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Elisabetta e Francesca erano
sorelle, vent’otto anni sommati insieme.
Due sorelle che andavano perfettamente d’amore e
d’accordo, che ad un primo sguardo potevano
apparire semplici amiche (infatti non potevano essere più diverse!), ma
chi le conosceva bene sapeva che erano indissolubili.
La prima era di corporatura media, sul metro e sessantacinque, proprietaria di lunghi e liscissimi capelli
castani e di lucenti occhi verde acqua; la seconda era più bassa e
snella, con sfavillanti capelli castano scuro mossi lunghi fino circa alle
spalle ed espressivi occhi castani chiaro.
Quanto al carattere, erano spesso schive e riservate, altre
volte invece più espansive.
Era la fine di agosto e faceva
caldo; il ghiaccio che Elisabetta era riuscita a recuperare si era già
completamente sciolto nel suo bicchiere di succo di frutta mentre le due
stavano guardando il loro album di foto. L’avevano consumato, a forza di
guardarlo; lo facevano più o meno una volta
all’anno, era una specie di rituale.
A dieci anni, guardandolo, avevano chiesto ai genitori come
mai non esistessero, nella loro casa, foto di loro
neonate in braccio a papà o mamma. Fu allora che scoprirono di essere
state adottate.
Da allora i rapporti si erano incrinati. Non era una cosa esplicita, ben visibile, semplicemente succedeva.
I rapporti con il padre erano limitati alla sera a
causa del lavoro, anche se erano sempre momenti felici, mentre quelli con la
madre, che pur era presente in casa, non erano così consistenti.
Nonostante la scuola assorbisse
molto del loro tempo libero, spesso, anche d’inverno, stavano fuori casa
a gironzolare per il loro minuscolo paesello; andavano a scambiare quattro
chiacchiere con la titolare dell’unica libreria e anche a farsi spiegare
un po’ di matematica, oppure andavano a far merenda con un pezzo di pizza
o uno snack in uno dei tre bar sempre ben riscaldati.
Spesso in casa loro si discuteva, ma i musi di solito
scomparivano entro la giornata. Era in quelle occasioni che se ne andavano a fare un giro.
Quell’estate fatidica, come consuetudine, stavano
trascorrendo le loro mattinate ad un centro estivo tenuto nella palestra
comunale; era abbastanza monotono: essendo loro le più grandi dovevano
aiutare gli obiettori a tenere a bada i bambini più piccoli. Alcuni
erano delle vere pesti; quelli più grandicelli,
dai dieci anni in su, erano davvero rissosi e
attaccavano briga ogni giorno, mentre le bambine piccole erano più
tranquille e carine. Avevano molte piccole amiche frequentanti l’asilo.
Come al solito, alla fine di agosto
si teneva un piccolo spettacolo al teatro comunale di canto e ballo.
L’idea non le eccitava proprio: nessun ragazzo carino, solo genitori e
mamme in ansia con le telecamere.
-Ragazze! Qualcuna di voi va giù a vedere se
c’è della posta?- la voce della madre giunse
squillante dalla cucina fino alla loro camera.
-Andiamo!- scesero dal letto e
uscirono dalla camera, percorsero il corridoio notte e il breve tratto fino
alla porta del loro appartamento. Scesero due brevi rampe di scale e furono coi piedi sull’asfalto rovente del cortile. La
buchetta delle lettere in effetti conteneva una
lettera, ma le due non avevano le chiavi per aprirla, così Francesca
introdusse le sue dita sottili nella fessura e riuscì a estrarre la
spessa busta.
Elisabetta allungò il collo curiosa:
la busta era di carta spessa e porosa, forse riciclata, e chiusa con della cera
lacca rossa sulla quale era impresso uno stemma.
Quando furono rientrate in casa,
fecero subito vedere la lettera alla madre adottiva, la quale lacerò
senza tanti complimenti un lato ed estrasse il contenuto. I suoi occhi scorsero
veloci le prime righe; non finì nemmeno di leggerla, che
l’appallottolò e la gettò nel cestino della spazzatura.
-Che roba era?- chiesero curiose le
sorelle.
-Uno scherzo. Probabilmente di quelle
catene che circolano tra i giovani…- e non aggiunse altro.
*
La giornata seguente era pressoché uguale a quella
appena passata: il sole era alto nel cielo e scaldava il paesaggio
tutt’attorno, il cielo era blu, senza l’ombra di una nuvola e, di
tanto in tanto, si udiva il canto di qualche uccello.
Beato te, uccellino,
che canti quando ne hai voglia pensò
Francesca.
I ragazzi del centro estivo entrarono nel piccolo teatro a
coppie disposte in fila indiana, sotto lo sguardo vigile dell’assessore
comunale all’istruzione, che ogniqualvolta si avvicinava un possibile
spettatore dispensava sorrisi al malcapitato.
Ad accogliere la moltitudine c’era Marco, uno degli
obiettori del comune, che stava disponendo i bambini in cerchio attorno a
sé perché tutti potessero sentire.
Si misero d’accordo su come disporre le entrate in
scena (Elisabetta e Francesca erano circa a metà) e sulle canzoni da
presentare. Naturalmente quando le due sorelle dissero
che a loro non serviva la base, perché volevano proporre un pezzo di
loro invenzione, l’assessore si insospettì, ma dando retta a
miliardi di rassicurazioni si convinse a lasciarle fare.
In fondo alla sala, già piena, due figure in penombra
sembravano prese da tutto fuorché dalla bambina che stava
“cantando” una stupida filastrocca.
-Hai sentito, no? Silente ha detto
che è già l’undicesima lettera che ignorano!- disse una
voce melliflua di uomo.
-Certo…- rispose una seconda voce, più gioviale
–Più o meno capitò una cosa del
genere anche a me…-
-Mi disgusta essere in missione con te, questo lo sai vero?- chiese freddo il primo uomo.
-Naturalmente!- rispose il secondo, probabilmente un
ragazzo.
-Ma cos’è questa schifezza che ci stanno
propinando?!- sbottò di colpo il primo,
attirando su di sé molti degli sguardi dei presenti.
-Fa piano!- sussurrò il
ragazzo al suo compagno. –Sai, ai Babbani piace vedere i moscerini che
cantano, soprattutto se fanno schifo…-
-Quando dici “Babbani” comprendi anche te stesso?- sogghignò malefico l’uomo.
-Ormai non più. Non più…-
*
Finalmente toccava alle sorelle.
Quando la bambina del turno prima
di loro ebbe finito, le due fecero un’entrata veramente unica: una
giravolta di capriole, salti a mezz’aria, ruote riempì gli occhi
degli spettatori.
Come da copione, i due microfoni senza filo furono lanciati
loro da sotto il palco; li afferrarono e cominciarono a cantare.
Se oggi sono contenta
È perché
ho mangiato della menta
Ieri invece ero triste
Perché
non avevo delle riviste
Fare quello che mi
pare
Anche urlare, sì
Oggi mi va di
fare….
-Bravine… non c’è male!- sussurrò l’incontentabile uomo,
nascondendo male l’eccitazione.
-Vedo che qualcosa del mondo Babbano inizia a piacerti!- ghignò il suo compagno.
-Non ho detto che mi piace!
Intendevo dire che sono senz’altro meglio delle
cantilene di prima!-
Anche il pubblico le apprezzava,
battendo le mani a ritmo e applaudendo, e quando le due scesero dal palco
facendo un giro andò in delirio.
Qualcosa aveva attratto Elisabetta, la quattordicenne
castana, verso gli ultimi posti dove sedevano le due figure in penombra; fece
qualche ruota, tentando di vedere i volti, ma si allontanò correndo
senza aver soddisfatto la sua curiosità.
…se con questo
divertiti vi abbiamo
adesso noi ci dileguiamo!
Così
com’erano giunte sul palco, le due tornarono dietro le
quinte.
Non ci volle molto
prima che l’intero spettacolo giungesse al termine. Una
volta concluso il tutto, furono libere di tornarsene a casa e di
restarci per tutte le mattine di agosto e settembre a venire.
Senza che loro se ne accorgessero, due uomini le seguivano da lontano.
Così, inconsapevolmente, li condussero fino a casa loro.
I due attesero che
le ragazze fossero entrate in casa per suonare al loro
campanello. Videro la madre affacciarsi alla finestra e scrutarli per un
istante, poi ne sentirono la voce al citofono.
-Sì?
Desiderate?- chiese garbatamente la donna.
-Dobbiamo parlarle,
signora. Si tratta dell’istruzione superiore delle sue figlie. –
-Un momento. Arrivo
subito. –
Probabilmente la
signora non si fidava a farli entrare in casa, per
questo aveva deciso di scendere assieme al marito. Le due ragazze osservarono i
quattro per tutta la durata della loro conversazione dalla finestra; quando i
genitori si allontanarono per tornare in casa, notarono che i due signori non
accennavano a muoversi, stavano attendendo qualcosa.
-Ragazze,
raccogliete le vostre cose e seguite quei signori. Vi porteranno alla vostra
nuova scuola. –
-Come? Scusa, ma
mancano ancora quindici giorni prima che il liceo apra
i battenti!! E poi ci siamo già state a
visitarlo…-
-Probabilmente il
liceo non lo vedrete mai. A quanto pare, siete
destinate ad un altro tipo di istruzione… –
-Eh? Scusa, ma vi
sentite bene?-
-Sì,
purtroppo. Voi siete delle maghe!-
-Maghe? Beh, okay
che abbiamo dei voti da paura, però non
esageriamo!-
-Oh, è
così difficile…-
Il quel momento la
porta si spalancò (l’avevano lasciata socchiusa) ed entrarono i
due uomini. Quello in testa, di mezza età, vestito completamente in
nero, puntava contro le due ragazze un bastoncino di legno, simile a uno dei pennelli che le due adoperavano durante le ore
scolastiche di artistica. Mormorò delle strane parole e dal pezzo di
legno scaturì un doppio fascio di luce rossa che colpì in pieno
petto Elisabetta e Francesca, le quali si accasciarono al suolo.
*
Francesca si stiracchiò e stropicciò gli
occhi, dando una gomitata alla sorella che ancora dormiva beatamente.
-Dai, mamma, non ho voglia di
andare a scuola!- bofonchiò Elisabetta.
-Svegliati!- gemette preoccupata Francesca. –E io non sono tua madre!-
A fatica anche la dormigliona divenne lucida e la prima
domanda fu: -Dove siamo?-
-Bene, vedo che finalmente vi siete svegliate! Era ora. Scusatemi, vado ad informare il mio collega del lieto
evento!- le beffeggiò un uomo dalla soglia della stanza.
Le ragazze si voltarono, nella speranza di vedere chi aveva
parlato, ma la figura si era già dileguata con
un frusciare di stoffa sul pavimento e l’agilità di un gatto.
La stanza era completamente in legno, e sembrava aver
passato tempi migliori: gli angoli delle pareti erano ammuffiti e c’erano
graffi ovunque; l’arredamento era ridotto ad un letto matrimoniale (sul
quale avevano dormito) e due comodini ai lati di quest’ultimo. Una
finestra era l’unico sbocco sul paesaggio esterno, ma era tutta sporca e
sudicia, e la luce che entrava non consentiva di vedere bene; le ragazze non vi
fecero un gran caso, preoccupate com’erano.
-Siamo state rapite!- riuscì
a dire Elisabetta.
-Mi****a! E questo non è un film… Pensi
che…- la sorella non riuscì a finire la
frase. L’uomo che le aveva turbate al risveglio era tornato con al seguito il “collega”, poco più che
un ragazzo.
Le parole di quest’ultimo furono molto più
rassicuranti: -Salve ragazze, dormito bene?-
-Sì, certo, magnificamente e lei? Oh, ma che sbadata,
non le ho ancora chiesto COSA ACCIDENTI CI FACCIAMO QUI?!-
lo aggredì Elisabetta.
L’uomo in disparte sembrò
molto divertito da quella reazione, troverà pane per i suoi denti pensò.
-Apprezzo che siate completamente sveglie… io sono
Harry, Harry Potter e questo è Severus Piton. Ti dispiacerebbe farti
vedere in viso, Severus, non sei mica così brutto!- invitò Harry
in falso tono cordiale; per tutta risposta, Piton lo guardò con
espressione omicida ma non disse niente.
Harry Potter era un ragazzo che non poteva avere più
di venticinque anni; era alto e magrolino, vestiva jeans e una maglietta sgualcita
chiara che creava un certo contrasto cogli spettinati
capelli corvini che più volte si esprimevano in ciuffi ribelli; gli
occhi verdi conferivano al volto un’espressione cordiale e la bocca era
allargata in un sorriso sincero. L’unica cosa che sfigurava quel bel viso
era una curiosa cicatrice a forma di saetta che si stagliava fiera sulla sua
fronte; con un gesto nervoso il ragazzo cercò di appiattirsi i capelli
in modo da nasconderla.
Il suo compagno, Piton, era una figura inquietante: il lungo
mantello nero che toccava terra e che lo avvolgeva completamente si sposava
perfettamente con i suoi capelli unticci lunghi fino alla scapola; aveva
un’espressione arcigna dipinta sul volto olivastro, resa ancora
più minacciosa dagli occhi nocciola scuro e dalla sottile bocca curvata
in quello che pareva un sorriso. La penombra, poi, rendeva veramente truce la
sua espressione, degna di un film horror; nonostante
ciò, non mostrava più di quarant’anni.
-Bene!- riprese improvvisamente Harry, infrangendo quel
silenzio riflessivo che era calato sulla stanza. –Voi invece siete
Francesca ed Elisabetta… Sertini?-
Elisabetta sbuffò: -Serpini.
Non pretendevo che ci arrivaste subito: di solito ci affibbiano diversi
appellativi, prima di capire (solo perché sillabo)! Comunque
piacere. -
Piton abbozzò un sorriso compiaciuto.
-Spiacente di averti offesa. Allora, volete ancora sapere
perché siete qui, o non vi interessa
più?- si scusò il ragazzo, ignorando l’espressione del
compagno.
-Certo che lo vogliamo sapere!-
risposero in coro le sorelle.
-Bene. Leggete questa!- e porse
loro una busta gialla fermata da uno stemma di cera rossa.
Incuriosite, le ragazze aprirono la busta; la lettera era
stata spedita loro da Bologna, e recava i loro nomi: alle signorineElisabetta e
Francesca Serpini, viaBoncompagni
62, Marano (MO).
siamo lieti di informarVi che Voi avete diritto a
frequentare la Scuola
di Magia, Stregoneria e Babbanologia di Hogwarts
(sezione di Bologna). Qui accluso troverete l’elenco di tutti i libri di
testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio
il 1o settembre. Restiamo in attesa della
Vostra risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
Con ossequi,
Minerva
McGranitt
Vicedirettrice
Allegata alla lettera c’era un foglio, “l’elenco di tutti i libri di testo e
delle attrezzature necessarie”, ma le ragazze non parvero farci caso.
Quando ebbero finito,
l’espressione di una era divertita, mentre l’altra arrabbiata.
-Avanti, dove sono le telecamere? Avreste dovuto dire da un
pezzo “siete su Scherzi a Parte”! Dove sono?-
chiese con enfasi Francesca.
-Se pensate di essere divertenti,
vi sbagliate proprio! Avanti, fuori il nome dell’ideatore! Sono stati i nostri genitori, vero?- proseguì
Elisabetta stizzita.
Piton le guardava con aria interrogativa,
ma Harry sorrideva.
-Questo non è uno scherzo, ragazze. È tutto vero, dalla prima all’ultima parola!- disse
tranquillamente.
-Se dite il vero, dimostratelo!-
propose Elisabetta.
-Potter…-
-Va bene, Severus, va bene! WingardiumLeviosa!- disse Harry
estraendo un curioso pezzo di legno a forma di bacchetta e puntandolo su un
cuscino; questo si sollevò e allegramente si diresse verso le sorelle e
infine cadde sulla testa dell’interlocutrice, che proprio non se
l’aspettava.
-Allora, è sufficiente come prova?- chiese divertito
Harry, contemplando l’espressione furente della sua vittima
mentre si liberava dal cuscino.
-Certamente! Non so con quale espediente tu sia riuscito a fare questa porcheria, ma ti garantisco che
non la passerai liscia!- sbottò Elisabetta e lanciò il cuscino
verso il colpevole, che disse:
-Protego!- facendo afflosciare il
proiettile ai suoi piedi.
Quando la notizia ebbe invaso ogni
cellula del cervello delle due ragazze ammutolite, l’espressione dipinta
sul loro volto era uguale alla faccia di un pesce lesso, al che Piton
cercò di riportare le due giovani menti al presente con un gesto della
mano simile a un saluto.
- Posso fare una domanda?- chiese Francesca.
-Spara!- disse Harry.
-Che cos’è Hogwarts e chi accidenti è
Albume Sipente?-
-Già e chi sarebbe anche quella…
com’è che si chiama?! Minerva McGranito? Che bei nomi!-
-Albus Silente!!-
tuonò Piton -E Minerva McGranitt…-completò con minor
enfasi.
-Okay, okay signor Spiton!- cercò di giustificarsi Elisabetta, ma con
scarso successo.
-Ci rinuncio…- borbottò
Piton.
Intanto Elisabetta, con la lettera in mano, macchinava: Silente+McGranitt+libri+materiale+compiti+SCUOLA=TASSE!!!!!!!!E SUDORE
-Dunque vi dobbiamo delle spiegazioni.
Prima però andiamo giù a bere un buon bicchiere di Burrobirra!- propose Harry.
-Sarebbe?- chiese Elisabetta.
-Una bevanda molto diffusa nel mondo magico, soprattutto tra
i giovani. -
-Da Mezzosangue…- sibilò Piton.
-E dai Severus… devi sempre snobbare
ogni cosa?-
Il quartetto scese le vecchie scale di legno e si
ritrovò in una piccola stanzetta illuminata da poche candele (nonostante
fosse giorno, le finestre erano talmente opache che non filtrava che pochissima
luce); si sedettero su un tavolaccio che sotto il peso scricchiolò leggermente mentre arrivava l’oste, un piccolo
vecchietto calvo e sdentato che chiese: -Desiderate, signori?-
-Tre Burrobirre e… Severus,
hai già in mente qualcosa?- rispose Harry
cordialmente.
Di tutta risposta la figura nera sibilò: -Per me solo
un infuso di erbe, grazie…-
L’oste prese le ordinazioni e sparì dietro un
immenso bancone sudicio.
-Bene bene, questa è bella: noi streghe! Sembra la
trama di un telefilm…- riprese Elisabetta.
-Allora anche i nostri genitori, intendo quelli naturali,
avevano poteri magici?- chiese sua sorella.
-Forse, non è detto, ma mi dispiace, io non sono
italiano e non posso conoscerli. Noi veniamo dalla Gran
Bretagna!- rispose quasi scusandosi Harry, indicando il compagno.
-Capisco…-
Nel frattempo l’oste era tornato con quattro
bicchieri, tre bottiglie contenenti un liquido color fieno e una brocca fumante
di infuso; appoggiò il tutto sul tavolaccio e
si allontanò nuovamente.
-Hogwarts è una prestigiosa
scuola di magia e stregoneria situata in Gran Bretagna; noi proveniamo da
lì.
Normalmente, le materie insegnate sono esclusivamente legate
al mondo magico, ma il preside, Albus Silente, ha proposto di integrare nel
percorso formativo degli apprendisti anche materie tipicamente babbane…-
sonoro sbuffo di Piton -…ehm…come per esempio l’informatica o
la lingua madre; ora, questo progetto è ancora in fase di
sperimentazione e, in accordo con le vostre autorità, si è deciso
di farlo qui, in Italia, dove le scuole di magia sono scarse, ma in rapporto al
numero di studenti. È un fatto strano, ma qui in Italia i maghi e le
streghe sono incredibilmente pochi, a ciò non c’è
spiegazione.
Naturalmente, tutti gli insegnanti sono maghi, anche quelli
che insegnano materie babbane, e vi chiedo di non far
pesare loro la differenza.
Questo è il primo anno, “l’anno di
prova”, quindi tutti i vostri compagni avranno la vostra età, ma
se l’esperimento dovesse riuscire, ogni anno
entreranno nuovi compagni; se invece dovesse fallire, si sceglierà quali
provvedimenti adottare.
Albus Silente e la McGranitt saranno impegnati nella scuola in
Inghilterra, quindi ci saranno dei “supplenti”.
Un’ultima cosa: se vi può interessare, io
sarò il vostro insegnante di Difesa contro le Arti Oscure e Piton quello
di Pozioni. Domande?-
-A questo punto dovremo darvi del “lei”?- chiese
Francesca, anche se sapeva fin troppo bene che la domanda era stupida.
-Per quanto riguarda me, non è necessario…- disse timoroso Harry, attendendo la risposta del collega.
-Io, a differenza del mio collega, lo esigo! E adesso, se volete scusarmi, ho cose più importanti
da fare! Potter, mi fido!- tuonò il professore, e se ne
andò come un’ombra, col mantello che strisciava per terra.
-Dovrete farci l’abitudine, Piton è sempre
così, e soprattutto non è molto imparziale,
anzi, per niente!- sussurrò loro Harry; di tutta risposta, le due
ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata.
-Purtroppo, quando ero un suo studente, mi tiranneggiava in
mille modi… e non credo che sia cambiato molto…-
-Come?! Lei è stato un suo studente? Ma quanti anni ha?- gemette scandalizzata Elisabetta.
-Ne ho ventiquattro e, sì, sono stato un suo studente
per ben sette anni. Per favore, diamoci del “tu”!-
-Ventiquattro! Wow, sei giovane per essere
un insegnante!- constatò Francesca.
-Vero. Ma Silente mi ha affidato l’incarico primo
perché mi conosce bene e si fida di me, secondo perché il posto
di Difesa contro le Arti Oscure non è molto ben
visto, infatti si dice che attiri molte sventure… in parte è
vero…-
-In fin dei conti, lei… tu… cosa ci insegnerai?-
-Vedi, Elisabetta, al mondo non tutti vanno sempre
d’accordo… e a volte capita che ci si faccia
i dispetti o, peggio, ci si voglia far del male. Io ho il compito di insegnarvi
a proteggervi da eventuali persone che vogliono ferirvi o semplicemente
divertirsi crudelmente alle vostre spalle…-
-Ehi, guarda che vanto ben quattordici anni, a me puoi
parlare come ad un adulto!-
-Va bene, sarò esplicito… una volta, un mago
molto potente divenne cattivo. Il suo vero nome era TomRiddle, ma al mondo divenne
famoso come Lord Voldemort; vi prego, non dite in
giro questo nome, perché molti ancora temono il solo sentirlo.
Il suo scopo era diventare il mago più potente mai
esistito, e vi riuscì; uccideva tutte le persone che gli si
opponevano… era veramente spietato. Creò un vero e proprio
“regno del terrore”, quando finalmente venne
sconfitto, e successe in un modo davvero molto singolare: volle eliminare un
bambino e la sua famiglia; la madre del povero bimbo morì nel tentativo
di salvarlo, e quando Voldemort tentò di fare
lo stesso anche con il figlio, l’incantesimo che scagliò gli si
ritorse contro… infatti l’amore materno, il gesto, il sacrificio,
tutte cose che lui non riusciva a comprendere, fecero da scudo alla creatura,
che aveva quasi un anno, e condannarono il Signore Oscuro a vagare come uno
spettro, privo di poteri e di corpo, per molti anni. –
-Però mi pare di capire che
questa storia abbia un continuo…- obiettò Francesca.
-Infatti… Voldemort
tentò nuovamente di uccidere il bambino, che ormai era un ragazzo e
frequentava Hogwarts, ma più volte fallì. Infatti
lui poteva contare su una schiera di amici veramente valenti e coraggiosi e
alla fine, come in tutte le storie a finale lieto, il bene trionfò!-
-Ma chi era questo bambino?- chiese
improvvisamente Francesca.
-Non lo so… è una storia ormai vecchia e molte
cose vanno perse… ma ora bevete
la vostra Burrobirra, non l’avete nemmeno
assaggiata!-
Passarono cinque minuti di ininterrotto
silenzio; l’unico rumore era quello dello straccio che l’oste stava
passando sul bancone.
-Ma… e i nostri genitori?-
chiese improvvisamente Elisabetta, con una nota di preoccupazione nella voce.
-Loro non ricordano niente di voi due. Gli abbiamo
cancellato la memoria. -
-C-cosa? Non ricordano niente? Ma… ma, perché?-
-Perché sono dei Babbani,
dei senza poteri. Nessuno deve sapere del mondo magico,
altrimenti si scatenerebbero quasi certamente delle guerre. –
-A-allora
noi saremmo… orfane?-
-La scuola è attrezzata per la ricerca di genitori
adottivi, naturalmente maghi. Davvero, mi dispiace immensamente, in Inghilterra
non è così, là c’è
molta più libertà. Evidentemente, i nostri due Stati la pensano
in modo molto differente. –
*
Nella solitudine della loro camera, le due sorelle
riflettevano, preda della malinconia.
-Possibile che con la magia si riescano
a rimuovere i ricordi di una vita?- si chiedeva Francesca.
-Almeno non soffriranno nel non rivederci più. Ma… noi?-
-Già, noi. Non potevano cancellare la memoria anche a
noi?-
-E poi? No, diventava tutto
più incasinato. Però… riusciremo a stare senza di loro?-
-In fondo, non erano i nostri veri genitori…-
-Però, ca**o, abbiamo
vissuto con loro da sempre! E adesso si presentano questi due
bell’imbusti di Dracula e VanHelsing e ci stravolgono la
vita. Con quale autorità?-
-Sicuramente, una che noi non riusciremmo
a comprendere, come la storia delle guerre tra Babbani e maghi. –
-Sai, adesso che ci penso, ho paura per il nostro futuro. Anche se non credo di essere veramente dispiaciuta per i
nostri genitori, in fondo noi, per loro, non siamo mai esistite… non so
cosa dirti, mi sento un’egoista. –
-Dormiamo, che è meglio. Il sonno porta consiglio,
magari domani ci svegliamo e scopriamo che è tutto un sogno. -
Nella stanza si sentiva solo il fruscio delle coperte
prodotto dall’incessante alzarsi e abbassarsi dei petti delle due
ragazze.
Harry, fermo sulla soglia della porta, stette qualche
secondo ad osservarle.
Per lui era stato più facile. Allontanarsi dai suoi
parenti che lo odiavano era stato tutto di guadagnato, ma per quelle due
ragazze era totalmente diverso: loro una famiglia l’avevano.
Che razza di legge era quella che
separava una famiglia felice? E poi, proprio a lui fra
tutti era toccato quel compito?
Indeciso su cosa dir loro per svegliarle, bussò sulla
porta e si allontanò, sperando che ciò fosse sufficiente.
Elisabetta, la prima a svegliarsi, aprì un occhio ed
ebbe un tuffo al cuore: quella decisamente non era la
sua camera, ciò significava che non aveva semplicemente sognato di
essere una strega.
Scosse Francesca per svegliarla.
-Fre, è tutto vero! Non
abbiamo sognato…-
-Vedo. E ora che si fa?-
-Non so, io ho fame. Andiamo a
mangiare?-
Si vestirono in fretta, indossando i
vestiti del giorno scorso, poi scesero al piano terra.
Harry era già seduto al tavolo che avevano occupato
la sera scorsa; sulla tavola c’era il resto della colazione consumata da
Piton, ma di lui per fortuna neanche l’ombra.
-Buongiorno. Avete fame? Qui c’è del latte e un
po’ di biscotti…- Harry sfoggiava la
solita cortesia distaccata.
-Ciao Harry. Sì, si dà il caso che abbiamo molta fame, perciò non scandalizzarti.
–
-Ma dov’è Piton? Non
che sia dispiaciuta, intendiamoci, però dov’è?-
-Oh, è andato a scuola per informare il Preside del
buon esito della nostra missione…-
Buono, certamente. Per lui.
Il tempo di consumare una veloce
colazione a base di latte e biscotti, e i tre erano già in marcia.
-Scusa, dov’è che andiamo?- si
interessò Elisabetta.
-Al “Giovane Mago Bolognese”,
un posto eccezionale per procurarsi tutto l’indispensabile per la scuola.
–
Harry si muoveva agilmente tra la gente, e ce n’era
molta, tanto che le ragazze faticarono a stargli dietro; le condusse in un
viottolo desolato che all’apparenza non poteva offrire niente
(c’erano solo due cassonetti della nettezza urbana e un gatto, oltre la
spazzatura come foglietti di carta, confezioni vuote di sigarette e quelli che
una volta erano stati chewing-gum), ma il ragazzo
sapeva dove cercare: estrasse il curioso oggetto che a quel punto non poteva
essere che una bacchetta magica e colpì cinque volte una pietra
sporgente da un muro tinto di arancione.
Per Elisabetta e Francesca era un’esperienza nuova,
quella di venire catapultate al di là di un
muro, e perciò si tennero strette l’una all’altra mentre
attraversavano il buco che si era aperto davanti a loro;
dall’estremità “babbana” si
vedeva quella “magica” come da uno spioncino, cioè in modo
distorto, ma quando i tre furono fisicamente dall’altra parte, le due
dovettero trattenere il fiato per evitare di gridare: davanti a loro si apriva
una stradina asfaltata con ciottoli di fiume dalla parvenza medioevale, mentre
ai due lati di essa si affacciavano pittoreschi decine e decine di negozi, quasi
a perdita d’occhio. Alcuni recavano insegne di legno usurate dal tempo e
dalle intemperie, altri avevano le vetrine decorate, altri ancora avevano la
merce ben esposta dietro di esse e solo poche avevano
esposto i prodotti anche all’esterno, in strada; c’era comunque
abbastanza spazio per passare, anche se in fila indiana, dove le mercanzie
erano esposte in strada.
I primi negozi erano chiaramente delle osterie o dei locali,
perché non avevano merci esposte alla vetrina ma grandi e vistose insegne: “Billo
Ballo”… “Crine di Unicorno”… “Sputo di
Drago”…
Passarono oltre.
Più avanti c’erano i negozi di libri e si
fermarono di fronte all’insegna “Studio Magico”.
-Ce l’avete la lettera?- chiese Harry prima di
entrare.
-Sì, direi di essermela messa in
tasca ieri sera…- borbottò Francesca frugando nelle tasche
alla ricerca della busta.
-Bene, cerca il foglio con l’elenco dei libri e
ricordati di acquistarne due copie!-
-Giusto. Allora, vediamo un po’…- Francesca
sfilò un foglio nascosto dietro la lettera vera e propria che aveva
letto la sera precedente e lesse ad alta voce:
SCUOLA DI MAGIA,
STREGONERIA E BABBANOLOGIA DI HOGWARTS
(SEZIONE
DI BOLOGNA)
Uniforme
Gli studenti del
primo anno dovranno avere:
Tre completi da
lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta
in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di
protezione (in pelle di drago o simili)
N.B. Tutti gli
indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il
nome.
Libri di testo
Tutti gli allievi
dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Gli Altri
Incantesimi, Volume primo, di Diego Fontana
Volumi di Storia
Mista, di Caio JulioDigrigna
Il mondo delle erbe e
dei funghi, di Flora Ferrari
Infusi e Pozioni
Magiche, di ArseniusBrodus
Luci e Ombre: Manuale
di Difesa contro le Arti Oscure, di Carlo Proteggo
Moduli
di matematica, di Iris Contabella
Educazione
alla civiltà, di Grazia Vita
Altri accessori
1 bacchetta magica
1 calderone (in
peltro, misura standard 2)
1 set di provette di
vetro o cristallo
1 telescopio
1 bilancia d’ottone
Gli allievi possono
portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.
SI RICORDA AI
GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON è
CONSENTITO
L’USO DI MANICI
DI SCOPA PERSONALI.
-Caspita, quanta roba! Dovremo darci un gran da fare, o
rischieremo di far venire notte!- esclamò Harry,spingendo
nel negozio le due ragazze; alla loro entrata, uno scaccia spiriti vibrò
lievemente, emettendo un suono dolce e armoniosamente prolungato.
-Buongiorno a voi!- salutò un uomo incredibilmente
allungato e scavato, con una folta barba bianca e una corona di capelli lungo
la circonferenza dal capo dello stesso colore.
-Salve!- rispose allegramente Harry, mentre Francesca e Elisabetta restavano indietro.
-Voi due dovete essere studentesse del primo anno.
Sarà un grande anno, pieno di novità! Suppongo siate qua per i libri, quante copie ve ne servono?- riprese
eccitato il commesso, indicando Elisabetta e Francesca.
-Due copie di tutti, per favore! Vuole la lista?-
-Oh, grazie, mi farebbe un favore! Sa, tengo tanti di quei libi che ricordarsi tutti i titoli! Giusto oggi mi dovevano
arrivare cento copie di quel maledetto libro, ma a voi non interessa…
molto bene! Accio libri!- gridò l’uomo e
al suo ordine due file di libri si formarono sopra al lucido bancone; erano tutti
molto grossi, al che le due future apprendiste si scambiarono sguardi
preoccupati, ma il commesso le rassicurò:
-Non temete, molti di questi li userete
per più anni! Allora, fanno cinquantasette galeoni, ma voi mi piacete,
perciò vi faccio solo cinquanta!- sorrise.
-Ehm… Harry, come facciamo?-
bisbigliò Elisabetta, ma Harry le soccorse:
-Pago io per loro! Cinquanta?- ripeté
mentre frugava nelle tasche dei suoi jeans -… Eccoli
qua!- esclamò estraendo una manciata di scintillanti monete d’oro
da un nutrito borsellino e posandoli nel palmo aperto del negoziante.
-Arrivederci!- salutò infine, ricambiato, e
uscì con le ragazze al seguito.
-Grazie. Però non so come
faremo a sdebitarci…- sussurrò Francesca.
-Non vi preoccupate, per adesso pago io, poi faremo un salto in banca a vedere come siete messe, se
proprio non ci saltate fuori, diciamo che vi farò da “tutor”, da padrino se volete!-
-Splendido, magari scopriamo di essere
milionarie!- esclamò Elisabetta senza prendersi veramente sul
serio mentre reggeva sulle braccia a mo’ di scodella un terzo dei libri. Diede una sbirciatina alla lista, poi proseguì
imitata dagli altri.
-Bene, questo è un negozio di abbigliamento!
Vi servono giusto le uniformi e i cappelli, oltre che i guanti! Ragazze, ora
tocca a voi…- le incoraggiò Harry alludendo al negozio chiamato
“Tende e Tendoni per tutti i Bisogni” che esponeva nella vetrina
lucidissima diversi tipi di uniforme accessoriati di
cappello.
-Ehm, salve!- salutò Francesca entrando dalla porta
seguita dagli amici.
-Salve. Voi dovete essere studenti. Che
cosa vergognosa! Vergognosa!- osservò indicando i libri di testo ad
argomento babbano che reggeva la prima cliente. –Ma voi siete troppo
giovani per capire… allora, cosa posso fare per
voi?- aggiunse sbuffando, vistosamente contrariata.
-Ci servono delle uniformi, sono per me e mia sorella e
anche i cappelli e due paia di guanti!- recitò
tutto d’un fiato Francesca.
-Calma, calma, quanta fretta! Ma,
se mi posso permettere, chi paga?- si interessò
la commessa.
-Io! Senta, visto che siamo qui, non
è che ha delle mantelline nere? Me ne serve
giusto una!- si accalorò Harry.
-Certo che le ho! Dunque lei
è un professore? Mi sembra molto giovane… Che cosa insegna, se non
sono inopportuna?- chiese stupita e insieme punta la
donna, inarcando appena un sopracciglio.
-Difesa contro le Arti oscure. Ma
adesso si sbrighi, per favore, abbiamo altri negozi da visitare!-
incalzò Harry.
-Come vuole!- sbuffò lei,
sbrigandosi a cercare un metro ma tenendo lo sguardo torvo
sull’interrogato.
Dopo che ebbe preso le misure, presentò ai clienti
diversi modelli di uniformi e una mantellina; poi
passò ai guanti (li presero di pelle di drago) e infine ai cappelli.
Con quelli in testa, le sorelle si sentirono tremendamente
ridicole, ma la sensazione più forte l’ebbero
indossando i guanti: per il ribrezzo, quasi svennero e per poco non vomitarono.
Comunque, ce la fecero ad uscire
incolumi, con più cose da trasportare e il portafoglio (di Harry)
più leggero.
-Certo che sono proprio forti ‘ste
monete! Com’è che si chiamano?- chiese incuriosita Francesca.
-Quelle dorate e grandi sono i Galeoni, quelle più
piccole sono le Falci e le più piccole di tutti si chiamano Zellini…-
-Ma quanto valgono?-
-Non lo so, non mi sono ancora
abituato alla vostra valuta…- si scusò Harry.
-Eh? Ah, giusto, voi in Inghilterra non avete l’Euro!
Pazienza…- Elisabetta pareva delusa.
-Bene, ora servono un po’ di accessori
vari… vediamo che negozi troviamo per strada!- ricordò il ragazzo.
In capo ad un’ora circa avevano già quasi tutto
il materiale occorrente; mancavano loro solo degli animali.
Nel primo negozio di animali che
trovarono (Animagus), c’erano esposti gufi di
tutte le razze e le tonalità, e ancora gatti, topini, serpenti (che schifo! pensò
Francesca) e rospi…
Il negozio era stato affidato ad una ragazza molto giovane,
bruna, con una lunga chioma di capelli raccolti in una morbida coda e vestita
con una salopette; stava servendo una cliente, una
donna, anche lei giovane e bruna, che stava ammirando gli esemplari di gufi di
cui il negozio disponeva.
-Buongiorno, signorine! Voi dovete essere delle studentesse,
sbaglio?- salutò la commessa; a quelle parole, la cliente del turno
prima (che non aveva ancora finito di scegliere il gufo) si girò di
scatto e i suoi perforanti occhi neri si posarono sulle sorelle che la
credevano in collera con loro: ecco,
adesso ci fa la ramanzina! E perché non si ruba
il posto alle clienti, e perché siamo solo delle marmocchie e
perché qui e perché là… pensò Elisabetta.
-Sarò da voi in un baleno!- sorrise la commessa,
liquidando la cliente che stava servendo prima, che finalmente aveva scelto il suo nuovo gufo, un esemplare veramente bello
con le piume candide; mentre il gruppetto veniva avanti, la donna si mise in un
angolo ad aspettare dopo aver spedito l’animale in un altro posto,
probabilmente a casa sua, con un qualche incantesimo…
-Ditemi, che genere di animale vi
serve? Abbiamo, per gli studenti, gatti, gufi e rospi!- disse
esuberante la ragazza, che evidentemente era da poco entrata in servizio.
-Beh, voglio togliermi lo sfizio di possedere un gatto, a
casa non potevo tenerlo. Posso?- chiese garbatamente Elisabetta.
-Certo, ecco qui quelli che
abbiamo!- rispose la commessa, indicando con la mano una dozzina di gabbiette;
gatti grandi e piccoli di tutte le tonalità, alcune molto vistose (rosso
fuoco o completamente bianco) iniziarono a mettersi in mostra strusciandosi
attaccato alle sbarre delle gabbiette oppure a leccarsi il pelo, ma la ragazza
scelse un gatto dal pelo grigio scuro e dal musetto simpatico che non aveva
neanche un anno.
-Perfetto, e tu cosa vuoi, cara?- si congratulò
applaudendo in modo molto infantile la commessa.
-Ehm… ecco… io volevo tanto un cagnolino… ma non so se me lo lasceranno
tenere…- ammise Francesca rivolgendo lo sguardo supplicante a Harry.
-Non credo, mi dispiace… sei sicura di non volere un
gufo, sono molto utili!- tentò il ragazzo.
-Uhm… andrà bene… prendo
quel piccoletto marroncino!- disse Francesca un po’ delusa indicando un gufetto tozzo che saltellava come un pazzo nella sua
gabbietta emettendo stridi eccitati e acuti.
Fu una vera impresa toglierlo dalla gabbia comune e metterlo
in una singola, ma dopo alcuni tentativi le ragazze furono a posto e stavano
per avviarsi, quando la donna che era rimasta in disparte si avvicinò
loro.
-E così siete delle
studentesse! Spero della sezione bolognese di Hogwarts!- disse. Aveva un timbro
di voce particolare e un cipiglio piuttosto sicuro.
-Infatti, ma perché?-
rispose Elisabetta diffidente.
-Io insegnerò là! Mi chiamo Vittoria Chiodo e
sarò la vostra insegnante di Matematica, ma spero vivamente di farvi
fare anche un po’ diAritmanzia…-
Finirono, tra una chiacchiera e l’altra, per andare a
sedersi al tavolino di una locanda a sorseggiare una buona granita fresca (dopo
che Harry ebbe spedito tutti gli acquisti nella locanda dove alloggiavano con
lo stesso incantesimo usato dalla Chiodo).
-Ma cos’è l’ Aritmanzia?-
-Una materia che centra con la Matematica, ma non mi
sembra il caso di perdere tempo quando ve lo
spiegherò tra… due giorni! E lei, giovanotto, è
l’accompagnatore delle signorine…-
-Serpini! Ma no, non sono
l’accompagnatore, io sarò il docente di Difesa contro le Arti
Oscure, quindi un suo collega!-
-Lui è Harry Potter, noi siamo
Francesca ed Elisabetta. - si intromise Francesca; non
appena ebbe pronunciato quel nome, gli occhi della Chiodo si sgranarono
all’inverosimile e scattò in piedi.
-Potter?!
Harry Potter! Quell’ Harry Potter?-
-Perché? Qual è il problema?- chiesero in coro le sorelle,
preoccupate dalla strana reazione della futura docente, lanciando occhiate
smarrite prima a Harry, poi a lei.
E così vennero a conoscenza
del tassello mancante della storia di Voldemort,
cioè il nome del bambino che lo aveva ridotto in fin di vita: si
trattava proprio del loro amico Harry!
Passato lo shock, chiesero all’amico perché le
avesse tenute all’oscuro di quel particolare non proprio irrilevante,
mettendolo in terribile imbarazzo di fronte alla collega; riuscì comunque a dire che lo aveva fatto perché voleva
restare anonimo, anche solo per un paio di giorni, visto che all’entrata
a scuola lo avrebbero saputo tutti.
Restarono a chiacchierare per molto tempo e le sorelle
raccontarono molto della loro vita alla Chiodo, anche particolari molto
divertenti che costrinsero tutti alle risa.
Quella donna, la Chiodo (di una trentina
d’anni circa), era una strega alta e fiera, ben proporzionata e
ridanciana; aveva un volto tondo, due occhi neri molto penetranti, una bocca
carnosa e due sopracciglia folte e nere come i capelli lunghi, lisci e sciolti
che le arrivavano poco sotto le spalle; vestiva un normale paio di jeans e una
banalissima maglietta a mezze maniche e perciò si sarebbe potuta
confondere benissimo tra i Babbani, a differenza di molte altre persone,
vestite come all’epoca delle guerre mondiali.
Disse di aver voluto accettare la cattedra di Matematica
perché riteneva molto importante la sua materia e perché
costituiva una base per gli studenti che avessero voluto apprendere l’Aritmanzia; disse anche di approvare l’introduzione
delle materie babbane nel percorso formativo dei futuri maghi, siccome riteneva
presuntuoso da parte del mondo magico pensare di non avere bisogno di conoscere
il mondo non magico; in fondo, i Babbani erano riusciti con molti sforzi a
sopperire alla carenza di magia e molte loro
invenzioni potevano sempre tornare utili anche ai maghi (citò come
esempio il computer e Internet).
-Ehi, guardate, c’è Piton! SEVERUS!!!- gridò improvvisamente Harry indicando
un’ombra nera che si aggirava tra la folla; il mago rispose al richiamo
con un cenno e iniziò a dirigersi verso di loro.
-Buongiorno Severus, posso presentarti la signorina Vittoria
Chiodo? Sarà una nostra collega, docente di Matematica!- riprese Harry
indicando la compagna più anziana.
Piton, chino su Harry, girò il collo nella direzione
da lui indicatagli in modo meccanico:
-Piacere…- borbottò -…sono Severus Piton,
insegnante della nobile arte delle Pozioni…- concluse con tono misterioso
e velato, accennando appena a tendere la mano.
-Il piacere è mio! Mi chiamo
Vittoria, Vittoria Chiodo!- ribatté lei andando a cercare la mano
di Piton per stringerla forte.
A quel gesto, gli occhi di Piton (che erano rimasti fissi al
suolo) guizzarono e si incontrarono con quelli della
Chiodo, ma non ressero il suo penetrante sguardo (ebbe come paura che lei
potesse leggere nella sua mente) e si riabbassarono, sottolineati da un lieve
rossore delle gote.
Elisabetta e Francesca si scambiarono
occhiate divertite, e abbozzarono un malizioso sorrisetto.
Occorse insistere molto affinché il professore si
sedesse assieme a loro, ma alla fine l’insistenza della
Chiodo fu premiata; la donna lo tempestò di domande, rivelandosi
molto interessata alle Pozioni e anche molto esperta, tanto da tenere testa
allo stesso Piton che fu veramente meravigliato e al tempo stesso compiaciuto
di ciò; lui comunque all’inizio fu molto evasivo nelle sue
risposte, ma come cresceva la curiosità della collega, così si
scioglieva e quando capì di avere di fronte una vera esperta
nell’arte delle Pozioni, si lasciò completamente andare:
passò quasi mezz’ora di conversazione monopolizzata tra i due che
si scambiavano scibile riguardo a erbe, infusi e incantesimi!
Quando iniziò a calare la sera e la gente per la via fu più che dimezzata, la Chiodo propose di passare
una serata tutti insieme in un ristorantino di sua
conoscenza; tutti accettarono di buon grado, soprattutto Piton, il cui viso,
alla proposta, ebbe l’espressione di una bambino che scarta
l’atteso regalo di Natale.
Iniziarono ad avviarsi, con la Chiodo
e Piton in testa che continuavano a parlottare di chissà quali infusi e
Francesca, Elisabetta ed Harry in coda che si stavano ammazzando di risate:
-Ma l’avete visto, dico:
l’avete visto? Sembra un bimbo! Sembra uno scemo!-
-Già! Si vede lontano un chilometro che è
cotto a puntino!-
-E chi l’avrebbe mai detto?!
Il freddo, gelido Piton che si prende una cotta come un sedicenne?!
Ah, ah, ah! Dio,
com’è divertente!-
-Ma secondo voi, lei le ha capite, le sue intenzioni?-
-Certo che sì! Chissà se da oggi in poi cambierà
abitudini? Magari diventerà un po’ più socievole!-
Tra una scemenza e l’altra arrivarono
al ristorante (babbano!) appena fuori dal “Magico Mondo Bolognese”:
Terrazza Donatello.
Un posto veramente carino, per giunta adatto anche alle
coppiette in quanto adornato da mensole in legno dalle
quali pendevano meravigliose e verdissime piante rampicanti; i tavoli erano
illuminati da candele e nell’aria si sentiva il dolciastro profumo
dell’incenso.
Si sedettero ad un tavolo piuttosto distante dalle finestre
spalancate che permettevano l’entrata di un po’ di
aria fresca, con grande disappunto di Elisabetta che confessò
alla sorella di avere la nausea dell’incenso.
Una cameriera grassottella e simpatica con l’uniforme
nera portò loro il menù, che la Chiodo sembrava
conoscere a memoria visto che non ebbe bisogno di sfogliarlo.
Harry, Francesca ed Elisabetta ordinarono tre pizze, la Chiodo un’insalata di
mare seguita da un piatto di pasta e Piton (su consiglio di lei) scelse un piatto di tortellini.
-Sapete, oggi mi sono divertita.
Forse mi ci abituerò a questo mondo…- confessò all’improvviso Francesca.
Mentre la discussione riprendeva,
Elisabetta fece scena muta, fino a che non perse i sensi e si accasciò
sul pavimento come morta.
-Sorellina!- gridò Francesca mentre Piton, Harry e la Chiodo
si precipitavano attorno a lei.
-Stai tranquilla, è solo
svenuta! Portiamola fuori!- disse Harry, sentendo il polso della ragazza e
trasportandola fuori adagiando il braccio di lei
attorno al collo.
-Elisabetta! Elisabetta!- chiamò il ragazzo, dandole
delle piccole pacche sulle guance finché la ragazza non rinvenne.
-Grazie al cielo! Stai bene?- chiese
preoccupatala Chiodo.
-Sì… sì, sto bene… cavolo, che
bella figura! E col prof. di Difesa contro le Arti
Oscure, per giunta! È solo che quel dannatissimo incenso…!-
-Non ti preoccupare. Adesso ci spostiamo vicino alle
finestre! Sai, avrà contribuito certamente anche il fatto, da quello che
ho capito, che tu non abbia pranzato! I tre pasti (colazione, pranzo e cena)
sono importantissimi e non andrebbero mai saltati, ricordatelo!- riprese seria la donna, cingendo le spalle della giovane
-Forza, torniamo dentro!-
-Francesca, se non ricordo male
desideravi un cane… potrei procurartelo io! Una
mia amica mi ha regalato un cucciolo ed è talmente piccolo e buono che
certamente te lo faranno tenere!- decretò la donna sorridendo a
Francesca, la quale ringraziò talmente tante volte che le si chiese di smettere; da quel momento tutto filò
liscio: i commensali discussero animatamente (Piton compreso) lodando il cibo
mentre le sorelle cercavano, di nascosto, di bere qualche bicchiere di vino.
I due giorni a seguire videro le sorelle impegnate in uno
shopping selvaggio (dopo aver fatto visita alla banca dei maghi, la Gringott,
e aver scoperto di avere un budget che consentiva loro di superare egregiamente
gli anni di scuola) alla ricerca dei capi di abbigliamento
cui non avevano mai potuto accedere: minigonne vistose, calze colorate,
maglioni, magliette, jeans… In fondo, dovevano rifarsi il guardaroba,
visto che avevano lasciato i propri averi nella loro ex-casa.
E poi trucchi (pochi), CD e tutto
ciò che serviva a due adolescenti; naturalmente risarcirono anche Harry
per il materiale scolastico.
Tra un vestito e l’altro, un orribile pensiero si era fatto strada nella mente di Francesca:
-Betty, ci siamo dimenticate le
bacchette!- gridò ad un tratto la ragazza mentre
si stava infilando un paio di jeans.
Harry guardò l’orologio: le diciotto e
quarantacinque! Avevano esattamente quindici minuti per arrivare
in tempo al negozio prima che chiudesse!
-Dobbiamo volare!- precisò Elisabetta -… se
vogliamo arrivare in tempo!-
Fu così che fecero (era severamente vietato
materializzarsi all’interno dei negozi!) e arrivarono cinque
minuti prima della chiusura dei battenti:
-Ci scusi per l’orario… uff!-
ansimò Harry, frenando coi talloni delle
scarpe.
-Siamo delle studentesse e…- continuò
Francesca, frenando e capitando addosso al ragazzo.
-…ci servirebbero due bacchette!- completò
Elisabetta, urtando Francesca.
Il negoziante (uomo basso, tarchiato, dai movimenti assai
goffi e col viso incorniciato da capelli e barba bianchi), che stava chiudendo
le porte del negozio, divertito dalla situazione e dai visi angelici delle due
studentesse, sorrise loro e le invitò ad
entrare.
-Venite pure… questo è l’Emporio di Metastasio e io sono Metastasio.
Allora, avete detto due bacchette? Le abbiamo con anime di piume di Fenice, di
capelli di Veela, di fibre di cuore di Drago, zampe di Acromantula e…sì,
crini di Unicorno…-
-Sì, sì, ma possiamo vederle? Sa, per farci
un’idea…- lo interruppe Francesca, che iniziava a spazientirsi
delle chiacchiere dell’uomo.
-Ma sicuro! Tenete, agitatele e
colpite un oggetto: vediamo che succede!- le rispose, noncurante del tono della
ragazza.
Le prime che “provarono” furono in anima di
fibra di cuore di Drago: Elisabetta fece esplodere un
vaso di vetro e Francesca ne scaraventò i pezzi per tutto il
negozio…
-No, decisamente no! Provate
queste: crini di Unicorno…-
Il risultato non fu migliore: Francesca attirò come
una calamita i cocci, mentre Elisabetta li spedì sotto un mobile.
-Proprio non ci siamo. Però
voi provate a concentrarvi e a desiderare di riparare il vaso, mi raccomando!
Ecco qua, capelli di Veela!-
Francesca non riuscì nemmeno a radunare tutti i
pezzi, mentre la sorella attaccò qualche pezzo anche
se i bordi non combaciavano.
-Per lei , signorina, potremmo
tenerla in considerazione, ma per lei proprio no! Proprio non se ne parla! Se
attendete qua un momento, vado a vedere due nuovi arrivi che…
forse… chissà?-
E sparì nel retrobottega… Lo
si sentiva distintamente frugare in mezzo alla carta, si udivano fruscii
e scricchiolii, poi finalmente: -Ecco qua! Provatele: hanno anima di piume di
Fenice!-
A quelle parole Harry rabbrividì: anche la sua aveva
la stessa anima, e la sua gemella era appartenuta al suo
eterno rivale, Lord Voldemort. Possibile che proprio
le sorelle fossero le destinatarie delle “bacchette dall’anima
maledetta”? Possibile che una di loro sarebbe diventata malvagia, proprio
come era stato con lui e col suo rivale? Ma no, in fondo non era detto…
Per sua fortuna, le bacchette non furono acquistate dalle
ragazze: Elisabetta ridusse i cocci a polvere e Francesca la sparse per tutto
il negozio un’altra volta.
-Non preoccupatevi!- disse Metastasio,
contemplando l’espressione di scusa delle sorelle – Per i vostri
due visi starei qui fino a notte fonda! Vedete, ho
già la scorta!- finì porgendo due bacchette, ma non disse che anima avevano.
Proprio quelle erano le giuste: il vaso si ricompose
perfettamente e non solo, perché sembrò anche essere passato tra
le mani di un abile restauratore.
-Ah, bene! Bene, molto bene! Perfetto! Sono…- stava
già informandole l’uomo, con notevole fretta di chiudere l’incontro, ma Harry gli chiese che anima avessero al loro
interno.
-Oh, sì… eh… piume di Ippogrifo! Lo so, tutto ciò è assai strano,
ma non è illegale, lo giuro!-
-No, no, stia tranquillo. Volevo solo sapere, per
curiosità mia. Perfetto. Pagate, ragazze… ecco. Allora
arrivederci! E grazie del tempo che le abbiamo
rubato!-
Non appena fuori dal negozio, e Metastasio si era affrettato a chiuderlo, Elisabetta lo
tempestò di domande: -Che cosa si intende per “anima”?-
-Diciamo che è il
“ripieno” della bacchetta, ciò che gli da’ il potere
magico… poi naturalmente non può funzionare da sola, perché
serve solo per amplificare i poteri del mago… la tua è in legno di
frassino, lunga… uhm… venti pollici?-
-E la mia?-
-Noce! E anche molto bello… direi sui diciassette
pollici… su per giù...-
-E un Ippogrifo
cos’è?-
Qui Harry, oltre a spiegare loro che genere di creatura
magica fosse, raccontò loro l’esperienza con Fierobecco,
l’Ippogrifo posseduto da Hagrid.
-Ma i Lupi Mannari esistono?-
-Eccome!- e qui parlò di Lupin,
ex insegnante e Lupo Mannaro.
-E i Vampiri?-
-Hai voglia se esistono! Ma non ne ho mai incontrato uno,
per mia fortuna…-
Quella sera le sorelle si fecero un po’ di cultura
generale del mondo magico, passarono dalle creature magiche
a parlare delle scope, e naturalmente del Quidditch che subito piacque loro
molto, e poi degli orari delle lezioni, degli allenamenti in orario scolastico
e cose di questo tipo. Consumarono la cena nella
camera delle ragazze (Harry aveva affittato quella accanto) e continuarono a
parlare fino a che non fu ora di coricarsi.
Harry salutò e diede loro un augurio di buona notte
e, ricambiato, uscì dalla loro stanza.
-Sai Fre, che ti dico? In questi giorni ce la siamo spassata
di brutto!-
-Già! Sembrava quasi di essere in famiglia. E quella Chiodo, una tipa in gamba!-
-E simpatica! Gradisco molto la sua
compagnia. E Piton?-
-Che tipo! Fa
tutto il tenebroso, poi si scioglie come un ghiacciolo d’estate! Ma secondo te si fidanzano?-
-Non saprei… dovremo tenerci
informate!-
-Giusto, ma adesso dormiamo, domani dobbiamo alzarci presto!-
-Solo, tutte queste belle esperienze avrei
voluto viverle con i miei genitori…-
-Lascia perdere, è meglio.
Dormi. -
*
-Sveglia, il treno parte tra un’ora!- gridò
Harry, entrando nella stanza nel caso le parole fossero state inefficaci, ma le
sorelle già stavano facendo colazione.
-Buongiorno! Sai, siamo un po’ eccitate
ma… hai detto il treno?-
-Sì, Elisabetta, perché?-
-Beh, la scuola non è a Bologna? E noi non ci siamo
già?-
-Sì, ma non è proprio in centro…
è dislocata nella provincia. Questa era solo
una tappa. Per acquistare l’occorrente e prendere il treno! Forza, finite
in fretta e preparate la valigia! L’abbiamo comprata, se non erro. -
Ubbidirono e, dopo aver finito di godersi il latte con miele
e biscotti, riempirono le valigie con i vestiti, le uniformi, i libri e misero
le gabbie con gli animali in bella vista sopra al tutto.
-Io il mio gatto lo chiamo
Fuliggine! È così grigio! In questi giorni li abbiamo trascurati
moltissimo, non è vero?- disse Elisabetta
grattando il mento del gatto che, contento, si mise a fare le sue rumorose fusa
indicando una piena approvazione.
-Io… boh… non lo
so… Rufus! Sì, Rufus
ti calza a pennello!- e di tutta risposta il gufo stridette
eccitato volteggiando per la gabbia, un po’ grande per lui.
Intanto Harry era entrato, dopo aver bussato.
-Allora, andiamo?- disse.
Fortunatamente la stazione non distava molto, visto che le
valigie pesavano non poco.
Naturalmente, quando si videro davanti agli occhi una
banalissima stazione babbana, Elisabetta e Francesca
si meravigliarono, ma Harry le informò dell’esistenza del
“binario speciale”: il binario 2 e ½.
Disorientate, le sorelle si guardarono attorno alla ricerca
di “compagni”, ma con scarsi risultati, finché Harry non
comunicò loro di aver trovato il binario: davanti a loro un muro…
-Ma, Harry, questo è solo un
muro!- protestò Elisabetta.
-Qui ti sbagli! Ricordi come ho fatto col “ Giovane
Mago Bolognese “? È esattamente la stessa cosa,
solo che qui dovete semplicemente tirare dritto. –
Elisabetta e Francesca si guardarono,
poi Harry diede loro una forte spinta, e senza accorgersene attraversarono il
muro; lui le seguiva molto tranquillamente.
Lo scenario agli occhi dei nuovi arrivati era
veramente… magico!
I binari del treno si slanciavano lungo la verdissima pianura
a perdita d’occhio; il treno, rosso vermiglione, la sovrastava (era
composto da una decina circa di vagoni) mentre
attendeva pazientemente la partenza sbuffando come il fumatore medio. Tutt’attorno, nella piccola stazione, c’era un via vai
di persone eccitate: studenti, genitori, facchini in uniforme della tinta del
convoglio… un grosso cartello troneggiava
all’”entrata”: Espresso per Hogwarts (sezione bolognese).
-Beh, tutto sommato non
c’è molta gente!- constatò Harry.
-Saliamo?- chiese impaziente Francesca strattonando il
sognante Harry, abbandonato ai ricordi del primo giorno di scuola.
-Giusto!-
Trovarono posto in uno scompartimento vuoto; vi erano sei
sedili, tre per ogni lato, ricoperti di stoffa rossa dalla parvenza
vissuta… la luce del giorno penetrava dai finestrini accompagnati dalle
immancabili tendine… rosse!
-Certo che hanno proprio fantasia,
riguardo ai colori!- osservò Francesca, guardando poco convinta le
tendine.
Proprio in quel momento entrò nello scomparto una
ragazza della loro età: era alta circa come Elisabetta, aveva i capelli
lisci e lunghi sciolti, di colore castano tendente al biondo e la carnagione
chiara; aveva già le fattezze di una donna ed era anche simpatica, come
scoprirono di lì a poco le sorelle.
-Ciao! C’è posto?- chiese timidamente,
indugiando lo sguardo su Harry, il quale la invitò a sedersi in loro
compagnia.
-Grazie. Io mi chiamo Ramona, voi chi siete?-
-Noi siamo le sorelle Serpini: Elisabetta e Francesca!
Piacere, io sono Elisabetta!- disse Elisabetta tendendo
la mano.
-Io invece sono Francesca! Lui, invece, è
Harry… il nostro insegnante di Difesa contro le Arti Oscure!- aggiunse Francesca, accennando a Harry, ma senza proferire
il suo cognome, cosa di cui lui le fu grato.
I due si strinsero la mano sorridendosi; per adesso, gli
studenti avevano fatto buona impressione su Harry, e
meno male!
Parlarono un po’ del più e del meno, del
Quidditch, degli orari delle lezioni (che purtroppo ignorava anche Harry),
delle origini di Ramona (mezzosangue) e di quelle delle sorelle, di Harry (che
evitò di dire il suo cognome) eccetera…
Intanto il treno procedeva per i paesaggi,
passando la verde pianura, i colli, la campagna… dal finestrino sembrava
di assistere ad una mostra di quadri firmati da pittori impressionisti.
Verso mezzogiorno arrivarono a destinazione.
Una voce risuonò per tutto il treno, interrompendo la
conversazione dello scompartimento in cui stavano comodamente seduti, ma
spaparanzati sarebbe più appropriato, Harry,
Francesca, Elisabetta e Ramona: -Tra cinque minuti arriveremo alla sezione
bolognese di Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno: verrà portato negli edifici della scuola
separatamente. -
-Meglio se indossate le tuniche, ragazze! Io andrò a
fare un giro di ispezione…- ricordò Harry,
ma aggiunse: -…anche se la tentazione di sbirciare è forte!-
cosicché Elisabetta lo fece uscire a forza di calci e strattoni, tra le
risa dei presenti, Harry compreso.
Mentre Ramona si infilava
semplicemente la tunica nera sopra alla maglietta a mezze maniche (fuori
c’erano ancora caldo) e ai jeans, Elisabetta e Francesca si stavano
togliendo anche i vestiti, e si scusarono dicendo:
-Suvvia, è il primo giorno di scuola, dobbiamo fare buona impressione!-
Così Francesca indossò una gonna lunga fino
alle ginocchia e una camicetta a mezze maniche ed Elisabetta un paio di jeans
bellissimi, con una moltitudine di decorazioni realizzate con le perline e il
filo e una maglietta realizzata da lei stessa che recava la scritta: Sole,
Cuore, Fluoro; sopra al tutto, naturalmente, la tunica nera.
-Okay, perfette!- approvò
Ramona.
Dopo i cinque minuti annunciati, il treno si fermò.
Le ragazze scesero a fatica dal convoglio, tra spintoni che Elisabetta
ripagò con frasi che non ebbe la decenza di
tenere per sé.
Finalmente riuscirono nell’impresa, uscendo e
assaporando l’aria viva, ma non fresca, del giorno; proprio mentre si
stavano chiedendo dove fosse finito Harry, sentirono quest’ultimo
gridare:
-Primo anno! Primo anno, forza, radunatevi tutti qui!- stava urlando a squarciagola, tenendo ben alzato il pugno.
Quando finalmente il gruppo si fu ricompattato attorno ad
Harry, le sorelle poterono notare che i futuri studenti erano una cinquantina.
-Bene, ragazzi, ci siete tutti? Molto bene, ora seguitemi,
per favore. Attraverseremo il cortile antistante la scuola e, per favore,
niente baccano!-
Faceva presto a dirlo! Gli studenti erano talmente eccitati,
che quelli che già avevano stretto amicizia non facevano che parlottare,
confabulare, progettare e qualsiasi cosa potesse fare un ragazzo alla vista
della sua scuola di magia.
A mano a mano che si avvicinavano all’edificio,
lasciandosi alle spalle la stazione, esso diveniva sempre più grande e
sorprendente: era un castello molto alto, slanciato verso l’alto, in stile gotico con i classici archi e la tipica
fisionomia snella; era fornito di svariate torri e munito di tantissime
finestre alte e strette.
Davanti ad esso, come inchinato ai
piedi del suo re, stava il cortile… ma più che ad un cortile
somigliava ad una immensa pista di pattinaggio, tanto era liscio e
infinitamente grande; era delimitato da una cornice di abeti alti e belli,
veramente maestosi, e accoglieva molti tavolinetti
con sedile incorporato, molto somiglianti a quelli che c’erano a Marano,
come poté osservare Francesca.
Ancora pochi minuti e sarebbero giunti esattamente davanti
all’immenso portone che consentiva l’accesso al castello.
Ecco, siamo fregate!
Da qui in poi inizia la prigione… fu il pensiero di
Elisabetta di fronte all’immenso portone di legno.
Però… è talmente strano! Se noi
siamo del primo anno in assoluto, la scuola prima in teoria non doveva esserci,
eppure questo edificio ha l’aria talmente
antica… notò, osservando la porta di quercia visibilmente
scheggiata e rovinata.
Le sorelle sospirarono e buttarono gli occhi in alto, per
assaporare ancora una volta il cielo prima di
rinchiudersi nel “monastero”.
La porta si spalancò all’improvviso, facendo
sussultare Harry e tutti gli studenti che stavano immediatamente dietro di lui;
comparve una donna, una strega, slanciata ma dall’aria austera, piuttosto
anziana, ma che comunque sembrava in ottima forma e i
suoi occhi scrutavano ad uno ad uno i volti degli studenti; doveva avere i
capelli corvini lunghi, ma li portava raccolti in una crocchia, cosa che
dispiacque molto ad Elisabetta, che era molto sensibile alla cura dei capelli e
riteneva che essi andassero sciolti (se non davano fastidio!).
Da adesso niente
più tiri vispi, questa qua sembra vedere tutto, ma proprio tutto, anche
nella tua testa…pensò Francesca alla
sua vista.
In effetti non sbagliava di
molto…
-Buongiorno, professoressa McGranitt. Ecco qua gli allievi
del primo anno e speriamo che ci facciano compagnia per un bel po’ di
tempo!- disse Harry, scoccando un ampio sorriso alle
sorelle.
-Grazie, Potter. Prego, seguitemi!-
Harry si mise diligentemente dietro alla McGranitt, seguito
dalla folla di studenti che si guardavano intorno meravigliati, estasiati,
stupiti, e anche un po’ impauriti: la sala d’ingresso era
più grande della Chiesa di Marano, forse il doppio e sulle pareti di
pietra erano fissate delle torce che in quel momento erano spente. Di fronte
alla moltitudine si aprivano maestose le scale che conducevano ai piani
superiori: erano a dir poco maestose, degne di un sovrano, proprio uguali a
quelle che le sorelle avevano visto nei film alla televisione e ricoperte di
moquette rossa.
Si fermarono davanti ad una porta uguale a quella da cui
erano entrati, ma posta alla loro destra.
-Benvenuti alla sezione bolognese di Hogwarts, ragazzi. -
esordì la McGranitt.
–Questa scuola reca l’impronta non indifferente
dell’autentica Hogwarts, in Gran Bretagna, quindi, come consuetudine, a
breve avrà luogo il banchetto per
l’inizio dell’anno scolastico, ma prima di prendere posto nella
Sala Grande verrete smistati nelle vostre Case. Badate bene, la vostra Casa
sarà come la vostra famiglia, per il tempo che
trascorrerete qui: le vostre mancanze le faranno perdere punti, i vostri meriti
le faranno guadagnare dei punti; naturalmente frequenterete le lezioni con i
vostri compagni di Casa, passerete il tempo libero con loro e dormirete con
loro.
Le quattro case si chiamano Grifondoro, Serpeverde,
Tassorosso e Corvonero. Al termine di quest’anno, la Casa con più
punti verrà premiata con una coppa, e
sarà anche merito vostro, quindi datevi da fare per recarle onore!-
Detto ciò, la donna spalancò la porta e…
meraviglia!
La Sala
Grande era un luogo veramente fiabesco, sproporzionato: tutto
quel posto era occupato da quattro lunghi tavoli disposti verticalmente rispetto
all’entrata e uno, più corto, in fondo
alla all’ambiente, disposto orizzontalmente rispetto agli altri ed era
l’unico già occupato.
Ma la cosa più sorprendente era il soffitto: oltre
che alto, rispecchiava a meraviglia le condizioni climatiche all’esterno
dell’edificio, infatti irradiava la prepotente
luce settembrina all’interno della stanza.
Dopo tutto, il cielo lo rivedremo!
Prima di entrare, Harry chiese ai ragazzi di disporsi in
fila indiana, in modo da riuscire a passare attraverso il sentiero che separava
i primi tavoli a destra e a sinistra; quando giunsero di fronte al tavolo
già occupato dagli insegnanti, la professoressa McGranitt scivolò
da un lato per prendere uno sgabello sul quale era appoggiato un cappello da
mago dall’aria vissuta, tutto pieno di strappi e lo collocò
davanti alla fila di studenti in attesa.
Alle sorelle parve molto stupido quel cappello, tutto
strappi e macchie, ma quando quello iniziò a parlare con voce
gracchiante, le loro facce si fecero sorprese e ammirate; così il
cappello parlante enunciò il nome dei fondatori delle quattro Case e
delle rispettive qualità in versi a rima incatenata: c’era
Grifondoro, la Casa dei coraggiosi, Corvonero, quella dei secchioni,
Tassorosso, patria dei lavoratori pazienti e infine Serpeverde, Casa degli
aguzzini.
Ecco il quadro che si erano
più o meno fatte le sorelle (esasperando i concetti, è ovvio)
senza però sbagliare di molto.
Infine il Cappello Parlante diede le istruzioni per lo
Smistamento: bisognava semplicemente indossarlo. Facile.
-Quando vi chiamerò, siete
pregati di sedervi sullo sgabello e indossare il cappello. –
annunciò la McGranitt
per i meno svegli srotolando una lunga pergamena e iniziando a leggere i nomi.
Mentre i ragazzi prendevano posto
ai diversi tavoli, Elisabetta e Francesca iniziarono ad essere preoccupate:
-Io sono secchiona, coraggiosa,
lavoratrice o rettile?- chiese Elisabetta alla sorella.
-Tutti e quattro. E io?-
-Beh… direi rettile!-
-Cooosa?-
-No, no, scherzavo! Non saprei proprio… forse
lavoratrice!-
Ma furono bruscamente interrotte quando
Elisabetta fu chiamata: -Serpini Elisabetta!-
chiamò la
McGranitt scandendo bene il cognome.
La ragazza decise di mostrarsi coraggiosa e spavaldamente
lasciò il gruppo e con un gesto veloce si mise il cappello in testa mentre si stava sedendo.
-Uhm… difficile, molto difficile… hai un gran
cervello, a quanto vedo… sì, una gran lavoratrice…lo sai di essere speciale, vero?-
Hai finito di farmi i
complimenti? Guarda che non arrossisco! E certo che
sono speciale, se no qui non c’ero!pensò scocciata la ragazza.
-E sei anche spavalda. Però
la carriera non è tutto, vero? E allora, dove ti metto?-
Se non lo sai tu!
-Bene, penso di aver deciso… GRIFONDORO!-
strillò ad un tratto il cappello, così Elisabetta se lo
sfilò e attese che la
McGranittchiamasse anche sua
sorella per passarglielo.
-Buona fortuna!- sussurrò.
-Bene! Due sorelle. Speciali, molto speciali.
Ma siete proprio sicure di esserlo?-
Certo che lo siamo!
Hai dei dubbi?
-Oh… scusa tanto… allora, cosa abbiamo qui? Interessata
allo studio, vedo, ma anche ad altri hobby… grande atleta… e
musicista… ti vedrei bene a Corvonero, come tua
sorella, ma lei era troppo…-
Finiscila! E mettimi con lei!
-…spavalda. Molto bene: GRIFONDORO!- gracchiò,
e Francesca, al settimo cielo, andò volando a sedersi accanto alla
sorella.
Al loro tavolo c’era anche Ramona, e furono veramente
felici di trovare un viso familiare tra tutte quelle persone; Elisabetta, comunque, non perse tempo e si diede subito da fare per
conoscere più gente possibile. Ben presto conobbe tutto il tavolo dei
Grifondoro, che contava una dozzina di persone, come gli altri tavoli.
Ilir, un ragazzo albanese molto simpatico e anche sveglio,
alto e magrolino, con i capelli biondi e gli occhi grigi propose,
siccome il tavolo era infinitamente lungo rispetto agli occupanti, di alternare
ad ogni occupante un posto vuoto; Rosa aggiunse che se qualcuno si fidanzava,
doveva sedersi obbligatoriamente accanto al partner, senza saltare un posto,
pena una penitenza.
I ragazzi, entusiasti, si disposero come stabilito.
Fu in quel momento che un uomo vecchio e veramente singolare
iniziò a parlare; era alto e possente, nonostante l’età, e
portava i capelli e la barba argentati lunghi. Indossava una tunica con
cappuccio in tinta unita (lilla) fermata in vita da una sottile cintura in pelle di drago, le maniche erano a campana con un
risvolto e sul petto, spostata a sinistra, c’era una sottile striscia
decorativa con i bordi dorati. Il naso molto adunco e i curiosi occhiali con
lenti a mezzaluna rendevano molto particolare e benevolo, oltre che simpatico,
quel personaggio.
-Miei cari studenti, benvenuti a Hogwarts!- esordì mentre sul suo volto si allungava un sorriso.
-Io sono Albus Silente, direttore delle due sezioni: la
vostra, e quella in Gran Bretagna. Purtroppo però non avrò il
piacere di vedervi apprendere le arti magiche, in quanto la mia sede era e resta in Gran Bretagna…-
A quelle parole molti visi, prima sorridenti, si
rabbuiarono.
-… cosa che vale anche per la mia
collega, Minerva McGranitt. Ma ritengo sia prematuro parlare di queste
cose, piuttosto pensiamo a consumare il pasto, che a
quanto so, è a base di specialità italiane!- e dopo aver battuto
un paio di volte le mani, le pietanze apparvero come per incanto.
Un coro di –Oh!- si alzò, ma sparì in
fretta, perché gli studenti iniziarono a mangiare beatamente.
Era proprio vero: le pietanze erano tutte italiane! Su tutti
i tavoli stavano fettine di pizza, cestini di piadina, vassoi di tortellini in
brodo, gnocco, crescente…
-Ehi Fre… che ne dici? Buona ‘sta roba! E guarda
le posate: sembrano d’oro, come i piatti!-
-Davvero! E i tovaglioli rossi! Però mi dispiace che Silente non stia con noi: ha
l’aria simpatica. -
-Già, ma la cornacchia è proprio meglio che
sloggi! Hai visto che faccia?-
-Sono perfettamente d’accordo!-
Le sorelle, abituate a pasti veloci, finirono prima degli
altri, così poterono iniziare a confabulare riguardo i
loro professori.
Guardando la tavola degli insegnanti (partendo da sinistra)
il primo era Harry, che si stava gustando la sua fetta di pizza alla salsiccia;
poi c’era la Chiodo, che vestiva un abito verde
modello ottocentesco: le maniche che terminavano a punta giungendo fino al
medio, la scollatura appena sopra al seno, cordoni infilati negli appositi
anellini per fermare l’abito… unica differenza la gonna aderente.
Proseguendo sempre verso sinistra c’era Piton, che
sembrava abbastanza preso dal vino e consumava le pietanze in assoluto
silenzio; naturalmente vestiva di nero e risaltava molto in mezzo alla girandola
di colori degli abiti dei colleghi. Di fianco a lui
stava una strega che le sorelle non conoscevano, ma che assomigliarono subito
alla McGranitt, che le sedeva accanto: un po’ più bassa, snella,
sicuramente più giovane ma sempre con un’espressione severa,
vestiva un completo simile a quello della Chiodo (come
tutte le professoresse) ma colore sabbia.
Mentre le due chiacchieravano tra loro come ragazzine, Silente, seduto su di una specie di trono alto e
ben lavorato, coi manici dorati, discuteva animatamente con l’occupante
del posto successivo probabilmente riguardo la qualità dei vini, che
doveva trovare eccellente, visto che reggeva la coppa contenente il liquido
sorridendo e indicandola spesso con l’indice della mano libera.
L’uomo seduto di fianco a lui gli
somigliava per altezza, ma era più giovane e aveva il viso
sgombro dalla barba e i capelli appena ricci molto più corti; si vedeva
subito che era un tipo particolare: tanto per iniziare non vestiva una tunica
ma una camicia a rettangoli azzurra e un paio di pantaloni multi tasche, poi
sembrava molto allegro e vivace, rideva spesso e non aveva molto di
magico…
Mentre i due stavano parlando, una donna cercava
disperatamente di attirare l’attenzione dell’amico di Silente; era bassa ma snella, aveva folti capelli ricci e ribelli che
nascondevano gran parte della fronte e delle guance, uno stupendo paio di occhi
azzurri che potevano fare concorrenza a quelli di Elisabetta, un naso molto
regolare e vestiva il solito abito ottocentesco, stavolta senza maniche e
bianco.
La donna aveva appena finito di parlare con la vicina, una
strega molto aggraziata e giovane, con i capelli ricci castani e gli occhi del
medesimo colore, vestita di blu.
Proseguendo, c’era una donna di mezza età, di
corporatura media, coi capelli neri cortissimi e gli
occhi nocciola, che vestiva di rosso; poi, un uomo robusto col viso pieno, i
capelli castani corti e gli occhi azzurri dall’aria gioviale che
indossava un paio di pantaloni e una camicia a fiori. A chiudere la tavolata c’era
un uomo sulla trentina, altezza media, capelli neri a spazzola e gli occhi
nocciola e una donna giovane, alta, di carnagione molto chiara con gli occhi
azzurri, le labbra rosse e i capelli biondi lisci.
Dopo aver ben considerato ognuno dei docenti, le sorelle
trassero le loro conclusioni, ma non fecero in tempo a
comunicarsele, perché arrivarono i dessert, quasi tutti provenienti dal
meridione d’Italia.
Dopo aver coronato l’ottimo pranzo con un rinfrescante
dessert (si tiene a precisare che essendoci trenta gradi all’esterno
dell’edificio, e pur trattandosi di un luogo umido, anche nella Sala
Grande si moriva di caldo), Silente si alzò e prese parola, abbracciando
la stanza con i limpidi occhi azzurri, che nonostante l’età
mantenevano un colore vivido.
-Miei cari, si può dire che
il pranzo sia ormai terminato! Essendoci una temperatura non
adatta al lavoro, consiglio a voi di ritirarvi nella Sala Comune della vostra
Casa e dedicarvi all’ozio. Se qualcuno fra voi è
interessato a scambiare qualche parola con me o con qualcuno dei docenti, lo
invito ad unirsi a noi insegnanti: vi avverto che dopo non sarò
più disponibile, visto che farò ritorno
in Gran Bretagna!- avvertì, e un nuvolo di studenti prese alla lettera
il primo consiglio dell’uomo e, alzandosi rumorosamente e
disordinatamente, si diresse all’esterno della stanza.
-Noi che facciamo?- chiese Francesca rivolgendosi alla sorella.
-Io vado a fare un giro per sentire di che si discute con i
prof. … potrebbe essere divertente!-
-Va bene, ti seguo!-
Un ristretto gruppo di ragazzi, soprattutto Corvonero a
quanto poterono capire, aveva accerchiato il tavolo degli insegnanti, che
stancamente si stavano alzando.
-Ouf! Con la pancia piena è un vero strazio alzarsi dalla tavola!- ammise
Silente, suscitando le risa dei ragazzi. Prese posto a
capo del drappello di studenti e li condusse in un’altra stanza, simile a
quella che avevano lasciato, ma più piccola; davanti era occupato un
tavolo posizionato orizzontalmente, di fronte al quale erano sistemate ordinate
file di sedie. Era l’auditorium.
Come un branco di pecore, studenti e professori presero posto; le sorelle erano riuscite ad acchiappare un
posto in prima fila, esattamente al centro.
-Molto bene, da dove volete cominciare? Ma
certo, presentiamoci! Professoressa, ha l’onore di cominciare! Comunque è un vero peccato che non tutti gli
insegnanti siano presenti…- disse Silente, rivolgendosi prima ai ragazzi,
poi alla Chiodo.
-Bene. Io mi chiamo Vittoria Chiodo e sarò
l’insegnante di Matematica dei Grifondoro e dei Serpeverde; come tutti saprete, è una materia tipicamente babbana, cioè dei non-maghi, che a discrezione dei
docenti può essere integrata all’Aritmanzia,
ma un passo alla volta! Dunque, mi auguro che tutti
voi sappiate fare i calcoli, perché la Matematica si basa su
questo, poi naturalmente si amplierà con altre branche. Intanto pensavo,
in comune accordo coi colleghi che oggi non sono qui,
di iniziare somministrando alle classi un questionario, per capire da dove
devono partire le mie spiegazioni, quindi non preoccupatevi!-
-Boia! Iniziamo già con le verifiche?!Che pizza!- commentò
Elisabetta, sussurrando all’orecchio della sorella, la quale
annuì.
Subito dopo di lei c’era Piton, che prese parola:
-Il mio nome è Severus Piton e sono il docente di
Pozioni. Vi avverto fin da ora che per avere qualche speranza nella mia materia
dovrete metterci l’anima, non ammetto gli svogliati e gli immotivati.
Certo, non mi aspetto che capiate a fondo la bellezza dei vostri prodotti, il
significato più nascosto che celano… solitamente gli studenti che
ho incontrato dimostravano una certa
aridità…- e scoccò una veloce occhiata a Harry.
La strega seduta affianco a lui
decise di interrompere il suo discorso, temendo una cattiva reazione generale,
così prese parola senza lasciar terminare il suo collega.
-Buongiorno a tutti, sono Graziana McGranitt…- disse,
sorprendendo molte persone, ma non le sorelle, che se
l’erano aspettato -…come avrete capito sono la sorella di
Minerva, ma insegnerò Italiano ai Grifondoro e Storia della Magia a
tutte le Case. Non penso di essere particolarmente esigente, almeno nei primi
anni, ma vi chiederò soprattutto costanza e impegno nelle verifiche,
soprattutto in Storia della Magia. Questo è quanto…-
Poi fu la volta della strega riccia bionda:
-Salve, mi chiamo Roberta Parmigiani
e sarò la vostra insegnante di Artistica. È una materia che
solitamente si insegna durante i primi anni delle
scuole babbane; generalmente, ritengo che le sia sempre stato attribuito poco
spazio… badate! Non vi insegnerò solo a
disegnare, troppo ovvio, ma vi darò anche alcune nozioni di Storia
dell’Arte che riterrò opportune. Comunque,
realizzeremo anche molti progetti carini di cui potrete disporre a vostro
piacimento, ad esempio regalarli. Spero di avervi incuriositi
almeno un pochino…-
Regalarli? E a chi? Non avevano
genitori! E comunque non furono interessate un
granché le sorelle.
Poi toccò a quella che sembrava essere un’amica
della professoressa di Artistica:
-Ciao ragazzi, mi chiamo Angela Venturelli
e insegno Cura delle Creature Magiche. Direi che in
generale è una materia abbastanza apprezzata e utile, perché vi
insegnerà a riconoscere tutti gli animali magici che popolano il mondo,
con un occhio di riguardo a quelli che vivono in Italia, e anche a come
comportarvi o difendervi in loro presenza… ma non vi preoccupate, non ci
sarà da farsi del male!-
Molti ragazzi alla parola “difendersi” avevano
allungato il collo improvvisamente interessati, ma quando sentirono le
rassicurazioni della professoressa il loro interesse svanì
come per… magia!
Anche Elisabetta si pregustava una
bella carneficina in cui lei strozzava un Drago con un pezzo di corda, ma i
suoi sogni furono bruscamente interrotti, e si ritrovò a stuzzicare con
una paglietta un alieno che non ne voleva sapere di muoversi.
La Venturelli passò parola
all’uomo dai capelli neri a spazzola, che disse di essere il professore di Incantesimi:
-Buongiorno. Io sono Francesco Lorri
e insegno Incantesimi. In questa disciplina dovrete dare il meglio di voi e,
non me ne vogliano gli altri insegnanti, ritengo sia
tra le più importanti. Inizieremo ovviamente da zero, così che
anche i ragazzi che sono cresciuti in ambienti babbanipossano essere in pari con gli altri, perciò
prego chi già ha qualche competenza di essere paziente e attendere gli
altri e chi non ha ancora appreso nulla di dare sempre il massimo impegno,
perché in questa materia, a dispetto di ciò che si può
pensare, si accede ai livelli di difficoltà superiori solo quando si
hanno delle solide basi, come in un muro…-
Poi si passò all’insegnante che i ragazzi
giudicarono la più bella tra tutte, quella bionda:
-Buongiorno a tutti. Il mio nome è Domenica Melalavo e insegno Trasfigurazione. Vi anticipo subito che
è una materia difficile e impegnativa, ma terribilmente affascinante. Il
perché è presto detto: saper mutare un oggetto in un altro
può essere allo stesso tempo utile e divertente!-
E dopo all’uomo con cui
discuteva Silente:
-Salve ragazzi! Io sono Aberforth Silente, il fratellino di Albus…-
Che notizia! Sconvolgente! Qui
anche le sorelle rimasero stupefatte.
-… e vi insegnerò
Informatica. Vi starete chiedendo cosa sia questa brutta bestia: il bello
è che non lo so neanch’io! No, a parte
gli scherzi, vi darò una veloce infarinata di cultura babbana, per poi approfondire nel settore che ritengo
più importante: quello delle comunicazioni. I Babbani hanno escogitato
dei modi veramente ingegnosi per riuscire a vincere le distanze, e io vi illustrerò molto dettagliatamente ciascuno di
essi. Posso anticiparvi che alcuni sono veramente favolosi e si possono
utilizzare per molte cose, ma adesso voglio lasciarvi un po’ sulle
spine…-
Beh, per fortuna dalle spine si passò alle rose!
-Buongiorno! Io sono il vostro insegnante di Musica, Corni
Leonardo. Ci divertiremo molto insieme, ma a patto che voi mi rispettiate; io farò altrettanto. Se
ci riusciremo allestiremo anche un piccolo spettacolo per Natale, quindi:
massimo impegno!-
Harry doveva proprio essere l’ultimo, perché
anche l’insegnante di Erbologia
lo scavalcò:
-Ciao, ciao! Sono Irma Tassssi, la
vostra insegnante di Erbologia!
Vi insegnerò a riconoscere e catalogare ogni
specie di pianta conosciuta e vi informerò anche sulle rispettive
applicazioni. Che bello! Non vedo l’ora!-
Sì… ma solo lei non vedeva l’ora! Le
sorelle non avevano intenzione di diventare delle “contadine” e si rabbuiarono ma un ragazzo disse loro che forse avrebbero
parlato anche della marijuana, sollevando notevolmente il loro umore,
cosicché furono un po’ più disponibili.
Se la notizia che Albus Silente, il famoso stregone (ormai
l’avevano capito anche le sorelle che era famoso: come potevano loro
italiani conoscere un mago straniero, a meno che non
fosse famoso?), aveva un fratello sconvolse i presenti, quella che sotto i loro
occhi c’era niente meno che Harry Potter mandò tutti in delirio:
-Ciao ragazzi, io sono il vostro nuovo insegnante di Difesa
contro le Arti Oscure, il mio nome è… Harry Potter…-
Prima il silenzio generale, stupore anche fra i docenti, poi
sussurri e infine un fracasso di domande:
-Lei è quello che ha sconfitto Voi-Sapete-Chi?-
-Mamma mia! Posso vedere la cicatrice?-
-Me lo fa un autografo?-
Harry tentò una risposta evasiva:
-Guardate che non avrete bisogno del mio autografo: basterà la firma dei
voti! Comunque avremo tempo di conoscerci
più avanti…- che sembrò bastare alla folla, ma i ragazzi
come i professori erano rosi dalla voglia di sapere, di parlare con lui, cosa
che lo mise in evidente imbarazzo e che divertì terribilmente Piton.
-Molto bene, direi che possa
bastare. Allora, che cosa siete curiosi di sapere, miei cari?- interruppe
Silente, che a questo punto si dovrà
identificare come Albus Silente.
La discussione che seguì fu trovata noiosa dalle
sorelle: si era parlato degli orari delle lezioni, che in Gran Bretagna
iniziavano alle nove, poi si interrompevano per la
pausa pranzo e ricominciavano alle tredici, mentre in Italia si iniziava alle
otto e ci si fermava alle tredici, si ricominciava alle quattordici e si finiva
alle diciassette (tutti i giorni!)… poi che là avevano anche un
lago vicino alla scuola dove vivevano dei mostri marini… che si disputava
un torneo di Quidditch tra le Case, ma quell’anno si sarebbe disputato
tra le due sezioni… della posta via Gufo… che alcune materie in
Italia non si sarebbero fatte (si parlò di Divinazione)… che
c’era un reparto dove si curavano eventuali ferite magiche in tutti e due
i castelli… che il “bidello” era napoletano… ronf…ronf…
Sì, le sorelle si erano assopite, ma non si erano
perse un granché. Si ridestarono quando Silente
annunciò la sua imminente partenza per la Gran Bretagna
assieme a Minerva McGranitt.
-Senti Betty, io
voglio stringergli la mano! Ma se vedono che
gli andiamo incontro, lo faranno anche gli altri, perciò aspetteremo che
sia uscito e poi andremo anche noi con la scusa che dobbiamo andare in bagno.
Ti sta bene?- propose Francesca con aria cospiratrice, badando che nessuno la stesse ascoltando.
-Va bene! Ti seguo!- accordò
la sorella.
Così, appena Albus Silente e Minerva McGranitt uscirono, le sorelline fecero lo stesso, rispondendo ai
curiosi che dovevano “fare un giro in bagno”. Naturalmente si
affrettarono a raggiungere la meta:
-Dai Francesca! Va
bene, li chiamo io! PROFESSORI! PROFESSORI! Un momento per favore!-
gridò Elisabetta dietro agli insegnanti, che si voltarono; Silente
sembrava contento di fare altre quattro chiacchiere, ma la collega non troppo.
-Avete ancora qualche dubbio, ragazze? Potrei sapere che
cosa stavate facendo mentre noi dibattevamo?- chiese
poco cortesemente la
McGranitt.
-Visto che mentire non serve a niente… ci eravamo appisolate un attimo!- confessò Elisabetta
che sembrava l’innocenza fatta persona.
-Ma abbiamo seguito il filo del
discorso!- si affrettò ad aggiungere Francesca, meravigliata e poco
contenta della risposta della sorella.
-Allora?!-
-Ehm… volevamo chiedervi una… una stretta di
mano! Non capita tutti i giorni di incontrare un Silente e una McGranitt,
inglesi per giunta!- balbettò Elisabetta, che proprio non sapeva
motivare il perché del gesto che volevano compiere.
-Comprendo… siete vissute in
un ambiente babbano, vero?- disse caparbio l’uomo.
-Già… si nota molto?-
confermò Francesca.
-Abbastanza. Ma certo che vi stringo la
mano, care ragazze. Come vi chiamate?- chiese lui.
-Siamo le sorelle Serpini, io Elisabetta e lei Francesca.
–
-Lieti di aver fatto la vostra conoscenza, non è vero
professoressa?-
-Certo, certo, ma ora
sbrighiamoci!- incalzò la donna.
-Sì, sì, vai avanti, Minerva!- disse con poca
cura Silente, attirando un’occhiataccia severa della collega, che per
quanto spazientita si incamminò senza di lui.
–Ah, Minerva… certe volte farebbe perdere la pazienza anche ad un
santo!- ammise, sorridendo e strizzando l’occhio alle
“ammiratrici”, le quali risero di cuore
all’inaspettata battuta.
-Siete delle care ragazze, e sento che qui vi troverete
molto bene. Se permettete, vorrei darvi un consiglio: durante le lezioni di
Pozioni, se il professore vi tormenta, voi ignoratelo,
perché cerca solo un pretesto per togliere dei punti in giro… ha
una strana avversione per i Grifondoro!-
-Ah, andiamo bene!-
E così si salutarono, ma non
era un addio: si sarebbero rivisti alla partita di Quidditch, verso la fine
dell’anno.
-Che figura di cacca che abbiamo fatto, posso
dirtelo?-
-Non ti preoccupare, era la McGranitt che ha
rovinato tutto! Quel Silente è un tipo simpatico, non
trovi? Speriamo che sia altrettanto suo fratello!-
-Secondo me è anche meglio! E
speriamo che sia migliore anche la sorella della McGranitt!-
-Ma sì, pensa positivo! E
per quanto riguarda Piton, temo che sarà difficile seguire il consiglio
di Silente, ma tenteremo… non è vero?-
-Si farà quel che si potrà…-
Non tornarono dentro l’aula, ma pensarono di fare un
giro fuori, al parco, per parlare un po’ e scoprirono che anche qualcun
altro aveva avuto la loro stessa idea.
-Ma noi possiamo stare qui fuori,
vero?- chiese Francesca al primo ragazzo che incontrò.
-Sì, l’ ho chiesto a Silente
quando è uscito. –
-Okay, grazie!-
Le ragazze scelsero con cura una panchina all’ombra
degli abeti e completamente libera: avevano bisogno di
confidarsi.
-Allora, che te ne pare?-
iniziò Elisabetta.
-Niente male, mi sento già a mio agio! E anche i
prof. sembrano delle brave persone!-
-Tutti tranne Piton. Secondo me era
un bambino prodigio incompreso! Poi ha ammazzato i genitori e volendo torturare
qualcun altro è diventato un professore. –
-Dunque, le lezioni sono a tempo pieno dal lunedì al
venerdì, e al sabato abbiamo solo la mattinata.
Secondo te, ci insegneranno a volare sulle scope?-
-Certo, Harry ci ha detto che
insegnano a giocare a Quidditch, e per giocare occorre saper volare… ma
adesso che ci penso, la professoressa di “volo” non si è
fatta vedere, come quelli di Matematica e Italiano delle altre Case…-
-Secondo me visto che oggi non dovevano far lezione sono
rimasti a casa. Hanno fatto bene!-
-Sì, ma pensa se eravamo in
un’altra Casa: ci saresti rimasta un po’ male. -
-Già, hai ragione…-
-A proposito di Case, andiamo su nel nostro Dormitorio, per
vedere com’è!-
-Dai, sono curiosa! Speriamo solo
di arrivare incolumi: questa è una gabbia di matti!-
-Se no non si chiamerebbe scuola…-
Entrarono dal portone principale nell’atrio, dove
trovarono quattro cartelli con freccia che indicavano la direzione per i vari
Dormitori e altre cose come “Biblioteca”; il loro era in alto a sud-est. Ma a sud-est
di che cosa? Salirono l’immensa rampa di scale ricoperta dalla moquette
rossa e capirono: dinnanzi a loro si ergeva un’immensa bussola, con le indicazione dei punti cardinali. Era rotonda, ricoperta
di metallo dorato nella parte posteriore e di vetro trasparente davanti; i
punti cardinali erano indicati con un filo d’oro lavorato con calligrafia
molto elegante e il nord era segnato da un ago probabilmente d’argento.
La cosa più sorprendente era il fatto che fosse
sospesaa mezz’aria ad almeno
due metri da un immenso tavolo di legno ben lavorato e massiccio, le cui
dimensioni erano proporzionate a quelle della bussola.
-Sud-est, eh? Allora,
io credo che dovremo dirigerci direttamente verso est, perché siamo
già a sud. Quelli che invece dovranno andare a nord dovranno proseguire
dritto… perché da quel che ho letto, tutti i Dormitori sono in
questo piano…I Dormitori sono tutti collegati: siamo dentro ad un grande
quadrato! Che forza!- constatò Elisabetta.
-Prima vediamo il nostro, poi facciamo un giro per vedere
quanto sono lunghi questi corridoi!-
Così si diressero verso est e incontrarono una porta
bassa e tozza, al di là della quale doveva
trovarsi il loro Dormitorio; tentarono di avvicinarsi, ma quella si
corrugò a formare una faccia pienotta che chiese -Parola
d’ordine?-
-Senti amico, non abbiamo voglia di discutere, perciò
fai la brava porta e lasciaci passare!- incalzò
Elisabetta.
-Niente parola d’ordine, niente ingresso!-
-Oh, magnifico! Adesso che si fa?-
chiese Francesca.
-Salve! Siete dei Grifondoro?-
disse una voce, che le sorelle indovinarono appartenere al bidello,
perché l’accento era napoletano.
-Ehm, sì. Lei è il bidello? Potrebbe darci una
mano?-
-Ueh, ma certo! La parola magica
è Viva l’Italia!-
-Grazie! Ma ogni Dormitorio ha la
sua, vero?- chiese incuriosita Francesca.
-Sì, sì!-
-In pratica fanno da guardia?!-
continuò.
-Sì, sì!-
-Ma se non sai la parola d’ordine?-
-Eh… credo che ti resti fuori!-
-Ma qual’è il tuo
nome?-
-Il mio nome? Io sono Pasquale Nograzzie!-
-Nograzzie? Bel nome!-
-Grazie, signorì! E buona
giornata!- e così dicendo Pasquale se ne andò.
-Che tipo! Allora: Viva l’Italia! Ti sta bene?!- disse Elisabetta, ma la porta si limitò ad
aprirsi senza rispondere.
L’interno era molto carino e accogliente: il pavimento
era in pietre rosse, come gran parte dell’arredamento tranne i mobili,
c’erano una serie di poltrone imbottite, un camino enorme ma spento (meno
male!), dei tavoli di legno massiccio e un listello di legno
sottile appoggiato alla parete la cui funzione doveva essere quella di bacheca.
Sulla stanza si aprivano due rampe di scale, una a destra e l’altra a
sinistra del camino; le ragazze scelsero quella a destra, guidate dalle voci
delle compagne. Iniziarono a salire i gradini e dopo non molto arrivarono ad
una porta simile a quella da cui erano entrate, ma quella non oppose resistenza quando tentarono d’entrare: il Dormitorio
femminile era una stanza rettangolare sviluppata in lunghezza occupata in gran
parte da letti a baldacchino, di fianco ai quali c’erano dei comodini che
reggevano delle abat-jour…
-Ciao ragazze! Se cercate le vostre cose
sono dentro al vostro armadio, di fronte al vostro letto! E le valige sono ai
piedi del letto!- le informò Ramona, che era
accucciata sul suo letto insieme ad altre tre Grifondoro.
-Grazie, Ramona! Dunque, spero che
il mio letto sia quello vicino al tuo!- disse Francesca, ed effettivamente era
così: la sua roba era contenuta ed ordinata nel piccolo armadio di
fronte al letto vicino a quello di Ramona.
-Non puoi sbagliare: le tue cose compaiono nel primo armadio
che apri! Comunque è proprio quello,
perché c’è la tua valigia! E
quello di fianco deve essere il posto della tua amica… - ridacchiò
un’amica di Ramona. –Piacere, io sono Rosa Millespine!-
-E noi siamo Valeria Verdi e
Christina Zezzu!- le fecero eco le altre due ragazze.
Rosa era bassa e paffuta, con i capelli
ricci e castani scuro e gli occhi castani chiaro; indossava una
salopette di jeans sotto la quale portava una maglietta a mezze maniche e un
paio di sandali.
Valeria era invece slanciata e snella, con i capelli neri a caschetto e gli occhi azzurri; indossava una gonna
svolazzante a motivo floreale e una maglietta attillata senza maniche con
scritto “Peaceand
Love!” e aveva l’aria di persona seria.
Infine Christina, che doveva essere meridionale, era bassa e
di carnagione scura, con i capelli e gli occhi castani scuro ed era molto
carina nel suo paio di jeans.
-Piacere! Noi siamo Elisabetta e Francesca Serpini.
L’avete già incontrato il bidello? Simpatico, vero?-
-Sì, è stato lui a dirci la parola
d’ordine. Ho sentito dire che la cambiano ogni
mese!-
Fecero un po’ di conversazione, durante la quale si
scoprì che Rosa era una Purosangue e che Christina veniva dalla
Sardegna, anche se l’accento non si sentiva; vennero così le sette
di sera, e Rosa avvertì che era ora di cena. Scesero tutte
insieme (furono tra le prime) e si sedettero, a intervallo di un posto,
al tavolo dei Grifondoro. I professori erano già tutti schierati al loro
posto, e ne doveva essere arrivato anche qualcun altro, perché il tavolo
sembrava più affollato rispetto all’ora
di pranzo.
-Ma lo sapete chi è il nostro insegnante di Difesa
contro le Arti Oscure?- disse improvvisamente
Francesca.
-No, chi è?!- risposero in
coro Rosa e Valeria.
-Beh, è Harry Potter!- annunciò
Elisabetta, al che mancò poco che Rosa svenisse.
-Davvero? Ma come fate a saperlo?-
-Eh…-
-E dai!-
-Siamo andate con Silente in auditorium
e lì l’abbiamo imparato. – rispose evasivamente Francesca,
che non aveva voglia di parlare loro del fatto che si conoscessero già;
Elisabetta capì le sue intenzioni e le resse il gioco.
A poco a poco arrivarono tutti, e i tavoli si riempirono di
cibi e bevande.
La notizia della presenza del famoso Harry Potter era
dilagata come un virus, e ai tavoli non si parlava d’altro; il
protagonista di tante attenzioni però cercava di distrarsi parlando con
l’insegnante di Erbologia.
Quando tutti furono sazi e le
forchette posate, Aberforth Silente si alzò
invitando i commensali al silenzio.
-Avete mangiato a sazietà?- chiese, e tutti annuirono. -Molto bene. Consiglio a tutti
voi, per i primi tempi, di recarvi alle lezioni in gruppo, giusto per non
perdersi. Intesi? Bene, potete andare! E per i più dormiglioni,
buona notte!-
Finalmente tutta la stanchezza della giornata si fece
sentire e dopo un’altra breve partita a chiacchiere, giusto per
arrotondare le nove, ognuna delle ragazze si coricò e sprofondò
nel sonno.
Capitolo 5 *** Fermo lo tempo per fermar lo periglio! ***
Capitolo 5
Capitolo 5
Fermo lo
tempo per fermar lo periglio!
Francesca si girò dall’altra parte: un raggio
di sole stava tentando prepotentemente di svegliarla.
Lei però non la pensava come lui, non voleva
svegliarsi da quel sogno in cui era un’apprendista strega, desiderava
conoscerne l’epilogo.
Ecco, ci si mette pure mia sorella! Anche se lei
è mattiniera, nessuno le dà il diritto di…
Non fece in tempo a finire: la interruppe Ramona, che la
stava chiamando per informarla che bisognava prepararsi per scendere… allora
non stava sognando!
-Arrivo!- annunciò; non seppe dire a se stessa se
fosse contenta o meno, era molto combattuta.
Intanto Rosa si stava occupando di sua sorella, che sembrava
un po’ più tenace, ma alla fine si svegliò anche lei
buttando all’aria le coperte e iniziando prepotentemente a cantare.
Il sole splendeva, ma l’aria era più fresca
rispetto ai giorni precedenti.
Francesca scelse un paio di pantaloni al ginocchio e una
maglietta, Elisabetta una gonna sottilissima e la
maglietta dal giorno prima.
Chiesero alle amiche di indicare loro il bagno e lì
fecero toeletta.
Contrariò tutte il fatto di
dover indossare l’uniforme nera, primo perché faceva un caldo
soffocante, secondo perché dopo i vestiti non si vedevano: cosa li
avevano comprati a fare se dovevano coprirli? All’improvviso
Elisabetta fu fulminata una domanda: dov’era il suo gatto?
Lo chiese alle amiche, ma loro la
tranquillizzarono dicendo che la gabbia era ai piedi del suo letto e che i
gufi, a cui si era ovviamente interessata la sorella, stavano nella Gufiera, in una torre all’ultimo piano.
Dopo la figura di XYZ, Elisabetta aprì la gabbietta
del suo gatto e lo accarezzò, decidendo di lasciarlo libero
per la stanza durante la sua assenza; gli riempì la ciotola dei croccantini e quella dell’acqua, lo accarezzò
nuovamente, poi lo lasciò libero.
Mentre le ragazze preparavano la
borsa dei libri, un dubbio le assalì. Cosa
dovevano portare? Non era stato consegnato loro alcun orario!
Ognuna scelse un libro diverso, così da avere una
copia di tutti; quando furono pronte scesero nella Sala Grande.
Francesca sospettava che i professori stessero
sempre lì seduti, perché immancabilmente precedevano gli
studenti; le ragazze presero posto come stabilito e attesero l’arrivo dei
ragazzi.
Quando arrivarono per prendere
posto, Eric, un ragazzo alto e atletico, molto carino, moro e con gli occhi
scuri chiese al compagno di saltare due posti, siccome si era fidanzato con una
Corvonero.
Christina prese male la notizia.
Quando apparve la colazione, quasi nessuno aveva fame:
l’abbuffata della giornata precedente ancora sortiva un certo effetto
sullo stomaco, piuttosto sonnolento e tendente al chiudersi per impedire
l’arrivo di altro cibo.
-Io ho finito!- annunciò Elisabetta,
ma solo Francesca era al suo stesso punto.
-Bene. Iniziamo ad andare? Ah, no! Silente aveva detto che dovevamo andarci in gruppo…- si corresse
quest’ultima, un po’ seccata dal monito dell’uomo.
-Beh, che ne dite se vi accompagno?- si intromise
Harry, che si era appena seduto tra le due.
-D’accordo. Andiamo!- risposero alzandosi e raccogliendo lo zaino che avevano
scaricato ai piedi delle sedie; i Grifondoro (e chi stava osservando e non
mangiando!) rimasero allibiti della loro confidenza.
Anche se nessuno dei tre conosceva
l’orario, Harry suppose che le prime ore sarebbero state occupate da
Lettere.
-Di solito è così…-
disse –L’aula si trova qui al piano terra, in corrispondenza
del vostro Dormitorio, come tutte le altre aule di Lettere. In quell’aula
ci farete anche Matematica, sapete?-
-Bene, un’aula in meno da cercare!-
-Le altre ho paura che non
farò in tempo a mostrarvele, guardate: sta arrivando la McGranitt. Sapete,
sua sorella è stata la mia insegnante di Trasfigurazione!- Harry salutò l’insegnante e velocemente si
dileguò lungo il corridoio.
Elisabetta si chiese quanti anni potesse
avere Minerva McGranitt… forse era vicina alla pensione… sua
sorella invece sembrava più giovane: doveva pressappoco avere una
cinquantina d’anni.
Una decina di anni di
differenza… una busca!
L’aula non era molto grande, ma ospitava una dozzina
di banchi, la cattedra, una lavagna e un armadio; il pavimento era decorato con
un motivo circolare a mosaico di vari colori e i banchi erano
giallo pallido, malaticcio… quasi
come la mia faccia!pensarono vari studenti.
Le sorelle presero posto in seconda
fila, mentre davanti a loro si posizionarono Rosa e Christina.
Quei posti durarono un battito d’occhio! Dopo aver
fatto l’appello, la prof. decise di riassettare il loro ordine e
così Elisabetta si ritrovò in penultima fila, davanti a Francesca
e di fianco a Ilir e ad un altro ragazzo il cui nome
era Vincent (a dispetto del nome si trattava di un cinese basso e magrolino,
con un casco di capelli neri, gli occhi a mandorla e la carnagione olivastra).
Quella disposizione non era niente male! Tutti tipi simpatici, anche il cinese
che non conoscevano… Davanti poi era in una botte di ferro: c’era
l’alto Eric, il novello fidanzato! E anche la
sorella era fortunata: in ultima fila, di fianco a Christina e ad un altro
ragazzo di nome Manuel.
-Bene! Iniziamo la lezione, che cosa avete portato?-
Un generale schiarirsi la voce fu la risposta alla domanda
della professoressa.
-Credo proprio che dovremo stabilire un nostro orario... -concluse -Vi
hanno già consegnato l’orario settimanale?-
-Veramente no… e di libri… abbiamo quel che
abbiamo…- ammisero gli studenti.
-Ouf! Dovrò sempre fare tutto io in questa scuola? E
non sono neanche il Vicepreside! Qualcuno mi vada a chiamare Aberforth, per favore! Francesca, dai, vai
tu!- sospiròla
McGranitt.
-E no, eh! Bisogna
girare in gruppo, non se lo ricorda?- protestò Elisabetta.
-Oh santa… e va bene, visto che c’è
ancora il rischio di perdersi andate!- acconsentìla professoressa scocciata (ma
più per l’atteggiamento negligente di Aberforth!).
Non appena le due furono fuori dall’aula,
si diedero un cinque sorridendosi: la prima ora e già erano fuori!
Tornarono all’atrio dove speravano di trovare delle
indicazioni e incontrarono Pasquale, allora pensarono di chiedere a lui.
-Scusa, ci potresti indicare dov’è Silente?-
-Silente sta nella classe dei Serpeverde…-
-Okay, grazie – salutarono le
due in coro e seguirono l’indicazione della freccia per l’aula.
-Adesso un po’ mi dispiace di essere
uscita… non sono molto simpatici i Serpeverde! Almeno così
si dice…- ammise Elisabetta.
-Già, hai ragione!-
Ma non si erano accorte di essere seguite da Piton,
finché Francesca non udì il frusciare
del suo mantello e prese un gran spavento.
-Bene, che cosa abbiamo qui…
studenti fuori dalle classi!- sussurròl’untuoso professore.
-Beh, veramente ci ha mandate la professoressa
McGranitt… se vuole controllare!- risposero
all’unisono alla provocazione.
-Molto bene, non mancherò di controllare: non mi fido
dei Grifondoro!-
-Vada pure, la professoressa è
in classe. Ci piacerebbe molto intrattenerci ancora con lei, ma abbiamo una
commissione e dobbiamo cercare il professor Silente, nell’
aula dei Serpeverde…-
-Allora avrete un ottimo esempio di come si comporta una
vera classe e, per vostra informazione, io sono il direttore della loro Casa.
Buona giornata…- concluse l’uomo, e si
allontanò in direzione della classe dei Grifondoro.
-Viscido serpente! Va pure a controllare!-
ringhiò Francesca.
-Beh, avrà pane per i suoi denti! Quella McGranitt
spero che sia una tipa tosta!- aggiunse Elisabetta
speranzosa, e così arrivarono davanti all’aula.
TOC TOC
Bussarono, e il professore dall’interno
le invito ad entrare; timidamente fecero capolino, accolte dagli schiamazzi
dei ragazzi.
-Già fuori la prima ora, eh? Siete
delle Grifondoro, vero?- le beffeggiò un ragazzo biondo, con gli
occhi grigi e freddi, che teneva conferenza esattamente al centro della classe.
-Sei forse invidioso che di noi i professori si fidano?-lo
rimbeccò Francesca, che iniziava a scaldarsi.
-E poi lo stemma della Casa
c’è sull’uniforme, o sei orbo?- le fece eco Elisabetta,
punta sul vivo.
Il ragazzo stava per rispondere, ma il professore gli fece
intendere che doveva solo stare zitto.
-Ditemi streghette!- le esortò.
-Ci manda la professoressa McGranitt,
chiede di lei. – disse semplicemente Elisabetta.
-Bene, andiamo, non facciamola
aspettare oltre!- rispose, al che Francesca rivolse alla sorella
un’occhiata che invitava all’attenzione.
Si lasciarono alle spalle i Serpeverde e si diressero nella
direzione opposta; quando entrarono la professoressa ringraziò le
ragazze e le invitò a sedersi, mentre lei si apprestava ad affrontare il
collega.
-Comandi!- esclamò esuberante lui.
-Ti sei per caso ricordato di dare gli orari ai ragazzi? Mi sembra di no…- gli ricordò la donna
scherzosamente.
-Oh, grazie per avermelo ricordato. Faccio in un secondo!- e
fu veramente un secondo: dopo aver pronunciato
l’incantesimo attirante “Accioorari”
i fogli arrivarono svolazzando.
-Eccoli qui, li distribuisci tu
Graziana, così io torno dai…ehm…Serpeverde?- chiese con
espressione un po’ titubante, e i foglietti apparvero
sopra ai banchi degli alunni ad uno schiocco di dita della donna.
-Complimenti, collega! Ragazzi, vi lascio nelle sue mani.
Sono sicuro che diverrete degli ottimi maghetti,
sotto la sua supervisione…- si sbizzarrì nei complimenti, ma si
corresse aggiungendo: -… anche se vi insegnerà
solo Italiano. Arrivederci!- salutò mentre
usciva, ricambiato cortesemente da tutti.
Le sorelle presero appunti riguardo all’incantesimo
attirante.
La lezione procedette lenta fino al suono della campanella,
al che tutti guardarono orripilanti il foglio dell’orario: Matematica!
Non aveva una buona fama…
-Dai, che volete che sia? Piuttosto io mi preoccuperei
di Pozioni!- disse Ilir, accolto da approvazioni.
In effetti, la professoressa Chiodo era
simpatica e socievole (come avevano avuto modo di scoprire le sorelle),
anche se aveva somministrato un questionario già il primo giorno…
in generale, non fu molto tragico, forse un po’ patetico.
Alla fine dell’ora, durante la ricreazione che tutti
benedirono, la Chiodo
prese da parte un attimo Elisabetta e Francesca: -Cara Francesca, ho con me il
cucciolo che ti avevo promesso. Lo andiamo a prendere?-
annunciò allegramente.
-Come no! Ce l’ ha un nome?
Quanti mesi ha? Di che colore è? E… -
Il cagnolino era un meticcio nero con una piccola macchia
sul collo, una zampetta e i tre piedini bianchi, col muso più simpatico che un cane potesse avere… Francesca lo chiamò
Ciro e ben presto divenne la mascotte dei Grifondoro, i quali si impegnarono a
non fargli mancare niente.
Dopo quella piacevole novità, nessuno fu più
molto attento alla lezione di Erbologia…
Gli sguardi indugiavano sulla professoressa, ma la mente era
altrove, rivolta verso la fine delle lezioni; la Tassi
dovette più volte richiamarli all’attenzione e anche quando si
alzarono per andare nella serra dovette spronarli.
La serra era un luogo diviso in due parti: in una
c’era più che altro del terreno dove iniziare a coltivare le
piante e un altro dove già esistevano degli esemplari in buona salute.
Naturalmente andarono a visitare la serra in cui
c’erano già degli esemplari… era un luogo stretto,
brulicante di vita, insomma un luogo adatto dove andare a sbattere per
distrazione, come fece Rosa.
Riuscirono a passare la lezione “mettendo a
posto” il danno di Rosa, cioè lasciando
fare tutto alla Tassi.
Fecero bene a godersi quell’ora di svago,
perché durante Incantesimi il professore fu molto rigoroso ed esigette
attenzione da tutti per il tradizionale discorso di inizio
anno.
Finalmente anche l’ultima ora sgombrò e gli
studenti poterono finalmente andare a riempire lo stomaco implorante.
-Cosa abbiamo dopo?-
bofonchiò Elisabetta trangugiando un boccone di pasta.
-Un’ora di Pozioni con i
Serpeverde…- rispose Rosa.
-Che sfortuna! Sono antipatici
come… come… i brufoli!- informò Francesca, che ne sapeva
qualcosa.
E infatti, la lezione non fu delle
migliori per molti Grifondoro; dal canto loro, Elisabetta e Francesca si
impegnarono a prestare sempre molta attenzione, a prendere appunti e a non
rispondere alle provocazioni.
Non potevano di certo prevedere che il professore si sarebbe
messo a fare domande a tappeto…
-Tu, là in fondo, dimmi: che tipi di calderoni
esistono?-
-E tu: quali sono i migliori?-
Naturalmente i più bersagliati furono i Grifondoro, e
toccò anche alle sorelle.
-Serpini! Esistono veramente i
filtri d’amore?- chiese.
-Ehm… a chi delle due lo chiede?-
chiese timidamente Elisabetta, tanto per dare l’occasione alla
sorella di pensare un po’ di più.
-A chi di voi mi sa rispondere…-
Ma che diamine potevano saperne
loro? Sì, avevano dato un’occhiata ai
libri, ma più che altro alle figure!
-Sì…- rispose titubante Francesca.
-Sì, esistono. Ma la tua
somigliava più ad una domanda… riproviamo: sapete a che cosa serve
il pus di Bubotubero?-
I Serpeverde avevano sghignazzato, specialmente il ragazzo
biondo, ed erano in attesa di una ennesima figuraccia.
Né Francesca né Elisabetta volevano
dargli modo di ridere, e frugarono negli angoli più remoti delle loro
menti alla ricerca di una risposta cha sapevano di non conoscere… si
concentrarono… e fu un attimo… il tempo si fermò.
-Non lo sappiamo!- annunciò
sconfitta Francesca, ma vedendo che nessuno reagiva, ripeté ciò
che aveva detto.
-Fre… cos’è successo?-
-Eh… sembra che il tempo si sia fermato. Sono tutti
immobili come statue!-
-Beh, sai che ti dico? Forse Silente ha voluto darci una
mano! Forza, cerchiamo sul libro il Bubotubero!- squittì Elisabetta eccitata, fermamente convinta che
ci fosse lo zampino di un esterno.
Proprio quando trovarono il segno, sentirono bussare. Si
spaventarono, e fecero finta di essere immobili.
-Permesso… scusa Severus se ti interrompo,
ma volevo chiedere ai ragazzi quale Casa avevo dopo!- disse la Parmigiani entrando;
rimase un attimo perplessa vedendo tutti immobili e non si accorse delle
sorelle che stavano trattenendo il fiato. Avanzò fino alla cattedra e
strattonò leggermente Piton, il quale non rispose.
Ormai Elisabetta e Francesca avevano finito il fiato e
stavano per esplodere, quando il tempo magicamente riprese
a scorrere…
Molte persone sussultarono, lo stesso Piton si alzò
bruscamente dalla sedia e la malcapitata Parmigiani
emise un gridolino di sorpresa.
Mentre i due insegnanti discutevano animatamente (Piton
accusava la collega di aver fatto un incantesimo), le sorelle
si guardavano soddisfatte: chiunque fosse stato, aveva fatto proprio un gran
bel lavoro! In tal modo, la lezione di Pozioni fu sospesa e non finirono di
essere interrogate.
Al termine della lezione, il professore di Pozioni
lanciò un monito: -Vi avverto, se scopro che è stato uno di voi,
lo faccio espellere prima che abbia realizzato la sua prima pozione! E adesso
fuori!- sbraitò, cacciando fuori dalla sua aula
gli alunni e anche la
Parmigiani.
-Adesso prof. ha noi!- disse
allegramente Elisabetta alla professoressa, la quale la guardò per un
attimo con aria interrogativa, per poi rivolgerle un ampio sorriso.
-Comunque, quel Piton ha esagerato: dovrebbe saperlo che non
si possono fare incantesimi di tale portata su una classe intera! Io non ho
fatto proprio niente, prima di prendersela col primo che entra dovrebbe ragionare un attimo!- la sua voce era tra
l’indignato e il canzonatorio.
Quel giorno l’ora migliore era stata quella di Artistica, dato che la prof. aveva dato il permesso agli
alunni di attaccare i banchi nella loro aula di Lettere, ma naturalmente veniva
dopo quella di Difesa contro le Arti Oscure! Infatti
non fecero niente, a parte parlare con Harry del più e del meno…
quando poi si scoprì che era stato un Grifondoro, si levò un
boato.
-Capito perché è bello andare a scuola?
Perché le notizie più meravigliose te le danno
lì!- esclamò Francesca alla fine della lezione, dirigendosi verso
le scale.
-Sì, ma se poi Piton ti interroga
riesce a mandarti all’aria una giornata fantastica! È un…
un…-
-Un Mocciosus! Mio padre lo
chiamava sempre così…- completò Harry, che si era fatto strada tra gli studenti per raggiungere le ragazze.
–Venite a fare quattro chiacchiere con me, fuori, all’aria aperta?-
le invitò, e naturalmente loro accettarono.
-Tuo padre e Mocciosus Piton si
conoscono?- chiese Francesca, avida di sapere altri soprannomi.
-Puoi dire conoscevano… lui è morto quando avevo un anno…- rispose Harry, tirando su
col naso.
-Scusa, non parliamone più. Sai cos’è successo?- si affrettò a cambiare argomento
Francesca, che raccontò dell’episodio avvenuto durante l’ora
di Pozioni, sottolineando come il tempo si fosse fermato e ripartito secondo le
loro necessità.
-Interessante… non sapevo di nessun mago che
possedesse tali poteri! Ma voi siete rimaste sbloccate mentre
il tempo era fermo?-
-Sicuro! E abbiamo anche cercato sul libro il Bubotubero!-
-Siete sicure di non aver lanciato per sbaglio un
incantesimo bloccante?-
-A tutta la classe? Ma dai!-
Alla fine nessuno ci capiva più niente, né
Harry, che aveva un mistero da svelare, né le sorelle, che avevano
capito che non potevano essere state che loro: ma in che modo?
Quella sera, a cena, Silente diede
una triste notizia: non si era trovato un insegnante di Volo.
Nessuno prese la notizia con gran entusiasmo,
anzi: molti batterono i pugni sui tavoli.
Le sorelle volevano parlare nuovamente con
Harry, perciò, a fine cena, si avvicinarono al tavolo degli
insegnanti.
-Che cosa volete? Riguarda forse il
Volo?- chiese bruscamente Piton -Sappiate che Potter, col quale fate comunella,
era un giocatore di Quidditch dei Grifondoro e non ha mai reso molto a scuola,
perciò…- e avrebbe continuato ancora se
alle sorelle non si fossero illuminati gli occhi.
-Grazie prof., lei è un
genio!-
Prontamente schizzarono verso Harry.
-Harry, senti, abbiamo sentito che giocavi a Quidditch…- iniziarono.
-Sì, ero Cercatore nei Grifondoro, ma perché?-
-Potresti insegnarci tu Volo!-
dissero trionfalmente.
-Io?! Ma insegno già Difesa…- stava cercando di
controbattere, ma troppo tardi: le ragazze avevano già chiamato Silente,
che si era trattenuto a parlare con la McGranitt.
-Ditemi!- disse.
-Professore, le abbiamo trovato
l’insegnante di Volo! Era Cercatore nella squadra dei Grifondoro! Ora,
non sappiamo cosa voglia dire, però tutto pur di volare!- supplicarono.
-Ah, se il professore è d’accordo…- Silente fece spallucce, ma la sua somigliava più ad
una richiesta, che Harry non poté rifiutare.
-Sì, e vai! Andiamo a dirlo agli altri! I Serpeverde
per ultimi, anzi no, per primi! Così dovranno
ringraziarci!- urlarono eccitate, correndo come matte alla volta dei
Dormitori.
A dispetto di quanto avevano detto, lo dissero
prima ai compagni Grifondoro, poi a tutti gli altri.
Quando arrivarono a dover dare la
notizia Serpeverde, prima si fecero scortare da Pasquale, che bussò alla
scorbutica porta della Casa (in teoria solo lui poteva bussare, gli studenti
non dovevano neanche avvicinarsi alle porte delle altre Case) e le fece
entrare, quindi furono salutate da fischi.
-Noi sappiamo una cosa che voi non sapete,
quindi, o voi state zitti, o noi vi lasciamo senza dirvi niente!- minacciarono,
e così ottennero un po’ di silenzio.
-Allora, Volo si farà e il nostro insegnante
sarà Harry Potter. Ringraziateci, perché è
stata un’idea nostra!- dissero, e poi si godettero le facce
sbigottite dei compagni: un misto di eccitazione, voglia di nascondere le
proprie emozioni per non far capire loro che erano state utili e rammarico per
avere Potter, un ex Grifondoro (ormai lo sapevano tutti, i ragazzi
l’avevano sbandierato ai quattro venti!).
Dopo qualche secondo se ne
andarono, rivolgendo un ampio sorriso a Piton, che stava sopraggiungendo.
VI PREGO! DOPO
AVER LETTO RECENSITE!IN QUESTO MODO MI FARETE SAPERE COSA NE PENSATE
DI QUESTI CAPITOLI CHE STO POSTANDO!SI ACCETTANO CONSIGLI!
Qualche giorno dopo, quando ormai Ciro si era abituato alla
sua nuova casa e agli orari della padrona, decise di svegliare Francesca,
perciò iniziò a leccarle i piedi… ma
purtroppo erano quelli della persona sbagliata.
-Ciro, santo
cielo! Vattene, vattene! Che
schifo! Francesca!!!- gridò adirata Elisabetta,
balzando dal letto.
-Uhm…? Gheci è? Gos’è ‘sto casino? Lasciatemi dormire in santa
pace…- protestò grugnendo Francesca mentre
il povero cagnolino, guaendo, si rifugiava sotto al suo letto.
-Per tua informazione, il tuo cane
mi ha sbavato sui piedi! Che schifo! Cerca di
addomesticarlo, almeno un po’, per favore!- implorò Elisabetta.
-A sì? Beh, il tuo gatto mi ha rotto un calzino!
Siamo pari, ora rimettiti a letto e smettila di agitarti! E poi guarda che lui voleva solo essere affettuoso, ma tu cosa ne capisci di
psiche?- ribatté Francesca accarezzando lo spaventato
Ciro, dopo essere riuscita a farlo uscire da sotto il suo letto.
-Non sono una strizza cervelli, comunque
ti lascio in pace, vado a lavarmi i piedi!- concluse Elisabetta.
Ignare di tutto, le compagne di
camera continuavano beatamente a dormire…
*
La prima ora fu quella di Trasfigurazione.
Per le sorelle fu un vero supplizio, dato che la materia (e
la prof.!) le ispirava poco. Comunque
anche quell’ora insopportabile fatta di prediche in napoletano
passò ( i maschi era tutti con gli occhi aperti e con la bava alla
bocca… ricordate quando si era detto che era la più carina? Beh,
era parente di una Veela!) e così pure quella di Italiano. Giunse finalmente una delle più attese,
Musica!
Il professore era veramente simpatico e pieno di iniziative, anche troppe! Iniziò illustrando
l’idea di un concerto per Natale e la fine dell’anno scolastico,
poi facendo l’appello.
-Serpini!- chiamò a gran
voce.
-Eccoci!- risposero le sorelle.
-Già che ci siete, ditemi una cosa: che libro avete?-
-Libro? Non c’era sull’elenco! Noi, di Musica,
non abbiamo niente!-
-Come niente? Neanche uno strumento?-
-Niente! E così pure per Artistica!-
-Mamma mia! Andate a chiamare la Parmigiani e Silente, correte!-
Fecero una volata nella classe dei Corvonero a informare la
Parmigiani e in Presidenza, al terzo piano; il professor
Silente era impegnato in una fitta discussione con la McGranitt e il suo
ufficio pullulava di gufi, che le sorelle avevano scoperto avere la funzione di
postini.
-Com’è che siete
sempre voi due ad essere fuori dalla classe?-
notò lui.
-Avranno capito che siamo più brave di loro!-
Si accese una rivoluzione: la Parmigiani
e Corni contro la McGranitt
e Silente.
Alla fine Silente si impegnò
a far acquistare agli studenti i libri, uno strumento e l’occorrente per
disegnare, ma intanto l’ora era già volata via.
Durante l’ora di Cura delle Creature Magiche, che i
Grifondoro dividevano con i Tassorosso, la professoressa Venturelli
mostrò agli studenti diversi tipi di animali
che vivevano tra le piante della serra di Erbologia… ovviamente la Tassi non se n’era accorta,
perché la maggior parte di essi erano parassiti grandi tutti come un
bruco ma molto più brutti… trovarono pure un Nano! La prof. diede l’ordine di catturarlo, avesse mai dovuto
servire, e così si scatenò la caccia, che sembrò divertire
l’essere. Nessuno riusciva a prenderlo, tanto era
veloce! Alla fine Francesca decise che era il momento
di farla finita (no, non voleva suicidarsi!) e si buttò di petto sul
Nano, riuscendo malamente a bloccarlo, mentre Elisabetta e Ramona prendevano
una corda e lo legavano mani e piedi.
-Complimenti, Francesca! Pochi riescono ad acciuffare un
Nano senza la magia: cinque punti a Grifondoro! Ragazze, andate a consegnare il
prigioniero al prof. Potter, lui saprà cosa farne!-
E così erano nuovamente in marcia, mentre i compagni
rimettevano a posto tutta la confusione che si era
creata nella serra.
Trovarono Harry in Sala Insegnanti
(terzo piano) assieme alla McGranitt. Quella stanza era occupata da un tavolo,
qualche sedia, un attaccapanni, una libreria chiusa da vetri e qualche
fotografia.
-Harry, Harry! Francesca ha preso un Nano!- gridò allegramente Ramona.
-Un Nano? Ma dove lo avete trovato ?- chiese
sorpreso, come la collega, Harry.
-Ah, era nella serra di Erbologia!
La prof. ci ha lasciato un po’ di tempo per provare ad
acciuffarlo…- rispose Elisabetta guardando il Nano, la sua enorme
testa e le lunghe gambe.
-Bene. Di lui mi occupo io! Vado a portarlo via; ci vediamo
a pranzo, ciao ragazze!-
-Ciao Harry!-
Ormai anche Ramona lo trattava con familiarità,
perché era stato proprio il medesimo a chiedere di rivolgersi a lui con
il “tu”.
Le amiche stavano già per andarsene, ma la McGranitt le trattenne e
volle sapere tutto quello che era successo nella serra, concludendo:
-Sai Francesca, che ti vedrei bene come Cercatrice nella squadra di Quidditch
della scuola? Hai i riflessi pronti, sei scattante e hai anche la corporatura
giusta…-
Tornando alla serra…
-Cercatrice?! Anche Harry era
Cercatore! Ma i Cercatori non sono quelli che volano
dietro al Boccino d’oro?- chiese Francesca.
-Certo! E sono l’elemento
più importante della squadra!- rispose Ramona.
Ebbero tutta l’ora di Matematica per riflettere.
*
Al pomeriggio, dopo il termine delle
lezioni, molti Grifondoro si andarono a rinchiudere nella Biblioteca (terzo
piano) per svolgere i primi compiti: Lettere; il tema era: “Cosa ne
pensi dei tuoi primi giorni di scuola?”. Primi davvero: non
era passata nemmeno una settimana! Ma la prof. aveva
motivato il tutto col fatto di dover valutare il “livello della
classe”.
-Dici che dobbiamo essere sinceri?-
chiese Christina.
-Se fossimo davvero sinceri, credo
che verremmo bocciati subito!- ghignò Elijah, un ragazzo basso e
paffuto, con i capelli castani cortissimi e limpidi occhi azzurri, il cui vizio
era di ridere e far ridere.
-Certo, sinceri al massimo no, ma qualche
verità sì, per confonderla un po’. Se ne accorgerebbe che c’è qualcosa che non va se
tutti scriviamo: la scuola è bellissima, i professori sono buonissimi e
voglio passare qui anche le vacanze estive!- constatò Elisabetta, che
intanto qualche riga l’aveva buttata giù (foglio di bella, circa
una ventina di righe).
Proprio in quell’istante arrivò la Parmigiani, stracarica di scatole, scatoline, scatoloni.
-State facendo i compiti? Bravi
ragazzi, ma c’è qualcuno che è avanti e che potrebbe darmi
una mano?- chiese, la testa appena visibile.
Nessuno ci pensò due volte: indicarono tutti Elisabetta, che stava continuando a scrivere
imperterrita.
-Dai, ehm…-
-Elisabetta…-
-Dai, Elisabetta! Se fai il tuo lavoro bene, può
darsi che ti dia dei punti in più!-
Di mala voglia, pensando a orribili
torture cui sottoporre i suoi compagni, la ragazza si avviò dietro alla
prof., prendendo qualche scatola…
Dopo circa un’ora era di ritorno.
-Allora, quanti punti ti ha dato?-
chiese Rosa, ma Elisabetta si tuffò sul suo testo, iniziò a
scrivere freneticamente facendo traballare il tavolo e non si fermò fino
a che non ebbe finito.
-Mi ha dato due punti. Ah, dice che
dopo cena dobbiamo andare nel suo studio e che ci darà una copia dei
libri e del materiale ciascuno. Si raccomanda di portare cinque Galeoni. Adesso
vado su in Dormitorio a riposarmi. Buon lavoro!- disse pungente e con tono
canzonatorio ai compagni, che ancora non avevano finito il tema.
Ma per strada incontrò
Harry, che la fermò: -Ciao! Che brutta cera,
qualcosa non va?- chiese.
-No… ho solo fatto il facchino alla
Parmigiani! Era arrivato il materiale che aveva chiesto e ho dovuto smistarlo, una certa quantità di roba per
ogni studente. Mi ha tenuta un’ora, in cambio di due miseri punti.
– rispose pacatamente la ragazza.
-Ma non ti sembra di esagerare? Non
mi sembra che ti abbia costretta ai lavori forzati!-
puntualizzò Harry, ma si accorse che Elisabetta gli teneva nascosto
qualcosa dietro alla schiena.
-Cosa nascondi dietro alla
schiena?-
La ragazza lentamente mostrò la mano bendata con una
garza zuppa di sangue.
-Accipicchia, che brutto taglio! Ma cosa hai fatto?-
-Eh, stavo tagliando l’involucro dei libri con le
forbici, ma lei ha voluto fare un incantesimo alle forbici perché
tagliassero da sole… non ho fatto in tempo a
sfilarle, e mi sono tagliata. –
-Lei lo sa?-
-Sì, gliel’ ho detto,
che volevi che facessi? È stata premurosa, ma mi scoccia molto che mi abbia vista… adesso penserà che sono
un’incapace!-
-Ma no, di che ti preoccupi?
Può capitare a tutti, anche a lei… vuoi andare in Infermeria?-
-No, no, è solo un taglietto!-
-Toglimi una curiosità: dove l’ hai messa tua
sorella?-
-In Biblioteca, a finire un tema…ahi! Che male…-
-Secondo me faresti meglio ad
andare in Infermeria! Ti accompagno!-
E così Elisabetta si trovò in Infermeria, in
completa balia dalla signorina Ilenia (bassa, mora, caratteristiche
particolari: essere stressante), che le diede un impacco di erbe
che la fece stare subito meglio. Poi, siccome era quasi ora di cena, i due si
avviarono in Sala Grande.
-Allora, Francesca, hai finito il tuo tema?-
-Sì, sorellina, ma come mai sei scappata via?-
-Sono andata in Infermeria a farmi mettere a posto un graffio
che mi ero fatta con la Parmigiani… niente di grave!-
Dopo cena, prima che potessero svignarsela, Harry le
raggiunse.
-Ehi Fre, credo che quando allestiremo la squadra di
Quidditch sceglierò te come Cercatrice! Dopo la performance di oggi, e i consigli della McGranitt…-
Francesca iniziò a ballare e saltare di gioia.
-Ciao allora, e buona notte. E tu, stai lontana dalle
forbici!- disse Harry canzonatorio, sfiorando con una mano la guancia di Elisabetta, che arrossì leggermente… ma la
sorella non vi fece caso, impegnata com’era nell’esecuzione di uno
strano balletto.
Dopo aver coccolato i rispettivi animali ed essere andate a
ritirare il materiale nello studio della Parmigiani,
le sorelle si addormentarono beatamente.
*
Sabato, durante la prima ora, la Chiodo
restituì i questionari compilati il lunedì precedente, e le
sorelle avevano preso il massimo dei voti, come Ramona.
Ma durante la terza ora di Pozioni, tenuta in compresenza coi Serpeverde, la situazione degenerò.
-Signorine, laggiù in fondo… buongiorno! Di
cosa stavamo parlando?- sibilò Piton.
-Ehm…- né le sorelle, né Rosa, né
Christina, né Valeria seppero rispondere.
-Molto bene. Cosa vi fa crede di
avere il diritto di non prestare attenzione? Ma visto che sono i primi giorni
sarò magnanimo, e vi farò scegliere: tolgo dei punti, o una di
voi si fa interrogare?-
Le ragazze si guardarono preoccupate:
chi di loro aveva studiato? Nessuna, purtroppo. Intanto i Serpeverde ridevano
sotto ai baffi…
-Vado io: o la và, o la
spacca!- disse Elisabetta, alzandosi e andando alla cattedra. –Mi faccio
interrogare io!-
-Che coraggio! Ma
ti ricordo che se prenderai un brutto voto, te lo terrai, e dovrai
recuperarlo…- la aggredì Piton; la ragazza annuì. -Ti
assegnerò una Pozione contrassegnata nel libro col grado due, un livello
intermedio, ma che richiede impegno; se i risultati saranno soddisfacenti, la
prova sarà superata, se fallirai… sai già dov’è
l’Infermeria, visto che ieri ti ci ha accompagnata
il professor Potter!- mormorò l’uomo, mentre i Serpeverde si
scambiavano occhiate maliziose e mormoravano eccitati tra loro.
-Ecco! Pozione Erompente!- gridò all’improvviso
il professore di Pozioni con fare trionfante, e ad uno schiocco delle sue dita
affusolate come piccoli serpenti la lavagna nera si riempì di scritte da
decifrare; Elisabetta aguzzò la vista.
-Signorina, se ha problemi di vista, prenda
il libro e vada a pagina 217!- tuonò irritato, e così fece la
ragazza.
La pozione Erompente doveva essere abbastanza facile per chi
aveva già qualche competenza, ma per chi non aveva mai letto un libro di
magia…
Comunque Elisabetta si mise
all’opera: sulla cattedra erano comparsi vari ingredienti, e lei
iniziò a selezionarli andando ad intuito.
Tagliò le zampe a una rana,
cercò un sonaglio di serpente a sonagli, selezionò varie
erbe…
Dopo aver radunato tutti gli ingredienti, iniziò a
bollirli nel calderone, ma in quel momento entrò la Chiodo,
che aveva dimenticato di farsi consegnare i fogli delle verifiche sostenute dai
Grifondoro.
-Ma, Severus, non ti sembra
prematuro far eseguire una pozione di secondo grado ai ragazzi?-
obiettò.
-Non ai ragazzi, solo ad Elisabetta. È
una punizione!- rispose impassibile lui.
Intanto lei lavorava febbrilmente… e la Chiodo
rimase, per vedere gli esiti.
Dopo mezz’ora era tutto pronto: la pozione fu bevuta,
mentre Piton fu costretto a dire che
l’esecuzione era stata perfetta; in quel momento Elisabetta fu presa
dall’irresistibile tentazione di mettersi a ballare e a cantare, e fece
la malora: mise in subbuglio l’aula, finché la Chiodo preparò la
contro pozione, e fece bere alla ballerina semplice acqua zuccherata.
-Bene, rimettete in sesto l’aula,
mentre vi elenco le caratteristiche della Pozione preparata dalla vostra compagna:
la Pozione Erompente
esagera le reazioni di una persona, facendola esprimere in modo esasperato le
sue emozioni. In questo caso, Elisabetta, che era contenta per il buon
esito della Pozione, ha espresso così le sue emozioni. Direi che possiamo attribuire cinque punti a Grifondoro, non
è vero Severus?-
-Eh? Oh, sì… giusto…-
Se l’erano vista brutta i
Grifondoro! Ma alla fine ci avevano anche guadagnato.
Il resto della giornata, per fortuna, fu più sereno e
anche noioso, così pure martedì, mercoledì e
giovedì, la cui unica nota fu che a mezzanotte la Chiodo li condusse
nell’osservatorio astronomico all’ultimo piano per tenere una
lezione sull’universo.
Il secondo sabato dall’inizio della scuola fu il
giorno più eccitante: i ragazzi avevano tre ore
di volo, per la prima volta! Purtroppo però, tutte le Case erano
assieme, quindi Harry dovette dividerli in due gruppi: Grifondoro e Tassorosso,
Serpeverde e Corvonero. I primi a provare furono i Serpeverde e i Corvonero,
poi finalmente toccò anche agli altri.
Erano nel campo di Quidditch della scuola, una specie di
campo da calcio con l’erba verde ben falciata, ma non c’erano le
porte; in compenso, ad un’altezza variabile, fissati a terra per mezzo di
lunghe aste, c’erano tre anelli.
Per terra c’erano circa venti scope, alcune nuove,
alcune dall’aria vecchia e malandata; Harry disse loro di stendere la
mano destra e di dire “Su!”, ma solo poche persone, tra cui
Francesca e Ramona, ci riuscirono subito, ma dopo qualche tentativo ce la
fecero tutti. Il passo successivo era cavalcare la scopa, e Harry fece vedere
qual era la postura, poi c’era la prova vera e propria: staccarsi da
terra. A un fischio del prof., i ragazzi si librarono
in volo, staccandosi da terra di un metro.
Quando tutti riuscirono a
“volare”, Harry spiegò le regole del Quidditch, mostrando le
quattro palle usate dai giocatori:
-Questa rossa è la Pluffa. I Cacciatori,
che sono tre per squadra, sono gli “attaccanti”, e si passano la Pluffa per farla entrare in
uno degli anelli; dieci punti ogni volta che ciò accade. Il Portiere,
ovviamente uno per squadra, ha il compito di difendere gli anelli e può
bloccare il tiro avversario con le mani. Il Cacciatore, sempre uno per squadra,
ha il compito più importante di tutti: acchiappare il Boccino
d’Oro, questa pallina dorata alata; se ci riesce, la sua squadra acquista
centocinquanta punti. Detta così sembra facile, ma mentre si gioca,
queste due palle nere, i Bolidi, cercano di disarcionare i giocatori, e spetta
ai due Battitori difendere i compagni. Non preoccupatevi se non capite, adesso
faremo una simulazione, magari senza Bolidi!-
E così si cercò di
formare delle squadre da sette persone ciascuna: Francesca fece da Cercatrice,
Christina e Ramona da Battitrici; Ilir, Elijah ed Eric da Cacciatori ed Elisabetta
da Portiere.
Giocarono contro un piccolo gruppo di Tassorosso, e subito i
Battitori si aggregarono ai Cacciatori, perché i Bolidi non si usavano. Se la cavarono benino, poi entrarono anche i Bolidi, e ai
Battitori furono date due mazze come nel baseball.
Alla fine dell’allenamento erano tutti stanchi, ma
eccitati: il Quidditch li aveva già contagiati come un virus!
*
Finalmente i ragazzi avevano un pomeriggio libero (si fa per
dire: c’erano lo stesso i compiti!), e dopo aver svolto tutti i compiti,
che per fortuna non erano stati eccessivi, la maggior parte andò in
giardino, all’ombra degli alberi.
-E noi cosa facciamo?- chiese Rosa
ai compagni Grifondoro.
-Oh quanto odio quella faccia untuosa e moccolona con quel naso da avvoltoio di Piton!- sbottò Francesca,
stufa di bollire quei suoi intrugli.
-Mocciosus Piton Moccolosus!- aggiunse Elisabetta,
ricordando il consiglio di Harry di chiamarlo così.
-Gran bel soprannome!- approvarono i
compagni, ma dopo qualche breve risata, la loro espressione tornò
cupa.
Proprio in quel momento passava la Chiodo.
-Salve ragazzi! Ma che musi lunghi,
che succede?- chiese.
-Beh, non sappiamo che cosa fare! Ci stiamo annoiando!-
-Avete già fatto tutti i
compiti, vero?-
-Ovvio, comunque, che divertimento
farli! Specialmente Pozioni!- rispose Ramona.
-Io voglio fare un’altra
partita a Quidditch!- disse nostalgico Ilir. –Mi sono troppo divertito!-
Dopo averci pensato un po’ su, la Chiodo decise di accompagnarli
al campo per un allenamento, e incaricò i ragazzi di andare a prendere
le scope e le palle.
Ma quando arrivarono al campo,
scoprirono che anche Piton e i Serpeverde avevano avuto la stessa idea.
-Severus, avevate prenotato il
campo?- chiese la Chiodo, mentre Piton stava atterrando.
-Beh, no!- rispose lui, ancora in volo.
-Ah… neanche noi! Sei arrivato prima tu, fai pure!-
concesse lei.
-Ma prof., perché non
facciamo una partita vera? Grifondoro contro Serpeverde, così tutti giocano!- propose sprezzante il biondino dei Serpeverde,
così antipatico alle sorelle.
-Ma da noi manca un giocatore, e anche da voi, a quanto
vedo!- osservò la Chiodo –Gioco anch’io. E tu, Severus?-
-Io? Certo!- rispose lui a quella che aveva scambiato per
una provocazione.
-Molto bene. Un attimo solo che ci organizziamo!-
Le due squadre si riunirono, a capo dei rispettivi
insegnanti.
-Allora, è un’amichevole, ma mi piacerebbe
vedervi vincitori…-
Si disposero in campo: Francesca era Cercatrice, Ramona
Portiere, Rosa e Ilir Battitori e la
Chiodo, Elisabetta e Christina
Cacciatori; dall’altra parte, Piton era Portiere, il biondino e un altro
ragazzo robusto Battitori, una ragazza smorfiosa Cercatrice e tre ragazzi
Cacciatori.
Quando salì sulla scopa, Francesca non
desiderò altro che prendere il Boccino prima
della Cercatrice avversaria, una tipa che amava mettersi in mostra, infatti
stava descrivendo lentamente ampi cerchi sul campo e urlava ai suoi compagni;
però avrebbe preferito non vedersela subito con degli avversari
così impegnativi… ma in fondo, chi garantiva che fossero bravi?
Magari era tutta scena…
Quando salì sulla scopa,
Elisabetta era combattuta: da un lato, aveva paura di costituire un peso per la
squadra, ma dall’altro voleva dimostrare di essere in gamba e moriva della
voglia di segnare un goal a Piton… e poi si era accorta che la Chiodo ci teneva a vincere.
Il fischio d’inizio fu dato da Piton, che
liberò il Boccino d’Oro (il quale, come a volerle sfidare,
volò prima vicino a Francesca, poi vicino alla
Cercatrice di Serpeverde), i Bolidi e lanciò in aria la Pluffa; Christina ed
Elisabetta si mantennero a distanza, ma la professoressa si diresse subito
verso la Pluffa
e riuscì anche a conquistarla, mentre le altre due Cacciatrici la
seguivano.
Francesca si alzò parecchio rispetto ai compagni, per
avere tutto il campo in vista: era poco più grande di un campo di
calcio, ma l’erba era tagliata esattamente alla stessa maniera;
lassù la calura di quella giornata erano attenuata da una leggera brezza,
e la ragazza fu veramente grata alla Chiodo… si
sorprese a dondolare dolcemente, e subito si impose di tornare concentrata e
aguzzò bene la vista.
Intanto, i Battitori di entrambe le
squadre si davano un gran da fare per difendere i compagni dai Bolidi, e
dirottarli sui giocatori dell’altra squadra, mentre i Cacciatori si
inseguivano.
La Chiodo aveva passato la Pluffa a Christina, poi
nuovamente era tornata alla prof. e poi era giunta a Elisabetta, che aveva
l’occasione di segnare; si avvicinò velocemente agli anelli,
sperando di non incrociare Piton, ma lui era sempre in agguato.
Gli anelli sono tre?
Bene, uno lo mancherà…
Tirò con tutta la forza che possedeva, ma la palla fu
bloccata: ora era degli avversari.
…prima o poi!
Il gioco riprese…e i
Grifondoro subirono parecchi goal. Del Boccino neanche l’ombra, ma il
biondino batteva tutti i Bolidi (pochi, per la verità) su Francesca, per
tenerla un po’ impegnata; stufa, Elisabetta chiese la mazza a Ilir e appena passò un Bolide lo indirizzò
dritto verso l’odioso ragazzo, che lo evitò per un soffio.
-Almeno gli ho fatto
paura! Quel pirata le sta sparando tutte verso mia sorella!- si
giustificò davanti alla Chiodo.
-Fai il tuo dovere di
Cacciatrice, e pensa alla Pluffa!- la apostrofò lei ma,
dopo tutto, pensò che non avesse fatto poi così male…
Profondamente punta sul vivo, Elisabetta si appropriò della palla il
prima possibile e, senza passarla, puntò dritto verso gli anelli e
tirò. Anche questa volta, il tiro andò a
vuoto.
E così la palla passò
nuovamente ai Serpeverde.
Il biondino si diresse verso la porta con la Pluffa tra le mani e
caricò il tiro, ma quando sparò lo fece
talmente forte che perse l’equilibrio e quasi cadde dalla scopa; intanto
Ramona, che voleva parare il tiro a tutti i costi, si buttò a capofitto
verso la scheggia e… parò con i gomiti, e si fece un gran male, ma
tutti i compagni di squadra furono colpiti e scossi, tanto che cercarono di
dare il meglio, per non vanificare il suo sforzo.
Intanto Francesca, che stava seguendo la partita e aveva
gridato alla parata dell’amica, nuovamente tornò a guardarsi
intorno e… laggiù, vicino a sua sorella, un bagliore
d’oro… nessun dubbio: il Boccino!
Si buttò a capofitto, urlando alla sorella di non
fare movimenti bruschi, se no quello se la svignava, così anche la Cacciatrice avversaria
fece lo stesso, ma non si curò della povera Elisabetta: le capitò
addosso con tutto il suo peso (non era molto in verità, ma a quella
velocità!) e la disarcionò…
Per fortuna non si trovavano a
un’altezza eccessiva, così Elisabetta non si fece un
granché, ma rimase molto impressionata.
-Stupida mongola, ma sei orba? Potevi far ammazzare mia
sorella! Ma chi ti ha dato la patente per guidare una
scopa?!- urlò Francesca dietro alla rivale.
-Mica è colpa mia se queste scope sono vecchissime e
sbandano! Se non fosse stato per questo stupido pezzo
di legno, avrei certamente preso il Boccino!- urlò lei di rimando.
L’atmosfera si stava decisamente
scaldando…
Sortì i suoi effetti anche sulla
Chiodo, che ebbe il monopolio della Pluffa e tentò in tutti i modi
di superare la difesa avversaria.
Ma ad un certo punto…
-L’ ho preso! L’ ho
preso! Ce l’ ho in mano! Centocinquanta punti!
Perdete, Serpeverde!- gridò Francesca, e tutti si voltarono
verso di lei, che orgogliosamente mostrava il trofeo.
-Ah, vi sta bene! Morite ammazzati,
stupidi pirati dell’aria!- fu il modo della sorella di
congratularsi.
E fu così che la squadra
vinse la sua prima partitella; partitella perché i livelli delle due
squadre erano ancora scarsi e i passaggi piuttosto lenti.
Quella sera, i ragazzi del Grifondoro
organizzarono una piccola festa nel loro Dormitorio, a cui invitarono anche la Chiodo, per celebrare la
vittoria. Non durò molto a dire il vero, ma fu senz’altro
divertente.
Dopo la sofferta vittoria contro i Serpeverde, i ragazzi che
avevano giocato contro di loro furono praticamente
portati in trionfo: essa era sembrata più importante perché molti
Serpeverde si erano vantati con i compagni di essere figli di Purosangue e
quindi di aver iniziato a cavalcare una scopa molto precocemente.
Anche i particolari come la partecipazione dei professori avevano fatto il giro della scuola, così che Piton, e
soprattutto la Chiodo,
poterono godere di un momento di popolarità.
Anche Harry si era congratulato con
la squadra provvisoria.
Gli unici infelici, ovviamente, erano i Serpeverde, primo fra tutti il biondino, visto che era stato lui a proporre
l’incontro; da quel giorno trattò le sorelle con “un occhio
di riguardo”, del tipo:
-Ehi, Cercatrice dei miei stivali! Devi farti proteggere
dalla tua sorellina, visto che non sai badare a te stessa?-
-Chiudi il becco, piccolo rachitico! Parli tu, che appena
tiri una palla caschi dalla scopa!-
Oppure:
-Ehi tu, Cacciatrice di frodo, ma non sai che la stagione di
caccia è finita da un pezzo?-
-Ma se è tua madre che si raccomanda di cucinarti il
brodino di pollo per farti guarire dal raffreddore!-
Ma anche Ramona fu bersagliata:
-Fai proprio schifo come Portiere! Non ne hai parata una!-
-E tu fai schifo come Cacciatore: l’unico tiro che hai
fatto l’ ho fermato! E
poi, tu non eri Battitore? Ah, ma hai cambiato ruolo perché i Bolidi
sono talmente piccoli che non li vedi!-
Bene o male, i Grifondoro se la cavavano sulla difensiva, ma
a lungo andare si scocciarono, specialmente quando i
Serpeverde scoprirono che le sorelle erano state cresciute in ambiente babbano
e che a Ramona mancava la madre: ovviamente non si fecero scrupoli, e fecero
leva su questi argomenti per dare loro più fastidio possibile.
-Francesca, santo
cielo, che due scatole, possibile che non abbiano niente di meglio da fare?!-
si lamentò Elisabetta.
-Non prendertela con me, credi che mi
faccia piacere sentirmi chiamare mezzosangue?-
-Scusa, non volevo prendermela con te. E
mi dispiace anche che Ramona debba prenderci sotto! Lei non ha fatto niente di
male!-
-Perché, noi sì? Colpa nostra se siamo più brave di loro?-
-Lascia stare, se perdevamo ci chiamavano “le
perdenti”!-
-Devo confessarti che preferisco perdenti! Tu no?-
-Beh, anch’io. Ma possibile che nessuno sappia niente
dei nostri genitori, quelli veri intendo?-
-O non voglia dirci niente…-
-Perché non lo chiediamo a
Silente? Forse saprà dirci qualcosa…-
Le sorelle ci tenevano veramente a sapere chi fossero i loro genitori?
Anche conoscendo i loro nomi, che
differenza avrebbe fatto? Loro, in fondo, li avevano avuti, poi erano stati
strappati loro da quella stessa persona cui avrebbero chiesto notizie dei loro
genitori naturali. Non era meschino?
E se qualcuno avesse mostrato loro
una fotografia? Avrebbero forse rimpianto maggiormente ciò che non
avevano mai potuto avere, vedendolo, e ciò che avevano già avuto
e perso?
Elisabetta nutriva però la segreta speranza che i
suoi fossero qualcuno di importante, per poter meglio
replicare e, perché no, zittire, le malelingue che accompagnavano lei e
sua sorella, e di ciò si dispiaceva… si dispiaceva perché
sentiva di non poter donare alla memoria dei suoi genitori lo stesso affetto
che avrebbe potuto donare loro se fossero stati in vita, se li avesse potuti
conoscere.
Alla fine concluse di essere
un’egoista, che le importava solo zittire le malelingue, e ciò la
turbò profondamente, tanto che per qualche giorno la sua indole da
scherzosa divenne pungente.
Un giorno Elisabetta e Francesca presero il coraggio a
quattro mani e chiesero udienza a Silente.
Ovviamente, era sempre impegnato: spediva gufi a intervalli di dieci minuti, e quando non era impegnato in
questo “sport”, il suo tempo era assorbito dai colleghi, che senza
di lui non potevano fare delle scelte importanti autonomamente (ed era meglio
che fosse così!). Lo si poteva vedere salire e
scendere una scalinata tre o quattro volte, chiamare a gran voce Pasquale,
intrattenersi all’angolo di un qualche corridoio con un qualsiasi
professore o… insegnare, qualche volta.
Comunque, trovò un momento
anche per le sorelle senza essere scocciato o arrabbiato; sembrava invece
piuttosto felice di poter soddisfare il desiderio delle sorelle.
Le fece però attendere in Presidenza, un posto
veramente molto…ingombro: c’erano pile voluminose di fogli,
cartelle, documenti, pergamene, libri di testo, qualche gufo… il tutto
appoggiato, secondo un criterio sconosciuto alle ragazze, su un lungo tavolo di
legno. Trovarono anche delle sedie e, ovviamente, si sedettero, sbirciando
sulle innumerevoli bacheche scarabocchi incomprensibili molto simili ai loro
appunti di Pozioni. Non trovarono niente di interessante,
così passarono ad una vetrina accostata al muro: libri, libri, libri e
ancora libri.
Stavano iniziando a spazientirsi, quando finalmente il
professore arrivò.
-Scusate ragazze, ma qua hanno tutti
bisogno di me…mi trattengono con tutte le sciocchezze possibili e
immaginabili, hanno un problema dietro all’altro! Sono delle piovre, con
un sacco di tentacoli per costringerti a fermarti e ad ascoltarli!- si sfogò il Vicepreside –Venite, andiamo nel mio
ufficio! Qui c’è troppa ressa…- disse
sorridendo e facendo strada alle alunne.
Traslocarono, come detto, nel suo ufficio, esattamente al
terzo piano; quando arrivarono davanti alla porta d’ingresso, essa si
animò: -Parola d’ordine, prego!- chiese con tono squillante.
-Buongiorno, Gino! “Grande Fratello”!- rispose il professore.
-Oh, buongiorno professore! Prego, entri!
Vedo che siamo in compagnia, eh?- osservò divertita la porta mentre si apriva.
-Già!- rispose lui mentre la
richiudeva; da quel momento essa non parlò più.
-Wow, allora è qui che medita i voti da darci sulla
pagella!- esclamò Francesca.
-Medito? E chi ha detto che
medito?- rispose Silente, stando allo scherzo.
-Ah, Fre, lascia perdere! Lui i
voti li mette in base a quanto gli stai simpatico!-
disse maliziosamente Elisabetta.
-Eh, è vero! Dai, basta
scherzare. Allora, di cosa volevate parlarmi? Sembrava urgente, o almeno,
più urgente di quanto non sia spedire un gufo
al mio fratellone…-
-Ehm, si tratta dei nostri genitori, cioè,
quelli naturali. - iniziò timorosa Elisabetta –Vorremmo
sapere chi fossero. -
-Capisco… Dovrò sguinzagliare un paio di
conoscenze, ma direi che si può fare,
però dovrete essere pazienti: queste operazioni richiedono del tempo!-
disse Silente, facendosi serio e pensieroso.
-Allora… può davvero darci una mano?- chiese
sbigottita Francesca.
-Vedrò quel che si può fare. Voi di cognome
fate Serpini, non è vero?-
-Sì. Ma se lo scriva, di
solito lo sbagliano tutti…- consigliò Elisabetta, ricordando il
primo incontro con Harry.
-Tranquilla: me lo ricorderò!- sentenziò
l’uomo.
-Senta, posso farle una domanda?
Perché Harry e Piton, quando sono venuti a prenderci, hanno dovuto
cancellare la memoria ai nostri?-
-Ah… beh, non è dipeso da me, io ne avrei anche fatto a meno. Il problema è che
ciò è disposto per legge: la vostra grande sfortuna è
quella di aver avuto genitori adottivi, poiché nel caso fossero stati
naturali, l’intervento avrebbe dovuto essere
discusso al ministero…-
-Dunque, non se ne è nemmeno
discusso? Piton ha fatto tutto di sua iniziativa?-
-Non è stata colpa sua! Ha ricevuto ordini precisi
dal ministero…-
-Il ministero, il ministero… Si può sapere chi
è il ministero per privarci dei nostri genitori?-
-Ormai è inutile discutere, quel che è fatto è fatto. Non si può tornare
indietro. –
-Qualcuno doveva pensarci prima. Arrivederci prof., e grazie per quel che riuscirà a fare. -
Forse avevano esagerato un po’. Ma quel che loro bruciava era il fatto che nessuno avesse chiesto il loro
parere; e se a loro quella vita non piaceva, o non interessava? Nessuno aveva
la facoltà di sostituirsi alla loro coscienza nell’attuazione di
scelte così drastiche, nessuno.
Ora erano sole, completamente sole. Mancava loro un
appoggio, una guida… una fonte di affetto.
*
Le giornate scivolarono via, alcune velocemente, altre più lentamente, fatto sta che giunse anche
ottobre; le giornate iniziarono ad accorciarsi sensibilmente e giunse una lieve
brezza fresca, mentre le foglie iniziavano il loro inesorabile balletto…
Il paesaggio fuori dalla scuola era
lo stesso abbastanza monotono: non si potevano vedere i colori tipici
dell’autunno, dato che c’erano solo sempreverdi, e la nebbia
contribuiva a rendere il tutto più deprimente.
Anche l’umore degli alunni
subì un radicale mutamento: all’eccitazione si sostituì
l’insofferenza, la voglia di fare fu sostituita da un lieve torpore, lo
studio subì un brusco calo.
Un’unica cosa si era consolidata: l’amicizia tra
Ramona e le sorelle.
Fu allora che al professore di Musica venne una brillante
idea: mettere su un complesso!
La proposta fu subito accolta da consensi e così il
prof. iniziò a raccogliere i partecipanti e a selezionarli.
Ramona si propose come tastierista, Francesca come
chitarrista ed Elisabetta, su sollecitazione della sorella, come batterista.
Francesca aveva seguito un corso di chitarra fin da piccola.
Ne possedeva una, prima di andare a scuola, ma ora era irrimediabilmente persa.
Sua sorella aveva appreso i rudimenti da sapere sulle note da lei, anche se
prediligeva il canto.
Alla fine Corni raggruppò
una quindicina di persone e stabilì un giorno che andasse bene a tutti
per provare, il mercoledì. Inizialmente erano tutti eccitati, ma dopo
non molto ci furono i primi abbandoni, cosicché rimasero in otto.
L’idea era quella di proporre pezzi babbani; iniziarono con “Myheartwillgo on”.
Francesca e una Tassorosso erano le chitarriste, Elisabetta
la batterista, Ramona e una Corvonero le tastieriste,
un Serpeverde il bassista, Christina e due Corvonero
i flauti e lo stesso prof. il sassofono.
Ma i nodi vennero presto al
pettine: era molto difficile coordinare tutti quegli strumenti, soprattutto
visto che si erano creati due blocchi, quello dei flauti e quello degli altri
strumenti, ognuno con un suo ritmo.
Così Corni scelse
un’aiutante: nientemeno che la professoressa Venturelli!
Infatti lei era un’appassionata di musica, e
sapeva suonare molto bene il flauto e il pianoforte; in tale maniera si
riuscì a procedere con sempre nuovi brani.
