Psaico, Secret Files: Il Volo della Rondine

di Ria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La studentessa e il ragazzo chiamato John Doe ***
Capitolo 2: *** Awake - Il sorriso di Shiro ***
Capitolo 3: *** Ricordi di cenere bianca ***
Capitolo 4: *** … E la rondine si fermò ***



Capitolo 1
*** La studentessa e il ragazzo chiamato John Doe ***


Lo so, lo so cosa state per dire ^^””. “Ma come?! Sta maledetta non aggiorna per una vita, poi ce ne spara due di fila?! Ma è scema?!?”. Sì, ne sono consapevole di essere una malata ^^””, ma vedete, ho avuto una settimana decisamente… Calma (per dire che non avevo una mazza da fare xD!) così mi sono rimessa dietro alle ficcy… E, finita “La Storia dello Sciacallo”, continuando il nuovo cap dei Diaries che non ne vuole sapere di venire fuori… Ho concluso anche la seconda parte di “Psaico Secret Files” xP! Che posso dire, se comincio, non la smetto +! (Chi ha letto Psaico ne sa qualcosa XD…).

Ecco quindi la seconda Spin-off su Psaico. Anche questa sarà di tre cap al massimo, e stavolta il protagonista sarà qualcuno di decisamente inaspettato! Una storia che avrei tanto voluto mettere in Psaico, ma che mi deviava troppo dal corso della storia (e mettevo altra carne in tavola, che ce n’era a sufficienza ^^”!) e alla fine eccola qua!

Solo due note prima di iniziare…

Il nome “Haine” è un omaggio alla sensei Arina Tanemura e al Manga “Gentlemen’s Alliance Cross”, forse uno dei + belli che ho letto negli ultimi anni ^o^! inoltre gli ideogrammi con cui è scritto mi saranno utili in futuro ^^…

Il nome Ryuichi Aoki è nato per caso, perché mentre scrivevo questo cap avevo sotto gli occhi un manga di Chito Saito… Solo dopo mi sn ricordata che anche papino Aoki si chiama così ^^””, ma ormai il nome mi piaceva xD!

Ci vediamo in fondo gente ^o^!!

 

 

 

 

Buio.

Il freddo che ti stringe il petto in una morsa. Ti soffoca.

La sensazione dell’erba sulla faccia.

La pioggia sopra.

Il sapore del sangue in bocca.

 

Dove… Sono…?

 

- Papà! Papà corri, ti prego! C’è qualcuno qui!

 

Chi sono io?

 

 

Paragrafo 1 ◦ La studentessa e il ragazzo chiamato John Doe(*)

 

 

2002. Maggio.

 

Con aria trafelata Haine attraversò il cortile in cemento dell’ospedale, la borsa a tracolla che persisteva a voler cadere dalla sua spalla; lottò strenuamente finchè la maledetta non acconsentì a passare docilmente la sua cinghia oltre il collo della brunetta, in modo da non dover essere tenuta con entrambe le braccia di quest’ultima per evitare che rovinasse a terra.

Cercando di riassestarsi quanto meglio poteva, Haine rallentò il passo, scorgendo già una delle infermiere squadrarla arcigna per il suo correre. Con calma la ragazza prese il corridoio dell’ala est, seguendo obbediente i cartelli appesi alle pareti. Non che ce ne fosse veramente bisogno, ormai conosceva la strada a memoria.

Salì due piani di scale, sempre in silenzio e lentamente, ma incalzava impercettibilmente il passo quando era fuori portata degli occhi delle infermiere e dei dottori; qualche paziente del reparto di pediatria del primo piano, ormai vecchie conoscenze, la salutò da dietro le porte antincendio facendole segno di accelerare, che non c’era nessuno in vista.

Quando arrivò al terzo piano, ormai quasi correva. La vecchia signora Toruhmiya, degente in attesa di un trapianto di rene (“Quel monello! – ci scherzava sempre sopra – Non vuole saperne di funzionare come si deve…!”) vedendo la ragazza le fece segno di avvicinarsi alla sua stanza, il sorriso in parte sdentato che le si apriva radioso sul viso:

- Sei in ritardo, piccola Haine.

- Lo so, signora! – si giustificò la ragazza senza un motivo preciso – Ma oggi ero di turno per le pulizie, così ho fatto tardi per cambiarmi e…!

- Non preoccuparti. – sorrise ancora la donna – Vorrà dire che verrò a farti visita io. Ora vai, è già tardi.

La ragazza annuì e sfrecciò verso il fondo del corridoio.

I suoi occhi color cioccolato sfiorarono leggeri le targhette sulle porte, seppure sapesse benissimo che stanza dovesse cercare.

143.

147.

151. Eccola.

Haine aprì lentamente la porta, come se temesse di svegliare qualcuno. Per un istante, dovette ammetterlo, lo sperò.

Ma come sempre nessuno si mosse in quella stanza. La figura sdraiata sul letto, immobile, non reagì minimamente alla sua presenza, nemmeno quando lei, con un sorriso un po’ triste, prese la sedia bianca dall’angolo e la portò vicino al lettino.

- Ciao. – disse con un sorriso – Ehi, oggi abbiamo davvero un bel colorito! Sono contenta!

Esclamò allegra, poggiando la sua borsa accanto alla sedia. La figura sul letto non si mosse.

Haine sospirò, guardando il ragazzo sdraiato sul materasso candido.

Doveva avere al massimo vent’anni, tre più di lei; aveva i capelli castani, più sul nocciola rispetto ai suoi che tendevano prepotentemente al biondo, e nonostante le infermiere glieli accorciassero di quando in quando, questi continuavano a crescere con stizza attorno al suo viso, dai tratti giapponesi. Non sapeva di che colore avesse gli occhi, perché non glieli aveva mai visti aperti, ma i dottori avevano detto che erano neri. Troppo vago, aveva sempre pensato, neri come? Come la pece? Neri come il mare di notte, così lei se li era immaginati, ma non aveva mai osato chiedere conferma. Haine non sapeva nemmeno che voce avesse quel ragazzo.

Ma da ormai due anni, tutti i giorni, dalle quattro fino alle sette, Haine entrava nella camera d’ospedale di quel ragazzo.

E gli parlava.

I dottori dicevano che gli faceva bene. L’encefalogramma di quel ragazzo era ancora ben attivo, e forse sentire la voce di qualcuno lo avrebbe fatto svegliare dal coma.

Così, Haine insisteva.

Tutti i giorni.

Arrivava in ospedale con la sua borsa, piena di libri di scuola, quaderni e block-notes, saliva fino alla stanza 151 del terzo piano, si sedeva sulla sedia in plastica bianca; faceva i compiti, scriveva certi suoi appunti sul suo quaderno dalla copertina rosa, e parlava.

Attenta ad ogni più piccolo movimento, ogni respiro più rapido, Haine parlava della sua giornata, di suo padre, dei professori che la crocifiggevano con tonnellate di compiti, dei pensieri che scriveva su quel quaderno rosa.

E aspettava.

Qualche compagna, a scuola, venuta a conoscenza di quell’usanza, le aveva chiesto perché. Magari erano parenti, avevano supposto, o magari stavano assieme quando lui era entrato in coma. Forse era un amico di famiglia.

Assolutamente no.

Haine non aveva mai visto quel ragazzo.

Non sapeva neppure il suo nome.

Lei e suo padre avevano trovato il suo corpo, una notte piovosa di due anni prima, malconcio e praticamente in fin di vita. Lo avevano portato in ospedale, dove i medici avevano tentato di rianimarlo, ma lui era entrato in coma e non s’era più svegliato.

Oh, avevano cercato, certo, notizie su di lui. Ma nulla.

Quel ragazzo sembrava non avere nessuno al mondo.

- Ma tu sei matta! – aveva esclamato la sua capoclasse, calcandosi sul naso appuntito gli occhiali neri – Magari è un teppista!

- Sì, uno yankee! – aveva detto qualcun’altra, fantasticando.

- Magari è figlio di yakuza ed è finito così in una sparatoria.

“Non aveva proiettili in corpo.”. aveva pensato con sufficienza Haine, ritenendo che fosse inutile puntualizzare, dato che non avevano ascoltato solo una parola della sua spiegazione.

Quel ragazzo era solo.

E ad Haine come motivazione bastava.

Quando i medici avevano annunciato che il paziente della 151, da quel momento, avrebbe ricevuto il nome di John Doe, lei aveva deciso.

- D’accordo! – esclamò, prendendo il libro di algebra – Diamoci sotto!

 

Non so dove sono.

Mi fa male dappertutto, mi sento come legato.

Da quanto tempo è che non mi alzo in piedi?

Sento il sole sulla faccia, il vento dalla finestra. Ma i miei occhi non riesco ad aprirsi.

Sono stanco…

Sono così stanco…

 

Sento qualcuno che entra nella stanza.

Riconosco i passi.

È arrivata di nuovo.

Lei viene tutti i giorni.

Tutti i giorni, e aspetta.

Che mi alzi.

Che parli.

Che mi svegli.

Ma io non riesco a svegliarmi.

Mi sento così stanco…

 

Per qualche minuto la sua voce mi arriva lontana, come da un’altra stanza.

Sto sognando di nuovo…

Chi siete?

Laggiù…

C’è qualcuno?

No, aspettate, non vi allontanate!

 

La sua voce torna chiara, nitida.

Sono scappato di nuovo.

Continuo a vedere quelle figure, ma non riesco a raggiungerle.

Il mio corpo non si muove.

E io volto loro le spalle.

Sono troppo stanco…

 

***

16 Settembre 2000. Ore 22.57.

 

Ad Haine non erano mai piaciuti gli ospedali.

Per dirla tutta, li detestava.

L’odore, per cominciare. Quella puzza acre di disinfettante, di anestetico, di lattice, di plastica.

Di artificiale.

Le metteva i brividi, più che un posto per salvare le persone, le dava la sensazione di un laboratorio di ricerche. Su cavie umane.

Poi il colore.

Bianco.

Ovunque si voltasse, tutto era inghiottito dal bianco.

I camici dei medici. Le lenzuola dei letti. I muri. Le porte. La luce delle lampade al neon, così forte che feriva gli occhi.

Le facce dei pazienti.

Haine odiava gli ospedali.

Ma quel giorno doveva resistere.

Rannicchiata come un topolino sulla seggiolina di plastica rigida della sala d’attesa, fuori dal reparto di terapia intensiva, voleva resistere. E pregava.

Pregava con tutta se stesse per quel ragazzo che, meno di venti minuti prima, lei e suo padre avevano trovato sotto il guard-rail della tangenziale.

Non avrebbero nemmeno dovuto farla, quella sera. Ma suo padre, con tutta quella pioggia, non s’era fidato a prendere l’autostrada.

- E se succede qualcosa al nostro bagaglio? – aveva domandato, indicando il carico di vecchie tv coperte da un telone consunto, nel retro del camioncino – No, no! Molto meglio fare una strada che conosco bene, con questo tempaccio!

Così erano saliti col camion tossicchiante per quella strada sinuosa come un serpente, arrancando sull’asfalto viscido e coperto di fango. Il paesaggio fuori dal finestrino era solo un buco nero sferzato da gocce argentee, di quando in quando illuminato dalla luce bianca dei fari.

Fu in uno di quegli attimi, che lo vide.

- Oh, kami-sama…! Papà, frena!

L’uomo, alla voce spaventata di Haine, aveva inchiodato, facendo scricchiolare indispettito il vecchio furgone. Senza aspettare che le chiedesse qualcosa la ragazza era saltata fuori, scendendo lungo il crinale.

L’erba era viscida e non riusciva a stare in piedi bene. C’era buio pesto e non vedeva nulla oltre il suo naso, cosa che peggiorò in pochi secondi quando la pioggia le inzuppò i capelli, che le caddero davanti agli occhi.

Eppure l’ho visto!

Infatti, eccolo.

Sprofondato nella fanghiglia del terreno, con la faccia a terra, c’era un corpo. Quando lo vide Haine fu pervasa da un brivido gelido, e nella sua mente si formò solo una parola.

Cadavere.

Con le mani tremanti ed intirizzite dall’acqua gelida, la brunetta allungò un dito vero il collo del ragazzo. Non dovette neppure toccarlo.

Respira!

- Papà! Papà, vieni qui!

Poi fu una corsa disperata all’ospedale. Non chiamarono nemmeno l’ambulanza, sapevano benissimo che con quel tempaccio il grosso sedere dell’autolettiga non sarebbe riuscito a salire il crinale, figurarsi a ridiscenderlo! Quel ragazzo sarebbe morto molto prima.

Perché stava morendo: perfino loro due, padre e figlia, lei che odiava il sangue e lui che di corpi umani ci capiva quanto una persona comune ci capiva di televisori (dell’interno, almeno) lo avevano capito.

Quando arrivarono all’ospedale i medici lo confermarono, mentre portavano lo sfortunato frettolosamente in sala operatoria.

Da allora era passata un’ora.

Nessuna notizia.

Haine, infreddolita fino alle ossa nonostante il cambio d’abiti che un’infermiera gentile le aveva dato, continuava a fissare preoccupata la lucina rossa sopra la porta in cui il ragazzo era sparito: Operazione in Corso.

Sospirò, tirandosi un po’ più su i calzini enormi che l’infermiera le aveva dato. Non trattenne uno sbuffo, era stata gentile, ma quel donnone era almeno quattro volte lei, doveva stare attenta o ogni tre secondi rischiava di mostrare qualcosa a metà degli sconosciuti in quella stanza.

I suoi pensieri s’interruppero bruscamente. La luce sulla sala operatoria s’era spenta.

 

***

 

Haine si stiracchiò, sbadigliando:

- Che palle…! – sospirò – Chissà se sei bravo di matematica… Se sì quando ti svegli dovrai aiutarmi, io non ci capisco nulla!

Rise, guardando il ragazzo dormire. Poi sbuffò ancora:

- Aaaah, ma a cosa mi serviranno mai queste cose nella vita?! – sbottò – Devo sapere addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione! E se vogliamo esagerare le frazioni! Cosa mi frega sapere che x2 = y?!

Un’infermiera, passando di fronte alla stanza, si affacciò con aria severa, facendole segno di tacere. Haine si tappò la bocca con la mano, annuendo, ma appena la donna se ne fu andata le fece una linguaccia:

- Vecchia befana!

 

Mi viene da sorridere.

Ormai conosco bene questa ragazza.

A volte si perde nei suoi pensieri e si mette a parlare ad alta voce, senza riflettere.

È divertente.

So che non le piace la matematica.

Le piace scrivere.

Scrive spesso.

Si mette accanto a me e scrive.

Scrive bene.

Mi piacciono i suoi pensieri.

Sono leggeri, freschi. Eppure profondi.

Sento che sono diversi dai miei.

Io ricordo solo il buio.

Oh no…

Sto sognando di nuovo…

Come mi sento stanco…

Chi mi chiama…?

 

- … One…! Frat…!

 

***

 

- Le sue condizioni sono stabili, per il momento. – disse il medico con tono quasi di sufficienza – Ma la carenza di ossigeno al cervello è durata troppo a lungo.

Haine, dall’angolo, guardava l’uomo in camice verde menta parlare con suo padre, la stessa aria preoccupata della figlia.

- E… Quindi? – domandò l’uomo titubante.

- … È in coma.

Coma. Quella parola ferì le orecchie di Haine con una forza spaventosa, che nemmeno lei si aspettava.

- Quindi lui… Non… Si sveglierà più…? – chiese lei flebilmente.

- No. – disse il medico deciso – C’è, anzi, un’alta possibilità che apra gli occhi.

Padre e figlia sospirarono di sollievo, nonostante la risposta così semplicistica potesse sembrare troppo ottimista.

- Dunque…

Il medico porse un braccio nell’aria, facendo un cenno con la mano. Due uomini, in giacca e cravatta, si avvicinarono ad Haine e a suo padre, uno con una ventiquattrore in mano e l’altro un plico di fogli sottobraccio.

- Voi due siete i soli testimoni dell’incidente. – spiegò il dottore – O, per lo meno, gli unici che al momento abbiano a che fare col ragazzo.

- Dovremmo solo farvi alcune domande. È la procedura. – aggiunse uno dei due uomini in nero, con voce ferma.

- Sì… Certamente.

Il padre di Haine si fece docilmente guidare dai due verso una saletta privata. Fatti pochi passi, quello con la ventiquattrore si girò verso Haine:

- Anche lei, signorina, per favore.

Haine trasalì appena. Guardò il dottore con aria indecifrabile, e lui le sorrise con gentilezza, facendole segno di andare.

 

***

 

Senza troppe cerimonie Haine sbattè il quaderno di matematica nella borsa. Subito, il libro di letteratura giapponese, quello di cinese antico e quello d’inglese gli fecero compagnia, rotolando cupi con un inquietante scricchiolio di carta.

- Insomma, basta! – pigolò lei, guardando l’orologio al suo polso – Le sei! Sono bloccata su questi stramaledetti libri dalle sei! Ora basta!

- Su, calmati piccola Haine…

- Sì, lo so, signora Toruhmiya, però…!

I suoi occhi si posarono un istante sulla figura del ragazzo. La donna sorrise:

- Hai la scuola, tu. – le disse con dolcezza – Non puoi non fare il tuo dovere. E poi, pensa, se dovessero darti delle lezioni di recupero, non riusciresti più nemmeno a venire.

Lei annuì. La signora aveva sempre ragione, alla fine.

- Va bene… - sospirò la donna, alzandosi – Grazie della compagnia, piccola Haine. Ora è meglio che torni nella mia camera…

- No, grazie a lei signora Toruhmiya! – esclamò la ragazza grata – E grazie per quella dritta su giapponese…

La donna le fece l’occhiolino:

- Solo per questa volta. Impegno, cara. Ci vediamo domani.

La figura della signora Toruhmiya svanì lentamente nel corridoio, e Haine si risedette, avvicinando la sedia al lettino bianco. Guardò un istante il viso del ragazzo addormentato e non potè non sorridere, era parecchio carino.

- Scusami se oggi sono stata così impegnata. – disse, rannicchiando le gambe al petto. Lo faceva sempre, quand’era nervosa o quando era intenta a raccontare qualcosa – Tra poco ci saranno gli esami di metà trimestre e… Mamma mia! Non ci voglio pensare!

Osservò un istante il suo “amico” in silenzio, quasi assimilando il ritmico alzarsi ed abbassarsi del lenzuolo al suo respiro.

- Ho finito di scriverla, sai? – disse allegra – Quella storia di cui ti avevo parlato, ti ricordi? Se ti va te la leggo!

 

Si, la ricordo.

L’idea era carina, devo ammetterlo.

 

- D’accordo… Vediamo…

 

Mi piace sentirla leggere le sue storie.

Ci mette molto impegno, e si vede.

O meglio, io lo sento.

Da come le trema la voce, emozionata.

Questa storia mi piace molto.

Parla di una ragazza che disegna fumetti (un po’ si è ispirata a sé stessa, lo ammette) ed è innamorata di un ragazzo. Però non sa se a lui interessa.

Un giorno riesce a trovare un vecchio incantesimo in un libro in biblioteca, di quelli che fanno le ragazze per divertirsi. Per esprimere un desiderio: un desiderio e questo si avvera.

La ragazza prova. Come per incanto, si ritrova il ragazzo tanto sospirato in casa sua.

Solo che ha le dimensioni di un topolino.

La ragazza, pensando di vivere uno dei suoi manga in cui alla fine i due protagonisti s’innamorano, lo accudisce e lo protegge, senza pensare che questo ragazzo ha una vita, una famiglia. Forse una ragazza. Ma la protagonista lo vuole tutto per sé, e non c’è verso che qualcosa la tocchi.

Finchè un giorno, lui scopre la verità sul perché è ridotto a quelle dimensioni, e s’infuria con lei. La ragazza capisce l’errore e, nonostante le lacrime, riesce a trovare il modo per riportarlo come prima.

E lasciarlo alla sua vita.

Non c’è l’happy ending, almeno non come uno se lo potrebbe aspettare. Ma la protagonista è maturata, è cresciuta, e il ragazzo sta bene.

Forse l’happy ending c’è.

 

***

 

- Allora, riepiloghiamo i suoi dati…

- Sentaro Ichinomiya. – sospirò il padre di Haine, stravolto – 43 anni. Vedovo. Padre di Haine, quattordic’anni, terzo anno delle medie(**). Ho un piccolo negozio di elettronica e televisori usati. No, non ho mai visto quel ragazzo; no, non so come si chiama e no, non sono solito far la tangenziale per tornare a casa; è stato un caso.

- Non sia così pungente, signor Ichinomiya. – lo seccò uno dei due avvocati dell’ospedale – Sappiamo che è snervante, ma è la procedura, gliel’ho detto.

Il signor Sentaro si massaggiò il collo, stanco, mandando un’occhiata in tralice alla figlia: anche lei aveva l’aria di chi si sta per addormentare sul posto.

- Allora? Tutto a posto?

- Sì… E no.

- Come sarebbe?! – sbottò Sentaro esasperato – Vi ho detto tutto…!

- Non per voi. – si affrettò ad aggiungere l’avvocato – Per il ragazzo.

Padre e figlia li guardarono senza capire. L’avvocato con la ventiquattrore si allentò un po’ il nodo della cravatta, sospirando:

- Ovviamente, l’ospedale compirà delle ricerce… - disse quasi sovrappensiero – E continuerà le cure, certamente…! Ma…

- Ma?

Haine guardò l’uomo con aria trepidante. Quello sospirò più forte:

- Da come ci avete raccontato i fatti, sembra improbabile che troveremo qualcuno collegato a quel giovane.

- Vorrebbe dirmi che è da solo? – chiese titubante Sentaro. L’avvocato annuì lievemente.

Scese il silenzio. Haine, ormai quasi allungata sulla sedia, fissava i due avvocati con gli occhioni sgranati.

- Bene. – concluse l’uomo, alzandosi – Ora contatteremo le autorità. Si dovranno occupare loro di cercare i parenti di quel ragazzo.

- Mi scusi…

I due uomini si fermarono sulla soglia. Sentaro, al cui braccio Haine s’era aggrappata, li scrutò torvo:

- Potremmo… Potremmo essere informati sulla vicenda?

- Impossibile. – lo seccò subito uno dei due – Voi non siete implicati e…

L’altro uomo gli fece segno di zittirsi. Guardò padre e figlia, scrutando con un sorriso impercettibile lo sguardo risoluto di Sentaro: si poteva leggere a chiare lettere che era una di quelle persone che non riesce a non sentirsi coinvolta in qualcosa.

- Questo è il mio numero. – disse l’avvocato, porgendo un biglietto da visita immacolato – La procedura non sarebbe ortodossa, ma la terrò informata.

- La ringrazio.

L’avvocato fece un segno di saluto e uscì col collega. Haine guardò suo padre sorridendo, prendendogli con delicatezza il biglietto dalle mani:

- Troveranno qualcosa, papà?

L’uomo scosse la testa:

- Non lo so.

 

 

2 Ottobre 2000.

 

Con uno sbuffo Haine sfogliò per la trecentesima volta il giornale del giorno prima. Un piccolissimo trafiletto, quasi invisibile, nella pagina di cronaca locale, recitava:

 

La polizia chiude il caso di “John Doe”

Il giovane, entrato in coma la notte del 16 settembre di quest’anno, è lasciato alle cure dei medici senza aver ritrovato la propria identità.

 

Le ricerche sul giovane adolescente ritrovato circa tre settimane fa dal nostro concittadino Sentaro Ichinomiya e dalla figlia Haine, sono state ufficialmente archiviate: nonostante l’impegno degli ufficiali del comando locale, non si sono trovate notizie su John Doe (nome sconosciuto, età sconosciuta, di nazionalità giapponese) e il commissario in capo ha annunciato la chiusura del caso.

<< È come cercare un ago in un pagliaio >> ha detto il commissario << Il ragazzo non ha precedenti, non è registrato in nessun archivio cittadino e non è stato riconosciuto da nessuno, almeno per il momento. Non sono state trovate denuncie di scomparse recenti, perciò possiamo solo abbandonarci ad ipotesi. >>

 

Ipotesi… Quell’ultima parola fece salire ancora il sangue alla testa alla brunetta.

Chiudevano così la cosa?! Ma se non avevano fatto altro che ipotesi, in quelle settimane! Altro che ricerche!

Appena la notizia era arrivata alle orecchie dei giornalisti locali, era scoppiato il putiferio.

Una settimana di paginate con supposizioni, voci mai verificate, “scoop eccezionali” (uno, in particolare, Haine l’aveva ritagliato ed appiccicato con lo scotch alla scrivania. Recitava: il nostro John Doe, spia internazionale per la nanotecnologia, ferito al riconoscimento durante una colluttazione con le guardie del centro xxx. Assolutamente da ridere). Tutti assurdi e tutti, ovviamente, cestinati dalla polizia.

Poi la fiammata s’era placata. Dato che non arrivavano più notizie interessanti e ancor meno notizie utili, l’interesse per John Doe (quanto trovava irritante quel nome!) era sciamato, limitando gli articoli a piccoli trafiletti di cronaca.

Fino a quello.

Avevano archiviato il caso. Ad Haine  veniva una rabbia folle a pensarci, perché non si erano impegnati un po’ di più?!

Tre settimane! Tre misere settimane!

- Che vuoi farci? – aveva tentato di consolarla suo padre – Questa città è piccola. Non abbiamo l’Interpool come poliziotti, e i nostri agenti si devono preoccupare più dei teppistelli che vanno in giro a far danni che di quel povero ragazzo…

Lei, al suo tono, non aveva commentato.

Haine sbuffò di nuovo. Scacciò con malagrazia il giornale da davanti a sé, cercando di centrare la scrivania: quello, ovviamente, sfiorò la superficie del tavolo con un angolo, e poi incurvò planando a terra. Lei lo ignorò, poggiando la testa al vetro.

Stese le gambe sul piccolo mobile sotto la finestra e prese a guardare fuori, distrattamente. Il grande ciliegio del giardino, l’unico di tutta la zona che, nonostante mettesse su quintali di fiori e nemmeno un frutto, non era ancora stato abbattuto, era spoglio e segnato dal brutto tempo, i rami secchi che si stendevano faticosamente fino a quella finestra della mansarda, sventolando al vento freddo sotto gli occhi di Haine.

Le piaceva quell’albero. Come le erano sempre piaciute le mansarde: era come vivere sul tetto, costantemente a contatto col cielo, solo che avevi delle pareti attorno che evitavano di farti prendere in testa pioggia, neve e quant’altro. Per quello, quando lei e suo padre si erano trasferiti in quel piccolo paesino dell’Hokkaido a ridosso del mare, lei aveva subito mirato quella stanza.

Haine guardò ancora fuori dal vetro, stavolta puntando il giardino. Suo padre era tutti intento a raccogliere le foglie morte dal prato, cosa che Ribbon, il loro labrador di due anni, non sembrava granchè intenzionato a lasciargli finire.

Le scappò da ridere. Poi, inavvertitamente, il suo pensiero tornò a quel ragazzo all’ospedale.

Pensò un istante di essere al suo posto e cosa avrebbe provato: come si sarebbe sentita a non vedere vicino i suoi cari, se accanto a lei non ci fossero stati Ribbon e suo padre, a vegliare sul suo capezzale?

Se non ci fosse stato proprio nessuno?

Senza pensarci, Haine afferrò la borsetta blu che sua madre le aveva regalato anni prima, corse giù per le scale e, afferrata la giacca al volo, uscì in giardino.

- Haine? – le domandò il padre, mentre Ribbon le andava incontro scodinzolando – Dove stai andando?

La ragazza diede una carezza rapida al cane, intimandoli poi di stare buono; lui ubbidì, uggiolando un poco.

- Te lo spiego più tardi papà! – fece trafelata, uscendo dal cancello – Quando arrivo ti chiamo!

- Ma… Haine?!

 

Arrivare all’ospedale fu semplice, la linea 32 ci passava proprio di fronte. Fu trovare la sua stanza che fu più complicato.

Quando al punto informazioni domandò all’infermiera, questa le rispose con un’occhiata acida:

- Mi dispiace, ma solo i parenti e le autorità sono autorizzati ad andare in quella stanza.

Haine non aveva saputo come replicare.

Maledicendo quella bacchettona, aveva preso a scrutare con noncuranza i cartelli che indicavano i vari reparti, ma non riusciva a ricordare dove lui fosse degente.

“Accidenti…!”.

- La signorina Ichinomiya?

Haine sobbalzò a quella voce. Si voltò, rischiando di farsi cadere di mano la borsa:

- Lei… - mormorò, col cuore ancora in gola – È l’avvocato di quella sera…!

L’avvocato le sorrise:

- Cosa sta facendo qui?

- … Io… Ho saputo che hanno archiviato il caso. – mormorò – E… E…

Si zittì e nascose il viso dietro la borsa, che teneva con entrambe le braccia, in imbarazzo: non sapeva come continuare. L’avvocato annuì:

- Vieni con me.

 

L’uomo la condusse fino al reparto del terzo piano. Qui le disse si sedersi alcuni minuti sulle panche in corridoio, ed entrò in una stanza leggermente più piccola delle altre: sopra, il cartellino diceva “Dott. Aoki Ryuichi”.

