Chiama l'aurora

di Elos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***
Capitolo 4: *** quattro ***
Capitolo 5: *** cinque ***
Capitolo 6: *** sei ***



Capitolo 1
*** uno ***





- Vieni con me. - gli aveva detto lei. - Non c'è nulla per cui valga la pena di restare qui.
E il Drago l'aveva saputo anche in quel momento, sì, che lei aveva ragione: solo, era stato troppo vigliacco per poterlo ammettere.


Chiama l'aurora




. uno



Non aveva provato veramente paura, il giorno in cui aveva trovato il Drago nella grotta: perché per avere paura servivano energie che a lei mancavano, tutta una gamma di emozioni per le quali non era stata creata.
Aveva guardato negli occhi il Drago, e nessuno dei due aveva abbassato lo sguardo.
Il Drago aveva piegato la testa da una parte.
- Ho intenzione di mangiarti. - aveva detto.
Aveva la voce fonda del cielo arrabbiato, una voce da rocce cadute e nuvole crepate. Nella grotta buia si vedevano i suoi enormi occhi, gialli come quelli dei gatti, le zanne scintillanti anche in penombra: la più piccola era più grossa del palmo della mano di lei.
- Con le patate. - aveva specificato dopo un attimo di silenzio il Drago. - E molto rosmarino.
Lei si era guardata intorno con lieve interesse e si era informata:
- Hai delle patate?
Il Drago era rimasto in silenzio per un lungo istante, prima di schiarirsi la voce:
- Forse ti è sfuggita la parte relativa all'ora ti mangio, ragazzina.
- Sì, be', se mi fai ingrassare un po', poi sono più buona. Più morbida. Hai davvero delle patate?
- No che non ho delle patate! - aveva sbottato il Drago, irritato. Aveva mosso la coda da una parte all'altra e dalle pareti della grotta era venuta giù una frana di polvere, schegge di pietra e ragnatele. - Ti pare posto per far crescere delle patate, questo?
- Però hai del rosmarino.
- A scuola non insegnano più il significato del profondo concetto del termine ironia, piccola incolta?
- Non so. Non sono mai stata a scuola.
Silenzio. Nella grotta buia dall'odore d'acqua e di muschio anche il silenzio sembrava avere un odore, ed era odore di chiuso, profondo e stagnante, antico di secoli.
- Quanti anni hai, ragazzina?
- Non so. Un po'. Più di dieci.
- E come sei arrivata quaggiù? Non è facile trovare la strada.
- Non so. - aveva ripetuto lei. Aveva guardato verso l'imboccatura della grotta: una mezzaluna azzurra screziata di nuvole era tutto quel che si vedeva del cielo, del vento. Le rocce più esterne si tingevano d'oro e di rosa per l'alba imminente, quelle nel cuore della caverna avevano il blu cobalto delle pietre lucide cucite sulle vesti dei sacerdoti nei giorni di festa.
Lei aveva guardato il pezzo di cielo – tutto quel che si vedeva del mondo – e poi aveva guardato di nuovo il Drago:
- Non so. - aveva detto ancora, di nuovo, e sembrava che quel non so fosse l'unica cosa che sapesse. - Devo essere caduta. -


Il Drago non aveva molto da fare che non fosse stare seduto ed attendere, tutto il tempo, tutti i giorni, tutti gli anni, mentre gli anni diventavano secoli e i secoli si allungavano, interminabili, e il Drago sedeva e attendeva.
Aveva trascorso gli ultimi ventitré anni ad esaminare con un interesse francamente eccessivo una colonia di pallidi ragni grossi come piattini insediatasi nel fondo della caverna; le ultime due primavere a studiare il modo estremamente artistico in cui una coppia di rondini aveva fatto il nido proprio all'imboccatura della caverna; gli ultimi centosettanta inverni, inverno più, inverno meno, a contare i fiocchi di neve che cadevano davanti alla sua grotta. Un essere umano era una novità interessante. Era un miglioramento: i ragni non potevano parlare, ma l'essere umano sì.
Non poteva lasciarla andare, si era detto a malincuore, perché sarebbe tornata al suo villaggio e avrebbe raccontato di aver trovato la grotta del Drago: gli uomini avrebbero preso torce e forconi e sarebbero venuti a stanarlo... e sarebbe stato sgradevole incenerirli tutti, poi. Nessuno si fermava mai a riflettere su quanto difficile fosse scrostare il grasso umano fuso da una scaglia, quando non si avevano dita prensili e un pollice opponibile per reggere spazzola e spugna.
- Temo che resterai a farmi compagnia. - le aveva detto. - Ci sono degli eccellenti ragni da fare allo spiedo, e sono sicuro che tu possa acchiappare uno o due pipistrelli, ottimi da riempire con licheni abbrustoliti o, magari, polpa di ragno finemente tritata. Un'eccellente ricetta, tramandatami dal nonno di mio nonno, prevede l'utilizzo opzionale di molto muschio fresco. Per aromatizzare, comprendi.
La ragazzina era rimasta in silenzio per un attimo, prima di scuotere la testa:
- Non posso restare. Mi dispiace.
- Forse non hai afferrato il punto, ragazzina. - le aveva spiegato il Drago, pazientemente. - Ma potrebbe essere colpa mia. Potrei averti dato l'impressione sbagliata. Non stavo cercando di persuaderti dell'opportunità di un'opzione, ti stavo illustrando i lati positivi di una necessità. Tu non te ne andrai di qui.
- Perché?
- Perché ci tengo alla quiete della mia grotta, cara, e tu te ne andresti saltellando a casa e spargeresti la voce. Verrebbero qui, e poi dovrei passare diverse Lunazioni a ripulire le pareti dal sangue. Non sarebbe piacevole. Dovrei cambiare zona.
La ragazzina l'aveva guardato e il Drago aveva notato, nella luce crescente del mattino, che c'era qualcosa di strano nei suoi occhi, nella sua faccia. Qualcosa che non andava.
- Cos'hai fatto al labbro, ragazzina?
Lei si era passata il dorso della mano sulla bocca. La spaccatura era come una linea netta sulle sue labbra rosate e sottili, l'occhio gonfio e pesto dalla palpebra tinta di quella tipica sfumatura giallognola che caratterizza il livido vecchio di una settimana. Aveva la pelle troppo chiara, i capelli troppo pallidi, incolori. Il Drago non riusciva a capire di che colore fossero i suoi occhi, ma gli sembravano troppo scuri per star bene su quel viso trasparente.
- Hai il Male Bianco. - aveva osservato il Drago . La ragazzina aveva risposto scrollando le spalle. Era magra in punti in cui qualcuno così giovane non dovrebbe essere magro, collo e clavicole e polsi, magra ovunque. La gonna da contadina era rimboccata per starle sopra le ginocchia e non impacciarla mentre camminava. - Strano che non t'abbiano annegata alla nascita.
- La mammana del villaggio voleva farlo. - aveva spiegato lei. - Il sacerdote ha detto di no.
- Perché te ne vuoi andare? - le aveva chiesto il Drago. - Puoi restare qui. Mi terrai compagnia. Quel che mangio io, mangerai tu. Potremmo provare a piantare delle patate, se ti interessa.
La ragazzina si era girata ancora e aveva guardato il cielo a fette attraverso l'imboccatura della grotta. L'azzurro si era fatto più pallido, ora: l'oro rosato delle rocce si era tinto di grigio, le nuvole d'argento. Era mattina avanzata. L'aria era più tiepida.
- Non posso star chiusa qui sotto. - aveva detto lei, piano. - Non c'è aria, non c'è luce. Morirei.
Il Drago era rimasto in silenzio per un lungo istante. Il soffitto della grotta, che fino a quel momento era stato alto e lontano sopra le loro teste, un cielo velato di muschio verde e vellutato nella penombra, ampio come una volta, come una cupola, a quelle parole era sembrato chiudersi su di loro. Il Drago ricordava che odore aveva avuto il vento, il sapore dell'acqua di mare quando volava radente alle onde, la carezza pungente dell'erba orlata di rugiada poco prima dell'alba. Tutte cose che la grotta non conteneva.
Si era voltato lentamente, arrotolando la coda attorno a sé e serrando bene le ali contro il busto, e aveva bofonchiato:
- Vattene.
Non si era girato per guardarla allontanarsi, ma aveva sentito il rumore dei suoi piccoli, lievissimi passi, che smuovevano terriccio e pietrisco dal suolo della caverna.
Aveva chiuso gli occhi.






