Storia di Rosso e di Blu. di Afaneia (/viewuser.php?uid=67759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fuoco e l'acqua. ***
Capitolo 2: *** La verità di Blu. ***
Capitolo 3: *** Gli ideali di Rosso. ***
Capitolo 4: *** I misteri del Monteluna. ***
Capitolo 5: *** Il Pokémon più potente. ***
Capitolo 6: *** Percorso Ventidue. ***
Capitolo 7: *** Il Regno di Missingno. ***
Capitolo 8: *** Non c'è ambizione. ***
Capitolo 9: *** Incendio e fiamma. ***
Capitolo 10: *** La pazzia di Rosso. ***
Capitolo 11: *** Grotta Ignota. ***
Capitolo 12: *** Un uomo molto potente. ***
Capitolo 13: *** Un segreto tra noi tre. ***
Capitolo 14: *** Monte Argento. ***
Capitolo 15: *** Lei o lui. ***
Capitolo 16: *** Di odio e di dolore. ***
Capitolo 17: *** Il giorno di Missingno. ***
Capitolo 1 *** Il fuoco e l'acqua. ***
Quando erano piccoli, Rosso e Blu
giocavano insieme ed erano
l’uno l’opposto dell’altro: il fuoco e
l’acqua, l’istinto e il buonsenso, la
pazzia e la ragione. Rosso era quello avventato, quello dei giochi
esagerati e
delle risate sguaiate, quello che si faceva sempre riprendere, che si
alzava
tardi e mangiava quando capitava. Blu era quello calmo, buono, che
usciva di
casa con la maglietta pulita e si preoccupava di riportarcela tale,
quello che
si lasciava trascinare con un certo riserbo e che urlava poco, che
obbediva ai
suoi genitori con ammirevole celerità. Blu era il tanto
amato nipote del
professor Oak e, spesso e volentieri, portava Rosso a giocare nel
laboratorio
del nonno, in un mondo di Pokémon che scorrazzavano
liberamente senza far loro
alcun male. Stesi a terra nell’erba, i due, stanchi di
giocare, chiacchieravano
a lungo con voci basse, sognando il futuro che li aspettava, i
Pokémon che li
attendevano aldilà dei confini di Biancavilla, le loro mille
avventure, il
vecchio campione… si sognavano, già Campioni, a
riscuotere il frutto del loro
meritato successo, insieme, poiché non conoscevano nulla in
tutto il loro
piccolo mondo che non potessero fare insieme.
Spesso il professor Oak li
sorprendeva nascosti nel parco. Non
si arrabbiava mai, ma, tranquillo, li invitava nel laboratorio, li
faceva
sedere e offriva loro un gelato, oppure una fetta di torta o una tazza
di latte
e li invogliava a chiacchierare, a parlargli dei loro sogni.
“Io voglio diventare un
allenatore e un Maestro di Pokémon e
battere la Lega, anche” diceva Blu in tono solenne.
“Pure! E tu, Rosso? Cosa
vuoi fare da grande?”
“Io voglio diventare il
più grande allenatore di Pokémon del
mondo” replicava Rosso seriamente “Tutti mi
temeranno e a stento mi sfideranno,
e sconfiggerò tutti quanti, anche il Campione!”
Il professor Oak li ascoltava
contento parlare dei loro
sogni, pensava che fossero sogni degni di loro. Quando i piccoli
avevano finito
la merenda, li portava in una stanzetta e li lasciava giocare con
vecchi
strumenti rotti od ormai obsoleti, oppure, se aveva poco da lavorare,
li
portava nel parco e giocava ad insegnare loro le cose. E loro
apprendevano con
avidità, frugando ovunque con occhi e dita curiose. La sera
tornavano a casa,
sazi di novità.
Le loro case erano l’una
dirimpetto all’altra, ma Blu
invitava raramente Rosso da sé, non tanto per una cattiva
volontà propria,
quanto piuttosto per una eccessiva riservatezza della madre. La mamma
di Rosso,
invece, insisteva spesso perché Blu si fermasse da loro,
spesso per più giorni,
cosa che diventava un piacere per i due.
Qualche volta, i genitori di Blu lo
portavano fino a
Smeraldopoli per una gita di un giorno a fare spese. Questo capitava
circa una
volta al mese, ma Blu non lo invitò mai ad accompagnarlo, e
Rosso non glielo
chiedeva.
Crebbero con la vaga sensazione in
fondo al loro animo che
non si sarebbero separati mai, che qualsiasi strada avrebbero scelto,
l’avrebbero
scelta insieme, che mai nulla tra di loro sarebbe cambiato.
Angolo
dell’autrice.
Questa
è la mia storia completa più recente, e anche
quella che ora come ora mi
riflette maggiormente. Occorrono però alcune spiegazioni.
Punto
primo: la Storia di Rosso e di Blu nasce come una spin off di
un’altra mia
storia, molto più ampia, che ho sempre riscritto fin da
quando ero piccola e
che tuttora, pur essendo completa nella mia mente, non lo è
sulla carta. Tale
fanfiction s’incentra però sulla protagonista di
Pokemon Cristallo e sulle sue
proprie avventure. Comparirà anche qui, ma per pochissime
scene. Affronto qui
la storia di Rosso perché, nella storia principale, essa
s’intreccia con quella
della ragazza, il cui nome è Luisa. Non intendo attualmente
postare l’altra mia
storia perché è inconclusa e perché,
comunque, ora come ora è per me solo un
passatempo, in quanto è semplicemente una storia che di
quando in quando mi
diverto a riprendere in mano, essendo relativamente
“infantile”.
Punto
secondo: Storia di Rosso e di Blu e la sua relativa principale sono
scritte su
quelle che erano le mie personali convinzioni sui Pokémon ai
tempi in cui
queste storie sono state ideate. Ossia, le convinzioni di una persona
che non
sia mai andata più in là di Pokémon
Cristallo e che non abbia mai seguito il
manga. Ci potranno essere punti poco chiari, in contrasto col gameplay
o con la
storia ufficiale: sono pronta a dare pronta spiegazione di qualsiasi
punto
oscuro a chiunque voglia chiedere. Giusto per chiarire alcune parole
pronunciate in questo capitolo: si fa riferimento a un
“vecchio Campione”, che
nella mia storia non è affatto Lance ma suo padre.
Vi
lascio dunque al prossimo capitolo, sperando che voglia esserci
qualcuno pronto
a proseguire basandosi su queste poche righe. A presto!
Afaneia.
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Capitolo 2 *** La verità di Blu. ***
Entrambi
avevano
compiuto i dieci anni ed erano diventati bambini robusti e sani, forse
Rosso
più di Blu. Era tradizione, a Biancavilla, che a dieci anni
i bambini
intraprendessero il loro viaggio per diventare maestri di
Pokémon, ed era stato
chiaro fin da subito a entrambi che avrebbero viaggiato assieme e che
assieme
avrebbero vissuto qualsiasi avventura.
Quando
mancava
una settimana alla loro partenza, Blu si precipitò da Rosso
di mattina presto,
agitato e nervoso, per giocare, come tutti i giorni, ma Rosso, appena
uscito di
casa con una maglietta appena stirata, pronta per essere sporcata, si
accorse
immediatamente che qualcosa non andava. Ma non ebbe il coraggio di
chiederglielo, lì per lì.
Andarono
a
giocare sulla spiaggia, come facevano sempre a primavera inoltrata,
rotolandosi
sulla sabbia e facendo il bagno in mare tra urla e schiamazzi. Blu
urlava e
rideva al seguito di Rosso, ma senza mostrare una partecipazione che
non fosse
parziale e superficiale a quei loro giochi. Poi, mentre mangiavano il
pranzo
cucinato dalle loro madri, all’ombra di una grande roccia
dalla quale non di
rado si tuffavano, Blu finalmente parlò: “Rosso,
devo dirti qualche cosa.”
Rosso
calciò da
una parte la confezione del suo pranzo e, guardandolo attentamente,
disse:
“Dimmi pure.”
“Rosso,
è…una
cosa un po’ strana. Posso dirla soltanto a te, e devo dirtela
ora. È da un po’
che ho bisogno di dirtela, ma ora non posso più aspettare.
Ho bisogno che mi
ascolti…”
“Certamente.”
“Rosso”
disse Blu
con un tono nuovo, che era assieme spaventato e forte:
“Rosso, amico mio, non
so come dirtelo. Le persone con cui vivo non sono i miei genitori. Sono
solo
due persone che devono prendersi cura di me. Rosso, la mia mamma
è morta sette
anni fa, prima che tu e tua madre vi trasferiste qui. Il mio
papà…oh, Rosso,
non so come dirtelo. Rosso, mio padre è Giovanni, il capo di
Team Rocket!”
Le sue
parole
riempirono l’aria afosa della spiaggia, chiare, scintillanti,
non per questo
meno orribili. Gli occhi di Rosso si spalancarono d egli
guardò Blu con
particolare fissità, come non l’aveva mai guardato
prima: ne considerò i
capelli, gli occhi, la forma del viso… non riusciva a
parlare. Blu gli afferrò
le mani, disperato.
“Rosso,
Rosso,
non giudicarmi male! Tu sei il mio unico amico. Oh, Rosso, ti
prego…”
“Ma
com’è
possibile? Tuo nonno…”
“Ascolta,
ascolta, ora ti spiego tutto. Mio padre conobbe mia madre, Ambra, dieci
anni
fa. Mia madre era la figlia del professor Oak e desiderava
viaggiare…allora mio
papà non era cattivo, non come ora. Il Team Rocket era
appena stato fondato ma
mia madre non sapeva…non capiva…il nonno non era
d’accordo, ma lei sposò lo
stesso mio papà e lui l’amava, l’amava
tremendamente…”
“Anche
mia madre
lo amava tanto. Lo sposò e andò con lui a
Smeraldopoli: all’inizio papà la portava
con sé quando lavorava, ma poi decise di lasciarla a casa
quando nacqui io. Di quel
tempo non ho alcun ricordo e tutto questo mi è stato
raccontato, ma io so che è
la verità.”
“Poi
Team Rocket
cominciò a crescere, e mia madre capì che cosa
faceva mio padre a poco a poco,
e si spaventò tremendamente. Amava tanto mio
papà, ma non poteva sopportare…tutte
quelle atrocità…mi prese e tornò a
Biancavilla dal nonno, che la riprese subito
in casa, perché le voleva tanto bene. Papà mosse
mari e monti per riaverla, ma
tutto ciò che mia madre voleva, che sciogliesse Team Rocket,
non volle farlo, e
mia madre non tornò. Dopo qualche tempo morì per
il dolore, dice il nonno, e io
rimasi con lui.”
“Mio
papà venne
subito a sapere che era morta, e quando lo seppe si
precipitò qui per vederla. Non
fece che piangere. Poi andò da mio nonno, dopo il funerale,
e gli disse che mi
avrebbe portato con sé a Smeraldopoli.”
“
‘Giovanni’ gli
disse il nonno. ‘Quando ha saputo la verità Ambra
è corsa da me, è tornata a
Biancavilla per salvare Blu…non portarlo a vedere tutti
quegli orrori,
Giovanni! È ancora piccolo!’”
“Con
sua grande
sorpresa, mio padre riconobbe la verità delle sue parole.
Gli disse che non c’era
cosa ormai che amasse più di me al mondo, ma che proprio per
amor mio non
poteva tenermi con sé. Mio nonno lo guardò
severamente e gli disse: ‘Giovanni,
ascoltami. Tu non sei uno stupido e penso di poter parlare seriamente
con te. Ciò
che tu stai facendo è l’errore più
grande della tua vita: per arricchirti hai
perduto mia figlia, l’hai fatta morire di dolore e di amore,
ma questo non te
lo rinfaccio: Ambra ha scelto cosa fare della propria vita, e la colpa
non è
tua se lei è stata cieca. Ma Giovanni, non devi fare lo
stesso a Blu, fai alla
memoria di Ambra il più bel regalo del mondo: sciogli Team
Rocket, occupati di
tuo figlio. Se è per i soldi, metti da parte
l’orgoglio e accetta la mia
proposta: accetta tutto l’aiuto che posso darti, lascia che
compri a te e a Blu
una casa da qualche parte, in pace, dove possiate vivere dimenticando
tutti quegli
orrori!’”
“Ma
papà rifiutò
l’offerta del nonno, dicendogli che aveva un progetto troppo
grande per se
stesso e per il mondo, per tutta la comunità scientifica, e
che i soldi che
tutte le sue losche attività gli procuravano non servivano
(così diceva) per
una mera ricchezza personale, ma solo e soltanto per finanziare un
progetto cui
non poteva rinunciare. Per questo motivo doveva lasciarmi a
Biancavilla, al
sicuro. Disse che non avrebbe obbligato il nonno a prendersi cura di un
bambino
così piccolo, ma che due persone sarebbero vissute con me e
di me si sarebbero
occupate, affinché io avessi una vita quanto più
possibile normale.”
“Ed
è così che
sono cresciuto, ora lo sai, Rosso. Accudito da due ladri destinati da
mio padre
a questo compito a causa della loro inettitudine per compiacerlo. La
loro
punizione avrà termine quando io partirò per il
mio viaggio. Allora saremo
liberi, tutti e tre, di seguire il nostro destino. Che strana
libertà.”
“Nessun
altro,
Rosso, sa tutte queste cose che io ti ho detto, in realtà,
non avrei potuto
affatto dirtelo: mio padre desiderava che nessun altro conoscesse la
mia
storia, affinché la responsabilità dei suoi
crimini non ricadesse sul mio
futuro. Ma io dovevo dirtelo ugualmente, Rosso, perché
voglio che tu sia
consapevole della scelta che compi essendomi amico. Se desideri volermi
bene,
devi volermi bene per la mia verità, per la mia brutta
verità e non per qualche
brutta bugia. Rosso, io ti voglio molto bene, ma non voglio trattenerti
con una
bugia. Con la
verità si può fare tutto
ciò che si vuole, con una bugia si resta vincolati alla
menzogna.”
Gli occhi
di
Rosso erano spalancati, infissi nella sabbia calda sotto i suoi piedi.
Non si
muoveva più, non respirava quasi. Poi, lentamente, disse con
voce spettrale: “Mi
hai sempre mentito…”.
Blu non
obiettò,
perché era vero. Rosso si alzò piano, e via via
che la sua ombra si allungava
sulla sabbia, lo sguardo di Blu si abbassava sempre di più.
“Ma
Rosso…non
potevo dirtelo…”
“Potevi!
Come l’hai
fatto ora, potevi farlo anni fa, quando siamo diventati
amici…”
“Ma
non potevo
fidarmi di te come mi fido ora!”
“Allora
uno, due
anni fa! Forse che non eravamo uniti come ora, due anni fa? Che cosa
è
cambiato?”
“Mio
Dio, Rosso,
avevo paura di come avresti reagito…” gemette Blu.
Aveva le lacrime agli occhi.
“È
orribile
questa verità, Blu!”
“È
la sola verità
che ho, la sola in tutto il mondo!”
“Tienitela,
allora, la prossima volta! E tieniti anche tutti quei poveri
Pokémon morti per
gli scopi di Team Rocket, per gli scopi di tuo padre! Oh, e tu sei
vissuto con
i soldi di tutte quelle stragi! Sei solo un assassino, proprio come tuo
padre!”
Ora Blu
piangeva
senza ritegno. Era disperato. Rosso, il suo unico amico. Tutte quelle
offese.
Ma come
aveva
potuto, di punto in bianco, diventare così orribile e
ripugnante ai suoi occhi,
quando appena una mezz’ora prima avevano fatto il bagno nudi
nell’acqua, l’uno
accanto all’altro?
Soprattutto,
era
vero quello che diceva Rosso?
Ecco
a voi il secondo capitolo, ecco a voi la verità, con la
stessa forza con cui l’ha
subita Rosso. L’idea che Blu fosse il figlio si Giovanni
l’ho sempre avuta. Nella
mia mente, questo era l’unico modo in cui potesse aver
ottenuto la palestra di
Smeraldopoli e soprattutto l’unico motivo per cui potessi
figurarmelo triste e
rassegnato come mi appariva in Cristallo.
Grazie
a nihil no kami e a DarkPikachu97 per le recensioni. A presto!
Afaneia
;)
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Capitolo 3 *** Gli ideali di Rosso. ***
Da quel
giorno
sulla spiaggia non si erano più rivolti la parola. Non di
rado Blu si era
appostato alla finestra per vedere cosa facesse Rosso, a tutto
ciò che aveva
ottenuto era stato vedere l’amico di tanti anni giocare in
giardino da solo,
con addosso una strana aggressiva rabbia che solo i suoi occhi, ormai
abituati
a lui, sapevano cogliere. Ma le rare volte in cui
s’incontrarono per strada,
Rosso mutò decisamente direzione o fece finta di non
notarlo. Mai e poi mai si
era comportato così.
Anche
Dalia, la
madre di Rosso, si mostrò preoccupata riguardo al
comportamento del figlio.
“Ma
cos’hai,
Rosso? Perché non giochi più con Blu?”
gli chiedeva spesso, quando Rosso
rientrava per pranzo con gli occhi cupi e le labbra smorte e silenti.
“Non
mi va di
giocare con Blu.”
“Ma
è il tuo
migliore amico!”
“Abbiamo
litigato.” E Dalia taceva con aria preoccupata, assorta.
Frattanto fervevano i
preparativi per la sua partenza. Sua madre lavava, stirava, rammendava
camicie
che Rosso non avrebbe mai potuto portarsi dietro a causa del loro
numero,
portava grandi quantità di magliette pulite e piegate, tra
le quali Rosso
sceglieva con cura quelle che meno gli ricordavano i momenti trascorsi
con Blu.
Era diventato silenzioso e cupo, e Dalia non riusciva ad attribuire la
sua
stranezza alla partenza imminente. Più volte
chiamò quella che lei reputava
essere la madre di Blu per chiederle spiegazioni, ma tutto
ciò che ottenne fu
di sentirsi dire che Blu non faceva che piangere e guardare fuori dalla
finestra con gli occhi vacui perduti nel vuoto. Tuttavia, nessuna delle
due
donne riusciva a spiegarsi il perché di tante stranezze.
Giunse,
infine,
il giorno della loro partenza. Al mattino Rosso, che quasi non aveva
dormito
quella notte, si buttò giù dal letto
spontaneamente, si vestì in fretta e baciò
la madre con sincero affetto, prima di recarsi di corsa al laboratorio
del
professor Oak.
I
cancelli erano
spalancati e Rosso attraversò il parco a passo di corsa,
raggiungendo dopo poco
le porte del laboratorio. Non appena fu entrato ed ebbe percorso i
pochi metri
di spazio che lo separavano dal tavolo dove solitamente il Professor
Oak li
riceveva, udì una netta voce maschile esclamare:
“Nonno! Sono qui.”
Provò
d’improvviso
un brivido lungo tutta la schiena. Si girò e vide che Blu,
avvolto in una
fiammante tuta viola scuro, veniva avanti a grandi passi, tutto
splendente in
abiti costosi…era la prima volta che lo vedeva
così. D’un tratto, i loro occhi
s’incontrarono e il volto di Blu si accese di un improvviso
bagliore rosso.
“Ciao,
Rosso. Sei
venuto a elemosinare un Pokémon, non è
vero?” domandò Blu avvicinandosi. Aveva parole
acide, ma in fondo agli occhi gli brillava una muta supplica che Rosso,
acciecato dalla rabbia, non vedeva.
Il volto
del
ragazzo avvampò ora come una fiamma ardente.
Strinse le palpebre, acciecato dalla rabbia, e
sibilò: “Assassino.”
In fondo
agli
occhi di Blu, quella fiamma d’amore che Rosso non vedeva si
spense per sempre.
“Perdente”
replicò a bassa voce.
“Ragazzi!
Che succede
qui?”
Il
professor Oak
entrava in quel momento da una porticina laterale. Portava tre
Pokéball, che
andò ad appoggiare di corsa sul tavolo. “Sono un
po’ in ritardo, ma che avete
da litigare?”
“Niente,
nonno”
replicò Blu. “È tutto a posto. Che
Pokémon ci hai portato?”
“Aspettate
e
vedrete” rispose il professor Oak. Ma intanto con gli occhi
li scrutava
attento, perplesso, dubbioso.
“Rosso,
vai
avanti tu e scegli quella che preferisci.”
Col cuore
in
gola, Rosso avanzò, solo, fino al tavolo di legno. Le tre
Pokéball lucenti lo
aspettavano, come se lo guardassero, immobili e attraenti
nell’aria del
mattino.
Su una di
esse
campeggiava una scintilla.
“Scelgo
Charmender,
professore.”
D’un
tratto la
tensione nella stanza si allentò, come una corda che, troppo
tesa, viene
improvvisamente lasciata andar.
“Penso
che sia
davvero un ottimo Pokémon” disse il professore,
sorridendo. “E ora tu, Blu”
soggiunse, mentre Rosso si allontanava dal tavolo. “Vieni
avanti e scegli il
Pokémon che preferisci, senza timore.”
Fu ora il
turno
di Blu di avanzare. Il ragazzo scrutò con attenzione le due
Pokéball rimaste,
come soppesando la foglia e la goccia che vi erano state impresse. Poi,
mentre
un lampo si accendeva e subito si spegneva nei suoi occhi,
allungò la mano e
afferrò la ball di Squirtle.
“Un
eccellente
Pokémon” commentò il professore.
“Di
sicuro
migliore del tuo, Rosso!” esclamò Blu, voltandosi
bruscamente verso di lui.
“Ovviamente”
replicò Rosso, asciutto, dopo un attimo di silenzio.
“Hai preso il Pokémon che,
per tipo, è superiore al mio!”
“Se
avessi preso
Bulbasaur, ti sarei stato inferiore: in nessun caso avremmo potuto
essere alla
pari.”
“Ragazzi!
Non vi
riconosco più, che vi è successo?”
protestò Oak. “Cielo, eravate i migliori amici
del mondo fino a una settimana fa!”
“Appunto,
nonno. Una
settimana fa” replicò Blu. Guardò un
momento la ball che teneva in mano, fece
per riporla, poi, improvvisamente, si riscosse ed esclamò:
“Ho un’idea, Rosso! Facciamo
lottare i nostri Pokémon. Vai, Squirtle!”
Gettò
la ball, e
in un bagliore si liberò una piccola tartaruga azzurra dagli
occhi grandi e
simpatici. E come avrebbe potuto Rosso tirarsi indietro?
“Vai,
Charmender!”
Charmender
era
tremendamente grazioso, bello, robusto sul pavimento della stanza.
Calò un
istante di silenzio glaciale di occhi negli occhi, rotto dalla voce di
Blu che
gridava: “Squirtle, Bolla!”
“Charmender,
azione!”
Ma non
erano i
Pokémon a scontrarsi, erano i tumulti dei loro cuori.
C’era qualcosa come una
grande rabbia che accendeva di fuoco i loro volti più del
loro scontro.
Ma alla
fine
Squirtle si rovesciò sul guscio.
“Complimenti,
Rosso” commentò a bassa voce il professore, che
appariva contrariato. “Un’ottima
strategia.”
“È
stata solo
fortuna” sbottò Blu richiamando il
proprio Pokémon.
“Se
ti torna
comodo pensarla così…” rispose Rosso
tranquillamente.
Blu
avvampò e,
rivolgendosi al professore, esclamò: “Nonno, ti
prego, voglio andarmene da
Biancavilla. Dammi il mio Pokédex e lasciami partire per
Smeraldopoli, te ne
prego!”
“Va
bene, Blu”
concesse il vecchio a malincuore. Blu gli si avvicinò e Oak,
dopo avergli messo
in mano il suo Pokédex e sei Pokéball vuote, gli
disse: “Se il tuo cuore
desidera andare, non ti tratterrò. Ma ricorda, Blu: questo
è il solo posto
sicuro per te. Fuori da Biancavilla, io non potrò
proteggerti!”
“Non
ne ho più
bisogno” rispose Blu. “Corro un pericolo
più grande dal quale tu non puoi
salvarmi, e solo la partenza può farlo.”
Allora si
salutarono con affetto e Blu, senza rivolgere un’ultima
parola a Rosso, si
allontanò dal laboratorio e partì, e mentre lo
guardava allontanarsi, Rosso
sentì di aver perso la sua metà più
importante.
“Professore”
disse, quando Blu fu ormai uscito da qualche minuto: “La
prego, ora è anche per
me il momento di partire. Dia anche a me un Pokédex e delle
sfere, e me ne andrò
da qui verso il mio sogno.”
“Ti
darò ciò che
mi hai chiesto, Rosso” disse il professore. “Ma
prima devi dirmi che cosa è
successo tra te e Blu.”
Rosso
chinò il
capo con una grande tristezza, e la visiera del suo berretto
coprì in parte i
suoi grandi e cupi occhi.
“Professore,
è…qualcosa
di inspiegabile.”
“Te
ne prego,
Rosso. Non c’è nessuno in questo mondo che io ami
quanto amo Blu: avevo una
moglie e una figlia, ma le ho perdute entrambe molto tempo fa. Blu
è il mio
solo, caro nipote e vorrei aiutarlo, te ne prego, Rosso.”
“Oh,
professore”
gemette Rosso, sul quale quelle parole non avevano sortito altro
effetto che di
ricordargli la discussione avvenuta una settimana prima:
“Professore, tutta la
vita di Blu è…è stata…ma
suo padre, e io…!”
“Rosso”
esclamò l’altro,
afferrandolo per un braccio “Rosso! Blu ti ha forse
raccontato…”
“Tutto,
tutto!”
gridò Rosso. “E non è orribile?
Giovanni, il Team Rocket! È tutto così
orribile!”
“Rosso!
Mi sorprendo
di te” protestò l’uomo, scrollandolo.
“Come puoi giudicare Blu, tu che sopra
tutti dovresti essergli amico nella verità più
che nella menzogna?”
“Ma
è orribile
questa verità!”
“Certo
che è
orribile, non lo sapevi? Ma di tutte le cose al mondo, la
verità è la sola che
valga la pena conoscere. E Blu ti ama a tal punto che ha voluto
mostrartela,
senza tenerti legato a sé con una facile bugia. Ma Rosso,
pensa come dev’essere
stata la sua vita, se già per te è orribile! E
ora che tu l’hai rifiutato, lui
è solo, solo sotto un peso che io posso solo in parte
comprendere, ma di cui tu
potevi partecipare. Credi che un’amicizia consto solo di
bagni in mare e di
viaggi di piacere? I rapporti tra le persone sono la cosa
più complicata che
esista a questo mondo, Rosso. Ma tu sembri non capirlo. Allora forse
sarai un
grande allenatore, ma ahimé, solo. In bocca al lupo,
figliolo, e va’ a
inseguire il tuo sogno, poiché sembra che sia la sola cosa
che ti interessi.”
“Non
mi giudichi
così, mi ascolti, prima!” gridò Rosso.
“Non ci ha pensato mai a tutte le
atrocità commesse da Giovanni…al denaro con cui
Blu è vissuto tutti questi anni…
tutti quei Pokémon morti, quelle persone uccise…
mio Dio, non ci ha pensato mai?”
In quel
momento,
l’espressione de professore si rilassò
d’un colpo; sospirando, egli si appoggiò
al tavolo sul quale ci si era dibattuti fino ad allora. Era come se
alla
tempesta si fosse succeduta la quiete sul suo volto vecchio e paziente.
“Mio
caro
ragazzo! Vieni qui” gli disse affettuosamente, tendendogli le
braccia; e quando
Rosso gli fu vicino gli appoggiò bonariamente le mani sulle
spalle. “Figliolo,
leggo nei tuoi occhi che non sei cattivo, ma che è un
eccesso di ideali a
spingerti a rinnegare il tuo amico d’infanzia. Ma attento!
Blu condivide i tuoi
ideali, li condivide pienamente. Credi che non soffra nel sapere che
cosa
accade ogni giorno per volere di suo padre? Ma la sua anima
è divisa in due,
tra l’amore per suo padre e i suoi alti ideali che non
può rinnegare. Ed egli
sa che solo e soltanto viaggiando potrà, forse, conciliare
queste due metà così
avverse nel suo animo. Rosso, abbi pietà di lui!”
