Hoshisaki

di VaniaMajor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Seguendo il Sole ***
Capitolo 3: *** 2 - Shinsetsu, la Gentilezza ***
Capitolo 4: *** 3 - Le ragioni di Sango ***
Capitolo 5: *** 4 - Un'altra Shinsetsu ***
Capitolo 6: *** 5 - Un monaco depravato ***
Capitolo 7: *** 6 - Trama e ordito ***
Capitolo 8: *** 7 - Aspettami ***
Capitolo 9: *** 8 - La chiamata ***
Capitolo 10: *** 9 - Shinsetsu e Junan ***
Capitolo 11: *** 10 - Una notte concitata ***
Capitolo 12: *** 11 - Notizie dal confine ***
Capitolo 13: *** 12 - I due principi ***
Capitolo 14: *** 13 - Coincidenze dolorose ***
Capitolo 15: *** 14 - Donne coraggiose ***
Capitolo 16: *** 15 - La tempesta ***
Capitolo 17: *** 16 - Sentimenti senza voce ***
Capitolo 18: *** 17 - Bisogno di aiuto ***
Capitolo 19: *** 18 - Il segreto di Inuyasha ***
Capitolo 20: *** 19 - Nuove emozioni ***
Capitolo 21: *** 20 - Keisotsu, l'Imprudenza ***
Capitolo 22: *** 21 - Lotta per le Hoshisaki ***
Capitolo 23: *** 22 - Ti odio! ***
Capitolo 24: *** 23 - Un equilibrio fragile ***
Capitolo 25: *** 24 - La Grande Famiglia ***
Capitolo 26: *** 25 - La seconda scelta ***
Capitolo 27: *** 26 - Piani contorti ***
Capitolo 28: *** 27 - Echi della memoria ***
Capitolo 29: *** 28 - Decisioni senza ritorno ***
Capitolo 30: *** 29 - Sotto attacco ***
Capitolo 31: *** 30 - Nel caos della battaglia ***
Capitolo 32: *** 31 - Le cose precipitano ***
Capitolo 33: *** 32 - Il pericolo alle calcagna ***
Capitolo 34: *** 33 - La tigre ***
Capitolo 35: *** 34 - Il sacrificio ***
Capitolo 36: *** 35 - Il vero potere di Tenseiga ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Author's note: Benvenuti a tutti! Cominciamo con un piccolo assaggio di quanto vi attende...Sarà una lunga avventura!

PROLOGO

«Vieni, Inuyasha.» disse l’inu-yokai, tendendo la mano verso il piccolo dai capelli d’argento. Il bambino si aggrappò alla mano del genitore, felice, e si fece issare sul suo ginocchio. La madre lo aveva lasciato sulla soglia e se n’era andata chiudendo la porta dietro di sé, ma Inuyasha non aveva timore di restare solo con suo padre. Anche se Inuken il Grande incuteva reverenza a Demoni e Uomini, per il piccolo Inuyasha era una figura a cui affidarsi senza pensiero.
Alzò gli occhi ambrati per incontrare quelli identici di suo fratello Sesshomaru, un demone adolescente dal viso così perfetto da essere quasi femmineo, ma lui stava guardando fuori dalla finestra, appoggiato al muro con le braccia conserte. Sembrava di cattivo umore, come accadeva di frequente quando si trovavano al cospetto del padre.
«Ci racconterai una storia, chichi-ue?- chiese Inuyasha, tornando a guardare il genitore- Mi piacciono le storie in cui sconfiggi i demoni cattivi! Anche al fratellone Sesshomaru piacciono le tue storie!»
Sesshomaru emise un piccolo verso sprezzante che fece corrugare la fronte a Inuken, Imperatore del Regno Occidentale di En.
«Hai ragione, Inuyasha, sto per raccontarti una storia, ma tuo fratello la conosce già e teme di essere annoiato dalle mie parole. Voglio comunque che sia presente perché non gli sia concesso di dimenticarla.» disse, guardando fisso il figlio maggiore. Sesshomaru si voltò finalmente verso di lui, il volto delicato corrucciato in un’espressione di sospetto, poi tornò a guardare fuori, dove cadeva la neve, pretendendo indifferenza. Inuken sistemò meglio Inuyasha sul suo ginocchio.
«Questa storia inizia molti anni fa, in secoli che ormai sono avvolti nella tenebra.- iniziò il Demone Sovrano, raccogliendo le idee- Era un’epoca travagliata in cui Uomini, Demoni e Dei si combattevano a vicenda. Il caos stava distruggendo il nostro regno e quelli vicini, e presto non sarebbe rimasto altro che un deserto a raccontare il massacro in atto. Fu allora che il cielo pianse le sue lacrime per il destino della nostra terra.»
«Il cielo…pianse?!» sbottò Inuyasha, la sua mente di bambino impegnata ad immaginare una cosa simile. Inuken sorrise e annuì.
«Noi la raccontiamo in questo modo. Caddero sulla terra due lacrime di cielo, due stelle gemelle, luminose e potenti, che avrebbero potuto riportare l’ordine nel mondo. Purtroppo, esse non finirono nelle mani adatte ad utilizzarle.- continuò lo yokai- La prima entrò in possesso di una grande sacerdotessa degli Uomini. Il suo nome era Midoriko e fin dalla giovinezza combatteva per ridare speranza ai regni in guerra; il suo unico difetto era la convinzione che solo in Uomini e Dei vi fosse da riporre fiducia. Disprezzava tutti i Demoni.»
«Ma non è giusto!- sbottò il piccolo Inuyasha, battagliero- Noi non siamo cattivi! Io non sono cattivo! Neanche tu e neanche Sesshomaru!»
«Tu non sei nemmeno un Demone, se è per questo; vedi di stare zitto.» lo censurò Sesshomaru, sprezzante, zittendolo e facendogli spuntare le lacrime agli occhi.
«Ti ho già avvertito di stare attento a come parli a tuo fratello, Sesshomaru.- intervenne Inuken, con voce potente e minacciosa- Non ti avvertirò un’altra volta, figlio. E ora taci.»
Sesshomaru strinse le labbra in una linea invisibile e un muscolo vibrò sulla linea della sua mandibola, ma fu tutto. Non reagì al rimprovero paterno e tornò a chiudersi nel silenzio. Inuken accarezzò la testa del figlio più piccolo, poi continuò.
«L’altra stella fu raccolta da un Uomo posseduto da una potente congrega di Demoni. Egli si chiamava Magatsuhi e aveva studiato da mago. Midoriko e Magatsuhi presero il comando della guerra, utilizzando il potere delle Stelle Gemelle, e un giorno si scontrarono faccia a faccia in una battaglia terribile. La magia che utilizzarono fu così potente da sfuggire al loro controllo. Le stelle, pari in potere perché gemelle, messe l’una contro l’altra si frantumarono in sei pezzi ciascuna e volarono in ogni direzione, allontanandosi dai precedenti proprietari.»
«Le Stelle si sono spaccate?!» ansimò Inuyasha, sobbalzando.
«Esatto, Inuyasha. Il potere rilasciato uccise Midoriko e Magatsuhi, e l’atrocità di quest’ultima battaglia riuscì finalmente a calmare gli animi. Lentamente, negli anni, le Razze sono riuscite a creare delle società stabili. Nel nostro Regno di En, tutti vivono in pace, ora.»
«Allora è come se Midoriko avesse vinto! Anche se non mi piace che odiasse gli yokai…però era lei quella buona, giusto?» borbottò Inuyasha.
«Purtroppo questa è stata una sconfitta anche per lei, nonostante fosse animata da buoni sentimenti. Le Stelle si persero, le loro Punte finirono chissà dove. Fu con l’intento di ottenere di nuovo la benedizione del cielo che nacque la ricerca delle Hoshisaki.»
«Le Hoshisaki?» chiese Inuyasha.
«Le Punte di Stella delle favole che ti racconta tua madre, imbecille.» ringhiò piano Sesshomaru, dal suo angolo. Inuyasha rispose facendogli una linguaccia e Inuken decise di soprassedere.
«Allora sono vere, chichi-ue?» Inuyasha sembrava felice di averlo saputo.
«Sì, piccolo mio. Le Hoshisaki, nei secoli, hanno dimorato nelle anime dei viventi. Amano la Vita, desiderano influenzarla e per questo ne sono attratte. Quando l’ospite prescelto muore, esse si spostano in una nuova vita. Esistono sei Punte di Luce e sei Punte di Tenebra, visto che le Stelle erano state influenzate dai loro possessori. Ora ascolta bene, Inuyasha, perché è importante.- spiegò Inuken, facendosi molto serio- Quattro Punte della Luce appartengono alla nostra famiglia.»
«Davvero?!» esclamò il piccolo hanyo, sbalordito.
«Due dimorano dentro di me. Sono Tsuyosa, la Forza, e Awaremi, la Misericordia. Presto troverò il modo di affidarvele perché non dobbiate attendere che ritornino su questa terra dopo la mia morte. Degli amici fidati stanno lavorando per me.- disse Inuken, sorridendo con una malinconia che il bambino non capì- Una si trova dentro tuo fratello Sesshomaru. Si tratta di Chinoo, l’Intelligenza, che lui spesso insulta con la sua testardaggine.»
Sesshomaru lanciò al genitore un’occhiata di odio puro ma si trattenne dal replicare.
«E l’ultima…- continuò Inuken, guardando con palese affetto il figlio minore- L’ultima è dentro di te, Inuyasha. Si tratta di Yuuki, il Coraggio.»
Inuyasha si toccò il petto con le piccole mani, perplesso e un po’ impaurito.
«Dentro…di me?!» chiese. Inuken annuì.
«Una bellissima Hoshisaki che ti guiderà per tutta la vita. Ora ascoltami, Inuyasha. Lo scopo di noi che regniamo su En è riunire le Hoshisaki della Luce e fare in modo che tornino ad essere un’unica stella.» disse.
«Perché, chichi-ue?» domandò il bambino, curioso.
«Perché, figlio mio, nel Regno di Gake è sorta una tenebra molto…troppo potente.- mormorò Inuken, corrugando la fronte mentre il suo sguardo si perdeva in lontananza- E’ nato un essere contro natura che possiede ben due Hoshisaki, come me, e ne ha appena ottenuta una terza con la forza. E’ un fatto gravissimo. Se quel maledetto riuscisse a raccogliere tutte le Hoshisaki delle Tenebre...»
«Non accadrà. Lo uccideremo prima.» disse Sesshomaru, irritato.
«Tu non scenderai in battaglia con me, Sesshomaru. Sei ancora troppo giovane.» lo frenò Inuken. Sesshomaru perse la compostezza e venne avanti di un passo, i pugni stretti.
«Padre, io…»
«Voglio la tua obbedienza, figlio!- esclamò Inuken con voce possente, facendo sobbalzare Inuyasha che osservava il litigio con preoccupazione crescente- Non gli consegnerò tre delle nostre Hoshisaki, questo è certo! Tu resterai qui e prenderai il mio posto se qualcosa dovesse accadermi.»
Il viso di Sesshomaru fu attraversato da uno spasmo di dolore, poi il giovane demone diede le spalle al padre, cercando con tutta evidenza di non mostrare quanto quelle parole l’avessero turbato. Inuyasha, che non capiva tutto quello che il genitore stava dicendo, sentì ugualmente che stava per succedere qualcosa di brutto.
«Devi…devi andare a sconfiggere questo mostro, chichi-ue? Devi combattere?» chiese, con voce tremante.
«Sì, Inuyasha. Partirò presto per cercare di uccidere Naraku…questo è il suo nome. Ha alleati potenti e sta minacciando le nostre frontiere. Potrebbe accadere il peggio, non possiamo prevedere il futuro, perciò voglio che voi due teniate a mente ciò che vi dirò oggi, che conserviate le mie parole nei vostri cuori perché siate pronti a combattere, se non sarò io a salvare il Regno di En.»
Strinse a sé Inuyasha, alzò lo sguardo sulla schiena rigida di Sesshomaru, poi disse le parole che i due non avrebbero scordato mai più.
«Ascoltatemi bene: dovete trovare le ultime due Hoshisaki della Luce. Sono Shinsetsu, la Gentilezza, e Junan, la Passione. Trovatele a qualunque costo, poi dirigetevi ad ovest, sulle montagne di Sorayama. Là, in tempi antichi, è stato tracciato il cerchio magico che restituirà la sua forma alla Stella della Luce. Createla e usatela per schiacciare le Hoshisaki delle Tenebre finché sono ancora divise, e coloro che le usano. Poi, offritela al Cielo e lasciate che scompaia dal mondo, in modo da riportare la pace. Questa sarà la missione a cui dovrete dedicare le vostre vite.»
«Ma…chichi-ue…- balbettò Inuyasha, ai cui occhi il futuro iniziava a sembrare una lunga strada buia- come faremo a trovarle?»
Sesshomaru si voltò a metà, facendogli capire che nemmeno lui era a conoscenza di quel dettaglio. Rimasero qualche istante in silenzio, mentre le labbra di Inuken si curvavano in un sorriso tenero, paterno.
«Ve lo dirà il vostro cuore, figli miei. Le Hoshisaki mancanti saranno incarnate in coloro che vi completeranno.- mormorò- Sarà l’amore a darvi la risposta.»

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Capitolo 2
*** 1 - Seguendo il Sole ***


AUTHOR'S NOTE: Buon 2012, folks! Inizia qui la mia nuova fanfiction, spero che sarà di vostro gradimento! Un abbraccio a tutti, vi auguro un anno di grandi soddisfazioni! Enjoy!

CAPITOLO 1

SEGUENDO IL SOLE

La giovane studentessa guardò il foglio davanti a sé nemmeno si trattasse del suo peggior nemico, la matita alzata a mezz’aria come per sferrare un colpo. La fronte liscia era corrugata per la concentrazione, le labbra serrate. Poi, il suo viso si distese in un sorriso trionfante e la matita scese a vergare segni sul foglio con impressionante velocità. Finalmente aveva la soluzione! Poteva riuscire a finire il test, quella era l’ultima domanda!
La campana suonò quando si trovava a metà dell’equazione. Un piccolo grido di sconforto le uscì dalle labbra, mentre l’insegnante diceva: «Matite sui banchi. Il tempo è scaduto. Consegnate il test.»
“Ancora un istante! Ce la posso fare!” pensò Kagome, febbrile, ma il foglio venne sfilato da sotto la sua mano e scomparve nel mucchio degli altri impilati sul braccio del professore, che stava passando a ritirare i test di banco in banco. Kagome guardò allontanarsi la propria fatica di quella settimana con espressione rassegnata, sapendo di aver racimolato niente più che una sufficienza risicata. Se solo avesse potuto finire quell’equazione! Maledetta matematica!
Si alzò, sospirando, mentre attorno a lei si levava la cacofonia di chiacchiere tipica della pausa pranzo. Tutti comparavano le risposte al test, ma lei non aveva voglia di sapere cos’era andato male prima del tempo. Pensare che quella era l’unica materia che le dava difficoltà! Nel resto aveva quasi il massimo dei voti!
«Kagome! Vieni a comprare una crocchetta o nonostante il ritardo ti sei ricordata l’obento di tua madre?» le chiese la sua amica Yuka, sogghignando nel sottolineare quanta fatica facesse Kagome ad alzarsi in orario la mattina.
«Ho l’obento, grazie.- rispose Kagome, facendole una linguaccia- Vi aspetto sotto il ciliegio, così mangiamo insieme? Basta che non mi parlate del test!»
«Come vuoi!- ridacchiò Yuka, allontanandosi con Saori e Nanako- Ci vediamo là!»
Kagome prese la scatola del pranzo, avvolta in un fazzoletto azzurro, e scese allegramente le scale. Frequentava il primo anno del Junjo High, una scuola famosa per i suoi club sportivi, e si trovava a suo agio. La divisa bianca e azzurra era molto graziosa e il regolamento non era troppo restrittivo. Inoltre, il liceo aveva un club di tiro con l’arco che partecipava a gare professionistiche e dalla primavera Kagome era diventata una kohai della squadra.
Sapeva che un giorno sarebbe diventata la miko del Tempio affidato alla sua famiglia. La cosa non le dispiaceva, era affezionata allo stile di vita che l’accompagnava da quand’era una bambina, ma per ora voleva dedicarsi solo alle attività sportive e magari vivere qualche avventura. Anche trovare un ragazzo non le sarebbe dispiaciuto!
Scese in cortile, poi svoltò a destra e costeggiò le aiuole del club di giardinaggio per raggiungere il ciliegio che cresceva non distante dal campo da calcio. Era un posto tranquillo, avrebbe potuto pranzare senza stare in mezzo al caos.
«Ciao Kagome!»
Rallentò al suono della voce familiare, poi sorrise e sventolò la mano verso Hojo, un suo vecchio compagno di scuola che adesso frequentava un’altra classe e faceva parte della squadra di calcio. Dall’espressione sul suo volto capì che avrebbe voluto lei lo raggiungesse, ma Kagome proseguì con un ultimo sorriso verso la sua meta. Hojo era un caro ragazzo e le tirava il filo fin dal primo anno delle medie, ma lei non era interessata e non intendeva farlo soffrire dandogli speranze. Rimanere amici era la cosa più giusta.
Si sistemò sotto al ciliegio, poi aprì la scatola del bento. Rimase seduta sull’erba, le mani in grembo, godendo della piacevole brezza primaverile mentre attendeva le sue amiche. Le sfuggì un sospiro. Di norma si sentiva serena, in pace. La sua vita scorreva senza scossoni fin da quando era una bambina. Sì, aveva dovuto fare a meno della figura paterna, ma Kagome non si ricordava di lui e per questo non ne aveva mai sofferto molto. Le bastavano il nonno, la mamma e suo fratello maggiore, Sota, che stava per terminare il liceo. Eppure, di quando in quando, Kagome sentiva che le mancava qualcosa. Quando il vento tiepido della primavera sapeva di fiori di ciliegio, soprattutto, le lacrime le salivano spontanee agli occhi mentre veniva assalita da un senso di lutto senza spiegazione.
Le sue dita salirono al collo, agganciando la sottile catena d’argento a cui era appesa una piccola pietra tagliata a prisma, un frammento dal delicato colore rosa. Portava quella collana fin da quando poteva ricordare, le dava fiducia come se fosse stata protetta da un portafortuna. Inoltre riusciva in qualche modo a calmarla quando il suo umore prendeva quella inspiegabile strada verso la depressione.
“Eppure la primavera mi piace così tanto!” pensò, non per la prima volta. Chissà se la mamma avrebbe saputo trovare una spiegazione per quello strano fenomeno? Si ripromise di chiederglielo: per qualche motivo, rimandava sempre all’anno successivo, così al fiorire dei ciliegi si trovava punto e a capo!
Si accorse che le sue amiche stavano per raggiungerla e si affrettò a far scivolare di nuovo il pendente sotto la casacca della divisa. Il sorriso le tornò spontaneo sulle labbra nel notare la mole di cibo che le amiche avevano comprato.
«Avete intenzione di sostituirvi alla signora della mensa o pensate di mangiare tutto?!» chiese, ridendo.
La malinconia dei fiori di ciliegio fu messa da parte ancora per qualche ora.

***

«Allora ciao, Kagome, a domani!» la salutò Yuka, saltando sull’autobus.
«A domani! Ricordati di portarmi il cd dei Go!Go!» le ricordò la ragazza, prima che le porte a soffietto si chiudessero e il mezzo si mettesse in moto lasciando dietro di sé uno sgradevole odore di gas di scarico. Kagome tossì piano, poi continuò a camminare verso il tempio, canticchiando a bassa voce. Rallentò in prossimità di un negozio di fiori, poi si fermò, scrutando a occhi socchiusi oltre la vetrina inondata dalla luce del sole morente. Sorrise quando vide una testa bionda china sui fiori, accucciata vicino a due grandi vasi di iris rossi.
Si affrettò verso la porta, spalancandola in un rumoroso tintinnare di campanelli.
«Onee-chan!» la salutò con entusiasmo, prendendola alle spalle. La ragazza si voltò senza spaventarsi, con un sorriso luminoso negli occhi chiari.
«Kagome-chan! Non ci vediamo da tre giorni!» disse, alzandosi da terra.
«Sai, ho avuto da fare con gli allenamenti e ieri non eri di turno in negozio.- si scusò Kagome- Piuttosto, come ti trovi?»
«Bene. Questo posto mi si addice, non credi?» rispose lei, guardandosi attorno con viso sereno.
Kagome sorrise, contenta ma allo stesso tempo sconfitta. Aveva sperato che l’esperimento di indipendenza della sua onee-chan fallisse, perché la cruda verità era che la sua compagnia le mancava moltissimo.
Anna Seimei non era davvero sua sorella. La ragazza era un’orfana, affidata a cinque anni ad una zia che non ne aveva avuto la minima cura. Il nonno di Kagome l’aveva presa sotto l’ala protettrice del Tempio Higurashi e le due bambine erano cresciute come sorelle. Anna era una mezzosangue, con occhi e capelli chiari, e fino ai diciassette anni aveva vissuto grazie alla carità del Tempio. Da quando aveva iniziato il terzo anno del liceo, viveva da sola e lavorava part-time per mantenersi. Fin da bambina preferiva passare il tempo con le piante piuttosto che con le persone. Quando erano piccole, i fedeli e gli abitanti del quartiere le chiamavano “le Principesse del Tempio”.
«Stavo parlando agli iris.- disse Anna, distogliendola dai suoi pensieri- Visto? Sono sbocciati ieri mattina!»
«Sono bellissimi!» ammise lei, guardando i fiori dalla corolla rossa.
«Com’è andato il test di matematica?» chiese la ragazza più grande, andando dietro al bancone e spazzolando via la terra dalle ginocchia. Kagome fece una smorfia, strappandole una risata.
«Vieni a mangiare al Tempio? La mamma stasera prepara l’oden.» le propose, tirandola per una manica. Anna scosse la testa.
«Mi spiace, devo chiudere io, stasera. Mangerò un boccone a casa mia.» la deluse. Kagome mise il broncio.
«Stai diventando misantropa, lo sai?» borbottò. Anna sorrise, poi le prese una mano.
«Sei di cattivo umore?» le chiese, comprensiva. Kagome annuì, poi scrollò le spalle.
«Sai…i ciliegi in fiore…» mormorò. L’amica annuì, corrugando la fronte. Quella era un’altra cosa che condividevano, un segreto custodito fin dall’infanzia. Anna amava tutti i fiori, ma si teneva ben lontana da quelli di ciliegio. Come per Kagome, le occludevano la gola di pianto senza spiegazione.
«Abbi pazienza, durerà ancora una settimana.- le disse, sorridendo, poi cambiò discorso- Perché non prendi questi narcisi? Hanno il gambo un po’ rovinato e non posso venderli…Portali a tua madre, da parte mia!»
Kagome accettò i fiori, poi si arrese all’evidenza di non poterle far cambiare idea e uscì dal negozio, seguita dal saluto affettuoso della sua onee-chan. Il sole era tramontato e il cielo era di un bel blu, in pausa sull’orlo della notte. Kagome si affrettò verso il Tempio, avvertendo un certo appetito. Salì di corsa la lunga scalinata, avvolta dal profumo dei narcisi, poi attraversò il cortile, sfrecciando accanto al tempietto dell’Hokora. Vi lanciò uno sguardo distratto. Da quanto tempo non vi entrava più? Anni…
Una volta lei e Anna si erano calate nel pozzo, affascinate dalla sua profondità, e non erano più riuscite a uscirne. Avevano dovuto aspettare di essere trovate dal nonno di Kagome, tutte e due piangenti e impaurite come se là dentro si celassero dei mostri. Da allora, se ne erano tenute alla larga.
“Oggi la mia mente è portata a divagare.” pensò, stupita di aver riesumato un ricordo tanto vecchio e inutile.
«Sono a ca…» iniziò a dire, con una mano sulla porta, ma non appena la socchiuse venne investita dalla voce di suo fratello Sota.
«Come sarebbe a dire?!» stava gridando. Suo fratello…gridava?! Sota era un ragazzo tranquillo, non credeva di averlo mai sentito gridare in vita sua!
«Ma che succede?» borbottò Kagome, entrando nell’atrio. Le voci arrivavano dalla sala da pranzo.
«Volevamo che tu lo sapessi prima di Kagome, Sota. E’ arrivato il momento di dirle la verità, è abbastanza grande. Stasera le parleremo.» disse la mamma.
«Non diteglielo…per favore, non diteglielo!- continuò a gridare Sota, facendo venire i brividi a Kagome- Che bisogno c’è? Ne sto soffrendo io, figuriamoci lei! Non è necessario che lo sappia!»
«Anche a noi fa male questa situazione, Sota, ma è giusto che Kagome sappia. Non cambierà nulla, ma è meglio che lo scopra da noi piuttosto che da un estraneo…» disse il nonno.
«Lei sarà sempre mia sorella!» sbottò Sota, facendole defluire il sangue dal viso. Di cosa stavano parlando?!
«Come sarà sempre mia figlia, Sota, tanto quanto te.- disse la mamma, con voce dolce e venata di pianto- Però Kagome deve sapere che non conosciamo i suoi veri genitori.»
Fu un colpo in pieno petto. Il cuore di Kagome si fermò per un istante. Le gambe minacciarono di cederle e barcollò all’indietro, verso la porta. I fiori le caddero dalle mani, atterrando con un fruscio appena percettibile sul pavimento.
«Cosa potrà pensare sapendo di essere stata trovata nell’Hokora quando aveva pochi mesi?!» continuò Sota. La sua voce le echeggiava nelle orecchie come se fosse amplificata. Forse stava per svenire. «Povera Kagome…abbandonata nel tempietto, con nient’altro che una coperta e il suo portafortuna stretto nel pugno!»
Kagome si lasciò sfuggire un ansito. La mano destra salì inconsciamente a stringere il pendente sotto la casacca.
«Anna-chan lo sa?» chiese ancora Sota, con voce rauca.
«No, non ne sa nulla. Avremmo adottato anche lei, ma aveva una parente in vita e non abbiamo potuto.- disse il nonno, poi sospirò- Povere piccole, entrambe orfane…Non mi ha mai sorpreso che fossero tanto legate. Fortunatamente, abbiamo potuto accogliere Kagome nella nostra famiglia e trattarla come una figlia.»
Prima ancora di pensare a quanto stava facendo, Kagome si voltò e uscì di corsa, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle. La gola era chiusa da singhiozzi aridi, senza lacrime; le sembrava di vivere in un incubo.
«Kagome? Kagome!»
La voce di sua madre – ma non lo era davvero…- la raggiunse. Dovevano aver visto i fiori sparsi sul pavimento. Incapace di affrontare la sua famiglia in quel momento di panico e confusione, Kagome si guardò attorno per cercare un nascondiglio. Il tempietto! Nessuno l’avrebbe cercata là dentro, almeno per un po’; sapevano che provava paura per quel posto. Si infilò nel piccolo edificio di legno, chiudendosi la porta scorrevole alle spalle. Dopo un paio di minuti udì i suoi che si sparpagliavano per il cortile, chiamandola a gran voce. Quando si furono allontanati, si permise di scostarsi dalla porta e avvicinarsi al buio margine del pozzo. Vi si appoggiò, sfinita come se avesse corso per chilometri.
Orfana. Era una trovatella! Una neonata abbandonata da chissà chi proprio nei pressi di quel pozzo, rifiutata dai genitori e cresciuta grazie alla carità della famiglia Higurashi. Lei e Anna erano più simili di quanto avesse mai pensato! Finalmente le lacrime trovarono la strada per i suoi occhi e Kagome cominciò a piangere silenziosamente, sconvolta. Cos’avrebbe fatto, adesso? Come avrebbe dovuto comportarsi? Poteva tornare tutto alla normalità, oppure…
«Cosa devo fare?» gemette. Strinse forte il pendente, poi lo guardò, con le lacrime che le rigavano le guance. Anche al buio, riluceva di un debole chiarore rosato. Per quella sera non se la sentiva di tornare a casa. Sarebbe andata dalla sua onee-chan, chiedendole ospitalità. Il giorno dopo, alla luce del sole, forse quelle novità non sarebbero sembrate tanto terribili.
Si deterse il naso che colava sulla manica dell’uniforme, poi sospirò profondamente, imponendosi di smettere di piangere. Fissò il pendente, poi vi posò un lieve bacio.
«Mi piacerebbe che tu potessi dirmi da dove vengo.» mormorò al piccolo prisma. Sospirò di nuovo. Se voleva rifugiarsi da Anna, per quella notte, avrebbe fatto meglio ad approfittare della lontananza dei suoi. Fece per voltarsi verso la porta, quando dalle sue dita serrate sgorgò una potente luce rosa che le ferì gli occhi. Kagome lasciò andare il pendente con un grido. Stava…brillando! Splendeva di una luce calda e intensa, come una piccola stella.
«Ma cosa sta…» balbettò, poi perse il fiato. Anche dentro al pozzo si era accesa una luce. Una luce gialla, come quella del sole. Diventava sempre più forte, pulsava a tempo con quella emanata dal prisma che portava al collo. Kagome sul momento si sentì gelare, terrorizzata, poi il suo stato d’animo cambiò. Quella luce non aveva nulla di negativo. Riusciva ad avvertirlo anche con i suoi sensi di miko. Era calda, accogliente…piacevole. Invitava ad affidarvisi senza timore.
Lentamente, pronta a correre via al minimo segno di pericolo, Kagome si avvicinò al bordo del pozzo. La luce brillava in fondo ad esso, facendolo apparire come un tunnel infinito verso il centro della terra. Appoggiò le mani al bordo, lasciando che il pendente dondolasse in aria sopra a quel piccolo sole. Il suo lucore rosa aumentò ancora.
«Che cos’è?- mormorò, rapita- Da dove viene tutta questa luce?»
Scrutò nel cuore di quella luce, cercandone l’origine con gli occhi e con i suoi poteri ancora acerbi. D’un tratto comparve un’immagine sfocata, come attraverso uno specchio dalla superficie appannata. Un uomo, un ragazzo dai lunghi capelli neri, giaceva oltre quella luce. Sembrava dormire. O forse era morto? Era lui che emanava quella luce? Forse…era caduto nel pozzo e non riusciva ad uscirne? I pensieri coerenti di Kagome erano ormai andati alla deriva.
«Chi sei tu?» chiese, allungando una mano verso l’interno del pozzo. Desiderava toccarlo, vedere i lineamenti del suo volto. Allo stesso tempo, avvertiva un senso di pericolo, di lutto. Gli occhi tornarono a riempirlesi di lacrime, ma non per sé.
«Io…ti conosco?» chiese alla figura dormiente, sporgendosi di più, tendendo le dita al massimo. Nemmeno si accorse della forza che la attrasse all’interno del pozzo, facendola precipitare dentro la luce ambrata. Voleva vedere quel volto, a tutti i costi.
Cadde senza un grido, senza potersi avvicinare al miraggio che precipitava con lei. Poi, il mondo esplose e fu di nuovo notte.

***

Quando Kagome riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu la luna. Era enorme. Troppo grande e troppo…viola?!
Sbatté le palpebre, cercando di schiarirsi la vista. Come faceva a vedere il cielo notturno?! Era all’interno del tempietto dell’Hokora…o no? Si alzò a sedere, confusa. Accanto a lei c’era effettivamente il pozzo, anche se ricoperto di rampicanti tanto da esserne quasi celato. Non si trovava, però, all’interno dell’edificio che conosceva sin da bambina.
Era in una radura, circondata da alberi alti e scuri, le cui fronde mormoravano alla brezza notturna. Sopra la sua testa splendeva davvero una gigantesca luna di un viola delicato. Tutt’intorno era silenzioso, un silenzio profondo che chi viveva in città non poteva conoscere.
Kagome rabbrividì e si tirò in piedi, cercando di fare mente locale. Si era infilata nel tempietto dopo aver saputo in modo tanto brusco di essere stata adottata, poi il suo pendente si era illuminato e in risposta si era accesa quella luce gialla che…
«…che mi ha tirata dentro al pozzo.» finì ad alta voce. Si guardò ancora attorno, spaventata. La notte premeva in ogni direzione. Le luci si erano spente, la persona che aveva seguito fin lì era scomparsa. Forse non c’era mai stata.
«Dove…dove mi trovo?» gemette Kagome, con voce tremante. Non si trovava al tempio…forse non era nemmeno il suo mondo, quello! Altrimenti come si spiegava quella luna pazzesca?!
«Sei tu?»
La ragazza si voltò di scatto al suono della voce maligna poco distante, alle sue spalle. Ciò che vide la convinse: o si trattava di un incubo troppo vivido, oppure era finita in un luogo che non avrebbe dovuto esistere. Dall’ombra degli alberi sbucava la forma orrenda di un busto di donna che terminava nel lungo, segmentato corpo di un millepiedi. La fissava con occhi gelidi in cui si specchiava la luce della luna, ondeggiando sul corpo mostruoso, le sei braccia ripiegate come a prepararsi ad afferrarla. Sorrise, un sorriso pieno di denti.
«E’ quella, vero? E’ Shinsetsu la Hoshisaki che porti al collo?» chiese, insinuante.
«La…cosa?!» balbettò Kagome, coprendo istintivamente il pendente con le mani.
«Oppure è uno dei falsi che i pellegrini portano al Principe Morto?- ponderò il mostro, leccandosi le labbra- Naraku lo saprà. Mi ha detto lui di venire qui. Intanto, ti divoro e prendo la Punta, sia vera o falsa. Che ne dici?»
«Non so di cosa parli. Stai lontana da me!» ansimò Kagome, facendo un passo indietro.
«Ferma dove sei!» esclamò il mostro, lanciandosi contro di lei. Kagome si voltò per fuggire, ma immediatamente le mani del mostro le si serrarono attorno alle braccia e la sollevarono in aria. Kagome lanciò uno strillo e si torse nella presa crudele.
«Lasciami andare!» gridò, schiaffeggiando una delle mani che la teneva. Con sua somma sorpresa, vi fu una sorta di esplosione e lei, improvvisamente libera, cadde a terra insieme ad una pioggia di frammenti di carne. Si voltò sulla schiena e vide il mostro osservare con ira la mutilazione che ora le troncava una delle braccia poco sopra al gomito.
«Una miko…una schifosa sacerdotessa!- sibilò il mostro- Come hai osato danneggiare Mukadejoro?! Ti farò uccidere dai miei sottoposti, dannata mocciosa! E poi ti divorerò il cervello!»
A quelle parole, una torma di esseri diabolici sciamò dal folto, riempiendo la notte e dirigendosi su Kagome. La ragazza gridò, terrorizzata, coprendosi il volto per non dover vedere la morte piombarle addosso. Poi, la cacofonia di versi e ululati fu squarciata dal grido di una limpida voce femminile.
«Hiraikotsu!»
Sopra alla testa di Kagome qualcosa passò a grande velocità, inondandole il volto di capelli corvini. Poi, una pioggia di disgustoso sangue tiepido le cadde sulla pelle, strappandole uno strillo. Kagome si raggomitolò sull’erba mentre il grido si ripeteva, seguito da uno spezzato gemito di dolore, poi cadde il silenzio.
Incerta, tremando di paura, Kagome si azzardò ad aprire gli occhi. La radura era disseminata di cadaveri smembrati. Su tutti spiccava quello di Mukadejoro, tagliata a metà, gli occhi vitrei aperti sul cielo notturno. Kagome sobbalzò quando colse un movimento. Una figura vestita di scuro si stava avvicinando a lei, tenendo sulle spalle quello che sembrava un gigantesco boomerang.
«E’ tutto a posto, i demoni sono morti.» disse la figura con voce gentile, allungando una mano verso di lei. Si trattava di una ragazza dal volto serio, più o meno della sua età. I lunghi capelli erano acconciati in una coda.
«Io…chi sei tu? Dove mi trovo?» chiese, incerta se fidarsi o meno.
«Dovrei essere io a chiederti chi sei e cosa ci fai nella foresta in piena notte. Sei un’incosciente.- la freddò la ragazza, corrugando la fronte- Se io fossi arrivata prima di notte al villaggio, saresti morta per mano degli yokai di Naraku. Perché ti aggiri attorno al sacro Honeido? Questa zona è…»
Kagome vide gli occhi della ragazza appuntarsi sul suo pendente e gemette dentro di sé, ma, prima che potesse anche solo pensare di nasconderlo, la nuova arrivata la afferrò bruscamente per la casacca.
«Questa…è Shinsetsu?!» le chiese in un ansito. Kagome capì che i suoi guai erano appena cominciati.

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Capitolo 3
*** 2 - Shinsetsu, la Gentilezza ***


Author's note: Ma quante idee mi sono venute stanotte?! Badiamo al sodo: Kagome è finita in un mondo alquanto strano ed è appena stata presa in consegna da Sango. Cosa la aspetta ora? Read and enjoy!

CAPITOLO 2

SHINSETSU, LA GENTILEZZA

Kagome lanciò un’occhiata di sottecchi alla ragazza che le camminava accanto, guardandola finalmente alla luce del sole. La giovane, una sorta di guerriera che aveva detto di chiamarsi Sango, doveva avere più o meno la sua età, ma qualcosa nel suo sguardo la faceva sembrare più adulta. Indossava un aderente abito nero che la faceva assomigliare a una ninja e portava sulla schiena l’arma micidiale che aveva usato la notte prima, un boomerang d’osso. Dopo aver detto cose incomprensibili sul suo portafortuna l’aveva praticamente sequestrata e costretta a seguirla al suo villaggio. Non che Kagome avesse qualche scelta alternativa…Quella mattina all’alba, dopo aver cercato di dormire per qualche ora tra le scomode radici degli alberi della foresta, lontano dai cadaveri dei demoni, si erano incamminate.
Kagome aveva cercato di chiederle dove si trovava, di farle capire che lei era estranea a quei luoghi e che non sapeva niente di un oggetto chiamato Shinsetsu, ma la sua conversazione con Sango non aveva avuto molto successo. Lei si era limitata a dirle che si trovavano sul confine tra En e Gake e che il pozzo segnalava il luogo sacro della grande battaglia tra Midoriko e Magatsuhi. Kagome, ovviamente, era uscita dalla conversazione ancora più confusa di prima.
Ora, alle prime luci dell’alba, stavano entrando in un villaggio che aveva visto giorni migliori. Numerose case di legno erano parzialmente crollate o annerite dal fuoco. La terra era smossa, in alcuni punti devastata da crateri. I danni erano molto recenti. A Kagome sembrava di essere sul set di un film storico ambientato nell’antico Giappone.
«Cos’è successo qui?» chiese, intimorita.
«Siamo stati attaccati quattro giorni fa. Per questo ero in viaggio, ho chiesto rinforzi al villaggio di Jikarushi.- rispose Sango, poi la guardò corrugando la fronte- Siamo in guerra contro Naraku, dovresti saperlo.»
«Come te lo devo dire che non so dove diavolo mi trovo?!- sospirò Kagome, affranta- Io vengo da Tokyo!»
«Non conosco questo villaggio. E’ vicino alla capitale?» chiese la guerriera, scrutando con attenzione i suoi vestiti.
«Tokyo è la capitale. La capitale del Giappone.- spiegò Kagome, poi scosse la testa- Senti, so che sembra pazzesco, ma io sono caduta nel pozzo, capisci? Dev’essere successo qualcosa quando si è accesa quella luce gialla…»
«Vuoi dire…mi stai dicendo che vieni da dentro il pozzo?! Parli sul serio, Kagome Higurashi?» le chiese Sango, fermandosi e ascoltandola davvero forse per la prima volta da quando si erano incontrate.
«Sì, esatto, e voglio tornare a casa mia.» disse Kagome con enfasi.
«Ciò è molto strano. Quindi…non sei una pellegrina in viaggio per salvare il Principe Inuyasha?» mormorò Sango.
«Non so nemmeno chi sia, questo Principe Inuyasha.- le assicurò la giovane, stanca e demoralizzata- Io voglio solo tornare a casa mia!»
Sango la guardò negli occhi, poi annuì, leggendole la sincerità sul volto.
«Capisco. E’ comunque un bene che io ti abbia portata al villaggio. La vecchia Kaede saprà raccapezzarsi in mezzo a tutte queste stranezze e io ho il dovere di segnalare una Hoshisaki quando la incontro. Sempre che sia quella vera.- disse la guerriera, facendole cenno di procedere- Vieni. Se qualcuno può aiutarti a capire la magia che ti ha portata qui, quella è la vecchia Kaede. E’ una sacerdotessa molto potente.»
«Meno male…» mormorò Kagome, rincuorandosi un po’. Sperava davvero che qualcuno le spiegasse cos’era accaduto e le mostrasse il modo per tornare a casa! In quel momento, perfino sapere di essere una figlia adottiva sembrava un problema marginale, di nessuna importanza.
Attraversarono il villaggio sotto gli occhi curiosi della popolazione, già al lavoro per riparare i danni della battaglia. In molti salutarono Sango, che rispose sempre con cortesia. La giovane dai capelli castani doveva essere molto amata, nonostante mostrasse un carattere di ferro. D’altronde, per essere così giovane e al contempo così abile nei combattimenti doveva aver sostenuto un duro addestramento. Kagome represse un brivido nel ripensare ai mostri della notte precedente. Un mondo infestato da yokai non doveva essere un’oasi di pace anche senza una guerra in corso!
«Ecco Kaede.» disse Sango, alzando il braccio per salutare. Kagome seguì il suo sguardo e vide un’anziana donna priva di un occhio, vestita di rosso, che stava prendendo due ciocchi di legno da una catasta su un lato della casa dal tetto bruciacchiato.
«Sango! Bentornata! Notizie da Jikarushi?» chiese l’anziana donna, mentre si avvicinavano.
«Ci manderanno aiuti in un paio di giorni.- rispose Sango, spingendo avanti Kagome posandole una mano sulla schiena- Ho notizie sconvolgenti, Kaede-sama. Tornando a casa ho incontrato questa ragazza e…guardate cos’ha al collo.»
Kaede si avvicinò a Kagome, scrutandola con il suo unico occhio, poi il suo volto rugoso si distese in un’espressione di sorpresa quasi infantile.
«Shinsetsu?» bisbigliò, scioccata.
«Questa ragazza non ne è sicura, non l’ha mai sentita nominare, ma io ho pensato che lo fosse. La forma e il colore sono quelli giusti.- disse Sango, accalorandosi- Kaede-sama, se si trattasse di quella vera…»
L’anziana donna si avvicinò a Kagome di un altro passo, scrutandola in volto.
«Ti conosco, fanciulla? Il tuo viso non mi è nuovo.» chiese. Nel suo unico occhio castano Kagome vide un confuso lampo di riconoscimento, la lotta della memoria alla ricerca di un ricordo in particolare.
«No, io…non ci siamo mai viste. Io…» balbettò, a disagio.
«Kaede-sama, questa ragazza dice di essere giunta a En attraverso il sacro Honeido. E’ lì che l’ho trovata. E’ stata attaccata dagli scagnozzi di Naraku…» intervenne Sango. A queste parole, Kaede impallidì e fece un brusco gesto con la mano, a cui Sango rispose irrigidendosi come se le fosse stato richiesto di mettersi sull’attenti.
«Zitta, Sango. Non dire quel nome. Venite in casa e raccontatemi tutto.» la censurò Kaede con voce brusca, dando loro le spalle e dirigendosi improvvisamente verso casa. Sango fece un cenno col capo a Kagome, che si risolse a seguire l’anziana sacerdotessa dentro la casa. Entrò in una stanza male illuminata, dalle pareti annerite di fuliggine. Essere una sacerdotessa in quel mondo non garantiva, evidentemente, uno stile di vita agiato. Si sedettero a terra, accanto ad un focolare spento. L’unico occhio della vecchia Kaede brillava nella penombra.
«Tu non sei di En.- esordì- Non esattamente.»
«E’…è vero.- mormorò Kagome, stupita- Stavo proprio dicendo a Sango…Come l’avete capito?!»
«C’è qualcosa di estraneo, in te, e non mi riferisco solo ai tuoi vestiti. Allo stesso tempo, sotto ciò che posso vedere è nascosto altro…qualcosa che ti lega ad En.- disse l’anziana donna- Qual è il tuo nome?»
«Kagome Higurashi, Kaede-sama.»
«Dice di provenire dal sacro Honeido, Kaede-sama.» intervenne di nuovo Sango. A quanto pareva, questo particolare la sconvolgeva. Kaede annuì.
«Quel luogo è stato teatro di un immane scontro di poteri, in un lontano passato. Non mi sorprende che abbia fatto da ponte con il tempo e il luogo in cui vive questa ragazza. Resta da capire per quale motivo ciò è avvenuto.- disse Kaede, tranquilla- Raccontami la tua storia, giovane Kagome. Non tralasciare un solo dettaglio.»
Kagome la accontentò, sperando che l’anziana sacerdotessa potesse risolvere quella situazione da incubo. Mancava da casa fin dalla sera precedente e ormai i suoi familiari dovevano essere tutti nel panico. Quando terminò, Kaede rimase in silenzio per un istante fissandosi le mani rugose, poi annuì e guardò Sango.
«Ritengo che tu abbia trovato la vera Shinsetsu, Sango.» disse, facendo sobbalzare la guerriera.
«Davvero, Kaede-sama?!» ansimò, mentre le sue guance perdevano colore e poi si arrossavano come per una forte emozione. La sacerdotessa annuì.
«Forma e colore sono giusti, come pure l’aura di purezza che quel pendente emana. Inoltre, esso ha aperto per la giovane Kagome il ponte per giungere ad En, come se ve ne fosse attirato. Ancora più di questo, Naraku doveva aver avvertito qualcosa, se si è disturbato a far sorvegliare l’Honeido, e sappiamo che l’astuzia di quel dannato hanyo non è da sottovalutare.- continuò Kaede- Inoltre, la luce gialla che Kagome ha visto mi fa pensare che sia stato Yuuki stesso a chiamarla.»
«Yuuki? E chi sarebbe Yuuki?» chiese Kagome. Cominciava a girarle la testa.
«Ma la ragazza dice di aver visto un uomo dai capelli neri…non potrebbe essere stato Naraku stesso a chiamarla per prenderle l’Hoshisaki?» chiese Sango, corrugando la fronte.
«In questo caso…»
«Ehi, volete spiegare qualcosa anche a me?!- sbottò Kagome, che aveva del tutto perso la pazienza- Sono finita in un luogo che non conosco, vengo quasi ammazzata da mostri che dovrebbero esistere solo negli incubi, vengo presa in consegna da una ragazza con un boomerang gigantesco e adesso mi dite che porto al collo un oggetto per cui si sta combattendo una guerra! E’ un po’ troppo, non credete? Ditemi cosa sta succedendo. Dove sono e perché date tutti la caccia a queste Hoshisaki, o come diavolo si chiamano?!»
Kaede e Sango si zittirono, colpite dalla sua veemenza, poi parvero imbarazzate.
«Hai ragione. Ti prego di scusarmi. Mi sono fatta prendere dall’entusiasmo e ho dimenticato il tuo disagio.» mormorò Sango, chinando il capo con aria contrita.
«Anche io ti chiedo scusa, Kagome. Mi rendo conto che la nostra conversazione ti è incomprensibile. Ti spiegherò a grandi linee di cosa stiamo parlando.- disse Kaede, con un sorriso che la fece sembrare per la prima volta una nonna bonaria- Sei finita al confine dell’Impero di En con quello di Gake. I nostri regni sono in guerra da più di cento anni a causa di due oggetti magici, il cui potere può portare grande male o grande bene. Questi oggetti, le Stelle, vennero utilizzati in battaglia in un lontano passato presso Honeido, il luogo in cui sei stata ritrovata.»
«Per questo è un luogo sacro, capisci?» disse Sango.
«Nel tuo mondo si pratica la magia, Kagome? Vi sono uomini, demoni e dei?» chiese Kaede.
«Più o meno.- rispose Kagome, incerta- Voglio dire…abbiamo molte leggende al riguardo e io…beh…io diventerò una miko, quindi so che non sono proprio tutte fantasie.»
«Una miko?!» esclamarono in coro Sango e Kaede.
«Sì, anche se a dirla tutta non ho mai creduto che gli yokai esistessero davvero.- finì Kagome, con un brivido- Almeno finché resterò qui, sarò costretta a ricredermi. Esistono, eccome!»
«Non sono tutti malvagi, mia cara. En stesso è governato da uno yokai. Il suo nome è Sesshomaru-sama, il nostro giovane e forte Imperatore.- disse Kaede- E’ la fazione di Gake che ormai è fuori controllo. Sappi che le due Stelle di cui ti parlavo sono la fonte di tutti i nostri guai. Naraku, il nostro nemico, ne cerca i frammenti per conquistare un potere imbattibile.»
«Le Stelle si spaccarono dopo la grande battaglia all’Honeido, capisci? Sei frammenti di Luce, sei di Tenebra. Noi cerchiamo le Hoshisaki della Luce per consegnarle a Sesshomaru-sama e porre fine a questa guerra!» disse Sango, con gli occhi castani che le brillavano di una luce febbrile.
«Sicché voi pensate che il mio portafortuna sia una di queste Hoshisaki?» chiese Kagome, sfiorando con le dita il pendente.
«Più precisamente dovrebbe trattarsi di Shinsetsu, la Gentilezza, trovata e persa tragicamente cinquant’anni fa.- disse Kaede, annuendo- Vedi, Kagome…le Hoshisaki riflettono i sentimenti dell’animo umano. La Stella di En è luminosa, volta al bene. Il suo potere è grande e ci aiuterà a sconfiggere Naraku, che invece sta collezionando le Hoshisaki tenebrose. Inoltre…» Le sfuggì un sospiro e abbassò lo sguardo, come se nel suo cuore vi fosse un peso insostenibile. «A causa di eventi su cui non mi soffermerò, cinquant’anni fa accadde una tragedia che ci privò di ben quattro Hoshisaki, ad un passo dalla vittoria. Il principe Inuyasha, fratello del nostro Imperatore, venne imprigionato in un sonno da cui non si è più risvegliato.»
Kagome spalancò gli occhi.
«Cinquant’anni di sonno? Ma…com’è possibile?!» sbottò.
«Egli è un hanyo, quindi fortificato dal sangue demoniaco. Inoltre dorme a causa di una maledizione, che in teoria potrebbe essere spezzata. Per questo cerchiamo Shinsetsu prima di ogni altra Hoshisaki.» disse Sango.
«L’Hoshisaki che vive nel corpo addormentato del nostro Principe è Yuuki, il Coraggio. E’ la controparte di Shinsetsu. Si completano a vicenda.- cercò di spiegare l’anziana miko- Per questo, da cinquant’anni avviene una sorta di pellegrinaggio fino al Palazzo dell’Imperatore. Persone che credono di aver trovato l’Hoshisaki, truffatori…Ogni sorta di pellegrini si reca al Palazzo quando arriva la primavera.»
«Ma ora noi abbiamo la vera Shinsetsu!- esclamò Sango con veemenza, alzandosi sulle ginocchia e stringendo i pugni- Se il principe si sveglierà…»
«Calmati, Sango. Non abbiamo ancora alcuna sicurezza.- la frenò Kaede- Ovviamente tenterete l’impresa. Avete un lungo cammino di fronte a voi.»
«Un…lungo cammino?! Che diavolo state dicendo?!- esclamò Kagome, alzandosi in piedi e facendo due passi indietro- Non ci siamo capite, io voglio tornare a casa! Mi dispiace per tutti i vostri guai, ma io non c’entro niente con la vostra guerra!»
«Kagome, sarai costretta a fare questo viaggio.- cercò di placarla Kaede- Vedi, solo Sesshomaru-sama ha tali conoscenze magiche da comprendere come l’Honeido ti ha condotta qui, per poterti ricondurre alla tua dimora.»
Kagome sentì le ginocchia che minacciavano di cederle.
«Mi state dicendo…che sono bloccata qui? Che solo il vostro Imperatore yokai può aiutarmi?» Il loro silenzio fu una risposta sufficiente. Kagome sentì il mondo crollarle addosso per la seconda volta in due giorni. «Io…io voglio tornare a casa! Voglio soltanto…»
Fu interrotta da un boato. La parete alla loro destra esplose, scaraventando le tre donne contro quella opposta. Kagome, gemendo per il dolore, alzò lo sguardo e vide un gigantesco essere dalla pelle bluastra, simile a un orco delle fiabe, ergersi oltre lo squarcio, il pugno alzato. Dopo aver scagliato quella che pareva un’enorme clava contro la parete della casa, ora si stava dando alla caccia indiscriminata degli abitanti del villaggio, che correvano gridando in ogni direzione. Sopra le loro teste ronzava uno sciame impazzito di vespe giganti.
«Ma…ma che…» balbettò Kagome, attonita e terrorizzata. Il sangue sembrava esserlesi ghiacciato nelle vene.
«Spie di Naraku!- ansimò Kaede, alzandosi a fatica in ginocchio- Devono essere ancora a caccia di Shinsetsu.»
«Quel bastardo…non l’avrà!» sibilò Sango, scattando in piedi e alzando sopra la testa la sua arma mentre correva all’esterno. «Kirara!» gridò.
Kagome la vide prepararsi a sferrare il primo colpo, poi colse un movimento con la coda dell’occhio. Inorridì alla vista di un demone felino dalle fauci spalancate che si avventava sulla ragazza.
«Sango, atten…» iniziò a gridare, per rimanere poi senza parole quando la giovane guerriera saltò in groppa allo yokai e si alzò in volo. Si sentì tirare per una manica e dovette uscire dal suo ovattato stupore.
«Presto, giovane Kagome. Usciamo da qui.» le disse Kaede, incespicando su un mucchio di detriti e chinandosi a fatica per recuperare un arco e una faretra piena. Kagome la seguì all’esterno, ancora scioccata.
«Dite…dite davvero? Questi demoni sono qui a causa mia?!» balbettò, mentre l’anziana sacerdotessa incoccava una freccia e prendeva la mira sull’orco. Sango, in volo insieme al suo yokai addomesticato, cercava di liberarsi degli insetti, che la stavano attorniando come uno sciame impazzito, per lanciare la sua arma contro il demone più grande.
«Se Naraku ha avvertito il ritorno della tua Hoshisaki, non avrà mandato solo un gruppo di ricognizione. Devi allontanarti dal confine il prima possibile.- disse Kaede- Non ci voleva, il villaggio era già stato danneggiato da…»
Un’ombra cadde su di loro, oscurando il sole. Kagome ebbe appena il tempo di alzare gli occhi sul grosso oni comparso alle loro spalle che la sua enorme mano si abbatté su lei e Kaede, scaraventandole a terra. Kagome cadde di schiena, perdendo il fiato, ma riuscì a rotolare via con uno strillo quando l’enorme palmo cercò di schiacciarla al suolo. La ragazza finì contro Kaede, intontita per il colpo. L’oni, un gigante dalla pelle rossa, si voltò e fece un passo verso di loro, forse ancora ignaro di avere davanti agli occhi ciò che stava cercando ma con tutta probabilità felice di ridurle ad una frittella.
“Non posso morire così, in un posto assurdo come questo!” pensò Kagome, sentendo la propria anima ribellarsi a una fine così ingiusta. Si guardò attorno, mentre la rabbia bruciava la paura fino a ridurla in cenere.
«Kaede-sama! Kagome!» gridò Sango, in alto sopra di loro. La ragazza guerriera, già pronta a scagliare il suo Hiraikotsu, compì una rapida torsione e cambiò bersaglio. Il boomerang d’osso sfrecciò attraverso la nube di insetti, falcidiandoli, e si abbatté sul braccio levato dell’oni, strappandolo dal corpo. Il mostro ululò, facendosi indietro di un passo, ma non era ancora fuori combattimento. Kagome lo sapeva bene quanto Sango.
Il suo sguardo cadde sull’arco ancora miracolosamente illeso dell’anziana sacerdotessa. Non si fermò a riflettere. Era troppo arrabbiata. Le grida e i rumori di distruzione le riempivano le orecchie. Era prigioniera di una situazione mortale e la cosa la rendeva furibonda.
«Vuoi uccidermi, eh?- disse tra i denti, afferrando l’arco e incoccando una freccia con velocità dovuta alla pratica- Vediamo se ce la fai, bestione!»-
Prese la mira con approssimazione, ma non aveva tempo e il suo bersaglio era così grande che sbagliare sarebbe stato imbarazzante. Centrò il demone dritto in faccia. La testa esplose come se Kagome avesse tirato una bomba, non una semplice freccia di legno. La cosa non la stupì più di tanto, ricordava ancora cos’era successo al demone insetto che l’aveva attaccata la notte precedente. Se in quel mondo possedeva qualche potere, quello era il momento di usarlo! Le domande a dopo!
Mentre l’oni dalla pelle rossa crollava a terra, Kagome incoccò un’altra freccia e si alzò in piedi. Non si accorse dello sguardo attonito di Sango, scesa a recuperare Hiraikotsu, né del pallore mortale sul volto di Kaede, che si era tirata faticosamente a sedere. Tesa, circondata da un’aura di luce rosa che sgorgava dal cristallo sul suo petto, Kagome scoccò la freccia.
Un attimo dopo, l’oni dalla pelle blu crollava su una casa, con il ventre squarciato. Gli insetti simili a vespe ondeggiarono, come indecisi sul da farsi, poi si riunirono in uno sciame e volarono via dal villaggio, verso oriente.
Kagome si voltò verso Sango e Kaede, felice e al contempo incredula di quanto era riuscita a fare. Sul volto della ragazza guerriera era dipinto un attonito rispetto.
«Kagome…hai usato Shinsetsu?- sussurrò, avvicinandosi a lei di un passo- Allora tu…»
«Tu…sei Kikyo! Ecco perché mi sembravi familiare: sei la reincarnazione di Kikyo!»
Le parole della vecchia Kaede fecero scomparire ogni colore dal volto di Sango, che abbassò di scatto lo sguardo sull’anziana sacerdotessa. Lo stesso fece Kagome, perplessa. Il malanimo che vide nell’unico occhio della donna le consentì di intuire che, chiunque fosse quella Kikyo, la somiglianza stava per peggiorare la sua situazione.
«Ka…Kaede-sama?» mormorò, incerta. La miko si alzò con fatica, poi si tolse la polvere dai vestiti, evitando di guardarla in faccia.
«Hai Shinsetsu e ci hai salvati. Questo ti eviterà di essere mandata via dal villaggio seduta stante.- borbottò, lasciandola senza parole- Ma ti avverto: domattina dovrai essere già in viaggio. Sango, te ne occuperai tu. E’ una tua responsabilità, ora. Io non voglio più posare gli occhi sul suo volto.»
Ciò detto, lasciò sole le due ragazze e zoppicò verso gli abitanti del villaggio, che stavano lentamente tornando indietro a valutare i danni. Kagome guardò Sango, che sospirò e le fece cenno di seguirla.
«Vieni a casa mia.- disse- Temo di doverti qualche altra spiegazione.»

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Capitolo 4
*** 3 - Le ragioni di Sango ***


Author's note: Chiedo scusa per il ritardo e per non aver risposto alle recensioni (leggo e ne provo gioia, ve lo giuro...), ho avuto qualche problema lavorativo che mi ha scombussolato le giornate. Ora Kagome ha un nuovo pensiero scomodo: chi è Kikyo e perchè le somiglia?! Quali sono le vere ragioni dell'odio di Sango per Naraku? E cosa succede al Palazzo dell'Imperatore di En???

CAPITOLO 3

LE RAGIONI DI SANGO

Sulla porta le attendeva una donna sulla cinquantina che scambiò qualche breve parola con Sango e poi si allontanò.
«Prego, entra.» disse Sango, sollevando la tenda malandata che chiudeva la soglia di una casetta in legno quasi al limite del villaggio. Kagome fece per raccogliere l’invito ad entrare quando tra i suoi piedi sgusciò il demone Kirara, ora ridotto alle dimensioni di un gattino. La ragazza sobbalzò suo malgrado e il piccolo yokai si fermò in centro alla stanza per guardarla e lanciarle un miagolio, prima di scomparire dietro una porta scorrevole accostata.
«Non aver paura di Kirara. E’ la mia compagna di caccia, non ti farebbe mai del male.» la rassicurò Sango. Si sedette a terra vicino al focolare spento e Kagome seguì il suo esempio, titubante. La casa della guerriera, che ora si stava sciogliendo i lunghi capelli castani, sembrava ancora più spartana di quella della sacerdotessa Kaede. La stanza era cupa, nonostante fuori splendesse il sole.
«Ehm…mi dispiace se disturbo te e la tua famiglia…» mormorò Kagome, rifugiandosi dietro una frase di circostanza per cercare di recuperare la lucidità. La battaglia e il successivo atteggiamento ostile della vecchia Kaede l’avevano alquanto scioccata.
«Stai tranquilla, vivo sola. I miei genitori sono morti da tempo. La donna che hai visto prima ha solo…badato ad alcune cose, in mia assenza.- disse Sango, senza apparente emozione- Questo non è nemmeno il mio villaggio.»
«Ah no?» chiese Kagome, perplessa. La giovane scosse la testa, iniziando a liberarsi dei pezzi d’armatura che indossava sull’aderente abito nero.
«Io sono una Cacciatrice. L’ultima, ormai. Eravamo un corpo speciale di guerrieri al servizio di Sesshomaru-sama, ma il nostro villaggio è stato distrutto da Naraku un paio di anni fa.- spiegò, poi tornò ad alzare gli occhi su di lei- Ma non è questo che vuoi sapere, non è vero?»
Kagome arrossì, ma non poteva negare di essere piena di domande.
«Chi è Kikyo?- chiese, piano- Perché la vecchia Kaede ha reagito tanto male notando che le somiglio?»
Sango corrugò la fronte, abbassando lo sguardo sulle proprie mani.
«Kikyo…era una miko. Una sacerdotessa di inaudita potenza, morta cinquant’anni fa.- disse- Era l’anima prescelta da Shinsetsu, lo stesso prisma rosa che ora porti al collo tu.» Indicò il pendente di Kagome, che lo strinse tra le dita in un gesto inconscio. «Era la sorella maggiore di Kaede. E’ anche la persona che ha maledetto il Principe Inuyasha e ci ha gettati nella situazione che vedi.»
«Che…cosa?!» balbettò Kagome, sbalordita.
«Nessuno sa perché sia accaduto. Il nostro regno era a buon punto nella ricerca delle Hoshisaki. Il Principe e Kikyo avrebbero dovuto incontrarsi per suggellare l’alleanza, ma…qualcosa andò storto. Si sa solo che il Principe fu trovato nel luogo dell’appuntamento prigioniero di un sonno che è come la morte e che il corpo di Kikyo, cui la maledizione apparteneva, venne scoperto poco più in là. Era morta, in un bagno di sangue, e Shinsetsu era sparita.- disse Sango, atona- La gente pensò che i due avessero lottato e che Kikyo avesse poi ceduto ai colpi inferti da Inuyasha-sama nel tentativo di difendersi. La considerò una traditrice al soldo di Naraku, perché solo questo avrebbe potuto spiegare il suo gesto folle. Lei non amava gli yokai e aveva sempre considerato ingiusto che gli abitanti di En fossero governati da esseri a suo giudizio impuri.»
«Quindi somiglierei a una traditrice?» disse Kagome, gli occhi spalancati per l’ansia. Non era certo un buon curriculum con cui presentarsi alla reggia di quel Sessho-come-si-chiama!
«Sembrerebbe di sì. Non stupirti del malanimo di Kaede: a causa della fama di sua sorella, venne bandita dal regno per qualche tempo. Fu allora che perse l’occhio. Non credo pensi davvero a sua sorella come una traditrice…ma ha vissuto troppe disgrazie per riuscire a perdonarla.» disse Sango, scuotendo il capo.
«Ne parli come se nemmeno tu pensassi a questa Kikyo come una traditrice…» osservò Kagome, corrugando la fronte.
«Credo di aver cambiato idea oggi, quando Kaede ha riconosciuto in te sua sorella.»
«Aspetta: io non sono la reincarnazione di nessuno.- la frenò Kagome, alzando una mano- Io sono Kagome e basta.»
«Forse, ma non sottovaluto questo genere di segni. Tu sei il successore di Kikyo, se non la sua reincarnazione. Shinsetsu ti ha scelta…e io non credo che avrebbe abitato nuovamente un’anima contaminata dall’odio o dal pregiudizio. Se le somigli tanto, in te c’è per forza una parte di lei.- osservò Sango, sorprendendola- La verità la conosce solo Inuyasha-sama e la scopriremo a tempo debito. Che tu sia Kikyo o meno, con la tua Hoshisaki sicuramente potremo risvegliarlo. E’ tutto quello che mi serve sapere. Ti accompagnerò al Palazzo di Sesshomaru-sama e mi prenderò cura di te.»
Kagome abbassò lo sguardo sulle proprie mani, mentre Sango la lasciava sola un istante per andare a prendere qualcosa da mangiare per entrambe. Il suo ruolo sembrava sempre più essenziale a mano a mano che le veniva rivelato qualcosa di nuovo. La reincarnazione di una sacerdotessa? Una traditrice? O forse una vittima quanto quel principe demone? Alzò il pendente rosa all’altezza del viso, corrugando la fronte.
«La Gentilezza…» borbottò. Il suo pendente era davvero un oggetto particolare, diverso sia dal vetro che dalle pietre dure di sua conoscenza. Era trasparente ma profondo, come se ad osservarlo troppo ci si potesse perdere nel suo colore delicato. Le aveva sempre dato sicurezza, pace. Possibile che avesse quel potere anche su più larga scala?
“Tanto dovrò scoprirlo per forza, se voglio tornare a casa.” pensò, d’un tratto terribilmente stanca e giù di morale. Sarebbe sopravvissuta viaggiando attraverso una terra tanto violenta? E cosa l’aspettava una volta giunta al cospetto del regnante, se non fosse riuscita a risvegliare quel principe dormiente? Sango rientrò in quel momento, tenendo in mano due ciotole con del riso.
«Ho chiesto alla vicina. Come vedi sono un po’ in ristrettezze.- si scusò, passandole il cibo con un sorriso- Spero che tu non sia abituata a mangiare diversamente…»
«Oh, no, va benissimo!» le assicurò Kagome, che aveva tanta fame da accontentarsi di qualsiasi cosa. Pranzarono in silenzio, sedute l’una di fronte all’altra, poi Kagome azzardò la domanda che le ronzava in testa fin da quella mattina.
«Sango…come mai sei così accanita nella tua lotta contro quel Naraku?- chiese, gentile- Capisco che tu voglia vendicare il tuo villaggio, ma…sei una ragazza! Invece ti butti nella mischia come se non desiderassi altro che combattere.»
«Io voglio Naraku morto, è vero, e non solo a causa della distruzione del mio villaggio.- rispose lei, posando la ciotola- In ogni caso, sono stata addestrata per combattere questa guerra. Non ho paura.»
«Nemmeno di morire?» insistette Kagome, attonita. Come poteva una ragazza avere tanta forza d’animo?! Non riusciva nemmeno a paragonare le sue compagne di classe a quella giovane così energica, ferrea. Sango piegò la bocca in un sorriso amaro.
«Morire non mi è concesso. Non ancora.» disse, poi si alzò. «Vieni. Perché tu capisca qual è il nemico con cui abbiamo a che fare, devo farti vedere una cosa.»
Kagome si alzò a sua volta, perplessa e un po’ timorosa, e seguì Sango nella stanza accanto, oltre la porta scorrevole. Con sua sorpresa, scoprì che la camera era occupata. Seduto su un vecchio futon, con Kirara accoccolata sui piedi, c’era un ragazzo poco più giovane di lei, con i capelli neri, vestito di uno yukata malandato. Si guardava le mani con sguardo distante, come immerso in profonde riflessione.
«Ah…ehm…chiedo scusa per il disturbo! Io sono Kagome Higurashi!» si presentò Kagome, con un lieve inchino di cortesia. Sango le posò una mano sulla spalla e scosse la testa.
«E’ inutile, Kagome. Mio fratello, Kohaku, non capisce le tue parole. Non più.» la freddò. Kagome spalancò gli occhi, mentre una sensazione di freddo si faceva strada dentro di lei.
«E’…malato?» chiese, sapendo già che questo termine non poteva spiegare la totale mancanza di reazioni in una persona. Si trattava di un caso grave di catatonia, come minimo.
«E’ stato ridotto così da Naraku, dopo la distruzione del nostro villaggio.- rispose Sango, atona, fissando il fratello immobile- Le Hoshisaki perdono di potere se non risiedono in un organismo ospite. Durante l’attacco, Naraku ha rapito mio fratello e ha cercato…ha cercato di utilizzarlo come sede di Hageshisa, la Violenza.» Deglutì a fatica, mentre prendeva fiato. Bastò quella breve incertezza per dare a Kagome un’idea più precisa della sofferenza e della sete di vendetta che albergavano nel cuore di Sango. «Il corpo di Kohaku ha rigettato la Hoshisaki, ma ne è stato contaminato. Quando Naraku mi ha concesso di ritrovarlo…- strinse i denti tanto da farli stridere- era come lo vedi ora. Una bambola che vive a malapena. Si muove se lo sposti, poi rimane com’è finché non ti ricordi di fargli cambiare posizione. Non parla, non sente nulla. Ha bisogno di essere assistito in ogni cosa. La morte sarebbe stata una fine più onorevole.»
«Non dire così!-» sbottò Kagome, afferrandole una mano. Sango scosse il capo.
«Non puoi capire.» disse, fredda.
«Forse no, ma…anche io ho un fratello e una sorella, e so come mi sentirei se succedesse loro qualcosa.- protestò – Non c’è un modo per tentare di farlo tornare normale?!»
Sango abbassò lo sguardo, scrollando le spalle.
«Se le Hoshisaki delle Tenebre fossero distrutte, forse Kohaku sarebbe libero. E’ l’unica speranza che mi rimane.- disse- Ora capisci perché voglio uccidere Naraku? Perché io e tutta En gridiamo vendetta? Quel bastardo gioca con i sentimenti delle persone, fa del male a tutti nel modo più perverso che si possa immaginare. E’ un mostro, Kagome…un mostro!» Si coprì il volto con una mano, la bocca tirata in una smorfia sofferente.
Kagome ristette per un attimo, non sapendo cosa fare, poi il suo buon cuore ebbe la meglio e le passò un braccio attorno alle spalle per farle coraggio. Era finita in un guaio molto più grande di lei, in un mondo che avrebbe dovuto avere la decenza di stare dentro le pagine di un romanzo, ma ormai non c’era modo di tirarsi indietro.
«Shinsetsu è la nostra sola speranza, Kagome.- mormorò Sango, senza osare scoprirsi il volto in quel momento di debolezza- Ti prego…ti prego, vieni con me da Sesshomaru-sama. Salva Inuyasha-sama e, forse, salverai anche mio fratello.»
Kagome avvertì un groppo in gola, e non seppe se era per la propria situazione o per il sincero dolore che stava provando per la sorte avversa della ragazza che le aveva salvato la vita. Qualunque fosse la risposta, la decisione da prendere era una soltanto.
«Verrò con te, Sango.- le disse, tenendola stretta- Portami da Sesshomaru-sama.»


***


Sesshomaru aprì gli occhi, passando dal sonno alla veglia nello spazio di un secondo. Si tirò a sedere, tutti i sensi all’erta. No, non era stato un rumore a svegliarlo. Tantomeno un’intrusione. Solo…una sensazione. Stava accadendo qualcosa. Il suo sangue gli diceva che un evento di qualche importanza era avvenuto, o stava per avvenire.
Si alzò, già vestito. Era tornato nel pomeriggio da un lungo giro di perlustrazione della zona di confine e si era steso per riposare solo perché non se lo concedeva da giorni. Nelle zone di guerra c’era troppo movimento, Naraku aveva ricominciato nel suo tentativo di invasione e numerosi villaggi erano stati distrutti. Purtroppo il maledetto era sempre più forte…ormai possedeva cinque Hoshisaki attive e credeva di aver già vinto la guerra.
Gli occhi ambrati dell’Imperatore di En divennero specchi senza sentimenti, mentre antichi pensieri scomodi venivano ricacciati nell’oblio prima che venissero a galla. En possedeva quattro Hoshisaki, ma tre erano completamente inservibili. Solo quella che riposava nel figlio maggiore di Inuken poteva dirsi viva e attiva. Naraku, oltre all’impero, stava distruggendo lentamente anche le loro esistenze.
Sesshomaru afferrò la spada Tenseiga e se la allacciò al fianco, mentre lasciava i suoi appartamenti. La sua eredità…Inuken aveva lasciato ai figli le sue Hoshisaki grazie a un incantesimo, che aveva legato le punte di stella alle zanne di cui l’inu-yokai si era privato. Peccato che suo padre le avesse distribuite in maniera del tutto sconsiderata, offrendo Tsuyosa a quel moccioso di Inuyasha sotto forma della spada Tenseiga e rifilando al figlio maggiore l’inutile Awaremi sotto forma di Tenseiga. Nessuno dei due figli di Inuken aveva mai imparato a gestire la propria eredità.
“Padre, il tuo errore ci costerà l’Impero e l’orgoglio di yokai.” pensò con astio, non per la prima volta. Aveva ereditato il regno in giovane età, in una situazione che avrebbe fatto impazzire chiunque. Nonostante ciò, teneva il confine da più di cento anni. Cos’altro si pretendeva da lui?!
«Jaken!» chiamò, una volta uscito sulla lunga balconata. La luna piena gettava la sua luce violacea sul giardino, delineando le colonne che sorreggevano il soffitto e facendo vibrare in maniera arcana le loro lunghe ombre. Sesshomaru lanciò un’occhiata corrucciata alla luna. Era molto vicina, vivida. Dava quasi fastidio alla vista. Inoltre, la sua sfumatura lo irritava. Somigliava a quella dell’Hoshisaki che aveva cercato con tutte le sue forze per cinquant’anni e temuto per altrettanto tempo.
«Jaken!» chiamò ancora, seccato. Un istante dopo, il suo servitore caracollò in avanti dal corridoio alla sua destra, ansimando per la corsa.
«Se…Sesshomaru-sama! Avete bisogno di me?» chiese il piccolo demone rospo, deferente.
«E’ accaduto qualcosa?-» chiese, brusco. I grandi occhi di Jaken si appuntarono sul suo volto con apprensione.
«Non mi risulta, Sesshomaru-sama.- rispose, agitato- Il castello è tranquillo, le guardie sono al loro posto. Non sono arrivati dispacci dal fronte, né altro! Mi sembra che anche i pellegrini stiano dormendo, non sento chiasso né…»
Sesshomaru si incamminò, lasciando il proprio sottoposto a parlare all’aria. Se il suo istinto non l’aveva completamente ingannato, c’era solo una cosa che poteva avergli trasmesso quella sensazione d’allarme. Jaken gli corse dietro, cercando di tenere il passo.
«Pensate stia succedendo qualcosa, Sesshomaru-sama?- chiese, preoccupato- Vi assicuro che tutto è in ordine! Il vostro Palazzo è a prova di intrusione, lo giuro sulla mia testa…ehm…no…sulla testa dei vostri servitori!»
«Qualcosa c’è.» disse soltanto il demone vestito di bianco.
Salì all’ultimo piano del palazzo, dirigendosi verso la grande camera interna, circondata da guardie. Non badò né ai loro inchini, né alle occhiate sconcertate. L’Imperatore di En non andava mai a visitare il fratello che giaceva in quella stanza, come morto, da cinquant’anni. Era Jaken a occuparsi dei pellegrini e della valutazione delle false Shinsetsu. Quella notte, però, gli era necessario per mettersi il cuore in pace.
Scostò con un gesto brusco i pesanti tendaggi ed entrò in quello strano miscuglio di camera da letto e mausoleo che era il luogo di riposo di suo fratello Inuyasha. In una grande sala ingombra dei doni di buon augurio portati dai pellegrini, il corpo del Principe di En giaceva supino su un grande catafalco, che Jaken si premurava di tenere sempre pulito e in ordine. Non c’erano finestre: Sesshomaru non voleva che vi fossero vie di accesso dirette a quella sala. Due Hoshisaki dormienti erano meglio che due Hoshisaki rubate da Naraku…
Si avvicinò al corpo immoto, vestito di rosso, immutato dal giorno in cui la freccia di quella maledetta sacerdotessa aveva trafitto il cuore dell’erede al trono di En. I capelli d’argento, identici ai suoi, giacevano sul lenzuolo, catturando i riflessi di luce delle candele accese. Il volto giovane, somigliante a quello del loro defunto genitore più di quello di Sesshomaru, sembrava immerso in un sonno piacevole invece che in un coma senza risveglio. L’asta della freccia spuntava dal petto, corpo estraneo e odioso che era andato a complicare infinitamente la vita di Sesshomaru. Accanto a lui era posata Tessaiga, muta e morta come il suo possessore.
Fissò quel volto, un tempo odiato e poi sopportato a fatica, cercando tracce di cambiamento. Nulla. Sembrava che in Inuyasha non si fosse operato alcun cambiamento, né in meglio né in peggio. Allora perché quella sensazione di urgenza? Perché sentiva che qualcosa stava per accadere?
«Se…Sesshomaru-sama? Tutto bene?» si arrischiò a chiedere Jaken. L’aver constatato che la sorveglianza era perfetta come al solito l’aveva un po’ tranquillizzato, ma con il suo padrone non si poteva mai sapere…
«Sembra di sì.» rispose lui, seccato per quel senso d’allarme inspiegabile che l’aveva spinto in un posto dove non desiderava mettere piede. Guardare Inuyasha in quella condizione gli ricordava troppe cose sgradevoli che voleva soltanto rimuovere dalla memoria. Storse la bocca in una smorfia e fece per voltarsi, deciso ad andarsene, quando Tenseiga vibrò. Sesshomaru si bloccò, abbassando di scatto lo sguardo sulla spada.
«Cosa…» mormorò, sbalordito. Era un segnale? Tenseiga non aveva mai dato segni di vita negli ultimi cinquant’anni…Dunque la sua intuizione non era fallace, c’era davvero qualcosa che non andava! Guardò di nuovo il fratello, cercando di affinare tutti i suoi sensi.
«Jaken, spegni le candele.» ordinò.
«Co…cosa? Ma…» balbettò il piccolo yokai.
«Spegnile.»
Non alzò la voce né cambiò tono, ma Jaken perse il fiato e sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene. Si precipitò sulle piccole fiammelle come se ne andasse della sua vita, soffiando come un ossesso finché la camera non fu al buio.
«Va bene così?» ansimò, voltandosi verso il suo padrone. Ciò che vide lo scioccò oltre misura. Il corpo del principe Inuyasha riluceva di un debole ma distinto bagliore dorato che, dal punto in cui la freccia di conficcava nel petto, si propagava lungo le sue membra a ondate lente e ritmiche, come un battito di cuore. Nella luce delle candele era impossibile accorgersene, ma al buio…
«Se…Sesshomaru-sama…cosa significa?!» chiese Jaken, spaventato dall’espressione sul volto del suo padrone più che dello strano fenomeno sul corpo di Inuyasha.
Sesshomaru non si curò di rispondere. Uscì dalla sala quasi correndo, un’espressione intensa e feroce sul volto. Shinsetsu era tornata a En! Ecco il perché degli improvvisi movimenti di Naraku!
Doveva trovare quella Hoshisaki prima del suo nemico, se voleva dare una possibilità di sopravvivenza all’impero che aveva ereditato.

 

 


 

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Capitolo 5
*** 4 - Un'altra Shinsetsu ***


Author’s note: Dopo rischi indicibili e traversie innumerevoli (chi capisce la citazione è da Oscar!), rieccomi a voi con un nuovo capitolo di Hoshisaki! Terminati gli altri impegni, rimessa un pochino in sesto la salute precaria, ho ripreso a scrivere. Spero vorrete perdonarmi e seguire comunque questa fic, che finalmente sta per entrare nel vivo. Vi invito anche a dare un’occhiata a “Ko-Mython”, la mia nuova originale fantasy! Grazie a tutti voi che mi avete aspettata…


CAPITOLO 4

 

UN’ALTRA SHINSETSU

«Vado a scuola.» disse Anna, affacciandosi alla porta della cucina. Le teste della mamma e del nonno si alzarono appena. Entrambi avevano gli occhi segnati per il troppo piangere e la mancanza di sonno. Ormai erano passati due giorni dalla scomparsa di Kagome.
«Il pranzo, tesoro…mi sono scordata di preparartelo.» mormorò la donna, facendo un debole tentativo di alzarsi.
«Stai tranquilla, non ne ho bisogno. Non sono tornata al tempio per farmi viziare.- disse la giovane dai capelli chiari, sorridendo, poi tornò seria- La polizia sarà qui tra poco, vero?»
Entrambi annuirono.
«Se venisse fuori qualche novità, vi prego di chiamarmi a scuola.» disse, poi si voltò sentendo passi scendere le scale. Sota la stava raggiungendo. «Allora noi andiamo…»
Pochi istanti dopo, i due uscirono nel silenzio, uno accanto all’altra. Fuori era una splendida giornata di primavera, in totale contrasto con il loro stato d’animo. Un vento leggero e tiepido scuoteva i rami costellati di gemme e fiori. Sembrava impossibile che Kagome non fosse lì con loro…
«Grazie, Acchan.» disse Sota. Lei si voltò verso il ragazzo che aveva imparato a considerare suo fratello.
«E di cosa?»
«Di essere tornata a casa, in un momento come questo. La mamma e il nonno avevano bisogno di supporto.- rispose lui, poi sospirò e scosse la testa- Si sentono in colpa, capisci? Kagome ha sentito la nostra conversazione ed è fuggita. Per questo la polizia continua a trattare il caso come un allontanamento volontario.»
«Già…» mormorò Anna, abbassando lo sguardo sul selciato e incupendosi in volto. Non riusciva a crederci nemmeno lei: Kagome era un’orfana, adottata dalla famiglia Higurashi. Per la ragazza doveva essere stato un grosso trauma venirlo a sapere in maniera tanto inaspettata. La polizia era sicura che Kagome fosse scappata di casa, ma né Anna né la sua famiglia ne erano più così convinte. In un caso simile, una ragazza assennata come Kagome avrebbe chiesto asilo alla sua onee-chan, o ad una delle sue compagne di scuola in attesa di schiarirsi le idee. Invece, nessuno l’aveva più vista. La loro preoccupazione cresceva ad ogni ora che passava senza notizie da parte sua.
«Se stesse bene, ci farebbe sapere dov’è, cosa sta facendo…» mormorò Sota, affranto, mettendo in parole la sua paura. Anna gli toccò un braccio e lo costrinse a fermarsi.
«Sono sicura che stia bene, Sota.- gli disse, guardandolo con i suoi franchi occhi chiari, ereditati dalla madre- Cerchiamo di avere fiducia in lei. Tornerà.»
Sota annuì, sorridendole in segno di ringraziamento. Anna era sempre stata così: anche nelle difficoltà, trovava la forza di essere positiva e di dare speranza agli altri. Tornò a incamminarsi, senza accorgersi che la ragazza corrugava la fronte e alzava il viso al cielo, come se avesse sentito qualcosa.
La giovane, in effetti, era stata per un attimo assalita da un intossicante profumo di ciliegi portato dal vento e qualcosa, dentro di lei, aveva…vibrato. Strinse le labbra per impedire che le si riempissero gli occhi delle solite lacrime senza spiegazione. Aveva già abbastanza di cui preoccuparsi senza indulgere in malinconie prive di senso.
“Kagome…dove sei andata?” pensò, spazzando con lo sguardo il grande cortile d’ingresso del tempio. I dintorni erano stati setacciati senza successo dalla polizia. Dove poteva essersi cacciata?
Il suo sguardo passò sopra l’Hokora e per un attimo le sue sopracciglia si aggrottarono, come per un pensiero ancora informe; poi passò oltre e la sensazione fu dimenticata. Tornò ad incamminarsi dietro a Sota, preparandosi spiritualmente a una giornata che prometteva di essere molto lunga.
***
«Kagome…Kagome!»
Kagome si svegliò di soprassalto e per un attimo non riconobbe il volto che le comparve davanti agli occhi, poi si rilassò e al contempo la invase una tremenda stanchezza fisica e morale. Quella era Sango e lei era ancora prigioniera di una specie di incubo.
«Non riuscivo a svegliarti.» le disse Sango, mentre la ragazza si tirava a sedere con una smorfia. Le faceva male tutto!
«Non so come sia riuscita ad addormentarmi…» borbottò, guardandosi attorno. Si trovavano in una boscaglia rada. Il sole era sorto da poco e una foschia umida e fredda aleggiava sulla pianura ondulata che si perdeva all’orizzonte, velando il cielo chiarissimo e luminoso. Era la sua prima notte all’addiaccio ed era stata un calvario. In qualche modo, però, doveva essersi addormentata.
Erano partiti dal villaggio la mattina precedente, all’alba. Nessuno aveva fatto cenno di volerle salutare, a parte la donna che si sarebbe occupata del fratello di Sango durante la sua assenza. Kagome aveva intravisto Kaede dietro alla stuoia d’ingresso della sua casa danneggiata, un’espressione tormentata sul volto, poi l’anziana sacerdotessa aveva richiuso la stuoia ed era sparita alla vista. Kirara, trasformata in un grande demone gatto, le aveva trasportate per tutto il giorno, coprendo un ampio tratto di cammino attraverso i boschi. Kagome doveva ammettere che la velocità e la comodità di quel modo di viaggiare le stavano risparmiando gran parte delle spossanti fatiche di una lunga marcia, ma trascorrere la notte all’aperto, con il freddo e il terrore di essere attaccate da qualche demone, aveva di nuovo fiaccato il suo umore.
«Mangia qualcosa, Kagome. Partiamo subito.» le disse Sango, acconciandosi i lunghi capelli scuri in una coda alta.
Kagome annuì. Prese da un involto di foglie ciò che restava della cena del giorno prima, piccole polpette di riso e uova, e le sbocconcellò in fretta. Fu solo quando si sistemò la sacca da viaggio a tracolla e Sango stava ormai salendo in groppa a Kirara che le immagini del sogno le tornarono alla mente con vivida prepotenza.
Una notte stellata, la luce soffusa di una lanterna di carta sull’erba. Petali di ciliegio ai suoi piedi. Petali nell’aria tiepida, come una pioggia delicata, ma la solita sensazione di tristezza era assente. E un giovane dai lunghi capelli neri, fermo dinanzi a lei, una mano posata sulla corteccia di un albero. Le sue vesti erano scure, forse rosse. Sembrava un principe dell’antichità, fiero, la spada legata al fianco. Ricordava come il suo cuore avesse iniziato a battere più forte, come tutto in lei avesse desiderato lasciare il cerchio di luce per corrergli incontro. Ma non l’aveva fatto. Era rimasta immobile, ad attendere una sua mossa. Infine, lui aveva fatto un passo verso di lei, aveva aperto la bocca per parlare, il suo viso stava per essere baciato dalla luce…e Sango l’aveva svegliata.
«Kagome! Tutto bene?- la chiamò Sango, riscuotendola- Possiamo partire?»
«Ah…sì! Sì, certo!» rispose Kagome, raggiungendola e facendosi aiutare a salire in groppa a Kirara. Di fronte allo sguardo indagatorio della ragazza guerriera, Kagome scosse il capo. «Ho solo fatto…beh, uno strano sogno. Credo di aver rivisto il ragazzo che mi ha richiamato qui.»
Questo le valse l’immediata attenzione di Sango.
«Naraku? O il Principe Inuyasha?» chiese, pressante. Kagome scrollò le spalle, mettendosi più comoda sulla groppa di Kirara.
«Non era una persona cattiva, né un demone…Non credo sia quel Naraku di cui mi hai parlato.- rispose, perplessa- Ma tu hai detto che il vostro Principe Inuyasha non ha i capelli neri…»
«No, infatti.» Sango fece una carezza a Kirara, comunicandole che poteva partire, e si alzarono in volo. Per qualche istante, le due ragazze non parlarono. «Non riesco a capire chi sia questo giovane che vedi, Kagome. Naraku è maligno, non può nascondere la sua natura e Shinsetsu ti avvertirebbe del pericolo se fosse lui a visitare i tuoi sogni. D’altra parte, la luce che hai visto cadendo nel sacro Honeido possedeva il colore della Hoshisaki del nostro Principe. Non riesco a venirne a capo.»
«Com’è fatto questo Principe Inuyasha?» chiese Kagome, curiosa, mentre sotto di loro scorreva la foresta, attraversata da un largo fiume che brillava alla luce che fendeva la bassa foschia. Sango si voltò a metà verso di lei, con una strana espressione perplessa sul viso.
«Ecco…in realtà, io ho mai avuto l’onore di vederlo. Il suo sonno è iniziato molto prima che io nascessi e nessuno, nemmeno i pellegrini, ha il permesso di avvicinarsi al suo corpo addormentato. Da quello che si sa, però, assomiglia molto a suo fratello, l’Imperatore Sesshomaru-sama, che ho potuto conoscere prima che il mio villaggio andasse distrutto. Hanno entrambi capelli lunghi e bianchi, lucenti come l’argento, e occhi ferini del colore dell’ambra. Inuyasha-sama è più giovane e pare che il suo carattere fosse irruente, più portato allo scontro che al dialogo. Il nostro Imperatore, al contrario, ha fama di essere gelido e imperturbabile…Immagino che questo crei grande differenza anche su lineamenti simili, sempre che i loro visi si assomiglino. Ah, dimenticavo un particolare: Inuyasha-sama aveva una madre umana, perciò non è uno yokai completo. Si dice che ne porti il segno nelle bianche orecchie canine poste sulla cima della testa.»
«Ha orecchie da cane?!» sbottò Kagome, sbalordita. Che cosa…stramba! “Però potrebbero essere carine, a vedersi.” pensò, un po’ divertita. «Comunque, questo taglia la testa al toro. Il principe dei miei sogni non è il vostro Inuyasha-sama. Niente capelli d’argento, né orecchie canine.»
«Allora, forse, Shinsetsu ti sta mostrando qualcuno che diventerà nostro alleato.- ipotizzò la guerriera- Penso che per ora possiamo evitare di preoccuparci. Avvisami comunque, Kagome, se ti capitasse di sognarlo con maggiore chiarezza.»
Kagome annuì, quindi Sango tornò a guardare di fronte a sé, dirigendo il volo di Kirara. Mancavano quattro giorni di viaggio, senza intoppi, per raggiungere il castello dell’Imperatore. Kagome sospirò, avvertendo fitte alla schiena e alle gambe, e cercò una posizione più comoda. Non poteva né voleva credere che quel giovane dai capelli neri potesse essere Naraku o un loro nemico. Non l’aveva visto in volto, ma le sembrava qualcuno di cui potersi fidare. Qualcuno che, se avesse potuto guardarlo negli occhi, probabilmente le avrebbe fatto battere il cuore.
“Ma cosa sto pensando?!” si rimproverò, le guance in fiamme. La sua mano salì a stringere il pendente rosa. Sango era una brava ragazza e forse sarebbero diventate amiche, con il tempo, ma le mancava qualcuno con cui potersi confidare. “Se solo Anna-chan fosse qui…” pensò, improvvisamente triste. Kirara virò e il loro viaggio continuò lungo la via dorata del fiume.
***
Toccarono terra che era quasi il tramonto. Avevano volato indisturbate per tutto il giorno, tanto che Sango era riuscita a rilassarsi un po’.
«Evidentemente Naraku non sa ancora che abbiamo lasciato il confine.- aveva detto, mentre iniziavano a perdere quota non lontano da un ampio villaggio costruito sulla riva del fiume- Questo spiega il nostro viaggio tranquillo. Purtroppo non credo durerà a lungo, quel maledetto capirà presto che ci stiamo dirigendo al castello.»
«Ma non siamo nel territorio di En? Com’è possibile che Naraku possa attaccarci?» aveva chiesto Kagome, la tensione di nuovo alle stelle.
«Purtroppo En regge alla pressione nemica solo in apparenza, ormai. Quasi tutta questa parte di territorio è piena di spie e sicari di Naraku. Non abbassiamo troppo la guardia. Nascondi Shinsetsu, non ne faremo parola con nessuno.»
Scesero dalla groppa di Kirara a meno di un miglio dalle prime case, vecchie abitazioni in legno non troppo diverse da quelle tipiche dell’antico Giappone. Il demone gatto si trasformò subito e saltò in braccio alla sua padrona, con tutta evidenza felice di potersi finalmente riposare un po’. Giunsero al villaggio a piedi, come normali viaggiatrici, eppure ricevettero occhiate sospettose fin da quando oltrepassarono la palizzata esterna e misero piede tra le prime case. Kagome lesse senza sforzo la stanchezza e la paura sui volti degli abitanti che incrociarono e si rallegrò di essersi cambiata, indossando una veste da miko che Sango si era procurata prima della partenza dalla vecchia Kaede. Probabilmente, i suoi abiti moderni avrebbero creato problemi.
«Sango, dove stiamo andando?» mormorò, accelerando il passo per avvicinarsi alla ragazza guerriera.
«Questo villaggio è uno scalo fluviale, quindi dovrebbero esserci una o due dimore d’accoglienza che possano ospitarci. Le mie finanze sono scarse, ma posso pagare disinfestando il posto dai piccoli demoni parassiti. Ce ne sono sempre.» rispose Sango, in apparenza tranquilla.
«Dimora d’accoglienza?» ripeté Kagome, confusa.
«Luoghi ove mangiare e dormire previo pagamento. Nel tuo paese come vengono chiamate?»
«Oh!- esclamò Kagome, sentendosi sciocca- Alberghi…o locande. Ho capito cosa intendi, scusa per la domanda stupida.» In quel mondo era tutto così strano che anche cose semplici come quella le sfuggivano! Si rimproverò, ricordandosi che non poteva permettersi di stare con la testa tra le nuvole. Non con gli scagnozzi di un demone malvagio che si nascondevano in ogni angolo per rintracciarla. La sua onee-chan aveva sempre elogiato la sua capacità di adattarsi alle situazioni. Era il momento di rimboccarsi le maniche e utilizzare quella dote, se davvero la possedeva!
Avvicinandosi al centro del villaggio, l’atmosfera parve cambiare. Videro gente che correva con involti tra le braccia, piccoli capannelli di persone che parlottavano a bassa voce e, strano a dirsi, sorridevano. Kagome si rese conto che erano le prime persone che vedeva sorridere da quando era finita in quel mondo!
«Cosa succede?» chiese. Sango scosse la testa.
«Non so…forse c’è una festa.» rispose lei, perplessa. Entrambe le ragazze si bloccarono sul posto, voltandosi con uno scatto, quando colsero tra le parole della gente il nome Shinsetsu.
«Cosa…?!» ansimò Sango, stringendo un po’ troppo al petto la povera Kirara, che miagolò per protesta.
«Sango, com’è possibile che sappiano già di Shinsetsu?! Siamo partite dal tuo villaggio solo due giorni fa, in segreto…» mormorò Kagome, preoccupata. Se gli abitanti di quel villaggio sapevano che Shinsetsu era tornata a En, allora anche i sicari di Naraku dovevano averle individuate! Sango corrugò la fronte, incupendosi.
«Infatti non possono saperlo. Converrà indagare.» disse. Prima che Kagome potesse dire la sua, la giovane guerriera si avvicinò a due uomini e una donna che stavano a lato della strada. Questi smisero subito di parlare, notando l’abbigliamento e la grande arma sulla sua schiena. La voce di Sango, però, suono pacata e cortese. «Perdonate, signori, ma non ho potuto fare a meno di constatare che sembra esserci un clima di festa. Sto accompagnando la giovane miko che è con me al palazzo del nostro Imperatore, siamo stanche e saremmo liete di trovare motivo di svago, nonché un luogo ove riposare.»
Il cipiglio dei tre si rasserenò un poco. Kagome si sentì in dovere di aiutare Sango sfoderando uno dei suoi sorrisi più luminosi e innocenti.
«Non c’è alcuna festa, signorina, non abbiamo più motivi per gioire da tanto tempo.- rispose uno degli uomini- Però oggi abbiamo un ospite importante!»
«Un ospite?» chiese Sango.
«Un santo monaco, signorina.- disse la donna- Una speranza per En! Egli sta portando Shinsetsu all’Imperatore!»
Kagome lanciò un’occhiata sbalordita a Sango, che ricambiò senza mutare espressione sul volto.
«Un pellegrino di Shinsetsu?» mormorò la guerriera.
«Oh, no, non un semplice pellegrino! Egli possiede la vera Shinsetsu, signorina! E’ un santo monaco, ha già guarito con la Speranza numerosi mali della nostra comunità. Ora si sta riposando nella nostra migliore casa d’accoglienza.» disse il primo uomo che aveva parlato, suscitando ampi cenni d’assenso nei suoi concittadini. Sango si incupì tanto che Kagome decise di intervenire.
«Mi piacerebbe conoscere questo signor monaco! Anch’io sono diretta al castello di Sesshomaru-sama e mi darebbe molta gioia poter vedere la vera Shinsetsu!- disse, cordiale- Pensate che lo disturberebbe una mia visita?»
«Miko-sama, avere al villaggio due santi combattenti contro la Tenebra ci riempie d’onore.- rispose la donna, mentre tutti e tre chinavano la testa in segno di rispetto per la sua carica- Sicuramente il signor monaco sarà contento di conoscervi! Svoltate a destra oltre quella casa laggiù, riconoscerete il luogo d’accoglienza per le lanterne colorate appese al suo ingresso.»
«E per le voci festanti.- ridacchiò uno degli uomini- Il nostro signor monaco ha ottimi gusti!»
Kagome ringraziò e prese sottobraccio Sango, trascinandola per qualche passo finché la guerriera non si adeguò al suo incedere. La sentì prendere un respiro profondo, la tensione abbandonò lentamente i suoi muscoli.
«Ottimo intervento, Kagome. Avrei potuto dire qualcosa di cui mi sarei pentita.» mormorò Sango, lanciandole un’occhiata che denotava una nuova stima per la ragazza dai capelli corvini.
«Ho visto che qui le miko sono rispettate e ho pensato di approfittarne.- disse Kagome, con un sorriso- Che ne pensi di questa storia di Shinsetsu? Potrebbe esserci qualcosa di vero?»
«La vera Shinsetsu è al tuo collo.- tagliò corto Sango, incupendosi di nuovo mentre svoltavano l’angolo- Se qui opera un ciarlatano, è mio dovere smascherarlo. Senza contare che questo impostore sta rischiando di attirare sul villaggio l’attacco degli scagnozzi di Naraku.» Kirara miagolò, come a volerle dare ragione. Kagome rimase in silenzio, intimamente preoccupata dalla piega che gli eventi avrebbero potuto prendere se si fossero messe apertamente contro il monaco. Quell’uomo aveva restituito il sorriso alla gente del villaggio, anche se probabilmente era solo un impostore. Smascherarlo apertamente poteva essere rischioso.
«Cominciamo a fare la sua conoscenza, Sango. Poi vedremo il da farsi…che ne pensi?» propose. Sango annuì, dopo un attimo di riflessione.
«Allora preparati a parlargli, Kagome, perché io sono solo la tua scorta e sarebbe sconveniente che conducessi la conversazione. Io lo osserverò…lo osserverò molto bene.» disse, un lieve accento di minaccia nella voce. Kagome sospirò tra sé, ma annuì. Ormai erano arrivate davanti al luogo d’accoglienza, rallegrato da molte lampade di carta arancione. Alle loro orecchie giungevano chiacchiere e risa, soprattutto femminili. Una voce maschile chiese dell’altro liquore per il santo monaco.
Sango e Kagome si scambiarono un’occhiata perplessa e piuttosto scandalizzata.
«Sembra che si goda la vita, eh?» disse Kagome.
«Andiamo dentro.- disse Sango, corrugando la fronte e posando una mano sulla cinghia del suo grosso boomerang- Ho una gran voglia di tirare un pugno sul muso di questo “santo monaco”.»
Salì con decisione i pochi gradini e scostò la stuoia d’ingresso. Kagome, con un sospiro, la seguì. Aveva il forte sospetto che la serata sarebbe finita in rissa…

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Capitolo 6
*** 5 - Un monaco depravato ***


Author’s note: C’era una volta una scrittrice di fanfictions chiamata VaniaMajor…Leggenda vuole che si allontanò dal mondo di Inuyasha per alcuni anni, dedita alla scrittura di storie provenienti dall’Universo che le aveva dato il nome. Ora, a quanto pare, è tornata. Spero sia per voi una gradita notizia!

CAPITOLO 5
 
UN MONACO DEPRAVATO

 
L’atmosfera all’interno era un mondo a sé rispetto a ciò che Kagome aveva visto di En fino a quel momento. L’atrio era ben illuminato, accogliente e piacevolmente caldo. Un lungo corridoio dava accesso a numerose stanze, chiuse da porte scorrevoli. Quelle in fondo erano aperte e c’era un via vai di donne che portavano cibo, bevande, incensi profumati che spandevano ovunque la loro fragranza. Numerose voci ridevano e scherzavano. Qualcuno suonava uno strumento a corde, pizzicando un’aria allegra. Sembrava proprio una festa con tutti i crismi.
Un uomo sulla cinquantina, con la testa pelata imperlata di sudore, si affrettò a raggiungerle all’ingresso, inchinandosi a profusione nel vedere la veste da miko di Kagome e l’arma da Cacciatrice di Sango.
«La Luce ci onora, stasera, di innumerevoli doni!- esordì, lusinghiero- Onorevoli fanciulle, desiderate una camera? La cena?»
«Entrambe, oste. Scorto la miko dal nostro Imperatore.- rispose Sango per entrambe, poi accennò con il mento al chiasso in fondo al corridoio- C’è una festa per il ritrovamento di Shinsetsu?»
Il viso dell’oste si aprì in un sorriso fulgido.
«Avete sentito la novità? La Luce ci benedice!- disse, orgoglioso come se la Hoshisaki fosse stata trovata nella sua locanda- Lo stimato monaco sta festeggiando con graziose fanciulle e liquore benedetto. Dice che fortificano le sue qualità spirituali.»
Sango e Kagome si scambiarono un’occhiata cupa. Quel monaco era un donnaiolo vizioso! Come aveva potuto cascarci, la gente del villaggio?!
«Pensate che gli farebbe dispiacere una nostra visita?» chiese Kagome, con cautela.
«Onorate fanciulle, ne sarà lieto! La vostra carica lo onorerà e la vostra bellezza gli sarà di giovamento!» commentò l’oste, inchinandosi profondamente e voltandosi poi per scortarle verso la stanza del monaco.
«Di gran giovamento, altroché…» sibilò tra i denti Sango, accarezzando la cinghia del suo Hiraikotsu, il volto tempestoso. Kagome le posò una mano sul braccio, ricordandole di trattenersi. Prima era il caso di interrogare quell’imbroglione per capire se si trattava di un semplice truffatore o se c’era sotto qualcosa di peggio. Uno scagnozzo di Naraku, per esempio. Sospirò tra sé, chiedendosi perché si preoccupasse tanto per i fatti di quel mondo quando il suo scopo ultimo era solo tornare a casa.
«Detto tra noi…- sussurrò l’oste, piegandosi verso di loro con una mano a lato della bocca- l’onorato monaco sta consumando tutta la mia riserva di sake. Spero che l’Imperatore pagherà davvero il conto, o mi troverò nei guai.»
L’espressione di Sango peggiorò talmente che Kagome si aggrappò di peso al suo braccio, confezionando una gioiosa frase di circostanza per mascherare gli intenti omicidi della Cacciatrice. Quel monaco era proprio un disgraziato! Si fermarono appena prima della porta aperta, attendendo che l’oste le annunciasse. Kagome fu sorpresa dal suono giovanile della voce del monaco, che sovrastò le garrule risatine delle sue accompagnatrici.
«Due giovani fanciulle?! Una miko e la sua scorta? Fatele entrare, le vedrò volentieri!»
L’oste uscì, inchinandosi, e fece cenno alle due di entrare. Kagome e Sango si trovarono alla presenza di cinque o sei giovanissime ragazze, tutte brille e, a parte una che sedeva in un angolo e suonava, avvinghiate in un modo o nell’altro alla figura che sedeva al centro della stanza, con una tazza di sake in mano e un sorriso malandrino sul volto.
Sia Sango che Kagome rimasero un attimo interdette nel trovarselo davanti. Si aspettavano un uomo maturo, magari un anziano con il naso rosso degli ubriaconi e lo sguardo subdolo. Invece, era un giovane uomo dai lineamenti affascinanti, i capelli neri legati sulla nuca in un corto codino e occhi violetti che brillavano di una vivace intelligenza. Vestiva con un’ampia tunica nera, su cui era drappeggiato un manto viola. Ai suoi piedi era posato un lungo bastone adorno di anelli, con una decorazione metallica in cima che pareva micidiale se usata come arma.
Prima ancora che potessero riaversi dalla sorpresa, il presunto monaco si alzò da terra con uno scatto e le raggiunse, prendendo una mano di entrambe nelle sue.
«La Luce mi benedice!- esordì, con un sorriso sfavillante- Che meravigliose creature! Fanciulle, non oso credere a tanta bellezza! Siete forse Angeli venuti a prendere la mia anima? Tanta grazia non è di questa terra!»
Sia Kagome che Sango avvamparono, impreparate a un approccio del genere, mentre dietro di loro le altre ragazze protestavano per essere passate in secondo piano. Sango ritirò la mano con uno scatto, più infuriata di prima, e Kagome si liberò con una risatina incerta. Il monaco non insistette, giunse le mani e chinò la testa in un saluto rispettoso.
«Accomodatevi, mie signore. Favorite di cibo e bevande.- disse, facendo un gesto verso la sua cena e tornando a sedersi- A cosa devo la vostra gradita visita?»
«Ci è stato detto che voi possedete Shinsetsu.» fu la brusca risposta di Sango. Il monaco annuì, all’apparenza tranquillo.
«Potremmo…uhm…vederla?- chiese Kagome, sedendosi davanti al monaco e sorridendo con quella che sperava fosse un’espressione priva di tensione- Io e la mia scorta ci stiamo recando al Palazzo di Sesshomaru-sama, veniamo dal confine e abbiamo assistito a molti orrori. Se un’arma contro Naraku è davvero ricomparsa, vorremmo accertarcene.»
Il monaco parve crederle senza esitazioni, forse convinto dall’aspetto combattivo di Sango, la cui carica di Cacciatrice era palese. Senza una parola, infilò una mano sotto la veste, all’altezza del cuore e quando la estrasse sul suo palmo brillava un frammento di pietra rosata molto simile al pendente di Kagome. Sembrava davvero un oggetto sacro. Le ragazze lanciarono esclamazioni di ammirazione e gioia. Il monaco sorrise di nuovo.
«Questa è Shinsetsu, la Gentilezza. Avvertite la sua aura? Il suo potere risanatore?» mormorò. Kagome si accorse che Sango si era inginocchiata al suo fianco e guardava la pietra con espressione confusa, incerta. Era vero, da quella pietra proveniva un potere positivo, che sembrava risanare. Kagome, però, scoprì di non avere dubbi: quella Hoshisaki era un falso. Non sapeva come avesse fatto il monaco a infonderle tanto potenziale, oppure se l’avesse trovata e scambiata per Shinsetsu in buona fede, ma il potere di quella pietruzza era infinitamente più debole del suo pendente.
Sango si voltò a guardarla, una domanda sulla punta della lingua, ma le bastò un’occhiata al volto di Kagome per capire di essersi ingannata. La ragazza venuta da lontano aveva già dimostrato di avere poteri straordinari e adesso, con tutta evidenza, aveva avvertito che quella Hoshisaki era falsa. Non doveva dimenticare che si trovava al cospetto della reincarnazione di Kikyo. Tornò a guardare il monaco, irritata.
«La porterete a Sesshomaru-sama?» lo provocò.
«Ho molte faccende da sbrigare lungo la strada, ma…sì, la porterò al nostro sovrano.- disse il monaco, con un sospiro stanco, riponendo nuovamente il frammento sotto le sue vesti- Dopotutto, sono un monaco combattente e servo En.»
«Un monaco combattente?» chiese Kagome, incredula. Lui le sorrise.
«Sì, miko-sama. Come voi, combatto contro Naraku. La mia esistenza sarà forse breve e sanguinosa, la guerra non lascia scampo.- disse, assumendo man mano un tono melodrammatico che strappò sospiri desolati alle fanciulle che lo circondavano- Quanti di noi giovani periscono per mano dei malvagi emissari di Gake? In quanti vedono scomparire la propria stirpe, privati della consolazione di essere vendicati da figli e nipoti? Io potrei essere il prossimo. È per questo…» Senza preavviso, il monaco allungò le mani per afferrare quelle di Kagome, fissandola negli occhi con sguardo ammaliatore. «Per questo vi chiedo, bellissima fanciulla…concedetemi l’onore di un figlio!»
Kagome rimase a bocca spalancata per quella richiesta assurda, poi il monaco si fece indietro con la stessa velocità con cui si era lanciato su di lei. I suoi riflessi lo salvarono da un incontro spiacevole con l’Hiraikotsu di Sango, che colpì il pavimento con un tonfo allarmante.
«Non la toccare, maniaco!» disse la guerriera, con voce fonda e minacciosa, gli occhi fiammeggianti. Il monaco parve guardarla con un nuovo interesse.
«Oh, mi spiace…non intendevo sottovalutare la vostra bellezza, mia cara. Se volete, potrei fare anche un figlio con voi.» disse, con un sorriso smagliante.
Il viso di Sango si tese in una smorfia micidiale, mentre le sue braccia tornavano a sollevare Hiraikotsu, pronte per un nuovo colpo. Kagome la chiamò con tono allarmato, abbracciandola alla vita per cercare di fermarla. Sango interruppe il movimento a fatica, respirando in ansiti rabbiosi, con una Kagome terrorizzata dalla piega presa dagli eventi che le aderiva a un fianco.
«Non qui…non è il luogo…- balbettò, fuori di sé dalla rabbia per la condotta di quel finto monaco libertino- Andiamo…fuori!»
«Non intendo litigare con delle belle fanciulle. Mi adopererò quindi per riportarvi alla calma.- le avvertì il monaco, alzandosi, poi sorrise alle sue ammiratrici- Ragazze, aspettateci qui. Andiamo per qualche attimo sulla riva a chiacchierare.»
***
Era calata la notte e la riva del fiume era solo parzialmente illuminata dal chiarore delle lampade appese fuori dalla locanda. L’improvvisa passeggiata dei tre ospiti di riguardo, preceduta da una litigata che era giunta fino alle orecchie del proprietario, aveva gettato scompiglio e preoccupazione fra i gestori, ma sia il monaco che Kagome avevano loro assicurato che si trattava di uno screzio senza importanza e che andavano a passeggiare proprio per chiarirsi con tranquillità.
Ora, i tre erano soli. Il monaco le fronteggiava con un’espressione tranquilla da cui iniziava però a trapelare una certa sarcastica determinazione. La maschera di uomo pio e devoto stava per essere messa da parte.
«Cosa dovete dirmi, mie signore?- chiese, le braccia conserte- Non credo che sia stata la mia proposta alla onorata miko a farvi alterare. Ho letto i vostri sguardi all’ingresso, non sono uno sciocco. Qual è il vostro problema con il sottoscritto?»
«Il fatto che sei un truffatore, monaco.- rispose Sango, gelida- Sempre che tu sia davvero un monaco.»
Il giovane uomo sollevò un sopracciglio con fare sarcastico.
«Diffidente quanto bella, vedo. Ebbene, sono un monaco, consacrato tale quando avevo dodici anni. Non capisco di cosa mi si stia accusando.» rispose, serafico. Sango avanzò di un passo, la bocca tesa in una smorfia di rabbia e disprezzo.
«Non giocare con me, monaco! La tua Shinsetsu è falsa!» sibilò. Il monaco spalancò per un attimo gli occhi violetti, poi rise.
«Oh! È tutto qui il problema? I miei complimenti alla miko per essersene accorta. Non faccio per vantarmi, ma vedere attraverso le mie purificazioni non è cosa facile.» Fece un piccolo inchino verso Kagome, che quasi gli rispose allo stesso modo, frenandosi all’ultimo. Maledizione, quel monaco aveva un modo di fare fin troppo accattivante!
«Allora confessi?!- continuò Sango, furibonda- Come ti permetti di prendere in giro la povera gente?! Ti approfitti di loro, ingannandoli!»
Il monaco storse la bocca in una smorfia di derisione.
«Prendere in giro? Io non la vedo così, cacciatrice. Sto offrendo un po’ di speranza a chi vive solo di paura. Il padrone della locanda è uno strozzino, il fatto che abbia approfittato della sua ospitalità è la giusta punizione per un simile verme. Per gli abitanti del villaggio, la mia venuta è un momento in cui sorridere e fare un po’ di festa. Domani potrebbero essere morti, siamo vicini al confine. Sai meglio di me che da queste parti si conosce solo la guerra. Cosa cambia per loro se l’Imperatore ottiene Shinsetsu oppure no? Oggi sono contenti, e tanto basta. Bisogna vivere alla giornata!»
Kagome osservò il monaco con occhi nuovi. Il suo cinismo non sembrava derivare da malvagità. Anzi, riecheggiava l’amarezza di Sango, della vecchia Kaede…Era un tono di voce disilluso e senza speranza che Kagome stava imparando a riconoscere come tratto distintivo del mondo in cui era capitata. Forse anche quel monaco aveva vissuto momenti difficili, nonostante fosse così giovane. Questo, però, non poteva giustificare quella truffa. A quanto pareva, nemmeno Sango aveva intenzione di farsi convincere dalle parole.
«Far credere il falso equivarrebbe a dare loro speranza?! Non farmi ridere, monaco! – esclamò, preparando Hiraikotsu – Sei un incosciente, potresti portare fin qui gli sgherri di Naraku! » La ragazza ristette. «A meno che…tu non sia un suo scagnozzo!»
In un istante, sia Kagome che Sango videro i lineamenti del monaco deformarsi in un’espressione di tale odio e disprezzo che le accuse a riguardo diventarono cenere. Alzò la mano destra, coperta da un guanto e cinta da un rosaio, come se volesse sferrare un pugno, poi, con evidente fatica, l’uomo riprese il controllo di sé.
«Per vostra fortuna, non è mia abitudine fare del male alle giovani donne. Foste un uomo, cacciatrice…- stirò le labbra in un sorriso micidiale- appena pronunciato quel nome sareste morta. Shippo!»
Accorrendo al richiamo del monaco, la donna che poco prima allietava la festa suonando canzoni atterrò loro di fronte, comparendo dal nulla.
«Hi no Kitsune!» esclamò con una vocetta infantile, puntando una mano contro le due. Una cascata di fuoco azzurro eruppe dalle sue dita e si precipitò contro le ragazze, strappando un grido a Kagome.
«Kagome, dietro di me!» ordinò Sango, facendosi scudo con Hiraikotsu. Quando l’ondata di fuoco scomparve senza fare danni, le due giovani videro il monaco scappare lungo la riva del fiume, seguito da quello che pareva un bambino con…una coda?!
«Era un kitsune travestito!- sibilò Sango- Kirara, trasformati e seguili! Fermati, maledetto!»
«Fossi matto!» rispose il monaco da lontano. Sango saltò in groppa a Kirara e si lanciò all’inseguimento dell’uomo, lasciando indietro Kagome, la quale si mise a correre dietro a tutti, rimanendo ben presto senza fiato. Vide Sango lanciare Hiraikotsu verso il monaco, ma l’uomo si voltò e parò il colpo con il proprio bastone, dimostrando una grande abilità. Fu allora che un brivido la scosse, riempiendola di un gelo che la costrinse ad alzare gli occhi dalla riva e dall’inseguimento. Inorridì quando il suo sguardo si posò sul cielo notturno e vide il lucore della luna viola riflettersi su una torma di demoni che stavano calando dall’alto sopra le loro teste.
«Sango! I demoni di Naraku!» gridò, orripilata, costringendo la Cacciatrice a voltarsi, spaventata, per poi seguire con lo sguardo la direzione indicatale. Sango fece voltare Kirara, perdendo interesse verso il monaco, recuperò la sua arma e la lanciò in cielo, falcidiando i nemici, ma questi erano davvero troppi. Sango strinse i denti. Avrebbero dovuto vendere cara la pelle.
«Kirara, raggiungi Kagome e proteggila. Qui ci penso io!» esclamò, saltando dalla groppa del demone felino e sguainando anche la spada.
«Non ce ne sarà bisogno, Cacciatrice.»
La voce calma del monaco, molto vicina a lei, la fece voltare. L’uomo era tornato indietro e ora stava in una buffa posizione, con la mano destra alzata verso il cielo e i piedi ben piantati a terra. La mano sinistra stava svolgendo il rosario attorno al polso e alle dita.
«Miroku, non farlo!» gridò il piccolo kitsune, aggrappandosi alla sua veste e lanciando alla Cacciatrice un’occhiata allarmata che lei non capì.
«Devo, Shippo. È un guaio causato dal sottoscritto.» sospirò lui, poi fece un sorriso tagliente e scoprì la mano destra. Sango, stranita, dapprincipio non capì cosa stesse accadendo. Sentì il vento sfiorarle il volto, vide il sorriso del giovane uomo tendersi in un miscuglio di dolore e sadismo, poi l’aria sopra le loro teste fu sconvolta da un turbine che, in apparenza, aveva la sua origine dal palmo ora scoperto della mano del monaco. Udì Kagome gridare di orrore e sorpresa, ma sapeva che non correva alcun pericolo. Il turbine non le toccava e la torma di demoni stava piombando come una montagna contorta sopra le loro teste. Anche i demoni, però, gridavano di paura e orrore. Il turbine li aveva catturati e ora li stava trascinando a sé. Attonita, Sango assistette alla loro cattura, alla loro scomparsa nel palmo della mano del monaco, come se questi li avesse risucchiati nel proprio corpo. Vide il segno che i suoi piedi lasciarono sulla ghiaia della riva quando l’impatto continuo lo spinse indietro, mettendo a dura prova il suo equilibrio. Poi, quando l’ultimo demone finì risucchiato, l’uomo avvolse guanto e rosario sulla mano destra con un gesto preciso, frutto di un costante allenamento. Per un istante rimase in piedi a capo chino, nell’improvviso silenzio, poi crollò a terra e non si mosse più. Il kitsune lanciò uno strillo straziante.
«Miroku! Miroku!- gridò, cercando di scrollarlo – Stupido! Mi avevi promesso che saresti stato attento! Non t’azzardare a morire!»
Sango, pallida e ancora incerta su ciò a cui aveva assistito, rimase a guardare il dolore di quel piccolo demone senza sapere che fare. Il volto del giovane monaco era bianco e segnato, spogliato da quell’aria ambigua e strafottente che tanto l’aveva irritata.
«Sango! Cos’è successo?! È stato lui a salvarci?» ansimò Kagome, correndole accanto scortata da Kirara.
«Io…sì, direi di sì. Anche se non so come.» mormorò lei.
«Questo stupido ha usato di nuovo il Foro del Vento!» esclamò il piccolo kitsune, piagnucolando e tirando su col naso. Kagome si inginocchiò accanto al monaco, tesa, ma si accorse subito che l’uomo respirava ed emise un sospiro di sollievo.
«È vivo! Ti chiami Shippo, giusto? Il tuo amico è ancora vivo.»
Il bambino, che sfoggiava orecchie, zampe e coda di volpe, si asciugò gli occhi e annuì, sollevato. Sango si inginocchiò accanto a Kagome, suo malgrado attratta dal viso pallido e sofferente del giovane uomo.
«Come ha fatto a salvarci? Nella sua mano c’è un incantesimo? – sussurrò, impressionata – I demoni sono stati risucchiati senza possibilità di scampo. Il tuo amico è un imbroglione o un vero esorcista?»
«Miroku è un monaco potente! – protestò il piccolo Shippo, saltando in piedi e gonfiando il petto, poi però tornò ad assumere un’espressione di profonda pena – Ma quello…non è un esorcismo. È una maledizione.»
«Una maledizione?!» sbottò Kagome, e il kitsune annuì.
«Cosa lo ha maledetto? Oppure…chi?» sussurrò Sango, ma in cuor suo conosceva già la risposta. La vide negli occhi tormentati del kitsune, la intuì dall’espressione di odio feroce che le sue parole avevano suscitato poco prima sul volto del monaco. Mosse le labbra di concerto con quelle del piccolo Shippo quando rispose, pronunciando il nome che era la nemesi di tutti loro.
«Naraku.»

