a fare freddo e credo che ci stiano cercando».
A quelle parole, Aida si allontanò bruscamente da lui, aggrottando la fronte, incredula ed intristita e Gianni vide affiorare sul suo volto l’ultima cosa che avrebbe voluto: la delusione.
«Sì, hai ragione» rispose lei, asciutta; poi, si tolse con estrema rapidità il golf e glielo mise malamente in mano, prima di aggiungere, irritata: «Non mi serve più».
Poi, senza dire altro, si allontanò in tutta fretta e tutto ciò che riuscì a fare il ragazzo, incapace di fermarla, fu seguirla con lo sguardo, incrociando quello del proprio riflesso, che lo fissava dal vetro del balcone con aria di sufficienza.
“E tu saresti quello virile e passionale? Come no... la verità è che sei solo un codardo!”
Codardo, l’insulto che più aborriva.
Sospirando sconfitto, Gianni, allora, abbassò la testa, consapevole di meritare quell’improperio così veritierio.
***

Al momento dei saluti, tutti notarono che Aida e Gianni non si guardavano nemmeno in faccia, lasciando che fossero l’indifferenza di lei e l’aria colpevole di lui a parlare per loro.
Sorpresi da quell’improvviso cambiamento, Marcello e Beatrice si lanciarono un’occhiata obliqua e anche Rami parve abbastanza perplesso, poiché era impossibile non notare la completa assenza di sorrisi e giochi di sguardi che c’erano stati tra i due fino a quella mattina.
«Qui sarete sempre i benvenuti!» fece la donna che, facendo finta di niente, continuò a fare gli onori di casa. «Non è vero, Marcello?»
«Certamente» replicò lui, «ci ha fatto davvero piacere conoscervi. Se vorrete tornare, noi saremo sempre felici di riavervi come ospiti».
«E noi vi ringraziamo per l’accoglienza» rispose garbatamente Rami.
«Oh, sì, siete stati davvero molto gentili con tutti noi» confermò Aida, esternando la sua riconoscenza ai due coniugi, ma continuando ad ignorare la presenza del giovane.
Samir, da parte sua, salutò affettuosamente sia Beatrice che Marcello, il quale non si sottrasse all’abbraccio e al bacione sonoro del bimbo, ed infine si rivolse a salutare il ragazzo.
«Perché tu e Dada non vi parlate dal pranzo?» gli chiese ingenuamente, anche se sottovoce.
L’altro, allora, sospirò, assumendo un’espressione sconsolata.
«Perché ho sbagliato e lei non vuole perdonarmi» replicò a sua volta, sempre bisbigliando.
«E perché non le chiedi scusa? Lei perdona chi lo fa» gli suggerì il bambino, semplicemente, con quella logica tipica della sua età. Quel consiglio, giunto dall’ultima persona che mai pensava avrebbe potuto aiutarlo in quel momento, permise al biondo di intravedere uno spiraglio di luce nelle tenebre.
«Hai ragione, dovrei» ammise, sorridendo lievemente al piccolo e arruffandogli i capelli.
«Andiamo, Samir» si intromise, però, la sorella, severa, prendendo il fratellino in braccio e continuando a fare finta che il ragazzo non esistesse, «si è fatta l’ora di andare».
Di fronte a quell’insistente indifferenza, Gianni avvertì un nuovo, più tremendo, lancinante dolore all’altezza del petto, perché ormai era chiaro che Aida lo stava abbandonando, anche se la cosa peggiore era che lui glielo stava lasciando fare. Infatti, non riuscì ad emettere nemmeno una sillaba, mentre guardava la fanciulla imboccare la scalinata di travertino con passo fermo, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, seguita da un alquanto sconvolto Rami.
Non passò nemmeno una manciata di istanti, che presto scomparvero alla sua vista tutti e tre.

«Si può sapere che cosa le hai fatto?!» ringhiò Marcello, minaccioso, non appena gli ospiti se ne furono andati. «Non mi dire che le hai messo le mani addosso o che hai tentato di coinvolgerla nelle tue sconcerie, perché questa volta io ti…» iniziò, senza, però, riuscire a finire la frase.
«Ti giuro che non le ho fatto niente!», replicò il giovane, con la reattività di un ghiro in letargo, strascicando le parole. «Non le ho fatto, né detto... niente».
Marcello, allora, sollevò appena le sopracciglia e squadrò il figlio, commentando: «Dunque, alla fine, non ci sei riuscito…»
L’altro si limitò ad alzare le spalle, mentre Beatrice, preoccupata, guardava alternativamente il marito ed il figlio.
«Pulcino, che cosa è successo?» chiese, infine, avvicinandosi al giovane ed accarezzandogli una guancia, ormai esangue.
«Non ha trovato il coraggio di dichiararsi ad Aida» le spiegò, allora, l’uomo, che, dopo aver serrato le braccia contro il petto, tornò a rivolgersi a Giancarlo: «In poche parole, l’hai fatta scomodare solo per costringerla a venire a prendersi l’umidità di Roma. Si può sapere dov’è finita la tua irritante spavalderia?»
«Temevo che mi avrebbe respinto… Sarebbe stato un dolore troppo grande e non avrei potuto sopportarlo. Ne sarei sicuramente morto» pigolò il ragazzo, proprio come un pulcino spaurito.
Di fronte ad una dichiarazione del genere, Beatrice sorrise, intenerita, scambiandosi un’occhiata con Marcello, il quale, subito dopo, chiuse per qualche istante gli occhi per non essere costretto ad alzarli al cielo.
«Ti sei immedesimato nella tragedia di Antonio e Cleopatra, per caso? In effetti, istrionico come sei, avresti potuto fare benissimo l’attore drammatico!» notò, poi scuotendo la testa.
Il ragazzo, però, non diede l’impressione di aver prestato attenzione alle sue parole, perché perseverò nel suo silenzio vegetativo, continuando a fissare il mattonato.
«Ascoltami bene» esordì, a quel punto, il padre, assumendo un tono tra il serio e l’indulgente, «ti sto rimproverando perché voglio farti capire che non si va avanti né con i dubbi, né con i timori, perché un vero uomo sa fare tesoro anche delle sconfitte. Se posso darti un consiglio, perciò, cerca di capire bene ciò che cosa vuoi: se quella ragazza non ti interessa, lasciala in pace e consentile di trovarsi qualcuno che la meriti; se, invece, per te è importante, dimostrale quanto tieni a lei».
«Io sono davvero innamorato di Aida e non voglio nemmeno pensare all’eventualità che finisca tra le braccia di un altro uomo!» replicò, subito, l’altro, deciso, mostrando un debole tentativo di ripresa.
Tale reazione fu sufficiente a rincuorare Marcello che, subito, mise una mano sulla spalla del figlio, stringendola affettuosamente.
«Allora, non gettare via questa opportunità» sentenziò, con dolcezza. «In fondo, Piazza Barberini non è all’altro capo del mondo, non trovi?»
«Il babbo ha ragione, caro» affermò a sua volta Beatrice, decisa, dandogli un’ultima carezza. «Se l’Aida ti piace, non devi aver paura di dirle cche provi».
A quel punto, dopo essersi scambiati un’ultima occhiata, i genitori rientrarono in casa, lasciandolo a meditare sulla veranda, perché potesse fare la sua scelta in completa autonomia.
Il giovane sospirò, affranto, poiché sentiva che la paura di veder andare in frantumi la prospettiva di una vita insieme alla sua Aida stava prevalendo su tutto il resto. Era come se fosse regredito al periodo in cui preferiva adagiarsi nella mediocrità per timore di non riuscire, piuttosto che mettercela tutta per riuscire in ciò che desiderava. Tuttavia, suo padre aveva ragione: non avrebbe dovuto sacrificare un’occasione importante come quella, poiché sapeva che, se non si fosse dichiarato ad Aida, se ne sarebbe pentito per tutta la vita.
Dopo essere giunto a quella conclusione, il biondo scosse vigorosamente la testa e fece per rientrare a sua volta in casa, ma, proprio nel momento, un piccolo bagliore, rifulgente sotto il sole del primo pomeriggio, attirò la sua attenzione, suggerendogli così quale fosse la mossa giusta da fare.

«Rami, mi compri quel dolce ghiacciato che fanno qui, in Italia?»
«Intendi il gelato, Samir?» gli rispose il fratello maggiore, alzando appena la testa dal cellulare.
«Sì, sì, quello!» esclamò il bambino, annuendo con vigore mentre chiudeva la sua console.
«Ma stiamo per partire e fa un freddo polare… come ti vengono certe fantasie?!» replicò, però, l’altro, scocciato, agitandosi nervosamente sul divano, ma in quel momento Aida, che se ne stava a gambe e braccia incrociate poco lontano, si voltò immediatamente verso di lui e gli riservò un’occhiata obliqua.
«Rami, per favore, assecondalo! Quando avrà di nuovo l’occasione di assaggiarne uno fatto come si deve?» aggiunse, mettendo su un cipiglio severo.
«Aida, siamo in partenza!» insistette quello, scandendo ogni sillaba e gesticolando inquieto. La sorella, però, non si lasciò convincere e, sbuffando, ribatté: «Come sei pesante! Le valigie sono pronte, per di più Domenico ha detto che ci accompagnerà lui a Fiumicino, perché non dovresti concederglielo, allora?»
Dopo una tale risposta, il ragazzo sentì di non avere più scusanti, anche se tentennò ancora qualche secondo, incerto sul da farsi, prima che l’espressione supplice di Samir lo spingesse ad accettare.
«E va bene! Aida, tu ne vuoi uno? Sai, anche per te potrebbe essere difficile tornare qui a breve» la stuzzicò il fratello, lasciandosi sfuggire un ghigno divertito, mentre lei lo inceneriva con uno sguardo di fuoco: aveva vinto e Giancarlo si era tirato indietro, che bisogno c’era di infierire?
«No, grazie, non mi va!» sbottò quella, voltando la testa e mettendosi ad osservare ostinatamente la parete di fronte.
Meravigliato da una tale reazione, il giovane aggrottò appena la fronte e la guardò di sottecchi, per poi prendere Samir per mano e condurlo fuori dalla hall. Tuttavia, prima di uscire in strada, si voltò e la richiamò: «Aida?»
«Sì, Rami?» gli rispose lei, senza guardarlo.
«Smettila di pensare a lui. I suoi genitori sono delle gran brave persone, ma quello ci ha preso in giro tutti quanti e, per poco, non ci sono cascato anch’io».
La ragazza, però, non gli diede la soddisfazione di una risposta ed aspettò che entrambi i suoi fratelli si furono allontanati, prima di girare nuovamente il capo in direzione della porta e guardarsi intorno, notando come fossero diversi gli alberghi di lusso di Roma da quelli di Alessandria, sia nell’arredamento che nello stile, e tale differenza la portò a rivalutare ancora una volta quella che c’era tra lei e Giancarlo, facendola sospirare.
A quel punto, si accomodò meglio su divano ocra, raggomitolandosi su se stessa e cominciando a lisciarsi una ciocca dei suoi lunghi capelli, cercando di farsi coraggio come aveva sempre fatto nei momenti di sconforto, in cui si era ritrovata sola.
Come era potuta essere così ingenua da sperare in una moderna favola a lieto fine? Giancarlo le voleva bene e la rispettava, ma non l’amava, anzi, aveva rinunciato persino a baciarla, ferendola nel suo orgoglio di donna: sapeva di non essere né una modella, né tantomeno un’attrice, ma davvero lui, in vita sua, aveva baciato solo sosia di Scarlett Johansson?
Stizzita e amareggiata dal ricordo di quel bacio mancato, sbuffò e si affossò ancor di più tra i cuscini del sofà, sentendosi meno in colpa per averlo piantato in asso ed ignorato, reagendo in maniera infantile a quel diniego.
Perché il lieto fine doveva esistere solo per gli altri? Oppure nei film e nei romanzi che leggeva Jamila? Non che fosse un’amante del romanticismo infarcito di svenevolezze, ma tra quello e il niente c’erano diversi livelli intermedi e a lei sarebbe bastata solo una promessa di fedeltà da parte di lui.
In quel momento, i suoi pensieri andarono proprio all’amica che, certamente, sarebbe stata alquanto delusa dalle nuove notizie e, magari, l’avrebbe perfino rimproverata, in maniera scherzosa, ricordandole quanto poco sapesse farci coi ragazzi. Forse la sua colpa era essere stata se stessa? Eppure, era stato lo stesso Giancarlo a confessarle di essere stato colpito dalla sua spontaneità, anche se, visto come si era comportato, probabilmente quello che le aveva detto non aveva mai avuto valore.
Affranta da quelle considerazioni sempre più fosche, Aida sospirò di nuovo e, improvvisamente, avvertì che qualcuno le aveva posato accanto qualcosa. Istantaneamente, abbassò la testa e, quando si rese conto che era uno dei suoi fermagli, si portò subito una mano ai capelli, accorgendosi di averlo smarrito un’altra volta.
«Avete già fatto? Comunque, grazie, Rami, dove l’hai trovato? Sono proprio una pasticciona, l’ho perso di nuovo e…»
«Ritrovarlo e riconsegnartelo sta diventando un’abitudine. Se ciò mi consente di continuare ad interagire con te, dovresti perderlo più spesso».
Nell’udire quella voce, che non si aspettava di certo, Aida sobbalzò ed alzò di scatto la testa, rimanendo quasi pietrificata.
«Giancarlo! C-Che cosa ci fai qui?» balbettò, mettendosi in piedi con molta difficoltà.
«Un motivo è quello» le rispose lui, indicando il fermaglio, «l’altro, invece, è che non posso permetterti di partire, senza averti chiesto la cosa più importante... per noi». Poi, le si avvicinò e, dopo appena un attimo di incertezza, le prese con delicatezza le mani e le tenne con fermezza tra le sue. La guardò negli occhi per qualche istante, scrutandola con lo stesso sguardo malinconico che le aveva riservato quando era andato a cercarla per dirle tutta la verità e, di fronte a quell’espressione, l’amarezza di Aida si attenuò parecchio.
«So di averti deluso e ti prego di perdonarmi. Avrei dovuto chiedertelo stamattina, ma ho temuto un tuo netto rifiuto» le mormorò poi, dispiaciuto.
«Come puoi conoscere la risposta, senza aver prima fatto la domanda?» ribatté cupamente lei, convinta che, a prescindere da tutto, dovesse esserle concessa la possibilità di rispondere in prima persona.
«Lo so, hai ragione» sospirò lui, scuotendo la testa, «ma non ho mai tenuto a nessun’altra come tengo a te e... non mi sono saputo comportare».
A quel punto, fece una piccola pausa, mentre la giovane, metabolizzando le parole che gli aveva appena sentito dire, si sentì avvampare, piacevolmente colpita, ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, che lui proseguì: «Aida, io non sarò né perfetto, né tantomeno un cavaliere senza macchia e senza paura, ma sicuramente quello che provo per te è un sentimento sincero…»
«Be’, a dire il vero, dovresti lasciar decidere me...» notò lei, piegando la testa da una parte e soffermandosi a guardarlo ad occhi socchiusi, «perché sono io che devo scegliere, tu non sai cosa potrei volere».
Nel sentire queste parole, l’animo di Giancarlo si rasserenò e, finalmente, il ragazzo si decise a buttare fuori tutto quello che aveva tenuto dentro di sé troppo a lungo, così, dopo aver preso un bel respiro, parlò: «Scusami se te lo chiedo in termini un po’ antichi e, per giunta, in maniera così diretta, ma non c’è tempo per un discorso: mia dolce Aida, vorresti farmi l’onore di diventare la mia fidanzata, nonché la mia futura sposa…?»
Sorpresa ed incredula di aver appena ricevuto una proposta di matrimonio da Giancarlo Tornatore, il latin lover per antonomasia, la ragazza deglutì, sicura di non aver mai sentito il cuore batterle tanto forte.
«Ovviamente, non devi rispondermi subito, pensaci pure quanto vuoi. Devi decidere in piena libertà, non voglio che ti senta costretta» aggiunse lui, accarezzandole una guancia.
Aida, però, continuò a non rispondere, fissandolo a bocca semi-aperta e, nonostante si sentisse scoppiare dalla felicità, si rese subito conto che non era una decisione da prendere a cuor leggero, perché lo conosceva solo da pochi mesi e, sapeva che il trasporto, la gioia e il piacevole scombussolamento che provava ogni volta che lo aveva davanti sarebbero potuti non bastare a garantire una relazione duratura.
«D-Davvero posso pensarci?» chiese, infine, riuscendo a recuperare l’uso della parola.
«Sì, certo, prenditi tutto il tempo che desideri. Anche se noi continueremo a sentirci, mi darai la tua risposta solo quando ne sarai sicura, va bene?»
«Va bene» confermò lei in un sussurro, lasciando affiorare sulle sue labbra un dolce sorriso.
A quel punto, lui si soffermò a contemplarla e decise di assecondare l’istinto che lo invitava a chinarsi per darle un bacio sulla guancia, ma, purtroppo, le sue labbra arrivarono solo a sfiorarle la pelle, poiché Rami e Samir fecero il loro ritorno con un tempismo quanto mai dannoso.
«Che cosa state facendo?!» gracidò il giovane che, pur avendo usato un plurale, in realtà, si stava riferendo solo al biondo.
Giancarlo, allora, si tirò su, permettendo ad Aida di discostarsi leggermente da lui ed entrambi si voltarono verso un contrariato Rami e un incuriosito Samir, che stava leccando con gusto un mega-cono al cioccolato e fiordilatte.
«Tornatore, che cosa stai combinando?» riprovò, allora, il ragazzo, sospettoso, linciandolo con lo sguardo. Tuttavia, l’altro non si fece intimidire e restò accanto alla fanciulla, che rispose al suo posto.
«Mi ha appena chiesto di sposarlo» fece, infatti, lei, riprendendo a guardare il suo innamorato.
«E tu che cosa gli hai risposto, Dada?» domandò, allora, Samir, curioso ed entusiasta, che non avrebbe mai potuto immaginare che la sorella, un giorno, avrebbe sposato un campione del suo sport preferito.
«Che ci penserà» replicò Giancarlo, girandosi verso la ragazza per lanciarle un sorrisetto complice.
Davanti a quella scenetta, che sembrava messa su a posta per mandarlo su tutte le furie, Rami fu tentato di ribattere, ma, poi, rendendosi conto che sarebbe stato inutile, sospirò, rassegnato. D’altra parte, Giancarlo aveva dimostrato di aver mantenuto la parola e la sorella aveva un’espressione così dolce da non lasciare dubbi: Dada aveva trovato il suo Blaue Reiter6.
«Rami, andiamo fuori! Il gelato mi sta colando, e si sporcherà tutto il tappeto!» piagnucolò improvvisamente Samir, trascinandosi dietro il fratello grande prima che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo e, divertiti da quell’intermezzo, Aida e Giancarlo risero.
«Non mi stancherò mai di dire che il tuo fratellino è troppo intelligente!» osservò lui, trattenendo palesemente un sogghigno ai danni di Rami.
«Oh, lo so. Per fortuna, c’é anche lui» confermò la giovane, alzando le spalle; poi, tornò a guardarlo, senza sciogliere la presa che aveva su di lui e aggiunse: «Ora ne sono convinta: con me stai decisamente improvvisando».
«Be’, meglio, no? Te l’ho detto più di una volta: sono un amante delle sorprese» ribatté lui, dandole un colpetto sul naso e strappandole un sorriso, mentre lei, dopo aver alzato una mano verso il volto di lui, cominciò ad accarezzargli i capelli, prima di scendere lungo la guancia; Giancarlo, nel sentire quel tocco, chiuse gli occhi e si perse nel suo calore, esercitando una leggera pressione sul palmo di lei, così da carpire ogni piacevolezza di quelle effusioni.

Rimasero così fino al momento in cui furono costretti a salutarsi definitivamente. A quel punto, il ragazzo, dopo aver dato una mano con le valigie, rimase a guardare i tre fratelli che si accomodavano in auto e, prima di salire, Aida si voltò un’ultima volta per salutarlo così lui ne approfittò per soffiare un bacio nella sua direzione. Con sua somma sorpresa, però, la ragazza ricambiò senza indugio, regalandogli un sorriso triste e lasciandogli una sensazione di vuoto che il giovane sapeva sarebbe stata difficile da colmare.
Anche dopo che furono spariti oltre la piazza, Giancarlo attese in piedi qualche altro minuto, poi, come riscuotendosi dalla malinconia che lo aveva attanagliato, si cacciò le mani nelle tasche del cappotto di panno blu e scese lungo Via del Tritone, nel buio della sera dell’inverno romano.
Era arrivato a circa metà del viale, quando passò accanto a lui una coppia ridente e spensierata. Non aveva fatto caso se fossero belli o riccamente abbigliati - probabilmente non erano né l’una né l’altra cosa -, perché si era concentrato su un unico particolare: si stavano tenendo per mano. In quel momento, avvertì che non vi era nulla di speciale nella sua vicenda, che era solo un ragazzo come tanti che doveva sottostare alle due massime e opposte leggi che muovono l’Universo e fu quello l’attimo nel quale prese coscienza di aver sempre voluto ignorare una verità insindacabile: Morte e Amore rendono tutti uguali.