“Lo
compatisco”
replicò Rosso “Ma non so averne pietà.
Professore, ora sa cosa è accaduto: la
prego di lasciarmi andare, e non la turberò più
con i miei pensieri
eccessivamente nobili, come dice lei, e tutto il resto. Vado a cercare
la mia
verità.”
Allora il
professore, sospirando, gli consegnò il Pokédex e
le sfere che gli erano dovute
e gli augurò buon viaggio, prima di lasciarlo partire.
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Capitolo 4 *** I misteri del Monteluna. ***
Trascorsero
giornate furibonde durante le quali Rosso quasi non dormì
né mangiò, tutto
preso com’era a catturare, allevare, allenare.
Per
l’ora di
pranzo del suo primo giorno di viaggio, aveva già raggiunto
Smeraldopoli. Là
aveva consumato in fretta quello che sarebbe stato probabilmente il suo
ultimo
vero pasto per i suoi successivi due giorni, aveva visitato il Centro
Medico
per Pokémon, ascoltando in un angolo le voci di alcuni
allenatori riguardo al
Bosco Smeraldo, e si era rimesso in cammino.
Charmender
si era
dimostrato simpatico e affettuoso con lui. Gli obbediva senza
difficoltà e gli
piacevano molto i biscotti che Rosso condivideva con lui. Di notte,
quando
Rosso s’intristiva per la propria solitudine, lo faceva
uscire dalla sua
Pokéball e parlava con lui. Charmender alleviava il suo
vuoto.
Catturò
un
Caterpie, poi un Oddish, in previsione della prima palestra che aveva
deciso di
sfidare, quella di Brock di Plumbeopoli. Sapeva che Charmender sarebbe
risultato svantaggiato come tipo, ma comunque non demordeva: gli
sembrava che
stesse facendosi molto forte in poco tempo. Poco prima di raggiungere
Plumbeopoli, quando ormai quasi non vi sperava più,
catturò un Poliwag che però
gli appariva troppo debole, non tanto (in realtà) per Brock,
quanto piuttosto
in paragone alla sua ambizione.
Ma
Plumbeopoli fu
per lui una rivelazione. Aveva sempre creduto che le città
si assomigliassero
le une con le altre come i cuccioli con le madri, e così
era, in effetti, per
quanto riguardava Biancavilla e Smeraldopoli, per esempio. Ma in
confronto a
Smeraldopoli, che quantomeno Rosso conosceva in parte, Plumbeopoli era
immensa
(e cosa non avrebbe pensato, riguardo Azzurropoli o, ancora
più avanti,
Zafferanopoli o addirittura Fiordoropoli?) e, per la prima volta dopo
tanti
giorni, Rosso si sentì nuovamente un ragazzo che andava a
scoprire nuove
città…si sentiva perso.
Era ormai
pomeriggio inoltrato, e dopo aver vagato senza meta per circa
un’ora , Rosso
cominciò a sentirsi addosso tutta la stanchezza e la fame
del suo viaggio.
Dalla sua partenza da Viridian City, non aveva mangiato altro che
biscotti al
cioccolato e un piccolo panino al formaggio che aveva trovato in una
tasca
dello zaino. Ma ora i crampi allo stomaco cominciavano a farsi sentire,
e così
Rosso, chieste indicazioni per il più vicino Centro
Pokémon, vi si diresse e vi
entrò.
Ottenuta
una
stanza, portò i suoi Pokémon a riposare e a farsi
controllare, dopodiché dormì
per un paio d’ore, almeno finché
l’infermiera Joy, come Rosso le aveva chiesto,
non lo chiamò per la cena. Allora Rosso consumò
un pasto caldo e abbondante che
rinfrancò le sue forze nella sala in cui solitamente gli
allenatori si
incontravano, solo in un angolo ma con le orecchie attente alle voci
che lo
circondavano.
Fu un
bene per
lui ascoltare, quella sera, sebbene ormai cominciasse a detestare
sempre più il
suono di voci umane. A un tratto sentì qualcuno urlare una
battuta, qualcosa
come: “Ma prima o poi anche il Team Rocket si
fossilizzerà!” e tutti attorno
scoppiare a ridere. Sorpreso, volse il capo e si guardò
attorno per indovinare
chi avesse gridato quelle parole, e vide che esse provenivano da un
robusto
Avventuriero circondato da varie altre persone.
Suo
malgrado
incuriosito, Rosso, che aveva ormai terminato la cena, si
alzò in piedi e si
avvicinò al tavolo dell’Avventuriero.
“Scusate”
disse a
voce abbastanza alta da farsi udire: “Non volevo origliare,
ma vi ho sentiti
parlare del Team Rocket, e vorrei capire…”
“Accomodati!
Accomodati!” esclamò quegli, invitandolo a sedersi
al proprio fianco: era buono
e gentile come tutti gli Avventurieri. “Siediti, ragazzo mio,
io mi chiamo Nan,
e tu?”
“Mi
chiamo Rosso,
e vengo da Biancavilla” replicò quegli
tranquillamente.
“Biancavilla!
La
mia ragazza è di Biancavilla, e la sto giusto andando a
trovare. Se vorrai,
potrò portare qualche messaggio a casa da parte
tua.”
“Dicevamo
del
Team Rocket” lo interruppe Rosso, che detestava cambiare
argomento.
“Il
Team Rocket,
è vero! Beh, che c’è da dire? Devi
sapere che sono venuto fin qui da
Celestopoli attraversando le grotte del Monteluna, e vedi,
là si trovano un
mucchio di fossili, e persino alcuni pezzi di meteoriti. Beh, ti
confesso che
speravo di trovare io stesso qualche scheggia di ambra, ma nulla di
più, da
regalare alla dolce Josephine. Comunque, mentre davo
un’occhiata in giro, mi è
capitato d’incappare in un mucchietto di quei Rocket. Saranno
stati cinque o
sei, non di più, e si trovavano proprio nella zona in cui
sono stati ritrovati
i fossili di Pokémon antichi e in cui solo le
autorità scientifiche possono
scavare. Ebbene, quei Rocket stavano ammucchiando un sacco di fossili
in un
grande cesto!”
“Ho
urlato loro
di smettere di rubare i fossili, che appartengono alla
comunità, ma invano: due
di loro mi hanno attaccato e i miei Pokémon, già
stanchi, non ce l’hanno fatta.
Perciò ho dovuto fare ritirata e sono venuto qui di corsa!
Ho dato l’allarme
alla polizia, e loro faranno ciò che credono meglio. Ecco
qua, ragazzo: sei
soddisfatto?”
Rosso non
rispose, ma rimase un po’ soprappensiero, riflettendo. Poi,
improvvisamente,
sentì come la presenza di due occhi puntati sulla sua
schiena stanca, e si
volse di scatto. Vide un ciuffo di capelli rossi e un alone viola scuro
nell’ombra di un angolo della sala, ma dopo un attimo esso si
spense dietro una
porta che si chiudeva.
“Blu!”
mormorò
Rosso balzando in piedi. “Blu è qui!”
Corse in
un lampo
fino a quella porta, la spalancò, si precipitò
fuori: ma di Blu non c’era più
traccia nell’aria, né sulla terra, a quanto
sembrava.
Il
mattino
seguente, Rosso sfidò Brock senza indugio, e non ebbe a dire
il vero grossi
problemi a batterlo. Aveva finalmente avuto la sua prima medaglia, la
medaglia
Sasso, eppure in qualche modo si sentiva insoddisfatto: certo,
Charmender era
forte, ma il resto della sua squadra era in qualche modo di
un’insopportabile
mediocrità, un’intollerabile debolezza che non
poteva conciliarsi col suo
sogno. Si disse che, a costo di frugare tutta Kanto, avrebbe catturato
Pokémon
molto più forti. E così, mentre si avviava al
passo verso i misteri del
Monteluna, progettava la sua squadra ideale.
A poco a
poco,
tra gli alti monti, cominciava a spuntare l’alta cima aguzza
del Monteluna. Via
via che camminava, gli occhi puntati su di esso, Rosso ripensava alle
parole
dell’Avventuriero, e si diceva: “Che cosa
troverò là?”
A ogni
passo la
strada si faceva sempre più in salita, ma Rosso non
demordeva, non poteva
demordere: finalmente arrivò in cima.
La
sommità del
monte era arida e brulla, ma qua e là sorgevano cespuglietti
spontanei che
nascondevano le entrate di varie gallerie sotterranee. La maggior parte
di essi
era stata rudemente spostata; solo uno di essi, tuttavia, risultava
ordinatamente potato e sormontato da un cartello che recava la scritta:
“Per
Celestopoli.”
Ormai
deciso,
Rosso si calò senza esitazione nella galleria, di cui
percorse senza difficoltà
il primo tratto, illuminato artificialmente a giorno e ormai percorso
da
innumerevoli segni di piedi umani. Catturò uno Zubat e un
Geodude, ma non
riuscì in nessun modo a trovare un Clefairy, la qual cosa lo
irritò
profondamente.
Ma a poco
a poco
raggiunse la zona degli scavi, vividamente illuminata e contrassegnata
da varie
transenne, perfettamente distinguibili nella luce.
Ricordando
le
parole dell’Avventuriero, Rosso si avvicinò, suo
malgrado incuriosito, alla
zona transennata. Risultava vuoto, ma in un angolo giaceva un gran
mucchio di
pale e picconi incrostati di terra e muschio.
Non
sembrava vi
fosse nulla di storto.
“Beh,
se ne
saranno andati. Oppure la polizia li ha cacciati”
pensò Rosso alzando le
spalle; e dicendosi che non valeva la pena di infilarsi lì
dentro, si allontanò
seriamente.
Ma
d’improvviso
un suono confuso di voci e di passi, proveniente da una galleria
laterale il
cui accesso si trovava nella zona transennata lo richiamò, e
Rosso (ai cui occhi
balenò d’improvviso una rapida
sequenza d’immagini – Blu, il Team Rocket, le foto
dei Pokémon morti, e di
nuovo Blu), senza riflettere, scavalcò d’un balzo
le transenne e attraversò di
corsa la zona, gettandosi dritto in quella galleria.
Anch’essa
era
vividamente illuminata, ma non c’era, almeno apparentemente,
anima viva fin
dove arrivava la sua vista. Dopo qualche decina di metri, si
fermò,
domandandosi se non fosse il caso di tornare indietro, ma proprio
quando l’eco
dei suoi passi si fu spenta tra le pareti di pietra, egli
percepì di nuovo quei
rumori indistinti. Dopo un attimo di ascolto, distinse una voce
più chiara e
netta delle altre che urlava: “Jack, nel cesto!”
Udire
quella voce
e spiccare una corsa, furiosa, in avanti, fu un tutt’uno:
percorse la galleria
come un lampo, ignorando l’eco dei propri passi nella
caverna, precipitandosi
nella grotta più ampia riservata agli scavi.
E in
effetti vide
tre persone nerovestite affaccendarsi per la grotta, curve, sui loro
cesti
pieni di scatole infrangibili, trasparenti, dal chiaro
contenuto…e Rosso non ci
vide più dalla rabbia nel collegare d’improvviso
quei fossili alla fiammante
tuta nuova di Blu, di Blu che non aveva più visto…
“Fermi!”
Ma chi
era lui
per mettersi contro Team Rocket? Nessuno, Rosso non era davvero
nessuno, solo
un piccolo allenatore di Biancavilla che viaggiava da pochi giorni, e
loro,
invece…
Ma Blu,
c’era Blu
dietro tutto ciò! Giovanni o Blu, Rosso ormai non faceva
differenze, tutto era
peste per lui, peste. Vide che d’improvviso i loro corpi si
raggelavano e i
loro capi si voltavano, ma poi vide anche che risero alla sua vista.
“Ma
è solo un
bambino!”
“Cielo,
e ci
siamo spaventati tanto per un semplice bambino!”
“Un
bambino!”
Ecco, ora
Rosso
era paonazzo per la rabbia e l’umiliazione ricevuta, e
urlò: “Non sono solo un
bambino, sono un allenatore!”
Ma chi
avrebbe
mai potuto credergli? Certo, andava in giro con qualche
Pokéball appesa alla
cintura; ma un ragazzino con quattro soli Pokémon e qualche
Pozione nello zaino
non sembrava un allenatore molto pericoloso.
“A
chi credi di
far paura, ragazzino?” domandò la sola donna del
gruppo, venendo in avanti: era
una donna alta dai folti capelli scuri… Rosso
indietreggiò d’un passo. Ma ora
che lo aveva visto meglio, d’improvviso la donna
avvampò furiosamente: “Rosso!”
“Helena!”
“Helena,
tu…tu lo
conosci?”
“Zitto,
Jack! Hai
vinto, Rosso, ce ne andiamo via. Conosci i nostri
nomi…lasciate tutto qui,
ragazzi! Non devono poterci incriminare con i fossili!”
Ma come
lasciarsi
sfuggire quell’occasione? Ormai i tre, abbandonati i cesti,
facevano per
scappare…
“Helena,
Hugh,
aspettate!”
“Ah,
no,
ragazzino! Pensi di poterci fregare?”
“No,
vi prego,
aspettate! Dovrete pur sapere dov’è andato
Blu!”
Forse con
un
senso di rammarico e di perplessità, i due si voltarono un
momento.
“Che
ti importa
di Blu, Rosso? Non avete forse litigato?”
“Litigato?
Sì,
abbiamo litigato. Ma dov’è andato? Lo
saprete!”
“No,
non lo so. È
in viaggio come te, e non sta mai fermo. Anche se, forse, si sta
allenando col
Capo…dove, non te lo dirò di certo!”
“E
io non voglio
saperlo” replicò bruscamente Rosso, risvegliato da
quella parola, “Capo”. Non importa,
andatevene pure! Ci rivedremo, e ve la farò vedere
io.”
“Andiamocene,
allora” sbottò Hugh, e i tre ben presto
scomparvero tra le ombre della
galleria.
Ora Rosso
era di
nuovo. Si sentiva solo e confuso; pensava a Blu e al proprio aspetto
troppo
debole… no, non solo al proprio aspetto.
Pensava
alla sua
vera debolezza. ”!
Ecco
qua, forse un capitolo di passaggio, forse piuttosto di riflessione. Il
prossimo capitolo sarà particolarmente lungo e importante
per la storia, perciò preparatevi.
Grazie
a nihil no kami per le recensioni!
Afaneia
;)
|
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Capitolo 5 *** Il Pokémon più potente. ***
Nei mesi
seguenti
Rosso percorse come un indemoniato le strade di Kanto: Celestopoli e
poi
Aranciopoli, e Lavandonia e Azzurropoli e poi Zafferanopoli, quando
ebbe
trovato il modo di eludere la ferrea sorveglianza del Team Rocket, che
aveva
preso possesso della città, Fucsiapoli e Isola Cannella. Non
parlava mai con
nessuno, non faceva che combattere, combattere e allenarsi. Rifuggiva
in ogni
modo ogni genere di contatto umano, salvo quando era necessario sfidare
qualcuno o rispondere a una sfida lanciatagli, e aveva ormai quasi
perso
l’abitudine a parlare.
La sua
sola
compagnia erano i suoi Pokémon: il suo adorato Charmender,
che evolse a poco a
poco in un Charmeleon e poi in un Charizard, poi il suo Blastoise e il
suo
Venusaur, un gigantesco Snorlax (l’unico dei suoi
Pokémon che non veniva
saziato dai suoi biscotti al cioccolato, a dire il vero),un grazioso
Pikachu
piuttosto agguerrito e poi, con suo sommo piacere, un piccolo Eevee,
poi
Espeon, shiny, che più e più volte era stato
oggetto dell’interessamento di
intenditori e ladri. Rocket, soprattutto, perché ormai per
Rosso era una sfida
inevitabile, quella coi Rocket e, indirettamente, con Blu, o meglio con
la
proiezione di Blu che la sua mente identificava con i Rocket.
Azzurropoli, poi
Lavandonia e, infine, i giorni e le notti insonni trascorse tra i
dedali dei
molteplici piani della Silph Spa, scontrandosi senza sosta
né riposo con tutti
coloro che incontrava, decine di Rocket spediti a combatterlo e a
tentare di
impedirgli l’accesso all’ultimo piano, luogo da cui
Giovanni era fuggito prima
ancora di dargli il tempo di sfidarlo, liberando Zafferanopoli dalla
sua oscura
presenza.
Ma
intanto Rosso
era forte, sempre più forte, e non era più il
ragazzino che sul Monteluna era
stato seduto per ore e ore sulla dura pietra, solo con i vacui occhi
infissi
nel vuoto, consapevole della propria debolezza e della propria
fragilità. Ora
Rosso era più alto, più magro, col pallido volto
affilato e il mento aguzzo,
gli occhi infossati e cerchi scuri intorno alle orbite, aveva una voce
rauca e
bassa, profonda, che difficilmente gli usciva dalla bocca. E tutte le
volte che
si curvava su uno specchio d’acqua dolce,
l’immagine che vedeva era quella di
un volto bello, ma come ossessionato qualcosa, che nell’acqua
non si vedeva.
Non aveva
più
rivisto Blu da quella volta a Plumbeopoli, e ora non sapeva come
stesse, che
cosa facesse, quali Pokémon possedesse o avesse visto. Ma
sapeva che presto,
forse quando avesse sfidato la palestra di Smeraldopoli, si sarebbero
incontrati.
Rosso
sapeva che
la palestra di Smeraldopoli sarebbe stata la più difficile
di tutte quelle che
aveva incontrato sul proprio cammino, non soltanto per
l’esperienza di Giovanni
e per tutti i trucchi che probabilmente avrebbe adottato, ma anche e
soprattutto per ciò che quell’ultima sfida avrebbe
rappresentato per lui.
Fu per
questo
motivo che temporeggiò a lungo, allenandosi in solitudine
sul vulcano
dell’Isola Cannella, unico luogo che amasse in quanto lo
sentiva bollente,
rigurgitante quanto il proprio cuore. Ma poi non poté
più attendere: il tempo
stringeva, ed egli non poteva più tardare, se desiderava
partecipare alla Lega
Pokémon prima dell’anno seguente.
Perciò volò di prima mattina fino a
Smeraldopoli sul suo possente Charizard e si presentò senza
indugio alle porte
della palestra, che risultavano chiuse, come al solito.ma Rosso non era
tipo da
scoraggiarsi, di certo non quel giorno, e cominciò a bussare
freneticamente con
ambo i pugni, gridando: “Sono Rosso della città di
Biancavilla, e sono qui per
sfidare Giovanni, dopo aver sventato i suoi piani!”
Ma le
porte
restavano chiuse alla sua voce, chiuse al suo volere. Si
gettò contro la porta,
urlando con voce tremenda: “Giovanni, non credere di potermi
sfuggire! Ho
sconfitto i tuoi scagnozzi e ho sconfitto i tuoi generali, sulla Torre
Pokémon,
al Casinò e alla Silph, ovunque tu allungassi le mani. Ora
intendo sconfiggere
anche te, e con te sconfiggerò tutti i miei
fantasmi!”
“I
tuoi
fantasmi?”
Rosso
trasalì
nell’udire una voce improvvisa; si guardò intorno:
non vide nessuno. Ma poi la
voce proseguì, e Rosso scorse alcuni piccoli altoparlanti
nascosti tra le
fessure della pietra.
“I
tuoi fantasmi?
Ragazzo mio, se sei quello che credo, qualcuno cioè fatto
della mia stessa
pasta, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai, proprio come
me.”
“E
chi ti dice
che io sia fatto della tua stessa pasta, Giovanni? Io non sono fatto
come te,
io non sono te!”
“Oh,
Rosso,
Rosso, Rosso. Mio caro ragazzo, quanto sei ingenuo! Non pensi che io
sia più
saggio ed esperto di te, non pensi che io sia capace di giudicare un
ragazzino
come te?”
“No!
Tu non sai
niente di me, niente!”
“Oh,
sì, Rosso,
so molto più di quanto tu non creda. So che tu sei stato il
migliore amico, il
quasi fratello e molto di più di mio figlio Blu, so che sei
molto, molto forte;
io conosco l’identità, il nome e
l’aspetto dello spettro che ti perseguita da
mesi; io posso offrirti tutto ciò di cui hai bisogno.
Alleati a noi, Rosso: ti
farò mio Generale e Luogotenente, porrò nelle tue
mani la mia arma segreta,
riporrò in te la più completa fiducia, ti
darò ciò che il tuo cuore brama più
di ogni altra cosa… vuoi che ti dica cosa, Rosso, vuoi che
dica che cos’è che
il tuo cuore brama?”
“No!
Tu non sai
cos’è che desidero!”
“Oh,
sì, Rosso,
lo so molto bene, e posso dirlo ad alta voce, se lo desideri. Ma non
temere,
non lo dirò. Ti concedo una possibilità, Rosso:
aprirò per te le porte della
mia palestra e ti permetterò di sfidarmi, e se davvero mi
sconfiggerai, allora
ti consentirò di scegliere quello che preferisci, se unirti
a me e avere non
solo il mondo ai tuoi piedi, ma anche ciò che brami di
più nel mondo intero, o
se proseguire il tuo cammino, deliberatamente schierato contro di noi,
contro
di lui…”
Quelle
parole
provocarono un brivido nel cuore di Rosso, ma egli lo represse e
raddrizzandosi
gridò: “Fammi entrare, allora, e vedremo chi la
spunterà! Ma io non mi unirò
mai a te, neppure se tu potessi donarmi il suo cuore!”
Subito
dopo aver
pronunciato queste parole Rosso si chiese cos’avesse voluto
dire. Ma poi le
porte della palestra si spalancarono e Rosso entrò, dopo
averlo progettato per
tanto e tanto tempo, in quell’edificio buio e immenso,
angosciante.
Alle sue
spalle
le porte si chiusero d’improvviso, ma innanzi ai suoi occhi
si accesero
d’improvviso luci accecanti che gli fecero sbattere le
palpebre. La sala era
immensa e sul pavimento, a pochi passi da Rosso, cominciava il
tracciato di
un’arena.
Mentre
Rosso
esitava, la voce parlò di nuovo: “Rosso! Raggiungi
la tua postazione e lì
attendi: sto arrivando.”
Obbediente,
Rosso
avanzò fino a raggiungere la postazione di combattimento
davanti a lui e si
dispose ad attendere. Ma d’improvviso le luci si spensero
senza preavviso e
Rosso, i cui occhi erano divenuti ciechi tutto a un tratto, fu colto da
un
inspiegabile terrore. Gridò: “Giovanni! Non fare
scherzi, o te ne pentirai!
Voglio una sfida pulita!”
“Ed
è una sfida
pulita che avrai, Rosso, te lo concedo!” disse di nuovo
Giovanni, e Rosso sentì
che quella non era più una voce distante, filtrata dai
megafoni, ma la vera
voce di un vero uomo di carne e di ossa; difatti le luci si alzarono e
Rosso
vide nella postazione avversaria un uomo alto e robusto, non
più giovane ma
tremendamente somigliante a Blu, con una luce che brillava nei suoi
occhi
profondi…
“Rosso!
Sono
lieto d’incontrarti, finalmente, dopo che per tanto tempo ci
siamo scontrati
senza conoscerci” disse Giovanni. Lo scrutava intensamente, e
Rosso sentiva che
lo penetrava con la forza dei suoi occhi. “Cielo, Rosso, sei
diventato un
ragazzone alto e robusto, e così bello, e così
forte… oh, Rosso, meriteresti il
meglio, meriteresti...tu sai cosa meriteresti, o chi. Rosso, immaginati
con una
delle mie livree, col grado di Generale, mentre gestisci il
Pokémon più forte
del mondo! Tutti conosceranno il tuo volto e ti temeranno, e a stento
ti
sfideranno, e al mio fianco governerai il mondo e avrai ciò
che cerchi
dall’inizio di questo lungo viaggio! Unisciti a me, Rosso, e
vivi!”
“No!”
gridò Rosso
con voce terribile, scuotendo il folle capo e i folti capelli scuri:
“No,
Giovanni, tu non potrai mai darmi ciò che cerco,
poiché la sua volontà, come la
mia, non potrà mai essere nelle tue mani. No, Giovanni,
nessuno mai mi chiamerà
Generale, e io non porterò la livrea di nessuno, ma
resterò libero e difenderò
i miei ideali fino all’ultimo. Quanto al tuo
Pokémon, Giovanni, non ho idea di
che Pokémon sia, ma ho udito delle gran brutte voci a Isola
Cannella, e ho
letto cose…ancora più orribili… no,
Giovanni, io non sono come te, non sono
fatto come te, e non mi abbasserò a diventare il tuo servo.
Diventerò il più
grande, ma con le mie forze e con i miei Pokémon,
diventerò il più grande, ma a
testa alta, e non avrò che me da ringraziare, alla
fine.”
“Pari
molto
deciso” gli disse Giovanni. “Come vuoi, come vuoi,
ragazzo mio: ora
combatteremo, poi te lo chiederò una seconda volta, se
combatterai bene e ti
riterrò degno di comandare il mio Pokémon
perfetto!”
“Allora
forza,
combattiamo! Forza, Giovanni, combattiamo.”
“D’accordo,
Rosso, come vuoi. Iniziamo, se lo desideri tanto. Vai,
Nidoqueen!”
“Vai,
Blastoise!”
Ora si
fronteggiavano, quei due giganti di peso e di forza, e ora si
sfidavano, e
Rosso trionfava, come sempre, come su tutti; dopo venne un Persian, e
Rosso
scelse Charizard; poi venne Rhydon, e Rosso scelse Venusaur.
E vinse,
come
sempre, come su tutti.
“Forza,
Giovanni,
fatti sotto! Manda in campo altri Pokémon, se ne hai altri,
io non ho paura di
te!”
“Non
hai paura,
eh, ragazzo? Non ne hai? D’accordo, voglio mettere alla prova
il tuo coraggio. Ti
mostrerò il mio Pokémon perfetto, così
forse capirai a cos’è che rinunci
affermando di non volerti unire a me.”
“Pokémon
perfetto, dici? Nessun Pokémon nasce perfetto, ma viene
condotto alla
perfezione dal suo allenatore. Forza, mostramelo, se desideri! Sono
proprio
curioso.”
Allora
Giovanni
estrasse dalla tasca un piccolo telecomando nero, sul quale spiccava un
pulsante rosso. Quell’oggetto tanto scenografico lo fece
rabbrividire. Giovanni
premette il pulsante e di nuovo le luci si spensero
d’improvviso, sprofondando
entrambi nell’oscurità.
“Il
tuo Pokémon
ha paura della luce, Giovanni? Allora non è poi tanto
perfetto!” gridò Rosso,
che non voleva dare a vedere il proprio tremore.
“No,
Rosso, il
mio Pokémon non teme nulla” replicò
Giovanni con calma. “Non ha paura. Ora vedrai.”
D’un
tratto, a
Rosso parve di vedere come due fiamme azzurre ardere
nell’oscurità, ma le luci
che si riaccesero d’improvviso in tutta la palestra lo
accecarono, costringendolo
a chiudere gli occhi. Ma mentre brancolava con gli occhi chiusi, gli
parve di
avvertire una terribile presenza nell’aria, qualcosa di
misterioso e potente
che lo avvolse senza toccarlo, che lo soffocò senza
stringerlo.
Aprì
gli occhi, e
innanzi a lui c’era una creatura come non ne aveva mai viste
prima, una
creatura grande e potente dai muscoli guizzanti sotto un pelo bianco e
violaceo…una
creatura…
“Giovanni!
Questo
non è un Pokémon!”
“Sì,
Rosso, è un
Pokémon, e tu ne avverti distintamente tutta la potenza,
ora. Senti com’è
potente! Senti il suo cuore battere così forte! È
Mewtwo, il Pokémon perfetto,
clonato da Mew, il leggendario scomparso. Combatti con lui, Rosso, e
nessuno
potrà mai esserti superiore!”
