Radici

di Rucci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Radici (I) ***
Capitolo 2: *** Radici (II) ***
Capitolo 3: *** Radici (III) ***



Capitolo 1
*** Radici (I) ***




I)

Fedor era andato al Santuario con previsioni molto ottimistiche.
Nel migliore dei casi, sarebbe morto. Nel peggiore, ne sarebbe uscito mutilo o tra atroci sofferenze.
Naturalmente, confidava nella morte nuda, cruda e semplice: era sempre stato abituato ad eseguire gli ordini, più che a decidere per se stesso. Morire così, alla bruta, da soldato, gli pareva più che dignitoso.
Adesso che la neve baluginava in cristalli tanto piccoli da sembrare polvere, nei secchi gradi sottozero di Mosca, si domandava che cosa ci facesse esattamente lì, invece di essere sottoterra.



Fedor era davvero andato al Santuario con previsioni ottimistiche: la morte rapida non è affatto male, in guerra, e aveva buone probabilità di morire in fretta, contro i guardiani delle Case.
Non ne aveva poi così tanta ansia, intendiamoci, ma Lord Rhadamanthys aveva deciso di inviare parte del suo esercito incontro al nemico, smentendo le voci che giravano tra i centootto: dicevano, allora, che sarebbe stata una guerra pulita, per loro. Di fratelli contro fratelli. Non uno spectre avrebbe alzato il braccio.
Gli Inferi avrebbero sciolto le loro sotterranee forze, penetrando sino nel cuore del mondo degli uomini, e gli uomini stessi avrebbero provveduto a fare la giustizia dell'aldilà. Era già successo: il Santuario era stato corrotto, e avevano dei traditori dalla loro. I tempi, evidentemente, erano favorevoli. I segni c'erano. Si preparava una guerra secolare, forse la guerra definitiva.
Povero Aries, dicevano gli occhi canzonatori dei soldati del Meio, da un pezzo lasciate alle loro spalle le sorti della battaglia nella Prima Casa.
Povero Papillon, dicevano gli occhi impenetrabili dei soldati della Glaucopide. E nessuno sapeva ancora quale sarebbe stato l'esito.
“State zitti”, aveva ordinato Gigant di Cyclops, in testa al piccolo plotone. Come se quegli occhi parlassero davvero. “E fateci passare, soldati. Non dovreste occuparvi dei vostri traditori, che ci precedono nella scalata?”
Lo disse con un sorriso sghembo, che fece fremere le bocche degli uomini che sbarravano loro il passo.
“Voi non conoscete la potenza dei Gold Saint! Saranno loro a fermarli!”
“È una questione di onore!”
“Fatevi indietro, spectre!”
“I Gold Saint!” gracchiò allora Gigant, facendo un passo avanti ed intimidendoli con la sua imponente stazza. “Il signor Myu schiaccerà Aries, come Niobe ha già avuto la meglio su Taurus. Gemini e Cancer sono dalla nostra. Non frapponetevi: andiamo a prendere la testa di Leo!”
“Illusi!”
Sarebbe stata una guerra pulita, per loro, dicevano. Non uno spectre avrebbe alzato il braccio. E invece ora Lord Rhadamanthys mandava i suoi uomini, e la prima smentita che arriva ai disegni di guerra rapidi e puliti, di solito, è il preludio ad una carneficina. Così, Mandrake si preparava ottimisticamente a morire.
Giant Hold!
Fedor osservò lo schianto prodotto dalla colossale forza di Gigant sul povero corpo, già inerte, del malcapitato che aveva osato mettersi sui suoi passi. Quell'uomo era davvero una bestia.
Non che lui fosse meglio.
Eye of Charge!
Vide Ox lanciarsi all'attacco.
Death Messenger!
Natural Terror!
E poi Cube, e poi Mills.
E poi numerosi suoi compagni.
Non che ci fosse bisogno, con soldati semplici di quel livello. Lo sapeva bene Raimi, che fremeva sottoterra, sotto i loro piedi, dando loro i brividi.
Ma tanto per fare compagnia all'allegra brigata, allungò la mano a prendere per il collo quello che gli si stava lanciando addosso. Un'occhiata rapida alla Casa del Leone, che si stagliava in alto sopra di loro, e poi gli sorrise sornione.
Strangle Shrill.
Lo fece scoppiare da dentro.


Non c'era veramente nulla di cui preoccuparsi, a morire al Santuario.
Di sé non gli importava poi tanto. L'Inferno, quello era intoccabile, ne era certo. Chi era all'Inferno era al sicuro, e tanto bastava. Se si doveva andare, tanto meglio andare avanti lui, con gli altri.
Quando si infranse contro la barriera di luce di Aioria di Leo, che si ergeva ieratico mentre lui strisciava a terra come un verme, non pensò proprio a niente. Morì e basta, e nel momento in cui morì sentì le radici della Mandragola stringersi possessivamente attorno al suo corpo, forse per proteggerlo, forse per finirlo.







Angolino della Mandragola Assassina ~ Buongiorno a tutti! Che fatica stare al mondo! Vi sono mancata? (no, eh?) Sono indietro con gli aggiornamenti? (quello sì)

Colgo innanzi tutto l'occasione di questo spazietto per ringraziare di cuore chi segue l'Inno alla Notte. Vuol dire tantissimo per me. Siete tutti meravigliosi. Sono in prossimità di finire la fic, tutta quanta. Cioè, spero. Mi sono bloccata, ma manca talmente poco che qualcuno, a calci, mi farà ripartire. Perciò va da sé che aggiornerò molto presto, le flashfic ce le ho pronte, vi prego solo di attendere perché è un periodo pienissimo, per me, questo. Vi ringrazio di cuore per la pazienza e l'amore!

Questa piccola raccolta, invece, nasce cogliendomi completamente impreparata. Non so che cosa ne uscirà. So che sarà in tre piccole parti, di cui questa è la prima. Le scriverò in poco, credo, per darvele tutte di fila. Saranno molto organiche, promesso. Fedor della Mandragola... per chi non lo conoscesse, è un personaggio di Saint Seiya - The Lost Canvas. Cosa penso del Lost Canvas non è questo il luogo per discuterne, anche perché mi farei molti nemici (no, scherzo) (...forse).
Infatti questa non è una fanfic sul Lost Canvas: ho provato a reimmaginarmi questo personaggio, dal chara design e dalla comparsata indubbiamente interessante, in chiave Kurumadiana - insomma, nella nostra Guerra Sacra del Novecento, quella bellezza che abbiamo in canon. Per vie traverse, mi sono affezionata molto a Fedor, per quanto consapevole di averci lavorato in gran parte di fantasia. Lo devo anche moltissimo ai miei colleghi, i soliti - LeFleurDuMail, Kijomi, e Shinji, ai quali questa fic è dedicata, immancabilmente.
Verranno citati altri personaggi a cui è stato applicato questo stesso lavoro (Byaku del Negromante, come forse saprà chi ci segue in collettiva su Gold Insanity), che umilmente ci teniamo a precisare molto fanmade, e pertanto non attendibile! Non attendibile ma, in quanto lavoro originale, nemmeno "attingibile": non è patrimonio comune, insomma, è proprio roba nostra. Sappiatelo tutti, e non costringetemi a mettere su il terribbile banner-memento-antiplagio, che c'è su la faccia cattiva del Negromante. Già ringraziandovi, spero di beccarvi presto e alla prossima. <3