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Capitolo 7
*** 6 - Trama e ordito ***


Author’s note: Andiamo a conoscere la storia del nostro monaco preferito e a dare una sbirciatina in luoghi dove sarebbe meglio non avventurarsi…
 
CAPITOLO 6
TRAMA E ORDITO

 
Poco più tardi erano di nuovo nell’edificio che gli abitanti definivano “luogo d’accoglienza”. Dopo aver spiegato che il monaco aveva salvato il villaggio da un attacco demoniaco e aveva bisogno di riposare, erano stati lasciati soli con tutti i riguardi. Non sapevano ancora che condotta tenere con quel giovane uomo, tuttora incosciente, e con il suo piccolo seguace, ma gli accenni a Naraku avevano instillato in entrambe le ragazze la voglia di saperne di più.
Sango controllò che nessuno origliasse attorno alla camera, poi andò a inginocchiarsi accanto all’uomo incosciente, mentre Kagome gli tergeva la fronte sudata sotto lo sguardo preoccupato del piccolo kitsune.
«Dunque, quest’uomo è stato maledetto da Naraku? Perché?» esordì la Cacciatrice, brusca. Il piccolo demone volpe abbassò lo sguardo sui propri piedi e spinse in fuori il labbro inferiore.
«Non sono sicuro che dovrei dirvelo. Voi avete cercato di fargli del male.» borbottò, cocciuto e offeso.
«Perché è un libertino truffatore!» sbottò Sango, ma Kagome la interruppe, prendendo in mano la conversazione.
«Ti chiami Shippo, non è vero? – chiese al kitsune, con un sorriso – Come mai sei con quest’uomo? Non credo siate imparentati…»
«No, Miroku è un Uomo, non ha sangue demoniaco. – ammise il piccolo – Io…ecco, i miei genitori sono stati uccisi dagli scagnozzi di Naraku.» Deglutì, ma i suoi occhi rimasero asciutti. «Miroku mi salvò. Avrebbe potuto benissimo lasciarmi perdere, i demoni di Gake erano tanti. Invece, si mise a rischio per salvarmi la pelle. Non protestò quando decisi di seguirlo. Da allora, non mi ha mai lasciato indietro.»
«Vi aiutate a vicenda.» disse Kagome, suo malgrado commossa.
«Gli faccio da spalla e sto attento che non si metta troppo nei guai.» ammise Shippo, annuendo. Kagome lanciò un’occhiata a Sango, poi entrambe fissarono il monaco. Sicché, c’era una parte buona dentro quel giovane. L’aiuto che il piccolo Shippo poteva dargli non giustificava la fatica di prendersene cura, né l’avergli salvato la vita.
«Piccolo Shippo, il motivo che ci ha messe in viaggio è legato a Naraku e per questo non possiamo prendere alla leggera la truffa del tuo amico. Vorremmo cambiare opinione sul suo conto, ma se tu non ci racconti chi è veramente…» mormorò Kagome, gentile, guardando Sango per avere il suo supporto. La Cacciatrice annuì.
«Kitsune, la miko al mio fianco e io siamo nemiche di Naraku. Forse possiamo capirci e cessare le nostre ostilità. Se vuoi tirare il monaco fuori da guai, devi parlare.» disse. Shippo sembrò indeciso ancora per un istante, poi pronunciò poche parole con voce rauca, venata di paura: «Negai, l’Hoshisaki del Desiderio.»
«È una delle Hoshisaki malvagie. Cosa c’entra col tuo amico?» lo incalzò Sango.
«Miroku è…è un genio. I suoi poteri e la sua capacità di combattente lo hanno fatto diventare famoso e Sesshomaru-sama gli ha dato il comando di una squadra di monaci sul confine quando aveva solo quattordici anni. È stato allora che si è scontrato con Naraku e perfino lui si trovò ad ammirare il potere di Miroku. Allora…invece di ucciderlo, ecco…Naraku decise di usarlo.»
«Usarlo? In che modo?» chiese Kagome, preoccupata.
«Lo rapì e tentò di farlo diventare il Portatore di Negai, il Desiderio.» disse Shippo, teso, lanciando all’amico un’occhiata addolorata. Kagome avvertì Sango trattenere il fiato con un ansito doloroso. Ricalcava ciò che era avvenuto al suo fratellino.
«E…ci riuscì?» chiese la giovane, orripilata. Shippo scosse il capo.
«Miroku ha tanti difetti, ma il suo cuore è puro. Lui serve la Stella di En. Espulse Negai dal proprio corpo, rimettendoci quasi la vita. L’Hoshisaki uscì dal palmo destro.» Indicò la mano attraverso cui il monaco aveva aspirato i demoni e che ora giaceva sul pavimento, avvinta dal rosario. «Da allora, nel suo palmo è nascosto un foro che comunica col vuoto del cosmo e che risucchia tutto ciò che inquadra nel suo raggio d’azione. È la maledizione che Naraku gli ha lasciato, perché anche se sembra un’arma utile, in realtà…» Strinse i denti. «In realtà…- continuò, e la sua voce aveva il graffio delle lacrime - …più lo usa, più diventa grande e ingestibile. Miroku dice che un giorno non lontano lo ucciderà.»
«Ma è orribile!» sbottò Kagome, impressionata. Sango tacque. Era pallida, le labbra erano tese tanto da essere quasi scomparse. I suoi occhi vagavano su quel volto che avrebbe volentieri preso a schiaffi fino a poco prima, sovrapponendovi suo malgrado la tragedia di Kohaku. Grazie ai suoi poteri spirituali, quel monaco non era impazzito sotto l’influsso di Negai, ma il suo destino era comunque triste e crudele.
«Perché si comporta da sciocco, se questa è davvero la sua storia? – chiese, in un sussurro – Perché millantare di avere Shinsetsu e condurre una vita di bugie?»
«Miroku vuole vendicarsi. Cerca la vera Shinsetsu e le altre Hoshisaki mancanti. Nel frattempo, attira l’attenzione dei demoni di Gake e li uccide.- sospirò Shippo, scuotendo il capo – Credo che, se trovasse anche solo un frammento, si precipiterebbe da Sesshomaru-sama e tornerebbe a combattere per lui. Per come stanno le cose adesso, dice di essere troppo impuro per poter tornare a essere un paladino della Stella di En.»
Mentre il kitsune diceva quelle parole, Kagome avvertì un calore dolce e gentile diffondersi all’altezza del petto. Era il suo pendente, che sembrava volerle comunicare qualcosa. Prima ancora di riflettere o che Sango potesse intervenire sollevò il suo ciondolo e mostrò la pietra rosata, illuminata da un leggero lucore. Il kitsune la osservò per un attimo senza capire, poi spalancò la bocca in un’espressione di sorpresa e sgomento.
«La…la vera Shinsetsu?!» balbettò.
«Kagome, cosa stai facendo?!» protestò Sango.
«Quello che Shinsetsu vuole che io faccia.» mormorò lei, sapendo di dire la verità. Non aveva mai avuto le idee più chiare da quando era uscita da quel maledetto pozzo. Posò il ciondolo nella mano maledetta di Miroku e chiuse le dita di lui sulla pietra. Uno spasmo involontario scosse le membra del giovane uomo, poi il suo colorito si fece più sano, il suo respiro regolare. Le palpebre si aprirono, svelando gli occhi violetti che impiegarono un attimo ad appuntarsi sui volti delle due ragazze accanto a lui. L’Hoshisaki l’aveva guarito dal veleno dei demoni.
«Miroku! Stai bene?» esclamò Shippo, saltando in piedi.
«Io…voi…» balbettò Miroku, poi parve accorgersi di avere qualcosa in mano. Quando sollevò l’oggetto che teneva tra le dita e vi posò lo sguardo, si tirò a sedere con tale violenza da farsi venire un capogiro.
«Shinsetsu?!» ansimò, riconoscendo subito l’autenticità del frammento. Guardò Kagome e Sango con un’espressione così stupita e indifesa che per un attimo entrambe sentirono di poter dimenticare e perdonare le malefatte precedenti. Kagome avvertì il calore propagarsi in lei. Quella era la via giusta, un ulteriore passo che la avvicinava al ritorno a casa. Shinsetsu la stava guidando e lei avrebbe seguito i suoi consigli.
«Miroku-sama, - disse Kagome, con un sorriso – io sono Kagome Higurashi e la mia amica si chiama Sango. Stiamo andando a portare la vera Shinsetsu a Sesshomaru-sama. Volete venire con noi?»
***
La piuma volava nel vento, evitando le cime degli alberi, segnate e sfoltite da un vecchio incendio. La luce viola della luna ne gettava l’ombra tra quelle più scure della foresta, ne delineava con un lucore evanescente la sagoma lieve. Sfiorò la parete del monte e il suo volo vi si allineò, seguendo la catena di rilievi e tenendosi a debita distanza dalle rocce frastagliate. Si fermò all’imboccatura di una grande grotta, una figura di donna ne scese e la piuma scomparve.
Kagura aprì il ventaglio e lo appoggiò alle labbra, scrutando nel buio con gli occhi rossi turbati da pensieri foschi, come se stesse cercando la voglia di avventurarsi in quell’antro e faticasse a trovarla. Poi chiuse il ventaglio con un gesto secco e si avviò, attraversando la tenebra ed emergendo all’interno di uno dei tanti covi dell’Imperatore di Gake. Oltre la barriera magica, la caverna era illuminata da qualche torcia che segnava il cammino.
Tra i demoni che bighellonavano all’ingresso della caverna, due spiccavano per la loro forma umana. Kagura fece una smorfia. Avrebbe preferito saperli altrove. Passò loro davanti, ignorandoli, ma quello che stava seduto su uno sperone di roccia con le gambe scoperte a ciondoloni si liberò di un torsolo di pera, lanciandolo di proposito sulla sua strada.
«Già di ritorno, Kagura? Hai fatto i compiti?» disse il giovane, con un sarcasmo acido che contrastava con il volto bellissimo e il bizzarro abbigliamento femmineo. Lo sguardo di Kagura si spostò a lato, con fare sprezzante.
«Dovrei dire a Naraku di far dare una pulita. Da queste parti, c’è puzza di carogna.» disse, muovendo poi il ventaglio con un gesto secco e scagliando il resto della pera contro il viso tatuato del giovane.
«Come osi, sottospecie di donna?!» ringhiò l’uomo, saltando giù dalla roccia e sguainando una sciabola, il volto sfigurato dalla rabbia.
«Stai buono, Jakotsu. Hai cominciato tu.»
La voce proveniva dalla figura che fino a quel momento se n’era rimasta sdraiata, con il volto coperto dalle braccia incrociate sopra agli occhi. Bankotsu si tirò su un fianco, poggiando la testa sul palmo della mano, e guardò la demone del vento.
«Kagura, anche tu…Darci delle carogne non è stato tanto carino.» disse, in apparenza calmo. Kagura sollevò un sopracciglio, considerando dentro di sé che il termine ben si adattava a uomini che avrebbero dovuto avere la decenza di rimanersene sottoterra, ma non replicò. Non era lì per litigare o mischiarsi a quella feccia.
«Bankotsu, cosa ci fate qui? Non dovevate recuperare il frammento verde?» chiese, ignorando Jakotsu che fremeva dalla voglia di saltarle al collo ma aveva troppo rispetto per Bankotsu per disobbedirgli.
«Naraku ci ha richiamati, pare che questa storia di Shinsetsu l’abbia sconvolto abbastanza da instillargli la voglia di rivedere le fasi dei suoi piani. – rispose il giovane, accarezzando con fare distratto la gigantesca alabarda che gli riposava a fianco – Porti novità?»
«Vieni con me e lo scoprirai.» rispose lei, indifferente, facendogli cenno con il ventaglio. Si avviò e in pochi istanti entrambi gli uomini la seguirono nei meandri della caverna. I due erano contenitori di Hoshisaki, proprio come Kagura stessa. Naraku aveva disseminato le sue proprietà tra vari esperimenti, che manovrava come fossero i propri occhi e il proprio braccio armato. Kagura era addirittura nata dal multiforme corpo del mezzo demone e questo la legava a quel maledetto più degli altri. Il pensiero, come sempre, riempì Kagura di una furia gelida. Prima o poi avrebbe spezzato quella schiavitù e sarebbe stata libera, come il vento.
Trovarono Naraku in quella che, col tempo, si era trasformata in una vera e propria sala del trono scavata nella roccia. Era passato molto tempo da quando il misterioso hanyo aveva preso possesso della corona imperiale ma non aveva mai soggiornato nel castello sito nel centro di Gake. La mente e le voglie di Naraku erano tutte tese verso En e per questo la sua vita era un continuo viaggio lungo e attraverso il confine, che quindi aveva dovuto attrezzare per i suoi momenti di sosta.
In quel momento, il viso bellissimo e crudele era chiuso in un’espressione indecifrabile, mentre lo sguardo seguiva le immagini silenziose che scorrevano nello specchio di Kanna, la piccola demone albina sorella di Kagura. I tre si fermarono e tacquero, consci che quando Naraku aveva quell’espressione era meglio non stuzzicargli i nervi, ma non appena Kanna abbassò lo specchio Kagura si fece avanti.
«Sesshomaru sa. – esordì, secca – La sta cercando. Il confine è in fermento: anche se per il momento non ha indizi da cui partire, non gli ci vorrà molto per trovarne. Sai com’è fatto.» Se la sua voce tradì una punta dell’ammirazione e del rispetto che provava per l’Imperatore di En, Naraku non diede segno di averlo notato. Non si voltò neppure verso Kagura, né cambiò espressione.
«Kagura non ha fatto colpo.» sussurrò Jakotsu, nascondendo una risatina. La demone del vento venne avanti di un passo, seccata.
«Mi ascolti, Naraku?! Sta succedendo ciò che non volevi, Sesshomaru è…»
«È tornata.» mormorò l’hanyo, sempre senza badare alle sue parole. Il tono era inusuale, denso di stupore e di un sentimento che gli ascoltatori non seppero decifrare ma che mise loro i brividi addosso.
«Certo che Shinsetsu è tornata, lo sai da giorni!»
«Non Shinsetsu, oca! – la censurò Naraku, voltando lo sguardo ardente su di lei e forzandola a indietreggiare per la paura – Lei è tornata con la sua Hoshisaki. Kikyo!»
«Kikyo?! – mormorò Bankotsu, che cercava di raccapezzarsi in quello che sembrava un delirio del loro capo – Quella sacerdotessa che fece fuori il Principe di En?»
«Lei…e non più lei. Si è reincarnata. – annuì il mezzo demone, alzandosi dal trono e facendo cenno a Kanna di non aver più bisogno dei suoi servigi – Shinsetsu è rimasta legata alla sua anima.»
«Allora devi fare ancora più presto. Se Sesshomaru trovasse quella donna…» iniziò Kagura, mentre il suo cervello rifletteva sulla nuova informazione, chiedendosi se potesse tornare utile. Le successive parole di Naraku, però, la lasciarono tanto stupita da cancellare le sue riflessioni.
«Sarà lei a trovare lui. È in viaggio verso il Palazzo di En, con l’ultima Cacciatrice come guardia del corpo e quel piantagrane di Miroku per buona misura.» disse. Sul suo viso, incongruamente, andò delineandosi un sorrisetto crudele.
«Miroku?! – esclamò Jakotsu, che aveva un debole per i bei ragazzi e si era già scontrato col monaco – Sarà meglio che quelle due tengano giù le mani dal mio monaco preferito!»
«Si stanno alleando tutti contro di te, eh? Vuoi che li fermiamo?» chiese Bankotsu, perplesso.
«Oh, no. Visto che ci siamo, rendiamo le cose più interessanti. Lasciamo che Shinsetsu risvegli il principe Inuyasha.» sogghignò Naraku.
«Ma sei impazzito?! Già non riusciamo a sconfiggere Sesshomaru, ci manca aggiungere quello che è stato il tuo più acerrimo nemico!» sbottò Bankotsu, irritato da quei giochetti. Naraku allungò una mano verso i tre e tutti barcollarono, avvertendo una potentissima aura malefica scorrere nelle loro membra, ricoprendoli di sudore gelido e spezzando il loro respiro. Le Hoshisaki che Naraku aveva impiantato nel loro corpo gli appartenevano e rispondevano al suo volere, tenendoli in ostaggio.
«La vostra mente è piccola e non vede quanto possiamo guadagnare da questa situazione. – mormorò Naraku, sprezzante – Le Hoshisaki di Inuyasha e della sua spada sono sigillate da Kikyo e per questo mi sono precluse. Ho bisogno che quello stupido cane si svegli, non capite? Non solo ne otterrò le Hoshisaki, ma avrò finalmente il piacere di ucciderlo.»
Cosa che l’ultima volta ti è riuscita tanto male.” commentò tra sé Kagura, facendo ben attenzione a non lasciar trasparire quel pensiero. «Quindi…vuoi che li lasciamo andare?» chiese, rauca, riprendendo fiato.
«Per adesso, aspettiamo di vedere cosa succede.- disse Naraku, perdendosi di nuovo nei suoi insondabili pensieri – Sono sicuro che le cose si faranno interessanti. Molto più di quanto sperassi.»
***
La luna traeva riflessi dall’acqua del fiume, dalla riva bagnata su cui erbe e giunchi andavano a lambire la corrente. Il cielo notturno era un fulgore viola. La luna troneggiava al centro della volta celeste nella sua pienezza, come se si stesse gustando la bellezza del creato. I ciliegi erano in fiore e i petali chiari bevevano la luce della luna per poi partire per il loro ultimo viaggio, portati dal vento.
Sotto quella pioggia di petali, con le dita immerse nella corrente gentile, lei attendeva con un misto di eccitazione e timore. Lui sarebbe venuto? Sarebbe riuscito a tornare quella notte? Il messaggio diceva che la Stella era compiuta, ce l’avevano fatta. Anche lei era pronta a fare la sua parte.
Avrò anche la mia risposta?” si chiese, temendo che il cuore le scoppiasse in petto. Da tanto aspettava un cenno, una prova di essere riuscita a toccare il suo cuore, ma la battaglia infuriava e lei non avrebbe osato distogliere la sua attenzione dalla missione in cui era impegnato. Ora, forse…
Un fruscio alle sue spalle, il suo nome pronunciato dalla voce che amava. Si voltò, con un radioso sorriso sul volto, ma i suoi occhi non colsero la forma bianca e argentea che attendeva, bensì una massa più oscura delle stesse ombre.
«Junan, la Passione…- mormorò lo sconosciuto, la cui voce passò orribilmente da un’imitazione di quella amata a un sibilo malvagio – Volevi stargli a fianco, non è vero? Invece sarai la sua rovina.»
Si voltò, cercò di fuggire lungo il fiume, nella tempesta di fiori di ciliegio che ora sembravano cadere con furia, quasi temessero a loro volta la presenza di un nemico dalla malvagità insondabile. Avvertì un gelo immenso quando la tenebra la raggiunse, la trasse a sé, le tolse il respiro e la vista. Le parve di affogare e la sua voce non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare per l’ultima volta il nome di chi era stato la sua ragione di vita…
Anna si svegliò di scatto con un grido soffocato in gola e le mani chiuse ad artiglio sulle coperte. Per qualche istante rimase immobile a fissare la stanza appena rischiarata dalla luce grigia dell’alba, cercando di separare l’incubo dalla realtà, poi lasciò andare un tremulo e sofferto sospiro. Si alzò a sedere e passò una mano sulle guance, che erano bagnate di pianto. Ebbe bisogno di alzarsi e scostare le tende per convincersi di non avere più nulla da temere.
«Che sogno orribile…» mormorò, con un brivido. Era iniziato in un’atmosfera magica e romantica per poi trasformarsi in un orrore. D’altra parte, il sogno era disseminato di fiori di ciliegio…non poteva finire bene. Si voltò a guardare la stanza. Era nella camera che da piccola condivideva con Kagome. Il letto della giovane scomparsa era vicino alla porta. Quante notti avevano passato a chiacchierare, ascoltando insieme le loro canzoni preferite o inventando avventure…Tempi andati, come succedeva inevitabilmente con la crescita.
«Forse non avrei dovuto tornare a dormire qui.» mormorò, mentre la triste realtà le tornava alla mente. Erano passate tre settimane e ancora non c’era alcuna traccia di Kagome. Ormai, la famiglia era disperata e la polizia brancolava nel buio. Non c’era da stupirsi se il sonno di Anna si popolava di incubi: anche lei era fuori di sé per la preoccupazione.
«Kagome…ovunque ti trovi, spero che tu sia ancora viva.» pregò.

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Capitolo 8
*** 7 - Aspettami ***


Author’s note: Vi auguro un 2021 luminoso e ricordate che perfino Naraku, alla fine, è stato sconfitto…
 
CAPITOLO 7
 
ASPETTAMI
 
Lasciarono il villaggio alle prime luci dell’alba, pagando la bisboccia di Miroku con la disinfestazione da tutti gli spiriti che abitavano la locanda e le sue vicinanze. Kagome e Sango viaggiavano su Kirara mentre il monaco si faceva trasportare dal piccolo Shippo, il quale aveva il potere di trasformarsi a piacimento in una grossa sfera rosa in grado di volare. Miroku aveva accettato di scortarle fino al palazzo di Sesshomaru, anche se Sango aveva fatto notare di non aver bisogno di aiuto per proteggere Kagome. Quest’ultima, però, aveva compreso che Shinsetsu aveva scelto il monaco come parte del loro gruppo e aveva tutta l’intenzione di seguirne i consigli, in modo da poter tornare a casa il prima possibile. Era certa che si sarebbe reso utile. Non vedeva l’ora di consegnare il suo pendente al Signore di En e farsi spiegare come abbandonare quelle terre in guerra. Per quanto avesse preso a cuore le disgrazie delle sue nuove conoscenze, infatti, sperava ancora di poter tornare quanto prima alla sua vita di tutti i giorni, lasciando quella battaglia a chi la combatteva da sempre.
Per un paio di giorni procedettero nella foresta senza grandi intoppi, viaggiando con celerità. Più si inoltravano nel territorio di En, meno era probabile subire attacchi da parte di emissari di Gake. Miroku si rivelò un conversatore amabile, ricco di aneddoti interessanti e in grado di spiegare a Kagome i misteri delle Hoshisaki con parole semplici, di modo che presto la giovane si trovò a ricordarne facilmente i nomi e l’attuale collocazione. Shippo era un bambino arguto e spiritoso ma si vedeva che gli mancava una figura femminile, perché si affezionò in modo quasi commovente alle due giovani, prodigandosi nell’aiutarle ogni volta che si fermavano per accamparsi e mangiare qualcosa.
«Immaginavo che, in mia compagnia, il piccolo Shippo avrebbe sviluppato ottimi gusti in fatto di donne.» disse Miroku una sera, sorridendo, mentre girava della carne di coniglio sullo spiedo. Shippo stava aiutando Kagome a raccogliere altri rami per il fuoco, poco distante, e il monaco aveva di fronte Sango e Kirara, che si era trasformata nella sua forma più piccola e le dormiva sulle ginocchia.
«Siete pregato di non paragonarvi a un bambino innocente come Shippo, Maestro. – lo redarguì lei, acida – Gli manca la mamma, una figura femminile. Kagome è buona e gentile, è normale che Shippo le si sia affezionato.»
«Ne sono conscio. D’altra parte, non si può non notare quanto Kagome-sama sia anche una bellissima ragazza.» continuò Miroku, serafico, spiandola di sottecchi. Come prevedeva, la vide incupirsi, gli occhi scuri accendersi.
«Sarà meglio che la smettiate di pensare a Kagome in quel modo. Eppure dovrebbe esserci ben altro nella vostra testa!» sibilò Sango, seccata.
«Chi vi dice che le due cose non siano correlate? -  la stupì, sospirando e posando le mani a terra per poter alzare il capo e guardare il cielo serotino tra le fronde degli alberi – Conoscete la mia storia, Cacciatrice. Sono maledetto, la mia vita sta per terminare. Se morirò senza un erede, che fine farà la mia vendetta?»
«Non si genera un figlio per vendetta!»
«E per cosa? Per amore, forse? Via, Cacciatrice…siamo realisti.- rise lui, amaro, facendola irrigidire – In fondo, basta mostrarsi gentili, educati, romantici. Prima o poi, una bella giovane apprezzerà abbastanza da darmi modo di realizzare questo mio desiderio.»
«Se vi vedessero cinico e arido come vi siete mostrato a me, dubito che il vostro desiderio si realizzerebbe. Ma avete ragione: le donne si fanno abbindolare facilmente dai bugiardi.» Si alzò e si mise l’Hiraikotsu in spalla, mentre Kagome e Shippo si avvicinavano, chiacchierando. Guardò Miroku con occhi che parevano in grado di perforare la pietra e che misero il monaco a disagio. «Kagome, però, porta Shinsetsu e in un modo o nell’altro è destinata al Principe Inuyasha. – aggiunse, in un sussurro riservato a lui – Tenete giù le mani, Maestro, o ve ne farò pentire.»
Ciò detto, si allontanò, comunicando a Kagome che andava a ispezionare i dintorni per sicurezza. Kagome e Shippo sedettero accanto a Miroku, il quale stava seguendo la Cacciatrice con lo sguardo, ammirandone la figura sinuosa e tonica.
«Penso che mi odi davvero.» disse, quasi senza accorgersi di trasformare quel pensiero in parole. Lo aveva spiazzato rinfacciandogli di averle mostrato solo la parte sgradevole di sé. Era una cosa che Miroku non faceva mai in presenza di una donna. Perché con la Cacciatrice era diverso? Forse perché avevano iniziato a conoscersi litigando? O forse perché fingere in presenza di quegli occhi scuri che sembravano pozzi di dolore era una specie di sacrilegio?
«Sango? No, non pensate che vi odi, Miroku-sama. Credo solo che sia a disagio. Lei è molto diretta e sincera, mentre voi…» disse Kagome, impappinandosi mentre cercava un modo gentile per esprimere il concetto.
«Io sono un bugiardo?» la aiutò il monaco, con un sorriso.
«Non volevo dire questo, ma non potete negare di avere un bel caratterino.- lo rimproverò Kagome – Inoltre non la trattate allo stesso modo con cui vi rapportate con me.»
«Beh, penso che Sango sia molto più pericolosa di voi, Kagome-sama. Senza offesa. Temo che i suoi schiaffi risultino dolorosi.» disse Miroku, scoprendosi sulla difensiva.
«Lo sono anche i miei, se si supera un certo limite.» disse Kagome, con le palpebre a mezz’asta. Shippo tolse il coniglio dal fuoco e si servì.
«Kagome-chan ha ragione, Miroku. Di norma, le avresti già toccato il sedere. C’è sotto qualcosa.» disse, allegro.
«Cosa?! Davvero avreste fatto una cosa del genere?!» sbottò Kagome.
«Shippo scherza! – tagliò corto il monaco, ingozzando il povero kitsune per tappargli la bocca – Comunque non la tratto diversamente da voi, Kagome-sama. Per me, tutte le ragazze sono un giardino fiorito.»
«Sarà…» lasciò correre lei, con uno sguardo poco convinto. Miroku prese il suo spiedo e iniziò a mangiare, chiudendo la conversazione se non per fare commenti ameni sul cibo o sul clima piacevole della serata. Sango tornò al fuoco a cenare, poi si allontanò di nuovo. Kagome si mise presto a dormire accanto al fuoco, avvolta in una coperta. Miroku si stese e cercò di svuotare la mente, con le mani dietro la nuca e gli occhi spalancati sul buio. Spostò lo sguardo quando Shippo gli si avvicinò, sedendosi al suo fianco.
«Come mai hai deciso di seguire le ragazze, Miroku? In fondo, non è che sia stato tu a trovare Shinsetsu…» chiese.
«Shinsetsu desterà il Principe Inuyasha, ne sono convinto. – rispose lui, tenendo la voce bassa – Questo significa, Shippo, che in breve En riavrà cinque Hoshisaki. Solo Junan manca all’appello e sono certo che salterà fuori molto presto. Le cose hanno cessato di essere immobili.»
«Continuo a non capire.»
«Solo un monaco o una sacerdotessa possono riunire le Hoshisaki. Non capisci, Shippo? Voglio essere io quel monaco! Naraku verrà sconfitto anche per mano mia!»
«Ora capisco perché non hai esitato a seguire Kagome-chan…» borbottò il kitsune. Fece silenzio per qualche istante, poi aggiunse: «Oggi ho sentito una storia su Sango, forse spiega perché sia così sulle spine quando ci sei tu.»
«Varrebbe a dire?» mormorò il monaco, suo malgrado interessato.
«Pare che Naraku abbia sterminato tutta la sua gente.»
«Sì, avevo sentito parlare dello sterminio dei Cacciatori. – annuì Miroku – Cosa c’entra con me?»
«Sango ha un fratello, non ho capito se più grande o più piccolo di lei.» disse Shippo, rallentando man mano, come riluttante a dire ciò che sapeva o aveva intuito. Miroku si sollevò su un gomito, fissandolo con impazienza, e il piccolo kitsune si affrettò a terminare. «Naraku l’ha scelto, Miroku, proprio come te. Gli ha impiantato una Hoshisaki, ma è andata male. Credo che sia gravemente malato, forse sta morendo. Non ho avuto il coraggio di chiedere i dettagli.»
Gli occhi violetti di Miroku si spalancarono, scioccati. Ecco il segreto dietro al dolore di quello sguardo diretto e pulito, quel qualcosa che lo spingeva a essere sincero con quella ragazza. Avevano una connessione inaspettata e crudele.
«Se è Shinsetsu che vi sta attirando nello stesso posto e con lo stesso scopo, forse hai fatto la scelta giusta. Forse questo è proprio ciò che stavi cercando. Volevo solo dirti questo.» finì Shippo, lasciandolo e andando a sdraiarsi vicino a Kagome.
Miroku tornò a stendersi, più turbato di quanto volesse ammettere dalle parole del suo piccolo amico.
 
***
 
Era bella, tanto da fargli dolere il cuore. Lo attendeva nella luce gentile di una lanterna di carta, nella radura ricoperta di fiori di ciliegio. La notte stellata lo proteggeva nelle sue tenebre, ma il desiderio di entrare in quella luce gli era irresistibile. Si erano trovati laggiù per così tante notti, condividendo la solitudine, le incertezze, i segreti. Ora le avrebbe donato l’ultimo, le avrebbe svelato il proprio nome. Forse lei lo aveva già intuito o più probabilmente era una sua sciocca speranza. Lei, che conosceva la più grande delle sue debolezze, non aveva mai visto il suo volto se non nelle notti senza luna. Come avrebbe reagito? La custode di Shinsetsu aveva fama di essere un’integerrima sacerdotessa, nemica di tutti gli yokai, ma lui aveva conosciuto il suo lato gentile, fragile, insicuro. Aveva visto la giovane donna dietro la maschera, ne aveva accolto i sentimenti. Sarebbe stato abbastanza?
Si fermò, una mano posata sulla corteccia di un albero, e lei si voltò nella sua direzione, forse udendo il fruscio dei suoi passi sull’erba. Il volto fine, pallido, dominato da occhi troppo pieni di pensieri, era incorniciato dai lunghi capelli neri, lasciati sciolti.
«Inuyasha…» disse lei, trasformando il suo nome in una carezza, fermandogli per un attimo il battito cardiaco.
«Kikyo…allora tu sapevi…» balbettò, venendo avanti di slancio mentre un sorriso gli nasceva sulle labbra e la luce della lanterna traeva bagliori dai suoi capelli d’argento. Fu un istante di piena, completa beatitudine. Poi, Kikyo si alzò da terra con un movimento serpentino, sollevando l’arco e incoccando una freccia con velocità disumana, mentre il suo volto si trasformava in una maschera di odio e disgusto.
«Muori, schifoso yokai!»
Poi, la fuga, l’inseguimento, lo scontro. Ombre e luci che saettavano nei suoi occhi e nella sua memoria, nella corsa tra gli alberi, dentro e fuori la radura. Una pioggia di petali di ciliegio incorniciava il tradimento di Kikyo, che cercava di ucciderlo per avere le sue Hoshisaki, che gli dava del bugiardo e disprezzava la sua vera natura. Inuyasha desiderava scappare, nascondersi, dimenticare tutto e al contempo scrollarla, farle del male, dirle che era lui ad essere stato tradito e ingannato.  
Ripiombò nella radura e se la trovò davanti. Se il suo sguardo registrò le vesti stracciate, il sangue, il dolore e le lacrime sul suo volto, ne lasciò solo una traccia labile nella memoria. Gli occhi d’ambra erano concentrati sulla punta della freccia che mirava al suo cuore, un dardo che stavolta non avrebbe potuto evitare.
La freccia partì. Il suo petto fu trapassato, il colpo lo frenò e lo fece cadere all’indietro. La voce di Kikyo, alle sue spalle, pronunciò il suo nome con odio. La voce di Kikyo, di fronte a lui, lo singhiozzò con un dolore infinito. Rialzò il capo per guardarla un’ultima volta, mentre il mondo si oscurava.
«Kikyo…tu…traditrice…» balbettò, mentre la forma di lei, ora in ginocchio, sconvolta, si confondeva con le tenebre.
«Dormi, Inuyasha. Io…tornerò.» mormorò lei, con un’incongrua dolcezza. L’ultima immagine del suo volto, prima di affondare nelle tenebre, gli rimase impressa nella retina come un marchio.
Questa volta, nell’incubo continuo che era il suo sonno, Inuyasha vide i lineamenti della Kikyo dei suoi ricordi mutare, ringiovanire. I capelli corvini si fecero più morbidi, lo sguardo ancora più amorevole e gentile. Alla sua gola, Shinsetsu si illuminò di una calda luce rosata.
«Sto arrivando. Resisti, Inuyasha!» disse, allungando una mano verso di lui. Voleva salvarlo dopo averlo ucciso?! No, non voleva avere niente a che fare con lei! «Aspettami! Il mio nome, ora…il mio nome è…»
La voce, il volto, il gesto d’aiuto si persero nel buio. Per un po’, Inuyasha galleggiò nel nulla, poi il sogno ricominciò a tormentarlo, cancellando il ricordo di quel nuovo volto, di quella promessa di speranza.
Era bella, tanto da fargli dolere il cuore. Lo attendeva…

 
***
 
Se nei primi giorni di viaggio il piccolo gruppo si era spostato in completa solitudine, evitando i villaggi e preferendo i sentieri nella foresta, una volta raggiunta la strada principale il cammino si fece più animato. Kagome, stremata da quella settimana all’addiaccio e dalle preoccupazioni che il trascorrere dei giorni non faceva che aumentare, accolse con un sospiro di sollievo il traffico di viandanti a piedi o su carretti trainati da asini, in entrambe le direzioni. Incontrarono anche un paio di nobili a cavallo, che procedevano in direzione opposta alla loro.
Quella sera si accamparono a lato della via, non lontano da altri gruppi di viaggiatori. Pur rispondendo con cortesia ai loro approcci, preferirono non condividere né la cena né alcun tipo di informazione. La mattina dopo si rimisero in cammino di buon’ora e presto la sagoma imponente del castello di Sesshomaru si delineò all’orizzonte, unica destinazione della via ora lastricata da grandi pietre. Man mano che si avvicinavano, Kagome rimase affascinata nel notare la vastità del muro di cinta, che circondava un territorio molto più esteso del castello stesso, una dimora su più piani non molto diversa dai grandi palazzi dell’antico Giappone. A un certo punto dovettero rallentare e mettersi in fila, attendendo il loro turno per entrare.
«Per fortuna non manca molto alla porta.» mormorò Kagome, sbirciando a lato della fila. L’immenso portone d’accesso era spalancato e le guardie facevano entrare e uscire i pellegrini con ordine.
«Questa è solo la prima di tre, Kagome-sama. Dovremo armarci di pazienza.» le disse Miroku, sorridendo nel sentirla gemere di disappunto.
«Il pellegrinaggio verso il castello non cessa mai» spiegò Sango, corrucciata «Ognuno porta un dono, un pensiero, nella speranza che i sentimenti del popolo possano aiutare a svegliare il principe Inuyasha. Altri, come ti ho raccontato, millantano di aver trovato Shinsetsu.» Lanciò un’occhiata tagliente a Miroku, che fece finta di non notare la frecciata.
«Come se Jaken non se ne accorgesse…Puoi dire quello che vuoi al piccolo rospo, ma non che gli manchi esperienza nel campo delle Hoshisaki.» borbottò Shippo, che si stava riposando seduto in groppa a Kirara.
«Chi è Jaken?» chiese Kagome, perplessa.
«Il servo principale di Sesshomaru. È lui a occuparsi di questa faccenda. Il vecchio signore di En lo ha istruito e dotato di un bastone a due teste che sa individuare le Hoshisaki senza che permanga dubbio. Sarà lui a riconoscere Shinsetsu, quando verrà il nostro turno di essere ammessi alla sua presenza. Con questa mole di gente, penso saremo ospiti del castello per almeno tre giorni prima di avere udienza.» spiegò Miroku.
«Ma…io devo vedere Sesshomaru-sama! Pensavo sarebbe stato lui a controllare la mia Hoshisaki!» sbottò Kagome, attonita. Le girò la testa. Aveva bisogno di essere forte per affrontare quella situazione, invece ogni imprevisto le toglieva il terreno da sotto i piedi. Sango parve accorgersi del suo momento di panico perché la afferrò gentilmente sopra al gomito.
«Jaken fa solo da filtro, Kagome, non devi preoccuparti. Non appena riconoscerà Shinsetsu, potremo vedere Sesshomaru-sama.» la rassicurò.
«Ma certo, Kagome-sama. Il Signore di En sarà impaziente di toccare con mano la buona notizia.» rincarò Miroku. Sango colse nel suo sguardo la sua stessa comprensione dello stato d’animo di Kagome, nonostante il monaco ancora non conoscesse la bizzarra storia che stava dietro alla fretta della giovane miko. Gli rivolse un breve cenno d’assenso, ringraziandolo per aver contribuito a dare un quadro semplice e positivo all’amica. In realtà, Miroku sospettava che Sesshomaru potesse essere lontano, impegnato nella guerra contro Gake, e questo avrebbe significato altro tempo perso, senza contare che nessuno poteva prevedere se e come il Signore di En avrebbe deciso di reagire avendo Shinsetsu a portata di mano. Miroku tornò a guardare la lunga coda davanti a loro, torvo, poi sbatté il bastone a terra. «Già, che sciocco…è ovvio che Sesshomaru sarà davvero impaziente di riavere l’Hoshisaki.» mormorò tra sé, con un sorrisetto tagliente.
«Che vuoi dire, Miroku?» chiese Shippo, perplesso.
«Ho trovato un modo per saltare la fila.» disse lui, facendo per partire in avanti.
«Maestro, non fate sciocchezze, per carità!» intervenne Sango, lanciandosi verso di lui per fermarlo. Miroku si voltò come se piroettasse e strinse tra le sue le mani della Cacciatrice, prendendola di sorpresa.
«Non dovete…o meglio, non devi preoccuparti per me, mia cara Sango. – disse in un sussurro sentito, facendola arrossire con violenza per le parole e i gesti confidenziali – Ormai sai che ho combattuto per Sesshomaru e che godo ancora di un buon nome a corte. Devo proprio pensare che non ti fidi di me?»
«Non ho detto questo. – balbettò Sango, suo malgrado confusa e improvvisamente dubbiosa di essere nel torto – Io…io mi preoccupo per Kagome. Non dobbiamo farle fare brutta figura prima ancora di incontrare…»
«Come potremmo farle fare una brutta figura quando è stato Sesshomaru stesso a invitarci a corte per avere informazioni di prima mano sulla guerra al confine?» disse lui, facendo l’occhiolino a Kagome quando la vide illuminarsi in volto.
«Miroku-sama, siete un genio!» esclamò la ragazza.
«In questo modo non saremo pellegrini, ma…» mormorò Sango, comprendendo.
«…ma combattenti di En a rapporto, il che non è nemmeno una bugia!» finì Shippo, entusiasta. Miroku sorrise e lasciò andare le mani di Sango con una dose di riluttanza che Kagome notò.
«Coraggio, seguitemi!» disse, iniziando a procedere accanto alla fila, il mento alto, l’incedere sicuro e solenne di un vero monaco combattente. Le ragazze, Shippo e Kirara si accodarono e quei pochi che pensarono di attaccare briga o fermarli furono ridotti a migliori consigli dalla vista delle zanne di Kirara e dell’Hiraikotsu che Sango teneva pronto in spalla. Il gruppo aveva un aspetto che mal si accordava al semplice pellegrinaggio e, come Miroku si aspettava, gli unici che osarono sbarrare loro la strada furono i demoni di guardia alla prima porta.
Il monaco e le ragazze si fermarono di fronte alle lance spianate e alle facce attonite delle guardie. Nessuno aveva mai avuto il fegato di cercare di saltare la fila!
«Chi siete?! Come osate turbare il pellegrinaggio di questa gente?» sbottò una di loro, una mano sull’elsa della katana alla cintura.
«Dobbiamo vedere Jaken.- disse Miroku, sicuro di sé, e Kagome strinse in pugno il suo pendente, ringraziandolo di nuovo per averle indicato quel monaco come suo compagno di ventura – Ditegli che il monaco Miroku, Sango la Cacciatrice e una venerabile miko sono qui per dargli informazioni di prima mano su Naraku.»

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Capitolo 9
*** 8 - La chiamata ***


Author’s note: Permettetemi di ringraziarvi per l’accoglienza che mi state riservando, non credevo che dopo questa assenza foste ancora così affezionati alle mie vecchie storie! “Hoshisaki” promette di essere altrettanto complicata. Preparatevi: un certo principe sta per svegliarsi e Anna sta arrivando!
 
CAPITOLO 8
LA CHIAMATA
 
Il tempo a Palazzo trascorreva come al solito. Il pellegrinaggio avveniva seguendo meccanismi ben oliati, la gente era disciplinata, fosse per reverenza o per paura delle guardie armate. Jaken riceveva rapporti quotidiani sulla quantità di visitatori, sul tipo di richieste, sugli eventuali truffatori da buttare fuori a calci. Le solite cose, una routine che lo teneva occupato da quarant’anni e che col tempo aveva imparato ad apprezzare. Sesshomaru-sama mostrava di fidarsi di lui e, in più, l’incarico lo teneva ben lontano dalle battaglie al confine. All’inizio, il demone rospo aveva faticato ad accettare di essere lasciato indietro, ma poi aveva capito l’importanza del suo ruolo di guardiano e si era sentito commosso e fiero di essere stato scelto per controllare che al corpo di Inuyasha non accadesse nulla di male. Anche se non era mai andato troppo d’accordo col figlio minore del vecchio imperatore, Jaken non voleva certo vederlo morto…senza contare che le due Hoshisaki che l’hanyo possedeva andavano preservate a qualunque costo!
Quando la guardia lo raggiunse, correndo come se avesse Naraku alle calcagna, stava pensando proprio alle ultime novità. Controllava ogni sera che il leggero lucore di Yuuki continuasse a circondare il corpo addormentato del Principe. Sesshomaru-sama era partito alla velocità della luce per cercare notizie di un ritorno di Shinsetsu e da allora non si era più fatto sentire.
Sarebbe un bel colpo. Tre Hoshisaki recuperate e Inuyasha di nuovo al fianco di Sesshomaru-sama per combattere contro Naraku. – pensò – A quel punto, mancherebbe solo Junan…”
Il suo sospiro, appena velato di una pena di cui nessuno l’avrebbe mai sospettato, fu spezzato dal brusco arrivo della guardia, che finalmente attrasse la sua attenzione.
«Jaken-sama, una visita per voi» disse la guardia, inchinandosi.
«Che…per me?! Cosa?!» sbottò Jaken, perplesso e contrariato. Non aspettava nessuno!
«Tre umani, un piccolo demone volpe e un neko-yokai da combattimento. Un uomo che si fa chiamare Miroku dice di dover riferire movimenti di Naraku sul confine a voi o a Sesshomaru-sama» iniziò a spiegare la guardia, scettica. Jaken fece tanto d’occhi.
«Miroku?! Quel bonzo depravato è ancora vivo?!» sbottò, sbalordito. Il giovane si era tenuto ben lontano da ogni incarico ufficiale fin da quando Naraku gli aveva giocato quel brutto scherzo.
«Allora lo conoscete? Viaggia accompagnato da una Cacciatrice e da una miko. Li abbiamo fermati alla porta in attesa di ordini da parte vostra».
«Una Cacciatrice…l’ultima, mi sa, visto che anche loro sono stati sterminati. E una miko, dici? – borbottò Jaken, perplesso e conscio di dover prendere una decisione in mancanza del suo Signore – Va bene, portameli». Sperava solo di non doversene pentire. Era sempre nervoso quando le cose uscivano dal seminato!
Si rilassò un poco solo quando riconobbe alla testa del piccolo gruppo proprio la faccia da schiaffi del giovane monaco. Dietro di lui venivano due fanciulle, una delle quali portava l’uniforme e l’arma dei Cacciatori. Almeno su quel punto, non avevano mentito. Il kitsune e il demone gatto non c’erano e una delle guardie gli sussurrò di averli alloggiati e di aver provveduto a rifocillarli.
«Pensavo che la tua maledizione ti avesse già fatto secco, Miroku. Sei proprio resistente» lo salutò, sospettoso.
«Altrettanto lieto di rivederti, piccolo rospo dalla bocca larga» disse Miroku con voce leggera e un grande sorriso, scandalizzando le guardie per quella confidenza «Immagino Sesshomaru non ci sia. Possiamo parlarti in privato?»
«Seguitemi» sospirò Jaken, dando a intendere che gli stava facendo un enorme favore. Li condusse in una stanza riservata e lasciò le guardie all’esterno, per ogni evenienza. Una volta chiusa la porta, incalzò: «Allora, che c’è? Spero sia una cosa seria perché sono molto occupato anche senza le tue sciocchezze!»
«Posso presentarti Sango, la Cacciatrice, e Kagome-sama, una giovane e venerabile miko?» prese tempo Miroku.
«Sì, sì, tanto piacere.» sbuffò Jaken, disinteressato a quelle femmine umane «Si può sapere che volete?»
«Kagome-sama, se non vi spiace…» la invitò il monaco, gentile. La ragazza dai capelli corvini, il cui volto sembrò a Jaken in qualche modo familiare, portò una mano al collo, tirando una sottile catena. Un pendente emerse dalle sue vesti e si rivelò alla luce. Jaken sentì il cuore fermarglisi per un attimo in petto e si chiese se i demoni potessero morire d’infarto, poi si arrabbiò.
«Oh, certo. Shinsetsu, come no. Bravo monaco, brava miko, l’avete riprodotta bene, ma ci vuole altro per infinocchiarmi! – sbottò, seccato per essere stato raggirato in quel modo sciocco – Miroku, avevo sentito dire che giravi per En truffando la gente, per chi mi prendi?!»
«Oh, no, Jaken-sama, questa non è…» disse la giovane, sfilandosi il pendente dal collo per tenderglielo.
«Dai, Jaken, ci vedi meglio di così. – sbuffò Miroku – Tieni, è questa la truffa di cui parli. Non ci saresti cascato per un attimo». Frugò nella sua veste e ne estrasse una gemma a suo modo magnifica e pura, ma nemmeno lontanamente simile a quella che la ragazza gli tendeva sul palmo della mano. Jaken rimase immobile, con gli enormi occhi sgranati, indeciso se credere o meno, se mettere alla prova quel pendente o chiamare le guardie.
«Jaken-sama, sono stata io a trovare Kagome-sama e Shinsetsu. I demoni di Naraku la stavano attaccando per rubarle l’Hoshisaki, sul confine. – intervenne la Cacciatrice, il cui volto serio e onesto sembrava non aver mai conosciuto la menzogna – Siamo state attaccate più e più volte durante il nostro viaggio verso il Palazzo. Naraku sa che Shinsetsu è tornata e non tarderà a fare guerra ad En. Dovevamo consegnarla a Sesshomaru-sama a tutti i costi, il prima possibile».
«Sesshomaru-sama sa che Shinsetsu è tornata» disse Jaken, atono, prima di rendersene conto.
«Davvero?! Come se n’è accorto?» chiese Miroku, stupito, ma nemmeno poi tanto.
«Non sono fatti tuoi! – sbottò Jaken, già pentito di aver detto troppo – Beh…ma tu da dove vieni, miko? Perché salti fuori all’improvviso con Shinsetsu? Non sarai una di Gake?!»
Kagome raccontò molto velocemente la sua storia, scrutando con apprensione le reazioni del piccolo demone. Quel Jaken sembrava tormentato dal desiderio di crederle mischiato a una gran paura di prendere la decisione sbagliata. Quando tentò di spiegare che la vecchia Kaede, oltre a riconoscere Shinsetsu, l’aveva scambiata per Kikyo, Sango le diede un colpo sul ginocchio e Kagome saltò quel particolare con un tuffo al cuore. Era vero, meglio non nominare la nemica del Principe in quella sede. Nemmeno Miroku sapeva della possibilità che lei ne fosse la reincarnazione ed era già rimasto abbastanza sorpreso nel venire a conoscenza di quali fossero le sue origini.
Quando terminò, Jaken rimuginò su quella storia per qualche attimo, quindi parve decidersi e avvicinò il suo bastone a due teste alle mani di Kagome, che tenevano ancora il pendente. Il volto di vecchio rimase immoto, quello femminile parve destarsi e cantò una breve melodia che fece venire loro le lacrime agli occhi. Quando la voce si spense, Jaken sentenziò: «È Shinsetsu. È tornata».
«È quello che ti sto dicendo dal principio! – disse Miroku, facendo per alzarsi con un sorrisetto sfrontato - Per la mia ricompensa e quella delle mie compagne, ci accorderemo con Sesshomaru. Ora, se vuoi accompagnarci dal Principe Inuyasha…»
«Cosa?! Ma tu stai scherzando, scordatelo!» sbottò Jaken, e le sue parole furono una doccia gelata.
«Come sarebbe a dire?!» protestò Miroku, contrariato.
«Nessuno vedrà il Principe Inuyasha prima del ritorno di Sesshomaru-sama! Io non me la prendo questa responsabilità».
«Brutto vigliacco di un rospo…» ringhiò il monaco.
«Jaken-sama, io non so chi sia stato a condurmi a En, ma vorrei liberare il Principe dalla sua maledizione. – disse Kagome, rendendosi conto che avvertiva un’emozione profonda al pensiero di poter liberare quella persona – Non credete che vi sarebbe grato? È imprigionato da cinquant’anni, perché farlo soffrire ancora?»
Sango e Miroku la guardarono con ammirazione e perfino Jaken si sentì in colpa per la propria esitazione, ma scosse comunque la testa con fare cocciuto.
«Voi non conoscete il Principe Inuyasha! Datemi retta, quando si sveglierà è meglio che sia presente Sesshomaru-sama. – rabbrividì – Non sappiamo se sia ancora in sé o se il lungo sonno lo abbia fatto impazzire. Inuyasha è forte ed è sempre stato imprevedibile. Non fate storie e aspettate, come farò io. Manderò messaggi al mio Signore e lui tornerà presto».
«E nel frattempo?» chiese Sango, cupa, notando che la luce negli occhi di Kagome si spegnava, sostituita di nuovo da ansia e tristezza.
«Nel frattempo alloggerete qui e mi farete un rapporto serio sulla situazione al confine. – disse Jaken, frenando subito le loro proteste – In questo castello, non si mangia a scrocco».
***
«Non è giusto!» sbottò Kagome, frustrata, facendo sobbalzare Shippo che si stava riempiendo la bocca di mochi.
«Non posso darvi torto, Kagome-sama, ma a quanto pare siamo in un vicolo cieco» sospirò Miroku, scuotendo il capo.
«Oh, Miroku-sama, voi avete fatto più di quanto fosse necessario! È questa situazione che mi rende nervosa. – spiegò Kagome, allargando le braccia – Sembra che tutte le forze di En si siano messe d’accordo per tenermi lontana dal mio mondo!»
«Mi spiace, Kagome…Abbi pazienza, ormai siamo a palazzo, la risoluzione di questo brutto pasticcio non è lontana» cercò di confortarla Sango, prendendole una mano e stringendola con partecipazione. Kagome annuì, ma tutti quei ritardi l’avevano resa ancora più ansiosa. Jaken li aveva alloggiati in una bella stanza, aveva fatto portare loro da mangiare e poi non si era più visto. Avevano il severo divieto di vagabondare per il Palazzo ed era stato assicurato loro che sarebbero stati subito avvertiti del ritorno di Sesshomaru. Fuori dalla porta c’era una guardia a cui potevano rivolgersi in caso di necessità. In pratica, erano più o meno agli arresti domiciliari.
«Hai tutta questa fretta di tornare a casa, Kagome-chan?» chiese Shippo, perdendo la sua allegria. Lo avevano messo al corrente del segreto di Kagome, visto che ormai anche Miroku lo conosceva, ma faticava ad accettare che la sua nuova amica desiderasse sopra a ogni altra cosa andarsene. Kagome gli sorrise con dolcezza.
«Tu non l’avresti, Shippo? – gli chiese – Ho paura di affrontare le verità da cui sono fuggita, ma…questo è troppo. Non è la mia guerra, non è la mia patria. Voglio solo svegliare il vostro Principe per aiutarvi e poi tornare a casa mia».
«Un desiderio comprensibile, Kagome-sama. Non credo vi si possa chiedere di più.» annuì Miroku, nascondendo con abilità la sua convinzione che non sarebbe stato così facile. Sango l’aveva messo in parole con chiarezza qualche notte prima: se Kagome-sama era la portatrice di Shinsetsu, questo la legava al Principe Inuyasha fino alla fine di quella battaglia. Lei lo avrebbe completato. Tra l’altro, Miroku credeva di avere intuito la natura del viso che Kagome aveva visto prima di essere attirata nel pozzo…
«Mi chiedo perché Jaken abbia tanta paura di vedere svegliarsi il Principe Inuyasha…Era davvero così terribile? Peggio di Sesshomaru?» chiese Shippo, incredulo. Gli era capitato di incontrare il gelido imperatore di En e pensava che più terrificante di lui ci fosse solo Naraku!
«Aveva fama di essere una testa calda, questo è certo, ma le cronache lo ricordano come un Principe molto amato. Non credo proprio fosse cattivo» disse Miroku, stendendosi con le mani dietro la nuca.
«Credo che Jaken abbia paura che la maledizione di Kikyo abbia influito sulla sua mente. Dopotutto, è stato tradito e imprigionato in un incubo che dura da cinquant’anni» mormorò Sango, cupa.
«Già, la mente di un uomo andrebbe in pezzi. Quella di Inuyasha è per metà yokai, quindi può essere più resistente, ma sappiamo bene quanto sia facile scivolare nella pazzia sotto magie come questa» rifletté Miroku, altrettanto grave. Kagome vide uno spasmo attraversare i lineamenti di Sango, poi la ragazza si alzò e, mormorando una scusa, uscì sulla balconata che dava verso uno dei cortili interni del palazzo. Miroku si tirò subito a sedere, masticando un’imprecazione.
«Questa potevo risparmiarmela, vero?» si rimproverò, piano, vedendola sparire all’esterno.
«Sapete del fratello di Sango, Miroku-sama?» chiese Kagome, stupita.
«Gliene ho parlato io, spero non sia un problema» ammise Shippo, mentre l’amico si alzava in piedi.
«Kagome-sama, vi spiace se vi lascio con Shippo per qualche momento? Mi sento in colpa e vorrei…» iniziò il monaco. Kagome e Shippo lo illuminarono con due identici sorrisi d’approvazione.
«Fatela parlare un po’, Miroku-sama, sono sicura che le farà bene.» disse la ragazza, facendogli cenno di sbrigarsi. Miroku uscì, sentendosi stranamente imbarazzato e sotto esame, e Kagome e Shippo si scambiarono un altro sorriso d’intesa.
«In fondo, Miroku-sama è un gentiluomo.» approvò la giovane, per un attimo dimentica dei suoi problemi. Sentiva profumo di romanticismo nell’aria!
«Hanno molte cose in comune. Credo proprio che dovrebbero diventare amici.» annuì Shippo con fare saccente, leccandosi le dita appiccicose.
«Sono d’accordo con te!» rise Kagome. Chissà, da un’amicizia poteva fiorire un altro sentimento, e sia Sango che Miroku avevano vissuto in solitudine tragedie che avrebbero spezzato persone meno forti. Meritavano di trovare un po’ di felicità. Un’immagine fugace del giovane dai capelli neri che aveva visto nei sogni le passò nella mente e Kagome la scacciò, arrossendo. Cos’andava a pensare?! Aveva problemi più urgenti! Le sue dita salirono a stringere Shinsetsu e la sua espressione tornò cupa.
“Dovremmo temere il Principe Inuyasha? Cosa faremo se dovesse essere impazzito? – si chiese, con un brivido – Quello che gli è capitato è terribile…Non è strano che tutti odino Kikyo per ciò che ha commesso. Davvero io le somiglio? Possibile che io sia la reincarnazione di una persona che ha commesso un’azione tanto malvagia?”
Il pensiero le fece venire i brividi. Il pendente si illuminò di una lieve luce rosa sotto le sue dita, ma né lei né Shippo, che in quel momento stava contendendo uno spiedino a Kirara, se ne accorsero.
“Non riesco a crederlo. Lei era potente, perché ha scelto di imprigionarlo se poteva ucciderlo? E poi, anche lei è morta…Qualcosa non mi torna.” continuò a pensare. Era come se una forza chiarificatrice stesse mettendo ordine nei suoi pensieri, regalandole un intuito e una capacità logica che non credeva di possedere. Era vero, se Kikyo fosse stata una traditrice avrebbe ucciso Inuyasha, permettendo così a Naraku di rubargli le Hoshisaki. Imprigionandolo, invece, le aveva rese intoccabili. Perché? Cos’era accaduto davvero cinquant’anni prima? Aveva la sensazione che dietro a quella storia si celasse un dolore. Le sue narici, incongruamente, furono per un attimo piene del profumo dei fiori di ciliegio. Le salirono le lacrime agli occhi.
“Voglio saperlo. – pensò, sbalordita per l’intensità di quel desiderio, quasi una sete fisica che cancellò ogni suo altro pensiero – Voglio che sia lui a dirmelo. Voglio svegliare Inuyasha, subito!”
Shinsetsu esplose in un lampo di luce che avvolse il corpo di Kagome e strappò un grido spaventato a Shippo, il quale si coprì gli occhi per non essere accecato mentre Kirara nascondeva la testa tra le zampe con un miagolio stridente. Quando la luce scomparve e il piccolo kitsune riaprì gli occhi, la giovane dai capelli corvini era scomparsa.
***
Anna alzò la testa di scatto e le mani le ricaddero dal lucchetto con cui stava chiudendo il vecchio magazzino delle reliquie del Tempio. Le era parso di sentire il proprio nome pronunciato dalla voce di Kagome.
«Sto diventando matta per la preoccupazione» si disse, con voce in cui vibrava il nervosismo. Chiuse il lucchetto con mani incerte, poi, prima di tornare in casa, si guardò attorno. L’ampio cortile del Tempio era buio e tranquillo. Ormai si era fatta notte e anche per questo si era offerta di andare a ritirare nel magazzino quei pochi oggetti che il nonno aveva portato in casa per cercare di proseguire con la nuova catalogazione dei manufatti religiosi. Il pover’uomo tentava di distrarsi dal pensiero di Kagome, ma come tutti non ci riusciva molto bene. Anna e Sota cercavano almeno di evitargli strapazzi e quella sera l’aria era fredda e umida. Dal cielo nuvoloso e cupo cadeva una pioggia sottile.
Anna rabbrividì, nonostante avesse indossato il cappotto. Si disse di non fare la sciocca e di darsi una mossa, prima di prendere un raffreddore. In quei giorni aveva un fastidioso mal di capo che partiva dalla fronte, tra gli occhi, e un malanno era l’ultima cosa a cui aspirava. Fece solo un paio di passi verso casa, prima che una potente luce rosata illuminasse l’Hokora a giorno, togliendole il fiato. La luce brillò per un attimo con una vivida, fulgida nitidezza, come se qualcuno avesse acceso un faro all’interno del piccolo edificio che conteneva il pozzo sacro, poi si spense come se non fosse mai esistita.
Anna non avrebbe saputo dire perché, nella sua mente, quella luce venisse subito associata a Kagome. Seppe solo che un attimo dopo il ritorno del buio lei già stava correndo verso il pozzo. Non poteva esserci niente là dentro, quel posto era già stato controllato e in fondo sia lei che Kagome ne avevano sempre avuto paura. Una parte di lei le diceva di tornare indietro e dimenticarsi di quella luce. L’altra sembrava convinta che quel lampo fosse un segno della presenza di Kagome.
«Kagome!» esclamò, ansante, aprendo di botto la porta scorrevole dell’Hokora. Come previsto, non c’era nessuno, ma il pozzo non era al buio. Una piccola luce proveniva dal fondo, illuminando di un vago bagliore dorato il bordo della struttura in legno. Anna deglutì a fatica, ma il coraggio non le era mai mancato e venne avanti, decisa a venire a capo di quel mistero. Si accostò al bordo del pozzo e guardò all’interno, stringendo le labbra tanto da sbiancarle. Non sapeva cos’avrebbe fatto se avesse posato gli occhi su qualche macabra scoperta. Sotto i suoi occhi attoniti, il pozzo si rivelò senza fondo. Nel buio cosmico che vi regnava, brillava una piccola luce rosa, come una stella gettata nel nulla.
«Kagome…» mormorò ancora Anna. Conosceva quel colore. Era lo stesso del pendente che la sua sorellina acquisita portava al collo fin da quando erano bambine. La stessa sfumatura, senza possibilità di errore. Anna l’aveva visto tra le sue dita troppe volte.
Mentre la sua mente si schiudeva a questa rivelazione, nel buio nacquero altre due luci, come richiamate da quella rosa. Le si misero ai lati, una stella rossa e una gialla che parvero racchiudere e proteggere quella più delicata. Anna posò le mani sul legno e si sporse, decisa a dare un senso a ciò che i suoi occhi stavano vedendo. La luce delle stelle pulsò e rifulse e altre due punte luminose comparvero. Una era azzurra e pareva debole, incerta. L’altra, non appena si manifestò, prese a splendere con un fulgore argenteo che le fece perdere un battito e risvegliò, crudele, il male alla fronte che la affliggeva da giorni.
Con un’esclamazione soffocata, si portò le mani tra gli occhi, barcollando, sentendo montare una forte nausea. Avvertì il profumo dei fiori di ciliegio e provò paura e una dilaniante nostalgia. Strinse i denti, mentre i suoi tentennamenti la sospingevano contro il bordo del pozzo e la costringevano ad afferrarlo di nuovo per non cadervi dentro.
«Cos’è questa cosa?» gemette, incapace di capire. Dai recessi della memoria stava affiorando un’immagine, un volto incorniciato da lunghi capelli color argento. Non si accorse delle lacrime che le rigarono le guance.
«Chi sei? – singhiozzò – Cosa vuoi da me? Cos’hai fatto a Kagome?»
Non fu l’elusivo ricordo a risponderle, ma una voce fredda, dura, venata di una crudeltà indicibile.
«Eccoti, Junan!» la chiamò, con una brama che la fece urlare di orrore. Una tenebra orribile inghiottì le luci e risalì lungo il pozzo, mentre Anna gridava per il dolore e la sua fronte si illuminava di un accecante bagliore viola. Un gelo che non aveva mai provato, eppure familiare, la avvolse e la trascinò con sé, facendole perdere i sensi e strappandola al suo mondo per trascinarla verso l’ignoto.

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Capitolo 10
*** 9 - Shinsetsu e Junan ***


Author’s note: Sapete bene che il lupo perde il pelo ma non il vizio, quindi Vania può essere stata “in ferie” ma di certo non ha perso la brutta abitudine di lasciare ogni capitolo con un sacco di punti di domanda! Che dite, andiamo a vedere di rispondere a qualcuno di essi?
 
CAPITOLO 9
SHINSETSU E JUNAN

 
Per un attimo, la vista di Kagome si tinse di rosa e la stanza attorno a lei scomparve, avvolta dalla luce. Quando questo fenomeno terminò, tutto era cambiato. In ginocchio su un pavimento di legno lucidato a specchio, nella penombra malinconica della luce di candele sparse in ogni angolo, Kagome rimase immobile, pietrificata dallo spavento. Quella non era la stanza in cui Jaken li aveva portati! Dove era andata a finire? Possibile che la sua Hoshisaki non facesse altro che cacciarla nei guai?!
Si alzò con un ansito, febbrile, timorosa di essere penetrata senza volere in zone che le erano precluse. Doveva essere ancora nel castello, era l’unico posto che le si fosse presentato con una tale profusione di eleganza e ricchezza. La sala era grande e poco illuminata, senza finestre. Al centro, troneggiava un enorme giaciglio coperto con tendaggi purpurei. La risposta alle sue domande le balzò alla mente con inaspettata chiarezza, seccandole la bocca. Ma certo…non aveva appena desiderato con forza di poter risvegliare il Principe Inuyasha? Quello non era un letto. Era il luogo su cui giaceva il corpo del mezzo demone, imprigionato in un sonno maledetto.
“Shinsetsu si è affrettata ad accontentarmi. – pensò, sollevando davanti agli occhi il pendente che ancora splendeva, fioco – Rimane da capire se sia una buona idea. Nessuno sa che sono qui, ma mi cercheranno. Scommetto che Jaken penserà per prima cosa che mi sia intrufolata qui dentro in qualche maniera”. Le sembrava molto plausibile. Meglio sbrigarsi, se davvero aveva intenzione di fare di testa propria. Quella bravata della sua Hoshisaki rischiava di finire molto male.
«Cominciamo col dargli un’occhiata» mormorò, agitata ma più curiosa di quanto avesse immaginato. Camminò fino al pesante tendaggio del baldacchino. Non si stupì molto che le sue dita fossero percorse da un lieve tremito quando sfiorò il tessuto, che si rivelò difficile da spostare. Sbirciò all’interno: sotto era buio pesto e occorreva salire due o tre gradini per vedere chi o cosa fosse sdraiato sul grande giaciglio.
“Beh, tanto peggio. – pensò Kagome, facendosi coraggio e intrufolandosi nella tenebra – Se Shinsetsu continua a brillare, non avrò problemi.”
Quando la tenda le ricadde alle spalle, infatti, la luce della sua Hoshisaki raddoppiò, consentendole di salire senza inciampare. C’era anche un’altra luce, molto fioca, che veniva dal giaciglio, ma Kagome tenne gli occhi bassi, seguendo il movimento dei propri piedi. Aveva paura di guardare il Principe Inuyasha. Era un mezzo demone…E se fosse stato mostruoso, come le creature di Naraku che l’avevano attaccata? O simile a Jaken o a Shippo? Cos’avrebbe fatto se il suo corpo avesse avuto i segni orribili della morte causatagli da Kikyo? Oppure il suo volto sarebbe stato quello del giovane dai capelli neri che l’aveva chiamata su En e le faceva battere il cuore nei sogni?
Giunse a lato del letto, coperto da un telo di seta. Chiuse gli occhi, contò fino a tre, poi aprì le palpebre e alzò la testa per guardare il Principe a cui doveva molte delle sue disgrazie. Kagome lasciò uscire in un tremolo sospiro il fiato che aveva inavvertitamente trattenuto. Non si trattava di un mostro e, se non fosse stato per l’asta della freccia che usciva dal petto, si sarebbe potuto pensare di stare osservando il sonno di un dormiente.
Il Principe Inuyasha era un bel giovane che non dimostrava nemmeno vent’anni, con lunghissimi capelli d’argento e un volto che anche nel sonno era serio, corrucciato, quasi tormentato dai pensieri. Le mani, dotate di unghie che parevano micidiali, tenevano al suo fianco una spada nel fodero. I piedi erano nudi, mentre il corpo era coperto da una particolare veste rossa di un materiale che sembrava più spesso del cuoio. Gli occhi di Kagome vagarono sulla forma di quel bel giovane, il cui tempo era immobile da cinquant’anni, e una profonda malinconia la colse. Notò con sorpresa che in cima alla testa argentea spuntavano due orecchie canine, un dettaglio così incongruo nella sua tenerezza che Kagome non poté fare a meno di sorridere. Prima che potesse contenersi, si era sporta per toccarle. Sotto le sue dita, si rivelarono vellutate ma fredde.
«Non lo sarebbero se tu fossi sveglio, non è vero? – mormorò Kagome, a pochi centimetri da quel viso che sembrava avercela col mondo – Sarebbero calde. Mi sbaglio?» Un leggero bagliore dorato vagava sul corpo del dormiente e Kagome si chiese se la sua sola presenza stesse svegliando il principe. La sua mano destra andò a posarsi sul petto di lui e non vi trovò il battito del cuore. A giudicare dalla posizione, doveva essere stato trapassato dalla freccia di Kikyo. Accorgendosi di essere quasi sdraiata sul principe, Kagome si fece indietro di scatto, arrossendo. Ma che le prendeva?! Se voleva svegliarlo, doveva darsi una mossa invece di perdere tempo prendendosi confidenze imbarazzanti!
«Già, ma…come faccio?» gemette. Ora che si trovava lì, non aveva la benché minima idea di dove iniziare. Forse Miroku avrebbe saputo come procedere, ma il monaco non era lì ad aiutarla. Doveva cavarsela da sola. Per prima cosa, forse era meglio togliere quella freccia dal petto dell’hanyo. Kagome si issò sul giaciglio, accanto a Inuyasha, poi afferrò l’asta della freccia e tirò. Non accadde nulla.
«Andiamo…non è questo il tuo posto! – esclamò Kagome, arrabbiandosi – L’hai imprigionato per un sacco di tempo, ora lascialo andare!»
Tirò di nuovo mentre diceva queste parole e l’asta si fece cedevole. Kagome la sentì vibrare, poi la freccia scivolò fuori dal corpo del principe senza la minima resistenza, come se non avesse atteso altro che il via libera per cessare la propria funzione. Kagome barcollò all’indietro e quasi cadde, essendosi aspettata una maggiore resistenza. Gettò la freccia alle sue spalle e guardò febbrilmente il volto dell’hanyo, ma in apparenza non c’erano stati cambiamenti. Il sonno di Inuyasha era identico, simile alla morte.
«Coraggio, svegliati! Svegliatevi, Principe Inuyasha! – lo esortò, toccandogli il volto e dandogli qualche colpo gentile alle guance, chiedendosi se non stesse sfiorando il sacrilegio – Perché non ti svegli?! Cos’altro dovrei fare?!»
Non vi fu reazione, nemmeno quando lo scrollò più forte. Inuyasha restava morto. Kagome compresse le labbra in una linea sottile e i suoi occhi brillarono di una rabbia di cui nemmeno lei capì l’origine. La visione del mezzo demone inerte le stava facendo male. Con un’imprecazione soffocata, salì a cavalcioni sull’addome dell’hanyo, si sfilò Shinsetsu dal collo con un gesto brusco che le scompigliò i capelli e poi premette con entrambi i palmi l’Hoshisaki sul punto in cui ancora si vedeva la ferita procuratagli dalla freccia di Kikyo.
«Svegliati, Inuyasha! Shinsetsu ti chiama!» esclamò, proiettando tutto il proprio desiderio di destarlo in quell’esortazione, nella pressione delle mani sul suo cuore. Shinsetsu pulsò sotto i suoi palmi, un battito che le si riverberò nelle braccia ed entrò in risonanza col suo pensiero. Poi, la luce delicata si propagò lungo le membra del principe, avvolgendolo in una carezza che, Kagome lo sperava, lo avrebbe guarito. L’aura rosa coprì l’intero corpo del dormiente e Kagome iniziò a sentire una nuova pulsazione sotto i palmi, stavolta dall’interno del petto dell’hanyo. La luce gialla che ne scaturì la sorprese. Era fulgida, calda e piena di vigore, come un sole d’estate. Era la luce che aveva visto nel pozzo dell’Hokora. Un istante dopo, gli occhi del Principe Inuyasha si aprirono. Kagome fece in tempo a vederne il colore ambrato, inaspettato e bellissimo, il lampo di dolore e confusione al primo sbattere delle palpebre. Poi, gli occhi di Inuyasha si posarono su di lei e i suoi lineamenti si trasformarono in un’espressione di odio, rancore e dolore che le congelò il sangue nelle vene.
«Kikyo?!»
Le Hoshisaki si spensero. Vi fu un attimo di stasi nella nuova tenebra, in cui l’unico suono fu quello dei loro respiri, così vicini. Poi, il corpo di Inuyasha si mosse. Fu per puro istinto che Kagome si gettò di lato, allontanandosi da Inuyasha e cadendo dolorosamente sui gradini con un gemito, la catena di Shinsetsu stretta in pugno. Fece in tempo a sentire qualcosa che le passava a pochissima distanza dalla testa, come un’arma che avesse cercato la sua gola. Ansimando per la paura, si trascinò fuori dal baldacchino, tornando alla luce delle candele. In quello stesso istante, il mezzo demone emerse dai tendaggi, tirandoli con tale violenza da strapparne una parte, che ricadde in modo disordinato. Kagome lo vide in piedi per la prima volta. Era bello e terribile di un’ira più che umana, con il fodero della spada in una mano e gli artigli levati pronti a colpire. Non c’era traccia di follia in lui, niente di ciò che Jaken aveva temuto, ma la sua sete di vendetta lo rendeva terrificante.
«Kikyo, traditrice! Cosa mi hai fatto?! Come hai osato?!» ringhiò, venendo avanti di un passo. Kagome scivolò all’indietro, senza osare perdere il contatto visivo.
«Io…io non sono Kikyo.- balbettò, conscia che era in gioco la sua vita – Il mio nome è…»
«Taci, traditrice!» sbottò Inuyasha, saltandole addosso. Con un grido, Kagome si aggrappò a un candelabro e lo fece cadere tra loro, guadagnando a malapena il tempo per evitare l’attacco e rimettersi in piedi.
«Per favore…per favore, ascoltami! Davvero, io non sono Kikyo!» gridò, cercando di farlo ragionare.
«Credi di potermi prendere in giro un’altra volta?!» ruggì Inuyasha, afferrandola per una caviglia e tirandola a sé, bloccandola a terra. Kagome gridò e si fece scudo con le braccia mentre lui alzava la mano artigliata per colpirla. Il colpo non venne. Lo sentì emettere un suono frustrato che non capì, poi le sue mani si chiusero sui suoi polsi e l’hanyo la costrinse con facilità a scostare le braccia dal viso.
«Difenditi, maledetta strega! Non stare qui a fare la vittima! – le ruggì in faccia, incombendo su di lei – Avanti, usa i tuoi poteri! Dov’è il tuo arco?! Se pensi che non abbia il fegato di ammazzarti, ti sbagli di grosso!»
Kagome non capì perché non l’avesse ancora fatto, ma non sprecò l’occasione per mettere in chiaro le cose.
«Io sono Kagome!» gridò, disperata, guardandolo fisso negli occhi nella speranza che si accorgesse della differenza. Lo sentì irrigidirsi. Una vaga espressione interrogativa gli aleggiò negli occhi, poi le sue mani si strinsero sui suoi polsi tanto da strapparle un gemito. «Davvero, per favore, il mio nome è Kagome! Kikyo è morta cinquant’anni fa, dopo averti sigillato!» continuò. Inuyasha mandò un ansito e la lasciò andare come se scottasse, ricadendo seduto all’indietro. Kagome si tirò a sedere a fatica, massaggiandosi i polsi. Il principe sembrò guardarla finalmente con attenzione e il rapido passaggio di emozioni sul suo viso, pur se incomprensibile, le diede la certezza che le differenze gli erano infine balzate agli occhi.
«Cinquant’anni? Kikyo è…morta?!» mormorò, portando una mano alla fronte in una posa che in un momento meno drammatico sarebbe stata quasi comica. Sembrava che gli fosse crollato il mondo addosso, e in effetti doveva essere così: come avrebbe mai potuto immaginare per quanto tempo aveva dormito e che la sua vendetta, nel frattempo, era sfumata?
«È una lunga storia, Principe Inuyasha, e qua fuori ci sono persone che potranno raccontarla meglio di me.- disse Kagome con voce gentile, sperando che la tempesta fosse passata – Se volete venire con…»
In quel momento, lo sguardo di Inuyasha si focalizzò su Shinsetsu, che pendeva tra le dita di Kagome. La rabbia tornò nei suoi occhi.
«Sei la nuova portatrice di Shinsetsu?!» ringhiò, alzandosi lentamente in piedi. Kagome, per riflesso, si strinse il pendente al petto.
«S…sì, e allora?» balbettò. Inuyasha scrocchiò le lunghe dita e scoprì le zanne.
«Allora avevo ragione. Tu devi essere la reincarnazione di Kikyo!» disse, venendo avanti di un passo. Kagome si affrettò a balzare in piedi.
«Ehi, non scherziamo! Io sono Kagome, Ka-go-me! – sbottò, arrabbiata e più ferita che mai nel sentirsi la copia di qualcuno che non c’era più – Non sono Kikyo!»
«Allora dammi Shinsetsu o ti ammazzo senza pensarci due volte!» le ordinò lui.
«Cosa?! Shinsetsu è mia! Ti vorrei ricordare che ti ho appena salvato la vita, anche se me ne sto pentendo! Potresti essere un po’ più gentile!» strillò Kagome, furibonda, facendogli strabuzzare gli occhi.
«Co…cosa?! Come ti permetti, ragazzina?! Dammi quella Hoshisaki!»
«Non ci penso nemmeno! Non vorrebbe mai stare in mano a un buzzurro violento! E mi chiamo Kagome, non “ragazzina”!»
«Che me ne frega del tuo nome?!»
«Oh già, l’unico nome che ti interessa è Kikyo, non è vero?! Se ci sei tanto affezionato, vado a recuperare la freccia e te la pianto di nuovo nel petto, almeno la smetterai di gridarmi in faccia!» strillò Kagome, sul punto di piangere per la paura e la frustrazione.
«Sei tu che gridi come una pescivendola!» sbraitò Inuyasha, la cui rabbia però si stava trasformando in confusione. Non era mai capitato che un abitante di En gli si rivolgesse a quel modo!
«Beh, mi spiace tanto! Sarà perché qualcuno, qui, continua a insultarmi o cercare di uccidermi!» gridò lei, prima di scoppiare a piangere. Inuyasha fece un paio di passi indietro, come se il pianto di lei fosse un colpo fisico. La fissò, attonito. No, quella non era Kikyo. Somigliava a una versione più giovane della sua nemica, ma in lei non c’era traccia del freddo autocontrollo e della profonda malinconia che aveva imparato a conoscere. Quella ragazza maleducata esprimeva senza vergogna i propri sentimenti. Odiò sentirsi un verme per averla fatta piangere.
«Ehi…ehi, piantala! – balbettò – Andiamo, smettila! Io non…»
Fu in quel momento che la porta della sala venne aperta e Jaken, seguito a ruota da Sango, Shippo e Miroku, fece irruzione insieme a un nutrito gruppo di guardie armate, trovandosi davanti una ragazza che piangeva e un redivivo e frustrato Principe di En.
***
Avvolta in un gelo mortale, Anna precipitò nella tenebra con un grido. Dapprima cadde, poi il mondo sembrò capovolgersi e avvertì la sensazione di essere tirata e sollevata. Una mano la afferrò per i capelli con uno strattone doloroso che le fece scorrere lacrime involontarie sulle guance, poi colpì qualcosa di duro con la schiena ed emerse dal pozzo per essere gettata a terra come un sacco di cui disfarsi.
Boccheggiando per la paura e il dolore, Anna rimase per un attimo immobile, gli occhi spalancati. La notte era rischiarata da una strana luce violacea. Le sue dita erano aggrappate a erba tenera, impregnata dall’umidità della notte. Non sapeva dove si trovasse né cosa fosse accaduto, ma tutto il suo corpo le gridava di scappare il più velocemente possibile. Ebbe anche il tempo di un primo sussulto per cercare di alzarsi da terra, prima che la stessa mano che l’aveva presa per i capelli la afferrasse per la gola e la sollevasse di peso, facendole emettere un orribile suono strozzato.
Inorridita e semistrangolata, si trovò a guardare in faccia un uomo dai lunghi capelli neri, vestito con una pelliccia bianca, il quale la teneva sollevata con forza inaudita. Accanto a lui c’era una donna che si copriva metà del volto con un ventaglio. Gli occhi di entrambi avevano una sfumatura allarmante anche al fioco lucore notturno.
«Questa è Junan? Non somiglia per niente a quella vecchia. – disse la donna, sollevando un sopracciglio mentre la studiava con blando interesse – Ce la sbrighiamo qui, Naraku?»
«Sesshomaru è nei paraggi» disse l’uomo, senza smettere di fissare la sua preda, che iniziava a temere di essere sul punto di morire soffocata «Portaci altrove, Kagura».
«Come vuoi» sospirò la donna, annoiata. Un attimo dopo, i tre erano in volo su una gigantesca piuma. Anna, finalmente libera dalla stretta di quello che sembrava chiamarsi Naraku, tossì e cercò di non guardare di sotto. Finché erano in volo, non c’era possibilità di fuga. Gli occhi malvagi di quell’uomo non la lasciavano un istante.
«Dove…sono?! – tentò di dire, con quel poco di voce che le uscì dalla gola martoriata – Chi siete voi?»
Non le risposero. Anna rabbrividì. C’era qualcosa di sbagliato, in quei due. Il nonno di Kagome l’aveva addestrata tanto quanto aveva fatto con sua nipote e Anna non aveva mai avvertito prima una tale manifestazione di energia malvagia.
«Dove…avete portato…Kagome?» insistette, ottenendo finalmente un barlume di interesse nella coppia.
«Conosci quella tipa? Ma guarda…è proprio vero che si attirano a vicenda. Se avessimo tenuto d’occhio quel pozzo dal principio…» mormorò la donna col ventaglio, pensierosa.
«Taci, Kagura.»
Le parole furono dette senza enfasi, ma la donna si affrettò a serrare le labbra e a tornare a occuparsi della traiettoria del volo.
“Non hanno Kagome!” pensò Anna, mentre il cuore le faceva un balzo. Sapevano dell’amica e forse le stavano dando la caccia, ma non avevano messo le loro grinfie su di lei! Inoltre, ora aveva la certezza di dove fosse finita Kagome dopo la sua scomparsa. Poteva pensare solo a se stessa, per il momento. Si abbracciò forte e lasciò ricadere le spalle, inondandosi il volto con i capelli castani. Non voleva che quell’uomo spiasse le sue espressioni, né che sospettasse che era ben lontana dal volersi arrendere o dal perdersi d’animo. Ora che poteva respirare, la sua mente stava lavorando per cogliere la prima opportunità di fuga.
Volarono ancora per pochi minuti, poi Naraku indicò un punto e la piuma scese, in cerchi che si fecero sempre più stretti, in una minuscola radura circondata dal bosco su tre lati. Il quarto digradava verso un fiume, cinque o sei metri più sotto. Lo sguardo di Anna saettò, sotto la cortina di capelli, valutando la distanza che la separava dal corso d’acqua. Era una buona nuotatrice e quella poteva essere la sua sola possibilità di allontanarsi dai suoi rapitori. Non attese nemmeno che la piuma toccasse terra. Con uno scatto, balzò sul terreno erboso e si mise a correre con quanta velocità le consentissero le gambe.
«Kagura» disse l’uomo con la pelliccia bianca, senza alcuna traccia d’allarme nella voce.
«Sicuro? Bah, contento tu…»
Era a pochi metri dal salto quando un’improvvisa e violentissima folata di vento la colpì alle spalle. Non solo si sentì sollevare, ma il mondo divenne una molteplice fonte di dolore. Fu come se decine di armi l’avessero colpita in ogni dove. Vide volare sangue e seppe che si trattava del proprio. Non si era sbagliata: quel vento tagliava come una lama. Piombò a terra, faccia avanti, tremante di dolore mentre il sangue le inzaccherava i vestiti stracciati. Quei due erano pronti a ucciderla! Il tizio chiamato Naraku rise, un suono gutturale pieno di malvagità. Si sentì rivoltare, poi l’uomo la afferrò per il cappotto e la trascinò sull’erba, ignorando le sue grida di dolore. La sollevò e la lasciò penzolare nel vuoto, trattenuta solo dalla stretta della sua mano.
«L’ultima volta ho fatto l’errore di ammazzarti troppo presto. – lo udì dire, attraverso la nebbia del dolore – Dammi Junan e poi…ti lascerò andare.» Rise di nuovo in quel modo disgustoso.
«Non so…nemmeno…cosa stai…» ansimò Anna. Iniziava a sentire un freddo profondo, che si allargava come un’onda nelle sue membra fino alla sua mente. Stava perdendo troppo sangue. Naraku scostò di poco la pelliccia bianca che lo ricopriva. Sotto, portava quella che sembrava un’armatura. Incastonate nel petto, c’erano due gemme dal colore malato. A quella vista, un dolore indicibile esplose al centro della fronte di Anna, tanto che tentò inutilmente di sollevare le mani per afferrarla. Naraku sorrise, soddisfatto.
«Allora è qui!» mormorò, colpendo il punto esatto da cui giungeva quel dolore. Le dita di Naraku perforarono la pelle e Anna gridò un’ultima volta, mentre il sangue le rigava il volto e la vita scivolava via ancora più velocemente dal suo corpo. Una luce viola, arcana e accecante, respinse le dita di Naraku, il cui viso si tese in una smorfia di dolore e rabbia. Insistette, ma era come se una barriera si fosse interposta tra la sua mano e l’Hoshisaki che ora vedeva brillare in mezzo al sangue. Quella dannata ragazza possedeva una cosa che in passato le era mancata: poteri spirituali che le consentivano di usare Junan. Le mani di Anna si serrarono sul braccio che la reggeva, in un ultimo impeto di forza di cui non la si sarebbe creduta capace.
«Tu non mi ucciderai…un’altra volta» mormorò, con voce non sua.
Un istante dopo, un’attonita Kagura sentì Naraku urlare e lo vide lasciare andare la ragazza, che precipitò in acqua con un tonfo. Il Signore di Gake, che non conosceva ferita fin da quando Inuyasha era stato imprigionato, caracollò all’indietro e ricadde, con un rantolo orribile. Kagura si affrettò a raggiungerlo. Buttò un’occhiata di sotto, constatando che la corrente aveva trascinato via il corpo della portatrice di Junan, poi guardò Naraku e inorridì. La forma del mezzo demone stava mutando, perdendo i contorni e trasformandosi in quell’ammasso di fattezze che per tanto tempo era stato il suo aspetto quotidiano, quello stesso coacervo da cui lei si era separata per diventare Kagura.
«Che ti sta succedendo?!» chiese, orripilata e in parte spaventata.
«Niente di grave. Mi ha solo…rubato un paio di parti inutili.» ringhiò Naraku. Gli mancava quasi tutto un braccio, ma in compenso stavano spuntando arti di tutti i tipi dove non avrebbero dovuto essercene. «Andiamocene. Devo immediatamente ripristinare l’equilibrio.»
«Questo è ovvio. – commentò Kagura, sbalordita, chiedendosi se quanto stava vedendo poteva tornarle utile in qualche modo – E Junan?»
«Dev’essere morta, - ringhiò Naraku – ma, se non lo fosse, va uccisa immediatamente. Sguinzaglia i nostri sicari. Sesshomaru non deve trovarla!»
***
Sesshomaru aveva lasciato da poco l’accampamento. Non era contento di ciò che aveva visto. Mentre gli Esseri Umani sembravano ancora molto coinvolti nello scontro contro Gake, pur se stanchi, provati e martoriati dalle perdite, gli Yokai gli erano parsi indolenti, annoiati da quelle schermaglie continue. Il loro modo di pensare non accettava guerre tirate in lungo per troppo tempo ma solo battaglie veloci e sanguinarie. Tutta quell’attesa stava facendo loro perdere la voglia di presidiare il confine, che infatti era un colabrodo. Inoltre, Sesshomaru era convinto che tra loro ci fosse qualche traditore, tentato dalle false promesse di Naraku.
“Su una cosa hanno ragione: questa situazione si sta protraendo troppo a lungo. Devo sbrigarmi a riunire le Hoshisaki e porre fine a questo stillicidio” pensò, con una smorfia, mentre saltava da un albero all’altro sotto la fioca luce della luna. Purtroppo, al momento non aveva sentito nulla di serio riguardo a Shinsetsu, solo la storia di un monaco che millantava di averla trovata ma si era lasciato alle spalle la fama di un libertino ambiguo. Sesshomaru pensava di sapere chi fosse quello sciocco e aveva una mezza idea di ritagliarsi il tempo necessario per riservargli una punizione esemplare.
“Eppure, non posso essermi sbagliato. Il bagliore attorno al corpo di Inuyasha era un segno di vita di Yuuki. Shinsetsu dev’essere tornata. Se Naraku l’avesse trovata prima di me, lo saprei…allora dove si nasconde?!”
Fu in quel momento che una sensazione inaspettata, così potente da sommergerlo e fargli dimenticare per un istante dove si trovava e cosa stava facendo, lo attraversò all’altezza del petto. Perse il perfetto equilibrio e la grazia che lo contraddistinguevano e ricadde sull’albero successivo, aggrappandosi per puro istinto al tronco per non precipitare al suolo. Una splendida luce argentea sgorgò all’altezza del suo cuore e Sesshomaru si sentì tirato in più direzioni, ma non in modo doloroso. Fu come se la sua anima si affacciasse al mondo e lo trovasse più grande, ricco di promesse. Fu un attimo, poi la luce si spense e la sensazione passò, consentendogli di recuperare il suo autocontrollo. Portò una mano al punto in cui, ironicamente, risiedeva in pianta stabile Chinoo, l’Intelligenza. La sua Hoshisaki lo aveva avvisato del risveglio di più di una Punta di Stella.
«Mentre io cercavo sul confine, Shinsetsu deve aver viaggiato fino a Inuyasha» mormorò, provando dentro sé un freddo trionfo. Aveva avvertito più di un richiamo, il che poteva solo significare che suo fratello era stato risvegliato, insieme alla possibilità di usare la spada Tessaiga e l’Hoshisaki che conteneva. Se non aveva compreso male, e Sesshomaru non contemplava l’errore, in questo momento al castello lo attendevano tre delle Hoshisaki perdute. Nel giro di un istante, era di nuovo quasi in pari con Naraku per la corsa al completamento delle Stelle.
Scese con pochi balzi fino a terra, deciso a trasformarsi per tornare al castello il più velocemente possibile, ma quando volse le spalle al confine un tremito potente scosse la spada al suo fianco, gelandolo. Sesshomaru abbassò lentamente gli occhi ambrati sul fodero di Tenseiga, la spada la cui Hoshisaki giaceva inutilizzata da decenni. Anche lei si era risvegliata? Ma perché? Sesshomaru non era mai più riuscito a utilizzarla, dopo quell’unica volta…
I lineamenti dello yokai si irrigidirono in un’espressione terribile, rifiutando il ricordo. Tessaiga vibrò di nuovo e la notte fu rischiarata da un breve lampo di luce azzurra. La spada sembrava volerlo tirare indietro, lontano dal castello, verso il confine. Poi, la sensazione passò e la spada tornò inerte al suo fianco, come se non si fosse mai mossa. Sesshomaru, cauto, posò la mano sull’elsa. Nulla. L’arma che suo padre gli aveva lasciato era tornata un oggetto defunto.
«Cos’hai cercato di dirmi?» mormorò, teso. Aveva avvertito più di un richiamo, quando Chinoo si era messa a splendere. Possibile si trattasse di…Junan?! Sesshomaru alzò la testa con uno scatto, fiutando l’aria con un’improvvisa brama prima di potersi trattenere, poi si diede dello sciocco. Non poteva essere. Tenseiga sbagliava. Junan era perduta insieme alla sua proprietaria e quello era un argomento chiuso a chiave nella profonda oscurità in cui giaceva il cuore dell’Imperatore di En. Qualunque cosa avesse fatto reagire Tenseiga, non c’entrava con “lei”. Forse Junan sarebbe tornata, prima o poi, ma la sua valenza per Sesshomaru non aveva più nulla di speciale. Era una Hoshisaki come le altre e in quel momento non poteva ignorarne tre per seguire il miraggio di una sola di esse.
Chiudendo ricordi e speranza nella tomba gelida del proprio cuore, Sesshomaru si trasformò nella sua forma canina e si lasciò alle spalle il confine, sfrecciando verso la propria dimora.

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Capitolo 11
*** 10 - Una notte concitata ***


Author’s note: Ed ecco tutte (o quasi) le Hoshisaki presenti! Riusciremo a mettere insieme quelle luminose prima che Naraku si riprenda e posi le mani sulla sua ultima Hoshisaki? Andiamo a vedere cosa succede in un certo castello…
 
CAPITOLO 10
UNA NOTTE CONCITATA

 
Non fu affatto facile calmare il redivivo Inuyasha e fu ancora peggio riuscire a far smettere di piangere Kagome, che aveva raggiunto l’apice della propria capacità di sopportazione. Solo a spizzichi e bocconi, tra la pioggia di domande aggressive del Principe di En su ciò che era avvenuto dalla notte in cui era stato maledetto e in mezzo ai singhiozzi di Kagome, rifugiatasi tra le braccia di Sango dopo che Miroku, candidatosi come consolatore, era stato spinto da parte, i nuovi arrivati riuscirono a capire qualcosa di quanto era successo quella sera.
Quando il piccolo Shippo aveva riaperto gli occhi e non aveva più trovato Kagome accanto a sé, si era precipitato fuori per chiedere aiuto a Sango e Miroku. I due, a loro volta, avevano fatto chiamare Jaken senza perdere tempo e tutto il gruppo si era messo alla ricerca di Kagome. Non ci era voluto molto perché decidessero di controllare nella sala-mausoleo di Inuyasha: se Shinsetsu si era attivata, non era così improbabile che avesse trascinato Kagome a contatto con le altre Hoshisaki conservate nel castello. Nessuno si era aspettato, però, di trovare il Principe Inuyasha sveglio, in ottima salute fisica, pieno di rabbia in cerca di sfogo, e una giovane sacerdotessa che li pregava di portarla il più lontano possibile da quel buzzurro violento e maleducato.
Dopo quasi un’ora di discussioni accavallate che non avevano portato a niente se non ad aumentare la confusione, il gruppo si era riunito in una delle sale che l’Imperatore di En utilizzava per ricevere i rapporti di guerra. Era calato il silenzio, finalmente, ma era pesante tanto quanto il caos precedente.
«Cinquant’anni…» mormorò infine Inuyasha, serrando i denti, poi diede un pugno al muro «Cinquant’anni!» Si passò una mano sul volto, sconvolto. Nessuno aggiunse nulla o tentò di consolarlo. Era un carico pesante da digerire.
«Non ti sei perso granché, la guerra contro Naraku continua con i suoi alti e bassi» borbottò Jaken, che lo guardava ancora con il timore dato dal dover gestire il Principe di En redivivo senza la presenza di Sesshomaru-sama «Io ho dovuto farti da balia per tutto questo tempo, vorrei te lo ricordassi per il futuro».
«Nessuno te lo ha chiesto» ringhiò Inuyasha.
«Ah sì?! Beh, nessuno ha chiesto a te di farti fregare da una sacerdotessa! Hai idea dei problemi che hai dato a Sesshomaru-sama?!» sbottò Jaken, saltando in piedi.
«Io non mi sono fatto fregare…»
«Come no?! Dovevi andare a prendere Shinsetsu, dicevi che con quella Kikyo non c’era alcun problema, invece ti sei lasciato infinocchiare da una traditrice!»
«Come potevo immaginare che lo fosse?! Kikyo era la più potente sacerdotessa di En! Portava Shinsetsu! - esclamò Inuyasha, e il tono infuriato e frustrato con cui lo disse fece finalmente alzare lo sguardo di Kagome dalle proprie mani - Shinsetsu…nel corpo di una donna capace di un tradimento così infido…»
«Inuyasha-sama, perdonate se vi faccio questa domanda scomoda, ma potreste dirci cos’è successo esattamente quella notte? Da cinquant’anni si fanno illazioni sulla dinamica degli eventi» intervenne Miroku. Inuyasha lo fissò, cupo.
«E tu chi saresti, monaco?»
«Sono Miroku e servo vostro fratello. Naraku è mio nemico quanto vostro. Ha maledetto il mio corpo tentando di impiantarmi Negai, il Desiderio» spiegò il monaco, tranquillo, alzando la mano coperta dal rosario. Sapeva che i sensi yokai del Principe di En avrebbero avvertito l’aura negativa del suo vortice.
«E io sono Sango, Inuyasha-sama, l’ultima del popolo dei Cacciatori. - disse Sango, cortese ma decisa - Mio fratello è stato a sua volta maledetto in un tentativo di impiantargli Hageshisa, la Violenza. Inoltre, il villaggio di cui sono la custode ospita l’anziana Kaede, sorella minore di Kikyo, che da allora vive nella vergogna. Sono stata io a trovare Shinsetsu…Kagome era stata attaccata dagli sgherri di Naraku».
«Sango mi aveva detto che bisognava a tutti i costi risvegliare il Principe di En. - intervenne Kagome, cupa e ancora arrabbiata - Per questo l’ho seguita fin qui, anche se vorrei solo tornare a casa». Alzò lo sguardo su Inuyasha, fissandolo senza timore negli occhi ambrati. «Da quando sono qui, sono stata scambiata per Kikyo in continuazione. Qualcuno mi ha dato la caccia, altri mi hanno scacciata. Voglio sapere anch’io come sono andate le cose».
Inuyasha li guardò e parve a tutti come se si trattenesse dal fare un passo indietro per sottrarsi alla loro curiosità e, forse, ai suoi ricordi troppo vividi di una notte terribile, poi l’hanyo masticò un’imprecazione e tagliò l’aria con un gesto secco.
«Bah, non è una storia lunga. - si arrese, dando loro le spalle e andando a guardare fuori dalla finestra, consentendo loro di vedere solo la linea rigida della sua schiena - Avevo avuto un paio di contatti con Kikyo. Sembrava fedele a En e…in gamba». La sua voce ebbe una leggera flessione che solo Miroku e Kagome notarono. «Quella notte ero intenzionato a chiederle Shinsetsu. Arrivai al luogo dell’appuntamento…»
«C’erano…fiori di ciliegio?» chiese Kagome, stringendo forte il suo pendente. Inuyasha si voltò di scatto a guardarla con un’espressione indecifrabile. Non rispose alla domanda.
«Lei mi accolse con la freccia sacra incoccata nell’arco e cercò di uccidermi. - disse invece, amaro, fissando Kagome come se stesse guardando il fantasma di Kikyo - Nessun’altra miko sarebbe stata in grado di ledermi, ma lei era davvero potente. Ci inseguimmo a vicenda nel bosco e poi…poi, me la trovai davanti nella radura. Non ebbi il tempo di fare niente. Ricordo solo la freccia che mi si pianta nel petto».
«Allora è andata davvero così! Nessuno avrebbe mai immaginato che Kikyo si facesse corrompere da Naraku. Vatti a fidare degli umani che hanno una reputazione troppo buona!» disse Jaken, guadagnandosi occhiate di fuoco da quasi tutti i presenti.
«Dunque, non ci sarà consolazione per la povera Kaede» mormorò Sango, dispiaciuta.
«È orribile!» disse Shippo, con un brivido «Perlomeno, Inuyasha-sama si è vendicato».
La frase gli valse l’attenzione di Inuyasha, il quale lo fissò con tale intensità che il kitsune si strinse al fianco di Miroku, iniziando a sudare freddo nel timore di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Cosa vuoi dire, kitsune?» ringhiò.
«La sacerdotessa Kikyo è morta poco dopo di voi, Inuyasha-sama. Le ferite che le avete inferto durante la battaglia le sono state fatali e non ha potuto sottrarvi le Hoshisaki» spiegò Miroku. Sul volto del Principe di En si dipinse un’espressione confusa che li lasciò perplessi.
«Quali ferite? Ma di che state parlando?!»
«Ti sei perso i pezzi per strada?» sbuffò Jaken, che a quanto pare non aveva un grande rispetto per il fratello minore del suo padrone «Era ricoperta di segni dei tuoi famosi Artigli di Ferro. Non potendo usare Tessaiga…»
«Non dire idiozie! Non l’ho nemmeno sfiorata! Era sempre lei a starmi alle costole, non ho avuto la possibilità di sferrare nemmeno un colpo!» lo interruppe Inuyasha, afferrandolo per la veste e sollevandolo all’altezza del visto, quasi strozzandolo con la stoffa.
«Inuyasha-sama, Kikyo è stata trovata morta nella radura insieme a voi, coperta di sangue» intervenne Sango, scioccata «Tutti hanno creduto che vi foste uccisi a vicenda».
«Allora avevo ragione!» sbottò Kagome, balzando in piedi e attirando l’attenzione di tutti. Inuyasha si trovò inchiodato a quello sguardo d’un tratto trionfante e speranzoso. «Pensateci: se il Principe non ha ucciso Kikyo, qualcun altro lo ha fatto al posto suo».
«Forse Naraku, per sottrarle Shinsetsu» mormorò Miroku.
«Naraku avrebbe potuto essere lì, non è vero? E se…se lui o qualcuno dei suoi demoni avesse preso le sembianze di Kikyo? I demoni non possono trasformarsi?» continuò Kagome, febbrile.
«Che cosa stai delirando?! È stata Kikyo a maledirmi, non ci sono dubbi su questo!»
«Ma i segni sul corpo di Kikyo sembravano fatti da te. In effetti, è strano…» borbottò Jaken. Avrebbe tanto voluto che Sesshomaru-sama fosse presente!
«Visto? Lo dice anche Jaken!» esclamò Kagome.
«Tu stai solo cercando di scagionare Kikyo perché ne sei la reincarnazione!» ringhiò Inuyasha, venendo avanti con gli artigli alzati.
«Ma andiamo, pensaci! Pensateci un attimo! Se Kikyo voleva fare un favore a Naraku, che senso aveva sigillare due Hoshisaki e impedire a chiunque di toccarle per cinquant’anni, quando avrebbe potuto prenderle e poi uccidere Inuyasha, visto che era tanto potente?! - sbottò lei, per nulla intimorita - Ci ho pensato per tutta la strada fin qui e quello che state dicendo stasera mi rende ancora più convinta della mia opinione. Dite che Naraku è un mostro crudele. Non potrebbe aver messo Inuyasha e Kikyo l’uno contro l’altra nella speranza di eliminarli entrambi?»
Le sue parole caddero in un silenzio attonito e incredulo. Jaken e Shippo erano a bocca aperta, Inuyasha sembrava impietrito.
«Kagome-sama, ammiro il vostro acume.» disse infine Miroku, sbalordito «È senza dubbio un punto di vista interessante da cui prendere in esame quanto accaduto».
«Naraku ha una forma definita solo da una decina d’anni» aggiunse Sango, guardando il monaco per avere conferma.
«È vero, c’è stato un periodo in cui mandava in giro solo fantocci oppure i suoi sgherri perché non riusciva a mettere insieme i pezzi. - intervenne Shippo, poi si accorse dello sguardo perplesso di Kagome - È uno strano hanyo, sai…È nato dalla fusione di un essere umano e di molti demoni diversi che lui ha soggiogato».
«Sono tutte scuse! - sbottò Inuyasha - Kikyo mi ha maledetto per cinquant’anni, non c’è altro da aggiungere! E le tue chiacchiere non cambieranno le cose, ragazza. Nessuno potrà restituirmi il tempo che ho perduto!»
Con questo sfogo, sottolineato da un dito accusatorio puntato a pochi centimetri dal volto di Kagome, Inuyasha andò alla porta, la spalancò con tale violenza da farla quasi uscire dalle guide e si allontanò come una furia.
«Ecco. Sempre il solito carattere del cavolo! - gemette Jaken, alzandosi per corrergli dietro - Vado a fermarlo prima che si faccia venire la brillante idea di allontanarsi dal castello. Voi tornate nelle vostre stanze e restateci finché non vi vengo a chiamare!» Ciò detto, uscì. Lo sentirono gemere un’ultima volta, lungo il corridoio, lamentandosi della lontananza del suo padrone.
«Per il momento, comportiamoci con giudizio. Andiamo?» sospirò Miroku, alzandosi.
«Kagome, va tutto bene?» chiese Sango, preoccupata. Il volto della ragazza era teso e pallido e i suoi occhi brillavano, non si capiva se d’ira o di pianto.
«Lo odio! - sbottò lei, veemente - Altro che principe, quello è solo uno stupido e un violento. Non voglio avere niente a che fare con un tipo simile! Appena Sesshomaru-sama farà ritorno, gli darò Shinsetsu e mi farò rimandare a casa alla velocità della luce!»
Ciò detto, lasciò tutti indietro e si diresse fuori dalla stanza, non meno impulsiva di quanto fosse stato Inuyasha un paio di minuti prima.
«Kagome, aspetta! Non sai la strada!» gridò Shippo, correndole dietro. Sango sospirò.
«Povera Kagome…non le do tutti i torti».
«Bisogna anche comprendere che Inuyasha-sama sta vivendo un momento scioccante. Sono sicuro che si capiranno, non appena torneranno abbastanza calmi per parlarsi civilmente.» disse Miroku, scuotendo la testa. La Cacciatrice lo guardò, corrugando la fronte.
«Pensate che Kagome possa aver ragione, hoshi-sama? Naraku potrebbe aver cercato di mettere Inuyasha e Kikyo l’uno contro l’altra?» chiese. Il sorriso cinico e disilluso che gli comparve sul viso le provocò sofferenza.
«Oh sì, Sango, temo proprio che Kagome abbia visto ciò che noi non siamo stati capaci di osservare. Sappiamo quanto sia nero e contorto l’animo di Naraku. È poi così difficile credere che abbia voluto liberarsi di due tra i suoi più grandi nemici in una sola volta? Tanto più che Yuuki e Shinsetsu sono destinati a completarsi, cioè…»
«…ad amarsi.» finì per lui Sango. Non seppe perché le salisse il sangue alle guance quando lui la guardò. C’era qualcosa di misterioso e profondo in quegli occhi.
«Naraku avrebbe fatto di tutto per pervertire e distruggere un simile sentimento. - mormorò il monaco, duro - Il problema è che adesso il testimone è passato a Kagome-sama e non credo che lei o Inuyasha-sama siano disposti a pensare il loro legame in questa maniera. Ne vedremo delle belle, Sango. Mi spiace dirlo, ma temo che Sesshomaru-sama non possa permettersi di rimandare a casa la nuova portatrice di Shinsetsu.»
***
Il sole stava per sorgere e ancora non aveva trovato alcuna traccia di quella ragazza.
«Dove si è cacciata?!» disse Kagura tra i denti. Scandagliava il corso del fiume da ore, fin da quando aveva lasciato Naraku per obbedire al suo ordine. Ripensò con un misto di disgusto e orrore alla forma caotica che Naraku aveva ripreso dopo il tocco della portatrice di Junan. Le faceva venire il vomito pensare di essere uscita proprio da quell’informe coacervo di demoni, legati da un incantesimo proibito al corpo di quello che un tempo era stato un essere umano. Sempre che una mente contorta come quella di Naraku e un cuore nero come il suo fossero mai rientrati nella definizione di “umano”…
Dopo aver dato forma indipendente ad alcune parti di sé, una serie di servi più o meno riusciti di cui Kagura e Kanna erano le uniche superstiti, per molto tempo Naraku era rimasto fuori dai giochi, riorganizzando e potenziando le proprie parti per giungere a una forma che lo rendesse in grado di combattere alla pari contro Sesshomaru, l’unico ostacolo che ancora gli impediva di conquistare En e le Hoshisaki luminose. L’equilibrio sembrava ormai raggiunto da tempo, invece quella debole ragazza umana lo aveva sconvolto.
“Come potrei usare questa informazione a mio vantaggio?” si chiese, non per la prima volta quella notte “Naraku porta su di sé due Hoshisaki ed è potente, ma il legame che lo tiene insieme è tanto fragile che è bastata una sola Hoshisaki luminosa a metterlo in crisi. Io non ho provato alcun dolore. Significa che se Naraku fosse ucciso, io sarei libera? Questo odiato cordone di tenebra che mi tiene in suo potere si spezzerebbe?”
Era una bella domanda. D’altra parte, avrebbe anche potuto morire fulminata nel momento stesso in cui Naraku fosse deceduto. Dopotutto, nel suo petto era impiantata Mukanshin, l’Indifferenza. Era una scommessa che si sentiva di fare? Inoltre, sarebbe stata in grado di tradire Naraku senza farsi scoprire? Un’immagine dello splendido e terribile Imperatore di En le balzò alla mente, distraendola tanto che per un istante la sua piuma sfiorò l’acqua e sollevò spruzzi.
Ci aveva pensato tante volte. Forse troppe, perché Naraku non l’aveva più mandata a mettere i bastoni tra le ruote a Sesshomaru, dandole soprattutto incarichi di spionaggio. Era vero che il carisma e la fredda purezza con cui l’Imperatore di En portava avanti la sua battaglia l’avevano colpita, infrangendo in parte la capacità di obnubilare i sentimenti della sua Hoshisaki. Lo ammirava. Lo stimava. Se fosse stata libera da Mukanshin, forse avrebbe provato anche qualcosa in più di questo. Era nata da poco quando Junan era stata sottratta a Sesshomaru e non aveva potuto impedirsi di trovare bellezza nel modo stoico e nobile con cui lui aveva sopportato i propri dolori.
«Cosa sto pensando?!» si disse, battendosi il ventaglio sulla coscia in un gesto di rimprovero. Eppure, non sarebbe stato il migliore tra gli alleati? Se lei lo avesse aiutato, lui non l’avrebbe ricompensata con la libertà?
“Prima di pensare a certe cose, dovrei trovare Junan e decidere cosa farne.” sbuffò, scuotendo la testa. Si era spostata troppo a valle, non era possibile che la ragazza fosse stata trascinata così lontano. Doveva essersi persa qualche indizio. Fece fare un’inversione di rotta alla sua piuma e risalì il fiume, nella luce rosata dell’alba. Si era lasciata alle spalle un bel po’ di scagnozzi di Naraku. Magari qualcuno poteva aver trovato qualcosa.
«O è morta affogata, o dissanguata. Se è riuscita a tirarsi fuori dal fiume, finirà che dovrò farle i complimenti. – borbottò – È più tosta dell’ultima volta. All’epoca, era solo una ragazzina senza poteri».
Le sue ultime parole furono coperte da un boato alla sua sinistra. Kagura aprì subito il ventaglio e prese quota, ma il suono non era arrivato dalle vicinanze. Non era sotto attacco.
«Che succede?!» sibilò. A poca distanza dal fiume, sopra la foresta, volava uno sciame di Saimyosho. Kagura strinse gli occhi rossi. L’avevano trovata? In quel momento vi fu un secondo boato, sottolineato da un forte bagliore azzurro. Stava accadendo qualcosa di molto strano. Volò verso quell’anomalia, stando a una quota che le permettesse di osservare senza essere coinvolta. Non era comunque preparata a ciò che vide: gli sgherri di Naraku stavano combattendo contro un neko yokai dal pelo dorato, con una fiamma tatuata sulla fronte. Gli occhi azzurri del neko-youkai erano annebbiati dal panico e da un furore che stava sfogando sui suoi attaccanti. Sotto lo sguardo attonito di Kagura, il neko-youkai uccise un demone cinghiale, a quanto pareva sottraendogli l’energia vitale per poi spararla in forma di luce contro coloro che lo incalzavano.
«Chi è questo intruso?! Vi avevo detto di cercare una ragazza!» sbottò Kagura, rivolta ai Saimyosho. I loro ronzii segreti la misero a parte della risoluzione di quel mistero. Kagura ristette, più sbalordita di quanto volesse ammettere. Ciò che era accaduto andava oltre l’immaginazione di chiunque…forse persino di quella di Naraku. Junan non era più piccola e indifesa. Naraku stesso le aveva regalato artigli e potere, e con tutta probabilità se ne sarebbe pentito.
«Qui ci penso io. Mandatemi dei rinforzi più seri di questi quattro imbecilli.» disse Kagura, atona, mentre il suo cervello lavorava a gran velocità. Avrebbe spinto il neko-youkai più addentro all’Impero di En, attendendo fino all’ultimo prima di sferrare un attacco deciso contro quella nuova creatura.
“Sta a te, Sesshomaru. Sarai abbastanza svelto da avvertire che Junan è tornata e venirtela a prendere, oppure lascerai che Naraku la uccida sotto il tuo naso per la seconda volta?” pensò.
«Non mi deludere» disse, con un sorrisetto segreto, fissando con occhi rapaci la nuova e involontaria creazione di Naraku.
***
«Dannazione!»
Con un ringhio frustrato, Inuyasha sferrò un nuovo fendente al grosso tronco dell’albero. La vecchia lama rugginosa colpì la corteccia e rimbalzò, lasciando una scalfittura risibile e vibrando quasi volesse separarsi dall’elsa e dalle mani che la stavano costringendo a sforzi superiori alle proprie possibilità. Inuyasha si lasciò andare a un grido strozzato di rabbia e incredulità. Perché era successo questo?! Perché Tessaiga era conciata a quel modo e non gli rispondeva più?!
Quella mattina era riuscito a eludere la sorveglianza di Jaken e si era recato nel bosco dietro al Palazzo, guardandosi bene dal rendersi manifesto ai pellegrini o alle guardie. Da quel punto di vista, doveva dare ragione al piccolo rospo: che fosse Sesshomaru a risolvere la grana di come dare la grande notizia del ritorno del Principe di En dal suo sonno maledetto. Per parte sua, non voleva vedere nessuno e se qualcuno avesse tentato di festeggiarlo avrebbe dovuto raccogliere i denti da terra. Non sopportava più niente. Non si fidava di nessuno.
Le parole di quella Kagome gli erano rimbombate nel cervello per tutta la notte. Una parte di lui voleva fermarsi un attimo, riflettere, cercare di dare un senso logico a quella notte delirante da cui ormai lo separavano ben cinquant’anni. L’altra parte di sé, quella impulsiva che né suo padre né Sesshomaru erano mai riusciti a domare, trovava più semplice ed efficace odiare Kikyo e chiudere il proprio cuore per sempre. L’unica cosa che gli premeva era uccidere Naraku e liberare En da quelle maledette Hoshisaki. Inuyasha tornò a guardare Tessaiga, cupo.
«È per questo che non ti trasformi più? A causa del mio odio? – mormorò con rancore – È per questo che la tua Hoshisaki è muta?»
Sapere di non essere in grado di cambiare il proprio modo di sentire e l’oscurità in cui era stato gettato lo riempivano di ulteriore rabbia e frustrazione, in una spirale discendente senza fine. Cos’avrebbe detto Sesshomaru?
«Feh! Vedrai che le prime parole di quel dannato ghiacciolo saranno di biasimo!» sibilò, rinfoderando la spada e mettendosi a correre verso il castello, conscio della futilità dei propri sforzi. Per il momento, almeno, Tessaiga era fuori dalla sua portata. Incupì ancora nel pensare a suo fratello. Jaken lo aveva mandato subito a chiamare e i messaggeri non ci avrebbero messo molto a trovarlo. Inuyasha non sapeva come affrontarlo. Come si sarebbe giustificato? Aveva gestito gli incontri con Kikyo con eccessiva ingenuità. Se poi Sesshomaru avesse saputo che le aveva affidato il segreto che lo rendeva più vulnerabile…Rabbrividì. Quasi poteva sentirsi addosso il gelido disprezzo fraterno, anche se non sarebbe mai stato feroce quanto quello che lui aveva maturato verso se stesso.
Tornò all’interno delle mura del castello usando uno dei passaggi segreti di cui solo lui e Sesshomaru conoscevano l’esistenza. Una volta nei giardini, in una zona appartata, si guardò attorno. La sua casa non era cambiata. Il mondo sembrava lo stesso, anche dopo cinquant’anni, come se la battaglia per le Hoshisaki avesse fermato il tempo. Eppure, una volta uscito da lì avrebbe scoperto che molte persone che conosceva non c’erano più. Chissà quanti, tra soldati e comandanti, erano scomparsi. Quella ragazza di nome Sango aveva detto di essere l’ultima Cacciatrice. Inuyasha aveva conosciuto quella tribù di validi combattenti, ne ricordava i visi. Ora, erano polvere.
«Gli esseri umani sono fiamme di candela.» si disse, sprezzante, cercando di cancellare il dolore e il disagio che pur non volendo gli stavano nascendo nel petto. Anche la sua mamma lo era stata. Si era spenta troppo presto, poco dopo la morte di Inuken. Gli balenò alla mente un altro essere umano, la portatrice di Junan. Già, e la ragazzina? La sera prima non c’era traccia di lei. Forse era con Sesshomaru? Ma no…lui non la portava mai con sé, era troppo rischioso. Inuyasha sorrise con scherno verso se stesso e scosse la testa, riprendendo a incamminarsi verso il castello. Continuava a dimenticarsi che erano passati cinquant’anni…Altro che ragazzina, ormai doveva essere un’anziana signora! Figurati se Sesshomaru se la trascinava in giro per il campo di battaglia!
“Chissà come ha vissuto il suo invecchiamento…Teneva a lei, forse più che a chiunque altro.” pensò, suo malgrado curioso. In quel momento, Jaken si affacciò a una terrazza, lo vide e si sporse fin quasi a perdere l’equilibrio, coprendolo di epiteti per averlo quasi fatto morire d’infarto con la sua scomparsa.
«Sono andato a esercitarmi con Tessaiga, non rompere!» sbuffò Inuyasha, seccato dal controllo maniacale di quel piccolo rospo. Si guardò bene dal rivelargli i suoi problemi con la spada.
«Fila dentro, prima che ti veda qualcuno!» ansimò Jaken, stanco di gridare.
«Va bene, va bene… - borbottò Inuyasha, poi lo richiamò – Ehi, rospo inutile! Dov’è finita Rin? È ancora al castello, vero?»
Spalancò gli occhi ambrati nel vedere Jaken irrigidirsi di botto, il suo sguardo farsi vacui. Un terribile sospetto sorse nella mente di Inuyasha.
«Non mi dire che è morta?! Cavolo, non doveva essere poi così anziana…» disse, rauco, sperando di essersi sbagliato. Questo lo avrebbe fatto sentire ancora peggio. Jaken continuò a rimanere muto e immobile, come se le parole non volessero uscirgli di bocca, e Inuyasha capì di aver centrato il segno. Anche il piccolo rospo, che per tanto tempo aveva fatto da balia riluttante alla piccola, alla fine si era affezionato a lei. Doveva essere stato un brutto colpo. «Mi spiace, davvero. – disse, più gentile – Quindi adesso Sesshomaru porta su di sé anche Junan, giusto?»
Il silenzio di Jaken si prolungò, riempiendolo di disagio, quindi il servo di suo fratello pronunciò parole in grado di gelargli il sangue nelle vene.
«Rin è stata uccisa cinquant’anni fa, la notte successiva alla tua maledizione. Con lei, è scomparsa anche Junan. – gli rispose Jaken, atono – Se ti è cara la vita, non fare domande a Sesshomaru-sama. Mai. Il nome di Rin non viene più pronunciato in questa casa.»

