Lo Specchio dei Sogni

di Halley Silver Comet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Canto I - Somniorum Speculum ***
Capitolo 2: *** Canto II - Fulgens Focus ***
Capitolo 3: *** Canto III - Veritatis Ventum ***
Capitolo 4: *** Canto IV - Assiduitas Aquae ***



Capitolo 1
*** Canto I - Somniorum Speculum ***


MKR

Canto I

Somniorum Speculum


Le pallide dita della luna imbiancavano le mura del castello di Cefiro.

Notte, una dolce notte si prospettava anche per quella volta. Si erano tutti ritirati presso le proprie stanze, lasciando che il silenzio prendesse possesso di quegli ambienti così immensi, i quali, durante il giorno, fungevano da ritrovo comune.
Solo una persona, ancora vigile e attenta, avanzava lungo il corridoio ricoperto di alabastro: aveva un ritmo cadenzato, si fermava ogni tre passi, battendo delicatamente il possente bastone in terra; al suo comando le porte si chiudevano, su entrambi i lati, con un tonfo ovattato, come se si stessero esibendo in un cortese inchino al passaggio dell’illustre visitatore.
Costui, dopo essersi accertato che ogni battente fosse al suo posto, passava oltre, ripetendo il medesimo rituale. Ad ogni passo, faceva frusciare il leggero mantello bianco, scivolando sul pavimento lucido.
Clef, il monaco guida di Cefiro, stava finendo il suo giro, come ogni sera prima di raggiungere definitivamente i propri appartamenti.
La chiusura delle porte era più che altro una vecchia abitudine, piuttosto che un’autentica necessità. Da quando, per volontà della nuova Colonna Portante, Hikaru Shidou, era entrata in vigore la sovranità popolare, non c’erano stati più disordini, né sommosse. La tranquillità era tornata di casa e nessuno avrebbe mai osato fare incursione al castello, durante la notte.
Il monaco finì il suo giro, assaporando il silenzio di fine giornata: egli era pur sempre un punto di riferimento per tutti per tanto aveva l’obbligo di rendersi disponibile con chiunque richiedesse il suo aiuto. Inoltre, aveva anche ripreso a dare lezioni di magia ai giovani aspiranti stregoni, i quali si erano rivelati vivaci ed intraprendenti, oltre ogni aspettativa.
“Forse 745 anni sono troppi, per pretendere di essere ancora efficienti come un tempo.” pensò tra sé e sé “Ma è anche vero, che non ho mi avuto tanti allievi prima d’ora. Per fortuna, Ascot mi dà un grande aiut…”
Il pensiero ebbe il destino di rimanere incompiuto.
Clef era arrivato sulla soglia dell’ultima porta, quando notò che, all’interno della stanza, c’era qualcosa che non andava. O meglio, c’era qualcosa che non sarebbe dovuto esserci.
Il monaco rimase con il braccio rigido e il bastone a mezz’aria, incerto sul da farsi; con cautela, varcò la porta aperta e cominciò a dirigersi verso la cosa che aveva attirato la sua attenzione.
I raggi della luna, entranti dalla finestra, illuminavano con il loro chiarore le mura, il pavimento e il misterioso oggetto che rimandava, a sua volta, quell’alone argenteo.
Si avvicinò di più, fino a che non sovrastò il tavolino che reggeva il motivo di tanto stupore.
-Sembrerebbe uno specchio… eppure sono certo che fino a questa mattina non c’era nulla qui sopra!- mormorò.
Si guardò intorno, ma nulla tradì qualcosa di insolito: quelle stanze erano di accesso solo a lui e ai suoi collaboratori più stretti. E per giunta, era certo che, quell’oggi, nessuno vi era entrato, poiché c’era stato parecchio da fare giù nel villaggio, per via della sistemazione di alcune case. La mattina, quando aveva aperto le porte aveva visto bene: sul tavolo di legno, non vi era posato alcun che.
Ritornò a fissare il cimelio: una cornice dorata formata da gradi foglie d’acanto intrecciate, con al centro un grande cuore vitreo, il quale riproduceva beffardo, l’immagine accigliata del monaco dalla candida chioma e gli occhi acuti. Clef si soffermò per guardarlo meglio e notò che, negli intrecci del metallo, vi erano alloggiate tre sferette colorate, equidistanti tra loro, ciascuna grande come una grossa noce.
Erano opache, ma vi si poteva comunque indovinarne il colore: una era rossa, una verde e l’ultima blu.
“Che strano.” riflettè “Lo specchio e la cornice sono tirati a lustro e sembrano nuovi. Queste pietre, invece, appaiono vecchie e malconce”.
Spinto dalla curiosità, tuttavia non senza una certa esitazione, Clef passò un dito sulla cornice d’acanto, arrivando a sfiorare la sferetta rossa.
Non accadde niente.
Insistette e toccò anche quella verde, per finire con quella blu. Lo specchio non diede alcun cenno.
Il monaco corrugò la fronte e fissò il misterioso oggetto.
-Se non sei solo il frutto della mia immaginazione, domani mattina dovrò, per forza, ritrovarti qui!-considerò ad alta voce, riferendosi più a sé stesso che effettivamente allo specchio.
Non si udì risposta, come prevedibile, solo una leggera eco alla sua voce, prodotta dal vuoto della stanza.
Clef voltò le spalle allo specchio e scavalcò la soglia, battendo il bastone.
Chiuse anche quell’ultima porta, sebbene nella sua mente si fossero aperti tanti altri enigmi.
-Non capisco proprio come ci sia arrivato e che cosa possa significare,- ammise dubbioso - ma lo scoprirò. Domattina farò dare un’occhiata anche agli altri…-
Così dicendo, si avviò verso le sue stanze, rimuginando su quanto accaduto.

La luna aveva ceduto il passo al sole, che sorrideva benevolo sul Regno di Cefiro.
Il castello tornò ad animarsi, segno della vita che riprendeva il suo corso; Clef aveva dormito poco e male: il pensiero di quello strano specchio gli aveva agitato il sonno e reso impossibile il riposo.
-Sembra che tu non dorma da almeno un secolo!-scherzò Ferio, commentando la faccia abbastanza provata del monaco.
-Invece vedo che tu scoppi di energie.- ribattè costui, mentre tentava di reprimere uno sbadiglio.
-Magari Ferio non hai usato le parole giuste… ma, effettivamente, Clef hai un’espressione stanca.-affermò Presea, preoccupata.
-Di’ pure che non ha una bella cera!- rincarò la dose Caldina.
Rafaga ed Ascot affondarono entrambi il proprio viso in una mano: a volte, dubitavano seriamente che la ballerina di Chiizeta si rendesse conto di quanto diceva…
-A-ehm…- si schiarì la voce Clef - Per vostra sfortuna, non vi ho fatti chiamare per deliberare sulle mie condizioni di salute, anche se non posso negare di non aver affatto riposato, questa notte.-
-E perché?- chiese di nuovo Caldina.
-Fatemici arrivare e lo saprete. Dunque, non credo che le parole servano a molto, perciò vi prego di seguirmi.- ordinò il saggio, con tono che non ammetteva obiezioni.
I presenti si lanciarono l’un l’altro occhiate interrogative: se avessero voluto saperne di più, avrebbero dovuto fare solo una cosa, seguire Clef e scoprire dove li stesse conducendo.

