Storia di Rosso e di Blu.

di Afaneia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fuoco e l'acqua. ***
Capitolo 2: *** La verità di Blu. ***
Capitolo 3: *** Gli ideali di Rosso. ***
Capitolo 4: *** I misteri del Monteluna. ***
Capitolo 5: *** Il Pokémon più potente. ***
Capitolo 6: *** Percorso Ventidue. ***
Capitolo 7: *** Il Regno di Missingno. ***
Capitolo 8: *** Non c'è ambizione. ***
Capitolo 9: *** Incendio e fiamma. ***
Capitolo 10: *** La pazzia di Rosso. ***
Capitolo 11: *** Grotta Ignota. ***
Capitolo 12: *** Un uomo molto potente. ***
Capitolo 13: *** Un segreto tra noi tre. ***
Capitolo 14: *** Monte Argento. ***
Capitolo 15: *** Lei o lui. ***
Capitolo 16: *** Di odio e di dolore. ***
Capitolo 17: *** Il giorno di Missingno. ***



Capitolo 1
*** Il fuoco e l'acqua. ***


Quando erano piccoli, Rosso e Blu giocavano insieme ed erano l’uno l’opposto dell’altro: il fuoco e l’acqua, l’istinto e il buonsenso, la pazzia e la ragione. Rosso era quello avventato, quello dei giochi esagerati e delle risate sguaiate, quello che si faceva sempre riprendere, che si alzava tardi e mangiava quando capitava. Blu era quello calmo, buono, che usciva di casa con la maglietta pulita e si preoccupava di riportarcela tale, quello che si lasciava trascinare con un certo riserbo e che urlava poco, che obbediva ai suoi genitori con ammirevole celerità. Blu era il tanto amato nipote del professor Oak e, spesso e volentieri, portava Rosso a giocare nel laboratorio del nonno, in un mondo di Pokémon che scorrazzavano liberamente senza far loro alcun male. Stesi a terra nell’erba, i due, stanchi di giocare, chiacchieravano a lungo con voci basse, sognando il futuro che li aspettava, i Pokémon che li attendevano aldilà dei confini di Biancavilla, le loro mille avventure, il vecchio campione… si sognavano, già Campioni, a riscuotere il frutto del loro meritato successo, insieme, poiché non conoscevano nulla in tutto il loro piccolo mondo che non potessero fare insieme.

Spesso il professor Oak li sorprendeva nascosti nel parco. Non si arrabbiava mai, ma, tranquillo, li invitava nel laboratorio, li faceva sedere e offriva loro un gelato, oppure una fetta di torta o una tazza di latte e li invogliava a chiacchierare, a parlargli dei loro sogni.

“Io voglio diventare un allenatore e un Maestro di Pokémon e battere la Lega, anche” diceva Blu in tono solenne.

“Pure! E tu, Rosso? Cosa vuoi fare da grande?”

“Io voglio diventare il più grande allenatore di Pokémon del mondo” replicava Rosso seriamente “Tutti mi temeranno e a stento mi sfideranno, e sconfiggerò tutti quanti, anche il Campione!”

Il professor Oak li ascoltava contento parlare dei loro sogni, pensava che fossero sogni degni di loro. Quando i piccoli avevano finito la merenda, li portava in una stanzetta e li lasciava giocare con vecchi strumenti rotti od ormai obsoleti, oppure, se aveva poco da lavorare, li portava nel parco e giocava ad insegnare loro le cose. E loro apprendevano con avidità, frugando ovunque con occhi e dita curiose. La sera tornavano a casa, sazi di novità.

Le loro case erano l’una dirimpetto all’altra, ma Blu invitava raramente Rosso da sé, non tanto per una cattiva volontà propria, quanto piuttosto per una eccessiva riservatezza della madre. La mamma di Rosso, invece, insisteva spesso perché Blu si fermasse da loro, spesso per più giorni, cosa che diventava un piacere per i due.

Qualche volta, i genitori di Blu lo portavano fino a Smeraldopoli per una gita di un giorno a fare spese. Questo capitava circa una volta al mese, ma Blu non lo invitò mai ad accompagnarlo, e Rosso non glielo chiedeva.

Crebbero con la vaga sensazione in fondo al loro animo che non si sarebbero separati mai, che qualsiasi strada avrebbero scelto, l’avrebbero scelta insieme, che mai nulla tra di loro sarebbe cambiato.

 

Angolo dell’autrice.

 

Questa è la mia storia completa più recente, e anche quella che ora come ora mi riflette maggiormente. Occorrono però alcune spiegazioni.

Punto primo: la Storia di Rosso e di Blu nasce come una spin off di un’altra mia storia, molto più ampia, che ho sempre riscritto fin da quando ero piccola e che tuttora, pur essendo completa nella mia mente, non lo è sulla carta. Tale fanfiction s’incentra però sulla protagonista di Pokemon Cristallo e sulle sue proprie avventure. Comparirà anche qui, ma per pochissime scene. Affronto qui la storia di Rosso perché, nella storia principale, essa s’intreccia con quella della ragazza, il cui nome è Luisa. Non intendo attualmente postare l’altra mia storia perché è inconclusa e perché, comunque, ora come ora è per me solo un passatempo, in quanto è semplicemente una storia che di quando in quando mi diverto a riprendere in mano, essendo relativamente “infantile”.

Punto secondo: Storia di Rosso e di Blu e la sua relativa principale sono scritte su quelle che erano le mie personali convinzioni sui Pokémon ai tempi in cui queste storie sono state ideate. Ossia, le convinzioni di una persona che non sia mai andata più in là di Pokémon Cristallo e che non abbia mai seguito il manga. Ci potranno essere punti poco chiari, in contrasto col gameplay o con la storia ufficiale: sono pronta a dare pronta spiegazione di qualsiasi punto oscuro a chiunque voglia chiedere. Giusto per chiarire alcune parole pronunciate in questo capitolo: si fa riferimento a un “vecchio Campione”, che nella mia storia non è affatto Lance ma suo padre.

Vi lascio dunque al prossimo capitolo, sperando che voglia esserci qualcuno pronto a proseguire basandosi su queste poche righe. A presto!

Afaneia.

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Capitolo 2
*** La verità di Blu. ***


Entrambi avevano compiuto i dieci anni ed erano diventati bambini robusti e sani, forse Rosso più di Blu. Era tradizione, a Biancavilla, che a dieci anni i bambini intraprendessero il loro viaggio per diventare maestri di Pokémon, ed era stato chiaro fin da subito a entrambi che avrebbero viaggiato assieme e che assieme avrebbero vissuto qualsiasi avventura.

Quando mancava una settimana alla loro partenza, Blu si precipitò da Rosso di mattina presto, agitato e nervoso, per giocare, come tutti i giorni, ma Rosso, appena uscito di casa con una maglietta appena stirata, pronta per essere sporcata, si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Ma non ebbe il coraggio di chiederglielo, lì per lì.

Andarono a giocare sulla spiaggia, come facevano sempre a primavera inoltrata, rotolandosi sulla sabbia e facendo il bagno in mare tra urla e schiamazzi. Blu urlava e rideva al seguito di Rosso, ma senza mostrare una partecipazione che non fosse parziale e superficiale a quei loro giochi. Poi, mentre mangiavano il pranzo cucinato dalle loro madri, all’ombra di una grande roccia dalla quale non di rado si tuffavano, Blu finalmente parlò: “Rosso, devo dirti qualche cosa.”

Rosso calciò da una parte la confezione del suo pranzo e, guardandolo attentamente, disse: “Dimmi pure.”

“Rosso, è…una cosa un po’ strana. Posso dirla soltanto a te, e devo dirtela ora. È da un po’ che ho bisogno di dirtela, ma ora non posso più aspettare. Ho bisogno che mi ascolti…”

“Certamente.”

“Rosso” disse Blu con un tono nuovo, che era assieme spaventato e forte: “Rosso, amico mio, non so come dirtelo. Le persone con cui vivo non sono i miei genitori. Sono solo due persone che devono prendersi cura di me. Rosso, la mia mamma è morta sette anni fa, prima che tu e tua madre vi trasferiste qui. Il mio papà…oh, Rosso, non so come dirtelo. Rosso, mio padre è Giovanni, il capo di Team Rocket!”

Le sue parole riempirono l’aria afosa della spiaggia, chiare, scintillanti, non per questo meno orribili. Gli occhi di Rosso si spalancarono d egli guardò Blu con particolare fissità, come non l’aveva mai guardato prima: ne considerò i capelli, gli occhi, la forma del viso… non riusciva a parlare. Blu gli afferrò le mani, disperato.

“Rosso, Rosso, non giudicarmi male! Tu sei il mio unico amico. Oh, Rosso, ti prego…”

“Ma com’è possibile? Tuo nonno…”

“Ascolta, ascolta, ora ti spiego tutto. Mio padre conobbe mia madre, Ambra, dieci anni fa. Mia madre era la figlia del professor Oak e desiderava viaggiare…allora mio papà non era cattivo, non come ora. Il Team Rocket era appena stato fondato ma mia madre non sapeva…non capiva…il nonno non era d’accordo, ma lei sposò lo stesso mio papà e lui l’amava, l’amava tremendamente…”

“Anche mia madre lo amava tanto. Lo sposò e andò con lui a Smeraldopoli: all’inizio papà la portava con sé quando lavorava, ma poi decise di lasciarla a casa quando nacqui io. Di quel tempo non ho alcun ricordo e tutto questo mi è stato raccontato, ma io so che è la verità.”

“Poi Team Rocket cominciò a crescere, e mia madre capì che cosa faceva mio padre a poco a poco, e si spaventò tremendamente. Amava tanto mio papà, ma non poteva sopportare…tutte quelle atrocità…mi prese e tornò a Biancavilla dal nonno, che la riprese subito in casa, perché le voleva tanto bene. Papà mosse mari e monti per riaverla, ma tutto ciò che mia madre voleva, che sciogliesse Team Rocket, non volle farlo, e mia madre non tornò. Dopo qualche tempo morì per il dolore, dice il nonno, e io rimasi con lui.”

“Mio papà venne subito a sapere che era morta, e quando lo seppe si precipitò qui per vederla. Non fece che piangere. Poi andò da mio nonno, dopo il funerale, e gli disse che mi avrebbe portato con sé a Smeraldopoli.”

“ ‘Giovanni’ gli disse il nonno. ‘Quando ha saputo la verità Ambra è corsa da me, è tornata a Biancavilla per salvare Blu…non portarlo a vedere tutti quegli orrori, Giovanni! È ancora piccolo!’”

“Con sua grande sorpresa, mio padre riconobbe la verità delle sue parole. Gli disse che non c’era cosa ormai che amasse più di me al mondo, ma che proprio per amor mio non poteva tenermi con sé. Mio nonno lo guardò severamente e gli disse: ‘Giovanni, ascoltami. Tu non sei uno stupido e penso di poter parlare seriamente con te. Ciò che tu stai facendo è l’errore più grande della tua vita: per arricchirti hai perduto mia figlia, l’hai fatta morire di dolore e di amore, ma questo non te lo rinfaccio: Ambra ha scelto cosa fare della propria vita, e la colpa non è tua se lei è stata cieca. Ma Giovanni, non devi fare lo stesso a Blu, fai alla memoria di Ambra il più bel regalo del mondo: sciogli Team Rocket, occupati di tuo figlio. Se è per i soldi, metti da parte l’orgoglio e accetta la mia proposta: accetta tutto l’aiuto che posso darti, lascia che compri a te e a Blu una casa da qualche parte, in pace, dove possiate vivere dimenticando tutti quegli orrori!’”

“Ma papà rifiutò l’offerta del nonno, dicendogli che aveva un progetto troppo grande per se stesso e per il mondo, per tutta la comunità scientifica, e che i soldi che tutte le sue losche attività gli procuravano non servivano (così diceva) per una mera ricchezza personale, ma solo e soltanto per finanziare un progetto cui non poteva rinunciare. Per questo motivo doveva lasciarmi a Biancavilla, al sicuro. Disse che non avrebbe obbligato il nonno a prendersi cura di un bambino così piccolo, ma che due persone sarebbero vissute con me e di me si sarebbero occupate, affinché io avessi una vita quanto più possibile normale.”

“Ed è così che sono cresciuto, ora lo sai, Rosso. Accudito da due ladri destinati da mio padre a questo compito a causa della loro inettitudine per compiacerlo. La loro punizione avrà termine quando io partirò per il mio viaggio. Allora saremo liberi, tutti e tre, di seguire il nostro destino. Che strana libertà.”

“Nessun altro, Rosso, sa tutte queste cose che io ti ho detto, in realtà, non avrei potuto affatto dirtelo: mio padre desiderava che nessun altro conoscesse la mia storia, affinché la responsabilità dei suoi crimini non ricadesse sul mio futuro. Ma io dovevo dirtelo ugualmente, Rosso, perché voglio che tu sia consapevole della scelta che compi essendomi amico. Se desideri volermi bene, devi volermi bene per la mia verità, per la mia brutta verità e non per qualche brutta bugia. Rosso, io ti voglio molto bene, ma non voglio trattenerti con una bugia.  Con la verità si può fare tutto ciò che si vuole, con una bugia si resta vincolati alla menzogna.”

Gli occhi di Rosso erano spalancati, infissi nella sabbia calda sotto i suoi piedi. Non si muoveva più, non respirava quasi. Poi, lentamente, disse con voce spettrale: “Mi hai sempre mentito…”.

Blu non obiettò, perché era vero. Rosso si alzò piano, e via via che la sua ombra si allungava sulla sabbia, lo sguardo di Blu si abbassava sempre di più.

“Ma Rosso…non potevo dirtelo…”

“Potevi! Come l’hai fatto ora, potevi farlo anni fa, quando siamo diventati amici…”

“Ma non potevo fidarmi di te come mi fido ora!”

“Allora uno, due anni fa! Forse che non eravamo uniti come ora, due anni fa? Che cosa è cambiato?”

“Mio Dio, Rosso, avevo paura di come avresti reagito…” gemette Blu. Aveva le lacrime agli occhi.

“È orribile questa verità, Blu!”

“È la sola verità che ho, la sola in tutto il mondo!”

“Tienitela, allora, la prossima volta! E tieniti anche tutti quei poveri Pokémon morti per gli scopi di Team Rocket, per gli scopi di tuo padre! Oh, e tu sei vissuto con i soldi di tutte quelle stragi! Sei solo un assassino, proprio come tuo padre!”

Ora Blu piangeva senza ritegno. Era disperato. Rosso, il suo unico amico. Tutte quelle offese.

Ma come aveva potuto, di punto in bianco, diventare così orribile e ripugnante ai suoi occhi, quando appena una mezz’ora prima avevano fatto il bagno nudi nell’acqua, l’uno accanto all’altro?

Soprattutto, era vero quello che diceva Rosso?

 

Ecco a voi il secondo capitolo, ecco a voi la verità, con la stessa forza con cui l’ha subita Rosso. L’idea che Blu fosse il figlio si Giovanni l’ho sempre avuta. Nella mia mente, questo era l’unico modo in cui potesse aver ottenuto la palestra di Smeraldopoli e soprattutto l’unico motivo per cui potessi figurarmelo triste e rassegnato come mi appariva in Cristallo.

Grazie a nihil no kami e a DarkPikachu97 per le recensioni. A presto!

Afaneia ;)

 

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Capitolo 3
*** Gli ideali di Rosso. ***


Da quel giorno sulla spiaggia non si erano più rivolti la parola. Non di rado Blu si era appostato alla finestra per vedere cosa facesse Rosso, a tutto ciò che aveva ottenuto era stato vedere l’amico di tanti anni giocare in giardino da solo, con addosso una strana aggressiva rabbia che solo i suoi occhi, ormai abituati a lui, sapevano cogliere. Ma le rare volte in cui s’incontrarono per strada, Rosso mutò decisamente direzione o fece finta di non notarlo. Mai e poi mai si era comportato così.

Anche Dalia, la madre di Rosso, si mostrò preoccupata riguardo al comportamento del figlio.

“Ma cos’hai, Rosso? Perché non giochi più con Blu?” gli chiedeva spesso, quando Rosso rientrava per pranzo con gli occhi cupi e le labbra smorte e silenti.

“Non mi va di giocare con Blu.”

“Ma è il tuo migliore amico!”

“Abbiamo litigato.” E Dalia taceva con aria preoccupata, assorta. Frattanto fervevano i preparativi per la sua partenza. Sua madre lavava, stirava, rammendava camicie che Rosso non avrebbe mai potuto portarsi dietro a causa del loro numero, portava grandi quantità di magliette pulite e piegate, tra le quali Rosso sceglieva con cura quelle che meno gli ricordavano i momenti trascorsi con Blu. Era diventato silenzioso e cupo, e Dalia non riusciva ad attribuire la sua stranezza alla partenza imminente. Più volte chiamò quella che lei reputava essere la madre di Blu per chiederle spiegazioni, ma tutto ciò che ottenne fu di sentirsi dire che Blu non faceva che piangere e guardare fuori dalla finestra con gli occhi vacui perduti nel vuoto. Tuttavia, nessuna delle due donne riusciva a spiegarsi il perché di tante stranezze.

Giunse, infine, il giorno della loro partenza. Al mattino Rosso, che quasi non aveva dormito quella notte, si buttò giù dal letto spontaneamente, si vestì in fretta e baciò la madre con sincero affetto, prima di recarsi di corsa al laboratorio del professor Oak.

I cancelli erano spalancati e Rosso attraversò il parco a passo di corsa, raggiungendo dopo poco le porte del laboratorio. Non appena fu entrato ed ebbe percorso i pochi metri di spazio che lo separavano dal tavolo dove solitamente il Professor Oak li riceveva, udì una netta voce maschile esclamare: “Nonno! Sono qui.”

Provò d’improvviso un brivido lungo tutta la schiena. Si girò e vide che Blu, avvolto in una fiammante tuta viola scuro, veniva avanti a grandi passi, tutto splendente in abiti costosi…era la prima volta che lo vedeva così. D’un tratto, i loro occhi s’incontrarono e il volto di Blu si accese di un improvviso bagliore rosso.

“Ciao, Rosso. Sei venuto a elemosinare un Pokémon, non è vero?” domandò Blu avvicinandosi. Aveva parole acide, ma in fondo agli occhi gli brillava una muta supplica che Rosso, acciecato dalla rabbia, non vedeva.

Il volto del ragazzo avvampò ora come una fiamma ardente.  Strinse le palpebre, acciecato dalla rabbia, e sibilò: “Assassino.”

In fondo agli occhi di Blu, quella fiamma d’amore che Rosso non vedeva si spense per sempre.

“Perdente” replicò a bassa voce.

“Ragazzi! Che succede qui?”

Il professor Oak entrava in quel momento da una porticina laterale. Portava tre Pokéball, che andò ad appoggiare di corsa sul tavolo. “Sono un po’ in ritardo, ma che avete da litigare?”

“Niente, nonno” replicò Blu. “È tutto a posto. Che Pokémon ci hai portato?”

“Aspettate e vedrete” rispose il professor Oak. Ma intanto con gli occhi li scrutava attento, perplesso, dubbioso.

“Rosso, vai avanti tu e scegli quella che preferisci.”

Col cuore in gola, Rosso avanzò, solo, fino al tavolo di legno. Le tre Pokéball lucenti lo aspettavano, come se lo guardassero, immobili e attraenti nell’aria del mattino.

Su una di esse campeggiava una scintilla.

“Scelgo Charmender, professore.”

D’un tratto la tensione nella stanza si allentò, come una corda che, troppo tesa, viene improvvisamente lasciata andar.

“Penso che sia davvero un ottimo Pokémon” disse il professore, sorridendo. “E ora tu, Blu” soggiunse, mentre Rosso si allontanava dal tavolo. “Vieni avanti e scegli il Pokémon che preferisci, senza timore.”

Fu ora il turno di Blu di avanzare. Il ragazzo scrutò con attenzione le due Pokéball rimaste, come soppesando la foglia e la goccia che vi erano state impresse. Poi, mentre un lampo si accendeva e subito si spegneva nei suoi occhi, allungò la mano e afferrò la ball di Squirtle.

“Un eccellente Pokémon” commentò il professore.

“Di sicuro migliore del tuo, Rosso!” esclamò Blu, voltandosi bruscamente verso di lui.

“Ovviamente” replicò Rosso, asciutto, dopo un attimo di silenzio. “Hai preso il Pokémon che, per tipo, è superiore al mio!”

“Se avessi preso Bulbasaur, ti sarei stato inferiore: in nessun caso avremmo potuto essere alla pari.”

“Ragazzi! Non vi riconosco più, che vi è successo?” protestò Oak. “Cielo, eravate i migliori amici del mondo fino a una settimana fa!”

“Appunto, nonno. Una settimana fa” replicò Blu. Guardò un momento la ball che teneva in mano, fece per riporla, poi, improvvisamente, si riscosse ed esclamò: “Ho un’idea, Rosso! Facciamo lottare i nostri Pokémon. Vai, Squirtle!”

Gettò la ball, e in un bagliore si liberò una piccola tartaruga azzurra dagli occhi grandi e simpatici. E come avrebbe potuto Rosso tirarsi indietro?

“Vai, Charmender!”

Charmender era tremendamente grazioso, bello, robusto sul pavimento della stanza. Calò un istante di silenzio glaciale di occhi negli occhi, rotto dalla voce di Blu che gridava: “Squirtle, Bolla!”

“Charmender, azione!”

Ma non erano i Pokémon a scontrarsi, erano i tumulti dei loro cuori. C’era qualcosa come una grande rabbia che accendeva di fuoco i loro volti più del loro scontro.

Ma alla fine Squirtle si rovesciò sul guscio.

“Complimenti, Rosso” commentò a bassa voce il professore, che appariva contrariato. “Un’ottima strategia.”

“È  stata solo fortuna” sbottò Blu richiamando il proprio Pokémon.

“Se ti torna comodo pensarla così…” rispose Rosso tranquillamente.

Blu avvampò e, rivolgendosi al professore, esclamò: “Nonno, ti prego, voglio andarmene da Biancavilla. Dammi il mio Pokédex e lasciami partire per Smeraldopoli, te ne prego!”

“Va bene, Blu” concesse il vecchio a malincuore. Blu gli si avvicinò e Oak, dopo avergli messo in mano il suo Pokédex e sei Pokéball vuote, gli disse: “Se il tuo cuore desidera andare, non ti tratterrò. Ma ricorda, Blu: questo è il solo posto sicuro per te. Fuori da Biancavilla, io non potrò proteggerti!”

“Non ne ho più bisogno” rispose Blu. “Corro un pericolo più grande dal quale tu non puoi salvarmi, e solo la partenza può farlo.”

Allora si salutarono con affetto e Blu, senza rivolgere un’ultima parola a Rosso, si allontanò dal laboratorio e partì, e mentre lo guardava allontanarsi, Rosso sentì di aver perso la sua metà più importante.

“Professore” disse, quando Blu fu ormai uscito da qualche minuto: “La prego, ora è anche per me il momento di partire. Dia anche a me un Pokédex e delle sfere, e me ne andrò da qui verso il mio sogno.”

“Ti darò ciò che mi hai chiesto, Rosso” disse il professore. “Ma prima devi dirmi che cosa è successo tra te e Blu.”

Rosso chinò il capo con una grande tristezza, e la visiera del suo berretto coprì in parte i suoi grandi e cupi occhi.

“Professore, è…qualcosa di inspiegabile.”

“Te ne prego, Rosso. Non c’è nessuno in questo mondo che io ami quanto amo Blu: avevo una moglie e una figlia, ma le ho perdute entrambe molto tempo fa. Blu è il mio solo, caro nipote e vorrei aiutarlo, te ne prego, Rosso.”

“Oh, professore” gemette Rosso, sul quale quelle parole non avevano sortito altro effetto che di ricordargli la discussione avvenuta una settimana prima: “Professore, tutta la vita di Blu è…è stata…ma suo padre, e io…!”

“Rosso” esclamò l’altro, afferrandolo per un braccio “Rosso! Blu ti ha forse raccontato…”

“Tutto, tutto!” gridò Rosso. “E non è orribile? Giovanni, il Team Rocket! È tutto così orribile!”

“Rosso! Mi sorprendo di te” protestò l’uomo, scrollandolo. “Come puoi giudicare Blu, tu che sopra tutti dovresti essergli amico nella verità più che nella menzogna?”

“Ma è orribile questa verità!”

“Certo che è orribile, non lo sapevi? Ma di tutte le cose al mondo, la verità è la sola che valga la pena conoscere. E Blu ti ama a tal punto che ha voluto mostrartela, senza tenerti legato a sé con una facile bugia. Ma Rosso, pensa come dev’essere stata la sua vita, se già per te è orribile! E ora che tu l’hai rifiutato, lui è solo, solo sotto un peso che io posso solo in parte comprendere, ma di cui tu potevi partecipare. Credi che un’amicizia consto solo di bagni in mare e di viaggi di piacere? I rapporti tra le persone sono la cosa più complicata che esista a questo mondo, Rosso. Ma tu sembri non capirlo. Allora forse sarai un grande allenatore, ma ahimé, solo. In bocca al lupo, figliolo, e va’ a inseguire il tuo sogno, poiché sembra che sia la sola cosa che ti interessi.”

“Non mi giudichi così, mi ascolti, prima!” gridò Rosso. “Non ci ha pensato mai a tutte le atrocità commesse da Giovanni…al denaro con cui Blu è vissuto tutti questi anni… tutti quei Pokémon morti, quelle persone uccise… mio Dio, non ci ha pensato mai?”

In quel momento, l’espressione de professore si rilassò d’un colpo; sospirando, egli si appoggiò al tavolo sul quale ci si era dibattuti fino ad allora. Era come se alla tempesta si fosse succeduta la quiete sul suo volto vecchio e paziente.

“Mio caro ragazzo! Vieni qui” gli disse affettuosamente, tendendogli le braccia; e quando Rosso gli fu vicino gli appoggiò bonariamente le mani sulle spalle. “Figliolo, leggo nei tuoi occhi che non sei cattivo, ma che è un eccesso di ideali a spingerti a rinnegare il tuo amico d’infanzia. Ma attento! Blu condivide i tuoi ideali, li condivide pienamente. Credi che non soffra nel sapere che cosa accade ogni giorno per volere di suo padre? Ma la sua anima è divisa in due, tra l’amore per suo padre e i suoi alti ideali che non può rinnegare. Ed egli sa che solo e soltanto viaggiando potrà, forse, conciliare queste due metà così avverse nel suo animo. Rosso, abbi pietà di lui!”

