Il Biglietto 217 di TheOnlyWay (/viewuser.php?uid=125619)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lei. ***
Capitolo 2: *** Lui. ***
Capitolo 1 *** Lei. ***
Introduzione:
Questa
One-shot, nasce in origine
come una storia composta da parecchi capitoli. È rimasta in
archivio nel mio
computer per circa due anni. Mi sono resa conto, però, che
era un po’ surreale,
quindi ho deciso di pubblicarla in due soli capitoli, il primo con il
punto di vista di Faith, il secondo con quello di Taylor.
Bene,
dopo queste chiacchiere – che sicuramente
non vi interessano – vi lascio alla lettura.
Se
qualcuno avesse voglia di farmi
sapere cosa ne pensa, sarei davvero felice.
È
molto importante per me, ricevere
un parere esterno…
Grazie
mille,
TheOnlyWay
Disclaimer:
“Con questo mio scritto,
pubblicato
senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione
veritiera del
carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo”
Il biglietto 217
-Faith's PoV-
Solitamente
non sono una persona
molto fortunata. Anzi, se proprio devo essere sincera, credo di avere
qualcosa
che attira molta più sfiga del dovuto.
Probabilmente
sto parecchio
antipatica alla Dea Bendata, che si prodiga più che
può per non farmi mai dimenticare
di avere il Fato contro.
Per
questo motivo sto seduta con
aria insofferente sulla poltrona del cinema, aspettando che questo
mostro di
simpatia del commesso finisca la sua pappardella sulla grande
opportunità
fornita dal cinema e dalla casa produttrice del film.
Lo
osservo, mentre avverte il
fortunato possessore del biglietto numero 217, che ha avuto
l’immensa fortuna –
ancora con ‘sta fortuna, inizio a pensare che non sappia dire
altro – di
vincere un incontro con uno degli attori protagonisti del film.
‹‹Pertanto,
invito il possessore del
biglietto 217 a raggiungermi››, è
piuttosto antipatico, a mio avviso. Insomma,
nemmeno un sorriso, o un tono minimamente partecipativo.
Avrà vent’anni, al
massimo venticinque, ma ha l’entusiasmo di
un’ottantenne.
Una
gomitata piuttosto poderosa mi
riscuote dai miei pensieri sul ragazzo. Mi volto verso Hilary, che con
un cenno
della testa indica la mia poltrona.
‹‹Be’?
Che c’è?››, chiedo, confusa.
In
un istante mi sento addosso un numero indefinito di sguardi. Quanta
gente entra
nella sala 5?
‹‹Hai
sentito cos’ha detto?››,
capisco che fa riferimento al commesso – o come cavolo si
chiama – solo perché
lo fissa insistentemente.
‹‹Si,
che ho sentito. Sono tre ore
che invita il possessore del biglietto
217 a raggiungerlo››, lo scimmiotto,
aspettandomi una risata di
apprezzamento dalla mia migliore amica che, invece, mi tira un coppino
con una
veemenza che da lei non mi sarei mai aspettata.
‹‹E
secondo te perché nessuno si è
ancora alzato?››, chiede, lievemente isterica.
Strano.
Da quando Hilary è così
irritabile? Di solito non ha tanta fretta di andare via, anche se non
ama
particolarmente il cinema.
‹‹Come
faccio a saperlo? Magari è
andato in bagno››, propongo, con
un’alzata di spalle.
Intanto
Mr. Simpatia ripete
l’annuncio per l’ennesima volta, anche se adesso
dalla sua voce trapela tutto
il fastidio che prova. Lui si che sa come intrattenere gli spettatori.
‹‹O
magari è talmente cretino da non
sapere in che posto è seduto››,
mormora Hilary, inarcando un sopracciglio.
‹‹Può
essere. Ma dovrebbe essere un
vero idiota››. Esattamente come mi sento io in
questo momento. Una perfetta
idiota. Vorrei morire, sprofondare negli abissi più bui,
nascondermi sotto
questa fottutissima poltrona.