Il bello era che in quel “passatempo” non
c’era assolutamente niente di magico! Tanta elettronica, cavi, cavetti,
basi, strumenti, voci… Giusto, le voci! Ecco
cosa mancava ancora: dei cantanti!
Dopo aver fatto la corte ad una Corvonero, il prof.
chiamò l’odiosa Serpeverde Cercatrice della sua squadra:
Fiordaliso.
Odiosa perché non le andava mai bene niente: e i
flauti troppo veloci, e la batteria per suo conto, e il mal di gola… praticamente non provava mai, e Corni se ne accorse quando
propose di fare un piccolo concerto il sabato sera, visto che non azzeccava una
parola! Ma non rinunciò al concerto: lo fece infatti,
ma solo lui e il suo sax.
Tra le prove di Musica, i compiti in classe di Lettere e
Matematica, le interrogazioni di Incantesimi, i
compiti di Pozioni e i viaggi nel mondo babbano e nel computer, il tempo
sembrò scorrere ad un ritmo forsennato.
Le sorelle si chiedevano quando
avrebbero ricevuto notizie dal Vicepreside; ciò accadde finalmente in un
piovoso pomeriggio di fine mese.
-Ragazze, mi dispiace, ma non siamo
riusciti a scoprire nulla circa le vostre origini, il vostro è un
cognome babbano… non sono riuscito a trovare il vostro albero
genealogico…- le informò tristemente il professore.
-Colpa nostra se ci hanno dato il
nome del nostro padre adottivo? Non c’è un altro modo per scoprire
qualcosa, che ne so… un test del DNA?- iniziò
Francesca con enfasi.
-Esistono alcune pozioni, ma sono efficaci solo avendo a
disposizione un campione del sangue di parenti… è una specie di
confronto. Purtroppo, non fa al caso vostro…-
Elisabetta allora lo fermò: -Forse siamo destinate a
cavarcela da sole. In fondo la vita ci fa quasi un favore, così
arriviamo preparate per affrontarla… –
Chiamatelo destino, ma le origini delle due Grifondoro furono nuovamente messe in dubbio durante un’ora di
Trasfigurazione…
La professoressa stava, come suo solito, interrogando i
ragazzi; aveva appena finito di osservare come Rosa trasfigurava un bottone in
uno scarafaggio (un po’ maluccio, perché le ali dell’insetto
erano bucate!) mettendole un Accettabile sul registro, quando le balenò
l’idea di interrogare Francesca. Volle chiederle di trasfigurare un
cordone di una scarpa in un lombrico, ma la ragazza si era dimenticata la
bacchetta nel Dormitorio; mentre la prof. finiva di scrivere sul registro,
l’interrogata ne approfittò per
comunicare alla sorella della bacchetta.
-Se ti trova senza bacchetta sei
morta! Ricordi cos’ ha fatto a Elijah quando si
era dimenticato la sua? Gli ha dato una nota! E
pensante, sul registro!- sussurrò Elisabetta.
-Io non voglio una nota, non la voglio!-
gemette Francesca.
-Allora, Francesca, trasfigurami il
cordone!- ordinò la professoressa.
Ecco, era finita. Francesca già si vedeva una nota
sul registro, o un Troll, il voto peggiore che un
alunno potesse prendere, che era anche peggio!
Oh, perché deve interrogarmi proprio
quando non ho la bacchetta! Fa che cambi idea,
fa che cambi idea!
Fu un attimo, e come per incanto il tempo si bloccò,
proprio come durante l’interrogazione di Pozioni.
-Betty, si è bloccato il
tempo!-
-Ormai inizio ad abituarmi! Che
fortuna! Ma ora spicciati, corri su in Dormitorio e prendi la bacchetta... e
che nessuno ti veda!-
-Vieni anche tu, per coprirmi!-
Così si alzarono senza far rumore, nonostante nessuno
potesse sentirle, e sgattaiolarono fino alla porta; acquistarono un po’
di fiducia e si fecero prendere dalla fretta, così da spalancare con forza
la porta, ma…
-Ragazze! Chi avete adesso?- chiese
la Chiodo con
la mano appoggiata sulla serratura della porta, così come Francesca.
-Ehm, Trasfigurazione, ma la prof. è…-
iniziò la ragazza, ma troppo tardi: la Chiodo aveva già
intravisto la Melalavo,
e si era anche accorta che non si muoveva.
-Adesso mi spiegate come mai l’intera classe è
bloccata, tranne voi due!- sentenziò la
professoressa guardando le ragazze con aria molto seria.
-Ehm, speravamo che qualcun altro lo dicesse
prima a noi!- ammise Elisabetta.
-Facciamo finta che non sia successo niente: adesso voi
tornate in classe e fate ripartire il tempo, poi io entro e vi chiedo di
uscire. Intese?-
-Intese. –
Senza obiettare le ragazze richiusero la porta, si
risedettero e attesero… e il tempo tornò a scorrere.
-Ancora lì sei? Forza, tira fuori
la bacchetta!- incalzòla Melalavo.
Forza, professoressa
Chiodo, entri, e si sbrighi!sperò
Francesca.
TOC TOC
-Ciao Domenica, potresti far uscire un momento Elisabetta e
Francesca?- chiese la Chiodo.
-D’accordo…- rispose
la collega abbassando lo sguardo, contrariata.
Per lo meno, Francesca avrebbe evitato una brutta
figura…
Andarono nell’ufficio della Chiodo,
al terzo piano. Come al solito, la porta della stanza
si animò.
-Parola d’ordine?- squittì.
-Armando Chiodo!- rispose meccanicamente la
professoressa.
-Buon lavoro, professoressa!- squittì nuovamente la
porta aprendosi, ma dopo che la padrona l’ebbe richiusa, tornò
nell’oblio.
Quella stanza era veramente accogliente: c’era un
piccolo fornello per cucinare, un tavolo e quattro sedie, un computer
portatile, un divano, un armadio e un tavolino basso di vetro sul quale
troneggiavano tre tronchetti della felicità.
Anche sull’armadio c’era
qualche pianta: un piccolo cactus e un’invisibile stella di Natale.
-Dimenticatevi di essere mie allieve, facciamo finta di essere solo buone amiche, e sediamoci sul divano. Vi va
un the? L’ ho già sul fuoco…-
Le sorelle annuirono silenziosamente, attendendo con
nervosità le domande dell’insegnante.
Dopo aver preparato tre belle tazze di the fumante, ed
essersi seduta assieme alle ragazze, la Chiodo iniziò
l’interrogatorio.
-Allora, cosa stavate combinando, ragazze?-
-Niente di speciale… Francesca si stava
facendo interrogare…- minimizzò Elisabetta.
-E, furba come sono, mi ero
dimenticata la bacchetta magica. Lei forse non sa che chi se la dimentica
rischia una nota; Elijah ne ha avuta una pochi giorni
fa!- continuò Francesca.
-Per farla breve, quando ha avuto bisogno di una mano,
qualcuno gliel’ ha tesa. Non sappiamo chi, o perché. È
semplicemente successo, e basta…-
-Uhm… siete sicure di non c’entrare nulla?-
chiese la donna, trafiggendo con lo sguardo ora Elisabetta, ora Francesca.
-Il bello è che non lo sappiamo!- rispose
convinta Elisabetta.
La Chiodo
si alzò e iniziò a camminare su e
giù per la stanza, poi concluse: -Ma sì, a voi posso dirlo,
però promettetemi di non farne parola con nessuno. Siete ragazze
sveglie, e so che capirete. Nonostante esista la magia, ci sono cose che non ci è concesso fare: una di queste è manipolare
il tempo. Riuscite bene ad immaginare cosa potrebbe succedere se ciò
fosse possibile: la storia non potrebbe andare avanti. Sapete anche che a volte
ci sono dei controsensi a questo mondo, infatti
esistono degli strumenti appositi per manipolare il tempo, come le Giratempo; esistono tuttavia dei maghi che riescono ad
esercitare un controllo sul tempo senza ricorrere ad esse: sono molto pochi,
credo che fossero… dodici. Dico fossero
perché sono tutti morti. Furono uccisi da killer di sette magiche che
combattevano contro il Signore Oscuro, non so se ve ne
hanno parlato…-
-Intende Lei-Sa-Chi?-
-Sì, esatto. Furono uccisi perché si temeva
che potessero schierarsi con lui. In effetti, non avevano
tutti i torti… la loro volontà non sempre era
all’altezza dei poteri da gestire. In teoria, dei Wizardtime non
dovrebbero più esistere, ma prendiamo in considerazione il fatto che
qualcuno di loro avesse dei figli e, conscio del
pericolo che correva, li avesse tenuti nascosti…-
-Intende dire che i nostri genitori
naturali, avendo scoperto di essere ricercati per essere assassinati, ci
avrebbero date in affidamento?- chiese stupita Francesca.
-Possibile. Non ci sono altri modi per spiegare quegli
strani fenomeni di manipolazione del tempo!- rispose
convinta la Chiodo.
-In effetti, Silente ci ha detto di
non riuscire a rintracciare il nostro cognome, quello vero intendo. Pare che il
nostro sia esclusivamente babbano. -
-Beh, se nessuna ricerca darà frutti, le
probabilità che voi siate veramente Wizardtime saranno quasi pari al 100%: i nomi dei
Wizardtime non compaiono in nessun documento, solo in una lista segretissima
che li raggruppa tutti! Esserlo è un fatto
ereditario…- osservò la professoressa.
-Ma allora, noi… non siamo al
sicuro! Voglio dire, se veramente siamo quello che lei ipotizza…- gemette
Elisabetta quando si rese conto della gravità
del problema.
-Temo di sì. Non fatene parola con anima viva,
specialmente con i vostri compagni! E cercate di
controllarvi. E siccome è un fatto che vi
riguarda in pieno, chiedo il vostro permesso di parlarne con Silente. –
-Certamente! Anche con la McGranitt e con Harry!-
-Va bene, vi lascio tornare in classe, ma tanto ormai
l’ora è finita. Mi raccomando: prudenza. Ah, tenete: è un
libro sui Wizardtime, io l’ ho già letto. È molto interessante, macustoditelo
lontano da occhi indiscreti, tipo quelli di Rosa… intendiamoci, non che
possa danneggiarvi volontariamente, ma è un po’ sciocca, anche se
fa la saputa… a presto!-
-Arrivederci, prof.!-
Non appena uscirono dalla porta dell’ufficio della professoressa la campanella suonò.
-Accidenti, la Chiodo ha risolto il mistero in
un’ora! E Silente non ci aveva neanche
lontanamente pensato!- constatò Francesca.
-Quella donna è in gamba! Per fortuna che è la
nostra prof.!-
-Cavolo, devo andare a prendere la bacchetta! Vieni con me?-
-Va bene. –
In un solo giorno erano riuscite a svelare molti punti
oscuri della loro esistenza, quando in quattordici anni non avevano messo
insieme che speranze e sogni… era bello sentire
di essere figlie di maghi speciali, ma allo stresso tempo era inquietante:
sarebbero state in grado di gestire quell’enorme potere? E in che cosa consisteva esattamente? Ma
per fortuna avevano il libro, che lessero per lo più chiuse in bagno o
quando le compagne non c’erano…
Dunque, potevano fermare il tempo e
mandarlo indietro, ma solo quando fossero state sufficientemente esperte.
Sarebbero potute tornare indietro nel tempo fino a poter
conoscer i loro genitori! Ma dovevano avere pazienza,
accrescere il loro dominio dell’arte magica in generale e soprattutto
esercitarsi.
C’era stata un’accelerazione iniziale, ma molti
si erano persi per strada…
Così, un giorno, Silente avanzò una proposta
agli alunni.
-Ragazzi, così non va. Molti insegnanti si lamentano
della vostra distrazione e io personalmente ho potuto constatarlo. Allora ho
pensato di fare una pausetta: che ne dite se una di
queste domeniche andiamo al “Giovane Mago
Bolognese”? Così, se avete bisogno di acquistare
qualcosa… oppure possiamo passare una divertente giornata alla taverna,
fate voi. Ebbene?-
Ovviamente tutti furono più che felici di accettare.
I professori di Lettere consegnarono alle varie Case un
modulo di adesione da far firmare ai genitori, e
così iniziò un acceso dibattito per le sorelle, che non li
avevano.
-Professoressa, e noi?- chiese Francesca.
-Oh, giusto. Come facciamo?- annuì
pensierosa la McGranitt
–Vado a chiederlo a Silente!- esclamò.
-Lasci prof., ci andiamo noi!-
disse spontaneamente Elisabetta.
-Ma perché le hai detto che
ci andiamo noi?- chiese Francesca appena furono ad una distanza di sicurezza.
-Perché così non può
dire una parola contro di noi!- rispose l’altra.
-Ma non potrà nemmeno dire
qualcosa in nostro favore!- ribatté Francesca.
-Hai ragione… mettila così: ci perdiamo un
po’ di lezione!-
E così arrivarono al
cospetto di Silente.
-Allora prof., cos’ ha
intenzione di fare con noi? Non vorrà averci sulla coscienza: tutti ci
vanno tranne noi!-
-Eh? Ah, giusto! Beh… teoricamente non potreste…-
-Ma prof., che differenza fa? Anche se avessimo i genitori, loro non ci accompagnerebbero!
Non vedo dov’è il problema…- osservò
Elisabetta.
-E se vi fate male? La colpa ricade
sulla scuola…-
-Prof., si ricordi che noi sappiamo
fare quella certa cosa di cui le avrà senz’altro parlato la
professoressa Chiodo… può stare tranquillo!- sussurrò
Francesca.
-Razza di birbe. E va bene, mi
avete convinto!- rispose sorridente il Vicepreside scompigliando i capelli alle
ragazze.
Così, senza troppa fatica, riuscirono ad andare coi compagni.
Partirono l’ultima domenica di ottobre,
di pomeriggio. Un vento fresco spirava come a voler avvolgere gli alunni e
muoveva i rami dei sempreverdi; miracolosamente c’era il sole, anche se
le temperature estive erano solo un ricordo, ma non troppo lontano.
Dopo essersi fatti circa quattro ore di treno, arrivarono
alla meta: tra schiamazzi e spintoni furono tutti lungo il selciato che
spaccava a metà il “centro commerciale”; nulla era cambiato
da quegli ultimi giorni di agosto.
La diaspora iniziò immediatamente: chi assaliva i
negozi di dolciumi, chi quelli di abbigliamento, chi
quelli di accessori…
Le sorelle e Ramona, dopo essersi sorbite le solite
raccomandazioni del tipo“alle ore cinque ritrovo nella taverna Corno di
Unicorno”si diressero verso
un negozio di accessori etnici, ma si accorsero di essere seguite.
-Ehi, il vecchio Piton ci pedina!-
esclamò indignata Elisabetta.
-Già, eh eh,
non credo proprio che sia il tipo da shopping! Ma perché non
c’è andato con la
Chiodo?!- ribatté Francesca.
-Seminiamolo!- propose eccitata Ramona, e così
ciascuna si infilò in un negozio diverso,
mentre il povero professore si guardava intorno smarrito con aria da pazzo.
Appena fuori tiro, Ramona
uscì, e così pure fecero le sorelle, riuscendo a seminare Piton.
-Così impara, il Mocciosus!- gridò Francesca.
Ma dopo un breve giro (entrarono solo in una decina di
negozi!) si stufarono: avrebbero preferito essere inseguite, era più eccitante. Così si diressero verso la taverna
indicata, per vedere che aria tirava.
Non c’era molta gente, solo la metà dei
professori, le ragazze del Grifondoro, qualche Serpeverde, il biondino,
parecchi Corvonero… tutti seduti a bere ai minuscoli tavolini con
tovaglia rosa.
-Caspita, qua la gente si stufa
presto!- osservò Ramona.
-Beh, presto… sono già le
quattro!- precisò Francesca.
Si sedettero assieme alle compagne Grifondoro, ma non
presero da bere, piuttosto chiesero in elemosina un po’ di Burrobirra.
Quando la bottiglia fu vuota, a
Francesca venne una brillante idea: -Ehi, perché non facciamo il gioco
della bottiglia? In pratica, si prende la bottiglia, la si
fa girare e guardiamo da che parte va l’apertura: le coppie che segna si
baciano, ma solo maschi con femmine!-
Ebbe grande successo, tanto che ben
presto tutti i ragazzi si sedettero in uno spazio lasciato libero dai tavoli,
in cerchio; al centro, la bottiglia girava.
Per molti ragazzi doveva trattarsi del primo bacio, anche se
si trattava giusto di sfiorarsi con le labbra, ma comunque
era sempre un’esperienza nuova, tanto che (soprattutto le ragazze) fecero
fatica a concedersi.
La ragazza in assoluto più ambita era Christina,
tanto che si scatenavano vere e proprie risse quando bisognava designare il suo
“cavaliere”: ogni ragazzo sosteneva che la bottiglia pendeva verso
di sé, anche quelli che erano dalla parte opposta!
Vedendo che si divertivano tanto, la
professoressa Parmigiani volle andare a vedere cosa gli alunni stessero
facendo, imitata da diversi colleghi.
-Eh, sapesse, prof.!- rispose
Elijah, che aveva appena baciato una Corvonero ed era in estasi.
-Il gioco della bottiglia!- gridò qualcuno.
-Guardate che non avete da vergognarvi, li ho fatti
anch’io quei giochi!- esclamò la prof.,
vedendo che molte ragazze arrossivano.
-Bene, allora non le dispiacerà
ripetersi!- gridò un Serpeverde, nascosto dai compagni.
A quella provocazione le donna si
fece rossa, ma cercò ugualmente di tenere testa ai ragazzi: -Dai,
ragazzi, non mi sembra il caso… cosa direbbero i miei colleghi!- disse,
guardando nervosamente gli altri professori, alcuni dei quali sorridevano sotto
i baffi.
Tanto fecero e tanto dissero (soprattutto i Serpeverde) che
alla fine le strapparono una scommessa: un classico “Testa o
Croce”.
-Allora, Testa e tutti i professori giocano, Croce…
niente. –
Prima di tirare, la Parmigiani guardò
disperata i colleghi, che non sorridevano più, poi si decise e…
uscì Testa!
Sgomento generale… Silente guardò male le
sorelle, che fecero cenno di diniego con la testa, mentre gli altri professori.
guardarono male la collega guastafeste (o meglio: combinafeste!).
-Potremmo fare tre su tre…-
tentò, ma invano: come si dice, date un foglio agli studenti, e vi
prenderanno il registro!
Elisabetta giurò di aver sentito Corni minacciare la Parmigiani:
-A scuola te la vedi con me!-
Dopo molte polemiche Silente fece
passare la proposta di fare semplicemente delle penitenze, che si sarebbero
scelte con il giro della bottiglia; tutti i partecipanti si sedettero in
cerchio, al centro la bottiglia, e si iniziò.
E chi fu la prima, se non la Parmigiani?
Elisabetta già non vedeva l’ora: le si
avvicinò, le porse la mano, le disse di chiudere gli occhi e le
intimò di scegliere un dito; toccando l’indice di Elisabetta, la
donna si vide costretta a subire la penitenza del “fare”.
-Dunque, cosa le facciamo fare?-
borbottò Francesca.
-Che ne dite di venti flessioni?-
suggerì Corni.
-Bene, vada per le venti flessioni!- votarono
gli alunni, e così la poveretta fece le sue belle venti flessioni.
Dopo altri giri toccò a
Elisabetta, che scelse… “baciare”!
-Fatele baciare Potter!- sussurrò
Piton.
-Sì, Potter, Potter!- gridarono in coro i Serpeverde.
-Dai, sulla guancia, siate
clementi!- intervenne Silente in aiuto di Harry.
E così Elisabetta
baciò il ragazzo sulla guancia; dei due, non si seppe chi fosse il
più rosso e imbarazzato.
Comunque Piton si pentì di
aver detto quel che aveva detto: Elisabetta tirò la bottiglia poi, con
l’ausilio della sorella, bloccò il tempo (ormai avevano un
po’ di dimestichezza) e segnalò proprio il professore.
Ovviamente nessuno si accorse di niente,
così Piton dovette subire la penitenza “testamento”.
Silente guardò interrogativamente le sorelle, ed Elisabetta annuì
energicamente, voltando la testa per non concedergli l’occasione di
apostrofarla per il suo comportamento, tanto meno per quello di Francesca.
-Detta Elisabetta, così avrà modo di rifarsi!-
sorrise la
Chiodo.
-D’accordo, e lei scrive!- ribatté lei. La donna non si tirò certo
indietro, e si posizionò di fronte alla schiena
di Piton.
-Allora, lascio il mio ufficio ed il suo contenuto al
professor Potter, poi il mio mantello alla professoressa Chiodo
e le mie scarpe al gatto di Elisabetta. Scritto tutto, prof.?-
-…al gatto di Elisabetta.
Scritto tutto!- esclamò la Chiodo, mente mimava il gesto di
scrivere sulla schiena di Piton; solitamente, era un’operazione che
creava un certo solletico e nessuno riusciva ad evitare di contorcersi, ma il
professore rimase dritto impalato per tutta la “stesura del testo”,
senza che sul suo volto comparisse alcuna espressione.
Fu anche la volta di Francesca, che si meritò un bel
“dire”.
-Sono una Cercatrice da quattro soldi!- fu costretta ad autocriticarsi dai Serpeverde, ma aggiunse sottovoce:
-…anche se ho preso il Boccino prima di voi!-
Poté anche lei rifarsi, esattamente quando
toccò al biondino.
-Chi la fa la penitenza a Lucifero?- chiese qualcuno.
-Io!- si offrì prontamente la ragazza.
Dopo una breve occhiata di sfida, il ragazzo rapidamente
scelse… “fare”.
-Meriterebbe di essere interrogato in
Informatica!- saltò su Silente, guardando sorridente il
malcapitato. E fu proprio interrogato in Informatica! Ma senza voto.
Poi toccò… uh! Proprio a Silente, che
scelse… “baciare”!
-Se non sbaglio, la McGranitt è più o
meno una sua coetanea, perciò io propongo proprio lei!- disse una
professoressa che somigliava molto alla Chiodo, anche se aveva
l’espressione arcigna; le sorelle si informarono e seppero che era
l’insegnante di Lettere dei Serpeverde, al che si arrabbiarono molto,
perché capirono che quello era solo un modo per far sfigurare la loro
insegnante.
Per fortuna Silente si prestò bene allo scherzo e
abbracciò la collega, la quale rimase impietrita, e le stampò un
bacio sonoro sulla guancia.
-Io intendevo un bacio vero…-
sibilò la prof. dei Serpeverde.
-E questo secondo te cos’era?!-
ribatté prontamente l’accusato, al che la donna tacque, capendo
che il saggio professore non voleva darle corda.
E così, tra un bacio e un
testamento, il pomeriggio passò velocemente.
*
Quell’uscita fece bene al morale degli alunni, che
ripresero a studiare diciamo di buon grado.
Il clima fu quieto (interrogazioni a parte) per quel che
rimaneva di ottobre e per i primi giorni di novembre,
ma un brutto giorno la quiete fu turbata.
-Ragazzi, tra di voi sono stati
individuati dei Wizardtime. Diciamo sono
perché non sappiamo quanti siano, e perciò vi preghiamo di tenere
gli occhi ben aperti. Chiunque sia testimone di qualche fatto strano informi me
e i miei colleghi, che siamo stati incaricati di
sorvegliare le Case per la vostra incolumità. Spero abbiate compreso la
gravità della questione. Buon lavoro. –
Un mattino come tanti, durante un’ora di Informatica, cinque uomini piombarono nella classe dei
Grifondoro a creare scompiglio, anche se non tutti i ragazzi compresero cosa
fossero i Wizardtime, così Silente fu
costretto a spiegarlo alla classe.
Per tutta l’ora le sorelle si scambiarono
occhiate preoccupate, ma senza proferire parola. Come era
prevedibile, al termine dell’ora, Silente le volle in Presidenza; nel
caso la sua predica non fosse stata sufficiente, a dargli man forte
c’erano anche la
McGranitt, la
Chiodo, la
Parmigiani e… Piton!
-Direi che la situazione non ha
bisogno di commenti…- disse con tono grave il Vicepreside.
-Io, invece, ritengo che qualche parolina sia il caso di
spenderla…- sussurrò pacatamente Piton
–Il vostro comportamento è stato a dir poco irresponsabile.
Credete forse di stare giocando? I vostri poteri sono una
cosa seria, non un giocattolo!- continuò lui.
-Severus, per favore…- si intromise la McGranitt.
-Lasciami finire!- abbaiò –In fin dei conti,
credo che vi stia bene. Così forse imparerete
un po’ di autocontrollo! La nostra
società non ammette persone che scattano alla minima provocazione.
–
-Lasciate stare mia sorella, lei non
c’entra. Sono stata io a voler bloccare il tempo! E sottolineerei che non l’avrei fatto se qualcuno non mi
avesse suggerito l’idea…- Elisabetta era intenzionata a motivare il
suo gesto e a difendere la sua posizione.
-Non cercare di scaricare le tue colpe su qualcun altro!-
sbraitò il professore, che, ora che si era alzato, sembrava un gigante
–Ciò non cambia quello che avete fatto!-
-Sì, ma mia sorella è stata provocata!- ribatté Francesca.
-E allora? Ma
l’avete un po’ di giudizio, in quella testolina?-
l’aggredì Piton.
-Adesso basta litigare! Severus, mi meraviglio di te!
Abbiamo forse fatto qualcosa per metterle in guardia? E guarda che sono la
prima da incolpare, ma non mi sembra che tu abbia fatto molto più di me.
Sono giovani, e non hanno molta dimestichezza con la magia; probabilmente non
erano a conoscenza dei rischi cui avrebbero portato le
loro azioni!- esclamò contrariata la Chiodo.
-Chiediamoglielo!- rinforzò la Parmigiani.
-Per me, che fino a qualche mese fa vivevo in un minuscolo
paese in collina, il vostro mondo è tutta una
follia. Se poi manipolare il tempo sia più folle o meno,
non lo so. – Francesca era furente.
-Io non l’ ho chiesto, questo potere, e dovrei pagarne le conseguenze? Ma è vero, la
professoressa Chiodo ci aveva accennato alla storia di
Voi-Sapete-Chi, quindi concludo che è stata
tutta colpa mia. Contento, professore? Io adesso me ne vado, ho quel che mi
resta della ricreazione. – concluse Elisabetta
girando i tacchi; uscì seguita dalla sorella.
Non si presentarono alle due ore successive di lezione, ma
le passarono rinchiuse nel Dormitorio, Francesca sprofondata nel letto,
Elisabetta chiusa in bagno, in lacrime.
-Quel verme di Piton! Come lo odio! Gli scoccia ammettere
che ti ha provocata…- ringhiò Francesca
quando Elisabetta si decise ad uscire dal bagno.
-No, ha ragione. È stata tutta colpa mia. –
-Ma credi che sia proprio lui che
deve farti la predica? Non avrebbe esitato a fare quello che hai fatto tu, e l’avrebbe fatto con malizia; tu, invece,
l’ hai fatto per divertimento. –
-Se prima mi piacevano questi poteri, adesso li odio!-
-Anch’io. –
Le due si interruppero un attimo.
Parve infatti ad entrambe di aver udito un lieve
rumore di passi provenire dall’esterno. Ne ebbero
la conferma quando qualcuno bussò alla porta.
-Permesso?- chiese timorosa la McGranitt.
-Se deve rincarare la dose,
è pregata di andarsene!- le urlò Elisabetta.
-Ma come ti viene in mente?-
rispose comprensiva la donna, che era entrata e si stava dirigendo verso le
ragazze.
-Scusi… in fondo, lei ha anche cercato di
difenderci…- bisbigliò la ragazza, con
gli occhi fissi a terra.
-Non dovrei andare in giro a fare la punta ai miei colleghi, ma oggi farò un’eccezione. Non ascoltate Severus, non ne vale proprio la pena. Sappiamo
tutti benissimo quello che è successo, ovvero
le circostanze per cui avete… insomma, io, alla vostra età, avrei
fatto lo stesso. – disse, sedendosi sul letto affiancato a quello delle
sorelle.
Come al solito, bastarono poche
parole per confortare le ragazze, così, a compito svolto,
silenziosamente uscì dalla stanza; ma non si accorse che qualcuno la
spiava…
Quel qualcuno erano le cinque
persone causa dei loro problemi, i “sorveglianti” come qualcuno li
chiamava.
-Ehi, Manuèl, non ti sembra
strano che la vecchia va trovare le mocciose, che guarda
caso non sono andate a lezione?- bisbigliò uno.
-Boh, non lo so… capita a tutti di marinare, ogni tanto!- rispose il compagno
cicciotello.
-Ma ti sembra il caso che una prof. le vada
a trovare e che non urli?! Quella bisbetica di solito urla
quando scopre che qualcuno ha marinato le lezioni!- riprese il primo.
-Hai ragione, Renzo. Tu hai sempre ragione!-
-Bravo Manuèl, tu si che capisci al volo chi è che comanda!-
Ma anche loro non sapevano di
essere spiati a loro volta …
-Buongiorno, come va? Ho sentito che stavate parlando di
cose roventi! Ditemi, non è che sentite puzza di bruciato?- chiese loro
Ramona, dando fuoco alla parte posteriore dei
pantaloni di entrambi con l’incantesimo “Incendio”, in
modo da poter entrare nel Dormitorio in tutta tranquillità.
-Ehi raga, sapete che qui fuori ci
sono quei tipi che controllano tutti? Quelli che cercano i Wizardtime…
-
-Miseria ladra!- imprecò Francesca.
-Voi sapete per caso chi sono? I Wizardtime,
intendo. -
-No, perché?- chiese Elisabetta.
-Sai, ho sentito parlare del nostro Dormitorio, e di quelli
che c’erano dentro… Cioè voi.
–
-Ah, beccate!- disse Francesca, simulando un grido di
dolore.
-Eh sì, siamo noi. Ma non
spiattellarlo in giro! Mi raccomando…- si
raccomandò la sorella con aria complice.
-Va beh, mi raccomando fate attenzione, incominciano
a sospettare di voi, e pensano che la
Mc c’entri qualcosa…-
-Sono stufa di essere relegata in una
stanza, voglio uscire!- sbuffò Elisabetta, profondamente
scocciata.
-Beh, allora andiamo!- propose Ramona
fiduciosa.
-No, no! Prima voglio divertirmi un po’ con quegli
idioti! Fermiamo il tempo e trucchiamoli da signorine… Ramona, a te
l’onore! Tre-due-uno, via!-
Elisabetta spalancò la porta, Francesca bloccò
il tempo istantaneamente e Ramona… si mise all’opera.
-Cosa ne dite? Li ho truccati un
po’ da… capito? Ci vorrebbe solo una minigonna che gli vada bene!-
-…- scena tagliata.
In pratica, al ciccione aveva colorato le guance di rosso,
messo un filo di rossetto sulle labbra, passato il mascara sulle ciglia e
disegnato un neo vicino al labbro superiore con la matita nera per gli occhi;
allo spilungone aveva disegnato dei fiorellini sulle guance, colorato il naso
di rosso e segnato il contorno occhi con una spolverata di ombretto
viola (come se avesse bevuto…).
Sghignazzando come pazze presero un
po’ di vantaggio e fecero ripartire il tempo. Quando
si ritrovarono truccati in quel modo, i due uomini corsero direttamente in
bagno e le tre ragazze (che spiavano da dietro al muro) si sganasciarono dalle
risate.
*
Qualche giorno dopo, mentre le tre Grifondoro si recavano in
Sala Grande per la colazione, incrociarono per strada un uomo mai visto prima;
Ramona sembrava conoscerlo, perché le si illuminarono
gli occhi. In effetti, era suo padre.
Si chiamava Giordano, era basso e
robusto, con gli occhi castani chiaro, i capelli tendenti al grigio e la pelle
rossa (no, non era un indiano!). Ed era anche molto
simpatico.
-Papà, ma tu che ci fai qui?- chiese
sbalordita Ramona.
-Come che ci faccio qui?! Io qui ci
lavoro!- rispose lui.
-Anch’io qui ci lavoro se
è per questo!- ribatté la figlia.
E così le tre ragazze scoprirono che il padre di
Ramona era stato assunto in qualità di
“guardiano della foresta”, o più semplicemente
guardiacaccia.
-Ma qui non c’è una
foresta!- osservò Elisabetta.
-Non ancora, ma presto ci sarà! La pianterò
io!- disse orgogliosamente Giordano, battendosi il petto.
-Ma ci vorrà un secolo prima
che gli alberi crescano!- obiettò Francesca.
-Eh, qui ti sbagli! Venite con me dopo le lezioni questo
pomeriggio, vi faccio vedere come si fa a far crescere un albero in cinque
minuti!-
Così quel pomeriggio, dopo essersi messi le giacche,
i quattro uscirono e andarono nelle vicinanze dei pini.
-Ecco, tutto qua attorno dovrò
piantare la foresta!-
-Wow, che lavoraccio che dovrai fare!-
Alla maniera dei pistoleri, Giordano estrasse la bacchetta
dalla tasca dei jeans e iniziò a colpire il
terreno a distanza ravvicinata, pronunciando i nomi di varie specie di piante,
magiche e non: quella era la semina.
Poi mandò le ragazze a prendere due recipienti; in
uno versò della semplice acqua, in quell’altro
uno strano liquido che disse servire per far crescere le piante in fretta, poi
li mischiò e iniziò a spargere la soluzione ottenuta.
-Spero non abbiate creduto che questi alberi cresceranno in
cinque minuti! Forse saranno pronti domani…-
-Uffa!-
-Poi dovrò procurarmi degli animali magici…-
-E vai! Che genere di animali?-
-Non lo so, devo sentire dalla vostra prof. di Cura delle
Creature Magiche…-
-Allora saranno senz’altro noiosi.
Coraggio, torniamo dentro, tra poco si mangia. –
A cena, Ramona osservò orgogliosa il padre seduto al
tavolo delle autorità vicino a Silente, il
quale aveva presentato il nuovo guardiacaccia all’intera scolaresca, e se
ne fece lustro coi compagni.
Mentre faceva ciò, le
sorelle sue amiche riflettevano.
-Dici che c’è qualcosa
sotto?-
-Certamente. Secondo me è
per tenerci meglio d’occhio, insomma: ci mettono alle calcagna qualcuno
di cui ci fidiamo, che ci sta simpatico e che non dà nell’occhio,
e che per di più è il padre della nostra migliore amica. Insomma,
ha l’alibi perfetto!-
-Già: nessuno si insospettirà
vedendolo gironzolare sempre attorno a noi tre, nemmeno i
“sorveglianti”. –
-Stiamo al gioco, poi vediamo che succede. Magari è
tutta una nostra fantasia. –
-Dopo quello che ha detto Piton, non credo proprio…-
Era metà novembre. L’inverno era un miraggio,
fuori c’era ancora abbastanza caldo da potercisi
avventurare per una passeggiata pomeridiana; i sempreverdi erano sempre uguali
a se stessi e il castello pure.
Il cane si avvicinò alla ragazza furtivamente,
salì sul letto e… la leccò.
-Puah, dai Ciro
mi hai già leccata abbastanza, piantala! Sì, sì, sono
sveglia. Sì, mi alzo: stai tranquillo. Betty, Betty, svegliati!- borbottò Francesca.
-Uhm... sì, sono sveglia!- rispose
la sorella, ancora con gli occhi chiusi.
-Cosa abbiamo oggi?-
-Se intendi le prime ore, Pozioni…-
-Spero che gli sia venuto un accidente!-
-Altrimenti glielo facciamo venire noi. - esclamò
Ramona, che si era appena svegliata (come si faceva a dormire con un cane sulle
ginocchia e due che imprecavano?!).
Dopo tutto lo svolazzamento di imprecazioni
per la stanza, venne finalmente il momento della colazione, e anche lì
non mancarono le lamentele.
-Niente tè, oggi? E lo
zucchero? Tirchi!-
E la prima ora? Decisamente,
non una delle migliori…
-Buongiorno. - disse cupo Piton, entrando dalla porta con il
solito mantello frusciante e la solita faccia da
schiaffi.
-Ciao, carciofo!- bisbigliò
Francesca all’orecchio delle amiche, che non riuscirono a trattenersi,
tanto che il professore chiese loro se stessero male. –Rendete
partecipe tutta la classe del motivo per cui stavate
ridendo. –
-Mi ha fatto il solletico!- dissero
le due dopo un attimo di riflessione.
-In punizione! Stasera, siete pregate di recarvi nel mio
ufficio, tutte e tre. – tuonò cupo il professore.
-E per voi Grifondoro…- le
lezioni si tenevano sempre insieme ai Serpeverde -…un bel questionario
sull’acqua di Luna!- aggiunse.
Ma gli è andata
male con la Chiodo?
pensò Elisabetta.
Si sarà dimenticato il preservativo!rispose Francesca.
Come?! Hai sentito quello che io ho pensato? O l’ ho detto?chiese
Elisabetta guardando prima la sorella, poi Piton (per accertarsi che non avesse
sentito).
Eppure non hai detto niente, e neanche io sto
parlando… pensaronoentrambe.
Questo vuol dire che io e te ci
leggiamo nel pensiero?! Si chiese incredula Francesca.
Preoccupati della verifica! E
suggeriscimi!ribatté la sorella.
Ci aiutiamo entrambe! Che io so
meno di te!le rispose ironicamente Francesca.
In effetti, il questionario era tosto, ed era stato
somministrato senza preavviso, come al solito.
L’acqua di Luna… non esiste in natura.
Per avere l’acqua di Luna… bisogna incantare l’acqua presente in uno specchio d’acqua su cui si
riflette la Luna,
giusto?
L’acqua di Luna ha proprietà… estetiche? Comunque giusto!
Sì, estetiche, e anche ricostituenti!
L’acqua di Luna… deve essere incantata da una
persona che ti ama, se no non ha effetto. Giusto?
L’acqua di Luna… non dona la vita eterna ed è rischioso
incantarla…
Alla fine, le due riuscirono a cavarsela, e anche a
suggerire a Ramona.
Mentre i tassati Grifondoro svolgevano il questionario, i
Serpeverde li disturbavano parlando a voce alta, lanciando loro palline di
carta con le cerbottane e di tanto in tanto davano una sbirciatina al libro di
Pozioni come indicato loro dal professore, intento a leggere un libro di medie
dimensioni, praticamente nuovo, ricoperto da pellicola
trasparente: proveniva senz’altro dalla Biblioteca della scuola.
Elisabetta, disposta a tutto pur di sapere di cosa si
trattasse, con la scusa di andare in bagno si
avvicinò alla cattedra, ma Piton, con largo anticipo, nascose il libro
alla sua vista e le negò il permesso di uscire.
Per fortuna l’ora dopo ebbero Artistica! Ovviamente,
prima di entrare, la professoressa si intrattenne a
parlare con la Venturelli.
Nell’aula dei Grifondoro regnava il caos: ormai
avevano capito che la prof. minacciava, minacciava, ma
non realizzava. Del resto, come dar loro torto?
Elisabetta odiava e adorava allo stesso tempo le ore di Artistica; le adorava perché le piaceva molto
disegnare e la considerava una cosa seria, ma le odiava perché la prof.
a suo giudizio non si comportava sempre bene con lei. Di solito la mandava a
fare delle commissioni in giro per la scuola, facendole perdere molto tempo, tempo che avrebbe dovuto recuperare il pomeriggio; bastava
però un complimento da parte della professoressa perché la
ragazza lasciasse da parte il rancore.
Anche Francesca aveva una sua
materia preferita: Musica. Era una passione che aveva sempre avuto, ma che solo
a scuola poteva esprimere a pieno; si rammaricava solo del fatto che quasi
tutta la classe non la pensasse come lei, schiamazzando e urlando ad ogni
distrazione del professore, seppure abbastanza severo.
Non era raro vederlo urlare in faccia a qualche alunno, non
solo del Grifondoro, e spedirlo fuori dalla porta
dell’aula di Musica. Un’aula molto ingombra, con
un pianoforte babbano, un tavolo lunghissimo tutto pieno di pile pesantissime
di fogli, borse, spartiti e tante sedie sparse per tutta l’area.
Le ore in cui però tutti stavano zitti, o quasi,
erano quelle di Lettere e di Matematica: le due donne avevano il potere di
zittire la classe con moderate minacce.
Sì, si doveva stare zitti, ma stare
in silenzio non significava non passare i bigliettini o scrivere sul diario del
compagno; tutte queste attività “ricreative” erano svolte di
solito durante le interrogazioni, con l’accortezza di non farsi scoprire
dalla professoressa.
Durante le verifiche però non volava una mosca: nessuno
si azzardava a suggerire.
*
Finita l’interminabile giornata, le tre povere
Grifondoro dovettero recarsi nell’ufficio di Piton.
Era situato nei sotterranei, e c’era molto freddo; era
spazioso, ma molto affollato: ai muri stavano appesi fasci di
artigli di svariate dimensioni e di piume coloratissime; alle pareti,
sulle mensole delle tre librerie, vasetti con parti del corpo di vari animali,
magici e non, e tanti, tanti libri.
Quasi al centro della stanza c’era
un tavolo molto simile ad una cattedra e una sedia alta, foderata con stoffa
color porpora, e con i braccioli possenti. Dall’altra parte di esso, due poltrone di pelle nera.
Il professore era chino su un foglio di pergamena; di tanto
in tanto intingeva la penna nell’inchiostro e riprendeva a scrivere,
girando il suo caffè con un cucchiaino quando
si trovava soprappensiero.
Quando le tre arrivarono, smise di
scrivere e ripose il foglio dentro un cassetto del tavolo.
-‘sera, prof. – salutarono stancamente le Grifondoro:
erano le nove di sera. Piton neanche rispose e continuò a girare il
caffè.
-Bel posticino… ma lo pulisce ogni tanto?- bisbigliò Elisabetta.
-Vi avevo chiamato per una punizione esemplare,
ma visto che trovate il mio ufficio così poco adatto a delle
donne per bene come voi, per punizione dovrete pulirlo… - sibilò
il professore, e con noncuranza uscì dal suo studio.
-Primo: ma il mantello se lo toglierà prima o poi? Secondo: …dobbiamo pulire tutto
‘sto cestino dei rifiuti?-
-Un giorno gliela faremo pagare!-
grugnì Francesca.
-E come?- chiese Ramona scettica.
-Uhm… possiamo scassargli qualche libro…-
-Sicure che li legga?-
-O che li guardi?-
-Potremmo… fregargli qualche pozione… in
quest’ufficio ce ne sono a centinaia!-
-E se poi è un veleno?-
Le tre pensarono un attimo, poi, traendo la stessa
conclusione, si guardarono negli occhi: -E se la mettiamo nel suo caffè?!-
-E se c’è veramente del
veleno?-
-Meglio, no? I nostri problemi per l’anno scolastico
sarebbero finiti!-
-Ma non facciamo prima a guardare
le etichette?- obiettò Francesca.
-Peccato che i suoi geroglifici non li capiamo!-
ribatté Elisabetta.
Cerca che ti cerca…
-Trovato! C’è scritto “Veri…tas…taserum”!-
-Magari se lo beve sta sempre
zitto! Taserum assomiglia a al
latino, più dialetto che latino in verità, “tacere”!-
-Chi lo versa nel caffè?-
E alla fine, a chi toccò?
Alla povera Francesca, che con mano tremante versò una dose generosa nel
caffè ormai freddo del professore.
-Non tutto, se no se ne accorge!-
suggerì Ramona.
Appena in tempo, perché Piton tornò dentro
furibondo, ma per motivi che non riguardavano le ragazze.
Bevve il caffè tutto d’un
sorso, poi guardò stupito le tre Grifondoro.
-Non avete ancora iniziato?- chiese
indignato.
-Non ci ha dato gli stracci, prof.!-
rispose prontamente Elisabetta.
Ancora più furioso, Piton fece comparire con un gesto
della bacchetta tre stracci bianchi e li lanciò
sgarbatamente alle tre.
Svogliatamente si misero al lavoro, spolverando molto
superficialmente di qua e di là, ma in modo che l’aguzzino non se ne accorgesse e cercando di farlo soffocare con la polvere.
Ad un certo punto…
TOC TOC
-Avanti!- rispose secco.
Dalla porta entrò come una furia la Chiodo, il vestito lungo e
attillato svolazzante.
-Severus, dobbiamo parlare!- quasi
gridò.
Uhm… brutta storia quando una donna chiama il suo
amante per nome!pensò Francesca ed
Elisabetta, che recepì il messaggio, rispose che era giusto.
-Per favore, calmati. Ragazze, penso che il lavoretto lo
finirete una prossima volta. –
-Va bene, ma speriamo che quella volta non sia tanto
prossima. Buonanotte, professori!- e fu così che le tre si congedarono
da Piton.
Ma non appena furono fuori, tutte
furono d’accordo sul da farsi: ciascuna si prese per sé un
pezzetto della porta dalla quale origliare. Erano certe che nessuno le avrebbe scoperte: chi avrebbe potuto vederle, alle dieci di
sera? Nessuno, a quell’ora, era ancora in giro.
Purtroppo il discorso sembrava il seguito di uno già
fatto in precedenza…
-Severus, come facciamo? Io voglio tenerlo!- sentirono piagnucolare la Chiodo.
-Ma sii ragionevole! Che razza di persona sono io? Non sono tagliato per quel
genere di cose, è meglio se rinunci. - rispose Piton.
-Ma io l’ ho sempre
desiderato!Non ci pensi a me?-
-Non è questo il punto!-
-Il punto è che sei un egoista! Egoista! Pensi solo a
te stesso, e alla tua maledetta reputazione! Per te contano solo quei maledetti
dieci anni!- la voce della Chiodo esplodeva nello
studio.
-Se mi lasciassi finire…-
-No. No, non ti lascio finire. Io
lo tengo, che tu lo voglia o no; me la caverò
da sola!-
Parendo la conversazione essere finita, le ragazze se la
dettero velocemente a gambe.
Di lì a poco, infatti, anche la Chiodo
tolse il disturbo.
Ora rimaneva solo Piton, ferito e con la prospettiva di una
notte travagliata…
Anche le sorelle non passarono una
notte molto tranquilla, perché quella conversazione le aveva turbate,
specialmente Elisabetta, che provava un profondo affetto per la Chiodo: che cosa voleva
tenere?
RECENSITE, RECENSITE, RECENSITE!VORREI
UN VOSTRO PARERE!
ANGELIKALL:devo dire che hai ragione, è solo per il semplice fatto di non tenervi sulle spine e sapere il più presto cosa ne pensate, perché sono molto curiosa di sapere se la storia vi piace...cmq grazie x il commento!
Ringrazio anche Slytherin Nikla e Piccy6!
Il giorno dopo le tre ragazze si svegliarono
molto presto per discutere, quindi si chiusero in bagno per non
disturbare e non correre il rischio di essere sentite.
-Ma di cosa stavano parlando quei
due?- chiese Ramona, dando inizio alla conversazione.
-Eh, sapessi… a me l’
hanno detto!- rispose sibillina Elisabetta.
-Allora diccelo!-
-Ma secondo te? Magari. Potremmo
indagare…-
-Uhm… mai ficcare il naso negli affari dei prof.!- obiettò saggiamente Ramona.
-E ieri sera cosa abbiamo fatto?-
replicò Elisabetta.
-Basta ragazze, ormai ci abbiamo
ficcato il naso dentro, anzi: le orecchie, e dobbiamo andare fino in fondo.
Giusto?-
-Giusto!-
-Ehi, ragazze! Siete già tutte pronte? Ve lo
ricordavate, vero, che oggi ci sono le prove?- la voce
squillante della Parmigiani le raggiunse dalla Sala Comune della loro Casa.
-Ma come potevamo scordarcelo! Ce lo avessero detto…- replicò come suo solito
Elisabetta.
-Coraggio, vi aspetto giù! Vi ci porto io al campo di
Quidditch!- riprese, e finalmente se ne andò.
-Scusate, ma di che cosa stava parlando?- chiese Rosa,
quando le tre furono uscite dal bagno.
-Ma sai com’è fatta:
si dimentica sempre di arrivare nocciolo della questione!- Francesca fece
spallucce, dato che neanche lei conosceva l’arcano.
-Ma come potete dire così della
Parmigiani? È tanto simpatica: è la mia prof. preferita!-
scattò Rosa, poi per fortuna se ne andò.
Nessuna aveva capito cosa si doveva fare, così riprese la normale routine: spazzolini, dentifrici, calzini,
scarpe spaiate…
Dopo non molto la Parmigiani tornò,
con aria molto più scocciata di prima: -Avanti, muovetevi, vi
toccherà saltare la colazione! Gli altri si stanno già recando al
campo!-
E così Rosa ebbe i suoi tre minuti
d’importanza: quelli in cui poté
strapazzare le compagne enumerando loro quali bontà aveva mangiato a
colazione.
-Tutti brufoli, tesoro!- chiuse il discorso Francesca, che
quel giorno non era in vena di essere punzecchiata.
Alla fine arrivarono anche loro al campo; i ragazzi della
loro stessa Casa erano giunsero dopo poco.
In quattro e quatt’otto Silente
spiegò loro cosa c’era da fare: in pratica, dovevano sostenere una
prova di velocità, agilità, tenuta e parata con le scope e le
uniformi da gara; avrebbero provato prima i Serpeverde, poi i Corvonero, i
Grifondoro e i Tassorosso.
Come era prevedibile, i Serpeverde
fecero un gran chiasso, mettendosi in mostra nelle loro divise verde scuro in
atteggiamento da “foto”.
I Grifondoro non vollero neanche chieder loro i risultati,
per evitare inutili battibecchi.
Si divertirono un mondo a vedere con quanta
difficoltà i Serpeverde si destreggiavano “dribblando” degli
ostacoli, ma dovettero ammettere la loro bravura nel respingere i Bolidi,
tranne Lucifero che per poco non cadde.
Un certo nervosismo serpeggiava tra i ragazzi, che non
vedevano l’ora di mettersi alla prova.
Dopo non molto giunse anche la McGranitt, che avrebbe
dovuto avere delle ore con i Grifondoro, così la classe poté
chiederle il motivo di tanta eccitazione.
-In base all’esito delle prove, si sceglieranno i componenti della nostra squadra, che tra non molto se la
dovrà vedere con la squadra inglese. Ma nessuno
ve lo aveva detto? Se non sbaglio era compito della
Parmigiani…-
-Eh prof., sa com’è
fatta: ti racconta di tutto ma mai le cose davvero importanti!- Ramona
ridacchiò alla faccia furente di Francesca, alla quale aveva rubato la
battuta; la prof. abbozzò un sorrisetto sbirciando in direzione della
Parmigiani.
Finalmente toccò ai ragazzi del Grifondoro; qualche minuto prima Silente li mandò a cambiare negli spogliatoi e due minuti dopo erano tutti pronti ed
eccitati nel bel mezzo del campo di Quidditch.
Per prima ci fu la gara di velocità: ogni ragazzo si posizionava lungo la linea di partenza, attendeva il
“Via!” della Parmigiani e poi cercava di arrivare nel minor tempo
possibile fino a dove si era posizionato Silente con il suo
“cronometro”, ovvero un orologio da taschino con tanto di
catenella. Poco più in là, Harry registrava i tempi su un foglio.
Per prima provò Rosa, che fece un tempo da lumaca e
si allontanò delusa sotto i fischi dei Serpeverde alla volta della
prossima prova, poi toccò a Ramona, che fece un tempo discreto, poi a Elisabetta, che non se la cavò male, e Francesca,
che schizzò letteralmente facendo quasi cappottare la Parmigiani; seguirono
tutti gli altri.
La seconda prova era quella degli ostacoli. Anche qui
Francesca dominò, mentre Ramona preferì procedere lentamente
evitando tutti gli ostacoli ed Elisabetta scelse di
andare spedita, ma, come spesso accade, la fretta fu cattiva consigliera.
Durante la prova di resistenza Francesca, dopo aver battuto
con la pesante mazza il Bolide, quasi fu disarcionata; Ramona batté il
suo Bolide con grande destrezza e schivò quasi
tutti quelli che le venivano tirati, tranne l’ultimo che le colpì
di striscio un ginocchio. Elisabetta fu la più brava di tutte, riuscendo
a battere praticamente tutti i Bolidi felloni che
Piton le tirava; per vendicarsi, fece cadere l’ultimo esattamente ai
piedi di quest’ultimo.
Infine ci fu la prova di parata; Ramona pareva aver scoperto
la sua dote nel Quidditch, mentre le sorelle decisamente
non erano tagliate.
Non rimaneva che attendere i risultati…
*
Era un giorno qualsiasi, quasi una settimana dalle prove di
Quidditch, che ormai erano dimenticate.
Il cielo era grigio e minacciava pioggia da un momento
all’altro.
Le tre Grifondoro erano rinchiuse in camera, osservavano il
cielo e ogni tanto si lasciavano sfuggire qualche imprecazione… scorsero
il loro merlo preferito appollaiato sopra una torretta del castello; ormai gli
era famigliare: ogni giorno si posizionava sempre nel
medesimo luogo e vi rimaneva fino a tardi.
-Lo invidio: quando gli pare può aprire le ali e
visitare un posto nuovo. Non come noi, che siamo
rinchiuse qua dentro: non succede mai niente!- sospirò Elisabetta.
-Quando poi siamo nel sotterraneo di Piton
sembra di stare in galera!- esclamò Ramona.
Ci fu un attimo di silenzio.
-Ma secondo voi quel merlo viene qui
per fare il nido? Potremmo tenere gli uccellini! La Gufiera
è immensa rispetto ai gufi che ospita!- propose
Francesca.
-Cosa hai detto? Tornalo a
dire…- l’aggredì la sorella.
-Ehi! Non stavo dicendo niente di male,
era solo un’idea!- si difese Francesca.
-Ma no, non avete capito!
“Tenere”! Ecco di cosa potrebbero aver
parlato i due quella sera!- gridò eccitata Elisabetta.
-Come?! Vogliono tenere degli uccellini? E
c’è bisogno di fare tante storie?- chiese stupita Ramona.
-Ma no, cretina! Volevo dire che aspettano dei bambini!- la rimproverò
Elisabetta.
-Mocciosus incinto?!! Roba da
matti! Finalmente si leverà dai piedi!- gridò
Francesca, e tutte e tre si misero a ridere, tanto che venne loro il mal di
pancia.
-Ma dai, secondo te! È
impossibile!-
-Beh, forse quella pozione che gli abbiamo
versato nel caffè…-
-OPS!-sussurrarono, e scoppiarono
nuovamente a ridere.
-Dai, adesso andiamo in Biblioteca!
Ci siamo dimenticate di fare il compito di
Erbologia…- ricordò Ramona.
-Che pa**e!- gridarono in coro le sorelle –La Tassi
poteva risparmiarseli!-
E così, presero carta e penna e se ne
andarono alla volta della Biblioteca…
Proprio mentre vi si dirigevano incontrarono la Tassi.
-Bene, ma dove andate di bello, belle ragassuole?!- chiese con la sua voce squillante e il tipico accento
modenese.
-Ehm… stavamo giusto andando in Biblioteca a finire i
compiti di Erbologia…- azzardò Ramona.
-Ma bene, andate, andate! E cercate di finirli!-
Non appena ebbe svoltato l’angolo, le tre ragazze si
misero a ridere: quell’accento le faceva proprio morire!
Giunte alla meta, si misero diligentemente a cercare un
libro che spiegasse loro cosa fosse una…
una… va beh, una pianta dal nome lungo tre chilometri che alla fine
scoprirono essere una normale pianta officinale. E così fu per un sacco di altre piante dai nomi stranissimi, che si rivelarono
essere erbe comuni.
Prima delle sette ebbero finito; Ramona chiuse pesantemente
il grosso volume di Erbologia e lo ripose al suo
posto. Le tre erano le uniche rimaste, perciò si sbrigarono a togliere
il disturbo.
-Finalmente! Non ne potevo più! Non voglio più
sentire parlare di the verde o roba simile per un bel pezzo!- esclamò Elisabetta camminando per il corridoio.
-Aspettate… state a sentire…-
disse ad un tratto Francesca, tendendo l’orecchio.
-Sembrano… sembrano…
zoccoli!-
-Zoccoli? Tuo padre avrà fatto entrare di nascosto
qualche animale strano?- chiese Elisabetta.
-No, lui non lo farebbe mai! Zitta… si avvicinano!- l’apostrofò Ramona.
Dopo poco avvertirono, oltre al rumore nitido di zoccoli,
anche quello di un respiro affannoso, ansimante.
-Mamma mia, ma cos’è?
Lucifero, se sei tu, ti giuro che ti metto le mani addosso!- urlò
Elisabetta.
I due rumori, combinati assieme, erano veramente
agghiaccianti… e in avvicinamento.
-Che si fa? Scappiamo?- chiese
titubante Francesca.
-Ce le avete le bacchette?- chiese
Elisabetta –Se sì, tiratele fuori e… correte!-
esclamò d’un tratto.
Purtroppo, così come le tre potevano sentire il passo
della “cosa”, anche quella poteva avvertire il loro, e si mise a
correre a sua volta.
-Qualunque cosa sia, è
veloce e… sta per raggiungerci!- osservò ansimante Ramona.
-Aiuto! Aiuto! Qualcuno si dia una mossa a
darci una mano!- urlò a squarciagola Francesca, continuando a
correre all’impazzata.
-Dannazione, non ci sentono! Saranno tutti nella Sala
Grande. – imprecò Elisabetta.
Le tre si voltarono per vedere quanto era il distacco dal
loro aggressore e… BUM! Finirono per scontarsi con una porta…
chiusa a chiave!
-Ehm…
ehm… Alohomora!- esclamò agitata
Elisabetta puntando la bacchetta contro il pesante lucchetto arrugginito, ma
quello non sembrò nemmeno accorgersene.
-Oh non sei stata molto attenta durante le lezioni di Incantesimi oppure qualcun altro l’ ha incantata
prima di te… in questo caso ci vuole vedere morte!- suggerì
Francesca.
Con loro sommo dispiacere le tre capirono di essere chiuse
in trappola come topi, perciò si voltarono per vedere il loro
assalitore.
Le finestre in stile gotico non facevano penetrare luce; gli
unici lumi erano le candele appese al muro, che creavano strani giochi di luce.
Piano piano si definivano
i contorni di quella… creatura. Prima due zoccoli, poi due zampe
poderose, da cavallo; erano ricoperte da lucentissimo pelo nero ed mostravano muscoli impressionanti. Infine comparve
ciò che più sconvolse le tre ragazze: un torso, due braccia e una
testa umana.
-Sapientona, tu che in Cura delle Creature Magiche vanti un
Eccezionale, abbiamo davanti a noi un…
Centauro?- chiese sbigottita Ramona.
-Non siamo ancora arrivati al capitolo, ma sì, credo
di sì…-
-Il mio nome è Tempesta, giovani maghe. – Aveva
una voce profonda e molto calda; solo in quel momento le ragazze videro che una
cicatrice sottile e rossastra deturpava i lineamenti duri del volto del
Centauro per tutta la sua lunghezza. Nonostante ciò, il suo viso non era
sgradevole: portava un sottile pizzetto lungo il perimetro del labbro superiore(un po’
come Diego de la Vega in “Zorro”)
e aveva gli occhi blu venati di verde, similmente al mare crespo di Liguria.
-S-salve. Posso…posso chiederle perché ci stava seguendo?- chiese
Francesca titubante.
-Ma certo. Se
non sbaglio è ora di cena, giusto?-
-G-giusto…-
-Allora ho pensato di invitarvi al mio banchetto. Penso che
stareste magnificamente contornate da tante patate croccanti…-
-Aaaaahh…- le ragazze
urlarono di paura, facendosi bianche in viso come morte.
Di certo la bestia avrebbe assestato loro un calcio, ma un
frenetico rumore di passi lo interruppe: Giordano
stava sopraggiungendo. Il Centauro si girò di scatto verso di lui e non
appena gli fu vicino tentò di conficcargli uno zoccolo nella pancia, ma
tutto si bloccò: le sorelle avevano fermato il tempo. Intanto, dai piani
inferiori provenivano passi frenetici.
-Eh, arrivano quando non
c’è più bisogno di loro!- commentò spazientita
Francesca.
-E se con loro ci sono anche i “sorveglianti”?-
gemette Elisabetta –Se ci trovano così, capiranno che siamo state
noi!-
-Presto… proviamo a sbloccare Ramona e Giordano!- propose Francesca.
Tentarono in tutti i modi: guardandoli, muovendo le mani
verso di loro, ma non accadde niente. Si guardarono sconsolate,Francesca schioccò le dita
come a dire –Accidenti!- e i due tornarono a muoversi.
-Cos’è successo?-
chiese Giordano inebetito, poi, vedendo il Centauro immobile e volendosi
accertare che non tirasse brutti scherzi estrasse la
bacchetta e lo schiantò.
-Ti spiegherò tutto dopo, papà!- lo rassicurò Ramona; intanto diversi professori erano
giunti all’altro capo della porta e stavano cercando di aprirla con
strani incantesimi.
-Tutto bene? Siete sane e salve?- urlò
Harry.
-Sì, accidenti!- ringhiò Elisabetta.
-Mi sa che dovremo buttarla giù a spallate!-osservò Corni, e così fece.
La porta cadde con un tonfo sordo e sollevò tanta
polvere da affogarsi.
-Adesso capisco che un bidello solo non basta…- osservò Ramona ammirando i nuvoli di polvere salire
inquietantemente.
Dall’altra parte di quella che una volta era una porta
massiccia stavano raggruppati Silente, Harry, la Parmigiani,
la McGranitt,
Piton e la Chiodo;
davanti a tutti stava Corni, tutto impolverato e intento a ripulirsi, oltre che
a tossire.
Ha il fisico, lui!spedì
Francesca alla sorella tramite il pensiero, ed Elisabetta si mise
inspiegabilmente a ridere.
-Poverine, sono ancora sotto shock!- disse premurosamente la Parmigiani.
-Forza, statemi a sentire! Facciamo
finta che Giordano abbia schiantato il Centauro. Se i
sorveglianti vi chiedono qualcosa, fornirete la stessa versione. Noi siamo
arrivati dopo…- stava istruendole Silente, ma
non fece in tempo a finire che quattro “sorveglianti” arrivarono.
-Cos’è successo qui?-
chiese bruscamente uno di loro.
-Fu terribile! Ci ha seguite fin
dalla Biblioteca e…-
-…ha detto che ci voleva
mangiare con le patatine!-
-…poi è arrivato Giordano e ci ha salvato la
vita! Non so come abbia fatto, ha sventolato la bacchetta e… il coso non
si è più mosso…-
-Uhm… un semplice Schiantesimo…-
osservò con noncuranza uno dei quattro inquisitori.
-Penso che dovremmo trattenervi per farvi delle domande.
–
-Si potrebbe scoprire che le Wizardtime
siete voi…- sibilò il quinto
“sorvegliante”, arrivato in quel momento.
-Ma certamente! Tre ragazzine
inesperte che riescono a bloccare un Centauro, e guardate quant’è
grosso! Andiamo, non sarebbero state in grado…-
si oppose tenacemente la
McGranitt.
-In fondo, la vecchia ha ragione. Vorrà dire che terremo sotto torchio solo lui. – disse uno
indicando Giordano.
Ci furono reazioni diverse: l’indignazione di gran
parte dei professori per l’affronto alla
collega, il sorrisetto malevolo di Piton, la gomitata della Chiodo, la preoccupazione
di Ramona e dei prof. per Giordano.
-Ma ve l’ ho già
detto! L’ ho schiantato. Questo è tutto quello che ho da dirvi.
– rispose fermamente il papà di Ramona.
I “sorveglianti” stavano per replicare, ma un
grugnito del Centauro li convinse ad andarsene.
-Comunque non finisce qui!-
minacciò l’ultimo arrivato, e se ne andò con gli altri.
-Ehm, papà, come facciamo con Ciclopes?-
chiese Ramona.
-Non so… vedremo…-
-Vado a dare una voce a quelli che sostano ancora in Sala
Comune: li faccio rientrare. – decise Silente, e
lasciò momentaneamente il gruppo.
-Seguitemi. Dobbiamo fare una chiacchierata. –
esclamò la
McGranitt.
-Spero che non finisca come l’ultima!- mormorò Elisabetta in tono sarcastico.
-Intendevo tutti tranne voi tre. –
-Come?! Ma noi vogliamo sentire! In
fondo, ci riguarda!- ribatté Francesca.
-Lascia, Graziana. Hanno ragione, le
riguarda. – accondiscese Silente, che in un batter d’occhio
era tornato e ora cingeva le spalle della McGranitt, quasi volesse essere
più convincente.
Quando tutti si furono accomodati in Sala
Insegnanti, il dibattito iniziò.
-Ma come vi è saltato in
mente di usare i vostri poteri?!- sbraitò subito Piton.
-Preferisco correre qualche rischio che
finire in pasto a Ciclopes!- rispose Ramona a
tono.
-Qualche rischio? Qualche rischio? Se vi scoprivano
chissà cosa vi avrebbero fatto!-
-Preferisco preoccuparmi di oggi,
piuttosto che di domani!- disse Elisabetta.
-Ma Potter non vi ha insegnato
niente in Difesa contro le Arti Oscure?-
Harry, in disparte, sentendosi tirato in ballo pensò
di ribattere, ma Elisabetta lo precedette: -Prof., ha
mai sentito parlare di piano di studio? Non si può pretendere che al
primo anno ci insegnino le cose che normalmente si
farebbero durante gli anni superiori!-
A questo punto Piton non poté che starsene zitto.
-Scusate se mi intrometto, ma mi
volete spiegare tutta questa agitazione?- chiese all’improvviso Giordano.
-Sì, mi sembra giusto. Però devi promettere
che non farai parola con nessuno di ciò che stai
per sentire. Come ben sai, la scuola è sorvegliata da cinque persone che
hanno il compito di scovare dei presunti Wizardtime;
ebbene, questi Wizardtime sono due, le sorelle qui
presenti. Sono state loro a bloccare il Centauro. – rispose Silente.
-Per favore, adesso che lo sai non
proibire a Ramona di frequentarci!- implorarono in coro le sorelle.
-Oh, non vi preoccupate. Solo le persone scapestrate vanno
tenute alla larga, non certo voi. –
Il discorso si protrasse a lungo; si cercò un modo
per tenere il più possibile i “sorveglianti” alla larga dalla sorelle e per farle allenare clandestinamente, in modo
tale che sapessero controllare perfettamente i loro poteri in ogni occasione.
La riunione fu sciolta ad un orario indecente. Stremate, le
tre ragazze scivolarono silenziosamente nel loro Dormitorio e si infilarono sotto le coperte; il sonno sopraggiunse in
breve tempo.
GRAZIE ALLE PERSONE CHE STANNO SEGUENDO QUESTA FF!
ANGELIKALL:grazie ancora per le tue recensioni!Sono contenta che ti piaccia la storia!Devo ammettere che però,postando in fretta i capitoli non ti faccio rimanere sulle spine!Scherzo!Ciao!
La chiacchierata si era protratta molto a lungo, tanto che
tutte le persone coinvolte si fecero qualche ora di
sonno in meno; le più giovani furono quelle che ne risentirono
maggiormente, e per poco non si addormentarono durante l’ora di Storia
della Magia, ma la McGranitt
fece finta di niente, perché in fondo le capiva: anche lei ogni tanto
era presa dalla tentazione di…
Durante la mattinata venne in aula anche Harry, che non
aveva ore con i Grifondoro: infatti veniva per
annunciare i “reclutati” nella squadra di Quidditch della scuola.
-Dunque, di questa classe…
Elisabetta, Francesca, Ramona e Manuel!- disse allegramente scorrendo una breve
lista scarabocchiata su un foglio malmesso.
Prima i quattro si scambiarono un’occhiata
meravigliata, poi guardarono i compagni ammutoliti, poi si alzarono e
cominciarono a fare festa: Ramona stringeva tutte le mani che le venivano tese, Francesca scriveva autografi a tutti,
soprattutto nelle mani di chi glielo chiedeva, Elisabetta abbracciava tutti
quelli che le capitavano sotto tiro, persino Harry e la Melalavo, che aveva
l’ora con loro.
Soltanto Rosa era rimasta in disparte e non era partecipe ai
festeggiamenti; fu più che felice quando, dopo poco, la prof. decise che
era ora di fare nuovamente silenzio.
Durante la ricreazione, tre dei quattro prescelti stavano
come loro solito in bagno, quando udirono una conversazione tra Rosa e un
gruppo di Corvonero.
-Sì, però non è giusto! Sempre loro scelgono!- si stava lamentando la loro compagna.
-Già, l’abbiamo notato tutti. Sarà che
hanno molta confidenza col prof. Potter, le vedo
spesso parlare con lui…- concordò una ragazza slanciata e mora.
-Taci, oggi Elisabetta l’ ha
persino abbracciato!- Rosa parve disgustata.
A quel punto Elisabetta non ce la fece più a starsene
semplicemente in ascolto, nonostante la sorella avesse tentato di dissuaderla.
-Se hai dei problemi, io sono qui.
Parliamone. – disse semplicemente.
Il gruppetto sembrò sorpreso, e nessuno osò
proferire parola, così la ragazza continuò, cercando di non
apparire aggressiva, anche se con scarsi risultati.
-Ti disturba che abbia abbracciato
il prof.? Ti faccio notare che ho fatto la stessa cosa anche con la Melalavo… e sai
meglio di me che la sua cocca sei tu. La prossima volta fallo tu, nessuno te lo
proibirà, io comunque no di certo!-
-Ma si può sapere cosa vuoi da me?- tentò di
ribattere Rosa, ma offrì solo un altro momento di sfogo a Elisabetta.
-Vuoi saperlo? Anche se non ti sto simpatica, per favore non
spettegolarmi dietro, almeno quando ci sono
anch’io. – e detto ciò se ne andò
seguita dalla altre sue due compagne, che le diedero pacche sulla schiena e le
schiacciarono diversi “cinque” con approvazione per quello che
aveva appena detto a “Rosa la bisbetica”.
Non stettero in giro molto a lungo, perché in breve
suonò la campanella; toccava all’ora di
Incantesimi con il prof. Lorri.
-Buongiorno ragazzi, non vedo fuori i libri e le
bacchette… oggi vedremo l’incantesimo per rendere le cose
trasparenti. Vi dico già da adesso che per impararlo meglio bisogna
provarlo molte volte ed acquisire una certa manualità. –
La classe trovò l’incantesimo molto stimolante ed accolse l’introduzione del professore
con mormorii di assenso.
-Dunque, tirate fuori un pezzo di carta: sarà
l’oggetto che farete diventare
trasparente…-
Lentamente, ogni alunno tirò fuori il suo pezzetto di
carta stropicciata, residuo di un foglio di calcoli di Matematica, e se lo posizionò di fronte, sul banco.
-La formula èRes ObiectaPerluce. Fate finta
di tirare un bastoncino al vostro cane: il tocco è uguale. Esercitatevi
con la vostra carta e concentratevi su di essa. -
Lentamente, molto lentamente, più o
meno tutti riuscirono nella prova, e occorse quell’ora scarsa di
cui disponevano perché ogni studente vi riuscisse e acquisisse anche una
buona tecnica: la regola d’oro del prof. Lorri
era quella di far fare talmente tanto esercizio da rendere i gesti cose
meccaniche.
E arrivò anche
l’ultima, sospirata ora: Cura delle Creature Magiche.
Scivolò via lentamente, a due velocità. La
prima metà volò letteralmente via,
l’altra sembrava aggrapparsi disperatamente alle lancette
dell’orologio.
Per fortuna qualcuno aveva spalmato del grasso sulle
lancette, così da renderle scivolose…
-Meritata pausa!- sospirò Ramona.
Durante quella breve oretta che era il pranzo, la Chiodo
si alzò leggermente dal tavolo degli insegnanti e fece cenno alle tre
Grifondoro di raggiungerla.
-Guai in vista!- mormorò Elisabetta.
-Sentite ragazze, dovreste farmi la cortesia di dire ai
vostri compagni che tutte e tre le ore del pomeriggio le faccio
io, però ci dobbiamo spostare nell’aula di Pozioni, perché
la vostra sarà occupata. Me lo fate questo piacere?- chiese.
-Certo, ma il piacere è tutto suo!- rispose Ramona.
-Sorbole, già me le vedevo:
due magnifiche ore di Artistica e una di
Pozioni… siamo poi sicure che lo scambio sia così ineguale?-
commentò Elisabetta allontanandosi dal tavolo, accompagnando le sue
parole con violenti e ampi gesti delle mani.
-Ah, gli studenti… qualsiasi cosa tu faccia, apparirai
sempre come il loro carnefice…- sospirò
Piton.
La Chiodo semplicemente
evitò di rispondere.
*
Svolto il loro penoso compito, reso molto
più difficile dagli insulti che venivano rivolti loro (ovviamente
finti) e dalle risate dei compagni delle altre Case, le tre andarono in
Dormitorio a recuperare i libri di Matematica (e non era uno scherzo, visto che
erano tre: aritmetica, geometria e scienze!) e si avviarono verso
l’infame aula di Pozioni.
Dentro faceva un freddo cane,
considerando che era novembre e che quell’aula era fresca anche
d’estate, e gli agghiaccianti esseri rinchiusi in innumerevoli vasetti di
certo non contribuivano a rendere più ospitale quelle quattro mura.
Piton era lì, seduto alla cattedra. Sbigottite, le
tre (che erano le uniche presenti nell’aula) lo salutarono: -Buongiorno
prof., ma non doveva esserci la Chiodo?-
-Ovviamente, ma forse avete dimenticato che questa è
e resta la mia aula. O devo presumere che la mia presenza vi possa in qualche
modo disturbare?- rispose Piton con tono pacato,
scandendo bene le parole.
-No, no: anzi! La sua presenza contribuisce
a rendere l’aria più amichevole…- mugugnò
Elisabetta.
Piano piano l’aula si
riempì, e arrivò anche la Chiodo.
Piton non si alzò, e la Chiodo
di certo non gli chiese di farlo; stette semplicemente in piedi per gran parte
della lezione.
Al suono della campanella che segnava il termine della prima
ora del pomeriggio e l’inizio di quella successiva
molti ragazzi emisero mugolii d’assenso, subito zittiti dai
compagni che rammentavano loro
quali fossero le ore successive; al suono della successiva non vi fu che
qualche rado “Alleluia”.
-Forza, tenete duro!- incoraggiò la prof., ma con scarsi risultati. E Piton
non era altro che un soprammobile, nonostante le sorelle spiassero ogni sua mossa:
il calore della stanza non aveva nulla da invidiare a quello tra Piton e la Chiodo.
Poco prima del termine dell’ultima ora arrivò
Harry tutto trafelato.
-Scusate…posso chiederle di
cedermi gentilmente Elisabetta, Francesca, Ramona e Manuel? Sa, le prove di
Quidditch…-
-Certamente, ma la prossima volta non essere così
formale! Ah, un attimo solo che assegno i compiti e sono tutte tue!-
Dopo aver scritto frettolosamente i compiti i quattro si
precipitarono al campo, dove li stavano aspettavano gli altri componenti della squadra assieme con Harry.
-Okay, penso che vi conosciate, ma se così non fosse rimedierò: Francesca, Elisabetta, Ramona, Manuel,
Selene, Valeria (non la loro compagna, una ragazza dei Corvonero) e Maicol; rispettivamente Cercatrice, Battitrice, Portiere,
Cacciatore, Cacciatore, Cacciatore e Battitore. –
I sette si squadrarono un momento, poi
rivolsero nuovamente lo sguardo verso Harry.
-Va bene, direi che possiamo
iniziare… andate negli spogliatoi e mettetevi le uniformi!-
-Pronti!- rispose prontamente Maicol,
che descrisse un semicerchio e si mosse in direzione dell’entrata dello
spogliatoio femminile, ma fu subito bloccato da Harry che lo prese per le
orecchie e lo indirizzò “sulla retta via”.
L’allenamento fu breve ma intenso, ricco di esercizi nuovi da memorizzare ed ebbe come suo culmine
una sbrigativa partitella dove i ruoli erano praticamente intercambiabili.
Erano più o meno le sei e
mezza, e tutti erano bagnati fradici di sudore: avevano solo mezz’ora per
prepararsi per la cena, che veniva servita alle sette.
Le tre Grifondoro rinunciarono a lavarsi i
capelli, fecero solo una sbrigativa doccia e via.
A cena furono tediate dalle domande rituali in merito
all’andamento degli allenamenti, così si divisero le risposte: una
parlava lasciando il tempo alle compagne di ingoiare il boccone.
Finalmente, verso le nove di sera, poterono congedarsi dalla
“compagnona” e gettarsi sotto le coperte, maledicendo il sudore che
impiastricciava i loro capelli.
*
Qualche giorno dopo, con la consapevolezza di dover
sopportare l’ennesima doppia ora di Pozioni, l’atmosfera nel
Dormitorio era lugubre…
-Oh accidenti, abbiamo due ore di
Pozioni!- ululò Christina.
-Già! Quell’impiastro del prof. si vuole
recuperare l’ora che non ha fatto l’altro giorno
quando abbiamo avuto la
Chiodo!Ma dico io, non poteva tenersi la sua? Tanto
la Chiodo non
ne aveva diritto!- osservò Valeria.
-Chissà quanti punti ci toglierà
oggi? È sempre nervoso lui lì. Dovremmo tenerne il conto. –
disse Ramona.
-Sì, e poi? Gli diamo il Mongolino
d’Oro quando arriva a 100?!- ribatté
sarcastica Francesca.
-Che idea! Perché non lo facciamo?- propose Elisabetta.
-Ma sei pazza? E poi, dove lo troviamo il Mongolino
d’Oro?- obiettò Rosa.
-Beh, no, non proprio il Mongolino…
che ne so… un Oscar?- si giustificò
Elisabetta.
-Un Tapiro d’Oro? Vanno molto di moda!- disse Valeria.
-Sì, ma solo nel mondo babbano…-
puntualizzò Rosa.
-A questo penseremo dopo. Intanto cominciamo a tenere il
conto dei punti che ci toglie!- tagliò corto Francesca,
e così si rimase d’accordo.
Dopo colazione, quando i Grifondoro si radunarono
nell’aula di Pozioni, le ragazze si guardarono e si sorrisero. Era stato
stabilito che dovesse essere Francesca a tenere il
conto.
Durante la lezione capì perché nessuno aveva
voluto l’incarico: in due sole ore ne tolse dieci!
Prima due punti a Elisabetta
perché chiacchierava, poi tre a Ramona perché aveva confuso il
nome di due radici peraltro quasi identiche, poi uno a Elijah perché
aveva chiesto di andare in bagno mentre spiegava, infine quattro a Eric
perché stava “intrattenendo” le sue compagne.
-Di questo passo gli dovremo regalare almeno tre Tapiri! O
due Tapiri e un Mongoletto!- disse
tetra Francesca, a cui stava più a cuore il punteggio della sua Casa.
-Oh, piantala! Devi contare che erano
due le ore!- ribatté Christina.
Fortunatamente l’ora dopo avrebbero potuto tirare un
po’ il fiato: avevano Artistica!
Elisabetta colse al volo l’occasione per parlare con
la prof.; si presentò alla cattedra con il suo
disegno come scusa mentre i suoi compagni ridevano rumorosamente: chi mai
avrebbe potuto sentirla? La prof. a malapena.
-Oh, sì, molto bello! Però qui dovresti
aggiungere del bianco: è un po’ troppo scuro…- disse la Parmigiani
prendendole il disegno.
-Va bene. Ehm… prof., volevo
chiederle una cosa… sa per caso se nel mondo magico esistono dei premi o
dei riconoscimenti?-
-Riconoscimenti… di che genere?-
chiese perplessa la professoressa.
-Uhm… un po’ comici, non seri… lei guarda
la televisione babbana?-
-Sì, qualche volta…-
-Ha presente Striscia la Notizia… il Tapiro d’Oro…?-
-Oh, di quel genere! Ma certo!
C’è il premio Magonna, ma è solo
per le streghe… oppure… il Dorsoliscio
d’Argento! Ma perché me lo chiedi?-
-Ehm… perché… è il mio modo
originale di familiarizzare con questo mondo nuovo, sa: io e mia sorella siamo cresciute in ambiente babbano…-
-Notevole… ne terrò conto nella tua valutazione
di fine quadrimestre!-
Tornando al posto Elisabetta si complimentò con se
stessa e non poté fare a meno di ridere sotto i baffi. Quando le
compagne la videro, lei raccontò tutto e le ragazze del Grifondoro si
fecero tutte una bella risata.
-Ma voi lo conoscete ‘sto Dorsoliscio d’Argento?- chiese Ramona alle compagne.
-No… so solo che i Dorsorugoso
di Norvegia sono una particolare razza di Draghi…-
-Ma sì! In pratica lo
dà un giornale a chi nel mondo magico fa delle gaffe particolari o roba
del genere…- disse Christina.
-Bene, ma adesso non sappiamo come procurarcelo!- fece
notare Valeria.
-…-
-…-
-…-
DRIIIIIN!
Le ragazze uscirono dall’aula scervellandosi per
trovare un posto dove andare a comprare questo premio.
-Potremmo andare a cercare su Internet. – propose
Elisabetta.
-Su… cosa? Cos’è Inter…
net?- chiese Rosa.
-Una roba sul computer dove puoi
cercare tutto quello che ti serve… da un paio di scarpe a delle foto
osé!- spiegò molto alla leggera Ramona.
-Ma allora è facile! Andiamo
su nell’aula di Informatica, sperando che almeno
un baraccone vada!- rispose Francesca.
Prima di entrare, chiesero il permesso a Pasquale e a
Silente, poi ebbero carta bianca.
-Sì, ma non scassatemi niente, ragazze!- le
avvertì Silente.
-Secondo me, più che scassarli li metteremmo
a posto!- ribatté Francesca.
-Bada, veh! Ma cosa state cercando?-
-Una roba… per Piton…-
-Che genere di roba? Illegale?-
-Ma secondo lei! Non voglio finire
in galera per lui!-
-No, niente, il Dorsoliscio
d’Argento…-
-Ma io so dove trovarlo! Date ascolto a chi ha più esperienza di voi!- disse
Silente.
-A chi è più vecchio
di noi…- aggiunse Francesca.
-Eh, ci arriverai anche tu!-
Così, le ragazze se ne andarono
con un biglietto su cui era scarabocchiato un indirizzo.
Proprio mentre lo stavano aprendo incrociarono Harry.
-Ciao ragazze, che state combinando?-
-Niente, stiamo cercando di decifrare i geroglifici di
Silente. Guarda un po’ tu se ci capisci…- rispose
Elisabetta, porgendogli il bigliettino.
-Ma questo è… non ci
posso credere! Che cercate da loro?-
-Il Dorsoliscio d’Argento
per Piton… glielo regaliamo appena ci toglie 100 punti!- rispose Ramona.
-Li conosco! Sono i gemelli Weasley!
Venivano con me a scuola, ma erano più grandi; hanno messo su un negozio
di scherzi magici… se volete, glielo passo io l’ordine…-
-Grazie!-
-Ah, ecco cosa vi dovevo dire! Mi è stato comunicato
che ai primi di febbraio c’è la partita di Quidditch, e siamo in
trasferta. Tutto chiaro? Lo dite agli altri, per favore? Ciao, scusate, devo scappare: ho una classe…-
-Campa cavallo! Mancano ancora due mesi e mezzo!-
Le raggiunse un biglietto di Harry:
Vi conviene comunque mettervi
sotto con gli allenamenti, quelli in Inghilterra sono tosti, parola mia..
Le tre rimasero sbigottite e
abbacchiate.
RECENSITE!RECENSITE!:-(
Angelikall: grazie! 6 l’unica
che sta continuando a recensire questa storia!:-)))))))
Hemmy: grazie per la tua recensione...non ti posso però svelare il perché di questo titolo...lo scoprirai da sola...:-)
I giorni sul calendario sembravano desiderosi di passare,
tanto che in breve giunse anche dicembre, ma della neve neanche l’ombra e
fuori le temperature erano sopra la media.
Non sembrava neanche il periodo antistante il Natale dal
punto di vista climatico, ma ogni professore
dimostrava di dare un’occhiata al calendario, di tanto in tanto, e lo
manifestava a modo suo.
Piton si accanì sulle quattro Case con questionari a
ripetizione, caricando gli studenti con una montagna di compiti con la scusa di
dover a tutti i costi mettere un voto sulla pagella; tanto fece che i
Grifondoro dovettero far presente alla McGranitt che in quel periodo erano molto tassati dal professore di Pozioni (i più
toccati dall’argomento erano i componenti della squadra di Quidditch,
occupati due giorni alla settimana con gli allenamenti), e la supplicarono di
alleggerire il suo di carico, ma lei non volle rinunciare alle sue verifiche pre-natalizie e così decise di parlare con il collega, scartando subito l’ipotesi di nominare un
portavoce nella classe (conoscendo il carattere di Piton!).
Si seppe che tra i due c’era stata una litigata niente
male, e per parecchi giorni evitarono di parlarsi, anzi: non si guardavano
proprio!
Comunque la “chiacchieratina” sortì i suoi effetti, anche
se non subito: per un po’ di tempo Piton si ostinò a massacrare
gli studenti, ma quando anche altri professori presentarono le loro lamentele
dovette desistere (con somma gioia dei Grifondoro!).
Silente ordinò il ripasso di tutto il programma
svolto e fece anche qualche piccola domanda qua e là, ma se la cavarono
tutti; Harry, in comune accordo con l’insegnante di Cura delle Creature
Magiche (che si era presa una brutta influenza), decise di parlare alle classi
delle Fate, siccome erano bestioline stupide e
vanitose che i maghi utilizzavano per addobbare i propri alberi di Natale e se
ne procurò anche un paio di esemplari.
Quando fu la volta dei Grifondoro,
le ragazze andarono subito in delirio, tranne Elisabetta e Francesca che, pur
ammettendo la grazia di quelle creature, volevano cimentarsi in qualcosa di
più impegnativo e gratificante.
Letteralmente morirono dalle risate quando la Parmigiani
(che stava assistendo alle battute finali della lezione di Difesa contro le
Arti Oscure) iniziò a giocherellare con una Fata con una pagliuzza:
quella, che si era offesa, aveva iniziato a ronzare attorno alla professoressa
tentando di morderla con i suoi dentini appuntiti; Harry, prima di intervenire,
vedendo che la classe (soprattutto le sorelle) si divertiva un mondo, attese
qualche attimo, poi rinchiuse nuovamente la Fata nel barattolo
di vetro attirandola con qualche
falso complimento.
La Chiodo somministrò il
questionario mensile, senza manifestare particolari intenzioni di strafare con
qualche interrogazione a sorpresa e così pure fece la McGranitt, ma è
bene ricordare che lei interrogava ogni giorno…
Il più “gasato” di tutti era il prof.
Corni, che sfiniva le Case con le prove del grande
concerto natalizio; verso la fine di novembre fece un giro in tutte le Case a
reclutare operai per l’allestimento dello show e, naturalmente, cantanti
e musicisti. Ovviamente le sorelle si offrirono volontarie,
visto che Francesca era diventata in breve tempo un’ottima
chitarrista ed Elisabetta se la cavava alla batteria, e anche Manuel e Ramona
si presentarono, sperando vivamente di saltarsi qualche lezione (vedi Pozioni o
Trasfigurazione).
In effetti fu così.
Per gli strumentisti non ci fu problema, Corni sapeva
già chi arruolare (tipo le sorelle, Ramona e Manuel, che si era rivelato
esperto conoscitore della chitarra elettrica), ma per
i cantanti era una cosa diversa: bisognava tenere delle audizioni, e non
bastavano le persone che normalmente facevano lezione con lui.
Decise di raggruppare gli aspiranti cantanti, anche per
decidere le canzoni da proporre, e chiamò tutti i volontari il
mercoledì mattina, la terza e la quarta ora.
Per i Grifondoro, che avevano Piton, ci fu da lottare,
perché non era disposto a cedere alunni, ma dopo parecchie insistenze e
una sonora pacca sulle spalle si decise a lasciarli andare.
Come strumentisti, Corni scelse
Francesca, una Tassorosso di nome Giada e Manuel in qualità di
chitarriste, Elisabetta come batterista, Ramona e una Corvonero come
tastieriste, un Serpeverde come bassista, la Venturelli,
Christina e due Corvonero al flauto e lui stesso al Sassofono; per i cantanti,
scelse delle Serpeverde esibizioniste ed antipatiche, che comunque sul palco
facevano una certa scena.
Naturalmente non mancarono le tradizionali “JingleBells”, “Whatchildisthis?” e “Tu scendi dalle stelle”,
ma…
-Prof., sarà una noia
mortale!- si lamentavano le cantanti.
-A nessuno importa delle canzoncine di
Natale!- rincararono.
-Ma ragazze, il Natale è Natale, viene una sola volta
all’anno!- sorrise il professore.
-Prof., sa cosa potremmo fare?
Potremmo fare che dopo le canzoncine facciamo una
specie di juke-box, in pratica sono gli spettatori che scelgono le canzoni!-
propose Francesca al settimo cielo.
-Ma se vi chiedono delle canzoni
che non abbiamo provato?- obiettò lui.
-Beh, appendiamo ai muri una lista di canzoni tra cui
scegliere, poi uno passa con un cappello in cui raccoglie le richieste, e il
gioco è fatto!- rispose prontamente Elisabetta, che già si immaginava il divertimento.
-Sì, è proprio una bella idea,
brava Francesca!- si congratulò il professore, battendo con le sue manone piene di anelli la spalla di Francesca.
-Puah, che idea ridicola! Ci
dispiace proprio, ma noi non vogliamo partecipare!- dissero
le Serpeverde, liquidando il gruppo.
Nessuno seppe reagire alla batosta, fino a quando…
-E va bene. Elisabetta, tu che con
la batteria non fai niente, vai a cantare! A momenti, durante le prove, cantavi
più tu di loro!- ordinò Corni, come il bravo capitano dà gli ordini al suo timoniere.
-Io? Da sola? No, no: ragazzi, su, tutti
insieme! Ognuno si prenda delle canzoni!- protestò la ragazza..
E così le prove procedettero
fino all’arrivo dalla fatidica festa, il giorno 23 dicembre, che cadeva
di giovedì.
*
-Bel giorno per fare una festa e per sospendere le lezioni!
Non potevano anticipare alla domenica prima?-
osservò scocciata Elisabetta, che si stava sistemando la coda di
cavallo.
-Già! Così le ore di Pozioni ce le schivavamo tutte!- rise Ramona, che si stava sfilando
un paio di pantaloni neri.
-Fatto! Io sono pronta, e Marcellina pure!- esclamò
Francesca, che aveva appena finito di sistemarsi una
camicia da uomo (prestatale da Harry) sopra ad una maglietta attillata e ad un
paio di jeans mentre abbracciava la chitarra che aveva scelto tra le altre come
accompagnatrice.
-Miseria, già pronta? Io devo
ancora truccarmi!- esclamò Elisabetta, avvicinandosi allo
specchio e tirando fuori una trousse.
-Ombretto: rosa o azzurro?-
-Azzurro. –
-Rossetto: rosa brillantinato,
lucidalabbra o rossetto… rosso fuoco?-
-Rosa. –
-Perfetto! Grazie ragazze. –
-Ma figurati. –
Ramona intanto chiedeva pareri per i vestiti; alla fine
scelse un paio di jeans neri e una camicetta, che stava un incanto con i suoi
boccoli d’oro.
Una buona mezz’ora prima dell’inizio dei
festeggiamenti, i cantanti e gli strumentisti si riunirono nella Sala Grande,
addobbata a festa. Le pareti di nuda pietra erano coperti dagli immensi arazzi
raffiguranti le quattro Case; ovunque c’erano piccoli abeti adornati a
festa e l’intera sala era illuminata da un’infinità di
piccole candele, le cui fiamme danzavano inquietanti. Dove normalmente stava il
tavolo degli insegnanti, si trovava un palco già ingombro di strumenti (non
era poi molto grande) e di microfoni; il professor Corni gironzolava
nervoso.
-Ciao. Novità dell’ultim’ora:i
“sorveglianti” pattuglieranno i bagni e l’ingresso.
Emozionante vero? Adesso sì che mi sento
sicuro!- gridò Elijah quando vide le tre ragazze.
-Già! Non mi meraviglierei se i Wizardtime
rubassero tutti i tramezzini!- rispose Francesca.
-Non credo gli convenga: ho sentito dire
che li ha preparati la prof. di Lettere dei Serpeverde, credo si chiami…
Desdemona!- continuò il ragazzo.
-Ha un nome che è tutto un programma! Per quel che mi
riguarda, io non li guarderò neanche!- rise
Elisabetta.
-Su, su ragazze, non c’è tempo per pensare al
rinfresco! Vi ricordo che staremo sul palco fino a notte fonda!- ricordò Corni.
-Ah, non prendetevela, prima l’ ho visto che si
sbafava qualche pizzetta!- dissela Venturelli,
che era sbucata da dietro il palco, facendo sobbalzare le sorelle e Ramona.
-Ma lei non era malata?-
obiettò Ramona.
-Ma ti pare che mi sarei persa
questa festa?- rispose lei.
-Chi fa la raccolta differenziata…
ehm… volevo dire l’elemosina…no…
intendevo…sì! La raccolta delle richieste!?-
le chiese Elisabetta.
-Elijah, ovviamente!-
Per tutta risposta, il ragazzo le strappò di mano il
cappello che reggeva e si mise a fingere di essere in cerca di
elemosina.
-Forza, tutti sul palco! Inizia ad arrivare della gente!-
gridò Christina, molto provocante nel suo abito da sera.
Prima che le porte della Sala Grande si aprissero,
Elisabetta si guardò nervosamente: la gonna elastica nera con fronzoli
in cotone non aveva una piega, la camicia nera attillata pure, le scarpe…
ma come fanno un paio di scarpe a non essere al loro posto?!
Su quel palco si sentiva sola a dover affrontare tutti i suoi compagni e…
gli insegnanti!
Anche Francesca si guardava
intorno: non voleva fissare nessuno negli occhi, durante il concerto.
Desiderava solo tirare dritto per la sua strada, ma… se avesse sbagliato? Preferì non osservare il raccapricciante spettacolo della sala che si riempiva a mano
a mano.
Ramona mentalmente ripassava qualche pezzo, i più
facili, mimando l’atto di suonare; anche lei preferiva tenere gli occhi
bassi e non guardare la sala che si riempiva. Che
pezzi avrebbero chiesto? Si augurava qualcosa di bello.
Intanto, Corni scrutava ad uno ad uno i
volti dei suoi ragazzi, quando gli si avvicinò Silente.
-Senti, non è meglio se prima facciamo mangiare le bestioline, poi suonate?- chiese
l’uomo, che per l’occasione indossava… quello che indossava
di solito: una camicia lunga e accuratamente stirata con motivo a maiolica blu
e un paio di pantaloni con le immancabili scarpe da ginnastica.
-Ah, ma perché qui nessuno mi dice mai niente?
Facciamo una cosa: prima i canti di Natale, poi stacco, e poi le richieste.
–
-Sì, direi che può
andare. Musica maestro!-
E viene giù dal ciel,
lento,
un dolce canto ammaliator…
E vai, la neve dobbiamo ancora
vederla…- Elisabetta.
We wish you a marry Christmas,
We wish you a marry Christmas…
And a happy new year!-Francesca.
Tu scendi dalle stelle, o re del cielo
E vieni in una grott’al
freddo e al gelo…
Anche se qui ci sono venticinque gradi…- Ramona.
Dopo un’incredibile sprint iniziale
(sbadigli e sbadigli), ci fu la prevista battuta d’arresto.
-Ragazzi, andate a sgranocchiare qualcosa, ma mi raccomando: mangiate poco, se no che figura ci fate se sul
palco vi viene il singhiozzo?!- suggerì Corni, congratulandosi con chi
gli passava accanto.
Nessuno aveva molta voglia di mangiare, piuttosto ci fu chi
andò a chiedere i pareri degli amici; quanto a
Elisabetta, Francesca e Ramona, seguirono Elijah per tutta la sala.
Fu molto deprimente vedere quante dediche i ragazzi
rivolgevano alle fidanzate, primo perché i quattro ragazzi non avevano
un partner, secondo (per le ragazze) perché dovevano suonarle tutte.
Ma i quattro ragazzi avevano un obiettivo
segreto: i professori!
Tentarono la
McGranitt, la Parmigiani, Corni, la Melalavo… ma
finalmente Silente abboccò; siccome a Natale cadeva il compleanno della
McGranitt voleva dedicarle una canzone, e scelse appunto “Buon
compleanno” di Irene Grandi. Poi si avvicinò loro un ragazzo che
nessuno conosceva e depositò un biglietto, senza dire né tanto
né quanto.
Elisabetta chiese anche ad Harry;
al suo diniego, fu presa da una strana sensazione… non riusciva a dirsi
né contenta, né rammaricata di ciò. Ma
avrebbe dovuto importarle?
Il mucchietto di foglietti era consistente, e così
dovettero subito mettersi al lavoro: iniziava ufficialmente lo “spazio
richieste”.
Francesca ebbe l’onore di presentare
la prima, di un Tassorosso, poi si procedette a turni.
Capitò a Ramona un biglietto anonimo indirizzato alla Chiodo, con la richiesta di una vecchia canzone degli
883, “Sei un mito”, così commentata a bassa voce dalla
ragazza: -Ma proprio a me doveva capitare di presentare la canzone sconcia?!-
I colleghi applaudirono sonoramente e molti sorridevano
maliziosi. La povera professoressa era tutta rossa, ma cercava di mantenere un
certo autocontrollo.
E dopo non molto toccò anche
alla McGranitt!
Quando Elisabetta annunciò la dedica, con tanto di
firma, la donna replicò: -No, no, guarda che ti sbagli!-
-Oh, prof., è o non è
il suo compleanno?- chiese al microfono Elisabetta.
-Sì, ma…- tentò di replicare quella.
-E dai, prof., non opponga tutta
questa resistenza! Dopo tutto, una dedica è
come un regalo: non si rifiuta!-
I ragazzi sembravano d’accordo con lei, perché
iniziarono ad applaudire e a gridare -Canzone, canzone!-
-E va bene, ma la canta Aberforth!- si vendicò la donna.
-Sì, sappiamo che la conosce: la canta tutti i giorni
in Presidenza!- approvarono in coro le sorelle.
-Argh, ma come avete fatto a
scoprirmi? E va bene, canto, ma almeno datemi il testo
e aiutatemi almeno un pochino!- concesse l’uomo.
Così Silente cantò, più
o meno, la canzone, dedicandola alla collega Graziana. Però, nei punti caldi, arrossiva un po’…
Se l’avesse ascoltata prima, di sicuro avrebbe lasciato la dedica
anonima!
A fine serata, si concluse il tutto
con la dedica di un prof.dei
Tassorosso alla Parmigiani, che proprio non se lo aspettava, ma fu molto
lusingata e da quel giorno trattò con un occhio di riguardo il buon
professore, che sorrideva compiaciuto.
Verso l’una la Sala Grande era pressoché deserta; dopo
aver smontato alla bell’e meglio fili, cavi e
cavetti, il povero “complesso” si diede alla pazza gioia e
spazzolò quelle poche cose che erano rimaste sul lungo tavolo che si
snodava per tutta la lunghezza della Sala Grande; soprattutto le bibite
andarono a ruba, chissà il perché?
RECENSITE!!!
Grazie 1000
aHemmy e Laura!!!
Keiko: in
effetti questa storia è già stata postata perché la
sto scrivendo con altre mie amiche. Tempo fa una di loro ha deciso di
pubblicarla su questo sito, ma non ha più continuato, quindi ho deciso
di pubblicarla io fino alla fine…sono stata esauriente? ^_^
Capitolo 13 *** Festa con chi Vuoi, Natale con i Tuoi! ***
Capitolo 10
Capitolo 13
Festa con chi vuoi,
Natale con i tuoi
Il giorno dopo la festa, la maggior parte degli studenti se
ne tornò a casa per trascorrere le sospirate vacanze con i genitori, ma
non prima di aver radunato le proprie cose e di aver salutato gli amici.
Così non fu però per Ramona, Elisabetta e
Francesca, le ultime a “corto” di genitori, la prima con tanta
voglia di combinare dei tiri mancini ai “sorveglianti”, come ormai
tutti li chiamavano; per la maggior parte dei ragazzi questo termine era
dispregiativo, un modo come un altro per prenderli in giro. In effetti, si
prestavano molto bene a questo tipo di attività…
A colazione le tre Grifondoro scoprirono di
essere proprio le uniche rimaste, non c’era traccia di altri
ragazzi!
A dire il vero, non gli dispiaceva neanche troppo: avevano
un tavolo tutto per loro!
Anche il tavolo degli insegnanti
aveva subito una brusca ridimensionata: restavano solo Silente, la Chiodo, Harry e Piton.
-Ah, prof., quando si tratta di
restare a scuola, perfino gli insegnanti si tirano indietro!- commentò
sorridendo Francesca, quasi gridando.
-A quanto pare, sì!- rispose
Silente, a voce altrettanto alta.
-Ma perché non facciamo una
tavolata unica? È così brutto lasciarle da sole!- propose la Chiodo.
-No, è brutto non sentire i loro discorsi su di noi!-
replicò Silente sarcastico, e così le
tre ragazze furono invitate a sedersi al tavolo degli insegnanti.
-Wow, che emozione! Promosse insegnanti direttamente senza
finire gli studi! Dobbiamo avere dei bei voti in pagella!-
commentò Elisabetta.
E così, mentre la Chiodo passava una
generosa quantità di marmellata su una fetta biscottata, Piton beveva il suo caffè e Silente ed Harry prendevano in
giro Francesca, che aveva i capelli in disordine, Elisabetta che aveva la
maglia spiegazzata e Ramona che aveva la coda di cavallo storta.
Ci si abituarono presto a sedere e chiacchierare con gli
insegnanti, ma non a tal punto da parlare delle loro origini.
Dopo poco giunse anche Giordano, scusandosi coi presenti accusandosi di essere un dormiglione cronico.
Silente gli batté una pacca sulla spalla e lo invitò a sedersi.
-Allora Ramona? E voi, tutto bene?-
-Tutto a posto papi. –
-Allora se non avete bisogno di me
io dopo vado a curare un po’ la mia foresta. -
-Ah, va bene… anche noi abbiamo da fare: dobbiamo
andare a preparare i regali, domani finalmente è Natale!-
-A proposito di Natale, papi… mi hai preso un regalo,
vero?!Bello grande…-
supplicò Ramona colle lacrime agli occhi.
-Sì, come no! Però, bello
grande non lo so. Non si dice: basta il pensiero?-
-Ah, ah, ah!!!-
*
-Ehi, svegliatevi! È Natale,
è Natale!- gridò Elisabetta.
-Evviva, che bello!!!- gridò
Ramona, balzando giù dal letto.
-Sì, sai che felicità! Quest’anno non ci
sarà neppure un regalo per noi…- commentò
aspra Francesca.
-Mi sa che ti sbagli. Guardate sotto all’albero!-
gridò Ramona al settimo cielo.
In effetti, sotto al grande albero
natalizio che troneggiava in mezzo alla sala comune dei Grifondoro
c’erano tanti pacchi avvolti in carta multicolore.
Ramona si precipitò e iniziò a separarli:
-Questo è per te, questo per me, questo per te, questo per me…-
Francesca aveva ricevuto un libro sul Quidditch da parte
della sorella e di Ramona, e un nutrito sacchetto di dolci magici da Harry, poi
una scatola di croccantini per Ciro da Silente e un
collare con tanto di medaglietta con il nome (sempre per Ciro) dalla Chiodo.
Elisabetta ricevette un collarino per Fuliggine dalla Chiodo, una ciottolina per i
bisognini del gatto (con sabbia inodore!) da Silente, un bel paio di guanti da
boxe (con tanto di manichino con scritto “Lucifero” sulla fronte)
dalla sorella e da Ramona e da Harry una scatola di Cioccorane.
Ramona, infine, ricevette un casco e un paio di guanti di cuoio
dalle sorelle, un walkman con CD degli 883 incorporato dal padre, un paio di occhiali nuovi da Silente, una gabbietta nuova per la sua
civetta dalla Chiodo e il solito sacchetto di dolci da Harry.
L’unico regalo che accomunava tutte e tre erano tre articoli di scherzi nascosti dentro i pacchetti di
dolciumi di Harry: si trattava delle Orecchie Oblunghe, che servivano per
origliare discorsi a distanza.
Dopo non molto arrivò anche Giordano, che fece gli auguri alle ragazze e disse di aver ricevuto un
anticipo dello stipendio da Silente.
*
Il chiasso provocato delle ragazze non poté che
infastidire Piton che, nonostante fosse mattiniero, voleva ancora dormire. Alla
fine, fu costretto ad alzarsi.
-Maledette galline! Non la smettono mai di chiocciare!- sibilò mentre si alzava.
Come di consueto, dopo essersi sistemato (si fa per dire),
aprì la porta per recarsi nel suo studio ai piani sotterranei, ma con la
scarpa urtò un pacchetto, anzi, due.
-Maledette cianfrusaglie! Invece di lasciarle vicino alla
porta, così rischio di inciampare, potrebbero
darmele di persona!- inveì, ma poi ci ripensò e li raccolse,
avviandosi verso lo studio.
Scendendo le scale se li rigirò fra le mani, ma solo
quando fu nello studio li scartò.
Naturalmente, prima lesse il biglietto.
Era verde, scritto in stampatello con inchiostro dorato:
Prof.,
per una volta abbiamo voluto seppellire l’ascia di guerra: Natale viene
una volta all’anno, le verifiche di più.
Speriamo che il
contenuto del pacchetto le sia utile, altrimenti è pregato di
restituirlo (era l’ultima bottiglia!).
Buon Natale
I Grifondoro: Elisabetta e Francesca Serpini, Ramona Guerzoni
e Harry Potter
Harry Potter che gli faceva un regalo?!
Forse era una bomba, sarebbe stato più
sensato…
Il professore rise fra sé e scartò il regalo:
una bottiglia di shampoo e un paio di forbici.
Quei quattro scherzano col fuoco… pensò
fra sé, ma era curioso di scoprire chi fosse il
mittente del secondo pacchetto.
Prese il biglietto (rosso) e vide che la scrittura era
elegante, probabilmente di una donna:
Caro Severus,
ricominciamo tutto da
capo. Facciamo finta di essere semplicemente dei bravi colleghi che, nonostante
si conoscano da poco, vogliono essere gentili per costruire un rapporto
duraturo nel tempo. Anche se ultimamente abbiamo discusso
spesso e duramente, e i nostri punti di vista si siano rivelati completamente
divergenti, ho deciso di proporti una tregua, Natale viene una volta
all’anno.
Così ho scelto di regalarti un gioco da tavola, e
siccome mi sembri una persona molto riflessiva, cosa c’è di meglio
degli scacchi? Magari un giorno di questi facciamo una
partita da buoni amici.
Allenati.
Vittoria
Chiodo
Vittoria Chiodo… quella donna aveva uno sguardo
magnetico; nonostante fosse un esperto di Occlumanzia, Piton aveva paura di quegli occhi indagatori,
specialmente quando incrociavano i suoi: in quei momenti aveva paura che la
collega potesse liberamente entrare ed uscire dalla sua mente, per questo
distoglieva spesso lo sguardo. Allo stesso tempo, la ammirava molto per la sua
capacità di rapportarsi con gli altri e con sé
stessa: stava sempre bene con tutti, perfino con lui, e alzava la voce di rado;
sapeva come farsi rispettare e allo stesso tempo come farsi volere bene. Era
esattamente quello che lui non era mai riuscito ad essere… Se solo lui
non fosse stato quello che era diventato…
*
Anche Silente, intanto, si era
alzato, ma solo perché era mattiniero.
Già si immaginava tuttii “regali di
rappresentanza”, cioè tutte le ruffianate da parte dei genitori
degli alunni e da pezzi grossi della magia; al solo pensiero si sentiva male.
In effetti, sotto al suo immenso
albero c’erano pacchi di svariate dimensioni; per primi aprì
quelli grandi che, come previsto, contenevano le ruffianate, e per lo
più erano inutili.
Poi vide cinque pacchetti meno voluminosi.
Il primo era da parte di suo fratello: un Pensatoio.
-Ma figurati! Come se io perdessi
tutto il giorno a pensare!- mormorò, ma lo trattò con cura.
Il secondo era da parte di Giordano: un prosciutto con osso!
-Wow! Questo sì che è un regalo! Lo
terrò gelosamente… finche non l’avrò
finito!-
Il terzo era di Harry: un orologio
a cucù.
-Beh, ne ho sempre desiderato uno! Adesso ce
l’ ho! Devo solo riuscire a trovare il posto giusto dove
appenderlo…- disse guardandosi attorno.
Il quarto era delle sorelle Serpini
e di Ramona: una serie di tappetini per computer, accompagnati da un biglietto:
Sappiamo che lei sa che i tappetini per mouse
della sala dei computer sono tristi. Allora le diamo la fantastica
opportunità di cambiarli, ma abbiamo pensato anche a lei: guardi
l’ultimo!
Con affetto.
Elisabetta e Francesca Serpini, Ramona Guerzoni
Appena letto il biglietto, guardò l’ultimo
tappetino; raffigurava Lupo Alberto con una vignetta:
“Attenti al Preside”.
-Queste qua sono addirittura più esaltate della Parmigiani! Non cedevo che esistesse
qualcuno in grado di eguagliare quella ragazza!-
E l’ultimo? Di chi poteva
essere? Non che gli altri fossero scontati,
però…
Questa volta lesse prima il
biglietto, scritto con inchiostro blu:
Caro collega,
buon Natale!
Spero che questo regalo sia alla tua
altezza (e ce ne vuole!).
Questa volta non perderò tempo nei “soliti
discorsi noiosi”, come li chiami tu; voglio solo augurarti buone feste.
Tua
Graziana McGranitt
Se per altezza intendeva il metro e
novanta che misurava, non poteva che aver sbagliato: il pacchetto era sottile
come un foglio di carta.
Ma aprendolo poté scoprire
che la collega aveva proprio fatto una magia: i fantastici biglietti per la
finale di Quidditch!
*
Mentre il castello lentamente si
rianimava, Vittoria Chiodo stava beatamente dormendo, dimentica del giorno che
era, finché…
TOC TOC
La donna si stiracchiò, sbadigliò,
buttò in aria le coperte e finalmente andò ad aprire.
-We wish
you a marry Christmas...-
-...da Piton!-
-We wish
you a marry Christmas...-
-...da Piton!-
-And a
happy new year!-
-...da Piton!-
La poveretta si trovò davanti uno spettacolo osceno:
Elisabetta, Ramona e Francesca che cantavano a squarciagola e reggevano tre
ampolline contenenti tre liquidi colorati.
-No, ferme ragazze: non credo di aver capito…-
mugugnò lei.
-Ma è ovvio! Piton le manda gli auguri di Natale!- disse Ramona pronunciando il
nome del professore con una vocina acuta e stridula.
-Ah… entrate dentro un momento…- rispose la
donna grattandosi il capo e sbadigliando nuovamente; non appena furono tutte e
quattro dentro, chiuse la porta alle sue spalle.
Il tavolo che era in mezzo alla stanza
era coperto di fogli, che le ragazze riconobbero come i loro ultimi compiti in
classe; quasi tutti erano scarabocchiati di rosso, ma prima che le tre avessero
modo di trovare la loro, la
Chiodo li raccolse confusamente con un gesto svogliato fino a
formare una pila disordinata.
Buttati sul divano stavano un rocchetto di filo rosso per
legare i pacchettini regalo e un paio di forbici; poco più in là,
sotto ad un cuscino a righe fucsia e gialle, stava il piccolo astuccio verde
scuro in cui la prof. era solita tenere le penne.
-Scusate per il disordine, ma ieri
ho fatto una lavorataccia e non me la sono proprio sentita di mettere a
posto…- disse la donna cercando di accatastare tutte le cose sparse per la
stanza su una mensola –Allora, cos’è questa storia?-
-Niente, Piton le manda i suoi auguri assieme a questi tre
cosi che non sappiamo bene cosa siano… c’è un biglietto, nel
caso voglia stare tranquilla che non si tratti di
veleno…- rispose Elisabetta mentre la sorella porgeva il biglietto
scritto su un pezzo di pergamena alla professoressa.
Lei lesse tutto d’un fiato,
poi piegò il biglietto in quattro e lo mise nelle enormi tasche del suo
pigiama giallo.
Poi, un po’ soprappensiero, disse: -Che sciocca, mi
sono dimenticata di augurarvi buon Natale!-
-Beh, se è per questo, anche noi… buon Natale
prof.!-
Poi, dopo essersi congedate dalla Chiodo,
le tre andarono dritte sparate nella Sala Grande, dove già stavano
facendo colazione Piton, Silente e Harry.
Quel mattino si abbuffarono con ogni sorta di dolce:
pandoro, panettone, biscotti natalizi…
Poi le tre si preoccuparono di mandare gli auguri ai
compagni: era la prima volta che affidavano un incarico ai loro gufi.
Nel pomeriggio, poi, ci fu una sorpresa: il ritorno della
McGranitt.
Naturalmente Ramona, Francesca ed Elisabetta accolsero
calorosamente il suo ritorno (e le fecero un bel regalo!), e anche gli altri
colleghi, nonostante fossero un po’ meravigliati del fatto che avesse
anticipato il suo arrivo.
Dopo i vari abbracci, la donna chiese a Francesca e ad
Elisabetta di andare in Biblioteca, perché aveva una cosa da mostrare
loro.
Quando si furono sedute sugli alti
e scomodi sgabelli, la
McGranitt srotolò una pergamena raffigurante dei
volti; erano dodici.
-Questi sono gli ultimi Wizardtime
di cui si ha notizia; sotto ogni faccia c’è il nome. Noterete che
sono sei uomini e sei donne; erano tutti sposati tra
loro… il perché vi sarà chiaro: è più facile
capirsi se si condivide qualcosa. Purtroppo non so dirvi chi siano
i vostri genitori, tra questi, perché il vostro cognome risulta essere
babbano… mi dispiace, ho fatto il possibile; già farmi dare questi
ritratti è stato difficile…-
Le sorelle guardarono tutte le coppie di volti, una per una.
Nessuna sembrava somigliare ad entrambe. Essendo i ritratti in bianco e nero,
poi, rendeva tutto ancora più difficile.
Dopo vari minuti, che però parvero secoli, le due
ragazze distolsero lo sguardo dal foglio.
-Sa, prof., comincio a sospettare
che non siamo sorelle: siamo troppo diverse! Ci guardi! Io sono bassa e magra,
e ho i capelli e gli occhi scuri, mentre lei è alta e ha gli occhi e i
capelli chiari… come facciamo ad essere sorelle?!
Me lo spieghi!- disse violentemente Francesca.
La prof. sembrava farsi più piccola e gracile su
quello sgabello alto, in balia del fiume di parole di
Francesca; aveva gli occhi bassi.
-Te ne importa poi più di tanto? A me no. - dichiarò Elisabetta, sconvolgendo la sorella,
che gridò:
-Come no?! Non ti
importa di essere mia sorella?-
-Non ho detto questo. Ho detto che
se anche non fossimo sorelle, tra noi non cambierebbe niente. – rispose
gelida.
-Certo che cambierebbe!-
-Cosa cambierebbe? Il nostro rapporto?-
-Ma non ti ricordi tutte le cose
che abbiamo fatto assieme, da brave sorelle? Il nostro affiatamento?-
-Cosa c’entra? Ormai quel che è fatto è
fatto! E continuerà ad essere così. –
-Non ne sono più tanto sicura…- rispose Francesca, e scappò via come un fulmine.
Elisabetta stava per fare lo stesso, ma la McGranitt la
bloccò afferrandole il polso.
-Mi dispiace, non volevo che finisse così…-
-E chi l’ ha detto che
è finita?- rispose secca la ragazza, e a sua volta uscì.
Intanto Francesca si era imbattuta in Ramona, che stava
aspettando a poca distanza dalla Biblioteca. Ignara di tutto,
l’amica tentò di estorcerle qualcosa sul discorso tenuto
con la prof., ma la scena muta e lo sguardo cupo di Francesca le fecero capire
che era meglio sorvolare e rimandare a un’altra volta le domande.
Francesca era ancora tremante di rabbia
quando, sbattendo la porta, entrò nel Dormitorio femminile.
Si sdraiò sul suo letto e si infilò
le cuffie, per ascoltare un po’ di musica e distrarsi, mentre Ramona era
combattuta: aveva paura ad allontanarsi, perché temeva di offendere
Francesca, e allo stesso tempo avrebbe voluto vedere Elisabetta, per cercare di
capire cosa fosse successo.
Alla fine scelse di restare al fianco di Francesca.
Elisabetta, intanto, stava vagando per il castello come un
fantasma, infelice e senza pace.
Involontariamente, aveva lasciato il foglio in Biblioteca.
Ci sarebbe tornata?
Sì, tornò sui suoi passi, ma si accertò
che la McGranitt
se ne fosse andata, prima di entrare nella stanza piena di scaffali e odorosa
di polvere. Anche per quell’odore, uscì
il prima possibile, con un gesto fulmineo, ma incrociò Harry, anzi: gli
capitò proprio addosso!
-Ciao! Stai facendo i compiti, ti
serve una mano?- disse cortesemente lui.
-Al diavolo i compiti!- stava per rispondere la ragazza, ma Harry le aveva già strappato di mano il
foglio.
-I Dodici?- chiese perplesso.
-Per me potevano anche essere quindici, ventimila o due,
basta che ci lascino in pace!-
-Calmati! Ma che è successo,
dov’è Francesca? E Ramona?-
-Vai via!- gridò infuriata
Elisabetta; se avesse avuto qualcosa sotto tiro, di certo l’avrebbe
tirata con quanta più forza aveva. Delle lacrime iniziavano a scendere
inesorabili… una volta non avrebbe permesso che
Harry la vedesse in quello stato, ma era più importante sua sorella.
Iniziò a correre, con Harry al suo inseguimento;
girò parecchi corridoi, non le importava dove stesse andando, bastava
isolarsi, quando… BUM!, finì addosso a
Piton.
-Professore, per favore lo fermi!- singhiozzò
Elisabetta senza neanche guardare bene chi le si parava
davanti, poi riprese a correre; poco dopo arrivò anche Harry, che si
fermò appena in tempo per non travolgere il collega.
-Non ti vuole, questo è
evidente, caro collega. - sibilò Piton guardando Harry molto
freddamente.
-Si faccia da parte!- ringhiò
Harry. Quando era in collera, si rivolgeva al suo ex
insegnante con del “lei”.
-Ti sconsiglio caldamente di raggiungerla. – ribadì quello impassibile.
-Ma cosa vai a pensare! Lei
è… un’amica!- disse Harry fumante,
sorpassando Piton, il quale non lo fermò, ma tirò dritto per la
sua strada.
Ormai l’aveva persa… non fosse
stato per Mocciosus!
E invece… mentre riprendeva
fiato, sentì dei singhiozzi provenire dal più vicino bagno delle
ragazze. Bussò, ma ovviamente invano.
-Apri, dai, lo so che sei lì!-
Silenzio…
-Almeno dimmi cos’è
successo!-
Singhiozzi ancora più forti si
levarono del bagno.
-Io non mi muovo finché non mi dici cosa diavolo
è successo! Ti prego, voglio solo aiutarti!-
Piano piano la porta del bagno si
schiuse, e uscì la ragazza tremando. Aveva il viso arrossato e gli occhi
gonfi e lucidi, la coda di cavallo ridotta ad un ammasso confuso di capelli.
Tra singhiozzi, spasmi e sospiri da oltretomba, Elisabetta
raccontò l’accaduto.
-Tutto qui? Sei arrabbiata con lei
per questo?- chiese perplesso Harry.
-Solo per questo?! Io ho cercato di
farle capire che se anche non fossimo sorelle, tra noi non cambierebbe
niente! E lei, invece di essere contenta, è
scappata via…-
-Sicuramente avrà capito male!
Però, da quello che mi hai detto, non sei stata
tanto… convincente…-
-Beh, no… in effetti, no. -
-Coraggio, vai a parlarle!-
-E se è ancora arrabbiata con me?-
-Tu parlale e cerca di farti capire, avanti!-
Tanto disse e tanto fece che la ragazza, col cuore
più leggero, decise di andare a parlare con Francesca, ancora rinchiusa
nel Dormitorio.
Quest’ultima si era messa a disegnare, mentre Ramona
pazientemente faceva altrettanto, non lasciandola un minuto.
Poi, si decise a parlare: -Cos’è
successo?- chiese titubante.
D’un tratto, confusamente e
impetuosamente, le parole uscirono come un fiume dalla bocca di Francesca, e
tanto si eccitò che spezzò anche la punta ad alcuni colori.
-Ma allora, dovresti essere
contenta! Ti ha detto che ti vuole talmente bene, che
non importa che siate o non siate sorelle…-
-No, ha detto che non gliene
importa di essere mia sorella! Capisci cosa vorrebbe dire se non fossimo
sorelle? Avremmo passato tanti anni in un inganno. Saremmo solo amiche…-
-Amiche molto speciali. Posso essere sincera? Secondo me,
lei dovrebbe essere arrabbiata…-
Francesca scosse impercettibilmente il capo e ridusse gli
occhi a fessure.
-Se per te il fatto di essere
parenti è così importante, vuol dire che le vuoi bene solo
perché è tua sorella, non perché le vuoi bene
veramente… hai capito?-
-Mai io le voglio bene!-
-Ecco! Secondo me vi siete capite
male. Te la senti di andarle a dire qualcosa?-
Troppo tardi: Elisabetta stava dritta immobile sulla soglia
della porta.
Istintivamente, anche Ramona e Francesca si alzarono.
La scena assomigliava ad un film western: le due pistolere
si avvicinavano, pronte ad estrarre la pistola… ecco che l’avevano estratta… ma no, si stavano abbracciando!
-Sono una scema! Non ho capito proprio
niente!- esordì Francesca.
-E io, che ho capito ancora meno di
te?- chiese la sorella.
-Siete sceme tutte e due!- concluse Ramona.
RECENSITE!!!
Angelikall: i capitoli li ho già scritti ma non abbiamo ancora finito il
racconto…spero ti basti sapere questo! Se hai qualche dubbio comunque chiedi pure! Ciao ciao!
;-)
A gennaio fu difficile ingranare la marcia, i ricordi delle
vacanze ancora troppo freschi. Molti ragazzi erano stati a sciare; Francesca ed
Elisabetta non vi fecero caso, loro preferivano il mare alla montagna, mentre
Ramona un po’ li invidiava.
Durante la prima settimana, i loro amici si comportarono
molto stranamente: si sorprendevano di trovare i “sorveglianti” in
giro per i corridoi e ancor di più al sentir parlare di Wizardtime.
-Ma come, ragazzi, non ve lo ricordate?- Silente strizzò
un occhio alle sorelle: era una mess’in scena.
In effetti, come poco dopo il Preside spiegò alle sorelle, la sera prima
della partenza per le vacanze aveva avvelenato le cibarie della cena con una
pozione preparata da Piton dagli effetti molto leggeri: il risultato fu che i
loro compagni dimenticarono per una ventina di giorni i Wizardtime
e tutti i problemi a loro connessi.
Ricominciata la scuola, ripresero anche molte
attività connesse: il corso pomeridiano di Musica, gli allenamenti di
Quidditch…
Elisabetta decise di lasciar perdere il corso di Musica,
rendendosi disponibile solo per le feste serali in caso di mancanza di
cantanti; la sorella e Ramona invece proseguirono, dato che erano interessate e
la compagnia non era male... provavano simpatia verso una chitarrista
Tassorosso di nome Giada, che trovarono ben disposta a chiacchierare, ma
l’amicizia non si spinse oltre.
Le due settimane a seguire, le prime due di febbraio, furono
molto intense per tutti i componenti della squadra di Quidditch: tra i compiti
e gli allenamenti, non avevano ormai più tempo da dedicare ad altro; per
fortuna alcuni professori si resero disponibili ad alleggerire il loro carico
di compiti (vedi la
McGranitt e la
Chiodo), altri tirarono avanti per la loro strada facendo finta
di niente.
Neanche il giorno di San Valentino, durante il quale molti
nuovi fidanzamenti si annunciarono e smentirono, fu concesso loro di riposarsi.
Dal canto suo, Francesca era più che contenta di passare le sue ore al
fianco del ragazzo che le piaceva: pochi giorni prima aveva confidato alla
sorella e a Ramona che quel Manuel proprio l’attirava. Non era raro
infatti vederli parlare assieme, ridere e scherzare alle spalle di Piton…
Anche Ramona aveva adocchiato qualche ragazzo dei Corvonero, ma niente di
serio.
Più la squadra si allenava, e più cresceva.
Solo che tali ritmi di crescita influivano sulla concentrazione, che veniva
meno durante le lezioni e anche, successivamente, durante gli allenamenti,
così Harry lasciò l’ultimo weekend prima della partita
libero.
Il martedì seguente ci sarebbe stata la tanto attesa
disputa, così Harry organizzò una partitella il lunedì, ma
l’allenamento complessivo durò “solo” un’ora; il
resto della giornata fu spaventoso.
Dopo una veloce doccia, Manuel e le tre Grifondoro si
precipitarono nella Sala Grande per la cena, ma nessuno aveva molta fame: lo
stomaco era contratto per l’ansia.
-Dite che andrà bene?- chiese Francesca dondolandosi
sulla sedia.
-Se devo esser sincero, io non ho una gran paura: quel che
è fatto è fatto. – dichiarò Manuel.
-Sì, ma se perdiamo? Sai che faccia faranno i nostri
compagni?- osservò Ramona.
-Io non mi preoccuperei dei compagni, piuttosto dei
Serpeverde! Saremo costretti a nasconderci per sottrarci alle loro
sfrecciatine…- puntualizzò Elisabetta.
-Ma ce n’è uno in squadra!- ribatté
Manuel.
-Oh, sentite, sarà quel che sarà!-
sbottò infine Elisabetta.
-Eh, non credere!- sospirò Valeria.
-Come?!- chiesero i quattro in coro.
-Beh, come saprete, ci sono un sacco di Galeoni in palio,
no?- disse Rosa, come se fosse una cosa ovvia -E da quello che mi hanno detto i
miei, per far andare avanti la baracca bisognerà vincerli,
altrimenti… non ci sarà un prossimo anno per questa scuola.
Buonanotte!- concluse, e si infilò su per le scale diretta al Dormitorio.
-Ah, non fatele caso, ce lo ha ripetuto per tutta la cena!-
disse Christina noncurante per cercare di distrarre i compagni, ma
immancabilmente la consapevolezza di un così grande peso sulle proprie
spalle non poté che far stringere ancora di più il nodo al loro
stomaco.
Quando ormai tutti avevano finito e stavano per alzarsi,
Silente li precedette e fece cenno di risistemarsi a sedere.
-Vorrei dire due parole ai ragazzi della squadra del
Quidditch: ragazzi, la scuola conta su di voi. Siamo fieri del vostro operato e
sappiamo che recherete onore alla nostra scuola. Ah, un’ultima
cosa… nonostante le precedenti disposizioni, abbiamo concordato con il
mio fratellino di andare tutti quanti in trasferta. Che ne dite?-
Quell’affermazione fu accolta da un coro di ovazioni e
battiti di mani.
-Ah… che carino, si è sprecato!-
commentò qualcuno.
-Va bene, va bene, lo so che mi adorate, ma adesso è
ora di filare a letto: domani sveglia presto! Alle sei vi voglio tutti in piedi
e scattanti. – concluse Silente, al che tutti si alzarono, compresi i
professori.
-Domani voi sveglia alle cinque e mezza, una colazione
veloce e poi tutti in Sala Insegnanti. Intesi?-la Chiodo si era avvicinata al gruppetto dei
giocatori e stava impartendo le direttive per la mattinata successiva.
-Alle cinque e mezza?!? Ma siamo matti? Come voleremo sulla
scopa, con il cuscino!?- ribatté Elisabetta.
-Per questo adesso andrete a letto spediti e senza
ribattere, vero Elisabetta?- Harry era accorso in soccorso della collega,
ammutolendo la ragazza che stava per controbattere.
Sconsolati, i componenti della squadra andarono nei
rispettivi Dormitori; svogliatamente, si misero il pigiama e si calarono sotto
le coperte, mentre nelle loro orecchie riecheggiavano gli schiamazzi eccitati
dei compagni nella Sala Comune della rispettiva Casa.
*
Il giorno dopo, contro ogni aspettativa, era sereno, anche
se freddo.
Alle cinque erano già tutti in piedi riuniti nella
Sala Grande, insolitamente vuota ma apparecchiata per l’intera scuola.
Dopo poco li raggiunse Harry, e pregò loro di seguirli. Nessuno aveva
toccato cibo (tranne Manuel, che si era goduto una colazione in piena regola) e
non osò obiettare quando il mister li fece alzare, anzi: molti furono
contenti che la propria atroce sofferenza fosse accorciata.
Come degli automi, raggiunsero la Sala Insegnanti
senza proferire parola. All’interno, li attendevano alcuni professori.
-Buongiorno miei prodi, dormito bene?- chiese Silente,
cercando di sdrammatizzare la situazione.
-Bene come si può dormire prima di un esame…-
rispose cupa Ramona.
Capendo al volo la risposta, il Vicepreside passò ad
altro.
-Allora, queste sono la vostre divise. Tenete!- e
iniziò a distribuirle ai ragazzi; ciò sollevò un po’
il morale dei ragazzi, perché erano veramente belle: i pantaloni erano
verdi e la maglietta rossa, rigata lungo il colletto e le maniche di bianco. Il
tutto era coperto da un lungo mantello bianco rigato sul colletto di verde e di
rosso. Poi ovviamente c’erano gli scarponi di cuoio e le protezioni per
gambe e braccia di stoffa imbottita.
-Sono belle, vero? Le ha disegnate apposta la professoressa
Parmigiani. – informò Silente indicando la donna, seminascosta
infondo alla stanza, la quale sorrise ampiamente.
-Forza, provatele, voglio vedere come vi stanno!- disse.
Quando gliele vide addosso, si congratulò con se
stessa: erano veramente professionali.
La Chiodo
guardò distrattamente l’orologio da polso e vide che era ora di
andare: -Oh, è tardi! Meglio se ci avviamo. –
-Molto bene, Vittoria. Harry, hai la Passaporta?-
chiese Silente ad Harry, il quale mostrò una cuffia da bagno.
Corni, la
Parmigiani, Harry e la Chiodo si strinsero attorno ai ragazzi e dissero
loro di tenere stretta la Passaporta al “tre” di Harry.
-Uno… due… tre!-
Contemporaneamente, gli undici si strinsero attorno alla
cuffia.
Ramona si sentì come se le avessero appena fatto un piercing all’ombelico… poi Elisabetta si
sentì sollevare da terra… infine Francesca fu risucchiata verso la
cuffia e atterrò su un prato.
Non tutti caddero in ginocchio, come la Chiodo o Corni: i ragazzi
si cappottarono uno sull’altro, e la Parmigiani
capitò addosso al povero Corni, che la aiutò a rialzarsi.
-Wow! Siamo già arrivati? Velocino,
il coso!- Ramona era sbalordita, oltre che dolorante.
Davanti a loro si stagliava l’immenso castello che era
la scuola di Hogwarts contornata dal prato e in lontananza si intravedeva la Foresta Proibita.
-Bene arrivati!- li salutò Silente (l’altro,
ovviamente) in un italiano perfetto.
-Buongiorno, professor Silente. È già tutto
pronto?- chiese la Chiodo,
avvicinandosi all’uomo.
-Sì, è già tutto predisposto.
Aspettavamo solo voi. – rispose tranquillamente lui, e strizzò
l’occhio alle sorelle: solo allora si ricordarono che gli aveva
confusamente promesso che lo avrebbero rivisto.
Elisabetta si avvicinò alla Chiodo e le chiese: -Ma
prof., non dovevamo portarci dietro la tifoseria?-
-Già, non mi va di pendermi solo dei fischi…-
rincarò Manuel, ma più che altro stava pensando a voce alta.
-Arriveranno, arriveranno… a piccoli gruppi,
perché come avete visto, già trasportare una decina di persone
è un’impresa. –
-A che ora inizia la partita?- s’interessò Maicol.
-Alle sette in punto. –
Francesca guardò l’orologio: erano solo le sei!
Ben presto però capirono come avrebbero impiegato
quell’ora: la Chiodo
li obbligò a richiudersi negli spogliatoi e ad inventarsi
complicatissimi schemi di gioco.
-Francesca, se stai inseguendo il Boccino e sei testa a
testa con il Cercatore dell’altra squadra, cosa fai?-
-Io gli darei un bel calcio negli stinchi: la prossima volta
mi sta più lontano…- mormorò Manuel.
-Ehm… cerco… di andare più veloce?-
rispose timidamente Francesca.
-Bisogna vedere se quello resta in sella dopo aver ricevuto
un mio Bolide in testa…- borbottò Elisabetta.
-Va bene, ho capito che ve la sapete cavare da soli,
perciò tolgo il disturbo. Mettevi le uniformi, tra un po’ si
inizia. – disse spazientita la professoressa, uscendo dagli spogliatoi.
*
Dall’esterno si sentivano grida, fischi e insulti.
I ragazzi uscirono dagli spogliatoi e stettero immobili nella
stanza antistante da cui si vedeva l’esterno, facendosi il segno della
croce. Appena fu possibile vedere l’esterno, a Elisabetta scappò
un “Vacca b**a!”, Francesca si sentì svenire per la vista di
tanta folla, e Ramona rimase paralizzata dall’emozione. I sette ragazzi
si scoccarono un’occhiata rassicurante, poi arrivò Harry che
rivolse loro un’ “In bocca al lupo”, poi urlò
-Pronti… uno, due tre, Tigri di Hogwarts, olé!-
-Tigri? Ci siamo persi qualcosa?- chiese Valeria.
-Sì, beh… per non confonderci ci siamo dati un
nome di animale…- si giustificò Harry.
-Ci hai dato!- precisò Manuel.
-Oh, sì… per far prima…- concluse Harry.
I sette si guardarono, ma nessuno aveva voglia di uscire per
primo, così Maicol prese l’iniziativa:
-O uscite, o vi do un bel calcio nel c**o! Forza raga, diamogli addosso!-
E così scesero in campo tutti abbracciati e
barcollanti come un gruppo di ubriachi. A sinistra furono osannati, a destra
fischiati.
-Ma andate a cagare!- urlò Francesca rivolta alla
tifoseria avversaria.
Di fronte a loro c’erano i sette avversari. Avevano
una divisa molto sgargiante: i pantaloni bianchi, la maglietta rossa e la
mantella azzurra e a livello del cuore una bandiera bianca con stelle rosse.
Era una squadra composta da elementi di diversa corporatura,
dal Cercatore piccolo e agile, ai Battitori grandi e grossi.
-Ma le loro divise le avrà disegnate la Parmigiani?- chiese
Francesca.
-Anvedi che male che le faccio se
è così!- rispose Elisabetta.
Detto fatto l’arbitro, che era una donnetta
insignificante (Harry aveva detto loro che era stata la sua allenatrice di
Quidditch ai bei tempi), chiese agli allenatori di stingersi la mano e
così fu. Poi liberò i Bolidi, mise al centro del campo la Pluffa e lasciò
libero il minuscolo Boccino d’Oro. Così iniziò la tanto
attesa partita, dopo che lei ebbe fischiato.
Subito la
Pluffa fu presa dagli avversari ma Manuel riuscì a
rubargliela, poi la passò a Selene che si avviò verso la porta,
ma un Bolide tirato da un Battitore avversario la sfiorò e lei
lasciò cadere la palla, che venne subito recuperata da un Cacciatore
avversario. Elisabetta, a cui il tiro non era piaciuto molto, restituì
il favore cosicché la palla andò a Manuel che avviandosi di
scatto alle porte segnò i primi dieci punti acclamato dai tifosi e dagli
altri suoi compagni di squadra.
-Yahoooo! Anvedi
come balla Nando!- gridò Elisabetta: era intenzionata a ripeterlo ad
ogni goal.
Anche Francesca, che dalla posizione sopraelevata in cui si
trovava aveva seguito l’azione, gioì.
Dopo cinque minuti si assistette alla prima azione fallosa:
un Battitore, avendo un Bolide a tiro e non sapendo a chi rivolgerlo
perché la Pluffa
era della sua squadra, pensò bene di tirarlo verso Piton, che qualche
anno prima gli aveva dato un “T” in pagella.
Dal canto suo, Piton era preoccupato di tutto fuorché
del Bolide indirizzato a lui: stava infatti tentando di instaurare un dialogo
completo (non solo a monosillabi) con la Chiodo.
Appena prima che il Bolide invadesse la curva, Elisabetta
(che lo stava seguendo da un pezzo) accelerò improvvisamente e
sterzò poco prima che colpisse Piton, spedendo via con un potente colpo
di mazza la pericolosa palla nera. Lo spostamento d’aria provocato dallo
sterzo della ragazza fece svolazzare gli orli dei cappotti di alcuni professori
e i capelli della Chiodo.
-Beh, prof., nella prossima verifica mi alzerà il
voto, spero!- disse Elisabetta rivolta a Piton facendo spallucce, e si
allontanò.
Madama Bumb, l’arbitro,
aveva fischiato per sospendere il gioco e scambiare due paroline in privato con
lo scapestrato Battitore. A lei si erano uniti Harry e l’allenatore
dell’altra squadra.
Dopo dieci minuti i quattro rientrarono in campo, ma Harry
scuoteva la testa. Finalmente Madama Bumb
annunciò: -Cinquanta punti in meno per i Dragoni!-
La decisione lasciò scontenti gran parte dei
presenti: la tifoseria delle Tigri invocava la squalifica a suon di fischi
(anche Corni stava fischiando rumorosamente), mentre quella dei Dragoni vedeva
annullarsi cinque dei sette goal segnati.
Le Tigri conducevano per cinquanta a venti e del Boccino
neanche l’ombra.
Degna di nota fu anche una parata di Ramona, che
riuscì a bloccare un tiro formidabile lanciato dal più bravo
Cacciatore dei Dragoni, in occasione della quale ricevette un sacco di
complimenti.
Maicol poi si sbizzarriva con i
Bolidi: era lui che li andava a cercare, per poi disturbare il Cercatore
avversario. Una volta uno per poco non lo disarcionò!
-Attento con quelli! Vengono anche se non li cerchi. –
gli gridò Elisabetta.
-Già!- rispose Maicol,
allontanandone uno che aveva sfiorato la testa della sua compagna Battitrice.
Valeria e Selene erano le specialiste nel rubare la palla
agli avversari, in quanto longilinee e rapide; quando se ne impossessavano, la
passavano a Manuel, che provvedeva a segnare.
Quando ormai la tifoseria iniziava ad avvertire una certa
sonnolenza, ci pensò Francesca a ridestare gli animi: -L’ ho visto, l’ ho visto!- gridò
eccitata, saltellando sulla scopa.
-Cretina, inseguilo! E non urlare
a tutti che l’ hai visto!- gli urlò dietro la sorella, ma non per
rimproverarla, quanto per spronarla.
Subito Francesca si lanciò all’attacco.
L’aveva visto esattamente sopra al cappello di Minerva McGranitt,
comodamente adagiato sulla punta che per l’occasione aveva appiattito con
il suo peso.
Si scagliò quindi verso di lei, seguita a ruota dal
Cercatore avversario.
Intanto Maicol era alla disperata
ricerca di un Bolide da scagliare contro “il gracilino”, come
chiamava il Cercatore avversario, davvero troppo alto e troppo magro, con la
faccia quasi triangolare e spruzzata di lentiggini.
Ma ad un certo punto iniziarono ad alzarsi diversi fischi e
urla, ma era piuttosto difficile capirci qualcosa. Ramona si chiese cosa mai
stesse succedendo e, dimenticando per un attimo il suo ruolo, si guardò
intorno e vide tre Bolidi, non due come di norma; uno per altro era indirizzato
verso Francesca.
Chiamò a tutta voce Maicol
ed Elisabetta, indicando con l’indice il terzo Bolide.
-Oh porca…- si lasciò sfuggire Maicol.
La scena era veramente grottesca: Maicol
ed Elisabetta all’inseguimento del Bolide, che a sua volta inseguiva i
Cercatori che tentavano di acchiappare il Boccino.
Quando ormai mancavano pochi metri al Boccino, e la folla
attorno alla McGranitt cercava di allontanarsi il più possibile (lei no
perché non voleva intralciare l’azione), Francesca “mise la
quinta”. Aveva ormai già teso la mano, sicura del risultato, che
il Bolide (che le arrivava in perpendicolare alla scopa) la colpì. Le
colpì di striscio una gamba, mandando in frantumi la parte posteriore
della sua scopa, ma ormai la ragazza aveva stretto tra le mani il Boccino,
assieme al cappello della McGranitt.
-C***o Francesca!- gridò Elisabetta, mentre la
sorella perdeva il controllo della scopa e andava ad urtare violentemente le
tribune riservate ai professori inglesi.
A quel punto le Tigri si strinsero attorno a Francesca,
mentre la sorella e Maicol stavano tentando di
sollevarla e trasportarla sul prato.
Arrivò trafelata anche Madama Bumb,
seguita da Harry.
Purtroppo si rese immediatamente conto che la ragazza era
svenuta.
-Svelti, svelti, andatemi a chiamare Aberforth
e Albus!-
Mentre Valeria si precipitava dei Presidi, Madama Bumb stese l’infortunata sul prato e si
accertò che respirasse.
-Non dovrebbe aver riportato ferite a livello cervicale o
lombare. Deve aver solo battuto la testa, stai tranquilla. – si
affrettò a rassicurare Elisabetta, che osservava la scena con gli occhi
gonfi di lacrime.
In breve arrivarono anche i fratelli Silente.
-Come facciamo? La teniamo in Infermeria qui da noi
oppure…- chiese smarrita la
Bumb.
-In che condizioni è? È in grado di essere
trasportata?- chiese Albus Silente.
-Sì, direi di sì. –
-Bene, allora organizziamo una Passaporta.
Leonardo, Severus!- gridò Aberforth, e gli
risposero con un cenno Piton e Corni, che a fatica si stavano facendo largo tra
la folla che accerchiava Francesca.
-Trasportatela in Infermeria non appena sarete arrivati.
Avete già una Passaporta?-
Piton annuì mostrando un orologio da polso.
-Bene, andate!-
-Ehi, aspettate, ci sono anch’io!- gridò
improvvisamente Elisabetta, ma per lei fu come sentire la voce di un altro
usare la sua bocca; non sapeva perché avesse parlato, quasi non sapeva
neanche quello che aveva detto.
-Per favore Elisabetta, ti prego di attendere. Raggiungerai
tua sorella con la prossima Passaporta. -
*
Il giorno dopo Elisabetta, dopo essersi alzata, andò
direttamente in Infermeria in pigiama.
Il giorno prima non aveva fatto in tempo e, anche volendo,
la signorina Ilenia non l’avrebbe fatta entrare. Aveva somministrato a
Francesca non si sa quale mistura benefica e per una nottata l’aveva
lasciata riposare.
L’orario era attorno alle sette, perciò in giro
c’era già qualche alunno (specialmente Corvonero) che le lanciava
strane occhiate, ma lei non vi fece caso più di tanto.
Incrociò anche Piton, e non in una delle sue giornate
migliori: -Serpini, dove pensi di andare a
quest’ora e mezza svestita?-
-Per sua informazione, il pigiama mi copre il 90% del corpo
in quanto fa freschino. Buona
giornata. – rispose secca Elisabetta senza neanche
guardarlo negli occhi e tirando avanti per la sua strada.
Svoltò un paio di corridoi e finalmente
arrivò.
Bussò e la porta si aprì perché non era
chiusa (era solo in fessura).
-Ciao Betty!- la salutò la
sorella.
-‘giorno!- disse Manuel.
-Razza di infame, brutta campana, stupida cretina! Io mi
sono fatta una notte in bianco in pena per te e tu stai da Dio?! E neanche mi
chiami? Vieni qua che ti busso!- gridò Elisabetta a occhi sgranati e si
scaraventò sulla sorella, sfregandole le nocche della mano destra sulla
testa.
-Piano, per l’amor del cielo! Parla, ma è
ancora convalescente!- ruggì la signorina Ilenia arrivando di corsa sul
“luogo del delitto” come un avvoltoio.
-Ehm… stavo solo scherzando… - borbottò
timidamente Elisabetta grattandosi la testa.
-Bene, allora posso andare dagli altri pazienti… - e
andò via.
Le due sorelle si guardarono in cagnesco, poi scoppiarono a
ridere.
-Mi hai fatto prendere un colpo!- le sussurrò
Elisabetta.
-Eh, non avevo voglia di morire…- rispose la sorella.
-Perché sapevi che non ti pagavo il funerale?-
-Ah…ah… spiritosa. Piuttosto, guarda cosa mi ha
portato Manuel!- e mostrò il Boccino d’Oro che aveva acciuffato il
giorno prima, che il ragazzo aveva conservato apposta per lei. Aveva
un’ala mezza rotta, e volava a fatica, alzandosi giusto di qualche
centimetro dalla mano di Francesca.
-Non l’avrai sgraffignato?!- chiese Elisabetta a
Manuel, che annuì –Bravissimo! Hai tutta la mia approvazione.
– si congratulò.
-Che pizza passare tutta la giornata qui dentro, preferirei
farmi tre ore di pozioni, piuttosto! Almeno voi vi andate a divertire, per
esempio prendendo in giro la
Parmigiani, vero Betty?-
-Beh, solo perché le ho tirato dietro qualche
accidente quando mi ha fatto mettere a posto tutti i nostri disegni non
significa che la stavo… okay, è tutto vero. -
-E poi voi vi siete goduti i festeggiamenti della partita,
invece io sono stata qui a imprecare contro la mia gamba per tutta la notte!-
-Ma che festeggiamenti! Eravamo tutti in pena per te!- si
intromise Manuel.
-Ah… a proposito, il salvataggio di Piton durante la
partita è stato magnifico!!-
-So che mi disprezzate, ma un voto in più in pagella
la valeva, quell’azione. –
-Ma che voto in più e voto in più! Più
di Eccellente cosa vuoi?- le chiese Manuel.
-E tu sei stato grande a segnare tutti quei goal!- si
congratulò Francesca rivolta al ragazzo.
-Ah sì, sì grazie, grazie!!-le rispose lui
imitando un comico di Zelig, un programma babbano
spassosissimo.
-Ragazzi, mi sa che dovete andare. Immagino che non abbiate
ancora fatto colazione…- disse la signorina Ilenia, che intanto era
rientrata.
-Già, togliamo le tende. – acconsentì
mansuetamente Manuel.
Lentamente e svogliatamente i due si alzarono e se ne
andarono, salutando la malatina.
La giornata riacquistò allora la sua monotonia:
vestirsi, preparare la borsa dei libri, fare colazione…
-Ehm, Manuel, di preciso come è finita la partita?-
chiese Elisabetta tra un sorso di latte e l’altro.
-… duecentoventi a centotrenta… ma dov’eri
mentre giocavamo?- le chiese lui, che per poco non si affogava con il suo
caffelatte.
-Uhm… via con la testa. –
*
Il giorno dopo Francesca ebbe il permesso di tornare nel suo
Dormitorio e di certo non se lo fece ripetere: l’Infermeria era un luogo
chiuso, inospitale e monotono e puzzava d’alcool.
Pensò bene di iniziare alla grande facendo qualche
scherzo.
Piano piano salì le scale
in punta di piedi e poté apprezzare gli effetti miracolosi del bibitone della signorina Ilenia. Quatta quatta
aprì la porta del Dormitorio dei Grifondoro e poi quello delle ragazze.
Lentamente si avvicinò al letto di sua sorella
(lentamente ma il pavimento aveva scricchiolato solo una ventina di
volte…) e le fece il classico “bu!”
da Carnevale, ma Elisabetta continuò beatamente a russare.
-Qua ci vogliono le maniere forti…- mugugnò
insoddisfatta del risultato, quindi tornò indietro rumorosamente e
aprì violentemente la porta facendola sbattere più volte attaccato
al muro e urlò:
-Sono tornaataa! C’è
nessuno in casaa?-
Come vigili suricati, le ragazze
alzarono il capo, guardarono male Francesca (con un solo occhio: l’altro
era ancora chiuso) che si ritrasse un poco indietro, e come mitragliatrici
presero i cuscini e glieli tirarono. La malcapitata riuscì a chiudere la
porta in tempo.
Dopo un paio di minuti rimise dentro la testa, ma non fece
in tempo ad aprir bocca che le arrivò un cuscino dritto dritto sulla faccia.
-E dai ragazze, fatemi entrare!- piagnucolò
Francesca.
-No, non c’è nessuno in casssa!-
le rispose una voce famigliare.
-Allora me ne vado, bel benvenuto!- rispose con tono
apparentemente d’offesa.
-E allora noi ti facciamo seguire dal segugio!- Valeria
mollò Ciro che, poverino, era stato rinchiuso nell’armadio
perché leccava i piedi a tutte e gironzolava durante la notte, il quale
si avventò sulla padroncina scodinzolando come un ultra sventola la
bandiera della sua squadra del cuore e la leccò sulla guancia.
Poi anche tutte la ragazze si avventarono su di lei per
dimostrarle il loro affetto, specialmente Elisabetta e Ramona.
Dopo un’abbondante e meravigliosa colazione
(soprattutto per Francesca che non era stata costretta a bere il bibitone) i Grifondoro si recarono senza troppa esitazione
nella serra n. 2 di Erbologia perché ormai
sapevano che tutte le lezioni si tenevano lì.
-Venite, forza!- li esortò la prof. con voce
squillante e accento modenese –Oggi vi farò
vedere le piante carnivore, su, mettetevi attorno a me. Rapidiiii!–
I ragazzi ubbidirono alle richieste dell’insegnante,
anche se qualcuno avrebbe preferito studiare qualcos’altro o, ancora
meglio, non studiare affatto.
Attorno alla prof. c’erano diversi vasi con alcune
piantine carnivore, ancora piuttosto piccole.
-Alooora, silensio!
Dunquee…-
La spiegazione era veramente noiosa, anche perché non
c’era traccia di magia.
Tutti i ragazzi erano intenti a prendere appunti o a
disegnare le piante, tanto che non fecero caso ad un
fruscio dietro le spalle della professoressa.
Improvvisamente una di loro iniziò a crescere a
dismisura, dopo non molto il vaso esplose e rivelò delle radici lunghe e
robuste, che consentivano addirittura alla creatura di camminare; la sua
“bocca” era veramente spaventosa, allungata a mo’ di sorriso
e contornata da denti affilati come rasoi. Iniziò a dibattersi e a cercare
di acchiappare chiunque le capitasse a tiro, ma la
maggior parte degli studenti era uscita dalla serra e qualcuno teneva ben
stretta la maniglia; dentro c’era rimasta solo la prof. assieme alle
sorelle e a Ramona.
-Scappate, scappate!- gridò la Tassi,
ma non si accorse che una radice della pianta cresciutella
le si era stretta attorno alla vita; se ne rese conto solo quando quella la
sollevò di peso da terra.
Oh, e adesso cosa facciamo? pensò
Francesca.
Blocchiamo il tempo? rispose
Elisabetta.
Dev’essere
l’ultima opzione. Fai valere
quell’Eccellente che hai in Incantesimi!
-Ehm… trovato! Accio
professoressa!- gridò Elisabetta sguainando la bacchetta, ma non
successe un granché… -Forza, datemi una
mano!- implorò la ragazza.
-Accio professoressa!- gridarono
le tre in coro e magicamente la Tassi sgusciò via dalla presa
della pianta e capitò addosso alle tre, facendole cadere.
-Via, via, presto!- incitò la prof.,
ma la pianta era alle loro calcagna e afferrò la caviglia di Ramona, che
si dibatté disperatamente.
A quel punto le sorelle si videro costrette a bloccare il
tempo, ma non appena l’ebbero fatto esitarono a muoversi,avendo udito un
discreto trambusto provenire dall’esterno.
In effetti uno dei
“sorveglianti” si stava facendo largo tra i ragazzi, ma Christina
aveva aperto la porta della serra e aveva incitato alcuni amici ad entrare non
appena Elijah si era accorto che qualcuno arrivava.
Con voce molto alta Rosa pronunciò
l’incantesimo “incendio” e la pianta carnivora prese
fuoco; intanto Manuel provvedeva a liberare Ramona
dalla sua presa.
-Wizardtime, ora puoi sbloccare il
tempo!- gridò qualcuno e il tempo
ripartì.
-Cos’è successo? Che ci fate voi qui dentro?- chiese fintamente stupita
Elisabetta.
-Oddio, cos’è che va a fuoco? Oh, le mie povere
piante!- pigolòla Tassi, fingendo un malore.
-Poche chiacchiere, vi ho viste: siete voi le Wizardtime!-
le accusò il “sorvegliante”. Era un uomo alto e snello,
stempiato, con i capelli corti e brizzolati. Aveva un lungo naso aquilino e le
labbra sottili; le sue dita portavano molti anelli grossi e vistosi.
Aveva limpidi occhi azzurri.
-Noi quattro? Ma è ridicolo!- rise la Tassi.
-No, lei no: solo le mocciose. –
-Ehi, mocciose a chi! Voglio il mio
avvocato!- ribatté Francesca.
-Cos’è successo?- chiese Silente, che era appena arrivato e parlava col
fiatone a causa della lunga corsa.
-Ho scovato le Wizardtime!-
annunciò fiero l’uomo.
Ci volle un po’ per calmare i suoi bollenti spiriti,
ma alla fine Silente riuscì a convincerlo a parlarne con tutti i docenti
interessati (quelli di Grifondoro); ordinò alla
classe di tornare nell’aula di Lettere assieme alla Tassi.
La giornata trascorse molto, troppo
lentamente per le sorelle, che erano desiderose di conoscere i risvolti della
vicenda, e allo stesso tempo si preoccupavano del fatto di non essere ancora
state chiamate. Già iniziavano a prefigurarsi gli scenari più
catastrofici, e alla fine dell’ottava e ultima ora si alzarono lentamente
dal banco, mentre i compagni letteralmente schizzarono fuori
dall’aula.
Svogliatamente misero i libri nello zaino e
quest’ultimo sulle spalle; stavano per andarsene quando
arrivò trafelata la
McGranitt, che fece loro cenno di seguirla. Aveva
l’aria sconvolta.
Le due si guardarono malinconicamente, quando Ramona si
schiarì la voce.
-Vieni anche tu. In fondo, ti abbiamo tirata in ballo.
– disse tristemente Elisabetta.
-Non è stata colpa vostra. – rispose
semplicemente Ramona.
Ormai la strada per la Sala Insegnanti la
conoscevano bene, quindi non tenerono molto
d’occhio l’insegnante: ognuna era assorta nei propri pensieri.
Quando arrivarono immaginavano già chi le stava
attendendo: Silente, Piton, Harry, la Parmigiani, la Tassi, Corni, la Venturelli,
Lorri e naturalmente la McGranitt.
Di quelli che avevano immaginato mancavano Lorri, la Parmigiani e Corni, ma in compenso
c’era la Melalavo.
-La situazione è molto grave,
ragazze. – sentenziò Silente.
-Lo sappiamo…-
-Quel tizio ha una particolare avversione per voi, e ora sa
che siete le Wizardtime. –
-Ma non può provarlo, vero
professore?- chiese speranzosa Francesca.
-Oh, ma lui non vuole provarlo. Gli basta saperlo. –
sibilò Piton, che si meritò una gomitata dalla
Chiodo che, con la voce tra l’indignato e il meravigliato, gli
sussurrò: - Per l’amor di Dio, Severus, così le spaventi!-
-Ma cos’ ha lui di diverso
dagli altri? Insomma, gli altri non ci vogliono… morte…
perché è così che ci vuole lui, giusto?- chiese perplessa
Elisabetta.
-Purtroppo non posso rispondere alle tue domande. Posso solo
fare delle supposizioni. – ammise stancamente Silente.
-Va bene… cioè, non va
bene… adesso cosa possiamo fare?- chiese Francesca.
-Andarvene, o restare e affrontarlo. – soffiò
Piton.
-Bene, è già qualcosa avere due chance… pro e contro. Dunque, se ce ne
andiamo da qui, dove staremo? Ed è
sicuro che quello là smetterà di perseguitarci?- chiese
Elisabetta.
-Purtroppo, niente è sicuro. –
-Uhm… restare? E che significa
affrontarlo?-
-Significa cercare di convincerlo che non siete voi le
Wizardtime. Sottolineerei che siete in svantaggio,
perché lui vi crede tre, mentre siete soltanto due. – rispose
Piton.
-Restiamo. – sentenziò improvvisamente
Francesca, al ché Ramona e la sorella si
voltarono di scatto.
-Insomma, una vita da profuga non è il massimo. E poi le paure vanno affrontate. – spiegò la
ragazza.
-Ah… ma non capite? Se
restate quello cercherà di uccidervi! Vuole le vostre
teste!- gli gridò Piton di rimando.
-E allora? Al posto nostro lei preferirebbe nascondersi per il resto della sua vita?-
ribatté Francesca.
-Se non esiste altra soluzione,
sì!- rispose lui con fermezza.
-Sa cosa le dico? Lei è un codardo. – concluse Elisabetta, e molti professori sobbalzarono.
-Come, prego?- chiese lui, cercando di mantenere la sua
solita impassibile calma.
-Ha capito benissimo: le ho dato
del codardo, o se preferisce del coniglio. Se uno aspetta
sempre che i guai glieli risolva qualcun altro, è un codardo. A
volte una mano può essere utile, ma innanzi tutto bisogna contare sulle
proprie forze. Con permesso. – concluse
Elisabetta, chiedendo alla Venturelli di spostarsi e
di lasciarla uscire, seguita da Francesca e Ramona.
-Gliele hai suonate, a quello
là!- le disse Ramona.
-Sì, ma tutto è partito dalla mia mitica
sorella!- concluse lei, dandole un cinque.
-Ma tu guarda, quello scemo di Piton ci vuole mandare via di
qui, ma che ci vada lui! Così la pianta di
rompere i c****oni!- esclamò arrabbiata Francesca, imprecando contro il
professore.
-Ma non vi sembra strano?- chiese
Ramona.
-No: io trovo che sia sempre il
vecchio e acido Piton!- rispose, sbuffando, Elisabetta.
-No, io intendevo tutte queste coincidenze… prima ci
troviamo davanti un Centauro che sembra avercela con noi; poi, misteriosamente,
durante la partita spunta un Bolide dal nulla e si mette a
inseguire Francesca e per poco non le fa la pelle, infine una pianta carnivora
inizia a crescere e ci vuole azzannare…- spiegò Ramona.
-Con la Tassi
come contorno!- aggiunse ironicamente Elisabetta.
-Già, hai proprio ragione… Adesso che ci penso,
penso che quella pianta volesse azzannare proprio noi
e invece ha preso la Tassi
che le era vicina… Ma perché tutto questo?- si chiese Francesca.
Intanto le ragazze si stavano avviando verso il primo bagno
sul loro cammino, per darsi una rinfrescata; dopo poco ne raggiunsero uno ed
entrarono senza tante cerimonie parlottando tra di
loro; purtroppo per loro era già occupato… da una coppia in
”fase creativa”: la
Parmigiani e Corni si stavano sbaciucchiando. Quando i due si accorsero della loro presenza…
-Ehm, scusate… abbiamo interrotto qualcosa? No, ma
certo, è chiaro, noi… ehm… stavamo per andarcene, vero ragazze?- disse impacciatamene Elisabetta, e le
compagne annuirono e tutte assieme tentarono di uscire, ma Corni fece un
incantesimo per riportarle esattamente davanti a lui, prendendole per la
maglietta.
-Oh, perché ci capitano
tutte a noi?- mugugnò Ramona, mettendosi le mani fra i capelli.
-Che cosa ci fate qui?- chiese la Parmigiani,
appellandosi a tutto il suo autocontrollo.
-Ehm… questo è un bagno, giusto? Volevamo fare
le cose che normalmente si fanno in un bagno. Adesso
che ci penso, dovrei giusto assentarmi un attimo…- Francescasi chiuse a
chiave in un bagno.
-Naturalmente, non ci sfiora neanche il pensiero che voi tre
potreste andare a dire in giro quello che avete visto, giusto ragazze?- azzardò Corni, per rompere quell’imbarazzante
silenzio che era sceso.
Intanto Francesca aveva tirato lo sciacquone e stava uscendo
dal bagno.
-Certo ma… adesso non vi sembra il caso di u…scire?- chiese Ramona
rivolta alle amiche.
-Uh? Sì, giusto, io devo andare ad esercitarmi su
quel pezzo a tre mani che non mi viene neanche a
morire, sa, io ci tengo al mio voto in Musica…- si scusò
Francesca.
-Tu non hai tre mani…- le
ricordò Corni.
-Sì ma… ho due mani e un piede! Questa è
musica contemporanea, non si ricorda: me l’ ha dato lei il pezzo…-
Ed il prof. si mise a ridere non
sapendo più come ribattere.
-Sì giusto, ho un impegno anch’ io… devo
finire un disegno…- aggiunse Elisabetta.
-Un disegno? Ma io non vi ho dato dei disegni di
compito…- le fece notare la Parmigiani.
-Sì… beh, lo sto facendo per mio conto…
mi piace disegnare…-
-Oh, dai Roberta, lasciamole
andare, ma ricordate…- e mimò il gesto di zittirle -…o se
no…- e mimò il gesto di picchiarle.
Un -Addirittura!- scappò a
Francesca, così le tre se la diedero a gambe.
*
Quando finalmente arrivarono al loro Dormitorio, la Sala Comune era
occupata da tutti i loro compagni, senza nessuna eccezione;
sembrava che stessero aspettando proprio loro tre.
-Oggi vi abbiamo coperte, però adesso vogliamo una
confessione. – esordì Christina.
