Non finito

di patronustrip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passione ***
Capitolo 2: *** Tuffarsi/Immergersi nelle Acque ***
Capitolo 3: *** Divano ***



Capitolo 1
*** Passione ***




Titolo: Non finito
Team: Dobby
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
Rating: Giallo
Prompts: Passione, Tuffarsi/Immergersi nell'acqua, Divano



Non finito
atto 1 [Passione]

Si poteva udire come un rombo di tuono attutito dalle nubi.
Saltava da una parete all’altra, in quella soffitta antica e di un polveroso affascinate. Il legno intorno – il cui profumo inebriava sempre i suoi sensi, facendolo sentire a casa ogni qualvolta mettesse piede oltre l’ultimo gradino scricchiolante – lo accoglieva, il suono, piacevolmente, e lui si lasciava cullare per un po’ e poi, come un figlio con la madre, sapeva di dover tornare alla propria vita.
E allora convergeva, in un così dolce sentimento, dritto e soffice sui timpani di Harry.
E Harry era sempre combattuto dal chiudere gli occhi per l’esaltante ascoltare.
Milioni di cianfrusaglie in quella soffitta, un paio di finestre sporche e Londra cupa e grigia in lontananza, cielo bianco in attesa di pioggia. Le grandi travi sopra di loro erano come coperte. Calde.
Ma non aveva bisogno di guardarsi intorno, perché conosceva ogni angolo di quel piccolo paradiso terrestre.
I suoi occhi, come ogni volta, erano concentrati solo sui movimenti lievi, di spazzole piccole e intinte di colore.
Di punte di grafite sdrucciolanti polvere, o tempere acquose, pastose, rosse di passione.
Mani lisce e mai esitanti, macchiate.
Era ipnotizzante.
La tela era ruvida e ogni pennellata evocava un suono. Rabbrividiva, perché le setole bianche raschiavano la superficie e le sentiva su di sé. La pelle d’oca, come se lo stessero toccando.
E faceva sempre più fatica a tener gli occhi aperti.
Si ricordava il primo giorno. La prima tela. I primi colori scelti insieme. Cerchi qualcosa di rilassante, una piccola passione che la spinga a rilassarsi e a sfogare le sue macchie interiori. Aveva detto lui, il dottore.
Disturbo post-traumatico.
Ogni singolo giorno della vita di Harry era un sentirsi in colpa.
Ma, ehi, se c’è qualcuno che può superare tutto quanto a testa alta e con classe e grazia più di una regina, beh, quella è sicuramente
«Hermione».
Parlò con voce roca e più bassa che poteva. Non voleva disturbare quel pennello. Ma quello si fermò comunque.
Harry strinse i pugni dentro le tasche rovinate della sua giacca pesante. Le mani fredde come se stesse morendo, palmi sudati. I piedi inchiodati nelle assi scricchiolanti, un metro o più da lei.
Hermione si mosse impercettibilmente sullo sgabello, incrociando le gambe più strette, avvolte in quei fuseaux di cotone. Le sue linee così delicate, era un mondo a parte per lui. Un’isola, un atollo su cui fuggire. Morire, disperso.
Vide l’impercettibile distanza di quel pennello sospeso sulla tela. E gli occhi di lei immobili.
Le spalle sollevarsi infine in un grande respiro. Tornare a dipingere.
Hermione diceva che non erano belli. Diceva che non riusciva mai a tirare fuori i suoi pensieri esattamente come erano cuciti nella sua mente.
E Harry allora pensava che forse tirava fuori i suoi di pensieri, perché si adattavano così bene alle sue membra stanche e spossate, ai suoi ricordi nuovi e vecchi. Per Harry quei dipinti erano meravigliosi.
Era solita dipingere tantissimi paesaggi, lei diceva: nessuna angoscia emotiva riflessa nei volti delle case o degli alberi. Mi danno pace.