‹‹Lo
sai che sono una sfigata
cronica, come ho fatto a vincere?››, chiedo,
capendo che è giunta l’ora di
alzarmi in piedi. Hilary alza gli occhi al cielo e mi dà una
spinta sulla
schiena. Rischio quasi di ammazzarmi e di cadere lungo le scale, ma
oggi devo
essere davvero fortunata, perché riesco a restare in piedi.
‹‹Ti
aspetto fuori››, dice Hilary,
prima di afferrare la borsa e filarsela dalla sala. Se non sapessi che
non fuma,
penserei che stia andando a farsi una dose doppia di nicotina.
Ammetto
che a volte starmi dietro
può essere piuttosto stancante.
Il
simpaticone sbuffa, mentre picchietta
ritmicamente con il piede sulla moquette blu. Snervante. Per un solo
istante
provo l’impulso di rallentare; sapete, tanto per il gusto di
farlo inviperire
ancora di più.
Sbuffa
un’altra volta, poi con un
gesto secco della mano mi indica una porta nera che non ho mai notato,
nonostante frequenti questo cinema già da parecchio tempo.
Riconfermando
la mia idea iniziale,
il commesso – continuerò a chiamarlo
così – non si degna neanche di aprirmi la
porta, rivelandosi così, oltre che antipatico, poco galante
o cavalleresco o
quel che è.
Essendo
votata al quieto vivere, ed
essendo che non mi piace litigare con gli sconosciuti, decido di stare
zitta e
di non fargli notare quanto in realtà sia maleducato da
parte sua abbandonare
una donzella in difficoltà davanti ad una spaventosa porta
nera. Che poi, dico
io, proprio di quel colore, dovevano comprarla? Perché non
verde, o arancione? No,
loro comprano la porta nera, nera come la sfiga che mi perseguita
maleficamente.
Dea
Bendata, che tu sia dannata in
eterno per tutto quello che sto passando.
Trovo
quasi patetico che solo un
momento prima di entrare, mi venga in mente che questa potrebbe essere
la
figura di merda più grande di tutta la mia vita. Come se
già non ne avessi
collezionate abbastanza: cadute, commenti che avrebbero dovuto restare
per
sempre nel mio cervello espressi invece ad alta voce, risate isteriche
che mi
hanno fatto passare per un’invasata, insomma, cose
così.
Questa
sarà sicuramente la peggiore,
perché sto per farla davanti ad un attore. Non importa chi
sia, so solo che
desidererò fortemente sparire tra qualche minuto.
Prendo
un respiro profondo e cerco
di concentrarmi, ma vengo interrotta da un tossicchiare fastidioso alle
mie spalle.
Oh,
ma guarda. È tornato il
simpaticone!
‹‹Pensi
di muoverti?››, chiede,
acido come un limone.
Non
gli rispondo neanche, e appoggio
la mano sulla maniglia della porta. Prendo coraggio e
l’abbasso, poi spingo. La
porta si apre lentamente, senza nessun rumore; mi aspettavo almeno
qualche
cigolio sinistro.
Faccio
un passo, poi un altro e un
altro ancora e la porta si richiude alla mie spalle. Ed io mi sento in
trappola, mentre maledico il simpaticone che non apre le porte, ma che
sicuramente le sa chiudere teatralmente. Mormoro un “bastardo”
e mi guardo intorno.
La
stanza è molto sobria ed è tutta
arredata sui toni del beige e del dorato.
Sul
divanetto bianco, posto dietro
ad un tavolino basso dal ripiano di vetro, siede uno degli attori
protagonisti
del film.
Boccheggio
un paio di volte e sono
sicura di sembrare una perfetta idiota – ancora una volta
– perché lui
si alza un po’ titubante e fa qualche
passo avanti.
Mi
faccio forza, e decido che per la
prima volta nella mia vita impedirò alla sfiga e alle figure
di merda di
prendere il sopravvento su di me.
Chiudo
gli occhi per un secondo, e
quando li riapro sono tranquilla.