 

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Capitolo 2
*** Radici (II) ***





II)

Fedor buttò giù la vodka come se fosse acqua, ed aspettò i soliti tre secondi prima che dalla gola scoppiasse l'incendio che gli avrebbe scaldato cuore e petto, e alla fine tutto il corpo. Inghiottì in un sorso, poggiò il bicchiere e guardò fuori dai vetri sporchi e spessi.
C'era talmente freddo a Mosca che non nevicava nemmeno. I tetti erano imbiancati, così come i marciapiedi, e i cappelli e i cappotti erano spolverati di bianco. Ma era troppo freddo e troppo secco per la neve: dal cielo soffiava una polvere di ghiaccio sconosciuta.
Il calore dal suo stomaco si irradiò per tutta la pancia. Sentì il viso colorirsi, sino alle orecchie. Mentre l'acqua della vita gli ridava i sensi dopo le ore passate a camminare, desiderò trovarsi a Londra.
A Londra c'era freddo, ma quel freddo che potevi risolvere con un maglione o con un altro uomo nel letto; e a Londra pioveva, ma quella pioggia che si può arginare con l'ombrello: comprendeva senza fatica perché gli inglesi parlassero tanto del tempo meteorologico. Era come un amante di vecchia data. Potevi litigarci, ma nulla di serio.
In Russia il freddo pareva non andarsene mai, ed era per questo che piuttosto se ne era andato Fedor, ancora diversi anni prima del Risveglio. Aveva passato due anni dopo la scuola a studiare per l'esame d'ammissione a Cambridge, e se n'era volato a Londra. Il muro di Berlino non era ancora caduto e lui era l'unico studente dell'URSS, ma niente poteva andare male da che aveva Londra, un buon carico di maglioni e un ombrello.

Di uomini ne trovò senza fatica.
Andavano e venivano, quelli.
A Londra era facile, basta conoscere i locali giusti: li aveva imparati tutti e usciva almeno tre sere a settimana.
Non si faceva fatica a rimorchiare, quando si aveva un bel fisico e la battuta pronta. Quando poi incontri qualcuno in quel tipo di locale, è facile che non voglia mai più di quanto voglia tu.
Ne fece passare tanti, per il suo letto, e se li godette tutti; in Russia invece aveva lasciato Yuri, ma Yuri non era il suo ragazzo. Era più una specie di migliore amico, quello inseparabile dell'adolescenza, il cui ricordo in verità si faceva sempre più sfumato man mano che a casa ci tornava sempre meno spesso. Le volte che prendeva l'aereo – per le vacanze estive e invernali – Yuri veniva sempre a prenderlo all'aeroporto: tutte le volte nello stesso punto e con un gran sorriso, come se ce l'avesse in faccia da prima che scendesse le scale. Qualche volta finivano di nuovo a scopare. Qualche volta no.
“Per fortuna che ci sei tu, Yuri”, diceva suo padre quando entravano assieme in casa, allargando le braccia in segno d'impazienza. Yuri sorrideva imbarazzato e ringraziava.
“Non è colpa di Fedor, papà Mikail. L'aereo era in ritardo.”
“E come ci arriverebbe, dall'aeroporto a qua, eh? Ringrazia, Fedor.”
“Ringraziato, papà Mikail. Dov'è la mamma?”
“Bravi ragazzi.”
“Sì, certo.”
“Siete così amici”, diceva suo padre.
E Fedor subito rideva, pensando a quando se l'era sbattuto sulla scrivania nel suo studio. In seguito, Yuri gli avrebbe detto che quella risata più volte l'aveva ferito.
Non era la prima volta che gli era stato detto: sembrava destino, per Fedor, ferire le persone. O un talento naturale. Era impressionante la frequenza con cui gli succedeva, senza che ne avesse l'intenzione. Dopo un po' aveva cominciato a pensare che le persone fossero estremamente facili da ferire – troppo per i suoi gusti.
Si ferivano con le armi, con le braccia, con i gesti. Ma soprattutto, scoprì con sua grande sorpresa, con le parole; le parole potevano diventare coltelli, adoperati nella maniera giusta. Il suono della sua voce stesso, a tratti, gli pareva stridente. Senza preavviso; una nota che era tutta vibrazioni, che penetrava nel profondo senza essere inizialmente udita.
Andò avanti di ferita in ferita sinché incontrò il sordo che faceva per lui.
Uno stregone con cui incrociò le mani sopra un libro dimenticato, in fondo a una biblioteca pubblica.

A dire il vero, Fedor era stato mandato in braccio all'infido Occidente perché studiasse matematica e fisica, che la Grande Patria aveva sempre bisogno di scienziati con cui competere con il nemico per il lancio in orbita dei satelliti – l'ennesima gara a chi ce l'aveva più lungo, o così la definiva lui. Non che le premesse rappresentassero un grosso problema: una volta a Londra gli bastò cambiare le carte e frequentare altri corsi. Non ci volle molto. Una cosa tira l'altra, da Manifacturing Engineering Tripos passò a History of Art. Non era il caso di disturbare i suoi per queste piccole formalità: lo fece e basta, spensieratamente. Si immerse nel mondo della simbologia medievale: uno studio che gli sapeva di verità, molto più da cercarsi dentro che fuori.
Ecco, fu per quello che si contese il libro con uno stregone.

Byaku si aggirava fra gli scaffali, silenzioso e altero. Il libro che cercava era lì, in effetti. Un po' nascosto, in un angolo, ma c'era: il Male disponibile al prestito. Lo individuò, scorrendo le dita sulla costa rovinata, e lo sfilò con un unico movimento.
C'era un'altra persona proprio lì accanto, ma seduta sui talloni, che stava cercando più in basso. Quindi non la vide. Non la vide alzare la testa automaticamente, per il movimento vicino, né bloccarsi a leggere il titolo: sfogliò in tutta tranquillità le pagine, ignorando gli esseri umani.
Gli esseri umani non erano granché degni di nota. Non da vivi.
Tranne quelli che gli sfilavano di mano i libri.
Senza perdere il segno, il ladro di volumi guardò la copertina e, sempre sotto i suoi occhi, lo voltò per leggere il retro. E la quarta di copertina. Si servì di tutto punto, insomma. E poi lo guardò facendo scintillare gli occhietti azzurri.
“Ciao. Lo volevi prendere a prestito tu, questo?”
Byaku sbatté le palpebre.
Era inglese solo da quattro mesi ma la faccia
british la sapeva fare di natura.
In effetti, non l'avevo in mano per passare il tempo.”
Ah, se ti serve è tuo! Naturalmente! Però non pensavo che esistessero libri su quest'argomento...” Il ladro si rimise a sfogliare il libro, senza pudore. “Scusa, adesso te lo restituisco.”
Forse, sembrò fare intuire il tono. Un impercettibile stridore, sotto quella voce bassa e maschile. Che strano.
Ti interessa la demonologia dell'Est Europa nel primo Quattrocento?” domandò scettico Byaku.
Gli sembrava perlomeno improbabile. E quello sicuramente non era un collega.
“Se è per questo, anche quella dei primi del Duecento.” Un lampo vagamente malizioso, con gli occhi a malapena sollevati dalle pagine. “I turchi hanno portato diversi ricordini laggiù.”

