۝ Strawberry gashes ۝

di Luce Lawliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il killer di Los Angeles si fa un'overdose ***
Capitolo 2: *** Ombre di morte nel parco della città. ***
Capitolo 3: *** La filastrocca dell'assassino. ***
Capitolo 4: *** Il Gioco del Bugiardo - primo round ***



Capitolo 1
*** Il killer di Los Angeles si fa un'overdose ***









 
                                                                                                                Strawberry gashes


                            





     

                                                                                                                                     1.


                                                  Il killer di Los Angeles si fa un'overdose








<< Mi dispiace! >>

<< Risparmia il fiato. >>

<< Ma ho detto che mi dispiace! >>

<< Non me ne frega un cazzo! >>

Una ragazza dai lunghi capelli castani raccolti in una coda ormai sfatta trottava frettolosamente lungo il marciapiede della Avenue 25, il cellulare in una mano, il libro di Chimica nell'altra, il borsone da ginnastica che le inclinava la spalla e i nervi che le solleticavano perfino i capelli.

<< Perché non sei andata tu a comprare quello che serviva a mamma se sapevi che questa sera avremmo avuto ospiti a cena? >> volle sapere.

<< Oh, senti, ti ho già chiesto scusa; che ti costa andare un attimo, hai la macchina, no? >>

Eccerto, a me tocca giocare alla fattorina solo perché ho la macchina, pensò la ragazza, furiosa.

<< Se ti permetto di prendere l'auto ci vai tu? >> le propose ironicamente, mentre attendeva che scattasse il verde del semaforo. In nessuna delle sue altre vite avrebbe permesso a quella nanerottola bionda alta un metro e uno sputo di sua sorella Quarter di mettersi al volante della sua auto, e non solo perché aveva tredici anni.
Quel giorno Los Angeles aveva l'aspetto di un vespaio: grumi ammassati di persone che parlavano al cellulare per i fatti loro, bambini strillanti che si tenevano per mano, controllati dalle rispettive madri, i soliti venditori ambulanti, disposti lungo i marciapiedi come ornamenti.

<< Ehi! >> esclamò. << Come mai tu non hai organizzato una giornata con le tue amiche per visitare i musei e le bellezze cittadine? >>

<< E da quando la nostra città possiede bellezze? Comunque ho tredici anni, non le faccio più, queste scemenze! >>

<< Guarda che non sono scemenze; ogni volta che andavi in giro rincasavi tardi, il che significava per me completo relax fino all'ora di cena.>>

<< Tu intanto vai a fare la spesa. >>, la incitò Quarter. Anche se non poteva vederla, la ragazza intuì che la sorellina ci godeva a comandarla a bacchetta.

<< Se mamma scopre che non sei andata a fare la spesa, come ti aveva chiesto... >> interloquì, col preciso intento di provocarle una potenziale dose di strizza.

<< Tu non glielo dirai. >> ribattè immediatamente Quarter con tono intimidatorio.

<< E tu allora adesso alzi il tuo delicato e ossuto sederino, dai una pulita a tutta la casa, carichi la lavastoviglie, rifai i letti e togli tutte le ragnatele...>>

<< ... Cosa? >>

<< E già che ci sei controlla l'acquario dei pesci, quel dannato filtro continua ad intasarsi... >>

<< Sai? Questi pesci in fondo puzzano e basta... stavo pensando che, visto che manca il cibo per la cena di stasera, potremmo farli alla griglia. >>

<< Piantala di sparare stronzate e vedi di renderti utile! Mamma tornerà stasera alle otto con i suoi colleghi e i pavimenti dovranno essere talmente lucidi che mi ci potrò specchiare! >>

<< Ma va' a cagare, Dakota! >> ringhiò la sorellina, un attimo prima di sbatterle il telefono in faccia.

<< Ti voglio bene anch'io, scema... >> cantilenò la sorella maggiore, prima di chiudere con uno scatto il cellulare, infilandoselo poi in tasca.

Attraversò la strada gremita di bambini e turisti. La mole dei grattacieli proiettava lunghi giochi di ombre che la proteggevano dal rovente sole mattutino del 4 agosto e Dakota si sistemò meglio il libro sottomano, mentre il fiatone iniziava a farsi sentire.
Il suo stomaco urlava dalla fame.
Purtroppo era abituata a parcheggiare l'auto nei pressi del Griffith Park, poiché era quella l'unica zona del quartiere non a pagamento, modestamente lontana dal centro.
Per adesso, l'unica cosa davvero importante da fare era, come soleva dire Quarter, colazionare. Puntò dritta verso il Golden Cake, il suo ristorante preferito.
Ralph, il proprietario, la vide arrivare quando le porte scorrevoli si aprirono per farla entrare, e la accolse con un sorriso riservato solo ai clienti che riteneva più simpatici.
Non ai più abituali.
Ralph non era uno di quelli che pensavano solo al profitto, lui guardava solo l'essenza delle persone, la loro simpatia... e ogni tanto, anche le loro gambe, se si trattava di ragazze atletiche come Dakota, ma si fermava lì. Forse era per questo che le piaceva.
Solo che il sorriso cordiale dell'uomo non durò più di due secondi.

<< Come va oggi, gazzella? >>

Gazzella, puah. Dakota aveva sempre odiato quel nomignolo.
Solo perché eccelleva nella corsa. 
Si stava allenando per correre i mille metri e al momento il suo record era tre minuti e cinquantatré. Non che non ne andasse fiera, ma a causa di una scommessa stipulata taaaaanto tempo prima con la sua adorabile sorellina, ( di cui inoltre Quarter si divertiva a rammentarle), se non fosse riuscita a battere i tre minuti e quarantacinque le sarebbe toccato pulire casa per cinque mesi, scarrozzarla dappertutto ogni qualvolta che la piccola ne avesse avuto voglia, e naturalmente comprarle tutti i nuovi libri che attiravano la sua attenzione nelle librerie.
Quarter Queen adorava leggere.
Romanzi rosa e manga giapponesi.
" I passi dell'amore" e " Lovely complex".

Doppio, triplo puah.

Dakota non vedeva l'ora che Quarter iniziasse a crescere, almeno sua madre l'avrebbe sollevata dall'incarico di badare a quella vipera diciotto ore su ventiquattro. D'altro canto, la capiva. Sua madre lavorava come infermiera al Medical Center di Los Angeles e sovente era costretta a svolgere intensi turni di notte, perciò il giorno seguente era sempre troppo stanca per sbrigare le faccende domestiche, sicché le sorelle si erano divise i compiti.
Quarter sgarrava in continuazione e a Dakota la cosa faceva solo incazzare.

<< Male. >> rispose a Ralph, lasciandogli la solita somma, dodici dollari, sul bancone. Non ci fu nemmeno bisogno che dicesse cose del tipo: << Il solito >>, lui ormai la conosceva quasi quanto se stesso. Dakota fece per dirigersi nella sala da pranzo, al tavolo che ormai era diventato " di sua proprietà ", quando l'uomo la fermò.

<< Oggi ti hanno fregato il posto. >> le fece sapere, lasciandola interdetta. << Ma puoi sederti in quello di fronte, è ancora libero. >> aggiunse, preparando lo scontrino per una giovane coppia che si era fermata alla cassa.

Gli occhi nocciola di Dakota rotolarono verso il soffitto, maledicendo quella mattinata. Subito dopo si diresse a passo scattante verso il tavolo libero, senza però incrociare il volto della persona che aveva usurpato il suo.
Si accomodò mollando con la grazia di uno scaricatore di porto il borsone sul parquet, guadagnandosi delle occhiatacce da parte degli altri clienti. Mentre aspettava che uno dei camerieri le portasse la colazione, aprì il libro di Chimica e cercò di capirci qualcosa.
Doveva finire il più in fretta possibile quei maledetti compiti delle vacanze, non ne poteva più.
Tirò fuori dalla tasca interna del borsone una matita e si sistemò meglio sulla sedia.
Neanche dieci minuti dopo era tentata di gettare il libro nel bidone dei rifiuti, posto in un angolo della sala.
Una delle cameriere la raggiunse con un grande vassoio in mano e le sistemò tutto sul tavolo. Lo stomaco di Dakota prese a cantare dalla felicità e l'acquolina la travolse come un fiume in piena. Si diede giusto un'occhiata attorno per constatare se qualcun altro avesse sentito l'imbarazzante gorgoglio del suo stomaco avido, poi afferrò una delle due pizzette nel piatto grigio. In quello giallo c'erano tre ciambelle al cioccolato, in quello blu biscotti alla cannella e un bicchiere di latte, poi anche un vasetto di yogurt e un pezzo di torta al limone fatta in casa per la quale Dakota nutriva una profonda dipendenza.

Forse mi conviene andare in palestra questo pomeriggio, si ritrovò a pensare, masticando lentamente. Così, una volta terminata la colazione sarebbe andata a comprare ciò che le serviva e sarebbe tornata a casa. Ma così voleva dire compiere due viaggi in macchina... che seccatura.
Mentre divorava la seconda pizzetta, si allungò ad afferrare il giornale sul lato opposto del tavolo. La prima pagina era ancora occupata dal delitto avvenuto quattro giorni prima; un giornalista free-lance di nome Believe Bridesmaid era stato trovato morto nel suo appartamento e con una serie di incisioni create probabilmente con un coltello o con un oggetto affilato lungo tutta la schiena.
E poi le wara ningyo appese alle pareti della stanza.
A Dakota ricordava tanto uno di quei rituali voodoo che aveva visto fare una volta in un film di serie b.
Il resto dell'articolo era un susseguirsi di ipotesi e raccomandazioni da parte della polizia in quanto chiunque fosse, questo omicida avrebbe potuto colpire nuovamente da un giorno all'altro. Non avevano neanche una pista.
Bevve un sorso di latte.
Be', chissà quale novità, dopotutto Los Angeles strabordava di crimini ogni giorno. I cittadini ormai si erano abituati ad assumere varie precauzioni, prima fra tutte, farsi gli affari loro. Lì nessuno dava una mano, o uno imparava a cavarsela da solo oppure rimaneva fregato.
Del genere: " meno impicci, meno impacci."
Si fece aria usando il giornale a mo' di ventaglio e chiedendosi che razza di persona potesse accanirsi in modo così brutale contro un uomo. Sicuramente doveva essersi trattato di questioni personali.
Senza dubbio...
Altrimenti, quale altra giustificazione sarebbe stata plausibile?

<< Come...!? Ehm, u-un altro barattolo? >>

Una voce femminile dal curioso accento stralunato la indusse ad alzare lo sguardo. La cameriera che le aveva portato il vassoio era in piedi di fronte a lei, voltata di schiena e intenta a parlare con l'usurpatore del suo tavolo preferito.

<< Facciamo due. Questa marmellata è davvero ottima. >> rispose una giovane voce maschile, appartenente a un ragazzo, o forse a un giovane uomo, che Dakota non riusciva a vedere a causa della cameriera che le bloccava la visuale.

<< ... Certo. >> mormorò quest'ultima, decidendosi a superare il momento di sorpresa; si voltò, dirigendosi verso le cucine con passi nervosi.

Dakota non capiva. Che c'era di male se quel tizio voleva ancora marmellata?
E quella semplice, banalissima domanda le infuse una profonda curiosità che finalmente si decise a colmare, spostando gli occhi verso l'interessato.

E lo vide.






Certa gente ha la straordinaria capacità di riconoscere i veri lupi, anche quando questi vestono le più innocenti spoglie d'agnelli, è un dono davvero utile se lo si sfutta nella maniera corretta.
Purtroppo Dakota non era fra quelle, ma non era questa la cosa più preoccupante. Ciò che realmente l'aveva lasciata e la stava lasciando tutt'ora alquanto sconcertata e incredula, era che a nessuno, nemmeno all'uomo più idiota sulla faccia della terra, sarebbe venuto in mente di classificare lui come un insospettabile.
Da qualsiasi punto di vista lo si guardasse.
Mistero e diffidenza riverberavano negli occhi di Dakota, intenti a scrutare con profondo scetticismo lo strano esser... uomo... no, ragazzo, accovacciato sulla sedia. Si rigirava tra le mani un barattolo di marmellata vuoto, tenendo gli occhi bassi.
I raggi del sole che penetravano dalla finestra proprio di fianco al suo tavolo ( l'unica con una splendida visuale del parco, per questo Dakota l'adorava ) illuminavano i suoi capelli neri, facendoli brillare come mica.
Intanto, la cameriera tornò.

<< Molto gentile. >> fu la risposta del ragazzo, afferrando uno dei due barattoli appena portati. La cameriera non disse una parola e si dileguò.