Note: Questa storia ha partecipato al concorso The Indoors Fantasy indetto da schwarzlight, classificandosi prima e vincitrice del Premio Lyricist. Il concorso richiedeva di scrivere una storia ambientata totalmente o soprattutto all'interno di un ambiente chiuso e di farla ruotare attorno a tre elementi: per la categoria Tarocchi io ho scelto la Giustizia, per la categoria Natura ho scelto l'aurora e per la categoria Creature Mitologiche... il drago. Sì, perché io sono originale e, soprattutto, non scrivo mai due volte sulla stessa cosa. ò_ò Oh.
Potete trovare i giudizi qui.

Un'altra lettura del titolo può essere chi ama l'aurora. Una terza lettura, invece, sarà data solo in fondo alla storia.
Era stata originariamente pensata per essere una one-shot: ma sarebbe stata troppo "consistente", secondo me, per risultare gradevole da leggersi su una pagina Web.

Ha già pubblicato la sua storia chimaira, con Il prezzo della Pizia. Cercherò di aggiornare mano a mano che le altre partecipanti pubblicheranno!

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Capitolo 2
*** due ***





. due



Il Drago aveva pensato che magari era giunto il momento per un altro pisolino. Un paio di decenni, non di più, giusto il tempo di riposare un po' la testa; un modo per far scorrere gli anni più in fretta, nella speranza che svegliandosi avrebbe scoperto che l'imboccatura della grotta si affacciava finalmente su un mondo più adatto a lui.
Aveva già cominciato a prepararsi il giaciglio, accumulando con cura strati su strati di monete, armature ingioiellate e vasi preziosi, quando un suono leggero di passi si era fatto sentire dall'imboccatura della grotta. Era sera: l'aria era fresca e sottile anche lì sotto, e portava con sé un odore d'estate imminente. Non erano passati che pochi giorni da quando la ragazzina era venuta e se n'era andata.
Il Drago aveva sospirato e si era schiarito la gola con un colpo di tosse, preparandosi ad accogliere nel miglior modo possibile – con il lanciafiamme già caricato – l'armata con torce e forconi che sicuramente si stava facendo strada giù per la caverna: ma non c'era nessuna armata, aveva realizzato alzando la testa, solo una ragazza-bambina troppo magra anche nel buio.
- Ti ho portato una collana. - Aveva detto la ragazza.
Il Drago l'aveva fissata con perplessità. Aveva adocchiato la gonna rattoppata, il viso scarno, i capelli lunghi pieni di nodi e di lappe, e aveva domandato:
- Come, prego?
- Una collana. - Aveva spiegato la ragazza. - Per non essere mangiata.
Si era fermata proprio davanti a lui, e il Drago aveva poggiato la testa sul terreno per avere gli occhi all'altezza di quelli di lei.
- Non ho ben afferrato il collegamento.
La ragazzina era sembrata incerta. Aveva guardato la cosa che teneva tra le mani chiuse a coppa, poi il Drago, poi nuovamente la cosa: il Drago, che l'aveva adocchiata con curiosità, aveva visto che la collana in questione era a tutti gli effetti un filo di pietre lucide, rosate, pietre levigate dall'acqua e dalla sabbia, e piccole conchiglie chiare.
- Non è così che funziona? - Si era informata la ragazza, dubbiosa. - Ai Draghi non piacciono le cose preziose? Non rapiscono giovani vergini per farsi dare in cambio i tesori dei grandi castelli del nord?
- Figliola cara, avrei bisogno di farla pagare a peso d'oro, la suddetta giovane vergine, e che fosse anche bene in carne e ben fornita, con molta materia abbondantemente distribuita su ciascuno dei suoi virginei arti. Ma, conoscendo i tuoi simili, ho il vago sospetto che, dovessi io mai proporre un simile scambio, la pulzella in questione finirebbe sfortunatamente sfilettata, arrostita e digerita numerose volte, prima che qualcuno si decidesse a pagare.
La ragazza lo fissò con aperta perplessità e il Drago alzò gli occhi al cielo.
- Ironia. Concentrati su questa parola, ironia.
- Non mi hai ancora spiegato cosa significa.
- Molto bene. - Il Drago si sistemò più comodamente: arrotolò attorno all'enorme corpo la lunga coda chiusa da una minacciosa cuspide appuntita, ripiegò le ali contro il dorso e piegò il capo per non farsi venire il torcicollo. - Fammi vedere meglio quella collana che hai portato, ragazzina, e poi vedremo di rattoppare meglio che possiamo l'abisso inenarrabile della tua ignoranza.

Alla parola ironia era seguita la parola pregiudizio. Il Drago aveva raccontato alla ragazzina che non sempre avevano preso quelli come lei per annegarli appena nati: una volta erano stati benvisti, quelli del Male Bianco, albini, con occhi rossi e la pelle bianca e i capelli ancora, ancora, ancora più bianchi, che una volta avevano portato fortuna. Il Drago aveva spiegato che quando le cose andavano male la gente si guardava intorno per cercare qualcuno da accusare: e una volta erano quelli del villaggio vicino, un'altra volta i vecchi, i pazzi, i malati, un'altra volta ancora i rospi, o i gatti neri, o i bambini bianchi. Questo secolo era toccato ai bambini bianchi.
- Pregiudizio. - aveva sentenziato il Drago, soddisfatto.
- Pregiudizio. - aveva ripetuto lei. Suonava perplessa. - E' per questo che la mammana voleva annegarmi?
- Precisamente.
- Ed è per questo che nessuno mi vuole comprare?
Il Drago aveva aggrottato la fronte:
- Cosa intendi dire?
- Comprare. - aveva spiegato lei, vagamente. Aveva agitato una mano, indicandosi. - Comprare me. Vengono un sacco di persone tutti i giorni, e comprano molte ragazze, ma nessuno vuole comprare me.
Il Drago sapeva che gli umani amavano vendere e comprare: la loro infelice abitudine di attribuire un prezzo a tutto ciò che si poteva muovere o smuovere aveva generato il luminoso uso degli scambi in monete d'oro e gioielli scintillanti. Al Drago piacevano le monete d'oro: in uno strato sufficientemente compatto formavano un materasso eccezionalmente morbido.
Sapeva che gli uomini compravano case, pecore, vestiti. Sapeva che avevano preso anche a comprare e vendere la terra: il concetto era alieno e improbabile – chi poteva prendere la terra? – ma non aveva idea di come potessero fare a vendere un altro essere umano. Per farci cosa? Bistecche? Gli umani non mangiavano sé stessi: mangiavano pecore, perciò era ragionevole che ne vendessero, ma non mangiavano sé stessi.
- E perché mai dovrebbero comprarti, di grazia?
La ragazza gli aveva rivolto un'occhiata di incredulità che lo aveva fatto sentire tutto ad un tratto molto più giovane e molto più stupido del dovuto.
- Non lo sai davvero?
Immediatamente dopo il Drago aveva minacciato di trasformare la ragazzina in costatine e salsicce, se non si sbrigava a spiegarsi. Così, lei aveva tenuto un rapido corso concentrato sull'accoppiamento e la riproduzione umana al Drago.
- E tu vuoi essere comprata? - Le aveva chiesto il Drago alla fine, allibito. Non riusciva a comprendere come si potesse pensare di comprare una cosa così. Una cosa com'era quella che i Draghi usavano fare con altri Draghi per generare nuove uova, era una cosa come quella che avevano fatto gli dei per tirar fuori il mondo, come si poteva venderla?
- Non è che importi se lo voglio o no. - aveva spiegato lei. - E' che il sacerdote non ha voluto che mi annegassero, ma poi non mi ha portata via di lì. Mia madre non mi ha voluta, mio padre nemmeno. Mi ha presa la mammana, e adesso sto con lei.
Era rimasta un attimo in silenzio, prima di spiegare:
- Vengono gli uomini del re al paese e vogliono essere pagati. Dicono che ci fosse un buon re, molto prima di questo re, ma tutti gli ultimi re non sono poi tanto buoni, io credo. I suoi uomini vengono al paese e chiedono molte monete: la gente ne può fare solo un po' in grano e pecore e pesci; tutte quelle che non riescono a fare così vengono fatte vendendo le ragazze. Ne vendono molte. Gli uomini dell'esercito le comprano sempre, ma nessuno compra me.
Il Drago era rimasto in silenzio molto a lungo. Infine aveva scosso la testa ed aveva posato il capo su un'enorme zampa artigliata, le monete d'oro che ne costituivano il letto scintillante che tremavano e sussultavano ad ogni suo movimento.
- E' stupefacente. - aveva sentenziato alla fine. - Ogni volta che mi dico che peggio di così non potrebbe andare, il mondo riesce a sorprendermi sempre.






