Il garage.

di giulina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loro due. ***
Capitolo 2: *** La matematica non sarà mai il mio mestiere ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni. ***
Capitolo 4: *** All my loving ***
Capitolo 5: *** Casa e famiglia. ***
Capitolo 6: *** Quando i bambini fanno oh! ***
Capitolo 7: *** Moments. ***
Capitolo 8: *** Una fine e un inizio? ***
Capitolo 9: *** Patetica. ***
Capitolo 10: *** Sola. ***
Capitolo 11: *** Paure. ***
Capitolo 12: *** Scoprirsi. ***
Capitolo 13: *** Pane e Nutella. ***
Capitolo 14: *** Non esiste un'etichetta. ***
Capitolo 15: *** Yesterday. ***
Capitolo 16: *** Ci sono io. ***
Capitolo 17: *** La macchina del capo ha un buco nel motore, bum! ***
Capitolo 18: *** Scelte. ***
Capitolo 19: *** Il giorno di dolore che uno ha. ***
Capitolo 20: *** Solo per te. ***
Capitolo 21: *** La vedi? Quella è casa. ***
Capitolo 22: *** Ciao, come stai? ***
Capitolo 23: *** Rocking around the christmas tree. ***



Capitolo 1
*** Loro due. ***


 

 

Il Garage.

 

 

 

Alice fissa la sua mano destra da almeno dieci minuti.

In silenzio osserva la piccola cicatrice che spicca sulla sua pelle chiara, quasi lattea.

Parte dall’indice e va fino al polso. È di un rosa chiaro, proprio come il cuscino su cui posa la testa e forma una precisa linea retta.

Alice gira la mano e la osserva alla flebile luce della lampada sul comodino.

Le unghie mangiucchiate sono state colorate con uno smalto verde mela leggermente sbaffato in alcuni punti, soprattutto sul pollice.

I suoi occhi scuri, neri rispetto alla sua pelle ed al colore dei suoi capelli, scivolano sul polso ricoperto di braccialetti.

Alcuni sono stati comprati in qualche bancarella in città oppure in vacanza, altri invece sono un regalo di qualche amica o di un famigliare. Sono tutti attaccati al polso destro, non se ne separa mai.

Quando muove il braccio suonano insieme come un coro, dei tintinnii che hanno il potere di catturare l’attenzione delle persone che le stanno accanto; come un flauto magico.

Il ragazzo sdraiato accanto a lei le rifila un’ occhiata di sbieco e torna a fissare lo schermo del vecchio televisore in fondo alla stanza.

Alice sbuffa piano e si mette ad osservare il soffitto.

Odia quando non la considera, odia quando quegli stupidi film catturano la sua attenzione come lei non è mai riuscita a fare. Lo odia spesso negli ultimi giorni ed oggi più del solito.

Alice poggia la testa bionda sul cuscino e si mette a fissare il cielo chiaro di maggio fuori dal lucernario sopra la sua testa, l’unico spiraglio di luce in quella stanza buia.

Bè più che una stanza è un garage.

Il garage del padre di Filippo in cui si vanno a rifugiare da quando hanno sei anni.

Era il loro nascondiglio segreto da piccoli, il luogo in cui potevano rimanere quanto volevano e dove nessuno li andava a cercare per sgridali.

In quel garage sono cresciuti, hanno imparato a leggere e a scrivere, sono rimasti pomeriggi interi sdraiati sul letto ad osservare il soffitto in silenzio e ad ascoltare vecchi dischi in vinile che si inceppavano sempre in alcuni punti.

 Si sono scambiati il loro primo bacio girando una bottiglia vuota a dodici anni e sono diventati grandi senza accorgersene.

Nel corso degli anni ci hanno portato una piccola televisione con cui vedono film in VHS, hanno appeso alcuni poster dei Beatles, dei Led Zeppelin e di un gruppo inglese dal nome impronunciabile che piace tanto a Filippo.

Alice ha portato un tappeto rosso e delle mensole su cui hanno messo dei libri; il letto ha un buffo piumone di Snoopy, regalo della sua mamma, che hanno sostituito alle lenzuola vecchie sulle quali era morta Gervasa, la nonna di Filippo.

C’è anche una lavatrice in un angolo che non funziona più e su cui hanno messo un giradischi e delle biciclette arrugginite a cui mancano i manubri e i sellini, piene di ragnatele.

Alice rabbrividisce e la pelle d’oca sotto al maglione beige le fa stringere le mani intorno al corpo.

Rifila un’occhiata a Filippo che continua a guardare il film indisturbato e dopo un attimo si sposta verso di lui appoggiando la testa sul suo petto.

Puzza di cioccolato.

Puzza, già; Alice infatti odia la cioccolata, odia i dolci in generale e Filippo lavora da qualche mese in una pasticceria vicino al loro palazzo, dopo la scuola.

Arriccia il naso quando sulla felpa sente l’odore di vaniglia. Odio la vaniglia anche più del cioccolato.

-Segugio, la puoi smettere di annusarmi?-

-Puzzi-

-Grazie-

-Non c‘è di che- La conversazione finisce lì.

Filippo respira lentamente e il suo cuore batte ad un ritmo normale.

Alice lo sente chiaramente perché ha l’orecchio posato proprio sul suo muscolo cardiaco. La sua mano è sullo sterno ma non la muove di un millimetro. Fifona? Già.

Se sentisse il suo, di cuore, crederebbe che soffre di tachicardia o è in procinto di un infarto.

Batte forte e rimbomba per tutto il corpo quando è vicino a lui. Le sue mani sono sempre sudate e il naso rosso come se avesse il raffreddore.

Questo è l’effetto che le fa la sua vicinanza da almeno una vita. Da quando lo vide per la prima volta nel giardino del loro palazzo e se le diedero di santa ragione.

La cicatrice che ha sul polso gliela ha fatta lui quel giorno spingendola contro un’altalena.

Forse è per quello che c’è tanto affezionata.

È innamorata, Alice, ma non lo dice nemmeno a se stessa.

Innamorata del suo migliore amico, classico clichè. I romanzetti rosa che leggono le sue amiche a scuola durante l’ora di fisica hanno una trama migliore per lo meno.

Innamorata e non ricambiata. Quello è scemo, pensa sempre Alice. Come diavolo ha fatto in diciotto anni a non accorgessi di quello che prova? Delle volte vorrebbe urlaglielo in faccia, altre riempirlo di schiaffi per dargli una svegliata e in alcuni momenti, invece, lo riempirebbe di baci.

-Sembri un treno-

-Eh?-

-Sono due ore che sbuffi. Che hai?-

-Niente. Zitto e guardati il film-

Odia quando tenta di capirla. Lo odia quando fa il premuroso e vuole farla parlare. Lo odia ma lo ama anche se puzza di cioccolato.

Filippo continua a guardarla e sorride sentendo l’ennesimo sbuffo. Ora scoppia, pensa.

-Ma che diavolo ci trovi in quei film? Fanno pena e venir voglia di suicidarti. Perché non ci buttiamo sotto un treno direttamente la prossima volta? Fai schifo a scegliere i film-

È scoppiata.

Sorride sulla sua testa e torna a fissare lo schermo ignorando un sonoro sbuffo- un altro.

-Via col vento è un classico. Come fa a non piacerti?-

-è la cinquantesima volta che lo vediamo e a me continua a far schifo. Cosa ci posso fare?-

-Non te ne intenti di cinema-

-Oh ma sta’ zitto!-

Sbuffa di nuovo. Ci risiamo.

Alice infatti si alza a sedere, prende il telecomando sopra al piumone e spegne la televisione proprio mentre Rossella Hoara sta per pronunciare “Domani è un altro giorno”.

Si alza dal letto e incomincia a girare a vuoto per la stanza. Le mani sui fianchi come una vigilessa che sta per farti una multa per divieto di sosta, i piedi scalzi mentre l’espressione corrucciata rimane impressa sul suo viso.

È bella, è molto bella ,Alice, anche se ha un carattere che fa schifo. Forse è per quello che la spinse contro un’altalena quasi dieci anni fa? Probabile.

-Usciamo. Questo posto puzza di cioccolato-

-A me piace!-

-E allora?- Gli fa la linguaccia prima di uscire dal garage inondato dalla luce calda del pomeriggio e di sparire dalla sua visuale mentre il tintinnio dei suoi braccialetti rimane nell’aria.

Filippo sbuffa e si alza in piedi lanciando un’occhiata di rammarico al televisore.

“Un giorno riuscirò a finire di vedere un film in santa pace…forse

 

 

 

 

 

 

Ho scritto, non so bene che cosa, ma ho scritto.

La mia mano di sua volontà ha aperto Word e si è messa a cliccare impazzita sulla tastiera. Questa è la noia signori!

Non so se un giorno diventerà una long-fiction. Forse. Non so perché ma mi ispirano i personaggi.

Tanti baci dalla vostra grulla “autrice”,

Giulia

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Capitolo 2
*** La matematica non sarà mai il mio mestiere ***


 

 

 

 

Alice odia la matematica.

La odia quasi più del cioccolato.

La odia da quando quel maledetto giorno in seconda elementare la maestra Liliana scrisse alla lavagna “Le operazioni”.

Ebbe da subito dei problemi con le addizioni e le sottrazioni, le divisioni poi, meglio non parlarne. Passava pomeriggi interi a piangere come una disperata nella sua cameretta davanti al suo quaderno con degli esercizi che non sapeva risolvere.

Aveva tentato più volte di bruciare il suo libro rubando l’alcool dall’armadietto dei medicinali e l’accendino di suo padre e fingersi malata il giorno della verifica era un classico.

Alice odia la matematica, punto.

Ora che si trova in quinta liceo con l’esame di maturità alle porte, vede quella materia come un ostacolo, un enorme portone chiuso a doppia mandata con delle chiavi finite chissà dove.

L’unico che tenta di farle capire qualcosa è Filippo.

Lui, l’idiota, in matematica ha nove; come in quasi tutte le materie.

Tanti sono stati i pomeriggi in cui, rinchiusi nel loro garage, hanno passato il loro tempo tra equazioni algebriche e problemi di geometria.

Di più sono state le volte in cui Alice ,infuriata, gli aveva lanciato il libro in faccia imprecando contro tutto e tutti.

La pazienza non è mai stata il suo forte, soprattutto con la matematica.

è un pomeriggio di inizio maggio e lei, seduta sul letto con il libro di trigonometria sulle gambe dal colorito chiaro e la penna mordicchiata in bocca, guarda la porta del garage con il peggiore degli sguardi.

Sono le sette e Filippo non è ancora arrivato.

“Quello stronzo…”, pensa, sdraiandosi sulle lenzuola.

Le aveva promesso che l’avrebbe aiutata a studiare per l’interrogazione del giorno dopo ma non si è fatto vedere.

“Che imbecille..”

Ma tanto Alice lo sa che contrattempo ha avuto. È alta uno e settanta, capelli rossi, sorriso da gatta morta e si chiama Laura. Frequenta la quarta G ed ha chiesto a Filippo di bere un caffè insieme qualche giorno fa a scuola. Alice lo ha saputo da Serena, la sua compagna di banco.

Si guarda le unghie sempre più corte e sbuffa nervosa, indecisa se andarsene o restare.

Resta, da idiota quale è. Ma resta solo per l’interrogazione di domani, sia chiaro.

Alzo lo sguardo verso il lucernario e si mette a fissare le nuvole che passano dietro il vetro.

“Quando viene mi sente quel cretino….”

In verità Alice non è arrabbiata perché non potrà ripassare insieme a lui.

Alice è gelosa, verde dalla gelosia. Una gonna corta e due moine e lui è già perso.

-Vaffanculo!- Si alza rossa in viso per la rabbia e gli occhi gelidi ed esce dal garage sbattendo la porta con la borsa a tracolla sulla spalla.

Cammina a passo svelto per il cortile interno al palazzo dove alcuni bambini giocano insieme alle loro mamme sulle altalene e mentre sta per salire le scale di casa vede una Opel nera sgangherata e dai vetri sporchi parcheggiare vicino a lei.

Filippo scende dalla macchina con solo una maglietta a maniche corte a coprirlo e lo zaino colmo di libri su una spalla.

Le sorride alzando una mano per salutarla ma non appena vede il cipiglio arrabbiato sulla fronte della bionda, capisce che c’è aria di tempesta.

“Ahia…”, pensa, avvicinandosi di un passo ad Alice che, ferma accanto al portone di casa, lo guarda seria con le braccia incrociate sul petto.

-Ciao- la saluta educatamente, specchiandosi nei suoi occhi neri.

Lei lo guarda in silenzio, senza muovere un passo. Come una bomba prima di esplodere…e infatti…

-Ciao un corno, stronzo!- e via la prima manata sul petto.

-Hei ma che fai? Apetta… aspetta, cavolo! Cosa ho fatto?- le chiede il ragazzo, camminando all’indietro per schivare i suoi colpi.

-Oh ma sta’ zitto idiota!- gli risponde colpendolo con un pugno sul braccio nudo.

-Alice, ti stai ferma!- cerca di parlare mentre le blocca la mano destra con cui cercava di dargli un pugno allo stomaco.

È un tipo violento, Alice: ha fatto anche autodifesa per due anni quando era alle medie. Meglio non farla arrabbiare.

-Sei un’idiota. Io domani ho l’interrogazione di mate, mi spieghi come diavolo faccio?Gli racconto come ho passato il pomeriggio aspettando un imbecille che se la stava spassando eh?!-

Gli occhi verdi di Filippo si allargano dallo stupore. Aveva completamente dimenticato che dovevano studiare insieme.

Tutta colpa di Laura, pensa il ragazzo, è colpa sua. Ma hanno bevuto solo un caffè insieme mentre cercava di spiegarle l’ultimo argomento di scienze. Che colpa ne ha lui se quella non lo mollava più?

-Scusami. Me ne sono dimenticato-

Alice con uno strattone si libera dalla stretta di Filippo e con un ultimo “vaffanculo” a mezza voce sale le scale lasciandolo da solo.

-”Me ne sono dimenticato”- gli fa il verso imitando una voce maschile quando arriva davanti alla porta di casa.

È sempre arrabbiata, Alice, ma i pugni che gli ha dato l’hanno fatta sbollire un po’.

Posa la borsa sul mobile all’ingresso e si leva le scarpe sporche di terra vicino al tappetino.

Cammina fino in cucina dove trova suo padre con i capelli brizzolati e i suoi stessi occhi neri, che apparecchia la tavola per due persone. Come sempre.

Quando sente dei rumori alle sue spalle Stefano si gira e vede la figlia che cerca qualcosa nel frigorifero.

-Ciao tesoro- la saluta sorridendole mentre sistema una forchetta vicino al piatto.

-Ciao- mormora a bassa voce per poi uscire dalla cucina con una bottiglia d’acqua tra le mani.

E Stefano quel ciao se lo fa bastare. È già tanto che gli abbia risposto.

Alice va in camera sua e si butta sul letto con un tonfo secco. È stanca, tanto stanca e preoccupata per l’interrogazione del giorno dopo.

Chiedere aiuto a suo padre è fuori discussione. Anche lui non ci capisce poi molto avendo fatto un liceo classico e poi non ce la farebbe a starci accanto per più di qualche minuto.

Non hanno un buon rapporto, lei e suo padre. Non lo hanno mai avuto ma da quando sua madre dopo la separazione se ne è andata in Lombardia insieme al suo nuovo compagno tollera sempre di meno la sua presenza.

Stefano cerca di intrattenere la figlia in qualche conversazione, cerca di tornare sempre per pranzo e cena e la domenica ordina sempre da mangiare nella rosticceria sotto casa prendendo tutto quello che piace di più ad Alice.

Cerca di essere un padre presente volendo rimediare per tutti gli anni in cui la sua figura era sfuggente in quella casa.

Vorrebbe riuscire a parlare con sua figlia e magari fare qualcosa insieme a lei, andare a qualche sua mostra insieme.

Alice però non ne vuole sapere di avere un rapporto con lui e a monosillabi gli risponde quando le viene posta una domanda. Non le piacciono un granché le persone, suo padre compreso.

La bionda si è seduta a gambe incrociate sul letto con il libro davanti e con tutta la sua buona volontà sta cercando di capirci qualcosa e di tradurre quegli strani simboli uniti a dei numeri.

-Allora se aggiungo questo..si….e poi lo divido moltiplicandolo per due…ecco qui ho capito…poi…poi devo fare…cosa diavolo devo fare?-

I capelli stretti in una scomposta coda chiedono pietà per quante volte sono stati tormentati dalle sue mani nervose.

È fissa da mezz’ora sullo stesso passaggio e non riesce ad andare avanti.

Quando sta per buttare la spugna e il libro dalla finestra aperta, il suo cellulare vibra sopra alla scrivania.

Le arrivato un messaggio:

“Scusami. Sono un idiota e uno stronzo, lo so. Però ora vieni in garage. Ti sto aspettando..”

Un mezzo sorriso stende le sue labbra rosee. Con il libro sottobraccio esce veloce dalla stanza scordandosi anche la giacca.

È innamorata, in fondo... la possiamo biasimare?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco qui.

Il secondo capitolo di quella che è diventata a tutti gli effetti una long-fiction.

Il capitolo non era premeditato ma è da un paio di giorni che ho in mente questi personaggi ed oggi finalmente mi sono messa a scrivere.

Non so quando potrò aggiornare anche perché avevo intenzione di finire prima l’altra mia storia per poi dedicare interamente a questa, ma spero che la seguirete anche se non aggiornerò con regolarità.

A proposito di “Cenerentola e il marchese”, ancora non ho scritto niente del prossimo capitolo, sia per mancanza di tempo che di idee. In questi giorni mi metterò sotto e cercherò di aggiornare in settimana. Mi sa che il prossimo capitolo vi piacerà e mi dispiace che l’ultimo non abbia riscosso molto successo!

Risponderò quanto prima a tutte le recensioni e per questo vi volevo ringraziare per le bellissime parole che mi avete scritto.

Siete i miei cioccolatini al latte! (a me, a differenza di Alice, piace il cioccolato)

Spero che non consideriate questa storia come il solito clichè tra i due migliori amici perché vi assicuro che non è così, assolutamente e più avanti molto probabilmente lo scoprirete.

Un bacio grande,

Giulia :D

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Capitolo 3
*** Incomprensioni. ***


 

 

Alice ha un piccolo tatuaggio a destra poco sotto l’ombelico.

Ha una spirale.

Una spirale fatta all’ età di quindici anni insieme ad una sua amica maggiorenne un giorno di metà novembre all’insaputa dei suoi genitori in un minuscolo e sconosciuto studio in centro.

Non aveva un significato particolare quando lo fece. Glielo aveva proposto il tatuatore, un omone sui quarant’ anni dai lunghi capelli neri legati in una coda e il braccio sinistro ricoperto di disegni colorati, e ad Alice le era subito piaciuta l’idea.

 

-Cosa significa?- le chiese all’uomo mentre lavorava chino su di lei con l’ago nella mano ferma.

-La spirale ha tanti significati. Può significare crescita, sviluppo. Anche una ricerca interiore, un punto di inizio, la vita stessa oppure l’infinito che non ha un inizio né una fine. Sta a te scegliere come interpretarla-

-Fico. Mi piace- le rispose la bionda con un sorriso mentre l’ago si avvicinava alla sua pelle tesa.

 

E Alice non si è mai pentita della scelta che ha fatto.

La sua spirale le piace ancora nonostante siano passati alcuni anni e i suoi mille significati la rendono ancora più speciale.

Sfiora il tatuaggio con le dita, passandoci sopra leggera come se l’inchiostro marcato nella sua pelle fosse ancora fresco.

Lo fa casualmente, sempre quando è soprappensiero, e ne segue il percorso disegnato con estrema precisione.

Filippo, seduto alla scrivania accanto al letto dove è sdraiata Alice, segue il movimento di quella mano come ipnotizzato.

Si ricorda ancora quando glielo fece vedere per la prima volta un pomeriggio di tanti anni fa.

 

Lui stava studiando filosofia seduto a gambe incrociate sul letto quando la porta della sua camera si era aperta all’improvviso.

Alice, sorridente come poche volte l’aveva vista con i capelli scompigliati e le guance rosso fuoco a causa della corsa per le scale, gli si era avvicinata e guardandolo dritto negli occhi stupiti, si era slacciata il bottone dei jeans e con le mani tremanti gli aveva fatti scorrere lentamente fino alle caviglie lasciando le gambe completamente nude.

Filippo era rimasto a fissarla per qualche minuto, paralizzato dal gesto sfrontato dell’amica, e con un grande sforzo aveva spostato lo sguardo sul suo viso felice e poi dove la mano della ragazza teneva leggermene alzata la maglietta bianca.

Era in quel momento che aveva visto il tatuaggio su quel carnato chiaro e la bellezza della ragazza di fronte a se che degli stupidi vestiti gli avevano tenuto nascosta per tanto tempo.

 

Alice vede lo sguardo di Filippo dove posa la sua mano e non può fare a meno di provare un brivido correrle per la schiena.

-Cosa guardi?- gli chiede facendo scontrare i loro occhi così diversi.

-La tua pancia-

-E cosa vedi?-

-Che sei ingrassata-

-Cretino- gli risponde offesa tirandogli un cuscino in faccia.

Violenta. Alice è proprio un tipo violento e permaloso.

-Cicciona-

Alice si alza dal letto e si avvicina, con un buffo broncio sulle labbra, alla finestra che si affaccia sul cortile interno del palazzo dove alcuni ragazzi sono radunati vicino a delle panchine.

Un lieve bussare li fa girare contemporaneamente verso la porta chiusa.

Claudio, il padre di Filippo, compare sulla soglia in tenuta casalinga sorridendo ai due ragazzi.

Ha i capelli scuri come il figlio e alcuni ciuffi grigi compaiono qua e là sulle tempie, gli occhi sono di un marrone chiaro con delle pagliuzze verdi vicino alla pupilla e una bella pancia si mostra da sotto il maglione blu.

-Vi volevo dare la buonanotte. Per i vecchi come me è l’ora di andare a letto-

-Ma non c’era l’Inter alla televisione?- chiede Alice guardando l’uomo con un sorriso.

-Stiamo perdendo 2 a 0. Alice non fare quel sorrisetto soddisfatto!- la rimprovera divertito puntandole un dito contro.

-Io? Non sto facendo niente!-

-Vai vai ragazzina, un giorno vi stracceremo- dice l’uomo sicuro di sé tanto che Filippo cerca di nascondere un sorriso di scherno che però viene notato dal padre.

-Andate a letto pupetti. ‘notte figlio ingrato, ‘notte juventina da due soldi- saluta entrambi i ragazzi ed esce dalla stanza chiudendosi piano la porta alle spalle.

Alice adora Claudio. Avrebbe voluto tanto avere un papà così nella sua vita.

Mentre si avvicina alla scrivania dove Filippo sta scrivendo qualcosa al computer il cellulare le vibra nella tasca dei jeans.

È Serena.

“La tua amica ti chiede aiuto. Ho un assoluto bisogno di alcool nelle vene e di una bionda con cui sfogarmi. Che ne dici di andarci a bere qualcosa in piazza? Rispondimi di si o di si e lascia perdere quell’idiota del tuo vicino di casa. Bacio”

-Chi è?-

-Serena- dice Alice mentre risponde al messaggio sedendosi sul letto.

Filippo annuisce brevemente e si avvicina alla finestra che apre in uno scatto secco facendo entrare nella stanza l’aria frizzante della sera.

Si allunga verso il comodino e apre il primo cassetto. In fondo trova il pacchetto rosso e bianco di sigarette.

Ne sfila una e se la porta alle labbra che si chiudono sul filtro.

-Oggi ho visto Edoardo all’uscita- dice accendendo la sigaretta con un accendino trovato chissà dove.

-Già. Mi è venuto a salutare, domani parte per Praga con la scuola- gli risponde Alice con un tono piatto guardando l’amico seduto sul davanzale che guarda fuori dalla finestra.

-Esce con una ragazza del classico, mi pare- glielo dice indifferente ma la fissa negli occhi cercando ogni minimo mutamento.

-Lo so. Carina ma troppo magra. Un po’ vacca come molti lo dicono di Laura-

-Cosa c’entra ora Laura?-

-Mi sembrava che ci fosse del feeling tra di voi- dice la bionda guardando fissa il cellulare che ha tra le mani.

-Vuole solo ripetizioni da me-

-E come intende pagarti? In contanti o in natura?- span>

-Sei volgare Alice-

-E te sei un ingenuo-

Filippo spegne la sigaretta stizzito in un bicchiere di vetro sulla finestra e le va vicino. La fronte corrucciata.

-Sei gelosa per caso?- Gelosa? Puah. Si cazzo.

-Ho solo paura che il mio insegnante di ripetizioni si scordi di me-

-Lei mi da qualcosa in cambio e non mi interessa cosa. Te, invece, cosa mi offri?-

Mentre le parla le si avvicina lentamente, occhi negli occhi e il tono di voce basso.

Alice lo guarda con gli occhi allargati dallo stupore. Cosa significa? Cosa significano le sue parole? Cosa significa il suo sguardo?

Alice sorride stanca e si passa una mano tra i capelli biondi ingarbugliati.

-Niente. Non ti posso offrire niente- Come migliore amica. Ma l’ultimo pezzo non lo esprime a parole.

Prende la giacca che ha posato sul letto e dopo averlo salutato con un gesto della mano esce silenziosa dalla stanza, lasciandolo immerso nei suoi pensieri.

Alice scende le scale del palazzo a passo svelto, saltando due scalini alla volta.

Si infila la giacca e tira su il cappuccio della felpa mentre cammina per la strada deserta del suo quartiere stringendosi le braccia al petto.

Ha lo stomaco in subbuglio la bionda e non è colpa delle lasagne della madre di Filippo.

Sono state le sue strane parole a metterle un’ansia addosso che è difficile da scacciare.

Prende le chiavi della catena che mette costantemente alla sua bicicletta rossa parcheggiata sotto casa dalla tasca della giacca e apre il lucchetto velocemente.

Alice sale in sella alla bicicletta arrugginita che era di sua madre e incomincia a pedalare verso la piazza dove si deve incontrare con Serena per una serata come tante altre ma dove il pensiero di Filippo non sarà presente.

 

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!

Bene, vi annuncio che l’ispirazione per questa storia è tanta e la voglia di scrivere stranamente c’è. I capitoli non sempre escono come voglio ma mi piacciono lo stesso, stranamente.

Volevo ringraziare tutte le persone che commentano e le tante tante persone che hanno aggiunto questa storia nelle preferite, ricordate e seguite. Sapere che la storia vi piace mi fa molto felice e gongolare come una pazza!

Risponderò alle recensioni al più presto, ve lo giuro. Intanto vi volevo mettere qui il mio contatto di facebook dove mi potete aggiungere se volete sapere qualcosa in più sulle storie o su di me! Vi chiedo solo di mandarmi un messaggio di posta per dirmi chi siete.

http://www.facebook.com/home.php?sk=group_111905108881332#!/   Non guardate il nome messo insieme a mia cugina quando eravamo due fanatiche di twilight e che poi non ho più cambiato! Sono negata con la tecnologia!

Un bacione grande, spero che questo capitolo vi piaccia!

Giulia  :)

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Capitolo 4
*** All my loving ***


 

“Certi amori, quelli sbagliati, sono come le sigarette: meglio smettere.”

Alice chiude con stizza il diario azzurro della compagna di banco e glielo restituisce mentre continua a camminare per la strada passando accanto a delle ragazzine delle medie che aspettano impazienti l’autobus alla fermata per tornare a casa.

-Che hai?- le chiede Serena guardandola preoccupata mentre si sistema un ciuffo rosso dietro le orecchie.

-Niente- le risponde Alice prendendo a giocare con l’anellino che tiene all’indice.

-Hai litigato con Filippo?-

-No-

-Oggi era con Laura della G a ricreazione-

-Lo so-

-E non ti da fastidio?-

-No-

-Bugiarda-

-è la mia specialità. Caffè con panna?-

-Ci sto!- le risponde prendendola a braccetto incominciando a parlare del compito di chimica.

Serena è l’unica che sa di Filippo. Se ne è accorta con il tempo, seguendo lo sguardo della compagna che cadeva sempre sullo stesso ragazzo, il cipiglio arrabbiato che le si formava sulla fronte quando qualche compagna di classe parlava di lui e le guance chiazzate di rosso quando le si avvicinava durante la ricreazione.

Serena, non sembra, ma è una brava osservatrice. Guarda il mondo da dietro le sue lenti a contatto verdi, che secondo lei la fanno risultare più misteriosa, e da un suo giudizio senza peli sulla lingua.

Vede Alice sfuggire dalla realtà da anni ma non si è mai intromessa nella sua vita. Le ha lasciato fare le sue decisioni ed ha rispettato molti suoi silenzi.

Serena c’è però, c’è sempre e questo Alice lo sa.

 

 

La pioggia di maggio è rara nella sua città ma Alice non si scompone più di tanto.

Con il cappuccio della felpa alzato sulla testa tenta di ripararsi schivando abilmente le buche fangose sulla strada.

Arriva velocemente davanti alla porta del garage da cui proviene della musica.

Beatles. All my loving.

Forzando leggermente la maniglia arrugginita, Alice entra dentro e si toglie subito la felpa bagnata lanciandola sopra la lavatrice dove il giradischi suona.

Sdraiato sul letto con la testa dalla parte opposta dei cuscini c’è Filippo.

La sigaretta ormai finita tra le labbra, gli occhi chiusi e il piede scalzo sui cuscini che si muove al ritmo della canzone.

Filippo non sopporta i calzini, soprattutto quelli di lana e fosse per lui camminerebbe sempre scalzo.

Alice si leva le scarpe umide e si avvicina piano al letto. Allunga la mano senza braccialetti sul viso del ragazzo e gli toglie la sigaretta dalle labbra portandosela alle sue.

Gli occhi verdi di Filippo si spalancano all’istante dopo il suo gesto.

I suoi capelli biondi gli sfiorano il viso che da quell’angolazione le piace ancora di più. Patetica.

Gli osserva la barba di qualche giorno sulle guance e sul mento, quel naso imperfetto ma che adora strizzare, le labbra che in quel momento, sempre, vorrebbe baciare.

-Mi hai spaventato- le dice parlando piano come se la musica fosse solo un leggero sottofondo.

-Lo so. Ora leva i tuoi adorabili piedi dal mio cuscino-

Filippo sbuffa ma fa come gli dice. Non ha voglia di litigare per una cazzata.

-Si mamma-

Alice lo guarda male e si lancia sul letto accanto a lui; la testa sul suo petto dove è giusto che stia.

-Beatles?-

-Già. Oggi mi è presa così-

-E grazie al cielo. L’altro giorno hai messo I Cugini di Campagna!-

-Non sono male-

-Domani ti vedrò con la parrucca bionda della signora Bruni e i pantaloni a zampa di elefante che canti Anima Mia?-

-Mm…bionda dici?-

Alice gli tira un pizzicotto sul braccio nascondendo un sorriso con la mano.

-Oggi ti sei nascosta-

-Non è vero-

-Invece si. Ti ho cercata ma non ti trovavo da nessuna parte-

-Forse non hai cercato bene-

Forse non ha cercato. Forse non ha guardato bene. Non vede, non riesce a vedere sennò l’avrebbe vista. Perché Alice c’era questa mattina, c’è sempre accanto a lui anche quando non riesce a vederla. Nell’ombra lo osserva come una spettatrice davanti al suo spettacolo preferito.

-Ti volevo chiedere come è andata l’interrogazione-

-Bene. 6 meno meno meno meno-

-Quanti meno su per giù?-

-Credo tre o quattro ma l’importante è che davanti a quei meno ci sia un 6. Grande. Grosso enorme e bellissimo. Lo vuoi vedere?-

Filippo sposta lo sguardo dal lucernario e la guarda con una luce maliziosa negli occhi verdi. Una luce che non si vede spesso.

Alice lo guarda stranita e poi quando capisce il doppio senso delle sue parole sussurra un “maiale” a bassa voce e gli tira un pugno sul fianco facendogli emettere un gemito di lamento attutito dalle note di Michelle.

-Ti dovrei ringraziare-

-Già, dovresti-

-Ma credo che non lo farò-

-Ne ero certo-

-Sono diventata prevedibile Lip?-

-No, no prevedibile ma per me sei come un libro aperto-

Alice si gira verso di lui con gli occhi neri allargati per lo stupore.

Lo sa che la capisce, è l’unico che riesce a catturare ogni sua minima emozione soltanto osservandola di sfuggita ma sentirselo dire è….strano.

Filippo tiene lo sguardo puntato verso il lucernario osservando il cielo scuro pieno di nuvole in movimento ma si lascia scappare un sorriso quando Alice le lascia un piccolo bacio sulla guancia.

La sente anche arricciare il naso quando percepisce la barba che molto probabilmente le ha arrossato la pelle sensibile.

-Stasera mamma fa le lasagne. Vieni?-

-Con la besciamella?-

-E parmigiano. Allora?-

-Vengo vengo. Passo prima da casa e avviso mio padre-

Alice si alza dal letto e va a spegnere il giradischi che riproduce “Yesterday”.

Filippo l’affianca e le posa il mento sulla testa mentre con un braccio le cinge i fianchi.

-Cosa faresti senza di me?!-

-Sceglierei dei film più sensati da guardarmi?- span>

-Ma va!- Le bacia una guancia ed apre la porta del garage buttandosi nella pioggia fitta e lasciandola da sola ad osservarlo andare via.

Senza di lui non avrebbe mai sofferto come soffre in questi anni ma non saprebbe nemmeno cosa significa amare.

Forse è un amore sbagliato, si, ma sempre di amore si tratta.

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

Eccomi qui, non so bene come, ad aggiornare questa storia.

Ormai è già due anni che scrivo ed ho capito che quando l’ispirazione chiama non si può non rispondere.

Oggi mi sono messa al computer e in poche ore ho scritto questo, così ho deciso di aggiornare.

Non so come ringraziarvi per il benvenuto che avete dato a questa storia! Grazie grazie grazie!

Un bacione,

Giulia :)

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Capitolo 5
*** Casa e famiglia. ***


 

 

P.S. vi consiglio di leggere il capitolo ascoltando Hey There Delilah dei Plain White T’s. è una delle mie canzoni preferite.

 

 

 

Nella piccola cittadina toscana, l’unico punto di incontro per i giovani del posto è una piazzetta nel centro storico dotata di alcune panchine di marmo al limitare di un viale alberato, che porta all’entrata di un piccolo parco con degli scivoli per bambini e una fontana decorata da graffiti.

Alice e Serena ,dopo aver preso una birra ghiacciata nel bar lì vicino, si siedono su una panchina dando le spalle ad un gruppo di ragazzi che giocano a calcio poco lontano da loro.

In silenzio si gustano la loro bevanda alcolica sperando di riuscire a combattere la calura che anche quella sera le sembra soffocare nonostante sia maggio.

Serena si è accorta che l’amica ha qualcosa che non va.

La vede arricciare il nasino cosparso di lentiggini quasi invisibili, di tanto in tanto e con i denti tortura il labbro inferiore su cui spicca anche un piccolo taglietto che si è fatta qualche anno fa cadendo di bicicletta. La vuole far parlare ma non sa come fare.

-Lo sai che ieri hanno beccato la Bettani nel laboratorio di fisica insieme al professor Crucci?-

-Non ci credo. Lei è sposata-

-E incinta. Sono partite le scommesse per decidere di chi è il bambino. Si vince un botto!-

-Ma lei non aveva un flirt anche con Massimo il custode?-

-Probabile. Quella donna è una vacca e pure stronza con i voti-

-Serena…… hai scommesso?-

-Io?? 20 euro tondi tondi, se il figlio nasce con i capelli rossi vinco uno casino di soldi!-

Alice scuote la testa affranta ma le labbra sono piegate in un sorriso.

La fa sorridere Serena e questo è un grande pregio.

-Oggi c’era Edoardo a scuola. Uscite di nuovo insieme?-

-No, grazie. Lo cedo volentieri a qualcun’altra-

-Io posso usufruire?- Alice si gira stupita verso l’amica che con un sorriso malizioso la guarda facendo intravedere il piercing che ha sulla lingua.

-Scherzo Licia-

Solo Serena la chiama in quel modo, che inutile dirlo, odia.

Alice ripensa a Edoardo Ferri.

Il suo primo vero ragazzo.

L’aveva incontrato una sera al compleanno di una sua compagna di classe e l’aveva da subito trovato molto carino. Si erano notati e poi avevano incominciato a parlare seduti su un terrazzo con un bicchiere di coca cola tra le mani e i Blink di sottofondo.

Gli occhi marroni, il sorriso amichevole e le sue parole educate l’avevano da subito attratta e non avevano perso tempo a scambiarsi i numeri di telefono e a rivedersi qualche giorno dopo.

Una parte di Alice pensava ancora costantemente a Filippo che in quel periodo era fisso sui libri limitandosi a qualche telefonata nonostante abitassero l’uno di fronte all’altro ma non riusciva a privarsi della compagnia di Edoardo.

Con lui visse anche la sua prima volta dopo qualche settimana che stavano insieme. Un scelta azzardata, non razionale presa di fretta una sera di luglio.

Arrabbiata con Filippo che sembrava evitarla come la peste, si era fatta venire a prendere da Edoardo e in poco tempo erano in campagna, poco fuori città, che facevano l’amore sdraiati sui sedili posteriori della sua auto.

Non ricorda molto Alice di quella sera; l’odore di menta e fumo impregnato nei sedili, una busta di carta accartocciata sotto la schiena che le sfregava sulla pelle nuda e qualcosa di fastidioso in mezzo alle gambe che non le faceva provare nessun piacere ma solo un fottuto dolore.

Dopo quella volta ce ne furono altre poche dopodichè Alice ed Edoardo si lasciarono ma rimasero buoni amici che ogni tanto ricordavano qualche aneddoto sulla loro breve relazione e ci ridevano su.

 

 

Alice finisce di bere la sua birra e si alza per buttarla nel cestino rosso di fianco a loro.

Quando si siede si gira verso Serena e le fissa i capelli rosso fuoco tinti qualche giorno prima.

-Quand’è l’ultima volta che hai sorriso Alice?-

-Poco fa-

-No, io dico sorridere davvero, sorridere perché sei felice.-

Alice alza gli occhi verso il cielo scuro macchiato da nuvole grigie che oscurano le stelle e un sospiro esce tremante dalle sue labbra.

-Non lo ricordo più-

-Sei arrabbiata con il mondo e con te stessa. Sfogati cazzo! In cinque anni che ci conosciamo non ti ho mai vista piangere. Non fare la dura, non serve a niente, te lo assicuro.-

Alice annuisce mentre stringe le mani intorno al corpo improvvisamente gelido.