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Capitolo 12
*** 11 - Notizie dal confine ***


Author’s note: Che dite, lo facciamo tornare Sesshomaru? Non siete curiosi di vedere il primo, emozionante (ehm…) incontro tra i fratelli dopo cinquant’anni?
 
CAPITOLO 11
NOTIZIE DAL CONFINE
 
Kagome starnutì, poi sospirò, reprimendo un piccolo brivido. Quella mattina, l’aria era fresca e umida. Aveva piovuto per tutta la notte e lei era rimasta sveglia ad ascoltare il tamburellare delle gocce sul telaio della finestra, preda di pensieri e preoccupazioni che non le consentivano di dormire. Continuava a rivedere il viso di Inuyasha dormiente, poi la sua espressione piena d’odio. Ripensava al momento in cui era stata trascinata in quel mondo, al misterioso volto di ragazzo, rendendosi conto con una stretta al cuore di non riuscire a riportarlo alla mente con chiarezza. Dopotutto, lo aveva visto solo in quell’istante ed erano passate settimane…Avrebbe voluto chiudere gli occhi e sognarlo per cancellarsi di dosso la negatività che lo scontro con il Principe di En le aveva lasciato, ma il sonno non era venuto.
Alla fine, appena si era fatto giorno era sgattaiolata via dalla stanza che condivideva con Sango e si era inoltrata nei corridoi, perdendo quasi subito l’orientamento. Aveva superato grandi terrazze ingentilite da colonne dipinte di rosso, percorso altri corridoi in cui non aveva incontrato anima viva, poi era scesa per una scala di servizio, chiedendosi se quel palazzo fosse sempre così vuoto e silenzioso. Sbucò, per puro caso, in un giardino interno e la bellezza della natura in fiore le strappò un ansito di meraviglia. Tutto brillava di minuscole gocce, sotto il cielo ora limpido tinto dei colori dell’alba. Quella miriade di punti luce trasformava i fiori di alberi e cespugli in gioielli. L’aria era così tersa che respirarla sembrava avere il potere di schiarire i pensieri. Kagome si inoltrò tra quell’ordinata esplosione di vita, grata per quel momento inaspettato. Nonostante il suo cuore fosse pesante, doveva ricordare che al mondo c’era ancora bellezza. Questo significava anche che non doveva mai perdere la speranza. Strinse Shinsetsu tra le dita con un sospiro.
Doveva reagire. Stava così male perché si sentiva preda degli eventi, sballottata qua e là come una bambola. Doveva prendere in mano la situazione e affrontare le difficoltà. Voleva tornare a casa e rivedere la propria famiglia, giusto? Bene, avrebbe combattuto per questo! La faceva star male l’inimicizia tra lei e il Principe di En? Occorreva prenderlo di petto e fargli entrare in quella testaccia dura che lei non era Kikyo e che potevano aiutarsi a vicenda! Kagome era sempre andata d’accordo con tutti e non riusciva proprio a digerire di essere odiata senza alcun motivo da una persona a cui, a ben vedere, aveva salvato la vita!
“Gli parlerò di nuovo” si disse, battagliera. La confusione e il dolore che aveva intravisto dietro al fare aggressivo e maleducato l’avevano commossa, dopotutto. Inuyasha l’aveva evitata fino a quel momento, ma l’Imperatore di En stava tornando e il Principe non avrebbe potuto tenere quell’atteggiamento ancora a lungo.
«Varrà davvero la pena di fare pace con quel buzzurro?» borbottò, raccogliendo un fiore di melo caduto al suolo e portandolo al naso, la bocca piegata in un broncio. Si fermò di botto. Il buzzurro era davanti ai suoi occhi, neanche lo avesse evocato. Era seduto sotto l’ampia fioritura di una magnolia viola, con la schiena contro il tronco e le mani intrecciate dietro la nuca. Aveva gli occhi chiusi e una ruga di preoccupazione o irrequietezza gli segnava la fronte tra le sopracciglia. Kagome, per un attimo, provò l’impulso di nascondersi dietro a un albero, poi si rimproverò e rimase dov’era, chiedendosi come attaccare bottone. Non poté fare a meno di notare di nuovo quanto fosse avvenente e quanto le orecchie canine aggiungessero al suo aspetto un non so che di tenero.
L’impressione venne cancellata nel momento in cui lui avvertì la sua presenza e spalancò gli occhi ambrati, fissandoli su di lei con una smorfia per poi alzarsi di scatto e accennare ad andarsene.
«Aspetta!» gridò Kagome, prima di potersi trattenere. Lui si fermò ma non si voltò. «Aspetta, per favore! – insistette lei, camminando in fretta verso di lui – Volevo…volevo chiederti scusa!»
La frase sorprese lei non meno di lui. Inuyasha si voltò con una strana espressione, tra l’incredulo e il sospettoso. Vedendola più vicina, fece qualche passo indietro, aumentando la distanza.
«Davvero, scusami. Ti ho detto delle cose terribili l’altra notte, senza tenere conto che ti eri appena svegliato dopo cinquant’anni e dovevi essere sconvolto! – continuò Kagome, mentre le parole le uscivano di bocca come un fiume nella speranza di trattenerlo – Ma vedi, mi hai spaventata! Ho avuto una paura tremenda che mi uccidessi davvero e…»
«Avrei dovuto farlo. Una seccatura in meno» disse lui, brusco.
«…ed è da quando sono in questa situazione che ho paura. Per favore, cerca di capire anche tu. Sono sola, lontana da casa, e vorrei soltanto andare d’accordo con…»
«Feh! – la interruppe lui, dandole di nuovo le spalle per incamminarsi – Se speri di andare d’accordo con me, ti sbagli di grosso.»
Kagome, piccata nel vedere respinto il suo approccio educato, si mise a correre e lo superò, parandoglisi davanti e costringendolo a fermarsi di botto.
«Insomma, vuoi starmi a sentire?! Sto cercando di essere gentile!» esclamò, le guance accese e gli occhi brillanti. Inuyasha si fermò, sbalordito nell’avvertire con chiarezza la forza del suo spirito nell’aria, un’aura accogliente ma ferma, potente, libera.
«Fiato sprecato, ragazzina!» le disse, evitando di guardarla negli occhi. Non riusciva a fare a meno di paragonarla a Kikyo.
«Lo vedo! – lo aggredì lei, arrabbiata – Ma chi ti credi di essere? Pensi di essere l’unica vittima di questa situazione?! Beh, apri gli occhi! Io sono stata strappata dal mio mondo per colpa tua! Ho rischiato la vita, sono stata quasi mangiata da un demone e schiacciata da un oni! Ho macinato un sacco di strada per venire a svegliarti e tu mi tratti come…come…»
«Cosa vuoi che m’importi dei tuoi problemi?! I miei sono già sufficienti, grazie tante!» sbottò Inuyasha. Non voleva provare alcun tipo di partecipazione per le sorti di quella ragazza!
«Mi avevano parlato bene del Principe di En, ma evidentemente si sbagliavano! Sei un egoista!»
«E tu una maleducata! È questo il modo di parlare al tuo Principe?!»
«Ma che Principe! Io non sono uno dei tuoi sudditi, ti parlo come mi pare! – gli fece presente lei, puntandogli un dito al petto e avvicinandosi – Hai un bel coraggio a dare della maleducata a me, quando tu…» La vista di Kagome si confuse, si sdoppiò. Il mondo davanti ai suoi occhi vacillò e per un attimo pensò di stare per svenire. Inuyasha la afferrò a metà della caduta in un gesto istintivo, tenendola in piedi.
«Oi! Non hai nemmeno la forza di reggerti e vieni ad attaccare briga con me?!» ringhiò, sostenendola. Dovette guardarla per forza e notò quanto fosse pallida, come i suoi occhi fossero cerchiati dalla stanchezza e dai pensieri. Il peso di lei tra le braccia era irrisorio. Alle sue narici arrivò un profumo dolce, pulito. Avvertì un calore confortante all’altezza del petto, dove riposava la sua Hoshisaki. Lei sorrise, riaprendo gli occhi a fatica, e Inuyasha perse un battito pur non volendo. Era vero, quella ragazza somigliava terribilmente a Kikyo, ma al contempo era diversa. I sorrisi della miko che lo aveva maledetto erano sempre tristi, remoti, riluttanti. Quello che gli veniva indirizzato in quel momento era di una dolcezza non comune e lo lasciò privo di parole. Non ricordava che gli fosse mai stato rivolto un sorriso simile, prima d’allora.
«Allora sai essere anche gentile» mormorò lei.
Il suo sguardo e la sensazione che provava al petto lo inchiodarono dove stava. Avvertì Tessaiga pulsare al suo fianco, mentre la ragazza assumeva un’espressione perplessa.
«È tornato Sesshomaru-sama!»
La voce di Jaken, trionfante e ansimante per la corsa, li colse di sorpresa, tanto che Inuyasha lasciò andare Kagome come se scottasse e lei, barcollando, cadde a sedere tra i fiori con una buffa espressione di sorpresa sul viso.
«Cosa…Sesshomaru? È tornato?!» disse Inuyasha, dandole le spalle e tornando a ignorarla, sperando che Jaken non notasse che era avvampato per l’inaspettato senso di colpa dato dalle sensazioni appena provate e per averla lasciata cadere come un sacco di patate.
«Sì, finalmente! Dai, vieni…venite con me. – si corresse Jaken, notando la ragazza ancora seduta a terra – Sesshomaru-sama vuole vedervi immediatamente! Il monaco e la cacciatrice sono già a colloquio e sono sicuro che quel truffatore libertino si stia prendendo una bella strigliata!»
«Allora sbrighiamoci» disse Inuyasha, brusco, incamminandosi senza fare storie e lasciando che fosse Jaken ad aspettare Kagome, anche se in realtà la stava spronando ad alzarsi da terra senza molta gentilezza. Non aveva alcuna voglia di rivedere suo fratello, anzi ne paventava la reazione, ma in quel momento sentiva di dover mettere più distanza possibile tra se stesso e quella ragazza. Inuyasha aveva conosciuto il pericolo che poteva celarsi in una donna e non aveva alcuna intenzione di rimettersi nei guai, Shinsetsu o meno.
Kagome, ripresasi dal capogiro, si alzò e seguì Jaken, affrettandosi. Finalmente Sesshomaru era tornato e lei avrebbe potuto chiedergli di farla tornare a casa! Era dispiaciuta, però, di essere stata interrotta…Inuyasha aveva avuto un gesto gentile nei suoi confronti, ma l’arrivo di Jaken lo aveva fatto tornare immediatamente alle sue pessime maniere. Kagome sospirò, irritata.
“Prima di andarmene, riuscirò a farti cambiare idea su di me, fosse l’ultima cosa che faccio!“ pensò, fissando la schiena di Inuyasha con espressione cocciuta. Dovette quasi correre per stare dietro al Principe di En e perfino Jaken iniziò a perdere terreno, ansimando.
«È tornato un po’ troppo in fretta. Era vicino a casa?» chiese Inuyasha, brusco, senza voltarsi.
«No…non ha ricevuto il mio…messaggio. Era già…in viaggio! – ansimò Jaken, perdendo terreno – Ha avvertito…il risveglio delle…Hoshisaki! Degno di Sesshomaru-sama!»
Inuyasha emise un grugnito inintelligibile e continuò a camminare in silenzio. La linea della sua schiena era tesa e a Kagome parve più una persona che sta per andare in battaglia piuttosto che verso una riunione di famiglia. Sembrava, però, che sapesse perfettamente dove recarsi e la cosa non poteva sorprendere: per quanto tempo fosse trascorso, le abitudini di suo fratello non dovevano essere cambiate poi molto. Li condusse, infatti, all’ingresso di un’enorme sala dal pavimento di legno laccato, con tre serie di piattaforme ai lati, probabilmente tribune per far accomodare generali e consiglieri durante le riunioni di guerra. In fondo, si ergeva un trono d’avorio e argento ma Kagome non poté vederne i particolari perché davanti ad esso c’erano Sango, Miroku, Shippo e una persona alta e vestita di bianco, con addosso un’armatura. Kagome riuscì a udire una voce gelida, remota. Miroku sorrideva ma per la prima volta sembrava a disagio.
«…ti stavi comunque rendendo utile, pur giocando a fare lo stupido, altrimenti avresti avuto mie notizie già da tempo.» stava dicendogli l’Imperatore di En, poi il gruppo in arrivo attirò la sua attenzione ed egli aggirò i suoi interlocutori per andare loro incontro. Oltre la figura di Inuyasha, Kagome spiò le fattezze dell’Imperatore di En, fratello maggiore del Principe.
Era alto, di una bellezza sovrannaturale. Il volto perfetto era segnato da linee che parevano tatuaggi, lunghissimi capelli d’argento incorniciavano la sua figura come accadeva per Inuyaha, ma sulla sua testa non c’erano dolci orecchie canine. Anzi, non c’era proprio nulla nello yokai che facesse pensare in qualche modo alla dolcezza. I lineamenti perfetti sembravano scolpiti nel ghiaccio, gli occhi ambrati erano imperscrutabili. Sul suo viso non c’era traccia di sorpresa o gioia nel guardare il fratello minore che gli veniva incontro. Le fece venire i brividi, ma niente la preparò alla scena seguente.
L’Imperatore di En camminò fino a trovarsi a un passo da Inuyasha, che si era fermato di botto, e, invece di abbracciarlo o dargli il bentornato, lo colpì violentemente al viso con un pugno che avrebbe spaccato le ossa di un essere meno forte ma che comunque scagliò l’hanyo a terra. Kagome trattenne a fatica un grido e l’istinto di correre a mettersi in mezzo.
Inuyasha si massaggiò la guancia offesa, spostando a destra e a sinistra la mandibola per controllare che fosse ancora al suo posto.
«Cinquant’anni. – disse Sesshomaru, in un sussurro che condensava disprezzo e rancore – Per cinquant’anni ho desiderato farlo. Avrei voluto prenderti a calci fin dal momento in cui mi è stato detto che eri caduto in una trappola tanto stupida.»
«Feh! Non avevo dubbi. Anche per questo, non avevo una gran voglia di rivedere il tuo brutto muso» replicò Inuyasha, iniziando a rialzarsi.
«È tutto ciò che hai da dire?» disse Sesshomaru, alzando minacciosamente una mano le cui unghie erano troppo lunghe per essere solo una scelta estetica. Inuyasha ringhiò, balzando in piedi e affrontandolo di petto.
«Cosa vuoi che ti dica, che mi dispiace?! Delle scuse non te ne fai niente e sono il primo a essermi maledetto per aver dato troppa fiducia a quella miko!»
«Il tuo senso di colpa non significa niente per me.» lo gelò il fratello, per poi abbassare lo sguardo sulla spada che pendeva al fianco di Inuyasha. Corrugò le sottili sopracciglia, mentre Inuyasha si tratteneva dal fare un passo indietro. «Perché l’Hoshisaki di Tessaiga sembra morta? – mormorò, poi parve capire e sulle labbra gli comparve un sorriso tagliente, terribile – Oh…capisco. Era prevedibile che perfino il tuo cuore debole si indurisse. Ebbene, dopo tanto tempo siamo ritornati pari, Inuyasha.»
Il Principe di En strinse la mano sull’elsa, tirando indietro la spada come se volesse nasconderla alla vista del fratello. Nessuno dei presenti capì di cosa stessero parlando.
«Ora che sono sveglio, Tessaiga pian piano ricomincerà a rispondermi. Posso tornare a combattere anche subito e se hai voglia di continuare a picchiarmi sarà meglio che ti prepari, perché ho addosso cinquant’anni di rabbia da sfogare!» ringhiò l’hanyo.
«Andiamo, andiamo…vi sembra il caso di perdere tempo in questo modo? Non dovremmo invece fare il punto della situazione? È un momento epocale, abbiamo cinque Hoshisaki su sei in questa sala…» intervenne Miroku, cercando di porre fine a quella scena poco edificante.
«Tu taci, monaco!» sbottarono all’unisono i due fratelli, facendolo sospirare d’impazienza e aumentando la preoccupazione di Sango, che con tutta evidenza non si aspettava di assistere a una scena simile. Kagome, incupendosi, superò un Jaken preda del nervosismo e si diresse senza esitazione verso i due fratelli. Si piazzò accanto a Inuyasha proprio mentre lui afferrava il fratello per una cinghia dell’armatura e Sesshomaru chiudeva le lunghe dita sulla gola del redivivo Principe, pose i pugni chiusi sui fianchi ed esclamò: «Volete smetterla?! È ridicolo!»
Entrambi si fermarono. Inuyasha la guardò con uno sbalordimento che sarebbe stato buffo se lo sguardo di Sesshomaru, spostatosi ora su di lei, non fosse stato tanto tremendo. E quegli occhi non avevano anche una sfumatura rossa che prima non c’era? Kagome si riempì il petto di fiato, si fece coraggio e continuò.
«Siete fratelli, non dovreste comportarvi così nemmeno in situazioni normali, figurarsi quando, come nel vostro caso, si ha la responsabilità di un Impero in guerra! – disse - Sesshomaru-sama, vostro fratello ha perso cinquant’anni legato a una maledizione. Non vi sembra sia stato punito abbastanza, sempre che quanto accaduto sia colpa sua e di Kikyo, cosa a cui non credo? E tu, Inuyasha, possibile che non pensi ad altro che a litigare e fare a botte?!»
«Chi saresti tu?» chiese Sesshomaru, sprezzante, lasciando andare Inuyasha e allungando la mano verso Kagome. Inuyasha la intercettò, afferrandolo per il polso prima che potesse sfiorarla. Fu un gesto inconscio, ma deciso.
«È la portatrice di Shinsetsu.- rispose per Kagome, ora serio e grave – Non la toccare. Ha solo la lingua lunga».
Sesshomaru strappò la propria mano alla sua presa, ma non fece un altro tentativo di toccare Kagome, che non aveva abbassato lo sguardo. Solo un leggero rossore tradiva quanto avesse apprezzato il gesto di Inuyasha.
«Quindi ora sei tu a portare la Gentilezza. Immagino En ti debba il risveglio di questo inutile hanyo» mormorò lo yokai, socchiudendo gli occhi in uno sguardo scrutatore. Forse aveva notato a sua volta la somiglianza con Kikyo. «Hai fegato a parlarmi con tale sfacciataggine».
«Non è fegato, è disperazione» disse Kagome, poi si sfilò dal collo il pendente rosa e lo tese a Sesshomaru, anche se il gesto le fece male al cuore. « Sono stata strappata dal mio mondo tramite quello che voi chiamate Honeido, sul confine. Grazie a Sango sono sfuggita a Naraku, il vostro nemico, e Miroku ci ha aiutate a incontrarvi. Ho una sola richiesta per voi: fatemi tornare a casa e io vi darò Shinsetsu. A quanto pare, serve più a voi che a me».
«Kagome…» mormorò Sango, impressionata dal suo coraggio incosciente. Purtroppo, la cacciatrice conosceva già la risposta dell’Imperatore di En.
«Non è così che deve andare» la gelò infatti Sesshomaru.
«Perché no, Sesshomaru? Alla fine, basta avere Shinsetsu. Che la ragazza torni al suo villaggio, o mondo, o da qualunque posto sia sbucata!» intervenne Inuyasha, cogliendo la palla al balzo e allungando la mano verso il pendente. Questo si illuminò di un bagliore rosa che di gentile non aveva nulla e l’hanyo tirò indietro la mano, avvertendo per istinto che ne sarebbe rimasto ferito. Sesshomaru sospirò con rassegnato disprezzo.
«Shinsetsu ha scelto la sua portatrice. O ammazziamo la ragazza e le rubiamo il pendente in punto di morte, rischiando di pervertirne la luce, oppure è destinata a portarlo finché le Hoshisaki non saranno riunite. Questa parte della storia avrebbe dovuto entrarti in quella noce chiamata cervello ormai decenni fa».
Inuyasha imprecò e Kagome abbassò il braccio, attonita.
«Ma…ma io non faccio nemmeno parte del vostro mondo! Mi era stato detto che voi avreste potuto aiutarmi a tornare a casa!» balbettò, avvertendo di nuovo il pungolo del panico montare dentro di lei.
«Non fatico a credere che Shinsetsu abbia cercato di proteggersi iniziando il suo nuovo percorso addirittura in un altro mondo, visto quanto è accaduto l’ultima volta. – disse Sesshomaru, a quanto pareva ben poco sorpreso da quel dettaglio – In ogni caso, ragazza, sei destinata a essere sotto la nostra protezione finché non avremo tutte le Hoshisaki. Vada a rassicurarti il fatto che ne manchi solo una all’appello. È segno che, di nuovo, il potere della Stella di En si è risvegliato e la nostra possibilità di concludere la guerra si fa concreta».
«Sesshomaru-sama, non c’è traccia di Junan?» chiese Sango, cogliendo la palla al balzo. Vi fu uno strano attimo di silenzio, rotto dall’improvvido richiamo di qualcuno che, fuori dalla sala, cercava Jaken-sama.
«Che c’è?! Un po’ di silenzio, l’Imperatore è in riunione!» gracchiò il demone rospo, affrettandosi a uscire per intercettare il seccatore prima che Sesshomaru-sama perdesse la pazienza. Era da un pezzo che non lo vedeva tanto arrabbiato! Sesshomaru attese che uscisse, seguendo i suoi movimenti con uno sguardo cupo e seccato, poi finalmente rispose: «Non ancora. È logico pensare che si paleserà, in ogni caso. Naraku ha trovato la sua ultima Hoshisaki…»
«Cosa?!» sbottò Inuyasha, allarmato.
«Sesshomaru-sama, quando è avvenuto?! Ha già riunito la Stella di Gake?!» ansimò Miroku, pallido, stringendo il proprio bastone.
«Ho detto che l’ha trovata, non che l’ha ottenuta. – specificò Sesshomaru, con un sospiro che era un insulto nemmeno troppo velato alla loro capacità di comprensione – L’okami-yokai che ne è il portatore non lavora per lui e gli sta dando del filo da torcere. Sto cercando di portarlo dalla nostra parte…»
«SESSHOMARU-SAMA!»
Il grido li fece sobbalzare tutti, o quasi. Jaken rientrò nella sala correndo a perdifiato e tenendo alto quello che sembrava un dispaccio. Caracollò, inciampò e cadde lungo disteso, perciò non vide lo sguardo assassino con cui il suo padrone accolse quell’ennesima interruzione. Inuyasha, suo malgrado impietosito, afferrò Jaken per la collottola e lo sollevò da terra prima che Sesshomaru decidesse di prenderlo a calci.
«Sesshomaru-sama…il gatto dorato…Junan…» balbettò il piccolo yokai, con gli occhi già normalmente grandi così strabuzzati da far temere volessero cascare.
«Che diamine stai blaterando, rospo?! – sbuffò Inuyasha, scrollandolo e togliendogli di mano il dispaccio – Che c’è scritto qui, per farti perdere quel poco di dignità che ti rimane?»
Kagome vide il suo volto farsi dapprima perplesso, poi pallido. Dalle labbra gli uscì una sonora imprecazione e Inuyasha mollò Jaken senza tante cerimonie, tendendo il foglio a Sesshomaru con impeto.
«Leggi! Leggi!» lo esortò, con espressione a metà tra il trionfante e il battagliero. L’Imperatore di En, circondato dalla curiosità degli umani presenti, srotolò il dispaccio e vi posò lo sguardo. Subito, una morsa d’acciaio si chiuse sulla sua mente e sul suo cuore, mentre la notizia che sperava e temeva ormai da cinquant’anni gli veniva comunicata da uno dei Sommi Monaci del suo esercito. Le cose si stavano muovendo veloci. Forse troppo…Tenseiga aveva dato i suoi segnali e lui li aveva ignorati, ma non c’era modo di fuggire. Quello era il suo destino.
Avvistato neko-youkai straniero dal pelo dorato. Inseguito da sgherri di Naraku, guidati dalla demone Kagura. Capace di governare le energie vitali, salvato dalla cattura dai nostri monaci. Tra la vita e la morte, in fase di guarigione. Sulla sua fronte, una fiamma racchiude Junan. Nessuna possibilità di errore. Restiamo in attesa al campo Ojohi.

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Capitolo 13
*** 12 - I due principi ***


Author’s note: Quanto è difficile questa fanfiction! Non ci crederete, ma forse è una delle più complicate che abbia mai scritto. Ci sono così tante cose da dire! Preparatevi a un discreto numero di capitoli davanti a noi, ormai i preliminari sono belli e conclusi e ci buttiamo a capofitto in questa storia di guerra e amore! Si va!
 
CAPITOLO 12
I DUE PRINCIPI
 
Partirono in tutta fretta quello stesso pomeriggio. Sesshomaru non volle alcuna scorta, quindi preparare quanto occorreva per il viaggio non fu per Jaken un lavoro difficile, tanto più che la prospettiva di poter finalmente seguire il proprio padrone dopo tanti anni confinato a fare il badante dell’Erede di En lo aveva riempito di gioia. I fratelli avrebbero voluto andare soli, ma Kagome si rifiutò di rimanere al castello per chissà quanto tempo in attesa degli eventi, Sango ricordò loro che si era presa l’incarico di proteggere la Portatrice di Shinsetsu e Miroku chiese a Sesshomaru di poter tornare al suo servizio, magari esercitando le proprie abilità per ricoprire il medesimo ruolo di Sango verso il neko-yokai che ora portava Junan.
«Un aiuto in più non farà male, no? Naraku ha già sottratto Junan a En una volta, se ricordo correttamente, e sfruttare la mia maledizione per mettergli il bastone tra le ruote non potrà arrecare danno né a te né a questo gatto dorato. In fondo, l’Imperatore di En non potrà fargli da balia finché tutte le Hoshisaki non saranno attive, giusto?» lo aveva blandito il monaco. Era rimasto sorpreso e insospettito dal lampo rovente che era passato per un attimo negli occhi di Sesshomaru a quelle parole, uno strano miscuglio d’ira, rimpianto e frustrazione che non gli si addiceva affatto, ma poi lo yokai aveva acconsentito a trascinarsi dietro quel gruppo di esseri umani senza fare troppe storie. Aveva fretta e nessuna voglia di discutere. Miroku non aveva fatto domande, ma la sua mente acuta aveva incamerato quanto osservato, in attesa di mettere insieme i pezzi. Doveva esserci qualcosa di mai raccontato riguardo alla perdita dell’Hoshisaki della Passione, scomparsa a breve distanza dalla morte di Kikyo. Qualcosa che aveva lasciato una cicatrice perfino in uno yokai gelido e impenetrabile come Sesshomaru.
Fu subito chiaro che nel gruppo di viaggio ognuno faceva quello che gli pareva. Sesshomaru si spingeva sempre molto più avanti di tutti gli altri, a volte volando, e chi lo seguiva ne distingueva a malapena la scia in cielo, segnata dalla massa morbida e pelosa che gli avvolgeva la spalla e a cui si teneva aggrappato Jaken. Stava nelle vicinanze solo di notte, quando si accampavano, e di rado rivolgeva la parola a qualcuno. Si era chiuso a chiave dietro pensieri cupi che non condivideva e la cosa stava facendo imbestialire Inuyasha. Il Principe di En correva con una velocità sorprendente, ma inferiore a quella del fratello maggiore, e dietro di lui veniva Kirara, che era costretta a portare in groppa tutti gli esseri umani e il piccolo Shippo. Il demone volpe aveva provato a trasformarsi in una palla volante il giorno della partenza, ma dopo un paio d’ore, in cui aveva trasportato Miroku, si era arreso all’evidenza ed era tornato se stesso. La compagna di Sango, quindi, era costretta a un superlavoro che la stava stancando parecchio ma nessuno aveva osato tentare di chiedere un rallentamento nella marcia ai due governanti di En.
Nemmeno Inuyasha parlava molto, anche se non gli era consentito ignorare del tutto coloro che gli correvano accanto. Non partecipava granché alle loro conversazioni, ma non poteva fare a meno di ascoltarle e in pochi giorni aveva imparato molte cose su quello strano trio. Miroku, il monaco, aveva ottimi motivi per odiare Naraku. Lo aveva sentito parlare della maledizione nel palmo della sua mano e il tono frivolo non gli aveva impedito di capire quanto quel giovane uomo vivesse nel terrore della morte e nella sete di vendetta. Non aveva ancora deciso se ammirare il suo coraggio o ritenerlo uno sciocco, visti anche i siparietti in cui si produceva ogni tanto con una o entrambe le ragazze. La Cacciatrice era più facile da capire. Era una di quei rari Ningen votati al dovere e dotati di spirito e intelligenza. Inuyasha aveva conosciuto la sua tribù e gli era capitato di combattere avendoli a fianco, quindi la giovane non gli dispiaceva. La Portatrice di Shinsetsu era tutto un altro affare.
Inuyasha faceva fatica persino a guardarla. La sua voce gli penetrava nelle orecchie, la sua presenza lo rendeva terribilmente nervoso. Sapeva di non doverla confondere con Kikyo, ma i suoi ricordi erano ancora troppo brucianti e non voleva avere nulla a che fare con lei. Ora conosceva i dettagli del suo arrivo a En, ma non aveva fatto commenti. Anzi, non le aveva più rivolto la parola. Ogni tanto, si accorgeva che i suoi occhi, grandi e puri, rimanevano fissi su di lui oltre la luce del fuoco, come se lei stesse osservando un mistero. Altre volte, dalla groppa del demone gatto, gli scoccava occhiate in cui brillava una rabbia offesa e frustrata. Beh, almeno non era il solo a provare certe cose!
Quella sera, Inuyasha tentò inutilmente di parlare con suo fratello di Junan. Gli bastò andare vicino a nominare la piccola umana che tanti anni prima era stata la protetta di Sesshomaru per vedere il fratello allontanarsi in volo senza una parola, lasciandolo lì come un povero sciocco. Ringhiando di frustrazione, Inuyasha tornò al fuoco e si lasciò cadere seduto a terra, con la schiena contro un albero e le braccia conserte.
“Perché non vuole raccontarmi di Rin? Cosa diavolo può essere successo?! – pensò, non per la prima volta – Questo non è un comportamento normale da parte sua, come del resto non lo era tenersi quel cucciolo di ningen in giro per il Palazzo!” Vero che, in otto anni, Rin era cresciuta fino a diventare un’allegra e spigliata sedicenne…ma per lui era sempre quella bambina acciaccata che nemmeno parlava e rimaneva attaccata alla gamba di Sesshomaru come se non potesse vivere senza. Sospirò, avvertendo suo malgrado una fitta di dispiacere. Si era affezionato a sua volta a quella piccola sfortunata.
In quel momento, un profumo dolcissimo gli riempì le narici, seguito a ruota dal corpo di qualcuno che si inginocchiò accanto a lui. Mani bianche e delicate entrarono nel suo campo visivo, tendendogli una ciotola fumante.
«È pronta la cena, Inuyasha» disse Kagome, con voce dolce. L’hanyo, se possibile, assunse un atteggiamento ancora più chiuso.
«Non ho fame» mentì.
«Oh, andiamo! Devi pur mangiare qualcosa! Sarai anche un hanyo, ma tutti hanno bisogno di mangiare! – sbuffò Kagome, allungando di nuovo la scodella sotto il suo naso – È buono, sai? Miroku cucina bene!»
«Ho detto che non ho fame» ribadì Inuyasha, guardando altrove, cocciuto. Un attimo dopo, le stesse mani che prima gli tendevano la scodella si serrarono sulle ciocche di capelli argentati che gli scendevano sulle spalle e tirarono forte, strappandogli un’esclamazione di sorpresa e dolore e costringendolo a voltarsi. Si ritrovò a pochi centimetri dal volto di lei e, anche non volendo, perse un battito di cuore. Di nuovo, notò quanto somigliasse a Kikyo. Di nuovo, gli balzarono agli occhi le differenze.
«Ehi, mollami! Come ti permetti, maleducata?!» sbottò Inuyasha, afferrandole i polsi per costringerla a lasciarlo andare. Erano sottili, caldi. Sentiva il sangue pulsare nelle vene delicate sotto la pelle.
«Sarei io quella maleducata?! E tu, che guardi altrove mentre ti parlo, cosa saresti?! Mi odi così tanto da non riuscire nemmeno a guardarmi?!» gli disse lei, aggressiva. Con allarme, Inuyasha vide che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.
«Cosa…ehi…non piangere. Non piangere, stupida!» le disse, allarmato senza nemmeno sapere perché. Lei lo lasciò andare e si alzò in piedi di scatto, sfuggendo a una stretta che si era fatta debole.
«Mi chiamo Kagome!» gli ricordò, caustica, poi si allontanò e tornò al fuoco, dandogli le spalle e lasciandogli vicino la scodella, che si era un po’ inclinata su una radice ma era ancora piena. Inuyasha soffocò la voglia di risponderle a tono perché non credeva che avrebbe sopportato di vederla piangere, poi si alzò e andò a passeggiare nella foresta buia. Tutto, pur di sottrarsi agli sguardi fin troppo consapevoli e pietosi del monaco e della Cacciatrice.
Quando tornò, parecchio più tardi, dormivano tutti tranne quest’ultima. Per un po’, rimasero in totale silenzio. Inuyasha iniziava a pensare di potersi rilassare almeno un po’ quando Sango si alzò dalla sua postazione di guardia e lo raggiunse, abbassandosi rispettosamente su un ginocchio.
«Per favore, lascia stare questa roba. – disse Inuyasha, sbuffando – Che c’è? Se vuoi dormire, fai pure. Sto io di guardia».
«Vorrei parlare di Kagome, Inuyasha-sama…»
«Non ti ci mettere pure tu! Non riuscirete mai ad avvicinarmi a quella ragazza, mettetevelo in testa!»
«Inuyasha-sama, Kagome non è Kikyo. – gli ricordò Sango, corrugando le sopracciglia su quegli occhi tanto seri e posati – Capisco benissimo il vostro rancore, ma lei ne è vittima innocente. Non è giusto, tenuto anche conto del fatto che Kagome è legata a voi».
«Non bisogna credere a tutte le fesserie collegate alla leggenda delle Hoshisaki» brontolò Inuyasha, a disagio. Lui per primo non ci aveva mai creduto, salvo poi cadere vittima di quell’elusivo ma bruciante sentimento che lo aveva portato a essere alla mercé della miko traditrice. “Ma ti ha davvero tradito?” chiese una voce fastidiosa. L’ipotesi che tutto fosse stato orchestrato da Naraku lo aveva riempito di ulteriore confusione e gli faceva paura, perché senza il paravento dell’odio non avrebbe saputo come affrontare la morte di quelle che erano state le sue speranze.
«Forse no, ma Kagome è stata chiamata da voi, Inuyasha-sama. La luce gialla che l’ha avvolta e trasportata a En era quella della vostra Hoshisaki» insistette la Cacciatrice.
«Una cosa fatta inconsapevolmente, te l’assicuro.- fu la secca replica di Inuyasha – Non capisco come la Gentilezza possa essere in mano a una ragazza dal simile caratteraccio».
«Kagome è una brava ragazza. Quando ha conosciuto mio fratello…- la voce di Sango tremò, mentre si voltava a guardare la figura addormentata della giovane – Lei ha capito. Pochi avrebbero dimostrato la stessa empatia e io sento un debito di gratitudine nei suoi confronti. Vorrei aiutarla a trovare il proprio posto nelle cose, qui a En. Si trova costretta ad aiutarci, mentre vorrebbe solo riabbracciare la propria famiglia».
«Non è né la prima né l’ultima a dover perdere tutto in questa guerra» fu l’amaro commento di Inuyasha. Sango lo guardò dritto negli occhi.
«No, è vero…Io ho perso la mia famiglia. Miroku-sama sta perdendo la vita. E voi, Inuyasha-sama, avete perso la vostra fiducia negli esseri umani. Non siete più il Principe di En di cui parlano le storie» mormorò, facendolo avvampare mentre una mano scendeva a serrarsi sull’elsa di Tessaiga. Non ricevendo altra risposta che uno sguardo rovente, Sango si alzò e gli diede le spalle per tornare al suo posto di guardia, poi si voltò come per un ripensamento.
«Una domanda ancora, Inuyasha-sama…Nel momento in cui Kagome è stata trascinata a En, non ha visto solo la luce di Yuuki ma anche il volto di un giovane dormiente. Ne sapete qualcosa?» chiese, perplessa.
«Come sarebbe, un giovane dormiente?» disse Inuyasha con asprezza, desideroso di concludere quella conversazione che andava a toccare tutti i suoi nervi scoperti.
«Un ragazzo giovane, forse nemmeno ventenne. Lunghi capelli neri, un abito rosso come il vostro. Kagome ormai ne ricorda i lineamenti a malapena, ma…se è solo Shinsetsu a essere legata a voi, forse Kagome è qui per incontrare quel giovane. Sapreste aiutarmi?» Le rispose solo un silenzio tombale e, con un mezzo sospiro, Sango chinò la testa. Ci aveva provato. «Come non detto. D’altronde, se il ragazzo è un essere umano e voi avete dormito per cinquant’anni…Buonanotte, Inuyasha-sama».
Tornò al fuoco, ignara di lasciare dietro di sé un Principe di En pietrificato e col cuore che batteva impazzito, gli occhi d’ambra fissi con un misto di meraviglia e terrore sulla figura addormentata di Kagome.
***
«Puoi ripetermi che ci facciamo qui?» chiese Jakotsu, annoiato, dondolando la gamba nuda in aria mentre scrutava l’accampamento oltre la barriera della foresta. La notte stava per terminare. Si avvertiva una tensione nuova, quella sorta di vibrazione che precede il primo schiarirsi del cielo. Bankotsu, che era seduto sull’erba poco più in basso ed era intento a lucidare la sua Banryu, si lasciò scappare un mezzo sorriso.
«Liberiamo Naraku da una seccatura.- rispose colui che era stato il capo dei mercenari Shichinin-Tai – Una cosa da poco, a sentire lui».
«Non ricordo che ci abbia mai mandati in giro per cose da poco» sbuffò Jakotsu, corrugando la fronte.
«No, infatti» ammise Bankotsu, senza cambiare tono. Alzò l’enorme alabarda, poi, soddisfatto, mise via la propria attrezzatura. Il suo sguardo tornò sull’accampamento e si fece duro, indagatorio. «Kagura si è lasciata alle spalle un guaio. Naraku non ha dato spiegazioni, ma che possa perdere l’Hoshisaki che mi tiene in vita se non c’entra qualcosa con quella forma orribile che è tornato ad avere».
Jakotsu emise un verso di disgusto.
«Un vero schifo, sono d’accordo. Comunque, non ho capito perché ha mandato noi: se Kagura non ha finito il proprio lavoro, poteva costringerla a farlo! Si sta ammorbidendo troppo con quella strega e lei ne approfitta!»
«Ammorbidendo? No…Non si fida, Jakotsu.- mormorò Bankotsu, che a quanto pareva non rifletteva per la prima volta sui recenti sviluppi – Non ti sei accorto che da qualche anno a questa parte non affida mai a Kagura missioni in cui possa incontrare Sesshomaru?»
Jaken scoppiò in una risatina acida e sciocca, lasciandosi scivolare in una posa languida sul ramo.
«Oh, certo che me ne sono accorto! Se non avesse in petto l’Indifferenza, quella stupida sarebbe già caduta ai piedi del sovrano di En! Beh, in effetti è un tipo affascinante, ma non è il mio genere. Io preferisco bellezze più maschie, come quel Miroku. Chissà se il Principe di En somiglia a suo fratello oppure se mi riserverà una sorpresa? Pensi che li vedremo oggi?» sospirò Jaken, le mani a coppa sulle guance e lo sguardo sognante. Bankotsu rise.
«Forse, se quello che questi monaci nascondono ha importanza anche per loro. Comunque, Naraku sente puzza di tradimento, ecco perché tiene Kagura a freno» finì. Jakotsu tornò a tirarsi a sedere, di nuovo serio.
«Quello ha il naso fino. Meglio stare sul chi vive, Bankotsu» disse, e l’altro annuì senza necessità di chiedere chiarimenti. Ovviamente, anche loro stavano progettando di tradire Naraku. Senza la regia di quel perverso hanyo, ognuno di loro avrebbe potuto godere della vita e dei poteri regalati dalle Hoshisaki di Gake senza tanti ripensamenti. I due mercenari avrebbero ripreso più che volentieri la vita violenta e stimolante che era stata strappata loro tanti anni prima.
«Dai, andiamo» disse Bankotsu, incamminandosi con passo sciolto e naturale verso l’ordinato gruppo di tende, l’alabarda posata su una spalla come se pesasse poco o niente. Jakotsu saltò giù dal ramo e gli corse alle calcagna, sfoderando la sua Jakotsuto con un sorrisetto sanguinario.
«Sono solo monaci, giusto? – chiese, leccandosi le labbra imbellettate – Non mi sorprende abbia mandato noi due».
«Già, di fronte alle nostre lame…» mormorò Bankotsu, sorridendo a sua volta con espressione micidiale «…saranno solo carne da macello».
***
Poco prima dell’alba, stranamente, Sesshomaru tornò a unirsi al gruppo. Lo avevano perso di vista il giorno prima verso le dieci del mattino e da quel momento non si era più palesato, tanto che avevano pensato fosse giunto a Ojohi prima di loro. Invece era tornato, senza una parola o una spiegazione. Aveva solo pattugliato il territorio per avere la certezza di non essere seguito da spie di Naraku? Oppure non intendeva raggiungere Ojohi da solo? La cosa era sospetta, perfino secondo Inuyasha. Ormai desti, tutti si prepararono a rimettersi in viaggio. Sango mormorò a Miroku: «Cosa pensate abbia trattenuto Sesshomaru-sama? Ojohi è a poco più di una giornata di viaggio da noi, pensavo avesse fretta…»
«Ce l’ha, ma non mi sembra possegga una voglia di mettere le mani su Junan corrispondente alla sua fretta» rispose Miroku, badando bene a tenere la voce più bassa possibile. L’Imperatore di En aveva un udito straordinario e, per quanto Jaken stesse facendo abbastanza baccano discutendo con Inuyasha, era meglio non rischiare di essere uditi.
«Non ho capito» intervenne Kagome, perplessa «Perché non dovrebbe volere Junan?» Sia Sango che Miroku le fecero segno di sussurrare.
«Cinquant’anni fa Sesshomaru-sama aveva raccolto tutte le Hoshisaki, a parte Shinsetsu. So che aveva delle difficoltà con quella che risiede nella sua spada, ma la situazione era rosea per la nostra causa. Se Junan è uscita dalla sua sfera d’influenza, significa che chi la portava è morto senza poter lasciare la propria eredità a En» disse Miroku, mettendo le due ragazze a parte dei propri ragionamenti.
«Questo non spiega comunque perché non dovrebbe avere una gran voglia di metterci le mani sopra. Anzi, vista la situazione non dovrebbe stare nella pelle! In fondo, non ha organizzato la partenza in tutta fretta?» disse Shippo. Per lui, quella dimostrazione di noncuranza non aveva alcun senso.
«Forse è avvenuto qualche mistero di cui non siamo a conoscenza, oppure stiamo sbagliando ipotesi» mormorò Sango. Poco distante, Inuyasha aveva udito tutto anche al di sopra delle chiacchiere di Jaken e una parte di lui si trovò non solo ad apprezzare l’acume dei tre ningen, ma a desiderare a propria volta di svelare l’arcano. La voglia di affrontare Sesshomaru di petto e chiedergli di Rin lo solleticava moltissimo, anche se per il momento la sua testa era altrove. Le cose che la Cacciatrice gli aveva detto durante la notte lo avevano sgomentato e portato a fare congetture di ogni tipo. Guardò la giovane dai capelli corvini, poi distolse lo sguardo quasi con rabbia, rimproverandosi.
“Quello che ha visto non ha alcuna importanza” si disse per l’ennesima volta. Eppure, qualcosa in lui aveva voglia di credere che non fosse così. Era l’ennesimo indizio che qualificava la ragazza per la reincarnazione di Kikyo e lo aveva riempito di un’emozione che non sapeva decifrare.
«Nemmeno mi ascolti! È questo il ringraziamento per gli anni che ti ho dedicato?!» sbottò Jaken, che finalmente si era accorto di parlare all’aria.
«Ti ringrazierò il giorno in cui imparerai a stare zitto» sbuffò Inuyasha, a sua volta interrotto da Sesshomaru, che era entrato nel cerchio di luce del fuoco.
«Andiamo» disse, lapidario. Tutti annuirono, mentre Inuyasha scrutava il fratello con oscuro cipiglio, morendo dalla voglia di aprirgli quella testaccia dura per vedere cosa vi nascondeva dentro. Kirara, il demone gatto, si trasformò con un mugolio stanco.
«Coraggio, amica mia…dovrebbe essere l’ultimo giorno di marcia.» la consolò Sango, accarezzando il suo pelo color crema.
«Perdonami, Kirara! Se solo fossi più forte, potresti portare solo le ragazze» sospirò Shippo, dispiaciuto. Fu in quel momento che tutti gli yokai presenti alzarono il viso al cielo.
«Che succede?» chiese Kagome, allarmata.
«Odore di fumo. – mormorò Shippo, preoccupato – Non è il nostro fuoco, questo è odore di incendio.»
Videro Sesshomaru balzare sul ramo di un albero e portarsi in cima con un paio di salti per poi stare ritto contro il cielo che ingrigiva, scrutando l’orizzonte. Inuyasha lo raggiunse dopo un istante, con Jaken aggrappato alla schiena. Ciò che vide gli strappò una smorfia e un basso ringhio. Non molto lontano da lì, qualcosa andava in fiamme. Sotto all’odore di bruciato, molto labile, il vento portava anche quello del sangue
«È Ojohi, vero?» chiese al fratello, il cui volto era imperscrutabile. Jaken rispose per lui.
«È proprio l’accampamento! I monaci sono tipi tosti. Per quanti demoni abbia mandato, Naraku non dovrebbe essere in grado di prendersi Junan, però…» gemette, guardando il padrone con timore.
«Le zampe di quel Naraku sono troppo lunghe. Bisogna strapparle» fu la replica di Sesshomaru, che si alzò in volo. Il demone rospo fece appena in tempo ad aggrapparsi alla coda come al solito, finendo per ciondolare nel vuoto al seguito dell’Imperatore di En. Inuyasha, con un’imprecazione, si affrettò a scendere dall’albero. Gli altri stavano già salendo in groppa a Kirara, ma era ovvio che il neko-youkai non era in grado di fare uno sforzo prolungato che quasi di certo sarebbe culminato in un combattimento.
 Inuyasha tentennò un istante, poi si fece avanti.
«Ehi! Tu, ragazza! Oggi ti porto io» disse, sgarbato. Tutti si voltarono verso di lui. Kagome lo fissò con tanto d’occhi, si guardò attorno, poi puntò l’indice sul proprio petto, incredula. «Sì, sì, tu! È ovvio che parlo con te! – sbottò Inuyasha, chiedendosi cosa mai gli stesse passando per la testa – Oggi ti porto io, altrimenti il demone gatto ci schiatta per strada. Muoviti!»
«Sei sicuro?» chiese Kagome, allibita.
«Avanti, non abbiamo tempo per le chiacchiere!» la esortò, abbassandosi per caricarla sulla schiena. Kagome si avvicinò, titubante, e non appena ebbe posato le mani sulle sue spalle sentì la presa di lui serrarsi dietro le ginocchia e venne sollevata da terra con tanta energia da costringerla a passargli le braccia attorno al collo, in una presa ben più confidenziale di quanto aveva immaginato e che la fece arrossire.
«Si va!» disse l’hanyo, scattando in corsa sulla scia del fratello maggiore. Si inoltrarono nella foresta ancora buia, subito seguiti da Kirara, sollevata dalla possibilità di portare un peso meno gravoso. Kagome si accorse subito di non dover temere di cadere in quella corsa sfrenata: la presa di Inuyasha era salda, la sua schiena ampia e calda. Quando i capelli d’argento le sfiorarono il viso, le sembrò di ricevere una carezza. Si riscosse, rimproverandosi, e scrutò di sottecchi il viso corrucciato e teso dell’hanyo.
«Posso dirti che questa tua gentilezza mi suona sospetta?» gli disse.
«Feh! Non abituartici. Non volevo che ci rallentaste, ecco tutto» fu la risposta di lui, non molto diversa da ciò che si era aspettata. Kagome alzò lo sguardo e intravide tra le cime degli alberi la sagoma bianca di Sesshomaru stagliarsi contro il cielo che si faceva sempre più chiaro.
«Ci sarà battaglia?» si trovò a chiedere.
«Forse. Cos’è, hai paura?»
«Qui ci sono persone, più gentili di un certo Principe di En, che hanno promesso di proteggermi. – gli disse lei, con una linguaccia – E poi, pare che il mio uso del potere di Shinsetsu non sia affatto male. Potrei stupirti».
«Contro Naraku? Non credo proprio, ragazzina».
«Mi chiamo Kagome! – sbottò lei, esasperata per il suo rifiuto di chiamarla per nome – Dovevo proprio finire legata a un buzzurro come te, quando l’altro sembrava così gentile e…»
«L’altro, chi?» la interruppe Inuyasha. Kagome avvampò per l’intensità dell’occhiata che le lanciò da sopra la spalla. «Allora? Chi sarebbe quest’altro tizio? La Cacciatrice mi ha detto qualcosa di questo tuo principe ideale…»
«Smettila! Perché lo prendi in giro? Nemmeno lo conosci!» disse Kagome, paonazza e indignata. Avvertì un brivido sgradevole alla risata amara di Inuyasha.
«Se è per questo, non lo conosci nemmeno tu» la derise. Kagome si incupì.
«Purtroppo no. Nessuno ha saputo dirmi niente di lui, non so nemmeno se esiste davvero. Però, visto che sono costretta a restare a En, lo cercherò. Anche lui mi ha chiamata, sono sicura che abbia bisogno di me e che sia un ragazzo buono, e gentile» disse, decisa.
«Se ti può servire a sopportare la situazione, sogna pure…Attenta che il risveglio, gran parte delle volte, è brusco. Te lo dico per esperienza» borbottò Inuyasha. Kagome ristette. Qualcosa, nella sua voce, l’aveva lasciata perplessa e aveva toccato corde profonde nel suo cuore. C’era in essa un sentimento oscuro che non aveva nulla a che fare con la derisione, ma non riuscì a decifrarlo perché in quel momento Inuyasha saltò i tronchi di due alberi caduti e le fece perdere il fiato e la presa.
«Tieniti forte, ragazzina!» la sgridò Inuyasha, e Kagome si affrettò ad obbedire. Non si rivolsero più la parola finché non giunsero all’inferno di fiamme e morte che era diventato l’accampamento di Ojohi.

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Capitolo 14
*** 13 - Coincidenze dolorose ***


Author’s note: Vi chiedo scusa per la lunga attesa, ma queste settimane sono state segnate da momenti tristi che hanno rallentato molto le mie attività. Finalmente, però, Sesshomaru e Anna stanno per incontrarsi! Andrà tutto bene?...
 
CAPITOLO 13
COINCIDENZE DOLOROSE
 
Sesshomaru piombò su Ojohi dall’alto, mentre coloro che viaggiavano con lui erano ancora a una certa distanza. Ormai era giorno fatto, il sole stava perdendo contatto con l’orizzonte e nella luce chiara del primo mattino ai suoi occhi si presentò un massacro. L’avamposto dei monaci era in fiamme. Gli spartani rifugi in legno erano quasi tutti bruciati o crollati e la parte settentrionale dell’agglomerato era pavimentata da corpi inerti e sangue, che aveva annerito il terreno. La scia di morte testimoniava il percorso di coloro che avevano attaccato i monaci di En e si erano poi spinti all’interno di Ojohi. Lo avevano attraversato quasi tutto, prima di doversi fermare.
Sesshomaru capì subito che le due sagome armate, in posizione di stallo, non erano demoni. Solo un imbecille avrebbe mandato yokai a confrontarsi contro i monaci più potenti di En. No, Naraku aveva molti difetti ma non era uno stupido. Aveva spedito due guerrieri, qualcuno di così abile da rendere vana la preparazione fisica di gente che di preferenza lottava usando i poteri spirituali. Qualcuno che puzzava di morte e di qualcos’altro che faceva fremere di disgusto il petto di Sesshomaru, dove la sua Hoshisaki riposava. I due portatori di distruzione, però, alla fine erano stati fermati. Qualcuno era riuscito a creare una barriera di energia che, a quanto pareva, risultava efficace anche contro le armi fisiche. Una sfera azzurra e luminosa circondava, celandole, alcune persone.
Sesshomaru piombò come una meteora sulle teste dei due scagnozzi di Naraku. Uno dei due fece in tempo a vederlo e compì un rapido movimento col braccio. L’occhio sovrumano di Sesshomaru si accorse subito del prolungarsi della lama in mano all’uomo, riuscì a prevederne il movimento saettante e caotico. Si spostò in aria quel tanto che bastava da evitarla, sentendo a malapena il grido di sorpresa di Jaken. Toccò terra a pochi passi dai due invasori, costringendoli a farsi velocemente indietro, mentre il piccolo yokai rospo perdeva la presa sulla sua coda e cadeva faccia a terra in modo poco dignitoso.
«Per la miseria…ha evitato la mia Jakotsuto!» sbottò uno dei due, un giovane dall’aria ambigua con una mano appoggiata sul cuore in tumulto.
«Mi sa che abbiamo perso un po’ troppo tempo in divertimenti, Jakotsu» disse l’altro, che brandiva un’alabarda dalle dimensioni gigantesche.
«Chi siete? O meglio, cosa siete? – chiese Sesshomaru, scrocchiando le nocche delle lunghe dita, senza nemmeno degnare di un’occhiata chi stava dietro la barriera di energia e che ora pronunciava il suo nome con note di speranza – Anche se siete stati uomini, puzzate di morte».
«Naso fino! Ebbene sì, siamo morti…o lo siamo stati. Qualcuno ha ritenuto di darci un’altra possibilità» rispose il tizio con l’alabarda, che sembrava pronto a dare battaglia. In quel momento, Inuyasha e gli altri uscirono dal folto e il tipo chiamato Jakotsu diede un colpo col dorso della mano sulla spalla del compagno.
«Comincia a esserci troppa gente, Bankotsu. La festa, per adesso, è finita» gli disse, facendo poi per correre via.
«Voi non andrete da nessuna parte» mormorò Sesshomaru, scattando in avanti.
«Lo dici tu, amico!» esclamò il tizio con l’alabarda, colpendo il terreno con un fendente poderoso che sollevò terra e sassi come per un’esplosione, celando sé e il compagno alla vista di Sesshomaru per qualche istante. Inuyasha, nel frattempo, aveva fatto scendere Kagome, ancora un po’ scossa per la corsa.
«Voi occupatevi di quella gente, io vado a dare una mano a Sesshomaru!» esclamò, senza nemmeno aspettare l’assenso del monaco e della Cacciatrice. Partì dietro ai fuggitivi, che avevano approfittato del diversivo per correre verso il folto con gambe fin troppo leste. Miroku scese dalla groppa di Kirara.
«Il Principe ha ragione, occupiamoci dei sopravvissuti e controlliamo che abbiano ancora Junan» disse, avviandosi verso la barriera di energia. Sango lo imitò, affiancandosi a Kagome.
«Kirara, Shippo, state attenti che non salti fuori qualche altro nemico alle nostre spalle» raccomandò, prima di lasciarli indietro. Miroku alzò il bastone in segno di saluto, vedendo a malapena le sagome di chi si era rifugiato dietro la barriera. C’era una persona in piedi che la teneva ancora attiva. Quel potere era molto particolare e aveva caratteristiche che Miroku non riusciva a ricondurre ad alcuna scuola a lui conosciuta. Quando si accorse che una debolezza malata si faceva strada in lui man mano che si avvicinava alla luce azzurra, si affrettò a fermarsi.
«Potete lasciar andare la barriera. Siete fra amici! – disse, stendendo una mano dietro di sé per evitare che Sango e Kagome venissero coinvolte dagli strani effetti di quella protezione – Siamo combattenti di Sesshomaru-sama e viaggiamo con lui. Non avete più niente da temere».
Qualcuno dietro la barriera bisbigliò un assenso e la cortina di luce azzurra cadde, rivelando i pochi superstiti del campo di Ojohi. Una ventina di monaci e quattro miko, tutti feriti in qualche modo, erano assiepati dietro alla persona che li aveva protetti. Si trattava di una giovane donna dai capelli di un brillante color oro che potevano appartenere solo a uno yokai. Gli occhi esperti di Miroku notarono subito gli smarriti occhi azzurri, la fiamma tatuata sulla fronte, gli artigli appuntiti all’estremità delle dita. Quella doveva essere la neko-yokai che possedeva Junan.
«Grazie, Junan-sama – mormorò infatti uno dei monaci, sfiorandole un braccio in segno di riconoscenza, per poi andare incontro a Miroku – Siete giunti appena in tempo. Naraku ha mandato contro di noi due non-morti dalla forza spropositata, contro cui i nostri esorcismi e magie non potevano nulla. Ci hanno attaccato di sorpresa».
«Ci dispiace non essere arrivati in tempo per evitare questo massacro.» si scusò Miroku, con un breve inchino, ma i suoi occhi non lasciarono la figura della neko-youkai. Aveva una forma umana davvero attraente, ma c’era in lei qualcosa che lo lasciava perplesso.
«Siamo quantomeno riusciti a proteggere Junan. Per meglio dire, lei ha protetto noi» disse il monaco, voltandosi poi per un breve inchino.
«Vi aiuteremo a dare degna sepoltura ai defunti» assicurò Sango, che purtroppo si era già trovata in situazioni del genere, venendo avanti assieme a Kagome.
«Siete gentile, Cacciatrice, ma credo che Sesshomaru-sama…»
Fu interrotto da un ansito alle sue spalle, un suono in cui si mescolavano troppi sentimenti per poterli discernere. Solo Miroku si accorse del cambiamento sul viso della neko-youkai alla vista di Kagome. I suoi occhi azzurri si spalancarono in un’espressione di stupore e gioia quasi infantile, poi la donna corse verso di loro, le braccia protese. Per reazione, sia Miroku che Sango si interposero tra gli artigli della neko-yokai e la giovane portatrice di Shinsetsu, ma bastarono pochi passi in avanti della donna bionda perché Kagome lanciasse un grido acuto di incredulità ed emozione.
«Nee-chan?!» strillò, facendosi largo. Le due finirono una nella braccia dell’altra, singhiozzando, cadendo in ginocchio sul terreno sconvolto sotto gli occhi attoniti di tutti.
«Chi…» balbettò il monaco, sbalordito.
«La portatrice di Shinsetsu. – spiegò Sango, attonita – Ma…non ci aveva detto di conoscere la portatrice di Junan!»
«Kagome-sama, volete spiegarci?» chiese Miroku, abbassandosi su un ginocchio per arrivare al loro livello. Kagome volse verso di lui un viso rigato di lacrime ma raggiante di felicità.
«È Anna, mia sorella maggiore! Cioè…non siamo davvero sorelle, ma è come se lo fossimo! – spiegò, poi si allontanò un po’ dall’abbraccio di lei e la guardò bene, mentre l’espressione raggiante diventava perplessa e preoccupata – Anna, ma che cosa ti è successo? Cosa ci fai qui? Cos’hai fatto ai capelli? Questa che hai sulla fronte è Junan?» Le sue domande, sottolineate dagli sguardi ora febbrili che la ragazza lanciava a tutte quelle caratteristiche nuove e non corrispondenti ai suoi ricordi, non ebbero risposta.
«Kagome, come fai a conoscere una neko-yokai?» mormorò Sango, scambiando con Miroku un’occhiata preoccupata.
«Ma quale neko-youkai?! Anna è umana come me e te! Vero, Anna? È solo…forse ti hanno fatto qualcosa…»
Aspettò inutilmente una risposta da lei. La donna bionda abbassò lo sguardo, le braccia scivolarono via da Kagome e le ricaddero in grembo. Sembrò, per un istante, una splendida e dolente martire. Kagome le mise le mani sulle spalle, cercando di incontrare di nuovo il suo sguardo.
«Nee-chan? Perché non mi rispondi?» sussurrò con voce tremante.
«Junan-sama…o Anna-sama, visto che voi la chiamate così, ha subito una terribile trasformazione per colpa di Naraku. Era in fin di vita e il suo corpo, dotato del potere di Junan, ha cercato di salvarsi nell’unico modo che gli è stato possibile: fondendosi con una parte demoniaca abbandonata dal Nemico di En. Ora, ella è una neko-yokai, anche se non di sangue puro» spiegò il monaco.
«Ma…ma potrà tornare normale, non è vero? Sesshomaru-sama potrà guarirla!» chiese Kagome, febbrile, ma lesse subito sui volti di tutti che una simile speranza era priva di fondamento. Anna aprì la bocca per dire qualcosa, emise un verso soffocato e remoto, poi la richiuse con una smorfia. Il monaco si inginocchiò e le prese una mano con gentilezza. Era evidente che la giovane aveva saputo farsi amare da chi l’aveva salvata.
«Inoltre, pare che lo sconvolgimento per quanto accaduto le abbia tolto la parola. – aggiunse l’uomo - Non sappiamo se sia una cosa temporanea o meno, ma nessuno di noi ha mai sentito la sua voce».
Il volto di Kagome si disfece nel pianto e la ragazza si gettò di nuovo su Anna, abbracciandola con tutte le sue forze.
«Non ti preoccupare. – la sentirono singhiozzare – Ci sarà un modo, lo troveremo! Guarirai, nee-chan, andrà tutto bene…adesso siamo insieme…»
Anna la abbracciò a sua volta, ma gli altri videro sul suo viso un vuoto rassegnato che non lasciava spazio alla speranza. Pensando poi a Sesshomaru e al suo scarso desiderio di riunirsi a chi possedeva Junan, Sango e Miroku temettero che i problemi di quella giovane donna fossero appena iniziati.
***
Inuyasha non impiegò molto a raggiungere il fratello, che tallonava i due fuggitivi sempre più da vicino, nonostante entrambi possedessero un’agilità più che umana e due armi capaci di trucchetti pericolosi. Bastava vedere come avevano ridotto i poveri monaci del campo.
«Fermatevi, maledetti!» gridò Inuyasha, sfoderando Tessaiga senza pensarci e ritrovandosi in mano la vecchia lama inutile. Con una smorfia, si affrettò a rinfoderarla.
«Ehi, quello è il Principe?! – sbottò uno dei due, quello dalle fattezze ambigue – Bankotsu, frena, voglio quelle orecchie! Kami-sama, sono troooppo carine!»
«Non fare lo scemo, Jakotsu, non è il momento!» gli disse il compagno, afferrandolo per la collottola e costringendolo a mettersi a correre di nuovo, mentre Inuyasha reprimeva il disgusto. Quel tizio lo aveva guardato con occhi lubrici che gli avevano fatto venire i brividi. L’esitazione, però, aveva consentito a Sesshomaru di avvicinarsi quanto bastava. Piombò sui due e sferrò un’artigliata micidiale con le sue unghie velenose. Il tipo chiamato Jakotsu si gettò a terra con uno strillo, coprendosi la testa con le mani. L’altro si voltò e parò il colpo con il piatto della sua alabarda. Inuyasha fu sbalordito nel vederlo restare in piedi, seppure con fatica. Sesshomaru, però, non poté continuare il proprio attacco. Dal nulla, infatti, si interposero tra i contendenti tentacoli di una materia informe e scura che si abbatterono su di loro, costringendo Sesshomaru ad arretrare. Inuyasha ne schivò uno per un pelo, poi ne deviò un altro, la cui punta acuminata era diretta al suo petto, con il fodero di Tessaiga. Si fermò di fianco a suo fratello, mentre i tentacoli creavano una barriera tra loro e i fuggitivi, che stavano approfittando del diversivo per dileguarsi, e una risata malefica e inconfondibile si levava nell’aria del mattino.
«Naraku…» ringhiò Inuyasha con odio, riconoscendo senza difficoltà la voce malvagia.
«Ku ku ku! Inuyasha, noto con piacere che quel poco che avevi imparato sull’uso della tua spada è andato perso. Il sonno ha instupidito il tuo semplice cervello? Oppure è stato il trauma del tradimento di quella donna?»
«Taci!» sbottò Inuyasha, zittito dalla stretta micidiale di suo fratello su un braccio. Capì che Sesshomaru non voleva dare a Naraku la soddisfazione di una sua reazione.
«Un incidente davvero poco encomiabile tra una santa miko e quello che dovrebbe incarnare la speranza nel futuro di En. – ridacchiò Naraku, malvagio, nascosto chissà dove – Ti sei rivelato uno sciocco, Inuyasha. Una verità che io ho sempre conosciuto».
«Hai goduto molto delle mie disgrazie. Comincio a pensare che tu ne sia coinvolto» lo provocò Inuyasha, desiderando sopra ogni cosa trovare il maledetto hanyo e farlo a pezzi. Sesshomaru, silenzioso, scrutava il folto con microscopici movimenti delle iridi ambrate.
«Ma davvero? Beh, ti rimarrà il dubbio, visto che a quanto pare la reincarnazione di Kikyo non ricorda nulla».
«Eccolo» mormorò Sesshomaru, scattando verso un albero alla loro destra. Inuyasha non capì come il fratello avesse scovato il nascondiglio dell’hanyo, visto che nell’aria non c’era altro che odore di terra smossa e la voce sembrava provenire magicamente da ogni direzione, ma l’Imperatore di En aveva risorse sorprendenti e quando le sue unghie micidiali recisero la cima di un albero con un sol colpo, una forma avvolta in una pelle bianca di babbuino, da cui si dipartivano i tentacoli di poco prima, saltò via e atterrò non lontano, abbandonando le scomode appendici che si disfecero al suolo.
«Sei tornato a servirti di fantocci, Naraku? La Stella di Gake decade anche senza bisogno del mio intervento?»
«Non cantare vittoria per un minuscolo momento di debolezza. Non sai e non saprai mai dove mi nascondo, e non potrete ricavarne vantaggio. – replicò Naraku, sprezzante – La tua Junan ha imparato a mordere, ma grazie ai miei sottoposti ho potuto prenderle le misure. Non ricapiterà».
«Sarà per questo che non sei ancora riuscito a metterle addosso le tue grinfie!» lo derise Inuyasha, alzando gli artigli, pronto a porre fine a quella sgradevole conversazione.
«I miei sottoposti ci sono andati con la mano troppo leggera, ma Sesshomaru sa bene che cosa accade quando decido di fare sul serio» mormorò Naraku, facendo sentire di nuovo la sua risata malvagia.
«Tu parli troppo» disse Sesshomaru, scattando verso di lui. Naraku balzò all’indietro, sempre ridendo.
«Cosa c’è, Sesshomaru? Ti brucia ancora la morte di quella ragazzina? Non ti facevo tanto sentimentale» disse, sarcastico. Inuyasha partì senza nemmeno pensarci, pieno di furia. Allora era vero: la piccola Rin era stata uccisa da Naraku! Le unghie micidiali di Sesshomaru saettarono nell’aria più volte, riducendo sempre più la distanza dall’odiato nemico, finché non vi fu più spazio perché Naraku indietreggiasse. Gli staccò la testa di netto, ma la risata di Naraku non si spense, come se il maledetto hanyo fosse immortale. Inuyasha gli arrivò addosso in quel momento.
«Artigli di ferro!» esclamò, trapassandogli il petto attraverso la bianca pelliccia. La sua mano incontrò e portò con sé un oggetto duro, che strinse tra le dita e spezzò senza nemmeno pensarci. Attonito, vide il corpo di Naraku disfarsi in pezzi sotto i suoi occhi. La risata si spense di botto e l’aria del mattino fu di nuovo silenziosa, interrotta solo dal canto degli uccelli e dal crepitio delle fiamme poco distante.
«Ma…cosa…» balbettò Inuyasha, guardando la massa di terra che giaceva in mezzo alla pelliccia abbandonata al suolo e i frammenti di legno che ancora teneva in mano. Sembrava avesse spezzato una forma simile a un fantoccio.
«È una vecchia tecnica di Naraku. Durante il tuo sonno, per alcuni anni, è rimasto rintanato a crearsi una forma definitiva. Usava questa magia per guidare i suoi scagnozzi e venire ogni tanto a sfidarmi. – spiegò Sesshomaru, sprezzante – Se è tornato a simili trucchetti, significa che non può uscire dal suo buco. L’equilibrio della sua forma deve essere danneggiato».
«Allora è il momento buono per attaccarlo!» disse Inuyasha, gettando i frammenti di legno.
«Ovvio. Come è ovvio che uno meno stupido di te avrebbe fatto a meno di fargli sapere che Tessaiga non ti risponde più.» fu il gelido rimprovero di suo fratello maggiore. Inuyasha fece una smorfia, sentendolo andare a segno.
«Ha parlato quello che non ha mai saputo usare Tenseiga.» ritorse comunque, acido. Sesshomaru lo fulminò con un’occhiata che avrebbe frantumato le rocce, poi gli voltò le spalle e fece per incamminarsi verso Ojohi. «Non inseguiamo quei due?» chiese Inuyasha, scrutando il folto.
«Saranno loro a tornare, se Naraku non li punirà per il loro fallimento.»
«E…ehm…senti, mi dispiace per Rin. – aggiunse Inuyasha, affiancandoglisi ma senza guardarlo – Posso sapere com’è successo?»
Per un attimo, Sesshomaru non rispose e l’atmosfera si fece così tesa che Inuyasha ebbe l’impressione che volesse aggredirlo. Invece, con una voce che non gli aveva mai sentito se non appena dopo la morte di Inuken, suo fratello disse: «Junan è stata la morte di Rin. Se vuoi maggiori dettagli, chiedi a Jaken. Io ho dimenticato quella notte».
“A me non sembra…” pensò Inuyasha, ma si guardò bene dal dirlo. Avrebbe rifatto le sue domande a Jaken. Ora capiva perché Sesshomaru non aveva tutta questa voglia di riavere Junan: imputava all’Hoshisaki la morte della piccola Rin.
Tornarono indietro, dove i sopravvissuti stavano già iniziando a occuparsi dei defunti e dei feriti più gravi. Miroku e il monaco di rango superiore di Ojohi andarono loro incontro.
«Li avete presi?» chiese Miroku. Inuyasha scosse il capo con una smorfia.
«È intervenuto Naraku…o meglio, un suo fantoccio. Per il momento, quei due sono scappati, qualsiasi cosa fossero».
«Sono state le Hoshisaki di Gake, Vostre Altezze. Naraku ha impiantato nei loro corpi morti due frammenti e le loro abilità sono più che umane, immuni ai nostri poteri. – sospirò il monaco, con un inchino contrito – Per fortuna, siete arrivati prima che la resistenza di Junan cedesse».
«Era sua quella barriera?» chiese Sesshumaru, senza mostrare grande interesse. Il suo sguardo vagava sul massacro e sulla distruzione.
«Sì, Junan-sama…o meglio, Anna-sama ci ha salvati. – sorrise il monaco e Inuyasha pensò di cogliere nella sua voce una nota di affetto che lo stupì – È stato un grande sforzo per lei, non si è ancora del tutto ripresa dallo shock dell’attacco di Naraku e dalla propria trasformazione».
«Trasformazione?! Di che parli, monaco? Non ci hai scritto che si tratta di un neko-yokai?» chiese Inuyasha, perplesso. Vide, in lontananza, Sango e Kirara. Avvertiva il cicaleccio del piccolo kitsune e di Jaken ma non scorgeva né Kagome né la portatrice di Junan, forse nascoste dietro la Cacciatrice e la sua compagna di ventura.
«È una situazione un po’ più complicata di così, purtroppo. Meglio ascoltiate i dettagli prima di fare la sua conoscenza.» disse Miroku, ottenendo finalmente anche l’attenzione di Sesshomaru mentre narrava quel poco che le parole di Kagome e i gesti della nuova arrivata avevano raccontato loro. L’Imperatore di En si incupì nel venire a sapere di avere a che fare con una persona che era stata in grado di sopravvivere a Naraku strappandogli del potere demoniaco e che ora, anche se a fatica e con poca dimestichezza, sapeva dare e togliere energia vitale. Inuyasha, invece, fu sbalordito soprattutto dalla coincidenza legata a Kagome. Anche questa donna veniva da un altro mondo? Nientemeno, era la sorella maggiore della reincarnazione di Kikyo?! La coincidenza era incredibile.
«Andiamo.» disse solo Sesshomaru, avviandosi, quando parve che avessero terminato il racconto. Qualcosa nei suoi occhi parve preoccupare sia Miroku che il monaco di Ojohi, il quale si permise di aggiungere: «Sesshomaru-sama, accogliete una mia preghiera…La portatrice di Junan si trova in un momento di estrema fragilità. È a conoscenza del suo ruolo al vostro fianco, le abbiamo spiegato ogni cosa, ma non è ancora pronta per combattere. Il trauma le ha perfino tolto la parola…»
Inuyasha inalò bruscamente con un sibilo che fece voltare Miroku verso di lui, sorpreso. Al contempo, Sesshomaru si fermò di colpo, costringendo coloro che lo seguivano a caracollare ai suoi lati per evitare di andargli addosso. I suoi occhi d’ambra, brucianti e pericolosi, erano fissi sul monaco con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
«Cos’hai detto?» sibilò, con voce che trasformò il loro sangue in ghiaccio.
«Ella…non parla, Sesshomaru-sama. Il dolore e il trauma della trasformazione le hanno tolto la parola.- mormorò il monaco, che non sapeva a cosa imputare la sensazione di aver messo il piede in una trappola – Proprio per questo vorrei chiedervi di essere…»
Sesshomaru non lo lasciò finire. Partì di gran carriera verso il gruppetto poco distante, costringendoli quasi a correre per stargli dietro.
«Monaco, se stavi per chiedergli di essere gentile, mi sa che ci siamo giocati ogni possibilità» mormorò Inuyasha, preoccupato. La coincidenza era incredibile e triste. Anche la piccola Rin, quando Sesshomaru l’aveva salvata da morte certa dopo un attacco di Gake in cui era deceduta tutta la sua famiglia, aveva perduto la parola. C’era voluto quasi un anno per sbloccarla. Inuyasha ricordò, con una fitta al cuore di cui avrebbe fatto a meno, il giorno in cui erano tornati al castello e la bambina si era catapultata fuori dal portone gridando per la prima volta il nome di Sesshomaru con tutta la gioia possibile a una piccola umana. Temeva che anche suo fratello stesse affrontando lo stesso ricordo.
Quando Sesshomaru giunse vicino al gruppo, Sango e Kirara si spostarono di lato, mostrando loro le due ragazze da un altro mondo. Li guardavano avvicinarsi tenendosi per la vita, come due giovani sperdute…cosa che, in effetti, erano. Kagome li fissava con sfida, come se fosse pronta a difendere la sorella con le unghie e con i denti. Inuyasha, sorprendendo se stesso, avvertì una punta di ammirazione nei suoi confronti. A quella ragazza non mancava il coraggio. L’altra, splendente nei suoi lunghi capelli d’oro, sembrava più ansiosa. Sulla sua fronte spiccava il tatuaggio di una fiamma, al cui centro gli occhi di Inuyasha colsero un bagliore viola. Junan era innestata nel corpo stesso della sua portatrice, come succedeva per la sua Yuuki o la Chinoo di Sesshomaru.
Proprio su quest’ultimo si concentrò lo sguardo della nuova arrivata, con un lampo di speranza che denunciò come il monaco a capo di Ojohi avesse ben seminato in lei aspettativa e rispetto verso il potente Imperatore di En. Inuyasha sperò che Sesshomaru non rovinasse tutto, ma gli bastò un istante per rendersi conto che la speranza era vana.
La giovane bionda venne avanti di un passo, sciogliendosi dall’abbraccio protettivo di Kagome e affrontando Sesshomaru, che si fermò a una certa distanza da lei, il volto marmoreo e privo di qualsiasi espressione. Per un attimo rimasero così, guardandosi in faccia a vicenda in silenzio sotto gli sguardi tesi di tutti. Nemmeno loro avrebbero saputo dire perché quel confronto richiedesse tutta la loro attenzione. L’espressione di Anna era un misto di perplessità, curiosità e speranza. Vedendoli uno davanti all’altra, sembravano l’incarnazione della Luna e del Sole, un contrasto che saltava agli occhi.
Anna allungò una mano. Fu un gesto timido, impacciato, dettato dalla sua incapacità di proferire parola. Voleva creare un contatto ma, come Inuyasha, aveva temuto, non fu imitata da un movimento da parte di Sesshomaru. Tutto, in lui, comunicava un rifiuto. La bella mano bianca rimase, inerte, a tremare in mezzo a loro.
«Né umana, né demone. Un distorto prodotto della magia. – furono le parole di ghiaccio che la colpirono come una sferzata mentre lui la scrutava con i suoi occhi d’ambra, neanche stesse valutando una forma di vita inferiore – Verrai addestrata, donna, visto che Junan ti ha scelta come custode. Evita di starmi tra i piedi. Voi, occupatevi di lei».
Ciò detto, voltò loro le spalle e si allontanò, lasciando la giovane dov’era, umiliata e con un dolore negli occhi che Inuyasha credette di comprendere. Il dolore di chi, fin troppe volte, non è stato accettato. Una mancata appartenenza che lui, da hanyo, conosceva bene.

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Capitolo 15
*** 14 - Donne coraggiose ***


Author’s note: Perdonate il ritardo, la mia salute fa i capricci e a volte mi costringe a rallentare. Ma non mi fermo, state tranquilli! Spero di farmi perdonare con questo capitolo, stanotte ho sognato Sesshomaru (che evidentemente era preoccupato a sua volta dai miei ritardi) e l’ultima parte è venuta giù come uno tsunami! Fatemi sapere che ne pensate!
 
CAPITOLO 14
DONNE CORAGGIOSE
 
«Quindi l’ultima Hoshisaki di Gake l’avrebbe questo ookami-yokai?» brontolò Inuyasha, riassumendo quanto il monaco a capo di Ojohi stava raccontando alla luce del fuoco, fiamme che erano una pallida imitazione delle pire accese durante tutto il giorno per dare onore ai caduti nella battaglia contro gli sgherri di Naraku. Nell’aria c’era ancora un odore che metteva i brividi e Inuyasha era di pessimo umore.
«Koga…sì, credo di averlo sentito nominare almeno una volta. – mormorò Miroku, con una mano sotto al mento – E tu, Sango?»
«Sì, la sua tribù è nomade e viaggia lungo il confine. È un elemento problematico e attaccabrighe, ma non lavora per Naraku. Quantomeno, non l’ha mai fatto fino a questo momento.» disse la giovane cacciatrice, lucidando la propria arma.
«Sesshomaru-sama ne è al corrente e desidera mettere le mani su quel frammento per prevenire Naraku. Purtroppo, anche se Shinsetsu e Junan ci hanno graziato con il loro ritorno a En, sappiamo che l’Hoshisaki della Tenseiga del nostro Imperatore è ancora inerte. In caso contrario, avreste potuto viaggiare fino a Sorayama e porre fine a questo incubo.» sospirò il monaco, accennando a un inchino di scuse nei riguardi di Inuyasha per aver menzionato quella mancanza imbarazzante. Inuyasha stirò le labbra in un sorriso amaro che gli altri interpretarono, a torto, come ironia nei confronti del fratello maggiore. In realtà, l’hanyo pensava al fatto che Tessaiga al momento non era messa meglio. A En mancavano ben due Hoshisaki attive, non una soltanto.
«Sesshomaru-sama è ancora via?» chiese Miroku, guardandosi attorno nel buio.
«Pattugliamento, dice lui. Feh! Allergia alla nuova portatrice di Junan, dico io!» disse Inuyasha, scuotendo la testa. Quel pomeriggio, Inuyasha aveva svolto il ruolo che suo fratello aveva demandato: presa da parte la nuova portatrice di Junan, si era messo a valutare le sue capacità. Era rimasto sordo alle proteste di Kagome, che non voleva vedere la sorella maggiore coinvolta in quella storia, e anche alle richieste del capo monaco di non stancare troppo la neko-yokai, ancora in fase di guarigione e già provata dal combattimento di quella mattina. Inuyasha aveva bisogno di attività ed era sicuro di non essersi ingannato nel vedere una punta di sollievo anche negli occhi della donna bionda al pensiero di avere qualcosa di pratico a cui dedicarsi. Ne era venuto fuori un profilo interessante, dato dal miscuglio tra i poteri demoniaci e quelli di Junan. La neko-yokai sapeva sottrarre le energie vitali e convertirle in colpi micidiali. Un trucchetto che poteva rivelarsi molto utile e che, se ben allenato, l’avrebbe tenuta in vita senza chiedere troppi sforzi di protezione da parte loro. Vista l’attitudine di Sesshomaru, ben diversa da quella tenuta con la piccola Rin, era una buona notizia.
Ora, le due ragazze erano ospitate in una delle baracche ancora in piedi, probabilmente immerse nel sonno. Inuyasha si trovò a pensare agli occhi scuri di rabbia repressa e indignazione della portatrice di Shinsetsu quando aveva ricondotto Anna dal resto del gruppo. Sembrava di potervi vedere dentro una fiamma rovente. Gli piaceva quel lato spontaneo e forte del suo carattere, un calore che Kikyo non aveva mai posseduto, forse soffocato dalle responsabilità e dalla disciplina.
“Ma cosa sto pensando?!” si riscosse, seccato con se stesso. Si alzò di scatto. «Vado a fare quattro passi nei dintorni, nel caso ci sia sfuggito qualche occhio indiscreto. – disse – Voi riposate. Ho la sensazione che domani si partirà per dare la caccia a questo famoso Koga.»
Li lasciò alle proprie spalle, camminando nella notte quasi con furia. Non aveva avuto intenzione di ripensare a Kikyo, ma non riusciva a farne a meno. Naraku, quel giorno, non gli aveva dato alcuna risposta, ma ormai la rabbia e la vergogna in cui l’aveva gettato il tradimento della miko si erano calmate e Inuyasha riusciva a vedere le cose con maggiore chiarezza. Poche cose collimavano con la correttezza estrema, fin marziale, della giovane donna a cui aveva quasi donato il cuore. Kikyo era una prigioniera che con lui…o almeno, con una versione di lui che quasi nessuno aveva mai avuto modo di conoscere, si era aperta rivelando un animo bisognoso di supporto e di affetto, come quello di chiunque. Un animo grande e potente, ma disperatamente solo. Inuyasha conosceva fin troppo bene la solitudine. Tutti lo rispettavano in quanto Principe di En, ma né gli Uomini né i Demoni lo consideravano parte della loro stirpe. Inuyasha, fin da quando aveva perso entrambi i genitori, non si era più sentito parte di nulla e aveva chiuso il proprio cuore a chiave. Tanto, a chi poteva interessare quali fossero i suoi desideri o i suoi sentimenti? A quel ghiacciolo di Sesshomaru, no di certo. A quel petulante galoppino di Jaken? Come no! Kikyo gli aveva dato la speranza di un cambiamento, di un rifugio. Un’illusione spezzata in una notte orribile, forse davvero ordita da quel mostro di Naraku.
Masticando un’imprecazione, Inuyasha accarezzò l’elsa di Tessaiga. Chissà se quella notte avrebbe trovato davvero spie di Gake nei dintorni? Sfogarsi un po’ e rimettere sotto allenamento la propria spada non gli sarebbe dispiaciuto per niente! Fu in quel momento che vide un movimento tra le macerie, una figura sottile e aggraziata che sembrava intenta a raccogliere oggetti da terra e a lanciarli il più lontano possibile. Perplesso, Inuyasha si accorse che si trattava di Kagome. Ristette, incerto sul da farsi, ma alla fine si avvicinò, arrivandole quasi alle spalle prima di annunciare la propria presenza.
«Ehi, si può sapere che stai facendo?» chiese, facendola sobbalzare e lanciare un grido. Kagome si voltò di scatto, le mani sul cuore. In una di esse, teneva un pezzo di legno.
«Vuoi farmi morire d’infarto?! Fatti sentire! È notte e sono quasi morta di paura!» ansimò, gli occhi spalancati per lo spavento.
«Si direbbe piuttosto che tu volessi ammazzare qualcuno. Che stai facendo?» chiese di nuovo Inuyasha, sarcastico.
«Mi sfogo. Non si vede?!» disse lei, bellicosa, quindi tornò a voltarsi e a scagliare il pezzo di legno nel buio. Inuyasha avvertì, incongrua, la voglia di sorridere.
«Non è una cosa piuttosto inutile?» disse.
«Certo! È ovvio! – quasi ruggì lei, voltandosi di nuovo con quelle fiamme brucianti negli occhi, più ardenti delle pire che morivano loro attorno – Ma che altro posso fare, visto che non posso strangolare tuo fratello?!»
«Strangolare mio… - mormorò Inuyasha, sbalordito – Vuoi dire che stai fingendo di colpire Sesshomaru?»
«Gli lancerei sulla testa ogni sasso che vedi qua attorno! – sbottò Kagome, mostrandogli la sua rabbia e la sua indignazione senza filtri, quasi investendolo fisicamente con l’ardore delle proprie emozioni – Ti rendi conto di come ha trattato Anna?! Come si permette? Come ha potuto dirle quelle cose?! Non ha la minima idea di come lei stia male, di quanto l’abbiano sconvolta le disgrazie che le sono accadute. Chi si crede di essere?»
«L’onnipotente Imperatore di En» disse Inuyasha, ripetendo una lezione imparata a proprie spese.
«Beh, al diavolo l’onnipotente Imperatore di En! Avrebbero dovuto sculacciarlo di più quand’era piccolo!» gridò Kagome, furibonda. Inuyasha la guardò con tanto d’occhi, poi stupì perfino se stesso scoppiando a ridere di gusto. La risata lo prese, lo avvolse. Per un po’ non fu in grado di fermarsi e lo sguardo sbalordito e perplesso di Kagome, che non riusciva a capire se lui la stesse prendendo in giro, non contribuì a calmare la sua ilarità. Alla fine, con le mani sulle ginocchia, ancora scosso dagli ultimi singulti, rialzò gli occhi d’ambra su di lei. Kagome parve leggervi qualcosa di lusinghiero, perché arrossì appena.
«Hai un bel fegato, per essere una ningen. – mormorò Inuyasha, ancora senza fiato – Credo che questa cosa mi piaccia.»
Lei avvampò e Inuyasha stesso sentì di essere arrossito per quelle parole facili al fraintendimento. Si schiarì la voce e si rimise dritto, dandosi un contegno.
«E lei che ne dice? È d’accordo con te? Oppure è la dentro a frignare?» chiese, indicando con la testa la baracca dove le due avrebbero dovuto riposare.
«Oh no, Anna non piange mai. – rispose Kagome, con voce in cui si mescolavano tristezza e ammirazione e che lo costrinse a guardarla di nuovo – Non ha pianto quando i suoi genitori l’hanno abbandonata, né quando la zia non si è curata di lei. Ha sempre affrontato le avversità e la solitudine con un sorriso e rimboccandosi le maniche, e sono sicura che lo farà anche questa volta. Lei non mostra le sue ferite. Non è come me, che mi sono subito lasciata prendere dal panico e dalla sofferenza. Quanto mi sento stupida, adesso…Io sono sempre stata amata. Non avrei mai dovuto fuggire dalla mia casa. Se fossi stata più forte e coraggiosa, ora non sarei in questo pasticcio.» Kagome lo guardò, quasi sfidandolo a contraddirla o a fare battute, ma Inuyasha rimase in silenzio. Aveva intuito quell’aspetto del carattere della portatrice di Junan e non si sentiva di fare dell’ironia sugli eventi che avevano portato Kagome a En. Le questioni di famiglia avevano spine che facevano male. Il viso di Kagome si addolcì. «Volevo ringraziarti, Inuyasha» gli disse, spiazzandolo.
«Cosa? Perché?» chiese, sospettoso.
«Oggi hai fatto per lei la cosa più giusta: le hai dato qualcosa su cui concentrarsi, uno scopo da raggiungere. Ho visto la tua espressione, sai? Credo che tu abbia capito come si sentiva.» Si avvicinò e gli tese la mano. «Abbiamo iniziato col piede sbagliato per una serie di motivi, ma penso che dovremmo smetterla di morderci a vicenda. Io non sono Kikyo, qualunque cosa tu pensi di ciò che ti è accaduto in quella notte di cinquant’anni fa, e tu non sei la persona scorbutica e insensibile che vuoi far credere. Penso, anzi, che tu abbia un cuore gentile.»
Stavolta fu Inuyasha ad avvampare. Balbettò qualche scusa o rimostranza, non sapeva nemmeno lui a che scopo. Kagome gli sorrise, inondandolo di un calore dolcissimo che era molto più potente delle fiamme della rabbia che sapevano riempirle gli occhi. E non era dolce anche il profumo che emanava? D’un tratto, sembrava essersi fatto inebriante come un incantesimo.
«Tregua?» gli chiese lei, allungando la mano verso di lui. Inuyasha nemmeno si accorse di alzare la propria e stringere quelle dita delicate. Si muoveva come in stato di stupefazione. Rimasero per un attimo così, con le mani giunte in una stretta calda, quasi rovente, a guardarsi in faccia per davvero forse per la prima volta da quando Inuyasha si era svegliato dalla sua maledizione. Poi, un uccello notturno lanciò il suo lugubre richiamo, spezzando il momento. Inuyasha ritirò la mano e Kagome si guardò attorno, reprimendo un brivido.
«Vai a dormire. Domattina dovremo partire, credo. Andiamo a mettere i bastoni tra le ruote a Naraku.» borbottò Inuyasha.
«Va bene.» disse Kagome, docile, poi alzò gli occhi al cielo notturno «Trovavo un po’ inquietante la vostra luna, ma il cielo notturno così buio e vuoto fa davvero paura. Siamo già alla luna nuova?»
«No, mancano…» Inuyasha incespicò sulle parole, guardando a sua volta il cielo come se si fosse ricordato solo in quel momento qualcosa di importante. «Mancano ancora un paio di notti».
«Beh, sarà sciocco ma spero che la luna torni presto. Non sono abituata a tutta questa immensità. Buonanotte, Inuyasha!»
Ciò detto, Kagome corse via verso la baracca che condivideva con Anna. Inuyasha rimase solo, con una nuova preoccupazione in cuore, chiedendosi se davvero se la sentiva di andare a cercare Jaken per caricarsi anche dei particolari della morte della piccola Rin.
 
***
 
Rin.
Un nome che si rifiutava di pronunciare da cinquant’anni e che non permetteva gli venisse ricordato. Un nome di cui Inuyasha aveva forse il diritto di chiedere la sorte, ma che lui non avrebbe rievocato.
Rin.
Inizialmente aveva cercato di distruggerne anche il ricordo, ma alla fine si era dovuto piegare al fatto che non c’era modo di riuscirci. La figura della piccola Rin, il calore che gli aveva fatto conoscere, il suo sorriso, i sentimenti che aveva risvegliato in un cuore che non aveva mai creduto di possedere, erano marchiati a fuoco dentro di lui e si erano rivelati incancellabili. Aveva salvato quella bambina e l’aveva presa con sé in quanto Portatrice di Junan, senza rendersi conto che la pura dolcezza di quel piccolo sorriso aveva già fatto breccia in lui. L’aveva tenuta cara come qualcosa di fragile e bello, lontana dalla battaglia. Tornare a casa era diventato un rito che lo liberava da ogni stanchezza, da ogni preoccupazione, nel momento in cui lei si precipitava fuori dalla porta del palazzo gridando il suo nome, a braccia spalancate come se volesse contenerlo tutto in un abbraccio grande come il mondo.
La piccola bambina umana si era fatta una ragazzina, man mano il suo corpo si era allungato, la sua voce era diventata un po’ meno infantile, il suo slancio più commovente. Rin si stava trasformando in una donna quando l’orrore era piombato loro addosso e a Sesshomaru non era sfuggito il modo in cui stavano maturando i sentimenti di lei nei suoi confronti. Niente che fosse stato detto a parole o sottolineato da gesti, ma il profumo di lei era cambiato, nel suo sguardo c’era qualcosa che bruciava in profondità. Sesshomaru si era allontanato. Non voleva darle speranze. Non voleva farla soffrire. Forse, non voleva affrontarla. Desiderava che lei rimanesse la bambina di sempre, che tutto fosse immutabile, pur sapendo che gli esseri umani vivono come fiamme in continua evoluzione. Lui non era in grado di amare, non più di quanto già faceva. Non poteva né voleva mettere in discussione se stesso.
Era stata la sua ambiguità a causare la rovina di Rin? Erano stati i suoi nuovi silenzi, la lontananza, le cose non dette a spingerla a credere a quella convocazione nel cuore della notte, quando quella lettera fasulla le aveva prospettato il tanto sospirato viaggio verso la completezza della Hoshisaki di En? Sesshomaru si era tormentato con queste domande per cinquant’anni, sentendosi sempre più colpevole. Naraku aveva messo le sue sporche grinfie su Rin in modo tanto maldestro da ucciderla prima ancora di poter tentare di strapparle Junan dal corpo. Quando Sesshomaru era tornato a Palazzo con il corpo sigillato del fratello minore, aveva trovato Jaken prostrato sul pavimento, tremante e in lacrime, che gli dava la terribile notizia. Non ricordava molto dei giorni a seguire. C’era voluto del tempo perché il Grande Sesshomaru tornasse tale.
Sesshomaru si guardò attorno, riemergendo da una sorta di trance in cui era caduto inoltrandosi nei propri ricordi. La sua imponente forma canina troneggiava su un mucchio di cadaveri di oni di Gake. Aveva addosso il loro sangue puzzolente. Si scrollò, facendo volare gocce scarlatte ovunque fra gli alberi, facendo schioccare le mandibole e annusando l’aria. Si era spinto un po’ troppo oltre il confine, nella sua smania di distruggere qualcosa. Forse era il caso di tornare indietro. L’alba era vicina.
Si voltò e tornò sui suoi passi attraverso la foresta, con un ringhio basso incastrato in gola. Naraku era stato indebolito dalla nuova Junan, i cui poteri si erano rivelati inaspettati. Da cinquant’anni sognava di squartare quel parto deforme della natura e, forse, era finalmente giunto il momento. Se fosse riuscito a liberarsene, avrebbero poi avuto tutto il tempo di cercare una connessione con le Hoshisaki riposte nelle spade paterne. Tenseiga era sempre rimasta silente, ma Tessaiga era tornata nell’oblio dopo un breve periodo in cui Inuyasha era riuscito a brandirla…Non era un buon segno.
Nei pressi di Ojohi, tornò alla sua forma umana. Le sue mani erano ancora macchiate di sangue, che spiccava scuro sulla sua pelle bianca alle prime luci dell’alba. Infastidito, cercò un corso d’acqua in cui lavare via il puzzo di orco. I suoi sensi gli dissero che c’era un torrente non lontano. Vi si recò e si abbassò su un ginocchio sul greto, immergendo le mani nell’acqua gelida e trasparente. Quando si sollevò, le passò sul viso e sul capo, tirando indietro i capelli d’argento. Si corrucciò. C’era odore di essere umano. Qualcuno lo stava spiando.
Quando si voltò, pronto a sferzare con le parole o con le sue unghie micidiali l’eventuale curioso o nemico, il suo volto divenne subito pura pietra. In lontananza, a sbirciarlo con una buona dose di disagio da dietro il tronco di un albero, c’era la persona che meno desiderava vedere in assoluto. I suoi capelli dorati catturavano e rimandavano le prime scintille del sole nascente, creandole attorno una sorta di aura irreale. Il viso era molto pallido e faceva spiccare gli occhi azzurri e la fiamma che conteneva Junan, tatuata sulla fronte. Quella donna era uno strano connubio di potere e debolezza, perché alle fattezze scattanti dello yokai si contrapponevano un vestiario di fortuna che le stava corto, la capigliatura selvaggia, i piedi nudi come quelli di una bambina dispersa.
Il pensiero lo disturbò oltre misura. Sesshomaru camminò spedito verso la giovane donna, che dapprima spalancò gli occhi per la sorpresa e lo spavento, facendo un passo indietro, poi invece reagì e gli si fece incontro. Sesshomaru le passò accanto senza degnarla di una parola o di uno sguardo, superandola come se nemmeno esistesse e lasciandola indietro. Aveva deciso di non avere nulla a che fare con lei e intendeva attenersi a questo proposito. Per lui, era esistita un’unica Junan. Questo ibrido nato da Naraku era solo un contenitore da tenere in vita fino all’unificazione della Stella di En.
La sentì mugolare, un suono soffocato. Per sua fortuna, ancora non riusciva a parlare. Tanto di guadagnato, anche se era un'altra cosa che la accomunava alla piccola Rin e che gli faceva dolere le viscere. I passi affrettati di lei lo seguirono. Non si voltò. Se non aveva ancora capito di dovergli stare lontano, le sarebbe presto stato chiaro, con le buone o con le cattive. Fu sbalordito nel sentirsi tirare con energia per la coda morbida che gli pendeva dalla spalla, un gesto talmente irrispettoso e mai osato prima da chicchessia che Sesshomaru si voltò con un’espressione di indecifrabile stupore e ira. Se quella donna voleva andare all’altro mondo e cedergli subito la sua Junan, stava lastricandosi la strada.
Si trovò davanti un viso non meno irato del suo. Lasciata da parte l’insicurezza, la debolezza, quel dolore che il giorno prima le aveva riempito gli occhi, ora sui tratti di quel volto di donna si leggevano dispetto, rabbia e desiderio di rivalsa. Nelle iridi azzurre bruciava il fuoco sacro di chi si ribella a un’ingiustizia. Non aveva alcuna paura. Sembrava, piuttosto, pronta a venire alle mani. Sesshomaru registrò tutto questo in una frazione di secondo, poi la donna gli piazzò un pezzo di carta a pochi centimetri dal naso. L’Imperatore di En le afferrò il polso in una morsa che avrebbe fatto gridare chiunque ma che non le strappò un gemito, spostandole la mano da quella prossimità non richiesta, ma gli occhi colsero le parole vergate in nero sul foglio.
“Io sono Anna. E voi siete stato un cafone. Nonostante questo, possiamo esserci utili a vicenda. Vi aiuterò, se me ne darete la possibilità.”
Non fece in tempo ad arrabbiarsi ulteriormente che lei liberò il polso dalla sua stretta con una mossa fulminea di cui non la si sarebbe creduta capace e lo sostituì col gambo di un fiore che aveva tenuto nell’altra mano. Dopodiché, con un inchino formale, lo superò e se ne andò, sempre con quelle fiamme orgogliose nello sguardo. Sesshomaru soffocò con uno sforzo l’impulso di seguirla per farle pagare l’affronto, dominato comunque dal desiderio di starle lontano. Guardò con disprezzo ciò che gli aveva depositato in mano.
Un fiore.
Un gelo senza precedenti si fece strada in Sesshomaru, riempiendolo in ogni minimo anfratto, congelando ogni cellula del suo corpo. Era un garofano bianco. Un fiore di fedeltà, ma anche un simbolo dell’amore puro. Questo gli aveva spiegato Rin quando gli aveva consegnato l’ultimo fiore di tanti con cui aveva colorato la sua vita, prima che le loro esistenze venissero separate per sempre. Poteva essere una coincidenza? Una scelta infelice? Oppure…
Si voltò di scatto. Lei era già lontana, avvolta dall’aura d’oro dei suoi capelli. Sesshomaru cercò di frenare la marea di pensieri che gli stavano inondando il cervello, ma era come cercare di fermare il vento. Se Kikyo si era reincarnata nella nuova portatrice di Shinsetsu, forse…
«Rin?» mormorò. Tra le sue dita strette in una morsa, il gambo del garofano si spezzò e il fiore immacolato cadde a terra senza fare rumore.

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Capitolo 16
*** 15 - La tempesta ***


 

Author's note: Lentamente, ma si procede. Facendo danni, per lo più! Buona lettura!

 

CAPITOLO 15

LA TEMPESTA

 

Partirono in tarda mattinata, lasciandosi alle spalle Ojohi e i monaci per dirigersi verso il confine. Seguirono il corso del fiume che scorreva poco lontano e presto il territorio cambiò, facendosi collinare. Il greto scese in profondità, costringendoli a salire lungo sentieri sulle pareti ondulate dei colli, con il corso d'acqua alla loro destra e boschi e rocce alla loro sinistra.

Sesshomaru volava in testa al gruppo, con Jaken aggrappato alla coda, come sempre tenendo a distanza tutti quanti. Poi veniva Inuyasha, che anche quella mattina aveva offerto a Kagome di trasportarla. La ragazza aveva accettato e ora era aggrappata alle sue spalle e scrutava il profilo del Principe di En con un'espressione pensierosa e un po' imbarazzata. Pensava davvero le cose che gli aveva detto la sera prima. Quando Sesshomaru aveva parlato ad Anna, la ragazza aveva visto passare sul volto dell'hanyo una smorfia di sofferenza che dapprima l'aveva stupita e poi quasi commossa. Non solo Inuyasha aveva capito cosa provava Anna in quel momento, ma se ne era sentito partecipe. Kagome non ci aveva mai pensato prima, ma in effetti Inuyasha era un essere che viveva a metà tra due mondi. Con un fratello gelido come Sesshomaru, probabilmente la vita non era stata tutta rosa e fiori per lui. Questo poteva spiegare anche il suo caratteraccio e la propensione a non fidarsi mai di nessuno.

“Eppure, non è cattivo. Il tradimento di Kikyo lo ha fatto soffrire profondamente, ma si sta sforzando di trattarmi in modo meno violento e rancoroso. È una cosa apprezzabile da parte sua. Forse è solo una persona che ha sofferto tanto...” pensò di nuovo. Provare tenerezza per il Principe di En era l'ultima cosa che si aspettava accadesse, ma ora che aveva iniziato a immaginarne la vita passata non riusciva più ad avercela con lui. Gli occhi le caddero sulle orecchie canine dal pelo bianco sulla sua testa e dovette mordersi le labbra per trattenere la voglia di accarezzarle come avrebbe fatto con un cucciolo.

“Attenta a non farti trasportare troppo dalla fantasia, Kagome. Ricordati che è anche un buzzurro e che non è il caso di affezionarsi, visto che presto te ne andrai.” Questa era una grande verità e Kagome si sforzò di tenerla a mente. Si voltò a metà mentre correvano, guardando dietro di sé. Sango e Miroku erano in groppa a Kirara, che correva loro dietro, affiancata da Anna e da Shippo nelle fattezze che gli permettevano di volare. La ragazza si era vestita con un abito di ricambio di Sango, che era di poco più bassa di lei e aveva proporzioni simili, e non sembrava più una creatura sperduta. Correva accanto a Kirara con una velocità che strinse il cuore a Kagome, perché sanciva la nuova natura di yokai della sorella tanto amata. Miroku le aveva avvisate che l'aura di Anna conservava ancora in parte la sua natura umana e che questa avrebbe potuto manifestarsi di quando in quando, come per gli hanyo, ma al momento sua sorella non sembrava meno sovrannaturale di Sesshomaru. Il suo volto era pallido ma in parte rasserenato; prestava orecchio a Miroku, che la intratteneva con un monologo, e alle battute simpatiche del piccolo Shippo. Kagome si stupì nel vedere una punta di dispetto sul volto di Sango, i cui occhi scuri erano fissi sulla testa di Kirara. Forse la Cacciatrice era...gelosa?

Il pensiero la spinse a voltarsi di più per leggere meglio l'espressione dell'amica, ma le braccia di Inuyasha si strinsero e la riavvicinarono alla sua schiena, facendola tornare bruscamente alla realtà.

«Sciocca, hai finito di agitarti? Vuoi cadere?» la sgridò Inuyasha, facendola arrossire.

«Io...no, scusa.» borbottò Kagome, contrita.

«Inuyasha-sama, odio dovervelo ricordare, ma noi umani avremmo bisogno di pranzare!» gridò in quel momento Miroku, dietro di loro. Inuyasha si fermò con una smorfia e Kagome tornò a posare i piedi per terra, imbarazzata. Kirara e Anna si fermarono accanto a loro.

«Va bene, pausa pranzo. Intanto, perderemo Sesshomaru. Quello sicuramente non si ferma per aspettarci» sbuffò Inuyasha, sedendosi a terra a gambe incrociate e lanciando un'occhiata malevola alla figura sempre più lontana di suo fratello. La sagoma bianca era quasi un punto nel cielo, solcato da grandi e pesanti nuvole scure.

«Non credo si presenterà a Koga senza di noi, ma se anche fosse potrebbe solo accelerare i tempi» disse Sango, scendendo dalla groppa della sua compagna e scaricando lo zaino con le provviste.

«Quello lì? Feh! Con la sua diplomazia, capace che troviamo la tribù sterminata oppure decisa ad allearsi a Naraku. Non è esattamente il massimo in queste cose» disse Inuyasha con sarcasmo. Per fortuna, non si accorse dell'occhiata che Sango e Miroku si scambiarono. Il Principe di En non aveva fama di possedere un carattere migliore. Kagome alzò gli occhi al cielo, mentre Sango si faceva aiutare da Anna per confezionare degli involtini di riso e pesce essiccato.

«Speriamo non si metta a piovere...» mormorò. Anna seguì il suo sguardo, poi scrollò il capo come per dirle che la sua speranza era vana.

«Se dovesse piovere troppo, troveremo un riparo e vi passeremo la notte, Kagome-sama, non vi preoccupate. Queste colline sono ancora piene di vecchi templi, nonostante la guerra. Certo, magari dovremo stringerci un pochino...» disse Miroku, con il suo miglior sorriso libertino.

«Oppure sbattere fuori i maschietti e mettere al sicuro le signore» borbottò Sango, lanciandogli un'occhiata malevola.

«Sango! Non faresti mai una cosa simile! Vero? Vero?!» esclamò Miroku, inizialmente fingendo di sentirsi ferito, poi sempre più insistente vedendo che lei lo ignorava apposta, suscitando le risa di Shippo. Solo Kagome si accorse che Inuyasha si era incupito molto. Lo preoccupava così tanto il pensiero di dover perdere tempo lungo la via? O forse temeva che venissero attaccati mentre Sesshomaru era lontano? La mano di Anna si posò sulla sua, facendola sobbalzare. Incrociò lo sguardo interrogativo di quegli occhi azzurri, poi si accorse di aver spappolato tra le dita l'involtino di riso. Le sorrise e cercò di ridargli una forma. Non voleva lasciarsi andare a quelle preoccupazioni. Era circondata da persone addestrate al combattimento e lei aveva un arco e una faretra piena con cui indirizzare il potere di Shinsetsu. Non erano inermi.

Purtroppo, più o meno a metà pomeriggio la cortina delle nubi si aprì, scaricando sulle loro teste dapprima una pioggia fastidiosa e insistente, poi un vero e proprio diluvio. La pioggia cadeva con tanta violenza da creare un rombo costante che riempì le loro orecchie e costrinse Inuyasha a fermarsi, aspettando gli altri.

«Dobbiamo levarci dal sentiero, con questa pioggia è pericoloso!» gridò per farsi sentire. In effetti, erano molto in alto sopra al corso del fiume e il terreno stava velocemente diventando molle di pioggia.

«Cerchiamo di spostarci verso la cima, di solito i templi sono nella zona più alta, rivolta a est!» rispose Miroku, mentre Sango tentava di tenere alto Hiraikotsu in modo da coprire le loro teste da quel diluvio. Shippo tornò nella sua forma originale e si accoccolò in grembo a Sango per approfittare della copertura, starnutendo a raffica. Inuyasha soffocò un'imprecazione ma annuì, poi si tolse la casacca rossa e vi avvolse una stupefatta e grondante Kagome. Il sorriso di Anna a quella vista non contribuì a diminuire il suo imbarazzo.

«Va bene, allora lasciamo il sentiero e andiamo su. Ce la fate a...» iniziò Inuyasha, prima che la foresta vomitasse una quantità incredibile di yokai e oni, che si precipitarono contro di loro. «Cosa...» esclamò l'hanyo, sconvolto. Non aveva sentito alcun odore! Sapeva di essere già affetto da quella debolezza che sempre lo prendeva prima della luna nuova, ma addirittura non avvertire l'odore di così tanti nemici...Con la coda dell'occhio, riuscì a vedere alcuni yokai dalla forma di insetto forbice e imprecò. Quei maledetti esperti nel nascondere odore e aura erano ancora alle dipendenze di Naraku! Ecco perché nessuno di loro aveva avvertito prima l'agguato!

Inuyasha sguainò Tessaiga, ma subito imprecò e la infilò di nuovo nel fodero con un gesto violento e frustrato, ricordando all'ultimo momento di non avere tra le mani la zanna micidiale ereditata dal padre ma una lama debole e inutile. Intanto, Sango aveva già preparato la sua arma e, gridandone il nome, la lanciò nel mucchio, facendo vittime, ma la marea di nemici sembrava aver cancellato l'intero crinale della collina e stava franando loro addosso. Inuyasha si avventò sui più veloci tra loro, dilaniandoli con gli artigli, mentre Shippo cercava di aiutare col proprio fuoco fatuo. Anna si gettò a sua volta nella mischia, pur con la paura negli occhi. Aveva già dovuto combattere fino alla nausea per sopravvivere e sapeva cosa fare.

Miroku lanciò alcuni esorcismi, che colpirono un piccolo numero di demoni, e Kagome incoccò un paio di frecce con mano tremante, infondendo quanto poteva a quegli strali e lanciandoli il più lontano possibile da Inuyasha e Anna. La luce purificatrice di Shinsetsu cadde tra gli assalitori, facendo vittime, ma quella che stava arrivando loro addosso era una vera e propria marea.

«State indietro, apro il Foro del Vento!» gridò Miroku, strappandosi dal polso il rosario e allungando la mano di fronte a sé. Sango recuperò Hirahikotsu e gli lanciò un'occhiata allarmata, sottolineata dal grido di Shippo.

«No, Miroku!» disse il kitsune, aggrappandoglisi alla spalla.

«Devo, Shippo, o stavolta moriamo tutti» disse il monaco con un sorriso amaro.

«Inuyasha, Anna, tornate indietro!» gridò Kagome, correndo verso il mezzo demone e tirandolo per la casacca nel vedere che stava comunque per caricare gli attaccanti con i suoi artigli. Inuyasha fece per liberarsi dalla sua presa, quando il suo equilibrio vacillò, sfiorato dal potere della maledizione di Miroku. Rimase basito e, suo malgrado, orripilato nel vedere il foro nel palmo del giovane uomo, da cui scaturì una forza traente così forte da trascinare verso di lui molti di coloro che li attaccavano. I demoni vennero sollevati e deformati fino a essere risucchiati nel foro. Anna, che non aveva fatto in tempo a liberarsi dai nemici e a ritirarsi, venne sollevata a sua volta ma Sango aveva fatto scendere Kirara quanto bastava da afferrarla per un polso e aiutarla a salire in sella, mettendola in salvo.

I demoni di Naraku, di fronte alla morte ineluttabile all'interno della maledizione di Miroku, iniziarono a scompaginarsi e a cercare di farsi indietro, ma tutto giocava contro di loro. La forza del Foro del Vento, la pioggia battente, il terreno fattosi molle che impediva loro di correre o strisciare in salita per mettersi in salvo.

Fu Sango la prima ad accorgersi che stava per succedere un disastro. Trattenendo il fiato con un ansito, dall'alto della groppa di Kirara vide una mezzaluna del versante fessurarsi, staccarsi e iniziare a rovinare a valle.

«Sta franando!» gridò con quanto fiato aveva in gola, facendo sobbalzare Anna alle sue spalle «Miroku, chiudi subito il Foro! Scappate!»

Il monaco, però, sembrava insensibile agli stimoli esterni, chiuso in un mondo di sofferenza cui resisteva con la sola forza di volontà. Inuyasha, imprecando, lasciò Kagome e si gettò alle spalle di Miroku, afferrandogli il braccio e consentendo così al piccolo Shippo di allungarsi oltre la spalla dell'amico e intrecciare il rosario alle sue dita senza rischiare di essere risucchiato. Non appena il foro si chiuse, Miroku vomitò sangue sulla propria tunica e si accasciò nella presa di Inuyasha, privo di sensi. Intanto, terra, alberi e nemici franavano loro addosso: era una questione di secondi. Kagome gridò, terrorizzata, mettendosi a correre verso di loro.

«Cacciatrice, tiralo su! Sbrigati!» gridò Inuyasha, sollevando il corpo incosciente di Miroku perché le due donne potessero issarlo sulla groppa di Kirara. Shippo si trasformò, soffocando i propri gemiti di panico, e si caricò del peso dell'amico per sollevarlo più in fretta. Inuyasha, allora, si voltò verso Kagome per caricarsela in spalla e tentare di correre sopra alla frana, in un disperato tentativo di uscirne vivi. Capì subito che era troppo tardi.

Colpito dalla marea di demoni urlanti e dal peso della terra fradicia, il terreno franò sotto i piedi di Kagome, che fece appena in tempo a lanciare a Inuyasha uno sguardo terrorizzato prima di iniziare a precipitare nella sottostante scarpata.