Quelle
parole
colpirono Rosso nel profondo del cuore.
“Allora
combatterò, Giovanni! E
se davvero il
tuo è il Pokémon più forte del mondo,
allora lo combatterò col mio Pokémon
più
forte. Scelgo il mio Charizard, che non mi ha mai deluso.” E
gettò la Pokéball
sull’arena, e liberò il suo Pokémon
più forte.
“Povero
illuso! No,
Rosso, non avrai modo neppure di colpire il mio Pokémon,
poiché è troppo
perfetto per i tuoi umani limiti. Ma attacca, se lo desideri:
sarà una grande
prova di coraggio per te.”
“Smetti
di
deridermi, Giovanni! Ti mostrerò di cosa sono capace, io.
Charizard, usa il
Fuocopugno!”
Ma
Giovanni
rimase in silenzio, senza ordinare attacchi al suo Pokémon.
E così Mewtwo,
mentre Charizard si gettava furiosamente contro di lui con i pugni
infuocati,
restò inizialmente immobile, rigido e severo, in mezzo
all’arena. Ma poi,
proprio quando il pugno di Charizard era ormai a pochi centimetri dal
volto del
Pokémon, gli occhi di Mewtwo arsero
d’improvviso di una luce azzurra e
potente, e Charizard tornò indietro come colpito da un forte
urto, senza che
Mewtwo avesse mosso un dito.
“Charizard!
Rientra!”
gridò Rosso disperato, nel vedere quegli occhi malvagi
ardere di potenza. Giovanni
scoppiò a ridere e gridò: “Oh, Rosso,
Rosso! Ti arrendi?”
“No,
mai!” urlò
Rosso. “Ma a poteri psichici si risponde con poteri psichici.
Vai, Espeon!”
E
liberò il Pokémon,
che brillò di scintille lucenti atterrando sul suolo. Gli
occhi di Mewtwo si
illuminarono una seconda volta.
“Che
Pokémon meraviglioso!
Un rarissimo esemplare di Espeon shiny. Che meraviglia! Attacca,
comunque, se
ne hai il coraggio. Il mio Pokémon
replicherà.”
“Forza,
Espeon,
usa Psichico!”
Furono
ora gli
occhi di Espeon ad ardere di una luce violacea, ma Mewtwo non si mosse
di un
centimetro. Lo Psichico non funzionava.
“Com’è
possibile?
Stai barando! Lo Psichico di Espeon non ha mai fallito!”
“Questo
può
benissimo darsi, non oso metterlo in dubbio! Ma chiunque tu abbia
sconfitto,
Rosso, di certo non puoi aver combattuto con il mio prezioso Mewtwo, il
mio Pokémon
perfetto.”
“Perfetto
o no,
vedrai che riuscirò a sconfiggerlo!”
urlò Rosso, infervorandosi. “Espeon,
riprova con lo Psichico! Ora con la Confusione!”
Ma pareva
non
esservi attacco che infierisse su Mewtwo, non una mossa che
contribuisse a
spostare d’un millimetro quel gigante di due metri
d’altezza e d’incredibile
stazza.”
“Va
bene, allora!
Se neppure con Espeon funziona, riproverò con Charizard, o
altrimenti con tutti
gli altri miei Pokémon, ma non
demorderò!” gridò Rosso, e ritirato
Espeon mandò
effettivamente Charizard in campo.
“Charizard,
Fuocobomba!”
Dalla
bocca
lucente di Charizard uscì d’improvviso una fiamma
potente che si avvolse
attorno a Mewtwo, surriscaldando in pochi secondi l’aria
della stanza. Ormai Mewtwo
non era quasi più visibile in quella tormenta di fiamme che
ardeva nell’arena e
Rosso, per un solo momento, s’illuse di averlo sconfitto. Ma
Giocanni non parve
preoccupato.
“Adesso
basta
giocare, Mewtwo” disse. “Finiamola ora. Questo
ragazzino ha troppo valore per
giocarci come fosse un topo in un labirinto.”
Allora,
d’improvviso,
le fiamme si dilacerarono attorno al corpo di
Mewtwo, ed egli tornò visibile e almeno
apparentemente privo di
bruciature o simili segni. Di nuovo i suoi occhi
s’illuminarono d’un bagliore
azzurro, e immediatamente il fiotto di fiamme che sgorgava dalla bocca
di
Charizard s’interruppe e il Pokémon, il suo
prezioso Pokémon fu sbalzato in
aria e rispedito indietro, a pochi metri da Rosso. Il ragazzo
urlò e in un
balzo fu accanto al suo Pokémon.
“Commovente”
disse Giovanni. “Complimenti, Rosso. Hai tutta la mia stima,
ma ora occorre
terminare la partita.”
Gli occhi
di
Mewtwo arsero un’ultima volta, e subito quelli di Rosso si
spensero e non
videro più.
Ecco un
nuovo
capitolo, dunque: lo scontro di Rosso con il peggiore dei suoi incubi.
Fatemi
sapere che ne pensate.
Grazie a
DarkPikachi97 per le cortesi recensioni.
A presto!
Afaneia
;)
|
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Capitolo 6 *** Percorso Ventidue. ***
Trascorsero
ore
buie e tormentate, come d’un sogno inquieto e angosciante,
terrificante,
sfiancante; ma poi Rosso riebbe d’improvviso coscienza di
sé e si svegliò
bruscamente come da un incubo, affannato, ansimante, oppresso.
Gli
sfuggì
un’esclamazione dalla bocca spalancata e affannata, ma subito
essa si spense e
i suoi neri occhi cerchiati scrutarono il luogo circostante con ansiosa
fretta.
Si trovava sul Percorso 22, la stretta stradina che da Smeraldopoli
conduceva
alla Via Vittoria e, da lì, all’Altopiano Blu.
Ma che cosa significava tutto ciò?
Si
sollevò
lentamente, provando a poco a poco le funzioni di ciascun arto. Non
aveva
riportato danni, almeno in apparenza, e non provava dolore;
controllò i propri
Pokémon: c’erano tutti. Ma che significato aveva
avuto tutta quella
scena? Ormai pareva tardo
pomeriggio e l’aria non pareva più calda e
soffocante, ma mossa e quasi gradevole.
Che fare?
Il
berretto che
indossava era scivolato a terra durante il suo sonno. Rosso si
chinò a
raccoglierlo e scorse sul terreno, proprio accanto alla visiera, una
busta
chiusa. Conteneva un foglio. C’era scritto:
“Ho
ammirato
profondamente il tuo valore durante la nostra sfida. Hai più
che meritato la
medaglia Terra, che troverai nella busta insieme a questa lettera. Il
mio
Pokémon perfetto è rimasto colpito dalla tua
forza e mi ha domandato chi tu
fossi.”
“Alla
Lega
Pokémon incontrerai mio figlio Blu. Ti faccio i miei auguri
per la tua sfida.”
Con mano
tremante, Rosso estrasse la Medaglia dalla busta e la
osservò. Ricordava gli
occhi di Mewtwo e quella forza soffocante, angosciante; lo aveva
colpito? Lui?
lui, Rosso, che aveva perduto contro di lui? ma com’era
possibile?
Si
sentiva pieno
di forze e scattante, con la mente lucida e fresca, nonostante tutto.
Uscì
dalla macchia d’alberi e si diresse verso quella via stretta
ma celebre, che,
unica in tutta Kanto, conduceva all’Altopiano Blu.
In breve
tempo si
ritrovò davanti all’imponente porta ad arco che
conduceva alla Via Vittoria;
sapeva che, una volta entrato, un funzionario stipendiato da Lance (che
ormai
da due o tre anni era succeduto al padre alla guida della Lega
Pokémon) si
sarebbe incaricato di controllare le sue medaglie prima di lasciarlo
passare.
Ma
là c’era
un’esile figura immobile dai capelli rossi e lunghi, alta,
bella,
elegante…avanzò, col cuore in gola, come
preparato da mesi a tale incontro.
“Blu…”
“Rosso.”
Ma come
aveva
potuto dimenticare il suono del proprio nome sulle sue labbra, come
aveva
potuto vivere per un anno senza udire la sua voce, senza guardare nei
suoi
occhi limpidi il proprio riflesso? Avanzò di un passo,
tendendo le braccia come
un cieco; disse: “Blu…Blu” e si
fermò. Come una foschia si diradò ai suoi occhi
e quella dolce follia cessò: erano di nuovo Rosso e Blu, ma
nemici e avversari.
Barcollò. Blu lo guardava tristemente.
“Vai
alla Lega
Pokémon, Rosso?” domandò. Rosso
sollevò lo sguardo e gli disse:
“Sì…è là che
stavo andando.”
“Hai
dunque
sconfitto mio padre?”
“Sì,
Blu, io…”.
Gli sovvenne d’un tratto un rapido lampo di memoria, due
occhi azzurri e
lucenti e la voce di Giovanni che gli proponeva di avere tutto
ciò che il suo
cuore aveva sempre bramato, ciò che aveva sempre cercato.
Guardò Blu e
ammutolì.
Perché,
per quale
motivo lui aveva sempre parlato di Blu quando Giovanni gli aveva detto
quelle
cose?
Al suo
silenzio,
Blu inarcò un sopracciglio. “Tu,
Rosso?”. Le sue parole lo richiamarono. Si
concentrò.
“Ho
sconfitto
Giovanni. Ho la medaglia Terra. Ma in
realtà…”
“Ho
perso” disse
Rosso con voce infranta. Blu lo guardò stordito.
“Ho perso, Blu. Andava tutto
bene, ma poi…quel suo Pokémon perfetto, e io...
ho perso. Come un incapace.”
Se Rosso
non
fosse stato così sopraffatto dal ricordo della propria
sconfitta, avrebbe visto
un brivido correre lungo la schiena di Blu. Egli si avvicinò
di un passo, e
Rosso vide che i suoi grandi occhi azzurri erano circondati da cerchi
scuri,
come i suoi.
“Il
Pokémon perfetto?
Rosso, ho capito bene?”
Ma Rosso
non
rispondeva. Blu lo raggiunse di corsa e lo scosse con violenza.
“Rosso! Mio padre
ti ha fatto combattere con Mewtwo?”
Rosso
chinò il
capo e mormorò: “Sì.”
“Ma
non potevi
vincere!” gli disse Blu. Lo costrinse a guardarlo negli occhi
e gli disse
dolcemente: “Rosso, non avresti potuto vincere. Nessuno
può vincere contro
Mewtwo. È perfetto, Rosso. È
l’esperimento per il quale papà raccoglieva soldi
da una vita. È la clonazione potenziata di Mew…
nessuno può vincere!”
Rosso
puntò nel
suo viso smagrito i propri occhi stanchi e infossati e gli disse
lentamente con
voce infranta: “Ma mi ha umiliato, Blu! Non avevo mai perso
in tutta la mia
vita, e ora… ho perso, ho perso tutto.”
In quel
momento,
gli occhi di Blu fiammeggiarono di una luce che dopo un momento si
spense. Si allontanò
da Rosso, con uno sguardo che parve passare dalla delusione
all’odio e poi al
dolore.
“Hai
perduto
tutto, eh?” ripeté con voce sibilante e aspra,
rancorosa. “Hai perduto tutto,
dici? Ma già, questa è una tua caratteristica,
Rosso, mio caro…credere sempre
di perdere tutto, convincerti che ogni cambiamento sia una sconfitta.
Una sconfitta!
Ma non hai mai pensato di poter avere altre vittorie, altri guadagni
nella
vita, magari più piccoli, magari
diversi…”
No, Rosso
non
capiva, non riusciva a capire. Indietreggiò di un passo, con
gli occhi
perplessi puntati su Blu; e Blu si afferrò i bei capelli
rossi con ambo le mani
e struggendosi urlò con voce tremenda: “Ma non te
ne sei mai accorto, Rosso,
che io ti amo e che in tutti questi anni sono sempre stato innamorato
di te,
che non ho mai voluto che te da quando ti conosco? Non l’hai
capito mai che ti
ho detto la verità solo per dimostrarti quanto io tenessi a
te, che in tutti
questi anni non ho bramato che te?”
Rosso
barcollò. Blu
era a un passo da lui, era vicinissimo a lui, era addosso a lui e
urlava e
piangeva con tutto il suo amore che lo investiva.
“Hai
perduto
tutto, Rosso? Ma non ti sei reso conto che questi minuti che abbiamo
trascorso
qui, parlando, erano come le ore, i mesi che trascorrevamo insieme da
bambini,
come i nostri anni trascorsi a Biancavilla a giocare, a parlare, a
consolarci e
incoraggiarci…non stavi, forse, riguadagnando me? Ma no, tu
sei troppo preso
dai tuoi sogni, come al solito, come sempre…”
“Blu…”
“Allora
combattiamo, forza, se questo è tutto ciò che
desideri. Combattiamo, se è
questo che vuoi, poiché pari non vedere altro in tutta la
tua vita!” esclamò
Blu, e subito liberò il suo possente Rhydon e
proseguì: “Attacca, Rosso, dato
che non vedi che i tuoi Pokémon!”
E forse
era vero
sul serio, che Rosso non vedeva che i Pokémon in tutta la
propria vita, perché
se le parole di Blu lo avevano commosso e stordito, la vista di Rhydon
sull’erba
del percorso lo richiamò alla realtà. Era un
Pokémon nemico e lui era un
allenatore, e doveva lottare, sì, ma a quale
prezzo…
“Vai,
Blastoise!”
Perciò
combatterono,
scatenando a turno tutta la propria potenza: Rhydon e Blastoise,
Pidgeot ed
Espeon, Alakazam e Venusaur, Arcanine e Blastoise, Exeggutor e Snorlax.
Blastoise
e Charizard, alla fine. E a ogni colpo che subiva, Blu sembrava
struggersi e
tormentarsi sempre più, e piangeva, ma senza singhiozzi, da
quei limpidi occhi
che Rosso aveva, senza saperlo, vagheggiato più di una notte
in un piatto
specchio d’acqua piovana o in una notte senza stelle, o forse
soltanto nei
propri sogni.
“Charizard,
finiscilo!”
E
Blastoise
cadeva esausto ai piedi di Blu, mentre il respiro del ragazzo si faceva
più
affannato e i suoi occhi, come allucinati, vagavano perduti lungo il
percorso.
“Rientra,
Blastoise” disse lentamente, mentre le sue ginocchia cedevano
ed egli scivolava
sul terreno, spossato, distrutto.
“Sarai
un grande
allenatore” mormorò, sollevando lo sguardo verso
di lui. “Diventerai certo il
più grande di tutti, Rosso, tu sei…fortissimo,
molto più di me, più di Lance,
forse… e realizzerai il tuo sogno.”
Calò
il silenzio
su quella strada deserta. Rosso richiamò Charizard e si
avvicinò a Blu. S’inginocchiò
davanti a lui, gli sollevò il mento con le dita, e
guardò nei suoi profondi
occhi che aveva tanto desiderato in quei lunghi mesi, e vide che essi
erano
colmi di lacrime e di tristezza.
“Ti
amo, Blu. Forse
non vedo che il mio sogno, forse è come dici tu,
è vero; ma non c’è stata notte
in questi lunghi mesi in cui io non abbia pensato a te, forse senza
saperlo. E non
c’è stato gesto che io abbia compiuto, che non sia
stato per riavvicinarmi a te
e per rivedere i tuoi grandi occhi, alla fine. Non sai, dunque, che eri
tu che
Giovanni mi offriva perché mi unissi a lui, che, se i miei
ideali non fossero
troppo forti, avrei mandato tutto all’aria, sogni e
Pokémon e qualunque cosa,
per schierarmi con lui e avere te, avere il tuo cuore palpitante
d’amore tutto
per me, solo per me?”
Ora Blu
lo
guardava con i suoi begli occhi lucidi e tristi, ma ora colmi di
qualcosa che
sembrava speranza. Sollevò una mano e
l’appoggiò sulla guancia di Rosso, ed era
una carezza, la prima carezza dopo molto tempo su quel viso che da mesi
non
veniva più sfiorato da mano umana. Rosso
rabbrividì.
“Blu”
disse d’improvviso,
poggiando una mano su quella di Blu. “Blu,
ascolta… devo andare. Devo andare
via. Quella non è la mia strada.”
“Che
cosa?”
“Hai
capito, Blu.
Quella non è la mia strada.”
“Ma
Rosso, tu…
hai sempre desiderato partecipare alla lega Pokémon, e
ora…”
Rosso non
rispondeva. Ora era in piedi, e i suoi occhi scrutavano lontano,
infissi sulla
rocciosa Via Vittoria e poi, molto più in alto, sulla cima
dell’Altopiano Blu
che si vedeva spiccare, lassù.
“Blu”
disse
lentamente con voce profonda, dopo lunghi secondi di silenzio:
“L’hai detto tu
stesso. Sono troppo forte, sono forte per tutti, persino per Lance. Ma
ora che
sono così vicino, ora che manca tanto
così… sento che non devo più
dimostrarlo
così. Non è la Lega che sto cercando.
È qualcos’altro.”
“Ma
cosa, Rosso,
cosa? Cos’è che vuoi, ora? Hai la Lega in pugno,
hai…hai me, se questo vuol
dire qualcosa. Cos’altro è che vuoi?”
“Sento
che
qualcosa mi chiama, Blu” mormorò Rosso. Calava
ormai l’oscurità, e i loro volti
ormi non erano più che nere pozze di tenebra.
“Qualcosa che forse è aldilà del
mare, Blu, o…non so. Ma so per certo che ciò che
cerco non è lassù, su
quell’Altipiano…
Blu, io non andrò là. Ma tu vai alla Lega, e
fatti onore Blu, amore mio:
qualunque cosa accada, c’incontreremo di nuovo, forse tra non
molto; e allora,
forse, sapremo cosa dovrà essere della nostra vita, e
ricominceremo.”
Le sue
parole
sfumarono dolcemente. Blu si alzò in piedi e disse:
“Non verrai con me, dunque?”.
La sua voce era limpida e fredda. Rosso scosse il capo:
“No.”
“D’accordo,
Rosso, come vuoi. Ma presta attenzione alle mie parole: i tuoi sogni
finiranno
per rivelarsi molto pericolosi. Stai attento.”
“Lo
farò” promise
Rosso, e si avvicinò a lui e lo baciò leggermente
sulla fronte. Si abbracciarono,
poi Rosso spiccò il volo, portando con sé il
ricordo del buon odore di Blu.
Ecco qua,
un
capitolo che di certo non sarà piaciuto a nessuno, ma
tant’è. Conosco già le
possibili obiezioni a questo capitolo, obiezioni che, peraltro, sono io
stessa
la prima a muovermi: l’età dei protagonisti, che
sono troppo piccoli rispetto
ai sentimenti che provano. Ebbene, ho un’unica spiegazione a
questa falla nella
mia storia: questa è una spin off di un'altra storia, come
accennato nel primo
capitolo, e pertanto doveva “incastrarsi” con
l’altra. Lo stesso dovevano fare
le età dei protagonisti.
Perciò
lapidatemi
pure, ma la storia è già conclusa e non
potrò modificarla. Odiatemi , ma io vi
amo anche solo per essere giunti fin qui con la lettura di questa mia.
Grazie a
nihil no
kami e DarkPikachu97 per le recensioni.
A presto
(spero).
Afaneia ;)
|
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Capitolo 7 *** Il Regno di Missingno. ***
Il
vulcano
gorgogliava e ribolliva tuonando a poche decine di metri da Rosso, ma
egli
ristava immobile e severo, ritto sulla cima del monte, gli occhi
infissi sulla
lava che si smuoveva nelle sue profondità.
Blu lo
amava. Ma
soprattutto, lui amava Blu. Ora sapeva, era consapevole che era Blu
tutto ciò
che lui aveva sempre cercato e inseguito in tutti quei mesi di dolore e
stanchezza.
Forse era
per
questo motivo che aveva deciso, tutto a un tratto, di non partecipare
alla
Lega: aveva per mesi rincorso quello spettro di Blu con la speranza di
un
ultimo scontro alla Lega, ma ora, ora che davvero si erano ritrovati,
non era
più la Lega che bramava. Era qualcos’altro,
qualcosa che non poteva essere la
Lega a dargli.
No, non
era una
facile fama che desiderava, non era un mondo di applausi e un accesso
alla Sala
d’Onore; era qualcosa di più duraturo e profondo,
era un’eterna consacrazione
nella storia dei Pokémon, un timore reverenziale nei propri
confronti. Voleva
essere, semplicemente…già, essere…ma
non aveva già sentito, da qualche parte,
di una creatura che è…?
Sentiva
una forza
potente, disperata, che cercava di richiamarlo a sé in modo
irresistibile,
incredibile… era come una musica che lo avvolgeva, che lo
chiamava
irresistibilmente. Era Blu? No, non era Blu. Ma allora che
cos’era?
Eppure si
sentiva
attratto da quella potenza. Essere, semplicemente,
già… cos’era quella forza
che cercava di trarlo a sé? Ora era vicino, sempre
più vicino al baratro del
vulcano, e sotto di sé sentiva scorrere le grandi fiamme
delle profondità della
Terra, ed era tutto così caldo e soffocante, ma quella forza
non cessava di
attrarlo, sembrava anzi che volesse condurlo nel vuoto…
là c’era qualcosa che
stava cercando, ma non era Blu, non era Mewtwo, era
un’entità… sentiva che lo
scrutava con il suo sguardo penetrante, sentiva che lo
fissava…
“Blu”
pensò.
“Blu, mio caro Blu, perdonami.” E mosse un passo
verso il fiammeggiante abisso
che lo chiamava.
Gli parve
di
sprofondare in se stesso, ma nel se stesso che non voleva, che non
sapeva…e
sprofondava in basso, sempre più in basso, verso
l’oscurità (ma non avrebbe
dovuto accoglierlo lava ribollente?), ma non verso la morte.
E ora si
contorceva e urlava, atterrato senza schianti, si dimenava,
c’era come qualcosa
che lo tartassava dal profondo della sua anima; ecco, stava combattendo
tutto
l’orrore che la sua anima covava, ma anche lo sguardo di
quella terribile
entità… gridò per ore, contorcendosi
tra le spire di febbre in un luogo che non
conosceva, ma che probabilmente era deserto, perché nessuno
gli venne in aiuto.
Ma poi fu
come se
quell’entità avesse abbandonato la sua mente;
allora l’orrore che la sua anima
da anni si trascinava dietro, non più stuzzicato dal volere
dell’Entità, si
quietò, e tornò ad acquattarsi in fondo al suo
animo, là dove era sempre stato,
e là rimase. Allora Rosso si rigirò nella notte e
rimase là, a pancia in su
sotto il cielo stellato, a riprendere fiato.
Quale
oscura
follia l’aveva spinto nel baratro del vulcano? Quale perverso
desiderio si era impadronito
di lui, in quegli attimi di solitudine? Egli non lo sapeva. Ma
dov’era ora? Non
avrebbe dovuto essere morto?
Anzi: era
vivo o
morto?
Sentiva
il
proprio respiro rallentare e farsi quieto e regolare, ma insieme
sentiva una
qualche angoscia farsi insopportabile, come se una fretta
indescrivibile lo
stesse spingendo a risolvere qualcosa d’irrisolvibile, o
qualche cosa del
genere. Si appoggiò le mani sul petto e sentì che
da qualche parte dentro di
lui c’era un cuore che pulsava e un’ anima ardente
che fremeva ancora, malgrado
tutto. Egli era vivo, allora. Ma dove?
A poco a
poco, i
suoi occhi misero a fuoco il cielo sopra di lui. Ed era un ampio cielo
nero
trapunto di stelle, un cielo estivo da cui non spirava altro che una
brezza
leggera. Eppure il suo animo non se ne sentiva appagato, non del tutto.
Più
scrutava il cielo, e più Rosso si rendeva conto che qualcosa
non andava, che
qualcosa non quadrava: era come se le stelle fossero dislocate male,
collocate
nel modo sbagliato, come se pezzi di cielo con le rispettive stelle
fossero
stati sovrapposti senza un armonico criterio.
Quello
era un
cielo sbagliato, insomma.
Via via
che Rosso
si convinceva che quello non era un prodotto della sua mente, sentiva
crescere
dentro di sé una serie di domande confuse. Se quello non era
il cielo giusto,
allora dov’era? E per quale motivo il cielo appariva
così strano?
Rosso
finì per
sollevarsi con quelle domande in testa e per guardarsi intorno con
occhi
perplessi. Ma come? Non era stato solo fino ad allora? No,
perché egli si
trovava in una piazza, ed era circondato da decine di persone che si
muovevano
e s’incrociavano e s’ignoravano, ma anche quelle
persone avevano in sé qualcosa
di strano, nulla che, logicamente, non quadrasse, no, ma anche loro era
come se
fossero stati progettati male, come se le parti del loro corpo fossero
state
sovrapposte nel modo sbagliato. Ma se era circondato da tutte quelle
persone,
allora perché nessuno lo aveva aiutato quando aveva urlato
per ore? No, c’era
qualcosa di sbagliato in tutto ciò.
Rosso si
voltò, e
d’improvviso fu come se tutte quelle persone fossero
scomparse, come se anzi
non ci fossero mai state. Ora egli era solo in un parco buio e silente,
e
c’erano altalene e scivoli e tutte quelle cose che devono
esserci in un parco,
ma era come se fossero nel posto sbagliato. C’erano molte
panchine e tutte
erano vuote, ma ce n’era una sulla quale sedeva un vecchio,
anch’esso sbagliato.
“Chi
sei?”
esclamò Rosso, alzandosi in piedi.
“Perché non mi hai aiutato?”
“Aiutato?”
disse
l’uomo con voce bella, ma anch’essa stranamente inadeguata. “Aiutato? Ragazzo
mio, come avrei potuto? Vedi bene che
sono cieco.”. Rosso lo guardò con attenzione e
vide che i suoi occhi erano
azzurri e stranamente fissi. Aveva ragione.
“Va
bene,
ma…stavo urlando, e tu mi devi aver udito.”
“Udito?
Sì, è
vero che ti ho udito. Ma cosa potevo fare? Tutti soffrono, quando
vengono qui.
Questo è il regno di Missingno.”
“Missingno?”
ripeté Rosso. Rabbrividì, e d’un tratto
tutto gli fu chiaro: “È
l’Entità!”
“Un’entità,
già”
disse il vecchio.
“Ma…ma
tutte
quelle persone…nessuna si è fermata!”
“Persone?
Ma qui
non c’è nessuno.”
“No,
ma prima
c’era un sacco di gente, te lo giuro!”
“Prima?
Può
darsi. Le cose muoiono rapidamente, nel mondo di Missingno.”
“Ma
chi è questo
Missingno? Parla!”
“Missingno
è e
conosce” disse il vecchio. “Missingno è
tutto ciò che non si può essere, e
regna su una città che non esiste.”
“Città,
hai
detto?” Rosso si guardò intorno, e
d’improvviso si vide circondato da vie e
palazzi di errori e numeri, da cose orribili… “Ma
allora…allora questa è…”
“Oh,
Rosso, non
l’hai ancora capito? Questa è la Città
dei Numeri.”
Rosso si
voltò e
guardò di nuovo il vecchio, ma egli parve di nuovo mutato ai
suoi occhi.
“Perché
mi
chiamavate?”
“Chiamare?
Io non
ti chiamavo, io forse non esisto neppure. Missingno, forse, ti
chiamava.”
“Ma
tu esisti!”
esclamò Rosso, avvicinandoglisi. “Oh, tu esisti
certamente! Io e te stiamo
parlando!”
“Tu
parli di
esistere qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno qui
esiste per certo.
Quanto a noi, non so dirti.”
“Ma
allora dov’è
Missingno?” gridò Rosso, afferrandolo con rabbia.
“Voglio sapere perché mi
chiamava!”
“Forse
tu per
primo lo sai, senza che lui abbia bisogno di dirtelo” disse
il vecchio.
“No!