L’ultima volta che ha pianto? Probabilmente due anni fa, quando tornando un giorno da scuola aveva trovato l’armadio della camera dei suoi genitori praticamente vuoto, con solo gli indumenti di suo padre.

 Quando aveva visto un vaso spaccato in un angolo del soggiorno e suo padre che cercava di ripulire il campo di battaglia in silenzio e spezzato in due dal dolore. Forse è stata quella l’ultima volta che Alice ha pianto.

 Chiusa nel suo garage con Filippo sdraiato accanto a sé che ascoltava le sue lacrime silenziose, limitandosi ad accarezzarle i capelli.

Serena le passa una braccio intorno alle spalle e le pizzica un fianco.

-Che ne dici di un bel gelato alla menta?-

-Odio la menta-

-Allora te ti prendi un panino con la porchetta e io il gelato-

-Diventeremo due balene-

-Già. Ma due balene felici-

 

 

Alice in fretta ha salutato Serena e si è messa in sella alla sua sgangherata bicicletta rossa per tornare a casa.

Pedala lenta, come se volesse gustarsi ogni secondo che passa.

Rallenta quando vede il suo palazzo dipinto di un verde scuro che negli anni si è scolorito e si arresta davanti al cancello in ferro battuto.

Quando scende dalla bicicletta si passa una mano sul viso ghiacciato e si accorge che le sue guance sono umide.

  Ha pianto e non se ne è nemmeno accorta. Non si è accorta che qualcosa dentro di lei si è mosso e che alcune lacrime, silenziose, scendono ancora dagli occhi arrossati e proseguono il loro cammino senza che una mano orgogliosa le fermi.

 

 

Cammina a passo svelto verso il garage dove è sicura di trovarci qualcuno.

Colui che la fa sorridere. Forse sorrisi amari ma sempre di sorrisi si tratta.

Vede la luce che esce dallo spiraglio della porta leggermente accostata e cercando di non fare rumore, cercando di non attirare la sua attenzione, apre silenziosa la porta ed entra.

Filippo è seduto a gambe incrociate sul letto dal piumone pesante. La solita Malboro tra le labbra, i piedi scalzi e il giradischi che riproduce Wonderwall degli Oasis. La sua canzone preferita.

Con la fronte corrucciata guarda l’enigmistica che tiene tra le mani e senza alzare lo sguardo, parla.

-Cinghiali addomesticati?-

-Porci- risponde Alice con un mezzo sorriso appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta mentre il ragazzo scrive sulla colonna verticale.

-Hai ragione. Un Marco cantautore che, aggiungo, ti fa venire voglia di suicidarti?-

-Masini-

-Giusto. Un amico a cui vuoi tanto bene e che conosci da una vita che ti offre una sua sigaretta?-

-Stronzo-

Filippo posa la rivista sul letto e le rivolge un sorriso.

-Le sai tutte-

-Non è vero, sei te che sei un incapace con le Parole Crociate-

Filippo continua a sorridere scuotendo la testa e poi le rivolge uno sguardo più profondo.

-Bentornata a casa- e Alice non può far altro che sorridere, questa volta felice davvero.

Quel garage è la sua casa e lui, bè lui è la sua famiglia.

 

 

 

Buon giorno a tutti!

È molto strano per me pubblicare a quest’ora ma oggi pomeriggio non avevo tempo e visto che il capitolo l’ho finito poco fa ho voluto approfittarne.

Volevo dire solo due paroline sulla storia in generale, prima di lasciarvi.

Il mio obbiettivo è scrivere una storia reale. Molte argomenti di cui tratto, come il divorzio tra due genitori, il rapporto difficile tra padre e figlia, un amore non corrisposto, io li conosco.

Forse direttamente o indirettamente ma so si cosa parlo e quando scrivo cerco di rendere tutto il più concreto possibile per farvi percepire anche a voi le sensazioni che i personaggi provano in questa storia.

Voglio parlare della vita vera, che non sempre è rose e fiori. I problemi ci sono e mi sembra giusto parlarne, non omettendo niente.

Non so se sono riuscita a spiegarmi anche perché sono di fretta ma spero che sia arrivato il mio messaggio.

Concludo ringraziandovi per tutto l’affetto che mi trasmettete con le vostre bellissime recensioni. Non so davvero come fare per dirvi GRAZIE!

Un bacione grande e spero di non avervi deluso con questo capitolo.

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Capitolo 6
*** Quando i bambini fanno oh! ***


 

 

 

Filippo, chino sui suoi appunti di chimica, ripassa mentalmente alcune formule che sicuramente la professoressa domani gli chiederà all’interrogazione.

Le riscrive perfettamente su un foglio con una penna blu e le controlla con quelle sul libro. Perfette.

A Filippo piacciono le materie scientifiche e a differenza di Alice, ha il massimo dei voti in tutte.

Si passa una mano tra i capelli scuri scompigliandoli ulteriormente e si appoggia stanco alla sedia della cucina.

Mentre si stropiccia gli occhi con una mano vede passare l’ombra di suo fratello Marco; simili ma opposti allo stesso tempo, soprattutto di carattere.

Si siede davanti a lui al tavolo mentre beve un bicchiere d’acqua presa dal rubinetto.

-Io scendo in piazzetta. Vieni con me? Ti sta fumando il cervello!-

-Te non hai mai avuto questo problema eh?-

Marco gli sorride ricordando quante volte ha rifatto la quinta superiore. E la quarta. E la terza.

-Hey sei te il genio in famiglia, anche se mamma crede di essere lei-

-Ed è meglio non contraddirla-

-Già. Allora vieni? Ci sono anche gli altri-

Filippo annuisce e chiude con uno scatto tutti i libri e i quaderni sparsi sul tavolo bianco.

 

 

Nell’Opel nera del moro i Negramaro fanno da sottofondo in questa giornata afosa di maggio dove neanche il condizionatore mezzo scassato può fare qualcosa.

Filippo guida prudente per le strade deserte dalle città mentre suo fratello ,seduto sul sedile accanto a lui, guarda inorridito alcuni Cd che erano dentro il cruscotto dove ha trovato anche un panino del Mc Donald’s di almeno tre mesi fa.

Filippo è l’ordine non sono mai andati d’accordo e la sua macchina sgangherata ne è una prova lampante.

Parcheggia vicino al cancello del parco accanto alla Piazza ed esce velocemente dalla macchina per sgranchirsi le gambe.

Marco si è avvicinato a passi veloci alla panchina di marmo dove ci sono alcuni ragazzi seduti e si butta letteralmente su una mora dai capelli a caschetto.

Lei è Cristiana, o meglio era, dopo il tuffo alla Tania Cagnotto di suo fratello, la sua fidanzata da ormai tre lunghissimi mesi. Filippo si domanda ancora come possa stare qualcuno con quel nullafacente.

Si accende una sigaretta che ha preso dal pacchetto rosso nella tasca dei jeans e un po’ di fumo gli va a finire negli occhi per colpa del vento.

Nonostante questo riesce comunque a vedere una chioma bionda distesa sull’erba verde del prato accanto ad un ragazzo che sarà il doppio di lei.

Filippo si struscia con una mano gli occhi arrossati e si avvicina alla stramba coppia.

Alice quel pomeriggio ha deciso di indossare una gonna bianca e un paio di Converse rosse.

Chiacchiera tranquillamente e sorride a qualche battuta che non riesce a sentire essendo troppo lontano.

È solare, osserva Filippo leggermente stranito.

 È fine maggio, non dovrebbe essere in piena fase premestruale?

Si sfila la giacca marrone che si era portato dietro e si avvicina a quell’ammasso di gentaglia che conosce da una vita.

Saluta Michelino Garzelli, suo compagno di classe e di partite alla Play e Chiara Mirabelli, sua amica ed ex fidanzata del fratello che si è tinta i capelli di rosa. Una scommessa persa, sicuro.

Casualmente si ferma davanti ad Alice che fa finta di non vederlo e continua a parlare con Teo Fargiulo, un metro e novanta per ottanta chili di muscoli e bontà.

Si piega sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza e allungando una mano le da un leggero pizzicotto sul braccio lasciato nudo dalla cannottiera che la fa girare subito infastidita.

-Ciao- la saluta accennando un sorriso con la sigaretta pendente dalle labbra.

-Ciao violento!-

Fa un cenno con la testa in direzione di Teo che lo saluta con una pacca sulla spalla per poi allontanarsi in direzione di due ragazzi.

Filippo prende il suo posto e si sdraia sull’erba leggermente umida e dal profumo irresistibile e intenso che gli ricorda le cadute fatte da bambino nel giardino di casa sua, dove non sporcarsi i pantaloni di terra era la sua unica preoccupazione.

-Tuo fratello è strano oggi- gli dice Alice raccogliendo i capelli lunghi in una coda alta che le lascia scoperto il collo dalla pelle chiara.

-Solo oggi? Si è fatto anche licenziare dal supermercato dove lavorava quell’idiota-

-Tua madre come l’ha presa?- gli domanda sdraiandosi accanto a lui mentre un sorriso aleggia sulle sue labbra più rosse del solito.

-Lo ha chiuso fuori di casa per due ore e gli ha nascosto alcuni giochi della Play. Ti sei messa il rossetto per caso?- le domanda con un sopracciglio alzato percorrendo con l’indice le labbra della bionda.

Sono morbide e fresche nota.

-No- gli risponde fissandolo negli occhi verdi come i fili d’erba sotto di loro.

-Invece si.-

-No ti dico, ho messo solo il burro di cacao-

-Sono diverse dal solito- e mentre lo dice sfiora con il polpastrello un taglietto rimarginato sul labbro inferiore.

-Le osservi spesso?-

La domanda semplice di Alice lo blocca. Non se ne rende conto Filippo, ma lui la osserva continuamente e ogni minimo cambiamento gli salta subito all’occhio da bravo osservatore.

Quasi irritato da quella domanda inattesa si alza dall’erba e si spolvera i Jeans per perdere tempo.

-Per forza. Con la boccona che ti ritrovi-

le sorride e poi scappa rincorso da Alice che lo minaccia con una sua scarpa in mano.

 

 

Con il fiatone arriva davanti all’entrata del parco da cui provengono le urla di alcuni bambini che giocano.

Si appoggia sulle ginocchia cercando di regolare il respiro e poco dopo viene travolto da un uragano in gonnella.

-Stronzo che non sei altro ora per farti perdonare mi offri un gelato!-

-Gelato? Grassa e con la boccon..ahia!- Filippo si allontana da Alice e si tocca la spalla dove il segno rosso dei suoi denti è impresso sulla sua pelle abbronzata.

-Che bestia!-

Alice lo prende per un braccio e ridendo si incamminano verso il Roxy Bar.

 

 

Dopo aver preso i loro gelati si mettono seduti su un tavolo da pic-nic ricoperto da scritte con alcuni pennarelli indelebili dentro il piccolo parco, a riparo dagli sguardi apprensivi di alcune mamme e dai raggi caldi del sole.

Filippo si gusta il suo gelato al limone ed osserva l’amica tutta intenta a non sporcarsi il naso di gelato proprio come da bambina sua madre la sgridava per la sua poca attenzione.

La vede corrucciare la fronte quando la paletta raggiunge il fondo della coppetta ormai vuota e con stizza si alza e la va a buttare nel cestino davanti a loro.

Si sdraiano entrambi sul tavolo e fissano ad occhi socchiusi il cielo oscurato dai rami degli alberi sopra le loro teste vicine.

-Ti ricordi quando ci nascondemmo qui per un intero pomeriggio? Ci portammo da casa alcune merendine e due coperte. Te avevi anche i fumetti di Snoopy dietro-

Alice scoppia a ridere ricordando la loro prima avventura lontani qualche centinaio di metri da casa.

-Dopo nemmeno un’ora ritornammo a casa sporchi di fango perché aveva incominciato a piovere e la nostra misera tenda era crollata!-

-Te piangevi come una disperata e incolpavi me per quella follia che era stata tutta opera tua!- La accusa Filippo assottigliando gli occhi.

-Anche te piangevi mio caro macho man! Mia madre era incavolata nera. Mi proibì di vedere la televisione e di giocare con te per una settimana intera-

-Ma ci siamo visti ugualmente di nascosto- continua il moro con l’ombra di un sorriso nella voce roca.

Alice annuisce e si perde tra i ricordi.

L’immagine che le compare davanti agli occhi è di sua madre, vestito a fiori colorati e un paio di zoccoli bianchi che rimbombavano per la casa, i riccioli scuri legati con un laccio delle scarpe da tennis che la brontola nell’ingresso di casa sua.

È stata l’unica volta in cui si è sentita in colpa nei confronti di quella donna. Si ricorda ancora quanto le era costato scusarsi il giorno dopo.

-Da quant’è che non la senti?-

-Chi?- gli chiede Alice incrociando i suoi occhi.

-Tua madre-

-Mmm…mi ha chiamata due settimane fa. Sembra che stia pensando di risposarsi con Luigi-

-E pensi di andarci?-

-Al matrimonio? Vuoi che dia libero sfogo ai miei anni di difesa personale?-

-Meglio di no. Ma è comunque tua madre-

-Una madre che non c‘è mai stata non è una madre-

Alice lo guarda mentre il sorriso si spegne sulle labbra e si sistema gli occhiali neri su quelle pozze verdi da cui è stata fulminata bene bene tanti anni prima.

Filippo si alza a sedere sul tavolo e si stiracchia le braccia sopra la testa guardando un bambino sdraiato per terra che gioca con un camion dei pompieri imitando il rumore di un motore con la bocca.

Vorrebbe dirle tante cose Filippo. Ad esempio che lui c’è, che c’è sempre stato per lei. Che silenzioso l’ha vista piangere ma anche cercare di ridare un senso alla sua vita. Le vorrebbe dire che è orgoglioso di lei, tanto orgoglioso e che probabilmente lui non sarebbe stato bravo quanto a lei a crescersi da solo.

Le vorrebbe confessare che adora il suo sorriso e le fossette che le si formano sulle sue guance quando ricordano i momenti passati insieme, ma se lo tiene per se e le stringe la mano che tiene vicino alla sua.

-Però cucinava bene-

Alice scoppia a ridere e gli da un pizzicotto sul fianco coperto dalla maglietta.

Scende veloce dal tavolo ,rischiando anche di cascare, per sfuggire alle sue unghie affilate e si gira per guardarla mentre gli si avvicina con la gonnella mossa dal vento fresco.

Allarga le braccia e senza dire niente la stringe in un abbraccio.

Il secondo o terzo da quando si conoscono.

La stringe a sé per qualche secondo sistemandole anche una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio e poi la lascia andare.

Si china piano al suo orecchio.

-Chi arriva prima al bar vince un ovino Kinder!- le sussurra piano, come se dovesse confessarle qualche segreto impronunciabile, e corre veloce verso il cancello alzando dietro di sé un gran polverone.

Alice rimane immobile dove si sono abbracciati e con il naso arrossato per quel gesto.

Un bambino.

Con il sorriso sulle labbra gli corre incontro urlandogli dietro che è un solo un imbroglione e che la corsa non vale.

Due bambini con la voglia ancora di giocare insieme e la paura di diventare grandi.

 

 

 

 

Ciao a tutti!

Caldo caldo caldo nella mia città e gente già abbronzatissima che gira per le strade!

Ho finito ieri sera questo capitolo e ho deciso quindi di postare nel primo momento libero. Platone mi tiene legata al libro da una settimana ormai!

Spero vi piaccia più dello scorso capitolo che non è stato letto da molti e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della storia per ora, anche con due paroline striminzite eh!, tanto per farmi un’idea se devo continuarla o è meglio che dedichi al decoupage! C’è un vasetto che devo dipingere, signore, è un amore!!

Un bacione e grazie per la vostra attenzione lascio a voi la parola,

Giulia :D

P.s. mi scuso con tutte le persone che leggono “Cenerentola e il marchese” ma il capitolo non è ancora pronto, spero comunque di aggiornare a fine settimana impegni permettendo! Scusate ancora :D

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Capitolo 7
*** Moments. ***


 

 

Mancano tre giorni alla fine della scuola e all’interno del Liceo Cosimi si sente già odore di libertà.

Gli studenti si aggirano per i corridoi con magliette a maniche corte e pantaloni fino al ginocchio; escono durante le lezioni per andarsi a fumare una sigaretta sul terrazzino del secondo piano oppure prendono il sole nel cortile, armati di occhiali da sole e Mp3.

Lo zaino lo hanno già riposto in fondo all’armadio dove ci rimarrà per tre lunghissimi mesi e si presentano alle lezioni solo con qualche libro in mano e una penna dietro l’orecchio.

Alice ha gli esami tra qualche settimana e la libertà la vede solo con il cannocchiale.

Trema dalla paura, così come molti suoi compagni, e le sue unghie mangiucchiate ne risentono più di tutti.

Non esprime la sua preoccupazione a parole e non si mette ad urlare isterica come hanno fatto molte sue compagne, ma affronta la sua ansia in silenzio.

Le sue preoccupazioni le si presentano anche sottoforma di incubi, ogni notte, infatti, sogna di arrivare in ritardo alla prima volta e ti lasciare il foglio in bianco con solo il suo nome scritto al lato del foglio.

 

 

Serena, sdraiata sulla panchina nel cortile della scuola, guarda Alice che si morde una pellicina sul pollice mentre ripassa, con il libro sulle gambe, per l’ultima interrogazione di storia.

Muore dalla paura, Serena lo sa, ma ha l’accortezza di non riferirglielo e si limita ad osservarla da sotto i suoi occhiali neri mentre aspetta che la campanella suoni per richiamarle nella loro aula.

-Alice?-

-Mh?-

-Fallo per me, vola quel libro-

-Ho l’interrogazione tra cinque minuti, devo ripassare-

-Questo non è ripassare, è masochismo. Sei bianca come un verme, sdraiati con me a prendere un po’ di sole-

-Non deve piacere a te, la mia carnagione-

Con la coda dell’occhio vede qualcuno sedersi sugli scalini dell’entrata principale e sorride.

-è arrivato colui a cui dovrebbe piacere la tua carnagione- le dice Serena con un sorriso malizioso scoprendo gli occhi verdi dalle lenti nere.

Sghignazza dentro di se quando vede Alice irrigidirsi e chiudere con uno scatto il pesante mattone di carta.

Troppo prevedibile.

Serena si mette a sedere sulla panchina di marmo quando sente la campanella risuonare stridula per tutto l’edificio di mattoni grigi, e si stiracchia le braccia scoperte verso l’alto.

Il sorriso tranquillo sparisce dal suo volto arrossato dai raggi del sole, quando vede una rossa dai capelli corti sedersi accanto a Filippo sugli scalini di pietra e sorridergli.

Anche Alice l’ha vista e ha subito spostato il suo sguardo come bruciata, riportandolo sulle sue mani attaccate al bordo del libro.

Laura gli si è avvicinata e si tocca i capelli portandoseli dietro le orecchie a cui sono attaccate due campanelle d’argento più grosse della sua testa.

-Ali?-

-Si?- La voce è bassa e piatta, nota.

-Andiamo in classe?-

-Si…si andiamo-e si alzano insieme dalla panchina.

Camminano vicine sulla ghiaia scricchiolante e arrivano vicino all’entrata in silenzio.

Serena passa accanto alla rossa che ride sugli scalini e casualmente la sua scarpa va a finire sopra la sua ballerina bianca.

Avanza sugli scalini come se non avesse appena rovinato un paio di Cuccuini nuove di zecca e si sistema gli occhiali neri sul naso piccolo entrando dentro l’edificio.

-Sgualdrina- dice spostando un ciuffo di capelli.

-Sere…-

-Baldracca?-

-Meglio-

Serena posa un braccio sulle spalle dell’amica ed entrano entrambe sorridenti in classe.

Lei si che la capisce.

 

 

 

Alice è rientrata da poco a casa e come sempre all’ora di pranzo, la trova deserta.

Poggia le chiavi di casa nella piccola ciotola a forma di cane nell’ingresso e dopo essersi tolta le scarpe, entra nel cucinotto per mettere qualcosa sotto ai denti.

Un bigliettino sul tavolo la informa che suo padre starà fuori per tutto il giorno e che le ha preparato un panino per pranzo.

Alice lo appallottola e lo lancia dentro il cestino mentre prende il tramezzino involto nella carta stagnola lasciato su un piatto.

Si accende la televisione e mette un programma di quiz mentre si lascia cadere stanca sulla sedia.

Ad Alice piace mangiare da sola e poi ormai c’è abituata.

Anche quando i suoi genitori non avevano ancora divorziato, lei preferiva mangiare da sola in salotto seduta sul divano a guardare i cartoni animati.

Non aveva voglia di sentire i soliti discorsi sui pochi soldi che entravano in casa, sui sacrifici che suo padre stava facendo per loro, le lamentele di sua madre perché non stavano mai insieme come una famiglia.

Loro non erano una famiglia, questa era la verità ed Alice l’aveva capito prima di tutti.

L’aveva capito anche sua madre, un giorno qualche anno dopo e fatta una valigia si era chiusa la porta del loro appartamento alle spalle e non ci era più rientrata.

Alice, però, non ha mai odiato sua madre per quello che ha fatto.

Aveva dato tutte le colpe della sua fuga al padre, a Stefano che non era stato capace di fermarla quel giorno, che era stato troppo in ufficio, lui che non aveva mai baciato sua madre la mattina prima di uscire di casa e che non le regalava cioccolatini a San Valentino.

Aveva incolpato lui della rovina della sua famiglia mentre sua madre se la spassava con un altro uomo in un’altra regione.

Alice non capiva, non capiva il dolore di suo padre, credeva che fosse felice che la moglie se ne fosse andata e per questo aveva smesso di parlargli e anche solo di guardarlo negli occhi identici ai suoi.

Quando lo scoprì un giorno a piangere in silenzio nella sua camera si rese conto che in fondo, forse non era felice come credeva.

Qualche giorno dopo gli ricominciò a parlare, due parole messe in fila troppo orgogliosa per chiedergli scusa, ma quando vide suo padre sorriderle, capì di aver fatto la scelta giusta e che tutto sommato, loro due da soli non stavano tanto male.

Quando finisce di mangiare Alice esce di casa con solo un paio di chiavi consumate in mano e raggiunge il cortile interno.

Il garage è chiuso e la porta esterna da bianca è diventata di un triste grigio consumata dalla pioggia e dal tempo.

Un giorno o l’altro dovrebbero tingerla di qualche colore caldo; giallo ad esempio.

Entra forzando la maniglia arrugginita e mezza rotta e vedendo il confortevole letto matrimoniale illuminato dalla luce del lucernario, ci si butta sopra soffocando la testa nel cuscino bianco che profuma di cioccolato. Bleah.

Colpa di Filippo.

Rimane a pancia in giù con le braccia ai lati del corpo troppo stanca per muovere anche solo un muscolo.

Si rannicchia su se stessa e chiude gli occhi scuri cedendo al sonno soffocata dall’odore disgustoso di cioccolato.

 

 

Quando si sveglia la prima cosa che vede sono le ciglia nere di Filippo e i riccioli neri che gli coprono la fronte dove sa che c’è il segno della varicella che ha preso a sette anni, da lei.

Ha la testa accanto alla sua e dorme profondamente con la bocca leggermente socchiusa.

Alice lo fissa assorta con un sorriso timido sulle sue labbra.

Gli passa una mano sulla guancia ruvida per la barba che lo fa tanto uomo mentre invece lei sa che sotto sotto è ancora un bambino.

Gli si avvicina fino a portare la fronte ad appoggiarsi sul petto del ragazzo e stringe tra le mani un lembo della sua maglia per non farlo sfuggire come succede nei suoi sogni.

Cullata dal disco dei Led Zeppelin che ha sicuramente inserito Filippo prima di stendersi, chiude gli occhi e assapora quel momento tanto strano.

-Cerca di non russare-

Alice sobbalza quando sente la sua voce roca vicino all’orecchio ma non si muove di un millimetro.

-Ci proverò-

-Bene. Ho sonno e ho bisogno di dormire-

-Cos’è che ti toglie il sonno Lip?- gli chiede con un tono acido.

-Una bionda che a mezzanotte mi chiede di risentirle storia- è la risposta di Filippo unita ad un pizzicotto sul braccio che cinge i suoi fianchi.

-Potevi dirmi di no- gli dice Alice alzando di poco la testa per specchiarsi nei suoi occhi verdi socchiusi.

-Non so dirti di no, Alice-le risponde togliendole un ciuffo biondo da davanti gli occhi.

E Filippo con quella risposta vince. Vince cuore e corpo anche se sono già suoi da molto tempo e non lo sa e forse, non lo saprà mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buongiorno!

Eccoci arrivati al capitolo sette dove non succede niente di eclatante ma affronto il divorzio dei genitori di Alice e le sue emozioni in merito.

Spero di non aver offeso nessuno parlando di un argomento così delicato ma mi serviva per farvi capire un po’ di più la nostra Alice, così chiusa con se stessa e con gli altri ma che dentro di sé ha un grande caos.

Ho deciso di parlarne anche perché so di cosa parlo, so come si possa essere sentita Alice e so cosa succede in queste situazioni, purtroppo.

All’inizio del capitolo vediamo la gelosia per Laura e l’amicizia profonda che la lega a Serena che la capisce come se fosse un libro aperto.

Infine vediamo un momento parecchio dolce, secondo me e spero anche per voi, un momento intimo ma anche molto semplice come dormire insieme vicini e poche parole a rompere quel silenzio carico di parole che si vorrebbero dire.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come il precedente che ha riscosso addirittura 8 recensioni!! Io non so come ringraziarvi per tutto il caloroso affetto che mi date con dei semplici commenti positivi e tanti complimenti! Tutti, anche solo chi legge silenzioso, siete meravigliosi, non so più come dirvelo.

Questo capitolo è importante per me, forse perché ci ho messo tanto di me, tanto della Giulia reale e vorrei sapere cosa ne pensate.

Un bacio grande,

Giulia.

P.s. vi consiglio di non perdervi il prossimo capitolo!! ;))

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Capitolo 8
*** Una fine e un inizio? ***


 

 

Alice non crede ai suoi occhi.

Guarda il grande foglio bianco davanti a lei ed è come se non lo vedesse realmente.

Guarda il suo nome e cognome scritto di nero con una calligrafia elegante e poi quel numero di due cifre scritto accanto. Quel numero è un 78.

È da almeno dieci minuti che lo fissa mentre altri ragazzi si avvicinano alla porta a vetri dell’entrata principale, per vedere il voto con cui si sono diplomati e possono finalmente dire addio a quell’edificio di mattoni grigi teatro di mille emozioni.

E Alice gli dice addio con un enorme sorriso sulle labbra e un bellissimo settantotto scritto su un pezzo di carta.

Con le mani ancora tremolanti si allontana dalla massa di studenti che esultano e gridano tra di loro e si va a sedere sulle panchine di marmo nel cortile dove ha passato le sue mattinate per cinque lunghissimi anni.

Non riesce ancora a crederci Alice; si è diplomata.

La sua mente è rimasta ancora alla sera prima della prova di italiano, mentre è seduta sul suo letto dalle coperte sfatte con cento libri sparsi davanti e gli occhi sono rossi per le lacrime che vorrebbe versare dal nervoso.

Si vede ancora varcare l’aula di matematica e sedersi su una sedia dietro Serena mentre prega mentalmente per un miracolo.

Le sembra ancora di essere davanti alla commissione del suo orale, a quella bastarda professoressa di filosofia dai tinti capelli biondi che le faceva delle domande impossibili e che lei avrebbe voluto mandare solo a quel paese.

Si sente come quando aveva varcato quella porta verde acqua finito il suo esame orale, libera e con la mente vuota, e vede suo padre che appoggiato alla macchinetta del caffè, si torce le mani nervoso e sorride sollevato quando la vede uscire andandole incontro.

Alice si lascia andare ad un sospiro liberatorio. È finita, ora è ufficialmente nel mondo degli adulti.

Con il sorriso sulle labbra fissa il ghiaino sotto le suole delle sue scarpe e pensa a tutte le interrogazioni e i compiti che non farà mai più, all’ansia terribile prima di una verifica di matematica, quando la professoressa Bianchi apriva la sua agenda a caso scatenando il terrore dei suoi alunni.

Basta bigliettini e fotocopie ridotte nascoste sotto le maniche lunghe delle felpe o sotto il banco, non suggerirà più a Serena durante un compito di fisica e non avrà bisogno di fingere un malore quando il professore di italiano deciderà di fare un compito a sorpresa.

Con una nota amara pensa anche che non potrà più chiacchierare con il custode Paolo, che non potrà vedere la faccia scazzata della sua compagna di banco di prima mattina e le sue imprecazioni contro i professori.

In un futuro sa che rimpiangerà quei momenti. In un futuro lontano, certo.

Qualcuno si siede accanto a lei e una nuvola grigia di fumo le passa davanti agli occhi.

Rimangono in silenzio per alcuni minuti, come per assaporare quel momento che sanno li rimarrà per sempre mentre alcuni ragazzi poco lontano da loro gridano.

-è finita- dice Filippo schiacciando la sigaretta finita per terra.

-Già- gli risponde Alice fissando i loro piedi vicini.

-Bè…non ancora- continua il moro con il sorriso nella voce.

Un pennarello nero spunta sotto al suo naso come per incanto.

Lo prende in mano e l’espressione dubbiosa che le era sorta sul volto viene sostituita da sorriso mentre si specchia negli occhi verdi del suo migliore amico.

Si alzano insieme dalla panchina e si fermano davanti al muro grigio vicino al portone principale, tinto solo l’anno scorso e dove mille scritte di diversi colori fanno bella mostra di sé.

Si guardano un attimo negli occhi prima di poggiare il pennarello sulla parete e dopo un rapido assenso, scrivono i loro nomi vicini, insieme alla data di quel giorno. Il 28 giugno 2011.

-Sono orgoglioso di te- la voce di Filippo è bassa e roca vicino al suo orecchio.

-Lo so. E io di te-

-Lo so- Alice gira lo sguardo e fissa il profilo del ragazzo che non è suo ma che lei considera tale.

Con di sottofondo l’ultima campanella della loro vita che suona dentro l’edificio, fissano immobili il segno del loro passaggio.

 

 

 

Il bagno di Luigi Capitoni è il bagno più bello che Alice abbia mai visto.

Questo è quello che pensa guardando il marmo pregiato del lavandino, le mattonelle di un bianco splendente e gli asciugamani di seta mentre tiene i capelli rossi di Serena raccolti tra le mani cercando di lasciarla libera di vomitare dentro un cesso da dieci mila euro.

Serena si tiene al bordo del water con le mani mentre i conati di vomito non sono ancora cessati e le ginocchia tremanti sono poggiate sul pavimento freddo.

Dopo averla aiutata ad alzarsi e a sciacquarsi il viso, escono dal bagno entrambe traballanti e con una Serena stranamente euforica.

-Dio, era da quando avevo quindici anni che non vomitavo così dopo aver bevuto!-

-Sei felice ora?-

-Certo! Un’esperienza incredibile, mi è mancata-

Alice si passa una mano sul volto non riuscendo a credere a quello che sente da quella pazza che le cammina accanto.

Entrano dentro l’enorme lussuoso salotto della villa prestata da un loro compagno di classe per la festa dei diplomati, cercando di riconoscere qualche volto noto in quella massa di persone per lo più sconosciute che ballano seguendo il ritmo della musica di sottofondo.

-Ali?-

-Mh?-

-Ho bisogno di bere-

-C’è una bottiglietta d’acqu..-

-No! Io dico bere qualcosa di forte. Uh! Hanno portato lo champagne!-

Serena corre verso il tavolo degli alcolici, scontrandosi con un ragazzo, come se non avesse vomitato l’anima qualche secondo fa.

Alice è troppo stanca anche solo per cercare di rincorrerla. Se vuole bere che beva pure, è grande, ma se vomita di nuovo, i capelli se le terrà da sola.

Mentre cammina per uscire in giardino a prendere un po’ d’aria i suoi occhi incrociano una figura slanciata, seduta su un divanetto di velluto rosso in un angolo del salotto.

Filippo chiacchiera con un suo compagno di classe e tra le mani tiene un bicchiere dallo strano liquido rosso.

Si guarda intorno annoiato e alla fine i loro occhi si incrociano. Non è come i film o i libri dove il mondo intorno a loro sparisce e sentono le campane suonare, anzi Alice sente anche troppo bene quella musica assordante che le rimbomba in testa, ma quello sguardo le ha provocato un brivido sulla schiena.

Nello stesso momento sui loro volti si apre in un sorriso e senza bisogno di parole, si capiscono.

 

 

 

-Mi fai guidare?-

-Non ci pensare neanche, sei ubriaca-

-Lo sai che non è vero! Tu non vuoi che guidi perché l’unica volta che ho provato ti ho sfasciato il cofano-

-E mi biasimi per questo?-

Alice sbuffa sedendosi sul sedile della Opel di Filippo e incrocia le braccia al petto come farebbe una bambina capricciosa.

-Dove vuoi andare?- le chiede Filippo accendendo l’auto e facendo retromarcia cercando di non prendere la Bmw rosso fiammante dietro di lui.

-Come se già non lo sapessi- gli risponde Alice con un tono basso di voce continuando a guardare fuori dal finestrino sporco, appoggiando la testa sul braccio.

In pochi minuti raggiungono il parcheggio dei loro palazzi e mentre Filippo scende dall’auto, Alice rimane immobile sprofondata nel suo sedile con gli occhi chiusi.

-Stai dormendo?-

-Si-

-Vuoi dormire in macchina?-

-è comoda-

-Ricordati che mio fratello ci ha fatto sesso con la sua ex ragazza su quel sedile-

Come scottata, Alice apre gli occhi assonnati e balza giù dalla macchina, reggendosi alla portiera perché le sue gambe sono troppo deboli.

Camminano nel silenzio della notte calda di luglio ed entrano nel loro garage.

La luce si accende con un leggero sfarfallio e illumina la piccola stanza dal grande letto.

Alice senza pensarci due volte, lanciando le scarpe vicino alle biciclette arrugginite, si sdraia a pancia in giù con le braccia nascoste sotto il cuscino ghiaccio.

Filippo scuote sconsolato la testa e inserisce un disco nel giradischi.

Alleluia di Jeff Buckley risuona nell’aria con le sue dolci note mentre si toglie le scarpe con i talloni e le lascia ai piedi del letto sedendosi accanto alla bionda.

Filippo odia stare a pancia in giù e si sdraia sulla schiena con la testa sotto al lucernario aperto da cui entra un lieve venticello e si può osservare il cielo privo di stelle.

Alice muove le gambe sulle coperte bianche per cercare di scacciare il calore sulla sua pelle e sbuffa contro il tessuto del cuscino facendo sorridere il moro.

Apre piano un occhio e osserva il ragazzo disteso su un fianco che la sta fissando.

Anche lui ha gli occhi rossi e leggermente lucidi. Ha tagliato anche un po’ la barba, nota la ragazza osservando le guance più lisce del solito e la mascella.

Si sofferma qualche secondo sulle labbra serrate tanto vicine alle sue e poi torna ai suoi occhi verdi, di un verde talmente bello da esserne gelosi.

Come dotata di una sua volontà la sua testa si avvicina a quella di Filippo, che immobile nella sua posizione osserva i suoi movimenti.

Rimane a fissarla quando lascia solo pochi centimetri a dividerli, quando vede i suoi occhi scuri puntati sulle sue labbra e il suo viso protendersi verso il suo per il punto di non ritorno.

-Alice…- Non è un richiamo ne una domanda o un esclamazione.

È una preghiera forse, non lo sa nemmeno Filippo a dire la verità.

-Non…non mi vuoi baciare?- la voce di Alice e bassa e tremolante verso la fine ma gli occhi, gli occhi che lo osservano in attesa di una risposta lo lasciano senza parole.

Rimane a guardarla per qualche secondo con la mente completamente vuota alla ricerca di un qualsiasi pretesto per non commettere quello sbaglio.

-Domani non ti ricorderai nulla-

-Non dimenticherò niente- risponde la bionda annuendo con la testa con gli occhi più lucidi di qualche minuto prima.

Alice non gli permette di risponderle e avvicina i loro volti. Una sua mano va sulla sua guancia liscia come poche volte l’ha sentita, percorre con la punta delle dita il profilo della mandibola e poi lo zigomo, passa sulla fronte e scende sul naso e infine sulle labbra.

Scivola sulla sua nuca, tra i suoi riccioli scuri che accarezza con tutte e cinque le dita e fa sfiorare le loro labbra. Uno sfioramento leggero, in cui i loro nasi si toccano leggermente.

È Alice a condurre, Filippo è immobile nella sua posizione come un ragazzino alle prime armi che non sa da dove iniziare.

è lui però dopo un secondo sfioramento, a far unire le loro labbra in un vero bacio.

Quando si separano qualche secondo dopo, lo schiocco risuona nel garage.

Gli occhi di Filippo si aprono lentamente ma Alice gli tiene serrati e gli lascia un bacio sul collo.

Non vuole fargli vedere i suoi banali occhi marroni, carichi di lacrime per quel momento tanto atteso.

Filippo abbassa la testa e cattura la sua bocca per un bacio più profondo mentre le sue mani passano in una carezza sul suo fianco per attrarla vicino a sé.

Il disco è ormai finito da tempo e nella stanza i rumori delle loro labbra che si uniscono e si lasciano, insieme al fruscio dei loro corpi sopra la coperta, sono gli unici suoni presenti.

È diventato un bisogno quel bacio, quei baci, quel bisogno di togliersi il respiro e di conoscere il sapore dell’altro mentre le mani vagano timide sui loro corpi inesplorati.

Mentre si baciano nella mente di entrambi si accende il ricordo del loro primo bacio.

Sempre nel loro garage, girando una bottiglia di vetro trovata sotto al letto, il loro primo contatto era stato impacciato e parecchio schifoso, da quanto avevano detto; un esperienza che avrebbero preferito non ripetere.

E invece eccoli lì sette anni dopo, di nuovo a baciarsi, con la consapevolezza che questa volta sarà difficile separarsi.

 

 

 

 

Buonasera!

Saluto tutti e mi vado a nascondere nell’armadio della mia cameretta per la vergogna aspettando i vostri commenti che spero non siano minacce di morte!

Un bacio,

Vostra Giulia, colei che vi adora sopra ogni cosa!

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Capitolo 9
*** Patetica. ***


 

 

 

 

Alice non ha mai sentito il bisogno di una madre.

Quando se ne era andata di casa, perciò, non era stato un trauma ingestibile non avendo mai avuto un rapporto così stretto, con la donna che l’aveva portata in grembo per nove mesi.

In fin dei conti Alice si è cresciuta da sola.

