Every Step You Take

di Doralice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Step One: Dream ***
Capitolo 2: *** Step Two: Soul ***
Capitolo 3: *** Step Three: Close ***
Capitolo 4: *** Step Four: Lust ***
Capitolo 5: *** Step Five: Mess ***
Capitolo 6: *** Step Six: Reboot ***
Capitolo 7: *** Last Step: Love ***



Capitolo 1
*** Step One: Dream ***


Note:

E lo sapevo che non l'avevo finita con le Sylar/Claire. Anche qui un brano per capitolo (ormai è un vizio), ma il tono generale è abbastanza diverso dalle altre, è molto più zuccherosa. Spero comunque che vi piaccia. Buona lettura!







Step One: Dream


Chi sogna e chi viene sognato

non sono svegli nella stessa misura.

- Jostein Gaarder -



Il sonno era un manto leggero, bastava poco per scostarlo. Claire passò dal dormiveglia al sogno senza soluzione di continuità e attese, respirando l'aria ferma.

Emerse dall'ombra, come sempre. Si mosse cauto e silenzioso come un gatto. L'aveva fatto altre volte, ma si era sempre limitato ad osservarla incuriosito. Quella sera era diverso. Claire aveva imparato il rituale fin dalla prima volta e capì subito che era cambiato qualcosa.

Non era più atterrita come all'inizio. L'aveva abituata alla sua presenza ed ora lo guardava con la stessa curiosità. Le mani lungo i fianchi, la posa rilassata: le stava mostrando quanto era innocuo. Si azzardò ad avvicinarsi a lei e quando posò un ginocchio sul letto non reagì.

Mille allarmi scattarono nella sua testa. Scappa, – le diceva una vocina – scappa finché sei in tempo. Ma Claire non si mosse.

Avanzò piano, attento alle sue reazioni. Non parlava, non la toccava, non faceva niente. Le stava sopra e la guardava e basta. Claire lo osservò a sua volta, guardinga: i lineamenti tagliati dall'ombra, il suo odore, il suo respiro.

Ogni più piccolo rumore era moltiplicato dal silenzio. Il fruscio delle lenzuola mentre si chinò su di lei fu assordante. Continuò a non toccarla, non la sfiorò nemmeno, mentre mosse le labbra sulle sue. Claire fu così sorpresa che ancora una volta non riuscì a difendersi.

Perché difendersi, poi? Non era bloccata, non la stava costringendo.

È solo un trucco... – incalzò la vocina.

Ma era facile ignorarla. Come era facile schiudere la bocca a quell'invito. Non fu un bacio profondo, Claire quasi gli dovette rincorrere le labbra mentre le lingue si sfioravano. Aveva il fiato corto e il cuore che impazzava in petto. Voleva quel calore che le aveva fatto assaggiare, lo voleva tutto.

Si scostò da lei e la osservò tranquillo. Claire sbatté le ciglia confusa e affannata. Quando spostò una mano sulla sua guancia e l'accarezzò piano, si svegliò con un sussulto.

Stessa stanza, stessa notte, ma l'aria non era ferma. Claire si puntellò sui gomiti e lo guardò, appollaiato sul davanzale della finestra come un corvo – o un incubus. Si scambiarono una lunga occhiata, senza dire una parola. E poi lui svanì nella notte.

Claire ricadde sul letto, le mani strette sulle lenzuola e la testa annebbiata da un caotico guazzabuglio di emozioni. Le altre volte non era mai stato presente fisicamente, si era limitato ad entrare nella sua testa. Perché quella notte era lì? Cosa era cambiato?

Attese l'alba senza dormire.

~~~

Dire che era euforica sarebbe un eufemismo. Non aveva chiuso occhio, eppure non si era mai sentita così carica. Aveva la mente in fibrillazione: sentiva il bisogno di capire, di vedere chiaro. E c'era solo una persona che poteva aiutarla in tal senso.

Toh, il mio zio preferito! –

Non chiamarmi così, – la rimproverò Peter – mi fai sentire vecchio! –

Toh, il mio giovane zio preferito. – lo canzonò dandogli una spallata.

Le scompigliò i capelli con uno sbuffo divertito.

Cosa posso fare per te? – le chiese.

Offrirmi il pranzo. –

Alzò gli occhi al cielo: – A parte quello. –

Non ti sfugge niente, eh? – sogghignò.

Lamentati anche. –

La mensa dell'ospedale era quasi vuota a quell'ora. S'infilarono lì e a metà pasto, quando ormai aveva capito che non poteva più rimandare, lanciò la bomba.

Ho bisogno di sapere cos'è successo nell'incubo di Sylar. –

Peter la guardò con un'espressione indecifrabile.

È tornato a cercarti? –

Abbassò lo sguardo sul piatto: – In un certo senso. –

Claire... – fece in tono ansioso.

È tutto apposto. – lo tranquillizzò con un sorriso – Ti va di raccontarmi? –

Lo vide aprire la bocca e richiuderla, titubante.

Non posso. – disse con aria affranta.

Lo immaginavo. – borbottò tra sé.

È una cosa troppo... – s'interruppe sentendo le sue parole – non sei arrabbiata? –

Scosse la testa: – Non so cosa sia successo, ma non deve essere stata una gita a Disneyland. –

Non è quello. – disse con un piccola smorfia – Io non avrei problemi, non con te... ma... –

Si tratta della sua testa. – concluse lei.

Peter si strinse nelle spalle con un piccolo “Già”. Claire sospirò davanti a quel vicolo cieco: avrebbe potuto anche arrivarci da sola in fin dei conti, ma le serviva una conferma.

Vorrà dire che dovrò andare direttamente da lui. – rifletté.

Tu vuoi...? – balbettò lui incredulo – Credevo che lo odiassi. –

Gli lanciò un'occhiata obliqua.

Non lo so. – batté le palpebre accigliata – Non capisco cosa... lui è cambiato. –

E ti basta questo? – fece sorpreso.

Tu non ti sei fatto problemi ad accettarlo, perché dovrei farmene io? – ribatté puntandosi una mano al petto.

Non era polemica, voleva solo capire. Peter si lasciò andare contro la sedia e la guardò perplesso.

È che... non credevo... – disse confuso – Claire, cosa state combinando? –

Ma non lo so. – ripeté seccata, stufa di tutti quei dannati “non lo so” – È per questo che ho bisogno di parlargli. –

Be', l'indirizzo ce l'hai. – le fece notare.

È il coraggio che mi manca. – ammise ficcandosi le mani sotto le cosce e facendosi piccola piccola.

Peter le passò un braccio attorno alle spalle.

Ehi, non sei tu la cheerleader che si è lanciata dalla ruota panoramica in diretta nazionale? – scherzò.

Già, – fece lei a mezzabocca – sembra passato un secolo, eh? Come va con Emma? –

Il volto di Peter si aprì in un sorriso: – Alla grande. Non cambiare discorso.–

Beccata!

Non hai un orologio da farti aggiustare? –

No. – borbottò imbronciata.

Allora rompine uno. – le suggerì scherzoso.

Come si permetteva di scherzare sulle sue disgrazie?! Gli pizzicò il fianco. Peter reagì mettendola sotto e sfregando il pugno sulla sua testa.

Ehi! – protestò divincolandosi da lui – Sono una signora, che cavolo! –

Te ne ricordi sempre quando ti fa comodo. – ridacchiò lasciandola andare.

Andrai da lui? – aggiunse, tornando serio.

Non lo so. – mugugnò scrollando le spalle.

Dovresti eliminarne qualcuno di questi “non lo so”. – l'ammonì saggiamente.

Claire decise che aveva ragione nel momento in cui si ricordò del suo vecchio carillon.


.~:°:~.


Stava lavorando ad un Roskopf di metà ottocento, quando sentì il tintinnio della porta. Irrigidì la presa sulle pinze, perché quel dlin-dlon lo stava aspettando da una vita.

La vide avanzare a passi incerti, una scatolina stretta in mano a mo di scudo, gli occhi sgranati. Si chiese quanto avrebbe resistito prima di crollare al suolo svenuta.

Ehi. – fece, cercando di apparire il più naturale possibile e ottenendo come risultato di sentirsi un perfetto idiota.

Lei rispose con un flebile “Ciao” e posò la scatolina sul bancone. Gabriel aveva la sgradevole sensazione di averle fatto rizzare i capelli sulla nuca.

Si schiarì la voce: – È un carillon. –

Vedo. – fece lui aprendolo e studiandolo.

Si è rotto. – precisò lei, infilando le mani in tasca e guardandosi intorno nervosamente.

Gabriel le lanciò un'occhiata da sopra gli occhiali e capì all'istante due cose. Numero uno: quando era agitata era ancora più carina, gli faceva venire voglia di baciarla. Numero due: il punto numero uno significava che era fottuto.

Ripassa in settimana. – le disse mettendo il carillon da parte.

Claire si morse le labbra e lo guardò di traverso, masticò un “Ok” e scappò via. Gabriel fissò la porta sgomento per un lungo istante, infine scosse la testa e tornò al Roskopf.

~~~

Aprì la porta di casa e un miagolio lo accolse. Guardò in basso: la palla di pelo come al solito faceva il ruffiano. Cosa gli fosse passato per la testa quel giorno che se l'era trovato davanti al portone, non lo sapeva proprio, fattostà che l'aveva preso con sé e adesso Gatto aveva messo radici nel suo appartamento. Sì, lo chiamava Gatto e basta: Tenente Colombo docet.

Era nero, spelacchiato e aveva gli occhi di colore diverso. Forse si era fatto infinocchiare da questo, dal suo aspetto che gli ricordava così tanto sé stesso. Ogni tanto ci parlava e lui lo guardava con l'aria svagata di chi si chiede “che cazzo vuole questo?” e lui un po' si sentiva una patetica zitella, ma non ci badava più di tanto.

Lo agguantò e lo lanciò via pigramente. Si tolse il cappotto e sfogliò la posta – bollette, bollette, bollette, pubblicità, riunione condominiale, pubblicità. Controllò che come sempre non ci fossero messaggi in segreteria, annaffiò le piante, diede le crocchette a Gatto.

Lui fece un “miao” poco convinto e Gabriel si accigliò: – Zitto e mangia. –

Si guardò intorno con aria smarrita: cazzo, era davvero una patetica zitella!

Si abbandonò sul divano strofinandosi il volto. Lo sguardo gli cadde sul capotto appeso, con la tasca che spiccava gonfia. Si avvicinò e lo osservò con diffidenza. Alla fine cedette e tirò fuori il carillon: se l'era portato via così, senza un motivo.

Tornò a sedersi rigirandoselo tra le mani come fosse un cubo di Rubik, mentre Gatto saltava affianco a lui e prendeva a farsi le pulizie.

Gabriel sollevò il coperchio, come aveva già fatto, e caricò la rotella. Il suono ne uscì distorto e scordato, mentre la ballerina non accennò neanche un passo di danza. Lo portò all'orecchio e chiuse gli occhi... eccolo, lo sentiva fluttuare... sarebbe bastato poco, appena un gesto, per rimettere tutto a posto.

Ma non oggi.

Tornò a guardarlo e fermò il meccanismo. Lo posò sul tavolino davanti a sé e accarezzò distrattamente Gatto.

Credi che tornerà? –

Gatto si stiracchiò e gli balzò sulle gambe, appallottolandosi per bene e facendo pur-pur. Gabriel lo guardò truce mentre gli piantava le unghie nei jeans: quelle bestie avevano uno strano modo di dimostrare affetto.

Ahio. – fece in tono d'avvertimento.

Gatto alzò il musetto verso di lui e Gabriel scrutò quegli occhi anomali.

E non guardarmi con quell'aria di commiserazione. – lo rimproverò.

Gatto socchiuse gli occhi e aumentò le fusa con aria soddisfatta.

Come parlare al vento...

Gabriel guardò ancora una volta il carillon. Allungò la mano per richiudere il coperchio e una scarica improvvisa di ricordi gli invase la testa.

Sandra Bennet che lo impacchetta con carta color pesca. Sorride al marito mentre mette un fiocchetto dorato sopra.

Claire che lo stringe tra le manine paffute, la carta strappata, la bocca sporca di crema e cioccolato aperta in un sorriso sdentato.

Claire che ascolta il suono e osserva la ballerina, incantata. Noah Bennet apre la porta della sua cameretta e lei richiude in fretta il coperchio e spegne l'abat-jour. “'Notte Orsetta.” “'Notte papà.”

Claire in tutina da danza, che imita la ballerina davanti allo specchio.

Claire che entra veloce in camera e nasconde sotto il coperchio una lettera scritta a mano ripiegata otto volte. Lo richiude premendoci sopra il palmo come a volerlo sigillare. È tutta rossa, gli occhi le brillano dall'emozione.

Claire apre il coperchio e fissa svogliata la ballerina, grattandosi la nuca con una matita. La voce di Zack la ridesta dalla noia. Si sporge verso la finestra, fa un saluto e scappa fuori dalla stanza, abbandonando i compiti di biologia.

Claire che urla “Ridammelo!” a Lyle e lo rincorre giù per le scale. Lyle ride, non guarda dove va, inciampa e il carillon cade a terra. Claire lo riagguanta e si chiude in camera con i lacrimoni e le guance gonfie di rabbia. Piange silenziosamente guardando il carillon rotto.

Claire dorme. Noah entra in camera sua e le fa una carezza. Chiude il carillon e si ferma sulla porta a discutere sottovoce con Sandra. Claire apre gli occhi nel buio, prende il carillon e lo schiude. Guarda la ballerina senza vederla.

Claire è nella sua stanza del campus. Tira fuori il carillon dalla valigia e lo posa con cura sopra il comodino. Si guarda attorno nervosamente e infine sorride ad un ragazza che fa capolino dalla porta. “Claire.” “Gretchen.” Si tendono la mano.

Claire che afferra il carillon e lo stringe fino a far sbiancare le nocche. Non piange, trema come una foglia. Lo lascia andare e si raggomitola sul letto in posizione fetale.

Claire che tiene il carillon davanti a sé come uno scudo, ferma, pietrificata davanti alla vetrina di un orologiaio del Queens.

Gabriel si scostò di scatto, portandosi le mani alle tempie.

Psicometria di merda! – imprecò tra i denti, sentendo il dolore crescere e pulsare.

Un miagolio. Gabriel guardò Gatto interrogativo.

Sì, hai ragione. – borbottò strizzando la base del naso – Prima o poi devo imparare. –

Si alzò dal divano, obbligandolo a balzare giù. Barcollò fino alla sua stanza e si lasciò cadere sul letto.

Tornerà.

Tornerà. – disse a Gatto, che aveva già occupato il suo solito posto ai piedi del letto.

Tornerà. – si ripeté girandosi di fianco.

Aveva dato il via al meccanismo più pericoloso e delicato e potente. Adesso doveva solo aspettare e osservare. E sperare che non s'inceppasse qualcosa.

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Capitolo 2
*** Step Two: Soul ***


Note:

@kannuki: Grassie! Era un pezzo che volevo inserire quel brano in una scena di questo tipo e finalmente ci sono riuscita... yuk!

@Naomi: Ogni recensione è la benvenuta! Grazie per i complimenti!







Step Two: Soul


Quasi tutte le creature che consideriamo malvagie o cattive,

sono semplicemente sole.

E magari mancano un po' di buone maniere.