-Come?!- gemette preoccupata
Elisabetta: avevano per caso intuito?
-Andiamo, ditelo: siete voi le Wizardtime!- chiese Ilir, ma
la sua suonava più come un’affermazione.
-Oh, vi prego: non andatelo a dire
a nessuno!- implorò Francesca.
-Questo è un sì?- si volle
accertare Rosa.
-Esatto. Ma siamo solo io e mia sorella, Ramona non c’entra. – affermò convinta Elisabetta.
Sinceramente, le due ragazze si sarebbero aspettate scene
del tipo musi lunghi, occhiatacce e grugniti, ma non accadde nulla di tutto
ciò, anzi: furono praticamente portate in
trionfo.
-Ma i vostri genitori? Voglio dire:
vi lasceranno frequentare noi due?- chiese preoccupata Francesca, che porse la
domanda come un quesito generale, anche se la sua vera preoccupazione era la
risposta di Manuel.
-Oh, i miei non hanno la più pallida idea di cosa sia
un Wizardtime!- fu la risposta che diedero alcuni,
compreso il ragazzo.
Altri affermarono piuttosto orgogliosamente che più
di vent’anni fa i loro genitori avevano preso parte a numerose
manifestazioni per i diritti dei Wizardtime.
Così si scoprì che circa venti
anni prima, quando i governi di vari Paesi (tra cui Stati Uniti, Gran
Bretagna e Spagna) avevano legalizzato la caccia ai Wizardtime, in molti altri,
tra cui l’Italia, si erano organizzate numerose manifestazioni per la
sospensione di quelle leggi.
Anche se in alcuni Stati quelle leggi non erano state
approvate, erano rimasti in sospeso alcuni delitti di
Wizardtime perpetrati in essi; la polizia aveva finito con l’archiviare i
casi. L’opinione pubblica si era allora fatta l’idea che fossero stati raggiunti accordi segreti fra quegli Stati e
gli altri in cui le leggi erano state applicate e che fossero stati inviati da
questi ultimi delle spie e dei mercenari.
-Cavolo, non sapevo che i nostri genitori avessero creato
tutto quel casino…- commentò Francesca.
-Poi, vent’anni fa furono eliminati tutti. O almeno, così si era sempre creduto, fino ad oggi.
– concluse Rosa.
-Dunque, ricapitoliamo un attimo… i nostri genitori
sono stati uccisi perché si temeva che si alleassero col Signore Oscuro, ma adesso se ne è andato, giusto?-
azzardò Elisabetta.
-Sì, se n’è andato.
–
-E allora perché continuano
a darci la caccia?- chiese Elisabetta, che si stava scaldando.
-Non ne ho idea. Ma un fatto
è certo: hanno paura di voi. – rispose Rosa.
-Paura? Chi?! E perché?!- la
aggredì Francesca.
-Non lo so, non lo so…- piagnucolò la ragazza
–… forse il governo… i servizi segreti… avete idea di cosa vogliano fare con voi, nel malaugurato
caso vi prendessero?-
-No, cosa?- chiesero in coro le sorelle.
-Degli esperimenti. Vogliono capire perché voi potete
bloccare il tempo quando nessun altro è in
grado di farlo. Vi credono… diversi…-
-Razzisti. – concluse Elijah.
*
A cena il clima al tavolo dei Grifondoro non era dei migliori.
Elisabetta e Francesca soprattutto facevano
fatica a parlare e a mangiare.
Mentre mescolava per la
trecentesima volta il suo purè ormai freddo, Francesca pensò che
sarebbe senz’altro stato meglio se Rosa non le avesse detto degli
esperimenti; ormai era convinta che ovunque sarebbe andata non si sarebbe mai
sentita sicura e a suo agio, un po’ come quando si è appena visto
un film horror e si è rimasti impressionati. E il peggio era che non
potesse neanche dire a se stessa che era pura fantascienza, che non la
riguardava, che era una cosa sovrannaturale: lei faceva parte del sovrannaturale.
Vedendola in quello stato, Ramona consigliò a Manuel
di distrarla un po’. Sentendosi onorato dall’incarico, il ragazzo
si adoperò al meglio per soddisfare la richiesta di Ramona; si
alzò all’improvviso, senza neanche aspettare che tutti avessero
finito di cenare, e sussurrò a Francesca:
-Ti devo parlare, alzati un attimo. –
La ragazza, visibilmente disorientata, si alzò senza
obiettare e riuscì soltanto a mugugnare uno striminzito “Ci
vediamo su al Dormitorio” alla sorella.
Manuel la prese per mano per essere
sicuro di essere seguito e la portò lontano da occhi e orecchie indiscrete.
-Senti… perché non andiamo su nell’aula di Astrologia… da lassù il panorama è
bellissimo…- azzardò il ragazzo, arrossendo.
-Uh? Il panorama? Ma non è buio?- obiettò
senza tanto crederci Francesca, che non si era accorta
del rossore del ragazzo.
-Sì, beh… intendevo le
stelle…- si corresse lui.
-Va bene. – rispose lei, e iniziarono ad incamminarsi.
Intanto Elisabetta era ancora seduta al tavolo. Fisicamente
stava sbucciando una mela, ma mentalmente cercava di immaginarsi le piazze
gremite di persone con striscioni colorati con scritto: -Libertà ai
Wizardtime!-, per poi dirsi che così non
avrebbe potuto essere, perché c’era il rischio di essere scoperti
dai Babbani.
Ramona avrebbe voluto poter fare qualcosa anche per lei, ma
per sua fortuna ci pensò la Chiodo.
Era da un po’ che stava osservando le sorelle, e aveva
notato il loro pessimo stato d’animo; non poteva certo immaginare che
Rosa avesse detto loro quel che aveva detto, però poteva immaginare
facilmente che c’entrassero i fatti accaduti durante la giornata;
così decise di dire qualcosa ad Harry.
-Harry, vedi com’è
abbacchiata Elisabetta? Perché non le vai a
dire qualcosa? Sono sicura che gradirà molto la presenza di un bel
ragazzo come te!-sussurrò all’orecchio del ragazzo.
-Io? Cosa c’entro io?- chiese
lui arrossendo.
-Vieni un attimo nel mio ufficio, ti devo
dire una cosa. – disse allora la donna.
Senza dar troppo nell’occhio, i due si allontanarono.
-Vedi Harry, forse tu non ci hai fatto
caso, ma quando hai lezione con i Grifondoro, ho potuto notare che
Elisabetta cura maggiormente il suo look. Quando per esempio ha Matematica non
si dà il lucidalabbra, o non si mette le
magliette attillate… mi capisci, vero?- osservò la Chiodo mentre si stavano
avviando verso il suo ufficio.
-E questo cosa significa?- chiese
istintivamente e ingenuamente il ragazzo, che già conosceva in parte la
risposta, ma si sarebbe sentito più sicuro se qualcun altro
gliel’avesse confermato.
-Beh… che forse gli piaci…-
sussurrò la donna.
-Ne è sicura?- chiese Harry, fermandosi in mezzo al
corridoio e fissando i giochi di ombre che la luce
soffusa delle candele creava sul volto della sua interlocutrice.
-Io posso solo dirti quello che ho potuto constatare…
ma essendo una donna, posso dirti che se lei si comporta così
devi per forza interessarla. –
Senza pensarci due volte, il ragazzo fece dietrofront e
iniziò a correre verso la Sala Grande.
La Chiodo
invece tirò dritto per il suo ufficio,
soddisfatta dell’opera.
Le piaccio, le piaccio! continuava a ripetersi Harry mentre correva.
Lei è così…
così…maschiaccio, ma allo stesso tempo femminile. E poi è autentica. Non guarda le
apparenze, lei va oltre. E io le piaccio, ne ho la certezza si disse
il ragazzo, ma quando iniziò a intravedere la
porta della Sala Grande si arrestò.
E adesso cosa le dico?
Tormentato dall’indecisione, non si accorse che
Elisabetta stava uscendo.
Quando finalmente ebbe deciso, come per paura che gli
sfuggisse l’idea, si diresse con passo deciso
verso l’entrata con lo sguardo a terra e si scontrò con la ragazza,
che stava guardando anche lei per terra.
-Oh, scusa. – mormorò lei.
-Scusa. – rispose lui, dandosi del cretino -Non è che verresti a… ehm… mangiare un paio
di Cioccorane con me nel mio ufficio, vero?- disse tutto d’un fiato.
-Cioccorane? Non le ho mai
assaggiate, ma dicono che siano buone.
D’accordo, mi hai convinta, tanto mia sorella
è a spasso…- rispose Elisabetta, sorpresa dell’invito.
Harry si chiese cos’è che non funzionasse nel
suo cervello: perché mai l’aveva invitata con la patetica scusa
delle Cioccorane quando aveva di meglio da proporle? Però l’importante era che lei avesse accettato.
Col cuore leggero si diresse verso il suo ufficio, come se a
sospingerlo ci fosse una lieve brezza colma di profumi esotici.
Il suo ufficio (Elisabetta non vi aveva mai fatto caso) era di fianco a quello della Chiodo, al terzo
piano. Quando mise la mano sul pomello, la porta iniziò a cantare un
vecchio pezzo rock degli anni ’80 e quando la richiuse,
quella disse: -Buona serata, giovanotto!- con voce da ubriaco.
-Non ti ha chiesto la parola
d’ordine…- osservò Elisabetta.
-Ah… è per quello che ce
l’ ho io. Nessuno la voleva: si lamentavano che fosse un po’ troppo “su di giri” e inaffidabile,
così hanno pensato a me…- raccontò Harry.
La prima cosa che colpiva chi fosse entrato in
quell’ufficio sarebbe stata la sensazione di vuoto; in effetti, era
grande per un ragazzo… al centro c’era un massiccio tavolo di legno
con quattro sedie; alla sua destra stava una specie di credenza in cui però erano stipati dei libri e degli oggetti che
comunemente non si troverebbero in una credenza, e così pure alla sua
sinistra. Appena entravi, se non stavi attento potevi sbattere contro un
divano-letto alla tua destra e a un armadio alla tua
sinistra.
Elisabetta notò anche una porta a soffietto di fianco
alla piccola credenza a sinistra del tavolo, che Harry le disse condurre ad una
piccola cucina.
In quel momento la ragazza si trovava di fronte
all’unica finestra presente nella stanza, e dietro di lei c’era il
tavolo; appeso alla maniglia della finestra c’era uno specchio, e la
ragazza ne approfittò per constatare in che
condizioni era e per mettersi a posto i capelli.
Quando ebbe finito di sistemarsi,
ricordò a Harry delle Cioccorane.
-Oh…sì, giusto. – balbettò lui
imbarazzato e aprì i vetri della credenza più piccola, al cui
interno c’erano diverse pile di piatti e alcune scodelle da gelato;
c’erano diverse confezioni di Cioccorane sparse, lui ne prese quattro e
le buttò sul tavolo. Quando si sedette, la sua
ospite fece lo stesso, e lui si rimproverò di non averla invitata subito
a sedersi.
-Tieni. – le disse, porgendole una scatola blu. La
ragazza la aprì come se stesse aprendo una trousse e rimase un po’
sorpresa di vedere un rana viva e vegeta, color
cioccolato, che ricambiava il suo sguardo interrogativo.
-Non devi preoccuparti, non è
viva. Si muove grazie ad un semplice incantesimo. Sbrigati a mangiarla, se no scappa!- la incoraggiò Harry, ma troppo tardi: la
rana saltò sul tavolo e da qui sul pavimento e iniziò a
“correre” per nascondersi sotto al letto.
Subito i due ragazzi si misero a gattoni
per cercare di acchiapparla, ma sbatterono la testa un attimo prima di
prenderla.
-Ahi…anche la mia prima Cioccorana
ha più o meno fatto la stessa fine: si è
buttata giù dal finestrino dell’Espresso di Hogwarts. –
E così i due finirono per parlare di
alcune cose riguardanti la vita di Harry, sempre mentre cercavano di
stanare la rana. Ad un certo punto il ragazzo andò in cucina a prendere
una scopa e la infilò violentemente sotto il letto, al che la rana
sgusciò fuori e si appiccicò al viso del ragazzo, poco distante
dal suolo. Elisabetta iniziò allora a ridere come una matta, battendo
più volte il pugno sul tavolo.
Alla fine gli sforzi di Harry vennero
premiati: il ragazzo riuscì infatti a staccarsi la rana dalla faccia e a
tenerla ben stretta nella mano destra.
-Non ti dispiacerà vero se questa me la mangio io? Sai, ho un conto in
sospeso con lei!- disse guardando la rana.
-No, no, fai pure!- rispose Elisabetta, che guardò
Harry mettersi in bocca la testa della Cioccorana e
strapparla dal corpo -Ma… che cosa c’è lì dentro?-
gli chiese rabbrividendo.
-Oh, non ti devi preoccupare. Dentro c’è della
cioccolata fusa. –
E così passarono un
po’ di tempo scartando le Cioccorane e scambiandosi le figurine.
*
Intanto Francesca e Manuel erano saliti all’ultimo
piano, nell’aula di Astronomia.
-Brrr… che freddo…- Francesca rabbrividì. In
effetti, era una fredda serata di fine febbraio, e l’ultimo piano era
congelato.
L’aula di Astronomia era
veramente da togliere il fiato. Era enorme, sferica, con al
centro una riproduzione molto grande dell’Universo; sparsi qua e
là c’erano i vari pianeti e i loro satelliti, appese alle pareti
la lavagna e diverse carte con le mappe di varie costellazioni.
L’unica finestra presente nella stanza era quella a
cui si affacciava un gigantesco telescopio.
-Forza, vieni!- la invitò
Manuel, indicando l’oggetto.
Strizzò l’occhio sinistro e
l’appoggiò ad un’estremità del cannocchiale, poi
iniziò ad armeggiare con esso per cercare la posizione
corretta.
-La vista è fantastica… l’ideale per fare
un concerto di hard rock o punk, oppure tutti e due!-
esclamò il ragazzo, che era un appassionato di quei generi di musica,
suscitando il riso di Francesca.
Si divertirono un mondo a cercare di individuare tutte le
costellazioni, anche se su alcune avevano pareri differenti.
-C’è qualcosa che ti
preoccupa? Sei troppo silenziosa… okay, passare una serata con me non
è il massimo, però… cerca di darmi almeno una chance, o
perderò la mia fama di intrattenitore!- le
disse Manuel, dopo un momento in cui la sua compagna si era incantata.
-No, non sei tu… anzi… non desidererei un
accompagnatore migliore…- rispose la ragazza arrossendo
–Ma, sai, dopo tutto quello che mi ha detto Rosa sui Wizardtime e quello che è successo stamattina…
non mi sento molto allegra… E’ come se io fossi un alieno, qualcosa
di diverso da tutti gli altri ragazzi. -
-Beh, chiunque si sentirebbe diverso se la sua storia fosse
un tale casino… sai, anche la mia è un po’
ingarbugliata… i miei stanno divorziando a causa di continui litigi, mia mamma piange perché papà è sempre
via e quelle poche volte che lui c’è finisce che litigano…
Praticamente vivo con mio fratello. È più grande di me, si
è già sposato e ha un figlio, si chiama Federico…
poco incasinata, eh?-
-Che stupida che sono… adesso che me lo hai detto mi
sento in colpa e anche egoista, non sono l’unica che ha dei problemi e
invece di essere felice perché passo una serata
in piacevole compagnia penso solo a me…-
-Non pensarci…- la zittì Manuel abbracciandola,
ma l’idillio durò meno di un nano secondo perché
entrò… chi? Silente!
-Oh, scusate l’intrusione ragazzi… ero venuto a dare un’occhiata alle stelle, sapete: a
volte sono meglio di una palla di cristallo e aiutano a risolvere molti
problemi interiori…- si scusò l’uomo guardando attentamente
Francesca, la quale abbassò gli occhi.
Manuel si avvicinò a Silente e gli bisbigliò:
-Prof., i fatti suoi mai?- sorridendogli e dandogli
una gomitata.
-Eh, sì: è un difetto che mi riconoscono in
molti. - rispose il professore con un sorrisino prima
di chiudersi la porta alle spalle.
Così i due ragazzi decisero di tornare al Dormitorio.
-Grazie per la bella serata e scusa se ti ho
rotto con le mie storie. -
-Qua l’unico che si dovrebbe scusare per aver rotto è Silente… comunque buonanotte. –
Ma torniamo ad Elisabetta….
Finalmente i due ragazzi erano riusciti ad acciuffare anche
l’ultima rana, che proprio non ne voleva sapere di finire decapitata, e
se la stavano gustando.
-Certo che… metterne un paio nell’ufficio di
Piton… sarebbe forte…- borbottò
Elisabetta masticando.
-Già, sarebbe il sogno di una vita… se questo
ti facesse sorridere, si potrebbe fare!-
-Ma ho riso tutta la serata come
una matta! Però, se tu sapessi come fare…-
-Beh… il suo ufficio è quattro piani sotto il
mio… basterebbe calarsi giù con una fune e… fatto il
misfatto…-
-Quando ti ci metti sei un genio! Ma se lui è dentro?-
-Ho l’arma segreta!- proclamò
trionfalmente e aprì un baule chiuso nell’armadio; tirò
fuori uno stupendo mantello, se lo mise e…
-Caspita! Alla faccia dell’arma segreta!-
squittì Elisabetta girando attorno al luogo in cui un momento prima
c’era Harry, che le spiegò che quello che aveva visto era il
Mantello dell’Invisibilità regalatogli suo padre. Detto fatto,
prese una manciata di Cioccorane e una fune,chelegò a una torretta del
castello dopo essere uscito dalla finestra. Elisabetta pensava di godersi la malandrinata dalla finestra, e invece Harry le chiese di
seguirla; inizialmente un po’ titubante, alla fine si lasciò
andare e si aggrappò alla corda. La prima cosa che pensò fu che
fuori c’era molto freddo, ma poi le venne caldo per lo sforzo di tenersi
aggrappata. Scesero lentamente e quando improvvisamente Harry si fermò,
la ragazza riuscì a malapena a fare lo stesso.
-Ci siamo! E’ qui!- disse Harry e fu felice nel
constatare che il vecchio Piton aveva lasciato la finestra in fessura,
così iniziò a scartare le Cioccorane e a
introdurle all’interno.
-Via via!- bisbigliò e più veloci che poterono
tornarono nell’ufficio del ragazzo.
Per un po’ non si sentì alcun
rumore, poi improvvisamente ci fu uno starnuto, poi un altro, e un altro
ancora… e così per un altro bel pezzo.
-Vuoi vedere che è allergico alle rane?!- si chiese Elisabetta.
-No, ci smanetta sempre per preparare i suoi veleni…
secondo me è allergico alla cioccolata,
inacidito com’è!- rispose Harry e si misero a ridere come matti.
-Secondo me è meglio che te
ne vai: chissà quanto chiasso che ne verrà fuori. Ti presto il mantello, così nessuno ti vedrà.
–
E così Elisabetta
scivolò via silenziosamente, anche se aveva un’irrefrenabile
voglia di ridere.
Quando giunse al Dormitorio avrebbe
voluto raccontare tutto alla sorella, ma la trovò già coricata e
profondamente addormentata.
-Glielo racconterò domani. – si disse,
infilandosi il pigiama e notando che Francesca era ancora completamente
vestita.
Il giorno dopo Elisabetta si svegliò con vicino il
suo gatto Fuliggine che faceva le fusa contento per il
calore e notò che sua sorella era ancora addormentata, ma decise di non
svegliarla, anche se era impaziente di raccontarle la serata trascorsa (e
soprattutto lo scherzo combinato al “vecchio Piton”), e di sentire
il resoconto della sua con Manuel.
Alla fine non resistette alla tentazione e svegliò
sia lei che Ramona.
-Mhh…- mugugnò
Francesca con aria sognante girandosi e abbracciando il cuscino come se stesse abbracciando una persona.
-Sveglia!- riprovò, ma con lo stesso successo. Allora
aprì l’armadio, prese Ciro, lo
trasportò di peso fino al letto della sorella e… glielo
buttò sopra!
-Puah! Che
schifo, Ciro!- si lamentò Francesca.
-Shhh!- la zittì
Elisabetta.
-Ma allora sei stata tu,
brutta…!-
-Zitta! Aiutami a svegliare Ramona!-
Adoperarono la stessa medicina anche con Ramona, solo usando
Fuliggine.
Quando furono tutte ben sveglie,
Elisabetta fece loro cenno di seguirle nel bagno e chiuse la porta molto
attenta a non fare il minimo rumore.
-Anche tu però, sparire
così, senza dire niente!- la canzonò Ramona.
-Stai tranqui,
posso spiegarti tutto…-
E così finirono per
raccontarsi le rispettive serate, le sorelle scusandosi con Ramona per averla
lasciata sola.
-Non vi preoccupate, avevate bisogno di tirarvi su il
morale, e direi che ci siete riuscite…-
sogghignò lei.
Poi Elisabetta mostrò loro il
Mantello dell’Invisibilità, e a turno se lo provarono
tutte.
Alla fine si fecero le sette e un quarto e le tre non
avevano certo voglia di tornare a dormire, così in punta di piedi si
prepararono per la colazione e scesero prima delle altre.
La Sala
Grande era quasi deserta, a parte i professori e qualche
Corvonero.
-Beh, così non faticheremo a
trovare posto!- commentò Ramona.
Si sedettero e fecero un’abbondante colazione, ma era
presto lo stesso, così decisero di rimanere lì ad aspettare i
compagni.
Dopo non molto arrivò la Chiodo
che, salutate le ragazze, decise di intrattenersi un poco con loro.
-Allora, come va? State meglio di ieri?- chiese.
-Molto. –
-Però non dovreste avere
quegli sbalzi d’umore, altrimenti convincerete quell’uomo che siete
proprio voi, mentre il vostro compito è fare esattamente
l’opposto. – disse amorevolmente.
-Sì, ma come si fa, con Rosa che ci dice cosa accidenti vuole fare il governo con le nostre
carcasse…- rispose burbera Elisabetta.
-Come? È stata Rosa a parlarvene?- chiese
stupitala Chiodo.
-Sì…quell’impicciona… preferivo non
saperlo. – commentò Francesca, sprofondando nuovamente nelle sue
ansie e paure.
-Questa volta un po’ di colpa l’avete anche
voi…-
-Come?!-
-Che fine ha fatto il libro che vi
avevo prestato?-
-Il… libro?! Oh… okay,
ho recepito il messaggio. – ammise Francesca.
-Il… oh sì, adesso ricordo! Quel giorno che ce l’aveva prestato, nessuna delle due voleva
leggerlo… alla fine, Francesca aveva iniziato, poi era dovuta andare a
fare i compiti e mi aveva detto di nasconderlo… ops…-
-Beh, però, dovevamo scoprirlo ugualmente, no?
È uguale leggere un libro e ascoltare Rosa: stessa monotonia…-
-Dovete stare più attente, ragazze. – e detto
ciò, la professoressa se ne andò.
-Dovete stare più attente ragazze!- le fece il verso
Elisabetta, che si sentiva colpevole –La prossima volta diccelo tu, come
stanno le cose …-
Era uno sfogo, ma più che altro
Elisabetta lo faceva per discolparsi agli occhi delle amiche e
perché… beh, era un po’ permalosa.
-Già riprese di prima mattina, eh?-
gridò loro Lucifero del tavolo dei Serpeverde.
-Oh, stai zitta Lucy! Fammi ‘sto favore, nasconditi
nella tua carrozzina e smettila di rompere. –
Chi sentì si mise a ridere a crepapelle, e
così il ragazzo fu costretto a stare zitto e a
incassare il colpo.
-Ah, ma bella! Lucy! Ma bella lì!-
-Già, gli sta proprio bene. Da oggi, quando ci rompe,
lo chiameremo Lucy!- stabilì Ramona.
*
Durante un’ora della McGranitt, si presentò
Silente. Discusse un po’ con la donna e le diede un foglio, poi se ne andò.
-Ragazzi…- tuonò la professoressa alzandosi
-…ho una comunicazione per voi. Aprite bene le
orecchie, è molto importante. –
Il messaggio impediva da quel momento in poi di spedire
qualsiasi tipo di posta, ci sarebbero stati dei controlli per scovare eventuali
trasgressori.
-A voi posso anche dire il perché, ma mi raccomando
la massima discrezione. Ciò è stato fatto per impedire che la
notizia che nella scuola si trovano dei Wizardtimevenga propagata. –
-Ma…- Ilir era perplesso
–…qualcuno avrebbe potuto farlo già da tempo…-
osservò.
-Per questo non c’è da preoccuparsi, noi…
noi abbiamo controllato tutta la posta, e vi prego di
perdonarci, ma ne andava della vita di d… di alcune persone…-
I ragazzi si guardarono tra loro, alcuni visibilmente
indignati, altri quasi menefreghisti.
-Figurarsi se io sprecavo un foglio di pergamena per dire ai
miei che qui ci sono deiWizardtime!
Loro manco sanno cosa sono…- sdrammatizzò
Manuel.
-Per favore, non dite in giro una parola
di quello che sapete riguardante questa storia. Meno i vostri compagni sapranno, più i Wizardtime saranno
al sicuro. –
*
La ricreazione dopo quell’ora fu di
gran lunga la peggiore che i Grifondoro avessero mai trascorso.
La notizia dell’”attentato alla
Tassi” aveva fatto il giro della scuola inspiegabilmente, e ora i
Grifondoro venivano visti con occhio diffidente da molti alunni delle altre
Case.
Al loro solito punto di ritrovo (vicino al bagno delle
femmine) c’erano alcuni Serpeverde e alcuni
Corvonero che discutevano animatamente.
-Non è giusto: per colpa di quei Wizardtime
non posso più scrivere a mia madre per chiederle altre Api Frizzole!- ai stava lamentando un
ragazzo.
Ma bene… aveva detto la Mc?Che
gli altri non dovevano scoprire che il tutto lo facevano
per coprire noi? Vedo che ce l’ hanno fatta! pensò Elisabetta.
Avrà detto così per dire,
frasi di circostanza: vuoi che siano tutti così scemi da non capirlo?rispose Francesca convinta.
Per non passare accanto al gruppetto, Elisabetta
suggerì di sostare in bagno; anche lì però trovarono
compagnia: due Tassorosso e una Corvonero.
-Siamo tre pericolosissime Grifondoro assassine, prego
sgomberare, altrimenti vi troverete un occhio solo!- disse
Francesca mettendo le mani a mo’ di megafono.
-Noi non abbiamo niente contro voi
Grifondoro. I Tassorosso sono dalla vostra parte. – le rispose una
ragazza alta e longilinea, con i capelli castani lisci che le ondeggiavano
sulle spalle.
-Toh! Una buona notizia ogni tanto. Ma
veramente voi Tassorosso siete dalla nostra?- chiese Ramona.
-Certo! Molti dei nostri genitori si sono impegnati nelle
manifestazioni a favore dei diritti dei Wizardtime! E, francamente, a me piacerebbe avere quei poteri…-
disse l’altra ragazza, un po’ più alta e con i capelli
castani più corti della compagna e mossi, non proprio ricci.
Osservandola bene, Ramona riconobbe Giada.
-Te ne pentiresti subito…-
iniziò Francesca, ma la sorella le tirò una gomitata
-…voglio dire: hai visto quanto casino che stanno facendo? A me non piacerebbe essere nell’occhio del ciclone…- si corresse.
-Ma voi… sapete chi sono?-
chiese timidamente l’unica Corvonero, una ragazza bassa e snella con i
capelli corvini lunghi fino al fondoschiena.
-No perché… la sapete
la storia della Tassi?- le due Tassorosso annuirono -… c’eravamo
noi dentro la serra, assieme alla prof., però ci siamo bloccate, quindi
non possiamo essere noi, comunque qualcuno ha aperto la porta… e quando
tutti erano dentro ci siamo sbloccate. - mentì Elisabetta.
-Ma è strano perché ho sentito dire che i Wizardtime meno esperti
sanno bloccare solo spazi chiusi… e la porta era aperta…-
osservò sempre la
Corvonero.
-Può darsi che prima di uscire abbiano
bloccato il tempo e poi abbiano chiuso a porta… non ne ho
idea…- concluse Elisabetta spazientita e per sua fortuna suonò la
campanella.
-Se vi va, domani noi siamo di
nuovo qui. Comunque io mi chiamo Sara, e lei Giada.
–
-Sì, ci conosciamo già. -
-Io invece mi chiamo Emma. A
presto!- le salutarono le tre ragazze, e presero due strade diverse.
-Credete che se la siano bevuta?-
chiese Elisabetta.
-Mah? Secondo me sì…
sei stata molto convincente, anche se potevi evitare di dire che
c’eravamo noi là dentro…-
-Ma figurati se non lo
sapevano… non appena scoprivano il nostro nome…- si
giustificò Elisabetta.
Era rimasta sorpresa della facilità con cui aveva
mentito… non che non lo sapesse fare, quante volte lei e la sorella
avevano raccontato delle balle… però non
ne aveva mai raccontate di così grosse e ad una loro compagna.
Ma in fondo neanche le
conoscevo. Dovrò pensare anche a confonderla, questa gente, se no mi
ritrovo la camera assediata di paparazzi!si disse
infine, quando ormai era già seduta sul suo banco.
Quel pomeriggio, dopo le ore di lezione, i Grifondoro
implorarono Harry (l’ultimo ad aver tenuto lezione) di portarli al campo,
e il ragazzo si vide costretto ad accettare, ma quando vi giunsero lo trovarono
occupato da Serpeverde e Tassorosso, che si stavano sfidando, e i Corvonero che
facevano il tifo.
Harry, per non scontentare i suoi ragazzi, chiese ai
Corvonero se dopo avessero voluto fare una partita con
loro, ma i ragazzi manifestarono un forte malcontento perché sostenevano
di non volere giocare contro chi aveva la possibilità di fermare il
gioco a suo piacimento.
-Oh, andiamo, se anche si bloccasse
il tempo, credete che non ve ne accorgereste? Insomma, non possiamo certo
rubarvi la palla senza che voi ve ne accorgiate!-
Ma i ragazzi erano irremovibili, e
a nulla valse l’insistenza di Corni, che li accompagnava.
-Mi viene il mal di pancia! Provate a
immaginarvi di essere al posto nostro: come vi sentireste?- disse Elisabetta,
ma non a voce alta, quello era più che altro un pensiero.
A quel punto le sorelle tornarono al castello, mentre Ramona
decise di restare ad assistere alla partita. Elisabetta prese l’astuccio
e si rinchiuse in Biblioteca, Francesca invece recuperò il libro sui Wizardtime (lo trovò appoggiato sopra al baule di Rosa)
e si chiuse nell’aula di Astronomia: avrebbe
dovuto rileggerlo con più attenzione.
Intanto al campo, la partita fra Tassorosso e Serpeverde era
terminata a favore di questi ultimi; ora toccava a Tassorosso e Corvonero.
Ramona ovviamente tifava per i Tassorosso, alla luce della
chiacchierata nel bagno, ed era immersa nei suoi pensieri
quando le si avvicinò un ragazzo dei Serpeverde.
-Allora, per chi hai fatto il tifo
prima?- le disse.
Guardandolo, Ramona notò che era pure carino, non
troppo alto, fisico atletico, biondo, occhi azzurri.
-Ma, sai, ho un paio di amiche
Tassorosso…- rispose lei evasivamente.
-Capisco. Come hai detto che ti
chiami?-
-Infatti non l’ ho detto. Io
sono Ramona, e tu?-
-EnriqueMartinez.
Allora, conosciamoci un po’…-
In fondo la compagnia di quel ragazzo non le dispiaceva, la distraeva totalmente da altri pensieri.
-Sei spagnolo?-
-Spagnolo trapiantato in Italia. Tu invece
sei una bolognese DOC?-
-No, sono una modenese, non DOC ma modenese.
–
E così finirono per parlare
delle loro origini, della partita, dei loro gusti musicali, un po’ di
tutto e naturalmente…dei Wizardtime.
-Secondo me non è
giusto…- iniziò Enrique.
-Cosa?-
-Il fatto di dare la caccia ai Wizardtime,
insomma: Tu-Sai-Chi è
decaduto, non c’è più motivo per dargli la caccia. In tal
modo non saremmo molto diversi dai Babbani che nel Medioevo bruciavano
le streghe!-
-Wow, parli come un vero avvocato. –
-Già, infatti mio padre
è proprio un avvocato, un avvocato famoso in Spagna. Sai, io sono qui,
ma lui lavora là. Comunque,trascorriamo quasi tutte le vacanze di
Natale e quelle estive insieme. È il prezzo da pagare per avere un padre
famoso. –
-Interessante! Parlami un po’ di lui. –
-Beh, io lo stimo molto, vorrei diventare come lui, un
giorno. È un uomo giusto e leale; la cosa che apprezzo di più di
lui è che sa perdere: è una dote molto rara al
giorno d’oggi. Sai, quando era giovane ha preso parte a diverse
manifestazioni a favore dei diritti dei Wizardtime,
anzi: una l’ ha perfino organizzata lui! Io voglio diventare tale e quale
a lui: è il mio sogno più grande. –
-Allora… come mai sei finito tra i Serpeverde…
voglio dire, non che mi stiano antipatici, non tutti almeno, ma…-
-Sì, lo so, io sono diverso. La maggior parte di loro
è a favore della cattura deiWizardtime, ma io no, anche se non posso di certo andare a
dirlo troppo in giro: mi escluderebbero. Sono finito tra loro perché il
Cappello Parlante mi ha confidato che sono molto ambizioso e anche furbo;
allora gli ho chiesto come mai non mi voleva mettere tra i Corvonero, ma lui mi
ha risposto che non ho la stoffa del secchione…
in effetti, non ha sbagliato del tutto…-
-Figurati, anche io non sono un geniaccio, però me la
cavo!-
-Il fatto è che io detesto Storia della Magia,
è talmente noiosa, e invece mio padre mi ha
detto che occorre averne una buona conoscenza per diventare un avvocato di
successo…invece sono bravo
in Lettere, meno male…-
Così continuarono per un pezzo a parlare di processi
e roba affine.
-Sai, è importante avere un a buona capacità
di dialogo, magari anche una buona dose di carisma, per saper convincere un
testimone oculare a parlare; una volta per esempio…-
Ramona rimase affascinata da quel ragazzo, e in effetti riusciva bene a immaginarselo in giacca e
cravatta, nonostante indossasse un paio di jeans e un maglione.
Alla fine decisero di tifare entrambi per i Tassorosso e di
fare un bel po’ di chiasso.
*
Elisabetta si era rinchiusa in Biblioteca che, come da lei
sperato, era deserta; con sé aveva preso solo l’astuccio e un
pezzo di pergamena.
Gironzolò un po’ alla ricerca di un libro dal
titolo curioso. Alla fine ne scelse uno sulle creature magiche, lo sfilò
dallo scaffale, si sedette e iniziò a sfogliarlo.
Man mano che incappava in creature affascinanti o bizzarre,
estraeva la matita dall’astuccio e iniziava a schizzarle sul pezzo di
pergamena…
Disegnare la faceva stare bene, le piaceva molto, ma solo
quello che voleva lei, spesso i disegni che le venivano
affidati dalla Parmigiani erano di qualità ben inferiore rispetto alle
sue possibilità proprio perché erano soggetti o tecniche che non
le piacevano.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse della porta che si stava schiudendo alle sue spalle.
Era proprio la Parmigiani, che le si avvicinò
furtivamente, ma non aveva cattive intenzioni, si trattava giusto di
curiosità.
Guardandola disegnare, se ne compiacque,
perché poteva affermare che gran parte di quello che l’alunna
sapeva fare glielo aveva insegnato lei.
-Sei molto brava,
però… dovresti fare meglio i contorni…- le suggerì
talmente piano che Elisabetta sobbalzò –Oh, scusa, non volevo
spaventarti!- si scusò la donna –Ma come mai sei qui, tutta sola?
Gli altri sono…-
-…al campo. Ma gli altri non
ci vogliono fare giocare, hanno paura di noi. Sì, è una scemenza,
ma se solo noi siamo furbi, non ci posso fare niente…- disse
altezzosamente la ragazza cercando a stento di trattenere le lacrime: non le
andava di mostrarsi debole di fronte alla professoressa.
-Che stupidi, solo i prof. che li
accompagnano a lasciarglielo fare!-
-Comunque, sono qui perché avevo bisogno di
riflettere. – disse credendoci Elisabetta, sperando che la Parmigiani
capisse che voleva stare sola.
-Vedo…- disse lei, guardando la mano di Elisabetta scivolare sul foglio -…ma non è
questo il modo di affrontare le cose. Sai, quando per esempio le mie figlie
vogliono qualcosa da me, si impuntano finché
non l’ hanno ottenuta…-
-Ha delle figlie, prof.? Non lo
sapevo…-
-Sì, due. Una ha qualche anno meno
di te, l’altra è molto più piccola. Stavo dicendo,
è inutile che ti nascondi: i problemi vanno affrontati faccia a faccia, non puoi sempre aspettare che si risolvano
da soli. –
Sentendo quelle parole, Elisabetta pensò che si era sbagliata sul conto della Parmigiani: sì, ogni
tanto era un po’ strana, ma in fondo aveva un gran cuore.
-Grazie prof., seguirò
immediatamente il suo consiglio: vado a farmi un giro. –
sentenziò, alzandosi.
-Brava, vai. Ah, a proposito, posso far vedere i tuoi
schizzi alla Venturelli?-
-Certo…- rispose Elisabetta, e le porse il foglio
–Sa prof., penso che cancellerò dalla mia
mente l’episodio spiacevole del bagno: in fondo, anche lei mi ha retto il
gioco…-
Detto ciò uscì; la Parmigiani
non poté fare a meno di sorridere….
Intanto Francesca aveva finito di leggere il libro; aveva
impiegato giusto un’ora. Voleva restituirlo immediatamente alla
professoressa Chiodo, ma allo stesso tempo voleva evitare di vederla, per non
doversi sorbire l’ennesima ramanzina alla quale sapeva di non potere
resistere.
Mentre saliva al terzo piano,
incrociò la McGranitt,
che la salutò. Prima che se ne fosse andata,
alla ragazza venne un’idea.
-Professoressa!- le gridò, correndo
per raggiungerla –Professoressa, può farmi un piacere? Sa,
devo riportare questo libro alla Chiodo, però
non so dov’è. Potrebbe per favore darglielo lei?- le chiese
porgendole il libro dalla copertina rossa.
-Certamente!- rispose la prof.,
guardando la copertina. Il suo sguardo si soffermò sul titolo, scritto
in grande e con inchiostro dorato “Chi sono i Wizardtime:
il mistero del XXI secolo” e poi si
spostò su Francesca.
-Me l’ ha prestato la Chiodo. Ci
teneva che io e mia sorella lo leggessimo. –
disse come per scusarsi la ragazza, che si sentiva accusata, anche se non
sapeva di cosa.
-Non ti preoccupare, glielo porto io. Vuoi fermarti a fare
due chiacchiere? Sembri averne un gran bisogno…-
-Grazie, prof., effettivamente ne
ho un gran bisogno. –
Le due donne scivolarono silenziose per la scuola deserta
fino ad arrivare al terzo piano.
L’ufficio della McGranitt era vicino a quello della Parmigiani, nella zona est, assieme a quello della
Chiodo. Quello di Harry invece era poco più in là di
quest’ultimo.
Appena le sentì avvicinarsi, la
porta prese vita.
-Buongiorno professoressa, salve ragazzina.
Se mi vuole dire la parola d’ordine…- la
voce era quella di una donna, la prima che Francesca sentisse, e rimase un
po’ perplessa: come si faceva a determinare se una porta era maschio o
femmina?
-Un attimo di pace…- sospirò la donna, e
quando si fu richiusa la porta alle spalle, completò -…è
quello che ci vorrebbe in questa scuola!-
-Prof., non fa niente, se la
disturbo me ne vado!- si affrettò a dire Francesca, credendo che la
frase fosse rivolta a lei.
-Oh, non mi riferivo a te, piuttosto a ciò che è successo ieri sera…- rispose la McGranitt
tranquillizzandola.
-Perché, cos’è successo?-
-Qualcuno ha introdotto delle Cioccorane nella stanza del
professor Piton, ma il poveretto è allergico al cioccolato… ha
iniziato a starnutire come un matto: di certo non poteva restare nei
sotterranei, così abbiamo dovuto trovargli un’altra
sistemazione…-
-E, se me lo può dire, dov’è che ha
dormito?- chiese Francesca, curiosa di saperlo per poi riferire tutto alla
sorella e a Ramona, ma specialmente a Elisabetta,
l’artefice di tutto quel trambusto.
-Nell’unica camera che
avesse due letti: quella della Chiodo!-
Francesca dovette trattenersi dal ridere e cercò di
ricordare le esatte parole della Mc per imprimerle
nella mente e poi raccontarle a Ramona ed Elisabetta.
-Bene Francesca, vedo che ciò è sufficiente a
farti tornare il buon umore. Penso che la chiacchierata sia già
conclusa, non ti pare?- e così la prof. si congedò
dalla ragazza.
Quando stava uscendo dall’ufficio scoppiò dalle
risate, e si scontrò Manuel a metà corridoio, arrossendo
violentemente per essersi ricordata dell’ultima volta che l’aveva
visto: l’incontro serale nell’aula di Astronomia.
-Ciao…c’è ancora la partita di Quidditch
giù al campo? – chiese Francesca togliendo l’imbarazzo che
era caduto nel corridoio.
-Sì, beh… ecco… penso di sì, ma
che cos’avevi da ridere?-
-Oh, sai, ero andata nello studio della McGranitt per
restituirle un libro e mi ha raccontato che ieri sera
c’è stato un casino bestiale perché “qualcuno”
ha gettato nella camera del vecchio Piton delle Cioccorane, e visto che lui
è allergico al cioccolato ha iniziato a starnutire come un matto ed
è dovuto andare a dormire nella camera di un altro prof. –
In quel momento arrivarono anche Elisabetta e Ramona.
-Stavamo parlando dello scherzo combinato
a Piton… qualcuno ne sa qualcosa?- chiese con voce melliflua alla
Lucifero Francesca, guardando la sorella.
-Perché dovremmo saperne
qualcosa noi? Io dormivo come un sasso, e tu Ramona?-
-Anch’io. – rispose
l’amica, reggendole il gioco.
E in quel momento si sentirono
vicini dei passi, e chi poteva essere, se non Piton?
-Bene, bene, cosa abbiamo qui? Ho sentito pronunciare il mio
nome, o sbaglio?- chiese.
-Era il suo cognome prof.!-
specificò Elisabetta.
-Signorina Serpini, vedo che è in vena di
scherzare… beh, sappia che io non lo sono affatto.
Cinque punti in meno a Grifondoro!- tuonò, ma non fece in tempo a finire
la frase che dal suo ufficio uscì come una furia la McGranitt.
Prof., pensaci tu!
-Cinque punti in meno? E il motivo
sarebbe…- chiese freddamente.
-Impertinenza, Graziana. –
-Oh, ma a me sembrava che avesse fatto una precisazione, e
visto che è quello che predico ogni giorno
nelle mie lezioni, mi sento in dovere di aggiungere cinque punti ai Grifondoro,
visto che qualcuno si è sprecato a seguire i miei consigli… sono
soddisfazioni personali, Severus, spero che capirai…- disse la donna,
prima schietta, poi molto più morbida, quasi con un tono da presa in
giro.
-Certo, capisco. – sussurrò scocciato Piton,
accennando uno di quei suoi sorrisini profondi e stropicciati, poi se ne andò.
-Grazie prof.! Ci ha salvato la
faccia, cioè, mi ha salvato la faccia…- la ringraziò
Elisabetta.
-Figurati. Immagino che sarà adirato per le voci che
circoleranno a scuola in merito…-
SlytherinNikla:
non ti preoccupare(sicuramente non sarà successo!)! sono
contenta che anche tu recensisca perché sei stata una delle prime a
farlo e sono contenta!!!
Lucifer_the_Darkslayer: vorrei sapere qualcosa di più
su “Chronomancer”…però credo
di deluderti perché non penso di poterlo cambiare…mi dispiace
tanto…penso che adesso non leggerai più la mia storia e non
recensirai…scusa…ma la storia del primo
anno è già finita e la seconda penso sia quasi a metà; ma
scusa, dove hai trovato questo termine?! per la storia dei capitoli…hai
ragione! È solo che avevo tanta voglia di farveli leggere e di sapere
cosa ne pensavate che non ho pensato che fossero un po’
troppi da pubblicare in un giorno! Ancora scusa…
La settimana seguente fu un po’ più rilassata
sotto il punto dello studio, e certamente a questa calma contribuì
l’idea avuta da Corni…
Un giorno tutti gli studenti, di
tutte le Case, vennero fatti radunare in quella sala in cui le sorelle avevano
conosciuto tutti i professori all’inizio della scuola, e in cui non erano
più tornate.
Prima di prendere parola, Silente fece cenno ai ritardatari
di affrettarsi a trovare posto a sedere, poi, quando tutti si furono
accomodati, iniziò a parlare.
-Ragazzi, ho una notizia che certamente vi farà molto
piacere…-
-Oh, raga, secondo me qua ci
vogliono gasare tutti quanti, visto che ci hanno
ammucchiati tutti qui…- disse Elijah, senza
neanche curarsi di tener la voce bassa. Silente si limitò soltanto a
schiarirsi la gola.
-Dunque, nell’ultima riunione
generale abbiamo deciso di presentare un piccolo progetto a livello di scuola
da presentare ai vostri genitori… e abbiamo stabilito inoltre che sarete
proprio voi a decidere il progetto! Ed è questa la ragione per cui vi abbiamo proibito di scrivere ai genitori: dovrà
essere una cosa segretissima! Dovremo stupirli, i vostri genitori, faremo
faville!-
La capacità di trascinare di Silente era veramente
impressionante: di colpo aveva riportato il buon umore tra i suoi studenti, e
aveva reso quasi insospettabile il vero motivo della strana proibizione.
Era talmente entusiasta che era riuscito a trasmettere la
sua energia e la sua allegria ai ragazzi,
letteralmente in delirio…
-Allora, allora, calma: vi spiego cosa dovete fare. Adesso
passerà la prof. – e indicòla McGranitt
-… che vi darà un foglio e
una penna. Sul foglio dovrete scrivere l’attività che vi piacerebbe realizzare, poi penseremo a raccoglierlo. Il
progetto che avrà ottenuto più voti o il più originale e
possibilmente realizzabile ovviamente vincerà e verrà
realizzato. Forza, allora, sbizzarritevi!-
La
McGranitt aveva già iniziato a distribuire il
materiale, e quando il collega finì di parlare
aveva già fatto metà giro.
Manuel propose un concerto punk, Francesca un musical, sua sorella un incontro di pugilato, Rosa una
sfilata di moda, Ramona una recita, Ilir una mostra
d’arte e così via…
Dopo mezz’ora circa passò nuovamente la McGranitt, questa volta
per riscuotere.
Subito dopo i ragazzi tornarono nelle rispettive aule.
*
Il giorno dopo Silente li mandò nuovamente a chiamare
per annunciare che il progetto che avrebbero realizzato sarebbe stato quello di
una recita.
-Però, adesso dobbiamo
pensare cosa rappresentare. Si accettano spunti presi anche da libri o film babbani… la cosa più importante è che
tutti possano partecipare!-
I ragazzi ricevettero nuovamente un pezzo di pergamena e una
penna.
Francesca propose “Il Re Leone”, pensando alle
fantastiche colonne sonore e poi perché aveva una passione per i film
della WaltDisney, Ramona
“La Maledizione
della Prima Luna”, una bella storia di pirati, Elisabetta “Il
Signore degli Anelli”, in quanto appassionata persa di libri fantasy e fan della trilogia. Sentirono qualcuno proporre “Man
in Black”, altri “VanHelsing” e un gruppo di ragazze “Troy”.
Le sorelle si sorpresero di sentir menzionare molti film babbani, ma fu una piacevole scoperta.
*
-Ragazzi, un attimo di attenzione
per favore! Dunque, il film scelto per la rappresentazione teatrale è
“Il Gobbo di Notre Dame”; naturalmente, non tutti potranno avere
una parte come attori principali e per questo, se qualcuno pensa di proporsi
per uno specifico personaggio, la lista dei quali è appesa in corridoio,
è invitato a fare dei provini; il giorno e la data verranno
poi appesi sempre in corridoio. I ragazzi invece che intendono adoperarsi per
le musiche e le scenografie sono invitati a parlarne
con il prof. Corni e la prof. Parmigiani. E’ tutto,
riprendiamo la nostra lezione…-
-Noooo!!-
fu il consenso dei ragazzi.
Durante la ricreazione ovviamente non si parlò
d’altro che della recita.
C’era un nuvolo di studenti attorno
alla lista dei personaggi, tanto che i Grifondoro (gli ultimi arrivati,
trattenuti dai compiti di Storia della Magia) si fecero largo a
spintoni.
I ragazzi fecero caso ad un gruppo
di ragazze Serpeverde che non finivano di ripetersi chi di loro si sarebbe
calata meglio nel ruolo di Esmeralda, la zingara che aiuta Quasimodo,
il protagonista; molti di loro pensarono che non erano altro che galline.
I ragazzi invece facevano a gara per accaparrarsi (intanto a
parole) la parte di Febo, il macho del film che si
“cucca” Esmeralda.
-Oh raga, è stata una bella idea fare “Il Gobbo di Notre Dame”!
Verrà fuori una roba bella. – disse Francesca.
-Ah sì, io mi voglio proporre come cavallo di Febo:
è troppo forte!- dichiarò Elisabetta.
-Come?! Vuoi fare il cavallo?!- le
chiesero scandalizzate Ramona e Francesca.
-Beh, sì, immagino che per quella parte non ci
sarà una gran lotta, e io sul palco ci voglio andare…-
-Hai ragione: ti ci vedo bene a quattro zampe, imbacuccata
per bene, e poi con il caratterino che ti ritrovi ti ci vedo
a mollare calci e sputi a destra e a manca!- le confidò la
sorella, al che Elisabetta si mise ad inseguirla per il corridoio…
urtarono un paio di innocui passanti e poi la ragazza ce la fece ad acchiappare
la sorella.
-Ti massacro, ti spello, ti spolpo, ti scuoio, ti cavo un
occhio…!- le stava urlando, ma si bloccò quando
si accorse che Lorri la stava osservando pietosamente.
-Ehi! Vacci piano con quella lì, la devo tartassare
prima io!-
-Ah, ah, ah… sempre simpatico, eh
lei?- osservò Francesca, mentre lui le prendeva una mano e iniziava a
stritolargliela. Lei non disse niente fino a quando
sentì le ossa scricchiolare.
-Beh, adesso mi ha tartassata,
è contento?-
-Molto. – e così se ne andò.
-E in che parte mi vedreste bene?-
le interrogò Francesca mentre la sorella stava fingendo di mordicchiarle
un braccio.
-A fare la capretta!- le disse ridendo.
-Ah, ah, ah, molto spiritosa!-
-Il re degli zingari!- esclamò improvvisamente
Ramona, ma con tono serio e deciso.
-Sì, non c’è male, credo che potrebbe andare!- confermò convinta Francesca.
-Invece tu mi vieni a dare una mano a fare il cavallo, non
è vero tesoro? Sì, insomma, la dai una
mano alla vecchia Betty… ricordati che…-
pausa -…sono una donna molto influente!- concluse con aria mistica.
-Ma sei pazza? Beh…ci
penserò…-
Alla fine, quando vennero
organizzati i provini (mercoledì: lezione si tenne solo al mattino),
Francesca si presentò come re degli zingari, con le calze colorate,
delle anelle grandissime come orecchini, tanti
braccialetti e un cappellone enorme da cowboy viola, invece sua sorella e
Ramona come cavallo… Ramona era la parte davanti e si era messa un sacco
di tela su cui aveva disegnato le narici e gli occhi e poi aveva un cerchietto
con delle finte orecchie di cartone; in bocca stringeva una pagliuzza.
Elisabetta invece si era ricoperta con un sacco di tela aperto su due lati e
lungo all’inverosimile e poi reggeva tra le gambe una scopa colorata di
biondo (perché il cavallo in questione aveva il manto bianco e la coda
gialla). Inutile dire che per quella parte si
presentarono solo loro due.
Comunque, quando arrivarono al
luogo prestabilito (la
Sala Insegnanti) trovarono una fila lunghissima di ragazzi;
loro purtroppo si erano dovute attardare a svolgere un compito di Pozioni che
il professore non aveva assolutamente voluto spostare…si lamentarono che
lo aveva fatto apposta.
-Ah quel vecchio, untuoso, aguzzino di un Mocciosus, scommetto 100 Galeoni che l’ ha fatto
apposta a darci il compito lungo per farci arrivare in ritardo!- si
lamentò Francesca mentre sfrecciava assieme ai
compagni verso la meta.
-Già: i suoi cocchi li favorisce
in tutti i modi possibili immaginabili!- confermò Manuel.
E quando arrivarono si trovarono
davanti l’orribile spettacolo di tutti i loro compagni già in
fila.
-Qua ne abbiamo fino a notte
fonda!- constatò Elisabetta, demoralizzata.
Così la sorella andò a prendere il walkman e
lo mise a tutto volume, così che anche gli altri potessero
sentire.
Elisabetta purtroppo non aveva sbagliato i suoi calcoli:
alle sei e mezza erano ancora lì.
Dall’aula maledetta uscì Silente e guardando la
folla disse ai ragazzi di tornare dopo cena.
-C***o, che fregatura!- fu la risposta di Manuel e di Elisabetta, ma ci fu chi la prese con più
filosofia di loro.
La cena non se la gustarono per
niente, e alle otto erano di nuovo in fila… mancavano ormai soltanto i
Grifondoro.
Finalmente alle dieci entrarono le sorelle e Ramona.
La prima ad esibirsi fu Francesca, che nel suo costume lesse
“L’infinito” di Leopardi, affibbiatole dalla McGranitt. Non
la lesse in modo “convenzionale”, ma
adattò il tono al suo personaggio, perciò la lesse come
l’avrebbe letta un menestrello in cerca di pubblico e soldi. Si sentiva
un po’ stupida, ma non si inceppò neanche
una volta e quando arrivò alla fine fu veramente orgogliosa di se
stessa.
Non appena ebbe pronunciato l’ultimo verso, Elisabetta
e Ramona saltarono su applaudendo, trascinando con loro i docenti.
-Bene, davvero molto brava!- si congratulò Silente
–Hai un futuro da poetessa!-
Di tutta risposta Francesca ammiccò inchinandosi e
calandosi nella parte.
Ora toccava alle altre due. In un batter d’occhi si infilarono il “costume” (perché era
veramente ingombrante!) e iniziarono a muoversi. Avevano fatto talmente tante
prove che la loro coordinazione stupìla Parmigiani e Harry, e a
dire il vero anche loro stesse; c’era caldo là dentro, e stavano
sudando come maialine, però non si fermarono: Ramona nitrì e si
impennò leggermente, seguita nelle manovre da Elisabetta, poi finsero di
sputare e di mangiare del fieno. Come gran finale finsero
di inseguire Francesca (che non se lo aspettava) ed Elisabetta finse di darle
un calcio e di sedercisi sopra (anche se con molta
delicatezza).
-Dopo facciamo i conti!- le
sussurrò Francesca all’orecchio (che era circa
all’altezza del fegato del cavallo interpretato).
Alla fine dell’esibizione di Elisabetta
e di Ramona i prof. scoppiarono a ridere. Elisabetta si sentiva felice che
fosse andato tutto per il meglio e le veniva da ridere; anche Ramona era
felice, ma anche un po’ imbarazzata. Il colmo fu quando
le due cercarono di venir fuori dal loro costume: trovarono un po’ di
difficoltà e inciamparono più volte, poi alla fine,
spavaldamente, Elisabetta disse:
-O applausi o pomodori, decidete signori, ma preferiremmo gli allori!-
Di fronte alla richiesta (e a corto di pomodori!) i
professori applaudirono e poi le congedarono.
Mentre uscivano erano scoppiate a ridere
e si stavano prendendo in giro reciprocamente.
Passarono per l’ala est del terzo piano e si fermarono
di botto sentendo qualcuno urlare…
Le urla provenivano dall’ufficio della
Chiodo… Le tre ragazze si avvicinarono e tirarono fuori dai
rispettivi marsupi (da cui non si separavano mai) le Orecchie Oblunghe regalate
loro da Harry, anche se non ne avrebbero avuto un gran bisogno, visto il tono
delle voci…
-…sei un essere spregevole, mi
ripugni! Come hai potuto startene zitto mentre
le vedevi soffrire e…e…e porsi tutte quelle domande, quando tu
potevi rispondere a tutte!- aveva urlato la Chiodo. Era fuori di
sé dalla rabbia e le alunne faticarono a riconoscere la loro mite prof.
di Matematica, che in classe non alzava quasi mai la voce.
-Cosa credi che avrei dovuto fare?
Erano in troppi! E poi lui…lui…era un
pazzo omicida! Ho visto i suoi occhi, e non erano di
certo quelli di una persona sana di mente!- era stato Piton a parlare.
-Allora fatti una domanda: che cos’eri tu.?- lo accusò lei.
-Ero giovane e pieno di ambizioni e
di sogni. Tu non sai di cosa fosse capace il Signore
Oscuro! Ha fatto leva sui miei sogni più nascosti e inconfessabili
e… alla fine ha avuto ragione della mia allora debole
volontà…-
-Ma adesso hai rinnegato il tuo passato di Mangiamorte… resta il fatto che
tu avresti dovuto dirgli che tu eri lì mentre i loro genitori morivano!-
sbraitò la donna, rinnovando l’attacco.
Le sorelle e Ramona non ci stavano capendo
granché… Piton era stato un… Mangiamorte?
Harry aveva detto loro che i Mangiamorte erano i
più fedeli seguaci di Voldemort, e la notizia
che un loro professore, truce, ma sempre loro professore, lo fosse stato ed era
dentro le mura della loro scuola le fece tremare…
però poi si era pentito… uhm, è difficile
sottrarsi ad un passato del genere… pensarono tutte e tre e venne
loro il sospetto che in fondo Piton fosse ancora innamorato della Arti Oscure.
-…ma cosa? Pensi che sia
facile andare lì da loro e dirglielo così?- reagì
Piton.
-Sei uno sporco troll senza
sentimenti e vigliacco, per questo non ce l’ hai
fatta a dirglielo, è inutile che ti rifugi dietro a mille scuse!-
-Sì, certo, andavo là, davanti a tutti i loro
compagni e gli dicevo che era stato loro zio ad
uccidere i loro genitori, e che probabilmente lui è sulle loro tracce?-
la canzonò Piton.
-Sei senza tatto! Potevi prenderle da parte e dirglielo!-
-Così mi toccava schiantare Elisabetta che mi saltava
addosso tentando di scotennarmi e Francesca che cercava di mordermi i polpacci?-
Ramona guardò le sorelle come mai aveva fatto prima,
e maledisse lo spettacolo e quegli stupidi
provini… nel suo sguardo c’era sgomento, compassione,
tristezza…
Le sorelle non pensarono a niente, semplicemente volevano
entrare in quell’ufficio e pestare a sangue Piton, così si
alzarono contemporaneamente (prima erano accovacciate) e iniziarono a
“bussare”, ovvero tentarono di abbattere
la porta.
Piton e la
Chiodo, all’interno, si guardarono
preoccupati e per un attimo misero da parte i loro rancori. Piton estrasse la
bacchetta, mentre la Chiodo apriva la porta; le sorelle
entrarono come furie e si avventarono su Piton, facendolo barcollare e poi
cadere con un tonfo:
-Vaffanc*** bastardo! Perché, perché?- gli gridò Elisabetta,
che lo teneva stretto per i lembi del mantello.
-Vigliacco, bugiardo, str****!- le fece eco la sorella, che
stava tempestando di pugni il torace del suo professore.
Ramona e la Chiodo rimasero un momento ferme,
indecise sul da farsi, poi si guardarono e Ramona si attaccò a Francesca
tentando di separarla dal professore, mentre la Chiodo fece lo stesso, solo
con sua sorella.
Dopo una breve colluttazione, le due donne riuscirono
nell’intento, mentre Piton si rialzava a fatica.
-Lasciami. – intimò Francesca all’amica
–Lasciami!- le urlò quando vide che non
aveva intenzione di soddisfare la sua semplice richiesta. Le sorelle si
dibatterono come anguille; erano fuori di loro, non ragionavano più: il
loro unico pensiero era quello di raggiungere quello spregevole uomo vestito di
nero.
-Ti rifugi dietro alle donne, eh? Sporco assassino!- gli
urlò Francesca, mentre sua sorella preferiva i fatti: si armò di
saliva e gli sputò in faccia, vista la breve distanza che intercorreva
tra lei e il suo obiettivo.
Piton era rimasto stupito e indeciso; per la prima volta in
vita sua non sapeva proprio cosa fare.
Quando lo sputo lo raggiunse,
dimenticò per un attimo le circostanze in cui ciò era avvenuto e
schiaffeggiò Elisabetta in un impeto di rabbia, però poi si
ritrasse subito, capendo in ritardo quello che aveva fatto.
Per Elisabetta fu come se le fosse arrivato un secchio
d’acqua in testa; per un attimo rimase inebetita, come paralizzata, con
gli occhi chiusi. Sua sorella per tutta risposta iniziò a dimenarsi con
maggior foga; tentò pure di mordere il braccio dell’amica, decisa
a vendicare la sorella in tutti i modi, e ciò sortì il suo
effetto: Ramona la lasciò andare ancor prima che i suoi denti avessero
sfiorato il suo braccio e Francesca si ributtò
addosso a Piton insultandolo.
La Chiodo
allora si vide costretta a lasciare Elisabetta e a correre verso la sua
bacchetta magica, che era appoggiata su un tavolino; riuscì a prenderla
e la stava puntando verso Francesca, ma sua sorella le
bloccò il polso intimandole di non torcerle neanche un capello.
Alla fine Piton riuscì ad afferrare i piccoli polsi
di Francesca e la sua stretta fu talmente forte che lei rinunciò a
dibattersi; Ramona aiutò la Chiodo a immobilizzare la sorella.
-Vedi Vittoria, te l’avevo detto
che avrebbero cercato di farmi fuori!- disse Piton guardando con un pizzico di
soddisfazione la collega.
-Quel verme la sta insultando! La prego, mi lasci andare:
gli mollo un destro che lo stendo, così non
parlerà più!- sussurrò Elisabetta alla prof.
La Chiodo fu più che tentata di
farlo, perché l’uomo si era comportato male con tutte e tre, ma
alla fine prevalse il buon senso.
-Ramona, vai a chiudere la porta.
– ordinò.
La ragazza ubbidì, poi tornò
a tenere ferma la compagna.
-Adesso, vi lasceremo andare, però promettetemi di
non aggredire nessuno. Intese?- propose la Chiodo; le ragazze
annuirono e finalmente vennero liberate dalla morsa imprigionante.
Elisabetta e Ramona si misero in un
angolo della stanza, guardando in cagnesco Piton; Francesca si stava
massaggiando i polsi, rossi per la forte stretta.
Il professore, nell’altro angolo della stanza, stava
rimettendo al giusto posto il suo mantello.
-Adesso sedetevi. – ordinò la Chiodo,
ma vedendo che nessuno si muoveva ripeté il comando urlando.
Piton si sedette sul divano, mentre le tre ragazze
prendevano le sedie attorno al tavolo e le posizionavano
il più lontano possibile dal divano. Quando tutti si furono seduti,
anche la
Chiodo fece lo stesso, sul divano, ma il più
lontano possibile dal collega, che aveva accavallato le gambe.
Se sta cercando di fare
il sensuale, ha sbagliato momento!pensò la
donna al suo fianco.
Le sorelle si guardarono perplesse: era stata la loro prof.
a dire quello che avevano udito? Cercarono di tornare serie, e purtroppo fu
molto facile.
-Cosa ci facevate là
dietro?- chiese improvvisamente Piton.
-Stavamo tornando dai provini. Abbiamo sentito urlare.
– rispose semplicemente Francesca, la voce che tradiva odio.
-E voi… non potevate far
finta di niente?- continuò il professore imperterrito.
-Il volume era alto. – ribatté Elisabetta.
-Non… potevate far finta…
di niente?- ripeté Piton fumante di rabbia.
-Una scazzottata tra prof. non merita la nostra noncuranza.
– rispose Elisabetta guardandolo.
-Una… scazzottata?! Ma per
chi ci avete presi, per dei clown?-
-Per dei pugili, visto come mi ha ridotto…-
disse Francesca a bassa voce.
-Come prego?-
-Mi ha fatto male, prof.,
contento?- gli urlò in faccia Francesca, mentre Elisabetta e Ramona la
tenevano ancorata alla sedia.
-Severus, ti prego, lascia perdere!-
si intromise la Chiodo.
-No! Quelle tre non hanno il permesso di origliare i nostri
discorsi, e mai l’avranno!- le gridò in
faccia Piton furente.
-Mi scusi signor professore, se lei
avesse sentito parlare della morte dei suoi genitori in quel modo, avrebbe
fatto finta di niente?- gli urlò Francesca tremante di rabbia e di odio.
-Questo era esattamente il motivo per cui
non ve lo volevo dire!- gli rispose secco l’uomo, al che Francesca
tentò un nuovo scatto verso di lui, ma fu sempre bloccata dalla sorella
e da Ramona.
-Sì ma… se lei ce lo
avesse detto…- tentò Elisabetta, improvvisamente timida.
-Lo avrei fatto!- tuonò il professore -…ma
quando sarei stato sicuro che avreste potuto subire il colpo senza fare
pazzie!–
-Ah certo, perché non è una cosa importante,
vero? Ma se una cosa non la riguarda, diventa subito
di serie B, vero?- lo canzonò Francesca.
-Mi riguarda eccome! Io ero lì!-
-E non ha fatto niente… o
forse l’ ha fatto. Vorremmo saperlo. – lo mise al muro Elisabetta.
-Va bene…- disse lui, con tono incredibilmente lieve
-…va bene, ne avete tutti i diritti. –
Le sorelle si stupirono, e con loro Ramona: il vecchio Piton
che cedeva di fronte a tre sue studenti?
-Circa venti anni fa, la caccia ai Wizardtime
era ancora aperta. Il Signore Oscuro mi ordinò
di mettermi sulle tracce di una giovane coppia rifugiata in Italia e di portarglieli…
vivi. - sottolineò la parola “vivi”
–Così, mi misi sulle loro tracce e giunsi in Italia. Li scovai
dopo circa un mese di ricerca; abitavano alla periferia di Modena in un modesto
appartamento. Mi diedero del filo da torcere, ogni volta che ero lì lì per agguantarli mi sfuggivano…-
-Bravo: vuoi un applauso?- chiese Elisabetta senza avere
l’accortezza di abbassare la voce.
-…eravamo faccia a faccia, io
e loro. Poi, all’improvviso, arrivarono le Brigate del Tempo,ovvero quelli
che volevano i vostri genitori morti; in mezzo a loro c’era vostro zio.
L’ ho capito perché vostro padre gli disse
“Perché Giorgio, perché fratello?”. Furono le sue
ultime parole… vostra madre invece lo insultò, e se ne
pentì… prima di ucciderla, vostro zio le scagliò la maledizione
senza perdono “Cruciatus”, poi la
finì. –
-Ma… loro non avrebbero
potuto bloccare il tempo?- chiese perspicacemente Ramona.
-In teoria sì. Ma prima che la Brigata arrivasse, avevo
fatto un incantesimo per impedirgli di bloccare il tempo…- fu la prima
volta in cui le tre Grifondoro videro il loro austero professore abbassare lo
sguardo.
-Ma lei è proprio sicuro che
fossero loro?- chiese Elisabetta, come per cercare un ultimo filo di speranza.
-Sicuro. –
-Come fa a dirlo? Abbiamo dei cognomi babbani!- incalzò lei.
-Li ho sentiti più volte parlare di voi. Una volta vi
ho perfino viste, ancora in fasce… riconoscerei
i vostri occhi ovunque! Erano i vostri genitori, ne sono
sicuro. -
Ci fu un pesante minuto di silenzio.
In quel minuto Elisabetta avrebbe
voluto essere la figlia di Jack lo Squartatore e di avere ereditato da lui il
mestiere di macellaio…
Francesca non aveva la forza di pensare a niente; aveva gli
occhi sbarrati e stava fissando i suoi jeans. L’unica cosa che le premeva
era di uccidere Piton…
Ramona si sentiva “una vittima innocente”, come la Chiodo.
-Sporco assassino, lei era lì e non ha fatto niente,
lei li ha uccisi!- lo condannò Francesca.
-Tu… non sai… quante bacchette erano puntate
alla mia gola…- gli sussurrò Piton, che
si era alzato ed era ad un passo dalla ragazza; lui le stava mostrando una
piccola cicatrice che aveva nel collo, tirandosi appena un po’ giù
il bordo del colletto. Fu allora che Francesca, con un gesto fulmineo, glielo
prese e fece per dargli un pugno, non prima di averlo guardato dritto negli
occhi con furia omicida.
Elisabetta ne approfittò per
tirargli una gomitata nello stomaco e un calcio in una gamba, sussurrandogli:
-Le donne non si picchiano, neanche con un fiore!-
Ma nel preciso istante in cui Francesca aveva deciso di
sferrare il colpo entrò Silente seguito dalla
McGranitt.
-Ferme!-
RECENSITE!!!PLEASE L!
Lucifer_the_Darkslayer: sinceramente mi sento quasi in
obbligo di chiederti scusa perché io chiedo consigli a voi, però
quando me li date non posso attuarli per vari motivi…cmq
scusa ancora…devo dire che la storia del chronomancer mi sta incuriosendo…dove hai trovato
questo nome?!...per finire…certo che ti farò finire di leggere la ff e poi non posso mica obbligarti a non leggerlo
perché anche se lo facessi sono quasi sicura che tu non ascolteresti! Devo
dire che sono contenta di avere un recensore come
te!!! ;-) continua a farti sentire! Ciao!
1000 grazie anche a _Laura_!!!cosa intendi con “sono soddisfazioni personali”?
J
Silente allontanò Francesca ed Elisabetta da Piton
con un gesto della bacchetta.
-Adesso sedetevi, faremo una lunga chiacchierata…- ribadì l’uomo, avvicinandosi al tavolo.
-Lui è l’assassino e noi, prima che lei arrivasse,
eravamo i suoi carcerieri, fine del discorso. –
rispose Elisabetta, desiderosa di risolvere la questione “senza
pubblico”.
Per tutta risposta, lui non le disse
niente, non tentò neppure di fermarla; fece invece apparire due sedie
con un secco gesto della bacchetta; una la lasciò alla McGranitt.
Gli altri occupanti della stanza mantennero la loro
posizione, anche Piton stava tornando al suo precedente posto.
-Allora, Severus, qual è il motivo di tanto chiasso? Direi che sia stato tu a iniziare. – gli occhi del
professore indugiarono prima sulla Chiodo, poi si
fermarono su Piton, che gli aveva riservato una smorfia obliqua delle sue.
-Quelle tre stavano origliando i nostri discorsi. –
rispose evasivamente.
-Oh, ma la smetta! Vi si sentiva urlare a tre metri dalla
porta, e mi viene a dire che noi origliavamo?- gli
chiese indispettita Elisabetta.
-Ma allora proprio non capisce?
Professore, se lei sente due persone discutere così forte come ha appena
detto mia sorella sulla morte dei suoi genitori,avrebbe potuto ignorare
tutto?-aggiunse Francesca con foga
rivolgendosi a Silente.
-Aspettate, aspetta, non capisco: che c’entrano i
vostri genitori?!- chiese smarrita la McGranitt.
-Oh, insomma! Lo racconto io così
non si litiga! Dunque, diciamo che un “sorvegliante”
si era avvicinato un po’ troppo perché pensava che nascondessi nel
mio ufficio un Wizardtime… il professor Piton
si è gentilmente offerto di garantire per me che “fossi
pulita”…-
Inutile dire che l’ ha
spaventato a morte!pensò la donna, e immancabilmente
le sorelle sentirono.
-…così l’ ho invitato ad entrare e ci
siamo messi a parlare delle ragazze, e alla fine mi ha voluto fare quella
confidenza. Gli ho detto che sarebbe stato meglio se
l’avesse detto prima, così l’atmosfera si è scaldata
ed è sfociata in una piccola lite…-
Già, piccola! Io avrei giurato che avesse voluto
spaccargli la faccia!commentò Francesca.
-… a questo punto dovrebbero continuare le
ragazze…- propose la
McGranitt.
-Ah, niente, avevamo appena finito i provini, e voi siete testimoni…-
si infervorò Elisabetta rivolta verso i due
nuovi arrivati -… e quando abbiamo finito, giustamente volevamo
tornarcene al nostro Dormitorio, ma abbiamo intercettato la “piccola
lite”. –
-Dai, come si faceva a non essere incuriositi? E le voci erano talmente alte che…- osservò
Francesca.
-Già! E poi, noi siamo le generazioni delle soap-opera: la curiosità è parte di
noi!- rincarò Ramona.
-Continuate, continuate!- le
esortò Silente, ma senza apparente fretta, o rimprovero nei loro
confronti: semplicemente… curiosità.
-Beh, abbiamo continuato ad ascoltare fino a quando Piton… il professor Piton, ha accennato ai
nostri genitori, che era stato nostro zio a… ucciderli, che adesso lui
è forse sulle nostre tracce e che… lui c’era. –
continuò Elisabetta trattenendo a stento le lacrime. Sia lei che la
sorella avevano la gola molto secca e assolutamente
faticavano a parlare.
-Lui chi?- si stupì la McGranitt.
-Lui, Piton. Il professore Severus
Piton. – sentenziò Elisabetta, facendo un cenno verso
l’uomo.
L’espressione di Silente e della McGranitt era
sconvolta. Per un lungo istante fissarono Piton, poi Silente ebbe la forza di
dire: -Beh, Severus, vorremmo da te un paio di delucidazioni…
esattamente, cos’è successo?-
Delucidazioni?! Cos’altro diavolo vuole sapere?
Possibile che nessuno riesca a capire che ripetere questa storia farà
male sia alle ragazze che… a me?
Le sorelle si scambiarono un’occhiata perplessa:
ciò che avevano appena udito, cioè
ciò che Piton aveva appena pensato, voleva dire che lui aveva… dei
rimorsi?
In fondo, è una persona anche lui… si disse Elisabetta.
Sì. Ma quanto in fondo?si chiese la sorella.
E così il professore,
nonostante la riluttanza celata dietro la maschera del malcontento,
ripeté la storia, aggiungendo che lo zio delle ragazze probabilmente era
sulle loro tracce, in quanto non fu mai arrestato.
-Come fai a dirlo? Per tutti questi anni non ha mai dato segni di vita!- gli fece notare Silente.
-Sì, ma probabilmente lui non sapeva
nulla di loro…- fece un cenno del capo verso le Grifondoro
–E adesso che si è diffuso
il sospetto…- le sue ultime parole furono quasi un sibilo.
-Oh, andiamo Severus, si è diffuso il sospetto!
Nessuno lo sa, a parte noi…- lo canzonò
Silente.
-A meno che qualcuno non abbia fatto
la spia!- fece notare la McGranitt.
-Già: come hanno fatto a sapere che
noi siamo… quel che siamo, e a mandare quei cinque cretini dopo
così poco tempo?- rincarò Francesca, che non ci aveva mai pensato
prima: ormai un gran numero di gente avrebbe dovuto saperlo, eppure Silente aveva
preso tutte quelle misure tipo la posta perché la notizia non si
spargesse… un controsenso!
-Ah…- Silente emise il classico suono che emette
qualcuno colto in flagrante a peccare –Qua un po’ di colpa ce l’ ho anch’io: mi spiego meglio. Vi abbiamo
sempre fatto credere che sia stata colpa vostra il
fatto che quel giorno al Giovane Mago Bolognese vi abbiano viste; non è
andata proprio così… in effetti, era già da tempo che il
padre di Lucifero premeva affinché giungessero a scuola i
“sorveglianti”…-
-Il padre di Lucifero?!- chiesero
sbigottite le tre ragazze: a quel punto non ci capivano più niente.
-Sì… quel ragazzo deve aver sentito qualcosa,
proprio come voi…- confermò Silente, che si stava massaggiando il
mento: erano un paio di giorni che non si faceva la barba.
Ma sì, ho capito! Sai quando noi abbiamo sentito l’altra conversazione?
È più che possibile che quel verme abbia fatto come noi! le sorelle arrivarono contemporaneamente a questa
conclusione, e odiarono ancor di più Piton, perché era stato
proprio lui a rimproverarle per la loro “leggerezza”. Gli
lanciarono un’occhiata con tutto il disprezzo di cui erano capaci e lui
fece l’unica cosa che non si sarebbero aspettate
da lui: lui ricambiò il loro sguardo, ma il suo era triste, come quello
di un cane ferito.
-Può essere: questa non è stata l’unica
volta in cui abbiamo… discusso…- confidò la Chiodo,
squadrando l’uomo che le stava seduto accanto.
-E con ciò? Voglio dire,
quei due chissà a chi l’avranno spifferato,
a quest’ora! Non cambia assolutamente niente il fatto che lui sia un
nostro compagno…- fece notare Francesca.
-Prima dell’arrivo di quei cinque, abbiamo discusso,
io e Caronte…- iniziò
Silente.
Che bel nome! Lucifero e Caronte… uno spasso!pensò
Ramona.
-…e lui mi ha detto che le
uniche persone a conoscenza del fatto eravamo io, lui e suo figlio, più
ovviamente i cinque “sorveglianti”…-
-E chi ce lo garantisce?- chiese
Elisabetta.
-Il Veritaserum
che ho preparato. È una pozione che costringe chi la assume a dire solo la verità…- disse prepotentemente
Piton, che pareva ringalluzzito.
Ecco cosa mi avete costretta a
versargli nel caffè, quel giorno!pensò
Francesca.
-Fino a quel momento. E dopo?-
incalzò Francesca.
-Ricordate quella pozione che vi feci preparare per
addormentare un ricordo nella persona che la beveva?-
chiese Piton.
-La Memoria
Dormi?- rispose
Elisabetta, a cui pareva di ricordarla.
-Esatto. Eravate in classe con i Serpeverde. Io chiesi a
Lucifero di abbondare con la Lattuga Rosa, che
prolunga il tempo di assopimento di un ricordo, poi gliela feci bere.
Prima ovviamente la controllai e introdussi un pezzetto di carta dove avevo
scritto Wizardtime, la cosa che lui doveva
dimenticare. –
-Più o meno è la cosa che feci con suo padre,
quando mi capitò l’occasione. E, come ben
ricordate, una cosa simile feci anche prima di Natale. – si
affrettò ad aggiungere Silente, che precedette la domanda che voleva
fare Ramona.
-State tranquille: abbiamo la certezza che nessuno sa di
voi, a parte quei cinque, che non hanno mai lasciato la scuola. –
tentò di tranquillizzarle la McGranitt.
-E le vacanze? Si spargerà la voce!- gemette Elisabetta.
-Per Pasqua sarete impegnati nelle prove della recita e comunque non andrete a casa; poi si vedrà. Avevamo pensato di chiedere aiuto ad un esperto Obliviatore,
un mio vecchio amico…- le disse Silente.
-Un… che?-
-Un Obliviatore. Un esperto nel
manipolare le menti e cancellare i ricordi. Sentite, è molto tardi, fareste meglio a fare qualche ora di sonno. Se domani vorrete dormire, vi lasceremo fare…- disse la McGranitt, che aveva la
prima ora con i Grifondoro.
-Col cavolo: non mi va di passare un pomeriggio a
recuperare! Io domani ci sarò!- rispose secca
Elisabetta, convinta di quello che aveva appena detto.
-Faresti meglio a seguire il consiglio di Graziana, o vuoi rischiare
che t’interroghi?- gli sussurrò l’insegnante di Pozioni mentre l’allieva gli passava accanto, diretta
verso la porta. Lei si girò di scatto, come punta da una freccia
invisibile, e gli sussurrò in tono provocatorio:
-Quando vuole, io sono preparata. – A quel punto le tre ragazze
salutarono e uscirono.
Non appena fuori, Francesca imprecò: -Pungente fino
all’ultimo!-
-Zitta, ma sei matta! Se quello ti
sente ti scodella un’interrogazione pure a te!- le ricordò la
sorella, siccome la ragazza aveva quasi urlato.
-Dopo questo, credi che ne avrà
il coraggio?-
*
Quella notte, sette persone faticarono a prendere sonno; la
prima a cedere fu Ramona, che sprofondò in un sonno leggero e senza
sogni. Poi Silente, che era sicuro che le ragazze fossero
“in una botte di ferro”, e sapeva di aver fatto tutto ciò
che era in suo potere. Anchela McGranitt alla fine
cedette, memore di aver lezione alla prima ora.
Francesca, a differenza di loro, per riposarsi veramente
avrebbe voluto fare un corsa molto lunga, fino a non
aver più fiato, così sarebbe stata sicura di essere stanca e
desiderosa del letto; Elisabetta avrebbe voluto far visita ad Harry, ma a
mezzanotte tutti, o quasi, dormono.
E così fu che le due si
alzarono di scatto contemporaneamente; si guardarono, poi Elisabetta fece cenno
alla sorella di fare silenzio e di seguirla in bagno, dove si rinchiusero.
-Non riesco a dormire…-
cantilenò Francesca.
-E chi potrebbe? È la mezza,
e dopo una chiacchierata di quel genere… scommetto
che adesso Piton avrà gli incubi…-
-Io ci spero, gli starebbe bene come un vestito nuovo!-
-Ho urgente bisogno di una tazza di camomilla: andiamo in
Sala Grande?-
-Okay…-
E così le due girovagarono al buio per il castello
sperando di non urtare niente… erano come ombre che fluttuavano nell’oscurità
più totale, e a vederle sembravano quasi sicure della direzione, invece
ad ogni passo si immaginavano ad urtare qualcosa che
poi cadeva e faceva un rumore infernale, ciò che invece non avvenne.
Dopo tanto girovagare riuscirono a
imboccare la via giusta e ad entrare nella Sala.
-Azz… non ci si vede un fico
secco! Lumos!- bisbigliò Francesca, che si era
portata la bacchetta.
-Ho la testa in fiamme…non ci
capisco più niente!- mormorò Elisabetta.
-Quanto vorrei una bella camomilla
bollente!- supplicò la sorella, mentre si sedevano, sempre alla cieca.
Senza farci troppo caso, Francesca appoggiò stancamente le braccia sul
tavolo e urtò qualcosa di caldo…
-Ehi! Accidenti, c’è qualcosa di caldo qui!- informò, e puntò la bacchetta verso il
contenitore
–Provo a berlo…-
-Magari Piton ha lasciato in giro qualcuno
dei suoi esperimenti…- bisbigliò la sorella.
-Ma che esperimenti! È
camomilla, ed è calda!- ribatté Francesca, che aveva appena
bevuto un sorso e si era scottata la lingua, poi aggiunse: -Tu che ne pensi di
tutto quello che abbiamo sentito oggi?-
-Che non lo capirò neanche tra cent’anni…
è successo tutto così in fretta… non ho
avuto il tempo di riflettere…-
-Tutta questa storia, sui nostri genitori, Piton che li vede
morire e che non ci ha mai detto niente, quello sporco verme!-
-Già! E poi il modo in cui
ci tratta! Sembra che, che… ci odia! E non riesco a spiegarmi il
perché, e questo è assolutamente contro la mia natura,
perché se qualcuno ce l’ ha con me vorrei
che mi dicesse il motivo, così che io possa rimediare!-
-E poi tutta questa storia su quello che siamo,
e su quel… quel… non trovo neanche le parole per descriverlo, e
pensare che è nostro zio… chissà come si è sentito
papà prima di…di…-
-Tradito. E incazz**o, ovviamente. –
-E chissà qual è stata l’
espressione sulla sua faccia… non riesco a non pensarci…-
-Io… è strano: avrei pensato che se mai avessi
scoperto qualcosa sul nostro passato mi sarei messa a
piangere come una fontana e invece… provo della rabbia… si intenda,
non verso i nostri genitori, ma verso nostro zio. E
per questo mi sento in colpa. In colpa perché il Vangelo ha sempre
insegnato a perdonare, ma io non ce la faccio. –
-Sì, un moto di rabbia indescrivibile, perché
sai che ti è stata tolta una cosa che non potrai
mai più riavere e tutto per pura pazzia, è questa la descrizione
della belva umana in cui è capace di trasformarsi anche il più
mite di tutti gli uomini… Inoltre, adesso che ci penso, proprio Piton ha
cancellato la memoria ai nostri genitori adottivi! Allora non gli è
bastata una volta, voleva guastarci la vita per
bene…- Francesca aveva gli occhi pericolosamente lucidi, ma al buio
ciò rimaneva celato.
-Sai, a volte rimpiango di non essere nata bradipo: se ne
stanno tranquilli sugli alberi per tutto il giorno… e poi, sapere che
nelle nostre vene scorre lo stesso sangue della persona che ci ha rovinato la
vita…-
-A me piacerebbe essere un uccello, perché è
la vera descrizione della libertà più assoluta… puoi andare dove ti pare, anche negli angoli più
remoti della terra, senza nessuna preoccupazione. -
-Beh, hai quella di rimanere vivo fino al prossimo volo… comunque sono arrabbiata anche con me stessa:
vorrei piangere, eppure non ci riesco. -
-Già, e poi ti chiedi se non c’era nessuna via, nessuna cosa che li avrebbe potuti salvare.
Se Piton non avesse fatto quel maledetto incantesimo
forse sarebbero ancora vivi…-
-Forse sì, o forse no… forse ho ascoltato
troppe messe, ma non credo che sia la cosa giusta continuare ad incolparlo: in
fondo, lui non poteva sapere che sarebbero arrivati, anche se… li avrebbe
portati da Lui. Ormai è andata così, ed è già bello
che lui si sia pentito. –
-Sì, in fondo hai ragione tu, lui ha capito il suo
sbaglio e se ne è pentito e credo che adesso
anche lui stia soffrendo come noi, ma per il rimorso. In fondo, se devi morire
quel giorno, quell’ ora,
quell’istante…. non c’è cosa
che lo possa impedire. Come si dice? La morte fa parte della vita…-
-Sai… non avrei mai creduto di poter essere
così razionale nel parlare di loro…-
-Sì, ma solo dopo esserti sbollita su Piton; anche io
non riesco a piangere e mi riesce di parlarne solo in
questo modo e per questo mi sento un po’ in colpa…-
Colte dal desiderio di stringere forte la loro madre, le due
si avvicinarono e si abbracciarono.
Anchela Chiodo si rigirava nel
letto: non poteva perdonare all’uomo che l’aveva messa incinta di
essere così insensibile… temeva che non sarebbe stato un buon
padre, e, a pensarci bene, non sapeva neanche se volesse fare il padre…
Decise che le serviva una camomilla, e a tentoni
si diresse verso la Sala
Grande, ma sentendo delle voci si arrestò…
-Sì, ma solo dopo esserti sbollita su Piton; anche io
non riesco a piangerci su e mi viene di parlarne in questo modo e mi sento un
po’ in colpa…-
Riconobbe la voce delle sorelle Grifondoro.
-Ah, lasciate stare quel vecchio pipistrello, domani
sarà già di ottimo umore, specialmente
dopo che vi avrà tolto qualche decina di punti…-
Udendo quella voce le due sobbalzarono; Francesca
afferrò la bacchetta e la puntò in direzione della voce e si
tranquillizzò riconoscendo la Chiodo.
-Professoressa! Ci ha fatto prendere un
colpo!- le disse Elisabetta, sospirando.
-Mi dispiace, non era mia
intenzione. Anche voi insonni?- disse trascinando
abbastanza rumorosamente le sue pantofole.
-Già. Avevamo bisogno di una camomilla bollente e di
un po’ di tranquillità. Lei, piuttosto, è qui per un
pigiama party?- le chiese Francesca, accennando alla sua vestaglia rosa.
-No. Avevo bisogno esattamente di
ciò di cui avevate bisogno voi. –
-Allora ce ne andiamo, se vuole un
po’ di tranquillità. Come ha potuto vedere oggi,
non siamo le persone più adatte per un’atmosfera
tranquilla…- disse amaramente Elisabetta.
-Solo per aver preso a pugni un professore, non direi che siete delle teppiste, quindi restate, mi farebbe
piacere… in fondo, credo che avrei fatto la stessa cosa…-
-Avrebbe fatto male, prof., e noi
l’abbiamo capito in ritardo. – ammise Francesca.
-Già. In fondo, è del tutto inutile continuare
a riempire la storia di “se”, ed è meglio perdonare…
chi se lo merita. – concordò fermamente la sorella.
-E voi credete che se lo meriti?-
chiese la donna.
-Beh, ha sbagliato, e anche un sacco di volte, però
adesso si è pentito, ed è questo l’importante.
Probabilmente adesso starà soffrendo anche lui… in fondo, anche i
pipistrelli hanno un cuore…-
-Già, ma non Severus Piton!-
-Perché prof. lei ne sa
qualcosa?- le chiese Elisabetta, anche se immaginava la risposta.
-Purtroppo sì. – ammise lei stancamente.
-Le va di parlarne? A volte fa bene. Noi l’abbiamo
fatto fino ad adesso, ed è stato utile.
Coraggio!- la incoraggiò Francesca.
-Sì… in fondo, se non posso fidarmi di voi, di
chi allora? Vi ricordate quel pomeriggio prima
dell’inizio della scuola, quando vi ho portate in quel ristorante?-
-Certo. –
-Quella è stata la seconda volta che ci incontravamo. Ci eravamo
conosciuti a Londra; eravamo in missione insieme per conto di Albus Silente, si
trattava di stanare gli ultimi Mangiamorte rimasti in
circolazione… Era molto scocciato di “avermi tra i piedi”,
come diceva lui…-
-Si vede che non ha mai visto un
film di James Bond! Sennò avrebbe avuto ben altri pensieri…- commentò Elisabetta.
-… beh, fino a qui tutto prosegue normalmente, a parte
le sue frecciatine… è strano, non
riuscivo a spiegarmi come potesse esistere un uomo talmente irritante da farti
venire la voglia di schiaffeggiarlo…-
-Esiste, esiste…-
-Ci rivedemmo solo quel giorno, ed era
passato quasi un anno. Subito non mi riconobbe, ma io non mi ero di certo scordata di lui! Non glielo dissi subito, ma
feci un’altra cosa. Ricordandomi la sua predilezione per le famiglie
Purosangue, gli mentii spudoratamente, fingendomi figlia di una qualche
famiglia italiana di maghi pura da dieci generazioni… e lui
abboccò. Volevo semplicemente vedere come si sarebbe comportato e magari
divertirmi un po’… in effetti, fu molto meglio della prima volta.
Mi parlò di uno strano rito che aveva letto in un antico e prezioso
libro di Arti Oscure che custodiva nel suo maniero in
cui era necessario il sangue di un mago puro da dieci generazioni…-
-Il solito Piton…-
-Sulle prime rimasi disgustata, e lui si affrettò a
farmi le sue scuse…-
-No! Non ci si può credere! Pensavamo che la parola scusa nel suo vocabolario non esistesse!-
-Invece esisteva, e ne rimasi
colpita. E scoprii che esistevano anche parole come affetto, sensibilità
e dolcezza…-
-Davvero? E come lo scoprì?-
-Osservandolo. Scoprì ben presto che più si
accaniva con qualcuno, più teneva a lui. Sembra un controsenso, ma
secondo voi perché vi rimbrottava sempre? Perché
era sempre pronto a sgridarvi accusandovi di comportarvi con leggerezza?
Perché voleva che voi steste attente, che non faceste
passi falsi che vi avrebbero compromesse. Era un modo per volervi bene…-
-Veramente carino, ma senza tatto. –
-Penso che si comporti così perché i suoi
genitori si comportavano così con lui…-
-Poi, poi? Continui, non ci tenga sulle spine!-
La Chiodo,
sorridendo continuò a parlare: -Ero convinta che avrei potuto alleviare
le sue sofferenze, così cercai di instaurare dapprima un rapporto di amicizia. Per lui doveva essere la prima volta che
qualcuno cercava di entrare nel suo mondo, e me lo lasciò fare. E fu
così che una sera lo invitai in camera mia…-
-E poi?-
-Successe il fattaccio…-
-Il fattaccio?!-
-Sono rimasta incinta. –
-Ah. E lo dice così?-
-E come dovrei dirlo?-
-Con enfasi. –
-Non credo. Temo che non vorrà fare il padre,
specialmente da quando gli ho rivelato di essere
una… mezzosangue. – la donna rabbrividì. Non era abituata a un certo tipo di linguaggio, tanto meno a pronunciare una
simile parola.
-Glielo cucineremo noi, non si preoccupi!
Correrà dritto di filato da lei, quando avremo finito con lui!-
-No! È una cosa tra me e lui. Credo di essere
abbastanza grande per potermela sbrigare da sola, non
vi pare?-
-Va bene. Comunque tranquilla, con
lei si scioglierebbe il Polo Nord! Vedrà che sarà un buon padre,
e un marito affettuoso. Buona notte. –
-Buona notte. E grazie. –
Le due Grifondoro percorsero a ritroso i corridoi che
avevano esplorato alla ricerca della camomilla e, badando a non fare alcun
rumore, si infilarono nel loro Dormitorio e nel
rispettivo letto. Non appena chiusero gli occhi, sprofondarono in un sonno
ricco di sogni.
C’erano i loro genitori, e le stringevano, e loro
stranamente avevano quattordici anni. Erano belli, giovani, affettuosi e le
riempivano di coccole… per una volta dall’inizio dell’anno si
sentirono scaldate dal calore materno e paterno, non da quello artificiale
delle coperte.
Quando la Chiodo fece capolino dalla porta e si
avvicinò ai loro letti, poté vedere calde lacrime solcare i visi
delle sorelle, accompagnate da bei sorrisi; capì che erano finalmente
riuscite a piangere e a sfogarsi come avrebbero voluto e a fare bei sogni
assieme ai genitori; allora fece l’unica cosa che una madre avrebbe
fatto: lasciò loro un bacio affettuoso su quelle guance che non
sentivano da tempo il sapore dei baci.
*
Piton, beh, la chiacchierata aveva risvegliato in lui la
memoria dei suoi giorni più bui al seguito di Voldemort…
la memoria scorreva veloce nella sua mente… arrivò perfino a voler
assumere la Memoria
Dormi, in quantità tale da lasciarlo libero almeno quella notte, ma sapeva che quella pozione
così utile poteva trasformarsi ben presto in una droga.
Pensò a come si era comportato, sin da subito, con le
sorelle Serpini… male. A volte le aveva perfino
addossato grosse colpe che non avevano, ma che avrebbero potuto avere,
nonostante lui sapesse che così non fosse, e perché?
Ripensò agli occhi colmi di odio di Francesca,
espressione di appena qualche ora fa: quanto somigliavano a quelli di sua
madre… e lo sguardo complice che Elisabetta riservava a Potter? Lo stesso
di suo padre… Quegli sguardi, quelle
espressioni, gli ricordavano troppo quelle dei loro genitori, morti per colpa
sua. Anche se non era stato lui ad ucciderli materialmente.
Avrebbe dovuto consegnarli a Lui, ed era già sufficiente a condannarli,
perché mai si sarebbero lasciati persuadere a schierarsi con lui… Aveva fatto quell’incantesimo, ed erano arrivato lui. Anche se avesse voluto fare qualcosa per loro, non avrebbe potuto.
E il peggio era che lui non aveva nemmeno
voluto…
Quanto gli faceva male quella verità… lo
sapeva, ne era sempre stato consapevole, eppure non se
lo era mai ripetuto così convinto se non in quell’occasione. E ora
che non aveva più scuse, ora che ne era
pienamente consapevole, stava male.
Sapeva inoltre che l’unica cosa di cui erano colpevoli
le ragazze era quella di rammentargli le sue vittime, o meglio: i due coniugi
che erano morti per colpa sua. Saper di aver causato la morte di una persona
“accidentalmente” era persino peggio dell’essere consapevole
di aver ucciso una persona di propria iniziativa, ma quello che era veramente
peggio era l’aver ucciso a causa di un comando: l’essere stato un
burattino.
La storia di quelle ragazze gli ricordava terribilmente
quella di Potter. Il suo comportamento poi era stato identico.
Per lui l’unica consolazione fu il poter constatare
che, in fin dei conti, Potter era diventato un ragazzo normale e aveva una sua
vita, e così sarebbe potuto essere per
Elisabetta e Francesca.
E lui? Che
ne sarebbe stato di lui? Magari, fra una decina di anni
avrebbe insegnato a un altro discendente di una sua vittima, che per di
più si era appena trasferito da Durmstrang e
appreso che lui era l’assassino dei suoi genitori gli avrebbe lanciato
una maledizione senza perdono…
Preso da queste fantasticherie, il professore si
addormentò, per poi svegliarsi di soprassalto verso
le sei del mattino, madido di sudore.
VI PREGO, RECENSITE! LO FANNO SOLO 2 BUONI SAMARITANI!
Grazie a _Laura_ !!!!!!!!!!!!!
Lucifer_the_Darkslayer: grazie per tutte le informazioni; ok, la smetto con le scuse…grazie 1000 per le tue
recensioni!!!
Il giorno dopo, la scuola si risvegliò ignara del
dolore di alcuni suoi membri.
Le sorelle decisero di affrontare le giornate seguenti col
sorriso, per quanto possibile; Ciro sembrò voler dar loro una mano,
perché le svegliò come suo solito leccandole.
A colazione cercarono di distrarsi
parlando fitto con chiunque capitasse loro a tiro, anche per mascherare
il loro scarso appetito.
A lezione cercarono di prestare più attenzione
possibile, durante Pozioni specialmente, per dimostrare al loro professore
quanto loro fossero “superiori”, e anche
perché consideravano la pozione che dovevano preparare come la tacita
interrogazione che Piton aveva promesso loro.
*
Marzo, marzo pazzerello: guarda il sole e prendi
l’ombrello… c’è il detto “meteorologico”,
ma c’è anche quello degli studenti: marzo, il mese delle
verifiche e delle interrogazioni.
Ad aprire le danze fu la prof. di Lettere, che fissò
un tema di Italiano per il venerdì e una
verifica di Storia della Magia per il giovedì della settimana dopo.
Ovviamente i ragazzi presero male la notizia, così la McGranitt cercò
di giustificarsi.
-Come da me promesso, alla fine del primo quadrimestre vi ho
detto i vostri voti e per un mese siamo andati avanti col programma,
però adesso è ora di darci dentro e di rimettersi a studiare!-
Ramona si sorprese a ripensare al
giorno in cui la sua prof. aveva informato gli alunni dei voti. Era stato un
venerdì. Si ricordò anche quando era entrata nella Sala Grande:
nei tavoli dove di solito erano seduti i ragazzi, divisi per Casa, erano
appollaiati i vari insegnanti di Lettere, poi c’era un via vai di altri insegnanti delle materie più disparate che
assisteva ora ad uno, ora all’altro colloquio, perché era di un
vero e proprio colloquio che si trattava.
Si avvicinò tremante verso la McGranitt, che sedeva a
capo della lunga tavola dei Grifondoro. Attorno a lei c’erano anche Corni
e la Tassi.
Fiu! Meno male che non
c’è Piton! E neanche la Melalavo!
pensò.
La sua insegnante non tardò ad accorgersi che era
nervosa, perciò non perse tempo a rassicurarla, informandola che aveva
la media dell’8 e mezzo.
-Davvero?!- chiese incredula la
ragazza.
-Puoi scommetterci!- le rispose simpaticamente Corni –Anzi, nella mia materia hai la media
dell’Eccellente, cioè del 10!-
-Wow!-
Guardando la sua pagella provvisoria, scritta con inchiostro
azzurro, poté constatare che aveva veramente la media dell’8,
fatta eccezione per Trasfigurazione, unica nota negativa visto che la prof. le
aveva scarabocchiato un bruttissimo Deludente, e per Musica e Artistica, in cui
aveva Eccellente ed Oltre Ogni Aspettativa.
-Non male! Però potresti anche dare qualcosina in più; ora, questi voti sono provvisori,
perciò puoi alzare la tua media e arrivare al nove pieno, se ti impegni, intese?-
Era uscita rilassata e soprattutto contenta.
Dopo aver velocemente informato gli amici, corse subito da
suo padre a riferirgli la bella notizia. Sogghignò pensando che
quella media gli aveva fruttato otto Galeoni.
Le sorelle ovviamente erano entrate assieme,
anche se Elisabetta, la prima in ordine alfabetico, sedeva accanto alla
McGranitt e sua sorella all’altra estremità del tavolo.
Ad assistere al colloquio c’erano anche la Parmigiani,
Piton e la Chiodo.
-Davvero ben fatto, signorina, visto che sei cresciuta in un
ambiente completamente babbano! Hai la sorprendente media dell’Oltre Ogni
Aspettativa, e ti giuro che se fossimo stati nel
secondo quadrimestre…!- si congratulò la McGranitt, porgendole la
pagella, a cui la ragazza diede una rapida scorsa… le uniche note erano
l’Accettabile in Trasfigurazione (ma se lo aspettava, visto che la Melalavo era molto
stretta con i voti) e Oltre ogni Aspettativa in Pozioni.
Come?! Pozioni?! Impossibile! Aveva sempre preso il massimo
dei voti! Guardò interrogativamente il professore.
-Non se la prenda troppo, signorina. Il fatto è che
non sono del tutto sicuro che sia farina del suo sacco…- sibilò l’uomo.
Certo, era un voto molto alto, però lei sapeva di
meritarselo pienamente. Quell’uomo non poteva accusarla senza prove:
dopotutto, lei poteva bloccare il tempo, però
quello non era sufficiente a far venire bene una pozione!
Tentò di ribattere, ma l’acido professore fece
prima di lei: -Se fossi in lei non insisterei, le è già andata
bene così!-
Ma dopo la nota amara, ce ne furono due positive:
i complimenti della Chiodo e della Parmigiani.
Mentre stava per dare il cambio a
Francesca, la ragazza sibilò, rivolta a Piton:
-Io voglio Eccellente in Pozioni, e lo avrò, fossi
costretta a svolgere un test in privato con lei!-
Intercettando lo sguardo ancora alterato della sorella,
Francesca si aspettò il peggio, ma così non fu: scoprì
anzi di avere la media del 9.
-Beh, potresti migliorare in Matematica, anche se Oltre Ogni
Aspettativa è già alto, in Pozioni e in
Trasfigurazione, poi avrai una signora pagella!-
Quando le due uscirono si andarono
subito a confrontare con i compagni e scoprirono di essere tra le migliori,
assieme a Rosa e Ilir.
Poi si affrettarono a raggiungere
Ramona, che era ancora dal padre, e dopo cena festeggiarono tutti assieme nel
Dormitorio dei Grifondoro con la
Burrobirra offerta da Giordano (che
ovviamente era presente). Verso mezzanotte però furono richiamati dalla
McGranitt e tutti, chi prima, chi dopo, filarono a dormire.
E pensare che aveva avuto tanta
paura, pensando alla reazione del padre in caso di una media inferiore al 6! Invece aveva pure guadagnato otto Galeoni.
Quando suonò la ricreazione,
le tre Grifondoro si recarono al bagno per incontrare Giada, Emma e Sara.
-Oh, ciao! È un po’ che non ci vediamo! Come và?- le salutò Giada.
-Tutto regolare, a parte che abbiamo
ripreso con le verifiche…- si lamentò Ramona.
-Già, anche noi! Io devo assolutamente passare con un
voto alto in Erbologia, devo recuperare quell’Accettabile che mi ha messo
la Tassi!-
disse lei.
-E io avrei bisogno di una mano in
Matematica e Pozioni! Sono disperata, soprattutto per Pozioni: quel cetriolo mi
ha dato Accettabile!- si lamentò Sara.
-Io non so, credo che dovrei ripassare Storia della Magia,
ma è talmente noiosa! Potrei offrire ripetizioni di
Trasfigurazione in cambio di quelle di Storia della Magia!- propose
Emma.
Alla fine, vedendo che le lacune dell’una si potevano
colmare con le ripetizioni dell’altra e viceversa, il gruppo decise di
trovarsi tutte le domeniche per ripassare in compagnia. Appena
in tempo, perché la ricreazione finì.
*
Venerdì ci fu il famoso tema di
Italiano. Come suo solito, la professoressa aveva fornito tre tracce e
gli alunni avevano scelto quella su cui si ritenevano meglio preparati. Molti
ragazzi preferivano, prima di scrivere in bella il loro tema, svolgerlo prima
in minuta (in quanto era severamente vietato usare il bianchetto babbano e
tanto meno gli incantesimi auto correggenti e affini), come Francesca e Ramona;
Elisabetta invece svolgeva solitamente i suoi temi direttamente in bella, in
quanto usava tutto il tempo a lei concesso (in media tre ore) per svolgere la
traccia (quindi faceva dei temi molto lunghi e solitamente briosi) e non
avrebbe avuto tempo di ricopiare il tutto. Anche
Francesca in media scriveva molto, ma aveva anche il tempo per ricopiare tutto
in bella e così pure Ramona.
Per loro fortuna la professoressa li informava la settimana
prima delle tracce che avrebbe voluto che loro svolgessero, dandogli il tempo
per documentarsi o semplicemente per raccapricciarsi.
Più o meno faceva
così anche la collega di Matematica, con la sola differenza che al posto
delle parole c’erano i numeri. Per Astronomia, a cui era dedicata una
serata a settimana, preferiva somministrare questionari brevi ma molto spesso.
Solitamente chiedeva di completare una mappa del cielo in cui gli alunni
dovevano inserire il nome delle stelle o dei pianeti omessi; solo raramente
consegnava lunghi e complessi questionari che richiedevano una conoscenza un po’
più approfondita di un pianeta di volta in volta diverso.
Molto diverso era il comportamento di insegnanti
come la Parmigiani
e Corni, che consegnavano in media uno o due questionari all’anno;
più che altro si basavano sulla “praticità”, ovvero
su disegni e sul canto. Anchela Tassi e la Venturelli
si basavano sul rapporto che gli allievi sapevano instaurare con le piante e
con gli animali magici.
La più “rognosa” era la Melalavo, perché
se decideva che non gli stavi simpatico o la facevi indispettire era capace di
interrogarti dieci volte di fila, cosa che capitò a
Ilir, accusato di aver buone capacità ma di applicarsi poco…
Però anche Piton non scherzava: di solito rifilava ai Grifondoro
questionari a ripetizione, ovviamente senza preavviso e senza informare gli
studenti su cosa in particolare avrebbero dovuto prepararsi… un giorno in
cui i Grifondoro erano a Pozioni assieme ai Tassorosso (le Case che lui
più di tutte detestava), ebbe il coraggio di somministrare ai ragazzi un
questionario inerente i primi contenuti del libro di Pozioni, e non era di
certo uno scherzetto ricordarsi le cose fatte all’inizio dell’anno,
anche se erano molto facili!
Alla fine dell’ora, Elisabetta si ricordò di
non conoscere il volto dei propri genitori, e rammentandosi la rosa dei volti
donata a lei e a Francesca dalla McGranitt quel Natale, decise di chiedere un
appuntamento al pomeriggio con Piton, sperando che lui
volesse rivelarle il mistero. Quando la sorella vide
che si era avvicinata “allo spregevole”, come lo chiamava lei,
provò un moto di rabbia nei suoi confronti.
-Professore…- mormorò Elisabetta, guardando il
professore, gli occhi di lui bassi su una pila di
fogli.
-Sì?- chiese scocciato lui,
senza degnarla di uno sguardo.
-Beh, volevo chiederle se questo pomeriggio, dopo le
lezioni, ha cinque minuti da dedicarmi perché
devo parlarle…-
A quel punto il professore alzò gli occhi e gli venne
un tuffo al cuore: cos’altro diamine voleva da lui? Un’altra
scazzottata, come diceva lei?
-Alle cinque e mezza nel mio ufficio. –
sentenziò secco, con la solita aria di sufficienza.
Quando riferì alla sorella,
lei rimase a bocca aperta.
-Cosa ti fa credere che ti darà una mano?- le chiese
Francesca.
-Perché è il minimo
che possa fare. Vuoi venire anche tu?–
-Non se ne parla proprio! Rischio di saltargli addosso di
nuovo!- rispose Francesca alzando la voce.
-Come vuoi…- Elisabetta fece spallucce
–Però almeno all’entrata mi accompagni! Sai, se mi fa
arrabbiare ti chiamo, così lo scotenniamo meglio…-
-D’accordo!-
non se lo fece ripetere due volte. Così, non potevano di certo
accusarla di esser stata lei ad attaccar briga!
*
Furono fortunate, perché al
pomeriggio furono accolte nell’Auditorium per la visione, assieme ai
compagni delle altre Case, de “Il Gobbo di Notre Dame”, dato che la
sala era dotata di una stazione multimediale con televisione e
videoregistratore.
Furono molto pochi i ragazzi che si stupirono nel veder
spuntare da quella scatola nera delle immagini in movimento e dei suoni, la
maggior parte sembrava esserci abituata.
Qualcuno pensò con disgusto che il mondo magico si stavababbanizzando, altri erano
di avviso migliore.
Dopo la visione del film, i ragazzi furono
lasciati andare, visto che mancava solo un quarto d’ora al suono
dell’ultima campanella del pomeriggio.
Le sorelle scapparono in Dormitorio e Francesca passò
la pergamena alla sorella, in quanto era lei che per quella settimana la
custodiva. Arrivò anche Ramona…
-Dove andate adesso?- chiese.
-A fare un giro da Piton, abbiamo organizzato un incontro di
pugilato. – rispose sarcastica Francesca.
-Vuoi venire con noi?- aggiunse la sorella, speranzosa che
l’amica declinasse l’invito, cosa che fece
dicendo: -No, ho un impegno anch’io. Ci vediamo!-
Francesca, che aveva percepito lo strano desiderio della
sorella, le chiese spiegazioni.
-Questa cosa riguarda solo noi due. Non voglio rovinare la
vita anche a lei. E poi, sai, vedere troppo il Mocciosus
fa male alla salute!-
Dopo quella battuta si avviarono
leggermente più serene verso i sotterranei, anche se quando furono
vicine all’ufficio di Piton un certo nervosismo le colse.
Per strada incontrarono Harry.
-Oh ragazze, che fate in giro di bello?-
-Abbiamo un appuntamento col Mocciosus…- disse Francesca lugubre.
-Punizione?-
-Visita di scortesia…-
-Oh…- Harry c’era rimasto male
–Peccato, volevo chiedervi di venire nel mio ufficio…-
-E beh? Noi veniamo. Diciamo…
alle sei?-
-Va bene. Vi aspetto!-
A questo punto non potevano fare altro che sbrigarsi…
-Dai Fre, vieni con me, mi sento più tranquilla se
una campionessa di pugilato mi guarda le spalle…- supplicò
Elisabetta, strappando il consenso alla sorella.
Dopo un abbraccio e una schiacciata di cinque, le due
bussarono.
La porta prese vita e le guardò con aria scocciata.
-La prossima volta prendete un appuntamento e non
disturbate, anzi: non tornate proprio!- disse la voce
maschile e roca assumendo il tono più minaccioso possibile.
-Ma noi ce l’abbiamo!- gli
rispose Elisabetta, nella speranza di zittirlo, ma quella continuò; si
mimetizzò nuovamente solo quando udì il suo padrone avvicinarsi e
aprire.
-Salve, sono le cinque e mezza, ricorda? Ah, ho portato
anche mia sorella…- disse Elisabetta, sorridendo
falsamente al professore.
-Entrate. – ordinò, e le lasciò passare,
per poi richiudere la porta violentemente –Allora, di cosa voleva
parlarmi, signorina?- chiese rivolto solo a
Elisabetta, visto che con Francesca era rimasto in pessimi rapporti; inoltre,
prima che lei entrasse si erano scambiati un’occhiata di puro odio.
Elisabetta spiegò il foglio con le dodici facce, attendendo
che il suo interlocutore si fosse seduto, poi lo girò verso di lui.
-Potrebbe dirci quali erano?- chiese,
la voce tremante.
Piton prese il foglio con mano malferma. Ricordava ogni
dettaglio del volto delle sue vittime, specialmente
gli occhi; quanti occhi supplichevoli, orgogliosi, impauriti, sbalorditi,
incapaci di comprendere, pieni di rabbia…
-Vostro padre era questo…- disse
indicando un volto -…sarà stato alto come te!- riprese
facendo un cenno del capo verso Elisabetta –Sei molto simile a lui. Aveva
gli occhi azzurri, quasi come i tuoi, e i capelli chiari, quasi biondi…
Diplomatico, ma fino a un certo punto, sapeva far
valere le sue ragioni. Non si arrabbiava quasi mai, diceva sempre che non ne
valeva la pena. Però, quando capitava, non
risparmiava niente. Vostra madre invece era più impulsiva; anche lei non
era campionessa di altezza… somigliava a te!-
questa volta segnò Francesca –Mora, con gli occhi castano chiari,
gran lavoratrice… due gran brave persone. Voglio che sappiate che
è anche grazie a loro che ho deciso di abbandonare il Signore
Oscuro, e di passare dalla parte di Silente. –
-A proposito… potrebbe dirci i loro
nomi?- chiese timidamente Francesca.
-Purtroppo, non li so. Usavano sempre dei
nomi in codice, erano molto prudenti. So che non è lo stesso, ma
se vi può aiutare… i loro nomi in codice erano
Renzo e Lucia. - disse sospirando.
Udendo quelle parole, le ragazze capirono che la
conversazione era finita.
Entrambe però avevano la sensazione che qualcosa non quadrasse… ma non sapevano cosa.
Era veramente frustrante ma non ne
fecero parola con Piton, preferirono parlare col più ragionevole Harry,
visto che gli era già andata grassa così.
Prima di entrare, Francesca attese che la sorella facesse una scappata in Dormitorio a recuperare il Mantello
dell’Invisibilità.
Che scroccona: è un casino che ce
l’ ha! pensò.
Quando la vide avvicinarsi,
bussò. Il viso raggiante di Harry, e la voce comica della sua porta
fecero tornare il buon umore alle ragazze.
Inevitabilmente però finirono per parlare della
visita a Piton.
-Beh, che ci facevate dal Mocciosus?-
Le due raccontarono d’un fiato gli ultimi fatti
accaduti, anche quelli di alcune sere prima. Francesca
volle soffermarsi sull’ultima frase detta dal suo insegnante di
Pozioni…
-Però, io sento che qualcosa
non quadra… è stato vago con le date…- ammise Elisabetta
pensierosa.
-E ti credo: è tutto
sballato! Insomma… non può essere!- esclamò sconvolto Harry
–Voi dovevate essere già nate quando…
successe il fatto, giusto?-
-Giusto. –
-Ma Piton non poteva essere là, almeno non su richiesta di Voldemort,
perché io ero già nato da circa dieci anni!-
-E con questo? Non capisco!-
-Voldemort uccise i miei genitori,
poi tentò di far fuori anche me, ma il suo
attacco si ritorse contro di lui, e perse i poteri. Per dieci anni non si fece
più sentire, e Piton era già dalla parte del bene… Giusto
al quinto anno, cioè dopo quattordici anni,
annunciò il suo ritorno completo… Piton non poteva essere
là, i vostri genitori devono essere morti dopo i miei, non
c’è altra spiegazione!-
A pensarci bene, se lui aveva ventiquattro anni, e loro
quattordici, il discorso non faceva una piega… ma
allora Piton aveva raccontato un sacco di balle! E a
quale scopo? Non ci capivano più niente…
-Ragazze, sono le sette, tra un po’ è ora di
andare a cena!- annunciò Harry, che aveva
casualmente guardato l’orologio. Solo allora le due realizzarono
che dovevano ancora fare i compiti.
-Oh cavolo, devo ancora fare
i compiti!- confessò Elisabetta in preda al panico.
-Avete giusto mezz’ora! E poi
l’after dinner…-
Le due corsero come pazze fino al
Dormitorio, presero il diario e con sgomento videro che avevano i compiti di
Matematica e Lettere. Visto che era un caso d’emergenza, Elisabetta fece Matematica, mentre la sorella Italiano. Alle sette e mezza cenarono in tutta fretta, poi di nuovo su in Sala Comune,
questa volta con Ramona.
-Ma perché non hai fatto i compiti, tu che avevi tutto il tempo?- chiese
Francesca.
-Beh, avevo un
appuntamento…- confessò timorosa la ragazza. Ovviamente la
tempestarono di domande, e così scoprirono di Enrique.
Quando arrivarono anche le altre (che sostarono nella Sala
Comune), le tre si rinchiusero nel Dormitorio femminile per cercare un
po’ di quiete.
Le sorelle si scambiarono
i quaderni, poi fecero copiare a Ramona. Alle nove avevano finito.
-Spero che le espressioni mi siano venute:
le ho fatte talmente in fretta!-
-Già, e io spero di aver fatto bene
Geografia. Ho colorato le cartine in un modo…-
-L’importante è riuscire a parare le eventuali
domande della prof. e passare il controllo compiti. –
Quando si coricarono, Ramona fu felice che
le sue migliori amiche avessero accettato Enrique, nonostante fosse un Serpeverde… ma glielo aveva detto?
Il mattino dopo le tre Grifondoro si svegliarono con un gran
mal di testa: espressioni, diagrammi, nazioni, problemi personali si intrecciavano in un frullato amaro senza il sapore di
frutta.
Sentivano la fatica di quella settimana opprimerle, come se
avessero passato tutte le notti in bianco (il che non era completamente una bugia)
e a giudicare dallo stato delle loro coperte, dovevano aver passato una nottata
a dir poco burrascosa.
A colazione cercarono di assumere più calorie
possibili, e ciò diede i suoi frutti: a lezione riuscirono a non
addormentarsi neanche una volta! L’attenzione era sufficiente per
prendere appunti durante la spiegazione, ma
insufficiente per seguire le interrogazioni. Se lo potevano permettere, visto
che erano state interrogate da poco.
Il peggio lo temettero durante l’ora di
Trasfigurazione, quando la prof. avrebbe voluto costringere Ramona a mutare la
sua matita in un lombrico. Dopo aver cercato di prendere
tempo, riuscì a strappare un Accettabile alla Melalavo, visto che il
lombrico aveva la coda appuntita e capace di scrivere.
-Rammentate ragazzi, fino a quando
si intuirà ancora l’oggetto originale non potrò darvi
più di Accettabile!- li avvertì la professoressa.
-Se uno non capisce più cos’era prima merita un
Eccellente, altro che Accettabile!- grugnì Ilir, ma
Ramona era contenta così.
In un modo o in un altro riuscirono a tirare avanti fino al
suono della campanella del pranzo.
Anche Harry riuscì a tirare
avanti fino alla campanella; continuava a pensare alle stranezze raccontategli
dalle sorelle Grifondoro, lasciando che le classi facessero i comodi loro.
Alla fine della quinta ora, andò a guardare gli orari
dei vari professori, mostrando particolare interesse per il collega direttore
della sua Casa nemica; poté osservare che era l’unico giorno in
cui non aveva lezione dopo pranzo, così si disse
che era destino dovergli parlare.
Arrivò teso alla Sala Grande, pensando a come
rivolgersi a lui. Si sedette, e lo guardò di sottecchi… era chino
sul suo piatto di lasagne fumanti, e stava tentando di aprirle in modo da farle
raffreddare. Come se quello sguardo posato su di lui fosse carico di elettricità, Piton alzò la testa di scatto
girandosi verso Harry, che fu goffo nel girarsi, ma non abbastanza da
intercettare quello sguardo. Il collega comunque se ne
accorse.
Per i due fu un pranzo tutt’altro che piacevole…
Alla fine, quando la sala iniziò a svuotarsi, Harry
prese il coraggio a quattro mani e si avvicinò al collega, intento a
finire il suo caffè senza zucchero.
-Severus, avresti un minuto? C’è una cosa che
devo dirti assolutamente…- sussurrò al
suo orecchio. Aveva detto giusto? Forse aveva usato un tono troppo
tragico…
-D’accordo. Raggiungimi nel
mio ufficio tra dieci minuti. – rispose freddamente
lui, così il giovane si allontanò dalla sala.
Piton constatò che ultimamente avevano tutti bisogno di lui, persino il suo nemico storico.
Certamente c’entreranno le Serpini…
pensò tra sé Cos’altro vorrà?!E perché deve sempre impicciarsi in affari che
non lo riguardano? È un vizio che si trascina dal tempo di scuola…
Immerso in queste considerazioni, si alzò violentemente
e sgarbatamente rimise la sedia sotto il tavolo, facendola stridere, poi, come
un’ombra, si diresse verso il suo ufficio.
Il giovane Potter già lo stava aspettando. Il ragazzo
abbozzò un sorriso quando lo vide arrivare,
anche se non gli riuscì molto bene.
Senza degnarlo di uno sguardo, aprì la porta (che non
aveva fiatato riguardo la presenza dell’altro
professore) e fece cenno al collega di accomodarsi sulla poltrona di pelle nera
sulla quale poco tempo prima si era seduta Elisabetta.
Harry non sapeva bene come iniziare, così lo fece
Piton per lui: -Ha a che fare con le Serpini?- chiese seccamente.
-Sì. Le ragazze mi hanno messo al
corrente di quello che hai detto loro, ma ho riscontrato alcune…
incongruenze…-
-Incongruenze? Di che genere?-
-Ecco, lei… tu, hai detto di aver assistito alla morte
dei loro genitori, ma ciò, secondo me, non può essere vero,
perché quattordici anni fa eri già dalla parte di Silente, e io
ero già nato, quindi Voldemort era già
caduto una volta…-
-Oh, ma io non ho detto quattordici anni fa, ho detto circa una ventina…- rispose Piton, che aveva
capito il dubbio del suo ex studente.
-Ma loro hanno quattordici anni!
Quando i loro genitori morirono, loro per forza dovevano essere già
nate!-protestò
Harry.
-Mio caro Potter, faresti meglio a documentarti prima di
fare domande stupide… dovresti saperlo che i Wizardtime
possono manipolare il tempo a loro piacimento, e non solo bloccarlo!- lo
canzonò Piton –Io ho una mia teoria, ossia che i loro genitori le abbiano spedite dieci anni nel futuro, per proteggerle.
–
Di fronte a quell’affermazione Harry rimase perplesso,
per non dire sconvolto. Si fermò a fissare il bordo della scrivania,
rimanendo immobile per qualche secondo; Piton, cogliendo nella mente del
ragazzo un turbinio confuso di pensieri, gli chiese a cosa
stesse pensando.
-Che se la mia storia è stata contorta, questa si
può definire casino totale… Ricordo bene l’inizio di tutto, quella lettera della Roccaforte. Diceva che…-
-…che riteneva giusto informare
Silente della presenza di due presunte streghe che non erano registrate nei
loro archivi. - completò lui.
-Già. E quella là le
ha affidate a noi perché le credeva figlie di criminali…
Un’idea infondata, ma sono contento che sia andata così.
Chissà come avranno fatto a scoprire che
avevano dei poteri magici!– affermò Harry.
-Questo proprio non lo so. Sai, riesci a crearti un trio
ovunque tu vada, Potter! Te ne sei accorto?- ribatté
Piton, riservandogli un sorriso che non sapeva né di rimprovero,
né di cattiveria, ma semplicemente di lieve presa in giro.
-Questa volta siamo un quartetto. –
-Già, dimenticavo la Guerzoni.
Allora, alla prossima Potter. –
Si lasciarono così, senza rancore o risentimento,
quasi come vecchi, vecchissimi amici. In fondo, lo erano sempre stati, ma
ognuno a modo suo.
Harry ripensò a quando,
durante il suo primo anno ad Hogwarts, Piton lo avesse salvato dal Malocchio
che Raptor stava facendo alla sua scopa. Lo aveva
fatto perché si sentiva in debito con suo padre, gli avevano
detto… ciò non toglieva che, nonostante lo odiasse, gli avesse fatta salva la vita. Era un uomo che aveva sbagliato
molto nel passato, ma che stava cercando di recuperare nel presente.
Si accorse che era passata quasi un’ora. In fretta e
furia si preparò per la lezione successiva, promettendosi di parlare con
Elisabetta e Francesca appena si fosse presentata l’occasione, caso che si verificò solo alla fine della giornata.
Assieme tracciarono il percorso della vita delle sorelle; le
due furono alquanto sorprese di scoprire che era stata la Roccaforte, e non
Silente, a spedirle a Bologna. Inizialmente avrebbero dovuto frequentare
l’Accademia Magica Bolognese. La vicepreside, tale Cecilia Roccaforte,
incredula di fronte a un suo errore, era andata a
controllare i loro cognomi nell’archivio in cui sono registrati tutti i
maghi, ma non aveva trovato alcuna traccia di loro. In un modo o
nell’altro, ne aveva parlato con Silente, che si
era offerto di iscriverle alla sua scuola.
-Io continuo a non capire come mai qualcuno sapeva dei nostri
poteri, ma la tizia, la
Roccaforte no…- ammise
perplessa Francesca.
-Ho rivolto la stessa questione a Piton, ma neppure lui mi
ha saputo rispondere…- disse in tono di scusa
Harry.
-Oh santa Maria, Francesca:
dobbiamo ancora fare i compiti, tra cui anche Difesa!
Harry, mentre ne parliamo, non ti dispiace se noi facciamo
i compiti, vero? È già la seconda volta che succede. -
E così, tra una congettura e
un’altra, le sorelle fecero pure il loro dovere.
-Sapete che cosa vi dico… che vado in Dormitorio, ho la
testa che mi scoppia, scusami Harry ma ho bisogno di
un po’ di tranquillità. - salutò Francesca.
Francesca sei un genio!
Ricordami di aggiungere dieci punti a Grifondoro! pensò
il ragazzo.
Hai sentito Betty?!
Urca se ho sentito! In
fin dei conti, non sono tanto inutili ‘sti
poteri!
Oraper sdebitarti mi dovrai
organizzare un appuntamento con Manuel!!!
Faresti meglio a chiedere il combinozzo
a Ramona!
La ragazza ammiccò e -Ci vediamo
dopo Betty!- completò uscendo e lasciando la
ragazza sola con Harry. La sorella la seguì con lo sguardo e poi si
rivolse sorridente al ragazzo.
-Senti… è un po’ che ti volevo chiedere
una cosa…- iniziò lui.
-Dimmi!- lo esortò
Elisabetta.
-Ehm… sai… avevo progettato un nuovo tipo di allenamento e… volevo chiederti un parere…-
Accidenti! Non ce l’ ho
fatta! Eppure… dovrò pur sapere se le
interesso veramente!
-Cosa?! Chi te lo ha detto?!
È stata mia sorella, no: è stata Ramona! Poco male, le strozzo entrambe!- sbottò Elisabetta, esponendo i
propri pensieri a voce alta.
-Come? Chi mi ha detto… cosa?-
-Che… quello che stavi pensando!-
-C-cioè, mi vuoi dire che… hai sentito quello che ho pensato?! Siete
pure due Legilimens?-
-Due… eh?- non fece in tempo a terminare la domanda
che Silente bussò, ed Harry fu costretto ad andare ad aprire.
-Prego? Come ha detto? Io che ho una pagella piena di Eccellenti, e lei mi viene a chiedere se prendo
ripetizioni in Difesa, io che ci sono nata, con la difesa alta! Ce l’ ho nel sangue!- l’aggredì lei,
mostrando il pugno e una vena azzurra che le solcava l’avambraccio.
-Okay, okay,
scherzavo! Harry, venivo per comunicarti la data della prossima partita.
C’è il 27 aprile… e visto che ci sei anche tu,
Elisabetta… due piccioni con una fava. – disse mostrando un
sorrisetto paragonabile a quello sadico di Piton.
La ragazza prese un cuscino
attirandolo con l’incantesimo “Accio”
e glielo lanciò addosso; Silente non ci mise molto impegno a schivarlo.
-Uhm… vedo che Lorri ha
fatto un buon lavoro. Non mancherò di comunicarglielo. Buona
serata… ah, a proposito: è quasi ora di cena. –
-Non finisce qui!- sillabò Harry senza pronunciare le
lettere a Elisabetta mentre la ragazza se ne andava.
Rientrando al Dormitorio Elisabetta trovò
Francesca sul letto intenta a guardare la famosa foto dei suoi genitori.
-Mancano anche a me…- le sussurrò
all’orecchio –Adesso andiamo: è ora di cena. –
P-E-R F-A-V-O-R-E!!!RECENSITE!!!non vi costa così tanto... :-((((
Evanescense88: sono stata contenta di aver avuto un tuo
giudizio sulla storia…grazie 1000!!!J
Grazie tante ad Arc!!!J
Lucifer_the_Darkslayer: tra chi dovrebbe essere questo
duello di magie? Ciao! J
_Laura_: sì, praticamente i buoni samaritani sareste tu e
Lucifer_the_Darkslayer…fino ad ora siete stati quasi gli unici ad avermi
seguito dicendomi quello che pensavate! J
Qualche giorno dopo i ragazzi vennero per l’ennesima
volta convocati nell’Auditorium per l’annuncio delle parti.
-Allora, abbiamo lottato un bel po’ per decidere le
parti, comunque: per il ruolo di Quasimodo
abbiamo democraticamente scelto… suspence…
Elijah! Bravo ragazzo!- applausi per il Grifondoro, che fece una delle sue buffe facce meravigliate più simile a
quella di un bambino colto a rubare le caramelle -Poi, per Esmeralda… suspence… Taranee!- la
ragazza Corvonero arrossì violentemente mentre le sue amiche fingevano
di adularla (si capiva lontano un miglio che fingevano: in realtà erano
verdi d’invidia!) -Enrique, sarai il nostro
Febo!- i maschi furono, almeno in apparenza, più sinceri nel
congratularsi, e portarono il loro compagno letteralmente in trionfo.
-Poi, per i Gargoyles: Manuel, Ingrid e Andrew! E ancora…
Emma come capretta e Ramona ed Elisabetta come cavallo!- salto di gioia delle
ultime due, occhiate sbigottite da parte di molti compagni e professori
-… e avremo anche la regina Francesca!-
I prescelti stavano ancora saltando di
gioia, increduli che fra tante persone fossero stati scelti proprio
loro, mentre gli altri li guardavano invidiosi…
-Calmi, calmi, ho ancora un paio di
cose da dire: dunque, sono rimasti scoperti i ruoli di Frollo e del prete.
Quest’ultimo lo ricoprirò io…- applausi e risate -…
mentre Frollo…-
-Il professor Piton!- gridò qualcuno, e ovviamente
tutta la sala si affrettò a fargli da eco. Se
avesse potuto, l’uomo li avrebbe fatti morire tutti quanti tra atroci
sofferenze.
-Oh, per Bacco, non mi era mai venuto in mente! Sto
iniziando a perdere colpi… Forza, professore, ci farebbe un grande piacere!- lo incitò Silente.
-Non credo che questo ruolo si confaccia
alla mia persona. Siete pregati di trovare un sostituto. – declinò Piton con quanta calma e gentilezza disponeva
sfoggiando un “sorriso” il più mieloso possibile, ma che
somigliava maggiormente ad una smorfia.
-No, è perfetto: Frollo, Frollo,
Frollo…- iniziarono a cantilenare i ragazzi.
-Perfetto Severus, sei arruolato, benvenuto a bordo!- disse
Corni dandogli una pacca sulla schiena (mandandolo quasi in braccio alla Chiodo) alla quale lo scorbutico professore rispose con
un’occhiataccia.
-Ma è mai possibile che quello ce
lo troviamo sempre in mezzo ai m****i? È
un’ingiustizia!- si lamentò Francesca, la voce alta.
-E stai zitta, o quello ti fa la
festa!- la zittì Manuel.
-Gliel’ ho fatta io a lui,
altroché!- lo rimbeccò lei, al che il ragazzo la guardò
perplesso, ma rinunciò a ribattere.
Comunque, alla fine il nero figuro
desistette e si lasciò andare in balia della Parmigiani…
Le prove furono annunciate per sabato pomeriggio, dalle due
alle sei.
-…così avrete il tempo per fare
i compiti!- fu il commento della McGranitt.
La prima sessione di “prove libere” fu a dir
poco spaventosa.
La Parmigiani insistette col voler
cominciare con i costumi, così Silente (che oltre che attore era anche
il supervisore), vedendola attorniata da un esercito di agguerrite Corvonero
armate di spilli, metri e forbici, le accordò il permesso.
Si era perfino portata dietro un baule in cui custodiva
gelosamente tanti bellissimi costumi che disse le fossero serviti durante la sua breve carriere di attrice teatrale… guarda
caso, aveva giusto un vestito per Esmeralda.
-Sì, se aggiungessimo qualche decorazione alle
maniche e nella scollatura, sarebbe perfetto…-
E giù, andò a
tormentare uno per uno tutti i partecipanti.
Vedendo che le si avvicinava con
degli spilli appuntiti, Elisabetta scappò e la povera professoressa fu
costretta a rincorrerla per tutto il castello; alla fine, la ragazza si
costituì spontaneamente, anche se disse a Francesca e Ramona di aver
ricevuto da Harry qualche incentivo…
-Di che genere?- le chiese curiosa Francesca.
-A parole, sorellina, non farti strane fantasie!-
Alla fine, si rivelò quasi buono il costume
rudimentale che avevano presentato Ramona e lei
all’audizione, tanto che la
Parmigiani elencò solo qualche piccola modifica.
-Dovrete soltanto fare meglio il muso e la coda, poi sarete praticamente a posto…-
Fu invece un autentico problema trovare il costume per
Enrique: dove la si trovava un’armatura?
La professoressa elencò una serie di
improbabili ed elaboratissime tecniche per far
assomigliare un pezzo di carta stagnola alla spalliera, quando…
-Cara collega, non per voler insegnarle il suo lavoro, ma se
chiedessimo aiuto a Londra? Ad Hogwarts ne hanno in
quantità…- propose Silente.
Poi fu la volta di Francesca… le
furono affibbiati un paio di calzettoni a strisce viola e gialle, un
vestito giallo blu e viola, uno scialle giallo con dei campanellini e infine un
cappellone, sempre viola, con una piuma.
-Poi ovviamente dovrai aggiungere quelle belle anelle che avevi sabato scorso e
tanti braccialetti!-
Per Silente non ci fu problema: una semplice tunica bianca e
un grosso crocifisso che gli prestò Corni, dato
che lui al collo ne aveva a bizzeffe.
Con Piton invece ci fu da ridere: mentre la Parmigiani
gli metteva letteralmente le mani addosso, lui se ne stava fermo immobile
impassibile a testa alta e deglutiva lentamente. Le sorelle supposero che per
lui fosse un vero dramma quando la collega gli
intimò di provarsi una tunica viola e un grosso e buffo cappello
trecentesco del medesimo colore. Sembrò essere molto a disagio quando entrò nel bagno appena fuori
l’aula di Artistica, per l’occasione trasformato in spogliatoio, e
quando uscì fu anche peggio… era veramente buffo…
-Contenta?- chiese gelidamente alla
Parmigiani, che rispose con un indecifrabile –Molto. –
Emma, che si era presentata vestita
completamente di bianco e con un cerchietto a cui aveva attaccato due corna di
cartone, sembrò andare a genio alla prof., che le consigliò solo
di attaccare ai pantaloni un batuffolo di cotone per simulare una coda.
-Magari, se hai una cintura bianca, o se te la puoi far
prestare, l’attacchi a quella!-
L’alunna rispose con un –Va
bene…- che sapeva di “vedrò cosa posso fare”…
Rimanevano solo i tre Gargoyles e Quasimodo.
-Oh, sono quasi le sei… di voi mi occuperò la
prossima volta. Su, non fate quei musi: ci servirà più tempo per
voi, avete un costume complicato. Intanto però, se a qualcuno viene in
mente qualche idea, è pregato di riferirmela…- e così
quella prima, estenuante giornata era finita.
-Mi tocca ammettere che lei vuole
fare la fenomena perché lei è una fenomena!- annunciò Ramona.
-Già! Ha sistemato quasi tutti!- concordò
Francesca.
-Ma quale fenomena:
mancano i quattro più importanti! Comunque, un
merito glielo devo riconoscere: quello di aver fatto arrossire Piton!-
commentò sua sorella, condannando il gruppo dei Grifondoro ad una sonora
risata.
Domenica le tre Grifondoro si recarono in Biblioteca, dove
le attendevano Giada, Sara ed Emma assieme con un’altra ragazza.
-Salve! Vedo che abbiamo una nuova recluta!- esordì Elisabetta, accennando alla nuova ragazza.
-Già. Mi è giunta voce che vi eravate date appuntamento per ripassare assieme, così
ho chiesto a loro se potevo aggregarmi, sapete: devo assolutamente migliorare
in Matematica e Astronomia!- rispose cordialmente lei. Non era alta, ma era
magra e aveva capelli neri e ricci, da fare invidia alla professoressa
Parmigiani.
-Corvonero?- chiese Francesca.
-No. Serpeverde. – rispose
pacatamente lei. Le tre Grifondoro si lanciarono una rapida occhiata, poi
Ramona disse: -Benvenuta nel gruppo!-
Ognuna delle ragazze si era portata l’astuccio e i
libri delle materie in cui “zoppicava”. Fatte le presentazioni, si
sedettero e appoggiarono la mercanzia.
-Toh! Abbiamo lo stesso astuccio!- fece
notare Elisabetta alla Serpeverde.
-Già! Ma che sbadata, mi
sono dimenticata di dirvi il mio nome! Io sono Desirée!-
-Elisabetta, Francesca, Ramona. Bene, iniziamo?–
-Aspettate, aspettate: io ho un
piano di studio! Vedete, per studiare bastano 30 minuti: dieci per aprire il
diario e vedere cos’ hai da studiare, dieci per cercare il libro, nove
per aprirlo e uno per metterlo via!- esclamò Desirée.
-Già, più o meno
è quello che farebbe ogni buon studente!- e tutti giù a ridere.
Iniziarono con Matematica, la materia più tosta, perché avevano ancora “il cervello
fresco”. Dovevano esercitarsi con le espressioni con le frazioni, e
l’insegnante di turno era Elisabetta, che iniziò dall’Abc, con l’M.C.D. e l’m.c.m., per poi passare ai calcoli veri e propri. E non era certo un compito facile, con una Desirée che la interrompeva ogni cinque minuti
chiedendole cose che non c’entravano niente, come chi fosse il suo
cantante preferito o cose simili. Non era che lo
facesse per cattiveria, semplicemente non digeriva la materia e non aveva molta
voglia di applicarsi, anche se alla fine, a forza di rimproveri, decise di
impegnarsi.
Poi toccò a Trasfigurazione, che fu insegnata da
Emma. Certo, quando aveva i lunghi capelli castani
imprigionati in una treccia aveva l’aria della professoressa severa, e in
effetti era severa. Giada ci rimase male quando lei le
fece notare che il suo bottone somigliava poco a uno scarafaggio, e la
accusò di aver scelto un insetto troppo complicato; risultato:
scoppiò una piccola lite, che però fu sedata in fretta.
Poi fu la volta di Astronomia, in
cui Sara diede fondo a tutte le sue conoscenze. Certo, senza telescopio si
faceva fatica a inserire i nomi dei pianeti nelle
cartine denominate “prove di verifica” dal loro libro, ma tra
suggerimenti, pareri e risposte alla fine del libro ne completarono una
talmente grande da coprire metà del tavolo. Poi le ragazze cercarono di
memorizzare i pianeti fondamentali, poi i satelliti e si interrogarono
a vicenda con domande tipo: -Come si chiamano i satelliti di Giove?-
Passarono a Erbologia, in cui Desirée eccelleva, e a Incantesimi, dove fu la volta
di Giada.
Per ripassare facevano molto rumore, ma c’erano solo
loro (gli altri erano o in Dormitorio o al campo di Quidditch), o meglio:
così loro credevano. Infatti, nascosti nella
semioscurità presente in fondo alla stanza, alcuni professori le
osservano divertiti. Tra loro c’erano la Chiodo,
la McGranitt,
Silente, la prof. di Italiano di Tassorosso, quella di Corvonero e la Parmigiani.
-Hanno senz’altro un modo originale
di studiare!- osservò Silente.
-Già è un miracolo che studino!-
commentò la prof. di Corvonero.
-Ma, guarda che se ci fai caso
hanno tutte una media alta, quindi direi che si impegnino!- ribatté la McGranitt, intenzionata
a difendere le sue allieve.
-Oh, guardate la signorina con la treccia! È nella
mia classe: è la migliore!- esclamò la donna, ignorando la McGranitt e indicando
con l’indice Emma.
-E invece quella ricciolina… chi è? Sta dando parecchie noie!-
osservò la Parmigiani.
-Oh, vuoi dire Desirée?
È una Serpeverde, se non sbaglio…-
-Beh, se fossi in Desdemona le
insegnerei meglio l’educazione!- fece lei, visto che non erano presenti
professori Serpeverde… forse.
-No, non è una cattiva ragazza, è solo molto
esuberante. Io la trovo simpatica!- le disse la Chiodo,
che insegnava, oltre che ai Grifondoro, anche ai Serpeverde.
Alla fine tutti gli insegnanti
decisero di scommettere dieci Galeoni sullo studente che alla fine
dell’anno avrebbe avuto i voti migliori. Silente raccolse le scommesse.
Ignare di tutto, le ragazze continuarono
ancora per un’oretta, in cui si alternarono sulla cattedra Francesca e
Ramona, poi decisero che per quella prima giornata potesse bastare.
I tre giorni a seguire le ragazze furono molto impegnate con
gli studi, perciò non riuscirono ad incontrarsi
se non per la ricreazione; mercoledì i Grifondoro furono impegnati nello
studio di Storia della Magia, in particolare dovevano imparare molti nomi di
maghi famosi vissuti durante il periodo dell’Antica Roma, una vera noia.
Ci fu chi per un attimo pensò di darci mucchio, e chi lo fece ancor
prima di aprire il libro, come Elijah, che preferì andarsene a zonzo per
la scuola alla ricerca di qualcuno con cui fare quattro chiacchiere. Le sorelle
invece studiarono come pazze per prendere un buon voto.
Giovedì si svegliarono con un brutto presentimento,
che si rivelò fondato quando, dando
un’occhiata all’orario, videro le prime due ore di Pozioni.
-Preferirei farmi tutte le otto ore di Matematica, non so come mai ma ho un brutto presentimento. –
confidò Francesca mentre si infilava una
maglietta verde.
-Allora devi proprio essere messa male! A quanto so, tu odi
Matematica!- esclamò Valeria.
-Infatti mi viene il mal di pancia
a pensare a cosa avrà in serbo per noi oggi il vecchio pipistrello.
– e lanciò una strizzatinad’ occhio in direzione di sua sorella; lei sapeva il
perché dell’ esclamazione ”vecchio pipistrello”.
In effetti il pipistrellone
aveva preparato un questionario di quelli tosti, e già sogghignava al
pensiero delle facce orripilate dei suoi alunni (per
l’occasione Grifondoro e Tassorosso).
Quando i ragazzi arrivarono nell’aula erano ovviamente
tutti intirizziti, perché quello era il posto giusto per beccarsi i
reumatismi, e si gelò loro il sangue nelle vene quando
il professore annunciò:
-Questionario!-
Ognuno fece la faccia disgustata che gli riusciva meglio.
Toh, ecco qual’era il mio
presentimento, ma me lo sarei dovuta immaginare! pensò
Francesca al che Elisabetta rispose Allora dovresti avere brutti
presentimenti tutte le volte che hai Pozioni.
I ragazzi presero posto nei banchi,
Francesca si sistemò vicino ad Elisabetta, prima di Ramona e dietro a
Manuel. Elisabetta si sedette, come di norma, vicino a sua sorella e a Sara,
con dietro Giada e davanti Ilir.
-Bene, avete un’ora di tempo per completarlo. –
disse il professore distribuendo il questionario.
Ma v**ca b**a come si fa a fare un questionario di due
pagine in un’ ora?!pensò
Francesca con l’aria sbigottita
Ci si prova!le rispose
l’altra.
Il questionario era molto complicato,
chiedeva inoltre di realizzare una Pozione durante la seconda ora. In
giro si vedevano ragazzi con l’aria preoccupata, altri invece che
parevano abbastanza sicuri; Francesca passò due bigliettini, uno a
Ramona e l’altro a Manuel, invece comunicava a pensieri con sua sorella.
Betty, Betty! Come si chiama l’erba che serve… la
domanda 5!
Un attimo… penso… elleboro! Sì,
dovrebbe essere quella!
Proprio mentre Francesca cercava di ricevere da Ramona un bigliettino qualcuno bussò e le due, in preda al
panico, ritrassero le braccia e il foglietto cadde. Ramona, per cercare di
mascherarlo, ci mise sopra un piede.
Il professore si alzò e andò ad aprire ad una euforica professoressa Parmigiani.
-Severus, scusa se ti interrompo, state facendo un compito?-
-Ma va, lo vede dalle nostre facce?
L’ ho sempre detto che lei è una persona
sveglia!- bisbigliò Elisabetta con tono sarcastico al che Francesca
riuscì a stento a trattenere le risate.
-Ci metterò un attimo ragazzi…-
-No, no prof., ci metta pure tutto
il tempo che vuole!- urlò Eric dal banco in fondo alla classe.
-Vedi Severus…- e si avvicinò
all’orecchio del professore -…avrei bisogno di un piccolo favore, o
meglio: una mia amica avrebbe bisogno di un piccolo favore, che non è
poi così tanto piccolo…-
-Sbrigati!- replicò in fretta Piton, tenendo
d’occhio i ragazzi, soprattutto Francesca e
Ramona.
-Oh sì, certo: hai ragione, scusa… Vedi, questa
mia amica è innamorata pazza di un suo collega, ma lui… oh, non
che non sia interessato, ma vedi… fa fatica a
dichiararsi….-
-Mi ricorda qualcuno….-
mormorò fra sé e sé Piton.
-Ah davvero… chi?- chiese lei preoccupata
mordicchiandosi il labbro.
-Non ha importanza… continua!- disse
lui frettoloso.
-E perciò avrei bisogno di… qualcosa che la
aiutasse… -
-Un filtro d’amore. -
-Precisamente… mi faresti il favore di prepararlo?-
chiese lei facendogli gli occhi dolci.
-Eh va bene…- accondiscese lui sospirando –Te lo
preparo per sabato pomeriggio. -
-Oh grazie Severus, veramente: non so come
ringraziarti…non sai che piacere mi stai facendo!-
-Si, ma ora dovremmo continuare la lezione, potresti
andare?- le chiese sgarbato il professore.
-Oh certo: hai ragione… arrivederci Severus, ciao
ragazzi!- e mentre diceva questo il professore le
chiuse la porta in faccia.
Ovviamente la Parmigiani aveva adottato tutti gli
espedienti in suo possesso per non far intendere molto del suo discorso ai
ragazzi, ma non poteva molto contro le terribili sorelle Serpini, che
origliarono il discorso direttamente dalla mente della loro insegnante, assieme
al particolare che il filtro servisse per lei e Corni, anche se loro già
lo sapevano…
Finito l’estenuante compito, i ragazzi delle due Case
si salutarono e si avviarono verso le rispettive aule. Durante il percorso le sorelle cercarono di restare un po’
indietro rispetto ai compagni per poter informare Ramona del
“fattaccio”.
-No! No, non ci credo! E Piton ha accettato?- chiese incredula la loro compagna.
-Ma non hai visto come lo stressava?!
Chiunque avrebbe accettato, pur di continuare a respirare!-
esclamò Elisabetta.
Ma le loro risate si spensero presto, ovvero
non appena misero piede nell’aula di Lettere e la professoressa McGranitt
annunciò il compito di Storia della Magia. Il più grosso difetto
della McGranitt? Che era sempre in aula cinque minuti prima
di te e non ti concedeva quegli attimi così importanti per dare una
veloce letta alle venti pagine su cui voleva interrogarti.
Era proprio una giornata no. Due
compiti in tre ore! Per non contare l’interrogazione che dovette
sostenere Francesca durante l’ora di Trasfigurazione e quella di Incantesimi di Elisabetta!
Fortunatamente i due professori furono
“gentili”, chiedendo solo cose relativamente semplici, e poi le
sorelle erano già in “lista d’attesa” da un pezzo,
perciò giunsero preparate.
Finita quell’estenuante giornata, le tre decisero di
riposarsi e alla sera si coricarono presto.
Il venerdì successivo scivolò via nel solito
tran tran, ovvero con
qualche interrogazione, Silente che spediva gufi tutto il giorno e che
riuscì a fare ben 45 minuti di lezione con i Grifondoro sui 55 che
avrebbe dovuto e la consegna dei temi di Lettere.
La traccia che aveva scelto Francesca era di tipo personale,
in cui si chiedeva di illustrare quali desideri avrebbe voluto esprimere nel
caso si fosse imbattuta in una stella cadente osservando il cielo
dall’aula di Astronomia. Ovviamente lei aveva
fatto riferimento al poter riavere i propri genitori e
all’eventualità di avere un appuntamento con un certo ragazzo di
cui non diceva il nome.
-Ben fatto Francesca, lo leggerei ma
lo sai che non leggo mai i testi personali, però l’Eccellente te
lo meriti pienamente!- le confidò l’insegnante.
La sorella aveva scelto la traccia un po’ particolare,
perché chiedeva di motivare le proprie considerazioni in merito ad una
scuola in cui si studino sia materie magiche che
babbane. Era una traccia che tutti gli insegnanti di Lettere, chi prima chi
dopo, aveva proposto ai suoi alunni, e tre fra i migliori scritti sarebbero stati presentati ad un convegno in cui avrebbero
partecipato i presidi di numerose scuole di magia europee per decidere del
futuro della “gemella di Hogwarts”, come la chiamavano quelli che
la disprezzavano.
La professoressa McGranitt aveva più volte ricordato
l’importanza che avrebbe avuto il fatto che
molti studenti avessero esposto le loro considerazioni in merito, e li
rassicurò sul fatto che se il proprietario di uno dei tre temi migliori
avesse voluto mantenere l’anonimato, avrebbe potuto.
Elisabetta non ci aveva fatto caso,
a lei non interessava “farsi dei nemici” tra gli oppositori di
Silente, voleva semplicemente dare una mano alla scuola, che ormai per lei era
una casa vera e propria, e voleva far sentire la sua voce. Desiderava
ardentemente che il suo tema fosse scelto e letto al convegno, perciò immaginò di essere stata incaricata di scrivere un
trattato sulla sua scuola.
Ci mise l’anima e scrisse pagine su pagine
per tre lunghissime ore. Alla fine, tanta era stata la sua frenesia, fu
costretta ad asciugarsi il sudore; si accorse solo in quel momento di essere
stata un tantino sgarbata con Elijah, quando il
ragazzo le aveva chiesto un foglio in prestito, ma ormai era fatta.
Quando si avvicinò alla
cattedra, cercò di interpretare l’espressione della sua
insegnante. Era molto seria.
-Pensi veramente tutte queste cose che hai scritto?- le chiese.
-Certo. Se no, non le avrei
scritte!- rispose l’alunna, altrettanto seriamente.
-Non hai paura di esporti troppo,
vero?- continuò la
McGranitt.
-No. E poi, posso sempre mantenere
l’anonimato. –
-Allora non vedo il motivo per cui
il tuo scritto non possa essere scelto tra i tanti. – concluse
allegramente lei, e fu una gioia immensa vedere gli occhi speranzosi della sua
allieva illuminarsi di gioia.
-Dice sul serio?-
-Certo! Ti sembra che stia scherzando?!-
-Grazie prof.!-
-Non è me che devi ringraziare, ma te stessa!-
Alla fine fu letto il tema di Ramona, in cui aveva descritto
i suoi insegnanti. La
McGranitt aveva rassicurato gli alunni che nulla avrebbe
riferito ai colleghi una volta corretti i temi, e Ramona l’aveva presa di
parola, trasformando i suoi docenti in macchiette.
Fu una vera boccata d’ossigeno per le tre ragazze, che
si erano impegnate molto e ognuna era stata gratificata, anche se in modo
diverso.
Ciò rese più sopportabile l’attesa per
la seconda sessione di prove dello spettacolo, che non tardò ad
arrivare.
La Parmigiani, questa volta, si
presentò senza la “scorta”, ovvero senza le agguerritissime
Corvonero, e visibilmente nervosa.
Dedicò l’intera giornata solo per i costumi dei
Gargoyles e di Quasimodo! E i poveri quattro non finivano di lamentarsi per le
continue punture di spilli.
Enrique, visto che non aveva niente da fare, si
avvicinò al gruppo delle tre Grifondoro, che stavano chiacchierando con
Emma, e attaccò bottone.
-Da un po’ di tempo la Parmi
è nervosetta. Pensate che oggi ha messo una
nota… una nota, capite? … a un mio amico
che stava giocando a carte con il suo compagno di banco. E il bello è
che a quell’altro non ha detto niente!- disse,
fingendosi indignato, ma in realtà stava fissando Ramona, in attesa di
una sua risposta. Lei avrebbe voluto ribattere, ma in quel momento fece la sua teatrale entrata Corni.
-Allora, Roberta, come procedono i lavori? Pensi che ce la
faremo entro oggi a iniziare le prove vere e proprie?-
chiese con la sua solita voce allegra, mostrando un nutrito pacco di fogli
–Io qui ho già i copioni pronti!-
Senza aspettare la risposta iniziò a distribuire i
copioni, che erano lunghi una ventina di pagine, scritte davanti e dietro.
-Trattateli bene, le vostre professoresse di Lettere hanno
lavorato parecchio per farveli avere oggi!- disse, mentre Elijah già
pensava a un modo per perderlo…
E continuò a parlare con i suoi cari studenti (mentre loro cercavano di architettare una scusa
per tagliare la corda) per circa mezz’ora.
Intanto la Parmigiani aveva finito con il terzo Gargoyles e stava rovistando nella sua borsetta; estrasse
una di quelle bottigliette d’acqua babbane col tappo che si alza per bere
e la porse al collega.
-Ho deciso che mi prendo una pausa!- annunciò.
-Brava! Troppo lavoro fa male alla salute, vero ragazzi?-
-Giusto prof., ben detto!-
Mentre i ragazzi stavano confabulando tra loro riguardo una possibile petizione per abolire i compiti durante la
settimana, la Parmigiani
prese a braccetto Corni e lo allontanò di cinque passi.
-Assaggia questa. – disse, porgendogli la bottiglia.
-Cos’è?- chiese lui,
senza sospettare minimamente della vera natura del contenuto.
-Una bibita di mia invenzione. Dimmi cosa ne pensi!- mentì lei, mettendogli in mano la bottiglia di
plastica.
Corni alzò il tappo e bevve
un sorso della “bibita” arancione tenendo chiusi gli occhi,
poi…
-Leonardo! C’è
Minerva che…-
Corni, gli occhi ancora chiusi, fece una mezza piroetta su se stesso e quando li riaprì si
trovò davanti la graziosa insegnante di Lettere dei Corvonero.
-Dicevi?- le chiese lui, mentre la Parmigiani
si copriva la faccia con le mani, raccapricciata.
-C’è Minerva che ha
bisogno di te. Però non è urgente, se non hai tempo…-
-Certo che ho tempo. Mi accompagni?- rispose tranquillamente lui –Tieni
Roberta, era buonissima. E fai pure con comodo con i
tuoi costumi. Ciao ragazzi!- e detto ciò se ne andò,
lasciando una sconvolta Parmigiani in mezzo all’aula.
-Ragazzi, credo che… per oggi sia
tutto… non mi sento molto bene… tornate in Dormitorio!-
balbettò lei, sempre tenendosi la testa con una mano. Barcollando prese
la sua borsa e zigzagando per il corridoio si diresse verso il suo ufficio.
Quando era entrato Corni, le
sorelle avevano allertato il loro “sesto
senso” e avevano tenuto le orecchie e il cervellino ben aperto, in modo
da non perdersi nemmeno una parola (e un pensiero!). Ciò che però
scoprirono in un primo memento le divertì molto, poi
però ci ripensarono e decisero di essere molto dispiaciute per la
loro insegnante.
Credete che i ragazzi sgombrarono
l’aula? Ma neanche a parlarne! Enrique, Manuel e
gli altri ragazzi organizzarono un torneo di briscola, un gioco babbano che si fa usando le carte da gioco piacentine, con tanto di
puntate, e invitarono persino Silente a giocare, il quale…
accettò! E per fortuna che non c’era
Piton! Ma è bene dire che accettò solo
perché si trattava di somme insignificanti, attorno ai cinque Zellini.
Fra le femmine, ci fu chi rimase a fare il tifo, e chi se ne andò. Ramona e Francesca rimasero
a fare il tifo per Enrique e Manuel, Elisabetta ed Emma se ne andarono in giro
e appena trovavano qualche ragazzo lo invitavano ad andare in aula di
Artistica, per l’occasione trasformata in sala giochi, consigliandogli
inoltre di portarsi dietro un po’ di soldi.
Alle sei però Silente fece sgombrare l’aula,
nonostante avesse “spennato” molti dei suoi studenti.
A cena la Parmigiani non si fece vedere, e per
contro Corni parlò e scherzò per tutto il tempo con la
professoressa di Corvonero, una certa Margherita Bontempelli.
RECENSITE!!!
Lucifer_the_Darkslayer: vabbè…comunque sei un intenditore eccellente! Per i duelli…penso
che dovrai aspettare…Ciao!!! ^____^ P.s: grazie per le nuove informazioni sui Chronomancer!!!!
L’una di notte. È da pazzi pensare che qualcuno
possa ancora essere sveglio a quest’ora. Eppure qualcuno
c’è.
Margherita Bontempelli si era da pochi secondi svegliata,
con l’intenzione di andare in Sala Grande a bere una camomilla,
quando… sentì un braccio trattenerla a letto. A stento
riuscì a non urlare, poi chiese: -Chi sei?-
-Non ti preoccupare, amore, sono io!- le rispose Corni.
Impossibile: ancora lui! Aveva persino stregato la porta,
per cercare di tenerlo lontano, e non era servito a niente.
Prese il braccio e lo scostò, poi si alzò di
scatto e iniziò nuovamente a fare quello che aveva interrotto circa
un’oretta fa: correre!
Senza accendere la luce, aprì la porta e si
fiondò fuori, correndo come una matta.
Riuscì per un pelo a chiudersi alle spalle la porta
del primo bagno che incontrò, e iniziò a pensare ad una soluzione
per arrivare incolume ai sotterranei: doveva risolvere il problema
all’origine. Mentre macchinava, misurava a grandi passi il perimetro del bagno,
poi decise di smaterializzarsi (era consentito smaterializzarsi e
rimaterializzarsi, ma solo da una stanza del castello all’altra). Non si
era nemmeno accorta dello spasimante che batteva come un forsennato alla
porta…
Quando ricomparve davanti alla porta dell’ufficio di
Piton, si accertò di non essere stata seguita.
Per sua fortuna non c’era anima viva in vista.
TOC TOC
Chi poteva mai essere a quell’ora? Già si
immaginava di schiantare chi fosse alla sua porta…
Litigò con le coperte che stranamente non avevano
voglia di lasciarlo andare, poi riuscì a divincolarsi e andò ad
aprire.
Si trovò davanti una impaurita Margherita
Bontempelli, in ginocchio e con le mani congiunte, come in preghiera.
-Sono disperata! Quel pazzo continua a rincorrermi e non ce
la faccio proprio più. Ti prego, aiutami!- piagnucolò lei.
Si vide costretto ad accettare, perché in caso
contrario la collega avrebbe continuato a bussare alla sua porta per tutta la
notte…
Appena la professoressa si riprese dalla corsa e dallo
spavento, fece caso ad un particolare: il suo collega era in boxer;
diventò leggermente rossa in viso.
-Problemi, cara collega? Non riesce a prendere sonno?- le
chiese acido.
-Eh? Ehm…
problemi? Chi, io? Io no… no, nessuno…- balbettò lei,
indugiando sui boxer del collega.
-Che ha da fissare?!- chiese lui seccato: quella si era
presa gioco di lui!
Sentì nuovamente bussare, così andò ad
aprire e vide Corni, ubriaco fradicio.
-Oh, buonasera, carissimo. Per caso ha visto Mary?- chiese.
-No. No, non ho visto nessuna Mary. Io stavo dormendo, e
vorrei continuare a farlo, perciò BUONANOTTE!- urlò Piton,
chiudendogli la porta in faccia.
Quando si girò, in cerca di spiegazioni, non trovando
la Bontempelli
la chiamò, ma lei non rispose.
Chiamò ancora, poi vide qualcosa muoversi sotto le
coperte del suo letto. Cautamente le spostò.
-Se ne è andato?- chiese terrorizzata lei,
l’espressione di micio impaurito.
-Sì, per ora sì. Allora, mi vuole spiegare per
quale motivo sono in piedi a…- guardò l’orologio
-…all’una di notte?- completò.
-Quel pazzo mi insegue da questo pomeriggio! Non lo sopporto
più! Penso che qualcuno abbia voluto farmi uno scherzo e gli abbia fatto
bere un qualche filtro d’amore o qualcosa del genere…-
-Ho capito, non ti preoccupare, non ce l’ hanno con
te…-
-Esiste un rimedio, un antidoto?-
-Sì, ma mi ci vorrà del tempo per prepararlo.
–
-Quanto tempo?-
-Più o meno un mese…-
-Un mese? E io che faccio durante questo mese?
Perderò dieci chili a forza di correre!-
Qualcuno fu preso dall’irrefrenabile voglia di urlare:
-Basta perderli nei posti giusti!- e poi si nascose dietro ad un muro.
Quando poi Piton aprì la porta e si guardò
intorno, lo sconosciuto non poté fare a meno di gridargli: -Lo sa
professore di avere addosso solo i boxer?- e lasciò il professore in
preda ad un violento rossore.
E anche oggi sono riuscito a combinarne una delle mie.