A sette anni aveva imparato a farsi il fiocco alle stringhe delle scarpe guardando un cartone alla televisione, la mattina si era sempre preparata la cartella da sola e non aveva mai avuto nessuno che le riguardava la lezione per casa, risentendole le poesie che doveva imparare a memoria.

Si curava da sola le ferite che si faceva cadendo dalla bicicletta ed aiutava a disinfettare quelle dei suoi amici.

Non ha mai raccontato a nessuno del suo primo bacio e della sua tragica prima volta, non ha mai avuto il bisogno di confessare le sue emozioni a qualcuno che non fosse se stessa oppure Simba, il suo piccolo peluche a forma di leone.

Quella mattina però, Alice sente per la prima volta dopo anni, la mancanza di sua madre.

In quel momento vorrebbe tanto essere seduta al grande tavolo dal legno consumato in casa sua, con una tazza fumante di cioccolata tra le mani e sua madre seduta davanti a lei che la ascolta parlare emozionata, mentre pensa dentro di sé “la mia bambina è cresciuta”.

Vorrebbe tanto dirle cosa prova in quel momento, vorrebbe spiegarle come si è sentita questa notte quando le loro labbra si sono assaggiate per la prima volta.

Vorrebbe chiederle se è normale tutto l’amore che sente per quel pezzo di idiota e magari farsi dare quel coraggio che le manca per confessarlo anche a lui.

 

 

Alice invece si ritrova da sola a fissare con gli occhi ancora leggermente socchiusi, un capello nero sopra la federa bianca del cuscino su cui posa la testa.

Il suo sguardo si posa poi sulla testata del letto dove una figurina dei pokemon è stata appiccicata almeno otto anni prima, con una gomma da masticare dallo strano colore roseo.

Accanto alla figurina c’è un pezzo di carta strappato male dove c’è una firma scritta con un pennarello nero che andava male.

È la firma di Tonio Cartonio, protagonista del programma Melevisione che Alice e Filippo guardavano attaccati allo schermo della loro vecchia televisione, per pomeriggi interi.

Era stato l’idolo della loro infanzia, finché un giorno scoprirono Holly e Benji, i due mitici calciatori in cui si cercavano di immedesimare, giocando a calcio nel giardino del condominio.

Le labbra di Alice si curvano in un sorriso e con una nota amara ricorda come erano belli quei tempi dove nessun pensiero affollava la sua mente.

Tonio. Il suo primo vero amore.

Accanto a lei, Filippo sposta leggermente le gambe fuori dal letto e si porta una mano sulla pancia.

Gli occhi sono ancora sigillati ma tra qualche minuto si sveglierà, probabilmente con un mal di testa epico e nervoso perché non è il profumo del suo latte e cioccolato che si beve ogni mattina a svegliarlo.

Lo vede grattarsi il naso impacciato e poi storcere la bocca in una buffa smorfia.

Quando apre gli occhi Filippo vede Alice a pancia in giù, con le mani sotto alla testa che lo osserva con i suoi occhi scuri arrossati.

-Ciao- le dice con la voce ancora impastata per il sonno.

-Ciao- gli risponde Alice con lo stesso tono basso di voce.

-Che ore sono?-

-Le dieci-

Le parole finiscono lì.

Alice si sdraia di schiena accanto al moro e fissa immobile come lui il lucernario da dove entra una tiepida luce che mette in risalto la polvere che galleggia nell’aria.

-Dovremmo parlare- dice Filippo fissando una macchia scura sul soffitto dipinto di bianco da suo padre.

-Lo credo anche io-

-Da dove iniziamo?-

-Non lo so-

Girano i volti e i loro occhi si incrociano.

-Non siamo pratici di queste…faccende-

-Già. Terribili- annuisce convinta Alice mentre stringe con le mani sudate il copriletto chiaro sotto di lei.

-Ci siamo baciati- dice Filippo assottigliando un poco gli occhi come per mettere a fuoco qualcosa.

-A quanto pare-

-Per…per un po’-

-Un po’ tanto direi-

-Io credo…credo che sia stato…lo slancio di un momento-

-Slancio?- chiede confusa Alice rifiutandosi di guardarlo negli occhi.

-Si. Non eravamo proprio in…in noi e poi ci siamo ritrovati vicini, la situazione…-

Alice rimane zitta, un sorriso ironico sul suo volto dalla pelle trasparente.

Lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe andata così.

Uno slancio, pensa con un sorriso amaro e un masso enorme dentro la sua gola che le impedisce anche di deglutire. E la cosa terribile è che lo trova stupendo anche quando le parla imbranato non trovando le parole.

-Siamo amici. Ci…sei Alice?-

E a lei non le rimane che annuire.

Filippo la guarda rigida nella sua posizione e con le labbra serrate in una linea dura.

La sta perdendo e se ne è accorto da tempo.

-Sono qui Lip- le risponde Alice con gli occhi rivolti verso l’alto con la sola voglia di scappare da quel garage.

Ma Alice rimane lì, come le ha promesso. Rimane lì con il cuore a pezzi e con la consapevolezza che il bacio più bello e impacciato della sua vita è stato solo lo slancio di un momento.

Patetica.

 

 

 

Stefano è un avvocato ed ha uno studio proprio insieme a Giacomo, un suo compagno dell’università con cui si è laureato lo stesso anno.

Lavora per giornate intere concedendosi delle misere pause per il pranzo e per fumarsi una sigaretta ogni tanto, ma è sempre fisso su milioni di documenti riguardanti casi da risolvere.

Quando torna a casa la sera, l’unica cosa che vorrebbe fare è buttarsi nel letto, senza nemmeno spogliarsi, e svegliarsi una settimana dopo.

Ma invece non può. A casa che l’aspetta c’è la sua Alice, e non si può permettere che sua figlia si prepari la cena da sola o che trovi una casa deserta.

Prende le chiavi di casa dalla tasca della giacca, quando è arrivato sul pianerottolo dell’appartamento e quando le infila nella toppa sta già pensando a cosa potrebbe preparare e se c’è già qualcosa di pronto nel forno, magari avanzato dal pranzo.

Quando entra nel piccolo ingresso dalle pareti arancione, qualcosa di strano cattura la sua attenzione.

Posa la sua valigetta di pelle marrone vicino a un basso tavolino dove poggia le chiavi e a passi misurati entra nella cucina e la scena che vedono i suoi occhi scuri, gli fa stringere il cuore in una morsa di nostalgia e felicità. Un mix letale.

Alice è girata di spalle, e i suoi lunghi capelli biondi, così simili a quelli della madre, ondeggiano legati in una coda scompigliata mentre lei con un cucchiaio gira qualcosa dentro una pentola.

La tavola è stata apparecchiata per due persone e i piatti di plastica che di solito usa lui per fare prima, sono stati sostituiti con quelli del servito di sua madre.

La televisione davanti al tavolo sta trasmettendo il telegiornale e nell’aria l’odore irresistibile di sugo si è sparso in ogni angolo.

Alice si gira per prendere un piatto dalla tavola e incontra lo sguardo dolce di suo padre.

-Ciao- lo saluta imbarazzata per non averlo sentito entrare.

-Ciao… tesoro-

-Siediti. Tra poco è pronto- gli dice girandosi di nuovo di spalle facendo sfuggire il suo viso alla sua vista.

Stefano fa come gli ha chiesto, e si siede al suo solito posto a capotavola.

Quando sono entrambi seduti con la loro cena nel piatto l’imbarazzo è palpabile nell’aria.

-Com’è?-

-Ottima. Dove hai imparato a fare questa salsa?-

-Ricetta su internet- gli risponde Alice scrollando le spalle e inforcando il cucchiaio.

-Dovrai insegnarmela-

Rimangono qualche minuto in silenzio, il telegiornale di sottofondo, mentre le loro posate suonano quando vengono a contatto con i piatti ormai vuoti.

E quel silenzio tra di loro è carico di mille parole e scuse mai dette.

Alice guarda suo padre con la coda dell’occhio e pensa che ha fatto la cosa giusta, gli ha mandato un messaggio silenzioso che Stefano ha capito.

Ora è pronta per ricostruire la sua famiglia.

 

 

 

Dopo cena Alice si è chiusa in camera.

Si è stesa sul letto dalle coperte appena rifatte e il cd degli Oasis nello stereo mezzo scassato comprato in saldo qualche anno fa.

Cerca di non pensare a quello che è successo la mattina, solo qualche ora prima, e cerca di scacciare la delusione che sente perforarle lo stomaco come mille piccoli aghi.

Prende il telefono Alice, che tiene sopra il comodino e compone un numero che fatica a ricordare.

Uno, due, tre squilli e alla fine qualcuno risponde.

-Ciao….mamma-

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

Capitolo schifoso che più schifo non si può!

Mi dispiace davvero tanto che non sia uscito come volevo io, ma questo è l’unica cosa che sono riuscita a buttare giù. Spero apprezzerete comunque.

Non posso parlare del capitolo perché sono davvero di corsa, ma risponderò ad ogni domanda che mi porrete!

Ci tenevo però a ringraziarvi di cuore per il calore che mi date anche solo leggendo e con le vostre splendide parole! Non so come fate, ma risollevate il mio morale a livelli stratosferici!

Mi dispiace per non aver ancora risposto alle recensioni, bellissime e dolcissime aggiungerei, ma tenterò di farlo in serata!

Un bacione e a presto,

Giulia :D

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Capitolo 10
*** Sola. ***


 

 

La prima volta che Alice ha provato il sentimento della gelosia aveva appena sei anni e frequentava la scuola materna delle suore di Santa Maria Maggiore.

Uno dei suoi compagni, un certo Giacomo Pannocchia, dagli occhiali a fondo di bottiglia e il moccio sempre al naso, aveva osato giocare con il suo pupazzo a forma di zebra a cui mancava una zampa, prima dell’ora di pranzo.

Alice gli aveva dovuto cedere Striscia per un intero pomeriggio, mentre lei si corrodeva il fegato, fissandolo dalla finestra polverosa della sala giochi con un adorabile broncio a sformare le sue piccole labbra e le braccia incrociate sul petto.

Lo aveva odiato quel giorno ed anche tutti gli altri a venire.

A dieci anni aveva riscoperto quel sentimento quando aveva visto suo padre regalare un pezzo di torta al cioccolato che aveva fatto la sua mamma, alla bambina che abitava nel palazzo di fronte al loro a cui era appena nato un fratellino.

Quel giorno aveva odiato suo padre e gli aveva tenuto il muso per una settimana intera, rifiutandosi di rivolgergli la parola.

La gelosia è costante nella vita di Alice da quando a quattordici anni ha scoperto di essersi innamorata di Filippo.

Era la sera del 17 settembre del 2006 ed era un venerdì.

Era da poco passata la mezzanotte ed erano entrambi sul piccolo balcone di casa sua, sdraiati su un vecchio sacco a pelo nero che era stato di suo padre, con il pavimento di cotto freddo sotto di loro.

Fissavano il cielo privo di stelle mangiando pop-corn fatti al microonde, raccontandosi vecchi aneddoti della loro infanzia che ricordavano con un velo di nostalgia nella voce.

Lo guardava ridere e scherzare con lei, con gli occhi rivolti al cielo scuro sopra le loro teste vicine, più bambino e senza la barba, con una felpa di un blu improponibile e i capelli tagliati corti perché non sopportava di sentirseli pizzicare sul collo.

Era mentre faceva un’orrenda imitazione di Renato Zero, sovrastata dalla sua risata cristallina e frizzante come il vento che li faceva rabbrividire, che Alice aveva capito che Filippo non era più un amico per lei e che i suoi occhi non lo guardavano più come un ragazzino brufoloso fissato con la play station e troppo permaloso.

Alice si era innamorata del suo migliore amico e da quel venerdì 17, tutto era stato diverso.

 

 

 

Il cielo quella sera è scuro come il cielo testimone dei sorrisi su un balcone in una fresca sera di settembre.

Poche sono le stelle sparse qua e là in quella macchia di inchiostro nero che sembra risucchiare tutto quello che lo circonda.

Alice lo osserva pensierosa, con una bottiglia di birra ghiacciata tra le mani arrossate per il calore del piccolo falò davanti a lei e i capelli biondi scompigliati e umidi per la salsedine che è ancora impigliata tra quei fili d’oro.

A coprirla c’è solo una coperta colorata, con una macchia di caffè in un angolo.

Se la stringe addosso come se fosse una seconda pelle, anche se quella sera il sole sembra essere sempre presente con i suoi raggi tiepidi.

Accanto a lei alcuni ragazzi sono sdraiati sulla sabbia umida e chiacchierano tranquillamente assaporando quegli attimi di pace cullati dal rumore delle onde che si infrangono assonnate sulla battigia.

Il falò che alcuni ragazzi hanno improvvisato con dei rami rinsecchiti e dei pezzi di legno di una sdraio trovata tra le dune, riscalda abbastanza e illumina come un piccolo faro la spiaggia notturna.

Serena è seduta su un lettino scassato, con solo una felpa grigia a coprirla e una sigaretta tra le dita dalle unghie smaltate di un blu elettrico.

Accanto a lei un ragazzo dai capelli biondi ancora umidi per il bagno in mare fatto solo una mezz’oretta fa, la contempla nemmeno fosse un’opera di Leonardo; affascinato dalla sua risata e dai suoi occhi smeraldini che gli sfuggono misteriosi.

Alice si guarda intorno mentre una folata di vento la fa rabbrividire e stringere gli occhi marroni e arrossati.

Poco lontano da lei arrivano le urla di alcuni ragazzi con solo un paio di pantaloni addosso che corrono sulla sabbia fine, rincorrendo un pallone bianco mentre cercano di farlo entrare in una porta delimitata da due pezzi di legno.

Ridono, si buttano per terra, sporcano di sabbia i loro vestiti, si sbucciano ogni tanto un ginocchio od un gomito ma a loro sembra non importare e si rialzano come se niente fosse con il sapore di un sorriso sulle labbra.

C’è la festa del patrono giù in città e mille bancarelle colorate illuminano come lucciole il centro ricco di persone mentre l’aria è satura dell’odore dello zucchero filato e di pop-corn caldi e le urla di alcuni bambini risuonano nelle strade di paese come un eco lontano.

Alice e alcuni suoi amici hanno deciso di organizzare un falò sulla spiaggia per festeggiare per conto loro portandosi qualcosa da mangiare, un po’ di alcool e dei sacchi a pelo per la notte.

Con un sospiro Alice si sdraia sul suo asciugamano e poggia la testa sul suo zaino nero dell’estpack, suo compagno per tutto il liceo.

Chiude gli occhi pesanti per le poche ore di sonno della notte precedente e con i piedi nudi affondati nella sabbia bagnata ascolta la voce intonata del suo ex compagno di classe che le arriva nitida nonostante le grida e le risate poco lontane da lei.

 

Anche le stelle cadono, alcune sia fuori che dentro: per un desiderio che esprimi te ne rimangono fuori altri cento.

 

-Non è la notte di San Lorenzo. Non cadrà nessuna stella stasera-

Una voce con un tono basso le parla vicino all’orecchio, mentre un brivido di freddo, oh si di freddo, le fa tremare il labbro inferiore che stringe tra i denti.

-Le stelle non hanno bisogno di una data per cadere- gli risponde Alice infilando le mani ghiacciate nelle tasche della felpa mentre la nuvola bianca che ha accompagnato le sue parole si disperde nell’aria sopra di lei.

Filippo rimane seduto accanto a lei, le loro gambe che si sfiorano ma gli sguardi sono lontani.

Alice sente il rumore dell’accendino che scatta e poco dopo una nuvola grigia le passa davanti al viso deturpando l’aria salata.

Può osservare i suoi riccioli scuri coprirgli gli occhi e le labbra umide che si chiudono sul filtro della sigaretta lasciando il segno del loro passaggio.

Il segno che hanno lasciato su di lei nemmeno qualche giorno prima, che si immagina di poter assaporare di nuovo e che sogna anche quando non dovrebbe.

Filippo si gira verso di lei e accenna un sorriso alzando la testa verso il cielo.

-Ah si? E dimmi, chi era quella bambina che stette tutta la notte di San Lorenzo sul terrazzo di casa sua con solo una coperta a coprirla e uno stupido pupazzo a tenerle compagnia?-

-Simba non è stupido- gli risponde Alice a bassa voce corrugando infastidita la fronte.

-Io ne avevo viste sei e te nemmeno una. Anche tua nonna che era mezza cieca aveva visto una stella cadente. Avevi le lacrime agli occhi!- le dice Filippo sorridendo apertamente quando il ricordo di quella bambina dalla coda bionda e gli occhi colmi di lacrime si affaccia nella sua mente.

-Bugiardo! Io non ho assolutamente pianto- si difende Alice mettendosi a sedere accanto all’amico che la osserva con la coda dell’occhio appoggiando le braccia sulle ginocchia.

-Invece si. Il giorno dopo ti sei rinchiusa in garage con una scatola di cereali e ti sei guardata “Matilda sei mitica” per due volte di seguito-

Alice guarda Filippo con gli occhi sgranati e le braccia strette sotto alla coperta pesante che cercano di non fare entrare nemmeno uno spiffero di vento.

-Mi hai seguito-

-Già. Credevo volessi dare fuoco alla mia collezione di dinosauri solo perché avevo visto più stelle di te. Dovevo tutelare i miei averi. Ma poi ti ho vista piangere e allora sono sceso in città e ti ho comprato il poster di Luke Perry all‘edicola. Te lo ricordi?-

Alice lo guarda di sbieco e poi si mette a fissare quei punti di luce sopra di loro mentre i ricordi affiorano poco a poco.

Come diavolo si fa a non amarlo?

 

 

 

La sensazione della sabbia sotto i piedi è la sensazione più bella che Alice abbia mai provato.

Compie piccoli passi, mossa dal vento e dal richiamo delle onde sulla battigia vicino a loro e guarda un paio di piedi accanto a sé, più grandi di qualche numero che si muovono insieme ai suoi.

Filippo le cammina a fianco con la seconda sigaretta tra le labbra. Alice gli ha ripetuto più volte che fumare lo ucciderà ma lui finge di ascoltarla; adora vederla arrabbiata.

-Ho chiamato mia madre ieri- esordisce la bionda fissando degli ombrelloni chiusi poco lontani da loro.

-Perché?- Filippo si è fermato, la voce ha un tono stupito e la fronte è corrugata per le domande che le vorrebbe rivolgere.

Dritto al sodo, come sempre.

-Volevo sentirla e mi ha chiesto di andare su a Milano da lei per qualche giorno-

Alice quando parla ha lo sguardo puntato sulla gonna che copre le sue gambe leggermente abbronzate nonostante il sole che vedono ogni giorno.

-Cosa le hai risposto?- Lo sguardo si Filippo è severo, come un genitore che sta per sgridare il figlio. È uno sguardo che non le ha mai rivolto.

-Di si. Che per me ….per me va bene-

Si fronteggiano l’uno davanti l’altro perdendosi nei loro occhi come per cercare delle risposte che le labbra non pronunceranno mai.

-Perché?- Stessa domanda ma ora il tono è diverso, è arrabbiato.

-Perché voglio vederla. Non ho mai visto casa sua e vuole farmi conoscere Luigi-

-Ma tu non lo vuoi conoscere!-

-Ma cosa ne sai di cosa voglio?!- Filippo le si è avvicinato e le braccia ora sono rigide lungo i fianchi mentre i pugni sono chiusi. I suoi occhi verdi bruciano, bruciano quella notte come dell’alcool su una ferita aperta. Una ferita che le ha causato lui stesso.

-Me lo hai detto tu stessa nemmeno un mese fa. Vuoi andare a Milano, Alice! Da tua madre! Te ne rendi conto?-

-Si, voglio andare da mia madre che non vedo da un maledetto anno-

-La odi cazzo!-

Urlano, urlano entrambi e le loro urla sono come una nota stonata nella musica perfetta di quella notte.

-Io non ho mai detto di odiarla-

-Ti ha lasciato da sola ed è scappata in un’altra regione con un altro uomo. Sono stato io a vederti piangere per una settimana intera mentre passavi la notte sveglia e non riuscivi ad aprire libro! C’ero io con te quando tuo padre ha firmato le carte del divorzio, cazzo ci sono sempre stato solo io in questi anni. Lei non c‘entra nulla con te-

urla Filippo come non ha mai fatto probabilmente in vita sua ma è arrabbiato, no, è furioso con se stesso perché non riesce ad abbassare la voce, con Alice che ha gli occhi rossi colmi di lacrime che vorrebbe far scendere dai suoi occhi e con sua madre che se n’è fregata di lei per anni e ora ricompare all’improvviso.

-Vuoi che ti dica grazie? Cosa diavolo vuoi Filippo? Vuoi che ti ringrazi per essermi stato accanto? Grazie! Ma io voglio vedere mia madre. Voglio solo stare con lei per qualche giorno, chiedo troppo?!- Una lacrima scende sulla sua guancia arrossata, lasciando una scia del suo cammino che viene bloccato da una mano arrabbiata.

Filippo la guarda con gli occhi assottigliati e la bocca che forma una rigida linea retta.

Sembrano lontani anni luce invece che pochi passi.

-Vai, vai da lei, conosci Luigi, guarda la casa, guarda Milano, rimani pure lì, fai quello che ti pare. Hai ragione, io non sono nessuno per dirti cosa devi e cosa non devi fare-

Le lancia un’ultima occhiata e si gira percorrendo il tratto di spiaggia che hanno fatto insieme solo qualche minuto fa.

Alice rimane immobile nella sua posizione, come un castello di sabbia si vede crollare poco a poco quando lacrime salate scendono sul suo viso.

Rimane sola nella notte, con la sola compagnia delle stelle silenziose e di un tempo che sembra essersi fermato quando ha visto l’unica certezza della sua vita allontanarsi da lei.

Sola di nuovo e questa volta, con nessuno che asciugherà le sue lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!

Come state signore?? Io tutto bene anche se la scuola in questi ultimi giorni mi sta piano piano uccidendo anche se io cerco di resistere!

Mi voglio subito scusare per questo ritardo ma in queste settimane davvero non riuscivo nemmeno a respirare da quante cose avevo da fare e in più il computer si era messo a fare le bizze ma grazie al Cielo il mio super papà, che a volte serve a qualcosa, me l’ha sistemato in pochi giorni!

Del capitolo che non mi piace molto e che è abbastanza corto, posso solo dire che c’è un perché al comportamento schizofrenico di Filippo e nel prossimo aggiornamento lo spiegherò soffermandomi sui suoi pensieri.

Voglio, anzi devo assolutamente, ringraziare tutte le meravigliose persone che hanno recensito e che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/ seguite.

Siete in tantissimi e io ancora non riesco a spiegarmelo, ma l’affetto che mi trasmettete anche attraverso un pc è davvero immenso.

Un grazie e un abbraccio stritolante tutto per voi!

P.s. sono stata occupata anche a scrivere il racconto per il concorso di UR editore essendo la mia trama stata scelta tra quelle 33 fortunatissime! Non so ancora come ho fatto ma ci tengo ancora a ringraziare chi ha votato la mia trama la numero 680 “Lentiggini”, sperando di riuscire a superare il prossimo “turno” e di realizzare un mio piccolo sogno nel cassetto polveroso!

Ora smetto di blaterare e aspetto i vostri commenti,

Giulia :D

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Capitolo 11
*** Paure. ***


 

 

Fuori dal vetro spesso e leggermente appannato della finestra, sta piovendo.

Filippo conta le gocce d’acqua che si schiantano sulla superficie liscia e disegnano il loro percorso improvvisato.

È steso sul suo letto con la schiena a contatto con il materasso troppo duro e un braccio scoperto è poggiato stancamente sulla fronte.

Non ha sonno nonostante la radiosveglia segni le tre di notte e i suoi occhi si rifiutano di chiudersi.

Filippo continua a guardare fuori la pioggia che scende incurante di tutto da ormai tre giorni. Da quando lei se ne è andata.

Si alza a sedere sul letto e poggia la testa sulle ginocchia coperte solo da un leggero lenzuolo che gli fa da seconda pelle, arrotolato fino alle caviglie.

Non riesce ancora a credere che lei sia partita senza salutarlo, senza dirgli ciao, nemmeno due parole su un foglio di carta.

Se ne è andata in silenzio come scendevano le lacrime sul suo volto quella sera sulla spiaggia. Quella sera dove per la prima volta ha pensato davvero di stare per perderla.

Con uno sbuffo scocciato si alza dal letto e a piedi scalzi raggiunge il comodino dove tiene le sue sigarette di cui ha un bisogno primario in quel momento.

Ne sfila una dal pacchetto rosso, suo fidato amico, e con un gesto pieno di rabbia se la mette tra le labbra secche e l’accende facendo scorrere il pollice sulla rotellina di metallo del suo accendino.

Sua madre lo ucciderebbe se lo vedesse fumare in camera con la finestra chiusa. E forse, farebbe la cosa giusta.

Si siede sul davanzale della finestra con le gambe penzoloni che sfiorano il pavimento freddo e poggia la testa sul vetro guardando la strada asfaltata davanti al portone del suo palazzo.

Chiude gli occhi solo per poter visualizzare meglio nella sua mente quel momento tanto odiato che lo tormenta.

Si rivede mentre le alza la voce contro, come non ha mai fatto. Mentre sul viso di Alice mille emozioni differenti le modificano i tratti, quando la prima lacrima trabocca dai suoi occhi e finisce sulla sabbia sotto i suoi piedi.

Quella lacrima che ha versato quando le ha detto che lui c’è sempre stato per lei mentre sua madre si era scordata di avere una figlia. Quando le ha sputato addosso parole cattive, piene di rabbia, piene di nemmeno lui sa cosa. Forse paura?

Un sospiro stanco esce dalle sue labbra insieme a del fumo grigio dal sapore amaro totalmente diverso dal sapore dolce di Alice.

Alice, fragile e forte allo stesso tempo, che l’ha baciato solo una settimana prima.

Sette giorni e il sapore delle sue labbra lo riesce ancora a percepire.

Si porta una mano tra i capelli già scompigliati quando arriva il ricordo più forte, quando ripensa alle sue labbra che l’hanno assaggiata, alla le loro lingue che si sono gustate, conosciute per la prima volta.

Ai suoi sospiri flebili, che lo trattenevano nella realtà mentre stava pensando di sognare.

Perché baciare Alice era stato bello. L’unico aggettivo che gli viene in mente a Filippo è bello.

Bella come è lei, come lo erano loro due la mattina dopo, abbracciati nelle lenzuola che avevano perso il loro calore.

Bello era stato il sorriso che aveva visto nascere sulle sue labbra quando l’aveva stretta a sé, come per paura che potesse scappare, realizzando che avevano valicato il confine tracciato nelle loro menti.

Filippo ha pensato spesso a quella sera, all’eccitazione che aveva provato sentendo il suo corpo sotto di sé, alle sue mani che non sapevano che sentiero percorrere e all’affetto che gli aveva strinto lo stomaco in una morsa di ferro.

Probabilmente se non ci fosse stato dell’alcool che scorreva nelle loro vene non si sarebbero mai baciati, fifoni come sono. Due cacasotto, direbbe suo fratello.

Forse sarebbe stato tutto più facile o forse no, nessuno può sapere cosa sarebbe successo, ma l’unica cosa che Filippo sa con certezza è che non si pente di quello che è successo. No, assolutamente no.

 

 

 

Anche a Milano piove.

Piove incessantemente sui passanti indaffarati e disattenti e sui palazzi dai profili imponenti.

È due giorni che Alice non riesce a chiudere occhio a causa della pioggia che si infrange sui vetri delle finestre del salotto, mentre lei la fissa sdraiata sul divano letto improvvisato con un paio di cuscini e una coperta.

Si sente inadeguata in quella casa che non conosce, dalle pareti ricoperte di fotografie dove lei non è presente e dall’aria diversa che si respira.

Trova strano anche vedere sua madre che gira per casa e le parla della sua nuova vita con una luce di emozione negli occhi scuri.

È diversa dalla donna che ha visto un anno prima, e non è per i suoi capelli ora di un biondo più chiaro e nemmeno per le poche rughe intorno ai suoi occhi.

È felice.

È una donna felice sua madre; Alice l’ha capito dopo che l’ha vista appena scesa dal treno che aveva osservato le sue lacrime scendere per tutta la durata del suo viaggio.

Nonostante i mille passeggeri che ne intralciavano la vista, aveva subito notato il suo sorriso, quel raro sorriso che le aveva visto in volto poche volte.

Quell’uomo alto che era accanto a lei, le aveva fatto ritrovare il sorriso, aveva pensato Alice con una nota di rammarico nella voce, perché lei, così, non l’aveva mai fatta sorridere.

Luigi è una brava persona, pensa Alice alzandosi dal divano sfatto e avvicinandosi alla portafinestra che da sul balcone rischiarato dalla luce chiara del mattino.

Quando è scesa dal treno le ha preso lo zaino che teneva sulle spalle perché credeva che pesasse troppo e la sera stessa le ha preparato la lasagna, il suo piatto preferito.

Alice non ha parlato molto da quando è arrivata. Si limita a rispondere alle domande di sua madre e a sorridere ogni volta che Luigi fa una battuta.

Sorridere però è difficile -troppo.

Sorridere non è facile lontana da casa, lontana da suo padre - di cui sente la mancanza- lontana da Serena e lontana da lui. È difficile persino pronunciare il suo nome che lei l’ultima volta ha urlato con rabbia nel buio della notte.

Quando si era allontanato da lei poi, lasciandola da sola su quella spiaggia fredda, Alice aveva pronunciato di nuovo il suo nome; quella volta con un tono di preghiera.

Si era sentita sola, no sola, abbandonata è la parola giusta. Abbandonata a se stessa un’altra volta- l’ennesima.

Si gira verso la porta quando sente dei passi leggeri sul parquet scuro che ricopre il pavimento di tutta la casa. Sua madre spunta dalla porta con i capelli ancora umidi per la doccia che ha fatto da poco e scruta il divano vuoto non individuando la sua figura.

-Oh tesoro! Cosa ci fai già alzata?- chiede la donna avvicinandosi con un sorriso alla figlia vicino alla finestra.

-Non riuscivo a dormire- è la risposta di Alice che si sistema con un gesto nervoso, i capelli biondi dietro l’orecchio.

-è per la pioggia? Il divano è scomodo? Se vuoi possiamo trov..-

-No. Il divano Va..va bene-

-Cosa c’è allora?- chiede sua madre con un espressione preoccupata sul volto privo di trucco.

Alice si gira verso la finestra e poggia una mano sul vetro freddo, osservando quella città assente di qualsiasi emozione per lei.

-Devo tornare a casa, mamma-

Devo, voglio tornare a casa. Voglio tornare dalla mia famiglia.

Sua madre continua a scrutare il suo viso serio e annuisce brevemente, allontanandosi dalla stanza dopo averle lasciato un dolce bacio sulla guancia.

Ha fallito, Simona lo sa. L’ha capito ormai da tempo. Ha fallito come mamma, ha fallito nell’unico compito in cui sarebbe dovuta eccellere, ma non può che incolpare sé stessa.

Alice quando pensa alla parola “casa”, la prima cosa che le viene in mente è un garage polveroso dal letto sfatto e un giradischi che suona mentre la luce di un pomeriggio estivo lo illumina completamente.

Quella è casa sua.

 

 

 

 

Quando scende dal treno dopo tre lunghe ore di viaggio, la prima cosa che riesce a scorgere tra i passanti, è una chioma rossa.

Alice scende veloce gli scalini sporchi del mezzo e facendosi spazio tra alcuni passeggeri riesce ad arrivare a pochi passi da Serena.

-Tu sei tutta matta-

-E l’hai scoperto solo ora?-

-Dimmi che avevi fumato perlomeno-

-Ero sanissima, lo puoi chiedere anche a mamma-

Alice si avvicina all’amica di qualche passo e fissa allucinata le tre ciocche di capelli blu che spiccano su quella massa di capelli rossi fuoco.

-Come hai fatto a fartele da sola?- le chiede prendendo tra le dita una ciocca colorata mentre cerca di reprimere un sorriso stupefatto.

-Esiste la tinta nei supermercati, Alice- le risponde Serena incominciando a camminare verso l’uscita dalla stazione mentre di sottofondo la voce gracchiante di un altoparlante annuncia la partenza di un treno.

-Lo so ma…perché?-

La rossa la guarda di sbieco e le passa un braccio sulle spalle stringendosela addosso.

-L’hai detto tu: sono matta!-

Si, è tornata a casa.

 

 

 

In macchina Alice è silenziosa e continua a guardare fuori dal finestrino leggermente sporco di polvere, le strade della sua città illuminate dai pochi lampioni presenti che sono come punti di luce nella notte buia.

Serena le lancia di tanto in tanto qualche occhiata di traverso ed osserva la sua faccia pensierosa.

Sa cosa sta pensando, o meglio, sa a chi sta pensando. Un’idiota a caso, come sempre.

-Come mai sei partita così all’improvviso?- le chiede la ragazza vedendo le sue spalle irrigidirsi appena sente la sua domanda

-Mamma mi aveva chiesto di andarla a trovare-

-E non potevi aspettare qualche giorno? Non sei riuscita nemmeno a salutarmi-

-Ti ho lasciato un messaggio in segreteria- le risponde Alice girandosi leggermente verso l’amica che osserva la strada deserta fuori dal parabrezza.

Serena si ferma ad un semaforo rosso e con di sottofondo Jeff Buckley si volta a guardarla e si sofferma sulle tracce che le lacrime le hanno lasciato sul suo volto fragile.

Perché in quel momento Serena non vede la sua solita Alice, forte e coraggiosa, con la sua barriera di vetro a proteggerla da tutto e tutti; Serena vede la sua migliore amica che muore di paura, una paura che non sa come combattere, con cui si trova disarmata.

Le legge tutto negli occhi, quegli occhi che sono lo specchio dell’anima.

Il semaforo diventa verde e la rossa riparte svoltando in una via stretta a destra, fa un respiro profondo e incomincia a parlare. Incredibile, sta per difendere quell’idiota.

-Lo so che avete litigato alla festa sulla spiaggia. No, non me l’ha detto lui e non vi ho nemmeno visti; l’ho capito guardando Filippo in faccia. Era distrutto Alice, sembrava un pazzo con l’aria sofferente di un malato terminale, sembrava un mostro-

Alice sposta lo sguardo dal panorama fuori dal finestrino e guarda la migliore amica con gli occhi sgranati.

-Ok, non sembrava proprio un mostro. Lo sai che lo odio e lo trovo repellente, mi sono lasciata trasportare dalle parole; non mi guardare così-

La bionda alza gli occhi verso il tettuccio dell’auto e nasconde un sorriso che sta nascendo sulle sue labbra.

-Non sembrava nemmeno lui. Era furioso, aveva uno sguardo che faceva paura, non l’ho mai visto così. C’era anche qualcos’altro nei suoi occhi però, qualcosa che vedo anche nei tuoi in questo momento-

Serena parcheggia sotto il palazzo della bionda e tira il freno a mano che spezza quel silenzio tra di loro.

-Aveva paura Alice, era terrorizzato-

Fuori ha già ricominciato a piovere e gocce fredde di poggia cadono come proiettili sul parabrezza creando una sinfonia tutta loro che fa da colonna sonora ai pensieri senza un filo logico di Alice.

-Sei la persona più importante della sua vita. Non ti lascerebbe mai da sola-

Come la pioggia, le lacrime incominciano a scendere sulle guance di Alice, come getti di lava calda irrefrenabile.

Stringe forte le mani al sedile e tiene gli occhi aperti rivolti verso il cielo che non può vedere sopra di sé.

-Sei diventata una femminuccia sai?- Le dice Serena sorridendo e facendola sorridere mentre allunga una mano verso di lei e le asciuga una lacrima vicino al mento.

-Va da lui e spaccagli il culo in due. Non lo devi nemmeno andare a cercare-

Alice si volta verso il finestrino bagnato e riesce a vederlo, nonostante gli occhi appannati dalle lacrime che le rigano le guance arrossate rendono la sua figura sfuocata.

  Lo vede, capelli senza un senso logico, sigaretta consumata tra le labbra che sono diventate quasi un incubo e felpa con il cappuccio in testa. Non è una pallida illusione della sua mente ormai stanca, no, lui è lì e ora sorridere è diventato facile.

Apre veloce la portiera inciampando quasi nei suoi piedi e dopo aver preso lo zaino, corre fuori dalla macchina.

Serena aspetta di vederla allontanarsi un po’ e poi accende il motore dell’auto mentre le note di una famosa canzone di De Gregori risuonano per tutto l’abitacolo.

 

 

Filippo è seduto sugli scalini del suo portone con il pacchetto rosso tra le mani e una sigaretta in bocca che assapora insieme all’aria umida intorno a lui.

Ha portato fuori la spazzatura come gli aveva chiesto sua madre e poi si è seduto lì, stanco anche solo di percorrere qualche metro in più.

Da quel punto può anche vedere la finestra della camera di Alice, la luce è spenta naturalmente e le persiane sono serrate impedendogli la vista delle sue tende verde mela che odia da quando le ha comprate a sette anni.

Si infila il cappuccio quando sente alcune gocce raggiungerlo e poggia la testa sulle ginocchia mentre osserva la polvere sopra la sua macchina qualche metro più in là che va via lentamente.

Chiude per un attimo gli occhi e ascolta il volume alto della televisione della signora sorda al terzo piano e il pianoforte del ragazzino al quinto piano che molte volte ha voluto spaccare in due.

Un leggero tintinnio lo fa distrarre. Campanellini che suonano insieme e si toccano piano creano un suono dolce e acuto che gli fa aprire gli occhi di scatto.

È , Filippo lo sa. È di nuovo lì con lui.

Alice si mette a sedere sul suo stesso scalino mentre cerca di regolarizzare il pulsare frenetico del suo cuore e fermare il fiatone che armonizza il suo respiro spezzato.

Rimangono ai loro posti, come soldati sotto un comando silenzioso.

Guardano la strada davanti a loro illuminata solo da alcuni lampioni difettosi e dalle stelle lontane.

È Filippo che parla per primo e la sua voce è come miele caldo in quella serata umida e fredda.

-Mi sei…-

-Anche a me- lo interrompe subito Alice, annuendo appena.

-Credevo che non saresti tornata-

-Ma sono qui-

Questa volta tocca a Filippo annuire mentre il pacchetto che teneva tra le mani sudate gli scivola dalle mani e cade con un flebile suono sullo scalino.

Ad Alice fa male la gola.

Ha un nodo che le impedisce di parlare, addirittura di respirare. È un nodo di parole, parole che vorrebbe dire ma che rimangono lì, incastrate e fanno un male cane.