Io non lo
so, ho solo seguito quella forza!” urlò Rosso,
scuotendolo, ma d’un tratto si
accorse che il vecchio non era affatto tra le sue mani, ma in piedi
alle sue
spalle, ed era come se fosse in qualche modo cambiato. Rosso non
riusciva a
spiegarselo, ma era come se qualche parte del suo corpo si fosse
spostata,
mutandone l’insieme. Era qualcosa di insieme terribile e
meraviglioso.
“Rosso!
Forse che
non è stato il tuo sogno a spingerti fin qui?”
“Cosa
ne puoi
sapere tu dei miei sogni?” esclamò Rosso,
scivolando su quella panchina. Ora il
vecchio era di fianco a lui, di nuovo orrendamente, indefinibilmente
mutato;
tutto era bianco intorno a loro, e il cielo era scomparso.
“Tutti
coloro che
la voce di Missingno chiama vogliono la stessa cosa, ma non sono mai la
creatura che cerca e non trova, la Prescelta Creatura che in questo
secolo deve
arrivare qui.”
“Cos’è
la
Prescelta Creatura? Chi è?”
“Chi sia? Non so,
in ogni secolo è un’anima
diversa. Cos’è? Una creatura” rispose il
vecchio. “È…ma come spiegarlo?
È qualcuno
così forte e potente che non si possa non riconoscerlo.
È un’anima eterna in
innumerevoli corpi mortali, è un canto divino che si
reincarna nel giusto
momento, nel giusto corpo. È…ma tu, se non lo
sei, perché sei qui?”
D’un
tratto Rosso
balzò in piedi, e quella dimensione bianca sfumò
e tornò di nuovo quello strano
parco buio, ma ora la panchina era vuota e il vecchio era scomparso.
Dio! Ma cosa
stava succedendo? Erano dentro la sua testa, quelle parole di profezia,
o erano
forse una realtà immutabile, ormai decisa?
“La
Prescelta
Creatura?” si domandava ansioso, frugando il parco con occhi
inquieti. “Io,
dunque…ma no? E
se no, perché Missingno
mi chiamava?”
Ma
d’un tratto
una voce lo fece piegare su se stesso come un dolore, ed egli cadde a
terra e
gemette: era come una voce che rimbombava nella sua testa e lo
possedeva, lo
soffocava:
“Questo
è il mio
regno.”
“Sei
Missingno?”
“Chi
altri
potrebbe esserlo?”
“Perché
mi hai
chiamato?”
“Ti
ho chiamato
per fare mia la tua volontà, per fare di te uno strumento
del mio potere. La tua
vita mi sarà utile negli anni che verranno, e ora mi
appartiene, e tu sarai un
fantoccio comandato dalla mia volontà.”
Ora
la mente di
Rosso galleggiava, ed egli non pensava che a liberarsi di quella voce
tremenda.
“Ora
va’, va’ via
dalla Città dei Numeri, compi la mia volontà:
seguirai lontano il tuo folle
sogno, ma ti giuro che un giorno non lontano le tue sofferenze avranno
un
termine, e tu sarai ripagato di tutte le tue fatiche e dei tuoi dolori, e godrai di una
felicità pari all’infelicità
che ti accompagnerà nei prossimi anni. Ora va’,
Rosso, e segui il tuo sogno fin
dove ti porterà.”
Davanti
agli
occhi di Rosso si aprì il mare, ed essi vi si immersero e la
sua mente volò via
da lì.
Ecco
qua, un
capitolo cardine della storia, forse il suo capitolo fondamentale, e di
gran
lunga il mio preferito per il suo carattere visionario e fantastico.
Occorrerà
però spendere alcune parole al riguardo:
Città
dei Numeri
e Missingno: non so quanti di voi abbiano mai giocato a
Pokémon Rosso, Blu o
Giallo. Si tratta di due bug piuttosto noti, circa i quali potrete
documentarvi
molto facilmente su Internet, se lo vorrete. Il primo è un
luogo accessibile,
tramite un bug di salvataggio, dalla Zona Safari e si presenta
essenzialmente
come un mucchio di pixel confusi e sconnessi: per tale motivo ho deciso
di
presentare la Città in questa storia come un luogo in cui
edifici e persone
subiscono un eterno mutamento. Missingno è invece un
Pokémon bug che compare
grazie al famoso Mew trick, il trucco per catturare Mew, e che
può in taluni
casi cancellare il salvataggio del giocatore. Si presenta come un
mucchio di
pixel. Perché ho deciso di usarli? Perché mi
ispiravano. Sono due oggetti
sbagliati, che non dovrebbero affatto trovarsi nel gioco e che,
tuttavia, ci
sono.
Prescelta
Creatura: non so quanti di voi abbiano visto il film
“Pokémon due: la forza di
uno.” Personalmente lo vidi da piccola al cinema e fui
colpita tantissimo dal
titolo “Prescelta Creatura” che viene attribuito ad
Ash. Ebbene, ne fui tanto
colpita da scriverci una storia, che poi ho buttato via dopo qualche
anno perché
era semplicemente orrenda ma che rimase dentro di me al punto da averla
riscritta due volte. L’ultima ristesura risale a un paio di
anni fa ed è
tuttora in corso, diciamo che ci lavoro su quando non ho di meglio da
scrivere.
Si tratta della principale da cui è tratta questa spin off.
Il concetto di “prescelta
creatura” è un concetto che rielaborai da bambina
e che tuttora trovo molto
infantile, ma che non ho potuto elidere dalla storia principale senza
inficiarne la trama. Perciò vi rimane, ma è
trattato secondariamente rispetto
ad altri elementi.
Comunque,
la
storia prosegue. Mi auguro che ancora vogliate continuare a leggere.
Grazie a
DarkPikachu97 della recensione.
A
presto! Afaneia
;)
|
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Capitolo 8 *** Non c'è ambizione. ***
“Rosso!
Oh,
Rosso, mio caro Rosso! Che cosa hai fatto? Che occhi rossi che hai, mio
caro!”
La sua
figura,
stagliata contro la porta, era immobile ed emaciata e i suoi capelli
spiovevano
sul suo corpo, sporchi e disordinati e sudati, e i suoi occhi erano
rossi gonfi,
cerchiati da orribili segni neri.
Mosse uno stanco passo all’interno della casa, e subito fu
chiaro come fosse
devastato.
“Rosso!
Rosso”
esclamò Dalia, e corse a sorreggerlo e a trattenerlo.
“Che cosa è successo,
gran Dio?”
Rosso
sollevò lo
sguardo e infisse in quelli della madre i propri grandi occhi scuri e
infuocati, ormai colmi di una follia che non sarebbe più
scomparsa negli anni a
venire. Erano trascorsi due giorni da quando si era buttato nel
vulcano.
“Sono…stato
in un
posto” mormorò, appoggiandosi col petto alla
spalla della madre. Da tre giorni
ormai non mangiava, e non si sentiva forze sufficienti a muovere un
altro passo
da solo. “E…avevo bisogno di riposarmi, e ora
vorrei…vorrei…” Non lo sapeva
nemmeno lui.
“Rosso,
Rosso,
figliolo, vieni qui, vieni con me. Sei tutto sporco e tremante! Ma dove
sei
stato?”
“In
un posto!”
urlò Rosso. Dalia si immobilizzò e lo
guardò intensamente. “In un posto! Non
farmi domande su quel posto, o io…o io…no, non
chiedermi mai nulla di quel
posto, o morirò!”
“Rosso,
vieni di
qua con me! Andiamo in bagno, e lì ti laverai come si deve e
ti toglierai
questi vestiti sudici. Ma se non vuoi non ti chiederò
più nulla.” E lo trascinò
in bagno, lo spogliò tutto e lo infilò nella
vasca piena d’acqua calda, e lo
strofinò tutto con vigore, nel primo, vero bagno che Rosso
si concedesse
dall’inizio del suo lungo viaggio. Poi lo strofinò
con un asciugamano ruvido,
asportando tutto lo sporco e la pelle morta, e lo fece rivestire con
vecchi
vestiti che Rosso non aveva voluto portare seco. Rosso si lasciava
trascinare,
muovere e toccare e lavare come un automa, senza volontà
né resistenza. Poi si
addormentò nel proprio letto e dormì per
un’ora, mentre sua madre gli preparava
in fretta un pasto fresco ma abbondante.
Quando
andò a
svegliarlo, Dalia trovò che Rosso si era già
destato da ormai qualche minuto e
che giaceva immobile su un fianco, con gli occhi aperti e colmi di
lacrime.
“Rosso”
mormorò
avvicinandosi “Come posso vederti così? Dimmi cosa
posso fare, e io rovescerò
il mondo per farti guarire dal tuo dolore.”
Ma Rosso
incominciò a piangere, e dopo un po’ Dalia
sentì che mormorava: “Perdonami, mia
gioia, perdonami.” Allora cominciò ad accarezzarlo
piano, e Rosso afferrò la
sua mano e la strinse forte mentre piangeva.”
Dopo
forse dieci
minuti il suo pianto si calmò, ed egli si mostrò
di nuovo stanco e silente
mentre mangiava un poco. Dalia sedeva accanto al suo letto senza
parlare,
guardandolo semplicemente. Ma a poco a poco fu Rosso a riprendere la
parola.
“La
casa di Blu è
vuota?”
“Sì,
salvo per
una donna che a giorni alterni va a pulire e ad areare.”
“E
i suoi
genitori?”
“Dissolti
nel
nulla da un giorno all’altro, dopo la vostra
partenza.”
“Il
professor
Oak?”
“Al
suo
laboratorio, come sempre.”
“Blu
non si è più
rivisto qui?”
“No,
non si è
rivisto.” E soggiunse cautamente: “Volevi
rivederlo?”
Ma Rosso
non
rispose. Trascorsero la serata in silenzio , tenendosi compagnia solo
con la
propria presenza, e verso le dieci Dalia decise di lasciarlo solo e di
farlo
riposare, ma Rosso non dormì per tutta la notte. I suoi
occhi erano fissi sul
soffitto della sua bianca stanza linda e silenziosa, ma
ahimé, non più sua,
poiché nulla ormai poteva più appartenergli, dopo
quella notte orribile e dopo
quei due giorni che aveva trascorso sul vulcano, vagabondando come
rapito da un
sogno, o da un incubo, o dal ricordo di Missingno.
Trascorse
rinchiuso in casa i quattro giorni seguenti, rifiutandosi di vedere
chiunque
oltre sua madre. Per i primi due giorni non riuscì mai a
dormire di un sonno
leggerissimo per più di un’ora al massimo ogni
notte. Ogni volta che il suo
sonno si faceva più pesante, la voce di Missingno tornava a
perseguitarlo col
ricordo delle sue parole orribili, ed egli si svegliava urlando e poi
piangeva
amaramente per il resto della notte, chiamando Blu e invocando la sua
presenza.
Sua madre, che non osava entrare in camera sua, restava seduta per
tutta la
notte sulla soglia della sua porta, piangendo in silenzio sul dolore
insanabile
del figlio. Il giorno dopo il suo ritorno, Rosso aveva bruciato la
Mappa delle
Città appesa al muro, passando con furia selvaggia un
accendino nel punto in
cui spiccava l’Isola Cannella.
Ma poi, a
poco a
poco, cominciò a mangiare qualcosa con gli occhi che
sembravano davvero intenti
a farlo; ricominciò a dormire circa tre, quattro ore a
notte, e due o tre ore
il pomeriggio, quando era stanco. A poco a poco, gli sembrava che la
voce di
Missingno abbandonasse la sua mente ormai frustrata, liberandolo dal
suo
tormento, o almeno da una parte di esso. Sentiva che comunque ci
sarebbe stata
sempre una ferita, dentro di lui, che non sarebbe guarita
mai…
Malgrado
tutto,
il suo corpo era ormai completamente guarito, mentre la sua mente si
riprendeva
giorno dopo giorno. Una
sera egli sedeva
in silenzio sul proprio letto, guardando alla televisione un programma
sulla
Lega Pokémon in preparazione. A un tratto sentì
bussare alla porta e sua madre
si affacciò e rimase a guardarlo.
“Che
cosa c’è?”
domandò Rosso, tornando a guardare lo schermo.
“Nulla”
rispose
sua madre. “Volevo sapere se avevi voglia di fare uno
spuntino, prima di andare
a dormire. Magari posso prepararti del latte coi biscotti, se ti fa
piacere.”
Calò
un momento
di silenzio. Dopodiché Rosso spense la televisione col
telecomando e disse
senza guardarla: “Perché non porti qui due
bicchieri di latte e due piatti di
biscotti, e non ce ne stiamo qui a parlare un po’? Non ho
voglia di alzarmi, ma
sento di doverti dire qualcosa di molto importante.”
Allora
Dalia
s’illuminò e corse di sotto, e pochi minuti dopo
tornò da lui con un vassoio e
il latte e i biscotti. Era la prima volta da quando era tornato che
Rosso si
dimostrava così attivo e vivace, e
pensava che fosse un miglioramento.
Si
sedette su una
sedia accanto al suo letto e mangiarono e bevvero e parlarono a lungo a
bassa
voce. Rosso chiedeva notizie di Biancavilla, ma del proprio viaggio non
raccontava molto, nominò solo quegli episodi ormai noti dei
suoi scontri con
Team Rocket, e soprattutto non parlò mai del motivo per cui
non aveva voluto
partecipare alla Lega Pokémon, né tantomeno del
luogo che sembrava averlo tanto
sconvolto. Poi accesero la televisione e guardarono per un
po’ i preparativi
della Lega, commentando insieme l’austerità di
Lance o la bellezza di Lorelei,
la muscolatura di Bruno o la severità di Agatha, o
semplicemente l’imponenza
dei preparativi del Torneo. Ma poi Rosso spense la televisione, e
appoggiandosi
al cuscino rimase a lungo in silenzio. Sua madre taceva egualmente.
“Mamma”
disse
d’un tratto Rosso, stringendo tra le mani i lembi delle
lenzuola sfatte che
fissava ardentemente. "Mamma… tu ti sei mai accorta che io
sono innamorato
di Blu?”
Sentì
d’un tratto
che il silenzio calava sulla stanza e che il respiro di sua madre si
faceva per
un attimo più lento, e subito chiuse gli occhi e si
aspettò qualche reazione da
parte sua. Ma poi una mano gli accarezzò la guancia, ed egli
seppe di essere al
sicuro come nel mare calmo.
“No,
mio caro”
mormorò Dalia. “Non me ne sono mai accorta, ma in
un certo senso è come se
l’avessi sempre percepito in fondo al mio cuore. Mio caro,
non essere triste!
Credi forse che per me cambi qualcosa?”
Ma Rosso
la
guardò con occhi stravolti e tristi ed esclamò,
afferrando con forza
travolgente la sua mano: “Ma non ti disturba, questo, non ti
dà dolore, questo?
Che io, tuo figlio, ami un altro ragazzo, e che sia un bel ragazzo con
gli
occhi celesti che si meriterebbe di avere una bella ragazza da
coccolare? Non
ti dà forse fastidio che io, in tutti questi anni, non abbia
amato, cercato che
lui…?”
“No”
disse Dalia
in tono di dolce certezza. “No, Rosso, non mi dà
fastidio, né dolore sapere che
tu ami Blu. Mi dà dolore vederti piangere e udirti chiamare
invano: questo sì,
mi dà dolore. Mi dà dolore non poterti salvare:
questo sì, questo mi addolora.
Ma no, non mi dà noia che tu lo ami: penso anzi che se
qualcosa può salvarti
dai tuoi incubi, questo sia l’amore di Blu, e
null’altro.”
Allora
Rosso la
guardò negli occhi, e vide che essi erano limpidi e non
covavano rancore, e si
rasserenò e le chiese: “Mi vuoi tu dunque
bene?”
“Mio
caro, tu non
sai dove possa arrivare l’amore di una mamma!”
mormorò Dalia baciandolo, e
Rosso la strinse forte e si addormentò stringendo la sua
mano e piangendo e
come un bambino, invocando e chiamando Blu, anche se sapeva che non
sarebbe mai
arrivato.
Il giorno
seguente, Rosso espresse per la prima volta il desiderio di uscire di
casa, e
soprattutto disse di volerlo fare da solo. Si preparò e
uscì e vagò per qualche
minuto per la città, ma poi si diresse verso il luogo che
aveva ormai
prestabilito, il laboratorio del professor Oak.
Attraversò
il
parco come un alito di vento. Nell’erba alta si aggiravano
molti dei suoi
Pokémon, e alcuni gli corsero incontro e lo salutarono: il
suo prezioso
Dragonite e poi Jynx, e vide in uno stagno lontano Lapras e il suo
spaventoso
Gyarados che aveva domato con fatica, e prima che potesse bussare alle
limpide
porte a vetri del laboratorio il suo Ditto fece in tempo a copiarlo,
trasformandosi in una sua perfetta copia. Lo accarezzò
dolcemente, scrutando
pensoso le pesanti occhiaie che la sua copia esprimeva, poi
bussò
all’intelaiatura in legno bianco delle porte, e attese.
“Chi
è?”
“Sono
io
professore, sono Rosso!”
“Rosso!”
Le porte
si
spalancarono con un suono secco e Rosso entrò di corsa e si
guardò intorno e
raggiunse il tavolo in legno accanto al quale ci si era dibattuti quasi
un anno
prima. Il professore era lì e lo guardava.
“Rosso!
Ho saputo
che eri tornato, ma tua madre mi ha detto che…”
“Le
ha raccontato
tutto?” mormorò Rosso; e quando raggiunse la luce
centrale le sue occhiaie
spiccarono tremendamente, e il professore rabbrividì.
“Sì,
mi ha
raccontato tutto, ma… non pensavo che fosse…oh,
occorrerà parlare come si deve.
Vieni, seguimi.” Si voltò e attraversò
una porticina bianca che dava accesso
alle zone private del laboratorio, zone che Rosso aveva visto qualche
volta da
piccolo. Percorsero lunghi corridoi bianchi e silenti, e Oak lo
portò nella
piccola cucina dove non di rado aveva preparato a lui e a Blu
cioccolate e
merende per farli parlare, e difatti, aperto il frigo, tirò
fuori una
confezione di gelato e ne preparò due coppe. Rosso
attendeva, seduto in
silenzio su una poltrona.
“Tieni,
Rosso”
gli disse il professore, porgendogli una coppa di gelato e sedendosi al
suo
fianco. “Ora parlami, e dimmi o chiedimi tutto ciò
che vuoi.”
Inizialmente
Rosso mangiò in silenzio un poco di gelato, ma in un
silenzio inquieto e
incostante. Poi: “Professore…lei ha mai sentito
parlare della Prescelta
Creatura?”
“Oh,
sì” rispose
il professore. “Certo, ma è una vecchia leggenda e
nessuno ne parla più.”
“Vorrebbe
parlarmene, per favore?”
“Beh,
Rosso, non
c’è molto da dire. Le leggende fanno riferimento a
una creatura meravigliosa di
spoglie mortali, che muova i suoi passi tra le vite degli
uomini…tutto qui,
come vedi non c’è molto.”
“Ma
come si fa a
diventarlo?”
“Credo
che il
sangue della Prescelta Creatura si tramandi per via
familiare.” Spiegò il
professore.
“È
dunque una
specie di predestinazione?”
“In
un certo
senso lo è” rispose il professore. “Ma
credo che sia anche qualcosa che va meritato,
non so se mi spiego.”
“Capisco.”
“Pare
inoltre che
un aspetto molto bello contraddistingua la stirpe dei Prescelti. Ma
Rosso,
queste sono solo leggende, lo sai.”
“Lo
so” mormorò
Rosso con gli occhi spenti. Ma il professore lo guardò con
attenzione e gli
disse: “Forse…tu ci credi?”
Rosso non
rispose.
“Oh,
Rosso, non
crederci. È solo una vecchia leggenda, che ormai pensavo
solo pochi vecchi
ricordassero. Insomma, non vale la pena intestardirsi tanto.
Addirittura”
soggiunse ridendo “pare che debba essere Ho-Oh in persona, il
Pokémon
leggendario di Johto, a dover discendere dal cielo per riconoscere la
Prescelta
Creatura. Perciò, immaginati!”
“Ho-Oh?”
ripeté Rosso, sollevando il capo di
scatto. “La fenice di fuoco delle leggende di
Johto?”
“Già,
Ho-Oh.”
“A
Johto, dunque:
è a Johto che bisogna andare.” mormorò
Rosso tra sé. Il professor Oak non lo
sentì.
“Su,
Rosso” gli
disse paternamente. “Ora non pensarci più, eh?
È solo una vecchia leggenda per
allenatori ambiziosi, tutto qui. Non parliamone
più.”
“Non
parliamone
più” ripeté Rosso.
“Bravo
ragazzo. E
ora dimmi, Rosso…posso sapere per quale motivo non hai
voluto partecipare alla
Lega?”
Rosso
sollevò lo
sguardo e disse: “Sento che non è quella la mia
strada, professore. Sento…sento
di voler viaggiare ancora, di dover migliorare e migliorare fino a
diventare il
più grande. La Lega non è grande abbastanza per
la mia ambizione, non so se mi
spiego.”
Il
vecchio lo
fissava in silenzio. Annuì. “Sì,
capisco, ragazzo mio” disse serenamente.
“È
normale. Sono anzi lieto che tu voglia proseguire il tuo viaggio,
abbandonando
i facili sogni. Ma mio nipote, Blu, è là, ora. Mi
ha chiamato qualche ora fa. Dice
che ha incontrato Lance e che ne è rimasto affascinato: egli
si aggira per l’Altipiano
con un lungo mantello svolazzante…sono il suo padrino, sai.
Ero molto amico di
suo padre.”
Rosso
aveva ormai
smesso di ascoltarlo da un po’. Aveva lo sguardo fisso a
terra e respirava
piano.
“Professore!”
disse tristemente alzando lo sguardo
“Professore…come le è parso
Blu?”
Il
professore
sospirò profondamente.
“Distratto”
disse
semplicemente. “Non ce la farà. Mi pare che i suoi
occhi siano sempre perduti
dietro a qualcosa: prima al telefono parlava con me, è vero,
ma i suoi pensieri
andavano a qualcos’altro…ma non so cosa.”
Il
cucchiaino con
cui Rosso stava giocherellando cadde a terra. Rosso si prese il viso
tra le
mani ed emise un sospiro profondo, e i suoi occhi si colmarono di
lacrime.
“Rosso!
Che cos’hai,
Rosso?”
“Professore”
esclamò quegli, alzandosi “Non sa dunque lei a chi
è che Blu pensa ora?”
Ma il
vecchio lo
guardò severamente.
“Sì,
Rosso, credo
di saperlo” disse. “E sono felice che tu me lo
chieda. Perché leggo nei tuoi
occhi che anche tu pensi a lui, e vorrei dirti questo: che non
c’è forza al
mondo più forte dei sentimenti che provate, che non
c’è Pokémon, non
c’è
leggenda, non c’è ambizione che possa tenergli
testa. E per questo vi auguro di
ritrovarvi, Rosso, e di trovare pace.”
Un
capitolo
semplice, che non ha bisogno di molte spiegazioni, ma che posso
spiegare a chi
abbia dubbi in proposito. Grazie a DarkPikachu97 e a nihil no kami per
le
gentili recensioni.
A presto!
Afaneia
;)
|
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Capitolo 9 *** Incendio e fiamma. ***
Un
elicottero era
ormai pronto sul tetto della palestra quando Blu arrivò
correndo, affannato, e
percorse le scale come una folata di vento. Raggiunse il tetto e vide
un’alta
figura robusta in piedi immobile presso l’elicottero.
“Papà!”
L’uomo
si voltò
verso di lui e i suoi occhi brillarono. “Blu” disse
andandogli incontro.
“Credevo che non saresti riuscito a venire.”
“Volevo
vederti…oh papà, ti prego, non
partire!” esclamò Blu, afferrandosi con rabbia
alla giacca del padre.
Giovanni
gli
accarezzò la morbida testa rossa e gli disse a bassa voce:
“Devo partire, Blu. È
successo….qualcosa di orribile.” I suoi occhi si
velarono e la sua voce
s’incrinò. Blu lo guardò con
attenzione, perplesso, e gli chiese: “Che cosa è
accaduto, papà?”
Giovanni
accarezzò di nuovo i folti capelli del figlio, sospirando
profondamente.
“Blu,
ascolta…
ora non ti spaventare, ma devo dirti che Mewtwo è fuggito
dalla mia
sorveglianza e pare che ora si sia installato nella Grotta
Ignota.”
Inizialmente
gli
occhi di Blu si spalancarono, ed egli indietreggiò
d’un passo e scrutò il padre
con attenzione. “Ma…ma papà, che cosa
può accadere?” domandò incredulo.
“Mewtwo
è scappato, bene…non importa! Vivremo senza di
lui, faremo come abbiamo sempre
fatto fino a quando non è arrivato. Papà, io ora
sono molto forte, non sarà
difficile…”
“No,
no, Blu,
ascoltami” esclamò Giovanni, e afferrò
il viso di Blu e lo costrinse a
guardarlo: “Ascoltami! Mewtwo tenterà di
uccidermi, so che lo farà, è un
Pokémon malvagio e si vendicherà di me. Mio caro,
non posso restare qui! Sento
di dover andare via, molto lontano, dove non possa trovarmi. Da
lì ricostituirò
il potere del Team Rocket e lo rafforzerò, e presto o tardi
Blu, figlio mio,
tornerò a Kanto, a capo del mio impero, te lo
giuro.”
Gli occhi di Blu erano ora colmi di lacrime amare e dolorose. Strinse
forte la
mano del padre e la baciò con amore filiale, poi disse con
voce infranta: “Oh,
ma perché tutti devono abbandonarmi a questo
mondo?”
“Mia
gioia! Mio
orgoglio!” esclamò Giovanni, inginocchiandosi
dinanzi a lui e prendendogli le
mani: “Blu, figliolo, la vita è fatta di
abbandoni, ma non tutti sono
definitivi. Il nostro non lo è: tornerò da te,
mio caro e dolce Blu, tra
qualche tempo. Nel frattempo, ti chiedo di aver cura di te e della
palestra,
finché potrai. Lo farai?”
Ma Blu
non
rispondeva, e Giovanni vide che dai suoi occhi le lacrime scendevano
ormai
copiose. “Blu!” esclamò. “Blu,
mio caro, non piangere troppo forte! Il nostro
non è un addio. Tornerò da te, Blu, mio adorato
Blu, e curerò di nuovo la tua
felicità, come quando eri piccolo, eh? Ma tu, te ne prego,
abbi cura di te.”
“E
come?” esclamò
Blu, disperato, aggrappandosi alla sua giacca. Giovanni tacque.
“Aver cura di
me?” ma come? Resterò solo!”
“No,
mio caro,
non resterai solo: tu sai che c’è chi ti ama
tremendamente a questo mondo.”
Quelle
parole
fulminarono d’un tratto Blu; egli indietreggiò
d’un passo: ricordava qualcosa
che Rosso gli aveva detto, qualche giorno prima…
“Tu
lo sapevi!”
gridò. “L’hai sempre saputo che
io…che io sono…che io amo…”
“Sì,
mio caro.
L’ho sempre saputo, è vero: e ho sempre saputo
anche che lui da sempre brama il
tuo amore. Blu, mio caro, dolce Blu! Sii felice con lui. Anche se
è proprio una
strana coincidenza, che tu ami il ragazzo che ha distrutto Team
Rocket…”
“Oh,
ma io non…”
“Sht,
non
pensarci, adesso: questo è solo il semplice gioco della
fatalità, che ci spinge
a perderci gli uni con gli altri… ma non temere! Egli ha
distrutto Team Rocket
proprio perché ti amava, Blu, mio caro. E io so che tu lo
ami: non ti sei mai
accorto che talora, quando dormi, è il suo nome che ti
sfugge dalle labbra nel
sonno profondo?”
Blu
restava in
silenzio con gli occhi spenti. Giovanni lo accarezzava.
“Sii
forte,
ragazzo mio. Ora dovrai reggere le sorti della palestra, dovrai essere
forte e
orgoglioso come sei sempre stato, come ho voluto che tu crescessi.
