Minuetto e Trio

di Montana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo; una voce nella notte ***
Capitolo 2: *** Un nuovo caso ***
Capitolo 3: *** Veronika ***
Capitolo 4: *** Ridere ***
Capitolo 5: *** Piangere ***
Capitolo 6: *** La danza della fata confetto ***
Capitolo 7: *** Messaggi minatori ***
Capitolo 8: *** Ci sono cose nel silenzio ***
Capitolo 9: *** Incidenti ***
Capitolo 10: *** Minuetto e Trio ***
Capitolo 11: *** Condividere ***
Capitolo 12: *** Intervallo ***
Capitolo 13: *** Minuetto; adagio, più che pianissimo, con malinconia ***
Capitolo 14: *** Trio; presto, mezzo forte, molto staccato con tensione ***
Capitolo 15: *** Minuetto; prestissimo, in crescendo, con attenzione ***
Capitolo 16: *** Complicità in omicidio ***
Capitolo 17: *** Cosa successe nel granaio ***
Capitolo 18: *** Spencer Reid ***
Capitolo 19: *** Un nuovo caso, un nuovo addio ***
Capitolo 20: *** Epilogo; una rosa rossa ***



Capitolo 1
*** Prologo; una voce nella notte ***


Prologo; una voce nella notte.
 
Veronika aveva 5 anni, i capelli scuri e due grandi occhi castani, che in quel momento erano chiusi perché stava dormendo.
D’un tratto, un rumore nella stanza dei suoi genitori la fece svegliare. Sentiva delle voci.. ma non erano solo quelle di mamma e papà. C’era una terza voce, di un uomo. Una voce profonda, cattiva.
Veronika si mise immediatamente a sedere sul letto, stringendo forte al petto il suo orsacchiotto di peluche grande quanto lei.
“NO.. per favore.. no!” sentì dire una voce, quella di sua madre. “Per favore. Ti prego, non farlo. No, no, NO!” gridò di nuovo la donna. Poi un rumore secco, di uno sparo. Poi sua madre che piangeva.
Veronika poggiò i piedini scalzi sul pavimento e si avvicinò alla porta della sua cameretta. La aprì cercando di fare il meno rumore possibile e si incamminò verso la stanza dei suoi genitori.
La porta era socchiusa, una delle abat-jour accesa. C’era uno strano odore, come di qualcosa che è bruciato. Veronika si avvicinò per poter guardare la scena dalla fessura della porta.
Sua madre era seduta sul letto, il viso tra le mani, piangeva disperatamente. Suo padre era steso lì vicino, dormiva. “Ma perché non si sveglia e non consola mamma?” pensò Veronika, avvicinandosi di più per poter vedere meglio. C’era un altro uomo in piedi vicino al letto, un uomo alto e magro con un giubbotto di pelle e dei jeans scuri. Veronika non si ricordava di averlo visto in casa quando era andata a letto. “Forse è qui per consolare mamma, dato che papà non vuole proprio svegliarsi.” pensò.
“Sta’ calma. Credevi veramente che non l’avrei fatto? E smettila di piangere, non vorrai mica morire col trucco sbavato!” disse rudemente l’uomo.
Morire? Che brutta parola. Non la sentiva spesso, ma sapeva cosa succedeva quando uno moriva. Se ne andava da qualche parte, lasciando lì tutti quelli che gli avevano voluto bene. Sua mamma doveva morire? No, non l’avrebbe mai fatto. Non avrebbe mai lasciato lei e papà.
“Per... per favore, se devi uccidermi, lascia stare Veronika. Per favore.” disse sua madre tra i singhiozzi. Sentendosi chiamata in causa, Veronika si fece più attenta.
L’uomo sconosciuto rise “Lasciarla stare? Ma perché mai?! Ho ucciso tuo marito, ucciderò te, lei dovrebbe rimanere sola? Vuoi abbandonare la tua piccola bambina indifesa?” disse.
Poi alzò una mano e la puntò verso la tempia della donna; nella mano aveva qualcosa di scuro, assomigliava a quei giocattoli che facevano BAM! che avevano i suoi compagni di scuola. Infatti quella cosa fece click, poi BAM!
Ma non fu un BAM! giocoso e divertente come quello dei suoi amici, fatto con la bocca. Fu un BAM! vero e proprio, e qualcosa di rosso schizzò dalla testa di sua madre che si abbatté sul materasso.
Non fu il BAM!, non fu sua madre che cadeva a far sbarrare gli occhi a Veronika, ma fu quel piccolo schizzo rosso scuro che era uscito dalla sua testa. Quello lo conosceva bene anche lei, era quello che le riempiva le ginocchia quando cadeva in bicicletta.
E quando c’era del sangue non succedeva mai nulla di buono.
E così, spinta da un istinto di sopravvivenza che non sapeva di avere, Veronika girò sui tacchi e corse via, lontano dalla stanza dei suoi genitori. Ben presto sentì i passi pesanti dello sconosciuto dietro di lei, ma era più veloce e aveva già raggiunto la porta d’ingresso. Era aperta, stranamente e fortunatamente. Corse fuori, incurante del freddo e della terra ghiacciata sotto i piedi scalzi, un braccio del suo orso stretto in una mano. Corse fuori dal giardino, oltre la strada, nel bosco, tra gli alberi, sempre con quei passi dietro che la seguivano. Corse senza mai fermarsi, corse fino a perdersi tra gli alberi, finché i suoi piedini non le fecero così male da doversi nascondere in una piccola fessura tra due rocce, sempre con l’orso stretto contro il petto, sempre con l’impressione che quei passi la stessero ancora seguendo.
 
I poliziotti trovarono Veronika 3 giorni dopo, ancora in quella fessura tra le rocce.
Era viva, sveglia e denutrita, ma viva. Stringeva ancora l’orsacchiotto tra le braccia.
Andò a vivere dai nonni in Montana, ma da quel giorno non pronunciò più nemmeno una parola,
I suoi genitori erano stati uccisi, il colpevole non trovato, ma la stessa situazione si era ripetuta molte volte prima e si sarebbe ripetuta molte volte dopo per poi interrompersi improvvisamente.
Almeno fino ad adesso.

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Capitolo 2
*** Un nuovo caso ***


La musica è il miglior mezzo per per sopportare il tempo.
Wystan Hugh Auden


Un nuovo caso

Faceva freddo quella mattina. Entrai all FBI intirizzito e stretto nel mio giubbotto di pelle che teneva freddo d’inverno e caldo d’estate e mi diressi verso “l’angolo bar” per farmi un caffè.
Ci misi, come al solito, più o meno dieci cucchiaini di zucchero, ma proprio mentre mi accingevo a berne un sorso mi arrivò sulla schiena una manata talmente forte che per poco non me lo rovesciai addosso.
“Ehilà, Reid! Passato un buon weekend?” mi chiese Morgan con il suo solito sorriso.
Gli scoccai un’occhiataccia e prima di rispondergli bevvi un lungo sorso di caffè “Al solito. Qualche caso da controllare e una marea di libri. Non ho quasi più niente da leggere.”
“Eh, ci credo! Ne leggi 22 in una mattinata!” mi prese in giro lui. Poi però assunse un’espressione più comprensiva e mi chiese “Un’altra nottata in bianco?”
“Più o meno. Ma non è per quello, se ti riferisci al caffè. Ho l’impressione che sarà una lunga giornata.” mentii spudoratamente, andandomene bevendo un altro sorso di caffè.
Non credevo veramente di averlo convinto. Eravamo entrambi profiler, c’erano ben poche possibilità che credesse alle mie palesi bugie.
“Un nuovo caso!” esclamò JJ non appena entrai nell’open space.
Neanche il tempo di posare la borsa sulla mia scrivania... con un sospiro seguii gli altri nella sala riunioni.
“Siamo in Montana, questa volta. Il SI uccide famiglie composte da tre persone, poi tre settimane di pausa, poi altre tre persone. Le ultime vittime, i Dicklinson, sono state trovate quattro giorni fa. I genitori uccisi con colpi d’arma da fuoco alla testa, il figlio di sette anni con una al petto. Ognuno in camera sua. Segni di effrazione, nessuna famiglia aveva un sistema d’allarme molto efficace.” ci illustrò brevemente JJ.
“Beh, posso capirli. In Montana ci sono più mucche che persone, praticamente.” disse sarcastica Prentiss, sfogliando un fascicolo.
“JJ, qui c’è qualcosa che non quadra. Il fascicolo è sbagliato, fa risalire il primo omicidio a undici anni fa!” s’intromise Rossi. JJ sospirò “È appunto di questo che volevo parlarvi. Il SI ha cominciato a colpire ben 11 anni fa qui in Virginia, poi ha smesso fino a nove settimane fa.”
“E perché non hanno collegato subito gli omicidi?” mi permisi di chiedere, incuriosito.
“Perché l’ultimo omicidio commesso prima della pausa non coinvolgeva tre persone, ma due.”
“E come fanno allora a dire che è sempre lo stesso?”
“Reid, vuoi farmi finire?!” si spazientì JJ “C’è una sopravvissuta a quell’omicidio. Si chiama Veronika Gordon, ha quasi quindici anni e dopo l’uccisione dei suoi genitori si è trasferita dai suoi nonni. In Montana. Ho una foto, ve la faccio vedere.”
Il viso della ragazza riempì immediatamente; bei lineamenti, grandi occhi castani, capelli scuri lunghi fino alle spalle e carnagione molto pallida. Sulla bocca serrata non aleggiava nemmeno un’ombra di sorriso.
“Indubbiamente una bella ragazza.” disse Morgan.
“Vacci piano, maniaco!” lo rimbeccò Prentiss. JJ sorrise, Rossi e Hotch si scambiarono un’occhiata esasperata. Solo io continuavo a fissare la foto.
“JJ... perché secondo te tiene la bocca così chiusa?” chiesi in un soffio.
“Non è un secondo me, è un dato certo: da quando i suoi genitori sono stati uccisi non ha pronunciato una sola parola.” mi rispose lei con uno sguardo triste.
“È muta?” chiese Morgan tornando serio
“No, se solo volesse potrebbe parlare. Solo, non vuole.” rispose JJ.
“Quindi andiamo in Montana. JJ, hai già predisposto tutto per albergo e trasporti?” chiese Prentiss.
“Beh, veramente.. i nonni della ragazza... ci avevano chiesto di...” JJ si interruppe, imbarazzata.
Hotch alzò lo sguardo “Cosa, JJ? Cosa hanno chiesto?”
JJ sospirò “Hanno chiesto di trasferirci in casa loro. È abbastanza grande per tutti, ce l’hanno assicurato. Hanno paura per Veronika, è l’unica sopravvissuta fino ad adesso e non vogliono che lui torni a cercarla.”
“È una cosa molto probabile invece; Veronika ha interrotto il suo schema costringendolo a fermarsi per ben undici anni. Sarebbe normale se la cercasse.” mi intromisi io, che fino a quel momento non avevo staccato gli occhi dalla foto.
“Lo sappiamo, Reid. Ma ti saremmo infinitamente grati se potessi non dirlo così candidamente ai nonni.” mi sgridò Hotch. “Sì, hai ragione. Il SI si è messo in contatto con la famiglia?”
“No, non ci risulta. Ma potrebbe farlo, e questa sarebbe una ragione in più per vivere là. Va bene, Hotch? O vuoi che chiami per un albergo?” chiese JJ, già col telefono in mano.
Hotch la guardò per qualche secondo, poi prese il fascicolo e si alzò “No JJ, va bene. Ci vediamo al jet tra un quarto d’ora.” disse congedandoci.
JJ trasse un sospiro di sollievo e fece per spegnere il monitor.
“No! JJ, aspetta un attimo!” esclamai alzandomi in piedi. Tutti gli altri se n’erano già andati.
“Cosa? Cosa c’è, Spencer?” mi chiese incuriosita. Io continuavo a fissare il volto di quella ragazzina; aveva qualcosa di strano, ma non riuscivo veramente a capire cosa.
“JJ, non trovi che abbia qualcosa di strano?” chiesi.
Lei guardò la foto “Beh, a parte le labbra serrate e lo sguardo cupo direi di no. Come ha detto Morgan, è indubbiamente una bella ragazza. Ma potrai vederla di persona tra qualche ora, se ti decidi ad uscire da qui e a prendere il tuo bagaglio.” mi rispose con un sorriso, spegnendo il monitor.
Finalmente mi riscossi “Hai ragione JJ. Forse vedendola dal vivo capirò cosa c’è di strano in lei.”

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Capitolo 3
*** Veronika ***


Veronika
 
Arrivammo in Montana in poche ore, come sempre a bordo del nostro jet.
Faceva freddo, come sempre in quello stato, ma fortunatamente noi eravamo memori delle altre volte e ci eravamo portati dietro cappotti e indumenti pesanti.
Ovviamente io no, io avevo ancora indosso quel dannato giubbotto poco utile sia d’estate che d’inverno. Rabbrividii maledicendo me e la mia testa sempre così tra le nuvole.
“Non hai freddo così, Reid?” mi chiese Morgan, sempre pronto a rigirare il coltello nella piaga.
Non gli diedi nessuna soddisfazione “No. È semplicemente il solito sbalzo tra il tepore dell’aereo e l’aria fredda. Adesso passa.” gli dissi semplicemente.
Afferrai la maniglia del mio trolley e mi incamminai verso il resto del gruppo, che stava già parlando con lo sceriffo.
“Sceriffo Jeck, questi sono l’agente speciale Morgan e il dott. Reid.” ci presentò brevemente JJ.
“Molto piacere. Come stavo dicendo ai vostri colleghi, vi abbiamo preparato un ufficio da noi, con tutte le cose che la signorina Jaerau ci aveva chiesto. Vi accompagneremo noi all’albergo. Dove alloggerete?”
“In nessun albergo, signor Jeck. I signori Gordon ci hanno offerto la loro ospitalità. Ma ci farebbe comodo se ci portasse fino a casa loro.” Rispose Hotch.
Lo sceriffo parve sorpreso da questa decisione, ma annuì e ci fece segno di seguirlo.
Io, come al solito, finii nei sedili dietro della macchina con Morgan e lo sceriffo.
Almeno non dovetti subirmi le sue incessanti chiacchiere sui signori Gordon e su quella povera ragazza.
Arrivammo alla casa per ultimi perché lo sceriffo aveva sbagliato strada 3 volte in soli 10 minuti.
“Non è colpa mia se i Gordon abitano così isolati...” si giustificò quando finalmente mettemmo piede fuori dall’auto.
“Ce l’avete fatta, finalmente! Morgan, Reid, questi sono i signori Gordon. Signori Gordon, loro sono l’agente speciale e il dott. Reid.” disse JJ. Sembrava un dejà-vu.
“Oh, signorina Jaerau, la prego; ci chiami pure Mark e Anni.” la interruppe la signora Gordon, la classica vecchietta dall’aria gentile ma con un’ombra disperata negli occhi.
“Sceriffo, non si preoccupi, i suoi agenti sono in buone mani.” gli disse Mark. Lo sceriffo annuì.
“Vi lasciamo due macchine, così potrete venire in centrale quando vorrete.” ci disse, prima di risalire nella sua auto e andarsene coi colleghi.
“Entrate, entrate pure.”
La casa era abbastanza grande, due piani e una mansarda, un fienile e un grande giardino che sfociava nei campi vicini. Alle finestre delle tende probabilmente fatte in casa, qua e là qualche vasetto di fiori scampato al gelo dell’inverno.
La signora Gordon camminava indicandoci man mano tutte le stanze “Qua c’è la cucina, qua la dispensa, lì il salotto, là c’è un bagno. Al piano di sopra ci sono due stanze matrimoniali e una singola.”
“Aspetti, noi siamo in 6!” esclamò Morgan.
“Ehm, credevamo sareste stati solo 5. Ma un altro letto c’è!”
“E dov’è?”
“Nella mansarda, con Veronika.” rispose Mark.
Noi ci guardammo “Beh, è meglio. Nel caso che qualcuno riuscisse ad entrare in casa lei sarebbe più protetta.” tagliò corto Hotch.
“A proposito, dov’è Veronika?” chiese Prentiss.
“È di là nel suo studio che fa i compiti. Vi avverto però, lei ha perso la fiducia negli altri e non è facile per chi non la conosce bene starle vicino. Può apparire scostante e scontrosa, ma è solo molto timida e.. beh, è muta.”
“Lo sappiamo, signora Gordon.”
“Ecco. È probabile però che di almeno uno di voi si fiderà cecamente. E sarà l’unico che vorrà in camera con lei.”
Ci guardammo sempre più stupiti “Allora facciamo andare avanti Prentiss e JJ, che sono donne. Sarà più facile per lei.”
Quando ci fummo messi in fila, la signora Gordon bussò piano alla porta e l’aprì senza aspettare una risposta.
“Veronika, sono arrivati gli agenti dell’FBI.” le disse.
Lei alzò gli occhi solo quando nella stanza fummo entrati tutti.
La foto che aveva JJ era un po’ vecchia, Veronika aveva il viso meno paffuto e al posto della frangetta un ciuffo che cadeva sull’occhio destro, e in più si sforzò di rivolgerci un timido sorriso man mano che entravamo. Lo studio era piccolo, così rimanemmo ammassati senza riuscire a farci vedere tutti.
“Allora Veronika, loro sono gli agenti dell’FBI di cui io e Mark ti avevamo parlato.” ripeté la nonna, facendoci cenno di presentarci.
JJ si fece avanti con uno dei suoi soliti sorrisi “Ciao Veronika. Io mi chiamo Jennifer Jaerau, ma tutti mi chiamano JJ. Lei è l’agente speciale Emily Prentiss.” proseguì, ed Emily si fece avanti per farsi vedere e alzò una mano in segno di saluto. Veronika increspò un po’ di più le labbra.
Fece così ogni volta che JJ le presentava un nuovo membro della squadra. L’espressione sul suo viso non cambiava minimamente, alzava solo quell’angolo della bocca.
“E lui è il Dott. Spencer Reid. Non è proprio un agente, ma senza di lui saremmo persi.” aggiunse JJ, facendomi poi segno di venire avanti. Con passo scocciato uscii dal gruppo e alzai la mano come avevano fatto tutti gli altri.
Sorrisi.
Veronika non rispose al mio sorriso.
I suoi grandi occhi marroni si spalancarono ancora di più per la sorpresa, e così fece la bocca. Poi finalmente sorrise, con la mano sinistra afferrò un foglio giallo dal plico che c’era al suo fianco e ci scrisse sopra qualcosa. Ne strappò un pezzetto e dopo averlo piegato ci scrisse sopra qualcosa e lo fece scivolare verso di noi.
JJ lo prese e lo guardò, poi me lo passò “C’è scritto S.R.” mi disse semplicemente.
Incuriosito, aprii il bigliettino. C’era scritta una sola, semplice parola.
Ciao !
Esterrefatto, guardai Veronika e vidi che lei mi sorrideva. “C.. Ciao!” le risposi allora, un po’ imbarazzato. Lei abbassò gli occhi e ricominciò a fare i suoi compiti.
Uscimmo piano dalla stanza e Morgan disse “Beh, abbiamo capito chi dormirà con lei!”