Note: Che c'è da dire in proposito, se non grazie a tutti coloro che si sono fermati a lasciarmi una recensione?
Qui siamo in attesa del Lucca Comics & Games, e l'entusiasmo è alto. Vedrò lì qualcuno di voi?

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Capitolo 3
*** tre ***





. tre



Il Drago l'aveva capito, molte e molte visite dopo, che la ragazza-bambina veniva alla grotta perché anche la grotta, chiusa, buia, era meglio di quel che c'era fuori: il luogo che il mondo era diventato era più chiuso, e feroce, e più buio.
La ragazza-bambina gli aveva raccontato che aiutava la mammana a coltivare le erbe per tirar fuori i bambini dalle pance delle madri, vivi o morti, che le puliva la casa e le portava gli strumenti, e in cambio aveva poco cibo e tante botte. Nella grotta con il Drago c'erano grossi ragni da fare allo spiedo e pipistrelli bene in carne da arrostire su un fuoco di braci. C'era un posto umido e quieto dove potersi rattoppare ogni volta che la mammana le dava addosso con le mani pesanti, o quando non era abbastanza svelta da schivare le sassaiole. Ma era molto brava a schivare le sassaiole, aveva detto un giorno al Drago. Era un'abilità della quale era profondamente orgogliosa.
- E nessuno dice niente? - le aveva chiesto il Drago, sempre più perplesso.
Ricordava vagamente che c'era stato un tempo in cui qualcuno si era opposto a tutto questo: al pregiudizio, alla violenza, qualcuno che aveva levato le spade in difesa delle donne-streghe e dei vecchi, dei pazzi, dei malati, dei bambini del Male Bianco e anche dei gatti neri. Ricordava che c'era stato un re, il Buon Re, il re migliore di tutti, che aveva unito le genti degli uomini sotto ad un unico trono. Era un tempo che il Drago ricordava perché era stato uno degli ultimi che aveva trascorso al di fuori della grotta. C'erano stati molti come lui, all'epoca, che poi erano scivolati uno alla volta in crepe e caverne ed erano caduti addormentati. Il mondo, molto semplicemente, poi era sembrato diventare sempre più brutto.
Era che i Draghi vivevano per la terra. La terra aveva uno spirito, fatto di cielo e di acqua e di tutto quello che sulla terra ci camminava, che nella terra viveva, respirava. Tra le cose che abitavano la terra, gli umani erano i più rumorosi: avevano voci forti che i Draghi non potevano non ascoltare, e se le cose andavano male per gli umani, ebbene, anche i Draghi lo sentivano.
Il Drago ricordava che c'era stato un tempo di buoni re, e di cavalieri, non un tempo d'eserciti in marcia e di fanciulle vendute.
La ragazzina del Male Bianco era sembrata ancora più perplessa di lui:
- Chi dovrebbe dire qualcosa?
- Qualcuno. Il re. Il re dovrebbe dire qualcosa.
A giudicare dall'espressione, la ragazzina adesso credeva che il Drago si fosse bevuto il cervello.
- Credo che al re non interessi, sai?
Quest'oggi era scesa nella caverna con un grosso livido pesto e verde su tutto un lato della faccia. Non aveva ben spiegato come se l'era procurato, ma il Drago non aveva bisogno di chiedere per sapere che qualcuno le aveva fatto questo, non un incidente, non una caduta, ma qualcuno. Era piccola, magra e bianca. Qualcuno avrebbero dovuto proteggerla, parlare per lei, non malmenarla.
- Una volta il re aveva i cavalieri alla sua corte. - le spiegò. - Avevano grandi spade di quella roba lì, metallo, ferro, scintillante. E grandi armature. E cavalli, certo. Giravano per il regno e di tanto in tanto si fermavano a mettere una torre sotto assedio o a farsi mangiare da un Drago, ma per la maggior parte del tempo si occupavano di tenere le città libere dai prepotenti. Erano i cavalieri del Buon Re.
La ragazzina era parsa interessata:
- E' esistito davvero un re buono, quindi?
- Sicuro.
- Quindi i re possono essere buoni? Era stato il turno del Drago di adocchiarla come fosse convinto che le ultime parti funzionanti del suo cervello fossero appena decedute:
- Certo.
- Credevo fossero solo storie. - La ragazzina aveva scrollato le spalle. - Se i re possono essere buoni, perché questo non lo è? La gente sarebbe più felice.
Il Drago aveva prontamente deciso che la prossima parola che le avrebbe insegnato sarebbe stata utopia: tutti i modi in cui qualcosa dovrebbe essere, ma non è.
Un giorno, poi, la ragazzina aveva alzato la testa dal pipistrello che stava imbottendo con una mezza cipolla e gli aveva chiesto:
- Come ti chiami, tu?
Il Drago aveva sollevato il capo, orgogliosamente:
- Io sono Drago.
La ragazzina aveva inarcato un sopracciglio:
- Drago, e poi?
Il Drago aveva sbuffato con evidente disgusto: - Io sono Drago. Noi siamo il Drago. Non abbiamo nulla che sia come i vostri stupidi, piccoli nomi. Noi siamo, ciascuno di noi e tutti insieme, il Drago.
La ragazzina aveva inclinato il capo da una parte, corrugando la fronte: per un lungo momento era sembrato girasse attorno all'idea, prima di scrollare le spalle.
- Sembra divertente. - Aveva giocherellato con il pipistrello, le minuscole zampine spellate dell'animale a penzolarle inerti tra le mani: - Dev'essere facile ricordarsi il nome di qualcuno, così. Non rischi mai di chiamarlo con il nome sbagliato.
Chinando la testa, aveva ripreso a imbottire la sua cena di cipolla.
- La mammana mi chiama 'ragazza', o 'strega'. O 'bastarda', anche. Io devo essere una di queste tre, come tu sei il Drago. Puoi chiamarmi come preferisci.

Nel buio della grotta, i capelli della ragazzina erano azzurri o blu, come il mare quand'è quieto. La sua pelle era verde acqua, del colore delle pozze sotto al sole, dei ruscelli pieni di ninfee e rami caduti e pesci. I suoi occhi erano viola. Più viola del cielo al tramonto, viola com'era stato viola il vestito della regina, l'ultima regina che il Drago aveva visto, in piedi mano nella mano con il Buon Re.
Il Drago si chiedeva certe volte che colore avrebbero avuto in superficie: se sarebbero stati del tutto bianchi alla luce del sole, pelle, labbra, capelli, se i suoi occhi sarebbero stati sempre viola, oppure rossi.