- Big Fish -



Si era svegliata nel momento in cui l'aveva sentito entrare. Era scivolato dentro la stanza con un soffio di vento e lei non era rimasta sorpresa. Non sapeva quando sarebbe venuto né cosa avrebbe fatto, ma quando lo vide non ebbe più dubbi. Dunque, era così che funzionava il gioco...

Lo osservò avanzare cauto e sedersi davanti a lei. Per un lungo momento non si mossero, lei raggomitolata nel letto, lui a gambe incrociate sul pavimento. Poi Claire si avvicinò appena e lui colse il suo invito. Posò le braccia sul letto e insinuò una mano sotto le lenzuola, cercando la sua. Le dita si incontrarono e indugiarono. Le diede tutto il tempo. Quando le sfiorò il palmo Claire schiuse la mano e lasciò che l'accarezzasse. Le piaceva, era come nel sogno.

È molto meglio del sogno... – si corresse, sentendo il respiro accelerare.

Quel calore... era sempre lì, ma adesso era concreto. Socchiuse gli occhi e scoprì che non era così difficile lasciarsi andare. Si trovò a ricambiare quelle carezze. Allora lo vide posare il mento sull'avambraccio e sospirare, mentre le sue dita non smettevano di tracciarle disegni sul palmo.

Claire afferrò un lembo delle lenzuola e si rannicchiò ancora di più, sopraffatta dall'emozione. Dio, non poteva essere reale...

Stava pensando che era la cosa più schifosamente bella che avesse mai vissuto, quando lui le scostò le dita per unire i loro palmi. E la guardò, in un modo che la fece sciogliere da capo a piedi. Cos'era, una nuova tecnica per fare fuori la gente? Affogarla di tenerezza?

Fece scivolare la mano di lato e ancora una volta accarezzò il palmo. Quando ritrasse le dita e alzò il capo, Claire capì che aveva intenzione di andarsene. Gli imprigionò la mano tra le sue con uno slancio che lasciò entrambi di stucco.

Si chinò su di lei e Claire poté sentire chiaramente il suo respiro irregolare mentre le afferrava entrambe le mani. Le tenne strette, il capo chino sul letto. Non l'aveva mai visto così esposto. Avrebbe voluto passargli le dita tra i capelli, avrebbe voluto coccolarlo... Cristo, non si capacitava della dolcezza che riusciva a trasmetterle. Ed era bastato andare da lui con un carillon in mano?

Esitò prima di allontanarsi. Claire contrasse appena le dita, come a dire “se proprio devi...”. Le sue mani scivolarono via piano, lasciandole un'ultima carezza.

Claire sentì distintamente il calore andarsene con lui e dovette trattenersi dal seguirlo.

~~~

Adesso aveva il quadro completo e sapeva come muoversi. La questione era: ci sarebbe riuscita senza farsela sotto?

La notte era un limbo sospeso, dove poteva permettersi di non pensare a niente se non a ciò che le faceva provare in quei momenti. Ma Sylar era e restava quello che l'aveva scalottata, quello che aveva ucciso suo padre, quello che aveva reso la sua vita un inferno. Aveva avuto un bel dire a Peter: non era facile da assimilare. Per niente.

Claire passò una settimana allucinante. Non riusciva a seguire le lezioni e tantomeno a preparare gli esami. Avrebbe vomitato per la tensione, ma non riusciva a mangiare. E ovviamente non dormiva.

Quando Peter la vide, quel sabato che si erano dati appuntamento per pranzare insieme, si spaventò.

Se è una nuova dieta sta funzionando anche troppo bene. –

Claire lo guardò male: – Mi prendi per il culo? –

Sì. – ammise con un sorriso.

E Claire proprio non sapeva resistere ai sorrisi Peter. Lo abbracciò.

Che succede? – le chiese accarezzandole i capelli.

Cinque lettere. Gli piacciono i cervelli, ma non è uno zombie. – borbottò sulla sua spalla.

Si sciolse dall'abbraccio e la scrutò incuriosito: – Che ti ha fatto? –

Claire si sedette pesantemente e posò il mento sulla mano, imbronciata.

Niente. È dolce. Sono andata a parlargli. Mi ha fatto le coccole. Devo tornare a prendere il carillon, come faccio? – mugugnò, con buona pace del filo narrativo.

Peter la guardava con crescente perplessità.

Lui ti ha... e non gli hai staccato le mani a morsi? – fece a metà tra il divertito e lo stupito.

E come facevo? – sbuffò – Adesso sono fregata! –

E questo perché problema è...? –

Non lo so. – si tirò una ciocca di capelli e guardò le doppiepunte accigliata, nemmeno fosse tutta colpa loro – Come faccio a fidarmi? –

Ma avevi detto... –

Me lo rimangio! – lo interruppe esasperata.

Lui alzò gli occhi al cielo con un sospiro.

Peter... – disse tra i denti.

Non la stava aiutando nemmeno un po'.

Che c'è? – fece inarcando le sopracciglia – Hai fatto tutto da sola. –

Incrociò le braccia sul petto indispettita: – Guarda che ha cominciato lui. –

Sì, e tu gli hai dato corda. – le fece notare.

Ma mi ha provocata! – sbottò in tono petulante.

Gne gne gne! Maestra, è stato lui! – cantilenò.

Gli fece una linguaccia, così almeno aveva una buona scusa per darle della bimbetta.

Un cactus saprebbe essermi di maggior supporto. –

Perché non vai a ritirare il carillon? – le suggerì in tono pacato.

Non lo voglio vedere. – fece imbronciata.

Peter le sorrise con aria comprensiva: – Menti. E anche male. –

Claire decise di passare dalle elementari al liceo e alzò il dito medio.

~~~

Peter aveva ragione: mentiva. Ed era una cacasotto, questo era poco ma sicuro.

Aveva girato attorno al negozio, sbagliando volutamente strada. L'aveva adocchiato da lontano, nascosta dietro il palazzo all'angolo. Aveva temporeggiato fino a sentirsi ridicola.

Si mordicchiò un'unghia, chiedendosi come poteva essere più nervosa della prima volta che era stata là. La tensione la stava uccidendo. Cazzo, ma non le avevano insegnato niente gli esami? Mai temporeggiare.

Un bel respiro: via il dente, via il dolore.


.~:°:~.


Il campanello fece dlin-dlon.

Claire fece: – Ciao. –

Il suo stomaco fece “Addio e grazie per tutto il pesce”.

Un sorriso più tirato di quello Gabriel non l'aveva mai visto. Ma era già un miracolo che fosse lì, quindi non badò ai dettagli.

Non è pronto. –

La vide annuire. E sbiancare. L'idea di dover tornare un'altra volta le faceva quell'effetto?

Ho parecchio lavoro in questo periodo. – disse, quasi a volersi giustificare.

Aveva i clienti sufficienti a sopravvivere, ma evitò accuratamente di pensarci.

Claire si limitò ad annuire e non si mosse. Si guardava intorno alla disperata ricerca di qualcosa da dire – o della scusa per scappare. Gabriel avrebbe voluto esserle d'aiuto, l'avrebbe voluto davvero, ma in quel momento aveva il cervello in bianco.

I secondi passarono e il silenzio divenne inevitabilmente imbarazzante.

Claire fece un passo verso la porta: – Ti lascio lavorare. –

Non lasciarla andare via, stupido cazzone... non azzardarti a farla uscire da quella porta!

Che fai stasera? – gli uscì, pietrificandola sulla soglia.

Ma che domanda era? Aveva vent'anni, andava al college ed era bellissima. Ma sicuramente stava aspettando un orologiaio sfigato come lui per uscire il sabato sera.

Ci sono le repliche dei Monty Python. – le sentì dire.

La guardò battendo più volte le palpebre.

È una di quelle metafore che usate per dire “puoi sognartelo”? – le chiese, sinceramente dubbioso.

Claire si strinse nelle spalle con un flebile “No” e Gabriel perse momentaneamente la facoltà di respirare.

Allora... –

Puoi vederle a casa mia. Prendiamo qualcosa da asporto... –

L'espressione che gli rivolse aveva un che di comico.

O anche no. – aggiunse con un mezzo sorriso.

Forse era troppo presto, forse le stava mettendo troppa pressione...

Tailandese va bene? –

Alzò lo sguardo su di lei: era seria. Terrorizzata ma seria. Annuì e lei rispose con un sorriso timido e se ne andò via. Il movimento dell'aria gli portò il suo profumo e nella sua testa si accavallarono pensieri poco lucidi.

~~~

Gabriel guardò il suo soggiorno, la sua immagine riflessa nella finestra e il tappeto sotto i suoi piedi. E si sentì inadeguato. Cosa poteva trovare di interessante lì una ragazza? Niente. Era tutto piatto e grigio come lui.

Gatto emise un sonoro miagolio dal bracciolo del divano, dove se ne stava seduto come una sfinge. Gli rivolse un'occhiata perplessa e poi sogghignò tra sé.

Sì, mi sono autocommiserato abbastanza. – ammise.

~~~

Non stava andando male come aveva immaginato. Claire aveva varcato la soglia portandosi appresso tutta la sua paura e la sua incertezza, e Gabriel si era dovuto trattenere dal fare un passo indietro. Poi era arrivato Gatto e aveva provveduto lui a smorzare la tensione agendo da fattore di distrazione. Gabriel aveva capito finalmente perché tanti single giravano per i parchi con cuccioli e simili creaturine pelose.

Oh, e tu chi sei? –

Gatto. – aveva risposto Gabriel, sentendosi un po' scemo.

Grazie, lo vedo. – aveva ribattuto lei, mollando il sacchetto del tailandese sul tavolino del soggiorno e togliendosi il cappotto.

La sua attenzione era tutta rivolta alla palla di pelo e Gabriel non sapeva bene se esserne infastidito o sollevato.

Si chiama così, Gatto. – aveva precisato.

Claire l'aveva preso in braccio: – Ciao Gatto. –

Adesso sì che sei un supercattivo. – aveva aggiunto rivolta a lui.

Gabriel aveva alzato gli occhi al cielo con un “Ah ah”. Era passata dal terrore di rivolgergli la parola alle battute: i gatti e i loro miracoli. Aveva guardato il suo peloso coinquilino come a dire di non aspettarsi chissà quale trattamento di favore.

Claire si era mossa per il soggiorno saettando lo sguardo con curiosità. Aveva estratto un paio dei suoi dischi per leggerne i titoli, aveva scrutato la sua collezione di orologi antichi, aveva fatto scorrere distrattamente un dito sul dorso dei suoi libri. Gabriel l'aveva lasciata frugare tra la sua vita guardandola da lontano – dopotutto lui si era infilato nei suoi sogni.

Leggi questa roba? – aveva detto in tono vagamente disgustato, sfogliando Lolita.

L'hai mai letto? – le aveva chiesto avvicinandosi.

Claire aveva fatto un smorfietta: – Non credo che sia il mio genere. –

Risposta prevedibile. Le aveva rivolto un mezzo sorriso mentre le sfilava il libro dalle mani. Gli sarebbe bastato leggerle le prime tre righe. E infatti, ecco che agitava una mano per interromperlo.

Ok, basta così, mi hai convinta. – aveva balbettato, rossa in volto.

Quel groviglio di timore, eccitazione e curiosità era quanto di più appetitoso gli si potesse presentare. Dissimulò un sorrisetto e le porse il libro.

Restituiscimelo intero. –

Claire l'aveva preso con diffidenza e l'aveva infilato in borsa.

Poi avevano mangiato e dopo c'erano stati davvero i Monty Python che avevano catalizzato l'attenzione per un'ora buona.

La tensione si sciolse un po'. Gabriel ebbe il privilegio di sentirla ridere e pensò, con un'ingenuità quasi infantile, che era la cosa più bella del mondo.

La serata si snodò con insospettabile tranquillità. Gatto si appallottolò in grembo a Claire e loro si trovarono a parlare di tutto e niente. Parlavano poco, in verità, ma con quel poco riuscivano a capirsi. Gabriel era ipnotizzato dalla sua voce incerta e dalle sue dita che accarezzavano Gatto.

Bestia fortunata...

Non hai neanche una foto. – la sentì commentare.

Lui si strinse nella spalle: – Non ne ho nessuna che valga la pena di incorniciare. –

Claire lo guardò e lui sentì da lei qualcosa che sembrava proprio compassione. Avrebbe dovuto dargli fastidio, ma in realtà fu semplicemente... strano. Dovevano essere passati duemila anni dall'ultima volta che aveva sentito la compassione di qualcuno.

Quando la vide alzarsi e raccattare le confezioni del tailandese, Gabriel capì che quel momento di paradiso era terminato e si rassegnò a lasciarla andare. Il problema era Gatto: non aveva calcolato quel fattore. Le ronzava intorno con insistenza, le si strusciava alle gambe miagolando disperato.

Piantala. – lo ammonì afferrandolo bruscamente.

No, lascialo. – protestò Claire prendendoglielo dalle mani.

Al sicuro tra le sue braccia, Gatto lo guardò con aria sfrontata. Gabriel era a dir poco seccato: quella bestiaccia gli aveva rubato tutta l'attenzione.

Dovresti essere più carino con lui. – disse Claire mentre gli faceva i grattini – Altrimenti s'incattivisce. –

La osservò senza parole.

E poi non si fida più di nessuno. – aggiunse.

Stiamo sempre parlando di Gatto? – si sentì dire.

Claire alzò lo sguardo di lui e Gabriel avvertì di colpo un'ondata di paura. Solo allora si rese conto che per tutta la serata non ne aveva sentita. C'era sempre un fondo di timore da parte di Claire – non era tipo da illudersi che potesse svanire così in fretta – ma la vecchia paura, quella che lui conosceva così bene, era pian piano svanita. E quella sera non ce n'era traccia. Almeno fino a poco prima.

Claire lasciò andare Gatto e si guardò intorno alla ricerca delle sue cose. Le porse il cappotto, che lei prese con l'aria di chi si aspetta un morso da un momento all'altro. Se ne sarebbe andata via e avrebbe raccontato alle sue giovani amiche che serata patetica aveva trascorso con quel vecchio orologiaio e il suo gatto rincoglionito. Gabriel si stava chiedendo quando avrebbe imparato a tappare quella sua boccaccia, quando lei glielo disse.

Ce l'hai MSN? –

No. –

Claire fece un piccolo, triste “Oh” che lo fece sentire un vero imbecille.

Tu? – si affrettò ad aggiungere.

Il mio contatto lo trovi su Facebook. – fece lei con un sorriso sfuggente.

Quella conversazione era quanto di più surreale gli fosse mai capitato.

Ok. –

Poi la vide fare un passo indietro ed era fuori dalla porta.

'Notte Gabriel. –

Quando le rispose era già sparita giù per le scale.

Un “miao” attirò la sua attenzione: Gatto lo fissava intento, sferzando l'aria con la coda.

Scordatelo. – lo avvertì – L'ho vista prima io. –

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Capitolo 3
*** Step Three: Close ***


Note

@kannuki: Niente di più vero. Mentre elaboravo la trama mi sono trovata a pensare che questa sarà la mia ultima storia su Heroes – per lo meno a tema Sylar/Claire – perché ormai ho detto tutto in merito.

@soarez: Sapevo che Gatto ti sarebbe piaciuto! Ammetto di essermi ispirata all'unico, inimitabile Polvere, e sono sicura che se si conoscessero diventerebbero amici.

@Domino: Grazie! Non potevo non citare Colombo, ti pare? E quella battuta ci voleva proprio, dopo tutta quella tensione.

@yori: Ehi, troppi complimenti! Grazie mille! Spero di continuare a stimolare la tua curiosità come ho fatto fino ad ora.