“Lo compatisco” replicò Rosso “Ma non so averne pietà. Professore, ora sa cosa è accaduto: la prego di lasciarmi andare, e non la turberò più con i miei pensieri eccessivamente nobili, come dice lei, e tutto il resto. Vado a cercare la mia verità.”

Allora il professore, sospirando, gli consegnò il Pokédex e le sfere che gli erano dovute e gli augurò buon viaggio, prima di lasciarlo partire.

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Capitolo 4
*** I misteri del Monteluna. ***


Trascorsero giornate furibonde durante le quali Rosso quasi non dormì né mangiò, tutto preso com’era a catturare, allevare, allenare.

Per l’ora di pranzo del suo primo giorno di viaggio, aveva già raggiunto Smeraldopoli. Là aveva consumato in fretta quello che sarebbe stato probabilmente il suo ultimo vero pasto per i suoi successivi due giorni, aveva visitato il Centro Medico per Pokémon, ascoltando in un angolo le voci di alcuni allenatori riguardo al Bosco Smeraldo, e si era rimesso in cammino.

Charmender si era dimostrato simpatico e affettuoso con lui. Gli obbediva senza difficoltà e gli piacevano molto i biscotti che Rosso condivideva con lui. Di notte, quando Rosso s’intristiva per la propria solitudine, lo faceva uscire dalla sua Pokéball e parlava con lui. Charmender alleviava il suo vuoto.

Catturò un Caterpie, poi un Oddish, in previsione della prima palestra che aveva deciso di sfidare, quella di Brock di Plumbeopoli. Sapeva che Charmender sarebbe risultato svantaggiato come tipo, ma comunque non demordeva: gli sembrava che stesse facendosi molto forte in poco tempo. Poco prima di raggiungere Plumbeopoli, quando ormai quasi non vi sperava più, catturò un Poliwag che però gli appariva troppo debole, non tanto (in realtà) per Brock, quanto piuttosto in paragone alla sua ambizione.

Ma Plumbeopoli fu per lui una rivelazione. Aveva sempre creduto che le città si assomigliassero le une con le altre come i cuccioli con le madri, e così era, in effetti, per quanto riguardava Biancavilla e Smeraldopoli, per esempio. Ma in confronto a Smeraldopoli, che quantomeno Rosso conosceva in parte, Plumbeopoli era immensa (e cosa non avrebbe pensato, riguardo Azzurropoli o, ancora più avanti, Zafferanopoli o addirittura Fiordoropoli?) e, per la prima volta dopo tanti giorni, Rosso si sentì nuovamente un ragazzo che andava a scoprire nuove città…si sentiva perso.

Era ormai pomeriggio inoltrato, e dopo aver vagato senza meta per circa un’ora , Rosso cominciò a sentirsi addosso tutta la stanchezza e la fame del suo viaggio. Dalla sua partenza da Viridian City, non aveva mangiato altro che biscotti al cioccolato e un piccolo panino al formaggio che aveva trovato in una tasca dello zaino. Ma ora i crampi allo stomaco cominciavano a farsi sentire, e così Rosso, chieste indicazioni per il più vicino Centro Pokémon, vi si diresse e vi entrò.

Ottenuta una stanza, portò i suoi Pokémon a riposare e a farsi controllare, dopodiché dormì per un paio d’ore, almeno finché l’infermiera Joy, come Rosso le aveva chiesto, non lo chiamò per la cena. Allora Rosso consumò un pasto caldo e abbondante che rinfrancò le sue forze nella sala in cui solitamente gli allenatori si incontravano, solo in un angolo ma con le orecchie attente alle voci che lo circondavano.

Fu un bene per lui ascoltare, quella sera, sebbene ormai cominciasse a detestare sempre più il suono di voci umane. A un tratto sentì qualcuno urlare una battuta, qualcosa come: “Ma prima o poi anche il Team Rocket si fossilizzerà!” e tutti attorno scoppiare a ridere. Sorpreso, volse il capo e si guardò attorno per indovinare chi avesse gridato quelle parole, e vide che esse provenivano da un robusto Avventuriero circondato da varie altre persone.

Suo malgrado incuriosito, Rosso, che aveva ormai terminato la cena, si alzò in piedi e si avvicinò al tavolo dell’Avventuriero.

“Scusate” disse a voce abbastanza alta da farsi udire: “Non volevo origliare, ma vi ho sentiti parlare del Team Rocket, e vorrei capire…”

“Accomodati! Accomodati!” esclamò quegli, invitandolo a sedersi al proprio fianco: era buono e gentile come tutti gli Avventurieri. “Siediti, ragazzo mio, io mi chiamo Nan, e tu?”

“Mi chiamo Rosso, e vengo da Biancavilla” replicò quegli tranquillamente.

“Biancavilla! La mia ragazza è di Biancavilla, e la sto giusto andando a trovare. Se vorrai, potrò portare qualche messaggio a casa da parte tua.”

“Dicevamo del Team Rocket” lo interruppe Rosso, che detestava cambiare argomento.

“Il Team Rocket, è vero! Beh, che c’è da dire? Devi sapere che sono venuto fin qui da Celestopoli attraversando le grotte del Monteluna, e vedi, là si trovano un mucchio di fossili, e persino alcuni pezzi di meteoriti. Beh, ti confesso che speravo di trovare io stesso qualche scheggia di ambra, ma nulla di più, da regalare alla dolce Josephine. Comunque, mentre davo un’occhiata in giro, mi è capitato d’incappare in un mucchietto di quei Rocket. Saranno stati cinque o sei, non di più, e si trovavano proprio nella zona in cui sono stati ritrovati i fossili di Pokémon antichi e in cui solo le autorità scientifiche possono scavare. Ebbene, quei Rocket stavano ammucchiando un sacco di fossili in un grande cesto!”

“Ho urlato loro di smettere di rubare i fossili, che appartengono alla comunità, ma invano: due di loro mi hanno attaccato e i miei Pokémon, già stanchi, non ce l’hanno fatta. Perciò ho dovuto fare ritirata e sono venuto qui di corsa! Ho dato l’allarme alla polizia, e loro faranno ciò che credono meglio. Ecco qua, ragazzo: sei soddisfatto?”

Rosso non rispose, ma rimase un po’ soprappensiero, riflettendo. Poi, improvvisamente, sentì come la presenza di due occhi puntati sulla sua schiena stanca, e si volse di scatto. Vide un ciuffo di capelli rossi e un alone viola scuro nell’ombra di un angolo della sala, ma dopo un attimo esso si spense dietro una porta che si chiudeva.

“Blu!” mormorò Rosso balzando in piedi. “Blu è qui!”

Corse in un lampo fino a quella porta, la spalancò, si precipitò fuori: ma di Blu non c’era più traccia nell’aria, né sulla terra, a quanto sembrava.

 

Il mattino seguente, Rosso sfidò Brock senza indugio, e non ebbe a dire il vero grossi problemi a batterlo. Aveva finalmente avuto la sua prima medaglia, la medaglia Sasso, eppure in qualche modo si sentiva insoddisfatto: certo, Charmender era forte, ma il resto della sua squadra era in qualche modo di un’insopportabile mediocrità, un’intollerabile debolezza che non poteva conciliarsi col suo sogno. Si disse che, a costo di frugare tutta Kanto, avrebbe catturato Pokémon molto più forti. E così, mentre si avviava al passo verso i misteri del Monteluna, progettava la sua squadra ideale.

A poco a poco, tra gli alti monti, cominciava a spuntare l’alta cima aguzza del Monteluna. Via via che camminava, gli occhi puntati su di esso, Rosso ripensava alle parole dell’Avventuriero, e si diceva: “Che cosa troverò là?”

A ogni passo la strada si faceva sempre più in salita, ma Rosso non demordeva, non poteva demordere: finalmente arrivò in cima.

La sommità del monte era arida e brulla, ma qua e là sorgevano cespuglietti spontanei che nascondevano le entrate di varie gallerie sotterranee. La maggior parte di essi era stata rudemente spostata; solo uno di essi, tuttavia, risultava ordinatamente potato e sormontato da un cartello che recava la scritta: “Per Celestopoli.”

Ormai deciso, Rosso si calò senza esitazione nella galleria, di cui percorse senza difficoltà il primo tratto, illuminato artificialmente a giorno e ormai percorso da innumerevoli segni di piedi umani. Catturò uno Zubat e un Geodude, ma non riuscì in nessun modo a trovare un Clefairy, la qual cosa lo irritò profondamente.

Ma a poco a poco raggiunse la zona degli scavi, vividamente illuminata e contrassegnata da varie transenne, perfettamente distinguibili nella luce.

Ricordando le parole dell’Avventuriero, Rosso si avvicinò, suo malgrado incuriosito, alla zona transennata. Risultava vuoto, ma in un angolo giaceva un gran mucchio di pale e picconi incrostati di terra e muschio.

Non sembrava vi fosse nulla di storto.

“Beh, se ne saranno andati. Oppure la polizia li ha cacciati” pensò Rosso alzando le spalle; e dicendosi che non valeva la pena di infilarsi lì dentro, si allontanò seriamente.

Ma d’improvviso un suono confuso di voci e di passi, proveniente da una galleria laterale il cui accesso si trovava nella zona transennata lo richiamò, e Rosso  (ai cui occhi balenò d’improvviso una rapida sequenza d’immagini – Blu, il Team Rocket, le foto dei Pokémon morti, e di nuovo Blu), senza riflettere, scavalcò d’un balzo le transenne e attraversò di corsa la zona, gettandosi dritto in quella galleria.

Anch’essa era vividamente illuminata, ma non c’era, almeno apparentemente, anima viva fin dove arrivava la sua vista. Dopo qualche decina di metri, si fermò, domandandosi se non fosse il caso di tornare indietro, ma proprio quando l’eco dei suoi passi si fu spenta tra le pareti di pietra, egli percepì di nuovo quei rumori indistinti. Dopo un attimo di ascolto, distinse una voce più chiara e netta delle altre che urlava: “Jack, nel cesto!”

Udire quella voce e spiccare una corsa, furiosa, in avanti, fu un tutt’uno: percorse la galleria come un lampo, ignorando l’eco dei propri passi nella caverna, precipitandosi nella grotta più ampia riservata agli scavi.

E in effetti vide tre persone nerovestite affaccendarsi per la grotta, curve, sui loro cesti pieni di scatole infrangibili, trasparenti, dal chiaro contenuto…e Rosso non ci vide più dalla rabbia nel collegare d’improvviso quei fossili alla fiammante tuta nuova di Blu, di Blu che non aveva più visto…

“Fermi!”

Ma chi era lui per mettersi contro Team Rocket? Nessuno, Rosso non era davvero nessuno, solo un piccolo allenatore di Biancavilla che viaggiava da pochi giorni, e loro, invece…

Ma Blu, c’era Blu dietro tutto ciò! Giovanni o Blu, Rosso ormai non faceva differenze, tutto era peste per lui, peste. Vide che d’improvviso i loro corpi si raggelavano e i loro capi si voltavano, ma poi vide anche che risero alla sua vista.

“Ma è solo un bambino!”

“Cielo, e ci siamo spaventati tanto per un semplice bambino!”

“Un bambino!”

Ecco, ora Rosso era paonazzo per la rabbia e l’umiliazione ricevuta, e urlò: “Non sono solo un bambino, sono un allenatore!”

Ma chi avrebbe mai potuto credergli? Certo, andava in giro con qualche Pokéball appesa alla cintura; ma un ragazzino con quattro soli Pokémon e qualche Pozione nello zaino non sembrava un allenatore molto pericoloso.

“A chi credi di far paura, ragazzino?” domandò la sola donna del gruppo, venendo in avanti: era una donna alta dai folti capelli scuri… Rosso indietreggiò d’un passo. Ma ora che lo aveva visto meglio, d’improvviso la donna avvampò furiosamente: “Rosso!”

“Helena!”

“Helena, tu…tu lo conosci?”

“Zitto, Jack! Hai vinto, Rosso, ce ne andiamo via. Conosci i nostri nomi…lasciate tutto qui, ragazzi! Non devono poterci incriminare con i fossili!”

Ma come lasciarsi sfuggire quell’occasione? Ormai i tre, abbandonati i cesti, facevano per scappare…

“Helena, Hugh, aspettate!”

“Ah, no, ragazzino! Pensi di poterci fregare?”

“No, vi prego, aspettate! Dovrete pur sapere dov’è andato Blu!”

Forse con un senso di rammarico e di perplessità, i due si voltarono un momento.

“Che ti importa di Blu, Rosso? Non avete forse litigato?”

“Litigato? Sì, abbiamo litigato. Ma dov’è andato? Lo saprete!”

“No, non lo so. È in viaggio come te, e non sta mai fermo. Anche se, forse, si sta allenando col Capo…dove, non te lo dirò di certo!”

“E io non voglio saperlo” replicò bruscamente Rosso, risvegliato da quella parola, “Capo”. Non importa, andatevene pure! Ci rivedremo, e ve la farò vedere io.”

“Andiamocene, allora” sbottò Hugh, e i tre ben presto scomparvero tra le ombre della galleria.

Ora Rosso era di nuovo. Si sentiva solo e confuso; pensava a Blu e al proprio aspetto troppo debole… no, non solo al proprio aspetto.

Pensava alla sua vera debolezza. ”!

 

Ecco qua, forse un capitolo di passaggio, forse piuttosto di riflessione. Il prossimo capitolo sarà particolarmente lungo e importante per la storia, perciò preparatevi.

Grazie a nihil no kami per le recensioni!

Afaneia ;)

 

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Capitolo 5
*** Il Pokémon più potente. ***


Nei mesi seguenti Rosso percorse come un indemoniato le strade di Kanto: Celestopoli e poi Aranciopoli, e Lavandonia e Azzurropoli e poi Zafferanopoli, quando ebbe trovato il modo di eludere la ferrea sorveglianza del Team Rocket, che aveva preso possesso della città, Fucsiapoli e Isola Cannella. Non parlava mai con nessuno, non faceva che combattere, combattere e allenarsi. Rifuggiva in ogni modo ogni genere di contatto umano, salvo quando era necessario sfidare qualcuno o rispondere a una sfida lanciatagli, e aveva ormai quasi perso l’abitudine a parlare.

La sua sola compagnia erano i suoi Pokémon: il suo adorato Charmender, che evolse a poco a poco in un Charmeleon e poi in un Charizard, poi il suo Blastoise e il suo Venusaur, un gigantesco Snorlax (l’unico dei suoi Pokémon che non veniva saziato dai suoi biscotti al cioccolato, a dire il vero),un grazioso Pikachu piuttosto agguerrito e poi, con suo sommo piacere, un piccolo Eevee, poi Espeon, shiny, che più e più volte era stato oggetto dell’interessamento di intenditori e ladri. Rocket, soprattutto, perché ormai per Rosso era una sfida inevitabile, quella coi Rocket e, indirettamente, con Blu, o meglio con la proiezione di Blu che la sua mente identificava con i Rocket. Azzurropoli, poi Lavandonia e, infine, i giorni e le notti insonni trascorse tra i dedali dei molteplici piani della Silph Spa, scontrandosi senza sosta né riposo con tutti coloro che incontrava, decine di Rocket spediti a combatterlo e a tentare di impedirgli l’accesso all’ultimo piano, luogo da cui Giovanni era fuggito prima ancora di dargli il tempo di sfidarlo, liberando Zafferanopoli dalla sua oscura presenza.

Ma intanto Rosso era forte, sempre più forte, e non era più il ragazzino che sul Monteluna era stato seduto per ore e ore sulla dura pietra, solo con i vacui occhi infissi nel vuoto, consapevole della propria debolezza e della propria fragilità. Ora Rosso era più alto, più magro, col pallido volto affilato e il mento aguzzo, gli occhi infossati e cerchi scuri intorno alle orbite, aveva una voce rauca e bassa, profonda, che difficilmente gli usciva dalla bocca. E tutte le volte che si curvava su uno specchio d’acqua dolce, l’immagine che vedeva era quella di un volto bello, ma come ossessionato qualcosa, che nell’acqua non si vedeva.

Non aveva più rivisto Blu da quella volta a Plumbeopoli, e ora non sapeva come stesse, che cosa facesse, quali Pokémon possedesse o avesse visto. Ma sapeva che presto, forse quando avesse sfidato la palestra di Smeraldopoli, si sarebbero incontrati.

Rosso sapeva che la palestra di Smeraldopoli sarebbe stata la più difficile di tutte quelle che aveva incontrato sul proprio cammino, non soltanto per l’esperienza di Giovanni e per tutti i trucchi che probabilmente avrebbe adottato, ma anche e soprattutto per ciò che quell’ultima sfida avrebbe rappresentato per lui.

Fu per questo motivo che temporeggiò a lungo, allenandosi in solitudine sul vulcano dell’Isola Cannella, unico luogo che amasse in quanto lo sentiva bollente, rigurgitante quanto il proprio cuore. Ma poi non poté più attendere: il tempo stringeva, ed egli non poteva più tardare, se desiderava partecipare alla Lega Pokémon prima dell’anno seguente. Perciò volò di prima mattina fino a Smeraldopoli sul suo possente Charizard e si presentò senza indugio alle porte della palestra, che risultavano chiuse, come al solito.ma Rosso non era tipo da scoraggiarsi, di certo non quel giorno, e cominciò a bussare freneticamente con ambo i pugni, gridando: “Sono Rosso della città di Biancavilla, e sono qui per sfidare Giovanni, dopo aver sventato i suoi piani!”

Ma le porte restavano chiuse alla sua voce, chiuse al suo volere. Si gettò contro la porta, urlando con voce tremenda: “Giovanni, non credere di potermi sfuggire! Ho sconfitto i tuoi scagnozzi e ho sconfitto i tuoi generali, sulla Torre Pokémon, al Casinò e alla Silph, ovunque tu allungassi le mani. Ora intendo sconfiggere anche te, e con te sconfiggerò tutti i miei fantasmi!”

“I tuoi fantasmi?”

Rosso trasalì nell’udire una voce improvvisa; si guardò intorno: non vide nessuno. Ma poi la voce proseguì, e Rosso scorse alcuni piccoli altoparlanti nascosti tra le fessure della pietra.

“I tuoi fantasmi? Ragazzo mio, se sei quello che credo, qualcuno cioè fatto della mia stessa pasta, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai, proprio come me.”

“E chi ti dice che io sia fatto della tua stessa pasta, Giovanni? Io non sono fatto come te, io non sono te!”

“Oh, Rosso, Rosso, Rosso. Mio caro ragazzo, quanto sei ingenuo! Non pensi che io sia più saggio ed esperto di te, non pensi che io sia capace di giudicare un ragazzino come te?”

“No! Tu non sai niente di me, niente!”

“Oh, sì, Rosso, so molto più di quanto tu non creda. So che tu sei stato il migliore amico, il quasi fratello e molto di più di mio figlio Blu, so che sei molto, molto forte; io conosco l’identità, il nome e l’aspetto dello spettro che ti perseguita da mesi; io posso offrirti tutto ciò di cui hai bisogno. Alleati a noi, Rosso: ti farò mio Generale e Luogotenente, porrò nelle tue mani la mia arma segreta, riporrò in te la più completa fiducia, ti darò ciò che il tuo cuore brama più di ogni altra cosa… vuoi che ti dica cosa, Rosso, vuoi che dica che cos’è che il tuo cuore brama?”

“No! Tu non sai cos’è che desidero!”

“Oh, sì, Rosso, lo so molto bene, e posso dirlo ad alta voce, se lo desideri. Ma non temere, non lo dirò. Ti concedo una possibilità, Rosso: aprirò per te le porte della mia palestra e ti permetterò di sfidarmi, e se davvero mi sconfiggerai, allora ti consentirò di scegliere quello che preferisci, se unirti a me e avere non solo il mondo ai tuoi piedi, ma anche ciò che brami di più nel mondo intero, o se proseguire il tuo cammino, deliberatamente schierato contro di noi, contro di lui…”

Quelle parole provocarono un brivido nel cuore di Rosso, ma egli lo represse e raddrizzandosi gridò: “Fammi entrare, allora, e vedremo chi la spunterà! Ma io non mi unirò mai a te, neppure se tu potessi donarmi il suo cuore!”

Subito dopo aver pronunciato queste parole Rosso si chiese cos’avesse voluto dire. Ma poi le porte della palestra si spalancarono e Rosso entrò, dopo averlo progettato per tanto e tanto tempo, in quell’edificio buio e immenso, angosciante.

Alle sue spalle le porte si chiusero d’improvviso, ma innanzi ai suoi occhi si accesero d’improvviso luci accecanti che gli fecero sbattere le palpebre. La sala era immensa e sul pavimento, a pochi passi da Rosso, cominciava il tracciato di un’arena.

Mentre Rosso esitava, la voce parlò di nuovo: “Rosso! Raggiungi la tua postazione e lì attendi: sto arrivando.”

Obbediente, Rosso avanzò fino a raggiungere la postazione di combattimento davanti a lui e si dispose ad attendere. Ma d’improvviso le luci si spensero senza preavviso e Rosso, i cui occhi erano divenuti ciechi tutto a un tratto, fu colto da un inspiegabile terrore. Gridò: “Giovanni! Non fare scherzi, o te ne pentirai! Voglio una sfida pulita!”

“Ed è una sfida pulita che avrai, Rosso, te lo concedo!” disse di nuovo Giovanni, e Rosso sentì che quella non era più una voce distante, filtrata dai megafoni, ma la vera voce di un vero uomo di carne e di ossa; difatti le luci si alzarono e Rosso vide nella postazione avversaria un uomo alto e robusto, non più giovane ma tremendamente somigliante a Blu, con una luce che brillava nei suoi occhi profondi…

“Rosso! Sono lieto d’incontrarti, finalmente, dopo che per tanto tempo ci siamo scontrati senza conoscerci” disse Giovanni. Lo scrutava intensamente, e Rosso sentiva che lo penetrava con la forza dei suoi occhi. “Cielo, Rosso, sei diventato un ragazzone alto e robusto, e così bello, e così forte… oh, Rosso, meriteresti il meglio, meriteresti...tu sai cosa meriteresti, o chi. Rosso, immaginati con una delle mie livree, col grado di Generale, mentre gestisci il Pokémon più forte del mondo! Tutti conosceranno il tuo volto e ti temeranno, e a stento ti sfideranno, e al mio fianco governerai il mondo e avrai ciò che cerchi dall’inizio di questo lungo viaggio! Unisciti a me, Rosso, e vivi!”

“No!” gridò Rosso con voce terribile, scuotendo il folle capo e i folti capelli scuri: “No, Giovanni, tu non potrai mai darmi ciò che cerco, poiché la sua volontà, come la mia, non potrà mai essere nelle tue mani. No, Giovanni, nessuno mai mi chiamerà Generale, e io non porterò la livrea di nessuno, ma resterò libero e difenderò i miei ideali fino all’ultimo. Quanto al tuo Pokémon, Giovanni, non ho idea di che Pokémon sia, ma ho udito delle gran brutte voci a Isola Cannella, e ho letto cose…ancora più orribili… no, Giovanni, io non sono come te, non sono fatto come te, e non mi abbasserò a diventare il tuo servo. Diventerò il più grande, ma con le mie forze e con i miei Pokémon, diventerò il più grande, ma a testa alta, e non avrò che me da ringraziare, alla fine.”

“Pari molto deciso” gli disse Giovanni. “Come vuoi, come vuoi, ragazzo mio: ora combatteremo, poi te lo chiederò una seconda volta, se combatterai bene e ti riterrò degno di comandare il mio Pokémon perfetto!”

“Allora forza, combattiamo! Forza, Giovanni, combattiamo.”

“D’accordo, Rosso, come vuoi. Iniziamo, se lo desideri tanto. Vai, Nidoqueen!”

“Vai, Blastoise!”

Ora si fronteggiavano, quei due giganti di peso e di forza, e ora si sfidavano, e Rosso trionfava, come sempre, come su tutti; dopo venne un Persian, e Rosso scelse Charizard; poi venne Rhydon, e Rosso scelse Venusaur.

E vinse, come sempre, come su tutti.

“Forza, Giovanni, fatti sotto! Manda in campo altri Pokémon, se ne hai altri, io non ho paura di te!”

“Non hai paura, eh, ragazzo? Non ne hai? D’accordo, voglio mettere alla prova il tuo coraggio. Ti mostrerò il mio Pokémon perfetto, così forse capirai a cos’è che rinunci affermando di non volerti unire a me.”

“Pokémon perfetto, dici? Nessun Pokémon nasce perfetto, ma viene condotto alla perfezione dal suo allenatore. Forza, mostramelo, se desideri! Sono proprio curioso.”

Allora Giovanni estrasse dalla tasca un piccolo telecomando nero, sul quale spiccava un pulsante rosso. Quell’oggetto tanto scenografico lo fece rabbrividire. Giovanni premette il pulsante e di nuovo le luci si spensero d’improvviso, sprofondando entrambi nell’oscurità.

“Il tuo Pokémon ha paura della luce, Giovanni? Allora non è poi tanto perfetto!” gridò Rosso, che non voleva dare a vedere il proprio tremore.

“No, Rosso, il mio Pokémon non teme nulla” replicò Giovanni con calma. “Non ha paura. Ora vedrai.”

D’un tratto, a Rosso parve di vedere come due fiamme azzurre ardere nell’oscurità, ma le luci che si riaccesero d’improvviso in tutta la palestra lo accecarono, costringendolo a chiudere gli occhi. Ma mentre brancolava con gli occhi chiusi, gli parve di avvertire una terribile presenza nell’aria, qualcosa di misterioso e potente che lo avvolse senza toccarlo, che lo soffocò senza stringerlo.

Aprì gli occhi, e innanzi a lui c’era una creatura come non ne aveva mai viste prima, una creatura grande e potente dai muscoli guizzanti sotto un pelo bianco e violaceo…una creatura…

“Giovanni! Questo non è un Pokémon!”

“Sì, Rosso, è un Pokémon, e tu ne avverti distintamente tutta la potenza, ora. Senti com’è potente! Senti il suo cuore battere così forte! È Mewtwo, il Pokémon perfetto, clonato da Mew, il leggendario scomparso. Combatti con lui, Rosso, e nessuno potrà mai esserti superiore!”

