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Non
è tanto una serata allegra, si vede, dato che ho “partorito”
questo-
Non so nemmeno se è finita o no. E' triste, sì. Non so bene se
collocarla in ambito di qualche altra mia storia, ma direi tutto sommato di no. Sta bene dove sta.
Buona
lettura
Suni
LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO
Remus
si passò la mano sul viso, constatandone la ruvidezza. Tentò
distrattamente di ricordare quando poteva essere stata l’ultima occasione
in cui si era dedicato a qualcosa di futile e pratico, come ad esempio farsi la
barba. Ma poiché in fondo non gliene importava davvero nulla, di
rispondere ad un simile quesito, scrollò lentamente la testa con un sospiro
silenzioso e riprese a scendere le scale verso il piano inferiore. Sapeva di
avere qualche impegno improrogabile quel giorno, come anche il giorno prima, ed
era altrettanto certo che l’avrebbe semplicemente glissato, ancora come
il giorno prima. Presumibilmente, sarebbe rimasto tutto il tempo seduto sul
divano, strano a dirsi, come il giorno prima. E tutta queste serie di cose era
avvenuta anche durante l’intera settimana precedente.
Entrò
in cucina e si diresse ai fornelli, registrando mentalmente quanto fosse strano
trovarla così vuota, senza Molly che spignattava, né Tonks che
raccoglieva cocci di un qualunque oggetto da lei appena distrutto, o Kingsley immerso nella lettura di qualcuno dei suoi dossier
del Ministero. Oppure Mundungus che tra una
chiacchiera e l’altra faceva svanire tra le pieghe del mantellaccio
qualche prezioso cimelio di famiglia di pregiata fattura, con mossa furfantesca
e discreta che Sirius fingeva di non notare assolutamente.
Il
viso di Remus tremò impercettibilmente, mentre senza volerlo serrava gli
occhi trattenendo il fiato.
Respirò
profondamente, una, due volte prima di riaprirli, e prese una tazza dalla
credenza, posandola sul tavolo.
Già.
Mai uno sguardo, non un gesto, salvo poi, non appena la porta si chiudeva
dietro le spalle del vecchio imbroglione, scoppiare a ridere di cuore, con
quella risata spenta eppure così viva, simile ad un latrato, spezzata,
amara ma contagiosa, mentre mostrava divertito e soddisfatto ai suoi ospiti un
nuovo buco, un pezzo mancante nel servizio d’argento del corredo nuziale di
sua madre. Deliziato come un ragazzino.
Si
passò di nuovo la mano sul viso, sul collo, tra i capelli, con un
tremito; espirò a lungo rilassando le spalle. Quel pomeriggio, l’ultimo
altro inquilino della casa sarebbe andato via: Hagrid
lo aveva confermato, sarebbe passato dopopranzo a prendere Alisecco
per riportarlo ad Hogwarts, a casa. Aveva trascorso tutta la settimana fermo,
senza toccare cibo né quasi acqua, povera bestia. Più o meno come
lui, si era trovatopensare Remus. A
quel punto però, era tempo di lasciare la casa. Non era più
sicura, bisognava verificare a chi sarebbe toccata adesso, forse non ad Harry. Nemmeno quell’ultimo,
misero desiderio di Sirius sarebbe stato avverato, il poter almeno lasciare al
figlioccio quella dannata casa, le ultime vestigia di sé, in vece del
tempo che avrebbe tanto voluto poter trascorrere col ragazzino e che un destino
beffardo e accanito gli aveva sempre strappato via. Forse, a Remus faceva
ridere il solo pensiero, BellatrixLestrange avrebbe seduto su quella sedia che lui ora stava
fissando, la stessa su cui il cugino da lei assassinato aveva trascorso una
discreta parte dell’ultimo anno, come una tigre in gabbia.
Non
l’avrebbe permesso.
Il
sibilo del bollitore gli ricordò di versarsi il the nella tazza. Lo fece
lentamente, osservando le volute fumose di calore sprigionarsi dal liquido
bollente. Piuttosto sarebbe tornato lì ed avrebbe distrutto lui stesso
ogni piatto, ogni mattone delle pareti, ogni infisso, ma Bellatrix
non avrebbe tenuto quella casa.