Nel giro di qualche minuto, furono tutti davanti la famosa porta.
Il monaco battè, puntualmente, in terra il suo bastone e la porta si aprì, sotto lo sguardo incuriosito degli astanti.
-Un momento! – fermò tutti Ferio – Dov’è Lantis?-
-Ho mandato a chiamare anche lui, ci raggiungerà a breve.- tagliò corto Clef, dimostrando ancora una volta di avere tutto sotto controllo. –Comunque hai fatto bene a ricordarti di lui, Ferio. Avevo intenzione di aspettarlo, prima di raccontarvi quello che devo.-
Fortunatamente, Lantis fece il suo ingresso a breve, facendo si che la curiosità degli altri non dovesse attendere molto per essere soddisfatta.
Il giovane spadaccino era solo, probabilmente aveva appena finito un turno di guardia e Primera non era ancora riuscita a raggiungerlo.
-Desideravi vedermi? – chiese il ragazzo, mettendosi leggermente sull’attenti. –Ho saputo che mi stavi cercando.- continuò, con la sua voce profonda.
-Si, Lantis. Avrei una cosa da sottoporre alla tua attenzione, anzi! Da sottoporre all’attenzione di tutti!- annunciò Clef, aprendo il braccio sinistro e indicando il suo uditorio.
-E sarebbe?- chiese scettico Rafaga, il quale cominciava ad insospettirsi, dati i numerosi misteri che stava facendo il monaco.
-Un attimo di pazienza, un attimo di pazienza…- rassicurò quest’ultimo.
Entrò per primo nella stanza e quindi lo vide. Proprio quello, lo specchio.
Con passo leggero si avvicinò al tavolino e squadrò l’oggetto: era esattamente come lo ricordava dalla sera prima e la luce del sole non fece altro che confermare le sue impressioni.
Il vetro e la cornice erano lucidi. Le tre sfere erano grezze e opache.
-Venite avanti!- invitò i suoi amici.
In men che non si dica, ciascuno aveva preso il suo posto, intorno a quello che stava loro indicando il monaco.
-E questo cos’è?- chiese Caldina.
-Sembrerebbe uno specchio.- rispose Presea.
-Ci hai fatto venire qui, per uno specchio?- storse il naso Rafaga.
-In effetti…- aggiunse Ferio.
-Ha qualcosa di familiare- commentò Ascot, sovrappensiero.
Lantis si limitò a squadrare a fondo il cimelio.
-Per quanto possa sembrare banale, si, vi ho convocato qui per questo specchio.- esordì Clef, mantenendo un tono fermo e sicuro. –Vi prego di prestare la massima attenzione. E’ apparso dal nulla, dal giorno alla notte, e la sua fattura non è quella dei mastri di Cefiro.-
-Hai ragione!- esclamò Presea, avvicinandosi di più. –Conosco a memoria tutti i metalli che ci sono sul nostro pianeta e su quelli limitrofi. Questo non l’avevo mai visto.-
-Non mi sembra che emani un aura malvagia… di’ un po’,  Ascot, ti pare che potrebbe essere uno strumento di magia nera?- gli chiese  Caldina.
-Dubito che, se Clef non vi abbia riscontrato niente di tutto ciò, possa riuscirvi io!- si schermì l’evocatore.
-Suvvia, Ascot! Sappiamo tutti che hai grandi doti, talmente grandi che, se volessi, potresti benissimo superarmi!-
-Ma Clef, io…-
-Ciononostante, - lo interruppe con decisione il monaco, alzando una mano – non siamo qui per discutere di questo. Dimmi piuttosto che cosa stavi per aggiungere prima, quando hai affermato che lo specchio ti sembrava familiare.-
Ascot si sentì tutti gli occhi puntati contro e, sebbene avesse imparato a gestire parte della sua timidezza, si sentì comunque a disagio.
-No, no. Niente…-
-Coraggio, parla pure liberamente. Questo specchio non dà segni di vita, qualunque osservazione potrebbe esserci utile.- lo continuò a rassicurare Clef.
Il giovane tornò a fissare lo specchio.
-I colori. Non mi sembrano casuali.-
Tutti si voltarono verso quell’oggetto che aveva creato tanto scompiglio, seppur fosse di dimensioni alquanto ridotte.
Avevano capito che cosa intendeva Ascot: quei colori ricordavano quelli dei Cavalieri Magici.
-Da quanto tempo non riceviamo una visita di quelle simpatiche ragassuole?-domandò Caldina, dando voce al quesito che tutti si erano posti in cuor loro.
-Da troppo.-fu la lapidaria risposta di Ferio. Non aveva detto una parola da quando erano entrati nella stanza, eppure come d’altra parte aveva fatto Lantis, anch’egli aveva notato il riferimento cromatico, quella sorta di legame che univa lo specchio ai Cavalieri.
Clef aveva intuito i sentimenti dell’ex principe di Cefiro. E non solo: sapeva perfettamente ciò che passava per la testa sia dello spadaccino, sia dell’evocatore.
Sapeva quanto costasse loro rimanere tanto lontani da quelle ragazze.
Tuttavia, quello specchio certo non si poneva per risolvere i problemi, semmai, di complicarli…
Il saggio si riscosse dai suoi pensieri, scuotendo la testa.
-Hai provato a toccare le sfere?- chiese Rafaga, che voleva andare per le vie spicce.
-Mio buon comandante -sospirò Clef, sconsolato  -è la prima cosa che ho fatto!-
-Ma allora non si sa proprio niente!- esclamò Caldina, esasperata.
-Già, a quanto pare è così… - confermò Presea, rassegnata –Fin quando i Cavalieri Magici non torneranno, non potremo scoprire questo mistero.-
A sentire queste parole, Ferio si rabbuiò.
-Posso provare, Clef?- si fece avanti Lantis.
-Prego, prego.- lo invitò il mago, facendosi da parte.
Il ragazzo studiò attentamente la superficie dello specchio, ispezionando accuratamente centimetro dopo centimetro.
Quale abile stratega e condottiero, non sarebbe stato da lui lasciare al caso nemmeno il più piccolo particolare.
Cacciò fuori dal mantello la mano destra e decise di prendere contatto fisico con quel freddo cimelio.
Sfiorò la sfera blu, non accadde nulla.
Passò a quella verde. Nemmeno.
Infine, sfregò lievemente il polpastrello dell’indice contro la sfera rossa. Questa era calda e fu allora che emise un impercettibile bagliore vermiglio.
Anche Clef lo notò. Lantis si tirò su, turbato.
Che significava tutto ciò?
-Ebbene?- ruppe il silenzio Rafaga- Non mi pare sia successo alcun che.-
-No, niente di niente.-considerò pigramente Caldina.
Possibile che nessuno si fosse accorto della luce scarlatta?
-Resterà un mistero.-annuì Presea.
Ma Ascot e Ferio non erano dello stesso avviso, loro avevano visto.
-Posso provare anch’io?-
Senza attendere risposta, l’ex principe andò dritto sulla sfera verde, passandovi sopra il dito. La biglia era viva, gli carezzò la pelle ed emise un bagliore color delle foglie.
-Se non vi spiace, provo anch’io- affermò Ascot mentre si avvicinava, suscitando lo stupore generale, in quanto gli altri davvero non riuscivano a vedere.
Lantis e Ferio si fecero da parte. La sfera blu era davanti al giovane evocatore. Se aveva capito come stavano le cose sul serio, sperò di cuore che la cosa funzionasse anche con lui.
Ispirò a fondo e si preparò a sfiorare la sfera. Lì per lì sembrò che non accadesse nulla ed Ascot aveva già perso le speranze, quando all’improvviso, la sfera cedette sotto la sua pressione, come se fosse diventata fluida. Anche lei emise la sua luce, cerulea.
Clef non si era perso una virgola di tutto quello che era accaduto.
-Se non vi spiace, noi torniamo alle nostre occupazioni, abbiamo molto lavoro da sbrigare e i giochetti con gli specchi non ci riguardano.- sottolineò il comandante. –Ci vediamo questa sera.- aggiunse, già fuori dalla porta. –Caldina!- la richiamò.
-Si, si, arrivo!- fece la ballerina – Be’ tesori, mi piacerbbe rimanere ma non posso... se scoprite qualcosa di nuovo, mi raccomando, informate la Caldina!-
-Mi associo. Il lavoro non manca, mi ritiro anch’io.- affermò Presea- Ma vale la stessa cosa: non fatevi scrupolo di chiamarci, se dovesse sbloccarsi qualcosa!-
-Certamente, grazie lo stesso del tempo che avete dedicato a questa faccenda!-ringraziò cortesemente Clef.
Le due donne oltrepassarono la soglia e la porta si chiuse, lasciando i tre giovani e il mago.
Nessuno aveva i coraggi di parlare, ma Ferio riuscì comunque a dire qualcosa.
Tutto questo ha dell’incredibile. Non siamo arrivati ad una soluzione definitiva, ma ci stiamo avvicinando alla risposta. E quella risposta ha un nome: Cavalieri Magici.-
-Cosa ne pensi tu, Clef?- fece Ascot.
-Non ne ho idea, ragazzi miei, ma ho visto che c’è del buono in quello specchio. I miei poteri mi hanno permesso di vedere, ma non di sentire. Solo voi avete la chiave per scoprire questo mistero.
Una frase alquanto sibillina. Ascot si guardò bene dall’aggiungere altro.
-Vorrei avere l’occasione di confrontarmi con questo specchio.- Lantis aveva espresso un imperativo camuffato da desiderio.
Clef non fece una piega.
-E’ qui a disposizione, quando vuoi.- gli rispose placido, prendendo la via della porta. -Io andrei, non ho più niente da fare qui… è roba vostra. Posso solo augurarvi buona fortuna. E darvi un consiglio: affrontate la prova uno per volta. Sono certo che chiunque abbia mandato questo specchio, vorrebbe così.-
In un batter d’occhio, Clef era già sparito.
-Scommetto che, come sempre, sa più di quello che lascia intendere.- commentò Ferio, puntando le mani sui fianchi.
-Voglio essere io il primo.- decise severamente Lantis, tralasciando questa volta l’eufemismo del condizionale. –Non voglio scavalcarvi, ma penso che sia prudente seguire l’ordine con il quale ci ha riconosciuto lo specchio.- aggiunse con tono più benevolo.
-Per me va bene.-disse tranquillamente Ascot.
-Anche per me.- confermò Ferio –Ragazzi, sono proprio curioso di sapere che cosa ci aspetta!-esclamò facendo schioccare le dita trepidante.

Fuori dalla stanza, Clef era ritto, appoggiato al suo bastone e sorrideva compiaciuto.
-Mi chiedo che cosa ti sarai inventato questa volta…- mormorò mentre tornava nei suoi appartamenti, con espressione divertita.



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Capitolo 2
*** Canto II - Fulgens Focus ***


MKR

Canto II

Fulgens Focus


Il corridoio principale dell’ala est rimbombava di passi, nel silenzio della notte.
Fiero e sicuro, Lantis procedeva con passo spedito verso la stanza dello specchio: voleva vederci chiaro e scoprire quale fosse il segreto di quell'oggetto comparso dal nulla.
L’unica cosa del quale era certo, riguardava il legame che quella sfera rossa aveva con Hikaru, la sua Hikaru. Quando aveva sfiorato la biglia scarlatta, questa aveva risposto, illuminandosi. Possibile che si fosse trattato di una semplice coincidenza? No. Le altre due sfere avevano reagito solo al tocco di altre due distinte persone, guarda caso, Ferio ed Ascot, i quali avevano lo stesso interesse che aveva anch’egli, Lantis di Cefiro, nel riprendere il contatto con i Cavalieri Magici, ormai assenti da mesi.
Hikaru. Il solo pensiero della ragazza dalla chioma infuocata fece affrettare l’andatura dello spadaccino: voleva rivederla, doveva rivederla. Da quando l’aveva conosciuta aveva imperato cosa fosse la serenità, la quale, negli ultimi anni, gli era mancata abbastanza.
Nel corso delle visite che Hikaru aveva fatto su Cefiro, aveva parlato molto con lei, anche se non era mai riuscito ad esprimerle chiaramente ciò che provava nei suoi confronti. Ci aveva provato più volte, ma la ragazza, con le sue osservazioni dettate dalla sua semplicità, lo aveva sempre spiazzato. Come quando gli aveva detto che le sarebbe piaciuto, si, sposare Lantis, ma anche Eagle… Appunto, Eagle. Il ragazzo costituiva un ostacolo non indifferente al rapporto che Lantis avrebbe voluto instaurare con il Cavaliere del Fuoco.
Il comandante di Autozaam aveva mostrato un certo interesse verso Hikaru e questo non era sfuggito a Lantis, procurandogli non pochi ripensamenti. Amava Hikaru e rispettava Eagle come un fratello, ma chiedergli di scegliere tra uno di due era qualcosa di inconcepibile: non sarebbe mai stato capace di rinunciare ad uno in favore dell’altra… Eppure, Lantis sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo. Certo, se anche Hikaru fosse stata innamorata di lui, Eagle avrebbe certamente accettato la cosa con più condiscendenza…
Improvvisamente si ritrovò davanti alla pesante porta di rovere.Oltre i suoi battenti c’era il famoso specchio.
Lo spadaccino si era messo d’accordo con Ferio ed Ascot, i ragazzi avevano deciso che ognuno avrebbe affrontato lo specchio da solo.
Lantis sarebbe stato il primo. Appoggiò le mani contro la porta e spinse in avanti; i cardini cigolarono, ma i battenti si aprirono. Il pezzo di vetro incorniciato era lì, come sempre, illuminato dal pallore lunare.
Il ragazzo si portò avanti, raggiungendo il tavolino. Ora si poneva un problema: come interagire correttamente con lo specchio.
A parte la reazione della sfera rossa, il cimelio non aveva dato altri segni di vita, nonostante Clef le avesse tentate tutte. Che servisse una formula magica, capace di rivelare il segreto dello specchio?
Lantis ci pensò un po’ su: non aveva trovato alcun tipo di incisione sulla cornice, nessun indovinello, nessun verso da decifrare o da recitare. Scartò quest’ipotesi, concentrandosi su altro.
Forse avrebbe dovuto rompere il vetro… no, non sarebbe stata una mossa intelligente: era abbastanza certo che quell’oggetto dovesse rimanere integro. Per una frazione di secondo, rimpianse di essersi proposto per primo al confronto con lo specchio, ma siccome non sarebbe stato da Lantis arrendersi così, non si diede per vinto: appoggiò le mani sul tavolo, determinato a farsi venire un’idea adeguata.
Hikaru.
Quel dolce sorriso gli apparve nella mente come un lampo che, nella notte nera, illumina le tenebre. Doveva trovare il modo di costringere quel pezzo di metallo e vetro a collaborare. Ma come?
Inconsciamente, passò nuovamente l’indice sulla sfera rossa, mentre era perso nei suoi pensieri che, ovviamente, convergevano sul Cavaliere del Fuoco. La biglia si illuminò all’istante, risplendendo di un luce scarlatta e intensa.
L’attenzione di Lantis venne richiamata dall’evento e lo spadaccino si rese conto che la sfera si era staccata dalla cornice: ora, ruotava su sé stessa, rossa come il fuoco, creando un vortice fiammeggiante che aveva invaso tutta la stanza.
Rosse erano le pareti, rosso era il pavimento, rossa era la luce della luna che continuava, imperterrita, a filtrare dalle finestre.
“Salute a te, Lantis di Cefiro” echeggiò una voce profonda.
-Chi sei?-chiese il ragazzo, per nulla intimorito.
“Io sono il Fuoco e sono giunto a te attraverso lo Specchio dei Sogni.”
-Lo Specchio dei Sogni? Come quello di cui parla la leggenda?-propose Lantis, sospettoso.
“Questo è lo Specchio della leggenda, l’oggetto che permette il contatto tra mondi paralleli, mosso dalla forza di volontà delle persone.”
-E perché è venuto da noi?- fece il giovane, continuando il suo interrogatorio sottolineando il plurale, come a mettere in evidenza anche il coinvolgimento di Ferio ed Ascot.
“A questa domanda non posso rispondere, perché forze più grandi hanno deciso il nostro incontro, Lantis di Cefiro.”
-Allora spiegami quale sarà il tuo ruolo!-
La voce dell’Elemento non stava affatto dissipando i dubbi dello spadaccino, semmai li stava aggrovigliando ancor di più.
“La volontà di rivedere Colei alla quale appartengo è forte nel tuo animo. Se vuoi, io posso darti la possibilità di incontrarla.”
Lantis rimase interdetto: l’Elemento gli stava proponendo di condurlo da Hikaru?
-Come faccio a sapere che non mi stai ingannando?-domandò il giovane, curioso di vedere la reazione del Fuoco.
“Tu cosa senti?” replicò la profonda voce in tono tranquillo.
Lantis chiuse gli occhi e lasciò che venisse toccato dall’aura dell’Elemento: avvertiva un grande potere, ma nessun desiderio di inganno.
Che quell’Elemento fosse il Fuoco, dominato da Hikaru, non vi era alcun dubbio. Dunque, davvero gli sarebbe stata offerta la possibilità di rivederla?
Lo spadaccino riaprì gli occhi, seppur non completamente.
“Ti sto forse raccontando menzogne, Lantis di Cefiro?”disse la voce, beffarda.
-No, stai dicendo la verità. Ma come hai intenzione di portarmi al tuo Cavaliere?-
“Al tuo, vorrai dire. Sono io che appartengo a lei, non il contrario” precisò l’Elemento”mentre voi due vi appartenete vicendevolmente.”
-Ciò non toglie che tu non mi abbia ancora detto in che modo mi consentirai di avere un contatto con lei.-fece Lantis, dimostrando di non aver perso il filo della discussione.
“La chiave è la tua forza di volontà. Sei stato capace di evocarmi dallo specchio, ora devi solo affidarti a me. Vieni avanti.”
Senza esitazione, Lantis avanzò verso il cimelio: ne uscì una grande fiammata che, con il suo calore, avvolse tutta la stanza. Ardeva, ma non bruciava.
Ed infine, ecco che apparve, fiero e maestoso, lo spirito del Fuoco: un possente guerriero dall’armatura lucente si erigeva maestoso tra le fiamme.
Lantis non si lasciò intimorire e attese pazientemente che l’Elemento facesse la sua mossa.
“Vieni da me, Lantis di Cefiro. Non aver timore e lascia che sia il tuo impavido cuore a guidarti.-
Lo spadaccino ubbidì al comando del Fuoco, sicuro che dietro non ci fosse alcuna trappola. Ora percepiva distintamente uno stralcio dell’aura che emetteva anche Hikaru quando combatteva.
Quell’essere era davvero il Fuoco, guardiano del Cavaliere dalla rossa treccia.
Una volta che il giovane fu giunto davanti allo spirito, quest’ultimo gli mise una mano sulla testa e con la sua voce calda e profonda, gli sussurrò:”Libera la tua mente e segui la tua volontà. Fidati di te stesso…”
Un calore, lo stesso calore che aveva percepito quando aveva toccato la sfera scarlatta, si impadronì del suo corpo. Per un istante si fece più intenso, poi sparì del tutto.
Lantis aprì gli occhi e se ne rese conto.
Non era più su Cefiro.

