Le parole che non ti ho detto

di suni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le parole che non ti ho detto ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** Le parole che non ti ho detto ***


Non è tanto una serata allegra, si vede, dato che ho “partorito” questo-

Non so nemmeno se è finita o no. E' triste, sì. Non so bene se collocarla in ambito di qualche altra mia storia, ma direi tutto sommato di no. Sta bene dove sta.

Buona lettura

Suni

 

LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO

 

 

Remus si passò la mano sul viso, constatandone la ruvidezza. Tentò distrattamente di ricordare quando poteva essere stata l’ultima occasione in cui si era dedicato a qualcosa di futile e pratico, come ad esempio farsi la barba. Ma poiché in fondo non gliene importava davvero nulla, di rispondere ad un simile quesito, scrollò lentamente la testa con un sospiro silenzioso e riprese a scendere le scale verso il piano inferiore. Sapeva di avere qualche impegno improrogabile quel giorno, come anche il giorno prima, ed era altrettanto certo che l’avrebbe semplicemente glissato, ancora come il giorno prima. Presumibilmente, sarebbe rimasto tutto il tempo seduto sul divano, strano a dirsi, come il giorno prima. E tutta queste serie di cose era avvenuta anche durante l’intera settimana precedente.

Entrò in cucina e si diresse ai fornelli, registrando mentalmente quanto fosse strano trovarla così vuota, senza Molly che spignattava, né Tonks che raccoglieva cocci di un qualunque oggetto da lei appena distrutto, o Kingsley immerso nella lettura di qualcuno dei suoi dossier del Ministero. Oppure Mundungus che tra una chiacchiera e l’altra faceva svanire tra le pieghe del mantellaccio qualche prezioso cimelio di famiglia di pregiata fattura, con mossa furfantesca e discreta che Sirius fingeva di non notare assolutamente.

Il viso di Remus tremò impercettibilmente, mentre senza volerlo serrava gli occhi trattenendo il fiato.

Respirò profondamente, una, due volte prima di riaprirli, e prese una tazza dalla credenza, posandola sul tavolo.

Già. Mai uno sguardo, non un gesto, salvo poi, non appena la porta si chiudeva dietro le spalle del vecchio imbroglione, scoppiare a ridere di cuore, con quella risata spenta eppure così viva, simile ad un latrato, spezzata, amara ma contagiosa, mentre mostrava divertito e soddisfatto ai suoi ospiti un nuovo buco, un pezzo mancante nel servizio d’argento del corredo nuziale di sua madre. Deliziato come un ragazzino.

Si passò di nuovo la mano sul viso, sul collo, tra i capelli, con un tremito; espirò a lungo rilassando le spalle. Quel pomeriggio, l’ultimo altro inquilino della casa sarebbe andato via: Hagrid lo aveva confermato, sarebbe passato dopopranzo a prendere Alisecco per riportarlo ad Hogwarts, a casa. Aveva trascorso tutta la settimana fermo, senza toccare cibo né quasi acqua, povera bestia. Più o meno come lui, si era trovato  pensare Remus. A quel punto però, era tempo di lasciare la casa. Non era più sicura, bisognava verificare a chi sarebbe toccata adesso, forse non ad Harry. Nemmeno quell’ultimo, misero desiderio di Sirius sarebbe stato avverato, il poter almeno lasciare al figlioccio quella dannata casa, le ultime vestigia di sé, in vece del tempo che avrebbe tanto voluto poter trascorrere col ragazzino e che un destino beffardo e accanito gli aveva sempre strappato via. Forse, a Remus faceva ridere il solo pensiero, Bellatrix Lestrange avrebbe seduto su quella sedia che lui ora stava fissando, la stessa su cui il cugino da lei assassinato aveva trascorso una discreta parte dell’ultimo anno, come una tigre in gabbia.

Non l’avrebbe permesso.

Il sibilo del bollitore gli ricordò di versarsi il the nella tazza. Lo fece lentamente, osservando le volute fumose di calore sprigionarsi dal liquido bollente. Piuttosto sarebbe tornato lì ed avrebbe distrutto lui stesso ogni piatto, ogni mattone delle pareti, ogni infisso, ma Bellatrix non avrebbe tenuto quella casa.