Sono proprio terribile; mi sarei stupito se non mi avessero messo tra i
Serpeverde. Sì, sì: Lucifero è proprio un bravo
Serpeverde, bravo bravo! pensò fra sé il ragazzo mentre faceva
ritorno al suo Dormitorio dopo la passeggiata notturna. Essere sonnambuli,
dopotutto, aveva anche i suoi vantaggi!
Quando Piton tornò dentro, rinunciando alla ricerca
del manigoldo, non trovò la collega, e questa volta neanche sotto le
coperte. Probabilmente se ne era andata…
Sì, in effetti si era smaterializzata nella prima
stanza che le era venuta in mente: quella della Parmigiani. Aveva pensato a lei
ricordandosi l’inizio della sua fuga, ovvero quando durante le prove
aveva chiesto a Corni di recarsi dalla McGranitt.
*
Per alcuni la giornata era iniziata male, per altri
continuava male, per esempio per il gruppo di ragazze che si ritrovava tutte le
domeniche in Biblioteca…
-Oggi a cosa ci dedichiamo?-
-Come al solito a niente…-
E alla fine si dedicarono a quasi tutte le materie, compreso
il mal di testa e il raffreddore…
Lunedì pure iniziò sotto ad un brutto
auspicio.
-Ragazzi, oggi, per le prime due ore, saranno assenti le
professoresse di Matematica…- iniziò Silente.
Tutti gli alunni: -Sì! Ma vieni!-
-…quindi Grifondoro e Tassorosso saranno assieme al
professor Piton…-
Alunni Grifondoro e Tassorosso: -No! Suicidio!-
Altri alunni: -Vi sta bene, perdenti! –
-… e Serpeverde e Corvonero avranno Trasfigurazione.
–
Alunni Serpeverde e Corvonero: -No! Suicidio!-
Altri alunni: -Ride ben chi ride ultimo!-
La colazione si svolse come si svolge un funerale, senza
cadaveri però.
In classe poi c’era un insolito silenzio, spiegato
però da un lungo giro di biglietti clandestini.
-Signorine Serpini e Gellar, si può sapere cosa
attira tanto la vostra attenzione, e non sprecatevi a dire che si tratti della
mia lezione, perché non vi crederei!- tuonò Piton nel bel mezzo
della lezione, fulminando Elisabetta e Sara con uno sguardo.
-Noi? N-niente, perché?- cercò di ribattere
Sara.
-Sì, la sua… ehm… lezione è
interessantissima!- concordò Elisabetta.
-Sì, le mandragole sono piante molto
interessanti…- aggiunse Sara.
-Veramente non stiamo parlando di mandragole…- fece
notare Francesca.
-… ma almeno ci hai provato!- incoraggiò
Manuel.
-Bene, vedo che siete in vena di scherzare… dieci
punti in meno a Grifondoro e cinque a Tassorosso. – disse alzandosi dalla
cattedra e dirigendosi verso il “luogo del delitto”.
Fece finta di proseguire, ignorando le prime due ammonite,
poi si fermò di scatto e strappò di mano il biglietto di Sara,
poi quello della compagna.
-Sentiamo cos’è che vi preoccupa tanto: Betty,
ho fame, hai qualcosa da sgranocchiare, altrimenti penso che mi metterò
a dormire… chissà di cosa sta parlando?!al quale biglietto la signorina Serpini
ha risposto Non sfidarlo, è già un miracolo se non ha beccato
Ramona! Guarda come dorme, se la becca come minimo ci toglie venti punti, e
ringrazia che non siamo nella stessa Casa!-
Elisabetta si dette della stupida per aver scritto quelle
parole e per aver fatto scoprire l’amica.
Piton restituì i biglietti da lui vagamente
accartocciati e si diresse verso il banco di Ramona, che ancora dormiva e usava
le braccia come cuscino. Si fermò un attimo a osservarla e batté
un pugno sul suo banco, facendola riprendere.
-Eh? Cosa? Sì, giusto prof., ha ragione,
l’importante è crederci!- disse d’un fiato lei, senza
rendersi ben conto di cosa stesse succedendo…
-Hai fatto un buon riposo?- chiese fintamente gentile il
professore.
-Riposare? Io? Io stavo leggendo questo…-
guardò il banco desolatamente vuoto -…questo… stavo
riflettendo sul mal di testa che ho, cioè sulla… sua
interessantissima lezione, davvero, complimenti prof….- cercò di
dire, ma era talmente agitata che nessuno comprese a modo il senso del
discorso.
Molti ragazzi stavano ridendo, ma non per la performance di
Ramona, bensì per quella di Manuel, che stava facendo tutti i gestacci
che conosceva al professore, che gli era esattamente dietro. Purtroppo per lui,
non fu abbastanza svelto a girarsi quando lo fece Piton, che lo beccò.
-Recitiamo, signor Manuel? E lei, signorina Serpini, fa il
pubblico?- chiese gelando il sangue nelle vene del ragazzo e di Francesca.
-Questa sera il mio ufficio sarà molto
affollato… dunque, che punizio…- non fece in tempo a finire che la
porta si spalancò ed entrò un euforico Enrique seguito da un
ragazzo mai visto in giro.
-Salve professore, come butta? Sono venuto a
presentarle…-
-…che punizione darvi? Compresi voi due, spiritosoni!-
-Sì, sì, bene, lui è… eh, come?-
-Stasera alle otto presentatevi nel mio ufficio, e
ricordatevi di bussare!-
-Ma professore, è questo il modo di dare il benvenuto
a Kanata? È nuovo di zecca, ed è nella nostra classe!-
-La prossima volta il signor-nuovo-di-zecca ti
ricorderà di bussare prima di interrompere la lezione, ed ora filate in
classe!- sbottò secco Piton.
-Ma che lezione?- borbottò Francesca.
Il povero Enrique chiuse la porta tutto corrucciato e
maledicendo il direttore della sua Casa.
-Ti ci dovrai abituare, Kanata, è sempre di pessimo
umore. Però, di solito con noi è… no, gentile è una
parola grossa… più moderato, ecco. –
Il povero Kanata ascoltava e annuiva, poi pensò: Tale
e quale a mio padre!
Arrabbiati com’erano, i ragazzi delle due Case fecero
poco caso alla lezione successiva, e quando finalmente suonò la
campanella della ricreazione si ritrovarono al bagno per insultare Piton,
ovvero per praticare il loro sport preferito; erano però talmente
contrariate (le ragazze più dei maschi) che non ce la facevano a stare coi
piedi per terra, così Sara propose di fare un voletto prima di tornare
in classe (durante la ricreazione il campo di Quidditch era a disposizione di
chi avesse voluto sgranchirsi un po’). Fece per uscire, ma le
capitò addosso Kanata.
-Ti sarei grata se levassi il tuo peso piuma il prima
possibile, perché mi stai soffocando!- gli disse scontrosa la ragazza,
mentre le compagne assistevano alla scenetta dal bagno.
-Potresti anche guardare dove vai, ogni tanto! Ammettilo, ti
piaccio già!- ribatté lui.
-L’importante è crederci!- gli rispose la
ragazza, spintonandolo via e rialzandosi, mentre lui faceva lo stesso.
-Hai fatto colpo, eh Kanata?- gli disse Lucifero, che era
poco distante.
-Zitta Lucy, se no ti risotterro! Come Australopiteco non
sei male, mi ricordi una scimmia con in testa una buccia di banana!- lo
zittì Ramona.
-Andiamocene, non mi va di picchiare una femminuccia, non
c’è gusto!- minimizzò Lucifero rivolto al compagno.
-Alla prossima evoluzione, scimmione, o le vuoi prendere?!-
gli gridò di rimando Francesca, mentre quello si allontanava col
compagno.
*
Alle otto meno cinque Kanata ed Enrique erano già
davanti all’ufficio del loro aguzzino. Dopo non molto arrivò anche
la banda dei Grifondoro assieme a Sara.
-Pronti per la sventura cosmica?- li accolse Enrique.
-Ceeerto, come si poteva essere pronti per quel gigantesco
piatto di verdure bollite che ci hanno schiaffato a cena!- rispose Manuel.
-A proposito, non vi ho ancora presentato il nuovo arrivato:
lui è Kanata Malfoy, direttamente dalla Francia!- disse indicando il
compagno.
-Sì, ci siamo già scontrati ehm… volevo
dire incontrati…- mugugnò Sara. Ora che lo osservava bene, poteva
vedere che assomigliava vagamente ad Enrique: biondo, occhi azzurri che al
contrario del suo compagno erano gelidi ed era veramente carino…
Piton, che doveva aver udito le loro voci, aprì la
porta.
-‘sera…- salutarono in coro.
-Bene, come coro non ve la cavate male, ho giusto un compito
per voi…- sentenziò prima di lasciarli entrare.
Sul tavolo troneggiava un grande calderone, che occupava
praticamente tutto lo spazio, assieme ad un calamaio con relativa piuma e
alcuni libri. I ragazzi, curiosi, si sporsero per vedere quale diavoleria
contenesse, e si meravigliarono di scoprire un po’ di terriccio con una
debole pianticella.
-Il vostro compito sarà quello di cantare. –
affermò.
-Come?!- si meravigliarono i presenti.
-Sapete cos’è questa, vero?-
-… una pianta?-
-… della verdura?-
-… un qualche cosa di verde?-
-… the?-
-… droga?-
-… roba illegale?-
-Siete a dir poco deludenti… questo è timo.
–
-Certo, stavamo per dirlo!-
-E poi volevamo vedere se lei lo sapeva, non si sa mai!-
-Dite un’altra parola e vi trasformo in statue!-
-Bla bla!- tutti in coro per prenderlo in giro.
-Zitti!- urlò –Questa pianta mi serve per una
pozione importante, però è ancora troppo piccola…-
-Non poteva prenderne una un po’ più
cresciutella?- chiese Elisabetta.
-E allora in cosa consisteva la punizione?- fece notare il
professore.
-Non ce la dava!- rispose lei scherzando.
-A te sto per raddoppiarla. –
-Okay, ho capito l’antifona, sto zitta. –
-Dunque, per farla crescere più in fretta ha bisogno
di compagnia, più precisamente che ci sia qualcuno che le parli, meglio
se canta. Vi darete i turni, consiglio inoltre che Manuel e Francesca filino a
prendere le loro chitarre. Le coppie le farò io. –
Quell’ennesima brutta notizia guastò anche
quella poca allegria che si era originata prendendolo in giro.
-Dunque, tu e Manuel andate bene, poi… Kanata e…
Elisabetta, no, troppo litigiosa, tu stai da sola e lontana da tua
sorella… Sara con Kanata. –
Commento di Sara ed Elisabetta: -Fantastico!-
-Ramona con Enrique e non si discute, chiaro?–
Il gruppo annuì silenziosamente.
-Adesso andate a prendere ciò che vi serve per
cantare e fate in fretta. – ordinò seccamente il professore.
I ragazzi si sparpagliarono. Ciascuno prese i testi delle
canzoni che dovevano provare nelle ore di Musica; Elisabetta e Sara
raccattarono il proprio lettore di CD, Manuel e Francesca le chitarre, poi si
ritrovarono nell’ufficio di Piton.
-Per assicurarmi che facciate il vostro dovere, il professor
Potter vi accompagnerà nel luogo prestabilito. Voi non dovrete far altro
che cantare fin quando alla pianta non saranno sbocciati dieci fiori, e non
provate a lasciare acceso lo stereo al posto vostro! – spiegò
seccamente, mentre in un angolo della stanza Harry li salutava con un cenno del
capo.
Quando Piton si congedò da loro, Harry prese il
comando del gruppo, nonché il calderone, e iniziò una lunga
discesa attraverso varie rampe di scale a chiocciola che iniziavano proprio di
fianco all’ufficio del suo collega. Non appena fu sicura di aver
distanziato a sufficienza Piton, Elisabetta gli chiese: -Come mai devi badarci?
Ha paura che stoniamo?-
-Diciamo che gli devo un favore…- rispose lui vago.
-Lei è il professore di… Difesa contro le Arti
Oscure?- chiese Kanata, mentre Enrique gli suggeriva la materia.
-Esatto. Sei nuovo? Mi dispiace, non ci avevo fatto caso. Mi
chiamo Harry Potter, ma voi potete chiamarmi semplicemente Harry; tu sei?-
-Kanata Malfoy. – rispose semplicemente il ragazzo.
Harry non credeva alle proprie orecchie: Draco aveva avuto
un figlio? Guardò di sottecchi Kanata per un pezzo. In effetti, gli
elementi caratteristici di un Malfoy c’erano tutti: capelli biondi, occhi
di ghiaccio, un sorrisetto furbo… però non sembrava cattivo, a
maggior ragione dopo che Harry gli aveva detto il suo nome: non aveva battuto
ciglio. Si sarebbe aspettato di essere fissato con disprezzo o qualcosa del
genere. Non resistendo alla curiosità, gli chiese: -Sei parente di Draco
Malfoy, per caso?-
-Sì, lui è mio fratello, o meglio
fratellastro, perché, lo conosci?- rispose lui con noncuranza.
-In effetti sì: eravamo a scuola assieme. –
ammise Harry, che si meritò le occhiatacce delle sorelle: perché
non glielo aveva mai detto? In effetti, si accorsero, non conoscevano molto
della sua vita; certo: sapevano dei grandi eventi di cui era stato
protagonista, ma lui li aveva sempre descritti con distacco ed evitando i
particolari. Conoscevano molte delle cose che sapevano solo grazie a terzi.
-Scusa se ti riempio di domande, ma potrei sapere chi
è tua madre?- continuò Harry.
-Si chiama Samantha Verdun, è francese. Lei e mio
padre si sono conosciuti in Francia ed hanno avuto una breve relazione; io sono
il risultato. – rispose Kanata amaramente, tenendo gli occhi bassi mentre
quelli di tutti i compagni lo scrutavano curiosi.
-Mi dispiace di aver toccato un tasto dolente…- ammise
Harry, cercando di recuperare la situazione.
-Nessun problema prof. –
Quanto era stato stupido, si disse Harry: avrebbe potuto
parlarne con Silente, e invece si era lasciato prendere la mano; quel ragazzo
poteva essere pericoloso, avrebbe potuto benissimo essere una spia.
Si disse di stare più attento, in futuro.
Il gruppo scendeva ora silenziosamente, ciascuno era assorto
nei propri pensieri. Iniziavano ad avere il fiatone, visto che Harry aveva
un’andatura spedita. Gli scalini erano nuovi, ma già molto
impolverati. La rampa si strinse: ora procedevano in fila indiana, come
formiche. Le torce appese alle pareti si facevano man mano più rade,
così come la luce. Chi li avesse visti solo in quel momento avrebbe
giurato si trattasse di prigionieri; la poca luce disegnava sulle loro facce
ombre lugubri…
-Siamo arrivati. – annunciò infine Harry,
fermandosi di colpo.
-Esattamente, dove siamo?- chiese Manuel.
-Nel posto più profondo di tutta la scuola. –
-E perché dovremmo cantare qui?- si meravigliò
Francesca.
-Perché così nessuno sentirà. –
-Dunque, siamo come sepolti vivi! E solo perché quel
carciofo vuole dormire!- si indignò la sorella.
-Harry, dici che se alziamo il volume al massimo, Piton ci
sentirà?- chiese Enrique.
-Può darsi. Due piani ci distanziano dal suo
ufficio…-
Enrique e Manuel si guardarono sogghignando.
-Allora ecco che faremo: ci metteremo l’anima, a costo
di urlare, e lo terremo sveglio per tutta la durata della punizione. –
spiegò Manuel.
-E lui non potrà dirci assolutamente niente: in
fondo, avremo solo svolto egregiamente il nostro lavoro. –
completò Enrique ridendo -Ovviamente Harry terrà la bocca chiusa,
vero fratello?- chiese inoltre.
-Assolutamente!- rispose lui con finto tono serio: in
realtà moriva dalla voglia di ridere, e non cercò di nasconderlo
più di tanto.
Aprì una porta massiccia che immetteva in una stanza
tanto grande quanto spoglia: gli unici oggetti presenti erano quattro torce,
una per parete, e due tristi sgabelli, assieme ad un altrettanto triste
tavolaccio di legno.
Posizionò il calderone sul tavolaccio, estrasse la
bacchetta e pronunciò un incantesimo:
-Cantum adiuvabit crescere!-
Dalla bacchetta si sprigionarono delle scintille azzurre che
vennero assorbite dalla piantina.
-Adesso potete cantare. Ho fatto l’incantesimo che
farà crescere la pianta man mano che canterete. Più o meno vi
serviranno quattro ore… - informò Harry.
-Così tanto!?- gridarono in coro i ragazzi.
-Purtroppo sì. Chi fa il primo turno?-
Alla fine fu deciso il seguente giro: Manuel e Fre, Ramona e
Enrique, Sara e Kanata e infine Elisabetta.
-Gambe in spalla e andiamo!- esclamò Manuel prima di
entrare.
I due aprirono le danze con “La guerra di
Piero”, remixata dai Gem Boy. I compagni, fuori dalla stanza, ululavano
letteralmente dalle risate, mentre Harry arrossiva violentemente, poi si fece
contagiare e tutti insieme fecero da coro e da tifo da stadio.
Piton, dall’alto dell’Olimpo (si fa per dire),
si chiese perché aveva a tutti i costi voluto che fossero loro ad
aiutarlo (inconsapevolmente, ovvio!) a far crescere il timo, necessario per
preparare l’antidoto al filtro d’amore…
Fu la volta di “Buoni o Cattivi”, “Come
stai?”, “Don’tcry” e “Knock, knoking ‘n havens doors” e
“Sk8ter Boy”, perciò si disse che in fin dei conti cantavano
bene.
Già mezz’ora era volata, così la coppia
uscì per lasciare il posto a quella successiva: Ramona ed Enrique.
Un’esplosiva “Vivi davvero” aprì la
loro performance, seguita da “Gattomatto”, che per
l’occasione fu riadattata col titolo “Pitonmatto”; poi ci fu
“Italiano medio”, “Shut up”, “Dragostea din
tei” e “In tutti i miei giorni”.
Li ammazzo! Una bella maledizione senza perdono non
gliela leva nessuno! (commento di Piton).
Toccò quindi a Sara e Kanata, che subito non furono
troppo felici di essere in coppia, credendo di non avere gusti musicali affini.
Invece, quando Sara propose una canzone dei Gem Boy, “Le canzoni Giapponesi”,
lui fu subito d’accordo, perché il testo era…
colorito…
Fu poi una vera standing ovation la canzone “F**k
it”, sempre dedicata a Piton…
Procedettero con “Figli di Pitagora”,
“Viaggia insieme a me”, “Non me lo so spiegare” e
infine la ballatissima “Canzone del capitano”.
Toccava ora a Elisabetta.
-Non ho voglia di cantare da sola… Harry, per favore,
mi accompagni?- piagnucolò lei.
-Veramente non…-
-E dai, non farti pregare, entra, ho già in mente una
canzoncina che ti piacerà. – continuò lei con fare
misterioso.
La ragazza fu molto convincente: lo spintonò dentro.
Attaccò “L’aiuola”, canzone molto apprezzata dal
pubblico maschile, poi continuarono con “Sphalman”,
“Chihuahua”, “Convivendo”, “Cuando
Volveras” e “Ragazze acidelle”. Harry se la cavava bene con
il testo sotto gli occhi, afferrava praticamente subito il ritmo e quando aveva
qualche indecisione, lasciava cantare solo la partner.
L’ultima canzone fu un vero spasso, e quando i due
uscirono furono accolti da un applauso, che si spense non appena i ragazzi
sentirono avvicinarsi dei passi. Era Piton.
-Bene. Pausa di un quarto d’ora, non di più.
Ah, Elisabetta: per questa volta vada, ma non azzardarti a rifarlo!–
-Solo un quarto d’ora?! – si lamentarono in coro
i ragazzi, tranne Elisabetta che meditava una tremenda vendetta.
-Dovreste ringraziarmi, perché avrei potuto benissimo
lasciarvi continuare. –
Si girò e stette per andarsene, quando: -Ehi, ma lo
sa prof. che stasera ha dei begli occhi?- gli urlò dietro Enrique. In
effetti, aveva delle leggere occhiaie…
-E ti credo: sono le dieci e mezza! Uno, alla sua
età, come minimo è a letto alle nove!- rispose Kanata.
-Wow, allora stiamo riuscendo veramente a fargli fare le ore
piccole! Siamo dei grandi!- esplose Manuel fingendo di ballare.
-Io vado su in bagno, ho bisogno di una rinfrescata…-
disse Sara.
Manuel, Kanata ed Enrique si guardarono ridendo sotto i
baffi, poi dissero: -Già, anche noi abbiamo bisogno dei servizi…-
I quattro si allontanarono, mentre le sorelle, Ramona ed
Harry decisero di rimanere per decidere le prossime canzoni.
I primi bagni che incrociarono erano fuori dalla portata di
Piton.
Sara entrò disinvolta, non immaginando di certo il
programma dei compagni.
-Allora, un Galeone a chi riesce a farla incavolare di
più, ci state?- propose Enrique.
-Io ci sto, entro per primo!- si offrì Kanata.
Prima fece tappa nel bagno dei maschi, esattamente di fianco
a quello in cui si trovava Sara, prese un secchio scordato daPasquale e lo riempì a
metà di acqua, poi fece il giro ed entrò in quello delle ragazze.
Sara non fece in tempo ad accorgersene che si ritrovò fradicia.
-Maledetto cretino! Sei un deficiente, lo sai quanto tempo
mi ci vorrà per asciugarmi i capelli?! Esci! Esci!- gli urlò
contro, spintonandolo verso la porta –Fuori!- gli ordinò dandogli
un calcio nel posteriore e sbattendogli violentemente la porta in faccia.
-Allora, direi che hai vinto tu! Però mi
piacerebbe…- iniziò Enrique.
-No, Enrique, è già abbastanza incavolata.
Lasciala in pace!- consigliò il ragazzo, un po’ indolenzito.
Intanto Francesca e Ramona, allarmate dal trambusto,
decisero di andare a controllare, lasciando Elisabetta sola con Harry. Il
ragazzo stava per dire qualcosa, ma fu interrotto dall’arrivo trafelato
di Manuel, Enrique e Kanata.
-Ma che avete combinato?- chiese Elisabetta.
-Niente… abbiamo fatto un gavettone a Sara, niente di
speciale…- minimizzò Manuel.
Elisabetta li guardò con fare sospettoso.
-Tranquilla, abbiamo le mani pulite!- dissero mostrando le
mani.
-Sì, e io sono completamente pulita, capelli compresi!-
mugugnò Sara strizzandosi i capelli e quindi lavando la scala. I tre
fischiettarono facendo finta di niente.
-Raga, sarà meglio che riprendiamo, il quarto
d’ora è già passato!- informò Harry guardando
l’orologio da polso.
E nuovamente al lavoro, Francesca e Manuel cantarono
“Il grande Baboomba”, “U make me wanna”,
“Girasole”, “Un’Emozione per sempre”, “No
woman no cry”.
Poi fu la volta di Ramona ed Enrique, che presentarono
“La mia ragazza mena”, “Voce me aparecieu”,
“Veramente”, “Fatti amare”, “Le cose da
difendere” e “Voglia di dance all night”.
Toccò poi a Sara e Kanata. Appena si chiusero la
porta alle spalle, il ragazzo si scusò per la bravata dell’acqua,
e Sara per il calcio e la porta. Era la premessa di una lunga amicizia, o
forse… per qualcosa di più. Mentre cantavano, infatti, ballarono
anche sulle note di “Come mai”, “L’olimpiade”,
“Blu”, “Lo strano percorso”, “A chi mi
dice” ed “Hey Mama”, che doveva essere la canzone preferita
di Sara, che diede il meglio di sé, sia cantando che ballando.
Infine ci fu la performance di Elisabetta ed Harry, che
cantarono “Left outside alone”, “Sere nere”, “Mia
nonna”, “Verofalso”, “Fuori dal tunnel” e
“Vengo dalla luna”.
Erano passate quattro ore abbondanti.
Visto che nessuno si faceva vedere, Harry propose di fare un
coro. La piantina aveva solo nove fiori e un bocciolo.
Ramona mise nel lettore CD un disco misto degli 883, che
parve accontentare tutti quanti.
In ordine, cantarono “Nord, sud, ovest, est”,
“Rotta per casa di Dio”, “Io ci sarò”,
“Tieni il tempo”, “Hanno ucciso l’uomo ragno”,
“La regola dell’amico” e “Sei un mito”.
Mentre le ragazze continuavano a cantare, Kanata fece cenno
ad Harry di avvicinarsi. Incuriositi, anche Manuel ed Enrique fecero lo stesso.
Kanata mostrò orgoglioso un singolo, e lo
passò a Manuel.
Mentre le note di “Sei un mito” si spegnevano
dolcemente, tolse il disco e inserì quello datogli dal compagno. Si
intitolava “Baciami”.
Apprezzando la novità, le ragazze iniziarono a
cantare anche quella canzone senza preoccupazioni.
Mentre il bravo Paolo Meneguzzi continuava ignaro il suo
ritornello, gridando a tutto il mondo
–Baciami!-, i quattro ragazzi strinsero le rispettive
partner di canto e le baciarono, lasciandole letteralmente senza fiato.
L’idillio durò veramente poco, e fu Piton a
interrompere quella che per i ragazzi sembrò una dolce eternità.
-Tornate tutti…- i ragazzi cercarono di ricomporsi il
più in fretta possibile, ma fallirono -… in Dormitorio…-
completò lui frastornato. Non era sicuro di aver visto bene…
Appena uscito, i ragazzi imprecarono, ciascuno a modo suo.
-Quello str**** vivente! Quella mezza seppia, quel
vermiforo! Gli farei sputare tutti i denti, ammesso che non abbia la dentiera!-
-Possibile che quello sia sempre in mezzo ai cogli***?! Non
potrebbe, che ne so, andare via, ogni tanto?-
-Se lo prendo gli tiro il collo come una gallina!!!-
-Okay…- iniziò Elisabetta -…sarebbe
meglio andare su in Dormitorio prima che cambi idea e voglia venti fiori!-
Il gruppo si incamminò tra le urla e gli schiamazzi;
c’era chi ancora cantava, chi si dava appuntamento per l’indomani,
chi cercava nuovamente di baciare il partner e così via. C’era
però chi sembrava non gradire il trambusto, infatti, giunti al primo
piano…
-Festicciola notturna?- chiese Silente, sbucando da un
corridoio.
-Punizione sarebbe più appropriato…-
-Ma che diavolo… santo cielo! Ragazzi! Mi avete fatto
prendere un accidente!- era arrivata anche la McGranitt tutta
trafelata.
-Ecco! Sempre con noi studenti ve la prendete! Chiedete
piuttosto al vostro caro collega Piton, magari lui ne sa qualcosa!- disse
Enrique, fingendosi indignato.
-Posso confermare. È stato il professor Piton a
trattenerci. – concordò Harry.
-Professor Potter! Mi meraviglio di lei! Girare per il
castello a quest’ora di notte!- lo canzonò la donna.
-Io invece non mi meraviglierei più di tanto,
comunque: cara Graziana, sarebbe meglio sentire cosa ha da dire il professor
Piton, non è vero?- si intromise Silente; i ragazzi annuirono.
-Allora è deciso! Però noi vorremmo essere
messi al corrente delle novità, vero ragazzi?- chiese Sara mentre i
compagni annuivano, sospettando una “manovra”.
-Perciò potremmo… aspettare tutti insieme da
una qualche parte… nell’ufficio di Harry, per esempio, così
non dovrete venire in tutti i Dormitori, svegliando un centinaio di ragazzi!-
completò Elisabetta. I due professori non ebbero niente da ribattere,
così le due ragazze si diedero un cinque.
Seguirono Harry fin nel suo ufficio, poi ciascuno
cercò di sistemarsi alla meglio: i tre ragazzi più Ramona sulle
sedie, i rimanenti in doppia fila sul divano-letto.
-Allora, cosa abbiamo intenzione di fare?- chiese Kanata.
-Compiti? Io per esempio non ho fatto Pozioni…- disse
timidamente Sara.
-Guarda: basta che non ti metti a farli adesso, domattina
vengo nel tuo Dormitorio verso le sei e ti faccio copiare tutto, okay?- propose
Elisabetta.
-D’accordo, ma non azzardarti a non venire!-
-Allora che facciamo di bello?!- interruppe bruscamente
Manuel –Una partita a carte?-
-Sì, ma con quali carte? A meno che Harry non le
abbia, siamo fregati in partenza!- fece notare Ramona. Harry scosse la testa.
-Allora hai delle riviste… dei giornali…
dei… delle…- iniziò Elisabetta.
-Delle foto! Magari di quando andavi a scuola!-
esclamò all’improvviso Sara.
-Sì, dovrei averne in giro… prova a guardare in
quel cassetto là…- rispose Harry indicando un cassetto sotto una
delle due credenze.
Sara si alzò e fece per aprirlo, mentre Harry si
metteva le mani tra i capelli: quello che trovò non era un album di
foto, ma della biancheria intima. Chiuse il cassetto e provò quello
sotto: vecchi libri. Prese il primo e lo sfogliò; sembrava un
diario… però era strano… c’erano scritte strane
previsioni di incidenti, morti, sfortune varie…
-Ehm… per caso tieni un diario?-
-Uh? Un diario, no! Ah, aspetta, quello lo feci al quinto
anno, per Divinazione… stai tranquilla, quelle che ho scritte sono tutte
fesserie, non se ne è avverata mezza!-
-Mi pare di capire che il qui presente professore
imbrogliasse!- affermò Enrique.
-Beh, non si può essere bravi in tutto, giusto? Beh,
diciamo che di solito… sì, di solito imbrogliavo, ma solo in
Divinazione e Storia della Magia!-
Sara ripose il libro e ne prese un altro: Pozioni.
-Pozioni, terzo anno. Se non ricordo male è quello
zeppo di piani di battaglia… bei tempi, quelli! Tutti contro Piton,
ovviamente!-
-Forte! Pensi che potremmo…-
-Non senza la mia presenza: voglio divertirmi
anch’io!-
-E questo: Guida pratica per Animagus… che roba
è?-
-Oh, quello… non è mio, cioè, era di mio
padre. Lui era un Animagus, sapete cosa sono, vero?-
-Sì, uno di quelli che diventa un animale, giusto?-
-Giusto. Vedete, mio padre faceva parte della combriccola
dei Malandrini, assieme ad un mio ex prof. di Difesa, il mio padrino e un altro
tipo. Il mio ex prof. era un Licantropo, e nelle notti di luna piena si
trasformava e rischiava di far male a qualcuno, così mio padre e gli
altri sono diventati Animagi per “tenerlo impegnato”. Era compagni
di corse…-
-E tu? Sei anche tu un Animagus?- gli chiese Francesca.
-No. Per il momento no. –
-Allora una mezza idea di diventarlo ti è venuta!-
-No, non era questo quello che intendevo…-
-Ammettilo: aspettavi compagnia! Ci siamo qua noi!-
-No, ragazzi, non voglio mettervi in pericolo. Voi dovete
soltanto pensare a studiare…-
-Ah, quando fai il professore severo assomigli a Piton,
tutto studio e niente divertimento. Dai, che vuoi che succeda!-
-Ah… ehm, ragazzi! Ragazzi, so che può sembrare
incredibile, ma il… il libro qua sta… sta… parlando!-
-Parlando?-
Il gruppo si alzò in piedi e si dispose in cerchio
attorno a Sara. Nella prima pagina erano comparse due righe di inchiostro che
sembravano essere state scritte da poco; dicevano: Brutto moccioso come puoi
paragonare il mio figliolo a quell’untuoso di Piton? Se ti prendo…!
-Sono comparse da sole, all’improvviso…-
-Uhm… mi è già successo una volta, al
secondo anno. E il diario era di Vold… di Voi-Sapete-Chi. Andiamoci
piano!- informò Harry pensieroso.
Come osi paragonarmi a quello spregevole! Harry, sono io,
sono James, tuo padre!
LEGGETE E
RECENSITE!!!
Lucifer_the_Darkslayer:
penso che per l’azione dovrai aspettare ancora una decina se non di
più di chap!Grazie x le tue recensioni!!! J
-Papà? Sei davvero tu? Beh, sì, questo libro
era tuo…-
-Certo che era mio! E anche di Felpato e Lunastorta!-
-E purtroppo anche di Codaliscia…
dodici anni ad Azkaban per colpa di quel traditore!-
-Sirius! È incedibile,
siete davvero voi?- chiese Harry al colmo dell’eccitazione, mentre i suoi
alunni faticavano a stare dietro ai passaggi.
-Ah… ehm… Harry? Ci sei, ce la
fai, sei connesso? Ci potresti spiegare che cavolo succede?- chiese
Sara.
-Uh? E chi è tutta
‘sta gente? Credevo che avresti preferito parlare con noi da solo!-
-Tutta ‘sta gente sono i miei alunni!- rispose lui
–I migliori!-
-E ‘sta gente vorrebbe sapere
tutta la storia, perché non ci stiamo capendo un tubo! Chiede troppo ‘sta gente?- aggiunse indignata Sara.
-Dammi una ragione per cui dovrei farlo! Magari sei una
spia di Voldemort!-
-Punto primo: Voldemort
non c’è più, punto secondo: loro sono i vostri eredi, gli
eredi dei Malandrini! Sono ragazzi in gamba!-
-Perché non l’ hai
detto prima? C’è da festeggiare, James! Abbiamo degli eredi!
E… di grazia… come si chiamerebbero questi prodi giovanotti?-
-Ah! Non siamo più ‘sta
gente! Comunque io mi chiamo Astreed
Sara Gellar. Per voi solo Sara. –
-Enrique il magnifico!-
-Ramona la guardia del corpo del
magnifico. –
-Elisabetta e Francesca le sorelle Grifondoro!-
-Kanata il figo
della scuola. –
-Manuel il chitarrista figo della
scuola. -
-Addirittura…- sussurrò Francesca.
-…-
-Che c’è? Non vi piace
il gruppo?- chiese Harry, dopo i tre puntini.
-Hai detto che loro sono i tuoi
alunni? Spiegami un po’ ‘sta storia!-
-Ho la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure,
papà!-
-Harry! Ci deludi…
speravamo qualcosa di più, come Vicepreside! A proposito: esiste
ancora la McGranitt?-
-Certo, ma lei è ad
Hogwarts, in Inghilterra. Qui c’è sua sorella!-
-Qui? Dov’è il qui?
E quella là avrebbe una sorella? Più
giovane spero… e Silente?-
-Quante domande! Allora, noi siamo in
Italia, a Bologna; la sorella della McGranitt si chiama Graziana ed è
più giovane e Silente, se intendi Albus, è anche lui in
Inghilterra. –
-Cosa significa: se intendi Albus?-
-Significa che il Preside di questa scuola è Aberforth Silente, il fratello di Albus!-
-… no comment!…-
TOC
TOC
-Scusate ma stanno bussando!- disse
Sara rivolta al libro e lo chiuse, mentre Harry andava ad aprire.
Entrarono Silente e la McGranitt, visibilmente desiderosi del letto.
-Allora, abbiamo deciso che domattina dormite e poi andate a
lezione dopo pranzo. Vi va l’idea?- chiese stancamente Silente.
-E ce lo chiede? Certo che ci va!- cantarono in coro i ragazzi.
-Allora buona notte!- dissero i due insegnanti uscendo.
-A domani, e qualcuno si ricordi di farmi copiare Pozioni!-
-‘notte!-
-Ciao, a domani, buona notte Harry!-
-Buona mattina, ormai! Ciao e alle undici in Sala Grande, mi
raccomando!-
*
Martedì, ore 11, Sala Comune di Grifondoro.
-Oh, è esattamente uguale alla nostra, a parte i
colori…- commentò Enrique, il quarto arrivato.
Le altre tre erano le sorelle Grifondoro e Sara, tutta
intenta a copiare dalla pergamena di Elisabetta.
-Maledetto Piton! Se potessi usare il computer, sarebbe
più facile: modificherei qualche parola e lo stamperei, poi direi che l’ ho fatto assieme a te, invece no! Lui
è fissato con le pergamene, se gli presenti un foglio diverso lo
straccia e ti mette una “T”! La mia prof. di Lettere non è così esigente!- stava sbraitando lei.
-Mi spiegate come avete fatto a farmi
entrare? La nostra porta insulta tutti quelli che non sono Serpeverde!- chiese ammirato Enrique.
-Semplice: glielo abbiamo chiesto!-
-Io volevo dormire! Cos’è tutta questa
confusione!- biascicò Ramona, ancora in pigiama, trascinandosi fuori dal Dormitorio femminile.
-Solo Sara che impreca contro Piton, niente di
speciale…-
-Allora potevate lasciarmi dormire: ormai gliene ho dette talmente tante che è impossibile inventarne di
diverse dalle mie. –
-A proposito… sai quando ti
ha beccata che dormivi? È stata colpa mia: avevo mandato un biglietto
alla mia sorellina solo che lui l’ ha
intercettato…- confidò Elisabetta in tono di scusa.
-Brutta carogna, fogna…-
-Perché glielo hai detto?-
chiese Sara.
-Così potevi prendere spunto dalle sue imprecazioni e
inventarne di nuove per Piton…sai che spasso!-
-Che spasso cosa?- chiese Manuel,
sbucando dal Dormitorio maschile… piccolo particolare: era in boxer.
-Ehi fratello, lo sai di essere un po’ nudo?- gli chieseEnrique sghignazzando.
-Nudo? Io? No, sto in boxer! O le signore hanno qualcosa da ribattere?- chiese guardando
le ragazze.
-No, no, continua pure lo spettacolo!- gli risposero in coro
loro.
In effetti, dopo un primo impatto, ci si abituarono in
fretta e non vi fecero quasi più caso.
Infine arrivò anche Kanata, alle undici e mezza, ma
completamente vestito.
-Ah ragazzi, ma ci avete pensato? Poter diventare Animagi! Fantastico! Sapete voi quanti giri notturni in
più! E con la garanzia di non farsi beccare!
Tosto…- ricordò il nuovo arrivato.
-Già, sarebbe spaziale, solo bisognerebbe
convincere Harry!- fece notare Ramona.
-Beh, se ci presentiamo in blocco con un’idea
dell’animale… non dovrebbe dire di no!- propose
Elisabetta.
-Io vorrei essere un cane, di taglia grossa… un
Labrador, oppure… un pastore tedesco o un pastore
maremmano…- iniziò Manuel.
L’impresa sembrava disperata, così Elisabetta
sgattaiolò in Biblioteca e sfilò un paio di volumi sul mondo
animale conosciuto dai Babbani e uno su quello conosciuto dai Maghi.
Quando tornò iniziarono a
sfogliarlo.
Sara: -Bello! Io voglio diventare una leonessa!-
Kanata: -No, io… forse anche io un cane, però
un husky…-
Francesca: -Uffa! Vorrei diventare anche io un cane come il
mio Ciro!-
Elisabetta: -Io forse un gatto, però non sono
sicura… altrimenti… un canguro! Forte!-
Enrique: -Io ho già deciso: un’
aquila, oppure un falco, ma non fa molta differenza…-
Elisabetta: -Però dobbiamo fare in modo che il nostro
gruppo sia compatto, nel senso che se per caso siamo in pericolo ci sia sempre
qualcuno che se la cavi…-
Kanata: -Eh! Mica dobbiamo andare
in guerra!-
Enrique: -Però ha ragione: ci vuole qualcuno che
voli, qualcuno che nuoti, qualcuno che corra veloce, qualcuno che sia piccolo e
qualcun altro che sia…-
Sara: -Feroce! Per spaventare chi ci minaccia o per far
morire di paura qualcuno che ci stia su!-
Sfogliarono interamente anche il volume sulle Creature
Magiche, poi ne selezionarono alcune secondo il fabbisogno.
-Allora, indispensabili sono la Fenice e la lepre, e anche
il delfino e un felino grosso… poi il falco, o l’aquila e un
insetto o comunque qualcosa di piccolo… idee?-
Dopo una bella discussione della durata di un’ora
circa, i ragazzi giunsero ad una conclusione: Elisabetta scelse la Fenice, sua sorella il
lupo, Sara la pantera, Ramona un gatto, Manuel un pastore tedesco, Enrique il
falco e infine Kanata scelse l’aquila.
-Ragazzi, non mi sembra vero, siamo
tutti d’accordo! Però manca ancora
l’insetto e qualcosa di molto veloce che passi inosservato…-
osservò Elisabetta.
-Però anche Harry deve ancora decidere…
ma non penso che sceglierà di essere una mosca o un ragno…
sarebbe un ruolo adatto a Piton quello del ragno, ovviamente velenoso…-
commentò Ramona.
-Secondo me bisognerebbe provare a
chiedere a qualcun altro di molto fidato e discreto…- propose Manuel.
-Beh… Lucifero? No, eh? Nella nostra Casa non credo ci
sia molta gente di cui fidarsi…- scherzò
Kanata.
-Maschi o femmine? Per esempio, di ragazze c’è
sempre Giada, che ripassa con noi alla domenica! Di
maschi… sono persi nel Quidditch, meglio lasciar
perdere…- ricordò Sara.
-Già che ci siamo, perché non anche Emma? Non è male avere un’infiltrata nei Corvonero!- aggiunse
Ramona.
Fu deciso. Ne avrebbero parlato a
pranzo.
Ovviamente dovettero sopportare tutte le domande inerenti la loro assenza; alcuni raccontarono la
verità, altri delle bugie come un mal di testa o i compiti ancora da
fare… scoprirono inoltre che le lezioni di Musica sarebbero state sospese
per almeno venti giorni.
-Ma porca v***a, quell’idiota non la potrebbe smettere
di correre dietro alle prof. e venirci a fare lezione, adesso vado là e gli un cazzotto sia a lui che a lei. - imprecò
Francesca appena apprese la notizia. Chi non aveva “ascoltato” come lei non capì molto della sfuriata…
Sara approfittò della momentanea distrazione delle
compagne per parlare con Giada “della cosa”.
Francesca invece si alzò dal tavolo
quando notò Emma fare lo stesso; pochi passi e la raggiunse. Si
appartarono un attimo in bagno, e lei le spiegò “la cosa”.
Le ragazze avrebbero dovuto dire se intendevano
partecipare e quale animale avrebbero dovuto impersonare subito dopo le
lezioni.
Elisabetta invece avvicinò Harry, dicendogli di farsi
trovare nel suo ufficio verso le cinque e mezza, possibilmente con un po’
di noccioline e qualche Burrobirra.
Le tre ore a seguire furono noiose e interminabili, poi per
fortuna la campanella li graziò, anche se non risparmiò loro gli
ultimi cinque minuti.
Il gruppo si radunò in Biblioteca, dove si erano dati appuntamento con Emma e Giada.
Quando le due arrivarono, dissero d’un fiato che volevano far parte del gruppo di apprendisti Animagi, anche a costo di dover impersonare un insetto (-Si
chiamerebbe ricatto, però la scelta era ampia…- -Sì, certo,
solita scusa, Manuel!-). Emma aveva scelto una coccinella e Giada una lepre.
-Siamo d’accordo, allora! Okay, possiamo andare da
Harry!-
Si avviarono al terzo piano e bussarono alla porta.
-Ehi, amici! È qui la festa!- disse
la porta, con la sua solita voce roca ma amichevole.
Apparve il viso curioso di Harry.
-Allora? Qual è il problema?- chiese lasciandoli
entrare.
-Teoricamente nessuno, se tu ci lasciassi
diventare Animagi!- esordì Enrique.
-E dai con ‘sta storia! Ve lo
volete scordare? E poi, io non ho nessuna intenzione
di diventarlo!- comunicò lui scontroso.
-Caro James, il tuo figliolo è cocciuto come un
mulo, cioè come te…- si sentì
dire. Proveniva da un cassetto. Sara sapeva quale e andò a prendere il
diario.
-Così parlano pure, eh? Togo questo libro!-
esclamò lei, vendendo la scritta scomparire.
-Già. Tutto oggi hanno cercato di convincermi!-
-E tu ti ostini a non
intraprendere la carriera di Malandrino… perché?- ora la voce
era forte e chiara. Era leggermente roca.
-Perché non mi va e basta. Sono un insegnante, non più uno studente!- ribatté
aspro Harry.
-E allora?-
-Allora se non ci vuoi dare una mano
tu lo facciamo da soli!- disse sfrontatamente Elisabetta.
-Brava ragazza, hai del carattere: continua così!-
incoraggiò Sirius.
-Sirius! E
voi, questo è un ricatto! Siete solo degli egoisti, tutti quanti! Siete
solo alla ricerca di un po’ di divertimento. Dovreste stare lontani dai
guai, non andarli a cercare! Tenete questo stupido libro, voglio vedere di cosa
sarete capaci!- urlò Harry.
-No, dai, aspetta! Non era un ricatto, volevamo solo
forzarti un po’ la mano, non l’avremmo fatto
davvero!- cercò di rimediare Elisabetta, ma niente da fare: -Fuori di
qui!- urlò Harry.
I ragazzi sgombrarono, per tornare nella Biblioteca.
-Potevate dircelo prima che lui non era
d’accordo! Ci saremmo risparmiate la sgridata!-
rinfacciò Emma.
-E dai, eh! Non rincarare la dose,
per favore!- esclamò Enrique, visibilmente scocciato.
-Nessuno voleva o sospettava che sarebbe finita
così!- aggiunse Sara, che si accorse di stringere nella mano destra il
libro.
-Come sono stata cretina! È tutta
colpa mia!- piagnucolò Elisabetta.
-Non è stata colpa tua, dai!
Secondo me è qualcosa che non vuole
dirci… forse ha paura…- ipotizzò James a voce alta.
-James! Mi meraviglio di
te! Come puoi pensare una cosa del genere, visto e considerato che è tuo
figlio e ha fermato i piani di Voldemort una decina
di volte?!- sbraitò Sirius.
-Sentite, adesso basta parlarne! Mi
sono rotto, ho voglia di divertirmi un po’… una giornata
letto-scuola non è molto eccitante…-
interruppe bruscamente Manuel.
-Giusto! Non vi abbiamo ancora visti all’opera come
nostri eredi!- ricordò Sirius.
-Allora senti questa: una sera io ed Harry ci siamo calati dalla sua finestra e abbiamo raggiunto
l’ufficio di Piton, mentre dormiva, e abbiamo lanciato delle Cioccorane!
Solo che…- iniziò Elisabetta.
-… il Mocciosus è
allergico alla cioccolata! Che spasso che doveva
essere! Ti invidio molto, sai?-
-Così Piton è lì? Non in
Inghilterra?- chiese James, fingendo noncuranza per lo scherzo.
-Già. E perché tu non l’ hai detto a
noi, dello scherzo intendo?- chiese inquisitoria Giada rivolta a Elisabetta.
-Beh… mi sono dimenticata…- si
difese lei.
-Meglio, sentite questa: Piton ci aveva dato
una punizione. In pratica noi dovevamo cantare per far crescere una piantina.
Ci ha sepolti nell’aula più remota del castello, ma siamo riusciti lo stesso a non fargli chiudere occhio!-
raccontò eccitato Kanata.
-Sapeste che occhiaie che aveva!-
commentò Enrique.
-Gli sta bene! Era una punizione ingiusta! Solo
perché ci scambiavamo qualche bigliettino innocente!- si lamentò
Ramona.
-E perché tu dormivi!-
aggiunse maliziosa Elisabetta.
-E chi dovrei ringraziare se mi ha
beccata?- chiese dispettosa lei; Elisabetta le rispose con una linguaccia.
-Dovremmo formare un club contro le punizioni ingiuste!
Sarebbe bello poter salvare tanti studenti innocenti e ovviamente fare casino!-
suggerì Manuel.
-Questo è lo spirito dei
Malandrini!- gracchiòSirius.
-Già, ma ci vuole un nome, un nome
in codice!- esclamò Francesca.
I ragazzi pensarono un minuto.
-Ce l’ ho! A.P.R.I.: club Anti Punizioni Ritenute
Ingiuste!-
-A.P.R.I.? Ma
che razza di nome sarebbe?- criticò Manuel
indignato.
-Se ne hai uno migliore dillo, sto
ascoltando!- Manuel stette zitto.
-Però dobbiamo fargli della
pubblicità, se no chi mai si rivolgerà a noi!- ricordò
Ramona.
-E dobbiamo riuscire a sfuggire al controllo dei prof.!- aggiunse Enrique.
-Potremmo criptare il nome facendo
credere che si tratti di un’altra cosa!- esclamò
Sara.
-Potreste fare C.A.P.R.I.
invece di A.P.R.I.,
così i prof. penseranno si tratti di un club informativo per viaggi o
roba del genere. Io ci sono stato a Capri, è un posto favoloso, ve lo garantisco!- suggerìSirius.
-Bella lì! Ci sta, si può
fare! C.A.P.R.I.: Comitato Anti Punizioni Ritenute Ingiuste!- recitò Enrique.
-Fantastico! Allora è deciso! E
voi due, Sirius e James, sarete i membri onorari del
Comitato!- incalzò Francesca.
-Grazie! Troppo buoni, veroJamie?-
-Fantastico…-
-Raga però adesso è
tardi, e io ho dei compiti da sbrigare!- annunciò
Emma.
-Anche noi Tassorosso, vero Sara?-
chiese Giada.
-Purtroppo! Ci vediamo dopo cena in Biblioteca, okay?-
-D’accordo. Noi Serpeverde
non abbiamo niente da fare, vero Enrique?- chiese Kanata al compagno, che
scosse il capo.
-Allora proporrei di fare un giretto con le scope, tanto
sono le sei e mezza, se arriviamo un po’ tardi chi se ne importa! Manuel,
sei dei nostri?-
-Certo. Fre, Betty, Ramo, venite
anche voi?-
Francesca e Ramona annuirono.
-No, io no: devo fare una cosa. A dopo!- salutò
Elisabetta, raccogliendo il libro che Sara aveva appoggiato sul tavolo quando si erano seduti.
-Dimmi che ho sentito
male: quei tre ragazzi là sono Serpeverde?- chiese preoccupato Sirius.
Elisabetta uscì di fretta
dalla Biblioteca e raggiunse il Dormitorio dei Grifondoro, completamente
deserto.
-Scusa se non ti ho risposto, ma
non avrei voluto insospettire la Bibliotecaria, sai: vedere una ragazza parlare da
sola è quantomeno preoccupante!- si scusò lei.
-Perspicace! Non preoccuparti. Allora, lo sono o no?-
-Manuel è Grifondoro, mentre Kanata
ed Enrique sì, sono Serpeverde. Comunque
sono simpatici!-
-Ne dubito fortemente. I Serpeverde hanno sempre goduto di una pessima fama. – commentò
piatto James.
-E voi vi basate solo sui
pregiudizi?-
-Beh, io non ho mai conosciuto un Serpeverde gentile con
noi, e tu Jamie?-
-Nemmeno io…-
-Oh, ma che hai? Sei taciturno!-
-Pensavo
ad Harry...-
-Questa è la cosa che volevo fare: parlargli e
scusarmi per quello che ho detto. Premerò affinché i miei
compagni non tentino di diventare Animagi senza la
sua supervisione!- esclamò Elisabetta.
-Beh, noi l’abbiamo fatto senza nessuna
supervisione…-
-Ma qui siamo più
sorvegliati perché stanno cercando dei Wizardtime.
Adesso vado, scusatemi. – disse lei chiudendo il
libro senza lasciare a Sirius il tempo per farle
altre domande; lo chiuse dentro il cassetto del suo comodino.
Corse all’impazzata fino a raggiungere la fatidica
porta. Bussò. Nessuno rispose. Che fosse andato
via? Ritentò, ma di nuovo nessuna risposta. Se ne andò col cuore gonfio. Avrebbe voluto scusarsi,
ripeterglielo mille e mille volte, piangere e farsi
confortare da lui… farsi abbracciare. E lui non
c’era. O forse non voleva parlarle, la odiava,
la credeva un’egoista. Si sentiva terribilmente in colpa…
Corse via in lacrime verso il suo Dormitorio. Christina e
Valeria stavano frugando nei rispettivi bauli, e
avevano la testa china su essi quando lei entrò, perciò fecero in
tempo solo a scorgerla e non si accorsero che piangeva, perché fulminea
si chiuse in bagno.
-Ciao Betty, vieni
giù con noi?- le urlò Valeria.
-No. Non ho fame, e poi sto poco
bene…- cercò di dire lei, ma aveva la
voce flebile.
-Lo si sente dalla voce. Se vuoi ti
portiamo in Infermeria!- si offrì Christina.
-No, non sto così male da doverci andare. Vedrete:
una buona dormita mi rimetterà in sesto; adesso andate, o farete tardi!-
rispose Elisabetta asciugandosi le lacrime.
-Come vuoi…-
Quando la stanza si fu acquietata,
si udì una voce attutita; la ragazza sapeva cos’era: il libro.
Dischiuse lentamente la porta e andò ad aprire il
cassetto dove aveva nascosto il libro; lo aprì.
Si intravedevano ancora le parole: Com’è
andata.
Prese una penna dal suo astuccio e scrisse: Lui non
c’era.
-Prova dopo cena. -
Lesse e rispose: Va bene. Adesso vorrei farvi una
domanda: per caso conoscete una qualche motivazione inerente l’essere Animagi che possa averlo irritato? Già, ma che
stupida, voi non l’avete conosciuto…
-Io, SiriusBlack,
l’ ho conosciuto, seppur brevemente. Non mi ha mai accennato a diventare Animagus…-
Elisabetta stava per arrendersi all’evidenza: era
stata lei. Però scrisse ancora: Nessun altro
motivo? Forse… potrebbe essere la presenza di qualcuno che lo
disturba… solo allora si ricordò di
Kanata e dell’espressione di Harry, così tentò quella
carta: Malfoy, vi dice niente?
-Che, scherzi? Lucius è stato uno dei nostri peggiori nemici e suo
figlio, Draco, dava parecchie noie ad
Harry. Lucius, il padre, era un Mangiamorte!
Perché?-
Tombola: Perché uno dei Serpeverde, Kanata,
è il fratellastro di DracoMalfoy
e porta lo stesso cognome!
-Ecco! Sarà sicuramente quello! Immagino che
sarà il solito sbruffoncello…-
Elisabetta esitò un attimo: Subito sì, ma
dopo la punizione insieme siamo diventati più
amici.
-Sarà… secondo me
dovresti stare più attenta! Potrebbe essere che Lucius
l’abbia mandato come spia, per tenere
d’occhio dei movimenti sospetti… non avevi accennato ai Wizardtime?-
La ragazza sapeva bene che quel Lucius
non poteva sapere niente, così, senza riflettere, negò: Lo
escludo. Ecco l’errore, e se ne accorse
tardi: le avrebbero chiesto come facesse ad essere così sicura, e lei,
per il momento, non voleva rivelare di essere la Wizardtime.
Infatti: Come fai ad esserne
sicura?
Per fortuna aveva la risposta pronta:
Da quello che ho capito, ha vissuto con sua madre in Francia. Suo padre
l’ ha visto poco…
Continuò a lungo a conversare con loro, soprattutto
via penna; loro le avevano chiesto se non le
scocciasse scrivere, ma lei rispose che anzi le piaceva.
Intanto, c’era anche qualcun altro che non aveva fame,
o meglio: voleva restare solo. E c’era poi un
terzo che, per caso, avrebbe incrociato la sua strada.
Harry era seduto all’inizio di una rampa di scale, sul
terzo scalino, le gambe ben poggiate a terra e le mani tra i capelli. Si
grattò nervosamente, per far poi riemergere il viso. Sospirò. Era
stato duro con Elisabetta, e anche con i suoi amici, nonostante sapesse bene
che loro non c’entravano… era per suo padre. Riviveva quella
serata, nei suoi ricordi… quella serata, durante una lezione di Occlumanzia, quando aveva
sbirciato nel Pensatoio di Piton. Suo padre, il suo mito,
distrutto in una serata, assieme a quello di Sirius;
e adesso, riaverli, anche se non poteva toccarli o vederli… non era
pronto ad affrontarli…
Passò velocemente la lingua sulle labbra secche.
Si sentiva diverso… diverso
da Sirius e James. Pensando cosa avevano fatto
passare a Piton lo indignava, e ricordarsi di essere
rispettivamente figlioccio e figlio per loro, lo gettava nello sconforto.
Nel suo subconscio sapeva di dover chiarire quella
situazione con loro, ma non lo voleva fare, perciò cercava di
allontanare quel pensiero.
Voleva parlare anche con Elisabetta, ma per dirle cosa? La
faccenda era lunga da spiegare, e poi… anche loro avevano fatto uno scherzo a Piton, del tutto immotivato o quasi.
Certo, era molto distante dall’essere quello fatto
quandoLupin si era trasformato in Lupo
Mannaro e lo aveva quasi ucciso, però lo scopo era lo stesso: umiliarlo.
Si sentì un verme… chissà se suo padre
ci aveva mai riflettuto?
Appoggiò indice, medio e anulare alle tempie e i
pollici sotto il mento, sbuffando. Non si era accorto di una presenza che
avanzava.
Era Piton, che si stava recando in Sala Grande per la cena.
Sapeva di essere in ritardo e ciò lo mandava in bestia. Non perché gli importasse veramente qualcosa, semplicemente
perché lui non era mai in ritardo.
Tutta colpa di quello stupido filtro! Anzi no: il mio
filtro era perfetto, è stata quella gallina a
usarlo impropriamente! Solo io a farmi convincere…
Tra questi e mille altri pensieri si stava
avviando quando scorse un paio di jeans da uomo e una felpa. L’occasione
giusta per togliere un po’ di punti! L’idea lo allettava
molto…
-Bene bene! Cosa abbiamo qui?- stava
dicendo, quando si trovò di fronte Harry -Potter?-
chiese stupito. Poi vide l’espressione dipinta sul suo volto.
-Professor Potter, ha deciso di abbandonare
l’insegnamento? Si ricordi che io l’avvisai che non sarebbe durato
più di un anno!- gli disse pungente, mentre un
sorrisino malefico spuntava sul suo volto.
-Lasciami stare! Ho di meglio da fare che ascoltare le tue
provocazioni; non sono più il tuostudentello alle prime armi su cui riversare il tuo stress.
– ecco, l’aveva detto. Aveva detto come si era sentito per sette
lunghi anni. Attendeva ora la mossa del suo avversario, sperando in una
silenziosa fuga.
Per tutta risposta, Piton fu preso da una strana
curiosità che, ne era certo, non gli era mai
venuta prima; chiese: -Problemi, Potter?- e quasi si sorprese di essere stato
lui a fare quella domanda: cosa gli importava se il ragazzo aveva dei problemi?
Aveva già i suoi!
-Più di quanti immagini…
sarai contento adesso? Potter soffre e tu gioisci, non è questa la
regola?- disse sbuffando Harry, dopo averlo fissato
con un sorriso triste e beffardo, sorriso in cui Piton si riconobbe. Quante
volte ad Albus Silente, dopo esser stato in missione da Voldemort,
aveva serbato uno di quei sorrisi dicendo: -Sto bene…-
quando sapeva di avere ferite praticamente ovunque. Poi, col tempo, quei
sorrisi erano sbiaditi, svaniti, sostituiti dall’indifferenza e dalla
ricerca di evasione, di solitudine… a volte,
quegli stessi sorrisi li aveva mostrati alla sua Vittoria, quasi
inconsapevolmente…
-Direi che per questa sera potremmo
fare un’eccezione. Ti va di parlarne?- propose sotto lo sguardo
sospettoso dal collega; in effetti, in circostanze normali non lo avrebbe di
certo fatto, però il pensiero della Chiodo gli
aveva suggerito che potesse avere qualche problema sentimentale, come i suoi.
-Non avevo di certo messo in conto che avrei parlato dei
miei problemi con una persona che a volte me ne creava…-
-Anche io ho le orecchie, sai?-
-Le avevo notate…-
Seguì un minuto di silenzio in cui il professore di
Pozioni si sedette accanto al ragazzo, poi lui esplose: -Te lo ricordi il
giorno in cui sbirciai nel tuo Pensatoio?-
-Attento, non vorrai stuzzicarmi…-
-Eppure tutto comincia da lì… forse non te ne
sarai mai accorto, no, in fondo penso di no, ma da quel giorno non ho
più cercato di seguire le orme di mio padre…-
-Strano, avrei giurato di sì!-
-Invece no, anzi: lo disapprovo per
il modo in cui ti trattava!- esclamò Harry, incredulo della sua audacia.
Piton fu come colpito al cuore: la bestiolina
disapprovava il padre?
-…-
-Solo che ieri, dopo la punizione, i ragazzi sono venuti da
me e hanno scovato il libro con cui James e Sirius
erano diventati Animagi e… beh, che tu ci creda o no, loro posso comunicare con me attraverso questo
libro…- Harry stava accelerando il ritmo del racconto, per arrivare al
punto che più lo interessava, mentre il suo interlocutore: -…- non
sapeva che dire.
-Sono stati loro a scoprire che potevo comunicare con mio
padre e Sirius, e loro hanno insistito perché
diventassi anch’io un Animagus… io non so
che fare… non avrei mai creduto di poter parlare con mio padre, ma adesso
che ho questa opportunità, ciò mi
spaventa a morte…-
Piton era sbiancato completamente. Non aveva mai pensato che
a quel ragazzino fosse mai importato veramente di lui, lo aveva sempre creduto
uguale al padre, e solo ora capiva che si era sempre sbagliato di grosso.
In fondo al cuore, fu toccato da quella rivelazione. E
capiva lo smarrimento del ragazzo: non avendo mai conosciuto tuo padre, figura
guida e modello da imitare, per un ragazzo specialmente, aveva finito per
idealizzarlo come l’esempio, come la persona che reincarnava tutti i suoi
ideali… però, quando scopri che non era affatto
così … si, in effetti, trattandosi di Harry Potter poteva essere
molto dura.
Cercò di tornare lucido: -Sei completamente sicuro
che si tratti di loro? Non vorrei che succedesse nuovamente ciò che si verificò durante il tuo secondo anno ad
Hogwarts…-
-Oh, più che sicuro! Riconosco la voce di Sirius…-
-La voce?-
-Sì, è un po’ diverso dal diario di TomRiddle; in questo, oltre a
formarsi delle scritte, loro possono parlare con me. –
-Non ho mai udito nulla del genere!-
-Ma loro erano i Malandrini…-
-Non me lo ricordare…-
-… c’è anche un’altra cosa…-
-A questo punto sarei pronto a tutto!-
-Ho litigato con una mia amica…-
-Fammi indovinare: la signorina Serpini?-
-Esatto. L’ ho accusata ingiustamente
perché… beh, le ho detto delle cose che non
pensavo affatto… e vorrei rimediare. –
-Allora penso che tu sappia cosa devi fare…-
-Sì ma… se poi non vuole ascoltarmi?- Harry
pensò di avere un’aria spaesata; certo, non avrebbe mai pensato di
chiede un consiglio in materia di “donne”
proprio a Piton, il quale sembrò avergli letto nel pensiero,
perché esternò il pensiero del ragazzo: -Non dovresti chiedere
consiglio a me, non sono la persona adatta, penso che questo tu lo
sappia… Coraggio, va a parlarle, vedrai che andrà bene. Cerca
sempre di fare l’adolescente ribelle, ma ha una mente aperta per la sua
età! E con James, penso proprio che dovresti fare lo stesso…-
-Grazie Severus. –
-Figurati. Se ti avessi lasciato
agire d’impulso, cosa che tu di solito fai, non sarei un buon
insegnante…-
-Non so se te ne sei accorto, ma adesso sono un tuo collega,
non più il tuo studente!- ricordò Harry,
un po’ irritato da quell’affermazione.
-Ciò non toglie che io possa
ancora insegnarti qualcosa di utile! Dai, vai, prima che ritorni il mio solito
caratteraccio! Mi hai già fatto perdere la cena!-
-Vorrà dire che per
sdebitarmi con te ti offrirò da bere!- disse Harry alzandosi.
-Non contarci: oggi è stata solo un’eccezione!-
gli ringhiò Piton mentre il ragazzo se ne
andava. Chi l’avrebbe mai detto? Proprio lui, che dava consigli a Potter!
Sto iniziando a perdere colpi!pensò
tra sé…
Harry intanto aveva raggiunto il Dormitorio dei Grifondoro.
La porta, non riconoscendolo, iniziò ad insultarlo e a sputarli addosso,
mentre lui cercava di spiegarle di essere un insegnante. Elisabetta, sentendo
tutto quel fracasso, volle andare a scoprirne il motivo, e si ritrovò
davanti un fradicio Harry che ancora cercava di dare spiegazioni alla porta.
-Dovresti saperlo che fa entrare solo la McGranitt e noi
Grifondoro. – osservò la ragazza, inarcando un sopracciglio.
-Dalla fretta me ne ero
dimenticato!- ammise Harry –Allora, mi fai entrare, o devo rimanere qui
tutto bagnato?-
La ragazza non rispose, ma si limitò a farsi da parte
per lasciarlo entrare. Si sedette; lui fece lo stesso. Seguì una breve
pausa, poi…
-Betty, io…-
-Harry, io...-
-Prima tu!-
-Okay. Senti, mi dispiace di aver detto quello che ho detto;
lo so benissimo che avresti dovuto esserci anche tu nel caso avessimo
proceduto nel diventare Animagi, ma è stato
più forte di me… non volevo ricattarti! Volevo che suonasse
più come una battuta, non intendevo essere presa sul serio!- le sue
parole erano un fiume in piena, e avrebbe continuato
se Harry non avesse stretto le sue mani tra le sue e le avesse sussurrato: -Ssst! Sono io quello da rimproverare! Non sei stata tu il
vero motivo del mio incavolamento… la
verità è un’altra…-
In breve raccontò l’episodio avvenuto circa
dieci anni prima, quello in cui aveva sbirciato nel Pensatoio del suo maestro
di Pozioni.
-… ho paura di scoprire cose che non avrei mai voluto nemmeno immaginare. È
terribile… sogni di poter incontrare la persona che ti sta più a
cuore e quando puoi farlo scopri che non è come la immaginavi…-
-Harry, non starò qui a dirti che ti capisco e che mi dispiace e che bla, bla, bla.
Il mio consiglio è di parlare con lui, magari con Piton presente…-
-Stai scherzando?! Mi ucciderebbe!-
-Io cercherei di farli riappacificare. Almeno, avrai la
consolazione di aver fatto redimere tuo padre, e non è poco!-
-… certo che è strano il mondo: io qui sono quello anziano che dovrebbe dispensare consigli ai giovani,
invece è esattamente il contrario…-
-Questo è quello che mi fa più imbestialire
del mondo: tu puoi dare dei consigli solo in base alla tua età. Se sei
un bambino di dieci anni che cerca di far smettere il padre di fumare, non vieni ascoltato; se invece sei un anziano, magari non vieni
ascoltato lo stesso, ma le tue parole hanno più peso di quelle del
bimbo. Non bisogna aver quarant’anni per essere intelligenti, e nemmeno
per dare consigli. –
-Sai, a volte con le tue massime mi spaventi…-
-Non ti preoccupare, non ho intenzione di diventare una
filosofa, piuttosto direi che sto cercando di farmi
una mia personale filosofia di vita. Sembrano la stessa cosa, ma non lo
è. –
-Se solo avessi dieci anni di più, potresti benissimo
avere il posto della McGranitt…-
-Lo farei solo per avere un bel collega come te!- Elisabetta
arrossì –Ops, non volevo, io…
ecco, cioè, no… è solo che…-
-Va bene così. – Harry la baciò
delicatamente sulla fronte –Ora è meglio che vada, prima che
qualcuno dei tuoi compagni ritorni!-
-Aspetta! Volevo solo dirti
che… ecco, abbiamo fondato un club contro le punizioni e mi piacerebbe
che tu ne facessi parte. -
-Volentieri. A domani, Betty.Però...
la storia dei Legilimens?–
-Un’altra volta. Ciao
Harry...-
RECENSITE!!!SE AVETE QUALCHE
DOMANDA O CURIOSITA SARO’ CONTENTA DI RISPONDERVI!!!BYE BYE!!!
Lucifer_the_Darkslayer: ma è così noioso senza
azione?! Ci sarà molta più azione
però fra una ventina all’incirca di chap!
Mi disp, ma dovrai aspettare! P.s:
ma è veramente noiosa la ff?
Qualche giorno dopo, tutte le classi avrebbero dovuto avere
un’ora di Musica.
Per i Grifondoro si trattava della quarta ora, quella dopo
la ricreazione; la supplente sarebbe stata la McGranitt.
Quella mattina, i ragazzi del C.A.P.R.I.
si incontrarono davanti alla bacheca della Sala Grande.
-Questo andava proprio
fatto!- esclamò Francesca, le mani sui fianchi, mentre Manuel affiggeva
un volantino sulla bacheca.
-Già! Non possono
sospendere le lezioni di Musica e basta, almeno tentare di trovare un
sostituto!- rincarò Giada.
-Ecco fatto.
L’appuntamento è per questa sera alle otto in Biblioteca!- disse
Manuel, che aveva finito il suo lavoro.
-Perfetto! Allora a
più tardi. –
Detto ciò, i
ragazzi si separarono.
Durante la ricreazione, le
sorelle e Ramona si recarono al bagno delle femmine per incontrare Sara, Giada
ed Emma; invece trovarono solamente Emma e Sara.
-Male! Kanata è
proprio uno str***o…- piagnucolò Sara, mentre si asciugava le
lacrime.
-Perché? Che ha
fatto?- chiese stupita Ramona.
-Guardate!- sospirò
Emma aprendo la porta; poco più in là Kanata, appoggiato al muro,
stava parlando fitto fitto con Giada.
-Ma no, dai, solo
perché sta parlando con lei… non significa niente!- la
incoraggiò Francesca.
-E invece sì!
Avevamo un appuntamento proprio lì, io e lui! Da oggi in poi non
rivolgerò più la parola né a lui né a lei!-
sentenziò Sara, battendo forte il piede sul pavimento.
-Farai fatica: lei ce
l’ hai in classe! E scommetto che appena Piton lo saprà,
farà apposta a mettervi a lavorare vicine! Dai retta a me: fai finta di
niente e guarda come vanno le cose. – la consigliò Elisabetta.
Intanto Kanata se ne era
andato, lasciando Giada sola. Le sorelle ne approfittarono per estorcerle delle
informazioni.
-Che ci facevi con
Kanata?- chiese ruvida Francesca.
-Mi ha chiesto un parere
per un regalo che deve fare a Sara. Ha chiesto a me perché sono
l’unica del gruppo ad essere in classe con lei!-
Questo spiega tutto!
pensò Francesca.
-E tu cosa gli hai
consigliato?- chiese curiosa Elisabetta.
-Un profumo, oppure un
ciondolo! Oh, però… non diteglielo! Agli altri sì, ma a lei
no!-
-Agli altri sì?
Credevo avrebbe preferito mantenere la privacy!- affermò incuriosita
Francesca.
-Ha detto che non gli
importa di cosa dicono gli altri…- spiegò lei alzando le spalle.
Dopo il breve colloquio,
le sorelle tornarono nel bagno.
-Tutto a posto!- dissero
sorridenti.
-A posto?- ripeté
Sara.
-Sì, non devi
preoccuparti di lei, non ti darà fastidio!- la rassicurarono.
-Che cosa vi ha detto?-
chiese lei trepidante.
-Che… che lui le
aveva chiesto… se avesse fatto un po’ di pubblicità
all’incontro di stasera, e di ricordarlo anche a noi, già. –
le due tirarono un impercettibile sospiro di sollievo.
-Ma perché non lo
ha chiesto a me? Dopotutto, siamo nella stessa Casa!- si chiese Sara perplessa.
-Perché si fidava
di te e poi perché ha incrociato prima lei… è stato solo un
caso, stai tranquilla. –
-Sarà…- Sara
non sembrava molto convinta, ma la campanella annunciò che ormai il
tempo da dedicare ai fatti propri era finito. Le sue compagne la lasciarono
andare avanti, per appartarsi a discutere.
-Perché ha tutte
queste menate? Non sono mica insieme, o sì?-
-Beh, è evidente
che lui la interessa, magari, dal giorno della punizione…-
-Dite che si sono messi
insieme e non ci hanno detto niente?-
-Probabile!-
-Ah, okay, allora è
tutto a posto. A dopo, la Tassi
mi spella se arrivo in ritardo. Ciao. -
A pranzo si udirono
lamentele da ogni parte per la perdita delle ore di Musica.
I ragazzi del C.AP.R.I. ghignarono divertiti quando, alzandosi, i loro
compagni lessero il loro volantino.
*
Quella sera, il gruppo si
riunì in Biblioteca mezz’ora prima dell’orario di
“apertura delle danze”.
-Carta?- iniziò a
cantilenare Manuel, spulciando da un elenco.
-Carta!- disse
orgogliosamente Giada, sventolando in alto un pezzo di pergamena, residuo del
suo ultimo tema di Trasfigurazione (orgogliosamente perché aveva preso
un voto alto).
-Piuma d’oca?-
continuò il ragazzo.
-Piuma d’oca…-
rispose svogliatamente Sara, estraendo un’elegante piuma dai colori del
mare dalla tasca anteriore del suo zaino.
-Calamaio?-
-Calamaio!- disse stavolta
Ramona, che già da un po’ giocherellava con la sua personale
boccettina di inchiostro di china.
-Timbro?-
-Timbro!- squittì
Elisabetta, mostrando un pezzo di legno delle dimensioni di un tappo di
bottiglia. La base era stata rozzamente intagliata dalla ragazza con un paio di
forbici appuntite.
-Candela?-
-Candela!- disse Kanata,
mostrando una confezione da 2 pezzi di candele fucsia.
-Ma sono fucsia! Di solito
i timbri sono rossi!- fece notare con una smorfia Emma.
-Se riesci a trovare di
meglio, prego: accomodati!- ribatté secco Kanata.
-Beh, ci sarebbero quelle
nella Sala Grande…- stava dicendo Enrique, ma vedendosi circondato da
occhiate minacciose, preferì non continuare.
-Fuoco? Beh,
c’è il caminetto…- disse fra sé accennando al grande
camino proprio al centro della stanza.
*
Ore 20:00. Iniziava ad
arrivare qualcuno. Erano tutti Grifondoro, fatta eccezione per un paio di
timorosi Tassorosso. Dopo dieci minuti arrivò anche Desirée
con un paio di amiche Serpeverde.
L’atmosfera
iniziò a scaldarsi quando arrivarono anche alcuni ragazzi del
Serpeverde, così i membri del C.A.P.R.I.
presero parola.
-Patti chiari e amicizia
lunga: siamo qui per discutere di una cosa che crediamo stia a cuore a tutti,
ovvero la sospensione delle ore di Musica…- sentenziò Manuel.
I ragazzi (intanto ne
erano giunti altri), udendo quelle parole, iniziarono gradualmente a sedersi.
-Noi abbiamo avuto
l’idea di raccogliere delle firme per presentare una petizione a Silente.
Abbiamo già preparato il documento…- continuò.
Elisabetta lesse in breve
il contenuto.
-Rispecchia le vostre
richieste?- chiese infine Francesca.
-Sì!!!-
-E allora firmate il
foglio che adesso Giada farà passare fra di voi. Basta una semplice
firma, al resto penseremo noi!- esclamò Enrique.
Mentre la folla
chiacchierava eccitata e rumorosa, Giada passò fra i tavoli, porgendo
carta e penna a chi avesse voluto firmare. Quando ebbe finito, chiese se nessun
altro avesse voluto aggiungersi. La risposta fu negativa, così Sara
piegò assieme i due fogli in tre parti, in modo che i due lembi fossero
sovrapposti, mentre Kanata avvicinava una candela tolta dalla confezione alla
fiamma del camino. Aspettarono fino a che la cera non si fu sciolta, ne fecero
cadere tre gocce sulla carta e infine Elisabetta fece pressione su di essa con
il timbro da lei intagliato. Il tutto sotto lo sguardo attento della platea.
Avevano appena finito
quando arrivarono la Tassi
e la Melalavo
a guastare la festa, rimproverando i ragazzi per la tarda ora (le nove e mezza)
e ordinando lo sgombero immediato della Biblioteca.
Il venerdì
successivo scivolò via fra la duplice attesa per la consegna del
documento a Silente prevista per sabato, quella per le prove dello spettacolo e
le interrogazioni a tutto spiano.
Giunse finalmente il tanto
atteso sabato.
Come al solito i ragazzi a
colazione si tennero leggeri e allo stesso tempo assunsero grandi
quantità di carboidrati (rispetto agli altri giorni) in vista di due
fantastiche ore di Volo. Esse erano tenute in grande considerazione soprattutto
dai membri della squadra di Quidditch della scuola.
Fu proprio durante una di
quelle ore che successe il fattaccio; era il turno dei Tassorosso.
L’esercizio era banale (si trattava di uno slalom tra degli ostacoli da
compiere nel minor tempo possibile) ma Valeria, la Cacciatrice, che stava
cercando di farsi notare da Ilir, fermo a bordo campo, spinse fino
all’ultimo e anche oltre, per non disperdere neanche un centesimo nella
frenata prima della fine del percorso; finì per spingersi ben oltre il
limite del campo di Quidditch, peraltro già abbastanza a ridosso delle
mura esterne della scuola, siccome la sua scopa era nota per la pessima
frenata. E non si accorse del pezzo del torrione di Astronomia che le stava
letteralmente volando addosso ad una velocità folle, troppo presa
dall’esultanza per l’annuncio del suo sbalorditivo tempo. Solo
quando vide il terrore dipingersi sul volto dei suoi compagni capì che
qualcosa non andava e girò la testa all’insù, seguendo il
loro sguardo, e vide; fece in tempo a spostarsi di appena mezzo metro, non
sufficiente a schivarsi i detriti ma abbastanza per salvarle la vita. Le
macerie la colpirono dalla vita in giù, sbattendola violentemente a
terra e seppellendole le gambe. La scopa si era spezzata in due ed era stato un
bene che le fosse sfuggita di mano e si fosse completamente staccata dal suo
corpo, vista l’aguzza punta di entrambi i mozziconi. I ragazzi delle
altre Case si avvicinarono, le sorelle comprese.
Valeria si stava
lamentando mentre Harry si precipitava da lei; non lo aveva neanche sentito
gridarle di spostarsi quando era ancora a cavallo della scopa.
-Stai ferma, non
muoverti!- le ordinò –Betty, Fre, andate
dalla signorina Ilenia, di corsa!-
Le sorelle fecero un
rapido dietrofront e corsero lungo corridoi e scale, fino all’Infermeria.
La signorina Ilenia gironzolava per la stanza linda e molto luminosa ora
eliminando una piega dal lenzuolo bianco di un letto vuoto, ora spostando dei
medicinali da uno scaffale all’altro. Quando vide le due ragazze,
capì all’istante che era successo qualcosa.
-Valeria è stata sepolta da dei detriti, e grave!
È giù al campo di…- iniziarono concitate le sorelle.
-Grave? Da quale altezza
è caduta?-
-Più di dieci
metri, sicuro!-
-Muoviamoci! Prendete
l’alcool magico, è sullo scaffale là infondo!- disse
brusca. Francesca eseguì rapidamente l’ordine.
Si precipitarono fuori
dalla stanza e percorsero almeno due corridoi quando incrociarono la Chiodo.
-Professoressa!
C’è stato un crollo, e Valeria è rimasta sepolta sotto alle
macerie!- le strillò Francesca.
-Cos… ah!- la donna
avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma una fitta acuta di dolore la costrinse
a tenersi la testa con la mano destra e a cingersi l’addome con quella
sinistra. Era chiaro che stava per svenire, così Elisabetta prontamente
la sorresse.
-Oh Merlino! Portala in
Infermeria, io verrò appena possibile. – esclamò la
signorina Ilenia.
-Okay. A dopo Fre!-
Francesca le rispose con
un cenno del capo e si avviò all’uscita assieme con la Medistrega.
Per strada incrociarono
anche Silente e la McGranitt,
che si accodarono a loro, parlando concitatamente tra loro.
-Ma non è
possibile! Un cedimento strutturale!? Andiamo, questo edificio è
praticamente nuovo!- osservò indignata la McGranitt.
-Risparmia il fiato e
corri!- la zittì Silente.
Probabilmente,
pensò Francesca, non voleva fare congetture o ipotesi allarmanti in sua
presenza, anche se lei aveva una vaga idea del motivo del crollo: i
“sorveglianti”!
Non appena arrivarono,
Silente diede ordine ai ragazzi di allontanarsi, Francesca compresa, che
passò l’alcool alla signorina Ilenia.
Harry cercava di mantenere
cosciente Valeria, mentre un nuvolo di insegnanti stava facendo levitare i vari
detriti che la bloccavano. Piton, uno degli ultimi ad essere arrivato, si
guardò rapidamente attorno prima di dar man forte ai colleghi.
Ci vollero quindici minuti
buoniper liberare completamente la
ragazza, al che intervenne la signorina Ilenia.
-Non permettetele di
muoversi! Tenetela ferma!- ordinò avvicinandosi all’alunna. Le
bastò una rapida occhiata per capire che aveva una gamba, forse
tutt’e due, rotta. Riscontrava inoltre varie escoriazioni su tutta la
superficie delle gambe. Decise di immobilizzare gli arti inferiori.
Francesca non capiva:
perché colpire proprio Valeria? Sarebbe stato più sensato colpire
lei o sua sorella o Ramona. Francamente non credeva nel “crollo
spontaneo”.
Avrebbe potuto sbagliare,
è vero. Personalmente non lo riteneva.
Ne parlò con
Ramona, che intanto l’aveva raggiunta.
Stava avanzando una nuova
ipotesi quando udì Piton chiedere ad alta voce: -Dov’è
Vittoria?-
Istintivamente gli rispose
gridando: -In Infermeria, con mia sorella!-
A quelle parole il
professore parve perdere il senno; non ringraziò, e si precipitò
di corsa in Infermeria senza badare a chi urtava.
-Poteva anche
ringraziare!- borbottò Francesca.
-Sembrava troppo
preoccupato…- osservò Ramona, come per scusarlo.
-Lo credo bene!- rispose Francesca
riservando all’amica uno sguardo eloquente.
Intanto Elisabetta aveva
accompagnato faticosamente la
Chiodo in Infermeria, adagiandola su un letto libero.
-Grazie…-
mormorò la donna, tenendosi il capo.
-Non si disturbi a
ringraziarmi se le costa fatica… Piton mi ci ha abituata. Dannazione, ma
esiste un termometro qui dentro?!- imprecò l’alunna.
-Non ho la febbre, se era
questo che volevi sapere. Credo sia stato un semplice capogiro. –
annunciò la Chiodo.
-Qui ci vuole
dell’acqua zuccherata!- disse fra sé Elisabetta. Trovò un
bicchiere, e anche un cucchiaino; estrasse lo zucchero dalla tasca destra dei
suoi jeans, attinse l’acqua dal rubinetto presente nella stanza e vi
sciolse dentro il dolcificante. Quando fu completamente sciolto lo porse alla
Chiodo.
-Bah, terribile! Ma tu
giri sempre con le bustine di zucchero in tasca?-
-Beh, sì… sa,
se mi viene fame durante la lezione, fa meno rumore aprire una bustina che
scartare un panino…-
Ci fu un attimo di
silenzio. La Chiodo
fece per aprir bocca, ma fece irruzione Piton.
-Vittoria?! Stai bene?-
chiese, il fiato mozzo per la corsa.
-Sì, benissimo.
Elisabetta mi ha rimessa a nuovo!- disse lei, facendo cenno alla ragazza,
seminascosta dietro la porta.
-Se vuole giocare alla
piccola infermiera, beh: ha sbagliato posto! E ora fuori. – sibilò
l’uomo.
-Va bene, va bene: tolgo
le tende! Ma almeno si può sapere come sta Valeria?- sbuffò la
ragazza.
-Come vuoi che stia,
dannazione?! Si è presa quello che dovevate prendere tu e tua sorella!-
sbraitò Piton. Elisabetta era rimasta profondamente scossa… e non
intendeva andarsene prima di aver detto al suo insegnante un paio di
cose…
-Peccato che lei non se le
prenda mai in testa le cose che le spettano! La prossima volta si sporga dalla
finestra dell’aula di Astronomia e si butti, per favore. Le dedicheremo
una festa! Buongiorno!- disse, sbattendo la porta alle sue spalle.
Non lasciò neanche
il tempo a Piton di replicare. Sicuramente le avrebbe tolto uno sproposito di
punti, ma infondo decise che non gliene importava più di tanto.
Si recò in classe,
dove trovò i compagni e l’insegnante ad attenderla. L’ora di
Volo era finita, e loro non avevano nemmeno toccato le scope! Anzi, ora si
sarebbero subiti Trasfigurazione e Lettere!
L’unica nota
positiva era che in mezzo ci fosse la ricreazione…
La Melalavo sembrava più indisposta del solito,
ripercotendo il suo malumore sulla lezione, di un’infinita
noiosità.
Francesca ne
approfittò per spiegare mentalmente alla sorella l’accaduto.
Secondo me non l’ ha detto a caso, Betty.
Che vuoi dire?
Che secondo me voleva avvertirci che la valanga era per
noi! Ho sentito la McGranitt
dire a Silente che era praticamente impossibile un crollo naturale, questo
edificio è nuovo! Ciò significa che…
… è un altro sporco trucco dei
“sorveglianti”!
Già!
-Signorine Serpini, prego:
un po’ di attenzione! Sapreste ripetermi…-
Quell’ora fu
veramente tremenda: senza nessun preavviso la Melalavo interrogò
prima Elisabetta, poi Francesca.
Fortunatamente
quest’ultima fu graziata dalla campanella; la classe si scompigliò
in un batter d’occhio. Le sorelle, Ramona e Manuel però rimasero
uniti e si diressero verso la scala che portava all’ufficio di Silente.
C’erano già i loro amici ad aspettarli.
-Bene! Andiamo tutti
insieme oppure mandiamo un delegato?-
Alla fine la delega
toccò a Emma che, riluttante, salì la scalinata fino a
scomparire. In breve fu di nuovo al suo posto.
-Allora?- le chiesero.
-Niente, gli ho messo la
lettera in mano e me ne sono andata!- rispose semplicemente lei.
-Tutto qui? Non gli hai
detto niente?- insistette Enrique.
-No. Era talmente indaffarato che vedendomi si sarebbe
messo a piangere!-
*
Quel pomeriggio le prove
si tennero senza intoppi.
I ragazzi alle due
puntuali erano nell’aula di Artistica; c’erano già Silente e
Piton ad attenderli.
La novità fu la
presenza delle quattro professoresse di Lettere, che avrebbero dovuto aiutare
gli alunni nella recitazione vera e propria; per il momento, si sarebbero
limitati a leggere il copione, senza costumi e gesticolando poco.
Elisabetta e Ramona non
avevano nulla da fare, in quanto un cavallo non parla. Assistettero volentieri
alle prove come “pubblico”.
La scena iniziale vedeva
protagonisti Francesca e altre due comparse. Siccome però queste ultime
non dovevano dire nulla, ma semplicemente ascoltare ciò che Francesca
narrava, la scena fu fatta procedere mentre Elisabetta e Ramona erano alla
ricerca delle due cavie.
Faticarono non poco a
trovare due ragazzi disposti a fare quella insignificante comparsa. Alla fine,
mentendo spudoratamente, convinsero due Tassorosso a seguirle.
Appena tornate, dovettero
accompagnarli dalla Parmigiani per i costumi.
Intanto Francesca cercava
di dare il meglio, forte del fatto di aver già letto ed evidenziato le
sue battute. Di conseguenza non si bloccò quasi mai.
-Volete ascoltare una
storia bambini? Bene, il vostro amico qui presente ne ha una giusto per
voi…-
Francesca mimò
l’azione di tendere le orecchie –Ah, le campane! Quale dolce suono
hanno le campane di Notre-Dame! Ebbene, saranno
proprio loro a dare inizio alla nostra storia. –
-Più alta la voce!
Devi pensare di dover attirare l’attenzione del pubblico!-
puntualizzò la
McGranitt. –Ricomincia!- le gridò Silente.
Ritentò almeno tre
volte prima di completare la sua battuta. Alla fine, esausta, si andò a
sedere vicino a Manuel.
-Che stress umano che
è la McGranitt!
Mi sono completamente sgolata!- si lamentò.
-Ssst! Silenzio! Si deve sentire quello che dicono!- la
rimproverò la Bontempelli.
Tutta imbronciata,
Francesca attese il ritorno di sua sorella e di Ramona.
Quando le due in questione
rientrarono, Elijah stava ripetendo per la trecentesima volta la sua battuta,
non essendo mai serio. I tre Gargoyles, che
dividevano la scena con lui, si erano scocciati da un pezzo di stare in piedi,
così si erano tornati a sedere.
-Wow! A che scena siamo?-
chiese Ramona.
-Alla terza…-
rispose scocciata Francesca.
Ramona si zittì
all’istante.
Alle sei avevano provato
in tutto una decina di scene, sei pagine su venti del copione.
Le parti più noiose
erano state le scene in cui figuravano Piton e Silente. Piton era piatto, dal
lato emotivo, perciò le sue scene risultavano prive di colore e barbose.
Alla decima prova le sorelle proprio non ce la facevano più: avrebbero
voluto buttarsi immediatamente giù dalla finestra. Francesca propose di
andare a fare un giro. Dopo un po’ le venne una brillante idea: chiamare la Chiodo.E così fecero.
Dovettero insistere un po’, ma alla fine la loro insegnante cedette e le
seguì.
Piton intanto aveva
mostrato alcuni miglioramenti, ma quando vide entrare la Chiodo diede il meglio di
sé. Ci mise talmente tanta passione che le sorelle si strinsero la mano
e gli applaudirono calorosamente e finsero di osannarlo
come avrebbero fatto ad un concerto di Vasco Rossi.
Ovviamente lui aveva da
subito finto di non vedere la
Chiodo, e per tutta risposta, anche lei aveva fatto lo
stesso. Le sorelle però si accorsero che si erano tenuti d’occhio
tutto il tempo.
Silente invece non finiva
di scusarsi con le insegnati di Lettere ripetendo che lui non era un attore ma
che ci provava lo stesso; però non era poi così male…
Elijah era stato a dir
poco fantastico: leggeva con una piattezza esasperante le parti più
facili, per poi incespicare paurosamente in quelle più difficili; la sua
gaffe più esilarante era stata quando, durante la scena della festa
paesana, Esmeralda doveva tirargli via la presunta maschera e perciò gli
aveva tirato le guance.
-Ahi! Ahia, fai male!-
aveva gridato alla ragazza. Poi aveva preso a rincorrerla per l’intera
aula, mentre lei gridava terrorizzata. Da quel momento, quando gli amici
volevano farlo arrabbiare, gli tiravano le guance e gli dicevano –Ma che
bel bambino piccino cicciottino!-
*
Quella sera, dopo la cena,
Silente fece cenno ai ragazzi di pazientare qualche minuto.
-Avrei qualcosa da dirvi.
– iniziò –Il consiglio degli insegnanti ha deciso, dopo la
sollecitazione avuta da voi ragazzi, di riprendere le ore di Musica. –
Un coro di –Yeah!- riempì la sala.
-Per il momento non
sappiamo ancora se verrà un sostituto o meno. Il professor Corni
è comunque lieto di sapere con quanta serietà prendiate il suo
corso di Musica. E ora buona notte miei cari!- con un tono che non ammetteva
repliche aveva tacitamente ordinato ai ragazzi di filare in Dormitorio.
Prima però di
eseguire il suo ordine, gli amici del C.A.P.R.I. si
fermarono un momento all’uscita della Sala Grande.
-Mitico ragazzi: ci hanno
preso sul serio! Siamo potenti ora!- aveva gridato Kanata.
-Ora potremo procedere con
la pubblicità! Dalla prossima settimana fiesta!-
concordò Manuel.
-Va bene gente, buona
notte!-
-Buona notte!-
Lucifer_the_Darkslayer: fiu...x fortuna non la trovi noiosa...almeno così dici...ma! per ora non c'è azione ma dovrai vedere nella seconda parte del racconto!!! :-)))
Capitolo 24 *** Il Triangolo no, non l'avevo considerato... ***
Capitolo 24
Capitolo 24
Il triangolo no, non l‘avevo considerato…
Come previsto il sabato scorso, i ragazzi iniziarono a fare
pubblicità. Le sorelle e Ramona si attaccarono come sanguisughe al
sarver principale dall’aula di Informatica e
navigarono su Internet per un bel pezzo, ovvero fino a quando non decisero di
avere in mano abbastanza materiale denominato “di depistaggio”.
Avevano scorrazzato per la rete alla ricerca di materiale informativo per
viaggi in posti favolosi, come Egitto, Maldive, Seicelle,
India, Argentina eccetera.
Emma, Giada e Sara si erano
occupate della realizzazione di colorati volantini, mentre i ragazzi della loro
distribuzione al pubblico: in pratica, si erano appostati in ogni angolo
lontano dalla vista dei professori e abbastanza frequentati, e appena
intravedevano un possibile “cliente”, si facevano avanti con frasi
del tipo: -Ciao, tieni. Prendilo, e quando sei su in Dormitorio dagli un’occhiata. Attento perché abbiamo usato
l’inchiostro simpatico: ti basterà dire Aparecium!-
Nel giro di una mattinata tutta la scuola era stata invasa
dai volantini.
A lavoro concluso il gruppo si radunò in Biblioteca,
subito dopo pranzo.
-Gran bel lavoro! Veramente!- si complimentò Harry,
che era arrivato scortato da Elisabetta.
I ragazzi furono presi da uno strano nervosismo.
-Eh, sì! Ci voleva proprio un club di questo genere!
I viaggi sono una cosa molto importante. –
buttò lì Sara.
-No, tranquilli: lui sa già tutto! Lo sa il vero
scopo dei volantini. – tranquillizzò Elisabetta.
-E dico che è un’idea
originale, senz’altro. Però cosa avreste
intenzione di fare?-
-In pratica, quando qualcuno che è stato punito si
rivolge a noi, lo aiutiamo a rendere la punizione una vera tortura anche per
l’insegnante che gliel’ ha data. Solamente a
patto che la punizione sia ingiusta o inadeguata alla colpa. –
spiegò Manuel.
-Però non è solo
questo. In pratica, chiunque abbia un problema o una protesta da presentare
agli insegnanti può far ricorso a noi. Siamo un
nucleo di studenti molto combattivo che cerca di superare le difficoltà
tra la scuola e noi alunni. – aggiunse Emma.
-Un buono scopo. Pensate che potrei farne parte anche io? Sapete, con un insegnante si possono spalancare molte porte.
– propose Harry.
-Certamente! Anzi, meglio: adesso siamo in dieci. È
un numero pari…-
-Sapete, Elisabetta mi ha un po’ raccontato cosa avete
fatto fino ad ora e stavo pensando… potreste, in
un futuro prossimo, diventare un organo di collaborazione al corpo docente. Cioè, per fare un esempio: se è un periodo che
avete un casino di verifiche, voi lo fate presente e noi cerchiamo di
pianificarle meglio per distribuirle durante la settimana. Che
ve ne pare?-
-Un’idea niente male! Potremo pilotare le verifiche!- squittì Kanata. Harry
lo guardò severo:
-Promettetemi di non raccontare delle balle e di non
inventarvi niente, o finirete nelle grane! Fatevi avanti solo se
c’è qualcosa che veramente non va. Intesi?-
-Intesi!-
Quel pomeriggio Harry si unì al gruppo di ragazzi per
aiutarli coi compiti. Da molto tempo non si era
divertito tanto! Quei ragazzi erano l’immagine della felicità,
dello star bene, dell’allegria! Facevano battute
su battute, ridevano e si prendevano in giro, lo
coinvolgevano. Forse neanche Albus Silente, quando gli aveva proposto la
cattedra di Difesa contro le Arti Oscure in comune accordo con suo fratello, si
era immaginato la solitudine che avrebbe provato. In fondo era comprensibile:
dentro quella scuola non c’era nessuno della sua età!
Era vera solo in parte tutta
quell’allegria: in verità serviva a celare, e molto bene, i fantasmi
di ognuno dei ragazzi. Elisabetta e Francesca erano
costantemente minacciate di morte, e Ramona con loro, con l’unica
differenza di non avere alcuna colpa. Manuel era stato praticamente
dimenticato dai genitori, Giada invece aveva il problema opposto. Kanata aveva
anche lui i suoi problemi familiari, Enrique era costantemente pedinato dal
padre che lo voleva costringere a seguire le proprie orme. Sara bolliva di un
amore che credeva non corrisposto da Kanata, ed Emma… per il momento era
la più normale di tutti.
*
Finalmente giunse la prima, e tanto attesa,
ora di Musica dopo la sospensione della materia anche per i Grifondoro; erano
stati avvisati praticamente da tutti i ragazzi delle altre Case che il prof.
era un po’… strano.
Quel giorno di inizio aprile era
nuvoloso e ventilato, anche se non era freddo. Le temperature iniziavano a
mitigarsi e ormai i ragazzi avevano abbandonato i maglioni per le magliette di
cotone, anche se ancora a maniche lunghe; c’era solo qualche temerario
che già aveva tirato fuori dal proprio baule le
T-shirts.
Come durante ogni risveglio che si rispettasse,
Ciro fece il giro del Dormitorio con la lingua, poi una colazione veloce e via
in classe. Ovviamente, come ogni giornata che si rispettasse,
la McGranitt
era già in classe ad attendere i suoi ragazzi.
-Buongiorno prof., dormito bene?-
chiese Elisabetta; le piaceva da matti stuzzicare leggermente la sua
insegnante.
-A meraviglia; anche se mi era passata per la mente
l’idea di interrogarti…- rispose prontamente la prof., che stava spesso e volentieri allo scherzo.
-Oggi non è giornata di interrogazioni,
oggi si “deve andare avanti col programma”!- rispose l’alunna
imitando alla perfezione la voce dell’insegnante, che si fece quattro
risate.
In effetti avevano stabilito giorni
per le interrogazioni e altri per “andare avanti col programma”,
anche se raramente erano rispettati. Soprattutto quelli per le interrogazioni,
chissà il perché.
Dopo due ore, una di Storia della Magia, l’altra di
Geografia, fu la volta di Artistica, e la prof. aveva
detto chiaramente che durante quell’ora avrebbe fatto una verifica.
-Ma su che cosa, poi? Non abbiamo
fatto praticamente niente!- si chiedeva continuamente
Francesca, leggermente nervosa.
E il ritardo mostruoso della sua
insegnante non fece che incrementare il suo nervosismo.
Alla fine, dopo ben venti minuti, la Parmigiani
arrivò.
-Buongiorno, scusate il ritardo! Aspettavo
un gufo importante!- disse entrando e chiudendo la porta.
-Si inventa sempre delle scuse così
originali…- bisbigliò Francesca, facendo l’occhiolino
alla sorella.
-Bene, Vincent: distribuisci le
verifiche!- ordinò al ragazzo, porgendogli i
fogli di pergamena. Ovviamente si scatenò una rissa al suo passaggio,
perché molti altri ragazzi avrebbero voluto farsi un giretto per
l’aula come lui, ma il ragazzo tenne testa a tutti.
-Quel che non riuscite a finire oggi, lo finirete
la prossima volta. Buon lavoro. – disse asciutta la prof. con tono che
non ammetteva repliche, ma Elijah volle far di testa
sua…
-Ma prof., ci rimane meno di
mezz’ora! Non faremmo prima a farla la prossima
volta?- chiese senza nemmeno alzare la mano.
-Lavora e stai zitto: è tutto tempo che sprechi!-
-Sclerotica l’amica!- borbottò Ramona…
La restante mezz’ora passò tra il baccano di
tutti i vari suggerimenti; le sorelle non avevano neanche bisogno di parlare
mentalmente, lo facevano e basta.
Arrivò infine la ricreazione. La passarono in bagno,
come al solito, rimpinzandosi delle patatine offerte
da Sara.
Quella dopo sarebbe stata l’ora fatidica. Suonò
la campanella, e i Grifondoro si fiondarono in classe
come mai avevano fatto prima.
La scena successiva sarebbe stata di ispirazione
per tutte le battute della classe a venire: Silente trascinò
letteralmente Corni in classe, che pareva molto svagato, e chiuse rapidamente
la porta dietro di sé dopo averlo costretto a sedersi. Chi andò
in bagno successivamente poté testimoniare che
Pasquale faceva la ronda davanti alla porta della loro aula…
Dopo non molto qualcuno chiese a Corni se potevano andare
giù nell’aula di Musica (nei sotterranei, un piano sotto
l’aula di Pozioni).
-Sì, sì. – rispose svagato lui.
I ragazzi, sorpresi da quell’atteggiamento, iniziarono
timidamente ad alzarsi e a uscire. Seguendo il loro
esempio, anche Corni fece lo stesso, pedinato da
Pasquale.
Quando furono di fronte all’aula, il professore si
fece largo tra i ragazzi e guardò prima la sua aula, poi quella affianco, adibita a magazzino (uno dei tanti) per Pasquale.
Decise di entrare nella seconda. I ragazzi fecero spallucce e lo seguirono.
Dentro non c’erano che una cattedra pendente da un
lato (aveva una gamba mozzata), alcuni secchi lì
vicino e alcune scope.
Corni si sedette su uno dei secchi capovolti e
appoggiò pesantemente le braccia sulla cattedra, che minacciò di
crollare.
I ragazzi erano ancora più sbalorditi; dal momento che non c’erano sedie, qualcuno chiese:
-Professore, dove ci sediamo?-
-Sì, sì…-
-Professore?-
-Sì, sì…-
-Ma cosa gli sta succedendo a
quello? È fuori di testa!- chiese qualcuno.
-Sì, sì…-
I ragazzi si guardarono divertiti; Manuel tentò di
nuovo: -Professore, è vero che lei fa la danza del ventre?-
-Sì, sì…-
-Professore, è vero che lei è impazzito?-
-Sì, sì…-
Gli alunni ridevano a crepapelle; Elisabetta ne approfittò per chiedere: -Professore, posso
chiamare Sara e…-
-Sì, sì…-
Diede un cinque alla sorella e a Ramona: via libera!
Risalirono fino al piano terra, ben attente a non passare
davanti all’aula di Piton, poi consultarono l’orario delle lezioni
delle varie Case appeso davanti all’entrata della Sala Grande e videro che
Serpeverde e Tassorosso avevano l’ora insieme conLorri, nell’aula di Lettere.
Bene, meno lavoro da svolgere! Si diressero verso la famosa
aula.
Non sapevano che intanto Sara aveva chiesto di andare in
bagno, ma lo aveva trovato semi allagato (Pasquale
l’aveva lavato qualche ora prima) e si era perciò seduta per
terra, perché aveva solo quell’occasione fino alla fine
dell’ora per andare in bagno: Lorri non le
avrebbe concesso la doppia uscita, specialmente quel giorno che era
“girato”.
Intanto, dentro, Kanata aveva limpidamente ammesso di non
aver fatto i compiti.
-Cosa? Tu scherzi, vero?! È
la terza volta in un mese! Esci! Vattene fuori, gli appunti te li farai passare
e vedi di copiarli a modo!- gli aveva urlato il
professore.
Lui era tacitamente uscito dall’aula, per sedersi
accanto a Sara.
Lei lo guardò, ma senza dire niente. Aveva ancora impressa l’immagine di lui che parlava con Giada.
Calò un imbarazzante silenzio, che il ragazzo avrebbe
voluto rompere.
-Oh, ma che hai?- chiese Kanata.
Sara fece scena muta.
-Oh oh! Ma ci sei?- riprovò
lui, sventolandogli una mano davanti agli occhi.
-No comment!-
-Tesoro, ti vuoi spiegare?!-
-Sei tu. –
-Io?! Che ho fatto?!-
-Chiedilo a Giada. –
-Giada?! Che c’entra?!-
-No, chiediglielo: siete in così buoni rapporti!-
-Io e lei? Quando mai!-
-…-
-Hola! Ciao gente! Che fate di bello? Siamo venuti a farvi evadere!- Ramona era
spuntata dal nulla e salutava con la mano i due
ragazzi.
-Ci manca la torta con dentro la lametta… io mangio la
torta e lui lima…- disse pungente Sara.
Le tre si guardarono meravigliate:
quel giorno erano tutti strani! Non vi fecero caso, li
aiutarono a rialzarsi e bussarono.
-Salve professore! Corni chiede se Kanata, Enrique, Giada e Sara possono venire
giù nell’aula di Musica!-
Dovettero lottare un po’, ma alla fine ottennero il
permesso, poi passarono a prendere anche Emma e tornarono giù.
-Attente perché Corni è
suonato di brutto! Qualsiasi cosa gli si dica lui
risponde sempre di sì! Adesso ci sarà il caos
lì dentro!- avvertirono le tre Grifondoro.
In effetti, lì dentro c’era il pandemonio:
gente che si rincorreva, urlava, giocava a carte, duellava, si sfidava a
scacchi eccetera…
Il professore guardò il gruppo
entrare poi, in uno sprazzo di lucidità, fece cenno ai ragazzi di
avvicinarsi. Loro si guardarono preoccupati…
-Ragazzi, potreste andarmi a prendere la borsa su in Sala
Insegnanti?-
I ragazzi annuirono e uscirono nuovamente; tornarono dopo
una decina di minuti con la borsa.
Corni la prese e la aprì; ne tirò fuori una
foto…una foto della Bontempelli.
Iniziò a sospirare come un innamorato.
I ragazzi, che avevano osservato la scena alle spalle del
professore, scoppiarono a ridere.
-Ehi prof, su con la vita…- gli disse Enrique in tono
scherzoso.
-Sì, sì…-
E i ragazzi scoppiarono nuovamente
a ridere.
-Poveretto, mi fa quasi pena, non credo di
averlo mai visto così giù. - ammise Francesca.
TOC
TOC
La Parmigiani entrò senza che
nessuno le rispondesse; ovviamente nessuno si accorse della sua presenza.
-Ciao Leo, ti disturbo?- chiese timidamente.
-Sì, sì…-
I ragazzi si misero le mani tra i capelli, mentre fingevano
di parlare del più e del meno.
-Non è che l’ora dopo possiamo discutere di
quel progetto Musica-Artistica?- ritentò lei.
-Sì, sì… ah? Cosa?!
No, l’ora dopo non… non posso, ho un appuntamento, cioè ho da fare…-
La Parmigiani si sporse a guardare cosa
teneva in mano; quando vide la foto della Bontempelli
si sarebbe quasi messa a piangere.
-Ah…- sospirò Francesca –Che carucci…-
-Già, un gran bel triangolo amoroso. Mi sembra quasi
di stare in un film rosa!- commentò Elisabetta.
La sorella la guardò con gli occhi illuminati;
sembrava quasi posseduta.
-Ripeti!-
-Che… mi sembra di stare in un film rosa…-
-No, quello prima!-
-Ah, vuoi dire il triangolo?-
Francesca cadde in trance, per poi
uscirsene con una canzoncina…
-Il triangolo no, non l’avevo considerato! Lui chi èeeee? Lui dov’èeeee?-
I compagni la guardarono male.
-‘sta qua è pazza!-
-No, è solo una canzone di Renato Zero!-
-Zero chi?-
-Oh, come faccio a spiegartelo… hai presente? Capelli
neri, piastrati… occhi scuri…-
-Ma scusa, facevi prima a dirmelo, che Piton aveva messo su
un complesso!-
-Giusto! Ci assomiglia un tot! Chissà perché
non ci avevo mai pensato prima?!-
DRIIIIN!
Col fracasso che c’era neanchesentirono la campanella, e
così la Chiodo
dovette andare a recuperare i suoi studenti dispersi.
-Beh, prendo i ragazzi. Ciao eh!- tentò di salutare
il collega.
-Sì, sì… ciao ehm… Vittoria,
sì, ciao Vittoria!-
La donna guardò interrogativamente i suoi ragazzi,
che fecero spallucce.
A pranzo Harry annunciò che quel giorno si sarebbero
tenute le prove per la partita di Quidditch prevista per la fine del mese;
invitava a partecipare anche i ragazzi che volevano proporsi come Cacciatori al
posto di Valeria, che non avrebbe potuto partecipare.
Si vedeva che era emozionato: era il primo annuncio che
faceva dal tavolo del potere in tutta la sua vita.
Il confortante pensiero dell’allenamento animò Elisabetta, Francesca, Ramona e Manuel per le tre
lunghe ore a venire, poi, finalmente, Harry venne a chiamarli a
metà dell’ora di Cura delle Creature Magiche.
Oltre al solito gruppo, ce n’era anche un altro,
abbastanza nutrito, di aspiranti Cacciatori, tra i
quali c’erano anche Kanata ed Enrique.
Per mezz’ora si giocò una partitella in cui i
Cacciatori titolari erano stati rimpiazzati dai novizi. Alla fine Harry fece
riunire tutti i titolari per decidere.
-Allora, vi siete fatti un’idea?- chiese.
-Io voto Enrique! Ha fatto delle fatte picchiate! È praticamente mitico! Li ha scartati tutti, tutti!-
-Sì, sì: Enrique, Enrique!-
E così fu scelto il ragazzo.
Gli altri, delusi, tornarono al castello.
In principio fu difficile ingranare nuovamente la marcia
dopo quasi un mese di inattività perché
le ore di Volo, peraltro troppo poche, non erano neanche lontanamente paragonabili
ad un allenamento in quanto a intensità. Harry non fece altro che
incitarli, aumentando la pressione.
-No, no: così non va! Dovete essere più
concentrati: state lì con la testa! Manuel, vieni qua!-
Il ragazzo scese gradualmente di quota fino a toccare terra.
-Mi dica, mister!-
-Sei poco concentrato, Manuel.
C’è qualcosa che non va? Dico: non sei mai pronto
quando qualcuno ti passa la
Pluffa!-
-No, io sto bene, è che sono un po’
nervoso…-
-Paura della partita?-
-Eh? No, non è per quello, è che…- e
spiegò il problema all’orecchio dell’allenatore.
-Ah, okay: ti capisco. Per oggi sei
scusato. Però… stavo pensando… tu hai della forza,
però fai dei passaggi lunghi e lenti, e viste le cose come stanno…
ti andrebbe di fare cambio ruolo con Maicol?-
Manuel ci pensò un attimo; era combattuto
perché il ruolo del Cacciatore è molto più incisivo di
quello di Battitore, poi alla fine si decise ad accettare.
Anche Francesca pareva un po’
sulle nuvole, infatti…
-Fre, guarda che hai il Boccino
dietro la mazucca!- le urlò
Elisabetta.
Lei si girò di scatto, col risultato di metterlo in
fuga.
-Fre, guarda che avevi il Boccino dietro la mazucca!-
urlò Maicol. I compagni si spanciarono dalle
risate.
-Grazie per la presa per i fondelli…-
-Non c’è di ché!-
-Fre, vieni
giù a rapporto!- le urlò il mister.
-O mio Dio, cos’ ho fatto?-
si chiese lei.
-Cosa non hai fatto, Fre!-
ribatté la sorella.
-Taci, tu! Dimmi Harry…-
-Ti sei accorta di… essere un po’ sopra le
nuvole?-
-Sì, in effetti stavo
volando in alta quota…-
-Sono serio, Fre! Hai qualcosa che
non va?-
-Io?! No, è che… sono un po’ nervosa… ma, sento puzza di bruciato…-
-Vuoi stare un po’ giù?-
-Non c’è dubbio! Adesso vedrai che ti ripiglio
il mascalzone in quattro e quattr’otto eh! Sta mo’ a vedere!-
La seconda parte delle prove procedette più
speditamente e con meno errori.
Alla fine, verso le sei e mezza, quando i ragazzi erano
madidi di sudore e ormai scarichi, Harry decise che poteva bastare e li
lasciò liberi.
Manuel ne approfittò,
all’uscita dello spogliatoio, per appartarsi a parlare con Francesca.
-Ti volevo chiedere se… per caso… dovevi fare qualcosa, dei compiti per esempio,
stasera…- disse piatto.
-Io? No, non penso, perché?- chiese eccitata lei.
-Allora ci troviamo alle otto su all’osservatorio.
Okay?-
-Okay…-
Manuel se ne andò senza
aggiungere altro. Francesca era alquanto confusa, sia per il tono che aveva usato lui che per la sveltezza con cui
l’aveva liquidata. Che gli avesse fatto
qualcosa? E cosa, poi? Si tenne i dubbi anche durante
la lunga doccia che si concesse, ignorando la sorella che disperata le chiedeva
di uscire siccome era più di venti minuti che era sotto l’acqua.
-Ancora un po’ e ti spunteranno le pinne!-
-Un attimo. Finisco di sciacquarmi i capelli ed esco.
–
In circostanze normali avrebbe giurato che quello che le
aveva chiesto era un appuntamento… un
appuntamento con un ragazzo? Qui bisogna tirarsi di brutto!pensò phonandosi i capelli.
-Tirarsi per cosa?- le chiese la sorella, appena uscita dal
bagno.
-Per stasera. E non chiedermi
altro!-
-Dai, ti prego! Parla, tipregotipregotiprego! Esci con Manuel vero? Lo so,
è così: ammettilo!- squittì Elisabetta saltellando.
-E anche se fosse? Allora, mi dai
una mano a scegliere un vestito decente?-
-Decente come per un appuntamento?-
-Sì, cretina!-
-Fatto!- disse lei mostrando un paio di jeans e una
maglietta bianca con le maniche sottili come carta velina, larghe e oblique.
Francesca si guardò intorno
spaesata.
-Come hai fatto? Da dove li hai tirati fuori?-
-Magia!-
Elisabetta aiutò la sorella a vestirsi, poi le
consegnò il suo ombretto bianco con i brillantini e un
lucidalabbra luccicante.
-Mettiteli dopo cena, se no si rovinano! Toh, guarda:
c’è anche lo specchietto!-
-Grazie! Andiamo, se no non ci lasciano neanche il secondo e
ci tocca tutta la frutta! Ormai per il primo è tardi!
Ma che fine hanno fatto le altre?-
-Sono uscite quando eri sotto la
doccia, Fre. Muoviamoci!-
La cena per Francesca fu una delle peggiori mai passate. Non
spiccicò parola, intenta com’era a tener d’occhio Manuel
senza farsi notare. Non sapeva che anche lui stava facendo lo stesso.
Un quarto d’ora prima delle otto Manuel uscì.
Francesca si tranquillizzò immediatamente.
-Lui è andato! Vado anch’io?- chiese alla
sorella.
-Lui chi?- chiese sibillina lei.
-Piantala, lo sai benissimo.
Allora, vado?-
-Sì, e ricordati il trucco. Buona fortuna, e farai
meglio a ringraziarmi, visto che i compiti te li dovrò
copiare di mio pugno!-
-Grazie ti voglio un mondo di bene sei
la mia sorella preferita ciao. –
Un veloce abbraccio alla sorella e si ritrovò fuori dalla Sala Grande.
Manuel intanto era già salito alla torre di Astronomia. Non aveva neanche pensato che poteva essere chiusa, visto l’incidente. Invece, per sua fortuna, era come nuova. Silente aveva
mandato a chiamare d’urgenza un Costruttore, che con un paio di incantesimi aveva rimesso come nuova l’aula.
Tirò un sospiro di sollievo quando,
spingendo la pesante porta di legno di quercia, la sentì rispondere alla
sua pressione.
Per l’occasione aveva indossato i suoi jeans migliori
e la camicia bianca.
Gironzolava avanti e indietro per l’aula senza sosta e
guardava spesso l’orologio.
Le sette e cinquanta. Sta per arrivare…
Le sette e cinquantatre. L’avrà
trattenuta sua sorella…
Le sette e cinquantacinque. Fre, dove sei?
Le sette e cinquantasette.Ma
dove ti sei cacciata?
Le otto in punto. Se è colpa di
Piton io lo…
Trattenne il fiato. Gli sembrava di aver captato un rumore.
Tese le orecchie… sì! Dei passi nella sua direzione! La porta!
Si sta spostando! È lei!
Francesca richiuse la porta dietro di
sé, rigida. La volta precedente era stata molto più
rilassata, perché? Forse perché non era un
appuntamento ufficiale… e perché non se lo aspettava.
Mosse un passo, quando, da sole, le
quattro torce presenti nella stanza si accesero. Sobbalzò. Anche Manuel non se l’aspettava.
Maledette torce automatiche! pensò
Francesca.
-Ciao ehm… sei davvero
carina…- iniziò imbarazzato Manuel. Perché
gli riusciva così difficile parlare?
-Grazie…- Solo grazie?!Ma non so far di meglio?
Silenzio imbarazzante.
-…-
-Beh, sì…
insomma…sì…ehm…- Oh,
cavolo, la fantasia non mi manca mai, e pensare che sono sempre il primo a
parlare…
Oh mamma e
adesso...chissà che cosa mi dice… ho fatto qualcosa, lo so, me lo sento.
Tutto d’un tratto Manuel
iniziò a parlare velocemente e senza fermarsi.
-Io…tu sei molto carina e simpatica… il fatto
è che non so come dirtelo…- Sono
proprio un babbeo…-Tu
mi piaci un sacco fin dal primo momento che ti ho
vista in classe, e non riesco più a pensare ad altro quando siamo
insieme con gli altri, quindi ti vuoi mettere insieme a me? Se ci vuoi pensare
non fa niente… capisco…-
Francesca era come andata in uno stato di trance,
non sapeva cosa dire, se ne restava lì impalata. Poi gli
sorrise e lo guardò negli occhi.
-Sì…certo… cioè,
voglio dire… anche tu mi piaci dal primo momento che ti ho visto e sono
felice che tu me lo abbia chiesto. -
-Veramente?-
-Veramente!-
I due si accucciarono uno vicino all’altro e
iniziarono a parlare.
-Lo sai, ero veramente teso, non mi sono
mai sentito più idiota.- confessò Manuel.
-Non dirlo a me, quando mi hai fermato oggi al campo e me lo
hai detto in tono così asciutto, ho pensato “Oh, mamma, ho fatto
qualcosa di male!”. Pensavo addirittura che fossi arrabbiato con me!- i
due scoppiarono a ridere.
-Come mai hai scelto proprio questo posto per chiedermelo?-
chiese lei.
-Come, non ti ricordi quella sera che ti ho chiesto di
venire a fare una passeggiata e siamo saliti fino a qui? E’ stato
più facile chiedertelo quella sera che oggi…-
-Certo, come dimenticarla, quella sera che ti ho fatto fare
il confidente e poi è arrivato Silente proprio mentre
ci stavamo quasi per abbracciare! Che rompi…-
-Già! Come gli avrei voluto dare un cazzotto…-
-Perché poi mi avevi chiesto di fare una passeggiata?-
-Ti vedevo un po’ giù e ho preso
coraggio…-
I due rimasero lì per tutta la serata a parlare e
scherzare mentre guardavano le stelle.
Poi sentirono dei passi e si nascosero dietro al telescopio.
Dopo un po’ Manuel si alzò per andare ad aprire la porta…
era solo Pasquale che gironzolava, però decisero che forse era meglio
tornare ai Dormitori, visto che erano già le undici e mezza, anche se
entrambi avrebbero preferito rimanere lì per
tutta la notte…
Arrivati in Sala Comune Francesca chiese a Manuel: -E con
gli altri come facciamo: glielo diciamo subito che siamo insieme?-
-Come vuoi, se vuoi che ce lo
teniamo per noi, oppure glielo diciamo, per me va bene lo stesso…-
-Ce lo teniamo per noi?-
-Ma sì, dai: godiamoci
questo momento. -
-Okay, allora… buonanotte!-
-Sì… buonanotte. -
Ma entrambi sentivano che mancava
qualcosa. Francesca fece un passo, poi si voltò di scatto e vide che
Manuel era rimasto lì immobile.
Allora si avvicinò e lo guardò negli occhi,
era bellissimo. Anche lui fece lo stesso e pensò che era
veramente bella illuminata dalla luna. Poi le due teste si avvicinarono e il
risultato fu un innocente bacetto sulle labbra, che però significava molto per entrambi.
-Buonanotte. - disse lei.
-Buonanotte. - salutò lui.
Poi si voltarono entrambi e, non smettendo mai di sorridere
entrarono nei rispettivi Dormitori.
Appena entrata Elisabetta si buttò sulla sorella.
-Alloraallora, com’è
andata?! Dai raccontaracconta,
tipegotipregotiprego!- iniziò a bisbigliarle
per non svegliare le compagne che, a differenza di lei, dormivano tutte come dei
sassi.
-Com’è andata cosa?-rispose lei
facendo l’indifferente.
-Oh, no: a me non la racconti, non vorrai mica dire che non è successo niente?!- le disse
l’altra seguendola mentre entrava nel bagno.
-Perché, che cosa doveva succedere?- le rispose,
sempre in tono indifferente mentre s’infilava il
pigiama che aveva sfilato da sotto il cuscino poco prima.
-Ma come?! Manuel ti dà un appuntamento su all’osservatorio, rientri
alle undici e mezza e mi vieni a raccontare che non è successo niente?!
E non mi dire che avete fatto i compiti di Astronomia
perché non ti credo!- l’aggredì Elisabetta, che senza
volere aveva offerto a Francesca una scusa perfetta, mentre si lavava i denti.
-Sì, Manuel mi ha chiesto se gli potevo
dare una mano con Astronomia e io ho accettato. - le rispose Francesca uscendo
dal bagno.
-Come?! T’ho detto che non ti
credo! E adesso dove stai andando?- le chiese vedendo
che si stava infilando sotto le coperte.
-Betty, sono le undici e mezza,
dove vuoi che vada a quest’ora? A meno che tu
non voglia dormire domani, durante le lezioni…-
-Eh?! Non penserai mica di liquidarmi così, io che ti
ho aspettato fino ad adesso…-
-‘notteBetty.-
-‘notte un corno, t’ho detto che mi devi raccontare…-
sbraitò Elisabetta.
-Ronf…ronf…-
fu la risposta di Francesca.
-Ma và a ca***e Fre. Comunque domani se non me lo dici ti tartasso per tutto il
giorno, non ti darò un attimo di pace, me lo sento che è successo
qualcosa…- e sbuffando si addormentò.
Francesca però non aveva nessuna intenzione
di dormire. Pensava alla bellissima serata trascorsa. Era fidanzata. Aveva il
ragazzo. E per di più era stato lui a
chiederglielo. Non era stato come in quei film melensi dove il tipo
s’inginocchia e tira fuori dalla tasca una
scatolina blu scuro e lei, fingendo di non capire, gli chiede cosa sia, mentre
lui gliela apre e le mette al dito l’anello di fidanzamento visto che lei
non ha neanche la forza e l’intelligenza per farlo.
E non era stato neanche come nel
suo film preferito di KevinCostner
in cui i due protagonisti si baciavano direttamente senza dire né A
né B.
Era stato com’era stato, semplicemente fantastico! E tra tutti questi pensieri anche lei si addormentò.
Anche Manuel subito non riusciva a
dormire: era felice; subito magari non era stato molto romantico, ma
l’importante era averglielo detto e, ovviamente, aver ricevuto una
risposta affermativa. Il resto della serata è stato
semplicemente fantastico, superava anche i suoi piani. E non vedeva
l’ora che venisse il giorno dopo per andare
dalla sua ragazza. Poi anche lui si addentrò nel regno di Morfeo.
RECENSITE PIU’ CHE MAI!!!J
Lucifer_the_Darkslayer: intendo dire
che questa è il primo anno della ff, poi ci saranno
le vacanze (intendo che i protagonisti andranno in vacanza) e in questo momento
stiamo scrivendo il secondo anno…cosa ne pensi? Ti interessa?
Fammi sapere presto! ;-)
Sei e mezza di mattina. Un orario
semplicemente folle per svegliarsi. Eppure c’è qualcuno che senza
sveglia è già in piedi pimpante, per
sfortuna di sua sorella. Chissà chi è…
-Fre, Fre, svegliati! Inizio a
tartassarti già da adesso nella speranza di sapere tutto almeno per
stasera!- bisbigliò Elisabetta scotendo la sorella.
-Uhm… ca**o, voglio dormire! Sono… le sei e
mezza, Betty! Prometto che dopo ti racconto!- mugugnò lei con la voce impastata di sonno.
-Promettipromettiprometti! Comunque, allora, qualcosa è successo!-
-Sì, sì… ronf,
ronf…-
-Bah, sorelle… puah, primo
appuntamento… blea! Quando non parla la odio, lei e i taciti appuntamenti!-
-Poche balle e dormi finché non si sveglia Ciro!
Ciao. –
-Addio… io non ho più sonno! Mi vesto e vado a
fare un giro!-
-Oka… ronf…-
Elisabetta, sbuffando, si alzò e si vestì in
tutta fretta, poi uscì. La Sala Comune era deserta. Il tavolo era ingombro
di scartoffie e libri; ne scelse uno a caso e si sedette su una poltrona rossa.
-Squit!-
La ragazza si guardò intorno, ma non c’era
nessuno. Ritornò a guardare il suo libro.
-Squit, squit!-
sentì qualcosa saltare sulle sue gambe; abbassò il libro e
guardò la graziosa bestiolina.
-Scoiattolo? Da guardia?- scoppiò insensatamente a
ridere.
Mentre aveva ancora il viso affondato nelle mani,
sentì dire: -Non permetto a nessuno di prendermi in giro!-
La ragazza alzò lo sguardo: lo scoiattolo si stava
trasformando nella sua prof. di Lettere. Il naso da piccolo e rosa stava diventando via via
più affilato, il pelo diventava vestiti, le zampe diventavano mani.
Era orripilata e divertita allo
stesso tempo.
-Allora? Cha ci fai in giro a
quest’ora?- chiese quando fu completamente umana.
-Potrei chiederle la stessa cosa…-
-Oh, beh, sì, suppongo di sì. Che ci faccio qui? Ah sì, ieri sera, verso
mezzanotte, ho sentito dei passi andare in questa direzione così mi sono
nascosta per vedere chi fosse ma… devo essermi
addormentata…-
-Ma toh! Comunque
era solo mia sorella… ops! Mi sono lasciata
sfuggire qualcosa? No, perché lei è… sonnambula,
sì…-
La
McGranitt alzò un sopracciglio, poco convinta.
-Le giuro, può credermi!
Adesso vada, eh? Che se no fa tardi e sì,
sarebbe un dramma… Arrivederci! Fuliggine, scortala, potrebbe perdersi!-
-Miao!-
-Panzone dormiglione… Arrivederci eh!-
La
McGranittalzò i tacchi (le
pantofole) sollecitata dall’alunna, cercando di capire cosa diavolo
volesse fare…
-Mah!!-
Elisabetta tornò nel suo Dormitorio. Ciro
sonnecchiava sulla pedana.
-Ciro, attacca! Attacca Ciro!
Dai!-
-Bau! Ronf…-
-Qui è passato Piton con il suo sonnifero da
strapazzo! Ciro: croccantini! Croccantini,
Ciro!-
-Bau! Bau, bau!- il cane fece un mezzo
giro su se stesso e fu a rapporto.
-Svegliali, Ciro!-
-Bau!- e partì in missione.
Quando il Dormitorio fu pieno di mugugnii, lei fu contenta e accarezzò il cane.
-Bravo Ciro!-
-E va bene, va bene: mi sveglio!
Sono in piedi, ho gli occhi chiusi ma sono in piedi,
contento Ciro? Scommetto che ti hanno arruolato, chissà chi è
stato?!- borbottò Francesca.
Ovviamente Elisabetta fece il terzo grado alla sorella
durante tutte le ore di lezione, meritandosi non pochi richiami.
-Elisabetta, taaaciii! Te l’ho ripetuto per tutta la mattina…- le disse la prof.
Tassi.
-Eh? Io? No, ha preso un granchio prof.!
Io sono una brava bambina!- si scusò lei.
-Ti sta solo bene!- le bisbigliò
la sorella, che da tutta la giornata teneva d’occhio Manuel.
-Taci, ti ho vista che lo guardi sempre! E non dirmi che ti incanti sempre in quel punto, eh!-
-Okay, per la ricreazione ti dico
tutto, basta che mi lasci in pace. –
-Sì!-
-Elisabetta! Sei riuscita per caso a travasare la tua
pianta?-
-Io?- guardò la pianta mezza fuori mezza dentro al vaso –Quasi!-
-Beeeneee! Sbrigati!-
Così per la ricreazione Elisabetta, Ramona e
Francesca si chiusero a chiave nel bagno e quest’ultima raccontò
tutta la sua avventura.
-A quando le nozze?-
-Che cretina che sei, Betty, lo sai vero?-
-Sì, certo. –
Dopo la ricreazione i Grifondoro
avevano un’ora con la
Parmigiani.
-Ho sentito molte voci in giro dire
che ultimamente la Parmigiani
e Corni sono un po’ sclerotici!- disse Manuel; nessuno si era accorto che
lui e Francesca si tenevano sempre per mano.
-Allora Piton ha terminato la pozione per farlo tornare
normale. – disse Ramona.
-Perché, cos’aveva?-
le chiesero gli altri.
-Se ve lo diciamo promettete di
stare zitti, eh? La Parmigiani ha chiesto a Piton di
prepararle un filtro d’amore…-
-Oh oh oh!-
-E… niente, deve essere successo qualche casino!-
-Oh oh oh!-
-Zitti! E sedetevi!- ringhiò la Parmigiani
entrando.
-È veramente sclerotica!- bisbigliò Ramona. I
compagni soffocarono le risate.
Come loro solito i ragazzi, dopo venti minuti, tirarono
fuori il materiale da disegno e svogliatamente si misero all’opera.
Ogni tanto la prof. passava tra i banchi, rimproverando
questo e quello…
-Francesca, ti sei accorta che qui
è troppo scuro, e qui è troppo chiaro. Rifallo!-
La ragazza impiegò un paio di secondi a recepire il messaggio: -Come? Rifarlo? È un mese che
ci sto dietro!-
-Hai sbagliato! È da rifare! A meno
che tu non voglia un brutto voto, rovinerebbe la tua media!-
Francesca bloccò il tempo dalla stizza. Non se ne
rese neanche conto.
-Lei… non può… farmelo… rifare!- sputò mentre avvicinava le mani al collo della
professoressa.
La sorella la trattenne.
-Non puoi farlo! Ti vedrebbero tutti!-
Il tempo ripartì, e con lui anche la sfuriata, che
toccò anche a Elisabetta e Ramona.
-Voi tre chiacchierate troppo e lavorate poco! Ma insomma,
cosa vi prende oggi?-
-Professoressa, veramente io… questo disegno me lo
aveva dato lei perché avevo finito tutti gli altri e non sapeva
più che farmi fare…- tentò di dire
Elisabetta.
-Impertinente! Dammi il diario, che ti scrivo
una nota!- le si gelò il sangue nelle vene.
La prof. tornò alla cattedra con l’ostaggio e
scrisse imperterrita per cinque minuti, in cui ci fu il silenzio più
totale.
-Un vero peccato, avevi una media così bella!
Chissà i tuoi…-
-Io i genitori non ce li ho, a chi vuole che importi di una
nota?- la ragazza era sull’orlo di una crisi di nervi.
-Vai su da Silente, presto, muoviti, e fagli vedere la
nota!- sbraitò la Parmigiani, inferocita.
-Sissignora!- Elisabetta girò i tacchi a testa alta.
Salì le scale così pesantemente che i suoi passi rimbombarono
dappertutto e incrociò la
McGranitt.
-Buongiorno Elisabetta!- la salutò lei.
-‘giorno. – rispose asciutta.
-Qualcosa non va?-
-La Parmigiani non va, ecco! Mi ha dato una nota! Per
una sciocchezza!-
-Ma è terribile! Una nota?! Oh Merlino! Andiamo da Silente!-
-Ci dovevo giusto andare…-
Il resto della scalinata la fece in compagnia.
Quando furono sulla porta dell’ufficio, quello
“incasinato”, la
McGranitt abbaiò: -Non mi importa
quali siano i tuoi impegni, adesso stacca la spina e ascoltaci!-
-Mamma mia che brutta faccia che hai! Mi sa proprio che
farò come hai detto, sai?- disse lui interrompendo
la sua attività di spedire i gufi.
Elisabetta gli mise in mano il diario.
-Legga. – ordinò.
-Una nota, eh? Che hai combinato,
si può sapere?-
Elisabetta riferì in breve l’accaduto.
-Bene. La nota è annullata. – disse sorridendo
lui.
-Annullata?- chiese perplessa Elisabetta.
-Sì, non ha valore! Guarda il diario!-
La ragazza lo guardò e vide che dove prima
c’era la nota era vuoto, allora fece per andarsene.
-Già che ci sei, fammi un favore: mandamela su che
devo parlarle!- gli urlò dietro Silente.
-Sì, e grazie!-
Scese le scale da sola, e quando tornò in classe fece
in modo di stamparsi sul viso un sorriso raggiante.
-Professoressa: Silente vuole parlarle!-
disse spavalda –Ah, la nota me l’ ha annullata!- concluse: era
l’innocenza fatta persona.
Stizzita, la donna uscì dalla classe sbattendo la
porta. I compagni le batterono sonore pacche sulle spalle.
-L’ hai conciata
per le feste!-
-Già, le hai fatto vedere i
sorci verdi!-
*
A pranzo, fu una lamentela continua.
-Che strazio Artistica oggi!
Normalmente mia piace un sacco, ma ultimamente la prof. è schizzata!-
-Sai, ho sentito dire che una del
Grifondoro che s’era beccata una nota da lei se l’è fatta
annullare da Silente!-
-No?! D’avvero? Potrei
provarci anch’io…-
Alcuni ragazzi si guardavano attorno circospetti,
mentre si avvicinavano a vari esponenti del C.A.P.R.I….
Quando i ragazzi si riunirono fuori, scoprirono di aver
ricevuto una valanga di richieste di soccorso, tutte per lo stesso motivo: le
ore di Artistica e Musica.
-Basta! Pietà, vi prego! Siamo operativi da mezzo
secondo e già siamo popolari! Aiuto!!!-
implorò Enrique.
-Qui bisogna trovare una soluzione
comune!- propose Kanata.
Proprio in quel momento i due prof. in questione si stavano
avvicinando. I ragazzi ammutolirono all’istante e osservarono bene il
loro comportamento: ognuno dei due proseguì per la propria strada, senza
neanche guardarsi quando furono affiancati.
-Oh! È tardiraga. Facciamo così: ognuno pensi a
un’idea e poi ci troviamo dopo le lezioni al solito posto. A dopo!-
-A dopo. –
*
Quel pomeriggio, come previsto, i ragazzi si ritrovarono in
Biblioteca. Per l’occasione c’era anche Harry.
-Qual è il problema?- chiese.
-La Parmigiani e Corni! Sono
isterici!- esclamò Francesca.
-Ah, quello…- disse con il tono di chi la sa lunga.
-Tu sai qualcosa! Avanti, spara!- lo
accusò Kanata.
-Beh, so solo che hanno litigato di brutto dopo che Piton ha
preparato un non so che antidoto a non so quale filtro… credo che fosse
un filtro d’amore, da quello che ho capito…-
Le sorelle si guardarono ghignando sotto i baffi.
-Vuoi dire che Corni e la Parmigiani…?!-
chiese sconvolta Giada.
-Altroché! Ormai lo sanno tutti. –
confermò Harry.
-Ragazzi, io ho avuto un’idea!-
esordì Manuel. Francesca lo guardò adorante.
-E spara!-
-Questi qui bisogna farli mettere insieme! Perché
torni la pace bisogna che si amino alla follia!-
-E come facciamo a fare il combinozzo?-
-Avete presente il film “La carica dei 101”? Quando al
parco lei e lui si incontrano grazie al cane? Che col collare li lega?-
Francesca si illuminò:
-Potremmo usare Ciro!-
-Perfetto!-
-No, fermo: li facciamo inciampare o qualcosa del genere? E poi?- chiese perplesso Enrique.
-Boh! Dovranno far qualcosa pure
loro!-
-Sì ma chi ce lo
garantisce?-
-Non è ora che la fortuna giri dalla nostra? Insomma,
immaginate che sia sera: si ritrovano appiccicati e a terra, con un cane che li
annusa e il guinzaglio che stringe… poi, che ne so… facciamo aprire
le porte di un’aula illuminata solo da delle candele…-
-Una cenetta romantica? Ma se
avranno appena mangiato!- ribatté Emma.
-Allora dovremmo fare in modo che non cenino, così avranno i crampi dalla fame!- continuò il ragazzo
imperterrito.
-Ma come…?- stava per
chiedere Ramona, quando Harry la interruppe con la risposta.
-Per questo non c’è problema! Chiedo a Silente
se può trattenere la Parmigiani mentre io mi occupo di
Corni. –
-Grandioso! Adesso passiamo ai dettagli…-
Confabularono un bel po’ prima di decidere il tutto.
Restavano tre quarti d’ora per i preparativi.
Harry andò immediatamente a parlare con Silente; gli
avrebbe spiegato tutto il piano e avrebbe fatto in modo che lui si intrattenesse con la Parmigiani vicino alla
Sala Grande e avesse accordato loro il permesso per lasciare al buio quella
parte di castello e magari mettere una buona parola giù in cucina…
Intanto i ragazzi si trasferirono nel Dormitorio di
Grifondoro per addestrare e “vestire” Ciro.
-… capito Ciro?- chiese Francesca tenendo il muso del
cane tra le mani.
-Bau!-
-Bravo Ciro, bravo il mio
cagnolino, sì sei il cane più intelligente!- Francesca stava
facendo i complimenti al suo cane. Era un mistero come facesse
a farsi capire da lui.
-Dov’è il gatto?-
chiese Sara.
-Eccolo! Era nascosto sotto al letto
il malandrino!- disse Elisabetta mostrando il suo fedele felino.
-Adesso dobbiamo trasfigurare l’acqua per ottenere un
profumo che lo attiri! Poi lo mettiamo nella borsetta della Parmi
in modo che lui lo segua, dopo molliamo Ciro che ovviamente lo inseguirà
e poi… bum!- ricapitolò Manuel.
-Ma non si fa prima a prendere un
pezzo di carne?- chiese scettica Emma.
-Ottima osservazione! Betty, hai
di quelle scatolette di carne?-
-Certo! Eccola!- rispose lei mostrando la scatoletta
colorata di rosso già aperta e vuota per
metà.
-E adesso come facciamo? Se tiene
la borsa chiusa non si sentirà un tubo!-
osservò Kanata.
-Potremmo legarla con del filo!- propose
Ramona.
Si optò per il filo.
-Bene. Adesso come leghiamo il filo
alla borsa?- chiese Francesca.
-Ci penserà Silente!- rispose
Manuel.
-Silente?!-
-Sì! Non è lui che deve parlarle?-
-Va bene. –
Lo raggiunsero nel suo ufficio e aggiunsero alle richieste
che aveva già avanzato Harry la loro.
-Sì può fare. Certo che avete del fegato!-
-Grazie prof.!-
-Spiegatemi una cosa… le portate gliele facciamo trovare già lì?-
-Ovvio che no! Gliele portiamo noi!- disse
Manuel. I compagni lo guardarono male: si sarebbero fatti scoprire!
–Suvvia, con le candele non ci riconosceranno: ci daremo i turni,
così da cambiare sempre!-
-Molto bene. Vi farò avere anche due o tre carrelli
per trasportare i piatti e ovviamente le uniformi da camerieri!-
-Evviva! Lei è un mito, prof.!-
Quando scoccarono le sette il piano
entrò in funzione.
Silente e Harry si appostarono in due stanze nelle vicinanze
della Sala Grande aspettando l’arrivo delle vittime. La prima ad arrivare
fu la
Parmigiani, verso le sette e un quarto, poi
arrivò anche Corni, alle sette e venti.
Silente ed Harry inventarono scuse su scuse
per trattenerli.
Silente: -Sai cara, stavo pensando a quello che è
successo oggi… hai trattato maluccio
Elisabetta…-
Harry: -Carissimo, mi stavo chiedendo se… non
potessimo collaborare durante le lezioni! Ma certo: mi chiedevo se in qualche
modo un determinato tipo di musica possa influire sulla
potenza di un incantesimo…-
Silente: -Mi stavo chiedendo anche come stesse tua
figlia…-
Harry: -… voglio dire, non sarebbe interessante vedere
anche che effetto fa la musica classica su certe piante?-
Alle otto e qualcosa un certo brusio avvertì i due poveretti
che la cena era finita. Ancora una mezz’oretta di sofferenza!
Alle otto e mezza passate, come stabilito, Silente
uscì assieme alla Parmigiani. Aveva fatto
accuratamente spegnere le torce da Pasquale, perciò c’era buio
pesto o quasi. Lasciò lì la Parmigiani con la
promessa di tornare assieme al bidello.
Dopo un po’ uscirono anche Harry e Corni. Per fortuna
loro la
Parmigiani era tornata un attimo nella stanza,
così Harry poté battersela con tranquillità e sempre con
la promessa di chiamare Pasquale.
Intanto i ragazzi del C.A.P.R.I., nascosti dietro alla rampa di scale che portava al piano
superiore, attendevano il momento adatto per mollare prima il gatto, poi Ciro.
Si erano cambiati in tutta fretta nel primo bagno che
avevano trovato; i maschi portavano un paio di jeans scuri, una camicia bianca
e sopra ai jeans un grembiule bianco. Le ragazze
indossavano tutte una gonna nera qualche centimetro
sopra al ginocchio e una maglietta bianca di quelle che si annodano in vita;
ovviamente avevano anche loro il grembiule bianco e le calze lunghe fin sopra
alle ginocchia, anche queste bianche.
Silente si diresse verso di loro per fargli cenno di
proseguire l’azione e per presentargli…
-Questo è Ryan, è il
figlio di un mio caro amico… è qui per aiutarvi!-
-Aiutarci a far cosa? È già tutto
pronto… vero?- chiese Manuel.
Silente scosse il capo: -In effetti… credo che ci
siano ancora molte cose da preparare… la tavola, l’atmosfera…-
-Cosa?! Ma siamo…- stava dicendo Elisabetta
quando si accorse che lei e sua sorella avevano bloccato il tempo…
però in un modo strano: si erano bloccati solo Silente e Ryan…
-Si sono bloccati! Qui c’è lo
zampino dei Wizardtime…- esclamò
Francesca.
Intanto Ramona provava a vedere se Silente era veramente
bloccato schioccando più volte le dita ad un pelo dalla sua faccia: era
proprio imbambolato.
Anche Sara stava facendo lo stesso con Ryan,
solo gli stava girando attorno e gli aveva passato una mano di fronte agli
occhi aperti ma privi di espressione. Seguendo il suo
sguardo poté notare che si stava fissando le scarpe, le mani in tasca.
Probabilmente aveva in bocca una gomma.
Ehi, Fre! Che si fa? Li
sblocchiamo?
Proviamo a sbloccare solo Silente…
Il tempo ripartì solo per lui, che si guardò
attorno vedendo la scena a cui era rimasto mutata.
Capì
quando vide Ryan.
-Che facciamo?- chiesero le
sorelle.
-Fate? Voi? Voi due? Che vorreste fare?- chiese
perplesso Enrique.
-Noi? Noi niente, perché? Era solo una domanda
retorica…- stava cercando di sviare Francesca, quando Silente fece cenno
di tacere.
-Ormai credo che siate così intimi da poterglielo
dire, sbaglio?-
-E non ce lo avete mai detto? Comunque, ehm… che si fa di lui?- chiese Sara
guardandole.
-…?- le sorelle rivolsero uno sguardo interrogativo al
loro Preside, che fece un cenno affermativo col capo.
Sblocchiamolo!
Il tempo ripartì finalmente anche per Ryan, che si ritrovò a fissare un paio di occhi castani.
Sara era rimasta a fissarlo cercando di capire se si fosse sbloccato o no. Lui, non
capendo, avvicinò il viso e corrugò la fronte, cercando di capire
chi fosse.
Sara si ritrasse spaventata immediatamente. Era visibilmente
imbarazzata.
-Ehm… ciao…come va?-
riuscì a dire lei.
-Eh… tutto bene…- rispose altrettanto
imbarazzato lui.
-Sì, ehm… Ryan, Ryan: tutto bene? Dovresti dargli una
mano, sai?- disse Silente.
-Come? Sì, certo: son qua
per questo…-
Mentre ciò accadeva, Kanata
letteralmente trafiggeva con lo sguardo Sara, a cui venne un lampo di
genio…
-Ryan, eh? Potrebbe
essermi utile…- bisbigliò tra sé…
*
Il gruppo si avviò verso la Sala Grande, il loro quartier generale. Ryan
iniziò a fare un elenco di ciò che ancora mancava solo dopo che
ebbe immobilizzato Ciro e Fuliggine con un incantesimo…
-… dobbiamo ancora decidere il menù, poi
mancano le candele, le poltrone…-
-Poltrone?- chiese stupita Emma.
-Sì, poltrone! Se deve uscire una cosa romantica,
delle panche certo non sono adatte, ti pare?-
Emma pensò un po’, poi
annuì convinta.
-… ovviamente apparecchiare il tavolo, dare ordine agli elfi domestici…-
-Elfi? Elfi tipo Legolas?-
chiese stupita e sognante Elisabetta.
-No, non quelli cretina! Gli elfi domestici sono esattamente
l’opposto, ovvero piccoli e brutti! Tu guardi
troppi film e studi poco!-
-Chi? Io? Guarda che… va beh, dai, te lo
concedo…-
-Okay. Ai posti di combattimento! Pronti: via!-
Francesca già era partita quandoRyan la trattenne per la maglietta.
-Beh? Che c’è?- chiese
lei.
-Dove stai andando?-
-A prendere la tovaglia… quella…-
-Pessimo metodo! Acciotovaglia
romantica!-
In breve la tovaglia, con al
seguito i suoi tovaglioli, fece il suo trionfale ingresso.
-Proprio quello che volevo fare io…- commentò
Francesca poco convinta.
Ramona la afferrò e la spiegò un poco: era
bianca col margine contornato da una decorazione di cuori e rose rosse di
diversa tonalità. I tovaglioli erano bianchi con una rosa rossa al
centro.
-Wow! Hanno di ‘sta roba qui
dentro?- si chiese Enrique.
-Non, loro no, ma io sì!- rispose Ryan,
che aveva fatto comparire una ventiquattr’ore
nera con la scritta “Kit per
l’appuntamento romantico n. 1”. La aprì e ne estrasse due involucri di plastica rossa; uno lo
buttò a Manuel, l’altro a Enrique.
-Giusto. E poi… candele profumate!- disse
estraendone otto dalla valigia e mettendole in braccio a Elisabetta.
-Okay capo. Vado e torno! Anche gli
altri due se ne sono andati!-
-Non sapevo che fossi così romantico Ryan…- disse maliziosamente Sara.
-Oh, beh… grazie! Voi due, apparecchiate, per favore!-
ordinò lui facendo cenno a Emma e Giada.
Intanto Elisabetta era arrivata senza far cadere nemmeno una
candela; Manuel ed Enriquestavano
litigando pesantemente con la rispettiva poltrona…
-Facci un favore, va’! Vai a
chiamare tua sorella e la sua amica, dai!- ringhiò
Manuel.
-Vad…-
-Qualcuno ci ha chiamate?- chiesero
in coro le due, facendo capolino dalla stanza accanto.
Elisabetta: -No, è solo un’impressione…-
-Ma che bella visione! Una mano
tesa! Yuppi! Venite ad aiutarci, o usciremo pazzi!-
E così tutti si misero all’opera; Emma e Giada apparecchiarono alla buona mentre Kanata portava loro
bicchieri e posate, Elisabetta dispose le otto candele in giro per la stanza
(due all’ingresso principale della stanza, due sulla finestra, una sulla
parete adiacente l’uscita secondaria e tre in un candelabro a bracci
portatole da Kanata al centro del tavolo), Manuel, Enrique, Francesca e Ramona
si spolmonarono per gonfiare le maledette poltrone.
Intanto Sara era rimasta con Ryan
e stavano discutendo riguardo al menù.
-Come antipasto direi
un’insalata di mare, poi per primo… pasta al salmone e panna, ti
va? Come secondo suggerirei del roastbeef
con patate al forno e per finire un bel dolce di frutta, una torta, o un
gelato. Sei d’accordo?- Ryanera
visibilmente eccitato dal ruolo di preminenza che aveva.
-Sì, sì. Perfetto. - concordò Sara.
Alzarono la testa per guardarsi quasi all’unisono; Sara gli sorrise radiosamente.
-Bene, allora io… vado a convincere gli elfi. Torno
subito!-
-Sì, sì, vai. Ti aspetto!- gli urlò
dietro lei, in quanto si era già avviato;
ignorava, o meglio, faceva finta di ignorare che Kanata avesse seguito tutta la
scena e fosse verde di gelosia.
Decise di concedersi un giretto nella stanza accanto, per
vedere a che punto fossero i suoi amici. Quando entrò rimase davvero incantata.
L’atmosfera creata dal gioco di luci e ombre delle
candele era veramente stupenda, inoltre esse
diffondevano nella stanza un delicato odore di cioccolata.
La cioccolata è una sostanza
ritenuta inebriante… si trovò
a pensare.
Il tavolino era tondo ed ampio; era vestito di bianco, salvo
le decorazioni rosse; sosteneva due piatti piccoli e tondi
color crema,sopra ai quali
stavano fresche e cariche di passione due rose rosse ancora in boccio. Nascoste
dai piatti c’erano due forchette grandi, due coltelli, un cucchiaino e
una forchettina da dolce per parte; al centro
troneggiava il candelabro dorato a tre bracci che ospitava
le candele e c’era anche un vaso di vetro lungo e stretto pieno a
metà d’acqua. Infine le poltrone davano un’aria giocosa e
sbarazzina al tutto.
Vorrei che fosse così il mio primo appuntamento ufficiale…
-Certo che abbiamo fatto veramente un bel lavoro, eh?! Dai raga datemi un cinque.
–
-Psss… quando mi inviterai a cena voglio un’atmosfera e una tavola
del genere…- bisbigliò Francesca a Manuel.
-Per te questo ed altro.- gli rispose lui. I due si
sorrisero maliziosamente.
-Bene. Ryan è andato dagli
elfi; tornerà fra poco. Intanto potremmo andare ad
appostarci con Ciro…- propose la ragazza. La sua idea parve andare
a genio a tutti, perciò Elisabetta e Francesca sbloccarono i loro
rispettivi animali annullando l’incantesimo PetrificusTotalus con un semplice ma
efficace FiniteIncantatem.
Ciro iniziò a scodinzolare allegramente e a cercare
di raggiungere Fuliggine, protetto dalle braccia della
sua padroncina. Proprio mentre stavano per uscire rientrò Ryan.
-Tutto a posto giù in cucina. Li avete sbloccati?
Bene, possiamo procedere col piano! Voi andate e colpite, io aspetto qui nel
caso arrivassero le pietanze!-
Grandioso! Così non si accorgerà che
abbiamo bloccato il tempo nel resto del castello!pensò
Francesca.
Uscirono (procedettero a tentoni
incespicando più volte) e si appostarono dove stavano prima
dell’arrivo di Ryan; le sorelle sbloccarono il
tempo.
Si sentì un ben definito rumore di tacchi.
-Chi c’è?- chiese Corni.
-Leonardo?! Sei tu?- chiese la Parmigiani.
-Ah… Roberta…- sbuffò lui riconoscendone
la voce.
-Ora?- chiese Elisabetta.
-Ora!- assentirono gli amici.
La ragazza spinse il suo gatto nella direzione da cui proveniva
la voce dei prof.; dopo non molto sua sorella
lasciò anche Ciro.
-Bau! Wof!-
-Miao!-
Come previsto, Ciro si era messo ad inseguire Fuliggine, che
si dirigeva verso la Parmigiani (ovvero verso la sua
borsa!).
-Ma questo è un cane!- strillò la Parmigiani.
-Presto, muoviti! Vieni qui,
potrebbe essere pericoloso!-
La prof. si diresse dove presumeva venisse
la voce del collega. Quando le sue mani, protese in
avanti, vennero in contatto con le spalle del collega, si fermò. Fu
allora che Ciro fece il suo dovere.
Fuliggine aveva raggiunto la donna, che aveva avvertito un
contatto alla gamba con qualcosa, ma non riusciva a capire cosa; arrivò
anche Ciro e il gatto, spaventato, iniziò a correre come una trottola
attorno ai due, a volte anche in mezzo, inseguito.
I ragazzi non capirono cosa successe dopo, avvertirono solo
un tonfo e dei lievi passi in direzione opposta alla loro, che dovevano
appartenere al gatto e al cane; ne approfittarono per
tornare nella stanza da cui erano usciti e aprire la porta di quella
“tutte rose e fiori”.
-Tutto bene?- chiese Corni, rialzandosi.
-Sì, credo di sì. – rispose la collega.
Lui le porse una mano per aiutarla a rialzarsi in quanto, nonostante avesse
litigato con lei, era pur sempre una brava persona disposta ad aiutare gli altri.
-Guarda!- esclamò la Parmigiani,
indirizzando Corni verso la luce soffusa proveniente da un’aula alla loro
destra.
Logicamente, i due si diressero verso la luce; a pochi passi
dalla porta li investì un dolce profumo.
-Cioccolato…- mormorò la Parmigiani.
Incuriositi, entrarono nella stanza. Quando
furono dentro di almeno mezzo metro Ryan, ovviamente
nascosto, fece chiudere la porta con un incantesimo; a nulla valsero i
tentativi di Corni di aprirla.
-Siamo prigionieri. – concluse.
Intanto la Parmigiani aveva esaminato da vicino il
tavolino e si era infine seduta, imitata poco dopo da Corni.
-Com’è strano questo
posto… sembra quasi che fosse preparato per
noi…- fece notare lei.
-Ma che idee ti vengono in mente?
È stato solo un caso che ci siamo incontrati!- rispose
lui.
-Se solo avessi la bacchetta…
purtroppo l’ ho lasciata in camera!-
-Anch’io. –
Nella stanza affianco, i ragazzi si stavano sbizzarrendo con
acconciature assurde e colori ancora più originali: Sara si era (anzi:
era stata fatta) rossa, ad Emma erano stati tagliati i
capelli molto corti, Enrique si era trovato un cespuglio di ricci
castani in testa, Francesca si era tirata su i capelli con mollettine
e spillette, Giada aveva i capelli lisci e lunghi,
Manuel non si era voluto cambiare acconciatura (diceva che era bello
così), Elisabetta sfoggiava una strana colorazione interista (nonostante
quella non fosse la sua squadra del cuore), Ramona era mora.
-Solo per questa sera!- si giurarono i ragazzi.
Dopo non molto arrivò come per magia un carrello con
sopra due bottiglie d’acqua e una di spumante e un cestino di pane.
Si decise che Manuel avrebbe aperto le danze, siccome in
fondo quella era stata una sua idea.
Si avviò con in mano le due
bottiglie di acqua.
-Oh! Meno male, c’è qualcuno! Scusi, ci
potrebbe fare uscire di qui? Scusi….scusi…
Ehi, ma è sordo?!- chiese concitatamente la Parmigiani.
Manuel fece finta di non sentire e appoggiò le due
bottiglie, trattenendosi dal ridere. Fece dietrofront e rapidamente
sparì.
-Ma hai visto quello? Non mi ha
nemmeno risposto! Era come se io non ci fossi!- protestò la donna.
-E non penso nemmeno fosse di
questa scuola! Beh senti io ho fame, non ho neanche cenato perché Harry
mi ha trattenuto perché mi voleva parlare di non so cosa…-
aggiunse Corni mangiucchiando un pezzo di pane.
-Ora che ci penso anche io non ho mangiato perché
Silente mi ha trattenuta…-
Dopo non molto scese in campo anche Ramona, e la scena si ripropose uguale a quella di prima.
-Niente, non mi sentono!- disse
indignata la donna, spizzicando un pezzetto di pane.
-Ti prego, vuoi stare calma? Mi fai
innervosire già abbastanza quando sei
calma…-
-Ancora con quella storia? Ti ho già detto che mi dispiace! È Severus, deve aver capito male quello che volevo…-
-Per favore, non scaricare sempre la colpa sugli altri! Per
una volta ammettilo di aver fatto una sciocchezza!-
-Sì, scusa, hai ragione: ho fatto una sciocchezza.
–
-Ma poi mi spieghi che cosa intendevi
fare?-
-Eh?-
-Sì, cos’è che volevi esattamente che
Severus preparasse per te, anzi: per me?-
-Come? Severus non te l’ ha detto?-
-No… Dai, sono curioso!-
-Oh, beh, niente di speciale… era un filtro
antistress!-
Proprio in quel momento fece il suo ingresso Emma con gli
antipasti; spostò le rose e prese i piatti vuoti in cambio di quelli
pieni, poi tornò indietro.
-Che meraviglia!- squittì la Parmigiani
osservando il suo piccolo piatto a forma di conchiglia foderato di insalata e
colmo di prelibatezze di mare.
Si misero silenziosamente a mangiare. Poi, quando ebbero
finito, Corni esordì: -Non ti credo. –
-Come?- chiese fintamente stupita lei.
-Non ci credo che era un
antistress, puoi inventarti una scusa migliore. –
La donna si morse il labbro inferiore,
nervosa.
-Oh Leonardo, è… è una cosa difficile da
dire… insomma: volevo un filtro d’amore, per me e per te. –
Corni strabuzzò gli occhi,
incredulo.
-Cosa? Per me… e per te?-
-Possibile che non te ne sia mai accorto prima che io facevo
sul serio? Io ci stavo male quando mi consideravi solo
un’amica. –
-… e io che credevo che un tipo come me non ti interessasse! Che stupido che sono
stato!-
L’idillio fu interrotto da Elisabetta, che veniva a
ritirare i piatti vuoti e a portare i primi: garganelli
con panna e salmone. Fece davvero una gran fatica per non ridere, siccome i
suoi due professori avevano delle facce davvero singolari, che lei non seppe
interpretare.
Anche i primi scivolarono negli stomaci senza che una parola
fosse detta; ciò accadde quando i piatti furono
nuovamente vuoti.
-Allora?- chiese timorosala Parmigiani.
-Allora cosa?-
-Beh, non so… -
-Senti…- disse infine Corni, prendendo la piccola mano
della collega -… so che esperienze difficili hai
vissuto, il divorzio eccetera; se ti va di riprovare con me, per me va bene.
–
Gli occhi della Parmigiani si
illuminarono.
-Grazie…- mormorò.
Il resto della cena la trascorsero
guardandosi di sottecchi, sorridendosi e tenendosi per mano; ogni volta che un
ragazzo del C.A.P.R.I. faceva un giro in quella
stanza, rischiava di vomitare per l’atmosfera eccessivamente romantica.
Anche se non avevano seguito bene
tutto il discorso, alla fine capirono che l’obiettivo era stato raggiunto
e si congratularono a vicenda.
Quando ebbero portato via anche la
coppette del gelato alla frutta, decisero che era tempo di rilasciare
gli ostaggi, perciò Ryan fece un incantesimo
alla porta che da sola si spalancò; quando i due professori se ne
accorsero, si accertarono che la luce fosse tornata (Pasquale aveva rimesso
tutto a posto) e uscirono mano nella mano.
-Checarucci!
Tutti puccipucci!- li imitò
Elisabetta.
Quella sera i ragazzi praticamente
non chiusero occhio, se non per qualche ora: dopo che i due novelli fidanzati
se ne furono andati, dovettero “rassettare” la stanza (lasciarono
un sacco di piatti sporchi all’infinita cura degli elfi) e poi ricordiamo
che loro dovevano ancora toccar cibo, anche se Manuel ed Enrique ci avevano
provato (a toccare almeno il dolce) ma erano stati bacchettati e riportati
all’ordine dal diligente Ryan.
Così, alle dieci i ragazzi avevano atroci gorgoglii
di stomaco… quando avvenne il miracolo:
arrivarono un paio di elfi spingendo un carrello stracolmo di delizie.
-Voi avere fatto lavoro per elfi; voi stanchi! Noi deciso
che voi meritare spuntino! Fatto male?- squittì un
elfo femmina, alto occhio e croce una settantina di centimetri, con la
pelle olivastra e gli occhi scuri a mandorla, le inconfondibili orecchie
appuntite ritte sul capo.
-Fatto male? Ma stai scherzando, cara?- disse adulatoria Ramona cingendo la microscopica spalla
dell’elfa con un braccio.
-Bene! Noi fatto bene! Allora buona cena, signori! Noi ora
andare con piatti sporchi!- squittì l’altra elfa,
gemella della seconda, fiondandosi nella stanza
accanto e ritornando in un batter d’occhio con i piatti sporchi.
-Ciao! E grazie!- li salutarono i
ragazzi.
-Bene, bene! Cosa abbiamo qui?
Insalata di mare, garganelli… ma è la
roba che abbiamo portato a quei due là!- si indignò
Francesca.
-E che vuol dire, che sia schifosa?
Tanto, col mio stomaco che sciopera se non ingurgito
immediatamente qualcosa, penso che mi adatterei a ben peggio!- ribatté
la sorella.
E così ognuno prese un
piatto pulito e lo riempì con ciò che credeva, facendo delle
combinazioni a volte passabili, a volte bizzarre: pasta ai gamberetti,
formaggio e carne, gamberetti e formaggio, gamberetti e carne…
Poi, nascoste dai vari piatti e mercanzie varie, i ragazzi
scovarono diverse bottiglie di spumante…
-Toh? Guarda cos’abbiamo qui:
spumante! Forza ragazzi, prendete i bicchieri!-
urlò Manuel, tanto che Ryan dovette rimproverarlo
di abbassare il volume.
A mezzanotte la comitiva, leggermente ubriaca, iniziò
a dirigersi verso i rispettivi Dormitori inciampando, ridendo e spintonandosi.
-Beh, ‘notte ragassi! Hic! E a te, Ryan, ti rivediamo?- chiese alquanto
suonata Sara.
-Eh, eh! Non sarà così facile liberarsi di me!
