Between the waves of time

di LazyLuchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Perfect ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Good luck, honey ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - That guy ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Just begin to know you ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come back ***



Capitolo 1
*** Prologo - Perfect ***


Ok, non ho intenzione di sclerare qui. Meglio nelle note finali.

Buona lettura!

 

 

Prologo - Perfect

 

 

 

 

 

Perfetta.

 

La mia vita era perfetta.

 

Avevo tutto ciò che si poteva desiderare: una famiglia e una ragazza che mi amavano, tanti amici tra cui i fidati Wes e David, una carriera scolastica invidiabile, un talento innato per la musica, una casa a Lima – da non sottovalutare: Lima era il centro del mondo, la città perfetta, conciliava l’economia più sviluppata al mondo, ai servizi più efficienti, ad un patrimonio artistico e culturale ricco e vario. In poche parole, è più semplice dire ciò che a Lima non c’era, così da accorciare drasticamente la lista.

Tutti volevano vivere a Lima.

Tutti volevano vivere la mia vita.

 

 

 

Quasi non mi stupii quando mia madre mi chiamò entusiasta per dirmi che il mio nome era sulla prima pagina di innumerevoli quotidiani. Io, Wes e David eravamo in giro per Lima per comprarci dei regali post-laurea, perciò ne approfittammo per comprare tre diversi giornali per controllare che non si fosse inventata tutto o l’avesse sognato, preda dell’orgoglio per il suo perfetto unico figlio. Effettivamente, il mio nome c’era. Facendo scorrere gli occhi sull’articolo di ognuna di quelle tre testate, si poteva leggere lo stesso concetto sotto diverse forme:

 

“[…] Blaine Anderson, 22 anni, plurilaureato alla prestigiosa Central University di Lima, è stato scelto per partecipare all’ultimo progetto della L.B.S. […]”

 

“[…] La L.B.S. ha selezionato un ragazzo dalla Central University di Lima, Blaine Anderson. Il 22enne è stato scelto per le sue due lauree – la seconda appena acquisita – in Storia e Scienze avanzate, che lo rendono, agli occhi dell’amministrazione, perfetto per questo ultimo misterioso progetto scientifico. […]”

 

“[…] Per il suo ultimo progetto, la L.B.S. ha scelto di puntare su una mente giovane. Gli scienziati più famosi al mondo under 30 hanno protestato quando hanno scoperto che la suddetta mente è Blaine Anderson, 22 anni, due lauree alla Central University e un futuro promettente nella scienza. […]”

 

- Cavolo, amico! – esclamò Wes, rileggendo con gli occhi spalancati il mio nome su quelle pagine per la diciottesima volta.

- Wes, l’avrai detto sette volte solo negli ultimi trenta secondi, ho capito. – risposi, sorseggiando il mio cappuccino medio.

Eravamo al Lima Bean, la nostra caffetteria preferita. Ci eravamo andati subito dopo aver comprato i giornali.

- Scusa, Blaine, ma non è una cosa da tutti i giorni! – rispose, staccando finalmente gli occhi dai quotidiani.

- Piuttosto, come mai tu non sei per niente sorpreso? – domandò David, osservandomi con le sopraciglia alzate da sopra la sua tazza.

Feci spallucce.

- Lo sapevo.

Entrambi i miei migliori amici spalancarono la bocca, per poi richiuderla velocemente e guardarmi storto.

- E perché diavolo non ce l’hai detto?! – sbottò Wes.

- Siamo o non siamo i tuoi migliori amici? – aggiunse David.

- Certo che lo siete. Ragazzi, io volevo dirvelo, davvero. Mi è stato detto di non parlarne con nessuno, per questo non l’ho fatto. – spiegai, chiedendo scusa con lo sguardo.

- E perché è in prima pagina, allora? – continuò David.

- Che ne so io. La L.B.S. gestisce queste cose, io non sono nemmeno andato alla loro sede, per ora.

Wes e David annuirono, segno che avevano capito.

La L.B.S. – Life Biologic Studies – era l’industria scientifica più potente al mondo. La sua era aveva avuto inizio nel 2216 grazie al primo studio sugli ologrammi e ancora oggi, anno 2437, il suo impero non accennava a tramontare. Primeggiava in molti campi della scienza, di cui biologia, medicina e innovazioni tecnologiche erano solo le principali.

Wes, David e io tornammo nell’appartamento in cui convivevamo da ormai tre anni, troppo concentrati sul mio nuovo “impiego” per ricordarci dei nostri regali post-laurea.

- Almeno sai a cosa hai acconsentito? – chiese Wes appena varcata la soglia di casa, lanciando malamente i giornali sul divano.

- In realtà, non ho acconsentito a nulla. Mi hanno solo scelto, potrei anche rifiutare l’offerta, se volessi. – risposi, prendendo i periodici per metterli a posto.

Ero indubbiamente il più ordinato dei tre.

- Quindi, seguendo il tuo ragionamento, potresti trovarti in pochi secondi fuori dalla loro sede con un vago dolore al tuo bel culetto e un microchip per la cancellazione della memoria nel collo? – domandò Wes.

David porse una lattina a entrambi, mentre lui e Wes si sedevano sul divano.

- Primo. Rifiuterebbe solo un idiota-

- Appunto. – m’interruppero all’unisono. Li ignorai e continuai a spiegare.

- Secondo. Non è possibile cancellare la memoria. Al massimo potrebbero confinare alcuni ricordi in un angolo della mia mente.

Sbuffarono, roteando gli occhi. Sapevo di non essere granché simpatico quando ero così freddo e scientifico, ma non potevo farne a meno. La mia mente tendeva alla logica in qualsiasi situazione e nessuno se ne era mai seriamente lamentato, perciò non facevo nulla per cambiare.

- Terzo. – proseguii. – Esatto, la situazione sarebbe più o meno quella.

Annuirono, troppo presi dalla partita di baseball che stavano guardando in tv per ascoltarmi davvero. Sorrisi e mi diressi verso la mia camera.

- Dove vai? – chiese David, senza staccare gli occhi dallo schermo. – Corri, idiota! – aggiunse, rivolto ad esso.

- A prepararmi. Fra poco devo uscire con Valerie.

-  Oh oooooh!

Sapevo già che mi avrebbero seppellito di complimenti e affettuosi insulti perché la mia ragazza era la persona più attraente  di tutta Lima, perciò liquidai la conversazione sventolando la mano.

- Ne parliamo dopo. – aggiunsi per rimarcare, entrando in camera.

Feci la doccia, perché a Valerie piaceva il profumo del mio bagnoschiuma.

Sistemai i capelli col gel, perché a Valerie piaceva vedermi ordinato.

Indossai una camicia, perché a Valerie piaceva scoprire la mia pelle slacciando lentamente ogni bottone.

Misi la fragranza che mi aveva regalato lei stessa, perché a Valerie piaceva baciarmi il collo sentendo quell’odore per il quale io non andavo per niente matto.

Uscendo, avvertii i miei due amici che non sarei tornato per la notte, perché sapevo cosa voleva fare Valerie.

 

Ero sdraiato di fianco a lei, sul suo letto, le lenzuola coprivano appena il necessario. La sua testa era appoggiata sul mio petto, che ancora si muoveva a ritmo col mio respiro ansante. Stava giocando coi peli del mio petto.

-  Allora, è vero? Il mio ragazzo lavorerà per la L.B.S.? – sussurrò.

- Beato lui. – risposi. Rise.

Accarezzai i suoi capelli biondi lunghi fino alle spalle sovrappensiero, guardando il soffitto.

- Perché non me lo hai detto prima? – proseguì.

Volevo stesse zitta.

- Perché sapevo che mia madre ti avrebbe avvertita prima.

Si alzò sui gomiti per vedermi il viso. Non la guardai. Già sapevo quanto i suoi occhi fossero castani e brillanti, il suo viso perfetto, il naso piccolo e all’insù, le labbra carnose e rosse come ciliegie. Anche se probabilmente questo colore era dovuto a me.

Nonostante il suo silenzio fosse l’unica cosa che volevo in quel momento, insistette per saperne di più. Si basava su ciò che aveva letto su giornali e internet, quando nemmeno io sapevo di cosa si trattasse. Blaterava senza sosta di cose di cui non sapeva niente, come la fisica nucleare, l’astronomia collegata agli studi su Marte, gli ologrammi sensoriali. Mentre io studiavo a fondo ognuno di questi argomenti, lei passava le giornate dall’estetista o nei negozi a spendere i soldi di suo padre e, raramente, i miei. Ascoltarla parlare di monotremi senza sapere che sono dei semplici mammiferi mi faceva sentire come se avesse insultato il mio amore per la scienza. Non volevo più udire una sola eresia, ma chiudere la bocca era un’idea che nemmeno le sfiorava l’anticamera del cervello. Perciò la baciai e la tirai con me sotto le coperte, pronto a eccitarmi di nuovo per farla stare finalmente zitta.

 

Contrariamente a quanto avevo detto a Wes e David, decisi di tornare a casa quella sera. Erano le quattro del mattino. Valerie al suo risveglio non mi avrebbe trovato di fianco a lei.

Avevo bisogno di pensare, perciò andai a piedi. Era una cosa che non faceva quasi nessuno ormai, a parte qualche anziano; i mezzi pubblici erano fin troppo efficienti ed economici per non usarli. Infatti, ero solo mentre vagavo per le strade di Lima. Il sole non era in procinto di sorgere e le luci dei lampioni illuminavano a sufficienza. Respirai la calma della notte, lasciai che penetrasse nella mia pelle, ascoltai il suono del silenzio attorno a me, fortemente in contrasto col caos del giorno, voce di Lima. Ma ora, anche la città dormiva e i miei piedi sulle sue strade non erano altro che una carezza per lei.

Avrei potuto pensare a Valerie, era la mia ragazza e avevo appena passato la notte con lei.

No, aveva già ricevuto troppe attenzioni. C’era qualcos’altro di molto più interessante su cui riflettere.

La domanda che mi ronzava in testa era sempre la stessa. Qual’era il misterioso progetto a cui stavo per prendere parte?

 

 

 

 

 

L’angolo di Sue Lu.