Sfodero
il mio sorriso più
rassicurante e sembra che funzioni, perché il ragazzo aggira
il tavolino un po’
più convinto e mi porge la mano destra con un sorriso che
mette in mostra dei
denti meravigliosamente bianchi.
‹‹Ciao,
io sono Taylor››, si
presenta, afferrando la mia mano e stringendola con decisione.
Bene,
mi piacciono le persone che
hanno una stretta sicura.
‹‹Io
sono Faith, piacere di
conoscerti››, sorrido ancora e aspetto che sia
lui il primo a dire qualcosa.
Cosa
posso dire ad un attore?
Sto
per uscirmene con un qualcosa di
molto simile ad un “Ottima
interpretazione, Taylor. Soprattutto quando ti sei infilato nel sacco a
pelo di
Bella”, quando mi accorgo che lo sguardo di Taylor
è un po’ strano. Troppo
sull’attenti, troppo titubante. Sembra quasi che stia
aspettando qualcuno o
qualcosa da un momento all’altro.
Mi
sento un po’ a disagio, in
verità, perché mi osserva come se fossi una
creatura rara rinchiusa dietro le
sbarre di una gabbia, o forse il suo è più lo
sguardo di qualcuno pronto a
scappare.
‹‹Perché
mi guardi così?››, gli
chiedo, quindi.
Mi
sarei aspettata qualsiasi
risposta da lui, giuro, compreso “Hai
un
brufolo gigantesco sul naso”, o “Guarda,
non vorrei essere io a dirtelo, ma hai la cerniera dei jeans
aperti”, o
ancora “Hai un rivolo di bava che
cola
sul mento. Fai un po’ impressione”.
Ho
preso in considerazione ogni
risposta possibile, tranne quella che esce dalla sua bocca.
‹‹Mi
sembra strano che tu ancora non
ti sia messa ad urlare. Quindi aspetto», rivela,
candidamente. Lo guardo negli
occhi, cercando di scorgere un piccolo scintillio di divertimento, ma
niente. È
serio.
‹‹Cavolo.
Non ti sembra il caso di
scendere un po’ dal piedistallo?››, gli
rispondo, sincera.
Va
bene tutto, però addirittura
urlare come una pazza invasata mi sembra eccessivo. Posso immaginare
che
probabilmente gli sia già successo che qualcuna abbia
– come dire – perso la testa,
ma se davvero avessi voluto strillare l’avrei fatto da subito
e non a scoppio
ritardato.
‹‹Niente
urla, quindi››.
‹‹Spiacente››.
‹‹Non
ti strappi neanche i
capelli?››, chiede, lasciandosi sfuggire un
sorriso divertito.
‹‹Già
ne ho pochi, ci manca solo che
me li strappi per te. Senza offesa››, alzo le
mani.
Non
sia mai che ci resti male.
‹‹Non
mi chiedi nemmeno di
sposarti?››.
‹‹Ma
cos’è, la prova del nove? Sono
troppo giovane per sposarmi, abbi pazienza››,
confesso, andando a sedermi sul
divano.
‹‹Puoi
sederti, sai? Giuro che cerco
di non saltarti addosso››, credo che abbia colto
il tono lievemente sarcastico,
perché il suo volto si distende e finalmente il sorriso
gentile raggiunge anche
gli occhi.
Parliamo
per qualche minuto del
film, mi chiede se mi sia piaciuta la sua interpretazione, se secondo
me
potrebbe migliorare in qualcosa o se sia stato piuttosto convincente.
‹‹Non
saprei, Taylor. A me sei
sembrato perfettamente nella parte››,
è la mia risposta, sincera. Mi accorgo,
con sempre crescente stupore, che ho evitato tutte le possibili
figuracce che
avrei normalmente fatto. Sto parlando tranquilla con uno dei miei
attori
preferiti – che, resti tra noi, è maledettamente
carino – e non mi sento a
disagio, o avvolta da quella perenne aria di sfiga che mi perseguita
tutti i
giorni.