Un bel mattino – il cielo era uno spicchio di azzurro venato di nuvole oltre la cornice di pietra della grotta – la ragazzina era scesa giù e aveva sorpreso il Drago sdraiato supino, pancia all'aria, intento a grattarsi energicamente il ventre con un artiglio.
- C'è un punto proprio sotto alla zampa... - aveva spiegato lui, bofonchiando. - … che non riesco a grattare come si deve.
La ragazzina l'aveva fissato perplessa per un lungo istante: poi aveva fatto spallucce e si era inerpicata su per il cumulo di monete d'oro e tesori antichi ed armi dimenticate; aveva usato una zampa del Drago per puntellarsi e poi si era fatta largo tra un'enorme scaglia e l'altra.
- Qui? - aveva chiesto.
Dalle fauci del Drago era emerso il più colossale suono di fusa che il mondo avesse mai conosciuto:
- Oh, sì.
La ragazzina si era inginocchiata e aveva grattato con tutte e due le mani. Le scaglie del Drago erano dure come la pietra, ma prive di spigoli: i bordi si fondevano l'uno dentro l'altro e non c'erano sporgenze, non c'erano escrescenze. Era una specie di pelle di serpente: solo, molto, molto, molto più grande e molto più calda. C'erano grosse cicatrici pallide tra le scaglie, sotto ad una zampa, sul fianco. La ragazzina aveva chiesto da dove fossero venute e aveva sentito il corpo del Drago, sotto di lei, agitarsi appena.
- Prima di venire quaggiù, ragazzina, ho cercato di conquistare per me un posto lassù.
- Fuori dalla grotta?
- Fuori dalla grotta.
- E non ha funzionato?
Il Drago aveva reclinato il collo quel tanto che serviva per poterla adocchiare: il sarcasmo si perdeva un po', senza il contatto visivo.
- Evidentemente no.
Erano rimasti in silenzio per un lungo istante; poi, il Drago era rotolato su un fianco e la ragazzina aveva dovuto aggrapparsi ad una delle sue zampe per non perdere l'equilibrio.
- Già che sei lì... - aveva borbottato lui. - … vedi se riesci a disincastrare quello che mi si è piazzato tra le scaglie sotto alla scapola destra, qualunque cosa sia.
Il Drago aveva sentito la ragazzina inerpicarsi fino al punto indicatole, poi darsi da fare per un attimo, smuovendo e torcendo quel qualcosa che l'aveva fatto impazzire per mesi e mesi e mesi, incastrato in una posizione scomodissima. Sibilò per il dolore e il fastidio quando venne estratto. L'attimo dopo la ragazzina era davanti a lui: reggeva tra le mani una spada lunga quasi quanto lei era alta, con l'elsa incrostata d'oro e la punta macchiata di sangue incrostato.
- Doveva fare male. - osservò.
Il Drago le aveva rivolto un'occhiataccia. Rimpiangeva i bei vecchi tempi in cui le sue occhiatacce riuscivano a spingere alla fuga anche il più arrogante dei cavalieri, perché la ragazzina non ne parve invece particolarmente turbata. Reggeva la spada tra le mani, e sembrava affascinata.
- Cosa c'è, ragazzina? Non avevi mai visto una spada?
- Non ne avevo mai tenuta in mano una. - aveva bisbigliato lei, e per un attimo il suo tono era parso reverente. - Solo i soldati possono toccarle.
- Ne ho parecchie da queste parti. - aveva bofonchiato il Drago. - Spostati un po', se non vuoi che ti schiacci.
La ragazzina aveva obbedito e il Drago si era sdraiato nuovamente sulla pancia. Aveva sospirato, soddisfatto.
- Moooolto meglio. Cerca pure in mezzo al mucchio, ragazzina, guarda se ne trovi una che non pesi quanto te. Qualcosa che tu possa maneggiare. Te la regalo.
Si era aspettato che lei potesse essergli grata, sicuro. Si era anche aspettato che lei potesse rifiutare. Quel che non si era aspettato era lo sguardo con cui la ragazzina l'aveva fissato, e che era tutto un mondo di sguardi, un coacervo, una pozza di mille espressioni diverse, avida e intenta e feroce, e viva, e grata, certo, anche grata.
- Non la posso portare fuori di qui. - aveva detto lei. - Me la ruberebbero.
Il Drago l'aveva fissata in silenzio per un attimo, prima di proporre:
- La puoi tenere qui dentro. Puoi venirla a prendere quando vuoi, e sarebbe tua.
E sarebbe una ragione in più per tornare, aveva pensato. Un motivo in più per scendere nella grotta, per venirgli a fare compagnia e grattargli la pancia e lasciarlo parlare, perché la ragazzina pallida e magra non era un Drago, non poteva volare, ma era una voce. Era qualcuno. Era la prima conversazione che il Drago avesse sostenuto in un secolo e più, doveva persuaderla a ritornare se non la voleva costringere a rimanere.
La ragazzina aveva accarezzato la spada che aveva in mano. Aveva guardato il Drago, poi ancora la lama, di nuovo il Drago. Si era inginocchiata e aveva chiesto:
- Posso davvero?
Ma, mentre ancora lo chiedeva, stava già cercando in mezzo al mucchio.

Trovarono la spada che stavano cercando in un mattino di pioggia lievissima e quieta. Il Drago aveva sentito l'acqua tintinnare all'imboccatura della grotta fin dall'alba: le nuvole avevano inghiottito il sole e la penombra della caverna era liquida e grigia, inargentata. La ragazzina era scesa giù zuppa e tremante e il Drago aveva incendiato una roccia per permetterle di scaldarsi.
- E' fuoco di Drago. - aveva spiegato orgoglioso, mentre lei fissava ad occhi sgranati la pietra bruciare. - Non quella bazzecola che fate voi, con esche e bastoncini e foglie secche. Vero fuoco di Drago, brucia tutto quel che trova sul suo cammino.
- Se puoi fare questo... - aveva bisbigliato la ragazzina tra un battito di denti e l'altro, cercando di non mordersi le labbra nel mezzo dei brividi. - … come hanno fatto a farti scendere quaggiù? Tu, gli altri Draghi, perché non avete vinto?
Il Drago aveva appoggiato la testa proprio accanto a lei. La ragazzina era così piccola che gli sarebbe bastato spalancare la bocca per inghiottirla tutta intera. Non avrebbe dovuto nemmeno masticare per mandarla giù. Le aveva risposto:
- Voi eravate molti, noi pochi. Combattere era sfibrante: era come battersi contro le formiche, ne puoi annegare un po', bruciarne un altro po', distruggere un formicaio o due, ma alla fine le formiche torneranno, e torneranno, loro sono infinite e tu sei da solo. Anche noi eravamo così, da soli. Un po' alla volta ci siamo lasciati morire, o siamo stati sconfitti, o ci siamo nascosti. Io sono stato l'ultimo a scendere, non il primo.
Prima che fosse mezzodì – il Drago era vissuto così a lungo nella grotta da non avere più bisogno del sole per sapere che ore fossero, gli bastavano la temperatura, il vento, gli odori – trovarono nel mezzo del tesoro la spada della ragazzina: era una lama lunga quanto la sua gamba, con la punta aguzza e la guardia liscia. Non aveva oro sull'elsa, né decorazioni sul forte, né pietre dure nel pomolo, ma era solida e di buon metallo. Le stava nel palmo come se fosse stata forgiata per lei: ma, quando la ragazzina provò a sollevarla, il peso parve quasi schiacciarla a terra.
- Come si fa ad usarla? - domandò lei, perplessa.
Il Drago le rispose placidamente:
- Con l'esercizio.