Step Three: Close


Anche un orologio fermo

segna l'ora giusta

due volte al giorno.

- Hermann Hesse -


Quella mattina tutto il campus ebbe l'onore di essere illuminato dal sorriso a trentadue denti di Claire. Fatto che aveva dell'incredibile, essendo lei nota per i suoi musi lunghi e i suoi occhi gonfi.

Il suo visitatore notturno aveva ricambiato la cortesia della sera prima con prontezza, e Claire si era goduta la sua compagnia per un paio di meravigliose, silenziose, troppo brevi ore. Aveva dormito come una bambina e si era svegliata con un sorriso ebete in faccia e la barra dell'umore al massimo.

Claire aveva trovato la cura contro lo stress della vita moderna: Gabriel Gray, mutante, orologiaio di lavoro, ex psicopatico serial killer, strepitoso dispensatore di coccole.

~~~

I giorni passarono e le notti anche. Gabriel non trovava mai il tempo di aggiustare il carillon di Claire, ma ce l'aveva sempre una mezzora per un caffè o per una passeggiata. O, come in quel caso, per una chattata.

Alla fine si era deciso: ci aveva impiegato due settimane, ma eccolo lì. Claire cliccò “Aggiungi contatto” sentendosi una quattordicenne alla prese col tipo dell'altra classe di cui aveva una cotta. Quel nickname, poi...


SwEeTkItTy: non posso crederci!

the_cheshire_cat: cosa?

SwEeTkItTy: l'hai fatto a posta!

the_cheshire_cat: la parola “gatto” è la più googlata al mondo

SwEeTkItTy: come a dire che siamo tutti un po' gatti?

the_cheshire_cat: to cat or not to cat?

SwEeTkItTy: cerca la risposta nella guida ga[la]ttica per autostoppisti

the_cheshire_cat: questa era un po' forzata

the_cheshire_cat: e non ci credo che leggi adams

SwEeTkItTy: oh ma grazie!

SwEeTkItTy: tu non mi conosci...

SwEeTkItTy: potrei sorprenderti!

the_cheshire_cat: prego

the_cheshire_cat: l'hai già fatto

SwEeTkItTy: cosa?

the_cheshire_cat: sorprendermi

SwEeTkItTy: ...

the_cheshire_cat: ok, la smetto

SwEeTkItTy: ti ascolto

SwEeTkItTy: cioè ti leggo

SwEeTkItTy: vabbè... hai capito!

the_cheshire_cat: non è roba da chat

SwEeTkItTy: ok

SwEeTkItTy: passo da te?

the_cheshire_cat: apro fra 10 min

SwEeTkItTy: porto i biscotti!

~~~

Claire posò il sacchetto sul tavolo da lavoro, davanti a lui, e gli sorrise. Gabriel si tolse gli occhiali e la guardò con l'aria di chi non si aspettava una visita. Poi osservò il sacchetto, diffidente.

Guarda che non li ho avvelenati. – ridacchiò estraendo un biscotto e addentandolo.

C'era odore di the là dentro: adocchiò la teiera in un angolo e si servì una tazza.

Sono allo zenzero. – lo sentì commentare.

Lo guardò incuriosita sorseggiando il suo the.

Non mi piaceva lo zenzero. – aggiunse vagamente disorientato.

Si appoggiò al tavolo osservando distrattamente il lavoro: l'orologio aperto, esposto, i piccoli ingranaggi d'ottone sparsi sul panno nero, gli strumenti allineati in bell'ordine, pronti all'uso.

Adesso sì? –

Piaceva a Nathan. –

Claire si ritrasse. Gabriel si irrigidì.

Non fa niente. – gli disse in fretta, vedendolo aprire bocca per dire qualcosa.

Andiamo, cosa avrebbe potuto dire? Qualsiasi cosa sarebbe stata patetica e non avrebbe fatto altro che aumentare il disagio.

Mi dispiace. –

Cazzo, quello sì che era patetico. Non lui, non le sue parole, ma lei, col suo bisogno di sentirle. Di sentire che era davvero dispiaciuto.

Claire grattò il bordo della tazza nervosamente: – Di cosa? –

Di tutto. –

Non puoi cancellare gli ultimi tre anni. – gli fece notare senza rancore.

Una serie di immagini le passavano davanti agli occhi: flashback accuratamente selezionati da un regista particolarmente sadico.

Non ci provo neanche. –

L'aveva appena sussurrato, come una specie di confessione. Claire alzò lo sguardo su di lui.

Ma sono piuttosto bravo ad aggiustare. – aggiunse con un mezzo sorriso.

Aggiustare? A questo non aveva pensato. Ma era possibile aggiustare quello, aggiustare loro? Non erano irrimediabilmente incrinati, in frantumi, lacerati?

E se non si potesse? Certe cose non le si può aggiustare. –

Gabriel addentò un altro biscotto: – Vale la pena tentare. –

Ne vale davvero la pena? – gli chiese con lo sguardo, senza avere il coraggio di dirlo a voce.

Lo vide inforcare gli occhiali e scrocchiare le dita per rimettersi al lavoro. Quel lavoro noioso e certosino, che a lei avrebbe succhiato la poca pazienza che aveva e l'avrebbe ridotta ad un fascio di muscoli rigidi e indolenziti. Ma lui lo amava. E Claire scoprì che le piaceva guardarlo mentre faceva le cose che amava.

Sì, ne valeva la pena. Lo aveva appena deciso.

~~~

Claire passò ancora, molte altre volte. E portava sempre i biscotti.

Se ne stava seduta su uno sgabello al bancone e leggeva: gli appunti delle lezioni o Lolita, a seconda di come le girava e di quanto era indietro con lo studio. Gabriel lavorava poco più in là, curvo sul panno nero, con quegli occhiali assurdi sul naso e la luce netta della lampada che faceva più profondo quel solco tra le sopracciglia che gli veniva quando era concentrato.

Per lo più se ne stavano in silenzio, ognuno preso nelle sue incombenze. Poi un commento – bastava poco – e partivano a parlare e non la finivano più. E poi c'erano le pause: il the era diventato un rito. Più faceva freddo, più era piacevole berlo – più era bello stare lì e berlo con lui.

Quel fiotto di calore che la scaldava ad ogni sorsata le ricordava quell'altro calore, quello che ogni notte sentiva più forte e vicino. Quello che le dava lui.


.~:°:~.


Che ci facciamo qui? –

Claire distolse gli occhi dal libro e li alzò su di lui, stupita dal suo tono frustrato.

Quello che facciamo ogni giorno: cerchiamo di conquistare il mondo. –

Già dato. – sogghignò, stiracchiandosi – È una bella giornata, andiamo fuori. –

Ma... il negozio? –

Gli orari li faccio io. – ribatté spegnendo la lampada e coprendo il lavoro lasciato a metà.

Eddai, sei pallida come un cadavere. – la prese in giro.

Sarai bello tu! – fece lei risentita.

Andiamo al parco, ci crogioliamo al sole. – propose invitante.

Aveva voglia di stare con lei e basta. Aveva voglia di fare cose normali con quella ragazza anormale, che aveva tirato dentro la sua vita a forza e che adesso pareva si fosse adeguata di buon grado e non sembrava aver intenzione di schiodarsi di lì. Era una sensazione troppo bella per tenerla chiusa tra le quattro mura di un laboratorio polveroso.

E il the? –

L'aveva già convinta, stava solo facendo la preziosa.

Incrociò le braccia sul petto: – Niente the. –

Ma come?! – protestò.

Cioccolata. –

Il viso di Claire s'illuminò.

Adesso sì che si ragiona! – disse chiudendo il libro e saltando giù dallo sgabello.

~~~

Di giorno Gabriel non la toccava mai. Era come se la luce creasse un muro tra di loro, che si abbassava assieme al sole. Così quando Claire gli prese la mano per lui fu strano, come se si toccassero per la prima volta. E in un certo senso era così.

Si lasciò condurre sul prato e la imitò quando si stese sul manto di foglie secche, in una macchia di sole. Le mani intrecciate dietro la nuca, Gabriel chiuse gli occhi contro la luce e sospirò.

Si scaldarono al sole come lucertole, beandosi del silenzio e della quiete. Gabriel non provava assolutamente niente: c'era solo una tranquillità sconfinata. Era in pace. Era sempre così quanto stava vicino a Claire, lo era da quando si era presentata al laboratorio con quel sacchetto di biscotti e gli occhi fiduciosi.

Gli sembrava di non aver avuto per le mani niente di più difficile da aggiustare, ma quando finalmente un pezzo tornava al suo posto, quando vedeva combaciare due ingranaggi, la soddisfazione era tale da ripagarlo di ogni fatica.

Che cosa si prova? – la sentì dire a un tratto.

Gabriel si voltò verso di lei. Non lo guardava, tormentava un bottone della giacca con aria pensierosa.

A fare che? –

Era un po' tesa quando glielo disse: – Ad essere un empatico. –

Saettò lo sguardo dall'erba umida alle sue dita che non lasciavano in pace il bottone.

Non è facile da spiegare. – disse semplicemente.

Claire annuì secca e non disse niente. Aveva bisogno di un segnale, una prova, una qualsiasi cosa che le confermasse quello che sentiva già: che lui era umano. Aveva bisogno che si aprisse con lei. A pensarci bene, ne aveva bisogno anche lui.

Ti svegli un giorno e scopri che puoi sentire la gente. –

Claire gli lanciò un'occhiata in tralice. Tutta quell'attenzione da parte sua non l'aveva mai ricevuta.

Non è bello. – aggiunse – Nessuno t'insegna ad arginare quello che senti. All'inizio fai fatica a distinguere quello che provi tu da quello che provano gli altri. Ti confondi. E poi... –

Claire si stese su un fianco e piegò il braccio, posando la testa sulla mano.

Poi cominci a spiare. – disse riluttante – Scopri un sacco di cose. C'è molta più gente felice ai funerali che ai matrimoni. –

Davvero? – fece lei scettica.

Più di quanta ne immagini. – commentò cinico – È un brutto mondo. –

Ma va? – disse sarcastica.

Le rivolse un sorrisetto stentato.

Ma lo sai cosa si sente di più? Sai cosa prova la gente di solito? – le chiese tornando serio.

Claire scosse la testa, curiosa.

Niente. –

Lo guardò attenta.

Indifferenza. Sono tutti chiusi a doppia mandata e ti chiedi chissà cosa c'è dentro. Poi lo vedi: il nulla. – disse amaro.

Non deve essere bello sentire questo... nulla. – azzardò lei.

Già. Ci resti male. – confermò adombrandosi – Faresti di tutto pur di sentire qualcos'altro. –

Tipo aprire la testa alle persone? – gli chiese ironica, fingendo una leggerezza che non aveva.

Tipo. – confermò scrutandola.

L'aria si era fatta tesa.

Quello che si prova ad un passo dalla morte è inebriante. –

La vide alzarsi a sedere e mettersi a gambe incrociate. Era impaurita: mancava tanto così dal farla scappata via.

Me lo ricordo. – rifletté – Non lo facevi per i poteri. Quello era... –

Ecco, ci era arrivata.

La ciliegina sulla torta. – concluse alzando le sopracciglia.

Adesso. Adesso se ne sarebbe andata via. Si era fottuto, così imparava a dire la verità.

E invece no.

Ci sei mai riuscito? – gli chiese – A riempire quel vuoto, dico. –

Così credevo, ma a quanto pare... –

Restarono per un po' in silenzio, persi nei loro pensieri. Se non era ancora scappata forse – forse – c'era davvero una microscopica possibilità. O forse avrebbe ricordato quel giorno come la definitiva presa di coscienza che certe cose proprio non si possono aggiustare.

E adesso? – la sentì dire – Come fai senza più...? –

Gabriel batté le palpebre e la guardò.

Ho trovato... altro. – disse cauto, osservando le sue reazioni.

Claire sosteneva il suo sguardo. La paura era mutata: era di altro tipo, era più sfumata e dolce.

Tipo me? –

Tipo te. –

Non credeva che sarebbe stato così facile dirlo. Gli era semplicemente scivolato fuori dalle labbra prima ancora di pensarlo. Adesso quelle parole avevano creato un filo, sottile e luminoso, delicatissimo, tra lui e Claire.

Che cosa senti? – gli bisbigliò.

Tu che cosa senti? – le chiese di rimando.

Le sensazioni che provava Claire quando andava da lei erano troppo contrastanti, non voleva mai fermarsi ad analizzarle. Le faceva scorrere e basta, gli piaceva sentirle attraversarlo, le lasciava passare senza trattenerle.

È come... – il suo respiro si fece irregolare.

Scosse la testa mordicchiandosi un labbro.

Non lo so. – confessò – Però è bello. –

Già. –

Lei non aveva nemmeno idea di quanto fosse bello, di quanto lo riempisse ogni volta, cancellando quel vuoto immenso che aveva dentro.

Frastornato, la osservò scostarsi una ciocca dietro l'orecchio e chinarsi su di lui. Quel casto bacio scoccato sulla guancia era l'ultima cosa che si aspettava. Mosse la testa e respirò il profumo dei suoi capelli. Per un attimo si guardarono senza parlare.

Cioccolata? – propose lei con un sorriso.

Gabriel annuì. E capì di essere passato dal patetico “dove la trovo un'altra?” ad un più speranzoso – e pericoloso – “dove la trovo un'altra così?”.

Si alzarono, spazzolando via le foglie secche attaccate ai vestiti. Gabriel le tolse una fogliolina rimasta incastrata tra i capelli. Se la rigirò tra le dita, facendo finta di non notare il suo rossore – diamine se aveva voglia di baciarla.

Che carina! –

Claire tirò fuori Lolita dalla tracolla e l'aprì al punto dove era arrivata, sfilò il segnalibro e restò in attesa. Voleva conservarla? Un souvenir della loro piccola gita?

Si rovinerà. – le fece notare.

Scrollò le spalle: – Si rovinerà anche se... che stai facendo? –

Stava usando il potere che di solito usava nei periodi di magra, quando non aveva i soldi per pagare l'affitto. Claire guardò sconcertata la fogliolina d'oro che le stava porgendo.

Non credo che sia legale, Mr Goldfinger. –

Gabriel inarcò un sopracciglio: di tutte le cose illegali che aveva fatto, si preoccupava di quella?

Ti ci vedo come Bond girl. –

Certo, – ridacchiò – sono bionda! –

La guardò divertito mentre canticchiava “he's the man, the man with Midas touch”. Doveva portarla fuori più spesso.

~~~

Sì, sì, lo so! – rispose ai miagolii insistenti che sentiva provenire da dietro la porta.

Gatto lo accolse con uno sguardo di puro sdegno. “Dove sei stato?” dicevano i suoi occhi indagatori “E perché la mia ciotola è vuota?”.

Lasciò le chiavi sull'ingresso e si tolse il cappotto: – Ho avuto da fare. –

Gatto non smise la sua aria di rimprovero.

Ero con Claire. –

Nessuna risposta. Si era piazzato vicino alla ciotola e lo fissava. “È ancora vuota” sembrava dirgli.

Sono stato bene. – raccontò mentre la riempiva di croccantini – Anche lei è stata bene. –

Un vago “miao” – della serie “sì, ti sto ascoltando”.

Lo accarezzò distrattamente: – Mi ha dato un bacio. –

Non un bacio-bacio. – aggiunse – Però... –

Si rimise in piedi scotendo la testa. Quella storia di parlare col gatto doveva finire, subito.