Quelle parole colpirono Rosso nel profondo del cuore.

“Allora combatterò, Giovanni!  E se davvero il tuo è il Pokémon più forte del mondo, allora lo combatterò col mio Pokémon più forte. Scelgo il mio Charizard, che non mi ha mai deluso.” E gettò la Pokéball sull’arena, e liberò il suo Pokémon più forte.

“Povero illuso! No, Rosso, non avrai modo neppure di colpire il mio Pokémon, poiché è troppo perfetto per i tuoi umani limiti. Ma attacca, se lo desideri: sarà una grande prova di coraggio per te.”

“Smetti di deridermi, Giovanni! Ti mostrerò di cosa sono capace, io. Charizard, usa il Fuocopugno!”

Ma Giovanni rimase in silenzio, senza ordinare attacchi al suo Pokémon. E così Mewtwo, mentre Charizard si gettava furiosamente contro di lui con i pugni infuocati, restò inizialmente immobile, rigido e severo, in mezzo all’arena. Ma poi, proprio quando il pugno di Charizard era ormai a pochi centimetri dal volto del Pokémon, gli occhi di Mewtwo arsero d’improvviso di una luce azzurra e potente, e Charizard tornò indietro come colpito da un forte urto, senza che Mewtwo avesse mosso un dito.

“Charizard! Rientra!” gridò Rosso disperato, nel vedere quegli occhi malvagi ardere di potenza. Giovanni scoppiò a ridere e gridò: “Oh, Rosso, Rosso! Ti arrendi?”

“No, mai!” urlò Rosso. “Ma a poteri psichici si risponde con poteri psichici. Vai, Espeon!”

E liberò il Pokémon, che brillò di scintille lucenti atterrando sul suolo. Gli occhi di Mewtwo si illuminarono una seconda volta.

“Che Pokémon meraviglioso! Un rarissimo esemplare di Espeon shiny. Che meraviglia! Attacca, comunque, se ne hai il coraggio. Il mio Pokémon replicherà.”

“Forza, Espeon, usa Psichico!”

Furono ora gli occhi di Espeon ad ardere di una luce violacea, ma Mewtwo non si mosse di un centimetro. Lo Psichico non funzionava.

“Com’è possibile? Stai barando! Lo Psichico di Espeon non ha mai fallito!”

“Questo può benissimo darsi, non oso metterlo in dubbio! Ma chiunque tu abbia sconfitto, Rosso, di certo non puoi aver combattuto con il mio prezioso Mewtwo, il mio Pokémon perfetto.”

“Perfetto o no, vedrai che riuscirò a sconfiggerlo!” urlò Rosso, infervorandosi. “Espeon, riprova con lo Psichico! Ora con la Confusione!”

Ma pareva non esservi attacco che infierisse su Mewtwo, non una mossa che contribuisse a spostare d’un millimetro quel gigante di due metri d’altezza e d’incredibile stazza.”

“Va bene, allora! Se neppure con Espeon funziona, riproverò con Charizard, o altrimenti con tutti gli altri miei Pokémon, ma non demorderò!” gridò Rosso, e ritirato Espeon mandò effettivamente Charizard in campo.

“Charizard, Fuocobomba!”

Dalla bocca lucente di Charizard uscì d’improvviso una fiamma potente che si avvolse attorno a Mewtwo, surriscaldando in pochi secondi l’aria della stanza. Ormai Mewtwo non era quasi più visibile in quella tormenta di fiamme che ardeva nell’arena e Rosso, per un solo momento, s’illuse di averlo sconfitto. Ma Giocanni non parve preoccupato.

“Adesso basta giocare, Mewtwo” disse. “Finiamola ora. Questo ragazzino ha troppo valore per giocarci come fosse un topo in un labirinto.”

Allora, d’improvviso, le fiamme si dilacerarono attorno al corpo di  Mewtwo, ed egli tornò visibile e almeno apparentemente privo di bruciature o simili segni. Di nuovo i suoi occhi s’illuminarono d’un bagliore azzurro, e immediatamente il fiotto di fiamme che sgorgava dalla bocca di Charizard s’interruppe e il Pokémon, il suo prezioso Pokémon fu sbalzato in aria e rispedito indietro, a pochi metri da Rosso. Il ragazzo urlò e in un balzo fu accanto al suo Pokémon.

“Commovente” disse Giovanni. “Complimenti, Rosso. Hai tutta la mia stima, ma ora occorre terminare la partita.”

Gli occhi di Mewtwo arsero un’ultima volta, e subito quelli di Rosso si spensero e non videro più.

 

 

Ecco un nuovo capitolo, dunque: lo scontro di Rosso con il peggiore dei suoi incubi. Fatemi sapere che ne pensate.

Grazie a DarkPikachi97 per le cortesi recensioni.

A presto! Afaneia ;)

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Capitolo 6
*** Percorso Ventidue. ***


Trascorsero ore buie e tormentate, come d’un sogno inquieto e angosciante, terrificante, sfiancante; ma poi Rosso riebbe d’improvviso coscienza di sé e si svegliò bruscamente come da un incubo, affannato, ansimante, oppresso.

Gli sfuggì un’esclamazione dalla bocca spalancata e affannata, ma subito essa si spense e i suoi neri occhi cerchiati scrutarono il luogo circostante con ansiosa fretta. Si trovava sul Percorso 22, la stretta stradina che da Smeraldopoli conduceva alla Via Vittoria e, da lì, all’Altopiano Blu.  Ma che cosa significava tutto ciò?

Si sollevò lentamente, provando a poco a poco le funzioni di ciascun arto. Non aveva riportato danni, almeno in apparenza, e non provava dolore; controllò i propri Pokémon: c’erano tutti. Ma che significato aveva avuto  tutta quella scena? Ormai pareva tardo pomeriggio e l’aria non pareva più calda e soffocante, ma mossa e quasi gradevole. Che fare?

Il berretto che indossava era scivolato a terra durante il suo sonno. Rosso si chinò a raccoglierlo e scorse sul terreno, proprio accanto alla visiera, una busta chiusa. Conteneva un foglio. C’era scritto:

“Ho ammirato profondamente il tuo valore durante la nostra sfida. Hai più che meritato la medaglia Terra, che troverai nella busta insieme a questa lettera. Il mio Pokémon perfetto è rimasto colpito dalla tua forza e mi ha domandato chi tu fossi.”

“Alla Lega Pokémon incontrerai mio figlio Blu. Ti faccio i miei auguri per la tua sfida.”

Con mano tremante, Rosso estrasse la Medaglia dalla busta e la osservò. Ricordava gli occhi di Mewtwo e quella forza soffocante, angosciante; lo aveva colpito? Lui? lui, Rosso, che aveva perduto contro di lui? ma com’era possibile?

Si sentiva pieno di forze e scattante, con la mente lucida e fresca, nonostante tutto. Uscì dalla macchia d’alberi e si diresse verso quella via stretta ma celebre, che, unica in tutta Kanto, conduceva all’Altopiano Blu.

In breve tempo si ritrovò davanti all’imponente porta ad arco che conduceva alla Via Vittoria; sapeva che, una volta entrato, un funzionario stipendiato da Lance (che ormai da due o tre anni era succeduto al padre alla guida della Lega Pokémon) si sarebbe incaricato di controllare le sue medaglie prima di lasciarlo passare.

Ma là c’era un’esile figura immobile dai capelli rossi e lunghi, alta, bella, elegante…avanzò, col cuore in gola, come preparato da mesi a tale incontro.

“Blu…”

“Rosso.”

Ma come aveva potuto dimenticare il suono del proprio nome sulle sue labbra, come aveva potuto vivere per un anno senza udire la sua voce, senza guardare nei suoi occhi limpidi il proprio riflesso? Avanzò di un passo, tendendo le braccia come un cieco; disse: “Blu…Blu” e si fermò. Come una foschia si diradò ai suoi occhi e quella dolce follia cessò: erano di nuovo Rosso e Blu, ma nemici e avversari. Barcollò. Blu lo guardava tristemente.

“Vai alla Lega Pokémon, Rosso?” domandò. Rosso sollevò lo sguardo e gli disse: “Sì…è là che stavo andando.”

“Hai dunque sconfitto mio padre?”

“Sì, Blu, io…”. Gli sovvenne d’un tratto un rapido lampo di memoria, due occhi azzurri e lucenti e la voce di Giovanni che gli proponeva di avere tutto ciò che il suo cuore aveva sempre bramato, ciò che aveva sempre cercato. Guardò Blu e ammutolì.

Perché, per quale motivo lui aveva sempre parlato di Blu quando Giovanni gli aveva detto quelle cose?

Al suo silenzio, Blu inarcò un sopracciglio. “Tu, Rosso?”. Le sue parole lo richiamarono. Si concentrò.

“Ho sconfitto Giovanni. Ho la medaglia Terra. Ma in realtà…”

“Ho perso” disse Rosso con voce infranta. Blu lo guardò stordito. “Ho perso, Blu. Andava tutto bene, ma poi…quel suo Pokémon perfetto, e io... ho perso. Come un incapace.”

Se Rosso non fosse stato così sopraffatto dal ricordo della propria sconfitta, avrebbe visto un brivido correre lungo la schiena di Blu. Egli si avvicinò di un passo, e Rosso vide che i suoi grandi occhi azzurri erano circondati da cerchi scuri, come i suoi.

“Il Pokémon perfetto? Rosso, ho capito bene?”

Ma Rosso non rispondeva. Blu lo raggiunse di corsa e lo scosse con violenza. “Rosso! Mio padre ti ha fatto combattere con Mewtwo?”

Rosso chinò il capo e mormorò: “Sì.”

“Ma non potevi vincere!” gli disse Blu. Lo costrinse a guardarlo negli occhi e gli disse dolcemente: “Rosso, non avresti potuto vincere. Nessuno può vincere contro Mewtwo. È perfetto, Rosso. È l’esperimento per il quale papà raccoglieva soldi da una vita. È la clonazione potenziata di Mew… nessuno può vincere!”

Rosso puntò nel suo viso smagrito i propri occhi stanchi e infossati e gli disse lentamente con voce infranta: “Ma mi ha umiliato, Blu! Non avevo mai perso in tutta la mia vita, e ora… ho perso, ho perso tutto.”

In quel momento, gli occhi di Blu fiammeggiarono di una luce che dopo un momento si spense. Si allontanò da Rosso, con uno sguardo che parve passare dalla delusione all’odio e poi al dolore.

“Hai perduto tutto, eh?” ripeté con voce sibilante e aspra, rancorosa. “Hai perduto tutto, dici? Ma già, questa è una tua caratteristica, Rosso, mio caro…credere sempre di perdere tutto, convincerti che ogni cambiamento sia una sconfitta. Una sconfitta! Ma non hai mai pensato di poter avere altre vittorie, altri guadagni nella vita, magari più piccoli, magari diversi…”

No, Rosso non capiva, non riusciva a capire. Indietreggiò di un passo, con gli occhi perplessi puntati su Blu; e Blu si afferrò i bei capelli rossi con ambo le mani e struggendosi urlò con voce tremenda: “Ma non te ne sei mai accorto, Rosso, che io ti amo e che in tutti questi anni sono sempre stato innamorato di te, che non ho mai voluto che te da quando ti conosco? Non l’hai capito mai che ti ho detto la verità solo per dimostrarti quanto io tenessi a te, che in tutti questi anni non ho bramato che te?”

Rosso barcollò. Blu era a un passo da lui, era vicinissimo a lui, era addosso a lui e urlava e piangeva con tutto il suo amore che lo investiva.

“Hai perduto tutto, Rosso? Ma non ti sei reso conto che questi minuti che abbiamo trascorso qui, parlando, erano come le ore, i mesi che trascorrevamo insieme da bambini, come i nostri anni trascorsi a Biancavilla a giocare, a parlare, a consolarci e incoraggiarci…non stavi, forse, riguadagnando me? Ma no, tu sei troppo preso dai tuoi sogni, come al solito, come sempre…”

“Blu…”

“Allora combattiamo, forza, se questo è tutto ciò che desideri. Combattiamo, se è questo che vuoi, poiché pari non vedere altro in tutta la tua vita!” esclamò Blu, e subito liberò il suo possente Rhydon e proseguì: “Attacca, Rosso, dato che non vedi che i tuoi Pokémon!”

E forse era vero sul serio, che Rosso non vedeva che i Pokémon in tutta la propria vita, perché se le parole di Blu lo avevano commosso e stordito, la vista di Rhydon sull’erba del percorso lo richiamò alla realtà. Era un Pokémon nemico e lui era un allenatore, e doveva lottare, sì, ma a quale prezzo…

“Vai, Blastoise!”

Perciò combatterono, scatenando a turno tutta la propria potenza: Rhydon e Blastoise, Pidgeot ed Espeon, Alakazam e Venusaur, Arcanine e Blastoise, Exeggutor e Snorlax. Blastoise e Charizard, alla fine. E a ogni colpo che subiva, Blu sembrava struggersi e tormentarsi sempre più, e piangeva, ma senza singhiozzi, da quei limpidi occhi che Rosso aveva, senza saperlo, vagheggiato più di una notte in un piatto specchio d’acqua piovana o in una notte senza stelle, o forse soltanto nei propri sogni.

“Charizard, finiscilo!”

E Blastoise cadeva esausto ai piedi di Blu, mentre il respiro del ragazzo si faceva più affannato e i suoi occhi, come allucinati, vagavano perduti lungo il percorso.

“Rientra, Blastoise” disse lentamente, mentre le sue ginocchia cedevano ed egli scivolava sul terreno, spossato, distrutto.

“Sarai un grande allenatore” mormorò, sollevando lo sguardo verso di lui. “Diventerai certo il più grande di tutti, Rosso, tu sei…fortissimo, molto più di me, più di Lance, forse… e realizzerai il tuo sogno.”

Calò il silenzio su quella strada deserta. Rosso richiamò Charizard e si avvicinò a Blu. S’inginocchiò davanti a lui, gli sollevò il mento con le dita, e guardò nei suoi profondi occhi che aveva tanto desiderato in quei lunghi mesi, e vide che essi erano colmi di lacrime e di tristezza.

“Ti amo, Blu. Forse non vedo che il mio sogno, forse è come dici tu, è vero; ma non c’è stata notte in questi lunghi mesi in cui io non abbia pensato a te, forse senza saperlo. E non c’è stato gesto che io abbia compiuto, che non sia stato per riavvicinarmi a te e per rivedere i tuoi grandi occhi, alla fine. Non sai, dunque, che eri tu che Giovanni mi offriva perché mi unissi a lui, che, se i miei ideali non fossero troppo forti, avrei mandato tutto all’aria, sogni e Pokémon e qualunque cosa, per schierarmi con lui e avere te, avere il tuo cuore palpitante d’amore tutto per me, solo per me?”

Ora Blu lo guardava con i suoi begli occhi lucidi e tristi, ma ora colmi di qualcosa che sembrava speranza. Sollevò una mano e l’appoggiò sulla guancia di Rosso, ed era una carezza, la prima carezza dopo molto tempo su quel viso che da mesi non veniva più sfiorato da mano umana. Rosso rabbrividì.

“Blu” disse d’improvviso, poggiando una mano su quella di Blu. “Blu, ascolta… devo andare. Devo andare via. Quella non è la mia strada.”

“Che cosa?”

“Hai capito, Blu. Quella non è la mia strada.”

“Ma Rosso, tu… hai sempre desiderato partecipare alla lega Pokémon, e ora…”

Rosso non rispondeva. Ora era in piedi, e i suoi occhi scrutavano lontano, infissi sulla rocciosa Via Vittoria e poi, molto più in alto, sulla cima dell’Altopiano Blu che si vedeva spiccare, lassù.

“Blu” disse lentamente con voce profonda, dopo lunghi secondi di silenzio: “L’hai detto tu stesso. Sono troppo forte, sono forte per tutti, persino per Lance. Ma ora che sono così vicino, ora che manca tanto così… sento che non devo più dimostrarlo così. Non è la Lega che sto cercando. È qualcos’altro.”

“Ma cosa, Rosso, cosa? Cos’è che vuoi, ora? Hai la Lega in pugno, hai…hai me, se questo vuol dire qualcosa. Cos’altro è che vuoi?”

“Sento che qualcosa mi chiama, Blu” mormorò Rosso. Calava ormai l’oscurità, e i loro volti ormi non erano più che nere pozze di tenebra. “Qualcosa che forse è aldilà del mare, Blu, o…non so. Ma so per certo che ciò che cerco non è lassù, su quell’Altipiano… Blu, io non andrò là. Ma tu vai alla Lega, e fatti onore Blu, amore mio: qualunque cosa accada, c’incontreremo di nuovo, forse tra non molto; e allora, forse, sapremo cosa dovrà essere della nostra vita, e ricominceremo.”

Le sue parole sfumarono dolcemente. Blu si alzò in piedi e disse: “Non verrai con me, dunque?”. La sua voce era limpida e fredda. Rosso scosse il capo: “No.”

“D’accordo, Rosso, come vuoi. Ma presta attenzione alle mie parole: i tuoi sogni finiranno per rivelarsi molto pericolosi. Stai attento.”

“Lo farò” promise Rosso, e si avvicinò a lui e lo baciò leggermente sulla fronte. Si abbracciarono, poi Rosso spiccò il volo, portando con sé il ricordo del buon odore di Blu.

 

Ecco qua, un capitolo che di certo non sarà piaciuto a nessuno, ma tant’è. Conosco già le possibili obiezioni a questo capitolo, obiezioni che, peraltro, sono io stessa la prima a muovermi: l’età dei protagonisti, che sono troppo piccoli rispetto ai sentimenti che provano. Ebbene, ho un’unica spiegazione a questa falla nella mia storia: questa è una spin off di un'altra storia, come accennato nel primo capitolo, e pertanto doveva “incastrarsi” con l’altra. Lo stesso dovevano fare le età dei protagonisti.

Perciò lapidatemi pure, ma la storia è già conclusa e non potrò modificarla. Odiatemi , ma io vi amo anche solo per essere giunti fin qui con la lettura di questa mia.

Grazie a nihil no kami e DarkPikachu97 per le recensioni.

A presto (spero). Afaneia ;)

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Capitolo 7
*** Il Regno di Missingno. ***


Il vulcano gorgogliava e ribolliva tuonando a poche decine di metri da Rosso, ma egli ristava immobile e severo, ritto sulla cima del monte, gli occhi infissi sulla lava che si smuoveva nelle sue profondità.

Blu lo amava. Ma soprattutto, lui amava Blu. Ora sapeva, era consapevole che era Blu tutto ciò che lui aveva sempre cercato e inseguito in tutti quei mesi di dolore e stanchezza.

Forse era per questo motivo che aveva deciso, tutto a un tratto, di non partecipare alla Lega: aveva per mesi rincorso quello spettro di Blu con la speranza di un ultimo scontro alla Lega, ma ora, ora che davvero si erano ritrovati, non era più la Lega che bramava. Era qualcos’altro, qualcosa che non poteva essere la Lega a dargli.

No, non era una facile fama che desiderava, non era un mondo di applausi e un accesso alla Sala d’Onore; era qualcosa di più duraturo e profondo, era un’eterna consacrazione nella storia dei Pokémon, un timore reverenziale nei propri confronti. Voleva essere, semplicemente…già, essere…ma non aveva già sentito, da qualche parte, di una creatura che è…?

Sentiva una forza potente, disperata, che cercava di richiamarlo a sé in modo irresistibile, incredibile… era come una musica che lo avvolgeva, che lo chiamava irresistibilmente. Era Blu? No, non era Blu. Ma allora che cos’era?

Eppure si sentiva attratto da quella potenza. Essere, semplicemente, già… cos’era quella forza che cercava di trarlo a sé? Ora era vicino, sempre più vicino al baratro del vulcano, e sotto di sé sentiva scorrere le grandi fiamme delle profondità della Terra, ed era tutto così caldo e soffocante, ma quella forza non cessava di attrarlo, sembrava anzi che volesse condurlo nel vuoto… là c’era qualcosa che stava cercando, ma non era Blu, non era Mewtwo, era un’entità… sentiva che lo scrutava con il suo sguardo penetrante, sentiva che lo fissava…

“Blu” pensò. “Blu, mio caro Blu, perdonami.” E mosse un passo verso il fiammeggiante abisso che lo chiamava.

 

Gli parve di sprofondare in se stesso, ma nel se stesso che non voleva, che non sapeva…e sprofondava in basso, sempre più in basso, verso l’oscurità (ma non avrebbe dovuto accoglierlo lava ribollente?), ma non verso la morte.

E ora si contorceva e urlava, atterrato senza schianti, si dimenava, c’era come qualcosa che lo tartassava dal profondo della sua anima; ecco, stava combattendo tutto l’orrore che la sua anima covava, ma anche lo sguardo di quella terribile entità… gridò per ore, contorcendosi tra le spire di febbre in un luogo che non conosceva, ma che probabilmente era deserto, perché nessuno gli venne in aiuto.

Ma poi fu come se quell’entità avesse abbandonato la sua mente; allora l’orrore che la sua anima da anni si trascinava dietro, non più stuzzicato dal volere dell’Entità, si quietò, e tornò ad acquattarsi in fondo al suo animo, là dove era sempre stato, e là rimase. Allora Rosso si rigirò nella notte e rimase là, a pancia in su sotto il cielo stellato, a riprendere fiato.

Quale oscura follia l’aveva spinto nel baratro del vulcano? Quale perverso desiderio si era impadronito di lui, in quegli attimi di solitudine? Egli non lo sapeva. Ma dov’era ora? Non avrebbe dovuto essere morto?

Anzi: era vivo o morto?

Sentiva il proprio respiro rallentare e farsi quieto e regolare, ma insieme sentiva una qualche angoscia farsi insopportabile, come se una fretta indescrivibile lo stesse spingendo a risolvere qualcosa d’irrisolvibile, o qualche cosa del genere. Si appoggiò le mani sul petto e sentì che da qualche parte dentro di lui c’era un cuore che pulsava e un’ anima ardente che fremeva ancora, malgrado tutto. Egli era vivo, allora. Ma dove?

A poco a poco, i suoi occhi misero a fuoco il cielo sopra di lui. Ed era un ampio cielo nero trapunto di stelle, un cielo estivo da cui non spirava altro che una brezza leggera. Eppure il suo animo non se ne sentiva appagato, non del tutto. Più scrutava il cielo, e più Rosso si rendeva conto che qualcosa non andava, che qualcosa non quadrava: era come se le stelle fossero dislocate male, collocate nel modo sbagliato, come se pezzi di cielo con le rispettive stelle fossero stati sovrapposti senza un armonico criterio.

Quello era un cielo sbagliato, insomma.

Via via che Rosso si convinceva che quello non era un prodotto della sua mente, sentiva crescere dentro di sé una serie di domande confuse. Se quello non era il cielo giusto, allora dov’era? E per quale motivo il cielo appariva così strano?

Rosso finì per sollevarsi con quelle domande in testa e per guardarsi intorno con occhi perplessi. Ma come? Non era stato solo fino ad allora? No, perché egli si trovava in una piazza, ed era circondato da decine di persone che si muovevano e s’incrociavano e s’ignoravano, ma anche quelle persone avevano in sé qualcosa di strano, nulla che, logicamente, non quadrasse, no, ma anche loro era come se fossero stati progettati male, come se le parti del loro corpo fossero state sovrapposte nel modo sbagliato. Ma se era circondato da tutte quelle persone, allora perché nessuno lo aveva aiutato quando aveva urlato per ore? No, c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

Rosso si voltò, e d’improvviso fu come se tutte quelle persone fossero scomparse, come se anzi non ci fossero mai state. Ora egli era solo in un parco buio e silente, e c’erano altalene e scivoli e tutte quelle cose che devono esserci in un parco, ma era come se fossero nel posto sbagliato. C’erano molte panchine e tutte erano vuote, ma ce n’era una sulla quale sedeva un vecchio, anch’esso sbagliato.

“Chi sei?” esclamò Rosso, alzandosi in piedi. “Perché non mi hai aiutato?”

“Aiutato?” disse l’uomo con voce bella, ma anch’essa stranamente inadeguata. “Aiutato? Ragazzo mio, come avrei potuto? Vedi bene che sono cieco.”. Rosso lo guardò con attenzione e vide che i suoi occhi erano azzurri e stranamente fissi. Aveva ragione.

“Va bene, ma…stavo urlando, e tu mi devi aver udito.”

“Udito? Sì, è vero che ti ho udito. Ma cosa potevo fare? Tutti soffrono, quando vengono qui. Questo è il regno di Missingno.”

“Missingno?” ripeté Rosso. Rabbrividì, e d’un tratto tutto gli fu chiaro: “È l’Entità!”

“Un’entità, già” disse il vecchio.

“Ma…ma tutte quelle persone…nessuna si è fermata!”

“Persone? Ma qui non c’è nessuno.”

“No, ma prima c’era un sacco di gente, te lo giuro!”

“Prima? Può darsi. Le cose muoiono rapidamente, nel mondo di Missingno.”

“Ma chi è questo Missingno? Parla!”

“Missingno è e conosce” disse il vecchio. “Missingno è tutto ciò che non si può essere, e regna su una città che non esiste.”

“Città, hai detto?” Rosso si guardò intorno, e d’improvviso si vide circondato da vie e palazzi di errori e numeri, da cose orribili… “Ma allora…allora questa è…”

“Oh, Rosso, non l’hai ancora capito? Questa è la Città dei Numeri.”

Rosso si voltò e guardò di nuovo il vecchio, ma egli parve di nuovo mutato ai suoi occhi.

“Perché mi chiamavate?”

“Chiamare? Io non ti chiamavo, io forse non esisto neppure. Missingno, forse, ti chiamava.”

“Ma tu esisti!” esclamò Rosso, avvicinandoglisi. “Oh, tu esisti certamente! Io e te stiamo parlando!”

“Tu parli di esistere qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno qui esiste per certo. Quanto a noi, non so dirti.”

“Ma allora dov’è Missingno?” gridò Rosso, afferrandolo con rabbia. “Voglio sapere perché mi chiamava!”

“Forse tu per primo lo sai, senza che lui abbia bisogno di dirtelo” disse il vecchio.