Dakota lo fissò, curiosa e perplessa, chiedendosi come avrebbe fatto a mangiarla senza neanche un coltello e una fetta di pane su cui spalmarla, ma poi ciò che il tipo fece una volta tolto il coperchio la lasciò completamente incredula.
Infilando le dita lunghe, pallide e affusolate all'interno del vasetto, tirò fuori un grumo di marmellata rossa e prese a leccarla con gusto.
Così, davanti a tutti, in un luogo pubblico.
Dakota faticò a trattenere un gemito sconcertato.
Leccava con foga, con un'inarrestabile ingordigia che lei non aveva mai visto nemmeno in sua sorella.
Finì il barattolo nel giro di due minuti; poi, senza perdere tempo passò al secondo.
Quella non era una colazione, era un'overdose.
Quello svitato si stava letteralmente facendo un'overdose di marmellata.
D'un tratto i suoi occhi si staccarono da quella che per lui sembrava essere pura ambrosia degli dei, per poi posarsi su quelli della ragazza.
Smettila di fissarlo, smettila di fissarlo, smettila stupida!!!
Dakota ormai era completamente imbambolata, vittima dello stupore e dell'angoscia.
Quegli occhi neri la scrutavano silenziosi e senza alcun pudore, mentre la lingua continuava a muoversi su e giù, ripulendo quelle dita immacolate dalla più insignificante macchia scarlatta.
Dakota vide le sue labbra curvarsi appena in uno sbilenco sorriso.
Deglutì, a disagio.

Sospetto.

Fu ciò che quello sguardo anormale le aveva provocato.

Disgusto.

Prudenza.

Angoscia.

Improvvisamente si alzò, afferrando libro e borsone da ginnastica.

Paura.

Si diresse verso l'uscita passandogli accanto e ignorandolo completamente.

Uscì il più in fretta possibile dal ristorante, incamminandosi tra la folla. Non riusciva a capire il motivo, ma avvertiva un insopportabile fastidio allo stomaco e non per colpa del cibo.
Mentre si allontanava, la sensazione permase; la avvertiva anche dietro la nuca, come se quei laghi neri la stessero ancora osservando dalla finestra del locale.

Solo più tardi avrebbe forse compreso il motivo di quell'inquietudine.





                                                                                                 
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Quarter Queen aveva appena finito di dare da mangiare ai pesci tropicali di sua madre. Era pomeriggio inoltrato ormai e ogni singola costola della schiena invocava pietà a causa di tutti i pavimenti lavati.
Il suo fisico basso e mingherlino non era decisamente adatto ai lavori domestici. Dakota gliel'avrebbe pagata cara...
Tornò a fissare l'acquario. Non aveva mai visto pesci più brutti di quelli. L'unica cosa che si salvava forse era il loro colore sgargiante e vivace, ma sembravano tutti strabici, molto più dei comuni pesci rossi. 
Controllò l'ora sul pendolo, in soggiorno. Le 18.16.
Dakota era in stratosferico ritardo e lei aveva apparecchiato la tavola da un pezzo.
Afferrò il cordless sul mobiletto in legno di ciliegio del salotto e compose il numero di cellulare della sorella.
 
 
 
 
 
<< ...Ma che diamine! Rimbambito, ho la precedenza io qui!! >> strillò Dakota, clacsonando aggressivamente contro il pick up che aveva avuto la brillante idea di tentare un sorpasso nel bel mezzo dell'ingorgo. Per poco non le aveva fatto saltare via il fanalino sinistro.
Era una sacrosanta rottura di scatole, ogni giorno, dalle 18 alle 20 traffico era la parola d'ordine per i temerari che si addentravano nelle strade di Los Angeles. Era l'orario in cui un sacco di gente terminava di lavorare e non vedeva l'ora di tornare a casa, farsi una doccia e gustarsi un pasto caldo, per poi uscire e godersi la serata sotto le luci che avvolgevano la Città degli Angeli.
Sbuffò, colta da un intenso attacco di sfinimento.
Spesa fatta, ginnastica fatta. Era sudata marcia.
In palestra aveva incontrato alcuni compagni di liceo e ne aveva approfittato per andare a bere qualcosa con loro. Si era accorta dell'ora solo quando la madre le aveva inviato un messaggio, ricordandole di usare il servizio di piatti in porcellana blu per apparecchiare la tavola.
Ed eccola qui adesso, intossicata dal calore e dallo smog di almeno un centinaio di veicoli.
Il cellulare sul cruscotto prese a vibrare.
Lesse il nome sul display: Quarter Qua Qua Queen. In realtà quello era il numero di casa, ma siccome alla sorellina non era permesso possedere un cellulare, Dakota aveva improvvisato un nomignolo tutto per lei, quando ancora la sua vocetta infantile le ricordava il verso delle papere.

<< Pessimo momento per farmi la predica, piccola. >>

<< Dove cavolo sei, lo posso sapere? >> l'attaccò immediatamente la tredicenne.

<< Sono a cinque minuti da casa in auto, il problema è che sono nel mezzo di un bell'imbuto automobilistico. >> rispose sinceramente la ragazza, strofinandosi gli occhi con una mano. 

<< No, non dirmelo! >>

<< Te l'ho appena detto. >> ribattè Dakota, evidenziando l'ovvietà.

<< Per quanto pensi di averne ancora? >> le chiese la sorellina.

<< Mah. Facciamo quaranta minuti al massimo. >>

<< Ho capito... vabbe', ti aspetto. Cerca di fare il più presto possibile, però. >>

<< Ci proverò. Ehi, aspetta! Fammi un favore, vai sulla mia e-mail e controlla se il mio istruttore mi ha mandato l'invito di partecipazione alla gara estiva della campestre! >>

<< Tanto non riuscirai a vincere la scommessa... >>

<< Taci e fai come ti ho detto. >> la zittì Dakota, mentre la coda di veicoli avanzava di dieci centimetri.

<< Password? >>

<< 14041989 >>

<< Ehi, è la mia data di nascita!>>

<< E allora? Datti una mossa, su!>>
 
 
 
 
 
 

Quarter spalancò gli occhi.

<< Ehi, è la mia data di nascita! >>

Bella questa!
Perché non aveva inserito la sua?

<< E allora? Datti una mossa, su! >> la rimbeccò la sorella, impaziente.

Quarter si apprestò a fare come le era stato detto, quando sentì suonare il campanello.

<< Aspetta, hanno suonato! >>

Si allontanò dalla scrivania e uscì dalla camera di Dakota, dirigendosi verso la porta d'ingresso.
 
 
 
 
 
 
Dakota aggrottò la fronte.

<< Ma chi è? Non può essere la mamma, è troppo presto... >>

<< E che ne so io? >>
 
 
 
 
 

Guardò dallo spioncino della porta e rimase perplessa.

<< E questo chi è...? >>

<< Chi? >>

<< Non so chi sia... aspetta, resta in linea un momento... >> rispose la bambina, prima di aprire la porta.
 
 
 
 
 


Dakota si lasciò sfuggire l'ennesimo sbuffo, che le fece svolazzare una ciocca di capelli castani sulla fronte.
Si mise a canticchiare mentre attendeva la risposta della sorella.
Udì la serratura della porta scattare, il cigolio dei cardini e infine la voce della sorellina.

<< Che cosa vuoi? >>

Dakota non capì immediatamente cosa successe pochi istanti dopo.
Smise di canticchiare quando sentì dei rumori molto strani, rantoli soffocati uniti a gemiti di sorpresa.
Si sforzò di ascoltare con più attenzione e per un attimo pensò che la sorella le stesse facendo uno scherzo.

<< Quarter? >>

Non le rispose.

<< Ehi, che succede, rispondi! >>

Lo schianto che udì un secondo dopo fu talmente forte da farle fischiare l'orecchio e gelare le ossa dal terrore.
 
 
 
 
 

Lui l'aveva aggredita senza alcun preavviso, neanche un'emozione gli aveva contrastato il volto impassibile, seminascosto dai capelli neri, mentre con una mano le afferrava il volto, soffocandole le urla di sorpresa.
Una mano della ragazzina corse automaticamente ad avvolgergli il polso, nel tentativo di fargli mollare la presa, l'altra reggeva un cordless in mano.
Senza sprecare neppure un secondo, aumentò la stretta sul suo volto e con una spinta la buttò per terra.
Quarter Queen lanciò un grido terrorizzato, rialzandosi in fretta e cercando di raggiungere la porta, ma il killer la richiuse con un calcio, bloccandola all'interno dell'appartamento.
 
 
 
 
 
 

<< Quarter? Quarter!?! >>

Adesso la mano sinistra di Dakota stringeva convulsamente il volante, le nocche bianchissime, le orecchie ferite dalle urla che udiva dall'apparecchio.

<< Quarter, ma che sta succedendo?! >>

<< Aaaaaaaaaaaaaahhhhhh!!! Dakotaaaa!!!!!! >> 

Fu il grido più agghiacciante che l'orecchio umano avrebbe mai potuto sentire.
Bastò a far perdere un battito alla ragazza, che improvvisamente atterrita si slacciò la cintura, balbettando:

<< Chia... chiamo subito aiuto, non aver paura!!! >>

Uscì dall'auto in preda al panico.
 
 
 
 
 
 

L'intruso la afferrò con forza per i capelli biondi, strappandoglieli, sollevandola come se fosse un pupazzo di cinque chili, per poi scagliarla brutalmente contro la tavola apparecchiata.
Il colpo fece rovesciare il mobile e Quarter si ritrovò una scheggia di legno nel ginocchio. Singhiozzando, si aggrappò ai bordi per rialzarsi, ma lui le fu di nuovo addosso.
 
 
 
 
 
 

<< Signore, per favore, chiami la polizia per me!! Signore... signore!! Per favore... >> gridò Dakota, bussando con forza contro il finestrino dell'Audi nera che l'uomo al suo interno si era apprestato a sollevare, con aria disgustata.

<< Vi prego, aiutatemi, è urgente! >> ritentò, ma nessuno sembrava prenderla sul serio.

Zigzagò tra i veicoli, urlando a squarciagola.
Le urla continuavano, incessanti. Le sentiva tutte attraverso il cellulare.

<< Qualcuno ha un telefono?! >> supplicò allo stremo delle forze. Quasi le parve un miracolo quando un giovane ragazzo in moto le disse di sì.

<< Ehi, tu laggiù!! Sposta quella macchina, stai bloccando tutti, stupida!! >> gridò un uomo la cui testa sporgeva dal finestrino di un tir, una decina di metri dietro di lei.

<< Grazie! Puoi chiamare la polizia per me? Dì loro di andare a casa mia subito, Third Avenue, appartamento 605!!!  Quarter! >> gridò poi, al cellulare. << Mi senti? Ho fatto chiamare la polizia, presto saranno lì! Ti prego, resisti!! Io sto con te al telefono, non ti lascio!! >>
 
 
 
 
 

<< Io sto con te al telefono, non ti lascio!! >>

Il cordless giaceva a un paio di metri da lei, il vivavoce era attivo e lei poteva ancora sentire la voce spezzata e affannata della sorella.
Gli occhi della bambina piangevano fontane di lacrime, mentre tossiva sangue a causa del calcio che quel mostro le aveva appena inferto nello sterno.
Tentò di rialzarsi per fuggire.
Chiudersi in camera.
Allontanarsi da lui.
Fu inutile.
Un secondo calcio la colpì in pieno petto, quando era ancora inginocchiata. L'impatto la fece cadere di schiena sul pavimento. Lui le si mise addosso, inchiodandole le braccia in una morsa degna di un serpente.

Usò l'altra mano per serrarle la gola.
 
 
 
 
 
 

<< Sto correndo da te, Quarter! Non aver paura, tra poco sarò a casa! Ti prego, resisti Quarter!!! >>
 
 
 
 

Dakota...!, pensò disperatamente Quarter, focalizzando nella sua mente oltraggiata il volto e la voce calda della sorella.
Non seppe come, ma riuscì a mordergli la mano che la strangolava.
Il suo assalitore si lasciò sfuggire un'esclamazione di dolore, per poi serrare la mano a pugno e colpirla con forza animalesca, fratturandole il naso.
Le si tolse di dosso e le afferrò con le mani i lati della testa. Infine, con un forte movimento verso destra, la mandò a sbattere con la tempia direttamente contro lo spigolo del tavolo ribaltato.
 
 
 
 
 

Corse.
Corse come non aveva mai fatto in vita sua, scavalcando i cofani delle auto per giungere dall'altro lato della strada, corse, corse, corse.
Pur avendo le gambe rigide come il piombo, la sua mente oltrepassava i confini del tempo, percependo le grida, il pianto disperato carico di dolore, i colpi, i tonfi, rumore di oggetti spezzati...
In una frazione di secondo le tornarono a scorrere sotto la pelle, sotto ogni terminazione nervosa, tutte quelle sensazioni...
 
Sospetto.
Disgusto.
Prudenza.
Angoscia.
Paura.
 