***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
***

[N.d.A.]
1. Albano Laziale: piccolo paese nei dintorni di Roma; fa parte dei famosi Castelli Romani;
2. Rebibbia... Verano: rispettivamente, uno dei carceri di Roma ed il cimitero monumentale della Capitale;
3. barbara: il termine viene usato nella sua accezione più originale e dispregiativa. Nel mondo greco antico, i barbari non erano considerati sempicemente stranieri, bensì esseri selvaggi e primitivi, che si opponevano agli esponenti della civiltà, autoreputatisi superiori per cultura ed intelletto;
4. Grazia... carisma... dono: questi termini sono legati etimologicamente e semanticamente; hanno valenza di climax, per sottolineare l’enfasi crescente nel discorso;
5. Julius e Nero: Julius Caesar è il membro italiano, nonché capitano, degli Excalibur e Nero (che compare solo nel manga) è suo fratello; nell’adattamento italiano è rimasto il nome della versione americana, vale a dire Julian Konzern, ma io mi rifiuto di usare due lemmi di origine sassone per un personaggio che dovrebbe essere italiano, perciò ho lasciato i nomi della versione giapponese, se non altro, più “latineggianti” nel suono;
6. Dada... Blaue Reiter: il gioco di parole è abbastanza articolato. Sia Dada (conosciuto anche come Dadaismo) che Der Blaue Reiter sono due movimenti artistici degli inizi del 1900; Dada fa riferimento al soprannome di Aida e Der Blaue Reiter significa, letteralmente, Il Cavaliere Azzurro. Il collegamento del tutto è la passione della ragazza per la storia dell’arte. 

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Capitolo 4
*** Parte Seconda - Atto Quarto ***


Stella del Sud - Atto IV





Parte Seconda - Atto Quarto



e par che de la sua labbia si mova
uno spirto soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv.12-14


Q
uel settembre si rivelò il più caldo degli ultimi anni e tutti ad Alessandria non facevano altro che lamentarsi dell’afa opprimente che assediava la città da giorni e giorni, sostenendo di non ricordare di aver mai vissuto niente di simile. Fra di loro c’era anche Aida, la quale si era appena trascinata nella hall dopo aver discusso con lo scortese pescatore che aveva portato la fornitura di crostacei per il pranzo, come accadeva ogni volta che aveva a che fare con lui, visto che l’uomo si ostinava a trattarla come se non capisse nulla. Forse, non era un caso che Rami le chiedeva sempre di interagire con quel tale al posto suo.
Stremata, approfittando dell’assenza di clienti nei paraggi, la ragazza decise di prendersi una piccola pausa e si lasciò cadere su uno dei divani dell’ingresso, sbuffando: tra il caldo, il ritmo serrato di lavoro e la mole di studio per l’ultimo, imminente esame non riusciva a ritagliarsi nemmeno un minuto per sé; per giunta, negli ultimi tempi, anche Giancarlo aveva avuto molto da fare e si erano sentiti solo per pochi minuti al giorno. 
Anche se l’aveva visto recentemente di persona, quando aveva deciso di passare con lei la prima settimana di agosto, in occasione del suo ventiquattresimo compleanno, Aida cominciava a sentire che quel modo di incontrarsi così saltuario non le bastava più. Infatti, dopo essere uscita ogni sera con lui per sette giorni consecutivi - Rami aveva dato loro il permesso, purché portassero con loro Samir -, la ragazza aveva capito ancor di più quanto fosse frustrante non poter stare con lui ogni volta che ne aveva voglia. In particolare un pomeriggio, quando aveva fatto assaggiare al giovane i baklava1 e questi le aveva promesso che avrebbe ricambiato la gentilezza portandola in una delle migliori gelaterie di Roma, anche se suo fratello non si era deciso ancora a darle il permesso di partire, sostenendo che in quel periodo non poteva abbandonare il lavoro.
Cercando di scacciare quei pensieri, la giovane sospirò, fissando il soffitto della hall con occhi tristi: aveva la netta impressione che Rami stesse temporeggiando con banali scuse, per non rivelare che, in realtà, non aveva la benché minima intenzione di lasciarla partire, anche se le sfuggiva il motivo. Forse non era stato troppo contento dell’invito di Giancarlo a trascorrere qualche giorno a casa sua, ma lei non capiva il perché, visto che, dopo aver conosciuto i genitori di lui, suo fratello si era parecchio tranquillizzato.
Tuttavia, con o senza quel permesso, la fanciulla sarebbe dovuta andare comunque, non solo perché le mancava il giovane, ma, soprattutto, perché doveva ancora rispondere alla sua proposta, visto che, da quando lui le aveva chiesto di sposarlo, nessuno dei due aveva più toccato l’argomento.
In realtà, Aida sapeva bene di provare molto di più che semplice simpatia nei confronti di Giancarlo. Altrimenti, come poteva spiegare i battiti del suo cuore, che acceleravano solo a sentire la sua voce, la tristezza crescente ogni volta che si separavano o il desiderio di perdersi nel suo abbraccio caldo e sicuro?
Eppure, in quella vicenda c’erano più dubbi di quelli che avrebbero dovuto esserci: avrebbe mai potuto vivere in serenità con l’uomo che, ormai, sapeva di amare? O il suo destino sarebbe stato quello di essere infelice per tutta la vita? Tanti, troppi vincoli ostacolavano la sua relazione con Giancarlo e,
nel riportarli alla mente, la giovane si sentì come affogare nel pantano dei suoi timori.
Per ironia della sorte, ad impedire che quella palude di negatività la inghiottisse mentre era seduta sul divano, intervenne proprio la voce di suo fratello che, dall’ufficio, le ordinò di portargli un tè rosso, poiché lui era impegnato e non poteva spostarsi.

«L’orso bruno ti comanda a bacchetta, eh?» esordì Jamila non appena la vide, mentre canticchiava rimettendo a posto alcune stoviglie.
«Già, settembre è sempre il periodo peggiore: lui è sotto stress e lo fa scontare a noi!» si lamentò la fanciulla, afferrando un filtro per infusi in metallo e un barattolo di latta.
«Be’, per fortuna, almeno tu hai qualcun altro che ti tratta come se fossi una principessa!» insinuò l’altra, continuando a sistemare tazze e bicchieri.
A quel commento, Aida finì di scaldare l’acqua con il getto di vapore e sospirò, triste: «Peccato, però, che io non lo sia affatto».
Sorpresa da quella considerazione, l’amica la fissò per qualche istante, per poi avvicinarsi e domandarle, preoccupata: «Dada, che c’è?» 
«Niente...» mormorò la fanciulla finendo di preparare la bevanda, cercando in tutti i modi di arginare l’oppressione dettata dalla consapevolezza che la differenza di classe sociale tra lei e Giancarlo fosse solo la punta dell’iceberg di tutte le sue angosce.
«Non mi dire che hai litigato con il tuo bel biondino!» esclamò Jamila, sconcertata, come se avesse intuito che il giovane era nella mente dell’altra.
Nel sentirlo menzionare, Aida sobbalzò e la guardò, sbattendo le palpebre. Poi, come uscita da una sorta di trance, si affrettò a rispondere: «Oh, no, no! È solo che... dovrei rispondere alla sua proposta e non so ancora che cosa dirgli».
L’altra, allora, dopo aver lanciato un’occhiata intorno a sé, approfittò del fatto che fossero sole per avvicinarsi ancor di più alla ragazza.
«Se ti piace, non credo che ci sia tanto da dire» fece seria, a voce bassissima. «Accetta e basta!»
«Non è così facile!» replicò quella, stizzita. «Non è sufficiente che mi piaccia, ci sono tante altre cose da mettere in conto!»
«Dada, secondo me, tu ti fai troppi problemi...»
A quel punto, Aida afferrò maldestramente un barattolo e buttò con rabbia due cucchiaini del suo contenuto nel bicchiere di Rami, per poi voltarsi verso l’amica e lanciarle uno sguardo minaccioso. Come poteva sapere quanto stava male per quella situazione?
«E tu, Jamila, non te ne fai affatto!» replicò, furiosa, prima di afferrare il bicchiere e darle le spalle, allontanandosi in tutta fretta.

«Ecco il tuo tè, Rami!» sibilò Aida, sbattendogli il bicchiere ad un soffio dalla sua mano e versando più della metà del contenuto sul ripiano estraibile della scrivania,vicino alla la tastiera e al mouse.
«Si può sapere che ti prende?!» le chiese il fratello, fissandola sbigottito, ritraendo troppo tardi il braccio.
La fanciulla, però, ignorò la domanda, limitandosi a fissarsi le unghie con fare distaccato; alla fine, dopo qualche secondo, davanti ad un simile atteggiamento, il giovane si accigliò e scrollò le spalle. Poi, accostò il suo infuso di roobois2 alle labbra per bere quel poco che era rimasto.
«Puah! Ma... è disgustoso!» esclamò subito dopo, tirando fuori la lingua.
Aida alzò di scatto la testa verso di lui, corrugando la fronte e aprendo appena la bocca.
«Cosa… cosa c’è?» gli chiese, confusa.
L’altro si alzò subito dalla sedia e le si piantò davanti, trafiggendola con un’occhiata minacciosa: «Si può sapere che cosa ti è saltato in mente?!
Vuoi avvelenarmi, per caso? » la rimproverò, adirato.
Sempre più stupita, la fanciulla spostò lo sguardo sul bicchiere ancora fumante e, timidamante, iniziò: «Non capisco, Rami, io ci ho messo la solita quantità di zucchero…»
«Zucchero?!» la interruppe, però, l’altro, tra lo sconcertato ed il furibondo. «Aida, questo tè è salato come l’acqua del Mar Morto!»
Improvvisamente, nella mente di lei fu tutto più chiaro: come un lampo, le riaffiorò alla mente la scena di poco prima: aveva preso il barattolo blu anziché quello rosso.
«Oh, no, temo di aver confuso lo zucchero con il sale!» pigolò, abbassando lo sguardo.
Tuttavia, dopo la sua confessione, l’espressione di Rami si indurì ancora di più.
«Brava, i miei complimenti!» sbraitò. «Non puoi permetterti queste distrazioni! Hai idea di quali sarebbero state le conseguenze, se fosse successo con un ospite?»
«Rami, scusami, io…»
Ma il giovane non volle sentire ragioni: tornò alla scrivania, afferrò il bicchiere e, dopo aver raggiunto la finestra, gettò l’infuso all’esterno con un gesto rabbioso.
«Scusami un corno! Aida, vedi di scendere dalle nuvole una volta per tutte, altrimenti provvederò io stesso!» concluse, facendo tremare anche il pavimento.
Non sapendo cosa aggiungere, sentendosi mortificata ed incompresa, la sorella abbassò il capo e, un attimo dopo, scappò via, diretta nella sua stanza.
Proprio in quel momento, con il fiatone, sopraggiunse Jamila.
«Non… non dirmi che… l’hai... già bevuto» annaspò.
«Se intendi quella porcheria che mi ha rifilato quella sciocca, purtroppo sì!» replicò il concierge, ancora visibilmente schifato, rimettendosi seduto.
«E… dov’è Aida?» continuò l’altra, guardandosi intorno come se sperasse di scorgere l’amica in qualche angolo o dietro il vaso delle orchidee bianche.
«Se ne è andata dopo che l’ho rimproverata» sbottò il ragazzo. «Deve smettere di vivere nel suo mondo immaginario, o…»
«Che cosa hai fatto?!» strillò la ragazza, impedendogli di continuare. «Ti rendi conto di quanto sei insensibile? Tua sorella si trova in una fase della sua vita molto delicata!»
«Sì, lo so che settembre è un periodaccio» ribatté, invece, lui, fingendo di capire ciò che gli faceva comodo.
Tuttavia, lo sguardo iracondo di Jamila gli fece presto capire che non aveva apprezzato il suo tentativo di lasciar cadere l’episodio nel dimenticatoio, perché, dopo essersi messa davanti al fidanzato, quella sbatté entrambe le mani sulla scrivania, facendolo sobbalzare.
«Tua sorella deve studiare, deve sostenere ancora un esame e tu la sovraccarichi di lavoro!» lo redarguì, intimidatoria. «Deve badare a Samir e deve provvedere a tutte le richieste!»
«Ma…» tentò di protestare il ragazzo, prima di essere prontamente zittito da un nuovo attacco.
«Niente “ma”! Sai bene che deve prendere una decisione importante da cui dipenderà la sua felicità! Perciò, ora io e te faremo una bella chiacchierata su quello che le dirai in allegato alle tue scuse, chiaro? E... a proposito, non osare dire neanche mezza parola contro Giancarlo, che ha dimostrato di tenere davvero a lei, impiccandosi per vederla a malapena e rispettando le tue medioevali condizioni! Rami, ricordati che non sei non sei suo padre: se non consentirai a quella povera ragazza di farsi una vita, giuro che te la farò pagare!»
Il giovane subì passivamente tutta quella serie di insulti con gli occhi spalancati per la sorpresa, incapace di ribattere. Di solito, infatti, era lui a dispensare lavate di testa e si accorse che esserene per la prima volta il destinatario non era certo molto piacevole.
«Ehm, credo che ne potremmo parlare…» iniziò, incerto, con lo sguardo fisso sul volto di Jamila, ridotto ad una maschera di rabbia.
Dal canto suo, quella non perse tempo nel replicare: «Se ci tieni alla tua incolumità, ti consiglio di rettificare quel condizionale, sai?» 

Aida era seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata contro il muro e le gambe raccolte contro il petto, lasciandosi sfuggire ogni tanto un sospiro sconsolato, mentre deplorava l’eccessiva reazione di Rami per le sue distrazioni. Purtroppo, però, doveva ammettere che in quel periodo non era molto presente: aveva tanti pensieri che le turbinavano nella mente e cominciava a sentirsi piuttosto stanca, incapace di fronteggiare tutti i problemi e, soprattutto, di fare le scelte giuste.
Tuttavia, non passò molto da quando era scappata che qualcuno bussò alla porta e, dopo aver ricevuto il permesso di entrare, Jamila si affacciò nella stanza: «Come va, bella?»
«Un po’ meglio, grazie» rispose Aida, stiracchiando un sorriso. Poi, con un cenno della mano, invitò l’amica a sedersi a terra accanto a lei.
«Mi dispiace per prima, Jamila. Non volevo essere così scortese» esordì, dopo aver preso un bel respiro di incoraggiamento. «Non pensavo davvero ciò che ho detto» aggiunse, sentendosi tremendamente in colpa per come l’aveva trattata. Certo, a volte, non avevano la stessa opinione, ma quella ragazza era sempre stata buona con lei ed era davvero l’unica su cui potesse contare in ogni momento.
«Tranquilla, non preoccuparti: hai detto la verità, perciò non mi sono offesa» replicò l’altra, mettendole una mano su un braccio con un sorriso sulle labbra. «Tu sei sempre stata più riflessiva di me. E poi, al contrario di tuo fratello, ho capito che non ce la fai più».
Nell’udire quelle parole, la fanciulla ricambiò debolmente il sorriso, così Jamila, incoraggiata, si sistemò meglio, mettendosi a gambe incrociate davanti a lei e fissandola con aria indagatrice.
«Perciò ora non potrai rifiutarti di rispondere alla mia domanda: cosa hai deciso di fare con il tuo affascinante innamorato?»
«Davvero ancora non lo so» rispose la fanciulla, stringendosi di più le gambe contro il petto e appoggiando il mento su un ginocchio.
In risposta, l’altra sbuffò, impaziente: «È quasi un anno che vi scambiate sguardi languidi... per caso vi divertite così tanto a giocare agli amanti contrastati, portando aventi questa ridicola tresca
Allarmata ed indignata da quel termine, Aida ebbe un sussulto e si mise immediatamente sulla difensiva.
«Tra me e Giancarlo non c’è nessuna tresca!» esclamò, contrariata.
L’amica, allora, la guardò a lungo e, senza alcun imbarazzo, la incalzò: «Ah, no? Allora, perché non vi mettete ufficialmente insieme?»
«Ma... non è così semplice!» sbottò la fanciulla, molto vicina all’esasperazione, poiché non avrebbe potuto zittire Jamila come faceva con i propri tormenti interiori. Alla fine, dopo aver scosso ripetutamente la testa cercando di trovare dentro di sé la calma necessaria per affrontare, una volta per tutte, quel discorso a voce alta, distese le gambe e chiuse gli occhi, contando fino a cinque.
«Se accettassi la sua proposta, dovrei andare via dal mio paese e abbandonare tutti voi, che siete la mia famiglia» cominciò a spiegare, sentendosi più leggera ad ogni parola che le usciva dalle labbra. «C’é ancora la tesi da discutere a gennaio, papà tornerà a casa per Natale e poi io dovrei rinunciare per sempre a lavorare al Museo Nazionale de Il Cairo...»
«Be’, come prima cosa, non ti ha mica detto che ti sposerà domani: se ti ama davvero, capirà che hai bisogno di tempo» obiettò, allora, l’altra, come se sentisse il bisogno di aiutarla a riordinare le idee, dandole dei punti fermi sui quali ragionare. «Inoltre, andresti a vivere in Italia, non in Patagonia! Davvero credi che in una città come Roma non riuscirai a trovare un museo decente per cui lavorare?»
«Non lo so, Jamila. Magari, nel frattempo, potrebbe stancarsi e trovarsi un’altra ragazza più matura, più adatta al suo rango o, magari, semplicemente più bella e attraente» commentò Aida, amareggiata, stringendosi le braccia addosso per confortarsi. «Tu non puoi nemmeno immaginare quante colleghe gli vadano dietro, in facoltà!»
«Non si può certo dire che siano del tutto sceme, no? Cercano semplicemente l’uomo bello, fascinoso e ricco» replicò l’amica, facendo una smorfia di disapprovazione. «Comunque, è stato lui a parlarti delle sue ammiratrici?»
«Non proprio, ma, poiché mi racconta tutto, ho capito da sola che ne ha fin troppe» aggiunse la fanciulla, incupita, scrutando la sua interlocutrice, che si era lasciata sfuggire un sorrisetto furbo.
«Sbaglio, o ti stai lasciando corrodere dalla gelosia?» esclamò quella, prendendola bonariamente in giro. «Comunque sia, non credo che tu debba preoccuparti, se è il biondino stesso a confidarti queste cose, perché significa che non ti sta nascondendo niente» fece una piccola pausa, poi proseguì: «Ricordati sempre che Giancarlo ha sfidato quel bisbetico di tuo fratello per avere l’opportunità di parlarti e continua a sopportare i suoi commenti velenosi solo per vederti».
Aida, allora, volse lo sguardo verso la finestra, attraverso la quale riusciva a vedere solo uno scorcio di cielo azzurro brillante e privo di nuvole: una campitura di colore che pareva simboleggiare quella serenità che desiderava, ma che non le apparteneva.
«Io non avevo messo in conto di innamorarmi adesso» sospirò, concentrandosi su quella tinta uniforme e, in quanto tale, rassicurante. «Prima di conoscere Giancarlo, non avevo mai provato nulla di simile: ero innamorata della vita e dell’amore stesso e vivevo bene così. Vorrei solo che Samir fosse più grande, perché ha ancora tanto bisogno di me...»
«Tesoro, queste cose succedono e basta» intervenne Jamila, ferma. «Chi l’avrebbe mai immaginato, dopotutto, che per quell’orso di tuo fratello, per giunta più giovane di me, avrei abbandonato tutto e tutti? Eppure è successo. Inoltre, non credo che Samir sia un problema, visto che quel ragazzo sa quanto sei importante per il tuo fratellino, tanto da averci detto chiaramente che non vede l’ora di prendersi cura di lui assieme a te».
Richiamata alla realtà da quell’ultima affermazione, Aida smise di contemplare il cielo e tornò a guardare l’amica, corrugando la fronte. 
«L’ha detto a Rami e a me l’altra volta, mentre tu e Samir vi stavate preparando per uscire con lui» spiegò l’altra, continuando il suo discorso. «Tuo fratello gli stava raccontando che, per un po’, dovremo occuparci di vostro padre, visto che dopo otto anni di prigione non sarà facile tornare alla vita di prima e così, Giancarlo ha subito mostrato l’intenzione di prendersi cura sia di te che di Samir».
La fanciulla cercò sul volto dell’altra anche il più piccolo segno che potesse tradirla, ma non ne trovò nemmeno l’ombra.
«Che cosa stai cercando di dirmi?» chiese, allora, incredula. «Rami non può aver deciso di lasciare che noi...»
«Aida, ti sto dicendo che è ora di pensare ad una tua eventuale famiglia e che Rami ha capito di dover fare lo stesso» affermò Jamila, decisa. «Inoltre, come hai detto tu stessa, sa che Samir è piccolo e ha bisogno più di te che di lui. Hai sempre ubbidito a tuo fratello maggiore e credo che adesso anche tu meriti un po’ di felicità, quindi vedi di dare al più presto una bella risposta al tuo bel biondino!» concluse.
Dopo poco si alzò e, dopo essersi spolverata la divisa, tese alla fanciulla una mano per aiutarla a fare altrettanto.
«Appena ti sarai calmata un po’, scendi, va bene? Rami deve dirti una cosa» si congedò Jamila, con un sorriso.
Allora, Aida rimase a guardarla finché non fu uscita dalla stanza, per poi dirigersi verso la cassettiera, posizionata sopra ad un piccolo tavolinetto in fondo alla stanza, aprire il cassetto intermedio ed estrarne una scatolina rosso cupo, che, al suo interno, conteneva
un paio di pendenti stellati. Erano il regalo che Giancarlo le aveva mandato a luglio, in occasione del suo ventiduesimo compleanno e che lei non aveva mai avuto il coraggio di indossare, considerandoli un dono troppo prezioso, perché quegli orecchini, di fatto, erano un simbolo che riassumeva perfettamente il suo senso di inadeguatezza verso la situazione.
Sospirando, dopo qualche minuto li rimise a posto e si affrettò a scendere al piano di sotto.