Ci volle qualche secondo, affinché Lantis capisse dove fosse finito. La stradina nel quale si trovava era deserta e silenziosa: era fiancheggiata da alcune grandi costruzioni che il ragazzo riconobbe come le case nelle quali abitavano gli abitanti della Terra. Una volta, Hikaru gli aveva portato delle fotografie rappresentanti il suo mondo.
-Questa è casa mia!-aveva detto mostrandogli una tipica casa giapponese, tutta su un piano, con tanto di giardino lussureggiante e porticato.- e qui c’è la palestra dove mi alleno con i miei fratelli.-
-Tu vivi in questo posto?-le aveva chiesto Lantis, piano.
-Si, vivo assieme ai miei tre fratelli. La mia casa è bellissima e non la lascerei per nulla la mondo! Anche se…-
-Anche se?-aveva incalzato Lantis, preoccupato per la brusca interruzione.
-Si, insomma, un giorno dovrò andarmene! Quando andrò al college e poi, quando mi sposerò!-aveva concluso al fanciulla , sorridendo dolcemente. Lantis era rimasto a fissarla, pensando a quanto sarebbe stato bello vivere sulla Terra con la sua Hikaru, in una di quelle strane ma graziose casupule. In fondo, ormai non aveva nulla a trattenerlo su Cefiro, sebbene fosse il suo pianeta natale. Quel regno non aveva più bisogno di lui, ma egli aveva bisogno del Cavaliere del Fuoco, per tanto avrebbe potuto benissimo trasferirsi ed iniziare una nuova vita altrove. Ma prima avrebbe dovuto accertarsi dei sentimenti di Hikaru.
Lo spadaccino mise da parte i suoi ricordi e solo allora si guardò: non aveva più la divisa nera della Guardia Reale, bensì un pantalone scuro e una giacca avvitata color panna.
“Vestiti terrestri” suppose. Non vi badò più di tanto, considerando che aveva una priorità più urgente: trovare Hikaru.
Essendo un giovane abituato a cercare razionalmente la soluzione ai problemi, ordinò mentalmente tutte le nozioni utili che aveva a disposizione. Ma non  reputò nessuna di queste funzionale a risolvere il suo problema. Inspirò a fondo, deciso a non arrendersi, quando avvertì un flusso di aria calda che andava espandendosi per la stradina deserta; riconosciuto l’indizio come un segno del Fuoco, Lantis percorse la direzione indicatagli, lasciandosi guidare dal tepore.
Dopo aver percorso un paio di isolati, l’aria calda si dissolse, lasciando il giovane davanti ad un enorme ingresso in pietra e in legno. Intravide sulla targa di metallo, appesa ad una colonna, la scritta “Famiglia Shidou” e immediatamente capì di essere arrivato. Con ritrovata fiducia, varcò la soglia, ritrovandosi in un vialetto coperto da un lastricato di marmo. Lantis non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno che, immediatamente, gli venne incontro un grosso cane bianco. Non sembrava avere brutte intenzioni, anzi scodinzolava allegro. Si fermò a pochi passi dal giovane, guardandolo con curiosità.
-Scommetto che tu sei Hikari.-sussurrò Lantis, abbassandosi e tendendo una mano aperta all’animale.
Hikari si avvicinò lentamente, annusando al mano di Lantis: certamente dovette trovarla di suo gradimento, poiché si lasciò accarezzare con tranquillità.
-Hikari, sei qui?-domandò una voce fresca e gioviale.
Si affacciò dalla palestra un visetto sorridente che rimase letteralmente basito nel vedere chi c’era in giardino. Sgranò gli occhi e balbettò: -L-lantis!-
Lo aveva riconosciuto anche se indossava abiti inconsueti per lui.
Il giovane si rizzò in tutta la sua maestosa altezza, rivolgendo un dolcissimo sguardo alla ragazza. Scendendo dalla passerella, il Cavaliere del Fuoco si mosse verso il giovane, ancora incredula.
-Ma come hai fatto ad arrivare qui?- gli chiese senza smettere di guardarlo.
-E’ una storia lunga.-comnciò Lantis.
-Hikaru! Cosa stai facendo?- tuonò una voce.
La ragazza si voltò di scatto.
-Satoru! Ecco, vedi…-
-Chi è quel ragazzo?-continuò il fratello maggiore della fanciulla, senza staccare uno sguardo di ghiaccio da Lantis.
-Un amico.-si affrettò a rispondergli la sorella.
-E come si chiama?-
-Lantis.-affermò egli stesso, prendendo la parola.
-Satoru, Hikaru, cosa state facendo?- chiesero anche Masaru e Kakeru, essendo sopraggiunti in quell’istante.
-A quanto pare la nostra Hikaru ha visite.- commentò freddamente Satoru.
-E questo chi è?-chiese Masaru, squadrando sospettosamente il nuovo venuto.
-Si chiama Lantis,-rispose Hikaru tentennante- è un mio amico, è tanto che ci conosciamo e…-
-Che cosa?- urlò Kakeru- Cosa hai detto?-
La ragazza realizzò solo in quell’istante ciò che aveva detto e si portò le mani alla bocca: aveva appena condannato Lantis a subire una sfuriata di gelosia da parte dei fratelli.-
-Di un po’, come ti sei permesso di uscire con nostra sorella senza il nostro consenso?- fece truce Masaru.
-Perché, avrei dovuto chiedere il vostro permesso? Vostra sorella mi sembra grande abbastanza da sapersi guardare da sola!- rispose a tono Lantis.
Non avrebbe potuto scegliere parole più sbagliate. Gli occhi di Satoru, lampeggiarono inviperiti, nonostante fosse il più calmo dei tre fratelli.
-Tu! Come osi dire queste oscenità! Mia sorella è ancora una bambina! Ti faremo vedere noi come ci si comporta!-sibilò il ragazzo adirato –Ti daremo una lezione che non ti scorderai! Masaru, Kakeru!-
-Si, Satoru!- risposero pronti i due fratelli minori.
-Conducete questo insolente in palestra!-
-Non possiamo fargliela passare liscia! La nostra adorata Hikaru non si tocca.-gridò infiammato Masaru.
-Gli faremo passare la voglia di fare il gradasso!- gli fece eco Kakeru.
Hikaru scosse la testa, sempre con le mani sulla bocca.
-Lantis, mi dispiace!-
-Tranquilla, non c’è niente da temere. Un giorno sarebbe dovuto accedere, tanto vale che facciamo subito.- concluse sbrigativo il giovane.
C’era un piccolo particolare che i fratelli di Hikaru non avevano considerato, sfidando Lantis di Cefiro. Egli era il migliore spadaccino del pianeta.