Capiva cosa intendeva, ma era sempre così stupito nell’ascoltare la perfezione dei suoi gesti, e delle sue parole nel descrivere sentimenti che lui, sì, aveva, ma diciamocela tutta, non sarebbe mai riuscito a tirare fuori una frase del genere neanche con il vocabolario accanto.  
Hermione era così perfetta.
«Ti amo».
Ancora la voce tenue e profonda, così da graffiargli la gola. Deglutì, e continuò a fissarla. Dritto negli occhi, osservando il movimento fulmineo delle sue ciglia a quelle parole. Sperando si voltasse.
Hermione abbassò lo sguardo e un sorriso triste le dipinse il viso. Strinse il pennello fra le dita macchiate, che andò giù col polso a posarsi sulla coscia, in sosta.
Alzò gli occhi castani su di lui.
«Anche io ti amo, Harry».
Un tempo infinito passato a fissarsi.
Harry avrebbe voluto dirle milioni di cose, vomitare parole a raffica, inginocchiarsi e morire lì, per lei.
Ti amo più della mia stessa vita, non partirei mai, lo sai, mi dispiace Hermione. Ma lei aveva già detto di smettere di scusarsi, non c’era nulla di cui scusarsi. Era il suo lavoro. Era un Auror. Aveva doveri, obblighi.
Missioni.
Solo dodici ore alla partenza. E lui stava lì, in piedi in quella soffitta costruita da Dio solo per lei e le sue frustrazioni, a macchiare di rancore e guerra la sua pace interiore. Che uomo terribile era. A lei avrebbe solo portato dolore, perché Hermione lo amava?
Avrebbe potuto amare Ron. Avrebbe vissuto in una casa rossa, allegra, con bambini e nonni, cene in famiglia e natali passati cantando.
Non accanto un uomo soldato. Che dopo aver vissuto tutta la sua vita nella guerra, stava gettandosi in un’altra. Un uomo che aveva preso la sua vita insostenibile e l’aveva catapultata sopra la donna che amava, irrimediabilmente in notti di sonno agitato e incubi. In pianti disperati e di cui si fa finta, il giorno dopo, che mai siano accaduti. In notti buie accoccolati l’uno all’altra, a sentire i battiti del cuore per consolarsi e sapere che si è ancora vivi.
E fissò quegli occhi così stanchi ma pieni solo per lui. Lei capiva. Lei capiva sempre tutto. Non avevano mai davvero litigato per questo, quando lui si presentò un giorno con il foglio di chiamata fra le mani.
La Somalia era così lontana.
E lei, lei così perfetta, lei così paziente. Aveva capito.
Hermione capiva sempre.
Harry deglutì. Gli occhi ancora puntati su quelle pozze castane. E se fosse stata l’ultima volta che l’avesse vista?
Oh, lui aveva visto la morte. Ma che Dio lo perdonasse, con tutti gli sforzi che poteva fare non riusciva ad immaginarsi nessun paradiso senza Hermione.
Perfino l’inferno sarebbe stato un paradiso, con Hermione.
Undici ore e mezza alla partenza.
Fissò il pennello sulla punta delle dita di lei. Immobile e in attesa. Poi di nuovo quegli occhi.
Oh.
Lacrime.
No. No, Dio. Questo no, ti prego.
Hermione si morse le labbra e abbassò lo sguardo cercando di trattenersi. Sapeva che dentro di sé stava maledicendosi, colpevolizzandosi per essere stata debole.
Amore mio, tu non sarai mai debole. Pensò Harry.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non si poteva dire nulla.
Tolse le mani dalle tasche, ora calde, e si avvicinò a lei, gli scarponi pesanti sul pavimento.
Il fruscio nuovo della pioggia tenue su Londra, fuori dalla finestra, sul tetto sopra di loro. Coperte calde.