Vedrai, ci rivedremo! Buonanotte!- bisbigliò
lui, che era il meno contagiato dall’alcool.
Sara scomparve sbattendo dietro di sé la porta.
Più o meno uguale fecero
anche tutti gli altri; gli ultimi a giungere furono i Grifondoro, poi Ryan, finalmente, poté tornare alla sua scuola
smaterializzandosi (aveva il permesso di Silente e della sua preside).
Che lunga giornata era stata!
*
Ci fu solo una breve pausa di circa una settimana per i
nostri poveri eroi. E fu una pausa per modo di dire: svariati allenamenti ad
ogni ora del giorno (ormai anche della notte: Harry cercava di fare suoi qualsiasi insulsi ritagli di tempo come le ore buche),
le prove dello spettacolo (durante le quali Elisabetta e Ramona recuperavano il
sonno perso per vari motivi…) e naturalmente verifiche ed interrogazioni
varie.
Poi, quando tutto sembrava essersi nuovamente ristabilizzato, una nuova mazzata: un nuovo problema
comune, avvertito anche dai membri del C.A.P.R.I., ovvero…
-Certo che quei due lì non si decidono
proprio, eh?- si lamentò Elisabetta.
-Già: o si mollano, o si mettono assieme! Non si
può mica fare una mafia così! Per la loro e per la nostra
salute!- aggiunse la sorella.
-Pensate che si è lamentata
pure la parte snob dei Serpeverde, quelli che a fatica ti notano!- disse
indignata Emma.
-Soluzione comune?- chiese Manuel.
-Se è quella della volta
scorsa, volentieri: mi sa che è l’estremo rimedio! Per fortuna che
ce lo avete detto voi tre, se no a questo punto non
sapevamo da che parte parare!- rispose ironica Giada accennando alle sorelle e
a Ramona.
-E vada per quella. Oh, no! La
campanella! Devo scappare, ho un compito in classe. Ci
vediamo!- salutò Sara.
-A dopo!- risposero in coro i ragazzi.
Il quartetto Grifondoro si diresse
compatto verso la lugubre aula di Pozioni; quando arrivarono, si accorsero di
essere stati gli ultimi; poco male: non c’era ancora Piton. Svelti
si sedettero.
I loro compagni stavano chiacchierando rumorosamente;
passarono dieci minuti, ma del prof. nemmeno l’ombra… e il volume
si alzava… Altri cinque minuti… niente…
-O è morto o qualcuno gli ha
lanciato una PietrificusTotalus!- esclamò Ramona.
-Già, non è da lui!-
concordò Francesca.
Comunque sembravano le uniche a
preoccuparsene, dato che gli altri erano troppo impegnati a parlare dei fatti
loro; alla fine pure loro si arresero e fecero una partita a battaglia
navale…
L’ora dopo, Storia della Magia, la prof., captando qualcosa come “casino”, chiese cosa
fosse successo.
-L’ora prima Piton non
c’era!- rispose qualcuno da fondo classe.
-Non c’era? Strano… a voi aveva detto niente?- chiese stupitala McGranitt.
-Proprio niente!- risposero tutti in coro.
-Mah…- la prof. fece spallucce, riprendendo la
lezione.
L’ora dopo ci fu nuovamente Lettere,
poi, finalmente, il tanto agognato pranzo.
Curiosando in giro, i Grifondoro scoprirono che Piton quel
giorno aveva saltato tutte le sue ore di lezione, senza nessun preavviso.
-Inquietante…- commentò Elisabetta.
-Starà preparando un
antiparassitario per la Tassi,
vedrete!- esclamò sua sorella.
E quella non fu certo l’unica
novità della giornata; a fine giornata ce ne fu una che lasciò
molto delusa Elisabetta.
-Ragazzi, pazientate un attimo ancora, devo
dirvi una cosa importante. – esordì la Chiodo;
facendosi coraggio con un respiro profondo, iniziò: -Questo sarà
l’ultimo giorno di lezione che avrò con voi. Ho
infatti chiesto a Silente un periodo di aspettativa, durante il quale
esaminerò l’eventualità di un mio possibile trasferimento
in un’altra scuola…-
I ragazzi rimasero a bocca aperta.
-… da domani verrà un supplente al mio posto.
Io trascorrerò qui sicuramente ancora questo mese, poi
si vedrà. Arrivederci ragazzi, e buona fortuna. –
tirò un profondo sospiro.
Nonostante fosse l’ultima
ora, i ragazzi rimasero immobili ai loro posti finché la donna non fu
uscita, poi iniziarono a discutere rumorosamente.
-Incredibile! Chissà perché!-
-Già! Così all’improvviso…-
-Mah…-
Il quartetto uscì quasi subito, anche se un po’
frastornato, con l’intenzione di incontrarsi con gli altri. Li trovarono
al solito posto, ovvero in Biblioteca.
-Ragazzi! È successa ‘na
roba… che non sta né in cielo né in terra!-
E così i quattro riferirono
il tutto in breve, quando…
-Ragazzi: ho bisogno di voi!- esclamò
Harry tutto trafelato –Silente ha un compito per voi! Dobbiamo cercare
Piton!-
-Cercare Piton? Magari si è solo mimetizzato con il calderone mentre faceva una pozione… no, eh? Oh
insomma, non è più un Mocciosus alle
prime armi, ormai è esperto e autosufficiente!- si indignò
(fintamente) Elisabetta.
-Dai, su: andiamo, che con prima iniziamo con prima
finiamo!- tagliò corto Enrique.
-Allora voi cercate dentro il castello, io nei villaggi qui
vicino… ci incontriamo qui alle sette. A dopo.
–
-A dopo. –
I ragazzi misero a soqquadro il castello, ma senza
risultato; perlustrarono ogni centimetro, ma non trovarono tracce; chiesero a
tutti coloro che incontravano… omertà
totale.
Alle sei e mezza, sconsolati,si radunarono in Biblioteca
attendendo il ritorno di Harry.
Dopo non molto, un “pop”
li avvisò dell’avvenuto ritorno (il gruppo stava rimettendo un
po’ d’ordine in Biblioteca): c’erano Harry, Ryan, un altro ragazzo che non conoscevano…
-Portatelo in aula di Pozioni, noi
dobbiamo scappare…- disse asciutto Harry che, assieme agli altri,
si rismaterializzò.
-Portatelo? Chi?- chiesero in coro Elisabetta e Sara, che
non avevano assistito alla scena dal momento che
stavano raccattando una pila di libri con l’intenzione di rimetterli al
loro posto.
Sul tavolo videro allungarsi un’ombra, diretta verso
di loro…
-HIC!
Ragasse… HIC! Avete fatto tutti i
HIC… i compiti?-
Le due si paralizzarono all’istante non appena
avvertirono pressione sulle rispettive spalle.
Terrorizzate, iniziarono molto
lentamente a voltarsi; si fissarono un istante scambiandosi reciproci messaggi
di richiesta d’aiuto, poi affrontarono la nuda e cruda realtà:
…
-Piton!!!-
strillarono in coro.
Intanto i loro amici si stavano sbellicando dalle
risate…
-Muahahaha! Dio se eravate
cretine! Che faccia che avevate… troppo forte!-
-Toglietecelo di dosso, toglietecelo di dosso!- ulularono le
due poverette e alla fine, i caritatevoli Enrique e Manuel si offrirono di staccare le “ventose” di Piton
dalle loro spalle.
-Portatelo via, portatelo via, non
lo vogliamo vedere!- continuarono isteriche le due.
-Coraggio professore, adesso la riportiamo nel suo ufficio!-
minimizzò Francesca come si fa con i bambini
piccoli.
I due ragazzi lo trascinarono fino alla
porta, poi iniziarono a dirigersi verso i sotterranei.
-Dove mi state portando?- chiese a
un tratto Piton.
-Oh santa polenta! Nel suo ufficio professore!-
imprecò Giada.
-Ma è così in basso o
sembra a me?- continuò l’uomo imperterrito proseguendo la discesa.
-Se l’è scelto lei!-
ribatté Enrique, visibilmente affaticato.
-Oh mamma, chissà cosa avevo per la testa quel giorno!- esclamò Piton giulivo.
-Niente, come al solito…-
bisbigliò Ramona.
Faticosamente, riuscirono a raggiungere il piano giusto, poi
anche a guadagnare l’ufficio.
Emma aprì la porta consentendo ai ragazzi di
“scaricare” il loro professore sul suo letto.
-Adesso lei se ne sta qui buono buono che noi torniamo subito, d’accordo?-
chiese affabile Sara.
-Torniamo? Io credevo che il piano fosse squagliarsela!-
protestò Manuel.
Sara non gli prestò neppure ascolto; seguita dagli
amici uscì in direzione del laboratorio. Lì trovarono i tre
ragazzi intenti a rovistare negli scaffali.
-Niente! Quell’animale ha tutti i tipi di pozioni possibili
immaginabili tranne una semplicissima anti-sbornia! Mi stupisce
ogni giorno di più!- stava imprecando Harry.
-Grazie per avercelo scodellato a noi, eh!- lo
canzonò Enrique.
-Mi sa che qui bisogna prepararla!- affermò
Harry soprappensiero.
-Ecco: pure la pozione, adesso! Ma dico io, non possiamo
aspettare che gli passi da sola?!- chiese esasperata
Elisabetta.
-Meglio di no! È in condizioni pietose, Merlino solo sa cosa potrebbe combinare in giro per il
castello!- rifiutò categoricamente Ryan. I ragazzi
provarono più volte a smuoverlo, ma invano.
-Porca miseria: sono le sette e mezza, ho fame e devo ancora
studiare! Mi dite come diavolo faccio?!- si
lamentò Elisabetta.
-Prendi i libri e mentre ci diamo i turni con la pozione
studia, se ci tieni tanto!- tagliò corto
Kanata.
L’atmosfera era pesante.
Elisabetta uscì sbattendo la porta in direzione del
suo Dormitorio.
A metà strada del ritorno le venne un’idea;
apportò una piccola modifica alla sua traiettoria in modo da trovarsi
nei pressi dell’ufficio della Chiodo…
-Buona sera professoressa!- salutò.
-Ciao Elisabetta, come mai non sei
in Sala Grande?- chiese la
Chiodo.
-Ma, sa… è successo un
piccolo imprevisto…- e vuotò il sacco senza neanche starci tanto a
pensare, esagerando con i dettagli.
-Ubriaco, eh? Decisamente non
è da lui… che comportamento infantile…- con queste parole la
donna cercava di dimostrare all’allieva e a sé che dell’uomo
proprio non le importava… ma Elisabetta notò una nota leggermente
amara nella sua voce.
-Le va di parlare?- chiese di getto Elisabetta.
La donna si trovò un attimo
spiazzata.
-Di cosa?- fece finta di non capire.
-No, lasci stare, è meglio che vada…
arrivederci!- si congedò la ragazza con una
punta di rammarico.
Quando tornò in laboratorio, trovò i suoi
amici già attorno al calderone; Sara e Giada stavano
preparando gli ingredienti.
Nessuno parlava.
Aprì il libro e lesse un paragrafo di Trasfigurazione
inerente la trasfigurazione dell’acqua, ma non
riusciva a concentrarsi, non prima di aver raccontato tutto.
-Ho incontrato la Chiodo. Quei due hanno
litigato, e pure di brutto. – esordì.
-E capirai! Hai scoperto
l’acqua calda! Ma noi non potremmo farci i fatti
nostri per una volta? Lasciare che se la sbroglino da
soli?- la rimbeccò Kanata.
-Libero di uscire dal C.A.P.R.I.. A che punto è la pozione?- chiese la ragazza,
mettendo fine alla discussione.
-Ce ne vorrà ancora per un bel pezzo. –
Quel “bel pezzo” durò circa quaranta
minuti, durante i quali si alternarono al calderone le sorelle, Manuel, Emma e
Giada. Ogni tanto qualcuno andava a controllare Piton.
Quando finalmente fu pronta, Emma e
Sara la distillarono e la lasciarono raffreddare sul davanzale di una delle due
finestre presenti nell’aula.
Alle nove inoltrate
l’intruglio fu pronto per essere bevuto; l’ingrato compito di farla
bere a Piton fu assunto da Harry, che si chiuse nell’ufficio per
riemergerne dopo un quarto d’ora.
-Dorme. Domani dovrebbe essere lucido come al solito. – riferì.
-Bene. Allora noi possiamo andarcene! A domani. – si
congedarono i ragazzi.
*
Quella sera il gruppo decise di rimanere distaccato in
piccoli gruppetti: Sara e Giada se ne andarono per i
fatti loro, Kanata ed Enrique si rinchiusero nel loro Dormitorio, Manuel decise
di restare solo, Emma si intrattenne con le sue compagne di Casa, le sorelle e
Ramona formarono un terzetto nel bagno del loro Dormitorio. Queste ultime non
seppero ciò che fecero i loro amici; loro
rifletterono.
Elisabetta: -Siamo stanchi. Siamo nervosi. Forse Kanata
aveva ragione: meglio lasciarli fare da soli, gli adulti…-
Francesca: -Non per questo doveva criticarti! In fondo
Harry, anzi Silente, ci aveva chiesto un favore, non abbiamo fatto tutto noi di
nostra iniziativa!-
Elisabetta: -La verità è che abbiamo voluto
fare troppe cose: Quidditch, le prove, il C.A.P.R.I., studiare…-
Ramona: -Hai intenzione di mollare qualcosa?-
Elisabetta: -Non so… per il momento la mia media
è stabile, perciò…-
Francesca: -Io non rinuncio proprio a niente! Sono loro che
devono darsi una regolata!-
Ramona: -Yawn! Ragazze sono stanca
morta: penso che andrò a letto!-
Sorelle: -E noi ti seguiamo. –
Coro: -Buonanotte!-
RECENSITE!!! J
Lucifer_the_Darkslayer: solo per curiosità…posso
sapere quanti anni hai? Devo ammettere che un po’ lo è, ma penso
che sia l’unico o uno dei pochi…sì, qualche parte c’è
ma niente di che!!!
Laguna: grazie tante per la tua “recensione
scientifica”…beh…ora sto andando
più piano a pubblicare i chap…scusa la
mia ignoranza, ma cosa sarebbe il beatering? Cmq non mi ero accorta degli errori grammaticali…scusa…
Il mattino seguente Severus Piton si svegliò con un
forte mal di testa.
Mettendosi a sedere sul letto, cercò di fare mente
locale sui fatti della sera scorsa…
Ricordava di essersi allontanato dalla scuola, di essere
entrato in un locale malfamato e di aver ordinato da bere…
Si guardò attorno; sul comodino vicino al letto
trovò un tozzo bicchiere di vetro. Allungò una
mano e lo afferrò; il movimento ricordava quello della parte terminale
della lingua del camaleonte che si chiude a spirale su un insetto suo prossimo
pasto; annusò il rimanente goccio di liquido color ocra…
-Questa pozione non l’ ho preparata io. Ricorda…
ricorda una pozione contro l’ubriacatura, ma è abbastanza distante dall’essere considerata tale…-
mugugnò.
Si passò una mano sulla fronte…
Collegando tutti i tasselli, credette
di aver capito cosa gli fosse successo.
Faticosamente si alzò.
Chi mai poteva avergli preparato quella pozione (così
malamente, tra l’altro)?
Era di quell’umore che molti definirebbero
nero.
*
Contemporaneamente, anche la Chiodo si stava svegliando.
Strofinò distrattamente gli occhi; accese
l’abat-jour posizionata sul comodino per controllare l’ora: le
sette.
L’istinto le suggerì di preparasi
a scendere per la colazione e recuperare i libri per le lezioni; il raziocinio
le ricordò che ormai lei non insegnava più in quella scuola.
Si girò dall’altra parte del letto.
Alla prima ora avrebbe dovuto avere i Grifondoro; si chiese
con chi avrebbero avuto a che fare i sui
ex-ragazzi…
*
-Buongiorno ragazzi, il mio nome è Lucilla de Mordrey, e sono la vostra supplente di Matematica. Salvo
imprevisti dovrei restare con voi fino alla fine dell’anno scolastico, ovvero per il prossimomese. –
Lucilla de Mordrey era
esageratamente alta e secca, aveva lunghi e lisci capelli piantati su una testa
piccola e tonda. Portava dei grandi e tondi occhiali da vista e non mostrava
più di trentacinque anni.
Assieme a lei c’era quel ragazzo che le sorelle
avevano visto la sera prima assieme a Harry; poi arrivò anche Ryan.
-Questi due bravi ragazzi mi aiuteranno a svolgere meglio il
mio compito e si impegneranno a dare una mano anche a
voi, nevvero ragazzi?-
Ryan e l’altro annuirono.
Durante il resto di quell’ora
la nuova prof. si fece illustrare il programma di Matematica svolto fino ad
allora. Sembrò soddisfatta quando se ne
andò, al suono della campanella, sorridendo ampiamente ai ragazzi e
salutandoli.
-Non è così male!- disse Francesca, la quale
quel mattino a colazione aveva tormentato le amiche con le sue preoccupazioni inerenti la supplente.
-Già, non sembra malvagia. – acconsentì
la sorella. Non sapevano quanto si sbagliavano, ma non lo scoprirono
subito, non prima della settimana seguente…
Venerdì l’ora di Astronomia
serale venne annullata, così Harry ne approfittò per programmare
un allenamento; i ragazzi ne furono più che felici.
Le sorelle e Ramona avevano un gran bisogno di scaricare i
propri nervi, e così pure Manuel; così fecero cose che
normalmente non facevano, almeno non se non erano
strettamente necessarie.
Francesca, a forza di accelerare e frenare bruscamente,
frustò letteralmente la sua povera scopa; pur di non perdere di vista il
Boccino, che si era erroneamente inoltrato nella foresta
lì vicino, fece uno slalom di dieci minuti tra gli alberi,
riemergendo carica di ramoscelli e foglie e pure qualche graffio.
Elisabetta volle dar sfogo a tutte le sue energie, andando a
caccia di Bolidi e battendoli talmente forte che un paio di volte Harry dovette
rimproverarla dal momento che li aveva spediti
dall’altra parte dal castello; quasi a fine allenamento decise di fare un
nuovo gioco assieme a Manuel: passarsi un Bolide con la mazza evitando di farlo
scappare.
Ramona decise che non aveva niente da perdere buttandosi a
capofitto su una Pluffa lanciata a velocità folle rimediandosi, se non
un buco all’altezza dello stomaco, una bella botta; per fortuna non
vomitò.
Fradici e ubriacati dall’aria ormai mite, rientrarono
al castello cantando a squarciagola.
Sabato, durante le prove, Elisabetta, Francesca e Ramona approfittarono
dei vari (e lunghi) ritagli di tempo che le loro parti
concedevano per mettersi in pari con i compiti e interrogarsi a vicenda in
Difesa e Geografia. Qualche volta, prese com’erano dai compiti, furono
richiamate dalla McGranitt che pretendeva la massima rapidità nei cambi
di scena. Del resto prestarono anche meno attenzione, visto che ormai lo
spettacolo lo conoscevano a memoria: a fine marzo, per le vacanze pasquali,
come preannunciato i ragazzi avevano passato i cinque giorni di “non
scuola” (riposo sarebbe esagerato!) provando e riprovando lo spettacolo,
perciò ormai conoscevano le battute talmente bene.
Domenica la passarono nuovamente sui
libri, questa volta un po’ più seriamente, in Biblioteca.
Lunedì scoprirono l’arcano.
Dopo la solita, lugubre e meschina ora di
Pozioni, i Grifondoro ebbero due ore di Matematica.
Quel giorno la prof. indossava un completo
color pistacchio… praticamente un suicidio in una classe che il verde non
lo voleva vedere neanche da lontano (eccezion fatta per i soliti Manuel,
Francesca, Ramona ed Elisabetta).
Per l’occasione il suo
assistente sarebbe stato il ragazzo nuovo, tale Max; era alto circa un metro e
ottanta, aveva i capelli corti e castani e gli occhi azzurri.
Ovvio a dirsi, le lezioni di Matematica divennero
interessanti grazie a lui…
Durante quelle due ore la prof. somministrò un
questionario molto lungo (per valutare il livello generale della classe, disse)
e complesso; dopo la consegna si può benissimo affermare che non mosse
più un muscolo, neanche quelli mandibolari.
-Vi aiuterà Max, a me non chiedete
niente. – disse semplicemente.
Poi sì che non mosse più un
muscolo.
*
Due giorni dopo, durante un’ora di Trasfigurazione,
Elisabetta accusò un gran dolore alla testa.
-Prof., la prego, posso uscire? Ho un mal di testa che sembra mi scoppi!- implorò
l’alunna.
-Elisabetta, tra un po’ c’è la
ricreazione, non si può aspettare?-
-Ma prof., la prego: mi fa molto
male, è urgente!- supplicò ancora tenendosi la fronte con una
mano.
-E va bene, se è proprio urgente vai pure…-
Cinque minuti dopo suonò la campanella ed Elisabetta
era ancora in bagno; lì venne raggiunta dalla
sorella e da Ramona.
-Tutto bene? Come stai?- le chiese Francesca.
-Un po’ meglio… hai presente
quando cavi un tappo con un cavaturaccioli, che gli fai il forellino? La
stessa cosa hanno fatto a me!-
-Come se qualcuno stesse cercando di entrarti in
testa…-
-Wow! Non sapevo che la Melalavo ci tenesse così
tanto…-
-A fare cosa?-
-Ad esser sicura che io capissi! Mi vuole persino entrare in
testa, per paura che non capisca!-
e tutte a riderci sopra.
-Allora, usciamo o dovrò far la ricreazione come una
reclusa?- chiese ironicamente Elisabetta aprendo la porta e uscendo.
Poco dopo le raggiunse Manuel, che
si sincerò delle condizioni della sorella della sua fidanzata.
-Tutto a posto! E ti conviene: dopo poi chi ti suggerisce
durante Pozioni?-
-Giusto! Pozioni! Porca miseria… non ho ancora fatto
il tema di venti centimetri!-
-Te lo faccio io, tanto l’ ho
già finito! Lo ricopio cambiando qualche frasetta
qua e là e vedrai che fila liscio come l’olio!-
-Veramente? Grazie, mi salvi la vita!-
Francesca si chiese da quale pulpito si fosse
scatenata tale generosità nella sorella, visto che solitamente
non si offriva di passare il compito (se non su richiesta) e specialmente di
copiarlo lei.
Subito dopo, durante il pranzo, Elisabetta si mise
all’opera: copiava e masticava un boccone di pasta, copiava e
masticava… sembrava un piccolo automa. Ogni tanto Manuel le chiedeva come
procedesse.
-Fatto! Finito! Ecco qui lo splendido tema del signor
Manuel! Tieni. – disse porgendogli il foglio di pergamena.
-Grazie ancora!-
-Di nulla!-
Dopo le tre ore pomeridiane, i Grifondoro ebbero un
pomeriggio di meritato riposo. Quel giorno infatti non
avevano in programma né allenamento né altro.
Così se ne stettero in Sala Comune davanti ad un
allegro fuocherello, mentre fuori il vento spazzava
il campo di allenamento e la pioggia batteva obliqua
sui vetri, a giocare a carte.
-Sapete, è bello ogni tanto
non avere niente da fare!- disse Ramona.
-Già, nulleggiare è
una cosa in cui vado forte!- concordò Manuel.
-Ma non meglio che in Quidditch: fai delle battute, santo cielo! Se ti arrivano in faccia
te la ritrovi attaccata al Bolide!- esclamò Elisabetta.
-Anche tu però ci sai fare
con i Bolidi: ricordi la scorsa partita? Quando hai fatto
quel numero e hai salvato la faccia a Piton?- ribatté Manuel.
-Fortuna… chissà come sarebbe diventata la sua
faccia dopo?- si chiese la ragazza fingendo di essere soprappensiero.
-Sicuramente avrebbe avuto il naso più corto…-
Risero tutti, tranne Francesca. Non sapeva perché, ma
il comportamento della sorella in quegli ultimi giorni la irritava.
-Manuel, andiamo a fare un giro?- chiese al ragazzo.
-Uh? No, dai: mi sto troppo divertendo! Dici così
solo perché stai perdendo!- la canzonò
lui.
Francesca dovette ingoiare l’ennesimo rospo. E non fu nemmeno l’ultimo…
Il giorno dopo infatti la supplente
di Matematica decise di interrogarla e la torchiò per la bellezza di
quarantacinque minuti, durante i quali poté ben notare il via vai di
bigliettini tra il fidanzato e la sorella, cosa che la deconcentrò
molto; durante la ricreazione cercò di indagare discretamente…
-Allora, di cosa parlavate te e Manuel?-
-Ma, niente di speciale: del più e del
meno… sai, ho scoperto che grazie a un suo amico potrei avere il
disco di quel cantante che mi piace così tanto…- e cose di questo
genere.
Sul momento la risposta sembrò bastarle, ma quando si infilò sotto le coperte, quella sera, non fece che
tormentarsi con mille domande; come mai Elisabetta trovava improvvisamente così
interessante Manuel? Fu un dubbio che si portò dentro fino al weekend.
Sabato si ritrovarono praticamente
tutti gli alunni della scuola nell’aula di Artistica, già piccola
di suo. Gli ultimi arrivati affollarono la parte di corridoio circostante.
-Oggi andremo a provare seriamente, con
musiche e tutto, fuori!- annunciò Silente.
Nel campo di Quidditch i ragazzi vennero
suddivisi in gruppi: gli attori, gli addetti alle scenografie, gli addetti alle
musiche, gli addetti agli effetti speciali (Max e Ryan).
Così, mentre gli attori recitavano, un gruppo
dipingeva e uno provava le musiche.
Ovviamente c’era sempre chi, interessato
all’erba altrui, andava a farsi un giro per gruppi. Elijah
rovesciò innumerevoli barattoli di colore e causò sbavature a
molti ragazzi; Manuel volle andare a completare l’opera e ne nacque una
battaglia all’ultima tonalità.
Francesca ne approfittò per
prendersi una piccola vendetta nei confronti della sorella, pitturandole i
capelli (zona delicatissima) di verde. Furente, Elisabetta decise di pulirsi
poco gentilmente sulla sorella. Alla fine arrivarono Ramona e Manuel che
rovesciarono una secchiata di colore in testa ad entrambe.
Francesca la prese in ridere, ritenendola
un’attenzione da parte del suo lui, ma la sorella decisamente
no: prese un barattolo di colore giallo e si mise ad inseguire Manuel; correndo
all’impazzata, le capitò di versarne un po’ qua e là.
Quando finalmente lo raggiunse (perché Enrique
lo stava gentilmente trattenendo), capovolse il secchio sulla testa del
ragazzo, che si ritrovò la faccia gialla. Per vendicarsi, lui decise di
lasciare l’impronta del suo viso sulla maglietta di lei;
la caricò e la mandò direttamente a gambe all’aria. Lei,
ridendo come una pazza, gli fece una pernacchia.
Anche Ramona, che osservava la
scena da lontano, si divertì molto; Francesca per niente.
Per sua fortuna intervenne la Parmigiani,
che diede a tutti una sgridata di quelle che gli alunni non li scalfiscono
proprio e riportò un po’ d’ordine.
I quattro Grifondoro tornarono al reparto recitazione, e
anche lì furono rimproverati dalla McGranitt, per poi riprendere il loro
posto, che però non fu conservato a lungo:
Elisabetta, senza dar troppo nell’occhio, andò a trovare Sara
durante una pausa. Francesca ne approfittò per
scambiare due parole con Manuel.
-Mia sorella ti da’
fastidio?- chiese a muso duro.
-Chi? No, cioè sì, ma
la tengo a bada, non ti preoccupare…- rispose candidamente il ragazzo.
-Questa sera andiamo su in aula di Astronomia,
come l’ultima volta?-
-Sì, d’accordo. –
-Bene. – Francesca sembrò essere appagata.
Magari era lei che si stava creando delle paranoie e nient’altro…
Ma quasi al termine delle prove
ebbe la conferma che si sbagliava, e anche di grosso…
I ragazzi interpreti di Esmeralda e
Febo quel giorno erano assenti, perché stavano poco bene, così,
per la scena finale, furono rimpiazzati da un’esuberante Elisabetta
desiderosa di risollevarsi dalla “particina cui
era stata confinata”, e da Manuel.
Durante quella scena, Quasimodo
doveva abbracciare una bambina, mentre Esmeralda e Febo avrebbero dovuto
baciarsi. Francesca avrebbe potuto benissimo sopportare che la sorella
facesse finta di baciare il suo ragazzo, anche che gli desse un bacio sulla
guancia ma… mai e poi mai un bacio a fior di labbra!
Manuel non si era neanche reso ben conto
di cosa gli stesse capitando… dava per scontato un bacio sulla
guancia, non altro…
Francesca non volle credere ai propri occhi: sua sorella che
sfacciatamente baciava il suo, il suo ragazzo davanti a tutti! Si avviò
con passo marziale verso di lei.
-Sei una str***a!- disse
spintonandola con tutte le forze che aveva. Elisabetta, per la seconda volta in
un giorno, si ritrovò a gambe all’aria, ma
questa volta non si divertì neanche un po’.
Sua sorella intanto se ne era
già andata, proprio mentre la McGranitt annunciava la fine delle prove.
Elisabetta si rialzò con l’ausilio di un
braccio; -Che ho fatto?- chiese stupita.
Dieci minuti dopo stava percorrendo il corridoio che
conduceva al suo Dormitorio parlando concitatamente con Ramona.
-Che avrei fatto io?- chiese sbigottita.
-Hai quasi baciato Manuel!- rispose
indignata Ramona.
-Io? Baciato Manuel? Ma te hai
bevuto!-
-Sei tu che hai bevuto! Ti ho vista con i miei occhi, e con
me tutti i presenti, professori compresi!-
-Impossibile! Ammesso che io volessi davvero baciare il
tipo, cosa che non è assolutamente vera, non lo avrei di certo fatto di
fronte a tutti!-
Giunte in Dormitorio, Elisabetta bussò sonoramente
alla porta del reparto delle femmine.
-Sei una vigliacca, vattene!- le
rispose la voce attutita della sorella.
-E dai con ‘sta storia! Non
ti ci mettere anche te, dai! Lo scherzo non attacca!-
-Ah, se per te quello era uno scherzo! Pure menefreghista
sei!-
-Ma che t’ ho fatto?-
-Senti…- la porta si spalancò di botto -…
con che faccia mi chiedi cosa mi hai fatto? Mi hai rubato il ragazzo, ecco che
ca**o hai fatto!- sbraitò Francesca, in
lacrime.
-Ma non ho fatto niente io! Ve lo
volete mettere in quella ca**o di testa? Niente di niente, nada!
A me Manuel non piace neanche da lontano, d’accordo?- ora anche
Elisabetta urlava.
-E allora perché l’ hai baciato?! Se ti piaceva potevi benissimo dirmelo, ne avremmo parlato!-
-Ma di che diavolo avremmo dovuto
parlare? A me lui non piace!-
-Tu te lo sogni di dormire accanto a me
‘sta notte! Piglia le tue cose e sparisci di qui!- le ordinò secca Francesca.
-Ah!- la sorella si portò le mani ai fianchi
–Pure lo sfratto vorresti darmi?! Te lo scordi,
cara! Questo Dormitorio è dei Grifondoro, tutti
i Grifondoro!-
-Tu dovresti stare in mezzo ai Serpeverde, altroché!-
-Ma vaff*****o! Ci vai poi tu con
loro!-
Ora le due erano passate alle mani. E
ci andavano giù pesanti.
Francesca piantò una manata in faccia alla sorella,
la quale la spintonò e la fece ruzzolare all’indietro. Si
rialzò immediatamente e assestò un calcio fortissimo a Elisabetta, che imprecò. Stufa marcia,
quest’ultima sbatté violentemente la porta del Dormitorio
in faccia alla sorella, facendole sanguinare copiosamente il naso.
-Vaff*****o a tutte e due!- le maledisse
Elisabetta, alzando i tacchi.
Ramona aprì la porta; Francesca aveva il viso
completamente pieno di sangue, come buona parte della sua maglietta. Ancora
furente, cercò un fazzoletto per tamponarsi il naso.
Le ingiurie che mandò alla sorella le lasciamo alla sola memoria di Ramona.
Elisabetta tremava ancora di rabbia. Appena
ebbe svoltato un paio di corridoi, si fermò per controllare il suo
ginocchio; apparentemente sembrava a posto. Se lo
toccò. Faceva un male lancinante. Di lì a poco si sarebbe formato un enorme ematoma violaceo, pensò.
Rimettendo a posto i jeans, si
diresse svelta al Dormitorio dei Tassorosso. La porta, non riconoscendola,
iniziò a insultarla e sputarle addosso.
-Taci, str***a! Non ho tempo di litigare con te. Ancora una
parola e giuro che ti brucio! I Tassorosso useranno la tua
cenere per prepararsi una bella pozione puzzolente!- sibilò. La
porta tacque all’istante e la ragazza poté bussare.
Ad aprirle venne un ragazzetto basso e robusto.
-Chi sei? Cosa
vuoi?-
-Una Grifondoro. Mi chiami Sara e Giada?-
-Aspetta un attimo…-
In capo a cinque minuti stava nel Dormitorio femminile dei
Tassorosso.
-Cos’è successo?- chiese curiosa Sara.
-Quella str***a di mia sorella mi
ha accusata di averle rubato il ragazzo! E vorrebbe
insinuare che gli ho baciato il suo adorato appiccicato Manuel! Ma roba da pazzi!- si sfogò la Grifondoro. Le
ragazze Tassorosso annuirono comprensive.
-Beh, tu gliene hai dato motivo?- chiese caparbia Giada.
-Assolutamente no! Che vuoi che me
ne importi di quello là? Non è certo un tipo da litigarsi…-
-Io non posso sapere niente, stavo provando le musiche,
però ti credo. – affermò Sara. La sua amica parve
rincuorarsi.
-Cos’hai
intenzione di fare questa sera?- le chiese una ragazza bassa e magrolina
con le lentiggini e gli occhiali.
-Di certo la soddisfazione di tornare là non gliela do . Non so… potreste
ospitarmi voi?- chiese dubbiosa Elisabetta.
-Certo! Se ti fa piacere, puoi
dormire nel letto con me, è abbastanza grande!- si offrì Sara.
-Ragazze, non so come sdebitarmi! Grazie!-
Intanto la ragazza macchinava sul come avrebbe fatto a
recuperare lo zaino e i libri… ci sarebbe andata durante la cena, quando
il Dormitorio era vuoto.
Quella sera Francesca si coricò presto, ma prima di
addormentarsi trascorse molto tempo. Non riusciva a levarsi dalla testa quell’immagine… sua
sorella… non riusciva a darsi pace. Dove
aveva sbagliato? Non aveva mai trascurato nessuno dei due, e
fino a qualche ora prima sembrava tutto a posto, o quasi. Da quanto
durava la storia? Per quanto tempo quei due l’avevano presa in giro? Con
molte domande e zero risposte la ragazza vegliò per buona parte della
nottata. L’indomani avrebbe fatto qualcosa, ne era
certa.
RECENSITE!!!
Lucifer_the_Darkslayer: ho letto la tua descrizione…ma
quella storia del bisessuale è vera? Cavolaccio, però! Sei alto
1,88! Sei un mezzo gigante! Bello vero quando Piton si ubriaca? :-D
Dopo una notte di travaglio, i Grifondoro si trovarono tutti
riuniti nell’aula di Lettere.
Francesca già aspettava impaziente la McGranitt, una mano
sulla cattedra e il piede a cercare di tenere il ritmo dei suoi pensieri.
Quando quella arrivò, tutta
trafelata, la ragazza le fece una richiesta a bruciapelo.
-Prof., posso cambiare posto?
Vorrei andare davanti, per vedere meglio la lavagna. –
La
McGranitt parve stupita dalla richiesta.
-D’accordo… vuoi che
faccia spostare anche tua sorella?- le chiese, ricordando il profondo legame
tra le due.
-No, va benissimo così. Lei ci vede
bene… - rispose sprezzante la ragazza.
La
McGranitt si chiese se anche lei, da adolescente, era così misteriosamente incomprensibile…
Velocemente Francesca sollevò il suo banco e lo
spostò in avanti, a un pelo dalla porta, sulla
destra dell’aula, sotto lo sguardo assente della sorella. Appena ebbe finito, la prof. iniziò la lezione.
Elisabetta si ritrovò a fissare il posto lasciato
vuoto dal banco della sorella. Al cambio dell’ora avrebbe invitato Ilir
ad avvicinarsi, tanto per avere un po’ di compagnia… Ogni tanto dava un’occhiata alle mosse di Francesca, la quale si
scambiava cenni d’intesa con Ramona.
Se voleva avere Ramona tutta per
sé ed escluderla poteva dirlo ed evitare tutta quella farsa,
pensò.
Francesca era nervosa… dibatteva insistentemente le
ginocchia e tormentava le gommine delle matite
babbane. Non sopportava l’idea di dover condividere il suo tempo, almeno
quello in classe, con quell’infame di sua sorella. Non poteva proprio
vederla! E sarebbe stato meglio se anche Manuel non
fosse stato in classe con lei…
A dire la verità, poche
persone avevano assistito alla scena del bacio, ognuna presa dai suoi problemi.
E poi, quelli che avevano assistito non se ne erano
fatti neanche troppo caso: Manuel era sempre o quasi in giro con Elisabetta e
sua sorella, e non era nemmeno fidanzato (per quel che sapevano loro),
perciò avrebbe benissimo potuto essere uno scherzo o qualcosa del
genere, visto che quel giorno Elisabetta era molto vivace.
Così il problema era circoscritto al quartetto
Grifondoro protagonista, ma si rifletteva su tutta la classe e su quanti
avevano stretti rapporti con loro.
Il clima infatti era pressurizzato,
pronto ad esplodere ad una minima scintilla, era quasi palpabile…
nessuno, tranne i diretti interessati, riusciva a carpirne le cause.
Anche la professoressa percepì che qualcosa non quadrava… erano tutti così circospetti,
silenziosi, e il Quadrangolo, come lo aveva soprannominato lei, non faceva le
sue solite battutine e commentini; le due ore
risultarono così piuttosto noiose e monotone.
Durante l’ora successiva, Cura delle Creature Magiche,
la professoressa divise la classe in gruppi di quattro persone per il compito
in classe: si trattava di accudire tre diversi tipi di creature magiche, a
rotazione.
Francesca era molto nervosa, se possibile ancora più nervosa rispetto l’ora precedente; come forse è
intuibile gli animali, magici e non, avvertono l’umore di chi li
circonda, così il suo Horklump, una bestiolina simile ad un fungo roseo e carnoso, cercò
di allontanarla in tutti i modi, squittendole contro rabbioso.
-Oh, ma vai a quel paese! Sto cercando di darti da mangiare,
imbecille! Se solo sapessi che cavolo mangi…-
imprecò la ragazza, che da un quarto d’ora cercava di capire di
cosa si nutrisse l’esserino; purtroppo sia lei
che il resto del gruppo non ne aveva la più pallida idea.
Intanto, la sorella era alle prese con un Puffskein, un animaletto sferico dal pelo color crema e molto dolce. A dire il vero si stava divertendo
molto: lei e i suoi amici se lo passavano scagliandolo come dei Cacciatori
durante una partita di Quidditch; il Puffskein,
visibilmente contento di ciò, emetteva un ronzio continuo da almeno un
paio di minuti.
-Molto bene ragazzi! I Puffskein
devono essere la vostra specialità! Dieci punti a Grifondoro. Vediamo
come saprete cavarvela con gli altri… Cambio!-
li elogiò la Venturelli.
-Ah, un dodo! Che
bello, come nei cartoni animati! Troppo forte!- Elisabetta stava fissando un Diricawl, impropriamente soprannominato “dodo” nel mondo babbano. Era un uccello grassoccio,
col collo lungo e privo di piume, fitte e vaporose invece sul corpo tozzo.
Quell’esemplare le aveva azzurre, segno che era
adulto.
Ilir provò ad avvicinarsi, ma quello scomparve dopo
un “pop” e uno sbuffo di piume azzurrine,
per ricomparire sulla spalla della prof. Venturelli.
-Ah, li odio quando fanno
così!- mugugnò il ragazzo.
Così si aprì la caccia al dodo.
Rincorsero l’uccello, se tale poteva definirsi, per
tutta l’aula, con scarsi risultati; a forza di scomparire con sbuffi di
piume, il pavimento era diventato blu.
Alla fine, Elisabetta, a rigor di logica, andò al
tavolo dove lavorava sua sorella e senza guardare in faccia
nessuno prese una manciata di Vermiformi da una scodella bianca; ne
lanciò una manciata per terra e, come da lei auspicato, il dodo si precipitò.
-Ah! Bingo!- esclamò
eccitato Ilir.
-Molto bene ragazzi! Oltre Ogni Aspettativa
a tutto il gruppo, è il massimo dei voti per questa prova. E cinque punti al Grifondoro!- si congratulò la Venturelli.
Intanto, nel tavolo affianco, Francesca si rodeva il fegato:
l’avrebbe pagata, prima o poi le avrebbe
restituito il favore! Ma come faceva ad essere
così lucida, lei?
-Su, su ragazze! Ma cosa mi state
combinando? Se continuate così sarò
costretta a darvi solamente Accettabile! So che potete fare di più!-
Elisabetta controllò di sfuggita la sorella.
Beh, e cos’era quello? Compassione, sfida, disprezzo?
Proprio da lei? Francesca stava cercando di interpretare quello sguardo.
Quel pomeriggio sarebbe andata in giro con Ramona per tutto il castello, giusto per essere sicura di farsi
vedere da lei…
In effetti, appena dopo il termine delle lezioni,
trascinò la sua compagna in ogni angolo della scuola (esclusi i
sotterranei); finsero di divertirsi molto, ma in effetti
Francesca non finiva di chiedere a Ramona se la commedia fosse convincente.
Ottenne l’effetto di farsi vedere, e anche quello di far riflettere Elisabetta.
Che str***a! Le sono stata dietro
il cu*o
per quattordici, ormai quindici anni, e adesso mi scarica di punto in bianco
per quella lì? Ma quanto cavolo la detesto!
Era questo (più o meno:
qualche pensiero o non è stato riportato per ovvi motivi, oppure non era
neanche stato formulato a dovere, restando un turbinio di insulti confusi)
ciò che la
Grifondoro pensava mentre si recava a svolgere i compiti nel
Dormitorio dei Tassorosso.
Quando entrò,
raccontò ciò che aveva visto omettendo le sue reali
considerazioni: non voleva che trasparisse il suo risentimento verso la
sorella.
Svolse i suoi compiti fino alla fine, accuratamente e
dedicandogli il giusto tempo; non che non l’avesse mai fatto, ma prima
era più affrettata, trascurava un po’ l’ordine e cose di
questo genere. Anche le sue amiche Tassorosso avevano
molti compiti, perciò finirono quasi contemporaneamente. Si trovava bene
tra loro, era una Casa, quella, disposta ad accettarti per come
eri; senza fronzoli e falsi complimenti, i Tassorosso erano gente
semplice e solare, dedita al lavoro ma con un occhio di riguardo anche per il
divertimento.
Poco prima di scendere per la cena, Sara chiese notizie ad
Elisabetta di Sirius e James…
-Oh porca miseria! Me ne sono completamente dimenticata! Mi uccideranno… vado a prendere il diario e torno di
volata!- rispose lei, la voce tremante.
Contando sul fatto che sua sorella se ne fosse già
andata, andò nel suo Dormitorio. Purtroppo per
lei, Francesca era ancora lì.
Cercando di non perdersi d’animo, entrò senza
salutare e si buttò a capofitto nel cassetto grande del suo armadio.
-Stasera se ti pare puoi tornare…- le disse Ramona.
-Allora ci vedremo dopo. – rispose asciutta
Elisabetta, senza guardare la sua interlocutrice.
Trovato il diario, se ne andò.
-Prego, non c’è di ché!
Ma chi si crede di essere?- pensò a voce alta
Francesca.
In realtà sapeva benissimo che non le aveva fatto
nessun favore, per cui lei non avrebbe dovuto
ringraziare, però le risultava più comodo continuare ad
insultarla, più o meno come aveva fatto con Manuel la serata
scorsa…
-Guarda, ti giuro che se esco ti mollo uno di quei ceffoni
che…-
-Ma non è stata colpa mia! Che t’ ho fatto? È lei che mi è saltata
addosso come un polipo!- aveva cercato di difendersi
il ragazzo.
-Però non l’ hai respinta,
non è vero? Ti sei messo con me solo per arrivare a lei!-
-Ma che caspita ti salta in mente? E poi non m’ ha manco toccato! Dai, lo hai visto: non
mi ha baciato! Che differenza c’è tra quello e il gioco della
bottiglia?-
-Zitto! Vattene, vai via!- gli
aveva strillato la ragazza.
-E che ca**o, anche te! Sei impossibile! Sempre a lamentarti stai, eh! Mi hai rotto,
rotto! Al diavolo il fidanzamento, magari tua sorella mi filasse!-
Prima di andarsene, aveva mollato un
calcio ben piazzato alla porta del Dormitorio femminile, la quale aveva
cigolato paurosamente.
Francesca, ripensandoci, singhiozzava nuovamente, prendendo
a pugni il cuscino bianco.
Magari tua sorella mi filasse!
Quelle parole riecheggiavano sinistre nella sua mente.
Magari…
Questo significava che gli sarebbe piaciuto…
…tua sorella…
Già, quella str***a. Ma cosa diavolo aveva lei in
più? Andava stramaledettamente bene a scuola, ma niente di più.
Che cosa si poteva volere da una secchiona tutta
libri? Le augurava di ammuffire su quei libri. Giusto, i libri: doveva ancora fare tutti i compiti. Le litigate varie avevano occupato, in
quegli ultimi giorni, gran parte del suo tempo libero; ora doveva rimettersi a
studiare, e avrebbe dovuto studiare anche quella sera.
Dannazione ai professori!
Ma ora doveva scendere per la cena,
avrebbe pensato dopo a tutti i suoi problemi; in un modo o nell’altro,
sarebbe riuscita a sopravvivere ad un’altra giornata.
Una volta si sarebbero potuti vedere quattro Grifondoro
spensierati scendere i gradini della grande scala a due a due; li si sarebbe potuti vedere chiacchierare, spintonarsi,
confabulare fra loro, organizzare scherzi… ora si poteva soltanto vedere
un paio di ragazzine che svogliatamente scendeva i gradini, freddi e insidiosi.
Quando giunsero, Francesca vide il posto accanto al suo,
quello di Elisabetta, vuoto.
Guardando più in là, la scorse di fianco a
Sara e Giada.
Gran bel trio, veramente. Cosa ci trovava
in quelle due, poi…
…cosa ci troverà in quella là, poi?!
-A me era sembrata simpatica…-
-Sirius!-
-Okay, ritiro. Beh, le hai fregato
il ragazzo, però!-
-Sirius, accidenti, vuoi tacere? Stai facendo un
macello totale!-
Ma io non ho fregato niente a nessuno! È
lei che va sbandierandolo ai quattro venti!
-Qual è la tua versione dei fatti?-
Ecco… stavo recitando… ci eravamo
pitturati di tutti i colori… io non mi ricordo con precisione! Ma giuro su quello che vi pare che non l’ ho nemmeno
sfiorato!
Sirius e James tacquero un attimo,
riflettendo. Elisabetta aveva esposto loro la sua versione dei fatti, assieme
alle scuse per averli ignorati per molto tempo. Un maledetto difetto aveva il
loro diario: se non vi si scriveva per più di 24 ore, loro non potevano
più “parlare”, correndo il rischio di venire
presto dimenticati.
Però potevano capire la
ragazza, stava attraversando un periodaccio…
-Prova a chiederle scusa!-
Non mi ascolterebbe nemmeno! Anzi,
mi urlerebbe di andarsene, che sono un’infame! Meglio lasciar
perdere…
-Già, hai ragione: la stessa cosa è successa
a me quando ho cercato di parlare con il Mocciosus durante il terzo anno di Harry… ne
riparleremo. -
*
Era quasi la metà di aprile.
Le giornate erano decisamente
più lunghe rispetto al buio inverno, e anche più miti.
Si iniziava ad andare nel cortile
anche durante le lezioni; il clima più mite migliorava il carattere
degli alunni… tutti, tranne alcune radicali eccezioni: il clima nella
classe Grifondoro era gelido.
Anche durante le prove dello
spettacolo, non si respirava più il clima di prima: mancava brio,
mancava iniziativa personale. Ognuno si atteneva alle regole imposte, evitando
di metterle in discussione. Si stava iniziando ad annoiare perfino Piton,
stanco del clima smorto e delle poche punizioni che aveva
occasione di infliggere.
La scena, ogni pomeriggio, era sempre la stessa: Elisabetta
rinchiusa nel Dormitorio dei Tassorosso a studiare o a divertirsi con giochi
molto tranquilli, come tutti i derivati dalle carte da gioco piacentine,
scacchi magici, eccetera; Francesca e Ramona in giro per il castello a
bighellonare, occasionalmente in compagnia di Emma.
I maschi avevano iniziato ad evitare i gruppi di femmine
puri, consci della brutta aria che tirava. Per il momento, le relazioni
restavano congelate.
Elisabetta aveva raccontato brevemente tutto
l’accaduto ad Harry, invitandolo a non trarre
conclusioni affrettate. Il ragazzo sembrava crederle, anche se restava un po’ diffidente.
Manuel aveva stretto amicizia con Kanata; tutti
e due infatti vedevano di cattivo occhio le ragazze del loro ex gruppo,
due in particolare.
Il clima era di stallo; la situazione sopra descritta di
protraeva da una decina di giorni almeno, e sembrava intenzionata a durare
ancora molto.
Gli allenamenti di Quidditch poi erano
diventati vere e proprie costrizioni: i ragazzi perdevano la testa
facilmente, incolpandosi l’un l’altro se il livello della squadra
si era notevolmente abbassato. Harry arrivò al punto di minacciarli di
sospendere gli incontri pomeridiani.
Niente da fare, i ragazzi restavano fermi sulle loro
precedenti posizioni: Manuel ed Elisabetta evitavano accuratamente di
incrociarsi in volo, a costo di lasciare Francesca indifesa dai Bolidi; anzi, a
dir la verità, non è che facessero
proprio tutto l’indispensabile per respingerli. Francesca poi sembrava
più interessata a fare “salotto” con Ramona. Risultato? Gli
unici a tener sveglio il gioco erano i Cacciatori, che
irrimediabilmente segnavano a Ramona.
-No, no, no! Così non va! Ma
che vi prende, si può sapere? Non ne azzeccate
una!- li richiamò Harry.
-Oh, noi giochiamo e segniamo, eh!- cercò
di tirarsi fuori causa Enrique.
-Certo che segnate: Ramona, dove hai la testa? E tu,
Francesca, sono tre quarti d’ora che fai finta
di cercare quel maledetto Boccino!-
-Sarebbe più facile se non dovessi difendermi dai
Bolidi. No, perché ci tengo alla pelle…-
soffiò la ragazza.
-Questo è vero. Manuel, Elisabetta, avete paura di
battere un Bolide? Diamine, è la cosa che vi riesce meglio!-
I due fecero scena muta, evitando clamorosamente di
guardarsi in faccia.
Quando tutti se ne furono tornati
per aria, Elisabetta si trattenne con Harry.
-Cavolo Harry, lo sai perfettamente cosa sta succedendo!-
-Sì, ma non posso, anzi, non possiamo
lasciare che ciò interferisca con il gioco! Tra due settimane
c’è la partita. Lo sai cosa c’è in ballo. – rispose duro il ragazzo.
-Ed è più importante quanto rendiamo, adesso
tra l’altro, rispetto ai problemi di cui ti ho
parlato?-
-Mi dispiace, ma le cose stanno così. Cosa vuoi che faccia? Che vi dica:
okay ragazzi, state andando forte? Fate semplicemente pena! Questa non è
la squadra dello scorso quadrimestre…-
-…- Elisabetta non sapeva che altro replicare.
Tornò in campo mogia, con l’intenzione di
fare meglio, ma ormai l’intero allenamento era compromesso.
Fradici e stufi marci, se ne tornarono ciascuno al proprio
Dormitorio per una doccia, si sperava, ristoratrice.
A quella situazione si propose di mettere la parola fine la
professoressa McGranitt.
Era già da qualche giorno che le ronzava per la testa il voler parlare con le due sorelle Grifondoro. Aveva
chiesto un parere anche a Silente, ma lui era troppo distratto e assorbito da
altre questioni per notare il loro cambiamento d’umore; tra
l’altro, durante le sue lezioni di Informatica,
le due avevano la tendenza ad essere irascibili e a smontare i computer
praticamente sempre.
Così la donna si trovò a dover fare di testa
sua.
Appena ebbe un’ora precedente
la ricreazione, approfittò di quel quarto d’ora per parlare prima
con Francesca. Dal colloquio poté capire che la ragazza portava un certo
rancore verso la sorella per qualche misterioso fatto…
Quando poi parlò con
Elisabetta, ebbe il quadro completo della situazione: problemi sentimentali. La
ragazza ovviamente respingeva ogni accusa, e sembrava anche piuttosto
convincente.
Possibile però che quelle due ragazze così a
posto se la prendessero per così poco?
Aveva proprio l’aria di essere una di quelle frignate da adolescente in crisi marcia…
Dopo quello, non fece nessun altro
tentativo, se non quello di dare ad entrambe, un giorno di fine mese,
l’indirizzo di una psicologa per adolescenti. Le reazioni furono
così diverse! Elisabetta le rise praticamente
in faccia, accartocciando il biglietto e mettendoselo poco elegantemente nella
tasca dei jeans; Francesca invece, se avesse potuto, l’avrebbe incenerita
col solo sguardo.
Alla fine però fu proprio quest’ultima a
dedicargli un pensierino, quando la notizia del rinvio della partita la
raggiunse e la portò a riflettere. Harry infatti,
molto deluso dalle prestazioni della squadra, aveva chiesto il rinvio
dell’incontro; quando lo aveva annunciato, aveva guardato i ragazzi con
gli occhi lampeggianti. Loro si erano limitati a chinare il capo, come a dire
“mea culpa”.
Allora, sentendosi in parte colpevole, ma anche orgogliosa,
iniziò a pensare cosa potesse fare… Era stata
colpa di sua sorella, non di certo propria, però… non è che
anche lei l’avesse trattata proprio bene, no? Voleva capire il
perché di quel gesto, ma non si sentiva ancora pronta ad una faccia a faccia con Elisabetta. Sì, avevano
ricominciato a parlarsi, ma alla fine non si dicevano proprio un bel niente.
Andare dallo psicologo o non andarci? Questo è il
problema… Chissà se lei ci ha mai pensato? In fondo, è lei
che ha dei problemi, non di certo io!si
interrogava.
Alla fine, dopo tanto tormentarsi,
arrivò ad un compromesso: avrebbe parlato con la Chiodo. L’aveva
già aiutata tante volte, e poi in quell’occasione sarebbe stata un esterno, non influenzata da ciò che
vedeva in classe o da voci di corridoi… l’equivalente di uno
psicologo!
_Lucifer_the_Darkslayer: non ho assolutamente nessun
problema per quanto riguarda la tua sessualità, e non mi permetterei mai di prenderti in giro o chissà cos’altro!
E poi non hai detto che non ti piacciono le ragazze! Infine
non sono problemi miei! Scusami tanto…non volevo
offenderti! Senti…mi piace “chiacchierare” con te, se si
può definire così…magari ti mando qualche recensione
andando sulle tue storie così non sono costretta ogni volta a pubblicare
un chap per risponderti o farti domande…cosa ne
dici? Senti…mi scuso ancora se ti ho offeso…davvero, non volevo…L
Subito dopo l’ultima ora di lezione, Francesca si mise
all’opera.
Titubante, si diresse verso l’ufficio della Chiodo.
Quando fu ad un passo dal bussare le venne l’irrefrenabile desiderio di
voltarsi e scappare, ma non lo fece; anzi, costrinse prima il suo polso, poi la
sua mano, ad aggredire la porta.
-Chi è?- chiese una voce attutita dall’interno.
-Sono Francesca…- rispose rauca la ragazza.
-Vieni, vieni!- si sentì dire. Udì anche il
rumore di una sedia che si spostava.
Fece un respiro profondo ed entrò.
La stanza, per sua fortuna, predisponeva quanti accoglieva
al buon umore: era spaziosa, più di quanto la ragazza ricordasse
(effetto del non dover correggere ingombranti pacchi di compiti in
classe…), e luminosa; una piccola radiolina gracchiava, appoggiata su un
tavolinetto, dal fondo della stanza.
-Ciao Fre, è un po’ che non vedo tu e tua
sorella! Come va?- chiese cordialmente la donna. Francesca notò che
aveva i capelli corvini un po’ più lunghi e, se si metteva di
profilo, aveva un po’ di pancetta, nonostante i vestiti larghi.
-In realtà è proprio di lei che volevo
parlarle…- ammise.
-Ah. Siediti, accomodati!- la invitò facendole cenno
di sedersi sul divano accanto a lei –Allora, qual è il problema?
Ha preso solo Oltre Ogni Aspettativa in Matematica?- chiese allegramente.
Francesca abbozzò un sorriso tirato.
-A proposito, come va con la nuova insegnante? È
carina?- aggiunse la Chiodo.
-Una strega. Nel vero senso della parola…- rispose
l’alunna, contenta di non arrivare subito al nocciolo.
-Oh! E perché? Vi dà molti compiti?-
-Mostruosamente tanti! E poi non si prende neanche la briga
di correggerli, no: lascia fare tutto a Max o a Ryan! Lei non fa niente di
niente in classe, si legge i suoi giornaletti, si fa la manicure, mentre noi
sgobbiamo! Dovrebbe vederla durante le verifiche! Per non parlare dei voti!
Nell’ultima metà classe a preso “D”!- raccontò
con enfasi Francesca.
-Max? Ryan? Chi sarebbero?-
-I due poveretti che l’aiutano! In pratica, fanno
tutto loro!-
-Oh, ma… ma è terribile! E Silente non fa
nulla?-
-A quanto pare ha le mani legate… un giorno la McGranitt si è
lasciata sfuggire che la tipa è protetta dall’alto…-
-Hai capito? Mi allontano per venti giorni e il programma va
a farsi benedire! Dovrò parlare con Silente…-
Francesca sperò con tutta se stessa che ciò
sortisse i suoi effetti: era stufa di quella là, non voleva neanche
sentirla nominare… De
Mordrey… bleah! Con un cognome così, cosa voleva fare?!
-Ma torniamo a te, cos’è che mi dicevi prima?-
Ahi. Brusco risveglio. Ormai era con le spalle al
muro…
-Io e mia sorella abbiamo litigato. – sputò.
-Oh mamma mia, che peccato! Cos’è successo?-
Francesca riassunse in breve i fatti accaduti a partire da
quando la Chiodo
se ne era “andata” fino ad allora.
-Incredibile! Una ragazza così per bene! Come
può essere? E lei cos’ ha detto? Le hai chiesto spiegazioni,
vero?-
-Sì, cioè no, non io: l’ ha fatto
Ramona. Lei sostiene di non aver fatto e di non ricordarsi niente…-
-Che comportamento vigliacco! Però è strano,
da lei poi… Secondo me dovresti parlarle. –
Francesca impallidì; la Chiodo se ne accorse.
-Quello è l’unico modo, Francesca. –
-Lo so. Ma non sono sicura di essere pronta. Abbiamo passato
una vita assieme, e adesso… è un mese che ci parliamo a fatica!
Sembriamo due sconosciute…-
-Ci tieni a lei? Vuoi…-
-Sì, però dovrebbe essere lei a chiedermi
scusa, non il contrario!- sbottò Francesca.
-A volte siamo noi a dover prendere l’iniziativa,
nonostante spetti agli altri. Non lasciare che il vostro legame così
profondo si sciolga per colpa dell’orgoglio…-
-Sì, forse ha ragione…-
-Se può farti sentire meglio, questa sera stessa
venite tutte e due e ne parliamo assieme, ti va l’idea?-
-Oh, grazie prof., grazie! Glielo vado a dire subito!-
esclamò Francesca scattando in piedi.
Afferrò la maniglia e l’abbassò. Stava
ancora guardando la
Chiodo. Aprì la porta. Si stava voltando. Un grido
alle sue spalle accese un campanello nella sua mente. Istintivamente si
ritrasse. Una sfera di energia rossa, attraversata da lampi bianchi,
passò a pochi centimetri dalla testa della ragazza, per infrangere come
una palla da baseball il vetro dell’ufficio e scaricarsi al suolo,
sollevando ciuffi d’erba e zolle di terra.
La Chiodo
scattò in piedi come una molla. Incurante del pericolo che avrebbe potuto
correre, si precipitò da Francesca, inginocchiata di fronte alla porta,
ancora incredula per ciò che le era appena capitato. La strinse forte
tra le sue braccia, cullandola.
-Shhtt! È tutto finito, è tutto finito…-
sussurrò dolcemente alle orecchie della ragazza, la quale si stava
lentamente riscotendo dal torpore.
-Ma perché tutte a me? Non è giusto…-
balbettò Francesca. Sentì un groppo alla gola salirle e bloccarle
la lingua; gli occhi le si gonfiarono, minacciando tempesta. Ormai era
paralizzata, non era più padrona del proprio corpo, non riusciva a
muoversi.
La professoressa la sollevò dolcemente, portandola
fino al divano, poi la fece sedere. Francesca si accucciò da un lato,
nascondendosi il volto con le mani. La Chiodo intanto chiuse la porta, gettando prima
un’occhiata nei dintorni, per essere sicura che non vi fosse nessuno, poi
tornò dalla sua alunna. La strinse con un braccio, con l’altro le
carezzò la nuca frizzante.
-Perché, perché ce l’ ha con me? Che gli
ho fatto?- singhiozzò Francesca.
-Francesca…- disse grave la Chiodo, costringendo la
ragazza a guardarla dritta negli occhi
–Francesca, tu sai chi è stato?- chiese.
-Non lo so, non ne ho idea, ma santo cielo, io non gli ho
fatto niente!- rispose la ragazza.
In un primo momento la donna non volle insistere.
Lasciò Francesca e preparò del the caldo; aveva un buon profumo
di erbe e un sapore carico. La ragazza bevve un paio di sorsi dalla tazza di
porcellana bianca che le veniva tesa. Il vapore che proveniva da essa si condensò
sul suo viso; il profumo dolce e il calore che si diffondeva nel suo corpo
parve calmarla. Bevve un altro sorso.
La Chiodo
prese una sedia e la trascinò fino a raggiungere la posizione
desiderata, esattamente di fronte a Francesca; bevve silenziosamente il suo
the, poi poggiò la tazza vuota sul tavolo distante un braccio da lei.
Quando anche Francesca ebbe finito, fece altrettanto con la sua tazza.
-Va un po’ meglio?- chiese.
Francesca annuì, sospirando.
-Sei consapevole di ciò che ti è appena
successo?-
Francesca fissò la donna. Certo che ne era
consapevole. Il suo sguardo era eloquente.
-Ora, io penso che tu sappia chi è stato…-
-Sì… quel sorvegliante… mio zio!-
-Esatto…-
-Ma perché ce l’ ha tanto con me? Io non gli ho
fatto niente! Manco sapevo esistesse!-
-Ah, Francesca, mi fai una bella domanda. Io credo che il
perché siano i vostri poteri…-
Ovviamente questo Francesca lo sapeva già, ma non
voleva arrendersi all’idea, dacché insensata.
-Io questi poteri non li ho chiesti. – affermò.
-Lo so, lo so. Sono un dono pericoloso anche per chi ha
molta più esperienza di te. Ma dovrai imparare a conviverci…-
-Io ci convivo benissimo! È lui che ha dei problemi!-
La Chiodo
sospirò –Francesca, cerca di essere obiettiva. Lui vi vuole
uccidere, questo è il punto. So che è difficile da accettare, ma
le cose stanno così. –
Francesca tacque un attimo, alla ricerca di qualcosa da
dire.
-E io che ci posso fare?- chiese.
-A questo punto, non lo so neppure io… forse dovremmo
allontanare tu e tua sorella dalla scuola fino a che le acque non si siano
calmate…-
-No!- Francesca strabuzzò gli occhi.
-Allontanare lui non si può. È protetto
dall’alto. –
-Il padre di Lucifero…-
-Sì. Purtroppo non ci sono prove per accusarlo di
qualsiasi cosa. Se qualcuno si azzarderà a muovergli delle accuse, lui
probabilmente spargerà la voce della presenza di Wizardtime e…
sarà una vera caccia alle streghe. In effetti, mi chiedo perché
non l’abbia già fatto… probabilmente perché voleva
essere sicuro di…-
-…di ucciderci sul serio. Ma Silente non gli aveva
dato quella pozione per scordarsi di noi?–
-Sì, è vero. Adesso allora è ancora
più inattaccabile; presumo allora che la direzione delle operazioni dei
sorveglianti l’abbia presa vostro zio. Proverò a sentire il parere
di Silente e degli altri insegnanti coinvolti, ma molto probabilmente
giungeranno alle mie stesse conclusioni… -
Francesca tacque. Era completamente svuotata, priva di
emozioni… il suo unico pensiero era quello di dover lasciare la scuola.
Cosa avrebbe fatto dopo? Con chi avrebbe vissuto, e soprattutto dove? Ora che
finalmente era riuscita a crearsi il suo complicato e fragile castello di
carte, arrivava una folata di vento a distruggerglielo? Non le era già
stato negato troppo?
Si mise le mani nei capelli, cercando di riflettere e
concentrarsi maggiormente sul problema: lo zio.
Cosa si poteva fare? L’unico modo per chiudergli la
bocca era… appunto quella di chiudergliela, possibilmente una volta per
tutte. Ormai lui sapeva chi era che cercava…
-Ormai ci conosce…-
…e le avrebbe perseguitate per il resto della
vita…
-… ci inseguirà anche in capo al mondo!-
Che avrebbe potuto fare?
-Cosa si può fare?-
La Chiodo
sospirò sconfortata. La verità era che non lo sapeva.
-Non lo so. –
La storia stava per ripetersi…
-La storia sta per ripetersi… prima i miei genitori,
poi io e mia sorella…-
-Giusto, tua sorella! Dobbiamo correre ad avvertirla!-
-Non credo che le capiterà niente di male: è
in giro con un gruppo di Tassorosso, lui non attacca quando c’è
qualcuno nei paraggi… -
-Meglio essere sicuri. Scrivile una lettera, puoi usare il
mio gufo; lo vado a prendere. –
La Chiodo
passò carta, calamaio e penna all’alunna prima di andare nella
stanza affianco, dove in una gabbia di ottone dorato era rinchiuso il suo gufo.
Aprì la minuscola porta della gabbia e infilò dentro un braccio,
invitando il gufo a salirci sopra; l’animale, ubbidiente, fece quanto gli
veniva richiesto. La sua padrona gli accarezzò le piume candide; il gufo
le becchettò affettuosamente l’indice. Francesca intanto aveva scritto.
Resta in gruppo, non andare in giro da sola. Nostro zio
è nei paraggi, e in vena di fare dei casini.
Questa sera vai nell’ufficio della Chiodo, ci
sarò anch’io.
Arrotolò il pezzetto di pergamena e lo fermò
con un laccio elastico per capelli azzurro, poi lo legò alla zampa del
gufo.
-Vai da Elisabetta, su!- gli ordinò la padrona,
aprendo la finestra.
Il gufo aprì le grandi ali bianche e spiccò il
volo, facendo cadere il pezzo di pergamena residuo della lettera che Francesca
aveva incautamente abbandonato sul tavolo.
La Chiodo
si chinò per raccoglierlo. Si vedeva chiaramente che faceva fatica a
compiere un movimento di quel genere; con uno sbuffò si rialzò.
-Che stupida. Con tutti i problemi che ho io, mi sono
dimenticata di chiedere come sta lei!- ammise Francesca.
-Oh, non preoccuparti. Sto bene, tutto sommato. Mi sa che
quando questo bricconcello nascerà, sarà un vitellino!- disse
sfregandosi con una mano la pancia.
Francesca era rimasta nuovamente a corto di idee da esporre.
Frugò in ogni angolino della sua mente alla ricerca di un appiglio, ma
trovò tutto liscio o scivoloso come l’olio, così fu la Chiodo a proporre un nuovo
argomento.
-Come procedono i tuoi studi di Matematica?- chiese.
-A singhiozzo. Non sono mai in pari con gli studi. Quella
là spiega dieci pagine alla volta, poi ti fa fare tre esercizi
striminziti e infine ti schiaffa una verifica; mi dica lei cosa ci posso
capire!- rispose indignata Francesca.
-Dove siete arrivati?- chiese nuovamente la donna,
individuando tra una pila di libri ben ordinati su una mensola quello di
Matematica con cui normalmente teneva lezione. Neanche a dirlo, rispiegò
gli argomenti non capiti dalla ragazza per filo e per segno, cercando di essere
il più esauriente possibile. A metà del ripasso giunsero due
righe di risposta da parte di Elisabetta.
Stasera non posso. Punizione con Piton.
Cercherò di stare attenta. Grazie, ciao.
-Ah, è vero! La punizione…- si ricordò
Francesca.
-Che punizione?-
-Mah, il solito. Mia sorella ha fatto la furba durante
un’ora di Piton e quello l’ ha punita. –
-Sì, ma cos’ ha fatto?-
-Ma niente, Piton stava interrogando Rosa, che non sapeva
niente di niente, e lei aveva la mano alzata da due ore, poi ha alzato la mano
uno di Serpeverde e Piton ha dato la precedenza a lui. L’aveva già
fatto un sacco di volte, così Elisabetta si è scocciata e gli ha
detto il fatto suo. Ed è stata punita. –
-Ah, andiamo bene! Io che un volontario l’avrei pagato
oro! Ma guarda tu come gira il mondo…-
*
Alle sette e mezza Francesca si congedò dalla Chiodo
ringraziandola di tutto e promettendole di stare molto attenta. Sarebbe stata
la professoressa a informare Silente dell’accaduto, così Francesca
si diresse verso la Sala
Grande, guidata dalle capriole del suo stomaco. Si sottopose
all’arduo interrogatorio di Ramona poi, sfinita, si rimpinzò ben
bene di manzo con patate. Al termine della cena era sazia e leggermente
sonnolenta.
Salì insieme all’amica in Dormitorio e si
accucciò su una poltrona rossa, mentre l’altra accendeva il
computer e inseriva il suo CD preferito.
Le capitò di buttare un occhio sul calendario…
26 aprile. Non mancava molto al suo compleanno, al fatidico 10 maggio. La
partita si sarebbe dovuta disputare il 24, dopo una modifica apportata
all’inizio del mese. Alla luce dei nuovi eventi, invece, si sarebbe disputata
il 15 maggio.
Speriamo di migliorare, nel frattempo! pensò
E soprattutto di restare vivi!
*
Intanto, Elisabetta si stava dirigendo verso i sotterranei.
Stava correndo, memore delle parole della sorella. Si fermò solo quando
ebbe di fronte la porta dell’aula di Pozioni.
TOC TOC
-Avanti!- ordinò secco Piton dall’interno.
La ragazza fece forza sulla porta ed entrò;
-‘sera. – salutò asciutta.
-Ho giusto una cosetta per te, per calmare i tuoi bollenti
spiriti: è la pozione Frozen. Lo sai un po’ di inglese,
spero?- chiese con una punta di derisione nella voce.
-Più di quanto lei non pensi…- borbottò
l’alunna; Piton fece finta di non aver sentito.
-Dicevo che questa pozione, letteralmente la pozione gelata,
ghiaccia qualsiasi cosa con cui viene a contatto praticamente all’istante,
se eseguita in modo corretto. Io devo correggere le vostre schifezze,
perciò non interrompermi. Le istruzioni sono sul tavolo di lavoro; puoi
trovare gli ingredienti su quello scaffale in fondo all’aula. Buon
lavoro. –
Sbuffando sonoramente, Elisabetta si avviò al banco
di lavoro (il primo esattamente davanti alla cattedra) che normalmente era di
Rosa.
Pure ‘sto banco sfi*ato mi doveva capitare! pensò.
Sul esso c’era semplicemente un foglietto scritto in
aramaico.
-Ma prof., è roba…- stava lamentandosi, quando
fu interrotta.
-Roba del secondo anno, sì. Se non credi di poterci
riuscire, puoi andartene da qui con un “Troll”. – la
minacciò l’uomo, chino sui rotoli di pergamena.
Ricattatore…
Ben determinata a non dare la soddisfazione al suo insegnante
di darle una “T”, si rimboccò le maniche e iniziò a
radunare un po’ di ingredienti e di strumenti…
Subito si scorò, dovendo tritare degli insetti, poi
però iniziò a migliorare; si divertiva quasi.
In
fondo è quasi uguale a prepararsi un piatto di spaghetti al pomodoro,
no?
Dopo non molto accese un allegro fuocherello sotto un
normale calderone di peltro, poi, accorgendosi che il peltro non era adatto al
tipo di pozione, lo sostituì con uno di cristallo che si fece indicare
da Piton.
E io che mi ero già pregustato la bellezza di
metterle un “T”! Purtroppo è più attenta di quello
che non sembra! pensò
tra sé l’insegnante.
Intanto Elisabetta aveva messo a bollire cinque litri
d’acqua e stava aspettando che raggiungessero i fatidici 100° c.
Durante quei dieci-quindici minuti, chiese il permesso a Piton di andare un
attimo su in Dormitorio per cambiarsi maglietta (e prendere il lettore CD);
quando tornò il prof. la guardò male.
-Che hai lì in mano?- le chiese.
-Uh? Ah, intende il lettore CD!-
-Non voglio niente del genere nel mio laboratorio!-
-Ma io mica l’ ho preso per lei! La musica la voglio
ascoltare io!-
-Fa come vuoi, ma fossi in te starei attento a quel
“T”…-
-Potrei quasi dire che lei si stia preoccupando per me, per
una Grifondoro, ma no: dev’essere solo un’impressione…-
rispose sibillina la ragazza, zittendo il suo professore.
Si sparò un gran Tiziano Ferro mentre faceva bollire
man mano i suoi ingredienti; ogni tanto però la voglia di cantare
superava l’imbarazzo, perciò all’iniziò tenne il
ritmo con i piedi, poi fischiettando e alla fine cantando.
In capo a tre quarti d’ora ebbe finito.
-Finito prof.!- annunciò.
Piton mollò la presa sul compito di Valeria per
squadrare bene l’alunna; era l’immagine dell’innocenza.
-Di già, signorina? E come avremmo fatto?- chiese
sospettoso.
-Merito della musica!- rispose candidamente lei.
-Preferirei controllare prima…- stava dicendo maligno,
quando si presentò alla porta la McGranitt.
-Ti dispiacerebbe venire su un momento? Silente ha chiesto
di te…-
Da dietro la figura nera Elisabetta, in punta di piedi per
farsi vedere, mimò l’azione di mandare un bacio alla
professoressa.
-Tu non muovere un solo muscolo, mi raccomando!- le
ringhiò Piton, per poi scomparire assieme alla McGranitt.
-Sì, sì, certo: contaci! Dunque, ha detto che
correggeva le nostre schifezze, eh? Diamogli un’occhiata, va!- disse
avvicinandosi alla cattedra cosparsa di pergamene.
Erano sparse alla rinfusa, perciò iniziò a
cercare la sua, o almeno quella della sorella o di Ramona… alla peggio
quella di Rosa.
Aveva ancora le auricolari nelle orecchie, perciò non
si accorse di un impercettibile scricchiolio…
-… ma l’amavo e l’amo ancora…
è questa! Ostrica: non l’ ha ancora corretta! Beh, perde il suo
tempo: ho studiato come una pazza e sono sicura, almeno teoricamente, di aver
fatto tutto bene!- si disse.
Un’ ombra impercettibile era scivolata
all’interno della stanza… sembrava molto interessata alla pozione
ancora fumante.
-… ma non regge più la scusa, no… no!
Eh!- la ragazza, che per caso aveva alzato lo sguardo per controllare la porta,
notò la figura e sobbalzò dalla sorpresa –Accidenti! Mi ha
spaventata, professore!- disse, certa che si trattasse di Piton.
-Oh, ma io non sono il tuo caro insegnante di
Pozioni…- rispose dolcemente l’uomo.
-Beh, caro non si direbbe, comunque: chi sei allora?-
ritentò Elisabetta.
-Un tuo amico… intimo, direi…- sussurrò
lui chinandosi sulla pozione.
-Kanata? Enrique?
Manuel? Uno scherzo veramente spassoso, ma sePiton ti becca qui come minimo ci
da’ un Troll a entrambi!- esclamò un po’ irritata
avvicinandosi al suo calderone, come per essere più convincente.
-Qual è stato il tuo ultimo voto in Pozioni? Beh,
spero per te che fosse alto, perché sarà l’ultimo di cui
potrai esserti vantata. Addio!- ringhiò l’uomo scaraventando il
calderone e il suo contenuto addosso a Elisabetta, come se l’avessepreso un improvviso impeto di rabbia.
La ragazza, colta di sorpresa, cercò di farsi scudo
con le braccia mentre il liquido azzurro le schizzava addosso. Cadde
all’indietro; il prezioso calderone di cristallo si infranse non appena
toccò terra. Buona parte delle schegge colpirono la ragazza, e molte di
esse le lacerarono la pelle.
Sentì il liquido denso scivolarle addosso come una
lingua appiccicosa; era appena tiepido.
Ben presto si ritrovò coperta da esso; quando avvenne
il contatto con le labbra non poté evitare che una parte le finisse in
gola; cercò di liberarsene sputacchiandolo. Aveva un gusto… non
aveva affatto gusto.
Si dimenò, cercando di rialzarsi, ma più
cercava di piantare saldamente i piedi per terra, più essi scivolavano.
Dopo attimi che sembrarono interminabili si accorse con disgusto che la
brodaglia aveva formato una pellicola gelatinosa, simile a placenta, che
l’avvolgeva tutta.
Poi, improvviso, giunse il freddo. Istintivamente
cercò di cingersi il corpo con le braccia, nel tentativo di diffondere
in se stessa un po’ di calore. Così facendo perse attimi preziosi.
Tentò di urlare, ma la voce rimbalzava contro la
parete gelatinosa azzurro pallido.
Aveva gli occhi dilatati dal terrore.
La placenta stava scolorendo, per arrivare al trasparente, e
più essa scoloriva, più il freddo aumentava; contemporaneamente,
quello che prima aveva la parvenza di sacchetto gonfio, si stava trasformando
in mortale trappola aderente. E quando aderiva, scoprì la malcapitata,
sentiva prima un bruciore lancinante, poi freddo, che man mano la portava
all’insensibilità; dove poi era già appiccicata alla sua
pelle, bruciava molto di più.
Urlò ancora, ed ancora tentò di dibattersi; ma
gli arti non rispondevano più ai suoi comandi, e così pure gran
parte dei suoi muscoli.
*
Piton, ignaro di tutto, stava tornando con passo cadenzato
al suo laboratorio. Trovava molto seccante essere disturbato mentre correggeva
i compiti, specialmente se si trattava di sciocchezze…
Aprì, meglio dire sbatté, la porta e…
rimase paralizzato dall’agghiacciante scena: Elisabetta giaceva inerte
sul pavimento. Aveva la pelle azzurrina, come se fosse fatta di una sottile
pellicola di brina ghiacciata, e alcuni cristalli di ghiaccio le imperlavano i
capelli e i vestiti. Sembrava una scultura di ghiaccio.
-Dannazione! È la Frozen! Lumus Solem!- disse sguainando la
bacchetta e poggiandola sul petto dell’allieva (è poco risaputo
che nell’incanto Lumus Solem, oltre alla produzione di luce,
avviene anche quella di calore).
Ad un suo cenno nel camino presente nel laboratorio
divamparono le fiamme. Trascinò Elisabetta sin quasi al suo interno.
-Questo mi farà guadagnare tempo…-
mormorò fra sé.
Iniziò freneticamente a cercare negli scaffali
privati la pozione che l’avrebbe aiutato. C’era, era sicuro che ci
fosse; doveva esserci.
Scorse il più rapidamente e sistematicamente
possibile i nomi scritti sulle varie etichette delle boccette colorate. Alla
fine la trovò. Era rosso fuoco, e molto liquida; aveva un tappo di
sughero molto fine, ma del resto era assolutamente anonima. Tranne il fatto che
poteva salvare la vita a una persona.
La ghermì con un rapido gesto della mano ed estrasse
il tappo; annusò il contenuto per essere sicuro che fosse valida.
Perfetta.
Svelto si portò al capezzale della sua allieva.
-Metà all’interno e metà
all’esterno… la prima metà all’esterno…-
mormorò fra sé.
Cosparse metà del liquido circa (la misura
l’aveva fatta a occhio, non potendo permettersi di misurarla correttamente)
sul corpo di Elisabetta, stando attento a metterne di più sul viso.
Attese alcuni minuti, che gli parvero
un’eternità. Non finiva di tormentarsi le lunghe dita a causa
dell’agitazione.
-Maledizione! Dovrebbe aver già iniziato a far
effetto!- ringhiò. Poi, osservando attentamente, notò che il
colore della pelle iniziava a tendere al rosa.
-Grazie Merlino!- sospirò.
Quando il viso fu pallido, ma normale, accostò senza
esitazione e garbo la fialetta alla bocca di Elisabetta e le fece ingollare il
contenuto.
Inconsciamente, lei lo ingoiò. Dopo cinque minuti
buoni si alzò di scatto, tossendo convulsamente; quando finì
l’attacco, si accasciò a terra. Spalancò gli occhi, come se
volesse avere una veduta completa della stanza. Respirò talmente
profondamente che pareva volesse consumare tutto l’ossigeno presente.
-Lo sapevo: sono all’inferno! Però potevano
scegliere qualcosa di meglio dell’aula di Pozioni…-
bofonchiò.
-L’inferno sarà il luogo dove ti spedirò
per esserti rovesciata addosso la pozione, razza di un’incosciente!- le
ringhiò Piton, ma si capiva che lo faceva solo per non far trasparire la
sua preoccupazione e il suo affanno.
-Ecco: uno cerca di farmi la pelle e questo da la colpa a
me! Ma roba da pazzi! E poi guarda tu se invece del principe azzurro doveva
esserci il cavaliere nero… Si vede che laggiù negli inferi proprio
non mi vogliono!- sospirò esasperata Elisabetta rialzandosi.
-Ma che eresie vai dicendo?! Chi ti vorrebbe fare la pelle?-
scattò Piton.
-Non lo so, non l’ ho visto in faccia!- protestò
la ragazza.
-Che aspetto aveva? Tu… devi saperlo!- ringhiò
minaccioso l’insegnante, scotendo l’alunna per le spalle.
-Non lo so, non lo so! Va bene? Non ne ho idea! Per quel che
mi riguarda potrebbe essere stato anche lei, anzi: sarebbe stato abbastanza
verosimile! Una figura in nero…- gli urlò Elisabetta dimenandosi e
liberandosi dalla presa del suo insegnante; si rannicchiò davanti al
fuoco, avvicinando il più possibile le mani, che aveva gelate.
Piton rimase scosso da quell’affermazione, anche se
non lo diede a vedere: davvero lo riteneva capace di un simile gesto? Beh,
aveva contribuito alla morte dei suoi genitori, e per lei probabilmente era il
maggior responsabile… Ma per la miseria, le aveva appena salvato la vita!
-Ci vorrebbe un’isola deserta…- soffiò ad
un tratto Elisabetta.
-Come?- chiese stupito Piton.
-Sì, ha presente quelle belle isole tropicali? Mare
cristallino, spiaggia di fine sabbia bianca? Nessuno che ti rompa le
scatole… un paradiso, insomma. –
-Così il tuo sogno sarebbe quello di vivere in
completa solitudine?-
-Già. Ho litigato con tutti, va bene? E mia sorella
non la posso più soffrire! Insomma, improvvisamente il mondo mi crolla
addosso, e io non ho fatto niente, niente! Sono stanca, stanca di tutto. Mi
sembra di essere dentro una specie di vita irreale, ecco. Magari tra un
po’ mi sveglio e scopro di essermi sognata di partecipare al Grande
Fratello…-
-Il Grande che?-
-Un programma televisivo babbano, in pratica tu ti rinchiudi
in una casa e poi vieni spiato 24 ore su 24 da delle telecamere… mi
segue? No, eh? Proviamo con parole più semplici… se tu ti
rinchiudi lì dentro tutti possono vedere quello che fai e sentire quello
che dici, chiaro?- spiegò più volte vedendo la smorfia di incomprensione
sul volto del suo professore.
-Non ti permetto di parlarmi così! Cinque punti in
meno al Grifondoro!-
-Ah, fosse per lei saremmo continuamente sotto zero…
però forte…- pensò a voce alta la ragazza.
-Cosa?- chiese indagatore e sospettoso il professore.
-Io che spiego qualcosa a lei! È troppo forte!-
gongolò lei.
-Grazie infinite, ma stavo bene lo stesso…-
-Ah, è qui che la volevo: lei è chiuso, ha la
mentalità poco elastica, per dirla nella maniera che a voi professori
piace tanto. Oh, non metto di certo in dubbio che lei qui sia l’esperto
di pozioni, su questo siamo tutti d’accordo, Grifondoro compresi, ma
piuttosto ciò che voglio dire è che lei è poco aperto alle
novità e al mondo circostante…-
Cos’è che aveva appena detto? Non quello,
sperava la ragazza. Che le era preso? Si stava cacciando nei guai da sola,
permettendosi di criticare Piton. Sicuramente le avrebbe tolto…
-…cinquanta punti dal Grifondoro se non riuscirai a
dimostrarmi cosa rende così speciale il mondo babbano!- disse divertito.
Vuole giocare, eh prof.? Bene, giochiamo, ma sappia che a
questo gioco sono bravina…
-Punto uno: noi non ci riteniamo superiori a voi, anzi: se
potessimo avere dei poteri magici sarebbe una gran cosa!-
-Stai usando la prima persona plurale… ti ritieni
forse una babbana?-
-Oh! No, ma lo sono stata. Per tredici anni. Punto secondo:
l’arte in generale. Letteratura, pittura, scultura, musica… scelga
lei! Mangio un rospo se non ha mai sentito parlare della Gioconda o dei Promessi
Sposi!-
-In effetti no…-
-Ecco: lo vede? Sto parlando con una persona che non conosce
nulla del mondo babbano!-
-Oh, e invece lo conosco. Superficiali, prepotenti,
boriosi… arretrati, feccia…-
-Lei sbaglia. – affermò l’alunna scotendo
la testa –Quella che sta parlando è la voce dell’ignoranza!
Le confuto subito quell’arretrati: parla bene lei che per avere luce usa
la magia e non consuma nulla, che per fare qualsiasi cosa usa la magia; forse i
maghi hanno perso il senso della praticità, del saper muovere le mani
non solo per adoperare la bacchetta, del lavoro, ben di più dei babbani
moderni!-
Piton rimase colpito e interdetto. Poi tentò una
nuova carta: -E che mi dici a proposito dell’aggettivo prepotenti?-
-Ah, qui poi! Si è tirato la zappa sui piedi, prof.!
Sia per prepotenti, che per superficiali e boriosi: con che coraggio parla lei
che per primo sta bene nella sua beata ignoranza sugli usi e costumi dei
babbani? Ignoranza più che voluta, aggiungerei… Superficiali? Lo
siamo un po’ tutti. Prepotenti? Quanti punti mi ha appena tolto?-
-E quanti te ne toglierò!- fu tutto ciò che il
maestro seppe rispondere.
-Libero di farlo, anche se a me è sembrato di essere
più che esauriente…-
-…-
-Ma si può sapere che ci ha messo in quel bibitone?
Queste cose non mi sarei mai azzardata a dirgliele…- chiese
l’alunna, accorgendosi di aver superato il segno.
-Nella fretta devo aver calcolato male le dosi. Quella
pozione, assunta in piccole dosi, serve anche per contrastare la
timidezza…- riferì Piton assorto.
-Oh!-
-…-
-Posso sapere una cosa?-
-Cosa?-
-Perché lei ce l’ ha tanto con noi Grifondoro? A
me sembra di non averle fatto niente…-
-Lascia perdere, è una storia lunga…-
-E dai! La prego! Sono curiosa!-
-Beh, principalmente perché…-
Severus Piton. Uno sfi**to, in gergo giovanile. Prima
represso in ogni modo possibile da, guarda caso, quattro (tre in verità)
Grifondoro, poi aveva intrapreso la carriera “mafiosa”, per poi
riemergerne miracolosamente e pentirsi.
-Beh, è già qualcosa. – disse
candidamente Elisabetta.
-Qualcosa di marcio…-
-Se lei è veramente pentito, da quello che presumo di
aver capito, mi sa che ha già fatto anche troppo per rimettersi in pari.
–
-Ho ucciso i tuoi genitori, diamine! Mettitelo in
testa…- sbottò Piton.
-No, non lei. È stato quello str***o che questa sera
voleva fare la pelle a me…- Piton la guardò perplesso
-…andiamo, due più due fa quattro anche a casa mia!- aggiunse la
ragazza.
-Quindi mentivi quando ti ho chiesto chi fosse stato…-
-Veramente no. Non l’ ho visto in faccia, anche se una
mezza idea su chi sia ce l’ ho: mio zio!-
-Su questo siamo tutti d’accordo. –
-In effetti, mia sorella mi aveva avvisata che era nei
paraggi…-
-Cosa? E perché non l’ hai riferito subito a
Silente, o alla McGranitt?-
-Senta, il messaggio era ambiguo, inutile scomodare Silente,
ha impegni anche nelle tasche ormai. Se non mi crede, legga. –
ribatté testarda lei mostrando un foglio di pergamena brutalmente
accartocciato. Piton glielo strappò di mano e lo lesse.
-E lei come faceva a saperlo?-
-Non ne ho idea. Forse l’aveva visto da una qualche
parte… sono sempre in giro lei e Ramona!-
-Avresti dovuto riferire lo stesso. –
-Oh, ma ci sente?! Le ho detto che ho litigato con loro due!
Di solito, quando qualcuno litiga, per un po’ non si vuole vedere e tanto
meno parlare. Se ne faccia una ragione… ora, grazie di tutto, veramente
gentile a salvarmi la vita, arrivederci. –
Elisabetta se ne uscì, stanca del tanto contestarla;
desiderava un’unica cosa: il letto.
Piton invece stava ancora riflettendo… alla fine si
decise a chiedere udienza alla Chiodo.
Sempre che non mi incenerisca sol sentendo la mia voce…
Percorse correndo le rampe di scale che lo separavano
dall’ufficio di lei. Bussò e attese risposta.
-Chi è? Francesca, sei tu?-
-Veramente no…-
La Chiodo
aprì la porta. La sua faccia si contrasse in una smorfia nel vedere
l’uomo.
-Ti chiedo una tregua. Si tratta delle Serpini. –
La donna rifletté un attimo.
-Allora, posso entrare?- chiese impaziente lui.
La Chiodo
si fece da parte per consentirgli di entrare; Piton le spiegò in breve
l’accaduto.
-E tu hai permesso che succedesse?- chiese indignata la
donna, alzando la voce.
-Direi che lo stesso hai fatto anche tu…- rispose
pacato l’uomo.
-Tu… uhm! Lascia stare, ti dirò un’altra
volta cosa penso di te… che pensiamo di fare?-
-Anticipare le sue mosse, innanzi tutto. Poi toglierlo dalla
circolazione…-
Lucifer_the_Darkslayer: ti ho lasciato una recensione, anche
se non riguardava la storia.
Sara stava imprecando contro la Tassi
(stabilendo il record dell’insulto più lungo del mondo)
perché, avendo consegnato il compito di Erbologia
dopo Lucifero (solito guardone che copia dal vicino), la prof. l’aveva
rimproverata (e si era anche fatta consolare da Ryan,
che casualmente capitava da quelle parti… anche se nessuno lo
sapeva…), quando arrivò un gufetto color
alluminio, attirando l’attenzione generale del Dormitorio andando a
sbattere contro il vetro della finestra.
-Mamma mia che imbranato!-
squittì Elisa, ragazza altissima e magrissima, mentre andava a dargli
una mano.
Il gufetto recava un messaggio per
Sara.
-Di chi è? Che dice?- si
informò Giada.
-Eh… no, per un provino, per le ragazze pon-pon… acqua in bocca, dovrebbe essere un segreto!-
-Ma che ragazze pon-pon,
scusa?-
-Eh… questo è il segreto! Va beh, sentite: io
devo andare giù in Biblioteca, devo riguardare un paio di scartoffie di Erbologia…-
-Sì, sì, vai tranquilla. A dopo. –
Fiiu! Se
la sono bevuta… sto diventando bravina a
raccontare le balle! Ryan mi aspetta al campetto, che
bello! Sono al settimo cielo…
Svelta fece un paio di
rampe di scale e si precipitò all’uscita, ignara che qualcuno
spiava le sue mosse… era Kanata, che dall’alto del suo Dormitorio, si
era accorto dell’insolito giro nel parco
(insolito perché era sola e non c’erano partite previste).
In fretta e furia la ragazza raggiunse il campo, però
notò che era stato coperto con un telone… strano…
Di corsa superò l’entrata e… PAF!
Scivolò e si ritrovò col naso per terra e… BRRR! che freddo.
-Ah ah ah! Avresti dovuto vederti!
A passo spedito manco ti inseguisse Piton! Che botta…- Ryan scivolava
dolcemente verso Sara con l’intento di aiutarla ad alzarsi su uno
scintillante paio di pattini da ghiaccio.
-No, è che di solito qui c’è
l’erba, non il ghiaccio!- lo rimbeccò la ragazza, tenendosi forte
alle mani di lui mentre tentava di non cadere. Con uno
sbuffo sonoro per lo sforzo, riuscì a tirarla in piedi, poi le cinse la vita e la indirizzò verso le tribune;
quando furono arrivati, la aiutò a sedersi e le passò un paio di
pattini.
-Grazie. Ma perché hai ghiacciato il campo?-
-Per te. Per noi. Per divertirci un po’. –
Caspita: una dichiarazione vera e propria!
-Interessante. Adoro pattinare. E
adoro divertirmi. –
-E allora si dia inizio alle
danze!-
Con uno schiocco di dita, Ryan
fece partire un po’ di musica del mitico Gianni Morandi.
Abilmente il ragazzo condusse le movenze di Sara, che si
rivelò abile nel pattinare.
-Sei brava!-
-Lo so: ho fatto un anno di pattinaggio!-
-Ah però!-
Ballarono avvinghiati l’una all’altro
bellissimi lenti, poi Ryan la fermò di
colpo e la baciò. Un bacio non frettoloso, ma neppure
troppo lungo, giusto un assaggio per sondare il terreno.
Sul finire della quinta canzone, Sara avvertì un sensazione strana, come se aghi invisibili e freddi le
carezzassero le guance...
Guardò in alto, come farebbe
chiunque per controllare le condizioni del cielo; si trattava di un gesto
meccanico, sapeva benissimo che si trovava al chiuso, invece, con sua grande
meraviglia, scendevano da un punto non ben precisato dal soffitto grossi e
soffici fiocchi di neve. Divertita, guardò Ryan
come a volerlo responsabilizzare.
-Ebbene sì, sono stato io!
Credevo rendesse l'atmosfera più romantica...- si giustificò il
ragazzo. Sara gli sorrise con gli occhini castani e
annuì, totalmente incapace di aprire bocca ed emettere suoni.
Ryan la lasciò un momento
per dirigersi verso le tribune; lei si sentì mancare.
Quando tornò, soffocò
a stento un sorriso: stringeva tra i denti, come un danzatore di tango
spagnolo, una stupenda rosa rossa. Prima di frenare, Ryan
piroettò su se stesso, e con un gesto galante porse il fiore a Sara.
-Ci mettiamo insieme?- chiese -So che non suona come un: Mi
vuoi sposare? ma al momento non posso fare di
più di così...-
La ragazza avrebbe voluto rispondere di sì, mille e mille ancora volte sì, ma il suo pensiero si
bloccò davanti al muro costituito da Kanata. Si sentì vile e
meschina... Ryan se ne accorse,
e le sollevò il mento, che lei aveva involontariamente abbassato, per
guardarla negli occhi.
-Che c'è? Non vuoi? Guarda
che puoi anche dire di no...-
-No... no, non è questo, è solo che...-
-Solo che?-
Sara trasse un bel respiro profondo: -Ho bisogno di tempo
per riflettere...- disse sospirando.
-Tutto il tempo che vuoi, nessuno ti corre dietro. –
La ragazza annuì assorta nei suoi pensieri. Per
riportarla alla realtà, Ryan la condusse sugli
spalti; evocò un paio di tazze di cioccolata
calda e due coperte, poi si accucciò in modo da essere coperto per bene
e invitò Sara a fare altrettanto.
-Possiamo parlarne se vuoi...- disse.
-Preferirei riflettere da sola, sai: la notte porta consiglio... magari ne riparliamo domani mattina, okay?-
-D'accordo...-
Restarono così, in silenzio una accanto all'altro,
sorseggiando la cioccolata fumante al ritmo dei loro pensieri, quando...
-Sara, sai... mi sta frullando un'ideuzza in
testa...-
-Dilla!-
-Beh, visto che questo casino che ho fatto mi è
costato parecchia fatica, potremmo usufruirne per...-
-Per?-
-Sai quella tua amica, Elisabetta, e sua sorella? Mi
è parso di capire che siano un po' in rotta tra loro. Ecco, non potremmo
attirarle qui con una scusa e...-
-L'atmosfera c'è...
sì, si potrebbe fare!-
Normalmente Sara avrebbe considerato ciò sminuente
nei confronti dell'appuntamento, il vero nocciolo della questione, ma in questo
caso le tornava utile per poter avere più tempo
per riflettere... o forse per avere meno tempo da struggersi l'anima
pensando...
*
Francesca era in Sala Comune a svolgere i compiti assieme a
Ramona. L’astuzia aveva suggerito loro di fare una materia a testa, poi
scambiarsi i quaderni, quando un gufetto color
castagna andò a sbattere contro il vetro.
Subito Ramona si sbrigò ad aprire la finestra; una folata d’aria
frizzante e ancora piuttosto dispettosa arrivò fino a Francesca,
procurandole un brivido, trasportando il malmesso rapace. Ovviamente, alla
zampa aveva legato un messaggio scritto su pergamena. Ramona lo staccò,
lo svolse e lo lesse.
X Francesca.
Ore 18.15 allenamento
specialeSOLO
per Cercatore. Appuntamento al campo. Non portarti dietro scocciatori
che possano distrarti.
Harry
-Fre, è per te. Hai un allenamento speciale tra… cinque minuti!-
informò Ramona.
-Davvero? Dà qua…- Francesca lesse
il biglietto –Strano: Harry non scrive mai in stampatello, di solito
scrive in corsivo… va beh, mi sbrigo perché sennò arrivo in
ritardo; ci vediamo a cena, ciao. -
*
Elisabetta stava finendo di raccontare a Giada in quale modo
fosse riuscita a schivarsi l’interrogazione di
Informatica, quando un malandato gufo color castagna attirò lasua attenzione andando a sbattere contro
il vetro del Dormitorio femminile dei Tassorosso. Giada si affrettò ad
aprirgli la finestra. Il piccolo uccello entrò e si accasciò sul
pavimento; la ragazza lo raccolse.
Neanche a dirlo, recava un messaggio scritto su un pezzo di
pergamena. Elisabetta lo slegò dalla zampetta storta del rapace e lo
lesse.
X Elisabetta.
Ore 18.15
allenamento speciale SOLO per Battitori. Appuntamento al campo. Non portarti dietro degli scocciatori che possano disturbarti.
Harry
-Ragazze, devo andare ad un allenamento. Che
pa**e, avrei preferito raccontarvi tutto. Ci si vede dopo cena, eh? Ciao, a
dopo. –
*
Alle sei e un quarto Francesca ed
Elisabetta si incrociarono all’entrata del campo di Quidditch, che per
l’occasione era stato coperto da un telone di nylon, così pareva,
grigio.
Le due si squadrarono perplesse.
-Che ci fai qua?- chiese Francesca.
-Allenamento fuori programma. E
tu?- rispose quella.
-Anche io. –
-Impossibile! Sul biglietto c’era scritto
“allenamento riservato a Battitori”!-
-Sul mio c’era scritto “riservato a
Cercatore”…-
-Ma a che gioco sta giocando Harry?
E cos’è ‘sta storia del telone?
Andiamo a sentire, và!- disse indignata
Elisabetta, più rivolta a se stessa che alla sorella.
Quando entrarono trovarono il
pavimento ghiacciato. Completamente ghiacciato, non si vedeva più
l’erbetta rasata da campo da calcio.
-Bella storia!- mugugnò Elisabetta accingendosi ad
affrontare l’ostacolo ghiacciato. Diretta verso la zona in cui di solito
li attendeva Harry, dalla parte opposta del campo, cercò con le sue
scarpe da ginnastica di camminare sul ghiaccio, ma più che altro
slittò, prendendo sempre maggiore velocità. Arrivò
a dover frenare, ma essendo poco pratica, si ritrovò spiaccicata
sul ghiaccio.
Francesca rise.
-Prova a far di meglio tu! – la rimbeccò
Elisabetta.
Francesca prese la rincorsa e si lanciò verso la
sorella, ma anche lei quando dovette frenare perse l’equilibrio e si
ritrovò con la pancia sul ghiaccio.
-Quella che doveva far meglio, eh?- la canzonò
Elisabetta, battendo con le unghie sul ghiaccio.
Francesca tentò di rialzarsi, ma ricadde nuovamente.
-Queste scarpe fanno schifo sul ghiaccio!-
tentò di discolparsi guardando le sue All
Star.
-Beh, anche le semplici scarpe da ginnastica fanno cilecca!-
disse la sorella, contemplando le sue scarpe da
ginnastica, un tempo bianche, ora grigie.
-Alziamoci insieme… ecco, dammi
le mani…- prese l’iniziativa Elisabetta. Francesca congiunse le sue
mani con quelle della sorella e insieme tentarono di
rialzarsi. Scivolarono un poco, ma alla fine riuscirono a stabilizzarsi.
-Prego, fai strada!-
-Io ci provo, ma non garantisco niente!-
In effetti, presero la rincorsa e attraversarono come schegge il campo, per poi finire a schiantarsi contro le
tribune.
-Ohi che botta!- fece Elisabetta.
-Meno male che c’eri tu davanti!-
-Ah, ah! Ma
dov’è Harry?-
-Boh! Non ne ho idea… bel
tipo: prima tanta urgenza, poi si fa desiderare…-
-Avrà avuto un contrattempo…-
Rimasero qualche minuto in una silenziosa attesa, fino a quando Francesca non si stancò.
-Oh, che due ba**e! Avevo di meglio da fare…-
protestò.
-Tipo ca**eggiare in giro per il castello con Ramona.
–
-Sì, tipo… eh? Oh, ma come ti permetti?-
-Mah, così, sai: a perdita di tempo… comunque a me non importa, facevo per dire…-
-Già, tu hai di meglio da fare, come secchioneggiare su quei libri con un paio di
Tassorosso…-
-Va beh, io non mi accontento di
“Accettabile”. Ma ce l’ hai coi
Tassorosso?-
-No…-
-Bene. –
-Bene. –
-…-
-Com’è andata la punizione
con Piton?-
-Ma niente, andava tutto bene, per quanto possa
andare bene in sua compagnia, poi è arrivato quella carogna di nostro
zio e m’ ha versato addosso la pozione che avevo preparato con…-
-Eh? Nostro zio? E lo dici
così?-
-Eh, e come lo dovrei dire? Quello c’è…-
-La Chiodo
mi ha detto che probabilmente, se non riescono a
trovare niente di meglio quei vecchi bacucchi, ci spediranno via da qui. Che ne pensi?-
-Che se lo fanno sono degli str… va beh, non diciamolo. Ma
come mandarci via, dai! Siamo la mascotte, siamo, siamo… siamo
l’anima della scuola!-
-Eravamo…-
-Beh, se si tratta della nostra sopravvivenza
penso che potrò sorvolare il fatto che mi hai cacciato dal Dormitorio e
tornare tua sorella e amica. –
-Ah! Saresti tu a dover sorvolare? Non io, per caso? A me
è stato rubato il ragazzo…-
-Cocciuta sei! Lo vuoi capire che il tuo Manuel non mi interessa? Dimmi, l’ ho
mai filato?-
-In effettino.
O che sto invecchiando… eh sì, dev’essere
la vecchiaia… ma porca miseria, ho quattordici anni!-
-Eppure l’ hai fatto. Sono
sicurissima!-
-…-
Elisabetta ci pensò un poco su, poi
si decise.
-Vieni con me. Adesso andiamo da Piton e ci facciamo dare
del Veritaserum, così la finiremo una volta per tutte!-
-Del Veritaserum? Ma sei matta? Quella è roba forte, non penso che la
dia al primo che gliela chiede…-
-Mi ha già salvato la vita una volta. Potrebbe farlo
ancora…-
Le due uscirono dalla trappola di ghiaccio con un po’ di collaborazione, ignare del fatto che due
loro amici le avevano spiate dall’inizio della loro conversazione.
Elisabetta trascinò con passo deciso la sorella fin
nei sotterranei. Al cospetto della porta dell’ufficio del
più odioso professore della scuola (e dell’intero universo),
bussò con fermezza.
-Chi è?- chiese una voce
seccata.
-Quella a cui l’altro giorno ha
salvato la vita, che adesso è di nuovo nei guai fino al collo!-
disse Elisabetta; intanto il professore era andato ad aprire la porta.
-Che volete?-
In capo ad un quarto d’ora erano riuscite a farsi
accogliere e ad esporre il loro problema.
-Assolutamente no! È fuori
discussione!- tuonò Piton.
-E dai, prof.! Pensi che potrebbe
fare un’opera caritatevole, mettendo in pace due anime affrante! Tanto,
che le costa? Immagino che di quella
ne abbia a tonnellate…-
-In effetti è
l’ultima…-
-Oh… va beh, in fondo mica le chiedo
il mondo! Per favore… così dopo può tornare a toglierci
tanti punti e a metterci in punizione e tutte quelle belle cose che è da un po’ che non fa… che ne dice, ci
sta?-
Piton rifletté un po’,
scrutando con diffidenza il viso supplichevole delle sue due più
pestifere alunne, poi si pronunciò.
-E va bene, mi hai convinto. –
Dopo poco, le fredde stanze del freddo
professore di Pozioni si trasformarono in… confessionale del Grande
Fratello!
Piton (molto riluttante): -Allora, iniziamo. Elisabetta, sei
anche solo minimamente interessata a Manuel?-
Elisabetta: -Proprio per niente. –
Piton: -Sicura?-
Elisabetta: -Sicurissima. –
Piton: -Allora, perché lo hai baciato?-
Elisabetta: -Ma io non l’ ho baciato!-
Francesca: -Non ci hai nemmeno provato?-
Elisabetta: -Giuro di no!-
Francesca: -Lo giuri sulla tua testa?-
Piton: -Guarda che è inutile che
insisti: il mio Veritaserum funziona benissimo, lei
dice il vero. –
Elisabetta: -E bravo prof.! Lei
sì che ha capito tutto!-
Piton le scoccò un’occhiata malevola.
Francesca: -Quindi… se tu non hai… allora
chi…?- la ragazza non trovava parole per esprimere il turbinio di
pensieri che avvolgeva la sua mente.
Piton: -Se voi avete risolto i vostri problemi familiari vi pregherei di andarvene che ho molte cose da
fare, eh? Andate, arrivederci. – SLAM!
-Ma io sono ancora sotto effetto del bibitone,
prof.!- gli gridò Elisabetta, ma fu ignorata.
-Grazie, prof.! Le voglio bene
anche io!-
-Che tipo…- mormorò
Francesca.
-Allora, mi credi?- le chiese la
sorella a bruciapelo, mentre stavano sgomberando i sotterranei.
-Io… non lo so… ti ho
vista!- ammise l’altra, non sapendo più che pesci pigliare.
-Ah, ma allora è una congiura, ditelo! Vi siete
alleati tu e mio zio per farmi uscir matta!-
-Lo zio… già! Vieni con me, ho una mezza
idea…- Francesca prese per mano la sorella e se
la trascinò dietro.
Quando furono al terzo piano, Elisabetta capì qual
era la loro meta: l’ufficio della Chiodo.
Francesca bussò impaziente.
-Chi è?-
-Siamo noi. –
-Entrate! Questo plurale mi suggerisce che avete fatto
pace…-
Francesca aprì la porta e lasciò entrare per
prima la sorella, che si precipitò sulla sua ex insegnante.
-Prof., da quanto tempo che non ci
vediamo! Che alunna sventurata che sono, in quindici giorni non mi sono mai fatta viva!- disse stringendola.
-Ouf! Stringi
piano…- si lamentò la donna.
-Scusi! Scusi, scusi, scusi!- si
–scusò- la ragazza allentando l’abbraccio; inevitabilmente
lo sguardo le cadde sul ventre della sua prof., la quale se ne accorse.
Imbarazzata, si sbrigò a spostare lo sguardo sulle sue scarpe.
-Non devi sentirti in imbarazzo…
è una cosa naturale avere un figlio! Anche
voi siete state qui dentro…-
-Sbrighiamoci, prima che l’effetto del Veritaserum cessi!- disse
impaziente Francesca.
-Cosa? Severus vi ha lasciato…? Oh!- la Chiodo non fece in tempo ad indignarsi, che già Francesca aveva
ordinato alla sorella di raccontare tutto quello che aveva detto prima.
-Quindi, tu ne saresti estranea?-
-Ne sono estranea!-
-Senta, a me è venuta un’idea… magari
è un po’ balzana, però… potrebbe c’entrare
nostro zio?-
-Vostro zio? Sì, potrebbe… sentiamo cosa vuoi
dire…-
-Mah, di preciso non lo nemmeno io… ecco…
sì! Mia sorella qualche giorno prima di quel
sabato aveva avuto un gran mal di testa, vero Betty? E mi ricordo benissimo che disse così: come se mi
entrasse qualcuno in testa!-
-Sì… sì, è vero, l’ ho
detto… ma se qualcuno mi avesse fatto un buco in testa me ne sarei
accorta!-
La Chiodo
le scoccò un’occhiata carica di significato –Vuoi dire che potrebbe aver viziato la sua volontà?-
-Boh! È
un’idea…-
-Buona direi… sai che
potresti aver ragione? Ma sì, è più che
plausibile, a patto che sia un mago molto esperto e potente. È un
elemento importante. – stabilì la Chiodo.
-Allora la partita è chiusa, eh? Cioè,
io sono scagionata da ogni accusa, siamo amici come prima, non è
successo niente, nada?- chiese Elisabetta –Ehi,
però… fermi un momento… fatemi capire: quel tizio là
può entrarmi nella testa a suo piacimento?! Io sono
come un libro aperto per lui?- chiese terrorizzata.
-No, no: Elisabetta! Ti prego, non farti prendere dal
panico: lui non può farlo a suo piacimento! È una cosa molto
difficile, non può per forza di cose, non reggerebbe!-
cercò di tranquillizzarla la prof.
-Panico?! Io non mi sto facendo prendere
dal panico, gli sto andando incontro a braccia aperte! Se quello sa sempre quello che penso, sa anche dove e con
chi sono e tutto quello che succede nella scuola che è di mia
conoscenza! Saprebbe tutto!-
-Ti prego, lui non può farti
alcun male!-
-Ah no? Mi ha quasi uccisa l’altra sera! Lei non ha
idea di quello
che può fare la Frozen… è terribile…-
-Se può farti sentire
meglio, ha attaccato anche me…- cercò di dire Francesca.
-Lo so, lo so. Ma
lui non ti è entrato nella testa! Tu non stai rischiando di spu******e
ogni nostra mossa e contromossa al nostro nemico!-
-Elisabetta!!!-
gridò meravigliata e indignata la Chiodo, abituata ad una Elisabetta precisa e mai
"sboccata".
-Oh! Se mi vuole sgridare si sbrighi a tornare in classe a insegnarmi mate!-
-Ah!-
-Basta. Basta, sono stanca; se continuiamo rischio di dire
altre sciocchezze... Mi scusi, prof.; arrivederci. -
disse la ragazza, abbracciò la Chiodo e aprì la porta, dove
stette indecisa per un attimo -Tu vieni, Fre?-
chiese.
-Okay. Arrivederci, prof. - si congedò la sorella.
Le due uscirono assieme, come ormai non facevano da molto
tempo.
-Adesso mi credi? Ti prego, dimmi
che mi credi, perché ormai non so più che fare...-
supplicò Elisabetta.
-Ti credo, ti credo. Amiche come
prima?- rispose la sorella, porgendole la mano.
-Sorelle come prima!- rispose la prima, stringendo la mano
che le veniva tesa.
Due fardelli venivano ora tolti. Il
cuore delle due ragazze era ormai della leggerezza di una piuma. Si erano
liberate di un bel peso…
Eccitate, corsero per raggiungere
il prima possibile il loro Dormitorio, per rendere tutti i loro compagni partecipi
della loro gioia.
Entrarono sbattendo la porta. I loro amici, chini sui libri
e sparsi per la Sala Comune, alzarono contemporaneamente la
testa, sorpresi.
-Abbiamo fatto pace. Ci siamo
chiarite…- esordirono.
Ovviamente i compagni vollero saperne di
più, così le ragazze spiegarono per filo e per segno
l’accaduto. Anche Manuel, che se ne stava in
disparte, incuriosito volle andare a sentire le novità; Elisabetta gli
tese la mano destra scusandosi per ciò che aveva fatto, anche se non
volontariamente.
Il ragazzo accettò le scuse.
-E anche le mie!- disse Francesca,
andandosi a sedere sulle sue ginocchia per guardarlo bene in faccia.
Manuel fece il sostenuto per un po’, poi finì
per ridere a crepapelle e abbracciò forte la sua
“nuovamente” ragazza.
Gli applausi fioccarono per i due; il fidanzamento era ufficialissimo!
-Okay, okay, posso assentarmi un
minuto senza che voi mi sbattiate fuori dal Dormitorio? Grazie!- chiese Elisabetta mentre usciva.
Il suo obiettivo era l’ufficio di Harry. Al settime cielo, bussò alla porta.
-Sì?-
-Harry? Sono io! Mi fai entrare,
ho una notizia incredibile…-
-Che c’è?- chiese sorpreso
il ragazzo, affacciandosi alla porta.
-Abbiamo fatto pace! Fammi entrare che ti spiego…-
E così Elisabetta aggiornò Harry sui risvolti sorprendenti degli ultimi giorni.
-Davvero? Ma è fantastico, cioè…
uhm! Mi fa piacere che si sia sistemato tutto, un
po’ meno che vostro zio si sia riattivato… adesso, se non ti
dispiace, andrei a letto, sono stanco morto. Ci vediamo domani se ti va,
d’accordo?-
-Fantastico. A domani, ciao!-
Il tempo di un leggero bacio sulla guancia, ed Harry era
nuovamente solo, a dirsi quanto era fortunato ad “avere una
ragazza” che non lo avrebbe tradito per nulla al mondo.
RECENSITE!
Lucifer_the_Darkslayer: senti…non mi sembra sia un
termine molto usato! E poi io sul vocabolario ho trovato il significato “volgare”…
Capitolo 31 *** Tutti i Nodi Vengono al Pettine ***
Capitolo 31
Tutti i nodi vengono al
pettine
La domenica successiva fu la giornata più bella da un
mese a quella parte. Il C.A.P.R.I. si riunì al
–quasi- completo in Biblioteca per festeggiare e
c’erano anche Max e Ryan. Solo Kanata aveva declinato l’invito con
la banale scusa di dover studiare.
Per circa un’ora vennero tollerati, dopo la
bibliotecaria decise che i decibel superavano il limite consentito e
letteralmente li bandì dalla sua amata Biblioteca. Per niente
scoraggiato, il gruppo si spostò nel parco, vista la bella giornata, non
caldissima, ma vivibile.
E anche lì dovettero essere rimproverati dalla
McGranitt, a nome di tutte le Case che desideravano solo completare in pace il
loro già angoscioso pomeriggio sui libri.
Per farla breve, erano gli unici ad aver voglia (e un
motivo) di festeggiare in tutto il castello.
Piton, poi, era altamente scocciato dal loro
“comportamento irritantemente infantile”; non gli riusciva di
concentrarsi sui temi da correggere… a volte si domandava quale fosse il
motivo che lo spingeva a dare questionari a ripetizione, in fondo assorbivano
la quasi totalità del tempo a sua disposizione. Seppe subito
rispondersi: mancanza di vita sociale.
Certo persone della sua età, o quasi, nella scuola ce
n’erano: la
Parmigiani, Corni, la Chiodo…
C’era soprattutto quest’ultima…
Spazientito, mandò all’aria un paio di fogli e
si alzò di scatto. Camminò per un po’ su e giù per
il laboratorio, poi notò un oggetto curioso, nascosto sotto ad un
mobile… era rotondo, presumibilmente nero.
Si chinò; per fortuna la fessura sotto al mobile
permetteva alla sua mano di intrufolarsi indisturbata; non dovette frugare a
lungo.
Quando lo vide gli tornò familiare: era quel coso che
quella scriteriata della Serpini usava per ascoltare la musica…
Era nero, come aveva immaginato, e aveva dei bottoncini
argentati; inoltre, da un punto non ben definito spuntava fuori un filo gommoso
doppio, che circa a metà si divideva in due; ogni terminazione era
rappresentata da una cupolina nera. Preso da infantile curiosità, volle
cimentarcisi, per vedere se era in grado di farlo funzionare. Andando ad
intuito, spinse il bottoncino in alto più grande di tutti e attese. In
una mini cupolina venne visualizzato un numero: 14, poi altri numeri, che
dovevano segnare il tempo della canzone. 00:00, 00:01, 00:03; il tempo di
reazione fu di tre secondi, che bastarono a fargli fischiare le orecchie per i
successivi tre minuti; il volume infatti era il massimo.
-Dannato aggeggio!- imprecò l’uomo,
massaggiandosi l’area attorno alle orecchie. Gettando una fugace occhiata
all’esterno, vide la panchina dove sedeva il gruppo di scocciatori; tra
loro c’era anche la
Serpini, così pensò bene di disfarsi
dell’arnese infermale andando a restituirglielo.
Non aveva considerato un piccolo particolare: il gruppo si
era sfoltito; erano rimaste infatti solo le sorelle, Ramona e Sara. In compenso
si era aggiunta la Chiodo
che, nostalgica, aveva osservato i suoi ragazzi fino a decidersi a
raggiungerli. Faticosamente aveva sceso le scale, e lentamente raggiunse la
panchina, dove fu accolta con tutti gli onori.
Cosa che non accadde per Piton…
-Serpini, accidenti a te! Hai dimenticato quel tuo coso
babbano nel mio laboratorio!- urlò per saluto.
Elisabetta schizzò in piedi, sull’attenti.
-G-grazie!- balbettò –Non doveva disturbarsi,
lo sarei venuta a prendere io, quando poi me ne sarei accorta!- aggiunse,
prendendo il suo lettore di CD dalle mani del suo più controverso
professore.
-Serpini, poche smancerie! Non lo faccio certo per farti un
favore, solo per levarmelo di torno…- stava imprecando Piton, quando la Chiodo sbucò dal suo
“nascondiglio” al centro del gruppo ed emerse in tutta la sua
altezza.
-Severus…- disse; a quelle parole il sangue nelle vene
del professore più anziano gelò –Severus, non dovresti essere
così scortese, rischi di diventare antipatico sai?-
Fu come se una matita invisibile lo avesse punzecchiato nel
vivo. Se non ci fossero state quelle maledette ochette impiccione, le avrebbe
risposto per le rime… avrebbe potuto addirittura perdere il controllo
e… uhm, basta!
In risposta, alzò le spalle. Stette, indeciso,
qualche minuto fermo in piedi.
-Beh, che fai? Stai lì in piedi tutto il giorno?
Vieni a sederti, no?- gli disse la
Chiodo, come se fosse la cosa più naturale di questo
mondo. Il suo collega, riluttante, si sedette tra lei e Francesca.
Francesca guardò implorante prima la sorella, poi
Ramona, ma entrambe fecero spallucce.
Stettero un po’ così, senza parlare, poi
qualcuno iniziò a prendere coraggio…
-Certo che… è una bella giornata. Si potrebbero
fare un sacco di cose…- fece notare Sara.
-Già, un giretto in scopa, o… beh, eccole,
tutte le cose…- disse Elisabetta.
-O magari anche i compiti…- suggerì poco
convinto Piton, sicuro della risposta.
-Già fatti!- risposero in coro le ragazze.
Accidenti, non riusciva proprio a levarsele di torno
pensò il professore.
-Ah, è proprio un peccato non potermi muovere molto,
la mia condizione non me lo permette!- esclamò la Chiodo, attirandosi le
occhiate adirate di Piton; evidentemente, proprio quello era il suo scopo
–Se fossi stata ancora a casa mia, a quest’ora avrei già
preso la bicicletta, anzi: starei già pedalando da un po’! Eh, che
pazienza questo benedetto bambino… il nostro bambino, vero Severus?-
A quelle parole, Piton si fece paonazzo, e dentro di
sé maledisse quella… quella… quella strega! Come si era
permessa di rendere partecipi del loro segreto quattro mocciose?! Era una
questione privata, privatissima! Non ne era al corrente nessuno, neanche Albus
Silente, e lei lo spiattellava così disinvoltamente a quattro
marmocchie? E queste, a loro volta, solo Merlino sapeva a chi lo avrebbero
detto! In capo a due giorni, tutta la scuola lo sarebbe venuto a sapere.
Ramona e Sara in effetti ne erano all’oscuro e
strabuzzarono gli occhi, ma le sorelle fecero loro cenno di tacere, segno che
avrebbero dato spiegazioni successivamente.
La Chiodo,
come un diavoletto sadico, intuendo quali fossero i pensieri dell’uomo,
continuò: -Oh, andiamo Severus, ormai la pancia si vede! Guarda!- e si
alzò, mettendosi di profilo. Piton sapeva perfettamente cosa avrebbe
visto. Aveva tenuto meticolosamente il conto dei giorni e dei mesi…
mancavano circa quattro mesi.
Ormai aveva raggiunto livelli di colore impressionanti; in
tanti anni, nessuno studente di Hogwarts aveva mai assistito ad uno scenario
simile, così Elisabetta si decise a fare qualcosa.
-Ehm, prof., se voi due… intendo lei e il professor
Piton, desiderate restare soli, noi toglieremmo anche il disturbo…-
-No, no Elisabetta! Niente affatto. Quale disturbo?- rispose
la donna.
Piton ora tendeva minacciosamente al bluastro, da tanto
ormai tratteneva il fiato; qualora l’avesse rilasciato, avrebbe potuto
sradicare gli alberi più vicini…
-Beh, Severus, non dici nulla?- chiese fintamente
meravigliata la Chiodo.
Ecco, aveva affondato troppo il dito nella piaga.
-Cosa vuoi che dica mai, eh? Hai già pensato a tutto
tu!- con questa breve sfuriata, il professore si alzò e risoluto si
diresse verso il suo studio, ben intenzionato a rinchiudersi al suo interno.
Nessuno fiatò fino a quando non fu più
visibile. Poi la Chiodo
chiese: -L’ ho trattato troppo duramente?-
Le ragazze si trovarono un momento spiazzate. Da quando in
qua così tanta confidenza?
-La verità è che io non riesco a vedere un
futuro per questa creatura senza un padre, e Severus non può rifiutarsi
di ascoltare le mie ragioni. Userò tutte le armi a mia disposizione. Con
permesso…-
Anche la
Chiodo se ne andò. Elisabetta si offrì di
accompagnarla fin nel suo ufficio, mentre sua sorella rispondeva alla valanga
di domande che le venivano poste dalle sue due amiche.
Quando Elisabetta tornò, aveva le idee ben chiare sul
da farsi: -Ho idea che sia tempo per il C.A.P.R.I. di tornare operativo…-
*
Harry era di buon umore per la riappacificazione di
Elisabetta e Francesca, così, per sfruttare la scia di ottimismo ancora
permanente, indisse un allenamento il martedì successivo.
Un allegro chiacchiericcio gli suggerì che lo
squadrone era arrivato, e pareva essere di buon umore, così
dichiarò iniziato l’allenamento.
Durante tutta l’ora Manuel marcò stretto
Francesca, difendendola dai Bolidi, mentre Elisabetta si prese la briga di
pensare al resto della squadra. Ramona era tornata a prestare attenzione alla
Pluffa e non al Boccino, il quale dovette sudare sette camicie per non farsi
acciuffare nel corso dei primi cinque minuti da Francesca. Ciascuno poi si
proferiva in mille scuse per ogni minima sciocchezza, segno che non c’era
più traccia dell’antico astio. Era tornato tutto alla
normalità.
Ora, anche in classe l’atmosfera era tornata
respirabile, e la McGranitt
fu più che felice di far finta di non aver sentito un paio di battutacce
provenienti dal fondo dell’aula. Anche Silente notò un qualche
cambiamento: gli insulti ai computer erano meno offensivi e più mirati
del solito (si risparmiava ad esempio il mouse che funzionava o la stampante
che faceva il suo dovere a scapito del monitor che non si accendeva e cose di
questo tipo)…
Anche Piton tornò giulivo a togliere punti su punti
ai cari Grifondoro.
L’unica che restava nel suo mondo era la supplente di
Matematica, che ancora non riusciva a ricordarsi un solo nome.
Un giorno che malauguratamente i Grifondoro dovettero
sostenere una verifica di Matematica dopo due estenuanti ore di Volo, qualcuno
decise che era ora di intervenire: l’ora successiva si barricarono in
classe, non permettendo all’insegnante di entrare.
-Qui non si può andare avanti così! Più
di metà classe è sotto in mate, e con questa verifica
raggiungeremo i due terzi! Lei lì è pazza, dobbiamo farla
sloggiare!- propose Ilir, ancora scosso dalla prova.
-Già! Sì, è vero!-
-Non si può far finta di niente! I miei genitori mi
sospendono l’uso della scopa appena scoprono quante insufficienze ho
preso!-
-Sì, esatto! Chi glielo dice ai nostri genitori?-
-Sentite, calma!- gridarono Elisabetta e Francesca, salendo
in piedi su un banco per essere ben visibili e udibili.
-Come membri del C.A.P.R.I., avevamo pensato di presentare
la questione a Silente oggi stesso. Se a voi va bene, faremo come abbiamo fatto
con Musica, raccogliamo delle firme! A voi va bene?-
-Sì, qualcosa bisogna pur farlo!-
-Allora siamo d’accordo. –
Finita la piccola assemblea di classe, qualcuno si
degnò di aprire la porta dell’aula per consentire
all’insegnante di entrare e iniziare la lezione.
Durante il pranzo comparve un volantino alla bacheca in Sala
Grande che invitava tutti i Grifondoro e i Serpeverde a recarsi in Biblioteca
alle ore diciassette per –questioni importanti-. La voce che si trattava
di allontanare la supplente di Matematica si sparse rapidamente, così,
all’ora stabilita, quasi tutti gli alunni delle due classi erano presenti
e firmarono il testo di richiesta a Silente che i membri del C.A.P.R.I. avevano
stilato poco prima.
Mezz’ora dopo questi ultimi poterono andare a
consegnarlo…
Silente guardò incuriosito la pergamena. Quando
appurò che era stato firmato dalle due classi nemiche storiche in comune
accordo, capì che veramente c’era qualcosa che non andava.
-Ne parlerò ai Consigli Generali…- disse e
congedò i ragazzi.
Pochi giorni dopo, il Vicepreside interruppe la sua collega
McGranitt per un annuncio alla classe dei Grifondoro.
-Dai Consigli Generali è emerso che, benché le
vostre richieste siano ai nostri occhi fondate, non è consentito
allontanare un insegnante su richiesta degli studenti. Voi capite bene che, se
ciò fosse possibile, ognuno di noi professori sarebbe sempre a rischio
di licenziamento… questa precarietà non è ammissibile.
–
-Ma quella è una vera strega!- si sentì dire
dal profondo della classe.
-Ragazzi, mi dispiace, ma non è in mio potere
licenziare Lucilla De Mordrey. L’unica possibilità per voi
è che sia lei, di sua spontanea iniziativa, a voler abbandonare
l’insegnamento, l’unica…- a Francesca ed Elisabetta
sembrò che, mentre l’insegnante insisteva su questo punto, avesse fatto
loro l’occhiolino… ah! Ma loro sapevano bene che fare, a questo
punto! E la strizzatina d’occhi significava che avevano l’appoggio
di Silente… avevano praticamente carta bianca!
Appena fu possibile organizzare un incontro del C.A.P.R.I.
al gran completo, ovvero quando nessuno era sotto l’incombenza di una
verifica, i ragazzi si radunarono al solito posto per discutere la questione.
Solo all’ultimo momento Kanata comunicò la sua
indisponibilità a partecipare, ma ormai avevano atteso fin troppo, tra allenamenti
di Quidditch e prove, così la riunione si tenne regolarmente.
L’O.D.G. era: come sbarazzarsi della prof. di
Matematica???
Vennero proposte diverse soluzioni, tra cui
l’avvelenamento tramite pozione, oppure lo strangolamento, o meglio
ancora una maledizione senza perdono.
-No, no! Ci vuole qualcosa di meno radicale, però che
funzioni!-
-E se chiedessimo alla Chiodo di reclamare il suo posto? In
fondo, si era praticamente detta disponibile!-
-Sì, ma il punto è che noi dobbiamo riuscire a
far scappare la De Mordrey
a gambe levate, questo è!-
Ciascun ragazzo/a si strinse nelle spalle: nessuno aveva
un’idea valida da proporre.
-Uffa! Non possiamo nemmeno usare i fantasmi, come nei
cartoni animati di Tom & Gerry, per spaventarla…- sbuffò
Francesca.
-Fantasmi? E perché no?- chiese Enrique.
-Scherzi? Nessuno nel mondo magico ha paura dei fantasmi!-
rispose Harry, che era arrivato in quel momento.
-Ah, peccato! Sarebbe stato bello: urla disumane, voci
provenienti da chissà dove, catene che sbattono, ululati…-
sospirò il ragazzo.
-Uhm… sentire le voci però non sono un buon
segno nemmeno nel mondo dei maghi. Potreste provare con quelle!- propose Harry.
-Sì! Spaventarla con le voci! Levocilevocilevoci!-
squittirono eccitate Giada ed Emma.
-Si può fare. Però devono essere toste, una
roba psicologica come nei film horror perversi!-
-Sarebbe più divertente manipolare la sua mente,
già che ci siamo! Bum, le facciamo firmare un paio di carte e via!-
propose gasato Manuel.
-Eh, ma non è così facile a farsi: ci sono controlli
apposta; lo scoprirebbero subito se qualcuno le avesse manipolato la mente!- lo
smontò Harry.
-Allora buone le voci! E se ci mettessimo in mezzo anche un
po’ di allucinazioni?- aggiunse Sara.
-Fico! Sì, sì facciamolo! Le facciamo vedere
vermi, o serpenti, cose schifose quando è nel bel mezzo di una lezione o
in Sala Grande che pranza! Fortissimo!- approvò elettrizzato Enrique.
-Secondo me voi guardate troppi film…-
-Ah, ma facci il favore Harry!-
Quella sera arrivarono alcune righe via gufo a Silente
recanti l’elenco di tutte le cose che i ragazzi avevano intenzione di
infliggere alla loro insegnante. Tra le richieste c’era quella di negare
qualora la De Mordrey
avesse chiesto se qualcuno sentiva delle strane voci…
*
Il giorno dopo la tavola degli insegnanti, in Sala Grande,
era stranamente in subbuglio. Era in atto uno strano passaparola, fatto di
commentini eccitati e risolini mezzi affogati con una brioches; tutto
ciò si arrestò con l’arrivo di Lucilla De Mordrey.
Il resto della colazione fu inframmezzato da sguardi
complici e sorrisi solo abbozzati… e la De Mordrey che non ci
capiva assolutamente niente.
A pranzo, cinque ore dopo, girava fra i ragazzi la strana
voce che Lucilla De Mordrey, la supplente di Matematica di Grifondoro e
Serpeverde, avesse avuto un attacco di panico durante un’ora con questi
ultimi: si diceva che credeva fermamente di aver visto un grosso serpente
scivolare lentamente lungo l’aula in sua direzione. Ovviamente tutti i
Serpeverde e anche Max avevano negato.
I membri del C.A.P.R.I. sorrisero tra loro compiaciuti: il
piano era entrato in azione! Si erano accordati che durante le lezioni
avrebbero pensato a tutto Ryan e Max, mentre dopo sarebbe stato il turno degli
altri. Di fatti, durante le lezioni Ryan e Max apparivano alquanto
distratti… in realtà, stavano focalizzando le loro energia e la
loro concentrazione per creare, senza bacchetta e senza dare nell’occhio,
delle immagini da inserire nella mente della “pazzoide”.
Ormai i ragazzi ci avevano fatto l’abitudine,
perciò non si curavano molto dei due ragazzi (le ragazze a malincuore).
Sara però, ogni tanto, cercava di attirare l’attenzione di Ryan:
aveva bisogno di parlargli.
Un giorno, uno qualunque, Sara e Giada si stavano recando
assieme ai compagni alla serra di Erbologia, quando scorsero Ryan nascosto in
un angolo, intento a meditare. Sara si staccò dal gruppo, pregando Giada
di riferire alla Tassi della sua sosta in bagno.
Felice dell’occasione che le si presentava, si
avvicinò a Ryan, appoggiato al muro a testa china; imitò la sua
postura e attese qualche attimo.
-Ryan?- chiese, ma non ottenne risposta.
Riprovò ancora, poi cercò di scuotere il suo
amico prendendolo per un braccio.
Fu un attimo. Era come assistere ad un film al cinema.
Ryan e Kanata stavano discutendo animatamente; non doveva
essere successo più di un mese fa.
-Che ci fai qua? Sei venuto di nuovo a guastarmi le feste?-
chiese infuriato Kanata.
-Niente di tutto ciò. Io sono qui contro la mia
volontà: prenditela piuttosto con Silente!- aveva risposto l’altro
a tono.
-Ah, però ti sei trovato subito a tuo agio, non
è vero? Soprattutto con le ragazze…-
-E allora? Che ti importa fratellino, hai paura che ti rubi
la ragazza?-
Sara credeva di non aver capito bene: l’aveva chiamato
“fratellino”???
-E non chiamarmi fratellino: noi due non abbiamo niente in
comune!!-
-A davvero? Non siamo forse prodotto della scissione di
un’unica persona?-
-Bah, per favore non ricordarmelo! Ciò significa che
siamo incompatibili non solo caratterialmente, m anche atomicamente!!-
-Ehi! Modera i termini! Se io volessi tu non esisteresti
già da un pezzo, ci saremmo già fusi da un bel po’!-
-Provaci!-
Ryan si avvicinò bellicoso a Kanata, cercando un
contatto fisico (gli afferrò sgarbatamente le spalle), ma non successe
niente.
-Tu non puoi proprio niente, dobbiamo essere d’accordo
entrambi!-
Lì terminò quella specie di flashback, e Sara
fu come rispedita indietro, al tempo presente; lì, sia lei che Ryan
persero l’equilibrio, causa un improvviso mancamento dovuto al ritorno
alla realtà, e finirono sul pavimento freddo.
-Fratelli, eh?- chiese Sara, guardando il ragazzo.
-…-
-Allora? Mi vuoi spiegare oppure devo pensare che sei un
alieno?-
-No, sono più normale di quel che pensi. Però
andiamo in un luogo dove si possa parlare, e dove non ti possano vedere…
andiamo su nel tuo Dormitorio…-
Quando si furono accomodati sulle poltrone, Ryan
iniziò il suo racconto.
Si era iscritto alla scuola che tutt’ora frequentava,
l’equivalente di un Istituto Professionale babbano, con l’unica
differenza che venivano organizzati stage per qualsiasi settore lavorativo. La
sua vera passione però era lo studio di materie prettamente babbane, ad
esempio Matematica, o Diritto, mentre sua madre, Babbana, lo aveva indirizzato
verso una scuola di stampo interamente magico. Così, quando aveva adito
dell’apertura di una scuola in cui venivano insegnate anche le materie
che lui avrebbe tanto desiderato apprendere, aveva deciso di applicarsi in uno
strano esperimento: creare una copia di se stesso, che però non fosse
così identica a lui, in modo da non farsi scoprire.
Così, dopo faticose ed estenuanti ricerche aveva
scovato una pozione ed una formula che gli consentivano di separare da
sé una persona che avesse i caratteri di uno dei suoi genitori, la
possibilità che si trattasse dell’uno o dell’altra dipendeva
da quanto lui, l’originale, assomigliava loro. Così ebbe inizio la
vita fasulla di Kanata, ritratto della famiglia Malfoy.
La pozione consentiva a Ryan di ricongiungersi con Kanata e
di poter sentire come propri tutti gli eventi di cui quest’ultimo era
stato partecipe; era come vivere una seconda vita.
Ben presto però Kanata aveva preteso più
indipendenza, specialmente da quando aveva conosciuto Sara; così, per
lungo tempo, i due non si erano più sentiti.
Appena gli si era presentata la giusta occasione, Ryan ne
aveva approfittato per infiltrarsi nella scuola e tener direttamente
sott’occhio Kanata. Dapprima si era offerto di dare una mano a Silente
(il quale, a insaputa di tutti, contava sul ragazzo per tener meglio
d’occhio le sorelle Serpini contro le losche intenzioni di loro zio),
poi, quando gli fu chiesto di far da assistente alla supplente di Matematica
accettò, presentando l’idea a sua madre e alla sua scuola come
parte di uno stage. La sua scuola era stata ben lieta di offrirgli
quell’opportunità, e così pure fu contenta sua madre, che
segretamente auspicava per il figlio un posto di lavoro o in una scuola, o al
Ministero della Magia.
Infine, qualche settimana prima, aveva avuto una grossa
discussione con Kanata, il quale si rifiutava categoricamente di farsi
riassorbire, reclamando una vita autonoma, e che inoltre lo accusava di
volergli rovinare quel poco che era riuscito a costruirsi con le sue mani. I
nodi erano venuti al pettine.
Sara, che da diversi giorni aveva la testa avvolta dalla
nebbia, improvvisamente ebbe le idee chiare sul da farsi.
-Ryan, tu lo sai che io ti voglio bene… molto
bene… quanto ne voglio a Kanata. Io non mi metterò con nessuno dei
due, dovrete prima far pace e trovare un compromesso. Diglielo, per favore.
–
*
Qualche giorno più tardi, dacché Ryan e Max
già da tempo operavano la loro manipolazione mentale ma ciò non
aveva ancora sortito gli effetti sperati, Max decise di giocare la sua carta
vincente…
Quel giorno assomigliava a tutti gli altri. Lucilla de
Mordrey era scesa per la colazione al solito orario; come al solito, al suo
passaggio molti studenti storcevano il naso, ma lei non vi faceva caso. Molti
la ritenevano una pazza…
Senza esitazione si sedette al suo solito posto, e
iniziò a consumare il suo pasto. Ma a metà di esso, sentì
una mano poggiarsi sulla sua spalla: era la Melalavo che evidentemente voleva chiederle
qualcosa.
-Sì?- disse, ma quando alzò lo sguardo,
restò ammutolita e sgomenta: la Melalavo era in bikini! Strabuzzò gli occhi,
e passò in rassegna il tavolo degli insegnanti: la Tassi in intimo, Piton in
boxer, Silente in canottiera…
-Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!- la poveretta non resse
all’osceno spettacolo, e con un urlo disumano corse via, sotto gli occhi
curiosi di quella massa indistinta rosa che erano i ragazzi.
Quando, dopo mezz’ora, Silente si recò nel suo
ufficio per chiederle spiegazioni, la donna disse di aver visto tutti quanti in
biancheria intima, lui compreso.
-A sì? E cosa indosso io di biancheria?- chiese
l’uomo.
-U-una canottiera…- rispose terrorizzata la sua
collega.
-Stupefacente! Un occhio interiore così non
l’avevo mai visto. Continui a stupirmi, Lucilla!- ridacchiò
l’uomo, uscendo dalla stanza.
Per quel giorno, le lezioni di Matematica di Serpeverde e Grifondoro
furono sospese, ma ciò non bastò ancora a scacciare
l’orribile donna.
Si dovette procedere col piano B, che fu messo a punto con
tanta cura e tanta perizia, che i ragazzi avrebbero scommesso tutti i loro
Galeoni sulla fuga della de Mordrey.
Ryan e Max avrebbero dovuto dare il meglio di loro
stessi…
Quella sera, non appena ebbero la certezza che
l’odiosona si era addormentata, tutti i ragazzi del C.A.P.R.I., Kanata
compreso, si introdussero nella sua camera, badando a non fare il minimo
rumore. Il sonno della loro prof. doveva essere tranquillo, l’alzarsi e
abbassarsi del suo torace era regolare… ma per poco! Ancora si chiedevano
in quale oscuro modo erano riusciti ad ottenere l’approvazione
all’operazione da Silente…
Con loro portavano le bacchette (ovviamente), un secchio
pieno d’acqua e il Pensatoio che si erano fatti prestare da Silente,
niente altro.
Ramona, l’addetta al Pensatoio, posizionò
l’aggeggio sul comodino di fianco al letto della prof.; aveva il compito
di catturare ogni singolo pensiero della donna, in modo da creare un filo
continuo di immagini, un po’ come al cinema. La bacchetta accostata alla
tempia destra di lei, era pronta.
Harry, Ryan e Max avevano il gravoso compito di introdurre
gli incubi nella mente della prof., mentre gli altri… beh, c’era
tempo. I tre ragazzi si misero a sedere in cerchio con le bacchette sguainate,
mentre Giada leggeva loro tutte le immagini da inserire e sviluppare...
Lucilla de Mordrey stava sognando si essere al caldo,
mollemente sdraiata su una spiaggia tropicale di fine sabbia bianca. Il tempo
era meraviglioso, stava prendendo il sole come una lucertola; si era infilata
le auricolari per ascoltare un po’ di musica, ma si era addormentata.
Al suo risveglio, causato da un freddo intenso ed
improvviso, si era ritrovata nel mezzo di una burrasca; impaurita, aveva
iniziato a correre, senza ben riuscire a vedere dove si stesse dirigendo dal
momento che si stava proteggendo il viso dai chicchi di grandine con entrambe
le mani.
Quando le parve che avesse smesso di grandinare,
abbassò le mani. Si trovava lungo una stretta strada di periferia; ai
lati di essa c’erano mozziconi di sigaretta, lattine vuote e in generale
un gran sporco; ma ciò che più la turbò fu la vista di una
siringa.
Procedette in avanti, intimorita, turbata e infreddolita;
il suo alito formava nuvolette di vapore che presto si disperdevano
nell’ariapungente.
Stava ben attenta a dove metteva i piedi; era notte fonda
e non vi era altra illuminazione che quella di radi lampioni.
Ad un angolo, dove la strada faceva una brusca curva,
vide delle ombre muoversi; timorosa, si nascose dietro un muro, spiando la
scena. Riconobbe Severus Piton, il quale era appoggiato in una posizione
inconsueta ad un muro; aveva l’aria da gangster, ed era vestito in un modo
orrendo: pantaloni neri di pelle con una catena pendente, giubbotto nero
anch’esso di pelle con lunghe e luccicanti borchie… da far venire i
brividi. Verso di lui camminava svelta una donna alta e sottile, dai lunghi
capelli corvini… l’aveva vista un paio di volte, era
l’insegnante che lei sostituiva, una certa Chiodo. Anche lei era conciata
da Carnevale: i pantaloni rosso fuoco mettevano in risalto le sue gambe lunghe
e affusolate, mentre il top coperto di lustrini ne metteva in risalto le curve.
Quando la donna raggiunse l’uomo, i due si scambiarono un lungo bacio
appassionato; era sconvolgente il modo in cui Piton percorreva il corpo della
giovane donna… brividi freddi le percorsero interamente la schiena,
faticava a deglutire.
Poi, mentre la
Chiodo si abbandonava al suo amante, quest’ultimo
alzò il braccio, e poco dopo una lama ricurva squarciò il ventre
di lei. Uno schizzo di sangue giunse ad una guancia di Lucilla de Mordrey.
-Una goccia, veloce!- bisbigliò Giada a Manuel, il
quale aveva intinto il dito nel secchio d’acqua e si apprestava a
schizzare il volto della sua prof. allo scopo di rendere molto più
realistico il suo sogno.
-Fatto!-
Uno schizzo di sangue raggiunse la sua guancia.
L’orrore per ciò che aveva visto era tanto, che si mise ad urlare
in preda al terrore. La paura aveva bloccato ogni suo singolo neurone, tanto
che non aveva pensato che urlando avrebbe attirato verso di sé Piton e
soprattutto il suo coltello. Se ne rese conto solo quando vide l’ombra
dell’uomo muovere in sua direzione, ma ormai era troppo tardi.
Prese a correre all'impazzata, terrorizzata all'idea di
essere raggiunta; da un momento all'altro si aspettava un forte strattone ai
capelli, segno che era stata catturata, ma ciò non avvenne.
Avvertì piuttosto una strana sensazione allo stomaco,simile a quella che
si prova quando si maneggia una Passaporta, ma certamente diversa...
-Ah!- come una molla si era drizzata a sedere sul letto;
aveva la fronte imperlata di sudore, e i capelli erano madidi e appiccicaticci.
Tirò un sospiro di sollievo: si era trattato solo di un sogno.
Avvertì però una sensazione di umido provenire dal materasso,
così si alzò e scaravoltò le coperte: ciò che vide
fu una chiazza bagnata chiara, molto simile a quella che lasciano i bambini da
piccoli.
Preoccupata, fece un esame di coscienza: quell'incubo era
stato veramente tremendo, doveva essere quella la causa.
Emma prese delicatamente
la mano della prof. e intinse l'indice nel secchio dell'acqua. Stando a quanto
affermava Sara, la donna avrebbe dovuto... bagnare il letto, ecco.
Uff, ormai era sveglia, e probabilmente lo sarebbe restata
per tutta la notte. Essendo già in piedi, decise di dare un'occhiata al
suo aspetto. Aprì l'armadio; sulla parete destra c'era un lungo
specchio, adatto alla sua persona longilinea. Il fatto strano era che fosse
rotto, diviso da sottili crepe in schegge dalle diverse forme, tutte incrinate
secondo un'angolazione diversa.
Osservò il suo viso spezzettato... appariva simile
ad un mostro dai cento occhi e cento bocche.
Poi accadde qualcosa di inspiegabile: lo specchio si
ricompose da solo, le linee di frattura si rimarginarono. Ed ecco che vide il
vero mostro: vecchia, curva, i capelli bianchi, la pelle invasa da rughe
profonde e gli occhi assatanati, una Lucilla De Mordrey centenaria ne fissava
una neppure quarantenne.
-Aaaaaaaaah!- gridò quest'ultima.
Questa volta, la donna si
svegliò per davvero, un po' per lo shock causato dall'incubo, un po' per
l'insistente bussare alla sua porta.
Terrorizzata, i sensi ben
in allerta, andò ad aprire.
Dall'altro capo della
porta, un impaziente Severus Piton si domandava come mai Silente aveva deciso di
nominare la De Mordrey
supplente per le proprie ore buche, e perché proprio lui doveva andare a
riferirlo. Stava per bussare per l'ennesima volta, aveva già il braccio
alzato e il pugno pronto, quando la porta si dischiuse.
La donna credette di veder
Piton che brandiva un coltello, pronto ad ucciderla, a causa del sogno
così realistico. Sbiancò in un sol colpo, e richiuse di scatto la
porta per proteggersi e allungare di ancora qualche minuto la sua vita.
Si barricò dentro
la stanza, in preda al panico. Sapeva che doveva assolutamente fare qualcosa,
ma la paura le impediva di pensare lucidamente.
Fuori, intanto, Piton si
chiedeva fino a che punto il suo aspetto fosse sgradevole. Okay che non era un
fotomodello, però da lì a prendere paura!
-Lucilla! Lucilla, oggi
Silente non può fare lezionee ha detto che dovrai sostituirlo tu!- urlò alla donna, ma non
ottenne alcuna risposta. Dopo alcuni minuti d'attesa, si disse di avere fatto
il suo dovere e se ne andò tranquillamente.
La donna, ignara del fatto
che l'uomo se ne fosse andato, continuava a macchinare. Alla fine, dopo
complicate equazioni mentali, decise che la soluzione più saggia era
quella di uscire dalla finestra. Ruotò la maniglia con mano tremante e
violentemente aprì i vetri; istintivamente guardò in giù:
maledizione, aveva scordato di essere al terzo piano.
Di fuori i ragazzi si
stavano allenando sulle scope; era infatti da poco iniziata l'ora di Volo.
Sotto la finestra della De Mordrey, i ragazzi del C.A.P.R.I. ciondolavano senza
apparentemente avere un buon motivo per essere lì; in realtà ne
avevano uno validissimo. Alle cinque e mezza si erano introdotti nella sua
stanza e avevano fatto... quello che avevano fatto... ora attendevano i
risultati del loro lavoro.
Avevano infatti calcolato
tutti i possibili risvolti della vicenda, e avevano previsto quello che la
prof. si stava apprestando a fare. Perciò attendevano.
Anche Silente, che
"casualmente" capitava da quelle parti, attendeva col fiato sospeso
un segnale. Non molto tempo dopo, infatti, un gran vociare proveniente da un
luogo ben noto della scuola suggerì all'uomo che qualcosa era accaduto:
la maggior parte dei suoi studenti stava sotto la finestra, come uno sciame di
Romeo, della prof. Lucilla De Mordrey, la quale cercava disperatamente di stare
in equilibrio sul cornicione.
Lentamente, si diresse
verso il gruppo di ragazzi; ancor più pacatamente si fece strada tra la
folla, fino ad essere ben visibile alla donna.
-Mia cara! Come mai a
passeggio sul tetto?- chiese fintamente convinto di quello che diceva.
-Ma che passeggio!
C'è un assassino che vuole la mia testa! Aiuto, me ne voglio andare di
qui!- strillò la donna.
-Oh, questa notizia mi
addolora. Ma se proprio ha deciso di lasciarci... casualmente ho qui i moduli
per la richiesta del licenziamento, se vieni giù te li faccio
firmare...-
-E secondo te come faccio,
vecchio pazzo?- urlò esasperata la donna.
-Manuel...- il ragazzo, a
cavallo della scopa, si innalzò in cielo e invitò la sua prof. a
sedersi dietro di lui, con la promessa di riportarla a terra. Non ci volle poco
a convincere la donna, ma dopo varie preghiere e rassicurazioni, i due
toccarono terra.
-Dammi qua!- ringhiò
la donna, strappando di mano a Silente i moduli e la penna. Firmò con
tale foga che la sua scrittura risultò più simile ad uno
scarabocchio, ma poco importava. Fatto ciò, prese la scopa e volò
via ai 100 all'ora e di lei non si seppe più niente.
RECENSITE!
Lucifer_the_Darkslayer: ma
di dove sei? Magari dalle tue parti è una parola che si usa spesso…
Comunque ho letto una delle tue storie, ma non ci capisco molto di quel genere!
_Laura_: non ti
preoccupare! L’importante è che hai ricominciato!
Serpina91:grazie per la
tua recensione! Sono contenta che legga la mia storia!
-Cavolo raga, tra un po’ si balla!- esclamò eccitata Francesca. Solo il giorno
prima lei e la sorella avevano festeggiato il loro compleanno assieme a tutti i
loro amici nella torre dei Grifondoro; a sovrintendere
ai festeggiamenti c’era Giordano, invitato speciale. C’era stata la
torta, la Burrobirra e tante, tante patatine. E ovviamente tanti regali.
-Oh, oh
Harry! E se non vinciamo? I soldi chi se li
pappa?- chiese Manuel.
-Uhm?! Zitto, porti sfiga!- lo
ammonirono tutti.
-Comunque, se perdessimo credo proprio che
si farà uno spareggio. Ma noi vogliamo
vincere al primo colpo, vero ragazzi?- disse Harry.
-Certo!- risposero in coro.
-Molto bene, adesso mangiate, ma senza esagerare. Vi voglio
scattanti come delle lepri, okay?-
-Sì signore!-
Harry lasciò che i suoi ragazzi respirassero un poco
prima del grande evento. Nessuno voleva ammetterlo, ma dall’esito della
partita dipendeva il destino della scuola. I ragazzi cercavano di non pensarci.
-Dai, li abbiamo già battuti una volta, lo faremo di nuovo!- incoraggiò Enrique.
-Sì, ma non gasiamoci troppo. Se siamo troppo sicuri
di vincere va a finire che perdiamo…-
ricordò scaramantica Elisabetta.
Erano stati sistemati in una stanza a parte, separati dai
loro compagni, giusto per non generare nuova eccitazione e preoccupazione. A
Ramona ricordava molto la stanza in cui avevano fatto bisboccia un po’ di
tempo fa…
Alle otto e quaranta, giusto per essere
sicuri di non fare tardi, erano già negli spogliatoi; dopo cinque
minuti erano già vestiti di tutto punto.
Elisabetta aveva le mani fredde e sudate, come sempre quando
era nervosa; sua sorella rideva nervosa per un
nonnulla e girava per la stanza come una trottola, Enrique era stranamente muto
come un pesce, Manuel cercava di acchiappare la sua ragazza per dirle due
parole, Ramona aveva le mani nei capelli perché anche lei stava
rincorrendo Francesca, Maicol stava confabulando con
Enrique che però non lo degnava di uno sguardo, e più in generale
c’era una gran confusione e i toni si stavano accendendo.
Da fuori proveniva un discreto vociare, segno
che gli sfidanti non si erano ancora presentati.
Harry arrivò tutto trafelato, seguito da Silente.
Entrambi erano sovreccitati e si comportavano un
po’ alla maniera di Francesca.
Forse Harry non ricordava cosa si provava prima di una
partita, altrimenti sarebbe stato zitto! fu il pensiero comune.
I minuti scorrevano lenti, i ragazzi, tutti i ragazzi, erano snervati dall’attesa, quando finalmente
i ragazzi dell’altra scuola arrivarono. Silente scappò via
immediatamente per dar loro il benvenuto.
-Si dovrebbe scaldare di meno, tanto è solo suo
fratello con qualche migliaio di ragazzi, tra cui un centinaio di figli
illegittimi…- osservò divertito Maicol. Un po’ di allegria
allontanò per qualche minuto la morsa dell’attesa, ma solo per
poco.
I ragazzi dell’altra squadra erano lenti a cambiarsi,
così parve ai sette prodi; Ramona si stava tormentando l’unghia
del mignolo destro, indecisa se mangiarsela o no, ed Elisabetta e sua sorella giocherellavano nervose con i propri capelli.
Dopo minuti che parvero un’eternità, la porta
dello spogliatoio venne aperta dall’esterno; la
battaglia per la sopravvivenza aveva avuto inizio.
Frastornati dai cori e dagli insulti e da mille altre
parole, i sette uscirono e si dettero un’occhiata
intorno, le scope ben salde nelle mani.
La loro curva mostrava orgogliosa un piccolo capolavoro: un
immenso cartellone con l’immagine di una tigre, il loro simbolo. Era
veramente stupenda, davvero realistica, e si muoveva anche! Dava una bella
zampata verso la curva avversaria, decisamente
più nutrita. Anche loro si erano dati da fare.
I cartelloni non si contavano; i più erano di incitamento
ai propri campioni, ma alcuni veramente offensivi nei confronti degli
avversari.
Sarebbe stato anche uno scontro di tifoserie. Poi, quando
ormai alcuni dei simpatizzanti delle Tigri si era arreso
all’inferiorità numerica, fecero il loro ingresso le ragazze pon-pon, che a dirla tutta comprendevano anche dei ragazzi:
ognuno di loro aveva la bacchetta sguainata e ora creava a
intervalli regolari delle piccole tigri di fumo, ora mandava un ruggito di
avvertimento.
I sette con le scope sorrisero di cuore. Per lo meno non
sarebbero stati soli del tutto.
Albus Silente, l’arbitro della
partita, si portò in mezzo al campo; indossava un buffo completo viola,
con tanto di cappello a punta; al collo portava un fischietto. Sorrise
benevolo a entrambe le fazioni.
Solo in quel momento tutti poterono notare che, mentre i
ragazzi italiani erano tutti sui quattordici, tra quelli inglesi ce
n’erano anche di più grandi, molto più grandi!
Sarebbe stato uno scontro impari.
-E dove sta scritto che noi non possiamo avere giocatori
più grandi e più esperti?- aveva puntualizzato
un uomo alto e brizzolato, azzimato, con lo stemma dei Serpeverde sul petto.
Tutta la curva delle Tigri segnò la sua faccia fra
quelle di cui vendicarsi; lo fece persino Severus Piton, ignaro che quello
fosse il suo successore alla cattedra di Pozioni.
-O quanto vorrei che qualcuno dei
nostri gli spedisse un bel Bolide in faccia!- soffiò la McGranitt.
Ma era tempo per i sette paladini
delle Tigri di mettere da parte i rancori: la partita stava per iniziare.
I giocatori di entrambe le squadre
di misero a cavallo delle proprie scope. I giocatori dei Dragoni sembravano
tutti antipatici, tranne una ragazza che sembrava capitata lì per caso;
era magrolina e bassa, ma tutto sommato era carina,
anche grazie ai suoi grandi occhi chiari e i capelli biondo cenere. Elisabetta
le fece un cenno col capo; la ragazza le rispose. Si sorrisero.
FIIIIIU
Si comincia.
Subito i Cercatori si dileguarono verso l’alto, in
cerca del Boccino. La ragazza bionda era appunto il Cercatore avversario.
Ramona svelta aveva guadagnato la
sua porta; non riusciva a ricordare nemmeno una faccia tra quelle avversarie,
segno che la squadra si era rinnovata.
Manuel ed Elisabetta si scambiavano
segni creati appositamente per indicarsi a vicenda dove andare o chi coprire. A
Francesca ci avrebbe pensato il ragazzo.
I Cacciatori delle Tigri avevano subito perso palla, anzi
Pluffa. Ora si trovavano all’inseguimento, o quanto
meno ad ostacolare, dei Cacciatori avversari.
Nelle tribune delle Tigri, Sara urlava all’impazzata,
imitata da tutti i suoi amici; il tifo era una cosa fondamentale, almeno per
l’umore.
Dopo poco le Tigri erano già sotto di tre reti. La povera Ramona vedeva venirsi incontro due o tre
Cacciatori che la disorientavano passandosi la Pluffa ad alta
velocità e non riusciva quasi mai a capire da dove le sarebbe arrivata
la fiammata rossa.
-Qui è ora di dare inizio alla
guerriglia!- disse fra sé Elisabetta. Fece un cenno a Manuel
mostrando pollice e indice a formare una pistola. Il ragazzo annuì. Ogni
Bolide che capitava sotto tiro doveva diventare una cannonata volta a
disarcionare i Cacciatori avversari.
Purtroppo i Battitori avversari non impiegarono molto a
capire la nuova tattica di gioco, e iniziarono a fare altrettanto. Solo che i
loro Bolidi erano molto più potenti e altrettanto precisi.
Dopo quindici minuti tutta la
squadra delle Tigri era sulla difensiva; non si attaccava più e si era
sotto di ben sette reti. Harry, da bordo campo, cercava di fare del suo meglio, ma ogni giocatore pareva far di testa sua.
Le sorti della partita sembrarono un po’ risollevarsi quando Manuel, grazie ad una sparata pazzesca,
riuscì a mandare ko uno dei Cacciatori
avversari. Fior fiore di fischi vennero dalla curva di
tifosi avversaria, ma Manuel mostrò i medi e riprese a giocare.
Ora Ramona riusciva un po’ meglio a controllare gli
spostamenti della Pluffa, ma faticava lo stesso. I tre Cacciatori delle Tigri
iniziarono allora a farsi vedere nei paraggi degli anelli avversari. Con un
movimento fulmineo Maicol riuscì anche ad
infilarne uno.
Evviva, iniziava l’inseguimento!
Francesca, dall’alto della sua postazione, teneva d’occhio tutti i movimenti dei ragazzi della sua
squadra. Desiderosa di dar manforte, ad un certo punto della partita, quando la Pluffa era in mano
avversaria, si insinuò tra i due Cacciatori
avversari rimasti e rubò la
Pluffa, andando velocemente a segnare. Acclamazioni vennero
dalla sua curva, insulti dall’altra.
Molto interessata
dall’innovazione, anche Elisabetta decise di dar la caccia alla Pluffa.
La sua più bella azione fu quando prese tra le
braccia da una parte la Pluffa,
dall’altra un Bolide che aveva intercettato a velocità modesta.
Iniziò a volare prima verso l’area avversaria, poi fu costretta a
ripiegare verso la sua, marcata da un Cacciatore avversario che la seguiva dal
lato in cui lei stringeva la
Pluffa; quando si accorse di aver l’avversario praticamente affiancato, con un’abile mossa da
giocoliere gli rifilò il Bolide e procedette con la sola Pluffa dalla
parte opposta, dopo una rapida inversione di marcia. I Cacciatori avversari
erano distanti, così ebbe tutto il tempo per passarla a
Enrique e dargli modo di segnare il terzo goal.
Il pubblico, preso com’era a seguire le gesta dei
Cacciatori, non si era accorto del duello aereo tra Francesca e la Cercatrice avversaria
che avrebbe potuto decidere le sorti della partita. Il Boccino, per scampare
dalle mani delle due ragazze, si stava dirigendo verso terra. A pochi metri da essa, voltò bruscamente in direzione degli anelli
delle Tigri, sempre con le Cercatrici alle calcagna; era un testa a testa
continuo.
Ad un certo punto però scomparve, a livello degli
anelli. Le due Cercatrici, interdette, si guardarono a
vicenda per verificare se l’avesse preso l’altra, ma nessuna
delle due era stata.