-Sarò io il tuo primo avversario!-intimò Masaru, rivolto a Lantis.
Il giovane non lasciò trapelare alcuna emozione, sicuro di sé.
-Bene.-
-Le regole sono quelle del kendo e se perderai, Lantis, non dovrai più azzardarti ad avvicinarti a nostra sorella!- abbaiò Kakeru.
-E se dovessi vincere?-
-Hai una bella faccia tosta! Questo non succederà mai, ma se dovesse capitare, ebbene, ci faremo da parte.-gli rispose Masaru, mentre finiva di prepararsi.
Anche Lantis stava ultimando i preparativi, aiutato da Hikaru.
I due sfidanti si misero uno di fronte all’altro e Kakeru diede il via all’incontro.
Satoru osservava tutto dalla sua postazione sul fondo della palestra, mentre la sorella gli era accanto con le mani giunte, pregando che tutto andasse per il meglio.
Masaru era partito subito all’attacco, rimanendo spiazzato dall’agilità di Lantis.
-N-non è possibile!-commentò, sbigottito.
-Avanti, fratello, non puoi permettere che quel bell’imbusto faccia il cascamorto con la nostra sorellina!- lo incitava Kakeru.
Lantis si muoveva con somma eleganza, schivando prontamente tutti gli attacchi di Masaru. Il ragazzo era sempre più sorpreso. Da dove era saltato fuori quel tizio? Sembrava davvero che fosse nato con la spada alla mano.
-Basta! Mi arrendo, sono sfinito!- gemette Masaru, gettando al sua spada di legno da una parte e atterrando sul pavimento, carponi.
-Masaru! Che cosa stai facendo?- strillò Kakeru -Come puoi dire così?-
-Lantis, non avevo mai incontrato nessuno come te… devo ammettere che sei davvero forte.-
Hikaru, nel vedere il risultato di quel primo scontro, sorrise e Satoru non lasciò inosservato quel particolare.
-Perdono, fratello!-sussurrò Masaru, mentre si dava il cambio con Kakeru.
-Tranquillo, ci penserò io!-rispose il ragazzo, pieno di boria.
Lantis appariva stranamente calmo, sembrava che ciò che stesse accadendo non lo turbasse minimamente. Una ruga comparve sulla fronte di Satoru, mentre Hikaru guardava con apprensione e silenziosamente il suo Lantis.
Ben presto, l’ardore e la foga di Kakeru vennero meno, dovendosi arrendere anch’egli all’evidenza dei fatti: Lantis era davvero molto forte, aveva un modo di combattere superlativo. C’era tecnica, c’era vigore, c’era astuzia, c’era talento.
-Ah, getto la spugna!-fece lamentoso Kakeru, afflosciandosi al suolo, sconfitto e avvilito.
Masaru lo aiutò a rialzarsi ed entrambi i fratelli si rivolsero al maggiore, con sguardo suppilce.
-Satoru, tu sei il migliore di noi! Fatti valere e imprimi una sonora sconfitta a questo presuntuoso!-
Il ragazzo si alzò e lanciò uno sguardo alla sorella che osservava Lantis senza emettere una sillaba. I suoi occhi brillavano ogni volta che lo spadaccino schivava un colpo o segnava un punto a suo favore. Dunque doveva tenere molto a quel giovane…
-Vai, Satoru!- gridò Masaru.
Lantis ed il fratello di Hikaru si misero uno davanti all’altro, pronti a cominciare l’incontro.
Satoru Shidou sapeva bene di aver di fronte un tipo di avversario che non aveva mai incontato prima di allora.
Si inchinarono lievemente e cominciarono; il maggiore dei fratelli lasciò che fosse lo spadaccino a fare la prima mossa, così da prendere tempo.
Lo aveva osservato durante gli scontri con i suoi fratelli e aveva trovato il suo modo di combattere eccezionale. Sembrava che dentro di lui regnasse l’essenza del Fuoco stesso.
Quel ragazzo che aveva davanti doveva essere davvero un grande combattente dal cuore puro, per custodire in sé una tale forza. Satoru cercava di cogliere di sorpresa Lantis in tutti i modi, ma non ci fu verso di sorprendere lo spadaccino di Cefiro.
Per la prima volta, Satoru fu messo in difficoltà. Dal canto suo, Lantis cercò di non usare il massimo delle proprie potenzialità, poiché non avrebbe voluto far del male ai fratelli di Hikaru. La ragazza non glielo avrebbe mai perdonato. Ma nel contempo, non voleva farsi sconfiggere: il suo desiderio più grande era stare con la sua Hikaru e battere Satoru e i suoi fratelli era l’unico modo per ottenere la loro approvazione.
Lo scontro si protrasse per un po‘, poi, quando le forze cominciarono a venire meno, Satoru ebbe un cedimento, tuttavia Lantis non ne approfittò: non sarebbe stato onorevole.
Colpito da quel gesto, Satoru mise da parte la spada e, cogliendo negli occhi di Hikaru il fulgore di un sentimento semplice e delicato, disse solo queste brevi parole:- Mi hai dimostrato quanto vali, Lantis. Ti avevo sottovalutato, ed un bravo guerriero non dovrebbe mai fare un simile errore.-
Poi si avvicinò e gli sussurrò:-Mia sorella è una persona eccezionale, vedi di trattarla con rispetto.-
-Io la rispetto più di me stesso.- rispose Lantis, non lasciandosi cogliere impreparato.
Satoru e Lantis sostennero ciascuno lo sguardo dell’altro, infine il maggiore dei ragazzi Shidou richiamò i suoi fratelli.
-Masaru! Kakeru! Andiamo, per noi qui non c’è più niente da fare.-
-Ma Satoru…-
-Lascia stare, Kakeru. Lantis si è meritato di vincere.- affermò serenamente Satoru.
Il ragazzo si rimise al suo posto e annuì.
I tre fratelli salutarono Hikaru e si raccomandarono a Lantis, dopo di che uscirono dalla palestra.

-Lantis, sei stato bravissimo! Mai nessuno era riuscito a battere in fila tutti e tre i miei fratelli.-si congratulò Hikaru, raggiungendo il giovane.
Egli non disse nulla, si limitò a fissarla, beandosi del suo incantevole sorriso.
-Come stanno tutti gli altri?-chiese all’improvviso la ragazza.
-Bene.-rispose Lantis.
-Ed Eagle? Si sta riprendendo, non è vero?-
Il ragazzo si arrestò. Perché chiedeva di Eagle?
-Purtroppo Fu, Umi ed io non siamo potute venire ultimamente perché siamo alle prese con lo studio per l’esame di ammissione al college…- continuò la fanciulla.
Ecco dunque perché le ragazze non si erano fatte vedere!-
-… però vi pensiamo spesso! Pensiamo a Clef, Ascot, Ferio, Zazu, Geo… e al mio caro quarto fratello Eagle! Allora, non mi vuoi proprio dire come sta?-
Lantis la scrutò e lasciò affiorare sulle proprie labbra un sorriso sereno.
“Al mio quarto fratello Eagle…” Ah, piccola e dolce Hikaru! Ti preoccupi sempre di tutti e Lantis temeva che in realtà amassi un altro! Eagle avrebbe capito? Lantis si augurò di si…
-Bene, va migliorando.-affermò il ragazzo.
-Sono contenta! Prometto che presto verrò a trovarvi tutti…-
-Hikaru?-la interruppe Lantis.
-Si?-
-Che ne diresti, se venissi a vivere sulla Terra?-
-Cosa? Lasceresti Cefiro?-
-Ormai lì non c’è più niente che mi tiene legato…-
Hikaru si fece triste.
-E’ per colpa nostra, se non hai più un fratello…-
Lantis sentì il dovere di bloccarla, non solo verbalmente, ma anche fisicamente. La prese per le spalle con un gesto non troppo brutale e le disse:- No, Hikaru, voi avete fatto ciò che era giusto! La verità è che qui sulla Terra c’è qualcosa di fondamentale per me… una cosa senza la quale non potrei vivere.-
-Davvero? E che cos’è?-chiese la ragazza con curiosità.
Lantis si avvicino è spostò le mani sui fianchi di lei, cingendole delicatamente la vita con il braccio sinistro, mentre con la mani destra le accarezzava il viso.
-Non riesci proprio ad immaginarlo?-
Hikaru sorrise, abbandonandosi al tenero bacio che Lantis, dopo essersi chinato, le stava donando.
-Piano, altrimenti Satoru potrebbe ripensarci!-fece ella ridendo.
Lantis inarcò un sopracciglio e Hikaru scoppiò in una risata argentina.
-Mi farebbe davvero piacere se tu venissi qui, sulla Terra… ma Cefiro è il tuo mondo…-
-Il mio mondo è dove sei tu. Hikaru, con te ho trovato una serenità indescrivibile, è come se fossi nato una seconda volta.-fece Lantis.
La ragazza si strinse al giovane, in un abbraccio caldo e sicuro.
-E’ stato il Fuoco a mandarti da me, vero? Lo sento.-sussurrò senza staccarsi.
-Si.-
-E allora è destino che dobbiamo stare insieme.-
Quel bel momento venne interrotto da Hikari che giunse, saltellando e scodinzolando, sotto il porticato.
-E’ un bel cane.-commentò Lantis.
-E’ il migliore!-rispose Hikaru, accarezzandolo.
La giornata stava per giungere al termine, ormai il sole era oltre l’orizzonte.
Hikaru e Lantis s soffermarono a guadare quel disco infuocato, sapendo che era ora di separarsi.
-Verrò quanto prima.-decise Hikaru.
-La prossima volta tornerò indietro con te… durante questo periodo di tempo cercherò di organizzarmi.-
-Dovrai incominciare una nuova vita.-lo avvertì Hikaru con premura.
-E' da sempre che non faccio altro. Non mi spaventa.- fece egli, chinandosi nuovamente e baciando la ragazza.
-A presto.- lo salutò Hikaru.
Un dolce tepore invase sia Lantis che il Cavaliere del Fuoco.
Fu un istante: lo spadaccino era tornato su Cefiro.

-Ben tornato, Lantis di Cefiro!-lo accolse una voce possente.
Il ragazzo si riprese e si ritrovò nella stanza dello specchio. Il Guardiano del Fuoco stava scomparendo lentamente: aveva portato a termine il suo compito.
-Grazie.-disse Lantis.
Il guerriero fiammeggiante chinò il capo e in un bagliore scomparve all’interno della biglia rossa, che ora aveva smesso di vorticare, facendosi lucente, in netto contrasto con le altre due, rimaste opache.
Lantis si ritrovò al buio.
-A presto, Hikaru.-rispose sottovoce, mentre si stava girando in direzione della porta, facendo frusciare il nero mantello.



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Capitolo 3
*** Canto III - Veritatis Ventum ***