Sì, si può dire così.” Byaku lo studiò, senza cambiare espressione. “Possiamo fotocopiarlo, se ne hai bisogno ora.”
No, figurati. Sono solo rimasto sorpreso di trovare un libro che ne parli.”
L'intruso diede un'ultima sfogliata, rapida: alle pagine finali, con occhi svelti, prendendo al primo colpo la bibliografia. Intanto, con due dita, non perdeva il segno. Sembrava una persona abituata a maneggiare i libri.
“Mmmmh, ti spiace se mi annoto due titoli? Poi te lo ridò, promesso.”

Fa' pure.”
Era giorno: Byaku dormiva poco e lavorava di notte. Aveva un sacco di tempo libero.
Lo guardò chinarsi sul banco su cui aveva seminato le proprie cose, e tirare a sé carta e penna: annotò titoli e riferimenti senza criterio, in verticale, nel bel mezzo di una pagina in cui stava scrivendo. Poi gli restituì il libro con un sorriso smagliante.

Grazie.”
Che tizio strano.
E per dirlo lui.

Di niente.”
Come mai cercavi quel libro?”
Il tizio si stava rivelando molesto. Un paio di irreprensibili inglesi, già disturbati dal dialogo, intonarono in coro il canto da biblioteca:
shhhhht.
“Disturbiamo.”

Già.”
Byaku si girò, dirigendosi verso i banconi per andare a riempire i moduli di rilascio.
Credeva di essersi congedato dal suo interlocutore, ma come ebbe finito si accorse che quello si era limitato a recuperare la sua sciarpa, estrarre una sigaretta, ficcarsi l'accendino in tasca: si ritrovò arpionato per un braccio, e scortato serenamente verso l'uscita.
“Andiamo fuori”, decise saggiamente la sua bodyguard.
Byaku si domandò se questo caso rientrava tra quelle comunemente dette molestie. Stava venendo molestato? Se lo chiese perché di solito la gente aveva paura. Non aveva propriamente un aspetto rassicurante. Inoltre la gente, certe cose, le sentiva.
Il tizio invece si limitò ad accendersi una sigaretta. Cominciò a chiacchierare, appoggiandosi al muro: “Scusa. Dicevo. Come mai cercavi proprio quel libro?”

Per lavoro”, rispose lui, sintetico fino all'osso. Non aveva intenzione di essere maleducato: era abituato al botta e risposta. Tendeva a non dire bugie, e a rispondere alle domande dirette. Il ragazzo inclinò il capo da una parte, guardandolo attentamente negli occhi.
“È per la redazione di un articolo o cose così? O intendi evocare un demone?”
Sogghignò al suo indirizzo, e Byaku ricambiò lo sguardo, limpidissimo. Allora non aveva i bulbi degli occhi scuri, come l'avrebbero conosciuto le forze infernali: il suo sguardo era grigio, chiaro, e pulito. Non mentiva mai. In più, lo stava studiando.

La seconda che hai detto.”
“Ma sei bravo?” Fu la pacifica domanda.

Sì.” Fu la pacifica risposta.
Seguì un attimo di riflessione.
“Quindi lo fai per lavoro. Allora devi essere bravo per forza, se ti pagano.”

Mh, sì”, sorrise Byaku. “O potrei essere un impostore. O potrebbe davvero servirmi per un articolo, questo libro.”
Accidenti!” Sospirò lui, inspirando e sbuffando fuori il fumo quasi subito, occhi al cielo. “Sarebbe un peccato. Adesso che me lo dici hai più la faccia da esorcista che da reporter.”
Beh. Questo era un complimento.
“Davvero. E a te, perché interessava l'argomento?” Un'affermazione, più che una domanda: “Tu non sei un esorcista.”

No, solo solo un curioso.”
“Non sono affari miei...” Byaku non pareva particolarmente turbato. Si raddrizzò, solo, infilando il libro nella borsa che teneva al suo fianco. “Ma ci sono curiosità meno pericolose.”

Avanti, che male c'è?” Socchiuse gli occhi l'altro, studiandolo a sua volta, divertito. Ancora quel tono malizioso. Una piccola vibrazione, a cui non fece caso. “Starò attento. Molto attento.”
Non si può fare attenzione senza conoscere quello che si deve temere. E per conoscerlo, non si deve fare attenzione.”
Mmh. È interessante.” Si raddrizzò, scrollando la cenere a terra. “Ma non ho intenzione di buttarmici né di praticare. Voglio la conoscenza. Userò giudizio: leggo quel genere di libri da quando ho iniziato a leggere.”
Allora non hai bisogno che ti dica niente.”
No, ma non ho mai conosciuto un esorcista!”
L'atmosfera era cambiata di nuovo, in seguito all'esclamazione entusiasta. Byaku si trattenne ad osservarlo per un attimo, sinceramente incuriosito. Dovette fare una faccia assai strana, perché l'altro rise. Sorrise anche lui, placidamente divertito: “In genere non li si conosce spesso.”

Piacere, allora
rise ancora il ragazzo, staccandosi dal muro e tendendogli la mano. Io sono Fedor.”
L'altro gliela strinse, bollente nella primavera londinese.
“Byaku. E non sono un esorcista.”

Mh?”
Il termine esatto è negromante.”