<< Senti la mia voce, Quarter! Sono qui con te, piccola, non ti lascio...!! >>

Un colpo inaspettato di clacson, una sterzata... Dakota fece appena in tempo a realizzare che un taxi le stava arrivando addosso e che lei stava attraversando di corsa l'ultima corsia prima del marciapiede.
Gli pneumatici stridettero, il taxi slittò bruscamente nel tentativo di deviarla... tuttavia, la prese comunque.
Dakota si sentì sbalzata in avanti di almeno un paio di metri e il cellulare le sfuggì di mano. Tutt'intorno a lei si riempì di clacsonate, esclamazioni concitate.
I suoi polmoni si svuotarono di tutto il fiato trattenuto in quel momento e Dakota si rimise in piedi, traballando.
Stava bene.
D'un tratto, le gambe le cedettero e lei crollò a terra, sbucciandosi le ginocchia contro l'asfalto bollente.
Si mosse carponi, raggiungendo a fatica il cellulare.
Il conducente del taxi era sceso, preoccupatissimo, chiedendole se stesse bene.
Dakota dovette far ricorso a tutta la sua forza per far sì che le mani smettessero di tremare, quel tanto che bastava per tenere il cellulare premuto convulsamente contro l'orecchio.

C'era silenzio.
Troppo.

<< Quar... ter...? >> sussurrò, mentre gli occhi iniziavano a bruciare.
 
 
 
 
 
 
L'aggressore l'aveva appena stordita.
Era ancora viva; gli sarebbe bastato un minuto per terminare l'opera.
Ora che la mocciosa non strillava più, una voce attirò la sua attenzione.
Si voltò e vide il cordless, in mezzo a un mucchio di schegge e frammenti di vetro. La lucina verde segnalava che l'apparecchio era in funzione.
Lo prese tra le mani e se lo accostò all'orecchio.
 
 
 
 
 

Fu debole, appena accennato, ma lei lo sentì.
Un rumore.
Come un fruscio, qualcosa che si muoveva.
Poi, un respiro ovattato, appena affannato.

Comprese immediatamente che c'era qualcuno dall'altra parte.

<< Chi c'è? >> sussurrò, gli occhi sgranati dall'orrore.

Il suo cuore batteva così in fretta che minacciava di spaccarle la cassa toracica da un momento all'altro.

<< Chi sei? >> ripetè, senza rendersi conto che stava urlando, ora.

L'ultima cosa che udì fu un click agghiacciante, segno che la telefonata era stata interrotta.






                                                                                    [ continua ]







Questa storia la dedico a Menhiteve.
A te, che disprezzi le ingiustizie.


Questa è la seconda sera di fila che pubblico, non mi era mai capitato.
Onestamente, dopo un primo capitolo del genere, mi è passata la voglia di fare battutine...

Non so quanti di voi apprezzeranno questo tentativo, ma ci tenevo a provarci.
BB è un personaggio che adoro, anche se non penso che gli attribuirò mai più una parte così crudele come in questa storia!! 
Volevo solo offrire il mio tributo al romanzo Another Note... e mi rendo anche conto che non tutti riusciranno a comprendere appieno la storia, proprio perché non tutti hanno letto il romanzo e vi chiedo subito scusa per questo.

Inoltre, volevo provare a valorizzare un legame fraterno. Noto un sacco di mie coetanee che hanno sorelle e che sospirano sempre su quanto io sia fortunata a non averne, ma l'ho sempre pensata diversamente :)

Vi va di lasciarmi un parere riguardo a questo esperimento? :)

P.S. Non voglio approfondire troppo questa storia, perciò penso che la relativa lunghezza raggiungerà al massimo 6 o 7 capitoli. Ah, l'omicidio di Quarter Queen è leggermente differente da come veniva presentato nel romanzo, ho preferito descrivere la scena trasmettendo la tragicità del momento e prendendo come riferimento una parte del film " La prossima vittima".



E con questo, auguro a tutti voi buona notte,

vostra  Luce Lawliet.


 
 



 
 
 
 


                           
                         

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Capitolo 2
*** Ombre di morte nel parco della città. ***







                                                                                                                Strawberry gashes


                              





                                                                                                                                                   2.


                                                         Ombre di morte nel parco della città.








Raggiunse la Third Avenue con il sudore che le colava negli occhi, offuscandole la vista, riuscendo tuttavia a vedere che la polizia era già arrivata, due automobili dalle sirene ancora in funzione erano appostate proprio davanti al suo appartamento, due agenti controllavano la situazione dall'esterno, impedendo ai curiosi di avvicinarsi.
Fermarmi, ho bisogno di fermarmi, pensò con foga, premendosi una mano contro il petto, anche se riusciva perfettamente ad avvertire il rimbombo impazzito del tamburo che aveva preso il posto del suo cuore, mentre con occhi lucidi frugava tra i volti della piccola folla ammassata davanti a casa sua, cercando di riconoscere tra una di quelle facce anche quella della sorella.
Il solo deglutire le provocò un dolore lancinante alla base della gola.
I suoi polmoni bruciavano, le ginocchia erano sanguinanti e sporche di terra.
Controllando a stento il tremore si gettò tra il mucchio di curiosi, dando bruschi spintoni e gridando: << Fatemi passare! Dov'è lei?! >>

Non fece neanche in tempo a muovere un passo in direzione dei gradini che la separavano dal portone d'ingresso spalancato che uno degli agenti le venne incontro, ordinandole di stare indietro.

<< Ci abito qui!! >> urlò di rimando, furiosa. Anche se fosse riuscita a calmarsi, i suoi polmoni erano talmente provati che non sarebbero stati in grado di immagazzinare altro fiato per farla continuare a gridare. Il suo petto si alzava e si abbassava ad un ritmo impressionante.

<< Voglio sapere dov'è! Devo entrare... >> insistette ansimando.

L'agente allentò la presa. Solo in quel momento Dakota si rese conto che la stava trattenendo per la vita, dato che stava cercando di avanzare.

<< Mi dispiace, adesso non è possibile. >> rispose l'uomo.

<< Ma mi dica almeno se sta bene! Ho sentito... >> la ragazza ebbe un fremito e istintivamente allontanò bruscamente le braccia del poliziotto. << C'era un intruso in casa, ne sono sicura! Dov'è ora Quarter? >>

<< Sei una parente? >>

<< E' mia sorella! Mi dica dov'è! Risponda, accidenti! >>

L'attenzione di Dakota venne attirata da qualcosa che a causa della paura e dell'ansia prima non aveva notato: un'ambulanza.
Si bloccò.
Vide due infermieri uscire dall'edificio; spingevano gli estremi di una barella. C'era qualcosa sdraiato sopra, coperto con uno spesso telo bianco.

Non è lei. Non è lei!

<< Ho detto di farmi passare!! >> gridò esasperata, divincolandosi dalla presa austera dell'uomo in borghese e salendo tre gradini alla volta fino a trovarsi davanti alla barella. Non fecero in tempo a fermarla e Dakota sollevò il lenzuolo impregnato di sangue, il cui odore pungente e metallico si percepiva distintamente.
Non fu quando posò gli occhi sul volto del cadavere che il mondo le crollò addosso. Le servirono almeno una decina di secondi per riconoscere sotto quel cranio sfondato da cui si riusciva a vedere l'osso, sotto quei buchi neri coperti di sangue rappreso che aveva al posto degli occhi, sotto quello scempio irreale il viso un tempo fresco e ingenuo di Quarter Queen.
L'odore penetrante del sangue le colpì le narici con la forza di una randellata e la ragazza mollò il telo accasciandosi a terra, premendosi convulsamente lo stomaco con le braccia e sforzandosi con tutta se stessa di non vomitare, mentre gli occhi si arrendevano ormai alla furia cieca delle lacrime.
 
 
 
 
 
 


Los Angeles Police Department.

Mezz'ora di attesa era servita a Dakota per vedere sua madre precipitarsi all'interno della stazione di polizia con addosso ancora il camice da lavoro, ma non ebbe la forza di alzarsi e andarle incontro.
Per fare cosa, poi?
In genere quando una persona riceve una brutta notizia si aspetta parole di conforto, consolatio, rassicurazioni. Dakota strinse con smarrimento la tazza di té fumante che qualcuno, non ricordava neanche più chi, le aveva offerto pochi secondi fa.
Nonostante fosse bollente, aveva bevuto lunghe sorsate per scacciare quella sensazione di gelo e raccapricciante tremore che le avvolgeva le membra. 
Solo un paio di persone avevano provato a consolarla, anche solo calmarla, ma tutti i tentativi erano falliti miseramente.
Sua sorella era stata assassinata.
Non c'era niente da dire.
Serrò le palpebre con forza per non essere costretta a vedere l'espressione sul volto di sua madre dopo che un giovane uomo le spiegò con rammarico quanto era accaduto. Ma non fece in tempo a coprirsi le orecchie e il senso di gelo la travolse nuovamente, più violento e lascivo, non appena iniziarono i gemiti luttuosi e il pianto della donna.
 
 
 
 
 

<< Possiamo tornare a casa, adesso ? >> sussurrò la signora Queen.

I suoi occhi erano rossi e gonfi a causa delle lacrime.

<< Purtroppo per un po' di tempo non potrete restare nel vostro appartamento; alcuni agenti sono stati incaricati di esaminarlo attentamente, è la prassi. Dobbiamo fare tutto il possibile per trovare indizi o qualsiasi cosa ci possa condurre al killer o... ci aiuti a trovarlo. >> rispose l'agente, riordinando una piccola pila di fogli sui quali aveva annotato le risposte delle donne, ma in particolare di Dakota, a tutte le domande che aveva loro rivolto. << Avete dei parenti dai quali andare? Possono ospitarvi? >>

La madre fece un debole cenno d'affermazione con la testa, poi sospirò, passandosi una mano sul volto. Era la nona volta in tre ore che lo faceva, una maschera trasparente per non far notare gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime.

<< Dakota, scusa se te lo chiedo di nuovo... >> ricominciò l'uomo, mantenendo un tono di voce passivo << ma non ti viene proprio in mente nient'altro? Non ha parlato quella persona, non ha detto nessun nome, non hai sentito se era la voce di un uomo o di una do... >>

<< Era un uomo. >> Dakota deglutì tenendo gli occhi fissi sulle sue mani.

<< Ne sei certa? >>

Annuì.

<< Come lo sai? >>

<< Me l'ha detto Quarter. Al telefono. >>

<< Quando? >>

<< Poco prima di farlo. Entrare. In casa. Non lo. Conosceva. >>

<< Quest'uomo ha parlato? >>

Scosse la testa.

<< D'accordo. >> si arrese l'agente, frugando all'interno del taschino della sua giacca e porgendo alla madre un biglietto. << Questo è il mio numero di telefono, nel caso vi tornasse in mente qualsiasi cosa... >>
 
Dakota si rifiutò di ascoltare altro.
Il poliziotto pregò loro di attendere altri due minuti, il tempo di una telefonata per avvertire i loro parenti e alla fine sarebbero state libere di andare.
Fu mentre erano sole che la donna si rivolse alla figlia con una domanda che l'avrebbe fatta annegare nel senso di colpa e nella depressione per tutta la settimana seguente.

<< Ma tu dov'eri? >>

Dakota provò a inspirare, ma i suoi polmoni si rifiutavano di obbedirle. Trattenne il fiato per tutto il tempo, ascoltando il rumore delle lancette del grosso orologio quadrato appeso alla parete di fronte a loro che con il loro ticchettio sostituivano malamente il silenzio causato dalla risposta mancante.
La madre ora la fissava con gli occhi lucidi.

<< A quell'ora... saresti già dovuta tornare a casa. Perché hai tardato? Dov'eri? >> insistette, alzando la voce.
Dakota inizialmente boccheggiò.

<< Sta-stai accusando me? Mamma, stai accusando me?! >> ribattè, sul punto di piangere nuovamente.

<< No, io... oddio, non volevo! >> la signora Queen abbracciò con forza la ragazza, accarezzandole i capelli con foga, come se da un momento all'altro qualcuno avrebbe varcato la porta semichiusa di quello studio pretendendo di portarle via anche l'unica figlia che le era rimasta. << Mi dispiace tanto Dakota, non dicevo sul serio. >> si tirò su, raddrizzandosi sulla sedia quando l'uomo ricomparve.

<< Potete andare. >>
 
 
 
 
 
                                                     
 
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                                                                                                  5 agosto.
 
 
                                                                                                  6 agosto.
 
 
                                                                                                  7 agosto.
 
 
                                                                                                   8 agosto.
 
 
                                                                                                  9 agosto.
 
 
                                                                                                 10 agosto.
 
 
                                                                                                 11 agosto.
 
 
                                                                                                 12 agosto.
 
 
                                                                                                 13 agosto.
 
 
                                                                                                 14 agosto.
                                                              
 
 
 
 
 
                                                                                               ۝۝۝
 
 
 
 
 
 
                                                                                               15 agosto.
 