MKR

Canto III

Veritatis Ventum


Ferio si stava divertendo a lanciare in aria, per poi riprendere al volo, una monetina argentata. Testa o Croce? Testa: lo specchio avrebbe parlato da solo. Croce: avrebbe avuto bisogno di un piccolo, come dire, incoraggiamento.
L’ex-principe di Cefiro adorava fare le cose testa sua, e così era andata anche quella volta: a nulla erano valsi i tentativi di ragguaglio sulla situazione da parte di Lantis. Egli aveva già affrontato la prova e i suoi consigli sarebbero stati preziosi, ma Ferio non aveva voluto saperne. Quella era la sua sfida. La stanza, come al solito, era silenziosa e immersa nella sua surreale atmosfera. Lo specchio era lì. L’unica differenza che si sarebbe potuta notare constava nella lucentezza della biglia rossa, mentre quella verde e quella blu erano rimaste opache.
Il ragazzo lanciò per l’ennesima volta la monetina e la riprese chiudendola con uno scatto tra i palmi delle mani: aveva avvertito che quello sarebbe stato il lancio definitivo.
Dopo interminabili mesi avrebbe rivisto Fu, il suo bel Cavaliere del Vento.
Al suo ritorno, Lantis aveva annunciato la sua intenzione di trasferirsi definitivamente sulla Terra, per stare accanto ad Hikaru. Tale notizia aveva suscitato tanto lo sconvolgimento dei suoi amici, tanto la completa condiscendenza di Clef, da rendere quasi buffo il contrasto di toni della combriccola.
Il monaco sapeva tutto, Ferio ne era certo, la sua reazione era stata fin troppo tranquilla. Dunque, chissà se nel progetto di chicchessia sarebbe rientrata anche l’eventualità del suo trasferimento… Una vita assieme a Fu, sulla Terra. Prospettiva niente male.
Qualche sera addietro, aveva sentito Lantis e Clef discutere sulle conseguenze che avrebbe portato l’abbandono di Cefiro, prima fra tutte, l’accorciamento della vita.
Lo spadaccino non era rimasto minimamente turbato dalla notizia e Ferio stesso aveva pensato che non fosse nulla di grave.
Avrebbe avuto meno tempo a disposizione, era vero, ma lo avrebbe trascorso assieme a Fu, come desiderava.
Fin dal primo momento che aveva parlato con il Cavaliere del Vento, l’ex-principe di Cefiro aveva intuito di aver davanti una ragazza fuori dall’ordinario.
All’apparenza fredda, distaccata e calcolatrice; in realtà dolce, sensibile ed intelligente.
Ferio sospirò e riportò l’attenzione sulla monetina. Lentamente, schiuse i palmi, lasciando intravedere il dischetto argentato.
Croce.
Perfetto, così significava che il ragazzo avrebbe dovuto fare qualcosa. Ma cosa? Magari una cosa straordinaria o magari una cosa semplice. Testa o Croce.
Ferio rilanciò la monetina, ripetendo il medesimo rituale.
Di nuovo Croce.
“Una cosa semplice, una cosa semplice… Semplice…”
Mentre rifletteva, nella sua mente scorrevano i ricordi dei momenti passati con Fu. Gli sguardi, i sorrisi, le semplici carezze…
L’ex-principe fissò la biglia verde: forse, avrebbe dovuto semplicemente sfiorarla, come la prima volta.
Tese la mano e accarezzò la sferetta verde. Esattamente come era accaduto con quella rossa, la biglia verde si staccò dallo specchio e prese a vorticare su se stessa, inondando la stanza di luce smeraldina.
Una lieve brezza, sollevatasi dal nulla, scompigliò i capelli del giovane, il quale seguiva attentamente i movimenti della sfera.
All’improvviso, un bagliore accecante costrinse Ferio a chiudere gli occhi e a coprirsi il viso con un braccio per qualche secondo. Quando fu certo di poterlo fare, il ragazzo spostò l’arto e si trovò davanti una specie di elfo: lo Spirito del Vento si era manifestato.
Era biondo, con lunghi capelli e un vestito color sottobosco, inoltre aveva un portamento elegante e raffinato.
“Salve, Ferio di Cefiro.”
-E tu saresti?- chiese il giovane, volendone apprendere di più.
“io sono il Vento, dipendente dal Cavaliere dalla bionda chioma.”
“Fu!” pensò Ferio.
“Sei pronto, principe, alla tua prova?”
-Non sono più un principe. Il vecchio sistema della Colonna è stato abolito.- spiegò il giovane, asciutto.
“Si può essere principi anche solo nell’animo.” lo corresse l’Elemento, con la sua voce flautata.
Quello Spirito aveva la stessa indole di Fu, perspicace e puntigliosa. Quindi non si sarebbe potuto certo escludere che l’Elfo avesse un legame con la ragazza.
-Ebbene, Spirito, cosa devo fare?- chiese Ferio, con la sua solita praticità: amava arrivare subito al nocciolo della questione.
“Quanta fretta, principe! Non mi hai ancora risposto:sei pronto ad affrontare la tua prova?” ripeté l’Elfo una seconda volta.
Il ragazzo osservò l’Elemento: sebbene fosse fermo i suoi abiti erano leggermente svolazzanti, come se fosse circondato da una brezza impercettibile a chiunque altro.
Quale prova lo avrebbe atteso? Lantis era tornato vivo e vegeto dal suo confronto e di sicuro il giovane ex-principe non era meno valoroso dello spadaccino.
Cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Quasi si pentì di non aver chiesto maggiori informazioni a Lantis… Ma cosa stava dicendo?
Qualunque cosa ci sarebbe stata ad attenderlo, egli l’avrebbe affrontata con coraggio e la sua solita scaltrezza. D’accordo, non aveva più il titolo di principe di Cefiro, ma nelle sue vene scorreva sangue reale, sangue di guerrieri, sangue di temerari.
Sua sorella Emeraude aveva affrontato il suo terribile destino a testa alta, sebbene sapesse quanto sarebbe stato doloroso dire addio al suo mondo. Una vera principessa.
Ferio strinse la mano sul pomo dell’elsa della spada e si decise a parlare: -Sì, sono pronto.-
“E allora, principe Ferio, che abbia inizio la tua prova con lo Specchio dei Sogni.” Annunciò l’Elfo, solenne.
“Lo Specchio dei Sogni!” pensò Ferio “Non è solo una leggenda! Esiste davvero, ma chi l’avrà portato qui?”
“Non è questo il momento di porsi domande.” fece lo Spirito, intercettando i pensieri del ragazzo.
-Sai leggere nel pensiero?- domandò Ferio, sorpreso fino ad un certo punto.
“Io sono il Vento e appartengo al Cavaliere al quale tu sei legato. Non c’è bisogno di leggere i tuoi pensieri, per sapere quali impressioni affollano la tua mente.”
Ancora una volta, il giovane venne spiazzato dall’incredibile affinità di ragionamento che accomunavano Fu al suo Elemento.
Il ragazzo sorrise, scuotendo la testa.
-D’accordo, signor Vento. Mostrami la via.-
L’Elfo avanzò verso il giovane e quando gli fu davanti alzò un braccio teso in aria.
Un leggero e piacevole venticello cominciò a carezzare la pelle del viso di Ferio: era così dolce e così delicato…
“Segui il tuo cuore e permetti alla verità di entrarvi, trovando rifugio sicuro.”
Lo Spirito mosse il braccio alzato e la brezza si fece più insistente, agitandosi vorticosa intorno al ragazzo che decise di cedere a quella nenia rilassante, il canto del Vento. Chiuse gli occhi e cadde nell’oblio.

Un gruppo di studenti gli tagliò la strada e mancò davvero poco che Ferio perdesse l’equilibrio.
-Guardate dove correte!- gridò loro dietro.
Ma i ragazzi non si fermarono e non lo degnarono nemmeno di uno sguardo.
-Che razza di incivili.- borbottò a mezza voce.
Poi cominciò a guardarsi intorno, meravigliato. Le strade erano strane e ricoperte di uno strano materiale nero; la gente era rinchiusa in degli strani marchingegni con le ruote. Altissimi palazzi grigi svettavano verso il cielo e un’insolita costruzione di ferro bianco e rosso stava composta in mezzo a loro.
“Ma dove sono finito?” si chiese.
Fermò un passante, uno di quelli che andava a piedi correndo da un incrocio all’altro.
-Mi scusi, buon uomo, mi sa dire dove mi trovo?-
Il signore lo guardò scettico e sistemandosi gli occhiali sul naso disse: -Giovanotto, mi stai forse prendendo in giro? Sei a Tokyo, dove altro vorresti essere?-
Ferio aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Senza perdere altro tempo, l’uomo si allontanò in tutta fretta scuotendo la testa e biascicando qualcosa contro la gioventù allo sbando dei tempi moderni.
L’ex-principe di Cefiro, rimasto impalato sul solito marciapiede, finalmente capì dove era arrivato: a Tokyo, la città di Fu. Ma come avrebbe fatto a trovarla? Il Cavaliere biondo gli aveva sempre raccontato di quanto fosse immenso il posto in cui viveva.
Mentre era impegnato in queste riflessioni, alle orecchie di Ferio giunse nuovamente quella specie di ninna-nanna che aveva già udito su Cefiro. Proveniva dalla torre, che fosse quello il luogo dove avrebbe dovuto recarsi?
Approfittando del fatto che un folto gruppo di persone stessero attraversando l’incrocio che aveva davanti, il giovane si affrettò a disperdersi in mezzo a loro, così da arrivare dall’altro lato della strada.
La nenia si faceva sempre più forte, man mano che il ragazzo si stava avvicinando alla struttura ferrata. Si fermò un attimo a scrutarla. Tante volte Fu gli aveva raccontato di come fossero state improvvisamente prelevate dal piano più alto, quello concesso ai visitatori, per essere proiettate su Cefiro. Mentre pensava a tutto ciò, Ferio non poté fare a meno di notare quanto fosse singolare la coincidenza che lo aveva portato lì. Sempre che si trattasse di coincidenza.
All’improvviso, il canto si arrestò, facendo ridestare il ragazzo.
Ora come avrebbe fatto a trovare Fu? La sua Fu, il Cavaliere del Vento. Era un bel problema, non sapendo minimamente da dove cominciare a cercarla. Ma l’attimo di smarrimento durò poco, in quanto, in lontananza, scorse ben presto un’esile figura dai corti capelli biondi arricciati e un paio di occhiali tondi. Fu!
Non era sola: accanto a lei c’era un’altra ragazza, più alta e con i capelli più lunghi, sebbene le somigliasse tantissimo.
Ferio si precipitò immediatamente da loro.

-Per fortuna, oggi, ho un po’ di tempo e sono potuta venire con te per comprare quei deliziosi dolcetti!- commentò allegramente Ku.
-Ogni tanto è anche giusto che venga a comprarteli di persona!- le fece notare la sorella con la sua calma razionale. -Non che mi dispiaccia farlo per te, ma…-
-Fu!-
Sentendosi chiamare, la ragazza si voltò, rimanendo di sasso.
Non poteva essere… Quello era Ferio! Abbigliato in maniera diversa dal solito, molto più simile alla moda terrestre, ma sempre con il suo codino e la cicatrice ben in evidenza sul naso.
-Ferio?- esclamò ad alta voce, sorpresa.
-Conosci quel ragazzo?- le domandò Ku, anch’ella un po’ meravigliata.
-Oh, è una lunga storia.- tagliò corto la ragazza.
In quel momento, il giovane arrivò davanti alle due sorelle.
-Che ci fai qui?- gli domandò Fu, stranita.
-Sempre sulla difensiva, eh? Non credi che un “Come stai?” sarebbe più appropriato? Sono solo svariati mesi che non ci vediamo…- fece il ragazzo, riprendendo un po’ di fiato.
-Allora è già diverso tempo che vi frequentate?- constatò Ku, traendo le sue conclusioni.
-Be’, non è proprio così...- cominciò Fu, un po’ in imbarazzo.
-Più o meno.- rispose a sua volta Ferio, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del Cavaliere del Vento.
-Ah, credo di aver capito.- fece la sorella maggiore, lanciando uno sguardo divertito ad entrambi i giovani.
-Comunque io sono Ku, la sorella maggiore di Fu.-
-Io sono Ferio, piacere di conoscerti!- rispose affabilmente il ragazzo.
-Oh, ma guarda, mi sono appena ricordata di avere un impegno importante! Bene, sorellina ci vediamo stasera a casa! Ci pensi tu a comprare gli Hiyoko Mansu?-
-Ma Ku…- tentò di protestare Fu.
-Sì, lo so sei la sorella migliore del mondo. Divertiti con Ferio, ciao, ciao!- li salutò entrambi la ragazza, sparendo ben presto alla loro vista.
Le guance di Fu assunsero un vago colore scarlatto.
-Tu e tua sorella non vi somigliate per niente.- notò Ferio.
-Già.- commentò sinteticamente il Cavaliere dalla bionda chioma.
Per un po’rimasero lì impalati, a fissare il posto dove era sparita Ku pochi minuti prima.
-Cosa sono gli Hiyoko Mansu?- chiese improvvisamente il ragazzo.
-Oh, sono dei dolci particolarmente buoni, una specialità che produce solo la pasticceria al piano di sopra della torre.- spiegò la fanciulla.
-Mi piacerebbe assaggiarli. Sono buoni come i pasticcini e le torte che fa Umi?- si informò egli.
-I dolci di Umi sono insuperabili, ma anche questi non sono male. E va bene.- sospirò Fu, rassegnata. -Dato che devo andare a comprarli per Ku, sarà l’occasione per farteli provare.
-Non vedo l’ora.- commentò Ferio, annuendo soddisfatto.