Con
la tazza ustionante tra le mani, senza far caso al bruciore, uscì dalla
stanza e si apprestò a raggiungere la sua posizione fissa, ormai
rituale, ma due cose lo contrariarono e stupirono profondamente. Per
cominciare, la finestra non più socchiusa ma spalancata; ma soprattutto,
la busta appoggiata sulla sua postazione, il divano di Sirius, piovuta
lì da chissà dove per opera di chissà chi. Corrugò
le sopracciglia, profondamente indispettito dal fatto che qualcosa lo
sostituisse su quei cuscini ormai riservati a lui. Posò la tazza sul
tavolino in mogano, ben contento all’idea di lasciarvi un alone, e prese
la lettera tra le mani: ampia, spessa, color giallo tenue.
La
voltò per leggere il destinatario.
REMUS J. LUPIN
Il divano ormai vuoto
davanti al camino
12, GrimmauldPlace (casa mia)
N.B:
DA RECAPITARE SOLO IN CASO DI MORTE IMPROVVISA
Remus
ebbe per un attimo la confusa certezza che il suo cuore si sarebbe fermato
lì, semplicemente, e lo avrebbe abbandonato. Il fiatò gli si
mozzò con violenza, mentre incredulo rileggeva l’intestazione un’altra
volta, e un’altra. La grafia gli era ben nota, e quella parentesi dopo l’indirizzo
bastava da sé a fugare ogni dubbio. Soffocò un gemito contro la
mano, sbigottito, e strizzò le palpebre per ricacciare indietro le
lacrime che spontanee sentiva affluire agli occhi. Rimase così, la mano
schiacciata sulla bocca e le ciglia serrate, per un tempo che gli sembrò
indefinibile, in realtà appena una manciata di secondi.
E
la lettera era ancora lì, nell’altra sua mano. Si lasciò cadere
sul divano di schianto, le labbra socchiuse, lo sguardo fisso su quelle lettere
sbilenche. Molto, molto lentamente il battito frenetico del suo cuore
ritornò a ritmi sotto il livello di guardia, facendogli ritenere
scongiurato il rischio di un arresto cardiaco.
E
finalmente, un barlume di lucidità si fece largo a fatica nel caos
vischioso della sua mente. Sirius gli aveva scritto una lettera, in un qualche
momento precedente la sua morte. Il desiderio di sapere che cosa contenesse –le
ultime volontà, i saluti di un amico, la dichiarazione di quell’antico, rinnovato amore troppo a lungo messo da
parte- si affacciò prepotentemente nell’animo di Remus, spingendo
le sue dita ad avvinghiarsi intorno al bordo della busta, dove essa si apriva,
ed immediatamente si cristallizzò.
Non
l’aveva notata: piccola, poco marcata, una scritta proprio sopra l’apertura,
là dove talvolta compariva il mittente. La lesse.
Le parole
che non ti ho detto.
Remus
si grattò lentamente il mento ruvido, con occhi attenti, le labbra
leggermente arcuate all’ingiù, serio, concentrato. Quindi, si
alzò; con delicatezza, come avesse avuto paura che ad un tocco brusco si
sbriciolasse, posò la lettera dove l’aveva trovata, e
ritornò al tavolino, riportò la propria attenzione sul the ormai
poco più che tiepido. Lo bevve, assorto.
Una
lacrima dispettosa gli scivolò sulla guancia, la scacciò con
fastidio.
La
morte di Sirius l’aveva spezzato, annientato, distrutto, ridotto ad una
larva di se stesso. Ogni mattina il risveglio era un peso insostenibile.
Qualunque cosa fosse scritta su quei fogli, avrebbe solo potuto peggiorare un
dolore già troppo lancinante.
Realizzò
di non voler leggere quelle parole.
Con
uno sbuffo, deciso, tornò al divano, prese in mano la busta e con
lentezza e sacralità, dapprima esitando e poi con sempre più
sicurezza e naturalezza la strappò in due metà, che sovrappose
per strapparle ulteriormente in due, e così via, fino ad ottenere una
gran manciata di frammenti svolazzanti, larghi quanto chicchi di caffè, che gettò nel camino.
Immediatamente
si voltò, tornò ad accasciarsi sul divano e lasciò,
finalmente, che i singhiozzi lo sommergessero, squassandolo, mentre si
rannicchiava su se stesso coprendosi la testa con le braccia, come a difendersi
da invisibili colpi.
TO BE CONTINUED…
Per favore, per favore, per favore.
Sei arrivato/a qui leggendo qualcosa che
ha impegnato una più o meno ingente quantità di tempo e
sicuramente grande quantità di energie mentali.
Spreca un pizzico dei tuoi per dirmi che
ne pensi.
Poi
ho deciso che, siccome il seguito era praticamente già scritto –tre
ore in tutto per l’intera storia, non male in fondo- potevo finirla come
l’avevo immaginata originariamente, divisa in tre parti.