‹‹Sei
talmente diversa da tutte le
ragazze che conosco››, mormora, dopo qualche
secondo di silenzio. Spalanco gli
occhi, colpita, e non riesco a fare a meno – mio malgrado
– di arrossire un
po’.
‹‹In
che senso, scusa?››, domando,
un po’ curiosa e sempre imbarazzata.
‹‹Non
mi hai chiamato Jacob, per
esempio››.
‹‹Ti
chiami Taylor, perché dovrei
chiamarti Jacob, scusa?›› chiedo, perplessa.
Io mi
chiamo Faith, perché a
qualcuno dovrebbe venire in mente di chiamarmi Jenna? Certo, a meno che
quel
qualcuno non sia completamente fuori di testa.
‹‹A
volta capita. Alcune persone non
riescono a distinguermi dal mio personaggio. Che io sia Taylor o Jacob
non fa
alcuna differenza››, spiega, tremendamente serio.
È
un po’ abbattuto mentre lo dice, e
mi dispiace davvero vederlo così. Forse non posso capire
quanto la cosa in
realtà lo infastidisca o intristisca, però mi
rendo conto che non deve essere
piacevole: io mi incazzerei se mi chiamassero Jenna.
‹‹C’è
tutta la differenza del mondo››,
è l’unica, stupida cosa che riesco a dire, prima
che Mr. Simpatia apra la porta
senza nemmeno bussare.
L’ho
già detto che è un grandissimo
idiota?
‹‹È
scaduto il tempo, Ragazzina. Non
fare storie e sparisci››,
dice, indicando la porta con l’indice. Ma per chi mi ha
scambiato? Per un cane
che deve andare a cuccia?
‹‹Sparisci
lo dici a tua madre,
idiota››, ribatto, alzandomi dal divano.
Sento
Taylor alzarsi un secondo dopo
di me, ma non lo guardo, perché sono troppo impegnata a
vincere la lotta di sguardi
con il commesso.
‹‹Non
tirare in ballo mia madre, Ragazzina››,
lo ignoro completamente, sicura che così facendo si
infastidirà parecchio. Così
impara.
Mi
volto verso Taylor, che sembra
stia trattenendosi dallo scoppiare a ridere in faccia a Mr. Simpatia,
le cui
guance si sono chiazzate di rosso.
Sono
un po’ indecisa. Come si saluta
Taylor Lautner? Mi sforzo di pensare a qualcosa di intelligente, che mi
faccia
sembrare la diciottenne seria che mi sforzo di essere −
qualche volta
riuscendoci –, ma non
mi viene in mente
niente che abbia effetto.
‹‹È
stato un piacere››, dico,
infine. Banale, ma vero.
Faccio
per porgergli la mano, ma lui
mi anticipa, si avvicina e mi lascia un bacio sulla guancia. Non
arrossisco, ma
solo perché mi ha colta di sorpresa.
Lo
osservo stupita, mentre infila
una mano nella tasca posteriore dei jeans, per estrarne un iPhone nero.
‹‹Mi
daresti il tuo numero di
telefono? Se non è un problema››,
sembra quasi speranzoso, mentre mi porge l’iPhone,
sulla cui schermata c’è una tastiera.
Digito
velocemente il numero e
glielo restituisco. Oggetti del genere sono pericolosi, se restano in
mano mia
troppo a lungo.
‹‹Grazie››,
dice, con un sorriso che
mi fa saltare un battito.
In
ogni caso, non gli chiedo il
numero; primo perché non avrei mai il coraggio di
richiamarlo, secondo perché
penso sinceramente che si dimenticherà di me
nell’arco di due giorni. Siccome
però sono una persona fondamentalmente ottimista, esagero
dicendo tre.
‹‹Figurati.
Ciao, allora››, sorrido
un’ultima volta e gli do le spalle.
‹‹Ciao,
Faith››.
Passo
accanto a Mr. Simpatia e
–accidentalmente- gli tiro una spallata.