Le prese la testa fra le mani, il suo palmo copriva tutta la sua guancia, ormai umida. E la sentì poggiarsi al suo ventre, strofinandovi il viso, trattenendo singhiozzi.
Harry chiuse gli occhi, e sentiva solo la pioggia e l’odore del legno e il profumo di Hermione e della trementina. I capelli sotto le sue dita e il calore del suo viso poggiato contro di sé.
Hermione strinse la mano, tirandolo più vicino. Le unghia strusciare sul tessuto ruvido.
Harry respirò a fondo.
Quante cose  non c’erano più da dirsi. Parole ormai consumate.
Io ti … farò in modo di sentirti ogni giorno. Parlerò con Kingsley, gli chiederò di poterti chiamare con la metro polvere ogni giorno. Ogni giorno.
Mi mancherai come l’aria, Hermione. Ti amo da morire.
Tornerò … tornerò vivo te lo giuro, io non morirò se non accanto a te, un giorno d’estate, vecchio e scemo – risata- e l’ultima cosa che vedrò sarà il tuo bellissimo, bellissimo viso.
Te lo prometto.
Ed era il turno di lei, di piangere e svegliarsi la notte più spesso del solito.
Urlando il suo nome, immaginandolo morto chissà dove, smembrato e con gli occhi spalancati. E niente che potesse aiutarla con i suoi problemi. Perché Harry, al solito, era un’aggravante e mai la cura.
… poteva avere, Ron.
Deglutì ancora.
Si chinò su di lei, ginocchia al pavimento e posò la fronte sulla sua. Piangeva in singhiozzi lenti e controllati.
E lui non asciugò le sue lacrime, perché aveva bisogno di piangere, Hermione. Ne aveva tanto bisogno.
I suoi occhi caddero sulla mano di lei. Il pennello ormai imbrattato sui fuseaux.
Un sorriso da chissà dove sui suoi lineamenti. Si voltò di nuovo verso di lei, le prese una mano.
«Amo vederti dipingere.» Hermione tirò su col naso e alzò di poco gli occhi al cielo, asciugandosi malamente con il dorso dell’altra mano e la manica della felpa stinta, quelle lacrime insistenti.
«Oh Harry …» Rispose a voce roca, un “lo so, amore, me lo dici sempre”.
Il suo sorriso si allargò «Promettimi che quando tornerò ci saranno centinaia di quadri ad aspettarmi».
Hermione deglutì e lo fissò, gli occhi rossi, le guance accaldate. Sbuffò una risata triste.
«Centinaia?» Domandò, un po’ scettica.
Harry annuì. «Sì, centinaia.» Si avvicinò baciandola delicatamente. Hermione prese quel bacio, lo prese come acqua per l’assetato.
Harry strinse la sua mano mentre si allontanava, il legno del pennello ruvido sotto i polpastrelli.
Aprì la bocca, fissando le setole umide e colorate, una frase gli morì in gola. Un’idea strana ma poi neanche tanto.
Alzò gli occhi su di lei. Non si accorse neanche del sorriso pensieroso sul suo volto, mentre toglieva la giacca, e tirava via anche la maglietta bianca. Hermione lo fissò asciugandosi i resti delle lacrime, stranita ma attenta.
Harry si portò una mano incerta sul petto nudo, ancora in ginocchio di fronte a lei. Sfiorò la propria pelle calda con le dita e poi finalmente poggiò il palmo pieno, come se avesse avuto paura a sentire il proprio battito.
L’altra mano su quella di lei, carezzava il palmo col pollice e la fissava incerto.
Poi di nuovo sugli occhi di Hermione, un sorriso «Io amo quando dipingi».
Un sospiro stupito e poi comprensivo. E quegli occhi castani avrebbero potuto ucciderlo.
Hermione gli accarezzò il viso, e lui chiuse gli occhi al contatto, appoggiandosi a quel palmo caldissimo e profumato di trementina, grafite, Hermione. E sussultare quando il pennello umido toccò il suo collo, e poi scese lento disegnando mondi.
Harry aprì gli occhi e incontrò quelli umidi e in lacrime silenziose, di Hermione.