«Kagome!» gridò Sango, terrorizzata, sapendo di non poter fare nulla se non voleva avere sulla coscienza anche Miroku. Shippo, infatti, era già al limite e Kirara non poteva portare più di tre persone. Anna, dietro di lei, la sorprese gettandosi di sotto senza pensarci due volte, con un'espressione tremenda sul volto. Cercò di trattenerla per evitarle un suicidio, ma riuscì appena a sfiorarle i capelli biondi. La neko-yokai, però, non aveva speranza di raggiungere Kagome in tempo. Inuyasha sì.

Nemmeno formulò il pensiero che già era scattato in una corsa per la vita, i piedi che volavano sul fango, gli occhi ambrati fissi su quel volto, su quelle mani protese, sui capelli appesantiti dalla pioggia che le si allargavano a corona attorno alla testa, l'ultima cosa a sparire oltre il baratro. Si tuffò, mentre dietro di lui tutto crollava e fango e demoni urlanti cadevano loro dietro, minacciando di seppellirli. Le afferrò una mano, se la tirò addosso con tutta la forza che aveva e la strinse al petto, avvitandosi in aria per fare in modo di essere il primo a impattare contro l'acqua sotto di loro. Per questo, fece in tempo a vedere per un attimo la morte certa che stava loro piombando addosso. Poi, vi fu un lampo accecante di luce azzurra e ciò che stava cadendo sulle loro teste venne polverizzato all'istante. Un altro colpo e il fronte della frana venne deviato con violenza più a monte, perdendo velocità. Fu l'ultima cosa che Inuyasha vide, prima di colpire l'acqua con un botto tremendo e di essere trascinato insieme a Kagome lungo il corso impetuoso del fiume.

***

«Kagome! Inuyasha!» gridò Sango, in ginocchio nel fango, con l'acqua che le gocciolava sul volto. Tremava e non solo perché era fradicia. Il Principe di En e la Portatrice di Shinsetsu erano appena scomparsi nella corrente del fiume. Miroku era accasciato sulla groppa di Kirara, pallido come un morto, con la bocca sporca di sangue. Shippo lo chiamava con gemiti addolorati alternati ai singhiozzi. In pochi istanti, sembrava che tutte le speranze di En si fossero infrante. Stranita, Sango si voltò verso il monaco e gli prese il volto tra le mani.

«Miroku...Miroku, ti prego, riprenditi» gli disse, senza nemmeno accorgersi di chiamarlo per nome senza titoli onorifici «Miroku, non lasciarci anche tu...»

Il volto del giovane uomo non ebbe un guizzo. Era freddo e respirava appena. Sango ebbe per un attimo la visione del momento in cui aveva ritrovato suo fratello Sota dopo l'orribile esperimento di Naraku e sentì crescere in gola un grido da folle, che si sforzò di trattenere. Sobbalzò quando le giunse all'orecchio il suono di piedi leggeri in corsa sull'acqua e Kirara si voltò. Seguendo il suo sguardo, Sango vide Anna venire loro incontro. La yokai aveva cercato di salvare gli amici usando tutta la sua energia per distruggere i messi di Naraku e fermare la frana. Poi, si era dedicata a finire i pochi superstiti ma Sango l'aveva perfino dimenticata nella sua preoccupazione per il monaco. La donna bionda arrivò quasi in scivolata al suo fianco, cadendo in ginocchio. L'aria attorno a lei vibrava, i suoi occhi erano splendenti in modo non umano. Anche il suo viso era più affilato e micidiale.

«Cos'hai fatto, Anna? Che ti è...» iniziò Sango, tornando parzialmente alla realtà. Non le si poteva stare vicino, da tanta energia le vorticava dentro e fuori dal corpo. Capì quando Anna le tolse le mani dal volto di Miroku per sostituirle con le proprie. L'Hoshisaki sulla sua fronte si illuminò di viola e l'energia passò lentamente da Anna a Miroku, che iniziò a prendere respiri più profondi e meno contratti. Un brivido lo scosse dalla testa ai piedi, tossì, riprese a respirare. Dopo qualche minuto, Anna tirò via le mani e alzò due dita in segno di vittoria, con un sorriso incerto. L'energia in eccesso era sparita.

«Lo hai salvato?» chiese Shippo, con voce tremante. Anna fece un gesto come per dire: «Lo spero».

Sango avvertì le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò. Non poteva né voleva capire quell'enorme senso di sollievo che l'aveva invasa. Anzi, ne sentì il peso, visto che la situazione era tutt'altro che rosea. Si alzò in piedi, afferrando Hiraikotsu.

«Anna, Shippo, voi restate con Miroku. Io vado con Kirara a cercare Inuyasha-sama e Kagome» disse, decisa. Anna scosse la testa e la afferrò per un braccio, trattenendola. «Devo andare! Bisogna trovarli prima che succeda loro qualcosa! E se...se malauguratamente...» deglutì a fatica «Le Hoshisaki potrebbero ancora essere con loro. È mio dovere accertarmene e, se necessario, portarle a Sesshomaru-sama».

A quelle parole dal sapore orribile, sia Shippo che Anna impallidirono, ma la yokai insistette nel negare e nel trattenerla, emettendo mugolii sempre più disperati e frustrati. Si vedeva che cercava in tutti i modi di recuperare la parola, che ancora non voleva risponderle. Erano comunque i primi suoni che Sango le sentiva fare. Con un ringhio di rabbia pura, Anna pestò un piede a terra, sollevando fango, poi si gettò di nuovo in ginocchio e prese a scarabocchiare col dito nella melma.

Scrisse in qualche modo il nome di Inuyasha e Kagome e li riunì in un cerchio, poi li guardò con quegli occhi che sembravano perforare l'anima altrui e alzò il pollice. Indicò Miroku.

«Mi stai dicendo che dovrei fidarmi di Inuyasha-sama e occuparmi di Miroku?» chiese la Cacciatrice, perplessa. Anna annuì. «Ma qua attorno potrebbero esserci altri scagnozzi di Naraku! Se quei due sono feriti...» protestò.

«Anna non ha tutti i torti.» intervenne Shippo «Se in giro ci sono ancora scagnozzi di Naraku, per loro sarebbe molto facile vederti volare lungo il fiume con Kirara e seguirti per arrivare a Kagome e Inuyasha-sama. Non potresti occupartene da sola». Sango spalancò gli occhi scuri e fece una smorfia. Era in effetti un rischio, ma bastava per trattenerla dall'andare a cercare i due dispersi, che forse avevano bisogno d'aiuto? Anna parve leggerle quell'enorme dubbio negli occhi. Si alzò, si posò una mano sul petto lasciandovi una macchia di fango, poi indicò il cielo davanti a loro, in lontananza.

«Vuoi andare a chiamare Sesshomaru-sama?» Sango ebbe un'illuminazione. In effetti, Sesshomaru-sama avrebbe potuto risolvere tutto al più presto. Se solo non fosse andato avanti in volo...Anna, però, aveva la velocità e il fiuto di uno yokai e poteva raggiungerlo. Sango ristette ancora per un istante, immobile sotto la pioggia, poi il suo senso pratico prese il sopravvento e annuì con decisione. Si rimise l'Hiraikotsu in spalla.

«Va bene, mi fiderò di te» disse, scambiando con lei uno sguardo franco «Io e Shippo portiamo Miroku al tempio in cima alla collina, sempre che ci sia ancora. Tu corri da Sesshomaru-sama e digli di Kagome e Inuyasha-sama. Attenderemo qui di riunirci a voi».

Anna mosse il capo in un cenno affermativo, poi scattò in una corsa agile e veloce nella pioggia, saltando con destrezza i cumuli della frana e dei cadaveri per sparire al di là di essi, nella luce del pomeriggio che si faceva sempre più cupa.

«Mi fiderò di te» mormorò ancora la Cacciatrice, ammirando suo malgrado il coraggio incosciente della straniera.

«Sango, Miroku scotta» disse il kitsune, preoccupato, poi starnutì.

«Andiamo subito a cercare un riparo, Shippo.» rispose Sango, salendo in groppa a Kirara e passando un braccio intorno alla vita di Miroku per tenerlo in equilibrio mentre si sollevavano in aria «A questo punto, non possiamo fare altro che riporre le nostre speranze in Anna e Sesshomaru-sama».

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Capitolo 17
*** 16 - Sentimenti senza voce ***


Author’s note: i personaggi mi stanno dando delle preoccupazioni, ma ho in mente parecchie scene interessanti per i capitoli a venire, quindi…”Hoshisaki” non va in vacanza!
 
CAPITOLO 16
SENTIMENTI SENZA VOCE
 
La pioggia continuava a schiaffeggiarle il volto e il fango le scivolava sotto i piedi, mentre correva nel tardo pomeriggio che si faceva sempre più buio. Ansimava appena, conscia che in quel momento doveva ringraziare la sua nuova natura di yokai se la fatica non l’aveva ancora portata alla resa o a gettarsi in un angolo a vomitare tutto ciò che il suo stomaco conteneva. Correva veloce, cercando di non badare alla sensazione di freddo che si stava facendo strada dentro di lei. Non era solo un effetto della pioggia battente e nemmeno l’energia rubata che la stava lasciando col prolungarsi degli sforzi. Era paura per la sorte di Kagome, anche se il fatto che quel Principe burbero si fosse gettato senza esitazione insieme a lei le dava una speranza. Era il gelido terrore che aveva in corpo fin dalla notte in cui quel mostro chiamato Naraku aveva cercato di ucciderla e l’Hoshisaki sulla sua fronte l’aveva trasformata, distruggendole la vita.
“Dovresti esserci abituata” le disse una vocina sarcastica, e Anna strinse i denti. Aveva sempre combattuto. Ogni volta che era stata abbandonata, ogni volta che la sua persona e i suoi sogni erano stati negati, aveva lottato per riemergere, per affermarsi e costruirsi un po’ di felicità. Kagome e la sua famiglia l’avevano aiutata e di recente, per quanto vivere sola le facesse paura, aveva pensato di essere sulla strada giusta verso un’esistenza serena. L’immagine del suo piccolo appartamento, degli oggetti cari, dei suoi libri, dei fiori di cui si occupava al negozio, fece capolino per tormentarla.
Aveva perso tutto, lo sapeva. La sua nuova forma non le concedeva di tornare indietro, era ormai obbligata a vivere in quel mondo estraneo e pericoloso. Non aveva fatto scenate, al suo risveglio tra i monaci di Ojohi: per una volta, aveva deciso di non combattere. Si era arresa all’evidenza. La sua voce aveva gettato la spugna a sua volta, scomparsa come se non avesse mai imparato a parlare. Aveva accettato passivamente il suo nuovo ruolo e atteso l’arrivo del tanto stimato Imperatore di En, imparando a memoria la storia delle Hoshisaki e ciò che ci si aspettava che facesse. Forse, qualcuno poteva aver bisogno di lei, in questo strano mondo. Forse, qualcuno avrebbe accolto quella nuova Anna e le avrebbe dato un posto dove stare.
Invece, un altro rifiuto. Netto, reciso, senza appello. Se quella mattina Anna non fosse stata piena di gioia per aver potuto riabbracciare Kagome e aver saputo che stava bene, forse sarebbe crollata sotto lo sguardo gelido e sprezzante di quegli occhi d’ambra. Nessun posto per Anna, nemmeno da yokai. L’Imperatore di En, la cui straordinaria bellezza e la cui personalità imponente erano riusciti per un attimo a incantarla, non la voleva, nemmeno in nome di quell’Hoshisaki che portava sulla fronte. Più tardi aveva colto certe conversazioni e ne aveva intuito il motivo, ma questo non cambiava la situazione. Anzi, la peggiorava. Non sapeva nemmeno lei come le fosse passato per la mente di sfidarlo, ma non aveva saputo trattenersi. D’improvviso, la rabbia e il senso di impotenza avevano scoperchiato in lei l’istinto alla ribellione. Ancora non conosceva la reazione di lui alla sua presa di posizione di quella mattina e all’offerta dei propri servigi simboleggiata dal fiore che aveva scelto.
Anna saltò un albero caduto sul sentiero, poi si voltò verso sinistra, sospettosa. Aveva l’impressione di essere seguita, ma non avvertiva alcun odore. L’attacco precedente era stato coperto da yokai in grado di cancellare la propria presenza e quella altrui, quindi forse…La yokai bionda strinse i denti e alzò gli occhi al cielo che andava facendosi sempre più scuro per la sera imminente. Lo vedeva, una minuscola forma bianca in lontananza. Era fermo, in piedi sulle alte rocce di una montagna dall’altra parte del corso d’acqua, un paio di cime più in là. Era troppo lontano perché Anna riuscisse a capire da che parte stesse guardando.
“Accorgiti di me, per favore! Dobbiamo aiutare Kagome e Inuyasha-sama!” pensò. Solo un mugolio informe le uscì di bocca, riempiendola di una frustrazione tale da farle stringere i pugni e ferirsi i palmi con le lunghe unghie. Doveva parlare! Doveva chiamarlo! Perché quella maledetta voce non voleva uscirle di bocca?! Eppure era così facile: Sesshomaru-sama. Sesshomaru-sama! Un nome non comune ma che, lo sentiva, si sarebbe adattato perfettamente alle sue labbra.
Il pensiero le fece fare una smorfia e Anna si fermò un istante, barcollando per la brusca carenza di energia, una mano sulla fronte. Non voleva credere di essere la reincarnazione di qualcuno. Non si sarebbe arresa a questo genere di sensazioni, ma restava che doveva trovare il modo di comunicare. Altrimenti, come far capire al gelido Imperatore di En che suo fratello e Kagome erano caduti nel fiume e dispersi più a valle? Voleva scrivere nel fango un’altra volta?
Rimase per un attimo ferma nella pioggia, gli occhi fissi sulla sagoma bianca, sperando con tutto il suo cuore di essere notata. Per quanto poteva giudicare, non avvenne. Avvertì una sorda ira nel ventre. Possibile che non fosse minimamente preoccupato per il suo seguito?! Era così cocciuto nel guardare di fronte a sé da non accorgersi nemmeno di chi aveva attorno? Davvero una bella persona, il grande Imperatore di En! Un cafone testardo, un ghiacciolo anaffettivo!
«Mmmnnhhh…» mugolò Anna, stringendo i denti e riprendendo a correre. Era davvero inseguita. Stavolta era riuscita a sentirli riprendere a correre nel bosco non appena si era mossa. Gli alberi in cima alla collina non oscillavano a ritmo con le folate di vento, ma sotto la spinta di qualcosa che scendeva verso di lei. Altre creature dovevano essere state in agguato. Saltò un punto in cui il terreno smosso era franato, interrompendo la via. Accolse l’improvvisa rabbia verso il demone bianco come un’amica, se ne riempì, lasciò che bruciasse le energie che le erano rimaste e le inondasse la mente. Non si accorse della distorta luce viola che iniziò a illuminare la sua Hoshisaki, né del fatto che i suoi tratti si andavano facendo più ferini, come se stesse per trasformarsi di nuovo nella belva che non ricordava di aver incarnato per qualche giorno, nella sua fuga disperata dagli yokai che cercavano di ucciderla.
«S…S…» sibilò, sentendo che il nome continuava a fermarsi in gola come un boccone che non voleva andare né su né giù. Non si accorse di avere le lacrime agli occhi. Sapeva solo due cose: doveva chiamare l’Imperatore di En e non aveva molto tempo, perché una nuova squadra di nemici stava per convergere su di lei e attaccarla. Da sola, non aveva alcuna certezza di farcela.
Alzò di nuovo lo sguardo. Voleva raggiungerlo. Voleva disperatamente che si voltasse verso di lei.
«Se…sa…ma» riuscì ad articolare. La sua vista fu per un attimo piena di fiori di ciliegio, di una luce viola e arcana. Il suo cuore perse un battito, afflitto da una mancanza indicibile. Avvertì qualcosa rompersi dentro di lei, una specie di resistenza. L’energia fluì nel suo corpo senza ostacoli, come un fiume in piena, riempiendole il petto e sgorgando dalla sua bocca, sonora come un tuono, come il rombo di una cascata.
«SESSHOMARU-SAMA!» gridò, nello stesso momento in cui gli scagnozzi di Naraku uscivano allo scoperto per fermarla. Avevano atteso che si stancasse, ma nessuno si era aspettato che potesse attirare l’attenzione del ben più temibile Imperatore di En e non c’era stato bisogno di consultarsi per decidere di farla fuori prima che l’inu-yokai tornasse sui suoi passi. Quella che si voltò verso di loro non era più una donna bionda e stanca, ma una neko-yokai semi-trasformata con un'immensa fame di energia.
Era rallentata dalla debolezza, ancora goffa nei movimenti che fino a qualche giorno prima le erano estranei, ma la guidavano l’istinto e la terribile necessità di nuova energia, perciò diede loro filo da torcere. Qualcuno riuscì a colpirla, anche a ferirla, ma coloro che ci provarono pagarono con la perdita di gran parte della propria energia o della vita. Si risolsero ad attaccarla tutti insieme, prima che potesse usare di nuovo il trucchetto con cui aveva sbaragliato i precedenti agguati, ma quando si avventarono come un’unica massa mortale su di lei una sagoma bianca si stagliò nella penombra della sera incombente e piombò in mezzo a loro, facendo strage.
Stravolta, con il sangue che le pulsava nelle membra per il desiderio di altra energia, Anna rimase a guardare la carneficina operata dall’Imperatore di En con il solo uso delle sue unghie micidiali, mentre un ansimante Jaken si piazzava di fronte a lei alzando il suo particolare bastone con fare protettivo.
«Si può sapere che è successo?» le chiese, voltandosi a metà «Ti abbiamo sentito sgolarti sul nome di Sesshomaru-sama, quando in teoria fino a stamattina non riuscivi a parlare, e adesso ti troviamo sola e attaccata da…»
Anna non fece in tempo a rispondere. Sesshomaru aveva ucciso o messo in fuga tutti gli assalitori e ora si era voltato verso di loro, le mani lorde di sangue. Il suo sguardo duro zittì Jaken e si appuntò sul volto pallido di Anna.
«Cosa sta succedendo, donna?» chiese, brusco. Anna aprì la bocca e per un attimo fu certa di aver perso di nuovo la voce, di non poter parlare in alcun modo finché stava sotto il gelido esame di quegli occhi d’ambra, ma il suo redivivo spirito si ribellò e riuscì a spremersi di bocca le parole fondamentali.
«Kagome e…Inuyasha…sama» disse, con una voce che, seppur rauca e incerta, li stupì per la sua bellezza «Sono…caduti nel…fiume. Sono…dispersi».
***
Nell'antro in cui erano riuniti vigeva un silenzio assoluto.
Kagura era seduta su una roccia, il ventaglio appoggiato sulle labbra. Sul suo volto non si leggeva alcuna espressione, ma bruciava dal desiderio di capire quanto stesse accadendo dai suoni ovattati che giungevano dal fondo della grotta. Bankotsu schiacciava un pisolino o quantomeno fingeva di dormire. Secondo Kagura, era ben poco probabile che si disinteressasse tanto alla situazione, soprattutto contando quanto ancora gli seccava non essere riuscito a portare a termine la missione assegnatagli. Lui e il suo insopportabile compare erano stati puniti, anche se non con la severità che Kagura si sarebbe attesa. Jakotsu, che fino a qualche momento prima aveva tentato di esercitarsi con la Jakotsuha anche solo per passare il tempo e sfogare il nervosismo, era stato ridotto a più miti consigli dall'occhiata terribile che Naraku gli aveva scoccato dall'alone di luce che avvolgeva lo specchio di Kanna.
Nessuno dei presenti osava fare domande al loro signore e padrone, i cui occhi rossi erano fissi sulle immagini che Kanna gli stava mostrando dalla cima di una collina su cui era stata fatta scattare una trappola di grandi dimensioni.
“Mi scoccia ammetterlo, ma stavolta Sesshomaru si è fatto infinocchiare” pensò la yokai del vento, senza che il suo dispetto trasparisse sui tratti del volto. Naraku aveva fretta di liberarsi della nuova portatrice di Junan prima che venisse addestrata all'uso del proprio potere o che potesse allacciare il legame con le Hoshisaki di Sesshomaru, perciò, pur essendo stato costretto a ritirare Bankotsu e Jakotsu per non giocarseli inutilmente, aveva sguinzagliato un'armata di considerevole dimensione sulla via che avrebbe condotto i suoi nemici dal possessore dell'ultima Hoshisaki di Gake. Naraku aveva puntato sull'indipendenza cocciuta di Sesshomaru per attaccare tutti gli altri seccatori, approfittando del fatto che Inuyasha, a quanto pareva, non era più in grado di usare la sua Tessaiga.
I suoni provenienti dallo specchio e una brevissima parvenza di sorriso sul volto diabolico dell'hanyo avevano fatto intuire a Kagura che almeno una parte del piano era andata a buon fine, ma lo spettacolo stava andando avanti più del previsto e iniziava a chiedersi se qualcosa non fosse andato storto. Naraku non sembrava contrariato, ma l'operazione stava durando troppo. Anche Kanna iniziava a essere stanca, Kagura lo capiva anche senza che la bambina albina lo manifestasse.
In quel momento, si udì il nome di Sesshomaru gridato da una voce di donna. Se Kagura avesse avuto in petto un cuore vero e proprio e non una maledetta Hoshisaki, probabilmente lo avrebbe sentito sobbalzare. Così, l'Imperatore di En era stato chiamato in causa, alla fine, quindi il piano non si era realizzato proprio alla perfezione. Inoltre, se non si sbagliava quella era la voce della testarda umana che aveva rubato il potere di Naraku. Non le piacque che avesse ritrovato la voce, né che chiamasse il suo nuovo padrone con tanta appassionata veemenza.
“Gelosa, Kagura? Sei patetica” si disse. Le sue labbra dipinte di rosso ebbero un guizzo, ma nessuno se ne accorse. Quella donna era legata a Sesshomaru, Kagura lo sapeva, ma il pensiero le faceva maledire tutta quella storia delle Hoshisaki con odio ancora maggiore.
«Per ora basta così, Kanna» disse Naraku, e la bambina albina abbassò lo specchio e si mise da parte, senza un lamento. Naraku si fece avanti nella luce incerta delle torce, un corpo ancora instabile e orribile a vedersi.
«Allora? Sono riusciti a far fuori qualcuno?» chiese Kagura, sollevando un sopracciglio.
«Il monaco sta tirando le cuoia. La Cacciatrice l’ha portato in un tempio in rovina, ma sono circondati e non verranno aiutati in tempo. Inuyasha si è buttato nel fiume per salvare la reincarnazione di Kikyo, al momento non hanno saputo dirmi se sia vivo o morto.» riassunse Naraku, corrucciandosi lievemente «Quella piattola che non vuole morire ha seguito Sesshomaru ed è riuscita a farsi salvare un’altra volta».
«È proprio aggrappata alla vita, eh?» fu il sarcastico commento di Kagura. Naraku non le diede attenzione.
«Bankotsu, Jakotsu.» chiamò, ottenendo subito l’attenzione di entrambi e svelando la falsità del sonno di Bankotsu «Andate a trovare la tribù di Koga. È ora di sistemare questa faccenda una volta per tutte».
«Pensavo ci avresti mandato a cercare il cadavere di Inuyasha» disse Bankotsu.
«O a renderlo tale nel caso sia ancora vivo» aggiunse Jakotsu, con un fremito di piacere. Quel poco che aveva potuto vedere del Principe di En lo aveva acceso più di tutte le sue passioni precedenti.
«Ho già sguinzagliato i Saimyosho per questa ricerca, saranno certo più efficaci di voi» li censurò Naraku «Ammazzate Koga e portatemi la sua Hoshisaki. Non abbiamo più tempo da sprecare con quell’ookami-yokai. In quanto a te, Kagura…»
«Sì?» chiese lei, imbronciata. Non le piaceva lo sguardo di Naraku su di lei. Celava troppi pensieri. Il Signore di Gake era preoccupato, la demone del vento ne era certa. Troppe coincidenze stavano facendo pendere la bilancia a favore di En e Naraku non aveva intenzione di attendere che Sesshomaru e Inuyasha attivassero tutte le loro Hoshisaki e lo fregassero sul tempo.
«Vai a finire il tuo lavoro. Uccidi quella donna.» le ordinò. Kagura spalancò appena gli occhi.
«Ma…è con Sesshomaru.» quasi balbettò. Naraku la teneva il più lontano possibile da lui da un sacco di tempo.
«Lo so. Mi stai dicendo che non puoi farlo? Proprio tu, che hai la possibilità di colpirla senza farti toccare? Hai forse paura di rivedere l’Imperatore di En?» la schernì Naraku. Kagura si alzò, furibonda, sentendosi addosso lo sguardo derisorio di Jakotsu.
«Valutavo soltanto la tua improvvisa inversione di condotta.» disse, aspra, voltandogli le spalle «Certo che ci vado. Se credi che io abbia paura di quella tizia, ti sbagli di grosso!»
Naraku osservò Kagura uscire dalla grotta a passo di marcia, con un sorrisetto micidiale.
«E con questa azione ti guadagnerai l’odio imperituro di Sesshomaru, mia cara Kagura, così da cancellarti ogni grillo da quella testa vuota.» sussurrò, poi i suoi occhi si spostarono sui due Shichinin-Tai «Ancora qui? Mi sembra di avervi dato un ordine».
Bankotsu e Jakotsu se ne andarono senza fiatare. Kanna rimase nell’ombra e, se anche la sfiorò un pensiero su quanto stava accadendo, nulla sul suo piccolo viso lo manifestò.
***
Kagome si svegliò a fatica, avvertendo dolore in tutto il corpo e un peso opprimente sul petto, che le faceva mancare il respiro. Gemette, poi fu scossa da un brivido dalla testa ai piedi. Aveva freddo. Non si sentiva le dita delle mani né dei piedi. Le sue palpebre tentarono un paio di volte di aprirsi, mentre la mente confusa cercava di riannodare i fili della memoria e capire cosa fosse successo.
I suoi occhi risposero allo stimolo prima della mente. Quando si aprirono, il buio completo continuò a farla da padrone, trasmettendole un’ondata di panico. Soffocò un singhiozzo, tentando di alzarsi, impossibilitata a farlo dal peso che le gravava addosso. Il movimento, però, spostò appena quel peso alla sua destra. Qualcosa le sfiorò il mento e le labbra: capelli umidi. La sua mente si sbloccò.
Era caduta nel fiume. Una marea di scagnozzi di Naraku li aveva attaccati ed era iniziata una battaglia sotto la pioggia scrosciante. Poi, il sentiero era crollato, trascinandola con sé e facendola precipitare. Inuyasha si era lanciato verso di lei, prendendola tra le braccia. Ricordava il lampo di luce del nuovo potere di Anna, il movimento del Principe di En che si interponeva tra lei e la superficie turbolenta del fiume, un’ultima immagine del suo volto concentrato e dell’acqua minacciosa a cui andavano incontro. Poi, una botta fragorosa, la corrente che li trascinava via tra corpi e detriti. L’incoscienza.
«Inu…yasha…» balbettò, usando tutte le forze che riuscì a racimolare per alzarsi sui gomiti. Lo sentì scivolare al suo fianco, liberandole il petto, ma non ottenne risposta. La cosa la terrorizzò. Era notte, quindi dovevano essere passate ore dalla loro caduta. Il fiume era poco distante, lo sentiva, perciò Inuyasha era riuscito a trascinarla fuori dalla corrente e a metterla in salvo poco distante. Ma lui? Perché ora non rispondeva?
«Inuyasha! Inuyasha?!» lo chiamò ancora, febbrile, allungando le mani per cercare il suo viso. Lo trovò e si spaventò per quanto era caldo, in contrasto con i capelli bagnati. Avvertiva il suo respiro sulla pelle, quindi era vivo, ma di certo non stava bene. Anche gli hanyo potevano ammalarsi? Pareva di sì.
«Inuyasha, ti prego, dimmi che cos’hai…» gemette. Le sue mani gli toccarono la nuca, il collo, il petto, cercando eventuali ferite nel buio. Quando gli sfiorò la schiena, Inuyasha lanciò un gemito che la fece rabbrividire. Ma certo…era caduto nell’acqua di schiena, doveva essere stato ferito dalle rocce sul fondo oppure da qualche nemico sopravvissuto. Kagome cercò con movimenti goffi e frenetici l’Hoshisaki che portava al collo.
«Guariscilo! Shinsetsu, per favore, fai qualcosa!» gemette, disperata. Non si era mai sentita così colpevole, anche se sapeva di essere vittima della situazione quanto Inuyasha. Non si aspettava che lui rischiasse tanto per salvarla e non si sarebbe mai perdonata se gli fosse accaduta una tragedia. La Punta di Stella tra le sue dita reagì immediatamente alla profondità del suo desiderio. Si illuminò di una gentile luce viola, permettendole di vedere il corpo sdraiato di Inuyasha e le ferite che aveva sulla schiena, dove la leggera stoffa bianca della veste era stata lacerata. Si tolse il pendente dal collo e lo avvicinò a quelle ferite, pregando con tutto il cuore di poterlo guarire. Lentamente, gli squarci iniziarono a chiudersi e il respiro del Principe di En divenne meno rarefatto e faticoso. Solo quando avvertì un capogiro tale da doversi reggere con entrambe le mani, Kagome smise di usare il potere dell’Hoshisaki. Non lo aveva guarito del tutto, ma lo aveva salvato. Poteva continuare più tardi, dopo aver riposato ancora un po’.
«Inuyasha, svegliati.» mormorò con un sorriso tremante, allungando il pendente verso il viso dell’hanyo per fargli luce «Ora va tutto bene, sei…»
Le parole le morirono in gola. La sua mente aveva registrato con forte ritardo un paio di dettagli fondamentali. Il volto di Inuyasha era incorniciato da capelli di un nero puro, perfetto, che giacevano arruffati oltre la sua spalla, sull’erba. In cima alla sua testa, erano scomparse le orecchie canine, sostituite da normali e proporzionate orecchie umane.
“Questo non è Inuyasha!” pensò Kagome, pietrificata “Questo è…il ragazzo del pozzo!”
Come poteva essere? Da dove era arrivato e perché era ferito? Ma allora…Inuyasha che fine aveva fatto? Stava bene oppure era in pericolo? Forse era morto! Tutti questi pensieri le sfrecciarono nel cervello come farfalle impazzite, poi il giovane misterioso gemette e aprì gli occhi con una smorfia, mostrandole iridi di un viola molto simile a quello della luna di En.
«Kagome…sei viva» sospirò, poi strinse i denti quando tentò di muoversi, pieno di dolori in ogni parte del corpo «Dannazione, c’è mancato un pelo. Ci hanno quasi ammazzati, quei luridi figli di…» Quando si accorse che Kagome lo fissava con occhi grandi come piattini, portandosi le mani alla bocca, tacque. «Che c’è? Cos’hai da guardarmi così?!» le chiese, sospettoso, poi anche lui sgranò gli occhi.
La voce di lui aveva cancellato ogni domanda di Kagome, che finalmente capiva il mistero legato alla sua chiamata su En. La luce di Shinsetsu nel buio più profondo aveva intanto ricordato a lui che quella era l’ultima notte al mondo in cui avrebbe voluto mostrarsi a chicchessia.
Era luna nuova. Inuyasha, nella forma umana che era la sua mensile maledizione, masticò un’imprecazione che avrebbe scandalizzato perfino Miroku.

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Capitolo 18
*** 17 - Bisogno di aiuto ***


Author’s note: Permettetemi di giustificare questo ritardo. Da agosto ho la cervicale e un braccio fuori uso, perciò ho dovuto limitare al minimo i miei tempi di permanenza davanti al pc. In compenso, ho ben chiaro tutto ciò che accadrà da qui alla fine, perciò…ricominciamo!

 

CAPITOLO 17

BISOGNO DI AIUTO

 

Era calata la notte e la pioggia cadeva ancora, anche se trasformata in una cortina sottile, frusciante tra le foglie della foresta. Gli alberi attorno al tempio erano più neri del buio agli occhi di Sango, che scrutava l’esterno sporgendosi appena oltre lo stipite della finestra. La collina sembrava deserta, inerte dopo essere stata schiaffeggiata dalle intemperie. La Cacciatrice, però, sapeva che così non era. Il tempio era stato circondato e quell’atmosfera era solo la stasi che precedeva un attacco.

«Sono in molti?» chiese una vocetta dietro di lui. Sango si voltò verso Shippo, che stava alle sue spalle torcendosi le manine, con il viso pallido e tirato per la preoccupazione. Si chiese se fosse il caso di mentirgli, poi annuì. Inutile fingere.

«Troppi, per me sola. Per fortuna, con noi c’è anche Kirara. – tentò di addolcire la pillola – Stanno cercando di capire come aggirare i sigilli benedetti del Maestro. È una questione di tempo.»

«Non so come abbia trovato l’energia per creare questa barriera.» borbottò il kitsune, scuotendo la testa con ammirazione e sbigottimento.

«Nemmeno io, ma sto iniziando a imparare che la forza del Maestro non è da sottovalutare.» mormorò Sango, mentre il suo sguardo si spostava più oltre, vicino alla lampada di carta accesa accanto al corpo sdraiato di Miroku. Già…quel monaco era sorprendente.

La Cacciatrice aveva ascoltato il consiglio di Anna e, abbandonati i resti franati del sentiero, si era inoltrata con Kirara e Shippo su per il crinale della collina, sperando di trovare in breve tempo una costruzione in cui rifugiarsi. Miroku, pur se salvato dal potere di Junan, bruciava di febbre e Sango avvertiva il suo calore sprigionarsi a ondate attraverso i loro vestiti bagnati, una cosa che aveva mantenuto viva in lei quella sensazione di panico incombente, di perdita. Non voleva che il monaco morisse in quel modo. Desiderava salvarlo.

Avevano dovuto spostarsi una collina più avanti per trovare qualcosa e il pomeriggio era sprofondato in un crepuscolo cupo quando Shippo aveva individuato la struttura in legno, le cui dorature erano quasi del tutto state mangiate via dalle intemperie. Era un tempio dedicato a una dea dimenticata dei boschi. Sango vi aveva visto volare sopra qualche Saimyosho e, per quanto avesse subito lanciato il suo Hiraikotsu, qualche spia di Naraku era volata via, garantendole che presto sarebbero arrivati altri scagnozzi di Naraku. Lo stesso aveva pensato Miroku, che aveva ripreso coscienza poco prima.

«Dobbiamo proteggere il tempio, altrimenti ci spazzeranno via. La dea del luogo è stata sigillata, la sua aura benefica è quasi scomparsa.» aveva detto con voce debole.

«Non c’è modo di rendere sicuro questo posto.» aveva iniziato a protestare Sango, guardandosi attorno e vedendo come la struttura fosse troppo articolata e cadente per offrire protezione dagli sgherri di Naraku.

«C’è. – aveva detto Miroku, alzando tra le dita un sigillo sacro – Creerò una barriera. Dovrebbe tenere, almeno per un po’. Avverto ancora la presenza della dea che dimorava qui. Se potrà, mi aiuterà.»

«Miroku, ma sei senza forze!» aveva protestato Shippo, preoccupato.

«Se Sango mi dà una mano, ce la farò senza problemi. Riposerò poi» aveva garantito, con un sorriso capace di stringere il cuore della Cacciatrice in una morsa. Lei non aveva protestato. Sapeva che la loro situazione era estrema e aveva riconosciuto nella forza di volontà di Miroku la voglia di combattere fino alla fine. Lo aveva accompagnato e sostenuto in ogni angolo in cui il monaco aveva ritenuto di dover piazzare un pilastro della sua barriera sacra, vedendolo diventare sempre più pallido e pesante contro il suo fianco, ma Miroku era riuscito a terminare il proprio lavoro ed era crollato solo quando aveva potuto stendersi. Sango avrebbe voluto accendere un fuoco per consentire ai loro abiti di asciugarsi, ma nel tempio non c’era nulla e non si poteva uscire dalla barriera. Sospirò.

«Possiamo solo sperare in Anna e in Sesshomaru-sama, Shippo. – gli disse, con un sorriso – Riposa un po’ anche tu, finché è possibile. Io e Kirara resteremo di guardia».

Shippo annuì, anche se pareva poco convinto. In effetti, era più probabile che l’Imperatore di En si precipitasse a cercare il fratello e Kagome. Non avevano molte probabilità che qualcuno si curasse di loro.

Passò del tempo, forse un’ora. Shippo, dopo essersi rigirato più volte sul pavimento in preda agli starnuti e ai crampi della fame, si era finalmente appisolato. Fuori era ancora tutto tranquillo, ma Sango aveva cominciato a sentire fruscii e passi attorno alla casa, segno che gli assedianti avevano mandato qualcuno in avanscoperta per capire quanto fosse sicura e pericolosa la barriera del monaco. La voce di Miroku, poco più di un sussurro, la fece trasalire proprio in uno di questi momenti di ascolto.

«Miroku…Maestro!» disse, correggendosi.

«Chiamami per nome, Sango, ti prego.» le disse lui, chiudendo per un attimo gli occhi. Sango si morse il labbro inferiore, colta sul fatto, e trattenne a stento un inopportuno rossore. Miroku riaprì le palpebre e la guardò. Era pallido, sfinito, ma i suoi occhi violetti erano limpidi e la fissavano con una buona dose di spirito.

«Siamo circondati?»

Sango annuì e il monaco fece un amaro sorriso.

«Combatteremo. Non è una situazione nuova, per me e Kirara» lo rassicurò lei, pratica.

«Lo so. E poi, c’è sempre questo» mormorò lui, alzando appena la mano. La Cacciatrice si ritrovò ad afferrarla con entrambe le sue e a riabbassarla sul petto di lui, non poco stupito da quel contatto.

«No, Miroku, non sarà necessario. – disse Sango con forza, pur senza alzare la voce – Non devi più usare il vortice maledetto. Di questo passo, morirai!»

«Direi che stanotte ne avremo l’occasione senza nemmeno dovercela andare a cercare. Almeno, con il vortice potrei salvarvi…»

«Non dire stupidaggini! Credi che mi farebbe piacere essere salvata a costo della tua vita? O farebbe piacere al piccolo Shippo?! – lo sgridò lei, sbalordendolo – Combatteremo insieme e cercheremo di sopravvivere. Se moriremo, sarà in modo pulito. Quella cosa è una maledizione di Naraku e io non voglio che…»

«…che?» la incalzò Miroku, piano. Per un attimo, sembrò che Sango non volesse finire la frase e il monaco sorprese se stesso per il forte desiderio di udire le ultime parole. La guardò e non si stupì della rivelazione che gli nacque in cuore. Si ritrovò a benedire l’incontro di qualche settimana prima e la portatrice di Shinsetsu che l'aveva reso possibile.

«…che una persona come te resti vittima della Stella di Gake.» finì lei, guardandolo con i suoi franchi occhi castani. Miroku chiuse per un attimo i propri, trattenendo un sorriso di autocommiserazione. Si era aspettato altro, a parte quell’umana preoccupazione? Rimasero in silenzio per un attimo. Vi furono dei cigolii e un tonfo, poi una scarica di luce lontana. Gli yokai dovevano aver tentato di passare dall’altra parte del tempio. Miroku si tirò a sedere con uno sforzo, scrollando il capo.

«Avrei almeno voluto un erede, in questa faccenda…- disse, melodrammatico – D’altra parte, come mi avete ripetuto tu e Kagome-sama, sarebbe crudele mettere al mondo figli solo per vendetta. Forse è giusto che finisca così.»

«Smetti di dire che finirà così! – lo investì Sango, infervorandosi e chinandosi verso di lui – Supereremo questa difficoltà, è solo una nuova battaglia! Sopravvivremo e tu aiuterai Sesshomaru-sama a riunire la Stella di En, e poi…poi troverai una ragazza…e allora…»

«Sango…vuoi davvero che trovi una ragazza?» chiese Miroku, allungando una mano verso il suo viso in fiamme. Lei sembrò perdere la parola. I suoi occhi scuri erano sgranati, allarmati come quelli di una cerbiatta che si è scoperta vulnerabile. Le dita del monaco riuscirono appena a sfiorarle la guancia, ad avvertire la morbidezza e il calore della sua pelle, poi fuori si levò un ruggito tremendo e tutto il perimetro del tempio si illuminò di una luce viola. La barriera era sotto attacco. Con un’imprecazione, Miroku afferrò il proprio bastone e si tirò in piedi a fatica, mentre Sango sollevava Hiraikotsu e Kirara, al suo fianco, si trasformava. Shippo si svegliò con un piccolo grido, spaventato.

«Sono in troppi, cederà. Tenetevi pronti.» li avvisò Miroku.

La barriera risultò ostica da superare. Per quasi un’altra ora, attesero che cedesse sotto l’attacco violento e incessante dei demoni. Grida di dolore e rabbia riverberarono nella notte, riempiendoli di orrore e disgusto. La lunga attesa tese i loro nervi fino allo spasimo, tanto da far quasi desiderare che infine terminasse e avesse inizio la battaglia vera e propria. Alla fine, la barriera cedette proprio sopra di loro. La luce si spense e il tetto venne sfondato con strida di trionfo da due demoni mantide che fecero da apripista agli altri. Hiraikotsu staccò la testa a entrambi e quello fu il principio. Sciamando dalle finestre, dal tetto, sfondando le stesse pareti esterne, i demoni li attaccarono. Protetti nei movimenti da Kirara, che artigliava e mordeva qualsiasi cosa fosse a tiro, i tre cercarono di uscire dal tempio, che ormai si reggeva a stento e rischiava di crollare sulle loro teste. Nel buio, il fuoco fatuo azzurro di Shippo illuminava i loro gesti quel tanto che bastava da consentire di individuare i nemici da abbattere. Sango era una macchina da guerra: Hiraikotsu in una mano e una katana nell’altra mietevano vittime senza sosta, con una velocità e una precisione degne di chi aveva dedicato la vita allo sterminio degli yokai di Gake. Miroku, pur debole, colpiva con il suo micidiale bastone e lanciava scongiuri ancora abbastanza potenti da rendere inoffensivi quanti ne venivano colpiti. Shippo distraeva i nemici con i suoi trucchi, tremante di paura ma deciso a fare tutto ciò che poteva per contribuire. Erano solo in quattro, Kirara compresa, contro un esercito. Per quanto fossero forti, la situazione era drammatica.

La prima a essere colpita fu Sango. I lunghissimi e spessi artigli di un demone talpa che aveva appena colpito con Hiraikotsu riuscirono a eludere la sua guardia. Fecero saltare la protezione dell’armatura dalla sua spalla e la ferirono in profondità nelle vicinanze del collo. Il dolore fu abbastanza forte da farla barcollare e un demone serpente ne approfittò per allungare le sue spire attorno alle caviglie della ragazza. Sango cadde sulla schiena con violenza e il contraccolpo le fece volar via di mano la katana.

«Sango!» gridò Miroku, parandolesi davanti appena in tempo per allontanare due demoni con uno scongiuro e tagliando la coda del serpente con la parte affilata del suo bastone. Kirara gli diede tempo di aiutarla a rialzarsi, ma entrambi barcollavano, sfiniti. Con uno strillo, Shippo fu mandato a sbattere contro la gamba del monaco e perse per un attimo il controllo del suo fuoco fatuo, che si spense, lasciandoli nella tenebra. Miroku, con un'imprecazione, decise di rompere la promessa a Sango e mise mano al rosario che copriva il suo vortice. Fu in quel momento che un ruggito si levò nella notte, seguito immediatamente dalla gigantesca forma di un cane d’argento, il cui manto riluceva fioco anche in quel buio pesto. La sua comparsa gettò nel panico gli attaccanti e fece tirare a Sango e Miroku un tremulo sospiro di sollievo.

«Un’entrata in scena degna dell’Imperatore di En. – mormorò il monaco – Riesci a continuare, Sango?»

«Sì, io…»

«Miroku-sama! Sango!»

La voce che li chiamò era loro estranea, ma forte e femminile allo stesso tempo. Non seppero se stupirsi vedendo Anna e Jaken farsi largo tra i nemici, liberandoli dalla pressione dell’attacco.

«State bene?» chiese la giovane donna, pallida. Emanava una leggera aura viola dalla fronte, dov'era incastonata Junan, e vibrava di energia anche se il viso esprimeva una stanchezza profonda.

«Anna…riesci a parlare?» mormorò Sango, sbalordita. Era come se la vedesse per la prima volta. Finalmente sembrava una persona completa.

«Si può sapere che succede qui?! Tutto questo caos per far fuori due esseri umani?» chiese Jaken, ansimando, a metà tra il seccato e l’impaurito.

«Se sei invidioso di tutte queste attenzioni, Jaken, accomodati pure!» ironizzò Miroku, per poi barcollare vistosamente. Le sue forze erano ridotte a un lumicino.

«Sango, curati la ferita e stai vicina a Miroku. Vi proteggo io. Jaken, guardaci le spalle.» disse Anna, brusca, aprendo le braccia davanti a loro e circondandoli con una barriera simile a quella che aveva salvato i monaci di Ojohi. La sua voce era ancora un po' rauca e impastata, ma decisa.

«Ehi! Non darmi ordini!» sbottò Jaken, poi diresse il proprio bastone Ninto verso un demone che stava piombando loro addosso e ne usò il fuoco, accompagnato da uno strillo terrorizzato.

«Fai quello che puoi senza lamentarti! Non distrarmi!» gli disse Anna, e gli altri furono stupiti di avvertire nelle sue parole vera e propria rabbia.

«Senti chi parla! Da quando hai aperto bocca non hai fatto altro che seccare Sesshomaru-sama!» rimbeccò Jaken, sul piede di guerra. Non poté però esimersi dal fare un salto indietro, uscendo quasi dalla barriera, quando Anna si voltò e gli scoccò uno sguardo con occhi demoniaci che avrebbero gelato il sangue a chiunque. Ottenuto il silenzio, Anna tornò a concentrarsi su quanto stava facendo, mentre Sesshomaru continuava a mietere vittime e a mettere in fuga gli sgherri di Naraku.

L'intervento dell'Imperatore di En, non previsto, pose presto fine all'attacco. I demoni si dispersero o trovarono la morte sotto gli artigli di Sesshomaru. Anna lasciò cadere la barriera, incerta sui piedi. Aveva speso tutte le energie che possedeva e Miroku avvertiva provenire da lei un'aura demoniaca molto debole, quasi pronta a flettersi. Sango, che si era fatta aiutare per applicare erbe e una striscia di stoffa attorno alla ferita al collo, si rialzò in piedi e si guardò attorno, mentre Kirara tornava da lei e le strofinava il muso contro il braccio in segno d'affetto.

«Siamo vivi. Dobbiamo ringraziarvi, avete compiuto un miracolo.- disse la Cacciatrice, con un'occhiata veloce a Miroku, il quale si era seduto per terra e aveva accanto Shippo che gli tastava la fronte per controllare la febbre – Non pensavamo che sareste tornati da noi tanto presto.»

«Sesshomaru-sama non ha...voluto andare...a cercare Kagome e Inuyasha-sama. - disse Anna, rauca e sfiatata, lanciando un'occhiata bruciante alla sagoma del cane d'argento, che sotto i loro occhi si ritrasformò nell'Imperatore di En e iniziò a camminare alla loro volta – Mi ha ascoltato almeno...per quanto riguardava la vostra incolumità.»

«Non è voluto andare...ma perché?!» chiese Sango, sbalordita. Miroku alzò lo sguardo per guardare la neko-yokai, sconcertato.

«I motivi di Sesshomaru-sama non vi devono interessare, ringraziate di avere salva la vita e fatevi i fatti vostri, come ho già detto fin troppe volte a questa donna seccante!» intervenne Jaken, acido.

«Ha detto che fino al mattino dobbiamo dimenticarceli. Nient'altro. - aggiunse Anna, abbassandosi cautamente sulle ginocchia per allungare a sua volta una mano e toccare la fronte di Miroku – Lui non...non ascolta. Sembra di parlare con un muro.»

«Sì, conosco la sensazione. - sospirò il monaco, scostando con gentilezza la sua mano dalla fronte – Anna-sama, dovete riposare, non guarire me o Sango con Junan. Fate la brava, vi state strapazzando troppo.»

«Ma...» tentò di obiettare lei, alzando lo sguardo per interpellare Sango. La Cacciatrice sorrise e scosse la testa, anche se vedere la mano di lei in quella di Miroku, pur se per un istante, le aveva fatto provare la sensazione di un rostro piantato nello stomaco.

«Miroku ha ragione, Anna. Hai fatto più che abbastanza.» le disse con gentilezza, grata alla sorella di Kagome per quell'aiuto insperato. Lei abbassò gli occhi e si arrese alla loro insistenza, anche se di malavoglia, poi fece una smorfia e si portò una mano alla fronte.

«Fa male?» chiese subito Sango, preoccupata, abbassandosi a sua volta per osservare il viso della neko-yokai. La luminescenza di Junan non si era spenta.

«Fa così da quando ho iniziato a discutere con Sesshomaru-sama. Forse...sono troppo arrabbiata.» mormorò lei in risposta, facendo incupire Miroku. Sembrò volesse chiederle qualcosa, ma in quel momento furono raggiunti da Sesshomaru.

«I miei complimenti. - disse l'Imperatore di En, fissandoli con occhi gelidi che trasudavano disprezzo – Due ningen tanto bravi a riempirsi la bocca di eroiche intenzioni ma, a conti fatti, capaci solo di farsi soffiare da sotto il naso ben tre Hoshisaki, mandarne un'altra allo sbaraglio e farsi quasi ammazzare da qualche stupido sgherro di Naraku. È a gente come voi che dovrei affidare la difesa e la purificazione della Stella di En?»

Il rimprovero andò a toccare con perfezione chirurgica il nucleo emotivo e l'orgoglio di Sango e Miroku, che impallidirono. Shippo si lasciò scappare un'esclamazione di protesta addolorata, ma non ebbe il coraggio di affrontare la fredda ira dell'Imperatore di En.

«Ben detto, Sesshomaru-sama!» disse Jaken, alle loro spalle. Fu zittito dal movimento di Anna, che si parò a braccia aperte davanti ai due come se Sesshomaru avesse cercato di colpirli fisicamente.

«Smettetela, li state incolpando ingiustamente! Sango, Miroku e Shippo hanno fatto di tutto per aiutare a salvare Kagome e Inuyasha-sama! - protestò, scossa – Nessuno avrebbe potuto affrontare una simile orda!»

«Io l'ho fatto.» le rammentò lui, gelido.

«Voi non siete umano!» gli gridò lei, alzandosi in piedi con foga, fissandolo con occhi scintillanti di collera. Gli altri trattennero il fiato nel vedere Sesshomaru stringere le labbra in una linea invisibile. Ciò che lei aveva detto, di norma sarebbe stato un punto d'onore per quel demone tanto orgoglioso, ma non si poteva evitare di capire che Anna aveva scelto quelle parole allo scopo di insultarlo per la sua totale incomprensione dei sentimenti e delle difficoltà della natura umana. «Solo un demone potrebbe lasciare il proprio fratello e una ragazza inerme soli nella foresta, di notte, circondati da creature ostili! Solo un demone potrebbe assistere alla nostra preoccupazione senza degnarsi di darci spiegazioni! - continuò lei, sul punto di piangere – Vorrei solo potermi strappare questa dannata, stupida gemma dalla fronte e tornare alla mia vita di prima, dimenticando per prima cosa la vostra faccia!»

«Parla con rispetto di Junan, stupida donna!» esclamò lui, abbastanza forte da farli sobbalzare, sollevando una mano come se stesse per cedere alla tentazione di colpirla. Gli occhi di lei sfavillarono di sfida.

«Non mi fate paura! Mi ero già accorta del vostro disprezzo, ma non temete: anche io sono capace di odiare!» lo provocò. Miroku si alzò di scatto con espressione allarmata, liberandosi dalle mani di Sango e Shippo e utilizzando le poche forze rimaste per mettersi tra i due contendenti, arrivando a osare spingerli a una certa distanza l'uno dall'altra mentre diceva: «Smettetela subito! State rischiando...» esclamò, ma era tardi.

Anna crollò all'indietro con un grido, tenendosi la fronte con entrambe le mani e iniziando a rotolare a terra dal dolore. Sotto gli occhi orripilati di Sango, Shippo e Jaken, le zanne le crebbero in lunghezza e il suo aspetto divenne più ferino, animalesco, come se la componente yokai stesse prendendo il sopravvento nonostante la debolezza estrema. Sesshomaru, di contro, barcollò all'indietro con un movimento sgraziato che non gli era proprio, artigliandosi il petto all'altezza del cuore. Un dolore obnubilante si stava propagando da Chinoo, insieme a una luce dall'aspetto malato. La sua mente era piena di pensieri orribili e senza speranza, di un senso di lutto e sconfitta che aveva provato di rado ma che segnava la sua anima in profondità. Per un attimo fu accecato dalla sua stessa oscurità.

«Il monaco ha ragione. Dovete smetterla, oppure pervertirete Junan e Chinoo ed esse vi uccideranno.» disse una voce di donna, proveniente dai resti crollati del tempio. Si voltarono, stupefatti, per scoprire di essere osservati da una donna splendida, avvolta in una veste di veli, la quale emanava una luce dolce e accogliente che faceva pensare ai raggi del sole attraverso le foglie. I suoi capelli neri e lunghi erano acconciati in modo complicato. I suoi occhi erano bianchi.

«Una Dea!» sussurrò Shippo.

«Ki...Kiokuchi-sama?!» gracchiò Jaken, stupefatto.

Sesshomaru, con grande fatica, spostò lo sguardo sofferente e irato sulla sua vecchia conoscenza. Lei avvertì la sua attenzione e sorrise con mestizia.

«Vi aspettavo, Sesshomaru-sama. Vi avevo detto che prima o poi avreste avuto di nuovo bisogno del mio aiuto.»

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Capitolo 19
*** 18 - Il segreto di Inuyasha ***


Author’s note: Andiamo a dare un’occhiata a cosa sta accadendo tra Inuyasha e Kagome, che ne dite?
 
CAPITOLO 18
IL SEGRETO DI INUYASHA

 
Il vento, che stava portando via le nubi di quel pomeriggio, faceva stormire le foglie sopra le loro teste con un suono inquietante. Per un po’, nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare. Kagome, con le mani ancora schiacciate sulla bocca, aveva abbassato lo sguardo sulle proprie gambe e cercava di calmare il battito impazzito del cuore mentre alcuni pezzi del rompicapo iniziavano a trovare il loro posto nella sua mente, pur riempiendola di nuove domande. Inuyasha, provato dalle ferite non del tutto guarite e da quel disvelamento non gradito né previsto, era rimasto in ginocchio, i pugni stretti sulle cosce, guardando altrove nel buio che li circondava. Ricordava di essersi trascinato nel folto, trasportando Kagome, con le sue ultime forze di hanyo, ma poi aveva perso conoscenza prima di trovare un rifugio dove lasciare la ragazza per tutta la notte.
La sua forma tesa, delineata dalla luce fioca di Shinsetsu, colpì Kagome con un inaspettato desiderio di protezione. Quel principe buzzurro le sembrò indifeso, fragile.
«Eri tu.- mormorò - Perché hai finto di non sapere chi fosse il ragazzo che…»
«Non c’era motivo perché tu lo sapessi. Nessuno deve sapere!- sbottò Inuyasha, rabbioso, sempre senza guardarla - Sarei un pazzo a sbandierare questa mia debolezza ai quattro venti!»
«Debolezza?» chiese Kagome, cercando di capire. Lui finalmente la guardò. I suoi lineamenti erano tesi, gli occhi ora violetti sembravano sprizzare scintille.
«Sono umano, se non te ne sei accorta! Niente poteri, niente artigli…Chiunque mi potrebbe ammazzare facilmente in questa forma!»
«Ma…perché ti accade questo?» chiese Kagome, facendo per avvicinarsi. Lui si tirò indietro, costringendola a fermare il movimento.
«Sono un hanyo. Il mio è un sangue a metà.- sibilò, amaro - La luna nuova mi toglie il potere demoniaco e per una notte ogni mese sono come mi vedi: un normale, debole essere umano.»
«Quindi…all’alba tornerai come prima?» chiese Kagome. Lui annuì, brusco. «Sesshomaru sapeva che eri a rischio? – domandò ancora, poi ebbe un pensiero sgradevole – E Naraku? Lo sa?»
Inuyasha non rispose subito, facendole venire i brividi.
«Siamo nei guai, ragazzina, che Naraku conosca o meno il mio segreto. Fino a domattina, meglio tenere un basso profilo. Soffoca la luce di Shinsetsu, staremo qui in silenzio fino all’alba; se saremo fortunati, gli scagnozzi di Naraku non ci troveranno.» le disse. Il suo tono non ammetteva repliche e Kagome si affrettò a riporre Shinsetsu sotto al vestito. L’Hoshisaki, come comprendendo di non essere più utile, si spense, lasciandoli al buio. Si sedettero contro il tronco di un albero, vicini ma separati da un’atmosfera di tensione che si poteva tagliare col coltello.
Kagome chiuse le palpebre ed esalò un sospiro, il più silenzioso possibile. Era terribilmente preoccupata per gli amici lasciati indietro e sopra ogni cosa per Anna. Ricordava bene l’esplosione di energie sopra le loro teste prima di cadere nel fiume e la impauriva lo sprezzo del pericolo con cui la sorella maggiore ricorreva ai suoi nuovi poteri, senza ancora aver avuto la possibilità di abituarvisi. Se stavano tutti bene, sicuramente erano alla loro ricerca. La imbarazzava, però, che tutte le preoccupazioni fossero soverchiate nella sua mente dalla scoperta della vera identità del suo principe dai capelli neri. Gli lanciò un’occhiata di sottecchi, ma il buio era pesto. Lo sentì muoversi appena, cercando una posizione diversa. Probabilmente la schiena gli faceva ancora male. Il pensiero le ricordò di non averlo ringraziato per averla salvata.
«Inuyasha…»
«Cosa?» borbottò lui, brusco.
«Grazie per esserti buttato insieme a me. Sarei morta, se non mi avessi protetta.» mormorò. Inuyasha borbottò qualcosa sul fatto che aveva salvato Shinsetsu, non lei, ma Kagome iniziava a capire che il Principe di En era refrattario ad ammettere le sue buone azioni. Sembrava ossessionato dalla necessità di non mostrare alcuna debolezza e, dopo aver conosciuto il suo segreto, Kagome capiva perché. Sesshomaru, dall’alto della sua purezza, doveva sempre averlo fatto sentire inferiore per quella sua porzione di sangue umano.
«Vuoi che non dica niente del tuo segreto agli altri?» chiese, gentile.
«Te lo proibisco assolutamente!» disse lui.
«Come vuoi, te lo prometto. – accondiscese lei, docile – Quindi lo sa solo Sesshomaru, giusto? Immagino che anche Jaken ne sia al corrente.»
«Feh! Mi conoscono da quando sono nato, certo che lo sanno. – borbottò Inuyasha, iniziando suo malgrado a partecipare al dialogo – Il primo comandamento per il secondogenito di En è sempre stato quello di nascondersi durante le notti di luna nuova. Nessuno doveva vedere questa parte di me.»
L’amarezza nella sua voce strinse il cuore di Kagome.
«Non ci vedo niente di male nel fatto di avere sangue umano nelle vene! – protestò, infervorandosi – È un ricordo di tua madre, no? Sono sicura che lei sarebbe triste nel sapere che hanno cercato di fartene vergognare!»
«Parla piano!» la sgridò Inuyasha, allungando una mano che le sfiorò le labbra. Si fecero indietro, pieni di improvviso imbarazzo. Forse a causa del buio della notte, quel tocco leggero aveva trasmesso a entrambi una sensazione elettrica che aveva accelerato i loro battiti. «In ogni caso, si tratta anche di una questione di sicurezza. – continuò il giovane dopo qualche istante, desideroso di spezzare quel silenzio ora carico di sensazioni inespresse – Naraku non doveva sapere di potermi colpire nei miei giorni di debolezza. Lo facevano anche per mantenermi in vita.»
«Quindi il fatto che Naraku ci abbia attaccati stasera è stata una pura coincidenza?» chiese Kagome, accigliandosi. Le sembrava una scelta troppo fortuita. La pausa che Inuyasha si prese nel rispondere le fece capire che anche lui era della stessa opinione.
«Non lo so. Magari ha capito qualcosa…sai, prima che io venissi maledetto. Forse non sa esattamente in quali momenti si manifesta la mia debolezza, ma anche lui è un hanyo e potrebbe aver fatto due più due.»
«Non l’hai mai affrontato durante le notti di luna nuova?» sussurrò Kagome, cercando di stimolare i suoi ricordi.
«No, ma questo non…zitta!» iniziò lui, per poi darle quell’ordine brusco. Kagome aguzzò le orecchie e le parve di avvertire un fruscio lontano, verso il fiume. La mano di Inuyasha si chiuse sul suo polso in una stretta forte. «Alzati e seguimi, cerca di non fare rumore. Meglio allontanarsi da quel corso d’acqua il più possibile.» le mormorò, costringendola ad alzarsi per seguirlo.
Si inoltrarono nella foresta, al buio. Inuyasha si districava bene nel sottobosco, anche se non doveva vedere molto meglio di lei in quella tenebra. Presto, a Kagome mancò il fiato, ma non si lamentò e continuò a procedere. Le era capitato di guardare in alto un paio di volte e di scorgere la lieve luminescenza di yokai volanti, probabilmente spie di Naraku che li stavano cercando. Da un certo punto di vista, il fatto che fosse luna nuova stava loro salvando la vita. Il buio li mimetizzava a meraviglia. Solo dopo quelle che le parvero ore, Inuyasha disse che forse si erano allontanati abbastanza. Lasciò andare il polso di lei, che lo massaggiò più per imbarazzo per quel lungo contatto che per dolore.
L’hanyo si aggirò lì attorno, sfiorando gli alberi, poi le disse di raggiungerlo. Aveva trovato un albero cavo al cui interno avrebbero potuto sedersi. Kagome obbedì, ringraziando il buio che non mostrava il suo rossore per il continuo contatto con il braccio o la gamba di lui. Si abbracciò le ginocchia e cercò di stare immobile. Lo sentì trattenere un’esclamazione e un sibilo di dolore quando si sedette. Probabilmente aveva toccato la corteccia con la schiena, che non era ancora del tutto guarita. Pensò di offrirgli l’aiuto di Shinsetsu, poi rimase in silenzio. Non potevano far luce e, in ogni caso, quasi di certo Inuyasha avrebbe rifiutato.
Per un bel po’ di tempo restarono in silenzio, tanto che Inuyasha iniziò a pensare che Kagome si fosse appisolata. Lo sperò. L’alba era ancora lontana, non c’era modo di essere ritrovati dagli altri a meno di un intervento di Sesshomaru e dovevano sperare che la loro pista non venisse scovata dagli scagnozzi di Naraku.
Inuyasha strinse i denti, frustrato e inquieto. Naraku non poteva avere certezze riguardo al suo periodo di debolezza, ma se davvero c’era il suo zampino dietro allo scontro con Kikyo allora non era tanto peregrina l’ipotesi che il maledetto avesse quantomeno subodorato un collegamento. Di notte, Sesshomaru si accampava con loro, rendendo vano qualunque attacco. Sfruttare il pomeriggio precedente, però, era sospetto…sembrava quasi un test delle sue capacità con l’avvicinarsi della luna nuova. Le parole della portatrice di Shinsetsu, la sua ipotesi che fosse stato Naraku a condurre alla morte Kikyo e a farlo maledire, gli tornarono sgradevolmente alla mente. Più ci pensava, più qualcosa non quadrava negli avvenimenti di quella notte. Kikyo che non mostrava alcuno stupore al suo arrivo…l’inseguimento, troppo veloce per una normale donna umana…la voce che lo tallonava e la stessa voce che lo chiamava dalla radura dove poi l’aveva trovata, con l’arco teso…l’espressione sul viso di Kikyo, le macchie di sangue sulle sue vesti colte con un angolo della mente nel momento in cui la freccia gli si piantava in petto…
«Kikyo…»
Sentendo pronunciare quel nome, Inuyasha si irrigidì come se fosse stato attraversato da una scossa elettrica. Ebbe timore di quanto Kagome stava per dire, ma non la fermò. Presagiva quella domanda fin da quando aveva capito di averle mostrato il suo volto umano.
«Kikyo sapeva della tua forma umana, vero?» finì lei. Nella sua voce c’era già una certezza e Inuyasha non se ne sorprese più di tanto. D’altra parte, lei non lo aveva visto così in fondo al pozzo che l’aveva portata a En? Non lo aveva cercato come il suo Principe dai capelli neri? Fece una smorfia amara.
«Kikyo conosceva esclusivamente la mia forma umana. – le rispose, sorprendendola – Perlomeno, questo credevo fino alla notte in cui mi sono presentato a lei nel mio solito aspetto. Con tutta evidenza, era riuscita a ingannarmi benissimo anche su questo punto.»
«Raccontami.» lo invitò lei, gentile. C’era qualcosa di sincero e dolce nella sua voce che tolse il sigillo al più grande e grave segreto di Inuyasha. Aveva bisogno di parlarne, di raccontare quella brutta storia a qualcuno…e quale persona più adatta della nuova portatrice di Shinsetsu?
«Dovevo incontrare Shinsetsu. – iniziò, cupo, quasi parlando a se stesso – Fin da bambino mi avevano detto che la sua portatrice mi era destinata, ma per qualche motivo ne ero sempre stato alla larga. Lei era una miko di grande potere, ma odiava gli yokai. Le avevano sterminato la famiglia e combatteva Gake fin da piccola. Non c’era da stupirsene, ma…non potevo accettarlo. Non la conoscevo e nemmeno mi andava di farlo.»
«Somigliava a Sango, in qualche modo?» mormorò Kagome.
«Sì, in parte. Non è raro, nei combattenti umani di En, trovare quel senso dell’onore e quel profondo rancore. Tutti hanno subito lutti e non si può dire che i nostri yokai aiutino a tenere insieme i cocci. – ammise Inuyasha, riluttante – Comunque, alla fine Sesshomaru mi ci spedì. Non avevo scelta. Solo che…presi tempo. O forse ne persi, dal suo punto di vista. Mi dilungai un po’ troppo sul confine a far fuori demoni di Gake. Quando arrivò la luna nuova ero ancora in giro e  non avevo incontrato la sacerdotessa. Fu lei che trovò me.»
«Davvero? Venne a cercarti?» chiese Kagome.
«No...fu un caso. Era una notte di luna nuova, si era in piena estate e io mi ero nascosto in uno dei templi sulle colline. Kikyo vi era salita per pregare, era accampata con la sua squadra di miko vicino al sentiero. L'avevano accompagnata altre due sacerdotesse e, dal mio nascondiglio, sentii fare il suo nome. Mi incuriosii e le spiai. Fu allora che la vidi per la prima volta. Quando le altre due miko andarono a dormire e lei rimase sola...mi avvicinai.»
«Ti sei fatto vedere così? Perché?» chiese la ragazza, sbalordita.
«Volevo conoscerla senza che lei capisse chi ero. Non avevo alcuna intenzione di espormi e questa faccia poteva tornarmi utile. Chi avrebbe mai pensato di avere davanti il Principe di En? - rise  Inuyasha, amaro, mentre affrontava quei ricordi che aveva tenuto chiusi a chiave fin dal proprio risveglio – Attaccai discorso con lei. Mi presentai come Inuki, un guerriero al servizio dell'Imperatore. Quella sera Kikyo fu fredda e formale, anche se cortese. Mi parve molto competente, senza alcun dubbio potente, ma era anche un pezzo di ghiaccio. Non dava confidenza a nessuno. Beh, non che la criticassi per questo...»
«Insomma, ti aveva fatto una buona impressione o no?»
«Non lo sapevo. Non avrei saputo dirlo. Così, tornai a trovarla il mese dopo. E quello dopo ancora. Iniziammo a parlare di tante cose e...cambiammo. Non so, ci veniva facile lasciarci andare a confidenze che in precedenza non erano mai state espresse a parole. Creammo un legame. - continuò lui, abbassando man mano la voce a un mormorio – Solo che lei non faceva quelle confidenze a Inuyasha. Le faceva a Inuki, che le era diventato amico anche se le dava appuntamenti solo una volta al mese.»
Kagome avvertì una fitta al cuore, comprendendo le sfumature nascoste dietro quelle parole. La pena di chi non sa come rivelarsi a qualcuno che è diventato importante, il desiderio di qualcosa che vada oltre l'amicizia.
«Sesshomaru mi stava addosso, i mesi passavano e anche se gli assicuravo di aver preso contatto con Kikyo in effetti non gli avevo portato prove. Non potevamo andare avanti così, la Guerra delle Hoshisaki non è un gioco. Così, diedi appuntamento a Kikyo in una notte qualunque, in cui avrei potuto mostrarle il mio vero volto. Non sapevo che sarebbe stata la mia rovina. Avevo scelto di vederci...»
«Sotto ai ciliegi in fiore.»  finì per lui Kagome, con voce rauca.
«Come lo sai?!» ansimò Inuyasha, sbalordito.
«Fin da piccola, non posso vedere i ciliegi in fiore senza soffrire. Mi fanno piangere e...e mi danno la sensazione di aver perso qualcosa di importante. - spiegò lei, con un groppo in gola – Se davvero sono la reincarnazione di Kikyo, ora finalmente capisco il perché.»  
Inuyasha rimase senza parole, lacerato tra il desiderio di carpirle quanto poteva dei sentimenti di Kikyo che ancora restavano in lei e la voglia di recriminare ancora, inveire contro di lei, vendicarsi per la propria sofferenza. Qualcosa dentro di lui tremò quando le dita di Kagome si chiusero con gentilezza sulla sua mano. La ragazza appoggiò la fronte sulla sua spalla e Inuyasha rimase immobile, rigido, senza sapere se scostarla o godere di quel contatto.
«Inuyasha, io non so nulla del passato di Kikyo, ma non sono una traditrice. Mai, nemmeno per vendetta, men che meno per ambizione, potrei fare del male a qualcuno che mi è stato amico, anche se questo amico mi avesse detto una bugia. Se il mio cuore è così, quello di Kikyo non può essere stato tanto diverso. - disse lei, e Inuyasha si stupì della propria voglia di crederle – Kikyo non c'è più, ma vorrei che il suo ricordo per te non rimanga una sofferenza. Vuoi provare a darle una possibilità...attraverso di me? Vuoi avere fiducia in me? Io l'avrò in te, Inuyasha. Ho già capito che il tuo cuore è buono.»
Kagome si stupì di essere riuscita a dire quelle parole e benedì di nuovo quella notte senza luna, che non gli avrebbe permesso di notare il suo volto in fiamme o di udire il battito selvaggio del suo cuore. Era stata davvero audace, ma sentiva ogni parola che aveva pronunciato. La faceva soffrire avvertire il rimpianto e l'oscurità che l'esperienza con Kikyo aveva lasciato nell'animo del Principe di En. Sentiva davvero che in realtà Inuyasha era buono, gentile, meritevole di aiuto e amicizia. Avvertiva la sua solitudine e tutto in lei desiderava stargli accanto per dissiparla. Non sapeva se era colpa dei sentimenti di Kikyo, di Shinsetsu, del destino che l'aveva ricondotta a En. Sapeva di essere seduta accanto a qualcuno che poteva avere bisogno di lei, qualcuno che aveva lottato da solo per tanto tempo e che le aveva salvato la vita.
Inuyasha, per qualche tempo, non rispose. Kagome rimase immobile, inizialmente trepidante, poi desolata. Lui l'avrebbe rifiutata. Non era ancora pronto ad aprirsi, a darle una possibilità. Stava per farsi indietro e recidere il contatto, quando la mano di Inuyasha si mosse, sovrastò la sua e strinse. A Kagome bastò. Rimasero in quella posizione, in silenzio, finché entrambi non cedettero al sonno.
***
«Ti senti meglio, giovane Anna?» mormorò la Dea, fermando i propri passi, leggeri come un sospiro, di fronte a lei. Anna non sapeva come fosse possibile per la Dea cieca vedere il mondo con tanta precisione, ma in quel mondo di magie stava imparando a non farsi troppe domande.
«Sto bene. - le rispose, mentendo solo in parte – Come stanno Miroku e Sango?»
«Le ferite di entrambi sono guarite. Non posso, purtroppo, agire sulla maledizione che la Stella di Gake ha lanciato sul monaco. - rispose lei, voltando il viso perfetto alla loro destra – Non gli resta molto da vivere. Potrà usare il suo dono maledetto ancora due, tre volte. Poi, la sua anima vi lascerà.»
Anna guardò il piccolo gruppo nella luce grigiastra che si stava diffondendo sulla foresta, segnalando la fine di quella notte troppo lunga e drammatica. Sango, guarita dal tocco della Dea, stava discutendo a bassa voce con Miroku, ancora scosso e stanco per i prolungati sforzi. Seduto con la schiena contro le rovine del tempio, rispondeva a Sango con un sorriso ammirevole e sotto gli occhi di Anna tentò perfino di allungare le mani, che vennero debitamente schiaffeggiate. Shippo era seduto al suo fianco e teneva il muso, seccato con Jaken dopo una discussione a toni accesi riguardo agli avvenimenti recenti. Quelle persone, che l'avevano accettata e protetta, che erano amiche di Kagome e l'avevano aiutata fin da quando si era ritrovata sola in quella terra pericolosa, rischiavano la vita di professione. Forse loro erano pronti a perderla pur di sconfiggere il nemico di sempre, ma ad Anna si riempivano gli occhi di lacrime al solo pensiero, anche perché non era così cieca da non aver notato che tra il monaco e la cacciatrice stava nascendo un sentimento importante. Voleva aiutarli. Anche lei aveva tutti i motivi del mondo per odiare Naraku e se l'Hoshisaki che le si era incastonata in fronte poteva servire a salvare delle vite, almeno tutto ciò che le era accaduto avrebbe avuto un senso.
«Sagge parole, giovane Anna. - disse la Dea, facendole capire di aver letto i suoi pensieri – Sarà mio compito fare in mondo che tu possa usare Junan per il bene di En. Vieni con me.»
Anna si alzò e seguì la Dea, che si diresse verso Sesshomaru. Il demone si era ripreso prima di lei dal tremendo dolore seguito alla loro litigata, almeno in apparenza, e da allora non aveva più rivolto la parola a nessuno. Anna non lo guardò in volto. Aveva paura che la rabbia che continuava ad agitarlesi nel ventre avrebbe richiesto un ulteriore sfogo. Vedendole avvicinarsi, Sesshomaru stesso si fece loro incontro, lasciando a metà Jaken su una frase che in ogni caso non era stata ascoltata fin dal principio. Fu l'Imperatore di En a parlare, attirando l'attenzione anche di coloro che stazionavano vicino alle rovine.
«Cosa sta succedendo?» chiese alla Dea, brusco.
«Sesshomaru-sama, Chinoo e Junan sono nate per stare insieme. Entrambi, dominati da sentimenti oscuri, le state pervertendo. Se cercate di separare ciò che è nato per unirsi, pagherete il prezzo più alto. Vi state facendo del male per nulla, e lo state facendo a En.» spiegò lei con voce pacata, senza giri di parole. Sesshomaru fece una smorfia sprezzante che mise bene in chiaro cosa pensava della possibilità di cambiare atteggiamento.
«Le Hoshisaki di En non si ribelleranno a me.» disse, in una dimostrazione della sua ferrea volontà e testardaggine.
«Non sono esse a ribellarsi, Sesshomaru-sama, ma voi stesso. Prova ne è che ancora non riuscite a utilizzare l'Hoshisaki della vostra spada.» fu la risposta della Dea, che provò a mitigare la verità con un lieve inchino rispettoso. La mano di Sesshomaru si chiuse in maniera convulsa sull'elsa della spada stessa, mentre Anna la osservava forse per la prima volta e gli altri trattenevano il fiato, chiedendosi se l'Imperatore di En avrebbe dilaniato la Dea con i suoi artigli. Sesshomaru riuscì in qualche modo a trattenersi, ma le sue parole successive stillavano veleno e rancore.
«Hai detto di volermi dare aiuto. Di che si tratta? L'ultima volta che sono venuto da te, me l'hai rifiutato.»
Il volto della Dea fu attraversato da un lampo di tristezza, mentre Jaken si faceva avanti, irritato dalle parole ricevute dal suo Signore.
«Infatti! Era vostro compito aiutare Sesshomaru-sama con Junan e invece ci mandaste a casa con le pive nel sacco!» protestò. Sembrava più arrabbiato che petulante e le parole successive della Dea chiarirono loro il perché.
«Purtroppo, non potevo scrutare il futuro della bambina. Non ne aveva...non nell'ottica delle Hoshisaki. Ella non era l'ultima portatrice di Junan.»
Gli occhi ambrati di Sesshomaru si spalancarono per lo shock. Anna rimase colpita dal lampo di profonda sofferenza che per un attimo attraversò quelle iridi di norma gelide, come se le fosse stato concesso per un istante di vedere dentro un abisso di dolore. Fu questione di un istante, poi quegli stessi occhi si tinsero di rosso.
«Tu sapevi. - ringhiò Sesshomaru, mentre sul suo volto comparivano con maggiore forza i tratti demoniaci – Sapevi che sarebbe morta!»
«Non sapevo né quando né dove, Sesshomaru-sama. Non avrei potuto dirvi nulla che vi desse modo di salvarla. Nessuno di noi dovrebbe portare sulle spalle la colpa della sua morte. Voi, finché è vissuta, le avete regalato felicità.» mormorò la Dea. Anna la guardò, sbalordita da simili informazioni. «Ora, Junan è tornata a voi sotto le spoglie di questa giovane donna. Naraku l'ha marchiata, la sua vita senza di voi è distrutta. È pronta al sacrificio per il bene di tutti. Perché vi ostinate a rifiutare ciò che vi è stato destinato?»
Sesshomaru parve contenersi a fatica e spostò il suo terribile sguardo su Anna, che si trattenne dal fare un passo indietro e alzò la testa. La tensione tra loro era palpabile, pericolosa.
«Lei è la reincarnazione di Rin?» si decise a chiedere il demone, sempre con quella voce da brividi. Anna perse un battito di cuore. Aveva avuto il coraggio di fare la domanda più scomoda. Quando la Dea scosse il capo, Anna esalò un sospiro che parve arrivare dal centro stesso del suo essere. Sesshomaru, al contrario, riprese immediatamente il controllo di sé. Il suo volto divenne pietra, atteggiato a un remoto disprezzo.
«Allora, il discorso è già chiuso.» disse, voltando le spalle alle due donne. Quella era la sua risposta. Non avrebbe mai accettato una Portatrice di Junan diversa dalla piccola Rin.
«Sesshomaru! Stai voltando le spalle a En, non solo ad Anna!» intervenne Miroku, con encomiabile coraggio.
«Taci, monaco! Come ti permetti...» iniziò Jaken, scandalizzato, quando la Dea parlò di nuovo.
«L'anima della piccola Rin è ancora in Junan, Sesshomaru-sama, e vi rimarrà prigioniera finché la Stella di Gake non verrà purificata. Per salvarsi dalle grinfie di Naraku, è diventata una cosa sola con la sua Hoshisaki.»
Le sue parole li gelarono. Anna vide Sesshomaru voltarsi di nuovo e guardare Kiokuchi-sama con un misto di sbalordimento e orrore che le fecero provare, suo malgrado, un moto di partecipazione verso il gelido Imperatore di En. Non conosceva la storia nei particolari, ma era evidente che Rin doveva aver compiuto il miracolo di toccare il cuore di quel demone anaffettivo.
«Cos'hai detto?» mormorò Sesshomaru. Sembrava fosse stato pugnalato alle spalle. Kiokuchi-sama scosse il capo, conscia di essere latrice di un nuovo dolore, ma pose una mano sulle reni di Anna e la spinse avanti, a fronteggiare Sesshomaru.
«Non capite? La giovane Anna è stata scelta da Rin stessa come nuova Portatrice di Junan. Ha attraversato i mondi pur di porre al vostro fianco la persona adatta. - disse, sbalordendoli tutti – È stata Rin a destinarvela, Sesshomaru-sama. Anna è il suo ultimo dono per voi.»

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Capitolo 20
*** 19 - Nuove emozioni ***


 

Author's note : Sesshomaru e Inuyasha stanno per essere costretti a trovare la loro strada. La guerra delle Hoshisaki non durerà in eterno e Naraku ormai ha messo in campo tutto – o quasi – ciò che ha a disposizione. I due fratelli impareranno a dare ascolto al cuore? Buona lettura!

 

CAPITOLO 19

NUOVE EMOZIONI

 

«Cosa mi si chiede, ancora? Non faccio abbastanza per En, da secoli?!» mormorò Sesshomaru, amaro e pieno di rancore. Solo il suo straordinario autocontrollo gli stava consentendo di continuare ad ascoltare Kiokuchi, quando avrebbe voluto correre via nella foresta e sfogare i sentimenti tumultuosi e oscuri che gli si agitavano dentro a causa delle rivelazioni sulla piccola Rin. Il profondo abisso in cui lo yokai aveva gettato tutti i ricordi del più grande dolore della sua vita era stato scoperchiato e, per una volta, sentiva di non essere del tutto padrone di sé. L'anima di Rin imprigionata in Junan finché non avessero purificato le due Stelle? Una nuova Portatrice scelta da Rin stessa come dono per lui? Era troppo da digerire.

«Fate abbastanza, Sesshomaru-sama...solo che serve di più. Alla stella di En serve il vostro cuore.» disse Kiokuchi-sama, che si era appartata con lui dopo la sua ultima rivelazione. Sesshomaru fece una piccola smorfia, fissando quegli occhi ciechi che guardavano lui e al contempo qualcosa di più lontano, precluso a chi non possedeva il suo dono divino.

«L'ha divorato e sputato via già da molto tempo.» replicò, brusco. Kiokuchi-sama scosse piano il capo, chiudendo le palpebre.

«Esso si cela persino a voi. Quella giovane vi aiuterà a ritrovarlo, portando a termine ciò che la piccola Rin ha iniziato.»

Sesshomaru strinse le labbra in una linea quasi invisibile. I suoi occhi si spostarono sul piccolo gruppo vicino ai resti del tempio, ormai illuminato dalle prime luci dell'alba. Vagarono sulla nuova Portatrice di Junan, i cui capelli dorati sembravano catturare perfino il fioco bagliore del giorno nascente. Il suo viso era pallido, stanco, turbato. Non era difficile notare quanto si sforzasse di apparire serena mentre parlava con il monaco e la cacciatrice. Questo non lo induceva a provare per lei la minima partecipazione o pietà. Il confronto con Rin era impietoso. L'innocenza e l'affetto gentile della bambina non potevano trovare risonanza in una donna ormai adulta, una sconosciuta che non aveva alcuna speranza di giungere alle sue emozioni. Parve che Kiokuchi-sama avvertisse questi suoi pensieri, perché sussurrò: «Non cercate Rin in lei, Sesshomaru-sama. Anna è una persona diversa, una donna diversa. Saranno differenti anche le emozioni che lei vi insegnerà...se gliene darete modo.»

Di nuovo, la tentazione di un rifiuto secco, senza appello. Tutto dentro di lui si ribellava a quella costrizione, a quel destino predeterminato, a un dono che non aveva mai chiesto. Avrebbe mille volte barattato quella straniera, quella creatura ibrida sporcata da Naraku, per poter vedere Rin anche solo una volta ancora.

In quel momento, forse sentendosi osservata, la neko-yokai si voltò verso di lui. Come poco prima era stata Anna a scorgere dentro ai suoi occhi uno scorcio del suo tormento, ora fu Sesshomaru a entrare in risonanza per un istante con gli abissi della solitudine e della disperazione in fondo agli occhi azzurri della nuova arrivata. Un tremendo bisogno di essere accettata, di un posto nel mondo. Sesshomaru ripensò per un attimo al fiore bianco che lei gli aveva dato un paio di mattine prima, al messaggio che nascondeva. Fedeltà. Amore puro. Quella donna aveva usato i suoi nuovi poteri e le sue forze per cercare di salvare Inuyasha e Shinsetsu, mettendosi in pericolo per andare a chiamarlo, spezzando persino il sigillo che le aveva ingabbiato la voce. Era questa la forma della sua anima? Un coraggio capace di sacrificio? Per questo Rin l'aveva scelta? Poi, lei si accorse di essersi mostrata vulnerabile e deviò lo sguardo, impallidendo.

«Cosa mi si chiede?» disse Sesshomaru, prima ancora di rendersene conto.

«Partirete insieme a lei. Dovete permettere alle vostre Hoshisaki di ritrovare l'equilibrio e di guidarvi.» rispose la Dea. Sesshomaru si accigliò ancora di più.

«Partire?! C'è una guerra in corso, se non lo sai, donna! E quell'idiota di mio fratello...»

«Sarà lui, insieme alla Portatrice di Shinsetsu, a occuparsene finché non sarete pronto. Questo viaggio vi condurrà a padroneggiare anche Tenseiga. Sesshomaru-sama, è ormai tempo. - lo frenò lei, spingendolo a stringere le dita sull'elsa dell'eredità che non era mai riuscito a utilizzare – Lasciate che gli umani si riuniscano a Inuyasha-sama. Fate che sia lui a gestire la lotta contro Naraku durante la vostra assenza. Sapete dove si trova la Grotta degli Echi?»

Sesshomaru fu sorpreso nel sentire nominare quell'eredità paterna. Annuì.

«Recatevi laggiù con la giovane Anna. Troverete la vostra verità o un nuovo suggerimento per avvicinarvi ad essa.» terminò la Dea. Sesshomaru si accigliò.

«Le tue parole sono inutilmente criptiche. Parla chiaro.» le ordinò.

«Se il futuro fosse una strada predeterminata, Sesshomaru-sama, sarebbe tutto così terribilmente semplice...e al contempo così triste...» mormorò la Dea, con un sorriso che Sesshomaru giudicò troppo pieno di pietà perché potesse fargli piacere.

Nello stesso momento, a una certa distanza, qualcuno stava annuendo a quelle parole, con il volto aggrondato e le labbra dipinte di rosso piegate verso il basso in un broncio.

“Quella tizia sciorina perle di saggezza. - pensò Kagura, che stava cercando di seguire la conversazione sfruttando il vento, a una distanza che le consentisse di non entrare nel raggio d'azione del fiuto di Sesshomaru – Conoscendo il proprio futuro, non esisterebbero sfumature tra felicità e disperazione.” Non che lei riuscisse a provare davvero l'una o l'altra, grazie a quella maledetta Hoshisaki che si portava in corpo. Solo echi vaghi, come ciò che provava verso l'Imperatore di En, o il sotterraneo fastidio nel venire a sapere che Sesshomaru avrebbe viaggiato in solitudine con la sua nuova Junan. Per Kagura, condannata all'Indifferenza, quei piccoli echi erano la cosa più simile a un sentimento che potesse provare e vi si aggrappava con tutte le sue forze, decisa com'era a ritrovare – o forse a trovare per la prima volta – se stessa e la propria libertà.

Doveva uccidere quella neko-yokai? Naraku le aveva dato un ordine preciso e a lei non sarebbe dispiaciuto obbedirgli, per una volta. Non era così stupida, però, da non capire che Naraku aveva mandato lei apposta per recidere quei germogli del cuore che doveva aver subodorato tramite il potere della Stella di Gake. Quell'omicidio avrebbe danneggiato sia Sesshomaru che lei, facendo un doppio favore a quel maledetto ragno.

“Non c'è modo di sfruttare quella donna a mio favore? Dopotutto, è diventata yokai rubando un pezzo a Naraku, non è una cosa da sottovalutare...” ponderò, picchiettandosi le labbra col ventaglio. Già, perché non prendersi il tempo di capire da che parte avrebbe tirato il vento? Avrebbe mostrato molto impegno nell'uccidere quella Anna, ma con la costante presenza di Sesshomaru l'incarico prometteva di diventare più complesso e questo avrebbe giustificato eventuali fallimenti. Kagura avrebbe mostrato a Naraku di non voler cedere comunque e questo, forse, l'avrebbe tenuto tranquillo per un po' riguardo alla sua fedeltà...

«Avete deciso?»

La voce della donna, portata dal vento, la distrasse dalle proprie elucubrazioni. Seccata nel non riuscire a vedere un accidente dalla propria postazione, Kagura evocò la piuma che le faceva da mezzo di trasporto e si librò sulle cime degli alberi, cercando di sbirciare il gruppo in lontananza senza essere individuata.

«Donna, verrai con me. - rispose Sesshomaru, che era tornato dagli altri insieme alla Dea – Partiremo immediatamente, non voglio trascinare questa cosa più a lungo del necessario.»

«Dove andremo, Sesshomaru-sama?» gracchiò Jaken.

«Dovunque sarà, la tua presenza non è prevista.» lo gelò l'Imperatore di En.

«E per quanto riguarda Kagome e Inuyasha-sama?» chiese la Cacciatrice, guardando con preoccupazione Anna, la cui espressione era nascosta dai capelli dorati visto che teneva la testa bassa.

«Cercateli lungo il fiume. - rispose la Dea, con la voce musicale che usava per le sue predizioni – Tre frammenti di Gake li attendono. Due di essi sono molto pericolosi, il terzo non è ancora immerso nella tenebra. Avranno bisogno di aiuto.»

«Maledizione, devono aver incrociato Koga della tribù Joro! - intervenne il monaco, alzandosi in piedi – Gli altri due frammenti saranno quelli di Naraku?»

“Sarà Bankotsu con quell'idiota di Jakotsu.” pensò Kagura, sbuffando. Anche stavolta, la missione di quei due non prometteva di andare liscia come l'olio. Meglio così.

«Partite subito. Jaken, vai con loro e dai una mano. Vi affido la protezione delle tre Hoshisaki in possesso di mio fratello. - ordinò Sesshomaru, ricevendo cenni d'assenso anche dal suo deluso e preoccupato galoppino – Abbiate ragione dell'Hoshisaki che Naraku non ha ancora conquistato. Se potete, impadronitevene ma non lasciatela in mano a mio fratello. Monaco, tu puoi capire il perché.»

Miroku annuì e Kagura, dopo un attimo di perplessità, pensò di aver compreso. Il sangue a metà di Inuyasha poteva rendere pericoloso per lui sopportare a lungo l'influenza negativa dell'Hoshisaki maligna.

«Dopodiché, tornate a Palazzo e aspettatemi lì senza uscirne per nessun motivo. Questo è quanto, per il momento. Donna, muoviti.» terminò lo yokai, troncando la conversazione e iniziando ad andarsene, per fortuna in direzione opposta a quella di Kagura. Anna non lo seguì subito. Ristette ancora un attimo, a testa bassa, poi guardò la dea Kiokuchi.

«Alla fine di questa storia, se l'Hoshisaki si purificherà, potrò tornare umana e riavere la mia vita?» chiese, a voce anche più alta del necessario. Kagura sollevò un sopracciglio. Era un modo per far sapere a Sesshomaru che gradiva l'idea di passare del tempo con lui come quella di lanciarsi da un dirupo? Beh, il messaggio era forte e chiaro. La cosa non le dispiacque.

«In En esiste un potere che potrebbe essere in grado di esaudire un desiderio tanto grande, giovane Anna. Se davvero lo vorrai, potrai tentare...» rispose la Dea, ma Anna la interruppe.

«Mi basta.» disse, granitica. Kagura la vide salutare gli altri con un abbraccio e poi incamminarsi, sparendo nella foresta dietro a un Sesshomaru che si era guardato bene dall'aspettarla. La yokai del vento chiamò un Saimyosho, gli spiegò cosa riferire a Naraku, poi si apprestò a volare via, pensando alle sue prossime mosse. Fu trattenuta dall'ultima parte della conversazione.

«Cosa stavate dicendo prima che Anna vi interrompesse, Kiokuchi-sama?» chiese Miroku, fissando come tutti gli altri la direzione in cui i due si erano allontanati. Aveva un pessimo presentimento, che si rifletteva negli occhi di Sango, nel mutismo di Shippo e Jaken.

«Che quel potere sarà a sua disposizione...se lo sottrarrà a Sesshomaru-sama stesso. - li sconvolse la Dea – Servirà a entrambi, per scopi diversi. Se lotteranno per esso, uno solo di loro ne trarrà giovamento ma la guerra sarà perduta. Se sapranno sacrificarsi, invece, la luce tornerà a brillare sul futuro di En.»

«Dovevate dirglielo! Kiokuchi-sama, hanno bisogno di aiuto per...» esclamò Sango, spaventata, ma la Dea scosse la testa.

«Finché i loro cuori si rifiuteranno a vicenda, nessuna mia parola potrà cambiare le cose. Voi restate a fianco al più giovane fratello e alla luce buona di Shinsetsu. Partite subito, non esitate, o sarà tardi per aiutarli. Anna e Sesshomaru-sama non hanno altra scelta che vivere la mia profezia, fino a precipitarvi o a dare forma a un nuovo futuro.»

Kagura rimase dov'era ancora per qualche istante, poi volò via, chiedendosi come sfruttare la preziosa informazione appena ottenuta.

 

***

 

Le orecchie di Inuyasha si mossero per riflesso nell'avvertire suoni sgradevoli in lontananza. La percezione, pur remota, lo svegliò. Sbarrò gli occhi, incredulo di essersi addormentato in una notte tanto pericolosa per lui, poi si accorse di essere ancora seduto nell'albero cavo e che il sole era sorto, ridandogli forza e poteri. Fece per esalare un sospiro di sollievo, quando si rese conto del calore e del peso che facevano pressione sulla parte destra del suo corpo. Si voltò e si trovò a sfiorare con le labbra e il naso i capelli corvini di Kagome, che si era addormentata al suo fianco e aveva reclinato la testa sulla sua spalla. Inuyasha avvampò, irrigidendosi, mentre il cuore iniziava a battergli con furia. Erano rimasti così tutta la notte?! Come aveva potuto esporsi a una situazione tanto imbarazzante? Addormentarsi, addirittura, con una donna appiccicata a lui?!

Le sue narici si riempirono del profumo delicato e dolce di Kagome e avvertì una sensazione rovente ma non sgradevole allo stomaco. Si prese un istante per inalarlo ancora. Era davvero dolce. Lo metteva a suo agio, era palese che apparteneva a una persona gentile. Ricordò la loro conversazione della sera prima e non poté esimersi dal pensare di essersi comportato in maniera tremenda con quella povera ragazza. Lei non aveva colpa per il passato.

«Ehi...Kagome, svegliati.» le disse, piano, battendole delicatamente una guancia. Lei mugolò qualcosa, rintanandosi ancora di più nell'incavo della sua spalla. La mano di Inuyasha si fermò sul viso di lei. La sensazione della sua pelle delicata sotto le dita lo accese di sensazioni nuove che lo fecero avvampare un'altra volta.

“Kagome è bella. - si trovò a pensare – Una bellezza più accogliente e gentile di quella di Kikyo. Come mai non me ne sono accorto fino ad ora?”

Il suono sgradevole in lontananza si ripeté e Inuyasha si affrettò a ritirare la mano, come se si fosse scottato. Cosa stava facendo?! Cosa stava pensando?! Meglio tornare alle cose pratiche, prima di comportarsi da stupido e rendersi ridicolo. Fece scivolare Kagome contro il tronco dell'albero con ogni cura, poi sgattaiolò fuori, cercando di capire direzione e natura di quei suoni che gli trasmettevano allarme.

Pochi istanti dopo, Kagome si svegliò. La sensazione di protezione e calore, che l'aveva fatta addormentare poco dopo che Inuyasha aveva finalmente ceduto al sonno, era scomparsa. Aprì le palpebre, sbattendole più volte per reggere la brillante luce del giorno, poi si tirò a sedere di scatto quando si rese conto di essere sola. Si guardò attorno, febbrile. Aveva ancora addosso la casacca rossa del Principe di En, ma di lui non c'era traccia.

«Inuyasha? - chiamò, piano, poi venne fuori carponi dal tronco cavo, chiamando a voce più alta e venata di panico – Inuyasha!»

«Sono qui.» le rispose lui da qualche parte dietro all'albero. Kagome lo aggirò di corsa e tirò un sospiro di sollievo nel vederlo sano, salvo e con l'aspetto che aveva imparato a conoscere. Era in piedi con il viso alzato, come se stesse annusando l'aria. Sotto i lunghi capelli che gli ricadevano sulla schiena, Kagome poteva adesso vedere gli squarci e il sangue sulla camicia bianca dell'hanyo, ma sembrava che delle ferite non vi fosse più alcuna traccia. Inuyasha fece una smorfia, poi abbassò il capo e la guardò. Kagome provò una strana emozione nel fissare di nuovo quegli occhi ambrati. La scoperta dell'identità del suo principe dai capelli neri e le cose dette e fatte il giorno prima l'avevano un po' scombussolata.

«Sta succedendo qualcosa non lontano da qui. Riesco a sentire le grida di una battaglia. - le disse, gelandola – Qualcuno continua a chiamare un certo Koga. Non è il tizio che stavamo cercando?»

«Credo...credo di sì.» rispose Kagome, sorpresa.

«Mi sa che Naraku si sta muovendo in tutte le direzioni. Bisogna andare a vedere.» disse Inuyasha., stringendo l'elsa della spada che Kagome non lo aveva ancora mai visto brandire. «Ti lascerei qui ad aspettare gli altri, se ci stanno cercando...» iniziò a dire lui, ma Kagome corse avanti fino a portarglisi a fianco, il volto battagliero.

«Stai scherzando?! Vengo anch'io, non ti azzardare a pensare di lasciarmi indietro! - sbottò, tendendogli la casacca rossa con fare deciso – Fammi trovare un nuovo arco e delle frecce e vedrai come saprò rendermi utile!»

Inuyasha la fissò con tanto d'occhi, poi guardò altrove e si coprì la bocca con il dorso della mano. Kagome rimase perplessa per un istante, poi si rese conto che il Principe di En le aveva nascosto un sorriso.

«Non ne dubito. - borbottò infatti con una voce in cui tremava una risata trattenuta, mentre le prendeva di mano la casacca e se la infilava – Avanti, allora, ti porto io. Non voglio conoscere la reazione di Sesshomaru se dovessimo farci scappare l'Hoshisaki di questo Koga, anche se avrebbe già dovuto essere qui a recuperarci. Sali, ti porto io.»

Arrossendo, Kagome si fece caricare sulla schiena, poi Inuyasha scattò in corsa tra gli alberi. Non ci volle molto perché anche lei potesse udire i suoni terribili di una battaglia in corso.

«Cosa starà succedendo?» mormorò.

«Naraku deve aver attaccato la tribù di quel tizio.» le rispose Inuyasha.

«Pensi che Sango, Miroku e gli altri possano averli trovati prima di noi?»

«Non credo. Se Sesshomaru fosse presente, la battaglia sarebbe durata ben poco. Hai visto anche tu che Naraku esita ancora ad attaccarlo direttamente...» iniziò a dire lui, prima di fermarsi in modo piuttosto brusco nel momento in cui il bosco si diradava, aprendosi verso un declivio erboso che digradava con una pendenza accentuata verso valle. Inuyasha imprecò e saltò indietro, all'ombra degli alberi, mentre Kagome gli si aggrappava al collo per non cadere. Fecero appena in tempo a mettersi fuori vista. Poco sotto di loro, uscendo dal bosco per correre giù dal declivio, emersero tre yokai in forma semi-umana ansimanti e sconvolti. Uno di loro mise le mani a coppa attorno alla bocca.

«Koga! Koga, dove sei?!» gridò. Dietro a loro venne una risata che mise i brividi addosso a Kagome e Inuyasha. Era divertita, argentina come quella di un bambino, ma anche piena di follia omicida.

«Chiamate il vostro capo, su, lupetti! Stiamo perdendo tem-po e io non mi di-ver-to!» canticchiò una voce, subito seguita dalla figura sottile di un uomo vestito in maniera ambigua, con una sciabola alta sopra la spalla. Sul bel viso dipinto, nel breve momento in cui poterono vederne il viso, c'era un sorriso sanguinario.

«È uno di quei tizi al servizio di Naraku!» sibilò Inuyasha con disgusto.

«Fate i bravi, quello è duro d'orecchi ma il naso ce l'ha fino! Rendetevi utili...col vostro sangue!» cinguettò l'uomo, poi fece qualcosa con la propria lama. Come per magia, essa raggiunse e ferì a morte tutti e tre gli yokai, che si trovavano molto più in basso dell'uomo. Fortunatamente, le grida dei morenti e la mano di Inuyasha soffocarono lo strillo di orrore di Kagome. Inuyasha imprecò tra i denti, mentre l'uomo, ridendo, andava a sincerarsi di aver sparso abbastanza sangue di lupo e poi se ne tornava nel bosco, canticchiando.

«Dannato bastardo...» ringhiò Inuyasha, lasciando libera la bocca di Kagome e prendendola per un polso. «Vieni, vediamo se possiamo fare qualcosa per loro.» disse, anche se il suo naso fino aveva già colto nell'aria l'odore della morte. Purtroppo non aveva sbagliato: quando giunsero vicino ai corpi straziati, non c'era più niente da fare.

«È...è orribile! Come ha potuto fare una cosa del genere, alle spalle?! Che vigliacco!» gemette Kagome, le mani strette al petto, mentre Inuyasha si abbassava per osservare meglio le vittime. Erano proprio okami-yokai, quindi questo significava che gli sgherri di Naraku non avevano trovato il capo e gli stavano decimando la tribù per costringerlo a consegnarsi nelle loro mani.

«Beh, l'unica cosa da fare è cominciare a far fuori quel tizio inquietante.» borbottò, rialzandosi.

«Lo inseguiamo?» chiese Kagome. Inuyasha la guardò e non vide paura nei suoi occhi: solo tristezza per quelle morti, rabbia e fiducia in lui. Strinse inconsciamente l'elsa di Tessaiga, i cui poteri erano ancora fuori dalla sua portata. Sperava di essere all'altezza delle sue aspettative, perché in quel momento poteva contare solo sulla forza dei propri artigli.

«Ovvio. - rispose comunque, allungando una mano per invitarla a farsi prendere di nuovo sulla schiena – Non ci sfuggirà tanto facil...»

«EHI!»

Il grido li gelò e li fece voltare di scatto nella direzione opposta a quella verso cui lo sgherro di Naraku si era allontanato. Come un turbine, saltando dalle cime degli alberi e correndo lungo il pendio facendo svolazzare una lunga coda di capelli neri, un okami yokai che dimostrava più o meno l'età di Inuyasha li raggiunse e si fermò a pochi passi da loro, sconvolto.

«Tu...sei quel cane del Principe di En?! - disse, con disprezzo, incredulità e furore, mentre i suoi occhi saettavano dal volto di Inuyasha ai tre corpi insanguinati sotto al sole – Cos'hai fatto ai membri della mia tribù, bastardo?!»

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Capitolo 21
*** 20 - Keisotsu, l'Imprudenza ***


 

Author's note: Eccomi di ritorno! Vi ho lasciato con un incontro pieno di tensione. Preparatevi, perché non ne mancherà per tutto il capitolo!

 

CAPITOLO 20

KEISOTSU, L'IMPRUDENZA

 

L'accusa, pesante e senza fondamento, fece calare per un attimo tra loro un silenzio pieno di tensione. Kagome fece per parlare, desiderosa di chiarire subito l'equivoco, ma Inuyasha non gliene diede il tempo.

«Come ti permetti, idiota! Non capisci da solo che non sono stato io a uccidere i tuoi compagni? - replicò subito Inuyasha, avvicinandosi impercettibilmente a Kagome mentre scrutava il nuovo arrivato e i due okami-yokai che lo stavano raggiungendo, arrancando per la stanchezza - Mi hanno detto che voi lupastri avete il naso fino, ma sembra che noi cani vi battiamo dieci a uno!»

«Inuyasha, non provocarlo!» mormorò Kagome, posandogli una mano sul braccio.

«Taci, cane bastardo! Sei il fratello di quel maledetto ghiacciolo di Sesshomaru, non è così?» ringhiò l'okami-yokai, puntandogli addosso un dito accusatore.

«Bravo, adesso che ci sei arrivato pulisciti la bocca quando parli con me e vedi di prendertela con la persona giusta...» iniziò a dire Inuyasha, sprezzante, ma il nuovo arrivato scattò in corsa, dimostrando un'impressionante velocità, e gli si scagliò addosso. Inuyasha afferrò Kagome e saltò da parte con lei, evitando gli artigli del giovane lupo, che lo mancarono e affondarono nella terra, facendo volare erba e zolle.

«Koga!»

«Koga, smettila, cosa fai?!» lo chiamarono i suoi compari, ma l'okami-yokai sembrò sordo ai loro richiami.

«Ti ammazzerò, stupido cagnaccio!» ringhiò infatti, gli occhi verdi pieni di furore sanguinario.

«Ma che diavolo vuoi, dannato?! Se ti va di rimanerci secco, non sarò io a tirarmi indietro!» sbottò Inuyasha, con gli artigli pronti. Kagome lo sorprese correndo in avanti e mettendosi tra loro.

«Non è stato Inuyasha a uccidere i tuoi compagni! Noi sappiamo chi è il vero colpevole!» disse, combattiva, fissando il demone lupo dritto negli occhi.

«Levati, donna, o ti ammazzo insieme a quel cane!» minacciò il capo degli okami-yokai, mentre i suoi compagni li raggiungevano, col fiatone. Inuyasha mise una mano sul braccio di Kagome per scostarla, ma lei non demorse.

«Piantala di parlare di ammazzare a casaccio e dammi retta! - esclamò, zittendoli tutti per la sua veemenza – È stato uno degli scagnozzi di Naraku! Conosci quell'essere malvagio che governa Gake, no?»

«Naraku?!» mormorò Koga, stringendo gli occhi verdi in due fessure.

«En ha raccolto tutte le sue Hoshisaki e Naraku dev'essere in cerca della tua! Che senso ha combatterci tra di noi?!» continuò Kagome, cercando di portarlo a più miti consigli.

«Ehi! Non devi mica dire tutto a questo idiota!» sbottò Inuyasha, seccato.

«Chi sei, ragazza? Sembri umana, ma emani qualcosa che non mi quadra...» disse il giovane capo degli okami-yokai. Kagome aprì la bocca per rispondere, ma stavolta Inuyasha gliela coprì col palmo della mano, impedendole di parlare e tirandola indietro, facendola tornare alle sue spalle. Negli occhi verdi del nuovo arrivato passò un pericoloso lampo di comprensione.

«Ah...beh, non ci voleva un genio per arrivarci.» disse infatti, con un sorrisetto, prima di essere raggiunto dai due che lo seguivano.

«Koga...Koga, c'è una battaglia in corso! Senti? - ansimò uno dei suoi, tirandolo per la pelliccia che gli pendeva dai fianchi – Forse dovremmo andare a vedere...»

«Storie! È stato sicuramente quel cane, degno fratello di un assassino! Voi non...» si ribellò Koga, mentre Inuyasha veniva avanti di qualche passo, alzando gli artigli micidiali e sbottando: «Adesso basta, ti farò ingoiare gli insulti, lupastro!».

«KOGA!»

Il grido, lontano ma perfettamente udibile perfino da Kagome, terminò con un rantolo orribile nel folto della foresta.

«Andiamo, Koga! Hai sentito? Il branco è veramente in pericolo!» disse uno degli okami-yokai, pallido, spingendo il proprio capo verso la foresta. Quest'ultimo fece una smorfia, poi parve decidersi.

«Va bene. - disse infatti, cupo, poi tornò a guardare Inuyasha con odio – Ma prima voglio tutelarmi!»

Scattò in un balzo contro il Principe di En, che non si fece pregare nell'andargli incontro con gli artigli protesi.

«Mi hai scocciato, lupastro!» sbottò Inuyasha, facendo compiere alla sua mano un micidiale arco. Koga, però, non provò nemmeno a parare il colpo o a sferrarne di suoi. Sfruttando quell'agilità che a quanto pareva era il suo tratto distintivo, evitò Inuyasha passandogli a lato, ignorandolo del tutto.

“Cosa...?!” pensò Inuyasha. voltandosi mentre la foga del proprio colpo lo portava comunque in avanti. Gli si gelò il sangue nelle vene quando vide Kagome sollevata di peso dall'okami-yokai, caricata in spalla e portata via a grande velocità verso la foresta.

«Inuyasha!» gridò la ragazza, spaventata, protendendo una mano in cerca d'aiuto.

«Ka...Kagome! Bastardo, lasciala andare!» gridò Inuyasha, correndo loro dietro. Il demone lupo, però, possedeva una velocità spaventosa e i due scomparvero quasi subito nel folto. Inuyasha si voltò verso gli altri due okami-yokai e nei suoi occhi vi era tanta di quella furia omicida da farli impallidire e abbracciare l'un l'altro in preda al terrore.

«Cos'ha in testa quel vostro capo?! Come si permette di mettere le mani addosso a Kagome?! - sbraitò Inuyasha, stringendo senza accorgersene l'elsa di Tessaiga – Voi due: guidatemi al vostro covo!»

«Ce...certo.» balbettò uno dei due, spronando l'altro e mettendosi a correre nella direzione in cui erano spariti Koga e Kagome. Inuyasha li seguì, stando alle loro spalle nel modo più minaccioso possibile. Il viso spaventato di Kagome lo tormentava. Digrignò i denti.

«Perché quell'imbecille del vostro capo è così fissato contro di me, che non l'ho mai incontrato nella mia vita?!» chiese, amaro.

«Koga...Koga è convinto che vostro fratello abbia ucciso suo padre per tentare di prendergli l'Hoshisaki. - rispose uno dei due, con voce arrochita dalla paura – Naraku gliene ha fornito le prove, quando gli ha chiesto di stipulare alleanza.»

«Nessuno di noi ha mai sentito parlare della vostra tribù prima di qualche settimana fa, che storie andate cianciando?!»

«Lo sospettavamo, ma...è stato un lutto terribile per Koga. Gli ha tolto la capacità di ragionare. Odia Sesshomaru-sama e voi, da un pezzo si tormenta per trovare un modo di vendicarsi.»

«Beh, sarà meglio che apra gli occhi alla svelta perché altrimenti non avrà da me un trattamento diverso a quello riservato agli sgherri di Naraku.» ringhiò Inuyasha, furibondo. Vittima o meno della situazione, quel Koga avrebbe pagato per aver toccato Kagome. Nemmeno si accorse della pulsazione regolare, come il battito di un cuore, che Tessaiga trasmetteva al suo corpo.

Nel frattempo, Kagome stava rischiando di volare giù dalla spalla di Koga, mentre questi correva a perdifiato nel folto. Avevano già superato tre cadaveri, uno conciato peggio dell'altro. Frustrata e spaventata, Kagome prese a tempestare di pugni la schiena di quel demone lupo e, visto che non otteneva effetto, gli strillò dritto nell'orecchio di fermarsi immediatamente. La sua voce acuta, ben indirizzata, ebbe finalmente l'effetto sperato. Koga rallentò, portandosi una mano all'orecchio offeso e guardandola con stizza e poi con sorpresa, rendendosi conto che quella ragazza umana non lo fissava con paura ma come se volesse prenderlo a schiaffi. Al suo collo, fuoriuscita dalla veste a causa degli sballottamenti della corsa, brillava una Hoshisaki rosa.

«Vuoi rallentare?! Ti sembra il modo di trattare una ragazza?! - lo investì lei, arrabbiata e indignata in egual misura – I tuoi compagni sono in pericolo e tu non solo hai perso tempo a insultare Inuyasha, ma adesso ti stai buttando a capofitto nella mischia! Ragiona un attimo prima di agire e...e mettimi giù!»

«Uhm...sì, hai ragione. Meglio prima dare un'occhiata alla situazione. La mia Hoshisaki prende sempre il sopravvento.» le diede ragione lui dopo un istante, sorprendendola. La sistemò meglio tra le braccia, a quanto pareva ben deciso a non lasciarla andare, e rallentò, muovendosi con più circospezione. Kagome, paonazza, si disse che doveva essere contenta di avere almeno evitato di volare a terra e battere la testa. «Sei una donna senza paura, portatrice di Shinsetsu. Si dice che anche chi ti ha preceduta fosse così.» commentò l'okami-yokai, sorprendendola.

«Io sono Kagome, non sono Kikyo. - replicò lei, brusca - Cosa c'entra la tua Hoshisaki con il comportamento che hai avuto?»

«Non lo sai, donna? - la schernì lui, con un lampo ironico negli occhi verdi – Io sono il portatore di Keisotsu, l'Imprudenza. Fa parte di me e mi guida, come prima faceva con mio padre.» Si batté una mano sulla coscia con un sogghigno. Kagome pensò che non c'era molto di cui stare allegri, poi notò la similitudine tra Koga, Inuyasha e Sesshomaru: tutti e tre avevano ereditato una Hoshisaki dal padre. Pensò se rivelarlo all'okami-yokai, ma visto che si era calmato un po' preferì non tirare fuori l'argomento per non scaldarlo di nuovo. Peccato fosse tanto buzzurro, a ben guardarlo aveva un bell'aspetto e c'era qualcosa di buono nei suoi occhi...Incongruamente, le venne da ridere pensando che anche quel particolare si poteva applicare a Inuyasha in ugual modo. Koga, in quel momento, lanciò un sibilo e poi un rantolo addolorato, spingendola a fare attenzione ai dintorni. Avevano incrociato un gruppo consistente di okami-yokai morti, sparsi nella boscaglia nelle posizioni più disparate. Dovevano aver ingaggiato battaglia. I suoni di lotta ancora in corso erano ormai vicini.

«Le mie sentinelle. - ringhiò Koga – Chiunque sia stato, morirà per mano mia!»

«Io e Inuyasha abbiamo visto un uomo con una stranissima spada, capace di colpire anche a grande distanza. La lama sembrava muoversi come una frusta.» mormorò Kagome, guardandosi attorno con apprensione. Koga sembrò colpito dalla descrizione, si incupì, ma non disse nulla. Fece per tornare a camminare, ma Kagome lo spinse via per costringerlo a metterla giù.

«Fammi prendere arco e frecce, ho visto che qualcuno dei tuoi ha perso le armi. Sono disarmata...» gli disse.

«Certo, come no! Per farmi trapassare il cuore in attesa che arrivi a prenderti il tuo Principe?» la schernì lui, stringendola più forte.

«Per darti una mano, stupido! Smettila di perdere tempo, i tuoi amici stanno morendo! Fammi prendere arco e frecce e andiamo, non ho alcuna intenzione di guardare dall'altra parte mentre si sta consumando un massacro di innocenti!» lo sgridò lei con autorità percepibile. Koga la lasciò andare prima ancora di rendersene conto, ammaliato dalla forza di volontà e dalla purezza di quegli occhi. Qualcosa, dentro di lui, si aspettò comunque di vederla fuggire. Si scoprì a perdere un battito quando lei raccolse davvero le armi e si voltò verso di lui con un cenno del capo, pronta a proseguire.

“Questa ragazza ha il cuore di un leone. È sprecata accanto a quel cagnaccio.” si trovò a pensare con ammirazione, camminandole accanto verso il punto in cui il bosco lasciava posto alla conca rocciosa dove stazionava il suo branco. Si ripararono dietro due tronchi e guardarono fuori.

Era un massacro. Per quanto numerosi, gli okami-yokai erano stati colti di sorpresa dall'attacco di quelli che parevano i due guerrieri responsabili dell'eccidio a Ojohi. In quel momento, uno solo di loro, armato di un'alabarda di proporzioni gigantesche, stava tenendo testa ad almeno venti superstiti, quasi tutti già feriti. La forza di quel giovane dalla lunga treccia era sovrumana. Altri membri del branco stavano lottando contro un buon numero di yokai di varia natura. L'altro tizio, quello che aveva assassinato a sangue freddo i fuggiaschi, non era in vista. Forse era occupato altrove nello stesso tipo di attività.

«È proprio il servo di Naraku! Lo abbiamo conosciuto qualche giorno fa a Ojohi, pare che non sia del tutto umano.» mormorò Kagome, sconvolta.

«Maledetto... - ringhiò Koga – Lo ucciderò!»

«Potrebbero essere qui per attirarti in trappola, ci hai pensato? Naraku vuole la tua Hoshisaki!»

«Me l'ha già chiesta più di una volta e ho sempre rispedito i suoi messaggi al mittente. Perché attaccarmi adesso?!» disse Koga tra i denti, gli occhi fissi sul combattimento.

«Prima non aveva tutta la fretta che ha ora! - lo incalzò Kagome, afferrandogli un braccio e attirando finalmente la sua attenzione – Ascolta, En ora ha recuperato tutte le sue Hoshisaki! Naraku lo sa e sta cercando in tutti i modi di riunire la Stella di Gake. Se non sei crudele come lui, non consegnargli la tua Hoshisaki, ti prego!»

«E dovrei darla a quell'assassino di Sesshomaru?!» sibilò Koga, iroso.

«Sesshomaru voleva solo essere sicuro che tu non la dessi a Naraku, non ha alcun motivo per voler prendere un pezzo della Stella di Gake!» protestò Kagome, sperando che fosse vero. Il fratello maggiore di Inuyasha le risultava ancora misterioso e un po' inquietante.

Koga la fissò, di nuovo colpito dalla purezza di quegli occhi, poi scosse il capo.

«Voglio darti il beneficio del dubbio. Io non sono un malvagio, se è questo che mi chiedi. Però non sono nemmeno un codardo. - disse, alzandosi in piedi – Andiamo. Se è davvero Naraku ad aver ordinato il massacro del mio branco, meglio che si prepari a ricevere un danno cento volte peggiore.»

«Aspetta! Se Inuyasha ci raggiunge, possiamo...»