Byaku.
Una contraddizione vivente.
Si diceva africano, in un corpo da slavo, e portava un nome orientale.
Aveva i capelli bianchi come quelli di un vecchio, eppure era giovane.
Persino il suo nome significava bianco: ma diceva che non era per quello.
Era un rompicapo ed un rebus, una macchia di Rorschach. Un quadro cubista. Un planisfero disegnato dall'altra parte del mondo in una lingua sconosciuta. Da qualunque parte lo rigirasse Fedor non riusciva a risolverlo né a decifrarlo, ed ogni immagine ne nascondeva un'altra rovesciata.
Cominciò a seguirlo dappertutto, per farselo amico: siccome s'incuriosivano a vicenda, lo divennero davvero. Erano una coppia strana, ma funzionava. Passarono i giorni, i mesi, e alla fine gli anni, ed erano sempre lì: Fedor nel suo appartamento da studente dove accumulava libri immagini e simulacri, che si affollavano sulle pareti e sulle mensole, seppellendosi a vicenda; Byaku nel suo studio ad un passo da Regent's Park, che nel suo candore ostentava quanto redditizia fosse la sua attività nel cuore della civiltà.
Byaku era un negromante e uno stregone, Byaku si lasciava scorrere tra le mani sangue di bambino.
Byaku leggeva i tarocchi e le carte non mentivano: al massimo, era chi gli stava di fronte a farlo.
Byaku si sporcava le mani ma era completamente innocente. Obbediva a una volontà superiore.
A volte, gli pareva in attesa di quella volontà. A volte era come se fosse già altrove.
Allora a Fedor veniva da stringere la presa, possessivo: come l'intreccio di radici.
Non se l'immaginava che per entrambi ci sarebbe stato lo stesso destino.
Per Byaku l'avrebbe capito. Byaku aveva le porte spalancate sull'aldilà.
Non si sarebbe stupito, per Byaku.
Solo, non voleva lasciarlo andare.

Venne il momento in cui Fedor urlò.
Fedor non si ricordava di avere mai urlato, prima, in vita sua.
Aveva un carattere forte, alzava la voce, rideva, cantava, provocava. Gemeva, basso e raschiante, nel sesso. Imprecava, quando si faceva male. Ma da che ricordasse, non aveva mai urlato.
Forse c'era un motivo.
Quella nota inudibile, quel piccolo stridore che gli sfuggiva talvolta...
Le persone erano così facili da ferire, con quella voce, che non ci si poteva aspettare altrimenti.
Era in Russia per le vacanze di Natale: fu uno spettacolo come tutti i vetri del palazzo s'infransero, una pioggia, un torrente, una tormenta di cristalli come quella polvere di ghiaccio che soffiava dal cielo. Si conficcarono nel pavimento e nelle pareti, sul suo corpo e negli occhi dei suoi genitori.
L'urlo della Mandragola lacerò i timpani e le vecchie ferite, in un'esplosione di sangue.
Strappò le condutture del gas e tutto esplose in un incendio terrificante.
Dissero di aver visto una figura nera e alata alla finestra, tra le fiamme, ma non poteva essere Fedor perché Fedor non fu ritrovato fra i cadaveri. L'ultima volta che qualcuno disse di averlo visto era a Londra, Luxborough Street, Paddington, proprio accanto a Regent's Park: mezzo bruciato e con un occhio pieno di sangue, rimase a lungo nello studio di Byaku, silenzioso e vuoto, prima di rendersi conto che non era lì che l'avrebbe trovato. Mai più.
Ma che, forse, le sue radici non avevano stretto a vuoto.


Adesso era a Mosca, e c'era talmente freddo che non nevicava nemmeno: dal cielo soffiava una polvere di ghiaccio sconosciuta. Aveva pensato alla morte, mentre ordinava la vodka, e aveva pensato alla vita dopo che l'aveva buttata giù. Ma questa che aveva adesso per le mani non era né morte né vita, e non sapeva come farsela andare giù.
Passerà, Fed, aveva detto Byaku.
Due giorni prima aveva avuto nostalgia di Londra ed era tornato in quello studio con una macchia di sangue rappreso sul tappeto, dove aveva aspettato Byaku tutta una sera con l'occhio zuppo e ferito. Adesso c'era una benda a coprirlo.
Quella volta Byaku c'era, invece, e rivedercelo lì, stupito quanto lui, con gli occhi neri come la pece che ribolliva all'Inferno, gli aveva fatto strano. Ma andava bene, no?
Come pensava mentre andava a morire: andava bene, finché il Signore Hades aveva deciso così.
Andava bene, finché nelle profondità rassicuranti della Terra c'era il suo invitto generale, Rhadamanthys l'inflessibile, che giudicava i morti. E il suo luogotenente, l'uomo su cui aveva posato lo sguardo monco sempre e solo da lontano – mai da vicino, mai. Solo di notte, nei sogni, che, si sa, sono innocenti, no? – e il suo maggiore, il suo fiero maestro.
Andava bene, finché c'era Byaku, che Byaku se non era quello che aveva amato era comunque la cosa che ci andava più vicino al mondo.
Passerà, Fed. Quella morsa allo stomaco, gli aveva detto, in un soffio di voce strano per lui, carezzandogli i capelli. L'aveva detto come se sapesse perfettamente di cosa parlasse. Persino Byaku, che aveva le porte aperte sull'aldilà, che quella chiamata se l'aspettava da sempre: Byaku sapeva affrontare la morte, non la vita.
Erano rimasti su a Londra tutta la notte, che a Londra faceva quel freddo che potevi risolvere con un maglione o con un altro uomo nel letto. Poi senza sapere perché Fedor se ne era tornato in Russia e in Russia faceva un freddo talmente cane che interrompendo ogni pensiero si alzò, sbattendo la sedia indietro, e col petto gonfio di troppe cose pigiate tutte assieme si buttò fuori dal locale per andare a urlare le sue proteste e il suo rancore a quel cielo di merda.
Una folata lo investì in pieno, irrigidendogli la faccia da reduce di guerra. Masticò una bestemmia.
Si buttò in mezzo alla strada, bianca e scivolosa. C'era solo una figura dall'altro capo della strada, che gli dava le spalle. Qualcuno già visto. Strabuzzò l'unico occhio rimasto. Poi lo strinse.
Il vento batteva ancora più gelido di quando era entrato.
Eccola, la polvere di ghiaccio!
Non era dal cielo, no.
Era dal ragazzo.







Angolino della Mandragola Assassina ~ Il grande ritorno! Una fic scritta solo durante i ritagli dallo studio (SIGH)!

In fretta, che devo assolutamente andare fuori a bermi una birra, davvero, non ce la faccio più. Scusate la prolungata assenza: sto annullando la mia esistenza nello studio, che schifo di vita. Non sto scherzando. Quando ritorno rispondo anche alle recensioni che mi avete lasciato perché siete stati molto carini. :* Grazie come sempre per l'affettuosissimo supporto!

Fedor è difficile: è un semi-OC, come ben sappiamo (le premesse alla fic sono quelle che sono). Ci ho messo molto di mio, ed in particolare nutro un sentimento di amore-odio per la sua interiorità e il modo che ha di soffrire: è tutto un gomitolo ingarbugliato, di cui ogni filo che tiro non fa che stringere la matassa, invece di scioglierla. Non posso fare altro che riportarvi alla luce l'intero gomitolo e farvelo vedere. Spero che possa essere carino anche così, da gomitolo ingarbugliato. Ci sono certe persone davvero così. Vogliate loro bene.
...Ma chi sarà quel tizio alla fine?
Boh?