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Capitolo 4
*** Ridere ***


Ridere
 
Mi girai verso Morgan e lo guardai male. Anzi, malissimo.
“Reid, Morgan, c’è poco da scherzare. A quanto pare i nostri giochini psicologici per convincere Veronika a fidarsi di Prentiss e JJ non hanno funzionato. È in gamba, quella ragazza.”
Le parole di Hotch mi fecero venire un orribile presentimento “Aspetta, vuoi dire che ci dovrò dormire veramente io con lei?!” chiesi.
Hotch mi guardò fisso “Certo Reid. Sei l’unico con cui ha cercato di sua spontanea volontà di avere un contatto, l’unico di cui ha dimostrato di fidarsi a pelle almeno un poco.” mi rispose, senza un minimo cambiamento nel tono di voce. Come se non mi avesse appena comunicato che per un lasso di tempo non bene determinato avrei dovuto dividere la camera con una quattordicenne!
Rimasi fermo impalato ai piedi delle scale, finché Morgan non mi batté su una spalla dicendomi “Avanti ragazzino, non sarà così dura!”
 
Andai a posare la valigia nella camera, così da avere qualche minuto per esaminarla. Volevo riuscire a fare il profilo di quella ragazzina per poterci convivere meglio.
La camera era piccola, occupava metà del tetto e c’erano due letti addossati da parti opposte. Il mio era quello di destra, spoglio, con un semplice piumino verdognolo e un due cuscini bianchi. Su quello di Veronika c’erano invece molti peluche, nonostante fosse abbastanza cresciuta per quelle cose. Probabilmente le servivano per l’infanzia distrutta che aveva avuto. Sul comodino di legno accanto al letto c’erano due pile di libri che sembravano fare a gara per quale diventasse la più alta, minacciando probabilmente di crollarle in testa ogni notte. Mi avvicinai per vedere quali fossero i generi di libri che leggeva, notando che una delle due pile, quella al momento più bassa, non era composta da libri ma bensì da diari. Tutti di colori diversi e rigorosamente chiusi con lucchetti dorati. Ognuno con la sua chiave inserita.
Per essere una ragazzina così priva di fiducia negli altri era una cosa abbastanza singolare.
Spinto dalla curiosità, presi l’ultimo della pila e cercai di aprirlo. La serratura no scattava. Allora capii: le chiavi erano tutte simili, ma tutte scambiate. Aprire un diario sarebbe stato impossibile, a meno che non si provassero tutte le chiavi possibili.
Non riuscii a trattenere un sorriso ammirato mentre rimettevo il diario esattamente come l’avevo trovato: quella ragazza era proprio difficile da inquadrare.
“Dott. Reid? È pronta la cena, se vuole scendere.”
Mi girai di scatto, terrorizzato al pensiero che qualcuno avesse potuto scoprirmi mentre cercavo di forzare il diario di una quattordicenne. Ma per fortuna era solo la signora Gordon, al buio e senza occhiali.
“Grazie signora Gordon. Scendo subito.”
 
Nella piccola cucina c’era un tavolo al centro, molto affollato. Veronika stava a capotavola da una parte, suo nonno dall’altra. Alla sinistra di Veronika stavano JJ, Prentiss e un posto vuoto, alla sua destra Hotch e Morgan. Dedussi quindi che il posto vuoto era proprio per me.
La signora Gordon aveva preparato una sorta di passato di verdura non molto passato, e di secondo un bell’arrosto. La cena fu piacevole, trascorsa a parlare del più e del meno, finché JJ non chiese a Morgan di passarle la terrina con l’arrosto e lui, probabilmente sovrappensiero, la prese su senza le presine.
“Ahia! Mi sono scottato!” gridò lasciando pesantemente andare la terrina sul tavolo e infilandosi un dito in bocca con una smorfia di dolore.
A quel punto non potei più trattenermi “Beh, è una cosa abbastanza comune. La maggior parte degli incidenti domestici è costituita proprio da bruciature, e circa il 90% di queste è causato da distrazioni come appunto prendere una pentola che scotta o qualcosa di simile senza usare le presine. Fortunatamente solo il 5%...”
Avrei voluto continuare, dire che fortunatamente solo il 5% sono ustioni tanto gravi da  necessitare una visita medica, ma fui interrotto da una risata.
Mi girai con disappunto verso Prentiss che era affianco a me; sapeva perfettamente che non doveva ridere quando cominciavo a parlare di statistiche così come tutti gli altri. Ma lei mi guardava esterrefatta.
Intanto la risata continuava.
Pian piano ci girammo tutti verso i signori Gordon, che a loro volta stavano guardando l’altro capo del tavolo.
Era Veronika che stava ridendo.
Aveva una mano sulla bocca per soffocare i suoni, ma era rossa in viso e gli occhi le brillavano. Tutti la guardammo, sgomenti.
Dopo qualche minuto riprese fiato, con le mani ci fece segno come a dire “Non è niente, proseguiamo pure”, si versò un po’ d’acqua e dopo aver bevuto ricominciò a mangiare come se non fosse successo nulla.
 
“Signori Gordon, scusate la domanda, ma era mai successo?”
I signori Gordon guardarono Hotch “Che si mettesse a ridere mentre parlava un agente federale? Mai!”
“Lo immaginavamo, infatti intendevamo ridere in generale.” specificò Morgan.
“No. Mai. Non aveva mai emesso un suono da quando è qui, figuriamoci ridere. Al massimo sorridere, ma non erano sorrisi sinceri. Erano tirati, sforzati. Non aveva mai riso.” rispose allora la signora Gordon.
Noi ci guardammo “Beh, ci sono dei progressi. Ora noi andiamo a dormire, ci aspetta una giornata di duro lavoro domani. Buonanotte signori Gordon.” disse Hotch alzandosi.
Lo seguimmo fuori dalla porta, ma il signor Gordon mi bloccò “Dott. Reid!” esclamò.
“Sì?” “Ecco.. Sono felice che Veronika l’abbia scelta così “a pelle”. È la prima persona che la fa ridere dopo 9 anni, dott. Reid. Gliene siamo infinitamente grati.”

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Capitolo 5
*** Piangere ***


Piangere
 
Il caso procedeva a rilento.
Eravamo in Montana ormai da dieci giorni, ce ne rimanevano solo undici per capire come fare a fermare l’S.I. prima che colpisse ancora.
Era alquanto complicato, oserei dire impossibile (o, per essere preciso, circa il 3% di possibilità di riuscita). Non avevamo una descrizione, una foto, una qualunque cazzutissima cosa che potesse darci una mano. Non una targa, un’impronta, una traccia di DNA.
Era proprio di quello che stavamo discutendo, seduti attorno al tavolo nella cucina dei Gordon.
“Allora, tutto quello che abbiamo è un uomo bianco, sui 35-40 anni, in possesso di un mezzo che gli permetta di passare inosservato e di spostarsi in giro, ma con anche un posto dove ha vissuto per 9 anni.” riassunse JJ, con aria dubitativa. Tutti sapevamo che non era abbastanza neanche per un profilo parziale.
“Così non va, no, non va proprio!” esclamò lo sceriffo Jeck battendo una mano sul tavolo. Noi ci scambiammo un’occhiata dubitativa.
“Innanzitutto come fate a sapere che è un uomo?!” ci chiese guardandoci in cagnesco.
“Sceriffo, le donne non sparano a nessuno. Soffocano, annegano, al massimo avvelenano. Niente morti violente.” rispose Hotch.
“E allora come fate a sapere che è bianco?” aggiunse lo sceriffo.
Non riuscii a trattenermi “Perché la percentuale di SI bianchi supera del 97% quella degli SI di colore. Non abbiamo la certezza che sia così anche questa volta, in caso contrario il nostro SI andrebbe a rimpolpare un po’ la seconda parte.” sciorinai. Un tempo mi era venuta l’idea di smetterla di inserire percentuali una parola sì e due no, ma vista la gratitudine negli occhi dei signori Gordon quando avevo fatto ridere Veronika avevo deciso di ricominciare almeno per un po’. Lei sorrideva sempre quando mi sentiva.
“Comunque sceriffo, noi non possiamo farci niente.” cominciò JJ, ma lui la interruppe “Ah quindi sarebbe colpa della mia squadra? Certo! Non abbiamo manco un fottuto testimone che ci descriva quel bastardo ed è colpa della mia squadra!”
Manco un fottuto testimone...
Quella frase suonava strana nella mia mente. Come se ci fosse qualcosa che non quadrava.
Un testimone...
“VERONIKA!”
Tutti si girarono verso di me, stupiti. Non mi ero reso conto di essermi alzato in piedi.
“Reid? Va tutto bene? Cosa ha fatto Veronika?” mi chiese JJ con sguardo preoccupato.
“Lei è un testimone! Lei l’ha visto!” risposi io.
Gli altri si guardarono, poi guardarono lo sceriffo “Reid ha ragione. Veronika ha sicuramente visto in faccia l’uomo che ha fatto questo alla sua famiglia. Dovremmo interrogarla.”
“Ma non parla!” esclamò lo sceriffo “E poi ci vuole il consenso dei nonni. Ma soprattutto non penso proprio che quella si fidi di qualcuno al punto di dirgli com’è l’uomo che ha sterminato la sua famiglia.”
“Invece sì. Reid, è giunto il momento di valutare quanto lei si fidi effettivamente di te.”
Mi pentii immediatamente di avere consigliato quella cosa ai miei compagni. Ma non potevo più tirarmi indietro.
Feci un respiro profondo ed entrai nel piccolo studio di Veronika. Lei era come sempre seduta al tavolo a fare i compiti, e quando entrai mi rivolse un timido piccolo sorriso. Io le sorrisi in risposta e mi sedetti lì accanto “Veronika, devo chiederti un piccolo favore. Non tanto piccolo, in realtà.”
Il sorriso sulle sue labbra si congelò.
“Quella volta, quella notte, tu vedesti il viso di quell’uomo. Potresti descrivermelo?”
Lei mi guardò qualche secondo poi scosse la testa, risoluta.
“Veronika, per favore. Ci serve per evitare che lo faccia di nuovo.”
Le tremavano le mani, si stava mordendo le labbra. Mi ero sopravvalutato, pensavo di essere riuscito in qualcosa con lei ma a quanto fare sbagliavo.
Poi mi venne un’idea “Veronika scusa, mi sono espresso male. Potresti scrivermelo?”
I suoi grandi occhi marroni si allargarono ancora di più. Rimase ferma a pensare qualche minuto, poi prese in mano la matita che aveva appoggiato accanto al libro, prese un foglio giallo a righe dal suo quaderno e cominciò a scrivere piano, ma decisa.
Esultando silenziosamente le presi la mano che teneva abbandonata sulla sedia. Subito me la strinse piano, e più andava avanti a scrivere più aumentava la forza della stretta. Alla fine fece scivolare il foglio verso di me senza nemmeno rileggerlo, si alzò e corse in camera sua.
E io... Io la seguii. Diedi di volata il foglio a JJ che aspettava fuori dalla porta e che aveva un’espressione allarmata probabilmente per la fuga di Veronika, le dissi qualcosa a mezza voce per tranquillizzarla e corsi dietro alla ragazza.
La porta della camera (la sua camera, la mia camera, la nostra camera) era socchiusa. Lei era seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto e i capelli a nasconderle il viso.
Mi sedetti piano accanto a lei e dopo qualche minuto di esitazione le presi di nuovo la mano, di nuovo quella che le avevo stretto prima. Lei scoppiò a piangere silenziosamente, appoggiando la testa alla mia spalla e tremando leggermente, continuando a stringere piano la mia mano come se fosse l’unica cosa capace di tenerla ancorata a questo mondo e di non farla precipitare nel suo abisso di dolore personale che si era tenuta dentro per tanto, troppo tempo.

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Capitolo 6
*** La danza della fata confetto ***


La danza della fata confetto
 
Rimanemmo lì in quella posizione per una decina di minuti, se non di più. Io ero un po’ imbarazzato, ma ero anche notoriamente un cavaliere e non avrei mai lasciato una ragazza piangere da sola lacrime che avevo contribuito a farle versare.
A poco a poco Veronika si calmò, sollevò il viso dalla mia spalla e mi lasciò la mano. Fece un respiro profondo e alzandosi se ne andò, lasciandomi da solo. Aspettai qualche secondo poi scesi anch’io, curioso di sapere cosa avevano tirato fuori i miei compagni dalla descrizione datagli da Veronika.
Arrivai di sotto giusto in tempo per vederli mentre se ne andavano.
“Ehi! Ragazzi, dove state andando?!” chiesi stupito.
“Reid! Veronika come sta?” mi chiese Morgan senza rispondere alla mia domanda.
“Beh, adesso bene. Ha pianto e io l’ho consolata. Dove stiamo andando?” chiesi prendendo il giubbotto.
“Noi andiamo con lo sceriffo alla centrale; Veronika non si è limitata a descrivere ma ha pure tracciato un piccolo schizzo dell’uomo. Vediamo se c’è qualcuno di simile nei database. Ti dispiace rimanere qui?”
Lasciai cadere per terra il mio giubbotto “E perché mai?” chiesi, risentito.
“Beh, innanzitutto non abbiamo tanto spazio nelle macchine. E poi sai, ci serve sempre qualcuno che resti qui a proteggerla. E mi sembra che tu sia il più adatto, visto quanto si fida di te.” mi rispose Morgan, battendomi una mano sulla spalla.
“Morgan, sei pronto? Sbrigati, o ti lasciamo insieme a.. Spence!” JJ era entrata nella cucina “Come sta Veronika? Si è ripresa?”
“Sì JJ, si è ripresa. Non so dove sia andata, ma si è ripresa.” risposi io sempre più seccato.
JJ parve non avvertire il mio tono indispettito, o forse fece finta di niente, perché mi rivolse uno dei suoi migliori sorrisi affabili e mi disse “Beh Spence, cercala e trovala mentre noi siamo dallo sceriffo!”
I due uscirono, e pochi secondi dopo sentii le portiere delle macchine sbattere e i motori messi in moto. Il rumore si allontanò in fretta, lasciandomi solo nella cucina.
Sospirando mi versai un bicchier d’acqua tanto per fare qualcosa, poi mi aggirai per la casa alla ricerca di Veronika.
“Signori Gordon, scusate, avete visto Veronika?”
La signora sobbalzò e si girò di scatto “Dott. Reid! Mi scusi, non l’avevo sentita entrare e mi sono spaventata. Chiede di Veronika? Non era con lei fino a poco fa?”
“Esatto, fino a poco fa.” sottolineai io “Però è uscita dalla sua camera e non so dov’è.”
“Oh beh, uscita non può essere. I suoi colleghi se ne sarebbero accorti, e anche noi.” disse il signor Gordon seduto accanto a sua moglie. “È probabile che sia nel suo studio...” aggiunse indicando con la testa uno stretto corridoio che non avevo mai notato.
“Il suo studio?” chiesi incuriosito. I signori Gordon annuirono quasi all’unisono, con uno strano sorriso sulle labbra.
“Cosa ci fa in quello studio, scusate la domanda?”
“Eh, beh dott. Reid.. Veronika lì vive sul serio.” mi rispose il signor Gordon con un’espressione seria.
Non volli indagare oltre su cosa intendesse. Feci una smorfia come a dire “Ok, adesso vado a vedere” e mi diressi verso il corridoio.
Una musica aleggiava in lontananza, così piano che stentai un attimo a riconoscerla. Era la danza della fata confetto (http://www.youtube.com/watch?v=w_J4CJ504LQ)  dal balletto “lo Schiaccianoci”. Conoscevo molto bene quel balletto e quelle musiche, perché mia madre me le aveva fatte ascoltare sin da quando ero ancora un bebè, assieme a Mozart e Beethoven. Diceva che era per questo che ero diventato così intelligente.
Mi faceva piacere che Veronika nei momenti di stress facesse cose che facevo anch’io, come starsene chiusa in una stanza ad ascoltare musica classica.
Chissà cosa faceva mentre la ascoltava.. dipingeva? Scriveva? Stava semplicemente seduta sulla poltrona come facevo io?
Man mano che mi avvicinavo la sentivo uscire sempre più forte e chiara dalla porta socchiusa, come se la ragazza la stesse ascoltando a volume altissimo. Ma il disco, uno strano concerto solo per pianoforte a quanto potevo constatare dall’evidente mancanza degli altri strumenti, doveva essere un po’ rovinato perché c’erano pause che normalmente non ci sarebbero state. Dovevo regalargliene uno nuovo..
D’un tratto la musica si storpiò un attimo, per poi fermarsi e ricominciare dall’inizio.
Nel frattempo ero arrivato di fronte alla porta, e la spinsi un poco per vedere cosa stava facendo Veronika senza che lei mi notasse.
Per poco il bicchiere non mi cadde di mano.
Veronika non stava dipingendo. Non stava disegnando. Non stava scrivendo.
Veronika stava suonando.
Nessuno stereo, nessun CD. Solo Veronika, china sui tasti coi capelli scuri che le coprivano il viso, che suonava senza sosta quella musica meravigliosa. E, lasciatevelo dire da un esperto, la suonava proprio magnificamente.
Era così concentrata che non si era accorta di me, ed era meglio così.
Rallentando finì la canzone, alzò le mani dai tasti e dopo un attimo per riprendere fiato prese un altro spartito da sopra il pianoforte e lo posò sul leggio. Io mi nascosi dietro la porta per non essere visto.
Era sempre lo Schiaccianoci, questa volta però la Danza Russa (http://www.youtube.com/watch?v=qy8eJTkTZ54). Qualcosa di più allegro, insomma. Voleva forse dire che la malinconia della ragazza stava pian piano passando? Da dov’ero non potevo vederle il viso ma speravo stesse sorridendo.
 
Continuò così per quasi mezz’ora, alternando quei due pezzi che conosceva meglio ad altri della suite dello Schiaccianoci. C’era uno spartito però, più lontano dagli altri, che lei non toccava nemmeno per sbaglio, come se le desse fastidio. Forse un pezzo particolarmente complicato che non era ancora pronta a suonare.
Lentamente mi allontanai, tornai in salotto dove trovai di nuovo i signori Gordon.
“È brava eh?” mi chiese la signora. Io annuì “Magnifica. Ma quando va a lezione, scusi?”
“Non ci va. Autodidatta, credo si dica così. Sin da piccolina ha amato quella stanza più del resto della casa messo assieme, poi ha trovato qualche spartito e in un modo o nell’altro è riuscita ad imparare. Qualche mese fa siamo andati all’Opera a vedere lo Schiaccianoci e lei si è innamorata. Ha speso tutta la sua paghetta di tre settimane per fotocopiare tutti gli spartiti e pian piano li sta imparando tutti. Ha qualcosa anche di Mozart, di Bach e di Beethoven, ma nulla l’affascina come Tchaikovsky.”
“Sono anni ormai che cerchiamo di convincerla a prendere lezioni, ma non c’è verso di convincerla. È troppo timida, non ce la farebbe mai. Perciò, la prego, non le faccia complimenti. Non le dica che l’ha sentita suonare, potrebbe chiudersi in se stessa anche con lei e questo non deve accadere, a quanto ho capito.” mi ammonì il signor Gordon.
Feci la solenne promessa che non le avrei detto niente, ma in cuor mio speravo che un giorno si decidesse lei a parlare al mondo della sua musica.