 
 
La borsa a tracolla blu di Dakota giaceva abbandonata sul letto disfatto di sua cugina che da dieci giorni era diventato di sua proprietà, malgrado i tentativi della ragazza di convincere i nonni che il divano in salotto sarebbe andato più che bene.
Di una cosa era certa: nel periodo di tempo trascorso in quella casa non era stata assolutamente di peso, dato che si era comportata come un fantasma. Rimaneva chiusa in camera a soffocare le urla contro il cuscino, a riempire di pugni l'armadio e la parete, a rompere cd, a stracciare vestiti, rifiutando il cibo che i parenti le lasciavano davanti alla porta.
Diversa era la situazione per sua madre. La donna si era messa con tutte le sue forze di buona lena per accettare la cosa, sforzandosi di tornare il più in fretta possibile alla normalità. Doveva dare il buon esempio a Dakota, così affermava, anche se la ragazza sapeva perfettamente che era ancora più abbattuta di lei.
Era passata poco più di una settimana dal fatto e anche se l'omicidio di Quarter si era ingigantito, occupando interamente la prima pagina del Los Angeles Times, adesso una terza uccisione, avvenuta solo due giorni prima emergeva sul giornale: Backyard Bottomslash, una donna di ventott'anni trovata morta nel suo appartamento, con alcuni pezzi del suo corpo sparpagliati per le stanze. Anzi, per essere pignoli avevano trovato solo la sua gamba destra, nel bagno, mentre il braccio sinistro era stato " sradicato " e portato via.
In altre circostanze la cosa non avrebbe attirato l'attenzione di Dakota, non fosse stato per un semplice, ma intrascurabile dettaglio: appese ai muri della stanza in cui era stata trovata la vittima c'erano quelle bamboline di paglia che la polizia aveva visto già dopo l'omicidio del 31 luglio di quello scrittore, Believe Bridesmaid... le bambole voodoo... le wara ningyo.
Quel pazzo assassino le aveva sistemate anche nel loro appartamento, proprio dove aveva ammazzato Quarter, le aveva inchiodate, lasciandole lì, come per fare la guardia al cadavere, per osservare ciò che rimaneva di quella bambina, scrutandola con occhi invisibili.
I media avevano soprannominato questa serie di omicidi, che ormai tutti avevano compreso dovessero essere in qualche modo connessi tra di loro Omicidi Wara Ningyo.
Che dire, davvero originale.
 
Dakota ficcò il cellulare nella borsa e uscì alla svelta dalla stanza e dall'abitazione, con un rapido << A dopo >>, piatto e disinteressato verso sua nonna, la quale si era ormai rassegnata al suo costante e distaccato malumore.
 
 
 
 
 

Essendole rimasto solo un biglietto per la corriera e non avendo voglia di entrare dal tabaccaio ad acquistarne un nuovo plico, decise che avrebbe usufruito del veicolo pubblico al ritorno. Così si incamminò, mettendoci quasi un'ora per giungere all'appartamento 605 nella Third Avenue, la sua casa.
Aprì il portone d'ingresso e salì i gradini che portavano al suo appartamento, mentre l'ansia cresceva ad ogni piolo.
Quando però si trovò davanti alla porta, si bloccò.
La chiave tremò appena tra le sue dita, pervase dal terrore nell'immaginare che si trovava proprio dov'era stato quel brutale assassino, poco prima di entrare in casa. Con gli occhi di quel pazzo le sembrò di assistere al momento in cui la sorellina apriva la porta, l'espressione scocciata e al contempo incuriosita ancora stampata sul suo faccino tondo, guardandolo con sorpresa e chiedendosi chi fosse o cosa volesse da lei.
Quanto era durato il tutto?
20 secondi?
20 minuti?
Quanto era servito al killer per accanirsi su una bambina, picchiandola a sangue fino a che non era rimasto più nulla di integro in lei, per cavarle gli occhi ( probabilmente con le sue stesse mani ), per eliminare le impronte e per inchiodare le wara ningyo ai muri?
Con rabbia fece girare la chiave nella serratura, per poi aprire la porta con uno scatto.
Ma perché lo stava facendo?
Varcò l'ingresso, chiudendosi la porta alle spalle.
Così rischiava di contaminare la scena del crimine, in questo modo avrebbe solo reso più difficoltoso il lavoro dei...

Tutte cazzate!!!, pensò furiosa.

In quei giorni era tornata di sua volontà almeno cinque volte al dipartimento e aveva contattato gli agenti per telefono, ma non erano riusciti a fare neanche un passo avanti, nessun indizio, nessun sospetto, un accidenti di niente.
Per cui, ciò che venne logico pensare a Dakota era che, o non erano in grado di fare il loro lavoro, oppure ( molto più probabile ) le informazioni di cui disponevano non potevano ancora essere rese di pubblico dominio e la ragazza non poteva sopportarlo.
Andò nella loro camera da letto.
La luce del sole faceva capolino timidamente da una striscia che le tende della finestra non coprivano, regalando alla stanza un aspetto irreale, celato dalla penombra.
Dakota si diresse verso la finestra e tirò le tende, illuminando così i due letti, la scrivania con sopra il computer e i libri scolastici, la sedia sulla quale la sorellina era solita buttare tutti i suoi vestiti, quando non aveva voglia di sistemarli ordinatamente nell'armadio di fianco al letto, e infine il comodino, vicino alla scrivania.
Le wara ningyo erano state tolte dalle pareti; si vedevano ancora i segni lasciati impressi dai chiodi, e anche il sangue era stato premurosamente rimosso.
Gli occhi di Dakota si spostarono sul portagioie della sorella. Si trattava di una semplice scatola di carta che la ragazzina aveva costruito con le sue mani, per poi dipingerla e glitterarla dappertutto, conferendole un aspetto piuttosto fiabesco.
Sollevò il coperchio, sapendo cosa avrebbe trovato all'interno, oltre ai braccialetti di plastica, agli anelli d'argento e ai fermacapelli piumosi che sua sorella tanto adorava: attaccata con un pezzo di scotch sotto il coperchio c'era una foto di lei e Quarter in posa, mentre erano sedute insieme su un'altalena nei pressi del Griffith Park.
Aveva due anni, quella foto. Quarter aveva sempre fatto attenzione a non stropicciarla, diceva sempre che quello era uno scatto d'autore, sebbene la foto fosse stata scattata dalla polaroid della madre nel momento in cui le sorelle volteggiavano sull'altalena con i capelli che danzavano sui volti allegri, mentre cercavano di non perdere l'equilibrio.
Era stata scattata il giorno del compleanno di Quarter. Dakota le aveva regalato una collana d'oro bianco, con appeso un ciondolino a forma di lucchetto.
Lei ne aveva uno identico, con appesa la chiave.
Quarter indossava sempre quella collana, l'aveva addosso anche quel giorno, il 4 agosto. Quando però era stato trovato il corpo, della collana neanche l'ombra; presumibilmente, il killer se l'era portata via.
Però la cosa aveva un che di inspiegabile: se si fosse trattato di gioielli, ce n'erano altri di molto più valore in confronto a quella collana, allora perché non prendere quelli?

Non fece in tempo ad andare oltre con i sospetti; sentì lo scatto che fece la serratura quando qualcuno aprì dall'esterno la porta d'ingresso.

Oh, accidenti!

Mollò il coperchio sul portagioie e si guardò intorno, indecisa su cosa fare. Chi, oltre a lei, possedeva la chiave dell'appartamento?
Sua madre?
No, impossibile, sua madre non avrebbe avuto ancora abbastanza coraggio da tornare in casa così presto, non dopo quello che era accaduto.
Forse era qualche investigatore... ma certo, che stupida! Come aveva fatto a non pensarci? Forse non avevano ancora terminato le ricerche in casa...

E adesso?

Se la beccavano lì erano guai. Non tanto per lei, ma non le andava di farsi interrogare nuovamente dalla polizia. E poi non avrebbe dovuto trovarsi lì a prescindere, quella casa era ancora sotto osservazione.
Le bastò un attimo per decidere e si precipitò ad aprire la finestra, uscendo poi sul balcone. Lasciò l'anta socchiusa e si nascose in una rientranza nel muro di mattoni collegata alla ringhiera arruginita in ferro. Il suo appartamento era situato al terzo piano; c'era la scala antincendio, non ci sarebbero stati problemi se avesse fatto piano.
Tuttavia, mentre stava per sbloccare la prima rampa, ebbe un attimo di esitazione. Si voltò a sbirciare l'interno della stanza. Qualcuno era appena entrato.
La leggera inclinazione del battente trasparente le permetteva di avere una visuale quasi completa in tutta la camera, sicché notò lo sconosciuto avvicinarsi al comodino e prendere tra il pollice e l'indice la piccola sveglia a forma di timone di Quarter.

<< E' in ritardo... >> disse tra sé e sé l'uomo.

Dakota aggrottò la fronte.
Chi era in ritardo?
Doveva venire qualcun altro a perlustrare la casa?

Silenziosa come un gatto si accucciò per terra, osservando con attenzione gli spostamenti della persona che si aggirava per tutta la stanza. Istintivamente, fu colta da uno strano deja vù. Lo sconosciuto continuò ad osservare tutte le cose presenti nella stanza, avvicinandosi ogni tanto alla finestra e permettendo così a Dakota di notare che si trattava di un giovane uomo, o forse addirittura un ragazzo. Non riusciva a capirlo, ma era sicuramente più grande di lei.
Maglietta bianca, jeans stinti e larghissimi, capelli neri e scompigliati... più che un detective, a Dakota pareva tanto un senzatetto.
Ma dove l'aveva già visto?
Si sforzò di ricordare.
Intanto, lui si era avvicinato al mobile e aveva iniziato a frugare fra i cassetti.
La ragazza non fece in tempo a domandarsi cosa sperava di trovare di tanto interessante lì dentro, che lo sconosciuto tirò fuori un reggiseno color pesca, rimanendo a fissarlo. Nell'animo di Dakota cominciò a farsi strada un'intensa nota di irritazione.
Ma che diavolo stava facendo?
Il ragazzo se lo rigirò tra le mani, con aria compiaciuta.
Dakota sentì crescere dentro di lei un vago senso di disagio. Per quale motivo quell'idiota se ne stava fermo a contemplare il suo reggiseno preferito ( il cassetto era pieno dei suoi reggiseni, dato che pur avendo tredici anni Quarter era sempre stata piatta come un asse da stiro e non aveva mai avuto bisogno ), come se non ne avesse mai visto uno in vita sua?
Per un secondo prese davvero in considerazione l'idea di uscire dal suo nascondiglio esterno per urlare contro quella sottospecie di pedofilo incapace di mantenere una postura dritta e normale.

Per fortuna una seconda figura fece il suo ingresso nella stanza. Si trattava di una giovane donna dai lunghi capelli neri e l'aria professionale.

<< Ah, Misora. Sei in ritardo. >> le fece notare il ragazzo senza neppure voltarsi. Dakota ebbe la soddisfazione di vedere che anche la faccia della donna si fece stralunata quando notò quello che il collega stringeva tra le mani. << Per favore, cerca di essere puntuale. Il tempo è denaro, e quindi vita. >>

Tsk, che cafone.

Saggiamente la donna decise di passare oltre, iniziando con il lavoro.
A Dakota venne un'idea. Siccome, a quanto pareva la polizia non faceva passi avanti con le indagini ( e dato che quei due sembravano appartenere a un rango diverso, più elevato ) decise di rimanere lì. Magari avrebbero scoperto qualcosa di interessante, forse sarebbe riuscita ad ascoltare qualche loro discorso riguardante l'omicidio della sorellina.
E dal quel momento non perse una loro mossa.

Purtroppo trovò faticosissimo seguire i loro scambi di opinioni, probabilmente avevano ricominciato il discorso dal punto in cui l'avevano lasciato in sospeso, magari circa la morte della prima vittima.

<< Cosa faresti, Ryuzaki? Se tu stessi cercando di chiuderla dall'esterno? >> gli chiese la donna, indicando la porta.

<< Userei una chiave. >>

<< No, non in quel senso... se tu avessi perso la chiave. >>

<< Userei una chiave di riserva. >>

<< Neanche in quel senso... se non avessi nemmeno la chiave di riserva! >>

<< Allora non la chiuderei. >>

La donna si spostò verso la scrivania e osservò attentamente la stanza da un'angolazione differente.

<< Anche se il killer ha fatto in fretta, mi sembra improbabile che nessuno abbia sentito neppure un urlo... >>

<< Uhm... già. >>

In realtà a quel dubbio Dakota avrebbe saputo rispondere benissimo.
L'edificio vantava alloggi piuttosto piccoli, al massimo per tre persone. Per lo più li affittavano studenti universitari che se ne stavano fuori per tutta la giornata, o a scuola o in biblioteca. Sopra di loro abitava un ragazzo che studiava legge, ma che era partito per una vacanza in Europa da circa due settimane e l'anziano signor Hescom, che viveva sotto di loro, non lasciava quasi mai l'edificio, ma era quasi del tutto sordo.
Quindi, nessuno l'aveva sentita urlare.

