Somebody to love

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una quasi-bella giornata ***
Capitolo 2: *** Deal. ***
Capitolo 3: *** Speranza ***
Capitolo 4: *** Dolcetti e scherzetto ***
Capitolo 5: *** Insonnia ***
Capitolo 6: *** First day ***
Capitolo 7: *** I traumi della vita ***
Capitolo 8: *** The show must go on! ***
Capitolo 9: *** Bua ***
Capitolo 10: *** Tra ringraziamenti e tacchini di troppo ***
Capitolo 11: *** Ovviamente. ***
Capitolo 12: *** Al parco ***
Capitolo 13: *** Hai un amico in me ***
Capitolo 14: *** La magia del Natale ***



Capitolo 1
*** Una quasi-bella giornata ***


 

Una quasi-bella giornata.

 
Era una bella giornata.
Il sole era alto, in cielo non c’era nemmeno l’ombra di una nuvola, l’aria era adornata da una soffusa e piacevole musica di sottofondo e a distanza di metri si poteva ancora sentire il profumo dello zucchero filato del bancone accanto all’entrata.
Kurt si guardava intorno, ed era felice.
Non avrebbe mai pensato di poter ottenere così tanta felicità, dopo quegli angusti anni del liceo. Ma quei tempi di lacrime e sofferenza erano finalmente, assolutamente, passati. Perchè adesso stringeva forte la mano di Blaine, e lui sembrava così bello nella sua giacca di Mark Jacobs, così sereno, e così perfetto, con quella piccola fede al dito, che Kurt dovette fare uno sforzo per convincersi di essere nel mondo reale, e non in qualche sua rosea fantasia.
E per quanto riguardava Blaine, da anni passava le notti senza sognare niente, ma non se ne rammaricava: dopotutto, nessun sogno poteva essere migliore di quello che viveva ogni giorno.
“Blaine?”
Il ragazzo si voltò verso di lui con un gesto automatico; com’era solito fare da diversi anni, ormai.
Kurt lo guardò. E in quel momento, entrambi seppero già cosa stava per dire.
“Ti amo.”
Lo disse come se fosse una cosa ovvia; come quella prima volta al Lima Bean, quando loro avevano solo sedici anni, e sapevano poco o niente del mondo, del loro futuro.
E adesso, erano lì.
Il sorriso del moro si distese un pochino, in quel modo amorevole che rivolgeva solo a suo marito. Ma Kurt, per un attimo, un breve, ma fatale attimo, riuscì a leggerci anche un pizzico di ironia.
“Dopo tutto questo tempo?”
Roteò gli occhi al cielo, perchè non poteva davvero aver inserito una frase di Harry Potter, non in un contesto simile, non con quello sguardo scintillante che sembrava dire “ti prego dillo ti prego dillo ti prego dillo”.
“...Sempre.” Mormorò, sconsolato, e un istante dopo Blaine lo aveva abbracciato entusiasta. (*)
“A volte non sembri cresciuto di una virgola”, commentò, e prima che l’altro ragazzo potesse rispondere, si soffermò a squadrarlo dall’alto in basso emettendo un ghigno divertito.
“Beh, a guardarti bene, è proprio così!”
“Non sei simpatico.” Canzonò Blaine, sbuffando per la sua maledetta altezza. Perchè Kurt era cresciuto di quasi dieci centimetri, e lui di appena due!?
L’altro ridacchiò, per poi baciargli dolcemente una guancia.
Si scambiarono un’occhiata, quelle occhiate che dicevano tutto e niente, e con un sorriso reciproco si avvicinarono l’uno all’altro, le mani intrecciate, i respiri che si facevano più corti, la distanza che divideva le loro labbra sempre più breve...
“KURT!!”
Ed ecco che arrivava Rachel. 
I due ragazzi sperarono seriamente che non ci fossero paparazzi in giro, perchè altrimenti avrebero visto la grande diva di Broadway, l’astro nascente tra le donne più belle e amate di New York, il loro idolo, correre come una forsennata per mezzo centro commerciale con un orrendo vestitno verde mela; beh, probabilmente avrebbero perso l’uso della parola. O si sarebbero cavati gli occhi.
“Rachel!” Sbottò Kurt, una volta che era riuscita ad acciuffarla. “Ti vuoi calmare!? Sembri una teenager ad un concerto di Justin Bieber!”
“O Kurt ad una svendita di Prada.” Sussurrò Blaine con un sorrisetto che fu subito eliminato dalla faccia della terra tramite un’occhiata omicida del marito.
“Kurt, Blaine, è...mi dispiace tanto, ho provato a fermarla, ma io...”
“Come?” Adesso anche Blaine si era fatto serio, avvicinandosi alla ragazza.
“Io...è fuggita..”
I due ragazzi, cominciando ad intuire il soggetto del problema, sbiancarono di colpo.
“Un momento...” Blaine cercò disperatamente di ottenere una smentita alle sue terribili supposizioni. “Chi è che sarebbe fuggito?”
“Ma come chi!? Vostra figlia!”
Elizabeth Hummel-Anderson.
La loro unica, preziosissima figlia.
Fuggita.
 
 
“Cosa intendi con è fuggita!?” Gridò Kurt, tra un respiro affannato e l’altro. Non aveva mai corso così tanto in tutta la sua vita, e nonostante quello, Blaine riusciva ad essere dieci passi avanti a lui.
 “Non è colpa mia! Le stavo facendo vedere l’ultimo mio poster che hanno appeso accanto al tabellone... e poi è scomparsa!”
“Come diavolo fa a scomparire una bambina di tre anni!?” Esclamò allora Blaine, voltando per un attimo la testa nella loro direzione.
“Non lo so! E’ vostra figlia, dovresti essere tu a dirlo a me!”
“Oh Rachel! Questa è l’ultima volta che la lascerò nelle tue mani, lo giuro!”
“Ma Kurt, mi dispiace! ...In effetti, tutta questa situazione mi sta facendo venire in mente una canzone perfetta per...”
“RACHEL!”
“Ok, ok, scusate!”
Qualche minuto dopo, si trovarono esattamente all’entrata del centro commerciale. Il grande salone era adibito a parco giochi, ricco di palloncini e strutture gonfiabili.
Cercarono in lungo e in largo, ma di Elizabeth nessuna traccia. A Kurt iniziava a mancare l’aria; Blaine strinse con forza la sua mano, e si accorse che tremava.
 “Blaine...oh Blaine, e se non la trovassimo più? E se fosse andata in strada?!?”
Per fortuna, qualche secondo dopo, si sentirono chiamare a gran voce.
“Kurt! Blaine! L’ho presa!”
E sopra di loro, in cima all’enorme scivolo gonfiabile, in mezzo a tutti quei bambini piccoli e fragili, comparve Finn. Spiccava un bel po’, a dire il vero. E sulla sua spalla, come se fosse un fagotto, c’era una bambina dagli occhi smeraldini e i capelli castani che sventolò la sua piccola manina con fare allegro.
“Daddy!” E, subito dopo, “Papà!” (**)
Kurt e Blaine, all’unisono, si accasciarono l’uno contro l’altro.
E anche Rachel, a qualche metro di distanza, credette di essere appena scampata ad un infarto.
“Lizzy...” sussurrarono in preda al panico e all’emozione, abbracciandola talmente forte che per poco non le fecero male. La bimba non capì: ma come tutti i piccoli, si lasciò cullare da quel calore così familiare e piacevole, e poi si accoccolò tra le braccia di uno dei suoi padri.
Finn guardò Rachel, che praticamente stava piangendo per la commozione.
“Hey...va tutto bene.” La rassicurò il fidanzato, che si apprestò immediatamente a cingerle le spalle con un braccio. Lei lo guardò, con gli occhi ancora lucidi.
“Sei il miglior fidanzato del mondo.”
“E sei anche fortunato –commentò Kurt- oggi ci è mancato un soffio che uccidessi la tua ragazza. Ti conviene stare attento.”
“Ma quando la smetterete di battibeccare, voi due?”
“Finn, è dalla seconda liceo che vanno avanti.” Gli fece notare Blaine, che comunque, dentro di sè dava pienamente ragione a Kurt per il tentato omicidio.
Il ragazzo sorrise malinconico: “Ne è passato di tempo, eh?”
Si guardarono tutti, uno ad uno, e tra di loro, la piccola Lizzy si dimenò tra le braccia del padre facendo cenno di andare in quelle di Rachel.
“Zia!”
Kurt sbuffo: “Oh, perfetto. Nostra figlia ama Rachel Berry.”
Quest’ultima fece una linguaggia: “Vieni dalla Zia Rachel, picccola Lizzy!”
Blaine, però, con un moto di protezione strinse sua figlia a sè; non aveva nessuna voglia di ripetere il trauma di poco prima.
“Hem...magari domani. Ok? Si è fatto tardi, forse è meglio che la portiamo a casa.”
Kurt lo guardò divertito. Lo amava quando faceva il padre protettivo.
Le due coppie si salutarono, e così la famiglia Hummel-Anderson si diresse con tranquillità alla macchina.
“Credo di aver perso dieci anni di vita.” Commentò il moro, guardando la creaturina che teneva in braccio.
“Non dirlo a me. Avrò come minimo un centinaio di capelli bianchi. –Si rivolse, poi, alla bambina che ora lo fissava incuriosita- Non è un po’ presto per le fughe sconclusionate, signorina? Aspetta almeno di arrivare ai tredici anni!”
Scoppiarono a ridere, e poi, senza nessun motivo apparente, si baciarono; perchè erano completamente risollevati e si sentivano incredibilmente leggeri, come liberati da un macigno che li aveva schiacciati per secoli, e perchè avevano sentito l’impellente bisogno di farlo. La bambina sotto di loro li fissò radiosa, e si sentì improvvisamente cullata da quella stretta vicinanza dei due corpi paterni; così tanto che, dopo qualche metro di viaggio, dondolata dal passo della camminata, si sitemò meglio tra le braccia del padre, abbracciandolo languidamente, e cadde in un sonno profondo.
I due guardarono il frutto del loro amore, e non avevano mai visto niente di più bello in tutta la loro vita.
“Kurt?” Fece Blaine, dopo qualche secondo di silenzio.
“Sì?”
Sorrise. “Ti amo anche io.”
Kurt lo guardò, e un moto di irrefrenabile felicità cominciò a pervadergli tutto il corpo.
“Beh, dopo tutto, è stata quasi una bella giornata.”




 
********



 
Angolo di Fra:


(*) Devo anche dirvi che quella frase è la famosa frase che dice Piton a Silente, riguardo al suo amore per Lily? E devo anche dirvi che ho versato tipo fiumi di lacrime quando l’ho letta? Credo proprio di no.
 
(**) Ok, in verità questa è una cosa che ha raccontato Neil Patrick Harris in un’intervista: i loro figli, per distinguere i due genitori, li chiamano rispettivamente “daddy” e “papà”. E’ una cosa semplicemente adorabile, e quindi l’ho messa qui. “Daddy” è Blaine mentre “Papà” è, ovviamente, Kurt, che è fissato con il musical “Gipsy” :D (Some people – Rose’s turn eccetera eccetera)


  
Aaaaaaallora.
Se non si era capito, questa sarà una raccolta di vario genere e di OS differenti, tutte ovviamente incentrate su Kurt e Blaine come genitori. Non seguo un vero e proprio filo logico/temporale, più che altro seguo l’ispirazione (per farvi capire, in questa OS Lizzy ha 3 anni, nella prossima potrebbe averne 2).
Ci saranno delle cose piuttosto fisse: Kurt e Blaine a New York, ovviamente Lizzy, Finn e Rachel, e forse potrei inserirci anche qualche altro membro del Glee, devo ancora decidere.
Questa raccolta sinceramente è nata più da un mio “sfizio” personale, ho tante idee su daddy!Klaine e mi piaceva scriverci sopra. Sicuramente non supererà i 15 capitoli e potranno essere più o meno corti. Insomma, senza pretese, nel verso senso della parola.

A parte queste piccole premesse, spero veramente che vi sia piaciuta questa “introduzione” così com’è piaciuto a me scriverla. Grazie mille in anticipo a chi mi ha letto, e un sonoro THANK YOU a chi mi recensirà! Un bacione
Fra
  

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Capitolo 2
*** Deal. ***


Premessa:

Ook, quest'idea mi è venuta in mente per due motivi. 1) La mia università di economia mi sta facendo impazzire. 2) I love shopping è geniale.
Quindi sì, me ne sono uscita con questa cosa che è...boh. Non so nemmeno come definirla, vi posso solo dire che era divisa in due parti perchè questa OS era uscita incredibilmente lunga e quindi avevo deciso di dividerla in due parti...ma poi l'ho messa tutta, tanto non superava le 7000 parole quindi mi son detta "ok".
E che dire...spero davvero che vi piaccia ç_ç scusate! Come vi ho detto, in questa raccolta scriverò praticamente tutto ciò che mi viene in mente, e questa è una delle mie idee folli. Beh, buona lettura!

 
 

Deal.

 

 
Ormai era su tutti i giornali.
New York Times, The journal, Daily Report… la crisi finanziaria.
Era diventata la principale fonte di discussione, nonché di preoccupazione; ed era molto difficile sviare un argomento simile, in effetti, era praticamente impossibile; sicché, un giorno, colto dalla curiosità e da un crescente interesse, Blaine ebbe la malcapitata idea di informarsi. Non fu difficile, in verità le informazioni gli piombarono addosso in un uragano di grafici, numeri e previsioni assolutamente pessimiste. Era totalmente rimbambito da tutte quelle nozioni, che all’apparenza potevano sembrare confusionarie, quasi astratte, ma adesso era seduto – o meglio, abbandonato inerme – sul divano a sentire un’ospite di talk-show televisivo in onda quel pomeriggio, e la donna parlava chiaro. Troppo chiaro. Non poteva più far finta che non avesse capito un accidenti, o che quella cosa non recasse qualsiasi sorta di problemi.
“Siamo in un momento di crisi totale –disse la donna- non possiamo più permetterci il lusso di farci qualche regalo, o comprarci qualche bel cappotto firmato. Insomma, dobbiamo stringere la cinghia.”
Stringere la cinghia. Un modo poco raffinato per dire, “occhio alle spese”. Un modo come un altro per far improvvisamente ricordare a Blaine della miriade di abiti, scarpe, cappotti e sì, anche cinghie, presenti all’interno del suo armadio.
Con passo quasi tremante si diresse ad aprire le ante di quel covo di disperazione; eppure, quello che trovò non fu spaventoso: dentro al mobile intravide qualche bella giacca firmata –il numero giusto, per avere qualche vestito di ricambio e uno di scorta per gli eventi speciali- un set di cravatte e camicie, le quali alcune vecchie di anni, e qualche mocassino, neanche troppo costoso, a dir la verità.
Emise un sospiro di sollievo. Forse, effettivamente, si era allarmato troppo per un nonnulla.
Ed ecco che, però, i suoi occhi nocciola capitarono improvvisamente sull’enorme, gigantesco, inquietante armadio di Kurt. Perché sì, ne avevano uno a testa, e fino a quel momento per Blaine non era stato un vero e proprio problema, immaginava che Kurt volesse i suoi spazi, il suo ordine, e non aveva mai osato frugare tra la sua roba; ma dopotutto, una sbirciatina poteva comunque darla, no? Erano sposati da anni ormai! Non avevano niente da nascondersi, non c’era niente di cui preoccuparsi, giusto?
Chissà come mai, le risposte a quelle domande suonavano retoriche anche dentro alla sua testa.
Con fare lento e calcolato, si apprestò ad aprire le ante in mogano placcato. Ed era tutto lì. Lo stipendio di mesi, anni di lavoro, tramutato in tessuti.
L’ultimo golf di Armani, il jeans di Calvin Klein, la maglia elasticizzata di Ralph Lauren, il gilet di Alexander McQueen, il top da palestra di Alexander Wang… che diavolo se ne faceva di un top da palestra!? Kurt alla sola idea di sudare cominciava ad avere irritazioni cutanee!
Ma non era quello il punto. C’erano tre problemi sostanziali, che Blaine in quel momento desiderò non cogliere affatto, ma che inevitabilmente sbucarono dal suo cervello; uno: si doveva tirare la cinghia; due: praticamente il suo armadio messo insieme costava quanto quel giubbotto di jeans di Marc Jacobs; tre, e quello era davvero deprimente: molte di quelle cose Kurt non le aveva mai indossate.
Neanche a volerlo fare apposta, in quel preciso istante, il chiavistello della porta scattò e Kurt piombò in casa ridendo e mano nella mano con Elizabeth.
“Blaine?” Cinguettò, e la bambina gli fece eco gridando “Daddy?”
“Siamo a casa!”
Il moro rassettò alla meno peggio i vestiti che aveva analizzato e richiuse velocemente le ante dell’armadio. Una volta che fu raggiunto in camera dagli altri due, si apprestò a sfoggiare un sorriso innocente fingendosi indaffarato in qualche cosa.
“Che facevi?” Domandò allora il marito, inarcando appena un sopracciglio.
“Uh…niente. Sistemavo. Com’è andata la passeggiata?”
Il viso di Kurt si illuminò di colpo, e assunse quello sguardo eccitato che Blaine ormai conosceva bene e sapeva subito decifrare con una sola, semplice, letale parola: shopping.
“Oh Blaine, volevo giusto dirti che ho trovato una nuova boutique incantevole giusto a qualche isolato da qui! Ho trovato quelle scarpe di Prada che cercavo da una vita…ti ricordi? Quelle color corda che abbiamo visto insieme su quella rivista!” Corse in sala a prendere la busta perfettamente confezionata e lasciò che Lizzy aprisse voracemente il pacco.
Da una vita? Kurt, le hai viste due giorni fa! –Esitò un momento, pentendosi ancor prima di formulare la domanda- E, giusto per sapere…quanto sarebbero costate, queste scarpe?”
Perché Kurt ne aveva davvero a dozzine di scarpe, e non era più un ragazzino, sapeva bene che a volte certe cose possono semplicemente rimanere degli oggetti belli, ma inacquistabili…
“Soltanto 450 dollari.”
“Soltanto!?”
Ma lui non badò a quel commento allibito e corse in sala a prendere la busta perfettamente confezionata; mentre lasciò che Lizzy aprisse voracemente il pacco, continuò a parlare con la sua solita aria soddisfatta, di chi ha appena realizzato un grande affare.
“Scontate del 30%! In effetti  potrei aver velatamente flirtato con il commesso per farmi fare un piccolo sconticino… ma non ti preoccupare amore, era tutto a fin di bene! Adesso io ho le mie scarpe di Prada, lui un numero di telefono inventato a casaccio, e siamo tutti felici e contenti!”
“Anch’io sono felice!” Esultò Lizzy, guardando il padre con occhioni sognanti.
“Ma certo che lo sei tesoro! Ti piacciono le scarpe di papà?”
La bimba rimase incantata ad osservare gli strass presenti sul dorso, e una piccola stellina luminosa sulla punta. Guardando tutti quei colori brillanti con adorabile innocenza esclamò: “Sono come quelle delle principesse!”
Kurt si fermò un attimo a prendere fiato. A volte la dolcezza di sua figlia era semplicemente disarmante.
“No amore mio, tu sei una principessa.” E detto quello le diede un tenero e lungo bacio sulla guancia, che fece gongolare la bambina.
Blaine era interdetto. Una parte di lui si stava praticamente sciogliendo davanti a quell’immagine –Dio, a volte stentava ancora a crederci che fosse tutto vero, che stesse accadendo proprio a lui-, ma dall’altro lato, la realtà lo fece ricomporre al volo piombandogli addosso come un macigno, assieme alla voce tenace della commercialista.
“Kurt…-esordì, nemmeno lui sapeva bene quello che stava dicendo- dobbiamo tirare la cinghia.”
L’altro ragazzo, a quel punto, si fermò a guardarlo. Non avendo capito molto bene le sue intenzioni avvamp di colpo coprendo le orecchie della bambina.
“B-Blaine! Voglio dire…davanti alla bambina!”
“Come?”
Oh, in effetti, quella frase poteva suonare un po’ ambigua.
“Oh, no! Cioè, s-sì, ma non mi stavo riferendo proprio a quello, anche se in effetti era da un po’ che ci pensavo e…”
“Blaine??” Sul serio, dopo tanti anni di Kurt continuava ancora a perdersi negli sproloqui confusionari del marito.
“Quello che voglio dire, è che… beh, siamo in crisi.”
Sbiancò. E in quello stesso istante, la piccola Lizzy assunse una faccia molto simile, e Blaine per un momento non seppe distinguere l’uno dall’altra. Erano solo così…belli. Ma non era il momento per soffermarsi ad ammirare l’incredibile perfezione degli amori della sua vita. Doveva fare un discorso serio e molto, molto pericoloso, soprattutto se fatto ad uno come Kurt.
Il ragazzo aveva ancora un’aria sconcertata: “In crisi…chi!?”
“Il mondo, Kurt! L’economia va a rotoli, le aziende chiudono, e le famiglie non arrivano a fine mese!”
Sentendo quelle parole il controtenore si accasciò lentamente a terra, e la figlia si accoccolò meglio su di lui.
“Che hai?” Domandò l’altro, accovacciandosi di fronte. Ok, era stata una notizia forte anche per lui, ma gli sembrava impossibile che Kurt ne avesse sentito parlare soltanto in quel momento, e quella reazione gli sembrava comunque esagerata. Infatti, scoprì presto che non era rivolta alla crisi dell’economia.
“Quando hai detto siamo in crisi, ho pensato che noi…” e non riuscì a finire la frase, perché anche soltanto pensare quelle parole gli provocava una fitta lancinante al cuore e gli occhi cominciavano a pungere, e a riempirsi irrimediabilmente di lacrime.
Blaine sussultò. Kurt era distrutto, e soltanto perché aveva frainteso una sua frase, soltanto perché, per un brevissimo periodo, aveva inteso qualcosa di semplicemente assurdo ed inconcepibile, e tutto per colpa di una sua frase mal posta; era proprio un idiota.
“Kurt…hey.” Gli prese il viso tra le sue mani, sfoggiando quel sorriso caldo e rassicurante che lui amava tanto. “Che sciocco che sei. Non potrei mai, mai dire una cosa simile. Non riesco nemmeno a figurarla nella mia mente. Io ti amo. Ti amo con tutto me stesso. Non scordarlo mai.”
Kurt sorrise un poco. Ma prima che potesse dire altro, Lizzy saltò addosso al collo dell’altro padre ed esclamò: “Ti amo!”
I due genitori risero insieme, scambiandosi un’occhiata divertita e innamorata.
“Sì Liz, amo anche te.”
La bimba esultò dalla gioia e Blaine ne approfittò per stringere forte la mano di Kurt, che ricambiò saldamente la presa. Ed erano tutti e tre collegati, Lizzy a Blaine, Blaine a Kurt, attraverso quella spirale di calore che riusciva a cancellare il resto del mondo.
 
“Allora? Cosa volevi dire, con il discorso di prima?” Esordì Kurt, una volta tornato in piedi e sciolto quello strano abbraccio.
“Beh…” esitò Blaine, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro; alla fine, decise che l’unico modo per dirlo era parlando in modo rapido ed indolore.
“Non pensi che stai comprando un po’ troppo? E non mi riferisco alle scarpe di oggi, ma più in generale.”
Ecco, l’aveva detto.
Kurt, dopo una breve pausa in cui assunse un’espressione di puro stupore, scoppiò a ridere.
“Ma che stai dicendo? Guarda che tutto ciò che compro mi serve! Non ho mai niente da mettermi!”
Ok, non era proprio vero. Ma Blaine non poteva saperlo, no? Insomma, era suo marito, mica la sua coscienza. Non avrebbe mai potuto sapere quali erano i suoi vesiti “necessari” e quali quelli che si era comprato solo per sfizio.
Eppure, nel momento esatto in cui lo vide aprire di nuovo l’armadio ed estrarre uno ad uno tutti i suoi completi preferiti, con una familiarità semplicemente disarmante, cominciò seriamente a credere che quell’uomo fosse soltanto un’immagine residua del suo subconscio.
Aveva scelto esattamente tutti i vestiti a cui lui stesso aveva pensato.
E se una parte di lui provò l’immediato istinto di baciarlo con ardore, una piccola, minuscola parte al suo interno provò qualcosa di vago e insolito che quasi poteva essere definita vergogna. Ma non poteva essere vergogna! Kurt non avrebbe mai potuto vergognarsi di quello splendido cappotto di Alviero Martini. Trovare quel cappotto nel bel mezzo di una svendita di liquidazione era stata una benedizione.
Eppure, Blaine non sembrava della stessa idea.
“Senti…io ti amo. E amo tutto quello che indossi. Ma c’è veramente bisogno di comprare tutti questi vestiti?”
La risposta era alquanto ovvia.
“Questi non sono semplici vestiti. Questi, Blaine, sono il frutto di dura dedizione alla moda.”
“Questo lo so, Kurt, è solo che… tu non hai ancora un ingaggio a teatro, io non riesco a trovare lavoro… e quella commercialista continuava a parlare di perdite, debiti, e che bisogna tirare la cinghia!”
“Ancora una volta con questa cinghia? Blaine, tesoro, innanzitutto, è un termine orribile e ti proibisco di usarlo. Seconda cosa, non ti devi preoccupare: stiamo benissimo! Non corriamo problemi.”
Blaine sviò un poco la testa : “Forse hai ragione. Immagino di essermi spaventato.”
Kurt lo guardò. Sembrava così vulnerabile, con quegli occhioni abbassati, che non riuscì a trattenersi dall’abbracciarlo. Il moro rimase interdetto per un attimo, e poi lo avvolse tra le sue braccia, crogiolandosi in quel calore per diversi minuti.
“Kurt – disse infine, scostandolo quanto bastasse per poterlo vedere negli occhi- sarò anche esagerato, ma questa cosa mi preme molto. E poi, tu non hai ancora un contratto a teatro e il mio lavoro in quanto a stipendio non è granché…”
Kurt ignorò la prima metà della frase –non era il caso di ripetergli che ormai il suo debutto a Broadway era imminente, e che presto avrebbe affiancato Rachel Berry in un musical, anche se nessuno dei due sapeva bene quale- e gli mise prontamente le mani sulle spalle.
“Non deprimerti, su. Che ne dici di una bella seduta di shopping intensivo per farti passare il malumore?”
“Ecco, appunto.” Borbottò. Ci fu qualche secondo di pausa, nella quale Kurt lo fissò con disappunto mentre lui cercava le parole più adatte per continuare.
“Kurt…tu mi ami, non è così?”
Il ragazzo non batté ciglio. “Certo, Blaine.”
“Quindi…non ti arrabbieresti se, come pegno del tuo amore per me, mi facessi un piccolo favore?”
Quel discorso iniziava ad insospettirlo. Ma se si trattava di un piccolo favore, allora non c’era niente da temere. In seguito alla sua risposta positiva, Blaine trattenne il fiato e dichiarò: “Non comprare più vestiti.”
Ok, no. Non poteva aver sentito bene. Perché quello non era affatto un piccolo favore. Quello era un SACRIFICIO IMMENSO, un fioretto religioso, una penitenza crudele!
“Ti prego, Kurt! Il tuo armadio è pieno di vestiti che non hai mai messo, e se solo tu li indossassi tutti per una volta o due ne avresti abbastanza fino al prossimo anno!”
“E’ inammissibile.” Commentò l’altro, cinereo. “E’ assurdo.”
“Ah sì?”
Cacciò fuori dal guardaroba una giacca di pelle. Kurt sgranò gli occhi e quasi gliela strappò via dalle mani, intendo ad osservarla dettaglio per dettaglio. E quella, da dove spuntava fuori? Era bellissima!
“Ecco, visto!? -Sbottò il marito, decifrando il suo sguardo ammaliato- Non ti ricordi nemmeno tutti i vestiti che hai!”
L'altro non seppe come rispondere. Era stato colto in flagrante, e quella situazione era molto peggio di quando Blaine lo aveva sorpreso a divorarsi l’intero barattolo di biscotti al cioccolato di Lizzy.
La bambina, intanto, era sgattaiolata lontano da loro e stava osservando la scena da sotto alla cassettiera di legno.
“Kurt, ti prego, fallo per me. Quando avrai finito di indossare tutti i capi del tuo armadio per tre volte, allora potrai ricominciare a comprare. Si tratterebbe solo di qualche mese! E poi mi faresti davvero, davvero felice.”
Kurt si morse il labbro inferiore. Di fronte a quella richiesta fatta in modo tanto dolce, e a quegli occhi enormi che sembravano due fari imploranti ed innamorati, come poteva dire di no?
Si rese conto di aver accettato la richiesta solo quando sentì il corpo di Blaine addossarsi contro il suo, attraverso un abbraccio entusiasta e un incredibile, sorprendente, bacio di ringraziamento. E Kurt era rimasto talmente travolto da quell’ondata di amore che ci mise un secondo di più a ricambiare il bacio, lasciando che le loro lingue si intrecciassero dolcemente.
Lizzy, come sempre del resto, ogni qual volta vedeva dei gesti di affetto simili, volle partecipare ai festeggiamenti a tutti i costi e quindi corse fuori dal suo nascondiglio nel quale si era nascosta/infilata alla ricerca di chissà cosa, aggrappandosi alle gambe dei padri.
“E tu da dove sbuchi?” Domandò Blaine ridacchiando, per poi sollevarla da terra e stringerla a sé, sotto alla faccia di Kurt che diventava sempre più violacea. Ogni tanto si chiedeva se la bambina si rendesse conto delle loro calde effusioni, o se le vedeva soltanto come una cosa innocente e banale. In ogni caso, a differenza sua, Blaine sembrava non farsi scrupoli nel baciarlo di fronte a lei, e lei non sembrava mai minimamente colpita. A volte quei due sembravano davvero uguali, negli atteggiamenti e nella loro disinvoltura. Infatti, Blaine si avvicinò di nuovo e riprese a baciarlo, colmo di gioia e senza il minimo timore.
“Sono così felice che tu abbia accettato.” E detto quello sfoggiò un sorriso che andava da un occhio all’altro, e continuò il contatto.
Kurt sospirò. Oh beh, quella richiesta non gli sembrava più così brutta: se significava avere Blaine sempre così felice e lusinghiero, allora avrebbe perfino potuto camminare indossando un sacco della spazzatura. E dopotutto, poteva benissimo vivere per qualche mese senza fare shopping. No?
Ma ecco che, prontamente, fu assalito da un morso allo stomaco forte e malefico, non appena Blaine si accinse a mettere a posto la giacca di pelle che aveva preso prima, fu come se lo stesso indumento cominciasse a mugolare, e a maledirlo nella lingua delle firme e delle etichette elasticizzate.
E fu proprio allora che si rese veramente conto del patto che aveva appena stabilito: tutti quei lunghi mesi, a New York, inondato da shoppers in plastica biodegradabile, boutique con quel dolce aroma di aloe nell’aria, negozi che assieme alla spesa ti regalavano un campione omaggio dell’ultimo profumo di Chanel, ultime collezioni, occasioni, saldi, sconti, sfilate…
E nemmeno un, singolo, abito.
Non che fosse un vero e proprio maniaco dello shopping, ma insomma, probabilmente l’ultima volta che aveva fatto un “digiuno da shopping” era…mai.
E New York non era davvero la città ideale, per allontanarsi dalle vetrine.
Lanciò una rapidissima occhiata ai suoi vestiti, e improvvisamente gli sembrarono tutti più…spenti. Vuoti. Perché erano diventati automaticamente la sua unica risorsa per i prossimi quattro, cinque mesi? E tra due settimane sarebbero già passati di moda.
Oh Dio, non ce l’avrebbe mai fatta.
Ma, d’altro canto, non poteva in nessun modo deludere Blaine. Non ora che sembrava il ragazzino di sedici anni che aveva appena vinto le Regionali, non dopo che lo aveva ringraziato in quel modo così sentito e con quel bacio così assolutamente perfetto.
No, doveva trovare qualcos’altro; doveva trovare un modo, una scorciatoia, una scappatella dal suo patto.
Pensa Kurt, pensa! Si ripeté mentalmente, guardandosi intorno come alla ricerca di un’ancora di salvezza.
E la trovò.
Osservò Elizabeth, sua figlia, il suo miracolo, armeggiare con maestria una sciarpa di cashmere di Vera Wang, finita a terra quando Blaine aveva richiuso il guardaroba.
“Blaine?” Chiese, la voce timida, soave. “Per Lizzy il patto non vale, vero?”
Ci rifletté un attimo su: “No, certo che no. Lizzy è una bambina, e sta crescendo. Se ha bisogno di abiti nuovi, deve averli.”
Kurt cercò di trattenere un sorriso troppo energico, ma ci riuscì a malapena.
“Vieni Lizzy –sussurrò, prendendo sua figlia in braccio- andiamo a vedere SE hai bisogno di qualche cambio per la prossima stagione.”
 
 
Ovviamente, ne aveva bisogno.
Ok, magari poteva anche rinunciare alla tuta amaranto di Lady Dior. E sì, anche il vestitino di Coccinella era perfettamente inutile. Ma Kurt, in quel momento, pensò che fossero delle cose essenziali per il benessere di sua figlia; Lizzy era già una piccola guru della moda, lo sapeva bene: aveva un gusto innato e attraverso un solo gesto riusciva a farti capire cosa le piaceva e cosa invece non le interessava affatto. Quindi, in tutta risposta, le mostrò un bellissimo copri-spalle di lana di “Gucci for Kids!” e cominciò ad accarezzarlo come quelle veline ad una televendita di materassi.
“Lizzy, tesoro? Non è semplicemente bellissimo?”
La bimba si soffermò ad osservare l’abito, inclinando leggermente la testa di lato. Oh, sembrava tale e quale a Blaine quando si trovava di fronte ad un vestito di cui non capiva la funzione. Come quella maglietta fatta di lacci e senza apparenti cuciture che aveva indossato il mese scorso per una festa da Finn, e Blaine era rimasto per mezz'ora ad analizzarla cercando di capire come funzionasse.
E, con grande malincuore del padre, anche la reazione fu immediatamente la stessa.
Con un gesto disarmante, Elizabeth si strinse nelle spalle, confusa, e si girò uscendo dal negozio.
Ok, niente panico. Era solo troppo piccola per capire la prelibatezza che gli era stata appena offerta. E Kurt era un padre saggio, quindi decise di comprarla al posto suo. Un giorno l’avrebbe sicuramente ringraziata.
Prima che potesse scappare da qualche parte, il padre si apprestò ad inseguirla e prenderle saldamente la mano, rassettandosi meglio la giacca per via della breve corsa. E fece una smorfia appena ci ripensò: quella giacca, praticamente, aveva quasi un anno. Era oscenamente fuori moda. Dio, sentiva già gli occhi dei maggiori stilisti dell’America puntati su di lui. E poi…oh, perfetto, una signora lo aveva appena fissato male. Sicuramente per via dei jeans slargati verso il fondo. Ma in che epoca erano stati fabbricati? Non si usavano più dai tempi di Cristoforo Colombo!
Prendendo seri e lunghi respiri, riprese a camminare e cercò di tenere un andamento fiero: avrebbe dovuto portare quegli abiti per altre due maledettissime volte, tanto valeva farsene una ragione.
Aveva fatto perfino un calcolo: indossando ogni volta una canotta, una maglietta, una felpa e una giacca diversa risparmiava tempo prezioso e così avrebbe esaurito il patto in…tre mesi e sei giorni. Ok, quello non era possibile. Doveva aver fatto male i conti, non era mai stato un asso nella matematica; oppure, semplicemente, aveva più abiti di quanto non ricordasse. Sbuffò, ripensando a Blaine che tornava dalla cantina con degli scatoloni pieni di roba; poteva risparmiarselo di tirare fuori gli abiti del college. Ma non importava quanto si sentisse una cipolla albina, aveva fatto una promessa a Blaine e l’avrebbe mantenuta.
Certo, questo implicava il fatto che si sarebbe sfogato facendo compere per la sua unica e bellissima figlia.
Fu così che, senza neanche rendersene conto,  il suo armamentario pieno di vestitini era improvvisamente duplicato, accompagnato da tutti i tipi possibili di shoppers e sacchetti.
“Tutta roba per Lizzy!” Continuava a pensare soddisfatto. Beh, a parte quei bracciali di Salvatore Ferragano che aveva appena trovato, in un negozio sulla 16° Avenue. Ma chi lo sa, magari la bambina in futuro avrebbe desiderato uno stile un po’ più “urban” e quegli accessori allora avrebbero fatto al caso suo. Era un investimento per il futuro, ecco.
Eppure, la bambina sembrava ignorare tutto ciò. Anzi, l’unica cosa degna del suo interesse sembrava un’enorme pupazzo spelacchiato a forma di orsacchiotto. Anche se, con quell’orecchia mozzata e quel marrone sbiadito e consumato, assomigliava più ad un koala.
“Lizzy, non toccarlo!” Esclamò il ragazzo che, prontamente, l’allontanò dall’oggetto. La bimba rimase un attimo scossa a fissare dapprima quello, poi suo padre, ed inavvertitamente scoppiò a piangere.
“Mi dispiace…” mormorò una commessa, correndo in soccorso del ragazzo che ora teneva la bimba in braccio e cercava di farla ragionare:  “Andiamo amore, non ti interesserebbe magari un bel paio di scarpette di Christian Louboutine?”
“PUPACCIO!” Strillò. Ok, sua figlia aveva decisamente ereditato le sue corde vocali.
“Quel peluche era la mascotte della nostra boutique –spiegò la commessa- ma ormai è vecchio, non sappiamo davvero che cosa farne. L’avevamo lasciato qui fintanto prendevamo una decisione…”
“Potevate buttarlo –sentenziò Kurt- potevate bruciarlo! Quel pupazzo avrà milioni e milioni di germi. E poi, perché diavolo tenete un pupazzo così grande come mascotte? Quell’affare è grande quasi quanto mia figlia!”
La commessa cercò di rispondere accennando a delle scuse, ma le strilla di Lizzy divennero talmente forti da ostacolare qualsiasi altro suono.
“Pupaccio!” Piagnucolò, indicando il koala gigante. “Papà! Pupaccio!”
“Oh no –dichiarò Kurt- non esiste proprio. Non lascerò che mia figlia torni a casa con un peluche sporco e distrutto. Per di più ignorando le scarpette di Loubouitin e i gioielli di Ferragano!”
Ed ecco che sua figlia, quasi come se avesse capito le parole, o quanto meno, il tono di suo padre, si agitò ancora di più e spinse per scendere. Dopo un vano tentativo Kurt la lasciò a terra e lei corse immediatamente dall’orso: attraverso uno scatto che assomigliò più ad un balzo si insediò tra le braccia del gigante, si accoccolò a lui, lo avvolse con le sue piccole manine rosee e, come mossa finale, lanciò un’occhiata di suppliche al povero uomo inerme.
“Pupaccio.” Mormorò, di nuovo, con una voce a metà tra la supplica e la ferma convinzione.
E Kurt…beh, Kurt era già stato convinto sin da quando si era lanciata in quell’adorabile balzo.