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Capitolo 7
*** Messaggi minatori ***


Messaggi minatori
 
Andava tutto bene.
Andava tutto stramaledettamente bene.
Avevamo un identikit del ladro, addirittura un suo schizzo, avevamo Garcia a Quantico che lavorava giorno e notte coi suoi computer per trovare qualche corrispondenza, anzi, che ne aveva già trovate parecchie. I signori Gordon avevano la speranza, Veronika i suoi silenzi e il suo pianoforte, io i miei libri e la musica di Veronika ascoltata in incognito.
Andava tutto troppo bene.
Troppo.
 
Era passata una settimana da quando avevo scoperto la bravura di Veronika al pianoforte.
Era mattina presto, fuori era ancora buio e io e Veronika dormivamo ancora nella soffitta quando la porta venne aperte bruscamente, svegliandomi.
“Spence?” chiese una voce in un soffio.
Mi tirai su stropicciandomi gli occhi “JJ? Cosa c’è? Non è suonata la sveglia?”
Scosse la testa “No, no, è molto presto. Scendi, ma fa attenzione a non svegliare Veronika.”
Mi voltai verso la ragazzina, ma vidi solo un ammasso di capelli scuri e qualche peluche. Fortunatamente non si era svegliata.
Scesi di sotto ancora in pigiama, ma fortunatamente trovai tutti i miei colleghi nelle mie stesse condizioni e lo sceriffo Jack.
“Ci siamo tutti adesso? Possiamo iniziare?” chiese lui con un’aria un po’ seccata e molto preoccupata che non preannunciava nulla di buono.
“Certo, sceriffo Jack.” tagliò corto Hotch.
Lui sospirò e girò verso di noi il suo portatile acceso sul tavolo “C’è stato un altro omicidio”.
Un altro omicidio.
“Come un altro omicidio!? L’SI ha cambiato così il suo modus operandi?!” chiese Morgan scioccato.
Hotch scosse la testa “No, noi abbiamo sbagliato i calcoli. Infatti...”
“Siamo arrivati in Montana quattro giorni dopo il precedente omicidio. Noi quei giorni non li abbiamo contati, ma lui sì. Ha colpito esattamente 21 giorni dopo.” conclusi io con tono funereo.
“Le vittime sono i Robinson. Segni di effrazione, sistema d’allarme manomesso, i genitori uccisi con un colpo di pistola alla testa e la figlia di sette anni e mezzo con una alla schiena. Probabilmente ha cercato di fuggire.”
Annuimmo, con gli occhi bassi.
“Ma.. c’è dell’altro.” sussurrò JJ.
“Cosa? Ha ucciso anche il cane?” chiese Prentiss, amara.
JJ scosse la testa “No. Quello sarebbe stato molto meglio. L’SI sa che l’FBI sta investigando sul caso. O, meglio, sa che proteggiamo i signori Gordon.”
“Cosa?! E come diavolo fa a saperlo?!” esclamò Morgan battendo un pugno sul tavolo.
“Morgan, calmati che sennò svegli Veronika, e credo proprio che non sia il caso.” lo redarguì Prentiss.
“No, non lo è proprio per niente. A casa dei signori Robinson l’SI ha dato sfogo alle sue peggiori vene artistiche.” disse JJ cambiando la foto.
La temperatura all’interno della stanza scese di almeno 10 gradi, all’apparenza s’intende.
Il muro bianco, probabilmente della camera della bambina, era imbrattato di sangue, sì, ma non solo dagli schizzi ad alta velocità provocati dallo sparo.
Su quel muro, col sangue non oso immaginare di chi, l’SI aveva scritto.
Gordon, l’FBI non potrà fare niente.
Cambio di foto.
È sempre stata solo tra noi due.
Cambio di foto.
Stanno morendo per te.
Cambio di foto. A quanto pare aveva imbrattato i muri di tutta la casa.
Non mi fermerò finché non ti troverò.
“...e credimi, ti troverò.” finii di leggere in un sussurro.
Quelle parole così dure aleggiavano nella spessa tensione della stanza
“Gordon, l’FBI non potrà fare niente. È sempre stata solo tra noi due. Stanno morendo per te. Non mi fermerò finché non ti troverò. E credimi, ti troverò.” ripetei, incapace di pensare ad altro.
Fu Hotch, come al solito, a svegliarci. “Reid, scrivile sulla lavagna. E cerca di capire tutto quello che puoi su di lui. Morgan, Prentiss, voi andate a casa dei Robinson. Rossi, tu con me al commissariato. JJ, sta’ qua con Reid e aiutalo.”
Io e JJ annuimmo all’unisono, in un attimo la cucina si svuotò e lei mi chiese “Preparo del caffè?” “Sì, e anche tanto. Ce ne sarà bisogno.”
 
Erano ormai quasi le 8.
I signori Gordon si erano svegliati, io e JJ avevamo parlato loro del problema e avevamo deciso di non dire niente a Veronika, almeno per adesso, per evitare che facesse stupidaggini.
Avrebbe fatto colazione nella sala, poiché in cucina c’eravamo io, JJ, le nostre tazze di caffè fumante e la lavagna con le scritte sopra.
“È un classico maniaco del controllo, narcisista e anche molto. Veronika gli ha fatto perdere il conto, ha un omicidio in sospeso ma non può uccidere quattro persone per pareggiare. Cosa avrà il 3 di tanto importante per lui?”
Certe cose le dicevo, altre mi limitavo a pensarle e i miei bravissimi e sfruttatissimi neuroni continuavano a collegare il 3 a tutto.
3, il numero perfetto. La trinità? Non aveva molto del maniaco religioso..
3 come paradiso, inferno e purgatorio? Non aveva alcun senso..
“Reid.. credo stia arrivando qualcuno..”
La voce di JJ mi arrivava da molto lontano, non ci prestai nemmeno attenzione.
“Reid.. REID!”
L’urlo servì a svegliarmi. Con un sobbalzo mi spostai di lato e mi girai “Eh? JJ, parlavi con me?”
“SPENCER METTITI DAVANTI ALLA LAVAGNA!”
Troppo tardi. Veronika era entrata in cucina con la sua tazza vuota e nulla e nessuno le impediva di leggere la scritta blu sulla lavagna bianca.
Perché proprio blu? Non potevo scegliere un colore meno notevole?!
Mi affrettai a spostarmi, ma il danno era fatto.
Ormai aveva letto, aveva scoperto cosa sapeva l’SI e quali erano le sue intenzioni.
La tazza le cadde dalle mani e si infranse sul pavimento, richiamando l’attenzione dei suoi nonni.
“Veronika? Stai bene? Non sei entrata in cucina vero?”
Veronika non rispose alla nonna, non raccolse la tazza, spostò gli occhi dalla lavagna a me e corse via piangendo.
Urtò probabilmente contro i suoi nonni, poi sentimmo la porta sbattere e dopo qualche secondo la musica partì.
JJ mi guardò preoccupata, i signori Gordon spaventati e tristi.
Io mi appoggiai malamente alla lavagna e guardai l’orologio: le 8 meno 10.
L’unico, stupido pensiero che mi passò per la mente fu: niente scuola oggi per Veronika Gordon...

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Capitolo 8
*** Ci sono cose nel silenzio ***


Ci sono cose nel silenzio
 
Guardai JJ: il suo sguardo diceva chiaramente “Tu hai combinato il danno, tu lo vai a riparare. Immediatamente.”
Appoggiai il pennarello sul tavolo e seguii Veronika fuori dalla stanza, su fino in camera sua.
“Posso entrare?” chiesi. Non mi rispose, come avrebbe potuto farlo dopotutto?, così decisi di entrare. Lei era seduta sul suo letto, le ginocchia strette al petto e la testa appoggiata sopra.
Imbarazzato come pochi, mi sedetti lì al suo fianco.
Rimanemmo un po’ fermi in silenzio, poi lei alzò la testa e allungò una mano tremante verso il comodino, cercando qualcosa. Quando capii che cercava il suo solito quadernino che usava per comunicare, glielo passai immediatamente assieme ad una penna.
Quanti anni aveva il bambino?” scrisse.
Non sapevo cosa rispondere, quindi optai per la verità.
“Sette e mezzo.”
La sua mano tremò mentre aggiungeva “L’SI sa di te?
Parlava sempre dell’ FBI nominando solo me.
“Purtroppo sì. Ma non lasceremo che ti faccia del male.”
Cosa potrebbe collegarmi a lui?
Non capii quella domanda. Dopotutto lui sapeva perfettamente che Veronika Gordon, all’epoca appena cinquenne, era sfuggita alla sua furia omicida.
“Beh lui sa chi sei..” le risposi. Lei scosse la testa, fece per scrivere qualcos’altro ma cancellò.
“Veronika, cosa volevi dire?”
Ogni indizio era importante. Ogni piccolo dettaglio che lei potesse anche solo immaginarsi poteva toglierci da quel fango dove c’eravamo infilati.
Niente.” scrisse solo, lapidaria.
Rimanemmo di nuovo in silenzio.
“Ascolta Veronika, non volevamo che scoprissi tutto così. Sono stato un idiota a farti vedere quelle scritte, non volevo soffrissi. Ti chiedo scusa.”
Lei finalmente abbozzò un sorriso, anche se aveva ancora gli occhi lucidi dalle lacrime. “Non ti preoccupare.
Questa volta non lo scrisse, lo sillabò con le labbra. Come una normale persona afona.
 
Era sera. Hotch e gli altri erano tornati con pochissimi risultati, per non dire nessuno.
JJ gli aveva detto che Veronika aveva scoperto tutto, omettendo che era stata la mia stupidità a farglielo scoprire, così Hotch l’aveva interrogata tutto il pomeriggio. Come già detto, ogni indizio, ogni piccolo particolare era utile. Sfortunatamente, come me, Hotch non riuscì a cavare un ragno da un buco.
Verso sera Veronika si rintanò a suonare nello studio, come al solito. Quando mi appostai come al solito dietro la porta, stava suonando con parecchia enfasi un pezzo che non le avevo mai sentito suonare, il Minuetto e Trio di Mozart (http://www.youtube.com/watch?v=bU4ibFvJ_9k non badate al fatto che non suona nemmeno un pianoforte, sono licenze d’autore queste!)
Certo, quel pezzo non le veniva bene come gli altri ma era pur sempre bravissima. Quando smise di suonare fui quasi tentato di applaudirle.
“Guarda che puoi uscire da lì. So che ci sei.”
Una voce roca mi fece sobbalzare, portai la mano alla pistola e mi guardai attorno: che l’SI fosse riuscito ad entrare in casa?
Ma attorno a me non c’era nessuno.
Qualcuno si schiarì la voce “Ho detto che puoi uscire da lì. Non sono arrabbiata, so che sei sempre lì.”
Un momento. L’SI era un uomo. La voce aveva detto arrabbiata.
Tutto ciò era talmente assurdo che nemmeno la mia così abile mente arrivò subito alla soluzione dell’enigma. Ma quando successe, impallidii.
“Veronika?!” chiesi entrando nella stanza.
Lei fece un mezzo giro su se stessa grazie allo sgabello girevole e mi sorrise “Allora, lo conosci questo pezzo?”
La voce era roca, giusto, non parlava da quasi undici anni.
Veronika Gordon stava parlando.
Veronika Gordon stava parlando con me.
Veronika Gordon stava parlando con me e mi stava chiedendo se conoscevo Mozart!
“Certo che lo conosco. Il Minuetto e Trio.” risposi con nonchalance.
Lei fece una faccia stupita “Sì, sono esterrefatto dal fatto che mi hai appena parlato tre volte di fila, ma visto che facevi l’indifferente ho deciso di farlo anch’io.” le risposi io con un sorriso sarcastico.
Lei me ne fece un altro in risposta “Ma sei davvero un genio, allora.”
Stavo per risponderle quando udii la voce di JJ in corridoio “Reid, con chi stai parlando?”
Prima che potessi avvertire JJ del prodigio, Veronika alzò un braccio e disse “Con me!” proprio nell’istante esatto in cui JJ entrava nella stanza.
La mia collega sbiancò quasi più di me, e spostò spaventata lo sguardo da me a Veronika e viceversa.
“Sì JJ, parlo. Non sono nata muta, sai?” continuò Veronika, con un tono talmente banale da farmi sorridere.
Ciò non successe però a JJ, che sembrava ancora reduce da un incontro con un fantasma.
“JJ siediti, tra un po’ svieni..”
Quando JJ si fu sufficientemente calmata mi disse di chiudere la porta e cominciò a tempestare Veronika di domande.
L’unica a cui diede una risposta seria fu “Perché hai deciso di ricominciare proprio oggi?”, “Perché voglio dare una voce a tutte le vittime di quel bastardo.”
Finito l’improbabile interrogatorio, dato che JJ voleva subito correre da Hotch ed avvertirlo, Veronika la pregò di non farlo. Disse che aveva in mente un piano per la cena, e ce lo spiegò.
 
Quella sera la cena fu particolarmente silenziosa.
Veronika appariva persa nel suo mondo di silenzio e dolore, e tutti facevano di tutto per non ferirla ancora di più.
Io e JJ, seduti ai lati di Veronika in attesa che il piano iniziasse, ci guardavamo cercando di non scoppiare a ridere per non mandare all’aria tutto.
D’un tratto Veronika prese la brocca dell’acqua per versarsela, poi la rimise giù perché il bicchiere era già pieno.
Era il segnale.
“Veronika, potresti passarmi il sale?” le chiesi, indicando l’oggetto spostato appositamente vicino a lei pochi minuti prima.
“Ecco, tieni!”
Il silenzio attorno al tavolo si fece tombale. Riuscivo quasi a sentire i granelli di sale colpire le foglie d’insalata.
“Reid, mi passi le patate per favore?” chiese JJ, l’unica a parte me che non stava guardando Veronika con due occhi grandi così.
“Guarda, te le passo io. Tieni!” disse Veronika, allungando la mano per passargliele.
Poi tutti e tre ricominciammo a mangiare come se nulla fosse successo.
“Veronika?” chiese Hotch.
Lei alzò gli occhi dal suo piatto.
“Tu.. hai appena passato il sale a Reid e le patate a JJ, parlando?” lo interruppe Morgan.
Veronika spostò i suoi occhi su di lui “Penso di sì.” rispose, come se non capisse il punto del discorso.
Tutto il tavolo si scambiò occhiate sconvolte, poi il signor Gordon esclamò “Sia ringraziato il cielo! Veronika, tu parli!”
Lei sorrise ai nonni “Beh, non sono mica nata muta, eh!”
Inevitabilmente la cena di Veronika terminò lì, perché Hotch e gli altri la presero di peso e la portarono in sala per farle le stesse identiche domande fattele da JJ nel pomeriggio.
Quando tornò finalmente in camera era tardi, e lei era distrutta.
“Oh santo cielo, sono esausta.”
Era strano avere di nuovo una compagnia di stanza che pronunciasse qualche parola ogni tanto.
“Ti fa male la gola?” le chiesi.
Scosse la testa “Un pochino. JJ e Prentiss dicono che è normale, e mia nonna mi ha preparato del latte col miele. Ne vuoi?” chiese, porgendomi la tazza che aveva in mano.
“No, grazie. Non so perché, ma non ho mai bevuto il latte prima di dormire.”
Veronika appoggiò la tazza sul comodino e si mise sotto le coperte.
“Io sì, quando ero piccola. Mia mamma me la faceva sempre. Tranne quella sera. Non la volevo, ho interrotto una tradizione, e li hanno uccisi. Ho sempre dato la colpa a questa stupida tazza di latte. Non ho più bevuto latte per undici anni.”
“Oggi è la giornata dei nuovi inizi?” “Esatto.”
Silenzio.
“Wow. Non avevo mai detto a nessuno queste cose.”
“Anche perché hai smesso di parlare appena hai potuto farlo..”
Scoppiò a ridere. Almeno la sua risata era familiare.
“Buonanotte, Spencer Reid!”
“Buonanotte, Veronika Gordon.”

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Capitolo 9
*** Incidenti ***


Incidenti
 
Quando avevo quindici anni non ero mai stato a contatto con delle ragazze. Non della mia età, almeno.
Quando io avevo quindici anni ero al College in mezzo a ragazzi tutti più grandi di me, e le ragazze di sicuro non si davano nemmeno la pena di parlare ad un bambino prodigio come me. Quindi non avevo mai avuto occasione di sperimentare il terribile carattere delle quindicenni.
Cosa che mi stava ahimè succedendo con Veronika!
Oltre alla voce, aveva tirato fuori un gran bel caratterino.
Hotch aveva già ringraziato il cielo più e più volte per avergli rifilato un figlio maschio, Morgan aveva ripetuto fino allo sfinimento che di ragazze ne aveva avute fin troppe in casa, Prentiss aveva troppo poca pazienza per una come lei. Rimanevamo solo io e JJ, e devo dire che con noi era anche abbastanza buona.
Ci aveva rivelato che non sopportava gli altri agenti. Morgan faceva troppo lo spiritoso, Hotch troppo poco, Prentiss era “una palla mortale”. Io e JJ eravamo a posto, a quanto pareva.
Gli altri non ci avevano messo molto a notare questa cosa, anzi, l’avevano notata subito, così Morgan mi aveva rifilato l’incarico di accompagnare Veronika a scuola ogni mattina e di riportarla a casa dopo pranzo. E portarla alle lezioni di pianoforte.
Sì perché quando aveva ricominciato a parlare, una delle prime cose che aveva avuto il coraggio di dire ai suoi nonni era che voleva cominciare a prendere lezioni. I due pezzi dello Schiaccianoci li sapeva benissimo, ma ora voleva imparare altro, magari perfezionare il Minuetto e Trio. I nonni avevano ovviamente acconsentito e io la accompagnavo in città, la aspettavo lì un’oretta e la tornavo a prendere.
Veronika era entusiasta, e l’insegnante quasi più di lei. Era abituata ai bimbetti nullafacenti, quindi quando si era vista capitare davanti questa quindicenne alla sua prima lezione avrebbe preferito uccidersi.
Le aveva chiesto di suonarle qualcosa per vedere il livello, e quando Veronika si era lanciata nell’esecuzione magistralmente perfetta della Danza della Fata dei Confetti era rimasta a bocca spalancata.
Veronika parlava addirittura di un concerto, da fare dopo la fine delle indagini.
Nel frattempo, dall’ultimo omicidio erano passate tre settimane e non si erano più avute notizie di corpi. Che avesse di nuovo smesso di uccidere?
Veronika aprì la portiera, distogliendomi da queste riflessioni.
“Eccoti finalmente! Hai preso tutto? Possiamo andare?”
“Certo, certo.”
La guardai meglio, e notai che si era leggermente truccata e aveva i capelli lisciati.
Nella mia misera conoscenza delle donne sapevo che dovevo dirle qualcosa.
“Stai bene così pettinata.”
Lei arrossì leggermente “Grazie! Speriamo che anche Emme se ne renda conto..”
Mi feci subito più attento “Emme? Beh, chi sarebbe questo Emme?”
“Nessuno!”
“Guarda, ho un QI di 187, non mi ci vorrebbe nemmeno tanto a scoprire la combinazioni di chiavi e lucchetti dei tuoi diari. Però devo anche lavorare per scoprire chi è l’SI, quindi se non perdo tempo è meglio.”
Lei mi guardò stupita per un attimo, per poi sbuffare di fronte alla mia incommensurabile conoscenza e raccontarmi di Emme. Un suo compagno di classe, a quanto pare, che era piuttosto carino e da quando lei aveva ricominciato a parlare le stava molto vicino e parlava sempre con lei.
Quando arrivammo a scuola me lo fece vedere, era un biondino abbastanza carino con gli occhi nocciola.
“Beh, dai, non è male, e in più mi hai fatto risparmiare tempo! Ci vediamo all’uscita!”
Lei mi fece una linguaccia, prese la sua borsa da scuola e si avviò sorridendo verso i suoi compagni.
 
