Il Biglietto 217

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lei. ***
Capitolo 2: *** Lui. ***



Capitolo 1
*** Lei. ***



Introduzione:
Questa One-shot, nasce in origine come una storia composta da parecchi capitoli. È rimasta in archivio nel mio computer per circa due anni. Mi sono resa conto, però, che era un po’ surreale, quindi ho deciso di pubblicarla in due soli capitoli, il primo con il punto di vista di Faith, il secondo con quello di Taylor. 
Bene, dopo queste chiacchiere – che sicuramente non vi interessano – vi lascio alla lettura.
Se qualcuno avesse voglia di farmi sapere cosa ne pensa, sarei davvero felice.
È molto importante per me, ricevere un parere esterno…
Grazie mille,
TheOnlyWay

Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo







Il biglietto 217
-Faith's PoV-


Solitamente non sono una persona molto fortunata. Anzi, se proprio devo essere sincera, credo di avere qualcosa che attira molta più sfiga del dovuto.
Probabilmente sto parecchio antipatica alla Dea Bendata, che si prodiga più che può per non farmi mai dimenticare di avere il Fato contro.
Per questo motivo sto seduta con aria insofferente sulla poltrona del cinema, aspettando che questo mostro di simpatia del commesso finisca la sua pappardella sulla grande opportunità fornita dal cinema e dalla casa produttrice del film.
Lo osservo, mentre avverte il fortunato possessore del biglietto numero 217, che ha avuto l’immensa fortuna – ancora con ‘sta fortuna, inizio a pensare che non sappia dire altro – di vincere un incontro con uno degli attori protagonisti del film.
‹‹Pertanto, invito il possessore del biglietto 217 a raggiungermi››, è piuttosto antipatico, a mio avviso. Insomma, nemmeno un sorriso, o un tono minimamente partecipativo. Avrà vent’anni, al massimo venticinque, ma ha l’entusiasmo di un’ottantenne.
Una gomitata piuttosto poderosa mi riscuote dai miei pensieri sul ragazzo. Mi volto verso Hilary, che con un cenno della testa indica la mia poltrona.
‹‹Be’? Che c’è?››, chiedo, confusa. In un istante mi sento addosso un numero indefinito di sguardi. Quanta gente entra nella sala 5?
‹‹Hai sentito cos’ha detto?››, capisco che fa riferimento al commesso – o come cavolo si chiama – solo perché lo fissa insistentemente.
‹‹Si, che ho sentito. Sono tre ore che invita il possessore del biglietto 217 a raggiungerlo››, lo scimmiotto, aspettandomi una risata di apprezzamento dalla mia migliore amica che, invece, mi tira un coppino con una veemenza che da lei non mi sarei mai aspettata.
‹‹E secondo te perché nessuno si è ancora alzato?››, chiede, lievemente isterica.
Strano. Da quando Hilary è così irritabile? Di solito non ha tanta fretta di andare via, anche se non ama particolarmente il cinema.
‹‹Come faccio a saperlo? Magari è andato in bagno››, propongo, con un’alzata di spalle.
Intanto Mr. Simpatia ripete l’annuncio per l’ennesima volta, anche se adesso dalla sua voce trapela tutto il fastidio che prova. Lui si che sa come intrattenere gli spettatori.
‹‹O magari è talmente cretino da non sapere in che posto è seduto››, mormora Hilary, inarcando un sopracciglio.
‹‹Può essere. Ma dovrebbe essere un vero idiota››. Esattamente come mi sento io in questo momento. Una perfetta idiota. Vorrei morire, sprofondare negli abissi più bui, nascondermi sotto questa fottutissima poltrona.
‹‹Lo sai che sono una sfigata cronica, come ho fatto a vincere?››, chiedo, capendo che è giunta l’ora di alzarmi in piedi. Hilary alza gli occhi al cielo e mi dà una spinta sulla schiena. Rischio quasi di ammazzarmi e di cadere lungo le scale, ma oggi devo essere davvero fortunata, perché riesco a restare in piedi.
‹‹Ti aspetto fuori››, dice Hilary, prima di afferrare la borsa e filarsela dalla sala. Se non sapessi che non fuma, penserei che stia andando a farsi una dose doppia di nicotina.
Ammetto che a volte starmi dietro può essere piuttosto stancante.