C’è
una piccola postilla in fondo per chiarire la cosa.
-II-
Come
aveva del resto previsto, Remus non si mosse dal divano per ore. I pochi passi
che fece non lo portarono da nessuna parte, solo a girare nervosamente per la
stanza, con gemiti soffocati dovuti ai suoi turbinosi pensieri. Cosa avesse
scritto Sirius in quella maledetta lettera, e per quale ragione l’avesse
fatto, cosa rimanesse da dire se non che erano due maledettissimi perdenti,
questo si stava chiedendo.
Sirius
ragazzino a Hogwarts. Sirius che quasi perdeva gli anelli il giorno del
matrimonio di James. Il morto vivente che gli era piombato in casa dopo la
terza prova della Tremaghi, il giorno della rinascita
di Voldemort. Ricordava tutto, era un uomo preciso e coscienzioso, uno
studioso, lui.
E
ricordare era un tormento abissale.
Quando
si aprì la porta, Remus avrebbe voluto urlare di andarsene e lasciarlo
in pace. Per la primissima volta provò un moto d’odio verso Hagrid, vedendolo entrare. Perché non voleva avere
intorno nessuno e perché gli stava portando via Fierobecco,
l’ultima reliquia.
Ma
l’ira si placò in un infinitesimo di secondo, vedendo che il Mezzogigante non era solo.
Il
fiato gli scivolò un poco più agevolmente lungo i polmoni, con un
fresco sollievo, mentre il suo sguardo incrociava quello, indecifrabile, degli
azzurrissimi occhi di Albus Silente, fermo sulla porta senza alcuna espressione
riconoscibile sul volto regale.
“Buongiorno,
Remus” lo salutò amabilmente, chiudendo la porta.
“Bene
arrivati” mormorò lui.
“Ciao,
Remus, come va? Non c’hai una bella cera” mormorò goffamente
Hagrid, avvicinandosi con la sua immensa mole.
“Sono
solo un po’ stanco” rispose lui fissando il pavimento.
Hagrid annuì col testone cespuglioso.
“Se
ti fa piacere dopo, insomma se vuoi, puoi venirci a trovare, me e Becco, a
Hogwarts. A lui ci farà piacere, sicuro. Gli mancherà questa
casa” aggiunse con tutta la delicatezza di cui poteva essere capace.
Remus
accennò un sorriso, gli occhi lucidi.
“Grazie.
E’ di sopra” rispose, guardando l’omone arrampicarsi con
tutta fretta lungo le scale, palesemente impaziente di rivedere l’amato ippogrifo.
Spostò
indietro lo sguardo, su Silente, chinatosi a raccogliere in terra qualcosa.
Quando
si rialzò, Remus potè vedere un pezzo
di carta nella sua mano antica. Un pezzetto di carta stracciata. Albus lo
osservò per un istante, quindi lo appoggiò nel posacenere di
cristallo, senza parlare.
“Bisogna
che anche tu venga via da questa casa, Remus. Domani, al più
tardi” osservò tranquillamente, sedendosi di fronte a lui.
Lui
annuì mordendosi le labbra.
“Sì”
sussurrò.
“Se
ti va, posso aiutarti a fare i bagagli – Silente si guardò intorno
con aria indaffarata- non ho niente d’importante da fare, quest’oggi.” commentò continuando a
osservarlo.
Remus
si nascose il viso tra le mani, asciugando lacrime non ancora versate, e prese
fiato.
“Ho
bisogno del tuo aiuto, sì. Ma non per i bagagli” mormorò
con una smorfia.
Silente
rimase immobile, scrutandolo. Non era un uomo debole, né che perdesse
facilmente la calma. Sempre, l’aveva visto lucido e padrone di sé,
a dispetto della più cupa delle situazioni.
“Dimmi,
Remus” lo invitò, con un remoto sorriso.
“Ho…
Ricevuto una lettera, questa mattina” iniziò lui, e chiuse gli
occhi, da cui scivolarono due lacrime.
Silente
tacque e attese che proseguisse, osservando partecipe quel pianto inconsueto.
“Ma
non la volevo leggere. Che importanza ha? A cosa serve, ormai?”
proseguì infatti Remus, scuotendo al testa con voce rotta, prima di
tacere.
Silente
sospirò leggermente.
“Temo,
Remus, che tu non mi stia fornendo sufficienti elementi per aiutarti.
Sopravvaluti la mia prodigiosa intelligenza” esclamò con un
brillio affettuoso degli occhi.