Ormai eravamo a un passo dallo scoprire l’identità dell’SI, ne ero certo.
Avevamo ristretto il campo ad una cinquantina di sospettati, il che era un ottimo risultato. E in più sembrava che non uccidesse più.
“Reid, scendi tu a prendere Veronika? Credo sia quella là seduta sugli scalini..”
Annuii e scesi dalla macchina, lasciando dentro Morgan.
Veronika mi vide scendere e mi sorrise, alzò un braccio in segno di saluto e dopo essersi accomiatata dai suoi compagni mi venne incontro.
Io l’aspettavo dall’altra parte della strada, proprio di fronte alle strisce pedonali. Sulla strada c’era solo un pickup, ma era lontano e comunque doveva fermarsi.
Veronika attraversò senza nemmeno guardare.
Poi, accadde tutto in un attimo.
Sentii una macchina partire, e la voce di Morgan urlare il mio nome. Mi voltai come a rallentatore, e vidi il pickup accelerare improvvisamente e puntare dritto verso Veronika, ferma in mezzo alla strada con un’espressione terrorizzata dipinta sul viso.
Con un’agilità che ero fermamente sicuro di non avere, mi lanciai in mezzo alla strada anch’io e salvai Veronika per un pelo, cadendole praticamente addosso e rotolando sull’asfalto. Il pickup passò a circa dieci centimetri dalla mia testa , poi Morgan sparò qualche colpo di pistola e probabilmente per schivare i proiettili la macchina sbandò rischiando di uccidere i ragazzi fuori dalla scuola.
Urla, Morgan che insultava l’uomo alla guida, stridore di gomme sull’asfalto e poi solo il battito frenetico del cuore di Veronika.
“Reid! State bene?” esclamò Morgan, avvicinandosi di corsa. Mi aiutò ad alzarmi e io feci lo stesso con Veronika.
Aveva i capelli tutti scompigliati e dei graffi rossi sulle braccia e sul viso, dove aveva strisciato sull’asfalto. E il terrore puro negli occhi.
“State tutti bene, ragazzi?” chiese Morgan ai compagni di scuola di Veronika.
Loro annuirono, spaventati, ma qualcuno chiese “Perché quell’uomo cercava di investire Veronika?”
La domanda si diffuse tra tutti in un tempo infinitamente breve, finché tutti non guardarono Veronika con paura e sospetto, pensando chiaramente è colpa sua.
Lei ricambiò gli sguardi pieni di odio e paura dei compagni con uno sguardo afflitto, ma con una fiamma di coraggio spaventosa al suo interno.
“Veronika, stai bene?”
Sentii le parole uscire dalla mia bocca, senza nemmeno averci pensato prima.
Lei si girò verso di me, come in trance, ed annuì.
“Veronika? Ti prego, dimmi che stai bene!”
Lei mi guardò qualche istante senza capire, poi spalancò gli occhi e annuì di nuovo mormorando “Sto bene, io sto bene.”
Io e Morgan ci scambiammo uno sguardo sollevato: avevamo temuto che Veronika avesse di nuovo smesso di parlare.
 
Arrivati a casa ne parlammo con Hotch e gli altri.
Per prima cosa ci chiese se io o Veronika fossimo stati feriti, e quando gli assicurai che avevamo solo qualche graffio fu molto sollevato.
Decise che era meglio non far tornare Veronika a scuola finché non fosse tutto risolto, anche se questa idea gli fu suggerita da JJ e dal suo solito tatto da madre.
Poi chiese a Morgan se fosse riuscito a vedere la targa.
“No, quel figlio di puttana ce l’aveva coperta, ma ho sparato e ho colpito il pickup.”
“Di che colore era questo pickup?” “Blu.”
JJ aprì il computer e la faccia preoccupata di Garcia riempì lo schermo.
“Piccolo Federale! Stai bene?” mi chiese appena mi vide.
Sorrisi “Sì Garcia, solo qualche graffio.”
“Non preoccuparti Bambolina, il nostro piccoletto è grande e coraggioso in realtà!” aggiunse Morgan ridendo, e dandomi una delle sue solite pacche sulla schiena così forti da farmi quasi sputare un polmone.
“Morgan, Reid, non siamo qui a discutere di questo! Garcia, abbiamo una nuova informazione sull’SI.”
Garcia si mise sull’attenti “Agli ordini Hotch! Dimmi tutto!”
Hotch, suo malgrado, sorrise “Bene, allora, quest’uomo guida un vecchio pickup blu.” “Di che anno, circa?” “Un vecchio modello, forse della fine degli anni ’80.”
Garcia cominciò a cercare nel suo computer, mormorando frasi sconnesse, finché un sonoro BIP! non echeggiò nella stanza.
Avevamo trovato l’SI.

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Capitolo 10
*** Minuetto e Trio ***


Minuetto e Trio
 
BIP!
Avevamo trovato l’S.I.
silenzio totale nella stanza.
“Ragazzi.. l’ho trovato.” mormorò Garcia dall’altra parte dello schermo.
Ciò servì a riportarci alla realtà.
“Garcia, dicci ogni cosa.”
Garcia prese un profondo respiro e cominciò a snocciolare informazioni “Si chiama Ronald Sanders, ha 37 anni, guida un pickup blu, è nato a Baltimora e lì ha passato l’intera infanzia, poi nove anni fa se n’è andato per trasferirsi a Washington. Doveva lavorare in un conservatorio ma non l’hanno preso, da allora ha vagato qua e là per la Virginia per due anni, poi è tornato a Baltimora. È rimasto lì a lavorare in un.. negozio di armi fino a due giorni prima dell’inizio della seconda tornata di omicidi. Si è licenziato e se n’è andato, ma il proprietario del negozio ha denunciato il furto di una 9mm di quelle utilizzate dalla polizia e un’intera scatola di munizioni. Da allora nessuno ha più alcuna notizia di lui o del suo pickup.”
“Si è licenziato. Dev’essere successo qualcosa, il fattore scatenante. Garcia, sai perché si è licenziato?” chiese Rossi.
Garcia scorse un po’ lo schermo “Suo padre è morto, un tumore al fegato. Si chiamava Gordon Sanders.. oh santo cielo!”
“Gordon Sanders? Come il famoso pianista classico?” chiesi io.
Garcia annuì “Non come il famoso pianista classico, ma il famoso pianista classico!”
“Cosa?! L’S.I. è figlio di Gordon Sanders?!”
“Redi, Garcia, potreste spiegarci chi è Gordon Sanders?” ci bloccò Prentiss.
“Sanders è un pianista classico contemporaneo. Bravissimo. Ha suonato una volta al compleanno di un qualche figlio di un qualche politico importante, qualche anno fa. Sapevo che era malato, ma ignoravo sia che fosse morto sia che avesse un figlio.”
“Pianista classico, hai detto? Allora forse è possibile che il figlio abbia cercato di seguire le sue orme.. Garcia, hai detto che ha studiato al conservatorio vero? Cosa studiava?”
“Pianoforte. Era bravissimo, i geni del padre hanno fatto il loro lavoro. Ha studiato come privatista per tutta l’infanzia, il padre era il suo insegnante. Ha passato tutti gli esami con il massimo dei voti, ma è stato bocciato all’ultima prova, quella di pratica. L’insegnante che lo ha esaminato ha detto che era un vero peccato, perché lui era un perfezionista e aveva studiato come un ossesso per tutti gli esami, con tutti i suoi portafortuna e cose del genere..”
“Un ossessivo compulsivo, si capisce. Per curiosità, che pezzo ha portato all’esame pratico?”
“Dunque, qui dice che ha portato un pezzo di Mozart.. il Minuetto e Trio!”
“COSA?!”
Tutti si girarono verso di me.
“Reid? Stai bene?”
Non risposi, il mio cervello stava lavorando ad una velocità insolita anche per lui.
“Ho capito! Veronika è il suo errore! Veronika è l’errore che l’ha portato alla bocciatura! Nella sua mente ha compiuto due volte lo stesso errore, ha deluso due volte suo padre..”
“Spence, ora calmati e dicci quello che hai capito.”
Il tono pacato e preoccupato di JJ mi riportò alla realtà.
“Ho capito il perché del modus operandi dell’S.I.! E ho capito anche perché ce l’ha tanto con Veronika! Qualcuno di voi ha mai sentito parlare del Minuetto?”
Tutti scossero la testa “Il minuetto è un antico ballo di corte del periodo barocco, nato in Francia all’epoca di Luigi XIV. È diviso in tre parti, minuetto-trio-minuetto, ciascuna delle quali va ripetuta. È per questo che usa il 3: 3 vittime ogni 3 settimane. Ma quando ha ucciso i genitori di Veronika e lei gli è sfuggita, ha sbagliato. Ha ucciso solo due persone. Veronika rappresenta l’errore che l’ha fatto bocciare al conservatorio, crede che se riesce ad ucciderla tornerà in pace con se stesso e col padre, che probabilmente l’ha cacciato di casa quando ha macchiato l’onore musicale della famiglia.”
“Ma non poteva uccidere una persona a caso, per la strada? O una quarta un’altra volta?”
“Non sarebbe stato armonico. Sarebbe stato come aggiungere una nota, o una quarta parte al pezzo. Non suonerebbe nello stesso modo, non trovi?”
Avevo dato una spiegazione più che esauriente, ma avevo tralasciato una cosa.
Una cosa che non avrei detto a loro, ma soprattutto non avrei detto a Veronika.
Un pezzo, nascosto sotto altri spartiti nello studio di Veronika.
Non potevo dirle che lei aveva così tante affinità con il “suo” S.I.
“Ma questa settimana non ha ucciso nessuno!” disse Morgan.
Come se aspettasse quel momento, il telefono di JJ squillò.
Lei rispose “Agente Jaerau. Oh, salve sceriffo, abbiamo delle novità sul caso! Anche voi? Cosa?”
Qualche minuto di silenzio.
“Arriviamo immediatamente.”
JJ chiuse la comunicazione.
Avevamo paura di chiederle cosa fosse successo.
Forse perché sapevamo già la risposta.
“C’è stato un altro omicidio.”
 
Giustamente. Non era ancora scoccata la mezzanotte.
“Tre vittime, genitori e un figlio. La famiglia Lewis, vive a tre isolati dalla stazione di polizia. Ci ha chiamato la vicina. Uccisi con una 9mm, come sempre.”
La voce dello sceriffo era vuota e stanca.
Giustamente. Ormai era da troppe settimane che ripeteva le stesse cose.
“Questa volta ha lasciato un messaggio.”
“Ancora? Cosa dice stavolta?” chiese Morgan.
L’ispettore ci fece vedere un biglietto scritto con inchiostro rosso.
Inchiostro, o sangue?
“Gordon, tre giorni.”
Ecco di nuovo il tre che ritornava.
“Tre giorni a cosa?”
“Al prossimo omicidio. È scritto sul retro.”
“Tre vittime. Sappilo.”
Se la prendeva con Veronika così esplicitamente. Che bisogno c’era?
“Dobbiamo trovarlo entro tre giorni. Possiamo farcela. Torniamo a casa, dai.”
Hotch pronunciò queste parole stancamente, altrettanto stancamente noi annuimmo e lo seguimmo nelle macchine.
Nessuno ne poteva più di quel caso. Non ne avevamo mai seguiti di così lunghi, per quel che mi ricordavo. E avendo io una memoria eidetica me lo ricordavo piuttosto bene.
Arrivati a casa, trovammo ad accoglierci i signori Gordon che avevano saputo dell’omicidio. Lasciai gli altri a parlargli, io volevo solo un po’ di pace.
E in quel periodo l’unica cosa che sembrava darmi pace era il pianoforte di Veronika, anche se lei stava suonando proprio il Minuetto e Trio.
Con una rabbia che non le era consueta, sbatteva le dita sui tasti fin quasi a farsi male. Lo sentivo dai gemiti che uscivano dalle sue labbra serrate più che mai.
Probabilmente la stessa rabbia con cui l’aveva suonato Ronald Sanders.
Chissà come avrebbe reagito Veronika se avesse scoperto che proprio quel pezzo con cui si sfogava aveva portato un uomo allo stato di pazzia nel quale aveva ucciso i suoi genitori.
Probabilmente sarebbe impazzita anche lei.
E se volevo sentire di nuovo il nome di Veronika Gordon, in futuro, era come nuova stella del pianoforte classico, non come suicida o peggio, come serial killer.
 

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Capitolo 11
*** Condividere ***


Condividere
 
Le sirene mi rimbombavano nelle orecchie, le luci della strada si fondevano in uniche grandi strisce luminose sui vetri dei finestrini.
Io guidavo come un matto, incurante dei semafori e delle poche altre macchine che c’erano per la strada, un unico pensiero nella testa. Non potevamo perderla.
Non anche lei.
Il telefono suonò “Dimmi JJ.”
“Spence, sono troppi, ci hanno bloccati.”
Maledizione.
“JJ cosa devo fare?”
“Lui è in un magazzino abbandonato vicino al porto. Ha lei con sé. Tu va lì fuori e aspetta, se tra dieci minuti non siamo lì entra, ma sta attento.
Chiusi la comunicazione e accelerai di nuovo, svoltando a destra verso il porto.
Il magazzino abbandonato era lì ad attendermi. L’unico con il cancello aperto, la serratura forzata malamente e in fretta. Parcheggiai lì fuori ed uscii.
Sapevo di aver detto a JJ che avrei aspettato, ma era statisticamente impossibile che riuscissero ad aggirare il blocco, trovare una strada alternativa e raggiungermi entro dieci minuti, considerando che io ne avevo impiegati 25 ed ero partito 10 minuti prima di loro.
Pistola alla mano, giubbotto antiproiettile, una quantità di adrenalina in circolo da far paura, mi avvicinai al cancello ed entrai nel parcheggio.
Era deserto, tranne per la sua macchina parcheggiata in un angolo.
Era davvero così stupido?
La porta era aperta, la lampadina rotta da un colpo di pistola.
Era davvero così stupido.
Percorsi il corridoio nel silenzio più totale, non sentivo nemmeno il rumore dei miei passi. D’un tratto sentii la sua voce “Credi davvero che i tuoi amici federali ti verranno a salvare? Sciocca, sciocca ragazzina. Morirai sola, come tutte le persone su questa terra!”
Trattenni il fiato, sentendola rispondere “I miei amici federali hanno fatto un giuramento, hanno giurato di portare a termine ogni loro missione, e puoi star certo che ti fermeranno! Puoi anche uccidermi se vuoi, ma loro ti fermeranno.”
L’S.I. rise istericamente e ricominciò a camminarle attorno.
Respirai piano, cercando di concentrarmi al massimo. Dovevo solo arrivargli alle spalle senza fare il minimo rumore, e sparargli prima che lui sparasse a lei.
Feci un passo, poi un altro, e finalmente fu nella mia linea di tiro.
Peccato soloche ci fosse una trave di legno appoggiata al pavimento.
E il mio piede la urtò molto rumorosamente.
L’S.I. non si voltò nemmeno subito. Prima le sparò un colpo in pieno petto, poi si girò. Lanciò per terra la pistola, tanto sapeva di non avere più speranze.
Gli sparai una raffica di colpi, anche se probabilmente l’avevo ucciso al primo, poi corsi da lei.
Era ancora viva, nonostante il suo sangue stesse formando una pozza sotto il suo corpo. Mi vide, mi puntò addosso i suoi occhi castani, io cominciai a vederci sfuocato per le lacrime. Le strinsi la mano.
“Ehi, resta con me. Stanno arrivando, ti salveranno. Sei sopravvissuta a peggio...” le mormorai, la voce rotta dal pianto.
Lei abbozzò un debole sorriso; sapeva che non sarebbe sopravvissuta.
“Si vede che non era destino che lo facessi, allora.” mi rispose, la voce ridotta ad un soffio.
“Veronika...”
Lei scosse piano la testa, strinse la mia mano per l’ultima volta e girò la testa dall’altra parte.
 
Mi svegliai di soprassalto, madido di sudore. Ci misi qualche secondo a capire dov’ero, ma quando sentii la lana della coperta e l’odore del legno trassi un profondo respiro di sollievo: era solo un sogno.
Sempre il solito sogno.
Mi tirai su a sedere e mi guardai attorno per controllare che fosse tutto a posto, e per poco non mi presi un accidente quando vidi la sagoma di Veronika seduta sul suo letto che mi fissava.
“Veronika! Cosa ci fai sveglia a quest’ora?” le chiesi sottovoce.
“Potrei chiederti la stessa cosa. Ma ti rispondo che ho paura di addormentarmi.”
“Perché?”
Veronika sospirò “Ho paura di avere gli incubi. Di solito non li ho, ma dopo quello che è successo oggi..”
“Vuoi venire qui? Così mi racconti i tuoi incubi, e io ti racconto i miei.”
“Anche tu hai gli incubi?”
“È per quello che mi sono svegliato.”
Persino nel buio distinsi il sorriso timido di Veronika, che si alzò e si venne a sedere vicino a me. Si mise la coperta sulle gambe.
“I miei incubi si possono immaginare, sogno i miei genitori. Tu, invece?”
Sospirai “Sogno una cosa che mi è successa poco prima di venire qui. Un caso, andato male. È morta una nostra collega.”
Veronika si fece più vicina “Racconta.”
Non era un invito, era un ordine.
“Si chiamava Ashley, Ashley Seaver. Era giovane, bionda, assomigliava un po’ a JJ e aveva preso il suo posto quando se n’era andata. Suo padre era un serial killer, fu catturato proprio da Hotch e Rossi quando lei era ancora una ragazzina. Comunque, lavoravamo ad un caso, una banda comandata da un S.I. che rapiva donne bionde, le torturava per quattro o cinque giorni poi abbandonava i loro cadaveri in autostrada con biglietti d’auguri nelle tasche. Decidemmo, anche se era pericoloso, di usare Ashley come esca. Anzi, si offrì lei. Ovviamente l’S.I. la prese, e mentre i miei compagni erano bloccati dal resto della banda andai io fin dove la teneva prigioniera. Avrei potuto salvarla, ma urtai un pezzo di legno e lui le sparò. Io sparai a lui e cercai di salvarla, ma mi morì proprio tra le braccia. Da allora ogni tanto sogno la stessa scena, ma la vittima cambia. Hotch, JJ, Prentiss, Morgan, Rossi, Garcia, mia madre, questa volta tu. Lo chiamano disturbo da stress post traumatico.”
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Mi diedero il congedo temporaneo, stetti a casa un mese. Sono tornato poco prima di venire qui, è il mio primo caso importante dopo un bel po’. Non sono ancora convinto che sia stata una grande idea.”
Veronika mise una mano sulla mia e la strinse “Ehi, io sì che ne sono convinta. Mi hai salvato la vita, oggi, e mi hai spinta a ricominciare a parlare. Come avrei fatto se non fossi venuto?”
Risi piano “Davvero ti ho spinta a ricominciare a parlare? Non volevi farlo per dare una voce alle vittime precedenti?”
“Anche. Ma anche perché mi sono accorta che mi ascoltavi suonare e volevo fartelo capire senza che pensassi che fossi arrabbiata. Sai, sarai anche un grande profiler, ma come spia sei veramente pessimo!”
Risi di nuovo, Veronika sbadigliò.
“Ah ah! Alla fine ti è venuto sonno!” le dissi per prenderla in giro.
Lei mi guardò male “Ho sonno. Solo, non voglio dormire. Big Bear ogni tanto non basta.”
“E Big Bear chi sarebbe?”
Indicò il suo letto, o meglio l’ammasso di peluche che c’era sopra “Vedi quell’orso grande e sottile, col maglione e i pantaloni? Ecco, lui è Big Bear. Il mio migliore amico, per quanto possa essere patetico.”
“Non è patetico, sono molti gli adolescenti che dormono ancora coi pupazzi.”
“Molti? Nessuna percentuale statistica?”
“Circa il 35%. Sto cercando di smetterla e di cominciare a parlare in modo più scorrevole, comunque.” risposi seccato.
“I risultati sono piuttosto scarsi..”
“Cos’ha quel peluche di tanto speciale per te?” le chiesi, deciso a cambiare argomento.
“Era con me. Sai l’orsacchiotto con cui mi hanno trovata dietro a quelle rocce? Probabilmente no, probabilmente nessun rapporto della polizia l’ha mai nominato. Comunque è lui. Un po’ più in forma e meno spelacchiato di adesso, ma è comunque lui.”
Annuii, grave “E quando Big Bear non basta, cosa fai?”
“Me lo faccio bastare. Penso che accanto a me ci sia la mamma, o papà, o qualcuno, stringo forte gli occhi e dopo un po’ mi addormento. Di solito funziona. Posso dormire con te stanotte?”
Sputò l’ultima domanda come se non ce la facesse proprio più a tenerla dentro.
Ero sorpreso “Ma io non sono tua madre!”
“Sei qualcuno. Un qualcuno che qualche giorno fa mi ha salvato da un incidente d’auto e che lavora ogni giorno per salvarmi la vita.”
Riflettei qualche secondo “Va’ a prendere Big Bear e stenditi qui vicino. Ma ti avverto, quando domattina dovrò svegliarmi prima di te e farò rumore, non provare a lamentarti!”