Il simpaticone sbuffa, mentre picchietta ritmicamente con il piede sulla moquette blu. Snervante. Per un solo istante provo l’impulso di rallentare; sapete, tanto per il gusto di farlo inviperire ancora di più.
Sbuffa un’altra volta, poi con un gesto secco della mano mi indica una porta nera che non ho mai notato, nonostante frequenti questo cinema già da parecchio tempo.
Riconfermando la mia idea iniziale, il commesso – continuerò a chiamarlo così – non si degna neanche di aprirmi la porta, rivelandosi così, oltre che antipatico, poco galante o cavalleresco o quel che è.
Essendo votata al quieto vivere, ed essendo che non mi piace litigare con gli sconosciuti, decido di stare zitta e di non fargli notare quanto in realtà sia maleducato da parte sua abbandonare una donzella in difficoltà davanti ad una spaventosa porta nera. Che poi, dico io, proprio di quel colore, dovevano comprarla? Perché non verde, o arancione? No, loro comprano la porta nera, nera come la sfiga che mi perseguita maleficamente.
Dea Bendata, che tu sia dannata in eterno per tutto quello che sto passando.
Trovo quasi patetico che solo un momento prima di entrare, mi venga in mente che questa potrebbe essere la figura di merda più grande di tutta la mia vita. Come se già non ne avessi collezionate abbastanza: cadute, commenti che avrebbero dovuto restare per sempre nel mio cervello espressi invece ad alta voce, risate isteriche che mi hanno fatto passare per un’invasata, insomma, cose così.
Questa sarà sicuramente la peggiore, perché sto per farla davanti ad un attore. Non importa chi sia, so solo che desidererò fortemente sparire tra qualche minuto.
Prendo un respiro profondo e cerco di concentrarmi, ma vengo interrotta da un tossicchiare fastidioso alle mie spalle.
Oh, ma guarda. È tornato il simpaticone!
‹‹Pensi di muoverti?››, chiede, acido come un limone.
Non gli rispondo neanche, e appoggio la mano sulla maniglia della porta. Prendo coraggio e l’abbasso, poi spingo. La porta si apre lentamente, senza nessun rumore; mi aspettavo almeno qualche cigolio sinistro.
Faccio un passo, poi un altro e un altro ancora e la porta si richiude alla mie spalle. Ed io mi sento in trappola, mentre maledico il simpaticone che non apre le porte, ma che sicuramente le sa chiudere teatralmente. Mormoro un “bastardo” e mi guardo intorno.
La stanza è molto sobria ed è tutta arredata sui toni del beige e del dorato.
Sul divanetto bianco, posto dietro ad un tavolino basso dal ripiano di vetro, siede uno degli attori protagonisti del film.
Boccheggio un paio di volte e sono sicura di sembrare una perfetta idiota – ancora una volta – perché lui si alza un po’ titubante e fa qualche passo avanti.
Mi faccio forza, e decido che per la prima volta nella mia vita impedirò alla sfiga e alle figure di merda di prendere il sopravvento su di me.
Chiudo gli occhi per un secondo, e quando li riapro sono tranquilla.
Sfodero il mio sorriso più rassicurante e sembra che funzioni, perché il ragazzo aggira il tavolino un po’ più convinto e mi porge la mano destra con un sorriso che mette in mostra dei denti meravigliosamente bianchi.
‹‹Ciao, io sono Taylor››, si presenta, afferrando la mia mano e stringendola con decisione.
Bene, mi piacciono le persone che hanno una stretta sicura.
‹‹Io sono Faith, piacere di conoscerti››, sorrido ancora e aspetto che sia lui il primo a dire qualcosa.
Cosa posso dire ad un attore?
Sto per uscirmene con un qualcosa di molto simile ad un “Ottima interpretazione, Taylor. Soprattutto quando ti sei infilato nel sacco a pelo di Bella”, quando mi accorgo che lo sguardo di Taylor è un po’ strano. Troppo sull’attenti, troppo titubante. Sembra quasi che stia aspettando qualcuno o qualcosa da un momento all’altro.
Mi sento un po’ a disagio, in verità, perché mi osserva come se fossi una creatura rara rinchiusa dietro le sbarre di una gabbia, o forse il suo è più lo sguardo di qualcuno pronto a scappare.