Un secondo e si ritrova tra le sue braccia. Braccia che la stringono come un oggetto prezioso, braccia che quasi le fanno male.

Riscaldano, proteggono, sono il suo porto sicuro e lei non può fare altro che ricambiare quell’abbraccio stringendoselo addosso.

La sua testa è nascosta nel suo petto e le mani stringono la sua felpa come se fosse il suo unico appiglio, la sua salvezza.

Sente labbra dolci tra i suoi capelli bagnati e poi sulla fronte. Quelli però non sono dei baci di un fratello o di un amico. No.

Nemmeno quell’abbraccio è un semplice abbraccio che si dona ad una persona bisognosa d’affetto o ad uno sconosciuto trovato per la strada.

Quell’abbraccio è una conferma, una frase silenziosa.

Io ci sono, dice quell’abbraccio e Alice riesce a sentirla.

-Ho paura- le dice Filippo con un tono di voce basso vicino all’orecchio.

-Una fottuta paura- le risponde la ragazza stringendo di più le braccia intorno a lui, sentendosi finalmente a casa.

Paura di quello che non si conosce e di quello che si potrebbe scoprire.

La paura che li trova insieme, abbracciati su degli sporchi scalini di un palazzo di periferia.

 

 

 

 

 

Buonasera!

Finalmente la scuola è finita quindi ho parecchio tempo libero per scrivere e in questi ultimi giorni, Alice e Filippo facevano capolino nella mia mente e scrivere è stato davvero molto facile.

Sinceramente non so come è venuto questo capitolo ma spero che me lo diciate voi!

Nel prossimo aggiornamento vi anticipo che vedrete un Filippo un po’ diverso, come nemmeno Alice l’ha mai visto ;)

Ci tengo a ringraziare ancora tutte le splendide persone che seguono costantemente la storia e mi fanno gongolare di felicità ogni volta che vedo in quanti la leggono! Grazie, grazie davvero!

Se nel capitolo c'è qualche errorino, molto probabilmente, ci penserò nei prossimi giorni a correggerlo grazie anche all'aiuto della mia nuova beta. Nicole, ti adoro di già! :) P.s. se volete contattarmi o inviarmi un messaggio questo è l'indirizzo del mio profilo facebook! http://www.facebook.com/?ref=home#!/profile.php?id=100000067901971

Un bacione, spero a presto,

Giulia :D

 

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Capitolo 12
*** Scoprirsi. ***


 

 

Il ricordo più piacevole che Filippo ha di suo fratello è durante la loro vacanza in Grecia, quando lui era solo un ragazzino di otto anni e Marco di undici.

Era una sera di metà maggio e loro due se ne stavano seduti su qualche pezzo diroccato dall’antico Partenone mentre i loro genitori erano spariti tra quelle colonne di un immenso valore da ormai un paio di ore.

Si erano entrambi sdraiati su un masso bianco, grande quanto la loro vecchia utilitaria, che conservava ancora il calore dei raggi del sole che nel pomeriggio li aveva fatti soffocare di caldo.

Ammiravano le stelle sopra di loro e quel cielo senza luna che nella loro città era impossibile da osservare.

Si ricorda ancora dei due giapponesi vicino a loro che li scattarono una foto di nascosto e del signore anziano che guardava la valle oscura con il suo fedele bastone nella mano destra, in silenzio come lo erano loro due.

Marco non è mai stato una persona molto profonda e nemmeno logorroica. Sparava le sue tre o quattro cazzate al giorno e poi si spiaccicava sulle labbra un sorriso felice; per cosa sorridesse, ancora, Filippo non lo sa.

Quella sera però, suo fratello gli rivelò una grande verità, che ricorda nonostante siano passati tanti anni.

 

-Pippo, le donne sono come nonna Gervasa quando non ci da la paghetta la domenica-

-Tirchie?-

-Stronze!-

 

Filippo ha vissuto con questa perla di “saggezza” per almeno tre anni. Tutte le donne erano delle stronze per lui; tutte eccetto Alice, naturalmente.

Suo fratello, inoltre, è sempre stato anche un grande compagno di avventure.

Ricorda con nostalgia quando giocando a calcio nel cortile dietro il loro palazzo in un pomeriggio d’estate, ruppero il vetro della signora Carmela del terzo piano e tornarono a casa solo dopo l’ora di cena per paura che la vecchia isterica avesse chiamato la polizia.

Quando uccisero il pappagallo del siciliano del palazzo di fronte con una fionda costruita da loro oppure quando rubarono un pacco di fumetti di Snoopy al giornalaio all’ angolo.

Marco gli ha insegnato, in parte, che cos’è la vita; la vita a modo suo, certo.

Ripensa a quei momenti con un velo di tristezza mentre fissa il televisore davanti a sé dove Buffon si è lasciato sfuggire una palla vincente.

-Ben ti stà!- Urla suo fratello stravaccato sul tappeto del salotto con il joystick tra le mani e un sorriso vittorioso sul volto abbronzato.

-Ero distratto, non vale-

-Non vale?! Ma cosa c’ho scritto sulla fronte? Idiota per caso?-

Filippo si limita a sorridere e tiene la bocca sigillata per non esprimere a parole quello che pensa che ci sia scritto.

-Dammi la rivincita-Dice guardando Marco che si alza dal pavimento e si stira le braccia indolenzite.

-Ma te non dovevi andare dalla tua bella?-

-Alice la vedo alle otto, c’è ancora tempo-

Suo fratello fa di no con la testa riccioluta e si mette a sedere sul divano con una bottiglia di aranciata fresca in mano.

-L’ho vista poco fa-

-Alice?- Gli chiede Filippo alzandosi da terra per spengere la console.

-Già, usciva dal supermercato all’angolo. È sempre più carina quella ragazza- Gli dice osservandosi indifferente le unghie della mano destra.

-è da quando hai dieci anni che cerchi di guardarle sotto la gonnella- Commenta Filippo sedendosi accanto a lui e tirandogli un cuscino rosso in piena faccia.

-è bionda Pippo. Io le bionde nemmeno le guardo, lo sai-

-La tua fidanzata è bionda- Gli fa presente il moro fissandolo con un’aria stranita.

-Bionda tinta. Sotto è una bella morona!-

Filippo si alza dal divano e se ne va dal salotto con una mano sugli occhi, incredulo.

Non può essere suo fratello.

 

 

 

Quando entra nel garage, si toglie la felpa troppo pesante e la lancia sul piumone del letto, avvicinandosi al giradischi sopra la lavatrice.

Soffia via la poca polvere che ci si è depositata e inserisce con estrema accuratezza il disco dei Pink Floyd che un tempo era stato di suo padre.

Mentre le prime note di Wish you were here si disperdono nell’aria si siede sul bordo del letto e si sfila le scarpe da ginnastica dalle stringhe perennemente sciolte.

L’odore di chiuso che si percepisce nella stanza è talmente forte che è costretto ad alzarsi in piedi sul letto per aprire il piccolo lucernario da cui entra un venticello fresco e alcuni raggi del sole che ormai sta tramontando mostrando i suoi colori più caldi.

È ancora con la testa fuori all’aria aperta quando sente la porta scassata del garage aprirsi con un rumore strano a cui ormai si è abituato.

Abbassa leggermente la testa, appoggiando una mano al legno ruvido della fessura e osserva le gambe leggermente abbronzate di Alice sotto un leggero vestito bianco.

-Sei in ritardo- Le dice Filippo lasciandosi cadere sul letto con un tonfo secco mentre osserva lo sguardo di Alice saettare verso l’orologio a muro dietro di lui.

-Ho avuto..da fare- Gli risponde toccandosi la punta del naso arrossato con l’indice per poi incrociare le braccia sotto al seno.

-Cosa dovevi fare?- Le chiede curioso il moro inclinando la testa verso destra e socchiudendo gli occhi verdi indagatori che hanno una luce…diversa.

-La ceretta, ok?- Sbuffa infastidita Alice per aver dovuto rivelare cosa ha fatto nelle ultime due ore tra lacrime di dolore e smorfie di paura seduta sulla vasca del bagno di casa sua.

Filippo si siede sul bordo del letto e lo sguardo caldo scivola sulle sue gambe lasciate scoperte.

Assapora con gli occhi chiari quelle gambe che sono a solo pochi centimetri da sé e nota il loro colorito particolare.

Guarda Alice nei suoi occhi marroni spogli di qualsiasi cosmetico e osserva i suoi capelli biondi ancora umidi che ha lasciato sciolti sulle spalle. Come piacciono a lui.

Allunga timidamente una mano, come se avesse paura di vederla scomparire da un momento all’altro, e la guarda nuovamente negli occhi che hanno seguito attenti ogni suo movimento.

-Posso?- Posso dannarmi? Ma è una domanda inutile. Filippo è già dannato. Dannato da quella volta in cui la vide seduta su un’altalena con le ginocchia sbucciate.

-Non mordo- Gli risponde Alice con un sorriso timido sulle labbra rosse come le lentiggini che cospargono il suo piccolo viso. La voce trema appena.

Il ragazzo ricambia il sorriso e fa poggiare i polpastrelli della sua mano destra sulla sua pelle.

È fresca, pensa Filippo mentre con l’indice parte dal polpaccio e prosegue il suo percorso.

È liscia e fresca e le sue dita sono ingorde di quella carne che per la prima volta può toccare.

Tutte e cinque le dita godono di quella freschezza, di quella morbidezza che ha bramato da tempo senza neanche accorgersene.

Non si accorge, Filippo, dei pensieri che fa, dei pensieri senza un filo logico, a briglia sciolta che nascono all’improvviso.

Non si accorge delle sue mani che non la vogliano sfiorare come un amico ma come un’amante, volendo scoprire ogni minimo dettaglio di quella terra a lui ancora sconosciuta.

La sua mano passa il ginocchio e arriva fino alla coscia spoglia.

Sente gli occhi di Alice su di sé ma non si azzarda a incontrare il suo sguardo.

Cosa ci leggerebbe dentro? Filippo non lo vuole sapere e continua a muovere le mani come se quella pelle fosse creta da modellare.

Due dita arrivano al bordo della gonna di cotone bianco e si fermano per qualche attimo, assaporando quegli ultimi momenti di libertà.

Cercano di rimanere nel limite imposto dalla stoffa ma in un attimo di follia, la sua mano scorre ancora verso l’alto. È senza controllo ormai.

Si è mossa solamente di qualche millimetro ma Filippo ha percepito benissimo il respiro di Alice bloccarsi nella gola e la pelle che tocca, tremare appena.

Ritrae la mano come scottato e si alza in piedi lentamente.

I loro vestiti si toccano e i visi sono a pochi centimetri di distanza mentre l’aria tra di loro sembra essere troppo poca.

I loro occhi si scrutano in silenzio e Filippo accenna un sorriso timido avvicinandosi all’orecchio della ragazza

-è liscia, hai ragione, dovresti farla più spesso la ceretta- Le dice sussurrando con un tono basso di voce e rimbomba come se avesse urlato, dentro di Alice.

-Credi che potrai toccare ancora le mie gambe?- Anche lei sussurra e il suo viso è a pochi centimetri dal collo di Filippo. Ha un buon’odore, pensa.

-Lo spero- La guarda un’ultima volta negli occhi scuri leggermente sgranati e con un sorriso si avvicina alla porta del garage che apre facendo entrare l’aria fresca della sera che è avanzata.

Alice continua a guardare la parete bianca davanti a sé e ascolta il palpitare frenetico del suo muscolo cardiaco che rimbomba per tutto il suo piccolo corpo.

Quello era davvero il suo Filippo?

 

 

 

Giù in paese c’è la Sagra del Pistacchio e per le strade, lucine colorate e bandierine verdi, fanno bella mostra di sé, catturando l’attenzione dei bambini e dei pochi turisti che passano di lì curiosi.

I negozi sono tutti aperti e per le piccole strade storiche, alcune bancarelle con musica anni ‘60 e tende colorate, attirano i passanti.

Alice ha sempre amato questo tipo di feste dove nessuno rimane chiuso in una casa vuota e si sta insieme a festeggiare e a bere vino.

Le piace osservare i visi dei bambini che cercano di liberare le loro piccole mani dalla stretta severa dei loro genitori, per poter esplorare liberamente quel modo di colori, e respirare l’odore caldo di pop-corn e zucchero filato che ti riempie i polmoni e lo stomaco fino a farti sentire sazia; il cocco fresco e le fragole mature che sporcano le labbra di un rosso acceso.

Mentre cammina a fianco di Filippo, Alice osserva divertita una bambina che tiene in braccio la sua bambola e fissa sorridendo due ragazzi travestiti da pagliacci che fanno delle buffe smorfie.

Alice sente Serena lamentarsi con Sara per l’odore nauseante di patatine fritte e per il chiasso che fanno quei marmocchi che le passano tra le gambe.

Marco e la sua fidanzata si rubano lo zucchero filato di bocca, sotto il suo sguardo disgustato e quello di Filippo, camminando abbracciati in mezzo alla folla come se fossero soli.

Passano davanti ad una piccola bancarella di gioielli indiani da cui proviene un forte odore di incenso e da una di chicchi e vari dolciumi per cui da piccola è stata quasi ricoverata da quanti ne aveva mangiati. Era la notte di Hallowen, Alice se lo ricorda ancora, forse è per questo che odia i dolci.

Vicino alla pizzeria napoletana “Da zio Tino”, il comune ha allestito una piccola pista da ballo, illuminata da luci colorate e palloncini, dove è possibile ascoltare musica dal vivo, della scadente musica dal vivo che rallegra però la serata.

Qualche bambino balla con i loro genitori mentre altri saltano e compiono giravolte senza senso, liberando le loro risate fresche e cristalline nell’aria.

Ci sono delle coppie di anziani che si dondolano sul posto senza un ritmo preciso, non riuscendo a sentire neanche una nota e due giovani sposini che si abbracciano al limitare della pista.

Alice si è seduta insieme a Serena su una vecchia panchina proprio davanti ai ballerini improvvisati, mentre gli altri sono andati a cercare qualcosa da mettere sotto ai denti.

Loro due si godono lo spettacolo, assaggiando pistacchi e commentando ogni persona li capiti davanti, dando libero sfogo alla loro malignità. E Serena, è una vera e propria maestra.

-Signore, quello lì non si regge nemmeno in piedi. Gli do due settimane-

-Sere! Perlomeno un anno-

Scoppiano a ridere gustandosi il ripieno salato dentro al guscio marrone, gettando la parte non commestibile per terra, vicino ai loro piedi.

-Quella la possiamo descrivere in una sola parola-

Dice Serena indicando una ragazza vestita poco decentemente dai lunghi capelli scuri che ondeggiano sulle sue spalle nude.

-Lucciola?-

-Alice! Certe volte devi essere più volgare. Quella è una vera e propria bagascia!-

La ragazza scoppia a ridere e cerca di tappare la bocca all’amica con una mano piena di pistacchi.

Serena traduce i suoi pensieri in parole e certe volte, farebbe bene a tenerseli per sé.

Parte una famosa canzone dei Beatles e alcune coppie si aggiungono ai pochi ballerini sulla pista da ballo.

Alice sta cercando di aprire un pistacchio con le unghie quando si sente trascinare in piedi da due braccia forti.

Filippo le ha passato un braccio intorno ai fianchi e con una mano le stringe il polso mentre cerca di farla arrivare al centro della pista.

-Odio questa canzone!-

-Lo so- Le risponde il ragazzo, passando sotto il nastro rosso che delimita la zona di ballo, facendo passare anche Alice.

Si posizionano vicino ad una coppia di bambini, lontano dal gruppo che suona, e Filippo se la stringe addosso, cercando di non farla scappare dalle sue braccia.

-E non so ballare-

-So bene anche questo. Ti ricordi l’estate del 2006? Mi hai rotto un mignolo ballando a casa di tua nonna-

-Vuoi per caso ripetere l’esperienza?- Gli chiede Alice con una punta di nervosismo nella voce mentre osserva il sorriso bianco di Filippo allargarsi a dismisura.

-Guarda che lo sto facendo per te. Volevo farti provare la sensazione di non essere l’unico pezzo di legno che balla. Guarda il signor Massimo, la sua schiena sta per cedere-

E cede anche Alice. Cede tra le braccia del suo migliore amico che la stringono forte. Un sorriso nasce spontaneo sulle sue labbra e poggia le mani sulle sue spalle.

Filippo ha le mani poggiate sui suoi fianchi coperti da un vestito bianco e canticchia sotto voce quella canzone che sa a memoria da quante volte l’ha ascoltata durante lunghi pomeriggi d’inverno.

Lui immerge il suo volto nei capelli biondi di Alice e respira il suo profumo, provocandole un brivido lungo la schiena. Un brivido di piacere?

-è…complicato- Dice con un sospiro.

-Cosa è complicato?- Chiede ancora assorta nelle sensazioni che sta provando in quel momento. Lei, di nuovo tra le sue braccia.

-Tutto, Alice. Non c’è niente di semplice- Il tono di Filippo è rassegnato, nervoso in alcuni punti.

-Spiegami Lip-

-Non ci riesco- Alice immerge una mano nei suoi capelli scuri e gli alza di poco la testa per poter vedere i suoi occhi verdi, per immergervisi dentro.

-Parla- La voce della ragazza trema ed ha un tono di preghiera. Parlami, dimmi tutto.

-Ho voglia di baciarti, in questo momento- E le parole inaspettate di Filippo la bloccano. Continua a guardare i suoi occhi, il suo naso, la sua bocca che ha pronunciato quelle poche lettere che l’hanno uccisa quasi.

Respira piano Alice e l’ossigeno che entra dentro i suoi polmoni è troppo poco, insufficiente per parlare.

Non ci sono parole per esprimere quello che sta provando in quel momento.

Anche io, amore mio, vorrebbe rispondergli ma si limita a guardarlo negli occhi, sicura che lui capisca.

Anche io.

 

 

 

Serena è ancora seduta sulla scomoda panchina di legno e si fuma una sigaretta dal sapore dolce mentre osserva la pista da ballo.

Focalizza due ragazzi fermi al limitare della pista, che non ballano e non si dondolano nemmeno.

Sono abbracciati ma si guardano negli occhi senza parlare, le loro bocche sono immobili.

Serena spenge la sigaretta sul legno ruvido e con un sorriso sulle labbra rosse, si alza in piedi per stiracchiarsi le gambe.

Lei ci scommette, Serena scommette su quei due giovani.

Scommette ed è sicura che non sarà una partita giocata a vuoto. Lei non sa cos’è l’amore ma quello che vede nei loro occhi lo si può chiamare solo così.

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera sono di corsissima!

Grazie grazie grazie come sempre a tutte le persone che hanno commentato o che leggono solamente.

Il rating della storia è arancione, cercherò di sfruttarlo nei prossimi capitoli ;)

Ditemi cosa ne pensate ok?? Sono curiosa, lo sapete! http://www.facebook.com/?ref=home#!/profile.php?id=100000067901971 vi lascio di nuovo il mio indirizzo facebook. Aggiungetemi tranquillamente!

Un bacione e ancora grazie,

Giulia :D

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Capitolo 13
*** Pane e Nutella. ***


 

 

 

C’erano stati dei momenti nella vita di Filippo, in cui fingere che tutto andava bene, era stato davvero difficile.

Dei momenti in cui sembrava che il mondo ce l’avesse con lui e si chiedeva cosa avesse fatto di male. Mangiato troppa cioccolata, forse?

Dei momenti in cui il silenzio valeva molto di più delle urla strozzate. Dei momenti che un bambino non avrebbe mai dovuto sopportare sulle sue fragili spalle e ricordare nella sua memoria.

Sono, invece, tutti impressi come un marchio nella mente di Filippo e ogni tanto, di notte, tornano a fargli visita.

Risate cattive risuonano dentro di lui, occhiate malevole e sguardi di scherno.

Un diario che vola nella classe e dei fogli che si liberano per aria mentre a nulla valgono i richiami della maestra.

Calci durante l’ora di educazione fisica e sorrisi cattivi quando la sua bocca si rifiutava di esalare una sola sillaba.

Quando sentiva l’aria intorno a sé farsi troppo pesante da respirare, tanto da ucciderlo. Un masso di cento chili ingoiato a forza e che pesava, pesava come l’inferno che aveva dovuto affrontare.

L’astuccio che cadeva sempre per terra e nessuno che glielo raccoglieva, una gomma da masticare nei riccioli scuri che si era dovuto tagliare da solo, dentro lo stanzino di casa sua per paura che sua madre lo vedesse.

Lui che non aveva parlato per cinque lunghi anni e il suo nome era stato nominato solo per caso.

Visibile solo quando qualcuno doveva deriderlo.

A casa era diverso. C’era Alice con lui; Alice a cui non aveva mai raccontato niente, limitandosi a sorriderle quando gli chiedeva come era andata a scuola o a cambiare abilmente argomento. Era diventato bravo a mentire, a indossare una maschera.

Conoscendola, sarebbe partita con la sua bicicletta azzurra sgangherata, per andare a fare a botte con tutti quei bulletti che non lo lasciavano in pace neanche un attimo.

Perché Alice era forte e coraggiosa, non aveva una debolezza e Filippo l’ammirava e la invidiava per il suo carattere. Voleva anche lui lasciarsi scivolare addosso i pensieri e le preoccupazioni.

A volte la odiava, da quanto desiderava essere come lei, essere come la sua Alice.

 

 

Alice scoprì il suo segreto, però.

Era un giorno afoso di giugno ed era da poco finito il loro secondo anno alle scuole medie. Erano sdraiati sul loro vecchio letto nel garage e la testa di Filippo era sul grembo di Alice che tentava di fargli un massaggio rilassante che non sortiva nessun effetto, graffiandogli la pelle con le unghie troppo lunghe colorate con un terribile smalto blu.

Era stato quando aveva passato le mani sulla sua tempia destra e aveva notato una piccola cicatrice, di qualche centimetro, che finiva vicino all’orecchio.

Era stato quando lei gli aveva chiesto cosa era successo che lui, dopo un attimo di silenzio, dove solo il suo respiro scandiva i minuti, aveva incominciato a parlare. Aveva vomitato tutta la sua verità, stranamente calmo e sereno come il cielo che potevano osservare dal lucernario sopra le loro teste vicine.

Si era sfogato parlando di quei bambini, bambini cattivi che se l’erano presa con lui, la persona più buona e bella a questo mondo. Ne parlava giocando con un filo del piumone, mentre esponeva i fatti come se fosse stato ad un interrogazione.

Alice mentre si sfogava era rimasta in silenzio, continuando ad accarezzargli i capelli con gli occhi che bruciavano come l’acido sulla pelle.

Quando era tornata a casa la sera, si era rinchiusa dentro il box della doccia e aveva pianto.

Per minuti interi, forse ore, singhiozzando fino a non avere più fiato in gola, fino a sentire i polmoni urlare disperati per chiedere un po’ d’ossigeno.

Appoggiata alle piastrelle fredde della doccia, con le unghie conficcate nel palmo della mano per provare un minimo del dolore che doveva aver provato lui per cinque lunghi anni, in silenzio.

 

 

 

Ripensa a quel giorno, Alice, mentre sfiora leggera quella cicatrice, ora appena visibile, nascosta dai capelli troppo lunghi.

Segue la linea del taglietto e poi le sue dita si immergono nei suoi riccioli scuri come la pece, racchiudendo qualche ciocca tra due dita.

Alcuni ciuffi le solleticano la fronte e le sue ciocche bionde le finiscono di tanto in tanto davanti agli occhi.

È Filippo a spostarle, staccando le mani dal suo viso che tiene come se fosse di cristallo, e gliele porta dietro le orecchie, tirando leggermente quando qualche filo biondo rimane impigliato.

Alice sente il muro freddo dietro la sua schiena ma le labbra che si muovono sopra le sue, la riscaldano come una coperta calda su un terrazzo d’inverno.

Le piace il suo sapore fresco e dolce, le piace come i suoi baci non sono mai frettolosi, ma caldi e lenti; le sue labbra se la gustano come se fosse un frutto maturo.

È da quando si sono trascinati dietro questo muretto che non fanno altro che baciarsi.

Ci sono arrivati inciampando nei loro passi frettolosi e schivando i passanti che intralciavano il loro cammino.

Filippo l’ha spinta delicato al muro e poi, fissando le sue labbra, si è tuffano su di lei, dentro di lei.

C’è stato uno scontrarsi di denti e lingue impazienti, cercando di trovare un ritmo comune, ridendo sotto i baffi per la loro voglia di assaporarsi.

Il sorriso è sparito dalle loro bocche arrossate quando Filippo ha posato le sue mani suoi fianchi di Alice, quando lei l’ha stretto a sé e i loro respiri si sono uniti come le loro labbra.

Come ha fatto in quegli anni a guardare quelle labbra senza aver mai provato il desiderio di volerle sfiorare con le proprie, assaggiarle? Un sordo e un cieco, ecco cos’è stato; quello che aveva scelto di essere.

I polmoni richiedono ossigeno e loro due si staccano leggermente, le loro fronti ancora attaccare come le dita e i corpi in contatto da un filo, visibile solo da un occhio attento.

I respiri fanno gonfiare i loro petti sotto i vestiti che indossano ma che entrambi vorrebbero far sparire.

Filippo riesce a vedere i capelli biondi di Alice che finiscono sullo scollo del vestito e il bordo del reggiseno di cotone grigio che copre il suo seno.

Solo pensando a quello che nasconde, Filippo si sforza di fare un bel respiro e di placare le sensazioni che gli vorticano nello stomaco e nel basso ventre.

Non ha mai provato niente di simile vicino a lei e si stupisce dell’emozioni che il suo corpo trasmette al cervello. È spaventato Filippo e le sue mani tremano sulla stoffa del vestito di Alice.

Lei gli passa le mani sulle guance ispide per la barba, sul naso, sulla fronte coperta da qualche ciuffo ribelle e apre lentamente gli occhi, come al risveglio da un bel sogno che non vuoi che finisca; come la mattina di Natale davanti all’albero decorato e speri, quando aprirai gli occhi, di trovare tanti pacchi colorati da poter scartare, solo per te.

Gli occhi neri di Alice si specchiano nei suoi e non sa cosa ci legge dentro. Eccitazione, paura, tenerezza, desiderio?

Forse tutto o forse niente, fatto sta che lei si apre in un sorriso sincero, le labbra arrossate e umide per i suoi baci. Suoi baci, suona bene.

-Perché sorridi?-

-Baci come quando avevi dodici anni- Alice gli risponde con il sorriso sulle labbra e gli occhi serrati. È ancora immersa nel suo sogno, non vuole svegliarsi.

-A me invece piace come baci-

-E come bacio?- Gli chiede aprendo finalmente gli occhi, occhi lucidi, curiosa di sentire la sua risposta mentre il freddo muro dietro di sé, perde lentamente importanza.

-Come se fosse l’unica cosa che vorresti fare-

-Forse è davvero così-

E di nuovo si trovano immersi l’uno dentro l’altro, le labbra incastrate e le lingue che parlano insieme, creano una sinfonia.

Gemiti bassi, ansiti rubati che non vogliono che si disperdano nell’aria umida.

Le mani di Alice che sono sulle sue spalle; spalle che lei ha preso in giro anni fa, perché troppo fragili e magroline per un ragazzo e che ora sono la sua ancora, il suo appoggio.

Nella mente di entrambi non è presente la fatidica domanda: “ma che diavolo stiamo facendo?”.

In questo momento i pensieri e le preoccupazioni sono lontani anni luce, sono come quei fuochi colorati a basso prezzo che si vedono in lontananza, vicino alla spiaggia colma di gente emozionata.

Nemmeno Filippo riesce a pensare coerentemente. Lui, la persona più razionale al mondo, ha la mente azzerata; c’è soltanto lei, nella sua testa e forse, anche nel cuore che pulsa frenetico sotto strati di pelle e vestiti.

Istinto, ecco cosa prevale in entrambi. Istinto delle emozioni e dei desideri, di quella voglia di restare senza ossigeno e di prenderlo dall’altro.

E fondamentalmente, Alice e Filippo sono istinto.

Fu quello che li spinse a scappare da scuola quando erano in quarta superiore nonostante Filippo se la stesse facendo addosso dalla paura di essere scoppiati in pieno.

Ma anche quella volta c’era Alice con lui e lei rideva, rideva come una matta tanto che stava per farsi schiacciare da una macchina sulla strada.

Insieme sono sempre stati tutto e molto di più.

Alice fu il coraggio di Filippo quando era davanti alla commissione dell’esame di maturità. Le mani gli tremavano ed erano sudate come se avesse tenuto in mano della neve che si era piano piano sciolta nei suoi palmi.

Gli girava la testa quando pensava che avrebbe dovuto parlare davanti a sette persone sconosciute che lo guardavano come se fosse un alieno venuto da lontano.

Alice però era seduta su una sedia di plastica dietro di lui e credeva nelle sue capacità. Sapeva che lei c’era e ci sarebbe stata quando si sarebbe finalmente alzato dal suo posto.

Magari avrebbe avuto un sorriso stampato sulle labbra e gli occhi colmi di lacrime che non avrebbe versato, orgogliosa fino al midollo.

Filippo fu la spalla su cui piangere di Alice quando i suoi genitori divorziarono e il suo gatto morì qualche mese dopo. Fu lui a dirle che sarebbe andato tutto bene e a comprarle chili di patatine fritte al supermercato, che mangiavano nel loro garage, condite con le lacrime di lei che, imbarazzata e furiosa, non voleva versare.

Si sono allontanati molte volte ma subito ripresi, incapaci di stare lontani.

Marco li ha sempre paragonati al pane e Nutella. Insieme sono una bomba di gusto e dolcezza ma separati sono insipidi, vengono a noia e ci si stufa del loro sapore.

Alice e Filippo sono come il pane e la Nutella e Marco è un saggio incompreso.

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

La prima parte di questo nuovo capitolo l’ho scritta con un groppo alla gola. È una parte del passato di Filippo che volevo raccontare e che avevo in mente da parecchio tempo.

Forse molti di voi penseranno che ho scritto delle cose troppo forti, esagerate. Io volevo soltanto mettervi di fronte ad una verità, una verità che vediamo molto spesso alla televisione o suoi giornali, addirittura sui nostri famigliari.

Dei semplici scherzi, delle battute sarcastiche molte volte si trasformano in qualcosa di diverso e terribile, che non fa più divertire e sorridere ma soffrire. Io avuto l’esempio di un mio cugino e non è stato bello ascoltarlo quando raccontava come erano cattivi, perché è questa la parola giusta, i suoi compagni con lui.

Spero di non aver offeso nessuno con le mie parole.

La seconda parte del capitolo invece è molto dolce, a mio parere. Alice e Filippo che si baciano, il loro secondo bacio, e poi ho voluto parlare un po’ del loro rapporto speciale.

In questo periodo sono un po’ giù di corda per alcuni motivi che non vi sto ad elencare sennò mi sparereste, ma spero che il mio umore altalenante non abbia influito nel capitolo.

Come sempre mi farebbe piacere leggere due vostre paroline che mi fanno sempre tanto ma tanto piacere e ringrazio anticipatamente tutte le persone che leggeranno o commenteranno!

Un bacione carissimi,

Giulia :D

 

 

Di nuovo vi metto il link del mio profilo di facebook! Mi ha fatto molto piacere vedere che parecchie persone mi hanno mandato la richiesta d’amicizia.

Se volete, potete presentarvi anche con un messaggio privato!

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Capitolo 14
*** Non esiste un'etichetta. ***


 

 

è l'amaro e forte odore di caffè a svegliare Alice la mattina dopo.

Con gli occhi ancora serrati, riesce a sentire suo padre in cucina che toglie la caffettiera dai fornelli e lo sbattere dello sportello vicino al frigorifero che, nonostante siano passati tanti anni, deve essere ancora riparato.

Lo sente camminare sul pavimento, scalzo come sempre, e sedersi ad una sedia del tavolo con, immagina, il giornale di oggi tra le mani.

Alice sente su di sè anche i caldi raggi del sole di luglio che passano attraverso le persiane verde scuro e la leggera tenda di cotone.

Le regalano un risveglio più dolce, illuminando il suo letto dalle lenzuola bianche sfatte e un paio di libri sul comodino coperti da un leggero strato di polvere.

Apre lentamente gli occhi di un caldo marrone e sbatte le palpebre un paio di volte per riprendere il contatto con la realtà, una realtà a cui si aggrappa con le unghie e i denti.

Si gira supina sul materasso morbido e osserva il soffitto bianco coperto da piccole stelle fosforescenti che al buio illuminano la stanza. Quanto avrà avuto quando le ha attaccate? Otto, nove anni, forse? Si ricorda solo che con lei c'era suo padre che per poco non cadde dalle scale traballanti che doveva tenere Alice.

Un tempo c'era anche il poster di Brittany Spears che finì dritto nel cestino quando Filippo le confessò che la trovava attraente.

Sorride, Alice, mentre con la mano si stropiccia un occhio e sbadiglia, buttando un'occhiata all'orologio sulla parete che segna le nove e mezza.

Suo padre è in ferie, ecco perchè la casa non è deserta come al solito e la sigla del telegiornale arriva fino alle sue orecchie.

Qualche giorno fa Stefano le ha anche proposto di andare una settimana al mare, lei e lui da soli. Le ne ha parlato a cena, mostrando un sorriso entusiasta e un pacco di giornalini presi in un'agenzia di viaggi.

Alice gli ha risposto che ci avrebbe pensato quando si è alzata da tavola per posare i piatti sporchi nell'acquaio. Glielo ha detto con il sorriso, però, e Stefano lo ha tradotto come un si.

Alice apre la finestra e guarda il cielo di un azzurro chiaro cosparso qua e là da qualche nuvola passeggera.

Si appoggia alla balaustra del terrazzo, mostrando a tutti i vicini la sua cannottiera a fiori e i capelli biondi scompigliati, e osserva il gatto nel balcone di fronte al suo che si gode il sole sdraiato sul cornicione dentro ad una cesta di vimini.

Nel terrazzo affianco, invece, un ragazzo suona la chitarra seduto sul suo letto con la testa appoggiata al muro dietro di sè.

Si è scordato di chiudere la finestra, come sempre, e offre uno spettacolo gratuito a tutto il vicinato.

Alice spera ogni mattina di poterlo vedere suonare ma non capita spesso, però. Soprattutto negli ultimi mesi, la sua chitarra è rimasta rinchiusa nel suo armadio di legno.

Si fa una doccia veloce, sperando di togliersi dai capelli l'odore nauseante di zucchero filato che si è attaccato ieri sera alla fiera e prende un paio di jeans e una maglietta che sono da lavare dal pavimento.

Passa davanti alla scrivania e con la coda dell'occhio si ferma ad osservare il vestito bianco che indossava ieri e che ha lanciato sulla sedia la suo ritorno. è macchiato d'erba e ha un profumo particolare, un profumo maschile. Quello, però, decide di non lavarlo.

Sono le dieci passate quando esce dalla bagno con qualche ciuffo biondo ancora umido sulle spalle scoperte ed entra in cucina dove suo padre sta sistemando delle tazze nella credenza.

La sua la riconosce subito; è blu ed è scheggiata sul manico.

-Buongiorno- lo saluta passandogli a fianco per prendere qualche biscotto dalla busta vicino a lui.

-'Giorno. Stai uscendo?-

-Si, vado in garage- gli risponde appoggiandosi al frigo con il cartone del latte tra le mani.

-Con Filippo?- le chiede Stefano con il sorriso mentre guarda distrattamente una pubblicità alla tv.

-Domanda scontata, papà-

-Già, non potete stare per più di due ore separati voi due-

-Non è vero!- esclama Alice leggermente rossa sugli zigomi.

Suo padre si mette a ridere -Ti ricordi quando si prese la varicella? Una settimana dopo ce l'avevi anche te perchè eri scappata da camera tua arrampicandoti sul balcone della signora Nesti-

Bei ricordi, soprattutto la faccia della povera vedova in questione che si vide apparire una ragazzina di dieci anni dalle lunghe trecce, nel bagno in cui stava tranquillamente facendo la doccia.

-è stato un caso-

Alice chiude il frigorifero con il piede e si affaccia alla finestrella che da sulla strada trafficata per vedere se il suo vicino di casa è già sceso.

-Alice, ti devo fare quel famoso discoresetto?- La bionda si gira verso Stefano che si è messo seduto al tavolo circolare con le mani incrociate sul petto e lo sguardo che vaga per la stanza.

-Vuoi parlare di sesso?-

-No! No..no..io..è un altro discorso- risponde imbarazzato portandosi in avanti con il busto. Non è molto bravo con le parole, Stefano. Chiese a sua moglie di sposarlo scrivendoglielo su un fazzolettino di carta visto che le parole, quella sera di tanti anni fa, avevano deciso di non uscire dalla sua bocca.

Stefano alza gli occhi dalla parete e guarda sua figlia appoggiata al muro che lo fissa in attesa. Ha i suoi occhi, pensa, osservando che bella ragazza è diventata. La bocca e la schietezza sono di sua madre, però.

-E se ti spezzerà il cuore?-

Alice rimane a fissare suo padre con gli occhi sgranati per quelle parole inattese. è una bella domanda a cui lei non sa rispondere, che si è posta tante, troppe volte. E se mi spezzerà il cuore?

-Rincollerò i pezzi- gli risponde con un sorriso prima di chiudersi il portone di casa alle spalle con un colpo secco che risuona per tutto il palazzo e dentro di lei.

 

 

 

Quando scende in strada, nota subito l'Opel nera dai vetri polverosi, parcheggiata davanti al portone verde di Filippo.

Era la macchina di suo nonno che gli regalò per i suoi diciotto anni e Alice ricorda ancora la faccia entusiasta del suo migliore amico quando la vide parcheggiata nell' esatto punto in cui è ora. Una delle poche volte in cui l'ha visto urlare di gioia.

Cammina a passo svelto sulla strada stretta e piena di buche che ha fatto dannare molti anziani che vivono nel quartiere e svolta a sinistra dove ci sono tutti i garage in fila.

Il loro è il secondo e si nota subito perchè la porta esterna è di un grigio leggermente più chiaro degli altri.

Ha lo stomaco in subbuglio quando poggia la mano sudata sulla maniglia arrugginita, e si da della stupita per i pensieri e le sensazioni che prova. "è Filippo, il tuo migliore amico".

Fa un bel respiro prima di entrare, incamerando tutta l'aria presente.

Quando abbassa la maniglia, la prima cosa che vede è la vecchia lavatrice con sopra il giradischi che suona. è un disco dei Beatles, il preferito di Filippo.

Il suo sguardo si sposta sulle mensole alla parete, sull'orologio che hanno trovato in una confezione di merendini e infine su di lui.