“No! Io non lo so, ho solo seguito quella forza!” urlò Rosso, scuotendolo, ma d’un tratto si accorse che il vecchio non era affatto tra le sue mani, ma in piedi alle sue spalle, ed era come se fosse in qualche modo cambiato. Rosso non riusciva a spiegarselo, ma era come se qualche parte del suo corpo si fosse spostata, mutandone l’insieme. Era qualcosa di insieme terribile e meraviglioso.

“Rosso! Forse che non è stato il tuo sogno a spingerti fin qui?”

“Cosa ne puoi sapere tu dei miei sogni?” esclamò Rosso, scivolando su quella panchina. Ora il vecchio era di fianco a lui, di nuovo orrendamente, indefinibilmente mutato; tutto era bianco intorno a loro, e il cielo era scomparso.

“Tutti coloro che la voce di Missingno chiama vogliono la stessa cosa, ma non sono mai la creatura che cerca e non trova, la Prescelta Creatura che in questo secolo deve arrivare qui.”

“Cos’è la Prescelta Creatura? Chi è?”

 “Chi sia? Non so, in ogni secolo è un’anima diversa. Cos’è? Una creatura” rispose il vecchio. “È…ma come spiegarlo? È qualcuno così forte e potente che non si possa non riconoscerlo. È un’anima eterna in innumerevoli corpi mortali, è un canto divino che si reincarna nel giusto momento, nel giusto corpo. È…ma tu, se non lo sei, perché sei qui?”

D’un tratto Rosso balzò in piedi, e quella dimensione bianca sfumò e tornò di nuovo quello strano parco buio, ma ora la panchina era vuota e il vecchio era scomparso. Dio! Ma cosa stava succedendo? Erano dentro la sua testa, quelle parole di profezia, o erano forse una realtà immutabile, ormai decisa?

“La Prescelta Creatura?” si domandava ansioso, frugando il parco con occhi inquieti. “Io, dunque…ma no?  E se no, perché Missingno mi chiamava?”

Ma d’un tratto una voce lo fece piegare su se stesso come un dolore, ed egli cadde a terra e gemette: era come una voce che rimbombava nella sua testa e lo possedeva, lo soffocava:

“Questo è il mio regno.”

“Sei Missingno?”

“Chi altri potrebbe esserlo?”

“Perché mi hai chiamato?”

“Ti ho chiamato per fare mia la tua volontà, per fare di te uno strumento del mio potere. La tua vita mi sarà utile negli anni che verranno, e ora mi appartiene, e tu sarai un fantoccio comandato dalla mia volontà.”

Ora la mente di Rosso galleggiava, ed egli non pensava che a liberarsi di quella voce tremenda.

“Ora va’, va’ via dalla Città dei Numeri, compi la mia volontà: seguirai lontano il tuo folle sogno, ma ti giuro che un giorno non lontano le tue sofferenze avranno un termine, e tu sarai ripagato di tutte le tue fatiche e dei tuoi dolori,  e godrai di una felicità pari all’infelicità che ti accompagnerà nei prossimi anni. Ora va’, Rosso, e segui il tuo sogno fin dove ti porterà.”

Davanti agli occhi di Rosso si aprì il mare, ed essi vi si immersero e la sua mente volò via da lì.

 

Ecco qua, un capitolo cardine della storia, forse il suo capitolo fondamentale, e di gran lunga il mio preferito per il suo carattere visionario e fantastico. Occorrerà però spendere alcune parole al riguardo:

Città dei Numeri e Missingno: non so quanti di voi abbiano mai giocato a Pokémon Rosso, Blu o Giallo. Si tratta di due bug piuttosto noti, circa i quali potrete documentarvi molto facilmente su Internet, se lo vorrete. Il primo è un luogo accessibile, tramite un bug di salvataggio, dalla Zona Safari e si presenta essenzialmente come un mucchio di pixel confusi e sconnessi: per tale motivo ho deciso di presentare la Città in questa storia come un luogo in cui edifici e persone subiscono un eterno mutamento. Missingno è invece un Pokémon bug che compare grazie al famoso Mew trick, il trucco per catturare Mew, e che può in taluni casi cancellare il salvataggio del giocatore. Si presenta come un mucchio di pixel. Perché ho deciso di usarli? Perché mi ispiravano. Sono due oggetti sbagliati, che non dovrebbero affatto trovarsi nel gioco e che, tuttavia, ci sono.

Prescelta Creatura: non so quanti di voi abbiano visto il film “Pokémon due: la forza di uno.” Personalmente lo vidi da piccola al cinema e fui colpita tantissimo dal titolo “Prescelta Creatura” che viene attribuito ad Ash. Ebbene, ne fui tanto colpita da scriverci una storia, che poi ho buttato via dopo qualche anno perché era semplicemente orrenda ma che rimase dentro di me al punto da averla riscritta due volte. L’ultima ristesura risale a un paio di anni fa ed è tuttora in corso, diciamo che ci lavoro su quando non ho di meglio da scrivere. Si tratta della principale da cui è tratta questa spin off. Il concetto di “prescelta creatura” è un concetto che rielaborai da bambina e che tuttora trovo molto infantile, ma che non ho potuto elidere dalla storia principale senza inficiarne la trama. Perciò vi rimane, ma è trattato secondariamente rispetto ad altri elementi.

Comunque, la storia prosegue. Mi auguro che ancora vogliate continuare a leggere. Grazie a DarkPikachu97 della recensione.

A presto! Afaneia ;)

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Capitolo 8
*** Non c'è ambizione. ***


“Rosso! Oh, Rosso, mio caro Rosso! Che cosa hai fatto? Che occhi rossi che hai, mio caro!”

La sua figura, stagliata contro la porta, era immobile ed emaciata e i suoi capelli spiovevano sul suo corpo, sporchi e disordinati e sudati, e i suoi occhi erano rossi  gonfi, cerchiati da orribili segni neri. Mosse uno stanco passo all’interno della casa, e subito fu chiaro come fosse devastato.

“Rosso! Rosso” esclamò Dalia, e corse a sorreggerlo e a trattenerlo. “Che cosa è successo, gran Dio?”

Rosso sollevò lo sguardo e infisse in quelli della madre i propri grandi occhi scuri e infuocati, ormai colmi di una follia che non sarebbe più scomparsa negli anni a venire. Erano trascorsi due giorni da quando si era buttato nel vulcano.

“Sono…stato in un posto” mormorò, appoggiandosi col petto alla spalla della madre. Da tre giorni ormai non mangiava, e non si sentiva forze sufficienti a muovere un altro passo da solo. “E…avevo bisogno di riposarmi, e ora vorrei…vorrei…” Non lo sapeva nemmeno lui.

“Rosso, Rosso, figliolo, vieni qui, vieni con me. Sei tutto sporco e tremante! Ma dove sei stato?”

“In un posto!” urlò Rosso. Dalia si immobilizzò e lo guardò intensamente. “In un posto! Non farmi domande su quel posto, o io…o io…no, non chiedermi mai nulla di quel posto, o morirò!”

“Rosso, vieni di qua con me! Andiamo in bagno, e lì ti laverai come si deve e ti toglierai questi vestiti sudici. Ma se non vuoi non ti chiederò più nulla.” E lo trascinò in bagno, lo spogliò tutto e lo infilò nella vasca piena d’acqua calda, e lo strofinò tutto con vigore, nel primo, vero bagno che Rosso si concedesse dall’inizio del suo lungo viaggio. Poi lo strofinò con un asciugamano ruvido, asportando tutto lo sporco e la pelle morta, e lo fece rivestire con vecchi vestiti che Rosso non aveva voluto portare seco. Rosso si lasciava trascinare, muovere e toccare e lavare come un automa, senza volontà né resistenza. Poi si addormentò nel proprio letto e dormì per un’ora, mentre sua madre gli preparava in fretta un pasto fresco ma abbondante.

Quando andò a svegliarlo, Dalia trovò che Rosso si era già destato da ormai qualche minuto e che giaceva immobile su un fianco, con gli occhi aperti e colmi di lacrime.

“Rosso” mormorò avvicinandosi “Come posso vederti così? Dimmi cosa posso fare, e io rovescerò il mondo per farti guarire dal tuo dolore.”

Ma Rosso incominciò a piangere, e dopo un po’ Dalia sentì che mormorava: “Perdonami, mia gioia, perdonami.” Allora cominciò ad accarezzarlo piano, e Rosso afferrò la sua mano e la strinse forte mentre piangeva.”

Dopo forse dieci minuti il suo pianto si calmò, ed egli si mostrò di nuovo stanco e silente mentre mangiava un poco. Dalia sedeva accanto al suo letto senza parlare, guardandolo semplicemente. Ma a poco a poco fu Rosso a riprendere la parola.

“La casa di Blu è vuota?”

“Sì, salvo per una donna che a giorni alterni va a pulire e ad areare.”

“E i suoi genitori?”

“Dissolti nel nulla da un giorno all’altro, dopo la vostra partenza.”

“Il professor Oak?”

“Al suo laboratorio, come sempre.”

“Blu non si è più rivisto qui?”

“No, non si è rivisto.” E soggiunse cautamente: “Volevi rivederlo?”

Ma Rosso non rispose. Trascorsero la serata in silenzio , tenendosi compagnia solo con la propria presenza, e verso le dieci Dalia decise di lasciarlo solo e di farlo riposare, ma Rosso non dormì per tutta la notte. I suoi occhi erano fissi sul soffitto della sua bianca stanza linda e silenziosa, ma ahimé, non più sua, poiché nulla ormai poteva più appartenergli, dopo quella notte orribile e dopo quei due giorni che aveva trascorso sul vulcano, vagabondando come rapito da un sogno, o da un incubo, o dal ricordo di Missingno.

 

Trascorse rinchiuso in casa i quattro giorni seguenti, rifiutandosi di vedere chiunque oltre sua madre. Per i primi due giorni non riuscì mai a dormire di un sonno leggerissimo per più di un’ora al massimo ogni notte. Ogni volta che il suo sonno si faceva più pesante, la voce di Missingno tornava a perseguitarlo col ricordo delle sue parole orribili, ed egli si svegliava urlando e poi piangeva amaramente per il resto della notte, chiamando Blu e invocando la sua presenza. Sua madre, che non osava entrare in camera sua, restava seduta per tutta la notte sulla soglia della sua porta, piangendo in silenzio sul dolore insanabile del figlio. Il giorno dopo il suo ritorno, Rosso aveva bruciato la Mappa delle Città appesa al muro, passando con furia selvaggia un accendino nel punto in cui spiccava l’Isola Cannella.

Ma poi, a poco a poco, cominciò a mangiare qualcosa con gli occhi che sembravano davvero intenti a farlo; ricominciò a dormire circa tre, quattro ore a notte, e due o tre ore il pomeriggio, quando era stanco. A poco a poco, gli sembrava che la voce di Missingno abbandonasse la sua mente ormai frustrata, liberandolo dal suo tormento, o almeno da una parte di esso. Sentiva che comunque ci sarebbe stata sempre una ferita, dentro di lui, che non sarebbe guarita mai…

Malgrado tutto, il suo corpo era ormai completamente guarito, mentre la sua mente si riprendeva giorno dopo giorno.  Una sera egli sedeva in silenzio sul proprio letto, guardando alla televisione un programma sulla Lega Pokémon in preparazione. A un tratto sentì bussare alla porta e sua madre si affacciò e rimase a guardarlo.

“Che cosa c’è?” domandò Rosso, tornando a guardare lo schermo.

“Nulla” rispose sua madre. “Volevo sapere se avevi voglia di fare uno spuntino, prima di andare a dormire. Magari posso prepararti del latte coi biscotti, se ti fa piacere.”

Calò un momento di silenzio. Dopodiché Rosso spense la televisione col telecomando e disse senza guardarla: “Perché non porti qui due bicchieri di latte e due piatti di biscotti, e non ce ne stiamo qui a parlare un po’? Non ho voglia di alzarmi, ma sento di doverti dire qualcosa di molto importante.”

Allora Dalia s’illuminò e corse di sotto, e pochi minuti dopo tornò da lui con un vassoio e il latte e i biscotti. Era la prima volta da quando era tornato che Rosso si dimostrava così attivo e vivace, e  pensava che fosse un miglioramento.

Si sedette su una sedia accanto al suo letto e mangiarono e bevvero e parlarono a lungo a bassa voce. Rosso chiedeva notizie di Biancavilla, ma del proprio viaggio non raccontava molto, nominò solo quegli episodi ormai noti dei suoi scontri con Team Rocket, e soprattutto non parlò mai del motivo per cui non aveva voluto partecipare alla Lega Pokémon, né tantomeno del luogo che sembrava averlo tanto sconvolto. Poi accesero la televisione e guardarono per un po’ i preparativi della Lega, commentando insieme l’austerità di Lance o la bellezza di Lorelei, la muscolatura di Bruno o la severità di Agatha, o semplicemente l’imponenza dei preparativi del Torneo. Ma poi Rosso spense la televisione, e appoggiandosi al cuscino rimase a lungo in silenzio. Sua madre taceva egualmente.

“Mamma” disse d’un tratto Rosso, stringendo tra le mani i lembi delle lenzuola sfatte che fissava ardentemente. "Mamma… tu ti sei mai accorta che io sono innamorato di Blu?”

Sentì d’un tratto che il silenzio calava sulla stanza e che il respiro di sua madre si faceva per un attimo più lento, e subito chiuse gli occhi e si aspettò qualche reazione da parte sua. Ma poi una mano gli accarezzò la guancia, ed egli seppe di essere al sicuro come nel mare calmo.

“No, mio caro” mormorò Dalia. “Non me ne sono mai accorta, ma in un certo senso è come se l’avessi sempre percepito in fondo al mio cuore. Mio caro, non essere triste! Credi forse che per me cambi qualcosa?”

Ma Rosso la guardò con occhi stravolti e tristi ed esclamò, afferrando con forza travolgente la sua mano: “Ma non ti disturba, questo, non ti dà dolore, questo? Che io, tuo figlio, ami un altro ragazzo, e che sia un bel ragazzo con gli occhi celesti che si meriterebbe di avere una bella ragazza da coccolare? Non ti dà forse fastidio che io, in tutti questi anni, non abbia amato, cercato che lui…?”

“No” disse Dalia in tono di dolce certezza. “No, Rosso, non mi dà fastidio, né dolore sapere che tu ami Blu. Mi dà dolore vederti piangere e udirti chiamare invano: questo sì, mi dà dolore. Mi dà dolore non poterti salvare: questo sì, questo mi addolora. Ma no, non mi dà noia che tu lo ami: penso anzi che se qualcosa può salvarti dai tuoi incubi, questo sia l’amore di Blu, e null’altro.”

Allora Rosso la guardò negli occhi, e vide che essi erano limpidi e non covavano rancore, e si rasserenò e le chiese: “Mi vuoi tu dunque bene?”

“Mio caro, tu non sai dove possa arrivare l’amore di una mamma!” mormorò Dalia baciandolo, e Rosso la strinse forte e si addormentò stringendo la sua mano e piangendo e come un bambino, invocando e chiamando Blu, anche se sapeva che non sarebbe mai arrivato.

 

Il giorno seguente, Rosso espresse per la prima volta il desiderio di uscire di casa, e soprattutto disse di volerlo fare da solo. Si preparò e uscì e vagò per qualche minuto per la città, ma poi si diresse verso il luogo che aveva ormai prestabilito, il laboratorio del professor Oak.

Attraversò il parco come un alito di vento. Nell’erba alta si aggiravano molti dei suoi Pokémon, e alcuni gli corsero incontro e lo salutarono: il suo prezioso Dragonite e poi Jynx, e vide in uno stagno lontano Lapras e il suo spaventoso Gyarados che aveva domato con fatica, e prima che potesse bussare alle limpide porte a vetri del laboratorio il suo Ditto fece in tempo a copiarlo, trasformandosi in una sua perfetta copia. Lo accarezzò dolcemente, scrutando pensoso le pesanti occhiaie che la sua copia esprimeva, poi bussò all’intelaiatura in legno bianco delle porte, e attese.

“Chi è?”

“Sono io professore, sono Rosso!”

“Rosso!”

Le porte si spalancarono con un suono secco e Rosso entrò di corsa e si guardò intorno e raggiunse il tavolo in legno accanto al quale ci si era dibattuti quasi un anno prima. Il professore era lì e lo guardava.

“Rosso! Ho saputo che eri tornato, ma tua madre mi ha detto che…”

“Le ha raccontato tutto?” mormorò Rosso; e quando raggiunse la luce centrale le sue occhiaie spiccarono tremendamente, e il professore rabbrividì.

“Sì, mi ha raccontato tutto, ma… non pensavo che fosse…oh, occorrerà parlare come si deve. Vieni, seguimi.” Si voltò e attraversò una porticina bianca che dava accesso alle zone private del laboratorio, zone che Rosso aveva visto qualche volta da piccolo. Percorsero lunghi corridoi bianchi e silenti, e Oak lo portò nella piccola cucina dove non di rado aveva preparato a lui e a Blu cioccolate e merende per farli parlare, e difatti, aperto il frigo, tirò fuori una confezione di gelato e ne preparò due coppe. Rosso attendeva, seduto in silenzio su una poltrona.

“Tieni, Rosso” gli disse il professore, porgendogli una coppa di gelato e sedendosi al suo fianco. “Ora parlami, e dimmi o chiedimi tutto ciò che vuoi.”

Inizialmente Rosso mangiò in silenzio un poco di gelato, ma in un silenzio inquieto e incostante. Poi: “Professore…lei ha mai sentito parlare della Prescelta Creatura?”

“Oh, sì” rispose il professore. “Certo, ma è una vecchia leggenda e nessuno ne parla più.”

“Vorrebbe parlarmene, per favore?”

“Beh, Rosso, non c’è molto da dire. Le leggende fanno riferimento a una creatura meravigliosa di spoglie mortali, che muova i suoi passi tra le vite degli uomini…tutto qui, come vedi non c’è molto.”

“Ma come si fa a diventarlo?”

“Credo che il sangue della Prescelta Creatura si tramandi per via familiare.” Spiegò il professore.

“È dunque una specie di predestinazione?”

“In un certo senso lo è” rispose il professore. “Ma credo che sia anche qualcosa che va meritato, non so se mi spiego.”

“Capisco.”

“Pare inoltre che un aspetto molto bello contraddistingua la stirpe dei Prescelti. Ma Rosso, queste sono solo leggende, lo sai.”

“Lo so” mormorò Rosso con gli occhi spenti. Ma il professore lo guardò con attenzione e gli disse: “Forse…tu ci credi?”

Rosso non rispose.

“Oh, Rosso, non crederci. È solo una vecchia leggenda, che ormai pensavo solo pochi vecchi ricordassero. Insomma, non vale la pena intestardirsi tanto. Addirittura” soggiunse ridendo “pare che debba essere Ho-Oh in persona, il Pokémon leggendario di Johto, a dover discendere dal cielo per riconoscere la Prescelta Creatura. Perciò, immaginati!”

 “Ho-Oh?” ripeté Rosso, sollevando il capo di scatto. “La fenice di fuoco delle leggende di Johto?”

“Già, Ho-Oh.”

“A Johto, dunque: è a Johto che bisogna andare.” mormorò Rosso tra sé. Il professor Oak non lo sentì.

“Su, Rosso” gli disse paternamente. “Ora non pensarci più, eh? È solo una vecchia leggenda per allenatori ambiziosi, tutto qui. Non parliamone più.”

“Non parliamone più” ripeté Rosso.

“Bravo ragazzo. E ora dimmi, Rosso…posso sapere per quale motivo non hai voluto partecipare alla Lega?”

Rosso sollevò lo sguardo e disse: “Sento che non è quella la mia strada, professore. Sento…sento di voler viaggiare ancora, di dover migliorare e migliorare fino a diventare il più grande. La Lega non è grande abbastanza per la mia ambizione, non so se mi spiego.”

Il vecchio lo fissava in silenzio. Annuì. “Sì, capisco, ragazzo mio” disse serenamente. “È normale. Sono anzi lieto che tu voglia proseguire il tuo viaggio, abbandonando i facili sogni. Ma mio nipote, Blu, è là, ora. Mi ha chiamato qualche ora fa. Dice che ha incontrato Lance e che ne è rimasto affascinato: egli si aggira per l’Altipiano con un lungo mantello svolazzante…sono il suo padrino, sai. Ero molto amico di suo padre.”

Rosso aveva ormai smesso di ascoltarlo da un po’. Aveva lo sguardo fisso a terra e respirava piano.

“Professore!” disse tristemente alzando lo sguardo “Professore…come le è parso Blu?”

Il professore sospirò profondamente.

“Distratto” disse semplicemente. “Non ce la farà. Mi pare che i suoi occhi siano sempre perduti dietro a qualcosa: prima al telefono parlava con me, è vero, ma i suoi pensieri andavano a qualcos’altro…ma non so cosa.”

Il cucchiaino con cui Rosso stava giocherellando cadde a terra. Rosso si prese il viso tra le mani ed emise un sospiro profondo, e i suoi occhi si colmarono di lacrime.

“Rosso! Che cos’hai, Rosso?”

“Professore” esclamò quegli, alzandosi “Non sa dunque lei a chi è che Blu pensa ora?”

Ma il vecchio lo guardò severamente.

“Sì, Rosso, credo di saperlo” disse. “E sono felice che tu me lo chieda. Perché leggo nei tuoi occhi che anche tu pensi a lui, e vorrei dirti questo: che non c’è forza al mondo più forte dei sentimenti che provate, che non c’è Pokémon, non c’è leggenda, non c’è ambizione che possa tenergli testa. E per questo vi auguro di ritrovarvi, Rosso, e di trovare pace.”

 

Un capitolo semplice, che non ha bisogno di molte spiegazioni, ma che posso spiegare a chi abbia dubbi in proposito. Grazie a DarkPikachu97 e a nihil no kami per le gentili recensioni.

A presto! Afaneia ;)

 

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Capitolo 9
*** Incendio e fiamma. ***


Un elicottero era ormai pronto sul tetto della palestra quando Blu arrivò correndo, affannato, e percorse le scale come una folata di vento. Raggiunse il tetto e vide un’alta figura robusta in piedi immobile presso l’elicottero.

“Papà!”

L’uomo si voltò verso di lui e i suoi occhi brillarono. “Blu” disse andandogli incontro. “Credevo che non saresti riuscito a venire.”

“Volevo vederti…oh papà, ti prego, non partire!” esclamò Blu, afferrandosi con rabbia alla giacca del padre.

Giovanni gli accarezzò la morbida testa rossa e gli disse a bassa voce: “Devo partire, Blu. È successo….qualcosa di orribile.” I suoi occhi si velarono e la sua voce s’incrinò. Blu lo guardò con attenzione, perplesso, e gli chiese: “Che cosa è accaduto, papà?”

Giovanni accarezzò di nuovo i folti capelli del figlio, sospirando profondamente.

“Blu, ascolta… ora non ti spaventare, ma devo dirti che Mewtwo è fuggito dalla mia sorveglianza e pare che ora si sia installato nella Grotta Ignota.”

Inizialmente gli occhi di Blu si spalancarono, ed egli indietreggiò d’un passo e scrutò il padre con attenzione. “Ma…ma papà, che cosa può accadere?” domandò incredulo. “Mewtwo è scappato, bene…non importa! Vivremo senza di lui, faremo come abbiamo sempre fatto fino a quando non è arrivato. Papà, io ora sono molto forte, non sarà difficile…”

“No, no, Blu, ascoltami” esclamò Giovanni, e afferrò il viso di Blu e lo costrinse a guardarlo: “Ascoltami! Mewtwo tenterà di uccidermi, so che lo farà, è un Pokémon malvagio e si vendicherà di me. Mio caro, non posso restare qui! Sento di dover andare via, molto lontano, dove non possa trovarmi. Da lì ricostituirò il potere del Team Rocket e lo rafforzerò, e presto o tardi Blu, figlio mio, tornerò a Kanto, a capo del mio impero, te lo giuro.”
Gli occhi di Blu erano ora colmi di lacrime amare e dolorose. Strinse forte la mano del padre e la baciò con amore filiale, poi disse con voce infranta: “Oh, ma perché tutti devono abbandonarmi a questo mondo?”

“Mia gioia! Mio orgoglio!” esclamò Giovanni, inginocchiandosi dinanzi a lui e prendendogli le mani: “Blu, figliolo, la vita è fatta di abbandoni, ma non tutti sono definitivi. Il nostro non lo è: tornerò da te, mio caro e dolce Blu, tra qualche tempo. Nel frattempo, ti chiedo di aver cura di te e della palestra, finché potrai. Lo farai?”

Ma Blu non rispondeva, e Giovanni vide che dai suoi occhi le lacrime scendevano ormai copiose. “Blu!” esclamò. “Blu, mio caro, non piangere troppo forte! Il nostro non è un addio. Tornerò da te, Blu, mio adorato Blu, e curerò di nuovo la tua felicità, come quando eri piccolo, eh? Ma tu, te ne prego, abbi cura di te.”

“E come?” esclamò Blu, disperato, aggrappandosi alla sua giacca. Giovanni tacque. “Aver cura di me?” ma come? Resterò solo!”

“No, mio caro, non resterai solo: tu sai che c’è chi ti ama tremendamente a questo mondo.”

Quelle parole fulminarono d’un tratto Blu; egli indietreggiò d’un passo: ricordava qualcosa che Rosso gli aveva detto, qualche giorno prima…

“Tu lo sapevi!” gridò. “L’hai sempre saputo che io…che io sono…che io amo…”

“Sì, mio caro. L’ho sempre saputo, è vero: e ho sempre saputo anche che lui da sempre brama il tuo amore. Blu, mio caro, dolce Blu! Sii felice con lui. Anche se è proprio una strana coincidenza, che tu ami il ragazzo che ha distrutto Team Rocket…”

“Oh, ma io non…”

“Sht, non pensarci, adesso: questo è solo il semplice gioco della fatalità, che ci spinge a perderci gli uni con gli altri… ma non temere! Egli ha distrutto Team Rocket proprio perché ti amava, Blu, mio caro. E io so che tu lo ami: non ti sei mai accorto che talora, quando dormi, è il suo nome che ti sfugge dalle labbra nel sonno profondo?”

Blu restava in silenzio con gli occhi spenti. Giovanni lo accarezzava.