È
leggera, ma tanto basta per farlo
fremere dalla rabbia. Credo che mi odi, ma non sono ancora soddisfatta.
Ho
detto che non mi piaceva litigare con gli sconosciuti? Be’,
scherzavo.
‹‹A
proposito di tua madre. Mi fa
una gran pena, sai? Deve essere davvero sfortunata, se le tocca
sopportarti
tutto il giorno››, ridacchio, poi apro la porta e
mi allontano.
Ma
non abbastanza per non sentire
Mr. Simpatia sibilare uno “Stronza”
molto toccante.
Sento
anche la risata di Taylor e
non posso fare a meno di ridere anche io, sentendomi molto realizzata.
Mentre
raggiungo Hilary riepilogo
mentalmente quanto successo nell’ultima ora e mi stupisce che
il bilancio sia
così positivo: ho vinto un concorso –nonostante la
mia proverbiale e rinomata
Sfiga –, ho conosciuto
un attore
piuttosto famoso – che, detto tra noi, è
maledettamente carino – e, infine,
cosa più importante, mi sono presa una fantastica rivincita
contro un’idiota supponente
e presuntuoso.
Quando
raggiungo Hilary, qualche
minuto dopo, il sorriso non accenna a sparire dalla mia faccia.
Hilary
picchietta con la mano sulla
panchina dove è seduta, indicandomi il posto accanto a lei.
Mi
siedo, e aspetto che inizi a
sparare domande a raffica.
‹‹Chi
era?››, domanda numero 1.
‹‹Taylor
Lautner››, rispondo,
altrettanto telegrafica.
‹‹Sempre
il solito culo››, replica,
prima di scoppiare a ridere, divertita.
Ovviamente
Hilary è perfettamente a
conoscenza della mia guerra con la Dea Bendata e non passa giorno in
cui non si
diverta a ribadire il concetto.
‹‹Dico
sul serio, Faith. Questa
volta sei stata davvero fortunata. Non riesco a
crederci››.
Annuisco,
pienamente d’accordo.
‹‹Non
dirlo a me››.
Nella
seguente mezz’ora vengo messa
praticamente sotto torchio.
Cosa vi siete detti? È
figo come sembra? Gli hai chiesto
di levarsi la maglietta? Come no! Ma sei scema? Davvero
quell’idiota ti ha
chiamato Ragazzina?
Quando
finalmente Hilary esaurisce
la scarica di domande, ciascuna delle quali è stata ripetuta
un numero
imprecisato di volte, riesco a finire di raccontare.
‹‹…
e alla fine gli ho lasciato il
numero››, concludo, stremata.
Hilary
mi osserva pensierosa per
qualche minuto, e proprio mentre inizio a pensare che nel suo cervello
sia
successo qualcosa di irreparabile, salta in piedi e fa una giravolta su
sé
stessa.
‹‹Ti
richiamerà presto››, dice, con
tono solenne ed estremamente serio.
Mi
alzo e insieme ci avviamo verso
l’uscita.
‹‹Certo,
Paolo Fox. Quando i pianeti
saranno tutti perfettamente allineati››, le
rispondo, sarcastica. Lei ride, ma
non ribatte: sa che ho ragione.
|
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Capitolo 2 *** Lui. ***
Introduzione:
So
che avevo detto che non avrei continuato e che la storia si sarebbe
limitata ad
un unico capitolo. Oggi, però, dopo aver risposto alla
recensione di Rita_Lautner,
mi è venuto in mente che avrei potuto scrivere un secondo
capitolo, dal punto
di vista di Taylor. In realtà ci stavo pensando
già da un po’, ma oggi mi è
proprio venuta l’ispirazione, quindi eccola qui!
L’ho scritto di getto, e sono anche
abbastanza soddisfatta, se devo dire la verità. La storia mi
sembrava più
completa, aggiungendo anche un secondo punto di vista, no?
Spero
davvero che vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate!