Non appena arrivò all’ultimo gradino, Aida vide Samir, appena tornato da scuola, correrle incontro per abbracciarla. Anche Jamila e Rami si avvicinarono in silenzio a lei e non passò molto tempo che la ragazza spronò il fidanzato a parlare, lanciandogli un’occhiataccia.
«Allora? Vogliamo fare notte?»
In risposta, il ragazzo emise un breve grugnito,
prima di cominciare a parlare.
«Aida... come mi ha fatto notare Jamila, non è giusto che tu continui a lavorare seguendo questi ritmi, quindi, da questo momento e fino al tuo esame, potrai dedicarti esclusivamente allo studio».
«Davvero?» esclamò lei, meravigliata.
Rami annuì e aggiunse: «Devi fare ciò che ti compete, cioè studiare».
«E..?» lo incalzò Jamila.
«E» proseguì l’altro, sbuffando, «hai il permesso di andare dal tuo spasimante, come sua ospite. Per quanto non se lo meriti, gli devi una risposta».
Aida rimase così esterrefatta che cominciò a balbettare: «P-Posso davvero?»
«L’importante è che tu sia qui per l’inizio del semestre. Devi ancora accordarti su alcuni aspetti con il relatore per la tesi».
«Ma Rami!» protestò Jamila a viva voce. «Questo non era nei patti! I tempi sono quello che sono...»
«Prendere o lasciare» sentenziò, però, il concierge, irremovibile.
«Va bene» rispose, invece, Aida. «Ho solo una domanda da farvi: chi si prenderà cura di Samir durante la mia assenza?»
«Ci penserà Milia, Dada!» rispose subito il bambino. «Starò bene, lei mi porta al parco quando me lo promette» aggiunse, annuendo vigorosamente.
«Visto, Dada? Ce la caveremo alla grande!» la rassicurò l’amica, ammiccandole. 
A quel punto, Aida li guardò tutti, soffermandosi in particolare sul fratello maggiore e sorridendogli con gratitudine: «Grazie Rami, di tutto. E grazie anche a voi, Jamila e Samir».
«Sì, sì, prego, prego, ma ora vedi di metterti a studiare e di passare degnamente questo esame, altrimenti da Tornatore ci andrai l’anno prossimo!» sentenziò il ragazzo, pratico e sbrigativo, riaccomodandosi alla sua postazione. In realtà, sapeva bene che la sorella si stava riferendo alla sua decisione di lasciar liberi sia lei che Samir, ma non era tipo da smancerie e preferiva che tutto rimanesse com’era, poiché, nel caso Aida avesse accettato la proposta di quell’italiano - di quell’occidentale! - per gli addii ci sarebbe stato tempo.
«Piantala, Rami! Vedrai che Dada farà quello che deve con criterio e partirà sicuramente. Per compensare come la tratti male tu, orso bruno, il suo tigrotto biondo dovrà coccolarla per tutta la durata della sua vacanza!» insinuò Jamila con una sfumatura quanto mai licenziosa, lanciando ad Aida un’occhiatina molto eloquente e quella avvertì subito un discreto calore che si spandeva sulle sue guance. Tuttavia, era troppo contenta per preoccuparsene.
«Ovviamente, porterai i miei rispettosi saluti al signor Marcello e alla gentilissima signora Beatrice» proseguì poi Rami, ignorando la fidanzata e calcando con un po’ troppo trasporto e devozione sul nome della donna.
Insospettita, Jamila si voltò immediatamente verso di lui.
«Ma sentitelo, la gentilissima signora Beatrice... Mi stai nascondendo qualcosa, per caso?» sibilò, minacciosa.
«Ah, non lo sapevi, Milia, che Rami ha una cotta per la mamma di Giancarlo?» domandò ingenuamente Samir e la ragazza, indignata, insorse istantaneamente.
«Ah allora è così che stanno le cose!» 
«Samir, che cosa ti salta in mente?» farfugliò il giovane, palesemente in difficoltà. «Ma no, Jamila, non è come pensi tu!»
«Rami, l’hai detto tu che Beatrice era bella come la Primavera di... di... come si chiama quel pittore, Dada? Non ricordo!» chiese il bambino, accigliandosi.
«Botticelli» rispose, allegra, Aida, che ormai sentiva la sua partenza davvero vicina e concreta. 
Jamila, invece, ridusse gli occhi a due fessure, soffiando: «Con te facciamo i conti dopo, gigolò ruffiano e adulatore!»
Rami trovò la scena rischiosamente familiare ed ebbe la netta impressione di essersi cacciato in grossi guai.
***

L’odore di resina delle
maestose conifere che la circondavano la sommerse immediatamente, intenso e penetrante, mentre si guardava intorno, notando che, in sua assenza, nulla di quell’immenso parco era cambiato.
Aida percorse la fitta stuoia di aghi di pino caduti in terra e si rimise sul selciato, apprezzando ancor di più, grazie all’aria spumeggiante dell’autunno romano, tutto quello che aveva già adorato nella fredda rigidità dell’inverno.
«Buon pomeriggio e ben tornata, Aida» la salutò qualcuno alle sue spalle e lei, avendo riconosciuto la voce, si voltò all’istante.
«Buon pomeriggio, signor Marcello. Come sta?» gli chiese, incurvando le labbra con dolcezza.
«Discretamente, grazie» rispose l’uomo, ormai vicinissimo: era esattamente come lo ricordava, circondato da un alone di austera e raffinata bellezza. «Comunque, dammi del tu. I formalismi sono per quelli che non badano alla sostanza».
«Ancora non ci riesco» tentò di giustificarsi la fanciulla, con semplicità. «Mi dispiace, ma non penso di poterla chiamare per nome, non mi viene proprio».
Vagamente sorpreso, quello la guardò, increspando appena le labbra e manifestando senza volerlo lo stesso atteggiamento che aveva il figlio quando veniva colpito da qualcosa.
«Non riesco ancora a credere che quello scostumato si sia deciso a rivolgere le sue attenzioni ad una ragazza così compita. Spero che almeno tu riesca ad insegnargli la buona educazione, dato che io non ci sono riuscito».
Aida, in risposta, abbozzò un timido sorriso, ma non disse altro. In quel momento, sopraggiunse Beatrice, avvolta in un morbido abito azzurro dalle rifiniture talmente particolari che la ragazza pensò fosse di produzione sartoriale. Oppure, chissà, realizzato addirittura dalla sua stessa indossatrice.
«Ben arrivata, cara. Hai fatto buon viaggio?» le chiese, con quella dolcezza che l’aveva colpita sin da subito.
«Oh, sì, signora, grazie».
«E come stanno Rami e il piccino?»
Mentre la fanciulla rispondeva alla domanda, la donna le rivolse un’occhiata materna, poiché le ricordava molto se stessa quando era arrivata in quella casa. All’inizio, non era stato semplice adattarsi, poiché la Matrona, che l’aveva sempre considerata una bambina inesperta e del tutto incapace a condurre una casa, era stata poco incline a lasciarle le redini della villa. Invece, il fatto che Beatrice avesse perso la madre molto presto e si fosse dovuta rimboccare le maniche fin da subito si era rivelato molto utile, giacché, superati gli impacci inizali, era riuscita a cavarsela egregiamente, ripromettendosi che, se mai un giorno, avesse avuto una nuora, si sarebbe comportata diversamente con lei. Anche perché il ruolo della suocera cattiva non l’allettava.
Inoltre, Aida aveva donato la serenità al figlio che Beatrice tanto amava e che era stato la sua gioia più grande, assieme a Marcello, ai tempi degli attriti con la madre di lui, perciò non avrebbe mai potuto mettersi contro colei che aveva reso felice il suo Pulcino.
«Beatrice, accompagneresti Aida a vedere la sua stanza, per favore?» proruppe il marito, improvvisamente, allontanandola dalle sue riflessioni.
«Certo, Marcello. Vieni con me, cara, le tu’ valigie sono state già portate di sopra» rispose subito lei, riprendendo le fila del discoro. «Giancarlo sarà qui a momenti, ma l’abbiamo ancora tempo».
Approfittando del fatto che la donna l’avesse menzionato, la ragazza, allora, si arrischiò a fare la domanda che aveva in mente fin da quando era arrivata.
«E dov’è, in questo momento?» chiese con curiosità.
«In ufficio» rispose prontamente Marcello. «Doveva chiudere una pratica. Sai, ha deciso di cominciare a lavorare, nei periodi in cui è più libero. Diciamo, che ora ha un’ottica più... adulta, anche in questo senso e, nonostante i due anni di studio arretrato, vuole darsi da fare».
«Ah, però, che bravo...» commentò Aida, sinceramente colpita, visto che il giovane aveva omesso di raccontarle quel particolare, forse per non darle la falsa impressione che si stesse vantando.
«Avrà ancora molto da sgobbare, però, perché deve imparare anche che non tutto gli è dovuto e che solo con l’impegno costante si ottengono i risultati» continuò l’uomo. «A proposito, Aida, dimmi la verità: come si comporta con te?»
«Oh, Marcello, perché devi esser sempre così prevenuto nei confronti del nostro Pulcino?» intervenne, invece, la moglie, stizzita.
«Fammi sentire cosa ha da dire questa ragazza!» insistette l’altro. «Aida, rispondimi senza timore o vergogna: ha mai provato a metterti le mani addosso?»
«No, mai» replicò la ragazza con decisione. «Anzi, con me è sempre molto gentile».
«Sentito?» fece, allora, Beatrice, trionfante.
Marcello, però, non parve molto convinto; infatti, subito dopo, proseguì: «Se dovesse prendersi certe libertà, ti autorizzo a tirargli un bel cinquino! Ovviamente, poi, vienimelo a riferire, ché lo sistemo io, cominciando proprio dai suoi adorati capelli».
A quel punto, la donna sospirò, riservando al consorte un’occhiata di disapprovazione e puntando un pugno chiuso contro il fianco.
«Son giovani, lasciali vivere!» fece, esasperata. Poi, zittendo con un cenno il marito che si preparava a ribattere, sorrise all’indirizzo di Aida. «Cara, vogliamo andare?»
«Certo, signora» le rispose la fanciulla e, così, dopo aver salutato l’uomo, la seguì all’interno di Villa Aurelia.

Tuttavia, non passò molto tempo che anche Giancarlo fu di ritorno, arrivando di gran carriera e piantandosi davanti al padre, con le mani sulle ginocchia, nel tentativo di riprendere fiato: sembrava aver corso molto, visto che perfino i suoi ciuffi biondi, perennemente ribelli, parevano ancor più sconvolti, tanto erano rabbuffati.
«Hai fatto tutta la strada a piedi, per caso?» lo dileggiò Marcello, seppur bonariamente derisorio.
«No...» fece il ragazzo, raddrizzandosi. «Ho avuto la malaugurata idea di seguire il tuo consiglio e prendere la metro... La odio, la odio, la odio!»
«Be’ se vuoi evitare il traffico dell’ora di punta, la metro rimane l’unica soluzione, a meno che tu non voglia usare la bicicletta e farti un bagno di smog» replicò il padre, prendendolo in giro.
Offeso dal suo fare canzonatorio, il giovane sbuffò: «Non fai ridere, sai? Se facessi meno il preistorico, invece, e mi lasciassi prendere il regalo che zio Guido ha fatto a me...»
«Moderati!» lo rimproverò Marcello. «Ne abbiamo già parlato: lo userai quando dimostrerai di avere giudizio. Piuttosto, avete chiuso la pratica Lichtman?»
«Sì, sì, stai tranquillo».
L’altro, però, lo scrutò dubbioso e ciò non sfuggì a Giancarlo che, quando se ne accorse, si mise subito sulla difensiva, risentito.
«Cosa c’è, non ti fidi, forse? Chiama Gerardo e fatti confermare che è andato tutto bene!» replicò a denti stretti.
Colpito da tanta determinazione, il padre osservò l’espressione seria del figlio e, allora, decise di ammorbidirsi un po’.
«Va bene, vedremo. Ora sbrigati, Aida è già arrivata e, considerando che rimarrà qui per pochi giorni, sei già in ritardo sulla tabella di marcia».
A quella notizia, Giancarlo si riebbe da tutto il malumore e assunse un’aria più contenta; poi, senza aggiungere altro, si fiondò come un fulmine su per la scalinata di travertino, diretto in camera sua.
Nel vederlo sparire così, Marcello scosse la testa e, avviandosi dalla parte opposta, esclamò: «Magari scattasse così anche per altro!»

Era almeno la sesta volta che, davanti allo specchio, si sistemava la frangetta o, peggio, cambiava abbigliamento.
E dire che, per anni, era stato convinto che bastasse un suo mezzo sorriso per far cadere ai suoi piedi tutte le ragazze che desiderava e che fosse sempre perfetto; quella sera, invece, si sentiva solo un emerito cretino.
Spazientito, Giancarlo sbuffò e si buttò a peso morto sulla soffice poltrona dietro di lui, incurante dei capelli che stillavano acqua sia sulla camicia azzurra ancora sbottonata, che sui jeans. Ormai non si sottraeva più ai confronti con il suo riflesso e lo scrutò con aria di sfida, tenendo le braccia conserte e strettamente annodate, attendendo che arrivasse a sbeffeggiarlo. E, infatti, così accadde.
“Uh-uh... sogno o son desto? Il biondo Casanova in difficoltà nell’affrontare un appuntamento con una ragazza!”
«Chiudi il becco! Non è un appuntamento, è solo tornata a trovarmi ed io la porterò in giro a vedere la città, come le avevo promesso. Fine del discorso!»
“Come siamo scontrosi...” notò il suo doppio, con un lieve sogghigno“Di’ la verità: speri che lei lo consideri come un qualcosa di più e sei nervoso, perché sai che la posta in gioco è alta. O sbaglio?”
«Sì, è proprio così, soddisfatto?» sbottò il ragazzo.
“Oh, dai, rilassati, altrimenti non combinerai niente di buono, sai?”
In risposta, Giancarlo inarcò un sopracciglio, ma cedette subito all’istinto di liberarsi di tutta quell’oppressione ed espirò a fondo, sciogliendo anche le braccia dal nodo in cui le aveva serrate.
“Visto che va meglio? Comunque, se vuoi un consiglio, cerca di essere il più naturale possibile: la sincerità paga sempre”.
«Con lei sono sempre sincero, ma ora non so che cosa fare, perché Aida non è come le altre ragazze e noi... non siamo mai usciti completamente da soli».
“Hai bisogno di aiuto per portarla in giro, per caso? Se ti comporterai bene, non vedo perché non dovrebbe funzionare. Prima, però, ti suggerisco di abbottonarti la camicia e di abbandonare quell’aria da condannato al patibolo, visto che è assolutamente fuori luogo. Stai per uscire con una ragazza semplice e dolce, non con Miss Mondo, pertanto sii te stesso e sarà già un buon inizio!”
«Questa è la prima volta che tengo davvero ad una ragazza» ammise, allora, il giovane, sospirando. «Amo da impazzire ogni parte di lei e non voglio che finisca tutto ancor prima di iniziare. Ho il terrore di sbagliare e di allontanarla da me».
“Be’, comportandoti come un gentiluomo non troppo ingessato ed essendo sicuro di te, senza cadere nell’arroganza, aumenterai le possibilità di ricevere una risposta positiva. Devi farla sentire desiderata... possibilmente senza sembrare un pervertito,
come tuo solito!”
«Ora mi stai offendendo, lo sai bene che non mi permetterei mai di farle qualcosa che non vuole. Io desidero solo che con me lei possa essere felice».
“Volevo sentirtelo ripetere ancora una volta. Ah, un’ultima cosa, bambolo”.
«Cioè?»
“Recupera la giacca corta blu dal tuo armadio e non strafare con il profumo: ho il sospetto che il tuo le piaccia parecchio, ma non eccedere, poiché devi dare l’idea di raffinata sobrietà, non di uno che se la tira!”
Il ragazzo, allora, fece come gli era stato consigliato, rimanendo piacevolmente sorpreso dal risultato finale.
“Bene, cocco. Ora puoi andare e, mi raccomando, stai in campana e tieni a mente che... chi troppo vuole nulla stringe”.
A tali parole, Giancarlo aggrottò la fronte e convenne che, dopo quell’esperienza, di proverbi, aforismi e massime ne avrebbe avuto abbastanza per tutta la vita.

Non appena entrò nel salone, il ragazzo vide immediatamente Aida parlare con sua madre e si accorse che, a giudicare dal modo familiare con cui le erano stati raccolti i capelli, attorcigliati su loro stessi e poi ripiegati sulla nuca, doveva esserci dietro la mano di Beatrice. Indossava un leggero vestito avorio, i suoi soliti fermagli e un bracciale dorato che Giancarlo non le aveva mai visto, forse perché non gli era mai stata offerta l’occasione di vederle le braccia e le spalle scoperte, visto che Rami aveva passato al vaglio anche la lunghezza degli abiti della sorella, quando le aveva permesso di uscire con lui. Non che ne avesse il motivo, in effetti, considerata la riservatezza di Aida.
Il ragazzo, allora, si soffermò a osservarla,
appoggiato contro lo stipite della porta, godendosi ogni suo gesto e saziandosi solo a sentire la sua voce, certo che non avrebbe notato la differenza se fosse stata coperta di stracci oppure ammantata di seta e broccato. Era stato troppo tempo lontano da lei, così decise di rimanere ancora un po’ in silenzio ad ammirarsela in pace, finché la madre non si accorse di lui e lo richiamò.
«Eccoti, finalmente, Pulcino
Nel sentirsi chiamare con il solito appellativo, alla sua età e davanti alla ragazza che gli piaceva, il giovane sospirò ed avanzò verso le due donne.
«Mamma, ti prego, basta con questi nomignoli!» fece, leggermente imbarazzato.
«Non capisco che cosa ci sia di male» replicò, però, lei, con fare innocente. «L’è solo una dimostrazione di affetto di una madre verso il proprio figlio». 
In risposta, il biondo scosse la testa: «No, mamma. È imbarazzante».
«Ma Pulcino, anche l’Aida ha detto che trova carino questo tuo vezzeggiativo» insistette, allora, Beatrice.
«Ah, sì?» fece lui, sorpreso, voltandosi verso la ragazza, notando immediatamente, che i suoi occhi scuri lo stavano scrutando con un misto di divertimento e sfida, come se stesse contando i secondi che ci avrebbe impiegato per salutarla. Graziosa, fiera e semplicemente bella come un raggio dell’aurora dopo la notte più buia.
«Ciao, Aida» le sussurrò, con seducente, finta noncuranza. «Noto con piacere che sei arrivata sana e salva».
«Ciao, Giancarlo.
Sì, a quanto pare so badare a me stessa» gli rispose lei, con tranquilla disinvoltura. «A proposito, Samir ti manda i suoi saluti» aggiunse, subito dopo.
«Che bravo bambino, spero di poter ricambiare presto di persona».
Erano l’uno davanti all’altra, ma nessuno dei due sembrava voler cedere per primo, mentre Beatrice li scrutava con un sorriso sottile sulle labbra, certa di poter avvertire il ronzio dell’elettricità intorno a lei. Poi, lanciò una rapida occhiata all’orologio a pendolo appeso al muro laterale.
«Oh, cari, devo proprio andare. Stasera si va dai Doria e Marcello vuole andare presto, per poter andar via il prima possibile».
Richiamato da quel commento, il ragazzo staccò a fatica gli occhi da Aida e si rivolse alla madre.
«Papà non è mai contento in queste occasioni, lo sai, le considera perdite di tempo» commentò.
«Oh, che tu vuo’ farci, il babbo è un po’... ribelle, ma non manca mai ai suoi doveri, seppur di malavoglia» rispose la donna, stringendo le spalle. «Be’, cari, divertitevi! E tu, Pulcino, abbi cura di questa deliziosa ragazza».
«Non mancherò, mamma. Stai tranquilla».
Beatrice, allora, annuì e, dopo aver salutato i due giovani con un bacio, uscì dal salone, lasciando Giancarlo e Aida soli in quel grande ambiente, il silenzio interrotto soltanto dall’oscillazione del pendolo dell’orologio che troneggiava sulla parete principale. 
«Peccato che si sia fatto tardi» incominciò il ragazzo, lentamente, rompendo quell’atmosfera densa. «Non si potrà fare molto, questa sera, ma... hai preferenze? C’è un posto in particolare che vorresti vedere per primo?»
La fanciulla ci pensò un po’ su, per poi scuotere la testa.
«Veramente no...» esordì, ma dovette interrompersi subito, perché lui le prese delicatamente il viso tra due dita, voltandolo piano da una parte.
«Che c’è?» chiese, perplessa.
«Hai messo gli orecchini. Finalmente hai smesso di pensare che siano troppo preziosi per te?»
«Ecco, in realtà, no, ma ho pensato che fosse davvero un peccato lasciarli sul fondo del mio cassetto, visto che sono davvero belli» affermò, candidamente.
«È già un passo avanti. Te li ho regalati affinché li mettessi, non per tenerli nascosti in una scatola» le fece notare il ragazzo. «E, poi, ti stanno bene».
A quel punto fece una piccola pausa, in dubbio se aggiungere anche il resto. Tuttavia, dopo qualche istante di esitazione, decise di farlo, arrossendo appena mentre parlava: «Inoltre, stasera sei molto... carina». 
Paradossalmente, quel complimento imbarazzò più Giancarlo, che l’aveva fatto rispetto ad Aida, che l’aveva ricevuto, la quale sorrise e replicò: «Grazie, anche per i fiori che mi hai fatto portare in camera. Mi fa piacere ti sia ricordato che adoro gli ibiscus bianchi. Invece, credo che a te piacciano i girasoli, dato che mi hai regalato anche quelli».
Il ragazzo la guardò incurvando le labbra e sollevando leggermente le sopracciglia.
«Diciamo, più che altro, che penso valgano più di quanto possa sembrare» le sussurrò. «Annetta te li ha portati senza fare commenti?»
«Quella signora dall’aria così severa? Mi ha fatto la radiografia e alla fine ha detto una parola... qualcosa come scric...» fece la ragazza, soprappensiero.
«Scricciolo?» l’aiutò lui.
«Sì, esatto. Adesso vediamo se riesco a ripetere tutta la frase» gli fece, sorridendo. «Mi ha detto “Sei davvero uno scricciolo, ma hai un visetto pulito”».
Giancarlo vide Aida soddisfatta per esser riuscita nella sua piccola impresa e, ammiccando, le disse: «Brava. Sai, credo proprio che tu le sia piaciuta. Era un da po’ che voleva vederti, perché l’altra volta ti ha scorto solo da lontano. Comunque» proseguì, cambiando argomento, «non abbiamo ancora deciso dove andare. Tu hai fame?»
«Non molta» ammise la fanciulla.
«Neanch’io ho particolarmente appetito e... aspetta, mi è venuta un’idea: forse è arrivato il momento di farti assaggiare il vero gelato italiano!»
«Ah, be’, se non altro mi stai permettendo di rinviare la tragedia che accadrà quando dovrò imparare ad arrotolare gli spaghetti!» replicò Aida, scoppiando in una risata argentina. Vedendola ridere, il ragazzo si rese conto che aveva messo un leggero strato di rossetto e, istintivamente, pensò che se si era sistemata così per uscire con lui, almeno un poco doveva piacerle. Si soffermò, quindi, ad osservarle le labbra, trovandole davvero belle, né sottili, né eccessivamente carnose, e chiedendosi che sapore avessero.
Con le viscere in rivolta, il giovane dovette, allora, fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mandare a rotoli il lavoro e gli sforzi di tutti quei mesi, perché, nonostante si trattasse solo di un bacio, quella mossa, al momento sbagliato, sarebbe potuta essere controproducente. In quel frangente, intercettò il suo riflesso che lo guardava truce da uno specchio cinquecentesco con la cornice dorata.
Quindi, niente di niente?
“Niente!”
Neanche un bacetto?
“Ho detto di no!”