Prenditi
cura di Rosso, e sii felice.
Allora
Blu lo
guardò e annuì tristemente. Lo baciò
sulle guance e lo abbracciò piangendo per
l’ultima volta, e Giovanni lo salutò a sua volta
con eguale calore, baciandolo.
Poi salì sull’elicottero e gli fece cenno di
allontanarsi: le grandi pale si
stavano mettendo in movimento. Blu indietreggiò fin dove gli
fu possibile, e
vide che Giovanni lo salutava con la mano mentre l’elicottero
si sollevava.
Rispose al saluto come poté, sbracciandosi e urlando con
tutta la voce che
aveva: “Ciao papà, ciao! Ti voglio
bene!”. Sapeva che Giovanni gli rispondeva
allo stesso modo dall’interno dell’elicottero. Ma
poi esso si sollevò ancora e
si allontanò. Dopo neppure cinque minuti, Blu aveva ormai
perduto di vista
persino il minuscolo puntino nero stagliato contro il cielo che era
l’elicottero.
Lo colse
un
accesso di pianto, ed egli rimase a lungo immobile e singhiozzante su
quel
tetto. Suo padre era partito, lo aveva abbandonato: egli era ora solo
al mondo
e senza una guida. Solo.
Scese di
corsa le
innumerevoli scale dell’edificio, attraversò
uffici ormai vuoti e stanze che
suo padre, nella foga della partenza, aveva rovesciato da cima a fondo.
Uscì
dall’edificio.
Ecco,
Smeraldopoli si stendeva dinanzi a lui, bella e scintillante
nell’aria estiva,
ma lui era solo, solo contro ciascun luminoso, lindo edificio di quella
bella
città. Che cosa doveva fare?
“Capopalestra:
Giovanni” diceva il cartello al suo fianco. Blu vi si
scagliò contro, macerò la
carta che rivestiva l’insegna, lacerò con le
unghie le lettere della scritta,
travolto da una furia distruttiva che non lo lasciava ragionare. Ma
poi, quando
la scritta fu ormai illeggibile ai suoi occhi, egli
indietreggiò con lo sguardo
pieno di spavento, e corse via, corse verso Biancavilla. Percorse la
strada correndo
come un fulmine, saltando di volata cespugli e arbustelli; raggiunse
Biancavilla e là agì come un cieco, si mosse
quasi a tentoni e raggiunse la
porta alla quale maggiormente desiderava bussare.
Bussò,
e la porta
si aprì.
“Blu!
Ma…ma che
cosa ci fai qui?”
“Rosso!
Signora,
lei forse sa dov’è Rosso!”
E
d’improvviso
una voce risuonò alle spalle della donna, e Rosso disse:
“Blu, io sono qui.”
Dalia si
scostò
dalla porta e Blu si precipitò dentro. Rosso lo raggiunse e
Blu si aggrappò al
suo petto, tremando come un pulcino bagnato.
Ora Rosso
esitava, perplesso, incerto su cosa dire. Poggiò le mani sul
capo di Blu e
mormorò: “Perché sei qui?”
Blu non
cessava
di tremare. Balbettò:
“Rosso…è terribile! Mio padre ha
riparato all’estero.
Mewtwo è fuggito. E io non so cosa fare.”
Erano ora
seduti
in silenzio sul letto di Rosso, l’uno accanto
all’altro. La casa era deserta.
Sul tavolo davanti a loro c’erano due bicchieri e un bricco
di latte al
cioccolato, che Dalia aveva lasciato per loro prima di lasciarli.
“Hai
detto che
Mewtwo è scappato” mormorò Rosso con
occhi vacui. Blu annuì.
“Mio
padre ha
detto che probabilmente si è installato a Grotta
Ignota.”
“Grotta
Ignota,
dunque” disse Rosso. Blu non lo sentì.
“Oh,
Rosso…non
sapevo cosa fare. Mio padre è fuggito e io sono solo, e
dovrò gestire la
palestra e…”
“Sht,
Blu…stai
calmo” disse Rosso, bruscamente richiamato alla
realtà. “Oh, stai calmo, Blu.
Non sei solo.”
“E
chi c’è al mio
fianco?” replicò Blu aspramente, guardandolo negli
occhi; e di nuovo Rosso si
perse nello splendore del suo sguardo azzurro, e ammutolì.
“Potrei
esserci
io, se tu volessi” bisbigliò appena qualche
momento dopo. Fu ora il turno di
Blu di ammutolire, ed egli non poté far altro che restare
immobile a guardarlo.
Allora Rosso gli cinse cautamente le spalle con un braccio e lo
trascinò verso
di sé, lasciando che appoggiasse il capo sul suo petto.
“Stai
bene qui?”
Sentiva
che Blu
era fermo e inquieto sul suo petto. Gli appoggiò una mano
sui capelli. Da
molti, molti mesi ormai bramava quel contatto. Blu parve sciogliersi un
poco.
“Sì,
sto bene
qui.”
“Vuoi
dormire da
noi, stanotte?”
“Credi
che io
possa?”
“Certo
che puoi.
Mia madre ti vuole molto bene.”
“E
tu, Rosso?”
“Io
cosa?”
“Tu
mi vuoi bene,
sì?”
Il
silenzio calò
d’improvviso sulla stanza bianca; Rosso percepiva il respiro
di Blu, e sentiva
il suo cuore battere forte forte contro la sua mano.
“Io
ti amo molto,
Blu.”
“Allora
perché
non sei venuto alle Lega?” esclamò Blu,
sollevandosi di scatto.
Lo
sguardo di
Rosso s’intristì d’improvviso.
“Ho
sentito che
non era quella la mia strada.”
“E
allora quale,
Rosso? Hai sempre bramato la Lega. L’avevi in pungo, avresti
sconfitto Lance. E
allora perché sei tornato indietro?”
“Perché
ti stai
sbagliando, Blu” mormorò Rosso, afferrandogli un
polso. Lo guardava fissamente,
intensamente, e Blu, che non riusciva a sottrarsi al suo sguardo, vide
d’un
tratto qualcosa di sbagliato nei suoi occhi:
“Rosso…”
“Ascolta!
Io non
volevo la Lega, io volevo te. Ma tu avresti partecipato alla Lega:
allora
anch’io dovevo parteciparvi per avere te.”
“Ma
quando…”
“Quando
ci siamo
incontrati, tu mi hai detto che mi amavi.
E non avevo più bisogno della Lega per avere
te! Andava bene
qualcos’altro…e d’un tratto ho sentito
che non era quella la mia strada.”
Blu
tacque un
momento, come assorto, e subito, dopo mormorò:
“Rosso, che cosa è accaduto ai
tuoi occhi?”
Egli
impallidì
d’un tratto. Cos’era accaduto?
“I
miei occhi,
Blu?”. Rise, ma d’una risata forzata: lo sguardo di
Blu gli diceva che non
stava scherzando. “Che cosa stai dicendo?”
“Rosso…i
tuoi
occhi erano neri!”
“Non
lo sono
forse ancora?” esclamò Rosso, alzandosi in piedi ,
percorso da brividi. C’era
uno specchio in un angolo della camera. Corse a prenderlo.
“No,
sono…oh, ma
devo essermi sbagliato!” mormorò Blu.
Rosso
aveva ora
una mano poggiata sul manico dello specchio; esitò: non
osava guardarlo.
“Non
importa, mio
caro… dimmi che cosa hai visto nei miei occhi, ti prego.
Voglio saperlo.”
Blu
esitava,
tentennava, Rosso sentiva che non osava dirglielo. Poi disse,
sforzandosi di
ridere, ma incerto: “Oh, è una
sciocchezza…ma i tuoi occhi…i tuoi occhi
parevano rossi, come se sanguinassero o ardessero…ma
è una sciocchezza!”
esclamò, ancora sforzandosi di ridere. Ma Rosso sapeva che
Blu aveva visto
davvero quel colore, e sollevò lo specchio.
Sì,
i suoi occhi
erano rossi e ardenti come se bruciassero, ma non avevano neppure
perduto il
loro vero colore: erano neri, sebbene nelle loro profondità
sembrassero
divampare fiamme infernali…
“Tu sei uno strumento della mia volontà.
Non puoi
fuggire dal mio potere, dal potere di Missingno, Rosso…non
dimenticarlo mai.”
Lo
specchio s’infranse
sul pavimento mentre un grido di dolore dilacerava la stanza. Ora Rosso
giaceva
a terra coprendosi il capo con le braccia sanguinanti e contorcendosi
tra grida
di dolore atroce. Dopo un attimo Blu era al suo fianco, lo aveva
afferrato,
trascinato via da lì perché non si ferisse
maggiormente con i cocci di vetro;
Rosso non cessava di urlare.
“Rosso!
Mio Dio,
Rosso, che cosa succede?”
“Quella
voce! Quella
voce! Sento di nuovo la sua voce!”
“La
sua voce?
Rosso, di chi stai parlando? Rosso!” esclamò Blu,
trattenendo a forza le
braccia sanguinanti che Rosso agitava in un turbinio confuso. Ora
Rosso,
immobilizzato, non poteva più sottrarsi al suo sguardo, ma i
suoi occhi si
muovevano selvaggiamente attraverso la stanza nel suo viso molle di
sudore.
“Rosso!
Che cosa
hai sentito?”
“La
sua voce, la
voce di Missingno! Oh Blu, è terribile, ti prego,
aiutami!”
“Rosso,
ti prego,
stai calmo, non c’è nessun altro in questa stanza,
solo io e te!” esclamò Blu,
senza accennare a lasciar andare le sue braccia.
“Solo
io e te”
ripeté Rosso. “Solo io e te.”
“Sì,
Rosso. Solo io
e te” disse Blu in tono calmo.
“Solo
io e te.”
“Sì,
Rosso. Non devi
aver paura qui, non c’è niente e nessuno che possa
farti del male…e poi, io
sono qui con te.”
“Qui
con me”
ripeté Rosso. Trasse un respiro profondo, e guardando quei
grandi occhi celesti
sentì d’un tratto che quella terribile voce
abbandonava la sua mente. Era salvo
dentro i suoi occhi.
“Blu…i
miei occhi
sono ancora…?”
Quegli
tacque a
lungo, guardando fisso negli occhi di Rosso con grave
intensità, come per
annullarvisi, come per perdervisi, e disse: “Rosso, mio caro,
i tuoi occhi sono
neri, inoppugnabilmente neri anche ora. Ma vedo che essi ardono di una
luce che
non è semplice riflesso, ma è incendio e fiamma,
fiamma infernale…come una
maledizione.”
“Una
maledizione”
ripeté Rosso con un esile filo di voce. “Mio Dio,
la maledizione di Missingno!”
Ma Blu non ascoltava i suoi vaneggiamenti; ora stava pulendo i lunghi
graffi
che Rosso si era procurato cadendo sui cocci dello specchio.
“Guarda
qua come
ti sei ridotto” mormorava con aria di dolce disappunto,
mentre Rosso tremava
sul letto e lui si dava a raccogliere i cocci. Quando ebbe finito
tornò da lui.
Si distese su letto, beandosi del caldo abbraccio di Rosso, che
tremava, e
chiese: “Amore mio, che cos’è che ti
turba a tal punto da far ardere i tuoi
occhi di un tale fuoco?”
Anche il
respiro
di Rosso tremò in quel momento. Che dire?
Accarezzò i capelli di Blu.
“Ti
prego, Blu…non
chiedermi cosa, o…perché.” Disse.
“Tormenti il dolore che ha fatto ardere i
miei occhi di ambizione.”
“Che
ambizione?”
chiese Blu. Rosso non rispose.
“Ehi,
Blu” disse,
scuotendo la testa alla domanda precedente.
“Com’è che mi hai chiamato,
prima?”
Blu
rimase in
silenzio per qualche istante. Poi: “Ti ho chiamato amore
mio.”
“Come
pensavo”
disse Rosso, sorridendo.
E Blu
sorrise a
propria volta, ma tristemente, accarezzando la guancia di Rosso.
Deglutì.
“Blu…sei
a
disagio?”
“Sì.”
“Per
i miei occhi?”
chiese Rosso, sospirando. Blu annuì e Rosso si
sforzò di ridere. “Sono così
orribili?”
“No,
Rosso…se io
non ti guardassi con attenzione, non vedrei altro che i tuoi begli
occhi neri
che io conoscevo tanti anni fa. Ma il punto è proprio che io
ti guardo con
molta attenzione, che non riesco a distogliere lo sguardo dai tuoi
occhi; e
quando punto i miei occhi nei tuoi, vedo ardere nelle loro
profondità quel
fuoco infernale che pare voler divorare me, te, questa casa, questa
vita…
Spaventato
dalle
sue parole, Rosso chiuse bruscamente gli occhi e si voltò
dall’altra parte,
respirando a fatica. Era dunque quello il segno indelebile che
Missingno aveva
impresso su di lui per impedirgli di dimenticare le sue parole, la sua
missione…?
Incominciò a piangere. Allora Blu si sollevò e si
sporse sopra la sua schiena,
colpito dalle sue lacrime, dicendo: “Oh, Rosso,
perdonami… non volevo
addolorarti. Ho parlato senza pensare, ma ti prego di
perdonarmi.”
“No,
Blu…non
preoccuparti. Non è per le tue parole che sto piangendo,
ora” mormorò Rosso,
asciugandosi gli occhi. “Non temere, mio caro…non
è per te che piango, ora.”
Blu era
chino
sulla sua spalla, gli accarezzava il collo, il petto, le braccia, la
schiena:
mormorò con voce flautata: “Non vorresti parlarmi
dei tuoi problemi…? Se tu mi
dicessi chi è stato, chi è che ti
tormenta…se mi parlassi del tuo dolore…non
potrei forse aiutarti?”
Rosso
singhiozzava
piano, aggrappato alle coperte, il capo nascosto tra le loro pieghe,
mordendole. Blu continuava ad accarezzarlo piano, dolcemente, con
straordinaria
pazienza. Un impulso sconosciuto spinse la sua mano ad afferrare quella
di Blu
e a portarla alle labbra, trattenendola. Blu si fermò e
aspettò, curvo su di
lui.
“Blu…”mormorò
Rosso tristemente. “Blu, io
sento…ascoltami…c’è
qualcosa…c’è…c’è
un’entità…che
mi trascina, che mi ha…”
Si volse
di
scatto sul letto, sollevandosi; afferrò le mani di Blu e
guardandolo negli
occhi disse: “Ti prego, ascoltami, ma non so se mi potrai
capire. Io stesso non
capisco. C’è un destino ineluttabile che trascina
la mia ambizione…è qualcosa a
cui non posso sottrarmi, qualcosa che ha fatto divampare il fuoco nei
miei
occhi…e…e temo…temo che non potrei mai
vivere qui, tranquillo, sentendo…quella
voce… oh, quella voce, quella orribile, orribile
voce!”
“Rosso,
Rosso,
calmati!” esclamò Blu, prendendo tra le mani il
suo pallido volto aguzzo. “È una
voce, soltanto una voce, e proviene da un semplice incubo. Mio caro,
gli incubi
possono fare paura, ma non possono fare del male a nessuno.”
“E
in quanto ai
miei occhi?” domandò Rosso in tono amaro.
“Siamo
entrambi
stanchi, Rosso…i nostri occhi ci mostrano cose che non
esistono. Ma non devi
preoccuparti. Stanotte dormiremo come si deve, e domani i tuoi occhi
saranno
neri e belli come lo sono sempre stati. Te lo prometto,
Rosso.”
Quella
sera
cenarono tutti insieme al tavolo in cucina, mentre fuori calavano le
ombre
della sera e gli incubi parevano svenire. Poi, verso le undici,
andarono a
dormire, e Blu e Rosso si coricarono l’uno al fianco
all’altro nel piccolo
letto dove tante volte erano andati a dormire da piccoli.
Ma il
mattino
dopo, quando aprì gli occhi, Blu si accorse che quelli di
Rosso erano ormai
spalancati e svegli, infissi nel suo viso. Sorrise timidamente:
“Rosso…”
“Sì?”
“Che
cosa fai?”
Rosso
parve
alzare le spalle con aria di noncuranza. “Non riesco mai a
dormire più di
quattro ore a notte, in questo periodo.”
“E
sei stato
sveglio per…”
“Saranno
più o
meno tre ore.”
“Ma
perché non ti
sei alzato?”
“Non
so, io…non
volevo disturbarti, pari così tranquillo… e
poi…”
Un
delicato
rossore si diffuse sul suo viso. Chinò gli occhi e
mormorò: “È da così tanto
tempo che desidero vederti dormire qui, al mio fianco…ed
è bellissimo guardarti
dormire.”
Blu
sorrise, ma d’improvviso
l’espressione sul suo volto mutò bruscamente;
afferrò il volto di Rosso e lo
costrinse a guardarlo negli occhi.
“Blu,
che cosa…”
“I
tuoi occhi”
disse Blu ad alta voce. “Rosso, i tuoi occhi… vedo
ancora quell’incendio, Rosso,
vedo quel fuoco d’inferno, Rosso! Lo vedo! Lo vedo!”
Ecco un
altro capitolo
cui non so che spiegazioni poter dare, a meno che non me ne chiediate.
Mi
limito a ringraziare con affetto nihil no kami per la recensione.
A presto!
Afaneia
|
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Capitolo 10 *** La pazzia di Rosso. ***
Trascorsero
giornate furibonde nella loro finta quiete, là a
Biancavilla. Blu rimase per
tutto il tempo a casa di Rosso, poiché, ogni volta che
accennava a togliere il
disturbo, subito Dalia lo pregava, lo implorava di restare,
poiché pensava che
solo la sua presenza potesse salvare Rosso, i cui occhi parevano ormai
irrimediabilmente avviluppati in quel terribile incendio interiore; e
la cui
anima, soprattutto, sembrava ineluttabilmente risucchiata dentro un
incubo
interminabile.
Talora
restavano
per ore seduti in silenzio dentro quella stanza, divenuta ormai
tremendamente
cupa, appoggiati l’uno all’altro. E il loro era un
silenzio di mani che si
sfiorano senza toccarsi, di labbra che si sfiorano senza baciarsi, di
anime che
riescono appena a sfiorarsi, ma che poi non possono confondersi e
intrecciarsi
a causa della loro lontananza e restano lì, a bramare in
silenzio di aversi. E
quella fu, per qualche giorno, la loro triste vita.
Poi un
mattino
Blu si svegliò molto presto, e si accorse che Rosso era,
come al solito,
sveglio e intento a fissarlo. Gli sorrise, rannicchiandosi contro di
lui, e
Rosso non poté trattenersi dall’accarezzare i suoi
morbidi capelli rossi.
“Buongiorno.”
“Buongiorno
a te”
disse Blu. “Da quanto tempo sei sveglio?”
“Un
paio d’ore”
rispose Rosso con noncuranza.
“E
che hai fatto
in queste due ore?”
“Ti
ho guardato
dormire.”
Blu gli
appoggiò
allora una mano sul viso e mormorò: “Ma non sei
mai stanco di guardarmi
solamente?”
“No”
disse Rosso.
Alzò le spalle con semplicità e disse:
“Sono sincero. Per me è abbastanza
guardarti dormire.”
“Non
russo?”
domandò Blu ridendo. Rosso scosse il capo.
“Non
ho un’aria
stupida?”
“No”
disse Rosso
con decisione. “No, Blu, no. Sei molto sereno quando dormi, e
la tua serenità
placa il mio animo avido e ambizioso.”
Allora
Blu
sorrise e si strinse maggiormente al suo petto, coprì di
baci il suo petto,
come travolto da un’ondata d’affetto, ma
d’improvviso si fermò e arrossì.
Allora Rosso prese tra le mani il suo viso e appoggiò le
labbra sulle sue. A
lungo le loro labbra s’incontrarono, e dopo molto tempo si
dischiusero in un
bacio a lungo atteso.
Era
quella la
felicità, e Rosso sentì che in quel momento
neppure la terribile voce di
Missingno avrebbe potuto scalfirlo.
Ma
Missingno
tornò. Quella pace che Rosso vedeva nel volto sopito e
sereno di Blu non
rientrava nei piani di Missingno, non faceva parte del suo destino. Non
era per
lui, insomma. E Rosso si sentiva insoddisfatto e inquieto, e
più volte si
sorprendeva, o si faceva sorprendere, con lo sguardo assorto, rivolto
verso
ovest o talora verso nord.
“Che
cosa guardi,
Rosso?”
Ma a
quella domanda
Rosso non rispondeva mai. Un giorno Blu lo afferrò e lo
scrollò con forza,
stanco di quegli sguardi distratti e rapiti, ed esclamò:
“Rosso, dov’è che vuoi
andare? È troppo tempo che stai qui assorto a fissare il
cielo. Ora devi dirmi
dove vuoi andare.”
Rosso
aveva
chinato lo sguardo ed era rimasto in silenzio con gli occhi puntati sui
propri
piedi. Sembrava molto triste.
“Blu,
io
sento…sento di dover ripartire.”
Blu
sospirò,
lasciandolo andare. Ora erano a pochi passi di distanza, e Blu pareva
molto,
molto stanco.
“Molto
bene”
disse. “Partiamo, Rosso. Io ti seguirò, caro, ti
seguirò fino in capo al mondo,
non temere, verrò con te. Dimmi dov’è
che vuoi andare, e io verrò.”
“A
Johto” mormorò
Rosso. La sua voce era asciutta e fredda, ed egli non lo guardava
deliberatamente, ma Blu non vi fece caso.
“Johto?
Beh, non
è poi così lontana! La città
più vicina, Borgo Foglianova, mi pare, è a un
giorno di viaggio da Smeraldopoli, un giorno e mezzo a dir molto.
Possiamo
partire anche dopodomani.”
“Blu…”
“È
un peccato che
non abbiano terminato la costruzione del Supertreno, ma ormai
è questione di
mesi.”
“Blu,
ascoltami…”
“Il
professor Elm
è amico…”
“Blu,
la
palestra.”
Calò il silenzio.
Rosso si voltò e vide che
Blu era ora rigido e immobile, lo sguardo fisso su di lui.
Chinò gli occhi.
“Parlerò
con
Lance” disse Blu, con voce stranamente aspra e raspante.
“Gli spiegherò la
situazione, gli chiederò di trovare…”
“Blu,
non puoi
farlo, lo sai. Tuo padre conta su di te, solo tu puoi gestire la
palestra di
Smeraldopoli così da difendere i suoi affari.”
“Ma
io voglio
venire con te!” gridò Blu. Lo afferrò.
“Ti ho ritrovato, ti amo. Sono tutto ciò
che può salvarti. Il mio amore può salvarti. Io
devo venire con te.”
“Nulla
può
salvarmi ormai” disse Rosso semplicemente. La sua voce era
limpida e
tranquilla, come se avesse ormai accettato il proprio destino, ma non
serena e
non felice. Egli si volse di nuovo verso Johto e guardò a
lungo le cime delle
colline che dividevano le due regioni.
“Blu,
c’è un
destino ineluttabile che devo seguire. Io sono…hai mai
sentito parlare della
Prescelta Creatura?”
Il volto
di Blu
non ebbe alcuna reazione.
“È
solo una
vecchia storiella che ho letto tanto tempo fa nei libri del
nonno…non mi
ricordo molto. Ma tu come fai a conoscerla?”
“Non
conta molto
come, Blu” disse Rosso. “No, non
conta…ascolta. Io intendo visitare Johto e
diventare il miglior allenatore sulla faccia della Terra,
così che Ho-Oh
discenda dal cielo a riconoscermi quale Prescelta Creatura.”
Un rapido
fruscio, poi Rosso si sentì afferrare bruscamente.
“Rosso, tu sei pazzo!”
“Pazzo?
No, Blu,
io non sono pazzo, ma finirò per diventarlo, se non
seguirò la mia strada fino
alla fine” esclamò Rosso. “Non capisci?
Questo fuoco che mi arde negli occhi,
questa voce che consuma la mia anima… tutto, tutto! mi
spinge verso il mio
destino, e io non posso sottrarmi a esso…io sono, sono la
Prescelta Creatura! Io
devo, devo dimostrarlo!”
“Ma
che cosa stai
dicendo, Rosso?” gridò Blu, tentando di scrollarlo
con violenza: Rosso pareva
immobile. “Prescelta Creatura? Tu sei pazzo, pazzo,
pazzo!”
“No!
Ma diventerò
pazzo se udirò ancora una volta quella voce!”
A poco a
poco i
loro volti parvero calmarsi. Rosso accarezzò dolcemente il
volto di Blu. Gli disse
a bassa voce: “Io so di essere la Prescelta Creatura, e devo
dimostrarlo. Non potrò
mai essere felice altrimenti, perciò ti prego di lasciarmi
partire. Quando tornerò,
il fuoco nei miei occhi si sarà spento, e io sarò
Rosso, sereno come tanto
tempo fa.”
Blu mosse
un
passo indietro con aria circospetta. “Quanto ci
vorrà?”
“Non
lo so.”
“Rosso,
lascia
che venga con te. Ti seguirò in silenzio, non mi
lamenterò mai, ma lascia che
ti stia vicino.”
“No,
Blu. Devi occuparti
della tua palestra. Cerca di capire…”
mormorò Rosso, poggiandogli una mano
sulla spalla. Colto da un impeto di rabbia, Blu gli afferrò
la mano e la
scacciò con violenza.
“Tu
non mi vuoi
perché io non ti distragga” disse con rabbia.
“E perché non vuoi pesi in più. Come
vuoi. Fai quello che ti pare, vattene a crepare inseguendo quel
maledetto
uccello colorato, Ho-Oh o come cavolo si chiama. Non me ne importa
nulla. Muori,
per quanto mi riguarda. Fa’ come vuoi, e anch’io
farò come tu vuoi: non ti
disturberò più.”
Rientrò
di corsa
in casa, afferrò le sue poche cose dalla stanza di Rosso;
salutò Dalia e la
ringraziò con le lacrime agli occhi di tutto ciò
che aveva fatto per lui. Rosso
era rimasto immobile in giardino, col cuore in gola. Dopo pochi minuti,
la
porta si riaprì e Blu ne corse fuori senza guardarlo.
Mandò fuori il suo
Pidgeot e su di esso prese il volo.
Rosso non
pronunciò una sola parola.
|
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Capitolo 11 *** Grotta Ignota. ***
Sua madre
non era
riuscita a mascherargli la propria delusione, dopo che Blu era fuggito,
ma non
ne aveva fatta parola con Rosso, e di questo egli gliene fu grato.
Appena
rientrato in casa, aveva visto la donna in piedi presso una finestra,
lo
sguardo assorto e preoccupato.
“Blu
è andato
via” aveva detto Dalia.
“Lo
so” aveva
risposto con calma, sentendo uno strano senso di oppressione alla gola
e un
lieve bruciore dietro gli occhi. A quel punto Dalia si era riscossa, si
era
avvicinata al tavolo e aveva chiesto con voce forzata: “Mio
caro, che cosa
desideri per cena?”
Perciò,
quella
sera avevano mangiato in silenzio, quasi senza guardarsi, e Rosso era
andato a
dormire quasi subito. In realtà era rimasto sveglio molto a
lungo, come al
solito, con gli occhi fissi sul soffitto buio sul quale danzavano le
luci della
notte estiva che infuriava all’esterno.
Il giorno
dopo,
Rosso disse a sua madre che intendeva ripartire, e il prima possibile,
per di
più. Dalia sospirò e rispose che avrebbe potuto
preparargli il necessario in
due giorni al massimo, e che il terzo giorno sarebbe potuto partire.
“È
perfetto”
disse Rosso. “Saprò cavarmela senza problemi,
quando sarò lontano da qui. Ma
non credo che potrò tornare qui spesso” soggiunse
cautamente, guardandola negli
occhi. Dalia sorrise, ma d’un sorriso stanco.
“Lo
so, mio caro”
rispose. “Lo so, non preoccuparti. Non usare mezzi termini.
Non è vero che non
potrai tornare spesso: non tornerai mai, o quasi mai.
