Hetalia: La Storia

di JhonSavor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Le origini del mito ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Incontri fatali ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Fare i conti con il passato ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Le origini del mito ***


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CAPITOLO I: LE ORIGINI DEL MITO

Roma, Anno Domini 476, Settembre

Nello sfarzo del palazzo imperiale della Città Eterna si stava consumando un tragico evento, che diverrà noto come la caduta del potere imperiale romano occidentale.
Odoacre signore degli Eruli, aveva mandato in esilio Romolo Augustolo e ormai da alcuni giorni si era proclamato padrone delle terre italiche.
Per far sì che la sua autorità fosse assolutamente legittima, il re aveva predisposto un matrimonio tra la sua Nazione e quella del decaduto impero; così facendo avrebbe ottenuto dalla loro unione una progenie che avrebbe unito definitivamente i due popoli sotto il suo dominio.
Ma non vi riuscì, perché se le Nazioni sono il simbolo di un popolo, di una cultura, senza di esse, la Nazione non è niente. In altre parole ad Odoacre mancò il tempismo per attuare il suo piano…

Tibullo, Prefetto del Pretorio, marciava a grandi passi nei corridoi del palazzo imperiale. La riunione con i barbari era terminata da alcuni minuti, ma poteva ancora sentire il loro puzzo.
Ed era, per quell’uomo, una cosa insopportabile.
“Bestie, non sono nient’altro che bestie - pensava - bestie che si fingono uomini. Un cieco potrebbe scambiarli per un branco di capre”
Aveva però altro a cui pensare in quel momento: il suo signore lo stava aspettando, e oramai ogni secondo era prezioso.
Raggiunse le sue stanze private e aprì con delicatezza le porte in ebano per non disturbare il suo signore.
Un filo di voce si fece strada nella stanza luminosa fino alle sue orecchie -Tibullo sei tu?-
Sentendosi chiamare l’uomo avanzò fino al letto nel quale vi era disteso l’ultimo vero simulacro del potere imperiale. Il suo Rappresentante.
-Ave Quirino, figlio di Caio, Impero d’Occidente e fulgido simbolo del potere Romano. Tibullo Decio ti saluta-
-Non essere così formale, amico mio, ormai non sono che lo spettro di ciò che ero- disse con tono un po' affaticato.
Benché il suo signore fosse visivamente indebolito, dai sui occhi Tibullo scorgeva tutto l’ardore e l’orgoglio che lo avevano sempre caratterizzato.
-Allora state davvero così male mio signore?-.
L’uomo disteso sul letto si fermò come a riflettere accarezzandosi quello strano ciuffo di capelli ribelle che gli spuntava dalla folta capigliatura bruna.
Tibullo si ritrovò a pensare a quegli aneddoti che aveva sentito sul conto del padre del suo signore: gli avevano raccontato che anch’egli aveva, tra le altre numerose manie, quella di tormentare quel suo particolare ciuffo ogni volta che si ritrovava a elucubrare su qualcosa.
Il Prefetto sorrise: era proprio il vero figlio di suo padre…
-Beh in realtà ti dirò… credi che quella liberta sia ancora disposta a farmi quei servizietti che mi erano stati promessi?-.
Tibullo sembrò non capire.
-Q-quale liberta, scusi?- chiese sconcertato
-Ma si quella ragazza bionda che vive presso l’Aretino, hai presente? È una bella figliola e non mi dispiacerebbe passare gli ultimi momenti con lei tra le braccia-
L’uomo sentì il bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non cadere sul posto; oltre alle numerose virtù, il suo signore doveva aver ereditato anche i numerosi vizi del suo nobile padre.
-Credo che dovrete accontentarvi dell’estrema unzione…- disse sospirando
-Già forse non è il caso…-
I due romani si guardarono in viso, e dopo alcuni istanti scoppiarono a ridere sguaiatamente.
-Beh sarebbe sicuramente un bel modo di andarsene, mio signore!-
-Vero, non trovi?!-
Il riso pian piano li abbandonò riportando la serietà sui loro volti. Il prefetto scostò ancora di più le tende dalle finestre per permettere alla luce del sole di entrare e far si che il paesaggio cittadino potesse essere visto anche da Quirino.
-Cosa ti hanno detto i nostri nuovi padroni?-
-Hanno accettato. Date le vostre condizioni hanno deciso che adotteranno i vostri figli, Cisalpino e Partenopeo-.
-I miei due piccoli… sono ancora dei bambini, che molto probabilmente in futuro non ricorderanno nemmeno che faccia abbia avuto il loro papà-
-Non vi preoccupate regalerò loro delle effigi cosicché possano farlo-
L’uomo guardò di tutto cuore il suo fidato amico, commosso – Ti sono grato per tutto questo-
Improvvisamente gli afferrò il braccio, invitandolo ad avvicinarsi
-E Gallia? I Franchi hanno accettato?-
-Si, vostro figlio Gallia è stato accolto come loro Rappresentante da re Childerico per intercessione del principe Clodoveo-
La Nazione gli strinse ancora di più l’arto -E Odoacre? Sospetta qualcosa?-
-No mio signore, il barbaro non ha fatto riferimento alcuno su di lui. Credo che ne ignori l’esistenza stessa-
L’uomo si lasciò cadere sul giaciglio come esausto.
-Tutto procede secondo i piani allora…-
Il Prefetto annuì leggermente.
-I Franchi sono un popolo emergente e il più civilizzato tra quelli che ci hanno invaso. Ho scommesso su di loro, ho ceduto loro un Simbolo… che Dio ci aiuti-
-E finchè Odoacre vorrà essere re senza possibilità di appello, dovrà prendersi cura dei piccoli… la vostra stirpe è salva… mi spiace che vostra moglie non sia qui con voi-
Quirino resto in silenzio, guardando ritto di fronte a se, con occhi stanchi, ma compiaciuti.
-Ora nel poco tempo che mi resta, voglio passarlo con i miei amici, quindi caro Tibullo fatti mandare del vino dalle cantine, e beviamoci sopra!-
Tibullo sorrise – Come voi desiderate, mio signore-.
Detto ciò si reco fuori dalla stanza.
L’Impero d’Occidente voltò lo sguardo fuori dalla finestra: il cielo era limpido solcato da qualche nuvola, e i raggi del sole accarezzavano i tetti delle case romane, tingendoli di un colore più acceso.
“Figli miei, crescete, diventate forti e coraggiosi e non abbiate timore delle difficoltà. Dovrete prendere decisioni difficili, vi faranno combattere, vi ostacoleranno, vi cambieranno nome forse, ma non dovrete avere paura. Voi portate sulle vostre spalle l’onore e la grandezza di Roma, come già io, vostro nonno e suo padre prima di lui abbiamo fatto. Vi guarderemo da lassù e so che ci renderete orgogliosi, qualsiasi strada vogliate prendere, basta che sia ciò che vorrete fare veramente. Fate si che i vostri popoli siano fieri di voi, e andrà tutto bene.
Mi dispiace non potervi seguire nella crescita, mi dispiace veramente. Ma spero di tutto cuore che quando sarete adulti sappiate perdonarmi e sappiate quanto bene vi abbia voluto”



Roma, Anno Domini 100

Traiano stava sfilando in trionfo lungo le vie di Roma.
Per ben due anni il popolo di Roma aveva atteso il suo arrivo, ufficializzando in tal modo il suo ruolo e il suo nobile retaggio.
Due anni di lontananza per combattere e sconfiggere le serpi in seno di Roma, che ne volevano minare l’equilibri e la pace da tanto tempo agognata e infine raggiunta.
Tutti ne conoscevano il valore e la virtù per i numerosi anni che aveva dedicato alla causa romana.
Prima tribuno militare poi console, infine il patronato della Germania.
Per questo motivo il popolo lo chiamava Germanicus, tra gli innumerevoli “Princeps!”,.
Lui in cambio, dalla sua biga dorata trainata da quattro cavalli bianchi, li salutava con le braccia spalancate verso il cielo, come  se volesse contenerli tutti.
Il corteo si mosse fino al colle Palatino, sede del palazzo imperiale, dove i pretoriani lo attendevano insieme ad un gruppo di senatori.
Pretoriani veri, fidati e fedeli. Niente a che vedere con i traditori che si erano rivoltati contro il precedente Imperatore.
Una volta che il cocchio si fu fermato, un secco ordine si levò sovrastando il fragore della folla – Pretoriani! Onore all’imperatore!-
La milizia si divise in due schiere, ai lati del carro;  posero a terra gli scudi e alzarono le lance rilucenti al cielo
-Onore!-
Il cozzare delle aste al suolo, impose il silenzio per alcuni secondi, interrotto infine dai trombettieri che ricrearono un nuovo frastuono, incitando in tal modo il popolo.
Marco Ulpio Traiano, figlio di Nerva, scese, continuando la sua marcia stavolta a piedi e tra i suoi soldati.
Davanti ai suoi occhi si stagliava l’uomo che era a capo la sua guardia scelta.
Nella sua armatura scintillante, Caio Massimo, guardia del corpo dell’Imperatore, Prefetto del Pretorio, Impero Romano, lo salutava portandosi il pugno destro al petto.
Caio Massimo, una Nazione, un eroe, un amico.
Non appena i due uomini si ritrovarono faccia a faccia, si scambiarono uno sguardo amichevole. Vedendosi arrivare incontro il gruppo di senatori, l’Imperatore proseguì verso il palazzo, mentre Caio diede l’ordine ai suoi pretoriani di scortarlo all’interno.
Le ovazioni e le grida del popolo perdurarono fino alla chiusura delle porte del palazzo. Ma quello era stato solo il principio di quelli che sarebbero stati dei lunghi festeggiamenti.