Ne
approfitto per ringraziare Rita_Lautner, ConcyCullen, omg1 e
xpurplepanda per
aver commentato il primo capitolo!
Il
biglietto
217
-Taylor’s
PoV-
Perché
sempre a me?
Okay,
sono il più piccolo e okay, ho una delle parti principali
del film, ma per
quale motivo dovrei prestarmi ad una cosa del genere?
Insomma,
amo le mie fan – be’, amare
è una
parola grossa, diciamo che apprezzo il loro sostegno – ma da
qui a convincermi
a rinchiudermi in una stanza con una di loro, mi sembra
un’esagerazione.
E
tutto per colpa di quello stupido di Rob.
Se
solo non avesse tirato fuori la cazzata del “sono
fidanzato e Kirsten potrebbe ingelosirsi parecchio”
e poi la
supplica di “ti prego, Taylor, fallo
per
me”, per finire con il ricatto di “se
non lo fai dirò al produttore che sei stato a letto con sua
figlia”, a
quest’ora ci sarebbe lui, seduto su questo cavolo di
divanetto bianco, in
attesa della prossima fan sfegatata che se ne uscirà
sicuramente con qualcosa
di molto simile ad un «ti prego levati la
maglietta!»
E
se fosse un uomo? Dio, non voglio neanche pensarci. Non che io sia
contro gli
omosessuali, o chissà che cosa, ma il pensiero che un
ragazzo mi proponga di
spogliarmi mi fa un brutto effetto. Che poi mi sembra piuttosto
improbabile:
insomma, sembra che a seguire Twilight&Co. siano soprattutto
ragazze. Il
che non è una vera sfortuna, visto che a volte capita di
trovarne qualcuno
piuttosto carina.
E
non nego nemmeno di averci provato, consapevole che avrebbero fatto di
tutto
pur di dire in giro che Jacob Black aveva davvero gli addominali
più
incredibili di sempre. Ehi, questo mica lo dico, lo dicono loro!
«Ha
capito, signor Lautner?» la voce fastidiosa del commesso
– non saprei come
altro chiamarlo – mi distrae dai miei pensieri. Gli rivolgo
un’occhiata
infastidita, come ogni star che si rispetti. Non che io di solito mi
diverta a
fare lo stronzo, ma questo proprio è odioso.
Dai,
non avrà neanche venticinque anni, ma è davvero
sfigato.
«Non
sono mica stupido.» borbotto, alzando gli occhi al cielo.
È da un’ora che
continua a ripetermi la stessa cosa. Lui sta zitto, poi mi volta le
spalle e se
ne và.
Bene,
ancora qualche minuto di silenzio e di pace, prima che le urla della
prossima
ragazzina fuori di testa mi trapanino il cervello.
«Pertanto,
invito il possessore del biglietto 217 a raggiungermi.» sento
che dice il
commesso, che forse si chiama Steven, ma non mi ricordo del tutto.
Wow,
ha un entusiasmo davvero esagerato, mentre parla. Nemmeno stesse
annunciando
che la cerimonia funebre inizierà da lì a dieci
minuti.
Mi
accomodo sul divano, nervoso e spazientito: non ho nessuna voglia di
sentire le
urla. Dopo un po’ diventano davvero stancanti.
«Pensi
di muoverti?» la voce del commesso mi raggiunge di nuovo, un
po’ più vicina. Poi
la porta si apre, lentamente, in maniera vagamente inquietante e una
figura
minuta fa capolino.
«Bastardo.»
la sento mormorare, prima che inizi a guardarsi intorno con aria
curiosa.
Quando
mi individua, si immobilizza un po’, apre e chiude la bocca
un paio di volte,
forse nel tentativo di trovare qualcosa da dire e infine la richiude.
Decido di
andarle incontro, ma mi muovo cautamente, perché ho ancora
paura che da un
momento all’altro potrebbe mettersi ad urlare come
un’invasata. È ancora
immobile, però, e non sembra nemmeno sull’orlo di
un collasso, così mi sforzo
di sorridere e le porgo la mano.