Con la tazza ustionante tra le mani, senza far caso al bruciore, uscì dalla stanza e si apprestò a raggiungere la sua posizione fissa, ormai rituale, ma due cose lo contrariarono e stupirono profondamente. Per cominciare, la finestra non più socchiusa ma spalancata; ma soprattutto, la busta appoggiata sulla sua postazione, il divano di Sirius, piovuta lì da chissà dove per opera di chissà chi. Corrugò le sopracciglia, profondamente indispettito dal fatto che qualcosa lo sostituisse su quei cuscini ormai riservati a lui. Posò la tazza sul tavolino in mogano, ben contento all’idea di lasciarvi un alone, e prese la lettera tra le mani: ampia, spessa, color giallo tenue.

La voltò per leggere il destinatario.

 

REMUS J. LUPIN

Il divano ormai vuoto davanti al camino

12, Grimmauld Place (casa mia)

N.B: DA RECAPITARE SOLO IN CASO DI MORTE IMPROVVISA

 

Remus ebbe per un attimo la confusa certezza che il suo cuore si sarebbe fermato lì, semplicemente, e lo avrebbe abbandonato. Il fiatò gli si mozzò con violenza, mentre incredulo rileggeva l’intestazione un’altra volta, e un’altra. La grafia gli era ben nota, e quella parentesi dopo l’indirizzo bastava da sé a fugare ogni dubbio. Soffocò un gemito contro la mano, sbigottito, e strizzò le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che spontanee sentiva affluire agli occhi. Rimase così, la mano schiacciata sulla bocca e le ciglia serrate, per un tempo che gli sembrò indefinibile, in realtà appena una manciata di secondi.

E la lettera era ancora lì, nell’altra sua mano. Si lasciò cadere sul divano di schianto, le labbra socchiuse, lo sguardo fisso su quelle lettere sbilenche. Molto, molto lentamente il battito frenetico del suo cuore ritornò a ritmi sotto il livello di guardia, facendogli ritenere scongiurato il rischio di un arresto cardiaco.

E finalmente, un barlume di lucidità si fece largo a fatica nel caos vischioso della sua mente. Sirius gli aveva scritto una lettera, in un qualche momento precedente la sua morte. Il desiderio di sapere che cosa contenesse –le ultime volontà, i saluti di un amico, la dichiarazione di quell’antico, rinnovato amore troppo a lungo messo da parte- si affacciò prepotentemente nell’animo di Remus, spingendo le sue dita ad avvinghiarsi intorno al bordo della busta, dove essa si apriva, ed immediatamente si cristallizzò.

Non l’aveva notata: piccola, poco marcata, una scritta proprio sopra l’apertura, là dove talvolta compariva il mittente. La lesse.

 

Le parole che non ti ho detto.

 

Remus si grattò lentamente il mento ruvido, con occhi attenti, le labbra leggermente arcuate all’ingiù, serio, concentrato. Quindi, si alzò; con delicatezza, come avesse avuto paura che ad un tocco brusco si sbriciolasse, posò la lettera dove l’aveva trovata, e ritornò al tavolino, riportò la propria attenzione sul the ormai poco più che tiepido. Lo bevve, assorto.

Una lacrima dispettosa gli scivolò sulla guancia, la scacciò con fastidio.

La morte di Sirius l’aveva spezzato, annientato, distrutto, ridotto ad una larva di se stesso. Ogni mattina il risveglio era un peso insostenibile. Qualunque cosa fosse scritta su quei fogli, avrebbe solo potuto peggiorare un dolore già troppo lancinante.

Realizzò di non voler leggere quelle parole.

Con uno sbuffo, deciso, tornò al divano, prese in mano la busta e con lentezza e sacralità, dapprima esitando e poi con sempre più sicurezza e naturalezza la strappò in due metà, che sovrappose per strapparle ulteriormente in due, e così via, fino ad ottenere una gran manciata di frammenti svolazzanti, larghi quanto chicchi di caffè, che gettò nel camino.

Immediatamente si voltò, tornò ad accasciarsi sul divano e lasciò, finalmente, che i singhiozzi lo sommergessero, squassandolo, mentre si rannicchiava su se stesso coprendosi la testa con le braccia, come a difendersi da invisibili colpi.

 

 

TO BE CONTINUED…

 

 

 

Per favore, per favore, per favore.

Sei arrivato/a qui leggendo qualcosa che ha impegnato una più o meno ingente quantità di tempo e sicuramente grande quantità di energie mentali.

Spreca un pizzico dei tuoi per dirmi che ne pensi.

Grazie

suni

 

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Capitolo 2
*** II ***


Ci ho riflettuto un po’ su.