Un grosso ringraziamento a LeFleurDuMal che mi aiuta sempre moltissimo, mi beta e riempie me e Fedor d'amore. Riceverà adeguato fanservice nel prossimo capitolo per compenso.
Uno ancora più grosso a Kijomi giusto perché deve equamente dividerlo con Byaku e Byaku si prende sempre prepotentemente una grossa fetta di... un po' di tutto quello che capita a tiro. Questo Byaku è suo e io gli voglio molto bene. Anche Fedor, specialmente quando fa tiro critico col D20 e va a castigare tutti i troll agitando il suo bastone ricurvo. Oh, Byaku, te l'avevo detto che l'avremmo fatta sino in fondo la quest del drago, ci è voluta una nottata, ma ce l'abbiamo fatta. Il Master non mente. Fatti tutte le pozioni che vuoi, io mi prendo le scaglie per l'armatura.

*** Abbiamo presentato: DUNGEONS & DRAGONS - Le attività della Mandragola e del Negromante che non sono state ritratte nella fic! ***

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Capitolo 3
*** Radici (III) ***





III)


Nel ragazzo in piedi di fronte ad un negozio vecchio Fedor aveva riconosciuto uno dei luminosi santi di Athena. Prima della Guerra, forse, gli avrebbe rivolto parole di scherno: viso da bambola, l'avrebbe chiamato, per quel pallore delicato e i capelli biondi da principessa. Ma lo sguardo che gli rivolse non aveva nulla di fanciullesco.
Viso da bambola aveva penetrato le porte dell'Inferno.
Viso da bambola non aveva conservato la speranza per cantarci una bella canzone, ma per farci esplodere i muri della Giudecca.
Viso da bambola era l'ultimo rifugio del perdente.
Attraversò la strada a falcate pesanti, pestando la brina raggrumata ai bordi del marciapiede. Orme sporche, aria fredda. Clima di merda. Spalancò le braccia in un sorriso beffardo:
“Benvenuto in Grande Madre Patria Russia.”
“Non scherzare.”
Gli rispose il ragazzo nella sua stessa lingua. Così Fedor capì esattamente chi si trovava di fronte.
Gli rispose, adattandosi d'istinto:
“Che cosa ci fai, qui?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Pari è patta.
Così passarono cinque minuti in silenzio, non trovando di meglio da fare che scrutare attentamente l'interno della vetrina. Era un negozio di antiquariato, o solo di roba vecchia, e i riflessi sul vetro erano scuri, tanto che Fedor credeva che fosse chiuso. Invece di lì a poco la porta si aprì, e fece uscire con un lieve tintinnio una donna curva sotto il peso degli anni. Il saint vi scambiò uno sguardo, lo spectre nessuno. Rimasero in silenzio a guardare un altro po'.
“Che cosa stai guardando?”
“Dietro quel mazzo di carte da gioco, tra quelle spille d'argento.”
“È qualcosa di tuo?”
“Sì.”
“Possiamo entrare a prenderlo. Non ho niente da fare.”
Hyoga di Cygnus alzò lo sguardo al suo interlocutore, finalmente. Non l'aveva più fatto, da quando si erano squadrati l'uno dall'altra parte della strada. In seguito, aveva solamente accettato la sua presenza al suo fianco, gli occhi immersi nella polvere della vetrina.
Lo studiò lungamente, e allora Fedor si accorse che aveva un occhio bendato. Il sinistro. Speculare al suo.
Nella polvere di diamanti c'erano un occhio e un altro occhio fermi a guardarsi direttamente, e la cosa gli diede un brivido.
Pensava che l'avrebbe liquidato con una risposta fredda, ritornando a rivolgere lo sguardo all'interno; pensava che se c'era qualche cosa da spartire tra saint e spectre sarebbe successo subito, lì, al freddo, in poche stilettate tra nemici usciti dalle tombe.
“Sei mai stato in questo posto?”, domandò invece il saint.
“No”, rispose lui, mascherando la sorpresa. “Dovrei?”
Il ragazzo – il ragazzino, quanti anni poteva avere quella cosetta bionda? - lo oltrepassò, silenzioso, girandogli attorno. Fedor lo seguì con lo sguardo, e vide che era già con la mano sulla porta. Attese qualche secondo, prima di spingere per aprirla, e Fedor capì che la chiacchierata era soltanto iniziata.

“Quindi è questo quello che ti appartiene? Questo medaglione?”
“Non toccarlo.”
Fedor fermò la mano a mezz'aria, sbuffando.
“Se non sei qui per venire a riprenderlo, perché siamo entrati?”
“Non vedi che la signora è uscita? Siamo soli, qui dentro.”
“E allora?”
“Allora aspettiamo.”
Incomprensibilmente, lo assecondò di nuovo. Siccome non c'era nessuno, però, lo spectre allungò la testa sul ripiano, osservando gli oggetti vecchi e meno vecchi, alcuni coperti da un velo di polvere. Accarezzò il dorso della scatola di carte che giaceva vicino ai gioielli.
“Queste non sono carte da gioco.”
“Come?”
“Questi sono tarocchi.”
Quelli, siccome non c'era nessuno a protestare, Fedor li prese in mano.
“Li sai leggere?”
“Un po'. Vuoi vedere il futuro?”
Hyoga socchiuse appena l'occhio azzurro, studiando il suo interlocutore come sul campo avversario.
“Non fare quella faccia. Non ti getterò addosso alcuna maledizione. E poi, non sono così bravo. Ho un amico molto più bravo di me in questo genere di cose.”
“Non schermirti”, rispose lui, con più calma di quando Fedor si aspettasse dall'occhiata. “Se non le temi, butta pure giù le carte.”
“E da quando stiamo parlando di me?”
“Sei tu che stai parlando di te. Tu li hai presi.”
Fedor si irrigidì. Lo sguardo del ragazzo era limpido.
La luce era poca, ma dovette riconoscerlo. Viso da bambola stava in piedi molto meglio di lui.
Quando taceva era perché non c'era bisogno di parlare. Quando alzava lo sguardo era per osservare qualcosa d'importante. Non c'era vodka nella sua pancia a dargli il calore che gli serviva per camminare.
“Vuoi vedere il futuro?”, gli domandò a sua volta.
Non urlare, Fedor.
“Credi che io ne abbia paura?”
“Lo stai dicendo tu.”
Non urlare, Fedor.
D'accordo.
Davanti al Saint che non ne sapeva nulla, Fedor estrasse una carta dal mazzo. La buttò sul ripiano tondo del tavolino che li divideva. Poi un'altra. Poi un'altra. Sul centrino di pizzo, liso e perfettamente pulito, spiccarono la Luna, il Matto e l'Appeso.
Tanta roba.
Byaku sicuramente ne avrebbe estratto concetti più elaborati.
La cosa più elaborata che Fedor riuscì a pensare fu un bel vaffanculo.
Davanti al saint che non se sapeva nulla, provò a pensare a che cosa avrebbe detto il Negromante al posto suo. Gli aveva fatto le carte un numero sufficiente di volte per potere immaginare come sarebbe andata la scena.
La Luna ti indica un sentiero al buio, avrebbe detto Byaku. Sei guidato solamente dagli istinti. Hai paura a compiere il passo successivo. Di che cosa hai paura?
La Luna indica un sentiero oscuro”, tradusse lui. “Nell'arco di un percorso, può indicare esitazione. È all'inizio. Forse il timore è infondato. Forse serve solo la forza per procedere.”
Sì, diciamo così, se proprio ci tieni.
Sì, grazie, Byaku. Un po' di ottimismo. Andiamo avanti.
Il Matto è il caos dal quale tutto nasce, avrebbe detto Byaku. Non vede dove va, ma non se ne cura. Il suo cammino nulla lascia presagire. Dove stai andando?
Il Matto è il caos dal quale tutto nasce. Con questa carta si ricomincia da zero”, tradusse nuovamente. “Non vede dove va, ma la sua sicurezza istintiva lo difende dai pericoli. Il matto è spensierato.”
Come tutti i matti.
Sì, certo.
Non mi sembra un buon termine di paragone.
Sì, ma da qualche parte si dovrà pur partire, no? Avanti.
L'Appeso simboleggia l'arresto, avrebbe detto Byaku. E non per tua volontà. Le circostanze esterne ti rendono impotente ed incapace di importi. Ed è sempre necessario un sacrificio per superare la crisi.
L'appeso è una situazione di stallo”, addolcì Fedor. “bloccata senza apparente via di uscita. Con un'adeguata riflessione, bisogna cercare di capire qual è la cosa da abbandonare per incominciare un ciclo nuovo.”
Delizioso.
Faccio del mio meglio.
E ora pagami.
Hyoga di Cygnus alzò la testa e studiò il disegno delle carte, ma non proferì parola. Per un attimo Fedor si domandò se per caso si fosse lasciato sfuggire l'ingiunzione di pagamento, ma era abbastanza certo di averla lasciata lì, nella sua testa, con la faccia del cartomante di fiducia. Non aveva voglia di passare per schizofrenico con un bronze saint.
Ho capito.”
Disse il bronze saint.
Aveva capito, diceva.
Aveva capito. Come no.
Pare che tu sia nei guai.”
Neanche lo guardava più in faccia.
Di là dal bancone, come se ci fosse qualche negoziante fantasma pronto a restituirgli il suo dannato cimelio.
E che tu abbia davvero un po' di paura.”
Non urlare, Fedor.