‹‹Perché mi guardi così?››, gli chiedo, quindi.
Mi sarei aspettata qualsiasi risposta da lui, giuro, compreso “Hai un brufolo gigantesco sul naso”, o “Guarda, non vorrei essere io a dirtelo, ma hai la cerniera dei jeans aperti”, o ancora “Hai un rivolo di bava che cola sul mento. Fai un po’ impressione”.
Ho preso in considerazione ogni risposta possibile, tranne quella che esce dalla sua bocca.
‹‹Mi sembra strano che tu ancora non ti sia messa ad urlare. Quindi aspetto», rivela, candidamente. Lo guardo negli occhi, cercando di scorgere un piccolo scintillio di divertimento, ma niente. È serio.
‹‹Cavolo. Non ti sembra il caso di scendere un po’ dal piedistallo?››, gli rispondo, sincera.
Va bene tutto, però addirittura urlare come una pazza invasata mi sembra eccessivo. Posso immaginare che probabilmente gli sia già successo che qualcuna abbia – come dire – perso la testa, ma se davvero avessi voluto strillare l’avrei fatto da subito e non a scoppio ritardato.
‹‹Niente urla, quindi››.
‹‹Spiacente››.
‹‹Non ti strappi neanche i capelli?››, chiede, lasciandosi sfuggire un sorriso divertito.
‹‹Già ne ho pochi, ci manca solo che me li strappi per te. Senza offesa››, alzo le mani.
Non sia mai che ci resti male.
‹‹Non mi chiedi nemmeno di sposarti?››.
‹‹Ma cos’è, la prova del nove? Sono troppo giovane per sposarmi, abbi pazienza››, confesso, andando a sedermi sul divano.
‹‹Puoi sederti, sai? Giuro che cerco di non saltarti addosso››, credo che abbia colto il tono lievemente sarcastico, perché il suo volto si distende e finalmente il sorriso gentile raggiunge anche gli occhi.
Parliamo per qualche minuto del film, mi chiede se mi sia piaciuta la sua interpretazione, se secondo me potrebbe migliorare in qualcosa o se sia stato piuttosto convincente.
‹‹Non saprei, Taylor. A me sei sembrato perfettamente nella parte››, è la mia risposta, sincera. Mi accorgo, con sempre crescente stupore, che ho evitato tutte le possibili figuracce che avrei normalmente fatto. Sto parlando tranquilla con uno dei miei attori preferiti – che, resti tra noi, è maledettamente carino – e non mi sento a disagio, o avvolta da quella perenne aria di sfiga che mi perseguita tutti i giorni.
‹‹Sei talmente diversa da tutte le ragazze che conosco››, mormora, dopo qualche secondo di silenzio. Spalanco gli occhi, colpita, e non riesco a fare a meno – mio malgrado – di arrossire un po’.
‹‹In che senso, scusa?››, domando, un po’ curiosa e sempre imbarazzata.
‹‹Non mi hai chiamato Jacob, per esempio››.
‹‹Ti chiami Taylor, perché dovrei chiamarti Jacob, scusa?›› chiedo, perplessa.
Io mi chiamo Faith, perché a qualcuno dovrebbe venire in mente di chiamarmi Jenna? Certo, a meno che quel qualcuno non sia completamente fuori di testa.
‹‹A volta capita. Alcune persone non riescono a distinguermi dal mio personaggio. Che io sia Taylor o Jacob non fa alcuna differenza››, spiega, tremendamente serio.
È un po’ abbattuto mentre lo dice, e mi dispiace davvero vederlo così. Forse non posso capire quanto la cosa in realtà lo infastidisca o intristisca, però mi rendo conto che non deve essere piacevole: io mi incazzerei se mi chiamassero Jenna.
‹‹C’è tutta la differenza del mondo››, è l’unica, stupida cosa che riesco a dire, prima che Mr. Simpatia apra la porta senza nemmeno bussare.
L’ho già detto che è un grandissimo idiota?
‹‹È scaduto il tempo, Ragazzina. Non fare storie e sparisci››, dice, indicando la porta con l’indice. Ma per chi mi ha scambiato? Per un cane che deve andare a cuccia?
‹‹Sparisci lo dici a tua madre, idiota››, ribatto, alzandomi dal divano.
Sento Taylor alzarsi un secondo dopo di me, ma non lo guardo, perché sono troppo impegnata a vincere la lotta di sguardi con il commesso.
‹‹Non tirare in ballo mia madre, Ragazzina››, lo ignoro completamente, sicura che così facendo si infastidirà parecchio. Così impara.
Mi volto verso Taylor, che sembra stia trattenendosi dallo scoppiare a ridere in faccia a Mr. Simpatia, le cui guance si sono chiazzate di rosso.