La donna sospirò. << Uccidere una bambina... che cosa orribile. >>

<< Anche uccidere un adulto è orribile, Misora. Uccidere un bambino o un adulto è ugualmente orribile. >> ribattè quello che si chiamava Ryuzaki.

Lì per lì Dakota fu tentata di assalirlo.
Uguale?
Uguale?!
Quel ragazzo riteneva non ci fosse alcuna differenza tra l'uccidere un bambino e un adulto? Ce n'era eccome.
Discussero anche su una possibile ipotesi di furto, ma alla fine, proprio come aveva fatto Dakota, la accantonarono decisamente.
Poi decisero di fare una pausa e si diressero in cucina per una tazza di caffè.

Dakota sospirò, strofinandosi il volto con le mani per allontanare la stanchezza. A forza di rimanere accucciata in quel modo le si erano indolenzite le gambe.
Possibile che alla fine l'assassino altro non fosse se non un malato mentale?
Insomma, si era divertito ad ammazzare tre persone che non avevano niente in comune tra loro, non erano ricche o influenti, ma normali.
E allora, quale significato nascondevano le wara ningyo? Qual'era il collegamento?

<< Ryuzaki! >> esclamò la donna dopo qualche minuto.

Tornarono entrambi nella camera.

<< Che c'è? >>

<< La fotografia! >>

<< Oh, intendi quella della terza scena del crimine? >>

<< Noti nulla di innaturale nelle immagini? >> volle sapere la donna.

<< Sono tutti morti? >>

<< Sii serio. Guarda, i corpi sono in posizioni diverse. Believe Bridesmaid è sulla schiena, Quarter Queen è sulla fronte,  Backyard Bottomslash è sulla schiena. Schiena, fronte, schiena! >>

<< E con questo? Intendi che la prossima vittima verrà trovata a faccia in giù? >>

<< No. In realtà pensavo che lo stesso fatto che la ragazzina fosse a faccia in giù era di per sè innaturale. Tu prima hai ipotizzato un probabile collegamento in base alle iniziali dei nomi delle vittime. B.B., Q.Q., B.B... forse avevi ragione. >>

Dakota rimase sbigottita. Già, era vero... lei non l'aveva notato. Be', ma cosa stava a significare...? L'assassino sceglieva le vittime in base alle loro iniziali?

<< Alla fine, si tratta solo di un'alternanza, di un riflesso. L'ho capito quando ero in bagno, mentre mi guardavo allo specchio... >> continuò la donna. << Pensa anche all'arco di tempo che distanzia la morte delle rispettive vittime. Nove giorni, quattro giorni, nove giorni. B.B., Q.Q., B.B., schiena, fronte, schiena... e se fossero solo un riflesso della stessa cosa? Anche le le loro iniziali... B e Q hanno la stessa forma! >>

<< Ma che stai dicendo? Sono completamente diverse! >>

<< Sì, se le guardi scritte in maiuscolo. Ma quando sono minuscole... b, q. >>

<< Quindi pensi sia per questo che il killer ha messo la bambina a faccia in giù? >> ipotizzò Ryuzaki. << Ma questa teoria non ha senso. Le iniziali dei nomi sono sempre scritte maiuscole. >>

Quell'ultima affermazione bastò a far peggiorare di colpo l'umore della donna.

<< E io che pensavo di aver trovato qualcosa... >> si lasciò sfuggire, senza nascondere l'evidente delusione.

<< Su, Misora, non prendertela... francamente, sono contento che la tua teoria non stia in piedi... sarebbe un orrore dover ammettere che l'assassino abbia avuto questo motivo per ucciderla... che orribile ragione per una bambina, morire nel pieno della sua adolescenza! >>

Dakota rimase perplessa. Ma come, se aveva appena detto che non c'era differenza tra l'uccidere un adulto e un bambino, allora cosa...

<< Invece no, Ryuzaki. >> ribattè improvvisamente la donna. << Anzi, in questo caso il minuscolo è perfetto... è per questo che il killer ha scelto una bambina... dato che era piccola è giusto considerare il minuscolo... per questo l'ha messa a faccia in giù. >>




                                                                                                
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<< Bene Misora, direi che per oggi abbiamo finito >> sentenziò il ragazzo dandosi delle pacche sui pantaloni, dopo che aveva gattonato per tutta la stanza alla ricerca di chissà cosa, sotto lo sguardo incredulo di Dakota.
 
<< Ci vediamo domani. >>

<< Tu non vieni? >> gli chiese la donna, mentre si infilava la giacca.

<< Ho lasciato della marmellata di fragole in frigo, avevo intenzione di mangiarla prima di...? >> non completò la frase.

Dakota si sporse un po' di più a guardare.
Il tizio di nome Ryuzaki si era fermato a fissare qualcosa sul comodino... il portagioie. Solo in quel momento Dakota notò di non averlo richiuso. Aveva lasciato il coperchio sopra, senza incastrarlo bene sulla scatola non appena aveva sentito qualcuno entrare dalla porta d'ingresso.
Il ragazzo si avvicinò alla scatola e sfiorò il coperchio con le dita.

<< Misora. >> la chiamò, quando la donna fece per andarsene.

<< Cosa c'è? >>

<< Oltre a noi due e alla polizia che ha esaminato la stanza tre giorni fa, c'è stato qualcun altro, qui? >>

La donna parve spiazzata da quella domanda. << Non credo proprio. Perché? >>

Ryuzaki prese delicatamente il coperchio e lo girò, esponendo la fotografia che ritraeva le due sorelle insieme.
Poi lo rimise al suo posto, voltandosi a perlustrare tutta la stanza con occhi diversi. Come se non stesse più cercando qualcosa, ma qualcuno.
Dakota fu assalita da una strana inquietudine. Non se n'era mica accorto?
Si rattrappì contro il muro, pronta a usare la scala antincendio.

<< Oh, non fa niente. Ero curioso. >> mormorò infine quello strano tipo.

Dakota attese che la donna uscisse dall'edificio, e che svoltasse l'angolo della Third Avenue. Il ragazzo di nome Ryuzaki uscì dalla stanza, dirigendosi in cucina e lei ne approfittò per sbloccare la prima rampa, che si allungò con un cigolio prolungato. Restò immobile, sperando che il ragazzo non avesse sentito. Quasi le sfuggì un'imprecazione quando tornò nella stanza, stringendo un barattolo di marmellata di fragole tra le mani... marmellata di fragole.

Riecco il deja vù.
Lo vide succhiarsi le dita con gusto, mentre infilava la mano nel barattolo e, d'un tratto, ricordò dove l'aveva già visto. Finì il contenuto nel giro di due minuti, pulendosi la mano sui jeans.
Si diresse verso la parete di fianco al letto, toccando con il dito il punto in cui avrebbe dovuto esserci la bambolina di paglia.

<< Qualcosa che dovrebbe esserci, ma che non c'è... >> disse, sorridendo. Dakota aveva già sentito quella frase, l'aveva ripetuta l'agente Misora almeno tre o quattro volte, mentre esaminava tutta la stanza.
Poi, di punto in bianco Ryuzaki scoppiò a ridere. Frugò con una mano all'interno della tasca posteriore dei jeans sformati, per poi tirare fuori uno strano filo luccicante.

Un momento, no... non era un filo.

Il cuore di Dakota perse un battito.

Il ragazzo di nome Ryuzaki si incamminò nuovamente in cucina, ma questa volta lei rientrò nella stanza, raggiungendo la porta. Era voltato di spalle, perciò non la vide, ma gli occhi di Dakota si concentrarono sull'oggetto intrappolato fra le sue dita.

La collana di Quarter.

Anche a quella distanza poteva vedere gli schizzi di sangue incrostati sul ciondolo a forma di lucchetto.

Cosa...?!

Iniziò ad ansimare.
Perché ce l'aveva lui?
Lentamente, un dubbio atroce si insinuò nella sua mente...
Senza quasi rendersene conto indietreggiò bruscamente, urtando la scrivania, e il portapenne di alluminio appoggiato sul bordo cadde per terra con un forte fragore metallico, sparpagliando pennarelli e matite ovunque. Dakota si bloccò dal terrore, quando anche lui si irrigidì.
Con uno scatto la ragazza corse alla porta della stanza, chiudendola a chiave dall'interno e dirigendosi verso il balcone.
Vide la maniglia muoversi freneticamente e i cardini della porta che vibravano a causa dei colpi inferti dall'esterno, mentre lei iniziava a scendere dalla scala di sicurezza.
Per due volte rischiò di perdere la presa, tanto era terrorizzata, ma cercò comunque di fare il più in fretta possibile.

Una volta a terra si mise a correre tagliando la Third Avenue e passando dal parco, nella speranza che la gran quantità di alberi la celassero agli occhi di quel... chiunque fosse. Il sole era tramontato da un pezzo, mischiate alle nuvole grigie ormai c'erano spesse venature porporine che disegnavano ghirigori fantasiosi nel cielo. L'orologio del campanile dall'altra parte del parco segnava le 20.44.
Dakota continuò a correre finchè non giunse al ponticello, sopra il torrente. Ci era passata spesso assieme a Quarter, tempo addietro, quando organizzavano pic-nic all'aperto.
Passò oltre il ponte e si fermò solo quando le sue gambe si rifiutarono di procedere ancora. Fu costretta a riprendere fiato, mentre con gli occhi si guardava attorno. Il parco era il più vasto di Los Angeles, ma a quell'ora non c'erano molte persone in giro. Per lo più era affollato al mattino, all'ora di pranzo e verso le dieci di sera, quando diventava proprietà esclusiva per le passeggiate romantiche delle coppiette.

Doveva raggiungere la stazione di polizia, immediatamente.
Era un problema, però, dato che stava dall'altra parte del centro cittadino.
Non appena sentì dei passi affrettati che attraversavano il ponte si nascose dietro un larice. Ryuzaki era lì.
Dakota si mise una mano sulla bocca, per evitare che il ragazzo sentisse il suo respiro irregolare.

Vattene!, pregò mentalmente. Vattene, vattene, vattene via!!!

Il ragazzo si avvicinò tremendamente al nascondiglio di Dakota, tanto che lei quasi si rassegnò a venire scoperta. Con una mano corse ad aprire silenziosamente la cerniera della borsa a tracolla, estraendone il cellulare. Doveva avvertire qualcuno.
Trattenne il fiato finchè il ragazzo non diede un'ultima occhiata in giro, per poi allontanarsi. Appoggiò la testa sul tronco dell'albero, facendo un sospiro di sollievo.
E in quel momento, quando si dice la sorte, attaccò la suoneria del suo cellulare.
Fece in tempo a leggere il nome sul display: mamma.
Le dita di Dakota divennero istantaneamente gelate, mentre interrompeva di colpo la comunicazione, terrorizzata all'idea che lui l'avesse sentita.

Corri, disse inaspettatamente la voce della coscienza nella sua testa, ma le sue gambe erano diventate di marmo. Corri, ti ha sentita sicuramente, corri!! Subito!!!

Nel preciso attimo in cui il suo corpo scattò in avanti, qualcuno la afferrò per le spalle, sbattendola col doppio della sua energia contro l'albero, e lasciandola senza fiato.
Un dolore acutissimo e pungente si diffuse rapidamente lungo tutta la sua schiena, specialmente sulle spalle, dove aveva urtato con più forza.

<< Lasciami!!! >> provò a gridare, sebbene l'urto le avesse privato i polmoni di tutta l'aria che le era rimasta.

Per tutta risposta Ryuzaki le bloccò i polsi ai lati della testa. Il suo sguardo era agghiacciante.

<< Non provare ad urlare. >> la minacciò sibilando.

Con la coda dell'occhio Dakota vide una giovane coppia avanzare sul ponte, tenendosi per mano e ridendo.
Automaticamente aprì la bocca per cacciar fuori un grido d'aiuto ma, quasi come se le avesse letto nel pensiero, il ragazzo le coprì le labbra con una mano, schiacciandole con forza la mascella, facendole sfuggire un singulto di dolore.
La coppia si fermò.
Ryuzaki li osservò un momento, per poi tornare a fissare lei. Il suo sguardo era ben diverso, adesso. Rasentava la follia e sembrava dire: << Se ti hanno sentita, giuro che ti ammazzo. >>
La ragazza si inginocchiò ad allacciarsi una scarpa. Successivamente tornò a stringere la mano del compagno e proseguirono. Non fecero caso a loro, seminascosti dalle fronde del larice. Lui la teneva schiacciata contro il tronco fino quasi a soffocarla.
Quando il pericolo passò, si fece indietro di qualche centimetro, senza smettere di tenerla bloccata.

<< Da quanto tempo eri lì? >> le domandò.

Lo sguardo carico d'odio che la ragazza gli rivolse senza dire una parola fu sufficiente. Con una smorfia cercò di liberarsi dalle morse d'acciaio che le serravano i polsi con forza tale da farglieli scricchiolare.
La mascella del ragazzo si irrigidì appena, mostrando un sorriso crudele.