L’avvocato uscì poco dopo assieme a quel dottore, e Haine riconobbe subito il medico che aveva parlato con lei e suo padre la sera che avevano portato quel ragazzo in ospedale.

L’uomo le sorrise con gentilezza e le fece segno di seguirlo.

Quando furono davanti alla 151, Haine ebbe un attimo di paura. Un vago ricordo le assalì la memoria, e di colpo avrebbe voluto solo poter scappare.

- Entra, stai tranquilla. – la incitò il dottore.

Lei annuì incerta.

Il dottor Aoki ai avvicinò al lettino, controllò la flebo e tutto il resto delle strumentazioni, mentre Haine gli si affiancava titubante. La brunetta scrutò un poco il profilo del ragazzo: la mascherina per l’ossigeno gli copriva metà del viso, ora ripulito e coperto soltanto da una piccola benda bianca sulla fronte, ma erano le uniche due cose “fuori posto”, in quell’immagine.

Sembra proprio stia dormendo…

- …Quindi, vedi questo?

- C-come?

Haine sobbalzò, persa nei suoi pensieri non si era accorta che il dottore le stava parlando.

- Vedi questo? – ripetè l’uomo.

Stava indicando uno dei piccoli schermi accanto al lettino. Un cavetto bianco usciva dall’apparecchiatura e si perdeva tra i ciuffi bruni del ragazzo, collegandoli; sullo schermo nero una linea anch’essa bianca si muoveva sinuosamente, affiancata da gradazioni che Haine non conosceva. Sentì un brivido percorrerle la schiena, quel coso emetteva un bip sordo che le gelava il sangue.

- Stima il suo encefalogramma. – le spiegò il dottore – Per fartela breve, ci dice quanto sta funzionando il suo cervello.

- E… Quindi? – domandò lei timida, sentendosi un po’ ignorante a quella domanda.

- Vedi come quella linea si alza ed abbassa? – continuò lui – Significa che il cervello di questo ragazzo è ancora attivo. Finchè resta così, c’è la possibilità che si risvegli.

- M-ma allora… - riprese lei – Tutti quegli altri macchinari lì…?

- Lo aiutano. – fece il medico brevemente – Ma la cosa fondamentale è che il cervello sia attivo. Nell’istante in cui l’encefalogramma sarà completamente piatto, anche se le macchine continueranno a farlo respirare, lui sarà ufficialmente morto.

Haine deglutì sonoramente.

- Lui, in questo momento, sta pensando. – spiegò – Beh, è difficile saperlo e non è propriamente tecnico, ma possiamo metterla così.

- P-perché mi dice questo?

Il dottore sospirò, rivolgendole un sorriso triste.

- A dire la verità non avrei voluto chiedervelo, signorina Ichinomiya. – mormorò. Ad Haine non piacque granchè che le desse nuovamente del “lei” – Ufficialmente non potevo più coinvolgere lei e suo padre. Però, dato che è venuta qui…

- Cosa, dottore? – fece un po’ esasperata.

- … A lei importa di questo ragazzo?

Haine sentì di arrossire lievemente. Scacciò quella sensazione, guardandolo risoluta:

- Sì. Io… Non me la sento di lasciarlo da solo.

L’uomo sorrise.

- Bene. Allora devo chiederglielo.

- Mi dica.

- Lei… Sì, quando può… – si affrettò ad aggiungere – Basta ogni tanto…! Dovrebbe venirlo a trovare. Stare con lui, e parlargli, anche.

Haine lo fissò confusa:

- Ma… Ma se lui non può sentirmi!

- Non possiamo dirlo. – obbiettò – Anzi, seguendo quel che ci dicono quelle strumentazioni, è assai probabile il contrario.

Haine non rispose.

- Il sentire una voce, avere la coscienza che qualcuno gli è vicino, potrebbe aiutarlo.

La sguardo della ragazza era indefinibile.

- Non glielo sto dicendo come medico, glielo sto dicendo come un uomo che, nella sua vita, ha già visto una volta una cosa del genere.

Haine lo vide sospirare, levandosi dal viso gli occhialetti metallici:

- A questo punto la medicina può fare ben poco. – concluse con onestà amara – Solo accudire il suo corpo, e aspettare. Ma la sua coscienza…

- Lo farò.

Il dottore la fissò sorpreso. Haine gli rivolse un altro sguardo determinato, sorridendo:

- A quella ci penserò io.

 

***

 

Di nuovo, sono qui.

Lo sento.

Tre figure mi guardano dall’orizzonte candido che è la mia memoria.

Chi siete?

- Ciao.

Sento le parole, ma non distinguo il volto e la voce. Qualcosa mi dice di scappare.

- Hai paura di noi?

Un’altra delle tre figure. Me lo domanda ridendo. Io resto fermo:

- Non lo so. Non capisco.

Mi guarda la terza:

- Cos’è che non capisci?

Scuoto la testa:

- Non lo so.

Ma c’è qualcosa che mi sfugge. Qualcosa che dovrebbe essere nitida, cristallina nella mia testa, invece non c’è.

Non riesco a trovarla.

Non riesco a capire chi siete.

 

Buio.

Di nuovo.

Perché c’è sempre buio?

Oh no…

Questo non voglio vederlo…

È il solito brutto sogno.

Sto male. Molto male.

Ho freddo, mi fa male dappertutto.

Mi stanno portando da qualche parte, siamo su una macchina.

Poi si fermano.

Sento ancora più freddo, l’aria e la pioggia sulla faccia.

Sento che rotolo giù, sull’erba e nel fango.

Non riesco a tenermi.

Mi fermo dopo poco con lo stomaco che protesta per qualcosa che l’ha centrato. Forse un sasso.

Mi gira la testa.

Sento il mio corpo leggero, come se stesse volando via.

Poi sento una voce.

… Haine?

 

- Sarebbe l’ora che andassi, Haine.

La ragazza, colta di sorpresa, fece quasi un salto sulla sedia, rischiando di cadere. Si tenne con entrambe le mani al poggiaschiena e si tirò lentamente su, fissando arcigna la figura alla porta, che ridacchiava.

- La deve smettere di spaventarmi, dottor Ryuichi!

- E tu dovresti smetterla di chiamarmi per nome. – sospirò l’uomo, infilando le mani nelle tasche del camice.

- Ma lei mi chiama per nome! – gli rimbeccò, con una linguaccia. Lui sospirò:

- Lasciamo perdere… Comunque, sono le sette e un quarto, è meglio che ti avvii.

La ragazza guardò l’orologio, sospirando:

- Sì…

- Avanti. Io devo andare in chirurgia, vorrei non beccarti qui quando torno!

Scherzò. Lei sbuffò un “sì”.

Si alzò, caricò gli ultimi libri e chiuse la borsa, mettendosela a tracolla con aria annoiata.

- Devo andare. – sussurrò al ragazzo. Come sempre lui non ebbe nessuna reazione ed Haine non riuscì a trattenere un sospiro – Ci vediamo domani.

 

- Mi è simpatica!

- Anche a me.

- Sì.

L’incubo è sparito. Ci sono di nuovo loro.

- Di chi state parlando?

- Di quella ragazza.

- A me piace molto. – ripete una delle tre.

- Piace a tutte.

Una delle figure si avvicina. Mi trattengo ancora dallo scappare.

- “Tutte”, dici… Siete delle ragazze?

- Certo! – ride lei. La voglia di scappare si fa così forte che stringo i pugni per non pensarci.

- Perché hai paura?

- Io… Non lo so.

- Non sai di cos’hai paura?

- No, quello lo so. – mormoro – Dovrei ricordare qualcosa. E non ci riesco. Quello di cui ho paura…

- È scoprire cos’è?

La guardo. Non riesco a vederle il viso, ma capisco che sta sorridendo.

Annuisco.

- Hai sentito? – dice una di quelle rimaste in disparte – È diventato un fifone!

Sta scherzando, ne sono sicuro. Ridono. Lo faccio anch’io.

Vedo quella di fronte a me guardarmi di nuovo.

Sorride triste.

- Fratellone… Sarebbe l’ora che ti svegliassi.

 

Haine si bloccò in mezzo al corridoio.

Maledizione, il quaderno…!

Girò sui tacchi alla velocità del lampo, non poteva lasciare il suo preziosissimo quaderno alla mercè delle infermiere. “Specie quella del quarto piano, che ficca sempre il naso dappertutto!” pensò seccata, ricordando la volta che aveva dimenticato il quaderno d’inglese e quella, riconsegnandolo il giorno dopo, l’aveva presa in giro per la pessima grammatica.

Rientrò con discrezione nella stanza, quasi in punta di piedi. Cercò subito con gli occhi la copertina rosa, intravedendola sul tavolinetto sotto alla finestra, e sorrise di sollievo.

Si chinò, aprendo la borsa, e allungò reverente le dita sul piccolo oggetto. Sovrappensiero girò la testa verso il letto, ridacchiando e pronta a scusarsi per la nuova intrusione, ma la frase le morì sulle labbra.

 

Due occhi neri come la notte la stavano guardando.

 

Semichiusi. Vacui. Ma la guardavano.

Il quaderno ricadde sulla scrivania.

- Kami-sama

Lasciò andare mollemente la borsa a terra. No, non se lo stava sognando.

- Tu… Sei… Sveglio…!

- … H…

- N-no! A-a-aspetta! Non…!

Prese un secondo fiato, appoggiandosi al bordo del materasso. Era incredibile, fino a cinque minuti prima sembra che…! E invece…

È sveglio!

- A-aspetta! Vado… Vado a chiamare il dottore…

Sentì una presa impercettibile sulla sua manica. Si fermò, scorgendo le dita tremanti e ormai indebolite di lui che la fermavano. Haine lo fissò un istante, senza riuscire a muoversi. Che le prendeva, mica scappava! Andava solo a chiamare il dottor Ryuichi…

Ma, invece, s’inginocchiò un istante accanto al letto. Aveva l’impressione che lui stesse provando a muovere le labbra.

- H… n…

- C-come?

- … Hai… ne…?

 

Perché c’è tanta luce?

Cos’è tutto questo rumore?

Io… Sono sveglio…?

Dove sono…?

C’è… Qualcuno…

Una ragazza… Coi capelli castani…

Questa voce…

 

- … Haine…

Ripetè il nome così piano che lei quasi non riuscì a sentirlo. Lo fissò, gli occhi sgranati e la bocca che si muoveva, lentamente, senza emettere un suono.

- Tu… Sai il mio nome?

Haine sentì gridare. Frastornata alzò appena la testa, vedendo una giovane infermiera bionda guardare nella stanza, un sorriso in volto:

- Oh, è incredibile…! Dottor Aoki! Dottore! Si è svegliato!

Haine la vide correre nel corridoio continuando ad urlare il nome del dottore. Lei non ci badò e tornò meccanicamente a guardare il ragazzo: lui non aveva smesso un attimo di fissarla.

- Sì, sono Haine… - mormorò, confusa – E tu… Tu chi sei?

Lo vide guardarla con aria corrucciata.

 

Lo sapevo.

Haine.

Sei Haine.

Io…

Chi sono io…?

Io…

 

- Shi…ro…

- Come? Shiro?

Lui annuì debolmente e lei rispose allo stesso modo:

- Shiro… E poi?

Lui si fermò un istante. Poi, con fare triste, fece un minuscolo segno di diniego. Haine, inconsciamente, gli strinse con delicatezza la mano. Dal corridoio cominciò a sentire sempre più trambusto, e si sforzò di alzarsi, scostando le iridi cioccolato dalle sue:

- Non importa. – gli sorrise – Ben svegliato, Shiro.

 

Mi chiamo Shiro.

E non so chi sono.

 

 

 

(*) nomenclatura americana data ai pazienti degli ospedali (o ai cadaveri ritrovati dalla polizia… Brrr o__o””!) di cui non si conosce l’identità. È come chiamarlo Mario Rossi xDD… Non so se esiste un nome specifico usato in Giappone per queste situazioni, così ho ripiegato xP.

(**) ricordo che in Giappone le elementari durano 6 anni, quindi a 14 è normale finire le medie, Haine non è ripetente xP!

 

 

Tadaaaan!! Chi se l’aspettava?! Chi l’aveva già capito? Chi pensa sia una castroneria xD?! Eh, sì, il mio voto era di lasciarlo come pers secondario, ma alla fine il coinvolgimento di Shiro mi sembrava troppo x lasciarlo “a margine”, et-voilà ^o^! che ne pensate? Voglio tantitantitanti commy, eh! xD anche sl un “è carina”, “mah, ho visto di meglio”, “datti all’ippica!” (no, questo no XD) xò lasciatemelo plz! Ah, io non sono un medico e non ho mai studiato medicina, ma dato che l’argomento mi interessa qualcosina so (a livello STRETTAMENTE ipotetico ^^””) quindi nn sn tutte castronerie quelle che scrivo… Certo, c’è MOOOOOLTO di romanzato, xò concedetemelo xD!

Ah, prima di salutarvi voglio ringraziare chi ha commentato l’ultimo cap di “Psaico, Secret Files: La storia dello Sciacallo”:

Ella_Sella_Lella: sono contentissima che ti siano piaciuti anche Psaico e i Diaries, soprattutto i secondi che sono ancora lontani dalla conclusione, e poi ci tengo xkè è un’opera scritta a quattro mani e mi sento orgogliosa x entrambi XD (e questo cosa vorrebbe dire -__-“”? ndJolly_Mask). Spero che continuerai a seguirmi (e seguirci ^^, vero Jolly?) un bacione!

Violet_Rose: grazie ad entrambe piciole ^^! (non ci fate caso, dato che sn una vecchietta chiamo tutte così xD) sono felicissima che vi siano piaciute così tanto, spero che apprezziate anche la storia di Shiro-chan ^^.

Lenn Chan: NEE-SAMAAAAAA!!! Che bello, che bello, che bello, mi segui sempreeee!! Me felicissima *-*!!! Anche a me piace tanto la scena finale, lo ammetto ^\\^, e cmq forse, chissà, Hitoshi potrebbe rispuntare, e anche… Non aggiungo altro ^^+! X i Diaries pazienta, prometto che m’impegnerò! Non ti deluderò, onee-sama +___+!!! (<- occhi fiammeggianti d’impegno – Ma dove? ndKei).

Vorrei fare poi un ringraziamento speciale a:

 

Ametista (alias kuro_neko ^^)

julia_fernandez

Ella_Sella_Lella

Violet_Rose

 

Che hanno messo “Psaico Secret Files: La Storia dello Sciacallo” tra le fanfic preferite; e poi

 

Ametista
DarkHiwatari

Ella_Sella_Lella

HollyShort91
ila93bey
Iria
jessy16

julia_fernandez

Lenn chan
Pikkola Rin
poketpolly
rakuen

redeagle86

Takami Kinomiya
Takami_Kinomiya
vampirosolitario91
Violet_Rose

 

Che hanno messo “Psaico” tra le fanfic preferite. Mi fate felicissima, sul serio ^\\^! Grazie di cuore e a prestooo!

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Capitolo 2
*** Awake - Il sorriso di Shiro ***


È incredibile! Ho riaggiornato dopo soli gg! Sono troppo brava xD! No, la verità è che venerdì, tutta ingarluzzita per la pubblicazione del primo cap, in treno ho continuato a lavorare… Ed ecco qui il risultato ^^!

A dire la verità questa sarebbe dovuta essere la 1° parte del secondo cap e non un cap a parte, ma mi sono accorta che stava venendo troppo lungo, così ho dovuto tagliare. A dire la verità nn mi piace moltissimo come cap, è un po’ di “transizione”, ma spero cmq di aver fatto un buon lavoro ^^! (se qualcuno scova qualche errore ditemelo pure, provvederò a correggere ^o^!). Una cosa importantissima che non ho scritto nello scorso cap: la trama della storia che Haine racconta non me la sono inventata io (purtroppo ç__ç) ma è il riassunto a larghe linee di una delle storie brevi contenute in “Wish – Un solo desiderio” di Mia Ikumi. M’ero completamente scordata di metterlo ^\\^… (volevi spacciarla x tua, ammettilo! ndTakao – Taci fogna mangiatutto! ndRia – Zob, mi tratta male ç__ç!  - Sei patetico -__-“”… ndKei).

Vi lascio al cap, i ringraziamenti alla fine!!

 

 

 

 

 

Paragrafo 2 ◦ Awake – Il sorriso di Shiro

 

Il dottor Ryuichi sospirò, poggiando i gomiti sul tavolino. Mosse appena con una mano la stilografica nera, perfettamente allineata alla cartelletta, e lentamente la prese tra due dita, aprendo lo scatto per la punta e poi richiudendolo, quasi nervosamente; con l’altra mano si portò la cartelletta più vicino, prendendo a sfogliarla. Il ragazzo di fronte a lui non muoveva un muscolo.

- Molto bene. – disse infine, con voce bassa – Beh, ragazzo mio, devo dire che, con quello che hai passato, i risultati degli esami sono decisamente consolanti.

Il ragazzo annuì vago.

- Ovviamente avrai sentito che i tuoi muscoli faticano a darti retta. – altro cenno d’assenso – È assolutamente normale (e logico, converrai con me) dopo due anni che te ne stai sdraiato. Un po’ di buona fisioterapia e tornerai come nuovo.

Il ragazzo annuì di nuovo, ma ebbe l’impressione che quel “un po’” fosse decisamente troppo ottimistico, come se volesse tranquillizzarlo. Invece lo innervosiva di più.

- Tutti gli altri esami sono decisamente rassicuranti. – ripetè, sfogliando le pagine – Hai un fisico robusto ed obbediente, devi riconoscerlo!

Al ragazzo scappò un sorriso, che si spense nell’istante in cui il medico arrivò all’ultima pagina.

- Il risultato della tac… - sussurrò l’uomo sovrappensiero; il tono era preoccupato – Hai preso una bella botta, eh?

- Così pare…

Il medico sospirò.

- Allora… Ora ti farò alcune domande veloci, tu rispondi la prima cosa che ricordi. Non sforzarti se non la sai, d’accordo?

- D’accordo.

Il dottor Ryuichi iniziò a scrivere. Per alcuni secondi il frusciare della penna fu il solo suono nella stanza, a parte i loro respiri.

- Bene. Dunque, nome?

- Shiro.

- Shiro… Sai con che kanji si scrive?

- Con quello di bianco. – rispose sicuro. Il medico sorrise, aveva cominciato bene.

- Cognome?

Shiro tacque per un po’.

- … Non me lo ricordo.

Forse Ryuichi aveva parlato troppo presto.

- D’accordo. Mi sai dire quanti anni hai?

- In che anno siamo?

Il dottore fu sorpreso della domanda, ma rispose comunque:

- È il 2002.

- Mi avete detto che sono entrato in coma quando mi stato portato qui in ospedale – riflettè Shiro ad alta voce – quindi prima non lo ero?

- No. – confermò il dottore – Eri pesto e malconcio, ma solo svenuto.

- Perfetto. Quindi ho… Dormito per due anni?

- Esatto.

- Allora ne ho diciassette.

Il dottore scrisse.

- Hai parenti?

- Non lo so.

- Ricordi qualcuno? Amici, vicini…

- Nessuno.

Shiro si zittì nuovamente. Il dottore smise un istante con le domande, sospirando.

- Qual è l’ultima cosa che ricordi?

- … Non ne sono sicuro. – mormorò – So che stavo male. Avevo freddo ed ero stanco. Qualcuno mi ha trasportato in giro, non so dove né chi, però. L’ultima cosa che ricordo è l’erba sotto di me.

- Gli Ichinomiya ti hanno trovato su un prato accanto al guard-rail della tangenziale. – spiegò il dottore – Come mai eri finito lì?

- Non lo so. – rispose, stavolta più brusco – Non ricordo.

Squadrò il medico arcigno, gli aveva appena detto che non sapeva chi ce l’avesse portato, come poteva sapere il perché?! Ryuichi sospirò, chiudendo la penna:

- Va bene. Per oggi basta così.

Si alzò, mettendosi la cartelletta sotto braccio, gli rivolse un sorriso garbato e si avviò alla porta:

- Adesso riposati. Tornerò più tardi col pranzo.

Shiro annuì. Guardò la figura dell’uomo finchè non sparì dietro l’angolo, e si lasciò andare mollemente sul letto, sospirando.

Non c’era parte del corpo che non gli facesse male: anche il solo essere rimasto seduto composto per venti minuti gli aveva lasciato un collo praticamente incancrenito. Si guardò la mano destra, perdendosi a contemplare le linee sul palmo:

- Niente. Non ci riesco…

 

- I dati della tac sono chiari. – sospirò il dottor Ryuichi.

Con aria stanca prelevò dalla busta marrone la lastra nera, fissandola al piano retroilluminato appeso alla parete. Prese ad indicare l’immagine laterale della testa di Shiro, mentre il signor Sentaro osservava attento.

- Qui, sul lobo temporale mediano. – continuò il medico – Ci sono ancora i segni di un riversamento di sangue, anche se ormai è riassorbito. Le percosse che gli avevamo diagnosticato quando è arrivato qui, con ogni probabilità la caduta e anche, successivamente, l’incoscienza, gli hanno provocato danni all’ippocampo.

Sentaro aveva capito la metà del discorso, ma annuì comunque; la faccia di Ryuichi, per quanto criptiche fossero le spiegazioni, era molto eloquente.

- Vuol dire che ha perso la memoria, sostanzialmente?

- Almeno temporaneamente. – annuì – Ma, se può rassicurarla, si tratta di una perdita reversibile, anche se non possiamo stabilire quanto siano estesi i danni, per il momento.

Sentaro annuì. Il dottore rimise le lastre al suo posto, sorridendo:

- Le sono grato di essere venuto. – disse all’improvviso – Sua figlia ha già fatto tanto…

- Non lo dica nemmeno per scherzo. – sorrise di rimando – Sono più che felice di aiutarlo.

Ryuichi annuì. Poi, di colpo, parve ricordarsi di qualcosa, e s’incupì.

- Che succede?

- … Shiro mi ha detto di avere diciassette anni. – disse – Ed è una delle poche cose che ricorda con certezza. Se le cose stanno così, però, noi dell’ospedale non possiamo prenderci legalmente la sua custodia.

Sentaro parve capire:

- Vuol dire che lo affideranno agli assistenti sociali?

Il dottore annuì.

- A meno che…

- A meno che?

Il dottore alzò gli occhi scuri su di lui, con aria indecifrabile.

- Potremmo fare una chiacchierata con l’avvocato Kiriaki?

 

Haine era arrabbiata.

Molto arrabbiata.

- Avete visto? – sentì cinguettare una delle infermiere del reparto di rianimazione.

- Chi, il ragazzo della 151? – disse una sulla quarantina, con aria deliziata – Certamente! È davvero un ragazzo fortunato…!

- E com’è gentile! – si aggiunse una sua coetanea, scatenando le risatine delle più giovani – Si vede che è spaventato e stordito, eppure è stato educatissimo con tutto il personale!

Le infermiere più giovani confabularono un istante e ridacchiarono di nuovo.

Sì, Haine era davvero arrabbiata.

Da quando Shiro si era svegliato era riuscita a vederlo solo un momento, quando era tornata nella camera e aveva visto che la stava guardando.

Poi era stato un traffico di medici, infermiere, legali dell’ospedale. E lei era dovuta rimanere per tutto quel tempo buona buona in corridoio, mentre il dottor Ryuichi discuteva con suo padre.

Insomma…!

Si sentiva un po’ offesa: non voleva certo riconoscimenti per essere stata accanto a Shiro tutti i giorni per due anni, però almeno che non la ignorassero a quel modo! Guardò ancora una volta la porta bianca, lontana in fondo al corridoio, chiusa. Sospirò, chissà Shiro come stava…

In quell’istante vide un impercettibile movimento della porta: due ciuffetti castani si sporsero appena nel corridoio, seguiti dalla faccia stanca e un po’ confusa del proprietario.

- Haine…

- S-Shiro…! – balbettò lei, vedendolo: si vedeva da un miglio che stava in piedi per grazia ricevuta.

Gli corse incontro, incespicando, e pregando che nessuno dei medici l’avesse visto:

- S-sei impazzito?! Non dovresti alzarti…!

Lui si limitò a sorriderle, facendo spallucce; poi, ritirandosi lentamente per non dare nell’occhio, le fece segno di seguirlo.

Haine non se lo fece ripetere.

Shiro si lasciò nuovamente andare sul letto, quasi stravolto per la camminata. Haine, titubante, prese la sua solita seggiola e si mise accanto a lui, a disagio.

- Cosa c’è?

Alla domanda di lui la brunetta sobbalzò: era rimasta bloccata ad ammirare le sue ginocchia, senza guardarlo.

- Niente… Stai tranquillo! – disse più energicamente – Comunque… Mi sembri abbastanza in forma! Parli anche abbastanza fluentemente.

Lui annuì lentamente. A dire la verità era difficile capirlo quando apriva bocca, perché anche la sua lingua sembrava contraria a qualsiasi tipo di movimento e gli faceva borbottare solo parole biascicate, così si trovava costretto a sforzarsi per parlare lento e chiaro.

Tacquero qualche minuto; Haine strinse la stoffa dei pantaloni tra le mani, quel silenzio era snervante. Lei, però, improvvisamente non sapeva cosa dire: s’era ormai, diciamo abituata a quel ragazzo che dormiva costantemente, a parlargli, ma ora che era sveglio, che poteva mostrarle i suoi pensieri e i suoi giudizi (magari propri su di lei) si sentiva a disagio.

- S-senti… - balbettò alla fine – Tu… Ecco, come facevi a sapere il mio nome?

Si morse la lingua, che razza di domanda per iniziare la conversasione…! Pregò che il pavimento crollasse, così si sarebbe rifugiata in qualche recesso delle fondamenta. Shiro la guardò un istante:

- A dire il vero non lo so.

Haine lo fissò basita:

- N-non… Non lo sai?!

Lui scosse la testa:

- No. So solo che quando ho aperto gli occhi, sapevo che tu eri Haine.

Lei gli rivolse un’occhiata allibita, cosa voleva dire quella frase?!

- Vuoi dire… Che non ricordi niente dopo che ti sei… Che sei entrato in coma?

Lui le rivolse un sorriso disarmante, scuotendo la testa:

- Nulla di nulla.

Haine non seppe se sospirare sollevata o sentirsi delusa. Un pochino, lo ammise, aveva sperato che si ricordasse delle loro conversazioni (a senso unico, ma pur sempre conversazioni), ma riflettendoci a mente fredda era impossibile: anche il dottor Ryuichi gliel’aveva detto, “è possibile che capisca le tue parole oltre a sentirle”, non “è sicuro”.

Forse è anche meglio così.

La porta si aprì di colpo e Haine sobbalzò nuovamente. Il dottor Ryuichi, sulla porta, le rivolse un sorriso malizioso, a cui lei rispose con un’occhiataccia in cui si leggeva “non-osi-prendermi-in-giro!”; dietro all’uomo, il signor Sentaro faceva capolino con un sorrisino tirato.

- Mi dispiace interrompervi – esordì il dottore divertito – ma Shiro deve riposare.

Il ragazzo assunse un’aria contrita. Haine era scarlatta:

- P-però…!

- Niente discussioni. – la ammonì il padre – Coraggio, tesoro, andiamo.

Haine annuì dispiaciuta.

Il dottor Ryuichi porse un sacchetto di carta bianco a Shiro, stranamente gonfio e chiuso con varie mani di scotch e pinzatrice. Mentre si alzava, Haine gettò uno sguardo alla busta, sul cui fianco scritte nere in stampatello si leggevano nette come ferite:

 

DOTTOR RYUICHI AOKI – PAZIENTE STANZA 151 (REPARTO RIABILITAZIONE)

 

Nessun nome. Guardando Shiro prendere la busta con aria afflitta, Haine sentì una morsa allo stomaco.

- Questi sono tutti gli oggetti che avevi indosso quando ti hanno trovato – spiegò il dottore dolcemente – e altre cose rinvenute dalla polizia.

Shiro sfiorò la busta con le dita, senza una parola.

- Potrebbero riportarti altri ricordi alla memoria. – continuò il dottore – E quindi…

- No.

Sia Ryuichi che gli altri due presenti fissarono Shiro sorpresi. Il ragazzo spostò la busta sul ripiano accanto al suo letto, la testa voltata come se vedere quell’oggetto gli facesse male:

- Oggi… Non voglio pensarci. – disse sottovoce – L’aprirò poi…

Il dottore annuì:

- Non preoccuparti. Fai come ti senti.

L’uomo gli fece un cenno di saluto e si avviò alla porta, imitato da Sentaro. Haine invece restò ferma; solo quando il dottore la sospinse con gentilezza verso la porta si costrinse a voltare lo sguardo dal ragazzo sul letto.

- Haine.

La brunetta si voltò così di scatto che sembrò saltare. Shiro le rivolse un sorriso lieve:

- Vieni domani?

Lo fissò un istante; mentre usciva la morsa allo stomaco si acuì un poco:

- … Certo. Ci vediamo domani!

 

Il furgoncino del signor Sentaro quel giorno sembrava stranamente in forma. Il motore ronzava allegramente senza ansimare troppo, i freni a tamburo stringevano le ruote senza che queste fischiassero come un vecchio treno arrugginito, costringendo i passeggeri ad un secco quanto poco piacevole abbraccio da parte delle cinture di sicurezza.