«Non ho bisogno dell'aiuto di quel cane! Vieni, distrailo con una freccia appena puoi e io farò il resto!» esclamò Koga, afferrandola di nuovo e mettendosi a correre e saltare sulle rocce per raggiungere la conca prima che lei potesse replicare in qualche modo. Kagome, conscia che se voleva sopravvivere all'impulsività di quel tipo doveva reagire, si fece forza e incoccò una freccia, pronta a tirare. Era sicura che Inuyasha sarebbe arrivato presto a salvarla.

Un demone che somigliava a un'aquila mostruosa si avventò su di loro e Kagome lanciò il suo primo strale, colpendo un'ala della creatura con la sua luce purificatrice e facendola precipitare al suolo con uno stridio. Ne incoccò subito un'altra e gridò: «Mettimi giù, lasciami tirare da qui!»

Koga le obbedì, fermandosi su una roccia sopra la testa del guerriero. Kagome prese la mira, cercando di limitare al minimo il tremito delle mani, e scoccò. Il giovane dalla treccia nera sembrò avere gli occhi perfino dietro la testa, perché in un attimo si voltò e intercettò la freccia con la sua alabarda. Fu costretto a fare un passo indietro a causa del potere di Shinsetsu in essa contenuta, ma niente di più. Nel frattempo, la mossa aveva fatto alzare gli occhi di tutti i contendenti.

«Koga! - gridarono in molti, sollevati – Il capo è tornato!»

«Ah...ecco il capo dei lupi. - disse il giovane dalla treccia nera, posando l'alabarda in spalla – Avresti dovuto farti trovare in casa. Io sono Bankotsu dei Shichinin-Tai, portatore di Ageshisa, la Violenza. Naraku non ti ha detto che saremmo passati a prendere la tua Hoshisaki?»

«Maledetto, come hai osato attaccare il mio branco?!» gridò Koga, furibondo.

«Tu non c'eri e loro si sono rifiutati di collaborare. Personalmente, non sono famoso per la pazienza. - sbadigliò l'altro, poco impressionato – Bene, adesso sei arrivato. Come immaginavo, il massacro ti ha messo il pepe ai piedi. Penso che tutti questi cadaveri possano aiutarti a prendere la giusta decisione. Mi dai l'Hoshisaki o...»

«Ti darò la morte, dannato!»

Koga lasciò Kagome dov'era e balzò sulle rocce, avventandosi come un proiettile sparato da una fionda contro Bankotsu. Questo fece un sorrisetto e preparò l'alabarda. Appena Koga arrivò sopra la sua testa, tagliò l'aria da destra a sinistra con sorprendente forza e velocità. L'okami-yokai si avvitò su se stesso per evitare di essere tagliato in due e atterrò a pochi passi. Bankotsu, senza soluzione di continuità, sferrò un colpo in avanti, diretto verso il suo petto. Koga evitò l'affondo, si piegò sulle gambe e spiccò un balzo, facendo una capriola in aria e atterrando alle spalle di Bankotsu. Si avventò sulla sua schiena, ma Bankotsu si girò appena in tempo e parò l'alabarda davanti a sé, costringendo Koga ad arretrare.

«Sei agile, lupo, ma anche io ho una Hoshisaki. Non sono così facile da beffare.» sogghignò.

«Sei solo un essere umano che puzza di morte!» esclamò Koga, rabbioso.

«Koga, ti aiutiamo noi!» disse uno dei superstiti, venendo avanti.

«No, questo bastardo è mio! - gridò Koga – Fate fuori i pesci piccoli, liberate la conca da questa feccia!»

Abituati a obbedire, pur se preoccupati i superstiti si dispersero, andando ad aiutare i compagni impegnati nei singoli combattimenti. Kagome cercò di mettersi al sicuro da occhi malevoli nascondendosi in un anfratto della roccia. Guardò il combattimento dall'alto. Koga continuava a incalzare Bankotsu, senza però riuscire ad averne ragione. Anzi, il misterioso guerriero iniziò a menare quella sua gigantesca alabarda a destra e a sinistra, costringendo Koga a numeri di acrobazia per rimanere intero.

“Per fortuna nessuno ha capito che porto Shinsetsu, sono troppo occupati con l'Hoshisaki di Koga. - pensò, con un brivido – Spero che Inuyasha arrivi presto, questa situazione mi fa davvero paura!”

«Uh, guarda che bel giovane! Speriamo ceda a Bankotsu prima di farsi rovinare quel bel faccino!»

La voce garrula, a poca distanza da lei, la fece sobbalzare con violenza. Kagome strinse al petto l'arco, col cuore che le batteva a mille, e alzò con paura lo sguardo alla sua sinistra. Poco sopra di lei, in una posizione da cui non poteva non essersi accorto della sua presenza, sostava il guerriero ambiguo che avevano visto in azione poco prima, accucciato a guardare cosa accadeva in fondo alla conca con la spada lorda di sangue appoggiata con noncuranza sulla spalla. Così da vicino, Kagome notò il viso imbellettato come quello di una donna, la struttura longilinea ma forte del suo fisico. I capelli neri, curatissimi, erano un po' arruffati dopo gli inseguimenti e lo spadaccino li assicurò di nuovo all'acconciatura con fare lezioso mentre si voltava verso di lei, con un sorriso mellifluo e occhi che non avrebbero stonato su un predatore.

«Non è vero, ragazzetta? Che mi dici: sono più accoglienti le braccia del lupo o quelle del nostro bel principe cane? Racconta i dettagli al qui presente Jakotsu!» tubò, alzandosi in piedi e facendo roteare l'elsa della propria spada nel palmo della mano. Il sangue si congelò nelle vene di Kagome. Quell'assassino aveva seguito i loro movimenti e aveva aspettato che Koga si allontanasse da lei. Pensava non si fossero accorti di Shinsetsu? Che ingenua!

Saltò, guardando a malapena dove sarebbe andata a finire, e questa mossa imprevista le salvò la vita. Sentì la strana lama allungabile di quel tizio passare a pochi centimetri dalla sua testa, scompigliandole i capelli e tagliando qualche ciocca. Jakotsu imprecò, sorpreso, mentre Kagome atterrava malamente su una roccia poco più sotto, con un grido soffocato, e poi si metteva a correre su una scala naturale che riconduceva in alto, verso la boscaglia. Se avesse raggiunto gli alberi, forse quel tizio non sarebbe riuscito a usare i suoi colpi ad ampio raggio. Aveva una speranza di salvarsi, se...Inciampò, cadendo sulle ginocchia e ferendosi.

«Dove credi di andare, ragazzina?!» rise Jakotsu con un divertimento malato. Kagome si voltò e lo vide correre sulla scala di roccia verso di lei, con la spada già alzata sopra la testa, pronto per il colpo. Incoccò una freccia, cercando di difendersi fino all'ultimo, ma sapeva di non avere tempo di fare nulla. Se anche il suo dardo fosse partito, questo non l'avrebbe salvata dalla lama di Jakotsu.

«KAGOME!»

La voce di Inuyasha le risuonò in tutte le terminazioni nervose e un istante dopo la forma rossa del Principe di En, con i capelli d'argento splendenti lungo la schiena, si parò tra lei e l'arco serpentino dell'arma di Jakotsu. Sbalordita, Kagome vide la spada allungabile respinta da un'altra lama che Inuyasha stava tenendo in mano, una spada gigantesca. Il fodero che portava al fianco, infatti, era vuoto. Jakotsu ebbe un'esclamazione di scorno quando la sua spada si mise a penzolare inutilmente, rivelandosi per una serie di lame a mezzaluna collegate l'una all'altra.

«I...Inuyasha!» gemette Kagome, allungando una mano verso di lui come se si trattasse di un miraggio.

«Kagome! - disse Inuyasha, voltandosi subito verso di lei e passandole un braccio attorno alle spalle, facendo guizzare lo sguardo tra il nemico e la ragazza per sincerarsi delle sue condizioni – Maledizione, quel lupastro me la pagherà! Corre come se avesse la morte alle calcagna, ci abbiamo messo anche troppo a raggiungervi! Sei ferita? Ti hanno fatto qualcosa?»

«Ci hanno provato, ma tu mi hai salvata. - lo rassicurò Kagome, sbalordita di come la presenza di Inuyasha avesse cancellato il panico – Inuyasha...e questa spada?»

«L'eredità di mio padre...È una lunga storia. L'importante è che finalmente sia tornata a rispondermi.» mormorò Inuyasha, che in realtà aveva un'espressione a metà tra il sorpreso e il sollevato.

«Eeeehi, avete finito di tubare, voi due? Non è giusto! Donna, giù le mani dal Principe di En! Quelle orecchie adorabili devono essere mie!» si lamentò Jakotsu, che aveva rimesso in ordine la propria arma e adesso stava riprendendo a salire, leccandosi le labbra. Inuyasha rabbrividì.

«Ma chi è quel deviato?!» ringhiò, alzandosi in piedi.

«Si chiama Jakotsu. Inuyasha, Koga sta lottando contro un altro guerriero in fondo alla conca. Se prendono la sua Hoshisaki, Naraku avrà tutti i frammenti che gli servono!» lo avvisò Kagome.

«Beh, adesso dobbiamo eliminare questa scocciatura. Dell'Hoshisaki ce ne dovremo occupare dopo.»

«Tranquillo, bel principe...non ti darò tempo di pensare ad altro!» esclamò Jakotsu, preparando la spada a un nuovo colpo.

«Ah! Ma...quella non è Sango?! C'è anche Miroku!» esclamò in quel momento Kagome, indicando il cielo e distraendo i due contendenti.

«Miroku?! Dove?!» strillò Jakotsu, emozionato, guardandosi attorno. Inuyasha, disgustato, alzò gli occhi al cielo e vide la sagoma in controluce di Kirara e dell'arma di Sango, pronta a colpire. In quel momento, infatti, Hiraikotsu compì la sua traiettoria nell'aria, andando a sterminare alcuni demoni di Naraku e regalando agli okami-yokai un po' di respiro.

«Inuyasha-sama! Kagome-Sama!»

Miroku stava davvero correndo verso di loro, con Shippo accanto. La piccola volpe gridò: «Hi no Kitsune!» e un fuoco azzurro si sprigionò dalle sue piccole mani, andando a fare da barriera tra loro e Jakotsu, che saltò giù di qualche gradino per togliersi dalla traiettoria.

«State bene? Non siete feriti, vero?» chiese il piccolo demone, mentre lo sguardo di Miroku cadeva sulla lama in mano a Inuyasha. Sul suo volto si dipinse una piacevole sorpresa. Scambiò un'occhiata veloce con il Principe di En ed entrambi annuirono, consci del miracolo avvenuto.

«Siamo a posto, il possessore dell'Hoshisaki che ci interessa è quaggiù a farsi affettare e tra noi e loro c'è quel deviato con un'arma stranissima.» riassunse Inuyasha, fra i denti.

«Miroku, come sapevate che saremmo stati qui?» chiese Kagome, sbalordita.

«Siamo stati guidati, Kagome-sama. Ora, chi è questo tizio che ci fa perdere tempo?» chiese il monaco, stendendo il bastone di fronte a sé. Il fuoco di Shippo si era dissolto e Jakotsu li stava fissando con occhi lubrici dal fondo della scala di pietra.

«Monaco, sono offeso, davvero non mi conosci?! - disse, mellifluo, avanzando lentamente – Eppure dovresti riconoscere il portatore di Negai, quando lo incontri! Io e te abbiamo un legame molto stretto...»

Miroku trattenne il fiato con un ansito, impallidendo e Kagome guardò Shippo, perplessa.

«Cosa sta dicendo? Perché Miroku dovrebbe conoscerlo?» gli chiese.

«È stata Negai, il Desiderio, a maledire la mano di Miroku!» rispose il kitsune, con voce rauca.

«Hai rifiutato un discreto potere, bel giovane, ma non temere. Io lo uso con piacere! Ha conservato un'ombra di te, è come se mi tenessi sempre compagnia! - ridacchiò Jakotsu – Però ammetto che il Principe di En è proprio il mio tipo. Ora venite subito a farvi torturare un po' dal vostro Jakotsu, non siate timidi!»

«Miroku, quanta voglia hai di vendicarti di Naraku?» chiese Inuyasha, discorsivo, facendosi sotto.

«Sono cose che mi piace dimostrare con i fatti, Inuyasha-sama.» rispose Miroku, con una voce che sotto al divertito sarcasmo celava un furore non indifferente.

«Allora leviamoci dai piedi questa seccatura e sottraiamo queste Hoshisaki a Naraku!» sogghignò Inuyasha, scattando in avanti, subito seguito dal monaco.

«Bravi, qui tra le mie braccia!» esclamò Jakotsu, esaltato, facendo partire la lunga lama della sua spada.

«Inuyasha!» gridò Kagome.

«Tu stanne fuori, Kagome!» replicò lui, facendo di nuovo volare via la lama di Jakotsu e offrendo al monaco un varco in cui farsi sotto. Lei si incupì.

«Beh, non ho certo intenzione di stare a guardare! Shippo, vieni con me!»

«Do...dove?!» balbettò Shippo, spaventato.

«Se non posso essere d'aiuto qui, proverò di nuovo a dare una mano a Koga.» disse lei, preparando l'arco e correndo tra le rocce in modo da poter vedere il fondo del covo. Shippo, gemendo nell'animo, andò con lei. Quella mattina si era illuso che li aspettasse un po' di tregua, ma a quanto pareva il suo era stato un desiderio senza speranza.

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Capitolo 22
*** 21 - Lotta per le Hoshisaki ***


CAPITOLO 21
LOTTA PER LE HOSHISAKI
 
Sango lanciò di nuovo Hiraikotsu, mentre alle sue spalle Jaken sfruttava il potere del suo bastone per scacciare un demone volante particolarmente fastidioso. Sotto di loro, gli okami-yokai si stavano riorganizzando, grati per l’alleggerimento della pressione dovuto all’arrivo dei nuovi alleati. Kirara scartò a sinistra bruscamente per evitare di essere colpita, poi morse il malcapitato yokai alla gola, spacciandolo. Jaken, che aveva evitato di cadere solo aggrappandosi alla sua coda, lanciò uno strillo gracchiante.
«Ehi! Criminali, ancora un po’ e volavo di sotto! – protestò, impaurito dalla portata di quello scontro ora che erano privi della protezione di Sesshomaru – Forse avrei fatto meglio a scendere con quel monaco…»
«Forse sì, Jaken-sama.» sospirò Sango, stanca delle sue rimostranze, poi si arrischiò a lanciare un’occhiata alla battaglia oltre il margine della conca rocciosa. Miroku e il Principe di En stavano lottando contro un tizio la cui lama si muoveva in maniera micidiale, non comune. Sango era sollevata nel vedere la leggendaria spada Tessaiga nelle mani di Inuyasha, ma l’hanyo non la stava usando per finire il servo di Naraku. Se la memoria non la ingannava, infatti, quella spada non poteva essere usata per uccidere gli esseri umani, ma solo gli yokai. Miroku gli faceva da spalla con abilità, ma Sango era molto preoccupata per lui. Il suo malore di quella notte era ancora troppo recente.
Notando un movimento, la Cacciatrice spostò di nuovo la sua attenzione sulla battaglia in corso, ormai alle sue ultime battute, e lanciò Hiraikotsu. Quando poté dare un’altra occhiata alla conca, si accorse con un tuffo al cuore che Miroku combatteva solo. Inuyasha stava saltando nella conca con la spada alzata: probabilmente sul fondo stava accadendo qualcosa di grave che richiedeva il suo intervento immediato. Lasciato solo, però, il monaco poteva essere costretto a usare il suo Foro del Vento…
«Kirara, vola verso Miroku! - ordinò subito, senza farsi domande sul nodo oscuro di ansia che le aveva attanagliato lo stomaco – Jaken-sama, preparate il Bastone Ninto!»
«Non darmi ordini, Cacciatrice!» sbottò Jaken, ma si affrettò a fare quanto suggerito. Aveva tutta l’intenzione di uscire da quella situazione incolume!
Miroku, in effetti, non aveva di fronte a sé un avversario facile. Con il supporto di Inuyasha era stato più facile deviare i colpi di quella lama modificata, anche se nessuno di loro era ancora riuscito ad avvicinarsi abbastanza a quell’irritante scagnozzo di Naraku per cancellargli quel sorrisetto dalla faccia, ma un istante prima era giunto un grido di Kagome e il monaco stesso aveva spronato il Principe di En a risolvere la questione ai piani bassi senza preoccuparsi per lui.
«Andate, prima che succeda qualcosa a Kagome-sama o all’Hoshisaki di Koga. A questo tizio ci penso io, sta diventando una questione personale.» lo aveva spronato e Inuyasha, dopo aver guardato negli occhi decisi e limpidi di Miroku, era saltato di sotto, dove Kagome e Shippo forse si trovavano nei guai. Jakotsu gonfiò le guance.
«Uffa! Alla fine Bankotsu ha sempre il meglio! Beh, non che mi lamenti di te, Miroku…è da un pezzo che ti voglio.» sbuffò l’ambiguo guerriero, mentre seguiva l’uscita di scena di Inuyasha, per poi riportare lo sguardo malizioso e assetato di sangue sul monaco.
«Anche io voglio qualcosa da te, assassino. Purtroppo, solo uno di noi due realizzerà il proprio desiderio.» disse Miroku, preparando il bastone, già danneggiato in un paio di punti.
«Uh, parole forti da uno che non ha saputo sfruttare il magnifico potere che ora mi scorre nelle vene! - cinguettò Jakotsu, sfiorandosi la gola mentre veniva avanti con un sorrisetto carico d'aspettativa – Lascia che ti tocchi e ti riconduca a Negai, Miroku. Sarà splendido vederti perdere la testa e soccombere ai tuoi più nascosti desideri!»
«Ti vanti di un potere che io ho già digerito e sputato, Jakotsu. Non mi tenti affatto.» replicò il monaco, sprezzante, scattando in avanti. Jakotsu fece partire la sua lama. Miroku la colpì di piatto col bastone, spezzandone la frustata micidiale, poi sferrò due colpi ad arco in rapida successione, cercando di ferire Jakotsu al petto con le lame in cima alla propria arma, ma il guerriero si fece indietro con un balzo e richiamò a sé la spada, con un movimento tanto imprevedibile da cogliere Miroku di sorpresa. Seppe difendersi da danni gravi, ma le lame riuscirono a tagliarlo in diversi punti e a spillare il primo sangue.
«Che meraviglia! - gemette Jakotsu, soffocando a stento un brivido di piacere mentre baciava la lama insanguinata – Fatti torturare ancora un po', la sensazione è magnifica!»
«Bastardo...» sibilò Miroku, che aveva perso la pazienza, decidendo di mettere fine alla questione con il Foro del Vento. Fece appena in tempo a sfiorare il rosario, però, che Hiraikotsu precipitò dal cielo con violenza. Jakotsu cadde all'indietro in maniera sgraziata con uno strillo, mancato di un soffio. Il monaco alzò il capo, sorpreso, incontrando lo sguardo infuocato di Sango in groppa a Kirara. Dietro di lei, Jaken teneva a bada un inseguitore con il Bastone Ninto.
«Miroku, non ti azzardare!» gli ingiunse la Cacciatrice con voce talmente autoritaria da fargli subito abbassare la mano, come un bambino colto sul fatto. Sguainò la propria katana, pronta a scendere per aiutarlo. Jakotsu balzò in piedi, il bel volto sfigurato dall'ira.
«Come ti permetti di metterti in mezzo, donna?! - esclamò, pieno di disprezzo – Miroku è mio! Sei feccia, torna nel fango! Prova a scendere e ti troverai a soffocare nel tuo stesso san...»
Tornò a voltarsi di scatto, attonito, quando si vide incombere addosso Miroku, che si era mosso all'improvviso con una celerità impreveduta. Il monaco, che aveva recuperato Hiraikotsu, usò l'arma della Cacciatrice per impattare contro Jakotsu, facendogli perdere il fiato, per poi stenderlo a terra e fargli volare la spada affibbiandogli un violento pugno al volto. Jakotsu tossì, sorpreso, mentre cercava di alzarsi da terra. Il volto di Miroku, che sembrava aver già dimenticato di essere ferito, era pervaso da un'ira terribile.
«Insultare Sango in mia presenza...che pessima idea.» sibilò, mentre la Cacciatrice si affrettava a raggiungerlo, ignara di essere la causa di quella reazione repentina. Jakotsu non stette a pensare. Si voltò e scattò verso la Jakotsu-ha, caduta a terra poco distante. Se il monaco ci teneva tanto a quell'inutile donna, beh...avrebbe esaudito il suo desiderio, facendoli morire insieme!
***
Sesshomaru procedeva celere tra gli alberi della foresta, salendo lungo i crinali delle colline per poi discenderne senza una parola, un cenno che tradisse un qualche tipo di sforzo. Aveva una meta e vi si stava recando con l'intento di non perdere neanche un minuto del proprio tempo, un singolo respiro in più dello stretto necessario. Intanto, nel suo petto continuava a risiedere un peso rovente, un groviglio di emozioni a cui non voleva dare voce né nome e che legavano la sua Hoshisaki a una sensazione di tormento.
Lo aspettavano risposte alla Grotta degli Echi? Non aveva mai approfittato di quel luogo. Non era tipo da rinvangare il passato e la sua straordinaria memoria gli consentiva di ricordare tutto ciò che gli poteva essere utile. Non sapeva perché la Dea ritenesse che le voci del passato potessero in qualche modo aiutarlo a portare a termine quella maledetta guerra; d'altra parte, tutto quanto attorno a lui gli stava diventando incomprensibile. L'occhiata che lanciò alle sue spalle fu tanto fugace che nessuno si sarebbe accorto del movimento, ma gli permise di mettere a fuoco per un istante la donna che lo stava seguendo con testardaggine, cercando di tenere il suo passo.
Pallida, con gli occhi scintillanti di sfida e pensieri turbolenti, le labbra strette su un silenzio che stavolta era una precisa scelta, la giovane bionda si muoveva il più in fretta possibile, attingendo per istinto alle nuove capacità del suo corpo yokai. Era già scarmigliata, il petto le si sollevava nel respiro affaticato, ma non cedeva, mantenendo una distanza che le permettesse di seguirlo senza stargli vicino.
“Un dono di Rin. - pensò Sesshomaru, avvertendo di nuovo la tentazione di radere al suolo la foresta – Rin, imprigionata dentro Junan.”
Non era stato abbastanza orribile sapere che era morta lontana da lui, senza difese, per mano di Naraku? Non era abbastanza aver perso l'unica creatura che gli fosse arrivata al cuore? Adesso era ancora più importante giungere a un dunque, alla purificazione delle Stelle: ne andava della pace per l'anima di Rin, l'unico dono che potesse ancora farle. Questo, però, non gli impediva di guardare con odio alla donna bionda. I sentimenti torbidi che inquinavano Chinoo gliela facevano vedere come un'impostora, la carceriera di Rin. Non arrivava ad augurarsi che Naraku finisse il lavoro iniziato con lei, il demone di Gake non doveva permettersi di toccare qualsiasi cosa fosse anche solo vagamente associata a Rin, ma se fosse sparita da En lasciandogli Junan per Sesshomaru sarebbe stato un enorme sollievo.
La udì mormorare qualcosa tra sé, pianissimo. Pensò fossero maledizioni alla sua volta, ma avvertì il nome della portatrice di Shinsetsu. Evidentemente, pur in quella situazione i suoi pensieri continuavano ad andare alla sorella. Sesshomaru faticava a preoccuparsi per Inuyasha. Non provava sensazioni di pericolo immediato e aveva mandato gli umani a occuparsi della situazione. Kiokuchi lo aveva rassicurato che i due fossero ancora vivi e a Sesshomaru, per il momento, bastava. Aveva imparato a sue spese che avrebbe avvertito un danno serio al fratello minore o alle Hoshisaki in tempo reale.
Continuarono a salire e scendere dalle colline fin quasi a mezzogiorno. A un certo punto, Anna aveva perso terreno e Sesshomaru non l'aveva attesa. Dopo un po', lei aveva recuperato la distanza tra loro e l'Imperatore di En si era accorto che camminava con le braccia aperte, sfiorando con le mani tutte le piante alla sua portata. Doveva aver iniziato ad assorbire energia dalla foresta quando si era resa conto di essere allo stremo. Suo malgrado, si trovò ad apprezzare questo lato di lei. Non lo riempiva di chiacchiere, non si lamentava, non gli aveva chiesto né una pausa né di rallentare e quando si era trovata in difficoltà aveva utilizzato le proprie facoltà ancora acerbe per trovare una soluzione senza interpellarlo. Erano doti che saltavano all'occhio perfino a una persona indifferente come lui.
“Questo non cambia niente.” si disse, secco, avvertendo di nuovo quella sensazione sgradevole al cuore. Giunsero a una cima, più alta delle altre e inondata dalla luce forte del mattino. Lì lei si lasciò andare a un ansito di sorpresa che spinse Sesshomaru a voltarsi. La vide ritta, volta verso occidente, col volto pallido illuminato in pieno dal sole, gli occhi azzurri spalancati in un'espressione di sorpresa e meraviglia quasi comici che la rendevano bambina, i capelli  scintillanti come una cascata d'oro sulle spalle. Era molto bella ma Sesshomaru, se anche lo registrò, uccise il pensiero non appena si affacciò.
«Riprendi a camminare.» le disse, brusco.
«Quella è la terra di En?» chiese lei, costringendolo a seguire la direzione del suo sguardo. In effetti, da quella cima si poteva spaziare sul meraviglioso paesaggio del suo impero che, per quando devastato dalla lunga guerra, conservava una straordinaria bellezza naturale.
«Lo è.» rispose soltanto, atono. 
«Quindi è questo ciò che state cercando di proteggere.» mormorò la giovane donna, facendolo corrucciare. Nella sua voce c'era una punta di incredulità, come se non riuscisse a coniugare ciò che stava vedendo di lui né con il nobile scopo, né con la bellezza della sua terra. Non commentò, conscio che in caso contrario avrebbero ricominciato a discutere. Anna si voltò verso di lui. «Siamo seguiti.» gli disse.
«Te ne sei accorta solo ora?» replicò lui, laconico. Lei serrò per un attimo le labbra e corrugò le sopracciglia, come per trattenere una replica piccata, ma rispose con un tono di voce immutato: «No, ma adesso credo di aver capito di chi si tratta. È una donna che accompagnava Naraku la notte in cui…»
«È Kagura, un demone del Vento. – la interruppe Sesshomaru – Naraku ci fa l’onore di tenerci d’occhio tramite uno dei servi a lui più prossimi. Non si avvicinerà, se è questo che temi. Sa di non avere speranza contro di me.»
«Io invece spero che si avvicini.» la udì borbottare. Il malanimo nella sua voce lo sorprese quanto bastava da spingerlo a guardarla di nuovo. Il suo viso era cupo, battagliero come quando gli aveva urlato addosso qualche ora prima.
«Non saresti in grado di batterla. È un demone puro, al contrario di te.» la freddò, facendola avvampare.
«Lei ha contribuito a uccidere la mia parte umana.» disse la giovane donna tra i denti. Sesshomaru si stupì di scoprire questo lato guerriero e vendicativo. Gli era sembrata una persona fondamentalmente passiva, abituata ad accettare i colpi della vita e ad adattarsi, invece pareva che al di sotto di quella pazienza costruita vi fosse un fuoco nascosto. «E poi, ha una Hoshisaki. Il mio contrario, oserei dire.» finì di stupirlo, dimostrando un acume e una risonanza con Junan che Sesshomaru non aveva ancora sospettato.
«Sì, è Mukanshin, l’Indifferenza. – rispose, scrutando la foresta con fare pensieroso e chiedendosi per la prima volta come mai, in effetti, fosse proprio Kagura a seguirli – Kagura è nata da Naraku, esattamente come la tua parte demoniaca, per essere il contenitore di Mukanshin. Se i miei sospetti su di lei sono esatti, il tuo odio può essere utilizzato meglio altrove. Kagura detesta Naraku almeno quanto te.»
«Davvero?! Perché?» mormorò Anna, sbalordita e in parte incredula.
«Perché lei è il Vento e Naraku, insieme all’Hoshisaki, le impedisce di essere libera.»
«Ve l’ha detto lei, questo? – chiese la giovane donna, perplessa – Sarà anche vero, ma ciò non toglie che lavori ancora per quel demone e che ci stia tallonando. Pensate che possa passare dalla vostra parte?»
Sesshomaru non rispose. Gli era capitato di pensarci, dopo la volta in cui la yokai si era lasciata scappare parole ambigue al riguardo, l’ultima volta che si erano scontrati. Ricordava ancora di aver potuto intravedere per un istante le nascoste profondità del rancore e della frustrazione di Kagura, il suo desiderio di libertà sotto all’ostentata indifferenza. Quanti anni erano passati da allora? Forse una decina. Naraku non l’aveva più mandata in luoghi dove avrebbe potuto dover affrontare l’Imperatore di En, forse subodorando la resistenza che Kagura faceva al suo dominio e all’influsso di Mukanshin. Eppure, proprio ora che Sesshomaru aveva intrapreso quel viaggio forse risolutivo, Kagura veniva messa alle sue calcagna. Era una trappola di qualche tipo o un’occasione da sfruttare? Naraku teneva così tanto a catturare Junan da mandare allo sbaraglio la sua più indisciplinata alleata?
«Sesshomaru-sama?» lo interpellò ancora la donna bionda, in attesa di una risposta. D’un tratto, Sesshomaru si irritò. Era stato coinvolto in una conversazione con lei dopo che si era ripromesso di ignorarla e le aveva raccontato con naturalezza dettagli di cui non aveva ancora discusso nemmeno col fratello. Strinse i denti.
«Mi annoi, donna. Chiudi la bocca.» le ingiunse, allungando il passo e lasciandola di nuovo indietro.
Anna fissò con nuova rabbia la sua schiena, riuscendo a tacere con un enorme sforzo di volontà. Sesshomaru poteva dire quello che gli pareva, ma lei non avrebbe dimenticato le lame di vento che l’avevano ferita così gravemente da portarla a un passo dalla morte! Riprese a camminare, scrutando il folto con occhi fattisi cupi. Non poteva fidarsi né della yokai che li stava spiando, né dell’Imperatore a cui in teoria era stata destinata dall’Hoshisaki che luccicava sulla sua fronte. Sapeva di essere sola, in balia degli eventi, e non aveva intenzione di farsi trovare impreparata per l’ennesima volta.
***
Koga riuscì a farsi indietro un istante prima che l’alabarda lo trapassasse da parte a parte. Si conficcò invece nella roccia, investendolo di frammenti taglienti e scaraventandolo a lato, facendogli battere la testa contro uno spuntone per poi finire oltre l’orlo della gradinata naturale e precipitare di sotto. Per puro istinto, si girò su se stesso con una capriola e atterrò sui propri piedi, poi barcollò e cadde a sedere, scrollando il capo per cercare di schiarirselo. Doveva ammetterlo, aveva sottovalutato quel tizio chiamato Bankotsu. In totale risonanza con la propria Hoshisaki, combatteva con una forza più che umana. Il giovane con la treccia si affacciò, un sogghigno sul volto.
«Allora, capo degli okami-yokai…mi cedi Keisotsu con le buone o ti devo tagliare le gambe?»
«Bastardo…senza la tua Hoshisaki saresti solo un cadavere che marcisce!» disse Koga tra i denti. Le sue gambe erano già ferite in molti punti. Riusciva ancora a muoversi solo grazie alla sua forza yokai e alla testardaggine.
«Mi sa che oggi sarai tu quello che diventerà un cadavere marcescente.» disse Bankotsu, saltandogli incontro con l’alabarda pronta per il prossimo colpo. Koga spiccò a sua volta un balzo verso di lui. Deviò l’alabarda con l’avambraccio, che subito perse sensibilità per la violenza del colpo, poi sferrò al guerriero un pugno che avrebbe spezzato il collo a un normale essere umano. Bankotsu, invece, pur accusando il colpo, lo afferrò per la gola e i due ricaddero a terra in un groviglio confuso, cercando di colpirsi con tutta la violenza possibile.
«Così non posso tirare!» gemette Kagome, frustrata, osservando lo scontro sotto di lei. Aveva fatto bene a tornare nella conca, la situazione era critica per Koga, ma Bankotsu era saltato giù proprio nel momento in cui lei stava per tirare la freccia e adesso la vita dell’okami-yokai era a rischio. Shippo era più in basso, pronto a entrare in scena. Il loro piano era pericoloso, ma poteva far guadagnare tempo, in modo che Inuyasha e Miroku riuscissero a disimpegnarsi e ad andare ad aiutarli. In quel momento, Bankotsu riuscì a tirare indietro il braccio destro quanto bastava da affondare la sua Banryu. Koga si fece indietro con un rantolo, ferito al fianco.
«Ora!» esclamò Kagome, vedendo un varco. Scagliò la sua freccia, instillandovi tutto il potere di Shinsetsu che poteva. Lo strale si conficcò nel braccio destro del guerriero, in un’esplosione di luce rosa che lo fece arretrare e che consentì a Shippo di scendere fino al livello di Koga, trasformandosi in una sua replica perfetta. Sotto gli occhi sbalorditi dell’okami-yokai, Shippo gli fece cenno di approfittarne per allontanarsi in direzione opposta alla sua e i due saltarono sulle rocce con l’andatura incerta del ferito.
Bankotsu sbatté le palpebre, dopo essere rimasto per un attimo accecato dalla luce di Shinsetsu, poi vide le freccia, ora incastrata tra le nude ossa di un braccio defunto, e si accorse che la sua preda si era magicamente sdoppiata e prendeva il largo, costringendolo a decidere chi fosse l’originale.
«Vi piace giocare, eh? Molto bene… - mormorò, strappandosi di dosso la freccia e alzando lo sguardo alla propria destra, dove uno due Koga feriti stava per essere aiutato dalla ragazza che aveva tirato la freccia – Peccato che non sia difficile notare chi dei due abbia l'Hoshisaki!»
Scagliò Banryu con violenza, colpendo la roccia sotto i piedi della ragazza. Lei cadde con uno strillo, ancora aggrappata all'okami-yokai ferito. Koga la afferrò e atterrò con agilità tenendola il braccio, per poi cadere seduto per le troppe ferite alle gambe.
«Kagome!» gridò l'altro Koga, correndo verso di loro. Gli era spuntata una incongrua coda di volpe, cosa che dava ragione all'intuito di Bankotsu. Quest'ultimo afferrò al volo la Banryu e si slanciò contro i due mentre la giovane donna, terrorizzata, cercava di incoccare una nuova freccia, ma non fece in tempo a raggiungerli. Un brivido lo scosse e, alzando lo sguardo, vide precipitargli addosso il Principe di En, con una enorme spada sollevata per colpirlo. Bankotsu fece appena in tempo a interporre tra sé e Inuyasha la Banryu, poi il mezzo demone gli piombò addosso, deviando la sua alabarda e sferrandogli un tremendo calcio al ventre che lo spedì sul fondo della conca con un impatto che avrebbe ucciso un uomo normale.
«Inuyasha!» gridò Kagome, mentre Shippo la raggiungeva.
«Kagome, porta su quel buono a nulla! A questo tizio penso io!» ordinò lui, concedendosi solo una brevissima occhiata alle spalle. Koga ringhiò e aprì la bocca per replicare, ma Kagome lo frenò.
«Inuyasha ha ragione, hai bisogno di riprenderti e allontanarti da quel...» Non trovò una parola adatta per definirlo: aveva ancora negli occhi l'immagine del braccio scarnificato in cui si era incastrata la sua freccia. Deglutì a fatica e cercò di prestare tutta la sua attenzione a Shippo, che stava proponendo di trasformarsi ancora e trasportarli in volo fino alla cima, in direzione del bosco. Di sopra, infatti, si udiva ancora la voce di Jakotsu.
«Il capo della tribù Joro non lascia un combattimento a metà per farsi proteggere da un cane!» sbottò Koga, opponendo resistenza.
«Il cane, come lo chiami tu, ci sta salvando la vita! - gridò Kagome, d'improvviso furibonda, scioccando sia il capo degli okami-yokai che il povero Shippo – Ora zitto e fatti portare da Shippo! All'orgoglio penserai quando smetterai di sanguinare come un vitello!»  
Dal fondo, intanto, giunse una risata soffocata da qualche colpo di tosse.
«Bella mossa, cagnolino! Naraku mi aveva detto che quella spada non ti rispondeva più, ma con tutta evidenza si è sbagliato. - disse Bankotsu, rialzandosi e togliendosi di dosso polvere e frammenti di roccia – Peccato che non uccida gli esseri umani come me, vero?»
«Feh! Per uno come te, bastano i miei artigli!» replicò Inuyasha, balzando sul fondo per raggiungerlo. Tessaiga incrociò il filo della lama con quello di Banryu e i due contendenti si ritrovarono a fissarsi a breve distanza, spingendosi a vicenda con tutte le loro forze. Inuyasha ringhiava mentre Bankotsu non smetteva di sogghignare. La loro forza sembrò pari e costrinse i due ad allontanarsi dall'altro, per poi iniziare una serie di parate e affondi. Era palese che Inuyasha voleva liberarsi di quell'alabarda per passare al corpo a corpo.
Koga, spintonato da Kagome, si ritrovò a obbedire senza fiatare, chiedendosi come mai si sentisse più ammaliato che umiliato dal fatto di aver trovato una ragazza in grado di tenergli testa. Shippo rimase perplesso quando capì che Kagome non sarebbe andata con loro.
«Kagome, perché...» iniziò a chiedere.
«Voglio andare un po' più su e tenere entrambe le situazioni sotto mira. Hai visto cos'è successo al braccio di Bankotsu? Potrei ancora tornare utile.» rispose lei, iniziando ad arrampicarsi faticosamente sulla roccia crollata. Fu una scelta molto più corretta di quanto avesse supposto. Non appena riuscì a vedere cosa accadeva in cima, infatti, vide con orrore Jakotsu lanciarsi verso la sua spada a terra e rivoltarsi come un serpente, troppo veloce perché Miroku o Sango potessero raggiungerlo.
«Non farlo!» gridò Kagome, terrorizzata per gli amici, incoccando una freccia. Il suono improvviso della sua voce provocò un brevissimo momento di pausa nel movimento del braccio di Jakotsu, un’esitazione superficiale che però consentì a Sango di afferrare Miroku e ripararsi con lui dietro Hiraikotsu. Fu questione di un istante: la lama della Jakotsu-ha sferzò l’aria dove un istante prima c’era la testa del monaco e la freccia di Kagome partì, conficcandosi nella gola di Jakotsu. Kagome mandò un piccolo strillo, orripilata. Aveva lanciato senza tempo di mirare e si era rivelato un colpo fatale.
Jakotsu emise un suono gutturale, bloccandosi con un tremito che lo scosse da capo a piedi. Poi, la carne del suo collo si disfece nell’aria come polvere, esattamente com’era accaduto al braccio di Bankotsu, mettendo a nudo le vertebre e un frammento arancione avvolto da una luce malsana, che cadde a terra, tra le ginocchia aperte del guerriero.
«Negai!» ansimò Miroku, venendo fuori da dietro Hiraikotsu mentre Jakotsu cercava di muovere le mani verso il frammento, sempre emettendo quel suono orribile, gli occhi pieni di odio e paura. Il monaco lo guardò con un misto di pietà e disprezzo, poi estrasse un foglietto da esorcismo dai recessi della sua veste e lo applicò con due dita alla fronte del guerriero.
«Torna polvere, Jakotsu. È finita.» gli disse Miroku. Sotto gli occhi attoniti delle due ragazze, l’una vicina all’altra alle spalle del monaco, Jakotsu emise un sospiro lungo e definitivo, chiuse gli occhi e svanì in un turbine di polvere grigia che venne portata via dal vento.

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Capitolo 23
*** 22 - Ti odio! ***


CAPITOLO 22
TI ODIO!
 
«JAKOTSU!»
L’urlo orribile di Bankotsu dal fondo della conca li fece trasalire tutti, proprio nel momento in cui Miroku allungava la mano per recuperare Negai. Il guerriero dalla lunga treccia sbucò con un balzo dalle rocce, l’alabarda alzata, gli occhi pieni di furore verso coloro che avevano osato uccidere il suo compagno, ma Inuyasha gli era subito dietro e si diede la spinta per un salto che lo fece impattare contro di lui, spedendolo lontano a strisciare sul terreno, mentre anche Shippo e Koga li raggiungevano.
«State tutti bene? Avete ammazzato il tizio da brividi?» ringhiò Inuyasha, ponendosi a loro difesa.
«Sì a entrambe le domande. Abbiamo anche Negai a disposizione, se riusciamo a liberarci del suo compare.» rispose il monaco. Kirara atterrò accanto a Sango e Jaken scese dalla sua groppa con un gemito di sollievo, continuando a tenere pronto il Bastone Ninto.
«Avrà poco da fare il furbo, ora che è quasi solo. – intervenne Koga, cui la pausa dagli scontri aveva fatto bene – Il mio branco sta tornando a dare man forte.»
«Come avete potuto uccidere Jakotsu?!» disse intanto Bankotsu, tra i denti, rimettendosi in piedi. La rabbia e qualcosa di simile al dolore gli sfiguravano i bei lineamenti, rendendolo orribile. Una luce sanguigna gli aleggiava attorno alla gola.
«Ecco l'altra Hoshisaki. - borbottò Inuyasha, poi venne avanti di un passo – Ha fatto la fine che farai anche tu, bastardo! Non avrò alcuna pietà per i servi di Naraku!»
«Vi ammazzerò tutti!»
Quello di Bankotsu fu un vero e proprio ruggito, quasi non umano. Miroku e Sango si misero a protezione del frammento di Negai, ancora a terra, mentre Inuyasha e Koga balzavano in avanti e Kagome si accorgeva, frustrata, di non avere più frecce. Non vi fu alcuno scontro. Uno sciame di Saimyosho riempì l'aria di ronzii e circondò Bankotsu, frenando il suo slancio e rendendolo invisibile ai loro occhi, per poi sollevarlo da terra e portarlo via in volo. Riuscirono a udire le sue imprecazioni, le grida di protesta per la vendetta che gli veniva sottratta, ma i Saimyosho gli avevano bloccato i movimenti e l'alabarda pendeva inerte dal mucchio. Con tutta evidenza, Naraku non aveva intenzione di perdere un'altra Hoshisaki, per quel giorno.
Rimasero per un attimo a osservare l'inaspettata ritirata del nemico, attoniti, poi Inuyasha rinfoderò la spada.
«Beh...mi secca ammetterlo, ma è stata una mossa intelligente da parte sua. Prima o poi ce lo rimanderà contro, teniamo gli occhi aperti.» disse Inuyasha, per poi guardare a terra, dove luccicava debolmente il frammento arancione. «Come siete riusciti a prendere l'Hoshisaki? Sei stato tu, Miroku?»
«Solo grazie all'aiuto decisivo di Kagome-sama, lo ammetto.» disse il monaco, scambiando un sorriso con la ragazza, che poi si accasciò a terra sulle ginocchia. Inuyasha e Koga le furono accanto, chiedendole se si sentisse male, fissandosi in cagnesco.
«Sto bene, è solo l'accumulo di tutte queste emozioni...» spiegò Kagome, cercando di tenerli separati. Sapeva fin troppo bene che le rese dei conti non erano ancora finite! Intanto, Miroku si accovacciò, scrutando con occhi cupi Negai. Shippo e Sango gli erano accanto. Il monaco allungò una mano per prendere il frammento di stella.
«Miroku, sei sicuro?!» ansimò Shippo, impaurito, aggrappandosi a una manica. La sua voce attirò l'attenzione di Inuyasha, che intervenne subito.
«Fermo lì, monaco! Hai già fatto conoscenza con Negai e le Hoshisaki sanno ricordare. Non la toccare, la prendo io.» disse, allontanandogli il braccio e afferrando la gemma.
«No, Inuyasha-sama, sarebbe meglio se...» tentò di protestare il monaco.
«Ehi, sono il Principe di En! Vuoi che abbia paura di un frammento della Stella di Gake?!» fece lui, ironico, facendoselo saltare sul palmo. Un istante dopo, era in ginocchio scosso da conati di vomito, con una mano sulla fronte come per trattenere il cervello dentro la scatola cranica. Koga rise di lui.
«Cosa ci si poteva aspettare da un cane mezzo-sangue?!» lo schernì, guadagnandosi molte occhiate di disapprovazione.
«Inuyasha, lascialo andare!» gridò Kagome, spaventata, togliendogli il frammento di mano. I suoi occhi erano diventati rossi e, se non aveva visto male, gli erano cresciute le zanne e gli artigli. Non appena ebbe in mano Negai, la sua Hoshisaki si illuminò di rosa scuro e avvertì un'angoscia senza nome, tanto che iniziò a piangere senza nemmeno rendersene conto.    
«La prendo io, Kagome.»
Sango, che si era fatta avanti, sottrasse con delicatezza l'Hoshisaki dalla mano dell'amica e, senza alcun tipo di reazione negativa, la mise in una piccola scatola di metallo, che poi nascose sotto il pettorale della propria armatura leggera.
«Che...come hai fatto...» balbettò Inuyasha, che si stava riprendendo. Era stato come se il suo sangue yokai si fosse ribellato a quel contatto e le se Hoshisaki si fossero messe a gridare nel suo cervello. Una sensazione orribile che non teneva a ripetere.
«I possessori delle Hoshisaki di En non dovrebbero mai toccare quelle di Gake, in quanto loro opposte. Inoltre, è meglio che chi ne ha subito gli effetti in passato ne stia debitamente alla larga. - rispose Sango con molta calma, anche se la sua occhiata a Miroku fu ammonitrice – Io sono una persona come tante e non ho intenzione di impiantare Negai nel mio corpo, perciò la terrò al sicuro finché sarà necessario. Non mi farà del male.»
«Mi spiace che sia tu a caricarti di questo fardello, ma in effetti hai ragione.» ammise Miroku, rialzandosi e cercando di cancellarsi dal volto le ombre che rivedere quel frammento aveva risvegliato.  
«Sesshomaru-sama stesso ci ha avvisati di questo rischio. È il motivo per cui siamo venuti a salvarvi.» intervenne Jaken, tronfio, deciso a far sapere che ogni merito del successo di quell'operazione si doveva al suo Signore.  
«Sesshomaru?! Giusto, dov’è quel maledetto…» sbottò Inuyasha, alzandosi a fatica.
«Inuyasha-sama, ne parliamo dopo. Prima sarà meglio chiarire le cose con questa gente.» mormorò Miroku. In effetti, il branco di okami-yokai, ormai libero dagli ultimi scontri, si stava assiepando loro attorno, pesto e sanguinante ma ancora in grado di combattere. Il gruppo di Inuyasha aveva appena contribuito a salvarli, ma di certo Koga non poteva essere il solo della tribù ad avere un cattivo rapporto con En o una pessima opinione dei fratelli inu-yokai. Inuyasha fece una smorfia sprezzante.
«Feh! Non c’è niente da chiarire. – disse, poi puntò un dito accusatore su Koga, che si era alzato sulle gambe ferite ma già in via di guarigione – Tu, lupastro! Hai visto con i tuoi occhi che avevo ragione. È stato Naraku a far fuori la tua gente, non Sesshomaru. Dovrei farti ingoiare la lingua.»
«Il fatto che Naraku si sia rivelato un bastardo voltagabbana non cambia niente, cagnolino. La morte di mio padre deve essere vendicata!» disse l’okami-yokai, alzando la voce per farsi sentire dai suoi.
«Koga…Koga, ci hanno aiutati…» tentò timidamente di argomentare uno di coloro che aveva consentito a Inuyasha di raggiungere il covo del branco, ma Koga tagliò l’aria con un gesto secco della mano.
«Lo hanno fatto solo per le Hoshisaki di Gake. Non è così?! Non siete qui per cercare di portarmi via Keisotsu?»
Inuyasha ristette, seccato per essere stato messo all’angolo. Sango, Miroku e Shippo si scambiarono un’occhiata.
«Beh, è certamente una cosa di cui desideriamo discutere, ma…» iniziò a dire il monaco, ma Inuyasha lo soverchiò, adesso arrabbiato.
«Piantala di parlarmi come se fossi un dannato ladro! Dammi la tua Hoshisaki senza fiatare, imbecille!» disse, dando senza volere ragione a Koga
«Inuyasha, forse non è il modo migliore di convincerlo che è nel torto…» cercò di intervenire Kagome. Il branco stava stringendo il cerchio attorno a loro e la tensione stava tornando a salire.
«Nessuno mi toglierà Keisotsu, tantomeno un cagnolino con il naso bagnato!» lo schernì Koga, pronto a saltargli al collo.
«Avevo giusto bisogno di controllare se il filo di Tessaiga taglia ancora bene, deficiente di un lupo!» sbottò Inuyasha, sguainando la spada nonostante le esortazioni a trattenersi degli altri, che vedevano profilarsi un inevitabile peggioramento della loro situazione. Kagome perse la pazienza. Dimentica delle lacrime provocate da Negai, si alzò in piedi quasi come se avesse le molle e si piazzò in mezzo ai due contendenti, furibonda.
«Insomma, piantatela! Siete due adulti o dei bambini litigiosi?! Inuyasha, giù quella spada! Koga, smettila di accusare a vanvera! - gridò con una voce acuta e rabbiosa che stupì tutti, soprattutto per l'effetto sui due accusati – Non fate altro che dirvi le parole sbagliate quando sarebbe tanto facile discutere con calma! Vi abbiamo aiutati, Koga, e nessuno ci ha costretto! Inuyasha avrebbe potuto aspettare che Bankotsu vi uccidesse tutti e poi battere lui per prendere l'Hoshisaki, non ti pare che sarebbe stato più semplice?!» I suoi occhi brucianti si fissarono sul demone lupo che rimase interdetto. Subito, lei li spostò su Inuyasha, che dovette trattenersi dal fare un passo indietro. Kagome, arrabbiata, faceva paura! «E tu, Inuyasha! Hai recuperato la tua spada, mi fa piacere, ma che senso ha continuare a sventolarla a vanvera?! Smettila di essere così aggressivo, altrimenti non ne usciremo mai!»
Sango e Miroku si scambiarono un'occhiata, stupefatti dall'autorità dimostrata dalla ragazza, poi il monaco fece un breve applauso in direzione di Kagome, guadagnandosi una gomitata nelle costole.
«Co...a vanvera? Aggressivo?!» balbettò Inuyasha, incredulo di essere l'oggetto di una simile sgridata, poi si arrabbiò. «Ehi, ti vorrei ricordare che quel tizio ti ha rapita e io sono venuto qui a salvarti!» gridò a sua volta.   
«Mi ha fatto del male? Ti sembro ferita? La risposta è no, quindi: calmati! - disse lei, quasi incombendo su di lui da tanto era arrabbiata, poi gli voltò le spalle e afferrò le mani di Koga nelle proprie, lasciando Inuyasha a bocca aperta – Koga, ho bisogno che tu mi ascolti. Possiamo parlarci, senza che qualcuno ci disturbi?»
Koga si corrucciò, dubbioso riguardo alle intenzioni di Kagome, poi vide la faccia paonazza e ferita di Inuyasha e le sue labbra si aprirono in un sorriso sornione e trionfante. Passò un braccio attorno alle spalle di lei, conducendola in disparte mentre diceva: «Va bene, Kagome, ti do la mia fiducia. Vieni, parleremo io e te. DA SOLI.» Fu contento di avvertire il mugolio di rabbia trattenuto da Inuyasha e fece un gesto distratto verso il branco per esortarlo ad attendere sviluppi prima di agire in qualunque modo. I due sparirono nella conca e Inuyasha lasciò andare una parolaccia tremenda, rinfoderando la spada e voltandosi con ira verso i compagni, palesemente accusandoli di non essere intervenuti per fermare quel poco gradito sviluppo negli eventi.
«Credo che Kagome abbia fatto bene, Inuyasha-sama. Sembra che Koga la ascolti.» disse Sango, calma, cercando di capire perché il Principe di En sembrasse così infuriato.
«Ingoiate il rospo e attendete, Inuyasha-sama. Credo che otterremo di più e con meno fatica.» la appoggiò Miroku, annuendo.
«Quel tizio è solo con la nostra Shinsetsu! E se le facesse del male?!» li aggredì ancora Inuyasha.
«A me sembra che Kagome gli piaccia molto, non credo che...» iniziò a dire Shippo, per poi strillare e nascondersi dietro la gamba del monaco quando gli occhi infuocati di Inuyasha si fissarono su di lui con fare omicida. Miroku dovette trattenere un sorriso perché iniziava a notare un discreto cambio di atteggiamento del Principe di En verso quella che all'inizio, per lui, era solo la reincarnazione dell'odiata Kikyo.
«Lo penso anch'io. Inoltre, Koga le deve la vita, da quel poco che ho visto da quassù. Credo che questo ci conceda un buon margine di sicurezza.» lo stuzzicò. Inuyasha imprecò ancora.
«Sesshomaru-sama avrebbe già risolto la cosa, con molto meno chiasso.» sbuffò Jaken, facendo infuriare Inuyasha ancora di più e inducendo gli altri a ringraziare il cielo che Sesshomaru in quel momento fosse altrove. Sarebbe finita molto male per Koga e la sua tribù.
«A proposito di Sesshomaru, abbiamo un paio di cose da riferirvi, Inuyasha-sama. Se vogliamo occupare il tempo mentre aspettiamo Kagome-sama, potremmo spiegarvi la situazione.» disse Miroku, decidendo che era meglio cambiare discorso. Non era il momento di stuzzicare la gelosia del Principe di En, men che meno la sua conflittualità col fratello.  
«Già...dov'è quel maledetto ghiacciolo? - disse Inuyasha, con una smorfia, poi si corrucciò – Manca anche la bionda. Sono insieme? Non ditemi che la sorella di Kagome è morta nello scontro...»
«No, Anna è viva ed è insieme a vostro fratello. - disse Sango – Però, per parecchio tempo dovremo fare a meno del loro aiuto. Stanno andando alla Grotta degli Echi.»
***
Un paio d’ore dopo, un eterogeneo e improbabile gruppo si stava spostando dal covo degli okami-yokai verso il confine con En. Kagome era su Kirara insieme a Sango. Miroku, per il momento, stava volando insieme a Jaken sulla versione rosa e tonda del piccolo Shippo. Inuyasha era davanti al gruppo e correva solo, avvolto in un’aura cupa e rancorosa che faceva venire voglia a Kagome di saltargli sulla schiena e torcergli le orecchie.
Imbronciata, guardò alla loro destra. Koga, insieme a un piccolo gruppo di okami-yokai a fargli da scorta, stava andando con loro. Al confine, avrebbe consegnato la sua Hoshisaki. Non era stato affatto facile convincerlo. Al di là dell’influenza di Keisotsu, Koga era testardo e aveva una vera e propria adorazione per la figura paterna, che voleva vendicare e dalla cui eredità non voleva separarsi. Kagome era stata onesta con lui, gli aveva raccontato tutto ciò che sapeva. Koga non aveva idea che le Stelle andassero purificate, non conosceva la leggenda alla base dei frammenti, e benché scettico non aveva potuto negare gli sforzi di Naraku per accentrare il potere della Stella di Gake, a spese del suo branco. Kagome era riuscita a convincerlo che continuare a tenersi Keisotsu non gli avrebbe portato niente di buono, solo un altro massacro. Bankotsu, o chi per lui, sarebbe tornato a reclamare l’Hoshisaki, ancora e ancora, finché del branco non fosse rimasto più niente o Koga non fosse morto. L’okami-yokai aveva faticato a riconoscere di non poter battere un attacco in forze di Naraku, ma alla fine il suo senso di responsabilità verso il branco era stato superiore a tutto il resto. Kagome l’aveva rispettato per questo.
Ora correva con loro, con la promessa di consegnare Keisotsu una volta giunti al confine. Avrebbe passato loro il fardello, aveva detto, sottolineando che lo faceva solo per Kagome. La cosa aveva fatto imbestialire Inuyasha, ma per fortuna il Principe di En aveva serrato la bocca sulle parole sicuramente memorabili che desiderava pronunciare e non aveva commentato. L’aveva però fulminata con un’occhiata che le aveva fatto capire perfettamente di avere in qualche modo rovinato la pace stipulata solo la notte prima. A sua volta offesa per un trattamento che giudicava incomprensibile e ingiusto, Kagome stava viaggiando con la Cacciatrice, che ne aveva approfittato per raccontarle come fossero giunti a salvarli quella mattina e dove fossero Sesshomaru e Anna.
«Mi preoccupa molto che quei due non vadano d’accordo. Io e Inuyasha litighiamo, ma… - si interruppe per guardare ancora la sagoma di Inuyasha, lontano di fronte a loro, poi si costrinse a voltare lo sguardo altrove – ma non è mai capitato che le nostre Hoshisaki reagissero così male.»
«Forse perché nei vostri litigi non c’è vero odio, Kagome. In quel momento, ti assicuro che sia Sesshomaru-sama che Anna stavano attingendo alla loro parte più oscura. Mi sono sorpresa…soprattutto per tua sorella, pareva una persona rassegnata e pacata.»
«Anna è molto forte. – la contraddisse Kagome – La vita le ha insegnato ad adattarsi anche alle situazioni più brutte, ma non si è mai arresa e ha il suo orgoglio. Inoltre, odia le ingiustizie.» Sospirò. «Spero tanto che Sesshomaru non la trascini in situazioni pericolose…»
«Nessuno di noi è al sicuro, Kagome.» mormorò Sango, lanciando una veloce occhiata a Miroku che la ragazza intercettò. Si incupì: c’era qualcosa di non detto sui fatti della notte precedente, qualcosa che aveva riempito Sango di preoccupazione per il monaco.
«Sango, Miroku sta bene?» chiese, affrontando l’argomento.
«Co…perché me lo chiedi?» disse la Cacciatrice, voltandosi a metà con un rossore sospetto sul volto. Kagome si accorse con sorpresa che l’amica aveva sviluppato un sincero affetto per Miroku. Forse anche qualcosa in più. Sango parve accorgersi di aver posto una domanda che poteva rivelarsi pericolosa e rispose a Kagome senza attendere chiarimenti. «Ora sta bene e continuerà a essere in salute se eviterà di usare il Foro del Vento. Kiokuchi-sama è stata chiara in merito, il rischio è troppo elevato.»
«Speriamo che Naraku non lo metta mai più in condizione di doverlo usare.» disse Kagome, preoccupata.
«Speriamo.» mormorò Sango. Dal tono, si capiva che non ci credeva nemmeno lei. La strada verso la purificazione delle Stelle era ancora troppo lunga.
Giunsero nei pressi del confine verso il crepuscolo. Non vennero più attaccati, ma sapevano di avere addosso gli occhi delle spie di Naraku. Sesshomaru aveva ragione, dovevano tornare al castello e barricarvisi finché le altre tre Hoshisaki non avessero trovato un’armonia. Naraku non avrebbe tardato a passare al contrattacco dopo le inaspettate perdite di quel giorno.
Per Koga fu una sofferenza anche fisica privarsi dell’Hoshisaki che aveva ereditato e la separò dal proprio corpo in privato. Quando uscì dal folto e affrontò il gruppo di En, schierato in attesa, parve quasi rimpicciolito, meno tronfio. Teneva una mano chiusa a pugno, scossa da un leggero tremito. Perfino il colore dei suoi occhi era cambiato, da verde a blu. L’influenza di Keisotsu l’aveva completamente abbandonato. Kagome guardò Inuyasha, temendo lo prendesse in giro o dicesse la cosa sbagliata, ma lui era imbronciato, cupo, e osservava il lupo a braccia incrociate senza battere ciglio. Forse nemmeno Inuyasha avrebbe mai schernito un portatore di Hoshisaki nel momento del sacrificio…o forse era talmente offeso con tutti loro da non voler avere più niente a che fare con quella faccenda.
Furono Kagome e Sango ad andare incontro all’okami-yokai. Sango aprì la scatoletta e Koga vi fece cadere dentro Keisotsu con una smorfia di dolore e rimpianto. Mentre la Cacciatrice chiudeva la scatola, l’okami-yokai spostò lo sguardo su Kagome.
«Ho accettato il sacrificio per il bene del mio branco. Ora mi aspetto che voi purifichiate quelle maledette stelle. – le disse – Se dovessi incrociare la via di Naraku, farò di tutto per ucciderlo.»
«Porta i tuoi lontano dagli scontri, al sicuro. Al momento, Naraku non ha più motivo di avercela con voi.» disse Kagome, impietosita. Koga le prese le mani e la tirò vicino a sé, facendola arrossire e spingendo Sango a portare una mano alla katana mentre lanciava un’occhiata preoccupata dietro di sé. L’espressione di Inuyasha si stava facendo assassina.
«Kagome, sei una ragazza straordinaria. – mormorò Koga – Non mi stupisce che tu sia stata scelta da Shinsetsu. Nessuna donna mi aveva mai colpito così profondamente. Non dimenticherò mai il tuo bellissimo volto.»
«Ah…io…» balbettò Kagome, colta alla sprovvista, avvampando.
«Se alla fine di tutto questo non vorrai tornare nel tuo mondo, sappi che io ti aspetterò. C’è un posto vuoto a fianco del capo degli okami-yokai.» disse lui, con un sorriso di nuovo sfrontato, poi le baciò le dita, la lasciò andare e si voltò, correndo via con una velocità solo di poco inferiore a quella mostrata in precedenza. «Andiamo, branco di scansafatiche! Al covo!» gridò, senza voltarsi indietro, subito seguito dai suoi simili. Scomparvero nella foresta, nella luce sempre meno intensa del tramonto.
«Kagome, ti ha appena fatto una proposta di matrimonio yokai.» disse Sango, attonita, all’amica che si era portata entrambe le mani alla faccia in fiamme. Era la prima volta che riceveva le attenzioni di un ragazzo…e con intenzioni così serie, poi!
«E dire che non ho fatto altro che sgridarlo da quando ci siamo conosciuti!» tentò di scherzare, scombussolata. Le due ragazze tornarono dal gruppo, con Miroku e Shippo che applaudivano scherzosamente. Inuyasha, invece, era sul punto di esplodere e Kagome poté solo sospirare rassegnata quando lui la investì con tutta la rabbia tenuta da parte.
«Siamo a questo punto?! È vergognoso che la Portatrice di Shinsetsu si comporti in modo simile!» le gridò in faccia.
«In quale modo, scusa? Ho ottenuto l’Hoshisaki di Koga senza che vi fossero altri combattimenti, cosa c’è che non ti va?!» sbottò Kagome, arrabbiata.
«Quanta confidenza, con quel lupastro…si vede proprio che vi siete piaciuti, tenendo conto di quanto facilmente ha mollato la presa su Keisotsu!» ribatté Inuyasha, sprezzante.
«Io, almeno, ci ho parlato. Tu non avresti fatto altro che dimenare quella spada e metterci nei guai.» sbuffò Kagome.
«Io sono corso a salvarti, se te lo sei scordato!» gridò ancora Inuyasha.
«E io ti ho aiutato, è la tua memoria che perde i colpi!» 
«Voi donne siete tutte uguali, bastano quattro smancerie e non capite più niente. – ritorse Inuyasha, incrociando le braccia sul petto e scoccandole un’occhiata di disprezzo – Chissà quante cose ti sei lasciata scappare con quel tizio.»
Miroku scambiò un’occhiata consapevole con Sango e Shippo. Inuyasha era geloso di Kagome. Il punto stava tutto lì. Non aveva mandato giù il fatto che fosse stata lei a risolvere la situazione, ma sopra a ogni cosa lo aveva fatto imbestialire l’interesse dell’okami-yokai per Kagome, la quale non era stata abbastanza decisa nel rispedire le sue attenzioni al mittente.
«Situazione pericolosa, meglio intervenire…» mormorò il monaco, facendosi avanti con l’espressione più ascetica possibile.
«Cosa dici?! Gli ho solo raccontato la verità per convincerlo a…» tentò di difendersi Kagome, sconvolta da quelle accuse insensate, poi Inuyasha disse qualcosa che fece traboccare il vaso della sua pazienza.
«Se avessi saputo che eri tanto frivola, non ti avrei rivelato nulla riguardo a…certe cose. Evidentemente, non posso fidarmi di te.»
«Via, via…non mi sembra il caso di litigare per queste sciocchezze.» disse Miroku, con un sorriso conciliante, mettendosi tra loro, ma ammutolì subito insieme a Inuyasha quando grandi lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance di Kagome. «Kagome-sama?» mormorò il monaco, preoccupato, ma gli occhi della giovane erano fissi sul Principe di En con tale rimprovero e dolore che quest’ultimo fece un passo indietro.
Kagome si voltò e si incamminò verso Sango e Shippo senza dire una parola. Miroku guardò Inuyasha, come a incitarlo a mettere una pezza al danno, e lui venne avanti con una mano tesa, sentendosi un verme per averla fatta piangere. «Ehi…ehi, Kagome, dai…»
«Non mi toccare! Non mi parlare! Ti odio!» gridò lei, voltandosi un’ultima volta con il viso bagnato di pianto. Inuyasha rimase di stucco, il sangue congelato nelle vene a quelle parole, rendendosi conto di aver superato il limite con lei. Sango accolse Kagome tra le braccia e guardò i due uomini con rimprovero, tanto che Miroku indicò Inuyasha come per ricordarle che lui non aveva praticamente aperto bocca.
«Bene, se avete finito con le sceneggiate direi di muoverci da qui. – intervenne Jaken, seccato – Se non ve ne ricordate, Sesshomaru-sama ha dato ordine di tornare subito al castello e, visto che ci stiamo portando dietro due frammenti di Gake, io non aspetterei un minuto di più! Naraku potrebbe essere ovunque…» Si guardò attorno, rabbrividendo.
«Jaken ha ragione, siamo ancora in pericolo. Iniziamo col toglierci dai pressi del confine, la discussione può essere rimandata.» disse Sango, conducendo Kagome verso Kirara. Inuyasha parve voler ribattere ma fu convinto da Miroku che non era il momento, perciò si chiuse in un mutismo cupo e offeso e non obiettò quando si rimisero in marcia, tornando a calpestare il territorio di En.
***
«Eccoci.»
La voce di Sesshomaru si fece strada nella nebbia che si era impossessata della mente di Anna, riportandola alla realtà. Era buio pesto, la notte era scesa su di loro mentre stavano ancora camminando. La giovane iniziava a pensare che Sesshomaru avesse intenzione di proseguire fino alla meta senza pause, perché fino a quel momento le aveva concesso solo di sfamarsi in fretta, molte ore prima.
“Se fossi ancora umana, sarei svenuta nella foresta con i piedi sanguinanti già da un pezzo.” si disse, cercando di riscuotersi. Pur di non lamentarsi e non parlargli, aveva sopportato quella marcia spossante usando ogni grammo dei nuovi poteri a sua disposizione, ma dal calare del sole in poi era andata avanti con la sola forza di volontà, la mente altrove. Camminava come una sonnambula, guidata dal solo istinto. Ora si sforzò di mettere a fuoco la situazione.
«La Grotta degli Echi?» mormorò, con un accenno di speranza, guardando nella valle su cui erano affacciati. Prima ancora che Sesshomaru negasse, aveva già capito che si trattava di un luogo diverso. Il buio, laggiù, era rischiarato da fuochi accesi e nell’aria si levavano fumi dall’odore tossico che le ferirono il naso.
«Certo che no, sciocca. Scendiamo.» le rispose lui, brusco, iniziando ad allontanarsi lungo il crinale a grandi balzi. Anna fece del suo meglio per stargli dietro, ormai al limite. A un certo punto desistette e tornò a barcollare tra gli alberi, a malapena in grado di proseguire.
“Se Kagura vuole tendermi un agguato, è il momento adatto.” pensò, così stanca da non essere nemmeno preoccupata al pensiero. Sesshomaru le ricomparve di fronte all’improvviso, facendola sobbalzare.
«Sei lenta.» le disse, aspro, afferrandola per un braccio. La sollevò da terra con malagrazia e la trasportò volando fino al limitare della zona venefica, lasciandola andare non appena possibile. Anna cadde sulle ginocchia e scrollò il capo con una smorfia. La stretta poco gentile e il volo non previsto l’avevano svegliata del tutto.
«Dove siamo? Credevo che la nostra meta fosse quella grotta.» chiese, amara.
«Siamo da una amico di mio padre. Voglio una consulenza sulla tua Hoshisaki. Seguimi.» disse Sesshomaru senza nemmeno guardarla e si incamminò verso una gigantesca costruzione di roccia e fango, la principale fonte di fumo della vallata. Anna si sollevò sulle gambe stanche e camminò dietro a lui, sentendo allontanarsi la presenza di Kagura. Forse non si sarebbe arrischiata a spiarli da vicino in quel frangente.
«Totosai!»
Al richiamo di Sesshomaru fecero seguito una sentita imprecazione e poi un silenzio teso. L’Imperatore di En attese risposta per non più di un istante, poi tirò da parte il telo d’ingresso tanto forte da strapparlo ed entrò nel salone a forma di grotta, caldo e luminoso a causa dei crogioli di metallo fuso sparsi per tutto l’ambiente e collegati tra loro da canalette e soffietti. Dapprima, Anna non vide anima viva, poi si accorse di una figura dalle gambe sottili che si stava arrampicando su una finestra per uscire di soppiatto.
Sesshomaru vi si diresse e in pochi passi fu addosso al malcapitato, che venne afferrato per la collottola e ricacciato nella fucina, insieme al lungo martello che teneva in mano. Gli occhi ambrati di Sesshomaru fulminarono il vecchio yokai, il quale si tirò in piedi e andò a ripararsi dietro a un mucchio di armi male in arnese.
«Cosa vuoi?! Possibile che un vecchio non possa riposarsi dal duro lavoro senza che intrusi gli si introducano in casa?!» sbottò, con quello che Anna giudicò un coraggio incosciente. Sesshomaru, infatti, aveva un’espressione terribilmente contrariata.
«Il tuo Signore richiede i tuoi servigi e tu scappi dalla finestra, Totosai? – disse infatti, mostrandogli le unghie micidiali – Dovrei farti fare un ripasso sul concetto di rispetto.»
«Senti, ogni volta che vieni qui mi minacci. Lo vuoi capire che non ti posso aiutare? – continuò a gracchiare il vecchio yokai, puntandogli contro l’indice ossuto – Io ho creato le vostre spade, ma la magia delle Hoshisaki non la posso controllare. Tessaiga è di tuo fratello, rassegnati a trovare un modo per comunicare con Tenseiga e lasciami in pace!»
«Non sono venuto qui per le spade, vecchio. Sono qui per Junan.» disse Sesshomaru, punto sul vivo di un tasto ancora dolente. La mandibola di Totosai ricadde.
«Junan? Cosa stai dicendo, ti sei bevuto il cervello?» chiese, grattandosi il mento sotto alla barbetta. Sesshomaru venne avanti di un passo con fare omicida e il vecchio alzò subito le mani in segno di resa. «Lo dicevo solo perché la piccola Rin…» balbettò.
«Junan è tornata in questa donna.» disse Sesshomaru, indicandogli Anna, che finalmente fu notata dal padrone di casa. La scrutò con occhi dapprima sospettosi, poi spalancati. Quello yokai doveva avere una mente acuta, perché di certo aveva notato la sua natura ibrida. Anna si inchinò a metà con educazione e lo yokai fece un cenno col capo.
«Molto bene, la nuova Junan…maltrattata come solo tu sai fare…E io cosa c’entro con questa ragazza?» borbottò Totosai, sospettoso. La risposta di Sesshomaru scioccò entrambi i suoi ascoltatori.
«Voglio sapere se puoi usare le tue arti per trasferire Junan dal suo corpo a una spada appositamente creata.»

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Capitolo 24
*** 23 - Un equilibrio fragile ***


CAPITOLO 23
 
UN EQUILIBRIO FRAGILE
 
Nelle tenebre della grotta in cui Naraku era rintanato, impegnato a trovare di nuovo un equilibrio tra le molti parti del suo corpo dopo il furto da parte di Junan, l’atmosfera era ancora più pesante e minacciosa del solito.
Kanna era seduta in un angolo, con le braccia attorno alle ginocchia e lo sguardo perso nel vuoto, in apparenza indifferente sia all’umore di Naraku che a ciò che il suo specchio aveva mostrato. Se nascondeva segreti o opinioni dentro il suo bianco corpicino, nessuno avrebbe saputo dirlo, nemmeno colui che le aveva dato la vita. Kanna, in ogni caso, era l’ultimo dei pensieri di Naraku, al momento. Tutto ciò che era accaduto negli ultimi giorni, unito a quella debolezza che non solo lo aveva danneggiato ma era anche riuscita a minare in parte la sua sicurezza, lo stava riempiendo di un’ira frustrata che si manifestava solo con lunghissimi silenzi e una ruga d’espressione tra le sopracciglia, profonda come un’incisione.
Non poteva ancora uscire da lì. Il suo corpo si ribellava sotto la spinta di molteplici volontà in contrasto, ognuna assetata di potere, e la sua centenaria volontà era ancora impegnata a ripristinare quei legami che aveva creduto di aver reso indistruttibili molto tempo prima. Ancora meno poteva mettersi a rischio ora che Inuyasha aveva chissà come resuscitato Tessaiga dal suo torpore, eppure il suo intervento non poteva più essere procrastinato. Aveva fatto male ad affidarsi alle proprie Hoshisaki come a parti di se stesso e ora ne stava pagando lo scotto: non solo Keisotsu, ma anche Negai era finita in mano a quel gruppo di insetti che combattevano per la Stella di En. Naraku non poteva credere a un simile tracollo a un passo dalla vittoria.
Ora, Inuyasha e compagnia stavano cercando di riparare verso il castello dell’Imperatore, in modo da mettersi al sicuro dai suoi tentativi di riprendersi le Hoshisaki. Naraku era riuscito a sottrarre Bankotsu a una battaglia che rischiava di diventare una disfatta e adesso il recalcitrante e furioso guerriero era in attesa di ordini presso una parte delle sue armate.
“Bankotsu mi servirà ancora, ma non farò mai più l’errore avvenuto con Jakotsu. Le Hoshisaki di Gake torneranno sempre nelle mie mani per tempo. Di nuovi portatori posso trovarne quanti ne voglio.” pensò, permettendosi una piccola smorfia. Se Inuyasha pensava di essere al sicuro oltre ai confini di En, si sbagliava di grosso. Naraku aveva alleati che i fratelli inu-yokai nemmeno immaginavano e avrebbe immediatamente portato la guerra oltre i confini dei due imperi. Inuyasha non poteva ignorare la battaglia e asserragliarsi nel castello…nemmeno lo avrebbe voluto, come Naraku ben sapeva. Il carattere focoso e battagliero del giovane erede di En non gli avrebbe mai permesso di voltare le spalle al nemico per andare a nascondersi insieme al bottino appena recuperato.
“E gli altri lo seguiranno, hanno un patto di fedeltà. Sarà l’occasione per spazzarli via.”
Già. Sarebbe stato un piacere veder morire il monaco e l’ultima Cacciatrice, senza contare quell’impicciona della reincarnazione di Kikyo, che gli era scappata da sotto il naso nel momento fondamentale in cui avrebbe potuto decretare la propria vittoria. Con Junan sarebbe andato tutto liscio, se la ragazza non avesse manifestato un potere che la sua incarnazione precedente non aveva mai avuto.
“Sottovalutarla è stato il mio più grave errore fin qui. – pensò, voltandosi verso un angolo ancora più oscuro alla sua sinistra – Il suo corpo ha assimilato un neko-yokai potente, le loro energie erano in risonanza. Era uno dei cardini del mio equilibrio. Se fosse arrivata un po’ più a fondo, probabilmente si sarebbe appropriata di…”
Nell’angolo oscuro, in posizione fetale e con gli occhi chiusi, c’era uno yokai biondo di età indefinita. Era incosciente, gli occhi si muovevano sotto le palpebre come se stesse facendo un incubo. Quello yokai era il vero motivo per cui l’equilibrio di Naraku non era ancora stato ristabilito, una parte di grande potere che aveva assimilato ancora agli inizi della sua carriera come nuovo Imperatore di Gake. Se Junan avesse attinto a quella fonte di energia e vita, invece che al neko-yokai, forse il corpo di Naraku si sarebbe in gran parte disgregato. Invece, sfruttando il potere delle Hoshisaki, l’hanyo aveva deciso spontaneamente di privarsene per sfruttare quella sua vecchia conquista una volta ancora, come già aveva fatto in passato, rallentando però i tempi del proprio recupero. D’altra parte, anche i suoi nemici avevano le loro preoccupazioni.
«Dovranno andare in un posto chiamato Grotta degli Echi. Per il momento, viaggiano insieme. – gli aveva fatto rapporto Kagura poco prima – Ehi, non ti aspettare che io attacchi Sesshomaru da sola, chiaro? Non ho voglia di morire e tu sicuramente non hai intenzione di perdere un’altra Hoshisaki. Li terrò d’occhio e ti farò rapporto. Se sarò fortunata, prima o poi Junan verrà lasciata sola e avrò la mia occasione. I due non si sopportano.»
Naraku era sicuro che Kagura in quel caso gli avesse detto la verità, ma non si fidava di lei e l’aveva mandata apposta per rendersi utile o morire. Era pronto a riprendersi l’Indifferenza in qualsiasi momento, se la demone del vento si fosse rivelata inutile o, peggio, una traditrice. Intanto, teneva buona la sua carta speciale, un regalo per Sesshomaru e per la donna maledetta che aveva dato il via a quella serie di rovesci di fortuna. Nel frattempo, avrebbe messo a ferro e fuoco En con tutto ciò di cui disponeva.
«Per ora dormi, Soichiro. Presto avrai modo di renderti utile.» mormorò al moko-yokai, con un sorrisetto crudele. Non si accorse dell’occhiata fugace di Kanna, né della parvenza di emozione che vi brillò.
***
«Scusa, non credo di aver capito bene. Vuoi separare Junan dalla sua portatrice?» chiese il vecchio Totosai, sconcertato.
«Hai capito benissimo, vecchio. L'hai già fatto con le Hoshisaki di mio padre, no? Le nostre spade...»
«Oh, per tutti i demoni di En! Quante volte te l'ho dovuta raccontare per filo e per segno? Tuo padre è riuscito a separarsi dalle Hoshisaki perché l'ha fatto di sua spontanea volontà, privandosi di potere prezioso! Non conosco molti demoni che avrebbero un simile spirito di sacrificio, sai?! Comporta delle conseguenze sulla forza del Portatore!»
«Questa donna era umana, come sicuramente tu stesso hai avvertito. - lo interruppe Sesshomaru, sprezzante, parlando di Anna come se non fosse nemmeno presente – Junan l'ha scelta per essere ricondotta a me. Credo che lei stessa non veda l'ora di liberarsene. Se non vuoi fare un favore a me, fallo a lei.»
«Che generosità! Ti ha detto lei di volersene liberare?» chiese Totosai con sospetto. Guardò la giovane bionda e gli si strinse qualcosa, nel mezzo del petto, nel vedere il suo volto pallido e teso. Totosai era una specie di eremita ma non era cieco nei confronti dei sentimenti del prossimo. Non ci voleva un genio per capire che quella donna non aveva avuto idea del piano di Sesshomaru finché non glielo aveva sentito uscire di bocca. Fece per protestare, quando la giovane alzò una mano per chiedere parola.
«Sesshomaru-sama non ha tutti i torti. Questa Hoshisaki mi ha causato molti problemi e non ho mai ricercato il potere. Se potete soddisfare le richieste dell'Imperatore di En, tanto meglio. Io non ho bisogno di portare per lui questa Hoshisaki.» disse, atona. Totosai scrutò Sesshomaru e lo vide indifferente. L'inu-yokai si limitò ad annuire e a guardarlo con malcelata impazienza. Il vecchio fabbro sentì l'ira ribollirgli dentro come la lava che usava per scaldare la propria forgia.    
«Tu...tu... - balbettò, poi esplose – Tu sei di pietra! Non cambierai mai! Non imparerai mai a usare Tenseiga!»
Sesshomaru si incupì talmente che a Totosai vennero i brividi, ma si rifiutò di ritrattare come avrebbe fatto di norma. Gli puntò contro il suo martello.
«Tu e la Misericordia siete agli antipodi e finché continuerai a ragionare in maniera così contorta rischierai di perdere anche le altre Hoshisaki di En. Impadronirti di Junan in questo modo...che vergogna! - continuò, poi sbatté il martello su un'incudine per sfogarsi e si sedette a braccia incrociate, immusonito – Vuoi che la donna si sacrifichi? Beh, io non la voglio sulla coscienza. Aspetteremo che torni il vecchio Myoga e che la esamini. Poi vedremo il da farsi.»
«Non ho tempo da perdere con esami e altre simili stupidaggini.» disse Sesshomaru, con una smorfia terribile, venendo avanti.
«Ah sì? Beh, molto spiacente. E se pensi di farmi fuori per la mia boccaccia, ricordati che sono l'unico a poter risolvere il tuo problema.» gli ricordò Totosai, cocciuto. Gli occhi di Sesshomaru divennero rossi per l'ira, tanto da far temere ad Anna per la vita di quel vecchio che cercava di proteggerla, poi l'inu-yokai parve volersi contenere.
«Quando tornerà Myoga?» chiese soltanto in un ringhio.
«Avrebbe già dovuto essere qui, non dovrai aspettare a lungo.» sbuffò Totosai. Per tutta risposta, Sesshomaru si voltò e uscì dalla fucina, intimando ad Anna di restare dov'era e allontanandosi nella notte, forse per scaricare i nervi altrove. La giovane lo seguì con lo sguardo, poi tornò a guardare Totosai, che stava scrollando la testa con impazienza ma anche con quello che le parve sincero dispiacere.
«Non farti ferire dalle sue parole brusche, fanciulla. Non ne vale la pena.» le disse, alzandosi con qualche gemito e scricchiolio di articolazioni.
«Non può ferirmi. Non c'è legame tra noi.» replicò Anna in modo automatico. Totosai alzò gli occhi al cielo, poi le fece cenno di avvicinarsi.
«Raccontami tutta la storia, ragazza. Da quello che capisco, sono rimasto un po' indietro.» le disse. Anna lo accontentò per quanto poteva, facendogli un breve riassunto del suo arrivo a En e della situazione corrente. Lo vide riflettere intensamente, dondolando avanti e indietro la testa e strizzando i grandi occhi con espressione concentrata.
«Brutta roba, mi sa che siamo alle battute finali. - borbottò – Senti, Junan ti ha scelto grazie alla piccola Rin. Non c'è alcun motivo per cui tu debba cedere l'Hoshisaki a Sesshomaru. È pur sempre una protezione contro Naraku.»
«Se la vuole, può prendersela. Mi sembra sia l'unica cosa per cui provi un briciolo di emozione.» disse Anna. Guardò di nuovo fuori. La notte era scura e non c'era traccia di lui.
«Sesshomaru è un demone non solo forte, ma anche di grande intelligenza, come prova la sua Hoshisaki. Il suo problema è il cuore. Quello è cieco, sordo e muto, nonostante Chinoo sia impiantata proprio là dentro. - la sorprese Totosai, con un sospiro – Non voglio giustificarlo, ma ha avuto una vita complicata e si è ritrovato molto giovane a ricoprire un ruolo pesante. Suo padre sapeva di averlo segnato con l'educazione dura che gli aveva impartito, se ne era reso conto con la nascita di Inuyasha, ma sperava che Junan sarebbe stata la sua salvezza. In fondo, gli è destinata.»
«Probabilmente è stato così nel caso di colei che mi ha preceduta.» mormorò Anna, con una punta di tristezza.
«Rin è stata quasi una figlia, per lui. Ha risvegliato il suo cuore, ma non era la sua metà. Non nel senso che suo padre sperava. In teoria, ora questo ruolo spetterebbe a te.»
«Avete visto cosa sono per lui: nulla.» replicò subito Anna, avvertendo uno strano tumulto interiore. Fino a quel momento, non aveva compreso il discorso che il concetto di “altra metà” dovesse prendere quel tipo di direzione. Due anime che si completavano, il più alto tipo di amore. Quindi anche Kagome per Inuyasha...?
«Te l'ho detto: il suo cuore è cieco, sordo e muto. Solo Junan avrà il potere di risvegliarlo. D'altra parte, non sarò io a obbligarti a fartelo piacere...Oh, ecco il vecchio Myoga!» cambiò argomento Totosai, facendola voltare verso una delle finestre. Solo la vista acuta da neko-yokai le consentì di cogliere subito la minuscola forma saltellante di un demone pulce.  
«Totosai, non hai idea di quanti brutti ceffi siano appostati qui attorno! Si può sapere che succede? – disse l’anziano yokai, atterrando sulla spalla dell’amico – Chi è questa fanciulla? Sulla sua fronte…»
«C’è Junan, proprio così. Abbiamo bisogno delle tue abilità, vecchio Myoga. O meglio, ne ha bisogno Sesshomaru e sarà meglio non stuzzicare oltre la sua pazienza.»
***
Sesshomaru non era molto lontano. Si era allontanato per non cedere alla tentazione di torcere il collo al vecchio fabbro, che non gli aveva mai portato il rispetto dovuto ma rimaneva il solo legame con l’elusiva eredità che suo padre gli aveva lasciato. Le parole di Totosai riuscivano sempre a riaprire la ferita. Awaremi, la Misericordia, rimaneva muta per lui. Aveva vibrato tre volte nell’arco della sua vita, dimostrandogli che un legame tra loro esisteva, ma nient’altro. La prima volta si era fatta sentire al tempo dell’incontro con Rin. La seconda, la notte in cui la sua giovane protetta era stata uccisa da Naraku. Poi, un lunghissimo silenzio finché Shinsetsu e Junan non erano tornate a En. Tra questi sussurrati messaggi e l’uso del potere di Tenseiga, però, si stendeva un abisso di mancata comprensione.
Che potere celava la sua spada? Quella di Inuyasha, che in apparenza sembrava tanto più adatta al fratello maggiore, era un concentrato di forza e potere di distruzione. Anche Inuyasha, però, aveva dovuto faticare per entrare in risonanza con essa, perché il funzionamento di Tessaiga era legato al coinvolgimento del cuore umano di Inuyasha, qualcosa che a Sesshomaru sarebbe sempre stato incomprensibile. Tra l’altro, l’episodio con Kikyo pareva aver riportato l’Erede di En ad allontanarsi dai principi che muovevano l’Hoshisaki di Tessaiga.
“Una spada di potere per insegnare al mezzo sangue a proteggere i suoi cari rimanendo fedele al proprio cuore umano. – pensò con sarcasmo, stringendo forte l’elsa di Tenseiga – Una spada di guarigione per insegnare al figlio maggiore la pietà. Padre, le tue mancanze nella nostra educazione non possono essere colmate ora. Noi siamo ciò che siamo. Io, soprattutto.”
«Io non ho un cuore che possa essere riportato alla vita.» mormorò. I suoi ricordi di Rin, le uniche luci della sua esistenza, erano anche le sue ombre più oscure. Non avrebbe mai più osato aprirsi a qualcuno. Non avrebbe più provato quelle orribili sensazioni. Era facile parlare per la dea Kiokuchi o per quegli sciocchi umani. Chiunque, al suo posto, avrebbe scelto di proteggersi. Liberarsi della donna bionda era la cosa più sensata da fare.
Si voltò, sentendo tirare il telo d’ingresso. Totosai si era sporto fuori e si guardava attorno, cercandolo. Sesshomaru si avviò e il vecchio lo notò, facendogli cenno di sbrigarsi a raggiungerlo. Quando Sesshomaru varcò la soglia, vide Anna inginocchiata a terra, composta, lo sguardo rivolto altrove con simulata indifferenza. Il vecchio Myoga saltellava sulla sua spalla.
«Sesshomaru-sama, quanto tempo! Siete sempre magnifico. Ho appena saputo di vostro fratello Inuyasha, sono così felice che il giovane Principe…» disse la vecchia pulce, emozionata.
«Taglia corto, non sono qui per i convenevoli. – lo interruppe Sesshomaru, rimanendo in piedi mentre Totosai si sedeva sul bordo di una vasca di fusione e si grattava un orecchio con la lunga unghia del mignolo – Devi esaminare la donna.»
«Già fatto, già fatto.» sbuffò Totosai. Sesshomaru si corrucciò.
«Dunque?» chiese, aspro. Non gli piaceva l’atteggiamento annoiato di Totosai e la risposta di Myoga confermò i suoi sospetti.
«Mi spiace, Sesshomaru-sama, ma non si può fare. Non si può prendere Junan da Anna-san e porla in un’arma.»
«Mi stai dicendo che è impossibile?!» sbottò Sesshomaru, venendo avanti con fare minaccioso. Totosai sventolò una mano.
«Niente è impossibile. Solo che non è possibile.» disse. Vi fu un attimo di silenzio, poi Sesshomaru afferrò Totosai per il codino e lo alzò all’altezza del proprio viso, fissandolo con occhi diventati rossi.
«Hai proprio voglia di morire, stasera.» gli sussurrò, mortifero, riuscendo finalmente a farlo impallidire.
«Smettetela! Non ha senso prendervela con lui perché non avete avuto la risposta che cercavate!» intervenne Anna in difesa del fabbro e Myoga si affrettò a spiegare: «Sesshomaru-sama, quello che Totosai intende è che il legame tra Junan e Anna-sama è fortissimo! Separandole, il delicato equilibrio che ha permesso ad Anna-san di sopravvivere e trasformarsi potrebbe spezzarsi, condannandola quasi certamente alla follia. La parte umana e quella yokai entrerebbero in conflitto!»
Sesshomaru si voltò verso di loro e lasciò andare Totosai, che cadde sul fondoschiena con un tonfo e un’imprecazione. I suoi occhi, sempre rossi, erano fissi su Anna.
«È la verità?» ringhiò.
«Lo è, testone. Se vuoi Junan in mano tua, senza intermediari, beh…la ragazza sarà condannata.» ribadì Totosai. Sesshomaru non ebbe difficoltà nel cogliere un avvertimento nella voce del fabbro. Quell’azione lo avrebbe macchiato, forse avrebbe compromesso la sua posizione come responsabile del recupero e dell’utilizzo della Stella di En. Era una cosa che Naraku avrebbe fatto senza pensarci due volte. Era una tentazione che lo pungolava, una gran voglia di distruggere.
“In fondo, sono Sesshomaru. Che possibilità ci sono che io perda il controllo sulle Hoshisaki per un semplice sacrificio? – si chiese, scrutando dentro quegli occhi chiari che non si abbassavano né sviavano il suo sguardo – Se ho compreso la natura di questa donna, sarà lei stessa a offrirsi. Mi odia. Odia la nuova vita che le è stata data. Una piccola spinta e mi lascerà Junan.”
Al contempo, qualcosa lo frenava. Doveva solo chiederglielo e, lo sapeva, lei avrebbe rinunciato. Perché allora non parlava, non le dava quell’ordine? D’improvviso, gli parve di poter vedere l’anima di lei attraverso quegli occhi. Non avvenne niente di straordinario, non ci fu alcuna vera telepatia tra loro, ma fu in grado di leggere i pensieri di lei come se fossero i propri.
“Chiedetemelo. Avanti, chiedetemelo, volete farlo fin dal principio. – lo stava sfidando, in un misto di orgoglio, rabbia e dolore – Voi non mi volete. Abbiate il coraggio di dirlo ad alta voce, di riprendervi Junan e di condannarmi. Non siete migliore di così. Non avete un cuore che io possa raggiungere.”
Fu un colpo di maglio inaspettato. La vide davvero, per la prima volta da quando gli era comparsa davanti. Fu investito dal suo puro coraggio, dalla sua integrità, dal nerbo interno d’acciaio che la teneva in piedi anche ora che stava per perdere di nuovo tutto. Mosse qualcosa, dentro di lui. Una parte di se stesso che aveva soffocato gli intimò di fidarsi dell’istinto, di darsi una possibilità, di non condannarsi. Le sue Hoshisaki gridavano, comunicandogli che era sull’orlo del baratro e che il destino di quella donna avrebbe fatto da spartiacque per definire il suo. Non vide lo sguardo che si scambiarono Totosai e Myoga, impressionati da quello scontro silenzioso di volontà. Quando finalmente aprì bocca, nemmeno lui sapeva cosa ne sarebbe uscito.
«Cosa consigliate?» chiese. Totosai sospirò.
«Andate a quella Grotta, sono sicuro che Kiokuchi-sama vi abbia dato un consiglio corretto. Dovete conoscervi. E, a questo proposito, direi che è ora di scoprire i veri poteri di questa ragazza. Non potete andare in giro alla cieca con le Hoshisaki di Gake alle calcagna.» disse.
Sesshomaru si slegò dallo sguardo di Anna, ora sbalordita e confusa per la sua scelta, e guardò il fabbro.
«Puoi testare le sue capacità?» chiese, gelido.
«Ovvio. Myoga, accompagna Sesshomaru alla bocca lavica nord. Io arrivo subito con la fanciulla, le spiego cosa dovrà fare.» disse il vecchio e lo yokai pulce si affrettò a fare da guida all’Imperatore di En, sudando ancora freddo per il pericolo appena scampato. Sesshomaru uscì senza voltarsi, a sua volta impegnato a fare ordine dentro di sé. Quando Totosai guardò Anna, le vide sul volto un’espressione così confusa e sperduta che le prese una mano e la batté affettuosamente.
«Lo hai avvertito, vero? Sesshomaru è schiacciato dal peso della Stella di En e della guerra contro Gake fin da quando è nato. Abbi pazienza, con quel testone. – le sussurrò – Suo padre era convinto che in lui ci fosse qualcosa di prezioso da salvare. Forse, oggi ne abbiamo avuto la prova.»
Le fece strada all’esterno. Non vide il luccichio sospetto che riuscì a fare capolino negli occhi di Anna perché la ragazza lo spazzò via con un gesto veloce, chiedendosi se si sentiva in quel modo per il sollievo del pericolo scampato o per quel breve, profondo momento di contatto che aveva avvertito con l’anima tormentata dell’Imperatore di En.
***
Kagome aprì gli occhi, sbattendo le palpebre alla delicata luce dell'alba. Le ci volle un istante per ricordarsi dove si trovava, poi si guardò attorno, alzandosi a sedere e scostando la coperta che l'aveva protetta dall'umidità notturna. I suoi compagni dormivano attorno a lei, sfiniti dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni e un'altra notte passata in gran parte allontanandosi dal confine con Gake. Miroku dormiva su un fianco, piuttosto pallido, con Shippo accoccolato accanto. Jaken si era addormentato con la schiena contro un albero, il mento chino sul petto e il Bastone Ninto stretto nell'incavo del gomito. Sango montava la guardia accanto a Kirara e, notando il suo risveglio, le sorrise.
«Hai dormito poco, Kagome.» sussurrò per non disturbare gli altri.
«Tu hai riposato anche meno di me, Sango. - disse lei, muovendosi con cautela per raggiungerla – Come ti senti? Le Hoshisaki non ti infastidiscono?»
«No, per il momento non mi danno alcun disturbo. Non avendo desiderio di usarle, credo non riusciranno a mettersi in risonanza con me. - rispose la Cacciatrice, poi guardò nella direzione del sole nascente e Kagome, seguendo il suo sguardo, vide Inuyasha, di guardia sopra a un ramo, che dava loro la schiena – Non hai intenzione di parlargli?»
Kagome gonfiò le guance, un po' seccata, poi borbottò: «Non dovrei, non se lo merita...però non mi piace nemmeno vederlo così.»
«In fondo, ha cercato in tutti i modi di salvarti.» le ricordò Sango, con un sorriso.
«Lo so, è stato gentile e coraggioso...peccato che rovini sempre tutto col suo caratteraccio. - sospirò – Comunque, preferisco fare pace con lui. Pensi ci sia il tempo di farlo adesso?»
«Vai. Vi avrei comunque lasciati dormire ancora un po'.» la spronò l'amica e Kagome si avviò verso la figura immobile, che appariva imbronciata perfino di spalle. Si fermò presso le radici dell’albero. Gli vedeva a malapena una porzione di viso, oltre i capelli argentati che in quel momento stavano raccogliendo qualche riflesso del sole nascente. Lui doveva averla sentita per forza, ma non si mosse né abbassò lo sguardo.
«Ehi. Ehi, Inuyasha. – chiamò Kagome, senza ricevere risposta – Vogliamo finirla di tenerci il muso? Che ne dici?»
Lui non rispose e Kagome sospirò, appoggiando la schiena al tronco.
«Sai, non mi importa che tu abbia alzato la voce con me. Ormai ti conosco e mi ci sono abituata. – mormorò, mettendo in parole anche a se stessa quello che stava provando ormai dalla sera precedente – Però mi ha ferita che tu abbia potuto credere che avrei mai tradito il tuo segreto, fosse anche per ottenere una Hoshisaki. Non ho detto niente nemmeno a Sango e Miroku.»
Per un attimo il silenzio rimase ininterrotto e Kagome si oscurò, pensando che non ne avrebbe ricavato nulla senza chiedere scusa per ciò che non aveva fatto, poi Inuyasha le rispose.
«Non l’ho mai pensato. L’ho detto perché ero…arrabbiato.»
Kagome alzò lo sguardo e lui, dopo un attimo abbassò il proprio perché potessero guardarsi in faccia. Si vedeva che non era più seccato, solo triste e stanco.
«Perché ti sei arrabbiato con me? Volevo solamente aiutarti a ottenere quella Hoshisaki e Koga sembrava darmi retta…» disse lei, dispiaciuta. Inuyasha si arruffò i capelli sulla testa, emettendo un sospiro che sembrò volergli svuotare il petto.
«Beh, avrei dovuto essere io a ottenere l’Hoshisaki! Invece, sono stato completamente dipendente dal tuo aiuto, perché quel tizio si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che darmi Keisotsu! Inoltre, il fatto di aver recuperato Tessaiga mi ha galvanizzato e ho smesso di ragionare…Non mi piace fare la figura dello stupido e tu me ne hai fatta fare una colossale. L’Erede di En, come al solito, non se la sa cavare da solo!»
«Non intendevo…» disse Kagome, dispiaciuta.
«Lo so! Non…non è colpa tua. Anzi, sei stata in gamba.» borbottò Inuyasha, frustrato, guardando altrove. Kagome iniziò ad arrampicarsi e lui tornò a fissarla con tanto d’occhi. «Cosa fai?!»
«Ti raggiungo!» disse lei con un sorriso, per poi rischiare di perdere la presa e scivolare. Inuyasha si allungò, la afferrò per i polsi e la issò al suo livello. La ragazza si sedette sul ramo accanto a lui, rasserenata, anche se Inuyasha teneva ancora il muso.
«Grazie per avermi salvata, Inuyasha. Avrei dovuto dirtelo prima. Ora che ci siamo chiariti, possiamo fare pace e tornare amici?» gli chiese. Inuyasha la guardò di sbieco.
«Amici?» borbottò. Fu sorpreso di vedere subito la sua espressione virare verso la tristezza e si affrettò ad assicurare: «Amici! Va bene! Cioè, insomma…per me non è successo niente. In fondo, non è che stai per tradire En e andare a sposare quel lupastro, no? Giusto?»
«La finisci di fare il geloso?!»
«Io? Geloso?! Tu vaneggi! Temo solo che…»
«Inuyasha, guarda che mi arrabbio sul serio!»
«Va bene, va bene, la smetto!»
Si fissarono per qualche istante, poi entrambi si ritrovarono a sorridere. Si sentirono vicini come non mai, entrambi con un batticuore non del tutto giustificato dalle profferte d’amicizia appena pronunciate. Sango, dal suo posto, si accorse che erano circondati da una lieve aura colorata, come se Shinsetsu e Yuuki fossero entrate in risonanza. La Cacciatrice sorrise e andò a svegliare gli altri, felice che le cose, almeno da quel punto di vista, stessero evolvendosi nella giusta direzione.
Mancava ancora molta strada al castello e, purtroppo, non credeva che quella ritirata strategica sarebbe filata via liscia.

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Capitolo 25
*** 24 - La Grande Famiglia ***


CAPITOLO 24
 
LA GRANDE FAMIGLIA
 
Sesshomaru ascoltò Totosai spiegare alla donna bionda cosa voleva provasse a fare, lanciando poi un’occhiata impaziente al cielo che andava facendosi chiaro. Era quasi l’alba e, ora che la sua idea per ottenere Junan aveva dovuto essere archiviata, non aveva intenzione di restare da quelle parti un minuto di più. Ci sarebbe voluta circa una settimana di viaggio per raggiungere la Grotta e ogni minuto perso lo innervosiva. D’altra parte, era bene capire come poter utilizzare i poteri della ragazza a suo favore, visto che avrebbe dovuto combattere per lui volente o nolente.
«Ecco, appoggia le mani qui. È troppo caldo?» le stava dicendo Totosai, posandole i palmi sulle rocce attorno al cratere in cui ribolliva la lava. Il covo del vecchio fabbro era pieno di piccole e grandi bocche laviche, se ne serviva per forgiare le sue armi con tutto il potere grezzo delle vene magmatiche.
«No, non è eccessivo. Devo solo assorbire energia?» chiese Anna. Sembrava più che propensa a seguire le direttive di Totosai, forse perché aveva comunque bisogno di ricaricarsi dopo la marcia massacrante di quel giorno.
«Tutta quella che riesci. Quando pensi di non poterne contenere più, trattienila per qualche istante, poi sparala verso l’alto. – le spiegò il fabbro, facendosi al contempo indietro insieme al vecchio Myoga – Mi hai detto di averla già usata come arma, giusto? Vediamo che cosa riesci a combinare.»
La giovane annuì. Totosai fece cenno a Sesshomaru di levarsi da dove stava e di mettersi a una distanza di sicurezza, ma l’Imperatore di En non gli badò. Era stranamente curioso. Gli capitava così di rado di provare un qualunque sentimento che decise di rimanere dov’era. Non riteneva vi fosse rischio per lui.
Anna fissò le pietre nere, scaldate dalla lava ribollente a una minima distanza. Concentrò le proprie facoltà e l’energia delle vene nascoste di En le fluì nel corpo come una corrente continua e impetuosa, primordiale, qualcosa che non aveva niente a che fare con la forza rubata al bosco o agli yokai. La riempì, accendendo di viola la sua Hoshisaki, ma Anna non si fermò. Sentiva di avere ancora margine, voleva sapere fin dove poteva spingersi. I capelli d’oro iniziarono a fluttuarle attorno, come spinti da un vento interno, e il suo viso assunse una bellezza ultraterrena. Quando Sesshomaru iniziò ad avvertire tensione nella sua aura demoniaca, lei finalmente staccò le mani e si voltò verso di loro. Sembrava una dea, come Kiokuchi. Gli occhi erano mutati e splendevano d’oro. Sesshomaru si trovò a pensare con freddezza che, forse, Totosai gli aveva fatto un favore. Da quanto stava vedendo, Junan si era forgiata da sola la spada che l’avrebbe difesa.
«In alto, mi raccomando! Spara in alto!» esclamò Totosai dal masso dietro cui si stava riparando. Anna sollevò entrambe le mani e lasciò andare l’energia in un unico, spettacolare colpo. Una colonna di energia si propagò da lei, talmente potente che Sesshomaru fu costretto a fare mezzo passo indietro, investito dall’onda d’urto. La luce dorata si innalzò nel cielo del primo mattino come una stella impazzita che volesse tornare al suo luogo d’origine, poi, molto sopra le loro teste, si disgregò con un boato da spaccare i timpani, liberando tutt’attorno un’impressionante, potenziale distruttività.
Sesshomaru seguì tutto questo con lo sguardo, suo malgrado colpito. Ciò che aveva visto andava oltre le ipotesi che si era fatto, molto oltre. Quella giovane donna aveva preso da Naraku una parte importante, un demone maggiore. Un essere di basso rango non avrebbe potuto donarle una simile forza.
«Ehi…Ehi! Oh no, come temevo!» sbraitò Totosai, uscendo di fretta dal suo nascondiglio e scattando in una corsa sulle sue gambette. Questo costrinse Sesshomaru a tornare a prestare attenzione e si accorse che l’aura demoniaca di Anna era inavvertibile e che la giovane stava per cadere a peso morto dentro la bocca lavica. Agì prima di pensare. In un istante le fu accanto e la afferrò per un braccio, tirandola indietro senza troppa grazia. Lei gli ricadde sul petto, poi scivolò a terra contro la sua gamba, pendendo inerte dalla sua stretta.
«Per questo volevo provasse, c’è ancora troppo di umano in lei…» borbottò Totosai, inginocchiandosi per guardarla. Myoga saltò dalla sua spalla a quella della giovane, scrutandone il viso immoto da vicino.
«Ha perso i sensi ma sta bene. – disse a Sesshomaru, che per il momento si stava limitando a osservare il cambiamento della donna senza nemmeno sbattere le palpebre – I poteri le torneranno presto. Avevo avvertito, però, questa instabilità del sangue. In fondo, Anna-san è nata umana…»
E decisamente umano era quel corpo che ancora pendeva dalla sua stretta. I lunghi capelli erano diventati castano dorato, i tratti del viso si erano ammorbiditi. Se Junan non avesse continuato a brillare su quella fronte, Sesshomaru avrebbe potuto pensare di aver appena salvato la sorella minore e umana della donna che lo aveva sfidato poco prima.
«Capiterà ogni volta?» chiese con voce di pietra.
«Solo se dovesse esagerare. Nella battaglia per salvare Inuyasha e la sua compagna, da quanto ho capito, questo problema non si è presentato. È tutta una questione di gestione del potere. – disse Totosai, scrollando il capo – Ricordati che è stata scelta dalla Passione. Passale un po’ del tuo freddo raziocinio e non ci saranno guai.»
Anna, ancora incosciente, iniziò ad ansimare.
«Oh, i miasmi le stanno facendo male! Questo non è posto per esseri umani!» disse Myoga, saltellando per la preoccupazione. Rotolò dalla spalla di Anna quando la ragazza fu sollevata di scatto, e atterrò sulle rocce, fissando con uno sbalordito stupore riflesso negli occhi di Totosai la figura dell’Imperatore di En che teneva fra le braccia il corpo abbandonato della ragazza. Certo, nella posa non c’era niente di romantico, ma si trattava comunque di una premura cavalleresca mai vista prima.
«Visto che non siete in grado di rendervi utili più di così, me ne vado. – disse loro Sesshomaru, gelido - Tenete gli occhi aperti: sono sicuro che Naraku e i suoi scagnozzi non tarderanno a mettere in atto azioni anche incoscienti. In quel caso, aiutate quello stupido di Inuyasha e coloro che gli sono alleati.»
Ciò detto, Sesshomaru si voltò e se ne andò, portando Anna con sé.
«Che mi venga un colpo…» borbottò Totosai, grattandosi la testa.
«Dici che c’è speranza, Totosai? Non l’ho mai visto così gentile se non con la piccola Rin…» disse Myoga, emozionato.
«Cinque minuti fa ti avrei detto che sarebbe più facile raffreddare la lava soffiandoci sopra. – rispose il fabbro, perplesso – Poi…non so, deve aver visto qualcosa in lei, finalmente. Voleva scaricarla e invece questa esperienza lo ha incuriosito. Forse è finalmente arrivato il tempo di cambiare, per quella testa di marmo. Mi spiace solo per quella povera ragazza.»
«Perché? Sarebbe la nuova Imperatrice di En, consorte...»
«...di un ghiacciolo che di amore non capisce niente. Da quello che ho visto, è più probabile che sia lei a soffrire per questa situazione. È una giovane sensibile e temo abbia la vocazione della salvatrice di casi disperati. - sospirò Totosai, poi scrollò le spalle e batté le mani – Insomma, non sono fatti nostri! Teniamo gli occhi aperti, al primo indizio di brutta aria ho intenzione di fare le valigie!»   
***
Quando Anna riaprì gli occhi, per un attimo le si gelò il sangue nelle vene. Era sospesa su una foresta intervallata da grandi radure che scorreva sotto di lei a gran velocità, bagnata dalla luce arancio intenso di un tramonto. Ebbe, in rapida successione, paura di precipitare e poi di trovarsi ancora sulla piuma di Kagura, con Naraku pronto a finire il lavoro con lei, poi si accorse del braccio forte che la circondava alla vita, impedendole di cadere, e il suo sguardo colse il fluttuare della morbida coda di Sesshomaru. Rabbrividì, mentre l’ansia scemava in lei sostituita da sorpresa e perplessità. Cosa ci faceva lì? Come poteva essere il tramonto? Ricordava di aver rilasciato il potere alla forgia di Totosai e il sole era appena sorto…
Il movimento che le scosse le membra attirò l’attenzione di Sesshomaru, che la sollevò con più fermezza, rimettendola in piedi. Lei lo guardò con occhi confusi e più di un’ombra di imbarazzo nel trovarsi a contatto con l’Imperatore di En, il quale la stava scrutando con allarmante attenzione.
«Dove…cos’è successo…?» mormorò Anna, reprimendo l’impulso di chiederle di lasciarla andare. Non ci teneva a precipitare solo per non consentirgli di vedere che il suo tocco le faceva effetto.
«Sei tornata yokai. Era ora.» disse lui, brusco, gettandola ancora più nella confusione.
«Cosa volete dire?»
«Non l’hai avvertito? – ritorse lui, sollevando un sopracciglio con gelido sarcasmo – Quando hai rilasciato una simile quantità di energia…»
«Ho perso contatto col potere, sì. – lo interruppe lei, ricollegando velocemente i propri ricordi e incupendosi mentre rifletteva – Ne avevo preso troppo, ma come dice Totosai è corretto che io conosca i miei limiti. Ho lasciato andare tutto quello che avevo e ho sentito…uno strappo. Poi, buio.»
Sesshomaru non lasciò trasparire il proprio freddo apprezzamento per quell’analisi, arrivata dopo solo un paio di domande confuse. Quella donna aveva cervello, era sveglia. Chiunque altro, in una simile situazione, avrebbe avuto difficoltà a ricollegarsi così in fretta ai momenti precedenti a un tracollo psicofisico.
«Nel momento in cui svuoti il corpo dall’energia con violenza, il sangue yokai in te si assopisce in attesa di riprendersi e il tuo corpo torna umano. – la sorprese – Hai iniziato a recuperare tratti demoniaci solo nel pomeriggio, e ancora adesso la tua aura è debole e instabile. Dovrai lavorare sulla gestione, poiché non ho intenzione di farti da scudo nel momento in cui tu dovessi sbagliare e metterti a rischio.»
«State tranquillo, sarà mia premura esservi utile e non costituire un peso.» disse lei, aspra, alzando il mento in segno di sfida.
Negli occhi azzurri di lei passò un lampo di ira e indignazione che le accese le guance, rendendola molto bella. Sesshomaru si incupì per quel pensiero che lo aveva sfiorato, insinuandosi non voluto tra quelli decisamente più pratici che gli avevano fatto decidere di continuare il viaggio voluto dalla dea Kiokuchi. Lei, ignara, guardò altrove.
«Dove ci troviamo?» chiese.
«Nei pressi di Inuzuka, territorio della Grande Famiglia.»
«La Grande Famiglia?» fece lei, perplessa.
«Sono alleati di spicco. Il mio lignaggio affonda le sue radici ai primordi della Grande Famiglia degli inu-yokai.»
«A cosa vi serve questa Grande Famiglia, ora?»
Sesshomaru rimase per un attimo in silenzio e qualcosa nei tratti del suo viso, pur inespressivo, le trasmise preoccupazione.
«Naraku approfitterà della mia assenza per muoversi. Attaccherà. Voglio che Inuyasha e le sue Hoshisaki stiano lontane dal confine. La Grande Famiglia dovrà guidare la difesa finché non avrò accesso a tutti i poteri della Stella di En.» spiegò lui con poche frasi secche, prima di chiudersi nel mutismo e dirigersi con decisione verso una collina boscosa, per metà avvolta da ombre cupe.
Quando scesero tra gli alberi, alle pendici della collina, il sole era scomparso in un crepuscolo delicato. Sesshomaru la lasciò andare non appena sfiorarono il terreno e Anna, a sua volta, si affrettò a fare due passi a lato, sentendosi sollevata di poter troncare quel contatto che, anche non volendo, le aveva accelerato i battiti del cuore. Lo guardò di sottecchi, rimproverandosi. Era vero, l’Imperatore di En era di una straordinaria bellezza, come aveva pensato fin dalla prima volta che l’aveva visto, ma questo non doveva farle dimenticare tutte le brutture del suo carattere.
“Non sei mai stata una ragazza frivola. Non cominciare adesso.” si disse, anche se di frivolo, nell’avventura che stava vivendo o nelle sensazioni che provava, non c’era proprio nulla. Quando si accorse che Sesshomaru stava avanzando, si affrettò a seguirlo, guardandosi attorno con circospezione. Chissà se erano riusciti a levarsi di dosso Kagura, con quel volo? Ricordò la piuma della yokai e si rimproverò. Era molto difficile che Sesshomaru potesse viaggiare più velocemente di una demone del vento.
«Stai indietro e non parlare.» le disse intanto Sesshomaru. Anna, avvertendo la presenza di molti demoni, non replicò. Davanti a loro, tra le ombre, stavano venendo avanti quelli che probabilmente erano i membri della Grande Famiglia, in forma umana. Si fermarono nel punto in cui il terreno iniziava a salire, schierati davanti a Sesshomaru. Vi fu un attimo di stasi che Anna non capì e che le trasmise un certo disagio, poi lo yokai anziano che precedeva gli altri si inchinò e la tensione svanì.
«Sesshomaru-sama, a cosa dobbiamo la vostra visita?» chiese costui, freddo ma educato.
«En ha bisogno dei vostri servigi.»
«Serviamo En ogni giorno, come da millenni. I nostri giovani sono alla guerra.» disse il vecchio, pacato, con una frase che poteva avere infinite sfumature. Ad Anna non piacque. Fu un istinto immediato, senza motivo, ma le parve che quello yokai e chi stava alle sue spalle fossero ostili a Sesshomaru. Ricordò le parole di Totosai e Myoga, che avevano cercato di spiegarle il peso che l’Impero e la ricerca della Stella costituivano per Sesshomaru, il quale aveva combattuto solo fin dalla morte del padre, con l’aggiuntiva responsabilità di un fratello minore da guidare e far crescere nel potere. Se esisteva una Grande Famiglia inu-yokai, perché nessuno condivideva il peso di queste responsabilità? Perché quegli inu-yokai non servivano da vicino il loro Imperatore ed erano asserragliati sulla loro collina come una setta che non andava disturbata? Il tono di Sesshomaru cambiò, facendole capire che anche lui aveva letto più sottintesi del dovuto nella voce del vecchio.
«Vecchio Tashiki, sono qui per dare ordini. Il vostro compito è quello di obbedire. – disse con un suono molto simile a un ringhio fondo – Comando un immediato consiglio di guerra. Non ho tempo da perdere qui tra voi, la notte sarà più che sufficiente per accordarci.»
«Come desiderate, Sesshomaru-sama. Siamo vostri servi. Venite alla dimora ancestrale, ma lasciate qui la donna che puzza di umano.» si inchinò il vecchio con una rigidità non dovuta agli acciacchi. Anna, che pensava di non essere stata nemmeno notata, sobbalzò per quelle parole volte a insultarla. Sesshomaru non fece una piega né si voltò.
«Ella è Junan. Andrà dove io andrò.»
«Questo terreno è sacro agli inu-yokai e nemmeno l’Imperatore di En può permettersi di violarlo.» disse Tashiki, aspro, e Anna avvertì una tale aura minacciosa provenire da Sesshomaru che fu contenta di non poterlo vedere in volto in quel momento. «Ma – continuò Tashiki, più conciliante – siamo servi dell’Imperatore e, pur mantenendo inviolate le tradizioni, non saremo così folli da arrecare danno all’incolumità di Junan, qualunque sia il corpo che l’Hoshisaki abbia deciso di abitare. Non temete, Sesshomaru-sama. Le lasceremo una scorta a fianco, così che vi possa attendere alle pendici di Inuzuka senza correre alcun pericolo.»
Sesshomaru si voltò verso Anna, imperscrutabile. Lei lo vedeva perfettamente, il suo nuovo sangue le concedeva una vista notturna straordinaria, ma non c'era nulla da leggere dietro a quei lineamenti, nessun pensiero. Si morse l'interno delle guance per non permettersi di chiedergli di rifiutare l'offerta.
«Sia.» disse infatti Sesshomaru, ma prima di andarsene si avvicinò a lei. Le si affiancò e si chinò appena fino ad avere la bocca all'altezza del suo padiglione auricolare. Avvertendo il suo respiro sulla pelle, Anna dovette trattenere un sussulto. Le mormorò in un sussurro appena percettibile: «Non ti muovere da qui, qualunque cosa la tua guardia del corpo possa dire o fare. Riprendi forze e non fare sciocchezze. Kagura ci ha seguiti.»
«Se mi attaccasse...?» chiese lei, quasi senza muovere le labbra.
«Non lo credo possibile, ma potrebbe non essere sola. - si scostò e la guardò negli occhi, poi disse le parole che in realtà di era aspettata fin dall'inizio – Hai la responsabilità di Junan fino al mio ritorno. Provami il tuo valore.»
Ciò detto, le voltò le spalle per inoltrarsi oltre i confini di Inuzuka e allontanarsi insieme al vecchio Tashiki e al resto della famiglia. Solo due inu-yokai rimasero dov'erano, scrutandola con occhi cupi: un giovane e una donna. Anna esalò il respiro dalle labbra socchiuse, cercando di liberarsi dalla tensione emotiva nei confronti di Sesshomaru e dalla sensazione di essere più sgradita che mai in quel luogo, poi si spremette un sorriso degno dei suoi giorni al negozio di fiori, senza sapere di aver nascosto l'odore delle sue emozioni ai due inu-yokai, e si inchinò, pronunciando un cortese ringraziamento per la loro presenza. Non ricevette risposta, perciò si sedette contro il tronco di un albero e si preparò ad attendere.
Per la prima volta da quando Kagome l'aveva trovata, era di nuovo sola. Nel frattempo, in lei e attorno a lei erano già successe molte cose e Anna si trovò non del tutto scontenta di avere un po' di tempo per fare chiarezza dentro di sé. Più si addentrava nell’impresa di unire e purificare la Stella di En, più si sentiva fuori posto.
Quando i monaci di Ojohi l’avevano salvata e le avevano spiegato le origini della loro lotta, la valenza del frammento viola che le era comparso sulla fronte e l’alto ruolo che questo comportava al fianco di Sesshomaru-sama, si era aggrappata alla speranza di poter trovare una nuova ragione per vivere, dopo la terribile trasformazione che aveva subito. Aveva visto l’Imperatore di En come una sorta di faro, l’antitesi di quel Naraku che l’aveva gettata nelle tenebre. Il loro incontro era stato una doccia fredda e Anna non aveva mandato tutto a carte all’aria solo grazie al ricongiungimento con Kagome e alla conoscenza con gli altri membri del gruppo, che le avevano dato ulteriori motivi per fare del suo meglio. Troppe vite innocenti erano in pericolo e lei detestava le ingiustizie. Se il potere acquisito poteva servirle per aiutarli, oltre che per vendicarsi di Naraku, tanto meglio.
Sesshomaru, però, per lei era un mistero e una spina nel fianco. La faceva andare in bestia con la sua indifferenza, i suoi modi bruschi, i silenzi. Sapeva di non piacergli e questo andava a rimestare nei sentimenti più torbidi del cuore di Anna. Al contempo, la sua dedizione al ricordo della giovane che aveva posseduto Junan prima di lei, il dolore profondo che era riuscita a scorgere nei suoi occhi, la testarda fierezza con cui cercava di tenere in mano un Impero e una missione che gli erano stati imposti, le facevano provare anche una riluttante stima per lui. Anna apprezzava il coraggio, il senso di responsabilità e la fermezza di carattere. Aver capito, però, il proprio vero ruolo nell’equilibrio di forze della Stella di En le aveva fatto girare la testa.
Totosai era stato molto chiaro: Junan era la controparte di Chinoo, le due Hoshisaki si completavano così come le anime dei due possessori. In parole povere, se lei era la “vera” Junan, cosa che la piccola Rin non aveva potuto diventare, significava che lei e Sesshomaru erano destinati l’una all’altro.
“Certo, come no.” pensò la giovane, abbracciandosi le ginocchia, a disagio. Non sarebbe stata così disonesta con se stessa da non ammettere che il contatto fisico con Sesshomaru la scombussolava, né da negare la sua bellezza o la tentazione di voler guardare più a fondo nei recessi di quegli occhi che le avevano concesso solo un paio di volte di andare oltre la superficie. Tra questo e l’amore, però, ce ne passava e Anna non vedeva motivo per perdere la testa nei confronti di qualcuno che la vedeva solo come un’arma che portava Junan incastonata in sé.
“Dev’esserci qualcosa di sbagliato nella storia delle Hoshisaki. Sicuramente Sesshomaru la pensa allo stesso modo.” sospirò. Si accorse di non pensare più a lui col titolo onorifico. L’aveva già sfidato troppe volte per mettere in scena forme di rispetto, almeno nel privato, ma la cosa la contrariò lo stesso. Non voleva dargli alcuna confidenza, nemmeno nei propri pensieri.
Avvertì una risatina dietro di sé, poi un’altra. Aguzzò le orecchie e notò che le sue guardie del corpo stavano sparlando di lei, senza nemmeno fare troppa attenzione a tenere bassa la voce. Forse pensavano avesse ancora un udito umano.
«È assurdo che una donna impura sia destinata a Sesshomaru-sama.» stava dicendo la inu-yokai, con l’astio inconfondibile di chi è geloso. Probabilmente Sesshomaru era un partito molto ambito.
“Concordo con te.” pensò lei, chiudendo gli occhi e sospirando piano. Era abituata alle prese in giro altrui e a dirla tutta la pensava come quella donna. Lei e Sesshomaru erano come il fuoco e l’acqua.
«Vedrai che l’Imperatore le toglierà Junan. Un simile contenitore non vale niente. Né ningen, né yokai. Scommetto che è debole come un bambino, la sua aura si avverte a malapena.» disse il secondo tizio, rassicurando la collega. Anna storse la bocca: in effetti era ancora debole, ma non quanto credevano quei due. Non faceva il pieno di energia per non mostrare i propri poteri. Non sapeva perché, ma sentiva che Sesshomaru le avrebbe consigliato di fare lo stesso. Inoltre, quei due non sapevano che l’Imperatore di En aveva già fatto il suo tentativo di sbarazzarsi di lei.
“Ma alla fine ha rinunciato.” ricordò, provando la stessa stupefatta sorpresa della notte prima. Messo davanti alla prospettiva di condannarla, aveva fatto marcia indietro. Adesso le aveva affidato Junan, accettandola implicitamente nel ruolo che le era stato imposto. Forse, c’era davvero in lui più di quanto apparisse. Forse valeva la pena vedere dove quella strada al suo fianco l’avrebbe condotta. In fondo, Kiokuchi-sama le aveva dato la speranza di poter tentare di tornare umana, alla fine di quel viaggio. Se avesse usato quel potere, una volta purificate le Stelle...
I suoi pensieri furono cancellati dall’istinto e dall’allarme che la pervase. Anna si alzò di scatto e fece un balzo, allontanandosi dall’albero. Un istante dopo, lame di vento si abbatterono sul punto in cui era rimasta seduta, segando l’albero in tocchi e causandone la caduta. Alcuni demoni sbucarono dal folto come se provenissero dal nulla, facendo capire ad Anna che era stato usato di nuovo il trucco sperimentato sulle colline, quando l'esercito di Naraku era stato nascosto nell'odore e nell'aura demoniaca da demoni insetto. I demoni, però, non si diressero su Anna ma sui due inu-yokai che le facevano da scorta, i quali ingaggiarono battaglia, retrocedendo per trascinare gli invasori lontano dalle pendici della collina sacra.
«Ehi!» protestò Anna, rendendosi conto che la manovra la stava isolando e lasciando priva di protezione, cosa che non corrispondeva alle richieste di Sesshomaru, ma dovette riportare la propria attenzione sulle nuove lame di vento che precipitavano su di lei e balzare via. Non fu affatto sorpresa quando Kagura si palesò tra i rami, scrutandola con occhi sarcastici da sopra la linea del ventaglio con cui copriva l'espressione della bocca.
«Sorpresa!» le disse, ironica.
«Sapevo che ci stavi seguendo. E sapevo che avresti approfittato della prima assenza di Sesshomaru.» ritorse Anna, avvertendo la rabbia iniziare a ribollirle nello stomaco. La sua mente fu subito piena dei terribili ricordi della sua prima notte in quel mondo e della sua lotta per la sopravvivenza.
«Naso fine, eh? Beh, non è importante. A Naraku non va che tu ti renda troppo utile a Sesshomaru. Che ne dici di restituire ciò che non è tuo e deciderti a morire? Se ti taglio la testa, non te ne accorgerai nemmeno.» la provocò Kagura. Anna le sorrise con un'affilata sete di sangue che tolse per un attimo dal volto della bella yokai il suo confidente sarcasmo.
«Non sono un'assassina come te, Kagura, ma non ho remore nel vendicare ciò che mi avete tolto. In realtà, ti stavo aspettando.» disse, con una voce simile a un miagolio rabbioso e un allarmante lampo dorato negli occhi. Scattò, con tutte le energie che era riuscita a recuperare. Le sue unghie, ora lunghe e micidiali, sfiorarono la demone del vento, che però si lasciò cadere dal ramo e atterrò con una capriola, sferzando l'aria col suo ventaglio. Anna balzò da un ramo all'altro con l'agilità propria dei gatti, rimettendoci solo un paio di ciocche di capelli dorati e sottraendo a ogni contatto energia agli alberi, poi si voltò e sparò la propria energia contro Kagura, che non si aspettava un attacco simile. La yokai si circondò di una barriera di vento che deviò in parte il colpo, ma dovette caracollare all'indietro e Anna ne approfittò per correrle incontro. Voleva toglierle tutta l'energia che poteva e, una volta inerme, interrogarla su Naraku.
La sua situazione di disequilibrio e il potere appena usato, però, le avevano sottratto forza e fu più lenta di quanto avrebbe gradito. Questo permise a Kagura di riprendersi e di sollevarsi in aria, sottraendosi al suo tocco. Appena sopra di lei, calò il ventaglio come la lama di una ghigliottina, ma Anna si raccolse su se stessa e balzò in avanti, senza concedersi una pausa. Stavolta il vento tagliente la colse sul retro di una caviglia, spillando sangue, ma non fu sufficiente a farle un danno grave.
Le due contendenti si fermarono un attimo, scrutandosi con odio e riluttante rispetto. Entrambe avevano intuito che le reali possibilità dell'avversaria potevano rivelarsi più letali del previsto.
“Io sono debole, ma Kagura? Possibile si stia trattenendo?” pensò Anna, sospettosa. Il viso della yokai era imperscrutabile, come la sua Hoshisaki prevedeva, ma Sesshomaru le aveva detto più volte di non temere particolari ingerenze da parte di Kagura. Qual era il gioco della yokai del Vento? Intanto, attaccanti e difensori erano ormai lontani, scomparsi con una velocità che per qualche motivo le risultava sospetta.
«Io non mi aspetterei aiuto dagli inu-yokai, fossi in te. Sesshomaru compreso.» tubò Kagura, avendo notato la direzione del suo sguardo. Ad Anna non piacque il suo tono. Era pieno di sottintesi che la mettevano in allarme.
«Non ho bisogno dell'aiuto di Sesshomaru.» le disse prima ancora di pensare.  Kagura la guardò con un misto di pietà, delusione e disprezzo.
«Per favore, sento benissimo la tua debolezza.» la provocò, sprezzante.
«Lascia che ti sfiori e vedrai come le carte in tavola siano in grado di ribaltarsi.» la sfidò Anna. Se solo fosse riuscita a toccarla, anche solo per un istante...Doveva ingannarla, farla andare nella direzione sbagliata. Doveva usare il potere un'altra volta. Kagura, invece di colpirla approfittando del suo momento di riflessione, chiuse il ventaglio con uno schiocco secco e lo usò per indicarla con un gesto d'accusa.
«Ma guardati, sarebbe questa la Junan che deve aiutare Sesshomaru? La spina nel fianco che dovrei estirpare? Come immaginavo, gli scarti di Naraku non potevano aver creato qualcosa di buono. Un paio di colpi e sei debole come un uccellino. Se ti potessi scatenare addosso la Danza dei Cadaveri, saresti morta in un secondo.» disse, con non poco disprezzo.
«Mi hanno detto che anche tu sei nata da scarti di Naraku. Non farei troppe battute in merito, Kagura.» ritorse Anna, sprezzante, mandando a mente il fatto che lei non poteva, al momento, usare ogni freccia al suo arco. Non era sicura di voler sapere in cosa consistesse quella Danza dei Cadaveri.
«Oh, la gente dice così tante cattiverie. Non crederei a tutto, se fossi in te. Io sono il Vento, carina. Non sono lo scarto di nessuno. - rispose Kagura, facendo un movimento col polso, pronta a scatenare di nuovo i propri poteri – Al contrario di te, pare. Abbiamo già fatto un po' di chiasso, ma non vedo comparire l'Imperatore di En in tuo soccorso.»   
«Ti dispiace?» chiese Anna, riflettendo su come gestire lo scontro. Fu sorpresa e distratta per un attimo dal sorrisetto affilato che sembrò sfuggire al controllo di Kagura e piegarle le labbra nell'unico segno di un sentimento complicato.
«Non direi. Mi facilita il lavoro.» mormorò Kagura, muovendo di nuovo in aria il suo ventaglio. Anna rotolò via, impedita dai tagli alla caviglia, e le lame spillarono altro sangue. Il dolore le diede una sferzata, aiutandola a uscire dallo stupore che l’aveva pervasa nell’intuire cosa si nascondesse dietro il piccolo sorriso di Kagura. Sesshomaru ne era a conoscenza? Soprattutto, Naraku lo sapeva? In che razza di situazione si trovava Kagura?!
“Maledizione, non ho tempo per pensare a queste cose, ora!” si disse, preparandosi a uno sforzo.
«Fai un favore a tutti e muori, ragazza!» esclamò Kagura, preparandosi al colpo finale.
«Sesshomaru mi ha affidato Junan! Non te la lascerò, Kagura!» gridò Anna con uguale ferocia e fierezza. Affondò le dita nella terra, prendendo da essa tutto ciò che poteva, poi scattò, per metà trasformata in neko-yokai, affrontando di petto il vento micidiale di Kagura.
Doveva riuscire a toccarla, a qualsiasi costo.