La storia della sua vita.
Genitori che non si parlano, un bambino spostato come un oggetto. Sua nonna, decrepita, a spiare tutto dalla poltrona con i suoi brutti occhi da avvoltoio. Non credeva che l'aria ferma potesse essere così fredda. Rarefatta, come quella delle bambole sotto le campane di vetro.
Non urlare, Fedor.
Le persone ferite e i loro sguardi di accusa. Uomini grandi e grossi rintanati nei loro angoli, guarda, guarda com'è comodo, guarda i miei occhi da cane bastonato, Fedor, dispiaciti, corri da me. Yuri e Matt e Josh e Comesichiama e Comesichiamaquell'altro. Non provi pena per me, Fedor?
Non urlare, Fedor.
Byaku che prende pegno e tace. I mutismi, le labbra serrate per il troppo orgoglio di entrambi. Le decine e le centinaia di volte che Fedor mandava giù parole per il gozzo e se le lasciava lì a marcire.
Non urlare, Fedor. Non urlare, Fedor.

Fedor.” Risuonò netto nell'aria chiusa del negozio. “Ti chiami così?”
Sì.” Prima di domandargli il perché, Fedor si ricordò del nome cucito sulla vecchia maglia del college. Aggiunse solamente: “Mandrake.”
Io sono Hyoga di Cygnus.”
Lo so chi sei tu.” Si sforzò di non suonare astioso. Ma era difficile. “Che cosa vuoi? Che cosa stiamo aspettando di preciso?”
Io sono venuto a prendere una vecchia cosa del mio passato”, disse il ragazzo.
Viso da bambola aveva le spalle la metà delle sue e decisamente più dritte. Oltre a dire cose che avrebbe voluto dire lui – o meglio, avere anche solo la certezza di poter dire qualcosa del genere. Invece non ne aveva mezza.
E tu?”
Io?” rispose Fedor, infatti. “Io non ho proprio niente da riprendere indietro.”
E allora perché sei qui a Mosca?”
Mosca non è la mia città.”
Questa volta Hyoga di Cygnus reagì.
Lo degnò del suo sguardo, dall'unico occhio azzurro.
Aveva detto qualcosa che lo aveva sorpreso, pare.
Non la è?”
È San Pietroburgo. E fa anche più freddo di qua. Un freddo da gelare la pancia.”
Sì, ho presente.”
Simpatico.
In effetti doveva essere uno che di freddo se ne intendesse. La cosa un po' lo faceva ridere e un po' incazzare assieme. O forse era il nervosismo più generale di quando si comincia a scoperchiare un po' di scatole vecchie.
Allora perché sei qui?”
Ah, non lo so. Per farmi una vodka come si deve.”
Per ritornare, sì, ma non-del-tutto: senza dirlo a nessuno, tanto per cominciare, che sa troppo di cosa ufficiale. Non ritornare che ritornare era una cosa seria. Mosca era sempre la Russia, ma era ancora lontana da San Pietroburgo. Una soluzione di comodo. Un quasi-ritornare. Un ritorno monco. Una cosa a metà. Un occhio guercio.
Credevo che voi spectre” disse finalmente il ragazzo, e per dieci fottutissimi secondi sembrò davvero un ragazzo. “Non aveste paura della morte.”
Questo fu più famigliare della vodka.
Prima ancora della sua vita, c'era una fiaba.
Prima ancora delle fiabe, c'erano...
Fedor sorrise per la prima volta.
“Non ho paura della morte.” Gli confidò allora. “Ho paura della vita.”

Non aveva avuto paura, nemmeno un po', affondando nell'abisso di terra e radici.
Cose buone, cose famigliari, nell'oscurità rassicurante come quella del tuo letto. Cose contorte e nascoste e segrete e più vere del vero. Radici che gli sfioravano la faccia con amore affondando sempre più giù, sempre più giù, in una terra riarsa e calda di vapori sulfurei, in cui si arrotolavano, annidate, ronfando come gatti soddisfatti.
Il suo maestro aveva la mascella dura da denti serrati, e un paio di occhi di ghiaccio da dividerti in due. Il genere di uomo per cui ti fai ammazzare.
Urla, Fedor, gli aveva detto.
Urla.
Oh, Dio, sì.
Anni e anni di vita mortale in quel nodo gonfio e tirato, in quell'urlo che aspettava di esplodere e quando è esploso ha distrutto e ammazzato. All'inizio se ne era pentito – questa è la punizione di tutti i peccati, Dio – ma poi mai più. Mai più. E liberaci da ogni male. Così sì che aveva senso. Urla e liberaci da tutti i mali.
Sottoterra ci stava bene.
Morto era morto persino volentieri.
E adesso, cosa tornava a vivere a fare?
Uscendo dal suo girone infernale, aveva sputato tra i denti un vaffanculo.