Haine e suo padre non parlavano; non s’erano scambiati una singola parola da quando lui l’aveva invitata ad andarsene con lui dall’ospedale. La ragazza, con aria assorta, continuava a guardare fuori dal finestrino, senza realmente vedere il paesaggio opalescente nella luce del primo pomeriggio, un solo pensiero che le martellava la testa: il modo in cui Shiro l’aveva guardata quando le aveva chiesto di venire il giorno dopo.

Si sentiva in colpa ad essersene andata dall’ospedale.

I suoi occhi scuri le dicevano che era spaventato.

Non voleva restare lì da solo, non voleva aprire quella maledetta busta.

Haine si strinse le mani. Le era sembrato talmente fragile, talmente solo, che non aveva saputo rispondere in altro modo, ma ora si domandava cosa potesse fare lei, di concreto, per poterlo aiutare. Si sentì stupida all’idea di aver fatto un gran lavoro restandogli accanto mentre era in coma, parlare ed aprirsi con qualcuno che non poteva sentirti era una cosa, ma essergli di sostegno quando alla fin fine praticamente non si conoscevano… Era un altro paio di maniche.

 

- So solo che quando ho aperto gli occhi, sapevo che tu eri Haine.

 

“Però…”.

- Senti un po’, Haine…

- Uhm? Cosa c’è, papà?

- Tutto bene, tesoro?

- … Sì, certo. – disse tranquilla – Stavo solo pensando.

Le rivolse una rapida occhiata; sapeva benissimo che non se l’era bevuta, ma non avrebbe insistito se non fosse stata lei a parlare.

- Ascolta. Mentre ero in ospedale, il dottor Aoki mi ha fatto parlare un po’ con l’avvocato Kiriaki.

- L’avvocato…?

- Quello che ci ha lasciato il suo numero di telefono.

Lei si limitò ad annuire.

- E’ il legale che si occupa dei minorenni e dei contatti con gli assistenti sociali. – le spiegò rapidamente – Ora ha lui in mano tutte le pratiche che riguardano Shiro, dato che è minorenne.

- Ah.

Fu la sua sola risposta.

A me non l’ha detto nessuno. Non so nemmeno quanti anni ha.

Evitò di chiederlo e guardò il padre, aspettando continuasse.

- Ufficialmente, quando sarà in grado di lasciare l’ospedale, dovrebbero essere gli assistenti sociali ad occuparsene, ma Kiriaki mi ha fatto capire perfettamente che è troppo grande per trovare una famiglia che lo adotti o se ne prenda cura: finirebbe sballottato da un centro all’altro fino alla maggiore età.

Haine assunse un’aria preoccupata ed indignata insieme:

- E allora come si può fare?

Il vecchio furgone tossicchiò mentre Sentaro cambiava la marcia e lo faceva proseguire lungo il mezzo sterrato che fiancheggiava la linea della costa. L’uomo prese un bel respiro, rallentando, e guardò la figlia:

- Ho chiesto se fosse possibile che il ragazzo venisse a stare da noi.

Nell’abitacolo scese il silenzio, rotto solo dalla risacca del mare, lontana. Haine lo guardò inespressiva.

- Il mio stipendio è sufficiente per sfamare un’altra bocca – riprese Sentaro – e casa nostra è molto grande, nonostante tutto, quindi mi ha spiegato che non ci sarebbero nemmeno problemi con gli assistenti sociali. Se Shiro avesse una casa dove stare, forse riuscirebbe a riprendersi con più tranquillità.

Haine annuì meccanicamente, anche se quasi non lo ascoltava più, le sue orecchie che ripetevano quell’unica frase.

Stare da noi.

Stare da noi.

Stare da noi.

Il furgone girò bruscamente; la strada che portava in città cominciava a delinearsi di fronte a loro, prendendo la sua forma nell’asfalto nero. Sentaro si fermò, guardando la figlia negli occhi:

- Se tu non te la sentissi -  aggiunse con dolcezza – se, per un qualunque motivo, la cosa ti lasciasse dei dubbi, dimmelo, e troveremo un’altra soluzione.

Lei annuì nuovamente, anche se sinceramente non sapeva cosa pensare.

- Non lo so… - ammise timidamente – Lasciamici… Lasciamici pensare fino a domani, ok papà?

Sentaro sorrise appena:

- Certo. Su, andiamo adesso, Ribbon avrà fame!

Rise e ingranò nuovamente la marcia, insultando il cambio per come non volesse proprio saperne di seguire le sue direttive.

 

***

Non voleva entrare.

Per la prima volta in sei anni, quell’ospedale le sembrava un grosso mostro che ringhiava sommessamente nel sonno, pronto a balzare su ed azzannarla nell’istante in cui avesse tentato di avvicinarsi.

Non poteva entrare.

Si sentiva incredibilmente stupida, e non solo perché le stavano tremando le ginocchia.

Non sapeva cosa doveva fare, non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, non sapeva perché si stava facendo tutte quelle paranoie. Ed era questo che la faceva sentire una vera cretina.

Prese sonoramente un bel respiro, rilassando le spalle: ormai era in ballo, doveva ballare.

Entrò lentamente nell’atrio, guardandosi attorno: le sembrava tutto un po’ diverso quel pomeriggio, come se le cose avessero preso una nuova vitalità che la rendeva inquieta, più guardinga.

Insomma, Haine! Sei in un ospedale, mica nella giungla!

Salì le scale continuando a spostare il cinturino della borsetta sulla spalla con fare nervoso, senza staccare gli occhi dal pianerottolo successivo. Quando arrivò finalmente al terzo piano la sua stretta sulla cinghia era diventata praticamente una morsa; impiegò almeno il doppio a percorrere il corridoio, e quando passò davanti alla camera della signora Toruhmiya, sperando di vedere una faccia amica che le desse un po’ di carica, la trovò vuota.

Ormai senza più scuse, Haine si ritrovò di fronte alla stanza 151. La porta era socchiusa e sentiva provenire delle voci dall’interno; si accostò con strana cautela allo spiraglio, sbirciando dentro: Shiro era seduto sul letto, la flebo nel braccio sinistro, e una corpulenta infermiera con riccioluti e corti capelli neri era in piedi di fianco, sistemando il sacchetto di plastica appeso al gancio.

- Non fare quella faccia! – lo ammonì con fare materno – Il tuo stomaco non è pronto per ricevere del cibo solido. Non lavora da un bel pezzo, poveraccio!

Shiro grugnì qualcosa di simile ad un sì.

- Per questa settimana dovrai accontentarti di questo menù. – fece ancora lei, indicando la flebo – Tranquillo, ti varierò la dieta, ma devi portare pazienza!

Lui sospirò, annuendo; Haine, da fuori, si sporse un po’ di più, guardando preoccupata la sua faccia afflitta. Si sorprese quando vide un sorriso spuntare magicamente sulle sue labbra.

- Haine!

La brunetta trattenne un urletto di stupore, emettendo uno strano singulto. L’infermiera, avanzando verso la porta come un Panzer ben attrezzato, la spalancò di scatto; Haine, d’istinto, si acquattò quasi a terra.

- T’ho! – esclamò la donna ridendo – Una piccola spia!

La ragazza arrossì vistosamente, rimettendosi in piedi mentre pregava che i suoi occhi la stessero ingannando e non stesse vedendo Shiro ridere.

- Avanti, non fare quella faccia! Entra cara.

Haine obbedì, andandosi rapidamente a sedere sulla sua sedia; mise le mani sulle ginocchia e fissò per terra, vergognandosi come una ladra.

- Sei venuta.

Si costrinse a guardare Shiro in faccia, incrociando il suo sorriso stanco, ma felice: annuì, sentendosi già meglio.

- Oh, quindi tu sei la famosa Haine?

- “Famosa”?

L’infermiera segnò alcune cose sulla cartelletta che teneva in braccio, annuendo vigorosamente:

- Tutto l’ospedale non parla che di te e Shiro, da quando questo monello si è svegliato.

Arruffò affettuosamente i capelli del ragazzo, che dovette piegarsi leggermente alla sua stretta poderosa; Haine aveva la mascella a mezz’asta, lei è Shiro?! Potè solo immaginare con orrore cosa avessero spettegolato le tirocinanti del primo piano.

- Comunque, meno male che sei venuta. – riprese la donna – Questo qui ha il muso da stamattina, gli si allungava ancora un po’ e diventava un cavallo!

Haine diede un’occhiata interrogativa a Shiro, che rispose facendo spallucce con un sorriso impacciato: non riuscì a non pensare che fosse carino, davvero molto carino.

- Beh, giovanotto, io vado. – sospiro ancora l’infermiera – Se succede qualcosa o avete bisogno di me, chiedete di Mitsumi.

La donna sorrise e li lasciò soli. Haine tornò a studiarsi le nocche delle mani senza una parola per una decina di minuti buoni.

- Haine…

- S-sì?!

- Ti ringrazio di essere venuta. – disse piano. Il suo tono mortificato stupì la brunetta – Mi spiace di averti chiesto questo…

- Perché scusa?

Lui si sedette più dritto, stringendo i denti: evidentemente non era semplice muoversi, ma Haine si trattenne dall’aiutarlo, timorosa forse di offenderlo.

- Hai già perso un sacco di tempo dietro a me, in questi due anni. – sorrise. Haine si mordicchiò il labbro, a disagio:

- Tu come lo sai? – lui sollevò le sopracciglia, allusivo – No, non me lo dire! Il dottor Ryuichi?

- Già.

Haine sbuffò, riacquistando un po’ di baldanza, ma tornò seria quando sentì Shiro riprendere il discorso:

- Non avrei voluto darti altri fastidi. – disse, passandosi una mano tra i ciuffi della frangia – Stai tranquilla, comunque, approfitterò della tua gentilezza soltanto per oggi!

Haine non seppe cosa rispondere. Guardò il ragazzo appoggiarsi al cuscino che l’infermiera Mitsumi gli aveva messo in verticale sulla testata del letto, e ripensando a tutti i suoi timori si sentì allo stesso livello di un verme.

- Tu non te ne stai approfittando!

Esclamò con decisione alzandosi; Shiro la fissò ad occhi sgranati, si aspettava una reazione ma non che saltasse su a quel modo! Alla sua occhiata la brunetta si risedette, prendendo a giocherellare con le proprie dita:

- Cioè… Volevo dire, sì, insomma, non è che per me sia uno sforzo… Anzi, ti faccio compagnia volentieri…

Si zittì, mordendo il labbro più saldamente prima di dire altre stupidaggini.

Oh, ti prego! Che qualcuno mi fulmini!

Shiro sorrise ancora e, come capendo che la ragazza non sapeva più che pesci prendere, cambiò argomento e si allungò sul ripiano accanto al letto: la busta che il dottor Ryuichi gli aveva dato il giorno prima era ancora nello stesso identico punto in cui l’aveva posata, intonsa.

- A-allora non l’hai ancora aperta?

Shiro scosse la testa:

- Devo ammetterlo, ho decisamente paura a vedere cosa c’è dentro.

- Ma il dottore non dovrebbe saperlo? – gli domandò – So che di solito stilano una lista degli oggetti personali contenuti nelle buste…

Lui fece un gesto vago con la testa, iniziando a giocare col nastro adesivo sul bordo; gli tremavano le dita. Haine, senza pensarci, allungò la sua mano prendendo il sacchetto di carta:

- Ti aiuto?

 - … Grazie.

Lo scotch si tolse con un rumore sinistro, portandosi via una parte della busta nella sua morsa appiccicosa; Haine, che aveva certo più mobilità nelle dita di Shiro in quel momento, riuscì a sganciare i lembi della busta dalle ultime graffette della pinzatrice e il sacchetto, ormai devastato, fu pronto per liberare i suoi segreti: Haine se ne vergognò un po’, ma avvertì chiaramente un lievissimo moto d’eccitazione invaderla, mentre Shiro prendeva i poveri resti della busta tra entrambe le mani e faceva per rovesciarne il contenuto sul materasso.

- Sei curiosa?

- C-come?

- Sei curiosa. – si rispose da solo sorridendo – Ma a te piacciono queste cose, vero?

Haine sgranò gli occhi, riuscendo solo a mormorare:

- Come fai a saperlo?

Anche lui sembrò sorpreso, come se si fosse reso conto solo in quel momento di quel che aveva detto. Scosse la testa:

- Io non…

Il discorso fu interrotto dal contenuto della busta che, ormai stufo di contrastare la forza di gravità, si era lasciato andare sul letto. Shiro assunse un’espressione marmorea, gettando di lato l’ormai inutilizzabile pezzo di cartaccia, e allungò appena il collo assieme alla ragazza, osservando il tesoro.

Tesoro misero, dovette ammettere la brunetta. Sulle lenzuola candide c’erano soltanto un piccolo rettangolo di carta, una foto probabilmente, rivolta faccia in giù, e un ciondolino in legno con un laccio di caucciù; la cosa che aveva dato alla busta quell’aria così gonfia era una piccola trottola bianca, striata di celeste e nero, dall’aria assai elaborata, fatta in metallo. Haine la prese delicatamente tra le dita e inclinò la testa di lato come un gattino, osservandola dubbiosa:

- Mi sembra di aver già visto una cosa del genere…

- È un beyblade.

Haine si portò la trottola di fronte al naso, guardandola più attentamente:

- Ah, sì, ora ricordo! Anch’io avevo provato a giocarci, ma mi annoiavo subito…

Shiro, senza una parola, le sfilò il bey dalla mano, e prese a guardarlo con un sorriso nostalgico:

- Credevo fosse andato distrutto…

- Distrutto?

L’espressione del ragazzo si fece corrucciata, mentre continuava a fissare l’oggettino di metallo rigirandoselo tra le mani:

- Ricordo… Che stavo duellando. Non so perché e dove, ma… Comunque, ho perso. Davvero malamente. – gli sfuggì una risata che fece solo inquietare di nuovo la brunetta, ma lei evitò i commenti – Credevo fosse andato in pezzi.

- … Ci tieni molto, vero?

Lui annuì, sfiorando il chip sulla cima col pollice.

- Io non me ne intendo, ma è davvero bello. – ammise Haine, sbirciando il bey lucente – Ha dei colori bellissimi…!

Shiro sorrise. Haine, rendendosi conto di essersi sporta troppo sul letto, si rimise a sedere impacciata:

- H-ha un nome? – mormorò, cercando di essere naturale – Ricordo che alcuni miei compagni gli davano dei nomi… Almeno credo…

- Shallow.

- “Shallow”? Non vuol dire rondine, in inglese?

- Già.

Le mostrò meglio la trottola, così che potesse leggere il nome inciso sulle ali del disco; perfino sul cip era disegnata l’immagine di una rondinella, leggermente di tre quarti e con le ali spiegate.

- Ti piacciono le rondini?

- Sì…

Gettò lo sguardo pensieroso alla finestra aperta. Haine, forse stuzzicata dall’idea di scoprire qualcos’altro su di lui, strisciò la sedia sul pavimento avvicinandosi un altro po’ al letto, scrutandolo curiosa:

- Come mai? – l’occhiata dubbiosa del ragazzo la fece subito pentire della domanda – Cioè, perché…?

- Sono bellissime.

Shiro si appoggiò meglio al cuscino, inclinando indietro la testa con aria incantata:

- Sono animali, ma sono state create in maniera così perfetta da avere l’aerodinamicità di un aereo; sono in grado di volare per chilometri senza stancarsi, anche se sono uccellini che raggiungono a stento i diciotto centimetri, e non perdono la bussola nemmeno se cambiano continente.

Haine lo fissò sorpresa; Shiro si limitò a sorriderle:

- Mentre ero a riabilitazione ho cercato di pensare a qualunque altra cosa che non fosse il mio corpo, così ho rispolverato tutte le cose che ricordo. Direi che sono tante… - gli sfuggì uno sbuffo amaro – Soltanto di chi sono non ricordo un accidente!

Haine lo guardò in silenzio.

- Perché quella faccia triste?

Alla domanda del ragazzo lei scosse la testa, fissandolo poi con più decisione nonostante gli occhi lucidi:

- Ricorderai tutto! – disse convinta – Ci vuole solo un po’ di tempo…!

Shiro sorrise, annuendo. Haine si fregò un secondo il viso, indicando poi il letto:

- E… E quel ciondolino?

Shiro fece spallucce, non se lo ricordava minimamente. Lo sollevò per il cinturino, guardando il pendente in legno: da un lato portava scritto un ideogramma, mentre dall’altro c’era un’incisione un po’ storta.

- 21/03/1985. – lesse Haine sottovoce – E poi… Non riesco a leggere quest’altra data…

- Mi sembra… 11/10/1999.

- Ti dicono nulla?

Shiro scosse la testa, prendendo a guardare l’ideogramma; Haine strizzò gli occhi per vederlo bene:

- Tsubasa?

- Ali.

Fece lui. Lei indicò un angolo del ciondolo:

- Guarda, sembra che sia rotto qui… - lo spigolo era sbeccato, quasi fosse stato “morso”. - Che peccato!

A Shiro però non sembrò importare e se lo mise al collo, guardandolo pensieroso.

- … Che dici, vediamo anche la foto?

Shiro s’irrigidì, quella sembrava la cosa che davvero voleva evitare di fare; annuì comunque, mentre Haine la prendeva:

- La guardiamo assieme. – disse decisa - Uno, due…

La brunetta trattene impercettibilmente il fiato mentre la voltavano. Ma fu una delusione: la fotografia era stropicciata, sbiadita e piena di macchie come se fosse stata esposta ad una fonte di calore. Praticamente era impossibile distinguere anche solo i colori, figurarsi il soggetto!

Sospirando la ragazza si risedette composta. Guardò Shiro, passata la paura ora si vedeva chiaramente quanto fosse amareggiato: le uniche cose che aveva con sé non potevano dirgli nulla sulla sua vita, era sempre ad un punto morto.

- Coraggio! – fece lei baldanzosa – Te l’ho detto, ci vuole solo un po’ di tempo!

- …Grazie, Haine.

- I-in ogni caso – si affrettò a dire, per non restare imbambolata a fissarlo – hai parlato di riabilitazione?

- Il dottore ha detto che dovrò farla almeno per altre due settimane. – sbuffò lui rassegnato – Non riesco a camminare ancora per più di cinque metri senza stampelle e non posso muovermi come voglio, la mia schiena è più rigida di quella di un ottantenne!

Haine rise a quella battuta; poi le tornò in mente quello che le aveva detto il padre il giorno prima, e strinse i pugni con forza.

Aveva deciso.

- Per quanto tempo dovrai stare ancora in ospedale?

- Una settimana, almeno. – spiegò lui, senza capire il motivo della domanda – L’hai sentita la nostra infermierona? Il mio stomaco non vuole saperne di lavorare, quindi finchè mi devono infilare questo maledetto ago nel braccio per farmi mangiare non  posso muovermi.

- Mio padre ha parlato col dottore. – lo bloccò – Per te andrebbe bene venire a stare da noi, una volta dimesso?

Shiro la fissò ad occhi sgranati, sembrava non aver capito.

- Come?

- Da me e mio padre. – ripetè lei – Ha detto di aver fatto una chiacchierata anche con quell’avvocato, Kiriaki, e che…

- No, no, aspetta un secondo! – mosse le mani come a chiedere un time out, guardandola stranito – No, Haine, non posso lasciarvelo fare! Non voglio che vi prendiate anche quest’onere! E poi… Non voglio essere compatito, anche se ho bisogno di aiuto.

Lei gli rivolse un’occhiata quasi ferita:

- Non vogliamo aiutarti perché ci fai pena! – esclamò – Mio padre… È fatto così, è un buon samaritano! Quanto a me…!

Si zittì qualche istante, assumendo un’aria più impacciata:

- Senti, se devo essere onesta non so spiegarmi perché voglio aiutarti, però voglio farlo e non certo perchè ho pietà di te!

Lo sguardo che le rivolse Shiro era indefinibile. Haine lo sostenne, nonostante si stesse mentalmente maledicendo per il suo solito modo di fare impulsivo e infantile; pregò per la seconda volta che qualcuno la fulminasse, possibilmente facendo poi sparire i resti.

- Sul serio?

Le rivolse un sorrisetto sornione, ma lei non si scompose:

- Certo!

L’espressione del ragazzo si rilassò; Haine sorrise sollevata.

- Allora… D’accordo.

 

***

 

 

18 Maggio 2002. Bel tempo

Caro diario,

da giorni non ti scrivo, ma ho avuto così tanto da fare che non ho trovato proprio il tempo di fermarmi un attimo e rianalizzare tutto.

Comunque, riprendo il discorso da dove l’ho lasciato l’altra settimana.

Shiro si è svegliato e sta bene. Almeno, fisicamente sta bene: il dottor Ryuichi dice che il suo fisico si è ripreso dalle ferite che aveva quando è entrato in coma e che risponde bene alla riabilitazione; inoltre, ha ripreso a mangiare normalmente (anche se quasi tutti cibi liquidi, per il momento) quindi papà potrà farlo venire a casa nostra entro breve ^o^! L’avvocato di quella sera (ti ricordi che te ne avevo parlato? Si chiama Kiriaki-qualcosa) a quanto pare ha sistemato tutte le questioni burocratiche, quindi Shiro potrà stare qui senza impicci.

Sono andata a trovarlo quasi tutti i pomeriggi anche i giorni scorsi, ma ora che è sveglio studiare è difficile. Lo so, è colpa mia che non riesco a concentrarmi però -\\-… A mio favore dico che non è semplice nemmeno con lui che se ne sta zitto sul letto: non so, ha volte ho l’impressione che prenda a fissarmi, e mi agito >\\\< !

Così, con gli esami in corso, sono rimasta bloccata in casa ç__ç. Spero di levarmi presto questa grana!

Tra non molto ci saranno le vacanze estive, sono felicissima! Ne approfitterò per scrivere e per cercare qualche indizio assieme a Shiro su di lui (lo so, sono già entrata nel ruolo della detective XD!), sento che mi verranno un sacco di idee per tante nuove storie ^-^!!

Estate… Mi piacerebbe andare al mare x3 (non qui =_=, in qualche bel posto! Tipo Okinawa *ç*! Sole, sabbia *-*…)! Chissà se ci riusciremo… Non voglio certo lasciare solo Ribbon! E poi quest’anno c’è Shiro. Il dottore ha detto che dovrà continuare con la fisioterapia ed altre cose, poverino! Chissà quando

 

Haine smise di scrivere, lasciando la penna nell’incavo delle due pagine con un sospiro. La casa era silenziosa, suo padre era uscito per motivi di lavoro e Ribbon dormiva beatamente accanto al letto della ragazza, allungato a terra con aria da pascià; la brunetta, sdraiata a pancia sotto sul materasso, incrociò le braccia sotto il petto e vi affondò il viso, prendendo a muovere ritmicamente la gambe: la fila di libri e quaderni per l’esame di giapponese moderno era là, ferma ed immobile come una sentinella sulla sua scrivania, ma lei non aveva proprio voglia di mettersi a studiare, anzi, anche se l’avesse avuta non era assolutamente in grado di concentrarsi in quel momento.

Non faceva altro che pensare a come stesse Shiro, ormai non andava all’ospedale da quasi quattro giorni. Dopo due anni che andava là tutti i pomeriggi le sembrava così strano…! Inoltre, ora che Shiro era sveglio, l’idea di essersene rimasta a casa ed averlo lasciato alla mercè delle infermiere e dei dottori, la metteva in agitazione.

Sprofondò la faccia contro il materasso, doveva smetterla, non l’avrebbero certo seviziato a causa della sua assenza.

- Ribbon, la tua padroncina è una paranoica.

Il cane alzò appena il muso al suo sospiro, guardando la ragazza che lo fissava sdraiata sul fianco, per sbadigliarle in faccia e rimettersi comodo.

- Che insensibile *gocc*!

Haine sospirò ancora, restando in quella posizione con la mano che sosteneva la testa. Improvvisamente Ribbon sollevò la testa, in allerta, e prendendo a scodinzolare si mise sulle quattro zampe, puntando la finestra.

- Che c’è Ribbon?

Lui abbaiò in risposta, la bocca aperta e la lingua a penzoloni, felice ed eccitato. Haine strisciò giù dal letto e si inginocchiò sul mobile sotto alla sua finestra, scorgendo suo padre parcheggiare nel vialetto e scendere dal furgone.

- Beh, era l’ora! – ridacchiò – Dai, Ribbon, vieni, andiamo ad aiutarlo!

Il cane abbaiò nuovamente, prendendo a girare in tondo al settimo cielo; la ragazza aprì la porta della stanza e corse giù per le scale, superata rapidamente dal labrador che quasi la fece cadere tanto balzava invadente sui gradini.

- Ciao pa’! – fece allegra la brunetta, aprendo l’ingresso – Si può sapere quanto ci hai messo a tornare?! Avevo anche preparato il pranz…

La voce le morì in gola.

Perché Shiro è davanti alla porta di casa mia?!

Il ragazzo, con addosso un montgomery troppo grande e probabilmente troppo pesante per quella stagione, le rivolse un timido cenno di saluto con la mano:

- Ciao…

Haine era diventata improvvisamente muta.

- Pensa un po’! – esclamò suo padre ridendo, mentre si avvicinava ai due con un grosso televisore a 32 pollici in braccio – Stavo tornando indietro dopo aver preso questo gioiellino da un cliente, e sono passato in ospedale…

- Il dottor Aoki ha detto che potevo andarmene. – sorrise Shiro – Così…

 Non finì la frase perché l’uscio gli si richiuse davanti con un colpo sordo. Sentaro e Shiro restarono immobili a fissare la porta, mentre Haine, dall’altra parte, vi s’era attaccata di schiena come un geco e tentava di riprendere una respirazione regolare, rossa in faccia. Si fissò i vestiti, quasi non li ricordasse: un paio di jeans larghissimi e di un colore che a stento si poteva definire blu, talmente consunti che in alcuni punti si stavano rompendo ed altri avevano già vistose toppe azzurro slavato; un top rosa pallido a maniche corte che, quando l’aveva preso, anche se le sfiorava appena l’ombelico, aveva detto “ma tanto è così carino! E poi mi fa sembrare più adulta!”, senza riflettere che poi il suo seno era cresciuto e adesso quello straccetto liso le faceva a malapena da fascia per coprirle il petto. A concludere lo scempio, calzini bianchi e capelli raccolti con due codini, a loro volta legati a formare due anellini di capelli che la rendevano più libera, ma le davano un’aria da bimba dell’asilo. Credette di morire dalla vergogna.

- Ha-Haine?! – balbettò suo padre – Tesoro, che ti prende?

- Mi prende che devi avvertire quando porti gente a casa! – sibilò inviperita – A cosa te l’ho regalato il cellulare?!

- Ma sai che non so usarlo…! – piagnucolò in sua difesa l’uomo – E poi mi dici che problema c’è?!

- Il problema è che vorrei avere un aspetto mezzo decente!

- Dai, Haine, non ti preoccupare. – cercò di blandirla Shiro – E poi sei talmente carina che non dovresti tormentare su cosa metterti addosso.

Haine rischiò il secondo infarto della giornata, anche se non era sicurissima di aver capito quel che aveva detto.                                                                                                                                                                

- Ehi, cos’è questo? – Sentaro tirò una pacca sulla spalla di Shiro, ridendo – Vacci piano, sai!

- B-beh… - balbettò alla fine la ragazza – Io vado a cambiarmi comunque! Voi entrate intanto!

La brunetta schizzò su per le scale senza voltarsi. Quando fu nuovamente al sicuro nella sua stanza, spalancò l’anta dell’armadio e si guardò allo specchio: la sua carnagione stava sfiorando pericolosamente una strana tonalità di fucsia. In fondo, però, era normale, non si aspettava certo un commento del genere. A quel pensiero le sue labbra si piegarono in un sorriso involontario, che si costrinse a cancellare scuotendo la testa con veemenza.

Meno male che non mi hanno vista fare questa faccia ebete!

Cominciò a cercare una maglietta qualunque (ma per lo meno presentabile) tra quelle impilate nel vano vuoto del mobile, prese il primo paio di pantaloni che trovò e si sciolse i capelli, legandoli poi in due codini morbidi, quindi scese nuovamente al piano terra.

Suo padre e Shiro erano in cucina; Sentaro era intento a prepararsi un caffè, mentre Shiro stava bevendo da un bicchiere quel che sembrava succo di frutta.

- Ah, bentornata tra noi! – rise Sentaro; la figlia lo fulminò con un’occhiataccia – Vabbè, vuoi del caffè?

- No, grazie papà, mi farò un the più tardi…

Guardò distrattamente il bicchiere che Shiro aveva in mano e sorrise:

- Quello è il mio preferito!

- Scusa, te ne ho rubato uno.

- Il dottor Aoki ha detto che ti fanno bene. – gli ricordò Sentaro – Zuccheri per il cervello, ottimi nel tuo caso!

- E anche nel mio, dato che sto preparando gli esami. – scherzò Haine - La prossima volta ne prenderai uno dalla tua scorta, papà!

Il padre in risposta rise.

- Haine, per favore, potresti accompagnare Shiro nella stanza degli ospiti?

- Certo!

- Non preoccuparti, se stavi studiando possiamo andarci dopo…

- Faccio due minuti di pausa. – ammiccò lei – Dai, vieni!