L’ascensore che portava i visitatori all’ultimo ci impiegò un po’ per arrivare. Fu e Ferio fecero scendere tutti gli altri passeggeri, attendendo il loro turno.
Dall’alto della torre si vedeva Tokyo nella sua modernità e nella sua sconfinatezza. Molte persone erano impegnate a guardare il panorama tramite i binocoli posti qua e là.
Fu non riuscì a reprimere un sorriso, pensando alla prima occasione nella quale aveva rivolto la parola ad Hikaru.
-Perché sorridi?- domandò curioso il giovane.
-Niente di speciale. Stavo solo pensando a quel giorno in cui ho fatto la conoscenza di Hikaru e di Umi, le mie più care amiche.-
-Ossia, il giorno in cui avete compiuto il primo viaggio su Cefiro?-
-Sì, quando ci ha chiamato la principessa… Emeraude.-
Il tono di Fu cambiò repentinamente, volgendo nella tristezza più oscura.
-Che c’è?- domandò Ferio, preoccupato.
-Mi intristisce sempre nominare tua sorella. È per colpa nostra che non c’è più. Non credo che riuscirò mai ad accettare tutto quello che abbiamo fatto.-
Il giovane si fermò, costringendo la ragazza a voltarsi indietro.
L’ex-principe di Cefiro aveva assunto un’aria dura e guardava severo il Cavaliere del Vento.
-Fu, ne abbiamo già parlato. Non avreste potuto fare altrimenti, lo sapete bene. Tormentarti non ti è di aiuto, soprattutto perché è una colpa che ti attribuisci ingiustamente.-
-Era pur sempre tua sorella. Quando penso che io ne ho ancora una, alla quale posso portare i dolcetti che tanto adora, mentre tu…-
Ferio le si avvicinò e le alzò lentamente il volto, affinché lo guardasse negli occhi.
-Ci sono delle cose che vanno oltre le nostre possibilità di comprendonio. Doveva succedere, ed è successo. Pensa alla situazione di Cefiro: tutti sono davvero felici e non c’è più il rischio che accada una cosa così triste e orribile. Non rimproverarti per ciò che tu non hai deciso.-
Fu guardò il giovane negli occhi ed annuì piano.
A quel punto, l’ex-principe si tolse nuovamente l’orecchino e lo mise nella mano della fanciulla.
-Questa volta te lo sto donando nel tuo mondo e credo che non sparirà più dalla tua mano. Tienilo, ci terrei davvero che lo tenessi tu.- sussurrò chiudendole le dita sul cerchietto dorato.
-Ferio, io…-
-A volte non c’è bisogno di parlare. Per una volta, lascia tutto così come è.-
La ragazza strinse il pugno chiuso e il giovane la lasciò andare.
-Allora, questi dolcetti? Comincio ad avere fame!-
-Vieni, la pasticceria è di qua.- fece Fu, mostrandogli la strada. Sul suo viso comparve un sorriso sereno.

-Ecco, questo è uno degli Hikoko Mansu.- disse la ragazza, porgendo al giovane un dolcetto dorato. Si erano sistemati accanto ad uno dei binocoli non utilizzati, addossati al parapetto.
Ferio prese ciò che gli stava offrendo Fu, l’odorò e quindi ne staccò un piccolo morso.
-Non male.- commentò dopo che ebbe ingoiato il boccone. -Ma non sono certo al livello dei dolci che fa Umi.-
-Già, Umi è una pasticcera eccellente. Peccato che quando cominceremo a frequentare il college non potremo più vederci tanto spesso.- fece tristemente la ragazza.
Ferio ingurgitò l’ultimo pezzetto di dolce.
-Andrete in scuole diverse?- si informò.
-Sì. Be’, è naturale, abbiamo attitudini diverse e seguiremo anche strade diverse. Ma vorrei che la nostra amicizia non finisse comunque. In questo periodo non siamo più venute su Cefiro perché abbiamo avuto molto da fare con le decisioni che riguardano il nostro futuro.- spiegò il Cavaliere del Vento.
Il ragazzo la guardò. Aveva immaginato che il motivo fosse più o meno quello; conoscendo Fu era più che normale che anteponesse i propri doveri agli svaghi. Per lei era importante che la sua famiglia fosse contenta di lei.
-Voi tre siete molto amiche e siete legate da qualcosa di molto profondo.La vostra amicizia va ben oltre quella che potrebbe essere una semplice amicizia tra umani.- considerò Ferio, voltandosi verso la bionda fanciulla.
Costei non disse niente, si limitò a fissarlo.
-Non bisognerebbe rinunciare agli affetti più cari, magari non ci sarà l’assiduità che avete avuto fino a questo momento, ma se vi volete bene troverete il modo di rivedervi anche più spesso di quello che pensate.-
Fu sorrise.
-Grazie Ferio. Le tue parole mi sono state di grande conforto.-
Il giovane si sporse verso di lei e le carezzò una guancia, esattamente come aveva fatto più di una volta su Cefiro, ogni volta che la vedeva stanca o sconsolata per come stavano volgendo le sorti della battaglia. Ella lo lasciò fare, memore della dolce serenità che le infondeva quel tocco.
-In realtà, questo discorso vale anche per me. È da un po’ di tempo che ci penso. Tutti questi mesi di lontananza mi hanno fatto capire una cosa: starti lontano mi è molto difficile, oserei dire impossibile. Per cui… Che ne diresti, Fu, se decidessi di venire a vivere sulla Terra?-
La ragazza sbatté le palpebre, incredula.
-F-Ferio!- balbettò. -Ma cosa stai dicendo? Cefiro è il tuo mondo, lì c’è la tua casa e tutti i ricordi che ti legano a tua sorella Emeraude!- esclamò infine.
-Ma non ci sei tu.- ribatté Ferio, seriamente.
La fanciulla scosse la testa, sebbene le sue gote erano arrossite.
-Ferio, sii razionale, non capisci che è impossibile? Pensaci bene. Come potresti trasferirti qui, impiantarti all’improvviso in una realtà che non ti appartiene e in un mondo che non conosci?- gli fece notare il Cavaliere dalla bionda chioma.
Ferio la scrutò un attimo, a labbra serrate.
-E tu, per una volta, lascia da parte la razionalità. Io su Cefiro non ho più niente a trattenermi. Non sono più un principe, non ho più alcun dovere. Fu, è stato il Vento a concedermi di venire qui per parlarti, il tuo elemento. Secondo me, dovremmo assecondare la sua voce.-
La ragazza distolse lo sguardo, mesta.
-O forse devo dedurre che tu non mi voglia e che c’è qualcun altro a cui sei interessata?-
Fu assunse un’espressione indignata.
-Ma cosa dici?- ripeté. -Tu non sai quanto a lungo abbia cercato il tuo orecchino, la prima volta che me l’hai dato! Quanto abbia sperato, le volte successive che non sparisse più dalla mia tasca, quanto…- si interruppe.
Il giovane sorrideva furbamente soddisfatto e la ragazza capì che l’aveva fatto apposta. Era caduta nel suo tranello.
Imbarazzatissima, si voltò per nascondere il proprio viso al ragazzo.
-Interessante… Allora un po’ a me tieni, non è vero, Fu?-
Non ottenne risposta.
Ferio la voltò, alzandole il viso in direzione del suo.
-Stai tranquilla, è una decisione che ho ponderato a lungo. Se il Vento mi ha concesso questa possibilità, se il Vento vuole che stiamo insieme, deve essere così, dobbiamo assecondarlo. Il Vento non è capace di mentire, Fu. Se suona rabbioso annuncia tempesta, se soffia placido allieta le giornate. Il Vento racconta la verità.-
E allora lo sentì, sentì la voce del suo elemento che placava la sua ansia con la sua voce melodiosa.
Fu chiuse gli occhi e si lasciò pervadere da un frammento della sua stessa natura.
-Sì.- sussurrò infine.
Sollevò piano le palpebre e guardò il giovane che aveva davanti, con  attenzione.
-Non sarà facile, questo lo sai?-
-Lo so.- replicò Ferio, tranquillamente. -Ma non ha senso preoccuparsene ora. Nella vita, mia cara Fu, non si può sempre decidere tutto con il dovuto anticipo e sperare che tutto vada come voluto. Ci sono gli imprevisti dei quali bisogna tener conto e bisogna reagire quando ci si presentano.-
La ragazza annuì, consapevole che il giovane le avesse detto una grande verità. Il vento si fece più forte.
-Sento che stai per andare via.- fece piano.
-Già. Ma non temere, ci rivedremo presto. Nel frattempo, concentrati su quello che vuoi davvero: solo così troverai il modo di ottenerlo.-
Fu alzò un’ultima volta lo sguardo sul ragazzo e sorrise dolcemente. Come avrebbe potuto Ferio rinunciare a quel sorriso? No, non ne sarebbe stato capace.
Il giovane si portò le mani della ragazza vicino alle labbra e le baciò teneramente.
Un vento impetuoso si sollevò solo per loro due, avvolgendoli con il suo ritmo danzante e frenetico.
Ferio fu costretto a chiudere gli occhi e sentì che Fu stava lentamente scivolando dalla sua presa. Uno spiro d’aria più intenso e l’ex-principe era tornato a casa.

Il ragazzo si ritrovò nuovamente nella sala inondata di luce verde. L’Elfo sembrava non essersi mosso, era sempre fermo nella posizione in cui l’aveva lasciato.
-Hai dunque trovato una risposta alle tue domande?- chiese lo Spirito.
-Non a tutte.- rispose Ferio, con voce tonante. -Ma ad alcune sì.-
-Sei soddisfatto?-
-Lo sono.-
L’Elfo abbozzò un sorriso sornione, quindi fece un inchino e si voltò da un lato, aprendo le braccia. Una sottile brezza prese a soffiare su di lui, scomponendolo in mille fili dorati che scomparvero immediatamente alla vista, andandosi a rifugiare all’interno della biglia verde. Questa, divenuta splendente come uno smeraldo, si andò a collocare tra quella rossa, sfavillante come un rubino, e quella blu, ancora opaca.
Ferio le guardò, sospirando.
-Non dovrei dirlo, ma questa è stata in assoluto l’impresa più difficile nella quale mi sia cimentato!-
Recuperò la monetina d’argento che gli era caduta e se la rimise in tasca; poi si tastò il lobo destro.
Sorrise.
Era liscio e morbido: l’orecchino non era tornato al suo posto.