Poi ho deciso che, siccome il seguito era praticamente già scritto –tre ore in tutto per l’intera storia, non male in fondo- potevo finirla come l’avevo immaginata originariamente, divisa in tre parti.

C’è una piccola postilla in fondo per chiarire la cosa.

 

 

 

-II-

 

 

Come aveva del resto previsto, Remus non si mosse dal divano per ore. I pochi passi che fece non lo portarono da nessuna parte, solo a girare nervosamente per la stanza, con gemiti soffocati dovuti ai suoi turbinosi pensieri. Cosa avesse scritto Sirius in quella maledetta lettera, e per quale ragione l’avesse fatto, cosa rimanesse da dire se non che erano due maledettissimi perdenti, questo si stava chiedendo.

Sirius ragazzino a Hogwarts. Sirius che quasi perdeva gli anelli il giorno del matrimonio di James. Il morto vivente che gli era piombato in casa dopo la terza prova della Tremaghi, il giorno della rinascita di Voldemort. Ricordava tutto, era un uomo preciso e coscienzioso, uno studioso, lui.

E ricordare era un tormento abissale.

Quando si aprì la porta, Remus avrebbe voluto urlare di andarsene e lasciarlo in pace. Per la primissima volta provò un moto d’odio verso Hagrid, vedendolo entrare. Perché non voleva avere intorno nessuno e perché gli stava portando via Fierobecco, l’ultima reliquia.

Ma l’ira si placò in un infinitesimo di secondo, vedendo che il Mezzogigante non era solo.

Il fiato gli scivolò un poco più agevolmente lungo i polmoni, con un fresco sollievo, mentre il suo sguardo incrociava quello, indecifrabile, degli azzurrissimi occhi di Albus Silente, fermo sulla porta senza alcuna espressione riconoscibile sul volto regale.

“Buongiorno, Remus” lo salutò amabilmente, chiudendo la porta.

“Bene arrivati” mormorò lui.

“Ciao, Remus, come va? Non c’hai una bella cera” mormorò goffamente Hagrid, avvicinandosi con la sua immensa mole.

“Sono solo un po’ stanco” rispose lui fissando il pavimento.

Hagrid annuì col testone cespuglioso.

“Se ti fa piacere dopo, insomma se vuoi, puoi venirci a trovare, me e Becco, a Hogwarts. A lui ci farà piacere, sicuro. Gli mancherà questa casa” aggiunse con tutta la delicatezza di cui poteva essere capace.

Remus accennò un sorriso, gli occhi lucidi.

“Grazie. E’ di sopra” rispose, guardando l’omone arrampicarsi con tutta fretta lungo le scale, palesemente impaziente di rivedere l’amato ippogrifo.

Spostò indietro lo sguardo, su Silente, chinatosi a raccogliere in terra qualcosa.

Quando si rialzò, Remus potè vedere un pezzo di carta nella sua mano antica. Un pezzetto di carta stracciata. Albus lo osservò per un istante, quindi lo appoggiò nel posacenere di cristallo, senza parlare.

“Bisogna che anche tu venga via da questa casa, Remus. Domani, al più tardi” osservò tranquillamente, sedendosi di fronte a lui.

Lui annuì mordendosi le labbra.

“Sì” sussurrò.

“Se ti va, posso aiutarti a fare i bagagli – Silente si guardò intorno con aria indaffarata- non ho niente d’importante da fare, quest’oggi.” commentò continuando a osservarlo.

Remus si nascose il viso tra le mani, asciugando lacrime non ancora versate, e prese fiato.

“Ho bisogno del tuo aiuto, sì. Ma non per i bagagli” mormorò con una smorfia.

Silente rimase immobile, scrutandolo. Non era un uomo debole, né che perdesse facilmente la calma. Sempre, l’aveva visto lucido e padrone di sé, a dispetto della più cupa delle situazioni.

“Dimmi, Remus” lo invitò, con un remoto sorriso.

“Ho… Ricevuto una lettera, questa mattina” iniziò lui, e chiuse gli occhi, da cui scivolarono due lacrime.

Silente tacque e attese che proseguisse, osservando partecipe quel pianto inconsueto.

“Ma non la volevo leggere. Che importanza ha? A cosa serve, ormai?” proseguì infatti Remus, scuotendo al testa con voce rotta, prima di tacere.

Silente sospirò leggermente.

“Temo, Remus, che tu non mi stia fornendo sufficienti elementi per aiutarti. Sopravvaluti la mia prodigiosa intelligenza” esclamò con un brillio affettuoso degli occhi.