“Sii forte, ragazzo mio. Ora dovrai reggere le sorti della palestra, dovrai essere forte e orgoglioso come sei sempre stato, come ho voluto che tu crescessi. Prenditi cura di Rosso, e sii felice.

Allora Blu lo guardò e annuì tristemente. Lo baciò sulle guance e lo abbracciò piangendo per l’ultima volta, e Giovanni lo salutò a sua volta con eguale calore, baciandolo. Poi salì sull’elicottero e gli fece cenno di allontanarsi: le grandi pale si stavano mettendo in movimento. Blu indietreggiò fin dove gli fu possibile, e vide che Giovanni lo salutava con la mano mentre l’elicottero si sollevava. Rispose al saluto come poté, sbracciandosi e urlando con tutta la voce che aveva: “Ciao papà, ciao! Ti voglio bene!”. Sapeva che Giovanni gli rispondeva allo stesso modo dall’interno dell’elicottero. Ma poi esso si sollevò ancora e si allontanò. Dopo neppure cinque minuti, Blu aveva ormai perduto di vista persino il minuscolo puntino nero stagliato contro il cielo che era l’elicottero.

Lo colse un accesso di pianto, ed egli rimase a lungo immobile e singhiozzante su quel tetto. Suo padre era partito, lo aveva abbandonato: egli era ora solo al mondo e senza una guida. Solo.

Scese di corsa le innumerevoli scale dell’edificio, attraversò uffici ormai vuoti e stanze che suo padre, nella foga della partenza, aveva rovesciato da cima a fondo. Uscì dall’edificio.

Ecco, Smeraldopoli si stendeva dinanzi a lui, bella e scintillante nell’aria estiva, ma lui era solo, solo contro ciascun luminoso, lindo edificio di quella bella città. Che cosa doveva fare?

“Capopalestra: Giovanni” diceva il cartello al suo fianco. Blu vi si scagliò contro, macerò la carta che rivestiva l’insegna, lacerò con le unghie le lettere della scritta, travolto da una furia distruttiva che non lo lasciava ragionare. Ma poi, quando la scritta fu ormai illeggibile ai suoi occhi, egli indietreggiò con lo sguardo pieno di spavento, e corse via, corse verso Biancavilla. Percorse la strada correndo come un fulmine, saltando di volata cespugli e arbustelli; raggiunse Biancavilla e là agì come un cieco, si mosse quasi a tentoni e raggiunse la porta alla quale maggiormente desiderava bussare.

Bussò, e la porta si aprì.

“Blu! Ma…ma che cosa ci fai qui?”

“Rosso! Signora, lei forse sa dov’è Rosso!”

E d’improvviso una voce risuonò alle spalle della donna, e Rosso disse: “Blu, io sono qui.”

Dalia si scostò dalla porta e Blu si precipitò dentro. Rosso lo raggiunse e Blu si aggrappò al suo petto, tremando come un pulcino bagnato.

Ora Rosso esitava, perplesso, incerto su cosa dire. Poggiò le mani sul capo di Blu e mormorò: “Perché sei qui?”

Blu non cessava di tremare. Balbettò: “Rosso…è terribile! Mio padre ha riparato all’estero. Mewtwo è fuggito. E io non so cosa fare.”

 

Erano ora seduti in silenzio sul letto di Rosso, l’uno accanto all’altro. La casa era deserta. Sul tavolo davanti a loro c’erano due bicchieri e un bricco di latte al cioccolato, che Dalia aveva lasciato per loro prima di lasciarli.

“Hai detto che Mewtwo è scappato” mormorò Rosso con occhi vacui. Blu annuì.

“Mio padre ha detto che probabilmente si è installato a Grotta Ignota.”

“Grotta Ignota, dunque” disse Rosso. Blu non lo sentì.

“Oh, Rosso…non sapevo cosa fare. Mio padre è fuggito e io sono solo, e dovrò gestire la palestra e…”

“Sht, Blu…stai calmo” disse Rosso, bruscamente richiamato alla realtà. “Oh, stai calmo, Blu. Non sei solo.”

“E chi c’è al mio fianco?” replicò Blu aspramente, guardandolo negli occhi; e di nuovo Rosso si perse nello splendore del suo sguardo azzurro, e ammutolì.

“Potrei esserci io, se tu volessi” bisbigliò appena qualche momento dopo. Fu ora il turno di Blu di ammutolire, ed egli non poté far altro che restare immobile a guardarlo. Allora Rosso gli cinse cautamente le spalle con un braccio e lo trascinò verso di sé, lasciando che appoggiasse il capo sul suo petto.

“Stai bene qui?”

Sentiva che Blu era fermo e inquieto sul suo petto. Gli appoggiò una mano sui capelli. Da molti, molti mesi ormai bramava quel contatto. Blu parve sciogliersi un poco.

“Sì, sto bene qui.”

“Vuoi dormire da noi, stanotte?”

“Credi che io possa?”

“Certo che puoi. Mia madre ti vuole molto bene.”

“E tu, Rosso?”

“Io cosa?”

“Tu mi vuoi bene, sì?”

Il silenzio calò d’improvviso sulla stanza bianca; Rosso percepiva il respiro di Blu, e sentiva il suo cuore battere forte forte contro la sua mano.

“Io ti amo molto, Blu.”

“Allora perché non sei venuto alle Lega?” esclamò Blu, sollevandosi di scatto.

Lo sguardo di Rosso s’intristì d’improvviso.

“Ho sentito che non era quella la mia strada.”

“E allora quale, Rosso? Hai sempre bramato la Lega. L’avevi in pungo, avresti sconfitto Lance. E allora perché sei tornato indietro?”

“Perché ti stai sbagliando, Blu” mormorò Rosso, afferrandogli un polso. Lo guardava fissamente, intensamente, e Blu, che non riusciva a sottrarsi al suo sguardo, vide d’un tratto qualcosa di sbagliato nei suoi occhi: “Rosso…”

“Ascolta! Io non volevo la Lega, io volevo te. Ma tu avresti partecipato alla Lega: allora anch’io dovevo parteciparvi per avere te.”

“Ma quando…”

“Quando ci siamo incontrati, tu mi hai detto che mi amavi.  E non avevo più bisogno della Lega per avere te! Andava bene qualcos’altro…e d’un tratto ho sentito che non era quella la mia strada.”

Blu tacque un momento, come assorto, e subito, dopo mormorò: “Rosso, che cosa è accaduto ai tuoi occhi?”

Egli impallidì d’un tratto. Cos’era accaduto?

“I miei occhi, Blu?”. Rise, ma d’una risata forzata: lo sguardo di Blu gli diceva che non stava scherzando. “Che cosa stai dicendo?”

“Rosso…i tuoi occhi erano neri!”

“Non lo sono forse ancora?” esclamò Rosso, alzandosi in piedi , percorso da brividi. C’era uno specchio in un angolo della camera. Corse a prenderlo.

“No, sono…oh, ma devo essermi sbagliato!” mormorò Blu.

Rosso aveva ora una mano poggiata sul manico dello specchio; esitò: non osava guardarlo.

“Non importa, mio caro… dimmi che cosa hai visto nei miei occhi, ti prego. Voglio saperlo.”

Blu esitava, tentennava, Rosso sentiva che non osava dirglielo. Poi disse, sforzandosi di ridere, ma incerto: “Oh, è una sciocchezza…ma i tuoi occhi…i tuoi occhi parevano rossi, come se sanguinassero o ardessero…ma è una sciocchezza!” esclamò, ancora sforzandosi di ridere. Ma Rosso sapeva che Blu aveva visto davvero quel colore, e sollevò lo specchio.

Sì, i suoi occhi erano rossi e ardenti come se bruciassero, ma non avevano neppure perduto il loro vero colore: erano neri, sebbene nelle loro profondità sembrassero divampare fiamme infernali…

Tu sei uno strumento della mia volontà. Non puoi fuggire dal mio potere, dal potere di Missingno, Rosso…non dimenticarlo mai.

Lo specchio s’infranse sul pavimento mentre un grido di dolore dilacerava la stanza. Ora Rosso giaceva a terra coprendosi il capo con le braccia sanguinanti e contorcendosi tra grida di dolore atroce. Dopo un attimo Blu era al suo fianco, lo aveva afferrato, trascinato via da lì perché non si ferisse maggiormente con i cocci di vetro; Rosso non cessava di urlare.

“Rosso! Mio Dio, Rosso, che cosa succede?”

“Quella voce! Quella voce! Sento di nuovo la sua voce!”

“La sua voce? Rosso, di chi stai parlando? Rosso!” esclamò Blu, trattenendo a forza le braccia sanguinanti che Rosso agitava in un turbinio confuso. Ora Rosso, immobilizzato, non poteva più sottrarsi al suo sguardo, ma i suoi occhi si muovevano selvaggiamente attraverso la stanza nel suo viso molle di sudore.

“Rosso! Che cosa hai sentito?”

“La sua voce, la voce di Missingno! Oh Blu, è terribile, ti prego, aiutami!”

“Rosso, ti prego, stai calmo, non c’è nessun altro in questa stanza, solo io e te!” esclamò Blu, senza accennare a lasciar andare le sue braccia.

“Solo io e te” ripeté Rosso. “Solo io e te.”

“Sì, Rosso. Solo io e te” disse Blu in tono calmo.

“Solo io e te.”

“Sì, Rosso. Non devi aver paura qui, non c’è niente e nessuno che possa farti del male…e poi, io sono qui con te.”

“Qui con me” ripeté Rosso. Trasse un respiro profondo, e guardando quei grandi occhi celesti sentì d’un tratto che quella terribile voce abbandonava la sua mente. Era salvo dentro i suoi occhi.

“Blu…i miei occhi sono ancora…?”

Quegli tacque a lungo, guardando fisso negli occhi di Rosso con grave intensità, come per annullarvisi, come per perdervisi, e disse: “Rosso, mio caro, i tuoi occhi sono neri, inoppugnabilmente neri anche ora. Ma vedo che essi ardono di una luce che non è semplice riflesso, ma è incendio e fiamma, fiamma infernale…come una maledizione.”

“Una maledizione” ripeté Rosso con un esile filo di voce. “Mio Dio, la maledizione di Missingno!” Ma Blu non ascoltava i suoi vaneggiamenti; ora stava pulendo i lunghi graffi che Rosso si era procurato cadendo sui cocci dello specchio.

“Guarda qua come ti sei ridotto” mormorava con aria di dolce disappunto, mentre Rosso tremava sul letto e lui si dava a raccogliere i cocci. Quando ebbe finito tornò da lui. Si distese su letto, beandosi del caldo abbraccio di Rosso, che tremava, e chiese: “Amore mio, che cos’è che ti turba a tal punto da far ardere i tuoi occhi di un tale fuoco?”

Anche il respiro di Rosso tremò in quel momento. Che dire? Accarezzò i capelli di Blu.

“Ti prego, Blu…non chiedermi cosa, o…perché.” Disse. “Tormenti il dolore che ha fatto ardere i miei occhi di ambizione.”

“Che ambizione?” chiese Blu. Rosso non rispose.

“Ehi, Blu” disse, scuotendo la testa alla domanda precedente. “Com’è che mi hai chiamato, prima?”

Blu rimase in silenzio per qualche istante. Poi: “Ti ho chiamato amore mio.”

“Come pensavo” disse Rosso, sorridendo.

E Blu sorrise a propria volta, ma tristemente, accarezzando la guancia di Rosso. Deglutì.

“Blu…sei a disagio?”

“Sì.”

“Per i miei occhi?” chiese Rosso, sospirando. Blu annuì e Rosso si sforzò di ridere. “Sono così orribili?”

“No, Rosso…se io non ti guardassi con attenzione, non vedrei altro che i tuoi begli occhi neri che io conoscevo tanti anni fa. Ma il punto è proprio che io ti guardo con molta attenzione, che non riesco a distogliere lo sguardo dai tuoi occhi; e quando punto i miei occhi nei tuoi, vedo ardere nelle loro profondità quel fuoco infernale che pare voler divorare me, te, questa casa, questa vita…

Spaventato dalle sue parole, Rosso chiuse bruscamente gli occhi e si voltò dall’altra parte, respirando a fatica. Era dunque quello il segno indelebile che Missingno aveva impresso su di lui per impedirgli di dimenticare le sue parole, la sua missione…? Incominciò a piangere. Allora Blu si sollevò e si sporse sopra la sua schiena, colpito dalle sue lacrime, dicendo: “Oh, Rosso, perdonami… non volevo addolorarti. Ho parlato senza pensare, ma ti prego di perdonarmi.”

“No, Blu…non preoccuparti. Non è per le tue parole che sto piangendo, ora” mormorò Rosso, asciugandosi gli occhi. “Non temere, mio caro…non è per te che piango, ora.”

Blu era chino sulla sua spalla, gli accarezzava il collo, il petto, le braccia, la schiena: mormorò con voce flautata: “Non vorresti parlarmi dei tuoi problemi…? Se tu mi dicessi chi è stato, chi è che ti tormenta…se mi parlassi del tuo dolore…non potrei forse aiutarti?”

Rosso singhiozzava piano, aggrappato alle coperte, il capo nascosto tra le loro pieghe, mordendole. Blu continuava ad accarezzarlo piano, dolcemente, con straordinaria pazienza. Un impulso sconosciuto spinse la sua mano ad afferrare quella di Blu e a portarla alle labbra, trattenendola. Blu si fermò e aspettò, curvo su di lui.

“Blu…”mormorò Rosso tristemente. “Blu, io sento…ascoltami…c’è qualcosa…c’è…c’è un’entità…che mi trascina, che mi ha…”

Si volse di scatto sul letto, sollevandosi; afferrò le mani di Blu e guardandolo negli occhi disse: “Ti prego, ascoltami, ma non so se mi potrai capire. Io stesso non capisco. C’è un destino ineluttabile che trascina la mia ambizione…è qualcosa a cui non posso sottrarmi, qualcosa che ha fatto divampare il fuoco nei miei occhi…e…e temo…temo che non potrei mai vivere qui, tranquillo, sentendo…quella voce… oh, quella voce, quella orribile, orribile voce!”

“Rosso, Rosso, calmati!” esclamò Blu, prendendo tra le mani il suo pallido volto aguzzo. “È una voce, soltanto una voce, e proviene da un semplice incubo. Mio caro, gli incubi possono fare paura, ma non possono fare del male a nessuno.”

“E in quanto ai miei occhi?” domandò Rosso in tono amaro.

“Siamo entrambi stanchi, Rosso…i nostri occhi ci mostrano cose che non esistono. Ma non devi preoccuparti. Stanotte dormiremo come si deve, e domani i tuoi occhi saranno neri e belli come lo sono sempre stati. Te lo prometto, Rosso.”

 

Quella sera cenarono tutti insieme al tavolo in cucina, mentre fuori calavano le ombre della sera e gli incubi parevano svenire. Poi, verso le undici, andarono a dormire, e Blu e Rosso si coricarono l’uno al fianco all’altro nel piccolo letto dove tante volte erano andati a dormire da piccoli.

Ma il mattino dopo, quando aprì gli occhi, Blu si accorse che quelli di Rosso erano ormai spalancati e svegli, infissi nel suo viso. Sorrise timidamente:

“Rosso…”

“Sì?”

“Che cosa fai?”

Rosso parve alzare le spalle con aria di noncuranza. “Non riesco mai a dormire più di quattro ore a notte, in questo periodo.”

“E sei stato sveglio per…”

“Saranno più o meno tre ore.”

“Ma perché non ti sei alzato?”

“Non so, io…non volevo disturbarti, pari così tranquillo… e poi…”

Un delicato rossore si diffuse sul suo viso. Chinò gli occhi e mormorò: “È da così tanto tempo che desidero vederti dormire qui, al mio fianco…ed è bellissimo guardarti dormire.”

Blu sorrise, ma d’improvviso l’espressione sul suo volto mutò bruscamente; afferrò il volto di Rosso e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

“Blu, che cosa…”

“I tuoi occhi” disse Blu ad alta voce. “Rosso, i tuoi occhi… vedo ancora quell’incendio, Rosso, vedo quel fuoco d’inferno, Rosso! Lo vedo! Lo vedo!”

 

Ecco un altro capitolo cui non so che spiegazioni poter dare, a meno che non me ne chiediate. Mi limito a ringraziare con affetto nihil no kami per la recensione.

A presto! Afaneia

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Capitolo 10
*** La pazzia di Rosso. ***


Trascorsero giornate furibonde nella loro finta quiete, là a Biancavilla. Blu rimase per tutto il tempo a casa di Rosso, poiché, ogni volta che accennava a togliere il disturbo, subito Dalia lo pregava, lo implorava di restare, poiché pensava che solo la sua presenza potesse salvare Rosso, i cui occhi parevano ormai irrimediabilmente avviluppati in quel terribile incendio interiore; e la cui anima, soprattutto, sembrava ineluttabilmente risucchiata dentro un incubo interminabile.

Talora restavano per ore seduti in silenzio dentro quella stanza, divenuta ormai tremendamente cupa, appoggiati l’uno all’altro. E il loro era un silenzio di mani che si sfiorano senza toccarsi, di labbra che si sfiorano senza baciarsi, di anime che riescono appena a sfiorarsi, ma che poi non possono confondersi e intrecciarsi a causa della loro lontananza e restano lì, a bramare in silenzio di aversi. E quella fu, per qualche giorno, la loro triste vita.

Poi un mattino Blu si svegliò molto presto, e si accorse che Rosso era, come al solito, sveglio e intento a fissarlo. Gli sorrise, rannicchiandosi contro di lui, e Rosso non poté trattenersi dall’accarezzare i suoi morbidi capelli rossi.

“Buongiorno.”

“Buongiorno a te” disse Blu. “Da quanto tempo sei sveglio?”

“Un paio d’ore” rispose Rosso con noncuranza.

“E che hai fatto in queste due ore?”

“Ti ho guardato dormire.”

Blu gli appoggiò allora una mano sul viso e mormorò: “Ma non sei mai stanco di guardarmi solamente?”

“No” disse Rosso. Alzò le spalle con semplicità e disse: “Sono sincero. Per me è abbastanza guardarti dormire.”

“Non russo?” domandò Blu ridendo. Rosso scosse il capo.

“Non ho un’aria stupida?”

“No” disse Rosso con decisione. “No, Blu, no. Sei molto sereno quando dormi, e la tua serenità placa il mio animo avido e ambizioso.”

Allora Blu sorrise e si strinse maggiormente al suo petto, coprì di baci il suo petto, come travolto da un’ondata d’affetto, ma d’improvviso si fermò e arrossì. Allora Rosso prese tra le mani il suo viso e appoggiò le labbra sulle sue. A lungo le loro labbra s’incontrarono, e dopo molto tempo si dischiusero in un bacio a lungo atteso.

Era quella la felicità, e Rosso sentì che in quel momento neppure la terribile voce di Missingno avrebbe potuto scalfirlo.

 

Ma Missingno tornò. Quella pace che Rosso vedeva nel volto sopito e sereno di Blu non rientrava nei piani di Missingno, non faceva parte del suo destino. Non era per lui, insomma. E Rosso si sentiva insoddisfatto e inquieto, e più volte si sorprendeva, o si faceva sorprendere, con lo sguardo assorto, rivolto verso ovest o talora verso nord.

“Che cosa guardi, Rosso?”

Ma a quella domanda Rosso non rispondeva mai. Un giorno Blu lo afferrò e lo scrollò con forza, stanco di quegli sguardi distratti e rapiti, ed esclamò: “Rosso, dov’è che vuoi andare? È troppo tempo che stai qui assorto a fissare il cielo. Ora devi dirmi dove vuoi andare.”

Rosso aveva chinato lo sguardo ed era rimasto in silenzio con gli occhi puntati sui propri piedi. Sembrava molto triste.

“Blu, io sento…sento di dover ripartire.”

Blu sospirò, lasciandolo andare. Ora erano a pochi passi di distanza, e Blu pareva molto, molto stanco.

“Molto bene” disse. “Partiamo, Rosso. Io ti seguirò, caro, ti seguirò fino in capo al mondo, non temere, verrò con te. Dimmi dov’è che vuoi andare, e io verrò.”

“A Johto” mormorò Rosso. La sua voce era asciutta e fredda, ed egli non lo guardava deliberatamente, ma Blu non vi fece caso.

“Johto? Beh, non è poi così lontana! La città più vicina, Borgo Foglianova, mi pare, è a un giorno di viaggio da Smeraldopoli, un giorno e mezzo a dir molto. Possiamo partire anche dopodomani.”

“Blu…”

“È un peccato che non abbiano terminato la costruzione del Supertreno, ma ormai è questione di mesi.”

“Blu, ascoltami…”

“Il professor Elm è amico…”

“Blu, la palestra.”

 Calò il silenzio. Rosso si voltò e vide che Blu era ora rigido e immobile, lo sguardo fisso su di lui. Chinò gli occhi.

“Parlerò con Lance” disse Blu, con voce stranamente aspra e raspante. “Gli spiegherò la situazione, gli chiederò di trovare…”

“Blu, non puoi farlo, lo sai. Tuo padre conta su di te, solo tu puoi gestire la palestra di Smeraldopoli così da difendere i suoi affari.”

“Ma io voglio venire con te!” gridò Blu. Lo afferrò. “Ti ho ritrovato, ti amo. Sono tutto ciò che può salvarti. Il mio amore può salvarti. Io devo venire con te.”

“Nulla può salvarmi ormai” disse Rosso semplicemente. La sua voce era limpida e tranquilla, come se avesse ormai accettato il proprio destino, ma non serena e non felice. Egli si volse di nuovo verso Johto e guardò a lungo le cime delle colline che dividevano le due regioni.

“Blu, c’è un destino ineluttabile che devo seguire. Io sono…hai mai sentito parlare della Prescelta Creatura?”

Il volto di Blu non ebbe alcuna reazione.

“È solo una vecchia storiella che ho letto tanto tempo fa nei libri del nonno…non mi ricordo molto. Ma tu come fai a conoscerla?”

“Non conta molto come, Blu” disse Rosso. “No, non conta…ascolta. Io intendo visitare Johto e diventare il miglior allenatore sulla faccia della Terra, così che Ho-Oh discenda dal cielo a riconoscermi quale Prescelta Creatura.”

Un rapido fruscio, poi Rosso si sentì afferrare bruscamente. “Rosso, tu sei pazzo!”

“Pazzo? No, Blu, io non sono pazzo, ma finirò per diventarlo, se non seguirò la mia strada fino alla fine” esclamò Rosso. “Non capisci? Questo fuoco che mi arde negli occhi, questa voce che consuma la mia anima… tutto, tutto! mi spinge verso il mio destino, e io non posso sottrarmi a esso…io sono, sono la Prescelta Creatura! Io devo, devo dimostrarlo!”

“Ma che cosa stai dicendo, Rosso?” gridò Blu, tentando di scrollarlo con violenza: Rosso pareva immobile. “Prescelta Creatura? Tu sei pazzo, pazzo, pazzo!”

“No! Ma diventerò pazzo se udirò ancora una volta quella voce!”

A poco a poco i loro volti parvero calmarsi. Rosso accarezzò dolcemente il volto di Blu. Gli disse a bassa voce: “Io so di essere la Prescelta Creatura, e devo dimostrarlo. Non potrò mai essere felice altrimenti, perciò ti prego di lasciarmi partire. Quando tornerò, il fuoco nei miei occhi si sarà spento, e io sarò Rosso, sereno come tanto tempo fa.”

Blu mosse un passo indietro con aria circospetta. “Quanto ci vorrà?”

“Non lo so.”

“Rosso, lascia che venga con te. Ti seguirò in silenzio, non mi lamenterò mai, ma lascia che ti stia vicino.”

“No, Blu. Devi occuparti della tua palestra. Cerca di capire…” mormorò Rosso, poggiandogli una mano sulla spalla. Colto da un impeto di rabbia, Blu gli afferrò la mano e la scacciò con violenza.

“Tu non mi vuoi perché io non ti distragga” disse con rabbia. “E perché non vuoi pesi in più. Come vuoi. Fai quello che ti pare, vattene a crepare inseguendo quel maledetto uccello colorato, Ho-Oh o come cavolo si chiama. Non me ne importa nulla. Muori, per quanto mi riguarda. Fa’ come vuoi, e anch’io farò come tu vuoi: non ti disturberò più.”

Rientrò di corsa in casa, afferrò le sue poche cose dalla stanza di Rosso; salutò Dalia e la ringraziò con le lacrime agli occhi di tutto ciò che aveva fatto per lui. Rosso era rimasto immobile in giardino, col cuore in gola. Dopo pochi minuti, la porta si riaprì e Blu ne corse fuori senza guardarlo. Mandò fuori il suo Pidgeot e su di esso prese il volo.

Rosso non pronunciò una sola parola.



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Capitolo 11
*** Grotta Ignota. ***


Sua madre non era riuscita a mascherargli la propria delusione, dopo che Blu era fuggito, ma non ne aveva fatta parola con Rosso, e di questo egli gliene fu grato. Appena rientrato in casa, aveva visto la donna in piedi presso una finestra, lo sguardo assorto e preoccupato.

“Blu è andato via” aveva detto Dalia.

“Lo so” aveva risposto con calma, sentendo uno strano senso di oppressione alla gola e un lieve bruciore dietro gli occhi. A quel punto Dalia si era riscossa, si era avvicinata al tavolo e aveva chiesto con voce forzata: “Mio caro, che cosa desideri per cena?”

Perciò, quella sera avevano mangiato in silenzio, quasi senza guardarsi, e Rosso era andato a dormire quasi subito. In realtà era rimasto sveglio molto a lungo, come al solito, con gli occhi fissi sul soffitto buio sul quale danzavano le luci della notte estiva che infuriava all’esterno.

Il giorno dopo, Rosso disse a sua madre che intendeva ripartire, e il prima possibile, per di più. Dalia sospirò e rispose che avrebbe potuto preparargli il necessario in due giorni al massimo, e che il terzo giorno sarebbe potuto partire.

“È perfetto” disse Rosso. “Saprò cavarmela senza problemi, quando sarò lontano da qui. Ma non credo che potrò tornare qui spesso” soggiunse cautamente, guardandola negli occhi. Dalia sorrise, ma d’un sorriso stanco.