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Capitolo 4
*** Canto IV - Assiduitas Aquae ***


MKR

Canto IV

Assiduitas Aquae


Era la terza volta che un ragazzo veniva a fare visita allo specchio, nel cuore della notte.
Ascot era nervoso: sia Lantis che Ferio avevano portato brillantemente a termine la loro prova, contando esclusivamente sulle proprie forze.
Negli ultimi giorni li aveva visti spesso confabulare talora insieme, talora con Clef. Incuriosito, il giovane evocatore aveva preso da parte il monaco ed aveva preteso spiegazioni, ma questi, sorridendo, gli aveva risposto che per lui non era ancora venuto il momento di preoccuparsi e lo aveva congedato dolcemente.
L’aveva trattato come un bambino al quale si devono nascondere certe cose.
Ascot abbassò la testa e serrò piano i pugni: egli non era più un bambino, aveva smesso di esserlo dopo aver incontrato Umi, il bel Cavaliere dell’Acqua, dagli occhi azzurri e profondi.
Aveva imparato tante cose da lei, in primo luogo il valore dell’amicizia e del rispetto reciproco. Perché Clef non si era voluto sbilanciare? Che forse… Che forse fosse geloso? Che non volesse che Umi avesse modo di incontrare lui, Ascot, al posto suo?
Il giovane scacciò immediatamente quel pensiero. Clef era il monaco guida di Cefiro ed in quanto tale era super partes. No, evidentemente, mirava solo a far sì che Ascot se la cavasse da solo, esattamente come avevano fatto gli altri due.
Rialzò il capo e fissò lo specchio: incastonate nella cornice dorata spiccavano le due biglie, una di rubino ed una di smeraldo, mentre la terza continuava ad essere di un celeste tendente al grigiastro, orribilmente opaca.
Ascot sospirò: sarebbe stato all’altezza di sostenere e portare a termine la sua prova?
Avrebbe dato qualunque cosa pur di rivedere Umi. Si avvicinò alla lastra di vetro, pensando ad un qualunque modo per spingerla ad interagire con lui. Sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa… Ma cosa? La magia che proteggeva quell’oggetto era molto potente, quasi invalicabile, perfino per un evocatore del suo livello. Gli avrebbe chiesto un enorme sforzo cercare di violare magicamente tutte le protezioni imposte dallo specchio, per tanto abbandonò subito l’idea. Cha Lantis e Ferio avessero usato le armi? No, sulla cornice non sembrava esserci nessun segno, in più il vetro dello specchio era integro. Dunque, non era con l’aiuto della violenza che sarebbe venuto a capo di quella situazione.
Il giovane scosse la testa. Che assurdo enigma.
Inavvertitamente, poggiò entrambe le mani ai lati del cimelio e fu allora che la sfera blu si illuminò debolmente; Ascot tirò indietro le braccia. La fioca luce si dissolse all’istante.
Volendo riprovare, avvicinò nuovamente la mano alla biglia e questa mandò un tenue bagliore. Intuito il meccanismo, l’evocatore poggiò l’indice sulla sfera cerulea, sentendola cedere sotto il proprio tocco e divenire plasma.
Immediatamente, si staccò dallo specchio e prese a vorticare su se stessa, come avevano fatto già quella rossa e quella verde prima di lei. Un alone azzurro invase la stanza, come se si trovasse sul fondo dell’oceano.
Una sottile musica vibrò nell’aria e una voce cristallina ruppe il silenzio.
“Salute a te, Ascot di Cefiro!”
Il ragazzo sobbalzò e non rispose. Da dove proveniva quel suono così dolce?
“Non mi rispondi, giovane evocatore? Hai forse perso la lingua?”
Ascot si riscosse e, offeso, ribatté: -No, non l’ho persa. Chi sei? Fatti vedere!-
“Come vuoi.” rispose la voce, tra il divertito ed il rassegnato.
Dalla luce cerulea emerse una figura sottile e aggraziata, con lunghi capelli argentei e sinuosi come le onde del mare e una coda rivestita di squame lucenti: era una Sirena.
-Chi sei?- ripeté il ragazzo, stupito da quella visone.
“Dovresti saperlo! Io sono l’Acqua, appartengo al Cavaliere dagli occhi di cristallo.”
-Umi!- esclamò Ascot.
“Sì, sono proprio l’Elemento del tuo bel Cavaliere. Ora è arrivato finalmente il tuo turno, Ascot di Cefiro. Cosa saresti disposto a fare, pur di rivedere la mia padrona?-
-Qualunque cosa.- rispose egli, senza la minima esitazione.
“Qualunque cosa? Ne sei sicuro?” domandò nuovamente la Sirena, mentre la lunga chioma argentata e ondulata fluttuava intorno a lei.
-Sì, io voglio rivedere Umi.- confermò l’evocatore.
“Saresti disposto anche a d abbandonare i tuoi amici mostri?”
Ascot aprì la bocca ma dovette fermarsi. Perché avrebbe dovuto abbandonare i suoi amici? Non vi era motivo, ormai tutti al castello li rispettavano. Erano riusciti a farsi voler bene, a farsi accettare. Perché avrebbe dovuto separarsene? A meno che…
“Ancora non hai una risposta precisa.” gli fece notare lo spirito. “È dunque per questo motivo che devi affrontare la tua prova”.
Il giovane ci pensò un attimo su, poi parlò: -Che genere di prova?-
“Solo tu saprai di cosa si tratta. Dunque, sei pronto ad affrontarla?”
L’evocatore annuì. Non avrebbe avuto senso aspettare, prima si sarebbe confrontato con la sua sfida, prima avrebbe avuto le risposte che andava cercando.
Se aveva deciso di crescere e maturare era stato grazie ad Umi. Aveva trovato il modo di fare apprezzare i suoi amici mostri, era riuscito a rendersi utile nella battaglia per la salvezza di Cefiro. Clef l’aveva preso come suo primo assistente e gli aveva insegnato tantissime cose. Non c’era assolutamente paragone con la vita da rinnegato, ai margini della civiltà, che aveva condotto in passato. Quella che gli aveva offerto Zagato era stata l’ennesima illusione.
Quella nuova vita gli piaceva, ma se ci fosse stata Umi sarebbe stato ancora tutto più bello.
-Cominciamo.- disse sicuro.
“Lasciati guidare dal tuo cuore e le decisioni che prenderai saranno sempre le più giuste.” Cantilenò dolcemente la Sirena. “Abbi fiducia nelle persone che ti sono vicine”.
Ad Ascot venne spontaneo paragonare quello Spirito ad Umi: avevano entrambi un’indole divisa tra la vivacità e la dolcezza.
“Bene, Ascot di Cefiro, che lo Specchio dei Sogni possa valutare la tua forza d’animo!”
Il ragazzo ebbe un sussulto: dunque quello era davvero lo Specchio dei Sogni!
La Sirena prese lo slancio e con un guizzò scese all’altezza del giovane. Mosse un po’ la coda ed improvvisamente un mulinello di sottili fili luminosi prese posto in mezzo alla stanza.
Vorticava senza sosta, ma lo faceva con ritmo tranquillo.
Ascot non ebbe paura e attese di venirne inghiottito. Così avvenne.
Il mulinello si avvicinò e fu come se si preparasse ad assorbirlo al suo interno. Il ragazzo avvertì sulla pelle del viso una piacevole frescura e poi cadde in un sonno pesante e profondo.

L’aria di primavera lo riscosse: gli uccellini cinguettavano allegri su un albero nelle vicinanze. Si guardò intorno: uno spiazzo enorme e deserto, circondato da una recinzione e contenente un maestoso complesso edilizio di muratura bianca. Dove era finito?
Gli abiti da evocatore erano spariti, rimpiazzati da vestiti terrestri assai più comuni e sobri. Nell’incertezza di dove andare e cosa fare, Ascot non si mosse. Certo, non sarebbe potuto rimanere lì, impalato come un sacco di patate, per tanto decise di spostarsi verso la costruzione, cercando di capire qualcosa e di ottenere qualche indizio su dove si trovasse.
Notò una targa attaccata sulla parete del palazzetto, ma non fece in tempo a leggerla che una moltitudine di gente, arrivata da chissà dove, invase lo spiazzo in pochissimo tempo.
C’erano molti ragazzi con dei fioretti e borse sportive in mano, accompagnati dai rispettivi genitori, fratelli ed amici. Tanti si salutavano, molti altri si davano pacche affettuose sulle spalle.
Ascot fu costretto a scartare da un lato un paio di ragazzi che se ne stavano andando via di corsa. E mentre era lì, in piedi, senza sapere che cosa fare, la vide. Proprio lei, Umi.
Stava chiacchierando con una donna molto alta e con i capelli corti. Accanto a lei, suo padre e sua madre sorridevano fieri.
Il giovane evocatore decise di avvicinarsi, senza pensare alle conseguenze che avrebbe avuto il suo gesto.

-Umi, la prova di oggi è stata straodinaria!-
-Grazie, maestra. Sono soddisfatta anche io del mio risultato.-
-Se continuerai così, ci sono buone probabilità che tu possa partecipare alle Olimpiadi, un giorno!- disse la donna con i capelli corti.
-Hai sentito, caro? La nostra bambina alle Olimpiadi!- esclamò la signora Rykuzaki.
-Il suo talento è notevole.- commentò il marito. -Ero sicuro che si sarebbe distinta.-
-Mi sembra un po’ presto per fare già progetti in grande.- fece Umi, perplessa. -In fondo, l’anno prossimo comincerò il college e cambieranno molte cose… Tuttavia, non vorrei abbandonare la scherma.-
La sua maestra le sorrise placidamente.
-Per ora, Umi, goditi la tua vittoria. Parleremo del tuo futuro un’altra volta. Ora vado a congratularmi anche con le altre ragazze.-
Detto questo, la signora salutò i genitori di Umi e si allontanò, lasciando i tre da soli.
-Umi, la tua passione per questo sport e la tua bravura nella scherma non devono essere messi da parte. Se magari cambiassi idea e scegliessi un college con un programma di studi meno pesante…- iniziò sua madre.
-No! Io voglio frequentare lo stesso college di Hikaru e Fu. Lo abbiamo deciso insieme.- protestò la ragazza.
-Ma Umi…- le fece notare il padre. -Devi pensare anche al tuo futuro. Non frequentare lo stesso college delle tue amiche non significa che non le rivedrai più!-
Il Cavaliere dell’Acqua stava per replicare, quando notò qualcuno che non avrebbe dovuto essere lì. Sgranò gli occhi e disse, senza nemmeno rendersene conto: -Ascot? Cosa ci fai tu qui?-
I signori Rykuzaki si voltarono e videro un giovane dai capelli castani, tendenti al mogano, ed occhi verde brillante che scrutava timidamente la loro figlia.
Nell’immediato, Umi mise la sua borsa in mano alla madre e si precipitò dall’evocatore, spingendolo via ed urlando: -Io ho un attimo da fare, ci vediamo dopo a casa!-
Padre e madre si guardarono confusi per un attimo, poi sorrisero entrambi.
-Vedi che avevo ragione? La nostra Umi si è trovata un bel giovane!- cinguettò la signora Rykuzaki.
-Sì, cara. Ora si spiegano tante cose.- replicò il consorte.
-Mi piacerebbe conoscerlo, la prossima volta chiederò ad Umi di presentarcelo! Mi sembra un bravo ragazzo, almeno dalle apparenze. Magari la nostra bambina è stata fortunata come lo sono stata io!- continuò la madre, sempre trillando.
-Ma certo cara! Quel ragazzo ha fatto una buona impressione anche a me.- confermò il padre, sorridendo. -E poi dobbiamo fidarci di Umi. Lei sa scegliersi le amicizie…-