~~~

Ogni volta che entrava nella sua stanza si sentiva un ladro, un invasore sgradito. Poi la percepiva, tutta quella sua curiosità, l'ansia dell'attesa, il sollievo di vederlo. E si sentiva come non si era mai sentito: accolto.

Sarebbe mai passato il timore del rifiuto? Se lo chiedeva sempre. Ma Claire aveva la capacità di togliere dalla sua mente ogni domanda. Gabriel viveva quelle notti con la testa leggera, svuotata delle sue paranoie, pronta per essere riempita da ciò che sentiva, da ciò che sentivano entrambi.

Quella sera c'era dell'altro. Percorreva l'aria su quel filo sottile che avevano appena creato, ci danzava sopra. Era aspettativa. Dolce, esitante, insopprimibile aspettativa. La vide scorrere sul filo e arrivare a lui, contagiandolo irrimediabilmente.

Grazie. –

Non le aveva mai parlato. Gli occhi di Claire brillarono nel buio.

Vale la pena tentare. –

Altro che ringraziamenti, quello meritava un premio. Tipo un bacio. Dopotutto era stata la giornata dei baci, perché non poteva essere anche la nottata dei baci?

Poteva eccome.

Gabriel si chinò su di lei, proprio come lei aveva fatto solo qualche ora prima. L'aspettativa smise di scorrere e il filo si tese, brillò, ornato da qualcosa di meno netto ma molto, molto più promettente. Qualcosa che non sarebbe scivolato via tanto facilmente. Doveva solo permettergli di restare, rafforzare il filo.

Claire gli avvolse il collo con le braccia e affondò le dita nei suoi capelli. E Gabriel sentì il vuoto riempirsi ancora una volta.

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Capitolo 4
*** Step Four: Lust ***


Note:

@kannuki: Eh, e come poteva finire dopo tre capitoli di pucci-pucci? Un bacio ci voleva!

@soarez: Non sai come ti capisco: mi basta passare un paio d'ore con una persona negativa e torno a casa devastata, senza energie e con l'umore a terra!







Step Four: Lust


La differenza tra l'amore e il sesso,

è che il sesso allevia le tensioni

e l'amore le provoca.

- Woody Allen -


Gabriel non sapeva dire con certezza cosa stesse accadendo tra di loro, ma qualsiasi cosa fosse gli stava sfuggendo di mano. E non sapeva se esserne felice o atterrito. Per un maniaco del controllo come lui, trovarsi per le mani qualcosa di incontrollabile era destabilizzante. Ma d'altra parte, nel momento in cui aveva iniziato quella specie di corteggiamento lo sapeva che le cose sarebbero finite in quel modo: è l'effetto collaterale del mettere in gioco i sentimenti.

Nonostante questo, una parte di lui – decisamente pessimista e bastarda – era riuscita ad ancorarsi a qualcosa. Il carillon di Claire era sempre lì, in un cassetto di casa sua. Finché non glielo ridava, Gabriel si sentiva più tranquillo. Era come un'assicurazione: Claire sarebbe sempre tornata da lui.

Avrebbe dovuto intuirlo che non era quel vecchio carillon scassato a farla venire da lui tutte le volte che aveva un'ora libera, ma Gabriel era semplicemente troppo impaurito per prestare ascolto al suo istinto. Con tutte le fregature che aveva avuto, s'illudeva di poter mantenere una parvenza di controllo attraverso quel dettaglio insignificante.

Si sentiva uno schifo a fare così. In un certo senso era anche peggio che scalottare la gente: era una palese dimostrazione di sfiducia nei confronti della prima persona che si apriva con lui senza riserve. Era certo che se Claire fosse venuta a saperlo, l'avrebbe odiato – forse anche più di prima. Lui si sarebbe odiato.

Sei proprio un cretino” sembrava dirgli Gatto, quando lui si crogiolava in questi pensieri funesti. E aveva ragione. Non era capace di lasciarsi andare, di provare i sentimenti senza trascinarsi dietro un manto soffocante fatto di insicurezze e paranoie e pessimismo.

Aveva un bel dire che era tutta colpa dei suoi trascorsi. Aveva passato un purgatorio di cinque anni, con Peter a fargli da Virgilio, e ne era rinato nuovo. Avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle certe meccanismi perversi che negli anni l'avevano solo fatto soffrire, avrebbe dovuto andare oltre – ne aveva la capacità adesso. Eppure non ci riusciva: restava incatenato alle sue paure.

Non guardarmi così, non ho tutte le risposte” gli faceva intendere Gatto, quando lui si faceva troppo insistente e non la smetteva con i suoi monologhi interiori.

Così Gabriel entrò in un loop che – già lo sapeva – l'avrebbe messo nei casini. E la prima volta che se ne accorse, fu nel momento in cui Claire si presentò ad una delle loro cene-da-asporto-più-DVD con quella fogliolina d'oro legata al collo.

~~~

Mi chiedono tutte dove l'ho preso. –

Gabriel alzò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento di essere rimasto a fissare il ciondolo che giaceva sul solco tra i seni.

Potresti farci un business. – gli propose scherzosa.

Guadagnerei più che aggiustando orologi. – commentò.

La gita risaliva a tre giorni prima. Da allora, salvo la “notte dei baci”, non avevano avuto occasione di vedersi – settantadue lunghissime ore. E adesso gli si presentava con quella cosa addosso. Come doveva interpretarla?

Un vocina interiore gli diceva che non c'era un bel niente da interpretare, il messaggio che recava era più che esplicito. Lui preferì ignorarla, perché se fosse stato davvero così, tutto lo pseudo-controllo che aveva architettato sarebbe andato a puttane e lui si sarebbe trasformato in una specie di patetica creaturina sbrodolante amore. O in una bestia lussuriosa affamata di lei. E non era detto che le due forme non potessero coincidere, creando una chimera senza nome.

Adesso ti farò una di quelle domande che voi uomini trovate insopportabili. – la sentì dire mentre scartava le bacchette e si avventava sulla sua confezione di ravioli al vapore.

Spara. –

A cosa stai pensando? –

Domanda mirata: stava diventando brava.

Che ho finito il latte per domani. – mentì.

Tu ci credi? – fece lei, rivolta a Gatto – Nemmeno io. Ma almeno non ha detto “niente”. –

Gabriel inarcò un sopracciglio: – Sentiamo, a cosa starei pensando? –

Uhm... che sono uno schianto e non sai come fai a trattenerti dal saltarmi addosso. – suggerì allegra.

Gabriel sentì il sangue defluire dal volto. No, non poteva essere così brava.

Ehi, sto scherzando. – ridacchiò, e sottolineò le parole con un colpetto al braccio.

Ma Gabriel non ne era poi tanto sicuro. Lo sguardo gli cadde nuovamente sul ciondolo: quanto lo invidiava! Gabriel conosceva la sensazione della pelle di Claire, conosceva a memoria la sua morbidezza e il suo odore, e in quel momento di accorse di voler conoscere anche il suo sapore.

Prego, si accomodi.” diceva quel dannato ciondolo “Assaggi pure.”

Sono fuori allenamento. – borbottò.

Lo vedo. – fece lei, che per fortuna non poteva sapere a cosa si riferisse in realtà – Rilassati un po'. –

Rilassarsi... una sfida non indifferente. Doveva proprio indossare quella cosa così scollata?

Gabriel represse il forte impulso a piantarla con quelle chiacchiere e farle capire quanto era difficile trattenersi. Semplicemente, non poteva. Aveva programmato tutto nei dettagli, doveva fare un passo alla volta.

Gatto emise un miagolio che suonava molto come “ribadisco che sei un cretino”. Gabriel lo fulminò con lo sguardo.


.~:°:~.


Claire detestava il latino. Uno degli aspetti positivi del college era che quella dannata lingua morta era assente dal suo corso di studi. Poi una mattina, mentre seguiva distrattamente la lezione, le era arrivato quel sms.

Gabriel non le scriveva quasi mai, e di solito lo faceva solo per questioni pratiche, per cui quando l'aveva letto si era chiesta se non avesse visto male. Magari non era lui a mandarglielo, magari era qualcun altro. Magari se l'era proprio sognato.

Ab ipsa Venere septem savia suavia et unum blandientis appulsu linguae longe mellitum. (*)

Diceva che aveva ritrovato quel verso di Apuleio trascritto su una vecchia agenda dei tempi della scuola. Be', Apuleio era un vero vizioso, e lui anche. Glilel'aveva scritto subito e Gabriel le aveva risposto che non sapeva apprezzare il messaggio intrinseco.

e quale sarebbe? – gli aveva chiesto.

che solo i meritevoli posso ricevere il dono dell'amore – aveva spiegato lui.

A quel punto una domanda aveva preso a ronzarle in testa con insistenza. Qual'era il collegamento con loro due? Perché aveva deciso di mandarle quel verso? C'era un significato dietro quelle parole? E se c'era, era quello a cui non aveva il coraggio di pensare, o era altro? E qualsiasi cosa fosse, perché diamine non gliene parlava chiaramente invece di mandarle quei messaggi criptici?!

Ok, era più di una domanda.

Si era arrovellata per giorni con quei dubbi. E nel frattempo le cose tra loro scivolavano come al solito, in quella piacevole routine che avevano instaurato senza nemmeno rendersene conto.

Claire cominciò a risentirne quando capì che stavano attraversando uno stallo. O per lo meno, lei lo viveva come uno stallo, Gabriel invece sembrava perfettamente a suo agio.

Per dire le cose come stavano: si erano baciati, più volte, e anche fuori degli incontri notturni. Solo che la cosa si era fermata lì. Gabriel non accennava a spingersi oltre e lei era troppo insicura per fare il primo passo. Claire non sapeva nemmeno bene cosa voleva da lui, ma sapeva che lui non era intenzionato a darle niente di quello che lei vagamente di aspettava.

Non era solo questione di inesperienza. Lui era... be', era lui. E poi c'era il fatto dell'età: da un trentenne ci si poteva aspettare un minimo di iniziativa, no? Erano più focosi i ragazzetti con cui aveva pomiciato al liceo.

Oh, per carità, con i baci ci sapeva fare – eccome! Le troncava le gambe da quanto era bravo. Ma niente di più. Ed era frustrante sentire le sue mani sempre ferme in luoghi neutri. Nemmeno un accenno ad una carezza un po' più maliziosa e le sue labbra non scendevano mai oltre il collo.

Cominciava a chiedersi se non fosse lei il problema. Forse non era abbastanza carina, forse la considerava solo una ragazzina. O forse era davvero una questione di esperienza: l'avrebbe voluta più intraprendente. Qual'era il suo sex appeal? Ce l'aveva un sex appeal?

Poi si ricordava degli abbracci notturni. Era decisamente eccitato quando stavano insieme in quel modo: certi rigonfiamenti sospetti non lasciavano adito a dubbi.

Allora cosa diavolo lo tratteneva? Nel bene e nel male si conoscevano da tre anni, si frequentavano da tre mesi e pomiciavano da due settimane. Stava aspettando la terza settimana per far quadrare il conto? Era abbastanza strano da fare una cosa del genere.

Claire decise di concedergli quei sette giorni. Poi avrebbe pensato ad un piano d'attacco.

~~~

Cosa ci fa qui la mia adorata nipotina? – esclamò Peter gioviale.

Claire conosceva i suoi orari e l'aveva aspettato al bar dove andava sempre a fare colazione quando staccava dal turno di notte.

Nipotina? – protestò offesa – Ehi, io vado al college! –

Cosa ci fa qui la mia adorata nipote adulta e responsabile? – replicò lui con un sorrisetto.

Claire alzò gli occhi al cielo: – Vado al college, non in convento. –

Peter allargò le braccia: – Non ti va bene niente! –

Si sedettero a fare colazione. Cioè, Peter fece colazione, Claire mangiucchiò distrattamente qualcosa dal suo piatto. Lui la guardava senza parlare, in attesa che dicesse qualcosa, ma Claire non sapeva proprio da dove iniziare quel discorso.

Avanti, cosa ti turba? –

Perché dovrebbe turbarmi qualcosa? – ribatté lei sulla difensiva.

Peter scosse la testa comprensivo: – Venite a cercarmi solo quando avete dei problemi. –

Non è affatto vero! Tu sei... – s'interruppe e sbiancò – aspetta un momento... chi altro viene a cercarti? –

Alzò le mani e sorrise: – Sono il confidente più ricercato della Grande Mela, non lo sai? –

Pete... – sibilò minacciosa.

Secondo te chi? – fece lanciandole uno sguardo d'intesa.

Claire per poco non ci restò secca. Peter era il suo confidente, come si permetteva quell'altro di usarlo? Come si permetteva Peter di prestarsi così a lui?

Perché non me l'hai detto?! – s'inalberò.

Peter si strinse nelle spalle: – Sarebbe cambiato qualcosa? –

Certo! – sbottò – Non ti avrei mai detto nulla, prima di tutto. –

Credi che vada a spifferargli quello che mi dici? – fece lui accigliato – Non hai una bella opinione di me. –

Claire si mordicchiò le labbra, pensierosa.

Me lo giuri? –

Parola di lupetto. – sospirò – Mi vuoi dire cosa c'è? –

Adesso non aveva più scuse. L'aveva cercato lei, non è che poteva girarci intorno ancora per molto.

È imbarazzante. – mugugnò.

Lui le prese la mano e la guardò negli occhi: – Confessati con padre Peter. –

Smettila, – gli diede uno scappellotto – mi metti a disagio! –

Ok, tiro a indovinare? – ci pensò su un attimo – Lui ti fa pressione. –

No. – disse sentendo salirle in gola una risatina isterica.

Allora tu gli fai pressione. – ipotizzò – Piccola svergognata... –

Questa volta il “no” s'intuiva a stento in mezzo alle risate.

Vi fate pressione a vice... oddio, sei incinta?! – se ne uscì l'idiota.

Ma no! – sbuffò arrossendo furiosamente – È matematicamente impossibile. –

Da infermiere ti assicuro che la matematica non c'entra nulla. – cominciò con aria professionale – Per cui, se state usando il metodo Ogino-Knaus... –

Claire si sentì andare a fuoco. Ma che andava a pensare?!

Pete... non abbiamo fatto sesso. – troncò.

Oh. –

Alzò le sopracciglia: – Già, “oh”. –

Ma vi frequentate da un po', voglio dire... – disse cauto.

Appunto. – sospirò esasperata.

Peter si fece serio: – Mi pare di capire che il problema non sia tuo. –

Intuitivo. – disse sarcastica.

Claire, non serve a niente sputarmi veleno addosso. – le fece notare pacato.

Scusa. – borbottò, sentendosi improvvisamente in colpa.

Hai provato a parlarne con lui? – le suggerì.

Scosse energicamente la testa: – Neanche per sogno! –

Sembrerà trito, ma il dialogo è importante in un rapporto. – incalzò.

Pff... – scrollò le spalle – non c'è nessun rapporto tra di noi. –

E che cosa c'è allora? –

Agitò una mano, imbarazzata: – Ma che ne so, non l'abbiamo definito. –

Ok, – insisté lui paziente – sta di fatto che di solito i problemi si risolvono discutendo. –

Gli lanciò un'occhiata scettica: – Stiamo parlando della stessa persona? –

Sì, lo so, lui è Sylar. – disse stancamente – E allora? –

E allora?! Come sarebbe a dire? Doveva ricordargli che tipo di persona era?