Note: Nell'iconografia classica occidentale la Giustizia è cieca, per non poter vedere le due parti in causa e non poterne prediligere una sola a sfavore dell'altra: porta in genere una lunga veste bianca e regge in una mano la bilancia e nell'altra la spada.
Il Tarocco della Giustizia è spesso associato alla figura di Osiride, dio egizio dell'oltretomba, simbolo di morte e resurrezione, protettore dei riti della fertilità, colui che pesa le anime confrontandole con una piuma. La leggenda di Osiride vede nella sua conclusione la grande battaglia presente in molte tra le religioni occidentali (la parola Ragnarok dice nulla?) che porterà alla fine del mondo così come lo conosciamo.

La Giustizia è armata poiché è necessaria la spada - ossia la forza - per proteggere e imporre la legge. Io la trovo un'immagine lievemente inquietante, anche se, sicuro, di straordinario impatto visivo.

Vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo: avevo perso il conto delle settimane. @_@ Grazie a tutti voi che vi siete fermati!

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Capitolo 4
*** quattro ***





. quattro



Le aveva fatto portar giù un tronco caduto, un po' trascinandolo e un po' facendolo rotolare sulla pietraia scoscesa all'imboccatura della grotta, e l'aveva aiutata a raddrizzarlo contro il fondo della caverna.
- E' tutto lavoro per le braccia. - le aveva detto serafico. La ragazzina era rimasta piegata in due ad ansimare per un bel po', dopo, ma non aveva protestato.
- Ci sono tre cose che sono un bersaglio in tutte le creature. Il petto è un bersaglio, il ventre è un bersaglio, la testa è un bersaglio. Non so bene dove abbiano i genitali gli umani, se dentro o fuori o...
- Cosa sono i genitali?
- Ragazzina, sei stata tu a spiegarmi per cosa i tuoi simili ti comprerebbero. Cos'è, vuoi spingermi ad essere volgare?
- … negli umani sono fuori. Nei Draghi no?
- Non ho intenzione di addentrarmi in questo discorso. Non oggi. Possibilmente mai. Comunque, se sono fuori, anche quelli sono un bersaglio. Un buon bersaglio. La testa è un buon bersaglio, ma è piccolo. Ed è in alto: sei una nanerottola, avrai bisogno di uno sgabello per arrivarci. Il petto è pieno di ottimi bersagli, ma ci sono le costole nel mezzo. Hai mai visto squartare un maiale?
- Sì.
- Bene, allora sai di cosa sto parlando. Resta lo stomaco: nello stomaco ci sono molti, molti organi fragili. Non ci sono costole, niente che possa difenderli. Mira allo stomaco, colpisci forte, e vedrai che il tuo nemico non si rialzerà. Ora, fai una bella croce con una pietra aguzza su quel tronco, lì, all'altezza della pancia. Un po' più in su rispetto alla tua, ragazzina, non troverai mai un avversario alto uno sputo e mezzo.
La spada le faceva tremare le braccia. Le ginocchia le si piegavano sotto il peso, tutta la schiena sembrava curvarsi. Non era precisamente una bambina, ma non era neanche una donna. Non mangiava neanche lontanamente abbastanza da poter mettere su carne sulle ossa.
- Cerca i ratti. - le aveva detto il Drago. - Tutti i ratti che trovi. Raccogli gli scarafaggi. I vermi: anche i vermi sono carne, e se vanno bene per i pesci e le galline andranno bene anche per te.
Le aveva insegnato sotto quali sassi cercare, umidi sassi verdi di muschio pallido dai quali scappavano fuori grossi vermi lunghi e viscidi. Le aveva spiegato che cuocendoli il sapore non migliorava, ma la consistenza sì. La ragazzina aveva vomitato, la prima volta, ma quelli che erano venuti dopo era riuscita a tenerli giù. Lo stomaco aveva smesso di brontolarle per la prima volta da settimane, da mesi: lei se l'era accarezzato con vaga perplessità, sentendolo pieno e satollo e pacifico, e il Drago aveva riso.
- Non è giusto avere sempre fame. - aveva bisbigliato lei un giorno. Aveva preso l'abitudine di riposarsi incuneata tra la zampa del Drago e il suo torace, accoccolata con il capo posato ad un artiglio, perché l'inverno si avvicinava e faceva freddo anche nel fondo nella grotta, anche con il fuoco acceso.
Il Drago era rimasto in silenzio per un lungo istante, prima di replicare quieto:
- Molte cose non sono giuste, ragazzina.

L'autunno era trascorso in una bruma di piogge gelide e cieli grigi, con l'odore delle foglie morte forte nella grotta. Il Drago non riusciva a vedere gli alberi, da lì sotto, né la terra bruna.
Aveva pensato che sarebbe morto di nostalgia, molti e molti anni prima, senza più vento, senza più stagioni, ma poi gli anni erano passati, si erano trasformati in secoli, e il Drago era rimasto vivo. Aveva imparato che non si poteva morire di nostalgia, no. La nostalgia era una gran bastarda: straziava dentro e lacerava l'anima, ma non uccideva.
Un giorno si era sporto verso la ragazzina e le aveva chiesto:
- Che alberi ci sono, lungo la strada che fai per venire qui?
Lei l'aveva guardato con curiosità, prima di scrollare le spalle e rispondere:
- Mele, soprattutto. Ci sono due grossi frutteti tra qui e il villaggio. C'è anche una quercia. L'albero delle nocchie...
- Portami un ramo di quercia, la prossima volta che scendi qui. - le aveva detto il Drago.
Aveva pensato che l'avrebbero picchiata, se le avessero visto rovinare un albero di mele o di nocciole, ma una quercia? A chi importava della quercia? Le querce davano ghiande per i maiali e legna per il fuoco, ma un ramoscello era cosa da poco. Il giorno dopo la ragazzina era scesa con il ramo che le era stato chiesto, e il Drago aveva osservato alla luce del fuoco le foglie brune e croccanti dagli orli frastagliati, le venature brunite. Aveva annusato da vicino la linfa ancora verde. La nostalgia era bruciata dentro di lui come un fuoco freddo: il Drago aveva chiuso gli occhi ed aveva ricordato tutti quei giorni che aveva trascorso volando al di sopra della terra, nel mondo di fuori, tutti quei giorni in cui non aveva realizzato quanto meravigliose e magnifiche e fragili fossero tutte le cose che nella grotta non poteva avere.

Fu tre giorni più tardi della volta del ramo che la ragazzina scese correndo nella grotta, i passi pesanti e il respiro affrettato, trascinandosi dietro una scia di sangue che le colava dalla fronte e un odore strano, appiccicoso, che il Drago stentò a riconoscere.
Aveva gli occhi dilatati, il viso sperso. La gonna lacera aveva un orlo bruciato: era quello l'odore, realizzò il Drago dopo un attimo, fumo, e sangue, un odore dolciastro e colloso che le si era incollato addosso e che si mescolava a quello della confusione.
- Mettiti seduta. - le aveva detto il Drago. - Calmati. Respira.
La ragazzina tirava giù il fiato a grosse boccate: sembrava stordita più che impaurita, e dolorante, infreddolita. Tremava ed era rigida. Il Drago si mosse per avvicinarlesi, cautamente, e le si sedette accanto: si spostò piano per non agitarla, ma la ragazzina – invece che ritrarsi – gli venne incontro e gli si accoccolò accanto.
- Che cos'è successo? - le aveva chiesto. - Cosa c'è che non va?
L'odore appiccicoso che lei aveva addosso sapeva di nausea, sapeva di dolore. Sapeva di cose bruciate. Il Drago aveva allungato la lingua e l'aveva leccata come avrebbe fatto per uno dei suoi cuccioli appena usciti dall'uovo, per pulire e confortare e scaldare. La ragazzina aveva guardato la bava che ora le colava dalle braccia ed aveva fissato il Drago con un'espressione bizzarra: sembrava non saper bene se fosse il caso di essere schifata oppure no.
L'aveva fissato e fissato e fissato e tutto ad un tratto dietro agli occhi della ragazzina qualcosa era sembrato fare clic, come due ruote da mulino che si incastrassero finalmente l'una sull'altra, combaciando.
Aveva aperto bocca e aveva bisbigliato:
- Stanno bruciando tutto. - Aveva la voce rauca, rotta. - Bruciano tutto. I soldati del re stanno bruciando tutto.
Poi, l'attimo dopo:
- Stanno uccidendo tutti.