Sono un po’ indecisa. Come si saluta Taylor Lautner? Mi sforzo di pensare a qualcosa di intelligente, che mi faccia sembrare la diciottenne seria che mi sforzo di essere − qualche volta riuscendoci –, ma non mi viene in mente niente che abbia effetto.
‹‹È stato un piacere››, dico, infine. Banale, ma vero.
Faccio per porgergli la mano, ma lui mi anticipa, si avvicina e mi lascia un bacio sulla guancia. Non arrossisco, ma solo perché mi ha colta di sorpresa.
Lo osservo stupita, mentre infila una mano nella tasca posteriore dei jeans, per estrarne un iPhone nero.
‹‹Mi daresti il tuo numero di telefono? Se non è un problema››, sembra quasi speranzoso, mentre mi porge l’iPhone, sulla cui schermata c’è una tastiera.
Digito velocemente il numero e glielo restituisco. Oggetti del genere sono pericolosi, se restano in mano mia troppo a lungo.
‹‹Grazie››, dice, con un sorriso che mi fa saltare un battito.
In ogni caso, non gli chiedo il numero; primo perché non avrei mai il coraggio di richiamarlo, secondo perché penso sinceramente che si dimenticherà di me nell’arco di due giorni. Siccome però sono una persona fondamentalmente ottimista, esagero dicendo tre.
‹‹Figurati. Ciao, allora››, sorrido un’ultima volta e gli do le spalle.
‹‹Ciao, Faith››.
Passo accanto a Mr. Simpatia e –accidentalmente- gli tiro una spallata.
È leggera, ma tanto basta per farlo fremere dalla rabbia. Credo che mi odi, ma non sono ancora soddisfatta. Ho detto che non mi piaceva litigare con gli sconosciuti? Be’, scherzavo.
‹‹A proposito di tua madre. Mi fa una gran pena, sai? Deve essere davvero sfortunata, se le tocca sopportarti tutto il giorno››, ridacchio, poi apro la porta e mi allontano.
Ma non abbastanza per non sentire Mr. Simpatia sibilare uno “Stronza” molto toccante.
Sento anche la risata di Taylor e non posso fare a meno di ridere anche io, sentendomi molto realizzata.
Mentre raggiungo Hilary riepilogo mentalmente quanto successo nell’ultima ora e mi stupisce che il bilancio sia così positivo: ho vinto un concorso –nonostante la mia proverbiale e rinomata Sfiga –, ho conosciuto un attore piuttosto famoso – che, detto tra noi, è maledettamente carino – e, infine, cosa più importante, mi sono presa una fantastica rivincita contro un’idiota supponente e presuntuoso.
Quando raggiungo Hilary, qualche minuto dopo, il sorriso non accenna a sparire dalla mia faccia.
Hilary picchietta con la mano sulla panchina dove è seduta, indicandomi il posto accanto a lei.
Mi siedo, e aspetto che inizi a sparare domande a raffica.
‹‹Chi era?››, domanda numero 1.
‹‹Taylor Lautner››, rispondo, altrettanto telegrafica.
‹‹Sempre il solito culo››, replica, prima di scoppiare a ridere, divertita.
Ovviamente Hilary è perfettamente a conoscenza della mia guerra con la Dea Bendata e non passa giorno in cui non si diverta a ribadire il concetto.
‹‹Dico sul serio, Faith. Questa volta sei stata davvero fortunata. Non riesco a crederci››.
Annuisco, pienamente d’accordo.
‹‹Non dirlo a me››.
Nella seguente mezz’ora vengo messa praticamente sotto torchio.
Cosa vi siete detti? È figo come sembra? Gli hai chiesto di levarsi la maglietta? Come no! Ma sei scema? Davvero quell’idiota ti ha chiamato Ragazzina?
Quando finalmente Hilary esaurisce la scarica di domande, ciascuna delle quali è stata ripetuta un numero imprecisato di volte, riesco a finire di raccontare.
‹‹… e alla fine gli ho lasciato il numero››, concludo, stremata.
Hilary mi osserva pensierosa per qualche minuto, e proprio mentre inizio a pensare che nel suo cervello sia successo qualcosa di irreparabile, salta in piedi e fa una giravolta su sé stessa.
‹‹Ti richiamerà presto››, dice, con tono solenne ed estremamente serio.
Mi alzo e insieme ci avviamo verso l’uscita.
‹‹Certo, Paolo Fox. Quando i pianeti saranno tutti perfettamente allineati››, le rispondo, sarcastica. Lei ride, ma non ribatte: sa che ho ragione.