La ragazza lo accompagnò nel corridoio; si fermò un istante ad un grosso armadio nel sottoscala, da cui prese un pacco di lenzuola pulite, poi lo condusse al primo piano.

- Qui c’è la stanza di mio padre. – disse, indicando la porta alle loro spalle – Lì il bagno… E qui starai tu!

Aprì una porta che dava sul lato della casa affacciato al mare, lo stesso della mansarda. La stanza era piccola, ma confortevole, e molto pulita anche se sembrava non vi avesse dormito nessuno da anni. Shiro si perse ad osservarla attentamente, sentendo un calore provenire da quelle mura come non lo sentiva da molto tempo.

- Ah, Haine, non serve! – disse con energia vedendola intenta a preparargli il letto – Posso farmelo dopo io!

- Non se ne parla!- esclamò lei – In questa casa rifare i letti è compito mio, e non cambierà di certo perché ci sei tu!

Lui la guardò ad occhi sgranati, e si lasciò sfuggire un risolino:

- Sei decisamente meno docile di quel che sembri.

Lei arrossì di nuovo, guardandolo piccata:

- Beh, se è per questo nemmeno tu sembri così…! Così…! Così marpione, ecco!

- Per quello che ho detto prima? – sorrise sincero – Scusa, ti ho dato fastidio? Però lo penso davvero.

Haine sentì il suo cuore saltare un battito, quel sorriso la lasciava spiazzata ogni volta.

- N-non è… Che…

Sprimacciò con forza il cuscino, infilandolo nella federa, senza sapere come continuare. Lui sorrise di nuovo:

- Grazie, sai?

- Per cosa?

Shiro poggiò il montgomery che Sentaro gli aveva prestato sulla sedia vicino alla finestra, sospirando:

- Per comportarti in maniera naturale. – disse sollevato. Haine lo fissò senza parlare, e sorrise – Anche tuo padre…

- Mio padre è così come lo vedi. – ammise lei con un po’ di rassegnazione – Stai tranquillo, non è capace di fingere *gocc*!

Shiro ridacchiò. Mentre Haine finiva di sistemare le lenzuola, lui si affacciò al vetro, guardando la lontana linea blu del mare che si delineava appena, vaga, nell’imbrunire imminente; la ragazza vide un sorriso molto dolce apparirgli in viso.

- Ti piace il mare?

- Sì… - rispose piano – Mi piace moltissimo…

 

…Ne! … Fr…!

… Fratellone!

 

- Shiro?

- Uhm? Scusa, mi ero incantato un attimo.

- Niente. Torniamo giù? Papà starà… OH! GUARDA!

La ragazza lo tirò per una manica, indicando fuori dalla finestra: un lampo nero tagliò il paesaggio sopra il giardino di casa Ichinomiya, sfiorando con la punta delle ali il vetro di fronte a loro e scomparendo poi verso il tetto.

- Era una rondine! Era una rondine, vero?! – fece la brunetta, emozionata – Non ne avevo mai vista una da così vicino!

Il ragazzo sorrise alla sua reazione, fermandosi a riflettere:

- … Avete un sottotetto, per caso?

- Uh? Beh, sì… Una parte della mansarda è la mia stanza, ma il resto è libero.

- Come ci si arriva?

Haine lo condusse, confusa, di nuovo in corridoio, mostrandogli la scala per la mansarda. Un lato della stanza era stato murato ed una porticina in legno chiaro si affacciava sulla scala, con la scritta “Stanza di Haine: BUSSARE PRIMA DI ENTRARE!” in rosa acceso e giallo. Il resto dell’ambiente era completamente spoglio, se non per qualche ragnatela che si stendeva pigramente tra le travi; nonostante il sole fuori, l’aria era fresca lassù, e c’erano un sacco di spifferi che facevano scricchiolare le assi di legno.

- Shiro, ma cosa stai cercand…?

Lui le fece segno di fare silenzio. Quatto quatto Shiro si avvicinò alla trave portante del tetto, allungando la mano come a cercare un alito di vento che gli indicasse uno spiraglio; dopo un minuto buono il suo viso s’illuminò e, sempre in perfetto silenzio, fece segno ad Haine di accucciarsi ed avvicinarsi a dove si trovava lui.

La ragazza, troppo curiosa, obbedì. Effettivamente c’era un buchino nel tetto, troppo piccolo per risultare un problema a lei e a suo padre, ma a quanto pareva utilissimo per qualcun altro. Haine trattenne il fiato.

La rondine che avevano visto se ne stava tranquilla a poca distanza da loro, un miscuglio di ramoscelli in bocca, ritoccando quella che sembrava una pallina di foglie e fango; col beccuccio aguzzo ci lavorò qualche istante poi, apparentemente soddisfatta, se ne volò via. Quando sparì, Shiro si sporse un poco verso il nido, stando attento a non toccarlo o a farsi vedere.

- Non ci credo…! – fece Haine eccitata – Una rondine mi ha fatto il nido in casa?!

- Dev’essere una rondine giovane. – mormorò con aria esperta – Ha fatto il suo nido un po’ in ritardo.  

Haine non trattenne un sorriso.

- Fanno spesso i nidi in posti simili – continuò Shiro – per tenerli più al riparo.

- Dovrò stare attenta a non fare più andare in giro Ribbon qui sopra!

- Faresti bene. – disse lui, mentre si riavviavano all’uscita – Te l’ho detto, è in ritardo, ma presto farà dei piccoli.

- Chissà come saranno belli…!

Shiro rise sotto i baffi, prendendo a scendere lentamente la scala.

- Beh, d’ora in avanti questa sarà casa sua.

- Che vuoi dire?

- Non lo sai? – la guardò con aria furba – Le rondini non cambiano mai posto per fare il nido. Tutti gli anni, quando tornano a casa dalla migrazione invernale, aggiustano i danni e riformano una famiglia nello stesso nido dell’anno precedente.

- Sul serio?! – trillò lei, guardandolo ammirata – Non lo sapevo proprio!

- Ehi, ragazzi! Tutto a posto?

I due, in piedi di fronte alla scala della mansarda, guardarono sorpreso Sentaro che sbucava dal piano terra:

- Vi ho sentiti salire di sopra. Cos’è successo?

- Una rondine ha fatto il nido su, dalle travi del sottotetto! – esclamò Haine – Siamo andati a vedere dove.

- Una rondine? Che strano, siamo già a maggio, è un po’ ritardataria!

- D’ora in poi stai attento quando Ribbon sale su! – lo ammonì la figlia – Non vorrei che a quella poverina le uova venissero strapazzate!

- Haine, che battutaccia *gocc*!

Ma l’uomo rise lo stesso, seguito a ruota da Shiro. Haine sorrise: nonostante il fresco della mansarda che sentiva addosso fino a qualche istante prima, sentì un bel tepore attorno a sé.

 

 

 

Capitolino tranquillo, l’avevo detto ^^”””… Sto iniziando a delineare un po’ come andranno le cose, ma per qualcosa di interessante dovrete aspettare il next cap ^^! Non posso garantirvi (anzi dubito ç_ç) di essere così veloce, ma non si sa mai! Aspettatemi fiduciose ^^!

Ringrazio di cuoreeeee:

Violet_Rose: piccole, non bisticciate! (a ridagli con ‘sto “piccole” =__=”! ndViolet_Rose) La vostra curiosità dovrà aspettare ancora un po’ sorry :*… Cmq, se la cosa vi rende felici, sappiate che i prox chappy saranno mooooolto + succosi ;)…

Ella_Sella_Lella: beh, quel “e non” mi consola, allora non sono così prevedibile (ç__ç) XD. Ho corretto il tuo vecchio account dalla lista nel cap precedente, e ti ringrazio x aver messo entrambe le ficcy tra i preferiti ^^! Me commossa ç\\ç!!

Ametista: ADDIRITTURA O_O?! troppa grazia, troppa grazia ^\\\\^!!! Noo, non morire, ecco, vedi? Ho già aggiornato ^o^! Ma non morireee ç___ç! Addirittura 9?!? Mi monterò la testa XD (sei già abbastanza montata ndKei – Autrice malata ndYuri – Autrice scema ndDaichi – Autrice smielata ndMax_e_Rei – BASTAAAAA +_____+****!! Allora alla prox che faccio vi faccio morire tutti in combattimento, così siete contenti +___+!!! ndRia – Scusi, perdono o___o””! ndTutti); spero che anche questo cap ti piaccia! Alla prox onee-chan!

 

 

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Capitolo 3
*** Ricordi di cenere bianca ***


 

Salve genteeeee!!! Eccomi, finalmente, dopo un secolo sono risortaaaa!!! In una soprta di delirio da insonnia aggiorno due fanfic in piena notte, nella speranza che mi colga un sonno tale da dormire 18 ore filate (see, magari ç__ç!)

Allora, diciamo che questo cap è nato in tre tempi: prima c’ho lavorato sull’onda dell’entusiasmo del 2°, poi in un periodo di ultra-stress (infatti c’è un pezzo molto depressivo), la fine… Boh, la fine è semplicemente smielata xP, raccomando di non assumere troppi zuccheri nella giornata in cui lo leggerete ^^”””! Avevo detto che avrei fatto al max 3 cap per questa spin-off, ma alla fine diventeranno quattro… Non smetto mai di dare problemi ai miei personaggi xD!

I ringraziamenti alla fine del capitolo! A dopoo!

 

 

 

 

 

Paragrafo 3 ◦ Ricordi di cenere bianca(*)

                                                                                   (*) riferimento ai nomi di “Shiro” (bianco) e “Haine” (di cui uno dei kanji, hai, vuol dire appunto cenere)

 

 

- Quindi non riesci proprio a ricordare?

Guardo la figura al mio fianco: non riesco a capire com’è fatta, né come sia in viso, ma so che è una delle tre ragazze che vedo sempre.

- No.

Lei incrocia le braccia al petto e mi fissa. Intuisco che sta sorridendo, un sorriso allegro e spavaldo.

- Non mi puoi aiutare? – le domando.

- Stai scherzando?! Come faccio ad aiutarti se tu non ti ricordi di me?

- Ha ragione.

È la seconda delle tre. È piccolina e parla sempre piano, a volte quasi non riesco a sentirla.

- E allora come devo fare? – la piccolina scuote la testa, triste:

- Non lo so, fratellone…

 - Non stare a spaccartici la testa.

È la terza. Quella che mi si è avvicinata la sera in cui mi sono risvegliato.

- Te l’ha detto anche Haine-chan, no? – sorride – Devi aspettare un po’.

Annuisco, arrendevole, in fondo hanno ragione.

La guardo, ma lei si limita a sorridermi ancora.

Sento il profumo del mare.

- Stai tranquillo, ogni tanto verremo a controllare! – ride la prima delle tre.

- Stacci bene, fratellone!

Si allontanano. L’orizzonte è talmente bianco che non riesco a seguirle con lo sguardo…

Si dissolvono…

Affondano, affondano sempre più in quella nube bianca…

 

Una stanza fredda.

Un letto rotto.

Muri freddi e grigi.

Conosco questa stanza.

… Dov’è?

Dove sono?...

 

… Un’infermeria.

Non riesco a respirare, non riesco a muovermi.

Sento il sangue in bocca…

No, vi prego… Fateli smettere… Fatelo smettere…

Fatelo smettere…!

Fatelo smettere!

Basta!

 

Shiro si alzò di scatto, facendo cadere il cuscino a terra con un tonfo sordo. Restò immobile qualche minuto, prendendo affannosamente fiato, una mano sulla fronte madida.

Era successo di nuovo.

Si massaggiò le tempie, sospirando, per lo meno era già mattina: la volta prima si era svegliato che erano a malapena le due di notte, ma c’era voluto del buono per riaddormentarsi. Si alzò con uno sbadiglio, il sole era ancora basso nel cielo, ma la sveglia sul comodino confermò che erano già le sette e quaranta. Il ragazzo fece per prendere una maglietta dalla sedia sotto la finestra, ma un leggero raspare alla porta lo fermò un istante; sorrise, quando scorse il muso allegro di Ribbon spingerla per entrare.

- Ciao piccolo – lo salutò, finendo di vestirsi – sei venuto a svegliarmi?

Il cane abbaiò felice, lasciandosi arruffare il pelo divertito.

Subito dopo Shiro sentì una voce mormorare in corridoio: Haine stava cercando il cane. Sorrise sotto i baffi.

- Haine? Ribbon è qui. – la vide accostarsi appena alla porta – Entra pure.

- Oh, cavolo, mi spiace! – si scusò lei, sbuffando – Ribbon, piccola peste!

- Stai tranquilla, tanto ero già sveglio.

Lei, intuendo, gli rivolse un’occhiata preoccupata:

- Stai bene?

- Certo, tranquilla. – le sorrise; la brunetta, però, non sembrava convinta – Ora però ho una gran fame!

Haine sospirò e, capendo che la conversazione non sarebbe continuata, ricambiò il sorriso con una strizzata d’occhio:

- Papà è già andato all’attacco. Vado a tenerti qualcosa da parte, sbrigati!

Lui rise ed annuì, lasciando andare Ribbon che seguì la padroncina (probabilmente speranzoso di un piccolo regalino prelevato dalla colazione).

Mentre il ragazzo scendeva in cucina si massaggiò ancora la testa, sbuffando rassegnato.

Da quando  era uscito dal coma gli succedeva di frequente di fare sogni come quello di poco prima: frammenti confusi che lui non riusciva a scindere tra ricordi e fantasia si ammucchiavano gli uni sugli altri, come granelli di sabbia spinti dal vento, senza lasciargli la possibilità di riportarli ad un evento, un luogo, un volto. Ne aveva parlato ad Haine quasi subito e lei gli aveva suggerito di annotare tutto quel che ricordava, di volta in volta, così da poter poi rileggere tutto con calma e, magari, riuscire a ricavarne qualcosa.

Shiro aveva seguito il consiglio e qualche risultato, seppur minimo, s’era visto; purtroppo, era come dover riformare un puzzle partendo dalle tessere di due punti diametralmente opposti e tutte non incastrabili tra loro. Praticamente impossibile.

Haine lo incoraggiava sempre, ascoltando paziente i suoi piccoli riassunti e dicendogli che quelli, seppur frammenti, erano parte della sua memoria, il che voleva dire che un giorno l’avrebbe recuperata del tutto.

Shiro ci sperava. Altro non poteva fare.

- Ben alzato! – lo salutò allegramente Sentaro, una ciotola ormai vuota in mano, mentre il ragazzo entrava in cucina – Che faccia scura stamattina!

- Ho solo dormito un po’ così… - sorrise lui vago.

Sentaro fece spallucce e non aggiunse altro.

- Haineeee! Mi dai il bis?

- Quello è un tris ormai, papà! – lo sgridò la figlia, brandendo il mestolo del riso come una clava – E se ti rimpinzi ancora un po’ salterai di nuovo il pranzo!

- Che figlia cattiva! – piagnucolò lui prendendola in giro – L’hai sentita, Shiro? Vuole farmi morire di fame!

- Ma smettila *gocc*! Sei tu che, anche ieri – calcò l’accento su quell’ultima parte – hai lasciato metà del bento che ti avevo preparato!

Shiro si trattenne dal ridere: non che Sentaro fosse un padre immaturo, ma si divertiva a stuzzicare la figlia con quelle scenette da bambino.

Il bruno si sedette, guardando ancora un po’ l’uomo protestare ad un’Haine che, insensibile, lo ignorò porgendo una ciotola di riso al ragazzo.

- Ti lascerò stare soltanto perché è tardi! – disse l’uomo melodrammatico, alzandosi – Ma mi avrai sulla coscienza!

- Sì, sì, certo…

- Come sei cattiva *gocc*!

- Dai, pa’, fai tardi davvero! – concluse lei, porgendogli il foulard in cui era avvolta la scatola del pranzo –Vai su.

L’uomo sorrise e la baciò sulla guancia.

- D’accordo. A stasera, allora. Shiro… - il ragazzo sorrise al suo saluto – Ciao Ribbon, non fare danni, eh?

Il cane abbaiò come ad assentire.

- Ah, e voi due non combinate niente in mia assenza! – aggiunse malizioso, una borsa blu degli attrezzi sulla spalla, sporgendosi dal corridoio – Mi raccomando!

- PAPÀ!!!

L’uomo fuggì prima che la figlia, scarlatta in volto, gli tirasse il mestolo dritto in fronte. Shiro si limitò a sospirare.

- Quello stupido di un genitore *gocc*…!

- Dai, non te la prendere. – cercò di calmarla – Stava scherzando.

Sì, lo so, ma ogni volta che fa queste sue battute idiote io per reazione non faccio che pensarci!

Pensò lei, sempre con le guance rosso acceso, risedendosi per finire di mangiare.

Sospirò, ormai Shiro viveva in casa loro da più di un mese e mezzo, ma lei non si era ancora abituata alle frecciatine che suo padre le lanciava di quando in quando. Alle volte avrebbe voluto avere un padre normale, che magari ad un’idea del genere si sarebbe anche ingelosito: no, proprio lei doveva avere l’unico genitore che si comportava come un fratellino dispettoso! Che poi lei non vedeva il motivo di quelle sue supposizioni. Certo, Shiro era un ragazzo carino, le era simpatico e ormai erano diventati amici, ma da quello a piacerle in quel senso, c’era un abisso.

Per lo meno, tentava di convincersi di questo in tutti i modi.

- Bene, io ho finito! – disse allegra, posando le bacchette – Vado a fare le camere.

- D’accordo, lascia qui che ci penso io.

La brunetta trottò di sopra baldanzosa.

Ormai quella era la loro quotidianità. La mattina, come aveva sempre fatto da quando viveva da sola col padre, Haine si alzava e preparava la colazione per tutti; poi, dato che era in vacanza, rifaceva le camere, sbrigava le faccende di casa e si metteva a fare i compiti, mentre Sentaro andava a lavorare. Shiro, che si era ripreso quasi del tutto e non aveva la minima intenzione di restarsene con le mani in mano, si era auto-eletto responsabile del “lavaggio piatti” e di Ribbon che, anche quella mattina, quando gli vide mettere a posto l’ultimo piatto, prese con la bocca il suo guinzaglio da sopra il mobiletto vicino all’ingresso e corse indietro scodinzolando.

- Ho capito, ho capito! – rise Shiro vedendoselo davanti – Dai, andiamo.

Quando terminavano la passeggiata, Shiro e Ribbon salivano in camera del ragazzo, finchè Haine non scendeva a prendere il cane per giocare un po’ con lui.

Il pomeriggio i due ragazzi andavano in ospedale per la seduta di fisioterapia di Shiro; lui a volte cercava di svicolare, ma la brunetta, inflessibile, non lasciava scampo.

Era l’infermierona Mitsumi (come la chiamava scherzosamente Shiro) ad occuparsi della sua fisioterapia: era stato un sollievo quando l’avevano saputo, la donna aveva modi di fare anche troppo schietti, ma era gentile e simpatica, quindi sia il diretto interessato che Haine, che osservava da un angolino tutta la visita, si trovavano bene con lei; qualche volta veniva a trovarli anche la signora Toruhmiya, che si era già affezionata al ragazzo e controllava sempre quando finalmente si sarebbe “tolto dalle scatole” e avrebbe “cominciato a divertirsi fuori di lì!”.

Non che ci fosse moltissimo da fare da quelle parti. Gensenkaien(*) era una cittadina piccola, e molti dei suoi abitanti, approfittando delle vacanze, se n’erano andati verso sud, fuggendo dall’estate fresca dell’Hokkaido per una più soleggiata; molti negozi e locali erano chiusi e, Shiro in particolar modo, s’era dovuto trovare un hobby: i libri.

Era stata Haine a consigliargli di leggere. “Se non puoi allenare i muscoli per adesso – gli aveva detto – allena il cervello!”. E la cosa si era rivelata un ottimo passatempo. La mente di Shiro, dopo due anni di inattività, sembrava affamata di sapere; il ragazzo sfogliava di tutto, narrativa, saggistica, ogni cosa leggibile praticamente: dopo aver quasi divorato la piccola biblioteca domestica degli Ichinomiya (escludendo i libri di elettronica di Sentaro che, nonostante tutto, sarebbe stato molto difficile trovare interessanti), il ragazzo s’era fatto mostrare dov’era la biblioteca civica, e quasi ogni due o tre giorni riportava un libro e ne prendeva un altro. Haine ricordava divertita la prima volta che lo aveva accompagnato e la faccia del ragazzo alla vista della bibliotecaria, una vecchina sulla settantina (diceva lei, Haine ipotizzava anche ottantina) sveglia come un grillo, magrissima e tutta ricurva, con due occhiali sul naso dalle lenti tanto spesse che l’unica cosa distinguibile a colpo d’occhio del suo viso erano gli ingigantiti occhi celeste spento.

- A me fa paura! – aveva mormorato Shiro mentre uscivano - Sembra un’arpia sul trespolo!

Haine aveva creduto fosse una battutaccia, ma quando si era accorta che il ragazzo si era inquietato sul serio era scoppiata a ridere fin quasi alle lacrime.

Shiro era fatto così. Non era un ingenuo, ma possedeva una sincerità tale che spesso disorientava; era assai più probabile che facesse un commento severo, ma onesto, piuttosto che dicesse una bugia per indorare la pillola. Era sempre gentile con tutti e con Haine, che spesso non riusciva a trovare le parole adatte per sostenerlo, o si trovava in difficoltà ad esprimere quel che voleva dire, aveva una pazienza ed una dolcezza, per cui lei non si stupiva poi molto se in tanti, anche all’ospedale, avessero preso a vociferare che fossero fidanzati.

Lei smentiva sempre con convinzione, anche se questo le costava un’ampia dose di autocontrollo per non divorarli a parole, furiosa dall’imbarazzo.

Shiro sorrideva sempre quando la vedeva in imbarazzo, la trovava incredibilmente dolce. Certo, non era semplice credere che l’energica ragazza che bacchettava il padre la mattina a colazione come una madre col figlio lo fosse, ma Shiro sapeva benissimo che invece era così.

Haine non era brava a parole: quando doveva esprimere un suo pensiero a voce s’inceppava, spesso arrossendo, e ancor più spesso alla fine rinunciava in preda alla vergogna; preferiva scrivere, inchiostro e penna le rendevano più semplice comunicare quelle cose per cui, purtroppo, spesso la gente è sorda o, peggio, ride divertita. A scuola non aveva molti amici. Non che fosse malvoluta, ma era una di quelle persone che preferisce starsene per i fatti proprio piuttosto che invischiarsi nella baraonda di sua iniziativa, così la maggior parte delle volte i suoi compagni non la chiamavano nemmeno alle uscite di gruppo o alle feste.

Il suo primo, vero amico, sembrava essere stato proprio Shiro; quando si mettevano a chiacchierare lui l’ascoltava, in silenzio, senza emettere un giudizio, e questo faceva sentire la ragazza abbastanza rilassata da essere semplicemente se stessa. Spesso lui la spiazzava, ricordando cose che lei gli aveva detto mentre era in coma: ogni volta, lui diceva di non ricordare quando avesse sentito quella o quell’altra cosa, eppure sapeva alla perfezione i gusti della ragazza, cosa le piaceva fare, cosa la spaventata. Non tutto, certo, ma molte cose sì.

Haine ne aveva parlato al dottor Ryuichi, ma lui non aveva saputo darle una risposta precisa.

- Può darsi – aveva supposto – che involontariamente ricordi le vostre “conversazioni”, ma non serbi memoria del momento in cui le ha ascoltate perché era incosciente.

Ad Haine la cosa non piaceva moltissimo, si sentiva come svantaggiata nei confronti del ragazzo, lei di lui sapeva così poco…! Così, appena c’era occasione, gli faceva il terzo grado per scoprire (o riscoprire assieme a lui) cosa gli piaceva e cosa no. Era quasi un gioco a cui ormai entrambi erano abituati, e che anzi li divertiva parecchio. Spesso gli “interrogatori” di Haine si svolgevano in riva al mare: al ragazzo piaceva molto, e sembrava che trovarsi a passeggiare sulla sabbia, avvolto dal profumo della salsedine, lo facesse sentire a proprio agio. Qualche volta la brunetta lo osservava perdersi nei suoi pensieri, mentre era impegnato a scrutare l’oceano, e lei non riusciva a non domandarsi dove volasse la sua mente, quand’era così assorto.

 

***

 

La risacca lontana sembra sussurrare.

Come una cantilena.

Come una preghiera.

L’odore del sale mi entra nei polmoni, restandoci per ore.

 

- Sei pensieroso, fratellone?

Sono ancora loro. Stavolta è la Terza, è sola.

Le ho distinte così.

La Rossa. Ride sempre, nella mia mente distinguo solo questi capelli, corti, rossi come il fuoco.

La Piccolina. È quella timida,che  parla poco, è quasi una bambina.

Lei è la Terza. È quella che distinguo di meno, quasi fosse trasparente.

Ma la sua voce mi tranquillizza.

- … Stavo pensando al mare.

- Che bello! – la sento sospirare – Anche a me piace tanto il mare!

Sorrido.

Sento la risacca mormorare.

- … Fratellone, ti ricordi?

- Cosa?

- Il mare. Non te lo ricordi?

Provo a pensarci. Sì… qualcosa…

Una scogliera brulla.

La spuma che sale, quasi scalando le rocce, e si disperde nell’aria bagnandoti il viso.

- Te lo ricordi?

- Sì.

Lei non sembra felice.

- Fratellone, perché vuoi ricordare a tutti i costi?

La guardo stranito.

- Perché? È la mia vita che ho dimenticato…!

- Ma ci sono delle cose brutte, dietro! – dice triste – Cose che… Forse sarebbe meglio non ricordassi.

Non le rispondo.

- Anch’io vorrei scordarle…

- Ma ci siete anche voi tre, vero? – le domando concitato – Tu e quelle altre due ragazze.

Lei mi fissa, sempre triste. Annuisce.

- Allora devo ricordare!

- Però…!

- Però cosa?

Sospira. Il profumo del mare s’è fatto intenso, riesco quasi a sentire l’acqua che mi lambisce le caviglie.

- Se tu ti ricordassi – mi dice grave – abbandoneresti Haine-chan.

- Cosa? Cosa stai dicendo?

- L’abbandoneresti. – fa convinta.

- Io non posso abbandonare Haine!

Sembra sorpresa dalle mie parole; lo ammetto, anch’io lo sono, ma non ritiro la frase.

- Ne sei sicuro?

La fisso senza rispondere. Ne sono sicuro?

- Sì.

Sorride.

- Allora va bene. – si volta, prendendo ad allontanarsi – Haine-chan ti vuole bene. Non farla piangere, fratellone!

Il suono delle onde si sta allontanando.

Non sento più il profumo della salsedine.

Sta tornando tutto bianco…

 

Perché dovrei far piangere Haine?

Anch’io le voglio bene, lei m’ha salvato!

Solo questo…

Credo…

Però…

Non voglio farla stare male.

Non voglio che soffra!

 

Chi è che sta piangendo?

Una ragazzina coi capelli neri…

Non è la Piccolina.

Un momento… Quello sono io?

- Stai tranquilla, è tutto a posto. – mi vedo chinarmi su di lei, sembra ferita – Ti fa molto male?

Lei annuisce e io sospiro. Perché? Cos’è successo?

Non capisco…

- Tu non hai mai capito!

Tutto torna di colpo bianco. C’è qualcuno di fronte a me.

- Chi sei?

Un ragazzo dai capelli castani. Un ragazzo dagli occhi verdi.

Un ragazzo dagli occhi colmi di odio.

- TU NON HAI MAI CAPITO NULLA!

Allungo la mano come per fermarlo, ma il bianco torna a coprire tutto.

 

Aspetta, non andartene…

Voglio capire!

Cos’ho sbagliato? Cos’ho fatto?!

Voglio capire, maledizione!

Ma non c’è nessuno che mi senta.

C’è solo bianco…

Bianco assoluto…

Bianco agghiacciante…

Detesto tutto questo…

Nemmeno a te piace il bianco, vero?

Haine…

Bianco. Sembra inghiotta tutto. Sembra cancelli tutto.

Haine…

 

La ragazza si stiracchiò sulla sedia, tutta indolenzita; si stropicciò gli occhi, costringendosi ad accendere la luce sul comodino perché ormai quella del sole non bastava più ad illuminare la sua stanza. fece ruotare la penna nella mano e riprese la lettura:

 

Qualche volta lo osservo, quando comincia a camminare sovrappensiero lungo la battigia: sembra quasi che si estranei dal mondo e si perde a fissare l’orizzonte (non so perché, a volte mi viene in mente l’immagine di quel navigatore italiano - Colombo, se non ricordo male - e mi viene da ridere xD!). Ogni tanto prende un’aria triste quando guarda il mare, e la cosa mi spiace: vorrei aiutarlo, ma non so come fare…

L’idea di rivedergli quella faccia distrutta che aveva i primi giorni mi fa stringere il cuore! Non è giusto, insomma!

Io… Vorrei che fosse felice. Di solito mi sembra sereno, anche se non riesce ancora a ricordare, ma ho paura che la sua sia solo una posa.

 

Haine afferrò saldamente la biro blu e, quasi fosse uno scalpello, si avventò con un segno spesso sulle ultime righe.

 

Io… Vorrei che fosse felice. Di solito mi sembra sereno, anche se non riesce ancora a ricordare, ma ho paura che la sua sia solo una posa.