«Ciao,
io sono Taylor.» mi presento. Certo, come se ci fosse
bisogno. Sicuramente saprà
anche quante volte vado in bagno.
«Io
sono Faith, piacere di conoscerti.» sorride e mi stringe la
mano.
Ha
un sorriso bellissimo, noto. E quelle due fossette sono davvero
adorabili. La osservo
con più attenzione: è carina. Con i capelli
castani lunghi fino alle spalle e
liscissimi, una frangetta sbarazzina e gli occhi scuri, caldi. Non
è tanto
alta, ed è un po’ minuta, tuttavia i jeans chiari
e la maglietta verde la
fasciano alla perfezione.
La
verità? Continuo a credere che da un momento
all’altro perderà la testa.
«Perché
mi guardi così?» chiede, all’improvviso.
Non
mi sarei mai aspettato una domanda del genere, dico sul serio.
Perciò mi lascio
scappare la verità, senza nemmeno sapere perché.
In un’altra situazione,
probabilmente, me ne sarei uscito con un “sei
bellissima” o qualcosa del genere.
«Mi
sembra strano che tu ancora non ti sia messa ad urlare. Quindi
aspetto.»
rivelo, candidamente. Be’, è la verità.
La
vedo inarcare un sopracciglio e storcere la bocca in
un’espressione palesemente
scettica. Rettifico: non è solo carina, è bella.
«Cavolo.
Non ti sembra il caso di scendere un po’ dal
piedistallo?» domanda, mentre la
sua voce assume un’inflessione divertita.
Io,
da parte mia, sono completamente stupefatto. Giuro, è la
prima volta che una
ragazza mi si rivolge in questo modo. Una fan di Jacob Black, intendo.
Che poi,
chi l’ha detto che è una fan? Magari mi odia.
«Niente
urla, quindi.» suppongo,
incrociando le braccia al petto.
«Spiacente.»
«Non
ti strappi neanche i capelli?»
chiedo, mio malgrado divertito da questa situazione. Non mi sarei mai
aspettato
di incontrare una ragazza così.
«Già
ne ho pochi, ci manca solo che
me li strappi per te. Senza offesa» alza le mani, come a
dirmi di non
prendermela affatto, ma che i suoi capelli sono decisamente troppo
importanti
per perderli a causa mia.
«Non
mi chiedi nemmeno di sposarti?»
ridacchio, mio malgrado divertito. Da un certo punto di vista potrei
anche
prendermela, visto che le ragazze stravedono per me. Perché
lei dovrebbe essere
diversa, in fondo?
«Ma
cos’è, la prova del nove? Sono
troppo giovane per sposarmi, abbi pazienza.» confessa, prima
di sedersi sul
divano con una tranquillità e una sicurezza che mi lasciano
decisamente di
stucco.
«Puoi
sederti, sai? Giuro che cerco
di non saltarti addosso.»
Ecco,
se fino a qualche secondo fa
avevo ancora qualche dubbio che sarebbe scoppiata da un momento
all’altro, ora,
di fronte al suo tono sarcastico non posso fare a meno di sorridere,
per
davvero. Mi accomodo di fianco a lei, pur mantenendo una certa
distanza. Non so
perché, ma ho l’impressione che non le piacerebbe
un granché se mi prendessi
più confidenza del dovuto.
Così,
per spezzare la tensione e
tanto per parlare di qualcosa, le chiedo che come le è
sembrato il film, se
secondo lei potrei migliorare in qualcosa – anche se dubito
che mi direbbe mai
la verità, se anche la mia recitazione fosse uno schifo. O
forse si, visto che mi
sembra piuttosto sincera.
«Non
saprei, Taylor. A me sei
sembrato perfettamente nella parte.» è la sua
risposta. E non so perché, ma
sono certo che lo pensi davvero.
«Sei
talmente diversa da tutte le
ragazze che conosco.» mormoro, dopo qualche secondo di
silenzio. Faith spalanca
gli occhi, probabilmente incredula, e le sue guance si tingono di
rosso. È adorabile.