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Capitolo 26
*** 25 - La seconda scelta ***


CAPITOLO 25
 
LA SECONDA SCELTA
 
Kagura non si trattenne più di tanto, non ci riuscì. Non sarebbe stato comunque saggio, sapeva che Naraku la teneva d'occhio, ma le parole di quella ragazza erano andate a stuzzicare il suo nucleo più profondo, quello che era riuscito a preservare all'influsso di Mukanshin, perciò il suo desiderio di vederla soffrire era reale. Le sue lame di vento fendettero l'aria con archi micidiali, mentre quella sciocca attingeva al sangue neko-yokai per cercare di attaccarla. Ridicola! Non avrebbe avuto tempo per altro che cercare di salvarsi la testa!
Invece, vide quella pazza scatenata buttarsi in mezzo alle lame di vento, riparandosi il volto con le braccia incrociate, gli occhi fiammeggianti puntati solo su di lei. Non sapeva da dove avesse attinto quella dose extra di potere, né come non riuscissero a fermarla le tante, brutte ferite che le lame di vento le scavarono nella carne, ma l'attimo di sorpresa fu sufficiente per negarle ogni occasione di sottrarsi a quelle mani artigliate. Anna le fu addosso prima che potesse balzare via o richiamare la sua piuma, afferrandola per le braccia e scaraventandola a terra.
Kagura avvertì subito la forza fluire dal proprio corpo a quello della neko-yokai e temette di essere spacciata. Poi le loro Hoshisaki si illuminarono, riempiendole entrambe della voglia di allontanarsi l'una dall'altra il più possibile. In fondo, Junan e Mukanshin erano  poli opposti.
«Lasciami, maledetta!» gridò Kagura, cercando invano di muovere il ventaglio.
«Scordatelo!» ribatté Anna, fissandola con i suoi occhi dorati, che sembravano illuminati dall'interno. Kagura non li voleva guardare. Le sembrava fossero in grado di scavarle dentro, cercando...trovando...
Le luci delle Hoshisaki crebbero d'intensità, avvolgendole in un vortice malsano che ebbe effetto su entrambe, spingendole a gridare e gemere per l'orribile sensazione. D'improvviso, qualcosa di bianco e veloce passò tra loro, separandole. La sensazione orribile disparve e Kagura, raccogliendo le poche forze che aveva, evocò immediatamente la propria piuma e si sollevò in volo su di essa, tremante.
Guardò sotto e vide Sesshomaru, livido e terribile, che la fissava attraverso gli alberi accanto alla donna bionda, la quale ansimava sulle quattro zampe, cercando di riprendersi. Doveva aver usato la sua coda per separarle, Kagura l'aveva già visto adoperarla a scopi offensivi.
«È arrivato il guastafeste. - disse con voce incerta pur se sfoggiava un sorrisetto sarcastico, godendo senza farsi accorgere del primo sguardo ricambiato con l'Imperatore di En da molti anni – Anche se forse stavolta ti devo ringraziare, Sesshomaru. Ammetto che me la stavo vedendo brutta.»
«È questa la tua missione, Kagura?» replicò lui, gelido, alzando una mano artigliata con fare minaccioso.
«Chissà...Se ti allontani da Junan, può succedere di tutto! Penso che ci rivedremo presto, per il momento me ne vado. Non sono così sciocca da farti da avversario.» rispose lei, per poi allontanarsi velocemente sulla piuma e lasciarli indietro. Per un po' sarebbe stata alla larga, doveva riprendersi...e sfidava Naraku a rimproverarla per la sua condotta! Rimase sdraiata sulla piuma a guardare il cielo notturno, a malapena cosciente, imprimendo nella mente lo sguardo di Sesshomaru e ridendo amaramente di se stessa.   
Sesshomaru non la inseguì. Era furibondo per più motivi. La Grande Famiglia aveva fatto storie riguardo ai suoi ordini, le guardie lasciate a vegliare su Junan non avevano svolto il loro lavoro in maniera adeguata e se non avesse avvertito l’odore del sangue della Portatrice di Junan forse a quell’ora avrebbe perso di nuovo l’Hoshisaki. Abbassò lo sguardo incupito su di lei, che era ancora a quattro zampe, a capo chino, ansimante.
“O forse no. – si contraddisse – Nemmeno Kagura se la stava cavando bene, contro di lei.”
Le braccia e i fianchi della ragazza erano intrisi di sangue, tagliati in più punti. Lei doveva aver affrontato di petto le lame di Kagura pur di toccarla. Una strategia rozza e incosciente, ma forse l’unica possibile. Le migliori armi di quella donna erano le mani.
«Dove sono i tuoi guardiani?» chiese. Lei fece un gesto vago verso sud, nel buio tra gli alberi.
«A vedersela con gli scagnozzi di Kagura, credo. – disse, rauca, poi si sedette con le mani in grembo, tremante e in preda a fitte di dolore – Perché ci avete separate?»
«Le Hoshisaki vi stavano intossicando, gli Opposti non possono venire a un contatto così profondo. – le disse lui, brusco, valutando che le ferite lo avrebbero costretto a portarla in volo per almeno un paio di giorni – Inoltre, non stavi cercando di ucciderla.»
Anna lo guardò con meraviglia e rispetto per il suo intuito, poi scosse il capo.
«No. Volevo renderla debole per interrogarla. Ho guardato in lei.» mormorò.
«Hai visto qualcosa di utile?» chiese Sesshomaru. Non capì lo sguardo negli occhi chiari della ragazza, quando li fissò nei suoi. Sembrava cercare qualcosa sul suo volto, una risposta, un cenno. Era confusa, sorpresa, triste. Una strana tempesta di emozioni umane che gli ferì il naso prima di essere bruscamente interrotta, come se i sentimenti fossero stati cancellati in un istante dal fatto di non aver trovato ciò che cercava.
«Nulla. A parte che…avete ragione su Kagura. Nasconde più di quanto noi o Naraku possiamo credere.» rispose, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Sesshomaru attese chiarimenti, ma essi non arrivarono. In compenso, gli occhi di tutta la collina erano su di loro. L’Imperatore di En li sentiva, una condanna nei confronti dell’essere impuro che portava Junan, il rancore verso ordini che non avrebbero voluto eseguire. Gli inu-yokai si ritenevano tutti di sangue reale. Un giorno, quando la guerra fosse finita, Sesshomaru sapeva che avrebbe dovuto guardarsi le spalle da nemici del suo stesso sangue.
«Andiamo.» disse, brusco.
«Avete finito con…» mormorò Anna, cercando di alzarsi in piedi da sola.
«Ho finito.» tagliò corto lui. La afferrò per un braccio e se la tirò addosso, senza far caso al sangue, anche se il gemito di dolore di lei gli ricordò di non poter stringere o strattonare troppo quel corpo ferito. Si alzarono in volo nella notte senza scambiare un’altra parola, senza un’offerta di soluzione da parte di Sesshomaru per mitigare la perdita di sangue o il dolore. Anna non si lamentò, comprimendo le labbra, strette tanto da diventare bianche. Intuiva che, nel suo modo distorto, il comportamento di Sesshomaru la stava elevando al rango di guerriera, protettrice di Junan. Aveva passato la prova e se si fosse lamentata sarebbe tornato a vederla come una donna inutile. Ingiusto, senza cuore, ma era fatto così. Si trattava di un passo avanti, pagato caro.
Azzardò un solo sguardo su di lui, sul suo bellissimo viso, prima di cercare di concentrarsi sulla propria guarigione. No, Sesshomaru non conosceva il segreto di Kagura. Nessuno, probabilmente, lo sospettava, altrimenti nemmeno Naraku avrebbe mandato proprio la Demone del Vento a seguire le loro tracce. Chi mai avrebbe potuto immaginare che dietro l’Indifferenza, nel corpo di una serva di Naraku, potesse albergare un amore infelice per l’Imperatore di En?
Questo non toglieva a Kagura il suo ruolo di spia e assassina, ma la rendeva molto più umana e la circondava di una sensazione di disgrazia imminente, di pena senza fine.
“Cambierebbe qualcosa, se ti dicessi che Kagura ti ama? C’è posto per una donna nel tuo cuore, dopo la piccola Rin? – si chiese, avvertendo suo malgrado una stretta allo stomaco – Forse, io e Kagura dovremmo scambiarci le Hoshisaki. Tutti sarebbero più felici.”
Il pensiero le provocò più dolore del dovuto e Anna tentò di soffocarlo, insieme a una imprevista voglia di piangere.
***
«Kaze no Kizu!» gridò Inuyasha, facendo compiere un ampio arco alla sua spada, dall'alto verso il basso. Per i demoni di Gake che avevano teso loro un agguato lungo la via non ci fu tempo di pentirsi: il potere di Tessaiga li fece a pezzi, ponendo fine allo scontro in tempo da record.
«Bastardi, non hanno alcuna intenzione di farci tornare a casa tranquilli.» disse tra i denti il Principe di En, cercando di nascondere quanto fosse sollevato e soddisfatto di riuscire a usare la spada paterna con l'antica sicurezza che aveva preceduto il suo incidente con Kikyo. 
«Ce ne sono troppi, per essere così addentro ai confini di En.» mormorò Miroku, corrucciato, guardando il cumulo di cadaveri.
«Pensavo fosse la norma...ricordi il gruppo di yokai che ci ha attaccati la sera in cui ci siamo conosciuti, Miroku?» disse Kagome, preoccupata.
«Non era la norma, Kagome-chan. Significa che il confine sta cedendo.» disse Sango, cupa. Si voltò verso est e Kagome fu dispiaciuta per lei, che sicuramente stava pensando a Kohaku, così vicino ai luoghi più caldi di quella guerra.
«Sesshomaru-sama sistemerà tutto. Noi pensiamo ad andare avanti, mancano ancora un sacco di giorni al castello e stiamo rischiando la pelle più volte di quante mi faccia piacere ricordare.» gracchiò Jaken, seccato.
«Che campione di coraggio...» borbottò Shippo, evitando poi un colpo del bastone Ninto.
«Non ti lamentare, Jaken. Se sei in grado di volare come Sesshomaru, vai pure avanti da solo.» lo sgridò Inuyasha, seccato. Era vero, non stava passando giorno senza che la loro vita fosse in pericolo.
Kagome gli posò una mano sul braccio, attirando la sua attenzione. La guardò, avvertendo un tuffo al cuore. Fin dal mattino in cui avevano fatto pace, la presenza di Kagome era diventata per lui qualcosa che non poteva più ignorare. Aveva ripreso a portarla con sé durante i loro spostamenti, acutamente consapevole del suo corpo che gli aderiva alla schiena. Continuava a ripensare alla notte di confessioni in cui lei aveva visto il suo aspetto umano e la barriera tra loro si era infine infranta, alla frustrazione rabbiosa che aveva provato nel vederla tanto in confidenza con quel Koga. Era felice che non ci fosse Sesshomaru: se avesse intuito lo stato di confusione emotiva e sensoriale in cui si trovava, il suo scherno sarebbe stato feroce.
«Inuyasha, pensi che Sesshomaru e Anna siano al sicuro? Non credo che noi siamo gli unici ad essere inseguiti...» disse la giovane, preoccupata e ignara del tormento di Inuyasha. D'altra parte, il mezzo demone sarebbe stato più che sorpreso di sapere in quale considerazione lo tenesse ora la Portatrice di Shinsetsu. 
«Chiunque voglia mettere i bastoni tra le ruote a Sesshomaru in questo momento farà una brutta fine. Hai sentito cosa ci hanno raccontato Miroku e Sango: avrei paura io stesso a stargli nei pressi.» borbottò Inuyasha, che era rimasto molto colpito da come le Hoshisaki di suo fratello e della sorella di Kagome avessero tentato di rifiutarsi, portando a entrambi dolore e frustrazione. Cosa li aspettava nella Grotta degli Echi? Inuyasha non era molto ottimista, la corazza che suo fratello aveva ricostruito attorno al proprio cuore sembrava non meno resistente di quella che per tanti anni li aveva tenuti separati come due estranei. “Già, ma non abbiamo più tempo.” pensò, cupo, prima di accorgersi che le sue parole e l'espressione avevano dipinto sul volto di Kagome una preoccupazione vicina alle lacrime.
«Ehi, non dico che tua sorella rischi qualcosa stando con lui! Lei è Junan, Sesshomaru la difenderà a qualsiasi costo!»
«Anche da se stesso?» chiese Kagome, spiazzandolo.
«Kagome-chan, Sesshomaru-sama è consapevole più di chiunque altro dei propri doveri. Credo stia solo faticando a uscire dall'ombra del fantasma della precedente Portatrice.» disse Sango, cercando di tranquillizzarla.
«Rin è insostituibile. - disse Jaken, con una voce secca ma incrinata -  Sesshomaru-sama ha il diritto di non volersi legare alla nuova Junan!»
«Certo, e Anna ha lo stesso diritto, ma dovranno venire a patti o saranno guai per En. Kiokuchi-sama è stata chiara. - sospirò Miroku – Kagome-sama, vostra sorella si è rivelata un'anima forte e senza paura. Non conosco molte persone in grado di discutere guardando negli occhi l'Imperatore di En. Non è il tipo che si arrende, dico bene?»
«Mai! Anna-chan ha superato molte avversità, nella sua vita. Vorrei solo che potesse andare d'accordo con Sesshomaru...»
«Lo vorremmo tutti. Speriamo che i loro cuori riescano a trovare un punto di contatto.»
«Feh! Quello non ha un cuore...» borbottò Inuyasha. Per parte sua, era parecchio pessimista. Incontrare i gusti di Sesshomaru poteva essere un'impresa impossibile. «Andiamo? Abbiamo perso anche troppo tempo.» li spronò, rinfoderando Tessaiga. Si abbassò per far salire Kagome, mentre Sango, Miroku, Shippo e Jaken tornavano in groppa a Kirara.
«Kagome-sama, un'ultima domanda. - fece il monaco, mentre si metteva comodo sulla schiena del neko-yokai – Sarò indiscreto, forse, ma Anna è più grande di voi, giusto? Dicevate che non vive più in famiglia...»
«Sì, è così. Perché?» rispose lei, perplessa, mentre Inuyasha la sollevava da terra, pronto a partire.
«Avete idea se nel vostro mondo ha lasciato un amore? Questo spiegherebbe la sua avversione per Sesshomaru...»
«No, Anna non si è mai innamorata, che io sappia. Non ha mai frequentato nessuno al di fuori di noi. - rispose Kagome, sorpresa – Credo che non sopporti Sesshomaru solo perché lui è stato odioso fin dal principio. Ma cosa c'entra l'amore in tutto questo?»
«Beh, i portatori di Chinoo e Junan sono destinati l'uno all'altra, esattamente come...» iniziò a dire Miroku, prima che gli arrivasse una gomitata nello stomaco da parte di Sango e Inuyasha si affrettasse ad esclamare, a voce fin troppo alta: «Si va!»
Kagome si strinse forte alle spalle di Inuyasha, impreparata alla partenza improvvisa, mentre Sango fulminava il monaco con lo sguardo e questi, sorpreso, le mormorava che non pensava vi fosse ancora ambiguità su questa parte della storia. La giovane, che non era una sciocca e aveva intuito questo aspetto della faccenda fin dal principio, avvampò e fu felice di non poter vedere il volto di Inuyasha. Aveva evitato di pensarci fino a quel momento, ma se Anna e Sesshomaru erano destinati ad amarsi, lo stesso valeva per lei e Inuyasha? Per questo il Principe di En si era avvicinato con tanta cautela a Kikyo e aveva tenuto lei alla larga il più possibile?
“Per questo il mio cuore batte così forte quando sono con lui?” si chiese. Le ultime vicissitudini, la scoperta della sua gentilezza, le litigate e le confessioni, nonché il segreto che Inuyasha era stato costretto a rivelarle dando un nome al suo Principe dai capelli neri, stavano scombussolando i suoi sentimenti. “Attenta, Kagome...ricorda che prima o poi dovrai tornare a casa. Non farti trascinare dalla tua Hoshisaki.” si disse, ma per la prima volta queste parole le causarono sofferenza.
Verso sera giunsero in prossimità di un villaggio, ma né Inuyasha né Jaken vollero fermarvisi. Miroku e Sango vi fecero sosta in autonomia, comprando provviste e tendendo le orecchie alle chiacchiere altrui. Quando tornarono dagli altri, accampati nella foresta, i loro volti erano cupi.
«Naraku sta muovendosi con maggiore violenza. Pare che le notizie siano brutte, al confine.» disse Miroku, sedendosi accanto al fuoco e fissando le fiamme, pensieroso.
«Le miko e i monaci stanno usando i loro poteri per comunicare, perché le mosse del nemico si sono fatte veloci. – spiegò Sango – Pare che oggi Gake abbia sfondato a nord di qui, vicino a Inuzuka.»
«Inuzuka?! Ma lì dovrebbero esserci quelle vecchie mummie della Grande Famiglia! Si sono rammolliti del tutto?!» sbottò Inuyasha, sorpreso.
«Cos’è la Grande Famiglia?» chiese Shippo, perplesso, anticipando Kagome di un istante.
«È la gloriosa stirpe di inu-yokai che ha dato vita alla famiglia imperiale.» rispose Jaken, tronfio.
«Una massa di bacucchi retrogradi. – lo censurò Inuyasha con una smorfia piena di disprezzo – Dei fissati col sangue puro e le tradizioni inamovibili. Perfino Sesshomaru li detesta, però sono sempre stati i più in gamba a tenere il confine. Non mi spiego questo cedimento.»
«Sesshomaru e Anna sono a nord, vero?» chiese Kagome, preoccupata.
«Saranno ormai lontani dal confine, la Grotta è abbastanza addentro al territorio settentrionale. Non mi preoccuperei per loro, se fossi in te.» le disse Inuyasha e il suo tono fu abbastanza deciso da sopire, almeno per il momento, la sua ansia.
Più tardi, Inuyasha sedeva solo al fuoco, mentre gli altri dormivano e Sango si era allontanata con Kirara per una perlustrazione dei dintorni, lasciando vicino alla legna che ardeva la scatoletta che conteneva le due Hoshisaki di Gake. Inuyasha la stava scrutando con occhi cupi, pensieroso. Per quanto avesse cercato di rassicurare Kagome, la situazione non gli piaceva per niente. Era molto strano che il confine avesse ceduto proprio nel punto teoricamente più presidiato e questo gli faceva temere una reazione a catena lungo tutta la linea di difesa. Sesshomaru gli aveva ordinato di asserragliarsi nel Palazzo per proteggere le Hoshisaki conquistate, ma poteva permettersi di voltare le spalle alla battaglia che stava per iniziare e nascondersi come un codardo? Non avrebbe potuto mandare i ningen al castello con Jaken e tornare a combattere? Sesshomaru era impegnato altrove, non poteva permettersi di essere in prima linea…ma lui aveva tutto il potere delle sue Hoshisaki a disposizione ed era insensato voltare le spalle al nemico, permettendogli di fare quello che voleva.
“Li manderò al castello. Tornerò al confine e metterò un po’ di paura a quei maledetti invasori.” si disse, deciso, poi il suo sguardo cadde su Kagome e gli si strinse il cuore. Non era così sciocco da non capire che Tessaiga si era risvegliata perché quella ragazza era riuscita ad aprire i lucchetti con cui aveva serrato il proprio cuore, né da non aver notato quanto si sentisse più in sintonia con le proprie Hoshisaki quando Shinsetsu era nei paraggi. E se l’avesse portata con sé? Però l’avrebbe messa in pericolo, senza contare che avrebbe condotto metà della Stella di En a diretto contatto con gli scagnozzi di Naraku…
Inuyasha si arruffò il capo con le mani, passando poi le dita sulle orecchie morbide e tirandole verso il basso in un gesto di frustrazione. Ogni scelta sembrava al contempo giusta e sbagliata. Era davvero confuso. Non si accorse che Miroku era sveglio e lo osservava, a sua volta pensieroso. Il monaco stava riflettendo se andare o meno a parlare con il Principe di En, quando Sango tornò con Kirara e decise di attendere.
«Tutto tranquillo, almeno per il momento. – sussurrò la Cacciatrice per non svegliare gli altri – Volete il cambio per la guardia, Inuyasha-sama?»
«No, dormi anche tu. E basta con questo “sama”, non lo reggo più. Combattiamo insieme, quindi niente formalismi.» borbottò l’hanyo. Sango annuì, poi si chinò a prendere la scatoletta. Miroku si accorse di quanto il suo viso fosse segnato dalle preoccupazioni. Sicuramente la ragazza stava pensando al fratello, solo e affidato a cure altrui nel villaggio di confine.
«Cosa ne pensi dello sfondamento presso Inuzuka?» le chiese Inuyasha, brusco. Sango ristette, poi scosse la testa.
«Una pessima notizia. Mi fa temere per la tenuta di tutto il confine.»
«Provo la stessa cosa. – ammise Inuyasha, frustrato – Senti, io sto pensando di andare…»
«Inuyasha-sama!» protestò Sango, dimenticando per un istante l’invito a lasciar perdere le formalità.
«Ascolta: se vi affidassi quelle Hoshisaki e…e Shinsetsu, sapreste proteggerle fino al ritorno mio e di Sesshomaru?» continuò Inuyasha, duro. Miroku vide Sango fissare il volto del Principe di En con preoccupazione, come alla ricerca di qualcosa, poi si inginocchiò davanti a lui e annuì. Miroku si tese, pronto ad alzarsi e intervenire. La discussione stava diventando pericolosa. Lui era convinto che non dovessero assolutamente separarsi, qualsiasi cosa avessero deciso di fare.
«Potremmo farlo. – disse Sango, ma prima che il monaco decidesse di alzarsi continuò – Però non credo che sia una buona idea. Soprattutto in questo momento, quando il vostro legame con Shinsetsu sta diventando saldo e siamo riusciti a sottrarre tanto potere a Naraku. La mia opinione è che occorra restare uniti.»
«Feh! Anche tu con questa storia del legame con Shinsetsu?!» protestò Inuyasha, ma Sango alzò una mano per frenarlo.
«Non ho intenzione di insistere sulla natura del legame, esistono molte forme d'amore e le profezie non sono mai ricche di dettagli. - lo calmò con la propria gentile razionalità – Rimane che il legame esiste. Non sentite...non senti forse anche tu che Kagome-chan è qui per stare al tuo fianco? Non importa se come alleata, amica o compagna. Ai miei occhi è evidente che, dal giorno del tuo risveglio ad ora, qualcosa è nato e sta consolidandosi tra voi.»
Inuyasha non rispose, nemmeno per darle torto. Miroku si concesse un sorrisetto. Sango stava affrontando l'argomento con tutta l'eleganza possibile e il monaco riteneva che fosse la sola carta da poter giocare con quel caratterino del Principe di En. Inuyasha odiava le costrizioni, ma aveva molto più buon cuore di Sesshomaru e non avrebbe mai disprezzato i sentimenti altrui. Solo, doveva arrivare alla natura di quel legame con le sue forze, senza essere guidato. Sango era davvero in gamba e le successive parole di Inuyasha glielo confermarono.
«Kagome è...non è una ragazza come tutte le altre. Sa ascoltare e quando mi guarda negli occhi...guarda davvero me, per come sono, e non un'ideale o la maschera che il mio ruolo mi impone. Non ti sto dando ragione – ci tenne a sottolineare, più aspro – ma non hai nemmeno torto. Sarebbe pericoloso e forse dannoso separarci adesso. Per il momento andremo tutti al castello. Farò in modo che mi arrivino rapporti regolari e decideremo il da farsi con calma.»
Miroku si voltò dall'altra parte, soddisfatto. Non ci sarebbe stato bisogno del suo intervento, la tensione che aveva sentito montare nel Principe di En si era risolta grazie alle parole di Sango.
“Che donna straordinaria...” pensò, non per la prima volta, con una fitta al petto. Guardò la mano coperta dal rosario, incupendosi. “Perché l'ho incontrata adesso, che non ho nulla da offrirle? Ora che la mia vita non vale un soldo bucato?”
Quando Sango gli passò accanto per stendersi e riposare, Miroku rimase immobile e con gli occhi chiusi, fingendo di dormire.
***
Anna camminò con cautela sul greto del lago, su cui brillava la prima, sottilissima falce della luna viola di quel mondo. Il corpo le doleva tanto da farle tremare le membra, anche se quel giorno non aveva dovuto camminare e aveva potuto iniziare il suo processo di guarigione. Le ferite, però, erano profonde e dolorose e da essere umano le sarebbero state fatali. Non poteva pretendere di guarire nell'arco di una giornata e, a quanto pareva, non lo aveva preteso nemmeno Sesshomaru. Quella sera si erano fermati, le aveva procacciato la cena ma lui non aveva mangiato nulla. Ora, le stava dando tempo di bagnare le proprie ferite e togliersi di dosso il sangue secco.
Anna si inginocchiò sulla riva e sfiorò con le dita l'acqua fredda, sciolse la cintura del proprio abito, poi, prima di aprirlo, lanciò un'occhiata sospettosa e preoccupata verso il sottobosco dietro cui si trovava Sesshomaru. Scosse la testa, dandosi della sciocca. Per quanto lui fosse seduto lì vicino, non avrebbe mai spiato. Per quanto lo riguardava, lei aveva il sex-appeal di un tronco morto. Da quel punto di vista, era al sicuro in modo addirittura umiliante.
Sesshomaru, in effetti, stava pensando a tutt'altro e la sua attenzione tornò ad Anna solo quando sentì un grido flebile seguito da un sibilo dopo i primi suoni di acqua smossa. Con tutta evidenza, bagnare le ferite stava riacutizzando il dolore. Si stava rivelando una donna coraggiosa, capace di stringere i denti di fronte alle avversità. Non si era mai lamentata per tutto il giorno. Ora si stava occupando delle proprie ferite senza chiedere aiuto. Aveva combattuto alla pari con Kagura, che Sesshomaru rispettava più di tutti gli altri scagnozzi che Naraku gli aveva mandato contro negli anni. Questo poteva in effetti fargli accettare l'alleanza con la straniera, senza scendere in stupidi sentimentalismi e senza mettere in discussione il suo affetto per Rin.
Si corrucciò, ripensando allo scontro tra le due donne. La neko-yokai aveva un potere interessante e un discreto sprezzo del pericolo, ma questo non giustificava la sua abilità di combattente. Aveva già dato prova più volte di saper combattere e non poteva essere solo l'influsso del sangue yokai. Un guerriero andava addestrato.
«Dove hai imparato a combattere?» si sentì chiedere, prima ancora di rendersene conto. Vi fu un istante di silenzio, venato di sorpresa. Lei non si aspettava che lui attaccasse discorso dopo quella giornata silenziosa.
«Io...al tempio della famiglia di Kagome. Mi piacevano le arti marziali, mentre Kagome amava il tiro con l'arco. Hanno dato modo a entrambe di essere istruite in queste discipline, oltre all'addestramento da miko. Ovviamente, le mie capacità da umana non erano minimamente paragonabili a quelle di adesso.» rispose lei dalla riva, cauta. Sesshomaru annuì tra sé. Come aveva immaginato, lei era già istruita al combattimento prima di diventare yokai. La nuova forza e l'eccezionale destrezza avevano portato a un livello superiore le sue capacità. Inoltre, l'apprendistato da miko le aveva dato poteri di accesso all'anima e alla mente altrui, una cosa di cui tenere conto.
«La famiglia della Portatrice di Shinsetsu ti ha adottata? Per questo vi chiamate sorelle...» disse, poi si incupì. Perché proseguiva la conversazione? Aveva saputo ciò che gli serviva, poteva bastare.
«Non hanno potuto. - rispose lei – Non siamo nemmeno sorellastre, ma viviamo insieme da quando...da quando mia zia non ha...non se l'è sentita di prendersi carico di me.»
Troppe incertezze in quella risposta. Una voce ondivaga, con alti e bassi misurati a fatica. Molte parole nascoste, sentimenti inespressi di cui non riuscì ad avvertire nemmeno l'odore. Chissà se lei era consapevole di nasconderli?
«Orfana?»
«Dai cinque anni, sì.»
«Non sembri particolarmente addolorata nel parlarne.»
Alla sua frase seguì qualche momento di silenzio. Vi fu un fruscio, il tonfo leggero di stoffa che cade a terra, poi uno sciacquio. Lei doveva essersi spogliata e immersa nel lago. Lo stupì rendersi conto che la sua mente cercava di immaginare la scena, ma non ebbe bisogno di esercitare la sua ferrea volontà per eliminare quella tentazione inopportuna e inattesa perché lei disse parole che lo gelarono.
«Siete mai stato la seconda scelta per i vostri affetti, Sesshomaru-sama? - mormorò, poi rise piano con un suono basso e talmente privo di speranza da essere inadatto a un essere umano – Perdonatemi, è una domanda sciocca da fare all'Imperatore di En. Prima di me, era nato un maschio, morto di malattia a sei anni. La mia presenza non l'ha mai sostituito nel cuore dei miei genitori o di mia zia, non ha mai offerto alcuna consolazione. Perché io sono vissuta mentre lui, la gioia del loro cuore, era morto? La famiglia di Kagome è stata amorevole con me e sarò sempre grata alla loro gentilezza, ma...ero un'ospite. Kagome era la loro bambina. E anche qui...anche qui sono arrivata tardi, immersa nell'ombra di chi è venuto prima di me.»
La sua voce si incrinò, poi aggiunse in fretta: «Ho parlato troppo. Perdonatemi, Sesshomaru-sama.»
Vi fu un altro rumore di sciacquio, più forte. Lei si era tuffata e si allontanò un po' a nuoto, mettendo fine alla conversazione. Sesshomaru rimase dov'era, immobile, gli occhi ambrati fissi nel buio.
“Siete mai stato la seconda scelta per i vostri affetti, Sesshomaru-sama?”
Quelle parole erano riuscite a sfiorare una delle sue poche ferite: il senso di abbandono che aveva provato con la nascita di Inuyasha quando il suo rispettato e venerato padre, un genitore severo che lo aveva addestrato ma che era stato parco di affetto, si era riempito di amore per quel maledetto botolo mezzosangue e lo aveva viziato e coccolato come lui nemmeno immaginava fosse possibile tra padre e figlio. La sensazione di essere la seconda scelta nonostante il sangue puro, le prove superate, il titolo di erede, la forza conquistata sacrificando ogni grammo delle proprie emozioni...
Questo aveva scavato tra lui e Inuyasha una trincea così profonda che anche in quel momento, dopo tutti gli anni e le battaglie condotte insieme, non si poteva dire completamente superata.
Sesshomaru chiuse gli occhi e ricacciò quei ricordi nel profondo con un deciso sforzo di volontà. Non voleva pensare ad altro che alle Hoshisaki, in quel momento. Per la prima volta, però, si trovò a pensare a ciò che lo attendeva alla Grotta degli Echi non come una semplice seccatura, ma con una sottile vena di inquietudine.

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Capitolo 27
*** 26 - Piani contorti ***


CAPITOLO 26
PIANI CONTORTI

 
«C’è qualcosa che non va.» mormorò Kagome. La sua voce giunse all’orecchio di Inuyasha, che la stava portando.
«Non c’è puzza di yokai di Gake, in giro. Dici che stiano usando di nuovo quegli insetti che nascondono gli odori?» chiese, guardandosi attorno. Anche gli altri sembravano tranquilli, senza il minimo senso di allarme.
«Non lo so. Non sono sicura.» disse Kagome, ora incerta. Non sapeva nemmeno lei cosa ci fosse di sbagliato, ma si sentiva osservata. Ogni tanto le veniva un brivido e provava la tentazione di stringersi di più alla schiena di Inuyasha. Il pensiero la imbarazzò. Quella nuova confidenza con lui, dopo le recenti vicissitudini che li avevano visti insieme e la pace fatta a seguito della discussione generata a causa di Koga, le era giunta inaspettata e gradita. La sua opinione su Inuyasha era molto migliorata. Aveva capito di avere a che fare con una persona tormentata, che aveva avuto ben pochi momenti di gioia nella vita e che si era sentito tradito dall’unica persona a cui avesse avuto la tentazione di affidare il cuore. Non la stupiva più che l’avesse trattata così male, anche se questo non lo giustificava. Inoltre, con un fratello come Sesshomaru e una missione tanto importante da compiere, Inuyasha non aveva mai potuto permettersi di essere fragile, una debolezza che invece emergeva prepotente a ogni ciclo lunare e che lo aveva portato a nascondere il proprio sangue umano.
“Sa essere anche gentile. Si preoccupa per gli altri e non gli interessa essere al di sopra di chi gli sta attorno. Inuyasha ha cuore.” pensò, con un moto d’affetto che quasi la spaventò. Il cuore le fece un balzo nel petto quando lui si voltò a metà e le sorrise. Era bellissimo quando il suo viso si rilassava un po’. “Ma cosa sto pensando?!” si rimproverò, sperando che lui non si accorgesse delle sue emozioni.
«La verità è che sei preoccupata per tua sorella. – le disse invece lui, per poi tornare a guardare di fronte a sé – Non c’è niente di male, sai? Immagino che anche lei sia preoccupata per te. Meno male che almeno quella Dea ha fatto sapere a tutti che eravamo vivi e vegeti…»
«Tu non sei preoccupato per tuo fratello?» chiese Kagome, grata per quella conversazione che la riportava con i piedi per terra.
«Feh! Non c’è alcun bisogno di preoccuparsi per lui, ma per i poveracci che incroceranno la sua strada!» tagliò corto Inuyasha, sprezzante.
«È triste che non andiate d’accordo…»
«Tra noi sono rose e fiori, rispetto a com’era quando è morto nostro padre. – disse Inuyasha, cambiando tono di voce – Siamo diversi e, a peggiorare le cose, ci hanno educati e trattati in maniera opposta. Anche le nostre eredità sembravano una scelta azzardata. A me la Forza, che Sesshomaru ha sempre inseguito, e a lui la Misericordia, che in teoria aveva più legami col mio sangue umano. Un bel pasticcio, mio padre aveva piani tutti suoi che non abbiamo mai capito. Alla fine abbiamo trovato terreno comune nella lotta contro Naraku e nella ricerca delle Hoshisaki.»
«Spesso le difficoltà avvicinano le persone. Guarda noi!» cercò di scherzare Kagome, poi arrossì di nuovo rendendosi conto della valenza delle proprie parole. Inuyasha restò in silenzio un attimo, aumentando il suo imbarazzo, poi disse: «Hai ragione.»
Qualcosa, nel tono sommesso, nel fatto che non si voltò a guardarla, le accelerò i battiti del cuore. Aveva davvero instaurato un legame con Inuyasha? Era grazie alle Hoshisaki? Soprattutto, si trattava di amicizia, oppure…?
“Non prenderti in giro. Inuyasha ti piace. Ti piace fin da quando hai avuto la prima visione di lui dentro il pozzo dell’Hokora.” le rivelò la sua voce interiore, aprendole gli occhi. Per sua fortuna, non ebbe bisogno di nascondere a Inuyasha il tumulto emozionale che la sconvolse, perché vi fu un intervento esterno che spezzò la parentesi di tranquillità. Il suo sesto senso aveva avuto ragione.
Tentacoli appuntiti sbucarono improvvisamente dai rami della foresta come lance guizzanti contro di loro. Si dispersero, lanciando grida di sorpresa. Nessuno venne colpito e Inuyasha, pur stando attento a non lasciare andare Kagome, riuscì a sguainare Tessaiga e a distruggere alcuni di quei tentacoli, che si disfecero immediatamente.
«Terra?!» esclamò Kagome, stupita, nell'assistere alla trasformazione di quelle che un secondo prima sembravano appendici micidiali e durissime.
«Cos'è questo schifo?!» ringhiò Inuyasha, mentre anche Sango lanciava Hiraikotsu e Miroku sferrava colpi con la cima tagliente del proprio bastone. Improvvisamente com'era cominciato, l'attacco cessò e i tentacoli rimanenti vennero ritirati. Si alzò una risata maligna, sgradevole, poi una sagoma avvolta in una bianca pelle di babbuino si palesò tra i rami. 
«Naraku!» esclamò, Inuyasha, con la spada pronta. Il loro nemico rise ancora.
«Non ti scaldare tanto, Principe di En. Anche tu, monaco, tieni chiuso il Foro del Vento. Questo non è il mio vero corpo, mi serve solo per fare quattro chiacchiere.» disse, sarcastico. Miroku, che aveva realmente alzato la mano incriminata, la riabbassò. Non valeva la pena mettersi in pericolo per un simulacro di terra come quello.
«Cosa vuoi, maledetto?! Come ti permetti di aggirarti per En?!» gracchiò Jaken, scandalizzato e spaventato. Mancavano solo due giorni al castello e mai, nemmeno nei momenti più critici, Naraku si era mosso con tanta libertà così addentro all’Impero di En.
«Il confine non esiste più, vecchia bocca larga. Posso andare e venire come mi pare.» li gelò.
«Non fare tanto il superiore solo perché quei vecchi bacucchi della Grande Famiglia hanno dimostrato la loro senilità. – disse Inuyasha, mentre Kagome scendeva dalla sua schiena e si faceva scivolare in mano l’arco – Ti abbiamo fregato due Hoshisaki, mentre noi le abbiamo tutte. Venire qui a sputare il tuo veleno non cambierà le cose!»
Naraku li sorprese con un’altra risata.
«Sei davvero uno stupido…Il cedimento a nord è stato un mio capolavoro di strategia e, te l’assicuro, non ho incontrato alcuna resistenza. In quanto alle Hoshisaki, torneranno presto tra le mie mani.»
«Cosa sta dicendo? – mormorò Kagome – Sembra troppo sicuro di sé…»
«Lo sono, ragazza. Sei la reincarnazione di Kikyo, non è vero? Quella stupida…poteva avere En ai piedi stando al mio fianco, e ha scelto questo idiota dalle orecchie canine…»
«Figlio di…allora è vero, sei tu il colpevole di quella notte!» esclamò Inuyasha, fuori di sé, spiccando un balzo e sferrando un colpo con Tessaiga. L’uomo con la pelle di babbuino saltò via, sottraendosi al colpo, ma un istante dopo fu sfiorato da una freccia avvolta da una forte luce rosa e metà del suo corpo si disfece in un mucchio di terra. Kagome, non meno furibonda di Inuyasha, aveva deciso di farla pagare cara a quel malvagio senza speranza.
«Adesso basta scherzare.» mormorò Naraku e i suoi tentacoli esplosero dal corpo menomato in tutte le direzioni, attaccandoli con violenza. Inuyasha si gettò su Kagome, facendo loro scudo con Tessaiga, mentre gli altri si difendevano con le armi a loro disposizione. Anche Shippo e Jaken contribuirono, ognuno entro le proprie possibilità, e Kirara morse e graffiò tutto quello che aveva a tiro. I tentacoli, però, parevano una foresta infinita e piovevano tra loro con inaudita violenza.
«Dobbiamo distruggere la bambola di legno dentro al fantoccio, altrimenti continuerà a muoversi e a dare aria alla bocca!» ringhiò Inuyasha, ricordando lo scontro a Ojohi.
«Dove si trova?» ansimò Kagome, cercando di incoccare una freccia mentre Inuyasha la trasportava a destra e a sinistra per evitare di essere trafitti.
«Bella domanda!»
«Ku ku ku! Ma certo, distruggete pure questo mio simulacro. Che importa? Qualche giorno ed En crollerà come un castello di carte e io ne prenderò possesso col mio corpo di nuovo perfetto. Credete davvero che a settentrione la Grande Famiglia mi abbia opposto resistenza?»
«Che cosa stai… - balbettò Inuyasha, poi strinse gli occhi in due fessure, arrivando alla giusta conclusione – Hanno tradito?!»
Naraku rise ancora.
«Intanto Bankotsu mi fa il favore di spazzare via la resistenza a sud. Proprio ieri dev’essere entrato in un certo villaggio…a fare conoscenza con il precedente contenitore di Hageshisa.»
«Kohaku?!» gridò Sango, con voce pregna di paura. Inuyasha non ci vide più dalla rabbia.
«Stai indietro, Kagome!» esclamò, iniziando a menare terribili fendenti con Tessaiga e distruggendo più tentacoli che poteva, deciso ad arrivare al corpo principale. Sango, al contempo, lanciò Hiraikotsu con tutta la sua forza, ma fu un errore perché Naraku non aspettava altro.
Un tentacolo si avvolse attorno a Sango e la strappò dalla groppa di Kirara prima che Miroku potesse fare qualcosa per impedirlo. Le dita del monaco, protese per afferrarla, si chiusero sul vuoto. La Cacciatrice fu lesta a infilare una mano sotto al pettorale e a estrarne la scatoletta che conteneva le Hoshisaki.
«Shippo!» gridò, tirandola al piccolo kitsune che la prese al volo, terrorizzato, per poi evitare di essere afferrato a sua volta e finendo strinato dal fuoco del Bastone Ninto, che Jaken aveva usato con una certa prontezza.
«Sango!» gridò il monaco, mettendo mano al rosario. Naraku rise, stringendosi contro la ragazza, che cercava con ogni grammo di forza di liberarsi dalla prigionia.
«Ma certo, monaco, perché non ci risucchi entrambi nel Foro del Vento? – lo derise, facendogli digrignare i denti – Inuyasha, direi che è il momento giusto per colpirmi con la tua spada!»
«Lasciami, bastardo!» gridò Sango, i cui occhi scuri erano pieni di un odio e un disgusto indicibili. L’uomo con la pelle di babbuino avvicinò le labbra al suo orecchio, con un sorriso detestabile.
«Bankotsu ha tuo fratello, mia cara ragazza. – mormorò, gelandole il sangue – Vieni a salvarlo e portami quelle Hoshisaki. Confido che i legami di sangue siano più forti della fedeltà a un Imperatore che ha lasciato morire la tua gente. Fai presto, perché Bankotsu non è noto per la sua pazienza e non è molto bravo ad aver cura di un guscio vuoto…»
«Lascia andare Sango, maledetto!» gridò Kagome, scoccando un’altra freccia. Questa volta il potere infuso in essa fu così grande che l’intero corpo in cui si infisse esplose in un lampo di luce rosa. La testa cadde al suolo, continuando a ridacchiare, mentre Sango veniva recuperata al volo da Miroku su Kirara. Inuyasha calò Tessaiga sulla testa recisa e la lama incontrò e segò a metà il simulacro di legno che vi era nascosto.
«Maledetto, questo è quello che ti meriti! – gracchiò Jaken, andando a calciare i resti della pelliccia di babbuino ora che il pericolo era passato – Se ci fosse stato Sesshomaru-sama, non avresti avuto la possibilità di chiacchierare al vento!»
«Avrà anche chiacchierato al vento, ma le sue parole sulla Grande Famiglia non mi sono piaciute per niente. Se quei bastardi ci hanno traditi, siamo nei guai.» disse Inuyasha, con una smorfia, poi cercò Shippo con lo sguardo. «Ehi, piccoletto! Le Hoshisaki di Gake sono al sicuro?»
«Sì, le ho qui. Che spavento…» borbottò Shippo, mostrando la scatoletta. Nel frattempo, Kirara atterrò loro accanto e Kagome si affrettò verso gli amici. Sango era pallida come una morta.
«Sango, ti ha fatto del male? Sei ferita?» chiese Kagome, preoccupata. Scambiò un’occhiata allarmata con Miroku quando lei non rispose. Il corpo della Cacciatrice era scosso da un lieve tremito.
«Sango… - mormorò Miroku, prendendole con gentilezza una mano e forzandola a voltarsi a guardarlo – Sango, Naraku ti ha detto qualcosa?»
Il lampo di paura che solcò gli occhi scuri di Sango gli fece ribollire il sangue di rabbia. Era evidente che Naraku aveva piantato in lei uno dei suoi semi malvagi.
«Kohaku…» disse Sango, con voce rauca. Kagome trattenne il fiato.
«Cos’è successo a Kohaku?!» chiese, febbrile, a voce abbastanza alta da attirare anche l’attenzione degli altri. Sango deglutì, poi abbassò lo sguardo, smarrita. Non si accorse di aver stretto inconsciamente le dita di Miroku.
«Bankotsu ha attaccato il villaggio. Kohaku…è nelle sue mani.»
***
«Ehi, ehi, ehi...è già il terzo giorno che non litigano. Devo iniziare a preoccuparmi?» borbottò Kagura, stesa sulla sua piuma, mentre seguiva a distanza Sesshomaru e Anna, lanciati in corsa nel sole di mezzogiorno attraverso una terra ondulata ed erbosa. La donna si era ripresa dalle ferite abbastanza da riuscire a seguire il passo dell'Imperatore di En e lui aveva optato per una corsa separata invece di doverla trasportare in volo tutto il giorno. A parte quell'evidente distacco fisico, i rapporti tra i due sembravano essere migliorati...per quanto potesse essere un miglioramento la semplice mancanza di scontri verbali .
“Con Sesshomaru, la carenza di aura ostile è già un miracolo di per sé.” pensò, contrariata. Si era persa qualche passaggio, in quei giorni, perché anche per lei non era stata una passeggiata riprendersi dallo scontro con Anna, ma non credeva che fosse capitato chissà cosa tra quei due. Piuttosto, pareva possibile che avessero deciso una sorta di tregua. In fondo, né Sesshomaru né la bionda avevano da guadagnare in un continuo scontro e al Principe di En non aveva mai fatto difetto l’intelligenza.
“Quella tizia fa tanto l'innocente ma è dannatamente caparbia. È la goccia che scava la roccia. Una vera spina nel fianco. - pensò, con una smorfia, ricordando non solo la sensazione orribile delle forze vitali che l'abbandonavano ma anche la certezza che quella tizia le stesse scrutando nell'anima – Cosa avrà visto dentro di me? Fin dove sarà arrivata?”
La sua Hoshisaki, per quanto odiata, la proteggeva da sguardi indiscreti nei suoi sentimenti, ma la ragazza era portatrice della Passione, la sua antitesi, e aveva poteri spirituali temibili. Kagura si tirò a sedere, sfiorando in un gesto inconscio il petto all'altezza del cuore. E se avesse visto? Se avesse detto qualcosa a Sesshomaru? Solo Mukanshin le evitò di avvampare al pensiero. Scosse il capo. No, non poteva essere accaduto. Sesshomaru l'avrebbe cercata, anche solo per essere sicuro di poterla sottrarre all'elenco degli alleati di Naraku. Invece, le avevano voltato le spalle e continuavano per la loro strada.
«Forse dovrei fare un altro tentativo per impedire loro di arrivare a questa famosa grotta, giusto per dimostrare un po' di impegno...» mormorò, aprendo e chiudendo il ventaglio con indecisione. Un conto era affrontare la ragazza senza Sesshomaru nei paraggi, un altro era metterselo contro...
In quel momento, l’aria attorno a lei si riempì del ronzio fastidioso dei Saimyosho. Kagura lanciò un’occhiata gelida dietro di sé. Naraku le teneva qualcuno alle calcagna, in fin dei conti. Non aveva più sentito la necessità di parlare direttamente con lei, ma era già la seconda volta in due giorni che quei maledetti spioni le ronzavano attorno
«Che c’è? Un altro messaggio?» chiese, aspra. Il giorno prima, il ronzio degli insetti di Naraku le aveva rivelato che la fedeltà della Grande Famiglia era stata comprata e che il confine settentrionale stava cedendo. I Saimyosho le si fecero attorno e lei ascoltò con attenzione le parole nascoste nelle vibrazioni delle loro ali.
«Bankotsu contro Inuyasha? Di nuovo?! Naraku si fida bene…ah, ha un ostaggio, capisco. Perché la cosa non mi sorprende? – disse, annoiata, poi ascoltò di nuovo e si irrigidì – Dovrei lasciarli andare? Per quale motivo?» Le sue parole suonarono rauche, incredule. I Saimyosho si soffermarono ancora per un istante, aggiungendo qualcosa, poi si aprirono a ventaglio e cambiarono direzione, disperdendosi alle sue spalle e lasciandola sola.
Kagura rimase in silenzio, leggermente pallida, le labbra strette. Naraku le aveva appena ordinato di non attaccare più la ragazza fin dopo la visita dei due alla Grotta degli Echi. Voleva che vi entrassero. Voleva che vedessero o sentissero ciò che probabilmente avrebbe aperto a entrambi gli occhi sul loro legame. Solo dopo…quando vi fosse stato qualcosa da spezzare…
«Contorto come sempre.» disse Kagura e nulla della sua voce tradì il tumulto nascosto sotto all’indifferenza. Naraku voleva che Sesshomaru e Anna si legassero per procurare più dolore possibile. Come sempre, non gli bastava vincere. Doveva torturare l’anima e i sentimenti del nemico, vederlo soffrire, procurargli un dolore. Con tutta evidenza, Naraku era convinto che la profezia delle Hoshisaki fosse precisa riguardo alla natura del legame e che perdere di nuovo una persona amata potesse frantumare la volontà e la razionalità di Sesshomaru…forse addirittura il suo controllo sulle Hoshisaki.
«Bastardo contorto…» sibilò tra i denti in un sussurro impercettibile. A lei non andava affatto assistere in silenzio mentre Sesshomaru si legava alla bionda…ma cosa poteva fare? In un modo o nell’altro, avrebbe danneggiato l’Imperatore di En. Sesshomaru l’avrebbe odiata comunque…I suoi occhi seguirono la sagoma distante dai capelli d’argento. Un desiderio così forte da essere avvertibile nonostante le Hoshisaki le strinse le viscere.
Era per questo che Naraku aveva mandato lei? Per ridurre in cenere anche le sue futili speranze di libertà e renderla per sempre schiava con un’azione che non sarebbe stata perdonata? Beh, non si sarebbe arresa tanto facilmente. Doveva esserci un modo per cambiare le cose, per offrire sia a se stessa che a Sesshomaru una speranza di vittoria. Chissà che quella famosa fonte nominata dalla dea Kiokuchi non potesse davvero sbloccare i poteri di Tenseiga? Se avesse convinto la bionda a sacrificare i propri desideri per consentire a Sesshomaru di usarla, la situazione non si sarebbe ribaltata? L’Imperatore di En non le sarebbe stato grato per avergli aperto la via? Kagura sogghignò, sapendo che quello era solo il primo abbozzo di un buon piano. Naraku sbagliava a sottovalutarla e glielo avrebbe dimostrato a qualsiasi costo.
***
Fu una serata difficile per tutti. Le parole di Naraku li avevano profondamente colpiti. Sango si stava controllando in maniera ammirevole, ma non serviva un genio per capire che fosse fuori di sé per la preoccupazione. Kagome aveva insistito perché si fermassero e parlassero delle novità riferite da Naraku, finendo per litigare con Jaken che voleva proseguire a tutti i costi, visto che mancavano pochi giorni al castello. Da parte sua, non aveva alcuna intenzione di ricominciare a discutere se intervenire o meno in quanto stava accadendo al confine. Se non potevano contare sulla reazione delle armate di En a meno della presenza di Sesshomaru o di Inuyasha, significava che avevano per sudditi solo codardi o traditori!
Sango aveva annunciato che sarebbe andata da sola, affidando a loro le Hoshisaki di Gake, perché era suo dovere controllare se il fratello era stato davvero preso in ostaggio. Miroku si era offerto di accompagnarla ma era stato respinto con una certa durezza. La Cacciatrice gli aveva ricordato che doveva risparmiare le forze per l’ormai prossima, almeno si sperava, spedizione alla montagna sacra per unificare la Stella di En. Kagome aveva a sua volta decretato che non avrebbe lasciato sola l’amica, al che Inuyasha aveva sbottato che sarebbero tornati indietro tutti insieme senza tante storie.
«Se proprio volete buttare alle ortiche gli ordini di Sesshomaru-sama, almeno andate a nord a vedere cos’è successo alla Grande Famiglia!» aveva sbraitato Jaken, terrorizzato per come le cose stavano rapidamente sfuggendo al controllo.
«Scusa tanto, ma il fratellino di Sango è più importante di un gruppo di inu-yokai che dovrebbe essere in grado di cavarsela da sé!» aveva replicato Shippo, disgustato dall’egoismo del piccolo rospo.
«Tu non hai il senso delle priorità!» lo aveva rimbeccato Jaken.
«Basta! Sono io che decido, qui, e domattina si torna indietro! – aveva urlato Inuyasha, alzando un dito con autorità nel vedere che Sango stava per replicare – Niente se o ma! Ho deciso. Fine della discussione.» Lo sguardo caldo e colmo di gratitudine che Kagome gli riservò cancellò anche le ultime briciole di dubbio. Sapeva benissimo che stavano andando a ficcarsi in una trappola, era ovvio che Naraku avesse preparato uno scenario tutto per loro, ma la famiglia imperiale doveva qualcosa ai Cacciatori e Sango lo aveva consigliato per il meglio in più di un’occasione. En rappresentava la Luce: Inuyasha non aveva alcuna intenzione di lasciare un innocente nelle mani di Naraku o dei suoi scagnozzi.
Più tardi, mentre tutti dormivano e Inuyasha faceva un giro nei dintorni per controllare che non ci fossero pericoli in agguato, Sango faceva la guardia accanto al fuoco acceso. Aveva posato la scatoletta contenente le Hoshisaki a terra, tra i piedi, e la fissava con occhi cupi e tormentati. Miroku, che non aveva avuto intenzione di dormire fin dal principio, si alzò e le si avvicinò. Sango alzò lo sguardo, poi lo riportò in modo sospetto sulle Hoshisaki, con un breve guizzo della mano come se avesse avuto la tentazione di raccoglierle in tutta fretta, quindi sembrò rilassarsi e gli chiede: «Non dormi? È stata una giornata pesante.»
«Lo è stata soprattutto per te, Sango. Non vuoi che ti dia il cambio?» mormorò lui, sedendosi in modo da poterla vedere in volto. La ragazza scosse il capo, ma non lo guardò. Il monaco trattenne un sospiro. Sango era una persona diretta e sincera. Sapeva recitare davvero male.
«Ti va di dirmi cosa ti ha chiesto Naraku?» le chiese, gentile. Quando lei alzò lo sguardo di scatto, allarmata, non poté esimersi dal fare un sorriso amaro. «Avanti, ci siamo accorti tutti che ti ha sussurrato qualcosa all'orecchio e da quella bocca non esce che veleno.»
«Perché nessuno mi ha chiesto niente, allora?» chiese Sango, rigida e pallida.
«Per quale motivo metterti a disagio, quando tutti noi non vogliamo altro che aiutarti? - ritorse lui, con un sorriso ora più gentile – Sango, perfino Kagome-sama ormai ha compreso la profondità del male che Naraku porta con sé. Questa piccola compagnia sta sviluppando un legame sorprendente e trovo molto bello che tutti, perfino Inuyasha-sama, mettano il salvataggio di tuo fratello in cima alle priorità. Tu non ne sei felice?»
«Avrei voluto non pesare su alcuno di voi...» mormorò Sango, contrita e ferita nell'orgoglio.
«Per questo mi stavi impedendo di venire con te e aiutarti?» chiese ancora Miroku, piano. Fu sorpreso dal piglio con cui Sango tornò a guardarlo, dalla fiamma che le bruciava negli occhi.
«Tu devi stare lontano da Naraku! - gli disse con foga, allungandosi verso di lui e afferrandogli un polso, ricordando solo in un secondo momento di tenere la voce bassa – Miroku, ti prego! Naraku sa che il Foro del Vento sta consumando la tua vita, farà di tutto per metterti in pericolo e noi...tutta En...non possiamo permetterci di perderti!»
Miroku la fissò a occhi spalancati, chiedendosi fino a che punto si spingesse il significato delle sue parole, poi scosse il capo.
«Non ho intenzione di rintanarmi in un buco ad aspettare che vengano richiesti i miei servigi, Sango. Non so nemmeno se saranno sufficienti allo scopo, anche se per fortuna ora c'è Kagome-sama a potermi sostenere con i suoi poteri di miko.»
«Non devi nemmeno metterti in pericolo inutilmente.» ritorse lei.
«Non c’è niente di inutile nel salvare tuo fratello, un ragazzo che il contatto con le Hoshisaki ha ferito in modo ancora più grave del mio. Posso affermare di sentire un legame con lui, anche per questo desidero verificare con te se davvero Bankotsu lo tiene in ostaggio. – disse Miroku, gentile, e quando vide i suoi occhi luccicare in modo sospetto provò un nuovo affondo – Avanti, qual è stata la sua richiesta?»
Sango non rispose, ma il suo sguardo guizzò di nuovo verso la scatola a terra. Il sorriso di Miroku si fece cinico e la Cacciatrice, per reazione, impallidì.
«Avrei dovuto arrivarci da solo…le Hoshisaki di Gake in cambio della vita di tuo fratello. Quel bastardo è prevedibile.»
Sango si ritrasse e si coprì il volto con le mani, sconfortata.
«Ti sorprenderebbe sapere che sono stata tentata? – chiese con voce rauca, la bocca coperta dal palmo delle mani – Mi vergogno così tanto…ma ho paura. Al solo pensiero di Kohaku nelle mani di quel Bankotsu…»
Miroku non stette a pensare. Si fece avanti e la abbracciò forte, facendole perdere un battito di cuore, che poi ripartì a una velocità allarmante.
«Mi…Miroku…»
«Non devi vergognarti. – disse il monaco, accarezzandole i capelli col respiro – Sango, lotti sola da troppo tempo. Nessuno ti potrebbe rimproverare un momento di debolezza. Se solo non fossi condannato, io…»
«Miroku!» ansimò Sango, spaventata e al contempo piena di un’emozione nuova e luminosa. In quel momento, sentì Miroku trattenere un attimo il fiato, poi accaddero due cose in rapida successione: la voce di Inuyasha alle loro spalle chiese cosa stesse succedendo e la mano di Miroku scese a toccarle il sedere.
Con un ansito scioccato, Sango spinse via Miroku, che non fece alcuna resistenza ma cadde a sedere all’indietro in modo buffo, con una risata leggera sulle labbra.
«Tu…maniaco pervertito…» balbettò Sango, incredula, poi guardò Inuyasha, che era tornato dal suo giro di ronda senza che lei se ne accorgesse. Il Principe di En stava guardando Miroku con un misto di disgusto e compatimento.
«Inuyasha-sama, siete tornato presto! Potevate stare via di più…» disse Miroku, allusivo e scherzoso. Sango avvampò.
«Vado a dormire!» sibilò, furibonda. Si abbassò per prendere la scatoletta delle Hoshisaki, poi si allontanò per raggiungere gli altri che, per fortuna, non si erano svegliati. Prima di stendersi, udì Inuyasha mormorare: «Sei proprio scemo, finirà per consumare il suo Hiraikotsu sulla tua testa!»
«Ci sono sacrifici che valgono la pena, Inuyasha-sama.» rispose Miroku, con fare ispirato.
Solo quando il sonno imminente riuscì a calmare i suoi pensieri confusi, a Sango venne il dubbio che il monaco avesse buttato tutto in farsa per evitare che Inuyasha li cogliesse in un momento privato che non voleva condividere. Il pensiero la lasciò così confusa e turbata che non ci fu modo di chiudere occhio fino alla partenza.

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Capitolo 28
*** 27 - Echi della memoria ***


CAPITOLO 27
 
ECHI DELLA MEMORIA
 
Anna aprì gli occhi, passando dal sonno alla veglia in un istante. Si chiese se qualcosa avesse fatto scattare l’allarme in lei, ma sembrava non stesse accadendo nulla. Il sole stava sorgendo in un’atmosfera di quiete, gli uccelli cantavano e l’aria fresca le accarezzava il volto. Si tirò a sedere, rilassandosi. Non aveva avuto intenzione di dormire tutta la notte, ma Sesshomaru non l’aveva svegliata per vigilare con lui e la stanchezza di quei giorni aveva preso il sopravvento. Il sonno ininterrotto le aveva fatto bene: si sentiva più forte, quasi rinata. Ormai le sue ferite erano leggeri segni rossi sulle sue braccia e sui fianchi. Kagura doveva essere ancora nei paraggi, ma per il momento si teneva a distanza.
Si guardò attorno, cercando l’Imperatore di En. Non lo vide subito, ma avvertiva il suo odore e la sua presenza, quindi non poteva essere lontano. Avevano fatto sosta in una zona rocciosa e scoscesa, non lontano da un torrente. Erano di nuovo nel fitto di un bosco, ma la sera prima Sesshomaru le aveva indicato una zona brulla e piena di gole e anfratti, la loro meta ormai vicina.
“Come mai si è allontanato?” si chiese, perplessa e un po’ preoccupata. Non le piaceva essere in allarme non appena lo perdeva di vista, ma in quei giorni aveva scoperto che la sua presenza la tranquillizzava. Ironico, visto che i primi giorni l’aveva trattata come un peso, l’aveva costretta a una marcia a tappe forzate ed era stato sgradevole quanto più possibile! Eppure, dopo la visita al vecchio Totosai e soprattutto allo scontro con Kagura, le cose erano cambiate. Chiunque, dall’esterno, avrebbe giudicato il loro rapporto gelido come l’inverno, ma Anna si era accorta di un sottile cambiamento e questo, col passare dei giorni, aveva modificato anche il suo comportamento.
Era salita di qualche gradino nella considerazione dell’Imperatore di En. Lo scontro con Kagura e lo stoicismo con cui aveva sopportato le difficoltà le avevano conquistato un minimo di rispetto da parte sua. Le aveva perfino chiesto qualcosa della sua vita, anche se le confidenze non si erano ripetute né erano state ricambiate. Il silenzio che circondava Sesshomaru era diventato, da barriera ostile, semplice espressione di quell’imperscrutabile yokai che teneva la propria anima chiusa da qualche parte in profondità. Anna si era stupita di sentirsi a suo agio in quel tipo di silenzio, di trovarvi una sorta di consolazione. Stava finalmente venendo a patti con ciò che le era successo e con il compito che l’attendeva. Lui, a sua volta, sembrava apprezzare il fatto che lei non cercasse di turbare con chiacchiere o domande i suoi pensieri. Senza parole, stavano riuscendo a capirsi molto meglio e ad accettarsi.
«Dov’è finito?» si chiese ancora Anna, avvertendo un altro odore oltre a quello di Sesshomaru. Seguendo il naso e allontanandosi dal torrente, presto udì qualcuno parlare.
«…non so quanto potrà durare, Sesshomaru-sama.»
Alla frase seguì una pausa tesa, che spinse Anna ad affrettare il passo. Era successo qualcosa, un guaio. C’entrava il gruppo di Kagome? Stavano tutti bene? Quando finalmente vide Sesshomaru e il suo interlocutore, un giovane inu-yokai, non si stupì di vedere gli occhi rossi dell’Imperatore di En. Qualunque notizia avesse portato quel latore, aveva riacceso le fiamme dell’ira nell’animo di Sesshomaru.
«Hai i tuoi ordini. Non farti domande, agisci. – fu l’aspra replica di Sesshomaru – I traditori del loro sangue avranno la fine che meritano, a tempo debito. Intanto, ristabilite il confine a qualsiasi costo.»
Il giovane inu-yokai abbassò il capo, accettando l’ordine, poi si voltò e corse via, non prima di aver lanciato ad Anna un’occhiata sospettosa.
«È accaduto qualcosa?» chiese lei, avvicinandosi. Sesshomaru impiegò un istante per decidersi a rispondere.
«Naraku ha sfondato il confine nord. Le sue armate sono in En.» disse. I suoi occhi tornarono del solito color ambra, nascondendo il suo tumulto interiore, ma Anna impallidì.
«Com’è successo?» chiese.
«La Grande Famiglia.»
Lei capì subito. Le era rimasto impresso lo sguardo del vecchio che aveva sfidato Sesshomaru, il suo ossequio venato da una palpabile disapprovazione. Lo yokai lesse queste considerazioni nei suoi occhi e, nonostante fosse profondamente irato, si trovò ad apprezzare di nuovo le qualità di quella ragazza. Era arrivata al punto facendogli niente più che un paio di domande, giusto l’essenziale. Sapeva osservare e tirare le sue conclusioni senza essere imbeccata. Era intelligente, oltre che indomita. Sesshomaru riconosceva di rado le doti altrui, ma quelle della donna erano in tale risonanza con le sue aspettative che non poteva ignorarle.
“Rin ha scelto con cura.” si trovò a pensare, ma questo lo irritò ancora più in profondità e riaprì una ferita.
«Era mai capitato prima che vi fossero tradimenti?» chiese Anna, preoccupata. Chissà se quel fatto avrebbe messo in pericolo Kagome e gli altri?
«Temevano e rispettavano mio padre.» rispose Sesshomaru, lapidario, e Anna lo guardò in viso, avendo intuito cosa si celava dietro quella frase.
«Oh, temono anche voi…forse troppo.» sussurrò, con un lampo di disprezzo per la loro viltà ad accenderle d’oro lo sguardo per un attimo. Sesshomaru decise di lasciar cadere l’argomento. L’avrebbe fatta pagare alla Grande Famiglia per quel tradimento sconsiderato e non voleva permettere a quella donna di vedergli dentro più di così. Il suo intuito poteva tornare utile, ma andava indirizzato altrove.
«Andiamo. Non abbiamo tempo da perdere.» disse, brusco. Lei lo seguì senza protestare.
Giunsero alla montagna brulla e scoscesa della Grotta degli Echi nel pomeriggio. Saltarono sulle rocce, due figure agili i cui capelli d’argento e d’oro brillavano al sole. Quando Sesshomaru si fermò di fronte a un’apertura scura e irregolare, da cui usciva un’aria fredda e umida, Anna gli si affiancò in silenzio. Avvertiva un nodo allo stomaco, un’ansia senza nome. Non sapeva che, a modo suo, Sesshomaru provava la stessa cosa. Voleva entrare e sapere, ma al contempo ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Cosa ci attende là dentro?» chiese Anna in un sussurro.
«Non sono mai entrato prima.» rispose lui, quasi sviando la domanda. Accorgendosene, si incupì. «La Grotta mette in evidenza le memorie, dentro e fuori dalla mente di colui che l’attraversa. Può consentire una visione più chiara del passato e del presente. Le anime deboli rischiano di rimanere imprigionate nel rimpianto o nel rimorso.»
La vide piegare le labbra in un sorriso amaro e capì che quanto le aveva detto non la spaventava. In qualche modo, la ragazza aveva già combattuto con quel tipo di fantasmi e ne era venuta a capo.
Entrarono senza scambiare altre parole, Sesshomaru in testa e Anna qualche passo indietro. La ragazza lanciò un’occhiata cupa alle loro spalle prima di varcare la soglia. Kagura non si era più vista, ma lei era convinta che stesse ancora alle loro calcagna. Sperava solo che non tentasse qualche stupidaggine in un momento così delicato.
“C’è Sesshomaru presente…non farà nulla, stai tranquilla.” si disse, avvertendo una fitta sgradevole che si premurò di soffocare.
La grotta saliva con una pendenza lieve in un tunnel buio, ma un vaghissimo chiarore brillava in cima, come a far loro da guida, e i due camminarono tra le anguste pareti di roccia senza alcuna difficoltà. Quando giunsero in cima, davanti ai loro occhi si aprì uno spettacolo che fece spalancare gli occhi ad Anna per la sorpresa e l’ammirazione. Il tunnel si apriva in una sala di pietra gigantesca, su più terrazzamenti levigati e plasmati in forme quasi organiche dall’azione dell’acqua, che stillava dal soffitto e si raccoglieva in polle più o meno grandi. Le pareti della grotta erano disseminate di quarzi azzurri e viola che emanavano il lucore soffuso avvistato in fondo al tunnel. Tutto sommato, là dentro ci si vedeva come se fosse stata la prima ora dopo il tramonto. La sala gigantesca, più avanti, si restringeva di nuovo, segno che la grotta proseguiva dentro la montagna.
Sesshomaru non parve minimamente impressionato da ciò che vedeva. Iniziò a scendere senza aspettarla e Anna, dopo un istante, si affrettò a seguirlo. Dopo pochi passi, fu attraversata da una sorta di brivido e si chiese cosa lo avesse scatenato. Non si sentiva, infatti, diversa dal solito. Se i poteri della grotta erano già in azione, non sembravano agire su di lei.
“In fondo, è Sesshomaru che deve trovare risposte.” si disse, pur avvertendo una certa delusione. Non poteva negare di essere stata curiosa riguardo alle proprietà di quella grotta! Allora, perché quel brivido, la sensazione progressiva di solitudine e smarrimento che le stava crescendo dentro. Alzò lo sguardo sulla schiena di Sesshomaru, che le camminava davanti, e capì: l’Imperatore di En si stava allontanando a una velocità superiore a quella del suo passo. La Grotta lo stava trascinando lontano e la sua presenza veniva dimenticata, accantonata in un presente che aveva sempre meno presa su di lui. Ecco spiegata la sensazione crescente di solitudine.
“Speriamo almeno che serva a qualcosa.” pensò Anna, trattenendo un sospiro. Lo avrebbe seguito comunque per vedere come sarebbe andata. Non pensava che gli sarebbe servito aiuto, ma non si poteva mai dire…Fu in quel momento che la sala di roccia si trasformò per lei in una gigantesca finestra nelle memorie di Sesshomaru. Si fermò di botto, trattenendo il fiato, quando iniziò a udire le voci del suo passato, a veder passare immagini sulla superficie dell’acqua, rimandate sulle pareti dalle innumerevoli gocce stillanti dalle stalattiti. Era un Sesshomaru bambino, memorie di un’infanzia che pareva incongrua col gelido Imperatore davanti a lei. Anna non sapeva se Sesshomaru si accorgeva di lasciare echi della propria memoria dietro di sé, ma al momento sembrava o ignaro o indifferente alla cosa. Era come vedere un film e allo stesso tempo esservi dentro. Accelerò il passo fino a portarsi quasi a fianco a lui, in modo da poterlo guardare in viso. Lui non parve nemmeno accorgersi della sua presenza e il suo passo rimase immutato.
“Non lo sa.” decretò infine la giovane donna, notando come Sesshomaru proseguisse verso le parti più buie della grotta, come il suo volto fosse assorto, pensieroso, quasi assente. Anna decise di non farsi troppi scrupoli né domande. Meglio approfittare di quanto accadeva per cercare di capire meglio l’imperscrutabile yokai a cui Junan l’aveva legata.
Ciò che vide la turbò in modo crescente. Nella prima sala vide scorci dell’infanzia di Sesshomaru, un bambino yokai la cui figura materna era un fantasma confuso, che sparì presto e non si ripresentò più, facendole ipotizzare che fosse morta. Si trovò a stringere le labbra nell’indovinare la sua solitudine, tra le immagini di un padre grande e magnifico ma sempre lontano, sempre remoto, capace solo di chiedere risultati che dimostrassero la validità dell’erede e di impartirgli lezioni sulle Hoshisaki. Non c’era da stupirsi che Sesshomaru fosse cresciuto anaffettivo. Assistette a una prova di forza, una specie di rito di iniziazione alla presenza di quella stessa Grande Famiglia che le aveva lasciato l’amaro in bocca qualche notte prima e che adesso pareva essersi votata al tradimento. Avvertì un senso di vuoto allo stomaco, una nausea forte e improvvisa nel guardare quel ricordo in una delle polle d’acqua. Un Sesshomaru appena adolescente, efebico, ricoperto di sangue proprio e altrui, lasciato solo ad affrontare i demoni di Gake per sopravvivere o morire, per dimostrare di essere degno o soccombere.
Distolse lo sguardo, sentendo montare una voglia indescrivibile di strangolare tutti quegli inu-yokai, compreso il vecchio imperatore di En. Anna si sentiva travolta da un turbine di emozioni che non avrebbe voluto provare. Aveva sempre combattuto le ingiustizie e non era necessario essere più empatici del normale per rendersi conto che a Sesshomaru era stata strappata qualsiasi parvenza d’infanzia.
“Riconosciamo la tua forza. Sei il nuovo Erede di En.” disse una voce sgradevolmente amara, forse quello stesso Tashiki che aveva riconosciuto con tanto livore il potere imperiale. C’erano dunque stati altri pretendenti? Per questo il precedente Imperatore aveva spinto il figlio a simili sacrifici?
Guardò Sesshomaru e lo vide già piuttosto lontano da lei. Stava salendo i gradini di roccia che portavano a quel buio restringimento in fondo alla sala, probabilmente un passaggio verso una diversa parte della grotta. Rimaneva distante e svagato, ma non sembrava affatto turbato. Come le aveva detto, la grotta era pericolosa per chi aveva rimpianti e rimorsi. Probabilmente lo yokai non si rendeva nemmeno conto di non aver avuto un’infanzia normale.
“Per forza è cresciuto così…” pensò Anna, cupa, quasi correndogli dietro. Il buio inghiottì la figura di Sesshomaru e Anna vi si inoltrò dappresso. Davanti a loro, in lontananza, c’era un lucore bluastro, a indicare una nuova sala. Sbucarono in una caverna ancora più vasta e articolata, ma più buia. I suoi meandri erano avvolti nelle ombre, mentre cristalli azzurri e blu sprigionavano un lucore appena sufficiente a illuminare la via. Ad Anna sembrò la luce misteriosa di alghe e batteri fluorescenti. La cosa stupefacente era che persino quel debole chiarore permetteva di vedere con chiarezza immagini formarsi nelle polle d’acqua e nelle gocce che brillavano sul soffitto e sulle pareti.
“Sesshomaru, questa è la nuova imperatrice, la mia consorte.”
“Una debole donna umana?!”
“Taci, figlio! Una persona non si giudica dal potere che possiede ma dalla qualità del suo cuore.”
“Non è ciò che mi hai insegnato, padre.”
Questo scambio aspro le ferì le orecchie, poi i suoi occhi vennero attratti dalla figura di una splendida donna dai lunghi capelli neri, dal volto dolce e sereno. Al contempo, la vide attraverso il filtro della mente di Sesshomaru: un essere debole, incapace di difendersi, una nuova responsabilità che rischiava di cadere sulle sue spalle. Avvertì la sua indignazione e il suo rifiuto crescere quando il padre aggiunse: “Presto avrai un fratello minore. Sarà il punto di contatto tra il popolo degli yokai e quello dei ningen.”
Anna inspirò in un sibilo e avvampò, ricordando la propria domanda di qualche sera prima: “Siete mai stato la seconda scelta di qualcuno?”. Lui non aveva detto una parola, ma ora lei capiva. Capiva anche troppo. Le prime immagini di Inuyasha bambino, coccolato da entrambi i genitori, le diedero la risposta.
Quel momento sembrò aprire una diga. Le fasi più significative della vita di Sesshomaru esplosero a catena nella sala buia, sommergendo Anna di ricordi non suoi.
***
Sesshomaru attraversava gli anni turbolenti della propria vita come se stesse camminando nell’acqua. Quasi non respirava e non si accorgeva di essere entrato in una sorta di trance. Non ricordava più di essere accompagnato, né il motivo della sua visita. Non pensava a Junan, o all’uso di Tenseiga, o alla guerra in corso. La Grotta lo aveva afferrato e lo stava conducendo dove desiderava. I ricordi si affastellavano nella sua mente, si dipanavano e poi sembravano abbandonarlo e morire alle sue spalle. Niente lo toccava in modo particolare. Non la nascita del fratellino tanto invidiato, non le diatribe col padre, non la sua morte invendicata, non l’eredità tanto odiata né gli scontri con Inuyasha, che per tanto tempo non aveva visto come parte sopravvissuta della sua famiglia ma come detestato fardello…Tutte queste cose erano state metabolizzate, lasciando dentro di lui un dolore sordo che riusciva a gestire e che non avrebbe più potuto trascinarlo a fondo.
Lui era Imperatore di En. Inuyasha era il suo Erede. La Grande Famiglia aveva cercato di negare quel diritto di successione un’altra volta ma Inuyasha, come già aveva fatto lui, aveva dimostrato la forza del sangue che gli scorreva nelle vene superando ogni prova. Entrambi i fratelli avevano stentato per anni a rapportarsi con le proprie spade. Poi, il cuore umano di Inuyasha era entrato in risonanza con Tessaiga, grazie al suo desiderio di proteggere i sudditi ningen dell’Impero, i soldati che combattevano ai suoi ordini. E Tenseiga? Era rimasta muta, fino a quando…
Sesshomaru entrò davvero nell’acqua, immergendo i piedi in una delle polle più vaste e proseguendo fino ad essere sommerso a livello del petto. Lì si fermò, mentre i ricordi in cui meno amava indulgere lo assalivano.
Tenseiga aveva infranto per un attimo il suo muro di silenzio quando aveva trovato Rin, unica superstite di un villaggio di frontiera assalito e distrutto dai demoni di Gake. Vi era capitato per caso, durante un giro di perlustrazione in compagnia del solo Jaken. C'era stata battaglia, il giorno prima, su un lungo fronte. Inuyasha era più a est e gli scontri erano cessati ormai da ore. Sesshomaru aveva incrociato quel villaggio e aveva camminato per le sue vie disseminate di cadaveri, le case di legno crollate, giurando a se stesso che Naraku avrebbe pagato per quell'ulteriore danno a En. Poi, Jaken aveva cacciato uno strillo e si era nascosto dietro la sua gamba, gridando: «Qualcuno...qualcosa...là sotto!» e indicando un tetto crollato e un mucchio di assi che si erano appena spostate.
«Stai calmo, Jaken.» lo aveva rimproverato con freddezza, camminando verso il punto indicatogli. Non avvertiva la presenza di yokai, il puzzo dei cadaveri copriva tutto ma non riteneva di sbagliare. Con tutta probabilità, si trattava di un fortunato superstite. Fu nel momento in cui scagliava lontano le assi spezzate con una mano che Tenseiga vibrò al suo fianco, un istante prima che potesse posare gli occhi sul viso stanco e sporco, segnato dalle lacrime, di una bambina che teneva tra le mani come un talismano protettivo una piccola gemma, viola come la luna di En.
Quello era stato il suo primo incontro con Rin, Portatrice di Junan. Aveva portato via la bambina, la cui famiglia era morta sotto le macerie. La piccola non parlava, era sotto shock, e non lasciava mai andare la sua Hoshisaki. Si limitava a guardare Sesshomaru come se fosse un'apparizione divina, a mangiare quello che le veniva offerto e a seguirli ovunque come un pulcino. Inizialmente, il fatto che Junan fosse legata a una mocciosa umana bisognosa di tutto lo aveva esacerbato. Inuyasha ne aveva riso fino alle lacrime e la dea Kiokuchi non aveva potuto o voluto aiutarlo, se non consigliandogli di averne la massima cura.
Erano stati il passare del tempo e il cuore luminoso di Rin a cambiare le cose, a poco a poco. La bambina lo sommergeva di attenzioni. Gli porgeva il boccone migliore, condivideva ogni piccola meraviglia, gli regalava fiori. Gli sorrideva ogni volta che lo vedeva, come se per lei fosse sorto il sole. Pian piano, aveva ripreso a parlare e da quel momento era stato un “Sesshomaru-sama!” continuo, martellante...e delizioso. Per Rin, lui era l'astro a cui dedicare l'esistenza. Veniva prima di ogni altra cosa, di ogni altra persona. Per Sesshomaru, tornare a casa ed essere accolto dal suo abbraccio sincero e dalla sua risata era diventato un rito a cui anelava. Rin gli aveva aperto gli occhi sulle cose belle della vita, sui piccoli piaceri, sulle emozioni umane che si era sempre negato.
Era la sua piccola gemma, la creatura che più di ogni altro desiderava proteggere, Junan o meno. Si era sentito ferito nel vederla crescere, cambiare, avviarsi verso la sua forma di donna. Per questo, si era un po' allontanato da lei, non desiderando che il loro rapporto cambiasse.
Quanto si era rimproverato per questo, dopo? Quante volte si era detto che quella notte avrebbe potuto essere al castello, che non c'era necessità di assenza tanto prolungate...quelle assenze che avevano dato agio a Naraku di far scattare la sua trappola e strappare Rin alla vita? A cosa serviva essere Imperatore di En se non si sapeva nemmeno proteggere la persona più cara? I pensieri riguardanti le Hoshisaki perdute erano giunti dopo, quando ormai il gelo era di nuovo calato su di lui. Per molto tempo, non aveva sofferto che per la sua nuova solitudine. Nemmeno Inuyasha poteva condividere quel dolore: come Rin, lo aveva lasciato, rinchiuso in un sonno che prometteva di essere eterno.
A cosa serviva provare emozioni se conducevano solo al dolore? A cosa serviva combattere se non si faceva altro che perdere ciò che era più importante? Aveva proseguito, giorno per giorno, tornando a chiudersi nel gelo, al solo scopo di vendicarsi di Naraku. Non c'era futuro oltre a quello. Non aveva una visione, una speranza, nulla...solo oscurità.
Vi cadde dentro e attraverso, incapacitato a muoversi come se il gelo dentro di lui alla fine avesse preso il sopravvento, artigliandogli le membra in una morsa impossibile da spezzare. Il respiro si fermò e iniziò a soffocare, ma non combatté la sensazione. L'immagine di Rin, non più sorridente e con una corona di fiori tra i capelli scuri ma bianca e immobile nel suo catafalco di morte, gli si era impressa nella mente e obnubilava ogni altra sensazione. Non si accorse delle braccia che lo afferrarono e lo riportarono in superficie, del difficoltoso trasporto del suo corpo che non collaborava fuori dall'acqua. Non voleva essere distratto e arrivò a combattere le mani che tentavano di scrollarlo e gli slacciavano febbrilmente l’armatura per facilitargli il respiro, la voce che gli gridava qualcosa nelle orecchie. Con vera sofferenza, assistette allo sbiadirsi della sua ultima immagine di Rin. Ancora immobile, prigioniero del proprio gelo, iniziò a rendersi conto di cosa stava accadendo. Si sentiva fradicio, scosso da brividi. Qualcosa gli premeva sul diaframma e rigurgitò dell’acqua dal forte sapore minerale, poi riprese a respirare con sibili rauchi e incerti. Mani fredde e ferme ora gli asciugavano le guance e le labbra, gli tiravano via i capelli gocciolanti dalla faccia. Quelle stesse mani lo afferrarono per le spalle e lo scossero, poi lo sollevarono alla nuca e lo strinsero a un corpo che tremava non meno del suo.
«Sesshomaru-sama! Sesshomaru-sama, vi prego...avanti, respirate! Respira, maledizione, sforzati! Ecco, così, bravo... - diceva, per poi spostargli la testa in modo che l'angolazione gli rendesse più facile prendere ossigeno – Sesshomaru, lascia andare. So cos'hai visto, ma devi lasciare andare. Lei non avrebbe voluto che il suo ricordo ti facesse del male...»
La voglia di aggredire la persona che cercava di salvarlo e sottrarlo al suo tormento lo spinse ad aprire gli occhi di scatto. Vide su di sé il volto di Anna, lo splendore di Junan sulla sua fronte e la sua rabbia sfumò quando scorse la sua bocca tremare nell'incrociare il suo sguardo, le lacrime che le velavano gli occhi. Era...preoccupata per lui? Capì che, in qualche modo, gli aveva appena salvato la vita. Lo stava tenendo in grembo e ora gli accarezzò di nuovo il volto come se avesse a che fare con un bambino, accertandosi che la vedesse, che si stesse riprendendo. Il suo tocco era gentile, gli trasmise la sincera preoccupazione di lei. Anna si voltò, gli prese una mano, gli chiese di stringerla a sua volta per verificare che il corpo gli rispondesse, ma per il momento lui non era in grado di muoversi. L'immagine di Rin recedeva, ma molto lentamente...Sesshomaru si rese conto che, se fosse andato solo, la Grotta avrebbe potuto ucciderlo grazie alla profondità dei suoi rimpianti.
«Starai bene tra poco, in caso contrario ti porterò fuori di qui sulla schiena. - mormorò la giovane donna, pratica, strofinandosi poi gli occhi per cancellare ogni traccia di lacrime – Non è successo niente. Erano solo ricordi. Solo ricordi. Questo è il presente, tu sei l'Imperatore di En e hai  le sei Hoshisaki e...e tutti ti aiuteranno a vendicarti, Sesshomaru, non hai bisogno di farti del male più di così. Hai affrontato tutto questo una volta in più del dovuto. Adesso basta. Adesso basta.»
La sua voce era decisa, ottimista, ferma, in contrasto con il corpo che continuava a tremare insieme al suo. Si rese conto di averla spaventata a morte e che la Grotta le aveva concesso di vedere nei suoi ricordi. Era così sconvolta e desiderosa di farlo emergere dal buio che non si era resa conto di avergli parlato con confidenza, gettando da parte i titoli onorifici. La cosa lo irritò ma al contempo si rese conto che diversamente non avrebbe creduto alle sue parole. Così, invece, esse si stavano facendo strada dentro di lui, lo stavano guarendo. La donna non aveva forse ragione? Doveva dire basta a quel tormento. Doveva proseguire, come Rin stessa avrebbe voluto. Non gliel'aveva trasmesso con chiarezza mandandogli una nuova Portatrice di Junan?
Incrociò lo sguardo di lei, fissando le iridi ambrate in quelle azzurre, nell'arcana luce blu della grotta. Anna strinse le labbra, forse aspettandosi un rifiuto o una resa al dolore, ma lui si limitò a creare un contatto e lei, sorpresa, riuscì a capire che lui le stava dando la sua approvazione. Un sospiro le sfuggì dalle labbra e chiuse per un attimo le palpebre, come sopraffatta, poi gli sorrise con una dolcezza che sembrò riscaldare Sesshomaru dall'interno.
«Andrà tutto bene. Te lo prometto, farò di tutto per aiutarti. - mormorò lei, scostandogli la frangia dagli occhi con dita gentili – Riposa, riprenditi. Rin veglia su entrambi e le daremo pace. Te lo giuro.»
Lo disse con tale, granitica certezza, mostrandogli una forza di volontà non comune, che le credette. Lei lo avrebbe aiutato con tutte le forze a sua disposizione, profezia o meno. Lo avrebbe aiutato perché aveva capito. Non aveva giudicato i suoi ricordi, le sue scelte: li aveva compresi e accolti dentro di sé. Sesshomaru chiuse gli occhi per nasconderle quel pensiero e la sensazione calda e gentile che lo stava pervadendo, guarendolo.  
Attesero qualche minuto, poi Anna decise di caricarselo sulle spalle e di portarlo fuori dalla grotta. Sesshomaru non aveva ancora voce per protestare e Anna parve decidere di ignorare la smorfia indignata che gli solcò i lineamenti. Non fece fatica: le forze yokai erano più che sufficienti per consentirle quello sforzo. Sesshomaru si trovò sistemato su quella schiena sottile, avvertendone il calore e la forma aggraziata, femminile.
“È stato un viaggio inutile e dannoso. – pensò, amaro – Non ho avuto risposte, di alcun genere. Solo altro dolore.”
Il suo pensiero venne interrotto da voci irate e addolorate, una cacofonia di lutto che lo scosse e lo spinse a tornare a guardare la grotta. Anna continuò a camminare come se niente fosse, come se quelle voci non stessero piangendo una morte.
“Le sue memorie?” indovinò Sesshomaru. Guardò attorno a sé con occhi rapaci, aguzzò le orecchie per discernere le parole. Se lei aveva avuto accesso alle memorie di lui, gli sembrava il minimo approfittare il più possibile di quelle di lei per ripristinare l’equilibrio. Sì, erano voci di lutto. Era morto un bambino, forse il fratello maggiore di cui lei gli aveva parlato qualche sera prima. La prima immagine si palesò nelle gocce stillanti, alla fioca luce azzurra: una bambina molto piccola, dai capelli chiari, seduta sola con l’immagine di un ragazzino biondo stretta al petto, mentre gli adulti litigavano e piangevano alle sue spalle, ignorandola del tutto.
“Anna non ha talenti. Non ha nemmeno un grammo della grandezza di suo fratello. Cosa me ne faccio di lei?” gridò una voce femminile con isteria.
Al di sotto, nella polla, la stessa bambina poco più grande si versava del latte e si preparava qualcosa da mangiare. Tutto attorno a lei comunicava vuoto, mancanza. Nessuno sembrava occuparsi di lei. Gli oggetti e gli abiti di quel mondo erano estranei al Signore di En, ma la situazione era palese ai suoi occhi senza bisogno che gli venisse spiegata. Totale abbandono. Quella bambina doveva imparare a vivere con le sue forze o soccombere. Non era stata ritenuta degna.
Il loro viaggio verso l’uscita fu speculare a quello d’entrata. Questa volta fu Anna a perdersi dentro se stessa, ma continuò a camminare come un automa, senza mutare espressione in viso, dedita alla sua missione di portarlo in salvo.
Sesshomaru guardò, ascoltò, imparò di lei tutto quello che poteva con un interesse che lo stupì ma che si spiegò con le relative somiglianze nella loro infanzia. I genitori morti, il rifiuto da parte dei parenti. Una bambina trascurata che prendeva a frequentare un tempio nel vicinato e faceva amicizia con la famiglia che se ne occupava, legando soprattutto con la bimbetta che portava Shinsetsu. Poi l’adozione di fatto, la nuova vita in quella famiglia che l’aveva accolta ma che non era sua, non davvero. Vide l’amicizia con Kagome crescere e diventare un legame fortissimo, giorni di studio in classi dove ogni tanto veniva chiamata hanyo e provocata per il fatto di avere occhi e capelli chiari. La vide allenarsi fino allo sfinimento nelle arti marziali, cercando pace nello sforzo fisico. La vide sopportare tutto, con un sorriso gentile che svaniva nella solitudine. La sentì decantare il significato dei fiori, trattenere una commozione angosciosa alla vista dei petali di ciliegio, annunciare che avrebbe lavorato e sarebbe diventata indipendente. Quando sbucarono nella sala più vicina all’uscita, la prima immagine che vide fu un’Anna umana ma adulta, seduta alla finestra di una stanza che conteneva solo tre scatole ancora chiuse, mentre guardava una luna piccola e bianca, molto diversa da quella di En. La voce di lei riempì la sala con una canzone dolce e malinconica che lo stupì, sia per la bellezza del suo canto che per l’immagine precisa e potente che restituiva del suo vero sentire, della sua profonda solitudine.
Mentre l’orrore che Naraku le aveva fatto subire si dipanava davanti ai suoi occhi e le forze tornavano a riempirgli il corpo, liberandolo dal gelo dei propri rimpianti, Sesshomaru capì che la Grotta gli stava dando almeno una risposta. Ora sapeva perché Rin aveva scelto quella giovane donna, sapeva perché Tenseiga aveva vibrato per lei e perché Junan le rispondeva con tanta prontezza. Quella donna era sempre stata sola, come lui. Sempre obbligata a dimostrare di essere degna. Come lui aveva avuto Rin quale unica luce, Anna aveva utilizzato Kagome e la sua famiglia come faro. Entrambi, però, portavano la notte dentro di sé. Potevano capirsi. Potevano toccarsi a una profondità che, forse, poteva diventare persino pericolosa.
Ecco la sua risposta. Quel contatto, quella somiglianza, potevano riaprire il suo mondo alle emozioni e fornirgli la chiave per l’uso di Tenseiga. La domanda era: ne sarebbe stato capace? Avrebbe, di nuovo, osato mettere in gioco così tanto di se stesso?
Quando Sesshomaru, poco prima del tunnel d’uscita, recuperò abbastanza forze da scivolare dalla presa di Anna e rimettere i piedi a terra, lei non se ne accorse. Attorno a loro si dipanava l’ordalia della fuga di lei, in forma di neko-yokai. Poi, l’ultima immagine: lui stesso che la rifiutava con parole che pesavano come un anatema. Sesshomaru vi si riconobbe, pur con il filtro delle memorie di lei, e per la prima volta nella sua vita non si piacque affatto.
Anna si fermò, barcollò come per un colpo ricevuto, cadde in ginocchio. Sesshomaru si chinò, le passò un braccio attorno alle spalle e la sollevò contro il suo fianco. Camminarono insieme verso l’uscita, in silenzio, e nella grotta ogni suono o immagine svanì, senza conservare traccia del loro passato.

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Capitolo 29
*** 28 - Decisioni senza ritorno ***


CAPITOLO 28
 
DECISIONI SENZA RITORNO
 
L'armata di Gake si era accampata in prossimità delle macerie del villaggio incontrato quel pomeriggio. Era un piccolo esercito composito: yokai e guerrieri ningen senza scrupoli collaboravano, anche se bastava poco per accendere scintille pericolose. La disciplina non era una delle virtù delle armate di Gake e Naraku non aveva mai fatto molto per imporla: il più forte sopravviveva e si rendeva utile, il più debole poteva anche soccombere. In teoria, quell'accozzaglia di devastatori aveva un comandante di recente nomina, ma in realtà quel pazzo combatteva da solo e non si curava minimamente di indirizzarli, quindi tutti avevano imparato a tenersi debitamente alla larga dalla sua gigantesca alabarda e dal suo sguardo da matto.
Bankotsu, in tutta sincerità, non aveva alcun interesse né per l'armata, né per la guerra in corso. La sua mente, da giorni, era piena solo della voglia di vendicare la morte di Jakotsu. Ripensava alla scena, a come una missione che sulla carta prometteva di essere divertente si fosse risolta in tragedia. Era bastato l'intervento di quei bastardi al seguito del Principe Inuyasha ed ecco: lui era rimasto di nuovo solo. Jakotsu, l'unico della vecchia squadra che lo capisse davvero, era stato un ottimo compagno anche in questa nuova vita. Ora era definitivamente polvere e la sua Hoshisaki era stata rubata.
“La riavrò. Con due Hoshisaki potrei farcela. Potrei essere libero.”
Questo era il suo pensiero costante fin dal momento in cui i Saimyosho gli avevano tolto la sua vendetta. Era da tempo che il ruolo di burattino di Naraku gli stava stretto. Lui e Jakotsu ne avevano parlato, nel linguaggio cifrato noto a loro soltanto, ma adesso che era solo non c'era più motivo di attendere o di fare piani. Avrebbe recuperato l'Hoshisaki di Jakotsu ma non l'avrebbe riconsegnata a Naraku, come quest'ultimo gli aveva ordinato. L'avrebbe tenuta per sé. Già che c'era, si sarebbe preso anche quella del capo degli okami-yokai. Tre Hoshisaki contro due...Bankotsu era sicuro di poter sconfiggere Naraku. Restava l'incognita di Kagura: si sarebbe messa in mezzo a difendere il suo creatore? Quella donna era un osso duro, ma Bankotsu non credeva di essersi sbagliato nel giudicarla l'elemento più instabile nella corte dei servi di Naraku. No, Kagura ne avrebbe approfittato per guadagnare a sua volta la libertà. Non avrebbe trovato ostacoli da parte sua.
Avvertì uno sguardo su di sé e i suoi occhi saettarono sulla piccola figura bianca, seduta in silenzio poco lontano. Naraku gli aveva messo alle costole il cane da guardia. Beh, si sarebbe sbarazzato anche di lei, dopo che si fosse resa utile. L’incarico di Kanna riguardava Shinsetsu, ma Bankotsu era sicuro che lo stesse spiando per conto del padrone. Naraku non si fidava di lui…e faceva bene.
Bankotsu abbracciò la sua Banryu, gli occhi scuri incupiti da questi pensieri, mentre non lontano qualcuno iniziava ad accendere fuochi per la notte. Il suo sguardo si spostò per un attimo sulla figura fragile, inanimata, stesa sulla barella di fortuna poco distante, con due monaci spretati accanto a fargli la guardia. Un sorrisetto sottile e micidiale gli stirò le labbra.
“Le Hoshisaki ti portano sfortuna, ragazzo. Tranquillo, almeno morirai accanto a tua sorella.” pensò, senza un minimo di compassione. L'esca che Naraku gli aveva offerto era perfetta. Bankotsu non aveva dubbio che la Cacciatrice sarebbe caduta nella rete, da sola o – ancora meglio – seguita dai suoi compagni. Le Punte di Stella gli stavano andando incontro senza che lui dovesse fare grossi sforzi e, se fosse andato tutto bene, prima di ammazzare Naraku avrebbe potuto togliersi lo sfizio di fare a pezzi Inuyasha e i suoi maledetti seguaci.
***
Era sorta la luna, una falce crescente che andava facendosi gibbosa, e la sua luce viola e vibrante dava alla notte di En quell'atmosfera onirica che le era abituale. Sesshomaru e Anna erano seduti nello stesso posto da ore, separati da parecchi metri. Non si erano più guardati né parlati, una volta usciti dalla Grotta. Barcollando, ognuno col proprio carico di pensieri e emozioni, si erano privati del vicendevole sostegno e avevano trovato un anfratto in cui sedersi e recuperare le forze.
Ora, Sesshomaru sentiva che finalmente nella sua mente era tornata la calma e i pensieri avevano riacquistato la consueta chiarezza. Aveva compreso come si fosse solo illuso di aver superato i propri rimorsi nei confronti di Rin, come fosse andato avanti solo in apparenza. La sua mente e quel frammento di cuore che la bambina aveva risvegliato, invece, erano rimasti ancorati a quelle notti di dolore e sensi di colpa. Questo buio che si portava dietro, la rabbia e l'impotenza dati dal suo lutto avevano creato una barriera invalicabile al suo uso di Tenseiga e delle Hoshisaki, perché lo avevano allontanato di nuovo dalla luce. Il suo rifiuto cieco verso la nuova Portatrice di Junan aveva le sue radici in questa negazione del presente, di crearsi un futuro.
Ora, la grotta lo aveva costretto a guardarla davvero e a mostrarsi a lei, con una profondità che nessuno dei due avrebbe desiderato ma che li aveva fatti scoprire maledettamente simili. Sesshomaru non aveva provato pietà per le vicissitudini della giovane donna proveniente da un altro mondo, ma attraverso le immagini e le voci aveva compreso non solo le profondità del suo coraggio, della forza d'animo e della tenacia, ma anche la gentilezza, la fragilità sottostante, il terribile bisogno di essere necessaria. Non aveva mai analizzato così a fondo l'anima di chi gli stava attorno, men che meno aveva empatizzato con estranei, e questo ora la rendeva ai suoi occhi una persona completa quanto lui, non più ignorabile. Nessuno l'avrebbe mai compresa meglio di quanto ora poteva affermare Sesshomaru, forse nemmeno la sorella più piccola, che conosceva bene il suo spirito ma a cui Anna non aveva raccontato tutte le privazioni dell'abbandono o i momenti di debolezza. Allo stesso tempo, nessuno poteva dire di conoscere lui tanto quanto la giovane bionda che ora sedeva in disparte, per metà sotto la luce lunare e per metà nell'ombra delle rocce.
“È così che vive: a metà. Come me.” pensò, poi si accigliò e guardò la mano con cui l'aveva sollevata, nel momento in cui lei aveva perso le forze dopo averlo tratto in salvo fin quasi all'uscita. Erano riemersi dalla grotta fianco a fianco, da pari. Lei lo aveva chiamato per nome. Ora, cosa sarebbe successo? Come proseguire, da quel momento in poi? Doveva stipulare quell'alleanza o rinnegarla per rimanere legato al passato?
La risposta era una soltanto e Sesshomaru indugiò non più di un istante. Si alzò, camminò fino ad arrivare nei pressi di lei, che alzò lo sguardo a incontrare il suo. Il suo volto era imperscrutabile. Si alzò, standogli di fronte senza alcun atteggiamento apparente.
«La Grotta non ci ha dato risposte. - esordì Sesshomaru e lei scosse il capo – In compenso, ha donato a entrambi una completa visione dell'altro.»
«Avevo intuito che la Grotta si fosse concentrata su di me, uscendo... - mormorò lei, abbassando per un attimo lo sguardo e stringendo le labbra – Non so cos'abbiate visto e sentito, ma non ho bisogno di nascondermi al vostro sguardo.»
«Non ti secca che ora io conosca i tuoi ricordi peggiori, le tue debolezze?» chiese Sesshomaru, volutamente duro. Lei rialzò lo sguardo e lo guardò con una franca purezza che in parte gli ricordò Rin.
«No.» disse. Quella ragazza era così: non si nascondeva, non fingeva, non recitava alcuna parte. Come un'acqua pura e salvifica, riversava su di lui verità. Rimaneva fedele al fiore bianco che gli aveva dato quella prima mattina, a Ojohi. «E voi, Sesshomaru-sama? Potete sopportare il mio sguardo nella vostra anima?»
Sesshomaru si oscurò in volto per quel ritorno al tono formale.
«C'è poco che possa fare al riguardo, ormai. - replicò, aspro, e seppe di averle tolto colore dal viso pur sotto la luce di quella luna riflessa nella superficie di Junan – Pure, sarebbe stupido da parte mia negare questo legame. Sei stata scelta per completarmi, sei la nuova Portatrice di Junan e so che terrai fede alla tua alleanza a En perché questa è la forma della tua anima. Mi basta.»
Il petto le si alzò nel tentativo di una brusca inalazione, subito interrotta. Lei non voleva capisse che la sua accettazione l'aveva emozionata, ma Sesshomaru notava anche i più piccoli mutamenti in lei perché ormai sapeva a cosa fare attenzione. In quel momento, era un tumulto di incomprensibili emozioni umane.
«Vi aiuterò, con Tenseiga e con le Hoshisaki. Vi aiuterò a sconfiggere Naraku. Vi dedico la nuova vita che il sangue yokai mi ha dato. Posso giurarvelo qui e adesso, Sesshomaru-sama.»    
«Hai già fatto qualcosa di simile, nella grotta...ma non su questo nome. Ero sveglio e ti ho sentita perfettamente buttare alle ortiche ogni forma di rispetto.» la provocò lui, sarcastico. La vide stringere le labbra in una linea sottile, come per prepararsi a un'aggressione verbale, poi alzare una mano, fino a fermarsi davanti al suo volto. Lui per un attimo non parve capire il gesto, poi alzò a sua volta la mano destra fino a sfiorare il palmo di lei. Le dita di Sesshomaru si serrarono senza gentilezza, imprigionandola in una stretta dolorosa. Le sue unghie le ferirono il dorso, strappandole una smorfia. Lo sguardo di quegli occhi ambrati era micidiale, implacabile. Aveva accettato la sua offerta e non le avrebbe concesso di ripensarci.
«Giuri di servirmi con fedeltà? Giuri di agire per il bene di Junan e la salvezza dell'anima di Rin? Giuri di combattere Naraku fino al tuo ultimo respiro?» le chiese lui, con voce di ghiaccio.
«Lo giuro...Sesshomaru.» disse lei, con voce roca. 
«Ti credo.»
In quel momento, le loro Hoshisaki si illuminarono come nella notte in cui erano stati a un passo dal pervertirne il potere con il loro odio reciproco. Stavolta, però, la loro luce fu pulita, in perfetto equilibrio. L'aura viola di Junan e quella argentata di Chinoo si fusero come a creare una nuova luna, un faro nella notte. Entrambi avvertirono una sensazione quasi fisica di destino, di appartenenza. Fu un'esperienza spirituale profonda, appagante, ma per Sesshomaru fu turbata nel momento in cui i suoi occhi, come per un velo che Chinoo aveva finalmente lasciato cadere, si resero ben conto della bellezza della donna di cui ancora stringeva la mano.
Per la prima volta, si sentì sommerso da pulsioni che aveva sempre evitato con disgusto. Fu un'onda violenta ma al contempo ingentilita e domata da quella sensazione di completezza che il giuramento di lei gli stava donando. D'improvviso, quel viso e quel corpo erano oggetto di un desiderio impellente di contatto, di possesso. Si era già accorto di quanto fosse attraente, proporzionata, ma ora al senso della vista si era unita la comunione di anime avvenuta nella grotta e anche solo guardarla negli occhi lo stava portando a perdere il controllo. Voleva berne la bellezza, legarla a sé con qualcosa di più che un giuramento di fedeltà in battaglia. La sua mano vibrò, accentuando per un attimo la stretta su quella di Anna, ma nient'altro del suo atteggiamento lasciò trasparire il turbamento interiore.
“Sono le Hoshisaki che ti spingono a ottemperare la profezia fino in fondo. Non diventare un loro burattino.” disse la voce del gelo dentro di lui e Sesshomaru, abituato nei secoli ad ascoltarla, vi si aggrappò per strappare da sé ogni malaugurata tentazione. Lasciò andare bruscamente la mano di Anna e le voltò le spalle, iniziando a scendere il crinale.
«Riposa. Ripartiamo domattina per il castello. È tempo di riunirci a Inuyasha e soci.» disse, brusco, senza più voltarsi. Non vide Anna che si portava la mano al petto, non si accorse che ora tremava, trattenendo dentro di sé un'emozione immensa che suo malgrado stava riconoscendo come il germoglio di un pericoloso amore. Sesshomaru non vide alcuno di questi segni, troppo impegnato a mettere distanza tra sé e la fonte di quei nuovi desideri inopportuni, ma Kagura li colse tutti, dalla sua piuma sospesa nel cielo notturno.
Anna si sedette a terra, stringendosi le ginocchia, il volto pallido e le labbra serrate.
«Sono nei guai.» mormorò, pianissimo, ma il vento portò anche queste parole a Kagura, dietro al cui viso indifferente si agitavano gelosia, dolore...e calcolo.
«Lo sei altroché, carina.»
Naraku aveva avuto ragione e non avrebbe impiegato troppo tempo a sguinzagliare la sua arma più perfida per infliggere un'altra ferita all'Imperatore di En. Cosa poteva fare lei? Qual era il suo margine d'azione? Aveva un'informazione importante, ma come condividerla senza avvicinare ancora di più Sesshomaru a quella maledetta bionda?
“Credi di essere più forte del destino, Kagura?” si chiese, amara. Beh, ci avrebbe provato, non si sarebbe arresa. E se alla fine avesse conquistato anche solo la libertà, ne sarebbe comunque valsa la pena.
***
«Che meraviglia...» mugolò Kagome, emergendo dalla polla d'acqua calda, in cui le era quasi parso di sciogliersi, e iniziando ad asciugarsi.
«Stai attenta, Kagome, potrebbe girarti la testa.» la avvertì Sango, uscendo con maggiore cautela e lanciando occhiate sospettose tutt'attorno.
«Non preoccuparti, ci sono abituata. - la tranquillizzò lei, poi emise un sospiro di puro piacere e piegò la testa all'indietro per strizzarsi i capelli – Non speravo che anche a En ci fossero posti come questo!»
«Non sono molti, siamo stati fortunati a incrociarne uno. Rimane che non capisco perché tu abbia insistito a venire...»   
«Oh, Sango! Siamo stanche, sporche, giù di morale. Un momento di tregua ci vuole! Hai visto che nemmeno Inuyasha e Miroku hanno trovato da ridire? - la interruppe Kagome, con foga – Avanti, dovrebbe averti aiutata a rilassarti un pochino. Non ne hai mai avuto la possibilità da quando mi hai trovata vicino al pozzo dell'Hokora!»
Sango, comprendendo che quel piccolo capriccio di Kagome era in realtà un modo per distoglierla dai suoi pensieri sul fratello in pericolo, sorrise con dolcezza e si arrese. Stavano tutti facendo i salti mortali per darle forza, in attesa di sapere come stessero realmente le cose, e lei era profondamente grata a ognuno di loro. Si erano rilassate nell'acqua calda, chiedendosi a vicenda se Jaken fosse già arrivato al castello e come avrebbe fatto il piccolo Shippo a contattare Sesshomaru per fargli conoscere il cambio di piani in atto. Ai due erano stati affidati compiti logistici, mentre loro quattro tornavano verso il confine a combattere.
«Sono così preoccupata per Anna...Con Sesshomaru sembravano non capirsi affatto e lei deve ancora superare il trauma della sua trasformazione. Pensi che ci sia speranza che vadano d'accordo?» chiese ora Kagome, preoccupata, iniziando a rivestirsi. Sango corrugò la fronte.
«Anna mi sembra una persona diretta e sincera, molto forte anche se a prima vista può non sembrare tale. Credo siano aspetti che Sesshomaru-sama sia in grado di apprezzare, ma dobbiamo tenere conto che la perdita della precedente Portatrice di Junan lo ha reso ancora più restio ad aprirsi. - analizzò la Cacciatrice, ricordando la notte in cui avevano parlato con la dea Kiokuchi – Inoltre, Anna reagisce con violenza ai comportamenti del nostro Imperatore. Credo che abbiano molti punti in comune, ma le circostanze li hanno messi l'uno contro l'altra prima che avessero una possibilità di entrare in contatto. D'altra parte, la profezia li vuole uniti...»
Si fermò, non volendo mettere a disagio Kagome su quel punto, ma la ragazza si limitò a sospirare e a legare in vita la cintura dell’abito da miko, pensierosa. Le sue dita andarono all'Hoshisaki che portava al collo, tormentandola.
«Già, la profezia...uniti nel cuore, giusto? - mormorò – Questo vorrebbe dire che Sesshomaru e Anna sono destinati a innamorarsi. Non sono sicura di desiderare una cosa simile. Tu, invece, vedi le cose con grande saggezza. Ti invidio, Sango.»
«Sesshomaru-sama è duro perché forgiato da grandi dolori e responsabilità.» cercò di scusarlo Sango, pentita di aver sollevato l'argomento.
«Inuyasha ha subito a sua volta molti dolori e ne condivide le responsabilità, ma non è così gelido e intrattabile.» osservò Kagome, polemica. Sango non poté fare a meno di sorridere.
«Fino a poche settimane fa, avresti detto parole molto diverse su di lui.» la stuzzicò con gentilezza. Kagome arrossì.
«È vero, ma...adesso lo conosco meglio. È burbero, ma buono.»
«Non posso darti torto. Sono contenta che si sia rivelato tale...e che il vostro rapporto sia molto migliorato.»
«Sì. - ammise Kagome, con un sorriso dolce che la illuminò ma che scomparve subito in un'ombra che le calò sul volto – Però non voglio che il mio rapporto con Inuyasha si risolva nell'adempimento di una profezia. Io non sono Kikyo. Non voglio che veda lei in me.»
«Penso che sia in parte inevitabile, Kagome-chan, ma sono sicura che il suo comportamento nei tuoi confronti sia diverso da quello che tenne con Kikyo. - disse Sango, poi non poté fare a meno di sorridere – E tu? Come la mettiamo con il tuo principe dai capelli neri? Hai rinunciato a trovarlo?»
La vide trasalire e la fissò, sorpresa nel vederla avvampare. Balbettò un po’ prima di rispondere, sviando il suo sguardo.
«Ecco…ci ho pensato, sai, e probabilmente si trattava di un’immagine non completa di Inuyasha. – disse, quasi di corsa, tirandosi indietro i capelli bagnati – Voglio dire, il viso era identico! Forse non ho visto i capelli…cioè, era buio…insomma, ci ho pensato tanto e…»
«Se si trattava del Principe Inuyasha, tanto meglio. – sorrise Sango, intenerita, iniziando a camminare per tornare dagli altri – Gli vuoi bene, Kagome?»
Il rossore di Kagome scomparve. Il suo viso divenne molto serio, quasi malinconico.
«La donna che gli era destinata era Kikyo, Sango. Ricorda che io sono solo la sostituta.» mormorò, senza darle una vera risposta. Sango rifletté se insistere, ma decise di tacere. Era un argomento delicato e non voleva assolutamente dare un dolore a Kagome. Secondo lei, Inuyasha aveva cessato di vederla come la reincarnazione di Kikyo e la loro amicizia sembrava destinata a sbocciare in qualcosa di più profondo, ma questo era un sentimento che i due avrebbero dovuto far crescere senza intrusioni inopportune. Non era facile dipanare i nodi del cuore e lei, suo malgrado, iniziava a comprenderlo. Il petto le si strinse per un attimo in una morsa quando gli occhi le caddero su Miroku, seduto su un masso poco più avanti con la piccola Kirara accanto, che sventolava una mano nella loro direzione e sorrideva.
«Tutto bene? Com’era la fonte?» chiese, in apparenza allegro.
«Calda. – rispose Kagome, con un sospiro di beatitudine, poi lo fissò con sospetto – Cosa ci fai qui? Non avrei spiato, vero?»
«Io?! Kagome-sama, potrei offendermi! – replicò il monaco, mentre già Sango si circondava di un’aura pericolosa – Io volevo solo accertarmi che foste al sicuro mentre…»
«Tranquille, l’ho tenuto sott’occhio io.» disse Inuyasha, uscendo in quell’istante dal folto. Teneva Tessaiga sguainata, segno che non era tranquillo. Miroku sospirò, tragico.
«Qui nessuno si fida di me. La mia vita è davvero sfortunata.» disse, cercando conforto nella piccola forma di Kirara ai suoi piedi, che miagolò.
«Se ve la sentite, proseguirei il cammino. Abbiamo ancora un paio d’ore di luce e inizio a sentirmi osservato.» disse Inuyasha, guardandosi attorno con aria torva.
«C’è qualcuno nei dintorni?» chiese Kagome, allarmata, mentre Sango approvava subito e chiedeva a Kirara di trasformarsi. Inuyasha scrollò le spalle.
«Probabilmente, qualche insettaccio spia di Naraku, niente di più. Il pericolo è di fronte a noi, sono sicuro che ci abbia preparato una bella festa.» disse l’hanyo, amaro, poi trasalì quando le dita di Kagome gli sfiorarono le labbra per zittirlo. La vide lanciare un’occhiata preoccupata verso Sango e gli spiacque aver parlato senza pensare, ma la Cacciatrice si era già posizionata in groppa a Kirara e si stava legando i capelli, pronta a partire, mentre Miroku si piazzava dietro di lei con un’occhiata di rimpianto. Forse gli era piaciuto vedere per un attimo la ragazza in una situazione più rilassata.
Inuyasha stesso guardò meglio Kagome e si scoprì ad arrossire. Era ancora accaldata, con un bel colorito roseo sulle guance, i capelli umidi che le scendevano mossi sulle spalle. Fu sorpreso dall’intensità del desiderio di farsi passare una di quelle ciocche tra le dita. Si abbassò di scatto per farla salire sulla sua schiena, cercando di non mostrarle la propria espressione. Cosa gli prendeva?! Sembrava un ragazzino con una cotta! Nemmeno con Kikyo aveva provato quel tipo di attrazione insensata, era stata una cosa più spirituale…
Lei non parve accorgersi del suo turbamento e salì, aggrappandosi alle sue spalle. Inuyasha si morse un labbro, mentre si alzava di scatto e partiva dietro a Kirara, strappandole un gridolino. Il suo peso e il suo calore erano una tortura!
«Sango si è calmata un po’?» chiese a bassa voce, per cercare di tornare padrone di sé. Per l’ennesima volta, fu felice che non ci fosse Sesshomaru. Avrebbe capito e il suo sarcasmo sarebbe stato feroce. Lui per primo era stupefatto da come il passato fosse scivolato via, come anestetizzato dal calore e dalla presenza di Kagome. Da quando si erano parlati e lei aveva non solo ascoltato i suoi dolori, ma lo aveva accettato per ciò che era, come nessuno aveva più fatto dopo la morte dei suoi genitori, era come se Kagome si fosse circondata ai suoi occhi di un'aura luminosa. Gli piaceva parlare con lei, riuscire a farla sorridere, avvertire il suo profumo. Da quanto stava cominciando a capire, gli piaceva troppo. Si accorse con un attimo di ritardo che lei gli stava rispondendo.
«...ma non credo riesca a pensare ad altro. La capisco, chi ci riuscirebbe?»
«Ti riferisci ad Anna?» chiese Inuyasha, arrischiando un'occhiata. Kagome era molto seria e i capelli ancora umidi le si erano appiccicati in onde sul collo.
«Anche. - disse infine – Immagino che il resto della nostra famiglia sia altrettanto agitato per la nostra scomparsa. Chissà se riuscirò a tornare da loro, un giorno...»
La frase fece stringere le labbra a Inuyasha, che avvertì suo malgrado una certa stizza nei confronti di quell'invisibile famiglia che reclamava la presenza di lei.
«Beh, finché non purifichiamo le Stelle sei inchiodata qui. Mi spiace.» le disse, aspro. Kagome ci rimase male, poi capì i sottintesi di quella frase e strinse le braccia attorno al collo di Inuyasha.
«Non potrei mai andarmene lasciandovi in questa situazione. - gli disse a un orecchio – Finché siamo insieme, non ho paura, Inuyasha. Ti aiuterò fino alla fine, te lo giuro.»
Per un po', Inuyasha non disse nulla. Poi, un sussurro rauco, senza voltarsi: «Lo so.»
Kagome si sentì invadere dalla voglia di abbracciare forte quel Principe burbero eppure tanto bisognoso di affetto. Anche a lei faceva male il pensiero che presto si sarebbero separati, probabilmente per non rivedersi mai più. I sentimenti nei suoi confronti si stavano evolvendo velocemente in qualcosa di profondo e bello che, con suo grande allarme, stavano mettendo in secondo piano il desiderio di tornare a casa. Cosa sarebbe successo se si fosse davvero innamorata di Inuyasha? Più gli stava accanto, più il suo fermo desiderio di tornare a casa vacillava e si faceva distante...
“Anna, vorrei che fossi qui. Avrei tanto bisogno dei tuoi consigli!” pensò. Non sapeva che la sorella maggiore era alle prese con una situazione emotiva non meno complessa della sua.
 