Remus ridacchiò suo malgrado.

“Sirius mi deve aver scritto qualche tempo… prima. La lettera è arrivata stamattina, dev’essere una specie di addio, un testamento spirituale o chissà cosa. Sulla busta c’era scritto: le parole che non ti ho detto” sussurrò, ad occhi chiusi.

“L’hai aperta?” chiese gentilmente il Preside.

Remus scosse la testa con vigore.

“Non volevo leggerla” mormorò con forza.

Silente si voltò indietro, mente Remus tornava a guardarlo.

Quella lettera?” domandò indicando il pezzetto di carta che aveva posato nel portacenere, e lui annuì semplicemente.

Silente si appoggiò più comodamente allo schienale della poltrona dei Black. Appoggiò le mani a specchio, le punte delle dita che si toccavano, proprio sotto la barba.

“E dunque…?” insistè discretamente.

“Ho sbagliato?” chiese Remus con le lacrime agli occhi, tormentandosi i capelli.

Silente sorrise.

“Sbagliato? Cosa vuol dire, sbagliato? Hai fatto quel che sentivi di fare” rispose con fermezza.

“Al… Al mio posto l’avrebbe aperta” ribattè Remus in un ciclopico sforzo di dominarsi.

Silente corrugò le sopracciglia.

“Ma tu non sei Sirius. Sei Remus, sei diverso. E lui lo sapeva benissimo. Non credo abbia scritto quella lettera per costringerti ad aprirla, ma perché ne sentiva il bisogno, così come tu puoi sentire il bisogno di non leggerla” lo contraddisse con serietà, allungando le gambe sotto il tavolino.

Remus si sedette più compostamente, versandosi dal ripiano accanto al divano un dito di whiskey.

“Mi continuo a sentire in torto” ammise, più fermo.

“Ritieni di avere qualche oggettiva ragione per farlo? -domandò Silente, e lui scosse la testa- … Allora forse è diverso.”

“Perché, Albus? Perché l’ha fatto?” domandò lui riscaldandosi.

“… Se un uomo scrive una lettera del genere potrebbe, e dico potrebbe, essere per via di qualche rimpianto. Per un grande affetto. E perché sa, meglio di tanti altri, che i nostri morti ci rimangono vicini finche ricordiamo le cose belle che ci hanno donato, e che una parola vale più di mille assenze. O forse perché sa quanto è doloroso e sbagliato perdere una persona cara non avendole detto quanto conta, e voleva evitare che gli accadesse anche con te” monologo il Preside, con lo sguardo attento e aperto di Remus fisso su di sé.

“Secondo te la dovevo leggere?” domandò piano.

Silente scosse la testa, con fermezza.

“Sai che non posso rispondere a questa domanda, Remus” ribattè con un sorriso di scherzoso rimprovero, ammonendolo col dito teso.

“Per favore” sussurrò lui.

“Ma tu sai già la risposta, Remus, e io non ti voglio influenzare –il Preside voltò la testa verso l’altro, dove Hagrid era comparso con l’ippogrifo- Ed inoltre, devo andare.” Si alzò, silenziosamente, sorridendogli un’ultima volta.

Remus salutò a malapena, rimanendo immerso nel divano, finchè non furono usciti, e la casa tornò, definitivamente e totalmente, silenziosa. E per molto tempo ancora. Già il sole iniziava a calare quando si riscosse.

Qualcosa delle parole di Albus lo aveva colpito. Lui lo sapeva benissimo. Esatto, Sirius lo conosceva, e bene. Meglio di chiunque altro, meglio di se stesso. E sapeva quanto sarebbe stato terribile per lui ricevere quella lettera, eppure lo stesso l’aveva scritta, e aveva fatto in modo che la ricevesse.

Perché?

Con un profondo, tremante sospiro si voltò verso il camino, ed estrasse la bacchetta con lenta esitazione. L’agitò leggermente, e tutti i pezzetti di carta che un tempo erano stati la lettera di Sirius si sollevarono svolazzando, alcuni anche da terra, da sotto il divano, e quello nel posacenere, per andare a depositarglisi in grembo.

Un altro leggero colpo di bacchetta, un “Reparo” appena mormorato, ed una busta giallo tenue era appoggiata sulle ginocchia di Remus Lupin.