Mentre il popolo romano festeggiava alacremente per le vie della città, all’interno del palazzo imperiale si stavano svolgendo importanti riunioni.
-Come le stavo dicendo, altezza, il Rappresentante dei Nabatei giungerà a giorni qui alla capitale per porgervi i saluti di re Agrippa, e per portarvi alcuni messaggi, sembra, di estrema importanza.
-Molto bene senatore Settimio-
I senatori presenti nella sala delle udienze stavano mettendo al corrente il loro signore delle ultime novità provenienti dalle numerose province dell’Impero e dalla stessa Roma.
-Inoltre ci servirebbe la sua autorizzazione per alcuni permessi e appalti da condonare…-
-Mio signore ci sarebbero da risolvere quei problemi di brigantaggio nella regione di Mediolanum!-
Sergio Settimio fulminò il suo collega con lo sguardo – Non avevo ancora terminato il mio intervento, senatore Casca. Che atteggiamento è questo?-
Il senatore Casca, gli rispose prontamente – Il pericolo di un folto numero di briganti è molto più importante, di una concessione di appalti! Tu avevi già esposto ciò che avevi da dire!-
-Invece non avevo ancora finito. Il tuo comportamento è disdicevole! Che l’educazione ti sia scomparsa insieme alla capigliatura?-
-No, sono andati a fare compagnia ai peli del tuo porro- gli rispose furente
Un terzo senatore, Emilio Paolo, si fece avanti oltrepassando i due litiganti – Vostra altezza ho qui con me quella lista di nomi che mi avevate chiesto di procur…-
-Il mio porro non è peloso!-
-O si che lo è, ed è anche grosso! Tutte le volte che ti guardo in faccia rischio di confonderlo con il tuo naso, tanto è grosso!-
Il senatore Emilio si rivolse sdegnato ai due – Non potreste andare a litigare da un’altra parte? L’Imperatore sta ascoltando il mio messaggio…-
-Senatore Emilio dovevo ancora terminare!- esclamò Casca
-Prima di voi due c’ero io!- gridò Settimio fuori di sé
-La volete smettere? Io Lucio, figlio di Paolo Aureliano, devo presentare il bilancio dei proventi agricoli delle province iberiche…-
-E allora? Io di quelle illiriche! Inoltre presso Zagabria è crollata la biblioteca centrale e devo consegnare la richiesta di ulteriori finanziamenti per la sua ristrutturazione!-
-Ma taci Domizio, della tua situazione non importa niente a nessuno!-
Il caos era scoppiato sotto gli occhi dell’Imperatore e sembrava non volersi placare.
Traiano sconvolto nella sua natura militare da una tale confusione, si alzò con forza dal suo scranno tuonando – Per Giove e Minerva, siete impazziti?! Vi sembra questo il modo di comportarvi, specialmente in mia presenza, al cospetto del vostro Imperatore? Dove è andato a finire l’orgoglio del popolo romano, del rango senatorio? Avanti rispondetemi!-
Un silenzio vergognoso scese, portando l’imbarazzo tra gli accusati
-Siamo costernati mio signore – si scusò Casca – ci siamo fatti prendere dallo zelo e abbiamo perso la ragione, vi chiediamo perdono-
-Essere zelanti è una buona cosa senatore Casca, ma non mi pare il caso di reagire in questo modo-
Traiano si mise una mano sul volto; anche se  non lo dava a vedere era prostrato per il lungo viaggio e per la giornata pesante che aveva avuto, e in quel momento pensò che una riunione politica era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Risiedendosi sul suo trono, proclamò pacato – Lasciate i documenti e i verbali al mio segretario, li visionerò più tardi. Adesso vi chiederei di lasciare il palazzo e di godervi un meritato riposo. Fatelo in nome di questo giorno di festa-
Traiano dicendo loro quelle parole era come se volesse rivolgersi a se stesso. Soprattutto a se stesso.
I senatori in ogni caso esaudirono la sua richiesta e si allontanarono.
Una volta usciti, Traiano poté tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi .
Sicuro che nessuno lo potesse vedere, si alzò in piedi e iniziò a stiracchiarsi con ampi gesti delle braccia e della schiena.
Fu un sollievo  per lui privarsi di tutta la tensione; infatti si sentì molto più attivo e leggero.
-Mi complimento con te, gliele hai dette quattro belle pepate e li hai ammutoliti!-
Al sentire quella voce inaspettata Traiano spiccò un balzò, voltandosi verso l’origine del rumore, mano alla spada.
-No, davvero, hai fatto bene! Quei vecchi rimbambiti a volte dimenticano qual è il loro posto!-
La comparsa del suo Prefetto del Pretorio, rassicurò l’Imperatore.
Rinfoderando la spada disse – Suvvia Caio, non fanno altro che il loro dovere, d’altro canto non avendo più il peso politico di un tempo devono mostrarsi attivi verso il potere imperiale-
-Bah non li ho mai sopportati, mezzi corrotti e schiavi della propria condizione… finirà che i loro discendenti cresceranno fiacchi e decadenti, valorizzati solo dal ricordo dei loro antenati-
L’Imperatore incrociò le braccia al petto – In ogni caso, quando quei pazzi di Lucio Enobalbo e Caligola salirono al potere fu anche grazie al Senato se si riuscì a mantenere l’ordine-
-Il caso di Caligola è stato un pochino diverso da come viene sempre raccontato… però devi ricordarti che la “manu militari” c’è sempre stata… i senatori da soli potevano fare ben poco- gli rispose Caio, impegnato a tormentarsi un ciuffo ribelle.
-Forse hai ragione tu…-
I due romani erano ormai a pochi passi l’uno dall’altro. Si squadravano con occhi seri e sicuri, fermi immobili nelle loro posizioni.
Un estraneo avrebbe potuto scambiarli per statue di marmo.
Poi si sorrisero. Simultaneamente caricarono il braccio destro e si strinsero gli avambracci come si era solito fare tra compagni d’arme.
Solo che lo fecero con tale violenza e forza che lo schiocco che ne derivò risuonò in tutto la sala, rimbombando.
Si guardarono sogghignando
-Non hai perso neanche un po’ della tua forza è Caio? Il lusso e la bambagia di Roma non ti hanno infiacchito a quanto pare- disse con un filo di ironia l’Imperatore  
-Mai! Un buon soldato sa che se il giorno prima si è ubriacato o è stato a donne, il giorno dopo dovrà faticare il doppio, per mettersi in pari- proclamò divertito la Nazione -Neanche tu Marco hai perso lo smalto; l’età non ti ha infiacchito, ne sono felice… vederti fare il sedentario ora sarebbe la peggiore delle visioni…-
L’Imperatore sorrise. Caio Massimo era l’ultimo uomo rimasto in vita che aveva il permesso di chiamarlo semplicemente per nome e dargli del tu.
E forse era anche l’unico uomo che non aveva mai avuto remore a chiamare amico.

-E così gli dico, ascolta bene eh?, gli dico “Perché vorresti la mia pelle? Almeno così abbiamo dimostrato che il tuo vino è giusto da servire ai porci”!-
La sonora risata dell’Imperatore rimbombò in tutta la stanza –E lui cosa ti ha risposto?-
-Niente. Voleva colpirmi con un randello, ma è inciampato, è caduto in uno dei barili ed è ruzzolato nello stagno! Sono dovuto andare anche a ripescarlo, pensa un po’!-
Ritiratisi nella zona privata del palazzo, a cui avevano accesso solo i membri della famiglia imperiale e i loro collaboratori più stretti, i due romani erano sdraiati sui rispettivi divani, sorseggiando vino e gustando i manicaretti delle cucine imperiali.
-Aragoste e fichi… certe leccornie non si trovano sul campo di battaglia. Non credi di esagerare a bere quel vino puro, senza correggerlo con dell’acqua, Caio?-
La Nazione guardò la coppa argentata e sorridendo gli rispose – Oh se per questo l’ho anche corretto con miele e altre spezie-
-Ti resterà sullo stomaco, sappilo-
Caio come se niente fosse stato detto, trangugiò il contenuto della coppa in un sorso.
-Comunque parlando di cose serie- continuò la Nazione afferrando una chela dai piatti – come ci sente ad essere il padrone e a non avere nessuno di superiore tranne che gli dei?-
Traiano iniziò a spellare un fico in silenzio, pensando a  come rispondere – In realtà dovresti sapere che neanche io sono superiore alla legge Caio… sia essa umana o divina, nessuno vi è superiore…-
La Nazione aspirò sonoramente la polpa dell’aragosta apposta, per infastidire l’amico –Dai Marco sai cosa intendo. Me ne parlasti quando eri console… “Roma non può continuare in questa direzione… deve mutare, Caio… la corruzione, i servizi, lo stato, i confini, la magistratura, tutto deve essere rivisto. Spero che quel lurido cane di Domiziano muoia prima possib…”-
-Si, si, ho capito, ho capito. Me lo ricordo come se fosse ieri.-
L’uomo si alzò per affacciarsi alla finestra, e osservare la città.
-Ho intenzione di compiere grandi cose per Roma. Terminati i festeggiamenti andrò in Senato e continuerò i piani del nobile Nerva. Libererò i prigionieri di Domiziano e riconsegnerò le proprietà da lui espropriate. Poi vedrò quanto mi potrà essere utile il Senato nei miei piani per il futuro…-
-C’è questo giovane senatore, un certo Plinio…- intervenne il Rappresentante - Caio Plinio Cecilio ecco, che dice di stimarti profondamente e che non vede l’ora di parlare con te-
-Mai sentito- gli rispose l’Imperatore
-Lo credo, ha mantenuto un profilo basso sotto Domiziano, ma dice di avere delle cose molto importanti da dirti-
-In ogni caso- continuò- questo sarà solo l’inizio:  fonderò un organo apposta solo per i crimini di concussione e corruzione, composto dai migliori giuristi dell’impero. Così scremerò gli scarti dello stato
-Inoltre è tempo di portare la civiltà anche nelle province oltre che a  Roma, che mi premurerò di beneficiare per prima comunque. Rafforzerò e costruirò sistemi idrici più estesi anche in altre parti dell’Impero. Sto pensando anche ad un modo per rinnovare la magistratura e il sistema del colonato-
L’Imperatore volse lo sguardo verso Caio.
La Nazione lo stava osservando serio. Dopo alcuni istanti sospirò – Per fare ciò che proponi, è necessario molto denaro Marco… credi forse nell’albero delle mele d’oro che cresce nel giardino delle Esperidi? No, perché te ne serviranno parecchie…-
Il sarcasmo dell’uomo fece sorridere Traiano che afferrò un rotolo di papiro da uno scaffale e lo mostrò alla Nazione srotolandoglielo di fronte.
-Dimmi Caio, che cosa sai della situazione attuale presso i confini orientali?-
-Uhm, beh so quel che mi è stato detto nei rapporti ma niente di davvero specifico…-
-È il caos, Caio. Anche se non lo avessi già previsto e agito di conseguenza, una volta finito di trattare con i senatori, avrei dovuto mandare ai confini un buon numero di legioni per imporre una Pax Romana ai barbari… e invece sai che cosa farò Caio?-
-Oltre a incuriosirmi?- gli domandò beffardo
-Prenderemo due piccioni con una fava: quegli sporchi barbari  razziatori che vivono sulle sponde del Danubio hanno costruito i loro regni saccheggiando alcune nostre provincie in passato e non solo, ma anche tramite la vendita dei propri servizi come mercenari; nel corso degli anni sono stati in grado di accumulare quantità enormi di oro e argento. Compieremo una campagna bellica contro di loro e con i bottini finanzieranno i nostri progetti di civiltà e stabilità-
-Da quel che ne so i Daci non si sono fatti conquistare mai dalle nostre legioni, o da chiunque altro… cosa ti fa credere che stavolta andrà diversamente?-
Traiano si fece improvvisamente serio e il suo sguardo si indurì
-Non siamo più ai tempi di Cesare, Caio. Siamo più potenti, più organizzati, abbiamo macchine e mezzi che gli altri popolo possono avere solo nei loro sogni. Inoltre non abbiamo altra scelta, guarda qui- disse indicandogli il papiro- i confini orientali sono quelli più instabili; conquistando la Dacia, daremo continuità al limes, otterremo finanziamenti e inoltre porteremo innanzi il sogno di Roma anche oltre i nostri confini; la civiltà prevarrà sulle barbarie e il mondo vivrà in pace, finalmente-
Il braccio che reggeva la cartina si abbassò. Un velo di tristezza scese sul viso di Traiano.
-Tu sai meglio di me che cosa sia il campo di battaglia, e io devo dire di avere una  certa esperienza. La guerra porta morte e distruzione di pari passo all’onore e all’orgoglio di essere sopravvissuti. Voglio che tutto questo termini con la mia generazione, voglio che i futuri romani, e intendo con romani tutti coloro che possono vantare di avere la cittadinanza romana, vivano in pace, abbiano la possibilità di avere una famiglia e di poter invecchiare sereni e liberi-
-È strano sentire un militare parlare in questo modo, sapendo poi che la nostra società è fortemente militarizzata…-
-Non essere sciocco, Caio. Io riconosco l’importanza dell’esercito, ci sono entrato di mia spontanea volontà. Esso è fondamentale, difende e conquista, protegge e vendica. Ma pensa al caso di Sparta: era una oligarchia che si reggeva solo sulla guerra ed è decaduta prima ancora del nostro arrivo. Una società non si può fondare solo sull’esercito. I valori, la virtus, il cursus honorum, l’onore di essere figli di Roma, non è legato all’essere soldati perenni-
Caio vide Traiano afferrare la sua coppa di vino e berne alcune sorsate. Doveva ammetterlo: in tutti quegli anni in cui era stato il simbolo dell’Impero, cioè da quel fatidico 722 ab urbe condita, non aveva mai visto un Imperatore come Marco Traiano, se si faceva eccezione per Augusto.
Romano fino al midollo, estremamente intelligente, un buon soldato, ma con idee ben chiare anche nell’economia e nella politica; benevolo, generoso, leale, severo quando era necessario e non corrotto dalla decadenza del potere.
Se fosse stato qualcun’altro a proporgli un piano del genere non ci avrebbe creduto fino a quando non lo avesse visto realizzato. Ce n’erano stati fin troppi prima di lui che si erano proposti come i risanatori di Roma ma non avevano fatto altro che deluderlo.
Con Traiano si sentiva pronto a fidarsi, a seguirlo e ad aiutarlo come poteva.
-D’accordo-
Traiano lo fissò strano – Cosa?-
-Voglio dire che sarò con te, qualunque cosa tu abbia intenzione di fare-
-Ti avrò dalla mia parte quindi-
-Come sempre del resto-
I due romani si guardarono sorridendo.
Ripresero a mangiare tranquillamente quando all’improvviso Traiano fece una domanda a brucia pelo – Che cosa farai, o grande Impero Romano, se davvero raggiungeremo uno status di pace perenne?-
-Che intendi?- gli rispose addentando un fico
-Intendo dire, metterai su famiglia?-
Sentendo quella domanda Caio stava per strozzarsi con la polpa del fico.
Tossì e guardò sconvolto l’Imperatore – Per gli Inferi! Ma che te ne esci così all’improvviso, Marco?-
L’uomo rise – Semplice curiosità. Me ne racconti sempre di tutti i colori ma non ti ho mai visto avere una relazione seria e duratura. Hai una certa età e se la pace è davvero imminente dovresti pensarci!-
La Nazione sbuffò apertamente – Il conteggio del tempo normale per quelli come me non vale Marco, ho tutto il tempo che voglio-
-Uhm, non dirmi che non ti piacerebbe avere una bella moglie, dei figli e un podere da coltivare e in cui vivere? Magari con dei nipoti a cui raccontare le tue gesta e insegnare le tradizioni?-
-Publio Virgilio Marone aveva una idea così sulla nostra società… troppo bucolica per i miei gusti!-
-Oh immagino!-
Traiano svuotò l’ultima coppa di vino e si allontanò verso l’uscita della sala.
-E adesso dove te ne vai?- gli domandò Caio Massimo
-È tardi e prima di cena avevo chiesto a Plotina di attendermi alzata. Ho intenzione di salutarla come si deve dopo tutto questo tempo- gli rispose Traiano con fare sornione
-Ah, capisco… buona notte allora-
Rimasto solo nella stanza, Caio incominciò a rimuginare, fissando la sua immagine riflessa nella coppa che teneva in mano.
“Una moglie, una famiglia… chissà come sarebbe, non riesco proprio a immaginarlo”