E:
- Vieni con me. - gli avrebbe detto lei il giorno dopo. - Vieni con me. Non c'è nulla per cui valga la pena di restare qui.






Note: C'era in previsione una puntata di SuperQuarT sui draghi, ma facciamo che ve la risparmio. x°°°D

Ne approfitto invece per pubblicizzare Look for Love, di Volpotta, classificatasi prima al concorso Era mio padre - Concorso su Harry Potter e Severus Piton indetto da me e dall'Amata Salice.



Un grazie di cuore a tutti voi.

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Capitolo 5
*** cinque ***





. cinque



L'odore di fumo e sangue si era fatto più forte con il trascorrere del tempo. Era stato mattino quando la ragazzina era arrivata correndo. Si era addormentata a mezzogiorno, svegliata nel pomeriggio. Aveva catturato un grosso ragno e l'aveva pulito, privato delle zampe, cotto, trangugiato. Aveva bevuto, assetata, lo sgocciolio umido di una stalattite in fondo alla grotta. Si era riaddormentata e il Drago l'aveva tenuta tra il fianco e la coda, al sicuro, al caldo, muovendosi poco per lasciarla riposare. Al mattino il Drago aveva aperto gli occhi e aveva scoperto che la ragazzina era in piedi, e si rassettava gli abiti, e parlava di voler uscire fuori.
- Voglio solo guardarmi intorno. - aveva detto.
Il Drago avrebbe voluto tenerla con sé nella grotta, ma non poteva.
Era rimasto per ore e ore e ore con il capo levato verso l'imboccatura della caverna, così, a fissare un semicerchio di cielo striato di fumo scuro, fetido, con il sentore della morte a viaggiarci dentro: ed al tramonto, quando ormai aveva cominciato a credere che la ragazzina fosse stata uccisa, che non sarebbe più tornata, lei era ricomparsa. Sullo sfondo del crepuscolo era stata una figurina nera sul viola.
- E' tutto bruciato. - aveva detto. Il Drago le aveva trovato un pipistrello: i pipistrelli erano molto meglio dei ragni, e la ragazzina aveva spolpato le piccole ossa una ad una, avidamente, aveva succhiato la cartilagine fino a lasciarne poco e niente. - Non solo il mio villaggio, ma anche quello accanto. E quello dopo. Dalla collina si vede fino ad Acquaviva, ed è tutto bruciato.
Il Drago era incerto e confuso:
- Perché dovrebbero fare una cosa del genere? Non sono soldati del vostro re, questi?
La ragazzina suonava incerta come lui, ma pareva molto meno confusa:
- Forse abbiamo pagato poche tasse.
- Come hai fatto a scappare via? - le aveva chiesto il Drago.
La ragazzina aveva alzato la testa. L'aveva fissato. Aveva la bocca sporca di grasso di pipistrello, di fuliggine, di cenere. Odorava di sangue.
- Ho mirato allo stomaco. - aveva detto, pianamente. - Loro non si sono rialzati.

Quella notte l'aveva sentita lamentarsi e gemere, piangere.
L'aveva circondata con la coda, aveva aperto un'ala per ripararla: il fuoco che ardeva, incendiando la roccia annerita nel mezzo della caverna, si rifletteva sulle sue scaglie con uno scintillio ardente, feroce, di un vividissimo rosso.
Le aveva mormorato cose dolci e cose gentili, alla ragazzina del Male Bianco, finché il suo sonno non era tornato quieto.

Il giorno dopo si era svegliato e lei era nuovamente in piedi: solo, stavolta teneva tra le mani la sua spada spoglia.
Il Drago l'aveva fissata e si era irrigidito. Per un attimo aveva rammentato tutti quei cavalieri che si erano infilati nei suoi rifugi nel corso dei secoli per cercare di ucciderlo; si era ricordato che la punta della spada di certo non sarebbe passata oltre le sue scaglie dure come la pietra, però nel mezzo di uno dei suoi occhi molli, lì, be', lì sì. Dagli occhi al cervello, nella testa di un Drago, c'era un soffio di spazio. Ma quella era la sua ragazzina, non un cavaliere, e la sua ragazzina non gli avrebbe fatto del male.
- Hai detto che era mia. - aveva detto lei, subito, sulla difensiva. - Che potevo prenderla.
Il Drago aveva annuito:
- Sicuro.
- E se la volessi portare fuori di qui?
Fuori di lì non c'era niente, si era detto il Drago. Fuori di lì era bruciato tutto. Fuori di lì l'avrebbero uccisa, alla ragazzina pallida del Male Bianco, e le avrebbero tolto la spada.
- Per farci cosa?
Lei l'aveva fissato in silenzio per un lungo istante, prima di chinare il capo. Dietro al velo dei suoi pallidissimi capelli il Drago riusciva a vedere anche nella penombra quieta della grotta la forma affilata del suo viso, la piega liscia della sua espressione.
- Hai detto che una volta c'era un Buon Re.
Il Drago capiva che era un momento delicato, quello. Tutti i momenti delicati richiedevano risposte molto caute.
- L'ho detto, sì.
- Un Buon Re avrebbe fatto quel che ha fatto il re ora?
- No. No, un Buon Re non l'avrebbe fatto. Neanche il Buon Re degli uomini.
- Non è giusto.
- Molte cose non sono giuste, ragazzina.
- Questa lo è meno delle altre. - aveva detto lei, e la sua voce si era come infiammata. - Hai detto che il mondo, adesso, va peggio di quando sei sceso qui. Hai detto che anche prima non era un bel mondo, ma ora è peggiorato, va solo peggiorando. Hai detto che il re dovrebbe dire qualcosa. Dovrebbe fare qualcosa. Perché il re non fa qualcosa?
Il Drago si era sporto verso di lei, cautamente, smuovendo la pila di monete d'oro e di bronzo sulla quale giaceva:
- Non posso saperlo, ragazzina.
Lei aveva sollevato la spada:
- Io sto andando a chiederglielo.
L'avrebbero ammazzata, aveva pensato il Drago. L'avrebbero ammazzata, gliel'avrebbero ammazzata, la sua ragazzina, che non avrebbe fatto cinque metri senza essere uccisa e aperta come un maiale, senza che finissero di bruciarla, senza che le facessero altro, che in un certo senso sarebbe stato peggio che ucciderla. Gli uomini si facevano cose terribili tra di loro. Il Drago non voleva che le facessero a lei.
- Questa è la madre di tutte le idee stupide. - aveva sentenziato.
La ragazzina aveva scrollato le spalle. Il Drago l'aveva vista armeggiare per rimettere la spada nel fodero – perché le avevano trovato un fodero, nel mucchio di antichi tesori, e lei aveva fatto altri buchi alla cintola per poterla stringere a sufficienza – e non aveva resistito, le aveva detto:
- E' un suicidio.
La ragazzina si era chinata e aveva raccolto dalla pila un elmo: era troppo grande per lei, troppo grosso per la sua testa piccola, per le sue spalle magre, come un'enorme pentola rovesciata sul cranio di un bambino.
- Non sai neanche dove cercarlo, il re.
- Chiederò.
- Tu non sei un soldato. Quelli lì fuori sono soldati. Ti faranno a pezzi. A pezzettini piccolissimi. Tu non vuoi morire, ragazzina, vero?
Lei aveva girato la testa. Aveva guardato l'imboccatura della grotta e il Drago aveva visto che il cielo oggi era più limpido, più chiaro. C'era un odore diverso nell'aria.
Aveva mormorato pianissimo:
- Non posso restare qui dentro.
Quando si era voltata di nuovo verso di lui, il Drago aveva visto il cielo riflesso sulla sua faccia, la luce azzurra, i bordi rossi dell'alba, il riflesso pallido delle nuvole. Gli era sembrato di sentirli cantare dietro al viso della ragazza-bambina, la bambina del Male Bianco, mentre lei protendeva le mani verso il Drago e lo pregava:
- Vieni con me.
E poi:
- Non c'è nulla per cui valga la pena di restare qui.
Il Drago aveva ringhiato:
- Venire dove? Fuori? E perché?
- Non c'è nulla in questa grotta. - aveva bisbigliato lei. - Fuori c'è il cielo. C'è il vento. Non vuoi più uscire? Non vuoi più combattere?
Il respiro del Drago si era levato come un sibilo nella caverna buia:
- Io sono Drago. Noi siamo il Drago. Non ci mescoliamo agli umani. Non abbiamo a che fare con le loro guerre.
Lei gli si era avvicinata e il Drago si era ritratto – per istinto. Aveva capito tutto ad un tratto di averla lasciata avvicinare troppo in quei giorni, in quei mesi, di essersela presa troppo vicina. La ragazzina aveva alzato la testa per poterlo guardare negli occhi, con la medesima, immutata, assoluta mancanza di paura che aveva avuto anche quel primo giorno, quella prima volta, e aveva bisbigliato ancora:
- Hai detto che siete rimasti da soli. Non vuoi vedere com'è essere in tanti?
- Non siamo più in tanti.
- Gli umani lo sono. Gli umani sono tanti. Non devi più stare da solo.
- Voi siete umani. Io sono Drago.
Le mani della ragazzina gli si erano posate su un artiglio, e il Drago aveva ricacciato indietro la tentazione di ruggire, di sputare fuoco, di arderla. Gli sarebbe bastato soffiare e di lei non sarebbe rimasta che cenere.
- Io vado a cercare il re. - gli aveva detto lei. - Per chiedergli che fine ha fatto il Buon Re. Per chiedere giustizia. Vieni a chiedere giustizia con me, Drago.
Il Drago era rimasto in silenzio per un lungo istante. Una volta di più il soffitto aveva cercato di stringerglisi addosso. Il Drago aveva ricordato l'odore che aveva avuto il vento, un tempo, il sapore dell'acqua di mare quando aveva volato appena sopra le onde e, anche se ora forse il mare si era spostato, anche se ora forse l'acqua scorreva in un altro modo, certo non poteva essere poi cambiata molto la fragrante, acuta carezza dell'erba imperlata di rugiada nell'alba.
Aveva ricordato tutte le cose che la grotta non conteneva, tutte le cose che aveva perduto, e si era sentito bruciare.