 
“Venti dollari.” Mormorò, seccato a livelli che non credeva fossero umani. “Venti dollari per quel maledetto pezzo di stoffa. Che diavolo, con duecento dollari e tre quarti di più potevo comprare le scarpette. Venti dollari per un dannatissimo orso.”
Continuando a borbottare, scese dal taxi con tutti i suoi acquisti ed entrò in casa assieme a sua figlia. Blaine, seduto sul divano, scattò in piedi non appena vide la quantità di buste che Kurt si portava dietro, anzi, avanti: erano entrate prima loro di lui.
“Kurt!” Esclamò il moro, con fare accusatorio, non riuscendo però a trattenersi dall’aiutarlo. “Che…che cavolo è tutta questa roba!?”
“Rilassati, è per la bambina.”
“Un paio di collane di Chanel sarebbero per la bambina? Ma non sa nemmeno chi sia, Chanel!”
Kurt gli lanciò un’occhiata. “Blaine, tu sottovaluti tua figlia. Le ho già fatto leggere due volte tutta la sua biografia e adesso sto scaricando da emule la sua prima sfilata di moda per fargliela vedere.”
Contando che loro figlia aveva solo tre anni, Blaine si chiese seriamente come fosse riuscito a farlo.
“Ma…” provò a dire, fermato subito dal marito: “Niente ma, Blaine! Se vuoi proprio lamentarti di qualcosa, lamentati di quello!”
Ed ecco che, finalmente, Blaine si accorse dell’oggetto non molto identificato che Lizzy stava trascinando.
“Che…che cos’è? Un koala?”
Kurt si trattenne dal ridere, per poi spiegargli l’assurda situazione accaduta in negozio.
“Se tu non fossi entrato a vedere i bracciali e le scarpette tutto questo non sarebbe successo.” Gli ricordò Blaine, ma l’altro non batté ciglio.
“Comunque non è possibile che tu abbia pagato così tanto per quel…beh, per quello. Adesso torniamo indietro e glielo restituiamo.”
Insieme, i due genitori si avviarono verso la bambina a passo pesante: dovevano essere rapidi e decisi. Fecero per prendere il peluche dalle mani della figlia spiegandogli che non poteva tenerselo perché doveva essere riportato indietro, ma la bambina, nei suoi modi, fu come sempre inammissibile: cominciò a strillare a pieni polmoni e si avvinghiò al peluche come se il koala fosse lei stessa.
“No, dai… -commentò Blaine- Lizzy? Amore? Lo daresti a daddy?”
La bimba lo fissò per un secondo.  E poi, con una gentilezza completamente contrapposta all’isterismo precedente, fece un sorriso radioso e lo lasciò nelle sue mani.
“Giochiamo!” Esultò. Blaine fece per sollevarsi e nascondere il peluche, ma fu bloccato dalla presa della figlia.
“Daddy, Papà, giochiamo!” Si sedette a terra, costringendo i genitori a fare altrettanto, e cominciò a parlare a vanvera accennando a nomi inventati di un regno fatato. E nonostante tutto, era incredibile che una bambina della sua età sapesse parlare così bene. Era molto intelligente, ma su questo, nessuno aveva mai avuto dubbi.
“Io sono una pincipessa. –Fece lei- E voi siete i miei papà.”
Kurt ormai era completamente incantato dai modi di sua figlia: “E come sono questi papà?”
“Sono bellissimi.” Disse senza la minima esitazione.
In quel momento, se non fossero già seduti sarebbero caduti a terra per l’emozione.
“Lui è Tony -Riprese Lizzy, avvicinando a sé il peluche- Lui è mio marito e ci vogliamo tanto bene proprio come i miei papà.”
Le loro mani si trovarono, come se fosse un gesto prestabilito. E si fecero più vicini, spalla contro spalla, mentre con occhi pieni di commozione osservavano il magico mondo della loro bambina: la videro saltellare, cadere, urlare e spaventarsi, per qualcosa che solo lei poteva vedere. E quando quello succedeva, gridava qualcosa al suo “Tony” e correva tra le braccia dei genitori. Perché erano la sua salvezza.
Kurt e Blaine si guardarono, e si resero conto di stare entrambi sorridendo. Era gioia, pura e semplice gioia. Nessuna crisi finanziaria, nessuno shopping compulsivo poteva intromettersi in quello.
E Blaine si sentì incredibilmente stupido per aver proposto un patto del genere a Kurt, e Kurt si sentì incredibilmente stupido per essersi lamentato dei suoi abiti, di quell’orso o koala, o Tony che fosse.
Non avevano niente di cui preoccuparsi.
Perché si amavano così tanto che a volte sembrava davvero di essere in mezzo ad una favola di Elizabeth.
Perché erano felici.
Perché erano insieme.
 
 
 
 
 
************

Angolo di Fra:

L'avevo detto io che era assurda XD ed è uscita pure lunghissima!! Davvero, vi chiedo perdono.
Tony è un riferimento a West Side Story...perchè è uno dei miei musical preferiti, e non vedo l'ora di vederlo rappresentato dal Glee Cast!! A proposito...uffaaaaa quanto manca alla nuova puntata? E quanto manca alla 3x05!?!? Beh, spero che questa raccolta mi/vi risollevi un po' dall'attesa.
  E poi spero davvero che dopo questo capitolo non smettiate di leggermi XD  alla prossima!

PS_ ringrazio tutti per le recensioni, i complimenti e le letture. A tutti coloro che mi hanno inseguita nelle seguite/preferite: stragraziemillissimeeeee!!!!
PPS _ Un'ultima cosa. Avrei intenzione di aggiornare ogni due giorni...ma visto che sicuramente non ce la farò (università fuorviante) vi consiglio di controllare ogni tanto i miei aggiornamenti sulla pagina del faccialibro, così da sapere più o meno l'uscita del nuovo capitolo. Quindi vi rimando QUI e vi saluto con un grandissimo abbraccio!

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Capitolo 3
*** Speranza ***


Speranza
 

 
Kurt e Blaine prendevano sempre tutto quanto molto seriamente.
Finn e Rachel questo lo sapevano, ma non potevano immaginare quanto gravi potessero diventare le loro paranoie, soprattutto se a causarle era una futura piccola Hummel-Anderson di cui si sapeva poco o niente, a malapena il periodo della sua nascita e le spese che avrebbero dovuto pagare per l’intervento: ai medici e ai legali non serviva altro, e nient’altro avevano detto ai due quasi neo-papà.
La madre biologica, Kate, era stata troppo indaffarata con terapie pre-natali e doglie improvvise per segnalare loro le sue condizioni psico-fisiche ogni ora e mezza, come prefissato dall’accordo. All’inizio i due si erano perfino preoccupati ed avevano fatto irruzione a casa sua per vedere come stava, ma se ne pentirono amaramente sentendosi dei veri complessati, dal momento che l’avevano trovata sdraiata sul divano con due chili di gelato -di quello Kurt le avrebbe parlato più tardi, tutti quei zuccheri potevano danneggiare l’equilibrio intestinale della bimba!- e in sottofondo una dolce melodia di Wicked, come concordato. Conveniva rassegnarsi: la loro già totalmente amata figliola non sarebbe nata a comando, e attendere il fatidico momento rosicandosi le unghie in estrema angoscia non avrebbe di certo aiutato. O almeno, questo era quello che avevano pensato Finn e Rachel, nel giorno in cui si erano decisi ad andarli a trovare per prelevarli fuori da quella che una volta poteva essere definita “casa”: adesso assomigliava più ad un bunker antiatomico, con i tappeti arrotolati e messi da un lato, fasciatoi, pupazzi, trenini e dvd disney sparsi per tutta la casa, tavoli una volta bellissimi e splendenti ridotti a cumuli di scotch concentrato soprattutto sui bordi, assumendo così un aspetto somigliante ad un ovale sproporzionato; Kurt e Blaine avevano preso la cosa molto seriamente, come doveva essere; ma la linea di confine che divide il comportarsi da persona matura e responsabile dall’essere in piena crisi genitoriale è davvero molto, molto sottile. E loro l’avevano valicata completamente.
I due arrivati non erano stati minimamente degnati di uno sguardo dopo essere stati accolti nella casa con un cenno del capo di Kurt; molto silenziosamente, si sedettero sul divano di fronte a loro in perfetta contemplazione – o meglio, codifica dei loro comportamenti.
Perchè Kurt teneva in mano un libro enorme senza copertina, molto simile a quelli impilati uno sopra all’altro poco distante da lui? E perchè Blaine sembrava sudare freddo e fissare concentrato un punto indecifrato nel vuoto, come un adolescente che sta riflettendo ad una domanda nel giorno dei suoi esami di Stato?
“Allora, Blaine?” La voce di Kurt riecheggiò per tutta la camera –ora sonorizzata, essendo stata privata delle tende-.Quest’ultimo deglutì vistosamente, e alla fine, esclamò:
“Fattorie biologiche controllate, concimazione organica non chimica...e priva di ogni sorta di infestazione o batteri!”
“Bravo amore mio!” Cinguettò l’altro, sporgendosi verso di lui per dargli un caldo bacio.
Finn e Rachel si scambiarono un’occhiata, interdetti.Entrambi stavano pensando alla stessa domanda, ed entrambi avevano paura di farla ad alta voce.
“Ragazzi...che state facendo?”
“Ci prepariamo.” Risposero in coro.
“Per cosa, esattamente?”
“Secondo voi? -stavolta era stato Kurt a parlare, voltandosi con uno scatto secco – Rose Maria Barbra Hummel-Anderson potrebbe nascere a momenti!”
Finn inarcò le sopracciglia, e Rachel lo squadrò.
“Ma non dovrebbe nascere tra tre settimane?”
“Barbra non può essere messo come terzo nome, come minimo dev’essere il primo!”
“Tre settimane, tre giorni...che differenza fa? Manca poco ormai. Coraggio Blaine, ritorniamo al nostro latte in polvere. In che modo va riscaldato?”
“Con un pentolino a ottanta gradi diluito pochissimo con acqua. E poi bisogna sempre provarlo sulla nostra pelle prima di darlo alla bambina.”
Kurt sorrise, soddisfatto della preparazione del suo degno marito. I loro sguardi ammirati divennero ben presto scettici quando la voce squillante di Rachel ripiombò come un vulcano.
“Ok questo è troppo: Kurt, Blaine. Adesso noi quattro ce ne andremo al cinema. Non potete continuare a vegetare per le prossime tre settimane: la bambina non nascerà stasera!”
“Ma dobbiamo essere pronti!” Replicò il controtenore.
“Lo siete. Ok? E adesso per favore usciamo.”
Blaine, di certo quello più calmo e riflessivo dei due, esitò per un momento: era da molto tempo che studiavano quei libri, tanto da conoscerli pagina per pagina; certo, anche lui era impaziente e voleva essere perfetto per quando sarebbe arrivata la bambina, ma l’ansia li stava logorando, e loro meritavano davvero un po’ di svago. O come minimo, un po’ di vita sociale.
Fu più difficile convincere Kurt di quest’ultima opinione, ma alla fine tutti e tre lo trascinarono fuori dalla casa ricattandolo con il suo nuovo cappotto di Armani.
New York era in fiore, o forse, era solo l’opinione dei due ragazzi che da troppo tempo non vedevano la luce del sole; eppure quella città sembrava brillare con tutti i suoi grattacieli, le persone sembravano più felici, il caffè più buono. Ben presto si lasciarono andare alla magnificenza di quella città che non poteva lasciare indifferenti e camminarono per la 14° Avenue accompagnati da vetrine di alta moda, per poi prendere un taxi e recarsi nel posto che tutti e quattro preferivano: Broadway.
Quel quartiere era...beh, era qualcosa di indescrivibile. Gli striscioni, i teatri, gli artisti che si esibivano per strada ballando in modo sensazionale o cantando come se volessero farsi sentire da tutta la Grande Mela: non esisteva qualcosa di più unico al mondo, e Kurt e Blaine si ritrovarono inaspettatamente a pensare a quanto fossero fortunati, con il loro amore, la loro casetta nel West Side, e la compagnia di due cari amici come Rachel e Finn.
E poi, ovviamente, c’era lei. La loro bambina.
“Ci credi?” Esordì il moro, stringendo un po’ più fortemente la mano dell’altro. “Tra qualche settimana cammineremo per queste strade assieme ad un bel passeggino.”
Kurt trattenne il fiato: quel piccolo sogno che aveva coltivato, sin dal primo momento che Blaine gli aveva chiesto di sposarlo proprio lì, sotto al manifesto di Wicked, stava pian piano diventando sempre più reale e lui faticava a tenere il passo.
“Con un vestitino di Baby Dior e una collanina di Gucci.” Fece eco Kurt, con voce sognante. “Chissà da chi avrà preso?”
“Io spero da te. Spero che abbia preso i tuoi occhi, la tua bocca, il tuo naso e...”
“Blaine! –Esclamò l’altro, ridacchiando- E di te che rimarrebbe?”
“Oh, beh, niente. Ma io non sono bello quanto lo sei tu.”
Il controtenore diede una piccola spintarella contro la sua spalla. “Smettila. E dal canto mio, spero che abbia preso i tuoi bellissimi occhioni nocciola.”
Blaine sorrise, e così facendo quegli occhi tanto amati si illuminarono ancora di più: il chè era incredibile, visto che riuscivano a splendere come se fossero due stelle.
La verità era che, in qualsiasi modo fosse, quella bambina sarebbe stata l’essere più bello sulla faccia della terra; perchè era loro figlia. Ed era davvero loro, il frutto e la manifestazione del loro amore, fuso insieme, non avevano mai avuto dubbi a riguardo: il seme sarebbe stato l’unione dei loro due, perchè era quello che volevano. Perchè loro erano una cosa sola.
E quella notte, quando avevano fatto l’amore per dar concepimento alla loro figlia, era stata un’esperienza talmente bella che loro la ricordavano come la notte più romantica della loro vita. Non avevano smesso di abbracciarsi, di baciarsi, e la parte sessuale in fondo era stata soltanto un attimo immerso in tantissime ore di puro amore. Un attimo piccolo, effettivamente uguale a molti altri; un attimo, in cui venne infusa la magia della vita.
E la piccola Rose, o Maria, o Barbra, o Elphaba –quest’ultimo nome doveva ancora essere approvato da Blaine- quella notte aveva cominciato a farsi spazio in quel grande e magico mondo.
Kurt si era accorto soltanto dopo di essersi incantato nelle sue fantasie, senza dare una vera risposta a suo marito. Gli lasciò un soffuso bacio a fior di labbra, e gli sorrise nel modo più dolce, gentile, innamorato ed entusiasta possibile. E Blaine, lui si crogiolò nella sua espressione come se fosse la dichiarazione d’amore più bella che avesse mai sentito.
“Sono contento di essere uscito”, ammise.
“Lo sono anche io. Anche se dobbiamo continuare a studiare per bene tutti gli effetti del latte in polvere.”
Finn e Rachel, a qualche metro di distanza, scoppiarono leggermente a ridere; non avevano mai visto Kurt così agitato, tantomeno Blaine: eppure, quell’ansia così bella li faceva emozionare.
Kurt e Blaine, sposati, con una figlia in arrivo.
Se glielo avessero detto ai tempi del liceo, probabilmente l’avrebbero preso come un grande scherzo.
Eppure, eccoli lì. Mano nella mano, fieri l’uno del proprio partner, con un sorriso tremolante che da otto mesi a quella parte non accennava a scomparire. Finn e Rachel, a qualche metro di distanza, li seguivano felici, e per un momento provarono un piccolo moto d’invidia: in effetti Rachel, ultimamente, aveva sfogliato con un certo interesse le riviste di Kurt e Blaine, cercando di non farsi vedere da Finn. Ma quest’ultimo, col tempo, aveva imparato ad essere più attento, in particolar modo ai movimenti della donna che amava.
E anche lui, di tanto in tanto, poteva aver sgraffignato qualche rivista del fratellastro, strappando perfino qualche pagina che riteneva importante.
“Un giorno ci arriveremo anche noi.” Buttò lì, senza neanche pensarci più di tanto.
La ragazza si fermò di scatto nel bel mezzo del marciapiede, gli occhi puntati sul fidanzato, le mani che erano diventate improvvisamente di ghiaccio.
Finn si voltò, e con un’innocenza incredibile, le tese la mano.
“Vuoi?”
Le lacrime avevano già cominciato a rigarle il viso ancor prima di dire la risposta.
“Sì Finn. Ovvio che sì.”
Si baciarono. Proprio come quella volta alle Nazionali. Proprio come quella prima volta dentro la loro nuova casa di New York. Proprio come avrebbero fatto per il resto della loro vita.
 
 
Alla fine, i quattro decisero di andare al cinema.
Con tutti quegli spettacoli teatrali si erano quasi dimenticati della sensazione della poltrona, del megaschermo e dei pop-corn rigorosamente senza burro – Kurt non voleva che la prima cosa che vedesse sua figlia fossero due genitori grassi e brufolosi-.
C’era un film carino in programmazione, di quelli non troppo complicati che avevano il solo scopo di svagare e far ridere: giusto quello che ci voleva per loro, insomma.
Ovviamente, essendo in una sala altamente insonorizzata, i cellulari cominciarono a perdere campo, finchè non venne eliminato del tutto una volta arrivati nella stanza sotterranea.
“Ecco New York: zone a decine di metri sotto terra, e neanche una tacca sul cellulare.”
“Andiamo Blaine, non ci pensare. –Lo invitò Finn- Insomma, due ore senza telefono non è di certo la fine del mondo.”
Il ragazzo abbozzò un sorriso: “Hai ragione. Questa giornata è solo per noi.” E così dicendo strinse a sè Kurt, che in risposta assunse uno sguardo raggiante.
Dopo tutto quel tempo, quelle cose non erano cambiate di una virgola: sembravano lo stesso quartetto di adolescenti che si infilava in un cinema di Lima per sfuggire al bullismo o allo stress del Glee Club.
Erano passati tanti anni. Kurt non aveva più subito maltrattamenti, Blaine non era più insicuro e assieme a lui aveva imparato a conosere e difendersi dal mondo; Finn ormai era diventato un uomo maturo e responsabile e Rachel stava per debuttare in un grande teatro di Broadway, come aveva sempre sognato.
In effetti, tutto quello sembrava un sogno.
E mentre scorrevano i titoli di coda di un film di cui ricordava poco o niente, Kurt pensò che niente, assolutamente niente sarebbe stato capace di smuoverlo in quel momento, non ora che era circondato dall’amore di suo marito e dall’affetto di quelli che ormai erano diventati fratelli e compagni di vita.
Cullati dalla musica di sottofondo, le due coppie si scambiarono un tiepido abbraccio: Blaine cinse le spalle di Kurt, baciandogli candidamente la fronte adulta, e Rachel si accoccolò a Finn canticchiando il motivetto della canzone.
“Rachel? Finn?”
I due si voltarono, richiamati dalla voce calda e sicura di Blaine.
“Grazie per averci tirato fuori di casa, oggi. Ci serviva proprio.”
“Visto?” Canzonò la ragazza, “Sono le nove di sera, la giornata è quasi finita e il mondo non ci è crollato addosso!”
Ma, forse, aveva cantato vittoria troppo presto.
Il cellulare di Blaine si rianimò con uno squillo, al quale susseguirono diversi suoni allarmati e piuttosto inquietanti. Fissò lo schermo, e corrugò la fronte con aria perplessa.
“Ho dieci messaggi in segreteria.”
“Dieci?” Ripetè Kurt, allibito, avvicinandosi quanto bastava per udire la voce del messaggio dal cellulare del marito.
Primo messaggio: “Blaine? Sono...Sono Kate. Ho provato a chiamarti ma il tuo cellulare sembra irraggiungibile...in ogni caso, volevo soltanto avvisarvi di una piccola cosa. Chiamatemi quando potete.”
Secondo: “Blaine? Sono di nuovo Kate, potresti chiamarmi? Grazie.”
Terzo: “E’ successsa una piccola cosa di cui volevo informarvi. Niente di grave, è solo che ne volevo parlare con voi. Chiamatemi.”
E così via, di volta in volta i messaggi erano sempre più corti, più taglienti, e quando Blaine premette il numero per ascoltare l’ultimo messaggio, lanciò un’occhiata a Kurt e questo gli afferrò la mano con aria tutta tremante.
“Sto andando in ospedale. Il dottore è venuto a visitarmi, e mi ha detto di fare qualche controllo. Non sembrava preoccupato, ma in volto ha un’espressione che non riesco a decifrare...sono al Seattle Hospital, quando potete, raggiungetemi.”
Ok.
Cosa avevano detto, prima Finn, e poi Rachel?
Perchè due ore senza telefono avevano fatto sì che il mondo crollasse esattamente addosso alle loro teste.
 
A Blaine non piacevano gli ospedali; per troppo tempo era stato in una di quelle fredde stanze cercando di curarsi le ferite, e non soltanto quelle superficiali causate dalle botte dei bulli; a Kurt, invece, riaffioravano alla memoria ricordi ancora più tristi legati alla morte di sua madre o al coma di suo padre.
Entrambi, allora, varcarono la soglia di quell’edificio con passo tremante e le lacrime agli occhi.
“Stiamo cercando Kate” disse in fretta Finn, dal momento che nessuno –nemmeno Rachel – aveva la forza per parlare. “Kate Hobbes, si trova qui?”
L’infermiera controllò per un momento il registro sul suo computer degli anni ’90.
“Sì. E’ entrata in sala operatoria qualche minuto fa.”
Ed ecco che, con la velocità di un lampo e la crudeltà di una pugnalata, i cuori dei due ragazzi si spezzarono amaramente.
“Cosa vuol dire sala operatoria!? –Continuò Finn- Che è successo?”
“Mi dispiace, sono informazioni riservate e posso dirle soltanto a parenti della donna, oppu-“
“Lo dica a noi.” Blaine fece un passo avanti, il tono fermo, il viso incolore. Dietro di lui, Kurt aveva già iniziato a piangere sommessamente.
La segretaria li fissò confusa: “Chi dei due è il padre del bambino?”
Blaine rispose senza alcuna espressione: “Lo siamo entrambi.”
“Questo non può essere.”
“Sì invece, lo siamo entrambi. E adesso, la prego, ci dica che è successo a Kate e nostra figlia.”
 
Il dottor Sage era un bravo medico. Uno di quelli dall’aspetto indecifrabile, ma che riserbano sempre una parola di conforto per i pazienti. Blaine e Kurt si fidavano ciecamente di lui, dal momento che aveva seguito Kate e la bambina sin dalla prima, tenera, dolce, splendida ecografia.
Sapevano che, se c’era qualche problema, lui avrebbe avuto modo di dirglielo senza prenderli in giro.
“La situazione non è facile.” Disse subito. I suoi picccoli occhialini di acciaio vennero strofinati con delicatezza contro il camice pulito ed immacolato. “Kate ha cominciato ad avvertire delle fitte addominali ad intervalli regolari, ed ha attivato un’ipertensione respiratoria.”
Kurt fece una piccola smorfia. “Troppe parole da dottore.” Sussurrò.
“Chiedo scusa.” Fece il medico, abbassando appena lo sguardo dai suoi interlocutori. Era un mestiere difficile il suo, Kurt e Blaine lo sapevano bene. Come sapevano anche che, quando un discorso iniziava in quel modo, non presupponeva esiti positivi.
“La placenta di Kate...ha subito dei danni, e siamo stati costretti ad intervenire per salvaguardare la sua salute. Non è un intervento rischioso, in riferimento alla madre...”
Esitò un secondo, prima di continuare quella frase che ormai era ovvia.
“Ma la bambina nascerebbe in modo prematuro, e subirebbe un intervento piuttosto invasivo. Se sopravvive all’operazione, sarà tenuta nell’incubatrice per un paio di settimane.”
La mente dei due ragazzi era offuscata da due, piccole, fatali parole.
Se sopravvive.
Era un’ipotesi. Era un rischio. Era un qualcosa, che avrebbe potuto determinare la fine di tutto.
No, non era semplicemente un qualcosa. Era tutto. Significava tutto. E conduceva al niente.
 
 
Burt Hummel e Susanne Cooper furono i primi ad arrivare.
Kurt e Blaine non volevano nessun altro, perchè nessun altro sarebbe stato in grado di capire.
E vedendoli lì, in piedi, con gli occhi velati da una grandissima tristezza e le mani strette a pugno, fu come se fossero tornati ad essere ragazzini, e l’unica cosa in grado di donar loro sollievo erano le braccia del proprio genitore.
“Devi essere forte.” Sussurrò Susanne a Blaine, accarezzandogli dolcemente una guancia rigata dalle lacrime. “Devi essere forte, per tua figlia e per Kurt. Non lasciarti abbattere.”
Kurt fissò suo padre. Lo fissò inerme, con la dolcezza di un bambino.
“Ho paura.”
“Lo so.”
“Papà?”
“Dimmi, Kurt.”
“La morte mi sta perseguitando?”
Il cuore del povero uomo si fece improvvisamente piccolo ed inerme.
“Vieni qui.”
Affondò completamente nell’abbraccio del padre, e scoppiò a piangere senza nemmeno aver la forza di impedirlo. Dopotutto, perchè non doveva piangere? Perchè non poteva disperarsi, urlare, dilaniarsi l’anima per via di un mondo terribile ed un destino crudele?
Era stato tutto un sogno. Un bellissimo sogno, finchè era durato, e che ora si era trasformato in un incubo.
Burt comprendeva bene il dolore di suo figlio: l’aveva provato.
“Sai cosa direbbe tua madre adesso?”
Il ragazzo alzò appena lo sguardo, arrossato e distrutto.
“No.” Rispose, semplice.
Sul volto del padre si dipinse un piccolo sorriso.
"Non devi mai smettere di sperare.”
 
 
Era difficile attendere.
Blaine cercava di essere forte, perchè Kurt ormai non riusciva più a trattenere le lacrime e si era addossato a lui affondando il viso nell’incavo del suo collo. Blaine cercava di non pensare al peggio, perchè altrimenti non avrebbe avuto la forza di respirare.
Il mondo, per quei otto significanti mesi, era stato troppo benevolo con loro: non potevano semplicemente avere un figlio, non potevano essere una famiglia normale. Non avevano mai avuto una vita come tutte le altre, e il destino glielo aveva dimostrato ancora una volta.
E quindi, era quello il risultato a sfidare ciò che alcuni chiamano Natura?
Era quella la loro condanna?
“Blaine...”singhiozzò Kurt, e questi si strinse a lui sopprimendo un sospiro spezzato.
“Ti amo.”
Si guardarono negli occhi, e si abbracciarono come se da quel gesto dipendesse tutta la loro salvezza.
“Ti amo. Ti amerò sempre Blaine, qualunque cosa succeda.”
“Qualunque cosa succeda.” Ripetè.
Perchè ci sono dei momenti in cui tutto ti sembra perduto; perchè ci sono dei momenti in cui l’unica cosa che puoi fare è aggrapparti alla speranza; perchè ci sono dei momenti in cui soltanto l’amore è in grado di andare avanti; perchè ci sono dei momenti in cui non si può tornare indietro.
Ma quel momento, per loro, non era ancora arrivato.
 
 
“Vostra figlia è viva.”
Non avevano mai sentito delle parole così belle.
“Pesa un chilo e due, e strilla come una matta. E’ scossa dall’intervento e sarà ricoverata per un paio di settimane, ma è molto forte. Starà bene.”
Starà bene.
Un dottore non parla mai a sproposito: non assicura cose di cui non ha la certezza.
E adesso i due ragazzi quasi non riuscivano a credere alle loro orecchie mentre il medico, con modi lenti e calcolati, li condusse in reparto neo-natale indicandogli una piccola culla contornata da un fiocchetto rosa.
E sul loro mondo aveva ricominciato a splendere una tenue luce, come un’alba.
Finalmente, si lasciarono andare a delle lacrime e si abbracciarono mossi dalla più semplice e totale felicità.
La piccola Hummel-Anderson se ne stava lì, sdraiata su se stessa, gli occhietti chiusi e le manine che si muovevano come alla ricerca di qualcosa, di qualcuno.
Attraverso un’imbracatura fu permesso ai padri di toccarla; e fu allora che sentirono la pelle morbida e fresca della bambina, le dita che si attorcigliarono ai due indici –uno di Kurt, l’altro di Blaine-, il rantolo appena accennato dalla boccuccia secca e priva di denti; fu allora che capirono, che quella era la loro piccola, splendida bambina; che avrebbe dovuto lottare sin dalla nascita, per sopravvivere in quel modo tanto difficile. Che per un periodo che era sembrata una tragica eternità aveva rischiato di non vedere mai i volti commossi dei suoi padri, il sorriso dei nonni, le carezze di Finn e Rachel, degli zii che non erano dei veri parenti, ma che avevano tutto l’affetto necessario per esserlo. E sì, sarebbe stata dura, sia per lei, che per i due papà. Nessuno aveva detto il contrario.
Ma sarebbe stato anche bellissimo.
Sarebbe stato perfetto. Perchè avevano una rinnovata speranza.
Portava il nome di Elizabeth Hummel-Anderson.

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Capitolo 4
*** Dolcetti e scherzetto ***


 Dolcetti e scherzetto
 

 
Blaine si aspettava di trovare la sua solita casa, con il suo solito divano e i suoi soliti mobili; avrebbe posato il cappotto sull’attaccapanni, accuratamente sistemato, avrebbe bevuto il suo tipico bicchiere d’acqua e si sarebbe concesso un lungo, rilassante riposo accoccolato tra le braccia di Kurt. Insomma, tutto come sempre. Eppure, non si sa come, non si sa perché, aveva uno strano presentimento; forse era dovuto alla visione del trailer di Paranormal Activity, forse era dovuto alla lunghissima rampa di scale buia e fredda, priva di qualsiasi suono rincuorante; tutto ciò che sapeva, e lo sapeva per certo, era che non aveva niente di cui preoccuparsi, perché tanto era tutta una sua meschina suggestione, e anche se era quasi Halloween non implicava necessariamente l’imminenza di qualcosa di strano, o inquietante.
Questo pensò, fino a quando non raggiunse la porta di casa e la trovò misteriosamente socchiusa, dalla quale trapelava uno spiraglio di luce.
“Kurt?” Chiamò, con voce appena appena incrinata, mentre lasciava la tracolla accanto all’entrata e posava il giubbotto sull’attaccapanni.
“Lizzy?” Di solito sua figlia, ogni volta che ritornava il padre, correva verso di lui e quasi gli saltava addosso per l’emozione; Kurt invece si limitava a salutarlo con un leggero bacio sulle labbra, per poi ritornare alle sue faccende.
Invece, quella volta, il corridoio d’ingresso era terribilmente deserto e nell’aria riecheggiava soltanto il puro silenzio.
“Che diavolo sta succedendo?” Si domandò tra sé e sé Blaine, mentre con passo felpato si dirigeva verso la camera da letto.
Arrancò nel buio alla ricerca dell’interruttore, e quando finalmente lo trovò, sentì immediatamente una sostanza viscosa strofinarsi contro i suoi polpastrelli; ritraendo velocemente la mano, accese il cellulare e cercò: c’era una macchia rosso scuro, che partiva dal pulsante e scorreva giù lungo il pavimento.
Sembrava esattamente quello che Blaine sperò con tutto il cuore che non fosse.
“Kurt!? Lizzy!” Esclamò, un’altra volta, con il cuore che andava a mille e la sua sicurezza che finiva in frantumi.
Illuminata soltanto dalla luce soffusa dell’illuminazione notturna, attraverso i vetri della finestra, c’erano Lizzy e Kurt, sdraiati in terra, inermi, uno appoggiato all’altro, abbracciati in una stretta fatale.
Sembravano dormienti; ma non poteva essere vero.
Blaine cercò con tutto se stesso di contenersi, mentre si avvicinava lentamente alla sua famiglia, ma un’altra parte di lui stava urlando di non farlo.
“Kurt…? Lizzy…? Che scherzo è mai questo…? Coraggio, alzatevi. V-vi prego.”
La sua voce era prossima al pianto.
Perché non poteva semplicemente essere vero.
E, in effetti, non lo era.
“Ok basta ti prego Blaine non fare quella faccia!!” Urlò Kurt rialzandosi di scatto a sedere e stringendolo con un violento abbraccio.
“Uffa Papà! –Strillò la bambina- Hai rovinato tutto lo scherzo!”
Blaine fu costretto ad aprire gli occhi più e più volte prima di riuscire veramente a mettere a fuoco la situazione: Kurt, a pochi centimetri da lui, era pallido in viso e si stava scusando in tutte le lingue del mondo, mentre Elizabeth, con un broncio terribilmente adorabile, aveva messo le mani sui fianchi e si stava lamentando senza sosta.
“Voi…tu…?”
“Daddy, sono stata brava vero? Ti sei spaventato?”
Ok, era stato uno scherzo di Halloween.
Un terribile scherzo di Halloween, ma se era stato pianificato da sua figlia, non poteva veramente arrabbiarsi per averlo subito.
“Mi sono spaventato da morire” ammise con un sussurro, lanciando un’occhiata eloquente a Kurt; quest’ultimo teneva la testa bassa e non era sicuro di poter ricambiare lo sguardo del marito, si sentiva incredibilmente in colpa per avergli fatto prendere un mezzo infarto: se fosse successo a lui, di trovare l’uomo che amava e la loro unica amatissima figlia accasciati in terra apparentemente morti, probabilmente si sarebbe unito al duetto e sarebbe svenuto accanto a loro.
 A Kurt e Blaine piaceva Halloween: quand’erano giovani si scervellavano ogni anno per trovare dei vestiti bellissimi e originali, e poi i party degli Warblers erano passati alla storia come i più demenziali a cui avessero mai assistito; si ricordavano ancora tutta la gamma di vestiti e scenette assurde che albergavano in quella scuola, da Wes e David vestiti da Spongebob e Patrick (*) a Flint, Ed, Colin e Nick che si erano vestiti come i soldatini di plastica con cui giocavano da bambini, con tanto di piattaforma ai piedi, ed erano stati immobili per tutta la serata.
Con Elizabeth, però, era diverso. All’inizio credevano che la bambina chiedesse di potersi vestire come qualche principessa, Rapunzel magari (visto che si guardava quel film almeno una volta al giorno), e che proponesse di andare a fare dolcetto o scherzetto agli zii Finn e Rachel saltellando nel modo più adorabile possibile; invece, era tutto il contrario. Lo avevano intuito da quando l’avevano sorpresa a guardare e riguardare più volte Nightmare before Christmas; lo avevano saputo quando, nella Bella Addormentata nel Bosco, Malefica si trasformava in drago sputa-sangue e lei gioiva felice; lo avevano terribilmente constatato quando, con l’avvicinarsi ad Halloween, aveva cominciato a spargere ragni finti per la casa –facendo spaventare più volte il povero Kurt- e a decorare le pareti della sua stanza di vampiri e scheletri. E no, non erano i vampiri sbrilluccicanti e tanto innocui di Twilight, anche se Blaine per un momento lo aveva desiderato.
La cosa era quasi assurda: la loro figlia, il loro fiore di perfezione e dolcezza, aveva un prelibato gusto per il macabro e il grottesco, in perfetta contrapposizione con i suoi padri.
 
 
 
“Domani è Halloween!” Esclamò tutto ad un tratto, nel bel mezzo del pranzo.
“Sì, lo sappiamo Lizzy. Cos’hai voglia di fare?”
“Potremmo vestirci da maghetti come l’anno scorso e fare dolcetto e scherzetto, ti va?”
Kurt guardò suo marito con un sorrisetto, mimando con le labbra “bel tentativo”. Sapevano benissimo che quell’anno non se la sarebbero cavata con così poco, infatti Elizabeth scosse con forza la testa e li guardò decisa: “Voglio fare il Baubau.”
Ci fu una piccola pausa.
“Il baubau? Intendi, un cagnolino? Oh Liz, è adorabile.”
Lizzy fulminò suo padre come se avesse detto la cosa più disgustosa del mondo.
“No Papà!! Voglio fare il BauBau di Jack Skeleton!” (**)
Ecco, lo sapeva. Un ammasso informe di vermi e mostruosità. Ovviamente.
“…Ne sei proprio sicura? Non è che vorresti fare qualcosa di più carino?”
“E poi come faccio a fare Dolcetto o Scherzetto se non faccio paura a nessuno?”
“Beh, non ha tutti i torti.”
“Blaine! Non la assecondare!”
“Andiamo Kurt, lasciala fare. Sarà divertente.”
Kurt portò le mani sopra la tavola e parlò come se la sua sentenza fosse irreversibile:
“Non lascerò che mia figlia si vesta da verme gigante. Lizzy, hai due opzioni: puoi vestirti da maghetta come l’anno scorso…oppure potresti fare felice Papà e metterti quel bel costume da principessa che ti ho comprato il mese scorso. Ricordi? Quello con i lustrini e la coroncina di brillantini?”
Blaine sospirò, sognando ad occhi aperti la bellezza di sua figlia se solo si fosse messa quello splendido vestitino. Ovviamente, quei sogni rimasero tali in quanto non sarebbero stati mai e poi mai esauditi; Lizzy, purtroppo, era figlia dell’orgoglio di Kurt misto all’esibizionismo di Blaine. Ergo, aveva un tasso di cocciutaggine nel sangue che superava di una spanna quello di loro due messi insieme.
“Baubau.”
La sua voce non ammetteva repliche.
“Principessa.” Ribatté Kurt, ancora più fermamente.
“Baubau!!”
“Principessa!”
“Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau Baubau…”
“E VA BENE! Fai pure il verme gigante.”
“Sììììììììììììì!! Grazie Papà ti voglio tantissimissimo bene!” Detto quello scoccò un bacio veloce sulla sua guancia e fece per andarsene, ma fu subito richiamata da Blaine che si lamentò: “E a me niente?”
La bimba, tutta saltellante, saltò nelle braccia del padre che la riempì di coccole. Dopo qualche secondo se ne andò dritta in camera sua per guardare un’altra volta Nightmare before Christmas.
 