Allora. So che non è molto e che per ora non è neanche molto interessante. Questa fic è un diesel: parte con calma, ma appena avviata prosegue…

Il prologo non sembra un prologo. Io non so come si scrive un prologo -.-“ Ma siccome questo capitolo da l’inizio a tutto, l’ho chiamato prologo. Per il titolo ho scelto “Perfectperché… Beh, perché è perfetto xD Lo ripeto spesso durante il capitolo, è un concetto che verrà ripreso anche più avanti, se mi sopporterete fino ad allora ^^” Spero proprio che lo farete. Questa è la mia prima Klaine e ci tengo che venga bene <3

 Qualche piccola informazione di servizio:

AU – non lo è, in un certo senso? Blaine non appartiene al nostro tempo e da dove viene lui è tutto molto diverso… Chi leggerà, vedrà ;)

OOC – per ora spiego il perché di questa scelta limitandomi a Blaine. Quando Kurt farà la sua entrata in scena (teatrale, ovviamente, perché lui è Kurt Hummel ù.ù) allora parlerò anche di lui. Comunque, Blaine. Appartenendo ad un altro tempo, mi pare ovvio che sia un po’ diverso. Ancora non si capiscono perfettamente le differenze neanche in lui, ma nel prossimo capitolo sarà tutto molto più chiaro. E no, non sarà così tutta la fic, in poco tempo riavremo il Blaine Anderson che noi tutte + Kurt amiamo *^*

 

Se avete letto anche solo una riga di ciò che ho scritto, vi ringrazio. E vi stimo. Ma tanto, tanto, tanto ù.ù

 

Sapere cosa ne pensate mi piacerebbe moltissimo, perciò se il vostro ditino, sì, quello lì appoggiato al mouse, vuole spingere sullo spazio per le recensioni, non fermatelo ^^

 

Ok, mi eclisso, con la speranza che qualcuno si fili questa fic. Speranza sì, pretese no.

 

Un bacione!

 

LazyLuchi

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Good luck, honey ***


Capitolo 1 – Good luck, honey

 

La settimana seguente, feci il mio ingresso nella sede della L.B.S.

Normalmente ero molto sicuro di me, ma quel giorno ero teso come la corda di un violino. Avevo passato ore a prepararmi, indugiando più e più volte su che maglietta abbinare a quei jeans e lavandomi i capelli numerose volte perché avevo esagerato col gel o non li avevo sistemati come volevo. Ero stato tentato di andare dal parrucchiere e farmeli tagliare, così che quei dannati ricci non causassero più problemi.

Alla fine ero lì, nell’atrio della L.B.S. con giacca e cravatta e i capelli tenuti indietro dal gel. Mi pentii subito di quella scelta, pensando che fosse troppo formale. Sapevo che mi sarei pentito qualsiasi cosa avessi indossato.

Attesi il mio responsabile seduto su una poltrona, poco vicino all’ingresso principale. Ne approfittai per osservare il via vai di gente che popolava il grande atrio; notai che nessuno usciva o entrava, probabilmente ero stato il primo a farlo da ore. Il lavoro di quelle persone si svolgeva all’interno – conoscevo il nome di ognuno di loro per fama. Era un gruppo di stimati e duramente selezionati uomini e donne di scienza. Non potevo credere che avrei lavorato con i più stimati scienziati al mondo! Quando vidi passare Dante Di Loreto quasi svenni.

Decisi che era meglio evitare brutte figure già al primo giorno di lavoro, perciò osservai l’ambiente attorno a me per distrarmi. Il rivestimento delle pareti, del pavimento e del soffitto era identico: dei grandi pannelli rettangolari, alti circa tre volte me e larghi un paio di metri; c’erano due materiali, i pannelli di matish – un materiale ricavato dal riciclo di rifiuti non biodegradabili - e quelli di specchio si alternavano tra loro, creando una scacchiera che non lasciava intuire quanto fosse grande la stanza. Era illusorio, confusionario. Capii che l’architetto che ci aveva lavorato non lo aveva fatto da solo, ma in collaborazione con uno scienziato, perché solo uno scienziato, tramite gli studi sugli occhi e il cervello umano, poteva sapere che quella combinazione di materiali e accostamenti causava giramenti di testa, confusione, bruciore agli occhi se fissato troppo a lungo.

Abbassai la testa verso i miei piedi, per evitare di sentirmi male. Ora capivo perché tutti correvano.

Sotto di me, c’era uno dei pannelli fatti di specchio. Ne approfittai per controllare che fossi in ordine.

Dopo pochi minuti dal mio arrivo, cominciai a chiedermi dove diavolo fosse il mio responsabile. L’efficienza era uno dei basamenti dell’industria, perché ci stavano mettendo tanto proprio mi sfuggiva.

- Blaine Anderson? – mi chiamò una voce.

Alzai lo sguardo. Oh. Ecco perché ci avevano impiegando tutto quel tempo. Il mio responsabile era Ryan Murphy, il presidente della L.B.S.!

Spalancai gli occhi, troppo emozionato per fare altro. Poi ricordai il numero massimo di secondi previsti da qualsiasi manuale di buona educazione per rispondere a una chiamata. Mi alzai e strinsi la mano che mi porgeva con un sorriso.

- B-buongiorno, signor Murphy. – dissi.

Il suo sorriso si allargò.

- Ciao, Blaine. Se vuoi seguirmi, ti illustrerò tutti i dettagli del progetto.

Annuii, fissandolo con ammirazione. Non era vero, di sicuro David e Wes stavano controllando i miei sogni, di nuovo. Mi ero ripromesso di nascondere meglio il Dr. C (Dream remote Control). Era un telecomando, di dimensioni poco superiori a quelle di un uovo, che, se azionato, trasmetteva delle onde sonore che rilassavano le terminazioni nervose, alzando la probabilità di fare bei sogni. Wes e David si divertivano a vedermi sconvolto dopo una visione particolarmente piacevole.

Gliel’avrei fatta pagare in modi che non sapevano nemmeno esistessero.

Quando il signor Murphy mi mise una mano sulla spalla, realizzai che quella sensazione era troppo reale per essere un sogno. Ok, forse Wes e David avevano una settimana in più di vita. Forse.

In quel momento, la mia attenzione non andava certo ai miei coinquilini. Ciò che si estendeva sotto i miei occhi, dopo una serie apparentemente esagerata di controlli di sicurezza, era il posto in cui volevo passare il resto dei miei giorni.

Ero nel laboratorio della L.B.S., esattamente lì dove tutto nasceva.

Attraverso i vetri che dividevano l’enorme sala in varie sezioni si potevano vedere gli esperimenti in corso. Riuscii a scorgere solo una macchia nera e violacea prima che Murphy si posizionasse di fronte a me con un sorriso dispiaciuto sul volto.

- Mi dispiace, Blaine, ma non possiamo permetterti di vedere altro al di fuori di ciò che ti riguarda.

Certo. Perché non ci avevo pensato prima? Era ovvio che non potessi vedere quei progetti top secret. Probabilmente nemmeno il signor Murphy conosceva tutti quegli esperimenti, perché avrei dovuto saperne qualcosa io, l’ultimo arrivato?

Annuii con un sorriso a labbra strette e afferrai gli occhiali che l’uomo mi porgeva. Dopo averli indossati, non vidi più niente all’infuori di Murphy. Le lenti erano azzurre, un colore rilassante, pensai. Ma non capivo perché riuscivo a scorgere solo i contorni della sagoma dell’uomo appena davanti a me. Forse avevano sviluppato anche un macchinario per leggere nella mente e in quel momento lo stavano usando su di me, perché il signor Murphy rispose a tutti i miei dubbi mentre continuavamo a camminare.

- Quegli occhiali non sono azzurri a caso. Quel colore rilassa l’occhio, inducendolo a chiudersi. Probabilmente non te ne sei accorto, ma le tue palpebre sono pesanti.

Sbattei le ciglia. Era vero.

- E’ stata calcolata la giusta tonalità di azzurro per indurre l’occhio a non chiudersi del tutto. – proseguì il signor Murphy.

- Molto interessante. – commentai.

Avevano fatto persino degli studi sui colori. Cosa diavolo non avevano fatto? E cosa avevano in progetto ancora?

Mi sarei distratto solo se avessi potuto togliere gli occhiali. E infatti.

- Prego, puoi guardare ora. – disse gentilmente il presidente.

Obbedii all’istante. Appena levato l’impiccio degli occhiali, esplorai con lo sguardo il luogo che mi circondava. Eravamo in una stanza dalle pareti completamente bianche. Non si riusciva a capire dove finisse il pavimento e iniziasse il muro, perciò rimasi vicino al signor Murphy per evitare di andare a sbattere.

Al centro della stanza, racchiuso in una bolla di vetro sorretta da delle strutture in legno – legno? Il legno non era più usato nemmeno per fare la carta! Anche quella era caduta in disuso. – c’era un… Buco nero. Non avrei saputo definirlo in altro modo: la parte centrale era più scura, ma non nera, semplicemente in ombra rispetto alla parte più esterna, che invece era un esplosione di colori. Non erano i colori dell’arcobaleno, c’erano tutte le tonalità del blu e del viola, l’argento, il bianco. Quella massa di colori era piacevole alla vista, sia per gli accostamenti sia per il lento e irregolare movimento continuo.

All’interno della stanza c’erano solo quella struttura e, oltre al signor Murphy e me, altre due persone, girate con le spalle rivolte a me.

- Signori. – disse cordiale Murphy, riferendosi ai due uomini.

La coppia si voltò, rivelando l’identità di ciascuno di loro. Boccheggiai.

Mi stavano prendendo in giro, per forza. Non era decisamente possibile che tutto quello fosse vero.

- Blaine, i tuoi futuri colleghi, se deciderai di accettare. – mi presentò il presidente.

Il primo sorrise e mi strinse la mano, subito seguito dal secondo.

- Ian Brennan.

- Brad Falchuck.

Mi scappò un sorriso.

- Quanto è importante questo progetto? – chiesi, scatenando una risata tra i tre.

Le tre persone più importanti al mondo mi stavano dicendo che avrei lavorato con loro, come minimo doveva essere qualcosa di epico. Cominciai a pretendere delle spiegazioni, visto che alla fine stavamo solo perdendo tempo.

- Posso sapere di cosa si tratta? – domandai infine, cercando di non essere troppo acido.

 

- Viaggi nel tempo.

 

Mi paralizzai. Viaggi nel cosa?!

- Prego?

- Viaggi nel tempo. – confermò il signor Brennan.