E allora non è un tipo abituato a parlare. – gli fece notare – Nemmeno nella vita normale. Fidati, lo so. –

Be', non ti resta che trovare un modo alternativo. – le suggerì sibillino.

~~~

La doccia è un buon momento per pensare: Claire ci faceva sempre un sacco di voli pindarici.

Era abbastanza smaliziata da sapere cosa intendeva Peter con quelle parole – o per lo meno da interpretarle in maniera adeguata. Non c'erano molti metodi alternativi per dialogare con Gabriel, Claire l'aveva imparato a sue spese. Avrebbe anche potuto risparmiarsi di rompere le scatole a Peter con le sue paturnie.

Strizzò i capelli e uscì dalla doccia. Passò una mano sullo specchio appannato e osservò quella ragazza che la adocchiava pensierosa. Prese il pettine fitto e si mise a districare i nodi, metodica e decisa, e ad ogni nodo che si scioglieva le pareva di sentire la testa un po' più lucida.

Lei non era quel tipo di ragazza, lei non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Si cagava sotto alla sola idea. Ma aveva vent'anni, non era mai stata con un uomo e quando era con Gabriel sentiva che si incastravano così bene. Diamine, era pazzesco quanto la faceva sentire al sicuro, proprio lui che aveva reso un inferno quegli ultimi anni.

L'aveva avvicinata senza chiederle niente in cambio e quando lei aveva provato a fidarsi l'aveva visto e sentito: quel calore, quello che Gabriel aveva dentro. Lo sentiva pulsare costantemente. Glielo regalava, ogni volta, come se non vedesse l'ora, come se non avesse aspettato che lei. Ed era semplicemente la cosa più assurda e bella che le fosse capitata.

Claire non sapeva cosa lo trattenesse ancora. Il piano fisico aveva la sua importanza, ma paragonato a quello che stavano costruendo insieme era nulla. Ma forse quel “nulla”, per quanto insignificante, aveva un suo peso... forse era quello che chiudeva il cerchio. E il cerchio l'aveva aperto Gabriel: adesso spettava a lei chiuderlo.

Si aggrappò al bordo del lavandino e sospirò nell'aria umida. I sette giorni che si era data erano scaduti. Poteva farlo davvero? E come? Non sarebbe mai stata capace di agire, doveva trovare un modo diverso.

Saettò lo sguardo per il bagno e adocchiò il ciondolo. Lo prese e se lo legò al collo. Alzò gli occhi verso il riflesso, fece un passo indietro e si rimirò. Aveva la pelle arrossata dal calore e i capelli scuriti dall'acqua. Considerò velocemente che si era depilata e aveva finito il tubetto di crema per il corpo. Il cuore prese a martellarle in petto quando capì che si era già preparata: aveva già deciso, ancora prima che le venisse l'idea.

~~~

Poteva tornare indietro, poteva farlo in qualsiasi momento. Claire si strinse il lenzuolo al petto, il respiro mozzo e lo stomaco stretto in una morsa. Sì, non ci voleva niente, bastava alzarsi e prendere il pigiama dal cassetto. Ma non si muoveva, se ne stava lì e attendeva: la rinuncia a quel piano assurdo o il suo arrivo, una delle due. E intanto non succedeva un bel niente.

Si torturò in quel modo per un tempo che le parve infinito. Quando la tensione si fece insopportabile e stava per decidersi a gettare la spugna – proprio in quel momento – lui arrivò.

Non venne subito da lei. Claire lo vide esitare, aggrappato allo stipite della finestra. In qualche modo si sentì come quella prima notte, con tutte le incognite e le paure del caso. Il che era appropriato visto che quella probabilmente sarebbe stata sua la prima...

Non pensarci... non pensarci... non pensarci...

Di solito nel giro di due secondi netti era sotto le coperte che l'abbracciava. Stavolta ci mise un bel po' a decidersi anche solo di avvicinarsi. Cosa sentiva in quel momento un empatico come lui? Preferiva non soffermarsi sul quel pensiero. Era nervosa, eccitata, impaurita, speranzosa e chissà cos'altro.

Si era fermato ai piedi del letto e la osservava. Poteva sentire il suo respiro irregolare da lì: le dava chiaramente idea di come stava assorbendo quell'orgia di emozioni. Si sentì infuocare.

Claire seguì i movimenti della sua mano. Le sembravano lentissimi. Le dita si chiusero attorno al lenzuolo e fu come se le si chiudessero attorno alla gola. Tirò appena, scoprendole una spalla e parte del seno. Il ciondolo brillò alla luce tenue. I suoi occhi si fermarono lì, il cuore di Claire accelerò.

Ancora un indugio, poi il lenzuolo scivolò via del tutto. La carezza della stoffa le fece venire la pelle d'oca. I loro respiri si fermarono. Anche il tempo parve prendersi una pausa. E quando riprese, decise di recuperare in fretta.

Si sentì afferrare per una caviglia e trascinare in avanti. Lo lasciò fare, schiacciata com'era dal terrore e dall'eccitazione. Non reagì nemmeno quando le artigliò i capelli, obbligandola ad esporre la gola, e si chinò su di lei vorace.

Claire attese, stordita e ansante. Le passò il pollice sulle labbra, in silenzio. La mano scivolò poi sul collo, seguì il nastrino e si fermò sul ciondolo. Claire chiuse gli occhi mentre le dita sfioravano il contorno del seno.

La baciò e il desiderio dilagò dentro di lei, facendole avvampare il sangue. Tremava tutta, atterrita dalla violenza di ciò che sentiva. Non l'aveva mai toccata così. Era diverso, era più possessivo e imperioso. Quel bacio preludeva ad altro e quella mano che premeva con prepotenza...

Dio, avrebbe sopportato tutto questo? Tutto il calore sembrava concentrato nei palmi delle mani e nelle labbra. Sentiva il cuore esploderle in petto.

Bruscamente si staccò da lei e la scrutò. Claire alzò una mano ad accarezzargli il volto e lui si scostò con uno gesto secco. La guardò di nuovo, accigliato, e quello che vide non le piacque per niente.

Fu come una doccia fredda. Dov'era finito tutto il calore? Claire non capì come né quando, ma all'improvviso si era rotto qualcosa. Non l'aveva mai sentito così lontano come in quel momento, nuda, tra le sue braccia. Che diavolo era successo?

Non ebbe il tempo di chiederglielo. Gabriel scosse la testa e si allontanò da lei. Se ne andò e basta, senza una parola.

Claire guardò la finestra aperta senza sapere se urlare, andarlo a cercare per picchiarlo o mettersi a piangere. Optò per la terza e scoprì che era anche facile.







(*) Chi lo merita riceverà da Venere in persona sette meravigliosi baci, e uno addolcito di molto dal tocco della sua lingua carezzevole – Metamorfosi, Apuleio

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Capitolo 5
*** Step Five: Mess ***


Note:

E dopo un secolo Doralice... è quiiii! *parte la musica di Carramba Che Sorpresa e si apre il sipario*

Ehm... sono viva, sì. Scommetto che non ci speravate più, eh? E invece eccomi qua, con il quinto capitolo, che oltre ad essere in ritardissimo è pure strappalacrime e tragggico e pesantuccio.

Quindi buona (si fa per dire) lettura!







Step Five: Mess


In verità tutte le cose si muovono dentro di voi

in un continuo semi-abbraccio,

desiderio e paura,

ripugnanza e attrazione,

voglia e disgusto.

In voi si agitano queste cose

come luci ed ombre strette insieme.

- Kahlil Gibran -



La sua tendenza al masochismo si era fatta palese. Con un'ingenuità abissale, aveva riposto tutte le sue speranze nel racconto – forse falso, chissà? – di un uomo riguardo un'ipotetica realtà parallela e nelle sue sensazioni ingannatrici. Povero illuso...

Una parte di lui era rimasta ancorata alla realtà dei fatti, ma evidentemente non era bastato. Si era dovuto spingere oltre il limite che una volta si era saggiamente posto, fino a ritrovare quella crudele realtà che per un po' aveva fatto finta di ignorare.

Claire aveva paura di lui. Non si sarebbe mai fidata, non come intendeva lui.

Ci aveva letteralmente sbattuto contro. L'aveva sentito, forse anche più chiaramente di quanto non lo avesse sentito lei. Un'ondata di paura primordiale. Aveva infranto quel filo delicato che si era faticosamente creato tra di loro.

Improvvisamente gli era diventato chiaro come tutto quel flirtare fosse un gioco più grande di lei. Un gioco a cui Gabriel aveva dato troppo peso e Claire troppo poco.

Era così ovvio. Eppure aveva dovuto arrivare fino in fondo, farsi prendere per il culo a quei livelli – come sempre.

Ma adesso era finita. Era tutto finito.

Gabriel se lo ripeté fino a strapparsi dal petto ogni residuo di sentimento che potesse alimentare il suo dolore. Si ricoprì di una nuova, fulgida corazza di impietosità. E attese. Perché se lui era masochista, Claire Bennet era malefica, lo era come solo gli innocenti possono esserlo, ovvero in quel modo subdolo che deriva dalla superficialità, dall'ignoranza di quanto male si possa fare con le proprie azioni.

Così, quando Claire venne da lui, Gabriel si predispose a non ascoltarla. Ne aveva abbastanza di sentire: si era lasciato irretire dai suoi stessi sensi e ciò l'aveva avvelenato. Non sarebbe accaduto mai più.

Peccato che nel momento esatto in cui la vide varcare la soglia del laboratorio, come aveva già fatto tante e tante volte – eppure mai come stava facendo in quel momento – ogni intento di Gabriel crollò. Come aveva potuto credere che pochi giorni sarebbero bastati a cancellare anni di sentimenti frustrati? Gabriel sentì esplodere la rabbia in petto prima ancora che parlasse.

Non sono qui per chiedere spiegazioni. Voglio il mio carillon. –

Aveva gli occhi pesti di chi ha pianto, e l'aria altera e distaccata di chi si sente ferito.

Non farti fregare. Non di nuovo.

Il rancore di Gabriel si gonfiò, reprimendo all'istante qualsiasi sentimento pericoloso.

Prese il carillon da sotto il bancone e glielo porse: – Non si può aggiustare. –

Lo immaginavo. – annuì lei, mettendoselo in borsa.

Stava facendo una grossa fatica a non urlarle in faccia: tutta quella sua tranquillità gli stava scavando dentro come una lama.

Gli voltò le spalle: – Ciao, Gabriel. –

Ciao, Gabriel?

Contrasse le dita e Claire s'immobilizzò contro la sua volontà.

Ti stai divertendo? – le sibilò avvicinandosi.

No, non direi. – la sentì dire piano.

Gabriel le girò attorno scrutandola. Gli sembrava di ingoiare veleno ad ogni respiro. Che diavolo stava facendo? Lo sapeva che quella situazione era pericolosa.

Sei brava, ma non abbastanza. – cantilenò – Mi ci è voluto un po' per accorgermene. –

Claire alzò stancamente gli occhi: – Immagino che dire che non so di cosa parli, non servirebbe a niente. –

Mhm... no. –

La vide stringere le labbra e riabbassare gli occhi. Frustrazione e paura. Gabriel non ebbe modo di arginare quello che sentiva provenire da lei.

Bene. – sospirò – Dì quello che devi dire e finiamola. Sono stanca. –

Era stanca. La principessa era stanca. Gabriel sogghignò.

Gesù, non ne vale la pena... – mormorò tra sé e sé.

Potresti stringere? – disse atona – Faccio tardi a lezione. –

Gabriel la ignorò. Si sentiva abbastanza patetico a trattenerla lì, gustandosi la sua paura come una volta. Patetico e meschino. Ma ogni considerazione era distorta dal rancore.

Te n'è mai fregato qualcosa? – la sferzò – O ero una cavia? –

Claire scosse la testa in silenzio.

No, sul serio, vorrei capire. Perché mi hai dato corda? Era pietà? Volevi tenermi caldo per la notte? – scrollò le spalle – Avanti, sono sinceramente curioso. –

Ad ogni parola, la paura di Claire mutava in disgusto e dolore, e la rabbia di Gabriel aumentava di rimando. Credeva che umiliarla gli avrebbe portato un sadico piacere, invece lo stava solo distruggendo.

Sei tu l'empatico. – gli disse con voce incrinata – Dimmelo tu. –

Te lo dico io. – annuì, avvicinandosi e sussurrandole minaccioso – Avevi paura, come ne hai adesso. Ne avrai sempre e lo sapevi. Ti è piaciuto giocare col mostro? –

La vampa di dolore di Claire crebbe fino a soffocarlo. Gabriel si allontanò di scatto.

Be', il gioco è finito. – concluse, sentendosi bruciare i polmoni, gli occhi, il cuore – tutto.

Buono a sapersi. Hai finito? –

La lasciò andare. Claire uscì dal negozio e dalla sua vita. Quell'ultimo dlin-dlon gli trafisse il cuore. Gabriel voltò le spalle all'uscio e il campanello si schiantò al suolo e prese fuoco.

~~~

Che le cose sarebbero andate così l'aveva capito, ma non credeva che avrebbe fatto così male. Claire aveva mentito ovviamente: le voleva le spiegazioni, eccome, ma non poteva certo abbassarsi a chiedergliele.

Era andata da lui sicura di sé, gonfia dell'orgoglio di una donna ferita. E se n'era andata in frantumi. Claire era certa che nessuna esperienza – nemmeno riprendere vita in una sala operatoria con il torace aperto o l'essere seppellita viva in una roulotte – avrebbe potuto essere peggio che farsi umiliare dall'uomo che credeva di amare.

Ma la cosa peggiore era che in quello che Gabriel le aveva detto c'era una fondo di verità. Fin dall'inizio aveva sentito un gusto morboso in quello che stava succedendo tra di loro, c'era ancora una parte di lei che ripugnava l'attrazione che provava per lui. A tratti si sentiva sporca all'idea che proprio quello che le aveva fatto del male avesse su di lei un ascendente così forte.

Gabriel l'aveva sentito, era quella la paura di cui parlava. Il terrore di cedere del tutto e trovarsi invischiata con lui, proprio lui.

Sylar.

Sussurrò il suo nome tra sé e rabbrividì. Gli si era offerta. A lui.

Ma l'aveva plagiata – si era fatta plagiare – molto tempo prima, fin dal momento in cui aveva messo gli occhi sul suo potere e aveva preso a darle la caccia. In un modo o nell'altro, lui le piombava sempre addosso e metteva a soqquadro la sua vita. E lei glielo lasciava sempre fare, senza mai reagire. Solo ora si rendeva conto di quel perverso meccanismo, di come fosse stata complice consenziente della sua stessa tortura.

E alla fine nemmeno uno come lui aveva potuto sopportare una tale follia.

Se Claire non era “aggiustabile” era colpa di Sylar, ma Gabriel ci aveva provato a rimettere le cose a posto. E quando non ci era riuscito aveva fatto l'unica cosa che gli restava: sbatterle in faccia la verità. Era bravo in questo, c'era da ammetterlo. Un po' troppo bravo, magari.

Ma Claire non sarebbe più stata carnefice di sé stessa.

~~~

No, ti prego... –

Peter inarcò un sopracciglio: – Fa piacere anche a me vederti. –

Lady Claire si faceva la bua, ser Peter accorreva in soccorso. Una routine inappuntabile.

Lo vide infilarsi in casa sua senza essere invitato, salutare Gatto e accomodarsi sul suo divano come se niente fosse.

Che vuoi? – sbottò nervoso andandogli dietro – È venuta a piangerti addosso? –

Cosa le hai fatto? – gli chiese serio.