 
Kurt e Blaine avevano passato tutta la giornata successiva a fabbricare il vestito per loro figlia: Kurt aveva tassativamente vietato l’uso di un sacco di patate, benché fosse il materiale più adatto per il costume; Blaine, d’altro canto, non sopportava l’idea di mettere dei vermi finti dentro e fuori al vestito quindi optarono per un cotone spesso da cucire con del filo di lana doppio. Misero della rete scura all’altezza della faccia per permettere a Lizzy di vedere e respirare, e sistemarono il tutto aggiustando la testa in modo che la rete sembrasse la bocca spalancata del Baubau. Il risultato finale, in effetti, era piuttosto gradevole, considerando che né Kurt né Blaine erano dei sarti professionisti e che odiavano con ogni fibra del loro corpo quel vestito. Al contrario, Lizzy cominciò a saltellare per tutta la casa imitando la risata del cattivo.
“Sembra che abbia appena visto un pony.” Commentò Blaine, guardandola felice.
“A giudicare dalla sua euforia, forse sarebbe un pony decapitato.”
“Oh andiamo Kurt, Lizzy non è sadica. E’ solo che ama molto quel film.”
“Certo, quello e i draghi sputa-fiamme, i ragni di plastica e fare gli scherzi a rischio crepacuore.”
Blaine deglutì ripensando all’orrenda sensazione provata il giorno prima, ma subito dopo si ricompose con un sorriso e con un braccio cinse Kurt per le spalle.
“Adoro quando fai l’offeso.” Sussurrò, baciandogli dolcemente una guancia, ma molto vicino all’angolo della bocca. Kurt, dopo quel gesto, aveva perso tutta la voglia di fare l’imbronciato e si rilassò tra le braccia di suo marito, approfittandone per spostare un poco la testa e baciarlo come si deve.
“Oh, beh. –Disse infine, sfoggiando un piccolo ghigno- Almeno mi divertirò a vedere la faccia sconvolta di Rachel.”
 
 
“CHE COS’è QUESTO!?”
Kurt e Blaine scoppiarono simultaneamente a ridere mentre la piccola Lizzy, da dentro al suo costume, fece un altro passo in avanti e le porse la ciotola a forma di zucca.
“Dolcetto o scherzetto!” Ripeté per la seconda volta, con voce più scocciata.
Rachel mise a fuoco il faccino nascosto dalla rete nera…e per poco non fulminò Kurt quando si rese conto che si trattava di Elizabeth.
“Io e te parliamo dopo. Lizzy, tesoro! Sei…sei bellissima.” L’ultima parte la disse con un filo di voce.
“Grazie Zia Rachel!”
“Oh mio Dio Elizabeth!” Finn sbucò da dietro la ragazza, con un pacco di caramelle ed un sorriso a trentadue denti. “Sei…sei fighissima, il Baubau! Troppo forte!”
“Zio Finn!” Si sporse verso di lui, ma dopo poco si ritrasse indietro: lo avrebbe abbracciato volentieri, ma era ancora dentro al suo costume importantissimo e non poteva certo rischiare di sgualcirlo. Blaine e Kurt intuirono i pensieri della bambina e non poterono trattenersi dal lanciarsi un sorriso deliziato: l’avevano educata bene.
Una volta entrati in casa Kurt non fece nemmeno in tempo ad appendere il soprabito che fu letteralmente assalito da Rachel.
“Mi spieghi cos’è QUELLO!?”
“Un verme gigante.”
“Un ammasso di vermi, in verità” lo corresse Blaine, con un sorrisetto. “Buon Halloween, comunque.”
“Ma…ma…perché!? Mi ero fatta confezionare dal sarto teatrale un vestito di Dorothy in miniatura, così avrebbe potuto indossarlo! Io, ovviamente, farei Elphaba, così potremmo andare di casa in casa a chiedere dolcetto e scherzetto sulle note di Defying Gravity e…”
Blaine si strinse nelle spalle dicendo: “Spiacente, Rach’. Hey, magari riuscirai a convincerla per il prossimo anno!”
Gli lanciò un’occhiata gelida, ma lui si era già allontanato dirigendosi verso sua figlia e Finn. Quest’ultimo era vestito da Frankenstein. Lizzy lo stava letteralmente adorando quando venne afferrata per i fianchi dal padre e fatta sollevare in aria.
“Allora, piccolo mostriciattolo! Andiamo a fare dolcetto e scherzetto?”
 
 
Il dolcetto e scherzetto stava andando a gonfie vele.
Finn si divertiva come se avesse l’età di Lizzy e Lizzy non si era mai divertita così tanto in vita sua: ringhiava contro i bambini innocenti che la fissavano e questi in tutta risposta scappavano dai genitori completamente impauriti; il costume riscosse molto successo anche nelle case, dal momento che gli adulti si soffermavano a farle i complimenti e a scattarle perfino qualche foto. Prima di poterle dare dei dolcetti, però, Kurt si soffermava ad esaminarli uno ad uno per controllare il tasso di grassi e calorie, analisi che fu prontamente abolita da Blaine non appena lo scoprì ad inveire contro una signora che aveva osato regalarle un pezzo di torta al cioccolato, ovviamente ipercalorica.
“Avrà tutta l’adolescenza per preoccuparsi di grassi e brufoli” commentò lui, e l’altro non riuscì a contraddirlo.
 
Nessuno si era posto il problema fino a quando questo non arrivò a galla: un signore di mezza età e dall’aria alquanto scorbutica si era fermato davanti alla porta di casa, aveva un bicchiere di birra in mano e l’aria di chi non volesse essere disturbato.
“Lizzy, non disturbiamo il signore…” consigliò Kurt, ma la bambina non si lasciò abbindolare e prima che potessero impedirglielo aveva già fatto un passo avanti mostrandogli il secchiello e recitando la solita formula per i dolci.
Il signore roteò il bicchiere, e la guardò: “E se scegliessi lo scherzetto, sacco di patate!?”
Kurt e Blaine spalancarono gli occhi. E poi successe tutto terribilmente in fretta; ma quando si accorsero che sì, Lizzy aveva davvero spinto il bicchiere verso di lui rovesciandogli tutta la birra addosso, e sì, il colorito della faccia di quell’uomo stava davvero diventando violaceo, il moro aveva già caricato la figlia sulle spalle e l’altro aveva richiuso la porta in faccia al padrone di casa pronti a scappare alla velocità della luce.
 
Mezz’ora di rimproveri e spiegazioni su cosa fosse e non fosse lecito fare furono sufficienti alla piccola Lizzy, che alla fine annuì con fare quasi pentito; questo, però, non la perdonò del tutto e non la risparmiò dall’imminente ritorno a casa.
“E’ proprio arrabbiata.” Constatò Blaine, appena tornato dalla camera della bambina. Ci aveva messo mezz’ora per addormentarsi, e per tutto quel tempo non aveva rivolto parola a nessuno dei due padri.
“E’ orgogliosa. -Ribadì Kurt, cominciando a preparare il letto per dormire aiutato dal marito- Le passerà.”
“Già, si consolerà con tutti i dolcetti.”
“Che cosa!? L’hai lasciata da sola con tutti i dolcetti!? Va bene i brufoli e i grassi, ma così le verrà una carie!”
“Rilassati… -sussurrò il marito, avvicinandosi languidamente a lui e lasciandogli un piccolo bacio a fior di labbra- gliene ho dati solo una manciata, gli altri li ho nascosti in un angolo della credenza. Adesso, che ne dici di metterci a letto e coccolarci fino a quando non ci saremmo addormentati?”
Non era affatto una cattiva idea, pensò il ragazzo, mentre lentamente cominciò a sfilarsi la maglietta e a indossare quella del pigiama; a metà dell’opera, però, fu interrotto da Blaine che languidamente cominciò a baciargli il torso ed i capezzoli.
“Blaine… c’è la bambina nella stanza accanto…” ma dal suo tono non sembrava che volesse davvero fermarlo.
“Dorme…e poi tutti questi dolci mi hanno fatto venire fame.” Morse con neanche tanta delicatezza il collo di Kurt, il quale trasalì con un sospiro. Senza indugiare oltre cominciarono a baciarsi, a toccarsi e a sorridersi affamati, mentre i vestiti venivano velocemente gettati a terra, il letto completamente stravolto, i cuscini accantonati da un lato…e…
“Papà? Daddy?”
E niente. La voce di Lizzy riecheggiò da fuori la porta.
“S-sì?” Esordì Kurt, quello dei due che aveva conservato un briciolo di lucidità. La bimba arrivò giusto in tempo per vedere i due genitori sotto alle coperte, abbracciati e leggermente arrossati, ma perfettamente composti. Ma l’espressione di loro due cambiò radicalmente non appena si accorsero del volto rabbuiato della bambina, e dell’orsacchiotto di peluche che teneva in braccio nei momenti in cui si sentiva più fragile.
“Lizzy, cosa c’è, tesoro?”
La bimba alzò timidamente i suoi grandi occhioni verdi.
“Ho avuto un incubo.”
Oh.
Perché Lizzy, per quanto fosse orgogliosa, e dispettosa, e ostinata, era pur sempre una bambina. Perché, per quanto amasse gli scheletri di plastica, i sacchi di patate e le canzoni grottesche che cantava il Baubau, quella notte si era ritrovata circondata dai ragni, dagli scheletri e dai mostri che lei stessa aveva appeso in camera. E dopo aver passato una serata ad essere circondata da maschere di tutti i tipi, e alcune anche molto più spaventose del suo amato Baubau, non era pronta a dormire senza provare il minimo timore.
Quindi, il suo subconscio l’aveva indotta a sognare cose non molto carine; cose che sognano tutti i bambini, anche i più forti, proprio come lei, e che, non appena succedeva, tornavano ad essere deboli ed insicuri, e tutto ciò che volevano era sentirsi amati tra le braccia dei genitori.
E così fece. Si accoccolò in mezzo a Blaine e a Kurt, non badando nemmeno al fatto che erano entrambi a torso nudo con addosso solo dei pantaloni –si apprestarono subito a mettersi almeno quelli, adagiati accanto al letto, prima di lasciarla entrare-, non badando al fatto che il suo Halloween era finito in anticipo per colpa di una loro cattiva punizione, e lei si era molto arrabbiata per quello.
Semplicemente, tutto quello non contava più. Non ora che Blaine l’avvolgeva dolcemente con le sue braccia forti e Kurt cominciava a riempirla di baci su ogni centimetro della sua faccia.
E mentre si addormentava avvolta in tutto quell’amore, la piccola Lizzy pensò che sì, Halloween era proprio una bella festa. Ma solo perché aveva due genitori che riuscivano a renderla fantastica.
 
***


Buon Halloween a tutti!!!!
L’avevo detto io che avrei postato prima di Halloween…e per me Halloween inizia la sera, quindi non sono in ritardo!! (certo, accampa scuse, tranquilla eh nd tutti)
Ahem, in ogni caso. Io non so cosa farò questa sera ma so di certo alcune cose, che ho segnato con delle note.
(*) IO un anno, assieme ad una mia amica, mi sono vestita da Spongebob e Patrick. Ovviamente facevo Patrick.
(**) io AMO Nightmare before Christmas.
 
E che dire…sono in ritardo per la lezione quindi vi saluto al volo. Ma vi ringrazio per tutte le recensioni dello scorso capitolo (mi avete proprio tirata su di morale, grazie infinite =D) e spero che questo vi sia piaciuto!
Un bacione
 
Fra
 

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Capitolo 5
*** Insonnia ***


Premessa: ecco un'altra OS. In un certo senso, si può ricollegare a quella di prima. Lizzy è appena nata e ricordiamoci che ha passato delle brutte settimane in ospedale. Kurt e Blaine sono distrutti tra il lavoro, l'università e l'impatto della loro figlia, e ho voluto mostrare questo lato genitoriale che, a mio parere, è sin troppo sottovalutato.
Sul serio. Dopo questa OS devo andare a benedire i miei... ma ci pensate quanta pazienza ci vuole ad accudire un bambino? Vabè, vi lascio alla OS.


Insonnia


 
Elizabeth era una bambina fantastica.
Era dolce, solare, aveva sempre un sorriso di riguardo nei confronti degli estranei e finiva sempre di bere tutto il suo latte.
Ma c’era una piccola cosa, un minuscolo, insignificante dettaglio, che stava facendo seriamente perdere il controllo a Kurt e Blaine: Elizabeth non dormiva.
Per essere più specifici, Elizabeth dormiva due ore il pomeriggio, se tutto andava bene, e di notte alternava riposini sconnessi a pianti insaziabili, capaci perfino di far scattare l’allarme a qualche macchina del vicinato.
Quella parte, nei loro numerosissimi libri per neo-genitori, di sicuro non era stata sottolineata con la giusta attenzione: “In genere i primi mesi con il neonato sono piuttosto faticosi per i neo genitori, ma è normale: non preoccupatevi, ci vuole un po' di tempo e pazienza per trovare insieme il ritmo giusto.”
“Certo, come no; normale quanto vedere una borsa di Ralph Lauren scontata del settanta per cento” borbottò Kurt tra sé e sé, ormai completamente sveglio. Entrambi i padri, all’ennesimo urlo, o meglio, strillo della figlia, si guardarono e concordarono su una cosa: Elizabeth aveva decisamente preso le corde vocali di Kurt.
Quest’ultimo, in risposta, si alzò a fatica dal letto e rivolse un timido sorriso a Blaine che, palesemente rinfrancato, riaffondò tra le coperte accompagnato da un sospiro carico di sonno.
“Beh ok, stai pure comodo, non ti preoccupare, ci penso io alla bambina!” Lo canzonò l’altro, troppo stanco per usare un tono più gentile e troppo seccato dalla pigrizia del marito per avere un po’ di riguardo nei suoi confronti. Blaine, però, non accolse la critica e si accoccolò meglio tra le coperte, facendo finta di russare rumorosamente solo per mandare il segnale di “sto dormendo-non disturbare”.
Kurt per un secondo ci provò anche ad arrabbiarsi per quel comportamento, e a rimproverarlo per quel gesto da bambini; subito dopo, però, si ricordò della lunghissima giornata che aveva avuto all’università e pensò che, per quella notte, avrebbe anche potuto lasciarlo stare.
Dopotutto, quanto poteva essere faticoso badare da soli ad una neonata?
 
 
“Kurt? Svegliati, dai.”
Blaine cercò di scuoterlo con gentilezza, accompagnandosi con qualche carezza e dei baci soffusi a fior di labbra; l’altro, però, sembrava quasi incollato al materasso e non si vergognava nemmeno di mugugnare qualche parola di protesta. Blaine si soffermò a guardarlo: aveva il viso pallido, scavato da delle profonde occhiaie violacee, i capelli scompigliati e la bocca semiaperta; la maglietta del pigiama era macchiata di latte e biscotti triturati e le maniche erano malamente arrotolate lungo l’avambraccio, segno che, probabilmente, la bimba di notte gli aveva dato un bel da fare anche a livello fisiologico. Se solo Kurt avesse avuto le forze per farlo, o quanto meno, per accorgersi del suo stato, avrebbe subito posto rimedio e magari aggiungendo un lavaggio del cervello a Blaine per rimuovere quell’immagine dalla sua mente, perché era indecente, e si sarebbe sentito ridicolo per il resto della sua vita; eppure, l’unica cosa che Blaine riuscì a pensare fu che aveva sposato l’uomo più bello esistente sulla faccia della terra.
All’ennesimo sospiro incoerente, il marito si apprestò a fare la colazione ricca di muffin e caffè latte per poi portargliela a letto tramite un vassoio di ceramica lucidata. Kurt si destò quasi subito, e sentendo i piacevoli aromi della caffeina e della marmellata fusi insieme si alzò lentamente  a sedere, stropicciandosi con poca voglia gli occhi stanchi. Adorava quando Blaine faceva così, adorava quando lo riempiva di attenzioni e gli portava il caffè a letto; con la bambina non avevano più avuto modo, né, tantomeno, il tempo di farsi delle coccole che durassero più di dieci minuti; quella, forse, era l’unica cosa che rimpiangeva del periodo prima di Elizabeth.
“Buongiorno amore.”
“ ‘ngiorno -biascicò il ragazzo, addentando un muffin con scaglie di cioccolato ipocalorico –Lizzy?”
“Dorme.”
“Quale evento…”
“Coraggio, durerà solo un altro paio di mesi.”
Un altro paio di mesi sono già troppi, pensò il ragazzo. Un’altra settimana in quel modo e probabilmente Blaine avrebbe dovuto raccoglierlo con lo stesso cucchiaino con il quale stava girando lo zucchero nel caffè, proprio in quel momento.
“Mi dispiace di essere crollato, questa notte. Avevo davvero bisogno di dormire.”
“Sì, beh, non ti preoccupare. Stanotte mi ricambierai il favore.”
Blaine annuì, pienamente d’accordo. Kurt era stato gentilissimo a lasciarlo dormire, si meritava di fare un riposo a dovere, che durasse più di tre ore.
 
 


Verso l’una e mezza il richiamo della bimba non tardò ad arrivare: era come il bat-segnale, l’urlo di Tarzan, insomma, era un marchio che indicava semplicemente la fine del loro riposo.
Ma il moro, stavolta, si alzò subito e Kurt gli fu eternamente grato per quello: ebbe anche modo di lasciargli un bacio a fior di labbra, prima di vederlo sfrecciare via verso la culla.
“Hey, Lizzie. Buonasera amore mio.”
La bimba rimase per un secondo a fissarlo, e per quel piccolo secondo, Blaine si sentì gonfio di felicità; ma un attimo dopo ricominciarono i piagnistei, e lui scrollò le spalle con aria sconfitta.
“Che ti va di fare?” Domandò alla bimba, e quest’ultima continuava a guardarlo a metà tra il pianto e l’incuriosito. Blaine amava parlare con Lizzy, perché era come se lei capisse le sue parole; era ovvio che non potesse farlo, eppure, il ragazzo pensava che un po’ di tutto il suo amore potesse trasmettersi attraverso il tono caldo e gentile, o il suo sguardo luminoso. In ogni caso, Blaine si sedette sul divano e continuò a parlare tenendo sua figlia tra le sue dolci e comode braccia, le raccontò la sua giornata di lavoro, le sue chiacchierate con Kurt, e ad un certo punto accese perfino la tv, facendo zapping per qualche canale, fino a quando Lizzy sembrò incredibilmente attratta da un documentario sulle mucche della Grecia e fu costretto a lasciare quel canale.
“Sul serio, Elizabeth? Mucche? Non sono sicuro di approvare. Beh, a meno che non si tratti di un musical incentrato sulla storia dei latticini.” Ma lei non volle sentire ragioni: fu calamitata dallo schermo come se stesse vedendo il concerto di Katy Perry ai suoi tempi d’oro. Blaine scoppiò a ridere per i suoi stessi pensieri: aveva appena paragonato sua figlia a Katy Perry? Era davvero molto, molto stanco.
Ma nonostante le palpebre cadenti, la bimba che continuava a dimenarsi frenetica come una cheerleader, l’orologio che pendeva sulle loro teste segnando meschinamente l’avvicinarsi del giorno e le sue ore mancate di riposo, Blaine pensò che avrebbe potuto farlo per sempre: stare lì, sul divano, stringendo sua figlia e guardando la transumanza delle mucche dell’Est; era la cosa più appagante del mondo.
 


La mattina dopo Kurt si svegliò di buon’ora e di ottimo umore. Si allarmò un poco, non appena tastò il lato del letto accanto al suo e lo trovò terribilmente freddo e vuoto, così come la culla posta accanto. Senza neanche essersi ripreso del tutto, balzò in piedi e si apprestò a controllare il resto della casa, cercando a tutti i costi di trattenere il suo allarmismo: perché, infatti, non c’era proprio niente da temere.
Blaine ed Elizabeth erano avvinghiati l’uno contro l’altro, i respiri regolari, i capelli del primo arricciati contro la sua fronte marcata da delle rughe di forte stanchezza; la presa dell’uomo era salda, nessuno avrebbe potuto togliere la bimba dalle sue braccia. E Kurt non lo fece, si limitò a coprire entrambi con una coperta ed un lenzuolino di lana, poi si preparò per andare all’università. Si lavò i denti e scelse velocemente il completo da indossare, infilò i libri nella borsa a tracolla – sempre la stessa del liceo, notò con una certa malinconia- e fece per uscire di casa, lasciandosi appeso sulle braccia il cappotto con dentro ad una tasca le chiavi. Ma prima di chiudere la porta, si ricordò improvvisamente di una cosa: con passo lento e silenzioso si diresse verso i due ancora sdraiati sul divano; salutò la bambina con un bacio sulla fronte, e Blaine con uno sulle labbra. Il contatto non doveva durare più di qualche secondo, ma non appena sentì quel tatto così piacevolmente familiare, il moro cominciò a ricambiare il bacio con grande sorpresa di Kurt; posò una mano sulla sua guancia, accarezzando debolmente quel sottile strato di barba cresciuta durante la notte, e sorrise contro le labbra ormai dischiuse dell’altro: avevano sempre quel sapore fantastico che, a contatto con la menta del suo dentifricio, donava ad entrambi delle scariche di freschezza.
“Buona giornata” sussurrò allora Blaine, aprendo a malapena gli occhi e rivolgendogli un sorriso incantevole.
Kurt credette di aver appena avuto un attacco di cuore: non era sicuro di riuscire a reggere tutta quella bellezza di prima mattina.
“Shh…Riposati, adesso. Ci vediamo stasera.”
“Mi manchi già.”
Kurt si morse con forza il labbro inferiore: stava per mandare a quel paese l’università e il teatro, solo per quella piccola frase appena detta. Gli diede un altro bacio, stavolta più veloce del primo – altrimenti non ce l’avrebbe fatta ad uscire di casa- e corse fuori, lasciando il marito con gli occhi socchiusi e un’espressione felice, come se non si fosse ancora svegliato dal suo sogno preferito.
 
 


“Coraggio Lizzy, qual è il problema?”
Niente; la bambina continuava a strillare, dimenandosi a destra e a manca alla ricerca di chissà quale bisogno da soddisfare. Era la prima volta che si svegliava quella notte, e Kurt, sull’orlo dell’esasperazione, la prese in braccio e la portò a fare un giro per la casa, sperando di distrarla un po’ con qualche cosa di colorato, o magari, di luccicante: ne sarebbe rimasta affascinata, proprio come una gazza ladra.
Ok, aveva appena paragonato sua figlia ad un pennuto. Era davvero molto, molto stanco.
“Non vedi quant’è bello, Lizzie? Guarda tutti i fiori, i giocattoli…ti piacciono?”
Non gliene poteva importare di meno. Sembrava quasi straziata da chissà quale male interiore. E a Kurt gli si spezzava il cuore nel vederla in quello stato, soprattutto perché non aveva la più pallida idea di come rimediare:  il pannolino era apposto, il latte l’aveva preso tutto e quando aveva provato a ridarglielo lo aveva buttato in terra con uno scatto violento, non aveva la febbre e a giudicare dalle mani non aveva né troppo freddo né troppo caldo; provò per l’ennesima volta a dondolarla tra le sue braccia, ma tutto quello che ottenne fu un pianto ancora più disperato. E quello, ovviamente, aumentò la disperazione dello stesso Kurt.
Non sapeva più cosa fare. Si sentì incredibilmente inadeguato e perfino stupido, perché sua figlia era lì, in lacrime – anzi, nemmeno quelle, dal momento che era troppo piccola per averne- e lui continuava a guardarsi intorno come per trovare chissà quale ancora di salvezza; in effetti, quando i suoi occhi arrossati dalle quattro ore scarse di sonno si soffermarono sul telefono appoggiato sulla credenza, si rese conto di aver trovato la soluzione.
Uno squillo.
“Coraggio, ti prego rispondi.”
Due squilli.
“Eddai, non hai mai avuto il sonno profondo, svegliati!”
Terzo squillo, e partì la segreteria.
Trattenendo a stento un’imprecazione si accinse a ricomporre velocemente il numero, che ormai sapeva a memoria da più di venti anni.
E, all’ennesima battuta a vuoto, finalmente qualcuno rispose: una voce bassa, roca per la veglia, ma per niente addormentata; più che altro, sembrava impaurita per qualcosa.
“…Pronto…?” Domandò con un sussurro di voce, e Kurt fece una smorfia.
“Pà. Sono io.”
“Kurt!? Ma che caz-----caspio mi chiami a quest’ora della notte?!? Mi hai fatto prendere un colpo! Va tutto bene? E’ successo qualcosa a Lizzy!?”
Kurt provò a discolparsi, ma l’ennesimo strillo di sua figlia lo costrinse ad esitare e aspettare che si placasse, quel poco da permettere all’altro capo del telefono di poter udire qualcosa che avesse i decibel di un essere umano.
“Ecco, capisci il problema!? E’ da un’ora che sta andando avanti, sono in crisi.”
Ma Burt, sentendo quella vocina piccola e tanto bella per le sue orecchie, si addolcì completamente.
“E’….è la piccola Lizzy, quella che sento?”
Il figlio sorrise. Suo padre lo aveva sempre amato, con ogni fibra del suo cuore; ma da quando era nata Elizabeth, non era mai stato così gioioso e felice, tanto che, a volte, risultava perfino imbarazzante, con le sue facce buffe e la sua vociona che sembrava miele.
“Non riesco a farla riaddormentare.”
Burt non riuscì a trattenere un sospiro incantato.
“Ah, le notti in bianco. Ci sono passato, sai? Eri una vera peste, non stavi fermo un attimo.”
“Bene, un’altra cosa che mia figlia ha sfortunatamente ereditato. Come faccio a calmarla? Tu come facevi?”
Ci fu un secondo di pausa, nel quale Kurt poté immaginarsi il viso di suo padre distendersi completamente.
“Bè…io chiamavo tua madre.”
“…Oh.”
Guardò negli occhi la piccola bambina, Elizabeth, proprio come lei.
“Ma devo ammettere che anche lei chiamava me. Non so perché lo facessimo, sicuramente avremmo potuto cavarcela anche da soli; ma c’erano delle volte in cui sembravi aver bisogno di sentire entrambi, tutti e due nello stesso momento. Era come se volessi sentirci vicino a te. Non saprei dirtelo con certezza.”
“No –lo interruppe Kurt, gli occhi divenuti più pungenti, ma non a causa del sonno- no papà, ho capito perfettamente. E…grazie.”
“Quando vuoi. Ah, Kurt?”
“Sì?”
“Come…come va? Sei troppo stanco?”
Sorrise. “No papà. In verità, non sono mai stato più felice in tutta la mia vita.”
 

Sarebbe stato un problema svegliare Blaine; primo perché aveva sempre avuto un sonno leggero quanto un carrarmato, e ricordava ancora le ottomila camicie sudate per svegliarlo quando erano adolescenti, avevano dormito insieme –per l’ennesima volta- e dovevano correre a scuola.
Ma, come gli succedeva spesso, da quando stavano insieme, Blaine, semplicemente, lo lasciò completamente di stucco: perché era già in piedi, con i suoi adorabili riccioli tutti arruffati e l’aria stanca, ma di chi si vuole seriamente impegnare per qualcosa, e osservava Lizzie con enorme affetto e preoccupazione.
“Che ci fai in piedi?” Domandò Kurt, tutto d’un fiato. Perché a volte la loro telepatia era quasi disarmante, e in quelle volte si ritrovava a credere nell’esistenza del destino e delle anime gemelle.
“Beh…pensavo avessi bisogno di una mano.”
Se non fosse stato per la bambina, probabilmente Kurt sarebbe caduto in terra per l’emozione.
“Non vuoi?” Incalzò subito l’altro, ma fu subito ripreso: “Certo che voglio. Vieni qui.”
Si sedettero sul bordo del letto. Lizzie continuava a strillare, ma più i due ragazzi si facevano vicini, più lei sembrava misteriosamente placarsi. E c’era solo un modo per farla addormentare, l’unico, reale modo che Kurt e Blaine conoscevano per farlo: la voce del primo riecheggiò nell’aria, soave, mentre il secondo posò con delicatezza la fronte contro la sua spalla e si lasciò cullare assieme alla figlia.

“I've been alone
Surrounded by darkness
I've seen how heartless
The world can be”


La seconda strofa la canto Blaine, come se fosse tutto premeditato: guardò negli occhi sua figlia, e sfiorò la sua pelle rosea e delicata come se fosse l’oggetto più prezioso di tutti.

“I've seen you crying
You felt like it's hopeless
I'll always do my best
To make you see”


Infine, con il cuore in mano, Kurt e Blaine cantarono insieme. E le loro voci, così belle, così perfette unite in un’unica sola, ebbero effetto sulla piccola Lizzy che sembrava quasi si stesse sforzando per ascoltare tutta la canzone fino in fondo; ma, pian piano, i due genitori la videro addormentarsi tra di loro, e sul suo viso era dipinta un’espressione di pura gioia e tranquillità.

“Baby, you're not alone
Cause you're here with me
And nothing's ever gonna bring us down
Cause nothing can keep me from lovin' you
And you know it's true
It don't matter what'll come to be
Our love is all we need to make it through”

 
 
Quella sera erano entrambi troppo stanchi per parlare: si misero a letto, abbracciandosi l’uno contro l’altro, e si scambiarono qualche piccolo bacio prima di augurarsi la buona notte. Gustarono di quel momento fino all’ultimo respiro prima di addormentarsi del tutto, perché sicuramente, senza alcuna ombra di dubbio, tra un paio d’ore uno dei due avrebbe dovuto andarsene e rinfrancare di nuovo la piccola Elizabeth.
Così, tra un bacio e una carezza, l’ultima cosa che videro furono i loro volti innamorati, i loro sorrisi soddisfatti, e il respiro regolare della figlia che distanziava a pochi passi da loro.
Ed era tutto perfetto.
 
 



“Blaine!”
Kurt sembrava sveglio. Troppo sveglio. Erano da mesi che non aveva una voce così squillante al mattino, semplicemente perché di solito aveva troppo sonno perfino per parlare.
Eppure, quella mattina, Kurt sembrava incredibilmente sveglio, a giudicare dal suo tono allarmato.
Un momento.
Blaine si alzò di scatto, lanciando di lato un cuscino ingombrante: era…mattina?
Quello voleva dire che la bambina-
“Blaine! La bambina!”
In un secondo era già lì.
Strinse forte la mano di Kurt, che tremava, di fronte a quella piccola che giaceva con aria rilassata dentro alla sua culla.
Quei giornali pre-genitori avevano accennato ad un fatto, ad un’eventualità, che poteva accadere nei primi mesi di vita del neonato e che era impossibile da evitare: a volte capitava che i bambini soffocassero nel sonno, a causa di un qualche rigurgito, e che i genitori nemmeno se ne accorgessero. Oppure, quando lo facevano, erano ormai troppo tardi.
Quelle parole perforavano come degli aghi i cuori dei due ragazzi, che ora erano lì, inermi, e non avevano il coraggio di controllare se la bimba respirasse ancora, se fosse tutto bene.
Perché non aveva più urlato. Non li aveva più svegliati con il suo strillo lancinante, che in quel momento, gli sembrava la cosa più importante di tutta la loro vita.
Elizabeth, forse, non aveva avuto modo di svegliarsi di nuovo.
Oppure, semplicemente, aveva dormito per quattro ore di fila. Come qualsiasi bambino normale.
"Kurt..."
"No Blaine, non mi dire niente, non voglio sapere niente, io non-"
“Eccola.”
La piccola stava aprendo i suoi occhietti chiari, le gambe cominciarono a stiracchiarsi assieme agli arti superiori, la boccuccia si aprì in uno sbadiglio soddisfatto.
E quando rivolse ai suoi genitori quel suo sorriso radioso, il cuore dei due ragazzi non resse ed entrambi furono costretti a sedersi sul letto, le mani ancora intrecciate, i busti che emettevano respiri affannati.
Kurt la guardò, e tutto quello che disse, fu "Oh."
Altro che infarto: era appena resuscitato da una morte prematura.
 



Da quella notte, la piccola Elizabeth fece le sue veglie soltanto una volta a sera.
Ma Blaine e Kurt continuavano a svegliarsi nel bel mezzo della notte, giusto per controllare che andasse tutto bene, che la bambina stesse respirando e che non ci fossero crisi in corso: una volta fatto, si guardavano con tutto l’amore e la felicità possibili, e si riaddormentavano,  stringendosi ancora più di prima.



***

Angolo di Fra:


Allora, un paio di cosette.
1) La canzone è (sicuramente l'avete riconosciuta al volo) not Alone di Darren Criss. E' che la sto ascoltando tipo ottanta volte tutti i giorni...e quindi non potevo non metterla qui. Che poi, detto fra noi, è perfetta per il contesto, non trovate? Lo so che è una canzone d'amore per una coppia di innamorati, ma se la vedete come una canzone rivolta alla loro figlia che sin da subito ha dovuto combattere per stare in vita, mi ha fatto commuovere. Non so voi. Lo spazio recensioni è pronto a ricevere infamate di qualsiasi tipo nei miei confronti (perchè verso la canzone non credo proprio che si possa dire niente)

2)Mi scuso tantissimo per il ritardo. Vi ricordate quando vi ho detto che mi sarebbe piaciuto aggiornare ogni due giorni? Ecco, scordatevelo. Sono un po' giù di corda, sia psicologicamente che a livello d'ispirazione, e quindi semplicemente aggiornerò non appena avrò scritto qualcosa. Mi dispiace per la mia incostanza, mi dispiace sul serio...ma meglio qualcosa che niente, no?

3) Ecco, ritorniamo per un attimo al fatto che sono un po' (molto) giù di corda: mi aiuterebbe DAVVERO TANTO ricevere qualche recensioncina. Giusto due parole in croce, per dire "hei ciao, ho letto la tua OS, fa schifo ma tirati su!", o qualcosa di simile. So che è orribile elemosinare recensioni e io detesto farlo...ma mi sono accorta che sono le uniche cose in grado di farmi stare serena, almeno per quei due minuti in cui leggo e rispondo. A proposito: GRAZIE a tutti quelli che mi recensiscono e che mi leggono. Vi ripeto: siete voi a mettermi di buon umore, ora come ora.

Beh, alla prossima.

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Capitolo 6
*** First day ***


 First day






 
“Zainetto?”
“C’è.”
“Libri?”
“Beh, sono dentro lo zainetto...”
“Giusto. Il cappotto?”
“Appeso all’appendi-abiti, come sempre.”
“E lo spry al peperoncino?”
“Spry al cosa!?”
“Beh, nel caso qualche bambino voglia spintonarla contro gli armadietti, sai, per autodifesa...”
“Ok Kurt, Kurt, rilassati.”
Blaine guardò dritto negli occhi suo marito, con la seria intenzione di farlo calmare; questo, infatti, era da più di tre ore che faceva su e giù per la casa facendo come una sorta di lista della spesa di tutte le cose che avevano preso, che andavano prese che voleva prendere ma non poteva perchè Blaine glielo aveva categoricamente impedito.
“Parla quello che stamani si è alzato un’ora prima.” Canzonò il ragazzo, cercando di apparire più serio di quanto in verità non fosse: in effetti, quella mattina Blaine si era svegliato di buon’ora, non si sa come, non si sa perchè, aveva preparato due tazze di caffè –più una di supporto, non si sa mai si dovesse rovesciare in terra- e aveva impiegato un’incredibile ammontare di minuti, che a Kurt parvero delle ere, ad aggiustarsi i capelli con la cera che usava per le occasioni speciali. Blaine si strinse nelle spalle, sviando appena lo sguardo: “dovevo essere presentabile per le insegnanti.”
“Certo, le insegnanti. Come se ti importasse davvero di fare bella figura a delle signore di mezza età che non sanno distinguere una modella da un palo.”
“Andiamo Kurt, sai cosa voglio dire.”
“Sì, lo so.” E in quel momento si presero le mani, entrambi emozionati. “E lo capisco, perfettamente. Ma adesso lasciami finire di fare mente locale su tutti gli oggetti.”
Blaine ridacchiò, ma acconsentì senza troppe pretese. Lo zainetto di Prada posto sopra al divano sembrava più una borsa dei campeggiatori, dotata di bottigliette per l’acqua, merendine energetiche ma ipocaloriche, giocattoli, quaderni, penne colorate che profumavano all’olfatto e perfino un cuscino, non si sa mai quello in dotazione fosse sporco o sgualcito.
Sembreranno comportamenti esagerati. In effetti, lo erano proprio. E anche Lizzy pensò la stessa cosa, non appena varcò la soglia della sala con il suo vestitino di blu jeans e i suoi collant bianco panna, corniciati da delle deliziose scarpette di vernice che richiamava il cerchietto di brillantini incastrato trai suoi capelli perfettamente lisci e luminosi.
I due genitori, non appena la videro, non riuscirono a trattenere uno sguardo innamorato che la figlia sottolineò con una certa inquietudine.
“Daddy? Papà?”
“Oh Lizzy. Sei bellissima.” Sussurrò il più grande, andandole incontro e cercando nello stesso tempo di trattenere le lacrime.
“Papà? Perchè piangi?”
La piccola bambina non capiva. In effetti, nemmeno un adulto consapevole avrebbe compreso del tutto i loro atteggiamenti, ma sono quelle piccole, grandi, cose, che segnano la vita di una famiglia e che rimarranno impresse nella loro memoria e nei loro cuori: il primo giorno di scuola.
Il primo giorno di asilo, a dire il vero, ma poco importava: loro figlia avrebbe messo il suo piccolo piede in un mondo totalmente nuovo e vasto, avvolta da nuovi amici, da nuove cose da imparare...e tutto da sola.
“Niente, Lizzy. Sono felice. E tu sei felice?”
“Sì! – cinguettò la bambina, con un sorriso che avrebbe illuminato le profondità dell’oceano- Ci sono le maestre...e i bambini!”
A sentire quella frase le orecchie di Blaine si drizzarono sull’attenti, e lanciò alla figlia un’occhiata leggermente ingelosita. Kurt, intanto, aveva abbottonato il cappotto della figlia e aveva afferrato il suo zaino-valigia, pronto ad uscire di casa.
Blaine lo guardò per un attimo di secondo; poi, annuendo all’unisono, aprirono la porta, e cominciarono a scendere le scale preceduti da un’alquanto euforica Elizabeth.
 