Angolo dell’autore:

Salve a tutti i lettori! Questa non è la mia prima fan fiction di EFP, ma sicuramente lo è di Hetalia e voglio ringraziare sinceramente e in anticipo (ma pensa un po’) tutti coloro che l’hanno letta ed eventualmente recensita.
Il motivo per cui sto scrivendo questa long-fic è sostanzialmente perché amo la storia, Hetalia e tutte le fan fiction non yaoi su di esso, e volevo vedere come me la cavavo. Spero che vi sia piaciuta, alla prossima! XD

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Incontri fatali ***


 Okay miei gentili lettori, sono mostruosamente in ritardo ma è il mio primo anno all’università, ho avuto un sacco di casini personali ma mi sto riprendendo quindi posto più che volentieri questo cap, che lo so è incredibilmente lungo ma spero che vi piaccia e anche nel caso non vi piacesse fatemelo sapere lo stesso, please XD.
In realtà sarebbe dovuto essere molto più corto ma il ciclo su Roma e i suoi contemporanei sarà di cinque capitoli lunghi e uno breve, poi inizierò a parlare delle nazioni più conosciute in cicli narrativi di un numero variabile di cap. fino ovviamente alla II Guerra Mondiale; sembra una “roba orenda” ma cercherò di postare più o meno regolarmente,e voi sostenetemi un po’, neh?, se vi piace… ma anche se vi fa schifo dovete dirmelo ci tengo XDDD.
Grazie e buona lettura!
 
 
CAPITOLO II: INCONTRI FATALI
 
 
Roma, Anno domini 127
 
Era una splendida giornata di fine estate e un tiepido sole riscaldava la capitale imperiale.
A scapito di ciò, l’aria che percorreva le vie di Roma era fresca e frizzante, e costringeva gli abitanti a girovagare con vesti più pesanti del solito.
Caio Massimo, Impero Romano, si strinse maggiormente addosso la propria toga, giusto in tempo per evitare una sverzata di aria fredda in viso.
Odiava il freddo. Se c’era qualcosa che non poteva sopportare era proprio il freddo.
Fin da quando era nato, il sole aveva baciato sempre le sue giornate, lo aveva sempre accompagnato. La sua terra, la terra italica, era inoltre famosa per il suo clima mite e caloroso.
Ma quel giorno, in fondo, lo tollerò più che volentieri; doversi ricoprire da capo a piedi per riscaldarsi era un ottimo modo per poter passare inosservato.
Caio infatti amava passeggiare come un uomo qualsiasi senza dare nell’occhio, senza essere trattato in maniera particolare, essere a contatto con Roma.
Perché anche se priva degli agi e della bella vita delle classi alte, la vera Roma, secondo Caio, era quella del popolo.
Solo alcuni nel corso degli anni erano venuti a conoscenza di questo suo passatempo, tra i quali il defunto imperatore Traiano, egli stesso complice di tali “fughe”, il suo successore Adriano, e alcuni dei suoi più fidati collaboratori del pretorio.
Alla lista si aggiungeva infine un oste che gestiva una locanda presso il monte Esquilino.
Al suo riguardo accadde tutto per caso: in un giorno di pioggia di alcuni anni prima, la Nazione si era ritrovata fra le quattro mura di quell’ostello per ripararsi dall’acqua.
Bagnato fradicio e decisamente affamato, pensò che non fosse assolutamente il caso di affrontare la tempesta per ritornare a palazzo, così decise di sedersi ad uno dei tavoli ed ordinò a gran voce che gli fosse portato il piatto migliore che quella stamberga era in grado di offrire.
E Publio Cestio, l’oste della Chimera Etrusca, un uomo dal carattere cordiale ma anche estremamente orgoglioso, glielo offrì davvero: spezzatino di agnello con trippe fritte assortite, accompagnato per altro da dell’ottimo vino al miele.
Quel cibo lo aveva estremamente gradito.
Da quel giorno Caio non potè fare a meno di andarci almeno una volta a settimana e ciò lo portò ad entrare in confidenza con il padrone, che dal canto suo lo aveva preso in simpatia.
L’amicizia sincera, nata così, dal nulla, spinse il Rappresentante a rivelare la propria identità.
Caio non potè che sorridere al ricordò all’espressione allibita dell’oste non appena gliela rivelò.
Spinto da quei ricordi, in quella giornata così fresca, non vedeva l’ora di pregustare il vitto e la compagnia sorniona e amichevole della Chimera.
Spronato, accelerò il passo facendosi strada tra la folla.
 
-Ehi puella, dove te ne vai?-
A quel richiamo la ragazza si voltò.
Tre figure massicce si fecero avanti verso di lei, a passi lenti e pesanti.
La squadrarono attentamente, compiaciuti. Era una splendida donna, di circa vent’anni, il cui corpo slanciato, coronato da una cascata di lunghi capelli biondi legati a coda da un nastro rosso, era delimitato da una leggera toga grigia.
Anche lei, li studiò a sua volta. A giudicare dalla loro notevole stazza, la ragazza pensò che fossero degli ex-gladiatori o qualcosa del genere.
-Che cosa volete?- gli domandò ostile
-Lo sai che questi non sono posti che una fanciulla per bene dovrebbe frequentare?-
La giovane si diede della stupida. Ma che le era venuto in testa di tagliare per quella strada? Era in ritardo per andare a lavoro ma lo sapeva fin da quando era solo una bambina che i quartieri bassi dell’Urbe erano il covo di ladri, grassatori e altra feccia simile.
Benché ne fosse al corrente aveva comunque deciso di tentarla. Ora doveva pensare ad un modo per levarsi dai guai ma l’unica cosa che le veniva in mente era quella di sfidarli apertamente.
Si mise allora le mani sui fianchi e disse spavalda – Hai ragione mi sembra che siano più adatti a tre brutti ceffi come voi!-
I volti dei tre si incupirono furiosi e la ragazza maledì per l’ennesima volta la sua impulsività.
Uno dei tre cercò di afferrarle il braccio con uno scatto – Brutta… vieni qui e fa il tuo mestiere!-
La ragazza si divincolò con facilità e si allontanò di alcuni passi
-Non essere pigro, fattelo da solo!- lo schernì
L’uomo, infuriato, cercò di picchiarla, ma la sua preda si dimostrò più lesta, scansandolo e colpendolo al naso.
Il malcapitato, accecato dal dolore crollò a terra tenendosi il naso sanguinante, mentre i suoi due compagni lo oltrepassarono, pronti a vendicarlo
-Questo non lo dovevi fare, mocciosa…-
Il primo le saltò addosso con impeto ma la ragazza, riuscì ancora ad evitarlo scansandosi, mandandolo a finire nella polvere e a schiantarsi contro alcuni barili di immondizie.
Il terzo tagliagole, più accorto, sfoderò un pugnale da sotto la toga e la assalì con dei rapidi affondi, costringendola ad arretrare.
Un colpo ad effetto la ferì alla spalla, e un gridò cristallino le uscì dalla bocca.
In preda al dolore, la ragazza afferrò un coperchio di uno dei barili e si fece scudo con esso, vedendo arrivare un altro affondo.
Il pugnale vi si incastrò.
Facendo ricorso a tutte le sue forze, strappò l’arma dalle mani dell’uomo tramite il coperchio e lo colpì con lo stesso sulla testa.
Il malandrino cadde al suolo tenendosi il capo tra le mani.
Il silenzio era sceso nel vicolo, interrotto solo da alcuni respiri pesanti e rantoli leggeri.
In quel momento di pausa, la ragazza si appoggiò ad un muro tentando di riprendere fiato; la ferita le bruciava e pizzicava incredibilmente, trasmettendole un nauseabondo odore di sangue, quando si accorse di una presenza dietro di lei.
Si voltò di scatto, pronta a reagire, e lo fece giusto in tempo per poter vedere l’enorme mole del balordo che l’aveva assalita per secondo, passarle sopra la testa.
Sconvolta, sentì chiaramente lo schianto del corpo ad alcuni passi di distanza le sue spalle.
-Non riesco a credere che anche di questi tempi, nell’Urbe per di più, si possa assistere a scene del genere…-
La voce, dal timbro chiaramente maschile, proveniva dalla penombra.
La ragazza cercò di scrutare la figura oscurata per capire chi potesse essere ma ne distingueva solo il profilo. Come in risposta alla sue domande, la figura avanzò di alcuni passi e si mostrò chiaramente alla fioca luce del sole. Dalla stazza sembrava un vero Ercole, con il viso incorniciato da ispidi capelli castani e da una leggera barba incolta.
Non riusciva a vedere altro perché la toga che l’uomo indossava, unita alla penombra, occultava il resto del suo aspetto.
-Tutto bene?-
La domanda la riscosse dai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Ricordandosi dei suoi assalitori, si schierò al fianco del nuovo venuto per non dare loro le spalle.
-Per gli inferi e tutti i suoi demoni!- i tre banditi si erano rimessi in piedi e guardavano minacciosi la coppia – Chi sei tu? Che ti impicci dei fatti altrui?-
L’uomo sembrò non dare alcun peso a quei rimbrotti. Si volse piuttosto verso la ragazza e vedendole sanguinare la spalla, strappò un pezzo del suo vestito per fasciargliela, senza che lei glielo impedisse.
-Ehi parlo con te, irrumator*!-
-Vi consiglio di andarvene- rispose l’uomo – se non volete vedermi davvero arrabbiato-
-Quid?-
Il tagliagole furente si stava per scagliare contro l’uomo, ma venne bloccato dal suo compagno –Aspetta Valerio… è meglio se ce ne andiamo- gli disse risoluto.
Prima ancora che potesse replicare gli disse sottovoce di guardare cosa aveva quell’uomo al collo.
Il ladrone aguzzò la vista e vide qualcosa di luccicante attaccato ad una catenella. Non appena li riconobbe sbiancò. Erano piastre militari. Quell’uomo era un soldato. Prendersela con un miles avrebbe portato soltanto guai a dirotto.
Senza dire più una parola i tre si dileguarono in un attimo, allo stesso modo di come erano venuti.
Caio Massimo vedendo la strada libera si mise a ridere compiaciuto: un’altra tacca sulla sua verga delle vittorie!
Si ricordò poi della ragazza affianco a lui –Allora come stai virginem? Tutto bene?-
La ragazza gli fece cenno di si con la testa; stava ancora cercando di riordinare le idee e recuperare il fiato.
-Comunque che ci facevi qui? Questo è un luogo pericoloso, se non fossi arrivato io chissà cosa ti sarebbe successo…-
La biondina sentendo quelle parole, si infiammò –Comunque ti sia ben chiara una cosa, non c’era assolutamente bisogno del tuo intervento, avevo perfettamente la situazione in mano…-
La Nazione era visivamente sorpresa: ciò che stava accadendo era paradossale, com’era possibile che il salvato se la prendesse con il proprio salvatore? E con che arroganza per giunta!
-Oh certo eri proprio in netto vantaggio, si vedeva… che stupido io a non accorgermene!- le rispose canzonatorio
La donna però reagì con più foga di prima puntandogli contro l’indice –Ecco questo è il tipico atteggiamento maschilista che caratterizza la nostra società! Voi uomini non aspettate altro che una scusa per potervi mettere in mostra, per dar prova della vostra virilità ad ogni costo! Tu non mi hai aiutata perché ti sembrava giusto ma solo per avere un occasione di aumentare la tua vanitas!-
Ora quella donna stava esagerando si disse Caio; per Eracle, quale assurdo motivo la spingeva ad attaccarlo in quel modo?
-Ora immagino che te ne andrai in una qualche bettola per raccontare tutto ai tuoi degni compari tracannando vino a barili, pensando di essere chissà quale grande eroe, ma la realtà è che tu e tutti gli altri siete solo dei boriosi sbruffoni!-
-Ora basta ragazzina! Non so che demone ti abbia posseduta ma le tue sono solo indegne farneticazioni! Questa grande nazione è stata costruita sul sangue, i sogni, gli ideali e la fatica di noi uomini, uomini che tuttoggi sono modelli di virtus ed esempi per le nuove generazioni!-
I loro nasi quasi si sfioravano tanto si erano avvicinati tra loro, trainati dall’impeto.
-Davvero? Allora sarà il caso che ritorni a farti insegnare la nostra storia dal tuo pedagogo, e allora si che rammenterai le grandi donne che hanno partecipato alla crescita di questa città e che io ammiro profondamente!-
-Beh spero per tutti e due che tu non ti stia riferendo a Tarpeia**-
Lo schiaffo rimbombò nel vuoto del vicolo.
La ragazza scappò rossa in viso, furiosa e imbarazzata al tempo stesso
Caio dal canto suo era rimasto immobile nella sua posizione, leggermente inchinato avanti, inebetito e disorientato.
Lo aveva schiaffeggiato. Lei, la donna che aveva salvato, lo aveva schiaffeggiato. Lui che era intervenuto a salvare una perfetta sconosciuta per puro senso del dovere, era stato schiaffeggiato.
LUIche aveva SALVATO una perfetta SCONOSCIUTA, verso cui NON aveva alcun OBBLIGO, preservando in tal modo la sua PUREZZA, era stato, non solo SBEFFEGGIATO e OFFESO nel suo orgoglio di romano e di uomo, ma anche MALMENATO dalla stessa persona che aveva SALVATO?!
La rabbia gli stava montando in corpo con la stessa forza di uno stallone imbizzarrito  .
Corse verso lo sbocco che dava sulla strada principale, squadrando furioso tutti i passanti.
Svanita.
-Ragazza!- si ritrovò a gridare fuori di se – Stai pur certa che la prossima volta che rischierai di essere violentata, non verrò assolutamente in tuo aiuto ma piuttosto mi aggiungerò a…-
L’uomo ebbe l’accortezza di fermarsi prima di terminare la frase.
Imbarazzato, sentì su di se gli sguardi scioccati della gente che in quel momento stava passeggiando lungo la via.
Senza perdere tempo e premendosi ancora di più addosso la toga, fuggì il più lontano possibile da quella folla di curiosi.
 