Ho capito.”
Disse il bronze saint.
Aveva capito, diceva.
Aveva capito. Forse sì.
Non la pensava allo stesso modo, certo.
Ma forse messa così la poteva almeno capire.
Suonò il campanello all'ingresso. La signora era rientrata.
Una zaffata di freddo, e la vecchia allungò le mani unghiute al volto del difensore della Giustizia. Gli tirò le guance.
Sapevo che mi avresti aspettato, piccolo.”
Come sta, tetja Dana?”
“Bene, piccino. Dovevo comprare il burro.”
La vecchia curva aprì lo sportello a molla che separava i due uomini dal bancone del negozio, e per farlo mollò la borsa della spesa in mano a Fedor. Che non riuscì a trovare niente da ribattere.
“Vieni vicino, passa di dietro al bancone. Attento al gradino. Vieni, vieni a vedere. È bello, non è vero? Non l'ho venduto mai, non era in vendita. Tante volte, lo sai, tante volte me l'hanno chiesto, ma io no, no, no. Lo tengo in vetrina solo per fare vedere a tutti com'è bello.”
“È com'era allora, tetja.” Hyoga finalmente sorrise. “Sei stata cara.”
Era di Natassia” rispose lei, come se spiegasse ogni cosa. Un velo di lacrime le offuscò gli occhi già opachi di cataratta. “La piccola Natassia...”
L'anziana signora aveva le mani che tremavano, sfilando il medaglione dal sacchetto di velluto sui cui era appoggiato in vetrina. Il piatto di metallo penzolò dalla catena, tintinnò contro due bicchieri, ne smosse uno, cozzandoci malamente. Lei sussultò così forte che Hyoga dovette trattenerla per paura che cadesse.
“Che maldestra.”
“No, no.”
“Adesso te lo pulisco.”
“No, sta bene.”
“Non si è ammaccato per niente, guarda.”
“Sta benissimo.”
“Gli do una lucidatina.”
Il saint desistette e la vecchia inforcò un paio di occhiali per mettersi all'opera con un panno bagnato. Solo quando ebbe le lenti sul naso ed entrambe le mani occupate poté fissare Fedor con la migliore delle espressioni arcigne. Le sue sopracciglia erano due cespugli di disapprovazione.
“E tu, soldato, rimetti a posto quelle carte.”
“Non vuole sapere il futuro, nonna?”
“Son così vecchia che posso crepare domani.”
L'anziana signora dell'antiquario era passata da agnellino belante nelle mani del saint a testarda caprona faccia a faccia con uno spectre. Fedor lo notò con una specie di antica soddisfazione. Sogghignò.
Tёtja Dana, cosa dici.”
Cose da vecchi, piccino. Adesso questo te lo lucido benino e poi prendiamo il tè. Se il tuo amico mi ridà la borsa della spesa.”
Guardi che me l'ha messa in mano lei.”
E le carte, te lo ho messe anche quelle in mano io?”
Lo spectre desistette. Appoggiò la borsa di tela sul bancone e rimise a posto le carte. Tre arcani maggiori che osservò un'ultima volta prima di mischiare all'intero mazzo.
Certo che se ti piacciono tanto potresti pure comprarle” chiosò l'ormai nota vocina, anche se la proprietaria non alzò più gli occhi dal lavoro. Pareva che non dovesse smettere mai di lucidare quell'affare. Fedor si domandò se non l'avesse già consumato a strofinacci, durante quel tempo che aveva conservato il cimelio, e come facesse il saint ad essere così paziente.
Mi piacerebbe, nonnina, ma i mazzi di tarocchi non si comprano. Vanno regalati.”
Come siete difficili voi giovani. E va bene. Mettili qua sopra che te li tengo da parte. Manda pure un tuo amico a prenderli.”
Fedor rise, ad alta voce.
Si guadagnò un'occhiata di rimprovero da Viso da bambola, ma dalla vecchia stranamente no.
Si cacciò le mani in tasca, ignorando entrambi, e aprì la porta sul freddo.
Me ne ricorderò, nonna.”
Mandrake.”
Tranquillo. Ci rivedremo, forse.”
Non aveva molta importanza.
Lasciò Hyoga di Cygnus alla sua tetja mezza cieca e ai suoi cimeli.
Non aveva nessun passato da riprendersi, ma un posto in cui tornare sì.