Ok, Blaine. Stai calmo, questo non è reale. Non può essere reale!

Mi sentivo preso di mira per un pessimo scherzo.

Era una cosa troppo grossa, anche più dei vaneggiamenti di Wes e David sul teletrasporto!

- Possiamo capire che tu non riesca a crederci, ma è la pura verità. – mi disse con tono calmo e pacato Falchuck.

- Ci lavoriamo da molto prima che tu nascessi, se fosse uno scherzo sarebbe il colmo! – aggiunse Brennan.

- Ma finalmente ora è praticamente completo e siamo pronti a testarlo con un essere umano. – concluse Murphy.

Chiusi la bocca che avevo spalancata.

- E quell’essere umano deve avere determinate qualità: intelligente, responsabile, preparato, col sangue freddo, che sia in grado di analizzare una situazione per trovarvi un rimedio in fretta… - proseguì sempre il presidente.

Il presentimento mi attanagliò lo stomaco in una morsa di ferro, insieme alla consapevolezza di quanto fosse grande la mia responsabilità. Era anche troppo ovvio di chi stessero parlando.

- Blaine, stiamo parlando di te.

 

 

 

Erano stati sei mesi intensi. Avevo studiato assiduamente, mi ero documentato in biblioteca leggendo libri cartacei – i pochi esemplari rimasti -, avevamo fatto innumerevoli simulazioni per preparare il mio fisico, mi avevano aiutato ad abituarmi agli usi comuni dell’epoca che avrei visitato. Avevano già scelto l’epoca in questione, ma mi avevano fatto riflettere finché non l’avevo capito da solo, giusto per riconfermare le mie doti di ragionamento.

- Ventunesimo secolo. – dichiarai, sicuro della mia risposta.

- Esattamente. – confermò Simone con un sorriso.

Simone era la mia collaboratrice. Sarebbe stata la mia corrispondente mentre ero nel passato, disponibile per qualsiasi cosa, dalla trasmissione dati all’organizzazione di un mio eventuale ritorno – erano previsti ritorni periodici, ma potevano essere soggetti a cambiamenti di frequenza e durata. Era una donna abbastanza giovane, sui trent’anni, con lunghi e mossi capelli neri, pelle chiara, lineamenti sottili e labbra strette e rosse. Una versione adulta di Biancaneve – il suo soprannome nel reparto era appunto Bianca. Tra noi stava nascendo un’amicizia speciale, di quelle che avrebbero fatto ingelosire Valerie, se solo avesse saputo di Simone. In effetti, né lei né Wes e David sapevano qualcosa del mio lavoro. I primi mesi mi assillavano continuamente di domande, ma in seguito smisero. Avevo fatto giuramento, tra le altre cose, di non parlarne ad anima viva. Il mio contratto era tremendamente vincolante, ma sinceramente non mi importava, dal momento che ero l’elemento fondamentale del progetto più importante della L.B.S., a quanto mi avevano detto.

Per niente al mondo avrei infranto quel contratto.

 

Eravamo davanti all’ingresso della sede. C’eravamo io, Wes, David, i miei genitori e Valerie avvinghiata a me come una cozza allo scoglio. Volevano salutarmi.

Quel giorno sarei partito per il passato, anche se sapevano solo che sarei stato assente per un periodo indeterminato.

I miei migliori amici mi abbracciarono e mi augurarono buona fortuna con un sorriso. Mio padre mi mise una mano sulla spalla, comunicando quanto fosse fiero di me. Mamma mi stritolò nel suo abbraccio, con gli occhi lucidi e un “mi mancherai” sulle labbra.

Dopodiché fu il turno di Valerie. La guardai, chiedendomi vagamente preoccupato cosa volesse fare. Quando mi gettò le braccia al collo per darmi un umido bacio emisi un verso di disappunto. Sapeva che non apprezzavo effusioni così appariscenti in pubblico. Già la sua lingua nella mia bocca non mi piaceva particolarmente in privato, figuriamoci nelle strade affollate della mattina di Lima. L’allontanai da me con una smorfia, ma portò subito le labbra al mio orecchio-

- Ti amo. – sussurrò.

Feci un passo indietro, sorridendo.

- Si sta facendo tardi. – dissi, guardando i miei cari, invece di rispondere a Valerie.

Mi salutarono di nuovo con dei grandi sorrisi, finché non sparii all’interno dell’edificio. Appena dentro, camminai a passo spedito verso il laboratorio. Non vedevo l’ora di cominciare, volevo correre da quanto ero impaziente ed entusiasta, ma gli occhiali azzurri mi costringevano a rallentare per poter vedere meglio le segnaletiche colorate che mi indicavano il percorso.

Arrivai in fretta nella stanza dove il portale per il viaggio nel tempo pulsava con un ritmo irregolare, più veloce del solito, quasi sapesse che stavo per saltarci dentro e fosse elettrizzato come me. Lo ammirai per qualche secondo avvolto da vetro e legno, poi mi rivolsi ai colleghi presenti nel locale. C’erano Simone, Brad, Ian, Dante e il signor Murphy. I primi mi avevano chiesto di dar loro del tu col passare del tempo, mentre col presidente non mi permettevo e mai l’avrei fatto, troppa era l’ammirazione nei suoi confronti. Erano le persone con cui collaboravo dall’inizio a questa parte, con cui passavo le giornate, con cui avevo condiviso il mio sapere scientifico e generale. Avevo scoperto che lavorare con loro era così piacevole da non sembrare neanche un lavoro vero e proprio.

- Sei pronto, Blaine? – chiese Brad.

Annuii con un sorriso sincero sul volto.

- Buona fortuna, tesoro. – augurò Simone abbracciandomi.

Lasciarono la stanza. Mi avevano spiegato che, una volta liberato da qualsiasi protezione, il buco tendeva a risucchiare tutto ciò che lo circondava, perciò prima di liberarlo dovevo assicurarmi di essere il più vicino possibile, per evitare che aspirasse inutilmente, e occupando il minor spazio possibile. Dovevo stare rannicchiato, insomma – l’unica volta in vita mia in cui ringraziai di essere basso.

Avevano aggiunto che gli unici materiali che non venivano inghiottiti all’interno del portale erano quelli di origine strettamente naturale, per questo il legno. Mi avevano spiegato anche il motivo, ma non saprei come spiegarlo senza divagare, e, poiché l’importante della storia non è questo, proseguirò.

Mi avvicinai alla bolla di vetro, accarezzandola e rimirandone il contenuto. Ero nervoso. Stavo per andare in un epoca dove tutto era diverso. Avevo studiato a lungo ogni dettaglio, eppure ora non ricordavo niente. Ricordavo solo che amavo la scienza, grazie all’adrenalina che mi scorreva nelle vene alla velocità del suono.

 

Presi un respiro profondo e schiacciati il pulsante per eliminare l’unico ostacolo tra me e il passato.

 

Saltai.

 

 

 

 

 

 

Angolo di Sue Lu.

Salve a tutti! Lo so, è passato molto dal prologo, ma siate clementi, ho appena cominciato il mio primo anno di liceo, come ho già accennato a qualcuno di voi. Abituarmi è ancora difficile >.<”

Coooooooooooooooooooomunque, siccome la mia miserevole vita non interessa a nessuno (-.-“ xD) passiamo alle note inerenti al capitolo:

One! – Simone. Si pronuncia Simòn (è francese ù.ù anche se non so una parola di francese, ma lasciamo perdere le mie inattitudini!) ed è un personaggio creato da mia sorella. Nel contesto originale ha 17 anni, ma me l’ha gentilmente prestata e mi ha concesso di fare delle modificuccie. Thanks, Sis!

Two! – Simone. Eeeeh, lo so, due note uguali. Ma questa è solo per dirvi di non dimenticarvi di lei…

Three! – questa non centra niente col capitolo, ma… 8 tra le seguite? 4 recensioni?? 2 tra i preferiti???

Ma io vi amo *^* Decisamente, per quel coso che non ho il coraggio di chiamare “prologo” perché insulterei la definizione stessa del tale non immaginavo questi risultati. Cioè, io non immaginavo niente. Non avevo il coraggio di immaginare niente.

Ok, sto cominciando a sclerare, quindi meglio smetterla subito.

Ringraziamenti veloci e poi evaporo:

- chi ha usato il suo prezioso tempo per recensirmi (vi amo *^*)

- chi ha messo la storia tra le seguite (vi amo *^*)

- chi ha messo la storia tra le preferite (vi amo *^*)

- chi ha anche solo letto questa storia

- mia sorella che, oltre a prestarmi i personaggi (xD), mi lavora i fianchi per farmi scrivere e mi corregge i capitoli (ti voglio beneeeeeee!)

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se volete lasciare un commentino anche di poche parole, positive o negative che siano, mi farebbe piacere leggere e rispondervi :D

 

Alla prossima!

Luchi

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - That guy ***


Capitolo 2 – That guy

 

Le ginocchia cedettero e caddi a terra. Riuscii a sostenermi con le braccia mentre vomitavo l’anima. Sapevo che il mio corpo avrebbe subito delle conseguenze, nonostante tutte le numerose simulazioni che avevo affrontato – in realtà, nessuno sapeva cosa aspettarsi.

Respirai profondamente. Dovevo assolutamente calmarmi.

Cominciai a riflettere sul viaggio, in attesa che la nausea cessasse o almeno diminuisse.

Era strano pensarlo, eppure in un viaggio nel tempo il tempo stesso era relativo. In alcun modo potevi capire se durasse nanosecondi o millenni.

Ciò che aveva scombussolato il mio fisico, tuttavia, non era questo. Era stata la sensazione di galleggiare nel vuoto e sentirsi stretto da tentacoli allo stesso tempo.

Non seppi quanto ci misi a tranquillizzarmi, ma per tutto quel tempo mantenni gli occhi chiusi. Se li avessi aperti, avrei vomitato ancora, me lo sentivo.

 

Finalmente sollevai le palpebre. Mi alzai in piedi, spolverandomi i pantaloni e sistemandomi il borsone sulla spalla.

Ero circondato da… alberi? Che fossi in un bosco? A Lima?

Ah, giusto. Sono nel ventunesimo secolo. Qui Lima è una città senza importanza rilevante.

A giudicare dalla luce che filtrava tra le foglie, era pieno giorno.