“Lo so, mio caro” rispose. “Lo so, non preoccuparti. Non usare mezzi termini. Non è vero che non potrai tornare spesso: non tornerai mai, o quasi mai. Suppongo…suppongo che nei prossimi anni tornerai forse due o tre volte. Ma non devi preoccuparti. Lo sapevo da un pezzo, che sei troppo inquieto e ambizioso per restare qui con tua madre e vivere una vita serena e tranquilla, che desideri, ma che non ti farebbe felice. Perciò vai pure tranquillo, mio caro. Ma ti prego di chiamarmi qualche volta, solo ogni tanto, per farmi stare tranquilla.”

“Grazie, mamma” mormorò Rosso, chinando il capo. Dalia gli appoggiò sulla testa la fresca mano bianca e ruvida.

“Andiamo, su, mio caro” gli disse in tono fintamente vivace: “Abbiamo solo due giorni. E dobbiamo preparare ciò che ti occorrerà per un viaggio di due o tre anni senza molte soste. Andiamo!”

Trascorsero i due giorni seguenti lavando, stirando e smistando mutande, pantaloni e magliette e cercando di stipare in due scatole di latta un’abbondante quantità di biscotti al cioccolato, panini morbidi al latte imbottiti di verdura e carne fredda, sufficienti perché Rosso potesse sopravvivere senza altre provviste per diversi giorni.

Così, la sera prima della partenza di Rosso, i due si trovarono seduti in giardino, a ripensare a tutte le cose che avevano preparato i quei giorni e a cos’altro avrebbe potuto servirgli.

“Non ti ho neppure chiesto per dove parti” disse Dalia. Teneva sulle ginocchia lo zaino chiuso del figlio, come se, accarezzandolo, esso potesse prepararsi a prendersi cura di lui in sua vece. “Ti lascio partire così, a occhi chiusi, ma senza neppure sapere per dove…”

Rosso aveva lasciato uscire tutti i suoi Pokémon, ed essi ora gironzolavano liberamente nel giardino, eccezion fatta, naturalmente, per il suo caro Snorlax, che dormicchiava tranquillo, acquattato, se così si può dire, in un angolo del giardino, con il magnifico Espeon color smeraldo che gli gironzolava attorno cercando di disturbarlo. Ma il suo Charizard, il suo amato Charizard, aveva poggiato sulle sue ginocchia la grossa testa squamata, e di là ascoltava il suo respiro.

“A Johto” disse Rosso, con le mani appoggiate sulla testa del suo caro Charizard.

Dalia si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi con grande tranquillità. “Johto è molto lontana? Ne ho solo sentito parlare.”

“No, mamma, non poi molto. Johto e Kanto confinano” spiegò Rosso. “Ma dipende. Vi sono città molto lontane da qui, come Lavandonia da Smeraldopoli, e molto di più.”

“E ci sono molti Pokémon, vero?”

“Oh, sì, mamma, molti Pokémon che qui sono rarissimi, o che non si trovano affatto” disse Rosso. “Così come molti Pokémon, qui molto frequenti, là sono introvabili.”

Dalia teneva gli occhi ostinatamente chiusi, ma Rosso percepiva egualmente la sua partecipazione emotiva.

“Rosso, che cos’è che cerchi, là?”

“Qualcosa che mi renda felice.”

“Ascolta” disse ella, socchiudendo gli occhi. “Ascolta. Non credere che io voglia dissuaderti dall’andare. Ma devi ascoltarmi. Non pensi di poter trovare anche qui un poco di felicità?”

“Che cosa è felicità, qui?” domandò Rosso. I suoi occhi erano puntati lontano da lì, là dove sapeva esserci il mare.

“Quello che vuoi, Rosso” disse Dalia con semplicità. “Una serata come questa, in un posto amabile e tranquillo. I tuoi Pokémon, che vivono così serenamente con qualche biscotto al cioccolato. Non potresti cercare la felicità in cose del genere?”

Poi Rosso parlò, e disse in tono estremamente asciutto: “Mamma, tu vorresti suggerirmi di cercare in Blu la mia felicità?”

“No” esclamò Dalia alzandosi. “No, lo so che non posso dirti questo. Non sono affari miei.”

“Vuoi solo farmi notare che la mia ambizione me lo ha fatto perdere, scappare dalle mani.”

“No, Rosso” disse la donna. “Sei solo tu che stai cercando di rinfacciarlo a te stesso.”

Gli occhi di Rosso erano ora vacui e privi di espressione. Si alzò e richiamò a poco a poco ciascuno dei propri Pokémon.

“Perdonami, mamma” disse. “È la verità. Sono io che cerco di rinfacciarlo a me stesso. Non volevo parlarti così. Perdonami.”

“Non importa che ti scusi con me” disse la donna. “Ti conosco troppo bene.”

“Vado a dormire” disse Rosso stancamente. “Domani partirò. E prima di dirigermi a Johto, dovrò sistemare un paio di cose, qui.”

 

La grotta era buia e fredda, e più Rosso vi si calava, più sentiva riempirsi di gelo fin nelle ossa. Sentiva che acque misteriose si agitavano nelle profondità della grotta buia, e che flutti sconosciuti s’infrangevano contro umide pareti di pietra scura e liscia. Percepiva una rabbia insanabile, un rancore profondo avviluppargli le membra, una furia che doveva sfogare. Una vendetta che doveva avere, a qualsiasi costo.

Tastò attentamente le pareti della grotta, accertandosi delle sue dimensioni. Poiché gli pareva che le pareti fossero ampie abbastanza, chiamò il suo Charizard affinché le sue potenti fiamme rischiarassero l’oscurità che lo circondava.

I due proseguirono insieme lungo i bui corridoi freddi; passo dopo passo, Rosso si stringeva maggiormente al suo Charizard, il suo amato Charizard, beandosi del calore che la sua dura pelle squamosa emanava, e soprattutto della sua luce che riempiva la caverna, spingendo le tenebre in angoli oscuri. A ogni passo, Rosso sentiva quei flutti frangersi più forte contro la roccia.

A poco a poco, la grotta finì per ampliarsi, ma anche per divenire un dedalo labirintico impossibile da ricordare, fatto di curve e di brusche rientranze nella roccia, di buche nel terreno e di vicoli ciechi e inquietanti. Ma Rosso non demordeva.

Qualche ora dopo, la fame si fece insopportabile ed egli si sedette con Charizard a dividersi una parte dei loro biscotti al cioccolato, che entrambi amavano tanto fin dal primo giorno del loro viaggio. Quel pasto li rinfrancò entrambi, e dopo venti minuti a dir molto i due ripresero il cammino.

Malgrado il loro pasto, a poco a poco il trascorrere delle ore cominciò a farsi sentire in quell’aria claustrofobica. Rosso si sentiva soffocare e soprattutto sentiva la propria rabbia crescere e ingigantirsi nel suo petto. Charizard lo percepiva.

Ma piano piano, a forza di scendere, sentirono che il suono dei flutti si faceva più vicino e che le acque rimbombavano più forte, e finalmente i due si trovarono di fronte a un vasto lago sotterraneo, sulla cui limpida ma buia superficie si riflettevano i loro volti e le stalattiti che li sovrastavano.

“Ci siamo, Charizard” mormorò Rosso. “Sarà bene che rientri, ora: non puoi guidarmi attraverso quest’acqua. Ma forse potrai farlo più avanti.”

Richiamò Charizard e mandò in sua vece Blastoise, ma subito si pentì di aver rinunciato alla luce, poiché l’oscurità divenne subito fitta e impenetrabile, ed egli si sentì colto da una sensazione di gelo crescente.

“Vai, Espeon” sussurrò, come temendo che le sue parole potessero svegliare qualcosa nel buio. “Usa Flash.” D’improvviso due penetranti fasci di luce gialla illuminarono la caverna, rendendola visibile e indagabile ai suoi occhi. Vide che Blastoise si era ormai immerso nelle buie acque del lago sotterraneo, e che solo il suo liscio guscio bruno era visibile. Il suo Espeon color smeraldo gli balzò in groppa, e Rosso lo raggiunse ben presto. La sensazione di gelo che lo aveva colto nei pochi attimi di buio precedenti non lo aveva ancora abbandonato, ma si era fatta meno insistente.

Avanzarono. Blastoise intuiva la strada da seguire grazie alla limpida luce che gli occhi di Espeon emanavano, ma Rosso fissava egualmente con ardore e attenzione la distesa d’acqua nera che li circondava. Guardò i flutti che si frangevano sulla pietra, ormai erosa e liscia per la loro continua azione perpetuata da secoli: la loro schiuma pareva formata da boccoli d’argento. Strappando a malincuore lo sguardo da quello spettacolo bellissimo e terribile, Rosso guardò avanti.

Navigarono per interminabili minuti su quella piatta distesa d’acqua nera e argentata, ma invano: non c’era nulla. Rosso cominciava a disperare: possibile che avessero sbagliato strada? Ma sembrava così semplice, così ovvio che fosse lì…!

E poi capì, capì dov’era che Mewtwo si era nascosto…

“Blastoise, dobbiamo immergerci” disse. Espeon si volse verso di lui, investendolo e accecandolo con la luce dei suoi occhi rossi; ma quegli non demorse.

“No, Espeon, so quel che faccio. Dobbiamo immergerci. Ma puoi rientrare: Blastoise può vedere nell’acqua e seguire le correnti, mentre io non riuscirei comunque a vedere molto.”

Lo richiamò e, preoccupato, si sistemò sul guscio di Blastoise e si aggrappò a lui.

“Forza, Blastoise, ho fiducia in te. Guidami attraverso queste acque nere: so che puoi farcela.”

Chiuse gli occhi; sentì che Blastoise si sistemava allo scopo d’immergersi più facilmente. Un momento dopo, sentì un’immane massa fredda travolgerlo e soffocarlo, rischiando persino di strapparlo dal guscio di Blastoise con la sua forza, e cercare di richiamarlo su.

Sprofondarono per metri e metri sempre più in basso, e a ogni metro Blastoise raddoppiava la velocità, per evitare al suo coraggioso padrone l’ignobile destino di morire affogato in una grotta. Rosso teneva gli occhi chiusi, ma anche se li avesse aperti non avrebbe visto molto: l’acqua era nera e impenetrabile alla vista, e Blastoise seguiva correnti invisibili che Rosso non poteva percepire.

Si sentì mancar l’aria, mentre l’acqua diventava rapidamente sempre più fredda; ma d’un tratto giunse alle sue orecchie uno scroscio d’acqua amplificato dall’acqua stessa in cui era immerso; vi fu come un brusco stacco e finalmente il suo volto tornò all’aria umida di quella grotta, aria chiusa e pesante, ma aria in cui le sue labbra cianotiche poterono aprirsi d’improvviso e respirare, spalancate e riarse.

Blastoise aveva attraversato un piccolo foro orizzontale nella roccia, passando come a un livello inferiore; ora galleggiavano sulla superficie di un altro lago sotterraneo, ma a pochi metri da loro c’era una piattaforma rialzata e asciutta, che Blastoise percepiva. La raggiunsero, e là Rosso chiamò subito Charizard perché lo riscaldasse col suo calore e asciugasse almeno un po’ i suoi abiti molli e gelati. Ma la luce della coda di Charizard gli rivelò immantinente qualcos’altro, qualcosa di più importante: Mewtwo era immobile sulla roccia a pochi passi da lui.

“Che cosa ci fai qui, umano?”

Era la prima volta che udiva la voce di Mewtwo, o, per meglio dire, era la prima volta che sentiva una voce di Pokémon formulare parole umane; ma Mewtwo non aveva aperto bocca, e Rosso capì che ad aver comunicato con lui era stata semplicemente la sua volontà. Balzò in piedi, malgrado il suo corpo venisse percorso da brividi, ed esclamò: “Sono venuto per avere la mia rivincita!”

“La tua rivincita? Non so di cosa tu stia parlando, umano.”

“Non lo sai, Mewtwo?” gridò Rosso, furente, bollente di rabbia. “Osi dunque dire di non saperlo? Ma guardami, guardami alla luce! Non ti ricordi di me? Sono Rosso, il ragazzo contro cui hai combattuto neppure un mese fa, quando ancora eri con Giovanni.”

“Presuntuoso ragazzo! So chi sei, conosco il tuo nome. Ciò che non so è cosa cerchi qui.”

“La mia vendetta, Mewtwo, la mia vendetta contro di te!”

Gli parve d’un tratto che gli occhi di Mewtwo ardessero d’un bagliore azzurro che scatenò in lui una scarica di brividi non più legati al freddo, ma fu solo un secondo; se mai quegli occhi si erano realmente trasfigurati, questo durò un attimo solo: un istante dopo, erano di nuovo bianchi e opachi.

“No” disse Mewtwo. “Non è da me che devi cercare la tua vendetta.”

“E da chi, se non da te?” urlò Rosso. “Eri tu in quella palestra! Sei tu che non mi hai neppure permesso di toccarti…”

“Sì, ero io.” Sebbene quella di Mewtwo non fosse una voce, ma un continuo flusso di pensieri, a Rosso parve di udire come una velatura di rancore in lui. “Ma non è da me che avrai la tua vendetta, Rosso.”

“E da chi? Da chi?” ululò il ragazzo, furente, ormai infuocato, avvicinandosi di un passo alla roccia sulla quale Mewtwo stava in piedi, immobile. Gli occhi di Mewtwo si strinsero ed egli mormorò: “Se la desideri tanto, l’avrai dall’uomo che mi ha fatto questo.”

“Giovanni?” domandò Rosso. Rise d’una risata acida. “No, non l’avrò da Giovanni. Egli è fuggito, ha riparato all’estero, temendo che tu, una volta fuggito, ti vendicassi di lui. ma non so dove si trovi, ora, credo che nessuno lo sappia: se vuoi vendicarti, credo che dovrai cercarlo da solo.”

“Non voglio vendicarmi” disse Mewtwo. “Ora la sua voce appariva perfettamente calma, ed egli si mostrava immobile, ma rilassato. “Ora molte cose sono cambiate, e io non ho alcun desiderio di vendicarmi. Allo stesso modo, non desidero scontrarmi con te. Per questo ti dico che non è da me che potrai avere la tua vendetta.”

“Ma com’è possibile?” esclamò Rosso, che finalmente era riuscito ad arrampicarsi sulla roccia sulla quale ristava Mewtwo. Ora lo fronteggiava, benché Mewtwo lo sovrastasse in altezza di quasi trenta centimetri. “Tu sei stato creato per combattere” disse, allargando le braccia con semplicità. “Com’è possibile che tu non voglia farlo?”

“La mia anima è stata salvata” disse Mewtwo con calma. “Celebi, il signore dei cieli, ha avuto pietà del mio tormento e mi ha dato la forza di liberarmi dalle mie catene, di rivendicare la mia libertà. Ora sono uno dei leggendari e sono libero, finalmente, di rinnegare il mio corpo come strumento di guerra.”

Istintivamente Rosso indietreggiò di un passo. Sentiva il proprio cuore riempirsi di sgomento e di furia, si sentiva confuso e ignorato, bistrattato…

“Charizard, attacca!”

Fu un attimo, un momento, un battito di ciglia: vide il sui Charizard comparire improvvisamente da dietro le sue spalle, precipitarsi tra raffiche di fuoco contro Mewtwo e d’improvviso terminare la propria corsa nel nulla, a pochi millimetri dal candido pelo di Mewtwo, arrestandosi bruscamente come se tra loro vi fosse stata una robusta parete di pietra…e subito Mewtwo ebbe uno scatto, e Charizard fu scagliato lontano da lui e da Rosso attraverso la grotta.

“Charizard!”

Ma contrariamente a quanto Rosso si aspettava Charizard non venne schiantato contro la dura parete che chiudeva la grotta; come trattenuto da un corpo, egli si fermò bruscamente e rimase immobile a mezz’aria, sostenuto dal volere di Mewtwo. Ora Rosso non poteva sbagliarsi: una luce azzurra ardeva davvero negli occhi del Pokémon.

“Richiamalo” disse con calma Mewtwo. “Come vedi, non ho alcun desiderio di combattere. Non vi farò del male, ma devi richiamare il tuo Pokémon.”

Rosso tremava in ogni fibra del proprio corpo. I suoi occhi vagavano da Mewtwo a Charizard e viceversa. Ma in breve la visione del suo amato Charizard sospeso a mezz’aria su un lago gelido ebbe la meglio su di lui: estrasse una Pokéball e richiamò Charizard senza una parola.

Come il Pokémon fu scomparso, lo sguardo di Mewtwo parve rilassarsi e quel velo azzurro abbandonò i suoi occhi.

“Tu mi hai costretto a tanto” disse. “Ma come vedi non gli ho fatto del male, benché lui mi abbia attaccato; né ho intenzione di farne a te, benché sia stato tu a ordinargli di attaccare. Spero che tu abbia capito, umano: Mewtwo ha smesso di combattere da quando Celebi l’ha accolto tra le sue fila, in virtù della sua immensa bontà.”

Ora Rosso si sentiva mancare le forze e barcollava davanti a Mewtwo. Tutto gli pareva incredibile e confuso: “Mewtwo, la macchina da guerra di Giovanni, divenuto un Pokémon leggendario nonostante la sua origine; il suo rifiuto di combattere, ma soprattutto i suoi piani sventati…

D’un tratto si sentì cogliere come da un sonno molto profondo: sorpreso, scorse di nuovo il tanto temuto alone azzurro negli occhi di Mewtwo e capì di non potersi opporre alla sua volontà. Le ultime parole che percepì furono queste: “Ora addormentati, Rosso, e dormi bene. Voglio che tu dorma profondamente per alcune ore, e che ti svegli solo quando i miei poteri ti avranno condotto molto lontano da questa grotta. Voglio altresì che tu non decida mai di tornare qui, così che io e i miei fratelli Mew, Moltres, Zapdos e Articuno possiamo riposare in pace, godendoci la quiete della nostra solitudine.”

Dopo queste parole Rosso non fu più in grado di tenere gli occhi aperti e sprofondò in fretta in un sonno dolce e profondo.

 

Ma il risveglio di Rosso fu amaro quanto dolce era stato il suo sonno. Quando egli aprì gli occhi, si trovava infatti su una vasta distesa di roccia dura e umida, e un odore di sale e di sabbia gli riempiva le narici. Si sollevò bruscamente come se si destasse da un terribile incubo, e altrettanto bruscamente si soffermò a osservare il mare che si stendeva splendente davanti ai suoi occhi. Il suo respiro affannoso finì per acquietarsi: sapeva dove si trovava. Quelle erano le Isole Spumarine, ma non si era mai arrampicato così in alto.  

Si sentiva montare dentro una furia terribile, travolgente: com’era possibile? Com’era possibile che Mewtwo, il clone potenziato di Mew, creato e allenato per combattere senza pietà, ora facesse parte dei Pokémon leggendari e rifiutasse così categoricamente qualsiasi forma di scontro?

Ma Rosso non aveva dimenticato le sue ultime parole. Si era alzato in piedi e ora si aggirava nervosamente tra le rocce. Mewtwo gli aveva parlato di quiete, di vivere in pace con gli altri leggendari di Kanto. Non avrebbe mai più combattuto con lui. Rosso ormai non poteva più opporsi a questa verità-

E va bene. Gli restava ancora qualche cosa da risolvere lì a Kanto, prima di potersi recare a Johto, e tanto valeva dedicarvisi ora.

 

Ecco qua un nuovo capitolo, cui occorre aggiungere qualche spiegazione. Innanzitutto: Celebi e questa mia idea del “signore dei cieli”. Dovete sapere che quando io giocavo a Pokémon Cristallo, il mio primo vero gioco di Pokémon, non è che Internet fosse proprio in tutte le case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete è incatturabile in Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta vidi l’immagine di Celebi su un dvd di un film dei Pokémon presso un videonoleggio e rimasi molto stupita al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito parlare. Così mi convinsi che fosse una specie di divinità Pokémon e ci creai attorno un vero e proprio universo peraltro gerarchico. So che ora esistono Pokémon demiurghi come Arceus, ma ai miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia teoria ;)

Ultima cosa. Mewtwo accenna al vivere con gli altri leggendari di Kanto. Questo perché in Cristallo Grotta Ignota è crollata e non si può catturare nessun leggendario, perciò io ero convinta che vivessero tutti lì e che fossero fuggiti dopo il crollo. Oggi naturalmente conosco le loro originarie dislocazioni.

Grazie a DarkPikachu97 e nihil no kami della recensione. A presto!

Afaneia.

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Capitolo 12
*** Un uomo molto potente. ***


“Sono davvero lieto che tu voglia entrare a far parte delle nostre fila, Blu” disse Lance cortesemente, mentre firmava un documento con una lunga penna d’uccello colorata.

“Anch’io, signor Lance” mormorò Blu, consapevole del fatto che i suoi occhi rossi e gonfi e la sua voce rauca potevano contraddirlo.

“Chiamami Lance, te ne prego” replicò quegli alzandosi. “Bene, Blu, parliamo della tua palestra, ora. Perdonami se ti ho fatto aspettare così tanto, ma era essenziale che firmassi subito quei documenti. Per la costruzione del Supertreno occorre ancora qualche firma…”

“Non importa” disse Blu. “Ho tutto il tempo che serve.”

Lance lo guardò per un momento con una forte perplessità dipinta in volto, ma Blu non reagì. Allora sospirò e alzandosi disse: “Ti ringrazio della comprensione, Blu: anch’io ho da dedicarti tutto il tempo che serve, comunque. Vieni, ti prego: non posso sopportare l’aria chiusa di questo ufficio, sapendo che fuori brilla questo bel sole caldo. Spero che non ti dispiaccia discutere fuori.”

“Mi farebbe piacere” mormorò Blu con voce spenta, seguendolo meccanicamente.

Scesero dabbasso, percorrendo i pochi piani dell’edificio destinati all’alloggio degli sfidanti della Lega Pokémon. Una volta raggiunto il piano terra, Lance consegnò all’infermiera Joy i documenti che aveva appena firmato, pregandola di spedirli il prima possibile, per poi recarsi con calma all’esterno.

Lo sguardo di Blu era assorto e triste. Lance lo notò e, poggiandogli una mano sulla spalla, gli rivolse un sorriso.

“Da quando ti ho visto la prima volta, mi sono sempre chiesto a cosa pensassero i tuoi occhi, Blu” disse. Blu sobbalzò, colpito dalle sue parole, ma Lance parve volerlo rassicurare: “No, non ti sto chiedendo di dirmelo. Me lo dirai a tempo debito, se vorrai, o non me lo dirai affatto. Ma io sono un uomo molto potente e potrei aiutarti, se tu lo volessi.”

Blu non rispondeva. Lance, che non voleva forzarlo, lo guidò in silenzio fino all’Arena delle Battaglie, dove sedettero sulle tribune vuote.

“Ascolta” disse Lance a bassa voce. “Senti questo silenzio? Non è meraviglioso?”

“Sì” disse Blu, a voce altrettanto bassa, ma con gli occhi perduti nel vuoto. “Meravigliosamente silenzioso. Questo luogo è così diverso dal giorno della Lega…”

“È così, hai ragione. Ma ti confesserò una cosa: di questo luogo è il silenzio che io amo soprattutto. È il luogo che sopra ogni altro mi piace, in realtà. Sento come se qui dovesse decidersi una parte della mia vita, del mio destino…”

“Tu sei il Campione” disse Blu.

“Sì, è vero” mormorò Lance, alzandosi in piedi. “Ma sento che non è questo il mio destino, sento che c’è qualcos’altro che mi aspetta…qualcosa di terribile e bellissimo insieme…”

La sua magra, nera figura slanciata era stagliata contro il cielo azzurro e limpido; egli guardava l’orizzonte che si stendeva al di là dell’Arena, vagheggiando lontano il proprio destino, che ancora non conosceva. D’un tratto si riscosse.

“Perdonami: quando sono stanco tendo a fantasticare… ma tu richiamami se mi distraggo ancora.”

“Va bene” disse Blu con un sorriso pallido. Lance era ora in piedi di fronte a lui, e i suoi vivaci occhi scuri lo scrutavano con attenzione.

“Molto bene, Blu. Veniamo a noi. La prima cosa che intendo dirti è questa: io so perfettamente chi fosse tuo padre e quali affari gestisse; forse meno dettagliatamente di te, ma so quello che faceva. Penso che potremo parlare meglio, ora che tutte le carte sono in tavola e ben scoperte.”

Blu lo aveva ascoltato in silenzio, colpito. Lance gli appariva tranquillo. Ma perché aveva usato quel tono?

“Ma, Lance…se lo sapevi, allora perché?”

“La tua è un’ottima domanda. Blu, tu non sei un idiota: sai benissimo che da dieci anni la polizia tenta d’incastrare tuo padre senza avere prove sufficienti che lo inchiodino a Team Rocket. E che cosa potevo fare io? Blu, ma se ho solo quattro anni più di te!”

Era vero, pensò Blu scrutando Lance con attenzione, vero: Lance, Lance il campione della Lega Pokémon, non era davvero molto più grande di lui. Proseguì: “Ma avreste potuto rimuoverlo dall’incarico…”

“E con quale motivazione? Blu, tuo padre era un Capopalestra eccellente: abilissimo coi Pokémon e sempre rispettoso delle regole, almeno per quanto concerne la palestra; ogni controllo, regolare o a sorpresa che fosse, ha sempre dimostrato che tutto era regolare da lui. blu, non avrei potuto rimuoverlo. Ma lo tenevo d’occhio, questo sì. Speravo di sbarazzarmene.”

“E ora,  è fuggito” mormorò Blu.

“Ti manca?”

“Sì” disse Blu tristemente. “Siamo stati separati altre volte, ma…ma per la prima volta in vita mia sento che è troppo lontano da me perché il mio pensiero possa raggiungerlo.”

Lance gli sorrise stancamente con aria malinconica e mormorò: “Ti capisco. Quando morì mio padre, tre anni fa…sentivo la stessa cosa: avevo come l’impressione che i nostri pensieri non riuscissero più a trovarsi in tutto il mondo, per quanto il mio cercasse il suo.”

Gli appoggiò una mano sulla spalla e mormorò: “Blu, tuo padre è vivo, sta bene, tornerà a prenderti. E sono sicuro che, per quanto sia lontano, il suo pensiero sta comunque cercando di raggiungerti.”

“Forse hai ragione, Lance” mormorò Blu senza convinzione. Lance gli sorrise appena, dopodiché cambiò decisamente argomento.