Si passò la mano sulle guance, sul mento, e poi, con rinnovata fermezza, la portò ad aprire la busta, finalmente, col cuore in gola e le labbra tremanti. Gli sfuggì un lieve singhiozzo al solo vedere le pagine fittamente coperte di quella grafia malferma tanto familiare, ma scrollò la testa e, prendendo fiato, si accinse a leggere.

 

 

 

 

TO BE CONTINUED…

 

 

 

 

 

Gente, è giugno… Il camino è spento.

Hahahaha come sono simpatica e geniale.

 

 

X erendil: mo’ grasssie… In verità l’idea mi ronzava in mente, mooolto vaga, circa da… quando ho finito di leggere OOP, o meglio quando mi sono parzialmente ripresa dalla lettura di OOP (e ce n’è voluto del tempo…). Subito l’avevo pensata rivolta ad Harry, ma mi sembrava di infierire.

X Sarabi: … L’ha gettata mica per farti dispetto… ^^. Sì, mi sono accorta di una leggera vena sadica che pervade tutti i miei scritti. Per questo di recente sto cercando di cimentarmi col comico – comico vero, non amaro come mio solito- ma non riesco a focalizzare l’idea giusta. CONSIGLI? (domanda aperta a TUTTI)

X Miki_TR: AAHUAAAAOOOO… Che recensione commovente! Ma parla di me?, mi chiedevo mentre leggevo. Le sensazioni che dici di provare sono esattamente quelle che cerco di suscitare quando scrivo e perciò puoi immaginare la soddisfazione. Grazie, grazie grazie per avermi recensita finalmente, sto attraversando una lieve crisi e avevo bisogno di qualcosa del genere. In particolare grazie per aver citato Pills, che il mondo intero sembra snobbare e che io invece amo totalmente –ed è l’unica “opera” mia per cui provo una cosa simile. Quindi, anche se trovo le tue parole troppo lusinghiere, mi prostro adorante ai tuoi piedi.

X Mokarta: non so se il seguito è altrettanto ben scritto, comunque eccotelothank you!

X Mrs. Norris: L’amarezza è il mio pane quotidiano, bwahahahahaha!! –satanica- Quanto all’appunto su sirius… beh, come vedi la cosa è cambiata, no?

X eilantha: Sniff, ma tu mi minacci seeempreeeSigh, sob… Ho tanta PAURA di te! ^__^ Tieni pure da parte le strillettere per un momento più consono, per ora ti accontento.

X ivy: Hahahaha la lettera non ha bisogno di rigenerarsi, è ancora lì, vedi? Pareva di vedere un film, dici? In effetti è così che immagino le scene quando scrivo, come inquadrature di film, m’immagino precisamente i gesti, le espressioni del viso, i movimenti… E poi studio cinema ^^

 

 

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Capitolo 3
*** III ***


Vi avverto… Se volete il dramma totale, rimarrete insoddisfatti. Non è così che l’immagino io.

Ringrazio tutti per la lettura e in particolar modo le persone che hanno avuto voglia di commentare con qualche parola –ne approfitto per ringraziare allargando a tutti i commentatori dei miei lavori in generale- dandomi l’impulso di continuare a scrivere. Non avete idea di quanto, spesso, siano proprio i vostri commenti a darmi la voglia di continuare  a scrivere.

A presto

suni

 

 

-III-

 

 

 

Mi sembra quasi di vederti.

Avrai fatto il giro di tutta la casa per tutto il  giorno in preda ad indicibili terrori, nell’ansia di ciò che avresti letto. Posso immaginare perfettamente la tua faccia, quelle smorfie da pazzo.

E dunque.

Se l’hai aperta…

E se stai leggendo…

Oh, mio diletto, mio amatissimo, luce della mia vita, quanto vorrei averti ripetuto fino all’infinito quanto mi sia caro ogni tuo gesto, ogni tuo sguardo, ogni.

No. No, Remus, niente del genere.

Non sono queste le cose che mi preme dirti.

Ma piuttosto...

Il Signor Felpato porge i suoi ossequi al signor Lunastorta, e lo prega di tener ben presente che queste sono le sue ultime volontà ed ultime affermazioni, e che sarebbe pertanto assai scortese tenerne poco conto.