Remus
ridacchiò suo malgrado.
“Sirius
mi deve aver scritto qualche tempo… prima. La lettera è arrivata
stamattina, dev’essere una specie di addio, un
testamento spirituale o chissà cosa. Sulla busta c’era scritto: le
parole che non ti ho detto” sussurrò, ad occhi chiusi.
“L’hai
aperta?” chiese gentilmente il Preside.
Remus
scosse la testa con vigore.
“Non
volevo leggerla” mormorò con forza.
Silente
si voltò indietro, mente Remus tornava a guardarlo.
“Quella lettera?” domandò
indicando il pezzetto di carta che aveva posato nel portacenere, e lui
annuì semplicemente.
Silente
si appoggiò più comodamente allo schienale della poltrona dei
Black. Appoggiò le mani a specchio, le punte delle dita che si
toccavano, proprio sotto la barba.
“E
dunque…?” insistè discretamente.
“Ho
sbagliato?” chiese Remus con le lacrime agli occhi, tormentandosi i
capelli.
Silente
sorrise.
“Sbagliato?
Cosa vuol dire, sbagliato? Hai fatto quel che sentivi di fare” rispose
con fermezza.
“Al…
Al mio posto l’avrebbe aperta” ribattè
Remus in un ciclopico sforzo di dominarsi.
Silente
corrugò le sopracciglia.
“Ma
tu non sei Sirius. Sei Remus, sei diverso. E lui lo sapeva benissimo. Non credo
abbia scritto quella lettera per costringerti ad aprirla, ma perché ne
sentiva il bisogno, così come tu puoi sentire il bisogno di non
leggerla” lo contraddisse con serietà, allungando le gambe sotto
il tavolino.
Remus
si sedette più compostamente, versandosi dal ripiano accanto al divano
un dito di whiskey.
“Mi
continuo a sentire in torto” ammise, più fermo.
“Ritieni
di avere qualche oggettiva ragione per farlo? -domandò Silente, e lui
scosse la testa- … Allora forse è diverso.”
“Perché,
Albus? Perché l’ha fatto?” domandò lui riscaldandosi.
“…
Se un uomo scrive una lettera del genere potrebbe, e dico potrebbe, essere per
via di qualche rimpianto. Per un grande affetto. E perché sa, meglio di
tanti altri, che i nostri morti ci rimangono vicini finche ricordiamo le cose
belle che ci hanno donato, e che una parola vale più di mille assenze. O
forse perché sa quanto è doloroso e sbagliato perdere una persona
cara non avendole detto quanto conta, e voleva evitare che gli accadesse anche
con te” monologo il Preside, con lo sguardo attento e aperto di Remus
fisso su di sé.
“Secondo
te la dovevo leggere?” domandò piano.
Silente
scosse la testa, con fermezza.
“Sai
che non posso rispondere a questa domanda, Remus” ribattè
con un sorriso di scherzoso rimprovero, ammonendolo col dito teso.
“Per
favore” sussurrò lui.
“Ma
tu sai già la risposta, Remus, e io non ti voglio influenzare –il
Preside voltò la testa verso l’altro, dove Hagrid
era comparso con l’ippogrifo- Ed inoltre, devo
andare.” Si alzò, silenziosamente, sorridendogli un’ultima
volta.
Remus
salutò a malapena, rimanendo immerso nel divano, finchè
non furono usciti, e la casa tornò, definitivamente e totalmente,
silenziosa. E per molto tempo ancora. Già il sole iniziava a calare
quando si riscosse.
Qualcosa
delle parole di Albus lo aveva colpito. Lui
lo sapeva benissimo. Esatto, Sirius lo conosceva, e bene. Meglio di
chiunque altro, meglio di se stesso. E sapeva quanto sarebbe stato terribile
per lui ricevere quella lettera, eppure lo stesso l’aveva scritta, e
aveva fatto in modo che la ricevesse.
Perché?
Con
un profondo, tremante sospiro si voltò verso il camino, ed estrasse la
bacchetta con lenta esitazione. L’agitò leggermente, e tutti i
pezzetti di carta che un tempo erano stati la lettera di Sirius si sollevarono
svolazzando, alcuni anche da terra, da sotto il divano, e quello nel
posacenere, per andare a depositarglisi in grembo.
Un
altro leggero colpo di bacchetta, un “Reparo”
appena mormorato, ed una busta giallo tenue era appoggiata sulle ginocchia di
Remus Lupin.