Si stava trattenendo dal picchiarlo e lo sapeva. Forse per questo gli venne da rispondergli in modo provocatorio.

Non sono affari tuoi. –

Lo erano fino ad una settimana fa. – gli fece notare – Che diavolo è successo nel frattempo? –

Gabriel fece una smorfia: – Fattelo raccontare da... –

Claire non vuole dirmi niente. – lo interruppe, scandendo le parole – Non si faceva più sentire, allora l'ho cercarla. È l'ombra di sé stessa, non ha neanche più lacrime da piangere. Non l'ho mai vista così. –

Come se non lo sapesse. Di lacrime non ne aveva più prima ancora di venire da lui a reclamare il suo carillon. Certo, detta così, a freddo, senza tutto il contorno di rancore fresco, era tutta un'altra cosa.

Stai colpendo basso, Petrelli... – disse a mezzabocca.

Fai meno la vittima e dammi un buon motivo per cui non dovrei prenderti a calci. – lo rimbrottò.

Gabriel si lasciò cadere affianco a lui, strofinandosi il viso. Dopotutto non gli avrebbe fatto male parlare un po'. E se alla fine l'avrebbe preso davvero a calci, be', qualcosa in fondo gli diceva che se lo meritava.

Riuscì a raccontargli quello che era successo qualche notte prima. A grandi linee e con molte epurazioni, ma ci riuscì. Vide Peter stringere i denti e trattenersi dal commentare di volta in volta.

Ha paura di me. – riassunse in tono amaro.

E non ti sei fermato a chiederti il perché? –

Si strinse nelle spalle: – Non ce n'era bisogno. –

Stronzate. – ribatté accigliandosi – Sei così atterrito all'idea di essere rifiutato che hai preferito pararti il culo scappando. –

Ed ecco Peter Peterelli e la sua innata, fastidiosissima, a dir poco seccante capacità di mettere la gente di fronte ai propri casini, senza mezzi termini. Gliel'aveva permesso una volta e adesso si arrogava il diritto di farlo quando gli pareva. Doveva darci un taglio.

Tu non puoi capire... ero riuscito a non sentirla più quella dannata paura e all'improvviso bam! Eccola lì, di nuovo. –

Gabriel... –

Tutto daccapo, – continuò, incapace di fermarsi, di contenere tutta quella frustrazione – come se non fosse successo niente, come se questi mesi non contassero niente. Non lo sopporto! –

Gabriel. –

Cosa?! –

Quando ti ho chiesto se non ti sei fermato a chiederti il perché, non era una domanda retorica. – disse Peter, col tono di chi parla ad un deficiente.

Gabriel stette al gioco.

D'accordo, – fece con aria affabile – spiegami. –

Tu non c'entri con la sua paura... cioè sì, c'entri, ma non come intendi tu. – sospirò e Gabriel ebbe la netta impressione che fosse imbarazzato – Il fatto è che... santo cielo, non riesco a credere di dover essere io a spiegarti una cosa del genere! –

Vieni al punto. – lo incalzò, sentendo nascere un dubbio atroce.

Ma tu lo sai che Claire... è...? –

Alzò le sopracciglia, guardandolo di sottecchi. Gabriel ricambiò lo sguardo con terrore crescente.

Vuoi dire...? – azzardò.

Peter si affrettò ad annuire.

Oh... –

L'aveva sospettato. Non ne era certo, ma ci aveva pensato. Ma come poteva il problema ridursi a quello?

Sono un empatico Pete, non un ginecologo. – borbottò davanti al suo sguardo pieno di compatimento.

Non poteva esserci situazione più imbarazzante: parlare della vita sessuale della sua ex-quasi-ragazza con il di lei zio.

E non dirmi che sono stato insensibile o cazzate del genere. – aggiunse ombroso – Quella paura non aveva niente a che fare con... –

Mosse una mano, rifiutandosi di concludere la frase.

Hai ragione. – ammise Peter – In parte. –

Gabriel alzò le braccia, esausto: – Avanti. Sii spietato. –

Ha paura di te? Sì. E forse ne avrà sempre, non puoi saperlo. Non lo sa nemmeno lei. Insomma, stiamo parlando di quello che le ha aperto la testa... –

E si suppone che io dovrei fare cosa? –

Magari darle fiducia? – suggerì stancamente – Lei l'ha fatto con te. –

Fiducia? Quella non era fiducia. Aveva solo voglia di... –

Attento a come parli. – lo interruppe gelido.

Qua non c'entra niente il... – si trattenne – Ma che cazzo! Non l'hai mai avuta una ragazza? –

Sì. – batté le palpebre pensieroso – L'ho uccisa. –

Peter restò a bocca aperta. Poi scosse la testa incredulo.

Ok, concentriamoci su quella che non hai ancora ucciso. – fece sarcastico.

Correggimi se sbaglio: hai fatto tutto tu, l'hai guidata fin dall'inizio. E poi l'hai abbandonata, proprio nel momento in cui aveva più bisogno di te. È stato il sesso, ma poteva essere qualsiasi cosa che fosse importante per il vostro... – deglutì e lo guardò di sbieco – rapporto. –

Gabriel iniziò a capire. E assieme alla comprensione arrivò anche la vergogna per la sua stupidità.

Lei si è messa nelle tue mani. Nonostante le sue paure. – insisté – E tu che hai fatto? –

Che ho fatto? – balbettò atterrito.

Peter lo osservò truce: – È venuta a cercarti, non è così? –

Gabriel annuì, lo sguardo perso.

E hai... peggiorato le cose... non ci posso credere! – concluse sull'orlo dell'isteria – Ma che ti dice il cervello?! –

Niente. – ridacchiò isterico – Ci hai fatto un giro, hai visto che gran contenuti? –

Finalmente Peter ebbe pietà e restò zitto.

Che intendi fare? – gli chiese dopo un interminabile momento di silenzio.

Incassare il colpo e darmi alla vita monastica. – mugugnò assente.

Sentì lo sguardo di Peter su di sé: stava per prenderlo a calci come aveva minacciato.

A parte quello. –

C'è solo una cosa. E non le piacerà. –

Peter non disse nulla. Si alzò dal divano, salutò Gatto e aprì la porta d'ingresso.

Fai quello che ti pare. Ma se la fai soffrire ancora, ti farò rimpiangere di non essere rimasto dentro quell'incubo. –