Un bacino?
“Idiota, qual è la differenza?”
«Ehm, Giancarlo?» lo richiamò, però, Aida, incerta.
«Eh? Ah, sì. Avevamo deciso di andare a prendere il gelato, no? Vieni, per di qua» la invitò lui, ridestandosi dal suo confitto interiore e ricomponendosi in fretta. Poi, la prese per mano per condurla fuori e lei, nonostante fosse si accigliata per quella risposta, decise di seguirlo comunque.
***

Il Pantheon, con la sua pianta circolare, sormontata dalla cupola emisferica interrotta dall’oculum, e il suo pronao dalle colonne corinzie, era plasticamente adagiato, nella tenue penombra che precede la sera, in mezzo a quello che una volta era stato il Campo Marzio.
Seduta a un tavolino di uno dei tanti locali affacciati sulla piazza, Aida lo guardava, ammirata, sbattendo ogni tanto le palpebre; Giancarlo, invece, fissava interessato lei, seduto con una gamba sovrapposta all’altra e sostenendosi una guancia con l’indice ed il pollice, del tutto incurante delle tre ragazze sedute accanto a loro che se lo stavano divorando con gli occhi.
Perfino Andrew McGregor si era recentemente dovuto ricredere sul cambiamento del suo ex compagno di squadra in occasione del matrimonio di Ralf e Christine, quando le damigelle d’onore erano state corteggiate da tutti, eccetto che dal biondo. Inoltre, la giovane sposa, con la sua solita ingenuità, aveva anche chiesto a Giancarlo perché non avesse portato con lui la sua fidanzata e, allora, il ragazzo le aveva borbottato, arrossendo di colpo, che Aida non era ancora la sua ragazza. Tuttavia, era stato il commento di una coinvolta Mary Anne, con tanto di strizzata d’occhio al biondo, a far cadere ogni dubbio dello scozzese e far inferocire ancora di più Claudia: “Ci sta lavorando. Anzi, dovrebbe farcela prima che il padre di lei venga scarcerato!”

«Allora, ti piace il templum deorum? Magari più tardi, se vuoi, possiamo anche fermarci a vederlo dall’interno» le propose il giovane dopo un po’, inclinando ancor di più la testa.
La fanciulla, allora, si girò verso di lui, interrompendo la sua analisi, e gli domandò: «Preferisci chiamarlo con il nome latino anziché greco?»
«In realtà, sì, e non solo perché non non mai studiato il greco antico. Sai, per la legge della statistica devono esserci almeno una o due materie nelle quali sei ferrato... In storia dell’arte me la sono sempre cavata per via della passione della mamma, mentre il latino lo studiavo perché era una delle poche cose che mi teneva legato a mio nonno. Sai, ne era un appassionato» spiegò, con un velo di malinconica nostalgia. «Non trovi che sia strano? Cercare di mantener vivo un rapporto, attraverso una lingua morta».
«Non molto, direi» osservò Aida, per poi chiedergli, con rispettosa curiosità: «Senti molto la sua mancanza?»
«Ad essere onesto, a volte anche troppo» mormorò lui, cambiando posizione e incrociando le braccia sul tavolo. «Sono convinto che tu gli saresti piaciuta subito. Probilmente, ti avrebbe salutata declamando i versi Celeste Aida, forma divina/mistico serto di luce e fior3 e, certamente, non avrebbe sbagliato».
A quel punto, Aida si sentì avvampare e distolse lo sguardo, concentrandosi su alcuni piccioni che beccavano indisturbati i residui di una cialda sbriciolata tra i sampietrini.
«Dai, non esagerare... anche se non mi dici queste cose, io... Insomma, va bene lo stesso» replicò, piuttosto in difficoltà.
«Dico sul serio. Cantava la sua opera preferita ogni mattina, mentre si faceva la barba
davanti allo specchio» prese a raccontare Giancarlo, sorridendo al piacevole ricordo. «Sarebbe molto contento di conoscere la fanciulla che ha aiutato suo nipote».
A quel punto, l’altra si voltò nuovamente verso di lui e rimase a guardarlo di sottecchi per un po’, prima di prendere coraggio e gli domanda
rgli: «Giancarlo, perché ti sei ostinato a far passare la tua vivacità per superficialità? Per attirare l’attenzione di tuo papà?»
A quella richiesta inaspettata, il giovane inarcò dapprima le sopracciglia, quindi sospirò, scuotendo la testa.
«Be’, ecco, non solo per quello, ma anche perché era facile non avere preoccupazioni, era... comodo. Da superficiale puoi permetterti tante sviste che non sono consentite al responsabile, per quanto vivace possa essere. Per fortuna, però, ho finalmente incontrato una graziosa ragazza che mi ha portato a rivedere il mio punto di vista».
Quella, allora, gli sorrise, apprezzando la sua sincerità. In quel momento, tornò con i loro gelati la 
formosa cameriera che prima gli aveva fatto l’occhio da triglia, ma che lui aveva prontamente ignorato.
«Credo di non aver mai preso in vita mia gusti alla frutta. Sei sicura della scelta? Puoi ordinarne un altro, se, nel frattempo, hai cambiato idea».
«Intanto, assaggerò questi. E poi, scusa, cos’hai contro i gusti che ho preso?» si informò la ragazza.
«Niente, ma non riesco a concepirli come vero gelato. Le creme sono un’altra cosa» ribatté il giovane, dopo averci pensato su qualche secondo. «Facciamo così: assaggia e poi mi dirai le tue impressioni, che ne dici? E non farti problemi se vuoi cambiare».
Annuendo, Aida prese un poco di gelato alla fragola e lo assaggiò, per passare poi al limone, trovandoli entrambi una delle cose più buone che avesse mai mangiato: era davvero piacevole lasciarle sciogliere in bocca e poi assaporarle a fondo.
«Come sono?» le chiese l’altro, alla fine della sua sessione di degustazione.
«Molto buoni. In effetti, quello che vendono ad Alessandria non può certo competere con questo» commentò lei.
Serrando appena le labbra con atteggiamento meditabondo, Giancarlo prese un po’ di gelato alla nocciola dalla sua coppa, si assicurò che non colasse e, inaspettatamente, lo presentò ad Aida.
«Ora prova quest’altro».
Sorpresa ed imbarazzata, la ragazza fissò prima il cucchiaino e poi lui, quindi abbassò lo sguardo, poiché l’essere in un luogo pubblico e sentire su di sé gli sguardi dei curiosi la metteva in soggezione. Dal canto suo, il biondo tirò indietro il braccio, intristito.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non era mia intenzione metterti a disagio».
«No, tu non c’entri» mormorò lei, in risposta, non riuscendo nemmeno a guardarlo negli occhi. «Sono io che sono troppo... impacciata».
Il giovane, allora, la scrutò attentamente, valutando quale fosse il modo migliore per tranquillizzarla.
«A me non dispiace» affermò, risoluto. «E, anche se qualcuno ci sta guardando, entro questa sera avrà già scordato tutto» aggiunse, intuendo che, per lei, la fonte maggiore di disagio doveva essere la gran quantità di persone presenti in quel momento in Piazza della Rotonda.
A quella considerazione, Aida rialzò lentamente le sue iridi scure, cercando il contatto con quelle blu di lui.
«In fondo, non stiamo facendo niente di così eclatante» spiegò il biondo. «Che ne dici, vogliamo riprovare?»
La ragazza, però, non rispose subito, poiché prima si guardò intorno con circospezione e, solo quando vide i turisti concentrati sulle loro faccende, espresse un lento cenno d’assenso.
Poco dopo, permise a Giancarlo di farle assaggiare sia la nocciola che la stracciatella, anche se non senza un certo imbarazzo. Tuttavia, a lui andava bene così, poiché sapeva bene che Aida non sarebbe mai stata una ragazza disinibita e non gli interessava affatto cambiarla. Voleva semplicemente che stesse bene con lui.
«Allora? Che cosa ne pensi?» le domandò, non appena quella ebbe mandato giù anche l’ultimo assaggio.
«Sono molto buoni anche questi. Sono buoni tutti, in realtà» gli disse lei, timidamente, stringendo le labbra per carpirne ancora il sapore.
Compiaciuto dal risultato, il giovane sorrise e si apprestò a servirsi a sua volta dalla propria coppa, quando vide entrare nel suo campo visivo un cucchiaino con sopra del gelato alla fragola. Meravigliato, pur sentendosi arrossire, alzò lo sguardo su di lei.
«Da quanto ho capito, sei peggio di Samir e mangi solo quello che ti ispira. Ma, se non assaggi nulla di nuovo, non potrai mai sapere se potranno piacerti altre cose» gli sussurrò, dolce.
Seguirono alcuni istanti di esitazione, nel corso dei quali i neuroni del ragazzo fecero cortocircuito, giacché era del tutto impreparato ad un’evenienza del genere. 
«Inoltre, mi sembra giusto ricambiare il favore» continuò la fanciulla, piegando appena le labbra in un sorriso vagamente soddisfatto, come se reputasse quella proposta una piccola vittoria personale.
In risposta, il giovane, con lo stomaco attorcigliato, deglutì a vuoto e ci impiegò qualche istante prima di annuire e assecondarla, tornando con la mente a quando era il suo adorato nonno che, con pazienza e dolcezza, lo imboccava per farlo mangiare. 
«Dunque?» gli chiese Aida, dopo che lui ebbe mandato giù il dolce, osservandolo incuriosita, con ancora il cucchiaino a mezz’aria.
«Non male, credevo peggio» esalò Giancarlo, che in cuor suo supplicava di non essere svegliato, casomai si fosse trattato di un bel sogno.
«Visto? Non bisogna mai partire prevenuti!» esclamò lei, piegando la testa da un lato.
Ne seguì una lunga pausa di silenzio, durante la quale i due ragazzi si limitarono a starsene semplicemente l’uno di fronte all’altra, per poi riprendere a consumare i rispettivi gelati. Fu Aida, alla fine, a parlare per prima.
«Giancarlo, posso chiederti un favore?»
«Quale?» le domandò lui, mentre si infilava in bocca il rimasuglio di nocciola.
«Ti va di spiegarmi qualcosa di latino, oltre ad aiutarmi a perfezionare l’italiano?»
Davanti ad una richiesta del genere, il biondo ingoiò il boccone, evitando per un pelo di strozzarsi.
«Ma se lo parli già divinamente!» esclamò, stranito. «E poi il latino è difficile, tra i nostri studenti non lo sopporta quasi nessuno...»
«Non mi reputi all’altezza?» fece allora l’altra, ferita nell’orgoglio. «Tu stai imparando l’arabo e la scrittura bustrofedica!» aggiunse, con disarmante semplicità.
«No, figurati, non è per quello... però...» farfugliò il giovane, mentre lei lo osservava come se lo stesse mettendo alla prova, tradendo anche un certo divertimento nel vederlo così in difficoltà. Giancarlo se ne accorse e, infine, decise di cedere.
«Va bene, vediamo che cosa si può fare» sospirò, fissandola perplesso. «E, comunque, stavo dubitando delle mie capacità di insegnante, non delle tue come allieva».
«Provare non costa nulla» affermò placidamente Aida, rivolgendo ancora un’occhiata al Pantheon.
***

«Non fare quella faccia! Non è poi così male, non trovi?»
«Se proprio vuoi saperlo, io mi sto ancora chiedendo come sia finito quaggiù. Tu e mio padre, insieme, siete peggio di un’associazione a delinquere!»
Aida rise, poiché l’espressione sofferente e, allo stesso tempo, rassegnata di Giancarlo era davvero buffa. Ad Alessandria non c’era un sistema di trasporti sotterraneo e quello de Il Cairo non l’aveva mai usato, quindi era davvero curiosa di vederne uno. Tuttavia, se quella mattina era stato grande l’entusiasmo di Marcello nell’accogliere la sua richiesta, certo non si sarebbe potuto affermare lo stesso per il figlio, che era inorridito seduta stante.
«Cosa ci sarà mai di interessante da vedere qui!» sbottò il giovane. «So bene che lui vuole tenermi lontano dall’auto che mi spetta di diritto, ma tu avresti potuto anche darmi manforte, invece di assecondare le sue tremende punizioni!»
«Oh, che tragico che sei! Non è una punizione farti usare i mezzi pubblici, anzi, è il miglior modo di vivere una città» osservò, però, saggiamente lei. «Credimi, tu non sai nemmeno che cosa significhi essere puniti dai propri genitori senza aver fatto niente. Con l’abbandono, per esempio» aggiunse subito dopo, pensierosa.
Quel commento fece tacere immediatamente il giovane, che si vergognò della propria scenata infantile: non avrebbe certo potuto paragonare la sua situazione a quella di Aida e non era certo lamentandosi che le avrebbe dimostrato di essere un uomo.
«Inoltre, sono solo due fermate, non è la fine del mondo!» proseguì la fanciulla, di nuovo contenta.
«Tre» la corresse il giovane, con scarso entusiasmo, ma molto più contegno di poco prima. «Da Termini a Spagna sono tre fermate».
Aida, allora, scosse la testa, facendo ondeggiare la sua treccia nera, e prese a guardarsi intorno, scandagliando con cura i bassifondi della linea A.
«Accidenti, quanti turisti!» esclamò, sporgendosi qua e là per vedere meglio.
«A Roma ci sono turisti in ogni momento dell’anno» spiegò Giancarlo. «Non è raro trovarne nei luoghi più frequentati. In realtà, però, molte di queste persone sono residenti».
«Ce ne sono davvero di tutte le etnie» mormorò lei, sporgendosi un’altra volta.
«Aida, stai attenta, la gente arriva tutta insieme e all’improvviso, rischi di perdere l’equilibrio se fai così!» la rimproverò subito lui, preoccupato.
«Ma no, tranquil...»
In quell’istante, una mandria di persone si materializzò sulla banchina, correndo per non perdere la metro che stava arrivando e una signora particolarmente in carne, nella fretta di posizionarsi in prima linea, travolse letteralmente Aida. D’istinto, la ragazza chiuse gli occhi e si preparò al violento urto con lo sporco pavimento della banchina, sperando che non fosse troppo doloroso. Tuttavia, quando l’impatto non avvenne, aprì gli occhi lentamente e si ritrovò sostenuta per la vita da Giancarlo.
«Che cosa ti avevo detto? Ecco perché odio questo schifo di posto!» la riprese il ragazzo, terribilmente seccato, mentre lei si rimetteva in piedi, stringendosi le spalle.
«Be’, non è successo nulla, per fortuna hai evitato che mi facessi male» gli disse, sorridendogli timidamente, nella speranza fosse sufficiente per rabbonirlo. «
Shukran» lo ringraziò poi.
Quello la guardò, inarcando appena un sopracciglio e deglutendo a vuoto.
«Afwan» le rispose, rendendosi conto d’essere rimasto improvvisamente a corto di saliva.
«Mi dispiace di essere così sbadata» si scusò lei subito dopo, seriamente preoccupata, poggiandogli delicatamente una mano sul braccio e, a quel tocco, la schiena di lui fu percorsa da brivido. 
«N-Non... importa» balbettò, per poi schiarirsi la voce e ricomporsi. «Otto mesi di tennis saranno pure valsi a qualcosa».
«Tennis? Vuoi dire che non vai più in palestra?» fece Aida, incuriosita.
In risposta, il ragazzo le riservò un sorriso sottile e scosse la testa, soddisfatto.
«Niente più palestra o personal trainer, visto che, ormai, è quello sportivo di Emiliano a mettermi sotto torchio: calcio, corsa a Villa Borghese alle sei di mattina» sottolineò «tennis... Ecco, forse non gli è mai interessato il beyblade, ma per il resto pratica di tutto».
«Emiliano è quel tuo caro amico d’infanzia...» cominciò la ragazza, cercando di ricordare chi fosse.
«... con il quale avevo litigato anni fa, sì. Però, ora gli ho chiesto scusa per come mi sono comportato e lui ha capito» spiegò l’altro. «Gli ho anche parlato di te e vuole assolutamente conoscerti. La prossima volta te lo presento, che ne dici?»
«Gli hai parlato di me?» repeté lei, colpita. Giancarlo, infatti, le aveva raccontato di quanto fosse legato ad Emiliano, che era come un fratello per lui, del fatto che la loro lite era stata argomento tabù per troppo tempo e di come, una delle prime cose che aveva fatto, quando aveva deciso di cambiare vita, fosse stata proprio affrontare il ragazzo per cercare di fare pace.
«Certo che gli ho parlato di te» confermò, perplesso, come se non capisse il motivo di tanto stupore. «È il mio migliore amico! E poi, mica faccio come lui, che mi ha scambiato per un terapeuta che deve aiutarlo ad ammettere che gli piace quella ragazza irlandese» aggiunse.
«Be’, è carino che vi sosteniate a vicenda, non credi?» replicò Aida, trovando molto bello che Giancarlo avesse un’amicizia tanto profonda.
«Certamente. Comunque, lo perdono anche perché mi ha aiutato a perfezionare il servizio, così appena ci sarà l’occasione giusta» disse poi il biondo, mimando l’azione di colpire una pallina con una racchetta, «straccerò quel pallone gonfiato di McGregor che allora finirà di professarsi il re di Wimbledon!»
Nell’udire quell’ultima considerazione, la fanciulla alzò lievemente un sopracciglio, divertita.
«Tu e i tuoi amici siete davvero divertenti» commentò.
«Lo sappiamo, fidati» le rispose lui, strizzandole l’occhio. «Guarda è arrivata l’altra metro... ed è vuota!»