«In
che senso, scusa?» chiede,
sempre imbarazzata. Ho idea, però, che la sua
curiosità superi di gran lunga la
vergogna.
«Non
mi hai chiamato Jacob, per
esempio.» mi affretto a spiegarle. Probabilmente non
capirà un accidenti e in
effetti non posso proprio darle torto. A volte tendo a dimenticare che
non
tutti sono a conoscenza di quello che mi passa per la testa.
«Ti
chiami Taylor, perché dovrei
chiamarti Jacob, scusa?» chiede, infatti, evidentemente
perplessa.
«A
volta capita. Alcune persone non
riescono a distinguermi dal mio personaggio. Che io sia Taylor o Jacob
non fa
alcuna differenza.» ecco, così va molto meglio,
almeno è comprensibile, no?
«C’è
tutta la differenza del mondo.»
risponde Faith. Sapete, credo che qualcun’altra avrebbe
sicuramente risposto in
un altro modo. Non so, magari sembra strano solo a me che spesso mi
confondano
con il mio personaggio. Eppure sono sicuro che chiunque si
incazzerebbe, se
venisse chiamato in continuazione in un altro modo.
Sto
per risponderle che mi fa
piacere che lei mi capisca, quando Steven apre la porta, senza nemmeno
prendersi il disturbo di bussare.
L’ho
già detto che mi sta sul cazzo?
Be’, se non l’avessi fatto, lo dico ora: mi sta sul
cazzo.
«È
scaduto il tempo, ragazzina. Non
fare storie e sparisci.» indica
la porta con il dito, come se stesse scacciando un ospite indesiderato
e
assolutamente fastidioso. Discorso che potrebbe valere per lui, non di
certo
per Faith, che non è indesiderata, né tantomeno
fastidiosa.
«Sparisci
lo dici a tua madre,
idiota.» ribatte Faith, alzandosi dal divano e gettandogli
un’occhiata truce
che fa arrossire Steven come un ragazzino.
«Non
tirare in ballo mia madre, ragazzina.»
replica Steven. Nel frattempo il rossore sulle sue guance è
aumentato in
maniera spropositata.
Oh-oh, guarda un po’ chi
si è incazzato,
penso, trattenendomi dallo scoppiare a ridergli in
faccia.
Faith
intanto si è girata verso di
me, e sembra parecchio indecisa.
«È
stato un piacere.» dice,
porgendomi la mano. Così non và: troppo formale.
Perciò
la anticipo, lasciandole un
bacio sulla guancia. Poi penso che questa è probabilmente la
prima e unica
volta in cui la vedrò e mi rendo conto che non è
assolutamente mia intenzione
lasciarmela sfuggire. Cerco l’iPhone nella tasca dei jeans e
glielo passo, con
un sorriso tranquillo.
«Mi
daresti il tuo numero di telefono?
Se non è un problema.» chiedo, un po’
speranzoso. E se non volesse più vedermi?
Insomma, se le stessi antipatico? Ogni dubbio sparisce quando la vedo
digitare
in tutta fretta il proprio numero.
«Grazie.»
le sorrido di nuovo e,
questa volta, arrossisce. E, ancora una volta, non posso fare a meno di
trovarla adorabile.
«Figurati.
Ciao, allora.» sorride di
nuovo, prima di voltarmi le spalle.
«Ciao,
Faith.»
La
osservo, mentre passa accanto a
Steven e, accidentalmente, gli tira
una spallata. Non so perché, ma qualcosa mi dice che
l’abbia fatto apposta per
farlo incazzare.
«A
proposito di tua madre. Mi fa una
gran pena, sai? Deve essere davvero sfortunata, se le tocca sopportarti
tutto
il giorno.» gli dice, amabile. Poi scoppia a ridere ed esce.
Certo che ha
proprio un bel caratterino.
Devo
ricordarmi di ringraziare Rob, quando arrivo in albergo.
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