Gabriel lo stava già rimpiangendo.

~~~

L'aria si mosse e Claire sentì i suoi passi leggeri, identici a mille altre notti, eppure diversi.

Il letto s'inclinò di lato. Si voltò verso di lui e le bastò un'occhiata per capirlo: quella era l'ultima volta. Era la fine. Di tutto. Di qualsiasi cosa ci fosse mai stata tra di loro, qualsiasi legame morboso e non, qualsiasi insana dipendenza. Era semplicemente la fine.

Gabriel si chinò su di lei e l'abbracciò. Restarono così a lungo, dondolando piano. Claire avrebbe preferito non sentire più quel calore, mai più. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Era crudele e assurdo. Ed era giusto così.

S'irrigidì quando le prese il volto tra le mani. Gli si aggrappò ai polsi e la nausea arrivò tutta insieme, accompagnata da un dolore sordo. Sgranò gli occhi per la sorpresa.

No! –

Gabriel le premette le labbra sulla fronte e tremò. O era lei a tremare? Sentì le dita contrarsi sulla sua cute. Il dolore si fece acuto e penetrante.

No!

Singhiozzò disperata quando lo sentì. Qualcosa dentro di lei lo riconobbe. Si lacerò nel profondo, per tornare infine al suo posto.

Si allontanò da lei e Claire giacque inerme tra le coperte, incredula. Le lacrime le solcarono le tempie, ma non sapeva da dove venivano.

Il carillon era aperto sul comodino. Sentì la melodia risuonare nell'aria. Vide la balleria danzare.

Tutto era tornato al suo posto.

Gabriel svanì oltre la finestra. Il carillon restava lì. Claire non osava toccarlo. Si rannicchiò piano e attese. Poi il silenzio venne, nero come i suoi occhi, morbido come le sue lacrime.

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Capitolo 6
*** Step Six: Reboot ***


Note

Siccome sto impazzendo sugli ultimi esami e sulla tesi, e mi sembra di rincretinire da sola come una larva senza via di scampo... la raffica di recensioni di Black Raven (che ringrazio tantissimo, sei mitica!) è stata una vera botta di vita, una manna dal cielo!

E insomma, ho cambiato idea sul proposito di non pensare ancora per un po' di tempo alle mie millemila longfic in sospeso e dedicarmi totalmente allo studio, e ho deciso di aggiornare almeno questa che sta per finire... e così ecco a voi il penultimo capitolo!

NB1 Contrariamente allo stile adottato fino ad ora, questo capitolo è raccontato totalmente dal punto di vista di Claire.

NB2 Esattamente come nel mio solito stile, questo capitolo è uno psicodramma da tagliarsi le vene, epperò con un finale (per chi mi conosce) scontatissimo.







Step Six: Reboot


La terra girò per renderci più vicini.

Girò sul suo asse e su di noi,

finché finalmente ci ricongiunse

in questo sogno.

- 21 Grammi -



Che vuoi Pete? –

Ultimamente sono sempre il benvenuto. –

Peter si sedette affianco a lei sulla panchina e Claire riprese la lettura degli appunti di lezione con un sospiro teatrale.

Non ho voglia di parlare. – dichiarò con aria sostenuta.

Nemmeno dell'incubo di Sylar? – la stuzzicò.

Claire disse “no”, fingendo di non essere minimamente interessata.

Perché c'è una cosa che dovresti sapere, visto che ha che fare con te. –

Non prendermi per il culo, Pete. – sbottò guardandolo furibonda.

L'ho mai fatto? – si difese lui.

C'è sempre una prima volta. – ironizzò.

Be', non è questa. –

Claire alzò gli occhi al cielo, esasperata. Bene, era chiaro che non l'avrebbe lasciata in pace.

Avanti, – lo invitò con aria scettica – sentiamo. –

Peter si fece serio e irrequieto. Si schiarì la voce e cambiò posizione un paio di volte, finché Claire stessa non si trovò contagiata dal suo nervosismo.

Quando eravamo rinchiusi lì insieme, io... gli ho raccontato una cosa... che ho visto... in un futuro alternativo. – spiegò davanti al suo sguardo sempre più allibito – E lui... diciamo che l'ha interpretata a modo suo, ecco. –

Ti rendi conto che non mi stai dicendo niente, vero? – gli fece notare dopo un lungo momento di silenzio.

Sì. – ammise accigliato.

Ah, bene. –

Infatti è meglio che te la spieghi lui, non credi? –

Claire lo guardò inebetita biascicando un vago “eh?”. Peter la ignorò deliberatamente e si alzò dalla panchina, facendole cenno di seguirlo.

L'hai portato qui?! – saltò su.

Sì. –

No! –

Eh, sì. –

Gli corse dietro e un attimo dopo si trovò davanti l'ultima persona che avrebbe voluto vedere.

Il tempo si tese e si fermò. Ogni cosa attorno a loro scomparve. Peter, il parco, la terra sotto i piedi, l'aria nei polmoni. Esisteva solo Gabriel. E il suo cuore che martellava furioso.

Posso lasciarvi da soli? –

Claire si riscosse. Peter li stava guardando tra il preoccupato e il divertito. Annuì senza aver capito bene la domanda.

Quando si trovò da sola con Gabriel, si appuntò mentalmente di rintracciare il suo adorato zio e farlo fuori. Possibilmente in maniera lenta e dolorosa.

Come va? –

Sentire la voce di Gabriel dopo quasi un mese era strano. Si erano detti poche cose, ma tutte erano incise nella memoria di Claire e bastava un niente per far partire il disco.

Sai com'è... cose da fare, gente da vedere... – borbottò vaga – e tu? –

Eh... –

Conversazione brillante. Prevedibilmente calò un imbarazzato silenzio. Camminavano insieme ma non si guardavano. Dall'esterno dovevano essere uno spettacolino davvero deprimente.

D'un tratto Claire trovò insopportabile quel mutismo.

Senti, perché... –

Quando ti ho... –

Scusa, parla tu. –

No, dimmi. –

Parlarsi sopra tutti imbarazzati. Ma chi le scriveva le loro battute, quelli di Friends?

Gabriel le fece un cenno timido.

Ho un sacco di domande. – confessò.

Ok. –

Sono davvero tante. –

Va bene. –

Di nuovo silenzio. Claire si fermò in mezzo al sentiero, Gabriel si voltò a guardarla incuriosito.

Non so da dove cominciare. – confessò stringendosi nelle spalle.

Magari dal principio? – le suggerì.

Non era ironico. Claire deglutì nervosamente.

Il tuo incubo. –

Posso farti un riassunto? –

Si scambiarono un'occhiata fuggevole. Gabriel sorrideva. Era solo un accenno, ma cavoli, si era dimenticata di quanto fosse bello vederlo sorridere...

Cercarono un posto dove stare tranquilli a parlare. Cioè, dove stare a parlare e basta, perché tranquilli non lo erano neanche un po'.

Si sedettero sull'erba, come avevano fatto solo qualche mese prima. Solo che adesso non c'erano più le foglie secche e faceva più freddo. Era quel tipo di freddo secco che ti fa intirizzire il naso e desiderare l'abbraccio di qualcuno. E Gabriel era invitante: ricordava il suo odore e la sensazione delle braccia avvolte intorno a lei, come la facevano sentire protetta. In altre circostanze Claire non si sarebbe fatta problemi a stringersi a lui. In altre circostanze...

Lo osservò attenta mentre lui iniziava a raccontare: – Vado da Parkman per farmi sopprimere i poteri e lui... –

Per via della nostra... uh... chiacchierata? – intervenne, vagamente preoccupata.

Sì. –

Oh. –

Non aveva idea che Gabriel fosse finito in quell'incubo per colpa delle sue parole.

Non sentirti in colpa. – lo sentì mormorare.

Claire alzò lo sguardo su di lui. Pensò che lei doveva avere la sua stessa aria: persa e affamata, come un cane smarrito. Aveva un gran bisogno di coccole – ne avevano bisogno tutti e due, a dire il vero.

Sei andato da lui – lo incalzò riabbassando gli occhi – e...? –

E mi ha rinchiuso nel mio peggiore incubo. –

Restare da solo? –

Sì. – disse piano – Lo sapevi già. –

Claire annuì. Anche lei aveva paura di restare da sola. Quella era forse la cosa che li univa di più e che li rendeva in un certo senso simili. Era un po' patetico, ma era così e basta.

Ci sono rimasto... due, tre anni... non lo so, il tempo scorreva in maniera diversa lì. Poi è arrivato Peter. –

Notò come avesse saltato a piè pari ogni riferimento al periodo trascorso da solo. Non gli avrebbe chiesto niente. Le si stringeva il cuore a immaginare cosa aveva provato, come era riuscito a sopravvivere a sé stesso.

E sono passati un altro paio d'anni, credo. –

Claire batté le palpebre: – Questo non me l'ha detto. –

Già, be', immagino non sia stata l'esperienza più esaltante del mondo. – fece vagamente sarcastico – All'inizio volevamo ammazzarci a vicenda. Poi abbiamo contemplato l'idea di suicidarci ognuno per contro nostro. Cercavamo una via d'uscita, ma semplicemente non c'era. –

Perché? – si sentì dire d'impulso, per poi chiedersi che razza di domanda fosse.

Perché non la volevamo. – disse Gabriel.

Aveva una voce strana. Claire lo guardò: aveva fatto una domanda che non doveva senza saperlo?

Io non credevo di meritarlo e Peter per una volta era d'accordo con me. –

Claire boccheggiò, incredula. Condannarsi a vicenda pur di eliminare Sylar dal mondo... sarebbero davvero arrivati a tanto? Si doveva essere folli solo per contemplare l'idea.

E avrebbe lasciato morire Emma? – disse senza fiato.

Sono quello che gli ha ammazzato il fratello. – le ricordò.

Sono quello che ha ammazzato tuo padre, dicevano i suoi occhi.

E un altro centinaio di persone innocenti, aggiunse lei.

Sylar era stato questo ed altro. “Era”: passato.

Tu non sei più... –

Non dirlo. – la interruppe in tono duro – Sono sempre io, e lo sai. Lo sapeva anche lui. –

Claire strinse le labbra, incapace di replicare. Poteva metterla come voleva, fare giri dialettici degni di un oratore, ma la realtà non cambiava: Sylar – il Sylar che conosceva – era il passato. Il vero dilemma era in che modo se lo fosse lasciato alle spalle.

Cos'è cambiato? – fece con voce malferma.

Peter mi ha detto una cosa. – sospirò esitante – Non so nemmeno se è vera... –

Ma tu ci hai creduto. – insisté – Peter ha detto che riguarda anche me. –

Claire... –

Ecco, anche lui ci si metteva adesso! Aveva capito che doveva essere una cosa tosta, ma insomma era adulta e vaccinata. Perché nessuno voleva mai dirle come stavano le cose? Avevano tutti una tale sfiducia nelle sue capacità di elaborazione dei colpi di scena?

Tutta questa storia è iniziata per questa cosa... io voglio saperla! – proruppe sentendosi una ragazzina petulante – Ne ho il diritto! –

Gabriel alzò le mani in segno di resa.

Mi sembra giusto. – disse, con l'aria di chi in realtà avrebbe voluto fuggire molto lontano da lì.

Quando Peter si è ritrovato in quel futuro alternativo, mi ha visto. Cioè, ha visto il me di quella realtà. Vivevo nella casa dei tuoi, in Texas. E avevo un figlio. Si chiamava Noah. –

Erano delle semplici frasi in inglese corrente. Periodi composti da verbo, soggetto e complementi vari. Niente di che. Allora perché stava tremando da capo a piedi?

I pensieri presero a vorticare.

Se quel racconto non è una balla... perché Peter può essersi inventato tutto, no?

E coinvolgere la sua adorata nipote? Nah...

Cazzo, quindi potrebbe davvero... no no no no no!

Tu hai pensato... –

Lei aveva pensato... chiunque avrebbe pensato...

Quello che ho pensato è che qualcuno era stato così folle da amarmi e fare un bambino con me. Mi sono detto che, se era vero, allora c'era una speranza anche per un fallito come me. –

Se era vero. Ma lo era? A Claire parve di sentire concreta tra loro quella domanda e la risposta scontata.

Ma quella era... –

Un'altra realtà, sì, e quello era un altro me. – disse pacato – E tu eri una vera stronza. –

Claire gli lanciò un'occhiata incenerente.

Non guardarmi così, sono le parole di Peter. – si difese lui.

Claire fece un bel respiro e tentò di fare mentalmente il punto della situazione. Il supercattivo del secolo era rinato dall'inferno perché era venuto a sapere da suo zio che in una realtà parallela si era redento e aveva avuto un figlio, presumibilmente da lei.

Stan Lee ci fa un pippa!

E lei che parte aveva in tutto questo? Cioè, a parte l'averlo spinto verso un'esperienza terribile ma catartica e bla bla bla.

Perché hai cercato me? – gli chiese schietta – Perché proprio io? –

Gabriel alzò le sopracciglia: – E chi altro? –

Un po' se l'era aspettata quella risposta.

Fece una piccola smorfia: – Così suona un po' disperato. –

Disse quella che si è offerta al suo aguzzino. –

Quello era un colpo basso. Anzi, bassissimo. Il colpo più basso della storia dei colpi bassi.

Claire arrossì violentemente e si ritrasse.

Non è divertente. – disse con voce malferma.

Stavo scherzando. – ridacchiò lo stronzo, avvicinandosi appena – Claire... –

Si alzò da lì e si allontanò, ferita. Poteva fare lo splendido quanto voleva: non avrebbe attaccato. Quell'argomento non doveva toccarlo.

Taci, Gabe. – lo ammonì.

Quello che hai fatto... – lo senti dire alle sue spalle.

Ti ho detto... –

Perché te ne vergogni? –

Claire fremette, non sapeva se di rabbia o vergogna o entrambe.

Oh, ma per favore! – biascico in tono stridulo e agitò le mani – È stato così... così... –

Gabriel non sembrava gradire quello che stava dicendo. L'afferrò per un braccio e la strinse contro di sé.

Così cosa? Mhm? –

Il corpo di Claire reagì al suo odore e al suo tocco. Si protesse con le braccia, non per paura di lui ma di sé stessa. Di quello che temeva di sentire.

Non voglio pensarci! –

Io sì. – le soffiò.

Eccolo lì, quello che non voleva sentire. Claire respirava a fatica. Gabriel non la stringeva, eppure lei quasi soffocava. Le era mancato da morire quel calore, e adesso era tutto lì, per lei.

Mi hai rifiutata. – bisbigliò in tono amaro, cercando di restare lucida.

Lo sentì sospirare sui suoi capelli.

E sono stato un coglione. Dovevo prenderti, era quello che volevi. –

Claire avvampò: – Non lo so nemmeno io quello che volevo. –

Lo sapevo io. Lo sentivo. –

Cos'hai sentito? – gli chiese atterrita.

Tutto. Ogni cosa che provavi. – le disse implacabile – Hai idea dell'effetto che mi ha fatto? –

Claire scosse la testa, ammutolita. Gabriel la prese per il mento e le sollevò il viso.

Eri lì. Per me. Con questo al collo e basta. Lo portavi addosso come un sigillo. –

Gabriel le aveva sfiorato il collo, laddove il nastrino si infilava nella scollatura. Claire trasse il ciondolo fuori dalla maglia con mani tremanti. Non era riuscita a disfarsene e se ne vergognava.

Eri disarmante, così pura in mezzo a tutto quel desiderio. – la sua voce si era fatta roca – Ma avevi paura e io sono capace di aggrapparmi a qualsiasi cosa pur di farmi male. –

L'aveva desiderata davvero? Come una donna?

Tu mi volevi? – gli chiese timida.

Sì. – disse semplicemente.

Ho ancora paura di te. – confessò.

Gabriel batté piano le palpebre: – Lo so. Sylar sarà... –

No, non di Sylar. – scosse la testa, sentendo improvvisamente le lacrime riempirle gli occhi – Lui ha solo spezzato la mia vita. Gabriel mi ha spezzato il cuore.* –

Le labbra di Gabriel si incresparono in sorriso amaro.

E non volevi nemmeno leggerlo quel libro. – commentò.

Claire non disse niente. Perché non c'era niente da dire. Posò il capo sul suo petto e se ne rimasero lì, abbracciati in mezzo al prato, incapaci di fare qualsiasi cosa che non fosse respirare vicini.

Dunque, era così che te l'immaginavi? Vi siete detti tutto quello che c'era da dire, e adesso? Che ne sarà di voi due?

Gabriel... –

Non ci provare. – sibilò con voce incrinata – Ho attraversato l'inferno per trovarti. Non credere che rinuncerò facilmente come hai fatto tu. –

Claire si trovò spaccata in due. Era irretita dalle sue parole e incazzata per la sua presunzione. Si ritrasse e lo guardò accigliata.

Io non l'ho mai fatto! Non ci riesco. – si morse il labbro, incapace di contenere le parole – Farai sempre parte di me, in un modo o nell'altro. Ormai me la sono messa via questa cosa. –

Gabriel la guardava con occhi stupiti.

Lo dici come se fosse una condanna. – scherzò.

L'amore è un po' una condanna. –

Pensala pure... che hai detto? –

Che ho detto?

Che ho detto? –

Gabriel sogghignò e Claire si sentì sprofondare. La strinse a sé cantilenando “sei fregata”.

Lei aveva tutta l'intenzione di protestare, ma lui non le lasciò molto margine d'azione. La baciò. Uno di quei baci mozzafiato che sapeva darle lui. Solo che stavolta risentivano di un mese di astinenza e Claire per poco non ci rimase secca. La lasciò con le gambe tremanti e il ventre contratto.

Nonostante questo, trovò la forza di piagnucolare.

Non è giusto... – gemette senza fiato – Io mi sono esposta e invece tu... –

Gli occhi Gabriel si accesero: – Io cosa? –

Tu... –

Sì? – insisté insinuante – Io cosa? –

Se c'era qualcuno che si era esposto, in tutta quella faccenda, era lui. Fin dall'inizio. Cos'era quel calore che tanto l'attirava? Le aveva messo in mano la sua anima. Ma Claire se ne rendeva conto solo in quel momento.

Annaspò alla ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa.

Perché mi hai restituito la capacità di provare dolore? –

Gabriel represse un sorrisetto.

Per ripartire da zero. – disse tranquillo.

Lo guardò perplessa: – Io e te? –

Sì. –

Ma dici sul serio? –

Lui annuì con aria convinta.

Siamo due casi disperati. – gli fece notare.

Una volta qualcuno mi ha detto che vale sempre la pena tentare. –

Pare facile! –

Mhm... no, l'amore non è mai facile. –

Claire gelò. E poi si sciolse. Si aggrappò a lui per non cadere e si ordinò di riprendere a respirare, perché si era appena accorta di aver smesso.

Che? – pigolò.

Gabriel tentennò. Aprì la bocca come per dire qualcosa, poi scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. L'afferrò per un braccio e Claire sentì come un risucchio d'aria. Un attimo dopo si erano materializzati nella sua stanza del college.

Claire lo guardò allarmata mentre la spingeva contro il letto e ce la lasciava cadere sopra.

Che intenzioni hai? – balbettò, incapace di reagire.

Gabriel le scivolò sopra senza pesarle, come aveva fatto quella prima notte – come aveva fatto quell'ultima notte.

Riprendere un certo discorso. – mormorò sulle sue labbra.







* Cercava le parole. Gliele fornii mentalmente. ("Lui mi ha spezzato il cuore, tu hai solo spezzato la mia vita"). [Lolita]

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Capitolo 7
*** Last Step: Love ***


Note

Chi va piano va sano e va lontano, la pazienza è la virtù dei forti, gli ultimi saranno i primi... eccetera.

Ok, sono imperdonabile. Ma alla fine ci sono riuscita a terminarla, avete visto?! :P

Godetevi quest'ultimo capitolo iper-zuccheroso e pre-natalizio! Ringrazio tutte coloro che mi hanno seguita: kannuki e chi ha commentato ogni capitolo fin dall'inizio, ma anche chi ha scoperto la fanfic da poco e che ha commentato nonostante l'apparente abbandono. Grazie mille a tutte e alla prossima!

Doralice







Last Step: Love


Fai entrare il gatto dalla finestra

anziché dalla porta,

così non andrà via.

- credenza popolare americana -



Il “discorso”, Gabriel non se l'era immaginato esattamente così. Ma era solo l'inizio: quella nottata, ancora non lo sapeva, ma gli avrebbe riservato parecchie sorprese.

– Aspetta. –

L'aveva interrotto così, sul più bello. Ed era stato necessario un secondo richiamo da parte di Claire, perché in quel momento faceva parecchia fatica ad aspettare qualsiasi cosa. Aveva ritrovato il suo odore e il suo sapore, aveva ripreso confidenza con quella pelle, ed era poco propenso ad interrompere quello che stavano facendo.

E così, solo al secondo “Aspetta”, mugolato in modo che si sarebbe potuto dire tutto tranne che convinto, si era fermato.

Non qui. –

Non qui, cosa?

Gabriel batté le palpebre e la guardò incerto. Era rossa e accaldata e aveva un vago broncio contrito, come nella migliore tradizione virginale. Non avrebbe resistito a lungo.

Cosa c'era che non andava nella sua stanza? Credeva che lì si sarebbe sentita tranquilla, che in un ambiente che conosceva si sarebbe rilassata. Non erano quelle le cose che dicevano le riviste per le ragazze?

Se ti aspettavi lo Sheraton, devo darti una delusione. – scherzò.

O almeno ci provò: l'accenno all'hotel sembrò imbarazzarla, rendendola ancora più appetitosa.

Non voglio... qui. –

Balbettava, non trovava le parole. Era adorabile.

C'è solo casa mia. – accennò, convinto che non le sarebbe andata bene.

Claire s'illuminò nel dire quel “Sì.”.

Sì? – ripeté Gabriel, confuso.

Se era convinta lei...

~~~

Quella seconda materializzazione li aveva portati nella sua camera da letto. Poco romantico, forse, ma Gabriel non era l'unico a provare una certa urgenza.

Le finestre serrate chiudevano fuori la luce del pomeriggio. Accese la luce e la guardò. Claire appariva più a disagio di prima mentre si sedeva compostamente sul letto, eppure sentiva provenire da lei una nuova tranquillità.

Non ero mai stata qui. – commentò, osservandolo avvicinarsi.

Gabriel s'inginocchiò davanti a lei: – C'è sempre una prima volta. –

Ed ecco la paura: gliela riversò addosso, come quella notte, ma adesso sapeva distinguerla. Non le diede il tempo di crogiolarvisi. Né diede il tempo a sé stesso di pensare troppo. Il sangue non aveva smesso di affluirgli all'inguine.

Le afferrò il viso tra le mani e affondò la bocca nella sua. Passò un braccio intorno alla sua vita sottile e Claire lasciò che la stendesse sul letto e insinuasse il bacino tra le sue gambe.

Niente avrebbe potuto interrompere quella magia. Assolutamente niente. A parte Gatto.

Miao. – fece lo stronzetto, piombando esattamente di fianco a loro.

Con sommo disappunto, Gabriel vide Claire puntellarsi sui gomiti per guardarlo con un sorriso. Eh, no: non gli avrebbe rubato la scena un'altra volta. Quello era il suo momento.

Sciò! –

Mosse due dita e, sotto lo sguardo allibito di Claire, lo fece volare fuori dalla stanza.

Ma... –

Starà benissimo. – la interruppe secco, afferrandola nuovamente.

Si sarebbe anche pentito dei suoi modi bruschi, salvo notare un'ondata di eccitazione da parte di Claire.

Forse il suo errore era stato quello di esitare troppo, riuscì a riflettere mentre riprendeva a divorarla. Forse, se non avesse fatto tanto il signorino, si sarebbero risparmiati quegli ultimi casini. Che Claire provasse fin dall'inizio un'ambigua attrazione per lui, che sfiorava la Sindrome di Stoccolma, non era un mistero. Ma Gabriel non aveva mai avuto il modo – né il coraggio – d'indagare più approfonditamente quanto fosse radicata in lei.

E in lui. Perché c'era un lato di Gabriel che ancora si nutriva della paura altrui. Un lato nascosto e malsano, che – ne era consapevole – non sarebbe mai riuscito a sopprimere del tutto, e che alimentava in lui i pensieri più perversi e i desideri più oscuri nei confronti di Claire. Lo stesso lato che, assieme al desiderio di “rimettere le cose a porto”, aveva contribuito alla decisione di ridonare a Claire la capacità di provare dolore. Era Sylar: il lato che si arrogava il diritto di far soffrire gli altri quando e come voleva. Restava da capire quanto ne fosse ancora schiavo.