Suppongo…suppongo che nei
prossimi anni tornerai forse due o tre volte. Ma non devi preoccuparti.
Lo
sapevo da un pezzo, che sei troppo inquieto e ambizioso per restare qui
con tua
madre e vivere una vita serena e tranquilla, che desideri, ma che non
ti
farebbe felice. Perciò vai pure tranquillo, mio caro. Ma ti
prego di chiamarmi
qualche volta, solo ogni tanto, per farmi stare tranquilla.”
“Grazie,
mamma”
mormorò Rosso, chinando il capo. Dalia gli
appoggiò sulla testa la fresca mano
bianca e ruvida.
“Andiamo,
su, mio
caro” gli disse in tono fintamente vivace: “Abbiamo
solo due giorni. E dobbiamo
preparare ciò che ti occorrerà per un viaggio di
due o tre anni senza molte
soste. Andiamo!”
Trascorsero
i due
giorni seguenti lavando, stirando e smistando mutande, pantaloni e
magliette e
cercando di stipare in due scatole di latta un’abbondante
quantità di biscotti
al cioccolato, panini morbidi al latte imbottiti di verdura e carne
fredda,
sufficienti perché Rosso potesse sopravvivere senza altre
provviste per diversi
giorni.
Così,
la sera
prima della partenza di Rosso, i due si trovarono seduti in giardino, a
ripensare a tutte le cose che avevano preparato i quei giorni e a
cos’altro
avrebbe potuto servirgli.
“Non
ti ho
neppure chiesto per dove parti” disse Dalia. Teneva sulle
ginocchia lo zaino
chiuso del figlio, come se, accarezzandolo, esso potesse prepararsi a
prendersi
cura di lui in sua vece. “Ti lascio partire così,
a occhi chiusi, ma senza
neppure sapere per dove…”
Rosso
aveva
lasciato uscire tutti i suoi Pokémon, ed essi ora
gironzolavano liberamente nel
giardino, eccezion fatta, naturalmente, per il suo caro Snorlax, che
dormicchiava tranquillo, acquattato, se così si
può dire, in un angolo del
giardino, con il magnifico Espeon color smeraldo che gli gironzolava
attorno cercando
di disturbarlo. Ma il suo Charizard, il suo amato Charizard, aveva
poggiato
sulle sue ginocchia la grossa testa squamata, e di là
ascoltava il suo respiro.
“A
Johto” disse
Rosso, con le mani appoggiate sulla testa del suo caro Charizard.
Dalia si
appoggiò
al muro, chiudendo gli occhi con grande tranquillità.
“Johto è molto lontana?
Ne ho solo sentito parlare.”
“No,
mamma, non
poi molto. Johto e Kanto confinano” spiegò Rosso.
“Ma dipende. Vi sono città
molto lontane da qui, come Lavandonia da Smeraldopoli, e molto di
più.”
“E
ci sono molti
Pokémon, vero?”
“Oh,
sì, mamma,
molti Pokémon che qui sono rarissimi, o che non si trovano
affatto” disse
Rosso. “Così come molti Pokémon, qui
molto frequenti, là sono introvabili.”
Dalia
teneva gli
occhi ostinatamente chiusi, ma Rosso percepiva egualmente la sua
partecipazione
emotiva.
“Rosso,
che cos’è
che cerchi, là?”
“Qualcosa
che mi
renda felice.”
“Ascolta”
disse
ella, socchiudendo gli occhi. “Ascolta. Non credere che io
voglia dissuaderti
dall’andare. Ma devi ascoltarmi. Non pensi di poter trovare
anche qui un poco
di felicità?”
“Che
cosa è
felicità, qui?” domandò Rosso. I suoi
occhi erano puntati lontano da lì, là
dove sapeva esserci il mare.
“Quello
che vuoi,
Rosso” disse Dalia con semplicità. “Una
serata come questa, in un posto amabile
e tranquillo. I tuoi Pokémon, che vivono così
serenamente con qualche biscotto
al cioccolato. Non potresti cercare la felicità in cose del
genere?”
Poi Rosso
parlò,
e disse in tono estremamente asciutto: “Mamma, tu vorresti
suggerirmi di
cercare in Blu la mia felicità?”
“No”
esclamò
Dalia alzandosi. “No, lo so che non posso dirti questo. Non
sono affari miei.”
“Vuoi
solo farmi
notare che la mia ambizione me lo ha fatto perdere, scappare dalle
mani.”
“No,
Rosso” disse
la donna. “Sei solo tu che stai cercando di rinfacciarlo a te
stesso.”
Gli occhi
di
Rosso erano ora vacui e privi di espressione. Si alzò e
richiamò a poco a poco
ciascuno dei propri Pokémon.
“Perdonami,
mamma” disse. “È la verità.
Sono io che cerco di rinfacciarlo a me stesso. Non
volevo parlarti così. Perdonami.”
“Non
importa che
ti scusi con me” disse la donna. “Ti conosco troppo
bene.”
“Vado
a dormire”
disse Rosso stancamente. “Domani partirò. E prima
di dirigermi a Johto, dovrò
sistemare un paio di cose, qui.”
La grotta
era
buia e fredda, e più Rosso vi si calava, più
sentiva riempirsi di gelo fin
nelle ossa. Sentiva che acque misteriose si agitavano nelle
profondità della
grotta buia, e che flutti sconosciuti s’infrangevano contro
umide pareti di
pietra scura e liscia. Percepiva una rabbia insanabile, un rancore
profondo
avviluppargli le membra, una furia che doveva sfogare. Una vendetta che
doveva
avere, a qualsiasi costo.
Tastò
attentamente le pareti della grotta, accertandosi delle sue dimensioni.
Poiché
gli pareva che le pareti fossero ampie abbastanza, chiamò il
suo Charizard
affinché le sue potenti fiamme rischiarassero
l’oscurità che lo circondava.
I due
proseguirono insieme lungo i bui corridoi freddi; passo dopo passo,
Rosso si
stringeva maggiormente al suo Charizard, il suo amato Charizard,
beandosi del
calore che la sua dura pelle squamosa emanava, e soprattutto della sua
luce che
riempiva la caverna, spingendo le tenebre in angoli oscuri. A ogni
passo, Rosso
sentiva quei flutti frangersi più forte contro la roccia.
A poco a
poco, la
grotta finì per ampliarsi, ma anche per divenire un dedalo
labirintico
impossibile da ricordare, fatto di curve e di brusche rientranze nella
roccia,
di buche nel terreno e di vicoli ciechi e inquietanti. Ma Rosso non
demordeva.
Qualche
ora dopo,
la fame si fece insopportabile ed egli si sedette con Charizard a
dividersi una
parte dei loro biscotti al cioccolato, che entrambi amavano tanto fin
dal primo
giorno del loro viaggio. Quel pasto li rinfrancò entrambi, e
dopo venti minuti
a dir molto i due ripresero il cammino.
Malgrado
il loro
pasto, a poco a poco il trascorrere delle ore cominciò a
farsi sentire in
quell’aria claustrofobica. Rosso si sentiva soffocare e
soprattutto sentiva la
propria rabbia crescere e ingigantirsi nel suo petto. Charizard lo
percepiva.
Ma piano
piano, a
forza di scendere, sentirono che il suono dei flutti si faceva
più vicino e che
le acque rimbombavano più forte, e finalmente i due si
trovarono di fronte a un
vasto lago sotterraneo, sulla cui limpida ma buia superficie si
riflettevano i
loro volti e le stalattiti che li sovrastavano.
“Ci
siamo,
Charizard” mormorò Rosso.
“Sarà bene che rientri, ora: non puoi guidarmi
attraverso quest’acqua. Ma forse potrai farlo più
avanti.”
Richiamò
Charizard e mandò in sua vece Blastoise, ma subito si
pentì di aver rinunciato
alla luce, poiché l’oscurità divenne
subito fitta e impenetrabile, ed egli si
sentì colto da una sensazione di gelo crescente.
“Vai,
Espeon”
sussurrò, come temendo che le sue parole potessero svegliare
qualcosa nel buio.
“Usa Flash.” D’improvviso due penetranti
fasci di luce gialla illuminarono la
caverna, rendendola visibile e indagabile ai suoi occhi. Vide che
Blastoise si
era ormai immerso nelle buie acque del lago sotterraneo, e che solo il
suo
liscio guscio bruno era visibile. Il suo Espeon color smeraldo gli
balzò in
groppa, e Rosso lo raggiunse ben presto. La sensazione di gelo che lo
aveva
colto nei pochi attimi di buio precedenti non lo aveva ancora
abbandonato, ma
si era fatta meno insistente.
Avanzarono.
Blastoise intuiva la strada da seguire grazie alla limpida luce che gli
occhi
di Espeon emanavano, ma Rosso fissava egualmente con ardore e
attenzione la
distesa d’acqua nera che li circondava. Guardò i
flutti che si frangevano sulla
pietra, ormai erosa e liscia per la loro continua azione perpetuata da
secoli:
la loro schiuma pareva formata da boccoli d’argento.
Strappando a malincuore lo
sguardo da quello spettacolo bellissimo e terribile, Rosso
guardò avanti.
Navigarono
per
interminabili minuti su quella piatta distesa d’acqua nera e
argentata, ma
invano: non c’era nulla. Rosso cominciava a disperare:
possibile che avessero
sbagliato strada? Ma sembrava così semplice, così
ovvio che fosse lì…!
E poi
capì, capì
dov’era che Mewtwo si era nascosto…
“Blastoise,
dobbiamo immergerci” disse. Espeon si volse verso di lui,
investendolo e
accecandolo con la luce dei suoi occhi rossi; ma quegli non demorse.
“No,
Espeon, so
quel che faccio. Dobbiamo immergerci. Ma puoi rientrare: Blastoise
può vedere
nell’acqua e seguire le correnti, mentre io non riuscirei
comunque a vedere
molto.”
Lo
richiamò e,
preoccupato, si sistemò sul guscio di Blastoise e si
aggrappò a lui.
“Forza,
Blastoise, ho fiducia in te. Guidami attraverso queste acque nere: so
che puoi farcela.”
Chiuse
gli occhi;
sentì che Blastoise si sistemava allo scopo
d’immergersi più facilmente. Un
momento dopo, sentì un’immane massa fredda
travolgerlo e soffocarlo, rischiando
persino di strapparlo dal guscio di Blastoise con la sua forza, e
cercare di
richiamarlo su.
Sprofondarono
per
metri e metri sempre più in basso, e a ogni metro Blastoise
raddoppiava la
velocità, per evitare al suo coraggioso padrone
l’ignobile destino di morire
affogato in una grotta. Rosso teneva gli occhi chiusi, ma anche se li
avesse
aperti non avrebbe visto molto: l’acqua era nera e
impenetrabile alla vista, e
Blastoise seguiva correnti invisibili che Rosso non poteva percepire.
Si
sentì mancar
l’aria, mentre l’acqua diventava rapidamente sempre
più fredda; ma d’un tratto giunse
alle sue orecchie uno scroscio d’acqua amplificato
dall’acqua stessa in cui era
immerso; vi fu come un brusco stacco e finalmente il suo volto
tornò all’aria
umida di quella grotta, aria chiusa e pesante, ma aria in cui le sue
labbra
cianotiche poterono aprirsi d’improvviso e respirare,
spalancate e riarse.
Blastoise
aveva
attraversato un piccolo foro orizzontale nella roccia, passando come a
un
livello inferiore; ora galleggiavano sulla superficie di un altro lago
sotterraneo, ma a pochi metri da loro c’era una piattaforma
rialzata e
asciutta, che Blastoise percepiva. La raggiunsero, e là
Rosso chiamò subito
Charizard perché lo riscaldasse col suo calore e asciugasse
almeno un po’ i
suoi abiti molli e gelati. Ma la luce della coda di Charizard gli
rivelò
immantinente qualcos’altro, qualcosa di più
importante: Mewtwo era immobile
sulla roccia a pochi passi da lui.
“Che
cosa ci fai
qui, umano?”
Era la
prima
volta che udiva la voce di Mewtwo, o, per meglio dire, era la prima
volta che
sentiva una voce di Pokémon formulare parole umane; ma
Mewtwo non aveva aperto
bocca, e Rosso capì che ad aver comunicato con lui era stata
semplicemente la
sua volontà. Balzò in piedi, malgrado il suo
corpo venisse percorso da brividi,
ed esclamò: “Sono venuto per avere la mia
rivincita!”
“La
tua
rivincita? Non so di cosa tu stia parlando, umano.”
“Non
lo sai,
Mewtwo?” gridò Rosso, furente, bollente di rabbia.
“Osi dunque dire di non
saperlo? Ma guardami, guardami alla luce! Non ti ricordi di me? Sono
Rosso, il
ragazzo contro cui hai combattuto neppure un mese fa, quando ancora eri
con
Giovanni.”
“Presuntuoso
ragazzo! So chi sei, conosco il tuo nome. Ciò che non so
è cosa cerchi qui.”
“La
mia vendetta,
Mewtwo, la mia vendetta contro di te!”
Gli parve
d’un
tratto che gli occhi di Mewtwo ardessero d’un bagliore
azzurro che scatenò in
lui una scarica di brividi non più legati al freddo, ma fu
solo un secondo; se
mai quegli occhi si erano realmente trasfigurati, questo
durò un attimo solo:
un istante dopo, erano di nuovo bianchi e opachi.
“No”
disse
Mewtwo. “Non è da me che devi cercare la tua
vendetta.”
“E
da chi, se non
da te?” urlò Rosso. “Eri tu in quella
palestra! Sei tu che non mi hai neppure
permesso di toccarti…”
“Sì,
ero io.” Sebbene
quella di Mewtwo non fosse una voce, ma un continuo flusso di pensieri,
a Rosso
parve di udire come una velatura di rancore in lui. “Ma non
è da me che avrai
la tua vendetta, Rosso.”
“E
da chi? Da chi?”
ululò il ragazzo, furente, ormai infuocato, avvicinandosi di
un passo alla
roccia sulla quale Mewtwo stava in piedi, immobile. Gli occhi di Mewtwo
si
strinsero ed egli mormorò: “Se la desideri tanto,
l’avrai dall’uomo che mi ha
fatto questo.”
“Giovanni?”
domandò Rosso. Rise d’una risata acida.
“No, non l’avrò da Giovanni. Egli
è
fuggito, ha riparato all’estero, temendo che tu, una volta
fuggito, ti
vendicassi di lui. ma non so dove si trovi, ora, credo che nessuno lo
sappia:
se vuoi vendicarti, credo che dovrai cercarlo da solo.”
“Non
voglio
vendicarmi” disse Mewtwo. “Ora la sua voce appariva
perfettamente calma, ed
egli si mostrava immobile, ma rilassato. “Ora molte cose sono
cambiate, e io
non ho alcun desiderio di vendicarmi. Allo stesso modo, non desidero
scontrarmi
con te. Per questo ti dico che non è da me che potrai avere
la tua vendetta.”
“Ma
com’è
possibile?” esclamò Rosso, che finalmente era
riuscito ad arrampicarsi sulla
roccia sulla quale ristava Mewtwo. Ora lo fronteggiava,
benché Mewtwo lo
sovrastasse in altezza di quasi trenta centimetri. “Tu sei
stato creato per
combattere” disse, allargando le braccia con
semplicità. “Com’è possibile
che
tu non voglia farlo?”
“La
mia anima è
stata salvata” disse Mewtwo con calma. “Celebi, il
signore dei cieli, ha avuto
pietà del mio tormento e mi ha dato la forza di liberarmi
dalle mie catene, di
rivendicare la mia libertà. Ora sono uno dei leggendari e
sono libero,
finalmente, di rinnegare il mio corpo come strumento di
guerra.”
Istintivamente
Rosso indietreggiò di un passo. Sentiva il proprio cuore
riempirsi di sgomento
e di furia, si sentiva confuso e ignorato, bistrattato…
“Charizard,
attacca!”
Fu un
attimo, un
momento, un battito di ciglia: vide il sui Charizard comparire
improvvisamente
da dietro le sue spalle, precipitarsi tra raffiche di fuoco contro
Mewtwo e d’improvviso
terminare la propria corsa nel nulla, a pochi millimetri dal candido
pelo di
Mewtwo, arrestandosi bruscamente come se tra loro vi fosse stata una
robusta
parete di pietra…e subito Mewtwo ebbe uno scatto, e
Charizard fu scagliato
lontano da lui e da Rosso attraverso la grotta.
“Charizard!”
Ma
contrariamente
a quanto Rosso si aspettava Charizard non venne schiantato contro la
dura
parete che chiudeva la grotta; come trattenuto da un corpo, egli si
fermò
bruscamente e rimase immobile a mezz’aria, sostenuto dal
volere di Mewtwo. Ora Rosso
non poteva sbagliarsi: una luce azzurra ardeva davvero negli occhi del
Pokémon.
“Richiamalo”
disse con calma Mewtwo. “Come vedi, non ho alcun desiderio di
combattere. Non vi
farò del male, ma devi richiamare il tuo
Pokémon.”
Rosso
tremava in
ogni fibra del proprio corpo. I suoi occhi vagavano da Mewtwo a
Charizard e
viceversa. Ma in breve la visione del suo amato Charizard sospeso a
mezz’aria
su un lago gelido ebbe la meglio su di lui: estrasse una
Pokéball e richiamò
Charizard senza una parola.
Come il
Pokémon fu
scomparso, lo sguardo di Mewtwo parve rilassarsi e quel velo azzurro
abbandonò
i suoi occhi.
“Tu
mi hai
costretto a tanto” disse. “Ma come vedi non gli ho
fatto del male, benché lui
mi abbia attaccato; né ho intenzione di farne a te,
benché sia stato tu a
ordinargli di attaccare. Spero che tu abbia capito, umano: Mewtwo ha
smesso di
combattere da quando Celebi l’ha accolto tra le sue fila, in
virtù della sua
immensa bontà.”
Ora Rosso
si
sentiva mancare le forze e barcollava davanti a Mewtwo. Tutto gli
pareva
incredibile e confuso: “Mewtwo, la macchina da guerra di
Giovanni, divenuto un Pokémon
leggendario nonostante la sua origine; il suo rifiuto di combattere, ma
soprattutto i suoi piani sventati…
D’un
tratto si
sentì cogliere come da un sonno molto profondo: sorpreso,
scorse di nuovo il
tanto temuto alone azzurro negli occhi di Mewtwo e capì di
non potersi opporre
alla sua volontà. Le ultime parole che percepì
furono queste: “Ora
addormentati, Rosso, e dormi bene. Voglio che tu dorma profondamente
per alcune
ore, e che ti svegli solo quando i miei poteri ti avranno condotto
molto
lontano da questa grotta. Voglio altresì che tu non decida
mai di tornare qui,
così che io e i miei fratelli Mew, Moltres, Zapdos e
Articuno possiamo riposare
in pace, godendoci la quiete della nostra solitudine.”
Dopo
queste
parole Rosso non fu più in grado di tenere gli occhi aperti
e sprofondò in
fretta in un sonno dolce e profondo.
Ma il
risveglio
di Rosso fu amaro quanto dolce era stato il suo sonno. Quando egli
aprì gli
occhi, si trovava infatti su una vasta distesa di roccia dura e umida,
e un
odore di sale e di sabbia gli riempiva le narici. Si sollevò
bruscamente come
se si destasse da un terribile incubo, e altrettanto bruscamente si
soffermò a
osservare il mare che si stendeva splendente davanti ai suoi occhi. Il
suo
respiro affannoso finì per acquietarsi: sapeva dove si
trovava. Quelle erano le
Isole Spumarine, ma non si era mai arrampicato così in alto.
Si
sentiva
montare dentro una furia terribile, travolgente: com’era
possibile? Com’era
possibile che Mewtwo, il clone potenziato di Mew, creato e allenato per
combattere senza pietà, ora facesse parte dei
Pokémon leggendari e rifiutasse
così categoricamente qualsiasi forma di scontro?
Ma Rosso
non
aveva dimenticato le sue ultime parole. Si era alzato in piedi e ora si
aggirava nervosamente tra le rocce. Mewtwo gli aveva parlato di quiete,
di
vivere in pace con gli altri leggendari di Kanto. Non avrebbe mai
più
combattuto con lui. Rosso ormai non poteva più opporsi a
questa verità-
E va
bene. Gli restava
ancora qualche cosa da risolvere lì a Kanto, prima di
potersi recare a Johto, e
tanto valeva dedicarvisi ora.
Ecco qua
un nuovo
capitolo, cui occorre aggiungere qualche spiegazione. Innanzitutto:
Celebi e
questa mia idea del “signore dei cieli”. Dovete
sapere che quando io giocavo a Pokémon
Cristallo, il mio primo vero gioco di Pokémon, non
è che Internet fosse proprio
in tutte le case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete
è
incatturabile in Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta
vidi l’immagine
di Celebi su un dvd di un film dei Pokémon presso un
videonoleggio e rimasi
molto stupita al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito
parlare. Così mi
convinsi che fosse una specie di divinità Pokémon
e ci creai attorno un vero e
proprio universo peraltro gerarchico. So che ora esistono
Pokémon demiurghi
come Arceus, ma ai miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia
teoria ;)
Ultima
cosa.
Mewtwo accenna al vivere con gli altri leggendari di Kanto. Questo
perché in
Cristallo Grotta Ignota è crollata e non si può
catturare nessun leggendario,
perciò io ero convinta che vivessero tutti lì e
che fossero fuggiti dopo il
crollo. Oggi naturalmente conosco le loro originarie dislocazioni.
Grazie a
DarkPikachu97 e nihil no kami della recensione. A presto!
Afaneia.
|
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Capitolo 12 *** Un uomo molto potente. ***
“Sono
davvero
lieto che tu voglia entrare a far parte delle nostre fila,
Blu” disse Lance
cortesemente, mentre firmava un documento con una lunga penna
d’uccello
colorata.
“Anch’io,
signor
Lance” mormorò Blu, consapevole del fatto che i
suoi occhi rossi e gonfi e la
sua voce rauca potevano contraddirlo.
“Chiamami
Lance,
te ne prego” replicò quegli alzandosi.
“Bene, Blu, parliamo della tua palestra,
ora. Perdonami se ti ho fatto aspettare così tanto, ma era
essenziale che
firmassi subito quei documenti. Per la costruzione del Supertreno
occorre
ancora qualche firma…”
“Non
importa”
disse Blu. “Ho tutto il tempo che serve.”
Lance lo
guardò
per un momento con una forte perplessità dipinta in volto,
ma Blu non reagì.
Allora sospirò e alzandosi disse: “Ti ringrazio
della comprensione, Blu:
anch’io ho da dedicarti tutto il tempo che serve, comunque.
Vieni, ti prego:
non posso sopportare l’aria chiusa di questo ufficio, sapendo
che fuori brilla
questo bel sole caldo. Spero che non ti dispiaccia discutere
fuori.”
“Mi
farebbe
piacere” mormorò Blu con voce spenta, seguendolo
meccanicamente.
Scesero
dabbasso,
percorrendo i pochi piani dell’edificio destinati
all’alloggio degli sfidanti
della Lega Pokémon. Una volta raggiunto il piano terra,
Lance consegnò
all’infermiera Joy i documenti che aveva appena firmato,
pregandola di spedirli
il prima possibile, per poi recarsi con calma all’esterno.
Lo
sguardo di Blu
era assorto e triste. Lance lo notò e, poggiandogli una mano
sulla spalla, gli
rivolse un sorriso.
“Da
quando ti ho
visto la prima volta, mi sono sempre chiesto a cosa pensassero i tuoi
occhi,
Blu” disse. Blu sobbalzò, colpito dalle sue
parole, ma Lance parve volerlo
rassicurare: “No, non ti sto chiedendo di dirmelo. Me lo
dirai a tempo debito,
se vorrai, o non me lo dirai affatto. Ma io sono un uomo molto potente
e potrei
aiutarti, se tu lo volessi.”
Blu non
rispondeva. Lance, che non voleva forzarlo, lo guidò in
silenzio fino all’Arena
delle Battaglie, dove sedettero sulle tribune vuote.
“Ascolta”
disse
Lance a bassa voce. “Senti questo silenzio? Non è
meraviglioso?”
“Sì”
disse Blu, a
voce altrettanto bassa, ma con gli occhi perduti nel vuoto.
“Meravigliosamente
silenzioso. Questo luogo è così diverso dal
giorno della Lega…”
“È
così, hai
ragione. Ma ti confesserò una cosa: di questo luogo
è il silenzio che io amo
soprattutto. È il luogo che sopra ogni altro mi piace, in
realtà. Sento come se
qui dovesse decidersi una parte della mia vita, del mio
destino…”
“Tu
sei il
Campione” disse Blu.
“Sì,
è vero”
mormorò Lance, alzandosi in piedi. “Ma sento che
non è questo il mio destino,
sento che c’è qualcos’altro che mi
aspetta…qualcosa di terribile e bellissimo
insieme…”
La sua
magra,
nera figura slanciata era stagliata contro il cielo azzurro e limpido;
egli
guardava l’orizzonte che si stendeva al di là
dell’Arena, vagheggiando lontano
il proprio destino, che ancora non conosceva. D’un tratto si
riscosse.
“Perdonami:
quando sono stanco tendo a fantasticare… ma tu richiamami se
mi distraggo
ancora.”
“Va
bene” disse
Blu con un sorriso pallido. Lance era ora in piedi di fronte a lui, e i
suoi
vivaci occhi scuri lo scrutavano con attenzione.
“Molto
bene, Blu.
Veniamo a noi. La prima cosa che intendo dirti è questa: io
so perfettamente
chi fosse tuo padre e quali affari gestisse; forse meno
dettagliatamente di te,
ma so quello che faceva. Penso che potremo parlare meglio, ora che
tutte le
carte sono in tavola e ben scoperte.”
Blu lo
aveva
ascoltato in silenzio, colpito. Lance gli appariva tranquillo. Ma
perché aveva
usato quel tono?
“Ma,
Lance…se lo
sapevi, allora perché?”
“La
tua è
un’ottima domanda. Blu, tu non sei un idiota: sai benissimo
che da dieci anni
la polizia tenta d’incastrare tuo padre senza avere prove
sufficienti che lo
inchiodino a Team Rocket. E che cosa potevo fare io? Blu, ma se ho solo
quattro
anni più di te!”
Era vero,
pensò
Blu scrutando Lance con attenzione, vero: Lance, Lance il campione
della Lega
Pokémon, non era davvero molto più grande di lui.
Proseguì: “Ma avreste potuto
rimuoverlo dall’incarico…”
“E
con quale
motivazione? Blu, tuo padre era un Capopalestra eccellente: abilissimo
coi
Pokémon e sempre rispettoso delle regole, almeno per quanto
concerne la
palestra; ogni controllo, regolare o a sorpresa che fosse, ha sempre
dimostrato
che tutto era regolare da lui. blu, non avrei potuto rimuoverlo. Ma lo
tenevo
d’occhio, questo sì. Speravo di
sbarazzarmene.”
“E
ora, è
fuggito” mormorò Blu.
“Ti
manca?”
“Sì”
disse Blu
tristemente. “Siamo stati separati altre volte,
ma…ma per la prima volta in
vita mia sento che è troppo lontano da me perché
il mio pensiero possa
raggiungerlo.”
Lance gli
sorrise
stancamente con aria malinconica e mormorò: “Ti
capisco. Quando morì mio padre,
tre anni fa…sentivo la stessa cosa: avevo come
l’impressione che i nostri
pensieri non riuscissero più a trovarsi in tutto il mondo,
per quanto il mio
cercasse il suo.”
Gli
appoggiò una
mano sulla spalla e mormorò: “Blu, tuo padre
è vivo, sta bene, tornerà a
prenderti. E sono sicuro che, per quanto sia lontano, il suo pensiero
sta
comunque cercando di raggiungerti.”
“Forse
hai ragione,
Lance” mormorò Blu senza convinzione. Lance gli
sorrise appena, dopodiché
cambiò decisamente argomento.