Si
passò la mano sulle guance, sul mento, e poi, con rinnovata fermezza, la
portò ad aprire la busta, finalmente, col cuore in gola e le labbra
tremanti. Gli sfuggì un lieve singhiozzo al solo vedere le pagine
fittamente coperte di quella grafia malferma tanto familiare, ma scrollò
la testa e, prendendo fiato, si accinse a leggere.
TO BE CONTINUED…
Gente, è giugno… Il camino è spento.
Hahahaha come sono simpatica e geniale.
X erendil:
mo’ grasssie… In verità l’idea
mi ronzava in mente, mooolto vaga, circa da… quando
ho finito di leggere OOP, o meglio quando mi sono parzialmente ripresa dalla
lettura di OOP (e ce n’è voluto del tempo…). Subito l’avevo
pensata rivolta ad Harry, ma mi sembrava di
infierire.
X Sarabi:
… L’ha gettata mica per farti dispetto… ^^. Sì, mi
sono accorta di una leggera vena sadica che pervade tutti i miei scritti. Per questo
di recente sto cercando di cimentarmi col comico – comico vero, non amaro
come mio solito- ma non riesco a focalizzare l’idea giusta. CONSIGLI?
(domanda aperta a TUTTI)
X Miki_TR: AAHUAAAAOOOO… Che recensione commovente! Ma
parla di me?, mi chiedevo mentre leggevo. Le sensazioni che dici di provare
sono esattamente quelle che cerco di suscitare quando scrivo e perciò
puoi immaginare la soddisfazione. Grazie, grazie grazie
per avermi recensita finalmente, sto attraversando una lieve crisi e avevo
bisogno di qualcosa del genere. In particolare grazie per aver citato Pills, che il mondo intero sembra snobbare e che io invece
amo totalmente –ed è l’unica “opera” mia per cui
provo una cosa simile. Quindi, anche se trovo le tue parole troppo lusinghiere,
mi prostro adorante ai tuoi piedi.
X Mokarta: non so se il seguito è altrettanto ben
scritto, comunque eccotelo… thankyou!
X Mrs.
Norris: L’amarezza è il mio pane quotidiano,
bwahahahahaha!! –satanica- Quanto all’appunto
su sirius… beh, come vedi la cosa è cambiata, no?
X eilantha: Sniff, ma tu mi minacci
seeempreee… Sigh, sob… Ho tanta PAURA di te! ^__^ Tieni pure da parte
le strillettere per un momento più consono,
per ora ti accontento.
X ivy: Hahahaha la lettera non ha
bisogno di rigenerarsi, è ancora lì, vedi? Pareva di vedere un
film, dici? In effetti è così che immagino le scene quando
scrivo, come inquadrature di film, m’immagino precisamente i gesti, le
espressioni del viso, i movimenti… E poi studio cinema ^^
Vi avverto… Se volete il dramma totale,
rimarrete insoddisfatti. Non è così che l’immagino io.
Ringrazio tutti per la lettura e in particolar
modo le persone che hanno avuto voglia di commentare con qualche parola –ne
approfitto per ringraziare allargando a tutti i commentatori dei miei lavori in
generale- dandomi l’impulso di continuare a scrivere. Non avete idea di
quanto, spesso, siano proprio i vostri commenti a darmi la voglia di
continuarea scrivere.
A presto
suni
-III-
Mi sembra quasi di
vederti.
Avrai fatto il giro di
tutta la casa per tutto il giorno
in preda ad indicibili terrori, nell’ansia di ciò che avresti
letto. Posso immaginare perfettamente la tua faccia, quelle smorfie da pazzo.
E dunque.
Se l’hai
aperta…
E se stai leggendo…
Oh, mio diletto, mio
amatissimo, luce della mia vita, quanto vorrei averti ripetuto fino
all’infinito quanto mi sia caro ogni tuo gesto, ogni tuo sguardo, ogni.
No. No, Remus, niente del
genere.
Non sono queste le cose
che mi preme dirti.
Ma piuttosto...
Il Signor Felpato porge i
suoi ossequi al signor Lunastorta, e lo prega di tener ben presente che queste
sono le sue ultime volontà ed ultime affermazioni, e che sarebbe
pertanto assai scortese tenerne poco conto.
Messo questo ben in
chiaro, e sapendo che il signor Lunastorta è uomo assai
coscienzioso…
Non te l’ho mai
detto, Remus, ed è per questo semplicemente che ti scrivo, ma tu sei la
persona che ho stimato di più nella mia vita. Anche se sempre, durante
tutta la nostra burrascosa amicizia, e dopo, quando l’amicizia si
è evoluta, e dopo ancora, anzi soprattutto dopo ancora, reso da Azkaban rigido e spigoloso, poco incline al dialogo
paritario, abbiamo avuto innumerevoli scontri e quasi sempre ci siamo trovati
con opinioni contrastanti su qualunque cosa –chissà perché
mi sono innamorato di te, Remus, me lo sono sempre chiesto, davvero, io non lo
so- … Oh, Merlino.