-Ira breve insania est. Ira breve insania est. Ira breve insania est… è tristemente vero…-
Caio era ormai a pochi passi dalla soglia della Chimera cercando in tutti i modi di scrollarsi di dosso il ricordo della figuraccia che aveva appena fatto. Se qualcuno degli uomini di corte lo fosse venuto a sapere, specie se uno dei suoi commilitoni, la sua immagine ne avrebbe risentito parecchio.
Non che la sua fama di amante del compagnia femminile fosse sconosciuta ai più, anzi, ma quel minimo di decoro e di integrità aveva fatto di tutto per mantenerlo.
In fondo gli eccessi non gli erano mai andati a genio… a meno che non ci fossero state le condizioni che lo permettessero!
Solcato l’ingresso venne subito accolto da un acuto odore di carne cotta.
-Caio!-
Publio, l’oste, gli venne incontro entusiasta –Mi pareva strano che questa settimana non fossi ancora venuto! Incominciavo ad essere in ansia-
I due si strinsero la mano amichevolmente –Eh che ci vuoi fare, a corte ognuno ha le sue grane, e io più di altri…-
L’uomo lo fece accomodare ad uno dei tavoli –Senti sei arrivato giusto in tempo, ancora una decina di minuti e lo spezzatino è pronto, poi mando tutti a quel paese e mi siedo con te a brindare un po’, che ne dici?-
-Non chiedo di meglio!-
-Perfetto, tu aspetta qui, intanto ti farò portare del vino, mi sono appena arrivati una decina di barili direttamente da Volterra, una delizia ti assicuro-
Publio si voltò e urlò a piena voce –Camilla! Porta immediatamente una brocca di vino, prendilo dai barili dell’ultima spedizione! Fai in fretta!-
Il Rappresentante si mise in allerta –Hai preso una nuova cameriera? E da quando?-
-Mah, da una settimana appena. È brava ma a volte sapessi che caratterino… una così è meglio perderla che trovarla, credimi-
- È bella almeno?- gli chiese con tono insistente.
L’uomo si abbassò verso di lui ghignando – Se è bella? Caio, da quando è qua, mi ha raddoppiato i clienti che vengono qui solo per vederla!-
Una strana luce balenò negli occhi di Caio –Non vedo l’ora di conoscerla-
L’oste rise –Si, ma adesso dov’è finita? Camilla! Sempre in ritardo accidenti a lei! Datti una mossa! Camilla!-
Si diresse verso il bancone per poi scomparire in cucina.
Dalla sua posizione, la Nazione poteva soltanto sentire le urla dell’uomo, che, doveva ammetterlo, aveva una voce davvero potente. Se fosse stato nel suo reparto quando era in servizio, avrebbero potuto fare a meno del trombettiere: sarebbe bastato dirgli di gridare “Carica” o “Ritirata” al momento opportuno.
Ad un certo punto le grida si placarono e potè sentire chiaramente i passi leggeri di una donna. Erano decisamente aggraziati, quindi non potevano appartenere ad una schiava qualsiasi, priva di una qualche esperienza. Poteva essere una liberta, una schiava affrancata.
La donna si stava avvicinando sempre di più al suo tavolo.
La curiosità lo stava divorando: Publio aveva detto che era straordinariamente bella, e l’uomo iniziò ad immaginarsela in tutti i modi possibili.
Fu allora che ne sentì la voce –Prego signor cliente, ecco il suo vi…-
L’uomo alzò lo sguardo verso il viso di lei, e sgranò gli occhi. Di fronte a lui stava la ragazza che aveva incontrato poco prima nel vicolo.
La donna reagì quasi alla stessa maniera. A differenza dell’uomo lei aveva appresso un vassoio con boccali e una brocca piena di gustoso vino rosso, che le scivolò frantumandosi al suolo in mille pezzi e inzaccherando il pavimento in terra battuta.
-Tu!- gridarono all’unisono.
Dalla cucina fuoriuscì un verso simile ad un rantolo di dolore –Camilla!-
Publio Cestio, paonazzo dalla furia, rientrò nello stanzone, urlando a tutto spiano –Camilla se quello era il rumore di una brocca andata in pezzi, preparati ad essere traghettata dall’altra parte dello Stige!-
Trovò i due l’uno di fronte all’altra che si fissavano ammutoliti –Che cosa è successo qui?-
La Nazione fu la prima a riprendersi – Ah... ecco, mi stava passando la brocca ma mi è scivolata e si è spaccata. Mi spiace Publio ti pagherò i danni-
-Non ti preoccupare- fece l’uomo –non importa, ti porterò subito il tuo pasto. Camilla…-
Sentendosi chiamare la ragazza tornò in sé -Porterò dell’altro vino…- disse meccanicamente.
Dopo aver bofonchiato un paio di ulteriori scuse Publio si allontanò con la ragazza al seguito. Era così imbarazzato che si era pure dimenticato di chiedere a Caio cosa ne pensasse di Camilla.
La Nazione invece non sapeva che pensare. Che razza di demone lo stava perseguitando per avere così tanta sfortuna?
Oppure poteva considerarla un colpo di fortuna? Se non altro avrebbe potuto sapere il perché di quella sfuriata…
La ragazza era già di ritorno. Appoggiò la brocca nuova e i boccali senza dire una parola, rimanendo poi immobile come in attesa di un ordine.
Mentre si versava del vino, Caio la fissò di sottecchi: era davvero bella! I capelli color del grano, la pelle rosata leggermente abbronzata, le curve sinuose delineate dalla tunica.
Non  c’era di che dire, Publio aveva pescato una dea; prima non ci aveva fatto caso ma ora aveva l’occasione di farsi e rifarsi gli occhi.
-Beh? Hai perso la lingua o ti sei data al mutismo?-
Un inizio coi fiocchi
La ragazza sembrò non raccogliere la provocazione –Desidera qualcosa dominus?-
-Cos’è hai anche tu una certa voglia irrefrenabile?- disse lanciandole una occhiata languida.
I muscoli del collo della ragazza si tirarono. Stava perdendo la pazienza!
-Senta…- disse avvicinando pericolosamente la mano verso il manico della brocca- non credo che per padron Publio averne una in meno faccia una così gran differenza… solo che stavolta ho l’impressione che andrà a fracassarsi su qualcos’altro-
L’uomo l’afferrò prima che accadesse l’irreparabile –Per favore lascia stare il vino. Spacca una panca, un tavolo, la testa di un passante, ma il vino non toccarlo-
Con un leggero sogghigno divertito le fece cenno di sedersi –Credo che dovremmo parlare…-
-Sono in servizio- gli rispose
-Uhm… non c’è nessuno a quest’ora… è sul tardi che qui viene la gente a bere e divertirsi, quindi tranquillizzati e concedimi il privilegio della tua compagnia- concluse ironico
La ragazza soppesò la proposta.
Con un movimento secco si sedette di fronte all’uomo, che riempì anche l’altro dei due boccali e glielo porse.
Lei lo afferrò ma non bevve. Fissava l’uomo in attesa.
Caio invece, con assoluta tranquillità, tracannò il suo e si apprestò a prepararne un altro.
-Guarda che sto aspettando- iniziò
Camilla lo squadrò accigliata –Cosa?-
Caio posò la brocca –Le tue scuse, mi sembra ovvio-
Camilla strinse la mano intorno al suo boccale, furiosa
-Ah- aggiunse l’uomo –e anche una spiegazione-
Il Rappresentante squadrò la ragazza con attenzione –Davvero, me lo devi, e se sei una vera figlia di Roma sai che i debiti si pagano sempre-
Il silenzio accolse la richiesta dell’uomo. Pian piano la rabbia lasciò andare la ragazza, che sospirando si apprestò a parlare -Ti… ti porgo le mie scuse…-
-Caio. Mi chiamo Caio-
-Un nome piuttosto comune… ti porgo le mie scuse Caio, mi sono comportata in maniera vergognosa. Tu mi hai salvato e come ringraziamento ti ho attaccato come se fossi un criminale, mi dispiace-
-Oh non dire così- le rispose sorridendo – li avresti sistemati come niente, erano solo dei balordi-
Il tono scherzoso del romano le strappò un sorriso –Ah giusto, mi spiace anche per lo schiaffo, ma ero fuori di me… mi sono sentita ferita-
Caio la guardò stupito –Ti riferisci a Tarpeia? Beh mi spiace ma una provocazione era l’unica cosa che in quel momento mi fosse venuta in mente… non pensavo che l’avessi presa così sul personale-
-Non è colpa tua, è una cosa mia-
La ragazza a quel punto si fermò, come se non volesse dire altro. La Nazione invece si stava incuriosendo.
-Avanti parlamene, sono curioso-
Camilla guardò prima l’uomo, poi il boccale e poi nuovamente Caio.
-Davvero mi interessa, voglio saper più cose di te-
La ragazza, allora, bevve un po’ del suo vino e, schiaritasi la voce, iniziò a parlare – È una storia un po’ vecchia. Sono una liberta, mio padre è uno degli addetti alla prevenzione degli incendi in città e tramite il suo lavoro è riuscito a dare a me e a mia madre un che di vivere dignitoso. Ma per noi non è comunque facile…-
-Ma voi siete cittadini liberi, che problemi…-
Come colto da una rivelazione, l’uomo si fermò di colpo, guardando serio la ragazza.
-Immagino avrai capito- continuò lei – i romani nati da una famiglia di origini cittadine guardano con superiorità quelli come noi-
-Stronzate- berciò Caio riempiendosi nuovamente il boccale
-Eppure è così. Ma io ti assicuro che mi sento davvero romana; mio padre mi ha fatto studiare fin da bambina presso un magister nostro amico e mi ha cresciuta secondo i valori e il loro rispetto.
-Adoro Ersilia***, era una donna estremamente coraggiosa, nobile e buona… vorrei assomigliare a lei-
Caio sorrise –Era una di quelle donne che dicevi che hanno forgiato la nostra società?-
-Esatto- annuì decisa –e tutte le volte che mi ritrovo a difendere le mie posizioni, tutti mi citano Tarpeia: “Tarpeia la traditrice”, “Tarpeia la stupida”, “Tarpeia la meretrice”, odio profondamente quella donna!-
Il pugno di Camilla sbatté violento sul tavolo, facendo traballare il vino.
Caio dovette ammetterlo, si sentiva in colpa. Lui era un uomo e di estrazione sociale elevata per di più, suo padre aveva rappresentato Roma dalla cacciata del re etrusco, e inoltre era pure un eroe di guerra che ricopriva una delle più alte cariche statali: benché amasse la Roma del popolo, si rese conto che certi suoi aspetti non li aveva quasi mai seriamente considerati.
Si ritrovò a guardarla: il sole, fattosi strada attraverso una finestra, faceva capolino su i suoi capelli biondi.
Era splendida, una donna per cui decine di uomini si sarebbero ammazzati tra loro solo per poterla avere. Anzi pensandoci meglio, notò che non era proprio così.
Lei era troppo intelligente e troppo indipendente perché potesse piacere a tutti. Benché fosse una cosa alquanto meschina, molti dei suoi conoscenti l’avrebbero pensata così.
Camilla apparteneva a quel tipo di donne che solo alcuni uomini potevano amare, che solo alcuni uomini l’avrebbe voluta al loro fianco, cioè i migliori. Uomini che non si accontentavano della pura bellezza esteriore… uomini come…
Il filo dei suoi pensieri si bloccò in quel punto, sia per la piega che stavano prendendo, sia per un altro motivo molto più importante.
- M-ma stai piangendo?-
Un rivolo luccicante stava scendendo lungo la liscia guancia della ragazza, con il viso abbassato, sguardo fisso sul tavolo.
Con un gesto leggero della mano, cosa inaspettata per uno della sua stazza, la Nazione levò le lacrime dal suo viso.
-Ehi, ehi che ti prende? Non fare così…-
Camilla nonostante fosse colpita da quell’atto e dal cambio di tono dell’uomo, cercò lo stesso di allontanare la grossa mano del romano
-Smettila…- gli disse con voce tremula– o penserò che lo stai facendo con secondi fini-
Caio però non mollava anzi spostò la mano sulla sua spalla – Ascolta non so quanto possa valere, però sono sicuro che se la gente conoscesse anche solo metà di te, riusciresti facilmente ad oscurare il ricordo di Tarpeia-
La donna alzò il viso, gli occhi ancora lucidi e leggermente arrossati.
-Sei una ragazza straordinaria Camilla, e nessuno potrà mai dire il contrario, senza dire una menzogna-
I due si stavano perdendo l’uno negli occhi dell’altra, i loro sguardi si facevano sempre più intensi e la realtà circostante iniziava a diventare come vaporosa, inconsistente, superflua in quel momento.
Solo un eco lontano era ancora percettibile. Un brusio insistente, di sottofondo in quell’atmosfera idilliaca. Quel sibilo però si faceva sempre più percettibile e distinto, sempre più forte, sempre più nitido…
-Camilla!!!-
Il grido fece rinvenire con un balzo i due incantati, riportandoli alla realtà concreta.
Una realtà piuttosto inviperita per giunta!
-Camilla!- berciò Publio Cestio con tutta la forza della sua possente ugola –Che diamine stai combinando? Non hai visto che sono arrivati dei clienti? Spicciati a prendere le ordinazioni!-
La ragazza senza proferir parola si alzò dalla sedia e si avvicinò ai nuovi venuti chiedendo cosa desiderassero.
Publio intanto poggiò soddisfatto il vassoio con lo spezzatino proprio sotto il viso di Caio
–Ecco qua, siete servito meum dominum- scherzò l’oste sedendogli di fronte –Allora che mi racconti?-
Il Rappresentante però era ancora imbambolato, come scioccato.
-Ehi? Caio? Che ti piglia?-
A quel richiamo sembrò risvegliarsi –Cosa?-
-Ti ho chiesto cosa avevi di nuovo da raccontarmi… ma che cos’hai? Mi sembri un po’ perso tra le nuvole oggi, che ti è successo?-
Caio lanciò un’occhiata veloce alla bionda cameriera, intenta a portare del vino agli altri clienti –Credo di essere stato conquistato****…-
 