 

Sospirò, così andava meglio.

Non posso scrivere una cosa simile. Non metterti a sognare, scema!

Sollevò annoiata lo sguardo sul piccolo calendario da tavolo: 25 Agosto. I suoi occhi scorsero pigri i giorni restanti prima della malefica data, segnata in rosso nella colonnina del mese successivo, sul margine, dove l’1 Settembre sembrava il titolo di una locandina horror.

Sbuffò, prendendo a dondolare sulla sedia; l’estate era volata via veloce, e già i venti dal continente stavano raffreddando l’isola di Hokkaido, privandola della sua stagione bella. Presto sarebbero ricominciate le lezioni. Le veniva male al pensiero.

In preda ad una crisi di nostalgia s’era messa a rileggere le pagine del suo diario, che era quasi arrivato alla fine tanto aveva scritto. Si fermò su una pagina con una vistosa impronta di zampa canina al centro.

 

7 Luglio 2002. Soleggiato, ma con tanto vento

Caro Diario,

dato che oggi è domenica, io e papà abbiamo deciso di portare Shiro a fare un giro per il “selvaggio entroterra dell’Hokkaido” XD! Il dottor Ryuichi ha detto che, se non si sforza troppo, al suo fisico può solo far bene un po’ d’aria di montagna.

Abbiamo preso in prestito la jeep del signor Iwasa, il vicino, perché ormai il furgone di papà non può più salire fin nell’entroterra, è troppo malconcio ^^”! Shiro si è entusiasmato a vedere il nostro paesaggio: ha detto che lui in Hokkaido non era mai stato (segno questa cosa, potrebbe tornargli utile!). So che a molte persone fa quest’effetto, ma del resto la nostra isola è “civilizzata” da poco più di 150 anni (visto che ho studiato ;D?). Io sono più contenta così, è così bello il nostro panorama!

Papà ci ha portati fino al laghetto dove facevamo i pic-nic con la mamma. Mi sono sentita un po’ triste appena siamo arrivati, ma ho fatto finta di niente per non fare preoccupare papà (sai com’è fatto…!).

Se avessi visto le scene della giornata…! Papà mi prende sempre in giro che mi sono presa una cotta per Shiro, ma sbaglia: è tra lui e Ribbon che è scattato il colpo di fulmine xD! Il nostro cucciolo gli sta sempre appiccicato! Pensa, ad un certo punto Shiro ha deciso di fare due passi nel punto del lago in cui si toccava (si è pure lamentato! “È fredda!”, ma io glielo avevo detto >_< !) e Ribbon… SPLASH! Subito dietro =__=””! poi, quando ha realizzato che l’acqua era troppo fredda per i suoi gusti, è uscito e si è avventato addosso a me!

I miei vestiti sono un disastro, sono pieni di fango! E papà e Shiro a ridere -___-**! Ah, ma mi sono vendicata! Sai, quando riempivo la brocca dell’acqua, sono scivolata ^^+… Casualmente, rovesciandola sulle loro teste XD!

Ho rischiato di finire completamente a mollo!

 

Sorrise, quel pomeriggio era stato molto divertente; dopo il “contrattacco” della brunetta si erano messi a schizzarsi per gioco… Solo che lei si era beccata un raffreddore da oscar per quasi una settimana. Shiro non la smetteva di scusarsi, ce n’era voluto per convincerlo a non farsene una colpa.

- E poi – aveva scherzato Haine – ci siamo scambiati i ruoli: ora sono io la malata!

Erano scoppiati entrambi a ridere.

Haine scosse la testa, non ci doveva pensare. Proseguì. Stavolta la sua attenzione fu attirata da due pagine mezze attaccate, ancora piene di granellini di sabbia.

 

16 Agosto 2002. Sole, sole, sole!!

 

Caro Diario,

ci siamo venuti! Ci siamo venuti sul serio!

Siamo ad Okinawa! Credo di stare per svenire dalla felicità x333!!! Papà ha preso le ferie per una settimana, quindi MARE, MARE, MARE!!! (Ok, la smetto adesso xD).

Finalmente ho potuto indossare il costume che mi sono comprata un po’ di tempo fa, quello bianco con gli hibiscus celesti sopra *-*!

Voglio divertirmi a più non posso! Spacca-cocomero(**)! Gelati! Il pallone! I racchettoni! NUOTAREEEEE X33333!!!

Ora vado, papà e Shiro mi stanno chiamando (andiamo in pedalò fino all’isoletta!) continuerò stasera!

Ps. La sai una cosa? Shiro in costume è bellissimo >\\< !

 

- EH NO!

Chiuse il diario con forza. Doveva essere impazzita: non poteva credere di aver scritto cose simili… Di pensare cose simili!

Riaprì lentamente il diario con aria mesta, guardando l’ultima annotazione. Fissò ancora la linea che aveva tracciato sull’ultimo capoverso e calcò ancora con la penna, ricoprendola d’inchiostro.

Non voleva leggere cose simili neppure sul suo diario.

Non poteva comportarsi così da sciocca; era consapevole del fatto che Shiro, presto o tardi, se ne sarebbe andato: quella non era la sua città, quella non era casa sua, quella non era la sua vita.

Sembra che me ne sia dimenticata durante l’estate… Sono una stupida!

Ripensò alla sera prima, quando l’avvocato Kiriaki era venuto a cena.

Avevano chiacchierato del più e del meno e, nell’insieme, la serata era stata piacevole. Fino a quel momento.

Mentre prendevano il caffè, l’uomo s’era fatto di colpo serio; con lentezza aveva invitato Shiro a sedersi più vicino, e aveva cominciato, in tono quasi meccanico:

- Ho ribaltato tutti gli archivi di polizia a cui sono riuscito ad arrivare – aveva cominciato – ma non ho trovato notizie che potessero ricondurre a te.

Il ragazzo era rimasto immobile, senza fiatare. Una statua di sale. Haine aveva trattenuto l’impulso di stringergli la mano.

- Ascoltami bene – aveva continuato l’uomo – ho una proposta da farti.

Shiro e Haine gli avevano rivolto un’occhiata indagatrice. Sentaro s’era incupito.

- Che tipo di proposta? – aveva chiesto Shiro.

- … Ho un amico, a Sapporo, che forse può aiutarti. È specializzato in casi di scomparsa ed è uno che ha gli appigli nei posti giusti e con le persone giuste.

Shiro aveva annuito. Ad Haine non era piaciuta la piega che aveva preso il discorso, ma non aveva detto nulla.

- Per il momento posso andare io. – aveva detto l’avvocato – Ma qualche volta dovresti venire con me.

- Con lei?

Haine aveva sentito una stretta gelida allo stomaco.

- Solo per il tempo necessario a controllare un po’ di cose. – concluse Kiriaki – Poi torneresti qui, in attesa degli esiti. Te ne parlo perché il tempo necessario potrebbe corrispondere anche ad alcune settimane.

Haine aveva fissato il ragazzo qualche istante, ma la sua espressione decisa l’aveva fatta desistere dal dire la sua.

- Per me – rispose il ragazzo - va benissimo.

Ora, riflettendoci, Haine aveva capito il perché della sua agitazione.

Se avesse davvero trovato delle risposte, cos’avrebbe impedito a Shiro di restare a Sapporo e, magari, partire per casa? La sua vera casa?

Nulla.

Ma lei non aveva alcun diritto di intromettersi. Erano amici ormai, quello sì, ma non poteva impedirgli di prendere una decisione del genere; anzi, in quanto amica avrebbe solo dovuto incoraggiarlo.

Chiuse il diario, era troppo stanca per continuare a scrivere.

Bussarono alla porta e lei sentì il raspare di Ribbon contro il legno. Prese un bel respiro e sorrise naturale:

- Shiro, sei tu?

- Sì. – il ragazzo entrò piano, mentre il labrador correva a farsi fare due coccole dalla padroncina – Ti disturbo?

- No, no, tranquillo. Volevi qualcosa?

- A dire il vero sì.

Si sedette sul letto della brunetta, che lo scrutava interrogativa.

- Sentaro… Mi ha detto che domani è una data importante.

L’espressione della ragazza restò bloccata a quell’affermazione; chinò la testa, sorridendo triste:

- Sì. – lo guardò malinconica – Andrò a trovare la mamma.

Shiro non disse nulla. Non aveva mai chiesto niente della madre di Haine né la ragazza ne aveva mai fatto accenno, ma ora la sua faccia non lasciava presagire niente di allegro.

- … Capisco.

Rimasero in silenzio qualche minuto. Ribbon, quasi intuendo la situazione, si sedette tranquillo, poggiando il muso sulla gamba di Haine.

- … Senti, il signor Kiriaki mi ha detto che andrà a Sapporo già dopodomani.

Haine sobbalzò impercettibilmente a quella frase, ma dalle sue labbra uscì soltanto un laconico “ah”.

- … Ti va se domani ti accompagno?

La brunetta non mutò espressione:

- … Sì, certo. – non lo stava guardando – Senti, adesso sono stanca…

- Sì, d’accordo. – si limitò a rispondere gentilmente – Vieni, Ribbon, da la buonanotte.

Il cucciolo uggiolò, ma si lasciò condurre fuori obbediente. Quando la stanza fu di nuovo vuota, Haine si alzò e si lasciò cadere sul letto, la faccia nel cuscino.

Dopodomani.

 

Quella mattina l’atmosfera in casa Ichinomiya era decisamente strana; un silenzio cupo permeava le pareti in legno, e la stanza di Haine in particolare sembrava congelata, immobile nella sua calma innaturale. Shiro, le orecchie tese, non sentì la brunetta scendere dalle scale al suo solito modo, né andare a svegliare il padre per poi dirigersi in cucina con Ribbon alle calcagna: quella mattina il solo suono che si sentì fu quello della sveglia di Sentaro, seguito poi dai passi dell’uomo fino al pianterreno. Fu sempre lui ad avvisare Shiro che la colazione era pronta, invitandolo a scendere; quando il ragazzo si sedette al tavolo, respirando il forte odore di caffè che aleggiava in tutta la stanza, Haine non si era ancora vista.

La brunetta spuntò solo una decina di minuti dopo. Indossava un paio di jeans molto scuri e un golfino parimenti scuro, quasi nero; aveva legato i capelli in uno chignon morbido e, quando arrivò in cucina, non si fermò nemmeno a guardare la tavola.

- Prendi qualcosa? – le domandò Sentaro, anche se sembrava conoscere già la risposta.

- No, grazie. Non ho granchè fame stamattina. – disse dandogli un bacio sulla guancia – Shiro, allora vieni anche tu?

- Certo. – rispose lui alzandosi.

Sentaro diede un’occhiata allusiva alla figlia, che non rispose.

- State attenti. – sospirò poi l’uomo – Ci vediamo più tardi.

I due ragazzi uscirono in silenzio. Haine, camminando lentamente, si diresse verso il centro, sempre senza dire una sola parola; Shiro la seguiva, anche lui silenzioso.

La brunetta si fermò all’unico negozio di fiori della città. La commessa, una signora dai capelli quasi del tutto bianchi, nel vederla le sorrise gentilmente, e sempre senza parlare indicò un vaso con dei fiori bianchi, grossi all’incirca un terzo di una mano.

- Gardenie. – spiegò Haine sottovoce, guardando la faccia interrogativa di Shiro – Il fiore preferito della mamma.

La commessa porse alla ragazza un vasetto avvolto in carta rosa pallido; lei pagò rapidamente e uscì, limitandosi a cambiare con la donna un rapido cenno col capo.

La sosta successiva fu la fermata dell’autobus, poco distante. Haine si sedette sulla panchina, sospirando, segno che avrebbero dovuto aspettare un po’. Shiro la guardò un istante:

- … Sei arrabbiata?

- Come?

- Sei arrabbiata con me?

- No! Certo che no! – era vero, lei non era assolutamente arrabbiata con lui –  Come t’è venuta un’idea del genere?

- Allora perché sei arrabbiata?

Lei chinò la testa al suo sguardo, come se lui avesse potuto scorgervi la verità se solo avesse scrutato un po’ più attentamente.

- Ora… Non voglio parlarne. – tagliò corto – E comunque… È solo perché sto andando a trovare la mamma, nient’altro. Scusa, ma non mi va di chiacchierare.

Lui continuò a guardarla. Haine si costrinse ad alzare il viso per dimostrare che non gli mentiva, perdendosi un istante in quelle iridi scure.

- D’accordo. – sospirò lui alla fine – Allora ne riparliamo.

Lei annuì, cercando di rilassarsi: doveva sorridere, o sua madre si sarebbe preoccupata.

Non parlarono più. Circa una ventina di minuti dopo arrivò l’autobus numero 48, completamente deserto; Haine ci salì sopra, tranquilla, e andò a sedersi col ragazzo sula penultima coppia di sedili. Lo sgangherato pullman prese la strada per la montagna, cigolando e stridendo: la salita era ripida, la strada polverosa e piena di buche che sballottavano il povero mezzo, facendo gemere cupamente le sospensioni.

Dopo quasi mezz’ora di viaggio, Shiro iniziò a preoccuparsi, non aveva mai visto Haine così cupa, e il fatto che non volesse discuterne lo rendeva nervoso. Stava per dire qualcosa per rompere quel gelo che s’era creato, quando il suo sguardo fu attirato da quattro casupole, poste praticamente sulla cima della montagna.

- Il villaggio natale della mamma. – spiegò Haine – Lei è cresciuta tra questi boschi.

- Tu no? – le domandò dolcemente, pregando che non si chiudesse di nuovo nel silenzio.

Lei sorrise facendo un cenno di diniego:

- No. Sono nata a Sapporo, dove mamma e papà si sono conosciuti.

- Vivevate a Sapporo?

- Sì. – rispose. Il suo tono era basso, quasi tremulo rispetto a quello che il ragazzo era ormai abituato a sentirle usare – Mamma studiava lettere, papà era apprendista presso un vecchio signore che costruiva televisori: si sono sposati quando lei era al quarto anno di università, e lei ha dato la tesi che era incinta di me.

Le scappò un sorriso. Shiro rise:

- Una donna senza troppi pensieri!

Haine annuì.

- Abbiamo vissuto laggiù fino a sei anni fa.

Il suo tono di abbassò di nuovo. Shiro la guardò in silenzio, mentre l’autobus prendeva a rallentare.

- Oh, siamo arrivati! – esclamò la brunetta – Forza, vieni.

Il ragazzo obbedì. L’autobus li abbandonò apparentemente in mezzo al nulla: dietro di loro, la strada che portava a valle, di fronte lo sterrato che partiva e arrivava fino al villaggio della montagna, verso cui il pullman si era avviato; ai lati e tutt’attorno, boschi e valli.

Haine avanzò sicura, attraversò la strada e prese a camminare in mezzo agli alberi, la pianta stretta tra le braccia come un tesoro. I due camminarono per circa una decina di minuti, finchè il bosco non prese a diradarsi.

Di fronte a loro si aprì una radura che saliva dolcemente il crinale di una collinetta; la mano dell’uomo si scorgeva nella recinzione in muretti a secco e nell’erba accuratamente potata, come nelle cupe pietre tombali che tagliavano il paesaggio come aculei protesi al cielo.

Shiro sentì una spiacevole sensazione al petto. Aveva pensato giusto, purtroppo.

Haine avanzò, lentamente, avvicinandosi ad un gruppetto di lastre vicino all’ingresso. Shiro la lasciò andare avanti, seguendola pian piano, e finendo di avvicinarsi soltanto quando lei si fermò.

La brunetta s’accucciò, liberando il vaso dalla carta rosa e posandolo accanto alla lapide. Shiro si chinò vicino a lei, leggendo l’iscrizione

 

Ayumi Ichinomiya (Ayumi Anasaki)

14 Marzo 1961 – 26 Agosto 1994

 

Il ragazzo prese un bastoncino d’incenso, lo accese e lo poggiò accanto alla lastra della base, in silenzio. Haine continuava a fissare l’iscrizione immobile, solo un debole sorriso a piegarle le labbra.

- Sei anni fa – iniziò, così piano da essere appena udibile – Mamma si ammalò di tumore. I medici se ne accorsero in tempo e cominciarono le cure; lei stava reagendo bene, eravamo incoraggiati, anche i dottori erano ottimisti…

Si fermò, come se dovesse prendere fiato. Shiro continuava a fissarla.

- Poi la cosa si aggravò. – mormorò – Di colpo. Nel giro di due mesi…

Non terminò la frase, nascondendo il viso tra le ginocchia. Shiro le sfiorò la nuca con gentilezza, mentre lei tratteneva i singhiozzi.

- Scusa…! Non… Volevo piangere. – sussurrò – Era meglio se non venivi...!

Lui scosse la testa, prendendole la mano nella propria. Haine sorrise impercettibilmente, ma le lacrime sembravano non aver finito il proprio lavoro e ripresero subito a scorrere.

- Vuoi restare un po’ da sola?

Lei fece freneticamente cenno di no con la testa, ricambiando la stretta. Restarono così per parecchio tempo, in silenzio, ma anche quando i singhiozzi sommessi della brunetta cessarono del tutto, le loro mani restarono unite.

 

L’autobus del ritorno arrivò un’ora più tardi. Shiro ed Haine erano in piedi, in mezzo alla strada deserta, aspettando da almeno una decina di minuti quando la sagoma del mezzo, lucida sotto il sole si affacciò da dietro una curva.

Non avevano più parlato dopo aver lasciato il cimitero, ma l’atmosfera era rilassata rispetto alla partenza. Di quando in quando, la brunetta abbassava lo sguardo, verso le loro mani: avrebbe voluto stringere la sua ancora un po’…

Come all’andata, il pullman era deserto; i due si sedettero nuovamente sui sedili posteriori, mentre il mezzo ingranava rumorosamente la marcia e partiva.

- Ora mi dici perché eri arrabbiata?

La domanda di Shiro la colse alla sprovvista. Haine lo guardò un po’ smarrita, prendendo poi a fissare senza interesse fuori dal finestrino:

- … Quando torni – bofonchiò – devi raccontarmi tutto quel che ti succederà, ok?

Lui non rispose.

- Non… Sono stata molto utile, durante questi mesi – riprese piano – e forse non lo sarò nemmeno dopo, ma…

- Ti racconterò tutto. – sorrise Shiro – Però quando torno voglio del nabe (***)!

Lei si voltò, scrutando la sua aria allegra con rassegnazione, ma non riuscì a non sciogliersi in un sorriso:

- D’accordo! Promesso!

Il sorriso del ragazzo svanì un istante, senza che Haine se ne accorgesse.

 

- Promesso!

- Certamente. – sorrise lui con dolcezza.

- E quando tornerò da papà, mangeremo tutti assieme il nabe!

 

- Tu… Non glielo dirai, vero fratellone?

- … No, non lo farò.

Il sorriso di Shiro fece solo sospirare la sua interlocutrice:

- Però… Promettimi che quando saremo fuori di qui lo farai!

- … D’accordo. Promesso.

 

L’autobus ebbe un sobbalzo; Shiro, perso nei suoi pensieri, tornò confusamente alla realtà.

Accanto a lui, Haine si era appisolata, e ora la sua testa ondeggiava pericolosamente per non posarsi alla spalla del ragazzo. Shiro la scostò delicatamente, facendola appoggiare a lui. Sorrise un istante, per poi incupirsi nuovamente.

- Haine-chan ti vuole bene. Non farla piangere, fratellone! -

“Promesso.”.

 

***

 

La sveglia partì a suonare con foga, traballando lievemente sul comodino; la mano di Haine, come uno zombie, prese a zampettare sulla superficie del mobile, nel tentativo d’individuare la molestatrice di sogni, finchè le sue dita non sfiorarono la liscia e fredda plastica dell’orologio. Con un colpo secco Haine lo spense, strisciando poi fuori da sotto il lenzuolo: le sette, lessero i suoi occhi impiastricciati di sonno.

La brunetta si lasciò cadere a peso morto sul guanciale, implorando pietà, ma la voce di suo padre che la chiamava dal pianterreno dissolse le sue speranze.

Si alzò scomposta, sbadigliando sonoramente, e sempre con lo sguardo spento si trascinò fino in bagno: guardò con orrore la sua aria distrutta nello specchio e si schizzò il viso con acqua fresca, tentando di rianimarsi un pochino ed assumere un aspetto per lo meno accettabile; una volta lavata e leggermente meno intontita, la ragazza tornò velocemente in camera per finire di vestirsi, scorgendo Ribbon che l’aspettava come una sentinella in cima alle scale.

- Un minuto e arrivo. – disse la ragazza con voce impastata. Lui abbaiò sonoramente.

Nella stanza, Haine guardò sconsolata la sua divisa appesa alla gruccia. La odiava. Non tanto per la gonna, con un motivo scozzese blu e lunga fino al ginocchio, né per la giacchetta, per quanto fosse di un color celeste acceso che ricordava vagamente (e in maniera terrificante) i grembiulini dell’asilo; quello che trovava davvero insopportabile indossare era quella camicetta tutta fronzoli, turchino slavato, e l’orrendo fiocchetto che spuntava sul colletto.

Sembro un gattino agghindato dalla padroncina di sei anni.

Si guardò per l’ennesima volta allo specchio, con aria depressa, ormai s’era rassegnata a trascorrere il resto del liceo con quello straccio orrendo. Si legò i capelli nei suoi solito codini e scese rapidamente in cucina, come al solito rischiava di fare tardi.

Sulla tavola c’era apparecchiato soltanto per lei, latte e cereali. Sentaro, riposta la tazza che aveva usato nello scolapiatti, stava uscendo con aria trafelata.

- Vai già? – gli domandò vaga la figlia, sedendosi.

- Mmm. – fu la risposta dell’uomo, che reggeva le chiavi del furgoncino tra le labbra – Mi ha chiamato un tizio per una riparazione a domicilio, devo passare in negozio e poi correre da lui o mi mangerò tutta la mattinata.

Haine annuì distratta, si lasciò schioccare un bacio sulla guancia e prese a mangiare, mentre Sentaro salutava Ribbon ed usciva.

La casa cadde nel silenzio. Haine finì rapidamente la sua porzione di cereali ed il latte e, abbandonate le posate nel lavandino, afferrò lo zaino e la giacca.

- Non fare quella faccia, Ribbon. – disse dolcemente al cane, che aveva preso a guardarla supplichevole – Sai che devo andare! Stasera giochiamo quanto vuoi, promesso.

Lui uggiolò appena.

- Ah, giusto! – esclamò la ragazza improvvisamente – Accidenti…!

Corse nuovamente di sopra, fino alla sua scrivania, afferrò una foto consunta dal ripiano e, infilatala in borsa, ridiscese le scale a velocità supersonica, guardando preoccupata l’orologio.

- È tardiii!!! Ci vediamo, Ribbon! Fai il bravo!

Il cane abbaiò in risposta mentre lei chiudeva la porta e, infagottata nel giubbotto, prendeva a correre all’impazzata.

Il liceo pubblico di Gensenkaien si trovava poco lontano dal centro città, vero l’entroterra. Era una scuola abbastanza piccola, che però raccoglieva, assieme alle vicine scuole medie, gli studenti della città e di altri tre paesini vicini; molti degli alunni si conoscevano quindi da molto tempo, perché avevano frequentato la maggior parte degli studi assieme o addirittura erano cresciuti tra le stesse quattro casupole.

Quando si erano trasferiti, Haine si era così trovata in difficoltà: in mezzo a loro era l’unica davvero estranea, e non era mai riuscita a superare completamente il muro che esisteva tra lei e gli altri studenti.

Quella mattina l’atmosfera nella sua classe era di quieta sonnolenza. Colpa del prof di letteratura, pensò Haine, guardando annoiata l’uomo alto e secco dietro la cattedra, che parlava con un ritmo talmente monotono da far passare a chiunque la voglia di seguire.

Haine sospirò, a lei era già passata alla frase “buongiorno, ragazzi.”. Si stiracchiò un poco sul banco, il posto migliore, quasi in fondo, vicino alla finestra, e si perse a guardare fuori dalla finestra: ormai gli alberi avevano tutti assunto colorazioni gialle e rosse, perdendo lentamente le loro foglie ricoprivano pian piano le strade e il cortile sottostante, smosse unicamente dal vento.

Sospirò ancora, aprendo distrattamente il libro ad una pagina a caso.

Da quando Shiro era andata a Sapporo erano già trascorse due settimane e lei ancora non sapeva nulla, se non che il ragazzo e l’avvocato Kiriaki (che almeno ogni due giorni dava un rapido colpo di telefono a Sentaro) stavano continuando a vagare tra uffici, moduli, scartoffie e stazioni di polizia.

Haine sospirò ancora, aveva bisogno di distrarsi o se avesse continuato ad arrovellarsi il cervello su cosa stesse succedendo laggiù, sarebbe impazzita. Allungò con delicatezza la mano verso la cartella, estrasse il suo quaderno rosso e, messo il libro di letteratura a mo’ di barriera, riprese il suo racconto da dove l’aveva lasciato.

 

L. sorrise, al colmo della gioia. Quell’incantesimo era stato un portento! Finalmente aveva J. tutto per lei: avrebbe potuto scoprire cosa gli piaceva, cosa sentiva… Tutto! Tutto quanto!

“E poi…”.

L. si coprì il viso con le mani, rossa d’imbarazzo, prendendo a saltellare dalla contentezza e canticchiando a mezza voce:

<< L. e J., L. e J. …! >>

Ma doveva stare attenta, non doveva lasciarsi scappare di bocca nulla con nessuno! O allora sì che sarebbero stati guai…

Il professore, prima della lezione, annunciò con tono grave che l’alunno J. era stato dichiarato ufficialmente scomparso. L. avvertì un piccolo fremito a quella frase, ma restò impassibile, anche quando lui continuò, invitando tutti gli studenti che avessero anche la più piccola informazione al riguardo di avvertire lui o uno degli altri docenti.

L. restò immobile qualche secondo quando l’insegnante terminò, rilassando le spalle. Tutto bene, andava tutto bene.

“Però forse i suoi saranno preoccupati. – pensò – Forse potrei parlarne con J., potremmo scrivergli una lettera per tranquillizzarli… Sì, e come spiego al prof come l’ho avuta? Potrei sempre farmi dire da J. dov’è casa sua, potrei infilare la lettera nella cassetta della posta…”.

Ci si scervellò sopra tutta la mattinata, ma senza trovare una soluzione convincente. Mentre usciva in corridoio, durante l’intervallo, scorse un piccolo gruppetto di ragazze poco distante dalla loro aula: una di loro parlava a voce alta, quasi gridando, e piangeva. L. si avvicinò, con discrezione, tendendo l’orecchio:

<< Dai Micchi, fatti coraggio… >> disse una delle altre ragazze a quella in lacrime, accarezzandole la nuca.

<< Non riesco a crederci! – strillò questa in risposta, fissando rabbiosa un nugolo di studenti della 1° C – Com’è possibile che nessuno di voi l’abbia visto?! DOV’È?! COS’È SUCCESSO A J.?!? >>

L. sobbalzò appena, perché quella ragazza cercava J.? Chi era? Lei non ricordava di averla mai vista assieme al ragazzo, forse era la sorella?

“No, non si assomigliano… E poi porta la divisa della nostra scuola, l’avrei saputo…”.

<< Micchi, coraggio, calmati adesso. >> disse un’altra delle studentesse, allontanando gentilmente la ragazza.

<< Se scopriste qualcosa – mormorò un’altra, preoccupata – ditecelo, per favore… >>

<< Non scopriranno un accidente! – urlò Micchi – Gli è successo qualcosa, lo sento! >>

Le sfuggì un singhiozzo più forte, ormai disperata.

<< Micchi, ti prego, non fare così…! >>

Ma la ragazza non sembrava riuscire a smettere. L. si allontanò velocemente, stringendo il suo block notes al petto.

“Non è successo nulla. – si disse convinta – Non deve disperarsi. J. sta bene. si calmerà… Sì, J. sta bene. non deve preoccuparsi, non deve

 

- Ichinomiya!

Haine posò di scatto la penna, sussultando spaventata.

- K-Kuwasabe! – mormorò, scrutando il ragazzo accanto al suo banco – Mi hai spaventata!

- È la seconda volta che ti chiamo. – sbuffò lui seccato – Il prof è uscito da cinque minuti, mi spieghi cosa stai facendo?

Solo allora Haine si accorse di aver scritto per tutta l’ora di lezione. Arrossì appena, indispettita, e chiuse velocemente il quaderno facendolo sparire nella cartella:

- Proprio nulla…

Il ragazzo fece spallucce, non erano fatti suoi in fondo.

- Piuttosto… L’hai portata allora?

- Ah! Sì, certo! – fece lei, ricordandosi di colpo perché gli avesse chiesto aiuto.

Si chinò nuovamente verso la cartella ed estrasse la foto che aveva preso quella mattina, porgendogliela reverente:

- Pensi si possa fare qualcosa?

Kuwasabe era un genio del computer. Aveva lavorato assieme a quasi tutti i club della scuola, sia alle elementari che alle medie, per fare manifesti, gestire e stampare foto digitali, creare sondaggi on-line, colonne sonore per il club di teatro e quant’altro, e l’anno precedente aveva fondato il club multimediale del liceo; era di certo il più adatto a risolvere il suo problema.