Filippo se ne sta sdraiato sul letto con il capo appoggiato tra i cuscini rosa e una mano batte il ritmo della canzone sopra la coperta. "Come fa ad essere così tranquillo quando io sto morendo dentro?", è quello che pensa Alice mentre lo osserva.

Il moro apre un attimo gli occhi e individua subito la figura della sua amica, ferma vicino al televisore.

Si alza a sedere sorridendole e le mostra il film VHS che ha portato.

-Jurrasic Park? Credevo non lo trovassi più- gli dice Alice avanzando di qualche passo all'interno di quello spazio ristretto.

-Infatti. Oggi stavo cercando una maglia nell'armadio di Marco e l'ho trovato nella sua collezione di film porno-

-Marco ha una collezione di film porno?-

-Sto scherzando, Alice! Ma era nel suo cassetto delle mutande- le sorride Filippo alzandosi dal letto per avvicinarsi al videoregistratore.

-Una notizia ancora più sconvolgente. Marco indossa le mutande?- Alice è chiaramente divertita mentre si siede sul letto, seguendo i movimenti del ragazzo inginocchiato per terra.

-Mamma gli da dieci euro alla settimana se se le mette e poi le lava-

Prende il telecomando sopra il televisore e dopo aver spento la luce, si sdraia sul letto accanto ad Alice. Cerca di non sfiorarla mentre si accomoda tra i cuscini che improvvisamente non sono più comodi come prima. Gli sembra di stare su un letto di chiodi.

I loro volti seri sono illuminati subito dalla luce delle immagini che si susseguono sullo schermo.

C'è elettricità nell'aria, come se fossero due calamite dai poli opposti. Le mani fremono per toccare la pelle dell'altro ma rimangano ferme nelle loro scomode posizioni; Filippo le incrocia dietro la testa e Alice sul petto.

Entrambi ricordano la loro prima cine-giornata quando avevano solo dodici anni. Il film era Jumanji e se lo guardarono per tutto il pomeriggio davanti ad una scatola di biscotti e una bottiglia di Coca Cola che finì sul copriletto.

Da quella volta, almeno un giorno alla settimana si ritrovavano nel garage per guardare un film insieme.

Di solito era Filippo che li sceglieva, definendosi un cinofilo di prima categoria. Alice si è sempre fidata dei gusti dell'amico, a volte sbagliando, come quando decise di guardare l'Esoricista.

Con il passare degli anni, ogni giorno si ritrovavano nel loro piccolo nascondiglio a guardare un film, spesso quelli in bianco e nero oppure quelli noleggiati alla videoteca vicino casa.

Alan, si chiamava il ragazzo che stava alla cassa che alcune volte non li faceva nemmeno pagare, definendoli i clienti a cui era più affezionato.

Filippo sta pensando ad Alan ed ai suoi rasta quando sente la testa di Alice posarsi sul suo petto. I corpi in contatto e le gambe che si toccano attraverso i vestiti.

L'ha fatto tante volte in passato ma oggi, questo gesto, assume un altro significato.

è naturale immergere la mano in quei fili d'oro che gli solleticano il mento. Ne sente la morbidezza e percepisce l'odore di mela del suo shampoo preferito.

Anche la mano di Alice si è spostata sul petto e disegna delle forme astratte sopra la sua maglietta dei Nirvana. Si muove sopra al cuore che batte veloce e poi scivola verso lo stomaco in un movimento ipnotico. Un movimento che lo fa impazzire.

Cerca di concentrarsi sul film strizzando leggermente gli occhi chiari per vedere con chiarezza lo schermo ma quando Alice alza la testa e strofina il suo naso sulla poca barba che ricopre le sue guance, ormai è troppo tardi.

Si guardano un attimo negli occhi e le loro bocche si incontrano subito.

Filippo le tira i capelli per far avvicinare i loro volti, forse facendole anche male.

Questo bacio è diverso da tutti quelli che si sono dati fino ad ora; è vorace, c'è passione, desiderio, voglia di sentirsi e assaporarsi, di scoprire se c'è fine al piacere che provano quando le loro labbra si modellano insieme.

Alice si appoggia con le mani sul copriletto e scivola sopra di lui, a sedere sul suo corpo che sembra tremare per quel contatto, provocandole una strana sensazione nello stomaco.

L'ossigeno sembra un gas senza importanza in questo momento mentre le loro bocche si mangiano e le lingue giocano lentamente, catturando i loro sapori e mescolandoli.

Le cosce nude di Alice sfregano sui jeans ruvidi di Filippo ma sembra non importale se dopo avrà dei segni rossi sulla pelle chiara. Lei vuole che ci siano dei segni, tanto per ricordarle che non è tutto un fottuto sogno.

Filippo è sdraiato sul letto e i capelli di Alice sono come un sipario dal mondo esterno; vede solo lei, i suoi occhi arrossati e le sue labbra. Non desidera vedere nient'altro.

La sua mano finisce un'altra volta nei suoi capelli e tira qualche ciuffo.

-Filippo...-

Lui nemmeno le risponde baciandole una guancia e poi il collo.

-Filippo i miei capelli-

-...si..scusa- Fa riavvicinare i loro volti e posa le sue labbra su quelle schiuse di Alice.

La mano va sotto la sua maglietta ad accarezzare i suoi fianchi facendole scappare un sospiro che si libera nell'aria.

Quelle di Alice vanno tra i suoi riccioli scuri per poter far avvicinare i loro volti ancora di più, come a volersi fondere con lui.

-Non possiamo nemmeno più vedere un film- dice Filippo specchiandosi nei suoi occhi socchiusi quando lascia libera la sua bocca per cercare di ritrovare il respiro.

-Lo abbiamo visto- replica lei continuando a tenere le mani ancorate ai suoi capelli.

-Per dieci minuti. Poi ci siamo saltati addosso-

-Siamo sempre amici, Filippo- gli dice corrugando la fronte quando vede il suo sguardo confuso.

-Degli amici che si baciano però- La voce di Filippo è incerta.

-Si..-

-Cosa ci sta succedendo, Alice?- chiede Filippo allungando una mano per sistemarle un ciuffo ribelle dietro un orecchio.

Lei gli sorride e si mette a sedere accanto al moro, incrociando le gambe e puntando lo sguardo sul televisore su cui scorrono i titoli di coda.

-Io lo so cosa ci sta succedendo, ora sta a te scoprirlo- Alice gli parla con un tono basso di voce, scandendo bene le parole perchè gli rimangano bene nella memoria.

Filippo sta per risponderle quando il cellulare nella sua tasca incomincia a vibrare.

Si alza lentamente dal letto e guarda il nome sul display del cellulare nero.

-è Marco...esco un attimo e torno- Rimette il cellulare nella tasca dei jeans e si gira a guardare la sua Alice che ora gli sorride impacciata.

Gli risulta impossibile non allungarsi sul letto per lasciarle un bacio sulla fronte liscia e accarezzarle i capelli scompigliati.

-Non ti muovere- E con un sorriso esce dal garage.

Alice rimane nella stessa posizione per alcuni minuti, mentre le labbra sono disegnate in un sorriso dolce, un sorriso che si fa amare.

Alice aspetta in silenzio cullata dai Beatles e dalla luce del pomeriggio.

Alice aspetta ma Filippo quel pomeriggio non torna.

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti/e!!

Mi scuso per il ritardo ma purtroppo il mio computer portatile si è beccato un bel virus e a me tocca scrivere sul vecchio pc fisso che non ha nemmeno Word.

Se avete qualche dubbio riguardo ai capitoli oppure trovate che la storia non sia omogenea, non più interessante come all'inizio, vi prego di non esitare a dirmelo. Accetto tutti i pareri e i consigli!

Vi ringrazio per tutte le bellissime recensioni che mi lasciate e per le tantissime letture. Grazie anche a chi mi aggiunge tra gli autori preferiti :) Fatevi sapere cosa ne pensate del capitolo, adoro le recensioni, lo sapete!

Ora vi lascio ma spero di risentirvi presto.

Un bacione,

Giulia :)

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Capitolo 15
*** Yesterday. ***


 

 

 

 

 

Michele ha dieci anni ed abita al secondo piano di un antico palazzo in periferia.

I muri rossi come quelli di una caserma dei pompieri, gli piace pensare, e le finestre bianche con le persiane verdi dalla vernice sbiadita nel tempo.

Occhi azzurri come suo padre, capotreno della stazione di Siena, e capelli neri ereditati da sua madre Stefania, commessa in un negozio di articoli sportivi vicino ai grandi magazzini Bertini.

A Michele piace da morire l'estate. Michele ama quei tre mesi assolati e caldi in cui i capelli bagnati ti si asciugano in un secondo. Ama il mare della sua città, sporco e dall'acqua poco limpida ma in cui ci sguazza che una meraviglia.

Ama i gelati freschi che compra al bar sotto casa e le infradito colorate. I pantaloncini corti e stare sveglio fino alle undici, seduto sul divano in salotto, con solo un paio di mutande bianche a coprirlo mentre si guarda un film preso a noleggio.

Michele ama l'estate e odia la besciamella, l'inverno e la scuola. La maledetta scuola che gli ha dato un mucchio di compiti per le vacanze che non ha voglia di fare.

è agosto ma Michele non ha ancora aperto un libro o svolto un'espressione. Sua madre l'ha scoperto ieri e per poco non si è visto volare dalla finestra la sua collezione di figurine dei calciatori Panini a cui tiene tanto.

L'ha costretto, quella maledetta, a fare almeno dieci pagine del libro di grammatica al giorno.

è pazza!, pensa Michele mentre, con un sonoro sbuffo, coniuga un verbo al trapassato remoto.

Ma chi lo usa nella vita il trapassato remoto?, si domanda seduto sul pavimento fresco del terrazzo della sua cameretta, vicino ad un vaso di geranii rossi ormai morti.

Ha coniugato solo tre verbi, nell'arco di un'ora.

Si lascia distrarre da tutto. Una farfalla, il rumore fastidioso delle cicale nel parco, il ventilatore della badante ucraina al piano di sopra e una canzone dei Beatles che proviene da qualche garage nella strada di fronte.

Quando parte la famosa Yesterday, Michele si alza in piedi e lascia il libro aperto sul pavimento, sfogliato dall'alito del vento caldo.

Si affaccia alla balaustra, attento a non buttare di sotto qualche vaso di cactus o la begonia che gli ha regalato sua nonna e socchiude gli occhi per osservare il trafficare sulla via.

Non ci sono molte persone in giro a quell'ora.

Tutti sono al mare, infatti!, pensa scocciato, Tutti tranne me a causa della stupida grammatica!

Incrocia le braccia sotto al mento e cerca di capire da quale garage provenga quella musica.

A Michele piacciono i Beatles. Glieli ha fatti scoprire suo nonno, mettendo su un loro disco quando erano nella loro casa in campagna vicino Grosseto.

Ah, che risate si è fatto quell'estate! E i Beatles erano perfetti per addormentarsi la sera quando il ventilatore si era rotto e si grondava dal caldo tra le lenzuola umide e profumate di lavanda.

Si sta per sedere nuovamente e prendere il libro in mano, quando vede la porta di un garage aprirsi. Quello proprio davanti al suo terrazzo.

Esce una ragazza dai lunghi capelli biondi che indossa una gonnella bianca e una maglia rossa.

Ah, ma la conosce!

Michele strizza leggermente gli occhi azzurri per mettere a fuoco la sua figura ferma davanti a quella porta.

Gli pare che si chiami Alice ed ha una Graziella rossa che è una bellezza. L'ha vista qualche volta andarci a scuola oppure in centro, in piazza Grande.

La parcheggia sempre al palo della luce davanti al portone del palazzo accanto al suo e Michele, qualche volta, a pensato di chiederle se poteva farci un giro. Un giretto piccolo piccolo, tanto per provare la sensazione di stare con i piedi staccati da terra.

Ma tanto Michele ha già deciso, la chiederà a Babbo Natale per il prossimo anno ed è sicuro che la troverà impacchettata sotto l'albero.

Già si immagina la faccia del suo compagno di classe, Paolo Marchetti, quando gliela farà vedere.

Guarda di nuovo la bionda giù nella strada ma la vede correre verso casa, pestando l'asfalto con le sue Converse. Ha lasciato anche la porta del garage aperta e il disco dei Beatles suona ancora.

Michele chiude gli occhi e ascolta la nuova canzone che parte mentre si immagina a cavalcare una Graziella rossa insieme ad una ragazza dai capelli del colore del miele.

 

 

 

 

Alice ha aspettato Filippo per un'ora.

Cinquantasette minuti e dodici secondi, all'incirca.

Ferma nel letto a fissare lo schermo del televisore dove, in alto a destra, c'era segnato il tempo che passava e pesava come un macigno ogni secondo di più.

Torno. Glielo ha detto e lei c'ha creduto.

Gli ha creduto come quando a sette anni credette a suo nonno che le aveva promesso di comprarle un cavallo per il suo compleanno.

Aveva già deciso il nome e di metterlo nel suo garage. L'aveva detto alle sue compagne di classe e alla maestra Liliana.

Alice, anche quella volta, aspettò per tutto il pomeriggio. Non mangiò nemmeno la sua torta di compleanno per paura di non vedere arrivare il cavallo.

Stette tutta la sera seduta fuori dal portone di casa ad osservare la strada deserta davanti a lei, sperando di vedere apparire un puledrino bianco con magari anche un fiocco rosso al collo.

Erano le dieci di sera quando suo nonno la andò a trovare e le diede il suo regalo.

Cinquantamilalire con tanto di bigliettino di auguri.

Alice pianse per tre giorni rinchiusa nella sua cameretta e si rifiutava di mangiare.

Suo padre fu costretto ad andare fino a Firenze per portare la figlia ad un centro di equitazione ad affittare un pony che si chiamava Dolly per un'intera giornata.

Duecentomilalire buttate via. Così.

 

 

 

Alice ripensa a quella giornata mentre corre sulla strada e si ferma davanti al portone verde del palazzo di Filippo.

Cerca il suo cognome sul campanello grigio e suona per tre volte.

La porta si apre con uno scatto secco e lei può salire su per le scale di marmo.

Non saluta nemmeno Giancarlo, il portinaio, per la fretta che ha. I suoi passi rimbombano per tutta la tromba delle scale e si appoggia di tanto in tanto al corrimano per riprendere fiato. Ha le mani sudate.

Quando arriva al quinto piano sull'uscio della porta trova Marco.

Indossa un paio di pantaloni della tuta e una maglietta che Alice è sicura sia di Filippo.

Sul suo viso non c'è l'ombra di un sorriso, la bocca è stretta in una rigida linea retta.

-Dov'è?- Gli chiede portandosi una mano all'altezza del petto per cercare di fermare il suo respiro affannoso.

-Filippo?-

-Si, Marco. Dove diavolo è?- La sua voce ha un tono duro.

Marco si passa una mano tra i capelli scuri e poi si stropiccia gli occhi con fare stanco.

-è andato al Santa Maria. è partito una mezz'ora fa-

Le parole di Marco le arrivano in ritardo perchè con la mente è persa in altri pensieri.

Vorrebbe piangere, Alice. Pingere come quando seppe che non avrebbe mai avuto un cavallo.

Povera Alice, povera e fragile Alice.

 

 

 

 

Il Santa Maria non è un grande ospedale e non dista nemmeno molto da casa sua.

Ricorda quella strada fatta di corsa quando cascò dai pattini a otto anni e si ruppe un polso.

Sua madre quell'anno aveva la Panda verde acqua e guidava come una pazza tra le strade strette e piene di buche.

-Ali! Alice tesoro non ti addormentare eh! Stai sveglia, hai capito? Alice rispondi!-

Alice, seduta al posto del passeggero con la cintura allacciata, non si stava nè per addormentare e nemmeno per perdere conoscenza.

Stava benissimo e in quel momento voleva solo potersi levare quei trampoli ai piedi che sua madre si era scordata di levarli e sedersi alla televisione per poter vedere il nuovo episodio dei Pockemon.

Alice, questa volta, la stessa strada la fa in bicicletta.

Una macchina la stava per mettere sotto e non si è nemmeno fermata al semaforo rosso ma poco le importa.

I capelli le si sono appiccicati sulla nuca e sente i vestiti troppo pesanti per il caldo che prova.

Quando vede la costruzione di mattoni grigi, tira un sospiro e pedala più velocemente per riuscire ad arrivare davanti all'entrata.

La molla vicino ad altre biciclette senza nemmeno mettere la catena che ha nel cestino marrone ed entra dalla porta a vetri.

Pronto Soccorso. Pronto Soccorso.

Si asciuga il sudore che le cola dalla fronte e le va a finire sul collo e sulla schiena mentre guarda i tabelloni colorati sopra di lei.

Ortopedia. Terapia intensiva. Chirurgia.

Ferma un'infermiera che passa di lì con in mano alcuni fascicoli bianchi e si fa dire dove si trova il Pronto Soccorso.

La ringrazia con la voce tremolante e svolta a destra percorrendo cento metri.

"Si è rotta la tibia".

Nella testa di Alice si ripetono queste poche parole che sono uscite dalla bocca di Marco.

"Serena ha fatto un'incidente, si è rotta la tibia"

Si ferma davanti ad una porta a vetri in un corridoio grigio dalla terribile puzza di disinfettante e scorge la figura di Filippo seduto su una sedia nera di plastica vicino al muro. Tra le mani tiene il suo cellulare.

Pigia il tasto rosso di fianco alla parete ed entra nel il corridoio dove c'è il moro.

Filippo alza la testa quando sente la porta aprirsi e chiude un attimo gli occhi quando capisce che è Alice. La sua Alice.

Lei avanza nel corridoio e si ferma davanti a lui, dando le spalle ad una signora dai lunghi capelli rossi che tiene in braccio una bambina di quattro anni con un braccio ingessato che versa alcune lacrime silenziose.

-Dov'è?-

-è ancora dentro, dovrebbe uscire tra qualche minuto-

-Come sta?- La voce trema ma lei fa di tutto per non farlo notare. Stringe anche le mani a pugno per non far capire in che stato si trova.

-Bene, le hanno ingessato la gamba destra ma...ma non ha sentito molto dolore. Siediti, stai tremando-

-Non è vero-

-Smettila di fare la forte, Alice e siediti-

Povera Alice, povera e fragile Alice.

Filippo finisce di parlare e dalla porta rossa accanto a loro esce un dottore dai capelli brizzolati e i baffi lunghi e neri.

Indossa un camice bianco e degli zoccoli dello stesso colore che fanno troppo rumore sul pavimento. Accanto a lui c'è Serena che si regge su un paio di stampelle verdi e chiacchiera tranquillamente con un'infermiere dietro di lei che l'aiuta a stare in piedi.

Alice si morde con un forza il labbro inferiore e fa un passo indietro.

Ne fa un altro e poi un altro ancora fino a ritrovarsi davanti alla porta da cui è entrata.

Schiaccia con violenza il pulsante rosso per tre o quattro volte e le porte automatiche si aprono.

Prima che la porta si richiuda sente la voce di Filippo che la chiama.

Lo sente ma lei è ormai andata via.

Fuggita, è la parola giusta.

Da chi o da cosa, non si sa.

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti!

Sono davvero di corsa ma ci tenevo ad aggiornare stasera.

Il capitolo non è molto lungo e l'ho dovuto suddividere in due parti sennò sarebbe stato troppo lungo e noioso.

Spero che anche questo capitolo vi piaccia e di non aver scritto nessuna baggianata.

Non ho ancora risposto alle recensioni dello scorso capitolo ma spero di farlo al più presto!

Io il 9 parto per la Francia insieme ad alcuni amici quindi ci risentiremo intorno al 20 agosto.

Vi auguro buone vacanze e di risentirvi presto!

Un bacione,

Giulia :)

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Capitolo 16
*** Ci sono io. ***


 

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Capitolo 17
*** La macchina del capo ha un buco nel motore, bum! ***


 

A Clara,

mia psicologa e amica.

Grazie.

 

 

 

 

Ad Alice non piace guidare e non ne è nemmeno capace, se bisogna dirla tutta.

Confonde i pedali, con il naso spiaccicato sul parabrezza si perde ad osservare la città e i suoi abitanti invece che la strada. I cartelli stradali non esistano e l'arancione e il rosso del semaforo per lei non significano assolutamente niente.

è stato Filippo a darle le prime lezioni di guida con la sua vecchia Opel. Dopo aver quasi rischiato di finire dentro al banco del pesce al mercato del signor Gandolfi, lui si è rifiutato di farla sedere un'altra volta al posto di guida e le ha nascosto la patente per paura che causasse danni.

Alice non si è mai lamentata poi molto.

A lei piace godersi il viaggio sdraiata sul sedile del passeggero, con le scarpe da ginnastica che lasciano sempre il segno del loro passaggio appoggiate sul cruscotto, e la musica della radio a distrarre i suoi pensieri.

Abbassa sempre un poco il finestrino per far entrare il venticello che le scompiglia i capelli di cui non si lamenta mai e poi ci appoggia la testa fiduciosa come una bambina che si sta per addormentare dopo una lunga giornata passata al mare con ancora la salsedine sulle guance e tra alcuni ciuffi dorati.

Di solito inserisce nel lettore cd uno dei dischi di Filippo che tiene sparpagliati a giro per l'automobile, sotto buste di plastica e giornali, contenitori di cibo ormai vuoti e bottiglie d'acqua finite.

Filippo non conosce la precisione, ma questo non è un segreto e Alice ha incominciato a conviverci.

Quando non ha voglia di mettere un cd, accende la radio e la sua mente si perde tra quei grandi successi anni '90 e degli ultimi tempi.

Batte il ritmo delle canzoni con le dita piccole sopra al finestrino e canticchia sotto voce, senza farsi sentire troppo.

Filippo la osserva spesso di nascosto, mentre le sue labbra si muovono silenziose, pronunciando parole o dolci desideri con la sua voce leggera, inudibile.

A lei piace cantare ma odia farsi sentire. Perfino da lui, soprattutto da lui.

 

 

-Perchè non canti ad alta voce?- le aveva chiesto un pomeriggio di fine dicembre, bloccati nel traffico mentre la neve cadeva leggera dalle nuvole grigie e gonfie, sfiorando l'auto ma non loro.

-Sono stonata, lo sai Lip-

-Non ti ho mai sentita cantare, non lo posso sapere-

-Recita di fine anno in quinta elementare. "Buonanotte Fiorellino" di De Gregori. Mi ricordo ancora i fischi- gli rispose con un sorriso amaro nel ricordare i tempi passati.

Filippo finse di pensarci su portandosi un dito alla tempia.

-Ora ricordo. Già, hai rovinato un capolavoro quel giorno-

 

 

Filippo sta canticchiando sotto voce "Buonanotte Fiorellino" quando si accorge dello sguardo insistente di Alice al suo fianco. Questa sera si è anche legata i capelli in una coda bassa con un elastico e la può osservare senza che alcuni ciuffi dispettosi intralcino il suo sguardo.

-Che c'è?- le chiede inserendo la freccia per sorpassare una jepp.

-Stai cantando?-

-Si...-

-Tu non canti mai-

-Sotto la doccia-

-Io non sono insieme a te quando fai la doccia- gli risponde alzando gli occhi al cielo, bè al tettuccio dell'auto.

-Un vero peccato...- e il sorriso impertinente sulle sue labbra è strano quanto bello, per Alice.

Lei gli da un leggero pugno sul braccio che tiene vicino al cambio e tornano entrambi in silenzio, ascoltando la voce di Norah Jones che è come miele dolce in una mattina d'inverno.

I lampioni sono ancora spenti tra le strade deserte, il cui unico suono percepibile è il rombo del motore di una vecchia Opel, e Alice aspetta il momento in cui si accenderanno uno dopo l'altro come piccoli punti di luce, come delle lucciole in fila in una sera calda d'inizio giugno.

Alice appoggia la testa sul sedile scomodo e osserva la città fuori dal finestrino come se fosse un quadro d'autore: in una stretta via laterale c'è una signora inginocchiata sul marciapiede sporco che tenta di infilare un maglioncino blu alla figlia dai lunghi capelli neri; grosse lacrime rotolano giù dalle sue guance e il petto si alza e si abbassa veloce.

All'angolo della strada c'è un ragazzo appoggiato con le spalle al muro dipinto da graffiti colorati che fuma in silenzio una sigaretta ormai consumata; guarda davanti a sè un qualcosa che riesce a vedere soltanto lui.

Al bar "Zio Pepe", a poche centinaia di metri di distanza, un gruppo di uomini giocano a carte e bevono birra ghiacciata seduti ad un grande tavolo di legno all'aperto, assorbendo sulle loro pelli tutto l'umido della sera che avanza, che si appiccica al corpo come se fosse un panno bagnato nell'acqua fredda.

Alice riesce a riconoscere il profilo di Giovanni, il calzolaio che abita sotto casa sua che ha da poco venduto il suo negozio ad un cugino di Milano.

Accanto a lui c'è sua moglie Elena che ha un libro appoggiato sulle gambe fasciate da una gonna lunga, e lo sfoglia distrattamente, guardandosi intorno di tanto in tanto.

Suo marito le poggia un braccio intorno alle spalle e lei gli sorride, crogiolandosi nel calore che le trasmette con quella stretta.

Sorride anche la bionda, provando anche una piccola fitta di invidia, mentre osserva quella scena. Si ricorda all'improvviso dov'è quando alla radio inizia una nuova canzone che distrae i suoi pensieri. è "Alice" di Francesco De Gregori, guarda caso.

Si gira verso Filippo che sta guidando alla sua sinistra con una sicurezza che non attribuiresti mai a un diciottenne; ma Filippo è così e Alice non lo cambierebbe per nulla al mondo. Forse qualche piccola modifica l'apporterebbe, se potesse.

-Hai mai pensato di scrivere una canzone?- gli chiede all'improvviso, scrutando il suo volto diventato pensieroso.

-Cosa?-

-Una canzone, note, ritmo, accompagnamento...quelle cose là-

-So cos'è una canzone, Alice-

-Te lo volevo solo rammentare, fammi fare la saputella ogni tanto, Lip-

Filippo si mette a ridere e posa la mano sul cambio appiccicoso; non vuole sapere cosa diavolo c'ha fatto Marco per ridurlo così.

-Io l'ho scritta una canzone-

-Non è vero-

-Invece si-

Alice si gira completamente verso di lui, nonostante la cintura limiti i suoi movimenti, e lo scruta cercando di testare la veridicità della sua affermazione.

-Perchè io non so niente? Quando l'hai scritta?-

-Sei stata anche l'unica a sentirla, Alice- le sorride girando di poco il viso verso di lei, mostrandole i suoi occhi chiari e limpidi. Ci vede dentro il mondo, Alice.

La mente della ragazza è diventata un piccolo ufficio di città colmo di cartelle piene di ragnatele e polvere e in mezzo a quel caos, sta cercando di ritrovare con tutte le sue forze il ricordo che le serve. Dovrebbe dare una ripulitina, ogni tanto.

-Non ti ricordi? Avevamo quattordici anni e te eri bloccata all'ospedale perchè ti eri presa...-

-....la scarlattina-

Eccolo qua, il ricordo che cercava.

 

 

Lei sdraiata in un letto d'ospedale i cui unici odori presenti erano quello del disinfettante di cui anche le pareti erano pregne e del purè di patate che le dava la nausea. Il suo vicino di letto era un ragazzino sui dodici anni che guardava la televisione di giorno e di notte e puzzava come il gatto di sua nonna.

Ricorda i suoi deliri per la febbre alta mentre suo padre non si staccava un attimo dal suo letto, cambiandole il ghiaccio sulla fronte ogni ora.

La noia che aveva provato quei giorni, poi, è impossibile scordarsela, soprattutto le partite a carte con suo padre di cui non ne vinceva una. Com'era possibile che quell'uomo non sapesse giocare? Lei era la campionessa di briscola e scopa del quartiere!

Finalmente un giorno era potuto andarla a trovare Filippo che, dopo averle detto quanto era brutto il suo viso pallido e le sue occhiaie violacee, si era seduto sul letto e con la chitarra tra le braccia fragili e ossute, aveva iniziato a suonare. Per lei.

Quando la canzone era finita, era talmente emozionata che era dovuta scappare di corsa in bagno fingendo un mal di pancia improvviso, non volendo che le lacrime traboccassero proprio davanti a lui. Quel giorno aveva dato la colpa all'antibiotici per il suo comportamento da stupida ragazzina.

Non sapeva ancora di essersi innamorata.

 

 

-Mi avevi detto che era una canzone di Lucio Dalla-

-E secondo te, mentre eri all'ospedale sul letto di morte, io ti avrei cantato una canzone di Dalla? Sarebbe stato come darti il colpo di grazia- le dice fingendosi scandalizzato per la sua affermazione.

-Ma perchè non mi hai detto che l'avevi scritta te?-

-Mi vergognavo, lo sai, e poi non era così bella-

-A me era piaciuta tantissimo. è stato quel giorno che ho deciso che saresti diventato il mio migliore amico- glielo dice guardando la strada e non i suoi occhi verdi.

-Solo perchè sapevo cantare bene?-

-No, perchè nonostante ti stessi vergognando da morire hai cantato una canzone, per me-

Il silenzio scende ma è un un silenzio di parole dette e di attesa, di attesa di un gesto dell'altro per poi agire di conseguenza. Un silenzio dolce e carico di aspettativa.

Filippo sposta la sua mano sulla gamba nuda di Alice e lei la copre con la sua stringendola forte forte.

Qualcuno sta sussurrando, forse i loro cuori?

 

 

Filippo guida lentamente per la strada deserta, fermadosi ad un semaforo rosso e osservando un cane randagio che scondinzola seduto fuori da un ristorante.

Sta per girare a sinistra, ha già messo la freccia, quando Alice all'improvviso lo blocca con la sua voce.

-Gira a destra, gira a destra!- quasi urla segnalando l'uscita con il braccio.

-Ma casa di Serena è dall'altra parte- le ricorda qual'è la loro meta.

-Lo so benissimo ma prima voglio andare in un posto-

Filippo fa come gli ha chiesto e svolta a destra in una stretta e sterrata strada di campagna.

Sono usciti fuori dalla città e intorno a loro ci sono solo campi di grano e di girasoli di cui è impossibile vedere il loro giallo acceso. C'è una fattoria che cade a pezzi a qualche centinaio di metri e qualche pezzo di un motorino lasciato a marcire in mezzo alla campagna.

-Vuoi per caso uccidermi e poi seppellire il mio cadavere?- le chiede Filippo cercando di evitare una buca profonda.

-Non stasera- gli risponde Alice guardando fuori dal fienstrino l'oscurità che ha coperto ogni minima superficie e le stelle che sono i lampioni in quella macchia d'inchiostro.

-Parcheggia vicino a quella staccionata, la vedi?- La bionda allunga il braccio ed indica un punto della collina poco distante da loro.

-Si, la vedo. Non sarà mica la proprietà di quel pazzo di Galeazzo che se ci scopre ci fa fuori con il suo fucile?- le chiede Filippo spaventato, inserendo la marcia e procedendo dentro il campo di grano.

-Il solito cagasotto, certe cose non cambiano mai-

-La solita stronza, anche te non sei cambiata- Filippo arriva nel punto che gli è stato indicato e spegne il motore dell'auto.

-Dolce come sempre- Alice apre la portiera e fa entrare all'interno dell'abitacolo il fresco della sera, che gioca tra i suoi capelli e i suoi vestiti leggeri, mentre lei posa le scarpe bianche sul terreno fuori dalla macchina.

Rimangono di nuovo in silenzio, osservando ogni cosa che i loro occhi possono vedere e assaggiando la meraviglia di quelle colline che ora sembrano maestose e pericolose e quei pendii dolci coperti da alberi secolari.

-Ho fatto qui l'amore per la prima volta-

E quella frase rimbomba nel silenzio e anche dentro di Filippo che inconsapevolmente, chiude il pugno che tiene sopra al ginocchio e appoggia la testa al sedile alzando gli occhi verso il cielo, come se potesse vedere le stelle che gli sono precluse.

Un ricordo bussa forte alla sua memoria.

 

 

Era una mattina di fine luglio e quel giorno il termometro segnava 35°.

Erano entrambi nel loro garage e Filippo, seduto a gambe incrociate sul pavimento sporco, stava cercando di inserire la spina del ventilatore che li aveva regalato l'estetista del garage affianco, dentro la presa.

Alice era sdraiata sul letto e fissava il cielo fuori dal lucernario che aveva aperto per far circolare un pò d'aria.

Lei aveva parlato all'improvviso, così, senza dargli la possibilità di prepararsi al colpo. Come una pistola che spara all'improvviso che colpisce dove meno te l'aspetti, in questo caso in pieno petto.

-Ho fatto l'amore con Edoardo, ieri sera- quando l'aveva detto, ad Alice era sembrato strano dire "fare l'amore". Loro non avevano fatto l'amore perchè lei non l'amava e, probabilmente, lui non amava lei.

-Ah....e come è stato?-

-Non lo so-

-Che significa non lo so?-

-Che non lo so, Lip-

-Il sesso ti ha tolto la capacità di formulare correttamente una frase?-

-Forse-

-Era meglio se rimanevi vergine, Alice- glielo aveva detto con rabbia, furioso per le sue parole. Aveva gettato la spina per terra e si era alzato in piedi. Con la scusa di dover andare a studiare era scappato dal garage, da lei e dalle sue parole che gli presentavano una realtà che desiderava non fosse vera.

"Puttana" aveva gridato al vento calciando un sasso che aveva trovato sulla strada.

"Alice, sei una puttana" aveva ripetuto anche mentre saliva le scale del suo palazzo, correndo.

In quel momento aveva odiato la sua Alice talmente intensamente che non credeva fosse possibile.

Non aveva capito di essere soltanto geloso marcio.

 

 

-E perchè mi hai portato qui?- le chiede Filippo aprendo gli occhi e osservando la sua schiena e i fili biondi sparsi sulla maglia.

-Non lo so, forse per ricordarmi di quell'esperienza terribile- Sorride Alice, anche se lui non può vederla.

-Credevo ti fosse piaciuto-

La bionda si gira verso Filippo e lo guarda scandalizzata, con una risata che sta per uscire dalla sua bocca.

-Volevo tornare vergine, pensa un pò-

Anche Filippo sorride a quell'affermazione e distende le mani che aveva stretto a pugni.

Gira la testa verso il finestrino e nel mentre sente un movimento al suo fianco. Pochi secondi e Alice si è spostata a sedere sopra si lui, con il volante che le pigia sulla schiena e le mani nei suoi capelli scuri dove dovrebbero stare sempre.

-Alice scendi- le dice con un tono di voce basso.

-No- e avvicina i loro volti, le fronti che si toccano.

-Bisogna andare da Serena- Posa le sue mani sui suoi fianchi e si sente perso, non vorrebbe più allontanarsi.

-Non ancora- Alice gli parla con le labbra che quasi si sfiorano, rendendosi conto di quanto desidera baciarlo.

Gli lascia un piccolo bacio sulle labbra serrate e poi un altro sulla guancia coperta da un leggero strato di barba. Un bacio sulla madibola e poi sul collo. Non sa cosa sta facendo ma le mani di Filippo intorno a lei ora sono dolci e sembra che non vogliano lasciarla andare mai più.

Che pensieri stupidi, ma non può fare a meno di farli.

è lui alla fine a far incontrare le loro labbra per un bacio lungo, sfiorandole il labbro inferiore con la lingua e ritrovando il suo sapore.

Alice infila una mano tra i suoi capelli e gli fa inclinare la testa per poterlo baciare meglio, per arrivare dove ancora non si è spinta.

Un sospiro tremante esce dalle sue labbra ma lei non lo vuole trattenere, vuole fargli sentire cosa le fa provare, come la fa sentire con un solo bacio.

-Facciamolo- gli dice quando le loro labbra si staccano per riprendere il respiro. Lei fissa la sua maglia nera, non riesce a guardarlo negli occhi. D'altronde è una fifona, no?

-Tu sei pazza-

-Perchè?- la voce trema già e si pente di quell'unica parola uscita dalla sua bocca.

-Perchè...perchè siamo in un campo e dobbiamo andare da.... Serena- Anche la sua voce trema e i suoi occhi osservano l'oscurità fuori dal finestrino.

Lei rimane per un attimo immobile tra le sue braccia che ora non la stringono più, hanno perso anche il loro calore e Alice riesce a sentire il freddo della sera che le entra dentro le ossa. Freddo come è stato il suo rifiuto, perchè lei è stata rifiutata.

Le sue mani lasciano i suoi capelli e con lo sguardo basso si mette a sedere nell'altro sedile, appoggiando i piedi sul tappetino mentre le braccia si stringono intorno a suo corpo.

Lo sguardo è sfuggevole e le palpebre sbattono veloci come per rimuovere quella patina invisibile che le offusca la vista.

Filippo fa un respiro profondo e avvicina il viso al suo. Le sue labbra si posano sui suoi capelli, dolci come non sono mai state, e una sua mano si va a intrecciare a quella di Alice che tiene nascosta.

Non fa più freddo.

-Non ora e non qui. Poi- pronuncia quelle parole come se fossero una confessione e gliele sussurra nell'orecchio.

-Arriverà presto questo poi?-

-Forse- E nella sua voce c'è un sorriso che percepisce anche lei. Ora le loro dita sono incrociate.

Un Opel nera viaggia in una strada stretta di campagna con di sottofondo un famoso successo di De Gregori mentre la notte sembra più scura di sempre e le cicale fanno sentire la loro presenza invisibile.

Settembre è alle porte, l'estate è finita.

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio a tutti!

Ecco il diciasettesimo capitolo di questa storia a cui mi sono affezionata tantissimo proprio come sono affezionata a voi lettori. Sapere che leggete con piacere la mia storia e che avete a cuore i miei personaggi mi rende immensamente felice. Ogni volta che ricevo una recensione gongolo nemmeno avessi ricevuto il premio Nobel! Quindi ancora GRAZIE, sembra banale ma non so cosa altro dirvi.

Il prossimo aggiornamento non so proprio quando ci potrà essere anche perchè la storia è arrivata al suo momento più "particolare".

Qui vi lascio l'indirizzo della mia pagina facebook dove potete trovare spoiler, anticipazioni e chiacchierare un pò con me:

http://www.facebook.com/#!/pages/Scrivere-equivale-a-viaggiare-senza-la-seccatura-dei-bagagli/210532275668393?sk=wall

 

Su volete aggiungermi su facebook sono Giulia Carretti. Vi prego però di presentarvi con un piccolo messaggio di posta, Grazie!

Un bacione,

Giulia :)

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Capitolo 18
*** Scelte. ***


 

Prima di lasciarvi al capitolo, vi segnalo la mia pagina persona dedicata a tutte le mie storie di EFP. Fateci un salto se vi va:

http://www.facebook.com/#!/pages/Scrivere-equivale-a-viaggiare-senza-la-seccatura-dei-bagagli/210532275668393

 

 

 

C'è un momento nella vita, in cui bisogna prendere delle scelte, che forse la cambieranno o forse no.