Mi devi perdonare, Remus.
Ora mi viene da ridere,
perché tu leggendo questa frase avrai pensato “oh no, ancora,
questa storia del Custode”… No nono.
Mi devi perdonare per
questo caos, questa lettera senza senso, che non ha capo né coda, ma
anch’io ho smarrito il senso, è rimasto in quella cella buia,
laggiù; ed ho l’affanno, perché ho così poco tempo e
così tanto da scrivere, che mi viene in mente tutto insieme.
Per inciso, in effetti,
perdonami anche per quella faccenda del Custode.
Tornando a noi, Remus, lo
dico sul serio: sei la persona migliore che ho conosciuto, sei il mio idolo.
Più di Albus, più di Edgar, persino più dell’intera
squadra della coppa del mondo di Quidditch del
’78, e che finale ragazzi, ancora me la ricordo. Se dovessi appendere il
poster di qualcuno alla parete, ci sarebbe sopra la tua faccia, e sotto ci scriverei
“Felpato vorrebbe tanto essere così”.
Vorrei aver fatto di
più per dimostrartelo. Insomma, so di aver fatto ben poco anche per
dimostrarti che ti amavo, ma quello lo sapevi, lo hai sempre saputo, e sapevi
anche che la ragione per cui lo tacevo è che sono cocciuto, e
orgoglioso, ed arrivo da quell’orrenda famiglia
–Remus che cosa ci fai ancora in quella casa, quella tomba, esci FUORI-
ed anche per quello mi sento in colpa, perché ti ho amato per vent’anni e non sono mai stato capace di liberare
completamente la cosa; ma più ancora, dicevo, vorrei averti dimostrato
la mia stima.
Sei un maledettissimo
Licantropo.
Sei Schivo, sei timido,
responsabile.
Noioso, molte volte.
Sono cose che ti ho detto
tanto spesso, di solito ridendo.
Però non ricordo di
averti detto quanto ammiro il fatto che sei così generoso, così
forte, coraggioso senza esagerare, come me. Capace di andare fino in fondo ad
ogni situazione nel pieno possesso e controllo delle tue facoltà. Questa
è una cosa di te che mi ha sempre impressionato. Non te lo potevo dire,
Remus, se avessi ammesso che ammiravo la tua prudenza e razionalità non
avrei potuto più opporvi la mia cocciuta temerarietà. Ma penso
davvero che tu sia molto più coraggioso, molto più intelligente e
molto più forte di quanto fossimo io e James.
Non a caso tu sei ancora
vivo.
Per favore, Remus, non
fartene una colpa.
Sa Merlino se non vorrei
essere lì anche io, e scapparmene con te in
qualche posto lontano dove non esiste quella dannata guerra.
Ed è strano che
adesso, davanti a questo foglio che so che non leggerai mai con la
possibilità di commentarlo in mia presenza, mi riesca facile e naturale
dire queste cose come se l’avessi sempre fatto, quando forse, se non
ricordo male, non ti ho mai detto chiaramente nemmeno “ti amo”
–e questo è tipico di me, non è vero?
Sto divagando di nuovo.
Vorrei scapparmene
con te, avevo iniziato, ma non può essere così, e allora Remus,
per favore, e non te l’ho mai chiesto un grande favore, te lo chiedo ora,
un’altra cosa che non ti ho mai detto…
Vivi.
Per tutti e due.
Apri la porta, cammina per
la strada e guardati intorno. Io non lo posso fare da quattordici anni, non
potrò mai più. Ridi, di qualunque cosa
ti capiti, e divertiti in ogni modo possibile, goditi la vita anche per me.
Assaporala, trovati una persona e scopatela, e goditi il piacere di non
svegliarti da solo la mattina. Mi piacerebbe, svegliarmi di fianco a qualcuno
il mattino, ma credo mi verrebbe un infarto. “Ommerlino
un Dissennatore!!” penserei.
Sii una persona come le
altre. Sei fortunato, Remus, sei vivo, e te lo meriti.
Non farmi questo torto,
non sprecare il tuo prezioso tempo in sofferenze inutili. Io sarò
comunque morto, che tu lo accetti o meno. Non perdere quel tempo, Lunastorta,
te lo chiedo per favore, io, che quel tempo non ce l’ho avuto.