Ormai mi conoscete, non c'è molto da dire e siete abituati anche alle mie stranezze.
Vado a postare il prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Tuffarsi/Immergersi nelle Acque ***


Lo so, sempre più strana.
Scusate, è più forte di me.




atto 2 [Tuffarsi/immergersi nelle acque]


Harry Potter era un soldato deciso e convinto.
Harry Potter credeva fermamente nella pace, nelle battaglie che la precedevano e nello spirito di sacrificio che avrebbe portato le generazioni future a un mondo nuovo, in cui i loro padri o nonni avevano dimostrato sul loro sangue come si costruisce un futuro.
È questo che tutti si aspettavano. È questo che tutti pretendevano.
Ma Harry Potter odiava la guerra.
La odiava ogni morte. La odiava ogni alba calda e afosa sotto i tremiti della paura. La odiava nei volti di bambini maciullati.
La odiava nelle diatribe per cazzate all’interno del campus.
La odiava quando l’immaginazione disperata correva sui volti dei suoi compagni chiedendosi come e chi sarebbe morto il giorno dopo. A chi sarebbe toccato.
La odiava perché erano passati troppi mesi, o pochi giorni, e lui non se ne rendeva conto.
La odiava perché Hermione.
La odiava in un timpano perforato quando un incantesimo gli esplose accanto, e l’unica cosa che sentì furono sassi contro le costole, braccia sbattere contro la terra. Il collo allungarsi dolosamente ad ogni capriola sul dirupo.
L’acqua gelida addosso.
Stava annegando.
Harry Potter stava annegando.
Provò a respirare ma sentì l’acqua salata su per la lingua e dentro i polmoni, tossì aprendo gli occhi ma incontrò solo altra acqua.
Mugugnò e incontrò solo altra acqua, il dolore lancinante all’orecchio sinistro. E le braccia contro altra acqua. E i vestiti contro altra acqua, e ai piedi gli scarponi a tirarti giù contro altra, troppa, acqua.
Bolle ovunque e occhi che bruciavano, mentre le mani si agitavano nel dolore. Cos’è questa fitta al braccio destro?
Sto morendo.
Hermione.
Sto morendo.
Hermione.
Morirò.
Hermione.
ARIA.
Respirò. Ma in realtà non respirò affatto. Un ammasso di tosse e acqua sputata da tutti i posti possibili, e polmoni che cercavano di riempirsi di quello giusto e gettare fuori l’intruso salato.
Harry non capiva. Sembrava acqua ma forse non era acqua.
Dove cazzo … che cazzo, dove diavolo. Cosa cazzo è successo?
Urlò d’istinto «JOOOOHNS!» O almeno ci provò, non sentiva, che diavolo, un mugugno tutto a sinistra? Con tutti, o metà dei polmoni rimasti, i capelli sul viso, e il fischio acuto nell’orecchio sinistro.
Le mani arrancavano in qualcosa di dannatamente freddo appiccicato ai vestiti. E salato, e si riversava tutto in bocca e in faccia, e negli occhi.
Era acqua? Era acqua, sì era acqua.
È acqua. Sì.
Mare. Ok, lo riconosce, è mare. Ora sa dove si trova.
«JOOOOOOHNS!» Urlò ancora, e non sapeva come, né quando la terra era una macchina gialla spalmata sull’orizzonte.
Urlava ancora, grugniti, dal dolore e dalla disperazione. E quando mise a fuoco sembrava essere così lontano. Come aveva fatto ad arrivare così lontano?
Non capiva. Come era finito in mare. Cosa era successo e perché cazzo il suo braccio e il suo orecchio facevano così fottutamente male. Piangeva.
Non si era neanche accorto di star piangendo. Ma il dolore, diavolo, il dolore era così forte.
Ringhiò a denti stretti, quando capì di avere una spalla lussata e probabilmente un timpano perforato.
Muoveva i piedi vorticosamente cercando di tenersi a galla il più possibile, ma la corrente era così forte.
La terra si allontanava e gli sembrava incredibile. Mentre fumi e lampi di battaglia e corpi cadere in mare si mostravano in un terribile show di seconda categoria.
Pianse e urlò. Cosa fare?
Non aveva più la bacchetta.
Tra urla, dolore e una montagna di mare Harry si lasciò andare dopo un tempo illimitato di lotta contro quel maledetto gigante salato.
Galleggiava a peso morto, così stanco che il dolore era solo un pulsare lontano in qualche luogo indefinito del corpo. Il sale non bruciava più sulle ferite, e l’orecchio era una matassa di rumore non rumore.
Bene, perché non sopportava più il silenzio gocciolante delle onde intorno.
Mezzo viso sprofondato in acqua. Occhi chiusi e bolle dalla bocca ad ogni respiro.
Vagamente sentiva il galleggiare nauseante del suo corpo ad ogni onda.
Il cielo coperto di nuvole indecise e nebbiose.
Ed un unico pensiero.
Hermione.
Perché aveva promesso di tornare?
Quale stupido promette qualcosa che non può mantenere?
Ma forse. Forse era meglio così. Forse era meglio e Ron si sarebbe preso cura di lei, e lei sarebbe stata felice e lui, e la sua disgrazia continua che appestava il mondo e le vite di chi gli stava accanto, finalmente morto e sepolto nell’oceano Indiano. Tonnellate di sale.
Pianse. Nonostante la stanchezza e tanta acqua lui pianse. Ancora e ancora.
Hermione.
Mi dispiace così tanto. Dio. Mi dispiace così tanto, amore mio.
Perdonami.
Ti prego. Perdonami.
La prima regola era non chiudere mai gli occhi. Neanche se il sonno ti divora, neanche se sembra essere l’unica cosa giusta in quel momento.
La prima regola è non chiudere mai gli occhi.
Ma in fondo, solo qualche secondo. Solo qualche secondo, che potrà mai accadere?
Sono così stanco. E galleggio da chissà quanti secoli.
Sono passati secoli? Forse giorni.
Sì, sembrano … sembrano giorni.
Solo qualche secondo. Chiudo gli occhi. Solo qualche secondo.
Ed è tutto buio e l’acqua si zittisce.