Dovevo uscire da quella foresta, ma, prima di farlo, mi avvicinai ad uno degli alberi e sfiorai la corteccia con le dita. Inalai il profumo delle foglie umide. E ricordai.

L’unica volta che avevo visto degli alberi in vita mia era stato durante l’estate dopo il mio decimo compleanno. Mamma e papà mi avevano portato nel parco più vicino, comunque molto fuori Lima. Non appena arrivammo, mi tolsi la scarpe e la maglietta, rotolandomi nella morbida e fresca erba, ridendo perché mi faceva il solletico e perché ero veramente felice.

Mi scappò un sorrisetto. Erano passati talmente tanti anni… erano cambiate talmente tante cose. Scossi la testa. No, non dovevo pensarci.

 

Non fu difficile uscire dalla selva. In poco tempo mi ritrovai per le strade per niente trafficate di Lima. Era una cosa stranissima vedere gli spazi così aperti, gli edifici distanti da loro, il cielo ben visibile. Oh, il cielo. Era di uno stupendo colore azzurro, non lo avevo mai visto così chiaro e brillante. Non pensavo che la natura potesse offrire spettacoli del genere. Abbassai subito lo sguardo, preoccupato che un uomo con il naso puntato verso l’unica nuvola presente potesse sembrare strano. In quel tempo la gente era abituata a panorami del genere.

Cerca di comportarti normalmente, Blaine.

Oh, giusto. Il mio nome.

Cominciai a girovagare per la città, cercando di orientarmi; intanto, cominciai a pensare alla mia nuova identità.

Simone mi aveva detto che era necessaria per questioni di sicurezza. Potevo capirlo.

 

Prima di tutto, mi serviva un nome.

- Mamma, se non mi aveste chiamato Blaine, quale sarebbe stato il mio nome? – avevo chiesto quattro mesi prima della partenza.

- Uhm. Darren. Sicuramente, Darren. – aveva risposto mia madre.

- Ok, grazie. –. Poi avevo chiuso la chiamata.

Quindi, il nome ce l’avevo. Non appena fui in un luogo lontano da occhi indiscreti, presi la carta d’identità vuota usata nel ventunesimo secolo e, grazie a un congegno datomi dalla L.B.S., stampai il nome. Compilai i campi che potevo con i miei dati e rimisi l’apparecchio dove l’avevo preso. Mentre uscivo dal mio nascondiglio, speravo che nessun agente mi avrebbe fermato e chiesto i documenti. Almeno finché non avessi trovato un cognome.

Continuai a camminare. A un certo punto notai una scritta che attirò la mia attenzione come una calamita: Lima Bean. Le due parole più belle al mondo!

Ci entrai, ordinai il mio solito cappuccino medio e andai a sedermi. Tirai fuori dei fogli stampati, dei falsi appunti presi in un’inesistente università, facendo finta di leggerli. Cominciai a guardarmi attorno per vagliare le opzioni.

 

- Dovrai studiare il comportamento di una persona media di quell’epoca. – mi aveva spiegato il signor Murphy. Eravamo nel suo ufficio, il mio contratto era davanti a me, pronto ad essere firmato.

 

Riflettei, sorseggiando il cappuccino medio migliore della mia intera vita.

Qual’era il tipo di persona migliore da studiare? Sicuramente un maschio, per ovvi motivi. L’approccio sarebbe stato sicuramente più facile.

Ma di che fascia d’età? Per lo stesso motivo, scelsi un ragazzo che avesse più di venti anni.

Bene, il tipo ce l’avevo ben fisso in testa. Ora dovevo solo trovarlo.

Cominciai a guardarmi attorno, anche se sapevo che non lo avrei trovato oggi. Ci sarebbero potuti volere giorni, se non sett-

 

Oh.

 

Trovato.

 

Era lui, non poteva essere che lui. Non appena lo avevo visto, avevo sentire qualcosa dentro di me mancare. Ma non era una brutta sensazione; mi sentivo più leggero.

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. I capelli castani perfettamente acconciati, la pelle diafana, le labbra rosee e quegli occhi azzurri. Sentivo che avrei potuto guardare quegli occhi finché anche i miei fossero diventati dello stesso colore.

 

È lui.

 

Continuai a fissarlo, dimenticando di essere in un luogo pubblico – ero incantato. Ogni suo movimento nutriva la mia vista, i miei occhi bevevano ogni singolo centimetro della sua figura. Più ne avevano, meno erano soddisfatti.

Se non avessi avuto qualche contatto con lui, sarei impazzito, ne ero certo.

“Simone, ho trovato la persona da studiare.” digitai sul mio rudimentale cellulare – andiamo, touchscreen? Siamo seri?

Ci vollero circa dieci minuti prima che arrivasse la risposta. Il messaggio necessitava di un po’ per viaggiare nel tempo, perciò ne avevo approfittato per osservare ancora quel ragazzo, che, nel frattempo, era stato raggiunto da una sua amica dalla pelle color del cioccolato. Se la ragazza non avesse smesso di farlo ridere, ero abbastanza certo di svenire o, più probabilmente, di venire assordato dal battito martellante del mio cuore.

“Perfetto, Blaine! Non ci aspettavamo questa rapidità, complimenti!”

E Anderson continua a non sbagliare un colpo. Mi scappò un sorrisetto.

Alzai lo sguardo, desideroso di rivedere quegli occhi azzurri. Mi si mozzò il respiro in gola quando vidi che proprio quegli occhi mi stavano fissando. Il ragazzo sembrava non ascoltare più la sua amica mentre i nostri sguardi s’incrociavano.

Tutto il resto sparì.

Un sorriso spuntò autonomamente all’angolo della mia bocca. Si estese quando vidi che anche le labbra di quel ragazzo si erano incurvate all’insù.

Sapevo che avrei dovuto distogliere lo sguardo. Ma non ci riuscivo. Ogni volta che lo guardavo, la sensazione di leggerezza che avevo sentito ribadiva la sua presenza.

 

Stupido, stupido, stupido! Perché lo sto facendo?!

Avevo seguito quel ragazzo. Mi sentivo a disagio mentre sbirciavo da dietro un albero quale viale avrebbe imboccato. Slacciai il primo bottone della camicia e deglutii. Non appena entrò in casa, mi avvicinai quel tanto che bastava per vedere il nome Hummel-Hudson sulla cassetta delle lettere.

 

- Ehm, scusami. – sussurrò una voce alle mie spalle.

Staccai le mani dal volantino che stavo attaccando al muro e mi voltai.

- Ciao. – dissi, sorridendo a quel bellissimo ragazzo dagli occhi azzurri.

- Ciao. – rispose, abbozzando anch’egli un sorriso. – Perdonami per il disturbo, ma ho notato che cerchi un coinquilino. Si, insomma, sono interessato alla proposta.

Anderson, sei un genio.

- Piacere, io sono Darren. – mi presentai, porgendogli la mano. – Darren Criss.

Era il primo cognome che mi era venuto in mente, perciò avevo usato quello. Avrei dovuto ricordare di stamparlo sulla carta d’identità, più tardi.

- Kurt Hummel.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo di Sue Lu.

Salve! Parto subito con le note (che è il motivo per cui sto scrivendo adesso, come dice il titoletto e… sto divagando, vero?)

3x01 – lo so, il capitolo è molto corto. Ma se voglio aggiornare più frequentemente che una volta al mese, purtroppo è l’unica soluzione. Vi prego, non vogliatemi male T^T

3x02 – Darren Criss. Eeeeeeh, lo so! Morivo dalla voglia di usarlo e sinceramente non sapevo neanche quale altro nome avrei potuto scegliere… avete suggerimenti?

3x03 – grazie alle 2 persone che hanno inserito la storia tra le preferite!

3x04 – grazie alle 14 persone che hanno inserito la storia tra le seguite!

3x05 – grazie alle 5 persone che hanno recensito lo scorso capitolo!

3x06 – grazie alle 10 persone che hanno recensito in totale!

3x07 – il prologo ha circa 145 visualizzazioni! *^*

3x08 – capitolo “dedicato” alla mia migliore amica, perché è la cosa più bella e importante che ho <3

3x09 – ma quanto non mi piace scrivere il numero della nota così??

3x10 – a proposito, avete visto le puntate?? *u* <3

3x11 – in un primo momento volevo fare 22 note…

3x12 – … ma poi mi sono detta che era meglio di no.

3x13 – ma se continuo così ci arrivo in un attimo

3x14 – perciò meglio che la smetto!

3x15 – ultimissima, giuro!

3x16 – le recensioni sono sempre non obbligatorie ma immensamente gradite!

3x17 – cavolo, avevo detto che la 3x15 era l’ultima!

3x18 – e invece sto continuando!

3x19 – la devo smettereeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!

3x20 – Alla prossima!

3x21 – Luchi

 

3x22 – P.S.: 22 note!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Just begin to know you ***


Capitolo 3 – Just begin to know you

 

Ok, no.

Perché diavolo mi fossi messo a pensare certe cose su uno sconosciuto proprio non mi era chiaro.

Kurt era oggettivamente bellissimo, i suoi modi e atteggiamenti avevano un che di affascinante. Ma rimaneva uno sconosciuto.

 

È lui significa che è lui che studierò. Non è lui in senso oh, eccoti. Ti ho cercato tutta la vita.

 

Rifiutavo di ammettere a me stesso che, guardando quel ragazzo, mi erano tornati in mente i ricordi di quando avevo 16 anni.

Mi ero convinto di non aver mai avuto 16 anni.

16 anni per me significavano solo un enorme sbaglio.

 

 

Il modo migliore per studiare da vicino una persona è vivere a stretto contatto con la persona in questione, avevo riflettuto. Ecco perché avevo passato due settimane a cercare un appartamento, prima di attirare Kurt nella mia “trappola”.

Una cosa che stava prendendo alla sprovvista la mia mente calcolatrice erano i tempi del XXI secolo. Credevo di dover cercare un soggetto per i miei studi per settimane e invece l’avevo trovato il primo giorno. Avevo previsto un periodo di ricerca di sei mesi per trovare un’abitazione, ma, dopo solo due settimane, una coppia di anziani mi aveva offerto il loro appartamento, poiché avevano necessità di affittare il prima possibile. Avevo detto loro che, se avessi trovato un inquilino disposto a dividere l’affitto con me, avrei accettato. Avevano percepito nel mio sguardo la convinzione che presto il locale sarebbe stato occupato.