Ramona intanto guardava con orrore qualcosa simile ad un
insetto che le si era infilato nella divisaformare inquietanti protuberanze.
Elisabetta, che aveva seguito la scena a poca distanza, gridò con quanto
fiato aveva in gola: -Ramona, porcaccia la
miseriaccia, non muovere neanche un muscolo, altrimenti ti ritroverai senza!- e
si diresse a velocità folle verso di lei; le si
tuffò sopra e volontariamente la fece cadere, ma da
un’altezza talmente modesta che non se ne accorse nemmeno. I suoi
compagni avevano capito cosa stava succedendo, e così pure gli
avversari. Le Tigri si disposero a cerchio attorno alle tre (si era aggiunta
anche Francesca), tenendo a distanza gli avversari. Intanto Elisabetta frugava
fra le vesti di Ramona, alla disperata ricerca del Boccino; Francesca stava a distanza, pronta a rimediare ad una sua eventuale fuga.
Infine, con il mantello della divisa di Ramona, Elisabetta immobilizzò
il Boccino a terra, così Francesca poté prenderlo con
tutta calma.
L’adrenalina era salita a mille, il cuore tamburellava
contro il petto come a volerne uscire, gli occhi erano colmi di gioia, bestemmie
e preghiere mescolate e confuse si innalzavano al
cielo, così come Francesca aveva innalzato il Boccino d’Oro,
stretto nel suo piccolo pugno affinché tutti potessero vederlo.
La curva delle Tigri ruggì come un’anima
sola…
Silente e la
McGranitt (i minori) avevano improvvisato una tarantella
inventata, e la conclusero abbracciandosi, noncuranti
di chi li poteva vedere. Parallelamente, anche la Chiodo e Piton si abbandonavano alla gioia, sfogandola allo stesso modo.
Fu il più bel giorno di scuola per i sette ragazzi
vincitori. Si raggrupparono e tutti assieme sfogarono i loro sentimenti fino ad allora frenati intonando cori che da una vita avevano
preparato e urlando come pazzi.
Gli avversari, mogi per la sconfitta, lanciavano loro ogni
sorta di malalingua o insulto presente nel loro vocabolario; Albus Silente
però sorrideva fra sé: era stato un bene che avesse vinto
l’altra scuola, così avrebbe potuto
sopravvivere all’anno… per essere sconfitta quello successivo!!!
Suo fratello, per non essere scortese, invitò lui e
la sua scolaresca a intrattenersi con loro fino a
sera; Albus accettò con molto piacere.
La voce di Albus Silente
risuonò per tutto il campo (aveva usato l’incanto per amplificare
la voce):
-Oggi saremo ospiti qui in Italia. Ringraziamo
il preside della scuola!- ripeté ciò una volta in italiano
e una in inglese.
-Magnifico! Così avranno il tempo
per insultarci meglio!- borbottò Enrique.
Stanchi, i giocatori di entrambe le
squadre furono sollecitati dai rispettivi allenatori ad andare negli spogliatoi
per farsi una doccia e vestirsi.
In quello delle Tigri si fece letteralmente a botte, siccome
c’erano solo tre docce, due per i maschi e una per le femmine.
Addirittura si arrivò a far la doccia in due (ma
non diremo i nomi di chi lo fece, assicurando che furono tutte coppie dello
stesso sesso).
Quando tutti furono usciti,
l’orologio segnava le dieci e mezza.
Il pranzo si sarebbe svolto nel parco, per godere della bella giornata di sole; occorrevano però
dei camerieri che trasportassero le pietanze dalla cucina fin lì, con o
senza bacchetta. Francesca trascinò sia la sorella che
Ramona dalla Tassi, responsabile di reclutare i camerieri.
-Così sapremo dove sono le cucine!- disse per giustificarsi. Alle amiche si illuminarono
gli occhi.
-Benee! Vi chiamereemo quandoavreemobisognoo di vooi! Andatee!- disse la Tassi.
Per un’ora almeno i ragazzi potevano fare ciò
che credevano. Si formarono gruppi misti: alcuni organizzarono un’altra
partita a Quidditch, altri una partita a pallavolo, i
maschi una a calcio.
I professori passeggiavano controllando qua e là a
coppie o a gruppetti. Piton e la Chiodo passeggiavano assieme, distanti
dagli altri loro colleghi. Evidentemente volevano parlare.
-Così, Severus, cos’ hai
intenzione di fare?- esordì la Chiodo.
-In che senso?- chiese smarrito Piton.
-Sto parlando di nostro figlio, Severus!- ribatté la
donna, che iniziava a scaldarsi.
-…-
-Severus, non puoi continuare ad
ignorarlo! Lui è dentro di me, c’è!
E conserva dentro di sé una parte di te…- sussurrò la Chiodo.
-Questo è quello che mi spaventa…- bisbigliò Piton, appena percettibile, ma la donna
intese.
-Perché, perché non
vuoi accettarlo? È tuo figlio!!! Sangue del tuo
sangue!- disse alzando la voce.
-Sangue sporco, allora!- Piton iniziava a spazientirsi
–Che padre avrebbe, sai dirmelo? Un assassino,
ecco che razza di padre avrebbe! Sarà meglio per lui non conoscermi.
–
-Oh, Severus, perché continui a tormentarti? Non hai
già pagato abbastanza per tutti gli errori che hai commesso?-
A poca distanza, stava avendo luogo
una partita di pallavolo, sei giocatori contro sei. In una squadra, quella che
dava le spalle ai due professori, c’era Elisabetta, unica della sua
scuola ad apprezzare quello sport; sua sorella e
Ramona avevano preferito giocare a calcio con i ragazzi.
Non era un fenomeno, ma se la cavava; la sua
specialità erano le schiacciate, ma come alzatore era un vero disastro. La squadra poi non la
incoraggiava per niente: le sue cinque compagne avevano l’aria di essere
un gruppo molto affiatato tra loro, e lei era un po’ emarginata. Inoltre, giocare senza ginocchiere non era per niente facile,
abituata com’era a cadere e a soffrire.
Ecco, la schiacciatrice alla mano si stava preparando a fare
uno dei suoi numeri; la palla era bellissima, alta e alla distanza giusta dalla
rete, in più era una giocatrice che schiacciava molto forte, talmente
forte che aveva scavato alcuni buchi nel terreno umido su cui si stava
disputando la partita. Elisabetta, centrale in seconda fila, fece alcuni passi indietro, titubante: palle di quel genere era
meglio lasciarle andare…
Ecco, il braccio della ragazza calava inesorabilmente;
quando toccò la palla, si udì uno schiocco. Per fortuna,
schiacciando non aveva chiuso il polso, elemento essenziale affinché la
palla cadesse nel campo avversario e non schizzasse via; Elisabetta trasse un
sospiro di sollievo, che però le si
bloccò a mezzo: dietro di lei qualcuno gridò di dolore, una
ragazza. Si voltò, pronta a scusarsi fino alla pateticità, ma
rimase male, molto male: la palla, a velocità folle, aveva colpito la Chiodo
in pieno petto, e ora rotolava qualche metro più in là. Sapeva
per esperienza quanto potesse far male una palla: una
volta gliene era arrivata una in pieno viso (dolore al naso!), un’altra
in un orecchio
(-Aiuto! Non ci sento più!-), un’altra nel
basso ventre; l’ultima era stata quella che le aveva fatto
più male, anche perché era stato durante uno dei suoi cicli
mestruali.
In quel momento, la sua prof. giaceva
accasciata ai piedi di Piton, ancora shockato; lei probabilmente era svenuta.
Poteva una schiacciata farle rischiare di perdere il bambino?si chiedevano Elisabetta e Piton.
Passato lo shock, l’uomo cercò di trovare una
posizione che gli consentisse di trasportare la donna,
ma aveva bisogno di aiuto. Tacitamente, Elisabetta si offrì di dargli
manforte.
Più svelti che poterono attraversarono il parco,
sotto lo sguardo ora curioso, ora sgomento di chi incrociavano.
Goffamente salirono le scale, fino all’Infermeria.
-La prossima volta l’Infermeria fatela
a casa di Dio, così se uno sta per morire lo fa durante le scale!-
grugnì Elisabetta.
Piton prese mentalmente nota di farlo presente al Preside.
Per strada incontrarono Francesca, che si offrì di
dar loro una mano, ma anziché agevolarli li penalizzò
ulteriormente.
-Va dalla signorina Ilenia, dille
che la Chiodo
sta male ed è svenuta, presto!- chiese Elisabetta alla sorella.
-Ma…- tentò di
replicare quella.
-VAI!- le gridò la sorella
con quanto fiato aveva in gola, noncurante di essere stata sgarbata.
Francesca, intimorita e amareggiata da
quell’atteggiamento, volò letteralmente su per le scale, mentre la
spiegazione alle parole della sorella iniziava ad esserle chiara: lei aveva
supplito alla mancanza della madre durante l’anno scolastico.
Avvertì la Medistrega della scuola
dell’accaduto, esortandola a prepararsi per l’imminente arrivo dei
tre. Dopo poco infatti fecero il loro ingresso nella
stanza Piton, Elisabetta e la
Chiodo, ancora priva di sensi. Delicatamente la appoggiarono
su un letto libero, poi tutti quanti furono invitati ad attendere fuori.
Seguirono diversi minuti di silenzio teso.
Ma non potevo prenderla io, la
palla? Un salto deciso, mani aperte, un semplice tocco. Maledetta la mia
codardia! Maledetta! E con tutti i posti, proprio
lì doveva schiacciare? Non poteva finire attaccata a rete? Ora per colpa
mia la Chiodo
rischia…
Vittoria… Vittoria… ti prego, fa che non le
accada nulla, ti prego! Ti scongiuro, non lei, non il nostro bambino…
è troppo importante per me. Dio, se è vero che esisti, non
restare indifferente alla mia preghiera, la preghiera
di un povero peccatore che ora cerca la sua strada.
Non è possibile, non
rischierà di… perdere il bambino? Che
faccio, lo chiedo a Piton? No, no, è troppo coinvolto, come potrei
chiederglielo? Mi ucciderebbe se lo facessi…
però, devo sapere!
No.
Sì, devo sapere. Oh, ma come faccio?
Alla fine fu Francesca a rompere il silenzio…
-Ehm, professore, la Chiodo… ecco, non rischierà…
voglio dire: una schiacciata in pieno petto…- la domanda non era diretta,
ma a buon intenditore, poche parole.
Piton si voltò a fissarla. Ecco, ora mi uccide!pensò Francesca.
-Non lo so. Staremo a vedere. – disse semplicemente
l’uomo.
Che razza di risposta era? Ne
sapeva quanto prima, però almeno era ancora al mondo! pensò
la ragazza.
-…-
-…-
Seguirono quindi minuti di totale silenzio; Elisabetta,
stanca di attendere in piedi, si sedette sul pavimento freddo, imitata poco
dopo dalla sorella. Era incredibile come nelle situazioni di tensione ogni
azione, anche minima, venisse profondamente
valutata… si temeva sempre di sbagliare, che cosa poi non lo si è
ancora capito.
Dopo un’altra mezz’ora di silenzio, Francesca
buttò distrattamente un occhio sull’orologio; era
tardi.
Betti, dobbiamo andare!comunicò
alla sorella.
-Ehm, professore, noi adesso dovremmo andare. Vuole che le
andiamo a chiamare Silente, o la
McGranitt, o…- stava chiedendo
Elisabetta, quando il suo interlocutore la liquidò dicendole di
sbrigarsi, di non tardare oltre.
-…!-
Fuori, nessuno era al corrente
dell’accaduto; interpretando le indicazioni di Piton, le sorelle non
fecero parola dell’accaduto con alcuno, se non con Ramona e Sara.
L’impiego da cameriere distolse le
loro menti per un bel pezzo; erano in una trentina, e dovevano provvedere
ad un’infinità di gente; qualcuno si chiese come, in effetti,
facessero a stare ottocento persone nel loro striminzito cortile. Qualcuno
rispose che era magia.
-Quando si tratta del fratellone, Silly si dà un
gran da fare…- sogghignò Ramona.
I poveri camerieri dovevano volare dalle cucine fino al
parco, stando attenti a bilanciare correttamente i vassoi su cui reggevano
piatti di pasta, vaschette di patatine fritte, bottiglie d’acqua,
crocchette di pollo; la più facile da trasportare era l’insalata,
chissà il perché…
Intanto, nella solitudine dei “piani alti”,
Piton iniziava ad innervosirsi. Perché quell’impiastro di Medistrega non si decideva a dirgli
che la sua Vittoria stava bene? E che il suo bambino
era forte e sarebbe nato presto? Cosa ne sarebbe stato
di lui, della sua vita, senza di loro? Gli unici che sapevano amarlo per come era, consapevoli dei suoi sbagli ma anche disposti a
perdonarlo nel profondo del cuore. La sua Vittoria era andata oltre le
apparenze, oltre la sua maschera fredda e distaccata, e aveva
centrato il suo cuore, scaldandolo e struggendolo. Era un essere speciale, un
dono del cielo, un angelo del Paradiso.
Dopo pochi minuti la porta dell’Infermeria si
aprì; la signorina Ilenia gli diede il permesso
di entrare, essendo lui “privilegiato”, ovvero il padre della
creatura che la paziente portava in grembo, ma il viso era totalmente privo di
espressione.
-Vittoria!- balbettò Piton, sedendosi accanto al
letto della donna e prendendole delicatamente una mano. Purtroppo, non ottenne
risposta.
Si voltò di scatto verso la Medistrega
per chiederle spiegazioni.
-Dovrebbe riprendersi da un momento all’altro. Vedrà, la sua presenza l’aiuterà.
– lo incoraggiò lei, lasciandolo solo nella stanza.
-Vittoria…- ripeté
l’uomo, prendendole anche l’altra mano, fredda come la gemella, tra
le sue, calde –Vittoria, oh ti prego, svegliati! Coraggio, sei
forte, lo so che puoi farlo; ti basta solo volerlo. Avrei dovuto dirtelo prima ma… io… io ti amo, Vittoria. Non posso
farcela senza di voi. –
Anche se la donna non era sveglia,
udiva lo stesso le parole dolci del suo amato, e ciò la riempiva di
gioia, spronandola a riaprire gli occhi. Lo fece dopo pochi secondi.
-Vittoria?! Come stai?- chiese ansioso Piton
inginocchiandosi al suo capezzale, appena la donna ebbe
sbattuto un paio di volte le palpebre.
-Tranquillo, Severus, ora sto
meglio…- rispose la donna, ammiccando.
-E… il bambino?-
continuò l’uomo.
La Chiodo
gli rivolse uno stupendo sorriso, il più bello che
gli avesse mai visto fare pensò l’uomo.-Lui è forte, deve aver preso da
te… anzi, se vuoi saperlo, mi ha appena tirato un calcio!-
-Oh, Vittoria…- Piton l’abbracciò forte,
sollevato –Solo ora comprendo quanto siate
importanti per me. Ti prego, perdonami se sono stato così sciocco.
– lo spettacolo era nuovo per quelle mura: Piton in lacrime, di gioia.
La signorina Ilenia, all’insaputa di tutti, stava
spiando la scena dal buco della serratura, un fazzoletto agli occhi. Proprio
come nei romanzi strappalacrime.
-Ti amo, va bene Vittoria, ti amo.
Nessuno potrà impedircelo, nessuno. Cresceremo il nostro bambino,
diverrà grande e forte, e ci darà una discendenza lunga e
prospera. Oh, Dio, attraverserei tutto il mondo per te, scalerei le montagne
più impervie, attraverserei i deserti più
inospitali… morirei, per te. – Severus Piton era riuscito a
gridare alla sua donna il proprio amore.
Intanto, fuori, la povera signorina Ilenia piangeva come una
fontana, proprio mentre sopraggiungevano le sorelle
Serpini, che di loro spontanea iniziativa volevano portare qualcosa da mangiare
ai presenti (e magari rubacchiare qualcosa pure loro…).
-Oh Dio! Cos’è successo?
Perché piange?- chiese allarmata Francesca.
-Perché… oh, non ho
mai sentito nessuno parlare così ad una donna. Merlino, che uomo!- rispose in enfasi la donna.
-Ne sappiamo quanto prima. Coraggio, sfondiamo
la porta!- disse Elisabetta, prima di bussare.
Quando fu accordato loro il permesso di entrare, fecero il
loro trionfale ingresso reggendo due vassoi con le cose da mangiare più
buone che gli elfi avevano preparato: patatine,
tortellini in brodo, crocchette di pollo, scaloppine…
-Permesso? Tutto okay? Portavamo qualcosa da sgranocchiare!- si giustificarono le
due.
-Venite, venite, ho una fame!- rispose lieta la Chiodo.
-Ah, ah: niente cibi pesanti per un
po’, sarà meglio…- scattò la signorina Ilenia, ricomponendosi e riassumendo il solito tono monotono di chi
è solito prescrivere proibizioni e medicine schifose.
-Caspita! Il brodino lo danno ai
malati, vuole mo’ vedere che le fa male?!- ribatté Elisabetta. Francesca
passò un piatto alla Chiodo e uno a Piton.
-Se vuole favorire, le patatine
sono fantastiche. – propose Francesca.
-No, grazie. Il fritto fa male. – e così
dicendo la Medistrega uscì di
scena.
-Meglio: ce ne sono di più per noi!!-
esclamarono in coro le sorelle; Piton e la Chiodo risero di cuore.
Quella giornata fu memorabile, per tutti. Tranne
che per una povera ragazza inglese, che ritornò al suo Paese con un
occhio nero e il ricordo di una belva che l’aveva attaccata alle
spalle…
Lucifer_the_Darkslayer: non sono una patita delle song-fic e poi riguardava un’altra
categoria, se mi ricordo bene. Infine, non ti offendere, non mi piacciono per
niente gli “Yaoi” e “Yuri”.
Capitolo 33 *** Il Buono, il Brutto e il Cattivo ***
Capitolo 33
Il buono, il brutto e il cattivo
***Il cattivo***
-Ehm, ragazze?- Rosa stava cercando di attirare
l’attenzione di un nutrito gruppo di suoi compagni di Casa, i quali
stavano discutendo animatamente.
-Ragazze?-
-… ti dico che la crostata
era di fragole!-
-No, di ciliegie! Erano rosse!!-
-E beh? Anche le fragole sono rosse!-
-RAGAZZE!!-
Il gruppetto si ammutolì e tutti gli occhi si
posarono sulla ragazza che aveva urlato, che –Ehm…- era in evidente
imbarazzo.
-Beh? Che c’è?-
chiesero tutti.
-Posso parlare da sola con loro?- chiese rivolta alle
sorelle.
-Sentiamo…- sospirarono le
due staccandosi dal resto del gruppo.
Gli altri ragazzi osservavano le tre con occhio malevolo.
Odiavano le persone che chiedevano di poter discutere da sole con quelle a cui
loro stavano parlando, come tutti del resto.
Rosa bisbigliò qualcosa all’orecchio delle
ragazze; sembrava qualcosa di importante, a veder le
loro facce…
-Ma certo! Il Dorsoliscio,
come abbiamo fatto a dimenticarcene!- dissero
all’unisono le sorelle.
-Già, e Piton ci ha tolto dall’inizio
dell’anno esattamente 295 punti. Ne mancano 5 e siamo…-
-A 300, sì, lo sappiamo. Ragazzi, dobbiamo tirare
fuori il coso e prepararlo per la prossima lezione di Pozioni, dopo pranzo!
Miseriaccia!-
La ricreazione terminò, e anche le due ore
successive. A pranzo le sorelle restarono pochissimo, consumarono
un piatto di pasta e via, filarono in Dormitorio, a far che poi, questo era un
mistero… in realtà non stavano preparando nulla di illegale, come
sospettava Silente, stavano solo impacchettando il Dorsoliscio
con carta rigorosamente verde e fiocchetto argentato, e intanto ghignavano.
Dopo non molto le raggiunse anche Ramona, e così il trio fu completo;
lei si occupò del biglietto.
Alle due meno cinque del pomeriggio le tre erano
regolarmente in classe, sul viso dipinta una faccia complice.
Il professor Piton, ignaro del loro progetto, entrò
come di consueto da una porticina laterale, con la solita aria
annoiata-scocciata e il solito mantello fluttuante. La
lezione iniziò come di consueto: interrogazione, breve spiegazione, realizzazione della pozione del giorno. Stranamente, quel
giorno il professore non sembrava interessato a sottrarre punti, così il
trio dovette forzargli la mano.
-Professore, posso andare in bagno?- chiese innocentemente
Ramona, ben sapendo che quella richiesta lo faceva irritare.
-No. E due punti dal Grifondoro.
–
Ramona tornò al banco con aria avvilita. Mancavano
tre punti.
-Professore, cosa c’è scritto alla lavagna? Non
capisco bene…- finse Francesca, stringendo gli occhi per far sembrare che
si stesse sforzando a decifrare la calligrafia del suo
insegnante.
-Non essere ridicola: si legge benissimo! Altri due punti
dal Grifondoro, anzi tre, giusto per arrotondare…-
-Evviva!- gridarono in coro Ramona, Elisabetta, Francesca e
Rosa. Poi Francesca si alzò dalla sedia e si mise a rovistare nello
zaino. Ne riemerse con in mano un pacchetto verde con
un nastro arricciato argentato; pinzato assieme al nastro c’era un
biglietto.
Baldanzosamente, lo porse al suo professore, che seguiva la
sceneggiata con aria interrogativa.
-Ragazzi, oggi il nostro beneamato professor Piton ci ha
tolto il trecentesimo punto dall’inizio della scuola. Sono soddisfazioni
nella vita di uno studente!!- declamò
Francesca, rivolta alla sua classe.
-Perciò abbiamo pensato di
consegnargli un bel premio. Coraggio, lo apra professore!- concluse sua
sorella.
-…?!- Piton non chiese
ulteriori spiegazioni, ma obbedì e scartò il pacchetto.
Dentro… meraviglia!
Un drago d’argento, con ali possenti e sguardo fiero,
artigli affilati e coda allerta. Alcuni particolari
però stonavano: al collo portava una sciarpa coi
colori del Grifondoro, sul capo un cappello da tifoso di stadio, a cilindro e
coi campanellini, anch’esso del Grifondoro, e infine niente squame sul
dorso, cosa orrenda trattandosi di un esemplare di Dorsorugoso
di Norvegia. Esso poggiava le zampe su un piedistallo nero con uno sticker attaccato; su di esso si
leggeva: Dorsorugosoliscio.
-Oh!- un mormorio di stupore si levò dalla classe. Un
vero Dorsoliscio d’Argento
-Legga il biglietto!- suggerì
Ramona.
-300 di questi punti. PS: speriamo che però ce li
metta! Ve li do io i punti! Rimettetevi al lavoro!- abbaiò
fieramente Piton, con tutta l’intenzione di rimirarsi il
“premio”. In effetti, pensava, nessuno gliene aveva mai dato uno.
In più, aveva scoperto che dentro al pacchetto
c’era anche una rivista, la rivista umoristica più popolare del
mondo magico, pubblicata in oltre novanta Paesi, Mg:Magnesio.
Era un numero vecchio, nel quale si raccontava tutta la
storia dello iellato premio. Sfogliò velocemente le pagine, per scoprire
che in fondo al giornale c’era un ennesimo biglietto:
La sciarpa è stata una nostra
idea, il cappello pure. Saluti da Londra, la aspettiamo sempre nel
nostro negozio di scherzi.
Fred e George Weasley
Che manigoldi quei due, il loro
spirito era rimasto immutato negli anni. Un buon segno.
*
***Il brutto***
Mancava un sabato alla recita, tre alla fine dell’anno
scolastico, l’ultimo di maggio. Era l’ultimo giorno
di prove, e i ragazzi si stavano impegnando al massimo. Erano tutti presenti,
professori compresi.
Ormai le battute non erano più un
problema, ciascuno conosceva le proprie a memoria. Un po’ peggio
andava con le scenografie, la cui realizzazione
procedeva a rilento, e con le musiche.
Una prova completa, con cambio di scenografie, musiche e
tutto, avevano calcolato, portava via un’ora e mezza circa.
Quel sabato fecero solo una prova di tutta la recita, ma
senza intermezzi musicali. I musicisti si esercitavano a parte. Chi era libero,
per un motivo o per l’altro, doveva assolutamente dar manforte ai ragazzi
che dipingevano le scenografie, persino alcuni professori si adoperarono.
C’erano tanti sottogruppi, ciascuno con una vasta superficie da colorare
e troppe poche persone a farlo. Molte si prodigavano tra più gruppi.
-Ma io non so, eravamo partiti che
sembrava ci sarebbe avanzato del tempo, invece ce ne manca!- esclamò
Francesca.
-Lascia stare, come organizzazione facciamo
pena!- puntualizzò la sorella.
Ciò che non si aspettavano
era di essere interrotte nel bel mezzo delle prove; arrivò infatti
Silente, che chiese loro di seguirlo. Le due ubbidirono, con aria
interrogativa.
Il loro Preside le condusse in Presidenza. Che avessero fatto qualcosa di male?
Con un gesto sicuro, Silente aprì la porta e fece
loro cenno di sedersi; nella stanza, oltre a loro tre, c’erano anche la McGranitt e uno strano
signore dall’aria alticcia.
-Salve. – salutarono educatamente le ragazze.
-Ciao ragazze. – rispose il tizio sconosciuto, sorridendo.
Sembrava molto divertito dalla situazione. Era un tipo non molto alto, sul metro e cinquanta, davvero singolare a vedersi. Aveva
dei bei ricci corti, neri come il carbone, così come gli occhi; eppure
doveva avere cinquant’anni e passa! Infatti il suo viso presentava alcune rughe principali
abbastanza marcate; quelle della fronte e quelle agli angoli della bocca
contribuivano a rendere la sua espressione divertita e un po’ infantile.
Indossava dei pantaloni mimetici (Elisabetta ne aveva
un paio uguali!), una maglia verde e una casacca grigia sbiadita; alla vita
portava una cintura di pelle color terra di Siena dalla quale pendeva un
sacchetto di stoffa blu. Le ragazze notarono anche che aveva infilato la
bacchetta in una tasca della casacca; se ne poteva vedere il manico.
-Ragazze, lui è un mio caro amico. Abbiamo studiato
assieme. Il suo nome è Pierdavide. –
sentenziò Silente.
-Ma tutti mi chiamano Pierdo.
– precisò l’uomo.
-Ora, ricordate quando accennai all’Obliviatore?- continuò Silente.
-Oblivia… sì, quello che cancella i ricordi, il suo vecchio
amico. Ah, okay, aveva detto che poi si sarebbe
visto, e ha deciso che oggi era il “poi” in questione, giusto?-
ricapitolò Elisabetta.
-Precisamente. Dunque, noi
pensavamo di fare pulizia dei ricordi durante lo spettacolo, per dare meno
nell’occhio, che ne dite?-
-Ah… beh, meno nell’occhio non saprei, qualche centinaia di spettatori… eh, è dura!-
obiettò Francesca.
-Ma, esattamente, com’
è che funziona il lavoro?- chiese incuriosita sua sorella.
-Ah, speravo che me l’avresti chiesto! Dunque, si
prende un po’ di polvere...- si indicò la
cintura, nel punto in cui pendeva il sacchettino
azzurro -… si dice la formula magica e il gioco è fatto. Chi ne è colpito resterà spaesato per un
po’, ma niente che una buona dormita non sappia rimettere in sesto,
vedrete!-
Elisabetta e Francesca si guardarono
un attimo, poi annuirono.
-Okay. Ma noi cosa dovremmo fare?-
chiese quest’ultima.
-Niente. Semplicemente farmi la lista
delle persone su cui devo… operare. – sogghignò
Pierdo.
-Ah, se è per questo credo che
piuttosto dovrete fargli la lista di quelli che non deve toccare.
– suggerì la
McGranitt.
-Va bene. Avete carta e penna?-
*
***Il buono***
Campo di Quidditch, ore 18:00.
I ragazzi, nervosi, girovagavano qua e là, cercando
di riconoscere tra la folla crescente un viso noto di parente.
Silente aveva deciso di dedicare l’intera giornata
alle prove generali dello spettacolo; dal mattino i ragazzi, operosamente,
recitavano, suonavano e coloravano senza sosta, se non quella breve durante il
pranzo. Ciascuno sapeva esattamente cosa fare.
E intanto la platea continuava a
riempirsi. Prima vennero occupate le file alte della
gradinata, poi sempre più in giù, fino all’ultima, ovvero
la prima in basso. Sembrava una delle scene dei grandi kolossal, ripresa aerea
del pubblico presente negli anfiteatri greci e romani; pubblico brulicante, in attesa spasmodica, rabbioso quasi. Tutti in attesa dei gladiatori.
Il piccolo gruppo degli attori si strinse fraternamente per
infondersi vicendevolmente un po’ di coraggio.
-Permesso, permesso! Fate passare!- gridava
disperata la McGranitt,
che cercava di guadagnare l’uscita. Quando
superò il gruppetto sopra citato, l’eccitazione salì ancora
di più. Si aprano le danze!
Il palco era costituito da tutta la superficie del campo;
gli anelli erano stati tolti e l’erbetta falciata. Invisibili, erano
stati attaccati per terra grossi pezzi di scotch magico colorato, per segnalare
alcune posizioni; nessuno vi avrebbe fatto caso,
essendo l’erba colorata.
La
McGranitt, piccolo puntino che si muoveva
nell’infinità del “palco”, giunse frettolosamente al
centro. Quando vi fu, estrasse la bacchetta e se la puntò alla gola,
dicendo: -Sonorus!-
I genitori dei ragazzi erano tutti impazienti di sapere; non
avevano più avuto notizie dei propri figli da Pasqua e un po’
erano preoccupati, alcuni addirittura inferociti. Si erano
però un po’ calmati al giungere di una lettera da parte
della scuola, la quale li invitava ad uno spettacolo e li rassicurava sul fatto
che i ragazzi stessero tutti bene. Non fu difficile perciò alla donna
ottenere un discreto silenzio.
-Signori e signore, mi sentite
tutti? Buonasera, e benvenuti nella nostra scuola. Siete qui per assistere alla
rappresentazione teatrale di un romanzo babbano intitolato “Il Gobbo di
Notre Dame”. Le vicende sono ambientate nella Francia
del 1400 e non c’è assolutamente traccia di magia nella storia. Ci
auguriamo che…-
-…e dunque buona visione a
tutti e buon divertimento. – la McGranitt aveva concluso
la presentazione e aveva mormorato il controincantesimo
per far tornare la sua voce normale. Mentre faceva ritorno correndo alle quinte
(improvvisate dentro gli spogliatoi), Max e Ryanavevano fatto esplodere dei fumogeni, con lo scopo di
oscurare per alcuni secondi la visuale del pubblico, dando il tempo ad alcuni
ragazzi di allestire le scenografie.
Quando il fumo si fu diradato, il
paesaggio era alquanto cambiato: partendo dall’entrata
dell’edificio e procedendo in senso orario, c’era un modello della
chiese di Notre Dame. Era stato realizzato sovrapponendo diversi scatoloni,
sfruttando le linee geometriche dell’originale, ed era
piuttosto imponente. Sotto esso si apriva quella che
doveva sembrare una piazza, realizzata spargendo terra e sabbia sul tappeto
d’erba; sempre col metodo sopra indicato, erano state realizzate anche
case e botteghe, sparse qua e là per il palco.
Al centro della scena stava un carretto; da lì
proveniva la musica di una chitarra. Francesca, nei panni del Re dei Ladri,
stava suonando la sua chitarra, senza seguire uno schema; attorno a lei
iniziarono a radunarsi alcuni ragazzi, tra cui Emma, coperti da lunghi
mantelli.
-Orsù ragazzi, venite, sicché ho da raccontarvi una storia. Questa è
la storia di un uomo… e di un mostro!- iniziò a declamare. E mentre lei iniziava a raccontare la storia, la scena
mutava e si animava. In fondo al palco, dagli spogliatoi, fece il suo ingresso
Sara, che all’ultimo momento era stata reclutata
dalla banda degli attori in qualità di zingara madre di Quasimodo; vestiva un’ampia gonna blu e una maglietta
con gli spallini gonfi e la maniche corte, in testa
aveva legata una bandana. Stava correndo, e in braccio stringeva un fagotto di
stracci con dentro un bambolotto di plastica. Dietro di lei,
dopo poco fece la sua entrata in scena anche Piton, vestito di nero;
l’unica cosa che lo distingueva dal solito era un grosso cappello
triangolare a strisce grigio fumo e porpora.
Piton rincorse Sara fin sotto l’ombra della Notre Dame di cartone, dove la ragazza si fece
prendere; il suo insegnante le strappò di mano il fagotto col bambolotto
e lei fece finta di cadere. Chiuse gli occhi e rilassò il corpo,
fingendosi morta. Piton intanto mimava l’azione di voler uccidere il
bambino, quando Silente, vestito da prete, fece la sua comparsa da dietro la
chiesa e gli impedì di scaraventare a terra il bambolotto.
Ed ecco il primo intermezzo
musicale. Corni diede il “la” al gruppo di
musicisti, che eseguirono una breve melodia. Max e Ryan
spararono i fumogeni.
La scena mutò, facendo uno zoom sulla cattedrale. Qua
e là erano state messe delle colonne, alcune statue, armature e su un
tavolo erano stati posizionati campanelli con manico
in legno di diverse dimensioni, a simboleggiare le campane di Notre Dame.
Elijah vestiva una calzamaglia marrone e un mantello verde; ai piedi portava della babbucce gialle. Stava parlando con i suoi fidi amici gargoyles, ovvero Manuel, Ingrid ed Andrew, vestiti
completamente di grigio. Insieme progettavano di mandare
Quasimodo alla festa dei Folli in paese, quando era
arrivato Frollo-Piton. La scena successiva sarebbe
stato un soliloquio cantato di Quasimodo che
contemplava la sua sfortuna e i suoi sogni; siccome
Elijah non se l’era sentita di cantare da solo, per lui l’avrebbe
fatto Corni, interpretando un pezzo di Max Pezzali
intitolato “Ci sono anch’io”.
Mentre il prof. cantava, Ryan e
Max spararono i fumogeni: la scenografia subì
un mutamento. L’ipotetica inquadratura di telecamera si spostò in
città; dalla porta degli spogliatoi fece il suo ingresso Enrique,
vestito da cavaliere, a cavallo di Ramona ed Elisabetta, vestite appunto da
cavallo.
Enrique fece la conoscenza di Esmeralda
e di un paio di guardie, interpretate da due Serpeverde; i primi due diedero
battaglia a questi ultimi, coadiuvati da Elisabetta e Ramona. La scena
scatenò l’ilarità dal pubblico.
In quella successiva, la new entry
Febo fece la conoscenza di Frollo-Piton, che gli
impartì l’ordine di scovare la Corte dei Miracoli, il covo per eccellenza degli
zingari che lui (il personaggio) tanto odiava.
Dopo ciò, ci fu la scena
madre della recita: la festa dei Folli. Dopo i fumogeni, gran parte dei ragazzi
si era radunata sul palco. Ben presto Corni aveva dato letteralmente inizio
alle danze: era partita la musica, una melodia senza canti piuttosto ripetitiva
ma allegra, e con essa i ballerini. Per dieci minuti
buoni i ragazzi non fecero altro che ballare, poi dalla folla emersero Quasimodo-Elijah e il Re dei Ladri, il quale
incoronò Elijah re dei Folli; sul capo del suo compagno, Francesca pose
una corona di cartapesta. E fu allora che fece il suo ingresso Piton, con al seguito una mezza dozzina di soldati di latta che
catturarono Quasimodo; Esmeralda si oppose,
così finì anche lei (soprattutto lei) nella lista dei ricercati.
Il primo fu portato a forza nella cattedrale, la seconda vi
si rifugiò invocando il diritto d’asilo. Piton, con il
solito cipiglio che adoperava durante le lezioni, impartì l’ordine
ai suoi soldatini di latta di sorvegliare gli ingressi della
Notre Dame di cartone, per evitare la fuga della sua alunna.
Ennesimo cambio di scena, che si
spostò all’interno della cattedrale. Quasimodo
aiutò Esmeralda a fuggire; quest’ultima gli donò un
medaglione che lo avrebbe aiutato a trovare la Corte dei Miracoli.
Seguì un soliloquio di Frollo nel quale Piton
cantò dal vivo, e non in playback! Il segreto?
Immaginò di cantare per la
Chiodo… Dal soliloquio Frollo estrapolò la sua
tattica per scovare Esmeralda: dar fuoco
all’intera Parigi, se necessario a stanarla! E
così fece, solo che Febo si rifiutò di eseguire i suoi meschini
ordini, così lo fece inseguire dai suoi soldati di latta.
Esmeralda scovò l’eroe, ferito dai soldati, e
lo salvò portandolo da Quasimodo, che si
offrì di nasconderlo.
Dopo poco sopraggiunse Frollo, che rivelò a Quasimodo di conoscere l’ubicazione della Corte dei
Miracoli; Quasimodo e Febo partirono
assieme alla ricerca del posto, ma solo il medaglione di Esmeralda seppe
indicar loro la via.
Gli zingari si nascondevano nelle vecchie catacombe
cristiane, un luogo veramente tetro. Era stato realizzato mettendo assieme due
parti: i corridoi bui pieni di scheletri e la Corte vera e propria, colorata e piena di tende. Nel loro cammino, i due ragazzi si erano imbattuti in Francesca e i
suoi scagnozzi, che li avevano fatti prigionieri. Proprio mentre stavano
per mettere in azione la forca, con due veri cappi, fece la sua lugubre
comparsa Piton con i suoi soldatini di latta, i quali
fecero prigionieri tutti i presenti.
Fumogeni. Musica cupa e tesa. Apprensione nel pubblico.
Elijah era a sedere sulla Notre
Dame di cartone, assistendo all’esecuzione di Esmeralda impotente. La
longilinea figura di Frollo sembrava sovrastare la scena. Il sassofono del
professor Corni emetteva solo note cupe e gravi.
Piton prese dalle mani di un suo soldatino una torcia, un
bastone cosparso di cherosene lasciato ardere, e si avvicinò
minacciosamente a Esmeralda, legata ad un tronco
d’albero piantato per terra. Il pubblico era col fiato sospeso: davvero
un insegnante intendeva dar fuoco ad una sua alunna?
Così pareva: Piton avvicinò la torcia al
tronco quel tanto che bastava per dargli fuoco. Mentre succedeva ciò, Max pronunciava un incantesimo
per rendere il fuoco freddo.
-Oooh!- il pubblico sembrò
apprezzare la mess’in scena.
Elijah emise un buffo suono che doveva essere un grido e
saltò pesantemente giù dalla sua postazione, diede un pugno
(finto) al suo professore e strappò la sottile corda che legava la sua
coetanea al tronco in fiamme. Enrique intanto liberava i suoi compagni e
insieme sottomettevano i soldatini dello svenuto (per
finta) Frollo. Lo spettacolo era finito. Corni diede
il via a una danza scatenata a cui presero parte tutti i ragazzi, mentre i
professori, nascosti negli spogliatoi, si scambiavano sorrisi e gesti di
vittoria.
Pierdo, nascosto fino ad allora,
soffiò sul palco una polverina dorata che ben presto lambì anche
la platea.
-Oblivion!- gridò. Ci fu un lampo, poi tutto ritornò normale. Le danze
erano finite, il pubblico stava applaudendo fragorosamente; i ragazzi, un
po’ confusi, s’inchinarono più volte, prima di dichiarare concluso lo spettacolo. Harry, nascosto negli spogliatoi,
fece un fischio udibile solo ai ragazzi; le uniche ad accorgersene furono
Elisabetta e Ramona, che gli risposero con un cenno.
Il ragazzo lanciò loro una caramella a testa. Le due, incuriosite, se le
cacciarono in bocca e… nitrirono, come un vero cavallo!
Il pubblico rise a crepapelle, e la recita si poté
finalmente dire conclusa.
Lucifer_the_Darkslayer: una però era su Draco e Harry! Io sono un’amante
di Draco, e se penso che potrebbe avere una storia
con Harry, mi vengono i brividi
-E così…- Elisabetta tirò su col naso
–… tutti quanti hanno perso la memoria? Ma
allora la lista che gliela abbiamo fatta a fare??-
chiese perplessa alla notizia che nessuno dei suoi amici intimi ricordava cosa
lei e la sorella fossero.
-Oh, beh… eh, eh, diciamo che
mi sono dimenticato di un punto fondamentale: che eravate tutti quanti
mischiati assieme!- cercò di giustificarsi Pierdo, sorridendo. Non
sembrava per niente turbato, anche se la McGranitt gli lanciava da una buona
mezz’ora lampi di odio profondo.
-Eh già, rischiavamo di dimenticare tutto anche
noi…- cercò di scherzarci sopra Francesca, ma non era facile: con
la sua sbadataggine, Pierdo avrebbe potuto cancellare tutti i loro ricordi
riguardo ai Wizardtime e ai loro genitori!
-Però non è successo… mi domando quali siano gli ingredienti miscelati per produrre quelle
caramelle…- disse Piton, più rivolto a se stesso che agli altri.
Aveva subito associato il fatto che Elisabetta e
Ramona avessero conservato i loro ricordi con le caramelle che Harry aveva dato
loro; Francesca, a quanto pareva, non era stata investita dalla polverina
dorata.
-Beh, pazienza: è finito tutto bene, no? Via i musi
lunghi, guardate che sole fuori! Con una giornata così…- stava
dicendo Ramona.
-Frena l’entusiasmo, ragazza mia, ho
intenzione di restituirvi i temi scritti!- esclamò la McGranitt.
-Uhm… scorgo in lontananza delle
nuvole, non pare anche a voi?- chiese Elisabetta, indicando con l’indice
un punto del cielo, completamente limpido. I presenti risero per un pezzo,
tranne Ramona.
-Ah, ma… e i Sorveglianti? È un bel pezzo che
non li vedo…- disse Francesca.
-Di loro mi sono già occupato in
precedenza, diciamo due mesetti fa…- la tranquillizzò
Pierdo, sorridendo come un monello.
-Ah, allora è tutto a posto. -
-Va bene, ora andate, tra un quarto d’ora vi voglio in
classe a dare ordini a un computer, intesi?- le
congedò Silente, aprendo loro la via tra i pacchi di fogli e le piume di
gufo presenti nel suo studio.
-Arrivederci!- salutarono le tre.
-Signori, è quasi giunta la fine dell’anno
scolastico: è ora di tirare le somme. – esordì Silente, non
appena le sue tre alunne se ne furono andate. La McGranitt, tutta
arzilla, non vedeva l’ora di dibattere con i colleghi di questioni
importanti.
-Allora, fuori le pagelle, so che le avete già scarabocchiate, e ditemi chi è lo studente
migliore che abbiamo qua dentro. Se non sbaglio girano parecchi Galeoni,
vediamo chi ha vinto la scommessa!- ordinò il Preside, tirando fuori da un cassetto remoto della stanza un sacchetto con un
discreto gruzzolo di monete sonanti. La McGranitt si mise le mani fra i capelli: e lei
che sperava che quell’uomo avesse avuto una buona idea, una volta tanto!
L’unica, e gliene doveva dare atto, era stata quella di non costringere la Chiodo a tornare a insegnare, ormai mancavano due settimane, piuttosto
nominare volta per volta dei supplenti tra gli insegnanti già presenti;
molte volte toccava all’altro insegnante di Matematica della scuola, ma
non sempre. In realtà la sua amica sarebbe tornata ben volentieri a
svolgere il suo mestiere, ma Silente l’aveva
fatta ragionare e perciò non aveva insistito. Nelle sue condizioni, era
bene non affaticarsi.
Bene, le lezioni pomeridiane stavano per iniziare, e lei la
prima ora avrebbe dovuto avere i Grifondoro, perciò sgattaiolò
via senza dare troppo nell’occhio e andò a prepararsi.
-Graziana, vai già via?-
sentì dire alle sue spalla. Era Pierdo. Anche durante lo spettacolo non aveva fatto altro che
importunarla… sospirò.
-Ho lezione tra poco, è meglio che vada a prepararmi.
– disse voltandosi ad affrontare il suo interlocutore.
-Ah, la vita di un insegnante dev’essere così piena, mai un momento libero.
Dai un compito, poi lo devi correggere…
così per un anno. E poi tutte quelle cavolate come i voti, le note, i
punti… ci vuole un bel fegato!- rifletté
l’uomo.
-Già, appunto. Devo andare…-
cercò di tagliar corto la McGranitt.
-Oh, suvvia, un minuto ancora! Dunque,
stavo dicendo… ah, sì. Ormai l’anno scolastico è finito, dopo avrai un sacco di tempo libero…-
il messaggio era chiaro. Era un invito, l’inizio di un corteggiamento!
-Sono una donna sposata, io. – affermò decisa la McGranitt.
-Separata, a quanto mi ha detto Aberforth…-
Ahi. Touchée.
-A maggior ragione, non ho intenzione di iniziare una nuova
relazione! Buongiorno. – questa volta era riuscita a chiudere la partita,
anche perché aveva girato i tacchi e se n’era andata.
Roba da pazzi, quello era il genere di cose che succedeva a
chi era dall’altra parte della cattedra, non di certo a lei! Ah, destino
imperscrutabile…
*
Quel venerdì, il penultimo che sarebbe stato passato
a scuola per quell’anno scolastico, Harry e gli altri insegnanti avevano
deciso di lasciare liberi i ragazzi di divertirsi nel
parco, tornato a dimensioni normali. Era riuscito a recuperare una palla da
calcio, una da volley e un paio da basket, ma
sarebbero state più che sufficienti.
Elisabetta, Ramona, Francesca, Emma, Sara e Giada si erano
sdraiate sull’erba per prendere un po’ di sole, nella zona
più appartata e fuori dalla vista dei compagni;
ne avevano bisogno, erano piuttosto pallide rispetto a settembre.
-Ah, meritato riposo!- esclamò Francesca,
pregustandosi già tre mesi di vacanza.
-Già, abbiamo tirato la carretta per ‘sti bei nove mesi, adesso
basta, relax!- le fece eco Sara.
-Aah!-
-Aah!-
Non era lontanamente paragonabile ad una piscina, ma sempre
meglio di niente! E il sole scaldava che era un vero
piacere.
Giada si era quasi addormentata, quando una palla
l’aveva centrata in pieno e subito nove maschi sudati le
si erano buttati addosso intimandole di spostarsi.
-Tsé! Non si può mai avere un attimo di pace…- borbottò,
rimettendosi sull’erba. Trovava molto irritante il fatto che quei
prepotenti non solo l’avessero colpita con la
palla, ma pretendessero da lei che si facesse da parte: che arroganza!
Tra queste considerazioni si riadagiò
sull’erba, cercando una posizione comoda sia per la nuca che per le spalle; quando la trovò, sospirò
beatamente prima di chiudere gli occhi. Anche con le
palpebre chiuse, poteva lo stesso tener sotto controllo i mutamenti climatici;
il sole splendente di quel giorno le tingeva le palpebre di giallo e viola.
Da dietro un cespuglio, un paio di occhi
azzurri scrutava il gruppetto; erano tanto belli, quanto determinati.
L’uomo si fece largo barcollando verso le ragazze;
Giada, che canticchiava tra sé e sé una canzone ascoltata molte
volte, vide il sole coprirsi attraverso le sottili palpebre. Allarmata,
aprì gli occhi. Davanti a lei si stagliava la figura di un uomo, uno
sconosciuto; in mano brandiva una bacchetta, quasi fosse un’arma come un
coltello. La ragazza fiutò subito il pericolo, perché si mise ad
urlare, svegliando le altre “lucertole”, che balzarono in piedi.
-Chi sei?- chiese Francesca,
bellicosa.
-Come, non si vede? Nelle nostre vene scorre
lo stesso sangue…- rispose il tizio. Aveva una voce secca e
chiara.
-Zio?- chiese la ragazza, strabuzzando gli occhi.
-Già. Ora, voglio che voi due mi ascoltiate. –
disse, alzando l’indice contro Elisabetta.
Sa chi siamo! M***a, è la
fine… pensò
Elisabetta.
-Lui sa chi siete voi, gliel’ ho detto io! Sa cosa
siete, cosa potete fare… lui sa! Ed è
colpa mia, lo ammetto. Capite perché devo togliervi di mezzo? Siete un
pericolo per l’intero mondo magico…-
-Ma… cosa? Chi lo sa?- chiese
Elisabetta, scotendo il capo.
-Uhm? Non ha importanza… tra non
molto avrete la bocca chiusa per sempre. Voglio che sappiate che non lo
faccio con piacere…-
Un piano, presto! implorò
Francesca.
Sto pensando… ci vorrebbe un contrattempo,
per darci il tempo di scappare…
Se Ciro fosse qui…
Ah…! Blocchiamo il tempo, scusa!
-… ma col cuore gonfio, dopo tutto
siete…- stava sproloquiando lo zio, quando le sue nipoti strizzarono gli
occhi e bloccarono il tempo.
-Ah, prova ora a ucciderci se ci
riesci!- esclamò vittoriosa Elisabetta,
ma cambiò decisamente atteggiamento quando vide gli occhi di suo zio
fissi su di lei.
-Ah, ah, ah… non avrai mica
creduto che non avessi preso delle precauzioni, vero? Ho
impiegato anni a cercare antidoti contro la vostra… non ha
importanza. Raccomandate l’anima a Dio, se credete.
Addio! Avada…-
-Gambe Fre!- urlò
Elisabetta. Le due schizzarono via in direzione del portone d’ingresso,
ma un getto di luce verde le costrinse a cambiare direzione; intanto, mentre
correvano, urlavano come ossesse, nella speranza che qualcuno le sentisse.
Dando le spalle a loro zio e ai suoi attacchi, non
poterono notare che la maledizione senza perdono che l’uomo aveva
scagliato non era indirizzata a loro; in effetti, non faceva parte della triade
che Harry aveva illustrato loro. Si trattava di una variante della maledizione
mortale, nemmeno Piton la conosceva; il suo funzionamento era da brivido:
l’incantesimo, se tale poteva considerarsi, evocava degli spiriti maligni
che, per vivere nel nostro mondo, dovevano impossessarsi di un corpo umano e
consumarne piano piano le energie vitali, prima di
scomparire e far ritorno al mondo delle anime. Chi evocava tali spiriti poteva
dormire sonni tranquilli: essi avrebbero seguito, fino a scovarle, le persone
che lui desiderava e indicava loro. In verità l’incanto era un
patto tra un uomo e il diavolo: quest’ultimo metteva a disposizione i
suoi servi, e in cambio la persona che l’aveva richiesto avrebbe offerto
la sua anima. Questo, ovviamente, lo zio Giorgio non lo sapeva. Lui era
fermamente convinto di essere destinato al paradiso, per l’opera di
protezione che aveva svolto in tutta la sua vita a favore della comunità
magica, impedendo ai Wizardtime di “sconvolgere
l’ordine che Dio aveva imposto al mondo” ed evitando, tempo
addietro, che alcuni di essi cadessero nelle mani di
Lord Voldemort.
Insomma, credeva fermamente di essere
dalla parte del giusto; inoltre, era un Cristiano fondamentalista,
partecipava regolarmente alle messe e osservava scrupolosamente i Dieci
Comandamenti. Non solo, si riteneva uno strumento di Dio, un suo servo
incaricato di sterminare gli elementi dannosi alla società. Per questo,
nella sua vita non aveva mai ucciso con le proprie mani, ma aveva sempre
delegato il compito a suoi fidati subordinati, così come quel giorno delegò il compito di uccidere le sue nipoti al
diavolo.
Francesca ed Elisabetta, le ali ai piedi, si erano inoltrate
nella foresta e dopo poco vi si erano perse. Non avevano badato a seguire il
sentiero, erano andate a casaccio, e ora ne subivano le conseguenze.
-Porca miseria, ci siamo perse!-
gridò Elisabetta, stizzita.
-Beh, almeno per nostro zio sarà
più difficile scovarci…- le fece notare la sorella, nella
speranza di risollevarle il morale.
-Beh, questo bosco dovrà finire da qualche parte, no?
Insomma, va bene che siamo in un mondo di folli con poteri magici,
però…- cercò di riflettere la
prima.
-Proseguiamo? Potremmo peggiorare la
situazione… - propose Francesca.
-A questo punto… peggio di così!- e si rimisero
a correre, rallentando però il ritmo.
-Intanto… che si fa?-
-Come che si fa?-
-Un piano, no? Abbiamo le bacchette, un incantesimo!-
-Ah… fammi pensare…potremmo
tentare di recuperare il mantello dell’invisibilità di Harry!
Solo, speriamo di esserne in grado…-
Le due tentarono di evocare il mantello di Harry, ma la
distanza dal castello era notevole, e loro non abbastanza esperte da riuscire
nell’intento.
-Ca**o! Che facciamo?-
-Corriamo, prima o poi
finirà! Qualcuno troveremo…-
Procedettero per altri dieci minuti, che parvero
un’eternità; quando si corre, infatti, la stanchezza fa
raddoppiare il tempo…
Il paesaggio non era molto vario: alberi, alberi,
e ancora alberi. Tutti uguali, tutti stramaledettamente pieni
di foglie verdi; per terra, una girandola di margherite, solo sporadicamente
qualche viola. Il vento era quieto; l’unico rumore che si udiva
era quello dei passi delle due ragazze. Il sole era coperto dalle chiome degli
alberi, straordinariamente cresciuti in pochissimo tempo. Entrambe erano sudate
fino alle ossa, ma non v’era tempo per badare a ciò. Francesca
gettò un’occhiata nervosa alle sue spalle.
-Fre, ti prego…
fermiamoci!- implorò sua sorella col fiato mozzo. Curvò la
schiena, fino a potersi toccare le gambe senza dover piegare le ginocchia; se
le massaggiò.
-L’abbiamo seminato?-
chiese.
-Così pare…- rispose Francesca, continuando a
guardare dietro a sé, fin dove gli alberi le permettevano. Poi,
notò un tremolio tra le foglie; aguzzò la vista. Non vedeva
nulla, nemmeno l’ombra di una persona; probabilmente era stata una
sporadica raffica di vento, oppure un uccellino che aveva spiccato il volo.
-Te la senti di proseguire?- chiese.
-Sì. Però camminiamo
per un po’, poi corriamo di nuovo. – accondiscese la sorella.
Fosse stata con Harry, quest’ultima, avrebbe trovato quasi romantica una passeggiata di quel
genere; purtroppo, l’urgenza non le permetteva di godere appieno della
bellezza di quel posto.
-Porca…! I ragazzi! Non li abbiamo
sbloccati!- gridò d’un tratto Francesca.
-Hai ragione! E… se quello
là le…-
-No. No, lui vuole solo noi.
–
-Già. Beh, molto confortante lo stesso…-
Continuarono a camminare, silenziosamente. Avevano le orecchie tese, nel caso avessero sentito dei
passi.
L’atmosfera che si respirava era di attesa;
a ciò contribuiva in maggior parte il fatto che non tirasse un solo
alito di vento. Non una foglia si muoveva, non un uccellino
cantava. Silenzio, allo stato puro.
Poi, ad un tratto Elisabetta si voltò di scatto.
-Che c’è?- le chiese
la sorella.
-No, niente. È che mi era parso
di sentire un rumore…- si giustificò la prima, non avendo scorso
alcunché. Ma dopo non molto, Francesca fece lo
stesso; questa volta però qualcosa vide.
Due ombre si stavano dirigendo verso di loro a tutta birra,
e non accennavano a frenare; erano completamente trasparenti, perciò
erano quasi mimetizzate in mezzo a tutto ciò che le circondava.
-Me**a, corri! Due fantasmi ci inseguono!-
gridò Francesca, prendendo per mano la sorella e iniziando nuovamente a
correre.
-Cavolo, ci stanno raggiungendo! Impedimenta!-
Elisabetta centrò uno degli spettri, ma l’incantesimo parve non
sortire alcun effetto.
-Non funziona, non funziona!
Dannazione!- si lamentò imprecando.
Gli alberi scorrevano veloci alla loro vista, non come a
bordo di un’auto (magari!), ma considerevolmente lo stesso. La loro
velocità non bastò però a seminare i due fantasmi, e
nemmeno la loro bravura in Difesa o Incantesimi. Questi ultimi continuavano a
guadagnare terreno.
Fre… è finita! Tra un po’ ci beccheranno…
lo sento, sono sempre più vicini!
Possibile che debba finire così?
Avvenne l’impatto. I due ectoplasmi trapassarono il
corpo delle due ragazze più volte; un dolore
acuto scoteva i loro corpi, e urlarono, urlarono con quanto fiato avevano in
gola. Sentirono bruciarsi le costole, e poi i loro organi interni; non
respiravano più, gli occhi erano completamente spalancati.
Poi, così come il dolore era iniziato, esso
scomparve, così come i fantasmi.
*
Mentre ciò accadeva, Silente, infuriato come non lo si era mai visto, interrogava lo zio delle ragazze, il
quale era stato catturato da Harry e non aveva nemmeno tentato di opporre
resistenza.
Harry, con i modi più rudi che
gli si fossero mai stati visti, condusse il prigioniero in Presidenza, seguito
a debita distanza da un discreto gruppo di professori, timorosi di avvicinarsi
troppo, più che al malvagio, all’Harry furente.
Quando si furono tutti sistemati
nella stanza, Silente iniziò l’interrogatorio.
-Immagino che tu sia…-
-Suvvia, lo sappiamo tutti chi sono…-
disse in tono leggero l’uomo. Mossa sbagliata: Harry
l’afferrò per il colletto e lo sbatté con pochi complimenti
al muro.
-Non fare il furbo… o potrei perdere la pazienza.
– ringhiò. Evidentemente era sconvolto, inoltre
si sentiva in parte responsabile per l’intrusione di
quell’uomo.
Piton giurò di essersi rivisto durante uno dei suoi
interrogatori da ex Mangiamorte; era a dir poco
sbalorditiva la cattiveria con cui Harry trattava con quell’uomo…
-Harry…- lo
rimproverò poco convinto Silente –Allora, che cosa hai fatto a Elisabetta e Francesca? Parla!-
tuonò il Preside.
L’altro uomo restò zitto. Harry gli
mollò un pugno in pieno petto, facendolo piegare in due sul pavimento.
-Harry!- ora Silente diceva sul
serio. Il ragazzo fece un breve giro della stanza, per tornare a concentrarsi
sul suo prigioniero.
-Io… io n-non ho fatto loro niente. – disse quello,
il fiato spezzato.
-Lo scopriremo subito. – disse Piton, prendendo la
bacchetta dell’uomo dalle mani di Harry, il quale l’aveva requisita
poco prima -PriorIncantatio!-
mormorò.
La bacchetta tremò sul palmo aperto della sua mano e
girò più volte alla stregua di una trottola, poi si fermò
e generò una copia in miniatura dei due spiriti evocati poco prima; essi
rimasero visibili finché Piton non mormorò il controincantesimo.
-Che roba era quella?- chiese contrariato
l’uomo per il fatto di non rammentare un simile incantesimo.
-Niente di interessante, ho
soltanto evocato due spiritelli…- rispose l’interpellato.
-E per quale motivo?- gli
ringhiò Harry.
-Questi sono affari miei. – rispose pacatamente
quello.
Harry, indispettito da quell’atteggiamento, stava per
colpirlo nuovamente, quando la porta si spalancò di colpo ed
entrò la McGranitt,
tutta trafelata e piuttosto scombussolata. Fece cenno a Silente di seguirla; i
due si chiusero la porta alle spalle. Fuori, Elisabetta e
Francesca, strette una all’altra, sorrisero a Silente.
-Oh, Giuseppina, state bene? Che vi è successo?- chiese concitato l’uomo.
Le due raccontarono l’accaduto, senza saper bene
spiegare l’ultimo passaggio, quello dei fantasmi, come li chiamavano
loro; per farsi trovare avevano provato l’incantesimo Sonorus,
che avevano sentito eseguire dalla McGranitt allo spettacolo. La donna
spiegò di aver udito un debole grido e di averlo seguito assieme a
Giordano.
-Meno male. Anche se dobbiamo
chiarire la faccenda degli spettri, sono contento di avervi ritrovato. –
esclamò Silente.
-Possiamo andare a sbloccare i nostri
compagni?- chiese Francesca, esitante.
-Non ce ne sarà bisogno. Sapete, potete esercitare il
vostro controllo sul tempo ancora solamente in zone limitate, perciò
quando vi siete allontanate, parecchio da quello che mi è sembrato di
capire, si sono sbloccati da soli. State tranquille. – detto ciò,
il Preside tornò dentro la stanza.
-Hai fallito. Le tue nipoti sono qua
fuori, vive e vegete!- sentenziò rivolto allo zio delle ragazze.
Egli rise, sorprendendo tutti i presenti.
-Davvero… davvero credete che non sia riuscito nel mio
intento?- chiese.
I presenti si guardarono l’un
l’altro, smarriti.
-Ebbene, avete torto. A
quest’ora, quegli innocui spiritelli che avete ammirato prima si saranno
già insediati nei loro corpi, e avranno iniziato lentamente, ma
costantemente, a nutrirsi. – il pazzo rise di nuovo,
questa volta più sguaiatamente. Terrore puro si era diffuso tra i
professori.
-E… esattamente, di cosa si nutrono?-
ebbe il coraggio di chiedere Piton, sottraendo a Silente il grave peso di
farlo.
-Dei loro poteri… della loro
essenza… della forza che scorre in loro. E
quando avranno finito, esse moriranno!- le sue parole furono lapidarie. Non necessitavano di ulteriori commenti.
-No!- gridò Harry, gli occhi assatanati, saltandogli
addosso –Non è vero, tu menti!- lo accusò, tirandolo per il
bavero e caricando il destro, ma fu fermato da Silente e Piton, i quali gli
bloccarono le braccia e lo allontanarono. Subito Lorriprese il posto del ragazzo, vigilando sullo spregevole
uomo, il quale ghignava compiaciuto.
Quando Harry si fu calmato un
po’, Piton si diresse verso lo zio e fu il suo turno di prenderlo per il
bavero.
-Giuro che avrai il piacere di visitare Azkaban,
in Inghilterra. Quello è il posto giusto per tipi
spregevoli come te!- soffiò.
-Non so di cosa parli. Io quelle ragazze non le ho toccate.
–
-Peggio! Hai fatto di peggio!-
scandì lentamente.
-Dimostratelo…-
-Oh, canterai come un usignolo davanti a chiunque, dopo una
dose del mio Veritaserum!- disse trionfante Piton,
vedendo formarsi sul volto dell’uomo una smorfia.
-Non ci avevi pensato, eh? Ammettilo. Beh, ti costerà
caro. – lo beffeggiò l’insegnante di Pozioni.
Era vero. Gli sarebbe costato caro. Quanto al fatto dinon averci pensato,
il tipo aveva torto: aveva portato a termine il suo lavoro, eccome. E quello era ciò che contava. La sua missione era
finita, aveva estirpato i Wizardtime, non ce
n’era più neanche uno sulla Terra. Era pronto a tornare dal suo
padrone…
Con un gesto fulmineo estrasse la bacchetta dalle pieghe del
mantello di Piton; l’uomo, sorpreso, balzò indietro. Molti
professori si alzarono in piedi, guardinghi.
-Ti sbagli, ne avevo tenuto conto
eccome. Ma tu non potrai mai capire… nessuno
potrà mai capire! Il mio compito qui è
terminato…- così dicendo si puntò la bacchetta alla tempia
-… sono pronto a tornare dal mio padrone. AvadaKedavra!-
Il corpo dell’uomo si afflosciò sul pavimento
con un tonfo; la stretta sulla bacchetta si allentò, ed essa
rotolò lontano.
-Troppo orgoglioso per farsi catturare e processare…-
fu il commento di alcuni.
-Pazzo io direi… era convinto
di essere il braccio sinistro di Dio, e di aver ricevuto da lui la missione di
liberare il mondo dai Wizardtime. Ironia
della sorte, ora brucerà all’inferno. – rivelò
Piton.
Harry, in un angolo, singhiozzava…
-Ora… chi lo dirà a
Elisabetta e Francesca?- gemette.
I presenti si guardarono in tralice, ognuno preoccupato che potesse toccare a sé.
-Beh, io sono il Preside, penso che tocchi a me. – disse gravemente Silente, accostandosi alla porta; i
colleghi annuirono rispettosamente.
-Francesca, Elisabetta, venite
dentro un momento. –
Le due, confidando che il tutto si fosse risolto per il
meglio, entrarono fiduciose e risolute seguite dalla McGranitt, ma non appena
fiutarono l’atmosfera tesa, capirono che qualcosa era andato storto.
Quegli adulti le fissavano come se fossero state delle condannate a morte, con
occhiate piene di commozione, tenerezza, compassione.
A poca distanza da loro, ferme in mezzo alla stanza, giaceva
il corpo del loro parente, e se ne accorsero quasi
subito.
-È… morto?- chiese Francesca.
Silente annuì, mentre alla McGranitt sfuggiva un singhiozzo.
-Ragazze, temo… temo che siano sorte delle…
complicazioni…- cercò di dire Silente, ma
il pover’uomo non era preparato per dire quello che doveva dire.
-Avanti. – lo esortarono le sorelle.
-Ehm… non è facile per me, ma… ecco,
prima di morire, vostro zio ci ha parlato di una maledizione che ha scagliato
su di voi…- disse vago, sfuggendo il nocciolo
della questione.
-Oh, capirà, siamo nate con la sfiga
addosso!- esclamò Elisabetta, che ancora ignorava l’entità
della maledizione.
-Oh, Elisabetta… vorrei che fosse così.
Purtroppo, la maledizione che vi ha colpito è mortale. -
-Mortale?- ripeté sbalordita la ragazza.
-Purtroppo. –
-No. No, questo non è
possibile! Noi, noi stiamo bene! Ci muoviamo, parliamo, insomma: siamo vive!-
replicò Francesca.
-Questa è tutta una presa in giro, vero? Insomma, mia
sorella ha ragione!-
-No, questa non è finzione; è la pura
verità. – le parole di Silente furono lapidarie,
gelide come l’acqua fredda in inverno, a dir poco truci.
Le emozioni che riempivano il cuore e la mente delle due
giovani ragazze erano indescrivibili; un turbinare
confuso di pensieri, come quella sensazione che si prova durante il
dormiveglia: stavano come assistendo ad un film proiettato al cinema, non erano
capaci d’intendere e volere, non potevano intervenire, erano solo
semplici spettatori, nulla di più. Sembrava impossibile, per la loro giovane
mente, poter anche solo accennare alla propria morte; la morte
è una cosa che colpisce solo i vecchi, gli ammalati. Durante i loro
quindici anni mai avevano pensato alla propria morte, mai, nemmeno un giorno;
una cosa così lontana… Ora comprendevano
quanto vicina essa potesse essere, e non occorreva essere in là con gli
anni. Ebbero paura, come mai ne avevano avuto prima.
Finché quella cosa astratta denominata “morte” era,
così,una
cosa teorica, relativa, impossibile da fermare, questo sì, ma anche impossibile
da prevedere, non faceva poi così paura. Da giovani ci sisente protetti,
sicuri che sempre qualcosa o qualcuno garantirà per noi; insomma,
è impossibile che proprio a noi possa capitare qualcosa di spiacevole.
Grosso errore. Vigilanza costante. Mai adagiarsi sugli
allori.
-E va bene. Professor Piton,
conosce qualche rimedio?- chiese Elisabetta, ridestandosi dal suo lugubre sogno
nero.
-Purtroppo no. – rispose
quello un po’ stupito per la freddezza con cui l’allieva glielo
aveva domandato.
-E lei, professor Lorri?- ritentò la ragazza.
-No, mi dispiace. –
-Oh insomma, ci sarà pure qualcosa, un rimedio! Vi credete tanto più bravi dei babbani,
dimostratelo! A che serve la magia se poi uno deve morire senza nemmeno
battere un ciglio?!- s’infervorò Elisabetta.
Tutti i professori chinarono il capo in segno di rispetto: erano stati tutti
toccati nel vivo. Nessuno conosceva la soluzione all’enigma e ciò
era frustrante, ma ancor più lo erano le parole della loro allieva,
perché erano vere.
-Quanto ci resta?- chiese più moderata Francesca. I
suoi occhi tradivano una profonda disperazione.
-E chi lo sa?- rispose sconfortato
Silente.
-Io ho una mia teoria. Secondo quanto ha detto vostro…
quell’uomo… gli spettri assorbono le vostre energie vitali. Dunque,
se voi riposate e limitate al minimo gli sforzi, in più vi nutrite
abbondantemente, dovreste riuscire a rallentare l’operato
di quei demoni. – espose Piton; la sua teoria appariva sensata.
-Dunque, ci dovremmo ridurre a dei
vegetali? Non fare niente tutto il giorno, è questo che intende?- chiese indecisa a rassegnarsi all’idea Elisabetta.
-Suppongo di sì. –
-Non lo accetto. – dichiarò Francesca,
stupendo tutti –Insomma, la vita è vita perché puoi
fare quello che ti pare!-
-Per il momento, non mi pare ci siano alternative. Graziana,
accompagnale in Infermeria, spiega alla signorina Ilenia quello che è
successo. Intanto noi… cercheremo una soluzione. – Silente appariva
molto più vecchio e stanco rispetto al solito.
Aveva due grosse borse sotto agli occhi e le rughe
d’espressione sul suo viso sembravano essersi definite con molta forza
solo nell’ultima ora.
La
McGranitt precedette le due ragazze, aprendo loro la via; le
tre donne sfilarono una dopo l’altra accanto al corpo dello zio delle
più giovani, le quali lo schernirono: Francesca gli sputò sopra e
sua sorella lo calciò. Nessuno osò contestare il loro
comportamento vandalo, nessun professore ne ebbe il
coraggio. Prima di uscire, Elisabetta diede a Harry una lunga occhiata; i loro
sguardi esprimevano sgomento, paura, smarrimento. Entrambi.
*
Poche ore più tardi, le due sorelle erano in
Infermeria. La signorina Ilenia aveva servito loro un abbondante pasto, e ora
lo stavano consumando. Ogni tanto alzavano gli occhi, per controllare la Medistrega;
era irritante il modo in cui venivano scrutate, sempre
a ricordar loro che tra poco tempo sarebbe tutto finito. Non appena la donna
capiva le intenzioni delle ragazze, abbassava lo sguardo oppure fingeva di
sistemare qualcuno dei suoi affari da infermiera. In realtà non aveva un
bel niente da fare.
Da quando erano lì non avevano ancora ricevuto
visite, e un po’ se ne dispiacevano. Avrebbero voluto sfogarsi con i loro
amici, ma a quanto pareva o avevano avuto da fare (piuttosto improbabile) o era
stato vietato loro di entrare.
-Che ore sono?- chiese Francesca.
-Le sette. – rispose piatta la signorina Ilenia.
Fu la conversazione più lunga che ebbero per la
successiva ora. La donna non permetteva nemmeno che si parlassero tra loro,
figurarsi a lei!
Alle otto, per fortuna, udirono dei passi in corridoio.
Entrambe speravano che si trattasse di qualcuno dei loro amici, invece era
Silente, seguito da un drappello di insegnanti.
-Ilenia, se vuoi per un po’ puoi andare. – disse alla Medistrega. La donna ubbidì e uscì.
-Allora? Novità?- chiese speranzosa Elisabetta.
-Purtroppo no. –
-Domani potremo partecipare alle lezioni?- chiese speranzosa
sua sorella.
-Qua i casi sono due: o moriamo di noia, o andiamo a
lezione. Faccia lei…-
-No, no e poi no! Questo non è uno
scherzo, ragazze, qui c’è in ballo la vostra vita!-
-Ma io non ho nessuna intenzione di
dover recuperare l’ultima settimana di scuola durante le vacanze!-
protestò Elisabetta.
-Elisabetta, dovresti pensare alla tua salute, piuttosto!
Senza quella, non si procede con gli studi. –
sentenziò Piton con la sua voce autoritaria. Un modo soft
per dire: per studiare occorre essere ancora vivi.
-Che scatole! Tanto, da stare a sedere in classe a stare sedute qua, non vedo quale sia la
differenza! La prego, solo al mattino!- mugolarono.
Silente non riuscì a imporre loro tale
proibizione, così concesse loro di partecipare alle lezioni mattutine.
Stabilito ciò, se ne andò seguito dalla
maggior parte dei colleghi. La
McGranitt si trattenne nella stanza, Harry fuori attendendo
il suo turno.
-Siete molto coraggiose. Vorrei solo che la sorte fosse
stata meno dura con voi…-
-…-
-…-
-Sentite, voi qui sole vi annoierete
a morte. Se volete, vi porto un libro. –
-Magari!!-
-Va bene, allora vedrò cosa posso fare. Smack!- la
donna diede un bacio ad entrambe e uscì, lasciando la porta aperta per
Harry.
-Ciao…- mormorò il ragazzo.
-Ciao. –
-Mi dispiace terribilmente, è
stata tutta colpa mia. Avrei dovuto vigilare su di voi, e invece…- un
pericoloso luccichio minacciò pioggia.
-Non dire così, piuttosto è colpa nostra. Avremmo dovuto starcene in una zona ben in vista, non
nasconderci in un angolino. Ormai è andata così. –
-Ti… ti voglio bene. – diede un bacio sulla
guancia a Elisabetta, salutò Francesca e
uscì quasi correndo.
Lucifer_the_Darkslayer: grazie per il complimento!
_Laura_: presto lo scoprirai…
NemoTheNamless: anche tu presto lo scoprirai…quelgruppo spunterà fuori fra un po’…ma
per poco…ricordati che siamo in Italia, mentre loro vivono in Inghilterra...grazie
per la recensione! J
Sono sola, completamente sola, in un
posto che somiglia terribilmente all’Antartide. Ho freddo.
Ho perso la sensibilità alle mani, tra poco anche
ai piedi. Però ho ancora la testa. No, tra poco
sarà congelata anche quella.
Sorellina, dove sei? Amici…
Aiuto… ai-u…
-Fre, svegliati! Dai, muoviti, abbiamo visite!- Elisabetta scoteva da un pezzo sua sorella,
la quale, voltata dalla parte opposta nel letto, non accennava a svegliarsi.
Finalmente aprì gli occhi; si stiracchiò e si mise a sedere.
-Eh?-
-Ci sono i vostri amici qua fuori, li debbo
far entrare?- chiese la signorina Ilenia per la seconda volta. Erano le sette
del mattino, ed era ancora troppo addormentata per
arrabbiarsi con qualcuno; iniziava a scaldarsi solo verso le nove o le
dieci, a seconda delle stagioni.
-Sì…- mugugnò Francesca stropicciandosi
gli occhi. Meno male che il sogno era finito e che, appunto,
era solo un sogno.
-Ciao! Ben svegliate, disturbiamo?- i ragazzi, con la solita
carica, entrarono nella stanza alla guisa di una
piccola mandria disordinata di bufali; la signorina Ilenia si limitò a
farsi da parte e appena intravide uno spiraglio di luce uscì alla
chetichella.
-Come va?- chiese innocentemente Ramona, ma attirò su di sé lo sguardo di rimprovero di
tutti i suoi amici.
-Che vuoi che ti dica… questi qua già ci stanno
scavando la fossa e noi qua stiamo bene…-
In realtà non era vero. Durante la notte Francesca aveva
avuto tutti i sintomi di un attacco d’asma, nonostante lei non ne
soffrisse, e aveva rischiato di rimanerci. Sua sorella, per lo spavento, aveva
vegliato su lei tutta la notte; a parte un’insolita sensazione
all’addome, come se le sue budella si fossero più volte ritorte su
loro, e una sensazione d’oppressione ai polmoni, era ancora viva pure
lei.
-Vi abbiamo portato i walk-man e
qualche libro, nel caso abbiate voglia di fare qualcosa. – disse Manuel.
-E anche delle riviste, le abbiamo
mandate a prendere via gufo. Betty, guarda a pagina 27, c’è un articolo su Tiziano Ferro.
– aggiunse Sara.
-E noi Serpeverde senza cuore vi
abbiamo portato della cioccolata. – disse Kanata abbracciando
fraternamente Enrique. Il ragazzo era profondamente cambiato dopo quello che era successo; innanzi tutto, aveva fatto pace con
Ryan (anche se solo Sara lo sapeva), e si era
ripromesso di essere più gentile con le sorelle, specialmente con
quell’Elisabetta con cui ogni tanto aveva discusso. La vita, e ne aveva avuto il duro riscontro, era troppo breve per
essere buttata via; tutto il bene che si poteva fare andava fatto subito, non
rimandato al giorno del mai. Per questo, aveva acconsentito a farsi riassorbire
da Ryan, il quale gli aveva promesso di “farlo
uscire” abbastanza spesso, specialmente nelle occasioni importanti come
le feste.
-Grazie, siete tutti troppo premurosi. Se poi ci abituiamo
alla vostra gentilezza, dovrete continuare a riverirci per i prossimi anni!-
-Correremo il rischio. È tardi,
dobbiamo andare, se no ci danno per dispersi. Ci vediamo più tardi. Ciao
ciao… -
Manuel fu l’ultimo ad uscire, non prima di aver dato
un bacio, un bacio vero, a Francesca, per dimostrarle
quanto le era vicino e quanto le voleva bene.
I ragazzi, uscendo, scossero la
testa: Silente era stato chiaro (aveva rispiegato la storia da capo per quelli
a cui era stata cancellata la memoria), eppure… non esisteva rimedio
alcuno? Erano così piene di voglia di vivere, così,
così… innocenti. Giada piangeva in silenzio; anche Manuel aveva
gli occhi lucidi, e così pure Ramona. Anime infelici
lungo i corridoi di scuola, fantasmi distrutti dal dolore.
Piton superò i ragazzi con poche, rapide falcate.
Vedeva il loro dolore, era quasi palpabile; lo comprendeva. Erano un gruppo
unito, malgrado tutte le divisioni esterne come le Case di appartenenza
e le aule. Si volevano bene l’un l’altro,
erano un vero gruppo. Non c’erano parole per descriverli
quando stavano assieme, si muovevano come un organismo unico; poi,
sapevano riprendere ciascuno le proprie caratteristiche, staccandosi e vivendo
la propria vita autonomamente.
I Malandrini. Erano la loro copia, solo più numerosi.
In effetti, con quello strano diario di cui gli aveva parlato Potter avrebbero
potuto ricevere molti suggerimenti… Ma cosa andava a pensare?
C’erano in gioco due vite e lui si faceva
sopraffare dall’odio?! Più tardi avrebbe
fatto visita alle due sorelle…
Intanto, c’era chi aveva pensato la stesa cosa ma l’aveva anche messa in pratica…
La Chiodo,
che non aveva occupazioni importanti al momento, si era
offerta di tener compagnia a Francesca ed Elisabetta al posto della
signorina Ilenia. Le ragazze parvero gradirlo.
-Ma sarà normale? Dico, è da ricovero! Sono ferma a letto e quella
là mi porta L’Iliade? Ma roba da
pazzi…- Elisabetta si stava lamentando con la Chiodo dell’operato della McGranitt.
-Senti chi parla… sbaglio o non gli hai staccato gli
occhi di dosso da quando te l’ ha dato?- le fece
presente Francesca.
-Oh, beh… quando non si ha niente da fare, va bene
tutto…- sua sorella fece spallucce.
La Chiodo si divertiva
a vederle battibeccare. Peccato…
-Beh, L’Iliadeè
un’ottima lettura…-
-Prima di andare a letto, così ti addormenti…-
Elisabetta voleva sempre dire la sua. Metà delle cose
che diceva però non le pensava; ad altre invece
era così aggrappata che cercare di farle cambiare idea poteva persino
metterla in crisi…
Francesca cercava ogni tanto di contenere questa sua
attitudine, ma più spesso diveniva sua
complice. Si facevano forza l’un l’altra,
e ciò le faceva andare avanti. Avanti… fino al baratro…
-Sapete una cosa? Una cosa che solo adesso mi rendo conto di desiderare?- esordì Elisabetta. Le sue
due interlocutrici si fecero attente.
-Sembrerà strano ma…
avrei voluto che mia madre mi avesse rimproverato perché volevo andare
in discoteca col mio ragazzo… ma non ho più una madre, non mi
piace la discoteca e non ho un ragazzo… - sospirò.
-Già… oppure venire
punite per aver fatto cabò per andare al
mercato. Ancor meglio se non ci avessero scoperte,
però!- Francesca stava al gioco.
La Chiodo le capiva
benissimo (non per il fatto di voler fare cabò).
Quante cose non avevano assaporato nella loro breve vita! Quante cose erano
state negate loro per capriccio del destino!
La madre naturale, solo quello volevano.
Avrebbe tanto voluto fare qualcosa… quanto sarebbe stato fortunato suo
figlio, chissà se se ne sarebbe mai accorto? Eppure… sì, sapeva cosa c’era da fare.
Intanto, Ramona e Manuel, fisicamente nell’aula di
Lettere, erano col pensiero altrove, in Infermeria, accanto alle loro compagne
(per Manuel qualcosa di più); avevano dovuto sopportare gli assalti di
domande dei compagni di classe presenti riguardo all’assenza delle
sorelle… a riguardo, si erano accordati col resto del gruppo prima di
raggiungere le rispettive aule: a quanti avrebbero loro chiesto il motivo
dell’assenza, avrebbero risposto che avevano
l’influenza e la febbre, che se l’erano attaccata a vicenda.
Una buona scusa, che sembrò funzionare.
Piton, dopo aver portato faticosamente a termine la prima
ora di lezione coi Tassorosso, si diede per malato; in
realtà si era rintanato in Biblioteca. Padrone assoluto della stanza, e
scacciata la legittima proprietaria, iniziò una frenetica ricerca tra
titoli e copertine. Ovviamente, cercava un rimedio per “il problema”
delle sorelle Grifondoro. Gli bruciava il fatto di dover restare
impotente… e in fondo un po’ si era affezionato a loro, e a tutta
la loro combriccola.
Più passava il tempo, più il largo tavolo dove
di solito i suoi studenti sedevano per svolgere i compiti più tosti si riempiva di libri; alcuni aperti, altri con un
segnalibro, altri chiusi a scatole cinesi per tenere il segno.
-Severus, hai trovato qualcosa?- la Chiodo
scivolò all’interno della stanza, aprendo del tutto la porta
socchiusa.
-Purtroppo no. Non ancora. –
il tono dell’uomo era volto a rassicurare la sua donna, ma non
riuscì nemmeno ad autoconvincersi.
-Possibile che non esista pozione,
incantesimo, talismano…?- insistette la donna.
-Ecco! Sotto la voce talismano non ho
ancora cercato…- svelto passò in rassegna alcuni titoli sulla
mensola di uno scaffale, poi su quella sottostante. Pensieroso, estrasse un
libro rilegato con una copertina rossa, lo aprì e ne sfogliò
nervoso le pagine.
-Qui c’è tutto l’elenco dei talismani
finora conosciuti…- disse avvicinandosi alla Chiodo
per permetterle di leggere. Trattenne il fiato. Era sempre un’emozione
avvicinarsi a lei.
-… contro il Malocchio, contro… ecco! Ci siamo!
Amuleti contro gli spiriti maligni…- stavolta fu la Chiodo
a trattenere il respiro, e incrociò le dita.
…la Divina Commedia dello scrittore babbano italiano
Dante Alighieri vuole che Lucifero, noto a tutti con
l’appellativo di “diavolo”, fosse in principio un angelo del
Paradiso, tanto bello quanto vanitoso. Egli si ribellò al Signore, e per
questo Dio lo punì, precipitandolo sulla Terra; da quel giorno egli
divenne il re del male, e attorno a lui si radunarono, nel corso dei secoli, le
anime di tutti coloro i quali in vita non erano stati
meritevoli o addirittura malvagi.
Da tempo immemorabile il mondo sotterraneo è
considerato la sede del male supremo; per tanto, durante il Medioevo maghi e
streghe a perenne contatto con i babbani hanno
sviluppato e fatta propria la credenza di questi ultimi, la quale voleva che
gli spiriti provenienti dai vari gironi dell’Inferno, rimandati sulla
Terra a infestarla, potessero essere contrastati da
particolari pietre, le quali si estraggono dal terreno a diversa
profondità. A ogni girone dell’impero
degli inferi corrisponde una pietra-talismano che ha il potere, dopo essere stata
incantata adeguatamente, di respingerne gli spiriti e le anime in pena.
-Ecco, qui c’è rappresentata la struttura
dell’Inferno dantesco, suddiviso in gironi e bolgie; vedi, accanto ai
nomi c’è quello della relativa pietra-talismano…- la Chiodo
scorreva con l’indice su una mappa colorata finemente raffigurante
appunto l’Inferno come lo immaginava Dante; erano segnati anche i fiumi Flegetonte e Acheronte e la formula di ammonimento presente
all’entrata del regno degli Inferi (…lasciate ogni speranza voi ch’entrate…).
Scorrendo il paragrafo, che continuava nella pagina
precedente, Piton lesse:
-In sostituzione a questi minerali si può
utilizzare l’oro, considerato dall’alba del genere umano il
minerale degli dèi. Se si vuole ottenere un
effetto più potente è consigliabile
affiancare all’oro l’azzurrite, un minerale di colore variabile
dall’azzurro al blu tendente al nero, anch’esso associato al mondo
divino per il suo colore.
In definitiva, possono essere utilizzati vicendevolmente
minerali di colore dorato o blu/azzurro; essi possono essere utilizzati per
respingere spiriti al loro primo attacco. Se invece lo scopo è quello di
scacciarli da un corpo… ecco, qui ci interessa…
gli unici minerali di cui ci si può servire sono quelli sopraindicati
(oro e azzurrite, entrambi), meglio se affiancati da quelli specifici (vedi
tabella a pagina precedente). È tutto… Ah, poi ci sono le
formule di accompagnamento…-
-Possibile che quelle ragazze non avessero nemmeno un
briciolo di oro con loro? Nemmeno un crocifisso? O un braccialetto… niente!- si
meravigliò la Chiodo.
-Loro zio è stato fortunato. Oppure
aveva calcolato tutto quanto. –
-Oh, Severus, dobbiamo procurarci quell’azzurrite il
più in fretta possibile!-
-Sì, ma dove?-
-Vado a controllare su Internet, tu informa
Silente. Cercami in aula di Informatica. A dopo.
–
*
-Questo è quanto. Spero vivamente
che la nostra collega abbia trovato qualcosa. – Piton aveva
informato Silente, come la
Chiodo gli aveva chiesto di fare. L’uomo annuiva
pensieroso; uno strano senso di freddo attanagliava le sue membra,
contorcendole in maniera quasi incredibile. Aberforth
era quasi tentato di trattenersi l’addome con le mani, per paura che le
sue viscere volessero abbandonarlo. Aveva uno strano presentimento…
Piton lo lasciò solo a meditare,
per raggiungere la
Chiodo. Quando entrò nell’aula di Informatica,
vide la donna seduta su una minuscola sedia davanti al server, il cervellone di
tutto quanto; accanto a lei c’erano un paio di fogli pieni di indirizzi e
paesi.
-Allora? Trovato qualcosa?-
-Un sacco di indirizzi di
collezionisti privati. Non mi è venuto in mente niente di meglio…-
rispose la donna passando all’uomo un foglio su
cui a mano aveva scarabocchiato alcuni indirizzi.
-Molto bene. Andrò a far visita a qualcuno di questi
signori… Se vuoi scusarmi. – uscì
così com’era entrato, in un turbinare di vesti.
Piton stava scendendo le scalinate che gli avrebbero fatto
guadagnare l’uscita, quando vide la McGranitt correre, quasi fosse stata inseguita,
nella sua direzione e velocemente superarlo.
-Graziana! Che
succede?-
-Elisabetta e Francesca! Hanno la febbre alta, non riusciamo
a farla scendere!-la donna scomparve ben presto dalla sua vista. Probabilmente
stava andando ad informare Silente. Doveva sbrigarsi, andare e tornare in
fretta.
Correndo si portò all’esterno
dell’edificio; corse ancora per un centinaio di metri, poi si
smaterializzò. Era consentito smaterializzarsi entro i confini del
castello, ma solo per spostarsi da una stanza all’altra, non per portarsi
all’esterno, perciò aveva dovuto farlo. Era pomeriggio inoltrato.
Ricomparve davanti a un immenso
cancello, che consentiva l’accesso ad un immenso parco e a
un’immensa villa. Un gesto svogliato della mano destra e il pesante
lucchetto che gli bloccava l’accesso cadde come una pera marcia
dall’albero; silenziosamente si introdusse nella
tenuta.
Il giardino era ben curato, sotto ai piedi
un sentiero bianco come neve delimitato da un doppio filare di cespugli.
Senza il minimo rumore strisciò fino
all’ingresso; nonostante ci si vedesse ancora, due lampade etniche erano
già accese ai due lati del pesante portone di legno scuro.
-Alohomora…- la porta
si dischiuse, come una volgare porticcioladi appartamento.
Dentro le luci erano spente; probabilmente i padroni erano
assenti. Non ci si vedeva granché, ma l’uomo procedette al buio.
-Se fossi un ricco snob
collezionista di sassi, dove custodirei i ninnoli?- si chiedeva fra sé.
Non aveva di certo il tempo per perlustrare l’intera villa: era enorme,
ci avrebbe messo troppo tempo, l’unica cosa che al momento gli mancava.
Così, la soluzione più logica che gli
venne in mente fu quella di lanciare il più potente incantesimo di
appello.
-Accio Azzurrite!- disse a
voce bassa, ma nitidamente. Come si era già immaginato, il sassolino non
gli era volato in grembo, ma in compenso un rumore martellante gli stava
indicando la giusta via. In effetti, pensò, doveva essere rinchiuso in
una specie di cassaforte, o qualcosa del genere.
Il rumore lo guidò fino ad una stanza che somigliava
molto al suo studio. Si concesse il lusso di farsi luce con la bacchetta, e
vide che si trattava di uno studio-biblioteca; c’erano diversi scaffali
pieni zeppi di libri appoggiati alle pareti, in fondo alla stanza una scrivania
elegante di legno scuro e scintillante e al centro alcune
poltrone e un tavolino basso. Immaginò un grasso uomo d’affari
esercitare la sua professione bevendo improbabili liquori assieme ad altre
persone dello stesso rango… che squallore.
-Accio!- ripeté. Un
tonfo ripetuto lo indirizzò alla scrivania. Aprì tutti i cinque
cassetti, e nell’ultimo trovò un sasso. Era molto bello,
scintillava nella sua mano colpito dal fascio di luce
della bacchetta; era di un blu molto scuro, la superficie irregolare formata da
grossi cristalli, tutti più o meno della stessa dimensione. Cominciava a
capire l’interesse dei Babbani per quei cosi.
Sorrise fra sé, soddisfatto. Era pronto per
tornarsene a casa, ma non aveva considerato un uomo che era scivolato alle sue
spalle: il rumore della sua attività aveva
coperto quello del nuovo arrivato, scivolato nella stanza da una porticina
nascosta nel retro della stanza, una specie di porta segreta.
L’insegnante stava rimirando il minerale, quando vide
un’ombra alle sue spalle. Si voltò di scattò;
fu anche per quello che il suo aggressore, uomo robusto, colto alla sprovvista,
non lo colpì alla nuca con la bottiglia che brandiva nella mano
sinistra, ma solo alla spalla. Fu un bel colpo, tanto da far cadere a Piton la
bacchetta.
-Ah! Ah…- la botta gli aveva fatto
male, e per giunta aveva perso la bacchetta. Quel tizio gli aveva
proprio fatto girare le… bolas. Piroettò
rapidamente su se stesso e sferrò un pugno, che colpì il suo
aggressore in pieno viso. Bene, questo gli avrebbe dato il tempo sufficiente
per recuperare la bacchetta.
-Accio bacchetta!- il pezzo
di legno dai grandi poteri gli volò dritto in
mano, e così poté smaterializzarsi e farla finita.
Ricomparve pochi istanti dopo al limitare interno della
foresta della scuola; barcollò e per poco non cadde, ma non c’era
tempo per svenire. Corse fino all’ingresso, salì
le scale due gradini alla volta e in un baleno fu dentro all’Infermeria.
Colti di sorpresa, i presenti si voltarono a guardarlo.
C’erano gli amici delle sorelle,
Silente, la McGranitt,
Harry, la Chiodo
e la signorina Ilenia. La Chiodo aveva spiegato a tutti quanti la
scoperta sua e di Piton, illustrando tutti i passi da compiere per tentare di
guarire Elisabetta e Francesca.
Tutti quanti avevano lo sguardo fisso sull’insegnante
di Pozioni.
-Ho l’azzurrite! Vittoria, hai l’oro?- chiese
affannato.
-Sì. –
Il grosso minerale di azzurrite fu
separato in due parti; una fu messa in mano a Elisabetta, l’altro a sua
sorella. Al collo portavano entrambe un collana con
diversi ciondoli, Francesca un braccialetto e una spilla, ed Elisabetta un
orecchino e un anello.
-Ci siamo. Aberforth…- la Chiodo
passò il libro con la formula da recitare a Silente, il quale
iniziò solennemente a leggere la formula in latino.
Appena iniziò a leggere, i
corpi delle due Grifondoro iniziarono a tremare, poi sopravvenne il delirio.
L’oro e l’azzurrite risplendevano di luce mistica.
Ad un cenno di Silente, Harry e Manuel aiutarono
le sorelle a tener stretti i due pezzi di azzurrite, tenendo fra le loro mani
quelle delle due ragazze. Scottavano.
Nessuno era a conoscenza del fatto che le anime delle due
lottavano per restare coscienti in una specie di limbo, una dimensione oscura
priva di spazio e tempo, dove il tutto era il nulla.
Francesca era rannicchiata, cingeva
le ginocchia con le braccia. Era seduta sul nulla. Rivedeva, come al cinema,
momenti belli e meno belli della sua vita. Nessuno
però era sufficientemente forte da vincolarla al suo corpo, in modo da
riportarla al presente, alla vita.
Certo, c’era l’arrivo a Hogwarts, la
conoscenza di Ramona e di suo padre, la fondazione del C.A.P.R.I., ma nulla di veramente significativo. Un tremito ebbe al
ricordo di Manuel, del suo primo bacio, del loro tenero affetto, ma lo stesso
non era sufficiente… il ricordo era offuscato dai momenti no del loro
ancor fragile rapporto.
Si mise a piangere. Possibile che la sua vita fosse stata
così vuota? Nessun avvenimento significativo,
niente di così importante da convincerla a legarsi nuovamente col suo
corpo mortale? Che senso aveva avuto per lei vivere?
Era logico continuare un’esistenza vuota?
Le cose che aveva per lungo tempo ritenuto importanti, il
motore delle sue giornate, le cose che la facevano svegliare presto alla mattina si rivelavano per futili, prive di consistenza,
insulse.
Aveva avuto uno scopo la sua vita?
No, sin dall’inizio. Non aveva i suoi veri
genitori, ed era stata spedita dieci anni più avanti rispetto alladata della sua
nascita.
Avevasenso?
Era una maga, in un mondo in cui sin da piccola le veniva ripetuto che la magia era frutto della sua immaginazione.
Aveva senso?
Era stata strappata senza tanti complimenti ai suoi
genitori adottivi e le era stato proibito di rivederli, solo per evitare una
fantascientifica guerra tra maghi e non-maghi.
Aveva senso?
Nulla aveva un senso, perciò… che scopo aveva
continuare a vivere una vita senza capo né coda?
Alzò la testa ed emise un lungo gemito di
disperazione, simile all’ululato di un lupo alla luna.
Poi, lo vide. Un bagliore, una piccola luce
intermittente. Veniva da lontano, e si stava avvicinando.
Man mano che le si faceva
più vicina, la luce diventava via via
più intensa, fino quasi ad abbagliarla. Ed
ecco, ebbe in mente le risposte.
Vide Emma infilarle tra i capelli neri e mossi una spilla
a forma di cuore; con quel gesto le aveva come trasferito i suoi pensieri: le
voleva bene, desiderava che lei vivesse, che continuassero ad
essere amiche e anche che le loro figlie, un giorno, potessero giocare
assieme, proprio come loro. Okay, erano previsioni quasi abbastanza
futuristiche, però esprimevano bene ciò
che Emma provava per lei.
Vide Ramona infilare un ciondolo a forma di sole in una
spessa catena d’oro di suo padre Giordano; come gliel’ebbe messa al
collo seppe cosa pensava: senza di lei si sarebbe sentita sola, infinitamente sola. Lei e sua sorella erano le sue
due vere amiche, da subito, senza pretese, erano speciali. E
il periodo passato da sole aveva rafforzato in particolar modo questo feeling.
Erano quasi in simbiosi, nel cuore di entrambe c’era spazio per
l’altra. Erano vere amiche.
Vide Enrique infilare nella stessa catena un ciondolo a
forma di delfino. Era un’enorme privazione per lui, lui che aveva
lasciato il suo cuore nel profondo del mare Mediterraneo, al largo della
Spagna. Seppe in quel momento quanto fosse importante
nella vita del suo amico la vicinanza al mare; era come se gli infondesse nuova
forza, la forza per tuffarsi tra le tiepide acque alla perenne ricerca di pesci
colorati e granchi. Quel delfino era ciò che lo legava più
intimamente al mare, e lo aveva donato a lei, proprio a lei.
Vide infine Manuel allacciarle al polso uno spesso
bracciale d’oro; con quanta delicatezza lo aveva fatto! E in
quell’istante seppe cosa rappresentasse per il
ragazzo: in una parola, il motore della sua vita. Lei era diventata la sua
famiglia, dopo l’”abbandono” dei genitori. Con lei si sentiva
una persona migliore, accettato, il sogno di ogni
persona. Senza, era solo un teppistello
esaltato in una società che tendeva ad eliminare gli elementi
irrispettosi delle regole imposte dall’alto. Senza era
perso.
E allora la sua anima risplendette
nel buio e nel vuoto di quell’infima dimensione, conscia che qualcuno,
nel mondo terreno, attendeva il suo ritorno con impazienza.
Basta, aveva già fatto soffrire troppo i suoi amici,
era tempo di tornare.
Anche Elisabetta si trovava in
quell’arcana dimensione priva di tempo e spazio. Ad ogni attimo, si
sentiva sempre meno vincolata al suo corpo terreno, e di conseguenza alla vita.
Ebbene, alla fine suo zio aveva
vinto. Tra poco, si sarebbe ricongiunta a lui all’inferno.
Non poteva aver un epilogo diverso, la sua storia? Davvero
i cattivi meritavano di vincere? Molte volte nella sua vita aveva dovuto subire
delle prepotenze, e molte volte la “legge” sembrava spalleggiare i
tiranni. Era un mondo giusto? Dove il debole soccombeva senza fiatare?
Epoi, esistevano davvero il bene e il male? C’era davvero un
giustiziere che al termine delle cose terrene poneva in
parità miti e prepotenti? Che vendicava
le vittime dei soprusi? Oppure, esisteva solo il potere, e chi era troppo
debole per averlo?
Che senso aveva tornare al mondo
dei vivi, per continuare a soffrire? Meglio scoprire subito se al di là della vita terrena esisteva
qualcos’altro…
Poi… era così sicura, ma si bloccò.
Vide una luce, un bagliore in lontananza, come i fari di un’auto, ed era
diretto verso di lei. Gesù che
l’accoglieva in Paradiso? La luce continuava ad avvicinarsi, e più
le era vicina, più si intensificava.
Arrivò ad essere talmente accecante che la ragazza credette
di trovarsi al cospetto di Dio in persona.
Era la luce della sua vita.
Vide Sara metterle al collo una catena con due ciondoli;
uno era di Kanata, l’altro di Ryan. Erano due pezzi di puzzle; su uno era scritto BEST, sull’altro FRIEND. Seppe, attraverso i ricordi
di Sara, la storia di quei due pezzi di metallo. Una volta appartenevano a Ryan, che poi ne aveva donato
metà al suo alter ego, Kanata. Ora erano nuovamente uniti, segno che i due avevano seppellito l’ascia di guerra e
avevano fatto pace. Una pace tanto sofferta, da entrambi i lati. L’elemento
decisivo al fine di tale scelta era stata la sua condizione. Piuttosto
lusinghiero.
Sara, la sua amica Sara, che
l’aveva confortata nel periodo più difficile della sua vita, le
aveva offerto la sua amicizia gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio.
Era veramente speciale, non esisteva altra persona che avesse
fatto qualcosa di simile per lei, prestarle un aiuto totalmente
disinteressato. Dopo tutto, i veri amici esistevano,
solo erano molto rari.
Poi vide Giada infilarle al medio un anellino sottile, una
farfallina. Era il suo gioiello d’infanzia, lo conservava
dall’età di sette anni, e se ne privava per lei, per dimostrarle
quanto le voleva bene. Sì, Giada era una vera amica pure lei. Sapeva
ascoltarla, comprenderla, consigliarla; le voleva bene, anche quando Elisabetta
era fuori di sé (e non era facile sopportarla in quello stato!).
Infine c’era Harry. Le aveva donato un orecchino,
che a dir la verità era più un piercing. Il ragazzo si era fatto il buco
all’orecchio sinistro al suo sesto anno, di nascosto dai Dursley, poi l’estate dell’anno dopo se
l’era dovuto togliere per nasconderglielo e alla
fine se n’era dimenticato e non l’aveva più rimesso.
L’aveva fatto per sentirsi più grande; certi ragazzi ad esempio
iniziavano a fumare, lui si era messo un piercing.
Sentiva di essere importante per lui, anche se non
riusciva a capire in che misura; sicuramente lei e sua sorella rivestivano un
posto speciale: le uniche due ragazze che lo apprezzassero non per quello che
aveva fatto, ma per il suo carattere, totalmente ignare delle sue gesta. Di
sicuro Harry ci teneva alla sua amicizia, nonostante avesse dieci anni
più di lei. Ma solo amicizia?
Beh, di sicuro non sarebbe trapassata prima di aver messo
in chiaro un paio di cose col suo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, e
ora che ci pensava aveva un paio di cosette da sistemare anche con Piton in
merito ai propri voti. No, no: decisamente ci teneva
alla sua vita!
Bastò semplicemente
il prendere coscienza del fatto di tenere alla propria vita per legarla
nuovamente al mondo terreno. Mentre il suo spirito trotterellava alla volta del
suo corpo mortale pensò: Non sono
così male quando dormo, ma preferirei che Harry mi tenesse la
mano… Poi non sentì più
niente.
Aprirono gli occhi quasi
nello stesso istante. Fu come… essere rinate. Respirarono a pieni
polmoni, avide d’aria, come se fossero state in apnea per lungo tempo. Ci
volle qualche minuto prima che la respirazione
tornasse regolare, e ciò non fu facilitato dal fatto che entrambe
vennero assalite dagli amici.
-Piano, piano,
fatele respirare poverine!- disse la McGranitt, un leggero sorriso le increspava le
labbra.
La massa confusa di
ragazzi fece spazio attorno alle due sorelle e si dispose a semicerchio attorno
ai letti.
-Mamma mia! Mi sento come
se mi fosse venuto addosso un camion!- confidò
Francesca, suscitando l’ilarità dei presenti.
-Ehi, Fre, bentornata! Comunque era un finale scontato: l’erba cattiva non
muore mai!- sua sorella era decisamente di diverso avviso, anche se quando
provò a rialzarsi ricadde subito -Miseria ladra! Ho i
muscoli in fiamme… mi stanno letteralmente mandando a quel paese!-
mugugnò a denti stretti.
-Serpini, non la tenga tanto lunga, se sente dolore significa
che è ancora a questo mondo!- disse Piton,
fingendosi arrabbiato. In realtà sorrideva.
-Prof.,
se volevamo fare filosofia andavamo al liceo, grazie. – ribatté
Francesca.
-E ora i miei muscoli a quel paese ci mandano lei!-
aggiunse sua sorella.
-Molto bene, ci sono
già andato, grazie. Sapete che sono andato fino in America per voi due
scimmie?-
-Davvero? Solo per noi due
insignificanti Grifondoro? Quale onore!-
-Ragazze, propongo di
festeggiare. Ma una festa come si deve, fino
all’una di notte e più! Con musica e annessi e connessi…-
propose Silente al settimo cielo, prendendo il comando
della conversazione.
-Sììììì!!-
-Eh no, queste due
ragazzacce devono prima rimettersi in forze. Quindi, niente festa finché
non lo dico io!- esclamò la signorina Ilenia,
entrando forzatamente nella scena di cui non era protagonista.
-Buuu!!-
-Coraggio, tutti fuori, andale! Ve le riporterò domani sera
nuove di zecca. –
In effetti, quasi nessuno
ci aveva fatto caso, fuori era giù buio pesto e
la luna splendeva alta nel cielo. Erano circa le undici di sera.
Era l’ultimo giorno di scuola. Teoricamente le lezioni
si sarebbero dovute svolgere come di consueto, in pratica la festa
iniziò dalle sette del mattino e continuò fino all’una di
notte; ci fu una pausa per i preparativi della vera festa, che sarebbe iniziata alle otto di sera e non si sarebbe
interrotta fino a mattina (per chi fosse riuscito a resistere).
Elisabetta, Francesca, Ramona, Sara, Giada, Emma e Desiréeerano riunite nel
Dormitorio di Tassorosso; con stratagemmi e promesse varie erano riuscite a far
sloggiare le legittime proprietarie e vi si erano insediate. Con loro avevano
un armamentario di vestiti e trucchi e roba del genere da fare invidia alle
sfilate di alta moda.
-Ammazza! Sono dimagrita di ben tre
chili!- gridò Elisabetta eccitata.
-Beata te! Io ne ho messo su due!- si
lagnò Emma. Tutte le ragazze la guardarono male: era magra come
un fuscello.
-Questa sera voglio divertirmi come non mai! Cosa mi consigliate di indossare?- si intromise Sara.
-Hai appuntamento con qualche ragazzo? Qualcuno dei tanti?-
la stuzzicò Giada. In effetti, le bruciava un po’ il fatto che la
sua migliore amica stesse contemporaneamente con due ragazzi.
-Eh? Ah! No, adesso vi spiego…- Sara raccontò grandi linee tutta la storia; le sue amiche, come brave
ragazze da soap-opera, la ascoltarono senza fiatare e lasciarono le domande
alla fine.
-Così… tu hai due ragazzi in uno! Ma regalane
uno a me, che sono povera di corteggiatori!-
esclamò Desirée.
-Guarda che alla fine è lo stesso ragazzo! Te
l’ ho detto, finita la scuola, cioè
domani, Kanata verrà riassorbito. – spiegò Sara.
-Però un po’ mi
dispiace. Okay che all’inizio mi stava un
po’ antipatico, però mi ha salvato la vita pure lui! Anzi,
dovrò ringraziarlo…- stava riflettendo
Elisabetta.
-A proposito di ringraziare, io non l’ ho ancora fatto con Manuel…- al sol pronunciare il suo nome
Francesca si fece tutta rossa in viso.
-Ah ah! Appuntamento romantico! Vai Fre,
stasera la gonna non te la leva nessuno!- esclamò eccitata
Ramona. In effetti Francesca, prima di
quell’anno, non aveva mai indossato una gonna; solo negli ultimi tempi
aveva iniziato ad apprezzarla, però la metteva solo nelle occasioni
specialissime. E quella della serata prossima ventura
era appunto una di quelle.
Ramona rovistò fra i vestiti che si era portata dietro l’amica; in fondo alla pila
trovò appunto la gonna nera a pieghe lunga fino al ginocchio. La
passò alla proprietaria.
-Solo, non so con cosa abbinarla…- si stava lamentando
Francesca.
Si provò almeno venti magliette diverse (appartenenti
un po’ a tutte le presenti), ma erano troppo
lunghe, o troppo vistose, o troppo anonime, o troppo magliette.
-Prova con una camicia!- suggerì Giada.
-Sì, provati la mia azzurra. A me è un
po’ stretta, ma a te dovrebbe andare a
pennello!- aggiunse sua sorella.
La camicia in questione era azzurro pallido, con le maniche
a tre quarti e appena quattro bottoni accoppiati ad asole invisibili.
-Mi sta bene! Quasi quasi sopra mi
metto la cravatta, che ne dite?-
-Ottima idea!-
A tre ore dalla festa, Francesca doveva solamente infilarsi
gli stivaletti sotto agli scaldamuscoli e poi sarebbe
stata pronta.
*
Ore 16.30, Dormitorio maschile dei
Serpeverde. Riuniti attorno ad un letto c’erano Manuel, Enrique e Kanata.
La loro momentanea occupazione era quella di rimirare i propri jeans e
disprezzarsi per non averne dei più decenti…
-Multi tasche? A vita bassa? A vita alta? Stretti o larghi?-
non sapevano proprio che pesci pigliare.
-Ehi Kanata, non è che mi
presti i tuoi jeans a vita bassa?- chiese speranzoso Enrique, odiando suo padre
per avergli infilato nel baule solo jeans “normali”.
-Va bene, tanto a Sara non piacciono…
ma ti avverto, sono molto a vita bassa. Spero tu abbia una
cintura…- acconsentì il suo amico,
facendo spallucce.
-No problem fratello! Pensavo di mettermi quella rossa, che
ne dici?- chiese nuovamente mostrando la sua cintura
di tessuto rossa all’ultimo grido.
-È okay. -
-Ehi Manu, hai già pensato
a cosa metterti?-
-Jeans e camicia ovviamente, a Francesca piace da impazzire
questo binomio! Però non so quale paio di pantaloni…decisamente a vita alta, però…- rispose
dubbioso il ragazzo.
-Questi! Con gli strappi sono troppo avanti, e poi sono
più chiari sul didietro. Ti fisserà il sedere tutto il tempo!- lo
consigliò Enrique, che quando si trattava di
dispensare pareri aveva le idee molto chiare.
-Ma sentilo! Sembra quasi un
venditore al mercato!- lo prese in giro Manuel.
-Bell’amico che sei!- ribatté Enrique fingendosi offeso.
*
-Betty, ma lo sai che la McGranitt ha proibito la
mini troppo… mini!- ricordò prontamente
Sara all’amica.
-Ma lei non lo saprà mai!
Ecco, vedi? Sopra mi infilo la gonna lunga, tanto non
si nota…- Elisabetta, sopra ad una mini di jeans, si stava infilando una
gonna lunga, nera, molto attillata (per forza: elastico 95%, cotone 5%);
sembrava aver già pensato i vari abbinamenti, perché prese alcune
magliette che aveva precedentemente selezionato e se le accostò una ad
una al petto, chiedendo pareri. La maglia più votata fu… no,
camicia (nera) anche lei.
Desirée intanto stava guardandosi
allo specchio, in mano alcune magliette e già addosso
un paio di jeans con tanto di cintura; optò per una con le
maniche “a rete” rossa. Il problema più spinoso era come far
stare a posto i capelli… Armandosi di santa
pazienza, e facendosi aiutare da Emma, con qualche chilogrammo di gel e
parecchie mollette colorate riuscì ad ottenere che il suo viso si
vedesse appieno.
Giada invece non sapeva proprio cosa indossare: si vedeva
male con tutto! Al colmo della disperazione, afferrò un paio di jeans a
caso e se li infilò. Erano attillati, pieni di fiori colorati su sfondo
bianco, molto primaverili.
-Veramente quelli erano miei! Comunque
fa niente, per stasera te li presto…- precisò Elisabetta.
Alla vita si mise una cintura di paillettes
color fucsia. Le donava.
Sopra, era indecisa tra una maglia bianca e una rosa. Alla fine Sara, impietosita, le prestò una sua maglia
a mezze maniche arancione.
-Le scarpe però devono essere tue, eh?-
-Sì, sì, quello non è un
problema…- infatti si era già infilata un
paio di stivali col tacco basso e a punta.
-Mazza! Con quelli ci infilzi
qualcuno!-
*
-Attento! Con quelle ci infilzi
qualcuno!- Enrique stava sbraitando contro Manuel che, nel cercare il suo
braccialetto con le borchie, l’aveva quasi graffiato (si fa per dire:
avevano la punta arrotondata, appunto per non far male).
-Beato te che le hai! Io mi devo accontentare dei
braccialetti di gomma, ne ho fregati alcuni a delle mie compagne…- sospirò Kanata, aggiustandosi i braccialetti gommosi.
-Io invece ho puntato sui braccialetti
spugnosi. Meglio quello di Bob Marley con la
foglia oppure quello dell’anarchia?- chiese interessato Enrique.
-La foglia, è meglio!- risposero
senza pensarci entrambi i suoi amici.
-E adesso viene il problema cruciale di ogni
ragazzo: metto o non metto il gel?- pensò ad alta voce Manuel,
recuperando la sua confezione super gigante di gel dal cassetto.
-Il punto è, fratello, quanto vuoi
apparire chic. Io ti consiglierei di sì, anzi, quando hai finito
passamelo!-
*
-Fre è tardissimo! Passami il
gel, in fretta!- Sara era carica come una molla, e non riusciva
a stare ferma. Si muoveva su e giù nella sua mini a pieghe nera, il top rosso seminascosto dalla maglietta a rete nera. I suoi
tacchetti facevano un rumore infernale…
-Eh, capirai, sono solo le sei e mezza!- ribatté
Emma, che si stava sistemando la lunga treccia davanti
allo specchio.
-Sì, ma a me occorre circa una mezz’ora prima
che lo smalto si asciughi!- puntualizzò
Elisabetta, passando un’ultima pennellata di smalto azzurro perla sul pollice
della sua mano destra.
-Oh, come sei brava! Passi lo smalto anche a me, io sbavo
sempre!- la implorò Emma.
-Sì, vai tranquilla, non c’è bisogno di
supplicarmi! Di che colore lo vuoi?-
-Rosso!-
-Wow, ci vai pesante. Su chi vuoi far colpo? Un Grifondoro?-
chiese inquisitoria Ramona.
-No, no… così, tanto per fare…- Emma era imbarazzatissima.
-Raga, guardate che spettacolo!- disse Desirée,
scotendo la sua chioma non più ribelle di riccioli: il letto più
vicino a lei si coprì di una leggera patina di brillantini viola.
-Wow! Forte! Dove li hai presi?-
-Boh, ci ha pensato mia madre. Non
sono tosti?-
-Spaziali!-
*
-Manuel, che scatole, non so cosa fare! Alla festa manca
più di un’ora, che possiamo fare per ammazzare il tempo?- Enrique era sull’orlo di una crisi isterica per astinenza dal
far qualcosa.
-Kanata, prendi le carte per
favore. Sarà un’ora molto lunga…-
*
-Desi, ma quante collane ti sei messa?- chiese sbalordita Sara.
-Sei, perché? Sono forse troppe?-
rispose perplessa la ragazza, facendo tintinnare i ciondoli.
-Ah… no, no, ti… ti stanno
benissimo…- Sara annuì, più per convincere se
stessa.
-Raga, il trucco è l’ultima cosa che mi metto.
La prendo la borsa?- chiese Giada.
-No, tanto hai tutto più o meno
a portata di mano, meglio stare leggere. Kajal o
mascara?-
*
-Manuel, che p*lle, che ore sono?-
Enrique, se fosse stato un fumatore, sarebbe stato al suo terzo pacchetto.
-Manca ancora mezz’ora…- rispose
annoiato Manuel, mentre distribuiva le carte.
-Ah sì? Beh, allora che facciamo ancora qui?!Scendiamo, no?- Enrique era
scattato in piedi.
-Sono d’accordo, stavo
iniziando ad annoiarmi…- rispose pacatamente Kanata, che aveva spennato
entrambi a Scala Quaranta.
*
-Che ore sono?- chiese preoccupata
Elisabetta, che per l’orario aveva una vera ossessione.
-Mancano… uh! Un quarto d’ora!- gridò Sara, colta di sorpresa.
-Mi****a è tardissimo! Siete
pronte?- una breve indagine, e a tutte più o meno
mancava solo il “tocco in più”: chi si mise una collana, chi
un braccialetto (chi venti), chi la cintura, chi un nastro nei capelli, chi si
mise un bel niente. Furono dieci minuti di intenso
frugare, rovistare, provare, correre, urlare, saltare, giocare,
suicidarsi…
-Uff, puff!
Siamo pronte, e in perfetto orario! Si scende?-
*
La Sala
Grande era stata tirata a lucido. Sembrava scoppiare di luce.
Quando le immense porte si aprirono, allo scoccare preciso
delle otto di sera, i ragazzi quasi rimasero abbagliati da tanto splendore.
Persino il pavimento sembrava emanare luce, anche se in realtà non era
così.
Sostanzialmente, la
Sala era cambiata parecchio: non più quattro lunghi
tavoli, più quello dei professori in fondo alla stanza,
ma tanti piccoli tavoli da quattro persone disposti in maniera casuale.
Al centro di ognuno troneggiava una candela, diversa di colore da tavolo a
tavolo.
Silente, in fondo alla stanza (probabilmente era entrato da
una porta posteriore), accolse i suoi studenti con un sorriso divertito e
compiaciuto, notando le facce interrogative dei ragazzi.
-Stasera ragazzi le vostre Case di appartenenza
non vi divideranno. I miei colleghi ed io abbiamo
deciso di annullare i punti Casa: né vinti, né vincitori! Siete
liberi di scegliere gli amici con cui stare senza timore di essere presi in
giro; se volete potete pure unire i tavoli. Non importa se rimarranno posti
vuoti: ci sono alcuni tavoli in più. Che altro
dire? Divertitevi, a fine serata chi vorrà
potrà andare in Auditorium a ballare, oppure restare qui a bere qualcosa
oppure… non so, il castello è a vostra completa disposizione.
Buona serata!-
Il discorso di Silente fu accolto con uno scroscio di applausi; subito dopo iniziò la ressa per
l’accaparramento dei posti. In breve la stanza fu percorsa da un tremito
di voci, grida e saluti.
Ramona, Francesca, Elisabetta, Sara, Giada, Desirée ed Emma si congiunsero
ben presto con Manuel, Enrique e Kanata; unirono in fretta tre tavoli e si
misero a sedere. Persisteva ancora un leggero brusio, ma ben presto tutti presero posto e il rumore diminuì notevolmente; solo
allora le luci dei lampadari si spensero, mentre vennero accese le candele, che
oltretutto profumavano.
Alla tavolata si aggiunsero anche Harry e Ryan, così non rimase alcun posto libero.
La cena fu piacevolmente rilassata; ogni tanto i ragazzi si
guardavano attorno, e a ogni occhiata scoprivano una
nuova coppia. In fondo alla stanza, videro Piton e la Chiodo al tavolo con la Parmigiani
e Corni.
-Toh! Questa è nuova! Da quando in qua si
frequentano?- chiese perplessa Francesca.
-Da quando Piton e la Chiodo fanno coppia
fissa! E da quando nessuno sopporta più l’altra,
di coppia…- rispose velenosa sua sorella: poco più in là,
Silente e la McGranitt
avevano deciso di concedersi una serata assieme, senza lo stress da lavoro ad
accompagnarli… piuttosto promettente!
-Ehi, guardate là! I due dirigenti della
scuola…- disse Manuel.
-Era ora! Mamma mia, non se ne poteva più: si filano,
non si filano… -
*
Poco prima che la cena fosse
dichiarata conclusa, Manuel prese per mano Francesca e la condusse via dal
tavolo. Fece l’occhiolino a Kanata ed Enrique, per poi sparire dalla
vista con la sua dama.
-Spero che tu non voglia andare a ballare, perché non
era nei miei programmi…- disse ad un tratto,
rompendo il pesante silenzio che era calato.
-Dall’altra parte, lo so, ma
io non ti sto portando lì. È una
sorpresa. – Manuel era alquanto misterioso.
Scesero nei sotterranei, e Francesca iniziò a
preoccuparsi. Poi, quando svoltarono l’angolo che conduceva
all’aula di Musica, tirò un sospiro di sollievo.
-Ho convinto quel simpaticone di Corni a
lasciarmi libera l’aula per stasera, a patto di non far troppo
casino…- disse Manuel facendo strada alla sua partner. Si staccò un momento da lei, avanzando verso un piccolo palco
allestito al centro della stanza; poggiate su due sedie, c’erano
altrettante chitarre elettriche.
-Questa sera ti darò la lezione finale, il tocco di
classe in più. Forza, imbraccia la piccola…-
Francesca obbedì. Non le sembrava vero: l’ultima
lezione! Da qualche tempo infatti si faceva insegnare
dal suo ragazzo i rudimenti della chitarra elettrica, e provavano una sera a
settimana, oltre ovviamente durante le prove di Musica con Corni.
La musica era la loro grande
passione. Avevano progettato di fondare una band, di
diventare famosi, di sfondare in America e comprarsi una moto grossa, farsi
fare almeno una decina di multe, poi andare a vivere a Cuba, la terra del loro
idolo Bob Marley.
Ogni volta che terminavano correttamente una canzone, si
baciavano; un giochino divertente, se non fosse per quelle volte in cui uno dei
due sbagliava, e allora l’altro lo lasciava a bocca asciutta (nel vero senso della parola!).
Verso le dieci, con ormai le dita che fumavano, decisero di
andare a farsi un giro ai piani alti. Fecero scalo in Sala Grande per bere
qualcosa, si fermarono a chiacchierare con Enrique e Ramona, poi tutti assieme
si buttarono in pista (contro ogni aspettativa di
Francesca). Un’ora dopo, i presenti erano praticamente
dimezzati, e si stava piuttosto larghi. Il computer continuava a programmare
canzoni, e le luci da discoteca invadevano tutta la stanza, colorandola delle
più svariate sfumature.
A mezzanotte fu indetta una gara di ballo, e la stanza
tornò improvvisamente a riempirsi.
I quattro ragazzi, preda dell’euforia, ballavano e non
si stancavano, inventavano coreografie assurde e trainavano assieme con loro
quanti più compagni era possibile. Manuel promosse anche un “trenino”, il primo dei molti
successivi serpentoni che si sarebbero agitati dentro la “discoteca”.
All’una di notte non c’era in giro quasi
più nessuno; molti si erano ritirati nei rispettivi Dormitori,
ma quel che era certo era che nessuno ancora dormiva. All’una e un
quarto tutti i ragazzi del C.A.P.R.I. erano riuniti nell’ufficio
di Harry; Enrique aveva rimediato al piano di sotto una bottiglia vuota e
indovinate cosa stavano facendo? Il gioco della bottiglia. Ciascun ragazzo/a baciò di più in quell’unica notte che in
tutti i suoi anni di vita precedenti. Dopo quaranta minuti si passò al
gioco della Verità: chi era segnato dalla bottiglia doveva rispondere
alla domanda di chi l’aveva fatta girare. Le cose che si udirono quella sera sarebbe meglio non ripeterle, comunque
si parlò di fidanzamenti, amici e nemici e roba del genere. Verso le due
Harry accese il computer che aveva nascosto nella stanza e preparò i
pop-corn da sgranocchiare durante la visione di un film horror.
Verso le tre, gli unici rimasti svegli erano Kanata, Manuel,
Enrique e Harry. Ciascuno raccontò all’altro la propria serata, e
si fecero i complimenti a vicenda. Poi, finalmente, verso le quattro e mezza,
anche loro si addormentarono.
*
Sara era rimasta a sedere al tavolo con i suoi amici, tranne
Francesca e Manuel che se n’erano andati per i
fatti loro. Aveva già finito il suo dolce da un pezzo, e rigirava il
cucchiaio nella coppa fino a un quarto d’ora
prima piena di gelato alla vaniglia.
Non sapeva bene come comportarsi con Kanata e Ryan, non avevano ancora avuto modo di ritrovarsi tutti e
tre assieme. A dire il vero, i due ragazzi avevano confabulato per tutta la
durata della cena, e nessuno era riuscito a capire di cosa.
Immersa in questi e altri pensieri, si fece prendere alla sprovvista da Kanata, che si era alzato in
piedi e l’aveva raggiunta, facendo il giro del tavolo.
-Senti… questa è la mia ultima serata di
libertà… mi sono messo d’accordo con Ryan,
e lui ha detto che possiamo trascorrere la serata
assieme, che ne dici?- il controllato biondino aveva perso tutta la sua
sicurezza in quel momento, quasi balbettava; Sara non vi fece caso.
-Sì, mi sembra doveroso. Andiamo a ballare? Torno
subito, dico due parole a Ryan e sono da te. –
Il biondo annuì, e si diresse verso l’uscita.
Le danze sarebbero cominciate verso le dieci, aveva
ancora quaranta minuti.
Come da lei promesso, Sara fu breve.
-Sara, cosa provi per me?- chiese schietto.
-…? Kanata, ma che domande fai?-
-Non importa, rispondi. –
disse nuovamente.
-Io… io penso di amarti, Kanata. Così come amo Ryan. Siete le due facce della stessa medaglia! Non potete stare divisi, Ryan ha
bisogno di te!-
-Stai tranquilla Sara, la mia era una
semplice domanda. Ormai ho preso la mia decisione, mi farò riassorbire,
non ho cambiato idea. Volevo solo sapere cosa provavi per me…- Kanata
abbassò gli occhi.
-Kanata…- Sara prese il viso di lui tra le sue mani -Tu sei insostituibile per me,
davvero. Sei misterioso, pieno di fascino, controllato… tutto ciò
che mi ha sempre attratta! Tu non scomparirai dalla
mia vita, Kanata, né da quella di tutti gli altri! Vivrai attraverso Ryan, e potrai anche avere la tua libertà. Staremo
sempre insieme, in un modo o nell’altro…- si era emozionata
moltissimo, quasi si metteva a piangere.
-Un’ultima domanda, ti prego. Chi ami di più?-
-Kanata… La verità
è che non lo so. Vi amo entrambi in quanto parti della stessa persona, e
amerò quell’unica persona così come ho
amato sia tu che Ryan. Ti prego, non costringermi a
fare questa scelta. Non porterà niente di costruttivo…-
-Shht! Per me è già
sufficiente… Ora andiamo a divertirci…-
Alle dieci Sara e Ryan furono tra
i primi ad aprire le danze; Corni aveva piazzato su un
piccolo palcoscenico tutte le sue attrezzature babbane per l’ascolto e la
riproduzione della musica, lasciando decidere al caso la scaletta delle
canzoni.
Le luci da discoteca e la musica a tutto volume
pressurizzavano quella stanza in una maniera incredibile; le sedie erano state
portate nella stanza affianco, dove gli Elfi domestici comodamente le mettevano
a posto senza dare nell’occhio o disturbare, e
tutto il pavimento costituiva la pista.
Sara si inventava di sana pianta i
passi di danza, Kanata le veniva dietro. Il ragazzo era un po’
imbarazzato per quella situazione, ma si riscattò
quando arrivarono i lenti; guidò le mani della sua partner,
depositandone una dietro la propria spalla e l’altra tra la sua mano.
Quella che gli rimase libera la fece scorrere lentamente attorno alla vita di lei, fino a raggiungere la posizione ottimale. Sara
ebbe i brividi.
Finiti i lenti, la pista perse ogni
attrazione per la coppia. Erano ormai le undici di sera, e la gola era alquanto
secca. Si recarono in Sala Grande a bere qualcosa, poi
uscirono dal castello.
Si fermarono su una panchina in mezzo al cortile; un
bellissimo quarto di luna faceva capolino timidamente da dietro la torre di Astronomia, e contribuiva a rendere l’atmosfera
terribilmente romantica.
I ragazzi prima intrecciarono le mani, poi
congiunsero le bocche. Dapprima fu un bacio casto, poi via via sempre meno. Restavano attaccati anche per due minuti
di fila, poi si staccavano e si guardavano. Sguardi pieni di significati, di
parole mai dette, di pensieri.
Sara sentì le sue guance inumidirsi: Kanata stava
piangendo.
Quelle effusioni avevano avuto un prezzo terribile da
sopportare per il ragazzo: la libertà.
*
Francesca se n’era già andata da un pezzo, Sara
lo aveva appena fatto.
Ramona giocherellava con un anello regalatole da Elisabetta,
in attesa che accadesse qualcosa.
Certo, Elisabetta le teneva buona
compagnia, e così pure Giada, Emma e Desirée,
ma non era quello che aveva desiderato per la serata.
-Ramona, andiamo a ballare?-
chiese finalmente Enrique.
-Era ora, credevo che non l’avresti più detto!-
lo derise.
-Beh, avresti potuto proporlo tu per
prima!- la rimbeccò il ragazzo.
La sala-discoteca era gremita di ragazzi, appiccicati
l’uno all’altro; ciò fece passar loro la voglia di gettarsi
nelle danze e preferirono andare a fare un giro per il castello.
-Ramona, tu sei
già occupata?- chiese il biondo a bruciapelo.
-No, perché?-
-Mi sembra ovvio. Io sono sigle, tu
anche… coppia?-
-Sai, hai uno strano modo di chiedere le
cose… mi piace!- la ragazza ridacchiò.
-Questo è un sì?-
-Mi sembra ovvio!- Ramona fece il
verso al suo nuovo fidanzato, che finse di arrabbiarsi. Allora la ragazza
iniziò a scappare, col preciso intento di farsi seguire; Enrique
mangiò la foglia e si mise sulle sue tracce.
Si rincorsero un po’ per tutto il castello; ad un
certo punto Enrique aveva perso di vista l’amica, e la stava cercando con
apprensione. La trovò comodamente seduta in Sala Grande a sorseggiare
una bibita fresca.
-Brutta piccola saetta!-
-Esagerato, non sono poi così veloce…-
Verso le dieci, arrivarono Francesca e Manuel; in un primo
momento le due ragazze e i due ragazzi fecero gruppo
per loro conto, raccontandosi i momenti salienti della serata, mezz’ora
dopo erano in pista a scatenarsi: i presenti erano pressoché dimezzati,
e si stava piuttosto larghi.
Manuel organizzò un bel serpentone, che si
snodò per parecchio tempo lungo la stanza, per poi disgregarsi
gradualmente. A mezzanotte parteciparono tutti e quattro alla gara di ballo
indetta dalla Parmigiani: prima un lento, poi un ballo
di gruppo, poi un altro lento e infine un pezzo non propriamente da discoteca,
un rock duro.
A metà dell’ultimo pezzo Ramona gettò la
spugna assieme al partner, e così pure Francesca; Manuel invece
saltò e si dimenò come un matto per tutta la durata della
canzone, cantando e tenendo il ritmo con le mani.
Alla mezza, stanchi e ansimanti, andarono tutti quanti a
rinfrescarsi in Sala Grande, e da lì non si schiodarono fino
all’una, quando vennero rapiti da Elisabetta ed
Harry che li condussero al piano di sopra nell’ufficio di
quest’ultimo. Enrique rubò dalla sua precedente sede una bottiglia
di plastica vuota, e con essa i ragazzi organizzarono
il tanto agognato gioco della bottiglia.
Il gruppo era al completo. Per non suscitare gelosie tra i
membri, dopo una prima mezz’ora di baci a tutt’andare, si
preferì passare al gioco della Verità, ritenuto un po’
più calmo.
Alle due Harry pensò di accendere il computer e
inserire il DVD di un horror: molti si stavano pian
piano addormentando, anche se non lo volevano ammettere, ed era difficile
convincere la comitiva a lasciare la stanza.
Enrique resistette egregiamente all’horror,
e alle tre era ancora vigile, assieme a Kanata, Harry e Manuel.
-Raga, troppo bello, mi sono fidanzato con
Ramona!- esclamò eccitato.
-Davvero? Ha accettato alla prima?-
vollero sapere gli altri.
-Eccome! Raga, è troppo un
divertimento con quella ragazza lì. Sento che ne combineremo delle belle…-
-Di che genere?-
-Piantala, per quello
c’è tempo!-
-E vi siete già baciati?-
-Certo!Non hai
visto come me la sono X*Y*Z durante il gioco della bottiglia?-
-Va beh, lo abbiamo fatto tutti!
Quello non vale!-
-Eccome se vale!! Per me
vale…-
*
Elisabetta era nervosa, scalpitava
quasi. Desirée lo notò e propose a
Giada ed Emma di andare a ballare.
Scelsero un posto in bella vista al centro della massa di
ragazzi e diedero libero sfogo alle loro energie.
Dopo un po’ che ballavano, Desirée
sentì una mano sfiorarle il sedere piuttosto insistentemente; si
voltò di scattò, trovandosi faccia a
faccia con uno spilungone che riconobbe come Corvonero. Non ci pensò un
istante di più: gli mollò un sonoro schiaffone; il ragazzo
capì di non essere troppo apprezzato e per il resto della serata
girò al largo dal trio.
-Wow, brava!- applaudirono le sue compagne.
Verso le undici, le ragazze lasciarono la
pista esauste; si appropriarono di tre sgabelli in Sala Grande e
passarono mezz’ora a spettegolare sulle nuove coppie di Hogwarts. Ah, e
ovviamente non si lasciavano sfuggire i bei ragazzi
che ogni tanto passavano di lì…
A mezzanotte presero parte alla gara di ballo e, manco a
dirlo, la vinsero!
All’una vennero agganciate da
Sara e Kanata, che le condussero nell’ufficio di Harry, dove Enrique
aveva organizzato il gioco della bottiglia. Beh, forse la serata non era poi
andata così male: avevano l’opportunità di rifarsi!
Durante il gioco della Verità poi furono
spietate: chiesero tutti i particolari sulle relazioni delle loro amiche, senza
peli sulla lingua. Misero in seria difficoltà Elisabetta chiedendogli di
Harry e di sue precedenti relazioni (per altro inesistenti…),
si fecero raccontare da Manuel i progetti per il suo futuro assieme a
Francesca, chiesero a Enrique se gli piacesse qualche altra ragazza (più
o meno un’altra dozzina, ma le conosceva solo di vista), tormentarono
Harry affinché raccontasse loro della sua vita sentimentale durante gli
anni trascorsi a scuola.
Come convinsero gli amici a raccontare tutto? Semplicemente
Harry, su richiesta di tutti, aveva lanciato un
incantesimo diffuso ma superficiale che costringeva i presenti se non proprio a
raccontare tutta la verità, almeno a farla intuire ai presenti.
Desirée, durante la visione
del film horror, si fece promotrice della
“battaglia dei pop-corn”; sembrava quasi che nevicasse, Harry li
lasciò fare.
Emma scatenò una piccola lite con Francesca dal momento che, spaventata dalle scene del film, si era
stretta un po’ troppo a Manuel, anche se alla fine Enrique disse
saggiamente che probabilmente si era solo impressionata e le acque si
calmarono: Francesca si frappose tra il suo ragazzo e la sua amica Corvonero.
Le tre furono le prime ad
addormentarsi, avendo passato una serata piuttosto movimentata, seguite a ruota
da Francesca ed Elisabetta.
*
Erano rimasti solo Elisabetta ed
Harry al tavolo; Ryan se n’era andato col suo
amico Max via dal castello col permesso di Silente, gli altri lo avevano fatto
in precedenza.
-Harry, ti devo parlare. Usciamo?
Corni ha fretta di allestire il bar…- ecco, si
era fatta un po’ di coraggio e non era andata così male. Tutto sommato, non era stato difficile.
-Senti… quando ero sospesa
tra la vita e la morte, nel Limbo…- Harry ebbe i brividi: la ragazza gli
aveva raccontato migliaia di volte l’esperienza, ma comunque continuava a
fargli un certo effetto, ricordandogli esperienze passate…
-… ecco, è come se indossando il tuo orecchino
io potessi… come dire? Sentire le tue emozioni, ecco!-
-E… cos’ hai sentito?-
Harry era titubante, quasi spaventato. Di cosa?
-Beh, che sono importante per te. Però vorrei capire in che modo. Mi senti forse come
una sorella? O come l’amica d’infanzia?- Elisabetta pregò
con tutto il cuore che il ragazzo scartasse quelle due
opportunità che ingenuamente gli aveva offerto.
-No, figurati! L’amica d’infanzia ce l’ ho già…- Harry si passò una
mano fra i capelli.
-Senti, scusa per questa domanda stupida, lo so
perfettamente che sei un mio professore, però… insomma, il nostro
non è il solito rapporto insegnante-alunna, no?-
-No, certo che no…-
Elisabetta non sapeva più che pesci pigliare. Doveva
comunicargli i suoi dubbi sulla natura del suo
affetto? Doveva essere lui a farlo? Rischiava di rovinare il loro rapporto?
-E allora mi domandavo se, per caso… fossimo, che so, migliori amici?- no, non esattamente quello, però
ci si avvicinava molto.
-Veramente, io speravo in qualcosa di
più…- ammise Harry.
Elisabetta rimase interdetta: in che senso qualcosa di
più? Ma la stava prendendo in giro?
-Spiegati, non penso di avere afferrato il concetto…-
o cavolo, eccome se lo aveva afferrato! Però…
-Ecco, tu sei intelligente, matura, simpatica,
però… sembri sempre così distaccata… Sai,
c’è stato un periodo in cui avevo quasi timore di te!-
-Paura di me? Beh, francamente non mi sembra di essere
così terribile, o no?- davvero, si stava sforzando di capire, ma non ci riusciva.
-Lo so, è che… sei sempre così
concentrata durante le lezioni, e anche quando devi fare
dei compiti, sembra che lo studio sia la tua priorità!-
Ah, ecco qual era il tassello mancante! –Ah, per
quello. Guarda, è vero che mi impegno,
però non così tanto come credi, sai: un giretto non lo disdegno
mai! E spesso confido nella fortuna, che molte volte
mi aiuta. Il fatto è che per adesso non ho avuto degli stimoli esterni forti,
cioè, voglio dire: okay la storia del C.A.P.R.I., che mi piace ficcanasare nelle faccende altrui
eccetera eccetera, però… insomma, lo
studio è la cosa che mi riesce meglio per forza di cose. Non ho mai
avuto apprezzamenti se non per i voti! E poi, quando
vedo i miei professori felici, mi sento felice anche io! A parte Piton, con lui
è una guerra personale: voglio dimostrargli che anche lui non è
poi così perfetto battendolo al suo stesso gioco, ma quello è un
caso a parte…-
-Allora… sono uno stupido. –
-Come?-
-Sì, sono uno stupido. Pensavo che per amore delle
regole io non ti interessassi, o roba del
genere… Insomma: questione di reputazione!-
-Ah… ah! Allora sì, sei uno stupido! Se intendi
dire che tu non mi piaci solo perché sei un
professore, allora non hai ancora capito con chi hai a che fare! A dire il
vero… io ho un debole per i professori, specialmente quelli carini. E per
dimostrarti che non seguo poi così tanto le
regole, vieni!- Elisabetta prese per mano Harry; si sentiva così
leggera, la testa svuotata. Condusse il ragazzo fuori, nel parco, e
iniziò a sfilarsi la gonna.
-Ehm, Elisabetta, non mi sembra il caso!- Harry era paonazzo, ma per sua fortuna aveva come alleato il buio.
-Ma cosa hai capito? No, guarda…- Elisabetta si fece più vicina per
fargli vedere la gonna. Nella penombra, Harry poté distinguere una mini
di jeans.
-Sei bellissima…- mormorò
il ragazzo, cingendole la vita.
-Ma no, dici così solo perché non
c’è luce, domani avrai già cambiato idea…-
-E invece no…- Elisabetta
avrebbe voluto replicare con qualche battuta stupida, invece si ritrovò
con la bocca, come dire, “impegnata”.
-Harry, caspita, è un anno
che sognavo questo momento!-
-Stupido io a non averlo capito. –
Elisabetta era alla sua prima esperienza seria, ma si fece
onore. Era il momento più bello della sua vita.
Tornati dentro le mura (Elisabetta si era nel frattempo
infilata nuovamente la gonna lunga), decisero che non fosse
il caso di farsi vedere in pubblico, così rintracciarono i loro amici e
li invitarono nell’ufficio di Harry.
Lì fecero il gioco della e poi quello della
Verità. Poi il professore di Difesa contro le Arti
Oscure decise che era ora di un bel film horror. Vide la sua ragazza
scivolare lentamente nel sonno, mentre lasciava cadere i pop-corn che aveva in
mano… com’era bella!
-Allora, Harry, com’è andata? Cos’ hai fatto?- chiese Enrique quando tutte le ragazze si furono
addormentate.
-Hai presente quella canzone, come fa? Ah sì: ci
baciamo tutta la notte, ci baciamo tutta la notte…-
-Con… uh! Con la cervellona?- chiese Manuel.
-Eh amico, lo dicevo anch’io prima di parlare ben bene
con lei! È un dono, più che altro, quello che ha di andare bene a
scuola, anzi: un insieme di doni ben utilizzati. Siamo noi ad interpretare male
il suo atteggiamento: lei è estremamente
disponibile, però dipende da come noi ci comportiamo con lei. Se la si considera semplicemente “una che va bene a
scuola”, lei si chiude come un riccio e non ci dà la
possibilità di conoscerla come in realtà è!-
-Però si dà sempre
tutte quelle arie da capo! A volte è insopportabile…-
-Forse lo fa perché nessuno prende mai
l’iniziativa, ci avete mai pensato? Insomma, le lasciate
carta bianca, e lei agisce come ritiene giusto fare. Dite un po’, non
somiglia a vostra madre?-
-Già, ci dà sempre dei consigli, come se noi
non sapessimo cosa fare!-
-Perché vi vuole bene, e ha
la testa sulle spalle. Vi scoccia vero che sia una
ragazza la voce della ragione?-
-Beh, in effetti. E poi cinguetta sempre con i prof.!-
-Perché a volte voi non
siete in grado di capirla, e allora lei spera che qualcuno di più maturo
riesca a consigliarla. –
-E quella persona matura saresti
tu?-
-Perché no? In fondo, sono
anch’io un professore! Forza, a nanna, questa sera dormite
qui. –
*
-Allora, Severus, hai visto? È
andato tutto secondo i piani!- Silente era a dir poco raggiante.
-Quali piani?- chiese subito la McGranitt.
-Beh, Severus ha messo un po’ di pozione nelle
pietanze dei ragazzi. Quella pozione che ha salvato la
vita a Elisabetta, l’antidoto alla Frozen!-
ghignò la Chiodo.
-Già. Ho avuto modo di sperimentare personalmente che
ha degli incredibili effetti disinibenti,
perciò…- spiegò più tecnicamente Piton.
-Perciò?- chiese ancora la McGranitt.
-Beh, quei ragazzi hanno fatto veramente molto per noi. Mi
riferisco a Corni e alla Parmigiani, a voi due, alla
De Mordrey… però, quando si tratta delle
loro vite sentimentali, sono degli imbranati!- rise fra sé Silente.
-Allora, li avete aiutati a… mettersi insieme?- la McGranitt era tra il meravigliato e l’indignato.
-Esattamente!- disse Piton sorridendo compiaciuto.
-Tu! Da te non me lo sarei mai aspettato,
sai Severus?- lo canzonò la McGranitt.
-Imprevedibile è il mio secondo nome…-
-Ah, Aberforth, per domani?- la Chiodosi
protese verso il Preside.
-Domani, Vittoria? Ah, intendi l’affidamento?-
-Esattamente…-
-Beh, non vedo l’ora di vedere
le facce di quelle due, ci sarà da ridere!- rispose Silente.
-Poi mi spieghi, Vittoria, come hai fatto a convincere
Severus!- bisbigliòla McGranitt.
-Diciamo che è stato
più semplice del previsto…-
*
-Come?! Noi… noi… noi dovremmo restare qui? Ma
sta dando di matto?- Francesca aveva tutti i diritti di essere
furibonda: erano le cinque di mattina, tra due ore tutti i loro amici se ne
sarebbero andati a casa, ma lei e sua sorella NO! E
perché? Perché non avevano i genitori né tanto meno un
tutore o comunque qualcuno che si occupasse di loro
legalmente.
-E ce lo viene a dire adesso?!
Cristo, sono le cinque di mattina!- sua sorella Elisabetta
era a dir poco esasperata.
-Però anche voi potevate
pensarci!- ribatté Silente.
-Cosa? Rischiamo di essere ammazzate e ci dobbiamo anche
preoccupare di chi caspita ci terrà con sé durante le vacanze?- dissero all’unisono.
-Fatti vostri. Dovrete restare qui finché non
avrò trovato qualcuno…- concluse Silente
andandosene.
-Sé! In due ore chi vuoi che
trovi?-
-Ragazze, ho trovato chi è disponibile ad occuparsi
di voi!- esclamò Silente entrando come un
fulmine dalla porta da cui neanche trenta secondi fa era uscito.
-E chi?-
-La professoressa Chiodo e il
professor Piton!- esclamò sorridendo il Preside.
-Co… come prego? Cioè, vuole che noi passiamo le nostre agognate
vacanze a mescere pozioni? A parte questo, voglio dire… ci sta prendendo
in giro?-
-No, no: è tutto vero!- la Chiodo
e Piton varcarono la soglia della stanza mano nella mano, già
completamente vestiti e sorridenti.
-In questo foglio c’è scritto tutto: possiamo
adottarvi, in quanto io sono già… ehm… incinta,
perciò la legge italiana del mondo magico ci ritiene una coppia a tutti
gli effetti, anche se non siamo sposati. Dovete solo volerlo…-
spiegò la Chiodo.
-Sa pure di Diritto…ehm, veramente, come dire…
ci prendete un po’ alla sprovvista, ma…-
Silente stava guardando male le due ragazze -… siccome siamo, diciamo,
leggermente a piedi, un passaggio io non lo rifiuterei, se capite cosa intendo.
Sei d’accordo Fre?-
-Uhm… ci dovrei pensare. Consulta?-
-Consulta!-
La consulta come la intendevano loro non era la Corte Costituzionale,
bensì si trattava di sentire i pareri dei loro amici. Buttarono
giù dal letto tutti i loro amici (volarono
malocchi e maledizioni) e si riunirono nel bagno più vicino (delle
ragazze) a conferire.
-Capite? Se non accettiamo restiamo qui un’estate!-
-Betty, sembra quasi che tu non vedessi l’ora…-
-Non c’entra niente. Allora, siete pronte ad accettarci
come le sorelle Piton?-
-Mah, non so. Come
la prenderanno tutti gli altri?-
-Al diavolo gli altri! Parliamo delle nostre vite!-
-Calma, Fre. Fate un periodo di prova, e intanto indagate se
c’è qualcun altro disponibile ad accogliervi. Chissà, magari
quei due non sono poi così noiosi! E poi, ci sono sempre gli amici a
sostenervi: vi basterà fare un fischio, e verremo a prendervi!-
Mentre Francesca continuava a discutere coi
suoi amici, Elisabetta si recò da Harry per raccontargli gli ultimi
sviluppi.
Harry era in boxer e canottiera, ma
Elisabetta non vi fece caso (eccome se ve ne fece!).
In realtà, non era venuta solo per quello. Mise in
mano a Harry il libro di suo padre e il suo orecchino, dicendogli
che aveva già restituito gli altri gioielli ai legittimi proprietari.
-No, ti prego, tienilo tu. Ti ricorderà di me durante
l’estate…-
-A dir la verità, speravo
che potessimo vederci…-
-Dipende dal parere dei tuoi…-
Che bell’espressione aveva
usato! Non c’erano più dubbi: quei genitori, benché non
fossero naturali, li voleva!
Si ritrovò assieme con sua sorella in Presidenza.
-A noi va bene. –
-Eccellente! Allora, a questo punto potete tornare a
dormire. Verremo a svegliarvi quando sarà
ora…- disse Piton, iniziando a firmare le carte.
La Chiodo abbracciò amorevolmente
Francesca, poi fu la volta del suo quasi-marito.
Anche Elisabetta passò fra
le braccia della donna, ma quando fu la volta di Piton… sì, si
stavano per abbracciare, poi Elisabetta ritrovò un briciolo del suo
orgoglio femminile e tese la mano al suo insegnante.
I presenti si misero a ridere. Quanta strada c’era
ancora da fare!
Bene! Questo è l’ultimo chap
per quanto riguarda il primo anno! Fra qualche giorno tornerò con le
“vacanze” dei nostri ragazzi (e non!!! J).
Grazie 100000000000000 a _Laura_,
Lucifer_the_Darkslayer e NemoTheNameless!!!
P.s. Aspetto le vostre recensioni
anche nei proxchap!!! Bye!!!
Quattro persone erano davanti all’ingresso di quello
che, nonostante si trovasse a Rimini, sembrava più un albergo di lusso
uscito dalle strade di New York: era un edificio composto da cinque piani,
ognuno dei quali aveva sei balconi a semicerchio davanti e quattro a lato; le
pareti erano di colore bianco, i balconi azzurro pallido ornati in alto da un
muretto blu scuro. L’ingresso era ampio, le porte non erano in legno,
bensì di vetro; il tutto era coperto da una tettoia a semicupola che
sporgeva per circa cinque metri dalla parete, collegata a terra per mezzo di
tre colonne. Il pavimento sottostante la cupola era sopraelevato rispetto al
suolo di circa dieci centimetri; due corte rampe di scale laterali consentivano
di superare agevolmente il dislivello.
Sopra la semicupola troneggiava l’insegna al neon
raffigurante cinque stelle.
L’insegna raffigurante il nome dell’edificio era
stata collocata all’ingresso: Hotel Vittoria.
Il cancello distava dall’ingresso dell’hotel
circa dieci metri. I due poli erano collegati tramite una stradina bianca;
attorno fiorivano due immensi salici, mentre il resto dello spazio antistante
era adibito a parcheggio. Nonostante fossero solamente le prime battute
d’estate, c’erano già parecchie automobili.
-Vittoria, ma… è enorme!- Piton stava ammirando
l’edificio e sembrava apprezzarlo.
-Oh, beh, enorme... non direi proprio. –
-Allora, bei ragazzi, che vogliamo fare? Io avrei anche
altri clienti!- la voce del taxista riportò i presenti alla
realtà.
-Venga, venga!- la Chiodo si sbrigò a fargli strada.
Il taxista, ragazzo robusto di trent’anni, reggeva tra
le forti braccia il baule della Chiodo, mentre Piton e le sorelle reggevano i
propri. Le due ragazze portavano inoltre le gabbiette dei vari animali, dato
che il taxista era allergico al pelo.
Arrivati all’ingresso, la Chiodo ringraziò
l’uomo e lo congedò con una banconota da 50 euro.
Dall’interno, una signora anziana ma ancora in ottima
forma si precipitò verso i nuovi arrivati: tenne loro aperta la porta
per il tempo necessario a portare all’intero i bagagli e diede loro il
benvenuto.
-Vittoria!- disse infine, aprendo le braccia verso
l’altra donna.
-Ciao mamma!- delicatamente la Chiodo abbracciò sua madre.
-Ben tornata. Abbiamo sentito tutti quanti la tua mancanza,
anche quel burbero di Ezio. Venite a mangiare qualcosa, abbiamo tante cose di
cui parlare! Portali in sala da pranzo, stella, io vado a chiamare quel pigrone
di tuo padre!- così com’era venuta, la madre delle professoressa
era sparita salendo una rampa di scale.
La hall dell’albergo era immensa, ma sembrava molto
più piccola per lo spazio sottrattole dalle innumerevoli piante in vaso
sparse lungo i muri perimetrali. La reception era
collocata in fondo alla stanza, alla destra di una rampa di scale che conduceva
ai piani superiori; era piuttosto ordinata: alla parete era appeso un sostegno
in legno scuro per le chiavi delle stanze e un orologio a cucù, mentre
la parte interna del bancone era occupata da un computer e quella esterna da
alcune file di opuscoli pubblicitari.
-Venite!- la Chiodo fece cenno di lasciare i bagagli e di
seguirla; condusse i suoi ospiti in una sala laterale a sinistra, adibita a
sala da pranzo. Era disseminata di tavolini, alcuni singoli, altri uniti a
coppie; molti erano già stati utilizzati a colazione ma non ancora
sparecchiati, altri erano già pronti per il pranzo, nonostante fossero
solo le dieci di mattina.
-Ecco, sedetevi qui. È quello riservato ai ragazzi dell’hotel…-
I ragazzi dell’hotel erano i
membri della famiglia Chiodo che gestivano l’albergo: papà
Armando, gli zii Ezio ed Enzo, la madre Susanna e le cugine Alice e Sofia.
La squadra al completo, capeggiata dalla signora Susanna,
era arrivata dieci minuti dopo che i nuovi arrivati avevano preso posto a
sedere.
-Vittoria!- il signor Armando, un uomo distinto sulla
sessantina, alto e piuttosto vigoroso, brizzolato e con certi baffoni pepe e
sale, abbracciò la figlia e la baciò.
A turno, anche il resto della famiglia dette il suo
benvenuto alla Chiodo.
-Allora, non ci presenti i tuoi ospiti?- chiese il signor
Enzo, sessantenne alto e dinoccolato, coi capelli completamente bianchi e dalle
folte sopracciglia dello stesso colore. I suoi occhi azzurri osservavano benevoli
i compagni della nipote.
-Questo è Severus, il mio futuro marito. –
Piton si alzò e tese la mano prima al signor Enzo,
che aveva voluto sapere la sua identità, poi a turno a tutti gli altri;
per ultima alla signora Susanna.
-Ah! Il famigerato esperto di pozioni inglese! È un
onore fare la tua conoscenza. – disse la donna sorridendogli benevola.
-Vedo che la mia fama sinistra mi precede…-
osservò Piton. Il suo tono aveva perso molto della sua antica
aggressività e sospettosità; ora appariva allegro e lievemente
sarcastico.
-Scherza? Nostra figlia ci ha sempre parlato bene di
lei…- commentò il signor Armando.
-Papà! Un po’ di informalità, via. Siamo
in famiglia, fate sentire Severus parte di essa!- lo rimproverò la
figlia.
-D’accordo stella, come vuoi
tu. E queste due signorine?- chiese, sorridendo a Elisabetta e Francesca.
-Sono… ehm… le nostre figlie adottive…- la
Chiodo sembrava imbarazzata.
-Come?-
La stanza per un momento sembrò essersi congelata,
nonostante fosse caldo. La Chiodo temette il peggio.
-O perbacco! Tu e Severus fate le cose seriamente, eh?
Susanna, presto: vai a prendere un vinello discreto, dobbiamo festeggiare! La
nostra famiglia si è allargata in sol colpo! Ah, che magnifica
giornata!- la reazione del capofamiglia era stata alquanto inaspettata, sia per
Francesca ed Elisabetta, che per Piton, i quali però in cuor proprio
pensarono che non vi fosse proprio niente di cui lamentarsi.
-Ma, caro: è mattina!- ribatté sua moglie.
-E allora? Questa è un’occasione speciale,
dobbiamo festeggiare! Rosso o bianco, Severus?- si incaponì il signor
Armando.
Piton, ben deciso a non contrariare il padrone di casa,
optò per un rosso.
-Eccellente scelta!-
Così, la signora Susanna si vide costretta a scendere
in cantina e privarla di uno dei suoi pezzi migliori. Quando il vino
arrivò in tavola, i bicchieri erano già stati portati da Sofia.
Seduti attorno al tavolo, sembravano davvero una grande
famiglia.
Il vino a stomaco semivuoto eccitò un po’ le
sorelle, ma non così tanto da privarle della ragione; la Chiodo decise
che fosse ora di far vedere alla sua famiglia le stanze e anche di sgomberare
la hall dai loro bagagli. Indovinò proprio il momento esatto,
perché Ciro iniziava a dare segno di nervosismo, trascinando anche Rufus e il gufo di Piton.
Si servirono dell’ascensore, che li portò
all’ultimo piano dell’edificio. Piton resse magnificamente la
prova.
La sua futura moglie fece cenno alle sorelle col capo in
direzione della loro stanza; Francesca, la più esperta in fatto di
serrature, con la chiave datale poco prima dal signor Armando aprì la
porta.
Era un bilocale, con annesso un piccolo bagno. Le pareti
erano color rosa e verde, colori tenui e molto graziosi; la stanza più
grande era la camera da letto, occupata da due armadi abbastanza spaziosi e da
un letto a castello con le coperte rosse e le federe bianche. C’erano
anche una scrivania, due sedie e due comodini con tanto di abat-jour, un
piccolo frigorifero e la televisione!!!
La stanza affianco era più stretta, occupata quasi
esclusivamente da un tavolo lungo e stretto più le rispettive sedie e
alcune mensole in legno sparse qua e là su più livelli.
-Sì! Il letto a castello! Quello sopra è
mio!!!- gridò euforica Francesca, mollando i suoi bagagli sul pavimento.
-Ehi, no, così non è valido!- replicò
sua sorella, ma Francesca si era già arrampicata sul secondo livello del
letto e ci stava saltando sopra come una pazza.
-Sei una carogna!- Elisabetta la fece scendere a forza e
iniziarono a fare la lotta.
-Allora, che ve ne pare?- chiese la Chiodo entrando tranquillamente
dalla porta che le due ragazze incautamente avevano lasciato aperto.
-Uffa! Questa cosa qua si è già accaparrata il
letto più alto, non è giusto!- piagnucolò Elisabetta.
-Guarda un po’ che spirito fraterno…-
commentò Piton, entrato seguendo la Chiodo.
-Ehi prof., guardi che accostamento di colori! Serpeverde e
Grifondoro assieme, non è fenomenale?- chiese Francesca, indicando le
pareti.
-Spettacolare…- borbottò Piton.
-Sì, già mi immagino: Grifonverde,
oppure Serpedoro…- declamò Elisabetta,
come pregustandosi la scena in un futuro non troppo lontano.
-Merlino ce ne scampi!- esclamò quasi intimorito
Piton.
-Ragazze, non siamo più a scuola, qui per voi saremo
solamente Vittoria e Severus, vi prego…- le redarguì dolcemente la
Chiodo.
-Sarà un tantino difficile abituarci…-
obiettò Francesca.
-Già. Prima di chiamare il professor Piton Sevvy, o roba del genere, ne dovrà passare di acqua
sotto ai ponti, vero?- concordò Elisabetta sghignazzando: Piton la
guardò con sguardo omicida, ma la ragazza fece cenno a sua sorella di
seguirla e stamparono un bacio doppio sulle guance del professore.
-Va bene, adesso noi torneremmo alla nostra lotta
fratricida, se non vi dispiace…-
-Fate pure, ma senza mettere troppo in disordine…-
-Seppia d’una sorella! Vieni qui che ti spello!-
Elisabetta, che si era leggermente immedesimata in Capitan Uncino, si
buttò a capofitto su Francesca e ricominciarono la suddetta lotta
fratricida.
-Vieni Severus, lasciamole giocare…- commentò
la Chiodo.
-Giocare? Ci scanniamo a vicenda a lei lo chiama giocare?-
le sorelle alzarono contemporaneamente il capo, passando ai raggi X la Chiodo.
-Ehm, Severus, andiamo, tira una brutta aria. A dopo
ragazze…- la donna chiuse la porta alle sue spalle, lasciando un
po’ in pace le due ragazze.
-Meno male, non reggevo più la sceneggiata. Allora,
facciamo una settimana tu e una io?- propose Francesca.
-Sì, mi sembra equo. Sai, pensavo che baciando Piton
mi sarei trasformata in un rospo, però non è successo, che
strano!- rise fra sé sua sorella.
Lemme lemme, iniziarono a disfare
i bauli e a riporre i loro averi nello spazio a loro disposizione. Francesca
lasciò libero Ciro di gironzolare per la stanza, a patto di non abbaiare
(come aveva fatto a comunicarglielo resta tuttora un mistero), perciò
Elisabetta decise fosse prudente tenere Fuliggine dentro la gabbia ancora per
un po’. Il micio non fece tante storie: acciambellato sul fondo della sua
gabbia, grande per lui, continuò a ronfare beatamente.
Francesca diede una sbirciata nel frigo: c’erano
patatine, acqua, bibite gassate, schifezze al cioccolato, insomma
l’occorrente per un piccolo party!
Guardarono per un po’ la televisione, ma ben presto
venne la Chiodo ad annunciare il pranzo.
Francesca richiuse Ciro nella sua gabbia, poi scesero.
La sala da pranzo era gremita; la Chiodo fece loro cenno di
seguirla e le condusse in un cucinotto a parte dove era stato apparecchiato per
dieci. I piatti colmi di pastasciutta fumavano.
Allegramente, la compagnia si accomodò e
iniziò a mangiare. Intanto, Piton e il signor Armando continuavano la
discussione avviata in precedenza.
-E così, mi dici che nella stanza qua accanto ci sono
solo Babbani?-
-Precisamente. –
-Ma voi siete… ehm…?-
-Maghi? Certamente! Come credi che le puliamo le stanze?-
-Ma non sarà rischioso?-
-Rischioso? Amico, in cinquant’anni nessun Babbano
uscito di qui ha lamentato stranezze, mai! Rilassati, non c’è
nessun pericolo!-
-Allora noi potremmo continuare a esercitarci con gli
incantesimi e le pozioni?- chiese improvvisamente interessata Elisabetta; sua
sorella non gradì troppo la nota e le piantò una gomitata nel
costato.
-Naturalmente. A patto di non far esplodere niente, è
ovvio…-
-Visto l’identità delle pozioniste,
non assicuro niente!- disse Piton.
-Ehi, un momento! Che voto mi ha dato in pagella, eh, eh,
eh?-
-Betty, lo sanno anche i muri che
hai Eccellente in Pozioni, ovviamente si stava riferendo a me!-
-Taci tu, dopotutto hai solo Oltre ogni Aspettativa!-
-E chi dovete ringraziare?- le stuzzicò Piton.
-I nostri neuroni?- risposero le ragazze.
Tutta la tavolata si mise a ridere. Dopotutto, i nuovi
arrivati erano spassosi!
*
-Severus, sei sveglio?-
-Uhm…-
Era metà pomeriggio. Elisabetta e Francesca erano in
camera a fare i loro comodi, mentre la Chiodo e Piton erano sdraiati sul loro
letto matrimoniale, completamente vestiti. Piton si era appisolato da poco, ma
la voce della futura consorte l’aveva bruscamente riportato al presente.
-Sai, penso che dovresti parlar loro…-
-Con chi?- chiese l’uomo, cambiando posizione.