Il viaggio in taxi fu estremamente silenzioso; l’unico rumore che si poteva udire era quello del tassista che picchiettava le dita contro il volante e di Lizzy che alitava contro il finestrino per fare delle nuvolette di aria condensa e disegnarci sopra qualcosa che solo lei riusciva a capire.
Erano tutti troppo occupati per poter iniziare uno straccio di conversazione; Lizzy era presa dai suoi disegni, il tassista dal traffico impossibile di New York, e Kurt e Blaine che, senza nemmeno saperlo, stavano riflettendo sulla stessa, prevedibile, cosa: come si sarebbe trovata loro figlia all’asilo? Come sarebbe stato, l’asilo? Ricordavano poco o niente dei loro periodi passati in quella scuola, se non qualche gioco di gruppo e dei lunghi riposini pomeridiani. Ma lì erano a New York: non erano in una scuola di seconda mano dell’Ohaio, o in qualche centro privato di Westerville, e non si trattava nemmeno di una normale scuola che offriva latte caldo e cartoni della Disney; Kurt e Blaine avevano voluto il meglio, per la loro figlia, e il meglio a New York consisteva nella “scuola George Lyncoln” dell’Upper East Side. Ci erano andati tutti i figli di quelli che contavano davvero, e, ovviamente, fu decretata subito come il luogo migliore per l’apprendimento di Elizabeth. Il colloquio con la direttrice era stato rapido ed indolore, non aveva fatto nessuna domanda particolare; semplicemente, si accertò che i genitori disponessero di cinquemila dollari all’anno per pagare la retta, e non le servì sapere altro.
“Dovremmo mangiare riso in bianco per il resto della nostra vita” pensò Kurt, ad alta voce.
Blaine gli strinse forte la mano che fu subito ricambiata con un tenero sorriso: lo facevano per Lizzy; tutto il resto era di seconda importanza.
Finalmente arrivarono alla scuola. Dei bambini stavano in piedi davanti all’entrata, assieme ad un gruppo di genitori alti, belli e di ovvia prestanza sociale. Kurt si fece avanti con orgoglio, tenendo per mano la propria figlia, mentre Blaine si guardava intorno un po’ spaesato stringendo un po’ più forte lo zainetto pieno di roba.
“Buongiorno!”
Il gruppo di adultì si voltò di scatto, neanche fossero un unico automa coordinato: in effetti, di certo i loro abiti assomigliavano per marche e prezzi, così come la loro aria da sufficienza con cui squadrarono il trio appena sopraggiunto.
“Siete la nuova famiglia?” Decretò un uomo, con un tono che voleva dire tutto, tranne che accoglienza.
“Sì. Io sono Kurt, lui è Blaine.”
“E questa è la nostra piccola Lizzy.” Fece l’altro, sorridendo verso la bambina che, in tutta risposta, aveva già preso confidenza con uno dei maschietti lì presenti ed aveva cominciato a parlare e a fare domande a ripetizione.
“E’ una bambina incantevole.” Commentò una signora, cercando di apparire gentile, ma a Kurt non sfuggì l’occhiata-scanner che aveva rivolto a sua figlia, o meglio, agli abiti di sua figlia; poi, inavvertitamente, il suo sguardo si posò sullo zaino: sorvolò immediatamente la scritta “Prada” impressa sul davanti per concentrarsi sull’ammontare di giochi, sui colori di seconda mano e sì, anche sul cuscino.
“Un cuscino? -Sussurrò un’altra, come se non potesse essere udita- perchè, quelli satinati dell’accademia non vanno bene?”
“A quanto ammonta il vostro rendito?”
Blaine si paralizzò di scatto a quella domanda. Ci volle qualche secondo di esitazione prima di rispondere in un modo che potesse sembrare minimamente concreto: era una domanda schietta, troppo schietta, che non si aspettava per niente e a cui non voleva rispondere; era come se gli avessero chiesto che tipo di preservativo usasse.
“B-beh, quanto basta... voglio dire, io sto seguendo un dottorato al New York Academy of Arts, mentre Kurt sta partecipando ad uno spettacolo che...”
“Oh, degli artisti, dunque.”
Lo disse proprio con disprezzo: come per dire, “siete dei morti di fame, e mio marito con il suo lavoro da business manager guadagna il triplo di voi due messi insieme”. Kurt e Blaine si sentirono improvvisamente piccoli, e a giudicare dall’atteggiamento perfettamente composto, quasi aristocratico, degli altri bambini, si sentirono perfino inadatti.
Ma le domande non erano affatto finite.
“Quante lingue parla, vostra figlia?”
“C-come, scusi?”
“La mia Kathleen parla correntemente inglese e francese; mi sto preparando ad assumerle anche un tutor di spagnolo, una lingua facile perché non voglio stancarla troppo.”
“B-beh, Elizabeth parla solo inglese. Però con tutti i nomi di firme e colori che le ho insegnato si potrebbe dire che parla anche il New-Yorkese!”
Un paio di persone ridacchiarono sommessamente, ma la signora in questione si limitò a scrollare lievemente la testa.
“Una sola lingua. E ha già tre anni, che peccato. Un bagaglio così limitato, per una bambina così interessante…”
 “Che pre-corso ha seguito vostra figlia?”
“Il…cosa?”
“Il precorso. Sì, insomma, la scuola preparatoria. La mia Bernadette ha frequentato la “accademia per giovani talenti” per un anno e ne è uscita con una votazione di cento centesimi.
“Anche il mio Ronald ha frequentato la stessa scuola – intervenne uno- ma non ho mai visto sua figlia, forse perchè mio figlio era nel corso avanzato...”
“Oh no, non è possibile, signore. Mia figlia era nel corso più avanzato possibile e in effetti nemmeno io credo di averla mai vista. Mi può dire i risultati del test attitudinale di suo figlio?”
“Presidente del congresso. E la sua?”
“Direttrice della National Bank of America. Ma nel giorno del test era un po’ stanca, e non ha dato il meglio di sè: sicuramente, con un po’ di riposo, avrebbe fatto meglio.”
Ok.
Tutto quello era, assolutamente, imbarazzante.
E Kurt stava già per defilarsi e sotterrarsi dentro a qualche buca, quando venne prontamente interrogato da quella simpatica signora.
“Signore, mi perdoni, ma non ha risposto alla mia domanda. Che pre-corso ha frequentato vostra figlia?”
I due guardarono automaticamente la piccola Lizzy che si era seduta a terra, nel bel mezzo del marciapiede, e stava mostrando ad un bambino i residui di una foglia morta e umida spiaccicata contro l’asfalto.
Lo stile di sopravvivenza a cui erano sottoposti ogni giorno valeva, come pre-corso?
Il cervello di Kurt stava viaggiando alla velocità della luce: doveva inventarsi qualcosa, qualsiasi maledettissima cosa che fosse in grado di zittire quelle galline; ovviamente, l’ingenuità e la dolcezza di Blaine si fecero subito avanti, perché infatti con il suo solito sguardo di pura innocenza ed umiltà stava giusto per dire “oh, veramente Elizabeth non…”
Kurt riuscì appena in tempo ad interromperlo prima che rovinasse tutto il suo piano appena formulato nella testa.
“Il pre-corso, certo. Ci è andata giusto l’estate scorsa.”
Blaine si voltò di scatto: “davvero?”
“Gli piace sempre scherzare – sussurrò Kurt ai presenti, in via confidenziale e scherzosa – Blaine, davvero non ti ricordi? Era una scuola incantevole, Lizzy ne andava pazza!”
E fu in quel momento che Blaine capì tutto il copione, e si limitò ad inarcare le sopracciglia e continuare a guardarlo fisso.
“Come si chiama la scuola?” Chiese un signore, facendo per un attimo vacillare tutta la sicurezza di Kurt, che stava sempre più incrinandosi sotto lo sguardo accusatorio del marito.
“Giusto, Kurt, com’è che si chiamava? Perché io non me lo ricordo proprio.”
Kurt lo fulminò: Blaine sapeva che lo stava maledicendo mentalmente, e Kurt sapeva che Blaine sapeva. Era tutto un silenzioso scambio di espressioni che ormai conoscevano a memoria, ma che non impedirono a Kurt di continuare il suo teatrino.
“Oh Blaine, sei proprio smemorato. Si chiama…si chiama New Directions.”
“New Directions. Ovviamente.”
“Ovviamente.” Fece eco Kurt, sperando che suo marito la smettesse con quegli odiosissimi commentini inutili.
 “Non ne ho mai sentito parlare.” Ammise una signora, colpita e, forse, anche umiliata.
“E’ un nuovo progetto – spiegò Kurt, con tono sempre più sicuro – ammette soltanto undici studenti all’anno, e sviluppa le capacità creative e...ed intuitive del bambino.”
“Intuitive.” Un genitore, adesso, fissava Elizabeth ammirato, come se avesse appena visto un piccolo Steve Jobs. “Intuitive –fece di nuovo – è geniale.”
Kurt, a quel punto, cinse la vita di suo marito con un braccio, alzando appena un poco il mento.
“Solo il meglio per nostra figlia. Giusto Blaine?”
“...Certo.” Sfoggiò un sorriso alquanto tirato.
In quel momento la professoressa uscì dall’edificio, con il suo tailleur di Armani e le sue scarpe di Ferragamo, ed annunciò ai genitori l’imminente inizio delle lezioni; era arrivato, dunque, il momento di salutare i propri figli.
“Hai freddo? Vuoi una sciarpina?”
“No, Papà.” Rispose cordialmente Elizabeth, lasciandosi cullare dall’abbraccio del padre.
“Fai la brava, ok? Io e Daddy ti verremo a prendere questo pomeriggio.”
“Non voglio.” Disse tutto ad un tratto, paralizzando i due ragazzi.
“Come, non vuoi?”
Lizzy si aggrappò alla gamba di Blaine, e cominciò a piagnucolare. Non servirono molte parole per capire le sue preoccupazione, in effetti, bastò che pronunciasse i “Papà, Daddy” per far venire un tuffo al cuore ad entrambi e convincersi quasi completamente di prenderla e riportarla a casa assieme a loro.
“Lizzy, non ti preoccupare, starai bene. Ti divertirai tantissimo! E poi lo hai detto tu, no? Ci sono le maestre, i bambini…”
“Pochi bambini.” Puntualizzò Blaine, e Kurt non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito, prima di continuare: “sarà come andare al parco, solo che qui sei in un bellissimo edificio.”
Ci vollero altri piccoli discorsi di incoraggiamento ed un bacio lunghissimo da parte di Blaine, prima di rassicurarla del tutto e lasciarla entrare accompagnata dall’insegnante; quest’ultima, avendo assistito a tutta la scena, guardò Kurt e Blaine con un’espressione di comprensione mista a pietà, e trattò la bambina con il medesimo rispetto.
Infine, le porte di quella prestigiosa scuola si chiusero davanti a loro, e allora si accorsero che le maniglie erano intarsiate d’oro.
E poi ci fu la ciliegina sulla torta.
“Che scena commuovente, non trovi?” Commentò un signore, a bassavoce, a sua moglie, che in tutta risposta arricciò il naso e incurvò leggermente le sue labbra rifatte di botox.
“Oh, Arold, a volte sei davvero provinciale: elargire abbracci in pubblico in quel modo, dire frasi simili… fa molto, troppo artista.”
Blaine trascinò in taxi suo marito, prima che scatenasse la terza guerra mondiale.
 
 
“Che ore sono?”
“E’ mezzogiorno.”
“Direi di partire tra una mezz’oretta; non si sa mai, con il traffico che c’è, potremmo arrivare tardi.”
“Kurt, Elizabeth uscirà alle due.”
“Il traffico urbano può essere assassino.”
“Ok.” Esordì infine il moro, avvicinandosi all’altro e afferrandogli saldamente le mani. “Devi dirmelo: perché ti sei inventato quella storia della scuola?”
Kurt sviò appena lo sguardo: si era sentito inferiore, anzi, si era sentito esattamente per quello che era, ossia un ragazzo proveniente da una cittadina dell’Ohio che non sa niente di pre-corsi, rendite prestigiose e che mette un cuscino di riserva nello zainetto della figlia. E loro erano sembrati tutti così intelligenti, così ricchi, da farlo vacillare per un momento e correre così ai ripari.
E più andò avanti nel suo monologo, che stava diventando quasi una confessione disperata, più il volto di Blaine si addolcì, fino a raggiungere un sorriso completamente intenerito, e la presa sulle mani di Kurt divenne una calda carezza mentre cercava di rassicurarlo con quella voce bella e calda che Kurt amava da impazzire.
“Oh, Kurt, non devi vergognarti di quello che sei, sei bellissimo, e vali molto di più di quei pagliacci in giacca e cravatta.”
“Ma, ma loro… loro hanno quei figli poliglotti e tutti compiti, nei loro papillion di seta, e Lizzy ha già tre anni, Blaine! Oh, perché non ci ho pensato prima? Invece di cantarle tutte le sere le canzoni dei musical potevo insegnarle il francese!”
Blaine era indeciso se scoppiare a ridere o prendere seriamente in considerazione le parole appena udite, perché Kurt non poteva davvero essersi lasciato abbindolare da tutte quelle chiacchiere, e sentirlo parlare di tutoraggio e corsi di francese per una bimba che aveva già tre anni era semplicemente adorabile.
Rimase in silenzio permettendogli di continuare il suo sproloquio per qualche altro minuto, lasciandolo sfogare nelle sue divagazioni fatte di test del QI e lezioni di musica classica, che terminarono prontamente quando, attraverso un attimo di riflessione più intenso, ad un tratto alzò lentamente il volto e borbottò: “m-ma che diavolo sto dicendo?”
A quel punto, le risate non poterono più essere omesse. Blaine lo abbracciò continuando a ridere e lasciando di tanto in tanto qualche bacio sulla sua guancia, continuando a stringerlo forte e parlando ad un millimetro dalla sua pelle: “ti adoro, davvero.”
“Non mi giudicare. Sono soltanto scosso dagli eventi.”
“Anche io, ma hey, è Elizabeth Hummel-Anderson. Saprà cavarsela benissimo.”
Kurt sorrise un po’ di più, sporgendosi da un lato per incrociare meglio gli occhi ambrati del suo amato, e cominciare a baciarlo con un certo, emozionato, trasporto.
Ma il destino non aveva ancora esaurito le cartucce a sua disposizione.
“Pronto?” Fece Blaine, rispondendo al telefono che aveva cominciato a squillare insistentemente poco prima.
“Signor Anderson? Sono la direttrice della scuola materna Geroge Lyncoln. Credo che lei e suo marito dovreste venire qui al più presto.”
 
 
“Vostra figlia ha picchiato un altro bambino.”
“…Scusi, credo di non aver capito bene.” Non poteva aver capito bene.
“Ha capito benissimo, invece. Elizabeth ha spinto un bambino, durante la ricreazione."
Blaine stava per sentirsi male; Kurt ispirò profondamente, gli occhi sgranati, e un’espressione completamente disorientata.
“Mi scusi, deve esserci uno sbaglio: Elizabeth comincia a piangere anche solo se uno dei suoi pupazzi finisce in terra, perché crede che si sia fatto male!”
“Evidentemente si sbaglia, signor Hummel. In un solo giorno sua figlia ha rotto una tazza, distrutto lo scivolo e ferito un altro compagno. E’ una bambina caratteriale e, detto sinceramente, la causa alla radice è tutta riposta in una cattiva educazione.”
Kurt stava letteralmente implodendo.
“E mi rincresce dire che questo tipo di atteggiamento non è tollerato, nella nostra scuola. Magari vostra figlia ha bisogno di un ambiente più…più stimolante per lei.”
“Un momento, mi sta dicendo che state espellendo nostra figlia?”
“Non è un’espulsione, quanto, un suggerimento per una nuova collocazione.”
“Ok, sa che le dico? Mia figlia non è degna di stare in mezzo a dei ricconi venali e arroganti come lei. Sì, mi ha capito bene, venali ed arroganti. Quindi sono io a suggerirle di bruciare tutti i suoi fascicoli. Andiamo Blaine.”
L’altro, completamente inerme e abbandonato a se stesso, si lasciò trascinare fuori dalla porta e non riuscì nemmeno ad evitare l’ultimo, letale, commento di Kurt.
“Ah, posso darle io, un suggerimento? Si faccia una maschera, con tutte quelle rughe sembra uno Shar-pei.”
 
 
“Daddy!”
Eccola, la piccola Elizabeth. Felice come non mai di rivedere i genitori ed ignara di tutto quello che aveva fatto. E Blaine prese diverse volte il respiro prima di parlarle con tono preoccupato.
“Elizabeth, ma che hai fatto!? Hai picchiato un bambino!?”
Lei, a quella domanda, s’incupì di colpo. Kurt, invece, fu più autoritario e la fissò attendendo pazientemente una risposta.
“Era cattivo.” Disse a denti stretti, con i pugni stretti e gli occhi smeraldini puntati sulle scarpette. “Era brutto e cattivo, Daddy.”
“Ti ha picchiata? Ti ha detto qualcosa?” Stavolta era Blaine ad essere irritato, ed era già pronto a ritornare dalla direttrice per inveire contro la loro, di educazione, quando la bimba con le lacrime agli occhi fece un passetto in avanti e mostrò un disegno: lei, con il suo bel vestitino di jeans, e a lato i due genitori, sorridenti, mano nella mano.
“…E’ bellissimo.” Ammise Kurt, sporgendosi verso di lei per afferrarlo.
“Ha detto delle cose brutte, Papà.”
“Che tipo di cose?”
I suoi occhioni, adesso, erano trasparenti come delle gocce d'acqua.
“Ha detto che non siamo una vera famiglia. Ha detto che io sono un mostro.”
Oh.
Ecco, la cosa che temevano di più, e che era sopraggiunta terribilmente presto.
Ecco la conseguenza di una società alto-borghese e viziata, figlia dei pregiudizi e dell’ignoranza.
Ed era tutto terribilmente ingiusto, prendersela contro una bambina innocente, da parte di un altro bambino che aveva come unica colpa quello di essere stato educato a scindere famiglie buone da quelle cattive.
A New York certe cose erano rare, ma molto più frequenti in posti quali la scuola materna George Lyncoln. Una scuola d’elite, e troppo arretrata per i tempi che correvano.
Fu Blaine a parlare per primo: baciò dolcemente la figlia, e le rivolse uno sguardo pieno di ammirazione.
“Lo senti questo?” Chiese, prendendole una mano e portandosela sopra al cuore. La piccola bimba annuì, era un gioco che facevano spesso.
“Questo è il mio cuore. E questo – si sporse verso Kurt, facendo la medesima cosa con l’altra mano- è il cuore di Papà. Li senti?”
“Sì.”
“Che stanno facendo?”
“Battono, battono forte.
“Esatto, Lizzy. E adesso, lo senti il tuo cuore, come batte forte?”
“…Batte anche il mio.”
“Certo che batte anche il tuo. Battono tutti insieme, perché sono collegati tra di loro. La verità, Elizabeth, è che noi tre siamo legati da un filo invisibile che non si spezzerà mai.”
“Come quello di Peter Pan e la sua ombra?”
“Esatto, proprio come quello. E lo sai come si chiama, questo filo magico?”
La bimba fece di no con la testa. E poi, quando Blaine rispose, con la sua sincerità disarmante, Kurt asciugò una lacrima che aveva rigato il suo viso, e strinse più forte la mano di suo marito.
Perché aveva detto la cosa più bella che potesse dire; perchè non riusciva a credere di aver incontrato un uomo tanto dolce, tanto splendido, da farlo innamorare ogni giorno per una nuova volta.
“Amore. E’ questo, Lizzy, che crea una famiglia.”
E non ci fu nient’altro da dire.
Lizzy non comprese esattamente quelle parole, ma le bastarono: si abbracciarono, ignorando lo sguardo gelido di alcuni genitori e i commenti confusi della vecchia direttrice.
Era esattamente come aveva detto Kurt, molto tempo addietro: nessuno poteva scalfirli; nessuno poteva toccare ciò che avevano.
 
 
 
“Zainetto?”
“C’è.”
“Libri?”
“Ci sono anche quelli, Kurt, dobbiamo fare questa storia ogni volta che nostra figlia va a scuola?”
“Ma sentitelo, quello che stamani ha finito mezzo barattolo di gel.”
“E’ cera, d’accordo? E lo sai come sono i miei capelli di prima mattina!”
“Daddy? Papà?”
Lizzy si presentò davanti a loro con una scamiciata di Burberry ed una gonna di Lady Dior azzurra.
“Le calze pizzicano…”
“Resisti tesoro, è soltanto per qualche ora.”
Fece un broncio terribilmente adorabile e puntò i piedi: “Non ci voglio andare a scuola! Voglio rimanere con Daddy a guardare i cartoni animati!”
“Tesoro, ci dovrai andare prima o poi. E vedrai che sarà molto divertente! Non sarà la George Lyncoln…ma è una bella scuola. Molto più normale.”
La bambina sorrise soddisfatta –Kurt si chiese quale parte del discorso avesse effettivamente capito-, e in quello stesso istante Blaine estrasse di tasca una piccola macchina fotografica; non appena Kurt se ne accorse roteò gli occhi al cielo con fare assolutamente stanco, ma anche con un pizzico di euforia.
“Tu e la tua mania di scattare fotografie…” lo canzonò, aggiustando meglio il vestitino della figlia e sporgendosi verso di lui per dargli un leggero bacio sulla guancia.
“Shh, devo capire come far funzionare l’autoscatto!”
“Ma come, ancora non lo sai usare? Devi premere questo tasto, credo…”
“No, quello è il flash, si è accesa la lampadina, vedi?”
“Ah, e adesso come si toglie?”
“Non lo so, forse con questo…?”
“Oh, è partito l’autoscatto!”
“Cosa? E quanti secondi abbiamo?”
“…Otto…sette…”
“Oh cavolo!”
In un battito di ciglia Kurt aveva abbandonato la macchinetta sopra al tavolo e Blaine era letteralmente scivolato verso sua figlia: la cinse con un braccio mentre con quell’altro faceva ripetutamente cenno a Kurt di sbrigarsi, e quest’ultimo corse verso di loro, sentenziando qualcosa circa il non potersi sedere a terra con i suoi nuovi pantaloni firmati; sentenza che, ovviamente, fu ignorata da Blaine che lo tirò giù con la forza facendolo quasi cadere e sbilanciando Elizabeth, che fu costretta ad aggrapparsi alle spalle del padre e a saltellare sulle punte per tirare in avanti il busto del più grande.
Lizzy adesso era in piedi in mezzo ai due genitori, Blaine aveva i capelli scompigliati per via di una mano della figlia posata su quelli, Kurt aveva una gamba a mezz’aria ed inveiva contro il marito che non aveva un minimo di ritegno verso i suoi preziosissimi abiti…e poi la macchina scattò, con un flash accecante decisamente fuori luogo e una posizione semplicemente assurda.
Blaine era venuto di profilo –evidenziando così  i capelli scarmigliati- e con la bocca aperta, Kurt aveva assunto un’aria cadaverica e i suoi occhi apparvero completamente rossi per via del flash, e Lizzy, in mezzo ai due, rideva verso l’obiettivo ascoltando entusiasticamente tutto il dialogo dei suoi due genitori; aveva riso così tanto da posare le mani contro il suo stomaco, e nella foto uscì con gli occhi chiusi e le gote arrossate per l’euforia. In sottofondo, si potevano intravedere –si vedevano molto male, in verità, la messa a fuoco era completamente sballata- lo zaino inevitabilmente carico delle più svariate attrezzature, e anche quel disegno che aveva fatto la settimana prima quando era andata alla scuola George Lyncoln.
E questa fu la foto che immortalò il primo, vero, giorno di scuola di Elizabeth: una foto dove nessuno era in posa, le luci erano sfasate, le immagini sfocate, gli occhi arrossati e non erano nemmeno venuti vagamente bene.
Era bellissima.
 


***

Angolo di Fra:

Io non lo so perchè ci devo mettere dei momenti tristi, proprio non lo so. Vi chiedo scusa per questa OS perchè come idea era anche bella, ma poi messa in pratica è venuta uno schifo. Ho voluto tralasciare molte descrizioni che avrebbero appesantito la storia in favore di qualche dialogo un po' più frizzante (perchè chi mi conosce sa benissimo che quando mi ci metto con le descrizioni sono DAVVERO UNA PALLA), onestamente, spero che vi sia piaciuta, ma lo spero proprio tanto (ok inizio a parlare come Elizabeth ahahah)!
Inoltre spero di non aver scritto ORRORI SGRAMMATICALI troppo grossi perchè sono quasi le due ed è un'ora che sto a rileggere questa OS senza capirci più niente; ok, in verità, non è colpa della OS. E' COLPA DI TUTTI QUESTI SPOILER CHE MI STANNO DANDO ALLA TESTA!!! Martedì....anzi....visto il nostro fuso orario MERCOLEDì... cioè, ma come si fa???? Io non ci arrivo viva, di questo passo farò bene a procurarmi una tomba. Sul serio, per me Glee può finire dopo la 3x05. Perchè DICIAMOLO: cosa c'è MEGLIO della 3x05? NIENTE.
E quindi boh, aspetto (im)paziente il giorno della NOSTRA morte. Perchè so che voi siete nella mia stessa situazione.

PS _ Per quanto riguarda l'atto vandalico di Lizzy....hem...che dire. In verità all'inizio volevo che piegasse il dito di quel bambino fino a romperglielo, ma forse era un po' TROPPO vandalico. Anche se c'è da dire che è proprio la cosa che ho fatto io, quando frequentavo la scuola materna. Ma forse questo non dovevo dirvelo...


Aggiornerò la prossima settimana - se sono ancora viva- !!! Un bacione

Fra

PPS _ TRE GIORNI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 7
*** I traumi della vita ***


I traumi della vita


 


Kurt controllò per l’ennesima volta i posti dei loro biglietti, poi si guardò un’ultima volta, con il suo completo nuovo nero Givenchy e la sua cravatta di seta, e infine si sedette soddisfatto sul divanetto della sala.
Lizzy saltò in braccio al padre, avvolgendo le braccia intorno al suo collo, e lui ricambiò l’abbraccio –approfittandone per sistemare il vestitino che, altrimenti, si sarebbe stropicciato-.
“Papà sei bellissimo stasera!”
“Ma io sono sempre bellissimo” ribattè il ragazzo, soffermandosi ad ammirare il viso radioso di sua figlia. “E tu, essendo mia figlia, hai ereditato i miei geni e quindi sei inevitabilmente bellissima.”
Sorrise soddisfatta e poi saltò giù per andare da Blaine, intento ad aggiustarsi il nodo della cravatta. Era concentrato davanti allo specchio, i capelli ovviamente incollati con il gel –Kurt avrebbe maledetto fino alla fine dei suoi giorni l’inventore di quel coso- e i suoi grandi, limpidi occhi nocciola fissi davanti a sè; quando quegli stessi occhi si posarono su quelli di Elizabeth, illuminandosi di colpo, rivolgendogli un sorriso tenero e sincero, Kurt si ritrovò a sorridere di rimando immergendosi in tutto l’amore incondizionato che provava per entrambi.
“Daddy! Sbrigati!”
“Ho quasi finito. Ringrazia il cielo che non avrai mai bisogno di fare un nodo alla cravatta.”
“E perchè?”
“Perchè sei una femminuccia, Lizzy.”
“E allora?”
“E allora le femminucce non mettono cravatte.”
La bambina rimase paralizzata: per lei era una rivelazione fondamentale, come se le avessero detto che i Barbapapà non esistevano o che non sarebbe mai potuta andare a trovare il Fauno di Narnia. Lei adorava le cravatte, pensava che fossero incredibilmente belle –anche se, effettivamente, inutili: che senso aveva appendersi una cosa al collo?-, poi erano molto morbide, e più di una volta si era ritrovata ad accarezzare per ore il fresco tessuto di seta, o ad ammirare tutti i moltissimi colori che variavano di volta in volta. E ora, suo padre le aveva appena detto che non avrebbe mai potuto essere come lui, e che non avrebbe mai potuto imparare a farsi bella e mettersi una cravatta; ok, quest’ultima cosa sembrava un’impresa piuttosto difficile, Papà le aveva detto che era cento volte più difficile di imparare il nodo per i lacci delle scarpe, ma insomma, lei aveva quasi imparato ad allacciarsele da sola!
E così Blaine la guardò, incerto sul ridere o continuare a traumatizzarla con quelle informazioni, ma alla fine si limitò ad accovacciarsi verso di lei accarezzandole gentilmente una guancia; la bimba mise il broncio, ma di fronte a quello sguardo perso e a quelle dita che la cullavano dolcemente si limitò a sbuffare in modo teatrale, forse anche troppo, vista la piccola giravolta che fece su se stessa prima di correre in cameretta: sul serio, come faceva ad aver ereditato tutte quelle piccole cose di Kurt?
Blaine fissò la porta socchiusa con stupore, e poi decise di restare in quel piacevole dubbio –ogni tanto pensava che Kurt le desse qualche consiglio, una sorta di ripetizioni sull’essere incredibilmente adorabile- finendo di sistemarsi la cravatta.
Kurt emise un sospiro che assomigliava molto ad un gemito: più che altro, era un mix di tante cose, e una, in particolare, riguardava il bellissimo fondoschiena del marito, del quale aveva una perfetta visuale, e che in quel completo risaltava ancora di più.
Blaine dapprima assunse un’aria confusa, ma subito dopo intuì i suoi pensieri e sul suo volto si dipinse un sorriso, che non aveva niente della dolcezza di poco fa; infatti, con tono provocatoriamente basso, e sensuale, si avvicinò di qualche passo a suo marito, e sussurrò “visto qualcosa di tuo gusto?”
Kurt scoppiò in una leggera risata prima di alzarsi in piedi e ricambiare la cortesia: “sì, in effetti questo abito è davvero splendido” rispose, facendo scaturire una risata anche da parte di Blaine “devo farti i complimenti per la scelta”.
“Infatti me l’hai comprato tu.” Ribattè, e detto quello lo afferrò per i fianchi e si soffermò ad ispirare profondamente il suo profumo.
“Oh Kurt, facciamola finita: mandiamo a monte lo spettacolo di Broadway e trasciniamo Lizzy a casa di Rachel. Non diceva di voler fare la babysitter a tempo pieno?”
Kurt ci mise qualche secondo di più a formulare qualche frase, dal momento che il suo collo stava venendo baciato e succhiato con una minuziosità alquanto eccitante. Alla fine, stupendosi lui stesso, si ritrovò a dire: “vorresti ripudiare Chicago per una notte con tuo marito?”
“Ripudierei anche New York per una notte con mio marito. Non abbiamo un momento di intimità da mesi...”
“Blaine, l’abbiamo fatto due settimane fa.” Bisbigliò, non facendosi sentire dalla bambina.
“Appunto, che ti dicevo? Mesi.”
Il castano ridacchiò, ma smise tutto d’un colpo non appena sentì la bocca calda del marito indugiare sulle sue labbra fresche.
In effetti era passato tanto, troppo tempo.
Ok, Kurt non avrebbe mai ammesso a se stesso che, se fosse dipeso da lui, sarebbe stato a letto con Blaine per tipo 36 ore su 24; anzi, poteva anche averlo ammesso a se stesso, e magari qualche volta gli era scappato detto perfino di fronte al marito, ma di sicuro quei maledetti ormoni e impegni coniugali non gli avrebbero fatto ripudiale il musical, l’arte, la sua fonte di vita.
Ma in quello stesso momento Blaine si era fatto più vicino ed aveva passato delicatamente una mano sul suo collo e beh, effettivamente, la sua vera fonte di vita era proprio davanti ai suoi occhi.
“Ripensandoci…” sussurrò, facendo fibrillare Blaine di emozione “in teoria passo gran parte della giornata a teatro, quindi, è legittimo che mi prenda una sorta di pausa”.
“Assolutamente legittimo”, annuì, “anzi, sai che ti dico? E’ quasi doveroso. Frequenti più il teatro che tuo marito, non è legale.”
Risero ancora una volta e indugiarono ad osservarsi dritto negli occhi, fronte contro fronte. Inevitabilmente, appena sentirono il rumore di passetti avvicinarsi alla porta, si scambiarono un sorriso sghembo e pensarono immediatamente alla stessa cosa.
“Dopotutto, Rachel e Finn amano Broadway.”
 
 



“Kurt? Blaine?”
“Lizzy!”
“Sul serio, le vostre entrate a sorpresa non sono più delle entrate a sorpresa.”
La bimba saltò verso Finn, che la prese al volo facendola volteggiare. Rachel era nel suo classico pigiama con le renne e aveva i capelli legati in un modo decisamente fuori dal comune; Kurt stava ancora cercando di decidere quale parte del suo aspetto fosse la più sconcertante, quando Blaine, con un enorme sorriso, le porse tre biglietti.
“Chicago. Broadway. Posti centrali, platea con libretto incluso. Passiamo a prendere Elizabeth alle undici, e se comincia ad urlare agli attori voi ditele soltanto che Babbo Natale non dà i regali alle bambine che strillano. Grazie mille Rachel, sei un vero tesoro! E grazie anche a te Finn, divertitevi!”
“Lo faremo amico! Ci vediamo dopo lo spettacolo.”
Non aveva nemmeno fatto in tempo a dire “a”: Blaine aveva preso Kurt per mano e aveva salutato la figlia con un bacio sulla guancia, per poi dileguarsi in mezzo ai negozi ed alle macchine della Grande Mela.
Fu solo qualche secondo; poi si scaraventò contro il fidanzato, cominciando ad indicare la porta e assumendo un’aria scandalizzata.
“Ci hanno SCARICATO loro figlia! Ti rendi conto!? Ce l’hanno praticamente tirata addosso, e tu tutto quello che hai fatto è stato fare un bel sorrisone e augurargli buona serata!?”
“Oh, andiamo, di che ti lamenti? Era una vita che sognavamo una serata da sola con Lizzy, non è vero piccola?”
“Zio Finn! Zia Rachel! Andiamo a Broadway?”
Rachel si ritrovò a sorridere contro la sua stessa volontà: quella bambina sapeva a malapena la sua data di nascita ma conosceva a memoria i nomi di tutti i teatri in città.
“Va bene. Ma lo faccio SOLO per i posti in platea. Kurt me la pagherà.”
“Certo, come no.” In verità, moriva dalla voglia di passare del tempo da sola con la sua nipotina acquisita, ma ormai non poteva più darlo a vedere perché altrimenti, come direbbe lei, avrebbe rovinato la suspance teatrale da lei stessa creata.
Rachel era così: di giorno in giorno sempre più immersa in quel mondo magico, sempre più speciale.
Parlando di magie, in una manciata di minuti era cambiata e pronta per uscire, con appena un filo di matita ed un vestito piuttosto elegante; tutto merito degli stilisti che, ad ogni prima, le regalavano abiti firmati che Kurt puntualmente si ritrovava ad invidiare, e odiava la sua amica perché, “Dio Rachel, hai il Paradiso Terrestre nel tuo armadio e tu nemmeno te ne rendi conto!” E Rachel, in risposta, afferrava una sciarpa a caso della sua preziosissima collezione e gliela tirava addosso, scatenando l’ira, poi l’emozione, infine l’amore quasi carnale… verso la sciarpa, ovvio.
Rachel non era ancora abituata a tutta quella faccenda: Broadway, il successo. Era incredibilmente fiera di sé ma, allo stesso tempo, si sentiva ancora quella ragazzina di Lima che sognava Barbra Streisand e scriveva canzoni su quanto fosse disperatamente una figlia unica e non potesse condividere i suoi CD di Cher, oppure, su un cerchietto; no, quest’ultima parte non era mai esistita, la aveva rimossa dal proprio cervello e se avesse potuto avrebbe fatto altrettanto con Finn; magari, avrebbe usato uno di quei spara-cosi di quel film di alieni che gli piacevano tanto.
Ma adesso era lì: nel bel mezzo di New York, fermata da giornalisti di ogni sorta che la tartassavano di domande e la riempivano di fotografie. Lo amava, ovviamente; si sentiva mortificata quando qualche giornalista le photoshoppava il naso, ma a parte quello era tutto fantastico.
Come da copione, un giornalista le fece la domanda riguardo la nascita del suo successo. Si schiarì meglio la voce, mettendosi impercettibilmente in posa; perché lei adorava rispondere a quella domanda.
“Oh, il merito non è tutto mio, davvero. In effetti credo di dover ringraziare Dio. Sì, Dio. Voglio dire, chi altri avrebbe potuto darmi una voce così sensazionale? E’ un dono di natura, non l’ho detto io, mi hanno recensita sul New York Times. Ah lei non ha letto quell’articolo? E mi spiega come fa ancora ad essere un giornalista?”
“Rachel adora scherzare” intervenne Finn, come sempre, prima che il signore fosse seriamente tentato dal lanciarle il taccuino addosso. “Ma in verità si allena ogni giorno e le mie orecchie ve lo possono garantire.”
Ci fu una risata generale; la stampa amava Finn, era un marito esemplare, sempre col sorriso, anche se i più meschini lo avevano simpaticamente denominato “portaborse” (**). In verità, era papabile nell’aria l’amore che collegava i due, e che regalava a Rachel tutta quell’incredibile forza nel cantare.
Ma prima che potessero andarsene –altrimenti sarebbero rimasti lì per ore-, le venne rivolta un’ultima, insolita domanda: “questa è sua figlia?”
Lizzy si affrettò a coprirsi dietro il grande corpo di Finn, intimidita, e quest’ultimo si accertò che i fotografi non si azzardassero a scattarle qualche foto nemmeno con il pensiero; Rachel, sviando appena lo sguardo a terra, scrollò lievemente la testa ed abbozzò un sorriso: “no, è mia nipote.”
“Non sapevo che avesse un fratello!”
“Non ne ho infatti, ma vi assicuro che è come se lo fosse.”
Sia Finn che Rachel sapevano quanto fosse vera quella frase: Kurt era entrato a far parte delle loro vite, ancora prima che se ne accorgessero; certo, l’inizio della sua amicizia con Finn non era stato dei migliori, ma col passare degli anni si erano legati in un modo che soltanto due fratelli potevano avere, e con Rachel aveva condiviso le stesse emozioni, le stesse passioni, così tanto che a volte la ragazza aveva considerato l’idea di sposarlo, lì e subito, perché a volte era davvero perfetto; il problema, però, stava tutto lì: Kurt era perfettamente uguale a lei. Blaine avrebbe trovato molti argomenti con i quali dissentire, ma Rachel ne era fermamente convinta e in cuor suo sapeva che lo fosse anche Kurt; era identico perfino il modo con cui lo negavano, con tono superiore, quasi offeso.
“E’ per questo che non ci sopportiamo mai”, ammise al suo ragazzo una volta spariti i paparazzi. “E poi, la nostra è una sana competizione artistica. Abbiamo fatto una gara a chi vince più Tony entro la fine del mondo, e se i Maya non sbaglieranno ancora una volta, entro il 2032 avrò la mia meritata vittoria!” (*)
Finn ridacchiò, tirando Lizzy verso di sé e la mise sopra le sue spalle; la bambina, in quel momento, vide il mondo.
“Zio Finn, sei alto come un palazzo!”
“Più o meno” ammise, ilare, “e dimmi, com’è il mondo da lassù?”
Fantastico: questo avrebbe detto Lizzy, se solo avesse avuto la forza per esprimerlo. Poté toccare le insegne dei locali, poté ammirare meglio le persone, da laggiù, e i suoi grandi occhi verdi erano incantati, non aveva parole per descrivere quello che stava vivendo; New York era un sogno per degli adulti che di sogni non ne avevano più, per lei, una bambina, ancora piena di fantasie, era come vivere in una delle favole che ascoltava sempre.
 


 
“Oh Finn, quel musical è FANTASTICO!”
“Lo so, Rachel…”
“Voglio dire, hai visto la scenografia minimal, la potenza degli attori?!? Ucciderei per fare Roxie Hart, sembra dipinta apposta per me!”
Senza il minimo preavviso cominciò a cantare “Funny Honey” in mezzo alla strada, volteggiando tra un idrante e l’altro, facendo voltare qualche passante, facendo sorridere il suo amato fidanzato. Amava quel lato di Rachel: nemmeno il tempo era riuscito a trasformare la sua euforia.
Nessuno si aspettava, però, che Elizabeth cominciasse ad imitarla e ad accennare qualche nota piuttosto incerta. La cantante, colpita, se non folgorata, si fermò all’unisono e fissò la bimba che ormai era del tutto perplessa; perché non aveva la minima idea di quello che aveva appena scatenato.
 