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Capitolo 2
*** Lui. ***


Introduzione:
So che avevo detto che non avrei continuato e che la storia si sarebbe limitata ad un unico capitolo. Oggi, però, dopo aver risposto alla recensione di Rita_Lautner, mi è venuto in mente che avrei potuto scrivere un secondo capitolo, dal punto di vista di Taylor. In realtà ci stavo pensando già da un po’, ma oggi mi è proprio venuta l’ispirazione, quindi eccola qui! L’ho scritto di getto, e sono anche abbastanza soddisfatta, se devo dire la verità. La storia mi sembrava più completa, aggiungendo anche un secondo punto di vista, no?
Spero davvero che vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate!
 
Ne approfitto per ringraziare Rita_Lautner, ConcyCullen, omg1 e xpurplepanda per aver commentato il primo capitolo!
 
 
 
 
Il biglietto 217
-Taylor’s PoV-
 


 
 
Perché sempre a me?
Okay, sono il più piccolo e okay, ho una delle parti principali del film, ma per quale motivo dovrei prestarmi ad una cosa del genere?
Insomma, amo le mie fan – be’, amare è una parola grossa, diciamo che apprezzo il loro sostegno – ma da qui a convincermi a rinchiudermi in una stanza con una di loro, mi sembra un’esagerazione.
E tutto per colpa di quello stupido di Rob.
Se solo non avesse tirato fuori la cazzata del “sono fidanzato e Kirsten potrebbe ingelosirsi parecchio” e poi la supplica di “ti prego, Taylor, fallo per me”, per finire con il ricatto di “se non lo fai dirò al produttore che sei stato a letto con sua figlia”, a quest’ora ci sarebbe lui, seduto su questo cavolo di divanetto bianco, in attesa della prossima fan sfegatata che se ne uscirà sicuramente con qualcosa di molto simile ad un «ti prego levati la maglietta!»
E se fosse un uomo? Dio, non voglio neanche pensarci. Non che io sia contro gli omosessuali, o chissà che cosa, ma il pensiero che un ragazzo mi proponga di spogliarmi mi fa un brutto effetto. Che poi mi sembra piuttosto improbabile: insomma, sembra che a seguire Twilight&Co. siano soprattutto ragazze. Il che non è una vera sfortuna, visto che a volte capita di trovarne qualcuno piuttosto carina.
E non nego nemmeno di averci provato, consapevole che avrebbero fatto di tutto pur di dire in giro che Jacob Black aveva davvero gli addominali più incredibili di sempre. Ehi, questo mica lo dico, lo dicono loro!
«Ha capito, signor Lautner?» la voce fastidiosa del commesso – non saprei come altro chiamarlo – mi distrae dai miei pensieri. Gli rivolgo un’occhiata infastidita, come ogni star che si rispetti. Non che io di solito mi diverta a fare lo stronzo, ma questo proprio è odioso.
Dai, non avrà neanche venticinque anni, ma è davvero sfigato.
«Non sono mica stupido.» borbotto, alzando gli occhi al cielo. È da un’ora che continua a ripetermi la stessa cosa. Lui sta zitto, poi mi volta le spalle e se ne và.
Bene, ancora qualche minuto di silenzio e di pace, prima che le urla della prossima ragazzina fuori di testa mi trapanino il cervello.
«Pertanto, invito il possessore del biglietto 217 a raggiungermi.» sento che dice il commesso, che forse si chiama Steven, ma non mi ricordo del tutto.
Wow, ha un entusiasmo davvero esagerato, mentre parla. Nemmeno stesse annunciando che la cerimonia funebre inizierà da lì a dieci minuti.
Mi accomodo sul divano, nervoso e spazientito: non ho nessuna voglia di sentire le urla. Dopo un po’ diventano davvero stancanti.
«Pensi di muoverti?» la voce del commesso mi raggiunge di nuovo, un po’ più vicina. Poi la porta si apre, lentamente, in maniera vagamente inquietante e una figura minuta fa capolino.