-Con Francesca ed Elisabetta. Dovreste chiarirvi. –
-Non l’abbiamo già fatto?-
-Non in quel senso. Intendo… insomma, sei loro padre
ora, non pensi che…?-
-Sì, forse hai ragione tu…-
-Sai, mi piacevi di più quando facevi il misterioso e
lo scontroso…-
-Lo so!-
TOC TOC
-Avanti!- gridò Francesca.
Il professore di Pozioni sospirò prima di entrare,
per recuperare una parte della sua faccia di bronzo, poi si decise.
-Ragazze? Penso che noi tre dovremmo parlare…- disse
mettendo giusto il naso dentro la stanza. Si meravigliò nel vedere le
sue due figlie adottive tranquillamente sdraiate sui rispettivi letti, mentre
una leggeva un fumetto e l’altra coccolava il gatto.
-Siamo dunque alla resa dei conti! Coraggio allora, ai posti
di combattimento. – le due scivolarono sulle coperte fino a toccare terra
coi piedi, facendo cenno a Piton di entrare e mettersi comodo: sarebbero stati
momenti febbrili.
-Allora, di cosa vogliamo parlare?- iniziò
Elisabetta. Detestava rimanere sulle spine, il dente preferiva toglierselo
subito.
-Iniziamo da voi. Come state? Come vi sentite? Insomma,
penso che sia l’incubo di ogni studente trascorrere del tempo fuori dalla
scuola con l’insegnante bastardo, o sbaglio?- bell’inizio,
Severus, complimenti. Bene, sono riuscito a sciogliere il ghiaccio, vediamo
loro come reagiscono…
-C’è di peggio, ti
assicuro. Ci possiamo dare del tu, vero?- chiese titubante Elisabetta.
-Ovviamente…-
-Ma non è che quando torniamo a scuola ciascuno
ritorna nel proprio ruolo e lei ci toglie un fracasso di punti per quello che
ha sentito, vero?- Francesca era diffidente.
-No, promesso. Però, ti prego, diamoci del tu.
– la pregò Piton.
-Va bene. Posso farti una domanda? Com’è che ce
l’ hai a morte con i Grifondoro?- la ragazza parve acquisire un po’
di coraggio.
-Eh… diciamo che è una storia lunga… se
mi permettete, posso rigirare la domanda? Com’è che i Grifondoro
ce l’ hanno a morte con i Serpeverde?-
-Non è vero! Ramona si è messa con un
Serpeverde!- ribatté Elisabetta.
-Okay, forse avete ragione, qui in Italia questo sentimento
di odio non è molto sentito, però vi assicuro che in Inghilterra
alle volte è esasperato!-
-Beh, finché noi tutti siamo qui in Italia, penso che
la convivenza possa essere tranquilla. Ma ancora non hai risposto alla
domanda…- fece notare Francesca.
-Beh, principalmente i motivi furono Sirius Black e James
Potter. Sapete, non sono sempre stato questa bella faccia di bronzo; una volta,
ai tempi della scuola, ero il loro passatempo preferito. Si divertivano a
prendermi in giro, a volte anche con scherzi pesanti. Come mai Potter non ve lo
ha detto?-
-Anche lui ha dei problemi con quelle due persone…-
rispose evasiva Elisabetta.
-Ah, certo, me ne aveva accennato. Dunque, cercate di
mettervi nei miei panni: io, un Serpeverde, uno dei “cattivi”, non
facevo assolutamente niente di niente. Studiavo, mi facevo i fatti miei, mica
un granché. Poi, un giorno come tanti, una compresenza con i Grifondoro,
durante Pozioni. –
-L’usanza si è
sostanziata nei secoli…- soffiò Elisabetta.
-Ehi, non sono mica così vecchio! Comunque, il prof.
decise di interrogare me e un certo Sirius Black. Una testa calda, avevo
sentito dire, ma non me ne curai. Ovviamente io presi il massimo dei voti,
mentre lui… ci siamo capiti. Bastò quello per attirarmi la sua
inimicizia eterna. Lui e quel suo gruppo di teste calde cercavano in tutti i
modi di mettermi i bastoni fra le ruote, loro, i Grifondoro, i
“buoni”. Poi, quel suo amico, James Potter, si mise in testa che io
insidiavo la sua ragazza, tale Lily Evans, e da
allora vidi i sorci verdi. –
-Ma tu gliene hai mai dato motivo?- chiese curiosa
Francesca.
-Io no. Lei sì,
però: una volta prese le mie difese, e Potter si fece tutti i suoi bei
viaggi mentali, tutti campati in aria, ovvio. –
-E allora scusa? Io proprio non ti capisco: uno come te
dovrebbe preservare i deboli dalle ingiustizie, mica fare il contrario!-
esclamò Elisabetta indignata.
-Vedi, non è così facile. Quando terminai gli
studi, rimasi invischiato in una brutta compagnia che mi portò a…
a questo…- Piton si scoprì l’avambraccio, mostrando un
tatuaggio di colore nero raffigurante un teschio –Questo è il
marchio della vergogna, del dolore, del tormento. Per il Dio Oscuro non fu
difficile conquistarsi la mia fedeltà: ero giovane, affascinato dalle
Arti Oscure; credevo fermamente che l’unico criterio di giustizia a
questo mondo fosse la vendetta, e così divenni un suo seguace.
All’inizio gli altri suoi adepti mi accolsero quasi come un fratello; mi
sentivo protetto e potente. Poi il Dio Oscuro iniziò a pretendere da me
delle prove di fedeltà. Mi costrinse a fare delle cose orribili, di cui
temo il solo ricordo. Ho ucciso, ma ho fatto anche di peggio. Poco prima che i
Potter fossero assassinati, andai da Silente in cerca di aiuto; fu una scelta
sofferta: se mi avessero scoperto i miei compagni, di certo mi avrebbero
torturato e in seguito ucciso. Raccontai tutto a Silente, tutte le mie
barbarie, dalla prima all’ultima; e lui ascoltò, Dio come lo
ricordo bene quel giorno!, ascoltava e annuiva, e mi guardava. Mi scrutava
l’anima, con quei suoi occhi azzurri, ma non mi giudicò, non lo ha
mai fatto. Decise di proteggermi, di fidarsi di me, e mi affidò la
cattedra di Pozioni ad Hogwarts. Mai capii le motivazioni che lo spinsero a
compiere quel gesto, non ho mai nemmeno cercato di rispondermi. Anzi no, una
risposta me la sono data: lui voleva qualcosa in cambio. Mi chiese di essere i
suoi occhi e le sue orecchie durante le riunioni dei Mangiamorte
quando l’Oscuro Signore era tornato in scena dopo l’apparente
sconfitta da parte del Ragazzo-Che-Sopravvisse, e vi
giuro: fu l’esperienza più terribile della mia vita. Avete idea di
cosa significhi? Tutte le sere nella tana del leone, aspettandomi da un momento
all’altro di essere maledetto? Dovere guardare negli occhi il Dio che
avevo rinnegato, giurandogli più volte la mia fedeltà quando in
cuor mio l’avevo abbandonato da molto tempo…?- Piton non
riuscì più a proseguire. Aveva gli occhi lucidi ed era percorso
da brividi, nonostante fosse caldo.
Francesca ed Elisabetta si guardarono, forse non potevano
comprendere a fondo quel discorso, però provavano tristezza per
quell’uomo dal passato così difficile. E allora fecero ciò
che venne loro più naturale: lo abbracciarono. L’uomo rispose alla
loro stretta, singhiozzando più forte. Da quanti anni attendeva quel
momento? Non credeva di essere ancora capace di versare lacrime, invece…
Per tutti quegli anni aveva portato una maschera, sostenendo
tutto il peso di quel personaggio che era costretto ad interpretare contro la
sua volontà. Se all’inizio aveva goduto del potere, col passare
del tempo aveva capito che non valeva la pena rinunciare al calore delle
persone per esso. Eppure, neppure dopo aver espiato le sue colpe aveva potuto
godere di quel calore. Lui, come persona, non aveva diritto a quel ben di Dio
per tutto il male che aveva commesso, che non avrebbe potuto cancellare dalla
sua anima.
Decise di spendere la sua vita cercando di riparare agli
errori commessi, evitando contatti con il mondo esterno per quanto gli fosse
possibile al fine di non intaccarne la purezza…
Bei discorsi… peccato che non fossero veri: il vero
motivo era la paura… sì, paura di essere rifiutato. La
società era stata meschina con lui, non gli aveva mai perdonato i suoi
errori, perché mai avrebbe dovuto iniziare? Per paura di soffrire
maggiormente, si rinchiuse in se stesso come un riccio, e divenne il gelido e
distaccato professore di Pozioni di Hogwarts.
In fondo, pensò, nessuno l’aveva mai costretto
a fare niente.
-Ehm… Professore? Potrebbe lasciarci, sa: ci sta
leggermente soffocando…- Francesca sapeva di non essere esattamente
opportuna, però, considerando che era estate…
-Oh… sì, scusate. Ecco, la mia bella faccia da
str***o costruita meticolosamente in tutti questi anni va a farsi
benedire… cosa direbbe Potter?- Piton sospirò e allargò le
braccia leggermente indolenzite.
-Beh, se vuole glielo dico subito: il tempo di scrivere
e…- Elisabetta l’aveva preso di parola.
-No, grazie: ne faccio volentieri a meno. Allora, vi piace
il nuovo insegnante di Pozioni?-
-Decisamente meglio della Sfinge di prima! Però, non
credevo che… insomma, è stato tutto così veloce! Lei,
noi… - Francesca non era convinta fino in fondo di ciò che voleva
dire; a dir la verità, non sapeva neanche se era il caso di
parlare…
-Vi ho detto mille volte di darmi del tu!- abbaiò
Piton.
-Ah, ecco che la parte bastarda torna a farsi sentire!-
ghignò Elisabetta.
*
Caro Manuel,
non crederai mai a ciò che sto per dirti,
perciò siediti, se non lo sei già, o rischi il collasso.
Dunque, siamo in un albergo strafico con piscina e tutto
ciò che si può desiderare a questo mondo con Piton e la Chiodo.
Siamo arrivati da… mezza giornata, neanche.
Beh, Piton ha gettato la maschera da pezzo di XYZ e ha
pianto!!! Ti giuro!
Ci ha raccontato tutta la sua storia, e allora ho capito
perché si è così imbastardito. Non so se te la posso
raccontare, per il momento preferisco di no, anche perché mi sfuggono
alcuni passaggi…
Parliamo di cose più allegre. Tu come stai? Hai
notizie degli altri? Beh, no, ovvio: sei appena arrivato a casa, come me del
resto. Mi mancate tutti un casino, soprattutto tu.
Che ne dici di venirmi a trovare? Siamo a Rimini, non so
essere più precisa. Magari al prossimo gufo ti faccio sapere
l’indirizzo esatto.
Stammi bene, mi manchi un casino.
Il
tuo scricciolo
P.S.
Tv1kdb. Ora ti lascio, quella scassa di mia sorella vuole il gufo. Ciao
cucciolo. SMACK!!
***
Caro Harry,
come ti butta?
Qui tutto bene, siamo in un mega
hotel con tanto di piscina, troppo avanti. Ogni tanto un colpo di sedere mi fa
ricordare quanto è bella la vita.
Però è un po’ monotono senza voi
guastafeste intorno, intendo tu e tutti gli altri… soprattutto mi manchi
tu. Non potrò mai scordare ieri sera. Ti prego, dimmi che non ho
sognato!
Adesso però passiamo alle news. Allora, neanche
un’ora fa Piton ha pianto come una fontana, e ci ha raccontato la sua
storia. Pazzesco, non credi? Pensa che si è persino chiesto cosa avresti
pensato tu vedendolo… stava proprio male.
Sai, stavo giusto pensando come far accrescere i punti
del Grifondoro il prossimo anno… ovviamente scherzo. Tra me e mia sorella
non so chi sia la più scossa!
Eh, poi c’è un’altra cosa,
però… va beh, te lo chiedo: hai più riaperto il diario di
tuo padre? Sai, mi piacerebbe che faceste pace, in fondolo trovo una
persona simpatica. Sai, non tutti hanno una possibilità come te,
insomma: un colpo di culo. Io per esempio farei carte
false…
Va beh, quelli sono fatti tuoi, fai quello che ritieni
giusto.
Ti prego, scrivimi presto,
muoio dalla voglia di vederti, anche se è passato solo un giorno!
Tua,
Betta
P.S. Porto sempre il tuo orecchino. Se non sai cosa fare,
prova a cercarmi! Siamo a Rimini, magari ti so dire di più alla prossima
lettera. Ciao e non ti divertire troppo senza di me!!!
***
Caro Albus,
non lo so neanche io perché ti sto
scrivendo…
Sono successe tante cosa dall’ultimo nostro
incontro, che faccio fatica a enumerartele tutte.
Prima fra tutte, tra poco sarò padre. E ti prego
di non dirlo a nessuno, ma tanto so che non lo farai. Hai presente Vittoria?
Beh, tra non molto sarà mia moglie. E ti dirò di più,
abbiamo anche adottato due nostre alunne orfane, si chiamano Elisabetta e
Francesca.
Lo so di averti sconvolto le vacanze, e ti dico
che… non me ne frega niente. Oggi sono rinato, nel vero senso della
parola. Addio al burbero e scontroso Severus, ormai non esiste più.
Sai, avevi ragione tu. L’Italiaè un Paese meraviglioso, e ti
ringrazio ancora per avermi mandato qui a forza. Cosa farei senza di te?
Salutami Minerva, e dille che mi manca. Voglio poi sapere
come ha reagito, di che colori è diventata. Da oggi farò il
bastardo simpatico.
Buone vacanze,
il Bastardo Simpatico
Lucifer_the_Darkslayer: era l'epilogo del primo anno!!!-----------
Grazie 1000 _Laura_: l'altra ff stai continuando a leggerla? Se sì, mi continui a far sapere cosa ne pensi? Grazie!-----------
Laguna: non ti preoccupare! Mi ha fatto piacere avere un "resoconto" dettagliato fatto da te! Sono contenta che emotivamente ti "acchiappi"! Al prox chap!
-Vittoria, possiamo chiamare un paio di amiche?-
chiese innocentemente Francesca quella mattina a colazione. Era il primo sabato
del mese, ormai il quarto giorno che Elisabetta e Francesca passavano con Piton
e la Chiodo.
Sua sorella stava inzuppando un frollino nel latte;
apparentemente sembrava non curarsi della conversazione, in realtà era
tutta orecchi e non si perdeva un passaggio. Aveva discusso fino a tardi con
Francesca la notte scorsa, avevano programmato fin nei minimi dettagli
ciò che dovevano dire. Avevano lanciato una moneta per decidere chi
avrebbe dovuto avviare la conversazione, ed era toccato a Francesca.
-Ragazze! Avete appena lasciato la scuola e già vi
mancano le amichette?- si lagnò Piton, finendo frettolosamente
il caffè.
-Sì… ci annoiamo a morte!-
protestò Francesca.
-Provate ogni tanto ad aprire un libro… magari la
vostra matita impietosita accorrerà in vostro aiuto e vi farà qualche compito!- le beffeggiò lui.
-Ragazze! Avete appena lasciato la scuola e già vi
mancano i compiti?- Elisabetta fece il verso al suo
insegnante riproponendo la frase detta da lui poco prima. La Chiodo
soffocò le risate nel croissant. –La risposta è no. E poi abbiamo già iniziato…- completò la ragazza.
-Ah sì? Posso sapere da quale materia avete
iniziato?- chiese fingendosi deliziato Piton.
-Musica e Artistica!- risposero in
coro le due ragazze.
-…-
-E dai! Insomma, noi ci rendiamo
utili, facciamo un po’ di lavoretti, laviamo i piatti e rifacciamo i
letti… magari con qualche amica organizziamo una serata danzante!-
Francesca elencò tutte le tesi a loro favore che erano
venute in mente a lei e a sua sorella la serata precedente, cercando di
assumere un tono convincente.
-Per carità! Se la mettete
così, vi metto pure la museruola!- ribatté Piton con una smorfia.
-E invece secondo me è
un’idea carina. Ma… chi avreste intenzione
di chiamare?- si intromise la
Chiodo.
-Niente di speciale, solo un paio di amiche…-
-Allora secondo me si può fare. –
Un’ora più tardi, dopo aver svolto i lavoretti
che sapientemente avevano argomentato a loro favore, le ragazze avevano
nuovamente la biro in mano. Scrissero a Ramona, Sara, Giada ed Emma; nella
lettera chiedevano alle amiche se fossero disponibili a passare un weekend
lì da loro, aggiungendo indirizzo, notizie su che aria tirasse e uno schizzo di programma per i giorni a venire.
Pregarono inoltre le ragazze di rispondere il più presto possibile.
-Secondo te verrà qualcuno?-
chiese infine Elisabetta, dopo aver spedito Rufus in
missione.
-Spero di sì! Non è per questo che gli abbiamo
chiesto di convincersi a vicenda?-
-Io a Sara ho detto che se voleva
poteva farsi accompagnare da Ryan, sempre che si
vedano ancora. Potrebbe essere una buona scusa per farlo restare. –
-Di un po’, non è che ti interessa?-
-Chi? Ryan? Ma
scherzi? No, è che più siamo più ci divertiamo…-
-E poi come la mettiamo con Piton?-
-Ci penseremo più avanti…-
Dopo pranzo si ritirarono
immediatamente in camera e spalancarono le finestre, un po’ per il caldo,
un po’ come gesto scaramantico (speravano infatti di veder arrivare
almeno un gufo).
Passarono il pomeriggio bighellonando in camera, non osando
spostarsi; Francesca rilesse per la terza volta l’ultimo numero di Topolino,
Elisabetta iniziò a leggersi i capitoli di Storia della Magia assegnati
per compito dalla McGranitt.
A metà pomeriggio si scambiarono
gli hobby, talmente erano disperate.
Verso le sei a Francesca parve di aver udito un debole
fruscio come di ali; si rivelò essere un
piccione, del tutto disinteressato alle sorelle.
Si coricarono profondamente irritate dopo una puntata di una
fiction estiva e fecero pure fatica a prendere sonno.
La mattina dopo, di buon’ora, le due vennero disturbate da un discreto trambusto proveniente
dall’esterno. Elisabetta, già semisveglia, si affacciò alla
finestra, ma l’unica cosa che vide fu un’automobile che se ne stava
andando di gran carriera dal cortile dell’albergo, perciò decise
di infilarsi nuovamente sotto le coperte. Sua sorella non aveva fatto una
grinza, e continuava beatamente a dormire dopo essersi girata dall’altra
parte sotto il leggero lenzuolo.
Nemmeno cinque minuti dopo
Elisabetta sentì un lieve bussare alla sua porta, così si
alzò e dischiuse appena la porta.
-Ciao Betta!- Giada era in piedi di fronte a lei, e sorrideva
divertita di trovare la sua amica ancora in pigiama.
-Ciao Giada! Ma quando sei
arrivata?- Elisabetta era lieta della sorpresa.
-Cinque minuti fa. Dov’è
Francesca?-
-Oh, è dentro, dorme ancora. Facciamole
uno scherzo! Infilati nel mio letto: voglio vedere che faccia farà
vedendoti al mio posto!-
Giada scivolò dentro la stanza e, senza fare il
minimo rumore, si sdraiò sul letto dell’amica, la quale si era
seminascosta dietro la porta del bagno.
-Fre, svegliati!!-
gridò Elisabetta in modo da non farsi ignorare dalla sorella, la quale
iniziò a stirarsi e dopo poco buttò all’aria le coperte.
Giada imitò tutti i suoi movimenti, finché non si ritrovarono faccia a faccia.
-Aaahh!- Francesca gridò,
ma si riprese quasi subito –Tu! Da dove salti fuori? Eri nascosta
nell’armadio?-
-Scherzetto! No, è arrivata dieci minuti fa…
coraggio, andiamo a fare colazione!- Elisabetta fece
capolino dal suo quasi nascondiglio, facendo prendere un altro mezzo infarto a
sua sorella, e le ricordò l’ora.
Un quarto d’ora dopo, le tre stavano scendendo le
scale che le avrebbero condotte al pian terreno.
-Allora, come va con Piton?-
-Ci sopportiamo a vicenda. Penso che l’abbia presa sul
serio la storia del padre, ha già iniziato a farci proibizioni e a
mettere in discussione tutto ciò che diciamo!- Elisabetta sorrise al
pensiero dei loro quotidiani battibecchi.
-Già! Abbiamo fatto i salti
mortali per convincerlo a farti venire qui!- aggiunse la sorella.
-Beh, che non esageriamo adesso.
– le ragazze sobbalzarono, e videro che la persona di cui discutevano le
seguiva a poca distanza.
-La brutta abitudine di saltar fuori alle tue spalle mentre
stai sparlando di lui non l’ ha ancora persa, ma
ci stiamo lavorando…- borbottò Francesca, riavendosi dallo
spavento.
-E dai, è l’unico
divertimento che mi rimane! D’ora in avanti non potrò più
neanche decurtarvi punti, Vittoria mi bastonerebbe… Ciao Giada, come va?-
Giada osservava ammutolita il suo professore di Pozioni.
Possibile che fosse lui? Il terribile, arcigno, malevolo professor Piton che si
metteva a scherzare di prima mattina e le chiedeva pure come stesse? Forse
aveva la febbre…
-Giada, ma come mai non hai risposto al nostro gufo?- chiese
improvvisamente Francesca.
-Beh, volevo farvi una sorpresa… Ho
fatto male?-
-Altroché! La prossima volta che voglio far prendere
un infarto a mia sorella ti chiamo…-
-Spiritosa. Molto spiritosa. –
Fecero colazione tutti assieme: Elisabetta, Francesca,
Giada, la Chiodo
e Piton. Poi le sorelle aiutarono la compagna a trasportare le sue valigie fino
alla sua camera, esattamente di fianco alla loro. Ora
che vi facevano caso, sembrava proprio che tutto il
piano fosse deserto, a parte loro.
Mentre le tre chiacchieravano,
fuori il cielo era stato oscurato da nuvole grigie che minacciavano pioggia;
l’aria era sensibilmente più fredda rispetto ai giorni scorsi, e
tirava un vento secco che faceva muovere le foglie degli alberi.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a cedere verso
metà mattinata; già dopo un quarto d’ora si era scatenato
un acquazzone.
Dalla camera di Francesca ed Elisabetta si udiva molto bene
lo scrosciare dell’acqua. Un tuono potente fece sobbalzare Francesca, che
dava la schiena alla finestra.
-Tempaccio!- soffiò Giada.
Non era un granché stare in camera, all’inizio
di giugno, per l’inclemenza del tempo: era noioso, ma verso mezzogiorno
arrivò una seconda botta di vita.
Giada stava dando una mano alle sorelle ad apparecchiare i
tavoli della sala da pranzo, quando si udì l’inconfondibile rumore
della porta d’ingresso che si apriva (inconfondibile perché grattava
leggermente sul pavimento). Voci concitate schiamazzavano senza che le ragazze
potessero distinguere quante fossero.
La signora Susanna fece strada ai
nuovi arrivati scortandoli come una guardia fino alla sala da pranzo. Aveva
indovinato che fossero amici delle sue nipoti.
In effetti, Sara, Ryan e Ramona corsero verso le tre presenti per abbracciarle.
-Ragazze, allora, come va? Come si
sta comportando Piton? Quante pozioni vi ha già
fatto fare?- chiese ridendo Ramona.
-Scherzi? È buono come un pezzo di
pane!- ribatté Giada.
-Ma davvero? Ah, ho capito, il pane
a cui ti stai riferendo è avariato…- Sara
rise alla propria battuta.
Dopo non molto giunse anche la Chiodo,
che salutò i nuovi arrivati.
-Ma, non avevate detto un paio di amiche?-
obiettò.
-Sì, beh… un paio a testa, cioè
due al quadrato…- si giustificarono Elisabetta e Francesca.
-Malandrine! Allora, chi dobbiamo
ancora aspettarci per oggi?-
-Solo Emma. Poi siamo al completo. –
-Allora va bene. Forza, finiamo di apparecchiare che tra un
po’ si mangia!-
I ragazzi pranzarono separatamente rispetto a Piton e alla Chiodo. Appena finito,
sgattaiolarono fuori e decisero di farsi una veloce passeggiata nei dintorni
dell’hotel, almeno finché non si sarebbe scatenato un altro
acquazzone.
Tutt’attorno si stendevano hotel su hotel,
tagliati solo dal grigio della strada, al momento poco trafficata. Sembrava di
essere a Las Vegas.
Mezz’ora dopo erano di ritorno. Emma li stava
aspettando seduta nella hall.
-Emma!-
-Ciao ragazzi! Allora, come va?-
-Adesso che ci siamo tutti, benissimo! Ma
perché non ci avete detto niente? Volevate tutti farci una sorpresa?-
-Già, a quanto pare abbiamo
avuto tutti la stessa idea!-
-Okay, andiamo su in camera a fare una partita a Uno?-
Sembrava che non fossero trascorsi quattro giorni da quando il gruppo si era diviso; erano di nuovo in
cerchio, seduti sulla moquette, a giocare a carte e a divertirsi.
Parlando del più e del meno, scoprirono che Ryan sarebbe presto andato in Francia a trovare sua madre;
per il momento aveva trascorso quei quattro giorni in un appartamento preso in
affitto alla periferia di Modena.
Fuori intanto il temporale aveva ripreso più forte di
prima; era talmente buio che i ragazzi dovettero accendere la luce.
Verso le cinque scesero al pian terreno per fare merenda;
prepararono un the in cui inzuppare alcuni biscotti.
Verso sera, con grande meraviglia
di tutti, si presentarono anche Manuel ed Enrique. Piton e la Chiodo, a cui non era
sfuggito il particolare, si avvicinarono alle figlie
adottive con fare bellicoso, ma prima che potessero dire qualsiasi cosa, le due
si difesero preventivamente: -Non li abbiamo invitati noi!-
-Grazie tanto per volerci tutto questo bene! E comunque, noi siamo qui assieme ai miei genitori e cacciamo
pure i soldoni, quindi è inutile che ve la
prendiate con loro, perché non ci hanno invitati!- Enrique aveva esposto
l’argomentazione da bravo avvocato, perciò la sua orazione aveva
convinto i due professori a rimangiarsi i pensieri.
-E sentiamo, perché proprio
qui?- Piton si riscoprì investigatore.
-Beh, mio padre aveva proprio bisogno di un periodo di
relax, e questo ci sembrava il posto adatto… se vuole può andare a
scambiare due parole con lui, dovrebbe essere di là nella
hall per la chiave e i documenti…- Enrique era davvero sicuro di sé,
e ciò sembrò bastare a Sherlock Piton.
-E va bene, passi. Però
ancora non me l’avete raccontata giusta!- disse la Chiodo,
facendo l’occhiolino ai nuovi arrivati.
-Il terzo grado dei genitori…- sospirò Manuel a
Francesca, che rise.
-Se poi sono anche professori è
peggio!- aggiunse Enrique, abbracciando Ramona.
-Allora ragazzi, il signor Armando mi ha detto
che se volete potete sistemarvi nella camera di fianco alla loro. Che ne dite?-
proprio in quel momento giunse il padre di Enrique,
seguito dalla moglie. L’uomo era di media statura, brizzolato, un vero
avvocato con la voce sicura e gentile; sua moglie era poco più giovane
di lui, bionda e leggermente più bassa. Quattro occhi azzurri fissavano
a turno i ragazzi presenti.
-Perfetto, sono i nostri compagni di scuola!!- esclamò Enrique.
-Ma davvero? Che
bella coincidenza!- il padre sorrise ai ragazzi.
-Figurarsi! Loro sono due nostri
professori…- borbottò Manuel.
-Ma no, non ci credo! Tutta la
scuola riunita. –
-Pareva giusto una riunione
combinata…- completò Piton.
I ragazzi capirono che era meglio squagliarsela, lasciando
gli adulti parlare degli affari loro; Enrique però sperava che la loro conversazione non prendesse una piega sbagliata (ovvero
non voleva che si parlasse dei suoi voti).
Si riunirono nella camera degli ultimi arrivati, molto
più spaziosa delle altre, a guardare un po’ di televisione. Il
canale di musica stava trasmettendo la classifica dei video più
richiesti.
-Caspita, come sono rimasta indietro! A scuola
c’è sempre qualcosa di meglio da fare che ascoltare la
radio…- si lamentò Sara.
-Già! Guarda, non conosco
neanche mezza canzone!- le fece eco Giada.
-Beh, se volete proprio impegnare la bocca, tenete!- Enrique
lanciò agli amici alcuni pacchetti di patatine e delle noccioline,
mentre lui aprì una bottiglia di aranciata.
-Allora, come si sta comportando Piton?- chiese Manuel
masticando le patatine.
-Siamo ancora vive. E non abbiamo
ancora messo mano ai calderoni, per fortuna. Incredibile!-
-Davvero non ha ancora fatto il bastardo?-
il ragazzo pareva incredulo.
-Come fa a scuola no. Cerca di trattenersi, sai: la Chiodo lo tiene a bada!-
Subito dopo cena, i ragazzi decisero di godersi le
meraviglie del tubo catodico sedendosi più comodamente nell’apposita sala di fianco alla hall. La stanza dalle pareti
blu era zeppa di piante in vaso, alcune anche abbastanza alte, e i due
posacenere sul tavolino al centro di essa traboccavano
di mozziconi di sigarette.
Restarono lì seduti a fare zapping
fin circa alle dieci di sera, quando sentirono suonare al campanello.
Incuriositi, si alzarono e andarono a vedere chi mai poteva essere a
quell’ora; anche Piton aveva avuto la stessa idea e, precedendo i
ragazzi, spalancò la porta di vetro.
Fuori, un ragazzo stava pulendosi le scarpe da ginnastica
sullo zerbino, la testa china ad osservarle. Quando
alzò il capo, due occhi verdi si fissarono su quelli di Piton: era
Harry!
-Buonasera, scusate l’orario, ma c’è
stato un casino infernale con il treno che era in ritardo e ho dovuto fare a
pugni per trovare un taxi che mi portasse fino a qui. Posso entrare?- chiese a colui che gli sbarrava la strada.
-Potter! Che ci fai
qua?- ringhiò Piton.
-Vacanza! Sai, quei giorni in cui ti rilassi…?-
-Severus, chi è…?
Harry! Santo cielo, vieni dentro, sarai zuppo
d’acqua!- la Chiodo
diede un leggero strattone al futuro marito affinché si spostasse,
permettendo al ragazzo di entrare.
-Ciao Vittoria, tempo da lupi, eh?- Harry finì di
pulirsi le scarpe ed entrò, sorridendo a Piton e alla
Chiodo.
-Già. Forza, tutti in cucina che vi preparo una cioccolata calda!-
L’odore dolce di cioccolata permeava ogni cosa. I
ragazzi non sprecarono nemmeno una goccia della preziosa bevanda, a costo di
ripulire la tazza con le dita.
-Allora, Potter, come mai qui? Perché, a questo
punto, mi sorge il dubbio che vi siate dati
appuntamento tutti quanti…- Piton squadrò prima Harry, poi
Francesca e la sorella.
-Severus!- la Chiodo gli diede una gomitata nel costato, guardandolo male.
-Beh, in effetti sono stato
invitato. Ma non da Elisabetta e Francesca. Il suggerimento
mi è arrivato da un altro dei presenti, di cui ovviamente non
farò il nome. L’appuntamento era organizzato, ma non da coloro che
lo avevano promosso…- Harry sorrise furbescamente a
Elisabetta e Francesca: le aveva appena tolte da un bel pasticcio!
-Il tuo animo Grifondoro per questa sera salva voi due.
– commentò Piton, indicando le sorelle.
-Bene, basta così, oggi è stato fin troppo
movimentato. Tutti a nanna! Vieni Harry, ti do la chiave della stanza, ti va
bene vero vicino a loro?-
-Naturalmente…-
-A letto, marciare!-
Lucifer_the_Darkslayer: perché ti crolla il mito di Severus?!
NemoTheNameless: grazie!!! Ti è piaciuto questo chap?
Il giorno dopo i ragazzi si erano dati
appuntamento per le nove del mattino giù al piano terra. Schiamazzando
si erano avviati in sala da pranzo, dove avevano consumato
un’abbondante colazione conversando civilmente con Piton e la Chiodo. Il cielo era
tornato a splendere della luce del sole, anche se l’aria era fresca a
causa dell’umidità ancora presente.
Molti avrebbero voluto andare in
spiaggia a prendere il sole o a farsi un bagno, ma la Chiodo, premurosa,
suggerì loro di attendere ancora qualche giorno, così passarono
quella mattinata in camera a guardare la televisione.
Il pomeriggio non ci fu verso di farli restare dentro
“casa”, così venne organizzata un
piccola gita turistica per la città: i ragazzi per loro conto con Piton,
la Chiodo e i
genitori di Enrique a poca distanza.
Il padre di Enrique fiutò
una discreta minaccia al proprio portafoglio fin da subito, che vide
realizzarsi non appena i pargoli si incollarono alla vetrina di una negozio di
telefonia. Volle illudersi che i ragazzi si sarebbero limitati a guardare, ma
sospirò sconfitto quando vide il figlio
avvicinarsi a lui: ovviamente chiedeva soldi.
-Per fare cosa?- chiese sospettoso.
-Comprarmi un cellulare! Telefonino, hai presente?-
-Ah, sì, quegli aggeggi… e va bene, ma non far
morire di invidia i tuoi amici, mi raccomando!-
acconsentì passandogli alcune banconote babbane.
-Ora che ci penso… il mio si è rotto, avrei bisogno di uno nuovo. Vi dispiace aspettarmi qui?
Farò in un attimo. – la
Chiodo si allontanò
dal gruppo, frugando nella borsetta. A Elisabetta e
Francesca si illuminarono gli occhi: davvero non speravano in tanta fortuna.
Il negozio, per fortuna, era bello
grande, così poterono entrare tutti quanti in un sol colpo. Il titolare
già si sfregava la mani, soddisfatto.
Quando uscirono, erano
l’immagine della felicità: ognuno trafficava allegramente col
proprio cellulare nuovo. La Chiodo, sorridente, ne mise uno in mano
a Piton, il quale, imbarazzato, se lo rigirò tra le mani.
-Libretto di istruzioni!- gli
suggerì Francesca, passandogli il fascicolo.
Poco dopo, Giada acquistò in un’edicola una
palla: il messaggio era eloquente, andare in spiaggia a giocare. A malincuore, la Chiodo
accordò loro il permesso.
I ragazzi, eccitanti,
schiamazzarono per un pezzo alla ricerca di un tratto di spiaggia libero dove
stare larghi; quando lo trovarono, si misero a fare due palleggi a pallavolo
dopo essersi liberati delle scarpe. I maschi erano esilaranti, perché
colpivano la palla con tutte le parti del corpo tranne le mani; le femmine
furono costrette ad ammettere che, nonostante tutto, se la cavassero.
Gli adulti stavano parlando dei fatti loro, così non
si accorsero di un attimo in cui i ragazzi si erano riuniti in cerchio per
preparare probabilmente uno scherzo; infatti, dopo non molto, Piton si
ritrovò nel bel mezzo di una partita di calcio.
-Che devo fare?- aveva chiesto.
-Niente, correre dietro alla palla e cercare di mandarla in
porta. –
Le porte erano delimitate dalla scarpe
dei ragazzi; i portieri erano Ramona ed Enrique.
Al centro dell’ipotetico campo, Harry e Piton si
stavano guardando in cagnesco, attendendo il via da Manuel. Quando
il ragazzo fischiò, Harry sgusciò via col pallone, scartò
Francesca e Manuel e segnò a Ramona.
-Allora, Potter, non sei bravo
solo a Quidditch…-
-In difficoltà, Severus?-
Ben presto le ragazze si stancarono, visto che a loro la
palla veniva passata di rado, così la Chiodo ne approfittò
per riportare i suoi ragazzi sudati in hotel per una doccia, non prima di
essersi fermati in gelateria per un cono.
Durante il rientro, Harry prese da parte Piton per parlargli
a quattr’occhi.
-Allora? Pensi che potremmo seppellire l’ascia di
guerra?- gli chiese sfoggiando il più largo dei
sorrisi.
-Sì, Potter, penso che
potremmo. Mi toccherà abituarmi a te, visto che vai
a moroso da una delle mie figlie…- Piton ghignò soddisfatto al
rossore del ragazzo.
-Bene, allora… per favore, chiamami semplicemente
Harry. Sarà più facile. –
-D’accordo, Harry. –
-Bene. Mi spieghi una cosa? Fa un caldo soffocante, come mai
hai la camicia lunga?-
Piton si slacciò il polsino della camicia nera e
iniziò ad arrotolarsi la manica sinistra; sul pallido avambraccio,
sbiadito, c’era il Marchio Nero: un serpente che usciva dalla bocca di un
teschio.
A Harry si rizzarono i capelli sulla nuca al solo vederlo,
nonostante l’incubo fosse ormai finito.
-Ma… come mai…?-
-Sì, credevo anch’io che con la morte di Voldemort sarebbe scomparso… si vede
che anche io non sono infallibile, nel fare previsioni. –
-E… non esiste un modo per farlo andare via?-
-Credi che, se fosse di mia conoscenza, non avrei già
tentato? No, a quanto so, non c’è rimedio. –
Quella sera, mentre si concedeva una lunga doccia, Piton non
staccò gli occhi un momento dal Marchio. Harry indisse una riunione
straordinaria del C.A.P.R.I. con “motivazione
di carità” ed espose il problema.
-Cioè, fammi capire… il grande Piton che non
riesce a liberarsi di un tatuaggio?- chiese sbalordita
Ramona.
-Macché tatuaggio! Quello è ben peggio,
marchiato a fuoco sulla pelle e chissà cos’altro!-
ribatté indignato Harry.
-Potremmo provare a farlo diventare trasparente…- propose Elisabetta, che aveva preso a cuore il problema.
-Oppure lo trasfiguriamo in
qualcos’altro. – le fece eco Francesca.
-E se lo coprissimo con un
tatuaggio vero?- Manuel parve avere un colpo di genio.
-Sai Manuel, questo sono sicuro che
Severus non l’ ha provato. Proverò a proporglielo. –
-Ehi Harry, cos’è tutta questa confidenza con
Piton?-
-Niente, abbiamo deciso di fare una tregua. -
*
La Chiodo era già sveglia da un
po’ quando fecero capolino in cucina i ragazzi, capitanati da Harry.
-Buongiorno ragazzi. Vi scaldo i croissant?-
-Qualcosa di più semplice? Una merendina, sai, andiamo di fretta…-
La donna si accigliò –E dove avreste intenzione
di andare di mattina?-
-Mettiamola così: ieri sera sono atterrati in
giardino gli alieni che ci hanno chiesto di poter studiare Piton, così
adesso noi lo rapiamo al posto loro e te lo riportiamo per… diciamo tra
un paio d’ore… è convincente la scusa o ne devo inventare una
migliore?-
-E chi vi ha detto che ho
intenzione di farmi rapire?- si intromise l’uomo, fino ad allora rimasto
in disparte.
-O vieni, o vieni. Solo, rendici
più facile il compito di rapirti. –
-Perché non mi fido?-
-Perché non dovresti?-
Mezz’ora dopo, i ragazzi erano in marcia. Manuel ed
Enrique spesso lanciavano oblique occhiate a Piton, spiandone ogni mossa, ogni gesto e ogni espressione; Harry e Ryan
guidavano il gruppo.
A Piton parve di conoscere già la strada… in
effetti, scorse dopo non molto il negozio assaltato il giorno prima, che però pareva non essere la meta, visto che i
ragazzi si fermarono come paletti pochi metri prima. La vetrina che si
fermarono a contemplare non aveva merce esposta, bensì aveva attaccato
tramite una ventosa un cartello con scritto: Tatuaggi in bianco e nero,
colorati, henne, treccine, piercing.
Harry entrò per primo, seguito da tutta la truppa.
-Salve. Il mio amico qui vorrebbe farsi un tatuaggio.
– disse rivolto all’unica persona presente. Il tatuatore
era un uomo alto e robusto, rapato, con un grosso piercing
al sopracciglio sinistro e un tatuaggio colorato con motivo floreale a
ricoprire l’intero braccio.
-Ehi, vacci piano Potter!
Cos’è questa storia?- chiese Piton sulla difensiva.
-È il primo, vero? Non ha da preoccuparsi
signore, oggigiorno non fa più così male farsi un
tatuaggio. – lo rassicurò il tatuatore,
massaggiandosi il braccio colorato. Piton parve comprendere cosa fosse un
tatuaggio.
-Potrebbe fargli vedere qualche modello, così, per
farsi un’idea…-
-Ma sicuro! Tenete, sfogliatelo con
calma; potete sedervi laggiù. Quando avete
deciso, fatemi un fischio. –
Ryan prese gli album dei modelli e
guidò il gruppo a sedersi su alcuni pouf in
fondo alla stanza. I ragazzi si disposero a cerchio attorno ad
Harry e Piton.
-Allora, mi volete spiegare
cos’è questa storia?- li aggredì il più
anziano.
-Vorremmo aiutarti a far scomparire il Marchio Oscuro.
– sentenziò Elisabetta.
Piton sbiancò in un sol colpo. –E voi…
come fate a sapere?-
-Eh! È da un sacco di tempo che lo sappiamo!!
Comunque, Harry ci ha detto che hai provato di tutto
per farlo andare via, però saremmo pronti a sommettere una Dreher che non hai provato a coprirlo con un tatuaggio,
vero?-
-Ma figurarsi se basterà
quella diavoleria babbana! Ho provato i più
potenti incantesimi…!-
-Scommessa?-
-Ci sto. –
I ragazzi chiesero a Piton di mostrare loro
l’avambraccio, in modo da farsi un’idea della grandezza del
Marchio, poi iniziarono a cercare nei tre album.
Sara propose un tribale nero della lunghezza
dell’avambraccio, Enrique un calderone (-Che fantasia!- n.d. Piton), Giada un cuore trafitto da una spada e
così via… a conti fatti però l’opzione
più sensata fu quella di Harry: un tao nero e azzurro che, essendo
rotondo, si prestava benissimo alla copertura del Marchio; anche il diretto
interessato parve essere d’accordo.
-Abbiamo scelto!- esclamòRyan.
-Molto bene… ah, un tao. Se ne fanno parecchi di
quelli, bella scelta. Allora, dove lo facciamo?-
Piton indicò il proprio avambraccio.
-Perfetto. Mi segua, prego. – l’uomo condusse lo
strano gruppo in una stanzetta adiacente all’ambiente principale nel
quale dava sfogo alla propria arte; fece sedere Piton al centro della stanza e
iniziò ad armeggiare con una strana macchina che ricordava vagamente una
macchina da cucito.
-I colori nero e azzurro le vanno
bene?- chiese.
-Sì. –
-Beh, allora dovrà tornare una seconda volta, faccio
una seduta ogni colore…-
Piton guardò male i ragazzi che l’avevano
convinto, i quali fecero spallucce.
Il tatuatore scoprì
l’avambraccio di Piton e si stupì nel vedere un altro tatuaggio.
-Intende coprire questo?-
-Sì, non voleva rimuoverlo perché dicono che resti una cicatrice. – si
intromise Ryan.
-Va bene, si può fare, i colori ci aiutano. –
rispose avvicinando la macchinetta a Piton; quest’ultimo scoprì
presto a cosa serviva quello strano aggeggio babbano: essa spingeva un sottile
ago sotto la sua pelle, dove spruzzava una goccia di colore nero. Il punto era
che…
-Ahia! Fa male!-
-Eh, eh, e che si aspettava? Pensi
che gli indiani prima drogavano la persona, poi le
incidevano la pelle con un coltello e infine soffiavano nella ferita del
carbone per fare i tatuaggi!-
Dopo quella nota, Piton stette zitto meditando sulla
macchina babbana.
Mezz’ora dopo avevano finito. Il tatuatore
mise una benda sulla sua opera completa a metà e diede tutta una serie
di raccomandazioni difficili da ricordare, poi congedò il gruppo.
-Allora? Non è poi così male avere un
tatuaggio, no?-
-Solo io a farmi convincere! Però
sembra aver coperto il Marchio… potrebbe funzionare. –
-Scommessa vinta!-
-Piano, ne riparliamo a opera
completa. –
La Chiodo
si rivelò diffidente all’idea di un marito tatuato, però,
capendo la motivazione di fondo che avevano spinto
Severus ad agire, comprese e accettò.
Cinque giorni dopo Piton tornò al negozio per farsi
ultimare l’opera. Il tutto gli costò circa 200 euro, e meno male
che pagò Enrique, altrimenti sarebbe andato in escandescenze!!
*
Qualche giorno dopo, mentre i ragazzi erano intenti a fare i primi compiti delle vacanze, la pace che regnava
nella stanza venne interrotta dall’arrivo di un gufo mai visto prima. Il
suo biglietto da visita fu uno spettacolare schianto attaccato al vetro di una
delle tante finestre, così che Sara, impietosita, andò ad
aprirgliela, visto che proprio da quella voleva entrare. L’animaletto
marroncino si lasciò trasportare fin dentro la stanza senza obiettare,
poi zampettò e si rimise in piedi sulla mano di Sara, poi volò
sulla spalla di Harry. Evidentemente, il messaggio che trasportava era
indirizzato a lui.
Il ragazzo slegò il messaggio dalla zampa del rapace,
che tra l’altro gli sembrava familiare, e i suoi occhi si
illuminarono di gioia:
Caro Harry,
ci eravamo lasciati che
io ed Hermione eravamo pazzamente innamorati, e
adesso… CI VOGLIAMO SPOSARE!!! Si nota che sono contento? No, eh?
Tornando a noi, io e ‘mione ci terremmo veramente che tu venissi al nostro matrimonio,
perciò…
SEI INVITATO/A AL MATRIMONIO DI
RONALD WEASLEY & HERMIONE GRANGER IL 14 GIUGNO 2005. PRIMA DELLA
CELEBRAZIONE, TI ASPETTIAMO CALOROSAMENTE A CASA NOSTRA A HOGSMEADE (NON
PREOCCUPARTI, LE FRECCE TI GIUDERANNO!).
Compare, se vuoi porta qualche amico/A (hai capito cosa
intendo, vero?). Qui allegata troverai una Passaporta, non ti preoccupare per il ritorno, ci penseremo
poi.
Se manchi, giuro che ti
spedirò il più grosso dei malefici (che conosce Hermione…).
Allora ti aspettiamo il 14, mi raccomando non
mancare!!!
Baci,
Ron & ‘mione
-Ron, Hermione?
Amici di scuola?- chiese Elisabetta, sbirciando il
foglio.
-Eh già. Bei tempi quelli della scuola, non fosse
stato per un certo professore di Pozioni…-
-Allora, quando partiamo?-
-Eh? Partiamo? Noi? Noi chi?-
-Tu e “qualche amico”…-
-Amici? Dove, io non li vedo…- Harry fece finta di guardarsi intorno.
-Harry! Dai, non
rompere, ci divertiremo un sacco! E poi te lo hanno detto loro di
portare qualcuno, no?-
Tanto dissero e tanto fecero che riuscirono a convincere
Harry. Ora, restavano otto paia di genitori da convincere…
A passo spedito i ragazzi scesero al pian terreno e
inseguirono Piton e la Chiodo per una buona mezz’ora,
finché non li persuasero a sedersi in cucina.
-Harry, spiega e convinci!-
-Va bene. Niente, Ron ed Hermione si sposano e mi hanno invitato dicendo di portare
qualche amico. I miei conoscenti qui intorno vorrebbero venire con me…-
-Come? Weasley e la Granger
si sposano? Povera Granger, dovrà fare a
metà coi neuroni…-
-Severus!!-
-Va bene, va bene… Allora, quando e dove il lieto
evento?-
-A Hogsmeade il 14 di questo mese.
Se per voi va bene…-
Piton e la
Chiodo si trovarono circondati da
sguardi supplicanti e occhi velati di lacrime, così si convinsero a dare
ai ragazzi carta bianca, a patto però…
-A patto che tutti gli altri genitori siano d’accordo!
Se anche uno solo non è d’accordo la gita
salta, intesi?-
-Perfetto grazie mille adesso
andiamo a scrivere ciao. – i ragazzi si dileguarono su per le scale.
Enrique persuase i propri genitori senza troppa fatica, e perciò Manuel
era quasi matematico che venisse. Sara, Ramona, Giada, Emma e Ryanscrissero righe su righe di
scuse, preghiere, suppliche che affidarono ai rispettivi gufi. Manuel se la prese molto più comoda, scrisse quella sera e
soltanto due righe.
Quella notte nessuno chiuse occhio;
i ragazzi si coricarono molto tardi e lasciarono le finestre spalancate in
camera, tanto che dovettero ricorrere a più coperte. La prima risposta
via gufo fu quella per Giada, verso la mezza, e fu affermativa. Eccitate, Sara
e Giada corsero a svegliare i compagni e ad annunciare
loro la lieta notizia; Elisabetta e Francesca entrarono di soppiatto nella
camera dei “genitori” e urlarono a squarciagola: -I genitori di
Giada hanno detto che è okay!! Evviva!!-
Dopo quaranta minuti giunse anche il via libera
dei genitori di Sara, e la scena si ripeté identica.
La terza volta, verso le due di notte, Piton decise di
averne abbastanza e spedì fuori dalla camera le
figlie adottiva a suon di maledizioni (con la bacchetta…).
Alle quattro arrivarono simultaneamente le risposte dei
genitori di Emma e Ramona, entrambe positive. I
ragazzi, tutti i ragazzi, si introdussero nella camera
delle maledizioni in punta di piedi, nascosero la bacchetta di Piton e lo
svegliarono, un po’ più dolcemente, per comunicargli gli ultimi
risvolti della vicenda. Quella volta ricevettero maledizioni verbali, senza
bacchetta.
Riuscirono tutti a farsi ben due ore di sonno, e infine alle
sei giunsero le risposte per Manuel e Ryan.
-Sì! E vai, Londra aspettaci!-
-Sì, sempre che Piton non ci
disintegri al risveglio… meglio che gli portiamo la colazione a letto,
hai visto mai che lo addolcisca!-
L’idea di Ryan parve
più che sensata, quasi doverosa a farsi, perciò i ragazzi si
misero di buona lena e prepararono una colazione coi
fiocchi: caffè, camomilla, latte, biscotti, zucchero, marmellata e
brioche e uova col bacon.
Si servirono di due vassoi per portare il tutto fino alla
camera in questione; lasciarono la colazione fumante sui comodini, alzarono di
poco le tapparelle e si dileguarono.
Infastidita dallo spiraglio di luce, la Chiodo
aprì un occhio per esplorare la camera: pareva tutto in ordine, nessuna
presenza di teenager. Eppure, la tapparella non si era
alzata da sola. Si levò a sedere, e allora si accorse del servizio in
camera che i ragazzi avevano offerto. Sorrise di cuore e scosse leggermente
l’amato per mostrargli la sorpresa.
-Severus…- sussurrò.
Piton ebbe una reazione fuori dal comune: balzò
e afferrò il collo dell’importunatrice.
-Severus, lasciami!
Soffoco…-
-Vittoria! Oh, perdonami… ero convinto che si
trattasse di quegli scocciatori… ti prego, scusami!-
-Non ti preoccupare, sono ancora viva. Camomilla?-
-Sì, grazie. Ne ho proprio bisogno…-
Alle dieci i piccioncini si
decisero a scendere. I ragazzi stavano facendo una
partita a carte, e per poco non si strozzarono dalle risate: il loro insegnante
di Pozioni aveva certe occhiaie viola che ricordavano vagamente le borse della
spesa…
-E chi devo ringraziare?-
borbottò lui.
-Allora, ultime notizie: alle sei sono arrivate le risposte
dei genitori di Manuel e Ryan, ed erano
affermative. Possiamo andare, sono tutti
d’accordo…-
-Fuori i documenti. –
Harry passò a Piton le varie pergamene, il quale le
passò ai raggi X fino ad essere soddisfatto.
-Per questa volta la spuntate… certo che avete una indiscutibile dose di fondoschiena…-
-Serve anche quello nella vita!!-
Il gruppo svelto salì le scale con meta le proprie
camere. Si aprì una vera battaglia
all’ultimo sangue: fare i bauli. Manuel ed Enrique misero i vestiti
già indossati in fondo ai propri bauli senza piegarli, ma Ryan li costrinse a forza a piegarli e riporli
ordinatamente. Sara, Ramona e Giada organizzarono una
sfida a canestro cercando di centrare i bauli coi propri averi. Elisabetta e
Francesca svuotarono gli armadi e i cassetti,
maledicendosi per aver tirato fuori tante cianfrusaglie.
Harry, che intanto era uscito per una passeggiata, tornando
si trovò davanti uno spettacolo incomprensibile.
-Ehm… ragazzi? Raga,
perché avete fatto i bauli?-
-Mah… se si sporca un vestito? Ce lo
dobbiamo cambiare, e poi dobbiamo fare tutte le prove… un matrimonio
è una cosa importante!-
-Sì, e se casca il mondo?-
-Abbiamo tutta la nostra roba lì dentro, così
non si sparpaglia!-
-Vai a fare il tuo, piuttosto!-
Troppo stanco per ribattere, Harry fece quanto gli era stato
ordinato e si infilò a letto. Fu disturbato per
un’altra mezz’ora circa dai preparativi dei ragazzi, ma alla fine,
alle undici, riuscì ad addormentarsi. Il giorno
dopo sarebbe stato stressante, perciò ciascuno badò bene ad addormentarsi il prima possibile.
Grazie tante a NemoTheNameless!!!J
Serpina91’xx: Harry ha venticinque anni…
Lucifer_the_Darkslayer: beh…ti ci dovrai abituare…
Diavolettadark: il voto mi sembra dei migliori! Arrivano, arrivanoRon ed Hermione, ma non
come protagonisti ora!
Capitolo 40 *** Questo grosso, grasso, matrimonio inglese ***
Capitolo 4
Questo grosso, grasso, matrimonio inglese
Alle otto in punto Harry fece il giro delle stanze per
svegliare gli amici; venti minuti dopo la squadra era al pian terreno per la
colazione.
C’era un diffuso buon umore e anche un po’ di eccitazione in quella mattina del 12 giugno. Francesca
rovesciò il the bollente sulla tovaglia ed Enrique mandò in mille
pezzi la sua tazza, così che la Chiodo fu costretta con
fatica ad alzarsi e recuperarne una nuova. Ancora due mesi e il bambino che
portava in grembo sarebbe nato.
Poco prima del termine della colazione Harry propose a Piton
di fare una scappata con loro al matrimonio, giusto per vedere la reazione di
Ron ed Hermione.
-Ammetto che mi piacerebbe vedere la loro faccia…
Vittoria, credi che potrei assentarmi un paio di
giorni?-
-Stai tranquillo, noi ce la caveremo
bene. Ragazzi, tenetelo d’occhio, mi raccomando: non vorrei che si innamorasse di una bella irlandese…-
-Puoi stare tranquilla, le irlandesi non
mi piacciono. –
-Allora siamo d’accordo. Andiamo,
prenderemola Passaporta all’ultimo piano per non
rischiare di farci scoprire. Vittoria…- Harry salutò la Chiodo
sfiorandole appena una guancia con le labbra.
-Ehi Potter, mantieni le distanze dalla mia donna. –
ringhiò Piton, fingendosi geloso.
-Già Potter, ronza lontano da mia madre. Tu hai un appuntamento con me. – lo imitò
Elisabetta.
-Ciao Vittoria, spero di riuscire a non ammazzare nessuno
della tua famiglia… a presto. –
I prodi ragazzi, in capo ad un quarto d’ora, erano
giunti in Gran Bretagna, più precisamente ad
Hogsmeade. Il viaggio con la
Passaporta li aveva scombussolati
oltre ogni dire, perciò Harry propose di
affittare qualche stanza da Madama Rosmeta. Quando
giunsero ai Tre Manici di Scopa, i ragazzi si resero conto del loro
grosso limite: non sapevano l’inglese!! Per loro
fortuna Harry e Piton erano inglesi, altrimenti sarebbero
stati problemi seri.
Quando raggiunsero le rispettive stanze, ciascuno
pensò per prima cosa a disfarsi dei bagagli,
confinando i bauli negli angoli più remoti e introvabili, poi si
riunirono tutti al pian terreno.
-Dunque, come senz’altro
avrete notato, qui parlano tutti inglese…- esordì Harry.
-Perciò avete bisogno di un incantesimo che vi permetta di comprenderlo e parlarlo. Se
non vi dispiace, io procederei…- completò Piton. I ragazzi
annuirono, in religioso silenzio.
-Molto bene. Transduco!!-
Uno a uno Piton colpì i
ragazzi, che improvvisamente presero a pensare e parlare in un inglese
perfetto.
-Adesso abbiamo capito come mai Silly
e il fratellone chiacchierano così bene in
italiano…-
Quella giornata ormai era sprecata: per rimettersi in sesto
i ragazzi ebbero bisogno di almeno un paio d’ore e molti decisero di
schiacciare una pennichella o dedicarsi ad attività tranquille come una
partita a carte.
L’indomani Harry volle mostrare agli amici
l’unico villaggio interamente di maghi di tutta la Gran Bretagna, con
la speranza di incrociare qualche vecchia conoscenza.
Partirono senza fretta in tarda mattinata, gironzolando con
la curiosità di turisti in visita ad una città d’arte.
Quante cose c’erano da vedere! Mielandia,
ad esempio, era la più vicina. Era un negozio stracolmo di dolci di ogni genere, dal classico cioccolato, magicamente
rivisitato, alle migliaia di tipi differenti di caramelle, di tutte le
dimensioni e colori. Quelle però che attirarono l’attenzione dei ragazzi furono le caramelle Effetti Speciali: ciascuno ne
acquistò una manciata, assieme a tanto cioccolato. Mentre i ragazzi
sgranocchiavano allegramente i loro acquisti, Harry ne approfittò
per mostrar loro la
Stramberga Strillante.
-Dicono che sia la casa più
infestata d’Inghilterra ma, tenetevelo per voi, sono tutte balle. Il
fatto è che era frequentato da un lupo mannaro…-
-In un modo o nell’altro, sempre infestata era…-
commentò Elisabetta.
-Dovrei ricordarti, signorinella,
che si parla di “infestare” solo per i fantasmi?- la rimbeccò Piton.
-Dovrei ricordarti, carino, che siamo in vacanza? Rilassati,
dai!-
Nei pressi della casa “infestata” la compagnia fece un incontro che avrebbe sconvolto la loro giornata…
-Ehi, guardate quel biondo! Quant’è
carino…- Emma si era portata le mani alla bocca, per sembrare ancora
più colpita. L’attenzione del gruppo si focalizzò sul
ragazzo che stava avvicinandosi, guarda caso, proprio
alla Stramberga Strillante.
-Malfoy…- ringhiò
Piton.
-Draco. – completò
Harry. I due si guardarono; parevano allarmati.
-Il mio caro fratellastro…- soffiò Ryan.
Nonostante tutto, il biondo continuava ad avvicinarsi; si
fermò solo quando fu di fronte a Piton.
-Salve, Severus. Sono tutti figli tuoi?-
Ora che Emma lo osservava meglio, si convinse di avere una
vista d’aquila: era veramente carino. Alto occhio e croce un metro e ottanta, fisico asciutto, capelli biondo platino e due
interessanti occhi di ghiaccio; purtroppo era abbastanza vestito (jeans e
felpa), ma la ragazza sarebbe stata disposta a levargli di persona la maglia.
-Due o tre… Allora, Draco, qual buon vento?- il tono
di Piton era molto serio, se non minaccioso.
-In verità, venivo per Potter. –
Sentendosi chiamato in causa, Harry mosse
un passo verso Malfoy, mostrandosi in tutta la sua altezza.
-Ne è passato di tempo, Potter. –
-Speravo almeno il doppio, Malfoy. –
-Suvvia, Potter, perché quello sguardo truce? Vengo
in pace, siamo dalla stessa parte…-
-Ora che il Padrone tuo e di tuo padre se n’è
andato?-
-Sì Potter, so che muori dalla voglia di dirlo ancora
una volta che sei tu quello che ha sconfitto Lord Voldemort ma, che vuoi che ti
dica?, morto un papa se ne fa un altro, è
così anche per i cattivi…-
A quelle parole Harry e Piton si irrigidirono
Che diavolo voleva insinuare Malfoy?
-Allora, vi ho incuriositi almeno
un po’? Merito la vostra attenzione?-
-Eccome. Ragazzi, ci vediamo dopo. -
-Ehi, non ho diritto anch’io di sapere, fratello?-
Ryanemerse dal gruppo
sfidando con lo sguardo Draco Malfoy.
-Fratello? Oh, sì… Verdun, giusto? Bene, mi
sembra doveroso, è una cosa che, in fondo, riguarda un poco anche te.
Vieni, fratellino…-
-Piano con la confidenza, fratellone…-
Sara lasciò mal volentieri la mano del suo ragazzo,
ma dall’occhiata che le diede, capì che per lui si trattava di
qualcosa di importante; così, i ragazzi
rimasero a gironzolare nei dintorni di Mielandia.
Il dibattito si protrasse per quasi un’ora,
intervallata da una scappata all’esterno di Ryan
che consigliò agli amici di farsi un giro per Hogsmeade con rientro
tassativo dopo quaranta minuti.
Tre quarti d’ora dopo i ragazzi pretesero spiegazioni
da Harry e Ryan, mentre Piton intratteneva Malfoy.
-Allora, chi è quel bel ragazzo?- chiese subito
Giada, indicando Malfoy.
-Un mio ex compagno di scuola, una specie
di Lucifero per intenderci. –
-Un tipo simpatico e tranquillo?-
-Precisamente. Ma non è dei
nostri rapporti che abbiamo parlato, piuttosto di suo padre. Suo padre, Lucius
Malfoy, era un Mangiamorte tra i più potenti e vicini a Voldemort; Draco
mi ha raccontato che dopo la caduta del suo Padrone, ha iniziato a dar di
matto. Innanzi tutto ha tradito sua moglie, Narcissa,
per BellatrixLastrange…-
-Ehm,
Harry? Rallenta.Allora, Narcissa
è la madre del biondo, ma Beatrix, chi caspita
è?-
Sara si stupì della reazione avuta dal ragazzo alla
propria domanda: le parve che i suoi occhi si fossero infiammati d’odio
al solo sentire quel nome.
-È la cugina del mio padrino, Sirius
Black, nonché la sua assassina. Oltre a questo,
ed è la parte più importante, intende, anzi, si è
già sostituito a Voldemort. –
-Cioè… abbiamo un “Voldemort 2 la
vendetta”?-
-Almeno a parole, sì. Resta da vedere quanto il suo
potere sia vicino a quello del suo predecessore…-
-Ehm… ehi, non vorrei sembrarti un’egoista ma… noi che c’entriamo?- Emma era
piuttosto sulla difensiva.
-Sta a voi la scelta. Se volete
immischiarvi o se volete rimanerne fuori, decidete voi. – Draco si era
appena avvicinato al gruppo di ragazzetti con il sorriso stampato in faccia.
-A noi cosa ne viene in tasca? Ma,
soprattutto, tu?- Elisabetta gli piantò gli occhi in faccia, per
persuaderlo a darle una risposta soddisfacente.
-A me interessa fargliela pagare per il suo tradimento,
niente di più. Voi… beh, non saprei, a fare i buoni
non viene mai nulla in tasca…-
-Forse… ma neanche a fare i cattivi, a quanto ho
potuto constatare…- anche Piton si era unito al gruppo.
-Parli bene tu…- Draco fece
spallucce.
Elisabetta avrebbe voluto gridargli che, scegliendo il bene,
SUO PADRE stava per avere una vita normale e decente
che il servizio presso Voldemort gli aveva sempre negato, ma si trattenne e si
limitò ad ammiccare malevola verso il biondo, che le fece una
linguaccia.
-Allora, ci penserete? Vi do un po’
di tempo, ne discuteremo con calma diciamo… tra due giorni,
sì, mi sembra ragionevole. Io non vi ho visto, voi non avete visto me. Buon proseguimento di giornata…- così
com’era venuto, il biondo se n’era andato, con gran sollievo di
tutti.
Francesca guardò Piton: -La prossima volta, per favore,
rompigli il muso. – soffiò.
-Borioso…-
-Pallone gonfiato…-
*
Dopo quello “scontro”
il gruppo cercò di cacciare dalla mente i pensieri negativi in vista
della visita alla casa dei promessi sposi.
Harry condusse i ragazzi per le vie di Hogsmeade lasciandosi
guidare dai palloncini disseminati nel villaggio; essi conducevano ad una
viottola nascosta dietro a Mielandia che terminava
con una piccola villetta a schiera quasi a ridosso della cinta muraria che
circondava il piccolo agglomerato urbano.
Essa era gialla, con due piani e piccoli balconi bianchi
ornati da fiori colorati; aveva il tetto rosso e un grazioso giardino recintato
con rose, viole e tante margherite. Al giardino si accedeva
tramite una porticciola di legno, la cui guardia era
stata affidata a due giovani alberi di limone ornati, per l’occasione, da
palloncini azzurri.
Harry avanzò e giunse dinnanzi alla porta bianca
della villetta, lasciando i suoi amici indietro ad ammirare i limoni gialli;
bussò. Udì uno scalpiccio provenire
dall’interno, passi affrettati avvicinarsi. Il cuore mancò un battito, la testa si fece leggera: Ron e
‘mione, quanto tempo!
Lentamente, troppo lentamente, la porta si aprì
cigolando leggermente; una pioggia di fuoco fece capolino dall’interno,
un largo sorriso benevolo espresso dagli occhi accolse il ragazzo
sopravvissuto.
-Harry?-
-Sì, Ron, sono io!-
Ron sorrise come se qualcuno gli avesse appena regalato un
tesoro, direttamente e senza l’incomodo della mappa; un sorriso aperto,
che ebbe il suo culmine in una risata di piacere.
-Harry! Quanto tempo!!- gridò al colmo della felicità abbracciando
l’amico.
-Troppo Ron, troppo. –
-Cavolo, Harry, avevo detto un paio
di amici… chi sono?-
-Te lo spiego dentro, okay?-
-Ron, chi è?-
dall’interno giunse una voce lieta di ragazza.
-Un vecchio amico che non si fa vedere in giro da tempo!
Venite dentro. –
La piccola comitiva entrò nella casetta in fila
indiana, capitanata dall’altissimo Ron. Percorsero un corto corridoio
immacolato sporcato di tanto in tanto da macchie verdi di piante grasse ed
entrarono nella cucina, dov’era Hermione, una ragazza slanciata con
voluminosi boccoli castani e occhi del medesimo colore.
-Hermione!- Harry le andò
correndo incontro e le buttò le braccia al collo.
-Harry! Che
piacere rivederti!-
-Allora, compagno, chi sono i tuoi
amici, non ce li presenti?- Ron riportò la fidanzata e l’amico al
presente.
-Certamente! Questi sono i miei inseparabili alunni, dritti dritti dal Bel
Paese…-
-Ah! Italiani…-
I ragazzi si presentarono uno ad uno; Hermione notò
però un’ombra in disparte e fece per avvicinarsi
ma… Piton si rivelò in tutto il suo splendore…
-P-professor… Piton?- chiese sbigottita la ragazza.
-In carne e ossa!- tuonò questi.
-Ma… Harry!? Ti avevo detto
di portare degli amici… che ci fa lui qui?- la faccia di Ron era
veramente singolare, peccato che nessuno avesse con
sé una macchina fotografica per immortalarla.
Harry e Piton presero a ridere di gusto indicando ora Ron,
ora Hermione, finché entrambi non caddero a
sedere sulle sedie di legno.
-Infatti lui è un mio amico.
Sedetevi, così vi raccontiamo tutto. –
Ron ed Hermione condussero gli ospiti nella sala, affianco
alla cucina, dove c’era posto da sedere per tutti ed esortarono Harry
affinché raccontasse loro tutte le novità. Quest’ultimo se
la godette un mondo a fare il resoconto ai compagni del suo movimentato anno
lavorativo, concludendo il tutto con una pacca a
Piton.
-Allora, credete che potrò venire anch’io al
vostro matrimonio?- chiese quest’ultimo.
-Se le cose stanno così,
perché no?-
I due vecchi compagni di scuola di Harry erano veramente
simpatici ed ebbero il favore di tutti i presenti; continuarono a chiacchierare
del più e del meno per tutto il pomeriggio e alla
sera gli ospiti si trattennero a cena da loro. Verso le undici Hermione, da brava
donna di casa, spedì tutti quanti a letto al piano di sopra: di tornare
al pub non se ne parlava. La ragazza dormì
sonni tranquilli, mentre Ron obbligò Harry a stare sveglio
per parlare con lui.
Harry ne approfittò per
chiedergli se avevano programmato un viaggio di nozze e, visto che non aveva
portato con sé regali, decise di pagarlo con l’aiuto dei ragazzi.
L’indomani mattina si svegliarono tutti di
buon’ora; subito dopo la colazione Hermione uscì per andare dalla
parrucchiera e fu l’ultima volta prima della celebrazione che la si rivide in casa. Harry aiutò Ron nei preparativi mentre i ragazzi fecero ritorno, dopo colazione,
ai Tre Manici di Scopa per vestirsi.
La cerimonia sarebbe iniziata alle undici e un’ora
prima ci sarebbe stato un rinfresco alla casa degli sposi; a turni i ragazzi
fecero un bel bagno e si vestirono davanti allo specchio. Non avanzò
loro che un quarto d’ora, che impiegarono a giungere alla casa degli
sposini; la trovarono occupata.
Parecchia gente faceva avanti e indietro dal giardino
all’interno della casetta; notarono in particolare due
ragazzi alti quanto Ron (circa due metri) e con gli stessi capelli rossi
che gironzolavano sempre in coppia orgogliosi di mostrare le loro giacche di
pelle. In un angolo Piton stava scambiando due parole con una coppia di signori
di mezza età che indovinarono essere i genitori di Ron, mentre Harry si
stava intrattenendo con quelli che probabilmente erano i parenti della sposa.
Trovando difficoltoso il procedere in gruppo, peraltro
numeroso, così decisero di dividersi: Manuel,
Enrique e Ryan da una parte; Sara, Giada ed
Elisabetta da un’altra e infine Francesca, Ramona ed Emma da una terza.
I maschi fecero subito la conoscenza dei fratelli maggiori
di Ron, Fred e George, che trovarono molto divertenti; scoprirono che gestivano
un negozio di scherzi magici, cosa che attirò molto la loro attenzione,
e che i loro affari non erano mai andati meglio che in
quel periodo.
Come si avvicinavano le undici, la folla iniziava a
diradarsi; dieci minuti prima dell’ora fatidica
i tre gruppi di italiani si riunirono e si incamminarono alla volta della
chiesa, che trovarono non lontano dalla Stamberga Strillante. L’edificio
in stile gotico era adornato da fiori di vari colori e profumi e somigliava
vagamente ad un giardino botanico.
-Ma sì, e via, tutta salute
per la mia allergia…- borbottò Elisabetta.
Riuscirono ad impadronirsi di due panche a metà circa
della navata centrale, si sedettero e attesero.
Come in ogni matrimonio che si rispetti,
la sposa arrivò con un leggero ritardo su una stupenda carrozza trainata
da un solo cavallo bianco. La marcia nuziale partì e Ramona si
ritrovò a seguirla movendo le dita proprio come se stesse suonando la
tastiera.
L’abito di Hermione era molto semplice: bianco,
aderente, con un lungo velo; di fianco a lei, i suoi genitori. Lo sposo era
già davanti all’altare ad attenderla nel suo impeccabile smoking
nero e una rosa rossa all’occhiello. Harry si era ritrovato
all’ultimo minuto a dover fare il testimone a Hermione, la ragazza non aveva
voluto comunicarglielo prima per fargli una sorpresa, mentre Ron aveva
designato sua sorella Ginny, sorridente nel suo lungo abito azzurro di fianco al fratello.
Nessuno dei ragazzi aveva creduto che assistere ad un
matrimonio potesse essere così faticoso: più di una volta furono
costretti, per non perdere di vista l’altare, il basso e tarchiato prete
e gli sposi, a salire in punta di piedi sull’inginocchiatoio per
sovrastare le teste calve davanti a loro.
Per un attimo valutarono anche l’ipotesi di far salire
sulle proprie spalle i compagni quando il prete chiese: -Vuoi tu, RonaldWeasley, prendere in
moglie Hermione JaneGranger?-, macredettero che non fosse proprio il caso.
A cerimonia ultimata, si precipitarono fuori
dalla chiesa, dove furono muniti da Fred e George di tutto il riso di
cui avevano bisogno. Firmate alcune carte, i due sposi si decisero ad uscire,
concedendo ad amici, parenti e semplici conoscenti di innaffiarli di riso.
Erano veramente una bella coppia!! Dopo il riso, un
lungo bacio e infine Hermione tirò il bouquet,
che fu acchiappato niente meno che da Albus Silente.
Dal nulla apparvero decine di carrozze dalla capienza
massima di tre persone; i due novelli sposi invitarono i presenti a salire e
così fecero loro. Quando nessuno fu più
a piedi, le carrozze iniziarono il loro viaggio. In verità nessuno degli
invitati conosceva la destinazione, gli sposi non l’avevano comunicato;
Harry però aveva un sospetto già da quando
erano apparse le carrozze, che si rivelò fondato quando imboccarono una
tortuosa stradina ascendente: la meta era il castello di Hogwarts!!
Ignari di tutto, itrasfertisti italiani rimasero a bocca aperta alla vista
del maestoso castello e avrebbero chiesto certamente dov’erano, se Albus Silente non avesse sussurrato loro: -Benvenuti ad Hogwarts!-
Torrioni, torrette, merli si innalzavano
fin quasi al cielo; lunghi e maestosi archi ad ogiva sembravano celare al loro
interno il volto di un arciere e l’immenso portone d’ingresso
pareva non attendere altro che un’antica macchina d’assedio per
farsi sventrare. Nulla di tutto ciò: all’avvicinarsi di Silente
ogni porta, grande o piccola che fosse, si apriva. Il canuto mago condusse i
rumorosi invitati fino a quella che i ragazzi italiani indovinarono essere l’originale
Sala Grande da cui a Bologna avevano tratto lo spunto: era occupata da un
infinitamente lungo tavolo ritorto più volto su se stesso, accuratamente
apparecchiato e tremendamente invitante.
La lotta per i posti fu estenuante. Il gruppo di amici riuscì a rimanere pressoché unito,
con un nucleo di Weasley al centro; con grande
dispiacere di Elisabetta, Harry si sedette accanto a Ron e alla sua testimone,
in un tavolo separato che doveva essere quello a cui solitamente sedevano gli
insegnanti.
-Allora, noi siamo Fred e George Weasley,
lieti di fare la vostra conoscenza. – cantilenarono i gemelli. Entrambi erano altissimi e magri, condue grandi cespugli rossi in testa e gli
occhi verdi e il medesimo timbro di voce.
Le ragazze si presentarono una ad una.
-Wow George, oggi siamo beati tra le donne!-
-Smettila George, io sono Fred!!-
-Ops, scusate, siamo talmente
simili che ormai penso come Fred e mi credo persino lui!-
Quando si accorgevano del languire della conversazione, i
due giovani facevano ricorso al loro repertorio di
barzellette, che comprendeva anche le loro imprese scolastiche: così,
nessuno dei vicini poté lamentare noia durante il seppur lungo pranzo.
Quando esso si fu concluso, Fred e George invitarono i nuovi amici per un sabato sera
in pub, invito che fu accettato di buon grado; Hermione e Ron, prima di partire
per il viaggio ad Ibiza, lasciarono le chiavi di casa ad Harry, consigliandogli
di trasferirvisi con gli amici per evitare di pagare l’affitto.
Quando Harry diede la buona notizia
agli amici, di certo non si aspettava tutti quegli sbuffi.
-Ma uffa, dovremo spostare tutti i
nostri bagagli!- protestarono i ragazzi.
-Dopo ragazzi, adesso andiamo a smaltire la scorpacciata in
casa, offro un goccio di liquore a tutti quanti.
– con poco, Piton ottenne un coro di applausi.
Grazie 1000
aNemoTheNameless, Diavolettadark e Serpina91’xx!!! Conto di risentirvi anche in
questo e nei proxchap!!! J
-Io ho fame!!Voglio
una pizza!- stava strillando Sara.
-Anche io ho fame! Abbiamo saltato
cena e pranzo, il mio stomaco è in sciopero!!-
le fece eco Elisabetta.
-Andiamo fuori a cena? Due tramezzini e un the non si
possono definire pranzo! Spuntino, semmai…- continuò
Manuel.
-E va bene, piranha, cucino io
stasera, ma solo se voi andate a fare un po’ di spesa! Qui in Inghilterra
vanno a forza di budini e torte salate… basta!!-
-Fish and
chips, fish and chips!! Ci sono in tutti i libri di inglese
del mondo...-
-Io resto qui ad aiutarti. Una bella frittatina
magari?- propose Sara.
-Andiamo raga, se vogliamo
mangiare dobbiamo spendere! All’arrembaggio!!-
L’allegra combriccola uscì al pari di una
mandria di bufali dalla casa rimasta vuota degli sposini alla volta della
bottega di Hogsmeade.
L’avevano intravista durante la passeggiata con Harry
e si erano ripromessi di visitarla: ora era giunto il momento.
Entrarono nel negozio completamente in legno e si
ritrovarono in una specie di grande magazzino, con
decine di file di scaffali contenenti tanti pezzi degli articoli più
disparati; la cosa strana era che non vi era l’ombra di una cassa dove
andare a pagare e nessun cliente all’orizzonte (probabilmente, pensarono,
si erano tutti persi per strada…).
-Ma che…? Cos’è,
una specie di prendi tre e non paghi niente? In Italia
siamo rimasti indietro…-
Enrique si staccò un poco dal gruppo e urlò:
-C’è nessuno?-
Urlò di nuovo quando
sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla, ma questa volta era una
frase sconnessa.
-Oh, mi dispiace di averti spaventato, ragazzo. Avete
bisogno di qualcosa? Chiedete pure. – un uomo distinto sulla quarantina
porse la mano al boccheggiante Enrique.
-Spaventato? Chi, io? No, lei deve aver preso un
granchio…-
L’uomo rise; -Vi siete persi? In effetti, l’idea
di spostare il negozio vero e proprio nei sotterranei è stata
un’idea bizzarra di mia moglie, ma finché i clienti entrano…
prego, venite, vi faccio strada…-
Il signore condusse il gruppetto attraverso una scala al
piano inferiore, illuminato come un qualsiasi supermercato babbano.
-Fate pur con comodo, la cassa è
di là. – e detto questo, la guida li
lasciò.
Acquistarono una montagna di cibo: uova per Sara, cornflakes per la colazione,
latte, cioccolata, pane, bibite gassate (tra cui Burrobirra
in lattina), patatine e popcorn, qualche vaschetta di gelato, carne, frutta per
la macedonia e un po’ di insalata.
Intanto, Sara e Ryan avevano
iniziato le ricerche di ciotole, tegami, padelle e posate; Ryan aveva scovato
in un angolo remoto della cucina un sacchetto di farina e, non contento della
scoperta fatta, pensò bene di lanciarne una manciata in testa a Sara,
col pretesto della neve.
Adirata, Sara si buttò sopra a Ryan nel tentativo di bloccarlo ma, nel farlo, al ragazzo sfuggì di mano il
sacchetto, il cui contenuto andò ad imbiancare i capelli e i vestiti dei
due ragazzi.
-Mmm… qui ci vorrebbe una
doccia…- mugugnò divertito Ryan, guardando di sottecchi la
ragazza seduta sul suo petto.
-Due docce. – precisò lei.
-Una in due. C’è un solo bagno e immagino che
gradiresti essere qui quando i nostri amici
arriveranno…-
Sara sorrise prima di baciare il suo
ragazzo e aiutarlo ad alzarsi. Salirono le scale che conducevano al
piano superiore e cercarono il bagno con la doccia.
Sara ghignò guardando Ryan e iniziò a
sfilargli la maglietta; il ragazzo si prestò bene alzando le braccia e,
nel calarle, cinse i fianchi della ragazza e lentamente, molto lentamente,
sfilò la sua gonna, non tralasciando di percorrere le gambe della ragazza
con il suo indice freddo, causandole brividi.
Lasciarono i loro vestiti ammucchiati davanti alla porta del
bagno e si concessero una lunga doccia calda. Stavano già uscendo,
scambiandosi un lungo bacio, quando udirono il campanello suonare. Sentendosi
perduta, Sara guardò supplicante Ryan, il quale fece un veloce
incantesimo per asciugarle i capelli e, dopo essersi rivestito in fretta e
furia, andò ad aprire agli amici, lasciando tutto il tempo a Sara di
mettersi in ordine.
Quando scese, la ragazza trovò i suoi amici intenti
nella preparazione di una mega frittata con asparagi
e cubetti di prosciutto cotto, mentre Ryan si stava dedicando, insieme con Harry, alla preparazione della macedonia.
Allungarono con la magia il tavolo in sala da pranzo e
cenarono verso le sette e mezza. Alle otto Piton, scusandosi, si congedò
dai ragazzi dicendo che doveva andare a trovare Albus Silente; poco dopo Harry si cacciò a letto,
preda di una forte sonnolenza.
Mentre stavano ancora finendo il
gelato, qualcuno iniziò a proporre un’attività serale,
visto che non c’era la televisione.
-Non so, io ho trovato in giro diverse
scacchiere…-
-Che noia! Andiamo a fare un giro
in pub?-
-E se Piton e Silente ci beccano?
Troppo rischioso…-
-Potremmo fare un giro e basta…-
-Magari incontriamo Malfoy!!-
-Proprio quello che vorremmo evitare…-
Nonostante tutti i pareri contrari
e i pericoli che avrebbero potuto correre, decisero di giocare a nascondino per
il paese. Francesca fece la conta di fronte al grande albero secco al centro di
Hogsmeade non lontano da Mielandia, mentre i suoi
amici si nascondevano; Ryan e Sara in particolare cercarono
rifugio nella Stamberga Strillante.
I ragazzi nascosti avevano come loro alleato il buio che
calava. Francesca trovò senza difficoltà Manuel ed Enrique dietro
a Mielandia, a prezzo di far fare “tana”
a sua sorella e Ramona; poco dopo intercettò Emma
mentre cercava di raggiungere l’albero insieme a Giada.
All’appello mancavano Sara e Ryan; dopo venti minuti
di ricerche infruttuose, Enrique consigliò alla ragazza di cercare nei
pressi della Stamberga.
Fortunatamente, il buio era dissipato dalla luce della luna,
che però creava strane ed inquietanti ombre
lungo il percorso dei ragazzi. Scavalcarono la palizzata che delimitava i
confini dell’edificio e iniziarono le ricerche nel giardino della casa, che però si rivelarono vane.
-Sei sicuro di averli visti andare di qua? Non è che li stai coprendo?- chiese sospettosa
Francesca.
-Io ti ho soltanto detto quel che ho visto, poi magari hanno
cambiato nascondiglio…- Enrique fece spallucce.
Francesca, stizzita, calciò le foglie secche e
continuò la sua ricerca, spingendosi dentro la casa.
-Fre, sei davvero sicura di voler
entrare? Magari sono da un’altra parte…-
-A questo punto un posto vale l’altro. –
A ogni loro passo il vecchio
pavimento di legno marcito con gli anni scricchiolava sinistramente, ma a parte
quello e il frinire delle cicale non si udivano altri rumori. Una folata di
vento fece venire i brividi persino ai ragazzi e tutti sobbalzarono
quando la luce venne meno: una nuvola passeggera aveva momentaneamente
oscurato la luna.
Poi, isolato quanto inaspettato, si udì un ululato, e
pareva anche molto vicino dall’intensità. Esso fu seguito da due
urli di puro terrore, che i ragazzi riconobbero appartenere a Sara e Ryan.
-Sono all’ultimo piano!-
-Con un lupo!-
-Magari ci stanno facendo uno
scherzo per spaventarci…-
-Saliamo, mal che vada blocchiamo
tutto. –
Corsero su per le scale (erano talmente malmesse che anche
procedendo lentamente si sarebbero fatti scoprire) fino all’ultimo piano
e ciò che videro avrebbe popolato i loro incubi
per mesi: un grosso, enorme lupo con denti grandi, ricurvi e splendenti coperti
di saliva. In un angolo, abbracciati, Ryan e Sara, sconvolti.
-Blocca il tempo, blocca il tempo!-
mormorò Manuel a Francesca.
-Non ci riusciamo! Non si blocca!- Elisabetta e Francesca erano sull’orlo di una crisi di nervi.
Il lupo respirò con le sue enormi narici e si rivolse
verso il gruppo più numeroso; Ryan si alzò di scatto, prese una
scheggia di pietra dal pavimento e la lanciò verso la bestia che,
irritata, si rivolse nuovamente verso di lui. Rendendosi conto
dell’enorme errore da lui commesso, il ragazzo cercò di indietreggiare ma si trovò ben presto con le spalle
al muro. Il lupo sembrò quasi essere soddisfatto e si preparò a
spiccare un salto mortale; quando staccò le zampe da terra Sara chiuse
gli occhi e le venne istintivo cercare di proteggersi con le braccia,
preparandosi a subire il colpo probabilmente fatale.
Tra la confusione delle urla proprie, di Ryan e dei suoi
amici, le sembrava di sentire già il sangue caldo scorrere dalle sue
braccia, cosa che invece, aprendo gli occhi, scoprì non essere vera:
come protetta da uno scudo invisibile, il lupo non era riuscito ad aggredirla ma anzi aveva rimbalzato ed era stato scagliato a
qualche metro; nel volo aveva distrutto una parete e su una seconda aveva
violentemente sbattuto.
Stremata, Sara scivolò lungo la parete di legno fino
a toccare terra; i suoi amici si precipitarono da lei.
-Sara, tutto bene?-
-Cosa…? Dico, ma hai visto cos’ha fatto? E tu le chiedi come sta?-
-Sarebbe più sensato chiederlo al lupo…-
-Ma vi siete tutti rincretiniti?
Andiamocene di qui, prima che quello si rialzi!- Ryan pareva
sull’orlo di una crisi di nervi.
Procedendo a fila indiana i ragazzi si avviarono verso le
scale; la loro meta li obbligava però a passare pericolosamente vicino
al luogo di atterraggio del lupo.
-Ultima volta a nascondino, lo giuro!- stava
dicendo Emma, quando si udì uno scricchiolio.
Le macerie cominciarono a fremere, sollevando un certo
polverone, poi all’improvviso si sollevarono tutte d’un
colpo, come se sotto fosse esplosa una piccola bomba.
Qualcuno urlò, qualcun altro imprecò poco
elegantemente, ma tutti trattennero il fiato quando
emerse la figura di un uomo, seminascosta in mezzo alla nuvola di polvere.
-Un… licantropo?-
Un ringhio. La figura avanzò verso la luce. Gli
sguardi di tutti i presenti si soffermarono sugli occhi del licantropo: videro
la pupilla nera, che prima occupava tutta l’orbita, restringersi fino a
diventare normale, mentre le iridi scolorivano fino ad arrestarsi
sull’azzurro. Appena furono tornati normali, i suoi occhi guizzarono alla
più vicina finestra; i ragazzi notarono distintamente lo stupore
dipingersi nel suo volto magro, anche se tornarono a trattenere il fiato quando l’uomo li fissò violentemente uno
ad uno.
-Voi… che ci fate qua?- chiese con voce roca.
-N-nascondino…-
-Nascondino? Diamine, lo sapete dove siete, chi sono io?-
-No, non lo sappiamo chi è lei, ma se fosse così gentile da presentarsi forse…-
ribatté Enrique.
Il licantropo parve sorpreso, quasi smarrito: davvero quei
mocciosi non avevano paura di lui a tal punto da chiedergli le credenziali?
-Remus…
Remus Lupin…-
-Beh, piacere di averla conosciuta
signor Remus, ma adesso…- stava dicendo Ryan, ma fu interrotto.
-Aspettate. Cos’è successo?
Perché io non sono più trasformato? Non è ancora mattina, c’è ancora la luna
piena…- chiese Lupin voltandosi verso la finestra.
-Sappiamo solo che lei ha cercato ci azzannare Sara e che
non c’è riuscito, è stato scaraventato via…- Ramona,
indicando l’amica, fece spallucce.
Lupin pensò un attimo. –Scusami Sara, ma con la
luna piena…-
-Non è più capace d’intendere e
volere…- completò Elisabetta.
-Esatto. Solo, non l’avrei detto così…-
-Ribadisco, piacere di averla
conosciuta, ma adesso dovremmo proprio andare, altrimenti Harry ci
scuoia…-
-Harry? Harry
Potter?!- per un attimo, gli occhi spenti di Lupin
brillarono di gioia. –È qui?-
-Beh, sì, ci accompagna. –
-Credete… credete che potrei vederlo?- se Giada non
fosse stata sicura di stare parlando con un uomo, avrebbe
quasi giurato che Lupin avesse abbassato delle orecchie
invisibili…
-Sento che ce ne pentiremo, ma…- Ryan non ebbe il cuore di dire a Lupin che, beh, che gli faceva pena,
così condussero il licantropo a casa di Ron ed Hermione.
-Questa non è casa nostra, abbiamo
partecipato ad un matrimonio e gli sposini, dovendo andare in viaggio di nozze,
hanno pensato di lasciarcela in custodia. – spiegò brevemente
Sara.
Ryan, il detentore delle chiavi, aprì e fece entrare
i compagni. Quando furono dentro, Elisabetta si
assunse il gravoso compito di svegliare Harry. Quando
fu riuscita nell’intento, lo pregò di scendere per incontrare un
vecchio amico che chiedeva di lui. Intanto, i suoi amici e Lupin avevano
inventato una storiella da raccontare al ragazzo per scamparne le ire.
-Professor Lupin!!- quasi
gridò Harry alla vista dell’ex professore di Difesa.
-Harry! Come
stai?-
-Bene, grazie, ma come ha fatto a trovarmi?-
-Eh, le voci corrono caro Harry. Allora, non mi offri un
caffè?-
Per fortuna Harry si bevve la scusa delle “voci
maratonete”, evitando imbarazzanti scenate… per il momento.
Nonostante avesse protestato con
Elisabetta circa il tardo orario (pressoché le undici), si protrasse
volentieri nel chiacchierare con Lupin. Verso mezzanotte però si
udì un debole bussare, segno che Piton era di
ritorno.
-Prega che non abbia fatto caso
alla luna piena, altrimenti saremo costrette a fornire un bel po’ di
spiegazioni…- soffiò Francesca rivolta alla sorella, la quale
annuì assorta.
Inutile dire che la vista del
licantropo sconvolse non poco la serata già movimentata del loro padre
adottivo…
-Lupin?!-
-Ciao
Severus, come stai?-
-In circostanze normali non sarei stato felice di vederti,
ma visto come vanno le cose... ragazzi, uscite per favore. – disse Piton
senza mezzi termini.
-Ma…!- tentarono di ribatte i
ragazzi.
-Subito. Andate a letto, è tardi.
– queste poche parole convinsero i minorenni che la loro battaglia era
già persa, così uscirono e si coricarono, dopo tutto
erano stanchi.
Harry, Piton e Lupin rimasero a lungo a discorrere,
finché l’ora non si fece troppo tarda; il licantropo si
fermò a dormire lì, dato che non aveva dove andare.
Riordinando la cucina, ad Harry
capitò di passare vicino la finestra; istintivamente scostò le
tende per ammirare il paesaggio notturno. Indugiò qualche attimo sulla
splendida luna piena, ma era troppo stanco per collegare ciò al suo ex professore, così andò finalmente anche lui
a dormire.
*
Il resto della permanenza in Inghilterra fu completamente
diverso da ogni aspettativa; innanzi tutto, il
soggiorno fu prolungato di una settimana circa e di certo i ragazzi non
avrebbero immaginato che sarebbero dovuti ricorrere ai compiti per tenersi
occupati di giorno, infatti non li avevano nemmeno portati, così venne
organizzato un piccolo viaggio con una Passaporta
riservato a Elisabetta, Francesca e Piton con un duplice scopo: informare
Vittoria che Severus si sarebbe trattenuto per affari urgenti e recuperare i
libri.
Dopo quel veloce viaggio, nulla turbò la routine
della settimana a seguire: sveglia tardi alla mattina
(verso le undici quando andava bene), pranzo, partita a carte, compiti,
merenda, giretto nel tardo pomeriggio. Solo le sere erano un po’ diverse e
movimentate: nonostante Piton ed Harry fossero
contrari, nulla poté impedire ai ragazzi di incontrarsi di sera con Fred e George al pub. I gemelli infatti
erano molto occupati col negozio durante il giorno, ma alla sera vedevano
volentieri gli amici per distrarsi un po’.
La maggior parte del giorno Lupin, Harry e Piton erano
assenti: dove andassero era un mistero, ma i sospetti che c’entrassero Albus Silente e, soprattutto, Draco Malfoy, erano
forti…
Qualche giorno prima del previsto
rientro, giunse un’inaspettata novità: la madre di Ryan invitava
il figlio e, se possibile, gli amici di questi per un soggiorno a Parigi della
durata di una settimana, esattamente la penultima di giugno.
-E come faremo a convincere i
nostri genitori? Sentiamo…- Sara era scettica.
-Tenete questi, sono gli inviti
formali di mia madre con tutte le spiegazioni, le rassicurazioni e scongiuri di
questo mondo da dare ai vostri. Dovrebbero fare effetto. – Ryan sembrava
fiducioso.
-Va beh, se lo dici tu…-
La sera prima del grande trasferimento,
Fred e George organizzarono una festa di addio per
gli amici italiani: affittarono una stanza a parte alla taverna dove
prepararono una specie di rinfresco a base di patatine, pop-corn, pizza e
ovviamente le loro speciali invenzioni.
Dopo aver mangiato la pizza, fecero un giro del Gioco della
Verità, uno di Schiaffo o Bacio, un torneo di carte, uno di dadi, poi trasformarono la stanza in una discoteca. Tutti bevvero
quantità di alcool cui non erano abituati,
persino l’attento Ryan si lasciò andare dopo un sensuale lento con
Sara.
Francesca bevve trascinata da Manuel e Ramona, entrambi
appassionati di Bacardi: il primo sorso fu offerto da Ramona che non aveva
voglia di aprire una bottiglia da bere da sola; gradendolo, tracannò
mezza bottiglia dopo un’estenuante ballo e
l’amica andò a prenderne un’altra.
Enrique sfidò apertamente Manuel riguardo agli
alcolici: già a metà serata avevano il naso pericolosamente rosso
e trascinarono con loro anche Ryan.
Giada ed Emma furono
irresistibilmente tentate da Fred e George, loro
partner di ballo, ed essendo scarsamente abituate agli alcolici si ubriacarono
molto presto, anche perché quelli che i gemelli offrirono loro erano
abbastanza pesanti…
Sara reggeva bene l’alcool, ma alzò un
po’ troppo il gomito, visto che il suo ragazzo e i suoi
amici gliene offrivano in continuazione e lei aveva una sete tremenda.
Elisabetta era rimasta in disparte per gran parte della
serata: Harry non era con lei, questo era il suo cruccio. Negli ultimi giorni
l’aveva trascurata tantissimo, aveva appena il
tempo di salutarla! Durante il giorno riusciva abbastanza bene a non pensarci,
soprattutto ricordandosi che stava in un certo modo “lavorando”
, ma la sera era un vero strazio, meno male che anche Giada ed Emma non
avevano il ragazzo, altrimenti sarebbe impazzita. Quella sera però
entrambe erano accompagnate, dopotutto se lo meritavano pensò, e lei si
annoiava a morte.
Fred però venne in suo
soccorso a metà serata, mentre il gemello intratteneva Giada ed Emma,
ubriache fradice. Ballarono un po’, chiacchierarono, fecero anche un
lento e alla fine, tentata dal cavaliere, scolò una bottiglia di
Bacardi, una di vino e una lattina di birra.
Verso le dieci si presentò Harry; nessuno dei
presenti era ancora seriamente ubriaco, ma tutti più o
meno alticci. Fred e George lo accolsero
calorosamente e gli misero in mano una bottiglia di birra; in capo ad
un’ora era completamente ubriaco e stava baciando da
almeno dieci minuti Elisabetta.
Alle undici fece un giretto anche Lupin. Fred
e George, sempre più galvanizzati, invitarono anche lui e gli offrirono un goccio di tequila. In capo a mezz’ora era
ubriaco fradicio e faceva lo scemo con Giada ed Emma, proprio come se avesse
avuto vent’anni.
La festa sarebbe durata ancora se, quasi all’una, non
fosse arrivato anche Piton. Durante il tragitto aveva rispolverato mentalmente
tutti gli incantesimi di tortura che aveva imparato a conoscere durante gli
anni e già stava decidendo quali usare e su chi quando, arrivato davanti
alla porta che gli era stata indicata, vide due
ragazzi che si stavano baciando piuttosto appassionatamente. Cauto si
avvicinò e riconobbe Sara e Ryan; giunto a poca distanza dalla porta,
Ryan allungò il braccio e gliela aprì senza mai staccare la sua
bocca da quella di Sara. Piton non sapeva se piangere o mettersi a
ridere… Entrando però prese la sua decisione: mettersi a piangere
era senz’altro più appropriato.
Remus era al centro della stanza e stava
“ballando” con Giada, e chissà cosa le stava raccontando!
Riconobbe i due gemelli Weasley:
uno stava ballando con Emma e l’altro stava intrattenendo Kanata
(chissà da dov’era spuntato…) ed entrambi avevano
in mano una bottiglia di birra…
Ramona stava inventando uno stupido balletto insieme con Enrique; Ramona doveva aver detto qualcosa di
offensivo nei confronti del cavaliere, perché Enrique svuotò la
sua bottiglia di Bacardi verde sulla sua testa. Imprecando paurosamente, la
ragazza si armò di Bacardi rosso e arancione, scosse le bottiglie e le
stappò. Se Piton avesse visto qualche Gran Premio di Formula Uno avrebbe giurato che si trattasse di MichaelSchumacher e Rubens Barrichello
che festeggiavano una doppietta innaffiandosi con lo spumante, ma non avendone
mai vista una si limitò a pensare che quei due ragazzi erano molto
sciocchi.
Si voltò verso l’altro angolo della stanza e
nella penombra scorse una delle sue figlie adottive, per la precisione
Francesca, seduta sulle gambe di quello che riconobbe come Manuel; i due
stavano sorseggiando con le cannucce un drink rosa dallo stesso bicchiere. Era
un super alcolico? Piton si augurava di no… Però
dovette in parte ricredersi quando si alzò e fece per andare in bagno,
perché mancò clamorosamente l’entrata, andando a sbattere
un paio di volte attaccato al muro…
E quell’altra sciagurata di
sua sorella? Era forse scomparsa? La risposta non tardò ad arrivare: la
sciagurata in questione uscì dal bagno maschile mano nella mano nientemeno che con Harry Potter! Oh Gesù, Giuseppe e Maria!
Che hanno fatto quelle due teste d’uccello?
I due, ignari di essere spiati, si abbracciarono teneramente
e dopo un po’ si baciarono anche… a quel punto Piton non
poté più limitarsi a guardare…
-Ora BASTA!!- strillò
esasperato. Con un rapido colpo di bacchetta spense la musica
assordante, accese le luci e ritappò
tutte le bottiglie in giro. I presenti, stupiti, si voltarono di scatto verso
di lui; nel farlo, Manuel perse l’equilibrio e cadde sul pavimento con un
tonfo. I suoi amici sghignazzarono sotto i baffi.
-In fila indiana, muovetevi!-
sbraitò nuovamente l’uomo, per nulla intimorito da tutti
quegli sguardi fissi su di lui.
-Oh oh! È arrivato il grande
mago!- sghignazzò Enrique stringendo molto la O.
Piton avrebbe certamente ribattuto se in quel momento Sara e
Ryan non avessero fatto il loro trionfale ingresso: appoggiatisi alla porta
rimasta socchiusa, avevano perso l’equilibrio ed erano caduti
all’indietro, rovinando su di lui…
-Adesso basta! Vi riporto tutti quanti a casa, andare e
marciare!- ordinò rialzandosi, ma visto che nessuno si muoveva, lanciò un potentissimo incantesimo di levitazione.
La gente nell’altra stanza lo additarono
e risero di lui, chiamandolo pifferaio magico e roba simile, ma Piton non si
scompose e continuò la sua penosa marcia.
A metà del tragitto Ramona iniziò a spintonare
Enrique e ne nacque una piccola zuffa. Kanata tentò di separare i due
litiganti, col risultato di schierarsi dalla parte di Ramona.
Finalmente giunti, Piton non ebbe né la forza
né la voglia di assegnare le stanze, così entrò
nella prima che gli capitò, allargò con la magia il letto e
ordinò ai ragazzi di aspettarlo.
-Dite che ci vuole avvelenare?-
Manuel rise alla propria battuta.
-Magari si aspetta che noi adesso dormiamo…-
-Oppure vuole interrogarci…-
Le congetture furono varie, ma tutte ugualmente
inverosimili. Qualche tempo dopo Piton tornò e somministrò a tutti una dose di pozione antisbornia, assicurandosi che
ciascun ragazzo l’assumesse, poi, appena tutti si furono addormentati, se
ne andò, esausto.
*
Il mattino seguente…
Piton non si era curato di abbassare del
tutto le tapparelle, così una molesta luce cominciò a
filtrare sin dalle sei. I ragazzi erano però troppo addormentati per farci caso…
Verso le undici, Elisabetta iniziò a stiracchiarsi;
dopo un po’ si voltò, cercando riparo da quella luce molesta,
ma… sentì il letto mancarle e… PUM!!
Si ritrovò per terra sopra alla pedana, con un certo dolore alla testa e
all’anca…
-Auch! Ah…
ca**o che botta…- imprecando in modo sdegnoso cercò di
alzarsi, con ancora le idee piuttosto confuse, quando udì un altro
botto, simile a quello appena prodotto dalla sua caduta: era Harry, in bilico
dall’altra parte del letto, che aveva fatto la sua stessa fine.
-Porca tr**a che male…-
I due si guardarono; Elisabetta fece cenno al ragazzo di
tacere e seguirla: sapeva essere carogna, ma non fino al punto di svegliare
tutti i suoi amici.
-Andiamo a far colazione, ma fa piano, se Piton si sveglia
siamo morti…- ribadì Elisabetta portando
l’indice alla bocca.
Levandosi le ciabatte scesero silenziosamente le scale e
fecero per entrare in cucina, intenzionati a
sgraffignare due brioches e uscire di casa, ma una
rumorosa schiarita di voce informò loro che Piton attendeva in sala.
-Porcaccia la miseria… siamo
fritti… ma almeno prendiamo le brioches!-
sospirò Harry.
-Intanto ci inventiamo una buona scusa?-
-Fuori le idee…-
-Ehm…
ehm… ah! Boh… i marziani? Tanto,
in un modo o in un altro c’entrano sempre loro…-
Agguantarono un paio di brioches a
testa e si avviarono al luogo della loro probabile decapitazione…
Elisabetta ed Harry fecero capolino da dietro la porta;
l’aguzzino sembrava sorpreso di trovare anche Potter, ma non diede a
vederlo più di tanto.
-Bene, bene signor Potter… ho
un paio di cose da dire anche a lei…-
-Evviva, torniamo al “lei”! Sono morto… il
bambino sopravvissuto, che Voldemort ha cercato di uccidere due miliardi e
mezzo di volte, ucciso da un suo ex professore…
che vergogna…-
-Potter, non pronunciare quel nome
in mia presenza! E ora ritorniamo a voi… avete qualche scusante per
quanto accaduto ieri sera?-
-Beh, sai com’è… inizi con un
bicchierino, poi gli amici te ne offrono un altro, e
un altro, e un altro, e… alla fine perdi il conto… succede…-
-Succede? Succede?! Vi ritrovo ubriachi fradici
all’una di notte, e chissà per quanto sareste
andati avanti ancora se non fossi arrivato io, e tutto quello che hai da
dirmi è “succede”? Credevo che avessi la testa sulle spalle,
signorinella!-
-Beh, scusa se dopo un anno di m***a come questo, durante il
quale ho rischiato di morire assiderata, minacciata di
morte da uno zio pazzo e da un professore di Pozioni incompreso, beh, scusa se
voglio divertirmi! Non mi sono drogata, dopotutto!-
-L’alcool è una
droga! Crea dipendenza!-
-Ah, senti chi parla… chi è che abbiamo trovato
ubriaco nel peggior bar della provincia di Bologna?- Harry proprio non era riuscito a trattenersi, ma dopotutto quel che aveva
detto era vero!
-Come ti permetti? Questi sono affari privati!-
-Beh, allora anche questi sono affari privati! Non vedo
perché tu sì e noi no!!- Elisabetta gli
rispose con lo stesso cipiglio usato da lui poco prima, imitandolo alla
perfezione.
-Non stiamo parlando di me, ma di voi! Tu non devi
paragonarti a me e girare la frittata. –
-Ah, a chi dovrei paragonarmi, se non a mio padre? Comunque okay, non parliamo dei tuoi di errori, ma dei miei.
Ho sbagliato, d’accordo? Prometto che non lo farò più, non
so che mi sia preso, pace fatta?-
-E tu credi che mi basti solo
questo?-
-Se non ti basta, fattelo bastare!
Non so che altro dire! Ho quindici anni, ca**o, non ne ho
trenta! Se non mi concedo il lusso di queste sciocchezze adesso, quando mai
potrò farlo?-
-Ma tu non sei obbligata a farle, diamine!-
-Cos’è che non ti va di me? Hai forse paura che
mi farò marchiare anch’io? Che
perderò il controllo e non saprò più ciò che
è giusto o sbagliato? Da che pulpito viene la predica?-
Sciaff, sciaff.
Piton assestò due schiaffi a Elisabetta, che a
stento riuscì a frenare il desiderio di prenderlo a calci come
l’ultima volta…
-Sì, ho paura che tu faccia delle sciocchezze, e ne
hai già fatta una baciando un Potter!-
-Ah, è così! Il problema dunque sarei io? Sono
sempre io il problema, in ogni caso, anche se tua figlia alza il gomito una volta,
la colpa è tutta mia, e certo! Beh, sappi una cosa: lei non è
Lily e io non sono James!!-
-No, Harry, aspetta… hai
visto? Sei riuscita a farmi dire quello che non
volevo! Certo che tu non sei James, Harry!-
-Averne il cognome per te basta a
etichettarmi però!- Harry, che si era già alzato, uscì
dalla stanza.
-Io proprio non ti capisco, ma so una cosa: ti odio!!- anche Elisabetta si alzò e seguì Harry.
A metà del cortile Harry si fermò e
guardò intensamente Elisabetta.
-Vattene, torna dentro. Un Potter non
può stare con un Piton. – disse duramente.
-Ma…-
-VATTENE HO DETTO!!- e riprese a
correre, allontanandosi sempre più.
Elisabetta si sentì improvvisamente persa: che fare
adesso? Tornare dentro con Piton non se ne parlava, lo odiava
troppo, e seguire Harry…
*
Mancava ormai poco a mezzogiorno e il sole era veramente
prepotente; Ramona aprì un occhio e vide un paio di piedi di ragazzo,
allora aprì anche il secondo. Cercò di muoversi, ma
realizzò di essere bloccata in mezzo ai corpi di due ragazzi,
così iniziò a spingere per cercare di aprirsi un varco… con
conseguenze catastrofiche! Spinse Ryan da una parte, che rotolò su Sara,
la quale, svegliandosi di soprassalto, cacciò una manata a Giada che,
terrorizzata, si impigliò nei vestiti di Lupin.
Infine, uno dopo l’altro a partire da Lupin,
caddero dal letto. Dall’altra parte di esso,
Enrique si beccò una gomitata nello stomaco da Ramona intenta a spingere
Ryan, allora cercò di rispondere alla sua ragazza, assestando diversi
colpi a Manuel che indietreggiò finendo addosso a Francesca che
iniziò a dibattersi come un’anguilla, col risultato di svegliare
Emma dopo averle più volte tirato involontariamente la treccia; Emma
urlò e Kanata, svegliandosi, cadde dal letto, seguito da Manuel che
Francesca aveva abilmente calciato giù.
Sul letto rimanevano solamente Ramona, Enrique, Francesca ed
Emma.
Il seguente quarto d’ora fu un continuo lamento, visto
che la maggioranza dei ragazzi aveva rimediato dei lividi.
Quando finalmente si decisero a
scendere al piano di sotto, trovarono Piton versione cuoco che si stava dando
da fare ai fornelli.
-Buongiorno…- bofonchiò Remus.
-Non direi, Lupin. – rispose asciutto Piton,
riempiendo diversi piatti con pasta fumante e passandoli a
uno a uno ai presenti.
-Dove sono Elisabetta ed Harry?-
chiese Sara. Francesca e Manuel si guardarono e
sorrisero maliziosamente.
-Non ne ho la più pallida idea. – rispose forse
un po’ troppo duramente Piton, risvegliando gli istinti indagatori in
Remus, che chiese caparbio: -Avete litigato?-
-Già. –
-Vado a cercarli, almeno lei, Harry sa cavarsela…-
I ragazzi iniziarono a mangiare silenziosamente, guardando
di tanto in tanto Piton di sottecchi, nella speranza di evitarsi la strigliata
che era toccata ai loro amici, che però
inevitabilmente giunse…
Intanto Remus era uscito e si apprestava a cercare
Elisabetta ed Harry; un sommesso singhiozzare lo condusse nel retro della casa
e, giungendovi, quasi prese un colpo: Elisabetta stava prendendo
a calci e a pugni un innocente albero, colpevole solamente di trovarsi nei
paraggi.
Un colpo assestato male e la ragazza cadde
in ginocchio, imprecando in mezzo alle lacrime; Remus le si avvicinò
lentamente, facendosi riconoscere per non spaventarla o farla adirare
ulteriormente, estrasse la becchetta e le fasciò la mano sanguinante e
gonfia, poi medicò la pianta.
-Perché te la prendi con
lui? Non ti ha fatto niente, o sbaglio?- chiese
dolcemente.
-Beh, quando sono inca****a mi
viene l’irrefrenabile desiderio di rompere ciò che ho attorno e,
non volendo rovinare i fiori di Ron ed Hermione, mi sono sfogata con lui che
è resistente. –
-Complimenti, è un’ottima spiegazione, ma non
sufficiente e giustificarti. –
-Che m’importa? Tanto ormai
oggi gira storta!!-
-Me ne vuoi parlare?-
-Guarda, è molto semplice: Piton è un pezzo di
m***a e non sopporta che a me piaccia Harry, Harry se
l’è presa con me perché Piton non lo sopporta e… ce
l’hanno tutti con me! Ma io che ci posso fare?-
-No, non ti preoccupare, Harry è fatto così:
ha certi colpi di testa, ma poi si pente e torna mansueto… Ti do un
consiglio? Prima di perdonarlo, fai un po’ la preziosa, così la
prossima volta ci penserà due volte prima di prendersela con te…-
Remus strizzò l’occhio a Elisabetta e la
invitò ad alzarsi.
-Adesso andiamo a mangiare, eh? Ah, un’altra
cosa… quel che ti ho detto vale anche per Severus, lascialo bollire nel
suo brodo, prima o poi gli passerà. –
Elisabetta rientrò in casa certamente più
serena rispetto a quando ne era uscita, anzi: un
sorriso furbo preannunciava un certo turbinare di idee.
Quando entrò in cucina
trovò i suoi amici col capo chino, intenti a mangiare, e Piton che li
passava in rassegna con lo sguardo uno ad uno.
-Ciao. – disse.
Gli amici alzarono lo sguardo, accennarono un sorriso ma assolutamente non fiatarono.
Piton fece per alzarsi, ma la ragazza lo bloccò.
-Tranquillo, mi servo da sola. Remus? Quanta pasta vuoi?-
-Poca, grazie. – rispose il licantropo. La tattica che
aveva suggerito a Elisabetta era di ignorare
completamente Piton.
Remus si sedette accanto a Severus, mentre Elisabetta prese posto di fianco a sua sorella, la quale la
interrogò con lo sguardo.
-Dopo. – sussurrò.
Finirono sbrigativamente il pranzo e andarono in camera,
lasciando Piton a sfogarsi sul povero Remus.
-Allora, cos’è successo?-
Elisabetta riferì in breve l’accaduto.
-Ma non vedo come tu possa c’entrarci!! Dopotutto, sono Piton ed Harry che devono
appianare le loro divergenze…- osservò Giada.
-Vai a spiegarglielo…-
ribatté la sua amica. –Comunque,
Remus mi ha dato un paio di consigli e se riuscirò a seguirli finirà
tutto bene. Adesso facciamo qualcosa di diverso, se no mi torna il
malumore…-
I ragazzi fecero una partita a Uno,
poi iniziarono a preparare in tutta calma i bauli…
Verso le cinque Remus salì ad avvertirli
dell’imminente partenza e li aiutò levitando i loro bagagli fino
al piano di sotto. Harry era lì, con il baule già fatto e la
faccia scura. Elisabetta, Harry e Piton si ignorarono
vicendevolmente.
-Dev’essere qualcosa di
pesante…- sussurrò Enrique all’orecchio di Manuel, il quale
annuì seriamente.
-Portus!!-
Piton creò sul momento una Passaporta e
così il soggiorno in Inghilterra ebbe fine.
NemoTheNameless: penso proprio di
no! Beh…è più bello 1 anno movimentato, che 1 tranquillo…anzi, preferisco 1 mix!
Diavolettadark: grande! Sei stata
la prima a recensire il chap precedente! Complimenti @_@!
Cosa volevi dire quando hai scritto “smettila
subito di preparare lo zaino e torna a scrivere non sono così terribile
come sembro”? potresti spiegarti meglio? P.s. sono contenta di averti fino alla fine della storia!!!
La Passaporta trasportò quasi
all’istante la comitiva in Francia. Quando tutti
si furono ripresi e messi in piedi, si accorsero di trovarsi davanti al
cancello di una villetta a schiera a due piani costruita con sassi di fiume.
-Servizio completo…- mormorò qualcuno.
-E che vi aspettavate, di capitare in pieno museo del Louvre in mezzo a migliaia di babbani?!- s’infervorò subito Piton.
-Più o meno…-
-Beh, suoniamo?-
DIN DON
Nessuna risposta. Tentarono ancora, ma la casa sembrava
deserta. Allora Ryan frugò sotto ad una logora pedana, per riemergerne
impolverato ma con una chiave.
-Beh, andiamo, evidentemente mamma non è in
casa…- il ragazzo fece strada ai compagni
attraverso il piccolo ma curato giardino pieno di fiori fino alla graziosa
porta di legno dopo aver oltrepassato il cancello, che sapeva essere
perennemente aperto.
Infilò la chiave nella toppa tendendo
l’orecchio: in verità sperava di sentire i passi di sua madre
venirgli in contro per abbracciarlo. Visto che nulla di ciò accadeva,
girò la chiave ed entrò facendo cenno ai compagni di seguirlo.
Tutte le tapparelle erano alzate e alcune finestre aperte:
non poteva essere molto lontana!
Una piccola radio vomitava le parole di un conduttore
francese, probabilmente dalla cucina; fu lì che trovarono Samantha,
riversa a terra con la testa appoggiata allo spigolo di un mobile e una chiazza
di sangue a macchiare la maglietta bianca all’altezza del fianco destro.
-Mamma!!- gemette Ryan.
Senza perdere il controllo, Piton la prese per le spalle e
si smaterializzò nella camera della donna, la appoggiò
delicatamente e chiese ai ragazzi di raggiungerlo.
-Qualcuno qui sa come si trattano le ferite?- chiese Piton.
-Io sono buona, mia madre è
infermiera. – rispose prontamente Sara.
-Bene: acciobende, accio bacinella d’acqua…- iniziò
l’uomo.
-Te la saprai cavare, resta con lei. – le
ordinò Piton. –Gli altri di sotto, mi serve una mano. –
-E io?- chiese Ryan.
-Aiuta Sara. –
Mentre il gruppo usciva, Sara
iniziò a tamponare con un asciugamano la ferita, che altro non era che
un lungo taglio profondo da cui continuava incessantemente a fuoriuscire un
po’ di sangue.
-Ryan, aiutami, tienile su le
gambe. – ordinò dolcemente Sara.
Il ragazzo, come in uno stato di trance,
meccanicamente fece quanto gli era stato richiesto.
Quando la ragazza alzò il capo per constatare se Ryan
avesse eseguito l’ordine, notò grosse
lacrime silenziose scendere copiose dagli occhi del suo ragazzo.
-Andrà tutto bene, si riprenderà, la ferita
non è tanto grave. –
Il ragazzo annuì, pensieroso…
Intanto, il resto del gruppo aveva fatto scalo in cucina.
-Qualcuno pulisca il sangue, non è un bello spettacolo mentre si mangia. Elisabetta ed Emma, voi mi
aiuterete con la pozione, agli altri il compito di preparare qualcosa da
mettere sotto i denti. Su col morale e non combinate disastri.
–
Manuel, visto che non se la sentiva di mettersi ai fornelli,
recuperò un secchio d’acqua e uno straccio e pian piano ebbe
ragione dell’ostinata macchia rossa sul pavimento; Harry, Giada e Ramona diedero un’occhiata al frigorifero: un’insalata
e un po’ di pinzimonio parevano la scelta migliore assieme a una mega frittata.
Ramona pulì e lavò un grosso cespo di insalata verde mentre Giada ed Harry armeggiavano con
olio, padella e uova nel tentativo di non bruciarsi.
Enrique e Francesca apparecchiavano
lentamente e silenziosamente, senza quasi guardarsi. Bicchieri, piatti, posate,
tutto era meccanico.
Elisabetta ed Emma erano un
po’ in difficoltà nella preparazione di una complicata pozione di
cui non conoscevano il nome, né gli ingredienti necessari. Seguivano le
istruzioni impartite ciecamente, senza ben capire che accidenti stessero
facendo.
Dopo un quarto d’ora fece capolino in cucina Ryan,
ottenendo senza volere l’attenzione generale.
-Si è svegliata…-
balbettò, gli occhi ancora rossi e gonfi di pianto.
–Qualcuno potrebbe per favore preparare un brodino o qualcosa del
genere?- e detto ciò se ne tornò al
piano di sopra.
Giada si assunse l’incarico di preparare qualcosa il
più simile a un minestrone mentre lasciava ad
Harry il compito di tenere a bada la frittata.
Ancora un quarto d’ora e la pozione fu
pronta. Piton congedò Elisabetta ed Emma, poi Ryan e Sara, rimanendo da
solo con Samantha.
Dabbasso intanto tutto era pronto per la cena; i ragazzi,
ombre silenziose, osservavano i piatti vuoti in attesa
di notizie.
Venti minuti dopo si udirono dei passi per le scale; erano
di due persone distinte: Piton stava aiutando Samantha a scendere le scale,
mentre chiacchieravano in un amabile francese.
*
Il giorno dopo i ragazzi si svegliarono molto tardi; avevano
dormito tutti insieme ammonticchiati su un unico letto
allargato con la magia ma, nonostante ci fossero oramai abituati, per qualche
giorno ebbero vari doloretti.
Quando scesero in cucina per la colazione, trovarono Harry,
Piton e Samantha presi da un’animata
conversazione.
-Buongiorno. Potreste farci il punto della situazione senza
tanti giri di parole, siamo ancora un po’ suonati…-
-Abbiamo un’idea di chi possa
essere la colpevole. – esordì Harry.
-La colpevole?-
-BellatrixLastrange.
–
-Ah! Beatrice Lasagne… chissà come mai, ma
c’entra sempre lei. Se la facessimo fuori non
faremmo prima?-
-Quello era il piano…- soffiò
il ragazzo tra i denti.
-Molto bene. Dov’è il
caffè?-
A quell’ora della mattina i ragazzi non avevano capito
che il loro amico Harry non stava affatto scherzando,
così si consumò la normale routine. Samantha era una donna molto
simpatica, alta e magra, castana con capelli lunghi e occhi nocciola; aveva
modi gentili e affettuosi con tutti i ragazzi ed era molto generosa.
-Così, Ryan, questi sono i tuoi famosi amici…-
-Già, mamma. –
-E la ragazza che ti ha fatto girare la testa?-
Sara si fece tutta rossa in viso e le sue amiche ammiccarono
maliziose; Ryan non ebbe così bisogno di rispondere alla domanda.
-Allora è fatta, a luglio
verrò a fare l’iscrizione a Bologna…-
Gli occhi del “suo piccolino” si
illuminarono di gioia e l’abbracciò.
-Grazie mamma. –
-Di nulla tesoro, se è questo quello
che vuoi… Però, tre anni di scuola buttati via…!-
-Mamma, ne abbiamo già
parlato!-
-D’accordo, d’accordo, non t’arrabbiare,
era solo un’osservazione…-
Quel pomeriggio, per festeggiare la quasi immediata
guarigione di Samantha, venne organizzata una gara di
cucina. Ryan, pratico del posto, venne spedito a fare
la spesa e, quando fu tornato, la competizione ebbe inizio.
Vennero formate due squadre,
più o meno equilibrate: Ryan, Sara, Manuel, Enrique ed Harry contro
Elisabetta, Francesca, Ramona e Giada.
La prova consisteva nel preparare un antipasto, due primi, due secondi, un dessert e una macedonia a gruppo.
Ryan e Sara erano senza dubbio i
più esperti di cucina, ma tutti si diedero da fare.
Manuel ed Enrique prepararono la pasta al ragù, ovvero la cosa meno impegnativa di tutte: misero una pentola
d’acqua sul fuoco alto e ve la lasciarono mezz’ora mentre loro
andavano a spizzicare lo spizzicabile in giro per i tavoli, poi buttarono la
pasta e la lasciarono scuocere per bene… Colata
che fu, la condirono col ragù ghiacciato e mezzo litro d’olio.
Mentre quei due preparavano il suddetto abominio, Ramona
cercava di fare meglio preparando degli spaghetti alla carbonara come minimo addentabili. In un pentolino a parte scaldò
quattro tuorli d’uovo mescolandovi in mezzo tanti cubetti di pancetta
(ringraziò Piton per averle insegnato
l’arte del tagliare col coltello durante le lezioni…), poi li
aggiunse alla pasta fumante.
Harry preparò un semplice antipasto, prosciutto e
melone, mentre Giada disponeva creativamente su un piatto fondo una fresca
insalata di mare su un letto di insalata.
Sara cercò di rimediare il disastroso primo dei suoi
due amici cercando di preparare al meglio un bel piatto di gnocchetti
fumanti burro e salvia, mentre Elisabetta si prodigava nel piegare decentemente
dei piccoli tortellini.
Ryan si complimentò con se stesso per la fantastica
cottura di un bel pezzo di fiorentina da un chilogrammo e mezzo, mentre
Elisabetta si disperò per non esser riuscita a pensare ad altro che ad
un piatto di roast-beef con rucola e grana. Manuel si
strinse da solo la mano (con la sinistra) per la realizzazione
di una pizza quattro stagioni; era un po’ spessa, però non avendo
un forno a legna e l’esperienza necessaria... Francesca invece, esperta
nella preparazione delle crescentine, passò al
contrattacco armata di salumi e lardo da contrapporre a funghi, carciofi,
prosciutto cotto e salsiccia.
Cinque minuti in croce servirono a Harry per far cuocere nel
forno degli spicchi di patate e a Francesca per preparare dei succulenti fiori
di zucca.
Infine dessert e macedonie: Sara e Ryan prepararono
caldi bomboloni ripieni di crema di varie forme, Ramona una torta allo yogurt;
Enrique sbucciò e tagliò ananas, fragole, pere, mele e uva e ne
fece una variopinta macedonia, Giada invece scelse ananas, papaia rossa e
gialla, guava e banane.
All’una e mezza ci furono le premiazioni. Dopo un
abbondante pasto, Samantha e Piton giudicarono
l’insalata di mare come
miglior antipasto, carbonara e gnocchetti come
migliori primi piatti, pizza e crescentine come
migliori secondi piatti, fiori di zucca come contorno e macedonia nostrana
come, appunto, macedonia.
I tre giorni a seguire furono di visita alla città:
uno solo per il museo del Louvre (mezz’ora
solamente per la Gioconda
passata ai raggi X), poi i vari archi di trionfo, la reggia di Versailles (con
vari aneddoti su Lady Oscar...) e infine, tutte le
sere, romantiche passeggiate attorno alla torre Eiffel.
Il penultimo giorno, su sollecitazione di Piton, giunsero
dall’Inghilterra e da Bologna Albus Silente,
Draco Malfoy, Remus Lupin e Aberforth Silente. In
verità, il professore di Pozioni si attendeva l’arrivo del solo Albus Silente, ma ebbe, come dire, una
“piacevole” sorpresa.
Samantha venne presentata a tutti i
nuovi arrivati; con un certo stupore, Draco non fece una piega, anzi si
mostrò distaccatamente cortese nei confronti dell’amante di suo
padre. La donna fu costretta a rispiegare per l’ennesima volta
l’accaduto; quando l’argomento fu esaurito, Draco si ritenne
affrancato dal dover restare, così uscì dalla porta con poche,
lapidarie, parole: -È stato mio padre, ne sono più che sicuro.
–
Intanto i ragazzi, estromessi dalla conversazione, erano
saliti al piano superiore in cerca di un rifugio. Elisabetta ed Harry, stanchi
dopo la notte di veglia, si erano sdraiati sull’enorme letto cercando di
riposarsi e rimettersi in sesto per il ritorno a casa, mentre Manuel ed Enrique
avevano iniziato una partita a poker, coinvolgendo a
forza di moine anche Ryan e di conseguenza Sara; poco dopo si erano aggiunte
anche Ramona e Francesca, che però avevano avuto bisogno di un corso
accelerato.
-Facciamo strip poker?- propose
Enrique non appena Ramona chiese di giocare.
-Poker che?-
-Strip poker, è semplicissimo: si fa una mano di
poker e chi perde inizia a cavarsi via un vestito, ad esempio la maglia,
finché non si rimane nudi…-
-Nudi?! Non è un po’ troppo?-
chiesero in coro Giada ed Emma.
-Sì, in effetti hanno
ragione, c’è gente fidanzata e non vorremmo che a certa gente
venissero strane idee…- rincarò Elisabetta.
-Okay, allora facciamo così: ci si sveste fino a
rimanere in biancheria intima!-
-Affare fatto. –
Le regole del poker normale vennero
ripetute per le nuove partecipanti, ma Harry non volle lo stesso giocare.
Nonostante ciò, la prima mano venne giocata, e
la prima a svestirsi fu Elisabetta, costretta a togliersi la maglietta e a
rimanere in reggiseno.
-Ehm… ragazzi, quante carte si danno? Penso che una
mano la farò anch’io…- borbottò
Harry a quella visione.
Ogni tre mani veniva fatto il punto
della situazione, per sapere chi era in vantaggio (ovvero più vestito):
dopo le prime tre mani Elisabetta era senza maglia come Ryan e Giada,
l’ultima a perdere. Proprio mentre si stava sfilando la maglia, qualcuno
bussò alla porta e Draco Malfoy comparve sulla soglia.
-Ma che diavolo… Potter, in nome del cielo, che state
facendo?-
Giada, rossa di vergogna, cercò di coprirsi con la
maglia ormai inesorabilmente tolta.
-Una mano di strip poker Malfoy, vuoi giocare? O hai paura
di rimanere in boxer?-
-Io? Okay, dai, accetto. –
In effetti, dopo due mani Draco era già in boxer (neri e aderenti), e dopo un’altra toccò
anche a Ramona togliere la maglia.
-Quando è sfortuna è
sfortuna…- borbottò irritato Draco.
-Sfortuna lui dice…- mormorò
Giada.
Dopo altre tre mani (Harry, Manuel e Ryan), Sara ebbe la
brillante idea di accendere la radio e far partire la musica da spogliarello
ogniqualvolta finiva una mano, idea subito accettata.
A dieci mani dall’inizio anche Enrique mostrò i
suoi pettorali e, all’undicesima, Sara iniziò
a svestirsi. Francesca rimase in mutande durante le due mani successive, per
cedere poi il posto all’amica Emma, che nella
seguente dovette togliersi la maglia.
In due mani consecutive anche l’inossidabile Enrique
fu costretto a spogliarsi con somma gioia di Ramona che ormai non osava
più sperarci, poi Sara (via la gonna) e infine Elisabetta (via i jeans).
-Inizia a farsi…-
-… interessante!- Ryan ed Harry si scambiarono
un’occhiata che non lasciava presagire nulla di buono.
Dopo la mano successiva però Harry dovette
ricredersi: pure lui era finito in mutande, mentre Draco letteralmente moriva
dal gran ridere.
-Dovrei ricordarti, furetto, che tu sei stato il primo a
rimanere in boxer?- stava dicendo Harry calandosi i
pantaloni, quando Piton fece capolino. Alla vista di Harry in procinto di
spogliarsi si fece paonazzo in volto, ma venne
graziato dalla fulminea Elisabetta, che con un calcio richiuse la porta
urlando: -Lui è mio, non guardare!!-
Dopo poco sentirono bussare: -Ragazzi, sono il vostro
preside, posso fare una mano anch’io?-
-T’attacchi! Sporcaccione,
lo diremo alla McGranitt!!-
-Graziana? Che
c’entra lei?-
-Ma come, lo sanno anche i muri della scuola che avete una storia!!-
-Chi? Noi due??-
-Eh, ma no!-
-Allora questo è un motivo in più per invitarla!-
-No, pietà!!-
-Ma allora lei ammette che le
piace!-
-Sì… forse…-
Diavolettadark: sì, sono
proprio una bella coppia!!!J
NemoTheNameless: bisogna svagarsi
un po’…però è stato divertente!
Norberto: sono contenta che ti piaccia, ma in che senso non
ti è chiaro il ruolo di Draco?
Severus Piton stava rimuginando sugli eventi degli ultimi
giorni. Di certo, prima che fosse tornato in Francia
ne sarebbe trascorso di tempo…
Per come la vedeva lui, il soggiorno a Parigi era stato un
vero fiasco, specialmente dopo l’ultima, brillante idea del suo vecchio
amico Albus Silente.
Appena due giorni prima, il vecchio
stregone aveva ordinato a tutti gli ospiti di casa Verdun di riunirsi in
salotto, e già lì il suo sesto senso aveva preannunciato guai in
vista.
-Samantha Verdun non può
più rimanere a Parigi, la Francia non è un posto sicuro
per lei. – aveva esordito.
-E bravo Albus,
te n’è servito di tempo…- aveva commentato, ma Albus aveva continuato imperterrito.
-Propongo pertanto di trasferirla in Italia, in un luogo
tranquillo e discreto vicino alla scuola di Bologna…-
Aveva notato una occhiata complice
tra le sue due figlie adottive, ed anche questo non presagiva nulla di buono.
-Marano!- avevano esclamato in
coro.
-Marano?-
-Sì, il posto babbano in cui siamo
cresciute. È talmente tranquillo che si muore di noia, a nessuno
verrà in mente di cercarla là. –
-Molto bene! Bella idea signorine, vi
ringrazio per averci sollevato dal gravoso compito di riflettere. Punto
secondo: trovare una sistemazione, ma a questo ho già pensato. Ditemi,
esiste un luogo appartato, magari denso di vegetazione?-
-Beh, c’è il parco fluviale. Alberi a
volontà, quattro stelline e quattropaperelle. -
-Esattamente ciò che fa al caso
nostro. Pensavo che potrei creare un portale e
ricreare una porzione di parco in un universo alternativo nel quale costruire
una casa…-
-Prendere in affitto una camera no?- si chiese ad alta voce
Sara.
-Ma…- ecco che anche il licantropo
voleva dire la sua. Il sesto senso di Piton era tutto un prurito…
-… non sarebbe meglio se qualcuno facesse
sorveglianza?-
Infatti, quello era stato
l’inizio della catastrofe. Morale della favola: Albus
lo aveva costretto a trasferirsi con la famiglia al completo nella nuova casa
costruita inizialmente per Samantha. Problema numero
uno: Vittoria era d’accordo. Problema numero
due: le amiche delle figlie.
Eh già, perché si erano trasferite anche le
amiche di Elisabetta e Francesca con i rispettivi
ragazzi, inoltre i genitori avrebbero passato a turno una settimana nella casa
per accertarsi della situazione.
In due parole: intimità zero.
Ah, intimità, finalmente ne aveva
trovata un po’ e sarebbe anche riuscito ad appisolarsi se non fosse
entrata Vittoria.
-Severus, cosa è successo
in Inghilterra e a Parigi?-
-Uhm? Perché?-
-Perché sono tutti piuttosto
taciturni in merito. Elisabetta in particolare non sembra avere molta
voglia di parlarne. Harry, poi, scappa a gambe levate quando
gliene accenno. Sai dirmi il perché?-
-Io? Perché lo chiedi a me?-
-Perché sono due giorni che vi
osservo e ho notato che a malapena vi guardate. Voi tre mi nascondete
qualcosa…-
Piton guardò per un attimo la sua donna, meditando
sul da farsi.
-E va bene, ma dopo non picchiarmi,
lo so da me che ho fatto una stupidaggine. Dunque, l’ultima sera che
abbiamo passato ad Hogsmeade due amici di Potter hanno
organizzato una festa in onore dei ragazzi; dicendoti che lavorano in un
negozio di scherzi già ti ho fatto capire che festa poteva essere.
Mandai Potter a controllare, poi Lupin e infine, quando vidi che nessuno aveva
intenzione di tornare, andai io stesso; trovai i ragazzi, Lupin compreso, ubriachi fradici. Il giorno dopo li strigliai a dovere; i primi a scendere furono appunto
Elisabetta e Potter, che si sorbirono in pieno la mia sfuriata. Solo che quella
maledetta… ahi!- gomitata. -… ha detto cose che non doveva dire e mi ha fatto esternare cose che avrei voluto tenere
per me. –
-Non parlare per enigmi, Severus!-
-La sera prima li avevo visti baciarsi; il giorno dopo ho detto che mi “infastidiva” alquanto che mia figlia
uscisse con un Potter e, beh, puoi immaginarti la reazione…-
-…-
-Beh, non dici niente?-
-Cosa dovrei dire, a parte che sei
uno stupido? Ma siccome questo te lo sei già detto da te…-
-Zitta. Aiutami piuttosto a rimettere assieme i cocci.
–
-Dipende tutto da te, tesoro. Parla con entrambi, e vedi di
combinare qualcosa di buono, ogni tanto, con le tue parole. –
-A dire il vero, speravo che l’avresti fatto tu.
Insomma, non vorrei peggiorare la situazione…-
-Lo faremo insieme, d’accordo?-
-Sta bene. –
*
Intanto, in una delle stanze al piano di sopra, Giada,
Elisabetta, Sara, Ramona e Francesca stavano eseguendo parte dei loro compiti
di Pozioni.
-Un vero peccato che Emma non sia venuta,
non trovate?- stava chiedendo Francesca.
Ramona: -Già. Manca solo lei…-
Giada: -Ragazze, ho un problema. Ho bisogno di una
consulenza…-
Coro: -E spara!-
Giada (facendosi rossa): -Beh, mi piace un ragazzo…-
Elisabetta: - È uno di Marano?-
Giada: -In verità no.
–
Sara: -E allora chi?-
Giada: -… Malfoy…-
Francesca (con faccia schifata): -Malfoy?!-
Giada: -Sì. Per favore non prendetemi in giro, i
gusti sono gusti!!-
Elisabetta: -Figurarsi, ci mancherebbe altro. Da quanto ti piace?-
Giada: -Da quando l’ho visto.
Ha un fascino magnetico, anche se subito mi stava un po’
antipatico…-
Sara: -Un classico…-
Ramona: -Qual è il problema?-
Giada: -Far sì che lui si accorga
di me. È gentile e tutto quello che volete, ma per lui sono solo una
bambina, adesso!-
Elisabetta (con aria di sufficienza): -Gentile? Puah, vorrei poter dire lo stesso! Da quando sa che ho
baciato Harry non mi lascia vivere!!-
Sara: -Questo vuol dire che forse
tu sei un po’ speciale per lui…-
Giada: -O forse sono solo l’unica disponibile…-
Francesca: -Ad ogni modo, se non ti butti non lo saprai mai.
–
Giada (quasi in lacrime): -Ma buttarmi cosa?! Come faccio?-
Sara: -Potremmo organizzare una festa in cui si balla. Tu
sei l’unica spaiata: se rinuncia a ballare vuol dire
che non gli interessi, se balla avrete modo di parlare…-
Coro: -Bella idea!!-
Elisabetta: -Okay raga,
la pozione è quasi pronta, deve solo bollire. Io vado giù
a prendere qualche ampolla e delle etichette, aspettatemi. –
Mentre la ragazza usciva dalla
stanza, Enrique, Manuel e Ryan si apprestavano ad entrarvi.
*
-Sta bene. – stava dicendo Piton, quando udì
dei passi veloci scendere le scale.
Dopo non molto infatti fece
capolino in cucina l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare,
Elisabetta per l’appunto. Sembrava piuttosto sorpresa e in cero qual modo infastidita.
Salutò i presenti con un cenno del capo e si diresse
verso la mensola preferita di Piton.
-Che stai cercando, tesoro?- chiese
la Chiodo.
-Qualche ampolla e delle etichette, abbiamo iniziato a fare i compiti di Pozioni…-
-Benissimo, era una di quelle facili facili, una leggera pozione curativa, ormai siamo
esperti…-
-Oh…- in effetti, le pozioni curative erano le
più complicate…
-Bene, io ho fatto, se non vi dispiace toglierei il
disturbo…-
-In effetti Severus e io avemmo un
paio di cose da chiederti…-
-Veloci allora, se no la pozione va a
farsi benedire. –
-Se le cose stanno così,
Severus mi ha detto della vostra festicciola in Inghilterra. –
-Ah. Beh, se le tue intenzioni sono quelle di sgridarmi
arrivi tardi, il tuo fidanzatino mi ha già strigliato a dovere. –
a quelle parole Piton si fece paonazzo.
-Elisabetta!!-
strillò la Chiodo.
-…-
-Comunque no, le mie intenzioni non
erano quelle. Voglio capire cosa è successo. –
-Facile: il tuo fidanzatino non si è incavolato
perché avevo bevuto, no, troppo ovvio, bensì perché mi
sono baciata Harry Potter! Capisci l’assurdità della situazione?-
-Severus…-
-Abbi pazienza, ma quel Potter
è una calamita per i guai, io mi stavo solo preoccupando…-
-… di salvare la faccia!! Non
raccontiamoci balle, a te Harry non è mai
andato a genio. Ma stai tranquillo, per colpa tua lui
non mi rivolge più la parola. –
-…?-
-Siete entrambi due teste di ca**o!!
A voi frega solo del cognome… Beh, sappiate una cosa, io di cognome
faccio Serpini!-
Elisabetta avrebbe di certo girato i tacchi e iniziato a
correre, ma Piton la bloccò prima che potesse
farlo.
-Senti... mi dispiace, sono stato impulsivo come al solito. Parlerò io ad
Harry, okay?- la voce di Severus era incredibilmente morbida.
-Certo, per peggiorare la situazione?-
-No, io... gli chiederò scusa, d'accordo?
Troverò un modo per farmi perdonare, e ti prometto che non mi intrometterò mai più nella tua vita
sentimentale. -
-... lo prometti?-
-Te lo prometto. -
-Allora va a parlare a quel mulo di un Potter, e fa che non
debba più sentire un cognome uscire dalla tua bocca, nemmeno a scuola!!-
-Accidenti, tu sì che sai patteggiare! Vado subito,
solo, sai dov'è?-
-No... non molto lontano comunque.
Facciamo così, quando lo vedo lo mando da te. Un'altra cosa...-
-Oddio, cosa?-
-Se la pozione è bruciata giuro che ti
costringerò a rifarla!-
-Lo sai che non sono bravo in pozioni, chiedi a tua madre...-
-Bene, basta che qualcuno la faccia. Vado su a vedere cosa ne è del brodo, se urlo è segno che è
bruciata. -
Detto ciò uscì saltellando.
-Hai visto Severus? Elisabetta sa ragionare, e anche tu alla
fin fine. -
-La vedrei bene come avvocato, non trovi?-
-Forse...- sarà stato per allentare la tensione, o
forse per il seducente sorriso di Vittoria, che Piton non resistette alla
voglia di baciarla...
Intanto, di sopra...
-Ragazzi, non crederete mai a ciò che sto per raccontarvi...- stava cinguettando Elisabetta, ma
entrando si ammutolì di colpo: Enrique e Manuel stavano facendo la lotta
con i preziosi ingredienti della pozione e, con sommo disgusto, notò
ingredienti estranei a qualsiasi mistura curativa galleggiare lungo i bordi del
calderone.
-ENRIQUE!! MANUEL!! CHE MERLINO VI STRAMALEDICESSE!! CHE SILENTE VI FULMINASSE!! CHE
DIAVOLO AVETE COMBINATO??-
Di sotto Vittoria e Severus, allarmati
da quell'urlo agghiacciante, si precipitarono di sopra. Non ci volle molto per
localizzare Elisabetta, la fonte di tanto baccano.
Mettendo il naso dentro la stanza, Severus potè notare Enrique e Manuel intenti in una gara di
precisione e... STAVANO USANDO RARISSIMI FRUTTI CERCANDO DI FARE CANESTRO NEL
CALDERONE!!
-Appoggiate quelle bacche, o giuro che vi spello
vivi!- tuonò; i due ragazzi si fermarono all'istante. Severus fece per
avvicinarsi, protendendo minacciosamente le mani quasi volesse strozzarli, ma
Elisabetta si frappose tra lui e gli amici. Un po' spazientito, tornò al
fianco di Vittoria.
-Ma io vi uccido!!Cosa avete al posto del cervello, la segatura? Teste di
rapa: stavamo facendo i compiti anche per voi!! Un
intero pomeriggio di compiti mandato a quel paese!- Piton potè
constatare con piacere che la figlia lo aveva bloccato solo per il gusto di
strozzarli personalmente.
*
Draco intanto, chiuso nella sua stanza presa in affitto al pubI tre Manici di Scopa, rifletteva sdraiato sul
morbido letto.
"Solo un branco di sfasati come quello
capitanato da Potter poteva inventarsi lo strip-poker!!" stava pensando.
"Però devo ammettere che mi sono
divertito parecchio, c'erano delle gran belle ragazze. Devo ancora
capire se quella Elisabetta è la fidanzata di
Potter, un bacio può non voler dire nulla...”
Poi, fugaci quanto sconvolgenti, un paio di
occhi tra l'azzurro e il verde...
"Giada... Carina, non
c'è che dire, però... Che buffa la sua espressione, quando sono
entrato: era paonazza! Sembrava che avesse il desiderio di sotterrarsi. Sono io
in quanto Draco Malfoy ad averle fatto quest'effetto, oppure... è solo
perché sono un ragazzo? No, non credo, ce n'erano altri nella stanza...”
Poi, grande e chiaro come uno striscione di Carnevale, il
telegrafico pensiero: "Le piaccio! Il fascino Malfoy ha colpito ancora.
"
"Però è un po' piccola per
un'avventura..."l'iniziale
entusiasmo venne frenato un poco e si aprirono altre due finestre di testo a
partire da due parole: "Piccola. Davvero è un problema? Avventura. Dunque, se, come ho appena detto, è un po' piccola,
non è il caso di avere con lei giusto un'avventura, altrimenti la
ucciderei. "
A sua volta, l'ultima finestra conteneva un'altra parola
chiave, da cui Draco iniziò ad avventurarsi nella propria coscienza:
"Da quando in qua mi preoccupo di ferire le persone? Non l'ho mai fatto. Però... sento che se la facessi soffrire i suoi occhioni azzurri mi perseguiterebbero nelle mie notti... Ho
un dubbio tremendo: cerco solo un'avventura occasionale o sono pronto per
impegnarmi?"
Il flusso di pensieri fu interrotto dall'arrivo di... Draco per poco non si strozzò: che diavolo ci faceva
Edvige nella sua stanza?
Si avvicinò circospetto alla
civetta di Potter; come sospettava, recava un messaggio per lui; che diavolo
voleva lo Sfregiato da lui?
Slegò il pezzetto di pergamena dalle zampe
scheletriche del rapace e lo spiegò; la grafia era fitta ma leggibile:
Ciao Furetto,
mi sto annoiando a morte.
Ops, scusa, non ti ho
chiesto se sei ancora vivo dopo lo shock causato dalla
visione della mia civetta; spero vivamente di sì, altrimenti è
tutto inchiostro buttato.
Dunque, come ti ho detto,
mi annoio. Potrai chiederti perché lo sto dicendo a te con tutta la
gente che c'è qui, beh, la risposta è che non ho coetanei con cui
litigare; un conto è litigare con dei bambinetti
o con dei vecchi, ora desidero farlo con un mio pari.
Okay, non ti ho convinto.
L'idea in effetti non è mia, ma dei grandi
capi: ti vogliono qui, per far che non lo so. Devono comunicarti qualcosa di importante, perché hanno il pepe sotto al culo.
Seppelliamo l'ascia di guerra e vieni a trovarmi, so che
come animatore di serate non sei male. Abbiamo un mese da far passare.
Ricorda che se accetti non potrai
tornare in Inghilterra prima del prossimo anno scolastico. Spero
che ciò non ti scoraggi, in fondo anche i furetti sono vertebrati.
A presto furetto, mi manca la
tua brutta faccia.
Lo Sfregiato
Okay, adesso le aveva viste proprio tutte: Potter che lo invitava in Italia!! Doveva aver bevuto o roba simile, visto
che si rivolgeva a lui con cortesia! Beh, ad essere sinceri,
anche quei pochi momenti di vita associata non erano stati male, avrebbe
potuto dire che si erano quasi divertiti.
In ogni caso, l'invito capitava a fagiolo: avrebbe avuto
un'ottima scusa per rivedere Giada e far chiarezza nel proprio cervello, sempre
che fosse in grado di connettere ancora...
Prese inchiostro e pergamena e buttò giù
qualche riga di risposta.
Ammetto Sfregiato che mi cogli di sorpresa.
Non sono abituato a chiacchierare con te in modo civile e
quasi affabile, tanto meno a ricevere in invito da parte tua. A cosa devo questo improvviso cambiamento?
Forse è Severus che ti ha contagiato, da quando si è lasciato andare (nel senso buono) ci
ha rabboniti tutti. Sì, forse anche me. Confesso che anche io mi annoio,
perciò accetto di buon grado il tuo invito, o dovrei
dire l'invito di Silente?
Aspetto tue notizie, Sfregiato, vorrei
parlarti a quattr'occhi.
Draco -Furetto- Malfoy
*
Alle undici di mattina, Enrique stava ancora sonnecchiando;
la sera prima aveva dovuto aiutare, assieme a Ryan, il professor Piton a
-… scoprire che diavolo di effetti ha il
minestrone che avete creato!-
In effetti, avevano trasformato la pozione delle loro amiche
in un brodino vegetale, ma da lì ad inca**arsi tanto! Non era altro che
uno stupido compito… che però doveva aver
subito una qualche mutazione. L’aveva capito quando
Piton, con aria di sfida, ne aveva versato un mestolo nel terriccio di una
piantina quasi completamente rinsecchita, che era prodigiosamente rifiorita e
aveva continuato a crescere ininterrottamente fino circa a mezzanotte. Lo
sguardo allibito del suo professore lo aveva allarmato
sin dall’inizio: possibile che il grande pozionista
non avesse previsto gli effetti di quel brodo?
Purtroppo per lui, era esattamente ciò che era
accaduto: Severus Piton non aveva previsto gli effetti della pozione, se tale
poteva ancora chiamarsi.
-Voi due… - aveva detto
guardando prima Ryan, poi Enrique. -… questa sera mi aiuterete a fare
degli esperimenti. –
Degli, in quel caso, poteva essere
sostituito da un numero compreso tra mille e cinquemila.
Per quasi tutta la notte avevano testato
quello strano brodo su un’infinità di “cose” diverse,
dai fiori, alle piccole piante, agli insetti. Anche
su alcuni oggetti. Il risultato era sempre uguale: morte o vive che fossero le
cavie, dopo cinque minuti o saltellavano, o crescevano a dismisura.
-Molto bene, potete andare, ho
bisogno di riflettere. Grazie per l’aiuto. – e
finalmente, alle due di notte, i due ragazzi poterono infilarsi sotto le
coperte.
Intanto, nel proprio studio al pian terreno, Severus stava
ancora riflettendo al lume di una candela.
“Improbabile. Impossibile. Non esiste! È il
principio su cui si basano tutti i libri di Pozioni, è
scritto nella prefazione di ciascuno!! Non capisco. Gli esperimenti parlano
chiaro.”
TOC
TOC
Quei due scapestrati non erano ancora andati a letto?
Volevano proprio sfidare la sua pazienza…
-Severus…- il professore si
bloccò. La porta si schiuse un poco e Samantha, Vittoria, Elisabetta e
Sara velocemente scivolarono all’interno della stanza.
-Cos’è, una spedizione
scientifica?- Severus aggrottò la fronte.
-Volevamo sapere se avevi scoperto qualcosa…-
sussurrò Vittoria.
-I dati sono contrastanti, ma non tra loro. Con il principio base dell’arte del creare Pozioni e della
magia stessa. –
-Oddio, quella roba blocca il tempo!- mugugnò Vittoria, ma Severus scosse la testa. I presenti
rifletterono un poco, poi…
-Cristo santo! Vuoi dire che quella
roba… un elisir di lunga vita?- sbottò Elisabetta.
-Meglio, o peggio, a seconda dei
punti di vista. Questa pozione è in grado di riportare in vita organismi
morti!-
Passarono alcuni momenti di totale silenzio; l’unico
rumore udibile era il fruscio delle foglie mosse dal vento proveniente
dall’esterno.
-MonDieu!
Se si venisse a scoprire?- gemette Samantha.
-Sarebbe l’inizio della fine.
Capite cosa potrebbe succedere?-
-… Lord Voldemort!-
-Quello ovviamente equivarrebbe a
un suicidio fulmineo. Parlo delle conseguenze a lungo termine…-
Grazie 1000
aDiavolettadark e NemoTheNameless!!! Vi è
piaciuto lo strip poker eh?!!! ;-)
DracoMalfoy
aveva appena ricevuto la Passaporta che lo avrebbe
condotto in Italia, un banalissimo guanto. Da qualche ora le sue valige erano
pronte, segno di un’irrevocabile decisione, ma in quel momento, quello
cruciale, la sua spina dorsale ebbe un fremito e il
suo coraggio vacillò per un momento. Non stava
decidendo solamente la sua nuova residenza per il prossimo anno, stava
scegliendo da quale parte schierarsi.
“Facciamolo” si disse “La questione
Giada è ancora aperta”.
A mezzogiorno in punto, toccò il guanto e si
ritrovò in Italia, dentro a una casa.
-Benvenuto Draco, stavamo per
metterci a tavola. Gradisci un piatto di pasta?- gli chiese
gentilmente Piton.
-Se non ti è troppo disturbo.
Grazie. –
Si accorse solo in quel momento di essersi materializzato
in cucina, dove una donna si stava dando da fare ai fornelli, per nulla
sorpresa del suo fulmineo arrivo.
-Lei è Vittoria, la mia futura moglie. Vittoria,
questo è DracoMalfoy,
un mio ex alunno. –
Draco per poco non si
strozzò: futura moglie? Allora Severus stava
facendo le cose in grande.
-Benvenuto in Italia, Draco;
spero che ti troverai bene in questa gabbia di matti. Preferisci ragù di
carne o tonno?-
In sala i ragazzi stavano chiacchierando rumorosamente; Enrique era stato l’ultimo a prendere
posto e aveva ancora un’aria piuttosto assonnata.
QuandoDraco
entrò, calò il silenzio, neanche avesse lanciato un incantesimo
ammutolente; Harry si alzò e con faccia scura
si avvicinò al nuovo arrivato. Quando furono
esattamente di fronte, la sua espressione si raddolcì.
-Benvenuto in Italia, Draco.
– gli disse. –Ragazzi, l’ultima volta che ci siamo visti, a
Parigi, non ci siamo presentati a dovere. Permettimi di essere
la tua guida in questo zoo di animali svitati. – aggiunse, rivolgendosi
anche alla folla.
-Dunque, questo tuo clone dall’aria assonnata si
chiama Enrique e ti farà piacere sapere che è diSerpeverde. Di fianco
abbiamo il suo degno compare Manuel, sporco Grifondoro come me, poi Ryan, non
c’è bisogno che te lo presenti, poi ci sono io, poi, aggiungendo
un posto, ci sei tu. Sempre che tu voglia pranzare di
fianco ad un rosso-oro, ma tranquillo, dall’altra parte avrai il paladino
dei Serpeverde.
Dunque, dall’altra parte del tavolo abbiamo
Vittoria, che hai appena conosciuto, poi Giada, una neutrale Tassorosso; Elisabetta, Grifondoro
fino al midollo e Sara, un’altra neutrale Tassorosso;
Francesca, la sorella di Casa e di fatto di
Elisabetta, e infine Ramona, l’unica bionda naturale in onore alla sua
Casa…-
-Grifondoro anche lei immagino…-
-Immagini bene. Allora, se non ti è troppo gravoso
sedere alla stessa tavola multicolor dove voi Serpi
siete in minoranza…-
-Va bene, Potter,
ho capito l’antifona. Mi siederò al tuo tavolo a vedere se
chiudi quella boccaccia…-
-Sapevo che per convincerti bisognava solo riempirti di
parole!-
Dopo un veloce pranzo all’italiana a base di pasta e
pesce, Draco si alzò, ringraziò la
cuoca e fece un solenne annuncio:
-Ragazzi, mi sembra di ricordare che a Parigi abbiamo
lasciato una cosetta in sospeso. Che ne dite di chiudere la partita?-
Un coro di “sì” si levò dalla
parte più giovane del tavolo; intanto, Enriquestava rompendo l’anima a Ryan
affinché traducesse per lui le arcane parole di Malfoy.
-Dai, dimmelo, non ho capito! A che si riferisce?-
stava chiedendo.
-Già, esatto, che avete
intenzione di fare?- si intromise Piton.
-Uh? Niente, una partitina a
briscola…-
-Briscola?-
-Un giochino di carte…-
-Carte? Una bisca clandestina??-
-Ma no, non giochiamo a soldi! Da dove li tireremmo fuori?-
E la discussione sarebbe continuata
ancora, se Manuel non se ne fosse uscito con una brillante battuta: -Beh,
paghiamo in natura!-
L’intera tavolata si voltò verso di lui, che
fece spallucce: -Scherzavo!!-
*
Quella notte le camere dei ragazzi erano al completo: Sara
ed Elisabetta, Giada e Francesca, Ramona ed Enrique,
Manuel e Ryan, Draco ed Harry. Verso mezzanotte erano tutti addormentati, Piton se l’era assicurato personalmente; un’ora
dopo però dalla camera di Sara ed Elisabetta si udì un leggero
scalpiccio: Sara si era alzata con l’intenzione di andare a bere, ma nel
farlo era scivolata su una buccia di banana lasciata in eredità dai
precedenti possessori della stanza (dicono niente i nomi Manuel eEnrique?), facendo svegliare la
sua compagna.
-Che cappero ci fai fuori dal
letto? Che ore sono?- mugugnò
quest’ultima.
-Ops, scusa… ti ho svegliata?-
-Eh, ma no! Scherzi? Ma come hai fatto a capirlo??-
-Okay, basta, capito! Scusa
ancora. Vado a bere, okay?-
-Sì. Penso che anche io andrò a fare un
giro, vado a trovare Walter. -
-Walter?-
-Il water, o cesso, se preferisci.
-
-Oh! Okay, a dopo. -
Dieci minuti dopo…
-Ce ne hai messo di tempo per bere un bicchiere
d’acqua!-
-Beh, ho dovuto fare attenzione
per non far scricchiolare troppo gli scalini…-
-Capisco. Infatti non ti ha
sentito nessuno!-
-Beh, oh, non posso mica fare i miracoli!!
È tutta colpa di Silente…-
-Già, è sempre colpa sua. –
-…-
Dopo qualche minuto di silenzio, durante il quale le due
amiche si erano nuovamente infilate sotto le coperte, Sara ruppe il silenzio;
sdraiata a pancia insù, le era venuta una strana curiosità…
-Betty, posso farti una domanda,
se mi prometti che non mi picchi?-
-Oh signore, d’accordo. Basta che non sia a luci
rosse…-
-Don’tworry! Ecco, volevo solo sapere
come si chiamavano i tuoi… sai, oggi i miei mi hanno mandato una lettera
e allora… così. –
-Guarda, non metterti a ridere se ti dico
che non lo so, perché è così. So che avevano dei
soprannomi, stupidi a dire il vero, ma funzionali:
Renzo e Lucia. Sì, quei deficienti amici di Manzoni.
–
-Ah…-
-In effetti, mi piacerebbe
chiederglielo…- ammise Elisabetta, voltandosi a pancia
insù.
Dopo qualche istante di silenzio, si sentì un
distinto frusciare di lenzuola. Elisabetta poteva giurare di vedere quasi gli
occhi della sua amica Sara dall’altra parte
della stanza scrutarla, nonostante il buio, perché era convinta di aver
avuto il suo stesso lampo di genio.
-La pozione!- sibilarono.
-Sì, però correremmo un grande
rischio: pensa se ci scoprissero! SeLucius… non ci voglio pensare!- Elisabetta
sentì di aver la pelle d’oca.
-Ma di che ti preoccupi! Tanto
c’è Harry…-
ribatté l’amica in tono scherzoso.
-Già. Ti va se andiamo a
chiamare mia sorella? Dopotutto, riguarda anche lei…-
-Sì. Sì, forse è meglio. Facciamo
piano e in fretta. –
In punta di piedi le due uscirono dalla loro stanza ed
entrarono in quella successiva, badando di fare il minor rumore possibile
nell’abbassare la maniglia. Dentro era buio pesto. In quale letto dormiva
Francesca?
-Proviamone uno… quello a sinistra. –
Elisabetta si avvicinò al letto di sinistra,
posò la mano su quello che le sembrava un braccio e iniziò a
scuoterla.
-Fre. Fre!-
-Uhm… uh… mmm? Che c’è?-
-Giada?!-
-Uhm sì, perché chi ti aspettavi,
il principe azzurro o la bella addormentata?-
-No veramente aspettavo Raperonzolo, comunque…
torna a dormire. –
-Che cos…? Ehi, mi hai svegliata nel cuore della notte, adesso pretendo una
spiegazione!-
-Ma sì, ormai che è sveglia diciamoglielo!-
-Sara?! Dirmi cosa?-
-Alzati senza far rumore mentre chiamo mia sorella. Fre… fre! Francesca!!-
-Uhm? Ah… uff,
che vuoi?-
-Svegliati, è una cosa importante. Riguarda i
nostri genitori…-
-Che? Devi aver mangiato pesante,
hai avuto degli incubi?-
-No, idiota! Forza, muovi le chiappe ed esci dal letto,
dobbiamo parlare. –
TUM
-Ah! Ca**o!! Porca vacca che
male…- la voce di Enrique
giunse attutita dal muro.
-Raga, mi sa che faremo una riunione al completo. –
constatò Sara, battendo un colpo contro al muro.
Intanto, dall’altra parte di esso…
-Ah… io ho sbattuto solo una
volta, la seconda non sono stato io. – stava bisbigliando Enrique.
-Ti sei fatto male?-
-No, ho solo tirato un paio di accidenti.
–
-Quelli si sono sentiti, vai
tranquillo. Secondo me hai svegliato qualcuno di
là…-
TOC TOC
-Ehi… siamo noi!-
-Qualcuno, eh?-
-Che ci fate sveglie a
quest’ora?-
-Ah, è iniziato tutto quando
sono inciampata su una buccia di banana lasciata da qualcuno… va
beh… e allora ho svegliato Betty e poi…-
-Okay. Basta! Non ci interessa la
cronaca…-
-Avete intenzione di fare un festino? Andiamo a chiamare
anche gli scimmioni qui di fianco allora…-
-Sì, bravo, vai! Noi ti aspettiamo qui. –
Con l’agilità di un ladro Enrique
avanzò nel corridoio fino alla stanza successiva. Aveva già la
mano sulla maniglia, quando…
-Fermo, cretino! Quella è la camera di Harry e Draco!-
-Ah. Okay, ma non li chiamo?-
-NO, vai avanti. –
Il ragazzo richiuse la porta e proseguì. Dopo
cinque minuti, che parvero un’eternità, fu di ritorno con i suoi
due ostaggi.
-Dentro, è una cosa molto
importante!- intimò Sara. Non appena si fu tirata la porta
dietro, sentì la maniglia abbassarsi nonostante lei non stesse
esercitando pressione; infatti, dopo poco essa si spalancò e…
-Piton!- gemette la ragazza.
-Cosa? Sembro così brutto? Oddio, Potter mi ha trasfigurato! Dio santissimo salvami!!-
-Ah… Draco, meno
male… uh? No, sei tutto te stesso. Forse solo il naso…-
-Il mio naso? Cos’ha che non va?- gemette
questa volta lui.
-Uhm? Niente, è arrossato, te lo
sei soffiato?-
-Spiritosa…-
-Allora, la questione è questa…-
In pratica, il piano di Elisabetta
consisteva nel far resuscitare i genitori suoi e di Francesca; ampliandolo con
quello di Sara, i miracoli si allargavano anche a Sirius
e James.
-Un bel regalo di compleanno per Harry!-
-Okay, ma io cosa c’entro?-
chiese Draco.