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Capitolo 12
*** Intervallo ***


Intervallo
 
Conservatorio di Washington, settembre 2002
 
Un ragazzo coi capelli scuri e una serie di tic se ne stava seduto su una poltroncina ad aspettare, scuotendo piano la testa appoggiata alle mani.
Aveva sbagliato qualche nota, lo sapeva perfettamente. Quel La che era un Fa, santo cielo, l’aveva provato almeno un milione di volte. Ma niente, aveva sbagliato anche questa volta.
Dettato, solfeggio, trasporto, cantato: aveva preso 10 nei primi due e 9 negli altri.
Non potevano bocciarlo. Suo padre non l’avrebbe mai perdonato.
La porta di legno si aprì e fece capolino la donna che l’aveva esaminato “Ronald Sanders?” chiese. Lui si alzò in piedi di scatto, lisciandosi ancora la camicia più che liscia. Qualcuno nella sala sospirò.
“Entri, la prego.”
Ronald Sanders seguì la donna dentro l’ufficio, sperando che avesse solo buone notizie da dargli.
E invece quella donna si accomodò di fronte a lui, lo guardò dritto negli occhi (si può guardare una persona negli occhi portando gli occhiali?) e gli disse “Signor Sanders, mi dispiace ma purtroppo lei non è stato dichiarato idoneo ad insegnare in questo conservatorio.”
E in un istante, tutto il mondo che Sanders si era costruito attorno, gli crollò addosso.
 
Parcheggiò la macchina nel viale, spense il motore ma rimase dentro altri cinque minuti.
Sudore gelido e vischioso gli bagnava la spina dorsale, le mani dalle unghie sanguinanti e dalle nocche mordicchiate stringevano spasmodicamente il volante.
Col respiro affannoso riuscì a staccarle e ad uscire dall’auto.
Le mani gli tremavano così tanto che riuscì ad infilare la chiave nella toppa solo al terzo tentativo.
“Papà, sono a casa.”
Sperò con tutto il cuore che suo padre stesse dormendo, o non si ricordasse di cosa doveva succedere. Invece eccolo spuntare dalla porta della sala, coi suoi spessi occhiali rettangolari (nemmeno lui lo guardava mai negli occhi, se non quando voleva arrabbiarsi con lui).
“Allora Ronald, com’è andata?” gli chiese sorridendo. Quel sorriso aveva la capacità di terrorizzarlo ancora di più.
“10 nel dettato e nel solfeggio, 9 nel cantato e nel trasporto.” disse tra i denti, come se pronunciare ogni parola fosse come una fatica immane.
“E la prova pratica?”
Si rese conto che non voleva rispondere a quella domanda. Non poteva.
“Ho fatto un errore, quel solito Fa..”
“Idiota. Quante volte ti ho detto di stare attento quando suoni?”
Sanders strinse forte i pugni “Tante, papà. Avrei dovuto darti ragione, papà.”
“Allora, com’è andata?”
“Mi hanno bocciato, papà.”
 
La guancia gli doleva ancora.
L’intero viso gli doleva, in realtà.
Per non dire addirittura l’intero corpo.
Il rossore provocato dallo schiaffo di suo padre era come un tatuaggio stampato sul suo viso, un tatuaggio che recava la scritta DELUSIONE.
Anche se erano passati tre giorni, anche se suo padre ormai l’aveva cacciato di casa e lui viveva nel retro di quel negozio di armi dove aveva trovato lavoro.
“Scusi, potrebbe darmi delle munizioni per questa pistola?” gli chiese la donna che aveva davanti.
“Ce l’ha il porto d’armi?” chiese, anche se stava già trafficando sotto il bancone alla ricerca dei proiettili giusti. 45mm.
“Non ce l’ho dietro, va bene comunque?”
“Certo.”
Non andava bene per nulla. Quella donna poteva uscire e uccidere qualcuno, e la colpa sarebbe stata solo la sua. Eppure le vendette le munizioni senza battere ciglio.
Forse perché dopotutto era quello che voleva fare anche lui. Uscire, andare da suo padre e piantargli un proiettile in mezzo agli occhi.
Scosse la testa, cercando di togliersi quel pensiero dalla mente.
Uccidere non sarebbe mai stata la strada giusta.
 
Il telefono stava suonando. Chissà da quanto lo stava facendo, pensò alzandosi e scendendo di sotto.
“Pronto?” chiese con voce impastata dall’alcool ancora dalla sera prima.
“Ronald Sanders?”
“Sì.. chi parla?”
“L’Ospedale. Suo padre, Gordon Sanders..”
“So chi è mio padre. Cos’ha fatto?”
“È  morto.”
Silenzio.
“Se vuole possiamo provvedere noi al funerale, deve solo portarci i vestiti..” proseguì con voce flebile l’infermiera dall’altra parte: li aveva visti e sentiti litigare ogni volta, aveva visto Ronald andarsene praticamente in lacrime ogni giorno inseguito dalle parole del padre: tu non sei più mio figlio.
“Sì, grazie. Mi fareste enormemente piacere.” rispose lui con la voce roca.
“Suo padre.. avrebbe voluto una musica particolare?”
“Faccia lei.”
 
“Polvere eri, e polvere ritornerai.”
Ronald Sanders fece un passo avanti e posò una rosa bianca sulla bara di suo padre, mentre la musica aleggiava tra i pochi presenti.
Il Minuetto e Trio di Mozart.
Non avrebbero potuto fare scelta peggiore.
Per lui non aleggiava solo la musica, lui riusciva chiaramente a sentirlo, suo padre. Da dentro la bara di legno. “Tu non sei più mio figlio.”
“Figliolo, se vuoi parlare con qualcuno..”
Persino quel prete era più affettuoso di suo padre.
Si scostò violentemente “No, grazie. Sto bene.”
Non stava bene.
Entrò in macchina, guidò fino al negozio dove lavorava, andò nel retro a prendere le sue cose e lasciò un biglietto a proprietario “Mi licenzio, ho preso la paga dell’ultimo mese.”
Non prese solo quella. Con sé prese una 9mm e tutte le munizioni che riuscì a trovare.
 

Montana, aprile 2011
 
La pistola era gettata sotto il sedile del passeggero, il più lontano possibile da lui.
Sentiva ancora l’odore della polvere da sparo e del sangue delle sue ultime vittime.
Sentiva ancora le loro voci.
Dei genitori, ovviamente. Erano loro che supplicavano, soprattutto le madri. Come se credessero veramente che un po’ di piagnistei potessero salvarle.
“Salva almeno mio figlio!”
C’erano fin troppi bambini cresciuti senza genitori, lui non avrebbe mai aiutato ad incrementare il numero.
Veronika Gordon era una di loro. Tutti quei federali, e i nonni, e i poliziotti che cercavano di proteggerla.. erano davvero sicuri che fosse la cosa più giusta da fare?
Dopotutto non le era stata permessa un’infanzia, e come lui ben sapeva non era una bella esperienza. Probabilmente quella ragazza avrebbe di gran lunga preferito essere morta ed essere rimasta coi suoi genitori.
Era inutile, cercare così stupidamente di proteggerla.
Perché lui l’avrebbe trovata, e l’avrebbe uccisa, senza che riuscisse a guardarlo negli occhi.

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Capitolo 13
*** Minuetto; adagio, più che pianissimo, con malinconia ***


Minuetto; adagio, più che pianissimo, con malinconia
 
Come immaginavo, Veronika dormiva ancora quando mi svegliai.
Feci bene attenzione a non svegliarla, la scavalcai, e dopo essermi vestito scesi di sotto a far colazione.
“Ciao Spence. Veronika come sta?” mi chiese JJ mentre mi versavo il solito caffè con zucchero.
“Mah, dorme. Stanotte mi sono svegliato e..”
“Incubi?” mi chiese Morgan entrando in quel momento.
Annuii “Sì, ho avuto gli incubi. Ma non c’entra. Quando mi sono svegliato anche lei era sveglia, diceva che aveva paura di addormentarsi per gli incubi. Alla fine ha dormito con me.”
“Con te in che senso?”
“Nel senso che.. sei un idiota, Derek Morgan.” cisposi, cogliendo l’allusione del mio collega.
Lui e JJ sorrisero “No, dai, scherzo. E quando ha dormito con te è riuscita ad addormentarsi?”
“Sì. Sentite, lo so che è strano, ma..”
“No, non è strano. È più che normale che Veronika si sia affezionata così tanto a te, probabilmente rappresenti una figura vicina a lei che non ha avuto nell’infanzia ma che avrebbe voluto avere. Più che strano è pericoloso: quando chiuderemo il caso e torneremo a Quantico, Veronika soffrirà molto.” disse Hotch entrando in quel momento nella cucina.
“Quindi.. dici che non dovrei passare più tempo con lei?” chiesi, dubbioso.
Hotch scosse la testa “No, devi passarne più che puoi. Se l’abbandonassi ora soffrirebbe ancora di più.”
Annuii, seppur poco convinto; dopotutto se c’era qualcosa che sfuggiva alla mia abile mente erano proprio i rapporti interpersonali.
“Falle fare un giro, oggi pomeriggio.”
“Un giro?! Ma se non la facciamo andare a scuola perché è pericoloso che esca?!” esclamammo io e Morgan, quasi all’unisono.
“Se gira per strada è pericoloso. Ma siamo in Montana, ci sono più aree verdi che altro, e sicuramente l’S.I. non le conosce tutte. Chiedile se conosce qualcosa di simile e portacela.”
“A fare cosa? E poi io non ci sto capendo niente!”
“No! Spencer Reid che non capisce niente?! Non posso crederci!”
Fulminai JJ con lo sguardo “Non è divertente. Prima mi dite che se si affeziona troppo dopo soffrirà, poi che devo portarla a pranzo in un qualche prato sperduto in mezzo al nulla! Decidetevi!”
“Reid, devi portarla fuori perché se rimane ancora qualche giorno chiusa in casa impazzirà! Solo per quello.”
Scrollai le spalle “Bah. Come volete voi. Quando si sveglia ditele che sono nel suo studio.”
 
Lo studio di Veronika mi rilassava. C’era odore di libri, di caffè e del legno verniciato del pianoforte; probabilmente mi ricordava qualcosa nella mia infanzia.
Ero lì da qualche ora che cercavo di capire quando e dove avrebbe potuto colpire l’S.I. la prossima volta quando qualcuno chiese “Posso entrare?” distraendomi.
Veronika, vestita di tutto punto e pettinata, era in piedi appoggiata alla porta.
“Chiedi il permesso per entrare nel tuo studio?” le chiesi.
“Effettivamente.. che fai, suoni il piano?” mi chiese lei, indicando il pianoforte aperto davanti a me.
Improvvisai una scala di Do maggiore “Sono bravo, eh?”
“Bravissimo. Seriamente, sai suonare?”
“Bah, poco. Comunque è semplice, è solo matematica.”
Veronika sbuffò “Solo matematica un cazzo. Dire che suonare il pianoforte è solo matematica è come dire che la poesia è solo una divisione in sillabe.”
Ci fu qualche secondo di silenzio nei quali riflettei sulle sue parole, poi mi disse “JJ ha detto che mi cercavi.”
“Sì. Pensavo che siccome abbiamo la giornata libera” Veronika fece una smorfia “Potremmo andare a farci un giro.”
“Giro? Ma che, hai deciso di mandarmi al macello?!”
“No, ma cosa stai dicendo! Non in città. Insomma, ci saranno dei posti fuori mano dove potremmo andare..”
Evitai di aggiungere, come aveva detto Hotch, che in Montana ci sono più aree verdi che altro; Veronika mi sembrava piuttosto legata a quel posto.
Veronika parve pensarci su qualche istante, poi sul suo viso si dipinse un sorriso malinconico “Beh, un posto ci sarebbe, è perfetto per i picnic. Ma noi non abbiamo niente da portarci dietro, mia nonna ci metterebbe troppo tempo.”
“Idea. Tu mi dici cosa vuoi, io vado al McDonald’s in città, ti torno a prendere e andiamo là. Ok?”
“Ok!”
 
Ci trovammo seduti su un prato verde e pieno di pozzanghere fangose, a mangiare cibo spazzatura freddo (Veronika non si ricordava molto bene la strada, la sbagliammo tre o quattro volte) e coi piedi fradici perché entrambi avevamo le scarpe da ginnastica di tela. Ma almeno Veronika sembrava felice.
“Ok, ora spiegami come facevi a conoscere questo posto dimenticato da Dio!” le dissi, spostando l’ennesimo lombrico con la scarpa.
Lei rideva per i miei atteggiamenti così schizzinosi, prese il lombrico e se lo fece strisciare sul braccio “Quando venivamo a trovare i nonni mia madre mi ci portava sempre!” rispose osservando l’anellide che si contorceva.
“Tua madre?! Ecco da chi hai preso!”
“Avresti dovuto vederla! Era ancora peggio di me! Papà mi raccontava sempre che una volta per scommessa mamma aveva mangiato non mi ricordo quale insetto fritto! E quando venivamo qui facevamo le gare tra lombrichi, e i miei vincevano sempre. Forse perché lei li bloccava, in un qualche modo.”
Veronika piegò la testa all’indietro, un sorriso strano sul volto.
“Ti mancano tanto?”
Era la domanda più stupida che potessi farle. Mi aspettavo una qualche ingiuria o un pianto.
Invece il suo sorriso si allargò “Tanto? No, tantissimo. Ogni cosa mi ricorda loro, persino qui in Montana. Questo maglione, lo vedi? Era di mia madre. E questi jeans, un vecchio paio di mio padre. Quasi tutti i miei vestiti sono i loro. So che dovrei buttarli, o non metterli, o qualcosa di simile, ma nella mia mente hanno ancora i loro profumi.” Un attimo di silenzio “Forse perché uso lo stesso profumo di mia madre!”
Rise piano ancora qualche minuto, poi aggiunse “Ogni tanto penso che sarebbe meglio essere rimasta con loro. Morta, intendo. E no, non fare quella faccia da profiler federale preoccupato; il 90% delle vittime scampate ad un omicidio di massa si chiede come sarebbe stato morire con tutti gli altri, soprattutto se tra gli altri c’erano dei loro parenti. Fortunatamente solo il 5,5% di loro decide di raggiungerli. Non sei l’unico esperto di statistiche.”
“No, ma sono più bravo di te. C’è anche un 10% che...”
“Che pensa di farlo, ci va vicinissimo ma non lo fa. Giuro, se ne esco viva mi metto a fare la profiler!”
“Punto primo, tu ne uscirai sicuramente viva. Punto secondo, non bastano le statistiche per diventare un bravo profiler.”
“Ah, no? Quindi tu eri davvero raccomandato, non è Morgan che scherza..”
Le lanciai un lombrico, tanto non le facevano schifo. Lei cominciò a ridere di nuovo, ma questa volta il suo sorriso era diverso.
Non era malinconico.

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Capitolo 14
*** Trio; presto, mezzo forte, molto staccato con tensione ***


Trio; presto, mezzo forte, molto staccato con tensione
 
Il secondo giorno, l’umore di Veronika cambiò. Nei suoi occhi scuri passavano nuvole di tempesta, stava sempre sulle sue, non suonava nemmeno il piano.
Chiesi a JJ secondo lei cosa potesse avere, e mi rispose che erano “cose da donne”.
Tuttavia non ne parlò nemmeno a lei, quando le chiesi di farlo.
“È un’adolescente, Reid! Non puoi pretendere che non sia lunatica!” mi disse Prentiss quando chiesi consiglio anche a lei “Tutti lo siamo stati, alla sua età.”
Non persi tempo a spiegarle per l’ennesima volta che io alla sua età non avevo il tempo e il modo di essere lunatico, tra il College e mia madre, ma rimasi comunque un po’ preoccupato per Veronika.
Intanto, lavoravamo come pazzi per trovare il nascondiglio dell’S.I.
“Garcia, cerca tutti i depositi e i magazzini abbandonati, tutte le case rimaste inabitate, tutti i luoghi dove Sanders possa nascondersi.” ordinò Hotch.
L’immagine sgranata di Garcia dall’altra parte dello schermo scosse la testa “Hotch, capisco che sono un genio, ma così è troppo poco persino per me! Hai idea di quanti luoghi di questo genere ci siano nelle città vicine a dove vivono i Gordon?!”
“Non c’è bisogno di estendere così tanto le ricerche! Cerca solo nella città!”
Garcia digitò qualcosa sul suo computer “Allora.. per fortuna quella città è un buco! Ci sono tre magazzini, un deposito e nessuna casa abbandonata.”
Ci guardammo “È ancora troppo poco!” esclamò Morgan battendo il pugno sul tavolo.
Riflettemmo tutti qualche minuto, poi JJ chiese “Garcia, qualcuno di questi è vicino ad un negozio di strumenti musicali?”
“Uhm.. No, direi di no!”
“Qualcuno era un negozio di strumenti?”
Garcia osservò attentamente “Sì! Uno! Al numero 325 di Washington Street, c’era un negozio di strumenti musicali fino a tre anni fa, chiuso per fallimento!”
Ci guardammo, esultanti: era il posto giusto!
“Garcia, mandaci le coordinate sui cellulari, noi andiamo là! Grazie mille, Bambolina!” le disse Morgan.
“Ogni vostro desiderio è un ordine! A presto!” rispose lei, chiudendo la comunicazione.
 