«Bastardo.» la sento mormorare, prima che inizi a guardarsi intorno con aria curiosa.
Quando mi individua, si immobilizza un po’, apre e chiude la bocca un paio di volte, forse nel tentativo di trovare qualcosa da dire e infine la richiude. Decido di andarle incontro, ma mi muovo cautamente, perché ho ancora paura che da un momento all’altro potrebbe mettersi ad urlare come un’invasata. È ancora immobile, però, e non sembra nemmeno sull’orlo di un collasso, così mi sforzo di sorridere e le porgo la mano.
«Ciao, io sono Taylor.» mi presento. Certo, come se ci fosse bisogno. Sicuramente saprà anche quante volte vado in bagno.
«Io sono Faith, piacere di conoscerti.» sorride e mi stringe la mano.
Ha un sorriso bellissimo, noto. E quelle due fossette sono davvero adorabili. La osservo con più attenzione: è carina. Con i capelli castani lunghi fino alle spalle e liscissimi, una frangetta sbarazzina e gli occhi scuri, caldi. Non è tanto alta, ed è un po’ minuta, tuttavia i jeans chiari e la maglietta verde la fasciano alla perfezione.
La verità? Continuo a credere che da un momento all’altro perderà la testa.
«Perché mi guardi così?» chiede, all’improvviso.
Non mi sarei mai aspettato una domanda del genere, dico sul serio. Perciò mi lascio scappare la verità, senza nemmeno sapere perché. In un’altra situazione, probabilmente, me ne sarei uscito con un “sei bellissima” o qualcosa del genere.
«Mi sembra strano che tu ancora non ti sia messa ad urlare. Quindi aspetto.» rivelo, candidamente. Be’, è la verità.
La vedo inarcare un sopracciglio e storcere la bocca in un’espressione palesemente scettica. Rettifico: non è solo carina, è bella.
«Cavolo. Non ti sembra il caso di scendere un po’ dal piedistallo?» domanda, mentre la sua voce assume un’inflessione divertita.
Io, da parte mia, sono completamente stupefatto. Giuro, è la prima volta che una ragazza mi si rivolge in questo modo. Una fan di Jacob Black, intendo. Che poi, chi l’ha detto che è una fan? Magari mi odia.  
«Niente urla, quindi.» suppongo, incrociando le braccia al petto.
«Spiacente.»
«Non ti strappi neanche i capelli?» chiedo, mio malgrado divertito da questa situazione. Non mi sarei mai aspettato di incontrare una ragazza così.
«Già ne ho pochi, ci manca solo che me li strappi per te. Senza offesa» alza le mani, come a dirmi di non prendermela affatto, ma che i suoi capelli sono decisamente troppo importanti per perderli a causa mia.
«Non mi chiedi nemmeno di sposarti?» ridacchio, mio malgrado divertito. Da un certo punto di vista potrei anche prendermela, visto che le ragazze stravedono per me. Perché lei dovrebbe essere diversa, in fondo?  
«Ma cos’è, la prova del nove? Sono troppo giovane per sposarmi, abbi pazienza.» confessa, prima di sedersi sul divano con una tranquillità e una sicurezza che mi lasciano decisamente di stucco.
«Puoi sederti, sai? Giuro che cerco di non saltarti addosso.»
Ecco, se fino a qualche secondo fa avevo ancora qualche dubbio che sarebbe scoppiata da un momento all’altro, ora, di fronte al suo tono sarcastico non posso fare a meno di sorridere, per davvero. Mi accomodo di fianco a lei, pur mantenendo una certa distanza. Non so perché, ma ho l’impressione che non le piacerebbe un granché se mi prendessi più confidenza del dovuto.
Così, per spezzare la tensione e tanto per parlare di qualcosa, le chiedo che come le è sembrato il film, se secondo lei potrei migliorare in qualcosa – anche se dubito che mi direbbe mai la verità, se anche la mia recitazione fosse uno schifo. O forse si, visto che mi sembra piuttosto sincera.  