Ed ora ero lì, con Kurt, per controllare che l’appartamento andasse bene anche a lui.

- Sai, devo ammettere che sono sorpreso. – disse, sbucando da una porta alle mie spalle.

Dovevo ancora abituarmi alla sua voce, acuta ma piacevole.

- Ecco dov’eri! Perché sei sorpreso? – chiesi. Mi affiancai a lui per proseguire nella stanza successiva.

- Perché mi hai davvero richiamato. Sinceramente, credevo che la tua fosse solo una proposta. Oppure che non avessi ancora effettivamente trovato un appartamento, siccome io sono mesi che ne cerco uno. Invece arrivi tu e hai già il contratto in mano. – rispose, sorridendomi.

- Sono un uomo pieno di risorse. – scherzai.

- Ma non economiche, a quanto pare, considerato che dovrai dividere l’affitto con me.

- Beh, quest-… Aspetta, era un modo per dire che accetti?

Ci guardammo. Abbassai subito gli occhi quando incrociai il suo sguardo. Non sapevo perché l’avevo fatto, era stato istintivo, meccanico.

Sorrise ancora, annuendo.

 

La settimana dopo stavamo firmando il contratto. Il mio cellulare continuava a vibrare, poiché Simone sprecava il suo tempo mandandomi sms di congratulazioni per “l’eccezionale rapidità e diligenza” che stavo dimostrando. A ogni messaggio mi scappava un sorrisetto e, considerando la quantità considerevole di sms che mi arrivavano – stavano forse sperimentando un modo per mandarli più velocemente da un secolo all’altro? -, non fui sorpreso quando Kurt se ne accorse.

- Perché continui a sorridere? – domandò, mentre uscivamo dallo studio legale. Mi guardava con un sopraciglio alzato, lo sguardo diceva vagamente “ma è pazzo o cosa?”.

- Oh, scusa, niente. È che… Niente.

Scossi la testa, una risatina ancora sulle labbra.

- Darren. – mi chiamò. Il mio cervello ci mise un decimo di secondo in più a reagire a quel nome e i miei occhi un secondo in più ad alzarsi.

- Nonostante tu sembri pazzo prima ancora di cominciare a convivere col sottoscritto, vorrei comunque conoscerti meglio, perciò che ne dici di-

- Vuoi prendere un caffè con me? – lo interruppi.

Ero abbastanza convinto che stesse per chiedermi esattamente quello. Sorrisi raggiante nel vedere la sua bocca effettivamente semiaperta e le sopraciglia aggrottate. Mi guardò senza rispondere, perciò lo presi per mano e lo tirai verso la mia macchina.

- Dai! – esclamai, ridendo ancora della sua teatrale espressività.

Imprecò sottovoce, rischiando di inciampare più volte.

- Usi qualcosa per avere delle mani così morbide? – chiesi, appena fui seduto al posto del guidatore.

Kurt, di fianco a me, si guardò le mani aperte di fronte a se. Aveva abbandonato la faccia stranita non appena la mia mano aveva abbandonato la sua.

- Effettivamente sì. Sei il primo che lo nota.

Sospirò, volgendo lo sguardo verso di me.

- Cosa? Sono morbidissime, non ci credo che nessuno l’ha mai- Oh.

Ci pensai solo dopo, troppo preso dall’incredulità.

Forse nessuno l’aveva notato perché nessuno l’aveva mai preso per mano.

Vidi un’ombra incupire i suoi occhi limpidi, perciò decisi di cambiare argomento. Sconosciuto finché vuoi, ma vedere qualcosa di negativo negli occhi di una persona dava sempre un certo dispiacere, nonostante non sapessi la causa di quell’alone.

- Aaaaaaaaallora, hai accennato alla convivenza con te in modo drammatico. Sei così…? – cominciai, cercando di distrarlo.

- Rompipalle? Oh, non ne hai idea. – completò.

Mentre guidavo verso il Lima Bean, Kurt mi esplicitò nei minimi dettagli le cose che potevo e non potevo fare e quello che dovevo e non dovevo fare. Era buffo vederlo così loquace ed espressivo. Lo vedevo molto più rilassato rispetto a pochi minuti prima e questo mi faceva sentire vagamente orgoglioso.

- Ok, mi stai demolendo l’ottimismo. – dissi, all’ennesimo “Non ti avvicinare neanche alle mie creme idratanti perché possiedo dei sai e conosco esattamente come usarli!”.

Sorrise.

- Oh, tranquillo. Spesso sono come una mamma. Cioè, Finn mi definisce così. Credo intenda dire che divento protettivo e premuroso in caso di bisogno.

- Questa parte mi piace già di più.

Non potevo fare a meno di sorridere davanti alla sua espressione serena.

- Chi è Finn?

- Il mio fratellastro.

- Oh. Prima o poi dovrai raccontarmi tutto della tua famiglia.

- Cos’è, una minaccia?

Risi, scuotendo la testa mentre parcheggiavo la macchina.

- Lima Bean? – domandò Kurt, con una nota di scetticismo nella voce, mentre spegnevo il motore.

Il panico mi assalì per un attimo. Gli avevo proposto solo un caffè, ma forse… Dovevo portarlo da qualche altra parte? Cosa pensava di me ora che lo avevo portato in una caffetteria?

- …Si? – dissi, non troppo convinto.

Mi fissò per un momento, prima di aprirsi in un sorriso.

- Esisti davvero?

- Eh?

- Io adoro il Lima Bean! Non ho idea di come tu facessi a saperlo, - scese dalla macchina. – ma è così!

Scoppiai a ridere, seguendolo all’interno del locale.

- Non ci credo. Anche io adoro questo posto. – confessai.

Posai una mano sulla sua per impedirgli di prendere il portafoglio – porca miseria, quanto era morbida!

Ribadii il concetto scuotendo la testa quando alzò lo sguardo interrogativo verso di me. Le sue gote erano più rosee di prima o era solo la distanza ravvicinata a farle sembrare tali? Evitai di chiedermelo e andai ad ordinare il caffè per entrambi.

- Ecco qua. Latte macchiato scremato per te e cappuccino medio per me.

Appoggiai le tazze e mi sedetti davanti a Kurt.

- Grazie mille.

Cominciammo a parlare. Per lo più davamo informazioni generali su noi stessi, riguardo alla scuola e i ritmi di vita – il minimo necessario per convivere, insomma.

- Non ti ho mai visto al McKinley. – disse.

- Perché non l’ho frequentato. Sono andato alla Dalton Accademy.

- Ci sono stato anche io lì! Dovevo spiare il loro Glee Club.

- Hai spiato i Warblers? – domandai incredulo.

Annuì soddisfatto, prima di bere un sorso del suo latte.

- Hai spiato i miei amati Warblers? – ripetei.

- Come mai la cosa ti sconvolge tanto?

- Perché ne facevo parte. Anzi, ero il solista!

La sua bocca era semiaperta.

- Strano. Non ti ho visto.

- Beh, sono un anno più giovane, magari non ero ancora iscritto.

Fece spallucce.

- Come mai li hai spiati?

- Mi avevano mandato quelli del mio Glee Club.

- Facevi parte del Glee Club?

Per un attimo, rividi quell’ombra attraversare il suo sguardo, mentre il suo sorriso si affievoliva.

- Sì. – sussurrò.

Mi ero trovato spesso in situazioni del genere. Nella compagnia, io ero Blaine, l’amico che c’è sempre per consolarti e strapparti qualche risata. Ma ora non ero Blaine, ora ero Darren. E, per quanto lo volessi, Kurt non era ancora mio amico. Nessuna pacca sulla spalla, nessuna stretta di mano, nessun abbraccio.

- I Warblers erano una cosa assurda! Sai che quando ci entri devi studiarti tutte le loro tradizioni? È un libro di 120 pagine!

Cominciai a parlare, raccontai aneddoti risalenti al mio periodo come cantante, riuscii a strappargli prima un sorriso e poi qualche risata.

- … e mi svegliai con qualche paio di occhiali in più e qualche ricciolo in meno!

Scoppiò a ridere per la centesima volta. Mi guardò col suo sguardo limpido, così puro e splendente da comunicare più delle sue parole. Nonostante avessi capito il messaggio che voleva esprimere, lo tradusse in suoni.

- Grazie, Darren.

Sorrisi, incontrando per la prima volta dopo settimane i suoi occhi.

- E di che?

 

- DARREN SEI UN INCAPACE!

- Che ho fatto adesso?!

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, per evitare di farmi male fisicamente.

- Hai sbagliato il colore della vernice. Di nuovo! – sbottò, alzando le braccia.

- Eh? Ancora? Ma non è possibile!

- Lo credevo anche io, ma evidentemente sei più incapace di quanto pensassi!

- Ehi, piano con le parole!

- Oh, scusa se non c’è altro modo per definirti!

Sbuffai.

Kurt e io stavamo facendo dei lavori nel nuovo appartamento. Priorità: ridipingere le pareti. I proprietari non solo avevano acconsentito, ma ne erano stati addirittura felici, constatando da quanto tempo le pareti avessero bisogno di una rinfrescata.

Ci avevano dato carta bianca – forse questo era stato un errore. Quello che non avrei mai immaginato era che Kurt fosse così pignolo. Ero andato a riprendere la vernice già quattro volte e glielo feci presente.

- Cos’ha che non va questo azzurro? È stupendo! – tentai di giustificarmi.

- Su questo concordo, ma non è l’azzurro che ti avevo chiesto. Io volevo l’azzurro ghiaccio, questo è azzurro chiaro.

- E qual è la differenza?

- Che questo è più scuro.

In quel momento, guardandolo scettico, ebbi una folgorazione. Che idea bastarda che mi era venuta.

- Oh. Beh, magari sulle parenti si schiarisce.

- Non toccare i muri della mia camera!

Sapevo che avresti risposto così.

Affondai le punte delle dita nella vernice fresca, poi sollevai la mano. Mi avvicinai a Kurt molto lentamente, osservando con un ghigno la sua espressione terrorizzata.

- Darren, c-che vuoi fare?

- Niente, solo controllare come appare questa vernice su una superficie bianca. – sussurrai, a ormai pochi centimetri dal suo viso.

Lentamente accarezzai la pelle pallida della sua guancia con le dita sporche di vernice. Mi allontanai per guardarlo bene in faccia, sulle labbra ancora lo stesso ghigno.