<< Be', spiacente allora. >>

Gli bastò un attimo per stringere la mano attorno ai capelli della ragazza e farle sbattere nuovamente la testa contro la corteccia dell'albero. Un gemito soffocato sfuggì dalle labbra di Dakota che si accasciò a terra, colta dal capogiro più violento che avesse mai avuto... le sue mani vagarono tra l'erba, alla ricerca del cellulare, ma la vista le si offuscò rapidamente e lei perse i sensi.
 
 
 
 
 
 
                                                                                              


                                                                                      [ continua ]
 
 
 
 
 
 


Ed ecco il secondo capitolo di Strawberry gashes.
 
Lasciatemi dire che sono rimasta davvero soddisfatta e compiaciuta notando il numero dei lettori e delle recensioni che ha avuto il primo capitolo, grazie di cuore a tutti voi, è proprio il vostro entusiasmo che mi fomenta ad andare avanti con perseveranza!!! ;)
 
Ovviamente chi ha letto il romanzo probabimente noterà qualche differenza in base allo svolgimento degli eventi esterni al personaggio di Dakota, ma spero che apprezziate lo stesso!
 
Povera Dakota, ora sì che è nei guai...
 
 
 
A presto, 
 
Luce Lawliet.
 



 

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Capitolo 3
*** La filastrocca dell'assassino. ***







                                                                                                        Strawberry gashes





                                                                                                         





                                                                                                                                           3.

                                                                                         
                                                                                                                       La filastrocca dell'assassino.







Come si chiama quello stato in cui una persona riesce in un certo senso a vedere ciò che accade attorno a lei, ma non riesce a rendersene conto perché il suo cervello si rifiuta di cogliere e plasmare le informazioni che gli occhi percepiscono?
Semicoscienza?
... Oppure semplice dormiveglia.
Le palpebre di Dakota tremolarono un paio di volte giusto per far sì che la ragazza notasse una fila ombrosa di alberi e di edifici sfrecciare di fianco a lei veloci come la luce e in qualche modo comprese di trovarsi all'interno di un'automobile che stava procedendo a velocità spedita.
E il motore faceva vibrare con forza il veicolo sotto le sue scarpe... una vibrazione dettata dalla rabbia... dalla furia... dallo sdegno di chi in quel momento si trovava al volante. 
Quando l'auto sobbalzò, avvertì una cruenta pressione alla testa, come se qualcuno stesse premendo con forza un dito contro l'abrasione che aveva dietro la nuca. Forse fu a causa del dolore lancinante che chiuse nuovamente gli occhi, senza avere idea che la vera paura si sarebbe presentata nel momento in cui li avrebbe riaperti.
 
 
A Dakota non erano mai piaciuti i thriller, che fossero libri o film.
Non tanto per gusto personale, quanto perché dal suo punto di vista erano da un lato il genere più scontato, dal momento che gli ingranaggi degli eventi venivano sempre messi in funzione dal killer. La cosa che non le piaceva, che trovava più che mai impietosa era che l'omicidio quasi mai si limitava a una sola vittima e i poveri sfortunati che capitavano nelle mani del killer per primi erano quelli che non si salvavano mai.
E su questo punto la trama non variava.
Fu questo il primo pensiero che prese forma nella sua testolina ammaccata dopo essersi svegliata su un freddissimo pavimento di metallo, la schiena semiappoggiata ad una parete dall'intonaco incrostato. Non poteva abbassare le braccia; i polsi sopra la sua testa erano stati ammanettati ad una delle tubature grigie più sottili che sporgevano dalla parete. 
Quasi come per dar voce ai suoi sospetti terrorizzati, c'era solo lei. Giovane, pateticamente indifesa creatura capitata nelle grinfie di un fato doviziosamente avido, che non si era accontentato della sua sorellina... ora reclamava anche lei. 
Lei, la prossima vittima che non si sarebbe salvata.
Rapida, indolore... che sia almeno una morte senza attesa, implorò il suo cervello, benché la ragazza fosse sola.
La raschiatura alla nuca pulsava.
E le braccia erano così intorpidite che quando Dakota provò a muovere le dita non fu in grado di capire se ci fosse riuscita del tutto. Deglutì a vuoto, mentre i suoi occhi soverchiati dalla confusione e dalla paura si mettevano a perlustrare con foga tutto ciò che la circondava, senza però riconoscere nulla.
Buio e odore di polvere, di ferro arruginito, di chiuso... e di qualcos'altro che non riconobbe.
Con uno scatto piegò le gambe abbandonate per terra, puntando i piedi sul pavimento gelato e cercando di raddrizzarsi il più possibile.
Perse l'equilibrio l'attimo dopo.
Dalle sue labbra sfuggì un lamento di dolore quando la testa strusciò contro la parete alle sue spalle, facendole venire le lacrime agli occhi. Oltre che pulsare, adesso bruciava.
Con sorprendente celerità, di punto in bianco la paura prese a scemare, trasformandosi in una scarica di adrenalina che colpì i suoi muscoli come una randellata di determinazione e furore; piantò nuovamente le scarpe per terra, sforzandosi di mettersi in piedi, ma il tubo a cui era legata si trovava troppo in basso e le braccia tirate su in quella posizione le impedivano di mettersi in equilibrio.
Fu allora che iniziò a scuotersi, prima solo con forza, poi con violenza. Tirava, abbassava il più possibile i polsi verso di sé, nella speranza che il peso e lo sforzo avessero la meglio sulle manette, o perlomeno sul tubo.

<< Mmmmh... aaahh!!! Maledizione!!! >> si lasciò sfuggire quando l'eccessiva pressione permise al metallo circolare che le avvolgeva il polso destro di inciderle la pelle. Dakota avvertì gocce di sangue bollente scivolare lungo l'epidermide e ciò parve risvegliare appena le sue braccia dall'intorpidimento.

<< Ehiii!!!!!!!!!! >> urlò più forte che potè << Aiutatemi, c'è qualcuno?! >>

La sua voce rimbombò in un'eco raccapricciante lungo l'iperbolico corridoio in cui si trovava.
Un lungo, lunghissimo corridoio... 
Che posto era, quello?
Pareti annerite e un'inquietante cisterna, lì, a pochi metri da lei. Enorme e dall'insolito color giallo-grigiastro, con un diametro di circa otto metri e alta almeno cinquanta. Circondata da un curioso cerchio di sbarre metalliche, quasi come un recinto; dalla posizione in cui si trovava Dakota si poteva scorgere una maniglia, il che significava che quel coso aveva un'apertura.
Dakota non sapeva cosa fosse, ma il pensiero di scoprirlo la atterriva ancor più che rimanere nell'ignoranza.
Fece un respiro profondo, lasciando cadere la testa sul petto, mentre il fiato si faceva più rapido e affaticato, a causa dell'astrusa posizione in cui era costretta a stare.
Le aveva preso il cellulare, anche se non avrebbe fatto alcuna differenza. Con le mani legate in quel modo non aveva alcuna possibilità di chiamare nessuno.
A meno che non riuscisse a liberarsi.
Gettò un'occhiata scoraggiata al taglio sul suo polso, da cui sgorgava ancora qualche goccia di sangue.
Un'altra fitta alla testa, un altro capogiro.
Poi gli occhi si chiusero nuovamente.
 

 


                                                                         
                                                                                 ۝۝۝ 




Nuvole nere.
Un antro oscuro e lontano, lampi di luce accecante.
E un fischio.
Saltando lentamente, con la grazia di una piuma candida quanto il sottile vestito di seta assolutamente insufficiente per proteggere la sua pelle dorata dalle furiose gocce di pioggia, Dakota seguiva l'eco del giovane fischio, guardandosi attorno, scrutando orizzonti che non avrebbe mai creduto esistessero.
 
La sua sorellina adorava fischiare. 
Non l'aveva mai entusiasmata ballare, cantare o truccarsi, non era mai stata come le sue coetanee, no, ma fischiare... il suono che produceva a volte superava la melodia di una ninna nanna, imitava svariati cinguettii nelle mattine primaverili, tanto che Dakota spesso si dimenticava volentieri di ciò che stava facendo per darle attenzione.
 
Il cinguettio continuava, rapido e brioso... la sua bellissima sorellina dai capelli dorati... il fischio era più forte adesso, era sempre uguale, sembrava quasi le stesse dicendo: << Mi senti? Vieni da me, raggiungimi! >>
Così, un passo dopo l'altro, la ragazza sfidava il temporale che le appesantiva i lunghi capelli castani, che contrariamente alle sue abitudini, ribalzavano delicatamente in onde sciolte, accarezzandole con grazia tutta la schiena, mentre il suo cuore scandiva un ritmo sempre più intenso, man mano che la distanza tra lei e il richiamo, tra lei e Quarter, diminuiva.
Si stava avvicinando all'antro oscuro, dov'era la sua piccola scimmietta?
Forse era quella figuretta incurvata, proprio in mezzo alla bocca nera dell'antro oscuro?
Mentre Dakota si interrogava, avvicinandosi sempre più, ascoltava la morbida voce della sorellina recitare una strana litania, che pian piano prendeva sempre più forma...


                             
Rossa era la coccinella,
                                                         volava su scaglie di numeri e suoni,
                                            fissava sempre la solita stella,
                                                                      godendo dei suoi unici e insoliti doni...

                                           Poi le giunse una gazzella,
                                                                     fra le tante rara e bella,
                                                        ma ahimé, fu proprio quella
                                                                                ad impigliarsi fra le gambe dei troni.
                                  

Dakota non seppe quando iniziò ad accorgersi che quella era la sua sorellina. La aspettava sul bordo di quell'entrata buia, salutandola e ridendo. Prese a fischiare.
E in quel momento si trasformò. Cominciò a perdere i capelli, le chiome dorate si staccavano dal suo cranio, svolazzando dolcemente, per poi cadere a terra, mentre la pioggia le faceva diventare nere, come i capelli che avevano preso il posto di quelli biondi della sorellina. La pelle divenne più pallida, gli occhi brillarono come rubini sotto la furia accecante dei lampi. Il fischio amorevole si ridusse ad uno stridio penetrante, che costrinse la ragazza a tapparsi le orecchie con i palmi delle mani.
Era lui, rideva mentre osservava la sua espressione disperata, rideva di lei. Dakota avrebbe voluto tornare indietro, ma il corpo non rispondeva più ai suoi comandi e mentre sentiva il terrore pervaderle il sangue, le pareti della caverna presero a sbriciolarsi, e grossi massi acuminati precipitarono sopra di lei.        
                      




                                                                                  
 ۝۝۝




Per prima cosa percepì il profumo, dolce e carezzevole, come un lungo mantello di velluto rosso.
Rosso... profumo di fragole.
Riaprì gli occhi di scatto, incontrando quelli neri e gonfi del ragazzo. La vicinanza dei loro volti era spaventosamente allarmante, a Dakota bastava per contargli le ciglia una ad una.
Senza quasi rendersene conto lanciò un grido strozzato, raddrizzandosi e cercando di allontanarsi il più possibile. Il suo scatto fece fare un balzo indietro al suo rapitore, che concentrò tutto il suo peso sulle piante dei piedi, per poi infilarsi un pollice tra le labbra sottili, mangiucchiandosi l'unghia e fissandola con discreto interesse.
Dakota non aveva mai visto occhi come quelli.
Se gli sguardi avessero realmente il potere di uccidere, il colore sarebbe indubbiamente stato quello. Tetri, conturbanti, non sarebbero bastate nemmeno delle lenti a contatto colorate a nascondere il nero che confondeva persino la pupilla, con venature porporine che si tuffavano direttamente nell'iride, dando l'impressione di una pellicola color amaranto che rendeva i suoi occhi infidi e mendaci, capaci di ucciderla con la sola forza della mente.
Già. Ucciderla.
Era venuto per questo?
E perché non diceva una parola?
Dakota tentò con un ultimo e inutile sforzo di far cedere le manette, poi si arrese, accartocciandosi alla parete e tirando le ginocchia al petto. Non abbassò la testa, però. Quello non lo avrebbe mai fatto, desiderava, pretendeva che quel bastardo intuisse chiaramente che era perfettamente in grado di sostenere il suo sguardo. Sarebbe morta guardando negli occhi l'assassino della sua sorellina, sentenziò a gran voce quel minimo di orgoglio che aveva insediato radici profonde nel suo animo di adolescente.
Anche se questo significava dare il colpo di grazia a sua madre. Come l'avrebbe presa, una volta saputo che anche lei era morta?
Sua madre era sempre stata un gancio indispensabile per rimanere aggrappata alla vita che aveva sempre desiderato, nonostante le numerose porte in faccia che aveva ricevuto, alcune difficilmente sopportabili. E non aveva mai dato alle sorelle meno di quanto meritassero, ma spesso più di quanto lei stessa avrebbe potuto permettersi. Aveva fatto dei sacrifici per il bene di entrambe e quel giorno, quel tragico 4 di agosto, quando erano state interrogate dalla polizia, la ragazza era certa di aver visto ostilità negli occhi della madre. Un'accusa indiretta, contro di lei. Perché avrebbe dovuto trovarsi con Quarter, a quell'ora.
Con gli occhi che minacciavano di tornare a lacrimare, si rese terribilmente conto che non era ancora riuscita a chiedere scusa a sua madre. Tutte quelle settimane dedicate a picchiare le pareti della sua stanza, ignorando tutto e tutti, e alla fine non aveva risolto niente.
Perciò, tenendo conto di questo, sul serio non faceva differenza per lei morire adesso?