Ti ricordi quel giorno
poco prima dei GUFO, ad Hogsmeade, dai Tre
Manici… No. Probabilmente non lo ricordi, è stato un giorno come
tanti altri. Non è successo niente di memorabile. Stavamo parlando, con
James, di un nuovo scherzo ai Serpeverde, qualcosa
che centrava con il lago, non ricordo bene. E tu ti sei intromesso, hai chiesto
se invece non avremmo preferito, non so, far qualcosa per i fatti nostri senza
provocare i soliti eccidi di massa. Ti arrotolavi i capelli intorno al dito,
come fai sempre. James ti ha guardato come un alieno e mi ha sussurrato che eri
proprio tocco, ma che potevamo farci, ci toccava tenerti così
com’eri.E io, in quel
momento, ho pensato che era esatto, che mi andava benissimo tenerti così
com’eri, precisamente. E mi sono alzato e sono uscito e mi sono
allontanato, perché mi sentivo svenire dall’ansia, e là
seduto nel fango fuori dalla Stamberga, mi sono guardato in faccia e mettendo
da parte l’orgoglio, terrorizzato, mi sono detto “ok, sei innamorato di un maschio. Di un tuo amico. Di
Remus, così com’è”.
Seduto nel fango…
Che romantica immagine,
non è vero? Che narratore sopraffino…
E te lo ricordi, Remus, il
sesto anno? Quel giorno, in Infermeria, che continuavo a chiederti scusa,
singhiozzando, e tu non parlavi, e poi hai detto un’unica cosa, me la
ricordo ancora dopo vent’anni, hai detto
“adesso sì che mi odio, ti ringrazio”.
Certo che sei sempre stato
bravo tu, a farmi sentire un verme… Che stoccate, che stile.
Ti volevo dire, Remus, che
mi vergogno. Per aver mandato Severus alla Stamberga,
e per essere stato così stupido e abissalmente superficiale.
L’ultima cosa che avrei mai voluto era essere la causa del tuo disprezzo
verso te stesso, io, che disprezzo per te non ne ho provato mai, nemmeno per un
istante, checché tu ne pensi, nemmeno quel giorno con il calendario in
mano e James a fianco che ripeteva “Licantropo?” come un Pensatoio
inceppato. Quel giorno lì, mi sono un po’ spaventato sì,
mentirei a negarlo e non mi sembra questa l’occasione per mentire. Ma non
mi è mai passato per la mente di disprezzarti, Remus. E se un giorno
avrai voglia di esaudire il mio più grande desiderio la smetterai anche
tu, ti guarderai in faccia finalmente e scoprirai un uomo colmo di
straordinarie qualità con un PICCOLO PROBLEMA PELOSO (Remus Lupin e il coniglio mannaro, per capirci) del tutto
ininfluente rispetto alla grandezza del tuo spirito.
Lo dovresti vedere, Remus.
Lunastorta è in assoluto l’animale più fiero e maestoso che
io abbia mai visto. Le zampe, per cominciare, sono come di un titano, larghe,
con muscoli spessi visibili anche a distanza. Un torace possente, pelo folto,
lucente, appena un po’ ispido di selvatico e un muso allungato, con una
dentatura imponente, da squalo, che ti dice chiaro e tondo che quello non
è un cucciolo da salotto, ma un Signore dei boschi.
Questo, è quello
che vedo io, Remus.
Nessun mostro.
E’ vero, la prima
volta che l’ho incontrato ho pensato che ero morto. Ohiohi,
mi sono detto, qua, ragazzo mio, ti fanno le festa.
Non è mai successo
niente del genere.
Non hai mai voluto parlare
di Lunastorta. Mi costringi a farlo adesso che non mi puoi più
rispondere. Ho sempre pensato queste cose.
Di tutte le altre che ti
volevo dire, me ne interessa solo più una, la più banale, la
più scontata, nonché la più vera di tutte.
Grazie.
Per avermi amato e per
avermi permesso di amare te. Lo reputo il più grande regalo che mi sia
mai stato fatto, il più prezioso e splendente. Lo custodisco gelosamente
e non ne ho lasciato nemmeno un pezzetto a quei mostri, in quella fortezza.
Sei stato l’apice
della mia vita.
E con questo, ho concluso.
Fatto il misfatto, si
diceva una volta.