“Okay Elizabeth, adesso ascoltami bene.”
Erano sedute di fronte al pianoforte, sommerso letteralmente da spartiti di ogni musical e genere; Lizzy si dondolava avanti e indietro, mentre Rachel aveva l’aria di chi aveva appena organizzato un piano di conquista del mondo.
Fece una piccola nota, da cui uscì un suono limpido: “questo è un la. Lo sai fare, un la?”
“Là!” Esclamò, indicando lo Zio Finn che la guardò tutto contento, prima di essere fulminato dalla sua ragazza.
“No, non là, nel senso di indicare qualcuno, ma una nota. Blaine non ti ha mai insegnato a suonare?”
A giudicare dalla sua espressione noncurante, dedusse di no.
“Rachel, ha solo tre anni!” Le fece notare il ragazzo.
“Embè? Io ho vinto la mia prima competizione canora all’età di sei mesi. Le insegnerò a cantare in modo divino, e poi le farò fare un’audizione per il musical Les Miserables (***) dove potrà interpretare una delle bambine. E poi, oh Finn, già ci vedo: noi due, sul Red Carpet, con dei deliziosi vestitini coordinate a dare performance di duetti sulle note di Gispy. E’ perfetto!”
“Non credo che Kurt approverebbe. O almeno, di sicuro si lamenterebbe della parte sui vestiti.”
Si voltò di scatto: “ma da che parte stai, tu?”
“Dalla tua!”
“Davvero? Oh Finn, ti amo così tanto…”
“Zia Rachel!”
“Giusto. Torniamo a noi, Lizzy. Me lo sai fare, un la?”
La bimba, però, si limitò a fissarla incolore continuando a sgambettare contro la parete di legno del pianoforte. Conosceva bene sua nipote: faceva finta di non capire. Sfoggiava il viso più innocente del mondo e si spacciava per una bambina qualsiasi, quando in verità era un vero e proprio genietto del male al pari dei suoi padri e i loro piani diabolici. E Rachel l’avrebbe fatta cantare, altrimenti il suo nome non sarebbe più stato Rachel Maria Berry. Ok, non si era mai chiamata Rachel Maria Berry, ma quando avevano fatto il musical di Westside Story era quasi riuscita ad andare all’anagrafe per registrarlo.
“Lizzy, ecco un mi.”
“Zia Rachel!”
“No, non mi, nel senso di me, io... Ti prego, me la faresti una piccola noticina?”
Niente da fare; Lizzy, semplicemente, aveva impegni più importanti ed equivalevano a ruotare la manopola della sedia per farla alzare su e giù continuamente.
Rachel sbattè la testa contro le note, e questo provocò un miscuglio di suoni gravi che fece scoppiare a ridere la bambina; in risposta, cominciò a martellare tutta la tastiera ridendo a crepapelle ad ogni nuovo suono. Finn sospirò: era così bello vedere Rachel, una vera e propria macchina da guerra, capace di provare una canzone per otto ore di fila, stremata fino al midollo da uno scricciolo di poco più di un metro.
E infondo, sapeva che sarebbe toccato a lui, il compito di aiutarla.
Cercò velocemente su youtube e fece partire All that Jazz; la musica soft e trascinante di Chicago si fece subito largo nella stanza, echeggiò tra le pareti, fece brezza nel cuore della piccola Elizabeth.
Rachel si illuminò di colpo; era come un richiamo della natura, come se fosse un corpo azionato dalla musica. Cominciò a muoversi per tutta la stanza imitando i passi che aveva visto e rivisto decine di volte, cantando con la sua estrema maestria e lasciando impressionato perfino Finn; non si sarebbe mai abituato al suo talento. Ne era a stretto contatto tutti i giorni, ma era semplicemente troppo per essere accettato.
E così, preso dal divertimento, si ritrovò a fare il controcanto alla sua fidanzata che in tutta risposta cominciò a volteggiare contro di lui. Gli mancavano quelle cose: cantare, ballare –o almeno, fingere di saperlo fare-; la sua vita era diventata molto più scura senza il Glee Club. E in quei momenti si ritrovava ad osservare Rachel, la sua ragazza, la donna dei suoi sogni, e si rendeva conto che, la sua vita sarebbe potuta diventare monocromatica, se non ci fosse stato lei ad accenderla.
Perché Rachel era fatta così: era ambiziosa, testarda, incredibilmente orgogliosa, e spesso e volentieri metteva al primo posto l’arte allo stesso fidanzamento, dicendo “non te la prendere Finn, ma è arrivata prima lei di te”; però, allo stesso modo, aveva esultato quando Finn le aveva detto del suo nuovo lavoro, come se si trattasse del suo; aveva pianto quando Elizabeth era venuta al mondo, così piccola e fragile, e fu in quel momento che guardò il suo ragazzo dritto negli occhi, senza bisogno di dire altro: in quello sguardo, si erano sussurrati tutto ciò che era necessario, si erano fatti forza, perché dovevano infonderla a Kurt e Blaine; i loro amici e, ormai, parte della loro famiglia.
E Finn non riusciva ad immaginare un futuro diverso da quello che stava vivendo: assieme alla donna di cui aveva imparato ad amare anche i pregi.
Amò perfino lo sguardo a dir poco scandalizzato che assunse nel momento in cui, senza alcun preavviso o preparazione psicologica, coinvolta dall’allegria della canzone, la piccola Lizzy si librò nell’ultimo acuto finale.
La canzone si era fermata, così come i loro cuori.
Perché Rachel ci provò con tutta se stessa, nel non pensare a quello che stava pensando, e Finn semplicemente sperò di aver avuto un qualche infarto uditivo, o qualcosa di simile.
Lizzy continuava a cantare e a ballare, felice, spensierata.
Fu come se, sulle loro teste, fosse caduto un masso di diecimila tonnellate.
Era, completamente, tragicamente, stonata.
 
“Eccola qui, la mia principessina!”
“Papà!”
Si gettò alle braccia del padre come se non lo vedesse da una vita; Blaine le baciò soffusamente una guancia, per poi voltarsi sorridente verso Finn e Rachel.
“Allora? Ha fatto la brava?”
“E’ stata un angioletto” rispose il ragazzo “Sul serio, abbiamo passato davvero una bella serata.”
 “Oh, anche noi.” Kurt diede una gomitata a suo marito per la frase appena detta, con quel suo tono soddisfatto e felice da “ho il marito più sexy del mondo”.
Rachel era, incredibilmente, e stranamente, silenziosa. Continuava a fissare il pavimento sotto ai suoi piedi e si stava letteralmente torturando le mani. Kurt inarcò un sopracciglio, cercando di identificare il suo sguardo nascosto dalla frangia. “Che hai, Rachel?”
“Io!? –sobbalzò- N-niente. Perché dovrei aver qualcosa, scusa!?”
“Va tutto bene, anzi, benissimo! Mai stati meglio, lo ripeto.”
Perché Finn era intervenuto, quasi come se la dovesse salvare da qualche catastrofe naturale? Il suo tono di voce, però, uscì fin troppo forzato. I due ragazzi si guardarono perplessi e poi li fissarono con sguardo scettico.
“E’ successo forse qualcosa?”
“Niente di niente.” Risposero in coro.
Okay, ancora più inquietante.
“Sul serio, ragazzi. Di che si tratta?” Quando Blaine assumeva quel tono serio, e quegli occhi così sinceramente preoccupati, nessuno dei presenti era in grado di dirgli una bugia. Forse, era meglio dargli il trauma il più presto possibile, così che potessero riprendersi entro i prossimi…sedici anni, forse?
“Okay, ma promettetemi che non impazzirete.”
I due ragazzi annuirono, il primo scettico, il secondo più convinto.
Finn guardò la sua ragazza: “coraggio Rach, ce la puoi fare. Un bel respiro, e dirlo tutto d’un fiato.”
“OH MIO DIO sei incinta!?”
I loro volti saettarono verso di Blaine; “E’…è bellissimo, Rachel, sono così contento per voi due!”
“Ecco perché sei ingrassata.” Commentò l’altro, con un mezzo sorriso ma un’aria ancora più indecisa “E io che pensavo fosse per colpa di tutti quei cioccolatini che ricevi dai fans…”
“NON SONO INCINTA! E non sono ingrassata! Oddio Finn, sono ingrassata?”
“Rachel, sei bellissima.”
Ci rifletté un attimo su, poi scrollò la testa: “tu sei di parte. Blaine, dì la verità, sono ingrassata?”
“Hem…ecco…io…vado a fare finta di fare una telefonata.”
“Oh, andiamo! Sii uomo e rispondi!”
“Hei, lascia stare mio marito!” Canzonò Kurt “Non è colpa sua se tu non sai affrontare la verità!”
“Ah sì? Beh, se è per questo nemmeno tu!”
Finn, tutto d’un tratto, si ritrovò a trattenere il respiro; e poi, la fatidica rivelazione.
“Da quanto sapevi che Elizabeth non sa cantare?”
Silenzio.
Gli occhi dei due genitori erano semplicemente allibiti. Si incontrarono per un breve istante, perplessi, paralizzati, e poi, semplicemente, si assottigliarono in un moto di pura ilarità mentre le loro bocche si incurvarono attraverso tiepidi sorrisi.
“Oh Rachel, ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che vostra figlia è stonata. Ma non tipo stonata, però con stile. Stonata, come Sugar Motta ai tempi del liceo.”
Di nuovo, quell’imbarazzante silenzio, e quelle espressioni incerte sui volti di Kurt e Blaine.
Il primo le mise una mano sulla spalla: “Ok, sei molto stanca, lo capiamo.”
“Finn, assicurati che si riposi bene, questi sprazzi di allucinazione non sono per niente un buon segno.”
“Amico…è la verità. Voglio dire, Elizabeth è splendida, ma…”
“Ma canta in modo divino!”
“No, un momento.” Adesso quelli a non capire erano Rachel e Finn: “voi…l’avete sentita cantare?”
“Certo che l’abbiamo sentita cantare. Cantiamo praticamente tutti i giorni!”
“Ha una voce bellissima, non trovate?”
…Okay.
Quindi, il trama, effettivamente, non riguardava la scarsa intonazione di Elizabeth, ma l’improvvisa SORDITà dei suoi genitori.
Rachel si trovò la bocca tappata proprio mentre stava per iniziare un lungo e inveente monologo.
“Ma certo ragazzi, noi stavamo scherzando! Sai, così, per ridere…”
“PER PIANGERE!” Mugugnò la ragazza, e Finn la strinse ancora di più a sé.
“Per piangere…di commozione, ovvio. Elizabeth è molto brava.”
Blaine colse subito la palla al balzo: “Oh, ti capisco. Noi ci commuoviamo sempre quando canta For Good.”
Rachel si aggrappò con le unghie al suo fidanzato, perché quello era davvero troppo, non avrebbe tollerato una tale sordità da parte di loro due, anche se si trattava della loro figlia!
“Sì, fantastica. Bene, è stato bello ma noi adesso andiamo. Ciao!”
Ricambiarono il saluto giusto in tempo per ricevere una porta sbattuta quasi in faccia.
Finn lasciò Rachel –praticamente la teneva sollevata a mezz’aria- solo quando fu sicuro che non facesse una fuga dalla finestra per rincorrere i loro amici. Si rassettò i capelli e il vestito, cercando più e più volte di recuperare un certo contegno e non sembrare una a cui avessero appena detto che Justin Bieber era il miglior cantante del mondo.
Kurt e Blaine erano troppo accecati dall’amore per Elizabeth; un giorno, forse, si sarebbero accorti della verità, e probabilmente in quel giorno sarebbe avvenuta un’ascesa anticipata della presunta fine del mondo; però, fintanto che erano felici, e fintanto che a loro stava bene così, era giusto non dire nient’altro.
“Sarà il nostro segreto.” Sussurrò Finn.
“Il nostro segreto.” Confermò Rachel.
Si guardarono negli occhi, un po’ complici, un po’ innamorati, e poi si scambiarono un intenso bacio.
 










***

Angolo di Fra

(*) Perchè, ovviamente, il mondo non finirà nel 2012 e in quel giorno l'erede di Nostradamus ci dirà che era tutta una candid camera.

(**) Okay, in verità questo è un riferimento a Lea Michele. Dai, avete visto il suo ex-fidanzato? Era un portaborse. Le americane lo hanno battezzato in questo modo e io rido ogni volta che ci ripenso. Sono un passo avanti a noi, sul serio.

(***) Anche questo è un riferimento a Lea. Mi hanno detto che ha iniziato la sua carriera a sei anni facendo una bambina di Les Miserables e...beh, sono strabiliata. Ma che ve lo dico a fare? Ormai il talento di quella donna è di fama mondiale.



Buffo.
Ho scritto una OS Finchel, ma in verità la mia mente è totalmente invasa dal Klaine. Ma avevo in mente da un po' questa cosa e beh, l'ho scritta anche per disintossicarmi e cercare di resuscitare.
No, non mi sono ancora ripresa dalla 3x05.
No, il titolo non è SOLTANTO un riferimento al capitolo. Io penso davvero che non mi riprenderò più dopo questa puntata.
E no, il drago Shenron non mi ha ancora resuscitata. Ha detto che c'è traffico ai piani alti, ci sono molte altre Klainer che sono morte come me.
Amiche, amici, cari lettori, siete tutti vivi? State bene? Non so voi, ma io sono in loop.

E beh, se avete qualche briciolo di forza mi farebbe piacere sapere un vostro parere su questa parentesi fincheliana, ma soprattutto, sulla puntata. LA puntata. Ma ripeto, lo capirò se non avrete la forza di farlo. Perchè quella puntata....it took our breath away. Tanto per dire.

Oddio, quella frase. Perchè l'ho scritta?

Muoio.

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Capitolo 8
*** The show must go on! ***


                                  The show must go on


 
Blaine non era mai stato così emozionato in vita sua; forse, quel giorno batteva il giorno del suo primo debutto in pubblico, o perfino quello del suo matrimonio. Il motivo, purché semplice e banale, era il più naturale possibile: Kurt avrebbe fatto il suo grande debutto. Avrebbe interpretato Oberon, di “Sogno di una notte di mezza estate”. La sua voce, particolare, così tanto da causargli diverse difficoltà professionali, finalmente era stata apprezzata per quella che era, e stava ricevendo il giusto merito.
Blaine si sistemò un’altra volta la giacca: voleva essere perfetto, come non lo era mai stato. Voleva essere lì per l’uomo che amava più di se stesso, guardarlo cantare, danzare, commuoversi per gli applausi della folla in visibilio e gioire di fronte agli enormi mazzi di fiori che avrebbe ricevuto.
E tutte le emozioni che avrebbe provato si sarebbero riversate automaticamente su di Blaine: non c’era sentimento che non condividessero, nel bene e nel male, volente o nolente. Ed era proprio per questo che Elizabeth, guardando il padre più agitato che mai, si affrettò a correre da lui e ad abbracciarlo per quanto la sua umile altezza glielo permettesse.
“Daddy, conta fino a dieci!”
Era sempre buffo quando la figlia riprendeva e usava le frasi che i genitori creavano appositamente per lei.
Sorrise, accarezzando dolcemente la guancia della bambina, e si apprestò ad afferrare chiavi e cappotto per uscire di casa; era in largo anticipo, ma sapeva benissimo che, quando si trattava di Rachel Berry, il tempo non era mai abbastanza.
 
 
“Sono pronta!”
“L’hai detto anche un quarto d’ora fa…”
“Sono prontissima, giuro! Devo soltanto prendere la macchina fotografica, e il mazzo di fiori…oh no! Mi sono dimenticata di ritirare i fiori dal fioraio!”
Quando Finn notò Blaine sbattersi una mano sulla fronte, sospirando rumorosamente, deglutì e si affrettò ad allontanare Rachel dal suo raggio visivo e a rassicurarla con voce ferma.
“Ai fiori ci ho pensato io.”
Rachel strabuzzò gli occhi, non riuscendo a trattenere un sorriso di pura sorpresa.
“Sapevo che avresti dimenticato qualcosa, ormai ti conosco troppo bene.”
“Oh, Finn…”
“Sì è tutto molto bello, adesso POSSIAMO ANDARE!?”
La coppia lo ignorò giusto in tempo per scambiarsi un languido bacio, dopodiché il moro afferrò la ragazza per un braccio e la trascinò letteralmente fuori dalla porta, aiutato da Elizabeth che la spingeva da dietro con passo pesante.
“Uffa Blaine –cantilenò la cantante – certo che sei proprio...”
Lo sguardo del ragazzo le suggerì di non continuare; dopotutto, era sempre stato gentile ed educato, mai un atto di nervosismo o di protesta, ma Rachel non poteva davvero pretendere che fosse calmo e pacato anche in una situazione del genere: al suo posto, lei sarebbe stata già davanti al teatro fornita di striscioni e una scorta industriale di fazzoletti.
“Ok, ok, ricevuto. Andiamo.”
“Grazie.” Dichiarò Blaine, esausto.
“Aspetta devo portare un paio di mie foto per gli autog-“
In meno di un secondo era già dentro ad un taxi assieme a tutti gli altri, diretti verso il quartiere di Broadway.
 
 
“Sei nervoso?”
Ralph, il direttore, era alle spalle di Kurt e quest’ultimo stava guardando da dieci minuti lo stesso punto sullo specchio. Provò a rispondere qualcosa, una frase, una sillaba, magari, ma tutto quello che gli uscì fu un mormorio incerto, che però riuscì a rendere l’idea. Il direttore lo guardò intenerito, dandogli qualche pacca sulla spalla prima di andar via; era una cosa importante, era una produzione completamente innovativa che riprendeva l'opera lirica di Benjamin Britten, non era detto che agli americani sarebbe piaciuta e che i critici l’avrebbero capita. E poi, attribuire a Oberon una voce da controtenore era un rischio molto alto; ci sono delle cose che il pubblico sa accettare, come ad esempio la versatilità delle cantanti di colore che sono in grado di rendere una canzone propria con il loro “soul”, ma spesso e volentieri, nei musical, non veniva premiata l’originalità, tutto il contrario: la gente voleva vedere il musical, quello che hanno sentito fino allo sfinimento, volevano sentire quella storia, l’opera di Shakespeare che ha influenzato le generazioni. Di solito, insomma, un attore era bravo se riusciva ad essere “convincente” nel ruolo, senza togliere niente alla parte che era nota a tutti ma aggiungendoci un pizzico di originalità; un pizzico, evidentemente, non equivaleva ad un Oberon lirico e dalle movenze sinuose ed eleganti, in perfetta contrapposizione con il baritono e la compostezza tipica del ruolo.
Kurt aveva ottimi motivi per essere preoccupato; se, poi, ci si metteva anche Ashley, allora era del tutto terrorizzato. La ragazza, pronta e truccata per interpretare Tytania, si avvicinò a lui con un sorriso sghembo e voce volutamente melodica, segno di un ottimo riscaldamento e di una perfetta intonazione.
Ashley e Kurt non erano mai andati d’accordo, questo era chiaro a tutti e nessuno ne aveva mai fatto un dramma; era solo in quei casi, quando lei sfoggiava tutta la sua esperienza da prima ballerina, e lui cercava in tutti i modi di nascondere la sua ansia da palcoscenico, che entrambi concordavano sull’odiarsi reciprocamente e augurarsi mentalmente ogni sorta di rito voodoo disponibile.
 
“Come ti senti, Hummel?”
Kurt si mise subito composto nella sua sedia di legno –come il resto della scenografia, constatò- e le rivolse un’espressione tranquilla e serena.
“Bene. In bocca al lupo per stasera.”
“Oh, non ne avrò bisogno.” Rispose lei, con una sfacciataggine che fece ribollire il sangue nelle vene al ragazzo. “Tu, piuttosto, hai la pelle che è ancora più cadaverica del solito, il chè non pensavo fosse possibile.”
“Beh, di certo non batte le tue gambe storte e i tuoi piedi da papera.”
Uno pari, pensò il giovane controtenore con un’improvvisa ondata di soddisfazione.
“Oh no, in effetti hai ragione. Ma tu sei cento volte più teso di me. E lo sai qual è la prima cosa che inizia a vacillare, quando uno è in tensione?”
A Kurt non servì dirlo ad alta voce per sapere la risposta: la voce. Ovviamente, era la voce. Un minimo di incertezza, un accenno di esitazione, ed ecco che tutto il canto veniva compromesso. Era una cosa bella, certe volte, ma in quei casi si rivelava terribile; perchè nel canto viene riversato tutto il proprio animo, si è scoperti, si è vulnerabili. Questo dettaglio può farti innalzare così come può condurti in rovina, e in quel momento Kurt si sentiva sull’orlo di un profondo baratro.
 
 
Blaine non pensava che sua madre avrebbe rispettato la promessa di venire a vedere Kurt alla prima teatrale; invece la vide arrancare tra bagagli e beauty-case aiutata da un uomo corpulento ma dall’aspetto gentile. Blaine fece per salutarli e chiamarli con un sorriso, ma fu, in tutto e per tutto, preceduto dalla figlia.Elizabeth corse verso i due nonni con l’entusiasmo tipico dei bambini; si allacciò a Burt, lasciandosi trasportare in aria, e schioccò un sonoro bacio sulla guancia di Susanne, la quale si lasciò sfuggire una lacrima alla visione della propria adorata nipotina.
Blaine sorrise divertito, approfittandone per riappropriarsi della propria figlia.
“Devi piangere ogni volta che ci incontriamo?”
“Oh, lasciami stare Blaine, non puoi capire le gioie di una nonna.”
“Sono d’accordo con tua madre” aggiunse il signor Hummel. Aveva gli occhi arrossati –era l’allergia, ripeteva ai presenti, l’allergia newyorkese- e le guance rosse, i suoi occhi chiari non smettevano mai di fissare la piccola creatura che in quel momento stava ridendo e saltellando attorno a suo padre.
“Comunque, ciao.” Blaine adorava quei momenti: si comportavano come se si vedessero tutti i giorni, come se non ci fossero più di mille chilometri a dividerli. Susanne era sempre la solita madre sensibile e Burt era sempre il solito uomo che aveva riparato la macchina a Blaine solo per poterlo tenere d’occhio più da vicino (*). Di fronte alla caotica e mutevole New York, dove i negozi cambiano una volta al mese, così come i suoi abitanti, era bello vedere che almeno quello, almeno l’affetto che provavano l’uno verso l’altro, la forza familiare che avevano trovato con tanta fatica, fosse rimasto invariato.
E poi, niente era più appagante di vedere i volti illuminati e commossi dei nonni, che non riuscivano ancora a credere nella bellezza e nella dolcezza della piccola Elizabeth.
“Nonni! Papà deve cantare!”
“Hai ragione, Lizzy, adesso andiamo subito a teatro.”
“Come sta Kurt? L’hai sentito?”
Blaine fece di no con la testa, ricambiando il gesto di ansia e trepidazione che gli aveva rivolto il suocero.
Eppure, non avevano niente di cui preoccuparsi, giusto?
 
 
“Sto per morire.”
“No Kurt, non puoi morire prima di entrare in scena! E se proprio devi morire fai come Nina del cigno nero e suicidati sul gran finale... che c’è!? – aggiunse, non appena notò l’occhiataccia di Kurt- Cercavo di infonderti un’aurea teatrale!”
“Oh Rachel, non ce la farò. Farò schifo. Il pubblico mi lancerà pomodori e io sarò costretto a trasferirmi in Argentina per mantenere l’anonimato e continuare la mia vita senza sentirmi un totale fallimento giorno dopo giorno.”
Rachel non disse niente; sapeva come ci si sentiva prima del grande debutto e sapeva anche che nessuna reale parola gli sarebbe stata di conforto. Si limitò a dargli qualche pacca sulla spalla, guardandolo comprensivo.
“...Almeno potrai cantare Don’t Cry for me Argentina...?”
Si guardarono un secondo; poi scoppiarono a ridere, abbracciandosi l’un l’altro.
Finn arrivò qualche secondo dopo facendosi largo tra i costumi e le ballerrine.
“Kurt, ho appena visto tuo padre. C’erano anche Susanne, Elizabeth e Blaine. Ti augurano tutti in bocca al lupo e non vedono l’ora di vederti in scena.”
Improvvisamente, il cuore di Kurt si fece molto, molto pesante; perchè se prima tremava all’idea di sfigurare di fronte a mezza New York, adesso tutti i suoi pensieri erano rivolti verso suo padre e Susanne, che avevano fatto tanto per lui, compreso un viaggio costosissimo e faticoso solo per vederlo recitare e, soprattutto, Blaine ed Elizabeth. Voleva che fossero fieri di loro; voleva vederli sorridere, come per dire, “eccolo, è proprio lui”. Non c’era nessun altro per cui valesse la pena di impegnarsi, anima e corpo.
Ce la doveva fare.
Cinque minuti; infine, il sipario si aprì, mostrando un ritaglio di un magico reame fatato.
 
 
Se lo era chiesto più volte: che cosa è la magia?
Non erano i mostri che temeva si nascondessero sotto al suo letto, nè tantomeno gli incantesimi fatti da Harry Potter o Draco Malfoy; Elizabeth era una bambina sveglia, sapeva bene che tutte quelle cose non esistevano, che erano solo frutto di fantasia.
Ma allora, da cosa erano nate? Da cosa era nato tutto quel mondo, tutte quelle cose? Ci doveva pur essere stata un’origine di tutto.
Ecco, lei decise che fosse il teatro.
Perchè quei pezzi di cartone addobbati in modo perfetto la catapultavano direttamente in uno spazio senza fine; non era come essere al cinema, non c’era uno schermo che separava lei da loro, lì era tutto collegato, e allo stesso tempo, tutto perfettamente distinto. Loro erano reali, le fate, gli animali, i personaggi e le situazioni, facevano tutte parte di un grande e unico gioco: perchè, in fondo, era di quello che si parlava, un gioco. Non era un caso che recitare si scrivesse con play, non era un caso che molti proiettavano la propria vita verso quello scopo, il recitare, l’essere parte di qualcosa di stupendo.
E tra tutti quei ballerini fantastici, tra tutti quegli attori, tra tutti quei talenti che avevano finalmente realizzato il loro sogno, c’era Kurt.
"I know a bank"; fu quella l’aria di Oberon che sconvolse il pubblico. Fu quella la canzone che fece saltare in piedi i critici, commuovere le platee, e riempire di gioia ed emozione i cuori di Blaine, Elizabeth, Susanne, Burt, Rachel e Finn.
 Fu in quel preciso istante, quando il giovane ragazzo si era fatto avanti per accogliere gli applausi, si era inchinato per ringraziare le lodi e aveva sfoggiato un sorriso raggiante perchè allora era tutto vero, aveva proprio cantato come ruolo principale in un musical di Broadway, stava davvero ricevendo delle ovazioni incredibili, che Blaine si ritrovò ad asciugarsi le lacrime e fu costretto a mordersi un labbro per destarsi da quello stato di trance in cui era caduto e applaudire il suo splendido marito; ripensò a Kurt, a quando l’aveva conosciuto, a quello che era e a come gli altri lo avevano sempre trattato male.
Ripensò alle sue lacrime per paura di non entrare al Nyada, ripensò alla sua gioia quando, finalmente, superò quel provino.
E poi, guardò il volto dell’unico uomo che amava, e si sentì completo.
Perchè qualsiasi emozione stesse provando in quel momento, era in assoluto la più pura di tutte.
 
 
“L’inizio di un successo” commentò Finn, orgoglioso, “amico, dovremmo prenderti qualche guardia del corpo per quando andrai a fare shopping.”
“Davvero! Io esco sempre con Finn quindi non ne ho bisogno, ma con uno mingherlino come Blaine potresti avere dei seri problemi a scacciare via i fans...”
“Oh, piantatela tutti e due.” Kurt annusò un’altra volta il mazzo di fiori che aveva ricevuto, poi rivolse un sorriso di ringraziamento alla coppia. Erano sinceramente felici, lo si poteva capire dallo sguardo e dal tono di voce; non pensava di poter mai ottenere degli amici simili, e ringraziò qualsiasi cosa gli avesse donato tutto quello.
Poi, con uno slancio di emozione, abbracciò suo padre. Fu un abbraccio silenzioso, non erano mai stati di troppe parole, nè l’uno nè l’altro: semplicemente, erano soliti capirsi con un’occhiata, e in quel momento i loro occhi così somiglianti riflettevano la stessa ondata di ammirazione e felicità. Susanne, ovviamente, piangeva. Kurt si trattenne dal ridere perchè, in effetti, non era proprio il caso, visto che lei sembrava davvero scossa e ci vollero diverse parole di consolazione per farla rinsavire del tutto.
“Troppe emozioni” balbettò, asciugandosi le lacime con un fazzolettino “troppe emozioni, tutte in una volta. Oh Kurt, sei stato magnifico.”
Qualche giornalista e critico teatrale lo tempestarono di domande sulla sua provenienza, sul suo curriculum, sui pareri riguardo l’opera e su come avesse ottenuto il ruolo; stettero per molto tempo nel retro del teatro, lontano da fotografi e fans indiscreti, a conversare e ottenere informazioni. Susanne, Burt, Rachel e Finn lo avevano preceduto al ristorante così da lasciarlo conversare con calma; avevano organizzato una cena extra-lusso ad un ristorante sulla ventunesima che i quattro newyorkesi amavano tanto, tutto pagato da Kurt, ovviamente.
Dopo l’ennesimo scatto e l’ennesima risata involontaria da parte degli intervistatori –il sarcasmo puntiglioso di Kurt era molto apprezzato, nella grande mela- Kurt dichiarò di sentirsi molto stanco e riuscì a ottenere il congedo, non prima di averli ringraziati tipo allo sfinimento tanto da impressionare i critici con la sua enorme umiltà.
Non c’era quasi più nessuno, per quella strada del teatro, e gli ultimi presenti si accingevano a passeggiare serenamente o a chiamare qualche taxi che incontravano qua e là.
Kurt si guardò intorno, sentensosi quasi spaesato: tutta la confusione, l’adrenalina e l’emozione provate non erano ancora svanite del tutto e lui si sentiva come nel bel mezzo di un’esplosione, giusto un attimo dopo, ancora troppo presto per potersi riprendere dall’enorme esplosione; era come se sentisse tutto ovattato,  calmo, ma solo di quella calma apparente condizionata da una mente ancora non ben collegata alla reale successione degli eventi; il cuore gli batteva forte, ma ad intervalli periodici e regolari, e le sue mani formicolavano di una trepidazione che si riversava sulle spalle e sul passo tremolante delle gambe.
E poi, in quella sottospecie di limbo temporaneo, acuì meglio la vista dei suoi ora limpidi occhi, e scorse Blaine. Teneva la mano ad Elizabeth, ed era seduto sul muretto proprio dall’altra parte della strada; lo fissava. Da quanto tempo era in quella posizione? Da quanto tempo lo guardava, con quello sguardo che solo lui sapeva fare, che faceva sentire Kurt come l’essere più perfetto del mondo?
Ricordò che lo aveva visto allontanarsi subito dopo averlo salutato velocemente, attraverso un bacio a fior di labbra, non appena fosse uscito dall’edificio. Erano passate, quindi, più di due ore, e Blaine non si era mosso di una virgola da quel momento, probabilmente lo aveva visto anche conversare con gli intervistatori, gioire ai complimenti spontanei che aveva ricevuto.
Kurt sospirò, felice; perchè era ovvio, glielo aveva promesso: lo avrebbe aspettato per tutta la vita.
Così, Elizabeth, sorrideva impaziente facendo cenno al padre di arrivare verso di loro; era una bambina così bella, Kurt sembrò realizzarlo solo in quel momento. A volte aveva l’impressione che capisse molto di più di quanto desse a vedere, e tutto quello lo spaventava; Elizabeth era piccola, indifesa. Come avrebbe sopportato le attenzioni che la vita le avrebbe riservato? Come avrebbe affrontato tutte le ostilità?
Ma non erano domande da farsi, non allora, non quando tutto sembrava perfetto e Kurt non si era mai sentito così felice.
Cominciò a dirigersi verso di loro, il volto raggiante, il passo fatto leggermente più sicuro.
 
Ma poi, tutto ad un tratto, si fermò. Un battito di ciglia, un respiro mozzato a metà.
Fu costretto a ripetere quei gesti per più e più volte, fin quando non si accorse che, effettivamente, non ottenevano nessun risultato.
C’era una figura, accanto a Blaine; una donna alta e snella, con il viso pallido e gli occhi chiari.
I capelli castani ricadevano lisci sulle spalle, incorniciando delle labbra morbide, un sorriso caldo, familiare.
Lo stava fissando. Aveva un’espressione strana, un misto di tante cose: orgoglio, fierezza, e cos’altro? Superbia, forse, come se guardasse qualcosa che le apparteneva e dicesse “beh, non poteva non essere perfetto”.
Quella figura sembrava avere un’entità eterea, trasparente; si voltò appena verso di Blaine e Elizabeth. Alla vista di questi due, sorridenti, ignari di ciò che li circondava, sul suo viso si dipinse l’amore e portò candidamente le mani al petto facendo ondeggiare la sua lunga veste di seta.
Si rivolse di nuovo a Kurt. Era così felice.
Il ragazzo fece appena in tempo a bisbigliare una parola.
“Mamma.”
Poi, così com’era comparsa, la donna svanì.
E Kurt scivolò a terra, sopraffatto dall’emozione.


*************

Angolo di Fra

(*) Eheh. Per chi ha letto Blame it on Blaine, SPERO che ricorderà. Ho amato scrivere quel capitolo, e visto che, in qualche modo, potrebbe essere una sorta di future!fic di quella storia, ho pensato di metterci un minuscolo riferimento.
 

Ma voi direte: O COS'è 'ST'AGGIORNAMENTO LAMPO!? (alla toscana proprio XD)
Ahahah, vi giuro, non lo so nemmeno io! M'è presa così, ecco. Non abituatevici eh! Penso che ritornerò molto volentieri alla mia sorta di pubblicazione settimanale..pensate un po', avevo anche pensato di tenere il capitolo in cantina e sfornarlo tra un paio di giorni! Ma poi mi son detta "Francè, è già tanto che te la leggono stà raccolta, non fare la baldracca!" quindi ho pubblicato.
Riguardo al capitolo non ho molto da dire. Posso darvi una piccola informazione personale dicendo che faccio teatro da diversi anni e questo mi ha aiutato molto a scrivere il capitolo. Lo avevate intuito? 
Non mi sono ancora ripresa dalla 3x05 e tra un'ora ho un esame. Ma insomma, come si suol dire, TANTA ROBA!
Sono felicissima che questa raccolta vi stia piacendo, ringrazio davvero di cuore tutti quelli che la leggono e faccio una statua a chi mi lascia una recensione. Ma quanto sono belle le recensioni? Giuro, me ne sto innamorando. E a parte il parere critico/tecnico sull'opera, mi fa proprio piacere leggere i vostri scleri racconti più o meno personali, mi riempite la giornata. Fatemi in bocca al lupo per l'esame!!!



 

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Capitolo 9
*** Bua ***


 

     Bua

     

Quando Elizabeth aveva la febbre era sempre un problema molto grave; diventava isterica, irascibile, piagnucolante e lanciava le cose addosso a tutto e tutti e non esiste terapia in grado di curarle quel terribile mal di orecchie che le viene ogni qual volta le viene un raffreddore; tra tutti i mali possibili, soltanto il mal di denti era paragonabile a quello. Le orecchie fischiavano ininterrottamente e sembravano perforarla dall'interno. Elizabeth odiava tutto quello, ed avendo preso da Kurt, le veniva un raffreddore ed un’inevitabile mal di orecchie ad ogni cambio di stagione, con conseguenti piagnistei interminabili e strilli capaci di far scattare l'allarme di casa.
Eppure, con il passare degli anni, il padre aveva imparato bene a dosare il suo malessere, e poteva vantare di un ottimo autocontrollo e di un sano rimedio a base di sonno e medicine omeopatiche.
Il problema, però, diventava una sottospecie di equazione di secondo grado quando si trattava di Blaine.
Perchè Blaine non solo diventava isterico, irascibile e piagnucolante, ma cominciava a spararsi per ore ed ore di fila tutti i film della disney esistenti sulla faccia della terra, in un ordine che era sempre uguale: La Bella e la Bestia, Hercules, la Sirenetta  e poi via dicendo fino ad arrivare ad Aladin. Era il suo preferito.
"Non voglio Aladin!”
Lizzy guardò torva suo padre togliendogli di mano il telecomando.
“Elizabeth Anderson, ridammi immediatamente quell’aggeggio.”
“MIO!”
Blaine si massaggiò le tempie, sospirando. No, ok, era lui il maturo trai due, doveva trovare un rimedio diplomatico.
“Lizzy, amore, Daddy è molto malato e vorrebbe tanto vedere il suo film preferito. Ti va di vederlo con me?”
La sua risposta fu rapida ed indolore. “Puffi.”
Di tutti gli stramaledetti cartoni animati, esattamente quello che Blaine detestava. E no, il vago riferimento ad una bassa statura non lo toccava affatto. Quindi, da maturità fatta persona, la fulminò con lo sguardo limpido per il raffreddore e rispose schietto.
“Scordatelo.”
“Puffi!”
“Oh Lizzy, guarda chi c’è, Babar!” (*)
La bambina si voltò di scatto, con sguardo sognante, e il padre ne approfittò per sfilarle via il telecomando, accompagnato da una risata malefica.
“E adesso ci guardiamo Aladin.”
Elizabeth incrociò le braccia, facendo la linguaccia, e lo stesso gesto venne imitato dal padre, mentre con il pollice premeva il tasto play sul telecomando.
Ma sua figlia era una bambina dieci volte più cocciuta, e trenta volte più scaltra.
Come se dovesse prendere un respiro per andare in apnea, gonfiò immediatamente il petto e le guancie, e poi urlò.
“PAPàààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààà! Daddy non mi fa vedere i puffi!”
Blaine si irrigidì.
Una parte del suo cervello –quella irrazionale, senza ombra di dubbio- sperò che quella sottospecie di urlo di Tarzan non fosse stato udito.
Ovviamente, si sbagliava. Perchè avrebbe riconosciuto tra mille i passi di suo marito quand’era arrabbiato, e a giudicare dal tonfo che facevano quando toccavano il parquet, era molto arrabbiato.
“Non vi sopporto più.” Dichiarò, le occhiaie di chi non dormiva da giorni e lo sguardo omicida che saettava da uno all’altra.
“Non me ne frega niente se siete stanchi, deboli o affaticati, io ho bisogno di dormire e voi avete degli anticorpi che fanno invidia ad un furetto. Quindi, non ho intenzione di sorbirvi le vostre lamentele per un’altra settimana.”
Detto quello, fece per prendere cappotto e sciarpa, ma non appena si avvicinò all’attaccapanni il marito saltò giù dal letto correndo verso di lui.
Kurt si voltò lento, non mutando di una virgola la sua espressione seccata: “Che c’è?”
Blaine abbassò appena lo sguardo, parlando con tono pacato. “Dove...dove stai andando?”
E in quel momento, il ragazzo sorrise, intenerito da quei sensi di colpa, e si avvicinò velocemente per lasciare un bacio sulla guancia di suo marito.
“A prendere delle aspirine. Non ti preoccupare, non divorzierò da te per così poco.”
Il volto del ricciolo si illuminò di colpo: si avvicinò per avere un altro bacio, ma fu ostacolato da delle mani premute contro il suo petto.
“Non ci tengo ad unirmi al coro di ammalati, grazie.”
Ridacchiò, annuendo appena. Gli augurò una buona uscita e senza aggiungere altro si rimise comodo nel letto, accanto a sua figlia. Era ancora arrabbiata per la questione dei puffi, ma visto che Blaine era tornato improvvisamente di buon umore, decise di togliere la videocassetta e mettere il canale pieno di cartoni animati che le piacevano tanto.
E quando vide la piccola scoppiare a ridere per una di quelle gag assurde, dove uno cadeva sulla buccia di banana, e l’altro si spiattellava al muro diventando parte di quello, si limitò a stringerla contro di sè baciandole delicatamente la fronte.
Senza neanche volerlo, si addormentarono in quella posizione, cullati dai loro respiri sincronizzati.
 