Erano passati alcuni giorni da quell’incontro alla Chimera, giorni pieni di dubbi e di pensieri. Caio Massimo non sapeva che pensare riguardo questi suoi sentimenti. Non era la prima volta che gli capitava di essere più che attratto da una donna, sapeva per esperienza cosa fosse e come ci si sentisse.
Ma questa volta si sentiva diverso, era qualcosa di particolare: per Giove, che l’avesse imbroccata?
In ogni caso doveva fare qualcosa e farla in fretta. Il suo essere sovrappensiero iniziava ormai a farsi notare e ad essere oggetto dei numerosi pettegolezzi di palazzo: e l’idea che qualcuno mettesse in giro voci su suoi presunti figli illegittimi, o debiti di gioco o altri similari aneddoti imbarazzanti non gli andava particolarmente a genio.
 
La luce del sole stava scemando ed erano ormai passate quasi due ore. Due fredde e lunghe ore spese ad osservare il via vai di clienti della Chimera; era quasi il tramonto e Caio non aveva idea di quanto avrebbe ancora dovuto aspettare. Iniziò a prendere in considerazione l’idea di mandare qualcuno a chiamarla, piuttosto che aspettare la fine del suo turno.
Alla fine decise di attendere: aveva affrontato le gelide notti germaniche presso il Reno al fianco del Comandante, un po’ di fresco non lo avrebbe neanche sentito.
“Certo che la vita riserva davvero delle strane trovate –pensò l’Impero- ti presenta dei cambiamenti improvvisi quando meno te l’aspetti…”
Gli venne in mente suo padre, Lucio Massimo, Res Publica Romana; mantenne il suo titolo per benquattrocentosessantasei anni, servendo Roma e la sua causa con fierezza e onore, mai un incertezza mai un dubbio. Poi la vita lo mise di fronte ad una ardua scelta: servire e legittimare il Comandante o Pompeo.
E lui scelse Pompeo, ma solo perché il senato si era schierato al suo fianco. Lucio non era stupido, sapeva a che gioco stessero giocando lui, il Comandante e quell’altro, da dieci anni alle spalle dello Stato. Compì solo il suo dovere. E suo figlio fece lo stesso.
Ma non fu quella la più difficile; anni dopo, alle idi di Marzo, fu in quel momento che la vita gli mostrò un bivio definitivo, dal quale non sarebbe potuto tornare indietro. E lui scelse.
Ripensando a quella primavera di centosettant’anni fa, Caio fu percorso da un brivido. Certe esperienze possono lasciare segni, duri a dissolversi anche dopo interi decenni.
-E non tornare mai più!-
Il grido di Cestio, carico di rabbia come mai lo aveva sentito, accompagnava la bionda figura di Camilla, intenta ad uscire, livida, dall’ingresso dell’osteria.
Caio intuì immediatamente che cosa potesse essere successo e vedendola allontanarsi decise di seguirla.
La ragazza camminò di buon passo, quasi serrato, in modo da allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo.
Dopo parecchi metri, come priva di forze, si appoggiò con la schiena al muro di una delle numerose botteghe della via; fissando il cielo rossastro, senti come un groppo alla gola e cominciò a piangere.
Non voleva farlo, ma non riusciva a smettere. Furiosa, iniziò a colpire il muro alle proprie spalle con le mani chiuse a pugno, mettendoci più forza che poteva.
Caio le si avvicinò, ma la ragazza era talmente presa dalla propria sofferenza che non lo notò nemmeno.
La chiamò ma sembrò non sentirlo. Allora le afferrò la spalla come a scuoterla e Camilla sembrò riprendersi.
La donna lo guardò stranita, come non riconoscendolo
-Ah… sei tu…- disse poi strofinandosi gli occhi per togliere le lacrime –Che ci fai da queste parti?-
Caio rispose restando sul vago –Passavo di qua… niente di particolare-
Camilla lo guardò di sottecchi –Hai visto non è vero?-
L’uomo non si aspettava un attacco così diretto e non potè che annuire –Si, non ho potuto evitare. Cos’è successo?-
- Un uomo- disse indirizzando lo sguardo verso la Chimera – Ci ha provato con me mentre servivo ai tavoli. Più volte. Io l’ho ignorato ma poi ha cercato di allungare le mani, allora l’ho respinto più seriamente e non l’ha presa bene. La situazione è precipitata e… e…-
-Gli hai fracassato una caraffa in testa- concluse il romano
La ragazza annuì –Mi ha cacciata via, capisci? E io ho solo provato a difendermi…-
Le lacrime ricominciarono a scenderle lungo le guance accompagnate da grevi singhiozzi.
Caio non sapeva bene che fare. Consolare una donna non è una cosa facile e lui non c’era molto avvezzo. Decise di agire. L’afferrò e, prima che se ne potesse rendere conto, la strinse a sé, appoggiandole una mano sopra la testa.
Le disse sottovoce di sfogarsi e di lasciarsi andare, l’avrebbe calmata.
Dopo un momento di stupore e imbarazzo, Camilla si abbandonò al pianto.
Restarono così alcuni istanti finchè, accortosi che il peggio era passato, Caio non la lasciò andare.
-Come va? Meglio?-
La donna annuì leggermente
–Grazie- disse guardandolo riconoscente –per questo e anche per l’altra volta… mi ero dimenticata di dirtelo-
L’uomo le mostrò un sorriso luminoso –L’ho fatto con piacere non mi devi niente-
Seguì un istante di silenzio, in cui nessuno dei due seppe che dire.
Caio decise di puntare ancora sull’istinto. Finora gli era andata bene perché non proseguire, allora?
-E ora che farai?-
-Mah, proverò a trovare un altro lavoro, in fondo la Chimera non è l’unica osteria di Roma-
La bionda fece per andarsene  –Io adesso vado, mi aspettano per cena… ti ringrazio di nuovo per tutto quello che hai fatto per me-
-Aspetta!-
La ragazza si voltò e nel farlo lo osservò da capo a piedi. Si rese conto per la prima volta di quanto fosse imponente quell’uomo. Non ricordava di aver mai visto un romano di tale altezza, e i suoi muscoli non avevano  nulla da invidiare ai gladiatori del Teatro Flavio. Il viso era invece in netto contrasto: i suoi lineamenti non erano ruvidi ma lineari, curvi, non incutevano timore ma trasmetteva un senso di cordialità.
Camilla ne rimase colpita, come se quell’uomo trasmettesse una strana aura, una sensazione che non aveva mai percepito prima. Chi era davvero Caio? Cosa lo rendeva diverso?
Caio si mise una mano dietro la testa imbarazzato – Senti… volevo chiederti…-
Dannazione! Ma che stava facendo? Era forse più facile abbordare una ragazza che farle una semplice domanda?
Forse… era il tipo di domanda che la rendeva difficile da pronunciare.
Camilla lo stava guardando interrogativa, più bella che mai.
-Oh insomma, te lo chiedo direttamente… Camilla vorresti diventare la mia donna?-
Un silenzio teso scese sulla via, come se ogni cosa stesse trattenendo il fiato.
La bionda lo guardò stranita, come se l’avessero appena avvisata di una disgrazia.
- C-come?- le rispose scioccata
-So che può sembrare strano… ma è quello che sento, è quello che voglio. Ti ho conosciuto da poco ma da quando è accaduto mi sei entrata dentro, con il tuo carattere, con la tua bellezza… -
Vedendola ancora turbata decise di fuorviare ogni dubbio –Aspetta, non ti sto chiedendo di sposarmi, qui adesso o tra due giorni, questo no… capisco che sarebbe un passo troppo lungo e che non ci conosciamo abbastanza, per questo voglio conoscerti a fondo prima, in tutti i sensi…-
Un silenzio imbarazzato scese tra i due. Camilla arrossì profondamente e Caio capì di aver detto una idiozia –No, un momento! Mi sono espresso male, scusa!-
Che figuraccia…pensò l’uomo, doveva rimediare in un qualche modo – Camilla… io non ho fatto altro che pensare a te, a noi e a ciò che potremmo essere, in questi ultimi giorni. Non sono mai stato così sincero e serio, spero che tu possa credermi…-
La Nazione si azzittì, aspettando una risposta.
La ragazza, ancora leggermente rossa in viso, lo fissava intensamente, seria. Vedendola con quell’espressione in viso, Caio cominciò a pensare al peggio e si preparò a ricevere un secco e doloroso…
-Chi sei?-
La domanda fece rimanere basito l’uomo –C-come?-
-Chi sei tu in realtà? Qual è il tuo vero nome? A che rango appartieni? Da dove vieni?-
Di fronte a quell’insistenza, a quello sguardo così deciso, Caio si arrese, preferendo essere sincero, dovendo dovuto dirglielo prima o poi. Si apprestò a parlare ma Camilla lo anticipò ancora, avvicinandoglisi –Prima che tu mi risponda voglio dirti che non mi importa-
-Non mi importa sapere chi tu possa essere, se sei un ricco o un povero, un faber o un equites, perché ho capito che sei una persona buona e sincera, che porta con onore la propria vita e che sei gentile… in quel poco tempo in cui sei entrato nella mia vita, mi sei stato accanto e mi hai aiutato come solo pochi hanno fatto… per questo non importa-