Dopo un interminabile corridoio scuro, uno scorcio di Piazza di Spagna le si aprì davanti in tutta la sua luminosità e Aida si fermò, colpita in pieno dal sole mattutino che la invitava ad esplorare quel luogo nuovo. Il perimetro poligonale era chiuso da una cinta di palazzi d’epoca che ospitavano negozi e boutique, intervallati da sbocchi che si aprivano sulle note stradicciole mondane. Nel bel mezzo dello spiazzo, circondata dai primi venditori di caldarroste e dai vetturini pronti a portare a spasso i turisti, la Barcaccia zampillava gaia, mentre, ai suoi lati, residenti e villeggianti animavano la Scalinata di Trinità dei Monti.
«Non riesco a crederci... è tutto come deve essere! Ogni cosa è al suo posto!» esclamò, contenta.
«Ti piace?» le domandò il ragazzo, compiaciuto dal suo entusiasmo, rendendosi conto per la prima volta di quali fossero le vere bellezze della sua città, fino a quel momento a lui estranee. Quella giovane era il suo ponte con la realtà, con la vita vera. Per Giancarlo, infatti, Piazza di Spagna era sempre stata associata unicamente allo shopping con le sue frivole ragazze, invece, quella mattina d’ottobre, aveva appena scoperto quanto potesse essere più interessante la contemplazione delle opere d’arte, in compagnia di chi potesse davvero spiegarne il significato.
All’improvviso, però, la fanciulla si fermò, seria ed il sorriso sul volto dei lui morì all’istante.
«Aida, cosa c’è che non va?» le chiese, preoccupato.
«Devo sembrarti davvero una scolaretta in gita scolastica o, peggio, una che ha imparato a memoria la lezione e vuole mostrare tutto il suo sapere» mormorò lei, abbassando lo sguardo.
«Non è vero. Anzi, mi fa piacere sapere che apprezzi i nostri beni artistici e che li hai studiati con impegno» le rispose subito Giancarlo, rassicurante.
Allora, la ragazza si riappropriò della sua aria allegra e riprese ad ammirare ogni singolo mattone della piazza.
«Comunque, questa è solo una tappa» le rivelò tutto d’un tratto il biondo, quando, finalmente, si incamminarono.
In risposta, Aida sospirò divertita: «Ancora sorprese?»
«Ovviamente. Vedi, in realtà...»
Tuttavia, il ragazzo non arrivò mai a completare la frase, perché una ragazza bionda alquanto disattenta e in precario equilibrio sui suoi vertiginosi tacchi, si scontrò con Aida, rovinandole disastrosamente addosso. 
«Oh, no! Aida, stai bene?» chiese subito il giovane, allarmato, precipitandosi da lei.
«A dirla tutta, stavo meglio prima» rispose quella, un po’ dolorante.
«Riesci ad alzarti? Aspetta, dammi la mano, ti aiuto io» fece poi, premuroso, mentre l’agevolava nel rimettersi in piedi.
Contemporaneamente, un’altra ragazza mora era corsa ad aiutare la sua amica e, quando anche l’altra si fu rialzata, una delle due starnazzò: «Gianni!»
Freddato da quella voce
ben nota, il giovane si distrasse immediatamente dalla fanciulla e si fermò, come se un ricordo molto lontano e, soprattutto, molto spiacevole stesse riemergendo dalla sua memoria. Poi, si voltò lentamente, sgomento.
«No, voi no. Tutte, ma voi no!» esalò, orripilato. Aida lo fissò stranita, non capendo il motivo di quella reazione e avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma non ne ebbe modo, poiché, in quel momento, giunse una terza persona, un ragazzo alto con i capelli castani, leggermente mossi e molto curati, il fisico prestante e un’espressione accesa, come se fosse dio della guerra in persona.
«Allora sei vivo! Ti avevamo dato per disperso!» esordì il nuovo venuto, sarcastico.
Nel guardarlo meglio, Aida notò, rabbrividendo, che i suoi occhi, tra il verde e l’azzurro, brillavano di luce maligna e sinistra.
«Ho avuto parecchie cose da fare» replicò Giancarlo, asciutto, rivolgendosi direttamente al giovane.
«Cose da fare? Tu?» domandò l’altro, falsamente stupito. «Per esempio, Gianni...?»
«Cose mie che non ti riguardano, Massimo».
“Massimo! È Massimo Colonna!” pensò subito la fanciulla, ricordando i racconti del biondo. “Quindi, le due ragazze devono essere... Rosetta e Bianca!”
Aida, allora, si dedicò ad osservarle più attentamente e, davanti ai loro abiti succinti
che lasciavano davvero poco all’immaginazione, si ritrovò ad alzare un sopracciglio: anche se pensava che le donne dovessero sentirsi libere di indossare ciò che volevano, in quel caso vide solo un’evidente mancanza di buongusto, ma, forse, ad irritarla ancora di più erano i sorrisi lascivi e le occhiate languide che stavano rivolgendo al suo Giancarlo. 
«Sono mesi che non ti fai sentire! Cosa c’è, non ti piacciamo più?» cinguettò Bianca, sbattendo voluttuosamente le ciglia.
In risposta, il ragazzo fece tre passi indietro, sentendo la nausea che saliva violentemente. Rivedendo quelle due dopo essersi disintossicato dalla loro compagnia, si rese conto di essere stato davvero un imbecille a restare succube delle loro trame per tanto tempo.
«Potresti farti perdonare facendoci qualche bel regalo» miagolò, invece, Rosetta, speranzosa, che, avendo riacquistato l’equilibrio, veleggiò verso di lui. «Massimo ha organizzato per stasera una festa sul suo panfilo attraccato ad Anzio. Potresti venire con noi, stavamo proprio andando a comprare un vestito per l’occasione».
Tutte quelle confidenze e l’eccessiva vicinanza di lei al suo Giancarlo erano davvero troppe per i gusti di Aida, che fremette di rabbia: il suo passato era stato sepolto da tempo e quella gatta morta non avrebbe potuto vantare più alcun diritto su di lui, anche se, a giudicare dalle movenze con cui la ragazza stava cercando di appoggiargli la mano sul petto, doveva pensare il contrario.
Al limite della sopportazione, la giovane stava quasi per gridarle di non toccarlo, quando lui l’anticipò, scansandosi bruscamente e troncando di metto quel tentativo di approccio.
«Io con voi non vengo proprio da nessuna parte» le rispose, algido e distaccato. «E aggiungo che non me ne frega niente di ciò che fate».
La sua molestatrice rimase piuttosto interdetta da quella reazione e altrettanto fecero la sua amica e Massimo, il quale gli lanciò uno sguardo indagatore, mentre una sottile ruga gli increspava la fronte abbronzata.
«Di’ un po’, Tornatore» cominciò, contraendo le labbra in una smorfia beffarda, «si dice in giro che ti sei messo a sbavare dietro ad una piccola stracciona, è vero?»
Giancarlo, che già non ne poteva più da parecchio, fu sul punto di rispondergli come meritava, quando un’altrettanto satura ed indignata Aida lo precedette.
«Io non sono una piccola stracciona!» sbottò, incollerita.
Richiamati da quell’intromissione, i tre girarono contemporaneamente la testa verso la fanciulla e fecero lo sforzo di accorgersi di lei.
«Non mi dire, te la fai con la cameriera! Per una volta, te ne è capitata tra le mani una giovane e non hai certo perso tempo. Eppure avresti potuto scegliere meglio, siete andati in bancarotta, forse?» chiese Massimo, sogghignando incredulo. «Non avete più i soldi necessari per permettervi personale nostrano, così dovete elemosinare servitù tra i selvaggi?»
Quell’affronto, però, non fece altro che esacerbare la già aspra contesa tra il belligerante Marte e il luminoso Apollo, il quale non poteva sopportare che la sua musa venisse offesa in maniera tanto ignobile.
Infatti, al giovane non era sfuggita la reazione di Aida a quelle parole: aveva spalancato gli occhi ed era ammutolita, sconcertata da tanta cattiveria. Giancarlo, invece, aveva assottigliato lo sguardo, avvertendo il forte desiderio di ridurre l’altro in fin di vita, per poi lasciarlo a marcire, agonizzante, immerso nel bagno dei propri fluidi. 
«Oh, sì che è vero: le sbavo dietro senza ritegno» disse lui, allora,
circondando con un braccio la vita di lei e stringendola a sé con fare protettivo. «E, comunque, non è la mia cameriera... Aida sarà la mia futura moglie, se lo vorrà». 
A quell’aperta dichiarazione, Rosetta e Bianca sgranarono tanto d’occhi, esterrefatte, rivolgendo alla fanciulla sguardi scettici e malevoli, mentre Massimo si mostrò repellente alla sola idea.
«Io non la toccherei nemmeno con un dito, non vorrei sporcarmi» affermò, contraendo le labbra come se fosse sul punto di rimettere. «Tornatore, sei proprio caduto in basso, sai? Esattamente come tua cugina, che ha preferito uno svenevole damerino francese ad un vero uomo come me!»
«Sapendo come l’hai trattata, dovresti solo tacere. E, comunque, Olivier vale molto più di te».
«Mi stai facendo la predica, per caso? Be’, sei patetico» disse con cattiveria, indicando Aida con il capo. «Cosa credi, io e te non siamo molto diversi, infatti, sappiamo benissimo entrambi cosa farai con la tua piccola e sudicia africana: la rimanderai indietro non appena te la sarai scopata a sazietà, togliendoti lo sfizio dell’esotico. Sempre che una tale ragazzina inibita sia in grado di darti un po’ di soddisfazione, ovviamente» sottolineò alla fine, suscitando una risata maligna da parte delle sue accompagnatrici.
A quel punto, Aida trattenne il fiato, paralizzata, mentre Giancarlo sentì il sangue schizzargli al cervello e i globuli rossi pronti ad evaporare. Nonostante l’istinto primario fosse quello di ridurre in coriandoli Massimo Colonna, dovette convenire che non aveva né tempo, né voglia di fare un andare a trovare l’anziano vice-questore Molinari, a cui aveva promesso che avrebbe rigato dritto. Inoltre, Aida non meritava ulteriori umiliazioni e traumi, ma, in ogni caso, non sarebbe certo restato a guardare mentre veniva insultata.
«Non osare rivolgerti a lei in questo modo, lurido bastardo razzista!» ringhiò, infatti, mordendo ogni parola. «Lavati la bocca prima di nominarla. Tu ce l’hai con me, perciò Aida lasciala fuori!»
Non gradendo quell’attacco, l’altro gli rivolse uno sguardo ferino e, digrignando i denti, replicò: «Oh, che paura, il biondino alza la cresta. Cerchi rogne, Tornatore, per caso?»
«No, ho finito di essere il tuo compagno di giochi, vai a cercarti qualcun altro, magari al prossimo rave party. Ah, dimenticavo, non puoi: tuo padre non è più pronto a venirti a tirare fuori dai guai» fece Giancarlo, beffardo.
«Tornatore, non scherzare con il fuoco» gli sibilò il rivale.
«Colonna, di’ al tale che ti scrive le battute di metterci più fantasia, perché stai diventando monotono» rincarò, invece, il ragazzo. «Dopo lo scandalo di luglio, non sei più nessuno, le tue minacce non sono più credibili. E, per quanto possiamo essere uguali, sei tu quello che è rimasto a sbattersi le mignotte. Perciò, buona serata e ricordate... le foto del post-sbornia in prima pagina non vi rendono giustizia».
Le due ragazze, senza un adeguato supporto di materia grigia, non ebbero parole per ribattere e Massimo, anche lui zittito dall’arguzia, non fu abbastanza rapido nel rimediare un altro insulto da rivolgere a Giancarlo o Aida, ché già il giovane aveva trascinato la fanciulla lontano da quello sconcio.
Tuttavia, i due avevano appena girato l’angolo del corridoio che portava alla metro, quando lei si impuntò e non volle proseguire.
«Aida, che cosa c’è?» domandò, allora, il biondo fissandola preoccupato. Quella, però, non rispose, limitandosi a tenere lo sguardo in basso.
«Mi dispiace, non avrei mai voluto che ti offendessero in quel modo vergognoso. La colpa è solo mia e di quello che sono stato, avrei dovuto immaginare che sarebbero stati in zona... ti chiedo scusa».
La fanciulla, però, continuò a tacere, immobile, e Giancarlo sospirò, affranto e mortificato per quanto era accaduto.
«Grazie per quello che hai detto poco fa» sussurrò all’improvviso Aida, restando a testa bassa.
Distolto dai suoi pensieri, che gravitavano principalmente su come presentare il conto a quel maledetto, il giovane rimase fermo per qualche istante, per poi prenderla per le spalle e costringerla a guardarlo negli occhi.
«Avrei voluto solo fare di più, ma non è certo rompendogli tutte le ossa che Colonna cambierà la sua mente deviata» sospirò, accarezzandole una guancia. «Aida... non permettere che quella gentaccia ti faccia sentire inferiore, perché non è vero. Tu sei al di sopra di tutte quelle meschinità» aggiunse.
Lei, allora, lo scrutò con aria mesta e sofferente. Esitò qualche secondo e poi disse: «Giancarlo, posso chiederti una cosa?»
«Tutto quello che vuoi».
«Magari questa volta ti sembrerò davvero una bambina piccola, ma... non mi importa. Potresti... abbracciarmi?»
Il tono dolce e malinconico con cui Aida glielo aveva chiesto, gli fece talmente stringere il cuore che, senza indugiare oltre, il ragazzo le rispose, sorridendole con tenerezza: «Ma certo, vieni qui». 
La cinse delicatamente e lei ricambiò la stretta, serrando le mani intorno alla stoffa della sua polo e chiudendo gli occhi. Il petto del giovane, caldo ed intriso del suo profumo agli agrumi così gradevolmente asprigno, e le sue carezze furono per lei il miglior balsamo al suo dolore.
Mentre era concentrata su tutto quello nel tentativo di dimenticare la brutta avventura, però, le parve di udire qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. 
«Nessuno deve permettersi di renderti triste, amore mio».
Sorpresa, la fanciulla si staccò all’istante, guardando Giancarlo a bocca aperta, chiedendosi se aveva solo immaginato - e desiderato - che lui avesse pronunciato quelle parole o, se lo aveva fatto davvero.
«Come, scusa? Che cosa hai detto?»
«Io? Niente» rispose l’altro, scrollando le spalle. «Non ho aperto bocca».
Perplessa, Aida inclinò la testa da un lato; stava per ribattere che era quasi certa che non fosse proprio così, quando lui la precedette: «Mi dispiace solo che non siamo arrivati a vedere il Collegio di Propaganda Fide, perché stavamo andando proprio lì».
«Davvero?» domandò lei, piacevolmente sorpresa, lasciando cadere l’argomento.
«Già, vorrà dire che sarà per un’altra volta» sospirò lui. Poi, la guardò e, sorridendo, la prese per mano. «Dai, vieni con me, c’é un’altra cosa che devi assolutamente vedere!» 

Svoltato l’ultimo angolo, l’articolato complesso della Fontana di Trevi, nell’immaginario collettivo la fontana per eccellenza, apparve in tutta la sua indiscussa maestosità. La piazza omonima in cui si trovava era, puntualmente, gremita di villeggianti giunti da ogni dove solo per rendere omaggio alla famosa opera d’arte.
Giancarlo e Aida, quindi, dovettero farsi cautamente largo tra la folla, ma, alla fine, riuscirono a raggiungere e scendere le scalette, per trovarsi all’ombra di Palazzo Poli e godere della vista su quel connubio di acqua e marmi.
«Venire a Roma e non passare di qui sarebbe stato un autentico reato» commentò il giovane, mentre le mostrava la composizione barocca, al centro della quale dominava l’imponente statua di Oceano.
«Eccezionale!» esclamò lei, con gli occhi pieni di meraviglia, del tutto ripresasi dalla terribile esperienza di poco prima.
Nonostante ci fosse il discreto scrosciare dei getti d’acqua, il vociare concitato dei turisti e gli schiamazzi gioiosi dei bambini, ad entrambi i giovani sembrò di non essersi mai trovati in un luogo più tranquillo di quello.
«Un pezzo forte della Roma barocca» osservò Aida, voltandosi in direzione del biondo, che non perse tempo per darle qualche informazione storica in più.
«Sì, l’ultimo progetto risale al 1731 e a Clemente XII. Sai, il bando di concorso, per la realizzazione dell’intero complesso venne vinto dal progetto di Nicola Salvi, che è anche...»
«... colui che ha partecipato all’appalto per la Scalinata di Trinità dei Monti» completò la ragazza sottovoce, senza rendersene nemmeno conto.
Immediatamente, il biondo si voltò e la guardò, increspando le labbra e inarcando un sopracciglio.
«Uh? Ehm, scusa» si affrettò a dire lei, ritornando bruscamente alla realtà e realizzando di averlo interrotto.
Giancarlo, però, non si mostrò particolarmente offeso, anzi, colse al volo l’occasione per avvicinarsi a lei con un sorrisetto furbo stampato sulle labbra.
«Bene, bene, vedo che siamo informate».
Aida ridacchiò e decise di replicare scimmiottando una frase che lui stesso una volta aveva rivolto a Samir: «Ragazzino, tu non sai chi hai davanti! Io studio Belle Arti e Franco sapeva tutto del barocco romano!» 
«Ah, adesso prendiamo anche in giro?» fece Giancarlo, puntandosi le mani sui fianchi e guardandola ridere, beandosi di ogni piccolo particolare, anche del modo meraviglioso in cui dondolavano i suoi pendenti stellati, ogni volta che scuoteva il capo.
«Vieni qua, signorina So-Tutto-Io!» la richiamò, allora, prendendola per un braccio e tirandola a sé.
La fanciulla avrebbe giurato che si sarebbe vendicato con il solletico o qualcosa di simile, invece lui si limitò a passarle un braccio intorno alla vita, finché non si ritrovarono guancia contro guancia, e lei a quel punto ne approfittò per lasciarsi ubriacare ancora un po’ dal calore della sua pelle e dal suo profumo.
«Adesso le cose si fanno interessanti» annunciò solennemente il giovane, frugandosi in tasca ed estraendone qualcosa che, poi, depositò nel palmo della fanciulla: era un dischetto dorato cerchiato d’argento.
«Perché mi hai dato questa monetina?» gli chiese quella, riprendendosi dal piacevole stordimento in cui era caduta.
«Perché l’usanza comune vuole che, se lanci una moneta in questa fontana, il tuo ritorno a Roma è assicurato» le spiegò, enfatico.
Aida guardò accigliata prima lui e poi quel pezzetto di metallo bicolore, rigirandoselo in mano.
«Chi è questo?» chiese, indicando il profilo dell’uomo cinto di lauro impresso su una delle facce.
«Quello è Dante Alighieri, il nostro più grande poeta» le rispose Giancarlo. «Dai, lancia questi due euro e basta!»
«D-Due euro? Ma non sono un po’ troppi da lanciare in una fontana?» domandò la giovane, leggermente sconvolta.
«Se fossi sicuro che funzioni, stai tranquilla che ti ci farei buttare anche due milioni» replicò lui, sicuro.
In risposta, la ragazza sospirò, imbarazzata: «Il solito esagerato... anche se, sai, credo che sia un po’ inutile lanciare questa moneta».
«E perché mai?» chiese l’altro, preoccupato e leggermente allarmato.
Notando la sua reazione, la fanciulla dispiegò le labbra in un dolce sorriso e gli spiegò: «Perché il mio nome, nell’interpretazione che mi piace di più, significa visitatrice oppure colei che torna5».
Allora, i due si guardarono per un attimo; poi, l’espressione del ragazzo tornò serena.
«Oh, va bene. Tuttavia, per stare sicuri, lo facciamo lo stesso, d’accordo? Avanti, fammi vedere se sei in grado di lanciarla».
«Ma è una monetina, Giancarlo, non un beyblade! Non serve chissà che tecnica di lancio!» tentò di protestare Aida, scoppiando a ridere e tirando indietro il braccio.
«No, no! Non così!» la fermò, prendendola delicatamente per i fianchi e girandola, affinché desse le spalle alla fontana. Quindi spiegò: «Non sarà un beyblade, ma la tradizione vuole che il lancio venga effettuato all’indietro per avere il risultato sperato!»
Allora, Aida lasciò che lui la sfiorasse per guidarla e sistemarla nella giusta posizione, poi prese la spinta ed effettuò il lancio.
Un luccichio metallico descrisse un arco parabolico, rimase un poco in sospeso ed, infine, sparì tra le increspature dell’acqua.
***

Le luci dei lampioni, risvegliatesi al calar del crepuscolo, illuminavano le rive del Tevere; tenui bagliori si rifrangevano sulla leggerissima coltre d’umidità rappresa che avvolgeva l’Isola Tiberina e il suo ospedale, i quali parevano ergersi da soli tra le acque, quasi fossero solo una surreale apparizione.
Dopo aver fatto qualche altro giro, che aveva incluso Piazza del Popolo e Via del Corso, ed essere tornati a Villa Aurelia per cambiarsi, i ragazzi erano usciti di nuovo. Per nulla al mondo, infatti, Giancarlo avrebbe rinunciato a portare Aida a fare una passeggiata serale sul Lungotevere.
«Allora, che te ne pare? Certo, non sarà il Nilo, ma anche il nostro fiume ha il suo fascino» constatò il ragazzo, fermandosi e appoggiando i gomiti sul muricciolo dell’argine, sovrastato da una lunga fila di ippocastani. In lontananza, si udiva il suono attenuato di un violino: probabilmente, all’estremità opposta del ponte, doveva esserci un artista di strada tiratardi.
«Io lo trovo molto tranquillo e rilassante» rispose la fanciulla, fermandosi accanto a lui, per guardarsi attentamente intorno. «È un bel posto dove venire a passeggiare, soprattutto in serate miti come questa».
Il giovane, allora, la osservò a lungo in silenzio, sentendosi invadere dalla sua grazia, così profonda da togliergli il fiato. Se fosse stato per lui non avrebbe mai smesso di contemplare la sua figura minuta, coperta da un leggero vestitino portato senza malizia, o i suoi capelli, raccolti in una coda di lato, che le lasciava scoperto il collo.