Quando Kurt tornò a casa, si immaginò di trovare i due bambini – quella reale, e quello troppo cresciuto- litigare per chi dovesse prendere per primo quell’orribile sciroppo che sapeva di gomma di masticare avariata.
Invece, con sua immensa sorpresa, si ritrovò di fronte una scena del tutto diversa.
“No, no Lizzy, devi fare così...” Blaine spostò il peso da un piede all’altro, accompagnandosi con degli schiocchi delle dita, ondeggiando sotto il suono di una musica che conosceva sin troppo bene.
Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata: era la loro prima canzone.
E sebbene una parte di sè fosse decisa a sciogliersi nei suoi ricordi, l’altra parte era effettivamente concentrata a cercare di capire che cosa stesse succedendo.
Perchè sua figlia aveva una cravatta a righe rosse e blu che le arrivava fino ai piedi, e degli occhiali da sole fucsia?
E perchè Blaine sembrava intento ad insegnarle i passi di un balletto che –lo ricordava a malapena- aveva ideato tantissimi anni fa insieme agli Warblers?
“Daddy! Lo faccio bene?”
“Esatto Lizzy, così sei perfetta!”
In quel momento alzò la testa, trovandosi, di fronte a sè, Kurt. In verità, la sua faccia era un misto tra la risata e la perplessità assoluta.
“Vedo che state meglio.”
I due ammalati si fermarono di colpo. Blaine, però, non parve cogliere la sottile ironia nelle sue parole.
“Merito del tuo bacio guaritore.” Ammise, avvicinandosi a lui con un sorriso che avrebbe illuminato una stanza. Kurt, però, dopo anni di fidanzamento aveva imparato bene a difendersi da quel gesto fatale, e lo fissò con fare ancora più autoritario.
“Che stavate facendo? Voi due dovreste essere a letto.”
“Noi...hem...la maratona Disney era finita, i cartoni non ci andavano più, così ci siamo rimessi a guardare il video delle Regionali. Mi ha chiesto di insegnarle qualche balletto...”
“Papà! Guarda!”
Elizabeth cominciò ad ondeggiare, canticchiando le note di Teenage Dream di Katy Perry. I suoi occhi smeraldini, così simili a quelli del padre, erano fissi sui suoi e il padre ebbe all’improvviso un enorme dejà-vù.
Come se si trovasse di nuovo ad attraversare quel lungo salone della Dalton, mano nella mano con quel ragazzo sconosciuto.
Come se stesse ricevendo una serenata per la seconda volta, il sorriso solare, l’improvviso calore di serenità che avvampava lungo tutto il suo cuore.
Era incredibile. Eppure, dopo dieci anni, erano ancora lì. E poi, non erano da soli.
“Kurt?” Blaine si avvicinò a lui, afferrandolo dolcemente per le braccia. “Kurt, che hai?”
Eccolo, l’uomo che aveva sposato. L’uomo che non aveva mai smesso di tenergli la mano, sin dal loro primo incontro.
Senza neanche pensarci, affondò le mani nei suoi riccioli e lo baciò con passione, intrecciando le labbra, cullandosi in quel calore che amava così tanto.
Quando Blaine si staccò, un po’ sorpreso, ma estremamente deliziato, sfoggiò un caldo sorriso.
“Pensavo che avessi detto di non volerti ammalare.”
Si strinse nelle spalle. “Correrò questo rischio.”
 
 
“Papà...mi fanno male le orecchie!”
“Coraggio Lizzy, resisti un pochino, Daddy è andato a prendere le medicine per tutti e due...”
“Ma Papàààà mi fanno male!”
Il ragazzo fece per rispondere, ma fu interrotto da uno starnuto. Odiava con tutto il suo cuore i cambi di stagione. E poi, odiava anche quel maledetto Karma che aveva fatto guarire suo marito, appena in tempo per far ammalare lui.
“Papà?”
“Sì?”
“Sei tutto rosso.” Ridacchiò.
“Anche tu, signorinella.”
“Siamo tutti rossi. Come due pomodori!”
“Sì, due pomodori malaticci.”
“Guardiamo i puffi?”
“Di nuovo?”
“Eddai edddai eddai eddai!”
Il ragazzo sbuffò, per un secondo, riuscendo perfino a comprendere la scarsa pazienza del marito quando si trattava di quelle cose. Alla fine, però, afferrò di nuovo il telecomando e fece partire il videoregistratore.
“Sappi che questa è l’ultima volta.”
Così facendo finirono per guardare lo stesso episodio per altre otto volte di fila.
 
 
Pochi minuti e tante lamentele dopo, Blaine entrò con fare agitato nella stanza portandosi dietro una busta piena di medicine.
“Quanta roba hai comprato!?”
“Tutto.”
“Che vuoi dire, tutto!?”
“Voglio dire che se non le passerà la febbre entro un giorno sono pronto a chiamare Dottor House.”
“Blaine, è una normalissima influenza passeggera...che ha colto anche me, a quanto pare.” Aggiunse, asciugandosi il naso umido con un fazzoletto.
Blaine si soffermò ad ammirarlo, accarezzandogli dolcemente le guance arrossate.
“Papà sei buffissimo!” Si apprestò allora a dire la bambina, avvinghiandosi al suo braccio sorridendo soddisfatta non appena ricevette un occhiolino di compiacimento da parte del padre.
“Sì, e il tuo commento è di parte.”
Blaine sorrise, sporgendosi un po’ di più per baciarlo a fior di labbra.
“Secondo me sei bellissimo.”
Kurt sviò lo sguardo, arrossendo ancora di più – per quanto fosse umanamente possibile, dal momento che stava letteralmente scottando-: “Beh, il tuo commento è assolutamente di parte.”
“Coraggio – disse, dopo una breve risata , parlando con tono caldo e confortante– prendete lo sciroppo, e poi andate a dormire. Penserò io a sistemare casa ed avvisare il teatro, non ti preoccupare.”
L’ammalato gli rivolse un’occhiata piena di gratitudine, e stracolma di amore.
“Com’è possibile che tu cambi da bambino polemico a uomo dei miei sogni?”
“Pensavo di essere sempre l’uomo dei tuoi sogni.”
Kurt si lasciò scappare un sorrisetto, con appena una punta di malizia: “Beh, ci sono dei lati di te che mi capita di sognare più spesso e volentieri.”
“Daddy...Papà...”la bambina li guardò con i suoi grandi occhi stanchi, e stavolta la sua voce era veramente incrinata dal dolore.
“Bua.”
Kurt la abbracciò all’istante. Blaine saltò sulle lenzuola e si mise sotto le coperte assieme a loro, posando la busta a terra ed estraendo soltanto lo sciroppo necessario a curare il mal d’orecchie.
Ci vollero diversi tentativi prima di riuscire a mandarlo giù – molti dei quali compresero un trenino che non entrò in galleria ed una nave che non si fermò sul porto-, ma alla fine, grazie al sostegno dei due genitori, e all’amore che dimostrarono attraverso parole e baci, la bimba si fece forza e ingoiò l’amara medicina tutto d’un colpo.
Subito dopo, assunse un’aria schifata ed affondò la testa nell’incavo del collo del padre ammalato, che si limitò a baciarle i capelli tutti arruffati – tali e quali ai suoi-.
“Visto? Non era così difficile.”
La bimba non volle sentire ragioni.
“Daddy, più vicino.”
Blaine si accoccolò dietro di lei circondandole la vita con le braccia; immersa completamente nel calore dei due genitori, divenne sempre più calma fino a sentire piano piano il pesante mantello del sonno che arrivava.
Kurt e Blaine si guardarono, intuendo esattamente la stessa cosa. Così, piano piano, come un sussurro, le cantarono la loro ninna nanna, e la bimba cadde nel dolce mondo dei sogni.


****

Angolo di Fra

(*) Vago, ma VAGHISSIMO riferimento a Darren Criss, che per Halloween si è travestito da Babar. Lo amo.

Probabilmente questo capitolo vi avrà fatto schifo. Non me ne vogliate! E' più corto e leggero dei precedenti, ma visto che in questa raccolta scrivo quello che mi pare, ho deciso di pubblicarlo così. Era un'idea che mi è venuta in mente durante la mia bellissima settimana-riposo. A proposito, mi dispiace per aver aggiornato così tardi, ma ho dato tre parziali (ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto in bocca al lupo!) ed ero stanchissima, così mi sono presa una pausa.
E poi, ho cominciato a scrivere una ff. Una long-fic, ovviamente Klaine. Ma ho intenzione di postarla soltanto quando avrò diversi capitoli a disposizione. Che dire, per ora non mi convince per niente! Ahahah, ma che ve lo dico a fare? Tanto ormai mi conoscete, no?
Vi do solo un piccolo indizio: è un'AU. E l'idea mi è venuta perchè...beh, perchè sono davvero patita per quel genere di storie.
Se avete qualche domanda, anche un po' spoilerosa, siete liberi di farmela. Ma non è detto che io vi risponda, ahah!!!
E che altro dire, grazie a tutti quelli che leggono, seguono e preferiscono questa raccolta, e ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo.
Spero di scrivere presto, alla prossima!

Fra

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Capitolo 10
*** Tra ringraziamenti e tacchini di troppo ***


Tra ringraziamenti e tacchini di troppo


 



Ripensandoci, Kurt constatò che, forse, non era stata una buona idea.
Ma visto che, come avrebbe detto Blaine, Kurt faceva "orgoglio" di secondo nome, prese un bel respiro e andò fino in fondo.
Letteralmente.
Affondò una mano dentro al tacchino, e potè sentire l’interno morbido della sua pelle avvolgersi contro il suo braccio; in quello stesso frangente maledì con tutte le lingue che conosceva – soprattutto in francese, pensava che da arrabbiati il francese assumesse un suono altamente appagante- l’idiota che aveva decretato il tacchino come cibo universale per il giorno del Ringraziamento, e sì, maledì anche il giorno del Ringraziamento. Quella giornata era cominciata male e stava andando sempre peggio, e l’unica cosa che Kurt in quel momento sentiva di dover ringraziare, sarcasticamente parlando, era l’incredibile irritabilità di Rachel Berry.
“Non sei in grado di cucinare il tacchino ripieno!”, gli aveva detto.
Beh, adesso era incastrato tra le cosce del volatile, e Dio solo sapeva quale assurda allusione sessuale non voluta avesse tirato fuori. Il suo viso assunse il colore del pomodoro posto giusto vicino a lui e, per fortuna, nessuno era presente per poter assistere a quello scenario deprimente.
“Ok”, esordì a se stesso, ma tenendo gli occhi puntati sul tacchino. “Ce la posso fare. Che cavolo, se ce la fa Finn tutti gli anni, posso farcela anche io. Dunque, la ricetta, cosa dice la ricetta? Riempire il tacchino e quindi cucite l'apertura con dello spago da cucina. Salate e pepate il tacchino all'esterno e legatelo con altro spago, frapponendo tra questo e la carne i rametti di rosmarino.Tutto fattibile.”
O almeno, così si augurò in cuor suo. In verità lo spago si spezzò in mille punti e il ripieno cedette quasi del tutto strabordando anche da dei pezzi delle cuciture. I rametti di rosmarino sembravano delle povere creature imploranti pietà stritolate tra la carne ed il filo, e donavano all’immagine generale una visione alquanto macabra ma abbastanza attinente di un sacrificio satanico. C’era anche la lingua diabolica ed incomprensibile, dal momento che Kurt aveva cominciato ad imprecare in francese, e quello voleva dire che aveva davvero raggiunto l’apice della sopportazione.
“Nemmeno mi piace il tacchino!” Esclamò, sbattendo con forza la mano sul tavolo messo a soqquadro da castagne, burro, limone, pane grattugiato e Q.B. di sale. Odiava il Q.B. Era come se uno dovesse nascere imparato, o avere un talento innaturale per le dosi. Insomma, nel giorno del Ringraziamento non poteva permettersi di mandare a monte il pranzo solo perchè aveva messo un po’ troppo di Q.B. di sale. Che li costava scrivere “due cucchiaini”, o meglio –visto che a loro piace tanto scrivere abbreviato- “due cucch.ni”!?
Ma la verità, in fondo, era un’altra: Kurt non voleva deludere Blaine. Il suo volto raggiante, quando gli aveva proposto di festeggiare il Ringraziamento a casa loro, lo aveva fatto emozionare così tanto che in uno slancio d’amore si era offerto per preparare lui stesso il tacchino, perchè Blaine amava Kurt quando cucinava per lui, e Kurt amava vederlo completamente ammirato facendolo sentire il marito migliore del mondo.
Vedendo la situazione, però, iniziò a domandarsi da dove diavolo avesse preso tutto quell’ottimismo; avrebbe dovuto dar retta a Rachel o, più semplicemente, chiedere a Finn di aiutarlo. Da quando erano a New York avevano festeggiato il ringraziamento a casa loro, e il suo più grande dramma consisteva nel decidere quale camicia gli piacesse di meno così da poterla indossare liberamente senza temere ketchup e altre salse varie. Adesso, non solo non aveva ancora scelto la camicia –e aveva bisogno di tempo per farlo, soprattutto perchè impiegava all’incirca mezz’ora nell’accarezzarla chiedendole scusa e dandole l’estremo saluto-, ma si era perfino ritrovato un dannatissimo uccello tra le mani.
“No, non uccello. –si ricorresse tra sè e sè, borbottando- Volatile. Pennuto. Animale!? Ok, ancora peggio.”
Niente da fare: comunque la rigirasse, quella frase restava terribilmente ambigua e si ritrovò a sprofondare nel suo piccolo baratro di vergogna.
“Kurt?”
Si voltò di scatto, perchè la voce che udì era inconfondibile: che diavolo ci faceva Blaine!?
Poi guardò l’orologio: oh, perfetto, erano soltanto le dodici e mezza. E gli invitati sarebbero arrivati in un lasso di tempo che variava, tipo, dai cinque ai sei minuti e mezzo, a seconda di quale metro avessero preso.
“Insomma –mugugnò- sono in perfetto orario.”
“Cos’hai detto?”
“Papà papà ho fame!”
Vide quell’adorabile testolina ingellata sbucare fuori dalla porta, seguito a ruota da quella piccola di Elizabeth, ed entrambi assunsero un’espressione a metà tra il terrorizzato e il perplesso.
“Kurt, ma...è scoppiata una bomba per caso? Pensavo che fosse il Ringraziamento, non la rievocazione storica dell’undici Settembre.”
“Ah-ah, molto simpatico. L’autoironia newyorkese ti ha fatto male, vedo. Non è successo niente, stavo soltanto preparando il tacchino.”
Blaine guardò la massa informe stesa sul tavolo, inarcando un sopracciglio.
“O almeno, quello che ne rimane?” Ricevette immediatamente un’occhiata acida per la frase appena detta.
Ma quell’acidità svanì immediatamente, non appena notò lo sguardo confuso del marito, cominciando a sentirsi tremendamente in colpa. Sussurrò un paio di scuse, balbettando su quanto fosse maledettamente orgoglioso, e su quanto il tacchino fosse maledettamente difficile da fare, e su quanto fosse importante il giorno del Ringraziamento, e...
“Kurt, Kurt, amore, calmati.” Blaine lo prese dolcemente per le braccia, guardandolo dritto negli occhi.
“Sei adorabile quando straparli così, ma in verità non riesco a capire granchè di quello che dici. Adesso, per favore, prendi un respiro e dì: qual è il problema?”
 Quei grandi occhi nocciola, che adesso sembravano dei fari nella penombra, lo sciolsero completamente e allo stesso tempo lo invogliarono a dire la verità.
“Volevo farlo bene.”
“Che cosa, il tacchino?”
“Sì. So che ti piace tanto, e so quanto ci tieni affinchè questo giorno sia speciale, e io ho mentito quando ti ho detto che sono un esperto nel cucinare il tacchino, in verità non l’ho mai fatto in vita mia, in verità odio quel dannato volatile, ma ho detto che volevo farlo...per te.”
Blaine sussultò appena, il suo sguardo più luminoso, mentre la voce di Kurt diventava sempre più tenera.
“Perchè volevo che tu fossi fiero di me.”
Non gli permise di aggiungere altro: lo baciò con intenso trasporto e passione, e assaporò lentamente la sua lingua fino a quando non sentì il suo sospiro di piacere sincero e completamente ammaliato.
“Kurt...Kurt.” Lo disse più piano, voleva che fosse una cosa intima, solo loro due.
“Io sono totalmente, incondizionatamente fiero di te. E il fatto che tu abbia fatto tutto questo per me è...” non trovò la parola adatta a descrivere le sue parole, e così decise di farglielo capire attraverso un altro bacio, stavolta più lento.
“Ed è vero che ci tengo al giorno del Ringraziamento, ma la vuoi sapere la ricetta per una giornata assolutamente speciale?”
Kurt annuì, un sorriso cominciava a nascere dalle sue labbra rosee ed inumidite mentre Blaine si faceva sempre più vicino.
“Un semplice Blaine Anderson... -prese le mani del marito, stringendole verso di sè- un bellissimo, affascinante Kurt Hummel... – adesso i loro nasi si sfioravano appena, in quel modo che adoravano fare, che li rendeva incredibilmente intimi- e poi, ovviamente, un pizzico di...”
“Lizzy!”
Sobbalzarono. La voce di Burt Hummel, proveniente dalla stanza accanto, piombò sulle loro teste e su quella bolla d’amore rendendoli improvvisamente consci di quello che stava accadendo: avevano una dozzina di invitati a pranzo, dei vestiti da indossare e, soprattutto, un tacchino lasciato a metà, abbandonato a se stesso.
Sentirono la voce cristallina di loro figlia esultare e gioire nell’abbraccio del nonno e, a seguire, i saluti di Carole, Finn, Susanne e Catherine, rispettivamente, la madre e la sorella di Blaine, accompagnate da Jonathan, il ragazzo di quest’ultima, ed infine Rachel,  assieme ai suoi genitori Joe e Phill. Era la solita comitiva che ormai si riproponeva da diversi anni, a parte Jonathan, che, ovviamente, era la "new-entry": tutti quanti si incontravano per il giorno del Ringraziamento praticamente da quando i ragazzi si erano trasferiti a New York. Era una scusa per rivedere i propri cari, e per passare una bella giornata tutti insieme. Burt, poi, aveva imparato ad adorare letteralmente Joe e Phill visto che ogni anno, per quell'occasione, lo portavano a pescare. Susanne, d'altro canto, si era trovata subito d'accordo con Carole e avevano pianificato da mesi la loro speciale caccia allo sconto per Manathan, seguite da Catherine, sebbene mal volentieri - la sua passione per la moda, con grande delusione della madre e di Kurt, non era migliorata con il passare degli anni-.
E quindi, chi per un motivo, chi per un altro, erano tutti felici di essere insieme, e pronti a festeggiare quello che, in pratica, era come un secondo Natale.
Peccato che Kurt e Blaine non fossero pronti neanche un po'. Kurt non era nemmeno vestito adeguatamente, cosa che, ovviamente, avrebbe implicato una sua magica sparizione fino al momento in cui non fosse stato presentabile e con una camicia decente addosso. Ma visto che, in effetti, era una cosa che succedeva piuttosto spesso - a partire da quell'occasione e a terminare con delle cene che ritardavano puntualmente di tre ore-  nessuno degli invitati lo avrebbe trovato strano o seccante.
“Sono arrivati.”
Si guardarono negli occhi, leggendoci lo stesso sentimento di ansia e paura.
“Oh Blaine, che facciamo?”
“Ok, ok, niente panico. Con calma, io vado a salutare gli ospiti, tu cerca di...hem... –il suo sguardo si posò istintivamente sul tacchino- nascondilo e accendi il forno, diremo a tutti che si sta cuocendo.”
Annuì. Un’ultima occhiata, poi si separarono.
Dritti verso la loro tacita operazione “aggiustiamo al meglio questo tacchino del Ringraziamento”.
 
 
Avevano necessariamente bisogno di un complice. Kurt da solo non ce l’avrebbe mai fatta, e Blaine d’altro canto voleva andare in cucina a dargli una mano; ma quindi, come faceva ad intrattenere gli ospiti se entrambi i padroni di casa, misteriosamente, si sarebbero volatilizzati?
Per una buona mezz’ora la situazione andò alla grande, lasciando spazio a delle sane chiacchierate e ad un aperitivo che Blaine aveva precedentemente preparato sopra al tavolino del salotto. Rachel e Finn erano di casa, ormai, e così facendo misero a loro agio tutti i presenti, facilitando il lavoro a Blaine; trascorse diverso tempo a parlare con Susanne, felice di averla lì, e poi con Catherine, la sua adorata sorella che in quel momento frequentava il primo anno di College a Stanford. E poi, lasciato volutamente per ultimo, si dedicò a Jonathan. La gelosia di Blaine era un fatto noto a tutti, ormai, ma il povero ragazzo ancora non aveva avuto l’onore di conoscerla di persona: si fermò davanti a lui, squadrandolo da cima a fondo, indugiando soprattutto sul suo viso e sulla sua espressione pietrificata da studente che stava per dare il suo primo esame orale. Era giusto che ce l’avesse, altrimenti Blaine si sarebbe sentito insoddisfatto.
“E insomma...” esordì, con nonchalance, come se quello non fosse veramente il ragazzo di sua sorella, come se la cosa non gli desse assolutamente fastidio, insomma.
Il ragazzo, notando la mancanza di un proseguimento, prese un bel respiro e si buttò.
“E insomma...”
Oh, no, non poteva davvero averlo fatto. Sul serio, lo aveva “emulato”? Come gli era saltato in mente di azzardarsi anche soltanto minimamente ad assumere un tono di confidenza con lui, LUI, il fratello maggiore della sua ragazza!?
Al diavolo. Poteva anche essere il figlio di chissà quale ricco impresario del Canada, poteva anche avere la media più alta di tutta l’università –che poi, chi diavolo studiava a Stanford? Soltanto gli scienziati falliti, pensò lui-, ma in quel preciso istante Blaine lo etichettò come idiota e così rimase per tutto il resto della loro conoscenza.
Ma non aveva tempo da perdere: doveva andare da Kurt. Stava già per mandare tutto all’aria e chiedere una mano a Rachel e Finn, quando sua figlia, prontamente, cominciò a fare quelle cose adorabili che fanno tutti i bambini, tipo raccontare le sue imprese all’asilo, fare vedere ai nonni qualche disegno, e cose così.
Il padre la guardò come se stesse ammirando l’essere più meraviglioso e geniale del mondo, e si ripromise che quella sera le avrebbe dato un pacchetto intero di caramelle gommose come premio.
Adesso, tutti quanti erano come calamitati da Lizzy: se lei rideva, loro ridevano. Se lei correva, loro le correvano dietro, facendo finta di rincorrerla, e sembrando in generale una massa di allucinati. Ma per Blaine era perfetto: senza farsi notare troppo, corse in cucina e chiuse la porta a chiave.
Si voltò in fretta, troppo in fretta, forse, per poter sopportare ad occhio umano la vista di Kurt intento ad indossare il resto di una camicia sistemata a metà, con il torso completamente scoperto, la pelle nivea ed immacolata che risaltava come il riflesso della luna.
Non gli chiese come avesse fatto a prendere quei vestiti – probabilmente, era sgattaiolato dal terrazzo per arrivare direttamente in camera da letto e portarli lì dentro -, non gli chiese come mai avesse scelto proprio quell’abito. Dopo il momento di puro romanticismo di poco prima, quella visione era in assoluto la cosa più giusta e, allo stesso tempo, sbagliata, che potesse capitargli.
Kurt, in effetti, fece appena in tempo ad infilarsi anche l’altra manica che si era già ritrovato con la schiena contro il muro, le mani intrecciate a quelle di Blaine, il suo corpo caldo completamente spalmato contro il suo che aveva cominciato a strusciarsi freneticamente.
E, beh, si sentì diviso a metà: perchè una parte di lui stava già per strappargli quella scomodissima giacca che si ritrovava addosso ed assaporare la più bella e lunga sessione di sesso sopra al tavolo che essere umano avesse mai potuto contemplare; ma poi,  sfortunatamente, si ricordò di un piccolo dettaglio.
“Il tacchino, gli ospiti.” Dichiarò meccanicamente, maledicendosi all’istante per averlo fatto, perchè Blaine si fermò di colpo ed indietreggiò appena, con il fiato corto, i capelli arruffati, la giacca scoperta quanto bastava per lasciar trapelare un po’ dei suoi addominali scolpiti e della sua pelle olivastra, gli occhi nocciola irresistibilmente densi di lussuria, incollati ai suoi.
E si soffermarono a deglutire, perchè era ingiusto, perchè era troppo eccitante, e volevano farlo lì, adesso, e non potevano.
“E’ colpa tua –sussurrò Blaine- ti sei messo quella camicia che mi fa impazzire.”
“Blaine, secondo il tuo modesto parere, qualsiasi camicia fa impazzire.”
“Non è colpa mia se ho sposato l’uomo più eccitante del mondo.”
“Cosa? No, mio caro, è partita persa: vogliamo parlare delle tue condizioni, adesso? Dio, ti vorrei così tanto.” Mugolò, e Blaine fu costretto ad allontanarsi di scatto perchè altrimenti non sarebbe più stato in grado di farlo. Kurt gliene fu grato, lui non ne avrebbe mai avuto il coraggio, ed insieme presero dei lunghi respiri mentre, lentamente, cominciarono a rassettarsi.
“Coraggio, pensiamo al tacchino.”
"Ti amo."
"Anche io. Ah, a proposito, Lizzy sta intrattenendo gli ospiti.”
“Davvero? Oh, Blaine, è già una performer, a soli quattro anni! E’ proprio nostra figlia.”
“Tra qualche anno la vedrò nei migliori spettacoli di Broadway, di fianco a te.”
Guardò suo marito ringraziandolo con uno sguardo di pura devozione, e poi si concentrarono ad osservare quella...cosa.
“Blaine... ci sta guardando male. Mi sto deprimendo.”
“No dai, sta sorridendo. Non vedi? E’ felice.”
“Ma dove lo vedi il sorriso, se gli manca la testa?”
“E allora tu dove l’hai visto il suo sguardo?!?”
“Oh Blaine, non ce la faremo mai.”
“No, Kurt, guardami, rilassati, andrà tutto bene. Riusciremo a superare anche questa cosa.”
Il cantante esitò un secondo, guardando negli occhi suo marito.
“Insieme?”
Ci fu un attimo di pausa. Dopodichè, sorrisero.
“Sempre insieme.”
 
I migliori cuochi dicono che la migliore ricetta si fa con l’amore. Ma, effettivamente, se fosse dipeso solo da quello, Blaine e Kurt avrebbero vinto il premio come miglior cuochi di tutta la nazione.
 Il risultato che ottennero fu un tacchino abbastanza deforme con un ripieno troppo cotto e dei rametti che penzolavano come dei salici piangenti.
“E’ inquietante.”
“No, no, va benissimo.”
“Blaine, io ti amo, ma non devi mentire per farmi contento.”
“Ok, allora sì, è inquietante.”
“Cosa facciamo?”
Ci voleva un’idea. O quanto meno, una scusa. Non potevano consegnare il tacchino in quel modo, Rachel probabilmente li avrebbe presi in giro fino alla fine dei loro giorni.
Blaine guardò per l’ultima volta il piatto con fare sconsolato: “Sembra uno di quei pasticci che combina Lizzy quando non ha voglia di mangiare.”
E lì, venne l’idea.
“Blaine, sei un GENIO!” Lo baciò velocemente sulle labbra, afferrando il viso con le mani, e poi Kurt volatilizzò via dirigendosi verso la sala e la bambina.
“Kurt, alla buon’ora eh! Eri affogato in cucina?”
Si soffermò a salutare tutti gli ospiti e a spendere due parole di benvenuto, ma in realtà il suo intento era ben altro.
“Mettetevi pure comodi, adesso sta per arrivare il tacchino. Lizzy, tesoro? Mi vieni a dare una mano?”
La bambina corse immediatamente verso di lui tutta saltellante e contenta. Kurt andò da Blaine, il quale guardava entrambi in modo confuso, ma non appena vide il marito fargli l’occhiolino cominciò immediatamente ad intuire il suo piano.
“Oh no, Lizzy! Che cos’hai fatto? Guarda il tacchino...è tutto distrutto!”
Si diressero tutti e tre nella sala: il tacchino si presentò nello stesso modo con cui venne cucinato, con la grande differenza che adesso entrambi i padri guardavano la bambina con tono accusatorio e dispiaciuto.
“Non l’ha fatto apposta, voleva afferrarlo, le piace giocare con il cibo...”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro.
“Ma- ma non importa! –Esclamò entusiasticamente Burt-  Vero che non importa, ragazzi?”
“Certo, sicuro! Sarà delizioso lo stesso.” Confermò Catherine, assecondata dal fidanzato – ma Blaine non lo sopportava lo stesso.
“Oh Lizzy, sei un’adorabile pasticciona!”
“Ti adoriamo anche per questo.” I genitori di Rachel sembravano incantati.
“Vieni tesoro, fatti abbracciare dalla nonna!”
“A me non importa, basta che si mangi.”
Rachel diede una gomitata a Finn e aggiunse: “Coraggio, non stiamo a fare tutti questi convenevoli e diamoci dentro!”
I due ragazzi si sedettero, assieme alla bambina, che in quel momento stava ricevendo più complimenti di quanti ne avesse ricevuti in tutta la giornata. Kurt e Blaine si guardarono, ma solo per un momento, e grazie alla loro profonda intesa si congratularono tacitamente per la buona riuscita del piano, e si dichiararono per l’ennesima volta il loro amore.
E alla fine, in quel giorno del Ringraziamento, ringraziarono il mondo che aveva donato loro Elizabeth, e tutta quella splendida famiglia.
 
 
 ***

Angolo di Fra

Cosa aggiungere a questo capitolo?
BUON RINGRAZIAMENTO FOLKS!
Per una volta ho postato in concomitanza con l'evento ufficiale! Che bello!

Allora, ringrazio tutti quanti coloro che mi stanno leggendo, e ancora una volta spero che questo capitolo vi sia piaciuto. E prima che possiate dire altro NO, non farò una smut in questa raccolta, era solo qualcosa che volevo fare perchè:

a) L'idea di Kurt che tutto trafelato si cambia di soppiatto mi fa impazzire.
b) L'idea di Kurt che cucina mi fa impazzire.
c) L'idea di Kurt in generale mi fa impazzire.
d) VOGLIAMO PARLARE DI QUEL SERVIZIO SU DARREN CRISS!?
e) Ho questa folle idea che loro si amino follemente ed incondizionatamente, in ogni momento della loro giornata. E amarsi vuol dire, ovviamente, trovare l'altro irresistbile qualsiasi cosa faccia. Cioè, dai, se io fossi il marito di Kurt o di Blaine passerei metà della giornata a....e vabè, oggi ho gli ormoni a ruota libera.

Insomma, fatemi sapere se quel momento ci stava o era di troppo. Sono mezza tentata di cancellarlo.
Ah, comunque, ancora una volta ho inserito Susanne e Catherine. Il problema è che ormai, se devo pensare alla famiglia di Blaine, riesco ad immaginarmela solo in quel modo e quindi finisco per scrivere così. Comunque, onestamente, mi fa piacere fare un tuffo nel passato (sì, sono incredibilmente nostalgica ed affezionata alla mia prima ff...fucilatemi per questo) e scrivere un po' di Susanne e Cathy. D'altro canto, spero che faccia piacere anche a voi rivederle per un pochino!
A proposito, ma quanto saran belle le vostre recensioni? Quelle dello scorso capitolo mi hanno uccisa! Io vi adoro!!
Questo giorno capita proprio a fagiolo. Anzi, a FAGIUOLO. Perchè adesso sto per fare un sonoro GRAZIE a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, che leggono questa raccolta, che la seguono, la ricordano o l'hanno messa nei preferiti! Questo è un grazie da Thanksgiving day, quindi vale doppio eh!!! GRAZIEEE!!
Alla prossima, che non so quando sarà perchè ho intenzione di dedicarmi anima e corpo alla AU così da uscirne qualcosa di quantomeno decente. Sì, sono nel pallone.
Un bacio!!

Fra



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Capitolo 11
*** Ovviamente. ***


Premessa: questa OS non parla di Lizzy, ma è strettamente collegata a lei. E' sempre una future!Fic di Kurt e Blaine, ed è in linea con le trame delle OS precedenti, ma è una sorta di "prologo" a tutta la storia.

Come dire, da qui, parte tutto!



Ovviamente.

 


Ormai erano passati tanti anni; quasi dieci di findanzamento e sette di convivenza, per la precisione.
Kurt e Blaine, ormai, erano vincolati l’uno all’altro; dopo tutte le vicende avvenute in quei lunghi, lunghissimi anni di liceo, per non parlare di quando furono costretti alla distanza forzata per via della scuola di Blaine e l’università di Kurt, le loro vite erano profondamente collegate in un modo che non sapevano descrivere nemmeno loro: semplicemente, davano per scontato che, in qualsiasi cosa facessero, fossero insieme. Per sempre.
Quindi, c’era da aspettarselo. E, in effetti, forse lo sapevano davvero: Finn e Rachel sapevano che sarebbe successo; solo, credevano che sarebbe stato più poi che prima.
Inevitabilmente, accadde nel giorno più fatale di tutti.
Blaine aprì la porta di scatto e notò con piacere che sia Finn che Rachel erano già armati di tutto punto, con sacchi della spazzatura, scatoloni e maacchina per fare i pacchi in sottovuoto. Non appena li vide Kurt non ci fu bisogno di nessun tipo di saluto: li guardò fisso, con l’aria di chi stesse per andare al patibolo e se non fosse ancora pronto psicologicamente.
Diverse emozioni si verificarono sul suo viso, attraverso un flusso di espressività che andò dal sorpreso fino al deciso e orgoglioso.
“Dovrete passare sopra al mio cadavere.”
“Non esiste!” Kurt, ogni anno è sempre la stessa storia!
“Tu quoque, Rachel? Posso capire Finn, posso perfino capire Blaine, ma dalla mia migliore amica mi aspettavo un minimo di comprensione!”
“Io invece provo solo compassione, Kurt, e per Blaine!”
L’interpellato si voltò lentamente, quasi intimorito nello scorgere la reazione del fidanzato. La quale, in effetti, era tutto fuochè angelica.
Si avvicinò piano, i suoi grandi occhi nocciola adesso brillavano di dolcezza e amore –e giusto un pizzico, ma un pizzico di ruffianaggine-, lo strinse a sè afferrandolo delicatamente per le braccia, e a bassa voce provò l’ennesimo, ultimo, tentativo di convincimento morale.
“Non c’è altro rimedio, lo sai.”
Oh, lo sapeva eccome. Era per quello che non aveva ancora messo del sonnifero nel caffè per sedarli tutti e spedirli in Alaska con il primo taxi disponibile.
Loro erano in troppi, e lui, da solo, non ce l’avrebbe mai fatta. Avevano occupato tutto lo spazio disponibile, era giunta l’ora che si facessero da parte per permettere ai loro successori di abitare quel luogo.
Non c’era altra soluzione. Quindi, alla fine, deglutì con forza, e sospirò.
“Va bene.”
Lui stesso rimase incredulo dalle sue parole, ma poco dopo ripetè: “Va bene. Solo, non fate loro del male, ok? E potete dire che li ho voluti bene? Mi mancheranno...”
Rachel, con la sensibilità di un elefante, sentenziò un “oh finalmente” e sfrecciò in camera sua, seguita a ruota da Finn che, per precauzione, richiuse la porta a chiave.
Ed eccoli lì.
I vestiti.
Tanti, troppi, per essere di proprietà di un singolo uomo comune. Ma Kurt non era affatto comune, lo sapeva lui, lo sapeva Blaine, e lo sapevano pure i vestiti, che sembravano stesi inermi, sparsi per tutta la stanza, come se avessero accettato il loro triste destino.
Si scambiarono un’occhiata annuendo impercettibilmente; dopodichè, iniziarono la fatidica opera.
Perchè quello non era un cambio di stagione. Era una GUERRA.
 
“Forse avrei dovuto tenerli per qualche altro mesetto?”
Kurt si stava mordendo le unghie minuziosamente, segno che fosse gravemente stressato. Blaine, in risposta lo prese per le mani e sorrise: “Ma siamo a Novembre: per quanto ancora volevi continuare a vestirti con scarpe di tela e giubbottino di jeans?”
“Oh no, il giubbottino di Marc Jacobs! Devo salvarlo!”
Blaine fece in tempo a riattirarlo a sè con un gesto secco e mettergli le mani sulle spalle. Prendendo parte a quell’assurdo siparietto, lo guardò con fare molto serio, e sussurrò: “E’ troppo tardi.”
“Ma-“
“Niente ma. Non si discute.”
Il tempo di guardarsi divertiti che erano già scoppiati a ridere, unendosi in un forte abbraccio senza neanche averci pensato.
“Quanto sarai scemo da uno a diecimila?” Enfatizzò Kurt, scuotendo appena la testa da sopra la spalla dell’altro.
Blaine si strinse nelle spalle: “Beh, contando che sono fidanzato con te...”
“Cosa!? Guarda che trai due quello che canta con il barattolo del gel al posto del microfono non sono di certo io!”
“Ah no, certo, tu ti limiti soltanto a dare l’estrema unzione ai tuoi vestiti.”
Un’altra piccola pausa, alla quale seguì un’altra fragorosa risata.
Ma quando i loro sguardi si incontrarono accidentalmente, tutta quella euforia, di colpo, svanì.
Il bacio che seguì dopo espresse perfettamente quello che stavano provando, e non solo in quel preciso istante: dentro di loro erano consapevoli del fatto che sarebbe durato per il resto della loro vita.
 