Le prendiamo senza sapere cosa succederà dopo, senza sapere se abbiamo fatto la cosa giusta oppure la più grande cazzata della nostra vita.

Sono delle icognite, sono come l'uovo di Pasqua della Kinder in cui non sai che regalo ci troverai dentro, se ti piacerà o finirà direttamente nel cestino.

Come il regalo di zia Graziella e tu speri soltanto che non sia l'ennesimo maglione fatto a mano o peggio, un libro di Geronimo Stilton. Non ha ancora capito che hai ormai passato i dodici anni.

Le scelte ci vengono chieste di essere fatte nei momenti peggiori e inaspettati.

Il Momento-Scelta, arrivò per Alice e Filippo, il lontano 5 febbraio 2009.

Data di nascita di Fabrizio Frizzi, tra l'altro, come diceva il giornale locale "Mandolino", lasciato a marcire in un angolo della strada assolata dimenticato da uno sbadato Antonio Rogalossi. Ma a voi, di Antonio Rogalossi, non credo importi poi molto.

Quella mattina Filippo si era alzato alle sei e venticinque ora locale e dopo una doccia gelata aveva fatto una colazione veloce. Era uscito di casa con le cuffie nelle orecchie e una tuta sgualcita di suo padre, con l'idea di andare a correre nel Parco Brughieri, a poche centinaia di metri dal suo palazzo.

Si era messo in testa di dover fare un pò di movimento e di dimenticare le sue giornate ad oziare sul divano o sul letto del garage, a vedere un film o a leggere un libro. Doveva muoversi, svegliarsi, respirare aria buona.

In verità, il nostro caro Filippo, la settimana prima aveva dovuto sostenere un test di resistenza durante la lezione di educazione fisica a scuola e per poco non ci aveva rimesso la pelle e un mezzo arresto cardiaco.

Alice lo aveva preso in giro per giorni.

Mentre pestava con le sue vecchie scarpe da ginnastica la stradina sterrata in mezzo al parco, aveva notato con la coda dell'occhio qualcosa che aveva da subito attirato la sua attenzione.

Si era fermato ansante vicino ad una panchina da poco riverniciata di un verde scuro come quello delle foglie cadute sul terreno umido e si era avvicinato alla Cosa. In seguito, l'avrebbe definito il suo Tesoro.

Aveva camminato fino al cassonetto grigio sulla strada asfaltata, da cui ci passavano solo poche macchine dai colori spenti, che sembravano mescolarsi con la nebbia fitta di quella mattina che avvolgeva tutto come un velo palpabile.

Lui era rosso, rosso passione ed era grande e confortevole. Filippo si era innamorato per l'ennesima volta e quel giorno aveva fatto la sua scelta.

L'aveva portato nel suo garage, con non poca fatica e sudore, con l'aiuto anche di Marco che aveva tirato in ballo tutti i Santi del Paradiso e anche qualche divinità sconosciuta.

Filippo aveva sistemato il vecchio e consumato divano rosso davanti al letto, perchè si, Filippo si era innamorato di un divano su cui probabilmente un barbone aveva passato la notte e qualche animale aveva potuto trovare un caldo riparo. Qualcuno ci poteva aver fatto l'amore, su quel divano, oppure un bambino il suo dolce rigurgito di latte.

Al ragazzo queste ipotesi non l'avevano nemmeno sfiorato l'anticamera del cervello. Lui aveva visto quel divano che desiderava da anni mettere nel garage e se l'era preso.

Ci si era seduto sopra, con un sorriso estasiato sul volto sereno, distendendosi come un gatto sotto i caldi raggi del sole e ci aveva visto "Il miglio verde" in VHS.

Nel primo pomeriggio era arrivata colei che avrebbe rovinato i suoi desideri e il suo sogno d'amore.

Si chiamava Alice e aveva da poco saputo che il giorno seguente avrebbe dovuto sostenere un compito di matematica su un argomento a lei sconosciuto.

Era entrata nel garage tirando più del dovuto la maniglia arrugginita, tanto che un rumore molesto aveva fatto presupporre che fosse ormai ora di cambiarla. Aveva lanciato la sua felpa grigia sopra l'attaccapanni, senza guardarsi intorno, e poi si era tolta anche le ballerine rosse che gli avevano infiammato il mignolo destro.

Aveva raccolto i capelli con un elastico nero che teneva al polso, sbuffando quando alcuni ciuffi le erano usciti dalle mani, dispettosi.

Quando alla fine si era girata a guardare la stanza, i suoi occhi si erano posati sulla figura del migliore amico sdraiato sul divano e ce l'aveva tenuti per un pò, incapace di staccarglieli di dosso.

-Cos'è?- gli aveva chiesto con un tono secco di voce.

-Cosa?-

-Quella cosa su cui sei sdraiato, O'Cesare-

Filippo si era messo lentamente a sedere e con una mano aveva toccato il tessuto del divano, invitandola a sedersi.

-è un affare-

-Affare?-

-Già. Un'affare incredibile. Ti piace?- le aveva chiesto con la speranza negli occhi e nella voce mentre la fissava in attesa di una risposta.

-Piacermi? Dove diavolo l'hai preso-

Alice gli si era avvicinata minacciosa, puntandogli addosso il dito con l'unghia smaltata di blu. Un mastino di cinquantacinque chili che mirava alla sua carotide.

-Un amico...di Marco, già, gliel' ha regalato. Sai, si trasferisce a Sidney e lo ha regalato a Marco. Marco l'ha dato a me. è stato gentile, Marco, non è vero?-

Filippo aveva un problema ma nessuno gli aveva mai detto niente. Lui non sapeva assolutamente mentire.

E Alice capiva al volo quando succedeva. Incominciava a balbettare e pronunciava una parola precisa un milione di volte. In quel caso, il nome di Marco.

-Stai mentendo-

-Senti Detective Conan, vuoi sederti o no?-

-Dimmi dove l'hai preso- Il suo tono non ammetteva repliche. Filippo sospirò sconsolato e chiuse gli occhi. Sapeva già cosa sarebbe successo. Si sarebbe voluto tappare anche le orecchie, ma quel gesto sarebbe stato veramente umiliante.

-In un cassonetto. In un cassonetto per rifiuti riciclabili però- aggiunse, annuendo convinto con la testa riccioluta.

Inutile dire che l'uragano Alice scoppiò in meno di due secondi. Tempo per prendere fiato e per gonfiare le guance arrossate come se dovesse soffiare in un palloncino colorato.

Dopo aver urlato i rischi di una possibile malattia trasmissibile, di tutti gli insetti e altri esseri non identificati che si erano sicuramente posati sopra, delle pulci e zecche che ora si aggiravano per il corpo di Filippo, Alice incominciò ad agitare gambe e braccia, segno che la sua sfuriata stava giungendo al suo momento clou.

 

-Ti odio. Odio te, i tuoi piedi costantemente sul mio cuscino e il tuo stupido cactus che tieni sopra quella mensola da anni ormai. E vogliamo parlare della tua fissazione per Robert Plan?- Ecco che elencava tutti i suoi difetti come ogni santa, santissima volta.

-Lui è il mio idolo. Ti ho forse mai detto niente su Tonio Cartonio quando avevi otto anni?-

-....certe volte credo che tu sia gay! Se me lo devi confessare, questo è il momento giusto, sappilo-

-Spero sia il tuo ciclo mensile a farti parlare così- le disse alzandosi in piedi e prendendo il pacchetto di Marlboro che aveva gettato sul letto. Si accese una sigaretta con stizza, non aprendo nemmeno il lucernario per lasciare uscire il fumo che avrebbe sicuramente creato una cappa all'interno della piccola stanza.

-Ciclo mensile?! Ma come diavolo parli? Mi chiamo Elisabeth Bennet, per caso, e tu Mr Darcy? No, visto che grazie al Cielo tu non hai le sue basette-

-Sei una nevrotica con seri problemi psichici-

-E tu uno stronzo senza palle...e basette, ma questa è una cosa positiva- Alice tolse le mani dai suoi fianchi, finendo il suo monologo con un ultimo urlo rabbioso. La tempesta era finita.

 

Un'ora dopo erano entrambi seduti sul divano che puzzava leggermente di muffa e cibo avariato e si fumavano l'ennesima sigaretta guardando un documentario sui Koala e sulla loro particolare funzione; nella stanza l'ossigeno era finito da tempo.

Le gambe di Filippo erano stese in avanti e i suoi piedi, regolarmente scarsi, erano appoggiati sul pavimento. Le gambe di Alice, invece, erano sopra quelle di Filippo e lui ogni tanto le accarezzava distrattamente.

-Non so perchè perdo ancora tempo con te- le disse con tono irritato spegnendo la sigaretta in un bicchiere di plastica.

-Io riempio le tue giornate, Lip. Cosa faresti senza di me?- gli rispose, allungando una mano per sistemargli alcuni ciuffi ribelli dietro l'orecchio.

-Probabilmente mi darei al giardinaggio-

-Tu non hai un giardino e nemmeno un orto-

-Ma un cactus si-

Si girò verso di lei e le sorrise, fiero che la sua battuta fosse riuscita a farla ridere.

-Mi prude la testa- disse dopo qualche minuto Alice, grattandosi la nuca senza preoccupazione, per ritornare subito dopo a guardare la televisione con interesse.

Una settimana dopo, sia Alice che Filippo, erano chini nei loro lavandini e si stavano facendo uno shampoo con aceto e altre sostanze chimiche, sfregando animatamente la cute e borbottando frasi senza senso e imprecazioni silenziose.

Si erano presi i pidocchi.

 

 

 

Il cd dei Pink Floyd è stato inserito da qualche minuto del lettore cd e i due ragazzi, seduti nei loro sedili, lo ascoltano distrattamente.

L'orologio sul cruscotto segna le dieci di sera e 15 gradi di temperatura.

Alice ha preso un maglione nero di Filippo dalla bauliera dell'auto quando si sono fermati alla tabaccheria in piazza per comprare un pacchetto di sigarette e se lo stringe addosso come se fosse una coperta.

Se l'è infilato a fatica, riuscendo a far uscire a malapena la testa, e ora l'unica cosa che può mostare sono solo i suoi occhi scuri.

è di cotone morbido e profuma di buono e pulito, lo stesso profumo di Filippo, riconosce annusando il colletto. Dolce.

Il ragazzo tiene il volante con una mano sola e un braccio è appoggiato al finestrino sigillato. Filippo è la persona più freddolosa che Alice conosca; due settimane fa ha addirittura messo il piumone sul suo letto, le ha confessato.

Supera il passaggio a livello in Viale Marconi che grazie al Cielo è aperto e svolta in una traversa al cui angolo c'è una sala giochi colma di ragazzi delle medie e un gruppo di ragazzine ubriache che si stanno rincorrendo lungo tutta la via.

Le loro risate rimbombano tra i muri dei palazzi di periferia.

Parcheggia vicino al marciapiede davanti ad un piccolo portone rosso, illuminato dalla flebile luce dei campanelli. La finestra al secondo piano è leggermente aperta e c'è la luce accesa. La camera di Serena.

Alice si sistema le maniche troppo lunghe del maglione e apre la portiera.

-Faccio presto, non ti muovere-

-Posso andare a salutare quelle ragazze alla sala giochi?-

-Io non ti vengo a recuperare in galera, ricordatelo- E con quest'ultima battuta esce dall'auto e a passo spedito si immerge nel fresco della sera.

Suona il campanello tre volte e aspetta che la voce della sua amica le risponda al citofono.

Alice non sente nessuna voce, però, e il portone si apre con uno scatto, lasciandola libera di entrare all'interno del palazzo buio.

Getta un'ultima occhiata a Filippo che ascolta la musica nell'auto ed entra. Alice in quel momento ha fatto una scelta ben precisa, ma lei ancora non lo può sapere.

Serena abita al secondo piano e lei sale le scale con le mani nelle tasche del maglione, sfiorando appena li scalini che luccicano tra quelle pareti grigie e spente.

Quando arriva al suo pianerottolo la porta è aperta e fuoriesce una leggera luce arancione, la madre della sua migliore amica è sulla porta e la sta aspettando con un sorriso stanco sul volto particolare. Sembra più vecchia dei suoi anni, quella sera.

-Ciao Marta- la saluta Alice, avvicinandosi con il sorriso a deformare le sue labbra.

La donna la fa entrare e richiude la porta, lasciandole una materna carezza sulla spalla coperta.

-Ciao tesoro, lei è in camera che ti aspetta-le dice Marta, asciugandosi la fronte con una mano per poi dirigersi verso il cucinotto da cui proviene il basso mormorio di una televisione accesa.

Alice sparisce nel corridoio tappezzato da foto di famiglia e di gare sportive di Serena quando praticava nuoto, e arriva davanti alla porta dipinta di blu della ragazza.

Non bussa nemmeno ed entra lasciandosi cullare dalla luce tenue che arriva da una piccola lampada a forma di sole, posata sul pavimento di cotto, e dalla voce malinconia di Ben Harper che proviene dalla cassa dello stereo.

La prima cosa che vede la bionda è il letto matrimoniale dalle coperte rosse, in cui Serena è rannicchiata, con la schiena appoggiata a dei cuscini e lo sguardo puntato sul soffitto.

-Che stronza, avevi detto che saresti venuta alle nove e sono le dieci e quarto- esordisce la rossa, parlando senza guardarla negli occhi con lo sguardo ancora verso il nulla.

-Per te gli orari non esistono, non fare la sciocca-

-Ma io mi sono annoiata terribilmente-

-Ecco perchè ti sei finita un intero pacchetto di biscotti al cioccolato fondente- le sorride Alice, mostrandole il contenitore di carta vuoto sopra la scrivania colma di libri e fotocopie.

Si sofferma a studiare tutti quei poster di cantanti famosi che tappezzano la parete dietro il letto, e ne rimane, come ogni volta, affascinata. Filippo piangerebbe di gioia.

Avanza nella stanza in penombra e si sdraia in fondo al letto, vicino ai piedi di Serena nascosti sotto le coperte.

Lei ora la sta guardando ed il suo volto è pallido e gli occhi cerchiati da profonde ombre viola; non deve aver dormito molto negli ultimi giorni, probabilmente la gamba ingessata le fa molto male. Non sembra nemmeno la stessa Serena.

-Raccontami, Alice- le dice con il sorriso sulle labbra secche e gli occhi socchiusi.

-Cosa?-

-Cosa ti pare, basta che mi parli un pò. Dimmi di Filippo- La sua voce è stanca come il suo volto trascurato. Sembra che stia per cedere al sonno da un momento all'altro.

-Filippo è un cretino e forse anche gay-

-Non è una novità che sia un cretino, ma questo fatto del gay mi è nuovo. Io intendo tra di voi, però-

Alice alza gli occhi al soffitto ed è impossibile non sorridere, soprattutto ripensando a quello che è successo soltanto qualche ora prima, al riparo dagli occhi esterni, nel buio della macchina dove le parole erano state pronunciate come un giuramento.

Serena intanto sta osservando la sua amica con tanta emozione e malinconia negli occhi. è innamorata, la sua piccola Alice.

-Ho capito, sei completamente persa e lui di te. A quando le nozze?- Riesce anche a ridere Serena anche se non è la risata frizzante che esce di solito dai suoi polmoni, dalla sua gola.

La bionda vorrebbe chiederle cosa le succede, se va tutto bene, ma ha come la sensazione che forse glielo dirà lei, molto presto.

-Sono allergica al marimonio, lo sai-

-Eri allergica anche all'amore e guarda che fine hai fatto!- Si porta una mano tra i capelli che tira su con una penna che ha preso dal comodino.

Alice sbuffa ma rimane in silenzio. Cosa potrebbe ribattere? Niente, l'unica cosa da fare è rimanere in un silenzio che è come una conferma per la sua affermazione.

-Ma ora parliamo di me! Lo sai che domani esco con un'infermiere?-

-Lip mi ha accennato qualcosa-

-Non è eccitante come cosa?- Eccola la sua Serena. Alice scoppia a ridere e si porta entrambe le mani sopra gli occhi pesanti.

-Assolutamente-

-Si chiama Alesssandro, bello come nome, vero?-

-Assolutamente-

-Mi vuole portare al cinema. Dio, è da quando avevo tredici anni che non vado a pomiciare al cinema!- La rossa batte le mani come una bambina felice, ma il suo sguardo non scintilla di gioia come dovrebbe.

-Tredici? Io direi anche nove, sei stata una bambina precoce- le dice Alice osservandola con la coda dell'occhio mentre i suoi piedi si muovono a un ritmo sconosciuto sul pavimento che toccano appena, sdraiata com'è.

-Lo ammetto-

Le loro risate si uniscono e coprono anche le note che escono dolci dallo stereo nella stanza.

Rimangono un pò in silenzio e ascoltano l'eco dei loro sorrisi che rimane nell'aria; è come tornare indietro nel tempo a quando tutto era facile e niente sembrava complicato. Quando niente avrebbe potuto scalfire quei giorni perfetti. Niente, assolutamente niente.

Ora non è più così e Alice lo capisce non appena Serena parla e la sua voce è un sussurro che rimbomba tra le pareti colorate di quella stanza.

-Sono malata, Alice-

Chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie talmente forte da sentire la testa dolere.

Un brutto sogno, è solo un brutto sogno.

Invece è la realtà e i suoi occhi ormai lucidi, la vedono spenta, opaca. Come da un vetro in una notte di gelo improvviso. Lei lo riesce a percepire sulla carne nuda strappata a morsi da una malattia che non è sua.

Quando l'aria rientra dentro i suoi polmoni Alice non lo sa, ma riesce benissimo a sentire le sue mani sudate che tremano e il cuore che è come un tamburo all'altezza della gola. La soffoca come se fossero due mani oppure una corda legata stretta.

-Respira- sorride Serena inclinando leggermente la testa per osservare meglio il suo viso. Le mani sono chiuse a pugno sulle gambe.

Alice non parla ma riapre gli occhi che ormai sono colmi di lacrime che vorrebbe versare e non riesce a vedere niente intorno a sè. Solo nero e sfuocato. Come il suo futuro, in quel momento.

Serena allunga una mano e tocca il braccio della ragazza immobile. Lo sfiora, come se potesse attaccarle anche a lei quel male terribile che l'ha presa quando aveva meno difese, quando non se l'aspettava.

è incredibile come una diagnosi e delle parole dette da un uomo laureato da anni, possano rovinare una vita. Bastano attimi.

-Leucemia linfatica, ha detto il dottor Cruschi. Sinceramente, a me quel dottore non è mai piaciuto poi molto, con quei baffi grigi e i pantaloni a quadri; ma poi quando è arrivato con i fogli dell'analisi in mano e l'espressione seria sul viso... ho pensato davvero di odiarlo-

Serena guarda fuori dalla finestra il buio che offusca tutto e tutti, e sorride, sorride come se non stesse parlando di una malattia, della sua malattia.

Alice la ascolta in silenzio. Non sa cosa dire ed è terribile.

-Me l'hanno diagnosticata qualche settimana fa dopo che mia madre mi ha fatto fare degli esami del sangue. Spossatezza per ogni minima cosa, il respiro non regolare e i linfonodi ingrossati. Sinceramente, cosa erano i linfonodi non lo sapevo nemmeno io prima che me lo dicesse lui. Dovrei incominciare la chiemioterapia in questi giorni e mi sono già documentata su internet. Sembra che non sia così grave e ci sono buone possibilità che...hai capito, no?-

Alice annuisce appena e sente la nausea salirle alle labbra come se le avessero appena dato un pugno alla bocca dello stomaco.

La paura le da le vertigini e non capisce come possa Serena sorridere tranquilla. Non capisce l'inferno che l'aspetta? Probabilmente si, ma lo trasformerà soltanto in un paradiso travestito.

-Non ho paura, Alice e non devi averne nemmeno te-

Alice guarda la sua migliore amica negli occhi e ci legge dentro un coraggio che lei non possiederà mai, la consapevolezza che la sua vita potrebbe spezzarsi da un momento all'altro e di non poterne godere le gioie e i dolori.

L'abbraccia di slancio stringendole le braccia intorno al corpo che ora sembra tanto fragile e indifeso. Nasconde il volto nei suoi capelli rossi e lascia che la ragazza ricambi la sua stretta ferrea.

Dovrebbe essere lei a consolarla ma è invece Serena che la culla come se fosse una bambina piccola che si è appena svegliata da un incubo terribile.

Le lacrime scivolano lungo le guance e bagnano il maglione di Filippo; sono inarrestabili e scendono veloci come neve fredda da una vallata.

Cerca di nasconderle il suo dolore ma le è impossibile.

-è meglio che vai, non far aspettare quel povero ragazzo. Ci vediamo, tanto- Alice annuisce contro la sua spalla mentre la mano dell'amica le accarezza i capelli lunghi dietro la schiena.

La stringe ancora un pò, annusando il suo odore e guardando i tratti del suo viso come per conservarne il ricordo, come se quella fosse l'ultima volta. E forse è così, non un addio ma un arrivederci.

Anche gli occhi di Serena ora sono pieni di lacrime e lei osserva quel viso così anonimo quanto speciale, seguendo il suo profilo con lo sguardo, quel sorriso fiero che lei vorrebbe poter vedere cambiare negli anni, magari mentre alcune rughe lo modellano.

Un ultimo saluto e un bacio sulla fronte. Vorrei rimanere con te, lo giuro, ma io non ho il tuo coraggio, lo sai.

Una scelta sta per essere fatta, probabilmente la più importante di tutta la vita di Alice e lei è all'oscuro dell'esito.

Due dadi in una mano tremante che vengono scagliati per terra.

Forse è vero, che noi siamo l'unici artefici del nostro destino.

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio signore e signori!

Questo è il famoso capitolo diciotto che ho scritto con il sorriso sul viso, la prima parte, e con un piccolo piccolo nodo alla gola, la seconda, come potete immaginare.

A me non convince molto, ma non è una novità. Aspetto il vostro giudizio, come sempre!

Risponderò alle recensioni appena possibile, mi dispiace tantissimo e vi ringrazio per le meravigliose parole che mi avete scritto. Mi sono commossa. :)

Un bacione,

Giulia.

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Capitolo 19
*** Il giorno di dolore che uno ha. ***


 

 

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Vi consiglio di leggere il capitolo ascoltando questa canzone, soprattutto per l'ultima parte:

http://www.youtube.com/watch?v=cjVQ36NhbMk&ob=av3e

 

 

 

 

 

 

Una macchina è ferma sul ciglio della strada e ogni tanto viene illuminata dai fari delle altre auto che le passano accanto rallentando, cercando di vedere oltre i finestrini appannati. Curiosi e avidi di un qualcosa fuori dal comune.

Nessuno però vede cosa succede all'interno di quella Opel nera, con un'ammaccatura sulla portiera destra e un faro che funziona a malapena.

Nessuno può vedere due ragazzi, entrambi con la testa rivolta verso il cielo oscurato dal tettuccio. Non vedono quella ragazza bionda che sembra così fragile rannicchiata su sè stessa, che piange stringendosi le braccia intorno al corpo scosso da tremiti e singhiozzi. Non serve a un cazzo essere forti in momenti come quelli.

Non riescono nemmeno a vedere il ragazzo seduto accanto a lei, con gli occhi arrossati, che prende dei respiri profondi; ha paura che gli si possa squarciare il petto da un momento all'altro.

La radio è spenta e l'aria è pesante come un macigno, all'interno dell'abitacolo dove due persone pregano in silenzio un Dio che sperano ci sia realmente.

Il loro dolore, nessuno lo può capire.

 

 

Filippo ha ascoltato le parole di Alice in silenzio, non recependo a pieno delle parole che erano solo un sussurro e ascoltando i suoi singhiozzi come se fossero sillabe mancanti.

L'ha accompagnata a casa subito dopo, guidando come se quella fosse la via per l'inferno.

Ha parcheggiato l'auto sotto casa e sono scesi in silenzio, facendo anche attenzione a non sbattere troppo violentemente le portiere. I palazzi sembravano schiacciarli.

Lui le ha lasciato un bacio sulla fronte, una carezza sulla spalla e delle parole di conforto. Le ha dato la buonanotte, aspettando che entrasse dentro al portone del suo palazzo.

Quando è scomparsa dalla sua vista, Filippo si è appoggiato stancamente al cofano della sua macchina e ha tirato fuori il suo pacchetto di Marlboro rosse. Ne ha sfilata una e l'ha accesa con l'accendino che teneva nella tasca posteriore dei jeans, dove sta sempre.

Gli è quasi sembrato che quello fosse l'ossigeno che gli era mancato per minuti interi nella macchina. Aspettava che arrivasse quel sapore amore e dolce allo stesso tempo del suo piccolo e innocuo vizio. Non era arrivato niente, però.

Filippo fissa la sua sigaretta, fumata per metà, e la guarda come se improvvisamente fosse diventata un nemico da sconfiggere, come se avesse perso il suo dolce nettare e la sua magia. Non accarezza più i suoi polmoni ma li graffia.

Prende in mano il pacchetto praticamente nuovo e ne accarezza la superficie liscia che gli è tanto famigliare, osservando la scritta di nero.

Amico mio.

Una ragazza le passa davanti, coperta da un vestito nero e un maglioncino blu legato ai fianchi stretti.

Cammina su un paio di tacchi instabili e i capelli scuri sono puntati sulla nuca in un'elaborata acconciatura.

Nota con la coda dell'occhio la figura di Filippo e torna lentamente sui suoi passi, cercando di evitare una buca.

Si stringe le braccia sotto al seno e gli si avvicina con un sorriso sul volto, nel silenzio della sera dove l'unico suono presente è quello delle sue scarpe sul marciapiede. Il dolore di quel ragazzo non lo può sentire, una sorda in quella realtà.

-Scusami?- Lo chiama inclinando leggermente la testa per vedere meglio il suo volto.

Filippo sposta la sua concentrazione dalla sua sigaretta a quel volto sconosciuto e corruga la fronte coperta da qualche ciuffo scuro. Dovrebbe tagliarsi i capelli, sua madre glielo dice sempre.

-Ciao, hai mica una sigaretta?- Glielo chiede con un tono di voce dolce, quasi melenso e gli si avvicina di un altro passo togliendogli l'aria, entrando nel suo spazio vitale.

Il ragazzo guarda il pacchetto che tiene nel palmo della mano e con un sospiro glielo passa.

-è tutto tuo- Lascia il suo migliore amico nelle mani di quella ragazza senza un'identità e,con un sorriso triste sul volto, attraversa la strada non guardandosi mai indietro.

Probabilmente se quella sera non avesse dato il suo pacchetto di Marlboro a quella ragazza, Filippo sarebbe morto a sessantacinque anni per un grave tumore hai polmoni. Una scelta più che azzeccata, bisogna dire.

 

 

Alice entra in casa in punta di piedi, cercando di contenere i singhiozzi e di evitare i mobili nell'ingresso che non vede a causa della vista sfuocata.

Si appoggia con una mano alla parete dipinta di verde e lascia scivolare dalla sua spalla la borsa a tracolla che cade sul pavimento non facendo alcun rumore.

Dal salotto proviene il chiacchiericcio e la luce del televisore acceso. Alice avanza nel corridoio buio e si affaccia nella stanza, non riuscendo nemmeno a rimuovere le lacrime che continuano a scendere dai suoi occhi stravolti. Non le vuole eliminare, vuole che ci sia la traccia del suo dolore.

La figura di suo padre Stefano la riesce a vedere a malapena ma può intuire la sua epressione preoccupata sul volto costellato da piccole rughe dell'età.

-Alice...- La voce bassa e dolce di suo padre è come acido sulle vene e lei si deve tappare forte la bocca con entrambe le mani per paura che esca il grido che vuole liberare da ore.

Come si ritrovi tra le braccia di suo padre, Alice non riesce a capirlo. Si sfoga, piange e urla, già. Suo padre le dice di urlare per liberarsi di quello che la sta schiacciando.

E Alice ha gridato, si, ha urlato, maldetto e pregato insieme.

Stefano l'ha tenuta tra le braccia finchè non si è addormentata stremata e poi l'ha coperta con un plaid caldo. Il suo corpo era freddo come la pietra, non c'è più niente al suo interno. Vuota.

 

 

Alice ha sempre odiato i clichè.

Nei film, libri, nella vita ci sono clichè ogni volta che ti guardi intorno.

Lei, in prima persona, rappresenta un clichè: innamorata del suo migliore amico.

Quando l'ha capito ha odiato il mondo per una settimana intera, soprattutto se stessa, ingozzandosi per poter riempire il vuoto nel suo stomaco.

Piano piano si è dovuta abituare a quel sentimento che le faceva provare cose strane, addirittura disgustose se si pensa alle farfalle nello stomaco. E ancora più terribile era pensare che si fosse innamorata di Filippo.

Quasi non ci voleva credere.

Alice lo pensa ancora, nonostante siano passati parecchi anni. Come diavolo ha fatto ad innamorarsi di lui?

Quando pensa alla la sera prima, però, in parte si capisce. Le passano davanti agli occhi ancora sigillati, i momenti che hanno passato insieme ed è incredibile come siano cambiati, come lui sia potuto diventare la sua vita. Lui, che ha imparato ad allacciarsi le scarpe in prima media.

Con questo pensiero, Alice si alza dal divano su cui si è svegliata qualche ora prima e cammina lentamente fino al bagno, cercando di guardarsi il meno possibile allo specchio rotondo che le riporterebbe la sua faccia distrutta da una notizia inattesa.

Si butta sotto la doccia ancora vestita e sfrega i capelli come se potesse rimuovere tutti i pensieri che il suo cervello sta elaborando.

Il vestito che indossa le si appiccica sulla pelle e si perde nel rumore dell'acqua che le si infrange addosso. Ha sempre avuto il potere di farla rilassare.

Si toglie i vestiti di dosso come se fossero pesi e si sfrega tutto il corpo con il sapone che profuma di more.

Le lacrime sono finite, forse è vero che c'è n'è un numero limitato per persona.

 

 

Filippo non ha visto Alice per tutto il giorno e non ha risposto alle sue chiamate, finendo per andarle a suonare in casa verso l'ora di cena.

Gli apre Stefano, osservando la sua figura stagliata sull'uscio della porta come se si aspettasse di vederlo.

Gli fa un breve sorriso e poi si mette di lato per farlo entrare.

Si allontana nel corridoio coperto da quadri dai colori sgargianti ed entra nel cucinotto dove un tempo, lui ed Alice, si preparavano la merenda a base di pane e Nutella.

Trova l'uomo appoggiato all'acquaio che sta versando del caffè in due tazze e gli da le spalle.

-Non è in casa- gli dice, appoggiando la macchinetta sul mobile di legno vecchio e posando le due tazze sul tavolo. Una delle due è per lui.

Stefano è serio e negli occhi ha come una sorta di malinconia e rassegnazione che scombussola Filippo.

-E suppongo che lei non sappia dov'è andata-

L'uomo annuisce brevemente, sedendosi sulla sedia e prendendo un lungo sorso di caffè.

Il ragazzo riesce a vedere i tratti simili a quelli della figlia e il loro gesto di passarsi un dito alla base del naso quando sono nervosi.

-Era sconvolta ieri sera, non l'ho mai vista così. Stavo per chiamarti-

Filippo stringe le mani intorno alla tazza e china il capo, osservando la tovaglia che ricopre il tavolo su cui sono disegnati dei girasoli.

L'ha scelta Alice qualche mese prima, gli sembra di ricordare.

-Mi ha detto di Serena, solo poche parole-

-Anche a me-

L'uomo dai capelli brizzolati alza lo sguardo sul ragazzo e si porta una mano sulla spalla che sembra dolergli.

-Credo se ne voglia andare e non penso tu possa farle cambiare idea-

Quella frase è come un pugno allo stomaco, per la seconda volta.

Filippo apre la bocca e la richiude, gli occhi verdi sono sgranati come se quel colpo lo avesse ricevuto veramente.

-Non ci credo. Non è possibile-

-Alice se ne sta andando, Filippo- Glielo dice lentamente come per fargli entrare quelle maledette parole nel cervello, un marchio a fuoco.

Si alza in piedi come se la sedia stesse per prendere fuoco ed esce di casa, lasciando che la porta si chiuda da sola con un scatto secco che rimbomba nel palazzo.

Stefano rimane in silenzio con la tazza tra le mani. Il capo chino e sul viso un'espressione rassegnata.

La sua bambina se ne sta andando e lui la può solo fissare impotente.

 

 

Filippo corre giù dalle scale e per poco non travolge il signor Graziani che esce di casa con il suo meticcio malato.

Spinge forte il portone come se fosse la sua via si fuga ed attraversa la strada, senza nemmeno guardare se arrivano macchine.

La strada sterrata la fa praticamente di corsa, con il poco fiato che ha nei polmoni. Ha fatto bene a smettere di fumare.

Rallenta quando vede la porta del garage leggermente aperta e sente della musica bassa uscire da quello spiraglio di luce, una torcia nel buio della sera di settembre.

La figura di Alice è vicino al letto e lui torna a respirare.

Lei lo sente entrare nella stanza e ,trasalendo per la sorpresa di trovarselo lì, fa scivolare qualcosa nella tasca della felpa.

-Che cazzo stai facendo?- Nelle sue parole e nei suoi occhi c'è la furia.

-Filippo...-

-No, io voglio sapere che diavolo ti è venuto in testa! Te ne stai andando?- Oltre alla furia c'è tanta paura e il corpo di Alice si rilassa, avvicinandosi di un passo al suo.

Lei rimane in silenzio o lo guarda senza parlare. Come sono belli i suoi occhi quella sera? Le fanno tremare le gambe.

-Dimmelo, Alice! Lo devo sapere! Io..perchè? Me lo dici?! Vuoi abbandonare Serena?-

-Lip...-

-Stai zitta!- Si porta una mano sugli occhi e cerca di recuperare un minimo di contegno che non lo faccia urlare come un matto. Perchè Filippo è matto, sta impazzendo dal dolore.

-No, Lip, non me ne vado- gli si avvicina a piccoli passi, strusciando le scarpe sul pavimento, continuando a guardarlo negli occhi che la stanno quasi uccidendo.

-Non dirmi le cazzate! Non le voglio sentire le cazzate che dici-

-Non sto partendo-

Una bugia, una bugia bianca a fin di bene, si ripete dentro di sè Alice, mentre poggia la sua mano tremante sul suo petto.

Avvicina i loro volti, accarezza i suoi capelli e ascolta il suo respiro impazzito, inalando il suo profumo.

-Sono qui, sono qui, sono qui..- gli dice, parlandogli nell'orecchio. Sembra quasi una mamma che rassicura il figlio.

Tocca con tutta la pianta della mano quel corpo che lei considera suo, che vuole esplorare da tempo.

Gli alza la maglia e le sue dita ingorde gli accarezzano la pancia, i fianchi, ovunque possa arrivare.

Filippo fa dei respiri profondi e poi prende il suo viso tra le mani e la bacia. La bacia quasi con violenza, mordendole il labbro.

è un bacio rabbioso, il suo.

Stringe i suoi capelli tra le mani come se fossero paglia scaldata dal sole e la spinge fino al bordo del letto. Cadano entrambi e il rumore che provoca quella caduta è quanto di più bello ed eccitante che ci sia.

Alice porta le sue mani intorno al suo collo, tra i ciuffi scuri Traccia i contorni del suo viso non riuscendo a capire più niente.

Lo fa spostare di schiena sul letto dalle molle cigolanti e si porta a sedere sul suo bacino, strofinando le sue cosce sui suoi jeans chiari.

Si china su di lui e ricomincia a baciarlo, lasciando che i suoi capelli biondi li coprino, come un mantello, dal mondo esterno.

-Non lasciarmi solo- le ripete come una litania, sussurrandoglielo sulla bocca, sulla lingua, sul collo e sui capelli ribelli.

Alice tira su la sua maglia e gliela sfila; si china sul suo collo e incomincia a baciare, a leccare la sua pelle che brucia, brucia veramente. Alcuni sospiri riempiono l'aria silenziosa dolce come la cioccolata che macchia i vestiti e sporca le labbra.

Le mani Filippo arrivano veloci alla cerniera della felpa della ragazza ma quella sembra inceppata. Tira una, due volte. Stacca anche le labbra dalle sue per individuare il nemico che lo tiene lontano dalla sua pelle nuda.

-è finta, Lip. è una cerniera finta- gli sussurra Alice in un orecchio, con il sorriso sulle labbra arrossate.

-E come...-

Non finisce la frase. Alice poggia le mani sul bordo dell'indumento e lo tira via. Lontano da loro, lontano dalla loro frenesia.

Filippo spera che non la ritrovi più, quella maledetta felpa, ora che lei è nuda davanti a lui.

Non indossa una cannottiera, nemmeno il reggiseno. Il suo seno è nudo come lo sogna da mesi, lo ha sognato anche ad occhi aperti.

Le mani impacciate si appoggiano su quella pelle chiara, con paura, come se sapesse che può lasciare dei segni.

è Alice a far posare le sue dita sulla sua carne scoperta ed è sempre lei che abbassa le mani fino alla sua cintura e gliela sfila, giocando con il tessuto al di sotto dei pantaloni.

Respiri e ansiti nella stanza buia. Il buio rende tutto quasi irreale. Entrambi sperano che non sia un sogno.

Filippo si toglie i jeans, lasciandola libera di disfarsi del suo vestito.

Ora sono entrambi sdraiati di schiena sul letto, con solo le mutande a coprirli. Eccola, la paura che prima o poi doveva arrivare.

Lui allunga una mano sul copriletto e incontra quella di Alice che è sudata. Incrocia le loro dita e la guarda negli occhi spaventati.

La loro prima volta.

Si ribaciano, quasi tremanti, e lui si porta sopra di lei, appoggiandosi sui gomiti, con tutto il corpo a contatto con il suo. Cosa prova in quel momento, nemmeno Filippo lo sa.

Mani che esplorano e tolgono qualcosa che non serve più. Un sospiro e un gemito più forte nell'aria e una bocca che lo intrappola e lo nasconde sotto la lingua, nel palato.

Mani che risvegliano un desiderio che c'è sempre stato e, probabilmente, non andrà mai via.

Le mani di Alice, che arrivano dove nessuna è mai stata, dove solo la sua, di mano, ha potuto darsi piacere.

Un sospiro e un gemito, mille gemiti.

Dov'è l'imbarazzo che dovrebbero provare? Non esiste, c'è solo il loro amore, perchè è così che dobbiamo chiamarlo.