«Sono contento che ti piaccia. In questi giorni stai vedendo davvero poco, so che ci sono tante altre cose che dovresti visitare e, magari, potremo pensarci quando tornerai la prossima volta» fece il biondo, lanciando l’amo.
«Quindi, secondo te, risponderò positivamente alla tua domanda e tornerò» rispose pronta Aida. «Come fai ad esserne così sicuro?»
«Perché ho fiducia nelle monetine di Trevi e perchè, come hai detto tu, il significato del tuo nome parla chiaro» ribatté lui, sornione.
«Be’, questo, signor Tornatore, le dice solo che tornerò a Roma, non che tornerò da lei e che accetterò la sua proposta» gli fece, però, notare la fanciulla in tono scherzoso, restando sulle sue. «Le dirò, la sua corte sta lasciando un po’ a desiderare. Se vuole ottenere qualcosa, dovrebbe essere più convincente».
Raccogliendo la provocazione, il ragazzo s’inumidì le labbra con la lingua, scoccandole un’occhiata eloquente: «Hai suggerimenti da proporre in merito, biscottino?»
«La sua richiesta mi stupisce, poiché mi hanno riferito delle sue doti di gran seduttore. Dovrebbe sapere come ammaliare una donna, non trova?» notò la giovane, ridendo, non curandosi del fatto che il suo cardigan era sceso ancora di più, lasciandole le spalle completamente scoperte.
Giancarlo, allora, alzò un sopracciglio, mentre, interessato, si lisciava il mento con il dorso della mano: era proprio quell’ingenua vivacità d’intelletto e di atteggiamenti che gli aveva fatto perdere la testa per lei, provocandogli quello sconvolgimento interiore e che risvegliava le sue pulsioni. Si sentiva irrimediabilmente attratto da quella ragazza così spontanea, anche se aveva sempre cercato di moderarsi negli approcci con i quali le si rivolgeva... perlomeno fino a quel momento.
Infatti, dopo qualche secondo, si avvicinò alla fanciulla con lentezza studiata, mettendosi davanti a lei. Immediatamente, Aida smise di ridere, richiamata dalla vicinanza di lui; era buio, ma, sostanzialmente, si trovavano a tiro di lampione, così riuscì a notare che il biondo la stava fissando con aria seria, offrendole uno sguardo passionalmente intenso che non le aveva mai rivolto prima. In quel momento, lui la bloccò, poggiando le mani sul corrimano in marmo, ai suoi lati prima di avvicinarsi, mentre lei deglutiva, incapace di muoversi.
«In realtà, devo scoprire ancora alcune delle mie carte, perché non c’è gusto a mostrarle tutte al primo giro» le sussurrò in un orecchio, con voce suadente e vibrante. «E, se mi vuoi più focoso, non hai che da chiedere, fiorellino».
Quindi, sorridendole maliziosamente, si staccò e si andò a sedere nel punto più basso del parapetto, a pochi passi di distanza da lei. Aida rabbrividì, riflettendo sul fatto che non si era mai confrontata con il Giancarlo latin lover passionale, dato che il giovane non le aveva mai concesso l’opportunità di incontrarlo. Aveva avuto esperienza del latin lover gentile, ovviamente, ma era una cosa diversa, pertanto ora voleva conoscere quel suo aspetto di cui aveva solo sentito parlare, così, alla fine, fu la curiosità a prevalere sull’imbarazzo.
Decisa, la giovane accorciò la distanza che la separava da lui e poi si fermò; stava per dire qualcosa, quando si sentì prendere per una mano e trascinare via, ma senza violenza. In men che non si dica, si sorprese seduta sulle sue ginocchia.
«Comoda?» le chiese, a quel punto, il giovane senza scomporsi, circuendola con le braccia.
«Tutto qui? Spero che questa non sia la scala reale» gli rispose la fanciulla, sorprendentemente tranquilla.
In risposta, Giancarlo socchiuse gli occhi, increspando le labbra, sorpreso da una frecciatina così pungente da parte di lei.
«Non ti facevo così esigente, gioia mia. Quella era una carta isolata, ma, adesso, vediamo di alzare un po’ la posta, visto che non è da me lasciare insoddisfatta una ragazza».
Batté, quindi, un leggero colpo in su con il ginocchio e lei, colta alla sprovvista, gli finì addosso; lui, però, la sistemò subito meglio, facendosela scivolare contro, sfilandole la borsetta dalla mano e appoggiandola accanto a loro. Poi, le accarezzò la coscia, senza spingersi oltre l’orlo dell’abito, e proseguì lungo il fianco; le sfregò con dolcezza un braccio e risalì fin sopra la spalla, prima di scendere con discreta rapidità, abbassandole la spallina del vestito e sfiorandole la pelle nuda.
Avvertì che Aida sotto il suo tocco aveva sussultato, senza ritrarsi, ma si fermò comunque per qualche istante. Non voleva essere indelicato, turpe o, ancora, libidinoso e non aveva nessuna intenzione di offenderla, solo dimostrarle anche fisicamente cosa provasse per lei. Sapeva di essere il primo uomo a toccarla in quel modo e, mentre esercitava su di lei quel contatto, giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per restare anche l’ultimo.
«Ti è piaciuto il mio tris, zucchero?» le fece piano, sempre con la stessa voce vibrante, continuando ad accarezzarla.
«Non male, per essere un giocatore fuori esercizio... ma io non sono ancora convinta» ribatté, però, l’altra, flemmatica e definitivamente sciolta, fiduciosamente abbandonata a lui. 
«Stai facendo una puntata molto alta, gioia» le mormorò, piegando le labbra in un sorriso molto sensuale, «e devi accettare i rischi che questo comporta».
Poi, le sciolse i capelli lisci e setosi, facendoseli scorrere tra le dita, prima di stringerla ancora di più, avvertendo su di sé le sue curve appena accennate. Allora, incominciò ad accarezzarle la schiena, regalandole al contempo una profusione di piccoli, lenti, baci sul collo e sulla spalla denudata, baci dati a labbra appena schiuse, talvolta leccandole anche lievemente la pelle esalante quel balsamico aroma di mirra. Senza alcuna traccia di insistenza o volgarità n
ei suoi gesti.
Giancarlo era l’Eros, l’impulso vitale, l’istinto della passione, l’impeto travolgente alla perpetua ricerca del suo complemento, qual era appunto Aida, l’Agape6, l’amore puro, incondizionato e disinteressato. Dopo tanto peregrinare aveva infine trovato ciò che cercava: il suo equilibrio, la sua serenità.
«Giancarlo, siamo in strada. Potrebbe passare...» gemette flebilmente a quel punto Aida, scossa da brividi di piacere, con quel poco di lucidità che le rimaneva.
«Qualcuno? E tu lascialo passare... lascia che ci veda... che ci guardi... che invidi la mia fortuna fino a schiattare...» rispose lui con un sussurro, senza smettere di lambirle il collo. Ormai era arrivato quasi a toccare le tiepide labbra di Aida con le proprie. Cosa avrebbe dato per poterle baciare subito, peccato che non potesse farlo, non ancora... 
Improvvisamente, la ragazza aprì di scatto gli occhi, stordita ed incredula: il biondo l’aveva rimessa in piedi ed ora la guardava tra l’intrigato e il compiaciuto con la testa inclinata da un lato, stropicciandosi una guancia con una mano e tenendo l’altra nella tasca dei jeans. Istintivamente, si portò le punte delle dita sul naso, dove le aveva appena dato un colpetto con l’indice.
«L’esibizione dimostrativa finisce qui» le disse, tranquillo. «Penso che il gran seduttore tu lo abbia conosciuto abbastanza, per oggi».
Ancora piuttosto confusa, la ragazza deglutì e si riassestò capelli ed abiti, mentre prendeva coscienza di quanto accaduto e, imbarazzata, evitava di guardarlo negli occhi.
«Be’, devo dire che hai stile» ammise, in un ultimo guizzo d’intraprendenza, scrutandolo da sotto la cortina di capelli corvini.
«Lusingato dal complimento, gioia» rispose Giancarlo,
stiracchiando le labbra in un sorriso d’amara ironia.
«E perché... perché ti sei fermato?» domandò Aida, riuscendo finalmente ad alzare il capo.
«Perché ho promesso a tuo fratello e a mio padre che avrei fatto il bravo. Credo che abbiano la mano piuttosto pesante» spiegò facendo una piccola smorfia. «Soprattutto, però, mi piacerebbe che che tu accettassi di baciarmi e diventare la mia ragazza perché lo vuoi veramente e non perché soggiogata da infimi espedienti. Per una volta, vorrei essermi guadagnato qualcosa in maniera legittima».
«E se dovessi dirti di no? Io ho bisogno di sapere la verità: pensi che potremmo rimanere comunque amici?» gli chiese, osservandolo attentamente.
Messo di fronte un tale bivio, il giovane spaziò la vista sul fiume, che tranquillo continuava a scorrere lungo il suo corso. La luna si rifletteva beata sulla sua superficie, spezzettando la sua immagine in multipli bagliori; il muto e impenetrabile dialogo della natura faceva da sottofondo al silenzio nel quale si era chiuso il ragazzo.
Aida non avrebbe potuto fargli domanda più semplice e al tempo stesso più difficile di quella.
«Non prendiamoci in giro, sai benissimo che non potrei mai vederti come una semplice amica. Aida, se non te fossi accorta, io sono stra-cotto di te. Sono innamorato della tua dolcezza, del tuo carattere e del tuo essere bella con semplicità».
Giancarlo aveva notato che la ragazza era trasalita a quelle parole, ma decise comunque di proseguire: «Ciononostante, se questa dovesse essere la tua volontà, mi sforzerò di accettarla. Mi dispiacerebbe non vedere più te e il piccolo Samir. Forse voi non avete bisogno di me, ma io sì».
L’aria si era improvvisamente saturata, divenendo pesante e opprimente. I due giovani si guardavano, mesti e anche il violino aveva smesso di suonare. Alla fine, Aida emise un sospiro lungo e carico di dolore.
«Allora, credo di poterti dire già ora quale sarà la mia risposta».
Il ragazzo, però, scosse la testa e le poggiò un dito sulle labbra tiepide.
«No, dimmela domani, ti prego. C’è ancora una lunga giornata davanti a noi, l’ultima che passerai con me. Ci sarà tempo per ogni cosa... concedimi questo mio capriccio finale, te ne supplico».
Aida gli rivolse un’occhiata triste e sofferente, quindi annuì. Il ragazzo, di umore non dissimile, le offrì il proprio braccio, riconsegnandole la borsetta e consentendole di stringersi a lui, così da nascondere il viso nella manica del suo blazer.
«Andiamo, sarà il caso che ti porti a riposare. Come diciamo noi, s’è fatta ’na certa» mormorò, lentamente.
In risposta, però, ottenne solo lo sciabordio del Tevere.
***

Marcello Tornatore marciava verso gli appartamenti del figlio. Un cupo presentimento lo aveva strappato al sonno nelle prime ore del mattino ed essendo una di quelle persone che preferiscono togliersi subito ogni dubbio, non aveva perso tempo a rimuginarci oltre.
Giunto davanti alla porta, l’aprì ed entrò senza nemmeno bussare, giacché, dentro di sé, sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno. Attraversò una ad una tutte le stanze, diretto verso quella in cui Giancarlo dormiva e, nei pressi del battente chiuso, esitò un attimo, ma poi, scuotendo il capo, procedette, trovando l’ambiente immerso in una rarefatta atmosfera dai toni perlacei, le cortine aperte e nessun oggetto d’arredo fuori posto, come se Annetta ne fosse appena uscita.
Davanti a tutte quelle prove che, quella notte, la camera non era stata abitata, l’uomo rimase immobile, la sua falsa tranquillità tradita dalla vena pulsante sulla tempia sinistra e dalle nocche bianche, poiché non tollerava che gliela si facesse sotto il naso, né si disubbidisse ad un suo ordine. Ma, sopra ogni cosa, non sopportava il disonore.
Quella ragazza era sotto la sua responsabilità: era poco più di una bambina, proveniva da una cultura diversa, aveva una situazione familiare non proprio facile e non era una svergognata, pertanto quel disgraziato di suo figlio non avrebbe dovuto permettersi neanche di immaginare di toccarla. 
Uscendo da quella stanza come una furia, Marcello, perciò, aveva in mente un unico, ossessivo pensiero: quella volta, Giancarlo non l’avrebbe passata liscia.

Il riverbero del primo sole aveva sfidato l’esiguo spessore delle tende di seta velata e filtrava, indisturbato, nella camera.
Stesi sul letto, l’un allacciato all’altra, dormivano entrambi con un’espressione di pura serenità dipinta sul viso. Avevano ancora indosso gli abiti della sera precedente, sebbene dignitosamente scomposti dal sonno, e le giacche ordinatamente sistemate accanto a loro.
Aida riposava con la testa appena poggiata sul petto di lui, cingendogli morbidamente il torace con un braccio, mentre Giancarlo, che aveva una guancia sconfinante sui soffici capelli di lei, teneva ancora una ciocca arrotolata intorno all’indice: probabilmente, il torpore doveva averlo colto mentre ci stava giocherellando. Con l’altro braccio, la teneva per la vita, in maniera salda e delicata allo stesso tempo, come se temesse che qualcuno potesse portargliela via.
Sentendosi in colpa per aver dubitato, facendo prevalere la sua caratteristica diffidenza, l’uomo rimase a guardarli per qualche secondo, ritto, in piedi nella penombra della camera, non volendo profanare oltre quel momento di profonda intimità. Forse, avrebbe dovuto cominciare a nutrire più fiducia nel figlio e convincersi finalmente di una cosa: Giancarlo non era Guido.
Muovendosi lentamente, uscì richiudendosi l’anta di mogano alle spalle, mentre un solco curvilineo gli segnava le labbra.
***

Aida aprì gli occhi, chiedendosi se il tonfo di una porta che si chiudeva fosse reale o appartenente ai suoi sogni, impiegando qualche secondo per capire dove si trovava. Man mano che trascorrevano i secondi, cominciarono a riaffiorarle in mente i ricordi del giorno prima: sulla cassettiera c’erano ancora i vasi dei girasoli e degli ibiscus, belli e freschi come quando li aveva trovati.
Poi, si girò da un lato e, guardando Giancarlo, non poté fare a meno di sorridere, realizzando di essersi addormentata tra le sue braccia e, quindi, di averlo convinto, con la sua timida proposta, a restare a dormire con lei.

V-Vuoi che io dorma con... te? Intendi noi d-due insieme nel tuo... tuo...
Noi due, insieme, nel mio letto.
Ti fidi di me fino a tal punto?
.

Completamente ridestata, la fanciulla si tirò su e, attenta a non svegliarlo, si alzò per andare a prepararsi.
Quando fu di ritorno, notò che il ragazzo dormiva ancora, così ne approfittò e si risistemò accanto a lui, in modo da poter restare a guardarlo un po’, mentre gli spostava dal viso una ciocca della frangia bionda e ribelle e gli accarezzava una guancia. Jamila aveva proprio ragione: visto da vicino era ancora più carino, anche se la sua amica non sembrava comprendere le difficoltà che aveva lei nell’avvicinarsi a lui, a causa del suo grande senso del pudore.
Nel notare che la camicia bianca, discinta, le lasciava intravedere il petto glabro e vigoroso, che si alzava e abbassava seguendo i movimenti regolari della respirazione, la ragazza si ritrovò ad avvampare, imbarazzata, ripensando a quando, il giorno precedente, quando lui l’aveva stretta in più di un’occasione, stordendola con il suo calore e con il suo profumo.
Era sempre il ragazzo a prendere l’iniziativa, mentre lei faticava ancora a lasciarsi andare completamente, sentendosi imbranata ed infantile. D’altra parte, se si era fermato, sul ponte, era solo perché non aveva voluto metterla in difficoltà, dimostrando, ancora una volta, molta pazienza, nell’assecondare le sue paure e renderle tutto più facile.
Già da tempo non aveva più dubbi sull’essersene profondamente innamorata, incapace di opporsi al sentimento che cresceva, sempre più forte dentro di lei per quel ragazzo tanto particolare che rappresentava in carne ed ossa la sua idea dell’amore.
A frenarla, però, era la consapevolezza del fatto che stare insieme non sarebbe stato facile, a causa delle difficoltà e degli sforzi che avrebbero dovuto affrontare entrambi prima di dirsi felici. Ci sarebbe voluto del tempo ed era ciò che Aida temeva di più. Che cosa sarebbe successo, durante il periodo in cui sarebbero stati lontani? Giancarlo avrebbe potuto benissimo stancarsi di lei, perchè, in fondo, che a dirlo fossero Bahira e Ghada, Bianca e Rosetta, Massimo o lo stesso Rami, avevano tutti ragione: era solo una ragazzina, una bambinetta insignificante e terribilmente impacciata. Se solo il giovane avesse voluto, infatti, sarebbe bastato uno schiocco di dita per tornare ad essere attorniato da bellezze seducenti ed intraprendenti.
«Quanto ti manca la tua vita di prima?» gli domandò, allora, Aida in un sussurro, continuando ad accarezzarlo delicatamente. «Forse ti sei pentito di aver abbandonato tutto e, magari, preferiresti le attenzioni di qualcuna più diretta e attraente?»
Il giovane, però, non rispose, continuando a dormire tranquillo.
«Potrai mai accontentarti di una ragazzina con ancora tante insicurezze? Non riesco nemmeno a dirti di persona quanto ti voglio bene e so che non sarò come tua madre o a Claudia. Io non ho la loro classe...» proseguì, affranta. «Sai, io non sono una principessa e, sinceramente, non voglio nemmeno diventarlo. Mi piace essere solo Aida, ma non so se, alla lunga, lei potrebbe piacere anche a te».
Allora, la ragazza scese con un dito lungo la guancia di lui e cominciò a segnargli le labbra rosee e morbide, le stesse che, la sera precedente, le avevano baciato il collo con ardente passione ed estremo rispetto.
Da quando lo conosceva, quel giovane non aveva fatto altro che stupirla e, in quel momento, Aida pensò che, per una volta, le sarebbe piaciuto che fosse lei a sorprenderlo. Si era sempre chiesta che sensazione potesse regalare il baciare la persona amata e non voleva perdere quell’occasione, probabilmente, l’unica che le sarebbe capitata per scoprirlo. E poi, il biondo non accennava a volersi destare, quindi non si sarebbe accorto di niente.
«Qualunque sarà la mia risposta, i miei sentimenti per te non cambieranno, perché non possono cambiare. E, per una volta, i ruoli si invertiranno: sarà una ragazza comune a rubarti un bacio, caro casanova Giancarlo Tornatore» gli bisbigliò, sorridendo tra il divertito ed il malinconico. Poi, si fece coraggio e si avvicinò ancora di più, raccogliendosi da una parte i lunghi capelli. «Ana behebak» gli sussurrò, infine, sulle labbra, calde e leggermente salate, mentre una lacrima cadeva su una gota del giovane, rimanendo là rimase, in solitudine, aspettando di evaporare nell’aria.
Aida non c’era già più.
***