Messo questo ben in chiaro, e sapendo che il signor Lunastorta è uomo assai coscienzioso…

Non te l’ho mai detto, Remus, ed è per questo semplicemente che ti scrivo, ma tu sei la persona che ho stimato di più nella mia vita. Anche se sempre, durante tutta la nostra burrascosa amicizia, e dopo, quando l’amicizia si è evoluta, e dopo ancora, anzi soprattutto dopo ancora, reso da Azkaban rigido e spigoloso, poco incline al dialogo paritario, abbiamo avuto innumerevoli scontri e quasi sempre ci siamo trovati con opinioni contrastanti su qualunque cosa –chissà perché mi sono innamorato di te, Remus, me lo sono sempre chiesto, davvero, io non lo so- … Oh, Merlino.

Mi devi perdonare, Remus.

Ora mi viene da ridere, perché tu leggendo questa frase avrai pensato “oh no, ancora, questa storia del Custode”… No no no.

Mi devi perdonare per questo caos, questa lettera senza senso, che non ha capo né coda, ma anch’io ho smarrito il senso, è rimasto in quella cella buia, laggiù; ed ho l’affanno, perché ho così poco tempo e così tanto da scrivere, che mi viene in mente tutto insieme.

Per inciso, in effetti, perdonami anche per quella faccenda del Custode.

Tornando a noi, Remus, lo dico sul serio: sei la persona migliore che ho conosciuto, sei il mio idolo. Più di Albus, più di Edgar, persino più dell’intera squadra della coppa del mondo di Quidditch del ’78, e che finale ragazzi, ancora me la ricordo. Se dovessi appendere il poster di qualcuno alla parete, ci sarebbe sopra la tua faccia, e sotto ci scriverei “Felpato vorrebbe tanto essere così”.

Vorrei aver fatto di più per dimostrartelo. Insomma, so di aver fatto ben poco anche per dimostrarti che ti amavo, ma quello lo sapevi, lo hai sempre saputo, e sapevi anche che la ragione per cui lo tacevo è che sono cocciuto, e orgoglioso, ed arrivo da quell’orrenda famiglia –Remus che cosa ci fai ancora in quella casa, quella tomba, esci FUORI- ed anche per quello mi sento in colpa, perché ti ho amato per vent’anni e non sono mai stato capace di liberare completamente la cosa; ma più ancora, dicevo, vorrei averti dimostrato la mia stima.

Sei un maledettissimo Licantropo.

Sei Schivo, sei timido, responsabile.

Noioso, molte volte.

Sono cose che ti ho detto tanto spesso, di solito ridendo.

Però non ricordo di averti detto quanto ammiro il fatto che sei così generoso, così forte, coraggioso senza esagerare, come me. Capace di andare fino in fondo ad ogni situazione nel pieno possesso e controllo delle tue facoltà. Questa è una cosa di te che mi ha sempre impressionato. Non te lo potevo dire, Remus, se avessi ammesso che ammiravo la tua prudenza e razionalità non avrei potuto più opporvi la mia cocciuta temerarietà. Ma penso davvero che tu sia molto più coraggioso, molto più intelligente e molto più forte di quanto fossimo io e James.

Non a caso tu sei ancora vivo.

Per favore, Remus, non fartene una colpa.

Sa Merlino se non vorrei essere lì anche io, e scapparmene con te in qualche posto lontano dove non esiste quella dannata guerra.

Ed è strano che adesso, davanti a questo foglio che so che non leggerai mai con la possibilità di commentarlo in mia presenza, mi riesca facile e naturale dire queste cose come se l’avessi sempre fatto, quando forse, se non ricordo male, non ti ho mai detto chiaramente nemmeno “ti amo” –e questo è tipico di me, non è vero?

Sto divagando di nuovo.

Vorrei scapparmene con te, avevo iniziato, ma non può essere così, e allora Remus, per favore, e non te l’ho mai chiesto un grande favore, te lo chiedo ora, un’altra cosa che non ti ho mai detto…

Vivi.

Per tutti e due.

Apri la porta, cammina per la strada e guardati intorno. Io non lo posso fare da quattordici anni, non potrò mai più. Ridi, di qualunque cosa ti capiti, e divertiti in ogni modo possibile, goditi la vita anche per me. Assaporala, trovati una persona e scopatela, e goditi il piacere di non svegliarti da solo la mattina. Mi piacerebbe, svegliarmi di fianco a qualcuno il mattino, ma credo mi verrebbe un infarto. “Ommerlino un Dissennatore!!” penserei.

Sii una persona come le altre. Sei fortunato, Remus, sei vivo, e te lo meriti.