***
Furono raggiunti da un messaggero due giorni prima di giungere al villaggio di Sango. Avevano già incontrato numerosi segni di devastazione, prova del fatto che gli scontri si erano spostati parecchio addentro al territorio di En, ma il soldato mandato a portare notizie disse che le truppe di Naraku, dopo aver seminato morte, sembravano essersi ritirate e le armate di En avevano cercato di recuperare il terreno perduto. La manovra sembrava strana, senza senso vista la precedente violenza di attacco, ma a quanto pareva non si trattava di una fuga, quanto di una qualche incomprensibile strategia di ricompattamento. Infatti, gli yokai di Naraku si erano schierati poco oltre il confine, ancora in territorio di En, in uno stato di attesa silenziosa e vigile che metteva paura. Solo una truppa che, a quanto si diceva, era comandata da un uomo violento e sanguinario, rimaneva più o meno al suo posto, nel territorio che stava a metà tra un villaggio ormai distrutto e il sacro Honeido. Le due squadre mandate ad averne ragione erano state sterminate.
Sia Sango che Kagome impallidirono a quelle parole, la prima pensando al fratellino e la seconda rendendosi conto che l'unico mezzo che le concedeva di tornare a casa era nel bel mezzo dei combattimenti. Cosa sarebbe successo se fosse stato distrutto? Ebbe un brivido e guardò Inuyasha,  in cerca di conforto, ma lui era assorto nell'ascolto del rapporto di guerra.
Dopo, ci fu un breve scambio di vedute tra loro.
«Inutile andare avanti in questa direzione. È evidente che Bankotsu e la trappola di Naraku ci aspettano in un luogo ben preciso.» disse Miroku, con le braccia conserte e la fronte aggrottata.
«Perché far ritirare l'esercito? Non avrebbe più senso cercare di ucciderci nel caos della battaglia?» chiese Kagome, reprimendo un brivido.
«Col rischio di perdere le nostre e le sue Hoshisaki in quella bolgia? Oh, no, Kagome-sama. Meglio usare un assassino fidato come Bankotsu e la leva di un ostaggio.» fu la replica cinica del monaco, cosa che fece annuire Inuyasha e impallidire Sango.
«Miroku ha ragione. Quel bastardo è scaltro, oltre che sadico. Rischia troppo ad allargare l'orizzonte dello scontro, mentre una sorta di duello gli consentirà di ottenere quello che vuole...o almeno questo è ciò che crede.» disse Inuyasha, con una smorfia di disprezzo.
«Sa che stiamo arrivando e ha preparato il terreno. Infatti, il messaggero ci ha raggiunti senza problemi, nonostante i dintorni siano sicuramente pieni di spie di Gake.» terminò Sango, atona.
«A questo proposito, patti chiari: niente stupidi atti di eroismo. - disse Inuyasha, alzando un dito e puntandolo alternativamente su di loro – Tu, monaco, vedi di tenere chiuso quel tuo Foro del Vento. Tu, Sango, niente colpi di testa per salvare il ragazzino e giù le mani dalle Hoshisaki di Gake, anche nel caso di momenti drammatici. Tu, Kagome, stai indietro e non immischiarti con...»
«Oh, questa è bella! - sbottò Kagome, interrompendolo – Se pensi che starò nascosta dietro di voi a fare da zavorra, ti sbagli di grosso! Se avessi voluto stare al sicuro, sarei andata al castello con Jaken!»
«Non è un gioco, Kagome, qui si rischia la vita!» la rimbeccò lui e lei si alzò in piedi, guardandolo con ira pericolosa, i pugni sui fianchi.
«Ti sembra che abbia preso questa guerra come uno scherzo o un gioco, Inuyasha?» gli chiese, terribile.
«N...no, non volevo dire...»   
«So usare il potere di Shinsetsu, non è così? E ti ho già aiutato in più di una battaglia, o sbaglio?!» continuò a pressarlo lei, facendogli comparire sudore sulla fronte e costringendolo ad arretrare un po'.
«Inuyasha-sama...insomma, Inuyasha, Kagome-sama ha ragione. Questo tipo di raccomandazione è inutile, quando si va in battaglia.»  intervenne Miroku, alzando la mano per chiedere calma, con un sorriso pacificatore.
«Resta che tu non devi usare il Foro del Vento.» gli disse Sango, brusca.         
«E che tu non devi farti sviare dalla vista di tuo fratello. – ritorse lui, senza cattiveria, ma quando la vide impallidire le prese una mano con dolcezza – Impediamoci di fare sciocchezze a vicenda, vuoi? Saremo più tranquilli.»
Inuyasha e Kagome videro Sango avvampare e il Principe di En era già pronto a sentirla protestare o a udire il cozzo di Hiraikotsu sulla testa del monaco quando la Cacciatrice, invece, annuì con sorprendente docilità. Quando guardò Kagome per manifestarle la sua sorpresa perplessa, la vide osservare i due con occhi dolci e un sorriso estatico. Ma cosa stava prendendo a tutti quanti?!
«Credo che sia il caso di lavorare in coppia, Inuyasha, che dici? – lo interpellò intanto Miroku, riportandolo al discorso iniziale – Kagome-sama potrà restare di retroguardia ai tuoi attacchi, usando l’arco e il potere di Shinsetsu per darti modo di combattere contro Bankotsu. Noi ci occuperemo di eventuali scagnozzi al seguito. Se ci guardiamo le spalle a vicenda, difficilmente potranno trarci in trappola. Naraku cerca sempre di dividere il nemico, ma se non gliene diamo modo…»
«Non gliene daremo. – fu la lapidaria replica di Inuyasha – E sia. Lavoriamo in squadra.»
Mise una mano di fronte a sé. Gli altri vi posero sopra la propria, in un giuramento di supporto che li fece sentire davvero uniti.
Kanna, nel suo specchio, vide tutto questo. Se ebbe un pensiero al riguardo, non si manifestò sul suo volto di bambina.
        
  

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Capitolo 30
*** 29 - Sotto attacco ***


CAPITOLO 29

SOTTO ATTACCO

 

Bankotsu seppe del loro arrivo con largo anticipo, ma non mandò alcun demone all’attacco. Non fece nulla per impedire il loro avvicinamento o anche solo per rallentarli. C’erano tutti: il Principe di En, la Portatrice di Shinsetsu, il monaco e la Cacciatrice con le Hoshisaki di Jakotsu e dell’okami-yokai. Gli stavano finendo tra le braccia e il mercenario non vedeva l’ora di mettere fine a quella fase del suo piano di libertà e vendetta.

Schierò la sua armata in un ampio semicerchio nella foresta, mentre lui si piazzò vicino al pozzo magico. Per quanto lo riguardava, rimase allo scoperto, tranquillo, lucidando la sua Banryu accanto al corpo immobile e deperito del ragazzino che era stato scelto prima di lui per incarnare la Violenza. Kanna era sparita, ma sapeva che si sarebbe fatta viva al momento giusto.

«Almeno morirai con tua sorella, moccioso. Non tutti hanno di queste fortune. – gli disse, tranquillo – Parliamoci chiaro: che senso ha vivere come un vegetale? Questa sarà la tua ultima battaglia, ti sto quasi facendo un favore.» Bankotsu era convinto che il ragazzo lo sentisse, anche se da lui non veniva un segno di vita. Avvertiva un certo legame con il fratello della Cacciatrice, sicuramente dovuto all’Hoshisaki, e non vedeva l’ora di mandarlo all’altro mondo. Gli ricordava Jakotsu morente…ma anche se stesso, quando era sprofondato oltre la vita e poi ne era stato strappato per diventare vessillo di quel potere scomodo.

«Arrivano.»

La voce di Kanna, alla sua destra, lo fece voltare con una smorfia. Odiava il modo in cui poteva muoversi e apparire senza mettere in allerta i suoi sensi di guerriero.

«Sappiamo cosa fare, mocciosa, giusto? Tu pensa al tuo che io penso al mio.»

«Ricorda di recuperare…»

«Le Hoshisaki. Ovvio. Naraku crede davvero che me le lascerei scappare?»

Kanna lo guardò in faccia per la prima volta con quegli occhi che erano specchi senz’anima.

«No.» disse, con voce ambigua. Cosa voleva dire? Naraku aveva intuito le sue mire? Beh, tanto peggio. A meno di essere improvvisamente guarito e di poter uscire da quell’antro che lo nascondeva, non avrebbe avuto modo di fermarlo.

Kanna tornò al suo posto e Bankotsu si alzò in piedi, l’alabarda sulle spalle, attendendo i suoi graditi ospiti. Li apprezzò con la fredda stima di un guerriero quando li vide comparire: non potevano non sapere di essere circondati, ma questo non li aveva fermati.

«Ben arrivati! – disse, con un sorriso – Mi fa piacere vedere che gli assassini di Jakotsu hanno un po’ di spina dorsale.»

«Contrariamente a te, che per attirarci qui ti sei abbassato a rapire un ragazzo malato.» gli disse Inuyasha, con disprezzo. Bankotsu si strinse nelle spalle.

«Ordini dall’alto. Io non ho bisogno di questi mezzucci. – disse, indifferente, poi si spostò un poco per mostrare loro la figura abbandonata sulla barella di fortuna – Comunque l’ho trattato bene, come vedete. È ancora vivo…se questa si può chiamare vita.»

Sentì l’ansito della Cacciatrice e vide il monaco passarle un braccio attorno alla vita, in parte per trattenerla ma palesemente anche per confortarla. C’era un legame tra quei due? Poteva essere un’informazione interessante, ma il suo vero obiettivo era Inuyasha. L’hanyo sguainò la sua spada, anche se sapeva benissimo di non poterla usare per ucciderlo. Naraku, infatti, lo aveva avvisato che Tessaiga uccideva solo gli yokai. Chissà se quell’arma incompleta sarebbe stata all’altezza della sua Banryu?

«Perché non mi consegnate le Hoshisaki e non vi fate ammazzare? Risparmieremmo un sacco di tempo.» disse, facendo ruotare l’elsa dell’alabarda nel palmo.

«Perché non ti allontani da Kohaku e non te ne torni dal tuo padrone, brutto vigliacco?!» ritorse la Portatrice di Shinsetsu, furibonda, incoccando una freccia nel suo arco. Bankotsu sogghignò. La fanciulla non sapeva che, per quanto la riguardava, c’era una sorpresa in serbo.

«Come volete. Allora, diamo inizio alle danze!» esclamò, scattando in avanti.

«Non chiedo di meglio!» disse Inuyasha, facendo lo stesso. Non appena le due lame si scontrarono, gli yokai appostati nei dintorni confluirono sul luogo dello scontro come una massa mortale, dando inizio alla battaglia.

***

Non si scambiarono nemmeno un cenno d’intesa. Avevano deciso come si sarebbero mossi in precedenza e la situazione non avrebbe potuto essere più chiara di così. Erano circondati, Bankotsu teneva Kohaku in ostaggio e avrebbe fatto in modo di non allontanarsene, se Inuyasha non fosse riuscito a smuoverlo dai suoi pressi.

«Kirara!»

Sango spronò il neko-yokai a volare verso la turba di demoni in avvicinamento, preparando Hiraikotsu al lancio. Miroku era dietro di lei, il volto fattosi di pietra, con il bastone tagliente in una mano e un mazzo di esorcismi pronti nell’altra. Kagome deglutì e fu allarmata nel sentire dolore. La sua bocca e la sua gola erano secche per la paura.

“Avanti!” si spronò, inalando in profondità e tendendo l’arco, attingendo quanto più poteva al potere della sua Hoshisaki. Aveva un ruolo da svolgere e, in attesa che Inuyasha le spianasse la strada, non rischiava certo di ritrovarsi disoccupata. Scagliò la sua freccia contro i demoni alla loro destra, una stella rosata che esplose al contatto con uno di loro, investendo di potere benefico parecchi nemici. Qualcuno si polverizzò, troppo debole per sopportare il potere dell’Hoshisaki, altri si fermarono, feriti malamente, ma il resto del gruppo continuò a sciamare su di lei. Kagome corse avanti: Inuyasha le aveva raccomandato di tenersi sempre a lato, in modo da essere visibile anche durante il suo scontro con Bankotsu. In quel momento, il Principe di En stava scambiandosi colpi di inaudita violenza con lo scagnozzo di Naraku. Le loro forze sembravano pari, anche perché Inuyasha non poteva usare contro di lui i poteri di Tessaiga. A sinistra, Sango e Miroku stavano facendo miracoli, cercando di sfoltire le file nemiche.

Kagome si attenne alle direttive di Inuyasha, mentre incoccava un’altra freccia e la lasciava andare, facendo vittime. Non avrebbe però potuto tenerli a freno ancora a lungo.

«Kaze no kizu!»

Kagome perse il fiato per un istante a causa dello spostamento d’aria quando Inuyasha sferrò un colpo ad arco alla sua destra, facendo a pezzi un numero di avversari tale da forzarli a fermare un attimo la carica. Bankotsu ne approfittò per tentare un affondo, ma Inuyasha evitò la lama e si fece di lato, accusando però il colpo quando il guerriero gli sferrò un inaspettato pugno sulle costole, abbandonando per metà la presa sull’elsa. Il pugno di un essere umano normale non gli avrebbe fatto nemmeno il solletico, ma Bankotsu possedeva la Violenza e la sensazione fu quella di un colpo di maglio. Inuyasha fece un balzo all’indietro, piegato e per un istante senza fiato.

«Non hai troppo tempo per badare agli altri, cagnetto.» lo schernì Bankotsu.

«Avrò tempo di fare tutto ciò che serve, fidati.» ansimò Inuyasha, con un sogghigno. Bankotsu rimase per un attimo interdetto: aveva l’impressione che qualcosa gli sfuggisse nell’espressione e nelle parole del Principe di En. Poi, Inuyasha tornò a farsi sotto, cancellando i suoi ragionamenti e fomentando di nuovo l’esaltazione che lo prendeva nella battaglia. Doveva assolutamente allontanarlo dal ragazzino inerme. Una volta che Kagome e Miroku si fossero piazzati a sua protezione, avrebbero potuto smettere di preoccuparsi anche di Sango. Naraku e Bankotsu erano convinti di poter fare leva sui loro punti deboli, ma Inuyasha non era più la testa calda precedente il suo incontro con Kikyo, non esattamente…e, tra qualche istante, i suoi nemici ne avrebbero avuto la prova.

***

Dal momento in cui lasciarono la montagna della Grotta degli Echi e si diressero verso il Palazzo, il silenzio tornò a regnare tra Sesshomaru e Anna. Un silenzio strano, indice di una nuova convergenza di pensiero e di intenti ma anche pregno di una tensione non più dovuta alla voglia di saltarsi al collo a vicenda. Ognuno sembrava concentrato, con lo sguardo rivolto dentro se stesso. Non potevano negare il nuovo legame tra loro, ma nessuno dei due voleva conoscerne le future implicazioni. Si arrovellavano in silenzio, si guardavano il meno possibile, soffocavano entrambi le emozioni più o meno definite che un movimento o un tratto dell’altro suscitavano.

Lei si accorgeva di pensare sempre meno al ritorno a casa. Lui, una sera, si era trovato ad andare quasi in trance ascoltandola cantare a mezza voce quella melodia che aveva sentito nella grotta. Ne era uscito con uno sforzo di volontà, maledicendosi per aver pensato che la sua voce fosse magica, per averle guardato le labbra mentre cantava.

Tra i due, Anna era quella più consapevole della natura di quell’attrazione che si stava radicando tra loro, dell’elettricità nell’aria. Non che avesse compreso di non essere la sola a provarla, Sesshomaru era troppo bravo a nascondersi dietro il proprio muro di gelo, ma contrariamente a lui sapeva anche che se il cuore si stava facendo coinvolgere tanto quanto i sensi era perché la Grotta aveva accelerato le tappe per loro, creando una comunione che altrimenti avrebbe impiegato mesi, forse anni, a emergere, tenuto conto che in entrambi non albergava un solo grammo di frivolezza. Per Sesshomaru, invece, si trattava di uno scomodo impulso a toccarla e a stringerla che gli manteneva i nervi a fior di pelle, in quanto non era mai capitato che il suo autocontrollo fosse tanto al limite. Le emozioni, almeno per quanto lo concerneva, non erano coinvolte al di fuori del desiderio. Sarebbe rimasto, in realtà, sorpreso di poterne provare. Non associava la brama a quella confidenza che altri avrebbero già chiamato amicizia.

Nel frattempo, Kagura li seguiva a una certa distanza, senza nemmeno curarsi di nascondersi. Doveva avere in mente di combinare qualcosa, ma per il momento non agiva e Sesshomaru aveva deciso di ignorarla, ordinando ad Anna di fare altrettanto. Per la maggior parte del tempo, cercava di pensare a Tenseiga. Era la sua preoccupazione costante, perché il suo mancato utilizzo era l’unica cosa che ancora lo separasse dall’unione della Stella di En e dalla conseguente distruzione di Naraku.

Quel pomeriggio, durante una breve sosta, sguainò la lama e la tenne davanti al viso, scrutandola come se volesse leggere il suo segreto nei riflessi che il sole strappava al metallo. Anna, seduta sulle radici di un albero, lo guardava.

«L’Hoshisaki della tua spada è la Misericordia, giusto? – chiese, e al suo cenno di assenso aggiunse – Una scelta bizzarra.»

«Chiunque sarebbe d’accordo con te. – disse Sesshomaru, lasciando trasparire l’amarezza – Una spada che non uccide. Un’arma inutile.»

«Da quanto mi hanno raccontato di tuo padre, non posso credere che non vi fosse una logica nella sua scelta al momento di far creare le vostre eredità.»

«Ci ha designati eredi della caratteristica che, secondo il suo giudizio, ci avrebbe resi completi.»

«Non ha lasciato appunti? Un scritto di spiegazioni?» chiese, e al suo cenno di diniego aggiunse «E Totosai non ha saputo darti altre informazioni? Nemmeno Kiokuchi-sama?»

Il silenzio che le rispose fu sufficiente. Anna corrugò la fronte, perplessa. Il padre di Sesshomaru e Inuyasha aveva gestito la propria eredità con grande intelligenza, privandosi deliberatamente delle Hoshisaki per lasciarle ai figli e incastonandole in oggetti di potere utili. Non poteva aver senso che avesse fatto tanto, coinvolgendo il lavoro di altri, scommettendo alla cieca sulla compatibilità dei due figli con le Punte di Stella. Cosa impediva a Sesshomaru di attingere ai poteri della propria spada?

«Eppure non è crudele...» borbottò e all'occhiata corrucciata di Sesshomaru scosse il capo. «Stavo solo pensando che la Misericordia sembra richiamare un potere benefico. D'altra parte, Tenseiga è una spada, perciò deve avere anche un'applicazione d'attacco.»

«Tutte le Hoshisaki hanno una doppia valenza. La tua toglie e dà energia vitale, come hai già avuto modo di sperimentare. - disse Sesshomaru, seguendo la sua linea di ragionamento con un certo interesse – Sì, è probabile che Tenseiga nasconda un doppio potere. Tessaiga è una spada da battaglia ma può essere utilizzata anche per fare da scudo ai poteri della Stella di Gake.»

«Può accadere che le Hoshisaki si attivino autonomamente? Forse ti manca la fiducia necessaria in Tenseiga per vedere dei risultati…Lo dico perché fin da quando sono arrivata mi è stato ricordato che la disarmonia con le Hoshisaki crea danni e ne distorce il potere.» si affrettò a finire Anna, vedendo che il cipiglio di Sesshomaru aumentava.

«Non c’è fiducia tra me e Tenseiga. – ammise suo malgrado, gelido – La spada è viva, mi ha più volte avvisato della comparsa di altri frammenti della Stella di En o delle disgrazie a essa legate, ma non si è mai attivata nella mia mano.» Si stupì nel rendersi conto di non avere problemi nell’ammetterlo di fronte a lei. Forse perché non era un suo suddito, forse per la limpida connessione che adesso esisteva fra loro…Era una libertà che Sesshomaru non aveva mai sperimentato né si era concesso.

«I monaci di Ojohi mi hanno spiegato che quando avrai dalla tua tutti i frammenti, potrai riunire la Stella di En e usarla contro quella di Gake, per poi purificare entrambe.»

«Finché Tenseiga resta un mistero insondabile, quel giorno è lontano. Ora occorre tornare al castello e fare in modo che la Stella di En resti lontana dalle grinfie di Naraku. Bisognerà riorganizzare le armate, il tradimento della Grande Famiglia ha scompaginato le linee.»

Lei annuì, poi si alzò e gli andò accanto, gli occhi fissi sulla lama di Tenseiga. Sembrava che l’enigma la stimolasse. Gli piaceva vedere i pensieri scintillarle nello sguardo come lampi, segno di una mente in fervida attività.

«Privarsi delle Hoshisaki mentre si è in vita non è pericoloso? Totosai è stato chiaro nei miei riguardi…» chiese. Sesshomaru si incupì.

«Dipende. L’Hoshisaki sceglie un portatore e a seconda del livello di sintonia possono crearsi problemi anche seri in chi se ne priva. Un essere umano ne muore. Uno yokai, nei rari casi in cui questo è successo in passato, perde ogni potere e diventa più vulnerabile. Tu sei un essere ibrido, forse per questo rischi la follia.»

«Quindi tuo padre si è privato della propria forza per creare le spade?! Per questo è morto in battaglia?!» chiese Anna, scioccata, cercando di ricordare se nelle immagini del passato di Sesshomaru questo passaggio le fosse stato o meno rivelato. Vide i suoi occhi d’ambra spalancarsi più del solito, mentre la guardavano come per una folgorazione, poi stringersi in due fessure.

«No…la sua forza era intonsa.» mormorò, rendendosi conto per la prima volta di quella incongruenza. Nell’ultima occasione in cui aveva visto suo padre, Inuken si era già privato delle sue Hoshisaki ma la potenza che emanava non era mutata. Com’era possibile?! L’arte di Totosai poteva aver legato le Punte di Stella alle spade, ma non era certo in grado di mantenere inalterata o quasi la forza di Inuken. Qual era stato il segreto di suo padre? Quale potere aveva usato per compiere quella sorta di miracolo?

“Nostro padre voleva aiutarci, non crearci difficoltà. Dunque, cosa mi è sfuggito? A cosa non ho pensato, cos’ho ignorato?”

Forse, se avesse riportato alla memoria con calma i viaggi di suo padre precedenti a quella infausta battaglia contro il moko-yokai di Gake…Dovette trattenere un movimento brusco quando la mano affusolata di Anna sfiorò l’elsa di Tenseiga.

«Posso?» chiese lei, titubante. Sesshomaru fece per negare, poi qualcosa dentro di lui gli consigliò di concederle quell’onore che non era mai stato dato ad anima viva. Le consegnò la spada. Lei la prese come se maneggiasse una reliquia, con rispetto e cautela. La tenne di fronte a sé, fissandone la lama quasi con stupore, entrambe le mani chiuse sull’elsa. Le donava avere un’arma in mano, la completava. In un angolo della mente, Sesshomaru si disse che in futuro, alla bisogna, avrebbe ordinato a Totosai di forgiare qualcosa per lei.

«Awaremi. - mormorò la donna bionda tra le labbra, lo sguardo ora vacuo come se vedesse al di là della forma della spada – Avverto la grandezza del desiderio che l’ha separata dal precedente proprietario per consegnarla a te. Awaremi, però, non ha ancora la certezza di aver trovato rifugio nel tuo spirito.»

«Te lo dice Junan?» chiese Sesshomaru, amaro, e lei annuì senza accorgersi del suo stato d’animo. Le sue iridi cambiarono, volgendo all'oro e segnalando che il potere si era attivato dentro di lei, mettendola in comunione con l'Hoshisaki. Un grande desiderio…cosa significava? Inuken non aveva fatto altro che desiderare di separarsi da Awaremi e Tsuyosa? Era stato tanto semplice?

«Vorrei poter arrivare alla fonte di questo desiderio per aiutarti…» disse Anna, non sapendo come andare più a fondo. Sesshomaru trattenne per un istante il fiato, mentre qualcosa che prometteva di essere un’illuminazione gli si affacciava alla mente, portata a galla dalle parole di lei. Un'immagine vaga, un indizio, la sensazione di dover ricordare qualcosa. Subito dopo, un'emozione orribile gli attanagliò il cuore e il cervello, cancellando tutto il resto e pervertendo ciò che vedeva. Gli parve che Anna impallidisse, che l’energia abbandonasse il suo corpo come sangue da una ferita, come se fossero i suoi ultimi momenti. Tenseiga splendeva tanto da ferirgli gli occhi mentre tutto attorno si faceva buio. Lei era lì, in piedi davanti a lui, ma ora sarebbe caduta…l’avrebbe vista stesa a terra come una bambola gettata via, un’altra preda della Morte…

“Salvala! Salva la sua vita! Non lasciar morire anche lei!”

L’ordine era imperioso, drammatico, urgente. Non sapeva se quella fosse la voce di Awaremi o dei suoi rimorsi per Rin, se fosse un’allucinazione oppure una visione del futuro. In un istante, si trovò ad afferrare le mani che tenevano l’elsa di Tenseiga e a tirare Anna a sé, piegandole la nuca per alzarle il viso e cercare la vita nei suoi occhi. Il buio si dissolse insieme all’orribile visione e gli rimase la sensazione bruciante di quel corpo contro il suo, mentre il volto di Anna andava a fuoco, oltre la lama di Tenseiga fra loro.

«Sesshomaru…cosa…» balbettò, basita, vedendo che i suoi occhi erano addirittura diventati rossi. Lui indugiò un istante, scrutandole dentro quasi con furia, poi si rese conto che tutto era a posto e che si stava rendendo ridicolo, oltre ad aver creato una situazione pericolosa. La lasciò andare come se toccarla lo scottasse, riprendendosi Tenseiga, poi le voltò le spalle e rinfoderò la spada.

Stava sperando che lei evitasse di fargli domande, quando Anna gli afferrò un braccio, cercando la sua attenzione con urgenza. Sesshomaru si preparò a ripristinare le distanze con poche parole dure, ma Anna non intendeva chiedergli spiegazioni per il suo assurdo comportamento. Gli stava indicando il cielo con aria allarmata e, prima ancora di guardare, Sesshomaru poté udire la risata sarcastica di Kagura e una vocina che chiedeva aiuto.

«Quello è il piccolo Shippo!» esclamò Anna, sbalordita nel vedere la sfera rosa in cui il kitsune poteva trasformarsi, disperatamente impegnato a non farsi affettare dalle lame di vento di Kagura, che lo inseguiva sulla sua piuma e pareva giocare con la sua vita.

«Il kitsune a seguito del monaco? – mormorò Sesshomaru, incupendosi, poi si accorse che Anna stava per correre in avanti, con espressione aggressiva e un’aura violacea che iniziava a vorticarle intorno, solleticandogli la pelle con un campo d’energia che andava espandendosi, e la fermò tirandole una ciocca di capelli dorati – Penso io a Kagura. Tu recupera il nanerottolo.»

Si alzò in volo senza darle il tempo di replicare. Era ora di capire quali fossero le mire della yokai del vento. Il fatto che quel kitsune fosse venuto a cercarli non gli faceva supporre niente di buono.

***

«Eccoli!» disse Sango, sollevata, quando i monaci e le sacerdotesse uscirono dal folto insieme a una truppa di arcieri di En.

«Bene, la battaglia diventa più gestibile. - sospirò Miroku, lanciando gli ultimi esorcismi e colpendo le fronti di due esseri volanti – Riesci a lasciarmi a terra? Inuyasha ha bisogno di copertura anche da questo lato e devo vedere di trovare un varco.»

«Recupero Hiraikotsu e ci sono.» disse lei, decisa. Appena il boomerang d’osso tornò indietro e lo riebbe in mano, fece scendere Kirara e il monaco saltò giù al volo, senza farle perdere tempo con un atterraggio.

«Vado a recuperare tuo fratello. Tieni lontane le mosche!» le disse, correndo incontro ai nemici che stavano fra loro e l’ostaggio di Bankotsu.

«Non aprire il Foro del Vento, promettimelo!» gli gridò dietro lei. Miroku alzò una mano senza voltarsi e la Cacciatrice dovette accontentarsi di quel gesto senza parole. Si risollevò in volo. Il suo compito era coprire le spalle a Miroku e aveva intenzione di farlo al massimo delle sue possibilità. Non doveva dimenticare che anche lei era un obiettivo sensibile. Poteva quasi sentire le Hoshisaki di Gake pulsare contro il suo corpo, pur nella scatola che le conteneva.

Kagome, nel frattempo, si era avvicinata sempre di più al pozzo in legno da cui era uscita ormai settimane prima. Il suo piano, sempre che Bankotsu e Inuyasha non la travolgessero nel loro scontro furibondo, era addossarsi a una parete dell’Hokora e da lì accertarsi che Miroku riuscisse a raggiungere Kohaku. Il monaco stava già combattendo con fin troppi nemici. Non le erano rimaste molte frecce e Inuyasha l’aveva già salvata da un paio di assalti in massa. Doveva togliersi dalla vista, possibilmente, e dare una mano agli altri.

Corse, già senza fiato, voltandosi un attimo quando udì un’esclamazione di dolore, temendo fosse Inuyasha. Si trattava, invece, di Bankotsu: brutti graffi ad arco gli segnavano il petto, poco sotto la gola.

«Feh! Ci sono andato vicino...anche tu l'hai nascosta nel collo, vero?» chiese Inuyasha, gli artigli sporchi di sangue.

«Credilo pure, se ti fa piacere.» replicò lui, preparando la sua lancia e scagliandoglisi contro. Kagome si sentì fiera di Inuyasha. Aveva subito accettato senza storie l’idea di avvertire le truppe di En più vicine perché accorressero a dare una mano, senza ostinarsi per un duello che prometteva di essere impari. Aveva pensato di più alla loro incolumità, rinunciando a una visione egoistica della battaglia. Da quanto aveva potuto vedere e conoscere dei fratelli inu-yokai, per Inuyasha doveva essere stato un grosso sacrificio.

“Ha un cuore gentile e coraggioso.” pensò, sentendo montare in modo irrefrenabile il sentimento che provava nei suoi confronti e che aveva molta paura di chiamare amore. Si riscosse, poi incoccò un'altra freccia e alzò lo sguardo, decidendo quale traiettoria darle per fare un po' di piazza pulita e coprire gli ultimi metri che la separavano dal pozzo.

Quando riabbassò lo sguardo, impiegò un attimo per capire ciò che stava vedendo. Sul bordo del pozzo era seduta una bambina completamente bianca, che guardava a terra con sguardo assente, uno specchio tra le mani. Gli occhi perplessi di Kagome incontrarono il proprio riflesso in quella superficie, rivolta verso di lei. Non fece in tempo a trovare un senso a quella presenza, la quale non emanava alcun intento minaccioso, che le sembrò le venissero strappate le energie. Barcollò, poi cadde sulle ginocchia, gli occhi fissi nello specchio che la bambina si premurò di inclinare in modo da non farle perdere il contatto col proprio riflesso. Tutta la forza di Kagome stava scivolando via, creando un'aura rosata attorno alla cornice e alle mani della bambina. Kagome dovette appoggiare a terra anche i palmi, cercando senza successo di gridare il nome di Inuyasha mentre la vista le si appannava. La bambina bianca scese dal pozzo e le andò incontro fino ad accucciarsi davanti a lei, sempre tenendo lo specchio tra loro.

«Dammi la tua Hoshisaki.» mormorò con una voce atona e remota.

«N...non...» si spremette Kagome, cercando con tutte le sue forze di distogliere lo sguardo dal proprio riflesso per liberarsi da quell'incantesimo. Sentì Inuyasha gridare il suo nome. Poi, la catenina attorno al collo di Kagome si strappò e Shinsetsu fu risucchiata nello specchio, la cui superficie si mosse in onde liquide.

Kagome crollò a terra come se le avessero tagliato i fili e restò sul terreno a faccia in giù, immobile, accanto al pozzo che poche settimane prima l'aveva condotta a En.

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Capitolo 31
*** 30 - Nel caos della battaglia ***


 

CAPITOLO 30

NEL CAOS DELLA BATTAGLIA

 

A Inuyasha servì un attimo per riuscire a credere a ciò che stava vedendo. Un istante prima, si era sincerato con una velocissima occhiata che la via di Kagome fosse sgombra fino al pozzo e l’aveva vista correre, prendendo la mira con sicurezza, quasi giunta alla postazione che si era prefissata. Poi era tornato a scambiare colpi con Bankotsu, che era maledettamente resistente e tenace come uno yokai. Quando aveva avvertito un gelo particolare nelle membra, subito la sua attenzione era tornata su Kagome.

Aveva visto la piccola yokai bianca accucciata davanti alla ragazza già a terra. Aveva avvertito con tutto il suo corpo il momento in cui Shinsetsu le era stata strappata dal collo per sparire dentro quella diavoleria a forma di specchio. Sentiva ancora la presenza dell’Hoshisaki, ma slegata da tutto, spenta, remota. Gli esseri umani privati con violenza della loro Hoshisaki non sopravvivevano al trauma mentale e fisico. Kagome era crollata al suolo, per quanto ne sapeva senza vita.

«Kagome!» gridò con quanto fiato aveva nei polmoni, inorridito.

«Non hai tempo per distrarti, Inuyasha!» sogghignò Bankotsu, facendo calare l'alabarda su di lui come una mannaia. Inuyasha la scostò con un colpo di piatto di Tessaiga talmente violento che Bankotsu si trovò a essere quasi scagliato di lato insieme all'arma.

«Levati, bastardo!» ringhiò il Principe di En, scattando verso la ragazza per lasciare indietro il proprio duello. Era sconvolto e dentro di lui le priorità avevano subito un rimescolamento. Sincerarsi dello stato di salute di Kagome era più importante delle Hoshisaki di Gake, del fratellino di Sango...persino di Shinsetsu, ingoiata da quello specchio.

Miroku, che era finalmente riuscito a correre nei pressi del corpo inerte del ragazzo, arrivandoci quasi in scivolata e perdendo sangue da una guancia, aveva a sua volta sentito il cuore perdere un battito nel vedere Kagome a terra e non aveva saputo se stupirsi nel realizzare che Inuyasha stava abbandonando il suo duello mortale per correre da lei. Una parte del monaco, quella meno pratica e razionale, era quasi commossa da quel gesto, che palesava senza ombra di dubbio quanto la giovane fosse diventata importante per il Principe di En. L'altra parte di Miroku, addestrata alla guerra, si era subito resa conto che ogni momento di quel tranello doveva essere stato accuratamente pianificato per metterli in pericolo, uno per volta o tutti insieme. Kagome serviva a trarre in trappola Inuyasha, che avrebbe tratto in trappola lui, che a sua volta...

«Inuyasha, non abbassare la guardia!» gridò con quanto fiato aveva in gola, scagliando il proprio bastone contro Bankotsu, che stava preparando il colpo. La lama a cerchio gli si conficcò tra le spalle mentre Inuyasha si voltava in risposta all'allarme di Miroku. In questo modo, il contraccolpo e il dolore per la ferita alla schiena tolsero a Bankotsu parte della forza e l'arco mortifero di Banryu ferì profondamente il petto di Inuyasha senza metterne a rischio la vita, com'era stata intenzione del portatore di Hageshisa.

Al contempo, Miroku udì Sango incitare una parte delle truppe a intervenire più avanti, coprendo i movimenti del Principe Inuyasha. Non poté farle capire quanto la mossa fosse buona perché Bankotsu lo stava fissando con odio disumano. Il guerriero si strappò il bastone dal corpo senza badare al dolore e al sangue, con orrore del monaco.

«Impiccione, avresti fatto meglio a farti gli affari tuoi!» esclamò, lanciando l’arma non contro Miroku ma dritto verso il giovane inerte sulla barella.

«No!» gridarono in coro Inuyasha e Miroku, il primo aggredendo di nuovo Bankotsu con la disperazione di chi ha ben altro in testa e sa di stare perdendo tempo prezioso e il secondo lanciandosi a corpo morto su Kohaku per proteggerlo. Fu fortunato: Bankotsu era fortissimo ma non aveva dato la giusta rotazione all’arma cui non era abituato. Il bastone raggiunse Miroku alle costole con una botta che gli fece perdere il fiato e vedere le stelle, ma non venne ferito e Kohaku non fu nemmeno sfiorato. Guardò il giovane su cui stava disteso, cercando un segno di vita, ma gli occhi erano chiusi e se c’era respiro in quel petto doveva trattarsi di qualcosa di impercettibile. Ebbe paura che a Sango fosse riservato un nuovo dolore.

Miroku, respirando a denti stretti e trattenendo un gemito gutturale, alzò di nuovo lo sguardo sul duello e si rese conto che gli arcieri non potevano tirare contro Bankotsu perché rischiavano di colpire Inuyasha, il quale stava già sanguinando copiosamente dalla ferita al petto, che doveva essere profonda.

“Maledizione! Non ho tempo per giocare con questo bastardo, ma Hageshisa gli dà una potenza terribile.” pensò Inuyasha, arrischiandosi a dare un’occhiata dietro di sé. Inorridì nel vedere che la piccola yokai bianca si era alzata e ora stava correndo via a piccoli passi verso la foresta.

«No! Sta scappando con Shinsetsu! - gridò, cercando di spingere via Bankotsu, di levarselo di dosso – Miroku! Sango! Fermatela!»

Come richiamata dal suo grido, una torma di demoni si sganciò dai propri combattimenti per sciamare verso Kagome, con l’evidente intento di portarla via o divorarla, fornendo al contempo una copertura alla bambina dello specchio. L’armata di supporto scagliò le proprie frecce, ma fece poco danno. Inuyasha assestò a Bankotsu colpi devastanti, ma quel maledetto riusciva sempre a parare con Banryu. Miroku mise mano al rosario.

«Miroku, non farlo!» gridò Sango dall’alto, notando la mossa e lanciando Hiraikotsu contro gli yokai. Fece molti danni e frenò la loro avanzata precipitosa, ma non fu sufficiente.

«Devo farlo!» disse Miroku, alzandosi in piedi e iniziando a scoprire il foro sul palmo della sua mano. Anche Kagome sarebbe stata risucchiata, ma se avesse calcolato bene i tempi sarebbe riuscito ad afferrarla e a metterla in salvo accanto a Kohaku…

Inuyasha lanciò un rauco grido di rabbia e frustrazione e caricò Bankotsu con tutto il suo peso, usando Tessaiga come appoggio e attingendo il più possibile alle sue Hoshisaki. Le luci gialla e rossa dei frammenti di Stella si illuminarono come piccoli soli, accecando Bankotsu e costringendolo ad arretrare quanto bastava a fargli perdere l’equilibrio.

«Levati di mezzo, bastardo!» gridò Inuyasha, sferrandogli un pugno sul viso che gli allentò i denti e gli diede l’impressione che gli schizzassero gli occhi dalle orbite. L’hanyo approfittò del suo momentaneo stordimento per gettarsi addosso a Miroku e chiudere a forza il rosario sul suo polso, tanto da strappargli un grido di dolore.

«Tienilo chiuso, stupido! – sibilò Inuyasha, fulminandolo con lo sguardo – Sango! Ferma quella maledetta mocciosa, alla marmaglia penso io!»

La Cacciatrice, che aveva tirato un sospiro di sollievo con l’intervento del Principe di En, spronò Kirara a volare verso Kanna, mentre Inuyasha sferrava un fendente con Tessaiga e sgombrava quella zona del campo con un Kaze no Kizu. Sango fece atterrare Kirara proprio di fronte alla demone albina, costringendola a fermarsi.

«Lascia andare quello specchio.» le ingiunse, tenendo pronto Hiraikotsu e scendendo dalla groppa del neko-yokai. Kanna si fermò, ma nulla nella sua espressione indicò allarme. Sollevò solo lo sguardo a controllare la posizione di uno sciame di Saimyosho in attesa poco lontano. Sango se ne accorse e strinse le labbra.

«Ti assicuro che Hiraikotsu sarà più veloce di loro, se non farai come ti dico.» disse, aspra.

«Dammi le Hoshisaki che tieni nascoste e ti darò Shinsetsu.» mormorò la bambina, con voce atona, e Sango parò il boomerang d’osso di fronte a sé, pronta al lancio.

«Nessuno di noi è qui per fare scambi di sorta.» le disse, dura. Il suo cuore sanguinava per Kagome, ma se non aveva ceduto per Kohaku non l’avrebbe certo fatto adesso. Avvertiva dentro di sé la forza d’animo che le parole e la stretta di Miroku le avevano infuso.

«Peccato. Allora forse prenderò anche la tua anima.» fu la sola risposta della bambina, poi vi furono due grida, il primo di Miroku e il secondo di Inuyasha. Entrambi espressero dapprima allarme e poi dolore fisico. Sango si distrasse per guardare cosa stesse succedendo e subito Kanna ne approfittò per cercare di aggirarla a sinistra.

«No! Non te lo permetto!» esclamò Sango, tornando ad accentrare la sua attenzione sul proprio compito. Tirò Hiraikotsu e l’arma volò fino a tagliare la strada a Kanna, impiantandosi nel terreno con una pioggia di pietrisco e facendo caracollare la piccola yokai all’indietro. Sango le fu subito addosso e tagliò l’aria con un colpo della propria katana, minando ancora di più il suo equilibrio. Kanna cadde seduta all’indietro e il contraccolpo le fece perdere la presa sullo specchio, che scivolò a terra a faccia in su, senza danno. Sango udì il ronzio orribile degli Saimyosho che sciamavano su di lei e chiamò Kirara, tirando al contempo Hiraikotsu alle proprie spalle per non permettere alle creature di Naraku di intervenire.

In quel momento, lo specchio si illuminò di una luce rosa tanto intensa da accecare sia Sango che Kanna, non meno stupefatta della Cacciatrice. Quando tornarono a vedere qualcosa, Kagome era in ginocchio e teneva sotto tiro Bankotsu, la cui alabarda era sporca di sangue.

***

Anna fece qualche passo avanti, obbedendo al vano desiderio di seguire Sesshomaru mentre si dirigeva in volo verso Kagura, che stava facendo dietro-front. Si fermò, con una smorfia, rendendosi conto di essere puerile. Non aveva modo di aiutare l'Imperatore di En, non in uno scontro in aria. Doveva lasciare che affrontasse la Demone del Vento senza di lei.

“Devo stare attenta. Se lo sta affrontando da sola, dev'esserci qualcosa sotto.”

Conosceva il segreto di Kagura e questo la tranquillizzava almeno un po' sulle intenzioni di lei nei confronti di Sesshomaru. Allo stesso tempo, una forte inquietudine le mordeva lo stomaco. Si guardò attorno, affidandosi al massimo delle proprie capacità yokai, ma apparentemente non c'era alcuna minaccia in serbo per lei...solo tre demoni vespa che la osservavano da lontano, senza avvicinarsi. Sembrava che la trappola fosse tutta farina del sacco di Kagura, senza coinvolgimenti da parte di Naraku. Anna abbassò lo sguardo sul piccolo Shippo, che le si era aggrappato al petto, senza fiato.

«Cos'è accaduto?» gli chiese, decidendo di indagare almeno su quel fronte.

«Vi...vi stavo cercando. Sembrava tutto tranquillo, finché non mi sono visto alle costole Kagura. Stavolta pensavo proprio che mi avrebbe fatto fuori...» balbettò il piccolo kitsune, scosso da un brivido.

«Come mai ci stavi cercando, Shippo? È successo qualcosa a Kagome e agli altri?» lo incalzò, ben sapendo che la sua presenza non poteva che essere latrice di cattive notizie. Shippo le raccontò tutti i più recenti avvenimenti con poche parole, che sarebbero state meno confuse e spezzettate se il cuore non gli stesse ancora battendo a una velocità inconsulta.

«È una trappola.» mormorò alla fine Anna, impallidendo.

«Certo! Lo sanno bene, ma non possono lasciare che il fratello di Sango muoia, né che l'Hoshisaki della Violenza faccia strage al fronte. Jaken è quasi impazzito dalla rabbia e dalla preoccupazione, non sapeva più che pesci pigliare. - ammise Shippo – Ora dev'essere al castello, a fare del suo meglio per riorganizzare la difesa in assenza di Sesshomaru-sama. Miroku e gli altri potrebbero già essere al confine, visti i giorni trascorsi. Sono sicuro che non si siano gettati nella mischia a testa bassa, avranno un piano.»

«Ne sono certa, ma si tratta comunque di finire in una trappola. Con le Hoshisaki di Gake in mano, per di più...Sesshomaru andrà su tutte le furie. Spero che Kagome non corra troppi rischi.» disse Anna, mordicchiandosi il labbro. Shippo la conosceva poco, ma riconobbe il veloce passaggio di pensieri nei suoi occhi per averlo visto tante volte in quelli di Miroku: la giovane donna stava analizzando tutti i dettagli della situazione per trovare risposte utili e un piano d'azione da proporre a Sesshomaru. Invece di lasciarsi andare a una reazione emotiva, stava reagendo da combattente. Il piccolo kitsune provò ammirazione per lei e si chiese cosa fosse accaduto in quei giorni per trasformarla in una vera guerriera di En. Tra l'altro, lo stava sorprendendo per l'abbandono di ogni onorificenza nel nominare l'Imperatore.

«I tuoi problemi con Sesshomaru sono risolti?» osò chiedere, timidamente.

«Abbiamo un accordo. – disse lei, distratta, poi gli sorrise con dolcezza quando lo vide preoccupato – Il consiglio di Kiokuchi-sama ha fatto cadere le barriere tra noi, piccolo Shippo. Sesshomaru ora sta riflettendo su Tenseiga. Anzi, stavamo parlando di quello quando tu...»

I suoi occhi si appuntarono sulla spalla sinistra di Shippo con uno sguardo così tagliente e sospettoso che il kitsune si torse per guardarsi, temendo di vedersi appollaiato addosso uno Saimyosho di Naraku o qualcosa di simile. Si trattava, invece, di una grande piuma bianca la cui punta affilata aveva attraversato il tessuto del suo vestito, rimanendovi attaccata.

«Kagura ha lasciato un ricordino?» mormorò Anna, allungando una mano per estrarla.

«Pensavo mi avesse lanciato addosso solo le sue lame di vento...niente di tanto grazioso come una piuma!» borbottò Shippo, con un sospiro di sollievo. Anna, però, non lo stava più ascoltando. La piuma che aveva in mano sembrava vibrare tra le sue dita, come se animata da un'effimera vita o da una folata invisibile di vento. La sua Hoshisaki si illuminò lievemente di viola, avvertendo qualcosa di magico in quel piccolo e apparentemente innocuo residuo dei poteri di Kagura. Poi, la piuma sfuggì alle sue mani e le sfiorò il volto e le orecchie, volandole attorno e trasmettendole il suo messaggio.

“Il tuo desiderio sarà la sua rovina. Se lotterai per tornare umana, gli sottrarrai la risorsa che potrebbe significare la sua vittoria. Sei pronta al tradimento, ragazza? Perché questa sarà la scelta: sacrificarsi o tradire. Puoi anche non credermi, ma queste parole sono uscite dalla bocca di quella vostra Dea. Chiedi al kitsune, se vuoi. Tieni a lui quanto me? Ti metterai in gioco più di quanto sto facendo io? Vedremo di che pasta sei fatta, ragazzina, perché non te lo lascerò tanto facilmente.”

«Anna...Anna cosa c'è? - chiese Shippo, improvvisamente preoccupato, vedendola impallidire e portarsi le mani alla bocca mentre la piuma volava via, sparendo nel vento – Cos'era quella piuma? A cosa stai pensando?»

Lei, però, non rispose. La sua mente ripeteva incessantemente le parole di Kagura, la sua sfida. Era verità o una mistificazione? Kagura voleva solo allontanarla da Sesshomaru oppure, coperta dalla propria magia, cui forse nemmeno Naraku poteva accedere, si era davvero messa in gioco per fare in modo che Sesshomaru avesse una possibilità di vittoria? Ricordando l'intensità gelosa e disperata del sentimento che aveva visto nei profondi meandri dell'animo della Demone del Vento, Anna riteneva di non avere nemmeno bisogno di chiedere conferma a Shippo: Kagura era stata sincera e lei sarebbe stata costretta a fare una terribile scelta.

In quello stesso momento, la yokai si stava tuffando tra gli alberi, esaltata e spaventata dal sentirsi Sesshomaru alle calcagna. Era ciò che voleva, ma non lo sfidava da tanto tempo né le era stato più concesso di parlargli a quattr'occhi e nemmeno Mukanshin poteva nasconderle il tumulto che provava. Ormai era fatta, aveva preso la sua decisione e doveva andare fino in fondo. Naraku non poteva sapere del messaggio lasciato alla bionda e, se avesse gestito bene quell'incontro con Sesshomaru, non avrebbe sospettato un tradimento.

Si fermò tra i rami di un albero, facendo sparire la propria piuma, e si voltò. Pochi istanti dopo, Sesshomaru si fermava a sua volta su un albero a breve distanza da lei. Da quanto tempo non lo sfidava così, a viso aperto? Sembravano passati secoli.

«Non credevo ti avrei mai vista commettere la follia di sfidarmi apertamente, Kagura.» disse l’Imperatore di En, gelido.

«Quante storie per un semplice kitsune…Oh, forse ti riferisci al fatto che stava cercando di portarti notizie del fratello minore? Si è messo nei guai, lo scoprirai presto. – replicò lei, facendo spallucce – Faccio solo il mio lavoro e tu sei poco saggio a lasciare indietro la tua protetta per inseguire me.»

«Se le accadrà qualcosa, lo sentirò.» fu la brusca risposta di Sesshomaru e Kagura fece un sorriso simile a una smorfia.

«Il legame, già…peccato non ti abbia impedito di perdere tutto comunque, in passato.» disse, sarcastica. Il lampo rosso che passò negli occhi di Sesshomaru mentre alzava minacciosamente le unghie le spedì un brivido lungo la schiena. «Frena, grand’uomo. Se sapessi quali sono i veri piani di quella ragazza, non ti scalderesti tanto per difenderla.»

«Le bugie di Naraku non mi interessano. Vattene o fatti ammazzare, Kagura. Per me è lo stesso.»

«Non ne dubito. – fu l’amara risposta di Kagura – Ma questa è un’informazione gratuita, Sesshomaru. Naraku non c’entra…anzi, sarebbe capace di strapparmi l’Hoshisaki dal petto se sapesse ciò che sto per dirti.»

Ecco, si era buttata. Sesshomaru parve non poco tentato di porre bruscamente fine alla loro conversazione, ma alla fine rimase in attesa, in silenzio, facendole tirare un interno sospiro di sollievo.

«Sai che la ragazza vuole tornare umana e lasciare En?» lo provocò.

«Un desiderio dettato dalla confusione e dalla solitudine. Ha giurato di servire En ed è sincera, al contrario della voce del Vento.»

La calma sicurezza di Sesshomaru la indispettì più del necessario.

«Beh, secondo la dea Kiokuchi il rischio che ti rubi del potere per ottenere ciò che vuole c’è, eccome. – sussurrò, melliflua e velenosa – Guardati le spalle, Sesshomaru. Se tu o En possedete un potere che sappia esaudire il suo desiderio, lei te lo ruberà. Questo causerà la tua rovina. Chiedi al kitsune se sto mentendo: lui era là quando Kiokuchi ha divinato il vostro futuro.»

Sesshomaru, che aveva schiuso le labbra per zittirla, si era immobilizzato. Il fatto che avesse tirato in ballo la dea Kiokuchi facendo presente che bastava chiedere al kitsune per avere conferma lo aveva frenato. Inoltre, l’argomento doveva essere sensibile: negli occhi d’ambra gli si era accesa una luce pericolosa che Kagura non faticò a interpretare. Sesshomaru conosceva il potere che serviva alla yokai bionda, aveva dei piani su di esso e non se ne sarebbe privato. Kagura sogghignò.

«Sai di cosa sto parlando, vero? Te lo leggo negli occhi. È un potere a cui stavi pensando di attingere. - ridacchiò, poi sollevò una piuma tra due dita - Beh, spero di averti fatto un piacere.» «Ogni parola di Gake è veleno. Tradire Naraku ti costerebbe la vita e non lo faresti mai senza un guadagno che superi il pericolo. Nemmeno tu sai esattamente a cosa ti stai riferendo e io non sarò tanto sciocco da rivelartelo.» sillabò lui, ma non fece cenno di volerla fermare quando fece comparire la sua enorme piuma e iniziò ad allontanarsi in volo.

«Pensala come vuoi, Sesshomaru, ma potrebbe anche essere un mio sincero consiglio! – disse Kagura, avvertendo una remota sofferenza nel dover mescolare quella verità alla bugia – Oppure è un’altra trappola di Naraku? A te scoprirlo! Guardati le spalle!»

Si allontanò in volo senza guardarsi indietro, desiderando che lui la inseguisse, la costringesse a parlare ancora, ma sapendo che non sarebbe accaduto. Chiamò con un gesto i Saimyosho, i quali, come ovvio, avevano spiato tutta la conversazione.

«Dite a Naraku che ho piantato in lui il seme del dubbio. Non gli sarà difficile metterli l’uno contro l’altro.» fece rapporto, ben conscia che erano le sue le spalle più in pericolo. Credeva di aver gestito la cosa abbastanza bene, in modo da non fomentare oltre i dubbi di Naraku. Così, senza troppo rischio, c’era speranza di raggiungere i suoi obiettivi: dare a Sesshomaru una possibilità di vittoria e allontanarlo dalla yokai bionda. Un giorno lei sarebbe stata libera e per allora voleva che il posto accanto all’Imperatore di En fosse ancora vacante.

***

Galleggiava in un limbo tra la vita e la morte. Era slegata dal proprio corpo ma vi restava in qualche modo connessa. Vedeva tutto. Sentiva tutto.

Vide la reazione rabbiosa e disperata di Inuyasha. Vide il tentativo di sacrificio di Miroku. Vide Sango precipitarsi a fermare la yokai bianca. Vide Bankotsu avventarsi su Inuyasha e Miroku attingendo in pieno ai poteri dell’Hoshisaki della Violenza.

“Finirà come l’ultima volta?” si chiese nella mente e la sua voce ebbe più sfumature, perché in quel momento coesistevano in lei tutte le sue esistenze. Compresa Kikyo, che tornava ad essere per un momento parte di lei insieme ai sentimenti per Inuyasha e al suo dolore per come erano stati ingannati.

“Non voglio che accada loro qualcosa. Non voglio che Naraku vinca.” pensò, odiando come non mai lo spietato hanyo di Gake. Inuyasha stava di nuovo rischiando la vita, avvertiva le sue ferite come se fossero state aperte nella sua stessa carne. Erano legati, due anime fatte per unirsi. Non sarebbero stati separati di nuovo. Cercò Shinsetsu al di là del piano fisico, utilizzando tutta la sua grande forza spirituale per rientrare in contatto con l’Hoshisaki che non solo l’aveva scelta, ma era stata in grado di seguirla da una vita all’altra. “Dammi la forza! Io e te siamo ormai una cosa sola. Aiutami ad annullare questa separazione e a sconfiggere il Portatore di Hageshisa!”

La connessione tra lei e Shinsetsu si riallacciò con tale forza da consentirle, per un istante, di sentire in sé la potenza in nuce dell'intera Stella di En. Fu come se tenesse stretti al cuore Inuyasha, Anna, perfino Sesshomaru...Avvertì lo stato d'animo di ognuno di loro, i loro tormenti, i loro sentimenti. Li ebbe in sé, e questo la riempì di una forza sovrannaturale.

La sua anima ripiombò nel corpo mentre la luce rosa di Shinsetsu si propagava dallo specchio caduto di Kanna. Si ritrovò in ginocchio, con l’arco teso e la freccia incoccata da braccia che non presentavano un tremore, un’incertezza, nonostante nel suo corpo la vita fosse ancora incompleta. Coloro che la guardavano la videro circonfusa della stessa luce rosa dell’Hoshisaki, quasi che lei stessa fosse un frammento della Stella di En in forma corporea. Anche Bankotsu, che aveva gravemente ferito sia Miroku che Inuyasha, si fermò, scosso da un brivido superstizioso e al contempo da un poco gradito risveglio di quella parte che sapeva rimpiangere, soffrire, desiderare qualcosa che non fosse la forza bruta. L’aura di Shinsetsu cercava di purificare anche la sua anima.

Fu questione di pochi secondi, poi la freccia di Kagome partì, un astro micidiale. Il movimento della Banryu iniziò troppo tardi. La punta luminosa si conficcò nella gola di Bankotsu, nel punto più morbido dell’incavo tra le clavicole. La gola del guerriero esplose, facendogli emettere un suono gutturale e orribile, mentre barcollava all’indietro sotto gli occhi sbalorditi di Inuyasha e Miroku. Nel foro macabro, si vedeva la luce malata di Hageshisa. Il Principe di En, dimentico delle ferite, scattò in avanti con gli artigli tesi verso la gola nemica.

Nello stesso istante, lo specchio di Kanna si incrinò da parte a parte. La bambina bianca lanciò una piccola esclamazione di dolore, afferrandosi il petto, poi si gettò sullo specchio e lo coprì col proprio corpo, come a voler contenere quella luce. Fu una pessima scelta: sotto gli occhi attoniti di Sango, il corpicino bianco si ricoprì di crepe, come se fosse a sua volta fatto di vetro, poi la luce rosa esplose sotto di lei, scagliandola lontano dallo specchio e dirigendosi in un fascio accecante su Kagome. Kanna cadde più in là come una bambola di stracci, gli occhi fissi al cielo. Il suo specchio si spense e divenne nero.

Inuyasha, nello stesso istante, non si lasciò scappare l'occasione che Kagome gli aveva offerto. Si avventò su Bankotsu, che lo vide con la coda dell'occhio e alzò Banryu per calarla sulla testa del Principe di En. Le dita di Inuyasha si chiusero sul frammento di Hageshisa e lo strapparono dalla gola di Bankotsu mentre la lama gli si conficcava nella spalla. Il colpo che avrebbe potuto staccargli il braccio dal corpo gli procurò una ferita profonda ma non letale, perché una volta perso contatto con l'Hoshisaki tutta la Forza era defluita da Bankotsu come acqua da un bicchiere versato. I loro sguardi si incrociarono un'ultima volta e in quelli del guerriero di Naraku vi era un rimpianto misto a sollievo. Poi, Bankotsu e la sua arma divennero polvere e Inuyasha si affrettò a gettare Hageshisa ai piedi di un incredulo Miroku prima che potesse far presa sulla sua anima.

«Falle la guardia!» ansimò, ignorando il proprio braccio zuppo di sangue e correndo da Kagome, che si teneva in equilibrio su mani e ginocchia, la testa china. Quasi scivolò in ginocchio accanto a lei, prendendole il viso tra le mani con inaspettata gentilezza e sollevandolo. Gli occhi di Kagome erano limpidi, sereni e stanchi, pieni di un sentimento che lo avvolse di un calore indescrivibile. Al suo collo, intonsa, brillava Shinsetsu.

«Va tutto bene, Inuyasha. - gli disse, con un sorriso – Stavolta non lascerò il tuo fianco tanto facilmente.»

Inuyasha l'abbracciò e la tenne stretta, incapace di dire una parola, mentre attorno a loro gli ultimi scontri si quietavano e Sango correva verso di loro.

I Saimyosho recuperarono il corpo di Kanna e il suo specchio, volando via attraverso le frecce tirate dai soldati, e scomparirono nella boscaglia. Solo Naraku poteva ribaltare quella disfatta e i suoi servi alati sapevano che il momento era quasi giunto.

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Capitolo 32
*** 31 - Le cose precipitano ***


 

CAPITOLO 31

LE COSE PRECIPITANO

 

Quando Sesshomaru tornò, trovò il kitsune solo, seduto sull'erba con espressione preoccupata e una coroncina di fiori tra le mani. La faceva girare tra le dita, pensieroso, ma non sembrava temere per l'assenza di Anna, segno che non erano stati attaccati. Non appena Sesshomaru entrò nel suo campo visivo, alzò gli occhi.

«Dov'è?» chiese Sesshomaru, brusco. Shippo si voltò verso destra, dove il terreno digradava verso un prato fiorito.

«Là. Intreccia...corone di fiori. - borbottò il kitsune, perplesso e preoccupato – Non so cosa sia successo. Le ho spiegato perché sono stato mandato qui, poi lei mi ha trovato addosso una piuma di Kagura. Il vento l'ha...non so, l'ha sollevata e fatta girare attorno alla sua testa in modo strano e lei...ha cambiato espressione. Non mi ha più detto niente, ha trovato quei fiori e si è messa a intrecciarli in modo compulsivo. Ci dobbiamo preoccupare?»

“Kagura. Le ha mandato un messaggio.” pensò Sesshomaru, incupendosi ancora di più. Non aveva ancora deciso cosa fare degli avvertimenti della Demone del Vento, ma il comportamento di Anna era sospetto. Forse non tutto ciò che era uscito di bocca a Kagura era menzogna. Sesshomaru ora sapeva di doversi recare in uno dei luoghi magici che aveva ereditato, quella Fonte dei Desideri a cui non aveva più rivolto un pensiero fin dall'infanzia, cresciuto nell'ottica di dover conquistare ogni cosa con le proprie forze, ma a quanto pareva suo padre se ne era servito per non perdere potere separandosi dalle Hoshisaki e ora, probabilmente, avrebbe aperto per lui la strada alla comprensione dei poteri di Tenseiga. Se Kiokuchi-sama riteneva che la Fonte avrebbe esaudito il desiderio di uno solo di loro, entrambi intenzionati a chiedere un vero miracolo, significava che suo padre l'aveva quasi prosciugata. Non ci sarebbero state abbastanza acqua e magia per entrambi.

«Sesshomaru-sama? Cosa voleva Kagura?» chiese Shippo, intimidito dal suo lungo silenzio.

«Era qui per seminare zizzania. - tagliò corto Sesshomaru – Fammi rapporto, kitsune. Poi sistemerò le cose con quella donna.»

Nemmeno si accorse di essere tornato a evitare il suo nome, mettendo distanza tra loro. Le notizie su Inuyasha e compagnia non migliorarono il suo umore. Perlomeno, era certo che fino a quel momento non fosse accaduto nulla di male. La Stella di En, pur se divisa, era ancora intatta.

«Torna al castello. Fai chiamare Inuyasha, appena avrà concluso la sua stupida missione di salvataggio dovrà venirmi incontro alla Fonte dei Desideri insieme a Shinsetsu e al monaco. - disse, gelido – Non abbiamo tempo da perdere. Non appena risolverò con Tenseiga, riuniremo la Stella di En.»

«E se Kagura mi inseguisse di nuovo?» chiese Shippo, rabbrividendo.

«Non farti prendere. Se accadesse, tieni la bocca chiusa, dovesse costarti la vita.» fu tutta la risposta di Sesshomaru, che poi lo lasciò per scendere il crinale. Shippo gonfiò le guance, indispettito e impaurito. La faceva facile, lui! Gli dispiacque ancora di più per la sorella di Kagome, in mano a un tizio senza cuore come quello. In ogni caso, Sesshomaru non aveva torto: se la sua parte da giocare era quella di tenere in contatto i due fratelli, l'avrebbe fatta al meglio. Se la Stella di Gake fosse stata sconfitta da quella di En, finalmente Miroku sarebbe guarito ed era il più grande desiderio del piccolo Shippo. Sospirando, si avviò di corsa nella foresta. Meglio allontanarsi un po', prima di rischiare nuovamente il volo!

Sesshomaru, nel frattempo, aveva raggiunto Anna. Sedeva nei pressi di una grande fioritura di convolvolo e aveva intrecciato una corona per sé con i fiori bianchi e rosati. Aveva il naso affondato in una delle corolle e questo gli ricordò dolorosamente Rin, ma contrariamente alla bambina non lo guardò con un sorriso. Era seria, preoccupata. Lo sguardo di quegli occhi azzurri gli bastò per capire che Kagura, a modo suo, aveva detto la verità.

«Sesshomaru...»

«Perché non me ne hai parlato?» chiese lui, brusco.

«Come potevo sapere che il modo per tornare umana fosse in qualche modo legato a Tenseiga? - ritorse lei, scuotendo il capo – Anche adesso non so esattamente di cosa stiamo parlando...al contrario, a quanto pare, di Kagura.»

«So bene che Kagura deve avere uno scopo ulteriore. Resta che mi hai nascosto una parte della tua conversazione con Kiokuchi.»

«Nascosto? Ti sei allontanato senza aspettarmi e non dirmi che non mi hai sentita chiedere se avevo possibilità di tornare umana, avevo alzato la voce apposta!» disse Anna, arrossendo un po' e avvertendo in parte la rabbia e il desiderio di rivalsa che l'avevano animata allora.

«Certo che ho sentito, ma cosa poteva importarmi delle tue rimostranze...»

«Nulla, appunto! La risposta di Kiokuchi-sama era per me, non per te, e non mi sono fermata a sentirne i dettagli. Mi bastava sapere di avere una possibilità...»

«...di lasciare En?» finì lui, con una leggera smorfia.

«En e il suo Imperatore. - disse Anna senza fingere, alzandosi in piedi e fronteggiandolo – Ma era prima, capisci? Prima della grotta degli Echi!»

«Mi stai dicendo che se ti trovassi di fronte l'unica cosa in grado di esaudire il tuo desiderio e dovessi scegliere se approfittarne, rinunceresti?» chiese lui, con gelida incredulità.

«Sesshomaru, l'unico modo perché io abbia di nuovo un posto nel mio mondo è tornare umana. In caso contrario, dovrei restare in En.»

«Baratteresti il sangue yokai per quello umano? Per quella vita inutile che ho visto nella Grotta?» fu la risposta sprezzante di Sesshomaru. Anna impallidì.

«Forse era inutile, ma era la MIA vita. - sibilò - Hai qualcosa da offrirmi in cambio?» Sesshomaru rimase in silenzio. «Sesshomaru, ci conosciamo a vicenda come nessun altro ci ha mai conosciuti. È stato attraverso la magia, è vero, ma è accaduto. Abbiamo creato un legame, come voleva Rin. Io ti ho fatto un giuramento e lo manterrò. Ma dopo? Dopo che la Stella di En sarà purificata, che ne sarà di me? Ho posto, come yokai, nel tuo schema delle cose?»

«Il legame... - mormorò Sesshomaru e nella sua voce non vi fu traccia del sentimento informe che quella parola gli suscitava – Saremo liberati da ogni legame delle Hoshisaki con la purificazione. Ognuno riprenderà le redini della propria vita.»

«Io non ho più redini! Ti sto chiedendo se avrò un posto, uno scopo rimanendo qui! Ciò che stiamo creando ora sarà ancora valido? Oppure, mi volterai le spalle non appena sarà tutto finito?»

«Hai accarezzato l'idea di vederti al mio fianco, come sembra alludere la leggenda delle Hoshisaki? Sei spavalda, donna, ma non mi accollerò la responsabilità del tuo futuro.» la censurò lui senza pensarci due volte. Voleva che quel legame terminasse. Poteva averlo accettato, poteva anche vederla come una persona completa, intelligente, piacevole da avere attorno, ma non era Rin. Non si sarebbe più preso cura di nessuno. Certamente non di qualcuno che in fondo desiderava andarsene. Se l'avesse schiaffeggiata, forse le avrebbe fatto meno male. Vide il suo volto contrarsi per la vergogna e il dolore, un'espressione che stridette con la delicatezza dei fiori che le ornavano ancora la testa.

«Kagura non ha avuto bisogno di sforzarsi, vero? Ti viene comodo pensare male degli altri in qualsiasi occasione! - sbottò, amara, venendo avanti fino ad essere a pochi centimetri da lui – Adesso sarei anche un'arrampicatrice?! Stai tranquillo, non vorrei stare accanto a una persona come te per tutto l'oro del mondo! Kagura ne sarà felice!»

«Cosa c'entra Kagura con questo?» disse lui.

«Non capisci niente, Sesshomaru! Niente! - tagliò corto Anna, ansimando per la portata delle emozioni che minacciavano di prendere il sopravvento su di lei, poi cambiò tono e sussurrò con voce fattasi cupa - Si può sapere cosa mi è stato promesso? Cosa ci mette l'uno contro l'altra, di quale miracolo non potrò approfittare?»

Sesshomaru ristette, come se non volesse risponderle. In realtà, avvertiva con troppa prepotenza il suo profumo e la sua vicinanza. La confusione emotiva di lei lo aveva colpito ma non era stato in grado di scioglierne il nodo, perciò non riusciva a capire cosa provasse davvero. Aveva voglia di scuoterla, di chiuderle la bocca, di mandarla via...ma anche di farle promettere che sarebbe rimasta a En. Non la voleva e la desiderava. Era una sensazione che Sesshomaru giudicò orribile. Capì che Kagura, forse per ordine di Naraku, stava giocando proprio con le troppe implicazioni del legame tra Chinoo e Junan. Stavano cercando di fargli perdere il controllo.

«La Fonte dei Desideri esaudisce qualsiasi tipo di desiderio, ma la sua esistenza non è eterna. - rispose, senza traccia di emozione negli occhi d'ambra che la fissavano come un ostacolo sul suo cammino – Ogni uso la consuma. Non ho mai pensato di approfittare del suo potere per ottenere l'uso di Tenseiga, ma ho capito che mio padre se ne è servito per gestire le Hoshisaki. È fattibile. Si tratta però di un desiderio così grande...»

«...da prosciugare la fonte?» finì per lui Anna.

«Esatto.»

«E non rinunceresti mai a questo modo di accedere a Tenseiga per darmi la possibilità di tornare a casa.»

Sesshomaru fece per rispondere con sarcasmo, poi si accorse che lei non aveva fatto una domanda, ma constatato i fatti. Anna parve rifletterci, poi annuì. Gli sollevò una mano con un gesto brusco, strappandosi al contempo la corona dalla testa e mettendogliela nel palmo con malagrazia.

«Rinnovo il mio giuramento. - disse, atona – Il convolvolo è il fiore della resa, sai? Della speranza persa. La mia speranza di trovare qualcosa di buono in te.» Si incamminò senza attendere risposta, risalendo il crinale. Quando si voltò e l'oro dei suoi capelli catturò la luce del sole, era cambiata. Era dura, inaccessibile, vuota. Un vero yokai.

«Andiamo, Sesshomaru-sama?» chiese, senza interesse. Sesshomaru iniziò a camminare prima ancora di pensarci, non volendo ammettere quanto profondamente fossero arrivate a ferirlo le sue ultime parole, quanto pesasse quella corona di fiori tra le sue dita. Quando la lasciò cadere a terra pensando di liberarsi da un peso, si sentì, se possibile, ancora peggio. Nei giorni che seguirono, non riuscì più a liberarsi dalla tormentosa sensazione di aver lasciato la presa su qualcosa di importante.

***

«Qui siamo a posto?» chiese Inuyasha a uno dei monaci della truppa che li aveva supportati durante la battaglia.

«Sì, Vostra Altezza. Sia il monaco che il giovane Cacciatore sono assicurati alle barelle e pronti per essere trasportati. Grazie alle cure di Shinsetsu, il monaco sta già meglio. Il ragazzo, purtroppo...» mormorò per non farsi sentire da Sango, che stava sistemando una coperta sul fratello sussurrando qualcosa, forse qualche frase rassicurante. Inuyasha annuì. Non aveva bisogno che il monaco gli dicesse che la vita stava lasciando quel corpo fragile. Lo sentiva nel suo odore.

«Dov'è quel monaco senza cervello?» chiese, guardandosi attorno alla ricerca di Miroku. Trovò la sua barella poco distante. Il convalescente ebbe perfino lo spirito di sventolare una mano in segno di saluto vedendolo dirigersi alla sua volta.

«Datemi qualche ora e camminerò anch'io. È ridicolo che mi debbano trasportare fino al villaggio.» disse subito.

«Feh! Dai pure aria alla bocca, intanto resterai sdraiato e ti riposerai. Se non ci fosse stata Kagome con Shinsetsu, te la saresti vista brutta.» disse Inuyasha, valutando con una smorfia la quantità di sangue che macchiava le vesti di Miroku. Per difendere Kohaku e aiutare nello scontro contro Bankotsu, si era preso due colpi d'alabarda che gli avevano aperto il costato e ferito in profondità una coscia. Ora le ferite si erano richiuse, ma il monaco era debolissimo e provato. «E meno male che non ti ho permesso di aprire il Foro del Vento, pazzo suicida!»

«Non sono il tipo che si tira indietro in battaglia. In caso contrario, ora non sarei qui, giusto? - sospirò Miroku – Tutto è bene ciò che finisce bene. Almeno per adesso. Sango è ancora con Kohaku?»

«Sì, è laggiù. Vuole affidarlo alla sorella di Kikyo, mi ha detto, ma non so nemmeno se arriverà a destinazione.»

«Me ne sono accorto anch'io. Non gli rimane molto tempo. - sospirò, impallidendo, e chiuse per un attimo gli occhi – Povera Sango...»

«Abbi cura almeno di te, credo che la tua scomparsa per lei sarebbe un colpo di grazia. - sbuffò Inuyasha, guadagnandosi un'occhiata sbalordita e piuttosto imbarazzata, poi chiese – Kagome?»

«Immagino sia al sacro Honeido. Cerca di capirla, dall'altra parte c'è la sua famiglia. Ha appena rischiato di morire...Mi sembra ancora impossibile che sia sopravvissuta alla sottrazione della sua Hoshisaki, la forza spirituale di Kagome-sama è davvero immensa.» Miroku lo vide incupirsi al pensiero. «Cosa faremo, ora? Torneremo al castello?»

«Sì, ma voglio raggiungere Sesshomaru. A quest'ora avrà sistemato la faccenda con Junan, o almeno lo spero. Dobbiamo risolvere il suo problema con Tenseiga. È l'ultimo inghippo che ci separa dall'unione della Stella di En.»

«Credo tu abbia ragione, non possiamo perdere altro tempo. - sospirò Miroku, tornando a guardare Sango – Abbiamo metà della Stella di Gake nelle nostre mani. Naraku stavolta non potrà esimersi dal fare qualcosa. Dobbiamo attenderci un attacco in grande stile.»

«Come se fino ad ora ci fosse andato leggero, quel maledetto! - disse Inuyasha, con una smorfia, poi scosse il capo – Vado da Kagome. Se Sango torna da te, inizia a spiegarle la situazione. Dovrà comunque separarsi da suo fratello, non posso permetterle di restare sul confine mentre si porta addosso quel fardello.»

Miroku annuì, stanco, e Inuyasha lo lasciò. Sapendo dove cercare, vide subito Kagome. Era seduta sul bordo del pozzo, che per fortuna era rimasto intatto pur trovandosi nel bel mezzo degli scontri. Non guardava all'interno: il capo era chino, i capelli corvini coprivano in parte l'espressione del suo viso e solo le mani intrecciate sulle ginocchia denunciavano un po' di tensione. L'arco e la faretra semivuota erano posati a terra accanto a lei. Inuyasha avvertì di nuovo la paura che aveva provato credendola morta, il sollievo nel vederla rialzarsi, lo stupore ammirato di fronte al suo potere e alla forza del suo legame con Shinsetsu. Kagome era una ragazza straordinaria e lui, profezia o meno, si trovava di nuovo pieno del desiderio di dare il suo cuore in mano a una donna. Se Kagome non fosse stata la reincarnazione di Kikyo, si sarebbe tormentato al pensiero di tradire il suo amore precedente, ma il sentimento che si era formato dentro di lui non era altro che la versione completa dell'anelito platonico che aveva provato per la miko. Era la sua evoluzione naturale. Non si sentiva un traditore: anzi, era stupefatto di quale miracolo avesse potuto ridargli l'unica anima a cui era destinato.

Si sedette accanto a lei e per qualche istante non parlarono.

«Ho creduto che fossi morta.» disse infine Inuyasha.

«Credo di esserci andata vicina, per qualche istante. Sai, vedevo tutto dall'alto, come se la mia anima stesse abbandonando il corpo.» mormorò Kagome, scossa da un brivido. Inuyasha strinse le labbra in una linea sottile, avvertendo il desiderio di poter uccidere Naraku con la sola forza del pensiero. «Però questa esperienza mi ha dato una certezza. Io sono davvero la reincarnazione di Kikyo.»

Inuyasha trattenne il fiato, voltandosi di scatto verso di lei. Kagome lo guardò e sul suo volto c'era un'espressione complessa e contraddittoria che il Principe di En non riuscì a decifrare. La ragazza sembrava al contempo sollevata e sofferente.

«Ho visto...ho avuto accesso ai ricordi della persona che sono stata quando Shinsetsu mi ha scelta per la prima volta. - continuò lei, piano – Non ti ho mai tradito, Inuyasha. Già lo sentivo, ma ora lo so. Kikyo sapeva chi eri, aveva avvertito Yuuki dentro di te fin dal principio, ma aspettava che fossi tu a dirglielo.»

«Lo sapeva?!» ansimò Inuyasha, avvertendo un dolore nelle viscere. Già...come aveva potuto credere davvero di nascondere la propria Hoshisaki a una miko potente come Kikyo? Allora perché lei gli aveva dato corda? Perché non lo aveva smascherato? Si era presa gioco di lui? Kagome lesse tutte queste domande nei suoi occhi e gli sorrise con dolcezza disarmante.

«Lei stessa si chiedeva perché ti nascondessi dietro la tua identità umana, ma aveva deciso di darti tempo. Anche lei voleva capire, conoscerti con calma. Come me, non aveva intenzione di farsi guidare ciecamente da Shinsetsu. - spiegò, tranquilla – Quella notte, Kikyo aveva le tue stesse speranze. È caduta in trappola, esattamente come te. Ha fatto ciò che poteva per salvare la tua vita e le tue Hoshisaki, prima di soccombere. Si è sacrificata al posto tuo.»

Inuyasha avvertì, per la prima volta da quando era un bambino, le lacrime pungergli gli occhi. Allungò una mano e posò il palmo sulla guancia di Kagome, senza sapere se quella che desiderava toccare era davvero lei oppure la sua precedente incarnazione. In quel momento, passato e presente si mischiavano in lui, confusi da cinquant'anni passati in un incubo. Kagome parve capire benissimo, perché posò la propria mano sulla sua con tenerezza ma chiuse gli occhi, come se non volesse vedere la sua espressione.

«Ti voleva bene, Inuyasha, come tu ne volevi a lei. Ma io non sono più Kikyo. Sono Kagome.» Si alzò e Inuyasha perse contatto con lei. Fu quasi spaventato nel vederla così, seria e remota, in piedi accanto al pozzo. Ebbe per un attimo la certezza che lei vi si sarebbe buttata, tornando nel suo mondo e lasciandolo solo.

«Lo so.» disse, rauco.

«Il modo in cui mi guardi mi dice il contrario, ma non te ne do colpa. Ti sto bersagliando di ricordi che per te sono ancora freschi e dolorosi. - mormorò Kagome, poi strinse i pugni e lo guardò, tornando la ragazza passionale e sensibile che aveva imparato a conoscere nelle ultime settimane – Inuyasha, io voglio aiutarti. Voglio stare al tuo fianco fino alla fine. Posso farlo, anche se non sono più Kikyo? Al di là di questo pozzo c'è la mia casa, ma En lo è altrettanto. Io...sono confusa. Non prenderò alcuna decisione finché la lotta contro Naraku e la Stella di Gake non sarà terminata. Riuscirai comunque a...ad avermi a fianco...senza soffrire? Senza cercare Kikyo dentro di me? Ti voglio bene, Inuyasha. Io non voglio che avermi accanto ti causi dolore...»

Le sue parole divennero sempre più tese, sempre più congestionate da un magone che le stava crescendo in gola, finché Inuyasha non ne poté più e si alzò di scatto, chiudendola in un abbraccio che la zittì. Non gli importava che li vedessero. In realtà, quasi non ricordava la presenza di altri a poca distanza da loro. Le sue dita affondarono nei capelli corvini e Inuyasha si concesse finalmente di farsi riempire della dolcezza che il suo profumo gli instillava.

«Dentro di me ci sono parole che adesso non accetteresti. Non mi crederesti. - le sussurrò all'orecchio, con una voce che le spedì brividi lungo la schiena – Accompagnami fino alla fine, Kagome. Allora, te le dirò tutte e lo farò guardando negli occhi te. Non Kikyo, né il suo fantasma. Te. Promettimi di non prendere alcuna decisione prima di allora.»

La allontanò di poco da sé e la vide paonazza, quasi tremante. Le sue emozioni erano nel caos, come quelle di Inuyasha stesso.

«Te lo prometto.» disse soltanto.

In quel momento, si scatenò il disastro. Dal terreno emersero con violenza quelli che sembravano i tentacoli del corpo fittizio di Naraku.

«Dannazione!» ringhiò Inuyasha, facendo per scattare in avanti con Tessaiga in mano, mentre anche Kagome si abbassava per recuperare arco e frecce. Non poteva usare il Kaze no Kizu, non in mezzo alla mischia! Non ci fu comunque il tempo di fare niente: l'attacco fu fulmineo e aveva uno scopo ben preciso. I soldati e i monaci vennero scagliati in tutte le direzioni. Sango si pose a barriera del corpo di Kohaku ed ebbe la prontezza di spirito di sguainare la katana, non avendo spazio di manovra per lanciare Hiraikotsu. Un tentacolo colpì la barella di Miroku e mandò il monaco, che stava già mettendo mano al rosario, a rotolare sul terreno.

«Miroku!» gridò Sango, facendo un passo verso di lui, combattuta. In quel momento, approfittando del suo attimo di distrazione, un tentacolo fatto di terra sferzò la Cacciatrice con una frustata micidiale, dal basso verso l'alto. Sango fu colpita dalla staffilata, che la ferì al petto spillando sangue e togliendole ogni colore dal viso. Se la ragazza non avesse parato in parte il colpo con la katana, il tentacolo l'avrebbe tagliata in due. Kirara lo morse per spezzarlo, ma dovette farsi indietro con un ruggito di dolore, come se il contatto le avesse aperto delle ulcere in bocca.

«Sango!» gridò Kagome, orripilata, mentre incoccava una freccia. Inuyasha, che aveva visto la scatoletta con le Hoshisaki di Gake roteare in aria, strappata alla sua custode dal colpo, balzò in mezzo alla mischia, sperando di arrivare in tempo. La freccia di Kagome partì e ridusse in polvere il tentacolo che stava per finire la Cacciatrice, un istante prima che Miroku si gettasse sul corpo ferito della ragazza, difendendolo col proprio. Inuyasha riuscì a tagliare a mezz'aria un tentacolo proteso verso la scatoletta, ora in caduta libera, ma ne arrivarono talmente tanti, in un attacco confuso e senza pausa, che finì per perderla di vista.

«State indietro, apro il Foro del Vento!» gridò Miroku.

«Non farlo, qua in giro ci sono le Hoshisaki di Gake!» urlò di rimando Inuyasha, inorridito al pensiero che i tre frammenti potessero finire in corpo al monaco. Improvvisamente com'erano arrivati, i tentacoli si ritirarono nel terreno e scomparvero. Nell'improvviso silenzio, echeggiò la risata maligna di Naraku.

«Grazie per aver tenuto con cura i miei frammenti, gente di En. È giunta l'ora di riprendermeli.»

Davanti agli occhi inorriditi di Inuyasha e compagni, nonché di tutta la truppa scompaginata di En, Naraku sostava ad alcuni metri da terra, sospeso in una bolla dal lieve colore violaceo. Indossava la pelliccia bianca del babbuino, ma il suo viso era scoperto, a mostrare gli occhi rossi e il sogghigno malvagio. Nella sua mano sinistra, sollevata, c'era la scatoletta con le Hoshisaki di Gake.

«Naraku...ti sei ripreso, vedo.» disse tra i denti Inuyasha, reprimendo il gelo che minacciava di assalirlo. Naraku aveva guarito le ferite inflittegli da Junan. I due hanyo si fronteggiavano per la prima volta senza sotterfugi: Inuyasha non aveva mai visto Naraku così in equilibrio, così potente.

«Il fastidio causatomi da Junan era solo provvisorio. Ora sono al di là della tua portata, Inuyasha, e possiedo tutte e sei le Hoshisaki di Gake...funzionanti! Cosa che non si può dire delle vostre, grazie al cuore di ghiaccio di tuo fratello.»

La sua risata sgradevole sottolineò la gravità di quella situazione. Era vero, ora Naraku possedeva tutti i frammenti della Stella di Gake! Kagome incoccò una freccia e spezzò il momento di orrore tirandola dritta su Naraku, furibonda per la ferita inflitta a Sango e per tutto il dolore che, ora lo sapeva, quel dannato aveva portato a lei e a Inuyasha, oltre a una quantità enorme di innocenti. La sua freccia però, fu inglobata e dissolta dalla barriera di Naraku.

«Nessuna delle vostre singole Hoshisaki potrà più ferirmi, sciocca ragazza. - mormorò Naraku, fissandola con uno sguardo di brama e odio che la fece impallidire e riaccese la rabbia di Inuyasha – Kikyo lo avrebbe capito immediatamente.»

«Beh, allora vediamo se due ci riescono! Kaze no Kizu!» esclamò Inuyasha, balzando in aria e tagliando il vento con la lama di Tessaiga, mettendo nel colpo tutto il suo desiderio di distruggere il maledetto nemico. Un caos di lame di vento si abbatté su Naraku, ma Inuyasha seppe di aver fallito prima ancora di toccare di nuovo terra. Naraku si sollevò più in alto, sempre ridendo.

«Soffrite ancora un po'...dimenatevi ancora per qualche tempo, fatemi divertire. - disse, malefico – Guardate morire la Cacciatrice, provate a prevenire il sacrificio del monaco. Coltivate il vostro straziante legame. Sarà un piacere più grande spazzarlo via con la Stella di Gake di nuovo integra!»

«Sarà la tua perversione a distruggerti, Naraku!» gridò Miroku, pallido, stringendo a sé il corpo privo di sensi di Sango.

«Oh, non credo, monaco. Al momento sta per darmi grosse soddisfazioni.- furono le ultime parole dell'hanyo, prima di allontanarsi del tutto – Vado a godermi lo spettacolo di una tigre che atterra un cane. O forse sarà il gatto a sacrificarsi? Qualunque sia il finale, state certi che sarà di mio gradimento.»

Le ultime parole quasi si persero nel vento, mentre la nuova barriera di Naraku lo conduceva lontano, fino a scomparire oltre gli alberi, nella foresta.

«Vostra Altezza...lo seguiamo?» chiese uno dei monaci.

«Non servirebbe. - disse Inuyasha, rauco, passandosi una mano sulla bocca improvvisamente arida – Soccorrete la Cacciatrice, è ferita.»

«Inuyasha...cosa voleva dire Naraku? Se...se il cane è Sesshomaru e il gatto è Anna...chi è questa tigre?» chiese Kagome, sfiorandogli il braccio. Nei suoi occhi c'era il terrore per la sorte della sorella maggiore.

«Temo di averlo capito. - rispose lui, posando per un attimo la propria mano sulla sua – Un brutto incubo che ritorna. Sbrighiamoci a levarci da questo posto, Miroku e Sango hanno bisogno di cure e poi...dovremo parlare. Abbiamo delle decisioni da prendere, non c'è tempo da perdere.»

Nel frattempo, Naraku aveva raggiunto il luogo dove i Saimyosho lo attendevano, reggendo il corpo di Kanna e lo specchio. Sempre con un sorrisetto stampato sul volto crudele, Naraku aprì la scatoletta e ne trasse le tre Hoshisaki, incastonandole nella propria armatura organica mentre gettava via il contenitore. Le sue membra vibrarono per il potere latente dato dalle cinque Hoshisaki riunite, pur se al momento mantenute non attive.

«Manca solo Kagura...ma per adesso mi serve viva.» mormorò, soddisfatto, poi fece un cenno ai Saimyosho e abbassò per un istante la sua nuova barriera per concedere loro di passargli il corpo della bambina yokai. Lo prese in braccio con un gesto che da parte di un altro essere sarebbe parso quasi paterno, ma che in questo caso era esclusivamente pratico. Sollevò infatti Kanna per esaminarla e accertarsi che fosse veramente morta. Non avvertì alcuna aura vitale, come si attendeva. Il fatto che lo specchio fosse stato rotto da Shinsetsu aveva decretato la fine per la sua utile assistente.

«Tornerai a fare da perno ad altri elementi. Niente deve andare sprecato, ormai siamo al traguardo.» mormorò, iniziando a inglobare il piccolo corpo bianco e posandole in grembo lo specchio infranto, poi fece un gesto ai Saimyosho. «Andate dalla Grande Famiglia. Che lascino Soichiro senza freni. È giunta l'ora di spezzare Sesshomaru.»

Seguì con lo sguardo i suoi galoppini che si allontanavano, soddisfatto oltre misura per il modo in cui tutte le tessere stavano finalmente delineando la sua prossima vittoria. Non si curò di osservare Kanna mentre veniva inglobata dal suo multiforme corpo, perciò non si accorse che le piccole dita, tremando, si chiudevano sulla cornice dello specchio. Il Nulla si fece riassorbire senza un lamento, spezzato ma cosciente, mentre Naraku iniziava il suo viaggio verso quella che, ci contava, sarebbe stata la tragica fine delle speranze di En.

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Capitolo 33
*** 32 - Il pericolo alle calcagna ***


 

CAPITOLO 32

IL PERICOLO ALLE CALCAGNA

 

Kagome uscì dalla capanna, lasciando ricadere la stuoia alle proprie spalle con un gesto stanco. Si guardò attorno, cercando Inuyasha. Non faticò a vederlo: spiccava in mezzo agli altri, col suo abito rosso e i capelli d’argento. Stava parlando con la vecchia Kaede e Kagome decise di attendere che terminasse. Di certo stavano discutendo di Kikyo e non voleva disturbarli. L’anziana donna stava finalmente ricevendo sollievo dopo anni di tormenti ma Kagome non si sentiva in grado di affrontarla, per il momento. Ricordava ancora troppo bene come l’avesse rifiutata non appena riconosciutala come la reincarnazione della sorella e, a dirla tutta, non era riuscita a recuperare i ricordi familiari di Kikyo…solo il suo legame con Inuyasha e le terribili immagini della loro fine.

Si sedette fuori dalla capanna, portandosi per un attimo le mani alle guance fattesi calde. Non era il momento di ripensare alla sua conversazione del giorno prima con Inuyasha, ma le sue parole e il suo abbraccio erano ancora con lei, come se non fosse mai uscita dalla sua stretta. Eppure, dovevano pensare ad altro. Naraku aveva lanciato minacce ben precise, che adesso i monaci stavano tentando di appurare tramite la loro rete di comunicazione spirituale. Miroku era acciaccato ma stava già meglio. Sango, invece, aveva avuto bisogno immediato dell’aiuto di Shinsetsu e Kagome aveva appena terminato un secondo intervento risanatore. La ferita era andata vicino ad essere mortale e Sango, una volta ripresa conoscenza, non aveva fatto altro che torturarsi per essersi lasciata sottrarre le Hoshisaki di Gake. Le aveva appena chiesto di Kohaku e Kagome si era trovata ad abbozzare una risposta a metà, non sapendo cosa dire. Il ragazzo stava in vita a malapena.

Sospirò, allungando le gambe e infilandosi le dita tra i capelli, reggendo la testa che le doleva un po’. Sembrava stesse andando tutto bene, o almeno che fossero sulla strada giusta…e adesso dovevano ricominciare daccapo.

“No, non daccapo. La Stella di En non è riunita ma è presente, non meno di quella di Gake. Se solo fossimo certi che Sesshomaru e Anna sono al sicuro…”

Kagome era davvero preoccupata per la sorella maggiore. Naraku si aspettava la morte di Anna o del fratello di Inuyasha, o meglio ancora di entrambi. Avrebbe fatto leva sul loro legame, com’era avvenuto per Kikyo e Inuyasha? Oppure i due erano ancora ai ferri corti e Naraku avrebbe sfruttato la distanza tra loro? Kagome corrugò la fronte. Anna e Sesshomaru…Conosceva poco l’Imperatore di En e non pensava vi fosse qualcosa di vivo in grado di penetrare la sua corazza di gelo. Anna era una ragazza speciale, più matura della sua età. Aveva sofferto ed era coraggiosa, ma era anche molto fragile e troppo portata al sacrificio. Questo poteva essere stato sufficiente ad accendere una scintilla in quel cuore praticamente immobile? Oppure Anna rappresentava il perfetto esempio di pedina da sfruttare e abbandonare alla prima occasione? Gemette al pensiero, fin troppo plausibile. Avevano avuto pochissimo tempo per conoscersi e con uno come Sesshomaru anche i decenni potevano essere una quantità insufficiente.

«Sango sta male?»

La voce di Inuyasha, così vicino a lei, la fece sussultare. Alzò lo sguardo a incontrare le iridi d’ambra del Principe di En, che l’aveva raggiunta e stava valutando con aria cupa la sua espressione preoccupata.

«Oh…no, sta meglio. Penso che domani o dopo riuscirà ad alzarsi. – rispose, quasi balzando in piedi – Ci sono novità?»

«Secondo Kaede, dovremmo sapere qualcosa tra non molto. Le comunicazioni tra i monaci vanno veloci. Stavi pensando a quello che ha detto Naraku?»

«Sì. Sono preoccupata, Inuyasha. Fin dal principio, temevo per mia sorella vicino a tuo fratello. Anna è stata rifiutata troppe volte nella sua vita e Sesshomaru…beh, mi sembra sia stato chiaro che non avrebbe accettato una Junan diversa da quella che ha perduto cinquant’anni fa.» mormorò Kagome, tormentando Shinsetsu al proprio collo. Non voleva parlare male di Sesshomaru davanti a Inuyasha, ma tra i due non era sempre corso buon sangue e non la sorprese più di tanto la smorfia che solcò il volto dell’hanyo.

«Sesshomaru ha la testa più dura del marmo, hai ragione, e l’empatia di una stalattite di ghiaccio. – disse, amaro – Però Rin era riuscita a tirare fuori da lui qualcosa di inaspettato. Dietro quell’armatura odiosa, c’è un’anima. Sesshomaru avrà fatto di tutto per non mostrarla a tua sorella, ma se sono destinati a completarsi…Bisogna anche mettere in conto che, per quanto testardo, Sesshomaru ha dedicato tutta la sua vita a En. Non farebbe mai nulla per mettere in pericolo il suo controllo sull’Impero e sulla sua Stella.»

«Anna sa aiutare…e sa sacrificarsi. Proprio questo mi fa paura.» mormorò Kagome, poi gli prese con timidezza una mano e strinse. «Inuyasha, di che tigre stava parlando Naraku? Cosa ha messo sulle loro tracce? Hai detto che si tratta di un incubo che ritorna…»

«Non ne sono sicuro. – ammise lui, ma qualcosa lo turbava e alla fine aggiunse – Mi ha fatto venire i brividi quando ha parlato di una tigre che atterra un cane perché…mio padre…fu un moko-yokai a ucciderlo. Il suo nome era Soichiro.»

Kagome si coprì la bocca con una mano, scioccata.

«E…che fine fece? Vi vendicaste?» chiese, in un sussurro. Inuyasha le strinse la mano a sua volta, quasi facendole male.

«Non fu possibile. Io ero solo un bambino, Sesshomaru poco più che un adolescente. Ci avrebbe provato ugualmente, ma Naraku assorbì Soichiro per utilizzarne il potere e ci strappò la vendetta. Quella maledetta tigre era il precedente Portatore di Kookatsu, l’Astuzia, nonché Imperatore di Gake prima che Naraku, all’epoca il suo generale migliore, gli soffiasse tutto da sotto al naso…»

«Inuyasha, Kagome-sama! Abbiamo novità.»

La voce di Miroku li interruppe. Si voltarono per vedere il monaco affrettarsi verso di loro per quanto glielo concedevano le recenti ferite. Anche lui stava poco bene, ma aveva insistito perché gli sforzi di Kagome si concentrassero su Sango.

«È vero: dopo il cedimento del confine in zona Inuzuka, è comparso un moko-yokai potente e violento, fuori controllo, capace di usare il fuoco. – li avvisò, togliendo loro speranza che Naraku avesse mentito – Peggio, sembra che sia spinto in avanti dagli inu-yokai della Grande Famiglia.»

Inuyasha strinse i denti in una smorfia di rabbia e disgusto, chiudendo le dita sull’elsa di Tessaiga.

«Bastardi traditori…» sibilò, pallido.

«Nessuna notizia di Anna e Sesshomaru?» chiese Kagome, angosciata.

«Nessuna, nemmeno Jaken a Palazzo ne sa nulla. Si sono tenuti lontani dai villaggi e dagli scontri, ma pare che qualche giovane inu-yokai abbia mantenuto fede all’Imperatore di En e si sia preso l’onere di avvisarlo del pericolo incombente. Ho detto di aggiungere, se avessero altri contatti con loro, che Naraku sta viaggiando a sua volta nella loro direzione, con tutti i frammenti della Stella di Gake.» Strinse le labbra, abbassando lo sguardo in un’espressione di frustrazione e posandolo per un istante sulla mano coperta dal rosario. Fu un attimo, ma sia Inuyasha che Kagome se ne accorsero. «Eravamo così vicini al successo…- mormorò il monaco, facendo eco ai pensieri di Kagome – Non potrò biasimare Sesshomaru se me ne riterrà responsabile. Non avrei dovuto abbassare la guardia. Bisogna riunire la Stella di En senza perdere altro tempo o siamo tutti perduti.»

«È quello che faremo. Non possiamo più permetterci di prendere le misure con le nostre Hoshisaki, la Stella va riunita e basta. – disse Inuyasha, brusco – Se Sesshomaru non è ancora riuscito a far funzionare Tenseiga, sarà il caso che si sbrighi a confezionare un miracolo.»

«Noi cosa faremo?» chiese Kagome.

«Io e te partiamo subito. Per strada, continueremo a chiedere notizie di Sesshomaru. Viaggeremo molto veloci. Te la senti? – le chiese e la ammirò in cuor suo quando la vide annuire senza un tentennamento, con una luce decisa negli occhi – Miroku, ho bisogno che tu invece ti diriga dritto verso i monti Sorayama. Devi essere pronto per la riunione della Stella e impiegherai più di noi ad arrivare alla tua meta. Dovremmo riuscire a raggiungerti in breve tempo. Vai con Sango, se se la sente di continuare, altrimenti fatti prestare Kirara e lasciala qui con suo fratello. Capirò.»

Miroku annuì, poi mormorò: «Grazie di concederle una scelta.»

Kagome, commossa, lo abbracciò forte, perdendosi in questo modo l’espressione dapprima scioccata e poi decisamente minacciosa di Inuyasha. Miroku abbracciò a sua volta la ragazza, ma con estrema cortesia, facendo al contempo un gesto e un sorriso rassicurante al Principe di En.

«Miroku, se Sango dovesse decidere di venire con te abbiate cura l’uno dell’altra. – disse Kagome, scostandosi un po’ per guardare il monaco dritto in faccia – Smetti di girarci intorno e dille che le vuoi bene. Ne ha bisogno e sono sicura che anche lei te ne voglia.»

«Kagome-sama…» disse Miroku, imbarazzato nel rendersi conto che i suoi sentimenti le erano palesi.

«Cerca solo di non farlo sapere anche a Naraku. Ama spezzare i legami tra le persone.» disse Inuyasha, amaro, tirandosi vicina Kagome con un gesto piuttosto possessivo. Miroku annuì, perdendo il sorriso al pensiero.

«Posso salutare Sango?» chiese Kagome.

«Veloce.» borbottò Inuyasha, ma entrò nella capanna con lei. Miroku li attese fuori, li salutò un’ultima volta, li vide partire. Inuyasha non avrebbe certo risparmiato gli sforzi per raggiungere Sesshomaru, il peso di Kagome sulle sue spalle non lo avrebbe rallentato. Il destino di En pendeva sul capo di due coppie. La prima aveva trovato il proprio legame, che prometteva di diventare sempre più stretto, e per loro Miroku non era preoccupato. Il pensiero di Sesshomaru e Anna, invece, gli faceva contrarre lo stomaco. Naraku era stato troppo sicuro di sé…

«Speriamo che facciano in tempo.» sussurrò, poi prese un respiro profondo ed entrò nella capanna per parlare con Sango. Non le avrebbe detto niente dei sentimenti che conservava per lei. La scelta della Cacciatrice doveva essere libera e, come Inuyasha gli aveva ricordato, l’amore all’ombra della malvagità di Naraku era una debolezza che non potevano concedersi senza correre il rischio più alto.

***

Viaggiarono in silenzio per giorni interi. Non si scambiarono più una sola parola, nemmeno per motivi futili. Quel vuoto li avvolse, li strinse in un’atmosfera soffocante che li rese pallidi, assenti, sempre più distanti dalle proprie emozioni. Avevano lo scopo di raggiungere la Fonte dei Desideri e sembrava non vi fosse futuro oltre a quella meta. La comunione di spiriti creata alla Grotta degli Echi era stata negata da entrambi, anche se le Hoshisaki non si erano ribellate. Tra loro non c'era odio, solo gelo. Kagura continuava a seguirli a distanza, ricordando costantemente con la sua presenza la loro ultima conversazione, aspettando come un avvoltoio un segnale di rottura. Altri erano sulle loro tracce, sempre più vicini. Sesshomaru se n’era accorto perfettamente ma non aveva condiviso l’informazione, contando di raggiungere la Fonte prima di doversi occupare di qualunque altra seccatura vi fosse alle loro spalle.

Quella notte, quando ormai mancava poco più di una giornata di viaggio alla Fonte, si erano fermati alle pendici di una collina rocciosa, avvolta dalle nebbie leggere sprigionate dalle sorgenti calde della zona. Sesshomaru sedeva su uno sperone roccioso, con un braccio appoggiato al ginocchio piegato, e guardava la luna quasi piena. Il suo colore, identico a quello di Junan, appariva e svaniva nella foschia. C’erano domande e dubbi, dentro di lui, a cui non voleva dare ascolto ma che stavano ingigantendosi e si richiamavano l’uno con l’altro come gli echi della Grotta.

Prese Tenseiga e la sollevò, fissandola come se volesse cavare dalla spada le sue risposte. Non si era mai chiesto se stesse facendo la cosa giusta. Quando prendeva una decisione, la seguiva con sicurezza implacabile e non aveva mai avuto modo di pentirsene…tranne quando si era trattato di Rin, ma in quel caso non avrebbe mai potuto prevedere la mossa azzardata di Naraku. Ora, in un momento in cui ogni azione poteva rivelarsi decisiva in un senso o nell’altro, per la prima volta avvertiva dentro di sé il dubbio di aver scelto la strada sbagliata.

“Cos’altro si chiede da me?!” aveva detto a Kiokuchi. La sensazione di avere addosso il peso del mondo e di stare per lasciarlo cadere era fortissima dentro di lui e non capiva perché. Da qualunque lato guardasse la situazione, si stava comportando nel modo più logico. Usare il desiderio, ottenere l’uso di Tenseiga, trascinare tutti i Portatori delle Hoshisaki ai monti Sorayama, sconfiggere Naraku e chiudere la faccenda purificando la Stella di En. Cosa poteva esserci di sbagliato in questo?

Il suo sguardo cercò la sagoma di Anna. Era seduta un po' più in basso e gli dava le spalle. Riusciva a vederla piuttosto bene perché la foschia rifrangeva e diffondeva il lucore violaceo della luna. Aveva immerso i piedi e una parte delle gambe in una delle fonti calde ed era immobile come una statua. Da lei non veniva l'odore di un'emozione, come dalla loro ultima conversazione in poi.

Quella donna era un mistero che non riusciva a sciogliere. Era un'alleata, ma anche un guaio capitato sulla sua strada. Rin l'aveva scelta per lui, ma al contempo era contaminata da Naraku. Lo attraeva e repelleva contemporaneamente.

“Non raccontarti frottole. Ha attratto la tua attenzione, troppo. Questo è il problema, questo ti allontana. Non vuoi essere guidato, ti senti spinto dalla volontà altrui a creare e mantenere questo legame. Odi questa sensazione. - si disse, stringendo senza pensarci l'elsa di Tenseiga – Occorre ammettere che è una donna coraggiosa. Non c'è piaggeria in lei, è intelligente. Ha una capacità di comprensione fuori dalla norma. È innocente, sanguina alla minima parola volta a ferire. Perché questo mi fa sentire in errore?”

La guardò di nuovo, come se volesse cavarne un segreto. Lo aveva accusato di aver creduto senza problemi a Kagura, pur di mettere in discussione la sua buona fede. Era vero, se ne rendeva conto. Aveva immaginato fosse per la sua mancanza di trasparenza e per il proprio diritto di difendere l'eredità paterna, ma la motivazione era molto più semplice. Il fatto che fin dal principio lo avesse seguito con lo scopo di guadagnarsi la trasformazione e un ritorno a casa propria, lo aveva riempito di fredda rabbia, come se lei fosse stata spergiura.