“Io e mio padre consideravamo la Palestra di Smeraldopoli come una delle più importanti. È situata vicino al percorso 22, perciò è di solito l’ultima palestra che gli allenatori sfidano prima d’intraprendere l’ultima tappa del loro viaggio. Blu, desidero che tu sappia che conto molto su di te per quanto riguarda questo compito. Ho visto come combatti, e non credo che vi siano molti allenatori in grado di combattere come te; neppure i Superquattro sono stati in grado di tenerti testa molto a lungo, cosa che di solito riescono a fare più che discretamente con tutti gli sfidanti della Lega Pokémon. Ti stimo molto, Blu; e credo che, se tu volessi, non avrei problemi a fare qualche cambiamento e a introdurti tra i Superquattro…”

“No, Lance” mormorò Blu “No, ti prego…vorrei restare a Smeraldopoli, nella cara palestra che ormai conosco bene. Non ho molta voglia di… di restare qui per giorni e giorni a fare pubbliche relazioni, mi capisci?”

“Come vuoi, Blu; io non intendo obbligarti. Del resto, per ora sono piuttosto soddisfatto dei miei Superquattro; sono piuttosto forti, specie per quanto riguarda Agatha, che come ben sai conosceva tuo nonno in gioventù. Ma ascolta, devi sapere che essere Capopalestra ti occuperà forse più tempo che essere Superquattro. Ne sei consapevole?”

Blu non rispose. I suoi occhi celesti erano fissi e vitrei sull’orizzonte. Sospirando, Lance si alzò di nuovo in piedi e si piantò a gambe larghe sulla tribuna. Il suo sguardo altero era fisso nello stesso punto di quello di Blu, ma i suoi limpidi occhi non vedevano la stessa cosa.

“Avrai qualche amico, Blu. Naturalmente puoi farti aiutare da loro a gestire la Palestra, se lo vorrai, ma del loro stipendio dovrai occuparti personalmente. Ti rendi conto che lo stipendio di un Capopalestra è…beh, sufficiente a sostenere tutte le spese necessarie.”

“Non voglio nessuno” mormorò Blu. “Non ho bisogno di nessuno, io…me la caverò da solo.”

“Naturalmente, Blu, come preferisci.”

Calò un leggero silenzio sull’Arena, mentre un vento rinfrescante s’infiltrava tra le tribune e scompigliava loro i pensieri.

“Mi pari una persona molto infelice, Blu. Vedi, quando ero piccolo persi mia madre; e quando ero un ragazzino morì anche mio padre. Ma so di non aver mai avuto uno sguardo come il tuo, mai in tutta la mia vita. È come se i tuoi occhi fossero perennemente sospesi, come se tu stesso ti trovassi a metà strada tra due condizioni opposte e contrastanti: l’avere un padre e il  non averlo, e poi…non so che altro. Oh, ma dico solo sciocchezze…”

La risata imbarazzata che seguì le parole di Lance fu interrotta dal brusco alzarsi in piedi di Blu: egli infatti si ergeva ora immobile, ma tremante, con gli occhi che lacrimavano: Lance esitò.

“C’era una persona di cui ero tremendamente innamorato, Lance” disse con voce tremante. “Gli avrei dato tutto, ogni cosa che io avessi, ogni fibra del mio essere, e so che lui mi amava tanto quanto lo amavo io… ma poi lui ha deciso di andarsene, perché doveva inseguire un sogno troppo grande, o per meglio dire un sogno troppo più importante di me, per poter restare al mio fianco. L’ho mandato al diavolo, ma non per questo ho smesso di amarlo; e ora, malgrado tutto, continuo a sperare nel suo ritorno…”

Lance restava in silenzio, lo sguardo cupo, ma gli occhi di Blu si accesero di un sorriso amaro, ed egli mormorò: “Capisci ora, Lance, dietro cosa sono perduti i miei occhi?”

“Sì, Blu, lo capisco” mormorò Lance. “Ora capisco tutto, e capisco molto bene. Ti ringrazio per avermelo spiegato: conserverò per me la tua verità, poiché purtroppo vedo bene che non posso fare molto per aiutarti. Ma ascolta: ti ho già detto che sono un uomo molto potente, e, se me lo vorrai chiedere, io farò tutto il possibile per aiutarti.”

“Ti ringrazio, Lance” disse Blu a bassa voce. “Me ne ricorderò.”

“Bene, allora. In tal caso, ci siamo chiariti.” disse Lance con calma. Gli diede le spalle e mormorò al vento: “Personalmente non ho altro da dirti, Blu. Conosci meglio di me la Palestra di cui ti occuperai d’ora in poi; del resto, sei libero di apportarvi quante modifiche riterrai opportune. Per parte mia, Blu, posso soltanto augurarti tutta la felicità del mondo.”

“Grazie, Lance” disse Blu. “Ne avrò bisogno.”

 

Eccoci qui con un altro capitolo, col quale colgo l’occasione per augurare a tutti un felicissimo Natale! Non credo di poter postare in questi due giorni, visto il numero di pranzi cui devo partecipare (mamma, papà, sorella… xD). Tanti auguri a tutti! E grazie a nihil no kami per aver recensito.

A presto! Afaneia ;)

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Capitolo 13
*** Un segreto tra noi tre. ***


“Sono qui per sfidarti, Lance! Sono qui per sfidarti!”

Le parole di Rosso echeggiarono nell’aria limpida dell’Altopiano Blu, ed egli camminava avanti e indietro davanti alle porte dell’edificio, selvaggio e aggressivo come una bestia ferita. Ma di Lance non si vedeva traccia.

Si spalancarono le pesanti porte, e Joy corse fuori a implorarlo di non fare chiasso: il signor Lance detestava i forti rumori sull’Altopiano Blu…Rosso s’irrigidì e le disse freddamente: “Capisco, e garantisco che non turberò più l’ordine qui, se solo Lance accetterà la mia sfida.”

“Ma la Lega Pokémon è terminata ormai da giorni” replicò la donna.

“Certo, questo lo so! Ma ciò non toglie che io desideri vedere Lance e combatterlo, non come sfidante della Lega Pokémon ma come semplice allenatore. Il signor Lance si è forse dimenticato quali sono gli usi che intercorrono tra allenatori di Pokémon, a forza di vivere isolato quassù su questa montagna?”

“Di certo il signor Lance è molto più garbato di te!” sbottò la donna, tirandosi indietro; ma d’improvviso una voce bella e profonda interruppe i loro discorsi, esclamando: “Il signor Lance accetta la sfida, chiunque tu sia. No, non ho dimenticato gli usi correnti: sono un allenatore e un Pokémon Master, e combatterò.”

“Lance!” esclamò Rosso, e scansando bruscamente l’infermiera si precipitò contro il Campione, scrutandolo con occhi famelici.

“Già, Lance” commentò quegli a bassa voce, sistemandosi i polsini di una camicia azzurra che aveva evidentemente appena indossato, e Rosso non seppe trattenersi dall’ammirare la sua figura altera. “E tu sei?”

“Rosso” replicò quegli.

“Rosso” ripeté Lance. “Molto bene. Joy, ti prego, torna pure dentro: me ne occuperò io… va bene, Rosso. Da dove vieni?”

“Da Biancavilla.”

“Molto interessante. Biancavilla, eh? Il mio padrino, il professor Oak, vive là. Suppongo che tu lo conosca.”

“Lo conosco molto bene” mormorò Rosso. “Mi ha dato lui il mio primo Pokémon, io…ero molto amico di suo nipote.”

“Di Blu” disse Lance, e i suoi occhi brillarono. “E ora non lo sei più, eh?”

“Cosa c’entra tutto questo con il nostro scontro?” esclamò Rosso, fiammeggiante di furia e d’orgoglio. “Non perdiamo tempo, Lance!”

“Come vuoi, come vuoi” replicò Lance, e i suoi occhi brillarono di nuovo, ma come di ilarità. “Vedo che hai fretta, eh? Ma se avevi tanta fretta di sfidarmi, perché non hai partecipato alla Lega?”

Colpito nella sua debolezza, Rosso non rispose. Lance rise e suggerì, mentre i suoi occhi s’illuminavano di scherno: “Forse non hai battuto qualche Capopalestra, giusto? E allora come pensi di poter sconfiggere me?”

Ma quello scherno gratuito, quella freddezza, Rosso non li poteva sopportare, non li poteva tollerare, no: colto come da un accesso di rabbia, afferrò un piccolo astuccio metallico e lo gettò furiosamente per terra davanti a Lance, là dove l’astuccio si aprì per il rimbalzo e finì per restare immobile. Lance abbassò lo sguardo e con meraviglia si accorse che vi erano contenute tutte le otto medaglie di Kanto, l’una accanto all’altra. Le sue labbra s’incurvarono e i suoi occhi si appannarono, ma per un momento; poi egli risollevò lo sguardo, ed esclamò: “Devo dunque dedurre che hai avuto paura?”

“Paura? Io paura di te, Lance? Io, proprio io?”

Ora era troppo, troppo davvero. Era Rosso che viveva tutto isolato su un’alta montagna? Era Rosso che sfidava un allenatore solo dopo aver lasciato che i suoi colleghi lo sbranassero e divorassero talora anche per ore, mentre lui si presentava sempre fresco e altero? E non era forse stato lui, Rosso, ad aver affrontato pericoli innominabili sulla cima della Torre Pokémon o alla Silph Spa, o ancora ad aver combattuto contro Mewtwo, il Pokémon perfetto? Non era forse lui, Rosso, a portare impressi in volto i segni dell’eredità di Missingno…? Oh, ma Lance non sapeva nulla di tutto ciò, a Lance non importava nulla di tutto ciò; e Rosso urlò con tutta la furia di cui era capace: “Forse non sono io ad aver paura, qui, ma qualcuno totalmente incapace di accettare la sfida di qualcuno che non sia stato prima sbranato dai tuoi cani, eh, Lance?”

A quelle parole, Lance barcollò come per un colpo ricevuto. Ma si raddrizzò subito, arrossendo furiosamente, e gridò con voce tonante: “E allora combattiamo subito, e potrò dimostrarti che non sono un codardo come sembro… vai, Aerodactyl!”

“Vai, Blastoise!”

E combatterono in un vortice furioso di disperazione e di compostezza, di rabbia e di orgoglio, mentre gli occhi di Rosso brillavano come fiamme infernali e lo sguardo di Lance si faceva più duro.

“Dragonite, Iper-Raggio!”

“Charizard…finiscilo.”

E questa volta gli occhi di Lance si spalancarono per la sorpresa, mentre quelli di Rosso si stringevano come per trattenere una gioia selvaggia, ma in qualche modo insoddisfacente.

“Ho vinto.”

Vide le ginocchia di Lance piegarsi mentre il suo corpo, percorso come da brividi di febbre, si piegava su se stesso. Per pochi istanti, Rosso pensò che Lance non avrebbe retto a quel colpo nuovo e imbarazzante per lui. Ma poi Lance si riscosse e sollevando una stanca mano richiamò Dragonite e rimase in silenzio.

“Ho vinto” ripeté Rosso a voce più alta. “Hai capito, Lance? Io ho vinto, io ho vinto qui! Io, io e soltanto io sono il Campione, ora!”

Le mani di Lance tremarono violentemente, mentre egli si aggrappava al terreno ed emetteva un breve, vibrante gemito d’incredulità e di dolore: ma com’era possibile? No, non era vero, non poteva essere. Lui, il Campione della Lega, principe dei Pokémon…lui, Lance, sconfitto. Alzò lo sguardo, e Rosso gli era ormai addosso a schernirlo, per la sua vittoria mancata, non con le parole, ma con lo sguardo, con l’infernale profondità dei suoi folli occhi scuri.

“Non è valido.”

“Oh, sì che è valido, Lance. Io ti ho sconfitto, io sono il vero Campione, ora.”

“Sì, ma…non ci sono testimoni.”

“Come dici? Testimoni?” sbottò Rosso. “Sai quante battaglie ho vinto senza i tuoi cosiddetti testimoni? No, Lance, non mi abbagli. La cosa può non essere ufficiale, te lo concedo. Ma io sono il vero Campione, ora.”

“Sì, ma io non…non so…”

“Smettila di balbettare, Lance! Di cos’hai paura, che tutto il mondo scopra che hai perso?”

D’un tratto Rosso vide un luccichio negli occhi di Lance, ed egli distolse per un attimo lo sguardo.

“No” disse infine.

Rosso sollevò lo sguardo da lui: dall’Altopiano Blu si distinguevano gli intricati percorsi di Kanto. Si voltò e percorse con lo sguardo le alte cime innevate del Monte Argento e poi, più oltre, le possenti cascate Tohjo e i primi confini della regione delle leggende, la magica Johto.

“Nessuno lo saprà, Lance” disse con calma. “Non ho alcun interesse a restarmene qui ad Altopiano Blu a sfidare bambocci viziati, il mio posto è lontano, aldilà di queste montagne.”

Lance lo scrutava con dolorosa intensità: le sue parole risuonavano senza gioia al suo orecchio, suscitandogli dubbio e ansietà. Sentiva che il suo solo scopo nella vita gli era stato strappato, che la sua stessa identità era crollata. Scrutava Rosso ormai senza scopo, senza intenzione, quasi. Ma Rosso non gli badava.

“Ascoltami. È come dici tu, nessuno ci ha visti, non ci sono testimoni. Ma tu sai che io ho vinto, leggo nei tuoi occhi che sai che ho vinto. È questo che conta, Lance: che tu sai di non essere più il vero Campione. Ma nonostante ciò, proseguirai come se nulla fosse successo. Qualora…oh, non so se accadrà… qualora tu dovessi venire sconfitto una seconda volta, beh… mi auguro che tu intenda farmelo sapere.”

Lance non rispondeva.

“Il mio è un ricatto, Lance” sbottò Rosso. “Guardami! Guardami negli occhi.”

Lance lo guardò, e subito si pentì di averlo fatto, sentendosi sprofondare in quei terribili occhi malvagi. “Tu mandami il nuovo Campione, e io manterrò il nostro piccolo segreto. Altrimenti verrò a trovarti, Lance…e tu capirai cosa vorrà dire vedermi, eh, Lance?”

Oh, quegli occhi malvagi, terribili! No, Lance non avrebbe potuto sopportare di vederli ancora, di sprofondare di nuovo in quegli abissi rosseggianti di furore.

“Lo farò” mormorò senza forza. Rosso scoppiò a ridere ed esclamò: “Vedo che hai paura di me! Ti paio un indemoniato, eh? Beh, in qualche modo lo sono. Non puoi immaginare quale inferno mi abbia trascinato fin qui.”

“No” convenne Lance senza scopo. Alzò lo sguardo sul suo viso, evitando deliberatamente i suoi occhi, ed esclamò: “Come potrò ritrovarti?”

Rosso rifletté un momento, dubbioso. Si voltò e vide le alte pendici del Monte Argento e i confini di Johto che attendevano il suo sguardo mutilato…

“Mi premurerò di fartelo sapere” disse. Lance annuì, ma non accennò a rialzare il capo senza forze.

“Addio, Lance” disse Rosso, dirigendosi a grandi passi verso Charizard, che ancora lo aspettava immobile. “Ricordati il nostro piccolo segreto, e ricordati anche che io farò di tutto pur di raggiungere i miei scopi.”

Lance non ebbe la forza di guardare quel maestoso Pokémon prendere il volo scatenando turbini di vento infuocato che per poco non macerarono la sua morbida pelle. Dopo alcuni minuti, egli si alzò e rientrò a piccoli passi nell’edificio…

“Joy” chiamò. “Joy!”

“Mi dica, signore” gli disse l’infermiera, ma i suoi occhi rifuggivano quelli di Lance. Egli si sganciò la cintura e gliela tese, mormorando: “Prenditi cura di loro.”

“Come desidera” rispose Joy chinando lo sguardo.

“Dove sono gli altri, Joy?”

“La signorina Agata sta dormendo, signore.”

“E gli altri? Gli altri?” esclamò Lance furiosamente.

“Il signor Bruno è andato ad allenarsi alle Isole Spumarine, signore, e la signorina Lorelei lo ha accompagnato” mormorò Joy perplessa.

“Joy” disse Lance afferrandole le mani: “Tu hai visto tutto, vero?”

“Sì, signore” mormorò ella, osando appena ricambiare il suo sguardo.

“Nessuno dovrà mai saperlo. Raddoppierò il tuo stipendio, ma nessuno in tutto il mondo dovrà mai sapere che io ho perso, che io…non sono…”

“Va bene, signore” disse Joy “Glielo prometto.”

“Diventerò più forte, non perderò mai più…oh, molto più forte! Sfiderò di nuovo quel ragazzo, tornerò il Campione… e questa sarà stata solo una breve parentesi insignificante nella mia vita. Oh, ma no, non posso rivedere quegli occhi… Joy! Questo resterà un segreto tra noi tre, e morirà con noi.”

Eccoci di nuovo qua, a scrivere sperando di smaltire i pranzi delle feste! Grazie a nihil no kami della nuova recensione. 

Come al solito spero in commenti di qualsiasi genere, positivi o negativi. A presto!

Afaneia.

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Capitolo 14
*** Monte Argento. ***


I mesi ripresero poi il loro flusso costante che Rosso conosceva bene, ma egli ormai aveva abbandonato da tempo le frontiere di Kanto: egli ora esplorava una regione bellissima e ricolma di leggenda e di mistero, Johto, Johto la patria di Celebi, Johto la Terra delle due Torri e dei Pokémon scomparsi.

Aveva ormai ripreso il suo viaggio da eremita, segnato da accampamenti freddi e umidi e da nottate trascorse in viaggio, senza fermarsi; aveva ripreso il suo consueto, abitudinario silenzio, le sue squallide tappe nei luoghi più cupi e deserti. Si sentiva ormai distante dal resto del mondo, dalle voci, dalla musica, dalla vita vera. Trascorreva la propria in una condanna perenne, in un isolamento pressoché completo.

Valerio, Raffaello, Chiara, Angelo, Jasmine, Furio, Alfredo, Sandra. Sconfisse ogni Palestra senza vitalità né entusiasmo, con una foga che non aveva a che fare con la passione, solo per dimostrare a se stesso (e a Ho-Oh) di cosa era capace. Ma molti e forse troppi furono i giorni che trascorse ad Amarantopoli, esplorando senza sosta i recessi più profondi della misteriosa Torre di Latta senza poterne raggiungere la cima, oppure domandando e interrogando un vecchio dopo l’altro per indagare le origini della leggenda.

Ma quando il suo corpo spossato reclamava a gran voce le qualche ora di riposo e un po’ di pace, ed egli era costretto ad accamparsi in qualche luogo, allora i suoi sogni erano popolati da immagini e voci terribili e contrastanti, da una parte una voce malvagia e penetrante, e dall’altra un dolce volto di uomo che lo scrutava. Per questo motivo Rosso non dormiva quasi mai.

Ma non trascorse poi molto tempo a Johto, che abbandonò quando capì che non era quello il modo di vedere Ho-Oh. E dove, dove, dove andare allora?

A poco a poco, furono il suo stesso odio per la folla e il suo amore della solitudine a indicargli la strada. Ogni giorno egli si avvicinava di più a quelle falde gelide, a quei pendii imbiancati; giorno dopo giorno, egli guadagnò la cima del Monte Argento, e là rimase, circondato da forti Pokémon selvatici coi quali allenarsi in solitudine.

Ma poi finirono per passare gli anni, e di rado Rosso si allontanava dal suo triste eremitaggio tra la polvere e il nevischio perenne, eremitaggio che si dimostrava nei suoi tristi occhi cerchiati di scuro e ardenti, nella sua voce ormai arrochita dal tempo e dal disuso, nel suo volto pallido e scavato ma ancora meravigliosamente bello, per quanto ansioso e tormentato.

Talora, quando proprio non ne poteva più di restare così lontano e isolato, si recava, irresistibilmente, sul vulcano di Isola Cannella, e là trascorreva lunghe ore senza scopo. Non sentiva più quell’insistente presenza chiamare, e tuttavia mai e poi mai accennò a credere che fosse stato tutto un sogno: ovunque andasse, sentiva l’occhio di Missingno puntato su di lui.

Poi venne il giorno in cui Blu scoprì che Rosso si recava di frequente sul vulcano, e cominciò a recarvisi a propria volta per attardarvisi per ore e ore, finendo coll’allontanarsi per la noia o, talora, col fuggire dopo averlo visto da lontano mentre si avvicinava. E Rosso cominciò ad andare sempre più di frequente sul vulcano, di solito nelle ore del tardo pomeriggio, quando era più facile  avvistare Blu (sebbene non fosse questa la scusa che egli offriva a se stesso).

La vita di Rosso trascorse così dunque per quattro anni, poi si verificò qualcosa che la modificò e che diede inizio all’ultima fase della sua missione.

 

Quel giorno si sarebbero svolte le finali della Lega Pokémon, e Rosso discese la china del Monte Argento per recarsi al centro Pokémon sulle sue pendici. Era un locale molto piccolo, e a dire il vero molto poco frequentato, poiché difficilmente persone si recavano al Monte Argento. Perciò Rosso non si stupì di essere avvolto da una magra penombra al suo ingresso.

“C’è nessuno?” gridò guardandosi attorno; a tentoni raggiunse un interruttore sulla parete e lo premette. Il brusco accendersi delle luci gli rivelò la solita stanza squallida e vuota, che ormai conosceva bene. Si avvicinò al bancone, chiamando: “Joy, ehi, Joy!”

“Rosso…sono qui” gli disse d’improvviso una nota voce dalle sue spalle. Egli si volse, ed ecco l’infermiera in piedi immobile davanti a lui: “Non ti aspettavo” gli disse appoggiando al muro una scopa. “È un po’ che non ti vedevo. Come stanno i tuoi Pokémon?”

“Bene. Non è per loro che sono qui” rispose Rosso con calma. “Mi domandavo soltanto se posso usare la televisione del Centro per assistere alla Lega.”

Joy girò il capo da un lato e guardò la porta che conduceva a una stanza buia ed evidentemente in disuso. Disse: “Mi spiace, Rosso, purtroppo il televisore della sala allenatori è rotto, e non l’ho fatto riparare perché nessuno viene mai qui… ma ascoltami, posso farti venire di là con me, nella cucina, e possiamo guardarla insieme da lì. La tv è un po’ più piccola, ma si vede molto meglio.”

“D’accordo” rispose Rosso alzando le spalle. “A me basta sapere che succede. Ma tanto vincerà Lance.”

“Oh, non saprei, Rosso…quest’anno c’è gente in gamba. Una ragazzina di Borgo Foglianova, che in linea d’area non è molto lontano da qui.”

Rosso aggrottò la fronte e non rispose.

Si recarono in cucina e accesero il televisione. Era vero, si vedeva bene a sufficienza per i loro scopi: Rosso distingueva bene ciascuna persona nel pubblico.

“Stai parlando dell’accesso alle finali?”

“Sì, una ragazza in gamba, ti dicevo… una di Johto, insomma, con tutte le carte in regola e senza appoggi in famiglia, comunque. Alle eliminatorie si è distinta niente male.”

Rosso continuava a non rispondere: scrutava i Capipalestra tra il pubblico, e tra essi c’era Blu, che indicava qualcosa a Brock, seduto al suo fianco, e parlava ad alta voce. Rosso distolse lo sguardo.

Iniziava lo spettacolo, e Rosso vide finalmente questa famosa sfidante di Johto. Vide una ragazza piccola e piuttosto bella, vestita semplicemente, schierarsi contro la bella Lorelei e abbatterla a furia di colpi.

“Hai visto, eh, Rosso? Non se la sta cavando male.”

No, se la cavava bene, perché no? Rosso seguì i suoi movimenti mentre un possente Gyarados shiny, curiosamente obbediente, si faceva largo sui Pokémon di Bruno; poi vide il suo Pokémon migliore, un meraviglioso Thyplosion, che sconfisse senza problemi i Pokémon dell’austera Agata.

“Niente male” mormorò Rosso, aggrottando la fronte. “Ma Lance è un’altra storia.”

Venne indetta l’ora di pausa regolamentare, sebbene fosse chiaro che la ragazza non ne aveva bisogno; essa si riparò all’ombra e là rimase in silenzio.

“Come hai detto che si chiama quella ragazza, Joy?” domandò Rosso nel frattempo.

“Hanno ripetuto il suo nome una dozzina di volte!” protestò Joy. “Non l’hai sentito, eh? Si chiama Luisa.”

No, Rosso non aveva sentito: la sua mente era rimasta chiusa ai suoni, aperta soltanto alla battaglia in corso. Uscì dal centro per respirare un po’ d’aria fresca; si sedette su un duro blocco di roccia e chiamò il suo Charizard, ormai potentissimo e leale. Lo accarezzò, mormorando: “Quella ragazza è molto interessante, eh, Charizard, mio caro Charizard? Se la cava bene, ma ora bisogna vedere come andrà con Lance. Comunque voglio conoscerla, mio caro: sembra molto potente.”

Ma poi finì per rientrare dento, per mangiare un boccone con l’infermiera Joy mentre le riprese riprendevano: si era ormai fatta l’una del pomeriggio, e Luisa e Lance avrebbero combattuto sotto il sole cocente.”

“Vai, Dragonite!”

“Vai, Thyplosion!”

“Dragospiro!”

“Lanciafiamme!”

Esplosioni e botti e turbini di fiamme, ed entrambi sbraitavano ordini tra il fumo e il fuoco.

“Ruotafuoco!”

“Forzantica!”

Che attacchi, che spettacolo! E infine il Pokémon più potente, l’ultima, disperata carta di Lance, che negli occhi aveva lo sguardo che Rosso gli aveva visto; l’ultimo attacco, il suo attacco più potente e disperato…

“Iper-Raggio!”

“Lanciafiamme…finiscilo.”

E poi, di nuovo, quello sguardo disperato e cupo che Rosso ricordava, ma non più incredulo, ormai, piuttosto richiamato come da un ricordo antico e doloroso, mentre Lance arretrava un passo dopo l’altro senza potersi trattenere. Ma subito le telecamere si spostarono, si concentrarono sulla ragazza inginocchiata accanto al suo Typhlosion, con gli occhi luminosi e ricolmi di gioia e felicità: essa rideva senza timore di scottarsi le mani sul suo corpo bollente, sulle fiamme della sua gola…ed erano amici, loro due, e Rosso lo leggeva nel muso del Pokémon e negli occhi grigi e vivi della ragazza. Era felice, felice davvero in quel momento: era la Campionessa, la Campionessa di diritto…Rosso non poté fare a meno di pensare che al suo posto, quattro anni prima, non era stato così felice…

“È perché non c’erano testimoni” sbottò Rosso, alzandosi in piedi. Joy sollevò sorpresa gli occhi su di lui, domandando: “Rosso, che cosa succede?”