Non farmi questo torto, non sprecare il tuo prezioso tempo in sofferenze inutili. Io sarò comunque morto, che tu lo accetti o meno. Non perdere quel tempo, Lunastorta, te lo chiedo per favore, io, che quel tempo non ce l’ho avuto.

Ti ricordi quel giorno poco prima dei GUFO, ad Hogsmeade, dai Tre Manici… No. Probabilmente non lo ricordi, è stato un giorno come tanti altri. Non è successo niente di memorabile. Stavamo parlando, con James, di un nuovo scherzo ai Serpeverde, qualcosa che centrava con il lago, non ricordo bene. E tu ti sei intromesso, hai chiesto se invece non avremmo preferito, non so, far qualcosa per i fatti nostri senza provocare i soliti eccidi di massa. Ti arrotolavi i capelli intorno al dito, come fai sempre. James ti ha guardato come un alieno e mi ha sussurrato che eri proprio tocco, ma che potevamo farci, ci toccava tenerti così com’eri.  E io, in quel momento, ho pensato che era esatto, che mi andava benissimo tenerti così com’eri, precisamente. E mi sono alzato e sono uscito e mi sono allontanato, perché mi sentivo svenire dall’ansia, e là seduto nel fango fuori dalla Stamberga, mi sono guardato in faccia e mettendo da parte l’orgoglio, terrorizzato, mi sono detto “ok, sei innamorato di un maschio. Di un tuo amico. Di Remus, così com’è”.

Seduto nel fango…

Che romantica immagine, non è vero? Che narratore sopraffino…

E te lo ricordi, Remus, il sesto anno? Quel giorno, in Infermeria, che continuavo a chiederti scusa, singhiozzando, e tu non parlavi, e poi hai detto un’unica cosa, me la ricordo ancora dopo vent’anni, hai detto “adesso sì che mi odio, ti ringrazio”.

Certo che sei sempre stato bravo tu, a farmi sentire un verme… Che stoccate, che stile.

Ti volevo dire, Remus, che mi vergogno. Per aver mandato Severus alla Stamberga, e per essere stato così stupido e abissalmente superficiale. L’ultima cosa che avrei mai voluto era essere la causa del tuo disprezzo verso te stesso, io, che disprezzo per te non ne ho provato mai, nemmeno per un istante, checché tu ne pensi, nemmeno quel giorno con il calendario in mano e James a fianco che ripeteva “Licantropo?” come un Pensatoio inceppato. Quel giorno lì, mi sono un po’ spaventato sì, mentirei a negarlo e non mi sembra questa l’occasione per mentire. Ma non mi è mai passato per la mente di disprezzarti, Remus. E se un giorno avrai voglia di esaudire il mio più grande desiderio la smetterai anche tu, ti guarderai in faccia finalmente e scoprirai un uomo colmo di straordinarie qualità con un PICCOLO PROBLEMA PELOSO (Remus Lupin e il coniglio mannaro, per capirci) del tutto ininfluente rispetto alla grandezza del tuo spirito.

Lo dovresti vedere, Remus. Lunastorta è in assoluto l’animale più fiero e maestoso che io abbia mai visto. Le zampe, per cominciare, sono come di un titano, larghe, con muscoli spessi visibili anche a distanza. Un torace possente, pelo folto, lucente, appena un po’ ispido di selvatico e un muso allungato, con una dentatura imponente, da squalo, che ti dice chiaro e tondo che quello non è un cucciolo da salotto, ma un Signore dei boschi.

Questo, è quello che vedo io, Remus.

Nessun mostro.

E’ vero, la prima volta che l’ho incontrato ho pensato che ero morto. Ohiohi, mi sono detto, qua, ragazzo mio, ti fanno le festa.

Non è mai successo niente del genere.

Non hai mai voluto parlare di Lunastorta. Mi costringi a farlo adesso che non mi puoi più rispondere. Ho sempre pensato queste cose.

Di tutte le altre che ti volevo dire, me ne interessa solo più una, la più banale, la più scontata, nonché la più vera di tutte.

Grazie.

Per avermi amato e per avermi permesso di amare te. Lo reputo il più grande regalo che mi sia mai stato fatto, il più prezioso e splendente. Lo custodisco gelosamente e non ne ho lasciato nemmeno un pezzetto a quei mostri, in quella fortezza.

Sei stato l’apice della mia vita.

E con questo, ho concluso.

Fatto il misfatto, si diceva una volta.

Una smielataggine conclusiva –davvero, sto diventando una donnicciola-, la devo scrivere, l’hai aspettata tanto tempo. Goditela, per quel che può valere adesso, perché è tua, è sempre stata solo e soltanto tua, per quanto mi riguarda.