Invogliata dall’aria mattutina, estremamente fresca e frizzante, la fanciulla inspirò a fondo, appoggiando le mani sul freddo corrimano in travertino. Il sole appena sorto indorava le cime degli alberi e gli scorci della Capitale, mentre una sinfonia di rintocchi lontani accoglieva il giorno nascente. Per assaporare meglio quello sprazzo di tranquillità, Aida chiuse anche gli occhi, cercando di capire quante fossero le campane che producevano quell’allegro concerto. Una, due, tre, quattro...
«Buongiorno, Aida».
A quel saluto, la ragazza sobbalzò e si voltò di scatto.
«Ah, buongiorno a lei, signor Marcello» rispose, portandosi una mano al petto, sentendo il cuore che le batteva per la sorpresa.
«Sei mattiniera» constatò l’uomo, avvicinandosi. Quando fu arrivato, prese a scrutare l’orizzonte, con le braccia incrociate dietro la schiena.
«Sì» mormorò la ragazza, «sono abituata a svegliarmi presto per sbrigare le faccende e prendermi cura di Samir».
Marcello la guardò e annuì, mentre lei deglutiva, nervosa, pensando che si sentiva sempre in soggezione quando si trovava sola con lui; non tanto perché le incuteva timore, quanto più perché non riusciva a capire se gli fosse veramente simpatica o se lo facesse solo per cortesia. Per fortuna, con Beatrice era tutto più semplice.
«Ti sta piacendo Roma?» si informò poi l’altro, interrompendo il breve silenzio.
«Oh, sì, tanto. Sa, è tutto come l’avevo immaginato e, allo stesso tempo, è meglio di quanto avessi sperato. Anche in Egitto ci sono tante cose antiche da vedere, ma qui è diverso... si entra e si esce dalle varie epoche storiche semplicemente cambiando strada!»
Colpito da quella profonda considerazione, l’uomo inarcò un sopracciglio.
«Vedo che sei molto interessata. Sai, dovresti approfondire il discorso con mia moglie, le daresti molta più soddisfazione di me, che sono un vero ignorante in materia» commentò, scrollando le spalle. «Magari, avrai modo di parlarle proprio questa sera alla festa che darà mio fratello, saresti per lei un’ottima compagnia».
Aida guardò Marcello, sorpresa e stranita.
«Vuole... vuole che venga con voi?»
«Se ti va, perché no?» replicò lui, con noncuranza.
Tuttavia, la ragazza, sempre più sbigottita, scosse nervosamente la testa.
«Oh, no, non potrei mai, visto che sarei in difficoltà dal primo all’ultimo minuto! Io... io non sono abituata a questo genere di cose... E poi, come dotrei presentarmi? Giancarlo ed io siamo... solo... niente. Non siamo niente» constatò, triste.
Dal canto suo, l’uomo non lasciò trapelare alcuna emozione e, osservando un punto imprecisato del giardino, le fece notare: «Curioso come, nonostante non siete niente, dormiate abbracciati nello stesso letto».
A quelle parole, Aida trattenne il fiato, capendo che Marcello sapeva cosa era successo, anche se, a dirla tutta, non sembrava arrabbiato.
«La prego, non se la prenda con Giancarlo, sono io che gli ho chiesto di rimanere con me. Lui non voleva nemmeno!» esclamò immediatamente la giovane.
«Se lo difendi vuol dire che ci tieni a lui, quindi gli stai dando una speranza. E ciò significa che ora non siete niente, ma, in futuro, potreste diventare qualcosa. Aida, se deciderai di sposare mio figlio, dovrai avere a che fare molto spesso con eventi mondani di questo genere. Ne sei consapevole, vero?»
«Sì... ma pensavo che...» sussurrò, angosciata. «Ci sarebbe stato tempo per imparare!»
A quella risposta, inaspettatamente, l’espressione di Marcello si addolcì in maniera repentina.
«Non ti sto dicendo queste cose per metterti a disagio o per allontanarti da lui, ma solo per farti capire che la situazione non sarà affatto semplice».
«Lo so» mormorò lei, inclinando la testa in avanti. «E per questo io non credo di poter essere alla vostra altezza».
A quel punto, l’uomo spostò il capo da un lato, soddisfatto, come se quella fosse stata la risposta che aveva cercato di tirar fuori da Aida sin dall’inizio, l’ultima prova che la ragazza non fosse un’arrampicatrice sociale.
«Aida, Giancarlo ti ha raccontato la storia della nostra famiglia? Intendo quella vera, non le favolette che si inventa lui».
«Mi ha detto che discendete da un’antica stirpe di gladiatori».
«E lo sai chi erano davvero i gladiatori, nell’antica Roma?»
La fanciulla scosse il capo, questa volta più lentamente.
«Schiavi» scandì Marcello, con voce chiara. «Il nostro sangue è quello degli schiavi e dei prigionieri di guerra che si sono affrancati dai potenti con le loro forze. Noi non siamo eredi di una lunga dinastia di aristocratici terrieri, né baronetti titolati da regine e nemmeno miliardari che possono vantare noti artisti tra i propri avi. Perciò, non devi vergognarti di quello che sei, Aida, perché sarebbe uno sbaglio».
La giovane, allora, guardò Marcello e, pian piano, un timido sorriso le illuminò il volto, mentre conveniva che quell’uomo aveva un modo tutto suo di dimostrare la propria simpatia.
«Posso farti ancora una domanda molto personale?» le chiese poi l’altro, dopo qualche istante di silenzio.
«Certamente, mi dica».
«Cosa ti piace di mio figlio? Dimmelo tu, perché io ammetto di non essere riuscito a capirlo».
Aida rifletté un attimo e poi disse: «Anche Rami mi ha fatto la stessa domanda e le risponderò come ho risposto a lui: di Giancarlo mi piacciono la sua gentilezza e i suoi modi raffinati. È vero, è un po’ teatrale ed eccentrico, ma riesce sempre a sorprendermi e a farmi sorridere. Inoltre, è generoso, mi ascolta quando parlo e comprende il mio amore per l’arte. Ha un buonissimo profumo e... poi ci sarebbe un’altra cosa, che però non ho detto a mio fratello».
«E a me puoi dirla?» domandò l’uomo, piegando la testa da un lato, vagamente incuriosito, mentre la fanciulla sorrideva con un poco di dolce imbarazzo.
«Mi piace tanto il colore dei suoi occhi... Ogni volta che mi guarda non posso fare a meno di notare quanto siano belli».
Sorpreso, Marcello increspò le labbra, poiché, facendone un ritratto così preciso, Aida gli aveva appena dimostrato che suo figlio le era piaciuto davvero per quel che era.
«Be’, su questo devo darti ragione: sono gli stessi meravigliosi occhi di Beatrice» le disse, poi, con il tono più soave che lei gli avesse mai sentito e, nell’udire quell’affermazione, che interpretò come un’intima confidenza, la ragazza
rimase attonita, ma felice che Marcello l’avesse reputata degna di meritarla.
In quel momento, sopraggiunse sulla terrazza Giancarlo, sbadigliando insonnolito con una mano garbatamente davanti alla bocca, mentre con l’altra si scarmigliava lentamente e in modo sensuale i capelli.
«Ah, ecco dove eri finita!» esclamò, gaudente, non appena scorse la ragazza, lanciandole un sorriso carico di desiderio.
«Sì, è riuscita a liberarsi dalla tua morsa. Stai attento a dove metti quelle mani, piuttosto: tu prova a sgarrare ed io te le cionco!» fece, allora, il padre, con un sottile ghigno, a mo’ di buongiorno.
«Ehm... questo vuol dire che tu sai che noi... voglio dire, che io...» cominciò il biondo, deglutendo a vuoto. «Io... io ti garantisco che sono stato al mio posto!»
«Oh, no che non sei stato al tuo posto, ma se sei ancora illeso è solo perché so che hai avuto buon senso» gli rispose Marcello, lanciandogli un’occhiata eloquente.
Di fronte all’impaccio del giovane,
Aida scoppiò a ridere, quindi gli fece una carezza sulla guancia e salutò l’uomo per andare a finire di prepararsi per la colazione.
«Sembra felice» commentò quello, rimasto solo con il figlio. «Cerca di renderla sempre così serena, mi raccomando. Se lo merita».
«Molto volentieri, finché mi è concesso» replicò aspramente il ragazzo, prima di raccontare al genitore dell’infausto incontro con Massimo.
«Sempre maledettamente infami i Colonna, credono di essere ancora ai tempi di Giulio II» borbottò, disgustato. «Hai fatto a botte?»
«Non nego di aver avuto una gran voglia di fare a pezzi quel maledetto fijo de ’na mignotta, ma non sono più il facinoroso di un tempo e non volevo che Aida subisse spiacevoli ripercussioni a causa della mia condotta, quindi... mi sono trattenuto».
Marcello aggrottò la fronte, sinceramente ammirato per quella dimostrazione di tanta maturità.
«Non far sentire a tua madre che ti esprimi in questo modo, ché poi dice che sono io ad influenzarti, anche se, detto fra noi, quella famiglia meriterebbe solo l’impiccagione».
Rimase in silenzio per qualche secondo, poi aggiunse: «Ieri c’era poco lavoro da sbrigare, così ho potuto parlare molto con Gerardo e mi ha detto che l’altro giorno hai fatto un ottimo lavoro».
«Meno male che lui non è come te!» esclamò, allora, il ragazzo, ringraziando la bontà del suo padrino.
«Ieri sera c’erano anche lui e Vittoria dai Doria e ti hanno fatto un sacco di complimenti, anche se, come immaginavo, lei ha cercato di carpirmi qualche dettaglio su Aida» proseguì l’altro, scuotendo la testa.
«Be’, credo che voglia conoscerla, visto che mi considera alla pari di un nipote, anche se prima Aida dovrebbe diventare la mia ragazza» considerò, pensieroso. «Comunque, hai visto che ho concluso l’affare? E tu non volevi credermi! Io te l’avevo detto...»
Tuttavia, il giovane non riuscì a terminare la frase, perché Marcello lo interruppe.
«Ben fatto, figlio mio. Sono molto fiero di te e di come ti sei ripreso la tua vita».
Giancarlo, allora, si fermò e fissò il padre, sbattendo le palpebre, trasecolato: gli aveva appena fatto un complimento sincero, cosa che, forse, non accadeva dalla recita di Natale della quinta elementare.
«Ora, però, non restare lì fermo come un baccalà: il tempo passa ed oggi è l’ultimo giorno che Aida sarà nostra ospite!» aggiunse l’uomo, burbero, sentendo il bisogno di dargli un’ultima scossa. «Ricordati che non ti ha
ancora dato una risposta. Per varie ragioni non mi hai mai chiesto consigli sulle ragazze, ma stavolta ti dirò lo stesso ciò che penso: solo una ragazza che ti vuole davvero bene avrebbe potuto prendere le tue parti come ha fatto lei prima. Tuttavia, si sente insicura e spetta a te il compito di rassicurarla» affermò Marcello, con decisione.
«Mi impegnerò» replicò Giancarlo, serio. «Tengo troppo a lei per lasciarla andare via senza averglielo dimostrato fino in fondo».
L’altro dispiegò appena le labbra in un sorriso. Poi, però, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa, mutò espressione e disse: «Ah, stasera dobbiamo andare da tuo zio Tiberio, per la sua odiosa festa di compleanno. Credo che sarà presente anche quel tuo amico francese».
«Olivier?»
«Se è lui il fidanzato perfetto di tua cugina... comunque, potreste venire anche voi ai Castelli. Ovviamente, non alla festa, perché ci sarà tempo in futuro per insegnare a quella cara ragazza come difendersi dai tuoi zii. È ancora presto per portarla nella fossa dei leoni».
«Sarebbe un’ottima idea» fece il ragazzo, interessato. «Le farò vedere Albano e Castel Gandolfo che sono i più caratteristici. Ad Aida piaceranno sicuramente!»
«E potresti usare il regalo di quel...» Marcello sospirò e si sforzò di continuare senza inveire contro il cognato, «di tuo zio Guido».
In risposta, gli occhi del giovane acquisirono una nuova luce.
«Vuoi dire che posso prendere la mia A4?» domandò, pieno di speranza.
Marcello alzò le spalle e annuì, mentre il figlio conteneva la gioia con compostezza, lasciandosi scappare solo un gran sorriso.
«Grazie, papà!» esclamò, avviandosi verso l’interno di Villa Aurelia.

«L’eri in vena di esami, stamani?» chiese, allora, una voce, facendolo sobbalzare.
L’uomo si voltò indietro e inarcò un sopracciglio, vedendo
Beatrice avanzare verso di lui, i capelli cuprei raccolti, indossando un vestito color carta da zucchero.
«Da quanto tempo eri lì?» la interrogò il marito, indicando una delle rientranze del muro con un cenno del capo.
«Abbastanza...» rispose la donna, con un sorrisetto, «abbastanza per vedere che i ragazzi han superato la prova a pieni voti...»
«Prova? Quale prova? Non capisco di cosa tu stia parlando» ribatté il consorte, tranquillo.
«... e per l’aver conferma che oggi, come allora, i mie’ occhi sortiscono su di te lo stesso effetto» aggiunse lei, scrutandolo divertita.
Lui ricambiò l’occhiata, ma distolse subito dopo lo sguardo.
«Che programmi hai per oggi?» le chiese, invece, facendo finta di concentrarsi sul passerotto che si era posato sul bordo di una fioriera.
«Devo andare ai Musei Capitolini, potrei essere la curatrice di una nuova mostra» rispose lei, con visibile soddisfazione.
«Hai ripreso a lavorare» osservò, allora, Marcello, positivamente sorpreso, tornando a guardarla.
«Sì, e voglio tornare anche in carcere, dalle ragazze del corso di cucito» affermò Beatrice, decisa. «Sono stata assente troppo a lungo».
Intenerito, l’uomo le sorrise e le spostò una ciocca ramata dietro l’orecchio, commentando rasserenato: «Sei tornata felice come quando ci siamo conosciuti».
Di rimando, la moglie sorrise a sua volta, arrossendo leggermente.
«Però, potresti ammettere che l’Aida e il nostro Pulcino son stati bravi nel superare la prova, anche se avresti potuto insistere di più sul fatto che non dovrebbe usare troppo spesso certi termini» riprese la consorte, dimostrando di non aver archiviato il discorso.
A quel punto, Marcello assunse un’espressione di pura e vaga indifferenza, evitando accuratamente di guardarla.
«Non so davvero a quale prova tu ti stia riferendo, Beatrice. Ed ora, se vuoi scusarmi, vorrei andare a valutare di persona la situazione delle azalee. Con permesso» si congedò, allontanandosi in fretta
da lei per sparire giù per la scalinata, diretto al giardino posteriore. Rimasta sola, Beatrice si puntò le mani sui fianchi e scosse la testa divertita, pensando che, alla fin fine, tra il figlio ed il marito, il più malandrino era proprio quest’ultimo.
***

Una volta lasciatasi alle spalle Piazza Venezia ed il Vittoriano,
Aida e Giancarlo raggiunsero il Viale dei Fori Imperiali, passeggiando tenendosi per mano, una precauzione che aveva preso il ragazzo dopo che, in mattinata, un bellimbusto aveva tentato un approccio troppo ardito con la fanciulla, malgrado lei fosse palesemente in compagnia. 
In quel momento, il biondo aveva conosciuto il mostro della gelosia ed era stato attraversato dall’idea impellente di lasciare un segno indelebile sulla faccia di quel tale, arrivando alla conclusione che i playboy, visti dal di fuori, non erano poi così tanto gagliardi, quanto piuttosto dei perfetti deficienti. 
Dal canto suo, però, la ragazza non si era molto curata delle avance dello sconosciuto, anzi, aveva persino preso in giro Giancarlo quando aveva incenerito con lo sguardo il nuovo e molto più scadente casanova. Tuttavia, aveva dovuto ammettere con se stessa che quella reazione le aveva fatto piacere.
Per il pranzo, Aida aveva pregato il giovane di non portarla in nessun ristorante lussuoso, poiché quel giorno non voleva perdere troppo tempo e non riteneva di essere vestita abbastanza adeguatamente, così lui aveva optato per qualcosa di più informale.
Tuttavia, mentre scendevano lungo il viale, fermandosi di tanto in tanto per commentare o semplicemente contemplare le antiche architetture, i due ragazzi non sapevano di essere guardati a loro volta. Infatti, quasi tutti i passanti si giravano per ammirare quella giustapposizione di colori pressoché complementari, i capelli d’oro di lui e quelli d’ebano di lei, la pelle candida del ragazzo e quella nocciola della fanciulla, tanto chiari gli occhi di Giancarlo, quanto scuri erano quelli di Aida. Una mescolanza di toni opposti che nel loro complesso, però, risultavano bilanciati e armoniosi.
Infine, la passeggiata si concluse all’ombra del Colosseo, il simbolo nel mondo della Roma antica e moderna.
«Ed eccoci, dunque, davanti all’unico e inimitabile Anfiteatro Flavio» scandì lui, gonfiandosi di fiero campanilismo. «Pensa che, qualche anno fa, quando ancora ero un campione capace con il beyblade, ricevevo i miei sfidanti in un bey-stadium ricalcato su questa forma».
Basita, la ragazza si voltò verso di lui con gli occhi sgranati per l’incredulità: «Che cosa facevi?»
Compiaciuto di aver attirato la sua attenzione, Giancarlo la guardò ed un sorriso furbetto si impose arrogantemente sul suo volto.
«Ah, questa è una mia prodezza di gioventù che devi ascoltare. In particolare, c’è un episodio che merita proprio di essere raccontato...»
Entrambi, allora, si accomodarono su una panchina e, quando il giovane fu certo che lei lo stesse ascoltando, prese a narrare: «All’epoca ero ancora un adolescente. Venne dal Giappone un ragazzo, un tale Takao, che era capitato per caso in Europa mentre era diretto in Russia per i campionati mondiali di beyblade. Una serie di circostanze lo spinsero a sfidare i miei compagni di squadra, così arrivò anche qui a Roma».
«Doveva essere un tipo molto tenace, per andarsene in giro per il continente a sfidare altri blader! Ammetto di non sapere chi sia, ma se è famoso, Samir lo conoscerà sicuramente» commentò la fanciulla.
«Infatti!» confermò l’altro. «Tuo fratello è davvero un portento, sai? Dovrei portarlo a seguire qualche incontro dal vivo, un giorno, non mi farebbe male rendermi conto del livello delle nuove promesse del bey... Comunque, tornando a noi, mi sfidò, anche se la prima volta non accettai, perché avevo, ecco, altro... in programma» continuò, tossicchiando. Intuendo di cosa si trattasse, Aida assunse un’aria leggermente contrariata e alzò un sopracciglio.
«Per esempio, fare il cascamorto con le tipe di ieri?»
gli suggerì, assottigliando lo sguardo. «Mi sono sembrate molto interessate a te».
«Vabbè, mo’, non andiamo nei particolari» le rispose lui, spostando gli occhi altrove, avvampando. Tuttavia, fu proprio questa reazione a far ingentilire la ragazza, tanto che gli permise di andare avanti nel suo racconto senza aggiungere altro.
«Insomma, la seconda volta pensò bene di insultarmi per farmi accettare la sua sfida e così ci affrontammo per ben due volte, in un’arena simile al Colosseo, costruita nel bel mezzo di Piazza San Pietro».
Aida lo guardò, esterrefatta, riuscendo a malapena ad esalare: «Nel bel mezzo di... Piazza San Pietro?»
«Oh, sì. Quando l’ha saputo mio padre, settimane dopo, ha perso le staffe e mi ha messo in punizione per un mese. Temeva che saremmo incorsi in incidenti diplomatici con il Vaticano. E, ad oggi, devo ammettere che ho rischiato davvero grosso, ma, per fortuna, non è successo niente di simile».
La fanciulla continuava a fissarlo, a bocca aperta, non sapendo se ridere o piangere. Poi, si portò una mano alla fronte e scosse la testa: «Santo Cielo...»
«Sì, in effetti ero abbastanza discolo, megalomane ed esaltato» considerò lui, meditabondo. «Fui addirittura schiaffeggiato da un compagno di squadra di quel Takao, un lillipuziano alto una spanna e mezza... che, però, aveva ragione rimproverandomi di usare Anfisbena con intenti poco nobili. Comunque, ebbi la mia batosta: credevo di aver battuto il mio sfidante, ma in seguito fu lui a sconfiggermi pesantemente. Il mio bit-power mi si rivoltò contro e, in quel momento, imparai che avrei dovuto rispettarlo di più, visto che ero eccessivamente dispotico con lui, impartendogli solo ordini senza ascoltarlo».
Aida vide Giancarlo tirare un profondo sospiro, come se avesse voluto tornare indietro e agire diversamente; allora, gli prese una mano e la strinse e lui rinsaldò la presa.
«Sai, Anfisbena è stato un regalo del nonno. Si era raccomandato di trattarlo bene, ma io non l’ho fatto e ho capito tardi i miei errori» proseguì. «Quando siamo diventati troppo grandi, gli animali sacri si sono congedati da noi ed io... sono quello che l’ha presa peggio».
A quel punto, si mise la mano libera nella tasca del trench e ne estrasse il suo beyblade, guardandolo.
«Credo sia normale» avanzò timidamente la fanciulla, che aveva ascoltato tutto il racconto del giovane con partecipazione. «In fondo, era qualcosa che ti legava a tuo nonno. Non penso che Samir possieda una di queste creature, perché, da come ne parli, devono essere speciali e piuttosto rare».
«Lo sono» confermò lui, rigirandosi il bey in mano.
«È un peccato che non possa più interagire con te» notò lei, osservandolo a sua volta.
«Non può rispondermi, ma sente tutto quello che gli capita intorno e un giorno Anfisbena si risveglierà. Saprà lui quando, perciò noi possiamo solo aspettare e sperare che il suo nuovo padrone sia più lungimirante di me».
«Posso... posso tenerlo un attimo?» gli chiese, allora, quella, incerta.
Il ragazzo si girò verso di lei, scrutandola a fondo, poi guardò la sua trottola e, senza aggiungere altro, gliela fece scivolare in mano. Al contatto con la pelle, il metallo le risultò freddo.
«È più pesante di quello di Samir» notò Aida, valutandolo con attenzione. «Anche perché il suo è fatto quasi solo di plastica».
«Ti intendi anche di beyblade, oltre a sapere a memoria i trattati di architettura dalla preistoria ad oggi?» ridacchiò Giancarlo, avvicinando il viso al suo.
La fanciulla gli sorrise, scansandosi all’ultimo, quando ormai aveva già avvertito i ciuffi biondi solleticarle la guancia.
«No, ma sono io che rimetto a posto quello di mio fratello, quando lo lascia per terra insieme agli altri giocattoli, altrimenti Rami sarebbe capace di inciamparci e farsi male» replicò, guardandolo ad occhi socchiusi.
«Che fratelli fortunati ad avere una sorella brava e diligente come te! E, sentiamo, cos’altro fai per loro?» le sussurrò, tentando un nuovo approccio, più lento.
«Immagino che siano sempre domande per conoscermi meglio, vero?» chiese la ragazza, che ora, però, non pareva più intenzionata a spostarsi.
«Oh, no, no. Quello che volevo sapere di te, l’ho già saputo... direi, invece, che, stavolta, è davvero un elegante tentativo di provarci con te».

Tuttavia, furono interrotti da uno schianto improvviso, seguito dalle risate di alcuni bambini. Infatti, poco lontano da loro ce ne erano due in piedi e un terzo steso sul lastricato.
«Ah, ah! Michele, sei una schiappa!» urlò uno dei due, tenendosi la pancia con le mani.
«Vi farò vedere io! Io diventerò un grande campione come lo è stato Tornatore e come lo è adesso Caesar!» replicò una vocina decisa.
«Nano, ti paragoni a due grandi campioni?» gridò l’altro, canzonatorio. «Ma se sei finito per terra solo per lanciare il tuo beyblade, schiappa!»
«Torno subito» disse il biondo ad Aida, serio, alzandosi dalla panchina e dirigendosi verso i tre bambini. La fanciulla si alzò a sua volta e lo seguì, sempre tenendo in mano il beyblade turchese.
«A regazzi’, vi pare questo il modo di trattare un vostro amico?»
I due che erano in piedi si voltarono e, dopo aver scorto l’espressione poco amichevole sul volto di Giancarlo, si guardarono e se la diedero a gambe. Il giovane sbuffò, scuotendo la testa, quindi si abbassò e aiutò il bambino caduto a rialzarsi.
«Tutto bene?» gli chiese, aiutandolo a sistemarsi i vestiti.
Quello si stropicciò la fronte ed annuì, a testa bassa, mentre il ragazzo già si prodigava per recuperare beyblade e dispositivo di lancio per riconsegnarglieli.
«Questi devono essere tuoi» gli disse, con un sorriso.
«Grazie» sussurrò il bimbo, con una scrollata di spalle, senza alzare il capo.
«Ti chiami Michele, vero?» riprovò Giancarlo, cercando di stabilire un punto di contatto e ottenendo un timido assenso in risposta. «Ti va di farmi vedere come lanci il tuo beyblade? Magari possiamo inventarci qualcosa per migliorare la tecnica».
Rianimato, il bambino si decise finalmente a guardarlo con i suoi occhioni color sottobosco.
«Tu... conosci il beyblade?»
«Lo praticavo. Tanto tempo fa» gli rispose con nostalgia l’ex-blader. «Ascoltami... qualunque cosa ti dicano gli altri, non devi mai smettere di pensare di poter migliorare, con l’allenamento e con l’impegno».
Aida rimase ad osservere la scena, in silenzio, mentre, nella sua mano, il metallo di Anfisbena sembrò liquefarsi e diventare molto caldo, come se fosse vivo. La fanciulla, allora, intuì intimamente, senza comprendere fino in fondo il perché della sensazione provata allora e, solo anni più tardi, lo avrebbe capito davvero.
Sorridendo, si avvicinò con lentezza a Giancarlo, che stava ancora conversando con il bambino.
«Ah, grazie. Sì, mi serviva proprio» fece il giovane, prendendo la sua trottola personale, offertagli dalla ragazza. «Ti faccio vedere come si fa».
Michele, però, non lo ascoltava più, lo fissava e basta, a bocca aperta. Probabilmente, aveva capito chi era e stava cercando di ritrovare i tratti dell’adolescente campione di beyblade nei lineamenti non più acerbi del giovane uomo che aveva di fronte.
«Quel bey... ma tu... tu devi essere... Gianni Tornatore!»
«Eh, già. Mi hai scoperto!» fece lui, ammiccandogli. «Dunque, mi permetti di mostrarti un paio di dritte?»
Quando, circa mezz’ora più tardi, il bimbo li salutò felice, contento di aver appreso importanti consigli da parte di un grande campione, Aida scoccò al biondo un’occhiata incuriosita e interessata.
«Allora non è solo con Samir, con i bambini ci sai proprio fare!» considerò.
«Il livello di maturità è all’incirca quello, perciò riusciamo a comprenderci» scherzò il ragazzo.
«È molto bello quello che hai fatto, sai?» gli disse, incurvando le labbra.
Giancarlo, però, si limitò a scrollare le spalle, in lieve difficoltà, concentrandosi sul proprio orologio.
«Si è fatto tardi, dobbiamo andare. Anche se non prenderemo parte al ricevimento, dobbiamo comunque passare da casa, giacché i miei ci aspettano».