Arrivati in un punto più tranquillo, Umi si fermò per riprendere fiato.
-Perché… Perché sei qui? È successo qualcosa su Cefiro? Si sono forse risvegliati nuovamente i Managuerrieri?-
-No.-  rispose Ascot, anche lui con il fiatone. -Non è successo niente di tutto questo… Io sono arrivato qui tramite lo Specchio dei Sogni.-
-Lo Specchio dei Sogni?- ripeté il Cavaliere dalla chioma corvina. -E cosa sarebbe?-
In poche parole, il giovane spiegò ad Umi tutta la vicenda della comparsa del cimelio e della confusione che si era venuta a creare al castello, evitando accuratamente di menzionare la storia delle associazioni tra le biglie colorate e Lantis, Ferio e se stesso.
La fanciulla sembrò parecchio interessata e quando ebbe la certezza che davvero su Cefiro tutto scorresse alla perfezione, esclamò: -Ma noi non siamo venute, di recente, per via dei nostri impegni! Certo che non ci siamo dimenticate di voi!-
Ascot tirò sommessamente un sospiro di sollievo.
-Quindi non siete venute solo perché siete state occupate?- si informò.
-Sì, l’anno prossimo sia Hikaru, sia Fu che io dovremmo iniziare il college. La nostra vita cambierà quasi totalmente e le scelte che prenderemo in questo periodo andranno ad influenzare completamente il nostro futuro. Ecco perché dobbiamo prenderle con ponderazione.-
L’evocatore si rilassò definitivamente. Dunque, non c’era nessun altro ragazzo che aveva rattenuto il Cavaliere dell’Acqua sulla Terra.
-Sai, vorrei che anche i miei genitori capissero quanto sia importante per me fare le scelte giuste.- riattaccò Umi, sovrappensiero.
-Non sono d’accordo con quello che hai scelto?- chiese timidamente Ascot.
-Non esattamente.- cominciò a rispondere lentamente la ragazza. -In effetti, loro preferirebbero che dessi più importanza allo studio e alla scherma, piuttosto che all’amicizia. Vorrebbero che frequentassi un altro college, uno con un programma di studi che mi consentisse di allenarmi in tranquillità.-
-Sarebbe bello. Hai sempre detto che la scherma ti piace tantissimo!- notò il giovane.
-Certo… Ma dovrei dire addio a Fu e ad Hikaru!- obiettò l’altra.
Ascot si soffermò a guardare gli occhi azzurri di Umi che brillavano di convinzione e determinazione. Le due stesse qualità che a lui mancavano…Altrimenti avrebbe detto alla ragazza cosa provava per lei molto tempo prima.
-Fu ed Hikaru ti vogliono bene. Sono tue amiche, due amiche vere. Capiranno che, se dovessi scegliere un altro college, non cambierà niente tra di voi. I tuoi genitori si preoccupano per il tuo futuro… Se io dovessi abbandonare i meie amici per motivazioni serie credo che loro capirebbero. Soffrirebbero, soffrirei anch’io, ma capirebbero. Perché ci vogliamo bene.- spiegò Ascot, mentre sentiva dentro di lui farsi maggior chiarezza. Non era forse simile al suo dubbio la preoccupazione che assillava Umi?
La fanciulla guardò un istante l’evocatore leggermente perplessa. Poi, il suo viso si illuminò e battè le mani.
-Grazie, Ascot. Sono contenta di aver parlato con te. In effetti, hai ragione: noi siamo amiche per la pelle, forse non è la distanza che deve spaventarci...-
Il giovane sorrise, felice di aver visto tornare il sorriso sulle labbra del suo bel cavaliere dell’Acqua.
-Ma…- fece dopo un po’ Umi. -Perché dovresti abbandonare i tuoi amici? Non sarai mica in partenza?- chiese la ragazza.
Ascot arrossì di colpo e si affrettò ad aggiungere, balbettando: -M-Ma no… No, no… Che cosa dici… Era per dire, per fare un esempio…-
Umi fu soddisfatta della risposta e sembrò non fare caso al terribile imbarazzo che si era impossessato del giovane evocatore.
-Tanto che sei qui e che hai citato i tuoi amici, voglio portarti in un posto!- esclamò all’improvviso la fanciulla. -Vorrei ringraziarti del conforto! Dai, su!- e afferrato Ascot per una mano, lo trascinò via per le strade di Tokyo.

-Che ne dici, eh? Non saranno come i tuoi amici, ma ai bambini di qui piacciono molto!- annunciò Umi allegra.
I due giovani erano arrivati in un parco con lastricati di pietra a segnare i percorsi ed eleganti panchine disposte lungo il cammino. C’era un incantevole laghetto che si divideva in numerosi canaletti, ognuno attraversato da un ponte, anch’esso in pietra. Salici e ninfee ingentilivano l’atmosfera, dando quel tocco di vegetazione e di vita a tutta quella roccia.
-Trovo che sia… Davvero bello.- sussurrò Ascot, guardandosi intorno. -Ma dove sono i mostri?-
-Eccoli qui!- esclamò la giovane, battendo una mano sulla pancia di un kappa scolpito nella roccia, che decorava il pilastro di un ponte.
L’evocatore si avvicinò, sorridendo: -Per essere finti, sono davvero ben fatti!-
-Sapevo che ti sarebbero piaciuti!- fece soddisfatta Umi.
Percorsero un po’ del parco, restando vicini, finché non arrivarono nei pressi un piccolo gazebo rialzato. La ragazza salì i tre gradini e si voltò ad ammirare lo spettacolo del giardino al tramonto: la roccia grigia, arrossata dalla luce del sole al declino pareva incandescente.
C’era pace nell’aria. Umi si girò verso Ascot che, nel contempo, era giunto ai piedi della rampa. Anch’egli stava ammirando le sfumature rossastre che avevano invaso il giardino e, ben presto, anche l’evocatore si ritrovò a fissare la ragazza. Nel trovarsi di fronte quei due occhi color del mare, attenti e scrutatori, Ascot distolse all’istante il suo sguardo dalla bella figura di Umi, arrossendo esattamente come le rocce.
Perché non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in viso? Gli sarebbe tanto piaciuto aprirle il suo cuore e rivelarle che era stato il suo amore per lei a consentirgli di cambiare forma e diventare un adulto. La sua prova si era rivelata più difficile del previsto. Se solo non fosse stato così timido… Aveva amato assiduamente Umi con la stessa assiduità dell’acqua che erode nel tempo la pietra.  Anzi, forse i suoi sentimenti per lei erano addirittura cresciuti… Doveva, doveva dirle tutto. Avrebbe voluto vivere con lei, avrebbe voluto che lei ricambiasse il suo amore.
Doveva essere coraggioso.
-Umi…-
-Sì, Ascot? Cosa c’è?- chiese la ragazza, tranquilla e serafica, dall’alto della sua postazione. -Oh, guarda, siamo tornati ai vecchi tempi! Ora sono di nuovo più alta di te!-
Il giovane stirò un sorriso: -Oh, no. Non credo di poter mai tornare indietro. Dopo che ti ho conosciuta, Umi, ho capito che si possono fare tante cose per gli altri e che con la gentilezza si ottiene molto di più che con i dispetti e la violenza. E tutto questo lo devo a te. Io…- il ragazzo si prese un attimo di pausa, mentre il Cavaliere dell’Acqua era rimasto sbalordito da tali parole. Lo aveva notato subito che quella volta Ascot aveva un qualcosa di diverso. Evidentemente, molto più diverso di quanto immaginasse.
L’evocatore alzò fieramente lo sguardo verso la ragazza.
-Io devo chiederti una cosa, Umi.  Te la devo chiedere da tanto tempo. Mi… Mi permetti di amarti? Mi puoi dare una possibilità?-
La fanciulla aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Ecco, ora aveva capito ciò che aveva di differente Ascot: non era più il bambino, il nanerottolo capriccioso e un po’ burlone. Era diventato un adulto e non solo nell’altezza. Era maturato davvero.
-Mi stai chiedendo il permesso di amarmi?- fece la fanciulla, riuscendo finalmente a dire qualcosa.
L’evocatore annuì, arrossendo ma non abbassando la testa.
-Mi stai chiedendo il permesso per fare una cosa così naturale?-
I due giovani rimasero a fissarsi in silenzio per un po’. La ragazza stava prendendo coscienza del fatto che Ascot fosse giunto sulla Terra per intercessione dell’Acqua, il suo elemento. E, finalmente, capì anche il senso vero delle parole del giovane quando le aveva parlato dell’eventualità di abbandonare i suoi amici mostri. Lo avrebbe fatto per lei.
Il giovane temeva il silenzio di Umi, temeva di averla offesa. Inoltre, l’acqua del laghetto e dei canaletti aveva cominciato ad agitarsi, seppur con dolcezza. Non aveva più tempo: stava per tornare su Cefiro.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Aveva fallito la sua prova, sarebbe tornato indietro senza trionfo. Ormai il giardino stava sparendo, i secondi si erano esauriti.
Poi, all’improvviso, avvertì qualcosa di caldo sulla guancia. Un bacio. Umi gli aveva dato un bacio.
-Abbi fiducia.-
Un sussurro di tenerezza, ecco cosa udì come ultima cosa, prima che le tenebre calassero intorno a lui.

Un suono flautato invitò Ascot a riprendere i sensi.
“Ben trovato, bell’addormentato.”
Il ragazzo si rimise in piedi, barcollando lentamente.
-Quello che ho vissuto, non stato solo un sogno, vero?- chiese alla Sirena.
“Ma certo che no! Tutto vero, verissimo! Anche se non cedo tu abbia trovato una piena risposta ai tuoi dubbi.”
-Infatti.- rispose il giovane. Eppure, nello stesso istante si portò una mano alla guancia.
“Io ti ho dato una mano, ma non puoi sperare che faccia tutto! Ora sei tu che devi decidere!” esclamò la Sirena, agitando la coda. “La mia parte l’ho fatta, da adesso in poi è tutto nelle tue mani”.
Lo Spirito fece fluttuare i suoi lunghi capelli e prese ad avvitarsi su se stessa fino a che non divenne di nuovo una scia di luce e non fu ingabbiata nella biglia. Nel giro di qualche istante, anche la sfera blu, divenuta di un bel colore zaffiro lucente, si andò a riposizionare accanto alle altre.
Lo Specchio dei Sogni si illuminò a sua volta e il vetro scomparve: ora c’era una coltre argentea.
All’improvviso aumentò anche le sue dimensioni: ormai era diventato simile ad una porta.
-E così questo è davvero lo Specchio dei Sogni!- esclamò una voce alle spalle di Ascot.
-Clef!-
-Sapevo che anche tu ce l’avresti fatta.- fece piano il monaco.
-Ed ora… Che si fa?- domandò il ragazzo.
-Ora dovrete decidere voi quando andare. Lantis e Ferio già lo sanno: una volta oltrepassato lo specchio non si potrà più tornare indietro.-
Ascot osservò Clef senza alcuna nota di stupore. Sapeva che ci sarebbe stata una condizione simile, lo aveva intuito.
-Quindi penso che sia giusto che anche io mi prepari.- replicò solamente il giovane.
Clef annuì sorridendo: -Sarà una grave perdita non averti più tra i miei allievi. Ma a volte, dobbiamo accettare le cose come vengono. Non si può avere tutto.-
L’evocatore chinò il capo in segno di rispetto, quindi si congedò, lasciando Clef da solo davanti allo specchio.
-Adesso penso che tu possa anche uscire. Come vedi è andato tutto come previsto.- esclamò il monaco a voce alta, senza voltarsi.
Per qualche istante non successe nulla, poi, da dietro una colonna, apparvero un paio di morbide orecchie rosa.
-Eh, mio buon Mokona. Sapevo che c’era il tuo zampino. D’altra parte quei giovani ti sono sempre stati molto a cuore, vero?-
Mokona emise un versetto allegro.
Clef rise e, battendo il bastone in terra, aprì la porta della stanza.
-Siamo ancora in tempo per una buona tisana. Ne vuoi una anche tu?- disse il monaco, uscendo.
Il simpatico ma potente esserino gli saltellò dietro.
Un paio di rimbalzi sul pavimento e fu fuori anche lui.

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