“Non voglio che torni umana? Non voglio che se ne vada?” si chiese, con una smorfia di disprezzo per se stesso. In quel momento, Tenseiga tremò sotto le sue dita e Sesshomaru si tese, chiedendosi se le Hoshisaki al seguito di Inuyasha fossero in pericolo. Poi vide la luce di Junan scaturire dalla fronte di Anna. Non era troppo forte, né malsana, ma l'Hoshisaki si era attivata per qualche motivo. La vide abbassare il capo e prendere la fronte tra le mani, poi Anna si lasciò scappare un gemito mentre si raggomitolava, tirando verso il petto anche le gambe bagnate. La bolla di gelo di cui si era ammantata negli ultimi giorni si infranse e il caotico profumo delle sue emozioni lo assalì, mostrandogli una sofferenza abissale e qualcosa di caldo, commovente, che non capì.

Sesshomaru era già accanto a lei prima ancora di aver formulato il pensiero. La prese per le spalle e la girò verso di sé, afferrandole poi la nuca con la mano destra per costringerla ad alzare il viso. Vide il lucore delle lacrime che le avevano bagnato le guance, ma lo sguardo era perso, lontano, mentre la bocca era tesa in una smorfia di sofferenza. L'Hoshisaki illuminava la fiamma sulla sua fronte con una luce pulsante, dolce, che però l'aveva attirata lontano dal mondo reale.

«Cosa succede? Anna?» la chiamò, brusco, poi gli scappò tra le labbra: «Rin? Sei tu?»

Il sangue gli si gelò nelle vene e la vista gli si offuscò quando dalla bocca schiusa della ragazza uscì una voce che conosceva fin troppo bene.

«Non fatele del male, Sesshomaru-sama. Abbiate fede nella vostra Rin, che vi vuole tanto bene. Ve ne vorrà sempre.»

«Rin...» sussurrò, rauco e sfiatato, avvicinando quel viso al proprio per cercarvi traccia della sua piccola protetta, in uno sforzo disperato e destinato all'insuccesso. La luce dell'Hoshisaki vacillò e si spense, mentre gli occhi azzurri della giovane donna tornavano a fuoco. Vi fu un istante, un solo attimo prima che tutto attorno a loro tornasse avvolto dal solo chiarore arcano della foschia, in cui Anna gli si mostrò senza filtri, ancora incapace di esercitare il controllo datole dal sangue yokai. Vide tristezza, non solo per sé ma per lui. Lo guardava con una partecipazione dolorosa, come se provasse pietà per l'Imperatore di En. Ma non era pietà, non solo...lui conosceva l'odore di quell'emozione, di cui Rin lo inondava negli ultimi tempi della sua vita, ogni volta che tornava al castello da lei...Un profumo caldo, avvolgente, pericoloso. Qualcosa che lo stava inconsciamente portando a tirarla più vicino a sé, fino a sfiorarsi col respiro. Mentre la luce di Junan li lasciava, lui avvertì le mani di Anna sfiorargli le guance, come se volesse posargliele a coppa sul viso in un gesto gentile, protettivo, poi il corpo si tese nella sua stretta e le mani scesero bruscamente alle spalle, spingendolo via senza violenza ma con fermezza finché lui non la lasciò andare.

«Era Rin. - disse Anna, rauca, di nuovo padrona di sé anche se teneva lo sguardo rivolto altrove – Ha cercato...di intervenire. La situazione non le piace.»

«Sì, mi ha parlato. - disse Sesshomaru, lieto di essere riuscito a sua volta a non far trapelare quanto la voce della sua piccola defunta lo avesse sconvolto – Cosa ti ha mostrato? Cosa ti ha detto?»

Anna fece un gesto vago, passandosi poi le dita tra i capelli in un movimento inconscio che rivelò il suo nervosismo interiore.

«Quanto bene vi ha voluto e continua a volervi. Non ce n'era bisogno. Lo sapevo già.» disse, atona.

Sesshomaru, pur sentendo un vago calore nel petto per quella reiterazione di affetto capace di andare al di là della morte, corrugò la fronte. Era dunque questo che aveva sentito? L'emozione che lo avvolgeva e concupiva era stata di Rin e si era manifestata attraverso Anna come poco prima aveva fatto la sua voce? Eppure, quel profumo dolce e inebriante non lo aveva mai attirato in Rin, spingendolo anzi quasi a fuggire per fare in modo che svanisse. Con Anna, la tentazione di lasciarsi trasportare era stata per un attimo quasi impossibile da contenere. Se si trattava di un'emozione di quella ragazza, però, questo significava che...

«C'è un pericolo alle nostre spalle. Rin non ne conosce la natura, ma incombe su di noi.» Anna lo riportò alla realtà con quelle parole appena prima che più voci lontane attirassero l'attenzione di entrambi, facendoli tendere. Ascoltarono, i sensi sovrannaturali all'erta, poi Anna mormorò: «Cercano voi, Sesshomaru-sama. Chi può essere, in piena notte su queste colline?»

«Inu-yokai. Tre giovani della Grande Famiglia, a giudicare dalle voci e dagli odori. - disse Sesshomaru, alzandosi in piedi – Riprenditi. Vado a sentire per quale motivo mi stanno cercando.»

«Ma la Grande Famiglia...»

«Alcuni giovani sono ancora fedeli a En. In ogni caso, pensi potrei temere qualcosa da tre pivelli?» chiese lui, brusco. La vide tentennare, poi esalare un sospiro e rinunciare a trattenerlo. Si allontanò, nascondendo per l'ennesima volta a se stesso il desiderio di interpretare ciò che era accaduto fuori e dentro di lui.

Anna tornò a sedersi vicino alla polla d'acqua calda, trattenendo il proprio tremito interiore. In quel momento, non pensò nemmeno che Kagura era nei dintorni o che vi potesse essere un pericolo. Era troppo contenta che Sesshomaru si fosse allontanato, permettendole di recuperare un minimo di controllo.

«Rin...- mormorò, sfiorando l'Hoshisaki sulla propria fronte e facendo una smorfia – Smetti di spingermi. Sono già dove mi volevi, sto facendo quello che desideravi. Andare oltre mi ucciderebbe e ciò che tu sei stata per lui non si applicherà mai a me.»

Perché torturarla con le immagini di un passato vissuto nell'adorazione di Sesshomaru? Perché instillarle a forza quei ricordi non suoi? Tanto, il danno ormai era fatto. Si era consumato, per lei, nella Grotta degli Echi ed era stato suggellato dal giuramento espresso all'esterno di essa. Sesshomaru le era entrato nel sangue. Non tanto il gelido Imperatore di En, che difendeva la propria vulnerabilità con spietata fermezza, quanto quel Sesshomaru che aveva potuto conoscere e capire dai suoi ricordi. Il bambino solo, sottoposto a un addestramento crudele. L'adolescente che aveva dovuto combattere per tenere insieme la famiglia, un regno, il rispetto dei suoi simili. L'uomo che era stato tanto gentile con una bambina orfana e che si era legato a lei con un tenero affetto che ancora adesso lo distruggeva dall'interno. Il Signore di una terra che per lui era carne e sangue, una responsabilità che gli pesava addosso come un macigno insieme al destino delle Hoshisaki, senza un attimo di tregua.

Rin le aveva mostrato Sesshomaru attraverso i suoi occhi ed era stata un'esperienza dolorosa, quasi straziante. Certo, attivando Junan la precedente Portatrice era riuscita a rompere il muro di silenzio tra loro, ma questo non cambiava nulla.

«Non posso amarlo, Rin, perché lui non mi amerà mai.» disse alla notte con voce rauca. Si alzò di scatto, irata con se stessa. Aveva deciso cosa fare nel momento in cui Sesshomaru le aveva fatto capire di non riporre alcun interesse nel suo futuro: avrebbe ottemperato al proprio giuramento, spendendosi per la Stella di En fino in fondo, poi se ne sarebbe andata. Quel mondo era pieno di magia, a quanto sembrava. Forse, un giorno, sarebbe riuscita a tornare umana...a tornare a casa.

“Casa...”

Il vuoto che rispose a quella parola, dentro di lei, le trasmise un profondo senso di stanchezza. Alzò la testa e si tirò in piedi, decidendo di andare incontro al trio che aveva chiamato Sesshomaru. Quando li raggiunse, il rapporto dei tre giovani inu-yokai era quasi terminato e perfino nel buio Anna si accorse che l'Imperatore di En era pallido come un morto. I nuovi arrivati si zittirono con l’approssimarsi di lei, ma Sesshomaru fece loro cenno di proseguire.

«Sono a due giorni da qui, Sesshomaru-sama. Lui si muove in modo indipendente e in forma originale, quindi temiamo sia più vicino. – disse uno di loro, riluttante – Nessuno di noi sarebbe in grado di fermarlo, ma se doveste ordinarcelo…»

«Non avrebbe senso. Piuttosto, chiudete la fuga a Tashiki e agli altri vecchi, nel momento in cui saranno costretti a battere in ritirata. Al moko-yokai penso io.» lo interruppe Sesshomaru, con voce venata di disprezzo per coloro che lo avevano tradito.

«Crediamo che nessuno, voi escluso, possa tenergli testa.»

«È così. Il vecchio Imperatore di Gake non è un demone qualunque. – disse Sesshomaru, con un’amarezza che Anna non comprese – Ora andate. Kagura, la Demone del Vento, ci tiene d’occhio. Non permettetele di farvi perdere tempo.»

«L’abbiamo notata, Vostra Altezza, ma ci ha lasciati in pace e crediamo anzi che si sia allontanata.»

Sesshomaru si incupì, mentre i tre si dileguavano nella notte, tornando indietro. Se Kagura si era addirittura allontanata, significava che a Naraku non dispiaceva affatto che lui venisse a sapere del suo ultimo trucchetto. Oppure Kagura aveva piani tutti suoi che ancora restavano al di là della sua comprensione?

«Di che moko-yokai stavano parlando?»

La voce di Anna, un sussurro teso, lo riportò alla realtà. Vi fu un attimo di silenzio, perché gli risultava difficile mettere in parole una situazione che lo turbava più profondamente del dovuto.

«Soichiro, Imperatore di Gake prima che il suo più spregiudicato generale gli rubasse il trono e la vita.» disse, atono.

«Non capisco…» disse Anna e Sesshomaru comprese di essere stato troppo criptico.

«Naraku arrivò a possedere più Hoshisaki di Soichiro. Lo soggiogò e lo usò per i suoi scopi, poi lo assorbì insieme a Kookatsu, l’Astuzia. – si fermò un istante, poi aggiunse – Fu Soichiro a uccidere mio padre.»

La sentì inalare fra i denti, bruscamente, ma la sua voce non ebbe un cedimento quando chiese: «È un nemico che possiamo sconfiggere?»

«Io posso. Soprattutto ora che Soichiro è un morto vivente privo di Hoshisaki. – affermò Sesshomaru, guardandola dritta in faccia come a sfidarla a pensare il contrario – Che ci raggiunga prima o dopo essere giunti alla Fonte, se incrocia la mia strada non resterà niente che Naraku possa riassorbire.»

«Quindi proseguiamo?»

«Tenseiga è la priorità. Soichiro può aspettare, se è lanciato al nostro inseguimento non tarderà comunque a raggiungerci. Prima avrò dalla mia entrambe le Hoshisaki che porto, prima potrò cancellarlo dalla faccia di En.» disse Sesshomaru, poi la guardò. Se l’episodio di poco prima aveva risvegliato emozioni in lui, sul suo viso non ce n’era traccia. «Preparati a combattere. Avrai modo di dimostrarmi la fedeltà al tuo giuramento.»

«Sarò pronta, Sesshomaru-sama.» disse lei, atona. Di nuovo, come era accaduto giorni prima, il fatto che lei fosse tornata a quel tono formale attizzò la sua ira. Le voltò le spalle, incamminandosi, e quando Tenseiga vibrò piano al suo fianco vi posò una mano come per zittirla. La spada, o forse la sua stessa immaginazione, gli rimandò alla mente la strana visione di Anna che perdeva energia, si faceva debole, cadeva…Sarebbe accaduto davvero? La lotta contro Soichiro avrebbe visto la fine di questa nuova Portatrice di Junan?

“Che senso ha il fatto che Rin e Tenseiga non facciano altro che spingermi verso di lei, se è destino che si perda?” si chiese, sorprendendosi per la forza della rabbia che gli ribolliva dentro. Il futuro era ancora incerto? Dipendeva da lui?

Rin gli aveva ribadito un eterno affetto, ma Sesshomaru temeva che avrebbe finito per tradire il suo sentimento una seconda volta.

***

«Aiutami a capire, Kagura: sei stupida, pigra o in malafede?»

La voce di Naraku, il bagliore dei suoi occhi rossi nel buio le misero i brividi e Kagura ringraziò mentalmente la propria Hoshisaki per la dissimulazione che le offriva. Lui era arrivato mentre la Demone del Vento controllava a distanza l’arrivo dei giovani della Grande Famiglia, ai margini delle montagne ricche di fonti. Non aveva avuto alcun sentore dei suoi spostamenti, nessuna comunicazione nei giorni passati, e le si era ghiacciato il sangue nelle vene quando era comparso, forte di cinque Hoshisaki su sei, intimandole di allontanarsi con lui per evitare che Sesshomaru avvertisse la sua presenza.

“Come le ha ottenute?! Bankotsu e Jakotsu sono fuori dai giochi, si vede…ma Inuyasha e compagnia? È riuscito a farli secchi?!” si era chiesta, piuttosto scioccata. Questa imprevista fortuna di Naraku significava che i giochi erano quasi fatti e il suo tempo per trovare un modo di essere libera stava terminando.

«Puoi anche sgridarmi o deridermi, se ti va, ma non mi hai dato un compito facile.- disse, acida, aprendo il ventaglio e facendosi aria con noncuranza – Ho cercato di ammazzare quella ragazza e ancora un po’ ci rimango secca io, lasciando la mia Hoshisaki a Sesshomaru. Non avevamo tenuto in conto che io e lei siamo Opposti…te n’eri dimenticato?»

«Non esattamente.» la provocò Naraku e lei chiuse di scatto il ventaglio.

«Beh, bello scherzetto. Da lì in poi, ho fatto quello che volevi. Ho atteso di vederli creare un legame e sì, ti posso assicurare che qualcosa c’è, ma non ne potevo più di attendere un ordine di parte tua, sapendo che hai anche sguinzagliato Soichiro. Ti ho preparato il terreno, è tutto pronto per una tragedia delle tue e se non mi ringrazi stavolta significa che non sai apprezzare il lavoro dei tuoi alleati!»

«Oh…davvero? Quindi ho capito male quando i Saimyosho mi hanno fatto sapere che hai guidato Sesshomaru alla ricerca del potere che potrebbe dargli l’uso di Tenseiga, giusto?» chiese Naraku, mellifluo.

«Hai capito benissimo. Non vedi il nesso? Quel potere era stato promesso alla ragazza, per tornare umana! Sesshomaru l’ha rivendicato per sé senza un pensiero per lei, quindi il loro legame…»

«…vacilla. – finì per lei Naraku – Ma le Hoshisaki si rifiutano di nuovo?»

«No. E qui entri in scena tu…o meglio, la trappola che hai preparato.- disse Kagura, con disinvoltura – Non vedi? Se le Hoshisaki sono ancora in armonia, significa che a un livello profondo il legame si è instaurato e permane. In questo modo, il sacrificio di chiunque tra loro…»

«…sarà una ferita fatale per l’altro.- la interruppe di nuovo Naraku, ormai in sintonia con il piano di lei e pronto a vederne gli sviluppi – Senza contare che Sesshomaru potrebbe decidere di lasciarla indietro come vittima sacrificale, per il bene di En.»

«Pervertendo così le proprie Hoshisaki e perdendo il controllo della Stella di En.» mormorò Kagura, sperando di aver ben nascosto il buio terrore che quell’ipotesi le suscitava. Voleva separare Sesshomaru da Anna, voleva quella ragazza nel mondo dei defunti, ma non a costo di consegnare il mondo nelle mani di Naraku. La sua speranza era stata che raggiungessero la Fonte e Sesshomaru esprimesse il suo desiderio ben prima dell’arrivo di Soichiro o Naraku.

“Dannazione agli Shichinin-Tai e a quel pivello di Inuyasha!” pensò. Il silenzio di Naraku si prolungò e Kagura si tese suo malgrado. In quel momento, si decideva se e quanto avrebbe potuto vivere ancora fuori dal corpo del maledetto hanyo. Naraku aveva cinque Hoshisaki su sei, poteva decidere di reclamare Mukanshin e recarsi direttamente alle montagne sacre per ricreare la Stella di Gake. In questo caso, Kagura sarebbe stata assorbita di nuovo oppure, privata dell'Hoshisaki, avrebbe finito per palesare le proprie reali emozioni a Naraku, venendo uccisa ugualmente. Oppure ancora, Naraku poteva avere ancora desiderio di assistere alle sofferenze altrui e questo le avrebbe fatto guadagnare tempo. Provò quasi una vertigine quando Naraku avvicinò una mano al pettorale della sua strana armatura e afferrò due frammenti di stella, separandoli dal proprio corpo.

«Molto bene, Kagura. Al momento, la situazione mi piace e non c'è fretta.- disse, riempiendola di sollievo – Vieni, accompagnami da Soichiro. Ho un prestito da fargli, un buon auspicio per il suo incontro con Sesshomaru e con quella ragazza.»

Kagura annuì, notando che Naraku si stava privando dell'Astuzia e della Crudeltà.

“Tanto ne ha da vendere di suo.” pensò, caustica, ma annuì e seguì docilmente il proprio padrone in volo. Non vista, lanciò un'ultima occhiata al panorama roccioso.

“Sesshomaru, corri come se non ci fosse un domani.- pensò - Questa volta non potrò fare nulla per aiutarti. Naraku è deciso ad avere la vostra vita e ti servirà ogni scintilla di potere delle Hoshisaki che porti con te per riuscire a sopravvivere.”

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Capitolo 34
*** 33 - La tigre ***


CAPITOLO 33
 
LA TIGRE
 
Kagome aprì gli occhi quando iniziò a sentire caldo sotto il sole a picco. Mugolò, passandosi le mani sul viso, poi alzò lo sguardo verso la figura di Inuyasha, che le dava la schiena. Avvertendo il suo risveglio, l’hanyo si voltò.
«Hai riposato?» le chiese, senza lasciare le redini.
«A sufficienza. – lo rassicurò lei, alzandosi in piedi con qualche tentennamento – A che punto siamo?»
«Un paio di giorni ancora, credo.» rispose Inuyasha, guardando il panorama di fronte a loro. Kagome fece lo stesso, rimanendo come sempre impressionata da ciò che vedeva. Stavano volando sopra il territorio di En verso una catena di basse formazioni rocciose, su un carro imperiale trainato da due creature simili a draghi che Jaken aveva mandato loro incontro con encomiabile prontezza. Il fatto era che, mentre loro correvano verso il Palazzo in preda all’ansia per le notizie ricevute, Jaken aveva altrettanta fretta nel mettersi in contatto con loro perché Shippo era tornato dalla sua pericolosa missione portando con sé le indicazioni di Sesshomaru…o, per meglio dire, i suoi ordini. Pochi giorni dopo essersi separati da Miroku e Sango, avevano fatto sosta in un villaggio dove erano venuti a conoscenza del messaggio loro dedicato.
«Sesshomaru ha capito che non c’è più tempo, anche se al momento è fuori dal centro degli avvenimenti. – disse Inuyasha, pensando ad alta voce e incupendosi – Quella della Fonte dei Desideri è quasi un’ammissione di sconfitta, per lui. Deve avere avuto i suoi buoni motivi per mettere in relazione l’uso di Tenseiga e quest’altra eredità di nostro padre, ma non ho idea se la cosa possa funzionare. Stiamo parlando delle Hoshisaki, in fondo.»
«Quanto è potente questa Fonte?» chiese Kagome, affiancandoglisi. Le loro braccia si sfiorarono ma, pur arrossendo appena, nessuno dei due accennò a rompere il contatto.
«Chi lo sa? Io non l’ho mai vista. Non so nemmeno se mio padre l’abbia usata oppure se vi fosse qualcosa di utile per il suo piano, da quelle parti. Già, potrebbe anche essere così…magari Sesshomaru ha scoperto qualcosa.»
«Oppure sa che non c’è tempo e vuole provare a esprimere un desiderio.»
«Bah, è una cosa talmente fuori dal suo personaggio…Comunque, lo scopriremo una volta là. Speriamo solo di arrivare prima di Naraku e, soprattutto, di Soichiro.»
Le notizie raccolte erano tremende. La tigre di Gake stava lasciandosi dietro una scia di morte e distruzione e i vecchi della Grande Famiglia si erano ribellati apertamente, comandando un vero e proprio esercito di demoni di Naraku, guidandolo entro i confini di En. Jaken aveva spedito carri volanti in ogni direzione, sperando di intercettarli e aiutarli a raggiungere il più velocemente possibile il padrone.
«Sono contento di aver mandato Miroku a Sorayama. Dovremo bruciare le tappe, per la nostra vita e per la sopravvivenza di En.» mormorò Inuyasha. Kagome annuì, poi dovette reprimere un brivido e lui aggiunse: «Non temere, per il momento siamo troppo vicini al castello per subire attacchi e Miroku sta andando in direzione opposta agli scontri.»
«Non è quello. Sono pronta a combattere al tuo fianco, Inuyasha. - disse lei, riempiendolo di quel sentimento caldo che non le aveva ancora confessato – È che ho un pessimo presentimento. Non è stato fatto alcun accenno ad Anna-onee-chan e mi sembra strano. Se le cose tra loro stessero andando bene, Shippo lo avrebbe detto a Jaken e penso ci avrebbe fornito questa informazione, per tranquillizzarci almeno un po'.»
«Non è detto, la storia di Soichiro lo sta sconvolgendo dalla preoccupazione.» le ricordò Inuyasha, poi scosse la testa. A chi voleva darla a bere? Ci aveva pensato anche lui. Jaken poteva non apprezzare troppo la nuova Junan, ma voleva vedere la Stella di En unita quanto loro. Se avesse avuto delle buone notizie in merito, le avrebbe condivise. Invece, neanche una parola, né nel bene  né nel male.
“Cosa sta combinando mio fratello?” sospirò, incupendosi e stringendo più forte le redini. Non era abituato a essere lui quello equilibrato, quello più vicino a raggiungere la meta e gli scopi prefissati dall'eredità paterna. Sesshomaru era sempre stato l'inamovibile e perfetto cardine del destino di En. “Forse è su questo che sta giocando Naraku. La sua forza testarda è anche il suo punto debole. È sempre stato convinto di doversela cavare da solo, di non aver bisogno di nessuno e di poter maneggiare la profezia delle Hoshisaki modellandola secondo i propri desideri, senza farsene trascinare. Se la sorella di Kagome ha fatto breccia nella sua armatura, lui potrebbe aver mantenuto le distanze apposta, creando una frattura in cui Naraku non avrebbe difficoltà a inserirsi...”
«Quel bastardo!» sibilò ad alta voce, facendo impallidire Kagome. «Mi riferivo a Naraku. Kagome, tua sorella è un tipo testardo? Come credi si stia comportando con Sesshomaru? Sango e Miroku mi hanno detto che gli ha tenuto testa anche troppo e che vorrebbe tornare umana il prima possibile...»
«Beh...Anna non è una ragazza debole, ma di norma è una persona sorridente, che si sforza di rasserenare gli altri. Però ha un forte desiderio di indipendenza. È stata sballottata qua e là per tutta l'infanzia, senza alcun riguardo per la sua volontà e i suoi sentimenti, e questo l'ha segnata. Non appena ha potuto, è andata a vivere da sola per non pesare sulla mia famiglia. - ricordò Kagome, intristendosi, poi lo guardò con franchezza – Credo che Sesshomaru possa farle saltare i nervi come poche altre persone al mondo, ma Anna sa riconoscere la solitudine e il dolore. Non ha avuto un'infanzia facile e sa mettersi nei panni degli altri fin quasi a soffrirne. Se ha trovato qualcosa di buono in tuo fratello, farà di tutto per aiutarlo...Potrebbe arrivare a mettere in secondo piano il suo desiderio di tornare umana, se pensasse che ne vale la pena.»
“E Sesshomaru accetterebbe i suoi servigi senza battere ciglio...e senza ricambiare.” pensò Inuyasha con un altro brivido. Quale situazione migliore per il maledetto hanyo di Gake?
«Spero che Anna sia riuscita a fare un miracolo simile a quello di Rin, allora. - disse soltanto, sapendo che Kagome aveva già intuito fin troppo la sua preoccupazione – Mi spiace per i draghi, ma oggi non faremo pausa. Dobbiamo unirci a quei due prima che vengano raggiunti dalla vecchia tigre, o temo che avremo di che pentircene.»
***
Il suo nome era perso nel buio e nelle fiamme e, per quanto lo cercasse, non sembrava vi fosse modo per farlo riemergere. Ricordava confusamente secoli di gloria e potere, una convinzione interiore della propria grandezza e prestigio più che vere memorie a cui potesse appellarsi per ritrovare se stesso, tutto poi sciolto e sfatto nella grande tenebra caotica del corpo di Naraku.
Naraku, di cui era parte. Un essere inferiore che governava le Hoshisaki. Un coacervo di poteri tenuti insieme da astuta ambizione e smodato desiderio di pervertire e distruggere. Lo odiava e lo temeva, ma allo stesso tempo ormai se ne sentiva il braccio armato. Ciò che lo aveva mandato a fare corrispondeva con i suoi desideri più ancestrali: distruggere, uccidere. Si muoveva in un territorio che aveva il compito di devastare col proprio fuoco, sotto la copertura di esseri il cui odore canino lo feriva e gli faceva venire spesso voglia di voltarsi e fare strage per seguire il proprio istinto.
Si tratteneva perché gli era stata promessa una preda più grande, più pregiata. Non aveva riconosciuto il nome, ma ora che la sua vittima designata era vicina ne riconosceva in parte l’odore. Aveva avuto un nemico, tanto tempo prima…una delle pochissime cose che ricordava. Un maledetto inu-yokai, qualcuno che odiava e invidiava e che non si decideva a morire. Lo aveva spacciato, prima di essere risucchiato nel buio, ma a quanto pareva la sua nemesi aveva lasciato un erede. Qualcuno da bruciare nel fuoco fino a farne cenere.
Al solo pensiero, le fauci della tigre si spalancarono in un ruggito di pura, violenta fame di morte. Sulla sua fronte, i doni che Naraku gli aveva lasciato il giorno prima brillarono di luce malsana, facendolo sentire ancora più potente e pericoloso: l’Astuzia gli era stata restituita insieme alla Violenza e il suo sangue yokai non era mai stato così desto e aggressivo. Negli ultimi due giorni, aveva corso senza sosta, senza nemmeno soffermarsi a distruggere quanto gli stava attorno e seminando coloro che gli coprivano le spalle. Tutta la sua attenzione era stata convogliata verso quell’odore sempre più vicino. Ora, lo sentiva, il suo nemico si era fermato. Non si allontanava più: lo stava aspettando per scontrarsi con lui.
Assetato di sangue, colui che era stato Imperatore di Gake, l’uccisore di Inuken, balzò sulle rocce in un guizzare di muscoli possenti sotto il pelo striato. Ancora non lo vedeva, ma poteva sentirlo. L’inu-yokai era là, davanti a lui, insieme alle sue Hoshisaki. E Naraku lo osservava da grande distanza insieme alla sua serva superstite, pronto a calare come un avvoltoio sui frutti della battaglia ormai prossima.
Gli istinti di Soichiro, in effetti, avevano ragione. Sesshomaru vide il grande moko-yokai, circonfuso da un’aura infuocata, balzare sulle rocce, poi sparire tra di esse nella sua corsa. Era questione di poco, poi li avrebbe raggiunti. Non c’era modo di raggiungere la Fonte, nemmeno se avessero corso come mai prima: Soichiro sarebbe comunque stato loro addosso a pochi passi dalla meta e a quel punto Sesshomaru non aveva intenzione di voltargli le spalle. Sarebbe stato come fuggire e quella era una cosa che esulava dalla sua personalità in modo tanto radicale da non poter essere nemmeno contemplata.
Anna, al suo fianco, lo guardò. Il suo volto era pallido, tirato. Gli occhi sembravano bruciare, mentre scrutava l’orizzonte. La ragazza non faticò ad avvertire l’odio e la sete di vendetta che pervadevano l’Imperatore di En e non si sentì di condannarlo per aver deciso di fermarsi ad affrontare lo yokai che Naraku aveva sguinzagliato alle loro spalle. Quella tigre aveva ucciso il padre di Sesshomaru, la figura tanto inseguita e rispettata, quella meta mai raggiunta che Anna aveva potuto osservare e comprendere nella Grotta degli Echi. Come ci si poteva aspettare che voltasse le spalle alla possibilità di vendicarsi?
“Naraku è un essere orribile.” pensò Anna, non per la prima volta, mentre una smorfia involontaria le piegava le labbra. Era una trappola bella e buona, entrambi lo sapevano, ma il primo non poteva sottrarvisi senza rinnegare se stesso e la seconda non aveva il potere di impedirgli lo scontro.
«Lo aspettiamo o gli andiamo incontro?» chiese soltanto. Avvertiva il proprio sangue vibrare nelle vene, forse in risposta all’enorme potere che si avvicinava o, peggio, in risonanza con un altro yokai che aveva fatto parte del corpo di Naraku. Sperò che Sesshomaru non se ne accorgesse. Aveva già manifestato a sufficienza la sua mancanza di fiducia in lei.
Sesshomaru si guardò attorno, prendendosi tempo per risponderle. Sembrò trovare quello che cercava, le ordinò: «Vieni.», poi balzò sulle rocce, tornando indietro per un tratto e salendo fino in cima a una piattaforma che scendeva a picco per qualche metro, appena sopra a una vecchia frana. Lì si fermò, in attesa. Anna, perplessa, si guardò attorno cercando di capire cos’avesse di speciale quel luogo rispetto al punto in cui attendevano pochi minuti prima, poi credette di intuire. La roccia piatta sovrastava la gola al di sotto e non era raggiungibile con un singolo balzo da cime precedenti. Il moko-yokai avrebbe dovuto passare sotto di loro e Sesshomaru aveva intenzione di iniziare lo scontro da un punto che lo metteva in vantaggio.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Sesshomaru disse: «Lo affronterò da solo.»
Questo ebbe l’effetto di spezzare il contegno di Anna e di far emergere i suoi veri sentimenti, così che lui poté leggerli con relativa facilità: tensione, preoccupazione e, al momento, incredulità e sgomento.
«Cosa?» le uscì di bocca in un sussurro sfiatato.
«Hai sentito.» tagliò corto lui.
«Ma…ho giurato…ti ho promesso…»
«Non desidero i tuoi servigi, non ora. Soichiro è mio. – un lampo rosso gli attraversò lo sguardo, ancora puntato nella direzione da cui la tigre stava per comparire, poi lui si decise a guardarla – Questa vendetta mi è stata sottratta e ora mi viene offerta su un piatto d’argento. Non me la farò sfuggire solo per timore delle trame di Naraku.»
«Dovresti averne più timore, invece! È ovvio che si tratta di una trappola, anche Rin ha cercato di avvisarci!» sbottò Anna.
«Sono l’Imperatore di En. Ho la forza e il potere di rendere inoffensiva qualsiasi trappola quel dannato ragno mi mandi contro, come ho sempre fatto. Stai dubitando di questo?»
«No, è di Naraku che dubito! Non posso credere che ti stia semplicemente mandando contro il vecchio nemico di tuo padre. C’è qualcosa…qualcos’altro…» esclamò lei, frustrata, portando le dita all’Hoshisaki che aveva sulla fronte cercando spiegazione alla sensazione di nausea che le stava montando dentro. Sesshomaru, suo malgrado, si trovò ad apprezzarla un’altra volta. Pur venendo da un altro mondo ed essendo in sintonia con Junan da così poco tempo, gli istinti di lei erano desti e vigili.
«Ha due Hoshisaki. – le disse, dando voce alla sua inquietudine senza nome – L’ho avvertito, come e più di te. Questo non cambia niente.»
«Cosa dici?! Cambia tutto, se sono entrambe attive! – ansimò Anna, venendo avanti e trattenendosi all’ultimo dal toccarlo – Sesshomaru, Tenseiga non funziona ancora. Junan mi dà potere, senza contare che posso sottrarre e usare energie. Non ti intralcerò, cercherò di renderlo debole per te…»
«No. Non sei in grado di affrontare uno yokai del genere e non voglio perdere di nuovo Junan per un colpo di testa. Resterai qui.»
«A guardare senza immischiarmi?!»
«Ti ordino di far fuori eventuali pesci piccoli, se dovessero presentarsi. Pensi di farcela?»
«Posso farcela, ma…» tentò ancora di protestare lei.
«E, ovviamente, mi aspetto che tu non ne approfitti per raggiungere la Fonte dei Desideri senza di me.» non poté fare a meno di aggiungere Sesshomaru. La vide impallidire, poi avvampare. Fu avvolto dalla sua rabbia e da uno sdegno rovente, sentimenti così puri e intensi da cancellare, finalmente, i sospetti cresciuti in lui dalla sua conversazione con Kagura. La vide alzare una mano, come se volesse schiaffeggiarlo, ma Anna si frenò subito con un mostruoso esercizio di volontà e si fece indietro, guardandolo con occhi che dall’azzurro erano passati all’oro.
«Non ti fiderai mai di me, vero? – chiese, aspra, richiudendosi dentro se stessa – Non ti fiderai mai di nessuno. Non mi sorprende che Tenseiga taccia. Vai, affronta da solo il tuo fantasma. Fai quello che ti pare.»
Gli voltò le spalle e si allontanò, saltando con agilità su un’altra cima rocciosa, mettendo della distanza tra loro. Sesshomaru avvertì la tentazione di fermarla, di discutere con lei. Capire che era sincera e probabilmente fedele lo aveva come ripulito da un incantesimo di tenebra che lo teneva avvinto da giorni, ma quello non era il momento di dare equilibrio al suo rapporto con Junan. Ci sarebbe stato tempo dopo. Ora, Soichiro stava arrivando.
Dando priorità a una vendetta che agognava da troppo tempo, Sesshomaru tornò a voltarsi verso la gola e si trasformò, prendendo la sua imponente forma canina, col pelo bianco argenteo scintillante al sole. Anna, la quale lo fissava dalla sua postazione con occhi che non accennavano a tornare normali, si tenne pronta.
Anche lei, a quel punto, si reputava libera di fare quello che le pareva.
***
Lo scontro fu subito all’insegna della ferocia senza limiti. Non appena Soichiro comparve nella gola, Sesshomaru balzò dalla sua postazione sopraelevata e si scagliò sul nemico, le fauci spalancate e le unghie velenose pronte a colpire. I due corpi, quello a strisce nere e oro e quello bianco argentato, si avvinghiarono l’uno all’altro, mordendo e graffiando, poi si separarono, solo per darsi lo slancio per una nuova, violentissima aggressione. Già ai primi contatti era stato versato del sangue e l’Hoshisaki sul petto di Sesshomaru brillava di una luce intensa, così come quelle sulla fronte della tigre. L’inu-yokai si slanciò in avanti e Soichiro lo accolse con un fiume di fuoco che gli sgorgò dalle fauci come il fiato di un drago. Sesshomaru spiccò un balzo per evitarlo, cercando di atterrare di nuovo sulla schiena della tigre, ma quest’ultima si rigirò su se stessa e diede due zampate in aria, mancandolo ma rendendo vano l’attacco.
Sesshomaru atterrò alle sue spalle e Soichiro si fece sotto. L’Imperatore di En riuscì a colpire il muso dell’avversario con le sue unghie avvelenate, scavandogli la pelle sensibile vicino a un occhio e mandandolo a sbattere contro la roccia, che tremò. Soichiro ruggì e usò la parete di roccia per darsi lo slancio, avventandosi sulle zampe anteriori dell’inu-yokai. Le sue fauci si chiusero sulla parte alta della zampa, facendo sprizzare il sangue. Sesshomaru ululò, mentre Soichiro aggiungeva ai danni del morso quelli del fuoco, poi si avvinghiò alla tigre con l’altra zampa e sfruttò la posizione per morderlo alla nuca con tutte le sue forze, tirando e scuotendo per costringerlo a lasciare la presa.
I tre spettatori di quella scena, pur se partendo da sentimenti diversi, non furono sorpresi di vedere le luci delle Hoshisaki, soprattutto quella delle Punte di Stella complementari, farsi malsane. Una sorta di tenebra stava ammantando i due, che si divisero per saltarsi di nuovo addosso con violenza. Entrambi stavano inconsciamente trattenendosi dall’usare le Hoshisaki, ma il loro istinto aggressivo avrebbe presto preso il sopravvento sulla tattica, scatenando un processo autodistruttivo.
Naraku, che galleggiava in aria accanto alla piuma di Kagura, aveva sul viso un sorrisetto compiaciuto, gelido. Aveva messo Sesshomaru con le spalle al muro sfruttando al meglio le rigidità del suo carattere e non aveva remore nel sacrificare Soichiro per avere l’opportunità di condurre l’Imperatore di En alla morte o alla follia. Kagura, accanto a lui, non manifestava un’emozione ma dentro di sé era in pena. Quella era una situazione pessima persino per Sesshomaru e sapeva bene cosa succedeva combattendo la propria controparte, quindi temeva per lui e anche per se stessa. Con l’Imperatore di En fuori dai giochi, Naraku si sarebbe subito mosso per ricostituire la Stella di Gake…e niente le assicurava che a quel punto lei gli fosse ancora utile. Il pensiero di ritornare a essere una parte del suo corpo oscuro le faceva accapponare la pelle. Purtroppo, in quel momento non c’era nulla che lei potesse fare. Aveva rischiato tutto ciò che le era consentito indirizzando Sesshomaru alla Fonte dei Desideri, ma la sete di sangue di Soichiro gli aveva messo le ali ai piedi.
Anna, dal canto suo, osservava il violento scontro dalla sua postazione tenendo le labbra tanto serrate da farle sparire in una linea bianca. I suoi occhi erano rimasti color oro, la fiamma sulla sua fronte sembrava bruciare davvero sotto la soffusa luce violacea della sua Hoshisaki. Aveva paura, per Sesshomaru e per se stessa, ma era anche furiosa con tutto e tutti. Si teneva alla roccia con mani le cui unghie si erano allungate in artigli acuminati, le sue orecchie erano più appuntite, il corpo raccolto in quello che in qualsiasi momento avrebbe potuto trasformarsi in uno scatto. Restava dov’era per rispetto nei confronti della vendetta di Sesshomaru e per essere certa che nessun membro della Grande Famiglia o dell’esercito di Naraku stesse per intervenire, ma ormai sembrava evidente che il moko-yokai aveva seminato coloro che avrebbero dovuto fornirgli supporto e che ciò che si consumava tra quelle montagne era il duello all’ultimo sangue di due grandi Signori dei Demoni. Non sapeva che Naraku, poco distante, si chiedeva se avrebbe avuto il coraggio di immischiarsi, rendendo più soddisfacente il suo perverso divertimento, ma questo particolare non avrebbe avuto probabilmente alcun effetto sul suo proposito. Per una volta, Anna aveva intenzione di fare quello che sentiva con libertà, senza aspettarsi l’approvazione di nessuno.
Attese, mentre i due contendenti si infliggevano ferite che sarebbero state mortali per chiunque altro, sentendo la testa pulsare al ritmo del battito cardiaco. Vide la luce delle Hoshisaki farsi sempre più corrotta, finché esse non si attivarono, circondando i Portatori di un'aura di energia terribile. Quella argentata di Sesshomaru e quella di uno sgradevole giallo emanata da Soichiro si fusero e si scontrarono in una deflagrazione di potere che li ferì a vicenda e tirò indietro i capelli di Anna, come il vento di un'esplosione. La pelle le si tese sulle ossa come se solo la sua Hoshisaki la stesse salvando dall'essere spazzata via. Non osava immaginare quale dolore stessero provando i due contendenti, anche ora che si prendevano a morsi. I corpi di entrambi erano più forti di una creatura qualsiasi, ma erano comunque mortali. Quello scontro avrebbe finito col distruggerli internamente.
“Sesshomaru ha solo Chinoo su cui far conto. L'Hoshisaki di Tenseiga è come morta. Invece, la tigre ha due frammenti...” pensò, con una stretta allo stomaco. Stava compiendo un incredibile sforzo di volontà per dare ancora un po' di tempo a Sesshomaru di dimostrare che poteva farcela, ma non era forse impossibile? Perfino l'Imperatore di En non poteva che cedere, di fronte a un avversario suo pari che però era fornito di un potere esterno due volte più forte...
Quando Soichiro riuscì a liberarsi dalla presa di Sesshomaru, che gli aveva appena scavato solchi velenosi sulla schiena, e a sferrargli una zampata per poi alitargli una fiammata dritta in faccia, Anna decise che ne aveva abbastanza. Balzò, trasformandosi nel salto, tornando a essere il grande gatto dorato per la prima volta da quando aveva trovato asilo nel campo di Ojohi ed era entrata nella sfera di influenza della Stella di En. Soichiro l'aveva ignorata fino a quel momento e il fatto di aver momentaneamente accecato Sesshomaru, unito alla necessità di far cessare al più presto il dolore inconcepibile che gli pervadeva le membra per colpa delle Hoshisaki attive, aveva catalizzato tutta la sua attenzione sullo scopo di sferrare il colpo finale. Fu per lui una totale sorpresa la comparsa di quel neko-yokai, più piccolo di lui e di Sesshomaru ma infinitamente agile, che si frappose fra loro, soffiando e portando con sé la luce di Junan, brillante come la luna viola e capace di spezzare il legame perverso tra le Hoshisaki complementari.
La rottura del campo di forza fu un'altra esplosione, interna ed esterna ai Portatori. Soichiro fu scagliato all'indietro, ma atterrò senza troppi problemi sulle quattro zampe, scuotendo la grossa testa con fare stordito e spargendo gocce di sangue tutt'attorno. Anna fece da scudo a Sesshomaru, che aveva momentaneamente perso i sensi per l'accumulo di ferite. Vedendolo tornare in forma umana, Anna ne approfittò per chiudere i denti acuminati sui suoi vestiti, sollevarlo e correre via tra le rocce, tra cui scomparve alla vista lei stessa pochi istanti dopo.
«Che si fa? Si interviene?» chiese Kagura, guardando Naraku.
«No, si sono solo nascosti. Ora viene il bello, Kagura, godiamoci lo spettacolo.»
***
 «Che ferite…»
Sesshomaru aprì gli occhi a fatica. Sentiva le mani di Anna sfiorarlo, cercando di risanarlo con il potere di Junan. Ce ne sarebbe voluto parecchio per ottenere dei risultati: un braccio era fuori uso, quasi staccato dal corpo, senza contare le ferite al ventre e alla schiena e il fatto che non vedeva quasi niente. Pur aprendo gli occhi, tutto era avvolto in una nebbia rossastra e aveva contorni sfocati. Capì che lei lo aveva trascinato in qualche anfratto tra le rocce, sottraendolo momentaneamente alla battaglia.
«Ti avevo detto…» iniziò, quasi sibilando per il furore.
«…di non immischiarmi. Beh, l’ho fatto e non me ne pento. Niente sta andando come avevi previsto, se non te ne sei accorto! – tagliò corto lei, brusca, approfittando del fatto che anche parlare gli costava fatica – Vi sareste ammazzati a vicenda, non lo capisci? Per fare un piacere a Naraku, che ci sta sicuramente spiando. Le vostre forze sono pari e le Hoshisaki avrebbero fatto il resto!» Esalò un sospiro che voleva essere spazientito ma che si spezzò a metà, comunicandogli quanto lei fosse preoccupata, oltre che arrabbiata. Non solo la luce di Junan, ma anche l’odore delle emozioni di lei lo avvolgeva, senza più freni. La loro intensità gli fece quasi male perché gli diede un’orribile immagine di sé, nel pensare al proprio atteggiamento degli ultimi giorni. Fece il tentativo di alzarsi.
«Dove credi di andare?!» sbottò Anna, spaventata, posandogli le mani sul petto per frenarlo.
«Soichiro ci troverà immediatamente. Devo…»
«Devi stare qui, fermo, e lasciare che ti curi per quanto posso! Non temere per Soichiro almeno per un po’, ho trovato un anfratto in cui solo una forma umana potrebbe infilarsi. Deviato com’è dalle Hoshisaki e dal potere di Naraku, non credo sia in grado di trasformarsi.»
«Questo non lo fermerà.»
«No, ma mi darà il tempo di fare qualcosa per te. Ora lasciami lavorare.» lei chiuse la discussione, concentrandosi per guarirlo quanto poteva. Sesshomaru rimase in silenzio, sapendo di non avere né le forze né la volontà di resisterle. Nei minuti che seguirono, udirono Soichiro ruggire più volte. Le rocce tremarono, mentre la tigre passava sopra le loro teste, avvertendo il loro odore senza poterli vedere o raggiungere. Una volta, frustrato, Soichiro esalò il suo fuoco nella strettoia e per un attimo Anna sobbalzò e si tese, voltandosi di scatto verso la stretta apertura dell’anfratto mentre al di fuori si scatenava l’inferno e l’aria diventava quasi irrespirabile. Poi, Soichiro riprese ad artigliare la roccia e a ruggire e la temperatura rovente tornò a scendere.
Man mano, la vista di Sesshomaru si schiarì abbastanza da permettergli di vedere meglio dove si trovavano, pur se sempre in una nebbia rossastra. Le ferite meno gravi si chiusero, ma per le altre sarebbe servito tempo. Il braccio, soprattutto, era in pessime condizioni. Anna si fermò prima di esaurirsi. La luce di Junan smise di fluire nel suo corpo, ma le mani di lei rimasero posate sul suo petto e, quando Sesshomaru abbassò lo sguardo sul suo viso, si accorse che lo fissava con intensità, le labbra serrate e il volto pallido.
«Non puoi continuare a combattere in queste condizioni.» gli sussurrò. Sesshomaru avvertì la sua preoccupazione quasi disperata.
«Devo.» replicò, brusco, e fece di nuovo per alzarsi. Lo stupì scoprire quanto fosse difficile, come il suo corpo anelasse altro riposo, altra guarigione. Non ricordava di essere mai stato ferito così. Anna esercitò la sua forza yokai e lo costrinse a stare dov’era, guadagnandosi un’occhiata astiosa e una spinta inaspettata che la costrinse a barcollare all’indietro ma che non le fece mollare la presa né mutare espressione.
«Se combattessi con te, le nostre Hoshisaki saprebbero pareggiare il potere di quelle unite in Soichiro?» chiese invece, pratica. Sesshomaru, stavolta, parve rifletterci. Passò qualche istante prima che rispondesse: «No. Non sappiamo combattere insieme, né unire la forza delle nostre Hoshisaki. Siamo divisi.»
La consapevolezza di quel fallimento li soverchiò entrambi. Sesshomaru avvertì una sorta di bile acida risalirgli in gola, mentre la guardava davvero per la prima volta dopo quel momento di rivelazione che era stata la Grotta degli Echi. Quella giovane donna era lì per lui. Se solo le avesse dato le giuste occasioni, si sarebbe legata alla causa di En non solo con un giuramento, ma con tutta la sua anima. Ancora adesso, nonostante tutto, gli si offriva. E lui l’aveva rifiutata.
“Cos’ho fatto in tutto questo tempo? Di quale cecità mi sono ammantato? – si chiese, sbalordito nello scoprire in sé una crepa, una debolezza su cui Naraku e i suoi servi avevano fatto leva – Questa donna serviva a En. Dovevo farne la mia arma. Invece, pur di tenerla a distanza mi sono privato di un’alleanza che poteva cambiare le cose e risolvere la guerra delle Hoshisaki. Sono stato un folle!”
Ricordò le parole di Kiokuchi, i moniti di Totosai, i messaggi più o meno chiari dello spirito di Rin. Tutti avevano cercato di avvisarlo, ma lui si era rintanato nella sua torre d’avorio, danneggiandosi da sé.
«È troppo tardi, vero?» chiese Anna, in un sussurro sfinito.
«Sì.»
Soichiro soffiò di nuovo fuoco nella fenditura mentre artigliava la roccia, facendola tremare e fondere. Sesshomaru alzò la testa di scatto mentre il calore gli tendeva la pelle del viso e gli faceva dolere maggiormente il braccio, perciò non si rese conto del movimento di Anna finché non avvertì il contatto con il corpo di lei, le sue braccia che gli si chiudevano dietro al collo. Si irrigidì nell’abbraccio inaspettato mentre fuori si scatenava la tempesta di fuoco.
«Quanto manca alla Fonte dei Desideri?» gli chiese, sfiorandogli l’orecchio col respiro. La domanda lo riportò alla lucidità mentre, al contempo, il suo corpo si risvegliava da un torpore eterno a contatto con quelle membra flessuose. Voleva stringerla e non rispondere. Voleva allontanarla e uscire a combattere per annegare quelle sensazioni nel sangue.
«Un paio d’ore.» disse invece, in apparenza gelido come sempre.
«E in volo?»
«Poco più di una.»
«Puoi volare in queste condizioni?»
«Certo che posso…» Si bloccò, mentre fuori Soichiro era costretto a prendere fiato e l’atmosfera infuocata recedeva. Si voltò a guardarla, ma per un attimo poté vedere solo i suoi capelli dorati, le spalle sottili. Poi lei si scostò un poco, permettendogli di scrutare l’espressione del suo viso. Sorrideva, con una dolcezza malinconica che non le aveva mai visto.
«Allora possiamo farcela.» disse lei, confondendolo di nuovo. Non capì subito, quando si portò entrambe le mani alla fronte, ma nel momento in cui Junan emanò una luce viola così intensa da essere quasi dolorosa e gli parve improvvisamente di avere le orecchie piene del suono del pianto di Rin, fu sconvolto dalla portata del gesto che lei stava compiendo.
«No!» si sentì esclamare con voce forte, abbastanza alta da essere udita da Soichiro e scatenargli un nuovo parossismo d’odio là sopra, sulle rocce. L’unica mano che riusciva a muovere scattò a stringerle il polso in una morsa, strappandole con violenza le mani dalla fronte…ma ormai era fatta. La fiamma sulla fronte di Anna era vuota, un tatuaggio per la prima volta completo che si stava già scurendo dalla base, vertendo al blu scuro. Nei palmi delle sue mani, riposava l’Hoshisaki da cui dipendeva, se non la sua vita, l’equilibrio del suo sangue ibrido. Anna sorrise con un tale fatalismo da fargli annodare lo stomaco nel ventre.
«Prendi Junan. Vai alla Fonte e risveglia Tenseiga. – gli disse, liberandosi con gentilezza dalla sua stretta e posandogli il frammento di stella nel palmo – Io terrò occupato Soichiro e coprirò i tuoi spostamenti.»
«Incosciente! Non hai modo di sconfiggerlo…»
«Lo so.»
«…e senza Junan il sangue neko-yokai ti farà diventare pazza!»
Anna si alzò con uno scatto all’indietro, liberandolo improvvisamente da un contatto che lo aveva riscaldato più del dovuto, e lo guardò. Pur con la vista annebbiata, Sesshomaru non faticò ad accorgersi che lei stava già cambiando. I suoi lineamenti si andavano facendo più affilati, la fiamma sulla fronte si stava ramificando fino ai capelli, diventando man mano nera. Gli occhi erano tornati d’oro e quando sorrise scoprì zanne. Nonostante questo, la sua bellezza in quel momento era quasi dolorosa.
«Sesshomaru, tu devi andare. Non hai scelta! Devi riunire la Stella di En e io voglio che tu vinca la tua battaglia. Hai sofferto per troppo tempo, lo meriti. Inoltre, non voglio che Kagome corra rischi, né che le sia impedito di tornare a casa. Voglio proteggere mia sorella e la persona da cui dipende il bene di tutti, è una mia libera scelta. – disse, poi parlò più in fretta per evitare la sua replica e, forse, convincere se stessa – Non mi sto sacrificando. Tu tornerai, no? Non sono in grado di sconfiggere Soichiro, anche se è ferito poco meno di te, ma posso stancarlo e fargli perdere tempo. Quando tornerai, mi ridarai Junan, se lo vorrai. Forse tu non ti sei mai fidato di me, ma io ho imparato a conoscerti. So che manterrai la parola. Tornerai?»
Sesshomaru la fissò senza parlare, mentre dentro di lui crollavano muri di silenzio, incomprensione, dolore. Capì perché Rin l’aveva scelta per lui. Finalmente, in quel momento di debolezza, la comprensione sbocciò in lui al livello più profondo, lasciandolo attonito. La vide rabbrividire, poi la sua aura demoniaca crebbe a dismisura, riempiendo la grotta. Non aveva più molto tempo prima di cedere agli istinti.
«Tornerai?» gli chiese ancora con un miagolio rauco, mentre le dita artigliate si aprivano e chiudevano e il nero le giungeva fino ai capelli, iniziando a striarglieli. Le dita di Sesshomaru si strinsero su Junan, tanto da avvertire le punte entrargli nella carne del palmo.
«Tornerò.» disse soltanto.
«Bene. – mormorò lei, con un ultimo sorriso che fu in realtà una terribile smorfia di sofferenza – Vola tra le rocce. Aspetta la luce. Ti coprirà.»
Gli voltò le spalle e balzò fuori, quasi fuggendo. Anzi, probabilmente era proprio ciò che stava facendo: non voleva perdere il controllo mentre era ancora lì con lui. Non aveva modo di sapere se il sangue neko-yokai sarebbe stato in grado di riconoscere tra amici e nemici.
Mentre all’esterno si alzavano i rumori della nuova lotta, Sesshomaru impiegò ogni grammo di forza per alzarsi in piedi e spostarsi verso l’uscita dell’anfratto. Guardò in alto, verso lo spicchio di cielo tra le rocce, ma a parte brevi lampi di luce e di fuoco non vide nulla dello scontro.
Anna aveva ragione. Se avesse testardamente continuato quel duello, avrebbe fatto la fine di suo padre. Gli serviva Tenseiga, gli serviva giungere alla Fonte. In quel momento, odiò le Hoshisaki come non mai.
«Tornerò.» mormorò ancora, quasi feroce. Avrebbe schiacciato Soichiro e cancellato il ghigno dalla faccia del maledetto Naraku, ma soprattutto avrebbe smesso di sottrarsi alla profezia e al bene che era stato preparato per lui. Anna non meritava di vivere come uno yokai folle, men che meno di terminare la sua esistenza in quel modo.
Il lampo di luce dorata arrivò, immenso e accecante, insieme a un ruggito di dolore. Sesshomaru si sollevò in volo e si allontanò dallo scontro verso la Fonte dei Desideri, attingendo a tutte le energie che gli erano rimaste.

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Capitolo 35
*** 34 - Il sacrificio ***


CAPITOLO 34
IL SACRIFICIO

 
Nel momento in cui Anna si privò di Junan per affidarla a Sesshomaru, l'intera En ne subì l'effetto. Un tremito spirituale, come il presentimento di un orribile pericolo, passò attraverso gli animi dei suoi abitanti. La maggior parte dei ningen avvertì poco più di un brivido e alzò gli occhi al cielo come se si aspettasse di vedere nubi tempestose. Gli yokai, o quantomeno i meno potenti tra loro, sentirono una tensione attraversare i loro corpi, come se tutti i loro istinti li spingessero a nascondersi o attaccare sotto un pericolo imminente. Le anime più elevate, come quelle dei monaci e delle miko, e gli yokai più potenti, avvertirono invece l'approssimarsi di un momento decisivo per i destini di En. Era come se il futuro stesso della Stella incombesse sul Paese, pronto a frantumarsi.
«Cosa sta succedendo? - chiese Sango, sfiorando con la mano la cinghia di Hiraikotsu – Ho la pelle d'oca e...e un'orribile paura.»
«Non te lo so dire con certezza, ma sta per succedere qualcosa alla Stella di En. È in pericolo come non mai. - rispose Miroku, che si era fatto terribilmente pallido – Per un attimo, mi si è quasi fermato il cuore in petto dal terrore.»
Erano scesi dalla groppa di Kirara, che aveva fermato il suo volo perché troppo turbata per proseguire. Si era perfino trasformata in un gattino e adesso era adesa alla caviglia di Sango, cercando conforto. Erano partiti dal villaggio non appena Sango era stata abbastanza in forze da viaggiare. Era consapevole di non poter far altro per il fratellino e aveva detto chiaramente a Miroku che non lo avrebbe mai lasciato solo nel viaggio verso le montagne sacre. Il monaco era stato felice di averla con sé ed entrambi si erano comportati in quei giorni in modo amichevole ma professionale, come se volessero mantenere una certa distanza. Miroku ne aveva riso dentro se stesso con una buona dose di ironia: forse Sango era più sollevata, ma lui sentiva il peso di quella finzione. Non vedeva l'ora di contribuire all’unità della Stella di En. Se fosse sopravvissuto a quella maledetta storia, avrebbe buttato alle ortiche il suo sorriso serafico e le maniere da gentiluomo e le avrebbe chiesto di diventare sua.
«Potrebbe significare che Kagome e Inuyasha sono in pericolo?» chiese ancora Sango.
«Forse, oppure si tratta di Sesshomaru e Anna. – mormorò Miroku, poi torse la bocca in una smorfia – O, peggio ancora, Naraku è a Sorayama e ha unito la Stella di Gake.»
«Credo che ne avremmo visto gli effetti, ma non è un’ipotesi da sottovalutare. Cosa facciamo?»
«Possiamo solo arrivare a Sorayama il prima possibile e sperare di poter essere utili, Sango. Non abbiamo altra scelta.»
Sango annuì, poi si chinò per accarezzare Kirara e chiederle un ulteriore sforzo. Il neko-yokai si trasformò subito, pur se ancora scosso da un certo turbamento. Mentre risalivano in groppa, Sango mormorò: «Miroku, promettimi che non userai la maledizione sulla tua mano.»
«Sai che non posso promettertelo, Sango. – sospirò Miroku, poi si concesse di stringerle la vita con dolcezza e posare per un attimo la fronte contro la testa di lei – Farò quel che posso, ma in presenza della Stella di Gake potremmo avere qualche speranza solo grazie al Foro del Vento. Non verrò meno al mio dovere per timore di ciò che potrebbe accadermi.»
Sango strinse le labbra in una linea quasi invisibile e Miroku avvertì la tensione del suo corpo, come se il respiro le fosse diventato complicato, ma la Cacciatrice non replicò, limitandosi a dire a Kirara che poteva partire. Miroku lasciò cadere l’argomento. Era troppo rischioso, da qualunque parte lo si volesse guardare.
In quello stesso momento, anche Inuyasha e Kagome stavano avendo seria difficoltà nel gestire la sensazione di disastro incombente che si era impadronita di loro. Kagome faticava a stare dritta dal tremito che la scuoteva e Inuyasha la teneva con un braccio contro di sé, mentre l’altra mano gestiva le redini. Erano entrambi pallidi e la gravità del momento aveva cancellato qualsiasi futile imbarazzo tra loro. Avevano bisogno del vicendevole supporto.
«È successo qualcosa a uno di loro.» disse Kagome, con voce rauca. Aveva paura di mettere in parole quello che sentiva, perché temeva di capire il vero motivo di quella bruttissima sensazione.
«Non ancora. Non proprio. – disse Inuyasha, non meno teso di lei – Non conosco questa sensazione. La Stella di En è in pericolo, questo è chiaro, ma se…se uno dei Portatori fosse morto portando via con sé la propria Hoshisaki, avremmo sicuramente avvertito lo strappo. No, è come se l’intera stella fosse in pericolo.»
«Allora forse Naraku è già a Sorayama.» mormorò Kagome, alzando su di lui occhi scuri e angosciati. Inuyasha strinse le labbra in una linea sottile. Aveva pensato la stessa cosa, ma non aveva osato dirlo. Se la Stella di Gake era risorta nella sua interezza, significava che erano in un bel guaio. Sperò che Miroku non fosse arrivato in tempo a Sorayama: il peso della sua vita sulla coscienza lo avrebbe tormentato.
«Eppure…»
La parola piena di dubbio di Kagome lo riportò alla realtà. Guardò la giovane, chiedendosi su cosa stesse riflettendo. In quel momento gli sembrò terribilmente simile a Kikyo, com’era nei primi tempi della loro conoscenza. Il suo spirito era tutt’uno con Shinsetsu e l’Hoshisaki le dava una capacità di comprensione fuori dalla norma.
«Eppure, la rinascita della Stella di Gake non ci avrebbe dato un segno più deciso? Immagino che ci avrebbe inferto un colpo molto più profondo e dannoso. – mormorò, corrugando la fronte – Inoltre, non riesco a credere che Naraku non abbia voluto assistere alla trappola che aveva preparato per Sesshomaru. La sua forza sta tutta nell’orribile malizia che lo muove, nella sua fame di sofferenza altrui.»
«Già, ma se Naraku è ancora da queste parti significa che il pericolo è un altro.» disse Inuyasha, con una smorfia. Le parole di Kagome erano logiche, ma lo mandavano ancora di più in confusione. Se non si trattava della Stella di Gake e non avevano perso frammenti della Stella di En, allora cosa diavolo era quella sensazione che tutto stesse per andare a rotoli?!
In quel momento, giunse loro l'eco lontana di un rombo, come se un tuono avesse fatto sentire la sua voce, ed entrambi ebbero l'impressione fugace di una forte luce alla loro destra, oltre la linea frastagliata dell'orizzonte roccioso, ma quando si voltarono non videro nulla.
«Cos'era? Sembrava un'esplosione!» chiese Kagome, angosciata.
«Non ne ho idea, ma sarà meglio dirigerci da quella parte. Non vorrei...»
Smise di parlare, attonito, quando i suoi occhi notarono una figura bianca in lontananza, non lontano da una zona delle montagne da cui provenivano le nebbie vorticose di sorgenti calde. Proprio queste ultime, spostate dal vento come tende lattiginose che si aprivano e chiudevano, gli avevano impedito fino a quel momento di notare il viandante. La persona stava ritta su uno sperone roccioso, col corpo volto verso le sorgenti calde, ma era immobile e sembrava che stesse guardando alle proprie spalle, in direzione della presunta esplosione che loro stessi avevano appena udito.
«Sesshomaru?!» sbottò Inuyasha nel riconoscerlo e Kagome sobbalzò al suo fianco per lo spavento. Si accorse di aver quasi urlato e le rivolse un'occhiata di scuse, prima di sciogliere a malincuore la stretta e indicarle il punto dove guardare, anche se la nebbia stava di nuovo rendendo confusa la visuale.
«Lo vedo, ma...è solo?!» disse Kagome, sporgendosi un po' troppo dal bordo del carro per vedere meglio.
«Non credo. - mentì Inuyasha, che aveva notato la mancanza di Anna ma non voleva farla preoccupare prima del tempo – Raggiungiamolo in fretta!» Diede un colpo di redini per chiedere un ultimo sforzo ai due draghi, pregando in cuor suo di non aver tratto le conclusioni corrette da ciò che aveva visto. Se davvero Sesshomaru aveva lasciato indietro la sorella di Kagome…beh, era finita. Ogni fiducia o speranza di mantenere in armonia la Stella di En si sarebbe infranta, dando spiegazione a quel senso di disastro che incombeva sulle loro teste e nei loro cuori.
***
«Non lo insegui?» chiese Kagura, attonita.
Il neko-yokai era comparso dal nulla, come emerso dalle profondità della montagna, e in fondo doveva essere proprio così. Per trarsi fuori dalla portata di Soichiro, quella donna doveva aver portato Sesshomaru in un anfratto troppo stretto per il moko-yokai. Kagura aveva continuato a scrutare Naraku di sottecchi, aspettandosi che intervenisse mentre Soichiro balzava a destra e a sinistra, ruggiva e alitava il suo fuoco in ogni buco, ma l’hanyo sembrava impassibile, come se anche quel contrattempo facesse parte dello spettacolo. Non aveva fatto altro che lasciarsi scappare un sorrisetto quando i due felini dal pelo dorato avevano iniziato a darsele di santa ragione, fuoco contro energia, forza bruta contro agilità, e ancora Kagura era riuscita a mantenersi in silenzio, ma quando aveva avvertito affievolirsi la presenza di Sesshomaru e si era resa conto che l’Imperatore di En se ne stava andando da solo verso la Fonte dei Desideri, non era più riuscita a tenere chiusa la bocca.
Era attonita e, per una volta, non sapeva cosa pensare di Sesshomaru, che stava dimostrando un disinteresse per i suoi alleati pari a quello di Naraku. Lasciare la bionda a combattere contro Soichiro significava condannarla a morte, perché non c’era modo per lei di sconfiggere uno yokai tanto antico e potente.
«Certo. Perché dovrei rovinarmi uno spettacolo a cui ho tanto atteso di poter assistere?» mormorò Naraku, sempre intento a godersi lo scontro tra i due felini. In quel momento, Anna stava sferrando unghiate al ventre di Soichiro, ma i suoi artigli erano poca cosa contro la pelle dura del vecchio Imperatore di Gake. Quest’ultimo le afferrò la schiena tra le fauci, facendola miagolare di dolore, ma Soichiro dovette lasciarla andare velocemente perché sembrava che lei avesse trasformato il suo intero corpo in uno strumento per assorbire energia.
«Non capisco. – insistette Kagura, che però aveva la bocca arida – Sesshomaru è stato ferito gravemente. Credevo volessi vederlo morto, invece non ne stai approfittando...»
«Perché vederlo morto così alla svelta quando ha ancora così tanto da soffrire? – disse Naraku e il suo sorrisetto si fece contorto e crudele – Kagura, sei impulsiva e come tutte le creature impulsive a volte non vedi nemmeno ciò che sta davanti al tuo naso. Guarda la fiamma sulla fronte della ragazza.»
«È nera. – notò Kagura, poco interessata, poi non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi – L’Hoshisaki…»
«Non c’è più, già. Junan è in mano a Sesshomaru.» Naraku ridacchiò nel riconoscere lo shock di Kagura a quella notizia, così forte che nemmeno Mukanshin fu in grado di nasconderglielo. «Proprio così, Kagura. L’ha lasciata indietro. Per meglio dire, se posso azzardare un’ipotesi, lei stessa ha sacrificato la propria sanità mentale e la vita per farlo fuggire verso la Fonte dei Desideri insieme alle Hoshisaki della Stella di En.»
«E tu lo stai lasciando scappare.» disse Kagura, attonita.
«Non può più scappare. Non capisci? Accettando quella Hoshisaki si è condannato. – rise Naraku, gelandole il sangue – La ragazza morirà e questo corromperà Junan. L’egoismo di Sesshomaru finirà di guastare anche Chinoo e nessun desiderio al mondo gli potrà più aprire la strada per l’uso di Awaremi. La Stella di En non potrà più essere unita e nemmeno quello stolto di Inuyasha o la rediviva Kikyo potranno porre rimedio. Il senso di colpa lo schiaccerà. Ho già vinto, Kagura. Non appena la ragazza morirà, riprenderò le Hoshisaki da Soichiro, riassorbirò Soichiro stesso e io e te andremo a riunire la Stella di Gake. Dopodiché, mi godrò il loro dolore, prima di cancellarli dalla faccia di questo mondo. Come vedi, ho tutto il tempo di godermi lo spettacolo.»
Kagura lo fissò, senza fiato, rendendosi conto che ormai il destino di En era segnato. C’era qualcosa che lei potesse fare? No, non più…Sesshomaru si era condannato con le sue stesse mani. Anche lei era condannata, lo sapeva. Forse Naraku avrebbe atteso di riunire la Stella di Gake, prima di riassorbirla, ma non oltre. La fine era vicina. Tornò a fissare la battaglia, anche se i suoi occhi vedevano ben poco dello scontro impari. Arrivò a sperare che la ragazza prevalesse, al di là della rivalità tra loro, anche solo per cancellare quel sorrisetto dal volto di Naraku.
Invece, alla fine, accadde l’inevitabile. Soichiro riuscì a rallentare Anna durante uno dei suoi veloci balzi colpendola in pieno col suo fuoco, poi approfittò del momento per affibbiarle una zampata che la scaraventò contro la roccia e quindi a terra, in una frana di sassi. Soichiro le balzò sopra, nascondendola alla loro vista col suo corpo e affondò le fauci, mordendo più volte per fermarsi, infine, accovacciato sulla sua preda vinta.
«È finita.» mormorò Kagura, e non si riferiva tanto ad Anna quanto a tutto ciò che la sua morte implicava.
«È stata poco interessante in sé, ma ve bene così. Vieni.» le ordinò Naraku, di nuovo duro e sbrigativo. Volarono nei pressi della battaglia, ma quand’erano ancora a una certa distanza Naraku stese una mano e la fermò. Il suo volto si era fatto rigido, gli occhi rossi si erano socchiusi in un’espressione di sospetto. Kagura non osò fare domande e si costrinse a cogliere ciò stava agendo sull’umore dell’hanyo. Inizialmente non vide nient’altro che il grosso corpo della tigre, accucciato su quello della neko-yokai fino a farlo sparire, coda a parte. Per un attimo pensò che Soichiro fosse intento a divorarla e si fece quasi scappare una smorfia di disgusto, poi si accorse del tremito che scuoteva a ondate il corpo del moko-yokai, del modo in cui le sue membra sembravano pesanti, abbandonate.
«Cosa gli sta succedendo?» mormorò, corrucciata, poi intravide una luce sotto il ventre di Soichiro…una luce che andava facendosi più intensa.
«Quella maledetta!» sibilò Naraku, sorprendendola, poi l’hanyo si parò davanti a lei e attivò la sua nuova, impenetrabile barriera. Un attimo dopo, tutto attorno a loro esplose in un boato e un lampo accecante di luce dorata. Kagura trattenne un grido e si afferrò alla piuma, mentre lei e Naraku venivano sparati via dalla potenza dell’urto pur senza subire danno. Per una volta, si trovò a benedire di essere la Portatrice di Mukanshin, unico motivo per cui il suo padrone era stato tanto lesto a proteggerla, poi la luce si spense bruscamente, lasciandoli scossi e, nel caso di Naraku, furibondi. Soichiro non c’era più. Ogni traccia di lui era persa. Il suo corpo era stato disintegrato dall’enorme energia che si era sprigionata, ponendo definitivamente termine all’esistenza dell’antico Imperatore di En. Tra i sassi della frana, non c’era più nemmeno il corpo dorato della neko-yokai, solo una figurina umana scomposta che pareva una bambola di stracci insanguinata.
“Ha ucciso Soichiro sfruttando la sua stessa yuki.- pensò Kagura, attonita – Quella ragazza…Tanto di cappello, è stata una degna rivale.”
Scesero ai piedi della frana. Per prima cosa, Naraku recuperò i frammenti della Stella di Gake, che giacevano come pezzi di vetro di poco valore tra i sassi. L'enorme energia sprigionata non aveva potuto distruggerli, ma per il momento aveva tolto loro la carica di potere che l'uso da parte di Soichiro gli aveva conferito. Ci sarebbe voluto qualche tempo a contatto con la malvagità di Naraku per restituire loro la piena potenza. Purtroppo, Kagura sapeva che non ci sarebbe voluto molto: l'hanyo era una fonte inesauribile di potere oscuro. Solo dopo averli incastonati nella propria armatura, Naraku si volse verso quella nemica inaspettata che lui stesso aveva tratto dal pozzo Honeido per poi ritrovarsi a pentirsene amaramente.
«Questa stupida donna...- mormorò, con tanto astio che Kagura quasi si felicitò che la giovane fosse  morta senza conoscere le torture nascoste in quella voce – Non ha fatto altro che starmi tra i piedi da quando è arrivata in questo mondo.» Poi la guardò bene e rise piano, avvicinandosi al corpo. «Beh, almeno offrirà un soddisfacente spettacolo a Sesshomaru, nel momento in cui tornerà. Soichiro l'ha conciata per le feste.» mormorò, sadico, osservando le larghe macchie di sangue, la posa scomposta, i vestiti semicarbonizzati e la pelle ustionata. Anche i capelli dorati erano in parte bruciati. Ciocche raggrumate e ancora fumanti le coprivano in parte i lineamenti.  Kagura rimase indietro, senza scendere dalla propria piuma. Sentiva qualcosa nel vento, una specie di distorsione nelle energie del luogo, che le dava la nausea come e più di quel patetico spettacolo. Non si stupì più di tanto quando Naraku si bloccò, ancora a una certa distanza da Anna, e la fissò con rinnovato odio, stringendo le labbra.
«Che c'è?»
«Non è ancora morta.»
«Cosa?!» sbottò Kagura, attonita.
«Il suo corpo sta cercando energia per nutrirsi e provare a guarire. Dannata, è attaccata alla vita come un parassita all'ospite. Se provassi ad assorbirla, sarebbe capace di togliermi qualche altro pezzo. - sibilò Naraku, contrariato, poi voltò le spalle alla donna – E sia, che la sua fine possa essere ancora più lenta e dolorosa. Non troverà nulla con cui nutrirsi, non qui, tra rocce prive di vita. Il suo corpo rimarrà una spoglia pietosa su cui lasciar piangere i fratelli inu-yokai.»
«Arriveranno quei pidocchi della Grande Famiglia. Non potrebbero farle un involontario favore?»
«Per allora sarà già morta. Le do poche ore. Ma hai ragione...perché rischiare?»
Chiamò uno dei suoi Saimyosho, gli parlò, poi lo mandò incontro ai traditori di En con l'ordine di evitare di avvicinarsi al corpo della donna bionda ma di stare attenti all’eventuale presenza di Sesshomaru. Kagura seguì il volo dell’insetto con lo sguardo, cupa, poi la mano di Naraku le si chiuse sul braccio con una stretta possessiva che la fece impallidire suo malgrado.
«Saluta la tua rivale, Kagura. Andiamo a riunire la Stella di Gake.» le disse, con uno scintillio negli occhi rossi. Kagura non rispose, sapendo che non aveva scelta se non seguirlo. Lanciò un ultimo sguardo al corpo di Anna, chiedendosi se alla fine dei conti non fosse andata meglio alla ragazza. Non osò spingere lo sguardo in lontananza, quando volarono via, cercando Sesshomaru. Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta più di ogni altra cosa, ma la mano di Naraku la teneva ancora con una stretta che era una vera e propria morsa e la Demone del Vento non aveva alcun desiderio di accelerare la propria fine. Finché non fossero giunti a Sorayama, fino all'ultimo momento, avrebbe cercato un modo per salvarsi. Se davvero Sesshomaru non aveva più speranza di usare la Stella di En, forse lei sarebbe riuscita a impedire a Naraku di riunire quella di Gake.
***
Si era lasciato lo scontro alle spalle con la ferma intenzione di ottemperare alla propria promessa: sarebbe ritornato. Non solo per quella donna, certo, anche se finalmente la purezza della sua anima aveva fatto breccia nel rifiuto cieco in cui era caduto fin da quando gli era stata presentata come Portatrice di Junan e che si era rinnovato al pensiero che lei lo servisse solo per giungere a un modo per tornare a casa. Ancora adesso non sapeva dire se si era tanto indignato perché lei non era stata del tutto trasparente nel giurargli fedeltà oppure perché il suo desiderio di allontanarsi da lui e da En non era morto dopo ciò che avevano condiviso alla Grotta degli Echi. Si era sentito tradito ed era tornato a trincerarsi dietro la propria armatura di gelo.
No, non sarebbe tornato solo per lei, anche se continuava a vederla nella propria mente come un'ossessione. Sapeva che stava andando tutto a rotoli. Lui, più di chiunque altro in En, avvertiva su di sé la disgrazia incombente. Stringeva nel palmo della mano il frammento di Stella ed era come essere tornati a stringere la piccola mano di Rin…solo che la sua protetta piangeva. Invece di correre verso la vittoria, sentiva di stare gettandosi a capofitto nella disperazione e di aver lasciato la speranza alle proprie spalle, a farsi sbranare da Soichiro.
“È l’unica via. La sola! Lo sapeva anche lei, ha fatto di tutto per consentirmi di raggiungere la Fonte. – si rimproverò, con un tono rabbioso che non gli era abituale – Cos’altro avrei potuto fare? Restare a combattere in queste condizioni, senza Tenseiga? Saremmo morti in due!”
Non se lui avesse avuto lo stesso spirito di sacrificio della ragazza. Lei si stava immolando, non tanto per il bene di En quanto per la salvezza del suo Imperatore. Questo Sesshomaru era riuscito a sentirlo, una percezione precisa che era riuscito a convincerlo ad accettare il suo aiuto. Se anche lui avesse avuto desiderio di salvarla, non sarebbero riusciti a combattere insieme, a unire le loro Hoshisaki?
“Voglio salvarla.” rivelò a se stesso. Fu una folgorazione. Più di ogni altra cosa, desiderava risparmiarle il dolore, la follia e la morte. Non voleva che soffrisse, né che morisse per lui. Allora, perché non era rimasto?!
Nemmeno si rese conto di rallentare il proprio volo fino a posarsi su una roccia, in preda a un conflitto interiore senza precedenti. La Fonte era a poca distanza, i vapori si sollevavano in aria nascondendo a tratti la luce del sole in una foschia arcana. Doveva fare in fretta, ma sembrava che qualcuno gli avesse attaccato pesi di piombo alle caviglie.
«Sto sbagliando tutto. Ogni mia mossa è stata un errore fin da quando l’ho conosciuta.» mormorò, rauco. Le punte di Junan, nel suo palmo, affondarono nella carne quando vi strinse attorno le dita. Sollevò il frammento viola, guardandolo con occhi tormentati. Cosa doveva fare? La logica lo spingeva avanti, l’istinto gli diceva di tornare indietro, pur ferito e ancora separato dall’Hoshisaki di Tenseiga. Aveva poco tempo per decidersi: il suo passo successivo sarebbe stato definitivo, in un modo o nell’altro.
Fu allora che alle sue spalle vi fu il boato. Si voltò così di scatto che il braccio ferito gli spedì una fitta bianca di dolore fino al cervello, accecandolo per un istante. Quasi non riuscì a vedere il lampo di luce dorata. Il tuono si spense in un’eco lontana, poi vi fu silenzio. Era stata Anna? Era riuscita a sconfiggere Soichiro, oppure aveva dato fondo a tutta l’energia accumulata per cercare di non essere sopraffatta?
«Sesshomaru!»
La voce di Inuyasha lo colse del tutto di sorpresa, dandogli il metro di quanto fosse sconvolto. Alzò lo sguardo e si vide quasi piombare addosso un carro volante e due piccoli yokai drago della sua scuderia, le cui redini erano rette da suo fratello minore affiancato dalla Portatrice di Shinsetsu.
«Sesshomaru! – esclamò ancora Inuyasha, balzando giù dal carro mentre ancora stava atterrando e guardandolo con un misto di stupore e orrore – Sei in un bagno di sangue! Che è successo?! Ti sei scontrato con Soichiro?!»
«Cosa ci fate qui?!» mormorò Sesshomaru, fissandoli come se si trattasse di un’illusione, forse una trappola di Naraku.
«Dov’è Anna-nee-chan?» chiese Kagome, puntandogli addosso occhi angosciati che ravvivarono la sensazione bruciante che gli stava scavando le viscere. Si sentiva dentro un incubo troppo vivido. Inuyasha gli arrivò tanto vicino da poterlo toccare, prima di bloccarsi e fissarlo con crescente sgomento.
«Sesshomaru…hai tre Hoshisaki con te?» gli chiese, con voce incerta, mentre alle sue spalle Kagome scendeva dal carro per raggiungerli. Inuyasha scrutò il volto del fratello maggiore e vi trovò un’inerzia che scambiò per la solita, gelida indifferenza. Divenne paonazzo di rabbia. «Hai Junan, non è vero?! L’hai con te?!» sibilò, forse per non farsi udire subito dalla ragazza dai capelli corvini.
Sesshomaru non tentò di negare. Anzi, aprì la mano ferita, svelando il frammento viola. Quando Inuyasha udì l’ansito di orrore e pena di Kagome, alle sue spalle, perse il lume della ragione. Spinse Sesshomaru a terra con un gesto violento che fece gridare Kagome, senza nemmeno rendersi conto che il fratello lo aveva lasciato fare senza reagire. In un altro momento, non sarebbe mai riuscito a toccarlo, ma imputò la sua scarsa reattività alle ferite. Era troppo arrabbiato per fare caso al senso di vuoto e incertezza che emanava da Sesshomaru.
«L’hai lasciata indietro, bastardo?! Le hai tolto Junan?! Oppure non l’hai protetta e hai lasciato che morisse per te?! – gridò, furibondo, saltandogli addosso e preparando il pugno per cambiargli i connotati – Ho sempre saputo che eri un pezzo di ghiaccio, ma non credevo che avresti mai commesso un simile…»
«Inuyasha! Inuyasha, no! – strillò Kagome, appendendosi al suo braccio con tutto il suo peso per evitare che sferrasse il colpo – Guarda bene tuo fratello! Non capisci? È stata Anna!»
«…cosa?» chiese Inuyasha, dopo un istante di silenzio attonito, bloccato nella posizione di attacco. Guardò la giovane e la vide disperata ma lucida. Lei stava fissando Sesshomaru come se lo vedesse per la prima volta e sul suo volto era dipinta una grande pena.
«Ho ragione? Lei si è separata dal frammento per un motivo, vero? Voleva che ti allontanassi da Naraku o dal suo moko-yokai, non è così? Quello che ha ucciso vostro padre…» continuò lei, facendo perdere il fiato a Inuyasha, che si voltò di scatto verso il fratello. Finalmente vide quante cose non andavano in lui. In quel momento non c’era quasi traccia del grande Imperatore di En. Sesshomaru era in preda a un caos emotivo, a un’indecisione che lo rimpiccioliva. La ferita al braccio era così grave che ancora non dava segno di volersi rimarginare e il suo colpo l’aveva riaperta, facendo sbocciare nuove macchie di sangue sulle veste.
«Conosco il senso di sacrificio di Anna. – continuò Kagome, con voce rauca – Se…se avete creato un legame…la conosco, farebbe di tutto per le persone che ama…»
Inuyasha fu vicino a dire qualcosa al riguardo, perché tutto gli era parso tranne che potesse nascere un simile sentimento tra quelle due teste dure, ma di nuovo fu ridotto al silenzio dall’espressione di suo fratello alle parole di Kagome, qualcosa che rasentava lo shock, come se lei avesse appena messo in luce qualcosa che era stato sotto il suo naso fino a quel momento e che non era stato in grado di riconoscere.
Fu in quel momento che le loro Hoshisaki, per la prima volta da quando si erano ritrovate insieme a Ojohi, si attivarono all’unisono. La Stella di En, pur in frammenti, attinse forza da quel momento di comprensione reciproca, di vera vicinanza. Risuonò in tutti e tre i Portatori, dando luce e forza ai loro pensieri. Inuyasha, per la prima volta, capì il fardello portato da suo fratello e quanto questo, unito al lutto per Rin, lo avesse lacerato. Kagome capì che Anna, per un miracolo che ancora non conoscevano, era riuscita a fare breccia nell’armatura di gelo dell’Imperatore di En e che questo lo aveva gettato in una confusione che non gli apparteneva. Sesshomaru avvertì il loro desiderio di rendersi utili, di supportarlo con tutte le loro forze. Inoltre, finalmente, “vedeva” Anna. Ciò che aveva intuito nel momento in cui lei aveva deciso di sacrificarsi per dargli modo di conquistare l’uso dell’ultima Hoshisaki, si presentava ora alla sua mente e al suo cuore con una limpidezza straordinaria, riempiendolo di disgusto per la debolezza dimostrata e per le decisioni sbagliate che aveva inanellato.
Spinse via Inuyasha e Kagome, facendoli barcollare all’indietro e spezzando quel momento di epifania. Si alzò in piedi, improvvisamente incurante delle proprie orribili ferite. Lo sguardo che volse nella direzione da cui era giunto il tuono dell’esplosione era di nuovo penetrante, lucido e implacabile.
«Torni indietro?» chiese Inuyasha, aiutando Kagome a rialzarsi.
«Sì.»
«Vuoi che facciamo qualcosa al posto tuo, nel frattempo? Cosa stavi andando a fare in mezzo a quelle sorgenti calde?» continuò lui, insolitamente collaborativo. Entrambi videro Sesshomaru stringere una mano attorno al fodero di Tenseiga, ma lo sguardo dell’Imperatore di En non tentennò.
«Niente che non sia procrastinabile. O che tu possa fare al posto mio.» mormorò Sesshomaru, con un tono che metteva fine alle domande.
«Beh, allora sali e andiamo. Faremo prima. Forse siamo ancora in tempo.» fece Inuyasha, di nuovo aspro, aiutando Kagome a tornare sul carro. Sesshomaru fissò il mezzo di trasporto, corrucciato, poi salì a sua volta senza protestare.
Pochi istanti dopo erano in volo, ognuno col proprio carico di angoscia al pensiero di ciò che avrebbero trovato una volta raggiunta Anna.

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Capitolo 36
*** 35 - Il vero potere di Tenseiga ***


CAPITOLO 35
 
IL VERO POTERE DI TENSEIGA
 
Per un attimo, aveva pensato ci fosse ancora tempo.
La Portatrice di Shinsetsu era scesa dal carro con un balzo, un’esclamazione di dolore tremendo che le usciva dalla gola, e aveva iniziato a correre verso la figura inerte e disfatta di Anna. Inuyasha, fortunatamente, si era accorto del campo di energia al limite della rottura che permeava la zona e l’aveva raggiunta in un lampo, afferrandola tra le braccia per non permetterle di avanzare oltre.
«Cos’è?! Sesshomaru, che sta succedendo? Ho i brividi, dannazione!» aveva esclamato, voltandosi verso il fratello con occhi spiritati, mentre Kagome si dibatteva per liberarsi dalla sua presa e raggiungere la sorella.
Sesshomaru aveva lasciato il mezzo di trasporto e si era fatto avanti, pallido. Tenseiga, al suo fianco, vibrava come non mai. Il frammento di Hoshisaki che teneva ancora stretto in mano bruciava come se volesse perforargli il palmo.
«È ancora viva.» aveva mormorato. Le sue parole avevano istantaneamente calmato Kagome, che si era voltata a guardarlo con espressione speranzosa, ma non Inuyasha. Sesshomaru aveva visto riflessi la sorpresa e l’orrore sul volto del fratello minore, che aveva subito capito le implicazioni di quella orribile sensazione. Il corpo di Anna, grazie al potere yokai, stava cercando energia per cercare di guarire dalle ferite mortali. Si trattava di un istinto senza raziocinio e avrebbe ridotto in polvere chiunque si fosse avvicinato, perché tutta l’energia vitale del malcapitato sarebbe passata nel corpo di Anna, in un tentativo di salvataggio che, a giudicare da ciò che potevano vedere, non aveva comunque molta speranza di andare a buon fine.
Quando Inuyasha vide che suo fratello avanzava, un terrore gelido gli attraversò le membra come se gli avessero versato in corpo dell’acqua ghiacciata.
«Ehi…ehi! Dove credi di andare?!» ansimò, facendo per lasciare Kagome e ripensandoci poi all’ultimo istante. Se avesse iniziato a correre di nuovo verso Anna, non avrebbe avuto scampo!
«Devo salvarla.» rispose lui, brusco, senza nemmeno voltarsi.
«Ti pare il momento di scoprirti generoso?! Se entri nel campo d’energia, ti spegnerà come una fiammella!»
«Cosa state dicendo? – ansimò Kagome, facendo per la prima volta attenzione alla tensione dell’aria attorno a loro – Anna sta…cercando energia? Per sopravvivere?!»
«Io sono l’Imperatore di En, il suo corpo non può contenere tutta la mia energia. Dovrà fermarsi prima.» fu l’aspra replica di Sesshomaru.
«Ah sì? E che fine credi abbia fatto Soichiro? Com’è che non c’è più traccia della vecchia tigre?!»
Il campo di energia si dissolse. Di botto, mentre Inuyasha nominava Soichiro, la tensione si ruppe. Il frammento di Junan nel palmo di Sesshomaru smise di bruciare. Kagome capì e gridò, scoppiando poi a piangere e affondando il viso nel petto di Inuyasha. Era tardi per trovare una soluzione: Anna era morta sotto i loro occhi mentre cercavano di decidere cosa fare.
Inuyasha tenne stretta Kagome, guardandosi attorno con odio per cercare traccia di Naraku. Gli pareva molto strano che il dannato hanyo di Gake non fosse lì attorno a godersi lo spettacolo, ma non avvertiva la sua presenza e non riusciva a vederne traccia. Sesshomaru avrebbe potuto dargli informazioni al riguardo, ma al momento non si sentiva di fargli domande. Suo fratello, infatti, stava lentamente raggiungendo il corpo inerte della sorella di Kagome. Lo vide posare un ginocchio a terra, levarle i capelli bruciati dal volto con un gesto delicato che lo sorprese.
“Teneva a lei. Maledizione, a modo suo si era affezionato anche a questa ragazza! – capì, attonito – Naraku, che tu sia maledetto…”
Sesshomaru si sarebbe stupito del pensiero di suo fratello. In quel momento non sentiva niente. Quantomeno, si sentiva vuoto. Non provava il dolore bruciante e inatteso di quando Rin gli era stata strappata. Tolse i capelli anneriti dal viso di lei. Era insanguinata sulle guance e sulla fronte, ma i suoi lineamenti non erano alterati da ferite. Il tatuaggio della fiamma era rimasto nero, simbolo tangibile del suo sangue impazzito. La guardò, la fissò con tale intensità che il suo pallore parve diventare luce e ferirgli le retine. Si costrinse a spostare lo sguardo, ma il corpo coperto di vestiti a brandelli era imbrattato di sangue. I luminosi, lunghissimi capelli d’oro erano per metà carbonizzati.
Qualcosa cominciò a farsi strada dentro di lui, come un senso di profanazione che lo nauseava. Alcune immagini cominciarono a spingere, nella sua mente, per emergere. Gli occhi gli caddero sulla mano di lei, abbandonata sul ventre. Erano le dita che aveva stretto nel loro giuramento fuori dalla Grotta degli Echi. Il pensiero lo colpì con la forza di un maglio, facendolo perfino barcollare, rendendolo finalmente conscio che Anna era davvero persa per sempre. Tenseiga riprese a pulsargli al fianco come un dente malato, ma non vi badò. Quello era il corpo della ragazza che gli aveva giurato fedeltà, che aveva condiviso ricordi profondi e inconfessabili, che lo aveva aiutato anche quando era stata accusata di mettergli il bastone tra le ruote. Quella era la donna che Rin aveva scelto per riportargli Junan, che sapeva parlare il linguaggio dei fiori, che lo aveva stretto in un abbraccio rovente prima di fargli da scudo contro Soichiro. Una giovane donna testarda, fiera, piena di spirito di sacrificio, incapace di stare zitta, coraggiosa…
Le prese la mano e vi pose Junan, desiderando contro ogni logica che Anna aprisse su di lui i suoi occhi azzurri, oppure quelli dorati da yokai. In quel momento, sentì che l’avrebbe trasportata a braccia fino alla Fonte dei Desideri, se solo lei avesse dato un segno di vita, e le avrebbe donato quel desiderio che tanto gli serviva senza pensarci due volte. Nulla. La vita l’aveva lasciata e non avrebbe mai saputo che lui era tornato, che era stato fedele alla promessa. La bocca di Sesshomaru si storse in una smorfia orribile, mentre tutto in lui rifiutava la morte di Anna. La sua mano scese sull’elsa di Tenseiga, come se volesse sguainarla per uccidere la morte stessa.
“Puoi farlo.”
La voce attraversò i suoi pensieri come un fulmine bianco. Somigliava a quella di suo padre, ma era anche la voce delle Hoshisaki, la voce della Stella di En.
“Puoi uccidere la morte stessa.”
Sesshomaru si tirò in piedi con uno scatto, tanto da far sobbalzare Inuyasha e Kagome, che nel frattempo si stavano avvicinando.
«Cosa c’è?» chiese Kagome, che si reggeva in piedi solo grazie al sostegno di Inuyasha.
«Sesshomaru, cosa fai?» chiese lui, attonito, quando lo vide sguainare Tenseiga.
«Li vedo.» fu la sola replica di suo fratello, che fissava il corpo di Anna con occhi ossessionati. Kagome guardò Inuyasha per capire cosa stesse succedendo, ma lo vide non meno sbalordito e confuso di lei.
«Di che stai parlando? Ti ha dato di volta il cervello?» chiese l’hanyo, preoccupato com’era stato di rado in vita sua. Il profilo di suo fratello era talmente teso, mentre i suoi occhi ora rossi si focalizzavano su qualcosa che solo lui sembrava vedere, che il timore che Sesshomaru avesse perso la ragione gli parve molto più che una mera ipotesi. Poi Kagome ansimò: «Le Hoshisaki!» tirandolo per le falde incrociate dell’abito e Inuyasha si accorse del bagliore che avvolgeva Tenseiga e della luce che sembrava sorgere direttamente dal petto di suo fratello, all’altezza del cuore.
«Kagome…» rantolò, sconvolto, afferrandole la mano con tanta forza da strapparle un gemito. Era la prima volta che vedeva attivarsi i frammenti della Stella di En affidati a suo fratello!
Sesshomaru non li udì, nemmeno si accorse della luce delle Hoshisaki. Nel momento stesso in cui aveva dato retta alla voce della Stella di En e aveva sguainato Tenseiga, un velo era stato sollevato dai suoi occhi e il collegamento tra questa vita e la successiva gli era stato svelato. Vide i messaggeri della morte, la luce pura dell’anima di Anna che stavano per prendere in consegna per portarla nell’Aldilà e sottrargliela per sempre.
“Questo è accaduto a mia madre, a mio padre, a Rin…” pensò, furibondo. Non gli importava che fosse il destino di ogni creatura vivente, non in quel momento. Awaremi gli concedeva di porre rimedio alla Morte. Poteva utilizzare la parte migliore di se stesso per restituire la vita. La lama calò, falciando i messaggeri senza fare alcun danno alla sfera di luce che si librava sopra al corpo di Anna. Inuyasha e Kagome videro il colpo a mezz’aria senza capire a cosa Sesshomaru avesse mirato, poi lui tornò a inginocchiarsi, posando Tenseiga a terra, e chiuse le mani a coppa attorno a qualcosa di invisibile sopra al corpo di Anna. Kagome rabbrividì quando lo vide posare quelle stesse mani sul petto di lei, sotto al seno, come se stesse spingendo qualcosa all’interno del corpo, poi le sue memorie di sacerdotessa le suggerirono la risposta a quei gesti apparentemente insensati e le lacrime tornarono ad affacciarsi nei suoi occhi, stavolta per una profonda commozione e una speranza rediviva.
«Cosa sta facendo?» mormorò Inuyasha, troppo teso per usare qualcosa di più forte di un sussurro.
«Credo…credo che le stia restituendo l’anima.» lo sbalordì lei, con voce arrochita dal pianto.
Sesshomaru tenne per un attimo le mani sul plesso solare di Anna, poi prese Junan dal suo palmo inerte, voltò verso di sé il suo viso insanguinato e premette l’Hoshisaki sulla fiamma nera al centro della fronte. Attese per qualche istante, incapace di formulare preghiere se non a Rin, perché lo aiutasse a riportare Anna in vita. Quando il frammento affondò nella pelle di lei, illuminandosi di una dolce luce viola, le labbra della giovane donna si aprirono per prendere un respiro faticoso, a cui ne seguirono altri, ancora irregolari e rarefatti.
Un sollievo mai provato prima riempì il corpo e la mente di Sesshomaru, facendogli girare la testa. C’era riuscito…Aveva usato Tenseiga, la spada si era aperta a lui per restituirgli la donna che Rin gli aveva destinato! La Stella di En era completa e anche i pezzi infranti delle sue emozioni, finalmente, iniziavano a mostrargli il quadro completo. La sensazione di apocalisse che gravava su di lui, come su tutta En, si sollevò e disperse.
Passò le dita su Junan e sulla fronte di Anna, dove la fiamma stava tornando azzurra. Le palpebre di lei ebbero un tremito, come se volesse svegliarsi, e Sesshomaru annuì. La vita era di nuovo in lei insieme a sufficiente energia perché il corpo reggesse, ma tornare dal regno dei morti era un’impresa che le avrebbe richiesto tempo per una completa ripresa. Rinfoderò Tenseiga.
«Sesshomaru…Anna è…» balbettò Kagome, ormai alle sue spalle.
«È viva.» confermò lui, senza voltarsi.
«Grazie! Grazie! Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto!»
«Già, ma come hai fatto?!» mormorò Inuyasha, basito, mentre Kagome stringeva le mani sul petto, come in preghiera, e versava lacrime che stavolta erano una manifestazione di gioia incredula. L’attenzione di Sesshomaru, però, rimase su Anna. Usò il braccio sano per passarlo sotto il corpo di lei e sollevarla, tenendola contro il petto e la spalla, quasi come aveva tenuto spesso Rin bambina tanti anni prima. Si sollevò in piedi con lei e si voltò. Parvero talmente belli, talmente perfetti in quella specie di abbraccio che Inuyasha sbatté le palpebre più volte, come se stesse avendo un’allucinazione.
«Leviamoci da qui. Le spiegazioni a dopo.» disse Sesshomaru, superandoli e dirigendosi verso il carro volante. Inuyasha fece per insistere, ma Kagome lo prese per un braccio e scosse la testa. Gli sorrise e Inuyasha si perse nei suoi occhi scuri pieni di lacrime e gioia. Gli parve stupenda.
«È un miracolo, Inuyasha. Non lo vedi? – gli sussurrò, tornando a guardare Sesshomaru che si allontanava con Anna – Non so tu, ma io non avrei mai pensato di vederlo così gentile con Anna. Non le ha solo salvato la vita, non te ne accorgi? L’ha presa con sé.»
«Per questo le Hoshisaki gli hanno risposto.» comprese Inuyasha, sbalordito.
Sesshomaru, intanto, abbassò lo sguardo sulla testa che gli riposava nell’incavo del collo. Il suo nome era appena uscito in un sussurro dalle labbra di Anna, ma quando la guardò i suoi occhi erano ancora chiusi.
«…sei tornato…» disse lei, in un soffio. Sesshomaru avvertì una morsa sul cuore a quelle parole, ebbe la tentazione di abbracciarla sul serio, anche se Inuyasha e la Portatrice di Shinsetsu erano dietro di lui, ma non vi fu alcun indizio esterno di questo suo desiderio.
«Avevo promesso.» disse soltanto. Anna sorrise, riempendolo di luce e del dolcissimo profumo di un’emozione inebriante, poi parve perdere di nuovo conoscenza e Sesshomaru ne fu lieto. In quel momento non era in grado di parlarle. Doveva recuperare il sangue freddo, perché quella dannata battaglia non era ancora finita e Inuyasha avrebbe dovuto aiutarlo a mantenere un paio di segreti.
Nonostante questi propositi, anche sul carro continuò a tenere Anna stretta a sé, ignorando lo sguardo gentile di Kagome, mentre Inuyasha guidava gli yokai drago oltre le foschie della Fonte dei Desideri.
***
Era notte inoltrata e la luna viola di En illuminava debolmente i dintorni. Kagome era seduta sull’erba rada, vegliando Anna che dormiva ancora. Il suo respiro era regolare e profondo, sano come quello di un sonno ristoratore. Era un miracolo e a ripensarci Kagome si sentiva ancora girare la testa dal sollievo. Aveva davvero pensato che per la sua onee-chan fosse finita.
Guardò la luna, ricordando per un attimo la sua prima notte in quel mondo, quando si era svegliata fuori dal sacro Honeido collegato all’Hokora del Tempio Higurashi. Quanto tempo era trascorso da allora? Non molto, ma con tutto ciò che le era capitato sembrava si trattasse di un’altra vita. Il suo sguardo si spostò sulle figure di Inuyasha e Sesshomaru, che stavano ancora parlando a una certa distanza. I loro capelli brillavano d’argento anche nella vibrante luce viola e visti di spalle sembravano molto più simili.
“In parte lo sono.” si trovò a pensare, scuotendo il capo con una certa incredulità. In quelle settimane, aveva imparato non solo a conoscere Inuyasha, ma anche ad amarlo. Il fatto che i ricordi di Kikyo fossero parzialmente venuti a galla dentro di lei, non aveva fatto altro che confermare questo suo sentimento. Il Principe di En si era rivelato una persona buona, onesta, con un carattere brusco ma sincero. Kagome difficilmente avrebbe potuto associare questi aggettivi a Sesshomaru, dopo quel poco che aveva visto di lui, ma quel giorno si era dovuta ricredere. Forse l’Imperatore di En non era aperto e di buon cuore come Inuyasha, ma questo non lo rendeva un mostro crudele come Naraku né negava il fatto che da qualche parte, dentro di lui, vi fossero dei sentimenti.
Kagome sospirò, abbracciandosi le ginocchia. Dopo che Sesshomaru aveva usato Tenseiga, si erano allontanati quanto più possibile dal luogo dello scontro con il moko-yokai, superando i vapori delle sorgenti calde.
«Stavi andando alla Fonte dei Desideri, giusto? Non ti serve più?» aveva chiesto Inuyasha mentre sorvolavano la zona, scoccando un’occhiata di sbieco al fratello.
«Non più. Prosegui.» erano stato il telegrafico ordine di Sesshomaru e Inuyasha non aveva replicato. Erano atterrati molto più avanti, non appena il sole era sceso oltre l’orizzonte. Kagome aveva insistito per usare il potere di Shinsetsu su Sesshomaru prima di qualsiasi chiarimento o discussione, perché le sue ferite erano davvero tremende, e i due fratelli avevano ceduto alle sue insistenze. Dopo, Sesshomaru aveva richiesto un rapporto stringato e preciso che giustificasse la loro presenza in zona. Inuyasha e Kagome si erano alternati a spiegargli del ricatto di Naraku, della battaglia presso l’Honeido e dei riferimenti a Soichiro che li avevano messi in estremo allarme.
«Sicché Soichiro aveva le Hoshisaki di Gake perché vi siete fatti rubare i frammenti conquistati da sotto il naso.» era stata la gelida conclusione di Sesshomaru al termine della narrazione, cosa che aveva fatto imporporare Inuyasha e fatto quasi scattare un litigio.
«Avete rimediato al vostro errore, anche se all’ultimo istante utile. Abbiamo tutte le Hoshisaki e non siamo così lontani da Naraku. Per il momento, lasciamo che questo basti.»
Sesshomaru aveva chiuso la questione con queste parole, probabilmente magnanime per uno come lui ma che non erano servite a calmare Inuyasha. Si sentivano entrambi abbastanza in colpa senza bisogno del giudizio di suo fratello, perciò Kagome non si era sorpresa di sentirlo contrattaccare.
«Già, abbiamo rimediato all’ultimo…e anche tu, perché ho come l’impressione che il mio augusto fratello non abbia fatto meno errori di me, nel suo viaggio con la Portatrice di Junan!»
Kagome sospirò di nuovo, poi alzò la testa di scatto quando udì passi sull’erba. Inuyasha la stava raggiungendo.
«Come va?» chiese, sedendosi accanto a lei e incrociando le braccia sul petto. Era cupo, pensieroso.
«Dorme. Sembra tranquilla.»
«Anche tu dovresti dormire.»
«Non penso di farcela. Sai…riflettevo su quello che ci ha raccontato Sesshomaru riguardo alla piccola Rin, al loro giuramento alla Grotta e al comportamento di quella yokai, Kagura…»
«Già, è stato un gran brutto pasticcio. Ancora un po’ e non ci sarebbe stato più niente da fare per quella testaccia dura.» borbottò Inuyasha, scoccando un’occhiata malevola e al contempo incredula al fratello maggiore, che era rimasto solo e dava loro le spalle, guardando la lama di Tenseiga sguainata.
Sesshomaru era stato molto parco di dettagli, ma da quel poco che era stato loro concesso i due avevano capito che l’Imperatore di En aveva ricevuto il giuramento di fedeltà di Anna, dopo che la Grotta degli Echi aveva dato loro la possibilità di conoscersi in profondità. Sesshomaru, però, dentro di sé non aveva mai davvero creduto alle parole di lei e questo aveva creato una frattura insanabile nel momento in cui Kagura, Portatrice di Mukanshin, aveva fatto leva sul suo dubbio, offrendo al contempo a Sesshomaru la soluzione più semplice per accedere al potere di Tenseiga, un suggerimento che era stato sia un aiuto che una trappola.
Sesshomaru aveva affrontato Soichiro da solo, testardamente, ma il combattimento tra Opposti lo aveva messo in pericolo. Anna si era messa in gioco per consentirgli di raggiungere la Fonte. Lui aveva avuto intenzione di fare in fretta e tornare indietro, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato troppo tardi…
«Quando siamo arrivati, stava già decidendo di tornare indietro, ne sono sicura. – mormorò Kagome, guardando Anna – Era lacerato dal senso di colpa e dalla comprensione di aver preso tutte le decisioni sbagliate.»
«Avrebbe potuto crederle fin dall’inizio e tutto questo non sarebbe successo. – disse Inuyasha, sprezzante – Tua sorella viene da un altro mondo, non ha niente a che fare con En. Perché avrebbe dovuto giurare se non l’avesse pensato veramente? Sesshomaru l’ha trattata male dall’inizio alla fine, niente la costringeva a dargli la sua fedeltà o a promettergli di seguirlo fino in fondo.»
«Nemmeno tu mi hai creduta subito, Inuyasha, e non solo perché vengo da un altro mondo.» gli ricordò Kagome, con un piccolo sorriso. Inuyasha si bloccò, balbettò qualcosa, poi mise il broncio. Non gli piaceva essere colto in fallo e in quel momento gli pesava ricordare come l’aveva trattata nei primi tempi dopo il suo risveglio. Kagome rise piano e gli posò la testa sulla spalla, facendolo irrigidire un po’ mentre il sangue gli risaliva al viso. «Non volevi più soffrire, giusto? Non volevi aprirti ancora a qualcuno che prima o poi sarebbe andato via, non volevi altri legami che avessero solo le Hoshisaki come terreno comune.» mormorò lei, spedendogli una fitta al cuore.
Inuyasha rimase in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Era vero, Kagome aveva centrato il punto e il fatto che conoscesse così bene i meccanismi delle sue emozioni lo riempì di una sensazione calda e dolce, come se avesse appena varcato la porta di casa dopo un lungo viaggio. Corrugò la fronte. Anche suo fratello era stato privato del legame più importante e, conoscendolo, non era impossibile che avesse chiuso a chiave ogni emozione da allora. Forse aveva desiderato credere al giuramento di Anna, ma qualcosa dentro di lui lo aveva impedito, probabilmente quella razionalità spietata che lo affliggeva. Sango e Miroku avevano raccontato loro che Kiokuchi-sama aveva promesso ad Anna un modo per provare a diventare nuovamente umana, cosa che le avrebbe consentito di tornare nel suo mondo. Forse il sistema era legato alla Fonte dei Desideri?
Inuyasha, che si era un po’ rilassato a contatto con Kagome, sobbalzò al pensiero, allarmando la ragazza. Ma certo! Era ovvio! Ecco perché Sesshomaru aveva loro proibito, quella sera, di rivelare ad Anna i dettagli del suo salvataggio e anche solo di nominare la Fonte dei Desideri! Non voleva che la giovane sapesse che lui non aveva espresso il suo desiderio e che la Fonte era ancora a disposizione! Sussurrò le sue deduzioni a Kagome, che spalancò gli occhi, sbalordita.
«La vuole qui. Non vuole che se ne vada. – finì Inuyasha, non meno sconvolto di lei – Che razza di imbecille contorto! Perché non glielo dice chiaramente, invece di coinvolgerci in tutti questi sotterfugi?!»
«Non so perché non voglia dirglielo, ma per il momento facciamo come dice. – mormorò Kagome, stringendogli forte una mano – Al termine della battaglia che ci aspetta, se Sesshomaru continuerà a comportarsi in maniera scorretta, allora interverremo. Però…forse sarà lui a lasciare ad Anna la scelta, quando sarà il momento. Cerchiamo di avere un po’ di fiducia in loro.»
«Guarda cos’hanno combinato, da soli…Comunque, sono d’accordo. Per adesso abbiamo altro a cui pensare.» borbottò Inuyasha, stringendole a sua volta la mano. Dovevano arrivare a Sorayama il prima possibile. Inoltre, Sesshomaru non aveva ancora il completo controllo di Tenseiga. Poco prima, infatti, suo fratello gli aveva detto che era impossibile che la sua spada potesse solo restituire la vita. Come Tessaiga era sia scudo per i deboli che arma d’offesa, anche Tenseiga doveva avere il potere di attaccare, come qualunque altra spada. Tenseiga era collegata al regno dei morti e in questo doveva nascondersi la sua funzione aggressiva. Avrebbe usato quei giorni di viaggio per ragionarci sopra, anche se gli sarebbe piaciuto usare la Grande Famiglia come cavia.
«Quei traditori sono nei paraggi. – aveva detto, con un disprezzo che era già una condanna a morte – Per loro fortuna, non abbiamo tempo da perdere con le pulci. Li toglierò di mezzo una volta purificata la Stella di En e consegnato alla Storia quel verme di Naraku.»
Più tardi, poco prima dell’alba, Anna si destò. Era debole, ma miracolosamente sana e in sé. Non c’era più traccia delle sue ferite e il suo sguardo era limpido. Lei e Kagome si scambiarono un lungo, commosso abbraccio e la giovane ebbe modo di raccontare qualche cosa delle loro peripezie alla sua onee-chan prima che Sesshomaru si avvicinasse e le interrompesse con la sua sola, silenziosa presenza. Si scambiarono un’occhiata densa di cose non dette e Kagome sperò che l’Imperatore di En, per una volta, si spremesse di bocca una parola gentile, ma fu disattesa.
«Naraku ha tutte le Hoshisaki di Gake e sta viaggiando verso Sorayama. Partiamo subito. Hai domande?»
«Avete accesso a Tenseiga, ora?» mormorò Anna. Quando Sesshomaru annuì, chiuse per un attimo gli occhi ed espirò piano, e Kagome capì che sua sorella ne era al contempo lieta e rattristata, perché convinta che la Fonte dei Desideri e il ritorno alla normalità fossero ormai fuori dalla sua portata. Quando riaprì gli occhi, però, il suo sguardo era calmo e brillante. «Allora anche voi avete tutte le Hoshisaki. Non c’è tempo da perdere.»
Inuyasha e Kagome si scambiarono un’occhiata, colpiti dalla naturalezza con cui Anna stava accettando quanto li attendeva. Il Principe di En si trattenne all’ultimo dallo scuotere la testa con ammirazione. Ecco perché suo fratello aveva dato tanta importanza al giuramento che si erano scambiati fuori dalla Grotta degli Echi! L’onestà diretta e pulita di Anna, che ricordava in qualche modo Sango, Kikyo e altri fedeli combattenti di En che Inuyasha aveva conosciuto, aveva fatto breccia nella disperazione di suo fratello, restituendogli quel poco di luce necessario a portare a termine la loro missione, a liberarsi dell’enorme peso che aveva ereditato.
“Rin, hai scelto bene. Anzi, benissimo.” pensò, ricordando la bambina con nostalgico affetto.
«Hai visto Naraku?» continuò Sesshomaru, brusco.
«No…almeno, non durante lo scontro contro Soichiro. Qualcuno ci spiava, ma credo fosse Kagura. Dopo…dopo aver perso i sensi, non saprei dire.»
«Kagura non è più nei paraggi. O l’ha portata con sé, o l’ordine di raggiungerlo è diventato più importante di quello di seguirci.» la informò Sesshomaru, guardando il cielo ingrigito dall’alba con viso corrucciato.
«Questo significa che Naraku ha davvero tutte le Hoshisaki a disposizione! Bastardo…- sibilò Inuyasha, alzandosi in piedi con uno scatto – Beh, quella Kagura non può essere troppo avanti rispetto a noi, se ha spiato il combattimento tra Anna e Soichiro. Riusciremo a raggiungerla.»
«Spero solo che non l’abbia assorbita insieme all’Hoshisaki.»
Le parole di Anna li lasciarono tutti basiti.
«Nee-chan, perché dici questo? Sesshomaru ci ha raccontato che Kagura ha cercato di ucciderti ed è stata lei a mettere in dubbio…»
«Kagura ci serve viva.» disse lei, tirandosi a sedere. Sesshomaru la scrutò per capire se fosse impazzita, ma vide solo limpida sicurezza in quegli occhi azzurri. Anna fece un sorriso mesto, che diede una stretta al cuore a Kagome. «Sesshomaru-sama, Kagura vi ama da molto tempo. – disse, facendo strabuzzare gli occhi a tutti i presenti, e Anna alzò una mano per prevenire qualsiasi domanda o protesta – Lo so, non ve ne siete mai accorto, ma fidatevi di me. Ho visto nella sua anima, oltre la barriera di Mukanshin, quando ci siamo scontrate a Inuzuka. Kagura vi ama e ha fatto di tutto per distruggere me, che al momento vi sono a fianco con un ruolo che invidia, cercando però di aiutarvi a entrare in sintonia con l’Hoshisaki di Tenseiga. I suoi consigli erano dettati da amore e gelosia, non dal volere di Naraku. Se lui non ha intuito questo suo segreto e l’ha portata con sé, potremmo avere un importante alleato dell’ultimo momento, ma se la riassorbisse insieme all’Hoshisaki il suo aiuto vi verrebbe meno.»
Rimasero tutti in silenzio per qualche istante.
«Cavolo…questo sì che è un colpo di scena! Una figlia di Naraku innamorata di Sesshomaru! - disse, rauco – Anna ha ragione, bisogna cercare di approfittarne.»
«Difficile che Naraku se ne privi prima di riunire la Stella di Gake. Ci vogliono un monaco o un mago per convogliare i frammenti legati al Portatore, motivo per cui Inuyasha ha mandato Miroku ad attenderci a Sorayama. Kagura sa usare la magia. È più probabile che le tolga il frammento e la lasci in vita.» mormorò Sesshomaru, pensieroso.
Kagome distolse lo sguardo dalla sorella, in pena per lei a causa dei sentimenti che riusciva a percepire sotto la calma in superficie. Anna stava cercando di capire come e quanto quella notizia avesse effetto su Sesshomaru, ma come al solito il fratello di Inuyasha era del tutto impenetrabile.
“Anna lo ama, come io sono innamorata di Inuyasha. Sesshomaru tiene a lei, è vero, ma fino a che punto? Oh, spero davvero che questa storia non finisca male!” pensò, di nuovo in ansia.
«Beh, c’è solo un modo per scoprirlo! – esclamò Inuyasha, allungando una mano verso Kagome per farla alzare – Coraggio, andiamo. Sesshomaru, io prendo il carro. Tu riesci a portare Anna? Saremo più veloci.»
«È ovvio, testa di rapa.» lo censurò Sesshomaru. Kagome avrebbe voluto parlare ancora con la sorella, farle capire che lei la comprendeva ed era pronta ad aiutarla in ogni modo, ma non c’era tempo da perdere. Si rassegnò a seguire Inuyasha, sperando che vi fosse occasione per un chiarimento prima di arrivare a Sorayama. Se i sentimenti di quei due fossero stati in sintonia, avevano ancora più probabilità di creare una invincibile Stella.
Anna si alzò senza l’aiuto di Sesshomaru ma lui la prese per un gomito, scrutandola con la fronte leggermente aggrottata.
«Perché non mi hai detto nulla di Kagura?» mormorò, brusco.
«Mi avreste creduta o avreste pensato che ve lo stessi dicendo per un secondo fine?» ritorse lei, gentile ma ferma. Sesshomaru strinse le labbra in una linea sottile e Anna, dopo un istante, sorrise. Ebbe anche l’ardire di posare per un attimo la propria mano su quella dell’inu-yokai. «Ora mi credete, importa solo questo. Il segreto del cuore di Kagura è a vostra disposizione, per farne ciò che ritenete giusto. Ho fatto la mia parte.»
Il modo in cui lo disse lo irritò. Sembrava aspettarsi qualcosa da lui, eppure voleva dare l’idea di essere indifferente. Stava forse cercando di farlo avvicinare alla Yokai del Vento, come se quel sentimento cambiasse tutto? Oppure voleva sentirgli dire che non gliene importava niente? La condotta di Anna lo confondeva e l’argomento lo irritava. Nonostante questo, l’informazione poteva davvero rivelarsi utile. In fondo, Sesshomaru non aveva mai provato odio per Kagura e avevano bisogno di ogni alleanza possibile.
«Reciti la parte dell’acqua cheta, dopo il modo in cui mi hai parlato e hai agito sotto le rocce? – ritorse, prendendosi la soddisfazione di farla avvampare e troncando sul nascere il suo tentativo di farsi indietro di un passo – Non importa. Tu hai tenuto fede al tuo giuramento e io al mio. Siamo pari. Rin è ancora con te. E tu? Sei ancora al servizio di En?»
«Lo sono.» rispose subito Anna, senza esitazione. Sesshomaru la trasse più vicina. Desiderava farle altre domande, carpirle altre risposte, e in fondo ai suoi occhi intravide lo stesso desiderio. Ciò che si era palesato nel momento in cui aveva deciso di tornare da lei connetteva ogni parte del suo essere, ma non si sarebbe concretizzato in parole o gesti. Non ancora. Spingersi oltre sarebbe stato troppo pericoloso e Sesshomaru troncò la comunicazione non verbale tra loro voltandosi verso il carro di Inuyasha e tirandosi dietro la ragazza. Dopo pochi istanti, erano in volo.
Li attendeva una battaglia tremenda e al momento non c’era tempo per niente altro.

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