Kuwasabe si rigirò ancora un istante la vecchia foto che Haine e Shiro avevano trovato tra gli effetti personali del ragazzo, quindi sospirò:

- È parecchio malconcia – disse scettico – ci dovrò lavorare un bel po’! E forse anche di più…

- Non preoccuparti, non serve che tu la finisca in breve. – precisò lei – Mettici tutto il tempo che ti serve, ma ti prego, davvero, fai il possibile!

- Ci proverò… - concluse, infilandosi la foto in tasca – In cambio… Restiamo come d’accordo, ok?

Lei sorrise, stringendo i pugni in una posa decisa:

- Tranquillo, ci penserò io a prendere gli appunti!

Kuwasabe avrebbe dovuto lavorare ad un allestimento col club di teatro nei mesi successivi, e soprattutto le settimane precedenti alla rappresentazione sarebbe stato costretto a saltare alcune ore di lezione; Haine, in cambio del tempo che gli avrebbe rubato stare dietro alla foto (sapeva che di uno come Kuwasabe ci si poteva fidare) avrebbe preso gli appunti anche per lui: era comunque abituata a farne un paio di copie, mentre studiava, perché riscriversi i punti fondamentali l’aiutava a memorizzare; quindi il suo sforzo sarebbe stato più redditizio.

Speriamo che riesca a fare qualcosa con quella foto…

 

La mattinata trascorse lenta e monotona. Quando Haine uscì finalmente nel cortile, si sentiva ancor più rintronata di quando era entrata e non faceva altro che stiracchiarsi platealmente, indolenzita.

Dato che era in quello stato, non si stupì di vederlo accanto al cancello d’ingresso, forse aveva le traveccole.

Le prese quasi un colpo quando si accorse che non se lo stava immaginando.

- Haine!

 Shiro prese a gesticolare con la mano, facendole segno di raggiungerlo. La brunetta, a bocca aperta, trotterellò nella sua direzione senza smettere di fissarlo:

- Shiro! Ma che… Che ci fai qui?! Credevo… Credevo fossi ancora a…!

- Io e Kiriaki siamo tornati poco fa – spiegò semplicemente – ho visto l’ora e gli ho chiesto di farmi scendere qui, così ti accompagnavo a casa.

Haine si lasciò sfuggire un sorriso, ma questo svanì nell’istante in cui avvertì il cicaleggio sempre più forte alle sue spalle e il suo cervello focalizzò meglio la situazione.

Shiro.

Un ragazzo.

È venuto a prendermi.

Da solo!

A SCUOLA!

- È meglio se ce la filiamo subito *gocc*…!

Il ragazzo la fissò confuso, ma non ebbe la prontezza di riflessi di darle retta; come Haine aveva previsto, avvertì le occhiate indagatrici dei compagni trapanarle la schiena, e cinque delle alunne della sua classe si disposero a schiera al loro fianco, un’aria maliziosa in volto.

- Ciao Ichinomiya-chan!

- … Ciao… - la voce di Haine sembrava provenire dall’oltretomba tanto era cupa.

- Non ci presenti il tuo amico? – domandò una morettina dai capelli corti.

La brunetta avrebbe voluto volentieri ricevere un oggetto qualsiasi tra capo e collo, così da svenire e svegliarsi, possibilmente, cinque o sei ore dopo, all’incirca a dieci chilometri da scuola; ma fu costretta a rispondere:

- Certo… - sospirò, tentando di ignorare le occhiate divertite che stava ricevendo – Ebiwasa-chan, Tooga-chan, Shiba, Mikaoru, Madoka-chan… Questo è Shiro-kun.

Le cinque esclamarono in coro “piacere!” con sorrisi allegri. Shiro ricambiò, anche se lanciò un’occhiata in tralice ad Haine, intuendo la situazione: non l’aveva mai chiamato con un suffisso(****), era meglio scappare da lì al più presto.

- Non sei di qui, vero? – gli domandò una alta con gli occhiali. Shiro annuì:

- Già. Vengo da Tokyo. – “Almeno, credo…”.

Una ragazza dai capelli lunghi lo scrutò un istante, illuminandosi di colpo:

- Mi sembrava di averti già visto…! – contraddisse la compagna – Sul giornale! Qualche tempo fa… Sei John Doe, vero?

Il gruppetto trattenne il fiato, prendendo a confabulare tra sé e sé. Haine sbiancò, non poteva lasciare che facessero domande su Shiro, avrebbero finito per scoprire che viveva a casa sua, e allora sarebbe stata la fine! Doveva trovare una scusa, e in fretta.

- Già, sono io.  – rispose Shiro pacato – Ora, però, dovete scusarmi, dobbiamo proprio andare. Devo prendere la medicina, vero Haine?

- Eh? Ah, sì, sì, certo…

Senza aggiungere altro il ragazzo la afferrò delicatamente per un braccio e la trascinò via sotto lo sguardo seccato delle presenti, che però non poterono ribattere.

Camminarono lentamente finchè non ebbero svoltato l’angolo e, finalmente liberi da sguardi estranei, scoppiarono entrambi a ridere.

- “Medicina”?! – Haine lo guardò con quasi le lacrime agli occhi – Ma che scusa è?! Cosa sei, un novantenne che ha l’ora della medicina?!

- È la prima cosa che m’è venuta in mente! – si giustificò lui – Quel che vorrei sapere è perché stai ridendo!

- E tu?

- Per le loro facce, non credevo se la sarebbero bevuta!

- La mia è una risata isterica! – fece lei con voce stridula – Credevo di morire là, sotto l’Inquisizione Spagnola!

Quell’ultima frase fece soltanto venire ad entrambi un altro attacco di ridarella.

Quando finalmente si furono calmati, Haine lo guardò sorridendo:

- Sono felice che tu sia venuto. Bentornato!

Shiro ricambiò il sorriso:

- Cosa si mangia di buono stasera?

- Che domande…! – ridacchiò lei – Nabe!

 

***

 

- Natale? Che cos’è?

Shiro guardò la piccola figura al suo fianco. La sua faccetta curiosa lo faceva stare bene, lo rendeva felice più di ogni altra cosa.

- È una festa.

- Una festa?

- Già. A dire la verità sarebbe una festa cristiana – spiegò dolcemente – ma qui da noi è una delle feste degli innamorati.

Alla ragazzina brillarono gli occhi:

- Davvero?!

- Già. Si può addobbare un albero come fanno in Europa, ma soprattutto ci si scambia dei regali.

- Ah, adesso ricordo! La mamma addobbava sempre un alberello con dei nastri dorati… Non sapevo che si chiamasse “Natale” questa festa!

Shiro rise:

- Come fai a non saperlo? Lo sanno tutti!

Lei mise il broncio:

- Sei antipatico, Shiro nii-chan!

Lui le diede un buffetto sulla testa, strappandole un sorriso.

 

Sorridi sempre.

Sempre così…

Sii felice, e lo sarò anch’io…

Un momento…

 

L’immagine divenne confusa, avvolta nella nebbia bianca.

Chi c’è?

Chi sei?

Tu…

 

A chi… Stavo pensando?

Una persona che non… Ricordo…

… Oppure…

No… Tu sei…?

Haine?

 

Così com’era voltata l’estate, anche l’autunno abbandonò velocemente Gensenkaien e il freddo vento del nord cominciò a lambire la costa con foga sempre maggiore, facendo ammassare nuvole lattescenti cariche di pioggia. E poi la pioggia iniziò a diventare neve e a ricoprire silenziosa la città, gli alberi e il litorale, vestendo Gensenkaien di bianco.

Era arrivato Dicembre, la settimana prima di Natale. Luci colorate ed insegne variopinte facevano ormai capolino da tutte le vetrine, affollate sempre più da gente occupata negli acquisti dell’ultimo minuto. A casa Ichinomiya l’atmosfera era decisamente più tranquilla e, anzi, né Haine né Sentaro avevano ancora pensato ad addobbare l’albero, ma la brunetta non si dava problemi: erano abituati a farlo assieme, nei giorni prima della Vigilia, ormai era una tradizione.

E quell’anno, ci sarebbe stato anche Shiro.

Dopo il primo viaggio a Sapporo, che purtroppo s’era rivelato infruttuoso, lui e l’avvocato Kiriaki erano spariti altre quattro volte, sempre una o due settimane. Finalmente l’uomo sembrava aver trovato una pista promettente, ma aveva lasciato tornare il ragazzo dagli Ichinomiya, rassicurandolo che avrebbe avuto sue notizie quando possibile.

Inizialmente Shiro era rimasto in allerta: passava le giornate sempre agitato, scrutando di quando in quando il vialetto davanti casa e andando a vedere se suonasse il telefono, ma questo era rimasto muto; alla fine si era rassegnato ad aspettare.

Haine era solo felice di questo. Finchè aveva avuto lezione si erano visti poco, senza contare i periodi in cui lui era a Sapporo, e dovevano stare attenti alle compagne della ragazza che, dalla prima visita di Shiro, non smettevano di tampinarla. Finalmente ora sarebbero potuti stare un po’ tranquilli; in più, durante le vacanze invernali Haine aveva sempre pochi compiti, quindi più tempo libero, e voleva trascorrerlo il più possibile assieme a lui.

Sapeva di essersi ripromessa di non comportarsi così, ma non poteva farci niente, non riusciva a trattenersi. Anche in quel momento, in cui erano entrambi seduti sul divano del salotto a chiacchierare con due tazze di cioccolata fumante tra le mani, non riusciva a non sentirsi al settimo cielo.

Di colpo Ribbon, sdraiato vicino al caminetto, corse all’ingresso: Sentaro, armato di giaccone pensante, stava uscendo con un grosso borsone in mano.

- Papà, cosa succede? – gli domandò Haine preoccupata, raggiungendolo.

- Scusami tesoro – disse con voce bassa, la bocca tappata dalla sciarpa pesante – Dovrò… Assentarmi un paio di giorni.

- Cosa?! – lo guardò mortificata – Ma papà, Natale è dopodomani!

- Sì, lo so, mi dispiace – fece lui – Mi ha chiamato la ditta che mi fornisce gli elettrodomestici, pare che stiano avendo una fusione di società, o un cambio di dirigente… Non so bene.

- Ma così, di colpo?!

- Lo so, lo so, avrebbero potuto avvisarmi prima, – bofonchiò – ma sai come sono quei tipi! Quello che è sicuro è che almeno fino a metà Gennaio non potranno garantirmi le spedizioni, e sai bene come va dopo Natale: gente a frotte che vuol cambiare questo, quello, richiede la garanzia per quell’altro che non funziona…! Devo fare un po’ di scorta in negozio.

- Sì… - sospirò lei – Certo…

- Stai tranquilla. – la rassicurò baciandola sulla fronte – Tornerò al massimo per il pomeriggio del giorno di Natale. Per qualunque cosa chiamami; i soldi sono al solito posto.

- Ti serve una mano, Sentaro? – domandò Shiro gentile.

- Non preoccuparti. Tu pensa a badare alla mia bambina. – gli rispose con una strizzata d’occhio.

- Papà! Chi sarebbe la bambina?!

L’uomo rise, uscendo:

- Ci vediamo presto, ragazzi.

I due si fermarono sulla soglia, guardandolo salire sul furgone infagottato come un salame.

- Stai attento!

L’uomo rivolse un cenno alla figlia e, col camioncino che tossicchiava, sparì velocemente verso la periferia, i fari che ferivano la sera buia.

Shiro tornò rapidamente in salotto seguito da Ribbon, mentre Haine richiudeva la porta, un solo pensiero che le si stava affacciando prepotente alla mente.

Suo padre sarebbe tornato il giorno di Natale.

Quindi la sera della Vigilia sarebbero stati solo loro due.

Io e Shiro. Soli. La vigilia di Natale.

Strinse con forza la maniglia della porta, il cuore che le batteva all’impazzata. Non riusciva a non essere felice, ma le sembrava assurdo che una serie di situazioni del genere continuassero a capitare a lei proprio con un ragazzo che, sicuramente, un giorno se ne sarebbe andato.

Ma che ho fatto di male?!

- Haine! Guarda che se non vieni, la tua cioccolata me la finisco io!

- S-s-sì! – sobbalzò lei, staccando la morsa delle mani dal pomello - E-eccomi!

Entrò in salotto rigida come una scopetta e si sedette sul divano nel punto più lontano possibile dal ragazzo, pregando che il rossore fosse scomparso. Shiro sembrava non aver notato nulla e riprese a sorseggiare la sua cioccolata con tranquillità:

- Cerco che tuo padre *gocc*…

- Fa sempre le cose così. Se deve andare, parte e basta. – sospirò lei, prendendo un buon sorso di cioccolata per rilassarsi – Non si fa troppi problemi ad avvisarmi mentre sta uscendo *gocc*.

Shiro sorrise:

- Si vede che si fida molto di te.

Haine assunse un’espressione compiaciuta.

- Ora che ci penso… - riflettè poi il ragazzo – Tu e Sentaro non avevate delle cose da fare assieme domani?

L’aria gongolante della brunetta scomparve all’instante:

- Accidenti! È vero! Dovevamo andare a compare l’albero…! – mise il broncio, affondando con la schiena nel divano – L’anno scorso Ribbon, giocando, ha praticamente distrutto quello vecchio… E dovevamo prendere anche un po’ di decorazioni, quelle della vecchia casa sono ormai inutilizzabili…

Cacciò la testa all’indietro, sospirando cupa. Shiro diede un’occhiata eloquente a Ribbon, lì vicino, che replicò inclinando la testa con aria innocente, come a dire “non l’ho mica fatto apposta!”. Haine si rigirò la tazza tra le mani, mormorando:

- Che Natale è senza albero?

- Beh, possiamo andarci io e te.

- Come?

- Domattina controlliamo cos’è rimasto di “utilizzabile” – continuò lui sorridendo – e al pomeriggio andiamo a compare l’albero e quel che serve, per l’albero e per la cena dei prossimi due giorni. Che ne dici?

Se avesse dovuto dire la verità, Haine sarebbe saltata in piedi sul divano prendendo a ballonzolarci sopra in preda ad una crisi di ridarella.

Si trattenne.

- Certo! Allora facciamo così, va benissimo!

 

Il mattino successivo Haine si alzò decisamente di buon’ora; si stiracchiò per bene, un sorriso che non l’abbandonava dalla sera prima che le arrivava da un orecchio all’altro, e guardò fuori: c’era un cielo stranamente terso e un bel sole pallido splendeva sulla neve candida, facendola assomigliare alla glassa di una torta.

La brunetta si lavò e vestì rapidamente, correndo a preparare la colazione. Quando ebbe predisposto tutto andò nello sgabuzzino, infilandosi come un serpente in mezzo a scatoloni e cianfrusaglie nel tentativo di estrarre i cartoni giusti. Finalmente i suoi occhi scorsero la scrittura un po’ sbilenca di suo padre e la dicitura NATALE spuntò in mezzo al marasma; con fatica immane Haine allungò un braccio, tirando lo scatolone per un lato quando bastava per riuscire a portarlo fuori da lì senza farsi cadere addosso tutto il resto della roba che c’era la dentro: tira e spingi, girati e piegati, alla fine la brunetta riemerse coperta di polvere fino alle orecchie, ma con la scatola sulle ginocchia, soddisfatta.

- Ma che hai combinato?!

La risata di Shiro le fece quasi cadere il bottino dalle mani:

- Come cos’ho combinato? Ho riesumato la scatola degli addobbi! – disse trionfante; Shiro scosse la testa:

- Sembri un pupazzo di neve, sei bianca dalla testa ai piedi!

Haine si guardò un istante, in effetti aveva polvere dappertutto. Shiro ridacchiò ancora, levandole gli addobbi dalle mani:

- Dai, pulisciti un po’…!

Lei obbedì, mentre il ragazzo portava lo scatolone in salotto.

- Li controlliamo dopo colazione, però!

- Sì, sta tranquillo.

Tossicchiò lei, finendo di spazzarsi i pantaloni. Quando Shiro tornò, fece rapidamente un giro su se stessa:

- Allora? – lui sospirò:

- Hai dimenticato qui…

Le passò delicatamente una mano sulla testa, poi le sfiorò le guance col dorso della mano; Haine restò immobile con gli occhi serrati, sentendo i suoi battiti accelerare.

- Forse è meglio che vai a lavarti la faccia – riflettè lui dopo qualche minuto – Così sto solo facendo più danni *gocc*!

- Sì, forse è meglio. – rispose con un filo di voce – Vai… Vai pure a fare colazione, ti raggiungo.

La brunetta saettò su per le scale e si chiuse in bagno, prendendo due generose mani di acqua gelata e schiaffandosele sul viso.

Di quel passo non avrebbe resistito fino a sera.

Si guardò un istante allo specchio, riflettendo, così però era ingiusto. Anche con tutta la vicenda che si portava appresso, Shiro era pur sempre un ragazzo come tanti altri, e lei una ragazza come tante altre, perché non poteva semplicemente pensarla così?

Lo avrebbe fatto, aveva deciso. Basta con la storia della sua memoria, del pensiero che un giorno se ne sarebbe andato. Per il resto della giornata, lui sarebbe stato semplicemente Shiro.

 

Quando ebbero entrambi mangiato i due ragazzi si misero di fronte alla scatola degli addobbi e cominciarono ad ispezionarla. La situazione era ancor più tragica di quanto Haine ricordasse: nello scatolone c’erano solo una decina di palline di plastica dall’aria triste, un nastrino dorato e dei resti non meglio identificati che, dedusse Shiro, probabilmente appartenevano all’ex-albero dell’anno precedente.

- Direi che bisogna far compere.

- Decisamente!

Si prepararono ad uscire per quel pomeriggio presto. Subito dopo pranzo Haine si fiondò in camera e non spuntò più fino all’ora di uscita; Shiro, che leggeva distrattamente in salotto con Ribbon accanto, ogni tanto guardava il labrador con aria confusa:

- Secondo te che ha?

In tutta risposta Ribbon sbadigliò.

Circa un quarto d’ora prima dell’orario che avevano stabilito il ragazzo si decise a salire fino alla camera della ragazza, ma quando bussò alla porta lei si limitò a rispondere di aspettarla di sotto.

Obbediente Shiro l’aspettò nell’ingresso, il montgomery sotto braccio, cercando di tranquillizzare Ribbon che sembrava fermamente intenzionato a seguirli.

- Siamo usciti venti minuti fa! – puntualizzò il ragazzo – Ora non puoi seguir…

Si bloccò, scorgendo finalmente la sagoma di Haine che scendeva le scale; guardò Ribbon andarle incontro e si preparò a farle una battuta per il ritardo, ma quando la vide restò muto.

- Beh? – gli domandò lei timidamente – Cosa c’è?

- Sei davvero carina vestita così! – ridacchiò appena – Tu che ne dici Ribbon?

Il cane abbaiò come a confermare.

Haine sorrise, leggermente rossa. Certamente doveva avere un aspetto più elaborato del solito, ci aveva messo due ore a prepararsi! Aveva indossato la sua maglietta preferita, quella leggerissima rosa pallido con  applicato un altro strato di stoffa, fatto come una canotta ad una spallina fucsia, sulla zona del busto; la gonna a pieghe che suo padre le aveva regalato al compleanno (praticamente nuova), leggins nero lucido e stivaletti scuri. Aveva finalmente sciolto i capelli, che le sfioravano le spalle con un’onda morbida, e si era leggermente truccata, un velo di ombretto e un bel lucidalabbra rosa trasparente; evento più unico che raro, dato che i suoi trucchi giacevano inermi da mesi, per il semplice motivo che era una di quelle persone che hanno il vizio di fregarsi gli occhi, specialmente quando sono stanche: se si fosse truccata per andare a scuola, nel giro di mezz’ora avrebbe avuto la faccia di un Picasso.

Forse ho esagerato… Così capirà tutto!

Si era ripromessa di considerarlo un ragazzo come tutti, ma non voleva che Shiro capisse la verità sui suoi sentimenti. Temeva che avrebbero potuto metterlo in difficoltà, e non avrebbe sopportato che il loro rapporto si guastasse.

- Non posso mica uscire in divisa! – ridacchiò con naturalezza la brunetta, afferrando la giacca – Beh, cosa aspettiamo? Andiamo, dai!

 

Le strade del centro non erano molto affollate quel pomeriggio, solo qualche coppietta sgusciava tra le stradine parlottando e ridacchiando, e un paio di famigliole erano intente a controllare che i bambini, giocando a palle di neve, non centrassero qualcosa (o qualcuno) di estraneo.

Haine si sentiva al colmo della felicità. Quando entrarono nel negozio, prese a guardare tutto quello che c’era sugli scaffali con l’energia di una bambina in un negozio di giocattoli:

- Guarda questo che carinoo! Ah, questo è adorabile!

- Se lo dici tu *gocc*… - a Shiro quegli addobbi sembravano quasi tutti uguali – Ma ti ricordo che abbiamo un budget limitato… Non possiamo saccheggiare il negozio! Ed è inutile che fissi quell’albero, non ci starà mai in casa *gocc*!!

Haine, però, sembrava non sentirlo. Lui sospirò, sorridendo, in fondo era fatta così.

Alla fine quando uscirono avevano comprato più della metà della roba che piaceva alla ragazza, che camminava quasi canticchiando, euforica.

- Questa roba pesa un quintale *gocc*.

- Come sei noioso! – lo prese in giro – Per due sacchetti!

- Proprio due… - si limitò a rispondere ridendo.

Nonostante il “carico”, passeggiarono ancora a lungo, fermandosi anche per fare rifornimento per la cena. Haine non sapeva più come ringraziare il cielo per quel pomeriggio, avrebbe solo voluto continuasse in eterno.

Ma il cielo non lascia troppe concessioni e, presto, il sole calò. Scese un freddo pungente e, rapidamente, mentre le fioche luci dei lampioni prendevano ad illuminare le strade, il cielo nero velluto si riempì di stelle, nitide come gemme splendenti nell’aria tersa.

- È meglio rientrare. – puntualizzò Shiro, quasi trascinando via la ragazza da una vetrina – Sta cominciando a farsi tardi.

- Di già? – fece lei malinconica.

- Beh, io avrei una discreta fame, non so te…

Si sentì un gorgoglio sommesso; Haine divenne paonazza.

- Ehm *gocc*…

- Direi che è meglio rientrare. – sorrise lui tranquillo.

Mamma che figura...!

- Dai, dammi le buste.

Con gentilezza afferrò i sacchetti e, con la mano libera, prese quella della brunetta, avviandosi rapidamente verso casa; Haine caracollò qualche istante dietro di lui, stringendo il pacchetto della torta che avevano comprato al petto: mantenne lo sguardo incollato al marciapiedi per tutto il tragitto, e stavolta non ebbe il coraggio di ricambiare la stretta neppure di poco.

 

Poco dopo essere arrivati a casa Haine si fiondò ai fornelli. Innanzitutto, perché era tardi e doveva recuperare il tempo perduto a gironzolare, se non volevano cenare a mezzanotte passata; secondo, perché doveva tenere la mente occupata e non pensare al ragazzo, che se ne stava in salotto a giocare con Ribbon.

Ogni tanto lanciava occhiate furtive al soggiorno, stando attenta a non farsi scoprire. I suoi occhi saettavano veloci verso l’albero che Shiro aveva addobbato - dato che era piccolo, era riuscito a cavarsela da solo -  e si fermavano un istante sul pacchetto rosso che lei aveva infilato sotto ai rami senza farsi vedere. Aveva quel pacchetto nascosto nella sua stanza da più di una settimana: niente di speciale, doveva ammetterlo, ma non le era venuta nessuna idea migliore. Qualcosa di fatto a mano, fuori discussione: per il bricolage e i ferri aveva la stessa abilità di un elefante; vestiti era squallido; qualcosa che desiderava… Certo, dove poteva trovare uno strizzacervelli simpatico e a buon mercato che lo aiutasse a fargli tornare la memoria con uno schiocco di dita? Alla fine aveva ripiegato su quel regalo. Gli sarebbe piaciuto, aveva preso quel libro in biblioteca molte volte, ma Shiro non voleva mai chiedere soldi a Sentaro: anche se l’uomo ne aveva praticamente l’affidamento, Shiro non gli aveva mai chiesto un soldo, perfino i (pochi) vestiti avevano dovuto costringerlo a comprarli.

- È pronto!

Sentendo la voce della ragazza, Ribbon abbaiò allegro e si fiondò in cucina ancor prima che Shiro si fosse alzato, speranzoso di un bocconcino appetitoso in regalo.

- Uao, quanta roba! – esclamò il ragazzo sedendosi – Ma ce la faremo a finire tutto *gocc*?

Ammirò la tavola imbandita, dove la torta che avevano comprato faceva bella vista come centrotavola, candida di panna ed invitante quasi quanto il profumino che si alzava dai piatti fumanti.

- Mi ci sono impegnata! – fece Haine orgogliosa.

- Allora prometto che faremo onore alla cuoca. Vero Ribbon?

Il cane abbaiò convinto, prendendo a scodinzolare frenetico. I due scoppiarono a ridere.

Passarono la cena chiacchierando e ridendo, riuscendo a spazzolare quasi tutti quel che Haine aveva preparato. Alla fine, però, dovettero arrendersi, e mentre si accomodavano meglio sulle sedie con l’aria insonnolita e le pance piene, la ragazza si sforzò di alzarsi:

- Almeno non dovrò cucinare domani. – ammiccò, mentre metteva gli avanzi in dei contenitori di plastica e gli infilava in frigo.

- Non so se riuscirò a mangiarli… - scherzò Shiro – Ho mangiato tanto da andare avanti due giorni con le riserve!

Lei lo guardò un istante, per poi sorridere furbetta:

- Quindi non c’è spazio per la torta?

- Per quella c’è sempre spazio.

Haine scoppiò a ridere di nuovo.

Shiro e Ribbon andarono in salotto, dove il ragazzo si lasciò sprofondare nel divano e il cane si abbandonò col muso sulle sue ginocchia, l’aria assonnata. Haine tagliò due fette di dolce e le portò nell’altra stanza, anche lei fermamente intenzionata a gustarsi il dessert spaparanzata sui cuscini.

Era appena entrata in soggiorno, quando il telefono squillò.

- Chi può essere a quest’ora? – domandò appena Shiro, alzandosi. Haine scosse la testa:

- Forse è papà…

- Vado io, tu pensa a mettere in salvo la torta.

Haine sorrise ed obbedì. Posò i piattini con il dolce a distanza di sicurezza da Ribbon, che già li puntava goloso, e sentì distratta Shiro rispondere alla chiamata.

- Casa Ichinomiya, chi…?

Il ragazzo si zittì di colpo. Haine si voltò stupita verso il corridoio, facendosi più attenta.

- Kiriaki-san…

Haine si bloccò, sentendo una fastidiosa morsa alla gola.

Perché, perché stava chiamando proprio in quel momento? Allontanò con un gesto svogliato l’ennesimo tentativo di attacco di Ribbon, guardando un po’ delusa l’espressione eccitata di Shiro.

- No, stia tranquillo, noi… Sì, sì… Però, mi dica, allora?! Com’è andata? Cosa…?

Ci fu nuovamente silenzio. Haine sporse di più la testa per vedere meglio il ragazzo: questo fissava un punto sul muro, inespressivo, senza dire una parola mentre ascoltava l’avvocato; poi Shiro sorrise triste:

- Sì, certo, ho capito. Non si preoccupi, la ringrazio moltissimo per il suo aiuto. A presto Kiriaki-san, e buon Natale.

Il ragazzo chiuse la comunicazione. Tornò in salotto nel più perfetto silenzio, sedendosi lentamente sul divano con un’espressione delusa in volto; Haine lo fissò preoccupata:

- Cos’è successo? Tutto bene?

Lui poggiò i gomiti sulle ginocchia, abbandonando la testa in giù:

- È finita…

- Come?!

- Kiriaki-san ha detto che la pista che avevamo trovato era un vicolo cieco. – sospirò cupo – Ora non ci sono altri posti in cui possiamo andare a cercare, né possiamo accedere ad altri mezzi per avere informazioni su di me.

- Come sarebbe…? Io credevo…

- Kiriaki-san dice che questo è il massimo che potevamo fare. A questo punto, si aprono tutte quelle possibilità che è impossibile vagliare senza tirare in ballo poliziotti ed assistenti sociali: potrei essere giapponese solo per metà, quindi avere la nazionalità di uno dei miei genitori e non essere registrato all’anagrafe di questo stato; potrei aver vissuto qui per qualche tempo e non ricordarmelo, o potrei essere di Tokyo, o di qualunque altra città ed essere arrivato in Hokkaido solo poco prima di finire in coma. Potrei anche aver vissuto all’estero… Tutte possibilità che non si possono confermare, a meno che non mi ritorni la memoria.

Haine lo fissò in silenzio. Un’idea si fece largo nella sua mente, quasi subdola, che alla frase di Shiro continuava a ricollegarsi come un’equazione.

Deve aspettare.

Non può andarsene.

Quindi…

Si morse il labbro, sentendo il gelo premerle sul petto: come poteva pensare una cosa simile?!

Chinò la testa di scatto, nascondendo il viso.

- Haine, che ti prende…? – domandò Shiro preoccupato – Ehi, ma tu stai piangendo!

Lei non si mosse, le spalle he tremavano mentre tentava di trattenere le lacrime.