Pelli, ossa che si contano con i polpastrelli di dita umide, baci profondi e altri in superficie di un mare di piacere.

Un incastro e il dolore e il piacere di entrambi che si fondono e i loro movimenti da impacciati diventano armonici. Non è la danza più antica del mondo?

Mille parole vengono dette quella notte ma solo Alice e Filippo ne conservano il ricordo.

Due parole vengono ripeute all'infinito tra urla di gioia in un momento felice in una realtà che vorrebbe fosse diversa. Vorrebbero godere appieno di quello che li è successo, senza privarsi di niente. Ma non è possibile.

 

 

Quando Filippo si alza, la mattina dopo, trova il letto vuoto e non riesce a stupirsi. Ieri sera lei stava mentendo e lui lo sa.

Toglie il lenzuolo da sopra il suo corpo, cercando di non guardare troppo il letto e si infila i jeans che trova sul pavimento. Il suo cuore batte più di ieri notte.

Si sta per infilare la maglia quando nota qualcosa sul giradischi ormai fermo da tempo.

Un pezzo di carta che non vorrebbe aprire. Si siede sul bordo del letto, allungando le gambe.

Che stronza, non ha nemmeno avuto il coraggio di dirglielo in faccia.

 

"Stai sorridendo.

I casi sono due: o stai sorridendo oppure sei incazzato nero. Probabilmente sei un incazzato che sorride.

Mi sento terribilmente stupida a scriverti una lettera, ma questo lo sai. Sono anche sicura che starai strizzando gli occhi perchè non ci capisci niente nella mia scrittura disordinata e ti chiederai perchè non l'ho scritta al computer. Se fossi lì con te, ti risponderei che nelle lettere scritte a mano c'è più sentimento, sono calde e l'odore della carta misto a quello dell'inchiostro è un qualcosa che va assolutamente provato.

No, Lip, non è come la droga; forse è anche meglio.

Non sono molto brava con le parole e questa è la prima lettera che scrivo nella mia vita con di sottofondo i Led Zeppelin, già non ci credo nemmeno io.

Non ho mai mandato nessun biglietto a Babbo Natale o alla Befana.

Nessuna lettera alla mamma per farmi perdonare o al fidanzato; alle elementari per San Valentino non ho mai mandato bigliettini con frasi d'amore ai miei compagni, anche perchè l'unico a cui avrei voluto mandarli, era nascosto dentro un armadio in classe ed era terrorizzato da tutte quelle bambine che erano innamorate di lui e dei suoi riccioli neri.

Te lo ricordi, Lip?

Se devo essere sincera, non so nemmeno cosa scriverti in questa lettera che non ha un suo perchè; probabilmente dopo la prima riga ti sarai già fermato. Non ero neanche sicura di volertela dare. Ieri sera era venuta nel garage per lasciartela sul letto senza farmi nemmeno vedere ma poi c'eri tu e sai bene cosa è successo.

No, non te l'ho scritta questa mattina all'alba, guardandoti nel viso addormentato illuminato dalla luce flebile del lucernario, nudo dalla vita in su e con un'espressione serena nel volto che ho visto trasformarsi nel tempo. Non ce l'avrei mai fatta.

L'ho lasciata sopra il giradischi dove probabilmente l'hai trovata e poi mi sono rimessa a letto con un sospiro, sdraiata al tuo fianco, tra le tue braccia. Finalmente.

Mi sono presa quell'ultimo abbraccio con la forza. No, tranquillo, ho scritto ultimo abbraccio per fare un pò di scena. Filippo noi ci rivedremo, mi prendo solo un anno sabbatico, se così si può dire.

Una pausa da tutto, da questa città, da mio padre, da mia madre...dal mondo. Ne ho bisogno, non condannarmi per la mia scelta. Non condannare la mia paura.

Io non ce la posso fare a vedere la mia migliore amica sparire giorno dopo giorno come sparirà il suo sorriso e i suoi capelli rossi. Non posso vedere quella maledetta malattia che me la strapperà dalle braccia.

Non odiarmi, mio Lip. Capiscimi come mi hai sempre capita, pensami come mi hai pensata in questi anni ma soprattutto augurami buona fortuna. Una vita senza di te...non riesco nemmeno ad immaginarmela.

Cazzo, sei stato la mia aria per diciotto anni, come farò adesso a respirare? Ho passato tutta la notte sveglia ad inalare il tuo profumo di cui anche le lenzuola sono impregnate. Vorrei poter avere una bottiglia per conservarcelo dentro. Si, lo so, è un pensiero talmente sdolcinato che non credi possa averlo formulato io. E invece è così.

Vorrei scriverti talmente tante cose...vorrei poter guardare un altro film con te in quel letto dalle molle cigolanti e il televisore dallo schermo graffiato. Vorrei salire un'altra volta con te sul tetto del mio palazzo, con una coperta gelata a tenerci caldo in una notte che è solo nostra.

Vorrei poter prenderti in giro per farti arrabbiare e poi vederti venire da me per chiedermi tu, scusa. Vorrei ballare un lento impacciato nel nostro garage, con di sottofondo Frank Sinatra che canta.

Vorrei baciarti ancora come ti ho baciato l'altra sera in macchina, in quel campo deserto dove c'eravamo solo noi due, fare di nuovo l'amore, oh si l'amore e non sesso, poterti stringere come se potessi cadere nel vuoto da un momento all'altro e tu sei l'unico mio appiglio.

Vorrei fare tante altre cose con te, amore mio, che tu nemmeno immagini. E le faremo, ne sono sicura.

La carta sta per finire e la mia lettera da imbranata quale sono sta per terminare.

Ricordati le mie parole di ieri, scrivile su un foglio di carta se è necessario ma io sono sicura che non te le scorderai.

Perdonami, non subito magari, ma con il tempo.

Questo non è un addio Filippo, è solo un'arrivederci. Ti prego butta questa lettera il prima possibile, non voglio che sia questo l'ultimo ricordo di me che ti farà compagnia per un pò. Immaginami ancora nuda al tuo fianco, con i miei capelli che ti solleticano il collo.

Ah, la lettera è bagnata perchè mi ci è caduta sopra dell'acqua, tranquillo.

P.s. il tuo cactus non è così orrendo.

P.s.s. Sto piangendo, Lip, e tu puoi vedere le mie lacrime solo su questo pezzo di carta. Forse è meglio così.

Ciao, amore mio.

La tua ragazza con seri problemi psichici."

 

 

Puttana. Alice, sei una puttana.

Un foglio di carta rigato da alcune lacrime calde cade sul pavimento sporco e un ragazzo innamorato esce dal garage, lasciandolo a marcire lì dove probabilmente sta marcendo anche il suo cuore.

 

 

 

 

 

Molti di voi probabilmente hanno condannato la scelta di Alice di andarsene (naturalmente spiegherò in modo migliore le sue motivazioni nel prossimo capitolo) mentre altri saranno d'accordo con lei.

Io ho voluto mettermi nei suoi panni, dopo quanto a sofferto nella sua vita. Lei non se ne è andata per sempre, come ho scritto anche, si è presa una pausa dal mondo, se vogliamo dirla così.

Non condannatela, come non dovrebbe farlo nemmeno Filippo, perchè ha "abbandonato" Serena. Lei ci sarà, anche se non fisicamente.

Nel prossimo capitolo capirete tutto.

Ho scritto con le lacrime agli occhi e il nodo alla gola; mamma ogni tanto passava a controllarmi e mi guardava con una faccia allucinata. Per me scrivere, questa volta, è stato terribile, io che amo ridere e farvi ridere.

Spero che vi sia piaciuto e vi ringrazio ancora per le recensioni e per tutto quello che mi scrivete, tutto l'aiuto che mi date. Risponderò nelle prossime ore o giorni ;)

Un bacione grande grande grande e un abbraccione per voi.

Spero che non starete piangendo eh!

Giulia :)

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Capitolo 20
*** Solo per te. ***


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"20 Gennaio. Città di Castello, Umbria.

 

5 gradi.Freddo del cazzo e pioggia.

Voglio una cioccolata calda, la pretendo.

Ah già, vorrei anche lui ma lui non costa tre euro.

Meglio la cioccolata e 'fanculo se ingrasso."

 

 

 

 

Il treno scivola lento sulle rotaie consumate, lasciando ad Alice il tempo di osservare cosa l'aspetta fuori da quel finestrino sporco di polvere e da quel vagone colmo di volti sconosciuti.

I capelli biondi sono stati raccolti con una penna blu a cui manca il tappo colorato e gli occhi, sempre dello stesso caldo marrone, sono puntati sul quaderno dalla pagina bianca coperta da parole scritte con una calligrafia disordinata. Quello dalla copertina rossa è il suo diario.

Alice scrive un diario, già. L'ha comprato a Ferrara, la prima tappa del suo viaggio, o meglio dire fuga.

Appena arrivata alla stazione si era fermata ad un tabacchi per comprare una cartina della città e un pacchetto di sigarette. Quel quaderno era sopra ad un pacco di giornali a basso prezzo e senza pensarci due volte l'aveva comprato.

Non c'aveva scritto niente per una settimana, lasciandolo in fondo al suo consumato zaino verde come se non fosse mai esistito.

L'aveva preso in mano una domenica mattina, seduta per terra alla stazione di Bologna, mentre aspettava il treno delle nove e mezza mangiando una piadina cotto e formaggio. Quel giorno c'aveva scritto per la prima volta senza sapere nemmeno cosa stesse facendo; più per noia che per necessità.

Aveva segnato la data del giorno e disegnato una piccola F al bordo del foglio.

L'aveva strappato dopo nemmeno due secondi.

Quando le ferite sono troppo fresche, non è bene buttarci sopra del sale.

 

 

Alice si appoggia al sedile blu e chiude gli occhi stanchi, incrociando le braccia sotto al seno che sfregano contro il maglione di lana nera. Il pollice destro gioca con l'anellino che tiene all'indice.

La signora di colore che è seduta nel sedile accanto al suo sta parlando al telefono, ma Alice riesce a recepire solo poche parole.

Nel sedile davanti c'è una bambina dai corti capelli rossi che sfoglia un libro che non riesce nemmeno a tenere tra le sue piccole braccia.

Il treno attraversa lentamente una stazione sconosciuta e deserta e l'orologio attaccato al muro dipinto di giallo segna mezzogiorno e un quarto. La data: 20 gennaio.

Alice chiude di nuovo gli occhi e si lascia accarezzare dalla lana del suo maglione che tocca la sua pelle come se fosse velluto. E pensare che lui odia la lana.

20 gennaio.

Si, oggi è il suo compleanno.

 

 

-Cosa vuoi fare per il tuo compleanno?-

-Io odio il mio compleanno-

-Lo so, ma non puoi fare come l'anno scorso che ti sei rinchiuso nel garage tutto il giorno e ti sei visto per due volte di fila Forrest Gump-

-A me fa ridere quel film-

-Guardi Fantozzi, se vuoi ridere-

-Non ci capisci niente di film, Alice-

-Te non capisci niente e basta, Filippo-

 

 

 

-Tieni-

-Che cos'è?-

-Il nuovo film di Rocco Siffredi-

-Di chi?-

-Dio, Lip, ma sei umano?-

-Credo di si-

-Io credo di no. Questo è il tuo regalo di compleanno, comunque-

-Ah, grazie. Lo apro a casa, lo sai che non sopporto aprire i regali davanti ad altra gente-

-Lo so, E.T.-

 

 

 

Alice scende dal treno con il suo zaino verde sulle spalle e una sciarpa di lana rossa che le scende dal collo.

Cammina nel traffico della mattina, sentendo i muscoli risvegliarsi dopo il riposo a cui sono stati imposti.

Si fa spazio all'uscita, buttando il biglietto obliterato nel cestino nero che trova vicino alla biglietteria.

Socchiude leggermente gli occhi quando esce dall'ambiente riscaldato e si guarda intorno, allungandosi sulla punta dei piedi per vedere oltre quel muro umano.

Sorride quando vede una figura maschile appoggiata ad una macchina grigia.

Il ragazzo biondo le sorride, sfigurando la sua bocca contornata da un filo di barba che copre una cicatrice vicino al labbro inferiore.

Si chiama Gianni, quel ragazzo, e sta aspettando proprio Alice.

 

 

 

è completamente buio all'interno di quella stanza.

La lampada di sicurezza emette una luce inattinica rossa ed è messa proprio vicino all'ingranditore che Alice ha usato poco fa.

Ora lei osserva una foto che ha appena attaccato con una molletta ad un filo chiaro poco sopra la sua testa, e le goccioline che si formano ad un'estremità, cadano silenziose dentro la vaschetta posta sotto di essa.

I capelli di Alice sono sempre raccolti ma si è tolta il maglione pesante ed è rimasta con una leggera maglia grigia a maniche lunghe.

Le mani sono posate sui suoi fianchi e la testa è leggermente inclinata da una parte, per riuscire meglio a vedere quello che ritrae la superficie di quel foglio ancora bagnato.

Ci sono due ragazzi, in quella foto, seduti su un divano blu che mangiano dei biscotti da una busta gialla che il ragazzo moro tiene tra le braccia.

è estate, in quella foto, e lui indossa una felpa pesante con il cappuccio.

Lui, è sempre stato freddoloso.

Lei e Filippo sorridono con la bocca sporca di briciole e cioccolato all'obiettivo.

Alice sorride e tocca con la punta delle dita la superficie umida, tracciando i contorni di quel volto che non vede da mesi.

I ricordi, dopo un pò, sfuggano dalla memoria come per liberarci di un dolore troppo grande da sopportare.Lei deve cercare le prove che Filippo nel suo passato c'è stato e spera ci sarà anche nel suo futuro.

Si, oggi lui compie diciannove anni.

 

 

 

Alice ha lasciato casa sua la mattina del 9 settembre, dopo che lei e Filippo avevano fatto l'amore.

Lei era sgusciata fuori dal letto e dalle sue braccia, lasciandogli la lettera corretta sopra al giradischi; non l'aveva nemmeno guardato prima di uscire di fretta dal garage.

Era tornata a casa, aveva ficcato tutta la sua roba in un borsone che un tempo era stato di sua madre e preparato lo zaino.

Era uscita in silenzio dalla camera, lasciando anche la porta leggermente socchiusa.

Suo padre l'aspettava nel cucinotto, seduto sulla sedia di paglia che aveva comprato tanti anni prima.

Girava con un cucchiaino il suo tè dentro ad una tazza rossa, mentre con l'altra mano si toccava i capelli scuri con qualche capello grigio qua e là come a ricordargli la sua età.

Si era girato a guardarla quando si era fermata sulla soglia della cucina e nei suoi occhi c'aveva letto la stessa determinazione che vi aveva letto nello sguardo della moglie quando era fuggita via tempo prima.

In quello di Alice, però, c'era dell'altro. C'era dolore, rimpianto e paura, tanta paura. Della vita, soprattutto.

Con le dita ancora strette intorno alla tazza calda, aveva bevuto l'ultimo sorso di tè, e si era alzato in piedi, lisciando con le mani ruvide le pieghe che si erano formate sui pantaloni di cotone scuro.

-Prendo le chiavi dell'auto e andiamo-

Stefano l'aveva accompagnata in silenzio alla stazione, con un Alice muta al suo fianco che non riusciva a capire il gesto del padre.

Aveva parcheggiato lontano dalla porta principale, e prima che scendesse, l'aveva stretta in un goffo abbraccio, accarezzandole i capelli sciolti proprio come quando da bambina non riusciva a risolvere un'equazione di matematica.

-Mi dispiace, papà- gli aveva detto in un sussurro soffocato.

Lui l'aveva stretta ancora di più a sè e cullata per un attimo. L'aveva poi lasciata andare e guardata con un sorriso triste sul volto.

-Visita Città di Castello, dicano sia una meraviglia. Se vai a Bologna devi prendere assolutamente la piadina cotto e formaggio, ma non ti consiglio Venezia; troppi piccioni, lo sai-

Alice aveva sorriso felice nascondendo quella felicità dietro una mano; i suoi occhi avevano parlato per lei.

Un ultimo abbraccio, un ultimo bacio sulla fronte e poi era scesa con le sue poche cose tra le braccia.

 Il coraggio che le mancava glielo aveva appena dato il suo papà.

 

 

 

Uscendo dalla camera oscura, Alice si stiracchia le braccia indolenzite per il viaggio in treno e socchiude gli occhi, facendogli abituare alla luce che entra dalla vetrina del negozio.

Un signore di mezza età è seduto su una sedia girevole al grande bancone di legno e sta controllando dei fogli sistemati dentro una cartellina.

Gli occhiali gialli sono posizionati sul naso troppo grosso per il suo viso e coprono gli occhi di un pulito azzurro con delle pagliuzze verdi.

Borbotta qualcosa tra sè, mentre il caffè nero dentro la tazza posizionata vicino a lui, si va pian piano raffreddando.

Gianni è fuori dal negozio e sta pulendo con un vecchio straccio la vetrina, corrucciando la fronte, concentrato in quella semplice operazione.

Alice si appoggia allo stipite della porta e con uno sbadiglio che non tenta nemmeno di bloccare, alza gli occhi verso il grande orologio a forma di macchina fotografica sulla parete completamente bianca.

-Sempre a guardare l'ora, bionda. Hai un appuntamento, per caso?-

-Non che io sappia- risponde Alice a Piero, girandosi verso di lui con un pigro sorriso sulle labbra screpolate dal freddo di novembre.

L'uomo scuote la testa su cui sono rimasti pochi capelli bianchi e posa di nuovo lo sguardo sui fogli che tiene in mano.

-Non mi dire!-

-Cosa?-

-La nostra acida biondina si è innamorata?-

Un "no" pronunciato ad alta voce, fa girare entrambi verso la vetrina, dove il ragazzo biondo osserva la scena con il naso spiccicato sulla vetrina piena di fotografie in bianco e nero, che ha appena pulito.

Con la punta dell'indice bagnata, disegna un cuore sul vetro ed una A al centro.

Alice scoppia a ridere, gettando la testa all'indietro, mentre Piero borbotta sconsolato l'azione del suo giovane impiegato.

La ragazza segue divertita la scena del suo datore di lavoro che riprova il nipote e con una punta di malinconia osserva il cuore disegnato sulla vetrina.

Magari potesse cancellarlo con uno straccio vecchio.

Peccato che pulsi ancora, forte e chiaro lo sente al suo interno.

Batte ancora, batte per lui.

 

 

 

Il negozio chiude alle otto e di solito è Gianni che accompagna Alice alla stazione per farle prendere il treno delle otto e venticinque che la porterà a San Paoletto, dove c'è il suo piccolo bilocale in affitto che paga con lo stipendio da mediocre fotografa nel negozio di Piero.

Quella sera però, Gianni deve rimanere a sviluppare alcune foto che andranno consegnate il giorno dopo, e ad Alice non resta che prendere l'autobus alla fermata in piazza San Michele.

La rallegra l'idea di poter fare una passeggiata mentre il gelo della sera le fa ghiacciare i vestiti addosso e di non dover ascoltare i cd terribili che il biondo inserisce ogni giorno nella sua auto.

L'autobus arriva stranamente in orario e Alice sale con il suo logoro zaino, sedendosi nei posti in fondo vicino al finestrino.

Poggia le gambe nel sedile di fronte e, con il cappuccio calato sulla testa, si appoggia al vetro bagnato dall'umidità.

Le gocciole che scendono lente sulla superficie sembrano delle lacrime che cadano silenziose da delle guance pallide.

Sembrano le lacrime che ha versato lei in questi mesi, nel silenzio del suo appartamento, in quella quiete che l'aveva spaventata all'inizio.

Sembrano le lacrime di Serena, che ha versato quando Alice è andata a dirle lo stesso arrivederci che ha detto a Filippo.

Quel giorno piangeva con il sorriso sulle labbra, la sua migliore amica.

 

 

Quando quel pomeriggio dell'8 settembre, Serena aveva visto comparire la figura tremante di Alice sull'uscio della porta della sua camera, non si era stupita più di tanto e con un sorriso malinconico l'aveva fatta sdraiare nel letto accanto a lei, con la testa postata sul suo cuore che pulsava impazzito.

Mentre Alice parlava, parlava e lacrime calde scendevano lungo tutto il suo viso e finivano nei suoi vestiti, Serena l'aveva ascoltata in silenzio, stringendole la mano e accarezzandole i capelli lunghi come fossero seta che scivolava tra le dita.

-Vai- Glielo aveva detto lei, con il nodo alla gola e un peso sul cuore che le rallentava i battiti.

Il suo viso stanco si era aperto in un sorriso, mentre Alice negava e le diceva che voleva restare e che non ce l'avrebbe fatta a starle lontano. Lei era la sua migliore amica.

-Devi andare, Alice. Lasciati alle spalle questa merda che c'è qui e tutti i problemi che non ti hanno mai fatta respirare, va via per un pò. Io sarò qui al tuo ritorno, stronzetta, non ne dubitare-

Erano scoppiate entrambe a piangere mentre i gemiti sconnessi di Alice le facevano quasi mancare il respiro.

Il dolore era quel filo di lana invisibile che le stava unendo in quel momento. Entrambe aspettavano il momento in cui l'avrebbero tagliato.

Insieme.

 

 

Alice apre gli occhi assonnati e guarda il suo riflesso sul vetro bagnato dell'autobus su cui poche persone viaggiano.

Osserva il suo viso indentico a quattro mesi prima che lei vede con una luce diversa, più opaca. Come se ci fosse un velo di nebbia a coprirlo.

è così che si sente da un pò, e così si sentiva anche qualche giorno fa.

Quel giorno non si seniva nemmeno la stessa Alice di sempre, come le capita spesso, ormai.

Le sembrava di essere un corpo a sè, senza un nome e un'identità. Senza una storia da raccontare e un passato che l'aveva attraversata. Le era bastato comporre un numero con la mano tremante ad una cabina telefonica che puzzava di piscio e birra in una piazza sconosciuta.

Le era bastato sentire la sua voce per ricordarsi chi era. Il suo nome pronunciato da lui, anche se con rabbia e probabilmente dolore, l'aveva fatta sempre sentire a casa. Così era successo anche quella volta.

La prima chiamata dopo mesi. Fifona.

Alice sbuffa contro il vetro, facendolo appannare vicino alla sua bocca.

Con il dito traccia delle lettere che formano una parola, un nome. Il suo.

Questa volta non lo cancella.

Una frase detta al nulla, prima di cedere al sonno, mentre l'autobus si muove silenzioso tra le strade buie e deserte di quella città.

 

Buon compleanno, amore mio.

 

 

 

 

 

Eccoci arrivati al penultimo capitolo di questa storia. Già, sembra strano anche a me dirlo.

Il prossimo, probabilmente, sarà l'ultimo.

Ho cercato di spiegare come sono andate le cose dopo che Alice è andata via di casa non andando nel dettaglio, vi ho fatto capire che la sua decisione di andarsene, Serena la condivideva, anzi, l'ha spronata a cambiare aria, a lasciare la città. Lei l'ha capita e diciamo che in parte ha deciso per Alice.

Ci sono parecchi flashback in questo capitolo (adoro scriverli, l'ammetto), soprattutto su lei e Filippo che spero apprezzerete.

Non mi convince assolutamente quello che ho scritto, l'ho cambiato un paio di volte e l'ispirazione veniva e andava a suo piacimento. Non sono entusiasta del capitolo, ma come sempre, spero che piaccia a voi!

Un bacione e grazie per la fiducia e tutto l'affetto che mi regalate. Siete fantastiche, davvero!

Giulia :)

Scusate per eventuali errori, li correggerò appena posso!

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Capitolo 21
*** La vedi? Quella è casa. ***


 

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“12 maggio. Città di Castello.

Ci sono 18 gradi ma io continuo a mettermi le mie felpe pesanti.

Gianni mi prende in giro, anche Piero.

Ah, domani è il grande giorno.

Sono felice?

La risposta è ovvia.”

 

 

La piccola camera oscura è illuminata dalla luce rossa della lampada poggiata sul tavolo da lavoro, che tinge i muri di un colore inteso. Illuminato dalla stessa luce è anche il viso concentrato di Alice, chino su una vaschetta colma d'acqua dove una foto sta riposando sul fondo.

I capelli sono stati raccolti con una penna, come è suo solito fare, e fissati sulla nuca. Alcuni ciuffi biondi sono sfuggiti alla presa e le rifiniscono davanti agli occhi, oscurandole di tanto in tanto la vista.

Con le pinze che tiene nella mano destra, alza delicatamente un lato della foto e la tira su.

La appende al filo chiaro davanti a lei e aspetta che l'immagine prenda lentamente forma.

Incrocia le braccia sotto al seno e si appoggia alla sedia girevole alle sue spalle.

L'orologio al suo polso segna che sono appena passate le otto di mattina. Lei ha il treno alle nove, se non ricorda male.

Si porta una mano, quella con il polso ricoperto di braccialetti, sugli occhi assonnati. Non è riuscita nemmeno a farsi una tazza di caffè a casa per arrivare più in fretta possibile al negozio e ora gli occhi sono pesanti come pietre.

Alice si alza in piedi e con occhio critico osserva la foto ancora gocciolante che dondola leggermente, girando su se stessa.

Un bambino, una bambina, un bernoccolo sulla fronte e un ginocchio sbucciato. Entrambi seduti sul terreno fangoso a qualche metro di distanza, con lo sguardo triste che fissano l'obiettivo. Due nemici in guerra.

Chi l'avrebbe detto che quei due sarebbe diventati come il pane e la Nutella? Nessuno, nessuno c'avrebbe mai scommesso.

Forse Marco, ma lui a quei tempi era troppo impegnato ad andare dietro le gonnelle delle sue compagne di classe per pensare a quei due marmocchi.

 

 

 

 

Due ragazzi si stanno abbracciando davanti ad un treno fermo alla stazione.

È un abbraccio goffo, il loro, ma anche pieno di sentimento, d'affetto. Lui tiene gli occhi chiusi e la testa immersa nella sua felpa e lotta con lo zaino che lei tiene sulle spalle, che non gli permette di abbracciarla come vorrebbe.

Lei, Alice, tiene gli occhi aperti, e fissa le persone che li passano accanto indaffarate, gettandoli solo un'occhiata curiosa di sfuggita.

Scioglie la presa dalle spalle di Gianni e gli sorride di un sorriso caldo in cui c'è tanta di quella gratitudine che non è facile esprimere a parole.

Grazie per avermi aiutata in questi mesi, dicono i suoi occhi.

-Chiamami ogni tanto, anche solo per dirmi “ciao Gianni” con la tua adorabile C marcata-

-Ti mancherà la mia parlata toscana?-

-Mi mancheranno di più le tue battute acide la mattina. Quelle chi se le scorda!- Gianni alza gli occhi al cielo e si porta una mano tra i capelli biondi.

-Solo quando avevo un calo di zuccheri-

-Ovvero sempre. D'altronde sei una donna, ti capisco-

-A me mancherà invece il tuo maschilismo estremo-

-Sono la bocca della verità!-

-La dovresti chiudere ogni tanto, quella bocca-

Ridono entrambi mentre la nebbia di quella fredda mattina li avvolge come un mantello.

-Buon viaggio bionda-

Alice si alza sulle punte e gli lascia un bacio veloce sulla tempia, vicino a un ricciolo chiaro.

-Ricordati che a Giugno torno. Comportati a modo e non far arrabbiare troppo tuo zio in negozio, lui ti da il pane con cui ti compri questi giacchetti di pelle da macho-

-Hey, questi giacchetti ti piacciano però!-

Alice sta già salendo sulle scalette del treno quando sente la voce di Gianni.

Si gira un attimo e lo saluta con un cenno della mano ed un sorriso, uno di quei sorrisi che in tutti quei mesi ha tenuto per sé e non ha fatto ammirare a nessuno.

È perché sta tornando a casa che le sembra più facile sorridere?

Si, è così.

 

 

 

Alice ha conosciuto Gianni fuori dal negozio di fotografia di suo zio Piero.

Lui stava pulendo la grande vetrina con un pezzo di giornale del giorno prima, imprecando tra i denti per non essere riuscito a togliere alcune ditate da sopra il vetro trasparente.

Alice passava per caso di lì, con il suo pesante zaino sulla schiena e le gote rosse per il freddo che si infrangeva sulla sua pelle troppo delicata, e si guardava intorno assente, come se non sapesse nemmeno di camminare su questa terra.

Il suo sguardo smarrito aveva da subito attratto Gianni, che l'aveva fermata con una scusa qualsiasi, in mezzo alla stretta via storica.

Due chiacchiere e qualche battuta dopo, Alice aveva accettato di entrare a bere una cioccolata dentro il negozio di fotografie.

-Mi dispiace ma io..odio la cioccolata-

-Allora un caffè, una sprit, un thè, una vodka alla pesca-

-La vodka mi attira ma va bene anche un caffè- Gli aveva risposto senza sorridere.

Alice si era seduta impacciata sullo sgabello dalle gambe traballanti al tavolo di legno, e si era riscaldata con quella bevanda calda che le scivolava dentro il corpo come se fosse lava che accendeva tutti i suoi sensi.

Le mani ghiacciate avevano ritrovato il suo colorito naturale e i denti avevano smesso di battere.

Gianni era seduto davanti a lei e la osservava con la coda dell'occhio, mentre mescolava lo zucchero dentro la sua tazza colma di quella sostanza scura.

Aveva capito sin da subito che Alice non era una ragazza normale, sembrava portare sulle spalle, oltre a quell'enorme zaino verde, anche un peso in più che gli era invisibile. Sembrava che vivesse quasi in un'altra realtà e la vedeva ogni tanto, quando non c'era niente da dirsi, estraniarsi da quella realtà, evadere da quella stanza con la mente, e se avesse potuto, anche con il corpo.

Era strana, forse si, ma anche bella e fragile allo stesso tempo. Si era preso una cotta, Gianni, e c'aveva messo un'intera settimana a convincere suo zio ad assumere Alice come assistente nel negozio.

Lei gli aveva risposto di si, quando un pomeriggio Gianni era andato a trovarla nel suo monolocale fuori città, ma sembrava che l'idea non l'allettasse molto. Sembrava quasi che avesse accettato senza interesse. Come per fare più un piacere a lui che a sé stessa.

I suoi occhi erano ricoperti come da una patina scura che non lasciava intravedere la loro luce naturale.

Gianni gli aveva visti illuminarsi di una luce fioca, solo quando aveva mostrato ad Alice la camera oscura dove sviluppavano le foto.

Aveva osservato ogni superficie sotto quella luce rossa e toccato con delicatezza le foto appese al filo ormai asciutte.

-Ti piace?- Le aveva chiesto Gianni che era rimasto appoggiato allo stipite della porta di legno, come se volesse lasciarle un momento di intimità con quella nuova realtà.

Lei aveva annuito e un piccolo, breve sorriso aveva deformato le sue labbra.

-Ma allora sai sorridere!- Ed ecco un altro mezzo sorriso, più una smorfia forse.

Un giorno l'avrebbe fatta ridere, si era ripromesso Gianni quel pomeriggio, guardandola muoversi a suo agio tra obiettivi e macchine fotografiche inutilizzate.

Peccato che Alice non glielo abbia permesso.

 

 

 

Alice si è addormentata sul treno, appoggiando la testa tra le braccia che ha incrociato sul piccolo tavolino d'acciaio freddo davanti a lei.

Il libro che stava leggendo è cascato sul pavimento sporco e lo zaino verde è sempre al solito posto accanto a lei. È stato il suo compagno di viaggio per tre lunghi mesi, le dispiacerebbe perderlo proprio ora.

I suoi occhi sono ancora socchiusi quando sposta lo sguardo fuori da quel vetro che le mostra un mare calmo e piatto, un cielo grigio e nuvoloso e qualche passante seduto su delle panchine alla stazione con in mano un giornale sgualcito oppure un mp3.

Le sembra di rifare il suo viaggio all'incontrario. Sembra quasi un deja vu, un viaggio della sua mente nel passato.

Lei ora non sta piangendo, però, ma sorride.

Sta tornando a casa, d'altronde, dalla sua famiglia. 


  

L'ultima volta che ha sentito suo padre è stata una settimana fa.

Lo ha chiamato da una cabina telefonica vicino al negozio di fotografia ed è rimasta a parlare con lui per quarantacinque minuti. Si sono sentiti regolarmente in questi mesi ma l'altro giorno sembrava che le cose da dirsi fossero troppe e le parole uscivano da sole senza che nessuno dei due volesse fermarle, senza provare un minimo di vergogna per quell'inaspettata confidenza.

Ascoltando le parole di Stefano con quella nota dolce di sottofondo, le era salito alla gola un senso di nostalgia che aveva fatto fatica ad ingoiare.

Le sembrava di essere ritornata piccola, quando sentiva la voce di sua nonna Lina attraverso la cornetta del telefono e si sedeva sul mobile di legno nell'ingresso per riuscire a sentirla meglio, visto che il filo nero non si allungava più di tanto.

Non la sentiva spesso e la sua voce calda e materna riusciva a farle salire le lacrime agli occhi e stringere la gola da un piccolo nodo.

Suo padre le ha raccontato le sue giornate al lavoro, le ha descritto l casa deserta in cui non gli piaceva stare da solo e delle sue lasagne che gli mancava mangiare.

Stefano le ha confessato che ha iniziato a frequentare una sua collega d'ufficio. Si chiama Laura ed ha qualche anno in meno di lui ed è da poco divorziata. Quella donna lo fa stare bene, e Alice questo l'ha capito dalla sua voce. Sembrava sorridere mentre parlava attraverso la cornetta.

Quando è uscita dalla cabina telefonica aveva gli occhi lucidi e per qualche ora le era sembrato quasi di sentire l'odore di casa. L'odore di famiglia, quello che lei non ha respirato molte volte nella sua vita ma che percepiva benissimo come se la stesse abbracciando.

 

 

Il treno arriva in orario alla piccola stazione del paese toscano.

Alice si alza a fatica dal suo sedile e si arrotola un foulard blu intorno al collo mentre alcuni passeggeri incominciano ad avanzare nel corridoio stretto.

Alice ha preso il suo zaino e cammina a testa bassa, cercando di non pestare i piedi alla signora anziana con la valigia nera davanti a lei.

Arriva davanti alle porte ancora chiuse e serra improvvisamente gli occhi. Gonfia i polmoni che si riempiano di quell'aria pesante, viscosa e la rilascia con un unico sospiro.

-Si sente bene, signorina? Mio figlio è un medico, se vuole gli faccio una telefonatina veloce e lui arriva in un attimo. È un ottimo medico, il più bravo-

La signora dai capelli bianchi con la valigia nera accanto a lei la guarda preoccupata con i suoi occhi grigi contornati da profonde rughe e il suo sorriso ha un qualcosa di rassicurante.

Le porte del treno si aprono con un fischio sordo e gli occhi di Alice cercando qualcosa in mezzo a quella folla di persone che aspettano di salire o che sono già scese.

Dei capelli rossi corti, di un rosso chiaro, e un sorriso tremante su un viso nuovo.

-Ora sto bene-

Alice scende di corsa quegli scalini grigi e sporchi, con lo zaino traballante sulle spalle che limita i suoi movimenti goffi, scoordinati.

Non guarda nemmeno dove mette i piedi e pesta l'asfalto come se stesse schiacciando una sigarette ormai spenta. Quando l'abbraccia, sa di essere arrivata dove doveva arrivare.

Lucemia 0 Serena 1.

Ha vinto. La sua migliore amica ha vinto.

 

 

 

Alice e Serena si sono sentite ogni settimana in questi otto lunghi mesi di lontananza. Sempre per messaggio, una chiamata ogni tanto con qualche frase di circostanza. Era come se la voce le si bloccasse in gola ogni volta che sentiva il tono stanco, a volte affannato, della sua migliore amica. Non la chiamava spesso proprio per questo, per non dover sentire la sua voce fioca, priva della solita energia a cui era abituata.

Serena le scriveva ogni volta prima di una seduta di chemioterapia e poi quando tornava a casa sfinita. Delle volte stava talmente male che non riusciva nemmeno a digitare i tasti sul cellulare.

Lei però, le ometteva tanti particolari, le raccontava metà delle cose brutte che le accadevano, come il vomito dopo ogni seduta, la perdita di capelli e di speranza.

Quando chiamava, riservava ad Alice una voce quasi allegra, priva dell'infelicità e del dolore che ormai facevano parte di lei e si erano infiltrate nelle sue ossa.

È stata Alice la prima che ha chiamato dopo l'intervento di trapianto di midollo osseo ed è sempre stata Alice a cui ha telefonato quando il suo medico le aveva detto che la malattia stava cedendo.

Alice ha seguito il brutto male della sua migliore amica a centinai di chilometri di distanza, facendole sentire la sua presenza, il suo supporto.

Si è comportata come una migliore amica si sarebbe comportata, nonostante la paura che le faceva contorcere le viscere ogni volta che Serena non rispondeva ad una sua chiamata o ad un suo messaggio.

La paura di perdere un pezzo della sua famiglia.

 

 

Alice e Serena rimangano abbracciate vicino ad una panchina alla stazione per parecchio tempo.

La gente le guarda ma non fa caso ai loro sguardi felice e commossi e alle loro lacrime che non hanno niente a che vedere con la sofferenza, con il dolore o l'amarezza.

Quelle sono lacrime di un ritrovo, di un incontro aspettato da mesi.

Alice la guarda come se non l'avesse mai vista veramente. Osserva i suoi capelli rossi corti come non li ha mai avuti e il suo viso magro e pallido che però è illuminato dal sorriso che ha sulle labbra.

-Ti stanno bene i capelli corti-

-Ma smettila! Non ti vedo da mesi ma riconosco ancora quando menti. E comunque ora ho deciso di farmi mora-

-Per festeggiare la guarigione?-

-No, Penelope Cruz è mora e io la voglio imitare-

-Sempre la solita-

Si incamminano abbracciate verso l'uscita.

Ad Alice torna in mente quella volta che è ritornata dal suo viaggio di tre giorni a Milano in cui era andata a trovare sua madre e Serena la era andata a prendere alla stazione la sera quando era tornata e si era fatta tre ciocche blu in testa. Le sembra che sia quel giorno di quasi un anno fa.

Si avvicinano alla fermata dell'autobus e Serena tira fuori una Wiston Blue dal pacchetto delle sigarette che tiene nella borsa marrone.

-Sere, cosa diavolo stai facendo?-

-Non mi guardare così, ho appena sconfitto la leucemia, cosa vuoi che mi faccia una sigaretta?!-

Entrano dalla porta posteriore del mezzo arancione e si siedono nei posti in fondo. Alice scuote la testa sorridendo.

È strano come i loro occhi non si lascino un solo secondo. Sembra quasi che vogliano catturare ogni minimo cambiamento nel viso dell'altra.