Improvvisamente, una goccia di pioggia lo colpì in pieno sul collo: un’inattesa caligine di nubi aveva coperto il cielo, facendo piovere copiosamente.
I due ragazzi, allora, si misero a correre, costeggiando gli imponenti e antichi ruderi, per attraversare quindi il viale e lasciarsi indietro il Colosseo, i Mercati Traianei ed i Fori. Il tempo di arrivare ai tornelli della linea B della metropolitana ed erano già bagnati fino al midollo.
«Che iella quando comincia a piovere così! Siamo completamente zuppi, peggio che se ci fossimo buttati in un lago!» esclamò Giancarlo, scompigliandosi la chioma bionda e strizzandosi un lembo della tasca dei pantaloni.
«Oh, dai, basterà una doccia calda, vestiti asciutti e saremo come nuovi!» replicò Aida, per nulla turbata.
«Certo e, se la metro non tardasse, potrei quasi sperare di non farti prendere un malanno e non sentire le ingiurie di tuo fratello» le rispose, stizzito.
«Ma va, io resisto bene alle intemperie!» rise la ragazza, scorgendo la sua insofferenza. «Sei davvero uno spettacolo quando devi prendere la metro» aggiunse.
«Per fortuna, per portarti a vedere i Castelli Romani, questa sera, mio padre mi ha concesso di usare la mia A4» sospirò lui.
«La tua A4?»
«Sì, è il regalo che mi ha fatto mio zio Guido per i miei ventun anni, anche se è solo un’automobilina per iniziare a fare pratica, niente di più».
La fanciulla, allora, lo fissò stranita e severa. Giancarlo lo notò subito e le chiese: «Aida, c’è qualcosa che non va?»
«Qualcosa che non va? Le tue stanze sono più grandi del nostro appartamento di Alessandria e in questi giorni mi hai pagato tutto, sborsando fior di quattrini, per non parlare del gioiello che mi hai regalato, che costa come il mio stipendio annuale. E chiami un’Audi berlina, un’automobilina. No, va tutto benissimo!» commentò lei, sarcastica.
Il giovane, a quel punto, si accorse di aver commesso una leggerezza e si affrettò a scusarsi: «Mi dispiace, Aida, non volevo mancarti di rispetto...»
«A volte, mi chiedo se davvero noi due non siamo troppo diversi» lo interruppe, però, lei, scuotendo la testa, intristita.
Quelle parole lasciarono Giancarlo pietrificato e per un po’ nessuno dei due disse nulla.
Intanto, dopo aver sceso le scale, i due giunsero sulla banchina, trovandola affollata, come in ogni giornata di pioggia, continuando a tenersi per mano: non avevano smesso per un solo attimo di farlo, come se temessero il momento in cui avrebbero parlato, coscienti che niente, nel bene e nel male, sarebbe stato più come prima.
Alla fine, prendendo coraggio, il ragazzo si girò verso Aida per chiederle finalmente cosa avesse deciso, poiché voleva sapere se per lei sarebbe potuto essere un conoscente, un amico o un amante e se potesse sperare di abbracciarla ancora, di ripeterle all’infinito quanto fosse importante per lui, di continuare a ricevere le sue carezze spontanee e delicate. 
Dal canto suo, sentendosi osservata, anche la fanciulla si voltò, malinconica. 
«Rinviare ulteriormente, renderebbe tutto solo più difficile, quindi credo che sia arrivato il momento di rispondere alla domanda che mi hai fatto lo scorso febbraio».
Il biondo avvertì la salivazione sparire del tutto, mentre il cuore rallentava i battiti e Aida si lasciava andare di nuovo ad un sospiro addolorato.
«Giancarlo, io ho riflettuto molto sulla tua proposta e ho capito che ci sarebbero alcune cose che sarebbero davvero difficili da conciliare, in una relazione a distanza come la nostra, perché siamo troppo lontani. Inoltre, a gennaio dovrò discutere la tesi e vorrei lavorare un po’ per il museo de Il Cairo, che è il mio sogno fin da bambina. Sai, io voglio darmi da fare, voglio coltivare la mia passione per l’arte e... noi apparteniamo a due mondi molto differenti».
«Non è vero, Aida, il mondo è uno solo...»
«No, Giancarlo, non è così e non far finta di non saperlo» lo interruppe bruscamente lei, togliendosi una goccia di pioggia dalla guancia. «Inoltre, naturalmente, devo ancora occuparmi di Samir».
«Di Samir possiamo prenderci cura insieme, lo sai che non aspetto altro...» tentò di protestare lui, avvertendo lo stomaco contrarsi per il dispiacere.
Aida, però, scosse lentamente la testa, triste: «No...»
Giancarlo chiuse gli occhi e deglutì, vedendo andare in fumo anche l’ultimo residuo di speranza. Allora, smise di respirare, così stravolto cda non avere neanche la forza di disperarsi: l’aveva rifiutato.
Chinò il capo, sconfitto, sentendo qualcosa dentro di sé che si inceneriva e si lacerava.
«... non ancora. Non ho finito di dirti tutto» continuò, tuttavia, la fanciulla.
«Vuoi che rimaniamo solo amici, lo so. Me l’hai detto» mugugnò lui, con tono ostile. Per un attimo, avrebbe tanto voluto cedere alla tentazione di fare come il bambino capriccioso che non ha ottenuto il suo gioco, ma si impose di comportarsi da uomo e accettare la disfatta. Non voleva che Aida lo ritenesse un ragazzino viziato, visto che grazie a lei non lo era più.
Ma, a quel punto, lei sorrise e, gentilmente, gli alzò la testa, affinché i loro occhi si potessero incontrare: era graziosa e dolce, anche inzuppata d’acqua e mentre gli stava dando quel grande e terribile dolore.
«No, non è questo. Voglio aggiungere, invece, che io non riuscirei ad immaginare una vita senza di te. Ormai ne fai parte, anch’io ho bisogno di te e non potrei sopportare l’idea di saperti con un’altra donna» gli sussurrò con tenerezza.
Scombussolato, il ragazzo impiegò qualche istante per capire cosa gli aveva detto.
«M-Ma... allora...» cominciò a balbettare, spalancando gli occhi, prima che la giovane lo fermasse.
«E l’unico modo per stare insieme è anche il più difficile: io voglio sposarti, ma non subito. Quindi, ora ti faccio io una domanda: Giancarlo, sei pronto ad aspettarmi?»
«Aspettarti? Mi stai chiedendo di aspettarti?» esclamò, irritato, cedendo volentieri alla collera. «Diamine, mi hai quasi ucciso solo per chiedermi tempo?»
«Non è solo tempo. È fiducia, pazienza, lontananza...»
«È il prezzo da pagare per la serenità!» concluse lui. «Da quando ti conosco, la mia vita è migliorata. Mi hai insegnato il rispetto per gli altri e per me stesso, al punto che ho imparato ad aspettare e sono pronto a fare dei sacrifici pur di starti accanto. Dannazione, Aida, vuoi capire una buona volta che sono pazzo di te?!»
La fanciulla lo guardò, dapprima inespressiva, poi un enorme sorriso le illuminò il viso.
«Anch’io ho appreso diverse cose da te. Per esempio, mi hai dimostrato con quanta intensità un uomo può amare una donna».
Il biondo spostò gli occhi da un’altra parte, sospirando e arruffandosi i capelli sulla nuca, indeciso se provare più imbarazzo, sollievo o chissà cosa.
«Almeno, però, mi permetterai di presentarti quanto prima come mia fidanzata ufficiale? Al matrimonio di McGregor vorrei averti accanto a me».
«Ecco un altro motivo per cui mi serve tempo: devo abituarmi alle regole della società alla quale appartieni, per me è tutto nuovo e la cosa mi spaventa non poco. A volte mi sento così goffa... ho paura di non essere all’altezza delle tue aspettative... e non solo per quel che riguarda l’etichetta».
Giancarlo colse l’espressione affranta di Aida e intuì molti più timori di quanti ella ne stesse effettivamente esprimendo a parole.
«Basta così!» le disse, togliendole una ciocca di capelli bagnati dal viso. «So che non sarà facile e che ti sto chiedendo molto, ma le difficoltà, in una coppia, si affrontano insieme. Io l’ho imparato dai miei genitori ed ora tocca a me metterlo in pratica».
«Dovrai avere molta pazienza con me e con le mie insicurezze».
«Non più di quanta ne dovrai avere tu con me e con la mia esuberanza. Stai tranquilla, affronteremo una cosa alla volta, al momento giusto e senza fretta, d’accordo? Voglio godermi ogni sfumatura della nostra relazione».
Dopo quello scambio di battute, la fanciulla parve finalmente un po’ più serena.
«Io temo anche il confronto con tua cugina. Non sarò mai al suo livello e mi odia...»
«Ti odia perché crede di essere superiore e di poter ottenere qualsiasi cosa o persona le piaccia» il ragazzo si trattenne un attimo, ma poi decise di rivelarle il suo ultimo segreto. «Ascolta, lei è gelosa del sentimento che provo per te perché non mi vede solo come suo cugino. Da me vorrebbe attenzioni molto più... consistenti. E, se io avessi sposato Maria Chiara, Claudia avrebbe potuto sperare di continuare a condividere tutto con la sua amica» ammise, avvampando di amara umiliazione.
Aida lo fissò, avendo capito finalmente tutto. Poi, con grande sorpresa di lui, sorrise e cominciò ad accarezzargli dolcemente una guancia.
«Tu non sei una persona qualsiasi, quella cui ho donato il mio cuore e tua cugina dovrà farsene una ragione, perché io non condivido il mio ragazzo con nessun’altra. Non vergognarti anche per colpe che non sono tue, non sarebbe giusto».
Rincuorato, lui le prese la mano, mettendola a contatto con le proprie labbra, grato.
«E tu non devi invidiare niente a nessuna. Io desidero che tu rimanga come sei, quindi non dire mai più che dovrei tornare alla mia vita di prima e sciocchezze simili».
La ragazza si irrigidì, allibita.
«Hai... hai sentito ciò che ho detto?»
«Ogni singola parola» fece il giovane, malizioso, tornando a sorridere sereno.
Imbarazzata, Aida si portò la mano libera sulla bocca: «Hai origliato! Eri sveglio! Perché non me l’hai fatto capire?»
«Perché volevo sentire cosa avevi da raccontarmi. Senza contare che sarebbe stato imperdonabile perdermi un tuo bacio».
Sempre più in difficoltà, lei si girò dalla parte opposta, scuotendo la testa. Allora, Giancarlo rise, allegro, trattenendola e attirandola a sé.
«Che cosa ne dici, ora potrei essere io a ricambiare, no? Ma prima devi chiarirmi una cosa: non ho capito bene le ultime parole che mi hai detto, potresti ripeterle, per favore?»
Aida lo guardò di sottecchi, sorridendo sostenuta.
«La sa una cosa, signor Tornatore? Lei è un grandissimo sfacciato! Studia l’arabo e non ha capito una frase semplicissima?»
«Potrei capirla meglio se mi dessi un aiutino...» le bisbigliò voluttuosamente lui in un orecchio.
«Solo se lei mi ripete cosa mi ha borbottato ieri, a Piazza di Spagna» gli rispose, però, quella, non dandosi per vinta.
Sinceramente ammirato, il ragazzo fece una smorfietta divertita e soddisfatta.
«Bene, bene, abbiamo un osso duro. Meglio così, le cose facili mi annoiano» affermò, poi si chinò su di lei e le sussurrò, molto vicino alle sue labbra. «Ti ho chiamata... Amore mio».
La fanciulla si prese una manciata di secondi per gioire di quelle parole semplici, ma così pregne di grande significato.
«Ed io ti ho detto ana bahebek, ma dovrai capire da solo che cosa significa» cantilenò.
«Scommetto che è qualcosa che ha a che fare con questo» disse, allora, Giancarlo, chinandosi per baciarla, ma non ne ebbe il tempo, distolto dal sottile refolo proveniente dal fondo della galleria e che annunciava l’imminente sopraggiungere del treno.
«Mmm, Giancarlo? La metro è quasi arrivata» gli fece notare lei.
Lui si fermò bruscamente e lanciò una rapida occhiata davanti a sé, per poi tornare a concentrarsi su Aida.
«Che venga, che parta, chissenefrega. Sto rivalutando il sistema di trasporti sotterraneo, sai? Ne verrà un’altra».
«Sì, ma tra...» la fanciulla controllò l’avviso luminoso. «Otto minuti. Tuo padre potrebbe rimproverarti per il ritardo e Rami potrebbe avere qualcosa da ridire se dovessi prendermi un raffreddore a causa della pioggia gelata».
«Ritardo? Che sarà mai! Saremo lontani per così tanto tempo che voglio sfruttare ogni secondo con te. Mi hai detto che resisti bene alle intemperie, no? E poi, posso provvedere a riscaldarti io, ti prometto che non riporterai alcun malanno» le assicurò, sensuale, cominciando a sfregarle piano la schiena. «Ah, già che ci siamo, impara una nuova regola, biscottino: mai interrompere Giancarlo Tornatore quando è impegnato a coccolare la sua meravigliosa ragazza».
Stava appunto per apprestarsi di nuovo a lei, quando una torma di persone, intente a cercare di stiparsi all’ultimo nel vagone, si riversò sulla banchina lastricata e impantanata di pioggia, costringendo i due giovani ad addossarsi alla parete.
«E fate passa’!» sbottò loro un energumeno, mentre si accalcava. «Non ve mettete in mezzo alle scatole, se dovete fa’ i baccalà!»
«E dai, caro, guarda che bel giovane e che ragazza graziosa! Sono così carini!» trillò, invece, quella che doveva essere sua moglie.
«Se dovete pomicia’, annateve a cerca’ ’n artro posto! ’Sti pischelli d’oggi...» bofonchiò di nuovo quello, facendo orecchie da mercante, prima che le porte si richiudessero dietro di lui.
Il ragazzo, nel frattempo, aveva contato fino a dieci per evitare di rispondergli per le rime in dialetto stretto, preferendo continuare a fare il signore.
«Non credo di aver capito tutto quello che ha detto» fece Aida, perplessa, abbracciata a lui.
«Ignoralo» le rispose l’altro, agitando una mano. «Ora che ci penso, era un po’ che nessuno diceva la sua. Cominciavo a preoccuparmi».
La fanciulla rise fino alle lacrime, mentre la metro partiva e la banchina tornava quasi deserta.
«Allora, dove eravamo rimasti? Ah, ma certo...»
«Giancarlo?»
«Sì?» le fece lui, lascivamente ispirato e già proteso verso di lei, arrestandosi di nuovo.
«Ci sarebbero altre due cose che dovrei dirti» avanzò Aida, incerta.
«Ancora?» esclamò lui, tra lo sconcertato e lo stupito.
«Ecco, per prima cosa, non è necessario che tu reprima la tua indole da casanova, visto che fa parte della tua personalità...»
Il giovane inarcò all’inverosimile un sopracciglio, fissandola dubbioso, ma lei continuò: «E a me non dispiace, se espressa con moderazione. Purché tu la esibisca esclusivamente con me, ovviamente» concluse, ricalcando opportunatamente le ultime parole.
Giancarlo sogghignò, riservandole un’occhiata malandrina.
«Be’, questo mi era parso implicito. Vuoi più coccole? Vedrò come accontentarti, zuccherino, e... cos’altro devi dirmi?»
«Oh, ecco...» sussurrò la fanciulla, tentennante, «che avevi ragione sui tuoi begli occhi: hanno un colore stupendo».
Troppo contento per quel complimento diretto, Giancarlo cominciò ad accarezzarle i capelli, limitandosi ad aggiungere: «Bene, ora penso che sia arrivato il momento di recuperare i sei tentativi di baciarti andati in fumo».
«Sei?» replicò la ragazza, tentando di fingersi impressionata e non riuscendo invece a trattenere una buona risata. «Sicuro che non siano di più?»
«Se escludiamo gli ultimi, rendiamo la cosa meno assurda e imbarazzante di quello che è» commentò l’altro con una smorfia, cui seguirono altre risate da parte della fanciulla.
«Dovrai essere molto bravo, per far tutto in meno di otto minuti» gli ricordò Aida, mentre gli sistemava con delicatezza il colletto del trench inumidito e si sollevava in punta di piedi, sorridendogli con la dolce e fiduciosa timidezza di sempre.
«Gioia mia, tu mi sottovaluti» scandì il biondo, a dir il vero più serio che faceto, stringendola maggiormente a sé.
Quasi otto minuti a disposizione, quasi quattrocento ottanta secondi... se li sarebbe fatti bastare.
Iniziò con un bacio sulla fronte: uno, quello che le avrebbe volentieri dato quella sera lontana, ad Alessandria, quando l’aveva ascoltato senza giudicarlo.
Poi scese e le baciò la guancia: due, ciò che aveva tentato di fare quando le si era proposto.
A quel punto, indugiò sul collo con ardente bramosia: tre, il preludio di quel bacio non dato sul Tevere, in quel momento di forte, intensa passione non del tutto manifestata.
Infinie, arrivò sull’angolo della bocca: quattro, il bacio salvifico che aveva cercato sulla terrazza, durante la prima visita a Roma della ragazza.
Quindi si spostò di poco e le regalò un contatto leggero, dato per prendere confidenza con quelle labbra tiepide, per le quali aveva tanto sospirato: cinque, il bacio trattenuto a stento davanti allo specchio cinquecentesco.
Allora, Giancarlo si discostò un momento per assaporare meglio il sapore della sue labbra: erano dolci, come aveva intuito.
La gioia che gli dava tenere stretta la sua Aida, la ragazza che lo aveva aiutato a non aver più paura di ammettere i propri limiti, mettendo invece a frutto le proprie potenzialità, era smisurata e sarebbe stata molto difficile da tradurre in parole, come la sconfinata soddisfazione di aver conquistato il suo cuore con le proprie forze. Non vedeva l’ora di vivere il suo futuro con lei, un futuro forse semplice e spoglio di clamori, ma limpido e sereno.
I due si guardarono ancora una volta, sorridenti e vicendevolmente abbracciati, prima di chiudere nuovamente gli occhi e abbandonarsi entrambi ad un bacio intensamente passionale, ma altrettanto profondo ed autentico: sei, ma che in realtà non era il sesto, bensì il loro primo vero bacio, il quale valeva per tutti quelli che non c’erano stati e anticipava quelli che sarebbero venuti. E, per Giancarlo, era anche qualcosa di più: era il suggello della sua piena riuscita, il premio per i suoi sforzi, il riconoscimento del suo sentimento puro e sincero.
Stettero per un po’ così, l’una tra le braccia dell’altro, bagnati com’erano e addossati alla parete non propriamente lustra, sotto la fioca e tremula luce delle gallerie della metropolitana di Roma, in quell’aria opprimente e rarefatta, incuranti di essere esposti alla vista dei passanti.
Dopotutto, che importanza poteva mai avere per Aida e Giancarlo scambiarsi il primo vero bacio a venti metri di profondità? Proprio nessuna.
In fondo, avevano i loro quasi otto minuti fuori programma da passare insieme.
E poi, non venite a raccontarmi che, a volte, la lentezza dei mezzi pubblici non può giocare a vostro favore.




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Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
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[N.d.A.]
1. baklava: dolcetti tipici egiziani, fatti di pasta sfoglia imbevuta di sciroppo e farciti con granella di noci e pistacchi;
2. roobois: pianta simile al té, originaria del Sud Africa. Se ne ricava un infuso che è detto comunemente té rosso;
3. Celeste... fior: sono i primi versi della romanza che Radamès intona nell’atto I - scena prima dell’Aida di Verdi; il libretto, invece, è di Antonio Ghislanzoni;
4. visitatrice... torna: è il significato del nome secondo l’etimologia araba;
5. Agape: è la parola greca che indica l’amore gratuito; esso si contrappone e completa l’Eros (inteso nell’accezione platonica e non freudiana), l’amore passionale.
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Grazie a chiunque sia passato di qui, vecchio o nuovo lettore che sia.
Halley S.C.

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