«Non saprei, Taylor. A me sei sembrato perfettamente nella parte.» è la sua risposta. E non so perché, ma sono certo che lo pensi davvero.  
«Sei talmente diversa da tutte le ragazze che conosco.» mormoro, dopo qualche secondo di silenzio. Faith spalanca gli occhi, probabilmente incredula, e le sue guance si tingono di rosso. È adorabile.  
«In che senso, scusa?» chiede, sempre imbarazzata. Ho idea, però, che la sua curiosità superi di gran lunga la vergogna.
«Non mi hai chiamato Jacob, per esempio.» mi affretto a spiegarle. Probabilmente non capirà un accidenti e in effetti non posso proprio darle torto. A volte tendo a dimenticare che non tutti sono a conoscenza di quello che mi passa per la testa.
«Ti chiami Taylor, perché dovrei chiamarti Jacob, scusa?» chiede, infatti, evidentemente perplessa.
«A volta capita. Alcune persone non riescono a distinguermi dal mio personaggio. Che io sia Taylor o Jacob non fa alcuna differenza.» ecco, così va molto meglio, almeno è comprensibile, no?
«C’è tutta la differenza del mondo.» risponde Faith. Sapete, credo che qualcun’altra avrebbe sicuramente risposto in un altro modo. Non so, magari sembra strano solo a me che spesso mi confondano con il mio personaggio. Eppure sono sicuro che chiunque si incazzerebbe, se venisse chiamato in continuazione in un altro modo.  
Sto per risponderle che mi fa piacere che lei mi capisca, quando Steven apre la porta, senza nemmeno prendersi il disturbo di bussare.
L’ho già detto che mi sta sul cazzo? Be’, se non l’avessi fatto, lo dico ora: mi sta sul cazzo.
«È scaduto il tempo, ragazzina. Non fare storie e sparisci.» indica la porta con il dito, come se stesse scacciando un ospite indesiderato e assolutamente fastidioso. Discorso che potrebbe valere per lui, non di certo per Faith, che non è indesiderata, né tantomeno fastidiosa.
«Sparisci lo dici a tua madre, idiota.» ribatte Faith, alzandosi dal divano e gettandogli un’occhiata truce che fa arrossire Steven come un ragazzino.  
«Non tirare in ballo mia madre, ragazzina.» replica Steven. Nel frattempo il rossore sulle sue guance è aumentato in maniera spropositata.
Oh-oh, guarda un po’ chi si è incazzato, penso, trattenendomi dallo scoppiare a ridergli in faccia.
Faith intanto si è girata verso di me, e sembra parecchio indecisa.
«È stato un piacere.» dice, porgendomi la mano. Così non và: troppo formale.
Perciò la anticipo, lasciandole un bacio sulla guancia. Poi penso che questa è probabilmente la prima e unica volta in cui la vedrò e mi rendo conto che non è assolutamente mia intenzione lasciarmela sfuggire. Cerco l’iPhone nella tasca dei jeans e glielo passo, con un sorriso tranquillo.  
«Mi daresti il tuo numero di telefono? Se non è un problema.» chiedo, un po’ speranzoso. E se non volesse più vedermi? Insomma, se le stessi antipatico? Ogni dubbio sparisce quando la vedo digitare in tutta fretta il proprio numero.
«Grazie.» le sorrido di nuovo e, questa volta, arrossisce. E, ancora una volta, non posso fare a meno di trovarla adorabile.  
«Figurati. Ciao, allora.» sorride di nuovo, prima di voltarmi le spalle.
«Ciao, Faith.»
La osservo, mentre passa accanto a Steven e, accidentalmente, gli tira una spallata. Non so perché, ma qualcosa mi dice che l’abbia fatto apposta per farlo incazzare.
«A proposito di tua madre. Mi fa una gran pena, sai? Deve essere davvero sfortunata, se le tocca sopportarti tutto il giorno.» gli dice, amabile. Poi scoppia a ridere ed esce. Certo che ha proprio un bel caratterino.
Devo ricordarmi di ringraziare Rob, quando arrivo in albergo.
 
 

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