<< Non sei stata poi così veloce. >>

E fu allora che decise. Sì, pensò, fa eccome la differenza.
Lui aveva parlato con un tono che l'aveva ironicamente presa contropiede. Si aspettava una voce cavernosa, o leggermente graffiante, da folle, da killer... insomma, qualcosa di impressionante; minacciosa, come lo era stata nel momento in cui la ragazza era quasi riuscita a farli scoprire dalla coppietta che passeggiava nel parco.
Costrinse il suo cervello a tornare nel presente e si sforzò di ricordare ciò che l'uomo davanti a lei aveva appena detto.
Lo aveva visto muovere le labbra, ma non era riuscita ad udire alcun suono, da quella bocca ghignante. Questo però non aveva senso. Se non era riuscita a sentire cos'aveva detto, come aveva fatto ad accorgersi del suo strano timbro di voce?
Il killer sembrava così tranquillo, curioso come un bambino mentre si succhia il pollice, chiedendosi cosa siano gli insetti che strisciano nel terreno morbido, come si chiamino quelli con più di dodici zampe e se siano commestibili.
Dakota spalancò gli occhi.
Ecco come la stava guardando. Con brama, desiderio. Con fame.
L'assassino parve comprendere da solo che la ragazza non aveva udito una sola parola e continuando a mordicchiarsi l'unghia del pollice sinistro, tolse il braccio destro da dietro la schiena, la mano che stringeva saldamente due barattolini contenenti qualcosa di rosso.
Non appena svitò il primo coperchio, le narici di Dakota vennero investite da un profumo quasi nauseante, ma che le fece intuire immediatamente che l'odore avvertito prima non era stato affatto un'impressione. Profumo di fragole.

<< La corsa >> specificò il killer, senza smettere di guardarla in modo inquietante durante il suo grottesco pasto a mani nude << Sei una piccola atleta, no? Ho visto tre medaglie d'oro appese sopra il tuo letto. Per un attimo avevo pensato davvero che fossi riuscita a sfuggirmi. E ti dirò di più, ci saresti riuscita perfettamente, avendo dalla tua parte un buon 71 % di possibilità. Ma hai gettato al vento l'occasione di avvertire la prima persona che avresti incontrato per nasconderti. Una come te deve avere per forza polmoni allenati e ottima resistenza, quindi me la sento di escludere che la fregatura sia stata la stanchezza. Allora perché ti sei fermata? >>

Sebbene ci avesse messo solo una ventina di secondi, a Dakota quel discorso sembrò durare una vita, forse perché il terrore che le attanagliava i muscoli e la mente cercava in tutti i modi di impedirle di assimilare quelle parole crudeli con semplicità, inducendola a disperarsi ancora di più.
Polmoni allenati, resistenza.
Che altro aveva detto?
Inaspettatamente, l'uomo diminuì la distanza fra loro, avanzando di due passi, ma mantenendo sempre il peso sulle piante dei piedi. Fu allora che al posto del terrore, in Dakota cominciò a prendere forma la tensione. Si era avvicinato troppo.
Senza farsi notare, strinse tenacemente il tubo sul quale l'assassino aveva avvolto le manette che le bloccavano le braccia, poi, equilibrando i battiti del suo cuore al respiro, si concentrò per mantenere il corretto bilanciamento tra i reni e la punta delle sue scarpe; le costava un grosso sforzo mantenere quella posizione all'apparenza normale, ma presto le sarebbe servita.

<< Coraggio, rispondimi. Prometto che non ti mangerò >> la incoraggiò ironicamente, incurvando quelle labbra sottili in un sorriso di scherno, che tanto bastò a far rabbrividire la ragazza.

Quasi come per farsi beffe di lei, quasi come se le avesse letto nel pensiero, mentre lei valutava il modo in cui la stava osservando poco fa... ma no, si decise a pensare, non può aver capito cosa stavo pensando, sarebbe... impossibile.
Lui allungò un braccio verso di lei, ma prima che Dakota si mettesse a gridare, le appoggiò davanti il secondo barattolo, il coperchio svitato, per poi ritirare la mano.

<< Hai fame? >>

Nessuna risposta.

<< Mi chiamo Ryuzaki >>

<< Onnipresente zucchero >> sussurrò d'un tratto Dakota, incapace di interrompersi << è la causa, parlando in percentuali, di un buon 80% di tutti i nostri conseguenti stati depressivi; tendenza allo stress, attacchi di panico, pensieri ossessivi, scatti d'ira, violenza immotivata, perdita di energia, pigrizia, repentini cambi d'umore, obesità, problemi ormonali, diabete e dipendenze. Tu sei dipendente dallo zucchero, ti fai così tante overdosi che tutto quel veleno ti ha annacquato il cervello, facendoti diventare il mostro che sei >>

Era una solfa che il suo allenatore le aveva cantato per mesi, facendole quasi il lavaggio del cervello per tenerla lontana dalla Nutella.

<< Oh bene, sai ancora parlare >> approvò << Ora fammi il favore di mangiare qualcosa, prima di collassare di nuovo >>

Con gli occhi le indicò il barattolino ai suoi piedi e allora scattò l'impeto di collera. Quella maledetta carogna, come si permetteva di parlarle in quel modo così superficiale e zuccheroso, dopo che le aveva massacrato la sorella?!
L'immagine di ciò che era rimasto del suo cadavere nel momento in cui aveva sollevato il telo dalla barella era ormai diventata la diapositiva principale di tutte le sue catene di incubi.
La sua gamba partì da sola, accanendosi sul vasetto aperto di marmellata con velocità tale che Dakota quasi non vide il suo stesso movimento, ma seguì con malcelata soddisfazione la traiettoria volteggiante del contenitore di vetro un attimo prima di fracassarsi con uno schianto cristallino contro le pareti della strana cisterna poco lontana da lei. Imbrattò la struttura cilindrica di un rosso viscido e gocciolante; sangue fresco e fragole calpestate.
Ma Dakota non aveva ancora finito.
Approfittando della momentanea distrazione del suo aggressore, la ragazza si sollevò con l'altra gamba per scaricare un calcio ancora più volento e diretto sul suo collo, ma con grande sgomento, il killer riuscì a bloccarle la scarpa, imprigionandola fra le sue stesse mani, e abbracciando la sua caviglia in una stretta che in meno di due secondi divenne preoccupantemente dolorosa.

<< Non mi toccare!! >>

Ryuzaki la costrinse ad abbassare la scarpa a terra, poi con uno scatto si alzò in piedi e la calpestò con la propria. Dakota avvertì diversi scricchiolii partire dalle dita del piede e non potè evitare di liberare un acuto lamento di dolore.

<< Questa mattina la mia presunta collaboratrice di indagini mi ha sferrato un calcio abbastanza preciso da farmi slogare il collo. Sai, non mi faccio fregare due volte allo stesso modo* >>

<< Hai ucciso mia sorella!!! >> gli urlò contro Dakota, il respiro affannato e gli occhi lucidissimi.

<< Sì, e se adesso ti metti a frignare giuro che ciò che ho fatto a lei ti sembrerà una tiratina d'orecchie in confronto a quello che succederà a te >>

Dakota non provò neanche a rispondere, quale vantaggio le avrebbe riservato continuare a provocarlo ragionando come una bambina isterica? Nessuno. E se voleva davvero cavarsela, doveva iniziare a ragionare diversamente. Ma come?
La sua testa era già impazzita, preda della paura e dai crampi della fame - non aveva la minima idea di quanto tempo aveva trascorso in quel posto, forse un'intera giornata; impossibie capirlo a causa della mancanza di finestre, l'unica luce proveniva dalle polverose lampade al neon dall'aria antica quanto quel posto che, dopo vari dubbi, Dakota aveva avuto ragione di credere fosse una vecchia ferriera - e per il momento la sua possibilità di sopravvivenza dipendeva dal suo sequestratore.
Poi ricordò una cosa.
A maggio aveva compiuto diciannove anni e Quarter le aveva regalato un libro. Dakota non era mai stata un'amante della lettura, anche se sua sorella aveva sempre cercato di farle cambiare idea, regalandole appunto ad ogni suo compleanno un libro diverso, nella tenace speranza che un giorno quella testona si decidesse ad aprirne uno, invece di sistemarli tutti sullo scaffale a riempirsi di polvere. Non seppe mai se era stata la copertina o la trama ad incuriosirla, ma Dakota l'aveva aperto. E le era piaciuto.
In quella situazione ormai sembrava quasi comico... lei detestava i thriller e aveva sempre pensato che i gialli non fossero poi tanto diversi, ma quella povera donna, Alex, era stata rapita per le vie di Parigi per colpe che nemmeno aveva. Tuttavia quel romanzo non si era rivelato il solito cliché, poiché alla fine non c'era voluto molto tempo perché la donna passasse da vittima a carnefice.
Le situazioni in quel libro si erano ribaltate nello scorrersi delle pagine e a Dakota in un certo senso la cosa aveva appassionato, finché non era stata costretta ad interrompere la lettura per altri impegni.
Aveva letto solo un terzo di quello splendido libro. Solo ora non riuscì a descrivere quanto avrebbe desiderato averlo concluso.
Ryuzaki sollevò dolcemente la scarpa da quella della ragazza.
Fu allora che Dakota vide per se stessa un orizzonte opaco che avrebbe esaltato una possibilità, vide una via di salvezza.
Il pompare del suo cuore, adesso più regolare e vigoroso, le infondeva un calore animato ancor più dal pensiero che avrebbe avuto la precedenza su qualsiasi altra cosa: io non voglio morire.
Non poteva permetterselo.
Per se stessa, per sua madre e soprattutto per Quarter.
Per questo risollevò lo sguardo su quell'assassino, osservandolo con occhi diversi. Lo temeva irrimediabilmente; ora come ora non era in grado di opporglisi, anche perché non aveva idea di chi questo Ryuzaki fosse in realtà, ma una cosa era innegabile: non era stupido, né ingenuo. Perfino lei poteva vedere come gli occhi di quel ragazzo brillassero d'intelligenza... ma anche di follia.
Ne valeva la pena. Da quel momento avrebbe tentato il tutto per tutto, se ciò significava preservare la sua vita.

<< Ero venuto da te convinto che avessi fame, ma evidentemente mi sono sbagliato. Allora facciamo così, visto che per qualche giorno dovremo convivere, ti propongo un gioco. Ma prima di cominciare devi dirmi se sei disposta a partecipare >>

Dakota deglutì un paio di volte.

<< Non capisco. Perché non mi uccidi senza stupidi giochetti? >>

<< Perché ho un ultimo delitto da compiere, ma per farlo devono passare ancora tre giorni. Visto che sei con me, perché non cogliere la palla al balzo? E' una tale noia, qui... in alternativa, il cilindro che guardi con tanto timore, sai cos'è? Un altoforno, lo usavano per produrre la ghisa e pensa un po', pur rimanendo spento per un sacco di tempo, ho scoperto giusto ieri che funziona ancora >>

Non c'era bisogno che continuasse, Dakota aveva già assaporato l'intera minaccia.
Dunque, avrebbe dovuto vederlo come un gioco?
Esistevano diversi tipi di giochi, quasi tutti intesi come gare, in effetti. Gare di velocità, delle quali lei si intendeva molto, poi c'erano le gare di tempo... come avrebbe dovuto classificare questa?
Gara di astuzia? O di sopravvivenza?
Già, perché se non muoio io ti prometto che lo farai tu, assassino.
Va bene, ci sto. Accetto la sfida e in questi tre giorni i ruoli si invertiranno; la morte mi raggiunga se non riuscirò a vendicare Quarter, ma almeno sarò in pace con la mia coscienza. Dopotutto adoro giocare, sento che posso vincere, sento che posso superarti!
 
 
 




      

                                               [ continua ]








* Per chi ha letto Another Note, B si riferisce al momento in cui aveva aggredito Naomi e lei era riuscita a difendersi perfettamente, dimostrandogli di conoscere la capoeira.

Non so come la penserete dopo aver letto questo capitolo, ma personalmente già fatico a stare in pari con gli aggiornamenti, in seguito a questa decisione sullo svolgersi dei fatti ho capito di essere una grande masochista!!! T.T
Insomma, in quale vita ultraterrena una normale adolescente di provincia potrebbe riuscire a superare uno come Beyond?
Misteri della vita.

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando ;) ci tengo, dato che ormai abbiamo raggiunto metà storia!!!