Un vecchietto che abitava lì vicino, proprietario dell’intero isolato, ci confermò che un uomo di circa trent’anni si era presentato lì la settimana in cui ricominciarono gli omicidi. Sembrava un ragazzo a posto, ci disse, fissato con la musica classica. In quella casa non c’erano state elettricità e riscaldamento per tre settimane dopo il suo arrivo, e anche adesso l’acqua arrivava poche volte e gelida, ma lui si era fissato con quel posto.
“Perché, ha fatto qualcosa di male?” ci chiese alla fine del discorso.
“No, vogliamo solo fargli qualche domanda.” rispose Rossi, mentre Hotch disponeva le squadre per entrare.
Il vecchietto ci guardò ironico “Certo, siete dell’FBI e volete solo fargli qualche domanda. Bah, fate un po’ come vi pare. Mettete pure tutto a soqquadro, ma non distruggete niente in modo irreversibile.”
“Grazie mille, signore.”
Ci avvicinammo a Hotch “JJ, tu e Rossi entrate là dal retro, solo quando Morgan vi avrà dato il segnale. Morgan, tu con Prentiss dal garage. Reid, tu sei con me, entriamo dal davanti. Nessuno faccia niente senza il mio consenso, e se trovate l’SI non attaccatelo singolarmente, è chiaro?”
Sapevo cosa voleva aggiungere, lo sapevamo tutti.
 “L’ultima volta che l’avete fatto Ashley è morta.”
Annuimmo, e ci disponemmo.
“FBI! Gordon, apra la porta!” gridò Hotch.
Nessuno rispose.
Abbatterono la porta, entrammo.
“Libero!” “Anche di qua, libero!” gridarono gli agenti attorno a noi.
“Morgan, puoi entrare.” disse Hotch all’auricolare.
Si sentì il rumore della porta del garage sfondata, poi le voci degli agenti “Libero!” “Libero!”
Altra porta sfondata, quella del retro. JJ gridò “Hotch, è libero anche qui!”
Hotch mi guardò “Com’è possibile?!” esclamò, e cominciò a guardare in ogni stanza.
Alla fine, dovette rinunciare anche lui: la casa era irrimediabilmente vuota.
“Dev’essere stato avvertito! Forse ha un complice..” ipotizzò Prentiss.
Rossi scosse la testa “No, non corrisponde al profilo. Forse era fuori di casa quando siamo arrivati e quando è tornato e ha visto le macchine fuori ha deciso che gli conveniva scappare.”
Qualunque fosse il motivo, il problema rimaneva quello: la casa era vuota, Sanders non c’era, Veronika era ancora in pericolo.
Tornammo a casa Gordon con delle espressioni scontente e dubbiose, ma ne trovammo di peggiori.
Tutte le luci erano accese, c’era una macchina della polizia fuori e lo sceriffo Jeck armeggiava col cellulare.
Appena ci vide però ci corse incontro “Eccovi finalmente! Avete trovato Sanders??”
“No, sceriffo. È scappato. Anche questa volta. Cosa ci fa lei qui?”
Lo sceriffo fece una smorfia “Speravamo foste riusciti a catturarlo, così non ci sarebbe stato nessun pericolo.”
“Pericolo? Per cosa, per chi, scusi?” chiesi io, che avevo un orribile presentimento.
“Veronika Gordon è scappata di casa, non riusciamo a trovarla da qualche ora.”


“VERONIKA! VERONIKA!”
Ragazzina stupida. Che cazzo le era venuto in mente di scappare di casa con un serial killer che la cercava per ucciderla?!
“VERONIKA! VERONIKA!”
Ci eravamo uniti alle ricerche da due ore ormai, e a quanto pare quelle andavano avanti da altrettanto tempo. Quella notizia, unita al fatto che Sanders non era in casa quando eravamo andati a prenderlo, faceva scendere le nostre possibilità di ritrovarla viva molto al disotto dello zero. Una sola cosa teneva accesa la flebile fiammella della speranza in me, e immaginavo anche in tutto il resto della squadra: l’SI aveva detto tre giorni, e tre giorni sarebbero stati. Speravamo.
“VERONIKA!”
Mi venne da pensare che forse il suo atteggiamento così distaccato e scontroso di quella mattina deriva proprio da lì, forse mentre cercavamo di parlarle stava lavorando al piano per scappare di casa.
Inciampai in una radice superficiale, per poco non mi ruppi una gamba cadendo per terra. Rialzandomi mi pulii la terra dalle ginocchia, maledicendo quel posto e anche un po’ Veronika: se proprio doveva scappare non poteva andare in città, prendere un treno verso chissà dove e evitare così per sempre Sanders?
No, doveva andarsi ad infilare in un qualche prato fangoso come quello dove mi aveva trascinato il giorno prima, che era proprio dove la stavo andando a cercare.
“VERONIKA!”
Il cellulare mi vibrò in tasca, era JJ “Spence l’hai trovata?” mi chiese concitata.
“No! Nemmeno voi, deduco. Hotch?”
“No, nemmeno lui. Dove stai andando tu? Ti mando dei rinforzi se vuoi..”
“No, non saprei come farli arrivare qui. Se tra cinque minuti non sono ancora arrivato però ti chiamo, manda degli elicotteri.”
Chiusi la comunicazione e ricominciai ad urlare “VERONIKA! VERONIKA!”
Nel frattempo si era alzato un vento freddo e in lontananza si sentiva un rumore di tuoni. Ci mancava solo un temporale, pensai.
Poi, un foglietto giallo colpì la mia caviglia e la mia attenzione.
Lo presi e lo osservai: era sporco di fango, piccolo e strappato, ma riconoscevo righe e pallini neri. Era un pezzo di uno spartito. E se in quella landa desolata c’era una persona che poteva portarsi dietro uno spartito quando decideva di scappare di casa, quella era “VERONIKA! VERONIKA GORDON DOVUNQUE TU SIA VIENI QUI!” gridai, ancora più forte, anche se sapevo che quel pezzo di spartito poteva venire da qualunque parte.
Invece, lontana e flebile, una voce rispose “Reid? Spencer Reid?”
“Veronika? VERONIKA!”
Corsi verso dove proveniva la voce, mentre nell’aria attorno a me volavano pezzi di spartito, e alla fine la trovai.
Tremante di freddo con solo una maglietta e un paio di jeans addosso, graffiata e infangata, ma viva. Ma con negli occhi lo sguardo di chi aveva visto in faccia la morte e ancora non sapeva com’era riuscita a scapparle.

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Capitolo 15
*** Minuetto; prestissimo, in crescendo, con attenzione ***


Minuetto; prestissimo, in crescendo, con attenzione
 
Quando riportai Veronika ai suoi nonni, mi ringraziarono più piangendo che altro. Probabilmente avrebbero voluto stare con lei, sgridarla e consolarla, ma la ragazza fu letteralmente sequestrata da Hotch e dallo sceriffo Jeck, portata in cucina e interrogata per quasi due ore.
Riuscimmo a cavarle di bocca solo che era scappata di casa perché si sentiva oppressa e non ne poteva più, ma mentiva. Lo sapevamo, l’avevamo capito, ma nonostante gli anni passati a svolgere quell’onorata professione non riuscimmo a farle dire la verità. Che poi, un po’ la sapevo, anzi la immaginavo. Probabilmente non ne poteva più, pensava che se avesse incontrato l’SI e lui l’avesse uccisa tutto sarebbe finito, ma non aveva fatto i conti coi tre giorni.
Se poi l’avesse incontrato oppure no, non lo sapevo.
Quando Hotch glielo chiese, Veronika divenne impenetrabile come un blocco di marmo. Per i graffi sul viso aveva una scusa, disse che correndo era caduta sui rami, e non potevamo smentire questa versione nemmeno impegnandoci a fondo. Per lo spartito, disse semplicemente che ne aveva preso uno dal suo studio per accendere il fuoco se e quando ne avesse avuto il bisogno.
Come se una pianista appassionata come lei pensasse veramente di usare uno spartito per tali scopi.
Fatto sta che alla fine, notate le occhiaie, il tremore e lo strascicare le parole della ragazza, fu JJ a strapparla dalle grinfie di Hotch convincendolo a mandarla a letto, proponendo di continuare l’interrogatorio la mattina seguente.
Noi ovviamente rimanemmo in cucina a discutere del suo comportamento.
“Domani non deve nemmeno avvicinarsi alla porta. Devo forse ricordarvi che giorno sarà?” disse Hotch.
“No Hotch, lo sappiamo. Domani è il terzo giorno, Veronika non sarà così fortunata.” gli rispose Morgan.
“Dobbiamo trovare Sanders prima che uccida di nuovo!”
“Ma come facciamo? Insomma, manca qualche ora a mezzanotte, e non sappiamo dove cercare.”
“Ma non possiamo nemmeno lasciargli uccidere un’altra famiglia innocente!”
Rossi si alzò in piedi a chetare la discussione tra me e Prentiss “Ragazzi, ragionate. Attacca sempre la notte, sì, ma del terzo giorno. Poco prima che scatti il quarto. Quindi abbiamo tutto domani per cercarlo, e ovviamente trovarlo.”
Rossi era un po’ troppo ottimista, a mio parere, ma mi astenni dal comunicare le mie impressioni al resto della squadra come mi capitava un po’ troppo spesso ultimamente.
“Ragazzi, non so voi ma io ho un sonno tremendo. Buonanotte, ci vediamo domattina.” disse Prentiss, stiracchiandosi e alzandosi.
A poco a poco tutti la imitammo, ci demmo la buonanotte e andammo nelle nostre camere. Entrai in silenzio, Veronika dormiva della grossa sepolta dalle coperte di lana e dai peluche.
Solo quando la vidi così profondamente addormentata mi resi conto di quanto ero stanco anch’io.
Mi misi il pigiama e mi stesi nel letto, sperando di riuscire a dormire nonostante lo stress.
 
Fui svegliato nel cuore della notte da un rumore secco, improvviso e sordo.
Un rumore che avrei riconosciuto tra mille.
Quello di un colpo di pistola.
Per qualche secondo credetti di averlo solamente sognato. Poi la porta si socchiuse, lasciando entrare un filo di luce e le voci concitate e assonnate dei miei compagni al piano inferiore.
“Reid! Svegliati, Reid!” esclamò la voce di JJ.
“JJ? Cos’è successo?!” chiesi, mettendomi a sedere.
“Non hai sentito quel colpo di pistola? È stato sparato qua fuori, vieni subito giù!”
Corsi giù così velocemente che mi ricordai di non aver guardato se Veronika era nel letto o no se non quando arrivai di sotto e vidi i signori Gordon in cucina, abbracciati e tremanti.
Non poteva essere.
“JJ, c’è una vittima?” mormorai.
Lei, pallida come immaginavo essere anch’io, scosse la testa “Non lo so, quando sono uscita dalla camera Hotch mi ha detto di venire a chiamarti. Non ne ho idea. Credi che...?”
Scossi la testa “Non lo so, non c’ho guardato.”
“Reid, JJ, siamo nel granaio!” gridò la voce di Morgan.
Corremmo fin là, col cuore in gola.
Non lei, continuavo a pensare. Non lei.
Entrammo come furie nel granaio. C’era Prentiss vicino alla porta, Morgan e Rossi inginocchiati per terra al centro della stanza, Hotch al cellulare in un angolo.
Andai verso Rossi e Morgan. Loro si spostarono.
Steso per terra, con un proiettile piantato nel cranio e un lago di sangue attorno alla testa, c’era un cadavere.
Ed era quello di Ronald Sanders.
 
Mi sentii improvvisamente molto, molto più leggero.
Sapere che Veronika era viva, e soprattutto che il suo serial killer non lo era più, mi fece sentire improvvisamente molto più in pace con il mondo.
Poi la voce di Morgan mi riportò alla realtà.
“Questa è una 9mm.” disse, sollevando l’arma con un fazzoletto bianco “E ce l’aveva in mano, il dito sul grilletto, un colpo alla testa. Sembrerebbe suicidio.”
La voce mi uscì strozzata e tremante “Sembrerebbe?”
“Non possiamo esserne certi.”
Morgan si alzò “Reid, dov’è Veronika?”
Per la prima volta in vita mia mi venne spontaneo mentire “In camera sua.”
Morgan mi guardò “Sei sicuro?”
Annuii “Certo, sicurissimo. Se vuoi torno di sopra a vedere.”
“Eh, è meglio se vai. E già che ci sei, se c’è, dalle la buona notizia.”
Tornai di sopra, chiedendomi come mai mi fosse venuto in mente di mentire così ai miei compagni. Era forse colpa di quella vocina così fastidiosa nel mio cervello, che mi diceva cose alle quali non volevo nemmeno pensare?
Entrai nella camera di Veronika e fortunatamente quella vocina maledetta si zittì; la ragazzina era nel letto, addormentata, abbracciata come sempre ai suoi peluche.
Accesi l’abat-jour e mi sedetti sul materasso accanto a lei.
“Veronika sono Reid, svegliati!”
Lei si mosse appena, poi socchiuse gli occhi e con voce assonnata disse “Reid? Che c’è, è ancora notte..”
Le sorrisi “Scusa se ti ho svegliata ma ho una splendida notizia da darti.”
Istintivamente lei si tirò su a sedere, e una gamba scoperta dal pigiama uscì dalle coperte “Davvero? Cos’è successo? C’entra Sanders vero?”
Ero talmente felice, una felicità spropositata per chiunque, figuriamoci per una persona così distaccata come me, che per esserlo di più avrei dovuto essere due persone. Così abbracciai Veronika forte, fortissimo, senza nemmeno dirle cos’era successo.
Mi separai da lei e una mia mano si appoggiò sulla sua gamba scoperta.
Era fredda. Molto fredda. Troppo fredda per essere rimasta scoperta solo per un minuto o due.
La vocina ricominciò ad urlare, questa volta nel silenzio più totale, mentre alzavo lo sguardo su Veronika e la ritrovavo a fissarmi spaventata.
Non le chiesi niente. Non mi disse niente.

L’unica cosa che fece fu abbassare lo sguardo, e fu anche la peggiore.

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Capitolo 16
*** Complicità in omicidio ***


Complicità in omicidio
 
Veronika nascose la gamba sotto la coperta, ma era troppo tardi.
Ero agghiacciato, avrei voluto chiederle qualcosa ma dalla bocca non mi usciva niente di niente.
Fu lei a rompere quel silenzio teso “Allora, cosa volevi dirmi?”
O aveva un sangue freddo incredibile e stava bluffando, o davvero non c’entrava niente.
Deglutii “Sanders.. Sanders è morto, Veronika.”
La risposta alla mia domanda mi arrivò molto chiara: stava bluffando.
Poteva provarci quanto voleva, ma con un profiler come me non poteva veramente sperare di riuscire a fregarmi.
L’espressione che si dipinse sul suo viso parlava molto chiaramente “M.. morto? Dove? Come?”
“Un colpo di pistola alla testa, è nel granaio adesso. Tu non ne sai niente, vero?”
“Io? No, ho sentito un rumore strano ma ogni tanto sogno degli spari, perciò ho fatto finta di niente.”
In quel momento entrò di nuovo JJ “Spence, ci servi di sotto, dobbiamo fare una riunione. Veronika, tu torna a dormire, ti chiederemo qualcosa dopo.”
Feci per seguire JJ fuori dalla camera ma Veronika esclamò “Aspettate! È davvero lui? È davvero Sanders? È davvero morto?”
JJ le sorrise “Sì, è davvero lui, Sanders, morto. Buonanotte, Veronika.”
Chiudemmo piano la porta e scendemmo le scale.
“Spence, Hotch vuole parlarti..” sussurrò JJ mentre ci avvicinavamo alla cucina.
Annuii “Benissimo, voglio parlargli anch’io.”
 
“Sul fatto che è suicidio siamo tutti d’accordo?”
Lo sceriffo Jeck, appena arrivato, ancora spettinato e con le pieghe del cuscino sulla faccia, iniziò la riunione con questa frase.
Noi ci guardammo “Direi di sì..” disse Rossi.
“Fantastico. Ora qualcuno di voi può spiegarmi come ha fatto ad arrivare a casa dei Gordon?”
“Probabilmente lui e Veronika si erano incontrati quando lei è scappata, e l’ha seguita fin qui.”
“L’ha incontrata e non l’ha uccisa? Non mi sembrava così stupido..”
“Beh, potrebbe averlo fatto poiché non erano ancora passati tre giorni. Ma potrebbe anche solo averla vista, averla pedinata e averla seguita fin qui. Reid, tu avevi visto qualcuno che vi seguiva quando l’hai riportata a casa?” mi chiese Prentiss.
Scossi la testa “Direi di no, ma non posso esserne sicuro. Dopotutto ero preoccupato per Veronika.”
“Ok, va bene, di questo ci occuperemo noi. Voi profiler però sapete dirmi perché diavolo è venuto fin qua e si è suicidato, invece di tentare, che so, il tutto e per tutto entrando in casa e cercando di uccidere Veronika?”
“Sapeva che c’era l’FBI in casa, forse l’ha fatto per quello.”
Hotch scosse la testa “Non corrisponde al profilo. Sanders era troppo disperato per rinunciare così ad una possibilità di uccidere Veronika, anche se questo avesse voluto dire morte certa.”
“Allora non si è suicidato. Ma chi l’ha ucciso? Un vendicatore solitario, il nuovo Capitan America?” chiese sarcastico Jeck.
I nostri sguardi serpeggiarono attorno al tavolo, mentre quella vocina nella mia testa, probabilmente armata di megafono, cominciava ad urlare sempre più forte.
“Reid, sei sicuro che Veronika fosse a letto quando sei sceso perché ti è venuto a chiamare JJ?” chiese Morgan.
Ecco, sapevo che sarebbe andato a parare lì. Deglutii.
“Sì, sono sicuro.”
“Sicuro? C’hai guardato con attenzione?”
“Certo.”
“JJ, l’ha fatto veramente?”
Il fatto che Morgan non si fidasse di me, nonostante non fosse effettivamente vero quello che dicevo, mi fece irritare moltissimo, ma me ne stetti buono.
JJ, d’altro canto, annuii “Sì, c’ha guardato.”
“Con attenzione?”
“Con quella che gli era permessa dalla circostanza, Derek. Era notte, c’era appena stato uno sparo e lo ero andata a chiamare con urgenza. Anche tu avresti fatto così. Forse Veronika non era nel letto, era nascosta da qualche parte dopo aver sparato a Sanders ed è tornata a letto, ma Reid ha fatto tutto il possibile per scoprirlo.”
Morgan annuì “Hai ragione, JJ. Reid, scusami.”
“Non importa.”
“Dobbiamo comunque scoprire se Veronika ha sparato a Sanders oppure no. Ci serve un esame per i residui di sparo. JJ, vuoi farglielo tu?”
“Hotch, Veronika di lei non si fida. Non accetterebbe mai di farsi fare l’esame da lei, l’unico da cui accetterebbe è.. Reid.” lo interruppe Prentiss.
Ma perché capitavano tutte a me?
“Reid, te la senti?”
Lo sceriffo mi stava già porgendo l’occorrente, che altro potevo fare?
“Certo che sì. Vado di sopra, la sveglio, faccio e torno.”
Andai di sopra, ma non ebbi bisogno di svegliarla. Se ne stava seduta sul letto con gli occhi sbarrati, le labbra che si muovevano piano e le mani che strisciavano sul lenzuolo come se stesse suonando il pianoforte.
“Veronika, devo fare una cosa.” esordii chiudendo la porta.
“Che cosa?”
“Un esame. Ti fidi di me, Veronika?”
Lei mi guardò coi suoi occhioni spauriti poi annuii.
Mi sedetti accanto al letto, presi un tampone e glielo passai sulle mani, con delicatezza. Poi presi la bottiglietta, ma prima che potessi spruzzare mi chiese “A cosa serve, puoi dirmelo?”
“Residui di sparo. Voglio vedere se hai sparato a qualcuno.” le risposi, poi spruzzai.
Dopo un secondo che parve durare un secolo, dove avevo spruzzato il tampone divenne di un inconfondibile viola.
Veronika accanto a me trattenne il fiato, io non riuscivo a staccare gli occhi dal tampone.
Dopo un altro secondo, un altro secolo, piegai il tampone viola e lo appoggiai sul letto accanto a me. Poi ne presi un altro, lo passai sulle mie mani e ci spruzzai sopra. Rimase bianco, bianco come l’innocenza, bianco come sarebbe dovuto essere quello di Veronika.
Riposi gli altri tamponi e la bottiglietta, poi mi alzai ed uscii.
Tornai di sotto come un automa, e trovai gli altri ad aspettarmi.
“Allora?” mi chiese JJ, in ansia.
Le porsi il tampone bianco.
“Bianco.” disse Morgan, come se la cosa non fosse abbastanza chiara.
“Già. Potrebbero esserci degli errori?” chiese lo sceriffo.
“No. Se avesse sparato, l’avrebbe fatto meno di un’ora fa, i residui sarebbero molto evidenti. Quindi, Sanders si è suicidato.”
“Il caso è... chiuso?” chiese di nuovo Jeck, speranzoso.
Hotch rimase zitto e fermo qualche istante, poi annuì “Chiuso. Il caso Gordon/Sanders è ufficialmente chiuso.”
Sui volti stanchi dei miei colleghi spuntarono dei deboli sorrisi.
“Perfetto. Ora scusate, ma io torno a letto, sono distrutta. JJ vieni anche tu?” chiese Prentiss.
Tutti si congedarono, io tornai di sopra da Veronika, ferma dove e come l’avevo lasciata.
“Cos’hai fatto?” mi chiese appena entrai.
Io mi sedetti accanto a lei “Ho mentito. Gli ho dato il mio tampone. Il tuo fallo sparire, ok?”
Silenzio.
“E adesso raccontami esattamente cos’è successo stanotte.”