Alice stringe la mano della sua migliore amica e la poggia sopra la sua gamba coperta da un paio di jeans mentre guarda fuori dal finestrino. Cerca di farsi forza così, mentre osserva le strade della sua città che il pullman attraversa senza fretta, come se volesse lasciare ad Alice il tempo di riabituarsi a casa sua, a quelle mura verde scuro del suo palazzo e alle strade dalle buche profonde e lampioni spenti.

Di riabituarsi all'idea che lì, c'è l'altro pezzo fondamentale della sua famiglia. C'è lui che probabilmente non la sta aspettando e che si è rifatto una vita.

Forse la odia, forse non si ricorda nemmeno il colore dei suoi occhi. Forse ha un'altra Alice, un'altra ragazza con cui l'ha sostituita e guardano insieme degli stupidi film in VHS.

Filippo, oh il suo nome quanto le era mancato pronunciarlo anche solo nella sua mente, non la considera più la sua Alice.

Un'estranea, solo quello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera donne!

Questo non è l'ULTIMO capitolo ma bensì il PENULTIMO!

Eh si, ho cambiato idea, grazie anche ai vostri commenti, e ho deciso di dividerlo in due parti. Nella seconda parte che non posterò tra molto tempo, i protagonisti saranno solo loro: Filippo e Alice.

Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e vi ringrazio per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato che mi hanno commossa, seriamente.

Siete fantastiche, non so più che altro dirvi.

Un bacio,

Giulia :)

P.s. gli eventuali errori saranno poi corretti, scusate!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Ciao, come stai? ***


Link della mia nuova storia originale-romantica:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=828334&i=1

 

 

 

 

Filippo ogni tanto si pente della scelta che ha fatto quella sera d'ottobre, quando ha regalato quel pacchetto di Marlboro, le sue Marlboro, a quella sconosciuta davanti al portone del suo palazzo.

Gli manca quel bastoncino fine e bianco da tenere tra l'indice e il medio, quel sapore che sa calmarlo meglio di qualsiasi tranquillante e il fumo che rimane addosso ai vestiti e tra le mani.

Si è comprato i bastoncini di liquirizia, per sostituirle, pacchetti e pacchetti di gomme da masticare pur di tenere la bocca occupata.

Una volta ha ceduto ed ha rubato una sigaretta dal pacchetto incustodito di suo padre che teneva sopra al frigorifero in cucina.

Era il giorno del suo compleanno, si ricorda. Quel giorno che ha passato da solo chiuso in camera al buio, con il disco di Bon Jovi inserito nello stereo, sdraiato sul letto a godersi quel piccolo vizio, quasi come se fosse il suo regalo.

In tutta la giornata pensa di non aver mai aperto bocca, se si esclude la volta in cui ha ringraziato sua madre per la torta al cioccolato che gli aveva cucinato e gli auguri di suo padre e suo fratello.

Aveva paura che se avesse dato fiato alle parole che teneva incastrate nelle gola dolente, non avrebbe più smesso di urlare. E forse anche di piangere.

Filippo non si vergogna ad ammettere che delle volte ha provato una voglia talmente intensa di piangere da bloccarlo, da renderlo impotente davanti a quelle sensazioni che rischiavano di trascinarlo in una fossa scavata apposta per lui.

Ha provato anche tanta rabbia in questi mesi, una rabbia ceca quando è entrato dopo tanto tempo nel garage ed ha ritrovato la lettera che gli aveva scritto lei, caduta sul pavimento sporco, coperta dalla polvere che ci si era depositata sopra.

Rabbia che l'ha costretto a buttare via le lenzuola bianche e il piumone del loro letto. Quel letto che hanno condiviso per tanti anni solo come amici sdraiati ai bordi opposti e poi come amanti, abbracciati senza più confini da mantenere; dove probabilmente c'erano ancora i loro profumi impregnati nelle federe consumate dei cuscini e le tracce di quello che era successo quell'ultima sera.

Ha buttato tutto nel cassonetto davanti casa senza pensarci due volte.

Nemmeno una misera esitazione nel cancellare i ricordi, un pezzetto di passato.

 

 

 

Filippo si trova sul balcone della cucina con la testa appoggiata tra le braccia incrociate sopra al cornicione.

Osserva dall'alto la strada illuminata dai lampioni e dai fari di alcune macchine colorate e motorini, i suoi vicini di casa che escono dal portone per portare il cane ai giardinetti pubblici per fare la passeggiata prima di cena oppure per buttare la spazzatura.

Il vento di maggio è un soffio di alito caldo che riscalda e provoca la pelle d'oca in quella porzione di pelle scoperta sulle braccia.

Filippo riesce a percepire l'odore di sugo che proviene da qualche balcone vicino al suo e quello più forte di canna che suo fratello si sta fumando in salotto come se niente fosse.

Filippo lancia un'occhiata di sottecchi a Marco ed alza gli occhi al cielo quando lo vede distendersi sul divano con un solo paio di mutande bianche a coprirlo. Non è una bella immagine, se deve dirla tutta.

Sta guardando un quiz su un canale sconosciuto e la voce gracchiante del conduttore insieme all'applauso del pubblico arrivano dritti alle orecchie di Filippo.

Si allontana dal balcone e chiude la finestra con uno scatto secco, per paura che l'odore di quello che sta fumando suo fratello arrivi anche in casa degli altri condomini e si ritrovino, un giorno di questi, faccia a faccia con un finanziere.

Filippo si sciacqua le mani sotto l'acqua fredda nell'acquaio ed entra nel salotto, sprofondando nel divano ad una giusta distanza da Marco.

Lui si gira e gli sorride, guardandolo con quegli occhi arrossati dalla pupilla dilatata che sono un'eccellente segnale della sua dipartita verso un mondo estraneo, sicuramente migliore. Magari ci potesse rimanere per sempre.

-Pippo, ti ricordi la canzone che cantava nonna Gervasa la domenica mentre cucinava le lasagne?-

-Dammi solo un minuto?-

-No! Quello lo diceva quando le chiedevi se era pronto!-

Filippo scuote la testa e si porta una mano sulla fronte massaggiandosela.

Ormai il danno è fatto, cosa servirebbe levargli quella canna di mano?

-Ho in testa il ritmo della canzone da più di un'ora ma non mi vengono in mente le parole. Peccato che la nonna sia morta-

-Aveva centodue anni-

-Si ma è ingiusto lo stesso. Io voglio essere immortale-

-A me basterebbe che tu fossi meno idiota, ma credo che ormai sia impossibile- Filippo sorride guardando suo fratello che osserva pensieroso la cenere che gli caduta su una gamba.

-Siamo di buonumore eh?-

-Deve essere il fumo passivo della canna-

Marco si alza in piedi e prende il posacenere sul piccolo tavolino davanti alla televisione accesa portandoselo con sé sul divano.

-Mi fa piacere che tu sia così allegro, anche se mi sfotti ecco-

-Quindi posso continuare?-

-Assolutamente no-

I due fratelli sorridono continuando a puntare gli occhi sullo schermo che non vedono realmente, persi nel godersi quel momento di quiete estranea.

Una macchina ha parcheggiato sotto casa e il rumore della radio tenuta ad alto volume arriva fino a loro. La signora che abita nel loro stesso piano sta litigando di nuovo con il cane che ha fatto la pipì in cucina e si sente i suoi urli striduli dall'ingresso di casa. Sono tutti dei rumori che fanno di sottofondo a quel momento.

-Come stai?-

-Sto alla grande-

Marco annuisce brevemente con un mezzo sorrisetto sulle labbra mentre spegne la canna nel posacenere nero che appoggia sul pavimento.

-Si, lo dicevo anche io quando l'Inter aveva perso 3 a 0 contro la Juventus-

-Ti stavi per suicidare con la candeggina di mamma, Marco- Filippo gli lancia un'occhiata scettica.

-Ci avevo pensato, è vero, ma poi te mi hai preso per un orecchio e mi hai portato in piazzetta a farmi ubriacare per dimenticare-

-E ti hanno arrestato mentre correvi nudo per parco Brughetti, urlando come un matto-

-Bei momenti, già. Ora però sono io che ti devo aiutare-

-Ti ho già detto che sto bene-

-Nessuno sta bene quando la persona più importante della nostra vita se ne va via lasciandoci soli con i rimpianti e i ricordi, con la consapevolezza che forse abbiamo fatto troppo poco per farla rimanere. Di merda, ecco come si sta-

Filippo alza la testa verso il soffitto sorridendo appena, stringendo a pugno la mano che tiene sopra la bracciolo di pelle del divano.

Sente gli occhi di suo fratello su di sé ma non sa cosa vorrebbe sentirsi dire, cosa può raccontargli e cosa tenere gelosamente per sé.

-Lo sai da quant'è che non entro nel garage? Due mesi. Due mesi e qualche giorno, probabilmente, ho perso il conto del tempo che è passato da quando se ne è andata. Fa meno male così-

Filippo posa lo sguardo sullo schermo scuro del televisore davanti a lui. Non ha addirittura più voglia di guardare un film; non ha voglia di guardarselo da solo, al buio della stanza, su un divano tutto per sé che non è occupato da nessun corpicino isterico dai capelli biondi. Che senso avrebbe?

-Fa male lo stesso, Pippo, lo sai anche te-

-Mi voglio illudere-

-Lo sai che io non sono bravo a fare questi discorsi, non sono bravo a fare discorsi in generale, forse. Preferisco i fatti alle parole. Ma questo te lo devo dire: Filippo sembri spento, uno di quei robot di quei film orrendi che ti piacciono tanto. Te ne stai tutto il giorno su quei libri del cazzo rinchiuso in camera ed esci di casa solo per andare al supermercato a comprare i biscotti al cioccolato o per dare un'esame. Sei ingrassato e stai diventando pazzo-

Filippo punta lo sguardo fuori dalla finestra osservando il palazzo di fronte al suo e quei punti di luce proiettati sulle pareti verdi. Suo fratello ha ragione, su tutto. Però non è ingrassato, sia chiaro.

‎Quando Alice se ne è andata la sua vita ha continuato a scorrere normalmente, il tempo non si è fermato all'improvviso. Gli manca, però, quel pensiero con cui prima si svegliava ogni mattina. Il pensiero che gli suggeriva di farsi la barba quando diventava troppo lunga, di non mangiare cioccolato prima di incontrarsi con lei e di mettersi i calzini quando entrava nel garage.

Il pensiero che gli diceva "Oggi la vedrai, amico. Oggi Alice è tua".

Quando Alice è scomparsa, fuggita, in qualunque modo lo vogliate dire, quel pensiero si è dissolto nel nulla. Se fosse rimasto, molto probabilmente, gli avrebbe sussurrato "Hey amico, puoi tranquillamente diventare un barbone che puzza di cioccolato. Lei non c'è più".

Si è buttato nello studio, concentrandosi in quello che gli riusciva meglio.

Si è iscritto alla facoltà di matematica dando esami su esami, studiando senza sosta, come se i numeri e i calcoli fossero i suoi migliori amici.

Si è nascosto dalla vita per un po', credendo che fosse la scelta giusta. Rimanendo nell'ombra in cui viveva prima di conoscere Alice.

-Io sono sempre stato così Marco, era lei che mi faceva sembrare diverso-

-Che discorsi di merda. Sei sempre stato un po' fuori di testa ma ora stai davvero esagerando. Devi rialzarti, Pippo, e io sono qui per aiutarti-

-E cosa vorresti fare?-

-Fartela dimenticare-

-Non credo sia possibile-

-Non dico per sempre, ma almeno per una sera-

Filippo scoppia a ridere e si passa una mano tra i capelli scuri leggermente più lunghi sul collo.

-Spera per te che non finisca a correre nudo per parco Brughetti-

-Tranquillo, ci sono io con te!-

-È proprio per questo che ho paura-

 

 

 

Filippo e Marco arrivano in piazzetta un'ora dopo, a bordo della loro Opel nera che, stranamente, ha i vetri puliti e dall'interno sono stati eliminati i rifiuti che si erano accumulati nei mesi. È stato loro padre, naturalmente, dopo che una vicina di casa ha bussato alla sua porta chiedendo di controllare che nell'auto non ci fosse niente di morto.

Marco si è infilato i pantaloni dopo le varie preghiere di suo fratello ed hanno deciso di andare a prendere una birra all'aria aperta.

Si siedono ad un tavolino di legno fuori dal bar “Zio Pepe” ed ordinano due birre a Masha, cameriera e vecchia compagna di classe di Marco che ora è sposata ed ha già un figlio. E dire che lui ci stava già facendo un pensierino.

Mentre i due parlando e ricordano i vecchi tempi, Filippo si guarda intorno.

Osserva le panchine di marmo nel viale alberato che portanp al cancello d'entrata di parco Brughetti dove è stato spesso con Alice quando erano solo dei bambini.

Ci andava a giocare anche con Marco, cavalcando insieme la vecchia bicicletta di loro madre con il cestino rosa di cui si vergognavano da morire. Per questo ogni volta ci mettevano dentro un lenzuolo bianco, volendo coprirlo il più possibile.

Vicino al bar ci sono un gruppo di anziane signore che siedono su delle sedie portate da casa e si godono il fresco della sera chiacchierando e mangiando pistacchi, buttando i gusci dentro una busta di plastica.

Un gruppo di ragazzi sono seduti sul prato e ridono di gola, di polmoni, mentre alcune urla risuonano in tutta la piazza e tra le mura colorate dei palazzi. C'è vita quella sera nell'aria.

Marco ha la bocca piena di patatine salate e una sigaretta tra le dita quando gli parla, rompendo il loro silenzio.

-Pippo, la vedi quella ragazza?- Gli chiede indicando una di quelle ragazze sdraiate sul prato che ridono e fumano.

-Quella con la gonna verde?-

-Esatto. Sono stato con lei qualche anno fa, se capisci cosa intendo. Lei sarebbe capace di farti dimenticare anche il tuo nome, se vuoi te la faccio conoscere!- Marco sorride e si passa una mano tra i capelli corti e più chiari del fratello, ricordando quei bei momenti ma soprattutto le doti di quella ragazza di cui non si ricorda nemmeno il cognome.

-No, grazie lo stesso. Ma... è bionda e a te le bionde non piacciono-

-Filippo, quella sera non avrei saputo riconoscere nostra madre nemmeno se mi fosse passata davanti agli occhi, secondo te mi facevo dei problemi sul colore dei suoi capelli?-

-Marco, delle volte mi domando come si possa, noi due, avere dei geni in comune-

Filippo fa un mezzo sorriso mentre sente la forte risata di Marco rimbombare anche dentro di sé.

Probabilmente è l'effetto della canna che si è fatto a casa.

-Eccolo qui il mio ironico fratellino, mi sei mancato-

Filippo annuisce appena e sbriciola con le mani una patatine che ha preso dalla ciotola di cotto sul tavolo.

Osserva le sue dita ma non il viso di suo fratello su cui aleggia ancora un sorriso.

Filippo si sente con qualche pensiero in meno in presenza di Marco ma la sua mente non è del tutto sgombra.

Quella sera di maggio, ad esempio, gli ricorda quelle che passava insieme a lei nel garage oppure sul tetto del suo palazzo.

Quelle sere dove l'aria incominciava a riscaldarsi e potevano stare con il lucernario aperto e senza felpa, quando sentivano che era l'ora di rivedersi il film “Che ne sarà di noi” in VHS, la cassetta più consumata di tutte.

Dove apparivano le prime lucciole e loro le osservavano pensando a come sarebbe stato bello metterle sotto ad un barattolo come facevano da bambini, per vedere se la mattina dopo ci sarebbero state le cinque famose mila lire.

Quando vedevano che il buio tardava ad arrivare ogni giorno di più e cenavano sul letto in garage, mangiando cosa li aveva preparato la mamma di Filippo.

Contrae la mascella quando gli ritornano nella testa tutti quei brevi momenti, come se fossero tutti disposti in uno scompartimento che è stato aperto per caso.

All'improvviso vede comparirsi sotto gli occhi una bottiglia di birra fresca.

Alza lo sguardo verso suo fratello e lo trova a scolarsi la seconda di fila.

-Grazie- Gli sussurra posando le mani sul vetro scuro e ghiacciato.

-Bevi e stai zitto- Risponde Marco chiamando di nuovo la cameriera per farsi portare un'altra birra.

Restano qualche minuto in silenzio, bevendo ed ascoltando le chiacchiere delle persone intorno a loro.

-Hai ragione Pippo! La canzone di nonna Gervasa era “Dammi solo un minuto”!-

Si ricorda Marco portandosi una mano sulla fronte e sgranando gli occhi sempre più arrossati.

-Te l'avevo detto-

-La cantiamo? In onore di nonna Gervasa, dai-

Ed è insieme che resuscitano quel vecchio classico dei Pooh, sotto gli sguardi curiosi degli abitanti del paese che avrebbero voglia di cantare insieme a loro fino a perdere la voce.

Sta arrivando l'estate e lei non c'è per festeggiare insieme a lui.

L'ha lasciato da solo, d'altronde.

 

 

 

Filippo scende dalla macchina con le gambe e la testa leggere.

Chiude lo sportello con troppa forza e corre ad aprire quello del fratello, inciampando nel marciapiede.

Marco è rannicchiato nel suo sedile con la bocca aperta e gli occhi chiusi. Biascica qualcosa a mezza voce e si porta una mano sullo stomaco coperto dalla maglietta.

Filippo riesce a buttarlo giù dalla macchina dopo vari tentativi e lo trascina davanti al portone di casa che apre a fatica con le chiavi che cercano di scivolargli dalle mani.

Lascia che Marco entri barcollando dentro il palazzo mentre il portone verde rimane spalancato.

Filippo si mette a ridere con gli occhi lucidi e le guance arrossate sia per il fresco che per le birre che ha bevuto.

Non è ubriaco, lui, ma sente che nelle sue vene non sta scorrendo solo sangue.

È passato tanto tempo dall'ultima volta che si è sentito così, forse anche troppo.

Ritorna alla macchina strusciando i piedi sull'asfalto e prende il cellulare che ha lasciato sul sedile, chiudendo con le chiavi.

Si appoggia un attimo allo sportello per riacquistare un minimo di lucidità e sempre sorridendo si siede sugli scalini. Getta un'occhiata al portone davanti al suo, al portone di lei. Lo fa sempre, è diventata quasi una tradizione che deve assolutamente rispettare prima di entrare in casa.

Questa volta, però, sul portone c'è qualcuno.

È più magra della sua Alice e i capelli sembrano di un biondo più scuro.

La bocca è coperta da una sciarpa e il corpo da un paio di jeans e un maglioncino. E dire che è sempre stato lui il freddoloso tra i due.

Sul portone c'è una ragazza che assomiglia alla sua Alice ma non è sicuro che sia lei.

Un tempo, l'avrebbe riconosciuta al primo sguardo.

Filippo rimane immobile nella sua posizione ed osserva quella figura minuta illuminata dalla poca luce che arriva dal lampione sul marciapiede.

Ci sono solo cento metri di distanza tra loro ma lui non riesce a visualizzare bene la sua immagine a causa della vista sfuocata.

All'improvviso il sorriso sul suo viso si trasforma in una risata carica di sarcasmo, una risata quasi cattiva.

Una risata tutta per lei, per Alice.

-Non ci credo...non ci credo..- Sussurra a se stesso continuando a ridere, gettando la testa all'indietro e guardando quel cielo nero sfuocato che è testimone del loro incontro.

Alice è ferma nella posizione di qualche minuto prima e si stringe le mani intorno al corpo come se un freddo sconosciuto l'avesse avvolta. Gli scalini sotto di lei sembrano essere diventati di un ghiaccio che taglia.

Le labbra tremano appena e gli occhi seguono ogni minimo spostamento del ragazzo davanti a lei.

Preferirebbe uno schiaffo, a quella risata amara.

Filippo china la testa in avanti e incrocia le mani sudate nei capelli scuri, lasciando che l'aria gli ritorni piano piano nei polmoni.

È tornata.

Guarda l'asfalto davanti a lui e spera che la sua mente si blocchi all'improvviso perché troppi sono i pensieri che sta facendo in quel momento.

È tornata, è tornata, è tornata.

Perché diavolo è tornata?

Alice lo guarda mentre sorride ancora, non sono lontani e riesce a vedere ogni minimo movimento. Rimane anche lei seduta come lui, immobile in quella paura, in quel terrore che naviga in lei da parecchie ore, da quando se ne è andata di casa tanti mesi prima, forse.

Non riesce a capire come la stia guardando. Sembra con dolore, con..

-Ti faccio schifo, non è così?- La voce di lei gli arriva dritta al cervello e anche allo stomaco. Filippo impiega qualche minuto per risponderle.

-Schifo è riduttivo-

-Capisco. Cioè...ero preparata alla tua rabbia-

-Non provo più nemmeno quella-

-Allora è più grave del previsto-

Rimangono in silenzio mentre una macchina passa lentamente nella strada, oscurando i loro corpi seduti su quegli scalini. Sono vicini ma in verità sono lontani, forse troppo.

-Non mi hai capita, vero? Non hai capito perché me ne sono andata-

-No, ho capito solo che sei una puttana-

Alice sorride per non piangere, per non far si che quelle lacrime che le stanno tagliando gli occhi sgorghino fuori, si palesino alla sua vista come un segno di cedimento, di quel dolore che la sta distruggendo.

Lei gli fa schifo. Lei è solo una puttana.

-Addirittura?-

-Ti considero così-

-Un tempo...un tempo mi consideravi la tua migliore amica-

-Hai perso quel ruolo da quando te ne sei andata lasciando tutto-

La voce di Filippo si è alzata come il vento che passa tra di loro e in mezzo a quella strada deserta dove solo la loro voce rimbomba tra le pareti di quelle case dalle finestre serrate.

Filippo si alza di scatto in piedi e la guarda con tanta di quella rabbia che non ha mai rivolto a nessuno in vita sua. I suoi occhi dolci non riescono quasi a reggerla.

Si gira e fa qualche passo verso il portone con la testa china. Se ne sta andando.

Alice scende veloce gli scalini del palazzo ed attraversa la strada fermandosi a pochi passi da lui, allunga una mano per toccarlo, per fermarlo e la poggia sulla felpa che indossa.

Lui la scosta senza problemi, continuando a camminare arrivando davanti al portone di casa e poggiando una mano sul legno verde.

-è perché ho lasciato la mia casa, Serena, mio padre che sei arrabbiato con me?-

-Tu hai lasciato anche me, cazzo! Me, a cui avevi promesso, giurato che non mi avresti mai lasciato da solo-

Filippo allontana la sua mano che si sta avvicinando e si appoggia con la schiena alla porta.

Ora i suoi sussurri sono diventate delle grida di dolore, di vendetta per farla sentire in colpa.

-Mi sono sentito solo. Abbandonato come un cane su un autostrada senza una spiegazione, un fallito per non essere riuscito a farti rimanere con me. Alice, tu mi hai lasciato da solo quando avevi promesso che non l'avresti mai fatto. Me l'avevi promesso, cazzo. E io..io non te le dovrei nemmeno dire queste cose..-

-Non volevo andarmene in quel modo-

-Eppure lo hai fatto lo stesso. Ed ora vuoi il mio perdono?!-

-Voglio te-

-E se fossi io, a non volerti più?-

Una lacrima soffocata sfugge al controllo di Alice e lui segue quel filo d'acqua fino a che non scompare dentro alla sciarpa che tiene al collo.

Alice allunga di nuovo una mano e la poggia sul suo braccio, stringe la stoffa con tutta la forza che ha nel corpo e lo guarda come se nei suoi occhi lui potesse vedere cosa ha provato lei in quei mesi. Quel terrore che la notte la teneva sveglia fino all'alba e la faceva sentire smarrita in un letto freddo da sola.

-Davvero? Davvero non mi vuoi più, Lip?-

Appoggia la testa sulla sua spalla lasciando che i suoi capelli biondi gli sfiorino il mento, che il loro solito odore lo faccia ritornare indietro di qualche mese. Le sue labbra si avvicinano al suo orecchio, il suo naso sfiora la sua guancia.

Filippo per la prima volta alza gli occhi dall'asfalto e incontra quegli lucidi di Alice. Occhi marroni caldi che l'hanno osservato per così tanto tempo che ora sentirseli di nuovo addosso, gli provocano una sensazione strana, ha voglia di scappare.

Ed è quello che fa.

La lascia da sola su quegli scalini freddi e scompare dietro al portone di casa.

Non può darle una risposta perché nemmeno lui la sa.

 

 

Alice si è svegliata presto nel suo letto e ci è rimasta per parecchio tempo.

Rannicchiata nelle lenzuola a cui si deve riabituare dopo tanto tempo con il cuscino morbido in cui la sua testa sprofonda.

Fissa la luce che arriva dalla finestra socchiusa e dalle persiane che ha lasciato aperte.

Si guarda intorno ed osserva tutta la sua roba nello stesso esatto punto in cui lei l'ha lasciata con solo l'aggiunta della polvere che ci si è depositata sopra. Suo padre non ama molto pulire.

Alice si alza in piedi lentamente, infilandosi una felpa che trova sopra la valigia ancora da sfare e che, probabilmente, non rifarà per molto tempo.

Si affaccia dalla finestra e socchiude gli occhi quando un raggio di luce caldo le si posa sulla pelle del viso pallido, davvero troppo pallido.

Getta uno sguardo alla strada trafficata da auto e persone ed a quella via laterale stretta e sterrata che ha percorso talmente tante volte nella sua vita che ne conosce le buche nei punti esatti.

Non crede che sia cambiata molto in questi mesi. Si ritrova a sperarlo mentre si spoglia del pigiama e cerca dei vestiti da indossare.

Quando arriva davanti alla porta del suo garage, ci appoggia una mano sopra con estrema delicatezza quasi potesse rovinarla.

Sorride quando spinge la maniglia e la trova arrugginita come l'ha lasciata, è quasi un sollievo che quel piccolo particolare non sia cambiato.

Facendo pressione la porta si apre leggermene e lei inclina la testa per vedere l'interno.

Tutto al solito posto. Solo il letto ha un piumone diverso e sul giradischi c'è troppa polvere per i suoi gusti.

Si avvicina e la soffia via un paio di volte. Si mette ad osservare i dischi in vinile sulla mensola e ne estrae uno che inserisce subito dopo.

Beatles, “Hello, Goodbye”.

Le prime note si muovono nell'aria che ricomincia a circolare dopo tanto tempo e Alice si perde ad osservare quella stanza con un sorriso felice sulle labbra. Quanto gli è mancato.

Fa qualche passo in avanti e fissa le ragnatele che si sono formate agli angoli dei muri e il lucernario sigillato che ha il vetro sporco, macchiato dalle gocce della pioggia.

Il tempo è passato anche nel garage ma non ne ha modificato i tratti principali, le sue particolarità.

È persa ancora nei suoi pensieri quando sente la porta dietro di sé aprirsi cigolando.

Quando si gira vede Filippo che non osserva lei, ma il garage. Come se anche lui non lo vedesse da tempo ed osservasse i suoi cambiamenti. E forse è proprio così.

Quando alla fine i suoi occhi chiari si posano su di lei, capisce che forse, tra di loro non è cambiato proprio nulla.

-Sei ingrassata e probabilmente ti sei anche inacidita e si, ce l'ho ancora con te. Forse ce l'avrò ancora per un po' di tempo-

-Ma poi ti passerà-

-Già, perché te sei Alice-

-E te Filippo, o meglio...Lip, il mio Lip-

La sensazione che provi quando torni a casa è un qualcosa di straordinario che ci si impegna tanto a capire ma che alla fine non capiamo mai.

È una sensazione che ti fa provare uno strano calore e una felicità improvvisa, quella felicità che ti fa sorridere e piangere allo stesso tempo.

Ah no, forse quello è l'amore.

 

 

 

Un bambino è seduto sul terrazzo di casa con un plaid addosso e un libro sulle gambe coperte da un paio di pantaloncini corti.

Sbuffa da ormai mezz'ora e i suoi capelli neri sono stati tormentati da delle mani nervose.

Il libro si intitola “Primi passi nella matematica”. Inutile dire che a Michele la matematica faccia quasi più schifo della grammatica.

La scuola finirà tra qualche settimana e lui non potrebbe essere più felice ma suo madre lo costringe a fare divisioni su divisioni affermando che non è capace di svolgerle

“Il prossimo anno passi in prima media, vuoi che i tuoi compagni ti prendano in giro perché non sai fare 350 diviso cinque?”.

Esistono le calcolatrice per quello, vorrebbe dire a sua madre.

Dopo l'ennesimo calcolo che non torna, Michele si alza e si appoggia al cornicione, osservando la vita che si svolge per la strada con i suoi occhioni celesti, e quelle signore sedute all'aperto che chiacchierano tra di loro.

Tra poco anche lui sarà libero dalla scuola e potrà starsene tutto il giorno senza fare niente oppure al mare o sul divano a guardare i cartoni animati della mattina che sono sempre meglio di quelli del pomeriggio. Questa cosa ancora non l'ha capita.

Si alza sulle punte dei piedi per riuscire a guardare meglio tutte quelle persone dall'aria frettolosa che salgono e scendono dalle macchine, camminano senza sosta sul marciapiede e sembrano tanto indaffarate.

Hey calmatevi! Vorrebbe urlarli Michele.

In mezzo a quel caos, due ragazzi fuori da un garage sembrano che non siano toccati dal tempo, quasi in un'altra realtà.

Michele li vede abbracciati davanti alla porta scolorita ma non riesce a riconoscerli perché i loro volti sono nascosti.

Si devono stare abbracciando proprio forte.

Michele si guarda intorno sul terrazzo e prende il vaso dove ci sono piantati i tulipani rossi di mamma e lo trascina fino al punto dove vuole lui.

Stando attento a non sporcare le scarpe bianche di terriccio, sale sul bordo del vaso per riuscire a vedere meglio i due ragazzi.

Sono proprio belli da vedere, deve ammettere.

I loro volti sono vicini adesso e le labbra sembrano sfiorarsi.

Bleah, si stanno baciando!

Michele sposta lo sguardo e si tappa gli occhi con entrambe le piccole mani.

Lasciando il cornicione perde l'equilibrio sul bordo del vaso e casca per terra con un urlo strozzato.

Quando riapre gli occhi, le sue scarpe sono diventate marroni e i tulipani di sua madre non sono più nel vaso, anzi, non sembrano proprio più dei tulipani.

Questa volta l'ha combinata davvero grossa.

 

 

 

 

 

 

 

È finita.

Cavolo, odio anche pensarlo!

Allora niente tiri di pomodori e forconi spero!

Filippo e Alice sono di nuovo insieme, come era giusto che sia.

Vi ringrazio per aver passato questi mesi con me e con i miei personaggi. Ho affrontato momenti di calo d'ispirazione, dove non avevo assolutamente voglia anche solo di aprire Word oppure dei momenti in cui scrivere era l'unica cosa che volevo fare.

Grazie per aver seguito questa storia e per esservi appassionate insieme a me.

Grazie per tutti i commenti e per le letture, per l'incoraggiamento che mi avete dato e tutto l'affetto.

Siete veramente meravigliose e io ringrazio nemmeno so io cosa per avermi fatto scoprire questo bellissimo mondo che è EFP.

Ora basta lacrime!

Un bacione e un abbraccio stritolatore a tutte voi,

vostra Giulia :)

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Capitolo 23
*** Rocking around the christmas tree. ***


In anticipo, il vostro regalo di Natale sulla coppia scelta da voi.

Buona lettura,

un abbraccio stritolatore e una pioggia di baci :*

Ps. sulla mia pagina autore potrete trovare altre One-shot su Alice e Filippo.

P.s.s. Link del gruppo su facebook dedicato alle mie storie, dateci un'occhiata se vi va!

http://www.facebook.com/groups/262965880410553/

Rocking around the Christmas tree at the Christmas party hop

Mistletoe hung where you can see every couple tries to stop

Rocking around the Christmas tree let the Christmas spirit ring.


Una macchia.

Due piccole macchie.

Tante macchie che leggere si posano sul vetro del lucernario.

Sono bianche, quasi trasparenti, e dopo aver toccato la superficie fredda, si dissolvono nel nulla.

Un fiocco più grande scende invisibile da un nuvola grigia, passa attraverso una minuscola apertura e scende lentamente nella stanza come soffiato da qualcuno; sembra polvere finissima.

La sua lieve caduta termina quando incontra la pelle pallida di Alice. Si posa su una sua guancia arrossata e sparisce come se fosse stato cancellata da una mano infastidita.

Lei continua a tenere il volto levato verso il lucernario, osservando quei primi fiocchi di neve che si posano sul vetro.

La prima neve dell'anno, forse anche l'ultima.

Alice se la sta godendo sdraiata sul comodo letto dal piumone rosso, con un cuscino sotto ai piedi e una maglione bianco a collo alto a tenerle caldo in quel garage freddo in cui una piccola stufa non è sufficiente.

Un dolce silenzio riempie la stanza. Il giradischi sopra la lavatrice è fermo da qualche settimana, probabilmente è deceduto ma sia Alice che Filippo non vogliono ammetterlo a sé stessi, e accanto a quest'ultimo hanno messo un vecchio stereo e delle casse prese in prestito dalla camera di Marco.

Probabilmente non ritorneranno mai più in mano del loro proprietario.

Alice sta pensando a qualche cd di musica classica da fregare dalla collezione del padre, quando sente una voce chiamarla al di là della porta del garage.

L'hanno da poco colorata di giallo, un giallo girasole che illumina la stanza e di cui i due ragazzi si sono subito innamorati.

Ci hanno addirittura fatto l'amore, contro quella porta.

Alice si alza con uno sbuffo dal letto e cammina in punta di piedi fino alla porta che apre sbirciando all'esterno e arricciando il naso quando alcuni fiocchi bianchi toccano la sua pelle.

-Spostati-

-Mai. Cosa diavolo vuoi fare con quell'albero?-

-Prima pensavo di decorarlo, ora ho una mezza idea di piantarlo in testa a te-

-è il Natale che ti mette così di buonumore?-

-No, penso che siano i dieci gradi sotto zero che ci sono qui fuori-

Alice alza gli occhi al cielo e si mette da parte per far passare Filippo che tiene un piccolo abete tra le braccia.

Lo posa vicino alla parete dove ci sono alcune mensole stracolme di libri mentre la ragazza trascina sul pavimento un vaso con del terriccio all'interno.

Filippo si posa una mano sulla fronte sudata e fissa concentrato l'albero davanti a sé. Gli piace, parecchio anche.

Alice fissa dei rametti dondolanti con le braccia incrociate sotto al petto e un'espressione corrucciata.

Filippo rivolge la sua attenzione alla ragazza al suo fianco, e i si occhi si addolciscono così come il suo sorriso.

-Ti prego- Supplica a voce bassa, avvicinandosi di un passo a lei.

-Io non lo so decorare-

-Ci penso io-

-E perderà tutti gli aghi-

-Spazzerò-

-è..è natalizio, troppo natalizio! Noi non odiavamo il Natale?- Chiede Alice inclinando leggermente la testa come se le fosse sfuggito qualcosa.

-Prima- Risponde Filippo sposandole una ciocca ribelle di capelli. Se li è tagliati un mese fa, i suoi lunghissimi capelli biondi. Ora le arrivano alle spalle ed ha una mezza frangetta che ogni tanto copre i suoi occhi caldi. È ancora più bella, per Filippo.

-E cosa è cambiato?-

Il moro tira fuori dalla tasca del giaccone una pallina rossa di Natale; sulla superficie sono stati disegnati due teneri conigli bianchi che si tengono per mano.

Quella pallina avrà si e no dieci anni ma sembra che il tempo non l'abbia mai sfiorata.

-Ora stiamo insieme. Ah, e sei anche meno acida degli anni scorsi-

Alice annuisce brevemente e sospira -E Natale sia anche in questo garage-


Rocking around the Christmas tree have a happy holiday

Everyone dancing merrily in the new old-fashioned way

-Lip, ti ricordi chi ti disse che Babbo Natale non esisteva?-

-Fu quello stronzo di Marco-

-Già, e tu venisti da me in lacrime..-

-Non è vero, avevo il nodo alla gola ma non stavo piangendo!-

-...e mi dicesti che tuo fratello ti aveva detto, esatte parole "Pippo, Babbo Natale non esiste. Me l'ha detto nonna Gervasa quando siamo andati a mangiare da lei domenica. Non mi ha dato nemmeno la paghetta, quella brutta vecchiaccia."-

-Si, poi tu ti mettesti a piangere disperata e si corse a casa mia, sotto la neve, per andare a picchiare Marco. Ha ancora la cicatrice di un tuo morso sulla spalla, lo sai?-

Sorride Filippo, tirando fuori da una scatola di cartone ai suoi piedi, una palla di plastica verde che attacca ad un ramo basso dell'albero.

Alice è seduta sul tappeto vicino al letto e guarda il ragazzo finire di addobbare quello che lui ha definito “un capolavoro”.

Sarà alto un metro e mezzo e non predomina nessun colore. Palline di forme e tonalità diverse, pupazzi, festoni rossi, cascate di fili d'oro.

È allegro, quest'albero. Gli hanno addirittura dato un nome: Guglielmo, come il proprietario del market dove è stato comprato a basso prezzo.

Filippo guarda quello che tiene tra le sue mani, e volge il suo sguardo verso Alice che sta osservando incuriosita un album di vecchie fotografie, trovate in quelle scatole polverose dimenticate nella cantina del suo palazzo.

Quando alza gli occhi, trova il moro a fissarla con una mano protesa verso di lei che le porge qualcosa.

-Ti lascio quest'onore-

-Non credo di averne il diritto-

-Non te lo meriteresti ma mi sento magnanimo quest'oggi. Dai, alzati prima che ci ripensi-

-Potrei fare dei danni-

-Correrò il rischio-

Alice sorride, mordendosi l'angolo del labbro inferiore, e si alza di scatto in piedi facendo quello che deve fare.

Quando appoggia di nuovo i piedi per terra, si allontana di qualche passo dall'albero, per osservare il lavoro finito.

Filippo l'abbraccia da dietro e le lascia un bacio tra i capelli morbidi che profumano di mela.

Come sempre.

-Ali...- Soffia vicino al suo orecchio -l'hai messo storto-

Scoppiano entrambi a ridere quando vedono il puntale a forma di Puffo blu, che tende verso destra.

Il sorriso si spegne sulle loro labbra quando vedono l'albero dondolare leggermente, e poi cadere a peso morto a terra con un tonfo che rimbomba nel garage insieme allo schianto di qualche pallina di vetro sul pavimento.

Filippo chiude strettamente gli occhi e fa un respiro profondo.

A Natale si è tutti più buoni, no?

-Alice, è meglio se inizi a correre-

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