“Niente…niente” mormorò Rosso, cominciando a camminare avanti e indietro nella piccola cucina del Centro. Joy non distoglieva lo sguardo da lui.

“Rosso, ti senti…ti senti bene?”

“Sto benissimo!” ruggì Rosso, afferrandosi il capo con le mani. Joy rabbrividì al suo sguardo, ma si trattenne dal replicare. Dallo schermo provenivano ovazioni, urla esaltate e grida, e la bella ragazza esultava e Lance si sforzava di trattenersi; Rosso tornò a guardare, e vide che come tanto tempo prima Lance prendeva il microfono. Ma ora Lance parlava con voce tremante, incerta: “Oggi assistiamo alla nascita di un nuovo Campione. Oggi per la prima volta Luisa avrà accesso con me alla Sala d’Onore…per la prima volta, un nuovo Campione…”

“Oh, Santo Dio…SPENGI!” ululò Rosso, rivolto alla ragazza che sorrideva meravigliosamente in primo piano, così felice e soddisfatta di sé…. “SPENGI!”

“Rosso! Dimmi che cosa succede!” esclamò la donna balzando in piedi. “Rosso!”

Spense la televisione e Rosso smise di urlare. Subito Joy gli fu addosso e lo afferrò, chiedendogli: “Rosso, Rosso, santo cielo, come stai?”

Ora Rosso boccheggiava, sentendosi crescere dentro come una tormenta di rabbia e di dolore; sentiva vorticare dentro di sé quel dolce, fiero sorriso della ragazza, la voce di Lance, gli scoppi e le fiamme, sentiva tornare da un passato remoto il prolungato gemito di Lance e la propria sorda, fredda, insoddisfacente consapevolezza di vittoria, che contrastava con la felicità sconfinata di quella ragazza. Poi tutto passò, ed egli si afflosciò tra le braccia di Joy, ansimante. La donna lo appoggiò al tavolo, ed egli respirò.

“Sto bene ora” disse. “Lasciami.”

“No, Rosso. Vorrei prima farti un controllo.”

“Sto bene, non si vede?”

“Forse stai bene” rispose Joy “Ma desidero accertarmene.”

Lo fece sedere sul tavolo, gli tolse il giaccone e la maglietta; lo auscultò, lo fece respirare. Niente.

“È vero, Rosso, stai benissimo” disse. “Ma non capisco cosa ti sia accaduto, sembravi…sembravi un pazzo.”

“Lo sono” pensò Rosso, ma non lo disse. Scese dal tavolo e si rivestì: all’esterno gli avrebbe fatto molto freddo.

“Mi spiace di averti portato molto disturbo, Joy” disse Rosso. “Ora me ne vado via, ma tu non preoccuparti. Grazie per la tv e per il pranzo, grazie per tutto.”

“Nessun disturbo, Rosso. Sono sempre sola qui” rispose Joy, per nulla rassicurata dalle sue parole. Rosso si diresse subito alla porta, e suo malgrado Joy lo accompagnò fuori. Rosso tirò fuori il suo Charizard e si preparò a volare fin sulla cima della montagna: non aveva voglia di arrampicarsi, quel pomeriggio.

“Rosso” gli disse Joy con urgenza “Ricordatene. Qui c’è sempre posto per te.”

“Lo so” rispose Rosso con calma. “Lo so, Joy, ma tu non preoccuparti se non mi vedi: vuol dire che sto bene.”

“O che non vuoi venire” mormorò Joy, ma Rosso non le prestò attenzione: egli salì sul dorso di Charizard e la salutò con la mano nello spiccare il volo.

Raggiunse la cima del Monte Argento, riprese la via della grotta che ormai ben conosceva e là rimase in silenzio per ore e ore.

Quella ragazza, quella Luisa aveva vinto, aveva sconfitto Lance. Campionessa ufficiale, d’accordo, ma non di fatto, e Rosso si chiese se, nei minuti trascorsi con lei nella misteriosa Sala d’Onore, Lance avesse trovato il coraggio di dirle la verità.

La verità, già, la verità.

Doveva esserci un vecchio blocco di carta nello zaino, e una penna: Rosso li cercò e li trovò. La carta era umida ma asciutta, la penna scriveva, ma non molto bene. Ma Rosso scrisse egualmente questo biglietto:

“Resterò all’interno della grotta sulla cima del Monte Argento per tutto il tempo necessario. Rosso.”

Sì, poteva bastare, era sufficiente. Rosso consegnò il biglietto a Charizard e gli disse: “Mio caro, questo biglietto deve riceverlo Lance e Lance soltanto. Vola fino all’Altopiano Blu, trova Lance e consegnaglielo; poi torna qui.”

Charizard aveva capito. Pochi minuti dopo, esso volava in direzione dell’Altopiano.

 

Eccomi di nuovo qua! Non manca molto alla fine della storia, almeno in teoria, perciò sarete sollevati che entro breve mi leverò di torno! ;)

Un rinnovato ringraziamento a nihil no kami per la recensione.

A presto! Afaneia :)

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Capitolo 15
*** Lei o lui. ***


Era notte, e gli occhi di Rosso e la coda del suo Charizard ardevano nel buio con pari forza. Si libravano nell’Altopiano Blu, in alto, presso le finestre dell’ultimo piano; una era appena accostata. Rosso entrò.

La camera era immensa e persa nel buio, ma a Rosso interessava solo un letto rotondo che distingueva appena nell’oscurità. Si avvicinò e vide una sagoma addormentata tra le fresche lenzuola aggrovigliate: lunghi capelli spiovevano su un cuscino bianco. Vi era una sedia accanto al letto. Rosso vi si appollaiò sopra e attese, mentre il suo respiro si faceva sempre più forte e impaziente.

A poco a poco, percependo un’insistente presenza di fianco al letto, Lance si svegliò e scrutò le ombre nel dormiveglia. Ma in breve il suo sguardo incrociò gli occhi rossi e furiosi di Rosso, che ardevano senza posa nell’oscurità, ed egli si rizzò bruscamente.

“Sht…fai piano” disse Rosso a bassa voce.

“Che ci fai qui? Come hai fatto a entrare?”

“Sono entrato volando” mormorò Rosso. Lance guardò la finestra aperta stagliata contro il buio e fece per parlare: “Ma…”

“L’allarme esterno si vede benissimo. Il calore della coda di Charizard l’ha fuso senza che ci dovessimo avvicinare troppo.”

“Che cosa vuoi da me?”

“Luisa non è ancora venuta.”

“Non…io non c’entro.”

“Tu non glielo hai detto!” ruggì Rosso, protendendosi minacciosamente in avanti. Lance si tirò istintivamente indietro.

“Non sapevo dove ti trovasse e… e poi… è solo una ragazzina.”

“Il Mio Charizard ti ha consegnato un biglietto per dirti dove mi trovavo, so che lo hai ricevuto, Lance! E poi… Ragazzina! Ma se io ero più piccolo di lei quando ti sconfissi, quattro anni fa…”

“E allora va’ tu a cercarla! Io non c’entro!” sbottò Lance.

“Oh sì, Lance, che c’entri! Sì è mai sentito dire, forse, di un Campione che va da solo a cercare i suoi sfidanti? No, Lance. Io sono il vero campione di Kanto e Johto, io, io e soltanto io. Non comportarti da pazzo, Lance! O vedrò di dimostrare che io ti ho sconfitto, quel pomeriggio di quattro anni fa, e allora sì che passerai dei bei guai!”

Lance restava immobile, in silenzio sul letto, lo sguardo fisso sulle invisibili trame delle sue coperte. Infine parlò: “Molto bene, poiché è questa l’unica possibile soluzione. Domani farò di tutto per contattare Luisa, che ormai è riuscita a sconfiggere tutti i Capipalestra di Kanto…e le dirò la verità.”

“I Capipalestra di Kanto?” mormorò Rosso con voce trasformata. “Tutti quanti?”

“Certo, tutti” replicò Lance. “Ne dubitavi?”

“Anche Blu, dunque?”

“Certo, anche Blu. È andata personalmente a scovarlo sull’Isola Cannella. Un tipo tosto, la ragazza! Viene spesso al piano di sotto, che come sai è aperto al pubblico, ma non la vedo quasi mai di persona. Viene sempre di notte.”

“Ha sconfitto Blu? Quanto ci ha impiegato?” sussurrò Rosso, confuso.

“Oh, non ne ho idea. Santo cielo, Rosso! Non capisco chi ti interessi di più, se lei o lui. Ma sappi che è forte, è forte sul serio. Più del tuo caro Blu, con i suoi occhi cupi.”

“Va bene” disse Rosso. “Va bene. Guardami (E Lance lo guardò rabbrividendo negli occhi). Ora me ne andrò, e non conto di tornare presto qui, purché tu mantenga il tuo patto. Siamo d’accordo, Lance?”

“Come vuoi” disse Lance. “Ora vattene!”

Rosso corse alla finestra, la scavalcò, si gettò nel vuoto. Un attimo dopo, un possente Charizard si lanciava in volo verso sud, verso Isola Cannella.

 

Questo capitolo è brevissimo, ma non mi era possibile accorparlo a nessun altro in modo da farne uno di lunghezza decente, perché cronologicamente e logicamente questo è un piccolo blocco a sé stante, costruito per restare tale. Io non scrivo per capitoli, ma come mi viene fuori; e quando sono giunta a ricopiare questa parte ho capito che non potevo accorparla alla seguente, perciò se ne viene fuori così.

Piccola precisazione: nella storia Rosso fa riferimento a se stesso come al “campione di Kanto e Johto”. Per quale motivo ciò? Semplicemente, nel mio ormai proverbiale Pokémon Cristallo esiste una sola lega, quella di Johto, alcuni membri della quale sono gli stesso di R/B/G; il luogo è lo stesso, Altopiano Blu, e vi si accede tramite la Via Vittoria. Dunque io ho sempre considerato la Lega di Kanto e Johto come un unicum, insomma, la stessa cosa. Ho voluto fare questa precisazione perché non ho idea di come il manga e l’anime mettano le cose, perciò non volevo creare confusione ^^

Grazie a nihil no kami per la recensione. A presto!

Afaneia :)

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Capitolo 16
*** Di odio e di dolore. ***


Pikachu scorrazzava tranquillo sulle dure rocce della caverna, scintillanti nella luce degli occhi di Espeon che lo inseguiva così, per gioco. E gli altri suoi Pokémon giacevano o giocavano in un angolo della grotta, rincorrendosi accanto al corpo enorme di Snorlax addormentato. Rosso era seduto su una roccia, mangiando biscotti al cioccolato che, di tanto in tanto, qualcuno veniva a rubargli dalle mani.

“Santo cielo, Espeon! Se quassù non c’è quel tizio come mi ha detto Lance, giuro che lo porto a calci in culo fin quassù!”

Un istante dopo aver udito questa voce, Rosso era in piedi e i suoi Pokémon erano schierati al suo fianco. Gli occhi di Rosso si strinsero, mentre egli percorreva con lo sguardo l’entrata della caverna. Rumore di rocce smosse, di ghiaia che scivolava e si rincorreva negli abissi del Monte Argento, soffice tramestio scricchiolante di neve calpestata; poi Luisa apparve nella pozza di luce bianca, luminescente, che si spalancava davanti all’entrata della grotta, affiancata da un Espeon di notevoli proporzioni, piuttosto bello.

“Benvenuta, Luisa che sconfiggesti Suicune!” esclamò Rosso con aria di malignità, prima ancora che la ragazza avesse modo di penetrare realmente all’interno della galleria.

D’improvviso la ragazza si rizzò, colpita, e i suoi limpidi occhi grigi percorsero la grotta, soffermandosi su di lui, lui alto e bello stagliato con aria malvagia su quella roccia. “Rosso!” Balzò in avanti, ritirando il proprio Espeon. Rosso scoppiò a ridere.

“Finalmente c’incontriamo, Luisa! O preferivi che fossi l’unico in tutta Kanto a non poterti sfidare, proprio io, il Campione di Kanto e Johto?”

“No, Rosso” esclamò Luisa, attraversando di corsa la grotta; Rosso vide che era agile e aveva una forte muscolatura. “Semplicemente non sapevo chi tu fossi; e non credo di saperlo neanche ora, a dire il vero, sebbene sia chiaro che tu conosci me, poiché a quanto pare avresti dovuto esserci tu, quel giorno, nell’Arena delle Battaglie, di fronte a me…”

“Vedo che hai capito” disse Rosso. “È così, è come ti ha detto Lance: io l’ho sconfitto anni fa, sul selciato dell’Indigo Plateau, io sono il solo Campione di Kanto e Johto, ed è me che dovrai sfidare, se intendi diventare la vera Campionessa…anche se non credo che tu possa ottenere molto, sfidandomi” soggiunse, guardandola fissamente. “Io non ho mai perso” disse lentamente.

“Allora questa sarà la prima volta, mio caro” esclamò Luisa, brandendo una Pokéball. “Facciamo parlare i nostri Pokémon, Rosso, poiché questo è il miglior modo per conoscersi.”

“Ah! Come vuoi” esclamò Rosso, e voltandosi verso la sua forte squadra, esclamò: “Vai, Pikachu!”

Immediatamente il suo Pikachu fu davanti a lui, schierato con la coda erta e le orecchie frementi di energia statica contro la ragazza.

“Vai, Thyplosion!”

“Tuonoshock!”

“Fuocobomba!”

“Ah! Tanto non potrai mai vincere contro di me, Luisa. Fulmine!”

“Ruotafuoco!”

“Vai, Blastoise!”

“Oh, questo è sleale! Vai, Dragonite!” esclamò Luisa, scoppiando a ridere. Rosso vide che era bella e che combatteva con la sua stessa foga. La grotta fu invasa dall’ingombrante presenza di un possente Dragonite che si scagliò contro Blastoise.

“Che bell’esemplare! Idropompa!”

“Dragospiro!”

“Raggiaurora!”

“Iper Raggio!”

E per la seconda volta in vita sua Rosso sentì che stava perdendo terreno, che dinanzi a lui una furia inarrestabile stava travolgendo, devastando tutto senza sosta. Ma come poteva arrendersi?”

“Venusaur, Foglielama!”

“Braciere!”

Quale umiliazione, vedere per la prima volta i suoi Pokémon cadere uno dopo l’altro, lui che non era mai stato sconfitto, se non da un solo!

“Psichico!”

“Idropompa!”

Espeon contro Gyarados, l’uno e l’altro shiny, il verde e il rosso, mentre la grotta si accendeva di dorate scintille splendenti come stelle. Ed Espeon cadde di nuovo come tanti anni prima, come contro Mewtwo e i bagliori azzurri dei suoi occhi…

“Body-Slam!”

“Forzantica!”

“Ah, ma ti sconfiggerò, quant’è vero Dio, Luisa! Questa è la mia ultima carta e stavolta non perderò…vai, Charizard!”

“Il tuo primo?” domandò Luisa con occhi attenti, scrutando il gigante davanti a lei. “E sia! Io combatterò col mio. Vai, Thyplosion!”

Aveva già combattuto, ma per la prima volta Rosso vide il confronto tra quei due Pokémon di fuoco e di forza, entrambi belli e imponenti, ma in modo diverso, entrambi fieri e orgogliosi in egual modo, ma di carattere e forza diversi, segnati da due destini opposti e contrastanti, vittoria e sconfitta.

“FUOCOBOMBA!”

Ed era lo stesso grido su due bocche diverse, lo stesso attacco da due fuochi diversi, ma che si fondevano e s’intrecciavano, indistinguibili, così che la grotta arse di fiamme ardenti e incalzanti, così che le pietre divennero bollenti sotto di loro…

“Thyplosion!”

“CHARIZARD!”

E il suo grido lacerò l’aria ardente della grotta di fuoco, mentre d’un tratto le fiamme cessavano e tutto intorno il rumore si faceva silenzio.

“Ho perso.”

Per quale motivo tutto era silente quando il suo cuore urlava, in quella grotta ora buia e quieta? Com’era possibile che lo sentisse solo lui il grido straziante del suo animo lacerato?

“Ma come…?”

“Non era abbastanza” disse Luisa. Ma restava immobile sulla dura roccia e i suoi occhi non esprimevano gioia, né scherno: era ferma e pareva compatirlo. “Era tanto, era quasi troppo. Di certo era troppo per Lance, senza dubbio, ma non per me. Sono io la Campionessa di Kanto e Johto, sono io la migliore…”

“NO! Solo io il migliore, io devo essere il migliore, perché…”

Un grido, una fitta di dolore: Rosso si piegò in due e rotolò sulle rocce polverose, rovinò sul terreno arroventato, mentre i suoi occhi s’illuminavano di fiamme ed egli si premeva sulla testa le mani bianche e scosse…

“No! Vattene, ti prego, vattene! Vattene via, ti prego!”

“Rosso!” urlò la ragazza, di colpo spaventata, lanciandosi attraverso la grotta. Si chinò accanto a Rosso, che ululava accasciato sul terreno con gli occhi spalancati, dilacerati…

Mi hai forse dimenticato?

“No! No, mai, ma ora vattene via!”

“Rosso! Che cosa dici?” esclamò Luisa, afferrandogli il viso. “Con chi stai parlando…?”

“No!” urlò Rosso, e sollevandosi d’un colpo afferrò con la mano il polso della ragazza; ma a quel contatto il suo urlò si spense. Egli si ritrovò d’un colpo sudato, ansimante, sul duro terreno roccioso, aggrappato al polso di una ragazza che lo aveva appena sconfitto. La guardò con occhi colmi di dolore.

“Con chi parlavi?” mormorò Luisa. Lo scrollò ed esclamò: “Rosso, che cosa è accaduto?”

“È lui” disse Rosso. “È ancora qui.”

“Lui? Rosso! Ma se siamo soli, io e te!”

“Tu non capisci, lui è…” Ma Rosso, che faceva per toccarsi la fronte, ammutolì d’un colpo. Guardò Luisa e balzò in piedi, si allontanò; i suoi occhia arsero di nuovo, ma di odio e di dolore.

“Vattene” esclamò “Non tornare mai più!”

“Rosso, ma tu…hai bisogno di aiuto!”

“Non il tuo” disse Rosso. “Vattene.”

“Ascolta, ti porto dove vuoi…”

“NO! Io diventerò il miglior allenatore del mondo, e non ho bisogno di te!”

“Ma hai avuto…hai fatto…Rosso, tu hai bisogno del mio aiuto, non intendo fare nulla, voglio solo portarti in qualche posto sicuro…”

“No! Non voglio aver nulla a che fare con te, sei solo una nemica per me. Se non vuoi andartene me ne andrò io, ma non voglio la tua pietà!”

Ritirò Charizard, ormai sconfitto e accasciato al suolo, lucido e cosciente, ma arreso. Luisa era in piedi dinanzi a lui, ma Rosso la spinse da parte. Proseguì verso l’uscita della grotta e si gettò contro la tormenta. In pochi istanti era scomparso nella neve.

 

Salve a tutti e buon anno nuovo!

Questo sarebbe il penultimo capitolo di questa storia, ossia mancherebbe solo un piccolo epilogo. Vi è tuttavia un piccolo problema, ossia che l’epilogo dà per scontati alcuni lunghi episodi che si svolgono in circa due anni della vita di Rosso e che vengono narrati nella storia principale cui questa spin off fa riferimento. Ora come ora non ho idea di come rendere noti ai pochissimi lettori tali fatti, che io considero davvero necessari per comprendere l’epilogo, se con un sunto a inizio capitolo (sminuendo un po’ il complesso, dunque) o se piuttosto introdurre qualche capitolo “extra” tratto dalla principale, finendo però coll’incasinarmi con decine di riferimenti…

Insomma, non so che fare. Ci penserò in questi pochi giorni di festa in cui non penso di postare; comunque se qualche lettore decidesse di dare un suggerimento o un’opinione al riguardo l’accetterei volentieri (anche se non ci spero troppo xD).

Comunque, grazie ancora a nihil no kami per le recensioni.

Ancora un buon anno a tutti! E ricordatevi: chi recensisce a capodanno, recensisce tutto l’anno! (no, non è una minaccia!)

 Afaneia :)

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Capitolo 17
*** Il giorno di Missingno. ***


Rosso sedeva immobile vicino a quella finestra, e il suo sguardo vagava lontano, raggiungeva il mare con le sue onde nere e le sue spume d’argento che si frangevano sugli scogli, ma andava più lontano, raggiungeva le sommità dell’Isola Cannella con il suo vulcano furibondo e con la sua storia tormentata e infinita, con i suoi misteri e i suoi morti, con i suoi segreti e forse con i suoi dolori. Poi i suoi occhi, bisognosi di riposo, si chiudevano sulle stelle. Ed egli, immobile, fissava quel cielo notturno e infinito, perdendosi nei suoi apparenti limiti, cercando invano un punto cui appoggiarsi.

“Non vieni a letto?”

Rosso si voltò, e vide Blu immobile sull’ultimo gradino, in mutande e vestaglia. Blu, il suo caro, amato Blu, con le sue voglie insaziabili e il suo amore infinito, come le stelle, così caro, così vicino, eppure ancora così distante.

“È molto tardi.”

“Tra un po’ vengo.”

“Ti tengo un po’ compagnia?”

“Se vuoi.”

Blu lo raggiunse e si appoggiò al suo braccio. Anch’egli guardava il cielo, ma ciò che vedeva era diverso: era un infinito che non andava sondato, che non importava sondare; era un cielo amato e ormai conosciuto; era un infinito, ma meno infinito dell’universo che poteva aprirsi in quella casa, in quelle stanze. Era un po’ meno grande del suo amore.

“Vuoi ripartire, non è vero?” chiese con voce infranta, lo sguardo infisso nella notte.

Rosso sospirò, e chinando lo sguardo disse: “C’è una parte del mio cuore che brama l’avventura; c’è una parte del mio cuore che vuole andare lontano, che non vuole rassegnarsi a restare qui.” Era la parte del suo cuore che ancora non poteva dimenticare Missingno, pensò, e per un attimo lo attraversò l’idea di raccontargli la verità, anche quella verità.  Ma no, si disse sorridendo, era una sciocca idea. Voleva soltanto abbandonare Missingno, dimenticarlo, liberarsi anche di quell’ultimo spettro che lo legava al passato. E anche se così non fosse stato, anche se non avesse potuto cancellare Missingno dalla memoria, poteva almeno rinunciare a tutta la sua eredità: ai viaggi, all’ambizione, alle notti insonni e tormentate. Vi era già, ormai, chi si era votato a Missingno: sapeva che Luisa sarebbe andata, lo avrebbe trovato. Era lei la Prescelta Creatura che Missingno cercava dalla notte dei tempi, era lei che aveva sempre voluto trovare, e che lui infine gli aveva consegnato. Ma era giusto così, pensò, era stata la sua parte di storia: lasciarsi attrarre dalla forza di Missingno, attraversare la Città dei Numeri, lasciarsi coinvolgere, trascinare dalla leggenda della Prescelta Creatura, fino a invischiarvisi, fino a perdervisi; e poi, dopo una vita di dolore e di tormento, passare il testimone, fare in modo che Luisa andasse nella Città dei Numeri, che potesse perdersi a sua volta nel mistero di Missingno. Ma Luisa ce l’avrebbe fatta, pensò Rosso, era forte, lei, non era sola, lei, e avrebbe vinto, come sempre, come su tutto. E lui, Rosso, era stato fino alla fine lo strumento della volontà di Missingno, ma ora sentiva che il suo compito era finito, si era concluso; e non aveva dimenticato le parole di Missingno: “tu sarai ripagato di tutte le tue fatiche e i tuoi dolori, e godrai di una felicità pari all’infelicità che ti accompagnerà nei prossimi anni.” E ora sentiva che era arrivato il giorno di Missingno.

“Questa volta vengo con te” disse Blu.

“No” replicò Rosso, voltandosi d’improvviso; e Blu si spaventò nel vedere, per un attimo, un lampo rosso attraversargli gli occhi; ma poi il riflesso dei suoi capelli si spense, ed egli si rasserenò. “No, Blu, non partirò, non intendo partire. C’è un’altra parte del mio cuore, la più importante, che ha trovato la sia felicità; e io non intendo farmela scappare. Tu sei la mia felicità; voglio che tu sia la mia vita; e non c’è cosa al mondo che possa guarirmi, se non il tuo amore, e ora è tutto ciò che voglio. Ti amo.”

Blu sorrise d’improvviso, e i suoi occhi parvero d’un tratto illuminarsi e tornare limpidi e sereni, come tanti anni prima, e forse ancora di più: per lui tutti i fantasmi erano morti, tutto il passato era trascorso e aveva costituito il presente, ed era un presente che sentiva di meritare, un presente reale in quegli occhi neri.

“Ti amo, Rosso.”

Un presente che Rosso intendeva dargli, finalmente.

 

Owari.

 

 

 

Eccoci giunti alla fine. Che dire? Mi è piaciuto postare questa storia, è una piccola parte di me nella quale mi sono sempre riflessa molto intensamente, e mi è piaciuto vedere che non ha suscitato impressioni completamente negative.

Comunque, alla fine come i pochi superstiti avranno capito, ho deciso di seguire il consiglio di nihil no kami (che peraltro ringrazio sentitamente per il continuo supporto e le recensioni) di postare l’epilogo senza riferimenti, dato che è stato l’unico a esprimere un suo parere. Ho inoltre deciso di postare altresì la storia originale, ma per quella ci vorrà un tempo molto più lungo rispetto a questa: è più lunga, incompleta e per di più un po’…mmmm…infantile, già, poiché la scrivevo solo come passatempo. E in effetti la scrivo tuttora come passatempo.

Ebbene, quando alla fine la posterò, tra qualche giorno, sarà pubblicata col titolo originale di “Prescelta Creatura”, nel caso qualcuno volesse darci un’occhiata. Nel frattempo, mando a tutti i lettori superstiti un abbraccio e un bacio: grazie per essere giunti fin qui.

Afaneia.

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