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Capitolo 17
*** Cosa successe nel granaio ***


Cosa successe nel granaio
 
Avevo incontrato Sanders durante la mia fuga del mio giorno precedente.
Anzi, rettifico: ero scappata di casa proprio per incontrarlo e porre fine alla mia vita.
Nonostante avessi parlato con Reid il pomeriggio prima, e gli fossi probabilmente sembrata calma e tranquilla, avevo deciso di farlo.
Così Sanders si sarebbe calmato e forse si sarebbe pure consegnato spontaneamente all’FBI.
Ma non avevo calcolato i suoi tre giorni. Era solo per quello che ero ancora viva, perché non voleva sbagliare di nuovo il suo “Minuetto e Trio”
Perché io l’avevo capito molto, molto prima dell’FBI, che tutto quello che faceva aveva a che fare con la musica. Non so nemmeno come, ma l’avevo fatto!
Era per quello che mi ero informata su quali pezzi musicali fossero divisi in tre parti, e avevo trovato il Minuetto. Devo ammetterlo, avevo scelto il Minuetto e Trio a caso, ma quando avevo sentito Reid e gli altri parlarne mi era quasi venuta la nausea al pensiero di quanto ero simile all’assassino della mia famiglia, a colui che voleva essere il mio carnefice.
Ma passato quest’attimo di disgusto avevo sviluppato un’ossessione anch’io per quel pezzo, volevo arrivare a suonarlo tutto, e meglio di lui. Senza quella nota sbagliata che gli era costata l’insegnamento al conservatorio, la sanità mentale, il padre e l’intera vita.
E c’ero riuscita. Pochi minuti prima di scappare di casa e correre incontro alla mia morte ero riuscita a farcela, così mi ero portata dietro quello spartito. Forse per essere riconosciuta meglio, forse per farlo impazzire ancora di più.
Ed era quello che era successo, ma non abbastanza! Non mi aveva uccisa, nonostante l’avessi quasi supplicato. Avevamo raggiunto un accordo: sarebbe venuto a casa mia quella notte, la notte del terzo giorno, quando sarebbe stato libero di uccidermi. L’avrei aspettato nel granaio e avrebbe finalmente posto fine a tutto.
Ed era venuto. Con la sua 9mm, dopo avermi lasciata ad aspettare, piangendo e mordendomi le labbra fin quasi a farle sanguinare, seduta nella paglia del mio granaio, a pochi metri dalle braccia dei miei nonni, di Reid.
Era venuto, e io avevo creduto che sarebbe finito tutto immediatamente.
E improvvisamente non avevo più avuto paura.
Ma poi, come in ogni film che si rispetti, lui aveva cominciato a divagare.
Aveva cominciato a vantarsi di tutti gli omicidi che aveva compiuto, soprattutto di quello dei miei genitori, dicendo che in realtà lui stava solo aspettando che mi consegnassi come un agnello sacrificale. Che quella del Minuetto, quella storia (la sua storia) che gli avevo raccontato il pomeriggio era tutta una montatura, che lui non era figlio di nessun pianista classico, che non era pazzo, che tutto era falso.
Per poi concludere che, dopo avermi piantato un bel proiettile in fronte, sarebbe entrato in casa mia e avrebbe ucciso “il mio amichetto che mi aveva salvata dal pickup”.
Questo non avevo potuto accettarlo.
Volevo morire, sì, ma non volevo che Reid morisse.
La verità è che mi ero innamorata di lui, stupidamente come metà delle cose che facevo.
Ma questa cosa mi aveva fatta scattare. Mi ero lanciata su di lui come un gatto rabbioso.
Colluttazione, insulti, graffi e morsi, e poi un rumore lacerante che mi aveva riportata indietro di dieci anni. BANG!
Sanders era crollato a terra, un terribile odore di bruciato si era sparso tutto attorno, e avevo visto con orrore il sangue colare dalla sua fronte, attorno agli occhi ormai vuoti.
In un qualche momento della colluttazione avevo premuto il grilletto della 9mm che aveva ucciso i miei genitori e avevo in un colpo (nel vero senso della parola) vendicato loro e tutte le altre vittime di quel pazzo.
Gli agenti erano accorsi, ma io conoscevo quel granaio come le mie tasche e mi ero nascosta, e loro nella fretta avevano pure lasciato la porta aperta.
Ero tornata in casa in due secondi, Reid mi era passato praticamente accanto, bianco in viso come un cadavere. Mi si è stretto il cuore pensando che potesse pensare che fossi io, stesa a terra con un proiettile in fronte.
Sono corsa in camera, ho fatto finta di dormire, lui è tornato e mi ha scoperta.
E mi ha pure coperta.
E io ho finito di raccontargli la storia e lui mi ha abbracciata forte mentre piangevo.

--
Le parti in corsivo Veronika le pensa soltanto.

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Capitolo 18
*** Spencer Reid ***


Spencer Reid
 
Aspettai che Veronika smettesse di piangere.
Quando i singhiozzi smisero di far tremare le sue spalle e il suo respiro si fece più calmo, l’allontanai da me e le dissi “Sai che adesso dobbiamo inventarci una storia per quelli là sotto, vero?”
Lei si asciugò una lacrima e annuì “So già cosa dire, non preoccuparti. Questo qui devo farglielo vedere comunque?” mi chiese, tirando fuori il tampone viola da sotto il lenzuolo.
“No, è meglio di no. Andiamo? Te la senti?”
“Certo.”
Scendemmo di sotto, e trovammo come previsto la squadra ancora in cucina che parlava con lo sceriffo. La prima a notarci fu JJ.
“Spence! Veronika! Come.. come stai?” chiese, rivolta a lei.
Lei le sorrise “Beh, se dicessi bene sarebbe un po’ una bugia, ma anche se dicessi male. Quindi, abbastanza bene grazie!”
La spinsi un po’ avanti “Hotch, sceriffo Jeck, Veronika deve dirvi una cosa.”
“Ovvero? Ciao piccola, come stai?”
“Abbastanza bene. A parte il fatto che... l’ho ucciso io.”
In un istante calò il silenzio e la temperatura nella stanza scese di almeno venti gradi.
Metaforicamente, intendo.
“Cosa.. cosa vuol dire che l’hai ucciso tu?! Reid, non le avevi fatto il tampone? Era bianco, maledizione!”
“Perché io sono mancina e Reid ha sfregato il tampone sulla mia mano destra.”
Mi girai esterrefatto verso di lei: mancina?! E da quando?
Prentiss le si avvicinò “Veramente?”
Lei prese una matita e scrisse il suo nome su un foglio lì sul tavolo, usando la mano sinistra.
Eravamo agghiacciati.
“Veronika.. sai che stai confessando un omicidio, vero? È una cosa molto, molto grave.” le disse Rossi.
“Lo so. Ma non è stato un omicidio. Non so come la chiamate voi...”
“Legittima difesa.” le risposi in un soffio.
“Legittima difesa? Forse è meglio se ti siedi e ci racconti tutta la storia, vuoi?”
Veronika obbedì, si sedette e raccontò di nuovo tutta la storia che aveva raccontato a me, con la sola differenza che non pianse. E che fece vedere le braccia tutte graffiate.
Appena finì di raccontare Hotch lasciò che JJ e Prentiss le esaminassero le ferite, e chiamò me, Rossi, Morgan e lo sceriffo Jeck nell’altra stanza.
“Hotch, è possibile? Che abbia sparato con la sinistra e non abbia residui sulla destra?”
“Sì, è possibile.* Mi era già capitato una volta, ma non avevo calcolato questo fattore.”
“Non poteva venirti in mente, la percentuale di mancini in America è solo del 7%.” mi lasciai scappare.
“Sanders ha delle ferite che indichino una colluttazione?” chiese Rossi allo sceriffo.
“Non lo so, il medico legale lo sta venendo a prendere, dovrebbe arrivare a momenti.”
Come evocato da quelle parole, il suddetto medico suonò il campanello.
“Salve sceriffo, agenti. Il corpo dov’è?” ci chiese entrando. Era un uomo coi capelli grigi, un gran naso e un paio di occhiali neri.
“È di là. Potrebbe fare un veloce controllo, se ha delle ferite da difesa, signor...?”
“Joy. Sid Joy. Ferite da difesa, dite? Controllerò!”
Uscì, dandosi quasi il cambio con Prentiss “Sta bene, sono solo graffi superficiali. Qualcuno probabilmente è stato causato anche dal legno delle pareti del granaio dov’è rimasta tutta notte. Quello era il medico legale? Gli avete detto di cercare ferite da difesa, immagino.”
“Esatto. Stiamo aspettando un suo responso.”
“Bene, JJ ha riportato Veronika in camera sua. È distrutta.”
Aspettammo in cucina qualche minuto, poi il medico tornò spingendo la barella con sopra il corpo di Sanders, chiuso nel suo sacco per cadaveri.
“Ho controllato, ha effettivamente delle ferite da difesa. Più altre, sembra che abbia una costola rotta, ma forse è peri mortem. Vi saprò dare maggiori dettagli dopo l’autopsia.”
“Grazie mille. Passeremo a ritirare il referto oggi pomeriggio, va bene?” chiese lo sceriffo.
Il medico annuì “Dovrebbero essere pronti. Ora vado, arrivederci.”
Uscì, e lo sceriffo si alzò stirandosi la schiena “Vado anch’io. Arrivederci, e grazie.”
 
Ero quasi da solo in casa. Ero distrutto, e JJ aveva suggerito agli altri di lasciarmi lì mentre loro andavano dallo sceriffo a prendere il referto dell’autopsia.
I signori Gordon erano di sotto a rilassarsi, Veronika a lezione di pianoforte.
Non aveva voluto aspettare nemmeno un giorno, tanta era la sua brama di suonare.
“Se sto ancora un giorno senza suonare scoppio!” mi aveva detto qualche ora prima, mentre metteva tutti gli spartiti nella borsa.
“Sei davvero mancina?” le avevo chiesto io, che avevo quel dubbio ancora dalla mattina.
Lei mi aveva guardato fisso qualche secondo prima di rispondere “Ambidestra. L’insegnante dice che è per questo che sono così brava a suonare il piano. Ho pensato che fosse una cosa ragionevole da dire, che tu mi avevi fatto il tampone nella mano destra come effettivamente hai fatto. Non mi credi?” aveva aggiunto, assumendo un’espressione più sulla difensiva.
“Certo che ti credo! Era solo curiosità. Se ti interessa, fai parte del 5,6% di americani che sono ambidestri.” le avevo detto, sapendo che avrebbe riso.
E infatti l’aveva fatto “Ci sono percentuali proprio su ogni cosa, eh!”
“Ce ne sono anche sui diari degli adolescenti.” pensai, mentre seduto sul mio letto guardavo la pila di diari sul suo comodino.
“Il 65% dei ragazzi americani tra i 12 e i 15 anni hanno almeno una volta tenuto un diario, e di questo 65% l’80% sono ragazze dai tredici anni in su. Il 50% è riuscito a tenerlo per un anno, il 25% per due, ma credo che nessuno abbia scritto quanto Veronika.” aggiunsi, avvicinandomi.
Mi ricordai della prima volta che avevo visto quella pila di diari, di quanto mi fossi stupito nel trovarli con la chiave inserita, e di quando alla fine avevo scoperto che tutte le chiavi erano invertite.
Così, spinto dalla curiosità, provai a scambiare un po’ le chiavi. Riuscii a trovare la giusta combinazione al terzo tentativo: ogni chiave era sfalsata di tre lucchetti rispetto al suo.
Mi sentii estremamente geniale quando capii quella cosa, così tanto che non riuscii a fermare la mia curiosità e cominciai ad aprire il primo, quello che scoprii avere la data più vecchia: cominciava il 23 settembre 2006. Cinque anni prima, c’era una Veronika ancora piccola ma con consapevolezze troppo più grandi di lei, con una calligrafia che stava già perdendo le rotondità delle lettere imparate a memoria in seconda elementare.
C’erano circa due diari per ogni anno, calcolai. L’ultimo si apriva con la data 27 febbraio 2011, ed era scritto fino a metà, fino al 12 settembre, giorno del nostro arrivo. Lo sfogliai velocemente, e la mia attenzione fu catturata da una scritta abbastanza vicina alla fine degli aggiornamenti.
Non era una scritta qualunque, c’era scritto proprio “Spencer Reid”
Controllai la data, incredulo: 7 settembre 2011.
Cominciai a leggere.
Ciao, Vic. Allora è fatta, quell’uomo è tornato. Vuole uccidermi, già lo so. Dicono che sia un Serial Killer, però i poliziotti lo chiamano S.I. che non so cosa voglia dire. Sono un Idiota? Bah, chi lo capisce...
Lo sceriffo Jeck, quell’idiota, è venuto qui a casa oggi. Ha detto che poiché il tizio è un S.I. e hanno già non so quante vittime, hanno deciso di chiamare la squadra speciale dell’FBI, la UAC (Unità Analisi Comportamentali, troppe abbreviazioni, lo so). I nonni credevano che non sentissi, ma avevo lasciato apposta la porta dello studio socchiusa. Così sono venuta qui in camera e ho acceso il computer, anche se i poliziotti mi hanno già detto più volte di non farlo perché l’S.I. potrebbe rintracciare l’indirizzo non so cosa del computer e trovarmi. Non pensano che se lui avesse potuto mi avrebbe già trovata e uccisa già da qualche diario più in là...
Comunque, ho messo in pratica le mie tecniche da hacker, anche se erano un po’ arrugginite. Dopotutto sono passati dieci anni da quando papà mi faceva sbloccare i file “top secret” del suo ufficio!
Sono arrivata al sito dell’FBI e ho cercato i nomi di questi agenti: si chiamano Aaron Hotchner, David Rossi, Derek Morgan, Penelope Garcia (che a quanto pare è un consulente informatico), Jennifer Jaerau, Emily Prentiss e Spencer Reid. Allora, dato che avevo i nomi, sono andata a cercarli qua e là su Wikipedia e internet in generale.
Ho trovato qualche cosa militare, qualche convegno dell’FBI, e poi moltissima roba sull’ultimo, questo tale Spencer Reid! A quanto pare è un genio, a 27 anni aveva già un dottorato in chimica, uno in matematica, uno in ingegneria, una laurea in psicologia e una in sociologia, e poi credo che nel frattempo ne abbia avuta anche una in filosofia o cose simili. Un genio!
E poi ho trovato pure una sua foto, non è nemmeno brutto. Ha una faccia da bravo ragazzo, mica come Emme! Comunque, mi sta simpatico. Sembra un tipo a posto.
Credo che potrei anche arrivare a fidarmi di lui, quando verrà qui.
Ciao, Vic. Questa è una delle ultime volte che scriverò, almeno finché il caso non sarà risolto. Ti voglio bene, ciao!”
Oh, cazzo. Veronika sapeva perfettamente chi eravamo ancor prima che arrivassimo.
Ecco perché si era fidata di me così, a prima vista.
Richiusi il diario e rimisi a posto tutti i lucchetti, poi mi sedetti sul letto esterrefatto.
“Ripetiamo” pensai “Veronika sapeva che Sanders ragionava sulla falsariga del Minuetto e Trio di Mozart, sapeva chi eravamo, sapeva tutto su di noi. A questo punto, cos’altro sarebbe capace di fare?”