“Io
e mio padre
consideravamo la Palestra di Smeraldopoli come una delle più
importanti. È situata
vicino al percorso 22, perciò è di solito
l’ultima palestra che gli allenatori
sfidano prima d’intraprendere l’ultima tappa del
loro viaggio. Blu, desidero
che tu sappia che conto molto su di te per quanto riguarda questo
compito. Ho visto
come combatti, e non credo che vi siano molti allenatori in grado di
combattere
come te; neppure i Superquattro sono stati in grado di tenerti testa
molto a
lungo, cosa che di solito riescono a fare più che
discretamente con tutti gli
sfidanti della Lega Pokémon. Ti stimo molto, Blu; e credo
che, se tu volessi,
non avrei problemi a fare qualche cambiamento e a introdurti tra i
Superquattro…”
“No,
Lance”
mormorò Blu “No, ti prego…vorrei
restare a Smeraldopoli, nella cara palestra
che ormai conosco bene. Non ho molta voglia di… di restare
qui per giorni e
giorni a fare pubbliche relazioni, mi capisci?”
“Come
vuoi, Blu;
io non intendo obbligarti. Del resto, per ora sono piuttosto
soddisfatto dei
miei Superquattro; sono piuttosto forti, specie per quanto riguarda
Agatha, che
come ben sai conosceva tuo nonno in gioventù. Ma ascolta,
devi sapere che
essere Capopalestra ti occuperà forse più tempo
che essere Superquattro. Ne sei
consapevole?”
Blu non
rispose. I
suoi occhi celesti erano fissi e vitrei sull’orizzonte.
Sospirando, Lance si
alzò di nuovo in piedi e si piantò a gambe larghe
sulla tribuna. Il suo sguardo
altero era fisso nello stesso punto di quello di Blu, ma i suoi limpidi
occhi
non vedevano la stessa cosa.
“Avrai
qualche
amico, Blu. Naturalmente puoi farti aiutare da loro a gestire la
Palestra, se
lo vorrai, ma del loro stipendio dovrai occuparti personalmente. Ti
rendi conto
che lo stipendio di un Capopalestra è…beh,
sufficiente a sostenere tutte le
spese necessarie.”
“Non
voglio
nessuno” mormorò Blu. “Non ho bisogno di
nessuno, io…me la caverò da solo.”
“Naturalmente,
Blu, come preferisci.”
Calò
un leggero
silenzio sull’Arena, mentre un vento rinfrescante
s’infiltrava tra le tribune e
scompigliava loro i pensieri.
“Mi
pari una
persona molto infelice, Blu. Vedi, quando ero piccolo persi mia madre;
e quando
ero un ragazzino morì anche mio padre. Ma so di non aver mai
avuto uno sguardo
come il tuo, mai in tutta la mia vita. È come se i tuoi
occhi fossero
perennemente sospesi, come se tu stesso ti trovassi a metà
strada tra due
condizioni opposte e contrastanti: l’avere un padre e il non averlo, e
poi…non so che altro. Oh, ma
dico solo sciocchezze…”
La risata
imbarazzata che seguì le parole di Lance fu interrotta dal
brusco alzarsi in
piedi di Blu: egli infatti si ergeva ora immobile, ma tremante, con gli
occhi
che lacrimavano: Lance esitò.
“C’era
una
persona di cui ero tremendamente innamorato, Lance” disse con
voce tremante. “Gli
avrei dato tutto, ogni cosa che io avessi, ogni fibra del mio essere, e
so che
lui mi amava tanto quanto lo amavo io… ma poi lui ha deciso
di andarsene,
perché doveva inseguire un sogno troppo grande, o per meglio
dire un sogno
troppo più importante di me, per poter restare al mio
fianco. L’ho mandato al
diavolo, ma non per questo ho smesso di amarlo; e ora, malgrado tutto,
continuo
a sperare nel suo ritorno…”
Lance
restava in
silenzio, lo sguardo cupo, ma gli occhi di Blu si accesero di un
sorriso amaro,
ed egli mormorò: “Capisci ora, Lance, dietro cosa
sono perduti i miei occhi?”
“Sì,
Blu, lo
capisco” mormorò Lance. “Ora capisco
tutto, e capisco molto bene. Ti ringrazio
per avermelo spiegato: conserverò per me la tua
verità, poiché purtroppo vedo
bene che non posso fare molto per aiutarti. Ma ascolta: ti ho
già detto che
sono un uomo molto potente, e, se me lo vorrai chiedere, io
farò tutto il
possibile per aiutarti.”
“Ti
ringrazio,
Lance” disse Blu a bassa voce. “Me ne
ricorderò.”
“Bene,
allora. In
tal caso, ci siamo chiariti.” disse Lance con calma. Gli
diede le spalle e
mormorò al vento: “Personalmente non ho altro da
dirti, Blu. Conosci meglio di
me la Palestra di cui ti occuperai d’ora in poi; del resto,
sei libero di apportarvi
quante modifiche riterrai opportune. Per parte mia, Blu, posso soltanto
augurarti tutta la felicità del mondo.”
“Grazie,
Lance”
disse Blu. “Ne avrò bisogno.”
Eccoci
qui con un
altro capitolo, col quale colgo l’occasione per augurare a
tutti un felicissimo
Natale! Non credo di poter postare in questi due giorni, visto il
numero di
pranzi cui devo partecipare (mamma, papà,
sorella… xD). Tanti auguri a tutti! E
grazie a nihil no kami per aver recensito.
A presto!
Afaneia
;)
|
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Capitolo 13 *** Un segreto tra noi tre. ***
“Sono
qui per
sfidarti, Lance! Sono qui per sfidarti!”
Le parole
di
Rosso echeggiarono nell’aria limpida dell’Altopiano
Blu, ed egli camminava
avanti e indietro davanti alle porte dell’edificio, selvaggio
e aggressivo come
una bestia ferita. Ma di Lance non si vedeva traccia.
Si
spalancarono
le pesanti porte, e Joy corse fuori a implorarlo di non fare chiasso:
il signor
Lance detestava i forti rumori sull’Altopiano
Blu…Rosso s’irrigidì e le disse
freddamente: “Capisco, e garantisco che non
turberò più l’ordine qui, se solo
Lance accetterà la mia sfida.”
“Ma
la Lega
Pokémon è terminata ormai da giorni”
replicò la donna.
“Certo,
questo lo
so! Ma ciò non toglie che io desideri vedere Lance e
combatterlo, non come
sfidante della Lega Pokémon ma come semplice allenatore. Il
signor Lance si è
forse dimenticato quali sono gli usi che intercorrono tra allenatori di
Pokémon, a forza di vivere isolato quassù su
questa montagna?”
“Di
certo il
signor Lance è molto più garbato di
te!” sbottò la donna, tirandosi indietro;
ma d’improvviso una voce bella e profonda interruppe i loro
discorsi,
esclamando: “Il signor Lance accetta la sfida, chiunque tu
sia. No, non ho
dimenticato gli usi correnti: sono un allenatore e un
Pokémon Master, e
combatterò.”
“Lance!”
esclamò
Rosso, e scansando bruscamente l’infermiera si
precipitò contro il Campione,
scrutandolo con occhi famelici.
“Già,
Lance”
commentò quegli a bassa voce, sistemandosi i polsini di una
camicia azzurra che
aveva evidentemente appena indossato, e Rosso non seppe trattenersi
dall’ammirare la sua figura altera. “E tu
sei?”
“Rosso”
replicò
quegli.
“Rosso”
ripeté
Lance. “Molto bene. Joy, ti prego, torna pure dentro: me ne
occuperò io… va
bene, Rosso. Da dove vieni?”
“Da
Biancavilla.”
“Molto
interessante. Biancavilla, eh? Il mio padrino, il professor Oak, vive
là.
Suppongo che tu lo conosca.”
“Lo
conosco molto
bene” mormorò Rosso. “Mi ha dato lui il
mio primo Pokémon, io…ero molto amico
di suo nipote.”
“Di
Blu” disse
Lance, e i suoi occhi brillarono. “E ora non lo sei
più, eh?”
“Cosa
c’entra
tutto questo con il nostro scontro?” esclamò
Rosso, fiammeggiante di furia e
d’orgoglio. “Non perdiamo tempo, Lance!”
“Come
vuoi, come
vuoi” replicò Lance, e i suoi occhi brillarono di
nuovo, ma come di ilarità.
“Vedo che hai fretta, eh? Ma se avevi tanta fretta di
sfidarmi, perché non hai
partecipato alla Lega?”
Colpito
nella sua
debolezza, Rosso non rispose. Lance rise e suggerì, mentre i
suoi occhi
s’illuminavano di scherno: “Forse non hai battuto
qualche Capopalestra, giusto?
E allora come pensi di poter sconfiggere me?”
Ma quello
scherno
gratuito, quella freddezza, Rosso non li poteva sopportare, non li
poteva
tollerare, no: colto come da un accesso di rabbia, afferrò
un piccolo astuccio
metallico e lo gettò furiosamente per terra davanti a Lance,
là dove l’astuccio
si aprì per il rimbalzo e finì per restare
immobile. Lance abbassò lo sguardo e
con meraviglia si accorse che vi erano contenute tutte le otto medaglie
di
Kanto, l’una accanto all’altra. Le sue labbra
s’incurvarono e i suoi occhi si
appannarono, ma per un momento; poi egli risollevò lo
sguardo, ed esclamò:
“Devo dunque dedurre che hai avuto paura?”
“Paura?
Io paura
di te, Lance? Io, proprio io?”
Ora era
troppo,
troppo davvero. Era Rosso che viveva tutto isolato su un’alta
montagna? Era
Rosso che sfidava un allenatore solo dopo aver lasciato che i suoi
colleghi lo
sbranassero e divorassero talora anche per ore, mentre lui si
presentava sempre
fresco e altero? E non era forse stato lui, Rosso, ad aver affrontato
pericoli
innominabili sulla cima della Torre Pokémon o alla Silph
Spa, o ancora ad aver
combattuto contro Mewtwo, il Pokémon perfetto? Non era forse
lui, Rosso, a
portare impressi in volto i segni dell’eredità di
Missingno…? Oh, ma Lance non
sapeva nulla di tutto ciò, a Lance non importava nulla di
tutto ciò; e Rosso
urlò con tutta la furia di cui era capace: “Forse
non sono io ad aver paura,
qui, ma qualcuno totalmente incapace di accettare la sfida di qualcuno
che non
sia stato prima sbranato dai tuoi cani, eh, Lance?”
A quelle
parole,
Lance barcollò come per un colpo ricevuto. Ma si
raddrizzò subito, arrossendo
furiosamente, e gridò con voce tonante: “E allora
combattiamo subito, e potrò
dimostrarti che non sono un codardo come sembro… vai,
Aerodactyl!”
“Vai,
Blastoise!”
E
combatterono in
un vortice furioso di disperazione e di compostezza, di rabbia e di
orgoglio,
mentre gli occhi di Rosso brillavano come fiamme infernali e lo sguardo
di
Lance si faceva più duro.
“Dragonite,
Iper-Raggio!”
“Charizard…finiscilo.”
E questa
volta
gli occhi di Lance si spalancarono per la sorpresa, mentre quelli di
Rosso si
stringevano come per trattenere una gioia selvaggia, ma in qualche modo
insoddisfacente.
“Ho
vinto.”
Vide le
ginocchia
di Lance piegarsi mentre il suo corpo, percorso come da brividi di
febbre, si
piegava su se stesso. Per pochi istanti, Rosso pensò che
Lance non avrebbe
retto a quel colpo nuovo e imbarazzante per lui. Ma poi Lance si
riscosse e
sollevando una stanca mano richiamò Dragonite e rimase in
silenzio.
“Ho
vinto” ripeté
Rosso a voce più alta. “Hai capito, Lance? Io ho
vinto, io ho vinto qui! Io, io
e soltanto io sono il Campione, ora!”
Le mani
di Lance
tremarono violentemente, mentre egli si aggrappava al terreno ed
emetteva un
breve, vibrante gemito d’incredulità e di dolore:
ma com’era possibile? No, non
era vero, non poteva essere. Lui, il Campione della Lega, principe dei
Pokémon…lui, Lance, sconfitto. Alzò lo
sguardo, e Rosso gli era ormai addosso a
schernirlo, per la sua vittoria mancata, non con le parole, ma con lo
sguardo,
con l’infernale profondità dei suoi folli occhi
scuri.
“Non
è valido.”
“Oh,
sì che è
valido, Lance. Io ti ho sconfitto, io sono il vero Campione,
ora.”
“Sì,
ma…non ci
sono testimoni.”
“Come
dici?
Testimoni?” sbottò Rosso. “Sai quante
battaglie ho vinto senza i tuoi
cosiddetti testimoni? No, Lance, non mi abbagli. La cosa può
non essere
ufficiale, te lo concedo. Ma io sono il vero Campione, ora.”
“Sì,
ma io
non…non so…”
“Smettila
di
balbettare, Lance! Di cos’hai paura, che tutto il mondo
scopra che hai perso?”
D’un
tratto Rosso
vide un luccichio negli occhi di Lance, ed egli distolse per un attimo
lo sguardo.
“No”
disse
infine.
Rosso
sollevò lo
sguardo da lui: dall’Altopiano Blu si distinguevano gli
intricati percorsi di
Kanto. Si voltò e percorse con lo sguardo le alte cime
innevate del Monte
Argento e poi, più oltre, le possenti cascate Tohjo e i
primi confini della
regione delle leggende, la magica Johto.
“Nessuno
lo
saprà, Lance” disse con calma. “Non ho
alcun interesse a restarmene qui ad
Altopiano Blu a sfidare bambocci viziati, il mio posto è
lontano, aldilà di
queste montagne.”
Lance lo
scrutava
con dolorosa intensità: le sue parole risuonavano senza
gioia al suo orecchio,
suscitandogli dubbio e ansietà. Sentiva che il suo solo
scopo nella vita gli
era stato strappato, che la sua stessa identità era
crollata. Scrutava Rosso
ormai senza scopo, senza intenzione, quasi. Ma Rosso non gli badava.
“Ascoltami.
È
come dici tu, nessuno ci ha visti, non ci sono testimoni. Ma tu sai che
io ho
vinto, leggo nei tuoi occhi che sai che ho vinto. È questo
che conta, Lance:
che tu sai di non essere più il vero Campione. Ma nonostante
ciò, proseguirai
come se nulla fosse successo. Qualora…oh, non so se
accadrà… qualora tu dovessi
venire sconfitto una seconda volta, beh… mi auguro che tu
intenda farmelo
sapere.”
Lance non
rispondeva.
“Il
mio è un
ricatto, Lance” sbottò Rosso. “Guardami!
Guardami negli occhi.”
Lance lo
guardò,
e subito si pentì di averlo fatto, sentendosi sprofondare in
quei terribili
occhi malvagi. “Tu mandami il nuovo Campione, e io
manterrò il nostro piccolo
segreto. Altrimenti verrò a trovarti, Lance…e tu
capirai cosa vorrà dire
vedermi, eh, Lance?”
Oh,
quegli occhi
malvagi, terribili! No, Lance non avrebbe potuto sopportare di vederli
ancora,
di sprofondare di nuovo in quegli abissi rosseggianti di furore.
“Lo
farò” mormorò
senza forza. Rosso scoppiò a ridere ed esclamò:
“Vedo che hai paura di me! Ti
paio un indemoniato, eh? Beh, in qualche modo lo sono. Non puoi
immaginare
quale inferno mi abbia trascinato fin qui.”
“No”
convenne
Lance senza scopo. Alzò lo sguardo sul suo viso, evitando
deliberatamente i
suoi occhi, ed esclamò: “Come potrò
ritrovarti?”
Rosso
rifletté un
momento, dubbioso. Si voltò e vide le alte pendici del Monte
Argento e i
confini di Johto che attendevano il suo sguardo mutilato…
“Mi
premurerò di
fartelo sapere” disse. Lance annuì, ma non
accennò a rialzare il capo senza
forze.
“Addio,
Lance”
disse Rosso, dirigendosi a grandi passi verso Charizard, che ancora lo
aspettava immobile. “Ricordati il nostro piccolo segreto, e
ricordati anche che
io farò di tutto pur di raggiungere i miei scopi.”
Lance non
ebbe la
forza di guardare quel maestoso Pokémon prendere il volo
scatenando turbini di
vento infuocato che per poco non macerarono la sua morbida pelle. Dopo
alcuni
minuti, egli si alzò e rientrò a piccoli passi
nell’edificio…
“Joy”
chiamò.
“Joy!”
“Mi
dica,
signore” gli disse l’infermiera, ma i suoi occhi
rifuggivano quelli di Lance.
Egli si sganciò la cintura e gliela tese, mormorando:
“Prenditi cura di loro.”
“Come
desidera”
rispose Joy chinando lo sguardo.
“Dove
sono gli
altri, Joy?”
“La
signorina
Agata sta dormendo, signore.”
“E
gli altri? Gli
altri?” esclamò Lance furiosamente.
“Il
signor Bruno
è andato ad allenarsi alle Isole Spumarine, signore, e la
signorina Lorelei lo
ha accompagnato” mormorò Joy perplessa.
“Joy”
disse Lance
afferrandole le mani: “Tu hai visto tutto, vero?”
“Sì,
signore”
mormorò ella, osando appena ricambiare il suo sguardo.
“Nessuno
dovrà
mai saperlo. Raddoppierò il tuo stipendio, ma nessuno in
tutto il mondo dovrà
mai sapere che io ho perso, che io…non
sono…”
“Va
bene,
signore” disse Joy “Glielo prometto.”
“Diventerò
più
forte, non perderò mai più…oh, molto
più forte! Sfiderò di nuovo quel ragazzo,
tornerò il Campione… e questa sarà
stata solo una breve parentesi
insignificante nella mia vita. Oh, ma no, non posso rivedere quegli
occhi… Joy!
Questo resterà un segreto tra noi tre, e morirà
con noi.”
Eccoci di nuovo qua, a scrivere
sperando di smaltire i pranzi delle feste! Grazie a nihil no kami della
nuova recensione.
Come al solito spero in commenti di
qualsiasi genere, positivi o negativi. A presto!
Afaneia.
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Capitolo 14 *** Monte Argento. ***
I mesi
ripresero
poi il loro flusso costante che Rosso conosceva bene, ma egli ormai
aveva
abbandonato da tempo le frontiere di Kanto: egli ora esplorava una
regione bellissima
e ricolma di leggenda e di mistero, Johto, Johto la patria di Celebi,
Johto la
Terra delle due Torri e dei Pokémon scomparsi.
Aveva
ormai
ripreso il suo viaggio da eremita, segnato da accampamenti freddi e
umidi e da
nottate trascorse in viaggio, senza fermarsi; aveva ripreso il suo
consueto,
abitudinario silenzio, le sue squallide tappe nei luoghi più
cupi e deserti. Si
sentiva ormai distante dal resto del mondo, dalle voci, dalla musica,
dalla
vita vera. Trascorreva la propria in una condanna perenne, in un
isolamento
pressoché completo.
Valerio,
Raffaello, Chiara, Angelo, Jasmine, Furio, Alfredo, Sandra. Sconfisse
ogni
Palestra senza vitalità né entusiasmo, con una
foga che non aveva a che fare
con la passione, solo per dimostrare a se stesso (e a Ho-Oh) di cosa
era
capace. Ma molti e forse troppi furono i giorni che trascorse ad
Amarantopoli,
esplorando senza sosta i recessi più profondi della
misteriosa Torre di Latta
senza poterne raggiungere la cima, oppure domandando e interrogando un
vecchio
dopo l’altro per indagare le origini della leggenda.
Ma quando
il suo
corpo spossato reclamava a gran voce le qualche ora di riposo e un
po’ di pace,
ed egli era costretto ad accamparsi in qualche luogo, allora i suoi
sogni erano
popolati da immagini e voci terribili e contrastanti, da una parte una
voce
malvagia e penetrante, e dall’altra un dolce volto di uomo
che lo scrutava. Per
questo motivo Rosso non dormiva quasi mai.
Ma non
trascorse
poi molto tempo a Johto, che abbandonò quando
capì che non era quello il modo
di vedere Ho-Oh. E dove, dove, dove andare allora?
A poco a
poco,
furono il suo stesso odio per la folla e il suo amore della solitudine
a
indicargli la strada. Ogni giorno egli si avvicinava di più
a quelle falde
gelide, a quei pendii imbiancati; giorno dopo giorno, egli
guadagnò la cima del
Monte Argento, e là rimase, circondato da forti
Pokémon selvatici coi quali
allenarsi in solitudine.
Ma poi
finirono
per passare gli anni, e di rado Rosso si allontanava dal suo triste
eremitaggio
tra la polvere e il nevischio perenne, eremitaggio che si dimostrava
nei suoi
tristi occhi cerchiati di scuro e ardenti, nella sua voce ormai
arrochita dal
tempo e dal disuso, nel suo volto pallido e scavato ma ancora
meravigliosamente
bello, per quanto ansioso e tormentato.
Talora,
quando
proprio non ne poteva più di restare così lontano
e isolato, si recava,
irresistibilmente, sul vulcano di Isola Cannella, e là
trascorreva lunghe ore
senza scopo. Non sentiva più quell’insistente
presenza chiamare, e tuttavia mai
e poi mai accennò a credere che fosse stato tutto un sogno:
ovunque andasse,
sentiva l’occhio di Missingno puntato su di lui.
Poi venne
il
giorno in cui Blu scoprì che Rosso si recava di frequente
sul vulcano, e
cominciò a recarvisi a propria volta per attardarvisi per
ore e ore, finendo
coll’allontanarsi per la noia o, talora, col fuggire dopo
averlo visto da
lontano mentre si avvicinava. E Rosso cominciò ad andare
sempre più di
frequente sul vulcano, di solito nelle ore del tardo pomeriggio, quando
era più
facile avvistare
Blu (sebbene non fosse
questa la scusa che egli offriva a se stesso).
La vita
di Rosso
trascorse così dunque per quattro anni, poi si
verificò qualcosa che la
modificò e che diede inizio all’ultima fase della
sua missione.
Quel
giorno si
sarebbero svolte le finali della Lega Pokémon, e Rosso
discese la china del
Monte Argento per recarsi al centro Pokémon sulle sue
pendici. Era un locale
molto piccolo, e a dire il vero molto poco frequentato,
poiché difficilmente
persone si recavano al Monte Argento. Perciò Rosso non si
stupì di essere
avvolto da una magra penombra al suo ingresso.
“C’è
nessuno?”
gridò guardandosi attorno; a tentoni raggiunse un
interruttore sulla parete e
lo premette. Il brusco accendersi delle luci gli rivelò la
solita stanza
squallida e vuota, che ormai conosceva bene. Si avvicinò al
bancone, chiamando:
“Joy, ehi, Joy!”
“Rosso…sono
qui”
gli disse d’improvviso una nota voce dalle sue spalle. Egli
si volse, ed ecco
l’infermiera in piedi immobile davanti a lui: “Non
ti aspettavo” gli disse
appoggiando al muro una scopa. “È un po’
che non ti vedevo. Come stanno i tuoi
Pokémon?”
“Bene.
Non è per
loro che sono qui” rispose Rosso con calma. “Mi
domandavo soltanto se posso
usare la televisione del Centro per assistere alla Lega.”
Joy
girò il capo
da un lato e guardò la porta che conduceva a una stanza buia
ed evidentemente
in disuso. Disse: “Mi spiace, Rosso, purtroppo il televisore
della sala
allenatori è rotto, e non l’ho fatto riparare
perché nessuno viene mai qui… ma
ascoltami, posso farti venire di là con me, nella cucina, e
possiamo guardarla
insieme da lì. La tv è un po’
più piccola, ma si vede molto meglio.”
“D’accordo”
rispose Rosso alzando le spalle. “A me basta sapere che
succede. Ma tanto
vincerà Lance.”
“Oh,
non saprei,
Rosso…quest’anno c’è gente in
gamba. Una ragazzina di Borgo Foglianova, che in
linea d’area non è molto lontano da qui.”
Rosso
aggrottò la
fronte e non rispose.
Si
recarono in
cucina e accesero il televisione. Era vero, si vedeva bene a
sufficienza per i
loro scopi: Rosso distingueva bene ciascuna persona nel pubblico.
“Stai
parlando
dell’accesso alle finali?”
“Sì,
una ragazza
in gamba, ti dicevo… una di Johto, insomma, con tutte le
carte in regola e
senza appoggi in famiglia, comunque. Alle eliminatorie si è
distinta niente
male.”
Rosso
continuava
a non rispondere: scrutava i Capipalestra tra il pubblico, e tra essi
c’era
Blu, che indicava qualcosa a Brock, seduto al suo fianco, e parlava ad
alta
voce. Rosso distolse lo sguardo.
Iniziava
lo
spettacolo, e Rosso vide finalmente questa famosa sfidante di Johto.
Vide una
ragazza piccola e piuttosto bella, vestita semplicemente, schierarsi
contro la
bella Lorelei e abbatterla a furia di colpi.
“Hai
visto, eh,
Rosso? Non se la sta cavando male.”
No, se la
cavava
bene, perché no? Rosso seguì i suoi movimenti
mentre un possente Gyarados
shiny, curiosamente obbediente, si faceva largo sui Pokémon
di Bruno; poi vide
il suo Pokémon migliore, un meraviglioso Thyplosion, che
sconfisse senza
problemi i Pokémon dell’austera Agata.
“Niente
male”
mormorò Rosso, aggrottando la fronte. “Ma Lance
è un’altra storia.”
Venne
indetta
l’ora di pausa regolamentare, sebbene fosse chiaro che la
ragazza non ne aveva
bisogno; essa si riparò all’ombra e là
rimase in silenzio.
“Come
hai detto
che si chiama quella ragazza, Joy?” domandò Rosso
nel frattempo.
“Hanno
ripetuto
il suo nome una dozzina di volte!” protestò Joy.
“Non l’hai sentito, eh? Si
chiama Luisa.”
No, Rosso
non
aveva sentito: la sua mente era rimasta chiusa ai suoni, aperta
soltanto alla
battaglia in corso. Uscì dal centro per respirare un
po’ d’aria fresca; si
sedette su un duro blocco di roccia e chiamò il suo
Charizard, ormai
potentissimo e leale. Lo accarezzò, mormorando:
“Quella ragazza è molto
interessante, eh, Charizard, mio caro Charizard? Se la cava bene, ma
ora
bisogna vedere come andrà con Lance. Comunque voglio
conoscerla, mio caro:
sembra molto potente.”
Ma poi
finì per
rientrare dento, per mangiare un boccone con l’infermiera Joy
mentre le riprese
riprendevano: si era ormai fatta l’una del pomeriggio, e
Luisa e Lance
avrebbero combattuto sotto il sole cocente.”
“Vai,
Dragonite!”
“Vai,
Thyplosion!”
“Dragospiro!”
“Lanciafiamme!”
Esplosioni
e
botti e turbini di fiamme, ed entrambi sbraitavano ordini tra il fumo e
il
fuoco.
“Ruotafuoco!”
“Forzantica!”
Che
attacchi, che
spettacolo! E infine il Pokémon più potente,
l’ultima, disperata carta di
Lance, che negli occhi aveva lo sguardo che Rosso gli aveva visto;
l’ultimo
attacco, il suo attacco più potente e disperato…
“Iper-Raggio!”
“Lanciafiamme…finiscilo.”
E poi, di
nuovo,
quello sguardo disperato e cupo che Rosso ricordava, ma non
più incredulo,
ormai, piuttosto richiamato come da un ricordo antico e doloroso,
mentre Lance
arretrava un passo dopo l’altro senza potersi trattenere. Ma
subito le
telecamere si spostarono, si concentrarono sulla ragazza inginocchiata
accanto
al suo Typhlosion, con gli occhi luminosi e ricolmi di gioia e
felicità: essa
rideva senza timore di scottarsi le mani sul suo corpo bollente, sulle
fiamme
della sua gola…ed erano amici, loro due, e Rosso lo leggeva
nel muso del
Pokémon e negli occhi grigi e vivi della ragazza. Era
felice, felice davvero in
quel momento: era la Campionessa, la Campionessa di
diritto…Rosso non poté fare
a meno di pensare che al suo posto, quattro anni prima, non era stato
così
felice…
“È
perché non
c’erano testimoni” sbottò Rosso,
alzandosi in piedi. Joy sollevò sorpresa gli
occhi su di lui, domandando: “Rosso, che cosa
succede?”