Una smielataggine
conclusiva –davvero, sto diventando una donnicciola-,
la devo scrivere, l’hai aspettata tanto tempo. Goditela, per quel che
può valere adesso, perché è tua, è sempre stata
solo e soltanto tua, per quanto mi riguarda.
Ti amo.
In bocca al LUPO…
… Questo ho sempre
sognato di dirtelo.
E dai, Remus,
sorridi… Quanto sei noioso…
Sirius
Ancora una cosa, una
soltanto, l’ultima, quella per cui tutto è stato scritto: sii
orgoglioso di te stesso, Remus J. Lupin, dei tuoi
capelli grigi, della tua faccia sciupata e delle mille cicatrici che ti segnano
il corpo; sono le cicatrici di una grande storia, la storia di un grande uomo,
un EROE quotidiano. Verrà il giorno in cui il tuo nome verrà
sussurrato con rispetto e la tua meravigliosa anormalità osannata.
Ci vediamo, prima o poi.
E piantala… Ma CERTO
che ci vediamo… Chi credi di essere, scusa?
Ce
l’aveva fatta, dopotutto.
Vivo,
vittorioso, con l’arma di una penna d’oca, era riuscito ad incidere
la sua vitalità su quei pochi fogli. Aveva accantonato l’amarezza,
per lasciare che il Sirius ridente dei suoi ricordi gli porgesse l’ultimo
saluto, a dispetto di quell’uomo cupo e
incarognito che era diventato, in un estremo atto di generosità. Un tentativo
di consolazione, non un addio. Persino spiritoso, qua e là, limpido,
senza infioriture drammatiche. Davvero, Sirius lo
conosceva bene.
Chiuse
gli occhi.
Riusciva
a vederlo sorridere assorto, davanti al foglio bianco che attendeva di essere
riempito. Il sorriso che si ampliava, nello scrivere gli ossequi del signor
Felpato al signor Lunastorta. La smorfia concentrata nel cercare di spiegare le
sue sensazioni di ragazzino innamorato, il naso storto dal dispetto nel
rimproverargli la scarsa stima per il Lupo che, adesso lo sapeva con certezza
ancora maggiore, con tremante stupore, Sirius davvero aveva adorato.
Remus
aveva pianto copiosamente, durante la lettura, singhiozzando con tutte le sue
forze col pensiero che mai, mai più avrebbe letto né udito parole
simili, con quei sottintesi dovuti a tanti anni di conoscenza, quelle frasi
tipiche, quell’affetto incondizionato che per
una seconda volta gli era stato ingiustamente tolto. Ma ora non piangeva
più.
Sorrideva
tra le lacrime.
Sì,
avrebbe vissuto, e riso e scopato, e un giorno magari sarebbe stato di nuovo
davvero felice, perché era un essere umano, dopotutto. Ma avrebbe anche,
sempre, saputo e ricordato che per la persona più importante della sua
vita aveva avuto il medesimo valore. Perché era quello il messaggio tra
le righe, la postilla decifrabile solo per lui.
Richiuse
lentamente la busta e salì quasi di corsa verso il piano superiore,
entrò nella sua stanza ed aprì la sua logora valigia. Lisciandola
perché non si sciupasse, sistemò la lettera in una tasca interna,
la più piccola, la più riposta.
Non
se ne sarebbe più separato, mai.
THE END
X Mokarta: Grazie… Sì, la lettera la doveva
proprio leggere in qualche modo, no? … Sono lieta che Albus ti soddisfi…
Io lo venero. Era il mio secondo personaggio preferito, perciò non mi
sono stupita quando la cara JK, dopo avermi steso il primo nel 5, ha ben
pensato di seccare anche lui. Che cara donna… ^__^ Scherzo, ovviamente.
X Drew:
era un po’ quel che volevo, sì, generare quel tipo di fastidio. Succede
speso anche nella realtà, di voler andare avanti ma non sentirne la
forza, ed è una cosa molto intensa. Grazie per l’apprezzamento.
X Sarabi:
già, ha preso la stagione giusta. Silente non poteva che essere
rassicurante, e ha proposito della parentesi comica non serve molto, basta
qualche piccola correzione, qualche lampo di genio, cavolate… O anche
solo un “carino!”
X Elly: … Già,
bastava un reparo. Silente è davvero un re, e
il povero remus, ammetterai, è in una triste situazione al momento.
Pills è la tua preferita?? OH GAUDIO E TRIPUDIO!!! Allora
Dio esiste! Un sacco di gente mi ripete che CrazyDays è più bella ma non è affatto
vero! Pills è molto, molto meglio. Lo scherzo
a Sev è quasi pronto, don’t
worry!