Caio all’udire quelle parole si sentì come riscaldare, sentiva come di aver trovato qualcosa che da lungo tempo stava cercando. Ripensò a Traiano, ai suoi discorsi e si disse che aveva ragione.
Camilla proseguì –Per questo ti dico di si-
Caio si sentì come sollevato, leggero, privo di peso. Si vergognava ad ammetterlo anche solo a se stesso, come se fosse la prima volta che si rapportava con le donne.
Fu allora che la prese a se, cingendole i fianchi con leggerezza, come se avesse paura di poterla rompere,  e la baciò. Un bacio semplice, niente di pretenzioso, ma durò a lungo, incoraggiato da quella stessa atmosfera che li aveva colti quella volta all’osteria, in cui tutto si faceva impalpabile e idilliaco.
Non appena si staccarono Caio le sussurrò –Davvero non ti interessa sapere chi sono?-
-La curiosità mi tenta… ora che ti ho detto ciò che provo non ti frenerò…- gli disse sorridendogli
Caio le rispose sorridendo anch’egli – Mi chiamo Caio Massimo e sono colui che rappresenta il grande impero che si propaga dalle fredde terre della Britannia alle roventi sabbie dell’Africa; sono il custode di tutto il suo popolo, rappresento la sua forza vitale, la sua unità… sono colui che ha ricevuto il compito di proteggerlo in caso di bisogno e di legittimare coloro che lo guidano…-  
Camilla alzò gli occhi leggermente scioccata –C-come?-
-Non si sa perché, ma ogni popolo ha un rappresentante, che è come se ne incarnasse il sentimento…-
- Tipo i Lari e i Penati?- domandò la ragazza
-No, no… - le rispose ridendo –non sono un semi-dio o altre figure del genere. Non si sa perché siamo stati scelti proprio noi tra tutti, ma credo che sia un po’ come quando si eleggevano i dictators nei tempi della Repubblica, inoltre abbiamo molte limitazioni…-
I due restarono a guardarsi per alcuni secondi –Beh? Come ti sembra?-
Camilla fece una piccola smorfia con il labbro –Un po’ scioccante più che altro- lo abbracciò –ma penso che mi ci abituerò-
Il sole stava ormai facendo capolino, illuminando la terra con i suoi ultimi raggi e una leggera brezza si alzò, percorrendo la via.
-Senti un po’ Caio…- disse Camilla ancora con la testa poggiata al petto dell’uomo –per te è un problema se continuo a cercare lavoro?-
Caio la guardò, stupito dalla richiesta. Iniziò a ridere come un matto.
Camilla lo guardò strana –Che c’è? Che ho detto?-
-Puoi fare quello che vuoi, non sono il tipo che impedisce agli altri di fare ciò che meglio credono!-
-Bene- gli rispose serena
-Sai che facciamo? Adesso torniamo da quel testone di Publio e gli spieghiamo tutto, vedrai che capirà-
La ragazza soppesò la proposta –D’accordo… però fa parlare prima me, se no penserà di doverlo fare solo perché sono la tua donna-
Caio assentì con la testa –Come preferisci… ricordati però che devi farti assumere, non farti cacciare via di nuovo…-
-Sei la simpatia fatta persona, anzi no fatta impero!-
Caio le porse la mano sorridendogli e le fece cenno di avviarsi.
La coppia si allontanò in direzione dell’osteria, lasciandosi alle spalle una strada vuota, ormai quasi presa  dall’oscurità.
Dall’interno delle botteghe iniziarono ad accendersi le prime luci, in vista della notte. Un artigiano piuttosto anziano stava terminando gli ultimi preparativi per la chiusura, spazzando il portico fuori dalla propria bottega.
Riuscì a scorgere la coppietta che si era appena allontanata e sospirando proclamò –Bah, i giovani d’oggi… dove andremo a finire!-
 

Risposte alle recensioni:
 
Lady ToreumaMariot: scusa il ritardo con cui ti rispondo, comunque grazie per la recensione e si Impero Romano d'Oriente ci sarà e avrà una parte importante nella storia.

Un grazie a tutti i lettori e ma uno particolare a:

*mira kokoro

per avermi messo tra i preferiti. Ma anche a:

*Kuro_Renkinjutsushi
*Prussia e Spagna
*Sokew86
*Yagu93

per avermi messo tra i seguiti.


* significa “pezzo di mer…”
 
**Tarpeia era una vergine vestale, figlia del comandante della cittadella romana, Spurio Tarpeio, che ai tempi di Romolo fu corrotta con dell'oro dal re sabino, Tito Tazio, e permise che armati nemici entrassero nella cittadella fortificata con l'inganno.
 
*** Esistono differenti versioni su Ersilia, su con chi fosse sposata prima e dopo il famoso “Ratto delle Sabine”, e i contendenti sembrano essere Romolo e Ostio Ostillio, avo del terzo re di Roma. Fatto sta che fu un'eroina romana, era tra le Sabine rapite, la più nobile e la più attiva fra le mediatrici che si interposero fra Romani e Sabini riportando la pace. Camilla la considera come la moglie di Romolo.
 
**** Non vorrei che non fosse chiaro questo gioco di parole: “conquistato” è inteso come “innamorato” ma fa riferimento anche al significato letterale in quanto Caio è una Nazione… come sono spiritoso, neh? (ehm…)

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Fare i conti con il passato ***


Oh, sono convinto che questi cap piaceranno a tutti i fan delle nazioni antiche! A farla da protagoniste in questo capitolo e nel prossimo oltre al nostro caro, e vetusto (XD), Caio “Impero Romano” Massimo, saranno anche Antica Grecia e Antico Egitto, entrambe già presentate, almeno nominalmente, da quel "folle" di Himaruya, ma ovviamente non mancheranno alcuni miei characters inediti che devo presentare in questa sede, dato che non potrò, purtroppo, dare loro spazio in altri capitoli (salvo vostre esplicite richieste XD).
Devo ammettere che è uno dei tanti cap che avevo voglia di scrivere proprio per i personaggi contenuti, spero che vi piaccia.
 
 
CAPITOLO III: FARE I CONTI CON IL PASSATO
 
 
Porto di Atene, Anno Domini 128
 
-Calate l’ancora!-
Alle secche grida del capitano della galera, i marinai iniziarono le manovre per l’attracco della nave in  porto.
La grossa nave battente i simboli di Roma era giunta dopo numerosi giorni di viaggio nelle tranquille acque del canale di Salamina destando nel popolo greco una certa curiosità; non era una cosa di tutti i giorni che una nave imperiale si mostrasse in quelle zone, nonostante gli antichi fasti di cui il celebre Porto era insignito.
Un tempo ormai lontano da esso partivano le triremi ateniesi, trasportando merci, soldati, politici a seconda delle necessità.
Ma ora ad Atene aveva altri signori a cui fare reverenza, e come lei anche Sparta, Corinto, Tebe e ogni altra città o villaggio della Grecia, a dire il vero.
Ora la “Culla della cultura”, non era che altra provincia dell’Impero e come tale veniva trattata.
L’Imperatore Adriano l’aveva scelta come una delle sue mete principali per ovviare al progetto politico che aveva pensato, che prevedeva la concretizzazione delle provincie e il consolidamento dell’impero in una sola grande entità, salda e pacifica. Sarebbe stata la sua seconda visita ufficiale in Grecia, dopo quella di due anni prima, ma la prima che avrebbe visto al suo seguito lo stesso Impero Romano. Era solo una tappa intermedia, tra gli importanti reclutamenti in Mauritania e la visita alla Siria, ma all’imperatore era molto cara quella regione e non se l’era fatta mancare. 
Come da protocollo, il Rappresentante lo avrebbe anticipato di qualche giorno e avrebbe fatto predisporre ogni cosa per celebrare il suo arrivo in grande pompa, avvalendosi delle autorità locali.
Intorpidito dal lungo viaggio, scese lentamente la passerella che collegava il pontile al terrapieno, cinque pretoriani al seguito.
Toccata la terra ferma, respirò a pieni polmoni l’aria salmastra proveniente dal mare, rilassando le membra indolenzite, dando poi disposizione al capitano che facesse scendere dalla nave le cavalcature che avevano portato con loro.
Caio Massimo era sbarcato in terra greca da solo pochi secondi e già divenne preda dei ricordi: era passato quasi un secolo dall’ultima volta che aveva toccato le sue verdi terre, da quando aveva rivisto loro a Filippi…
 
“Io rappresento la Res Publica, Caio! Era mio compito schierarmi con chi ne voleva difendere gli interessi!”
“E valeva scatenare una nuova guerra per questo? Cesare aveva riportato la pace dopo decenni di guerre fratricide ed questo il tuo ringraziamento?!”
“Sei un ingenuo figlio mio! L’ammirazione è il peggiore fumo negli occhi degli uomini… ma ora non ha importanza… sarà la spada a decidere”
 
Quell’immagine gli comparve in mente come un lampo e un brivido gli percorse le membra.
Anche dopo anni, le ferite del passato sanno ritornare vivide come lo erano un tempo.
Non appena gli portarono la cavalcatura, vi montò sopra con un movimento rapido e invitò la sua guardia a fare lo stesso. Dovevano raggiungere la città di Atene prima di sera, nel pomeriggio sarebbe stato l’orario ideale. 
 