- Haine, dai non fare così. – cercò di calmarla, sfiorandole la nuca con una mano – Non…

Lei lo allontanò di colpo, prendendo poi a fregarsi nervosamente il viso con le mani, asciugando le lacrime.

Non voleva la consolasse.

Non voleva che fosse gentile con lei.

Non se lo meritava. Era meglio che la trattasse male, e forse lei si sarebbe sentita un po’ meno colpevole.

- Haine…

Lei tirò sonoramente su col naso, finendo di asciugarsi alla bene e meglio le guance fradice.

- … ndo…

- Come?

- … Quando… - ripetè lei con voce roca – Hai detto… Quando hai detto che quella… Quella era l’ultima possibilità io… Mi sono dispiaciuta… Però…

Le sfuggì un singhiozzo secco che le incrinò la voce.

- Però… Poi io ho pensato che… Che saresti rimasto qui e sono stata… Sono stata

Non dirglielo, stupida!

- … Sono stata felice…

- Eh?

- … Scusami, non volevo…! – pigolò lei – Non sai chi sei! È una cosa così crudele che io abbia pensato…! Solo che…! Solo che, dopo che avete cominciato a cercare notizie sul tuo passato… Ho pensato… Scusami, ti prego!

Si fermò un istante, tentando di riprendere fiato. Shiro non parlava, limitandosi solo a scostarle qualche ciuffo di capelli dietro l’orecchio; stavolta Haine non lo scacciò.

Si sentiva un verme.

Era stato un pensiero stupido. Cattivo.

E una speranza subdola.

Come poteva aver sperato che lui restasse li?! Era della sua vita che si parlava, stava cercando di ricordarsene, eppure… Eppure lei lo aveva sperato.

Che restasse lì.

Con loro.

Qui con me e papà.

Con noi.

- Ho pensato… - riprese lei dopo un po’, con voce sottile – Che se avessi avuto le notizie che cercavi… Te ne saresti andato subito e…

- Haine…

- In realtà… Vorrei che tu restassi qui…

Con noi.

Le parole giuste sono “con noi”.

Con…

- … Con me…

Accidenti!

Calò qualche secondo di silenzio, mentre Shiro continuava a guardarla senza cambiare espressione. Haine si passò il dorso della mano sul viso, rossa come un papavero tra il pianto e la vergogna.

- No… N-non è che… Non volevo dire… S-senti, io…

Lui le fece segno di tacere. Le sorrise con dolcezza, sfiorandole la guancia con una mano.

- Grazie.

Haine lo guardò confusa.

- Haine-chan ti vuole bene. Non farla piangere, fratellone! -

Haine doveva ammettere di averci pensato, un paio di volte, di essersi immaginata la scena. Certo non avrebbe mai voluto avere la faccia che aveva in quel momento, con gli occhi gonfi e lucidi, le guance arrossate e l’espressione triste, né si sarebbe aspettata che succedesse nel bel mezzo di una sua dichiarazione così patetica.

Decisamente il quadretto era troppo poco romantico e abbastanza imbarazzante.

Eppure, proprio in quel momento, Shiro la stava baciando.

Non ebbe quasi il tempo di focalizzare la situazione che lui s’era già allontanato, guardandola con un misto di dolcezza e curiosità. Haine si portò due dita alle labbra, premendocele poi contro con forza, il cuore che riprese a battere al doppio della velocità; sentì di arrossire violentemente e Shiro ridacchiò.

- N-non ridere! – mormorò lei, confusa.

- Scusa – disse premendole la fronte contro la sua – è che sei così carina…!

Lei chinò la testa in imbarazzo.

- … P-perché…?

- Me lo stai chiedendo sul serio? – le domandò.

- Certo che te lo chiedo! – protestò lei – I-io non… Non mi hai mai fatto capire qualcosa!

Lui la guardò, aspettando continuasse. Haine trovava difficilissimo guardarlo negli occhi:

- E ora, dopo che io me ne esco con questa confessione stupida…!

- Haine.

Le prese il mento tra le dita, senza smettere di accarezzarle la nuca.

- Non sono arrabbiato per quel che hai pensato. Non è che mi hai impedito di avere delle risposte o hai nascosto dei dati importanti, hai solo pensato che ti sarebbe piaciuto che io mi fermassi qui. – la guardò con finto fare indagatore, ma gli si leggeva una luce scherzosa negli occhi scuri – Non hai nascosto niente vero?

Lei si lasciò andare ad una risatina un po’ nervosa:

- No. Però…

- Nessun “però”, è ok. Davvero. E per questo – le sorrise con dolcezza, battendole appena l’indice contro le labbra – pensavo semplicemente che non fosse il caso.

- In che senso?

- Beh, non era detto che fossi il tuo tipo! – rise – E poi, scusa, ho quel piccolo problema della memoria e… Insomma, ci potrebbero essere altre centinaia di motivi per cui non dovrei piacerti.

- Ma non è vero!

- Tu invece perché non me l’hai detto?

Haine lo fissò, arrossendo di nuovo:

-  … Beh, ecco… Tu sei sempre così gentile, avevo paura di metterti in difficoltà, e poi c’erano…

S’interruppe un istante. Shiro sorrise, fissandola, e lei ricambiò con un sospiro.

- C’erano?

- Centinaia di motivi per cui non avrei dovuto piacerti.

- Non è vero.

Si sorrisero, restando lì vicini e in silenzio per alcuni minuti.

- Che dici, - fece poi lui, baciandola sulla guancia – mangiamo la torta prima che se la spazzoli Ribbon?

Haine rise di nuovo, annuendo. Mentre prendeva il dolce, Shiro si sistemò meglio sul divano:

- Chissà che ne penserà Sentaro… Dici che mi tira dietro qualcosa?

- Non vorrai dirglielo, spero!

- Sarà un po’ difficile nasconderglielo – disse allusivo – viviamo sotto lo stesso tetto.

- No, ti prego! Mi prenderà in giro a vita!

- Dovresti preoccuparti che invece si arrabbi con me *gocc*. – borbottò lui. Haine sorrise furba:

- Mah… Forse un po’ il rischio c’è…

- Ohi ohi!

La brunetta rise di gusto e, coi due piattini in mano, si sedette quasi saltando sul divano, appiccicandosi al ragazzo con un sorrisetto divertito; lui sollevò un sopracciglio e la guardò sorridendo, mentre entrambi si avventavano sulla torta.

Haine pensò che fosse la torta più buona che avesse mai mangiato.

 

 

 

 

(*) città dell’Hokkaido realmente esistente; coordinate geografiche e nome sn esatti, per la descrizione, ammetto, ho inventato ^^””. Avevo bisogno di un nome per un paesino relativamente piccolo, ma non trovandone ho preso il primo che mi piaceva di più xP, gomen!

(**) avete presente il film della serie, con Hilary sulla spiaggia armata di mazza ^^ (che ancora un po’ e invece del cocomero fracassa la testa di Takao)? Quello xD!

(***) una specie di stufato che si cuoce in tavola, con carne e verdure (è buoniiiissimo ^ç^!!)

(****) [BASTA NOTEEEE!! ndTutti – sorry, il chappy è lungo ç__ç ndRia] il Giappone chiamare una persona per nome e senza il suffisso (vezzeggiativo – “kun” e “chan” – o di rispetto – “san” e “sama” – che sia) è considerato indice di estrema confidenza ;)…

 

 

Lo so, lo so, è terribilmente pieno di zuccheri xPPPP (Bleah -___-“”. ndKei – Ma tu che vuoi?! Non ci sei, e oltretutto non accetto commenti da uno che ha la sensibilità di un iceberg! Sparisci, và!). cosa dite, sono da pomodori? Da patate marce? Da fucilazione xD? Decidete voi, ma non mi fate troppo male ^^””… Ringraziamo chi è sopravvissuto fin’ora!!!

Ametista: scusami per averti fatto aspettare tanto, col tuo entusiasmo mi sento cattivissima ç__ç! Ho anche un po’ paura a scoprire la tua reazione a questo cap ^^””… Ps magari prima della fine Akira ricomparirà, chissà ;)…

Ella_Sella_Lella: naaa, troppi complimenti, poi ci crederò sul serio xD (e scommetto che tu 6 molto + bella di tua sorella è.é!). Beh, spero che anche questo cap ti stupisca, anche se è altamente depressivo per buona parte xP

Violet_Rose: eccovi accontentate ^^. Spero di aver corretto tutti gli errori ^^”” (se in questo qualcuno m’è scappato, gomen, sn quasi le due xD) grazie mille!

Lenn chan: nee-sama, che onore!! Sn troppo contenta di ricevere complimenti da te ^\\^ (gongola, gongola – See, i sette nani! ndKei – Ma sparisci!). x il momento ancora niente memoria, succederà nel prossimo… E sarà il delirio! (ho detto troppo!).

Ci si vede alla prossima, sperando sia presto xD! Ciao a tutteeee!

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Capitolo 4
*** … E la rondine si fermò ***


 

Salve genteeeee!!!

SDENG! *Ria rotola a terra centrata da un’incudine*

Ç_çPerdonooooo!! Chiedo immenso, sommo perdono per il mostruosissimo ritardo T___T!! Spero che a tutti voi sia arrivata la mia mail in cui (cerco ^^””) di giustificare la mia interminabile assenza e spero che possiate perdonarmi…

Volevo ringraziare tutti coloro che l’hanno già fatto, mi avete davvero tolto un peso dal cuore ç__ç… Continuate a seguirmi, vi giuro che non sparirò più per così tanto tempo ^^””!!

Ora vi lascio all’ultimo capitolo. Spero vi piaccia, mi è costato nervi e sudore, visto che (tanto per aggiungere sfiga alla sfiga T_T*) ho dovuto riscriverlo quasi tutto ç__ç… Ero arrivata a metà e poi ho perso il file, non so se l’ho salvato da qualche parte e non me lo ricordo, o ho sovrascritto più file o che altro =_=”. È un po’ più corto rispetto ai precedenti, ma ci ho messo tutto il mio impegno! Mi dispiace salutare Haine e Shiro, alla fine mi sono affezionata tantissimo ad entrambi ^w^! Spero anche voi, vi lascio alla lettura ;)!

 

 

 

 

 

 

Paragrafo 4 ◦ … E la rondine si fermò

 

 

2004. Aprile.

 

Haine si passò una mano sulla fronte, soddisfatta. Prese il grosso cesto di vimini ormai vuoto e se lo mise in braccio, guardando attenta Ribbon che abbaiava alle lenzuola pulite stese ad asciugare, mosse dal vento.

- Non provare nemmeno a morderle! – lo rimproverò – Non ho intenzione di fare un’altra lavatrice, sai?!

Lui la fissò deluso, accucciandosi poi a terra al suo sguardo irremovibile.

La ragazza tornò in casa col cane alle calcagna, dirigendosi verso le scale, e posato il cesto in bagno corse in cucina tutta baldanzosa. Non fece in tempo a riempire la ciotola del labrador che questo si fiondò nuovamente fuori, abbaiando felice; Haine ascoltò il rimbombo sordo del motore del furgoncino e seguì Ribbon con un sorriso, accogliendo i due nuovo arrivati sulla soglia.

- Toh! Ciao zietta, come va? – la schernì suo padre.

- Papà, falla finita. – rispose lei senza battere ciglio – Ciao Shiro.

Il ragazzo, che stava scendendo dalla parte del passeggero, sorrise con un cenno, tirando giù dal camioncino una grossa borsa scura dall’aria decisamente pesante.

- Papà sta ancora cercando di farti desistere dal lavorare con lui? – ridacchiò Haine vedendo il bagaglio.

- Al contrario! – esclamò il padre, superandola ed entrando dentro – Da quando c’è lui metà delle ragazze del circondario ha preso a venire a fare compere da noi.

- Ah. – fu la risposta improvvisamente seria della ragazza.

 L’uomo sparì sulle scale sogghignando divertito. Haine guardò Shiro raggiungerla, il borsone su una spalla, per poi fermarsi di fronte  alla brunetta; lei lo fissò immusonita.

- Non vorrai credergli, vero? – disse Shiro con un’eloquente occhiata.

- Certo che gli credo! – sbuffò voltandosi – Lo so che è vero. Uffa…!

Lui ridacchiò, chinandosi fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra:

- E anche se fosse? Sei tu a piacermi, scemotta.

Haine divenne paonazza. Shiro la guardò e, sorridendo, le diede un bacio in fronte, poi entrò seguito dalla brunetta. Haine sospirò, anche dopo quasi due anni le capitava di arrossire troppo spesso, ma si sentiva così felice che andava bene comunque.

Dopo la notte di Natale di due anni prima, quando si erano dichiarati, era stato difficile dire di loro due a suo padre senza rischiare l’infarto; per sua fortuna (o sfortuna, Haine era indecisa) suo padre era quello che era e si era limitato a scoppiare a ridere e a prenderli in giro ad ogni occasione, da lì ai successivi due anni.

Shiro ormai sembrava aver dimenticato il suo problema di amnesia, da tempo aveva smesso di parlarne. Trascorreva le giornate ad aiutare Sentaro in negozio, a leggere e ad insegnare beyblade ai ragazzini del vicinato: aveva ricominciato circa un anno prima, sfidando alcuni compagni di classe di Haine e da allora la sua passione per quel gioco si era riaccesa, impossibile da spegnere.

Haine era felice di vederlo tanto entusiasta; era felice per tutto, a dire il vero.

Aveva una vita tranquilla, la primavera successiva si sarebbe diplomata, aveva una bella casa, un padre un po’ scemo, ma adorabile, e aveva Shiro.

Era tutto perfetto.

Fece un gran sorriso e corse in cucina per il pranzo.

Niente, niente potrebbe rovinarmi tutto questo!

 

***

- Quindi, voglio che tutti abbiano pronte le foto per l’annuario scolastico entro la fine del semestre, d’accordo?

La classe ci sciolse in lamenti e borottii.

- Ma come, capoclasse?! Di diplomiamo al prossimo aprile…

- Non è un po’ presto?

Haine indicò con decisione l’elenco degli eventi per l’anno successivo, sbottando perentoria:

- Quest’anno non solo avremo il festival della cultura, il festival scolastico e quello sportivo, ma anche non so quanti esami! Non voglio correre dietro a ciascuno di voi come una disperata e non voglio che qualcuno sia insoddisfatto del suo ricordo nell’annuario! Quindi nessuna discussione!

Ci furono altri sospiri seccati, ma annuirono tutti. Soddisfatta Haine sentì la campanella e guardò i compagni scemare verso l’uscita, mentre lei raccoglieva le sue scartoffie dalla cattedra.

- Ichinomiya-chan come al solito un gran discorso!

- Grazie Ebiwasa-chan. – sorrise la brunetta.

- Il miglior capoclasse che abbiamo mai avuto. – assentì un ragazzo moro dagli occhialetti stretti – anche se non eloquente quanto me…

- Modesto come sempre, eh Ishima-kun *gocc*?

Tutti risero e Haine sospirò sorridendo. Era diventata capoclasse l’anno precedente e ora lo era per la seconda volta; era difficile credere che ci fosse riuscita, ma dopo essersi messa assieme a Shiro aveva scoperto di essere molto più forte e determinata di quanto credesse, oltre a saper avere il giusto ascendente sui compagni.

Rimise i fogli nella cartella e fece per uscire, sarebbe subito andata a finire i compiti, quindi avrebbe scritto le ultime pagine del suo racconto (ormai era finito) e quando Shiro fosse tornato dal lavoro sarebbero andati a fare un giretto. Sorrise con aria un po’ tonta, arrossendo, escludendo i compiti era quasi la sua giornata ideale!

Si bloccò quando sentì chiamarla una voce maschile:

- Kuwasabe! – esclamò, vedendo il suo ex-compagno di classe venirle incontro – Ciao!

- Buongiorno Ichinomiya – rispose lui con un sorriso asciutto – ti cercavo.

- Me? Come mai?

Lui prese a frugarsi nelle tasche della divisa cercando qualcosa:

- Beh, stavo preparando i bagagli per l’università…

- Bagagli? Ma ci diplomiamo ad aprile prossimo! – esclamò lei – Non devi ancora dare gli esami di ammissione?

Kuwasabe la fissò un sitante e Haine fece un sorrisetto tirato:

- Ah, già, come se fosse un problema per te l’esame di ammissione all’università di Tokyo *gocc*…

Del resto non si poteva aspettare altro da uno la cui media scolastica era del 100 ad ogni compito.

- Ah, ecco!

Kuwasabe tirò fuori dalla tasca una piccola busta di carta e la porse ad Haine:

- Avevo terminato il lavoro da un po’, ma con gli esami e il resto… Poi ci hanno cambiato di classe e (lo ammetto, scusa) me ne sono completamente dimenticato. Rimettendo in ordine è saltata fuori, credevo la volessi.

Haine afferrò trepidante la busta. Dentro c’era qualcosa di sottile e semirigido, come una fotografia.

La foto…!

- Sei… Sei riuscito a sistemarla?!

- Una faticaccia – sbuffò il ragazzo – però ora l’immagine è finalmente visibile.

- Grazie mille Kuwasabe!! – trillò la brunetta – Grazie, grazie di cuore!

Corse via più veloce che potè, diretta a casa, la busta stretta al petto.

Chissà come sarà contento!

 

***

Quella sera Haine era più allegra del solito; Sentaro era uscito con degli amici, Ribbon era tranquillo, e lei avrebbe potuto dare con tutta calma la sua sorpresa a Shiro.

Mentre preparava il the sorrideva sotto i baffi, chissà come avrebbe reagito… Pensò al moro che apriva la busta e poi la abbracciava, grato, la baciava e…

Scosse la testa con foga, diventando scarlatta.

Da quando sono una maniaca?!

La teiera fischiò e Haine portò le due tazze fumanti in salotto, poggiandole sul tavolino basso che avevano messo di fronte al divano; Shiro coccolava sovrappensiero Ribbon e la guardò sorridendo:

- Cos’è quella faccia?

- Quale faccia?

- Quella faccia da furbetta. – puntualizzò indicandola – Tu mi nascondi qualcosa!

Haine serrò le braccia dietro la schiena sopra la busta (che spuntava dalla tasca posteriore dei pantaloni) e scostò la testa teatrale:

- Assolutamente no!

- Cos’hai lì dietro?

- Proprio nulla… Per te almeno. – ridacchiò con una linguaccia.

- Dai, fa vedere!

- No-o !

I due cominciarono a lottare per gioco, Haine che rideva come una matta e Shiro che tentava in tutte le maniere di raggiungere il regalo nascosto dietro di lei.

- Ah n…! Fermo! Maniaco, non toccarmi il sedere!

- Tu mi dai la sorpresa e io non cerco più di prenderla! – lei rise più forte:

- Scordatelo!

Shiro le afferrò i polsi e la bloccò con la schiena sul divano, guardandola languido; Haine deglutì a vuoto.

- Allora, mi dai quell’affare?

- N-no.

La baciò con dolcezza, lasciandole i polsi così che lei potesse passare le mani dietro il suo collo: com’era piacevole quello sfarfallio nello stomaco…!

Haine si allontanò un poco di malavoglia, lasciandosi andare di peso sul divano con uno sbuffo:

- Sei sleale!

- A dire la verità volevo solo baciarti…

Haine arrossì parecchio e Shiro rise.

- Antipatico!

- Su… - la fece alzare baciandole la guancia – Mi fai vedere cos’hai lì?

Haine sorrise soddisfatta e gli porse la busta gongolando; Shiro la prese, confuso, e passò lo sguardo dalle sue mani al viso della ragazza, piegato in un sorriso sornione. Aprì titubante la busta e prese il contenuto con due dita, fermandosi senza fiato appena scorse il bordo:

- Questa…!

Guardò Haine quasi spaventato. La ragazza gli prese la mano e gli rivolse un’occhiata incoraggiante:

- Un mio compagno di scuola l’ha fatta sistemare. – spiegò – Lo so che è da tanto che… Beh, qualunque cosa ci sia sopra, potrebbe aiutarti…

Lui l’abbracciò stretta:

- Sei fantastica Haine…!

Lei ricambiò la stretta (con una certa soddisfazione, anche) e lo spinse a finire di aprire la busta.

Dentro c’erano due cose. La prima era la foto originale che Shiro aveva addosso quando era stato ritrovato, sporca e rovinata da essere illeggibile.

L’altra era la scansione ritoccata fatta da Kuwasabe.

Più che una foto, pareva un collage di altre foto ritagliate alla bene e meglio e appiccicate una vicino all’altra.

Al centro della foto, il più alto di tutti, Haine riconobbe Shiro, anche se nell’immagine doveva avere circa dieci anni; sembrava che dalla foto avessero ritagliato lo sfondo di un parco giochi, in cui Shiro sorrideva a pieno viso.

Nell’angolo in basso a destra (nell’unica parte del collage che sembrava estrapolato dalla stessa foto), c’era l’immagine di una bambina dai capelli neri lunghi, l’aria timida e un po’ spaesata; reggeva la mano ad una bambina dai capelli rossi con un gran sorriso e vivaci occhi castani, un beyblade stretto nella mano libera e tenuto in alto come in trionfo.

Dalla parte opposta c’era la foto di un ragazzino smunto dall’aria triste. La sua foto sembrava essere stata strappata da un qualche schedario, sembrava più una fototessera, e Haine era quasi certa che il mezzo sorriso che gli piegava la bocca fosse un evento raro. Vicino a lui uno dei frammenti dell’immagine ritraeva un’altra ragazzina dai capelli neri, grande all’incirca come Shiro e con straordinari occhi verdi.

Haine sorrise e guardò Shiro entusiasta:

- È perfetta! Si vede davvero…

S’interruppe, notando l’espressione di Shiro.

Il ragazzo fissava la foto senza dire nulla, concentrando lo sguardo sull’ultima figura, ritagliata e incollata accanto alla sua: ritraeva una bambina dai luminosi occhi celesti, i capelli rosa legati in due codini e un gran sorriso. Haine guardò ancora Shiro e sentì lo stomaco contrarsi.

Perché fai quell’espressione dolce?

Sentì d’impulso che avrebbe dovuto toglierli la foto dalle mani, ma restò immobile col braccio a mezz’aria. Shiro era ancora immobile, gli occhi nell’espressione più tenera che Haine gli avesse mai visto.

- Micchan…!

 

***

Maggio.

 

Il treno sfrecciava verso l’isola di Honshu rapido e rumoroso, cullando i passeggeri con suo vibrare ritmico. Shiro dormiva già nel sedile di fronte a lei, ma Haine aveva tutto tranne che sonno, specialmente un incredibile malumore.

Che diavolo ci faccio qui?

Se lo ripeteva dalla partenza e ancora non riusciva a spiegarsi. Cosa centrava lei, con Shiro e quelle tipe? Nulla.

Non c’entro niente io.

Subito dopo che Shiro aveva visto la foto, di colpo aveva ricordato ogni cosa. Preso dall’agitazione aveva chiamato l’avvocato Kiriaki per dirgli ogni cosa e l’uomo l’aveva raggiunto la sera stessa, portando poi Shiro, Sentaro e Haine a Sapporo, dall’amico poliziotto che aveva preso in cura il caso del ragazzo.

Haine ricordava confusa quei giorni frenetici, il riepilogo degli avvenimenti da parte di Shiro prima del suo incontro con gli Ichinomiya, la sua vita precedente ripetuta più e più volte, le ricerche di contatti. Per la maggior parte del tempo la brunetta se n’era rimasta in un angolo, guardando suo padre e Shiro discutere coi poliziotti, quasi desiderando non conoscere cosa si stava scoprendo del passato del ragazzo; eppure, l’immagine della foto (che, sapeva, in quel momento Shiro teneva ben stretta nella tasca interna della giacca) e la sua storia le martellava in testa ogni secondo.

Il suo nome completo era Shiro Hirotaka ed era nato il 3 marzo del 1985, a Tokyo; non ricordava quasi nulla dei suoi genitori, perché era stato rapito quando aveva cinque anni e non li aveva mai rivisti da allora. I colpevoli della sua sparizione, a quanto pareva parecchio noti alla polizia, erano un’organizzazione criminale conosciuta con l’acronimo P.s.a.i.c.o. (Haine non ricordava assolutamente il significato, troppo complicato) che compiva losche ricerche sul paranormale e usava ragazzini per i suoi esperimenti. Shiro aveva detto di non ricordare molto bene il periodo trascorso là dentro, o meglio faceva intuire di non volerne parlare in modo approfondito: ripensarci lo faceva stare male e Haine malediceva ogni volta il poliziotto di turno che insisteva con le domande.

Per farla breve, ad un certo momento Shiro aveva trovato l’occasione per fuggire, portando con sé alcune ragazze rapite con cui aveva stretto un solido rapporto; il piano, però, era stato scoperto, e Shiro era stato punito (nemmeno su quello Shiro dava troppi dettagli e Haine pensava fosse meglio così) per poi essere abbandonato in fin di vita sul ciglio della strada dove gli Ichinomiya lo avevano soccorso. Le sue amiche invece furono tenute prigioniere.

Avevano perfino la data precisa della notta in cui tutte le speranze di Shiro erano state spezzate; il ragazzo l’aveva appuntato sul ciondolino rotto che gli avevano trovato addosso la notte che lo avevano salvato: 11 ottobre 1999.

11 ottobre… E l’ideogramma di ali. Ali per essere libero.

Haine strinse le labbra in una morsa, ripensando alla foto che ritraeva tutto il gruppetto di amici che Shiro aveva conosciuto in quel luogo orrendo, gli amici con cui aveva un legame che con lei non avrebbe mai avuto.

Eveline Yoshiji, la ragazzina da capelli mori, che in quel momento doveva avere circa tredici anni; Ruka Rin, quella coi capelli rossi, e Margot, la ragazza dagli occhi verdi, quindici e sedici anni; poi Omega, il ragazzino smunto, su cui Shiro non poteva dare altre informazioni perché lo aveva conosciuto sempre e solo col nome sceltogli dall’organizzazione.

Infine, la ragazza con i capelli rosati, Midori Takamura. Solo a pensare a quel nome Haine aveva voglia di prendere a pugni qualcosa.

Shiro aveva detto che quei ragazzi erano suoi amici, anzi quasi la sua famiglia; Haine, però, aveva capito che c’era qualcosa di diverso, almeno quando parlava di Midori.

Shiro era innamorato di lei.

È stato, è stato.

Puntualizzò, sebbene una stretta metallica le avesse preso lo stomaco.

Anche se lui non lo diceva, Haine aveva capito. Il modo in cui guardava la sua foto, il modo in cui parlava di lei, il suo sguardo dolce e tenero.

Non mi ha mai guardato così.

Haine si strinse di più le braccia al petto e si rannicchiò sul sedile, appoggiando la testa al vetro.

Ora si stavano dirigendo a Tokyo proprio per incontrare quelle ragazze. Il signor Kiriaki, dopo lunghe ricerche, aveva contattato un giovane allenatore di beyblade (un certo Kinomiya, se ricordava bene) che poteva rintracciarle; Haine e Shiro non dovevano far altro che raggiungerlo alla sede centrale giapponese della BBA.

La brunetta si domandò ancora perché diavolo avesse seguito il ragazzo e, guardandolo dormire, si ricordò la faccia supplichevole che Shiro aveva fatto, chiedendole di seguirlo. Haine sbuffò, serrando gli occhi.

Ma cosa c’entro io qui?

 

***

Lasciarono le valige in albergo e poi chiamarono un taxi, diretti alla sede della BBA. Haine si accoccolò sul sedile posteriore imbronciata, tentando di ignorare l’espressione raggiante ed emozionata di Shiro:

- Hitoshi Kinomiya ha detto che basterà presentarci in reception e chiedere di lui – disse concitato il ragazzo, per la terza volta – e che Midori e le altre saranno già lì con lui.

- È fantastico, no?

Shiro era troppo felice per accorgersi che il sorriso di lei era falso e tirato. Guardò ancora fuori dal finestrino, eccitato, e Haine pregò che il taxi bucasse in tangenziale. Tutte e quattro le gomme.

 

***

 

L’edificio sede della BBA era un grosso grattacielo moderno, costruito da poco meno di un paio d’anni. Entrando dalle porte scorrevoli si accedeva ad un grande atrio, luminoso e accogliente, in fondo al quale, dietro ad un’elegante scrivania, stava una sorridente giovane donna dall’aria gentile; era l’ambiente giusto per accogliere i giovani che si avvicinavano all’associazione.

Forse per quello Haine si sentì ancora peggio entrando. Non riusciva a sopportare quel calore, quello spazio largo e comodo, quella luce allegra: si sentiva triste, arrabbiata, cattiva, voleva chiudersi in una stanza senza luce e possibilmente bombardarsi le orecchie con musica così alta da darle il mal di testa; non voleva essere lì.

Restò qualche metro indietro, annuendo e sorridendo come un’ebete mentre Shiro le diceva che andava ad annunciarsi alla receptionist.

Non voleva essere lì. Non voleva conoscerle, non voleva neppure vederle! Men che meno quella Midori!

Ma che sto facendo?

Seguì docile Shiro nel corridoio, seguendo le indicazioni dell’impiegata e fissando l pavimento per non vedere la faccia contenta del ragazzo, se non sollevando la testa di quando in quando per ricambiare con un sorriso falso. Sospirò e pregò che, quantomeno, quella tortura finisse presto.