-Beh, ci servi! Dovresti insegnarci una cosetta…-
-… ??? No! Assolutamente no! Per il sesso dovete
aspettare fino almeno a diciassette anni!-
-Uhm? Idiota, cos’hai
capito? Okay, non metto in dubbio che tu sia
bravissimo a farlo, ma non era quel genere di cose. Dovresti insegnarci a
…ma…zar…i…-
-Eh? Parla più forte!-
-S…at…zarci!-
-Eh?!-
-Smaterializzarci! Smaterializzarci, Signore!-
-Ma non siete fuori quota? Siete
troppo giovani…-
-E dai! Ti prego…-
-No, e se lo venisse a sapere Piton!-
-E se ti minacciassi?-
-Uhm? Ah… okay, mi hai
convinto. Abbassa quella bacchetta. –
*
“Quei ragazzi stanno lavorando sodo…” stava pensando Vittoria, guardandoli esercitarsi nel
giardino. “Avranno fretta di finire i compiti. Fanno bene a mettersi
avanti, ma così secondo me esagerano! Ieri, per
esempio, ho visto come Giada ci dava dentro con i miei
compiti di Matematica… o come Sara si stava organizzando il suo schedario
di piante… e poi, non capivo come mai Elisabetta sporcava così
tante magliette: i compiti di Pozioni! E quel povero Ryan…”
-Enrique, devi concentrarti!
Concentrarti!! Hai la testa tra le nuvole, non ce la farai mai a fare quel benedetto incantesimo, e guarda che è uno
dei più semplici. – Draco stava
rimbrottando il suo povero clone, reo di non impegnarsi abbastanza nei suoi
esercizi di Incantesimi.
-Ryan?- chiamò piano
Sara.
-Uhm?- il ragazzo, all’ombra di un albero, stava
ripassando sul libro di Erbologia.
Staccò un momento gli occhi dalla pagina per mettere a fuoco Sara; la
ragazza gli stava tendendo una pergamena, presumibilmente una lettera.
-Cara Sara… come da noi
promesso… regalo di promozione… un mese in Giappone? Che storia è mai questa?-
-La verità. È da tanto che me lo avevano promesso, questo è l’avverarsi di un
sogno. –
-Allora… stai per partire. –
-Sì, lunedì. –
-Ma così ti perderai la
spedizione!-
-Tranquillo, per quella ci sarò. Ti prego, dillo tu
agli altri, detesto gli addii. –
-D’accordo, penserò a tutto io. Parti serena. –
-Non potrei sapendo di dover stare lontana da te per un
mese. Trenta giorni sono un’eternità. –
-Passeranno, vedrai. Ehi, non
innamorarti di un giapponese, eh?-
-Tranquillo. –
*
-Ahi! Mi hai
pestato un piede!!!-
-Scusa, ma è buio pesto! Non vedo una mazza…-
-Shttt! Fate silenzio. I morti
non parlano. –
-Okay, ma non si arrabbiano
neanche. Ce l’hai la pozione?-
-Sì, in tasca. –
-C’è qualcuno che ha la bacchetta sguainata?-
-Io, perché?-
-Un bel Lumosmagari…-
-Ah, già, giusto! Lumos!!!-
-Per di qua. Non siamo
lontani…-
-Come fai a dirlo? Le tombe sono tutte uguali…-
-Ho le indicazioni di Silente, banana!-
-Ah, okay sto zitto. –
-Ehi raga, sono qui! Tutte e tre
in un colpo solo…-
-Grazie signore. –
-Va bene, ma adesso come facciamo? Dovremmo disseppellire le
bare…-
-Scaviamo?-
-Ma no, testolina, non noi. Tu!-
-Ah. Io? Perché proprio
io? Sapete che ho mal di schiena…-
-Sciocchino! Usa la testa, anzi, la bacchetta!-
-La bacchetta? È come pulire un muro con uno
spazzolino da denti!!-
-Lascia perdere, è fuso.
Dobbiamo sostituire il cervello, quello vecchio è da buttare… Excavo!!! Forza, tutti
insieme!-
-Excavo!!!-
Fu come se una isolata e
insolitamente prolungata scossa di terremoto avesse scosso il territorio del
cimitero; essa durò per un minuto e cessò improvvisamente,
così com’era giunta.
-Ammazza! È come se fosse passato un escavatore,
anzi, meglio!-
-Ora, chi ha il fegato da aprirle?-
I ragazzi si guardarono tra loro poi, dopo aver fatto un
rapido calcolo…
-Manuel,
Enrique e Ryan. Tre bare, sei paia di braccia. –
-Noi? Perché proprio noi?
Non è stata una vostra idea?-
-Poche balle e aprite. Nox!
Contenti, così non vedrete nulla e non avrete gli incubi…-
Tre rumori distinti indicavano che i ragazzi si erano
messi all’opera, seppur con riluttanza. Tre tonfi consecutivi e le bare
furono scoperte.
-Forza, dentro il bibitone…-
*
-Ma Sara non scende?-
-No, mamma, si sente poco bene. Deve aver preso qualche
virus in Giappone…-
-Allora portatele qualcosa da mangiare quando salite.
–
-Tranquillo, ci avevamo già
pensato papi. –
Quando il pranzo fu terminato, Elisabetta, Ramona e Giada prepararono tre piatti colmi di ogni sorta di cibi.
-Miseria, ma che fame ha? Mangia per tre?- chiese
Samantha.
-Ehm… eh eh,
il fatto è che non sappiamo cosa avrà voglia di mangiare, sai, un
malato è molto esigente. Magari spizzichiamo anche noi…- la tranquillizzò Giada.
Quando furono al piano di sopra
poterono tirare un sospiro di sollievo: se l’erano bevuta, meno male.
Bussarono alla porta del bagno delle ragazze, si identificarono ed entrarono, ragazze e ragazzi.
-Salve! Vi abbiamo portato qualcosa da
sgranocchiare… non tanto quanto avremmo voluto,
ma giù si sono già insospettiti…- si scusò Ramona.
-Fa niente, ho una fame…-
la interruppe Sara.
-Quanti giorni ancora ci dobbiamo nascondere?- chiese James.
-Due. Coraggio, questi virus giapponesi sono
poco resistenti…- Elisabetta fece l’occhiolino a Sara.
*
-Piano, fate piano. –
bisbigliò Elisabetta.
-La fai facile tu! Tieni, prendi l’arrosto, anzi no,
prendi le bottiglie di aranciata. Fre,
il melone!-
-Attenta… piano…
ecco. Chiudi…-
CLICK
Elisabetta, Francesca e Ramona sobbalzarono
quando la luce si accese.
-Ragazze… che fate in giro a
quest’ora?- chiese perplesso Harry.
Aveva i capelli arruffati e gli occhi semichiusi.
-Eh? Ehm… niente!-
-Allora perché hai in mano un
melone?-
-Ah, questo. Me ne era venuta
voglia… sai, avevo un caldo sotto alle coperte, mi ci vuole qualcosa di
fresco…-
-Aranciata? A quest’ora?-
-Sete tremenda…-
-… se poi avete gli incubi
non venite a lamentarvi da me, eh?-
-No, certo che no, tu ci hai avvisate.
Notte Harry…-
*
-Shtt! Si sta svegliando… siete tutti pronti? Sirius, ti avevo chiesto una faccia contenta, non ebete! Remus, su la
torta, che si veda. James, lascia stare i
capelli e tu, papi, non bruciare a nessuno i capelli con quelle candele!-
-Uhm… mpf… yawhn!-
HarryJamesPotter si svegliò sereno
il giorno del suo venticinquesimo compleanno; sbadigliò, si
stiracchiò a dovere e... si girò dall’altra parte!
-Faceva così anche durante le ore di Pozioni…-
-Nessuno ha richiesto il tuo parere, Mocciosus…-
-Odio i Black dal primo
all’ultimo. –
-Strano. Sei sempre vestito di nero…-
-Al mio matrimonio mi vestirò di bianco. Solo per
fare dispetto a te!-
-Harry…
Harry, svegliati! Signor Potter,
alzi immediatamente il suo bel culo
dal letto, marciare!-
-Uhm? Sì, sono sveglio…-
Finalmente Harry si degnò
di aprire gli occhi: davanti al suo letto stavano, in piedi, due persone. Mise
a fuoco le due sagome: uno era Sirius, l’altra… suo padre! E…
Sirius aveva una maglietta intonata al suo cognome
con scritto… uno di fianco all’altro, James
e Sirius gli stavano augurando un “Buon
Compleanno”.
-Sono morto? Sto
sognando?- si chieseHarry ad alta voce.
-Buon compleanno Harry!- gridarono in coro i suoi amici. Remus
si avvicinò con una soffice torta gelato e la
mostrò orgoglioso all’amico.
-Ehi, non è un po’ piccola?- tentò di protestare Harry,
ma quella che lui definiva “una piccola torta” gli volò
letteralmente in faccia. –Ah… ah, ca**o Remus,
adesso sì che sono sveglio… ehi, ottimi quegli attori, quanto hai
dato loro?-
-Attori? Oh, Harry caro, la
torta in faccia deve averti rintronato per bene: quelli non sono attori, sono James e Sirius!-
-Dai, Remus, ho
smesso di credere nei miracoli a cinque anni. –
-Harry, svegliati per bene e
apri le orecchie: io sonoJamesPotter! E sono tornato in
vita da tre giorni…-
-Sì, già, secondo te perché mangiavo così tanto?- si intromise Sara.
-Il nostro appetito è la conferma della nostra identità! Andiamo, devo
anche trasformarmi in cane e scodinzolare per te?-
-Sì, come prova non sarebbe male. Attento a non
attaccarci le pulci, Black…- soffiò Piton.
-Uff… e va bene. –
La trasformazione di Sirius fu
pressoché istantanea: da uomo divenne un grosso cane nero in meno di
cinque secondi.
-Wof! Bau!-
-Sirius? James? Oh, Merlino… siete…
siete voi? Ma com’è possibile?-
-Ben svegliato, figliolo. – James
si avvicinò al proprio figlio e, noncurante della panna che lo
ricopriva, lo abbracciò stretto.
-No papà, non così stretto, ti sporcherai
tutto!-
-Non mi interessa, voglio
abbracciarti, e poi...- James passò un indice
sulla guancia del figlio bianca di panna. -... sei buono, Harry!-
Tutti i presenti risero di cuore, poi Remus
suggerì che era meglio rimandare i festeggiamenti finché Harry non si fosse fatto una bella doccia calda.
-Già Remus, e chi dovrei ringraziare?-
-Enrique che ha avuto l'idea, io
sono solo l'esecutore materiale. - Remus fece
spallucce.
-Vai, Harry,
saremo qui al tuo ritorno. Siamo tornati per restare...- SiriusfissòHarry negli occhi quasi a volerlo convincere maggiormente;
il figlioccio annuì, recuperò un asciugamano e si diresse in
bagno.
-Forza, tutti giù. Ho idea che dovremmo
fare una bella chiacchierata…-
*
-Uffa! È da un’ora che sono lì
dentro… che cappero stanno facendo?- Elisabetta
sbuffò, facendo cadere dal divano un tris appena calato da Ramona.
-Beh, ne hanno da raccontarsi, no? Una ventina
d’anni più o meno…- constatò
Ryan, che si stava facendo fare un massaggio alle
tempie da Sara.
-Beh, spero che si sbrighino, io dovrei
già essere in Giappone…- commentò quest’ultima.
-Non si sente urlare. Dite che
dovremmo preoccuparci?- si chiese Enrique.
-Bisogna vedere se sono riusciti a
intavolare una discussione…- Francesca pareva poco convinta.
-E pensare che l’idea è
stata mia!!- Elisabetta si diede una manata in fronte.
-Beh, però ne avevano
bisogno, insomma: come puoi pretendere che convivano tre acerrimi nemici quando
il figlio di uno e fidanzato con la figlidell’antagonista? Devono risolvere i loro conflitti giovanili, non
c’è altra soluzione…- ribatté sofisticatoRyan.
-E credete che un’ora
basterà?- rincarò Giada.
Elisabetta, avvilita, sbuffò e tornò a
concentrarsi sul gioco… Le due piccole giocatrici incallite decisero di
giocare d'azzardo per movimentare un po' la mattinata.
Dopo altri quaranta minuti le due si accorsero di essere
tornate al punto di partenza in quanto a capitale...
-Ah, bella roba...- soffiò Ramona.
Fu in quel momento che si udirono delle grida provenire
dall'altra stanza.
-JAMES!! GRANDISSIMO FIGLIO DI PU****A, TI
RENDI CONTO DELLE CA**ATE CHE VAI SPARANDO? NOI DUE, AMICI DI UN PICCOLO,
SPORCO SERPEVERDE MANGIAMORTE?!?-
-Sirius, calmati! Ragiona... non
c'è altro che noi possiamo fare, apri gli occhi! Inoltre Severus non è più Mangiamorte...-
-SEVERUS?!? SEVERUS?!? ADESSO LO CHIAMI ANCHE PER NOME!!-
-Suvvia, Felpato... "Mocciosus"
è solo uno stupido soprannome di gioventù... Siamo
adulti, Sirius, abbiamo già suonato i
quaranta. Non credi che sia ora di mettere da parte vecchi dissapori?- Remus come al solito era il
più tranquillo, tanto che la sua voce giungeva sotto forma di bisbiglio.
-E non credi che il suddetto Mocciosusne abbia già passate abbastanza a causa vostra?
Non credi che sareste voi a dovermi porgere delle scuse?- anche Pitonera straordinariamente
sereno, data la situazione.
-COSA? OH BRUTTO...-
Dall'interno giunsero rumori attutiti tipici di una collutazione. Vittoria e Samantha giunsero
correndo richiamati dal frastuono e, animate da un'intenzione comune,
sfoderarono simultaneamente le bacchette e aprirono a suon d'incantesimo la
porta.
Dentro regnava il caos: Sirius
stava ancora inveendo contro il povero Piton,
trattenuto per le braccia da James e Remus, che stavano faticando non poco per trattenere la sua
collera. Severus stava a debita distanza, percorrendo
il proprio viso con le mani: come probabilmente immaginava aveva il naso rotto
e sanguinante.
Vittoria trottò il più veloce che la sua condizione le permetteva verso il promesso sposo,
seguita da Samantha, Elisabetta e Francesca.
-Adesso capite perché ho
il naso aquilino?!?- imprecò.
Mentre Piton
andava a farsi medicare, James e Remus
trascinavano il loro amico fuori, per cercare di farlo ragionare. Harry sedeva in silenzio a capotavola nella stanza del
misfatto; non era intervenuto che poche volte nel corso del dibattito e aveva
assistito incredulo all'aggressione. Non riusciva a credere che Sirius fosse di indole così
rissosa; per contro suo padre si era rivelato molto più docile del
previsto.
E il povero Severusne aveva fatto le spese, come al solito.
Bene! questo è l’ottavo
chap delle vacanze…ora, invece, me le vado a
fare io! Posterò domenica o lunedì prox,
perché questa dome vado al mare!!! Ah, non vedo
l’ora! Vabbè, vi sto dicendo queste cose
non so perché e voi direte “ma a noi che
ci frega?”. Per chinon le ha ancora fatte Buone
Vacanze e continuate a farvi sentire!
Diavolettadark: si, devono
essere rinchiusi ad Azkaban…
NemoTheNameless: non saprei…starei
più sugli imbecilli…
-Che fortuna sfacciata che ha
Sara…- soffiò Enrique.
-Già! Oltre a visitare uno stato straniero e un bel
pezzo in là non devo sorbirsi quei due
là…- rincarò Giada.
“Quei due là” erano Sirius e James.
Nonostante ciò che è più facile
credere, ovvero che Sirius potesse essere arrabbiato con Piton, Felpato ce
l’aveva maggiormente con Ramoso. A Severus non rivolgeva che oblique e
malevole occhiate, ma niente di più.
Ogni tanto però la discussione si riaccendeva e
allora Harry cercava il luogo più remoto della casa per non dover
assistere al diverbio. In quei giorni era di pessimo umore e tendente a fare
l’eremita.
Inoltre altre stranezze si verificavano
da quando Sara era in Giappone: ogni sabato Kanata (riemerso ormai da parecchio
tempo) svaniva misteriosamente per non tornare fino a sera, e via scuse
palesemente false. Francesca e Manuel erano
stranamente taciturni e stavano spesso da soli, rintanati al piano superiore.
Solo Enrique sembrava lo stesso di sempre, allegro e spensierato
nonostante la bufera tutt’intorno.
Vittoria inoltre stava parecchio male, spesso era costretta
a letto ma non riusciva a chiudere occhio preda del
caldo. Aveva vomitato anche un paio di volte, ma tutto si era risolto per il
meglio.
Praticamente un campo di guerra.
Quel giorno Draco pareva stranamente distaccato. Sedeva
all’ombra di un albero, sonnecchiando, quando arrivarono Ramona,
Elisabetta, Giada, Ryan ed Enrique.
-Novità dell’ultim’ora?-
chiese, gli occhi ancora chiusi.
-Dacci una mano a farli ragionare! Ti prego!!- piagnucolarono in coro i ragazzi.
-E perché chiedete a me?
Moderni Montecchi e Capuleti…-
Quelle due parole bastarono a far scattare una molla nel
cervello di Elisabetta.
-Draco sei un mito di Malfoy!
Grande…-
-Ecco che anche oggi ho fatto la mia involontaria buona azione… spiega il piano. –
*
Colpa di un banale stratagemma (-Sirius,
c’è Remus che ti aspetta in sala…-), Felpato, Ramoso e Piton
si trovarono da soli in sala.
-Che scherzo di cattivo gusto è mai questo?-
Dall’unica porta che consentiva l’ingresso e
l’uscita entrarono Elisabetta ed Harry, mentre
gli amici restavano a guardia dell’entrata, sbarrando il passaggio. I due
ragazzi che avanzavano avevano una strana luce di determinazione negli occhi.
-Allora? Cos’è questa storia?-
ripeté Sirius.
-La storia è che adesso noi dettiamo le regole e voi,
anzi tu, ubbidisci. – rispose secca Elisabetta
mostrando un’ampolla contenente un liquido color del sangue. Sirius
alzò le spalle, ignorando cosa essa fosse, probabilmente aranciata pensò;
James fiutò il pericolo e spiò le mosse di Severus, il quale per
poco non ebbe un malore…
-Cosa… cosa significa tutto ciò?- chiese con
voce strozzata.
-Significa che se voi non trovate un qualche accordo per
rendere la convivenza pacifica, noi ci ammazziamo. – rispose candidamente
Harry, cingendo le spalle della ragazza al suo fianco.
-Severus… cos’è
quella roba?- chiese preoccupato James, guardando con orrore ora
l’ampolla, ora Piton.
-VermiculusVenenum, un semplice ma efficace antiparassitario. Mortale
se ingerito da un uomo in alte dosi. – recitò Piton, come se
stesse spulciando da un volume di Pozioni.
-Fantastico. E tu tieni di questa
roba in casa tua?- ribatté sarcastico Sirius.
-Adesso è vietato tenere un dannatissimo
antiparassitario in casa?-
-Basta!!- gridò Elisabetta.
–Basta. Farete la pace, qui, in questa stanza, dovessi
tenervi in ostaggio un mese!- ruggì.
-Ehi, ragazzina, non minacciarmi, non ci provare. Dimentichi
che io sono l’unico ad essere mai fuggito da Azkaban,
l’infame prigione… E, francamente, non credo che ti suicideresti a quindici anni. – ribatté Sirius
alzando le spalle.
-Lei forse no, ma io sì. – Harry mosse un passo
in avanti. –Ho compiuto la profezia, e non ho più ragion
d’essere al mondo se il mio padrino è solamente un piccolo bulletto e mio padre il suo braccio destro. Fammi
ricredere, Felpato, o mi congiungerò a mia madre. –
Sirius, con lo sguardo di un lupo braccato, volse sguardi di
profonda ira a Elisabetta e a Piton.
-Che devo fare?- chiese infine,
emettendo un lungo sospiro.
-Innanzi tutto, chiedi scusa a mio padre per tutto quello
che gli hai fatto passare negli anni di Hogwarts, in particolare per quel piccolo incidente durante
una notte di luna piena…-
-Mai!- ruggì Sirius.
Elisabetta alzò l’ampolla, facendo oscillare il
liquido vermiglio. –Scegli, Felpato, o il tuo orgoglio o la nostra vita.
– incalzò Harry.
Sospirando sconfitto, Sirius iniziò il suo discorso.
–Perdonami Mocciosus…- sonora schiarita di gola di
Elisabetta. -…uff…
Severus… se ti ho rotto le b***e durante i sette anni di Hogwarts e, soprattutto, per lo scherzo del lupo mannaro.
Non volevo farti del male, solo spaventarti per convincerti a girarci a largo,
ma la situazione mi… ehm… sfuggì di mano. È tutto?-
con estrema riluttanza e parecchie pause Sirius riuscì
a mettere insieme un discorso sensato.
-Adesso bisogna vedere se sei stato convincente. Che ne dici Severus?-
-Non nego che sarei tentato di farti ripetere tutto da capo
per altre cento volte…- sfolgorata di Felpato. -…ma
siccome sono assai cambiato, accetto le tue scuse e sono anzi contento che tu
me le abbia porte. Ora, ragazzi, perché non mi date
quell’ampolla?- scandì lentamente Piton armandosi di tutta la sua
diplomazia.
Elisabetta si portò il contenitore sin davanti agli
occhi, quasi fosse stupita di trovarsi con quell’oggetto in mano.
–Davvero vuoi dell’aranciata?-
*
-Non ci posso credere!! Davvero
avete finto che l’aranciata fosse veleno?- Sara era allibita
dall’audacia dimostrata dalla sua amica e il suo ragazzo. –E poi che è successo? Come l’hanno presa gli
altri?-
-Nel modo più impensato. Subito Sirius ha dato in
escandescenze, James ha abbracciato Harry e Severus mi ha promesso botte da
orbi…- Elisabetta fece spallucce.
-Beh? Che c’è di strano?-
-Aspetta. Poi Sirius ha iniziato a dire cose assurde, o
forse no, tipo “E così questa strega sarebbe
tua figlia! Belle cose le insegni, l’arte del doppio gioco e
affini!”. Non mi sono mai sentita così lusingata in vita
mia… Poi ha cacciato un gran respiro e ha detto “Ci sono davvero
caduto come un fesso!”. Allora papà ha detto che lui aveva il sospetto che il nostro fosse tutto un
bluff e così hanno iniziato a discutere sul perché e percome, che
era palese che fosse una messinscena dalla tranquillità dei nostri
amici, e allora Sirius ha offerto una pizza a lui, Remus e James, per
“…avere una buona scusa per continuare a parlare. La tua versione
non mi convince…”. E questo è
quanto. –
-Incredibile! Nient’altro?-
-Beh, papà ha dato il
permesso a Sirius di chiamarlo Mocciosus, ma solo quando sono in privato,
allora lui ha detto che gli serviva proprio una pizza con acciughe, capperi e
olive e una gran birra. –
-Bisognava prendere la telecamera…-
-Credo che Ramona abbia scattato
qualche foto col cellulare di nascosto… speriamo, così vedi anche
tu!-
L’atmosfera nella sala d’attesa del piccolo
ospedale magico di Modena era serena, o quasi. Vittoria aveva annunciato la
“rottura delle acque” poco dopo il mezzogiorno del 5 di agosto, perciò tutti i presenti in casa in quel
momento si era affrettati a raggiungere l’ospedale più vicino.
La sala d’attesa era piccola ma accogliente: vi si accedeva direttamente dall’entrata, una piccola porta
malmessa e fatiscente per i babbani, ma grande,
squadrata, spaziosa e di facile apertura per i maghi. Una giovane Medistrega, probabilmente appena entrata in servizio, era
di turno alla guardiola; le bastò un’occhiata per capire il motivo
della visita di quel gruppo numeroso. Frugò sul ripiano della sua
scrivania su cui campeggiava la targhetta in ottone con il suo nome e un immenso
registro; quello che cercava era una specie di altoparlante,
col quale comunicò ad un reparto interno l’arrivo di una
partoriente.
In un batter d’occhio arrivarono due alti infermieri
muscolosi, che evocarono un lettino e invitarono Vittoria a sdraiarvisi; non
rispose, intenta com’era nell’eseguire gli esercizi di respirazione
che le aveva consigliato Samantha, ma eseguì.
Dopodiché era scomparsa, fagocitata da una grande
porta di metallo.
Vittoria non aveva dato a Severus motivi
di preoccupazione ma, com’è logico pensare, il futuro padre era
teso e nervoso; camminava su e giù per la piccola sala d’attesa
già da un po’, mentre James e Remus lo rassicuravano e
intrattenevano. Sirius invece intratteneva la giovane Medistrega
dai capelli biondi.
I ragazzi, seduti su larghe e comode sedie argentate,
chiacchieravano oppure si guardavano intorno: tutta la stanza dava
l’impressione di asettico, prima del loro arrivo
per lo meno.
Dopo un’attesa che pareva interminabile, specialmente
per Piton, si udì un distinto rumore di passi al di
là della porta; poco dopo infatti apparve un infermiere
dall’aria gentile.
-Chi è il padre tra voi tre?- chiese indicando
Severus, Remus e James. Gli ultimi due risero sotto ai baffi,
mentre il loro amico si faceva avanti.
-Buone notizie! È un maschio ed è in perfette
condizioni di salute. Se vuole può andare a
trovare sua moglie, vedrà il bambino più tardi. –
Piton fece un cenno e andò accompagnato
dall’infermiere, mentre Remus e James tornavano a sedersi.
-Beh, Ramoso, siamo rimasti in due.
Bisogna che ci diamo una mossa, James potevo
tollerarlo, ma farmi battere da Mocciosus…- Sirius fece finta di
rabbrividire. I Malandrini risero di cuore, insieme con
Samantha.
I presenti attesero qualche minuto; anche la giovane Medistrega pareva leggermente eccitata.
Infine Piton riemerse con in
braccio un bel bimbo paffuto che si dimenava allegramente tra le sue braccia.
-Che bello! Fre,
abbiamo un fratellino, non sei contenta? Guarda quant’è carino!!-
-Tutto paffutino carino cicciottino!!-
-Bellissimo! Adorabile!-
-Odio i bambini…-
-Okay, adesso basta, lasciatelo
respirare!- la giovane Medistrega si fece avanti e
prese il bambino dalle braccia di Sara. –Lo terremo qui in ospedale per
un paio di giorni e poi lo avrete tutto per voi, d’accordo?-
I ragazzi e i Malandrini si separarono dunque da Piton, che
aveva deciso di restare ancora qualche tempo al fianco di Vittoria, e fecero ritorno a casa.
*
Cinque giorni dopo, di prima, ma molto prima,
mattina…
-Dai ragazzi, forza, prendete con voi il necessario,
costume, vestito elegante, shorts, ciabatte,
asciugamano, dollari, panini…-
-Sì, papà, abbiamo tutto, solo sgancia i
dollari…- Ramona guardò supplicante il
padre, che mise mano al portafoglio. –Quello non te lo dimentichi
mai, eh?- i presenti risero. Quella settimana era il turno di Giordano
da passare nella casa multiproprietà e, a quanto pareva, avrebbe passato
quel San Lorenzo da solo in una immensa casa. Eh
già, perché la figlia e gli amici se la sarebbero andata a
spassare in una qualche località marittima della Sicilia, in una festa
organizzata dalla scuola.
Perché festeggiare? Semplicemente perché la scuola restava aperta per un altro
anno. Già, l’esperimento di fusione tra elemento magico e
babbano sembrava riuscito.
-Beh, allora arrivederci…-
Una semplice Passaporta (ormai si
erano abituati) e, alle sette e trenta del mattino, furono in Sicilia, in mezzo
a una decina di compagni.
Scoprirono, con sorpresa, che quasi tre quarti dei ragazzi
non erano presenti, tra i quali Emma. Ritrovarono Desirée,
Elijah, Ilir e, con minor
gioia, anche Rosa. Ebbero circa mezz’ora o qualcosa di più per
fare colazione a piccoli gruppi mentre attendevano che tutti, ma proprio tutti,
fossero arrivati, poi si radunarono in spiaggia dove Silente, in tenuta da mare
(pantaloni al ginocchio e camicia), improvvisò un discorso.
-Cari ragazzi e colleghi, spero abbiate passato delle buone
vacanze in giro per il mondo. Io, se vi interessa,
sono rimasto a casa a meditare sui voti del prossimo anno… Dunque, come
ben sapete abbiamo organizzato questa piccola festicciola perché noi
professori sadici siamo ben felici di avervi al seguito un altro anno, giusto
per levarci la soddisfazione di appiopparvi qualche altro bel votaccio o
vedervi fare collages di parole durante le interrogazioni; ebbene: non so
quanto siate felici per la notizia in sé, ma so che siete entusiasti di
trovarvi qui, dico bene o dico giusto?- un coro di affermazioni positive si
levò dal piccolo gruppo di ragazzi. –Molto bene, me ne compiaccio.
Allora, prima di darvi il permesso di sgusciare via,
vorrei mettervi al corrente di alcuni piccoli particolari. I Presidi di alcune
tra le più prestigiose Scuole di Magia
mondiali, e dico mondiali, si sono riuniti alla nostra scuola di Bologna per
valutare il nostro progetto; hanno esaminato l’edificio, le vostre
pagelle, fatto il terzo grado ad alcuni miei colleghi, esaminato il resoconto
del programma svolto da ogni classe durante l’anno eccetera… Vi
dirò che quasi la metà dei “colleghi” odiava il solo
pronunciare il nome del nostro istituto e l’altra il termine
“babbano”, perciò potete farvi un’idea del clima che
si respirava. Se oggi siamo qui a festeggiare dovete
ringraziare tre vostri compagni, ovvero il signor Enrique e le signorine Elisa
ed Elisabetta. Dovrebbero essere tutti presenti se non erro… Vi dispiace
ragazzi venire qui un momento?-
Enrique ed Elisabetta si guardarono
abbozzando un sorriso; avevano tutti i nervi tesi e gli occhi di tutti puntati
addosso. La loro compagna Elisa era sul metro e sessanta
con lunghi capelli neri mossi, occhi scuri e leggermente a mandorla e
un’aria tremendamente simpatica.
I tre moschettieri dovettero mettere assieme un paio di
verbi e qualche complemento per mettere in piedi un discorso coerente, visto
che quel grand’uomo di Silente si era scordato i loro temi alla scuola di
magia. Poi, dopo l’immane vergogna (qualche professore si era anche
commosso, ad esempio la Tassi
che piangeva copiosamente sulla spalla della Parmigiani)
poterono mettere in stand-by il cervello e…
giocare a beach volley! Passarono la mattinata a giocare a pallavolo o a calcio
sulla sabbia e, verso le undici, ebbero il permesso di fare un bel bagno in
mare.
-Forza ragazzi! Via i vestiti e buttarsi!!-
Certo non ci fu bisogno di pregarli. E
intanto, i grandi…
-Ragazzi! Ma lo sapete che è una vita che non vado al mare? Eh, che dici Ramoso?-
-Beh… se Lunastorta è
d’accordo… si potrebbe anche fare…-
-Io? Beh… no, cioè…
solo se Severus vuole…-
-Ehi, perché adesso tirate sempre in ballo me? Però… se Lunastorta proprio
mi supplica…-
-I-io? No, io mai…-
-Va beh, ho capito. Voi due andate
e Lupin ed io facciamo due palleggi a calcio…-
-Perbacco! Mocciosus sa giocare a calcio? Perché
non l’hai detto prima? Ragazzi, recuperiamo un pallone, facciamo un due contro due. –
-E io?-
-Tu, Vittoria, puoi fare l’arbitro. Ma
non essere troppo parziale! Altrimenti ne cerchiamo un altro. –
Troppo presto fu l’ora di pranzo. Si misero tutti in
cerchio a sgranocchiare chi un panino, chi un pezzo di pizza, mentre Silente
snocciolava le sue barzellette. Poi, finito il pranzo al sacco, quasi tutti si
stesero al sole, carezzati da una lieve brezza.
Il mare era calmo, cristallino, con lievi sfumature verdi;
il fondale era basso per i primi metri, poi scendeva rapidamente fino a che il
fondo non era più visibile e non lo si riusciva
più a toccare nemmeno con le punte dei piedi. Qualche gabbiano volava
qua e là, abbastanza vicino alla riva, in cerca di qualche piccolo pesce
argentato. Potevano permetterselo senza essere disturbati, perché la
spiaggia era deserta a parte la scarna scolaresca.
Quel pomeriggio fu solo di divertimento.
Verso le otto iniziò l’allestimento di un grande falò, che venne acceso solo quando il buio fu
completo. Furono improvvisate danze, canti e, immancabili, vennero
raccontate storie di paura; furono fatti diversi e divertenti giochi con
effetti speciali, scherzi ai professori e lunghissime partite a carte.
Verso le undici DJ Sirius si mise all’opera, sparando
dischi su dischi di musica dance, pop e hip-hop. Giada si autoproclamò
animatrice, trascinando Sara (rientrata per l’ennesima volta) e Ryan con
sé.
Ramona ed Enrique si erano allontanati dal frastuono,
passeggiando mano nella mano sul lungomare. Non
dissero nulla fino a quando non furono abbastanza
lontani, quando la musica era solo un roco bisbiglio.
-Che c’è? Un gatto ti
ha mangiato la lingua?-chiese Ramona fermandosi.
-Stavo cercando le parole giuste, ma non sono riuscito a
trovarle. –
-Le parole giuste per cosa?-
-Per… non lo so. Andiamo a farci un bagno?-
-Adesso?-
-Sì, ora, immediatamente. Il bagno
di mezzanotte, quando abbiamo tutto il mare solo per noi. –
-Ma non ho il costume…-
-Lo si fa nudi, di solito…-
-Acc… è vero. Prima
tu!-
-D’accordo. Tu però voltati, potrei
arrossire…-
Ramona si voltò e percorse qualche metro. Dietro di
lei, il frusciare dei vestiti, rumore troppo invitante… si voltò
per una frazione di secondo, mentre Enrique si stava disfacendo
dei boxer. Non vide molto, ma il solo essersi voltata le modellò la
faccia fino a formare un sorriso, quasi un ghigno.
-Forza, ora tocca a te!- la informò Enrique.
-D’accordo, però tu vattene. –
-Okay mia graffiantemiciona…-
Enrique si portò a qualche metro di distanza, mentre
Ramona lottava disperatamente con la sua maglia troppo larga. Anche lui
sbirciò, proprio mentre la ragazza si stava
slacciando il reggiseno…
Quando la sua compagna fu libera dall’impiccio dei vistiti, Enrique prese un bella rincorsa e si buttò
in acqua, contento come una Pasqua.
Giocarono qualche minuto in mezzo
all’acqua salata, cercando di affogarsi reciprocamente, poi, a mezzanotte
in punto, si scambiarono un lunghissimo e caldo bacio. Entrambi si scordarono dell’acqua fredda che lambiva la loro
pelle, anzi sembrò loro di trovarsi nel luogo più caldo del
mondo.
“A terra”, intanto, l’allegro
chiacchiericcio tra Elisabetta ed Harry si spense quando
Draco chiese al ragazzo un momento per scambiare due parole.
-Possibile che tutti abbiano bisogno di lui? Cosa devo fare per stare un’ora in santa pace col mio
ragazzo?- si chiese a voce alta la ragazza, rivolgendosi inconsciamente a
Draco, il quale fece spallucce con aria veramente dispiaciuta.
-Potter…- iniziò il biondo quando si furono allontanati a sufficienza. -…
Harry, ho bisogno del tuo aiuto…-
-Dev’essere qualcosa di
grosso se mi chiami per nome!-
-Di… di…- ma il suo sguardo lo tradì,
perché condusse Harry dritto fino a Giada.
-Oh… In cosa posso esserti utile?-
I due combinarono un rudimentale piano
operativo, poi Draco ringraziò l’amico.
-Grazie, Harry. Sei la prima persona che mi aiuta dopo
Severus. –
-E tu sei il primo Malfoy simpatico
che conosco. Buona fortuna. –
Draco si avviò verso l’improvvisata pista da
ballo; Giada sentì il proprio cuore allargarsi a
ogni suo passo, ma venne brutalmente delusa quando il ragazzo la
oltrepassò. Il biondo infatti si stava
dirigendo verso un’Elisabetta sdraiata sulla sabbia in attesa di Harry.
-Balleresti con un Malfoy? Un Malfoy che vuole ripagarti per
averti rapito Potter?-
Elisabetta lo guardò dubbioso, non sapeva dove voleva
andare a parare, ma poi le venne un’idea e acconsentì
sorridendogli.
-Io ballerei con Draco. –
-E sia. –
Quando Draco bisbigliò qualcosa a
Elisabetta, Giada s’incuriosì; quando Elisabetta gli sorrise, si
sentì avvampare; quando Draco aiutò la sua amica ad alzarsi
porgendole la mano credette di impazzire e infine,
quando li vide ballare, si sentì morire.
-Non hai paura di far ingelosire Potter?- chiese Draco.
-No, anzi. Così magari passerebbe un po’
più tempo con me. –
-Ah ah! Giochi sporco…-
-Dove sta scritto che non posso?
È dall’inizio delle vacanze che mi ignora.
–
-Strano che tu sia capitata in Grifondoro.
A pelle mi sembri degna di Serpeverde…-
-A volta me lo chiedo anch’io. Ma
non rimpiango nulla, sarei morta tra le Serpi: molti sono antipatici. Desirée no, però…-
-Ehi, potrei offendermi…-
-E perché? Se tutti i
Serpeverde fossero stati come te, avrei supplicato il Cappello Parlante per
farmi assegnare lì!-
-Intendi dire se tutti fossero
belli, simpatici e affascinanti?-
-Modestia a parte, eh? Oh, ma guarda, Harry sta arrivando! Perché non vai a ballare con Giada, mentre io gli
spiego l’accaduto?- e fu così che Draco si ritrovò a ballare
con Giada, dopo che la sua precedente partner di ballo lo aveva trascinato fin
da lei.
Giada era ancora troppo scottata anche solo per guardarlo
negli occhi; tremava quasi dalla gran rabbia.
-Ehi, ma che hai? Stai tremando… hai
freddo?-
-No, no… sto bene. –
-E allora? È
una festa, siamo qui per divertirci. Dai, shakera
i fianchi!-
Giada quasi rise in faccia al biondo
quando questi iniziò a dimenarsi come un matto senza andare a
tempo con la canzone.
-No… no! Stai sbagliando tutto!!
Guarda, si balla così: destro avanti, poi il sinistro, e…-
Draco, rapito, si lasciava trasportare dall’entusiasmo
della sua giovane partner, anche se a stento riusciva a seguirla, anzi, in
verità l’unica cosa che gli interessava erano…
-Ehi? Ehi, Draco, sei in questo mondo? Che
stai guardando?-
-Uhm? Niente, volevo capire una cosa…-
-E ci sei riuscito?-
-Uhm… sì. Sì, credo di sì.
–
Giada gli sorrise. –Uno di
questi giorni me lo dirai?-
-Forse… ma sì, un giorno forse…-
Eh, sì. Fu una serata strana… qualche studente
dall’occhio di lince notò che il gelido professor Severus Piton
camminava lentamente per la spiaggia con in braccio un
neonato e Vittoria Chiodo al suo fianco. Poterono notare anche una scatenata Sara ballare con due ragazzi
contemporaneamente, o una malinconica Elisabetta ritrovare il sorriso grazie a
chissà quale battuta di una sempre pimpante Elisa. Infine,
un sorridente Harry Potter che giocava attorno al falò con un grosso
cane nero. Eppure, nascosta agli occhi di tutti,
Francesca piangeva…
*
Il giorno dopo, i ragazzi si ritrovarono nei rispettivi
letti.
-Ehi, servizio completo, eh?-
-Già, Silente è proprio un grande! Ancora una Passaporta e giuro che scoppiavo!-
-Ma Francesca dov’è?-
-Già, dov’è? Non era in camera con
nessuno di noi…-
-Sta a vedere che Silente l’ha lasciata
là… Se è così giuro che gli tiro il collo…-
-E non è tutto! Manca anche
Manuel…-
Il gruppo non completo si affrettò a scendere; di
sotto, Remus e James stavano preparando la colazione per tutti, mentre Sirius
leggeva il giornale.
-Dove sono mamma e papà?-
chiese loro Elisabetta concitata.
-Di là, in sala. È da un po’ che sono
lì, è successo qualcosa?-
-Proprio quello che vorremmo scoprire…-
La ragazza si diresse a passo di carica verso la porta
chiusa della sala, quasi volesse sfondarla a mo’ di ariete;
bussò e senza attendere la risposta entrò, seguita dagli amici.
-Dov’è mia sorella?-
chiese a brutto grugno.
Severus e Vittoria si guardarono preoccupati.
-Ehm… eh
eh… In America…- rispose Piton passandosi una mano sul
collo.
-C-come? Cioè,
mi volete dire che… MIA SORELLA STA ALL’ALTRA CAPO DEL GLOBO?? E
voi sapete già tutto?!-
-Sì, ma lascia che ti spieghi…- Vittoria si alzò, avvicinandosi alla figlia adottiva in modo che
non scappasse.
-Trova dei buoni argomenti allora. -
-Bene. Dunque, i genitori di Manuel
hanno definitivamente divorziato e il vostro amico è stato affidato alla
madre, che già da tempo covava il desiderio di volare oltreoceano ed
è stata irremovibile: lui l’avrebbe seguita. Di conseguenza,
siccome Francesca era… ehm… la sua… fidanzata… ha
deciso di seguirlo. – riassunse Piton
-Lei, ha deciso… Ma che razza di genitori siete?- ribatté Elisabetta.
-C-come?-
-E che ca**o, l’avete
lasciata andare così, e via! Adesso posso anche chiedervi di dare fuoco alla casa e voi me lo permetterete!- sbottò
la ragazza.
-No, aspetta, tu non capisci…-
iniziò Vittoria.
-Cosa, uhm? Cosa non capisco? Che al primo capriccio l’avete lasciata andare? Che
non rivedrò più la mia fott**a sorella per il resto della mia
vita?-
-Ma che vai dicendo? Certo che la rivedrai!-
-Sicuro, ‘sti
ca**i… Lei si è dimenticata di me! La odio. –
La discussione terminò lì, quando Elisabetta
corse su per le scale e si rinchiuse nella stanza che condivideva con Ramona.
Si buttò di peso sul letto e prese a pugni il
cuscino, singhiozzando. Si sentiva, più d’ogni altra cosa,
tradita, e offesa. Tradita e offesa dalla sorella che aveva
deciso di andarsene via, senza neanche dirglielo di persona. Tradita anche da Manuel, che gliel’aveva portata via.
-Elisabetta…- chiamò
piano Remus, la persona più indicata per quel genere di situazioni.
-…dai, esci, ti ho portato la colazione…-
-Non me ne frega, non ho fame.
Vattene, non costringermi a prendermela con te. –
-Potrò sopportarlo. Vuoi dirmi
almeno cos’è successo?-
-Come, non lo sai già? Piton non te l’ha
già detto? Credevo di essere l’ultima ad averlo scoperto, visto
che sono la diretta interessata…-
-Permettimi di entrare e dimmi tutto. Altrimenti, ti
ascolterò anche da qui. –
Remus attese un po’, mentre la ragazza rifletteva.
Poi, udì il rumore delle molle del letto e di passi strascicati; la
porta si dischiuse…
-Se proprio hai intenzione di
rompermi l’anima, almeno non rendere partecipe tutta la casa dei nostri
discorsi… entra. –
Remus sorrise a Elisabettae sgusciò all’interno della
stanza.
-Ehi, lo sai che hai posta?- le chiese, contemplando una
busta bianca appoggiata sulla scrivania.
-C’è posta per me? E
chi può mai essere? Un suicida forse…-
Ma in cuor suo la ragazza
già conosceva l’identità del mittente: sua sorella.
Immaginava che in quella busta ci fossero racchiusi i
segreti del suo allontanamento, i nomi dei colpevoli del suo malumore, e allora
ebbe paura, paura di leggervi il proprio.
Con mani tremanti aprì la busta, estrasse il foglio e
lo spiegò, poiché era piagato in quattro.
-Cara Elisabetta…- iniziò a leggere,
ma Remus la fermò.
-Non occorre leggere ad alta voce…-
le disse.
La ragazza lo guardò un momento, poi si sedette sul
letto e mise a fuoco la calligrafia di Francesca, così familiare che
avrebbe potuto riconoscerla tra mille scritti.
Cara Elisabetta,
se adesso stai leggendo
queste righe probabilmente sono già negli Stati Uniti.
Dopo due settimane di tribolazioni sono finalmente
riuscita a capire che il mio posto è qui, vicino a
Manuel. Non rammaricarti della lontananza, conserverò sempre un bel
ricordo di te e dei nostri amici, di Severus e di Vittoria,
ma questa vita non fa più per me. Prima o poi ci saremmo dovute
separare, e in parte era già accaduto quando abbiamo iniziato a
guardarci intorno e a sceglierci le nostre amicizie. Io ho solamente affrettato
i tempi, consapevole di aver reso il distacco più difficile per
entrambe.
Sii felice con Harry e goditi i genitori che hai sempre
sognato, sono sicura che ci rivedremo presto.
Con affetto,
Francesca
Ps.:
ti ho lasciato una cosa molto importante nascosta nell’armadio. Quando vedrai capirai. Fanne buon uso.
Certo che le vacanze sono passate
in un lampo…mi sembrava ieri che ero partita, ed oggi sono già a
casa!!! Beh, basta perdermi in sproloqui inutili!!! Vi è piaciuto questo
chap?! Fatemi sapere mi racc!!!
X Diavolettadark, NemoTheNameless e Alyssa4: Lily non è tornata in
vita perché praticamente si è suicidata
per salvare la vita ad Harry…mentre Sirius e James no…ora
è chiaro?
Diavolettadark: sì, James ha ancora gli anni di quando
è morto…
Agosto pareva non avere mai termine, nonostante fosse appena
iniziato.
Elisabetta stava lentamente abituandosi all’assenza di
sua sorella, Sirius alla presenza di Piton.
Sara fece ritorno verso la metà del mese, con addosso un kimono, ai piedi un paio di infradito e sulla
spalla, a mo’ di trofeo, una cintura. La prima cintura di karate, per la precisione.
Era euforica, ogni tanto se ne usciva con qualche battuta
giapponese e tirava calci all’aria, ma era davvero l’unica. Una
leggera cortina di tristezza aleggiava sinistra su quella casa, rendendo i
pomeriggi meno caldi e il sole più offuscato.
I più utilizzarono quei giorni per ultimare i compiti
e dedicarsi al ripasso, proporre qualcosa di alternativo
sarebbe stato inutile.
Dopo Ferragosto però qualcosa si mosse. Harry indisse
una riunione molto speciale del C.AP.R.I. a cui parteciparono anche Severus e Vittoria, mentre
Elisabetta, ignara di tutto, giocava col suo fratellino Constantine.
Era molto affezionata a lui, soprattutto perché quando stavano assieme
riusciva a distrarsi per un attimo dal pensiero della sorella lontana. Inoltre,
se il piccolino portava quell’insolito nome era
a causa sua…
-Mamma, io esco, vado a fare un
giro. – aveva gridato un uggioso pomeriggio di una settimana fa.
-Devi proprio? Ho bisogno di una mano per trovare un nome al
tuo fratellino…- le aveva gridato di rimando
Vittoria dalla cucina, dove stava discutendo con il futuro marito.
-Faccio presto, noleggio “Constantine”
per stasera e torno. –
Vittoria era rimasta subito
folgorata da quel nome e aveva mosso mari e monti per convincere anche Piton.
-Ma… mamma, guarda che Constantine è il cognome… il tipo di nome fa John!- aveva protestato Elisabetta.
-Uffa, non ti ci mettere anche tu!-
-Scusa ma io mi preoccupo già
del futuro di mio fratello, quando i suoi amichetti gli chiederanno come si
chiama e lui si vergognerà a morte!-
-Sì, si vergognerà a morte
di portare il mio cognome…- Piton pareva abbacchiato.
-Stai scherzando vero? Diventerà famoso invece! Solo
che con un nome così… allora io vado, sembri irremovibile…
ricordati che io tifo per Michelangelo, è bellissimo come nome. A
dopo…-
-Beh, alla fin fine Constantine
non è così male come nome, no?- Elisabetta guardò dubbiosa
il suo fratellino, bloccando il flusso dei propri pensieri. Dormiva.
-Sai, tortellino, mi assomigli
molto. Mi ricordi tanto me stessa durante le ore di Storia della Magia…-
E intanto, mentre la ragazza
parlava al suo fratellino addormentato, al piano di sopra la super riunione
aveva termine…
*
-Ah, ragazzi, non so cosa farei senza di voi!!- esclamò Elisabetta, in bikini e con gli occhiali
da sole, apprezzando il sole di fine agosto.
Il grande piano di Harry era
più o meno quello di fare una vacanza al sole, ma la soluzione era
giunta, inaspettata quanto gradita, da Sara: la ragazza infatti aveva ricevuto
già da una settimana un invito da parte di un amico conosciuto in
Giappone durante un corso di arti marziali, tale Andrè,
a cui si associava il fratello di questi, François.
I due fratelli avevano a disposizione la casa fino all’inizio del nuovo
anno scolastico, poiché i loro genitori era
fuori per lavoro, così avevano chiesto a Sara e ad eventuali amici di
allietare i loro “tristi” giorni solitari. Mettendo tutti i puntini
sulle “i”, la loro casa si trovava ad
Ibiza, il posto meno solitario della Terra.
I genitori della ragazza, di Ramona, di Enrique,
di Elisabetta, di Giada, di Ryan e di Harry (Draco era più che autonomo
di scegliere) acconsentirono a lasciarli andare, solo dopo aver dato loro raccomandazioni
di ogni genere. Così, gli otto amici si ritrovarono catapultati in una
specie di universo alternativo contenuto nella
hawaiana villa di Andrè e François.
I due fratelli erano alti (taglia da
basket) e dal fisico asciutto, avevano folti capelli ricci e scuri tanto
quanto gli occhi e folte sopracciglia. Ad un primo impatto potevano sembrare
alquanto diversi, se non nell’aspetto allora nel carattere, ma se,
essendosi prefissati un obiettivo comune, decidevano di allearsi, un ghigno
serpeggiava sulle loro facce e si allargava alla stessa velocità.
Andrè era un provetto
ballerino, come aveva dato prova di essere sin dal
primo giorno accostando un balletto di danza classica ad uno di break dance,
mentre il fratello si dilettava con la batteria.
Le giornate sull’isola di Ibiza
erano morte; la gente se ne stava rintanata nei bar oppure in camera a dormire
per ricaricarsi ed essere pronti per una notte di sballo. Non era raro
sorprendere i ragazzi sonnecchiare stesi al sole alla tregua di lucertole sull’ampio
terrazzo che dava sulla piscina, macchie colorate sull’intonaco bianco
della villa.
Gli adolescenti erano assolutamente liberi di fare
ciò che più li aggradava: prendere il sole in terrazza, farsi un
tuffo in piscina, bere bibite gassate e sgranocchiare patatine o fare la lotta
con i cuscini, badando però di non danneggiare nulla.
La sera Ibiza si trasformava: diveniva la patria del casino
più totale, della vita notturna (non dei vampiri!), degli alcolici,
della musica a tutto volume e delle piccole risse. François
aveva scoperto da tempo l’esistenza di un locale tutto sommato tranquillo
(per quanto potesse essere un locale notturno) nel quale si incontravano
ragazzi dai quindici anni ai venti massimo, dove si poteva ballare e, se
c’era qualche intraprendente giovanotto, suonare e cantare dal vivo.
Iniziavano ad uscire verso le dieci e mezza per raggiungere
il locale cinque minuti dopo; il pieno si raggiungeva verso le undici e mezza,
quando le luci calavano e iniziava la discoteca. I ragazzi potevano chiedere ai
baristi anche bibite a basso tenore alcolico, che venivano
registrate accuratamente e quando il proprietario decideva che erano
sufficienti, smetteva di elargire.
A Sara piaceva molto il locale, pieno di
gente interessante… a volte si rammaricava quasi di essere
già fidanzata! Era sempre la prima a lanciarsi nelle danze, riconosciuta
persino dal dj, e aveva anche una gran resistenza.
Anche Draco amava l’atmosfera di Ibiza;
più volte era stato invitato a ballare da ragazze molto carine, forse le
più carine dell’intero locale, e lui aveva accettato senza
esitazione. Giada e Harry avevano però il piacere di vederlo tornare
dopo mezz’ora al massimo.
-Ti è andata male come al
solito?- soleva chiedergli Harry.
-Mpf, era solo una sciacquetta… Per niente interessante. – soleva
rispondere Draco.
A metà settimana Ramona perse le staffe; si
staccò violentemente da Enrique e a passo di carica si diresse da Draco,
che stava ballando con una biondina.
-Sciò, vattene!- intimò
alla ragazza, prima di prendere sottobraccio il ragazzo e dirgli un paio di
cose.
-Carissimo, la vedi quella bella ragazza con i riccioli
castani? Si chiama Giada, ha la mia età ed è single.
Che ne dici di invitarla a ballare? Tanto ormai le
bionde te le sei passate tutte…-
-Passate? Ehi, sembra quasi che me le sia portate a letto!!- protestò il biondino.
-Conoscendoti ne saresti stato capace, anzi, mi chiedo come
tu abbia fatto a resistere tutto questo tempo… ma
guarda, penso di avere indovinato… chiedi di ballare alla risposta alla
mai domanda, per favore! Altrimenti ti perseguiterò per il resto della
serata, parola!!- Ramona, irremovibile,
incrociò le braccia al petto con sguardo minaccioso rivolto
all’uomo dagli occhi di ghiaccio.
-E va bene, forse hai ragione. Sono
stato un cog**one a non averglielo chiesto prima.
–
Risoluto, Draco raggiunse Giada,
seduta con Elisabetta ed Harry; quest’ultimo ammiccò rivolto al
biondo. Incurante, Malfoy s’inchinò e fece il baciamano a Giada facendo seguire la richiesta.
-Vuoi ballare?-
-Con piacere. –
I due si allontanarono mano nella mano
e occhi negli occhi, mentre Elisabetta ed Harry quasi rischiavano di cadere
dalle rispettive sedie per il gran ridere.
-Come mai questa richiesta improvvisa?-
chiese casualmente Giada, cercando di non far trasparire la sua palese
curiosità.
-Ho soltanto pensato che fosse giunto il momento di chiedere
di ballare all’unica persona che mi interessava
veramente e che non avevo ancora invitato. – rispose altrettanto
casualmente Draco, con grande naturalezza.
Giada arrossì e si concentrò sul ballo,
fissando insistentemente la punta delle scarpe.
-Che ne dici se io e te… uhm… ci conoscessimo meglio? Voglio dire, siamo appena conoscenti,
eppure trovo la tua compagnia estremamente
interessante. – continuò imperturbabile Draco, facendo apparire il
suo discorso assolutamente naturale e appropriato.
-A-ah sì?-
-Sì. –
I due continuarono a ballare per alcuni minuti, prima che
Draco parlasse di nuovo.
-Non sono uno stinco di santo, sono piuttosto cattivello,
anzi, ma spero che questo non pregiudichi il nostro rapporto. Quando ho visto
te e i tuoi amici mi sono guardato attorno e ho capito di essere
solo, davvero solo. Alla mia età è brutto sentirsi soli, a
venticinque anni un ragazzo dovrebbe avere un gruppo di amici
e una ragazza, perciò mi sono detto che fare lo str**zo forse non
è stata la scelta migliore della mia vita. –
-P-perché
mi stai dicendo tutto questo?-
-Perché vorrei, se tu me lo
consenti, ricominciare da qui, con te. –
-Questo cosa significa?-
-Significa che ti sto chiedendo di essere
mia amica e la mia ragazza. – il viso di Draco era angelico e sorridente,
ma gli occhi tradivano una ferma decisione e Giada fu sicura di non essere
presa in giro. Annuì senza proferir parola, ancora troppo sconvolta e
felice per poter articolare qualsiasi suono. Al suo muto consenso Draco
l’abbracciò strettamente tanto da far combaciare la sua riccioluta
testa con il proprio petto.
-Ah ah ah! Lo sapevo che se si impegnava poteva riuscirci! È
sveglio quel ragazzo…- sghignazzò Ramona vuotando il proprio
bicchiere di cola.
-Anche troppo per i miei gusti. Con
lui in giro dovrò marcarti stretto!- ribatté
Enrique senza prendersi sul serio.
-Allora da adesso in poi dovrò nascondermi meglio
durante le scappatelle notturne. – esclamò Ramona ributtandosi nella
mischia e lasciando dietro di sé il confuso Enrique.
Elisabetta ed Harry intanto erano stati raggiunti al tavolo
da Ryan, che aveva un’aria piuttosto… irritata. Di Sara neanche
l’ombra.
-Ehi Ryan, che muso! Dov’è
Sara?- gli chiese automaticamente Harry.
-Tsk, sta
ballando con quel François… Mi sta
d’un sulle ba**e! Non lo posso proprio vedere, insomma. –
-Va beh, lo sai che Sara si fa trasportare
dall’entusiasmo, però poi torna sempre. – Elisabetta gli sorrise.
-Sì, però quando non ha scocciatori intorno
sono più contento. – s’intestardì Ryan.
-Che vuoi farci, è una bella ragazza: è
normale che i mosconi le ronzino attorno!- Harry fece spallucce.
-Guardate! No, dico: guardate! Non ce la faccio, io non ce
la faccio: adesso vado là e lo gonfio di botte!!-
-Sta calmo, non sta facendo niente
di male! La sfiora appena. –
-E adesso? No, anche
quell’altro suo fratello! Quand’è che quest’incubo
avrà fine?- ululò disperato Ryan.
Elisabetta arrossì, poiché era stata lei, più
o meno, che aveva fatto sì che Sara li trascinasse ad Ibiza.
-Ancora due giorni, coraggio. Sabato saremo
di nuovo in Italia…- lo incoraggiò Harry battendogli una
pacca sulla spalla.
Mentre i due ragazzi discutevano di donne, Elisabetta tenne
d’occhio i movimenti di François; che
fosse un dongiovanni le era stato detto, però,
con una ragazza fidanzata… si rigirò nella sedia, agitata, appena
vide il ragazzo avvicinarsi. Pregò fino all’ultimo che le passasse accanto ignorandola, ma le sue speranze furono
disattese.
-Harry, non ti dispiace, vero?- chiese
accennando alla ragazza. Elisabetta diede ad intendere ad
Harry che non aveva nessuna intenzione di andare con lui, ma il ragazzo sorrise
e annuì. Mentre si portava via Elisabetta,
quest’ultima scoccò una furente occhiata ad Harry e si
passò l’indice attorno al collo.
-Lo fai per consolarmi?- chiese Ryan, ancora più
avvilito.
-Eh, sì. –
Era ancora più depresso di prima. Non si considerava particolarmente geloso, però… quei due
ragazzi proprio non gli andavano a genio, specialmente François. Come faceva Harry ad essere così
tranquillo? La sua totale assenza di preoccupazioni lo indisponeva ancora di
più.
-Perché non le prepari
qualcosa di speciale per il suo compleanno? Di sicuro lo apprezzerà.
– suggerì Harry.
-Sì, questa sembra una buona idea.
Sempre che non ci abbiamo già pensato
loro…-
-In tal caso, li terremo occupati. –
-Tu e chi?-
-Io e Draco, ovviamente. -
-Va beh, se lo dici tu…-
*
-Io odio Harry Potter!!-
-E dai, Betta, è a fin di bene… hai già
fatto un regalo a Sara!-
-Uhm! Quanto li odio, quei due! Anzi, quei quattro!! Odio Harry perché è troppo buono, Draco
perché si lascia persuadere da Harry troppo facilmente e François e André
perché rompono e basta!-
-Mazza quanto la fai lunga! Rilassati, non sei mica da sola. –
-Vorrei essere con Mr. Harry_non_ho_tempo_da_dedicare_a_te_Potter,
ogni tanto! Ha sempre qualcosa da fare, sempre qualcuno a cui salvare il c*lo…-
-Eh, a prenderli famosi…-
-Sì, sì… a prenderli buoni! Troppo
buoni. –
Elisabetta stava tirando mille accidenti a Harry da un buon
quarto d’ora, mentre gli amici cercavano di tirarle su il morale,
peggiorando la situazione. Il suddetto Potter aveva mantenuto fede alla promessa fatta qualche giorno prima a Ryan e stava
intrattenendo, con l’ausilio di Draco, François
e André; Ryan intanto se la spassava con Sara,
ma i ragazzi erano all’oscuro di cosa stessero facendo e dove fossero.
I due piccioncini erano, in
effetti, sulla spiaggia: Ryan vi aveva accompagnato Sara verso le nove di
quell’assolata mattina del 30 agosto.
Entrambi avevano dovuto frenare la
forte voglia di fare un tuffo subito, ma avevano… impiegato bene il
tempo.
Sdraiati su due stuoie affiancate, avevano camuffato la loro
attività preferita chiamandola “prendere il sole”.
L’irriverente Sara, infatti, trovava molto divertente rotolare sulla
pancia di Ryan più volte e senza preavviso; i due finivano poi la
piccola lotta con tenere effusioni.
-Non voglio che stai con quelli là…- disse ad un tratto il ragazzo.
-Beh, ma non faccio niente di male!- protestò
Sara.
-Lo so, però…-
-Sei geloso!- cantilenò la ragazza.
-Non è vero!!-
-Sì che è vero! Chi arriva ultimo in acqua
è una cozza!!-
Di nuovo, senza preavviso, Sara aveva messo alla prova il
ragazzo accaparrandosi un notevole vantaggio. Vantaggio che non le fu
sufficiente, poiché Ryan si buttò sopra di lei e insieme rotolarono in acqua.
-Comunque ho vinto io!-
esclamò Sara.
-Nei tuoi sogni! Sei sleale…-
l’accusò Ryan.
-Solo perché so che mi vuoi bene!-
-Uhm… e chi te lo dice?-
Giocarono in acqua per una buona oretta,
poi decisero di risalire ad asciugarsi. Si abbrustolirono fin verso
mezzogiorno, quando tornarono a casa.
Stavano ridendo come sciocchi,
quando Ryan bussò alla porta della villetta; dall’interno si
sentivano distintamente dei passi e alcuni bisbigli, poi il rumore di una chiave
che girava nella toppa…
-SORPRESA!!- gridarono
all’unisono gli amici, Ryan compreso: la casa era stata addobbata a
festa, con striscioni, palloncini, stereo per la musica, coriandoli e stelle
filanti.
NemoTheNameless e Diavolettadark: penso vi ci dovrete abituare…
Ibiza era veramente un posto da favola; tutti erano super
abbronzati e Sara, dato che aveva appena compiuto quindici anni, si sentiva
più euforica che mai. Purtroppo però le belle avventure hanno un
termine, e quella spagnola di certo non contravvenne alle regole: il 5
settembre sarebbe iniziato il nuovo anno scolastico e la mattina del quattro
avrebbero dovuto prendere il treno, perciò il primo settembre sarebbero
dovuti tornare a casa.
-Ma non si farebbe prima ad andare direttamente a scuola?-
aveva chiesto Sara.
Certo però non intendeva andarci il primo settembre,
bensì prolungare il soggiorno a Ibiza e andare direttamente a scuola il
4, però… Fatto sta che si materializzarono il primo settembre alla
scuola di Bologna.
-Ma porca miseria, io intendevo stare altri tre giorni al
mare!!- aveva mugugnato Sara.
-Tanto ormai siamo qua, mettiamoci comode e disfiamo le
valigie…-
-…e andiamo a fare un salutino a Silly…-
Dall’interno la scuola non sembrava cambiata affatto,
in realtà però non sapevano quanto…
Salirono le scale fino al terzo piano, dove sapevano essere
le stanze dei professori; la più isolata era quella appunto del Preside,
solo che…
-Camera della perdizione? Ma che storia è?- si chiese
Ramona leggendo il cartello appeso alla porta.
-Bisognerebbe specificare per chi è la
perdizione… avrei una vaga idea… dai, bussiamo!-
Bussarono. Si sentì il distinto rumore di una sedia
che si spostava e di passi in avvicinamento.
-Oh, buongiorno!- salutò Aberforth Silente.
-Ehilà Preside! Grande Mago!! Allora, come va la
vita?-
-Ragazze! Che piacevole sorpresa… a cosa devo questo
onore?-
-Alla lingua lunga di Sara… avremmo potuto essere
ancora a casa a quest’ora!-
-Oppure a Ibiza, chi non risica non rosica!!-
-Fatto sta che peggio di così non poteva
andare…-
-Beh, non tutto è perduto. Potete ancora scegliervi
le camere migliori!-
-Le camere?-
-Come, Severus e Vittoria non ve l’hanno ancora
detto?! Rifaremo lo Smistamento e cambieremo i nomi delle Case!-
-Ah… e ce lo dice così, a brutto grugno…-
-Già. Andate a sistemarvi, dirò alle otto di
farvi portare qualcosa da sgranocchiare…-
-Grazie Preside. –
Girovagarono un po’ per i piani alti del castello, poi
si decisero a scendere al primo piano, dove una volta erano le Sale Comuni
delle quattro Case. In effetti trovarono ancora le quattro famose porte, ma gli
stemmi erano spariti, così decisero di requisirne una a caso e
sistemarvisi; perlustrarono comunque gli altri tre alla ricerca di Enrique e
Ryan, ma di loro nessuna traccia. In effetti, iniziavano a preoccuparsi.
Girarono a vuoto per un’altra mezz’ora quando,
finalmente, scorsero Pasquale in lontananza.
-Pasquale, ehi, Pasquale!!- gridarono.
-Chi è la? Ueh, signorì! Salve. Che ci fate in
giro di questi tempi?-
-Ciao Pasquale, è una lunga storia. Per caso hai
visto in giro Enrique, un tipo biondo… e Ryan?-
-No, non credo proprio. Dovrei?-
-Ah, beh, lascia stare, grazie lo stesso. Ci vediamo, ciao.
–
-Ci si becca in giro, signorì!-
-….?-
Il mistero s’infittiva. Perlustrato il primo piano,
decisero di setacciare il pian terreno; sentirono un allegro canticchiare
provenire dai dintorni della Biblioteca e…
-Voi!-
-Lei!-
Quattro deluse studentesse stavano dirimpetto a una quanto
mai sorpresa Roberta Parmigiani.
-Allora? Qual buon vento?- chiese quest’ultima.
-Niente, cercavano quei due sfasati di Ryan ed Enrique, li
ha visti per caso?- chiese Ramona.
-Buon Dio, altri studenti in giro per il castello? Ma
Silente lo sa che siete qui?-
-Tranquilla prof., lui sa sempre tutto. Allora, li ha visti?
Ed Harry?- stavolta era Elisabetta.
-Non li ho visti nel modo più assoluto. Ma,
già che ci siete, perché non mi date una mano a…–
-Ehm… ragazze, non sentite che ci stanno chiamando?
Devono essere quei due… ci scusi professoressa, un’altra
volta… arriviamo!!- Sara salvò in extremis il gruppo da una fine
ormai certa grazie alla sua brillante recita.
Altre voci provenivano dalla vicina Sala Grande, sempre che
fosse ancora intatta…
-Lei?-
-Voi!-
Quattro deluse studentesse stavano dirimpetto a una quanto
mai sorpresa e allegra professoressa Tassi.
-Ciao ragazze, non vedevate l’ora di tornare a
scuola?-
Tre occhiatacce disintegrarono virtualmente la povera Sara.
-Allora?-
-Professoressa, non è che per caso ha visto Enrique e
Ryan, ma proprio per sbaglio…-
-Enrique? Ryan? E chi sarebbero? Amici vostri…?-
-Lasciamo perdere. Grazie professoressa. –
-Di nulla!-
Esasperate, le quattro ragazze decisero di separarsi con
rientro tassativo alle sei alla loro stanza.
Sara continuò a perlustrare il pian terreno. Ad un
certo punto credette di aver visto un ragazzo di spalle; si avvicinò
furtivamente e lo prese per le spalle.
-Scusa…-
-Uhm?- quando il tipo si voltò, Sara constatò
con orrore che non si trattava di un ragazzo… era un uomo fatto e finito
sulla quarantina, alto più o meno quanto lei, capelli neri dal taglio
corto e il pizzetto.
-Scusi… non è che… così, per caso,
a tempo perso… avrebbe visto due ragazzi della mia età?-
-Uhm? E tu chi sei?-
-Ah, io son… ma scusi, chi è lei!?-
-Certo, perdona
la mia scortesia. Sono il nuovo insegnante di Divinazione, segui il mio corso?-
-Ehm…
ah… uhm…?? Divinazione? Sì, credo…-
-Sono contento per te, è una materia a dir poco
affascinante…-
-Ehm… non sente che mi stanno chiamando? No, questa
l’ho già usata… Ehm, devo andare, i miei amici mi
aspettano…-
-Molto bene allora, penso che ci rivedremo presto. Quanto ai
tuoi amichetti, no, non li ho proprio visti. A presto. – disse ammiccando
verso la futura allieva.
Intanto Ramona si era recata al secondo piano. Non le
occorse molto per individuare una strana silouette che si aggirava
furtivamente, proprio come lei.
-Ehi! Dico a te, là in fondo…-
La donna, ormai lo aveva capito, si guardò attorno
per poi rivolgersi a lei. Era una ragazza con strani capelli viola e occhi
celesti, singolare a vedersi, ma con un che di simpatico e di disponibile.
-Parli con me?-
-Sì, ciao. Scusa, hai per caso visto due ragazzi
della mia età? Uno è biondo…-
-Uh? Ragazzi? No, neanche l’ombra. Se vuoi ti aiuto a
cercare…-
-Grazie, molto gentile. Io sono Ramona, tu sei…?-
-Tonks. Non ti sto a dire il nome perché fa schifo,
spero comprenderai…-
-Sì, sì, certo…-
Giada si era assunta l’ingrato compito di ispezionare
il piano dei professori.
Non fece nemmeno in tempo a mettervi piede che già
udiva un discreto brusio: due persone sconosciute stavano conversando
amabilmente mentre una di esse trafficava con un oggetto che aveva in mano.
Avvicinandosi, notò il luccichio inconfondibile di
una lama di coltello. Ebbe un brivido.
-No! No, ti prego!- stava ridacchiando l’interlocutrice
dell’uomo armato. Forse era meglio allontanarsi… fece per fare
dietro front, ma…
-Ehi, tu, ragazzina…-
“Merda” pensò Giada. –Ehm…
salve… non volevo disturbarvi ma, per caso, non è che avete visto
due ragazzi, della mia età?-
-Eh? Luisa? Io no…- ora che si era voltato, Giada
tirò un sospiro di sollievo: il tizio stava sbucciando una mela con un
coltellino svizzero.
-Nemmeno io, mi dispiace. Ma cosa ci fai in giro tu? Gli
studenti non dovrebbero arrivare tra tre giorni?-
-Sì… è una storia lunga…-
Infine, Elisabetta stava perlustrando i sotterranei
tenendosi il naso accuratamente tappato.
-Figurarsi se dovevo andarci io! Era lampante…
lapalissiano! Sfiga…-
Udì un discreto rumore di passi alle sue spalle,
perciò si voltò di scatto.
-Ah ah! Vi ho tro…-
-Ciao Betta. Hai visto Severus per caso?-
-No mamma, e tu hai visto Ryan ed Enrique? Ed Harry, almeno
lui!-
-Nessuno, mi dispiace…-
-Ergo: sono fuggiti insieme. Ma dove?-
Alle sei spaccate, Sara, Giada, Tonks, Vittoria, Elisabetta
e Ramona erano riunite davanti ai Dormitori.
-Ma, scusate se mi intrometto, avete chiesto a Silente?-
chiese Tonks.
-A… eh… Avete chiesto, ragazze?-
-Ehm, sì… no. E lei, prof.?-
-Eh… no. –
-Allora andiamo, gambe in spalla!- suggerì Tonks.
Quando furono al cospetto di Silente…
-Dove sono quegli sciagurati?- chiese Vittoria.
-Chi?-
-Non fare il finto tonto, Aberforth, dov’è
Severus?-
-Ah. So che sono andati in un pub. –
-Dove scusa?-
-In un pub, sai, dove si beve…-
-Lo so perfettamente quello che si fa, intendevo dire
perché!-
-Ah… ehm… discussione tra uomini
prematrimoniale. E poi devono andarea comprare un vestito da sposo e le fedi. –
-Tutto ‘sto casino per un banalissimo vestito da
sposo?!? Appena tornano li uccidiamo!!!-
*
-Guarda quanto è grande! È enorme!!-
L’Emporio degli sposi aveva ben poco da poter
essere paragonato a un emporio, somigliava di più ad un centro
commerciale babbano: decine di negozi disposti su due piani in cui lasciare
metà e più dei propri averi…
-Ti senti emozionata, mamma?-
-Se aver mal di stomaco significa essere emozionata, allora
sì, sono molto emozionata…-
Tutto Sposa era un negozio completamente dedicato
alle spose, più precisamente ai loro vestiti. In vetrina ne erano
esposti cinque esemplari bellissimi e costosissimi, di diverse tonalità
e foggia.
-Entriamo?-
Vittoria sentiva che sarebbe svenuta di lì a poco;
vista la sua indecisione, Ramona spalancò la porta del negozio mentre le
sue tre amiche letteralmente la spingevano dentro.
Dopo aver resistito un po’, dato che non era molto
determinata nel combattimento si lasciò abbindolare dalla prima commessa
che le si presentò.
-Venga, abbiamo talmente tanti di quegli abiti, uno diverso
dall’altro, che certamente possediamo quello dei suoi sogni, basta solo
trovarlo. – Vittoria si sforzò di fare un sorriso, con scarsi
risultati.
-Allora, come lo vuole? Ha già qualche idea? Colore,
tessuto?-
-Seta!- uscì dalle labbra di Sara.
-Sì, però me lo paghi tu…- rispose
scettica Vittoria.
-Ehi, di chi è il matrimonio tesoro?-
-Questo è un brutto voto che ti appioppo in Aritmanzia…-
-Lo recupererò…-
Intanto la commessa aveva già iniziato a tirare fuori
qualche abito che, a occhio, giudicava carino per la sua cliente.
-Allora, ha già un’idea per il colore?-
-Bianco dovrebbe andare bene…-
-Tessuto? Foggia?-
-Non so, dovrei vedere…-
Altri cinque vestiti aggiunti alla lista di quelli da
provare.
-Velo?-
-Procediamo per gradi, prima il vestito…-
-Molto bene. Io intanto ne ho preparati una
quindicina…-
-Quindici?! Ma non ce la farò mai a provarli tutti!!-
Le sue accompagnatrici si guardarono, ridendo sotto i baffi,
poi annuirono.
-Potremmo darti una mano noi…-
-Sì, e via, una sfilata!- Vittoria era più
scettica che mai.
-Sì! Che idea!! Forza, dentro i camerini, e fate in
fretta!!!- la commessa, sovreccitata, spinse a forza le ragazze dentro ai
camerini di prova e passò a ciascuna un vestito diverso.
-Tra cinque minuti vi voglio vedere fuori, bellezze!-
Ognuna fece del suo meglio, anche se quando uscirono non si
sentivano proprio a loro agio: il vestito di Sara era enorme, quello di Giada
un po’ corto, quello di Ramona stretto all’altezza del petto…
-Ferme, faccio in un attimo…- la commessa
pronunciò un paio di veloci incantesimi e, per magia, i vestiti
calzarono alle modelle.
Intanto, fuori, un’allegra e male assortita compagnia
si aggirava per il cortile interno del centro commerciale.
-Sai Severus, penso che quel vestito sia stato fatto apposta
per te!- stava dicendo Remus.
-Anche il colore. Azzeccatissimo… vedi, a seguire i
nostri consigli?!- commentò James.
-Secondo me nessuno ti riconoscerà…-
rincarò Enrique.
-Volete sapere una cosa? Vi odio. –
-Anche noi ti vogliamo bene, Mocciosus!!- strillò
euforico Sirius.
Il gruppo giungeva or ora dal secondo piano, dove Piton
aveva “scelto” il suo vestito da sposo; okay che aveva impiegato
poco tempo (rispetto alle signore…), però aveva dovuto sudare
sette camice…
DLIN DLIN
-Ehi, avete sentito? Che, siamo entrati in una profumeria?-
aveva bisbigliato Sirius.
-Oh, ma buongiorno carissimi clienti!! Prego, da questa
parte!- i ragazzi si guardarono intorno per scovare la fonte di quello
squittio. Con orrore scoprirono che quella vocetta stridula apparteneva al
commesso. Un uomo!!! Il tipo in questione era magrolino e di media statura, era
biondo con i capelli a caschetto e vestiva in modo alquanto stravagante: jeans
super attillati, camicia bianca e un vaporoso foulard rosa al collo.
-Prego, di qua!- ripeté mostrando la direzione con un
cenno del capo.
Fece accomodare i clienti nella stanza accanto, più
un salotto da the che un negozio in verità, su piccoli e graziosi pouf
di color fucsia e chiese loro chi fosse il “fortunato”.
-Sono io. – Piton alzò timoroso la mano.
-Ma benissimo! Allora, come vuole il suo vestito? Nero o
bianco?-
-Bianco, bianco!- gridarono in coro Sirius e James.
-Sono d’accordo con voi ragazzi, trovo che il bianco
le stia d’incanto… Bene, vedo cosa le trovo. Aspetti qui. – e
con una mossa da pantera se ne andò.
-Che tipo ragazzi, da neuro!- biascicò Enrique.
-Già, sono perfettamente d’accordo. –
annuì Sirius.
Dopo un paio di minuti, il commesso fu di ritorno.
-Eccomi qua! Spero di non avervi fatto attendere troppo.
Allora, ecco tre splendidi modelli completamente bianchi. Se li provi e mi dica
se la soddisfano… certo, con un corpo così…- e, dopo averlo
squadrato qualche secondo iniziò a… toccarlo.
-Potter… mi sta venendo da vomitare…-
bisbigliò Piton, disperato.
-Beh, allora voltati. –
-Okay, penso che me li proverò tutti e tre. Vado,
eh?- disse bruscamente il futuro sposo, scostandosi dal commesso.
-Vuole una mano?- chiese quest’ultimo, suscitando
parecchi risolini tra i presenti.
-No, grazie, credo di essere ancora nel pieno possesso delle
mie facoltà. – e con questo sparì.
-Beh, Jamie, credo che anche noi avremo bisogno di un bello
smoking, no?-
-Già, non ci avevo proprio pensato… mi sto
preoccupando troppo per il Mocciosus… è grave!-
-Se posso, avrei degli smoking stupendi che farebbero al
caso vostro. Vi andrebbe di provarli?-
I due interessati si scambiarono una rapida occhiata.
–E perché no?- Il commesso gongolò, entusiasta.
Quando i quattro nemici storici (anche Remus si era
aggregato) uscirono dai camerini di prova, si guardarono e poi scoppiarono a
ridere…
-Ragazzi, trovo che siamo strafighi!!- gridò Sirius.
-Già, anche tu Mocciosus fai la tua figura. –
aggiunse James.
-Allora è fatta! Paghiamo e usciamo, avrei fretta eh?
Che ne dite?- lo sguardo tra il terrorizzato e il supplichevole adottato da
Piton convinse i tre Malandrini a seguirlo. Avevano pagato e frettolosamente
erano usciti.
“Che due pa**e sposarsi! Una bella
convivenza?” aveva pensato Piton scendendo le scale per giungere al
piano di sotto.
-Ehi, guardate là!- gridò ad un tratto
Enrique, indicando con l’indice un negozio di abiti da donna.
-Ma che…?- Remus non ebbe il tempo per finire la
frase, James, Sirius, Enrique e Ryan erano già attaccati alla vetrina.
Harry e Draco si guardarono, fecero spallucce e si avvicinarono…
Quando anche Severus e Remus furono vicini, capirono: le
“donne di Hogwarts” avevano improvvisato un sfilata di abiti da
sposa.
-Sai, Mocciosus, la tua signora è davvero bella, hai
buon gusto…- bisbigliò James all’orecchio di Severus.
-Ricordati che sei sposato e hai un figlio, Potter. –
-Scusa, era solo un complimento…-
-Ryan!!-
Il ragazzo si voltò sorpreso…
-Fede!- la ragazza gli era già salta addosso.
-Federica, da quanto tempo! Che ci fai qui?-
Da dentro, Sara seguiva tutta la scenetta.
-Sono cornuta?- chiese alle amiche.
-No…- rispose Elisabetta tastandole la testa.
-Adesso sì!- squittì Giada biforcando la coda
di cavallo della sua amica.
-Dopo me la paga, anzi…- Sara frugò un
po’ nella sua borsa per estrarne…
Dall’esterno, i “ragazzi” stavano
godendosi lo spettacolo, quando all’improvviso tutte le ragazze
sparirono.
-Dove si saranno cacciate?- stava chiedendosi Sirius, quando
sentì qualcosa di appuntito premere contro la sua gola; voltando il
capo…
-Andatevene!!- gridarono all’unisono le “donne
di Hogwarts”.
-Ehi, dai, non siate così drastiche, non stavamo
facendo nulla di male…- Vittoria affondò la bacchetta un altro
po’. –Okay, togliamo il disturbo…-
Prima di tornare dentro, Sara scoccò
un’occhiata furente al suo ragazzo e alla sua amica.
Ciascun gruppo se ne andò per gli affari suoi, i
ragazzi tornarono in pub e le ragazze ad Hogwarts. L’attesa stava
divenendo snervante. Constantine non faceva altro che piangere e le ragazze
dovevano fare a turni come baby sitters, mentre le altre cercavano di riposarsi
un po’.
“Meno male che all’intera cerimonia hanno
pensato i fratelli Silente, altrimenti rischiavo di impazzire!!” si
ritrovò a pensare Vittoria un giorno grigio e piovoso.
“Speriamo che sabato ci sia il sole…”
*
Sabato 3 settembre. Orario indecentemente vicino alle otto
di mattina, dato che era l’ultimo giorno di vacanza. I due castelli di
Hogwarts, in Inghilterra e a Bologna, erano in fermento fin da prima
dell’alba. In Inghilterra forse era, tutto sommato, un po’
più tranquillo: solo Albus e Minerva erano in subbuglio, visto che
Silente non era in grado di scegliere una tunica adatta alla cerimonia tra le
sue migliaia…
A Bologna le cose erano molto, molto peggiori: tutti i bagni
del primo piano erano occupati da ragazze isteriche che cercavano di fare una
doccia il più veloce che fosse possibile e i professori schizzavano da
una stanza all’altra per ricevere pareri e consigli dai colleghi.
In più, come se non fosse abbastanza, arrivarono
anche Francesca e Manuel in pauroso ritardo; frettolosamente si infilarono
sotto la doccia e poi provarono i vestiti acquistati per loro dagli amici.
Nonostante tutto, alle undici meno un quarto erano tutti
pronti; si riunirono in Sala Grande, dove Aberforth li attendeva con una
Passaporta. Quando il gruppo misto professori-alunni fu partito, andò a
cercare la sposa.
-Vittoria? Vittoria, dove ti sei cacciata?-
-Sono qui! Aberforth, devi scusarmi, ma è
un’impresa camminare su questi tacchi! Non vedo l’ora che sia tutto
finito, così potrò mettermi un bel paio di pantofole…
Constantine è già là?-
-Sicuro cara. Allora, come ti senti?-
-Emozionata. Impaurita. Bellicosa. –
-Perché bellicosa?-
-Perché se scopro che tu e tuo fratello mi avete
tirato qualche brutto scherzo, sarò pronta a maledirvi…-
-Puoi stare tranquilla, gli scherzi che abbiamo preparato
sono tutti rivolti a Severus… nonvedo l’ora!!-
-E allora sbrighiamoci, hai la Passaporta?-
Un leggero “pop” e il castello fu
pressoché disabitato.
Intanto, su un’immacolata spiaggia delle Hawaii, un
consistente drappello di persone vestite di tutto punto attendeva Vittoria. Il
minuscolo professor Vitious, ex collega di Piton, guardava gli amici in piedi
di fronte a lui: appollaiato su un alto sgabello su cui stavano in bilico
quattro pesanti volumi di una imprecisata enciclopedia, era stato scelto per
officiare il lieto rito, dato che Albus Silente si trovava
nell’impossibilità di farlo, essendo uno dei testimoni di Severus.
Alla sua sinistra stava Piton, vestito di un impeccabile
smoking bianco; pantaloni e giacca bianchi, camicia nera e cravatta bianca, non
si può dire che non facesse un certo effetto… alle sue spalle,
alla distanza di qualche metro, Draco e Albus si stavano scambiando le ultime
novità del giorno (è risaputo che Albus Silente ha fama di
quotidiano…). Alla destra del “quasi prete”avrebbe dovuto esserci Vittoria, ma era
come di consueto in ritardo; un po’ più in là, Elisabetta e
Aberforth (l’ultimo ad essere arrivato, salutato dai fischi di chi
sperava si trattasse della sposa) stavano fingendo di prendersi a pugni per non
si sapeva quale battuta di quest’ultimo.
Dietro di loro c’erano gli invitati, tutti
elegantissimi e scintillanti; c’erano gli ex e gli attuali colleghi dei
due insegnanti, una manciata di alunni, i tre Malandrini, Samantha, alcuni
Weasley tra cui i due gemelli Fred e George, Ron ed Hermione e pochi altri.
Sirius, James, Remus, Harry, Ryan ed Enrique indossavano
degli smoking neri e occhiali in tinta, stavano ritti sparsi qua e là
tra gli invitati in veste di body-guard. Sara, Giada, Ramona e Francesca
ricoprivano il ruolo di damigelle e avevano tutte lo stesso abito: un grazioso
vestito intero lungo senza spalline di color rosa pallido, con una fascia
all’altezza del seno su cui erano ricamate splendide rose rosse
intrecciate tra loro per mezzo di foglie su sfondo più scuro.
A simboleggiare un’entrata erano state poste due
silenti colonne rastremate di ordine corinzio a cui si appoggiavano e
intrecciavano due piante di rosa, che si incontravano esattamente a metà
della distanza che intercorreva tra i loro due sostegni. Si accedeva
all’ipotetica chiesa attraverso una ingegnosa tenda di rose intrecciate
abilmente a rami e liane rigorosamente senza spine.
Dietro alla “porta” attendevano impazienti le
quattro damigelle, che vennero raggiunte poco dopo dalla trafelata sposa. Sara
diede un cenno a Manuel, che inforcò la chitarra elettrica, fece partire
la base e attaccò l’allegro motivetto della canzone “Je
t’aime”, mentre la sua professoressa d’Artistica cantava in
francese (con un’opportuna modifica della voce).
Le damigelle sbucarono dal nascondiglio floreale a coppie;
le prime due erano Francesca e Ramona, seguite da Giada e Sara, distanziate di
almeno cinque metri. Le quattro ragazze sparsero petali di rosa sulla sabbia
tiepida, poi si andarono ad affiancare ai testimoni, le prime due dalla parte
della Chiodo, le altre dall’altra (Giada aveva avuto un ottimo
motivo…).
Infine fece il suo ingresso la sposa. Indossava un abito
lungo, ovviamente bianco, di squisita fattura: era composto da un corsetto
bianco di seta (decorato con una trama di fili di seta e oro) ornato di rose di
stoffa al livello della scollatura, appena sopra il seno, e della vita e da una
gonna lunga formata da vari strati di tessuto a retina sovrapposti e di diversa
lunghezza, in modo da renderlo più largo. Il capo dai lisci capelli
corvini erano ornato da spille che lasciavano libera qualche ciocca e da una
coroncina di rose dal delicato color della pelle, da cui scendeva il lungo e
sottile velo.
Quando raggiunse Severus, di fronte all’altare di
conchiglie marine, quest’ultimo si accorse di non poterle scorgere il
viso, nascosto dal velo. Vitious gli fece segno di toglierglielo. Con mani
tremanti il professore agguantò il velo, mentre Vittoria si chinava
appena per facilitargli l’operazione. Quando ebbe tirato indietro il
maledetto velo, Piton inorridì: la faccia ghignante del commesso che gli
aveva fatto spudorate avances quando aveva scelto lo smoking stava ammiccando
nella sua direzione. Per lo shock si ritrasse e lasciò andare il velo.
I presenti risero a crepapelle, alcuni addirittura
piangevano dal gran ridere; la risata di Albus Silente pareva però
più alta e cristallina della altre. Piton si girò nella sua
direzione.
-Tu!- sbraitò puntandogli l’indice contro.
–Razza di barbagianni spennacchiato!! Dovevo immaginarmelo che
c’entravi tu. – urlò alzando il pugno. Vittoria, toltasi da
sola il velo e rivelatasi come se stessa, gli prese amorevolmente il braccio.
-Non ti scaldare, era tutto combinato. Sono io, non vedi?-
Al suono della sua voce Severus parve calmarsi, ma
minacciò Albus di vendetta.
-Possiamo procedere?- chiese Vitious. -Bene. –
-Siamo qui riuniti in questo giorno di immensa letizia per
celebrare il matrimonio di Severus Piton con Vittoria Chiodo…-
Severus e Vittoria trovarono di un’infinita noia tutte
quelle parole. Severus in particolare temeva quasi che le fatidiche parole non
arrivassero mai, iniziava a convincersi che il minuscolo ex collega se le fosse
dimenticate, ma per fortuna non fu così.
-E allora vi chiedo: Severus Piton, vuoi tu prendere come
tua legittima sposa Vittoria Chiodo?-
-Sì, lo voglio. – rispose lui fermamente.
-Molto bene. E vuoi tu Vittoria Chiodo prendere Severus
Piton come tuo legittimo sposo?-
-Sì, lo voglio. – e avrebbe certamente guardato
languidamente il suo novello sposo, se un leggero colpo di tosse non avesse
catturato la sua attenzione. Elisabetta, il viso ancora affondato nelle mani,
le rivolse un sorriso che andava da orecchio a orecchio e le mostrò i
pollici in alto.
Severus sbuffò.
-Benissimo. Se qualcuno ha qualcosa in contrario lo dica
adesso, o taccia per sempre. –
Una ragazza mora vestito di scuro alzò la mano,
neanche fosse a scuola. Pansy Parkinson.
Draco nascose il viso tra le mani, scotendo il capo. Silente
e parecchi altri avevano l’impellente desiderio di fulminarla.
La ragazza avrebbe certamente aperto bocca se Enrique e Ryan
non si fossero avvicinati a lei con fare bellicoso: la presero per le spalle e
la sollevarono di peso, trasportandola fino al bagnasciuga; la fecero
ondeggiare per un po’, poi la scaraventarono in acqua.
Quando furono di ritorno, si scusarono coi presenti
asserendo che la poveretta avesse “voglia di rinfrescarsi le idee”.
-Adesso rimpiango di non averla mai bocciata quando era in
mio potere…- si disse Piton.
Dopo l’increscioso episodio, i due fratelli Silente
porsero il cuscinetto con le fedi (due serpenti d’oro) ai due sposi, che
se le scambiarono.
Dopo gli applausi dei presenti mentre i professori si
scambiavano il loro primo bacio da marito e moglie e il riso modello caccabomba
tirato dai gemelli Weasley, la celebrazione poté dirsi conclusa.
Tutti gli invitati si spostarono a Bologna, più
precisamente dentro la
Sala Grande, dove si sarebbe svolto il pranzo.
Piton, la
Chiodo, i fratelli Silente, i Malandrini, le due McGranitt e
alcuni altri professori si sedettero ad un tavolo, i ragazzi ad un altro. I
gemelli Weasley si lanciarono subito nella minuziosa elencazione di tutte le
punizioni (con relativo scherzo) cui furono sottoposti dal novello sposo, oltre
che a tutti i voti degli ultimi tre anni; Ron si lasciò trascinare quasi
subito, e anche lui aveva parecchie cose da raccontare, mentre Hermione si
mostrò più riluttante.
Il pranzo fu sobrio ma lieto, qualcuno evidentemente aveva
sparso la voce giù in cucina che i commensali dovevano tenersi
leggeri… Verso le tre infatti Silente annunciò che sarebbero
iniziati di lì a poco dei giochi non meglio definiti e invitò
tutti ad andare nel parco.
Ivi, i non informati poterono farsi un’idea del genere
di prove cui gli sposi si sarebbero dovuti sottoporre: videro diversi
palloncini attaccati ad una fune sospesa magicamente per aria, un carrello con
diverse fette di torta gelato, quello che poteva lontanamente definirsi un
palcoscenico e un quanto mai fuori posto water…
-Molto bene, prova numero uno! Allora, il nostro sposo
dovrà scoppiare questi bei palloncini pieni di farina cercando di
sporcarsi il meno possibile… non che sul suo smoking si noti tanto, eh?-
spiegò James.
-Severus, ti dispiace darmi la giaccia?- chiese affabilmente
Remus. I presenti risero e Piton eseguì.
-Così va meglio. Dunque, per scoppiare i palloncini
non può usare incantesimi, ma un semplice ago. Coraggio Severus,
mettiamo alla prova i tuoi riflessi! Ah, ovviamente, dopo ci sarà il bis
per la sposa…-
-Sì, e secondo te come faccio a scappare con questi
tacchi?- chiese ironicamente Vittoria.
-Tesoro, dovevi pensarci prima. I vantaggi di essere
uomini…-
Il gioco non fu molto “pulito”, in due sensi:
entrambi gli sposi ne uscirono parecchio imbiancati, inoltre George, con
l’ausilio della sua fionda, scoppiò un palloncino proprio sopra la
testa di Severus quando questi ancora stava cercando di individuarne uno,
impresa non facile contando che era bendato.
-Ragazzi, un bell’applauso ai nostri due pupazzi di
neve!!- esclamò Sirius.
-Okay gente, vai con la seconda prova. Vittoria, ti
esentiamo, non si dica mai che i Malandrini non sono galant’uomini.
Dunque, caro Severus, dovrai infilare la tua manina nel buchetto e recuperare
dieci monetine da un penny; attenzione, perché c’è uno
spesso strato di… no, non mer*a, è solo cioccolata. Vai!!-
Questa prova non necessitò di scherzo aggiuntivo da
parte dei gemelli, era già umiliante da sola, parecchio umiliante in
verità, e i presenti risero a crepapelle anche dopo che fu finito.
-Mocciosus, da oggi sei il mio eroe! Bene, terza e ultima
prova… carissima Vittoria, questa non te la schivi! Dunque, consiste in
una serie di domandine e, le vedete quelle belle fette di torta là?, se
date la risposta sbagliata, quelle vi finiranno in faccia. Chiaro, no? Ah,
ecco, infilatevi la reticella, non vorremmo che andaste in giro con del gelato
tra i capelli… bene, siete pronti? Via!!-
Le domande vertevano principalmente su argomenti babbani;
Silente si era assicurato che Severus non ne azzeccasse nemmeno una! Invece,
con gran meraviglia dei presenti, ad una domanda sui Promessi Sposi seppe
dare la risposta esatta.
-Ehi, non ti montare la testa! È solo merito mio se
la sapevi…- borbottò Elisabetta.
-Wow!- esclamò Sirius.
-Cosa? Guarda che ne so a pacchi!- ribatté la
ragazza.
-No… no, non quello. Caspita, quando hai detto
“è solo merito mio se la sapevi”, sembravi proprio lui!- gli
amici della ragazza risero.
-Devo offendermi?-
-Ah, ah! Che carina di una figlia…-
-Ragazzi, ho un’idea!- esclamò d’un
tratto Aberforth. –Perché non facciamo una gara di imitazione? I
ragazzi imitano noi professori e viceversa…-
-Ehi, ehi, frena! Già ho dei voti bassi, devo
rovinarmi del tutto?- ribatté Enrique.
-Ah, beh… diciamo che la persona imitata non guarda.
Però, chi viene eletto vincitore deve per forza esibirsi di fronte a
tutti, può andare?-
-E vada. –
Aberforth imitò alla perfezione Enrique, nelle
battute e nei gesti, mentre Giada impersonò un’impeccabile
Parmigiani.
Dopo i giochi tornarono tutti in Sala Grande, dove si fece
un po’ di karaoke e balli di gruppo.
Elisabetta si offrì spontaneamente di cantare
“Whenever wherever” di Shakira, consentendo a Giada e Sara di
shakerarsi per benino, poi saltò giù dal palco con un tonfo,
afferrò Harry e lo costrinse a ballare con lei.
-Mettiamo in chiaro una cosa, a me non piace ballare, ma se
questo è l’unico modo per averti vicino sono pronta a questo ed
altro!- gli sussurrò all’orecchio.
-Non è che stai cercando di evitare
l’inevitabile confronto con tua sorella?- ribatté il ragazzo.
-Non cercare di ribaltare la frittata, sai meglio di me che
quest’estate siamo stati insieme pochissimo. Eri sempre impegnato con
questo e quello. –
-Sei gelosa?-
-No, non sono il tipo, però mi scoccia vederti solo
quel tanto che basta per salutarti!-
-Devi capire che con Lucius Malfoy che acquista ogni giorno
più potere c’è poco da stare allegri. Devo dare il mio contributo.
–
-Lo capisco, ma anche tu devi affrontare l’evidenza:
non possiamo andare avanti così! Ormai siamo perfetti
sconosciuti…-
-Verrà un giorno in cui nulla potrà impedirci
di vederci quando vogliamo, te lo prometto. Oggi però dobbiamo
impegnarci a fondo perché quel giorno sia sempre più vicino.
–
-Voglio crederti. Adesso siamo qui, libera la mente da
pensieri inutili e divertiamoci…-
In un angolo, Sara e Ryan si stavano scambiando tenere
effusioni.
-Da quanto tempo non lo facevamo?- chiese il ragazzo.
-Da ieri, sciocco. –
-Pensa, un giorno qui ci saremo noi…-
-Pensi già al futuro?-
-Ma che futuro e futuro, quello sta dietro l’angolo.
Finita la scuola, appena maggiorenni, ci sposiamo e scappiamo alle Hawaii.
–
-Sei sicuro di quello che fai?-
-Assolutamente. –
-E Kanata? Sei pronto ad accettarlo?-
-Lo feci quando gli permisi di andare ogni sabato da te in
Giappone. Lui è me quanto io sono lui, siamo complementari e amici.
Ciascuno di noi sa quello che fa l’altro, se lui è con te, anche
io lo sono. –
-Okay, basta parlare, ti si secca la gola. Tieni la saliva
per qualcos’altro…-
Dopo quella breve parentesi oratoria, i due ripresero a
baciarsi, fermandosi ogni tanto per sorseggiare il loro aperitivo.
Verso le sette venne servita la torta e qualche liquore leggero,
poi la sala venne trasformata in una discoteca.
Draco bevve Bacardi in quantità, poi decise che era
giunto il momento di buttarsi in pista; prima di farlo, però, chiese a
Giada se volesse accompagnarlo.
-Insomma, fammi finire questo corso di ballo! Voglio
imparare qualcosa…-
Giada fu più che felice di accontentare il bel
biondo, davvero non sperava in tanta fortuna.
-E tu, mi vorrai confidare che guardavi quel giorno?-
-Ah, quel giorno, eh? Beh, potrà sembrarti strano, ma
stavo guardando i tuoi occhi. –
-I miei occhi?-
-Già. Occhi di giada…-
Draco posò un bacio leggero sulle labbra della sua
insegnante e riprese a ballare, lasciando a lei il giusto tempo per
riprendersi. Parecchio tempo dopo le offrì anche un goccio…
In disparte, Manuel e Francesca stavano discutendo
animatamente: il ragazzo sosteneva che Francesca avrebbe dovuto come minimo
andare a scusarsi con la sorella. Tanto disse e tanto fece, che la sua ragazza
parve convincersi che fosse una buona idea. Quest’ultima rintracciò
Elisabetta, che stava ballando con Harry, e le chiese se potevano parlare un
momento in privato.
Il ragazzo allora, vedendosi scaricato, decise di andare a
sedersi al tavolo con suo padre, perso nei suoi pensieri.
-Ehi, papà, a che stai pensando?-
-Alla mamma, a quanto sarebbe bello poterla avere qui con
noi. –
-I miei amici hanno tentato… credimi, avrebbe fatto
piacere anche a me…-
-Lo so che hanno tentato. Erano convinti di riuscire…
la prima cosa che ho visto il giorno in cui sono tornato è stata la sua
bara…-
-Non pensarci…-
-E come faccio? Come faccio a vivere la mia vita senza
Lily?-
-Sono sicuro che mamma non avrebbe voluto vederti
così abbacchiato. –
-… forse hai ragione. Avrebbe voluto darti la famiglia
che non hai mai avuto…-
-Tu sei qui, papà. Non sprecare questo dono. –
James tirò su col naso. –Sono contento per
Severus. Se lo merita. –
-Vittoria, possiamo chiamare un paio di amiche?- chiese
innocentemente Francesca quella mattina a colazione. Era il primo sabato del
mese, ormai il quarto giorno che Elisabetta e Francesca passavano con Piton e la Chiodo.
Sua sorella stava inzuppando un frollino nel latte;
apparentemente sembrava non curarsi della conversazione, in realtà era
tutta orecchi e non si perdeva un passaggio. Aveva discusso fino a tardi con
Francesca la notte scorsa, avevano programmato fin nei minimi dettagli
ciò che dovevano dire. Avevano lanciato una moneta per decidere chi
avrebbe dovuto avviare la conversazione, ed era toccato a Francesca.
-Ragazze! Avete appena lasciato la scuola e già vi
mancano le amichette?- si lagnò Piton, finendo frettolosamente il
caffè.
-Sì… ci annoiamo a morte!- protestò
Francesca.
-Provate ogni tanto ad aprire un libro… magari la
vostra matita impietosita accorrerà in vostro aiuto e vi farà
qualche compito!- le beffeggiò lui.
-Ragazze! Avete appena lasciato la scuola e già vi
mancano i compiti?- Elisabetta fece il verso al suo insegnante riproponendo la
frase detta da lui poco prima. La
Chiodo soffocò le risate nel croissant. –La
risposta è no. E poi abbiamo già
iniziato…- completò la ragazza.
-Ah sì? Posso sapere da quale materia avete
iniziato?- chiese fingendosi deliziato Piton.
-Musica e Artistica!- risposero in coro le due ragazze.
-…-
-E dai! Insomma, noi ci rendiamo utili, facciamo un
po’ di lavoretti, laviamo i piatti e rifacciamo i letti… magari con
qualche amica organizziamo una serata danzante!- Francesca elencò tutte
le tesi a loro favore che erano venute in mente a lei e a sua sorella la serata
precedente, cercando di assumere un tono convincente.
-Per carità! Se la mettete così, vi metto pure
la museruola!- ribatté Piton con una smorfia.
-E invece secondo me è un’idea carina.
Ma… chi avreste intenzione di chiamare?- si intromise la Chiodo.
-Niente di speciale, solo un paio di amiche…-
-Allora secondo me si può fare. –
Un’ora più tardi, dopo aver svolto i lavoretti
che sapientemente avevano argomentato a loro favore, le ragazze avevano
nuovamente la biro in mano. Scrissero a Ramona, Sara, Giada ed Emma; nella
lettera chiedevano alle amiche se fossero disponibili a passare un weekend
lì da loro, aggiungendo indirizzo, notizie su che aria tirasse e uno
schizzo di programma per i giorni a venire. Pregarono inoltre le ragazze di
rispondere il più presto possibile.
-Secondo te verrà qualcuno?- chiese infine
Elisabetta, dopo aver spedito Rufus in missione.
-Spero di sì! Non è per questo che gli abbiamo
chiesto di convincersi a vicenda?-
-Io a Sara ho detto che se voleva poteva farsi accompagnare
da Ryan, sempre che si vedano ancora. Potrebbe essere
una buona scusa per farlo restare. –
-Di un po’, non è che ti interessa?-
-Chi? Ryan? Ma scherzi? No,
è che più siamo più ci divertiamo…-
-E poi come la mettiamo con Piton?-
-Ci penseremo più avanti…-
Dopo pranzo si ritirarono immediatamente in camera e
spalancarono le finestre, un po’ per il caldo, un po’ come gesto
scaramantico (speravano infatti di veder arrivare almeno un gufo).
Passarono il pomeriggio bighellonando in camera, non osando
spostarsi; Francesca rilesse per la terza volta l’ultimo numero di Topolino,
Elisabetta iniziò a leggersi i capitoli di Storia della Magia assegnati
per compito dalla McGranitt.
A metà pomeriggio si scambiarono gli hobby, talmente
erano disperate.
Verso le sei a Francesca parve di aver udito un debole
fruscio come di ali; si rivelò essere un piccione, del tutto
disinteressato alle sorelle.
Si coricarono profondamente irritate dopo una puntata di una
fiction estiva e fecero pure fatica a prendere sonno.
La mattina dopo, di buon’ora, le due vennero
disturbate da un discreto trambusto proveniente dall’esterno. Elisabetta,
già semisveglia, si affacciò alla finestra, ma l’unica cosa
che vide fu un’automobile che se ne stava andando di gran carriera dal
cortile dell’albergo, perciò decise di infilarsi nuovamente sotto
le coperte. Sua sorella non aveva fatto una grinza, e continuava beatamente a
dormire dopo essersi girata dall’altra parte sotto il leggero lenzuolo.
Nemmeno cinque minuti dopo Elisabetta sentì un lieve
bussare alla sua porta, così si alzò e dischiuse appena la porta.
-Ciao Betta!- Giada era in piedi di fronte a lei, e sorrideva
divertita di trovare la sua amica ancora in pigiama.
-Ciao Giada! Ma quando sei arrivata?- Elisabetta era lieta
della sorpresa.
-Cinque minuti fa. Dov’è Francesca?-
-Oh, è dentro, dorme ancora. Facciamole uno scherzo!
Infilati nel mio letto: voglio vedere che faccia farà vedendoti al mio
posto!-
Giada scivolò dentro la stanza e, senza fare il
minimo rumore, si sdraiò sul letto dell’amica, la quale si era
seminascosta dietro la porta del bagno.
-Fre, svegliati!!- gridò
Elisabetta in modo da non farsi ignorare dalla sorella, la quale iniziò
a stirarsi e dopo poco buttò all’aria le coperte. Giada
imitò tutti i suoi movimenti, finché non si ritrovarono faccia a
faccia.
-Aaahh!- Francesca gridò,
ma si riprese quasi subito –Tu! Da dove salti fuori? Eri nascosta
nell’armadio?-
-Scherzetto! No, è arrivata dieci minuti fa…
coraggio, andiamo a fare colazione!- Elisabetta fece capolino dal suo quasi
nascondiglio, facendo prendere un altro mezzo infarto a sua sorella, e le
ricordò l’ora.
Un quarto d’ora dopo, le tre stavano scendendo le
scale che le avrebbero condotte al pian terreno.
-Allora, come va con Piton?-
-Ci sopportiamo a vicenda. Penso che l’abbia presa sul
serio la storia del padre, ha già iniziato a farci proibizioni e a
mettere in discussione tutto ciò che diciamo!- Elisabetta sorrise al
pensiero dei loro quotidiani battibecchi.
-Già! Abbiamo fatto i salti mortali per convincerlo a
farti venire qui!- aggiunse la sorella.
-Beh, che non esageriamo adesso. – le ragazze
sobbalzarono, e videro che la persona di cui discutevano le seguiva a poca
distanza.
-La brutta abitudine di saltar fuori alle tue spalle mentre
stai sparlando di lui non l’ ha ancora persa, ma ci stiamo
lavorando…- borbottò Francesca, riavendosi dallo spavento.
-E dai, è l’unico divertimento che mi rimane!
D’ora in avanti non potrò più neanche decurtarvi punti,
Vittoria mi bastonerebbe… Ciao Giada, come va?-
Giada osservava ammutolita il suo professore di Pozioni.
Possibile che fosse lui? Il terribile, arcigno, malevolo professor Piton che si
metteva a scherzare di prima mattina e le chiedeva pure come stesse? Forse
aveva la febbre…
-Giada, ma come mai non hai risposto al nostro gufo?- chiese
improvvisamente Francesca.
-Beh, volevo farvi una sorpresa… Ho fatto male?-
-Altroché! La prossima volta che voglio far prendere
un infarto a mia sorella ti chiamo…-
-Spiritosa. Molto spiritosa. –
Fecero colazione tutti assieme: Elisabetta, Francesca,
Giada, la Chiodo
e Piton. Poi le sorelle aiutarono la compagna a trasportare le sue valigie fino
alla sua camera, esattamente di fianco alla loro. Ora che vi facevano caso,
sembrava proprio che tutto il piano fosse deserto, a parte loro.
Mentre le tre chiacchieravano, fuori il cielo era stato
oscurato da nuvole grigie che minacciavano pioggia; l’aria era sensibilmente
più fredda rispetto ai giorni scorsi, e tirava un vento secco che faceva
muovere le foglie degli alberi.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a cedere verso
metà mattinata; già dopo un quarto d’ora si era scatenato
un acquazzone.
Dalla camera di Francesca ed Elisabetta si udiva molto bene
lo scrosciare dell’acqua. Un tuono potente fece sobbalzare Francesca, che
dava la schiena alla finestra.
-Tempaccio!- soffiò Giada.
Non era un granché stare in camera, all’inizio
di giugno, per l’inclemenza del tempo: era noioso, ma verso mezzogiorno
arrivò una seconda botta di vita.
Giada stava dando una mano alle sorelle ad apparecchiare i
tavoli della sala da pranzo, quando si udì l’inconfondibile rumore
della porta d’ingresso che si apriva (inconfondibile perché grattava
leggermente sul pavimento). Voci concitate schiamazzavano senza che le ragazze
potessero distinguere quante fossero.
La signora Susanna fece strada ai nuovi arrivati scortandoli
come una guardia fino alla sala da pranzo. Aveva indovinato che fossero amici
delle sue nipoti.
In effetti, Sara, Ryan e Ramona
corsero verso le tre presenti per abbracciarle.
-Ragazze, allora, come va? Come si sta comportando Piton?
Quante pozioni vi ha già fatto fare?- chiese ridendo Ramona.
-Scherzi? È buono come un pezzo di pane!-
ribatté Giada.
-Ma davvero? Ah, ho capito, il pane a cui ti stai riferendo
è avariato…- Sara rise alla propria battuta.
Dopo non molto giunse anche la Chiodo, che salutò i
nuovi arrivati.
-Ma, non avevate detto un paio di amiche?- obiettò.
-Sì, beh… un paio a testa, cioè due al
quadrato…- si giustificarono Elisabetta e Francesca.
-Malandrine! Allora, chi dobbiamo ancora aspettarci per
oggi?-
-Solo Emma. Poi siamo al completo. –
-Allora va bene. Forza, finiamo di apparecchiare che tra un
po’ si mangia!-
I ragazzi pranzarono separatamente rispetto a Piton e alla
Chiodo. Appena finito, sgattaiolarono fuori e decisero di farsi una veloce
passeggiata nei dintorni dell’hotel, almeno finché non si sarebbe
scatenato un altro acquazzone.
Tutt’attorno si stendevano hotel su hotel, tagliati
solo dal grigio della strada, al momento poco trafficata. Sembrava di essere a
Las Vegas.
Mezz’ora dopo erano di ritorno. Emma li stava
aspettando seduta nella hall.
-Emma!-
-Ciao ragazzi! Allora, come va?-
-Adesso che ci siamo tutti, benissimo! Ma perché non
ci avete detto niente? Volevate tutti farci una sorpresa?-
-Già, a quanto pare abbiamo avuto tutti la stessa
idea!-
-Okay, andiamo su in camera a fare una partita a Uno?-
Sembrava che non fossero trascorsi quattro giorni da quando
il gruppo si era diviso; erano di nuovo in cerchio, seduti sulla moquette, a
giocare a carte e a divertirsi.
Parlando del più e del meno, scoprirono che Ryan sarebbe presto andato in Francia a trovare sua madre;
per il momento aveva trascorso quei quattro giorni in un appartamento preso in
affitto alla periferia di Modena.
Fuori intanto il temporale aveva ripreso più forte di
prima; era talmente buio che i ragazzi dovettero accendere la luce.
Verso le cinque scesero al pian terreno per fare merenda;
prepararono un the in cui inzuppare alcuni biscotti.
Verso sera, con grande meraviglia di tutti, si presentarono
anche Manuel ed Enrique. Piton e la
Chiodo, a cui non era sfuggito il particolare, si
avvicinarono alle figlie adottive con fare bellicoso, ma prima che potessero
dire qualsiasi cosa, le due si difesero preventivamente: -Non li abbiamo
invitati noi!-
-Grazie tanto per volerci tutto questo bene! E comunque, noi
siamo qui assieme ai miei genitori e cacciamo pure i soldoni,
quindi è inutile che ve la prendiate con loro, perché non ci
hanno invitati!- Enrique aveva esposto l’argomentazione da bravo
avvocato, perciò la sua orazione aveva convinto i due professori a
rimangiarsi i pensieri.
-E sentiamo, perché proprio qui?- Piton si
riscoprì investigatore.
-Beh, mio padre aveva proprio bisogno di un periodo di
relax, e questo ci sembrava il posto adatto… se vuole può andare a
scambiare due parole con lui, dovrebbe essere di là nella hall per la
chiave e i documenti…- Enrique era davvero sicuro di sé, e
ciò sembrò bastare a Sherlock Piton.
-E va bene, passi. Però ancora non me l’avete
raccontata giusta!- disse la
Chiodo, facendo l’occhiolino ai nuovi arrivati.
-Il terzo grado dei genitori…- sospirò Manuel a
Francesca, che rise.
-Se poi sono anche professori è peggio!- aggiunse
Enrique, abbracciando Ramona.
-Allora ragazzi, il signor Armando mi ha detto che se volete
potete sistemarvi nella camera di fianco alla loro. Che ne dite?- proprio in
quel momento giunse il padre di Enrique, seguito dalla moglie. L’uomo era
di media statura, brizzolato, un vero avvocato con la voce sicura e gentile;
sua moglie era poco più giovane di lui, bionda e leggermente più
bassa. Quattro occhi azzurri fissavano a turno i ragazzi presenti.
-Perfetto, sono i nostri compagni di scuola!!-
esclamò Enrique.
-Ma davvero? Che bella coincidenza!- il padre sorrise ai
ragazzi.
-Figurarsi! Loro sono due nostri professori…-
borbottò Manuel.
-Ma no, non ci credo! Tutta la scuola riunita. –
-Pareva giusto una riunione combinata…- completò
Piton.
I ragazzi capirono che era meglio squagliarsela, lasciando
gli adulti parlare degli affari loro; Enrique però sperava che la loro
conversazione non prendesse una piega sbagliata (ovvero non voleva che si
parlasse dei suoi voti).
Si riunirono nella camera degli ultimi arrivati, molto
più spaziosa delle altre, a guardare un po’ di televisione. Il
canale di musica stava trasmettendo la classifica dei video più
richiesti.
-Caspita, come sono rimasta indietro! A scuola
c’è sempre qualcosa di meglio da fare che ascoltare la
radio…- si lamentò Sara.
-Già! Guarda, non conosco neanche mezza canzone!- le
fece eco Giada.
-Beh, se volete proprio impegnare la bocca, tenete!- Enrique
lanciò agli amici alcuni pacchetti di patatine e delle noccioline,
mentre lui aprì una bottiglia di aranciata.
-Allora, come si sta comportando Piton?- chiese Manuel
masticando le patatine.
-Siamo ancora vive. E non abbiamo ancora messo mano ai
calderoni, per fortuna. Incredibile!-
-Davvero non ha ancora fatto il bastardo?- il ragazzo pareva
incredulo.
-Come fa a scuola no. Cerca di
trattenersi, sai: la Chiodo
lo tiene a bada!-
Subito dopo cena, i ragazzi decisero di godersi le
meraviglie del tubo catodico sedendosi più comodamente
nell’apposita sala di fianco alla hall. La stanza dalle pareti blu era
zeppa di piante in vaso, alcune anche abbastanza alte, e i due posacenere sul
tavolino al centro di essa traboccavano di mozziconi di sigarette.
Restarono lì seduti a fare zapping fin circa alle
dieci di sera, quando sentirono suonare al campanello. Incuriositi, si alzarono
e andarono a vedere chi mai poteva essere a quell’ora; anche Piton aveva
avuto la stessa idea e, precedendo i ragazzi, spalancò la porta di
vetro.
Fuori, un ragazzo stava pulendosi le scarpe da ginnastica
sullo zerbino, la testa china ad osservarle. Quando alzò il capo, due
occhi verdi si fissarono su quelli di Piton: era Harry!
-Buonasera, scusate l’orario, ma c’è
stato un casino infernale con il treno che era in ritardo e ho dovuto fare a
pugni per trovare un taxi che mi portasse fino a qui. Posso entrare?- chiese a
colui che gli sbarrava la strada.
-Potter! Che ci fai qua?-
ringhiò Piton.
-Vacanza! Sai, quei giorni in cui ti rilassi…?-
-Severus, chi è…?
Harry! Santo cielo, vieni dentro, sarai zuppo d’acqua!- la Chiodo diede un leggero
strattone al futuro marito affinché si spostasse, permettendo al ragazzo
di entrare.
-Ciao Vittoria, tempo da lupi, eh?- Harry finì di
pulirsi le scarpe ed entrò, sorridendo a Piton e alla Chiodo.
-Già. Forza, tutti in cucina che vi preparo una
cioccolata calda!-
L’odore dolce di cioccolata permeava ogni cosa. I
ragazzi non sprecarono nemmeno una goccia della preziosa bevanda, a costo di
ripulire la tazza con le dita.
-Allora, Potter, come mai qui? Perché, a questo
punto, mi sorge il dubbio che vi siate dati appuntamento tutti quanti…-
Piton squadrò prima Harry, poi Francesca e la sorella.
-Severus!- la Chiodo gli diede una
gomitata nel costato, guardandolo male.
-Beh, in effetti sono stato invitato. Ma non da Elisabetta e
Francesca. Il suggerimento mi è arrivato da un altro dei presenti, di
cui ovviamente non farò il nome. L’appuntamento era organizzato,
ma non da coloro che lo avevano promosso…- Harry sorrise furbescamente a
Elisabetta e Francesca: le aveva appena tolte da un bel pasticcio!
-Il tuo animo Grifondoro per questa sera salva voi due.
– commentò Piton, indicando le sorelle.
-Bene, basta così, oggi è stato fin troppo
movimentato. Tutti a nanna! Vieni Harry, ti do la chiave della stanza, ti va
bene vero vicino a loro?-
Il giorno dopo i ragazzi si erano dati appuntamento per le
nove del mattino giù al piano terra. Schiamazzando si erano avviati in
sala da pranzo, dove avevano consumato un’abbondante colazione
conversando civilmente con Piton e la Chiodo. Il cielo era tornato a splendere della
luce del sole, anche se l’aria era fresca a causa
dell’umidità ancora presente.
Molti avrebbero voluto andare in spiaggia a prendere il sole
o a farsi un bagno, ma la
Chiodo, premurosa, suggerì loro di attendere ancora
qualche giorno, così passarono quella mattinata in camera a guardare la
televisione.
Il pomeriggio non ci fu verso di farli restare dentro
“casa”, così venne organizzata un piccola gita turistica per
la città: i ragazzi per loro conto con Piton, la Chiodo e i genitori di
Enrique a poca distanza.
Il padre di Enrique fiutò una discreta minaccia al
proprio portafoglio fin da subito, che vide realizzarsi non appena i pargoli si
incollarono alla vetrina di una negozio di telefonia. Volle illudersi che i
ragazzi si sarebbero limitati a guardare, ma sospirò sconfitto quando
vide il figlio avvicinarsi a lui: ovviamente chiedeva soldi.
-Per fare cosa?- chiese sospettoso.
-Comprarmi un cellulare! Telefonino, hai presente?-
-Ah, sì, quegli aggeggi… e va bene, ma non far
morire di invidia i tuoi amici, mi raccomando!- acconsentì passandogli
alcune banconote babbane.
-Ora che ci penso… il mio si è rotto, avrei
bisogno di uno nuovo. Vi dispiace aspettarmi qui? Farò in un attimo.
– la Chiodo
si allontanò dal gruppo, frugando nella borsetta. A Elisabetta e
Francesca si illuminarono gli occhi: davvero non speravano in tanta fortuna.
Il negozio, per fortuna, era bello grande, così
poterono entrare tutti quanti in un sol colpo. Il titolare già si
sfregava la mani, soddisfatto.
Quando uscirono, erano l’immagine della
felicità: ognuno trafficava allegramente col proprio cellulare nuovo. La Chiodo, sorridente, ne mise
uno in mano a Piton, il quale, imbarazzato, se lo rigirò tra le mani.
-Libretto di istruzioni!- gli suggerì Francesca,
passandogli il fascicolo.
Poco dopo, Giada acquistò in un’edicola una
palla: il messaggio era eloquente, andare in spiaggia a giocare. A malincuore, la Chiodo accordò loro
il permesso.
I ragazzi, eccitanti, schiamazzarono per un pezzo alla
ricerca di un tratto di spiaggia libero dove stare larghi; quando lo trovarono,
si misero a fare due palleggi a pallavolo dopo essersi liberati delle scarpe. I
maschi erano esilaranti, perché colpivano la palla con tutte le parti
del corpo tranne le mani; le femmine furono costrette ad ammettere che,
nonostante tutto, se la cavassero.
Gli adulti stavano parlando dei fatti loro, così non
si accorsero di un attimo in cui i ragazzi si erano riuniti in cerchio per
preparare probabilmente uno scherzo; infatti, dopo non molto, Piton si
ritrovò nel bel mezzo di una partita di calcio.
-Che devo fare?- aveva chiesto.
-Niente, correre dietro alla palla e cercare di mandarla in
porta. –
Le porte erano delimitate dalla scarpe dei ragazzi; i
portieri erano Ramona ed Enrique.
Al centro dell’ipotetico campo, Harry e Piton si
stavano guardando in cagnesco, attendendo il via da Manuel. Quando il ragazzo
fischiò, Harry sgusciò via col pallone, scartò Francesca e
Manuel e segnò a Ramona.
-Allora, Potter, non sei bravo solo a Quidditch…-
-In difficoltà, Severus?-
Ben presto le ragazze si stancarono, visto che a loro la
palla veniva passata di rado, così la Chiodo ne approfittò per riportare i suoi
ragazzi sudati in hotel per una doccia, non prima di essersi fermati in
gelateria per un cono.
Durante il rientro, Harry prese da parte Piton per parlargli
a quattr’occhi.
-Allora? Pensi che potremmo seppellire l’ascia di
guerra?- gli chiese sfoggiando il più largo dei sorrisi.
-Sì, Potter, penso che potremmo. Mi toccherà abituarmi
a te, visto che vai a moroso da una delle mie figlie…- Piton
ghignò soddisfatto al rossore del ragazzo.
-Bene, allora… per favore, chiamami semplicemente
Harry. Sarà più facile. –
-D’accordo, Harry. –
-Bene. Mi spieghi una cosa? Fa un caldo soffocante, come mai
hai la camicia lunga?-
Piton si slacciò il polsino della camicia nera e
iniziò ad arrotolarsi la manica sinistra; sul pallido avambraccio,
sbiadito, c’era il Marchio Nero: un serpente che usciva dalla bocca di un
teschio.
A Harry si rizzarono i capelli sulla nuca al solo vederlo,
nonostante l’incubo fosse ormai finito.
-Ma… come mai…?-
-Sì, credevo anch’io che con la morte di
Voldemort sarebbe scomparso… si vede che anche io non sono infallibile,
nel fare previsioni. –
-E… non esiste un modo per farlo andare via?-
-Credi che, se fosse di mia conoscenza, non avrei già
tentato? No, a quanto so, non c’è rimedio. –
Quella sera, mentre si concedeva una lunga doccia, Piton non
staccò gli occhi un momento dal Marchio. Harry indisse una riunione
straordinaria del C.A.P.R.I. con “motivazione di carità” ed
espose il problema.
-Cioè, fammi capire… il grande Piton che non
riesce a liberarsi di un tatuaggio?- chiese sbalordita Ramona.
-Macché tatuaggio! Quello è ben peggio,
marchiato a fuoco sulla pelle e chissà cos’altro!- ribatté
indignato Harry.
-Potremmo provare a farlo diventare trasparente…-
propose Elisabetta, che aveva preso a cuore il problema.
-Oppure lo trasfiguriamo in qualcos’altro. – le
fece eco Francesca.
-E se lo coprissimo con un tatuaggio vero?- Manuel parve
avere un colpo di genio.
-Sai Manuel, questo sono sicuro che Severus non l’ ha
provato. Proverò a proporglielo. –
-Ehi Harry, cos’è tutta questa confidenza con
Piton?-
-Niente, abbiamo deciso di fare una tregua. -
*
La Chiodo
era già sveglia da un po’ quando fecero capolino in cucina i
ragazzi, capitanati da Harry.
-Buongiorno ragazzi. Vi scaldo i croissant?-
-Qualcosa di più semplice? Una merendina, sai,
andiamo di fretta…-
La donna si accigliò –E dove avreste intenzione
di andare di mattina?-
-Mettiamola così: ieri sera sono atterrati in
giardino gli alieni che ci hanno chiesto di poter studiare Piton, così
adesso noi lo rapiamo al posto loro e te lo riportiamo per… diciamo tra
un paio d’ore… è convincente la scusa o ne devo inventare una
migliore?-
-E chi vi ha detto che ho intenzione di farmi rapire?- si
intromise l’uomo, fino ad allora rimasto in disparte.
-O vieni, o vieni. Solo, rendici più facile il
compito di rapirti. –
-Perché non mi fido?-
-Perché non dovresti?-
Mezz’ora dopo, i ragazzi erano in marcia. Manuel ed
Enrique spesso lanciavano oblique occhiate a Piton, spiandone ogni mossa, ogni
gesto e ogni espressione; Harry e Ryan guidavano il gruppo.
A Piton parve di conoscere già la strada… in
effetti, scorse dopo non molto il negozio assaltato il giorno prima, che
però pareva non essere la meta, visto che i ragazzi si fermarono come
paletti pochi metri prima. La vetrina che si fermarono a contemplare non aveva
merce esposta, bensì aveva attaccato tramite una ventosa un cartello con
scritto: Tatuaggi in bianco e nero, colorati, henne, treccine, piercing.
Harry entrò per primo, seguito da tutta la truppa.
-Salve. Il mio amico qui vorrebbe farsi un tatuaggio.
– disse rivolto all’unica persona presente. Il tatuatore era un
uomo alto e robusto, rapato, con un grosso piercing al sopracciglio sinistro e
un tatuaggio colorato con motivo floreale a ricoprire l’intero braccio.
-Ehi, vacci piano Potter! Cos’è questa storia?-
chiese Piton sulla difensiva.
-È il primo, vero? Non ha da preoccuparsi signore,
oggigiorno non fa più così male farsi un tatuaggio. – lo
rassicurò il tatuatore, massaggiandosi il braccio colorato. Piton parve
comprendere cosa fosse un tatuaggio.
-Potrebbe fargli vedere qualche modello, così, per
farsi un’idea…-
-Ma sicuro! Tenete, sfogliatelo con calma; potete sedervi
laggiù. Quando avete deciso, fatemi un fischio. –
Ryan prese gli album dei modelli e guidò il gruppo a
sedersi su alcuni pouf in fondo alla stanza. I ragazzi si disposero a cerchio
attorno ad Harry e Piton.
-Allora, mi volete spiegare cos’è questa
storia?- li aggredì il più anziano.
-Vorremmo aiutarti a far scomparire il Marchio Oscuro.
– sentenziò Elisabetta.
Piton sbiancò in un sol colpo. –E voi…
come fate a sapere?-
-Eh! È da un sacco di tempo che lo sappiamo!!
Comunque, Harry ci ha detto che hai provato di tutto per farlo andare via,
però saremmo pronti a sommettere una Dreher che non hai provato a
coprirlo con un tatuaggio, vero?-
-Ma figurarsi se basterà quella diavoleria babbana!
Ho provato i più potenti incantesimi…!-
-Scommessa?-
-Ci sto. –
I ragazzi chiesero a Piton di mostrare loro
l’avambraccio, in modo da farsi un’idea della grandezza del
Marchio, poi iniziarono a cercare nei tre album.
Sara propose un tribale nero della lunghezza
dell’avambraccio, Enrique un calderone (-Che fantasia!- n.d. Piton),
Giada un cuore trafitto da una spada e così via… a conti fatti
però l’opzione più sensata fu quella di Harry: un tao nero
e azzurro che, essendo rotondo, si prestava benissimo alla copertura del Marchio;
anche il diretto interessato parve essere d’accordo.
-Abbiamo scelto!- esclamò Ryan.
-Molto bene… ah, un tao. Se ne fanno parecchi di
quelli, bella scelta. Allora, dove lo facciamo?-
Piton indicò il proprio avambraccio.
-Perfetto. Mi segua, prego. – l’uomo condusse lo
strano gruppo in una stanzetta adiacente all’ambiente principale nel
quale dava sfogo alla propria arte; fece sedere Piton al centro della stanza e
iniziò ad armeggiare con una strana macchina che ricordava vagamente una
macchina da cucito.
-I colori nero e azzurro le vanno bene?- chiese.
-Sì. –
-Beh, allora dovrà tornare una seconda volta, faccio
una seduta ogni colore…-
Piton guardò male i ragazzi che l’avevano
convinto, i quali fecero spallucce.
Il tatuatore scoprì l’avambraccio di Piton e si
stupì nel vedere un altro tatuaggio.
-Intende coprire questo?-
-Sì, non voleva rimuoverlo perché dicono che
resti una cicatrice. – si intromise Ryan.
-Va bene, si può fare, i colori ci aiutano. –
rispose avvicinando la macchinetta a Piton; quest’ultimo scoprì
presto a cosa serviva quello strano aggeggio babbano: essa spingeva un sottile
ago sotto la sua pelle, dove spruzzava una goccia di colore nero. Il punto era
che…
-Ahia! Fa male!-
-Eh, eh, e che si aspettava? Pensi che gli indiani prima
drogavano la persona, poi le incidevano la pelle con un coltello e infine
soffiavano nella ferita del carbone per fare i tatuaggi!-
Dopo quella nota, Piton stette zitto meditando sulla
macchina babbana.
Mezz’ora dopo avevano finito. Il tatuatore mise una
benda sulla sua opera completa a metà e diede tutta una serie di
raccomandazioni difficili da ricordare, poi congedò il gruppo.
-Allora? Non è poi così male avere un
tatuaggio, no?-
-Solo io a farmi convincere! Però sembra aver coperto
il Marchio… potrebbe funzionare. –
-Scommessa vinta!-
-Piano, ne riparliamo a opera completa. –
La Chiodo
si rivelò diffidente all’idea di un marito tatuato, però,
capendo la motivazione di fondo che avevano spinto Severus ad agire, comprese e
accettò.
Cinque giorni dopo Piton tornò al negozio per farsi
ultimare l’opera. Il tutto gli costò circa 200 euro, e meno male
che pagò Enrique, altrimenti sarebbe andato in escandescenze!!
*
Qualche giorno dopo, mentre i ragazzi erano intenti a fare i
primi compiti delle vacanze, la pace che regnava nella stanza venne interrotta
dall’arrivo di un gufo mai visto prima. Il suo biglietto da visita fu uno
spettacolare schianto attaccato al vetro di una delle tante finestre,
così che Sara, impietosita, andò ad aprirgliela, visto che
proprio da quella voleva entrare. L’animaletto marroncino si
lasciò trasportare fin dentro la stanza senza obiettare, poi
zampettò e si rimise in piedi sulla mano di Sara, poi volò sulla
spalla di Harry. Evidentemente, il messaggio che trasportava era indirizzato a
lui.
Il ragazzo slegò il messaggio dalla zampa del rapace,
che tra l’altro gli sembrava familiare, e i suoi occhi si illuminarono di
gioia:
Caro Harry,
ci eravamo lasciati che io ed Hermione eravamo pazzamente
innamorati, e adesso… CI VOGLIAMO SPOSARE!!! Si nota che sono contento?
No, eh? Tornando a noi, io e ‘mione ci terremmo veramente che tu venissi
al nostro matrimonio, perciò…
SEI INVITATO/A AL MATRIMONIO DI RONALD WEASLEY &
HERMIONE GRANGER IL 14 GIUGNO 2005. PRIMA DELLA CELEBRAZIONE, TI ASPETTIAMO
CALOROSAMENTE A CASA NOSTRA A HOGSMEADE (NON PREOCCUPARTI, LE FRECCE TI
GIUDERANNO!).
Compare, se vuoi porta qualche amico/A (hai capito cosa
intendo, vero?). Qui allegata troverai una Passaporta, non ti preoccupare per
il ritorno, ci penseremo poi.
Se manchi, giuro che ti spedirò il più
grosso dei malefici (che conosce Hermione…).
Allora ti aspettiamo il 14, mi raccomando non
mancare!!!
Baci,
Ron & ‘mione
-Ron, Hermione? Amici di scuola?- chiese Elisabetta,
sbirciando il foglio.
-Eh già. Bei tempi quelli della scuola, non fosse
stato per un certo professore di Pozioni…-
-Allora, quando partiamo?-
-Eh? Partiamo? Noi? Noi chi?-
-Tu e “qualche amico”…-
-Amici? Dove, io non li vedo…- Harry fece finta di
guardarsi intorno.
-Harry! Dai, non rompere, ci divertiremo un sacco! E poi te
lo hanno detto loro di portare qualcuno, no?-
Tanto dissero e tanto fecero che riuscirono a convincere
Harry. Ora, restavano otto paia di genitori da convincere…
A passo spedito i ragazzi scesero al pian terreno e
inseguirono Piton e la Chiodo
per una buona mezz’ora, finché non li persuasero a sedersi in
cucina.
-Harry, spiega e convinci!-
-Va bene. Niente, Ron ed Hermione si sposano e mi hanno
invitato dicendo di portare qualche amico. I miei conoscenti qui intorno
vorrebbero venire con me…-
-Come? Weasley e la Granger si sposano? Povera Granger, dovrà
fare a metà coi neuroni…-
-Severus!!-
-Va bene, va bene… Allora, quando e dove il lieto
evento?-
-A Hogsmeade il 14 di questo mese. Se per voi va
bene…-
Piton e la
Chiodo si trovarono circondati da sguardi supplicanti e occhi
velati di lacrime, così si convinsero a dare ai ragazzi carta bianca, a
patto però…
-A patto che tutti gli altri genitori siano d’accordo!
Se anche uno solo non è d’accordo la gita salta, intesi?-
-Perfetto grazie mille adesso andiamo a scrivere ciao.
– i ragazzi si dileguarono su per le scale. Enrique persuase i propri
genitori senza troppa fatica, e perciò Manuel era quasi matematico che
venisse. Sara, Ramona, Giada, Emma e Ryan scrissero righe su righe di scuse,
preghiere, suppliche che affidarono ai rispettivi gufi. Manuel se la prese
molto più comoda, scrisse quella sera e soltanto due righe.
Quella notte nessuno chiuse occhio; i ragazzi si coricarono
molto tardi e lasciarono le finestre spalancate in camera, tanto che dovettero
ricorrere a più coperte. La prima risposta via gufo fu quella per Giada,
verso la mezza, e fu affermativa. Eccitate, Sara e Giada corsero a svegliare i
compagni e ad annunciare loro la lieta notizia; Elisabetta e Francesca
entrarono di soppiatto nella camera dei “genitori” e urlarono a
squarciagola: -I genitori di Giada hanno detto che è okay!! Evviva!!-
Dopo quaranta minuti giunse anche il via libera dei genitori
di Sara, e la scena si ripeté identica.
La terza volta, verso le due di notte, Piton decise di
averne abbastanza e spedì fuori dalla camera le figlie adottiva a suon
di maledizioni (con la bacchetta…).
Alle quattro arrivarono simultaneamente le risposte dei
genitori di Emma e Ramona, entrambe positive. I ragazzi, tutti i ragazzi, si
introdussero nella camera delle maledizioni in punta di piedi, nascosero la
bacchetta di Piton e lo svegliarono, un po’ più dolcemente, per
comunicargli gli ultimi risvolti della vicenda. Quella volta ricevettero
maledizioni verbali, senza bacchetta.
Riuscirono tutti a farsi ben due ore di sonno, e infine alle
sei giunsero le risposte per Manuel e Ryan.
-Sì! E vai, Londra aspettaci!-
-Sì, sempre che Piton non ci disintegri al
risveglio… meglio che gli portiamo la colazione a letto, hai visto mai
che lo addolcisca!-
L’idea di Ryan parve più che sensata, quasi
doverosa a farsi, perciò i ragazzi si misero di buona lena e prepararono
una colazione coi fiocchi: caffè, camomilla, latte, biscotti, zucchero,
marmellata e brioche e uova col bacon.
Si servirono di due vassoi per portare il tutto fino alla
camera in questione; lasciarono la colazione fumante sui comodini, alzarono di
poco le tapparelle e si dileguarono.
Infastidita dallo spiraglio di luce, la Chiodo aprì un
occhio per esplorare la camera: pareva tutto in ordine, nessuna presenza di
teenager. Eppure, la tapparella non si era alzata da sola. Si levò a
sedere, e allora si accorse del servizio in camera che i ragazzi avevano
offerto. Sorrise di cuore e scosse leggermente l’amato per mostrargli la
sorpresa.
-Severus…- sussurrò. Piton ebbe una reazione
fuori dal comune: balzò e afferrò il collo
dell’importunatrice.
-Severus, lasciami! Soffoco…-
-Vittoria! Oh, perdonami… ero convinto che si
trattasse di quegli scocciatori… ti prego, scusami!-
-Non ti preoccupare, sono ancora viva. Camomilla?-
-Sì, grazie. Ne ho proprio bisogno…-
Alle dieci i piccioncini si decisero a scendere. I ragazzi
stavano facendo una partita a carte, e per poco non si strozzarono dalle
risate: il loro insegnante di Pozioni aveva certe occhiaie viola che
ricordavano vagamente le borse della spesa…
-E chi devo ringraziare?- borbottò lui.
-Allora, ultime notizie: alle sei sono arrivate le risposte
dei genitori di Manuel e Ryan, ed erano affermative. Possiamo andare, sono
tutti d’accordo…-
-Fuori i documenti. –
Harry passò a Piton le varie pergamene, il quale le
passò ai raggi X fino ad essere soddisfatto.
-Per questa volta la spuntate… certo che avete una
indiscutibile dose di fondoschiena…-
-Serve anche quello nella vita!!-
Il gruppo svelto salì le scale con meta le proprie
camere. Si aprì una vera battaglia all’ultimo sangue: fare i
bauli. Manuel ed Enrique misero i vestiti già indossati in fondo ai
propri bauli senza piegarli, ma Ryan li costrinse a forza a piegarli e riporli ordinatamente.
Sara, Ramona e Giada organizzarono una sfida a canestro cercando di centrare i
bauli coi propri averi. Elisabetta e Francesca svuotarono gli armadi e i
cassetti, maledicendosi per aver tirato fuori tante cianfrusaglie.
Harry, che intanto era uscito per una passeggiata, tornando
si trovò davanti uno spettacolo incomprensibile.
-Ehm… ragazzi? Raga, perché avete fatto i
bauli?-
-Mah… se si sporca un vestito? Ce lo dobbiamo
cambiare, e poi dobbiamo fare tutte le prove… un matrimonio è una
cosa importante!-
-Sì, e se casca il mondo?-
-Abbiamo tutta la nostra roba lì dentro, così
non si sparpaglia!-
-Vai a fare il tuo, piuttosto!-
Troppo stanco per ribattere, Harry fece quanto gli era stato
ordinato e si infilò a letto. Fu disturbato per un’altra
mezz’ora circa dai preparativi dei ragazzi, ma alla fine, alle undici,
riuscì ad addormentarsi. Il giorno dopo sarebbe stato stressante,
perciò ciascuno badò bene ad addormentarsi il prima possibile.
Capitolo 50 *** Questo Grosso, Grasso Matrimonio Inglese ***
Capitolo 4
Questo grosso, grasso, matrimonio inglese
Alle otto in punto Harry fece il giro delle stanze per
svegliare gli amici; venti minuti dopo la squadra era al pian terreno per la
colazione.
C’era un diffuso buon umore e anche un po’ di
eccitazione in quella mattina del 12 giugno. Francesca rovesciò il the
bollente sulla tovaglia ed Enrique mandò in mille pezzi la sua tazza,
così che la Chiodo
fu costretta con fatica ad alzarsi e recuperarne una nuova. Ancora due mesi e
il bambino che portava in grembo sarebbe nato.
Poco prima del termine della colazione Harry propose a Piton
di fare una scappata con loro al matrimonio, giusto per vedere la reazione di
Ron ed Hermione.
-Ammetto che mi piacerebbe vedere la loro faccia…
Vittoria, credi che potrei assentarmi un paio di giorni?-
-Stai tranquillo, noi ce la caveremo bene. Ragazzi, tenetelo
d’occhio, mi raccomando: non vorrei che si innamorasse di una bella
irlandese…-
-Puoi stare tranquilla, le irlandesi non mi piacciono.
–
-Allora siamo d’accordo. Andiamo, prenderemo la Passaporta
all’ultimo piano per non rischiare di farci scoprire. Vittoria…-
Harry salutò la Chiodo
sfiorandole appena una guancia con le labbra.
-Ehi Potter, mantieni le distanze dalla mia donna. –
ringhiò Piton, fingendosi geloso.
-Già Potter, ronza lontano da mia madre. Tu hai un
appuntamento con me. – lo imitò Elisabetta.
-Ciao Vittoria, spero di riuscire a non ammazzare nessuno
della tua famiglia… a presto. –
I prodi ragazzi, in capo ad un quarto d’ora, erano
giunti in Gran Bretagna, più precisamente ad Hogsmeade. Il viaggio con la Passaporta li aveva
scombussolati oltre ogni dire, perciò Harry propose di affittare qualche
stanza da Madama Rosmeta. Quando giunsero ai Tre Manici di Scopa, i
ragazzi si resero conto del loro grosso limite: non sapevano l’inglese!!
Per loro fortuna Harry e Piton erano inglesi, altrimenti sarebbero stati
problemi seri.
Quando raggiunsero le rispettive stanze, ciascuno
pensò per prima cosa a disfarsi dei bagagli, confinando i bauli negli
angoli più remoti e introvabili, poi si riunirono tutti al pian terreno.
-Dunque, come senz’altro avrete notato, qui parlano
tutti inglese…- esordì Harry.
-Perciò avete bisogno di un incantesimo che vi
permetta di comprenderlo e parlarlo. Se non vi dispiace, io procederei…-
completò Piton. I ragazzi annuirono, in religioso silenzio.
-Molto bene. Transduco!!-
Uno a uno Piton colpì i ragazzi, che improvvisamente
presero a pensare e parlare in un inglese perfetto.
-Adesso abbiamo capito come mai Silly e il fratellone
chiacchierano così bene in italiano…-
Quella giornata ormai era sprecata: per rimettersi in sesto
i ragazzi ebbero bisogno di almeno un paio d’ore e molti decisero di
schiacciare una pennichella o dedicarsi ad attività tranquille come una
partita a carte.
L’indomani Harry volle mostrare agli amici
l’unico villaggio interamente di maghi di tutta la Gran Bretagna, con
la speranza di incrociare qualche vecchia conoscenza.
Partirono senza fretta in tarda mattinata, gironzolando con
la curiosità di turisti in visita ad una città d’arte.
Quante cose c’erano da vedere! Mielandia, ad esempio,
era la più vicina. Era un negozio stracolmo di dolci di ogni genere, dal
classico cioccolato, magicamente rivisitato, alle migliaia di tipi differenti
di caramelle, di tutte le dimensioni e colori. Quelle però che
attirarono l’attenzione dei ragazzi furono le caramelle Effetti Speciali:
ciascuno ne acquistò una manciata, assieme a tanto cioccolato. Mentre i
ragazzi sgranocchiavano allegramente i loro acquisti, Harry ne approfittò
per mostrar loro la
Stramberga Strillante.
-Dicono che sia la casa più infestata
d’Inghilterra ma, tenetevelo per voi, sono tutte balle. Il fatto è
che era frequentato da un lupo mannaro…-
-In un modo o nell’altro, sempre infestata era…-
commentò Elisabetta.
-Dovrei ricordarti, signorinella, che si parla di
“infestare” solo per i fantasmi?- la rimbeccò Piton.
-Dovrei ricordarti, carino, che siamo in vacanza? Rilassati,
dai!-
Nei pressi della casa “infestata” la compagnia
fece un incontro che avrebbe sconvolto la loro giornata…
-Ehi, guardate quel biondo! Quant’è
carino…- Emma si era portata le mani alla bocca, per sembrare ancora
più colpita. L’attenzione del gruppo si focalizzò sul
ragazzo che stava avvicinandosi, guarda caso, proprio alla Stramberga
Strillante.
-Malfoy…- ringhiò Piton.
-Draco. – completò Harry. I due si guardarono;
parevano allarmati.
-Il mio caro fratellastro…- soffiò Ryan.
Nonostante tutto, il biondo continuava ad avvicinarsi; si
fermò solo quando fu di fronte a Piton.
-Salve, Severus. Sono tutti figli tuoi?-
Ora che Emma lo osservava meglio, si convinse di avere una
vista d’aquila: era veramente carino. Alto occhio e croce un metro e
ottanta, fisico asciutto, capelli biondo platino e due interessanti occhi di
ghiaccio; purtroppo era abbastanza vestito (jeans e felpa), ma la ragazza
sarebbe stata disposta a levargli di persona la maglia.
-Due o tre… Allora, Draco, qual buon vento?- il tono
di Piton era molto serio, se non minaccioso.
-In verità, venivo per Potter. –
Sentendosi chiamato in causa, Harry mosse un passo verso
Malfoy, mostrandosi in tutta la sua altezza.
-Ne è passato di tempo, Potter. –
-Speravo almeno il doppio, Malfoy. –
-Suvvia, Potter, perché quello sguardo truce? Vengo
in pace, siamo dalla stessa parte…-
-Ora che il Padrone tuo e di tuo padre se n’è
andato?-
-Sì Potter, so che muori dalla voglia di dirlo ancora
una volta che sei tu quello che ha sconfitto Lord Voldemort ma, che vuoi che ti
dica?, morto un papa se ne fa un altro, è così anche per i
cattivi…-
A quelle parole Harry e Piton si irrigidirono Che diavolo
voleva insinuare Malfoy?
-Allora, vi ho incuriositi almeno un po’? Merito la
vostra attenzione?-
-Eccome. Ragazzi, ci vediamo dopo. -
-Ehi, non ho diritto anch’io di sapere, fratello?-
Ryan emerse dal gruppo sfidando con lo sguardo Draco Malfoy.
-Fratello? Oh, sì… Verdun, giusto? Bene, mi
sembra doveroso, è una cosa che, in fondo, riguarda un poco anche te.
Vieni, fratellino…-
-Piano con la confidenza, fratellone…-
Sara lasciò mal volentieri la mano del suo ragazzo,
ma dall’occhiata che le diede, capì che per lui si trattava di
qualcosa di importante; così, i ragazzi rimasero a gironzolare nei
dintorni di Mielandia.
Il dibattito si protrasse per quasi un’ora,
intervallata da una scappata all’esterno di Ryan che consigliò
agli amici di farsi un giro per Hogsmeade con rientro tassativo dopo quaranta
minuti.
Tre quarti d’ora dopo i ragazzi pretesero spiegazioni
da Harry e Ryan, mentre Piton intratteneva Malfoy.
-Allora, chi è quel bel ragazzo?- chiese subito
Giada, indicando Malfoy.
-Un mio ex compagno di scuola, una specie di Lucifero per
intenderci. –
-Un tipo simpatico e tranquillo?-
-Precisamente. Ma non è dei nostri rapporti che
abbiamo parlato, piuttosto di suo padre. Suo padre, Lucius Malfoy, era un
Mangiamorte tra i più potenti e vicini a Voldemort; Draco mi ha
raccontato che dopo la caduta del suo Padrone, ha iniziato a dar di matto.
Innanzi tutto ha tradito sua moglie, Narcissa, per Bellatrix Lastrange…-
-Ehm,
Harry? Rallenta. Allora, Narcissa è la madre del biondo, ma Beatrix,
chi caspita è?-
Sara si stupì della reazione avuta dal ragazzo alla
propria domanda: le parve che i suoi occhi si fossero infiammati d’odio
al solo sentire quel nome.
-È la cugina del mio padrino, Sirius Black,
nonché la sua assassina. Oltre a questo, ed è la parte più
importante, intende, anzi, si è già sostituito a Voldemort.
–
-Cioè… abbiamo un “Voldemort 2 la
vendetta”?-
-Almeno a parole, sì. Resta da vedere quanto il suo
potere sia vicino a quello del suo predecessore…-
-Ehm… ehi, non vorrei sembrarti un’egoista
ma… noi che c’entriamo?- Emma era piuttosto sulla difensiva.
-Sta a voi la scelta. Se volete immischiarvi o se volete
rimanerne fuori, decidete voi. – Draco si era appena avvicinato al gruppo
di ragazzetti con il sorriso stampato in faccia.
-A noi cosa ne viene in tasca? Ma, soprattutto, tu?-
Elisabetta gli piantò gli occhi in faccia, per persuaderlo a darle una
risposta soddisfacente.
-A me interessa fargliela pagare per il suo tradimento,
niente di più. Voi… beh, non saprei, a fare i buoni non viene mai
nulla in tasca…-
-Forse… ma neanche a fare i cattivi, a quanto ho
potuto constatare…- anche Piton si era unito al gruppo.
-Parli bene tu…- Draco fece spallucce.
Elisabetta avrebbe voluto gridargli che, scegliendo il bene,
SUO PADRE stava per avere una vita normale e decente che il servizio presso
Voldemort gli aveva sempre negato, ma si trattenne e si limitò ad
ammiccare malevola verso il biondo, che le fece una linguaccia.
-Allora, ci penserete? Vi do un po’ di tempo, ne
discuteremo con calma diciamo… tra due giorni, sì, mi sembra
ragionevole. Io non vi ho visto, voi non avete visto me. Buon proseguimento di
giornata…- così com’era venuto, il biondo se n’era
andato, con gran sollievo di tutti.
Francesca guardò Piton: -La prossima volta, per favore,
rompigli il muso. – soffiò.
-Borioso…-
-Pallone gonfiato…-
*
Dopo quello “scontro” il gruppo cercò di
cacciare dalla mente i pensieri negativi in vista della visita alla casa dei
promessi sposi.
Harry condusse i ragazzi per le vie di Hogsmeade lasciandosi
guidare dai palloncini disseminati nel villaggio; essi conducevano ad una
viottola nascosta dietro a Mielandia che terminava con una piccola villetta a
schiera quasi a ridosso della cinta muraria che circondava il piccolo
agglomerato urbano.
Essa era gialla, con due piani e piccoli balconi bianchi
ornati da fiori colorati; aveva il tetto rosso e un grazioso giardino recintato
con rose, viole e tante margherite. Al giardino si accedeva tramite una
porticciola di legno, la cui guardia era stata affidata a due giovani alberi di
limone ornati, per l’occasione, da palloncini azzurri.
Harry avanzò e giunse dinnanzi alla porta bianca
della villetta, lasciando i suoi amici indietro ad ammirare i limoni gialli;
bussò. Udì uno scalpiccio provenire dall’interno, passi
affrettati avvicinarsi. Il cuore mancò un battito, la testa si fece
leggera: Ron e ‘mione, quanto tempo!
Lentamente, troppo lentamente, la porta si aprì
cigolando leggermente; una pioggia di fuoco fece capolino dall’interno,
un largo sorriso benevolo espresso dagli occhi accolse il ragazzo
sopravvissuto.
-Harry?-
-Sì, Ron, sono io!-
Ron sorrise come se qualcuno gli avesse appena regalato un
tesoro, direttamente e senza l’incomodo della mappa; un sorriso aperto,
che ebbe il suo culmine in una risata di piacere.
-Harry! Quanto tempo!!- gridò al colmo della
felicità abbracciando l’amico.
-Troppo Ron, troppo. –
-Cavolo, Harry, avevo detto un paio di amici… chi
sono?-
-Te lo spiego dentro, okay?-
-Ron, chi è?- dall’interno giunse una voce
lieta di ragazza.
-Un vecchio amico che non si fa vedere in giro da tempo!
Venite dentro. –
La piccola comitiva entrò nella casetta in fila
indiana, capitanata dall’altissimo Ron. Percorsero un corto corridoio
immacolato sporcato di tanto in tanto da macchie verdi di piante grasse ed
entrarono nella cucina, dov’era Hermione, una ragazza slanciata con
voluminosi boccoli castani e occhi del medesimo colore.
-Hermione!- Harry le andò correndo incontro e le
buttò le braccia al collo.
-Harry! Che piacere rivederti!-
-Allora, compagno, chi sono i tuoi amici, non ce li
presenti?- Ron riportò la fidanzata e l’amico al presente.
-Certamente! Questi sono i miei inseparabili alunni, dritti
dritti dal Bel Paese…-
-Ah! Italiani…-
I ragazzi si presentarono uno ad uno; Hermione notò
però un’ombra in disparte e fece per avvicinarsi ma… Piton
si rivelò in tutto il suo splendore…
-P-professor… Piton?- chiese sbigottita la ragazza.
-In carne e ossa!- tuonò questi.
-Ma… Harry!? Ti avevo detto di portare degli
amici… che ci fa lui qui?- la faccia di Ron era veramente singolare,
peccato che nessuno avesse con sé una macchina fotografica per
immortalarla.
Harry e Piton presero a ridere di gusto indicando ora Ron,
ora Hermione, finché entrambi non caddero a sedere sulle sedie di legno.
-Infatti lui è un mio amico. Sedetevi, così vi
raccontiamo tutto. –
Ron ed Hermione condussero gli ospiti nella sala, affianco
alla cucina, dove c’era posto da sedere per tutti ed esortarono Harry
affinché raccontasse loro tutte le novità. Quest’ultimo se
la godette un mondo a fare il resoconto ai compagni del suo movimentato anno
lavorativo, concludendo il tutto con una pacca a Piton.
-Allora, credete che potrò venire anch’io al
vostro matrimonio?- chiese quest’ultimo.
-Se le cose stanno così, perché no?-
I due vecchi compagni di scuola di Harry erano veramente
simpatici ed ebbero il favore di tutti i presenti; continuarono a chiacchierare
del più e del meno per tutto il pomeriggio e alla sera gli ospiti si
trattennero a cena da loro. Verso le undici Hermione, da brava donna di casa,
spedì tutti quanti a letto al piano di sopra: di tornare al pub non se
ne parlava. La ragazza dormì sonni tranquilli, mentre Ron obbligò
Harry a stare sveglio per parlare con lui.
Harry ne approfittò per chiedergli se avevano
programmato un viaggio di nozze e, visto che non aveva portato con sé
regali, decise di pagarlo con l’aiuto dei ragazzi.
L’indomani mattina si svegliarono tutti di
buon’ora; subito dopo la colazione Hermione uscì per andare dalla
parrucchiera e fu l’ultima volta prima della celebrazione che la si
rivide in casa. Harry aiutò Ron nei preparativi mentre i ragazzi fecero
ritorno, dopo colazione, ai Tre Manici di Scopa per vestirsi.
La cerimonia sarebbe iniziata alle undici e un’ora
prima ci sarebbe stato un rinfresco alla casa degli sposi; a turni i ragazzi
fecero un bel bagno e si vestirono davanti allo specchio. Non avanzò
loro che un quarto d’ora, che impiegarono a giungere alla casa degli
sposini; la trovarono occupata.
Parecchia gente faceva avanti e indietro dal giardino
all’interno della casetta; notarono in particolare due ragazzi alti
quanto Ron (circa due metri) e con gli stessi capelli rossi che gironzolavano
sempre in coppia orgogliosi di mostrare le loro giacche di pelle. In un angolo
Piton stava scambiando due parole con una coppia di signori di mezza età
che indovinarono essere i genitori di Ron, mentre Harry si stava intrattenendo
con quelli che probabilmente erano i parenti della sposa.
Trovando difficoltoso il procedere in gruppo, peraltro
numeroso, così decisero di dividersi: Manuel, Enrique e Ryan da una
parte; Sara, Giada ed Elisabetta da un’altra e infine Francesca, Ramona
ed Emma da una terza.
I maschi fecero subito la conoscenza dei fratelli maggiori
di Ron, Fred e George, che trovarono molto divertenti; scoprirono che gestivano
un negozio di scherzi magici, cosa che attirò molto la loro attenzione,
e che i loro affari non erano mai andati meglio che in quel periodo.
Come si avvicinavano le undici, la folla iniziava a
diradarsi; dieci minuti prima dell’ora fatidica i tre gruppi di italiani
si riunirono e si incamminarono alla volta della chiesa, che trovarono non
lontano dalla Stamberga Strillante. L’edificio in stile gotico era
adornato da fiori di vari colori e profumi e somigliava vagamente ad un giardino
botanico.
-Ma sì, e via, tutta salute per la mia
allergia…- borbottò Elisabetta.
Riuscirono ad impadronirsi di due panche a metà circa
della navata centrale, si sedettero e attesero.
Come in ogni matrimonio che si rispetti, la sposa
arrivò con un leggero ritardo su una stupenda carrozza trainata da un
solo cavallo bianco. La marcia nuziale partì e Ramona si ritrovò
a seguirla movendo le dita proprio come se stesse suonando la tastiera.
L’abito di Hermione era molto semplice: bianco,
aderente, con un lungo velo; di fianco a lei, i suoi genitori. Lo sposo era
già davanti all’altare ad attenderla nel suo impeccabile smoking
nero e una rosa rossa all’occhiello. Harry si era ritrovato
all’ultimo minuto a dover fare il testimone a Hermione, la ragazza non aveva
voluto comunicarglielo prima per fargli una sorpresa, mentre Ron aveva
designato sua sorella Ginny, sorridente nel suo lungo abito azzurro di fianco
al fratello.
Nessuno dei ragazzi aveva creduto che assistere ad un
matrimonio potesse essere così faticoso: più di una volta furono
costretti, per non perdere di vista l’altare, il basso e tarchiato prete
e gli sposi, a salire in punta di piedi sull’inginocchiatoio per
sovrastare le teste calve davanti a loro.
Per un attimo valutarono anche l’ipotesi di far salire
sulle proprie spalle i compagni quando il prete chiese: -Vuoi tu, Ronald
Weasley, prendere in moglie Hermione Jane Granger?-, ma credettero che non
fosse proprio il caso.
A cerimonia ultimata, si precipitarono fuori dalla chiesa,
dove furono muniti da Fred e George di tutto il riso di cui avevano bisogno.
Firmate alcune carte, i due sposi si decisero ad uscire, concedendo ad amici,
parenti e semplici conoscenti di innaffiarli di riso. Erano veramente una bella
coppia!! Dopo il riso, un lungo bacio e infine Hermione tirò il bouquet,
che fu acchiappato niente meno che da Albus Silente.
Dal nulla apparvero decine di carrozze dalla capienza
massima di tre persone; i due novelli sposi invitarono i presenti a salire e
così fecero loro. Quando nessuno fu più a piedi, le carrozze
iniziarono il loro viaggio. In verità nessuno degli invitati conosceva
la destinazione, gli sposi non l’avevano comunicato; Harry però
aveva un sospetto già da quando erano apparse le carrozze, che si
rivelò fondato quando imboccarono una tortuosa stradina ascendente: la
meta era il castello di Hogwarts!!
Ignari di tutto, i trasfertisti italiani rimasero a bocca
aperta alla vista del maestoso castello e avrebbero chiesto certamente
dov’erano, se Albus Silente non avesse sussurrato loro: -Benvenuti ad
Hogwarts!-
Torrioni, torrette, merli si innalzavano fin quasi al cielo;
lunghi e maestosi archi ad ogiva sembravano celare al loro interno il volto di
un arciere e l’immenso portone d’ingresso pareva non attendere
altro che un’antica macchina d’assedio per farsi sventrare. Nulla
di tutto ciò: all’avvicinarsi di Silente ogni porta, grande o
piccola che fosse, si apriva. Il canuto mago condusse i rumorosi invitati fino
a quella che i ragazzi italiani indovinarono essere l’originale Sala Grande
da cui a Bologna avevano tratto lo spunto: era occupata da un infinitamente
lungo tavolo ritorto più volto su se stesso, accuratamente apparecchiato
e tremendamente invitante.
La lotta per i posti fu estenuante. Il gruppo di amici
riuscì a rimanere pressoché unito, con un nucleo di Weasley al
centro; con grande dispiacere di Elisabetta, Harry si sedette accanto a Ron e
alla sua testimone, in un tavolo separato che doveva essere quello a cui
solitamente sedevano gli insegnanti.
-Allora, noi siamo Fred e George Weasley, lieti di fare la
vostra conoscenza. – cantilenarono i gemelli. Entrambi erano altissimi e
magri, condue grandi cespugli
rossi in testa e gli occhi verdi e il medesimo timbro di voce.
Le ragazze si presentarono una ad una.
-Wow George, oggi siamo beati tra le donne!-
-Smettila George, io sono Fred!!-
-Ops, scusate, siamo talmente simili che ormai penso come
Fred e mi credo persino lui!-
Quando si accorgevano del languire della conversazione, i
due giovani facevano ricorso al loro repertorio di barzellette, che comprendeva
anche le loro imprese scolastiche: così, nessuno dei vicini poté
lamentare noia durante il seppur lungo pranzo.
Quando esso si fu concluso, Fred e George invitarono i nuovi
amici per un sabato sera in pub, invito che fu accettato di buon grado;
Hermione e Ron, prima di partire per il viaggio ad Ibiza, lasciarono le chiavi
di casa ad Harry, consigliandogli di trasferirvisi con gli amici per evitare di
pagare l’affitto.
Quando Harry diede la buona notizia agli amici, di certo non
si aspettava tutti quegli sbuffi.
-Ma uffa, dovremo spostare tutti i nostri bagagli!-
protestarono i ragazzi.
-Dopo ragazzi, adesso andiamo a smaltire la scorpacciata in
casa, offro un goccio di liquore a tutti quanti. – con poco, Piton
ottenne un coro di applausi.