“Ti prego, abbiamo finito!?”
“Un altro piccolo sforzo Finn, manca soltanto quella pila di vestiti laggiù.”
“Io davvero non so perchè ogni anno continuiamo a fare questo sacrificio.”
“Perchè Blaine è nostro amico, Kurt è tuo fratello e...OH MIO DIO!”
Finn, lipperlì, non ci fece troppo caso. Insomma, Rachel esclamava in modo assolutamente isterico ogni tre per due, se doveva dar veramente conto delle sue parole in ogni momento ne sarebbe uscito pazzo.
Quindi si limitò a dire la stessa frase preimpostata, con quel tono preimpostato, per le occasioni preimostatamente allarmanti: “Sì Rachel, è una cosa assurda, lo so. Cioè, sono proprio senza parole.”
“Finn, non è un OH MIO DIO di routine, questo è proprio un OH MIO DIO da OH MIO DIO!”
Ok, adesso, si era fortemente incuriosito.
Si avvicinò cauto, scorgendo da dietro le spalle della ragazza una piccola scatoletta di velluto che teneva tra le mani.
Davanti a lui si mostrò una piccola fede in oro bianco, semplice, con delle incisioni sul retro.
La scritta recitava: “You and I, will be young forever”.
Dove aveva sentito quella frase?
La voce di Rachel, meccanica, come una letale macchina da guerra che registrava automaticamente tutte le canzoni da lei preferite e famose in mezzo mondo, fece subito eco ai suoi pensieri.
“Teenage Dream.”
E poi, ancora.
“Blaine a Kurt.”
“Blaine e Kurt si stanno sposando.”
 
No, non era possibile.
O forse sì?
Si avventarono sulla porta –per poco non ci sbatterono contro- per osservare l’allegra coppietta attraverso lo spioncino; ed eccoli lì, tutti abbracciati e sorridenti, quasi sicuramente in procinto di baciarsi o sussurrandosi poesie d’amore neanche fossero dei protagonisti di Orgoglio e Pregiudizio.
Erano solo loro. O meglio, erano sempre loro. Lo erano sempre stati, sin da quando erano al liceo.
Improvvisamente, tutta quella folle idea non sembrò poi così folle.
Fu per questo che Rachel saltò addosso a Finn, riempiendogli la camicia di lacrime, e quest’ultimo la strinse forte cercando di capire se fosse tutto vero, oppure facesse parte di un incredibile sogno; Kurt, suo fratello, si stava per sposare, e con Blaine, per giunta. Avevano avuto un rapporto piuttosto ostico, all’inizio, ma una volta messe le cose a posto si formò una solida e reciproca amicizia, che era durata fino ad allora.
“E’ assurdo.” Rachel non riusciva a capire se rideva, piangeva, o forse, entrambi.
“Oh Finn, sono così felice!”
“Anche io, Rach...”
“Voglio dire, sono in un fiume di emozioni, come se fosse il MIO matrimonio!”
“Già, è proprio- un momento che cosa hai detto!?”
“Oh, non riesco a credere la splendida cerimonia che ci sarà, i fiori, l’abito, e poi io farò la damigella d’onore! Devo prepararmi. Ma che dico? Devo preparare una canzone che sia all’altezza! Oh Finn, abbiamo poco tempo!”
Il ragazzo non si rese conto di essere uscito dalla stanza fino a quando non si trovò le facce perplesse dei due ragazzi a pochi metri da lui.
“Che succede?”
“Sembra che abbiate visto un fantasma.”
Finn stava già per sfoggiare un sorriso enorme e dar loro le sue congratulazioni, ma poi Rachel impallidì: loro avevano trovato l’anello...ma se la dichiarazione non fosse ancora avvenuta? Se uno dei due l’avesse comprato per l’altro, e magari, stesse aspettando il momento buono per darglielo?
Se stavano per rovinare tutta la sorpresa?
“Oh ragazzi, volevamo soltanto dirvi quanto siamo contenti per il vostro ma-“
“MAGNIFICO ALLOGGIO. E’ davvero una splendida casa, davvero. Questi infissi, poi, sono così...così fissi!”
“Così fissi.”
“Sì, fissi, insomma, solidi! E chi vi butta giù? Siete a prova di qualsiasi uragano e terremoto esistenti sulla faccia della terra!”
Ci mancò poco che Blaine, molto educatamente, si toccasse lì di fronte a tutti, mentre Kurt roteò gli occhi incrociando le braccia.
“Ok, quale vestito avete rovinato? Dai, sputate il rospo.”
Finn, che in tutto quello ancora non aveva capito che diavolo fosse successo, si affidò completamente a qualche altra trovata di Rachel.
“Era...il giacchino.”
“Rachel, sii più specifica. Ne ho tipo cento, di giacchini.”
“Quello...blu?”
“Quello di GAP. Oh no, dici quello di Benetton?”
“Sì, proprio lui.”
“CHE COSA!?”
“Ma guarda come si è fatto tardi! Io e Finn dobbiamo proprio scappare vi abbiamo lasciato i vestiti confezionati in camera ci sentiamo presto ciao.”
Kurt rimase diversi secondi a fissare la porta, o meglio, la nuvoletta di fumo stile speedy-gonzales che si era formata attorno a quella. Si erano volatilizzati, e si chiese seriamente il motivo di quel comportamento.
Guardò Blaine, incerto quanto lui, e tutto ciò che riuscirono a pensare si concretizzò con due semplici parole: “E’ Rachel.”
 
Era come sapere in anticipo il regalo di Natale. Era scorretto, sbagliato. Ma era anche assolutamente fantastico. Rachel continuava a uscire ogni sera e Finn si lasciava facilmente trascinare, visto che in ballo c’era la dichiarazione di matrimonio del suo affezionato fratellastro.
Per un totale di sette giorni uscirono all’incirca otto volte; in caffetteria, ad un pub, li portarono anche ad un ristorante romantico...ma niente. Nessuno dei due sembrava avesse intenzione di sganciare la bomba. Volevano farlo in privato? Eppure conoscevano Kurt e Blaine, probabilmente avevano architettato il momento in ogni singolo dettaglio, ci sarebbero state le luci giuste, la musica romantica, il pubblico pronto ad applaudirli e una macchina fotografica messa per caso nelle mani di Finn, che per caso avrebbe scattato l’esatto momento della loro dichiarazione.
Non avvenne niente di tutto quello; anzi, paradossalmente, i due sembravano “accasati” sempre di più. Un giorno, addirittura, Blaine uscì senza nemmeno essersi messo il gel, e quello sì che era preoccupante.
“E’ solo molto stanco” spiegò Kurt, specificando quanto tempo e dedizione gli costassero i suoi capelli. “Beh, io non mi lamento, a me piacciono anche così, ma lui davvero non li può sopportare.”
Finn annuì, titubante: era compito suo torchiarlo per capire se avesse comprato lui l’anello o, quantomeno, se avesse una vaga idea della dichiarazione. Il problema, però, era su come intavolare l’argomento.
“Ho letto il giornale oggi.”
Kurt lo fissò come se gli avesse detto che Ricky Martin non fosse veramente gay.
“E’...beh, è un passo avanti, Finn. Di solito ti limiti a leggere le vignette di Sansone, e l’ultima volta che ti ho visto con un giornale in mano lo avevi usato per coprire a terra mentre imbiancavi le pareti...”
“Sì, beh, c’era un articolo interessante sul matrimonio.”
Il ragazzo, tutto ad un tratto, lo ascoltò più seriamente.
“Diceva che al giorno d’oggi non si può più essere sicuri su niente, che il futuro è troppo misterioso, e bisogna cogliere la palla al balzo finchè si ha l’occasione...hai presente? Ecco, insomma, amico, sono cose che fanno riflettere.”
Esitò un attimo, prima di asserire: “molto.”
“E quindi, insomma, sì, io mi chiedevo...”
“Finn, è una cosa bellissima quella a cui stai pensando...ma se vuoi un mio parere – e lo vuoi, altrimenti non avresti intavolato questo discorso- nel modo più dispiaciuto possibile ti direi di no.”
Finn, sentendo quella frase, che uscì a mò di fucilata, per le sue orecchie, si fermò di colpo.
“C-come?”
“E’ che...secondo me non è il momento adatto.”
Ecco, quello, non se lo sarebbe mai aspettato.
“Voglio dire, sarebbe perfetto, e so benissimo che prima o poi succederà...ma perchè affrettare i tempi? Bisogna essere pronti per queste cose. E intendo, veramente pronti. Non è che si decide di fare un matrimonio e che ne so, magari fare anche un bambino su due piedi. Insomma, di mezzo ci sono tante cose, il lavoro, Broadway...bisogna parlarne a lungo. E di certo non può balenarti un’idea simile solo perchè hai letto un articolo sul giornale. Bisogna...insomma, devi sentirlo, immagino. Dentro di te, sai quando è giunto il momento.”
Più continuava, più sembrava  a metà tra il rammaricato e il sognante; le sue labbra dicevano no, ma i suoi occhi, in un certo senso, sembravano urlare sì a squarciagola.
Finn, ovviamente, capì soltanto quello che gli venne mostrato direttamente. E per questo ne uscì assolutamente sconfitto.
Rachel non ebbe una reazione tanto diversa. Continuò a sussurrare “ma non è possibile!” per il resto della serata, fino a quando non si convinse che l’anello trovato in camera non fosse altro che un miraggio causato dalla miriade di colori di tutti quei vestiti.
Eppure, l’anello c’era. La coppia pure. Che cosa stava succedendo, allora?
Se Kurt era stato così criptico, Blaine fu ancora peggio.
Quando Rachel lo prese in disparte e gli domandò: “Tu come ti vedi tra dieci anni?” il ragazzo scoppiò a ridere fino a trattenersi lo stomaco con una mano, e rispondendo, con la sincerità più disarmante di tutte, che in cuor suo sperava di essere vivo e non diventato tutto calvo.

"Che cosa voleva Finn?"
Kurt si strinse nelle spalle e lo guardò perplesso: "Ha detto che ha letto un articolo sui matrimoni e così, all'improvviso, gli è venuta voglia di sposare Rachel."
"E tu che gli hai detto?"
"Beh, gli ho detto che se i giornali gli fanno questo effetto allora è meglio passare a Sky TG 24. E Rachel, invece, che ti ha chiesto?"
"Mah, lo sai: probabilmente stava architettando un'altra canzone per il suo funerale."

 
Passarono le settimane. Rachel e Finn, in tutta la loro delusione, avevano abbandonato ormai ogni speranza. Per la centesima volta in quel mese si trovavano seduti sul divanetto di casa loro, ad osservare quella coppia a cui, di ufficiale, mancava soltanto il nome, e dentro di loro morivano perchè probabilmente non avrebbero mai scoperto la data del matrimonio; o almeno, non fino a quando non avrebbero ricevuto degli inviti alla cerimonia in cartoncini dorati con delle eleganti scritte in corsivo, perchè quello si aspettavano, da Kurt e Blaine: una cosa di lusso, in grande stile, con tantissime persone e abiti che costavano più delle loro teste. Insomma, qualcosa di unico.
Ma, forse, non avevano tenuto conto del fattore più importante di tutti.
Perchè Kurt e Blaine erano romantici, erano teatrali, erano dolci e forse anche di più.
Ma come prima cosa, prima di essere fidanzati, erano migliori amici.
Erano anime gemelle.
 
“Perchè non ci sposiamo?”
Questo disse Blaine, seduto comodamente sul divanetto, con un braccio intorno alle spalle di Kurt e l’altro appoggiato sul ginocchio. Il ragazzo sviò la testa quel poco per guardarlo dritto negli occhi, con fare pensieroso.
“Dici sul serio?” Il suo tono apparve un po’ più incrinato di quello del fidanzato, ma insomma, Blaine aveva questa capacità di essere normale dicendo le cose più assurde, e poi aveva questa innata capacità di rendere una situazione del genere la cosa più bella che potesse capitare.
Rachel non si era nemmeno accorta che aveva già cominciato a piangere.
“Sì, sul serio. Ne abbiamo parlato tanto, ultimamente.”
“Da quando ci siamo fatti quel regalo. A proposito, perchè non lo metti mai?”
“Ma dai, vuoi davvero che indossi quell’anello? Poi non potrei più suonare, perchè avrei lo sguardo calamitato su di lui e non sarei in grado di fare niente. E comunque, signorino, potrei farti la stessa domanda.”
“Te l’ho già detto: quando cucinavo e lavavo i piatti mi toccava toglierlo sempre, e alla fine avevo paura di perderlo.”
Blaine gli baciò dolcemente la fronte e commentò: “Meno male che hai la testa attaccata al collo, altrimenti perderesti anche quella...”
Finn, in tutto quello, aveva strabuzzato gli occhi e cominciato con grande difficoltà a fare due più due: quindi l’anello lo avevano comprato insieme. Ovviamente. Probabilmente da qualche parte nella loro camera ci doveva essere una scatoletta con il medesimo gioiello. Uno di Kurt, l’altro di Blaine.
Il primo, con un sorriso sempre più raggiante, bisbigliò: “Se ripenso a quando ti sei inginocchiato e me l’hai mostrato con tutta quella felicità...”
“Volevo fare le cose per bene.”
“Sì, ma hai barato. Volevo essere io il primo a chiederti la mano.”
“Beh, in fondo, lo abbiamo fatto a vicenda.”
“Non sto sognando, vero?”
I due ragazzi si voltarono verso Rachel. Si erano quasi dimenticati di lei e Finn.
“E’ tutto vero? Voi...voi vi volete sposare?”
Sorrisero.
“In realtà lo abbiamo deciso da un anno.”
“Lo scorso anno ci siamo regalati un anello di fidanzamento, e ci siamo promessi di andare in comune per il decimo anniversario.”
Avevano già programmato tutto.
Era già tutto successo, senza che loro ne sapessero niente.
Ma come avevano fatto a stare così rilassati? Come avevano fatto ad aspettare un altro anno, consapevoli che, probabilmente, sarebbe stato il loro ultimo da celibi?
Rachel non capiva; Finn un po’ sì, perchè aveva imparato a conoscere bene suo fratello.
Loro erano fatti così. Per loro, la banalità si trasformava in perfezione e le scene più romantiche perdevano di consistenza. In effetti, erano loro a dare la magia a qualsiasi cosa, anche in una dichiarazione simile.
“Perchè non ci sposiamo?” Blaine lo aveva detto come se gli avesse chiesto di passargli il sale.
Ma, dopotutto, non ci si poteva aspettare nient’altro, da una coppia che si era detta “ti amo” ad una caffetteria.
E avevano lo stesso sguardo, quello di chi avesse trovato la chiave per il proprio cuore, e lo stesso tono, quello di chi stava dicendo delle ovvietà, ma che era giusto ribadire.
Infatti si dissero di nuovo “ti amo.” Così, come se fosse ovvio. E parlarono dei preparativi per il matrimonio, come se stessero organizzando un pic-nic a Yellowstone.
Discussero sugli invitati – pochi, volevano fare una cosa per intimi, niente di troppo assurdo, in verità-, sulla cena, sul ristorante, sul tipo di giacca da indossare e perfino sulle proposte di Fede.
Erano migliori amici: semplicemente, si dicevano tutto.
Semplicemente, erano Kurt e Blaine.
Per sempre.
 
 
 
 ****

Angolo di Fra:


Genteeee come va?
Devo fare degli annunci:
1) Il lato positivo è che ringrazio profondamente tutti coloro che mi hanno fatto in bocca al lupo per gli esami e si sono informati sugli esiti...beh, sono andati molto bene!!!! Mi avete portato fortuna, davvero.
2) Il lato negativo è che adesso ho il secondo parziale di Economia il 16 Dicembre e devo tipo farmi 270 pagine + esercizi. Ahah! Ed ecco spiegato il perchè abbia aggiornato esattamente una settimana dopo. Mi dispiace dirlo, ma temo che anche la prossima OS arriverà tardi. Comunque, in generale, sto vedendo che con le pubblicazioni stiamo andando tutti a rilento...Novembre/Dicembre è proprio un mesaccio!
3) Per ultimo ma non per importanza: SakuraElisa. Dico, ne vogliamo parlare? Se avete visto il mio sclero-barra-monologo-con-il-cuore-in-mano che ho scritto sul faccialibro, saprete già che ha fatto un video di Kurt e Blaine usando delle frasi opportunamente tradotte da "Blame it on Blaine".
Quel video è il Bene Assoluto. Vi consiglio caldamente di guardarlo, ma non per le mie frasi. CIoè, quando ho letto la prima frase (tradotta in inglese) ho detto "MIO! MI SEMBRA FAMILIARE!" ma in realtà dentro di me stavo tipo piangendo l'anima. Non credo di essermi mai emozionata così tanto per un video. E non credo di essermi mai sentita così...brava. Sono stata orgogliosa di me, perchè se ho suscitato emozioni tali da far nascere quel video, allora, qualcosa la saprò pur fare.
Il video lo potete trovare qui, e vi obbligo a guardarlo. Che poi, ha usato QUELLA canzone!!! Aaeorbhdiueobrifuubweidbgihrkfdb. Muoio.
Non so davvero come ringraziare Elisa per tutto questo. E non so nemmeno come ringraziare voi, che mi date la stessa felicità.
Boh, vi dico solo grazie.

E mò ritorno a studiare. Alè.
Alla prossima!

Fra
 
 

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Capitolo 12
*** Al parco ***


Al parco
 

 
I bambini sono meravigliosi, questo è un fatto universalmente riconosciuto.
Sono piccoli, paffutelli, hanno quelle vocine adorabili che ti riportano a ricordi della tua infanzia e godono di quell’innocenza che non sarebbe mai più tornata con il tempo. Eppure, allo stesso modo, sono completamente diversi tra di loro: c’è chi è calmo, chi è agitato; chi preferisce giocare con le bambole, chi guardare la televisione.
E poi, tra tutte quelle differenti combinazioni possibili ed inimmaginabili, c’era Elizabeth.
Probabilmente, l’unica bambina che amava giocare con il fango.
 
“Non farmi guardare. Coprimi gli occhi, anzi, strappameli dalla faccia.”
Blaine scoppiò a ridere, abbracciando con dolcezza suo marito e coprendogli lo sguardo con una mano: “come sei esagerato, sta soltanto giocando con la sabbia.”
“No, Blaine. Quella, forse, UN TEMPO poteva essere chiamata sabbia, adesso è soltanto una massa flaccida e sporca che...”
“ELIZABETH!” Urlò intanto l’altro, richiamando all’erta la bambina giusto un attimo prima che scomparisse dalla loro vista, intenta a rincorrere un cagnolino scodinzolante. A testa bassa si diresse verso di loro, sapeva già cosa le aspettava: Daddy avrebbe cominciato a parlare di come comportarsi e di quanto il suo atteggiamento fosse poco adeguato, mentre Papà, semplicemente, l’avrebbe guardata male per tutto il tempo e fatta sentire terribilmente in colpa.
Ma la piccola Hummel-Anderson era molto più scaltra dei suoi genitori, e il bello, era che non lo sapeva nemmeno; in verità, non si accorgeva dell’immenso potere che scaturiva dai suoi occhi smeraldini: forse, avrebbe dovuto immaginare che, essendo un misto tra lo sguardo cristallino e limpido di uno, mischiato a quello grande e profondo dell’altro, erano, in pratica, un’arma di distruzione di massa.
E invece era solo una bambina che voleva scampare all’ennesima punizione; bastò che alzasse un poco quella sua adorabile testolina castana, ed eccoli. Fulminati. I due rimasero imbambolati a fissare la loro figlia che, adesso, stava rivolgendo loro l’occhiata. Quella che ti riempie i polmoni, quella che ti fa sentire perfetto dentro. Era come se stesse dicendo: vi amo così tanto che non potete nemmeno rendervene conto.
E né Kurt né Blaine erano mai stati cuori di pietra.
“B-beh…immagino che puoi…ecco, continua pure a giocare, tesoro.”
“Ma non ti allontanare troppo.”
Sollevarono la figlia da terra e la strinsero in un abbraccio stracolmo d’amore, e la bambina, nascosta tra il torace di Kurt e un braccio di Blaine, sorrideva felice.
Era un genio.


 
“Perché ogni volta ci facciamo fregare?”
Kurt guardò di sottecchi Blaine, esitando un momento prima di stringersi nelle spalle. Adesso Lizzy stava giocando allegramente con un gruppo di bambini un poco più grandi, e sembrava tutto ciò di cui avesse bisogno.
“Oh Blaine, davvero non lo so. E’ che quando vedo quello sguardo mi sembra di vedere il tuo, e non ce la faccio a rimproverarla, è più forte di me.”
“Ah, perfetto, allora. A me succede la stessa cosa.”
Dopo poco ridacchiarono: “Siamo troppo innamorati.”
“Troppo –confermò il moro, con un sorriso- dovremmo amarci un po’ di meno, così magari non ci scioglieremmo ad ogni occhiata di Lizzy.”
“No, penso che ci faremmo fregare comunque.”
“Siamo una causa persa.”
“Completamente persa.”
Si guardarono per un secondo, e poi, come leggendosi nel pensiero, si sporsero entrambi per darsi un piccolo bacio, a fior di labbra. Non gradivano fare gesti di affetto in luogo pubblico, e non perché si vergognassero: solo, era una cosa loro. Era una cosa intima, rinchiusa tra le mura della loro casa, e non volevano condividerla con altri. Non volevano che quei gesti diventassero di routine, semplici e banali, e non volevano nemmeno che qualcuno li considerassero dei baci normali.
Non erano normali. Loro, in qualsiasi modo lo dimostrassero, avevano l’amore più puro, bello e perfetto al mondo.  E nessuno lo avrebbe capito. Ma, dopotutto, nessuna coppia era tanto affiatata, intensa ed innamorata come Kurt e Blaine; non sembrava essere passato un giorno dal loro primo bacio. Eppure, adesso, erano lì, con una barba incolta che cresceva sulla pelle dell’altro e il viso di Kurt che aveva perso completamente le sue fattezze adolescenziali, diventando, così, un bellissimo uomo.
E poi, ovviamente, c’era Lizzy.
“Che sta facendo?”
Kurt assottigliò lo sguardo, cercando di decifrare le sue mosse.
“Sta…sta giocando con un bambino. Stanno chiacchierando, in verità. Sembra divertirsi.”
“Un bambino?”
Oh, giusto.
Kurt si era quasi dimenticato della furente gelosia di Blaine, ma ormai, era troppo tardi. Il ragazzo si era già alzato in piedi cercando di pedinare i bambini senza dare troppo nell’occhio, mentre lui, sorridendo, continuava a rimanere seduto. Adorava quel lato di Blaine; o meglio, era adorabile, fino a quando non sfociava nell’assurdo. Era innegabile che fosse iper-protettivo, ma se grazie a quello aveva modo di vedere il suo volto imbronciarsi di colpo, con i suoi grandissimi occhi nocciola assumere quello sguardo da cucciolo smarrito che amava tanto, allora non diceva niente.
Il suo commento arrivò lapido e letale: “non mi piace. Sembra uno sbruffoncello.”
“Blaine, avrà sì e no quattro anni. A me sembra adorabile.”
“Dai Kurt, ma l’hai visto!? Sta usando il secchiello di Lizzy come se fosse il suo, e poi…Kurt!! La sta abbracciando!”
“Lo vedo. Sono così carini…”
“No, no no Kurt, non va bene. Nostra figlia è…è troppo espansiva. E se da grande finisse per abbracciare tutti i ragazzi che conosce, mi dici dove andremo a finire!?”
“E anche se fosse, che problema c’è? Se le piacciono, tanto meglio.”
E fu in quel momento che il suo volto divenne cinereo, dopo essersi voltato di scatto.
“Stai scherzando.”
Ok, forse un po’ sì. Ma amava follemente stuzzicare il suo Blaine.
“Beh, deve…deve fare le sue esperienze?”
Aveva appena detto la frase impronunciabile.
“Oh, certo, deve fare esperienza. Per questo la porteremo a danza e le faremo fare tutte le attività extra-scolastiche che preferirà fare. Ma se per caso ti riferisci a quell’altro tipo di esperienza, beh, temo proprio che dovrà aspettare mooolto tempo. Una cosa tipo, venti, o trent’anni.”
“Vuoi che nostra figlia abbia il primo ragazzo a trent’anni?”
“Non c’è fretta, mi starebbe bene anche un po’ più tardi.”
Kurt, a quel punto, non riuscì più a trattenere le risate e si abbandonò sulla panchina. Era adorabile vedere Blaine in quello stato, ed era ancora più adorabile vedere come fosse seriamente offeso dall’atteggiamento del marito.
“Non puoi essere serio, dai!” Lo canzonò allora, sedendosi accanto a lui e afferrandogli con decisione le mani.
Guardò suo marito dritto negli occhi; non era ancora svanita del tutto quell’espressione di puro divertimento, ma fu contornata da un piccolo accenno di malizia.
“Sai, anche mio padre voleva che mi fidanzassi a vent’anni e perdessi la verginità a trentaquattro. La realtà è stata un po’ diversa dalle sue aspettative, non trovi?”
Ecco, Blaine si ritrovò completamente spiazzato.
“M-ma…”
“O preferivi che aspettassi altri venti, trent’anni?”
Per un attimo, Blaine lo guardò in silenzio.
E poi, contro ogni previsione, si ritrovò a sospirare.
“Diciannove anni. Non un mese di meno.”
Kurt scoppiò di nuovo a ridere e lo tirò verso di sé, in un abbraccio caldo e confortante.
Avrebbero avuto tanti anni per preoccuparsi di quella cosa; avrebbero riso, avrebbero urlato, avrebbero sentenziato con esasperazione tutti i comportamenti adolescenziali della loro piccola Lizzy. Ma, per fortuna, quel periodo non era ancora arrivato; adesso dovevano affrontare dei problemi ben diversi, dei problemi più semplici, in apparenza, ma che sotto sotto sapevano essere anche più terrificanti.
Non che Lizzy desse loro un gran da fare: era sorridente, solare, un angelo sceso in terra.
 
O forse no.
 
“Daddy! Papà!”
Perché c’era un’altra cosa, che era tipica dei bambini, di quei bimbi curiosi e buoni che non riuscivano a lasciare nulla al caso.
I bambini hanno questa innata voglia di salvare. Che fosse un gatto, un uccellino, o un cagnolino abbandonato per strada, loro lo prendevano con sé e lo portavano via.
Era nella loro indole, faceva parte della loro natura. E quindi, finché si trattava di cuccioletti innocui, Kurt e Blaine non avrebbero avuto nulla da ridire.
Ma Lizzy, ovviamente, non rendeva MAI le cose facili.
Era una bambina speciale, quello era certo; talmente speciale che, in effetti, aveva un modo di pensare un po’ diverso da quello degli altri.
Perché lei non si presentò di fronte ai suoi genitori con in braccio un cagnolino o un gatto, oh no. Quello era un topo.
 “Posso tenerlo? Vi prego vi prego vi prego vi prego!”
E poi, il colorito di Kurt divenne di un rosa pallidissimo, mentre velocemente sveniva sorretto dal corpo sconvolto di Blaine.




***



Angolo di Fra:

Mentre decoravo l'albero di Natale accompagnata da canzoni natalizie e musica ovviamente GLEE, continuavo ad aggiornare EFP in cerca di qualche ff e dicevo: ma oggi non c'è nessun nuovo aggiornamento? Così ho deciso di metterlo io!
E' proprio misero, giusto una cosa semplice per farvi passare un buon ponte. Comunque, ne approfitto per dirvi delle piccole cose, vi prego di leggerle.

Punto primo: 100 RECENSIONI! LET ME LOVE YOU!! Grazie, grazie infinite.
Punto secondo: avevo detto che questa raccolta non avrebbe superato i 15 capitoli ma, in verità, potrebbe andare avanti all'infinito. Voglio dire, ci sarebbero tantissmi aneddoti che si potrebbero fare, perchè i bambini ne combinano una più del diavolo, e quindi, potrei davvero fare qualsiasi cosa. Ma ecco che arriviamo al...
Punto terzo: prendete bene con le pinze quello che sto per dirvi. E' una cosa a cui penso da un po'. Forse, e dico, FORSE, termino la raccolta con qualche altra OS e poi mi prendo una pausa. Nel senso che potrei smettere di scrivere...per un po' di tempo. Tipo, qualche settimana? Qualche mese? Onestamente non lo so.
Ovviamente continuerei a rispondere agli mp, a leggere le fanfic...ma insomma, niente più Medea00 tra le storie aggiornate. Non sto a dirvi tutti i vari motivi che mi hanno portato a elaborare questa ipotesi, se siete interessati mandatemi un mp e sarò lieta di rispondervi, fatto sta che sto seriamente valutando quest'idea. Mi pareva giusto dirvelo, sia per essere chiari (visto che vi ho parlato di questa AU che avrei pubblicato a fine raccolta, e che invece non pubblicherei) sia perchè...beh, per rispetto nei vostri confronti. Siete sempre stati così gentili con me (e non mi merito tutto questo, ve lo giuro), non vorrei mai mancarvi di rispetto lasciando qualcosa a metà, oppure scrivendo qualcosa che faccia veramente schifo.

Un'ultima cosa: io vi AMO quando mi lasciate delle recensioni. Sul serio, vorrei potermi fare un video per mostrarvi tutti i miei sorrisi e le mie risate davanti allo schermo, ma dopo farebbe molto Grande Fratello e al solo pensiero mi viene da vomitare. Ma (e adesso sto per dire qualcosa che, probabilmente, nessun autore di EFP ha mai fatto!) sul serio, non sentitevi obbligati a recensire. Nel senso, non chiedetemi scusa se recensite in ritardo, o non commentate qualche capitolo...ogni volta che leggo "mi dispiace sono in ritardo" mi viene da entrare dentro allo schermo e abbracciarvi tutti! Ma che ho fatto per meritare dei lettori così? Oh, non lo so. Fatto sta che, davvero, non c'è nessun motivo per chiedermi scusa. Anzi, sono IO a dovervi chiedere scusa, perchè scrivo un capitolo a settimana, rispondo in ritardo e sono una persona terribile. Quindi, il prossimo recensore che mi chiederà scusa lo fucilo! No, scherzo, non lo farei mai. Però, davvero, recensite con la tranquillità più assoluta. Vi adoro proprio perchè siete spontanei, e mi fate sorridere.

E adesso vi lascio ai Pandori e alle luci di Natale. Un grandissimo KLISS a tutti!!!

Fra




 

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Capitolo 13
*** Hai un amico in me ***


 Hai un amico in me

 

 
Kurt guardò per l'ennesima volta sua figlia, e poi, sospirò.
Forse non era stata una buona idea, quella di farle vedere Toy Story.
“Lizzy, amore, non vieni a mang-“
“ShhhH!! E’ Cristopher! Mi sta parlando!”
La bambina era accovacciata contro il suo orsacchiotto di peluche, gli occhi sgranati, le orecchie ben tese per captare il più minimo rumore.
Che  poi, Cristopher. Ne vogliamo parlare? Perché diavolo un orsetto color tortora dovrebbe chiamarsi Cristopher!? Non poteva chiamarsi Teddy, o Orsetto, come tutti i peluche di qualsiasi bambino normale?
E poi si ritrovò a sorridere contro i suoi stessi pensieri, perché si era dato la risposta da solo: Elizabeth non era normale.
Soprattutto quando faceva versi come quelli.
“No! No Cristopher, non è vero! No daiiiiiiiiiiiii” e poi scoppiò a ridere come se avesse sentito la più divertente delle barzellette. Che poi, non c’era davvero niente da ridere, perché –ed era la cosa peggiore di tutte - non poteva intervenire; i genitori non possono intervenire nel rapporto immaginario che hanno i due, possono limitarsi solo ad osservare, a meno che non sia la bambina stessa a renderli partecipi.
“Lizzy sta di nuovo parlando con Cristopher.”
Blaine inarcò appena un sopracciglio, distogliendo lo sguardo dal giornale che stava leggendo: “Oggi qual è il tema?”
“Mi è parso di capire: matrimoni. Stava progettando come costruire una navata perfetta con carta igienica e colla vinilica.”
Il sorriso del moro si fece più ampio e lo sguardo del marito sempre più perplesso.
“Ma non sei preoccupato?”
“No, per niente.”
“E se fosse un cattivo segno?”
“E di cosa? E’ soltanto un amico immaginario! Io ne avevo addirittura tre, ed erano anche invisibili…”
A quel punto Kurt si fermò di colpo, gli occhi fissi su quelli del marito.
“Che c’è?” Fece lui, con tutta l’innocenza possibile.
“Avevi…tre amici immaginari?”
“Sì, come i tre moschettieri. Li ho avuti per un annetto, credo.”
Notando ancora l’espressione confusa, Blaine domandò curioso: “tu non li hai mai avuti?”
Scrollò la testa sommessamente, facendo segno di no. Non aveva mai avuto amici immaginari; in effetti, fino ai tempi del liceo, aveva vantato di poche amicizie effettive. Eppure, non gli era mai saltato in mente di ricorrere alla fantasia; la sua testa era troppo razionale per riuscire a parlare con un pupazzo senza sentirsi un totale idiota nel farlo. Eppure, adesso vedeva il ragazzo di fronte a sé, e gli sembrava la cosa più adorabile del mondo. Riusciva ad immaginarsi un piccolo Blaine, i riccioli arruffati, le guance arrossate, giocare e chiacchierare con nient’altro che i muri della propria cameretta a tenergli compagnia.
Kurt da piccolo giocava spesso con suo padre e sua madre. Faceva un sacco di cose, insieme a loro.
Blaine, invece, aveva sempre contato sulle sue sole forze.
“Perché mi stai guardando in quel modo?”
La voce bassa e adulta del ragazzo lo fece trasalire, portandolo alla realtà. Era così bello, con la sua barbetta incolta, e gli occhiali da vista per poter leggere meglio.
Stavano insieme da tanti anni, ormai, ma c’erano delle cose di lui che ancora non sapeva completamente.
“Niente. Pensavo solo che ti amo.”
Blaine, un po’ sorpreso da quella dichiarazione improvvisa, appoggiò il mento sotto al polso e gli rivolse un’occhiata colma di ringraziamento.
“Beh, ti amo anche io.”
“Papààààààààà posso portare Cristopher al parco?”
Sentendo quelle parole, il padre emise un lunghissimo sospiro e l’altro si limitò a guardarlo comprensivo.
“Passerà.” Ripeté tra sé e sé, afferrando il giubbotto di Armani, e baciando velocemente le labbra di Blaine prima di andar via.
 

Avevano chiesto al pediatra un consiglio, perché all’inizio Kurt era un po’ preoccupato; scoprì, invece, che il 40% dei bambini di età compresa trai tre ai cinque anni aveva degli amici immaginari, era un sintomo di grande creatività; soprattutto, il dottore rassicurò che, se la bambina continuava ad avere rapporti con il mondo reale, e continuava a giudicare Cristopher come un pupazzo, era tutto perfettamente nella norma.
 

C’erano delle volte in cui Lizzy preferiva stare a casa con Cristopher piuttosto che uscire all’aperto. In quei momenti, Kurt proponeva di portare Cristopher, così da non avere più problemi. In verità, temeva che il suo atteggiamento tendesse ad essere un po’ asociale così da non socializzare più con i bambini veri; ma questo, fortunatamente, non avvenne mai. Anzi, rimase piuttosto sorpreso nel vedere Justin, il figlio della boriosa nonché perfetta nonché –ho il seno rifatto e me ne vanto- signora Johnson, presentarsi a lui in compagnia di un soldatino ed esclamare: “sissignore signore!”; Elizabeth, in seguito, rivelò al padre che non le piaceva Bryan, l’amichetto di Justin. “E’ troppo verde” confidò, con quel tono che voleva dire “un pupazzo tutto verde è molto strano”.
Cristopher, invece, era perfetto; Elizabeth era quasi innamorata del suo amico e stava con lui 24 ore su 24: lo portava fuori a passeggiare, mangiavano insieme, chiacchierava con lui di tutto ciò che le passasse per la testa…e ci litigava, perfino.
Una volta non gli aveva parlato per due settimane, perché lui era stato maleducato nel non rispondere ad una domanda.
Kurt, ad ogni modo, non aveva mai pensato che fosse un tipo molto loquace.
 
C’è un solo problema che può scaturire dall’avere un amico immaginario: è quando i figli cominciano ad attribuire a lui delle colpe che hanno fatto. E’ un modo per alienare il proprio lato negativo, assumendo la parte del “buono” mentre l’altro diventa immediatamente il “cattivo”. E’ un modo per fuggire dalla realtà, e dai rimproveri dei genitori.
Nel bel mezzo di un pranzo tranquillissimo, con Kurt che raccontava a Blaine la sua giornata, e quest’ultimo  che annuiva e sorrideva attento, ad un tratto Lizzy fece cadere a terra un bicchiere pieno d’acqua, e guardò i due padri con aria sconvolta gridando “E’ stato Cristopher!”.
 Kurt e Blaine, in risposta, si lanciarono un’occhiata molto intensa. Sembravano dirsi qualcosa di impercettibile.
“Daddy! Papà! Cristopher ha rotto il bicchiere, guarda!”
Blaine si affrettò a prenderla in braccio, così da non ferirsi con i vetri, mentre l’altro velocemente afferrò scopa e paletta e cominciò a ripulire. Erano entrambi molto calmi, ed Elizabeth, sotto sotto, si sentiva un po’ turbata. Perché i genitori non le stavano dicendo niente? Perché non stavano dicendo niente nemmeno a Cristopher?
“Amore” iniziò Blaine, che, adesso, si trovava a pochissima distanza dal suo viso. “Ti sei spaventata?”
Lei continuava a non capire: spaventata? Il bicchiere lo aveva fatto cadere apposta. E di che cosa doveva aver paura?
“No” sussurrò, a bassa voce, perché non era sicura nemmeno lei di quello che stava dicendo.
Il padre le lasciò un caldo e dolcissimo bacio sulla guancia, e la strinse a sé ancora più fortemente. Era strano: Elizabeth, tutto ad un tratto, si sentiva strana. E quell’orsacchiotto, che la stava fissando seduto sul divano, le sembrò improvvisamente vuoto.
“Lizzy –stavolta fu Kurt a parlare, le si avvicinò piano, gentile – perché hai fatto cadere il bicchiere?”
Oh, allora, lo sapeva. Ma certo che lo sapeva, erano i suoi padri, loro sapevano sempre tutto.
“Perché…”
Le era sembrata una buona trovata, lipperlì. Avrebbe rotto il bicchiere e i due genitori avrebbero sgridato Cristopher al posto suo. E allora, perché adesso non riusciva a dire niente? Perché adesso sembrava completamente spaesata, persa negli occhi azzurri e nocciola dei due genitori?
“So che ti piacerebbe che fosse stato il tuo amico” disse Kurt. Elizabeth si voltò di scatto, e per poco le venne da piangere nel vedere lo sguardo preoccupato del suo amato padre.
“Vorresti che fosse stato lui, perché non vuoi che ci arrabbiamo con te. Ma tutti e tre sappiamo che sei stata tu, non è così? Ti va di pulire un po’ insieme?”
Ecco. Non si sarebbero arrabbiati? Questo, di certo, non se lo aspettava. Erano riusciti a sorprenderla, come tutte quante le volte. Forse, lo aveva fatto solo per attirare l’attenzione. Forse, lo aveva fatto solo perché loro continuavano a parlare, e lei invece stava mangiando in silenzio.
Non era stato Cristopher a farlo, e nemmeno glielo aveva suggerito.
E’ una cosa semplice, può capitare: forse, lei voleva soltanto un po’ di attenzione.
E la cosa più incredibile di tutte, fu che non si era resa conto che Kurt e Blaine avessero già capito. Non si era resa conto che la stavano guardando in quel modo, con quello sguardo limpido che la faceva sentire amata, e quella fitta nel cuore che la portò immediatamente a pentirsi del gesto fatto.
“Lizzy” la voce di Blaine, adesso, sembrava un flebile sussurro.
“Amore…ti senti sola?”
La risposta della piccola bambina arrivò, come sempre, rapida e sincera.
“Prima, credo. Un po’ sì.”
“E ora?”
“Ora…no.”
“Va meglio?” Intervenne Kurt, con un tono incredibilmente vellutato, che fece breccia nel piccolo cuoricino della bimba.
“Sì. Sc-scusa…”
“Non devi chiederci scusa.”
La bimba alzò la testa di scatto, i suoi occhioni verdi che si facevano sempre più increduli.
“Non è successo niente, l’importante, è che tu non ti sia fatta male.”
Elizabeth, allora, sorrise. E quel sorriso era in grado di illuminare tutta New York.
“Giochiamo?”
I due genitori si guardarono, sbattendo le palpebre un paio di volte: “come?”
“Giochiamo!” Si fece scendere a terra, e cominciò a trascinare i due ragazzi per le maniche delle camicie.
Era da tanto che non giocava con loro; da quando c’era Cristopher, per l’esattezza.
Ma Cristopher non era così bello, non era così gentile, e non lo amava così tanto come amava i suoi due papà.
Cristopher, in effetti, era un caro amico. Ma niente di più.
 