Buona serata, 
Luce Lawliet.


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Capitolo 4
*** Il Gioco del Bugiardo - primo round ***





                                                                             Strawberry gashes



                       



                                 Il Gioco del Bugiardo

                                            
  primo round  ≈




 

All'ennesimo strattone poco convinto dei polsi, le manette cigolarono contro il tubo di ferro, quasi come se la ammonissero per la sua testardaggine.
Il killer attendeva in silenzio.
Un silenzio fin troppo agro, alimentato dalla quiete di tutte quelle macchine arruginite e polverose, che un tempo vibravano e ululavano producendo armi e metalli roventi, ma che adesso assistevano a quella situazione mute e minacciose; sembravano quasi il riflesso dell'animo del ragazzo sopra di lei.
Troppo silenzio.

Oh per l'amor del cielo, rispondigli allora!, brontolò la parte più istintiva di Dakota, qualsiasi cosa pur di fermare questo supplizio!

<< Toglimi le manette >> propose all'improvviso << e io accetterò la sfida. >>

Non si aspettava che quel Ryuzaki valutasse l'offerta. Anzi, era più che convinta che sarebbe scoppiato a ridere, magari accusandola di crederlo un completo idiota. Magari le manette gliele avrebbe tolte davvero, per gettarla senza tante cerimonie dentro quell'alto forno macchiato di marmellata color sangue.
Nonostante la grandezza di quella stanza, l'odore dolciastro della confettura si era sparso rapidamente, stimolando lo stomaco della ragazza a lamenti sempre più aggressivi e crampi ancora peggiori.
Vide la mano dell'assassino allungarsi  verso di lei.

Lentamente, per non spaventarla.

Le sue dita lunghe, affusolate - e molto, molto pallide - indugiarono sull'acciaio degli anelli che le serravano i polsi arrossati e pieni di graffi, per poi ricadere lungo il fianco.

<< Non ti serve il mio aiuto per toglierle. >> fu la risposta.

<< Che vuol dire...? Se vuoi che collabori in questo stupido passatempo o checchessia comincia col prenderti meno gioco di me... >>

<< E perché mai? >> la interruppe << La tua idea sarebbe quella di litigare per settantadue ore di seguito? Magari introducendo argomenti di mediocre serietà, con insulti, maledizioni, minacce, ricatti e quant'altro? E' meglio fare a modo mio: intavoliamo un discreto clima di fiducia - non a livelli standard, sono convinto ne basti uno appena sufficiente per comportarci come normali persone, in grado di conversare con altrettanta normalità -, e per spezzare il ghiaccio, cosa c'è di meglio di un gioco? >>

Dirgli che era ormai da un po' che avvertiva un prurito gelido lungo tutta la pelle tirata delle braccia era sicuramente inutile, ma Dakota aveva preso a considerare la cosa preoccupante.

<< Perciò >> riprese Ryuzaki << sei pronta a cominciare? >>

<< Hai detto di avere un ultimo omicidio da compiere >> chiese la ragazza tanto per perdere tempo, tuttavia inconsapevole di essersi messa a camminare su un campo minato << ti sta passando la voglia di uccidere? >>

<< Tutt'altro >> obiettò quest'ultimo << è solo che in questa città le persone interessanti finiscono in fretta >>

<< Quelle interessanti o quelle utili? >>

<< Utili per cosa? >>

<< Per i tuoi scopi >>

<< Che sarebbero? >>

<< Dimmelo tu. Hai calcolato il numero delle vittime, ponendo un intervallo di tempo preciso tra le varie uccisioni. E poi tutte quelle bamboline voodoo, i messaggi nascosti... l'attenzione di chi stai cercando di attirare? >>

<< Non sono affari tuoi. Stanne fuori, va bene? Non per affondare il coltello nella piaga, ma al momento hai già fin troppe grane a cui pensare. >> osservò lui, con un ghigno.

<< L'unica cosa >> sibilò lei, mentre  il suo cuore cedeva un'altra volta al dolore << a cui non riesco a smettere di pensare è quello che hai fatto alla mia sorellina. Ma perché, lei... lei nemmeno ti conosceva, come hai potuto fare una cosa del genere?! >>

Ryuzaki sospirò - probabilmente dalla noia -, vagando distrattamente per il corridoio rialzato, con lo sguardo.

<< Era una brava persona >> mormorò Dakota, guardandosi le scarpe, senza sapere più nemmeno lei cosa aggiungere.

<< Spesso accadono brutte cose alle brave persone. Come te, del resto. >> mormorò il killer, prendendola di sorpresa. Tornò a fissarla, mentre quella sadica energia riaccendeva i suoi occhi di una rara crudeltà e questa volta, alla ragazza sembrò quasi che volesse ammonirla. << Si può morire di dolore, Dakota, gettandosi alle spalle ogni momento che avresti potuto vivere, se non ti fossi lasciata vincere da quell'emozione. La tua vita è un continuo susseguirsi di emozioni, molte frequenti e altre ancora da scoprire, specialmente per una ragazza di diciannove anni; la mente domina sulle emozioni e se tu lasci che una sola di queste prenda il controllo, allora sarebbe come porre fine alla vita con le tue stesse mani. Smetti di aggrapparti ad essa >> disse, avvicinando il volto al suo  << smetti di far finta che il dolore sia l'unica corda che ti impedisce di cadere nel dimenticatoio, perché l'effetto sarà l'opposto. Precipiterai in un supplizio peggiore della morte, se per colpa del rimorso ti rifiuterai addirittura di vivere. >>

Dimenticarsi.
Questo le stava dicendo.
Non di Quarter, né di quanto l'aveva amata, ma di tutta la felicità che aveva provato durante ogni momento trascorso con lei.
Dopotutto il dolore è lo specchio oscuro della gioia, e se lei avesse spento quell'ardore di conseguenza anche il rimorso se ne sarebbe andato per non fare più ritorno.
E in quel momento, le parve una proposta incredibilmente ragionevole.
Allettante.

<< Ma questa... >> sussurrò, nel momento in cui il suo cuore sussultava violentemente per la direzione che stavano prendendo i suoi pensieri corrotti << Questa è crudeltà! >>

<< La crudeltà è solo un punto di vista. Che può aiutarti a superare qualsiasi ostacolo >> aggiunse infine, cercando di catturare il suo sguardo evasivo.

Dunque erano i sentimenti ad impedire il raggiungimento della perfezione?

<< Diventando una macchina incapace di provare sensazioni? >>

<< Poco ortodosso, lo ammetto, ma efficace. >>

<< Per quanto ne so, non esiste nessuno al mondo, che si sia ridotto a tanto per giungere a questo. >>

<< Evidente allora non segui i notiziari come dovresti. Da come hai parlato immagino tu non abbia la minima idea di chi sia L. >>

Dakota si morse con forza il labbro inferiore. Lo stava rifacendo, le stava parlando con quel tono superiorità che le faceva riaffiorare l'odio e lo sdegno accumulati in quegli ultimi giorni.

Mostro, urlò dentro di sè, nessuno, compreso te sarà mai in grado di manipolarmi. Nessuno riuscirà mai a farmi dimenticare quanto Quarter abbia contato nella mia vita!

<< Comunque sia >> riprese Ryuzaki, cambiando discorso << direi di smetterla di parlare a vuoto, considerando la tua testa dura, e di iniziare a divertirci. Assecondami, chissà, potresti divertirti anche tu. Scommetto che hai già fatto questo gioco in passato, magari con la tua sorellina >> aggiunse.
Quella voce fastidiosamente rilassata e invitante fu l'ennesima pugnalata per Dakota, che sollevò la testa, appoggiandola alla parete dietro di lei.

Basta parlare di Quarter, per favore. Per favore.

Ryuzaki inclinò la testa. << Che succede? Perché ti sei fatta così silenziosa? >>

Negandogli qualsiasi risposta, la ragazza continuò a torturarsi il labbro, ben sapendo che il male fisico non sarebbe mai stato più intenso di quello interiore.

Mostro.

<< Facciamo così: se mi batti in questo primo round... >> iniziò a dire lui, frugando in uno degli enormi tasconi dei jeans logori.

Mostro.

<< ... Io ti restituisco questa. >> concluse, facendo dondolare tra le dita la delicata catenella del ciondolo di Quarter. Alla vista dell'oggetto, Dakota trattenne istintivamente il respiro. << La vuoi? >>

Lieto di aver nuovamente catturato l'attenzione della ragazza su di lui, lasciò cadere la collana nel palmo della mano.

<< La sfida che ho in mente è il Gioco del Bugiardo. >>

Eggià, lo conosceva.
Il gioco delle due bugie e una sola verità. Tre probabili realtà mescolate e una sola possibilità di indovinare.

<< Non capisco lo scopo di questa stupidaggine. >> sibilò lei, sull'orlo di una crisi di nervi.

<< Non è necessario che tu lo comprenda. Ad ogni modo, questa stupidaggine era un gioco molto frequente, nel luogo in cui sono cresciuto io. Allenava la mente; insegnava a diventare abili ingannatori. >>

Che cosa stava dicendo?
La ferita dietro la testa prese a formicolare, ma questa volta Dakota non scivolò nello sconforto.

<< E se perdessi? >>

Non gliel'avrebbe mai fatto capire, ma aveva avuto timore pronunciando quella domanda.

<< Prenderò questa. >> rispose lui, sfiorando con l'indice l'altra metà del ciondolo che la ragazza portava appesa al collo. Questa volta ci mancò davvero poco che Dakota si mettesse ad urlare di non toccarle quella collana, di non avvicinare più quelle sudicie dita su di lei. Sollevò le ginocchia e si raggomitolò come meglio potè, in un inutile tentativo di rendere inaccessibile per le mani di quel killer l'accesso al suo collo.

<< Questa >> con la testa stretta fra le ginocchia, il tono della sua voce pareva un ringhio basso e titubante, ma comunque minaccioso
<< è l'unica cosa che non puoi avere. >>

<< Sono ammirato dalla tua volubilità; un attimo prima non riesci neppure a parlare, un attimo dopo mi lanci contro avvertimenti... >> osservò il suo aguzzino, permettendosi una risatina ironica.

<< C'è differenza tra l'uccidere un bambino e un adulto. >> disse inaspettatamente Dakota, prendendo Ryuzaki contropiede, tanto che l'uomo perse all'istante l'aria beffarda, per poi corrugare la fronte.

<< Che cosa hai detto? >>

<< Ti ho sentito, quando eravamo a casa mia. Hai detto che tra l'uccidere un adulto e un bambino, la differenza è inesistente. Be', non ti rendi conto da solo di aver detto una grandissima stronzata?! >> urlò << C'è un abisso di differenza, un deserto! >>

<< No, se l'adulto in questione era drogato. >> replicò inflessibile lui, lasciandola senza parole per l'ennesima volta.

Drogato?
Aveva drogato quel giornalista fere-lance, la prima vittima?

I giornali non ne avevano fatto parola, pensò convulsamente lei. O forse sì?

Questo cambiava le cose?  A quanto pareva, Ryuzaki era convinto di sì.

<< Questo... questo non cambia niente. Un adulto rimane comunque più forte di un bambino. >>

Lo percepì appena, il leggero sbuffo ironico del killer, accompagnato da un invisibile sorriso scevro di allegria. << Questa è stata la tua prima bugia. >>

Quelle parole scivolarono come un brivido lungo la sua schiena.

<< Bene >> esordì Ryuzaki << Prima le signore. >>

Due bugie, due grandi menzogne che devono apparire ai suoi occhi più vere che mai... due inganni e una sola verità, per riavere una piccola parte di Quarter; ma a pensarci bene, se l'intenzione di quello sconosciuto era davvero ucciderla, ammesso che fosse riuscita a recuperare quel ciondolo, sarebbe stato uno sforzo vano.
Però Dakota aveva un'inspiegabile desiderio di mettere alla prova tutte quelle abilità di cui lui si era vantato indirettamente, facendola sentire come un animale da addomesticare.

<< Come vuoi, allora. Vista tutta questa assurda situazione, immagino di non avere scelta. Posso dirti che:
1) Recentemente, nel mio residence c'è stato un omicidio.
2) Adoro l'arancione da quando ero piccola.
3) E che... >> s'interruppe, guardando il killer con disprezzo << ... e che tutte le cose che ho detto un attimo fa erano bugie. >>










                                                                                                                                [ continua ]










Ben ritrovati, lettori e lettrici.
Mi auguro abbiate trascorso ottime vacanze di Pasqua :)

Cominciamo col dire che la sfida è iniziata, e questo vale anche per voi. Se vi va di prendere parte al sadico gioco di B, partecipate anche voi, scrivendo nelle recensioni quella che pensate sia la vera natura delle tre apparenti verità sopracitate da Dakota.
Coraggio, improvvisatevi L! XD


P.S. mi scuso per il ritardo nell'aggiornare, purtroppo ho moltissimi impegni. =(

A presto ( spero ),
Luce Lawliet.







 

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