Forse quella era la volta buona per dare una risposta a quei dubbi.

I jeans cominciarono ad essere un impedimento, così come i loro maglioni. Gabriel se ne disfò velocemente, e si trovarono seminudi e intirizziti, con la pelle increspata dagli sbalzi di calore.

Poi Claire lo richiamò – un'altra volta. Gabriel si staccò da lei ed emise un faticosissimo “Cosa?”.

La luce. –

Gabriel serrò gli occhi e abbassò la testa, tentando di riprendere una parvenza di autocontrollo.

La luce. – ripeté atono.

Puoi spegnerla? Per favore. –

Quella vocetta timida contrastava in modo allucinante con i capelli arruffati e la lingerie di pizzo e le pupille dilatate dal piacere. Gabriel si trattenne a stento dal strapparle di dosso quegli ultimi, ridicoli pezzetti di stoffa e prenderla immediatamente. Aveva ancora un po' di sangue nel cervello per arrivare a comprendere che non era il caso di comportarsi come un troglodita. Ma Claire doveva capire che tuttosommato lui era umano e non avrebbe sopportato un'ulteriore interruzione.

Avrebbe potuto far scattare l'interruttore con la telecinesi, ma non aveva granché il controllo di sé. La lampadina s'infranse, causando contemporaneamente un sussulto di Claire e la penombra nella stanza.

C'era silenzio, adesso. Per un po' Gabriel ebbe paura di muoversi. Ma anche di respirare e figuriamoci di parlare. Quella sotto di lui non era Claire, era una specie di creatura selvatica terrorizzata tanto quanto curiosa. Pericolosissima. Gabriel poteva percepire ogni sfumatura di ciò che provava e si chiese come poteva un essere umano provare così tante cose e tutte insieme e così diverse.

Le donne...

Poi si accorse di un fatto strano: quelle cose le stava provando anche lui. Non era empatia, era pura e semplice agitazione. E forse anche un po' ansia da prestazione, ad essere onesto. Non c'era niente – proprio niente – nei suoi trascorsi che potesse essergli d'aiuto per affrontare quella situazione. Un bel casino per un maniaco del controllo come lui.

Capì all'istante che tutte le seghe mentali di prima si stavano dissolvendo davanti alla realtà dei fatti: quella cosina tra le sue braccia lo amava e lui l'amava di rimando. La sola idea di causarle del male gli suscitava disgusto e gli faceva crollare l'eccitazione.

Quel momento di esitazione gli costò caro. Claire gli prese una mano e se la portò al seno. Era assurdamente morbida: non riusciva a pensare ad altro se non alla consistenza soffice sotto le sue dita. Quando gli cinse i bacino con le gambe, Gabriel capì che era il momento di darci un taglio con quelle paranoie.

Scostò le coperte, seppellendo entrambi sotto. La avvolse tra le braccia e non lasciò più andare.


.~:°:~.


Ogni cosa era illuminata. Claire batté le palpebre nella luce sfocata. Filtrava dalle tende bianche, donando contorni opalescenti a tutto l'ambiente.

Alzò la testa tra le lenzuola chiare e occhieggiò la zazzera scura sul cuscino. A metà della nottata avevano ribaltato la posizione in cui si erano addormentati: era stata lei a finire con l'abbracciarlo alle spalle. Avevano ancora le gambe strettamente intrecciate e le sue mani erano intrappolate tra quelle di lui.

Gabriel e il suo paradossale, incolmabile bisogno di sentirsi amato. Cosa implicasse, Claire l'aveva imparato a sue spese quella stessa notte. Non che ci avesse rimesso, eh...

La sua esperienza in tema sessuale si riduceva a qualche scambio di saliva con un paio di ragazzi ai tempi del liceo, e ad un brevissimo quanto impacciato incontro con Grethcen, risalente ad un anno prima, che l'aveva lasciata con la consapevolezza di essere totalmente etero.

Quella notte, Gabriel l'aveva presa e rivoltata come come un calzino. Con la sua tipica sistematicità maniacale, l'aveva esplorata senza tralasciare alcun anfratto, l'aveva assaggiata, l'aveva divorata. E quando ne aveva avuto abbastanza, aveva affondato dentro di lei.

Claire credeva che quel momento non sarebbe arrivato mai. Per un tempo infinito l'aveva lasciato fare, aspettando, con i muscoli che tremavano di adrenalina e il cuore impazzito e nel ventre un liquido vischioso che sembrava farsi più bollente ogni secondo.

Tutto il resto si era perso in un oblio di carne e singulti e umori.

Ma ciò che l'aveva schiantata, era stato il dopo. Il suo sguardo e le sue carezze. E quel rifiuto di lasciarla andare.

Claire l'aveva assecondato ed era giunto il suo momento di rivoltarlo come un calzino. Non aveva proferito parola mentre piangeva in silenzio. L'aveva baciato piano e non l'aveva lasciato andare un attimo.

Aveva fatto l'amore con lui. Ancora. L'aveva cavalcato dolcemente, senza nemmeno capire come le riuscisse, lasciandosi semplicemente guidare da ciò che le diceva l'istinto. Aveva osservato la sua espressione innocente e fiduciosa, intuendo quale sensazione di potere doveva provare un uomo quando prendeva la sua donna – cosa doveva aver provato lui quando l'aveva presa.

Gabriel non era vergine, ma a Claire parve che quella notte le avesse donato molto più di ciò che lei aveva donato a lui.

Ciò che era successo chiudeva il cerchio. Con un po' di malinconia, Claire realizzò che tutto quel lungo corteggiamento era finito: erano entrati in una nuova fase, che non comprendeva più le silenziose coccole notturne e i the con biscotti in laboratorio. Cosa l'aspettava – cosa aspettava entrambi? Doveva iniziare a pensarsi come parte di una coppia e non era per niente facile: era abituata ad immaginarsi sola.

Guarda che non scappo. –

Claire si rese conto di averlo stritolato nell'abbraccio. Lo lasciò andare di botto: magari gli dava fastidio. Magari si sentiva soffocare, e non solo fisicamente.

Gabriel si era rigirato e la scrutava senza alcuna pietà.

Non mi dà fastidio. –

Claire alzò un sopracciglio. Leggeva anche nel pensiero, adesso?

No. – lui fece una smorfia di sufficienza e si strinse nelle spalle – Per un empatico è un potere superfluo. –

Claire aprì bocca, accigliata. Ci mise un po' a capire che l'aveva fregata. Precisamente, quando l'afferrò per i fianchi portandola sopra di sé.

Buongiorno. – le mormorò.

Il proposito di mantenersi offesa s'infranse nel sguardo affamato di Gabriel che saettava sul suo corpo nudo. Anche un terzo incomodo si svegliò.

Buongiorno anche a te. – dichiarò, tra l'imbarazzato e il divertito.

~~~

Come fosse riuscita a sfuggirgli era un mistero. Forse era stata l'idea di fare la doccia insieme. No, anzi, sicuramente era stato quello.

Claire era inesperta, ma era sempre stata convinta che quella del sesso selvaggio in doccia – o, peggio ancora, in vasca da bagno – fosse una una leggenda metropolitana. Che chiunque ci avesse provato fosse finito in traumatologia con prognosi di un mese. Non aveva fatto i conti con la telecinesi di Gabriel.

Fu una doccia molto lunga e assai articolata, che li lasciò ebbri di endorfine e con lo stomaco che brontolava. Forse era il caso di fare una pausa.

~~~

Le strade di New York erano sempre affollate, in qualsiasi ora di qualsiasi giorno dell'anno, ma mai come in quel periodo. Il Black Friday era appena passato e frotte di gente carica di acquisti si accalcava sui marciapiedi, entrava e usciva dai negozi, inseguiva taxi nell'aria fredda di nevischio.

Claire inciampò tra i piedi della calca e Gabriel l'afferrò al volo, evitando per un soffio che il suo frappuccino si schiantasse sul cappotto. Si scambiarono uno sguardo significativo: chi gliel'aveva fatto fare di abbandonare la calda tranquillità dell'appartamento?

Poi il cellulare di Claire squillò e non ci fu bisogno nemmeno di guardare il display: era il solito avviso che le ricordava l'appuntamento settimanale con Peter. Sotto lo sguardo interrogativo di Gabriel, si diede una manata in fronte: l'aveva completamente scordato.

Afferrò Gabriel per mano e, non senza fatica, riuscì a districarsi dalla folla e a condurlo in un vicolo miracolosamente vuoto.

Qui? – disse guardandosi attorno e fingendo un'aria stupita – A casa eravamo più comodi... –

Oh, taci! – borbottò lei arrossendo – Peter mi sta aspettando. –

Gabriel annuì: – Ok. –

Claire alzò gli occhi al cielo: non aveva capito niente.

Vieni con me, no? Anzi, materializziamoci lì! – lo incalzò, afferrandolo per una manica.

Lo vide accigliarsi: – Insieme? –

No, certo, materializzati solo tu. – lo canzonò – Ovviamente insieme! –

No. – Gabriel batté le palpebre e scosse la testa – Voglio dire... andiamo insieme da Peter? –

Le sopracciglia inarcate e il suo tono titubante la stupirono.

Qual è il problema? Non è mica mio padre! – gli sorrise, divertita all'idea che credesse di volerlo incastrare – Non voglio presentarti in famiglia. –

Uh? Peccato, sarebbe stato un bello spettacolo la faccia di Noah. – commentò con un sorrisetto e l'aria perplessa.

Trattennero una risata.

Mi è venuta un'idea. – se ne uscì d'un tratto, mentre tornavano ad immettersi nella fiumana – Hai voglia di fare shopping? –


.~:°:~.


Con un sospiro, Peter si alzò dal tavolino e andò al bancone a pagare. Non era la prima volta che Claire lo paccava, ma di solito gli mandava almeno un sms per avvertirlo. Era un po' preoccupato. Sopratutto considerato che l'ultima volta che l'aveva vista l'aveva lasciata in compagnia di uno psicopatico serial killer, assassino di suo fratello.

Vai già via, Pete? Che fine ha fatto la bambolina? –

Ben non si faceva mai gli affari suoi. Aveva messo gli occhi su Claire dalla prima volta che Peter l'aveva portata al bar e a niente era servito ribadirgli che in quanto sua nipote lei era off-limits.

Oggi aveva un impegno. – tirò fuori fuori cinque dollari e glieli porse – Tieni il resto. –

Uhm... vedo. –

Peter non badò al commento di Ben. Almeno finché non guardò distrattamente davanti a sé e vide nel riflesso dello specchio dietro il bancone due figure familiari.

Ben stava facendo qualche battuta laida sull'aspetto di Claire, ma Peter lo ignorò completamente. Era troppo preso ad assimilare la visione di Claire e Gabriel che si tenevano per mano, lì, sul marciapiede davanti all'entrata del bar.

Claire gli fece “ciao” con la mano inguantata. Aveva le guance rosse per il freddo e un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. Avanzò, tirando per mano Gabriel e trascinandolo dentro il locale. Peter si mosse per andare loro incontro e si ritrovò stritolato dall'abbraccio di Claire. Guardò con costernazione Gabriel da sopra la sua testa bionda: la sua espressione era indecifrabile.

Avrebbe voluto fare loro mille domande, anche se non era così sicuro di volerne sentire le risposte. Ma comunque non riusciva a spiccicare parola. Si lasciò trascinare a sedere, e così si trovarono tutti e tre attorno allo stesso tavolo.

Abbiamo un cosa per te! –

Claire si sfilò i guanti e tirò fuori dalla borsa un pacchetto involto in carta colorata.

Peter lo prese con una certa circospezione. Perché gli facevano un regalo? Non era ancora Natale e il suo compleanno era lontano.

E questo perché...? – fece scartandolo.

Tra la carta strappata, Peter si ritrovò tra le mani l'ultimo album di Plushgun.

Sorrise loro: – Devo dedurne che la discussione di ieri si è conclusa positivamente? –

Li vide scambiarsi un'occhiata. Claire abbassò la testa con aria imbarazzata e Gabriel si schiarì la voce. Peter si sentì improvvisamente investito di un ruolo che – lo sapeva bene – aveva più o meno ricoperto fin dall'inizio, ma che non aveva mai sentito così pesante come in quel momento.

Perché ci hai sopportati in questi mesi. – spiegò semplicemente Gabriel.

Claire si sporse verso di lui, posando il mento su una mano.

E perché sappiamo che ti piace Plushgun. – aggiunse.

Peter semplicemente non sapeva che cosa dire. Gli arrivò in soccorso Ben: prese le ordinazioni senza schiodare gli occhi di dosso a Claire. Ci fu uno scambio di sguardi tra di loro e Gabriel trafisse il barista con un espressione alla Sylar che non prometteva niente di buono.

Che c'è? – fece, sentendosi osservato.

Claire lo guardò severamente: – Lascialo in pace. –

Ehi, io non ho fatto niente. – si difese lui.

Mhm... già, come se non... –

La risata soffocata di Peter attirò la loro attenzione.

Scusate, – scosse la testa davanti alle loro espressioni incuriosite – è che siete... adorabili! –

Claire ridacchiò. Gabriel emise un grugnito imbarazzato.

Se la fai soffrire, ti uccido. – lo avvertì diventando improvvisamente serio – E comunque non è finita qui: mi aspetto di più di un CD la prossima volta. –

I due lo guardarono con aria confusa.

Come minimo voglio essere il testimone. – dichiarò solennemente, scatenando una reazione impagabile da parte di entrambi.

Un misto di imbarazzo, agitazione e terrore.

O il padrino. – incalzò, troppo divertito dalle loro espressioni scioccate – O entrambi, perché no? –

D'improvviso Gabriel si tramutò una statua di sale e gli occhi di Claire divennero larghi come piattini. Peter saettò lo sguardo dall'uno all'altra e, intuendo la situazione, l'unica cosa che gli riuscì fu di scoppiare a ridere.

Noi dobbiamo andare! – dichiarò Claire afferrando le sue cose alla bellemeglio.

Gabriel scattò in piedi: – Sì. Andare. –

Lei gli scoccò un frettoloso bacio sulla guancia: – Ciao Peter. –

Ciao Peter. – ripeté meccanicamente Gabriel.

E si dileguarono verso l'uscita, proprio mentre Ben stava arrivando con le ordinazioni. Guardò la scena senza capire e se ne tornò indietro borbottando qualcosa sulle bionde svampite.

Se è maschio voglio che lo chiamiate Peter! – urlò loro dietro.

Lo sguardo atterrito che gli lanciò Gabriel prima di svanire, fu memorabile.

Di nuovo solo, Peter sospirò nuovamente. Un sospiro molto diverso dal precedente.

Metti sul conto, Ben. – disse mentre s'infilava il cappotto e afferrava lo zaino.

Uscì nell'aria fredda e s'incamminò verso l'ospedale. Era in ritardo per attaccare il turno, ma cinque minuti poteva ancora concederseli: tirò fuori il lettore CD antidiluviano che si portava sempre appresso e c'infilò il suo regalo. Il primo brano partì e, come gli succedeva sempre quando ascoltava musica per strada, ebbe la sensazione di essere protagonista di un film, con una colonna sonora appositamente ideata per lui.

Ma no. Più che il protagonista, Peter era il regista. E anche quella volta, la sceneggiatura che aveva scritto era perfetta e gli attori che aveva diretto erano stati magistrali, anche migliori delle aspettative. E chissenefrega se non aveva vinto l'Oscar.

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