Il ventre della terra era accogliente, e vi penetrò con soddisfazione.
S'immerse a fondo, aprendo passaggi nascosti ai mortali. Ne percorse le viscere umide e sempre più roventi, ed infine batté i piedi sul suolo pietroso. Si sentì a casa: brulichio di radici che strisciano soddisfatte nell'humus della terra madre.
Avvertì immediatamente un Cosmo potente provenire dalle carceri, ruderi pericolanti battuti dal vento. Le sue carceri. Affrettò il passo, convinto di trovare il Maggiore allineare i soldati all'appello. Questa volta sarebbe stato in ritardo.
“Fedor”, lo apostrofò Olim di Fafnir appena fece il suo ingresso.
“Signore”, rispose lui immediatamente, allineandosi al suo compagno d'armi, già in posizione al centro della stanza.
Da lui ricevette una strizzata d'occhio, pur nella sua immobilità marziale: n
ulla di grave. L'ispezione era appena cominciata.
“Dov'eri?”
“Turno di guardia allo Yomotsu Hirasaka, signore.”
“Tutto regolare?”
“Ovviamente.”
Drake di Scolopendra non disse nulla, anche se aveva una certa idea di come Fedor avesse impiegato il suo turno: aveva ancora addosso l'aria pungente di un paese non suo, e che non avrebbe saputo riconoscere. Ma di certo non era la fossa dei dannati che soffiava minuscoli fiocchi di neve ghiacciata tra i capelli dello spectre. Sorrise per conto proprio, impenetrabile.
“Sull'attenti. Abbiamo in visita il luogotenente Valentine di Harpy, braccio destro del Generale Rhadamanthys.”
Il Maggiore stesso fece un passo indietro, petto in fuori. Fece un mezzo giro, cedendo il passo all'uomo che era appena emerso dall'ombra. Ecco il Cosmo che Fedor aveva avvertito in vista delle carceri: più potente di quello del suo maestro, ne vibrarono le catene che pendevano dalle sbarre arrugginite. Leggermente, come polvere. Fedor schiuse le labbra, affascinato, e il Luogotenente sfilò loro davanti degnandoli appena di un'occhiata.
“Buongiorno, signore.”
“Buongiorno, signore.”
“Riposo.” Li liquidò rapidamente. “Avevo bisogno di parlare solo con te, Olim.”
“Sissignore. Drake, Fedor, ritornate ai vostri posti.”
Entrambi i soldati fecero il saluto marziale, battendo i tacchi al passaggio dei due gradi superiori. Poi sciolsero l'esigua fila, tornando alle loro occupazioni. Il Luogotenente sparì negli antri bui delle carceri, un lampo fugace di colore e di luce metallica al fuoco delle torce. Fedor lo guardò con più interesse finché non affondò nel nero.
“Uh, una visita rara, da queste parti.”
“Mh-mh.”
“Ehi, ma dove ti eri cacciato?”
“L'ho detto. A sorvegliare alacremente le distese di spiriti in fila indiana. Hanno un ottimo senso dell'orientamento, comunque”, sogghignò Fedor, raggiungendo l'altro carceriere.
Notò un lampo divertito nello sguardo di Drake, che d'altro canto non insistette. Avrebbe visto la sdrucita maglia del college sotto la surplice solo a fine giornata, ma anche allora chissà se avrebbe chiesto qualcosa.
“Non avevo mai visto così da vicino il luogotenente Harpy.”
“Nemmeno io. Zona infame, questa. Più vicina ai mondi dei mortali che al cuore del regno di Hades. Pochi coraggiosi spectre si avventurano sin quaggiù”, motteggiò ancora Fedor, sradicando un'alabarda arrugginita dalla parete. C'era un bel po' di lavoro da fare, a rimettere in piedi quel posto.
“Che ne pensi, Fedor?”
“Un uomo forte.”
Occhi sottili, sguardo deciso. Per niente facile da ferire.
Anzi, probabilmente con una gran voglia di urlare anche lui.
“E un gran bel culo.”
A Drake occorse una manciata di secondi per rispondere. Quando realizzò, sollevò la testa dai suoi moduli per guardarlo, inarcando le sopracciglia e aggrottando tutta la fronte.
“Fai schifo.”
Fedor rise.
“No, davvero, sei uno schifoso. Inqualificabile. Adesso ti metti a puntare troppo in alto.”
“E perché? Non ho mai insidiato nessuno, io.”
“...Che faccia tosta. Lasciamo perdere.”
“Tecnicamente...”
“No, non voglio sapere proprio niente di tecnico. Scrosta quell'alabarda.”
“Punto troppo in alto, dici?”
“Se non avessi un po' di ritegno, ci proveresti anche con il Maggiore.”
Fedor evitò di dire a voce alta quello che aveva pensava del Maggiore (sì che ci aveva pensato. Di notte. Nel suo letto, da solo). Non era esattamente una questione di ritegno. Ma Drake l'aveva implorato di evitare i dettagli tecnici, quindi lasciò perdere.
“Non me lo dici allora dove sei stato?”
“Mh. Diciamo che ci ritornerò”, sogghignò Fedor. “Forse. Un giorno.”
Chissà se la vecchia glieli avrebbe tenuti da parte ancora a lungo, quei tarocchi. O se se ne sarebbe dimenticata, dopo il tè e i biscotti col giovane saint di Athena – russo come lui, con quella stessa, sola sentinella azzurra a guardare le miserie del mondo. Ma pieno di certezze da fare invidia, in un certo senso.
Beh, lui non sarebbe stato da meno. Un salto su, così, di nascosto, poteva ancora farlo.
Forse, così, di nascosto, un qualche sordido cartomante un mazzo di carte poteva pure regalarlo.
Dato che a quanto pare un futuro c'era...







Angolino della Mandragola Assassina ~ Meglio tardi che mai!

Questa piccola raccolta, invece, nasce cogliendomi completamente impreparata. Non so che cosa ne uscirà. So che sarà in tre piccole parti, di cui questa è la prima. Le scriverò in poco, credo, per darvele tutte di fila.  << Questa era Rucci il dicembre scorso. La stessa Rucci che ha finito la fic di tre miseri capitoli cinque minuti fa. Questa era una Rucci da prendere a pomodori in faccia (no, tutta questa è un'evasione. Sono io-adesso quella che merita i pomodori, mi sa. °_°) Per molte ragioni ho allentato tantissimo con la scrittura, cosa che non mi era mai successa, e me ne dispiaccio; confido di poter riprendere col botto un giorno o l'altro, quando avrò finito tante cose da fare.

Io a Fedor comunque gli voglio bene. Questo Fedor della Mandragola. Che poi è praticamente un OC: per quel poco che ho preso dal Lost Canvas e tutto quello che ho arrogantemente rifatto, fa praticamente paio con Stevan (il mio altro OC spectre, quello "vero", quello più OC nel senso della parola, quello che... boh, quello biondo, insomma). Prendetelo così com'è, ecco. Non pretendo più di reinterpretare il Fedor del Lost Canvas; me ne guardo bene. Questo è il mio Fedor, palesemente. Prendeteci le misure voi come volete. =*=
Avrei voluto in verità spiegare tante altre cose (il doppione Alraune/Mandragola, per esempio) ma esulava dalla direzione che hanno preso questi capitoletti di Radici. E quindi pazienza. Magari troverò il modo un'altra volta, da qualche altra parte. Spero che vi sia piaciuto tutto quanto, anche nelle sue allusioni elusive da cogliere. Non è colpa vostra. E' colpa di quel coso con l'occhio solo là sopra. Ci assomigliamo molto. Comunque ci vogliamo bene e rimbalziamo l'ammmore a voi tutti.

Ringrazio i Soliti Ignoti, vale a dire i miei compagnucci dei Gold Saint e tutta la cricca di Gold Insanity, in special modo Shinji che mi ha regalato un Signor Maggiore, Olim del Fafnir, altro OC che compare in maniera Cattiva & Teutonica in questo capitolo del Canto della Banshee. E' un figone pazzesco un bellissimo spectre che Fedor è fiero di servire, e pertanto no, non ci ha provato, neanche un po', giuro. Altresì devo ringraziare Beat per avermi prestato il suo amabile Drake di Scolopendra (non ancora apparso in alcuna fic, per ora, ma il pg è suo :P), col quale invece Fedor ci ha provato eccome ma lo stronzo non ci è stato. Però gli vuole bene lo stesso. L'amicizia corre per vie imperscrutabili e bellissime.
Valentine di Harpy, personaggio canonicissimo invece (deh :D), è destinato ad essere il love interest del nostro simpatico guercio, per la gioia del crack e delle nostre fantasie più rosa, e difatti lo troverete anche nella shottina che abbiamo dedicato io e LeFleurDuMal a questa coppietta: Stella e Zucchero.

Con questo ho finito e andate in pace. Je vous aime e vi risponderò presto alle recensioni nello spazietto apposito, dato che ora si può. *_*
Gioia a voi! <3

Radici - fine.

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