 
“Che cos’è?” Si ritrovò a chiedere, quando Kurt si presentò davanti a lei con un tavolino e delle tovagliette.
“Questo gioco si chiama ora del tè. Lo facevo sempre con mio padre, quando avevo la tua età. Vedi? Si preparano dei pasticcini e dell’acqua, e poi chiacchieriamo di tutto quello che ci pare.”
“Di tutto tutto?”
“Sì Lizzy – annuì, ridendo sommessamente- di tutto tutto.”
“Bello! Mi piace! Ma gioca anche Daddy?”
“Sì, gioca anche lui. Vero?”
Kurt non aveva nemmeno fatto in tempo a finire la frase, che suo marito era già lì, seduto accanto a Lizzy, e aveva afferrato teneramente la mano di suo marito.
“Non potrei mai perdermi l’ora del tè assieme ai due amori della mia vita.”
Se in quel momento fosse stato possibile, Kurt si sarebbe sciolto dentro alla tazzina di coccio che stava sorseggiando; ma Blaine continuò a sorridere con amore, guardando di sottecchi suo marito. Perché quello era il gioco di Kurt. Quello era un piccolo pezzo di Kurt, condiviso con la sua famiglia.
 
Quindi, anche Blaine si decise a proporre un gioco, che faceva sempre tantissimi anni prima.
 
Fece salire tutti e due sul lettino della cameretta –Kurt seduto, Lizzy accomodata in mezzo alle gambe sue- e cominciò a sistemare intorno a loro tutti i peluche esistenti in quella casa. In effetti, non si ricordava di aver comprato così tanti pupazzi a sua figlia.
“Blaine, ci metteremo un’ora a sistemare tutto, lo sai?” Canzonò Kurt, sebbene il suo tono non troppo polemico lo tradì; in verità, moriva dalla voglia di vedere cosa avesse in mente.
 “Come si gioca?”
Il ricciolo guardò divertito sua figlia e, una volta appurato che tutto fosse al proprio posto, saltò anche lui sul letto facendo sobbalzare tutte le lenzuola. Assunse un tono serio, e un’aria profondamente concentrata.
“Ecco, questa è una barca magica. E i pupazzi sono tutti i nostri amichetti che devono sopravvivere! Se cadono a terra, rischiano di affogare.”
“Ma è terribile!”
Kurt si tappò velocemente la bocca, ma ormai era troppo tardi. Il moro non seppe dire chi fosse più adorabile, se lui o sua figlia.
 “Daddy! Daddy!  E’ caduto!”
Si voltarono verso il terreno: e un pupazzetto di un gattino era lì, piccolo, inerme, come divorato dalle fiamme del tappeto rosso persiano. Era difficile che riuscissero a stare tutti insieme, viste le dimensioni del letto, senza contare che lì sopra erano in tre, più un miliardo di pupazzetti.
Blaine si lanciò a terra con uno scatto felino e rotolò afferrando il gattino e lanciandolo di scatto a Kurt, che lo prese incredibilmente al volo; ma era troppo presto, per esultare.
“Daddy! Daddy! Sali sulla barca!”
Blaine, allora, finse un mezzo-affogamento e per poco Elizabeth non cominciò a piangere; ma poi, come nelle scene più belle del suo film preferito, Kurt si sporse in avanti per afferrare la sua mano, e urlarono i loro nomi a gran voce, intrecciarono le loro dita affusolate, e poi Blaine era finalmente sopra al lettino ed Elizabeth li stava abbracciando come se fossero davvero sopravvissuti ad una catastrofe.
“Bravo Papà, ti voglio bene!”
“Anche io piccola mia.” Sussurrò il castano, lasciando un piccolo bacio sui suoi capelli setosi.
 

Prima di dormire volle fare un’altra volta l’ora del tè, perché era proprio un bel gioco, ed amava parlare con Daddy e Papà di tutto quello che le diceva Cristopher; però, da quando aveva fatto il gioco della barca magia, decise di dormire assieme a lui ed a tutti gli altri peluche schierati sopra al cuscino del suo letto. Non si sa mai, dovesse esserci un naufragio anche di notte.
 
E Kurt e Blaine?
Beh, loro giocarono. Per tutta la notte, stettero seduti sul tappeto del salone rispolverando vecchie riviste, giocattoli e cassette di cartoni animati.
Blaine gli parlò dei suoi amichetti immaginari, e Kurt gli rivelò di quando aveva organizzato un  matrimonio per i suoi Power Rangers allestendo completamente il giardino di casa sua. Matrimonio che, aggiunse, durò due ore, fino a quando non trovò una combinazione migliore di fiori per il bouquet dello sposo, e, quindi, rifece tutto daccapo.
Risero, perché ogni loro aneddoto era sempre più divertente.
Sorrisero, perché, quella notte, grazie alla loro piccola Lizzy, riscoprirono cose di loro che avevano quasi dimenticato.
Riscoprirono la loro infanzia, insieme.


***

Angolo di Fra:


Ripeto la formula usata per una delle scorse OS e dico: "O COS'è ST'AGGIORNAMENTO LAMPO!?"
La risposta degli studiosi è unanime e concorde: BOH. Avevo voglia di scrivere e zero di studiare, quindi...
E' Natale, dai. Prendetelo come un miracolo ( o un miraggio - sicuri che il capitolo non sia immaginario? Ahahahah)

No dai, in effetti, per questo capitolo dovete ringraziare una ragazza, e ne approfitto per dire una cosa: dedico questo capitolo a Noloita. Eggià, mia cara. L'ho detto, e l'ho fatto. HA! Mi ha scritto che in questi giorni sarebbe stata annoiata a morte, del tipo che l'unica cosa fattibile fosse controllare che l'orologio battesse sempre l'ora giusta, e così ho pensato di farle passare quantomeno una buona Domenica sera. Spero di averti fatta felice!
E poi perchè le ho detto i vari motivi che mi hanno portato a prendermi una pausa e mi ha risposto nel modo più perfetto possibile. Avevo bisogno di sentire quelle parole, sul serio. :)
Mi piace questa cosa di dedicare i capitoli. Penso che d'ora in poi lo farò sempre!!
Però, ecco, ahem, non vi ho appena implicitamente detto che mi prenderò per davvero una pausa. O forse sì?
Vi prego, non disperatevi! Oh, se ripenso alle recensioni che mi avete lasciato mi si stringe il cuore....T__T ma quanto potete essere adorabilmente fantastici? Vi adoro tutti, ecco.
Voglio, in particolar modo, ringraziare tutti coloro che hanno recensito la scorsa OS, perchè mi hanno parlato anche della fantomatica pausa. Non so se lo avevate intuito dalle mie risposte, ma...YOU MOVE ME.
Quindi grazie a :
Perla, aspasia776, sakuraelisa,violanassi, liuzza,sirymcgregor, Ilrayf90, Kikisinger89, hale_y,evy78, Alchbell, tatarella e, ovviamente, Noloita. :)


Comunque, prima di salutarvi per bene, pubblicherò una, forse, due OS. Ma la prossima arriverà senza dubbio Sabato, perchè fino a Venerdì sarò impegnatissima con un esame (AHHHHHHHHH ECCO - pubblicazione settimanale? - adesso ti riconosciamo) ahahahah

Un KLISS immenso a tutti!!!!

Fra


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Capitolo 14
*** La magia del Natale ***



 La magia del Natale

 



La voce melodiosa e perfettamente intonata di Kurt riempiva l’aria, assieme al suono di un piccolo stereo che stava riproducendo le più svariate canzoni di Natale. Adorava il Natale; o meglio, aveva cominciato a piacergli, da quando aveva Blaine ed una casa alla sua completa mercé. Adesso, infatti, l’appartamento era circondato da illuminazioni, ghirlande e un dolce profumo di cannella, con l’aggiunta di un albero di pino troppo grande per loro, ma che avevano scelto insieme il primo anno della loro convivenza, e da allora non era mai cambiato. Le tradizioni non si cambiano, pensò mentalmente Kurt, allontanandosi per guardare meglio la sua opera natalizia e dare un giudizio finale.
E poi, ovviamente, la sua voce intonò le note di quella canzone, perché era appena partita dalle casse del piccolo stereo, ed era impossibile non cantarla, così come era impossibile impedire alla mente di varcare quei ricordi così belli e così magici, da sembrare surreali.
“I really can’t stay… I’ve got to go away…this evening has been, so very nice-“
“I'll hold your hands, they're just like ice” intervene Blaine, da dietro di lui, con il suo impeccabile tono di cantante a cappella e bello come non mai. Aveva fatto proprio bene a regalargli quel completo di Valentino, per Natale.
 
“Che fai?” Chiese il moro, avvicinandosi giusto un po’ di più, circondandogli la vita con le braccia e lasciando un bacio soffuso sulla nuca.
Il ragazzo si lasciò cullare da quel calore così confortante, e quando tentò di dare una risposta riuscì soltanto ad emettere un mormorio che assomigliava tanto a delle fusa di un gatto.
“Mhm, mi piace quest’attività - commentò l’altro, allungando il proprio sorriso – perché non andiamo ad approfondirla meglio in camera?”
Oh, quella sì che era una buona idea, ma aveva ancora l’albero da fare ed Elizabeth sarebbe tornata a momenti dall’asilo, e lo sapeva anche lui. Così, scuotendo appena la testa, si lasciò dondolare dalle braccia sue braccia e riprese a cantare il loro primo, bellissimo duetto.
“I wish I knew how…to break this spell…”
“Non ti stancherai mai di cantarla, vero?”
“Solo se tu ti stancherai di cantarla insieme a me.” Rispose il marito, e detto quello ricevette un altro bacio più intenso.
“Mai.”
Ci fu una piccola pausa, perché tutti e due erano troppo assorti per parlare; dopo un po’ fu Blaine a esordire di nuovo, gli occhi più luminosi, il sorriso appena un poco più radioso.
“Tredici anni fa stavamo girando intorno a divani della Dalton cantando questa canzone.”
“Tredici anni fa mi sono innamorato per la prima volta dell’uomo più bello che avessi mai visto.” Disse allora Kurt, con una serietà disarmante.
Perché erano passati tredici anni, ma era come se non fosse trascorso nemmeno un giorno.
Perché si sentivano le persone più felici su quella terra, e non sapevano davvero chi o che cosa avessero fatto di bene per meritare tutto quello.
Perché se Blaine non si fosse fermato lungo le scale della Dalton, in quel tiepido giorno autunnale, e se Kurt non lo avesse fermato per chiedergli una mano, se avesse chiamato qualcun altro, chiunque altro, cosa sarebbe successo?
Come avrebbero fatto a conoscersi, ad innamorarsi, a passare gli anni del liceo e del college insieme per poi formare una famiglia?
La avrebbero trovata lo stesso, la felicità?
“Daddy Papà sono tornata!”
“Eccola qui l’amore mio!” Esclamò Blaine, voltandosi di scatto, prendendola in braccio per poi farla volare.  Rachel salutò velocemente il moro ed entrò in casa a piccoli passi, e Kurt ebbe modo di squadrarla per un breve secondo: era…strana. Si era tagliata i capelli? Aveva deciso finalmente di indossare qualcosa che non sembrasse comprato al mercato delle pulci?
E poi capì.
Rachel non aveva ancora iniziato a straparlare. Ok, quello sì che era strano.
“Rach…tutto bene?”
Si voltò di scatto verso di lui, l’espressione allarmata, come se fosse stata appena colta sul fatto…ma quale fatto!?
“Sì. Sì, sto alla grande. Anzi, ora che ci penso devo proprio scappare a fare una cosa.”
Inarcò il sopracciglio, sempre meno convinto.
“E cosa?”
“Una cosa.”
“Una cosa, cosa?”
“UNA COSA Kurt! Dio, ma non posso nemmeno avere un po’ di privacy eh!? Non posso nemmeno essere libera di fare quello che mi pare, senza che te mi stia con il fiato sul collo come l’estremo untore!? Lasciami stare!”
Sbattè velocemente la porta e sfrecciò via di casa, sotto lo sguardo allibito di Kurt, Blaine e perfino Elizabeth.
“…Ho…ho fatto qualcosa di male?”
Kurt non chiedeva mai una cosa del genere a nessuno. In effetti, Kurt non aveva mai dubbi sulle proprie azioni, ma in quel momento, davvero, cercò Blaine e quest’ultimo si limitò a stringersi nelle spalle, scuotendo appena la testa.
“Forse era solo un po’ stressata, dai, non ci pensare.”
“Daddy! Papà!” Esordì allora Elizabeth, con i suoi grandi occhi che sprizzavano felicità e le mani dietro la schiena per nascondere qualcosa.
Una volta ottenuta l’attenzione di entrambi, rimase qualche secondo in silenzio per creare quella cosa, come si chiamava? Quella che piaceva tanto fare a Daddy quando doveva rispondere ad una domanda sul look di Papà. Ah ecco, suspance. Non sapeva cosa significasse, ma era carina, quindi decise di farla anche lei.
Insomma, alla fine, estrasse dalla tasca dei jeans un piccolo fogliettino tutto ripiegato.
“Voglio fare la letterina a Babbo Natale!”
I due genitori rimasero sorpresi per un secondo, e poi si addolcirono subito dopo.
“Tesoro è bellissimo! Ma…ma come fai a scriverla?”
“La scrivete voi!”
Risposero immediatamente di sì, e ben presto si ritrovarono seduti al tavolo della cucina armati di carta da lettere filigranata, penna stilografica e l’onnipresente sorriso di Elizabeth.
“Caro Babbo Natale  -esordì, e Kurt trattenne a malapena un sospiro mentre cominciava a scrivere le prime parole- so che fai regali solo ai bambini buoni, e infatti io sono una bambina buonissima, quindi voglio dei regali.”
La modestia non era mai stata il suo forte.
“Allora voglio il cagnolino robot fucsia, quello che ha anche Sarah, e poi voglio il peluche di foca come quello di Michael. E poi voglio tantiiiiiiiiiiiiiissime caramelle! Ma per favore non dirlo a Papà che sennò si arrabbia. Poi…voglio un nuovo cartone animato con i cagnolini, i colori, il gioco nuovo per fare le collanine, delle tazze da tè belle belle, un vestitino nuovo e il resto dallo pure ai bambini poveri.”
Blaine stava quasi per scoppiare a ridere: resto? Lui pensava che il magazzino di Babbo Natale si sarebbe esaurito con solo quella letterina.
“Tesoro, non saranno un po’ troppe, tutte queste cose?”
Elizabeth ci pensò su. Poi, con convinzione, parlò decisa scuotendo un paio di volte la testa.
“No.”
“…Ok.”
“Finito?” Domandò allora Kurt, con una briciola di esasperazione perché la sua mente stava già riepilogando il prezzo totale di tutte quelle cose. Forse poteva togliere qualcosa dalla lista senza che se ne accorgesse…
Ma ecco che, appena aveva ripreso la penna in mano, la bambina si ricordò improvvisamente di un’altra cosa.
“Ah! Papà, Papà, mettici anche un’altra cosa!”
Entrambi i genitori sospirarono, guardandosi per un momento disperati, dopodiché si concentrarono di nuovo su loro figlia ascoltando la sua ultima richiesta.
“Caro Babbo Natale, so che sei molto impegnato ma per Natale vorrei anche un fratellino. O una sorellina, se non hai più maschietti. Grazie ti voglio tanto bene ciao.”
Detto quello si alzò da tavola, ringraziando il Papà per la scrittura con un bacio sulla guancia e saltellando verso l’albero per decidere il posto migliore dove appendere la letterina.
Non si era accorta del fatto che i suoi due genitori erano rimasti completamente pietrificati.
 
 
 
“Buon Natale!”
“Buon Natale anche a te Finn. Rachel dov’è?”
“Sta arrivando, ha preso la metropolitana. Dov’è Elizabeth?”
La bimba, con il suo delizioso vestitino rosso ed un cappellino natalizio, corse tra le braccia dello zio riempiendolo di baci e coccole. Era felice. Era ovvio che fosse felice, era la vigilia, casa sua era perfettamente addobbata e gli zii Finn e Rachel erano venuti a passare le feste assieme a lei. E poi, ovviamente, quella sera sarebbe arrivato Babbo Natale a darle tutti i regali.
Perché i bambini sanno essere tanto dolci, nella loro ingenuità, senza capire quali siano i regali che si possono chiedere, e quali quelli che, invece, sono un po’ più difficili da fare.
E Kurt e Blaine avevano provato a dirglielo, ma non ci erano mai riusciti. Non riuscivano proprio a spezzare il povero cuore della loro amata figlia, vedere i suoi occhi smeraldini riempirsi di lacrime perché non avrebbe mai avuto un fratellino o una sorellina, ci avevano pensato tanto e ne avevano parlato a lungo, e alla fine avevano deciso che quella fosse la soluzione migliore.
Ma Lizzy non lo sapeva. Oh, Lizzy non poteva saperlo, piccola com’era.
Aspettava quel giorno di Natale come se fosse il giorno più bello della sua vita.
La cena trascorse senza problemi, ma per Elizabeth stava durando anche troppo a lungo; sollecitava suo padre a sbrigarsi con quel purè di patate, e diverse volte rimproverò perfino la zia Rachel perché stava mangiando lenta e concentrata, come se stesse analizzando ogni singola verdura presente nel suo piatto. La ragazza, in risposta, si trovava sempre a sorridere a Lizzy e senza dire altro le dava ragione.
E tutte le volte Kurt si ritrovava a guardare Blaine, e Blaine guardava Kurt e pensavano “che sia questo, il miracolo di Natale”? Perché avere di fronte una Rachel così accondiscendente era di certo un evento.
“Rachel, se sapevo che eri così pacata ti davo più patate.” Scherzò Blaine, ma quest’ultima fece una lieve risata, e non disse altro.
Elizabeth guardava tutti quanti, un po’ interessata, un po’ no, e continuava a chiedere quando sarebbe arrivato Babbo Natale.
“Perché arriverà, vero?” Chiese a Kurt, e quest’ultimo annuì, con un grande sorriso dolce, ma che conteneva anche una punta di perfidia.
“Oh sì che arriverà. E sarà un Babbo Natale perfetto.”
Finn per poco non si strozzò con il pollo.
 
“Devo proprio farlo?”
Finn adesso era con costume rosso e barba finta, un cappello che gli stava piccolo e degli occhiali da sole che effettivamente non c’entravano niente, ma tanto Elizabeth non ci avrebbe badato, no? Lei avrebbe visto soltanto Babbo Natale, il suo idolo, e non avrebbe fatto assolutamente caso alla pancia inesistente, la voce giovanile e l’altezza magistrale dell’uomo.
“Non funzionerà –c ommentò subito dopo, riepilogando i suoi pensieri – Lizzy è troppo scaltra.”
“Non trovare scuse e datti da fare” lo rimproverò Blaine, affibbiandogli il sacco di regali e sistemandogli meglio la barba.
Era il peggior Babbo Natale che avesse visto, e lui ne aveva visti davvero tanti.
“Finn…potresti…potresti cercare di assumere un’aria più…natalizia?”
Sfoggiò un sorriso che sembrava gli avessero stampato una dentiera in faccia.
“Meno.”
Adesso un grugno.
“Più?”
Un mezzo ghigno.
“OK. Rimani così. E’ il meno peggio.”
“Ma non lo so fare! Non so recitare, e poi appena aprirò bocca capirà che sono io…”
“E chi ha detto che devi parlare? Ti limiterai a dire ho ho ho, dai i regali e te la fili. Saprebbe farlo anche un bambino!”
“Ecco, allora perché non lo fai tu?”
“…Faccio finta di non aver sentito.”
“Oh eddai Blaine! Tu saresti più bravo!”
“Finn? –esordì Kurt, con un tono spettrale ed un sorriso al limite del tirato- ti ricordi quando sono entrato in camera tua, e c’erano tutte le luci spente, e tu eri in una situazione PIUTTOSTO INTIMA e per non dire imbarazzante, e per non farti ammazzare da mio padre hai detto che quello in camera ero IO!?”
 “Ok. Lo faccio.”
“Bravo il mio fratellastro. E ricordati di ridere!”
 
“HO HO HO!”
Non poteva essere. Non riusciva a crederci.
Babbo Natale era lì? Era veramente lui? Era lui, il sogno che veniva a farle visita tutte le notti, ed era quello il momento tanto agognato da sempre?
Elizabeth era rimasta talmente sorpresa che Kurt e Blaine si scambiarono un’occhiata di pura adorazione, perché in quel momento stavano vedendo la cosa più adorabile che fosse mai esistita sulla faccia della terra.
“Babbo Natale –chiese sognante, intimorita e sì, anche un po’ commossa- hai i regali per me?”
E mentre il Babbo/Finn si chinava a darle il sacco, i due genitori pensarono che sì, ne era valsa davvero la pena di fare quella scenata, perché il faccino incantato di Elizabeth sarebbe stato una cosa che avrebbero conservato per il resto della loro vita.
E si sarebbero ricordati anche di come, improvvisamente, l’espressione della loro figlia mutò.
“Perché hai gli occhiali da sole?”
Il Babbo/Finn si pietrificò di colpo, il braccio a mezz’aria, il sorriso mezzo-tirato approvato da Blaine che vacillò per qualche secondo.
Si guardò intorno, scorgendo Kurt e Blaine che, da dietro Lizzy, facevano cenno di continuare.
“Ho…ho…ho?”
“Perché non parli?” Chiese allora Lizzy, confusa. Non aveva mai saputo che Babbo Natale non sapesse parlare!
“Oh.”
 “Sì, ho capito. Ma dì qualcos’altro!”.
Finn la guardò di nuovo.
“…Oh…oh OH? OOOOOOOOOOH- urlò, indicando l’orologio, e il sacco, e la porta fuori di casa- OHHH ho ho, oh ho! Ho ho hoooo ho ho!”
E un secondo dopo aveva aperto e richiuso la porta di casa.
Lizzy fissò il punto in cui, un attimo prima, c’era il frutto dei suoi sogni, e inarcò appena un sopracciglio. Pensò che fosse la conversazione più strana che avesse mai avuto. E lei parlava anche con i bruchi.
 
Come da programma, Elizabeth ottenne tutti i giocattoli presenti nella lista, più un porta-trucchi della Burberry regalato da zia Rachel e zio Finn –anche se Blaine non ne fu molto contento, per lui era troppo presto parlare di trucchi e robaccia varia-.
E poi, frugando un altro po’ nel sacco, rivolse un’occhiata smarrita ai suoi due genitori, e domandò:
“E il fratellino?”
Le espressioni di tutti mutarono, da rilassate e felici quali erano, si fecero più tese, leggermente imbarazzate.
“Dov’è il mio fratellino?”
“Non c’è nessun fratellino, Lizzy.”
La frase arrivò lapida, letale, eppure, con una punta di amarezza. Blaine osservò Kurt, e fu grato che almeno lui avesse avuto il coraggio di dirlo.
Perché adesso lo sguardo smarrito della piccola Elizabeth era qualcosa capace di spezzargli il cuore.
“…Perché?”
“Perché non è possibile, Lizzy. Babbo Natale non può portarti un fratellino, non può farlo.”
Tutto quello non aveva senso.
“Si che può farlo – ribadì, eppure, la sua voce tremò appena- Babbo Natale…il Natale può fare tutto, no? Me lo hai detto tu, Daddy – intimò, voltandosi verso Blaine, il quale, per un momento, non capì- hai detto che il Natale ti ha portato Papà. La canzone, no? Era quella, quella del Natale.”
La fissò per un secondo. Avrebbe tanto voluto abbracciarla, dirle qualsiasi altra cosa…ma, invece, fu costretto ad accovacciarsi, parlandole con calma e serietà.
“Non è la stessa cosa, tesoro. Ci sono cose che Babbo Natale non può fare.”
Ci sono cose che Lizzy, però, non poteva ancora accettare.
Come, per esempio, scoprire che non poteva avere un fratellino, o, al più, una sorellina.
Come capire che le cose, per loro, erano un po’ diverse da come credeva. Kurt non poteva rimanere incinto, e neppure Blaine. Questo lo sapeva bene. Ma lo trovò comunque ingiusto.
Lo trovò triste.
E, per questo, dopo aver sviato lo sguardo a terra, macchiando le mattonelle con qualche lacrima che non era riuscita a trattenere, buttò il sacco a terra e corse in camera sua, sbattendo la porta con un tonfo secco.
 
 
“Lizzy.”
Non voleva sentire. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie fino a farsi male, avrebbe voluto eliminare qualsiasi suono dalla sua mente, o l’emozione che provava ogni qualvolta sentiva la voce dolce di Papà, o quella calda di Daddy.
Ma non poteva.
Non quando li sentiva supplicare, chiedendole con tono sommesso di aprire la porta, di parlare, come amavano sempre fare.
E, così, ricacciando indietro le ultime lacrime, si apprestò a girare la chiave e a riaprire la porta.
Eccoli, i suoi due padri.
Il motivo per cui era viva.
Il motivo per cui si svegliava ogni giorno e il mondo le sembrava luminoso, perché si svegliava sempre trovando i loro occhi e, oh, erano così belli, con le loro sfumature di grigio, di blu, di nocciola e di rame, erano così vivi, quando stavano fissi sui suoi, ed erano così importanti, per lei, che soltanto in quel momento si rese conto del dolore che lei stessa aveva provocato.
All’inizio non si rese conto delle loro parole, dei loro sguardi, delle loro mani che cercavano in tutti i modi di stringerla e di farla sentire a casa. Era come in una campana di vetro, troppo accecata dall’ira e dalla frustrazione per poter veramente sentire ciò che la circondava.
Ma poi, tutto ad un tratto, fu come se qualcuno avesse fatto suonare un campanello nell’aria.
Kurt le aveva baciato dolcemente una guancia, e continuava a tener posate le sue morbide labbra sulla sua pelle, leggero, gentile.
Sì destò. Perché vide i suoi genitori, il centro del suo mondo, e li vide per com’erano: straziati dalla sofferenza. Sorridevano, certo, ma capì che in verità erano dispiaciuti, erano immobilizzati, erano di fronte a qualcosa di più grande di loro, che non sapevano gestire nemmeno molto bene.
Perché, in fondo, erano ancora giovani, proprio come lei.
E stavano tutti e tre imparando a crescere, un passo alla volta.
“Non piangete.”
La frase arrivò all’improvviso, con il tono che assomigliava più ad un flebile sussurro.
“Papà, Daddy, vi voglio tanto, tantissimo bene. Vi prego, non piangete.”
Non se n’erano nemmeno resi conto.
Non fino a quando poterono assaporare qualcosa di salato bagnar le loro labbra, così come degli aghi che pungevano dolorosamente i loro grandi occhi.
Elizabeth non aveva mai visto i suoi genitori piangere; ma, d’altronde, non capì nemmeno il motivo per cui lo stessero facendo.
L’unica cosa che riusciva a capire era la profonda e lancinante fitta che aveva iniziato a stringerle il cuore, e l’unica cosa che sapeva era che non voleva vederli piangere, non per lei, non in quel modo che la faceva sentire tanto male.
“Va tutto bene.”
Che cosa buffa: perché suo padre stava dicendo va tutto bene, se stava piangendo?
E perché lei tutto ad un tratto si sentì una completa idiota, come se avesse appena commesso uno sbaglio enorme?
“Perché siete tristi?” Si trovò a chiedere, allora, perché davvero non capiva, e loro sembravano capire ancora meno di lei, ma voleva sapere.
Fu Kurt a parlare per primo, accarezzandole dolcemente una guancia: “perché vogliamo che tu sia felice.”
E, in quel momento, lei tornò completamente se stessa e lo guardò torva: “ma io sono felice. Papà, io sono felicissima! Ho i migliori Papà del mondo! E poi c’è il nonno, la nonna, e anche zio Finn e zia Rachel!”
“Proprio così.” Intervenne allora un’altra voce, un po’ più lontana, ma che si stava avvicinando pian piano.
Rachel adesso sembrava titubante, eppure, con un piccolo bagliore di felicità che le illuminava lo sguardo. Finn, accanto a lei, sembrava doversi trattenere dall’urlare qualcosa e stringeva a sé la ragazza come non aveva mai fatto prima di allora.
“Siamo una bella famiglia.” Continuò la ragazza, guardando con la coda dell’occhio il fidanzato.
Elizabeth li osservava, incuriosita e anche un po’ emozionata. Come mai c’era quella strana tensione nell’aria? Come mai non solo lei, ma anche Kurt e Blaine sembravano perplessi, rivolgendosi profondi ed intensi sguardi?
E, soprattutto, come mai Rachel sembrava che stesse per dire qualcosa di bellissimo ed importante, con un’espressione che non ebbe nemmeno quando ottenne il suo primo ruolo principale a Broadway?
“Lizzy, tesoro, questo Natale non hai avuto un fratellino. Ma, se lo vuoi ancora, ad Agosto potrai abbracciare un cuginetto od  una cuginetta.”
In quel breve, fatale secondo nel quale Kurt e Blaine strabuzzarono gli occhi, Elizabeth gettò le braccia al collo della zia ed esultò entusiasta.
“Avrò un cuginetto! O una cuginetta!”
“Sì tesoro, è proprio così.”
Non avrebbe mai pensato che, da una serata simile, sarebbe uscito fuori un regalo così bello.
Si immaginava già a correre per il giardino di zia Rachel, trascinandosi dietro il suo adorato cuginetto e condividendo con lui tutti i tipi di giochi. E poi, Papà avrebbe cominciato a lamentarsi di quanto i loro vestiti fossero sporchi, e Daddy si sarebbe addormentato nel bel mezzo di qualche film, perché sarebbe stata la ottomillesima volta che Elizabeth gli avesse fatto vedere la Sirenetta.
Sarebbero andati a scuola insieme, mano nella mano, e finalmente qualcuno l’avrebbe difesa da tutti quei bambini maleducati che la offendevano e le davano della “strana”.
E lei, d’altra parte, lo avrebbe riempito di coccole fino a quando non sarebbe stata scansata via con una spinta, ma mai troppo forte, per non farle del male.
E ora sorrideva, perché non riusciva a fare altro, e vedeva i suoi genitori complimentarsi al limite dell’euforia, e suo zio Finn che per poco non scoppiava a piangere –e Kurt, in quel momento, disse “eh no, non ti ci azzardare! Ci manchi solo tu, stasera”- e si ritrovò lei stessa ad esultare e ad abbracciare la sua famiglia, suo padre Blaine, che adesso la guardava in quel modo che le piaceva tanto, e suo padre Kurt, che riprese ad abbracciarla con più forza, chiedendole se fosse contenta e sì, chiedendole anche scusa per averla fatta piangere.
Ma poi, tutti e tre capirono che non c’era niente di cui scusarsi.
Perché era stato il loro primo litigio, ma non di certo l’ultimo; perché potevano già immaginarsi la fatica per rincorrere sua figlia impedendole di prendere il primo treno per chissà dove, scappando via di casa, oppure i sospiri emessi ad ogni porta sbattuta nel periodo della sua adolescenza.
Poterono anche immaginarsi le risate, quando sarebbe saltata per la prima volta la corrente a causa della piastra, oppure i rimproveri di Blaine, perché con tutto quel trucco addosso sarebbe sembrata una mummia, e lui la trovava molto più bella acqua e sapone – e Kurt avrebbe conferito con lei che “non capiva”-.
E, per un momento, Kurt e Blaine guardarono la loro figlia, e capirono che era inutile riempirsi la testa di se e ma, era inutile domandarsi cosa sarebbe successo se Blaine non si fosse fermato quel giorno per le scale, o se Kurt non lo avesse chiamato, o tutte quelle coincidenze che li avevano portati dov’erano ora.
C’era soltanto una risposta: loro erano destinati ad incontrarsi. In un modo o nell’altro, avrebbero raggiunto a loro modo la felicità.
E, quella sera, anche Elizabeth si ritrovò a pensare. Fantasticò sul suo futuro, sulla scuola, sui suoi sogni da inseguire e su tutti quelli che, invece, avrebbe tristemente accantonato.
Ed era così confuso, il suo destino, da sembrare quasi indecifrabile; ma non era spaventata, non lo sarebbe mai stata.
Perché, qualunque cosa avesse fatto, qualsiasi strada, errore, dubbio o ostacolo avesse incontrato, avrebbe sempre trovato la sua casa tra le braccia di Kurt e Blaine.
E chi lo diceva che due papà erano troppi?
Due papà erano esattamente ciò di cui aveva bisogno.
Certo. Quello, e un piccolo cuginetto.




****




Angolo di Fra:

Ok, non voglio cercare scuse per il mio ritardo, ma stavolta ALMENO UN POCHINO non è colpa mia!!
E' crashato il server giusto un minuto prima che venissi a postare...è un segno!! Era come se dicesse "no, Fra, non pubblicare l'ultimo capitolo, non ci lasciare!"
Oh, EFP. Ti voglio bene anche io.

Però, ecco, in effetti questo è proprio l'ultimo capitolo.
E' stato come per Blame it on Blaine: l'ho guardato e mi sono resa conto che poteva essere soltanto lui, il capitolo conclusivo di questa storia che, spero, vi sia piaciuta. Potrà aver fatto sorridere, potrà aver fatto piangere (e badate bene, non COMMUOVERE, ma piangere nel senso che faceva schifo ahahah), in cuor mio è stato molto bello esplorare questo lato della vita di Kurt e Blaine che, spero, diventi "finzionalmente" realtà.

Ma sì, non siamo tristi! Il capitolo è venuto più MELODRAMMATICO di quanto non volessi, ma in fondo è l'ultimo, volevo lasciarvi con un bel ricordo di questa raccolta e quindi sono contenta così.

Non vi sto a salutare a mò di Jake del Titanic perchè sennò scoppierei a piangere (no ti prego non ti ci mettere anche tu! ndKurt) e quindi vi saluto dicendo: passate delle bellissime feste e non studiate troppo che fa male alla salute! Vi ringrazio tanto, tantissimo per tutto il bene che mi avete mostrato, per tutte le recensioni SPLENDIDE, le letture regalatemi...davvero, grazie. Non pensavo che questa raccolta potesse avere un successo simile, ma come sempre mi sono piacevolmente stupita. Ed è tutto merito solo ed unicamente vostro, siete VOI a spronarmi a scrivere nuovi capitoli, siete VOI che mi fate dire "questa volta voglio scrivere proprio bene" perchè l'unico modo che ho per ringraziarvi è di metterci sempre il massimo dell'impegno così da potervi regalare dei capitoli che siano alla vostra altezza.
Beh, spero che, almeno con quest'ultimo, io ci sia riuscita.

Voglio ringraziarvi tutti.

Voglio ringraziare in particolar modo Safelia22, Kikisinger89, Aspasia776, SakuraElisa,Noloita, Alessandranna, Ilaryf90, Liuzza, Alchbell, Evy78, Hale_y, Sirymcgregor, Perla, Violanassi, che hanno lasciato tantissime recensioni una più bella dell'altra, e poi anche Tatarella20, VioGLeek1993, BlackMashmallow, Carolina110411, Megapp, Lara055, Aurinella, Pookie18 e ColferAddict, che sono state gentilissime nel lasciarmi una recensione per qualche capitolo.  

E dedico questo capitolo a mia moglie Lievebrezza, perchè passi un bellissimo Natale e perchè il prossimo anno le porti ancora più felicità di questo.
So che è poco, ma volevo soltanto dirti grazie per tutto quello che mi scrivi e per tutte le chiacchierate che mi hanno fatto tanto piacere. Ti voglio bene donna!!!

E poi, ovviamente, ringrazio anche te. Sì, tu che stai leggendo adesso queste note e stai fissando lo schermo un po' confuso/a, tu che dici "ma...stai parlando di me?" esatto tu. Tu che hai letto la mia storia fino alla fine, magari con trasporto, magari un po' velocemente, ma che, in ogni caso, le hai dedicato del tempo per me preziosissimo, e non importa che tu non l'abbia "quantificato" con qualche recensione, o, magari, senza nemmeno metterla nelle seguite.
L'importante è che tu l'abbia letta, e io ti ringrazio profondamente per averlo fatto.

Grazie, alle 121 recensioni, alle 25 preferite, alle 51 ricordate e alle 3 seguite.
E grazie a tutti i lettori.

Per chi volesse avere mie notizie, che siano "professionali" o non, vi rimando alla mia pagina sul faccialibro dove rispondo praticamente sempre, oppure, mandatemi un mp. Mi farebbe piacere risentirvi durante questa pausa, dico davvero.
Un enorme Kliss NATALIZIO a tutti quanti!

Fra

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