Hermione dipinse linee e pensieri su Harry. E lui quasi pianse alla sensazione del pennello scivolare sulla sua pelle.
Lei attenta e delicata, si dedicò a quel dipinto come ne dipendesse della sua vita.
Harry baciò le sue mani, baciò i suoi capelli. La fronte, le guancie e tutto quello che poteva prendere di lei in quel momento.
Sussurrò ti amo, e altre parole che uscirono fuori dritte dal suo petto. Perché non esiste ragione in un momento come questo.
Ed era il momento migliore dell’universo, quando poteva sentire contemporaneamente le dita di Hermione su di sé, il pennello scivolare freddo, e la bocca di lei sulla sua.
E poi divenne un dipinto intero. Furono cotone di un vecchio divano proprio lì in soffitta, macchiato di loro e del quadro che erano.
Furono capelli di colore e profumati di trementina e Hermione, furono baci e mani e intente a non dimenticare neanche una pennellata di quel momento.
Era così che un quadro doveva sentirsi, quando veniva dipinto, un non finito che cerca solo di culminare nell’amore infinito. Perché Harry sentiva solo il suo cuore battere su Hermione, e il colore spazzarsi ovunque, e dipingersi.
Mentre facevano l’amore, dipinti nel mondo. Perché Harry sperava che fosse solo l’inizio di una serie di immagini. Col fiato caldo di lei sull’orecchio e parole mangiate dalla passione. Ti amo. Ti amo. Ti amerò per sempre.
Torna da me.
Ti prego.
Ed era lì che realizzò, che non sarebbero mai stati un quadro finito, incorniciato e appeso.
Ma un vivo non finito, che si apre a miliardi di possibilità. Un non finito con le linee ancora grezze, con le pennellate che lo mostrano nudo al mondo, che mostrano cosa è in realtà. Un non finito apprezzato da pochi, coraggioso nella sua vulnerabilità, ma che l’artista ha amato così tanto da non renderlo morto nella … finitezza.
Imperfezione perfetta.
E Harry pianse per questa constatazione. Pianse perché aveva capito finalmente perché Hermione lo amava.
Perché aveva scelto un tormento piuttosto che una casa rossa, e parenti, e nonni.
Perché rincorrersi è più bello che trovarsi. Perché non si smette mai di rincorrersi.
Perché ogni carezza, così come ogni spillo nel cuore era una sensazione.
E, Dio, niente ti fa sentire più vivo.
Ed Harry annegò nei colori, nel cotone macchiato, nella donna meravigliosa che avrebbe per sempre tenuto fra le sue braccia. Fino alla morte.

Aprì gli occhi sussultando.
Abbagliato quasi dal cielo bianco. Mare, dolore.
Realtà.
Tremò.
Hermione.
Il cuore pulsava come mai, e la pressione era così forte da dolergli un po’ ovunque.
Ma lui. Lui non sarebbe morto.
No.
Ora, ora sapeva.
Ora sapeva e ricordava e capiva.
Che nessun altra donna lo avrebbe mai amato come Hermione.
Che lei non voleva nessun altro perfetto dipinto finito accanto a sé. Ma una tela grezza e non finita. Dolorosamente vivo accanto a lei.
E le lacrime uscirono di nuovo, tra gli sbalzi delle onde.
Dio lo aveva benedetto con Hermione. E lui non sapeva perché ma non lo chiese, disse solo un rotto e struggente.
«Grazie».
Solo pochi secondi dopo, il suo nome venne urlato in lontananza.



Mmh.