 
 
Una vasta proprietà nei pressi di Atene, quel pomeriggio
 
Il romano si trovava immobile di fronte alla villa già da alcuni minuti.
Le faccende burocratiche presso il palazzo del Propretore si erano svolte senza troppi ritardi e Caio aveva pensato di avere abbastanza tempo per fare il giorno stesso una visita, o meglio, La visita.
Si strofinò il viso con le mani, si diede una sistemata ai capelli, masticò della menta, e infine entrò.
I romani sono conosciuti per non avere paura di nulla, ma ci possono essere sempre le dovute eccezioni…
Sorpassato l’arco d’ingresso e attraversato un viale alberato, scalò una serie di gradini che portavano alla villa vera e propria. Infatti essa si trovava sopra una collina, anche se il giardino e la muratura cominciavano già ai piedi dell’altura.
Caio notando quel particolare, si ritrovò a pensare che la sua ospite sentiva malinconia dell’Acropoli…
Raggiunta la cima della scalinata, non ebbe fatto neanche un passo che sentì un -Caius?-
Quel latino fortemente accentato, reso unico però da una voce soave come un coro di flauti, poteva appartenere solo ad una persona -Asparsia-
La Rappresentante della Grecia e del mondo ellenico tutto, gli apparve sulla soglia della sua abitazione, vestita di una tunica azzurra e dai lunghi capelli castani raccolti in una crocchia.
-Caius!-
La donna gli corse incontro visivamente felice di vederlo. Caio, non da meno, allargò le braccia sorridendole solare.
I due Rappresentanti si abbracciarono con forza, come increduli di essersi incontrati dopo tutti quegli anni. Il forte odore di olive di cui erano impregnati i capelli di lei, gli colpì i sensi, mandando la sua mente indietro nel tempo, ad un epoca lontana, al suo soggiorno greco durante le guerre contro Cartagine.
Ai giorni sereni passati nell’aspra terra di Grecia, tra cavalcate, addestramenti, studi… e Asparsia.
La donna che incarna in se tutte le virtus della sua terra, la bellezza del suo mare, la sapienza dei suoi filosofi, la forza dei suoi eserciti…
Caio sciolse l’abbraccio e la osservò sorridendo
-Allora cosa mi racconti?- si espresse in koinè, la lingua greca comune
-Che vuoi che ti dica? Ormai i greci sono diventati sottoposti dei romani, sono privi della loro libertà e tutto grazie ad una persona di mia conoscenza…-
Il romano la guardò accigliato –Non ti sembra di esagerare?-
-Per niente- gli rispose lapidaria –anzi sono alcuni anni che sto incominciando a sentirmi più debole e stanca…-
Caio, sconvolto, la fissò in viso, un viso fattosi triste e cupo. Rimasero a fissarsi in silenzio per alcuni istanti che all’uomo parvero lunghi come ore poi la donna si lasciò andare ad una risata cristallina –Sto scherzando! Caio rilassati, finchè i Greci saranno ciò che sono tutt’oggi, un popolo unito e con una forte identità, puoi star certo che mi troverai sempre qui-
-Non è divertente, Asparsia…-
Caio si era dimenticato di rievocare anche la disarmante linguaccia del popolo greco…
-Ti chiedo scusa- gli disse incominciando a passeggiare per il giardino della villa, seguita dal romano -però non sono forse le regole di questo strano “gioco” che ordinano i rapporti tra i popoli? Il più forte si impone sul più debole, ma sta al forte essere anche abbastanza saggio da riuscire a mantenersi tale… soprattutto per noi Rappresentanti-
Caio sentendo quelle parole, si fermò -E pensi che possa farcela?-
La donna lo fissò in viso, con occhi sinceri –Oh Caio se dipendesse da noi governare nel pieno dei poteri i nostri popoli non saprei quante seccature eviteremmo… come ogni altro non possiamo che sperare che colui che si fregerà del titolo imperiale sia una persona saggia e forte, che non si faccia plagiare dal potere o dalle subdole serpi che sembrano sempre infestare le corti… ma immagino che tu intendessi se Roma abbia portato la prosperità ad altri popoli? Penso che l’abbia portata sotto molte forme, ecco..-
Il romano sorrise: era sempre stato cosi con Asparsia, una donna ingegnosa, che non ha mai temuto di dire ciò che il suo cuore e la sua mente pensavano davvero; era sempre stata in grado di farlo star bene, con le sue parole dolci e comprensive, sempre pronte a dargli una giusta visione delle cose…
-Anche perché gran parte del merito va a noi greci!-
Caio sentì l’atmosfera pacifica rompersi nuovamente: sempre una maledetta parola di troppo!
Una risata forzata uscì dalle labbra del romano -Cos’è? Ancora con questa storia de i greci conquistati, conquistarono il barbaro invasore? Guarda che anche noi abbiamo avuto i nostri grandi poeti e giuristi, che ti credi?-
Asparsia gli rispose con fare malizioso –Ma certo, non lo metto in dubbio… tutti però imbevuti di cultura greca!-
-Almeno noi siamo un popolo pratico…- disse il romano sedendosi su di una panchina in marmo pregiato
La greca lo imitò, sbuffando –Adesso ricomincia con l’architettura e l’ingenieristica…-
-Beh noi siamo stati in grado di sfruttare al meglio i mezzi che gli altri popoli non hanno saputo sviluppare… e ora abbiamo l’acqua corrente nelle città, bellissime e modernissime tra l’altro, case e palazzi più resistenti di prima…-
Adesso lo dice, ci scommetto che lo dice…
-…e le strade! Non hai idea di quanto sia stato fondamentale per la vita di tutti il sistema di strade che ci siamo sempre premuniti di costruire!-
Ecco… lo sapevo.
La donna si mise una mano sulla fronte sotto gli occhi divertiti di Caio, soddisfatto di averla messa alle strette
-D’accordo lo ammetto, avete un forte senso pratico… come tutte le persone semplici, del resto…-
-Grazie lo so… ehi, era una battuta l’ultima?-
Asparsia rise di gusto di fronte al volto arrabbiato dell’uomo –Andiamo lo sai che scherzo! In fondo è quasi un bene che i greci siano stati sottomessi da voi; avevano perso ormai da tempo l’orgoglio del proprio retaggio e vi preferisco di gran lunga agli orientali o ai barbari del Nord; siamo molto simili del resto…-
-Una faccia, una razza?- le domandò
Sorrise –Ci perfezioniamo a vicenda, in un certo senso…-
-E allora perché?-
Il viso di Caio si fece improvvisamente serio. Asparsia si stupì di quel repentino cambio di umore. Ebbe un brutto presentimento e iniziò a capire dove stesse andando a parare la discussione.
-Perché non mi hai mai voluto accettare?-
Lei distolse lo sguardo –Caio smettila…-
-Perché non mi hai mai voluto come tuo sposo?-
Con un movimento secco, Asparsia si alzò facendo per allontanarsi –Mi era parso di essere stata chiara su quest’argomento… molto tempo fa-
-E se ti ricordi bene sai anche che cosa ti risposi…-
 
-No-
-Ma Asparsia…-
-Non è possibile una cosa del genere Caius…-
-E perché mai? Perché non ti piaccio? Non sono abbastanza per te?-
-Caius…-
-Sto per diventare la più grande potenza che il mondo abbia mai visto… ti sto offrendo il mondo e tu ancora mi rifiuti?-
-Non penso che tu mi possa completare. Perché… per quanto ti voglia bene, tu per me sei un amico, un grande amico… non credo che funzionerebbe-
-Allora lascia che ti dica una cosa: non ho alcuna intenzione di arrendermi, io sarò sempre al tuo fianco, non mi importa delle conseguenze. Quando avrai bisogno di me ci sarò… e pian piano inizierai a considerarmi sotto quell’aspetto e non mi rifiuterai più–
-Sciocco… la mia risposta sarà sempre la stessa…-
-Forse, o forse no… in ogni caso il nostro legame non si spezzerà Asparsia… e neanche tu lo vuoi in fondo…-
 
-Ne parlammo il giorno prima della mia partenza per l’Italia, dopo la sconfitta definitiva delle truppe di Antonio in Egitto… tempo dopo venisti nominata, per la tua fedeltà, Rappresentante delle regioni Elleniche… Ottaviano aveva buon occhio per le persone-
Asparsia gli dava le spalle e non sembrava intenzionata a cedere ai ricordi –Perché sei qui Caio? Cosa ti ha spinto a farmi visita? Dato che ormai dubito della possibilità di una visita di piacere-
Caio si alzò avvicinandosi piano, procedendo lentamente verso la donna, mormorando a bassa voce –Il motivo ufficiale è quello di preparare l’arrivo dell’Imperatore… ma il motivo vero è che volevo vederti per parlare di una cosa importante…-
Il cuore della donna iniziò a battere più veloce, come impaurita da quello che il romano avrebbe potuto dire…
-Ho intenzione di sposarmi-
La frase le rimbombò nella testa come un eco.
-Cosa?- gli domandò sconvolta
-Per questo sono qui, volevo parlartene in quanto mia amica, ma soprattutto volevo testare me stesso… che tu lo abbia mai creduto o meno, io sono stato seriamente innamorato di te, e non volevo che il tuo ricordo mi portasse a far soffrire la mia futura sposa…-
Asparsia si voltò verso di lui, seria.
Caio non potè che continuare con -Adesso sai la verità-
La donna sembrò soppesare, con espressione seria, la nuova notizia –Tu ti sposi-
Caio le rispose annuendo
-Tu- ripeté sottolineandolo attentamente
-Si, Asparsia, io… di chi credi che stiamo parlando?- le domandò stizzito
-Si ma…- disse come incredula – tu!-
Caio iniziò a spazientirsi; quando la greca incominciava a far del sarcasmo poteva andare avanti per delle ore.
Sul viso di Asparsia, all’improvviso, si dipinse uno splendido sorriso; alzò gli occhi, ricolmi di felicità, puntandoli su Caio, il quale non potè non riaddolcirsi –Ti sposi…-
-Si- le ripeté ancora l’uomo, stavolta sorridendole
-Ti sposi!- Asparsia gli si lanciò letteralmente addosso, cingendogli il collo con le braccia e abbracciandolo stretto –Oh Caio, non hai idea di quanto sia felice per te!-
Caio la prese per i fianchi, riappoggiandola a terra –Contieni il tuo entusiasmo Asparsia, non gliel’ho ancora chiesto!- le disse sbuffando
-Cosa? Ma ti sembra il modo di comportarti?! Che razza di uomo sei?!-
Le donne… quando si trattano certi argomenti vanno sempre in fiamma…
I due si avvicinarono al parapetto per osservare il panorama
-Se ti fa piacere Asparsia, dopo le nozze porterò Camilla qui, voglio che conosca la tua splendida terra-
-Non vedo l’ora Caio, sono curiosa di conoscerla-
La donna lo fissò e vide che un velo di malinconia era sceso sul volto del romano –Che ti prende?-
Caio non smise di osservare le verdi vallate –Quanto pensi che disti Filippi da qui?-
La donna capi e si avvicinò a lui fraterna –La mia terra ti rammenta ancora brutti ricordi?-
Non le rispose, chiuse gli occhi e l’immagine si fece più nitida
 