Scoppiai a ridere. Aveva bocca e occhi spalancati, la vernice sulla guancia colava lentamente verso la mascella, una mano alzata a mezz’aria e l’altra appoggiata al petto. Il suo sguardo avrebbe potuto – veramente - bruciare una sostanza infiammabile di dimensioni e quantità ridotte.

- Darren.

- Sì?

Mi fissò per lunghi secondi con quello sguardo omicida, provocando solo la mia ilarità e un vago brivido lungo la spina dorsale che ricondussi alle risate incontrollate.

Si avvicinò al secchio di vernice, poco dietro di me.

- Voltati. – ordinò dopo qualche secondo.

Obbedii. Aveva entrambe le mani piene di vernice, feci appena in tempo a constatarlo prima che me le affondasse nei capelli.

Per un attimo mi paralizzai, mentre Kurt si piegava in due dal ridere.

- K-Kurt! – lo rimproverai per un attimo, prima di sorridere e cominciare quella che sarebbe stata una lunga battaglia di vernice, ricca di risate e pittura da tutte le parti, meno che sulle pareti.

Alla fine, Kurt e io eravamo sdraiati a terra, a pancia in su, le teste vicine. Io avevo braccia e gambe spalancate, mentre Kurt era più composto; entrambi avevamo ancora il fiatone e un sorriso sulle labbra.

- Ok, questo andava contro ogni mia regola, ma ammetto che è stato divertente. – disse, sollevandosi sul gomito per guardarmi in faccia.

- Regole? Quali regole? – domandai, sarcastico, aggrottando la fronte e arricciando le labbra.

- Quelle che mi permettono di sembrare una persona normale. Non come te. – rispose, alzando le sopraciglia.

- Io? Ma se sono un bravo bambino!

- Appunto. Sei un bambino.

Mi sollevai sui gomiti, avvicinando inavvertitamente il mio viso al suo.

Non potei evitare di guardarlo dritto negli occhi come non potei evitare di sentire improvvisamente le mie guance diventare tiepide. Per un attimo mi persi in quei chiari pozzi d’acqua cristallina. A quella distanza, potei facilmente notare le gote arrossate – ok, o era davvero la vicinanza a farmele vedere di quel colore, oppure questo ragazzo arrossiva incredibilmente spesso.

- Beh, eri tu quello che rideva mettendomi la vernice ovunque. – sussurrai.

Eravamo così vicini che potevo sentire il suo profumo, mischiato all’odore della pittura.

- Hai cominciato tu! – rispose, allontanandosi.

Mi misi a sedere e appoggiai i gomiti alle ginocchia, legando indici e medi tra loro. Voltai la testa per vederlo stendersi di nuovo a terra e mettersi a guardare il soffitto con un espressione assorta.

- A che pensi? – gli chiesi.

- Cerco di capire che tipo di ragazzo sei. – rispose.

- In che senso?

- In generale. Sto cominciando a conoscerti, ma parlare per ore al Lima Bean non mi dice molto, a parte che sei incredibilmente chiacchierone.

- Oh. Capito.

Ci scambiammo uno sguardo da cui già traspariva della complicità.

- E quindi? Cosa hai concluso?

- Che sei indubbiamente interessante.

- Mmh.

 

Riuscimmo a dare la prima mano di vernice entro quella sera stessa. Convinsi Kurt a usare quell’azzurro aggiungendoci del bianco, in modo anche da reintegrare la quantità di colore che avevamo buttato l’uno addosso all’altro.

Il giorno dopo avremmo concluso quella camera, ovvero quella di Kurt, e avremmo fatto la mia. Se non ci fossimo persi in altre battaglie con la vernice, ce l’avremmo fatta.

All’inizio dei corsi scolastici mancavano due mesi circa, durante i quali avremmo sistemato l’appartamento e avremmo cominciato a convivere. Fino ad allora, Kurt rimaneva a casa dei suoi genitori, mentre io restavo in albergo, nonostante avessi detto al mio futuro coinquilino che dormivo a giorni alterni da degli amici che vivevano non troppo lontano. Non potevo rivelare che la L.B.S. mi aveva dato una carta di credito con una cifra esorbitante e periodicamente rifornita, altrimenti la condivisione dell’affitto sarebbe risultata inutile.

Avrebbe scoperto una delle tante bugie che ero costretto a raccontargli.

La sera, rannicchiato tra le coperte dell’albergo, riflettevo a lungo, prima di addormentarmi. All’inizio, pensavo alla mia missione, alle parti più tecniche, ai ragionamenti, ai progressi. Poi, mi distraevo e pensavo al mio rapporto con Kurt. Ormai non pensavo più di essere costretto a legare con lui per lavoro, volevo farlo. Stavamo diventando amici e stavo scoprendo ogni giorno qualche nuovo aspetto del suo carattere, positivi e negativi. Forse proprio per questo mentirgli così spesso, così spudoratamente era fastidioso.

 

Una sera, l’ultima che avrei passato in albergo, mi misi a scrivere l’ennesimo rapporto. Estrassi il tablet – la tecnologia più avanzata che mi era concesso possedere - dalla borsa e aprii il programma, cominciando a sfiorare con velocità lo schermo in corrispondenza delle lettere.

 

Il Soggetto non mostra alcun sospetto, ne riguardo al passato di Darren, ne riguardo alla mia missione. I suoi comportamenti rientrano nei livelli calcolati da Brad Falchuck come normali per un ragazzo nella fascia d’età 20/25 anni, con le dovute variazioni dovute alla sessualità del Soggetto. Quest’ultimo fattore non si sta rivelando un problema che possa ostacolare la missione in alcun modo, poiché abitudini e mentalità che concernono il gruppo inteso come società non risentono minimamente della sopracitata sessualità.

 

Proseguii con la descrizione dettagliata della giornata, come facevo sempre. Una volta concluso il rapporto, lo archiviai e poi chiusi il programma. Con un sospiro aprii un altro programma e cominciai a scrivere anche in quello.

 

Oggi Kurt mi ha stupito. Ancora. Scommetto che se rileggo gli inizi delle note precedenti, cominciano tutte con questa stessa frase. D’altronde, che altro potevo aspettarmi? Kurt è strabiliante.

Mi stupisce che la sua sessualità non stia davvero creando problemi. Non so come spiegarlo senza sembrare egocentrico, ma credevo che almeno un po’ sarebbe stato attratto da me. E invece nulla. Niente. Zero. È quasi deludente, sinceramente.

Mi stupisce anche che io non stia sentendo troppo la mancanza di casa. Beh, mi mancano moltissimo i miei genitori – soprattutto mamma – e Wes e David coi loro dannatissimi, amatissimi scherzi idioti. Quella che non mi manca è Valerie. Credevo che avrei sentito l’assenza delle sue labbra appiccicose di lucidalabbra alla fragola – a cui sono allergico, e lo sa! – o della sua pelle sotto le mie dita. Eppure, sto scoprendo quanto sia bello non dover riordinare la sua biancheria e rifare il suo letto dopo una notte insieme, mentre lei cantava sotto la doccia.

Oh, il canto.

Valerie non canta, Valerie starnazza. Miagola. Insulta quello che significa cantare davvero. E se lo so, devo ringraziare Kurt. L’ho sentito più di una volta cantare sotto la doccia o in giro per casa e… no, neanche lui canta. Lui fa qualcosa di più. Non saprei come dirlo, la sua voce angelica si spiega da sola.

 

Scrissi ancora, per sfogare quei sentimenti di stima per Kurt che non potevo confidare a nessuno. Quando chiusi il programma e riposi il tablet, erano le due di notte passate. Mi rannicchiai sotto le coperte e chiusi gli occhi, scivolando rapidamente tra le braccia di Morfeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo di Sue Lu.

Ok. Mi odiate, lo so. E avete ragione. Sono in un ritardo spaventoso, anche se chiamarlo ritardo non è corretto, poiché non avevo promesso nulla. È che con la nuova scuola, un lutto non indifferente e altri problemi vari, non ho proprio avuto tempo. Ma non sono comunque giustificata, e questo capitolo non mi perdona nulla: non succede praticamente niente. Stanno imparando a conoscersi e a convivere, tutto qui.

Per farmi perdonare, un piccolo spoiler:

Blaine tornerà nel XV secolo nel prossimo capitolo.

Il resto alla vostra immaginazione, visto che la mia è già al lavoro da un bel pezzo.

Ho fatto qualche riferimento a qualche battuta originale, avete notato? Dai, una è proprio esplicita, lì, sotto il vostro bel nasino. Eccolo lì. L’avete visto? Bravittime ù.ù

Chiedo scusa anche se non ho risposto alle recensioni. I motivi sono gli stessi che ho detto sopra.

 

Chiedervi di recensire mi pare un azzardo, perciò non lo farò. Se decidete di onorare il mio cervellino bacato con le vostre opinioni, belle o brutte che siano, io comunque non mi offendo.

 

Un grazie enorme a chi legge (il prologo ha più di 200 visualizzazioni, che per me sono semplicemente un sogno!), mette nelle seguite barra preferite barra ricordate.

 

Ora mi eclisso, cominciando a pensare al capitolo che comincerò a scrivere da domani, promesso.

 

Di nuovo grazie a tutti, anche per la pazienza!