“Niente…niente”
mormorò Rosso, cominciando a camminare avanti e indietro
nella piccola cucina
del Centro. Joy non distoglieva lo sguardo da lui.
“Rosso,
ti
senti…ti senti bene?”
“Sto
benissimo!”
ruggì Rosso, afferrandosi il capo con le mani. Joy
rabbrividì al suo sguardo,
ma si trattenne dal replicare. Dallo schermo provenivano ovazioni, urla
esaltate e grida, e la bella ragazza esultava e Lance si sforzava di
trattenersi; Rosso tornò a guardare, e vide che come tanto
tempo prima Lance
prendeva il microfono. Ma ora Lance parlava con voce tremante, incerta:
“Oggi
assistiamo alla nascita di un nuovo Campione. Oggi per la prima volta
Luisa
avrà accesso con me alla Sala
d’Onore…per la prima volta, un nuovo
Campione…”
“Oh,
Santo
Dio…SPENGI!” ululò Rosso, rivolto alla
ragazza che sorrideva meravigliosamente
in primo piano, così felice e soddisfatta di
sé…. “SPENGI!”
“Rosso!
Dimmi che
cosa succede!” esclamò la donna balzando in piedi.
“Rosso!”
Spense la
televisione e Rosso smise di urlare. Subito Joy gli fu addosso e lo
afferrò,
chiedendogli: “Rosso, Rosso, santo cielo, come
stai?”
Ora Rosso
boccheggiava, sentendosi crescere dentro come una tormenta di rabbia e
di
dolore; sentiva vorticare dentro di sé quel dolce, fiero
sorriso della ragazza,
la voce di Lance, gli scoppi e le fiamme, sentiva tornare da un passato
remoto
il prolungato gemito di Lance e la propria sorda, fredda,
insoddisfacente
consapevolezza di vittoria, che contrastava con la felicità
sconfinata di
quella ragazza. Poi tutto passò, ed egli si
afflosciò tra le braccia di Joy,
ansimante. La donna lo appoggiò al tavolo, ed egli
respirò.
“Sto
bene ora”
disse. “Lasciami.”
“No,
Rosso.
Vorrei prima farti un controllo.”
“Sto
bene, non si
vede?”
“Forse
stai bene”
rispose Joy “Ma desidero accertarmene.”
Lo fece
sedere
sul tavolo, gli tolse il giaccone e la maglietta; lo
auscultò, lo fece
respirare. Niente.
“È
vero, Rosso,
stai benissimo” disse. “Ma non capisco cosa ti sia
accaduto, sembravi…sembravi
un pazzo.”
“Lo
sono” pensò
Rosso, ma non lo disse. Scese dal tavolo e si rivestì:
all’esterno gli avrebbe
fatto molto freddo.
“Mi
spiace di
averti portato molto disturbo, Joy” disse Rosso.
“Ora me ne vado via, ma tu non
preoccuparti. Grazie per la tv e per il pranzo, grazie per
tutto.”
“Nessun
disturbo,
Rosso. Sono sempre sola qui” rispose Joy, per nulla
rassicurata dalle sue
parole. Rosso si diresse subito alla porta, e suo malgrado Joy lo
accompagnò
fuori. Rosso tirò fuori il suo Charizard e si
preparò a volare fin sulla cima
della montagna: non aveva voglia di arrampicarsi, quel pomeriggio.
“Rosso”
gli disse
Joy con urgenza “Ricordatene. Qui c’è
sempre posto per te.”
“Lo
so” rispose
Rosso con calma. “Lo so, Joy, ma tu non preoccuparti se non
mi vedi: vuol dire
che sto bene.”
“O
che non vuoi
venire” mormorò Joy, ma Rosso non le
prestò attenzione: egli salì sul dorso di
Charizard e la salutò con la mano nello spiccare il volo.
Raggiunse
la cima
del Monte Argento, riprese la via della grotta che ormai ben conosceva
e là
rimase in silenzio per ore e ore.
Quella
ragazza,
quella Luisa aveva vinto, aveva sconfitto Lance. Campionessa ufficiale,
d’accordo,
ma non di fatto, e Rosso si chiese se, nei minuti trascorsi con lei
nella
misteriosa Sala d’Onore, Lance avesse trovato il coraggio di
dirle la verità.
La
verità, già,
la verità.
Doveva
esserci un
vecchio blocco di carta nello zaino, e una penna: Rosso li
cercò e li trovò. La
carta era umida ma asciutta, la penna scriveva, ma non molto bene. Ma
Rosso
scrisse egualmente questo biglietto:
“Resterò all’interno
della grotta
sulla cima del Monte Argento per tutto il tempo necessario.
Rosso.”
Sì,
poteva
bastare, era sufficiente. Rosso consegnò il biglietto a
Charizard e gli disse: “Mio
caro, questo biglietto deve riceverlo Lance e Lance soltanto. Vola fino
all’Altopiano
Blu, trova Lance e consegnaglielo; poi torna qui.”
Charizard
aveva
capito. Pochi minuti dopo, esso volava in direzione
dell’Altopiano.
Eccomi di
nuovo
qua! Non manca molto alla fine della storia, almeno in teoria,
perciò sarete
sollevati che entro breve mi leverò di torno! ;)
Un
rinnovato
ringraziamento a nihil no kami per la recensione.
A presto!
Afaneia
:)
|
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Capitolo 15 *** Lei o lui. ***
Era
notte, e gli
occhi di Rosso e la coda del suo Charizard ardevano nel buio con pari
forza. Si
libravano nell’Altopiano Blu, in alto, presso le finestre
dell’ultimo piano;
una era appena accostata. Rosso entrò.
La camera
era
immensa e persa nel buio, ma a Rosso interessava solo un letto rotondo
che
distingueva appena nell’oscurità. Si
avvicinò e vide una sagoma addormentata
tra le fresche lenzuola aggrovigliate: lunghi capelli spiovevano su un
cuscino
bianco. Vi era una sedia accanto al letto. Rosso vi si
appollaiò sopra e
attese, mentre il suo respiro si faceva sempre più forte e
impaziente.
A poco a
poco,
percependo un’insistente presenza di fianco al letto, Lance
si svegliò e scrutò
le ombre nel dormiveglia. Ma in breve il suo sguardo
incrociò gli occhi rossi e
furiosi di Rosso, che ardevano senza posa
nell’oscurità, ed egli si rizzò
bruscamente.
“Sht…fai
piano”
disse Rosso a bassa voce.
“Che
ci fai qui? Come
hai fatto a entrare?”
“Sono
entrato
volando” mormorò Rosso. Lance guardò la
finestra aperta stagliata contro il
buio e fece per parlare: “Ma…”
“L’allarme
esterno si vede benissimo. Il calore della coda di Charizard
l’ha fuso senza
che ci dovessimo avvicinare troppo.”
“Che
cosa vuoi da
me?”
“Luisa
non è
ancora venuta.”
“Non…io
non c’entro.”
“Tu
non glielo
hai detto!” ruggì Rosso, protendendosi
minacciosamente in avanti. Lance si tirò
istintivamente indietro.
“Non
sapevo dove
ti trovasse e… e poi… è solo una
ragazzina.”
“Il
Mio Charizard
ti ha consegnato un biglietto per dirti dove mi trovavo, so che lo hai
ricevuto, Lance! E poi… Ragazzina! Ma se io ero
più piccolo di lei quando ti
sconfissi, quattro anni fa…”
“E
allora va’ tu
a cercarla! Io non c’entro!” sbottò
Lance.
“Oh
sì, Lance,
che c’entri! Sì è mai sentito dire,
forse, di un Campione che va da solo a
cercare i suoi sfidanti? No, Lance. Io sono il vero campione di Kanto e
Johto,
io, io e soltanto io. Non comportarti da pazzo, Lance! O
vedrò di dimostrare
che io ti ho sconfitto, quel pomeriggio di quattro anni fa, e allora
sì che
passerai dei bei guai!”
Lance
restava
immobile, in silenzio sul letto, lo sguardo fisso sulle invisibili
trame delle sue
coperte. Infine parlò: “Molto bene,
poiché è questa l’unica possibile
soluzione. Domani farò di tutto per contattare Luisa, che
ormai è riuscita a
sconfiggere tutti i Capipalestra di Kanto…e le
dirò la verità.”
“I
Capipalestra
di Kanto?” mormorò Rosso con voce trasformata.
“Tutti quanti?”
“Certo,
tutti”
replicò Lance. “Ne dubitavi?”
“Anche
Blu,
dunque?”
“Certo,
anche
Blu. È andata personalmente a scovarlo sull’Isola
Cannella. Un tipo tosto, la
ragazza! Viene spesso al piano di sotto, che come sai è
aperto al pubblico, ma
non la vedo quasi mai di persona. Viene sempre di notte.”
“Ha
sconfitto
Blu? Quanto ci ha impiegato?” sussurrò Rosso,
confuso.
“Oh,
non ne ho
idea. Santo cielo, Rosso! Non capisco chi ti interessi di
più, se lei o lui. Ma
sappi che è forte, è forte sul serio.
Più del tuo caro Blu, con i suoi occhi
cupi.”
“Va
bene” disse
Rosso. “Va bene. Guardami (E Lance lo guardò
rabbrividendo negli occhi). Ora me
ne andrò, e non conto di tornare presto qui,
purché tu mantenga il tuo patto. Siamo
d’accordo, Lance?”
“Come
vuoi” disse
Lance. “Ora vattene!”
Rosso
corse alla
finestra, la scavalcò, si gettò nel vuoto. Un
attimo dopo, un possente
Charizard si lanciava in volo verso sud, verso Isola Cannella.
Questo
capitolo è
brevissimo, ma non mi era possibile accorparlo a nessun altro in modo
da farne
uno di lunghezza decente, perché cronologicamente e
logicamente questo è un
piccolo blocco a sé stante, costruito per restare tale. Io
non scrivo per
capitoli, ma come mi viene fuori; e quando sono giunta a ricopiare
questa parte
ho capito che non potevo accorparla alla seguente, perciò se
ne viene fuori
così.
Piccola
precisazione: nella storia Rosso fa riferimento a se stesso come al
“campione
di Kanto e Johto”. Per quale motivo ciò?
Semplicemente, nel mio ormai
proverbiale Pokémon Cristallo esiste una sola lega, quella
di Johto, alcuni
membri della quale sono gli stesso di R/B/G; il luogo è lo
stesso, Altopiano
Blu, e vi si accede tramite la Via Vittoria. Dunque io ho sempre
considerato la
Lega di Kanto e Johto come un unicum, insomma, la stessa cosa. Ho
voluto fare
questa precisazione perché non ho idea di come il manga e
l’anime mettano le
cose, perciò non volevo creare confusione ^^
Grazie a
nihil no
kami per la recensione. A presto!
Afaneia
:)
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Capitolo 16 *** Di odio e di dolore. ***
Pikachu
scorrazzava tranquillo sulle dure rocce della caverna, scintillanti
nella luce
degli occhi di Espeon che lo inseguiva così, per gioco. E
gli altri suoi
Pokémon giacevano o giocavano in un angolo della grotta,
rincorrendosi accanto
al corpo enorme di Snorlax addormentato. Rosso era seduto su una
roccia,
mangiando biscotti al cioccolato che, di tanto in tanto, qualcuno
veniva a
rubargli dalle mani.
“Santo
cielo,
Espeon! Se quassù non c’è quel tizio
come mi ha detto Lance, giuro che lo porto
a calci in culo fin quassù!”
Un
istante dopo
aver udito questa voce, Rosso era in piedi e i suoi Pokémon
erano schierati al
suo fianco. Gli occhi di Rosso si strinsero, mentre egli percorreva con
lo
sguardo l’entrata della caverna. Rumore di rocce smosse, di
ghiaia che
scivolava e si rincorreva negli abissi del Monte Argento, soffice
tramestio
scricchiolante di neve calpestata; poi Luisa apparve nella pozza di
luce
bianca, luminescente, che si spalancava davanti all’entrata
della grotta,
affiancata da un Espeon di notevoli proporzioni, piuttosto bello.
“Benvenuta,
Luisa
che sconfiggesti Suicune!” esclamò Rosso con aria
di malignità, prima ancora
che la ragazza avesse modo di penetrare realmente all’interno
della galleria.
D’improvviso
la
ragazza si rizzò, colpita, e i suoi limpidi occhi grigi
percorsero la grotta,
soffermandosi su di lui, lui alto e bello stagliato con aria malvagia
su quella
roccia. “Rosso!” Balzò in avanti,
ritirando il proprio Espeon. Rosso scoppiò a
ridere.
“Finalmente
c’incontriamo, Luisa! O preferivi che fossi l’unico
in tutta Kanto a non
poterti sfidare, proprio io, il Campione di Kanto e Johto?”
“No,
Rosso”
esclamò Luisa, attraversando di corsa la grotta; Rosso vide
che era agile e
aveva una forte muscolatura. “Semplicemente non sapevo chi tu
fossi; e non
credo di saperlo neanche ora, a dire il vero, sebbene sia chiaro che tu
conosci
me, poiché a quanto pare avresti dovuto esserci tu, quel
giorno, nell’Arena
delle Battaglie, di fronte a me…”
“Vedo
che hai
capito” disse Rosso. “È così,
è come ti ha detto Lance: io l’ho sconfitto anni
fa, sul selciato dell’Indigo Plateau, io sono il solo
Campione di Kanto e
Johto, ed è me che dovrai sfidare, se intendi diventare la
vera
Campionessa…anche se non credo che tu possa ottenere molto,
sfidandomi”
soggiunse, guardandola fissamente. “Io non ho mai
perso” disse lentamente.
“Allora
questa
sarà la prima volta, mio caro” esclamò
Luisa, brandendo una Pokéball. “Facciamo
parlare i nostri Pokémon, Rosso, poiché questo
è il miglior modo per
conoscersi.”
“Ah!
Come vuoi”
esclamò Rosso, e voltandosi verso la sua forte squadra,
esclamò: “Vai,
Pikachu!”
Immediatamente
il
suo Pikachu fu davanti a lui, schierato con la coda erta e le orecchie
frementi
di energia statica contro la ragazza.
“Vai,
Thyplosion!”
“Tuonoshock!”
“Fuocobomba!”
“Ah!
Tanto non
potrai mai vincere contro di me, Luisa. Fulmine!”
“Ruotafuoco!”
“Vai,
Blastoise!”
“Oh,
questo è
sleale! Vai, Dragonite!” esclamò Luisa, scoppiando
a ridere. Rosso vide che era
bella e che combatteva con la sua stessa foga. La grotta fu invasa
dall’ingombrante presenza di un possente Dragonite che si
scagliò contro
Blastoise.
“Che
bell’esemplare! Idropompa!”
“Dragospiro!”
“Raggiaurora!”
“Iper
Raggio!”
E per la
seconda
volta in vita sua Rosso sentì che stava perdendo terreno,
che dinanzi a lui una
furia inarrestabile stava travolgendo, devastando tutto senza sosta. Ma
come
poteva arrendersi?”
“Venusaur,
Foglielama!”
“Braciere!”
Quale
umiliazione, vedere per la prima volta i suoi Pokémon cadere
uno dopo l’altro,
lui che non era mai stato sconfitto, se non da un solo!
“Psichico!”
“Idropompa!”
Espeon
contro
Gyarados, l’uno e l’altro shiny, il verde e il
rosso, mentre la grotta si accendeva
di dorate scintille splendenti come stelle. Ed Espeon cadde di nuovo
come tanti
anni prima, come contro Mewtwo e i bagliori azzurri dei suoi
occhi…
“Body-Slam!”
“Forzantica!”
“Ah,
ma ti
sconfiggerò, quant’è vero Dio, Luisa!
Questa è la mia ultima carta e stavolta
non perderò…vai, Charizard!”
“Il
tuo primo?”
domandò Luisa con occhi attenti, scrutando il gigante
davanti a lei. “E sia! Io
combatterò col mio. Vai, Thyplosion!”
Aveva
già
combattuto, ma per la prima volta Rosso vide il confronto tra quei due
Pokémon
di fuoco e di forza, entrambi belli e imponenti, ma in modo diverso,
entrambi
fieri e orgogliosi in egual modo, ma di carattere e forza diversi,
segnati da
due destini opposti e contrastanti, vittoria e sconfitta.
“FUOCOBOMBA!”
Ed era lo
stesso
grido su due bocche diverse, lo stesso attacco da due fuochi diversi,
ma che si
fondevano e s’intrecciavano, indistinguibili, così
che la grotta arse di fiamme
ardenti e incalzanti, così che le pietre divennero bollenti
sotto di loro…
“Thyplosion!”
“CHARIZARD!”
E il suo
grido
lacerò l’aria ardente della grotta di fuoco,
mentre d’un tratto le fiamme
cessavano e tutto intorno il rumore si faceva silenzio.
“Ho
perso.”
Per quale
motivo
tutto era silente quando il suo cuore urlava, in quella grotta ora buia
e quieta?
Com’era possibile che lo sentisse solo lui il grido
straziante del suo animo
lacerato?
“Ma
come…?”
“Non
era
abbastanza” disse Luisa. Ma restava immobile sulla dura
roccia e i suoi occhi
non esprimevano gioia, né scherno: era ferma e pareva
compatirlo. “Era tanto,
era quasi troppo. Di certo era troppo per Lance, senza dubbio, ma non
per me.
Sono io la Campionessa di Kanto e Johto, sono io la
migliore…”
“NO!
Solo io il
migliore, io devo essere il migliore,
perché…”
Un grido,
una
fitta di dolore: Rosso si piegò in due e rotolò
sulle rocce polverose, rovinò
sul terreno arroventato, mentre i suoi occhi s’illuminavano
di fiamme ed egli
si premeva sulla testa le mani bianche e scosse…
“No!
Vattene, ti
prego, vattene! Vattene via, ti prego!”
“Rosso!”
urlò la
ragazza, di colpo spaventata, lanciandosi attraverso la grotta. Si
chinò
accanto a Rosso, che ululava accasciato sul terreno con gli occhi
spalancati,
dilacerati…
“Mi hai forse dimenticato?”
“No!
No, mai, ma
ora vattene via!”
“Rosso!
Che cosa
dici?” esclamò Luisa, afferrandogli il viso.
“Con chi stai parlando…?”
“No!”
urlò Rosso,
e sollevandosi d’un colpo afferrò con la mano il
polso della ragazza; ma a quel
contatto il suo urlò si spense. Egli si ritrovò
d’un colpo sudato, ansimante,
sul duro terreno roccioso, aggrappato al polso di una ragazza che lo
aveva
appena sconfitto. La guardò con occhi colmi di dolore.
“Con
chi
parlavi?” mormorò Luisa. Lo scrollò ed
esclamò: “Rosso, che cosa è
accaduto?”
“È
lui” disse
Rosso. “È ancora qui.”
“Lui?
Rosso! Ma
se siamo soli, io e te!”
“Tu
non capisci,
lui è…” Ma Rosso, che faceva per
toccarsi la fronte, ammutolì d’un colpo.
Guardò Luisa e balzò in piedi, si
allontanò; i suoi occhia arsero di nuovo, ma
di odio e di dolore.
“Vattene”
esclamò
“Non tornare mai più!”
“Rosso,
ma tu…hai
bisogno di aiuto!”
“Non
il tuo”
disse Rosso. “Vattene.”
“Ascolta,
ti
porto dove vuoi…”
“NO!
Io diventerò
il miglior allenatore del mondo, e non ho bisogno di te!”
“Ma
hai avuto…hai
fatto…Rosso, tu hai bisogno del mio aiuto, non intendo fare
nulla, voglio solo
portarti in qualche posto sicuro…”
“No!
Non voglio
aver nulla a che fare con te, sei solo una nemica per me. Se non vuoi
andartene
me ne andrò io, ma non voglio la tua
pietà!”
Ritirò
Charizard,
ormai sconfitto e accasciato al suolo, lucido e cosciente, ma arreso.
Luisa era
in piedi dinanzi a lui, ma Rosso la spinse da parte.
Proseguì verso l’uscita
della grotta e si gettò contro la tormenta. In pochi istanti
era scomparso
nella neve.
Salve a
tutti e
buon anno nuovo!
Questo
sarebbe il
penultimo capitolo di questa storia, ossia mancherebbe solo un piccolo
epilogo.
Vi è tuttavia un piccolo problema, ossia che
l’epilogo dà per scontati alcuni
lunghi episodi che si svolgono in circa due anni della vita di Rosso e
che
vengono narrati nella storia principale cui questa spin off fa
riferimento. Ora
come ora non ho idea di come rendere noti ai pochissimi lettori tali
fatti, che
io considero davvero necessari per comprendere l’epilogo, se
con un sunto a
inizio capitolo (sminuendo un po’ il complesso, dunque) o se
piuttosto introdurre
qualche capitolo “extra” tratto dalla principale,
finendo però coll’incasinarmi
con decine di riferimenti…
Insomma,
non so
che fare. Ci penserò in questi pochi giorni di festa in cui
non penso di
postare; comunque se qualche lettore decidesse di dare un suggerimento
o un’opinione
al riguardo l’accetterei volentieri (anche se non ci spero
troppo xD).
Comunque,
grazie
ancora a nihil no kami per le recensioni.
Ancora un
buon
anno a tutti! E ricordatevi: chi recensisce a capodanno, recensisce
tutto l’anno!
(no, non è una minaccia!)
Afaneia :)
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Capitolo 17 *** Il giorno di Missingno. ***
Rosso
sedeva
immobile vicino a quella finestra, e il suo sguardo vagava lontano,
raggiungeva
il mare con le sue onde nere e le sue spume d’argento che si
frangevano sugli
scogli, ma andava più lontano, raggiungeva le
sommità dell’Isola Cannella con
il suo vulcano furibondo e con la sua storia tormentata e infinita, con
i suoi
misteri e i suoi morti, con i suoi segreti e forse con i suoi dolori.
Poi i
suoi occhi, bisognosi di riposo, si chiudevano sulle stelle. Ed egli,
immobile,
fissava quel cielo notturno e infinito, perdendosi nei suoi apparenti
limiti,
cercando invano un punto cui appoggiarsi.
“Non
vieni a
letto?”
Rosso si
voltò, e
vide Blu immobile sull’ultimo gradino, in mutande e
vestaglia. Blu, il suo
caro, amato Blu, con le sue voglie insaziabili e il suo amore infinito,
come le
stelle, così caro, così vicino, eppure ancora
così distante.
“È
molto tardi.”
“Tra
un po’
vengo.”
“Ti
tengo un po’
compagnia?”
“Se
vuoi.”
Blu lo
raggiunse
e si appoggiò al suo braccio. Anch’egli guardava
il cielo, ma ciò che vedeva
era diverso: era un infinito che non andava sondato, che non importava
sondare;
era un cielo amato e ormai conosciuto; era un infinito, ma meno
infinito
dell’universo che poteva aprirsi in quella casa, in quelle
stanze. Era un po’
meno grande del suo amore.
“Vuoi
ripartire,
non è vero?” chiese con voce infranta, lo sguardo
infisso nella notte.
Rosso
sospirò, e
chinando lo sguardo disse: “C’è una
parte del mio cuore che brama l’avventura;
c’è una parte del mio cuore che vuole andare
lontano, che non vuole rassegnarsi
a restare qui.” Era la parte del suo cuore che ancora non
poteva dimenticare
Missingno, pensò, e per un attimo lo attraversò
l’idea di raccontargli la
verità, anche quella verità.
Ma no, si
disse sorridendo, era una sciocca idea. Voleva soltanto abbandonare
Missingno,
dimenticarlo, liberarsi anche di quell’ultimo spettro che lo
legava al passato.
E anche se così non fosse stato, anche se non avesse potuto
cancellare
Missingno dalla memoria, poteva almeno rinunciare a tutta la sua
eredità: ai
viaggi, all’ambizione, alle notti insonni e tormentate. Vi
era già, ormai, chi
si era votato a Missingno: sapeva che Luisa sarebbe andata, lo avrebbe
trovato.
Era lei la Prescelta Creatura che Missingno cercava dalla notte dei
tempi, era
lei che aveva sempre voluto trovare, e che lui infine gli aveva
consegnato. Ma
era giusto così, pensò, era stata la sua parte di
storia: lasciarsi attrarre
dalla forza di Missingno, attraversare la Città dei Numeri,
lasciarsi
coinvolgere, trascinare dalla leggenda della Prescelta Creatura, fino a
invischiarvisi, fino a perdervisi; e poi, dopo una vita di dolore e di
tormento, passare il testimone, fare in modo che Luisa andasse nella
Città dei
Numeri, che potesse perdersi a sua volta nel mistero di Missingno. Ma
Luisa ce
l’avrebbe fatta, pensò Rosso, era forte, lei, non
era sola, lei, e avrebbe vinto,
come sempre, come su tutto. E lui, Rosso, era stato fino alla fine lo
strumento
della volontà di Missingno, ma ora sentiva che il suo
compito era finito, si
era concluso; e non aveva dimenticato le parole di Missingno:
“tu sarai
ripagato di tutte le tue fatiche e i tuoi dolori, e godrai di una
felicità pari
all’infelicità che ti accompagnerà nei
prossimi anni.” E ora sentiva che era
arrivato il giorno di Missingno.
“Questa
volta
vengo con te” disse Blu.
“No”
replicò
Rosso, voltandosi d’improvviso; e Blu si spaventò
nel vedere, per un attimo, un
lampo rosso attraversargli gli occhi; ma poi il riflesso dei suoi
capelli si
spense, ed egli si rasserenò. “No, Blu, non
partirò, non intendo partire. C’è
un’altra parte del mio cuore, la più importante,
che ha trovato la sia
felicità; e io non intendo farmela scappare. Tu sei la mia
felicità; voglio che
tu sia la mia vita; e non c’è cosa al mondo che
possa guarirmi, se non il tuo
amore, e ora è tutto ciò che voglio. Ti
amo.”
Blu
sorrise d’improvviso,
e i suoi occhi parvero d’un tratto illuminarsi e tornare
limpidi e sereni, come
tanti anni prima, e forse ancora di più: per lui tutti i
fantasmi erano morti,
tutto il passato era trascorso e aveva costituito il presente, ed era
un
presente che sentiva di meritare, un presente reale in quegli occhi
neri.
“Ti
amo, Rosso.”
Un
presente che
Rosso intendeva dargli, finalmente.
Owari.
Eccoci
giunti
alla fine. Che dire? Mi è piaciuto postare questa storia,
è una piccola parte
di me nella quale mi sono sempre riflessa molto intensamente, e mi
è piaciuto
vedere che non ha suscitato impressioni completamente negative.
Comunque,
alla fine
come i pochi superstiti avranno capito, ho deciso di seguire il
consiglio di
nihil no kami (che peraltro ringrazio sentitamente per il continuo
supporto e
le recensioni) di postare l’epilogo senza riferimenti, dato
che è stato l’unico
a esprimere un suo parere. Ho inoltre deciso di postare
altresì la storia
originale, ma per quella ci vorrà un tempo molto
più lungo rispetto a questa: è
più lunga, incompleta e per di più un
po’…mmmm…infantile, già,
poiché la
scrivevo solo come passatempo. E in effetti la scrivo tuttora come
passatempo.
Ebbene,
quando
alla fine la posterò, tra qualche giorno, sarà
pubblicata col titolo originale
di “Prescelta Creatura”, nel caso qualcuno volesse
darci un’occhiata. Nel
frattempo, mando a tutti i lettori superstiti un abbraccio e un bacio:
grazie
per essere giunti fin qui.
Afaneia.
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