Il Drago si era girato, lentamente, arrotolandosi la coda attorno per farsene scudo contro la ragazzina e la sua voce. Aveva serrato le ali contro il busto per resistere alla tentazione di spalancarle e aveva bofonchiato:
- Vattene.
Non si era girato per guardarla allontanarsi: aveva sentito il silenzio dietro di sé, a lungo, e poi il rumore dei suoi piccoli, piccolissimi piedi che smuovevano appena i sassi mentre usciva dalla grotta.
Il Drago aveva chiuso gli occhi.






Note: Con (mio) infinito gaudio, ne approfitto per comunicare che sembra che io stia producendo un seguito per questa storia. Il tono è molto più orientato al fantasy classico e molto meno orientato al fiabesco, sembrerebbe, e non ho alcuna garanzia dei tempi (né certezza dell'effettiva conclusione di siffatta impresa x°D), ma minacciare nuovi parti della mia grafomania compulsiva mi diverte sempre.

Il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo: tutti i singoli ringraziamenti, perciò, si spostano lì. Nel frattempo, un grazie collettivo a tutti voi che leggete.

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Capitolo 6
*** sei ***





. sei



Raggomitolato nel fondo della sua caverna, il Drago si predispose al sonno. Mentre la grotta si riempiva di luce rossa – tutto quel che del sole e del giorno e del mondo arrivava fin lì, la luce, e c'era quella della sera che trasformava la ragazzina del Male Bianco in una figura d'acqua blu, quella del pomeriggio, densa come l'oro fuso, e poi l'alba, bellissima alba che le faceva i capelli d'argento, le mani viola, una luce pallida e chiara, traslucida – il Drago giacque sul pavimento di roccia con gli occhi chiusi e l'espressione corrucciata.
La luce del mattino gli pareva rossa com'era rosso il sangue degli uomini, rossa com'erano rosse le sue scaglie, come il fuoco. Fuori il mondo bruciava, ma lì, nella sua grotta, il Drago era al sicuro. Avrebbe potuto dormire per il prossimo secolo, si disse, con la speranza di riaprire gli occhi in un mondo leggermente migliore. Un mondo più giusto. Senza umani, magari, un mondo che potesse meglio funzionare per quelli come lui; senza ragazze vendute e re crudeli e cavalieri che una volta c'erano stati e che gli avevano fatto credere che tutto andasse bene, ma tutto non andava bene, proprio no. Anche i cavalieri erano scomparsi. Come i Draghi.
Un mondo senza bambine con il Male Bianco.
Il Drago grugnì e rotolò su un fianco. Nessuna bambina pallida che potesse scavarsi un posticino riparato e caldo da qualche parte nel fondo del suo cuore, per poi sparirsene da un giorno all'altro con una spada in mano. Nessuna bambina pallida che potesse andare a farsi ammazzare. Non l'avrebbe vista morire, si disse. Avrebbe potuto credere e pensare che sarebbe sopravvissuta, che ce l'avrebbe fatta. Ma una parte di lui, pensò il Drago, l'avrebbe saputo. Una parte del Drago avrebbe saputo la verità.
L'aveva guardata andarsene senza cercare di fermarla – perché fermarla, costringerla nella grotta umida e buia e chiusa, l'avrebbe uccisa – e lei sarebbe morta, adesso. Sarebbe morta così.
Il Drago pensò che avrebbe potuto dormire per un paio di secoli. Tenere il muso agli dei, mentre dormiva, per avergli giocato quel brutto scherzo. Si sarebbe svegliato molto, molto, molto più tardi e... e magari non l'avrebbe più ricordata. Magari l'avrebbe scambiata per un sogno.
Il Drago si rigirò sulla pancia. Si sistemò più comodamente: distese le zampe anteriori avanti a sé, s'arrotolò la coda accanto, fece riposare il capo sul punto più morbido del cumulo di monete e gioielleria.
Gettò una rapida occhiata all'apertura della grotta: il cielo fuori era azzurrissimo e mite, adesso, con quel riflesso rosso che avrebbe potuto essere quello del mattino che avanzava così come quello d'un enorme incendio lontano.
Richiuse gli occhi.

Li riaprì.

Si rigirò su un fianco. Le monete sembravano stranamente dure. Spigolose. Quella mattina parevano volerglisi incastrare tra le scaglie qualunque posizione assumesse, ed erano scomode, dannazione. Il Drago sbuffò. Si raggomitolò, serrando ben strette le palpebre, e finalmente, finalmente, finalmente, trovò un buon punto sul quale sdraiarsi.

L'attimo dopo il Drago spalancò di nuovo gli occhi e stridette, frustrato, verso l'apertura della grotta.
Tutta quella luce, dall'altra parte del soffitto di pietra, sembrava irriderlo.