 

Un bacio

 

Luchi

 

P.S.: Virgy, tu una recensione me la DEVI lasciare, sei obbligata ù.ù

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Come back ***


Capitolo 4 – Come back

- Kurt?
- Mmh?
- Devo andare fuori città per qualche giorno.
Alzò lo sguardo dal suo piatto per puntarlo su di me. Eravamo al Breadstix per pranzare insieme. Fin ora avevamo parlato senza problemi, l’unico attimo di silenzio che si era creato era stato quello, che io avevo interrotto con quella notizia. Prima che parlassi, avevo notato quanto quel silenzio non fosse pesante in nessun modo ed era una cosa per me stranissima. Di solito il silenzio non mi piaceva per niente. Secondo Kurt, era così perché ero logorroico. Ah ah.
- Cosa? No, proprio oggi che dovevamo cominciare a convivere! – disse, distraendomi dai miei pensieri.
- Lo so, mi dispiace.
Ci guardammo e potei notare sul suo viso un velo quasi impercettibile di tristezza. Sporse il labbro inferiore, facendo un adorabile broncetto.
- Starò via solo pochi giorni. Una settimana al massimo. – aggiunsi.
Marcò maggiormente il suo broncio, fissandomi da solo le ciglia che sbattevano più veloce del normale.
- Dai, smettila di guardarmi così. Mi fai sentire in colpa. – sussurrai, sporgendomi verso di lui.
- Era quello il mio intento. – mormorò con un sorriso furbetto sulle labbra e adottando la mia stessa posizione.
Lo fissai alzando un sopraciglio, ma quando ripropose il suo adorabile broncio non potei che abbassarlo.
- Kurt, sei troppo tenero quando fai così. Sei cattivo con me.
- Io? Parla quello che mi lascia da solo nel nostro appartamento la prima notte! – disse, abbandonando l’espressione da cucciolo e tornando con la schiena appoggiata alla sedia.
- Così diventi ambiguo, sai?
- Oh, per favore. Sono più attratto da una ragazza che da te.
-Ok, adesso mi reputo offeso.
- Anche io! Mi lasci ancora prima che cominci!
Continuammo a discutere fra le risate fino alla fine del pranzo.

Posteggiai la macchina in un posto appartato e andai nel bosco dove ero sbucato quando ero arrivato. Non sapevo come avrei fatto a ritrovare il punto preciso ed era necessario che lo trovassi, perciò cominciai a girare alla cieca fra gli alberi tentando di ricordare quali avessi già visto. I miei occhi non erano abituati a vedere delle piante, perciò mi sembravano tutte uguali. Mi prese il panico e grazie al respiro affannoso dovuto ad esso e allo sforzo fisico riuscii a sentire la puzza di vomito.
Oh. Trovato!
Quando sarei tornato avrei dovuto mettere un segnale migliore.
"Pronto" digitai sul cellulare, per poi schiacciare il pulsante per l'invio.
Piegai le ginocchia e abbassai leggermente le spalle, pronto a saltare e rannicchiarmi. Pochi attimi dopo, il passaggio per il viaggio nel tempo si aprì.
Prima che potessi chiudere gli occhi mi ritrovai risucchiato nel buco. Strizzai le palpebre, sentendo i bulbi oculari in fiamme.
Rimasi rannicchiato su me stesso finché non sentii lo stomaco sciogliersi. Ovviamente sapevo che non era così, era solo un impressione. Più precisamente il segnale che stavo per uscire dal portale.
Appena sentii il pavimento freddo del laboratorio della L.B.S. contro la guancia e tutta la parte destra del corpo, vomitai.
Mi sollevai sulle braccia attento a non toccare il rigurgito, gemendo per il disgusto e contraendo il viso in una smorfia di dolore e fastidio.
Uscii dalla stanza non appena fui abbastanza calmo da farlo. Ad accogliermi c'era Simone, insieme a una squadra di scienziati. Il gruppo entrò nella stanza, lasciandomi solo con la donna. Li intravidi mentre prendevano un campione del mio vomito, prima di pulire il resto dal pavimento.
- Perché lo fanno? - chiesi, disgustato, rigirandomi verso Simone.
- Magari riescono a capire come mai vomiti ogni volta.
- Secondo me riescono solo a capire cosa ho mangiato negli ultimi tre giorni.
Sorrise divertita.
- Stai bene? - domandò poi in tono affettuoso porgendomi una pillola rosa shocking e un bicchiere d'acqua.
- Sono stato meglio. - risposi prima di ingoiare la pastiglia.
Non appena la pasticca superò la mia gola, sentii la bocca, sporca e puzzolente di vomito, rinfrescarsi e riempirsi del sapore di menta e lampone. Nello stesso istante, la nausea cessò.
- E ora? - disse Simone con un sorriso vedendo la mia espressione stupita e il viso più rilassato.
In risposta le sorrisi, come a ringraziarla per avermi fatto stare meglio per mezzo di quella pillola.
- Forza, vai a casa. Devi farti una doccia e riposarti.

- Blainieeeeeeeeeeeeee!
Non appena uscii dalla sede della L.B.S. fui schiacciato al muro affianco alla porta dal peso non indifferente di due migliori amici. Wes incassò la mia testa tra il braccio e il fianco e con l’altra mano mi sfregava le nocche sulla testa. David era attaccato alla mia schiena in perfetto stile koala.
- Amico! Quanto ci sei mancato!
- Puoi scommetterci! Ehi, ma non ti hanno ingrandito il cervello!
- E quindi nemmeno la testa!
- E quindi non ti sono aumentati i ricci!
- E quindi non possiamo venderli!
- E sto per morire soffocato, quindi di mio non venderete mai nulla! – protestai.
Mollarono entrambi la presa.
- Perché mai dovreste vendere i miei capelli? – chiesi dubbioso, risistemandomi i vestiti e riprendendo fiato.
- Amico, perché sei una celebrità! Mentre eri via la tua faccia ha fatto il giro del mondo! Ormai tutti conoscono Blaine Anderson!
Oh. Questa non me l’aspettavo.
- Davvero? – domandai incredulo, cominciando a sentire un entusiasmo quasi infantile scorrermi nelle vene.
Il momento in cui Wes e David annuirono all’unisono fu il medesimo in cui quello stesso entusiasmo raggiunse il mio cervello, mandandolo su di giri. Sorrisi raggiante ed emisi un urletto elettrizzato, poi cominciai a saltellare battendo le mani insieme ai miei due migliori amici.
- Sembrate tre bambini. Non so dire se siete più adorabili o più ridicoli.
Una voce femminile sopraggiunse dalle mie spalle. Mi smorzò parte dell’entusiasmo, o perlomeno mi calmò abbastanza da smettere di saltare come un idiota e girarmi verso Valerie.
Mi sorrise, invitandomi con le mani ad abbracciarla. Risposi al suo sorriso e feci ciò che mi stava richiedendo.
- Ciao amore.
- Ciao Valerie.
- Ti sono mancata?
Esitai un attimo prima di annuire sorridendo, mostrandomi più convinto di quanto non fossi in realtà. Cercò di baciarmi, ma la fermai subito con un dito sulle labbra.
- Non ti conviene. Ho vomitato poco fa.
- Bleah.
- Già.
Wes, David e io tornammo a casa, con la promessa che dopo una doccia sarei uscito con Valerie. Le mie intenzioni erano veramente quelle, davvero, solo che non mi aspettavo di essere così stanco. Appena uscito dalla doccia, feci appena in tempo a infilarmi un paio di boxer che crollai addormentato sul letto.
Quando mi svegliai, la prima cosa che notai fu che qualcuno - presumibilmente Wes o David - mi aveva messo addosso una coperta. La seconda cosa fu il mio cellulare che continuava a vibrare, segno che avevo ricevuto più di cinque messaggi.
- Merda. – sussurrai, alzandomi e afferrandolo dal comodino.
- Ha chiamato solo duecento volte chiedendo di te. Era incazzata, Anderson. - m'informò Wes non appena, vestito e asciugato, uscii dalla mia camera. Avevo il telefono in mano e stavo scorrendo i numerosi messaggi.
- Se io non avessi furbamente pensato di dirle che stavi dormendo, probabilmente sarebbe andata avanti ancora per ore. - aggiunse David, lanciando uno sguardo acido a Wes e uno trionfante a me.
L'asiatico alzò il dito medio, facendoci scoppiare a ridere.
Passai il resto della giornata - beh, della notte - a parlare coi miei migliori amici. Era una cosa che facevamo sin dal liceo: una birra da dividerci, le sigarette di Wes, lunghe ore di chiacchiere. Parlavamo di cose serie e di cose quotidiane, dei nostri progetti, del lavoro, dello studio, della famiglia. Parlavamo di tutto.
Parlavamo così tanto che spesso non ci accorgevamo del tempo trascorso. Ricordavo ancora quella volta che tirammo le 6 del mattino e il purtroppo relativo sonno durante le ore di lezione di quella giornata. Cavolo, era stato stupendo.
Cercarono di scoprire quale fosse il mio lavoro, ma quando, per confonderli, cominciai a usare termini specifici, rinunciarono.
Persa la curiosità, perdemmo anche noi stessi nei ricordi. Ricordammo l'inizio della nostra amicizia, le nottate in bianco alla Dalton, le prove dei Warblers, il diploma, la convivenza, l'università. Avremmo voluto rivivere tutti e tre quei periodi per ricordarli ancora meglio e portarli con noi per molto più tempo.
- Sto pensando di lasciare Valerie. - sussurrai a un certo punto, abbassando la bottiglia dalle mie labbra.
Avevamo appena finito di ridere dopo un racconto avvincente di David su una delle cene di riunione degli ormai ex Warblers, durante la quale Jeff e Nick si erano ubriacati e poi travestiti da donne.
Calò il silenzio, mentre entrambi i ragazzi mi guardavano stupiti.
- Non sembravi stare male con lei. - considerò Wes a bassa voce.
- Beh, è vero, ma non mi interessa più come prima.
Dopo un ulteriore di momento di silenzio, David intervenne.
- E come ti interessava prima?
Mi si mozzò il respiro in gola.

Non lo sapevo. Non sapevo cosa avessi trovato in Valerie di interessante. Non l’avevo mai saputo.

Sapevo solo che, appena avevo rivisto il suo bel viso, la mia mente era corsa senza nessun mio comando a Kurt. Forse era per questo che la volevo lasciare: l’avrei in un qualche modo tradita se fossi rimasto con lei… Giusto?

No, per niente. Sbagliato, Blaine. Se tu non provi niente per Kurt, come puoi tradirla? E poi tu sei etero. Etero. E-te-ro.
Finii l’ultimo sorso di birra e appoggiai la bottiglia sul tavolino davanti al divano, prima di andare nella mia camera sotto lo sguardo paziente e attento dei miei due migliori amici.
Non ne sarei uscito tanto facilmente, lo sapevo.