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Capitolo 3
*** Divano ***


E il terzo e ultimo ...
La fine arriva sempre.




atto 3 -finale- [Divano]

Attese in silenzio. Gli occhi puntati sul cavalletto. La tela era lì. Insieme ad altre – infinito numero- attorno, nuove, che mai aveva visto. Non le prese, non senza di lei.
Ma quella era lì, ed era non finita. I colori e le pennellate fresche, col sole tenue della finestra.
Harry la fissava, seduto sul divano, una mano in grembo stretta a pugno intorno a-, l’altra a sfregare i polpastrelli su una delle tante macchie di colore ruvide sul cotone e sui cucini.
Era ancora in divisa, perché così doveva essere. Lui, sopravvissuto. Appena tornato, la prima cosa da fare.
Le dita corsero su un’altra macchia, stavolta rossa, quando la botola si aprì, e i passi tenui risuonarono nella soffitta. Ancora, come ogni suono, il legno intorno li tenne stretti e li rilasciò sui timpani, e quell’udito ormai un po’ malmesso, di Harry.
Fece lo sforzo più intenso, più coraggioso e grande mai fatto nella sua vita, per non saltare via da quel divano, per non correrle incontro, urlare, e probabilmente rovinare tutto.
Rimase al suo posto, mentre lei chiudeva la botola, con uno sguardo perso su un libro, e si muoveva verso di lui, inconsciamente.
Harry sentì le lacrime agli occhi. Era la cosa più bella che avesse mai visto.
Hermione sbatté il piede contro la sacca di Harry, lasciata lì, in solitudine. Aggrottò le sopracciglia, prima di focalizzare, e spalancò gli occhi, un’espressione indecifrabile. Alzò lo sguardo verso di lui, immediatamente.
Il libro cadde a terra con un tonfo sordo.
Harry non riuscì. Pianse.
Lei singhiozzò forte, e portò le mani al viso. Si incontrarono a metà strada.
Piangeva disperata, stringendosi a lui, affondando le unghia nelle sue spalle, sul suo collo, sulla testa.
Ripeteva “Ti amo” o “amore mio” o “Harry”, in un susseguirsi soffocato addosso a lui che solo piangeva.
Si baciarono, e piansero. E poi di nuovo si baciarono. Stretti come se fossero morti solo lasciandosi respirare un po’.
Lei gli baciò il collo, le spalle anche sopra la divisa, le guance, le sopracciglia, le palpebre. Le labbra.
E piangevano.
E ridevano.
Tutti rumori presi e rilasciati dal legno di quella soffitta.
Minuti infiniti. Giorni interi forse. Ad Harry non importava.
Posò la sua fronte su quella caldissima di lei, e in lacrime e rossi e felici. Straziati di felicità, perché nel loro mondo non finito era straziante anche essere felici.
Ci mise un po’ a riprendere possesso della propria voce, mentre lei lo fissava, passando le mani sul suo volto, come spaventata che fosse solo un sogno.
Era vivo.
Lui era ancora vivo, ed era a casa.
«Harry» Singhiozzò, con un mezzo sorriso devastato.
Lui annuì mordendosi le labbra. Quando e come si può smettere di piangere in un momento simile?
Le poggiò una carezza sulla guancia e lei sussultò al contatto, chiudendo gli occhi e abbandonandosi completamente. Baciò il suo palmo, ancora e ancora, e strinse il dorso fra le sue mani calde e piccole.
Harry si sforzò di parlare.
«Sei bellissima» Uscì un suono strozzato.
Il labbro di Hermione tremò in un sorriso, guance rosse e umide.
«Anche tu» Disse, posandogli una mano sulla guancia.
Harry sussultò una risata nervosa e singhiozzante. La mano sinistra sudata e stretta intorno a quello che sarebbe stato una vita futura. Perché lui era vivo, e aveva un futuro.
«Herm …» Si schiarì la gola. Tremavano così tanto, sorridevano così tanto. Piangevano, oddio.
Lei incrociò i suoi occhi. Ancora lacrime e lui cercò di calmarla. Le asciugò stavolta.
«Hermione» Ripeté più calmo e più vicino.
Lei annuì. Lo stava ascoltando, era con lui.
Harry sorrise, si chinò e baciò le labbra umide e salate. E di fronte a lei alzò piano due dita e tenere le sue speranze. Tute in un un cerchio d’oro.
Hermione perse fiato, sussultò e portò le mani alla bocca. Le lacrime di nuovo giù.
Harry non prese fiato, perché affogare era tutto quello di cui adesso aveva bisogno. L’unico vero mare. Salato, umido, colorato. Hermione.
«Sposami.»
Un non finito estasiante, impossibile distinguere fra dolore o felicità.




Anche questa è finita.
Prego gli dei vi sia piaciuta. Come al solito, ispirazione improvvisa e forse un po' malsana.
*si para dai pomodori*
Alla prossima -se sopravvivo a questa-.


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