Calpurnia gli aveva suggerito di seguirlo… non si sentiva tranquilla…
Le spiegò che era solo una formalità di pochi minuti e sarebbe tornato subito…
C’era suo padre poi a vigilare…
Allora lei gli disse che si fidava solo di lui e alla fine accettò…
La folla giornaliera gli impediva di procedere più velocemente, ma alla fine vi giunse…
Una sensazione orribile lo colpì non appena mise piede sul primo gradino…
Corse più veloce che potè… si imbatté in Marco Antonio che fuggiva nella direzione opposta terrorizzato…
Giunse di fronte alla statua di Pompeo… una decina di senatori armati di pugnale guardavano soddisfatti un corpo senza vita, ricoperto da una tonaca… i sandali di quegli uomini erano bagnati del sangue della loro vittima, che macchiava formando come un lago il pavimento pregiato…
“Il tiranno è morto, Roma è libera!”
Nessuno si era accorto della sua presenza… il boato che la sua ugola generò, carico di rabbia, furore e ira, li prese completamente alla sprovvista… terrorizzati, i senatori si strinsero dietro a Marco Bruto e Cassio Longino, i quali con tono pacato cercavano di calmarlo e di farlo ragionare…
Aveva estratto la spada e si avvicinò al gruppo, sempre più spaventato, sempre più nel panico…
Li avrebbe uccisi tutti… avrebbe vendicato il suo comandante… niente glielo avrebbe impedito…
“Fermati figlio mio!”
Quella voce… suo padre gli comparve di fronte, il volto squadrato, severo e austero… i suoi occhi semichiusi lo fissavano come ogni volta che lo rimproverava per una mancanza o sbaglio…
“Rinfodera il gladio, Caio, e lascia che le cose facciano il loro corso… come è giusto che sia”
In risposta gli si gettò contro, lacrime agli occhi, in preda all’ira… si ritrovò disarmato e fu colpito allo stomaco…
La percossa fu tale da strapparlo al suolo, facendolo finire contro la parete e venire meno…
 
-Mio padre Asparsia…- gli rispose l’uomo riaperti gli occhi – mi ricorda mio padre-
-Lucio aveva preso la sua scelta… legittimare i gli assassini del tuo Comandante… tu gli sei opposto, non poteva che finire così…-
-Non si aspettavano un secondo triumvirato… ma la loro punizione non poteva che attendere il momento giusto… a Filippi, nella tua terra…-
 
Gridava il suo nome, nel clamore della battaglia…
Non degnava neanche di una giusta attenzione ai soldati nemici, che scagliava da un lato con il braccio libero, sbalzandoli via con scudo, armatura e lancia, come se fossero fuscelli spazzati via dalla bufera…
Cassio se era già andato, Bruto lo aveva seguito poco dopo facendosi trafiggere da una spada amica…
Restava solo lui, il vero nemico, il più temibile…
Alla fine lo trovò, imponente, a seminare il terrore tra le truppe…
Con la sua sola presenza i soldati provavano paura, fuggivano, i valorosi che resistevano venivano scagliati via con non curanza…
 
-Ricordo ancora quando lo affrontai…-
Vedendolo teso Asparsia gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla sua, appoggiandogli la testa sulla spalla
-Era terribile come si dice?- gli domandò a bassa voce, con tono pacato, a volerlo calmare
-Mi chiedi com’era? In ogni battaglia che ha visto romani contro altri romani, ha sempre tenuto la stessa tattica: incutere timore agli avversari, piegarli con la paura, giungere di fronte ai comandanti di coorte, ucciderli e procedere finchè la battaglia non terminava… taglia la testa al capo e la squadra si sparpaglia-
Asparsia piegò i lati della bocca in un sorriso stentato –Tipico di voi Romani tutti d’un pezzo… militari con un forte senso dell’onore e protezione verso i propri sottoposti… in questo credo che siate unici-
-Mio padre ha sempre pensato che sono i comandanti a fare dei soldati, dei cattivi soldati, i politici a fare dei cattivi cittadini, e i pedagoghi dei cattivi allievi…-
-Un po’ troppo semplicistico, non trovi?- gli ribatte la donna
L’uomo rilassatosi leggermente le rispose –Semplicemente considerava i fatti, per il resto era la legge che doveva fare il suo corso, non considerava il contabile che faceva la cresta o l’uomo indolente, li dava per scontati; diceva “È per questo che ci sono i superiori: devono controllare quello che fanno coloro che stanno alle loro dipendenze ed impedire che sbaglino…”-
-Uhm, un maniaco del controllo insomma…- concluse Asparsia
Dopo quella breve interruzione Caio venne preso nuovamente dai ricordi e la donna attese ancora che le parlasse rimanendogli vicino, per calmarlo.
 
“Padre!”
Sentendo quel grido, Lucio Massimo, Res Publica Romana, si voltò bloccando il suo cammino…
I soldati di entrambe le fazioni fecero il vuoto intorno a loro, non volendo finire coinvolti in quella che sarebbe stata una carneficina…
“Per quel che mi riguarda, ora come ora tu non se mio figlio, non più di quanto tu lo sia stato quando ti schierasti con Cesare contro lo stato”
“Stronzate! Cesare era un eroe, ha fatto più lui in tutta la sua vita di quanto abbiano fatto altri negli ultimi secoli!”
I muscoli del collo di Lucio si tirarono, il volto diventò violaceo dall’ira “Osi tu dunque infangare i nomi dei veri eroi di Roma? Figlio degenere!”
“Cesare ha servito Roma più di quanto gli fosse richiesto. Invece di accettarlo e accreditargli il giusto trionfo lo avete attaccato come fosse un criminale”
“Era un uomo ambizioso e privo di scrupoli che si è servito del popolo ingenuo e di uomini corrotti, asserviti ai vizi per ottenere il potere, e diventare come quel re empio e superbo che vidi cacciare da Roma con i miei stessi occhi! Come quelli che si trovano in quel covo di serpi che sta alla foce del Nilo…”
“Ritira immediatamente quello che hai detto!”
“Io rappresento la Res Publica, Caio! Era mio compito schierarmi con chi ne voleva difendere gli interessi!”
“E valeva scatenare una nuova guerra per questo? Cesare aveva riportato la pace dopo decenni di guerre fratricide ed è questo il tuo ringraziamento?!”
“Sei un ingenuo figlio mio! L’ammirazione è il peggiore fumo negli occhi degli uomini… ma ora non ha importanza… sarà la spada a decidere”
I due Rappresentanti sfoderarono i gladi e si avventarono l’uno contro l’altro…
Il clangore del primo cozzo delle lame fu tale da replicare quello di un tuono…
Entrambi gli eserciti si fermarono, bloccati da quel fragore improvviso…
Le lame schizzarono via, spezzate dalla troppa forza inferta loro…
I soldati in preda all’adrenalina, sentirono i loro cuori riempirsi di paura…
Come ipnotizzati, si avvicinarono al luogo dove si stava per svolgere il più grande scontro che l’umanità avesse mai visto…
Mise mano al secondo gladio che portava sempre con sé, spostandosi indietro di alcuni passi; lo fece istintivamente senza mollare gli occhi un attimo dal padre che al suo pari non aveva spostato lo sguardo, senza però muoversi in alcun modo…
“Soltanto un altro uomo era riuscito a far tanto contro di me…- disse Lucio – avvenne a Canne molto tempo fa…”
Sgranò gli occhi “Annibale…”
“Il più grande nemico di Roma, figliolo… ci sono tanti motivi perché lo hanno chiamato così…”
Lucio gettò lo scudo da un lato e sfilò dal cinturone il secondo gladio…
Non lo vide arrivare: Lucio gli era piombato addosso, divorando i metri che li separavano con un balzo…
Il taglio del gladio si scontrò con il piatto del suo, ma l’impeto fu tale da scagliarlo in aria come un ramoscello; sorvolò alcune file di soldati che sconvolti non riuscivano a muoversi…
Il contatto con suolo lo rintronò un po’ ma si rimise subito in piedi giusto in tempo per evitare un giavellotto diretto a lui…
I soldati romani si tenevano a distanza e lo stesso valeva nei confronti di Lucio che avanzava deciso nella sua direzione…
Lucio alzò il gladio sopra la sua testa pronto a sferrare il colpo… lo evitò spostandosi di lato. Rimessosi in piedi tentò un affondo ma gli venne parato…
I due guerrieri iniziarono a tempestarsi di tagli e stoccate… l’acciaio rimbombava nelle pianure di Filippi; Lucio lo colpì allo stomaco con un calcio facendolo finire ancora a terra…
Riuscì ad attutire la caduta prendendo di rimbalzo il terreno con un capriola e rimettendosi in piedi…
Non perse neanche un istante: lasciatosi andare all’istinto, fece leva sulle gambe e si scagliò contro suo padre prendendolo in pieno. Lucio non si aspettava un contrattacco del genere ma incassò il colpo. Una semplice spallata non lo avrebbe di sicuro messo in difficoltà…
Provò a colpirlo al fianco ma questi lo parò con il gladio ed andarono entrambi in frantumi.
Lo colpì...
Il pugno destro colpì il viso di Lucio, seguito da un altro colpo sempre al viso. L’uomo barcollò ma rispose al colpo con una ginocchiata contro la lorica.
La percossa fu talmente forte che il metallo si incavò lasciando impresso il calco del ginocchio.
Sentendosi il fiato mozzo, gli tirò una testata facendolo arretrare ulteriormente…
Continuarono a scambiarsi colpo su colpo per quelle che sembrarono essere delle ore, senza risparmiarsi, cercando di prevalere l’uno sull’altro…
Cercando di uccidersi l’un l’altro…
 
-A quello ci eravamo ridotti Asparsia… Lucano non si sbagliava quando definiva le guerre civili non delle guerre tra generali ma bensì tra fratelli dello stesso sangue, tra padri e figli-
-Erano tempi inquieti, Caio, tempi di grandi cambiamenti e sconvolgimenti...- gli disse la donna cercando di consolarlo – anch’io prima della vostra conquista ne vidi parecchi attraversare le mie terre. Ma quando si ha a che fare con spiriti di uomini particolari che si lasciano trascinare dalla loro stessa smania non si può prevedere cosa possa accadere-
Il romano scrutò corrucciato il verde paesaggio che gli si apriva davanti agli occhi –Non mi sembrò vero quando diedi il colpo fatale che sancì la fine della battaglia. Mio padre, giaceva al suolo di fronte a me, mentre le sue truppe si arrendevano, e mi chiedeva di ucciderlo. Di farlo morire da romano…-
La donna gli strinse la mano per trasmettergli sicurezza.
-Ma non lo feci. Gli dissi che non sarei stato la causa della morte del mio stesso padre… e sai cosa mi rispose?-
La donna negò con il viso.
-Mi disse che lo ero già…-
Grecia gli poggiò la testa sulla spalla, cingendogli l’altra con la mano.
Lo strinse a se con forza.
Voleva trasmettergli pace, voleva trasmettergli sicurezza: voleva la quiete riprendesse il dominio del suo cuore.
-Tu…- sussurrò la donna – sei un brav’uomo. Caio sei stato un uomo che ha sempre seguito la sua coscienza, che è sempre stato coerente con i propri principi… sei valoroso, leale, faresti qualunque cosa per i tuoi cari. Per quel che può valere la mia opinione tu non sei stato un cattivo figlio… tuo padre si è spento a Roma nel suo letto perchè aveva compiuto il suo compito. Non è una tua colpa la sua morte. Non devi assolutamente pensarlo-
L’Impero Romano si voltò verso di lei e la guardò con occhi lucidi.
Senza alcun preavviso l’abbracciò stretta. Tanto da sentir mancare il fiato.
-Grazie, Grecia-
La donna benchè un po’ imbarazzata, sorrise.
-Nessun problema, Roma-
 
 
 
Spero che vi sia piaciuto.
 
Cosmopolita: ti ringrazio e sono contento che Camilla ti sia piaciuta, pensavo che ci fosse bisogno di una donna tosta per uno come l’Impero Romano e grazie per averla messa tra le seguite!
 
Ci vedremo nel prossimo capitolo che vedrà Caio avventurarsi tra le calde e affascinanti terre d’Egitto! Ciao!
 

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