- Blaine, non guardare.
- Voglio farlo.
- Non so quanto ti convenga, ma se proprio lo desideri…
Fissai attentamente lo strumento che aveva in mano Simone avvicinarsi all’interno del mio avambraccio sinistro, a metà altezza fra il gomito e il polso, e appoggiarsi dolcemente alla pelle chiara.
- Farà un po’ male. Ok, più di un po’. – mi avvertì.
Ci guardammo e annuii per incitarla a continuare.
Premette un pulsante e sentii una piccola porzione di pelle fortemente risucchiata dal beccuccio dello strumento.
- Ah!
Strinsi il pugno della mano destra attorno alla mia maglietta, mordendomi il labbro cercando di evitare di urlare, mentre un microchip violava la mia pelle, trapassandola e penetrando nella carne. Sentii le lacrime annidarsi agli angoli dei miei occhi, ancora intenti ad esaminare con estrema precisione quell’operazione nonostante il dolore lancinante – era così dannatamente interessante!
Simone rimosse lo strumento, causandomi un’altra fitta di bruciante sofferenza e scoprendo un taglio di profondità preoccupante.
- Simone, ma non è un po’-
- Evidente? Pericoloso per la tua salute? Sì, molto. Ma i capi hanno parlato e se loro dicono così non posso che obbedire. – disse.
Afferrò le bende e il disinfettante che aveva preparato poco prima e cominciò a medicarmi la ferita.
- Non metterebbero mai in pericolo la tua vita, non con tutto quello che gli sta costando questo progetto. Ecco perché non mi oppongo, anche se trovo l’idea di farti del male estremamente cattiva e inutile. Insomma, perché? – aggiunse.
La preoccupazione di quella donna nei miei confronti mi faceva sempre sorridere. Chi la costringeva a essere gentile con me? Nessuno. Avrebbe potuto trattarmi freddamente, senza interessarsi ai miei sentimenti. Invece, si preoccupava sempre di come mi sentissi. Manifestava per me un affetto simile a quello di una mamma.
- Hai figli, Simone?
Le sue mani si bloccarono per un attimo, poi proseguirono, accompagnate da un lungo sospiro.
- Stavo per averne uno.
Attesi in silenzio che continuasse. Dopotutto, eravamo amici, ci conoscevamo da mesi e avremmo dovuto collaborare a stretto contatto ancora per molto tempo. Tanto valeva approfondire le conoscenze.
- Ho dovuto abortire. – mormorò.
- Allora, spiegami di nuovo. A cosa serve questo dannato microchip? - chiesi allegramente.
Sorrise, grata che non l'avessi forzata a continuare.
Ormai quasi non me ne accorgevo più. Capivo che una persona non voleva parlare di una cosa e cambiavo argomento, senza pensarci e senza saperne il motivo preciso.
- Per localizzarti all'interno del ventunesimo secolo. Brennan ha scoperto che capire la tua esatta posizione attraverso gli sms è difficile e impreciso: passa troppo tempo dall'invio alla ricevuta del messaggio e nel frattempo tu ti sposti. – spiegò.
Annuii. Me lo avevano già spiegato Brennan, Falchuck e lei. E per una mente come la mia, bastava la prima volta.
- Ok, finito. - dichiarò Simone una volta completata la medicazione.
- Grazie. A che ora passo a prenderti stasera? – domandai sorridente una volta riabbassata la manica della maglietta.
- Alle sette andrà bene.
- Ok. Ci vediamo alle sette allora.
La salutai con un bacio sulla guancia, raccolsi la mia roba e me ne andai.
Non c’è bisogno di inveire contro di me. Non stava succedendo nulla tra noi. Era solo una cena di lavoro.

Cena di lavoro. Vorrei proprio conoscere il cretino che gli ha dato quel nome.
Di lavoro parlammo solo i primi venti, venticinque minuti al massimo – non più di trenta.
- Forza, sto morendo dalla curiosità. Com'è il ventunesimo secolo? - chiese dopo l'ultima considerazione tecnica.
- Diverso. Non saprei dire in che modo... Ha qualcosa che mi affascina incredibilmente. - dissi, assorto nel ricordo di quell'epoca.
Non sapevo dire più di così. C'erano troppe e troppe poche parole per descrivere quel secolo, ciò che rappresentava per me, quello che sentivo quando vi ero dentro.
Simone sorrise amorevolmente, intuendo che le mie poche parole fossero dovute alla meraviglia.
- Sembra che tu stia parlando si una persona.
Kurt.
Arrossii lievemente. Perché ero arrossito? Non stavo parlando di Kurt. Anche se... No. E-t-e-r-o.
- Beh, vedila così. Questo è quello che si prova quando si è innamorati, no? Ecco, io mi sono innamorato del ventunesimo secolo. - risposi, non seppi se perché lo pensavo veramente o perché il discorso per me si stava facendo imbarazzante. Perché imbarazzante, poi?

Etero, etero, etero.

- Sei mai stato innamorato? - chiese Simone, passandosi il bicchiere da una mano all'altra.
- No, ma mi hanno detto che è più o meno così, quindi. - risposi convinto.
- E la ragazza che ti si attacca addosso ogni volta che ti vede?
- Valerie? Oh, lei è la mia ragazza. Ma non sono innamorato di lei. Semplicemente, mi piaceva, quando ci siamo messi insieme.
- Perché, ora non ti piace più?
- Non come una volta. Infatti sto pensando di lasciarla.
Annuì, pensierosa.
Non sapevo perché mi ero aperto tanto con lei, ma mi ispirava fiducia e si preoccupava sempre per me, perché non avrei dovuto?
- Tu, invece? Sei mai stata innamorata? - chiesi.
- Ho creduto di esserlo molte volte. Solo una lo ero davvero.
Mi guardò dritto negli occhi. Lessi la sua disperata voglia di parlarne con qualcuno, di togliersi un peso, ipotizzai.
- E com'è andata? - sussurrai perciò.
Osservai i suoi occhi umidi chiudersi e poi riaprirsi, ascoltai il suo sospiro carico di ricordi dolorosi.
- Stava andando tutto bene. Hai presente il figlio a cui ti accennavo oggi? Lui era suo padre. Poi sono entrata a far parte della L.B.S. I ritmi di lavoro non mi consentivano di vedere il mio fidanzato se non poche ore a settimana - stavo involontariamente compromettendo la vita del bambino. Quando l'ho perso, lui mi ha lasciata.
Le afferrai la mano, carezzandola dolcemente. Sperai che il mio sorriso la tirasse un po' su di morale, nonostante quelle memorie facessero ancora male. Rispose al sorriso, stringendomi la mano.
- Grazie. - mormorò con un filo di voce.
- E di cosa? Ringrazia che gli Yankees hanno vinto, piuttosto.
Sbuffò divertita.

Avevo di nuovo cambiato argomento. Che strano istinto.
- Yankees? Mi prendi in giro spero, sono la peggiore squadra del campionato!
- Potrei ritenermi offeso ora.
Era tornata la solita, ridente Simone. Eppure sentivo che qualcosa tra noi era cambiato: ci eravamo aperti l'uno all'altra, avevamo approfondito il nostro rapporto, ci eravamo guadagnati la reciproca fiducia. Già da mesi la consideravo più di una mentore, ma non mi ero mai sentito tanto legato a lei.

- Tutto pronto. - sentii annunciare Simone ai tecnici. Riavvicinò la bocca al microfono e aggiunse:
- Buona fortuna, tesoro.
Guardai l'altoparlante sorridendo.
- Grazie. - sussurrai.
Pochi secondi dopo il portale venne aperto e vi saltai dentro con rapidità.

Ero tornato nel ventunesimo secolo. Da Kurt.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo di Sue Lu.

“Io, LazyLuchi, nel pieno possesso delle mie facoltà fisiche e mentali (quel poco che c’è), decido di lasciare tutti i miei averi (un iPod e… Nient’altro, visto che mia madre mi dice sempre che di mio non ho neanche le mutande) a mia sorella, alla mia migliore amica (come fanno a dividersi un iPod? O.o) e vari ed eventuali oggetti riguardanti l’ambito scolastico alle ragazze della mia classe.” +.+

 

Fatto. Mmh, breve come testamento. D’altronde, non ho molto tempo: mi vorrete uccidere subito, immagino.

Effettivamente sono un po’ in ritardo… E la cosa peggiore è che non ho scuse ^~^” Semplicemente faccio una fatica assurda a scrivere di Kurt e Blaine come amici dopo la 3x05. Cioè. Come si fa? Se poi vogliamo aggiungere che dopo la puntata sono morta, ecco che si aggiunge un’altra perdita di tempo. Ah, piccola postilla: sono morta, vero, ma siccome non avevo fatto testamento sono resuscitata ù.ù Adesso l’ho fatto e posso morire (probabilmente per mano vostra). Non saprete mai come va a finire, però… Ok, la smetto di farneticare a vuoto.

 

Meglio passare alle note:

Alpha – la pillola rosa shocking. Un piccolo ma pur sempre obbligatorio riferimento a Darren e i suoi occhiali, che a mio parere sono più famosi di lui (?.?)

Beta – Wes, David e Simone. Capitolo incentrato su di loro, in un certo senso. Sono più importanti di quanto possano sembrare, nonostante la storia si sviluppi maggiormente nel XXI secolo. Vedrete ;D

Gamma – etero. Eeeeeh, lo so. L’avrò ripetuto solo 67289162395620479 volte. Il motivo per cui l’ho fatto mi sembra abbastanza banale e scontato, non dubito della capacità delle vostre meravigliose teste di arrivarci. O comunque della vostra pazienza. Ne state già avendo tantissima T.T

Delta – “Buona fortuna, tesoro”. Si, ho citato il primo capitolo…

 

Volevo dire qualcos’altro, ma me ne sono scordata… Perciò, il momento catartico: i RINGRAZIAMENTI

*i Warblers cominciano ad intonare When I Get You Alone*

Ragazzi, shut up, please. Sapete che vi voglio bene, ma adesso proprio non è il momento.

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaallora:

27 SEGUITE (OH MY GOSH)

1 RICORDATA (*^*)

8 PREFERITE (JUKALNEWNRAUKWNEALRYWUEVANYAAAALUIAWANFW)

6 RECENSIONI ALLO SCORSO CAPITOLO (*sviene*)

330 VISUALIZZAZIONI CIRCA DEL PROLOGO (!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!)

 

Ma quand’è che mi sono ridestata dallo svenimento? Vabbè, comunque. Dicevo? Ah, sì.

 

GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE! GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE  GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!!!!!!!!

 

L’ho già detto grazie? Si, bene.

 

Ok, siccome queste note sono oscenamente lunghe, io vado.

 

Ciao a tutti, e scusate di nuovo!

 

Un bacione

 

Luchi

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