Giunsero in un corridoio che si affacciava su una grande stanza con le pareti trasparenti; in piedi di fronte ad uno dei finestroni, intento a parlare al cellulare, c’era un ragazzo forse un po’ più giovane di trent’anni, con lunghi capelli celesti raccolti in una coda e un giubbotto con lo stemma della BBA sopra. Quando li vide si girò verso di loro salutando e chiuse la comunicazione, andandogli incontro:

- Salve. – disse Shiro stringendogli la mano – Sei tu Kinomiya… Vero?

- Chiamami Hitoshi. – rispose gentilmente l’altro – Tu invece sei Shiro, giusto?

Il ragazzo annuì e ad Haine sembrò che Hitoshi lo fissasse con un certo stupore.

- Ru-chan aveva ragione, gli assomigli un po’…

- Come?

- No, niente. – sorrise vago – Tu invece devi essere Haine, vero? Il signor Kiriaki mi ha parlato anche di te.

Haine annuì e gli strinse la mano, cercando ancora di decifrare cosa avesse visto nel viso di Shiro da sorprenderlo tanto.

- Bene. – sorrise ancora Hitoshi, mettendo una mano sulla spalla di Shiro – Midori-chan e gli altri saranno qui tra un po’. Intanto, però, ci sono un paio di persone che dovresti incontrare.

- Un paio di persone?

 

***

- Giuro che Hitoshi lo ammazzo!

- Dai Akira, ora calmati…

- Un corno Tsubame! – sbottò il brunetto incrociando le braccia – Devo stare sempre ai comodi di quell’idiota!

La ragazza sospirò passandosi la mano sulla fronte, anche dopo mesi di vita tranquilla, Akira era sempre iroso come se gli pestassero i piedi dal mattino alla sera.

- Mi domando ora perché ci siamo dovuti sbattere a venire fin qui… - borbottò, poi si guardò attorno, a disagio – Non siamo certo i benvenuti da queste parti.

- Nessuno ormai potrebbe più riconoscerci. – lo rassicurò la mora – Hitoshi ha garantito per noi al presidente Daitenji… E il campionato è ancora lontano, quindi non c’è il rischio di incrociare i Bladebreakers o qualcuno dei loro amichetti.

Lui grugnì in risposta. Tsubame sorrise, sfiorandogli con dolcezza il braccio:

- Guarda che se non ti rilassi un po’ morirai d’infarto.

Akira emise uno sbuffo divertito:

- Spiritosa.

Sentirono dei passi nel corridoio e si voltarono. Akira scorse la figura di Hitoshi e si preparò ad insultarlo, ma le parole gli morirono in gola quando scorse chi lo affiancava. Sentì Tsubame che tratteneva un urletto di stupore.

 

Haine guardò la scena confusa. Quando Shiro aveva intravisto i due ragazzi nel corridoio era rimasto come pietrificato e anche loro, vedendolo, erano impalliditi come se avessero visto un fantasma.

Haine li fissò entrambi. Riconobbe nella ragazza mora la ragazzina della foto, Margot, anche se ora era parecchio cresciuta: ormai con quasi le forme di una donna, i capelli neri che scendevano ondulati e morbidi sotto alle spalle, tenuti raccolti da una coda morbida, e gli occhi, verdi e profondi. Non sapeva invece chi fosse il ragazzo al suo fianco, quello che scrutava Shiro con la bocca a mezz’asta: capelli scuri e occhi anche lui verdi, ma di un tono più cupo rispetto a Margot, e dalla forma all’ingiù(*).

Hitoshi si fece avanti per rompere il ghiaccio:

- Akira, vi spiegherà lui cos’è successo. – disse piano, indicando Shiro; poi si avvicinò alla ragazza e le fece segno di avvicinarsi, spingendola piano sulla schiena – Del resto, penso che se te lo dicessi io non mi crederesti, Tsubame!

Shiro fece un passo verso la mora, che aveva le mani sulla bocca e stava per piangere:

- Tsubame?

Lei annuì senza rispondere. Shiro le sorrise:

- È davvero bello!

La ragazza mandò un singhiozzo più forte. Quel suono sembrò sbloccare Akira, che afferrò Hitoshi per il colletto e gli urlò contro furioso:

- Mi stai prendendo in giro!

Hitoshi non battè ciglio, sorridendo comprensivo e mandando Akira ancora più in bestia; Haine, invece, indietreggiò spaventata, sobbalzando quando Akira diede per la rabbia un pugno secco contro il muro:

- Non prendermi per il culo!

Mollò la presa da Hitoshi come se la sua mancanza di reazioni lo infastidisse e scattò via nel corridoio, imprecando.

Tsubame fece per seguirlo, ma Shiro la fermò:

- Vado io.

Haine stava per fermarlo e chiedergli cosa stesse succedendo, ma ci ripensò e lo guardò sparire dietro l’angolo, le mani strette al petto.

 

***

- Akira…

- Non osare chiamarmi per nome!

Il ragazzo fissò Shiro con denti scoperti come una bestia feroce, indicandolo:

- Mi spieghi che cazzo ci fai tu qui?!

- Se mi lasci spiegare…

- Io ti credevo morto!!! – sbottò l’altro – Hai idea di…!

Fermò la frase, sentendo che era ingiusto accusarlo di averlo fatto sentire in colpa; del resto, l’errore era stato suo.

Sbottò e borbottò tra sé e sé per cinque minuti buoni, poi parve calmarsi e sospirò; guardò Shiro con aria colpevole, gli occhi bassi:

- S-Shiro… Senti io…

Il moro lo bloccò con un gesto deciso della mano:

- Non voglio le tue scuse.

- Eh?

- Tu non chiederai scusa a me e io non lo chiederò a te.

Sorrise e Akira sbottò ancora:

- E… Così? Fine? Vuoi dirmi che ora è tutto a posto?! – serrò i pugni – Non prendermi in giro!

- Infatti non ho detto questo.

Akira si fermò. Shiro si passò una mani dietro al collo, sospirando:

- Senti… Anch’io ho fatto degli errori, ok? E tu, certo, ma stare a spiegarci non servirebbe a nulla. Sappiamo entrambi dove abbiamo sbagliato, tu per il tuo, io perché non mi sono accorto di come andavano le cose… Tra tutti noi.

Akira grugnì in risposta, a disagio.

- In tutta sincerità, non me la sento di discuterne. Non cambierebbe niente, non ci si potrà mettere una pietra sopra così, dal nulla. Ora, però, io ho la mia vita, tu la tua; le cose sono andate come sono andate e non possiamo farci nulla.

- … Uh…

- Magari, tra dieci, vent’anni, magari tra tre giorni, ne parleremo; magari non ne parleremo mai. Ma non voglio farlo perché “dobbiamo”. – gli fece un gran sorriso – Diciamo che ci siamo scambiati scuse da uomini?

Akira lo fissò di traverso:

- Piantala, non ho cinque anni!

Shiro rise di gusto. Akira imprecò sottovoce e si passò una mano nella frangia, come al solito Shiro ragionava con schemi mentali a cui potevi solo accodarti, o saresti impazzito.

- Certo che Marg… Scusa, Tsubame è diventata proprio bella!

Akira lo fissò ad occhi sgranati alzando un sopracciglio, torvo:

- Che vorresti dire?

- Che hai scelto bene.

Sorrise e Akira sentì di arrossire leggermente sulle guance:

- Mi prendi in giro?!

- Io? Fai tutto da solo…

- Quanto non ti sopporto!!

 

Quando tornarono al punto di partenza, Tsubame si era calmata e Hitoshi parlava al cellulare; la moretta si avvicinò piano a Shiro guardandolo felice, mentre Haine, vicino a lei, rimase immobile a seguire gli eventi.

- Ok, d’accordo. – Hitoshi chiuse la comunicazione e si voltò verso il gruppetto sorridendo furbo – Sono arrivati.

- Arrivati?

Tsubame e Akira si guardarono confusi; Shiro sorrise, mentre Haine sentì la depressione piombarle ancor più pesante sulle spalle.

- Oh… Aspetta un secondo! – sbottò Akira – “Sono arr…”? Non parlerai mica…?! Sei impazzito?!

- Beh, non sono qui propriamente per vedere voi due. – sorrise Hitoshi.

- Se tuo fratello mi vede attaccherà una rissa da far spavento! E mi seccherebbe dovergli spaccare la faccia.

Haine guardò il ragazzo attonita, ancor di più per via del fatto che Hitoshi se la rideva; la brunetta si voltò attorno in cerca di conforto, ma vide solo Tsubame sospirare rassegnata e Shiro fare un risolino tirato.

Sono l’unica a pensare che questo ragazzo abbia una pessima gestione della rabbia?!

- Beh, andate voi. – bofonchiò Akira – Io me lo risparmio…

Shiro lo prese per un braccio prima che si allontanasse e lo fissò eloquente. Akira contrastò il suo sguardo qualche istante, poi imprecò di nuovo e seguì Hitoshi con aria furiosa.

 

Quando furono di nuovo dalle stanze con le pareti trasparenti, Hitoshi fece loro segno di far piano e gli indicò la sala di fronte a loro.

Dentro c’era un gruppetto abbastanza gremito di persone. Haine riconobbe alcuni dei ragazzi, li aveva visti alla televisione assieme a Shiro qualche tempo prima, erano alcuni dei campioni del torneo tra la B.E.G.A. e la BBA.

Anzi, mi sembra ci siano tutti… Manca solo quello con lo sguardo truce…

Cercò di ricollegare le facce ai nomi che aveva in testa, tanto per non sembrare ancor di più la pera in mezzo alla cesta di mele.

Scorse un cinese con un lunghissimo codino, accompagnato da un altro ragazzo moro e una ragazza dai capelli rosati, cinesi anch’essi; se non ricordava male, quello era Rei Kon.

Poco distante c’era uno straniero biondo, Max Mizuhara, e accanto a lui un ragazzino dai capelli rossi e dall’aria un po’ da scimmia (si chiamava Daichi Sumeragi, se non si stava sbagliando), che pareva parecchio nervoso, impegnato com’era a litigare con una brunetta dall’aria inviperita; lì vicino un ragazzo basso con gli occhiali tentava invano di calmarli, seduto accanto ad un moretto col cappello che Haine riconobbe come Takao Kinomiya.

Un momento… Kinomiya?!

Si voltò di scatto verso Hitoshi, ripensando alle parole di Akira: ora che collegava i cognomi, riconobbe una certa somiglianza tra i due ragazzi, ma c’era qualcosa di sostanzialmente differente che non riusciva ancora a cogliere; forse Takao aveva un’aria più affabile, mentre Hiroshi le sembrava, sotto quella coltre gentile, più calcolatore. Haine diede anche un’occhiata a Shiro e capì la frase di Hitoshi di prima, Shiro e Takao si assomigliavano un poco.

Ma Shiro è più bello.

Assieme al gruppo di ragazzi, nella sala c’erano altre tre persone; Haine sentì una stretta al petto riconoscendo le ragazze della foto. Vide Shiro illuminarsi, lanciandosi verso la porta se non per essere fermato da Hitoshi che, ammiccando, disse:

- Forse è meglio se li preparo un po’.

Entrò nella stanza lasciandogli indietro, in un angolo in ombra. Haine prese a torturarsi nervosa la sua gonna verde, con la stessa terribile sensazione di panico che aveva quando veniva chiamata ad interrogazione e non sapeva nemmeno di cosa parlava il professore; anzi, forse quel panico era più leggero, meno opprimente di quello che ora le attanagliava il petto.

- Tu… Ti chiami Haine giusto?

Si voltò sovrappensiero verso Tsubame, che le aveva posto la domanda; annuì corrucciandosi un poco:

- Sì.

- Uhm. – Tsubame parve riflettere – Sei la ragazza di Shiro-san?

Lì per lì, Haine fu sul punto di rispondere un imbarazzato “sì”, forse per abitudine, forse per quella situazione terribilmente sfiancante; ma, con ogni probabilità proprio pensando alla situazione, cambiò idea e la fissò risoluta:

- Certo.

Tsubame sgranò gli occhi e sorrise divertita. Haine mise il muso.

E questo che cavolo vorrebbe dire?!

Sentirono un vociare concitato dalla stanza; Haine vide Takao alzarsi in piedi e sbottare collerico contro il fratello, mettendo protettivo un braccio di fronte a Midori. Alle spalle di Haine, Akira sogghignò:

- Lo sapevo che avrebbe reagito così!

Incurante delle proteste del fratello, Hitoshi si affacciò dalla porta e fece loro segno di entrare. Akira e Tsubame andarono per primi, mentre Shiro afferrò salda la mano di Haine e li seguì: sembrava fosse di colpo nervoso.

Haine si sentì un po’ stupida visto che stava portando il ragazzo che amava dalla sua (pregava “ex”) rivale), ma ricambiò la stretta incoraggiante.

- Stai scherzando vero?! – urlò Takao trucidando Akira con lo sguardo – Che ci fa qui questo stronzo?!

- Sono d’accordo! – sbottò Daichi – Sparisci un po’!

- Daichi, stai buono… - cercò di blandirlo Max, anche se pure lui fissava il ragazzo arcigno.

- Akira e Tsubame sono qui per la vostra stessa ragione. – rispose laconico Hitoshi.

- L-la stessa ragione?

Eveline lo guardò senza capire, e Hitoshi porse il braccio verso la porta.

Quando Haine e Shiro entrarono nella stanza scese un gelido silenzio; Ruka, Eveline e Midori fissavano il ragazzo basite, mentre gli altri si scambiavano occhiate confuse. Haine sentì Shiro stringerle la mano con più forza.

Rimasero in quell’atmosfera di stasi per quelle che parvero ore, anche se si trattarono di pochi secondi. Di colpo, Ruka si avvicinò al ragazzo e lo squadrò, la testa piegata di lato come un gatto… E gli tirò un pugno sul braccio con tutta la forza che aveva.

- AHIO!

- R-Ruka?! – Mao e Lai la fissarono attoniti – Ma che fai?!

La rossa si studiò la mano come per accertarsi che fosse proprio la sua e riguardò Shiro, che si massaggiava dolorante la spalla:

- Dovevo – mormorò lei con voce rotta – controllare che ci fossi davvero…

Lui la guardò e rise forte. Ruka si strinse le spalle, pronta a scoppiare in lacrime:

- Stupido Shiro nii-chan…!

Eveline lanciò un urlo e saltò con l’amica quasi in braccio a Shiro, che le abbracciò forte. Ci fu uno schiamazzo unico di domande da parte dei presenti e di strilli (Haine riuscì a capire solo un paio di “EEEEH?!?” e “Shiro?!?” in mezzo alla cacofonia), ma qualcuno non si mosse.

Shiro fece scendere Ruka ed Eveline, abbarbicate stile orsetti bruni al suo collo, e osservò Midori, immobile come una statua.

- … Midori?

La ragazza sussultò, grossi goccioloni che cadevano per terra incontrollati:

- … Perché? Come fai a… - tirò su sonoramente col naso, i pugni stretti – Tu… Sei vivo…

Haine sentì la collera montarle prepotente, cosa aveva da frignare quella?! Doveva solo essere felice! Era di certo più normale la reazione delle altre due ragazze, ma Shiro sembrò non badarci e si avvicinò un poco alla rosina.

Per lui era una reazione scontata. Fino a cinque secondi prima Midori credeva che lui se ne fosse andato per sempre, che non l’avrebbe più rivisto, e ora eccolo lì, vivo e vegeto e sorridente.

- Micchan.

La ragazza alzò la testa di scatto e lo guardò con gli occhi velati dalle lacrime:

- … Nii-chan!

I due si abbracciarono e Haine sentì il cuore sprofondare fino ai piedi.

Ma perché, perché sono qui?!

 

Quando l’atmosfera si fu calmata (e Hitoshi aveva dato delucidazioni della presenza di Akira e Tsubame, in modo che Takao non gli saltasse al collo) Shiro spiegò tutto quello che gli era successo dopo lo scontro con Akira, fino ad arrivare a quando Haine gli aveva mostrato la vecchia foto che lui aveva creato come regalo di compleanno di Midori, incollando le immagini che aveva racimolato negli archivi della P.s.a.i.c.o.

Haine sentiva di secondo in secondo il cuore ridursi ad un sassolino, mentre vedeva il ragazzo discutere concitato con le sue amiche e tutti i ragazzi attorno di argomenti che a lei erano totalmente estranei: la sfida contro il PSO Team, cos’era successo negli ultimi mesi a Akira e Tsubame, come se la stavano cavando Ruka, Midori ed Eveline… Per Haine era come se parlassero arabo.

Perché gli ho mostrato quella maledetta foto?!

 

- Quindi, per quanto ti fermerai ora? – chiese Eveline contenta, allungandosi sulla sedia.

- Oh, solo per qualche giorno. – disse Shiro dispiaciuto – Sai, è stato un viaggio improvvisato.

- Eeeeh?!?

- Ruka, non fare quella faccia *gocc*.

- Ma Lai…! – protestò la rossa triste – Insomma, nii-chan, non puoi mica già sparire così!

- Dai! – tentò di blandirle lui – Ve l’ho spiegato, è stata una cosa decisa all’ultimo momento… Devo tornare a Gensenkaien.

- E comunque hai detto che ti fermerai qualche giorno, no?

Sorrise Max. Shiro annuì.

- Beh, tra un paio di mesi c’è il nuovo mondiale. – disse Rei – Potresti tornare a Tokyo per quella data.

- Ma non sei troppo vecchio?

- Takao!

- Ma è vero Micchan *gocc*…

- In effetti ai prossimi sarò maggiorenne.

Rispose Shiro tranquillo. Hilary si sporse verso Takao guardandolo con aria cattiva:

- Secondo me Takao è solo geloso di te, Shiro-san.

- C-che *gocc*?! Hila, non dire cretinate!

- Per una volta concordo con l’ochetta!

Rise Daichi maligno; Hilary e Takao, che era rosso come un gambero, lo fulminarono con due occhiate assassine:

- Tu taci pidocchio!

- Com’è che mi hai chiamata?!?

Tutti risero mentre il rossino evitava il lancio rasoterra di una sedia da parte di Hilary.

- Scusali *gocc* - fece il prof K rivolto a Shiro – di solito riescono a risparmiarsi simili scenate…

Shiro scosse la testa divertito:

- Siete forti ragazzi!

- Io li chiamo decerebrati…

- Tu…! Alfa, no! Akira! Chiudi il becco!

Takao si agitava tanto da avere il berretto di traverso. Shiro rise più forte, guardando Akira che ostentava ostilità solo per irritare il moretto, e si voltò verso Haine che era rimasta in silenzio fino a quel momento.

Rimase pietrificato quando si accorse che la sedia della ragazza era vuota.

- Che succede nii-chan?

- Dov’è… Dov’è Haine?

- È uscita? – chiese Hitoshi – Non me n’ero reso conto.

Shiro si alzò di scatto e corse in corridoio chiamando la ragazza, ma non ottenne risposta; prese il cellulare (regalo di Sentaro) e provò a chiamarla, ma il telefono diede muto. Sentì una strana consapevolezza scendergli nello stomaco e si diede dell’idiota.

- Nii-chan!

- Micchan…

Shiro guardò Midori con un mix di confusione e di panico. La ragazza lo scrutò interrogativa:

- È successo qualcosa?

- N-no… Cioè, non lo so! – si passò una mano fra i capelli agitato – Solo, ero così preso da questa giornata che…! Sono un imbecille, non mi sono accorto che Haine…!

Midori sorrise con un sospiro:

- Haine-chan è la tua ragazza, giusto?

Shiro ricambiò lo sguardo. Sorrise con tenerezza:

- Sì.

Midori annuì. Non serviva si spiegassero, si erano capiti alla perfezione.

Lei sapeva quello che lui aveva provato per lei, anche se Shiro non era mai riuscito a dirglielo; ora, però, quell’amore s’era trasformato in un affetto profondo, più profondo di quello per chiunque altro, ma rimaneva affetto.

Per Haine invece…

- Mi dispiace di non averlo capito, Shiro…

Lui scosse la testa energico e le fece l’occhiolino:

- Takao è il tuo ragazzo invece, ho indovinato?

Midori arrossì appena e ridacchiò annuendo.

- Credo proprio di piacergli poco.

- Gli piacerai. – ammiccò lei – Non dirglielo, ma credo anch’io sia un po’ geloso!

Shiro rise. Guardò preoccupato verso la stanza da cui era uscito e Midori gli diede un pugnetto affettuoso sulla spalla:

- Vai da lei. Ma torna presto, ok?

 

***

 

Haine si rigirò sul letto per la quinta volta, tentando in tutti i modi di nascondersi ai tiepidi raggi del sole che filtravano dalla finestra, ma alla fine si arrese e riesumò la testa dal bozzolo di lenzuoli che aveva attorno.

Da quando era scappata da Tokyo erano trascorsi già tre giorni, che lei aveva passato tappata nella sua stanza dandosi malata; non aveva risposto neppure alle domande di Sentaro sul perché fosse rientrata tanto preso né sul perché Shiro non fosse con lei.

Si stupiva che suo padre non avesse capito il motivo, era talmente palese…! Semplicemente, lei aveva lasciato il ragazzo alle persone a cui teneva davvero, alla sua vita, niente di più.

Una vita in cui io non c’entro niente.

Si costrinse a scendere dal letto, aveva un aspetto pietoso: gli occhi gonfi e rossi, i capelli arruffati e l’espressione da funerale.

Si vestì di malavoglia e scese di sotto, seguita da Ribbon che, forse intuendo il suo umore, erano giorni che l’aspettava sempre fuori dalla sua porta calmo e silenzioso; fece la colazione più raffazzonata – e disgustosa – della sua vita (fette di pane tostate con riso e carne avanzato dalla sera prima e un bicchiere di succo di pera) e si sedette in salotto con un libro preso a caso dallo scaffale. Si rannicchiò sul divano e prese a sfogliare annoiata le pagine, con la testa di Ribbon sul ginocchio.

La casa era silenziosa, la giornata luminosa e tiepida; forse per quello, forse anche per via del suo cervello, che in quei giorni lavorava a rilento, dopo un po’ Haine si sentì invasa da una pesante sonnolenza e si accoccolò di più sul divano, risvegliandosi solo quando l’abbaiare di Ribbon la rese consapevole che suonavano al campanello.

Si alzò sbuffando, passandosi una mano tra i capelli per rendersi più presentabile, e non badò al fatto che il suo labrador sembrava parecchio eccitato mentre lei andava alla porta.

Socchiuse l’ingresso e le mancò l’aria:

- S-Shiro…

- Ciao.

Haine ringraziò che ci fosse la catenella alla porta, perché in quel momento lei non sarebbe stata in grado di chiuderla se il moro avesse voluto entrare; Shiro, però, se ne restò fermo, fissandola:

- Haine, mi dispiace.

- C-come?

- Non volevo succedesse una cosa del genere…

Lei si guardò la punta delle ciabatte:

- Non capisco di cosa parli…

- Non mi ero accorto di quanto fossi a disagio, mentre eravamo a Tokyo – disse mortificato – è solo colpa mia!

- N-no… - rispose poco convinta – Sono… Sì, sono stata io che…

Ma si fermò, una rabbia sorda che le saliva nel petto; levò la catenella alla porta e l’aprì del tutto, guardandolo storto:

- Certo che tu… Insomma, potevi anche accorgerti che ero arrabbiata.

Bofonchiò; stava cercando di rimanere calma, ma più parlava più si sentiva triste e arrabbiata. Shiro non lo puntualizzò e la lasciò continuare, annuendo a testa bassa:

- Hai ragione.

- Insomma… Ok, era importante per te e tutto il resto, ma…! Mi hai chiesto di venire con te, mi hai chiesto di sostenerti, e poi non ti sei neppure accorto che ero sparita!

- No, questo non è vero! – proruppe lui.

- Invece sì!

- Beh, per cinque minuti… - lei lo fulminò con un’occhiataccia – Ma tu hai spento il cellulare!

- Certo che l’ho spento! Comunque alloggiavamo nello stesso albergo, sai?!

- Quando sono arrivato eri già sparita!

- Potevi raggiungermi! – pianse lei con tono stridulo – Sì può sapere, se era così importante, perché ci hai messo tre giorni?!

Shiro non rispose, sospirando forte:

- … Haine… Ti ricordi dove tenevi i biglietti di ritorno *gocc*?

- Certo! – sbottò lei – Nella mia bors…!

Si fermò a metà frase.

O, kami-sama! La borsa! Che è in camera mia!

La vampa di rabbia si dissolse come se le avessero tirato addosso un secchio di acqua ghiacciata e si portò le mani alla bocca:

- Porca miseria *gocc*!

- Ho dovuto fare non so quante telefonate per farmi rimborsare i biglietti, ma niente da fare, non mi credeva nessuno che me li avessero portati via *gocc*. Mi sono fatto spedire un po’ di soldi da Sentaro, perché altrimenti pagando per il treno non avrei avuto più niente per arrivare da Sapporo a Gensenkaien.

- Oddio, mi dispiace *gocc*…! Ma papà…?

- Gli ho chiesto di non dirtelo. – le rivolse un sorriso triste – volevo parlarti di persona.

Haine abbassò la testa, arrossendo appena:

- P-perché sei tornato?

- Per te, mi sembra ovvio.

- Ma perché?! – pigolò lei piangendo – La tua famiglia… La ragazza che ti piace era a Tokyo! Perché sei tornato?!

Non voleva che lui si sentisse in obbligo nei suoi confronti, non voleva. Allo stesso tempo, però, si sentiva così felice di vederlo di fronte alla sua porta che non sapeva più da che sentimento farsi prendere.

- Non è vero. – replicò lui dolcemente – La ragazza che mi piace è proprio qui davanti a me.

Haine sentì di avvampare, ma continuò a guardarlo male.

- Mi dispiace di averti fatto pensare il contrario. – continuò Shiro sfiorandole la testa – È vero, per me Ruka, Eveline e Midori sono persone speciali, sono state e saranno parte della mia famiglia, le mie adorabili sorelline. Ed è vero, un tempo ero innamorato di Midori, anche se sapevo che per lei ero solo un fratello maggiore.

Haine percepì un tono di amarezza nella sua voce e si sentì triste, per lui e per se stessa.

- Voglio incontrarle di nuovo, presto, voglio passare del tempo assieme a loro, ma non voglio vivere con loro. Ormai considero questa come la mia casa e tu, Sentaro e Ribbon come la mia famiglia.

Haine lo fissò dritto negli occhi, lo sguardo lucido.

- Io sono innamorato di te, Haine. – sussurrò – Posso? Mi permetti… Di rimanere qui con te?

Lei tentò ancora di tenergli il muso, ma il suo corpo si mosse più svelto e gli gettò le braccia al collo; Haine prese a piangere, Shiro che la stringeva forte:

- Sei uno stupido!

- Lo so… Scusami.

La ragazza si lasciò cullare qualche minuto, guardando divertita con la coda dell’occhio, Ribbon che saltellava loro attorno, felice.

- Chissà ora… Cosa penseranno di me…

- Chi?

- Le tue sorelline e i loro amici…

- Proprio niente. – sorrise lui – Sono solo impazienti di conoscerti bene.

Haine si asciugò gli occhi e sorrise:

- Allora, la prossima volta che vai a Tokyo, verrò di nuovo con te.

- Sarebbe bellissimo! – rise – E magari nel frattempo ti insegno a giocare a beyblade.

- Averti come insegnante? – Haine fece una smorfia – Non credo che avrai tanta pazienza!

Shiro fece un sorrisetto furbo e la baciò:

- Oh, vedremo. – le sussurrò sulle labbra – Tanto, abbiamo tutto il tempo che vogliamo, no?

Haine, le guance rosse, sorrise e gli accarezzò il viso:

- Tutto il tempo del mondo.

 

 

 

 

 

(*) chi ha presente Saiyuki e Sanzo ^^? Occhi all’ingiù = sguardo sexy ^w^!

 

 

Zuccherosissimo arrivederci per questa coppia OC zuccherosa ^W^! Ihhh, che triste, non voglio andare via ç__ç!

YUPPIIII! SIAMO LIBERI!! ndTutti

Cattivi T_T**!! Mmm, alla fine ho lasciato poco spazio a Ruka, Eve-chan e Midori e ancor meno a Takao e Co. XP, ma del resto i protagonisti qui non erano loro ;)!

Io sono sempre il protagonista!! ndTakao_e_Daichi-in-coro

Sparite scimmie urlatrici! Vabbè, scleri a parte, prima di lasciarvi ho alcuni ringraziamenti da fare ^w^!!

A Ella_Sella_Lella: grazie per le tue letture, i messaggi e per la tua speranza che non è svanita ^^””! spero di vederti commentare anche questo capitolo e, se ti va, anche le altre mie storie!!!

A Violet_Rose: ragazze spero leggiate anche quest’ultimo capitolo e che vi piaccia come il precedente ^^! Chiedo ancora perdono per il ritardo xP, non ci sarà troppo zucchero in questo finale ^^”?

Ringrazio ancora

Ella_Sella_Lella

Violet_Rose

Ametista

Che hanno messo “Psaico, Secret Files: Il Volo della Rondine

nelle preferite, e la mia grandissima onee-sama Lenn chan per le recensioni!

 

GRAZIE A TUTTI UN ABBRACCIO E A PRESTO!!!!! MATA ASHITA !

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