- - -



Il primo ricordo sarebbe stato quello della luce: vista da vicino era ancora più bella, così, azzurra e rossa e limpida, e la luce sapeva di vento, sapeva di cielo. Aveva la tinta pallida delle nuvole bianche che erano l'unico tetto che c'era, là fuori, l'odore mite dell'acqua salata che veniva da molto, molto, molto lontano, ben oltre le montagne, dalle coste del mare.
Il secondo ricordo sarebbe stato quello della terra: niente pietra dura, ondata su ondata di pietrisco franoso o metallo fuso in monete ossidate, ma terra, terra vera, terra viva, morbida e leggermente asciutta e venata d'erba. C'era un oceano d'erba, là fuori, i piccoli rivoli della cima della collina, l'inondazione compatta dei campi in lontananza.
Il terzo ricordo sarebbe stato quello del sole. Nel sole, la ragazzina si stagliò per un attimo come una forma scura e neutra: ma poi si girò ed aveva la luce nei capelli, che erano d'argento vivido e vivo, là fuori, non bianchi né grigi ma argento, e c'erano sfumature rosate tra le ciocche, sfumature rosse negli occhi, e il viso bianco della ragazzina era come uno specchio di cielo, di alba. Il Drago che la vide in piedi sulla cima della collina pensò ai cavalieri, tutti spariti, ma anche la ragazzina aveva un elmo, una spada. Anche la ragazzina andava alla guerra.
C'era qualcosa di strano, nel mondo fuori dalla grotta. Il Drago si accorse di che cos'era con un attimo di ritardo, perché tutte le sue cellule erano state troppo beate e intente, al principio, a godersi la meravigliosa, feroce bellezza di tutto quel che c'era lì, vento e sole e terra e cielo.
- Non c'è nessun incendio. - disse il Drago. - Non c'è niente che stia bruciando.
La ragazzina gli indicò un punto ai piedi della collina: il Drago guardò e vide che effettivamente qualcosa aveva preso fuoco, là sotto, un edificio annerito e contorto dove le fiamme dovevano essersi spente ormai da ore ed ore.
Il Drago aggrottò la fronte:
- Quello non è un villaggio, ragazzina. Quello è un granaio. Conosci la differenza, sì? Villaggio, granaio? Un villaggio, più villaggi, stanno bruciando tutto? Non c'è niente che bruci, là sotto!
La ragazzina non gli rispose.
Il Drago capì. Gli ci volle qualche minuto di profonda, intensa, corrucciata ed irritabile riflessione, ma poi capì.
- Mi hai mentito. Mi hai stramaledettamente mentito.
La ragazzina annuì.
Il Drago ricacciò indietro il desiderio di mangiarsela, spada ed elmo e tutto, e le chiese:
- Perché l'hai fatto?
- Era l'unico modo – gli spiegò lei – per farti uscire fuori di lì.
- Mi hai fatto credere che stessi andando a morire. - l'accusò il Drago. - Mi hai ingannato.
La ragazzina annuì, serenamente:
- Lo so. - E poi, allargando le braccia, spalancandole, quasi volesse abbracciare in un gesto solo tutto il bellissimo mondo che aveva attorno: - Ti dispiace che l'abbia fatto?
Il vento aveva ancora un odore, che era poi quello dell'acqua di mare, e l'erba carezzava il ventre del Drago così come aveva fatto molti e molti e molti anni prima, quando lui ancora percorreva la terra come un Drago libero. L'alba era nata da poco.
Il Drago alzò il capo e l'aria gli passò sopra, sotto, attorno. Dischiuse le ali e queste si riempirono di vento, se ne saturarono: ebbe l'impressione che gli sarebbe bastato smuoverle appena per alzarsi in volo. Tutto il suo corpo cantava e fremeva e si protendeva verso l'alto come una pianta lasciata troppo a lungo al buio.
- La mammana è bruciata in quel granaio. Anche io stavo per bruciare lì dentro, ma poi ho trovato un passaggio tra le travi, sono scappata fuori. Ed ora sto andando davvero dal re. - gli disse la ragazzina. - Puoi venire con me, se vuoi. Possiamo chiedergli perché non è un Buon Re. Possiamo cercare un Buon Re. Possiamo cercare gli altri Draghi, gli altri come te. Magari, poi, le cose saranno un po' più giuste.
Il Drago strisciò un artiglio a terra. Guardò la ragazzina e considerò seriamente l'idea di stritolarla in una zampa, di cacciarsela in bocca, masticarla e poi risputarla. Gli aveva mentito, l'aveva ingannato, l'aveva tirato fuori dalla grotta. L'aveva tirato fuori dalla grotta. Si sarebbe svegliato, il mattino dopo, in un mondo dove il soffitto non era fatto di pietra, sotto a quel cielo limpido e immenso che aveva pensato di non poter più vedere.
Il Drago chiuse gli occhi. Sospirò e, quando li riaprì, la ragazzina era ancora davanti a lui, e non aveva paura, e dopotutto perché no?, pensò il Drago. La nostalgia orrenda che aveva fatto il nido nel suo stomaco per tutti quegli anni ora non c'era più: alla luce dell'alba era come evaporata.
- Molto bene. - disse. Mosse qualche passo in avanti e la ragazzina si spostò per assecondarlo, per seguirlo. Guardò verso di lui, e il Drago vide il sole risplenderle tra le lunghe ciglia bianche. - Facci strada, allora.

Il Drago glielo disse ai piedi della collina.
Lei aveva di nuovo le braccia spalancate in quel gesto che sembrava voler inghiottire il mondo, intero, e non lasciarlo andare più via: davanti al Drago e alla ragazzina la gente del villaggio si era ritratta urlando terrorizzata, lasciandoli passare e affrettandosi per togliersi dalla loro strada. Prima o poi sarebbero arrivati quelli con le torce e i forconi, e poi quelli con le spade, ma per ora li lasciavano in pace, li lasciavano camminare, godersi il momento.
- Penso che ti chiamerò così. - le disse. - Se fossi Drago sarebbe più facile: tutti i Draghi sono Draghi, ma non tutti gli uomini sono come altri uomini.
La ragazzina alzò gli occhi e lo fissò, perplessa.
- Chiamarmi così come?
Era venuta con la prima luce del giorno, senza avere paura, perché non era stata creata per averne. Aveva portato il sole nella grotta e poi fuori dalla grotta. L'alba le passava tra i capelli, era bianca come il cielo d'inverno, rosata ben più che il tramonto offuscato.
- Aurora. - le disse il Drago. - Ti chiamerò Aurora.
La ragazzina sembrò pensarci su.
- Aurora? - ripeté.
- Aurora. - confermò il Drago.
La fronte liscia della bambina del Male Bianco si corrugò.
- Significa qualcosa?
Il Drago sogghignò. Un contadino così coraggioso da tirar fuori la testa dalla porta della sua casupola la ricacciò prontamente all'interno di fronte a quel suono francamente spaventevole, ma il Drago non vi badò. Spinse in avanti con la punta della coda la ragazzina, facendola barcollare lievemente.
- Te lo spiegherò. - le disse poi. - Sappi che sarò sempre lieto di gettare una palata di conoscenza nell'insaziabile pozzo svuotato della tua ignoranza.



- Chiamala Aurora. - disse il cielo al Drago.
E il Drago, sì, il Drago lo fece.








Note: E così è finita - per adesso. Se la ragazzina e il Drago avranno successo o meno, se riusciranno a trovare un Buon Re e a rendere le cose nuovamente giuste, be', questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta.

Partiamo con ordine. Ringrazio _bianconiglio_, Lely1441, wari, chimaira, junone, Carmilla Lilith, Tatan, Ray08, dierrevi, TuttaColpaDelCielo, duedicoppe, Loryblackwolf, Sad Little Chrona, che si sono fermati a lasciare una recensione a questa storia.
Ringrazio schwarzlight, senza la quale questa storia non sarebbe mai nata.
Ringrazio tutti voi che avete letto, sperando che a tutti voi sia piaciuta.

E, dato che non sono brava a chiudere una storia e che mi par di capire (oh, ma come l'avrò capito mai? x°D) che è piaciuto a tutti voi:
"E adesso, Draco, senza di te cosa faremo? A chi ci rivolgeremo?"
"Alle stelle, Bowen. Alle stelle."

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