Ti amo.

 

In bocca al LUPO…

… Questo ho sempre sognato di dirtelo.

E dai, Remus, sorridi… Quanto sei noioso…

 

Sirius

 

Ancora una cosa, una soltanto, l’ultima, quella per cui tutto è stato scritto: sii orgoglioso di te stesso, Remus J. Lupin, dei tuoi capelli grigi, della tua faccia sciupata e delle mille cicatrici che ti segnano il corpo; sono le cicatrici di una grande storia, la storia di un grande uomo, un EROE quotidiano. Verrà il giorno in cui il tuo nome verrà sussurrato con rispetto e la tua meravigliosa anormalità osannata.

Ci vediamo, prima o poi.

E piantala… Ma CERTO che ci vediamo… Chi credi di essere, scusa?

 

 

 

 

 

Ce l’aveva fatta, dopotutto.

Vivo, vittorioso, con l’arma di una penna d’oca, era riuscito ad incidere la sua vitalità su quei pochi fogli. Aveva accantonato l’amarezza, per lasciare che il Sirius ridente dei suoi ricordi gli porgesse l’ultimo saluto, a dispetto di quell’uomo cupo e incarognito che era diventato, in un estremo atto di generosità. Un tentativo di consolazione, non un addio. Persino spiritoso, qua e là, limpido, senza infioriture drammatiche. Davvero, Sirius lo conosceva bene.

Chiuse gli occhi.

Riusciva a vederlo sorridere assorto, davanti al foglio bianco che attendeva di essere riempito. Il sorriso che si ampliava, nello scrivere gli ossequi del signor Felpato al signor Lunastorta. La smorfia concentrata nel cercare di spiegare le sue sensazioni di ragazzino innamorato, il naso storto dal dispetto nel rimproverargli la scarsa stima per il Lupo che, adesso lo sapeva con certezza ancora maggiore, con tremante stupore, Sirius davvero aveva adorato.

Remus aveva pianto copiosamente, durante la lettura, singhiozzando con tutte le sue forze col pensiero che mai, mai più avrebbe letto né udito parole simili, con quei sottintesi dovuti a tanti anni di conoscenza, quelle frasi tipiche, quell’affetto incondizionato che per una seconda volta gli era stato ingiustamente tolto. Ma ora non piangeva più.

Sorrideva tra le lacrime.

Sì, avrebbe vissuto, e riso e scopato, e un giorno magari sarebbe stato di nuovo davvero felice, perché era un essere umano, dopotutto. Ma avrebbe anche, sempre, saputo e ricordato che per la persona più importante della sua vita aveva avuto il medesimo valore. Perché era quello il messaggio tra le righe, la postilla decifrabile solo per lui.

Richiuse lentamente la busta e salì quasi di corsa verso il piano superiore, entrò nella sua stanza ed aprì la sua logora valigia. Lisciandola perché non si sciupasse, sistemò la lettera in una tasca interna, la più piccola, la più riposta.

Non se ne sarebbe più separato, mai.

 

 

 

THE END

 

 

X Mokarta: Grazie… Sì, la lettera la doveva proprio leggere in qualche modo, no? … Sono lieta che Albus ti soddisfi… Io lo venero. Era il mio secondo personaggio preferito, perciò non mi sono stupita quando la cara JK, dopo avermi steso il primo nel 5, ha ben pensato di seccare anche lui. Che cara donna… ^__^  Scherzo, ovviamente.

X Drew: era un po’ quel che volevo, sì, generare quel tipo di fastidio. Succede speso anche nella realtà, di voler andare avanti ma non sentirne la forza, ed è una cosa molto intensa. Grazie per l’apprezzamento.

X Sarabi: già, ha preso la stagione giusta. Silente non poteva che essere rassicurante, e ha proposito della parentesi comica non serve molto, basta qualche piccola correzione, qualche lampo di genio, cavolate… O anche solo un “carino!”

X Elly: … Già, bastava un reparo. Silente è davvero un re, e il povero remus, ammetterai, è in una triste situazione al momento.

Pills è la tua preferita?? OH GAUDIO E TRIPUDIO!!! Allora Dio esiste! Un sacco di gente mi ripete che Crazy Days è più bella ma non è affatto vero! Pills è molto, molto meglio. Lo scherzo a Sev è quasi pronto, don’t worry!

Bye

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