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Capitolo 19
*** Un nuovo caso, un nuovo addio ***


Un nuovo caso, un nuovo addio
 
Due settimane dopo
 
Erano passate due settimane dal giorno della chiusura del caso Sanders/Gordon.
Veronika aveva ricominciato ad andare a scuola e, come ho già detto, a pianoforte.
A quanto pare, dopo il suo ritorno a scuola tutti i compagni che avrebbero voluto escluderla per colpa dei suoi problemi le avevano chiesto scusa, e i rapporti con il tale Emme (che avevo scoperto chiamarsi Matthew) andavano a gonfie vele. Lui era stato persino invitato a sentire il concerto che Veronika avrebbe tenuto la sera della vigilia di Natale, ovvero tra poche settimane.
Non so come avesse fatto, ma in due settimane era riuscita a studiare e ad imparare tutti i pezzi della suite dello Schiaccianoci, per poter accompagnare un’orchestra intera. Era una sorta di regalo di Natale della sua insegnante, e lasciatevelo dire, se lo meritava proprio.
Ma io, in quanto suo Agente Preferito, ero stato inviato alla prima del suo concerto, quella sera nel suo studio. Mi ero fatto dire da sua nonna quale fosse il suo fiore preferito, e avevo purtroppo scoperto che era la rosa rossa. Che in quella stagione non cresceva assolutamente da nessuna parte.
Solo nel tardo pomeriggio mi ero ricordato del fioraio in città, ero corso lì ed ero riuscito a prendere una piccola rosa rosso carminio, molto bella.
Stavo giusto avviandomi verso lo studio, quando Hotch mi chiamò “Reid vieni dentro, abbiamo bisogno di te.”
“Che è successo? Altri omicidi? Non era Sanders?” chiesi preoccupato, entrando e vedendo tutti seduti attorno al tavolo con dei fascicoli in mano.
“No, no, Sanders è al sicuro all’obitorio. Abbiamo un nuovo caso.”
“Oh. Giusto.”
“Garcia, a te la parola!” disse Morgan, mentre io mi sedevo.
“Allora, siamo a Los Angeles! Quattro vittime, due uomini e due donne, tutti di colore. Storditi con il cloroformio, torturati, pugnalati. Dovrebbe essere routine per voi, no?”
“Dopo questo caso, qualunque cosa sarebbe routine. Quanti giorni sono passati tra un omicidio e l’altro?”
“Tra il primo e il secondo una settimana, tra il secondo e il terzo cinque giorni, tra il terzo e il quarto due. Sta bruciando le tappe...” disse Rossi sfogliando il fascicolo.
“Infatti. Garcia, quando si parte?”
“Il jet potrebbe già essere pronto per stanotte, ma è previsto un temporale lì dalle vostre parti. Domattina presto va bene?”
“Perfetto.”
Per tutto il tempo io ero rimasto zitto e fermo, ma a quel punto parlai “Ma Hotch... Dobbiamo partire con così poco preavviso?” chiesi, come un bambino che ha paura di ricevere una brutta risposta.
“Sì, Reid, ci tocca. Perché? Avevi qualcosa da fare?”
Non gli spiegai che sì, avevo qualcosa da fare, cioè dire addio ad una ragazzina di quindici anni che era sempre stata abbandonata da tutti e che era appena scampata per la seconda volta ad un serial killer che voleva ucciderla per mandarla a fare compagnia ai suoi genitori, e soprattutto che quella ragazzina aveva un talento innato per il pianoforte e sarebbe sicuramente diventata famosa e io ero stato formalmente invitato al suo primo concerto al quale non sarei potuto essere presente perché ero a Los Angeles o chissà dove altro a risolvere un altro caso.
Mi limitai a scuotere la testa “No, niente. Solo, non sono più abituato a ricevere i casi con così poco preavviso.”
“Nessuno lo è. Bene ragazzi, io vado a dire ai signori Gordon che domattina dovremo svegliarci presto e a ringraziarli, voi andate pure a fare le valige.”
La mia valigia in realtà non era mai stata disfatta. Per prima cosa, non avevo un armadio dove mettere la roba, e poi non volevo invadere più del necessario lo spazio vitale di Veronika.
E anche se fosse stata disfatta, di sicuro non sarei mancato al mio appuntamento con Veronika solo per raccogliere i miei vestiti.
JJ mi intercettò mentre andavo verso la porta del corridoio che portava allo studio “Spence... Come pensi di fare con lei?” mi chiese.
Sapevo che aveva capito tutto. Feci una smorfia “Non lo so, sinceramente. Credo che glielo dirò e basta, probabilmente capirà.”
JJ annuì “D’accordo, ma.. fa’ attenzione. So che sai com’è fatta.”
Appena entrato nello studio trovai Veronika seduta sul suo sgabello, intenta a mangiarsi nervosamente le unghie. Quando mi vide saltò su come se avesse una molla “Eccoti! Credevo ti fossi dimenticato...”
“Dimenticarmi di un concerto privato?! E come potrei mai? Ti ho anche portato questa...” le dissi con un sorriso, porgendole la rosa.
La colorazione del suo viso raggiunse una sfumatura leggermente più chiara di quella dei petali del fiore, ma lo prese con cura e lo annusò.
“È bellissima, grazie. Te l’ha detto nonna che è il mio fiore preferito, vero?”
“Mi hai scoperto. Purtroppo non esistono statistiche su quali sono i fiori preferiti dalle quindicenni, ma anche se ci fossero conoscendoti so che non ci rientreresti.”
Rise e posò il fiore sul pianoforte “Me lo metterei dietro l’orecchio ma so che mi cadrebbe centomila volte e mi distrarrebbe. Dopo lo metto in acqua. Sei pronto?”
“Prontissimo!” risposi, sedendomi sulla mia solita poltroncina.
 
Era davvero, davvero bravissima. Nonostante l’emozione sbagliò sì o no tre note in tutta la suite. O forse anche qualcuna in più, ma per il mio orecchio così poco allenato andava benissimo così.
Quando suonò l’ultimo accordo, e lo tenne anche un po’ più lungo del necessario per trarre finalmente un profondo respiro di sollievo, mi alzai in piedi applaudendole.
“Bravissima! Sei sempre più brava, ma come fai?”
Lei sorrise imbarazzata “Beh, sono ambidestra, quando ero piccola per certi pomeriggi non facevo altro, e poi mia madre quando aveva venti o venticinque anni suonava nell’orchestra del paese. Quindi dai, ho i geni predisposti!”
“Sei fantastica. A quel concerto farai una strage, tutti i conservatori ti vorranno, stanne certa.”
“Speriamo. Così finalmente me ne andrò dal Montana e da tutti i brutti ricordi che ho in questo stato...” mormorò lei, appoggiandosi coi gomiti al pianoforte “A proposito... Ho ancora due biglietti per quello spettacolo. Uno ce l’ha Emme, uno la nonna, uno il nonno... pensi che a te e a JJ possa interessare?” chiese, lasciando vagare lo sguardo qua e là per la stanza in preda all’imbarazzo.
Sospirai “Certo che ci interesserebbe.”
“Ma? So che c’è un ma, il 100% delle persone che parla con quel tono poi aggiunge un ma.”
Un geniale profiler smascherato da una quindicenne. Beccati questa, Spencer Reid.
“Ma abbiamo un nuovo caso. Partiamo domattina presto per Los Angeles. E dopo quello ne avremo un altro, e un altro, e un altro ancora. Non so se dopo un periodo così lungo nello stesso posto il Bureau ci darà delle ferie. Se lo farà, puoi star certa che verrò, ma...”
“Le probabilità sono così scarse che non conosci nemmeno una minima percentuale? Allora è veramente grave...” concluse lei, fissandosi le scarpe da ginnastica.
“Quindi è meglio se quei biglietti li dai a qualcun altro. Se riusciremo a venire, useremo i tesserini dell’FBI per entrare, e ti assicuro che sono dispostissimo a stare anche delle ore in piedi pur di ascoltarti suonare.” aggiunsi rapidamente.
“Va bene. Cercherò qualcun altro. Ora immagino che tu debba andare a fare i bagagli, quindi ti lascio libero.”
“In realtà non ho mai disfatto la mia valigia. Solo che è ora di cena, e credo che...”
“Veronika! Avete finito là dentro? È l’ultima cena coi nostri cari agenti, è meglio se ti sbrighi!”
La voce della nonna di Veronika ci arrivò forte e chiara nonostante la porta chiusa, e come evocata dalle mie parole. La ragazzina fece una smorfia “Arriviamo, nonna!”
 
Fu la cena più bella, buona e triste che la signora Gordon avesse preparato dal nostro arrivo. Aveva fatto, non so se apposta o per caso, gli stessi piatti della prima cena. E Veronika disse più o meno lo stesso numero di parole, anche se stavolta sapevo perfettamente cosa la portava a masticarle e inghiottirle come bocconi amari, e in più ero consapevole che era colpa anche un po’ mia.
Dopo cena ci riunimmo tutti nel salotto dei Gordon a bere qualcosa e a chiacchierare, lo sceriffo Jeck chiamò per dirci che ci sarebbe passati a prendere la mattina dopo con degli agenti per portarci al jet.
Veronika rimase praticamente zitta tutta la sera, scribacchiando ogni tanto qualcosa su un piccolo taccuino che non le avevo mai visto in mano.
Quando finalmente i signori Gordon ci lasciarono coricare, capii che era meglio parlarle.
“Che cos’è quello?” le chiesi, appena entrato in camera.
Lei sobbalzò “Quello? Un pentagramma.”
“Un... pentagramma? Ma il pentagramma è quello dove si scrivono le note musicali!”
“Sì, infatti mi sono espressa male. È un taccuino con diversi pentagrammi. Lo usano gli insegnanti e gli studenti dei conservatori, chi insegna solfeggio e... i compositori.”
“E tu? Non mi risulta che tu faccia parte di nessuna di queste categorie... O hai deciso di comporre?”
“Esattamente. E stasera ero abbastanza ispirata.”
Ero stupefatto: già componeva?!
“Davvero?? Posso leggere?”
“No. No, davvero, sono cose private. Sarebbe come se tu venissi in camera mia quando non ci sono e leggessi i miei diari.”
Fortunatamente nella stanza era buio, così Veronika non poté notare che ero arrossito: non capivo se quella era una provocazione o una semplice constatazione, ma mi sentivo oltremodo colpevole.
“Già. Vabbè, allora io dormo. Buonanotte, Veronika.”
Quella sera dovetti aspettare cinque minuti buoni prima di sentirla sospirare affranta “Buonanotte, Spencer Reid.”
 
La mattina dopo mi svegliai per le vibrazioni della sveglia del mio cellulare, che avevo messo sotto il cuscino per non svegliare Veronika.
Premura totalmente inutile, dato che lei era già perfettamente sveglia e chissà da quanto tempo.
Ci salutammo con un gesto della mano, senza nemmeno rivolgerci la parola. Andai in bagno a vestirmi e al momento di scendere per mangiare qualcosa prima di partire la trovai che mi aspettava sul pianerottolo, mezza vestita e mezza in pigiama.
“Veronika! Tu dopo devi andare a scuola, cosa ci fai già sveglia?” le chiese la nonna, quando ci vide entrare in cucina.
“Tranquilla, nonna. Ce la faccio.” rispose lei piano, sedendosi al suo solito posto.
Facemmo colazione in silenzio, JJ mi lanciava certe occhiate preoccupate e io mi limitavo ad alzare le spalle: non potevo farci niente, dopotutto.
Il signor Gordon mi aiutò a portare giù il trolley dalla soffitta, e un attimo prima che uscissi mi strinse la mano e disse “Grazie, Dott. Reid. Per tutto. Per il caso e... per quello che ha fatto con Veronika. Grazie mille.”
“Di niente, signor Gordon.” gli risposi, con un groppo in gola.
Veronika e sua nonna erano già fuori, Morgan parlava con lo sceriffo Jeck e gli altri stavano caricando le valige nelle macchine. Feci lo stesso, ma al momento di girarmi per salutare mi trovai Veronika a pochi centimetri di distanza, gli occhi marroni lucidi per le lacrime. Prima che potessi dire qualunque cosa mi abbracciò forte, sussurrando qualcosa che suonava come “Addio, Spencer Reid.”
Non avrei mai capito la sua tendenza a chiamarmi sia col nome che col cognome, ma ricambiai l’abbraccio. Lei si staccò e tornò dai suoi nonni, e io salii in macchina.
Mi convinsi a non guardare verso di loro per non mettermi a piangere come un cretino, e ci riuscii. Pochi secondi dopo le macchine partirono e mi lasciai alle spalle Veronika Gordon, una volta per tutte.
Arrivati all’aeroporto ci accorgemmo che la macchina dello sceriffo con Morgan non era con noi. Hotch lo chiamò e lui disse che era passato dall’obitorio a dare “un ultimo saluto a quel bastardo”
Quando tornò aveva un’espressione dubbiosa sul viso, e la mantenne anche quando salimmo sul jet.
“Morgan, che c’è?” gli chiesi, sedendomi vicino a lui mentre i campi verdi del Montana fuori dal finestrino lasciavano posto alle nuvole grigie.
“Nulla, nulla. Sono passato a trovare il cadavere di Sanders perché avevo un dubbio.”
“Dubbio? Di che tipo?”
Morgan sospirò “Mi chiedevo che razza di forza e di mira possa avere Veronika. Stando agli esami del coroner, nella colluttazione gli ha rotto una costola ante mortem. E il colpo è stato sparato quasi al centro della fronte. Tu che te ne intendi di percentuali, quante possibilità ci sono che ciò accada?”
Quell’ultima frase mi gelò il sangue nelle vene.
Non risposi, mi alzai e mi andai a sedere da qualche altra parte, il più lontano possibile da tutti gli altri.
E un solo pensiero girava in cerchio nella mia mente.
Ecco cos’altro è capace di fare Veronika Gordon.

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Capitolo 20
*** Epilogo; una rosa rossa ***


Epilogo; una rosa rossa
 
Veronika aveva 15 anni, i capelli scuri e due grandi occhi castani, che in quel momento erano chiusi per cercare di tenere lontano lo stress.
Tra pochi minuti sarebbe andata in scena, in sala c’era già un’intera orchestra pronta ad accompagnarla nell’esecuzione dell’intera suite dello Schiaccianoci.
Oltre quella tenda rossa c’erano i suoi nonni, Matthew e numerosi cacciatori d talenti dei più famosi conservatori d’America. Anche se sapeva perfettamente che i suoi nonni volevano che lei finisse almeno il Liceo lì in Montana.
Ma se l’era ripromesso più e più volte ancora quando era muta, lei se ne sarebbe andata da quel posto pieno di ricordi orribili, e avrebbe sfondato. Se ne sarebbe andata con Matthew, se lui avesse voluto, e lei sapeva che lui l’avrebbe voluto. Erano anime simili, loro due.
Mica come lei e il suo amato agente federale.
Veronika sentì una stretta al cuore a pensare di nuovo a Reid; gli aveva lasciato, abbracciandolo per l’ultima volta, i biglietti per lui e per JJ nella tasca del giubbotto, dove certamente li avrebbe trovati. Eppure non era venuto, non era nel posto a lui riservato qualche fila dietro i suoi nonni e Matthew.
Probabilmente si era dimenticato il giorno del concerto, non poteva dire che si era dimenticato di lei perché un caso del genere non si dimenticava di certo facilmente. La polizia era tornata a farle delle domande, probabilmente qualcuno si era chiesto come avesse fatto a rompere una costola a Sanders, ma lei era rimasta glaciale come sempre e aveva ripetuto la stessa storia dell’altra volta, con uno sguardo che, lo sapeva, aveva fatto sentire terribilmente in colpa lo sceriffo Jeck per non avere abbastanza fiducia in lei.
“Veronika, se pronta?”
La ragazza riaprì gli occhi di scatto e si trovò davanti la sua insegnante, quasi più emozionata di lei. Si lisciò le pieghe del vestito con le mani che tremavano leggermente “Prontissima. Si comincia?”
“Esatto. Mi raccomando, stai calma e vedrai che andrà tutto bene. No vorrei metterti ansia ma ricordati che...”
“Di là ci sono le persone che determineranno il mio futuro, lo so. Allora, andiamo in scena?”
“Vai in scena! Vai, su!”
Il sipario si alzò e la gente incominciò ad applaudire. Veronika fece il suo ingresso e rivolse un sorrisetto nervoso ai nonni e a Matthew, che le fece ok con la mano strizzandole l’occhio. Poi si sedette al pianoforte e cominciò a suonare.
Suonò bene come non aveva mai fatto, sbagliando sì e no due note in tutta l’esecuzione. Quando finì, tutta la sala si riempì degli applausi del pubblico, che si era addirittura alzato in piedi. Anche lei si alzò e fece un piccolo inchino, poi prima che l’adrenalina scomparisse completamente e rischiasse di svenire sul palco tornò dalla sua insegnante.
“Bravissima! Sei stata un capolavoro! Vedrai, ti offriranno tanti di quei contratti questa sera che ne avrai la nausea! Adesso da brava, vai nel tuo camerino e prendi fiato un attimo, poi esci e prenditi tutti gli applausi e i complimenti che ti meriti.”
Veronika ci provò, ma un sacco di gente la bloccò per la strada per farle i complimenti. Quando finalmente arrivò al suo camerino, un ragazzo delle luci le disse “A quanto pare hai un ammiratore segreto... È entrato nel tuo camerino qualche minuto fa e ne è già uscito, forse ti ha lasciato un regalo!”
“Che idiota, non poteva aspettarmi fuori come tutti gli altri?” pensò Veronika, arrossendo.
Aprì la porta convinta di trovare dentro chissà cosa, e invece il camerino era esattamente come l’aveva lasciato.
Veronika era leggermente delusa, si avvicinò allo specchio per vedere che non le fosse sbavato il trucco e per calmarsi. Fu allora che la vide.
Appoggiata sul tavolo bianco, con la corolla leggermente scesa dal bordo, c’era una rosa rossa. Una sola, piccola, rosa rossa.
Allungò una mano tremante come per toccarla, poi corse fuori.
Urtò contro tutti quelli che le capitavano in mezzo al cammino, poi finalmente sbucò fuori. Per un attimo fu come avvolta dal nulla, cercava solo una macchina nera o qualcosa di simile che se ne stesse andando.
Poi fu avvolta dagli applausi e dalle voci della gente, ma soprattutto fu stritolata come fosse un tubetto di dentifricio da Matthew, che dopo averle sussurrato in un orecchio che era stata bravissima le porse un bouquet di rose rosse.
E Veronika lo prese, e ci infilò in mezzo anche l’altra rosa, spingendola finché non sembrò esserci sempre stata. Come quel piccolo pezzo del suo cuore che aveva lasciato a Spencer Reid e che lui era tornato quella sera a consegnarle, perché stesse con tutti il resto del cuore, ormai di proprietà di Matthew.

E per la prima volta dopo molto tempo, Veronika Gordon poté dirsi finalmente veramente felice.
 

Fra l'amore e la musica c'è questa differenza: l'amore non può dare l'idea della musica, la musica può dare l'idea dell'amore.
Hector Berlioz


Oh. Guarda un po'. E' finita.
Stento a crederci. Dopo quasi 8 mesi ho finito la mia ff! E ora, per concluderla veramente, passo alle spiegazioni, alle citazioni e ai ringraziamenti.
L'idea per questo caso mi è venuta prima dell'inizio della 6 stagione su Fox Crime, quindi non ho preso dall'episodio del bambino autistico l'idea del pianoforte. Semplicemente, anch'io lo suono e amo i due pezzi che Veronika suona all'inizio. Poi per ideare il modus operandi dell'S.I. c'ho impiegato qualche mese, ma chissene xD
Nella ff ci sono numerosi riferimenti ad altri episodi di altre serie, come Garcia che chiama Reid "piccolo federale" (Stagione 2, l'episodio del "purificatore" che cerca di uccidere la prostituta dopo aver ucciso precedentemente numerosi vagabondi o cose simili) e anche citazioni di altri libri o film, ma non me le ricordo tutte.
La ff si ambienta, come avrete immaginato, tra la sesta e la settima serie, perché in queste Reid ha la pettinatura che a mio parere gli sta meglio. Amo quel ragazzo foffoso :3
Bene, ora i ringraziamenti! Ringrazio le 9 persone che mi hanno messa tra le preferite : giadi82, i_ly97, Kia 97, Little Dreamer, NinianeCullen88, ore_sama, perlanera, sailor mecury, takara; le 4 persone che mi hanno messa tra le ricordate e le 25 che mi hanno messa tra le seguite, e tutti coloro che mi hanno mai recensita.
Non so a voi, ma a me Veronika e Reid mancheranno parecchio.
Ma non disperatevi (che esagerazione), perché come dice il mio libro preferito "le storie non finiscono mai con l'ultima pagina".
Vi voglio bene.


Montana :)
 

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