Lo Specchio dei Sogni di Halley Silver Comet (/viewuser.php?uid=90221)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Canto I - Somniorum Speculum ***
Capitolo 2: *** Canto II - Fulgens Focus ***
Capitolo 3: *** Canto III - Veritatis Ventum ***
Capitolo 4: *** Canto IV - Assiduitas Aquae ***
Capitolo 1 *** Canto I - Somniorum Speculum ***
MKR
Canto I
Somniorum Speculum
Le pallide dita della luna imbiancavano le mura del castello di Cefiro.
Notte, una dolce notte si
prospettava anche per quella volta. Si erano tutti ritirati presso le
proprie stanze, lasciando che il silenzio prendesse possesso di quegli
ambienti così immensi, i quali, durante il giorno, fungevano da
ritrovo comune.
Solo una persona, ancora vigile e
attenta, avanzava lungo il corridoio ricoperto di alabastro: aveva un
ritmo cadenzato, si fermava ogni tre passi, battendo delicatamente il
possente bastone in terra; al suo comando le porte si chiudevano, su
entrambi i lati, con un tonfo ovattato, come se si stessero esibendo in
un cortese inchino al passaggio dell’illustre visitatore.
Costui, dopo essersi accertato che
ogni battente fosse al suo posto, passava oltre, ripetendo il medesimo
rituale. Ad ogni passo, faceva frusciare il leggero mantello bianco,
scivolando sul pavimento lucido.
Clef, il monaco guida di Cefiro,
stava finendo il suo giro, come ogni sera prima di raggiungere
definitivamente i propri appartamenti.
La chiusura delle porte era
più che altro una vecchia abitudine, piuttosto che
un’autentica necessità. Da quando, per volontà
della nuova Colonna Portante, Hikaru Shidou, era entrata in vigore la
sovranità popolare, non c’erano stati più
disordini, né sommosse. La tranquillità era tornata di
casa e nessuno avrebbe mai osato fare incursione al castello, durante
la notte.
Il monaco finì il suo giro,
assaporando il silenzio di fine giornata: egli era pur sempre un punto
di riferimento per tutti per tanto aveva l’obbligo di rendersi
disponibile con chiunque richiedesse il suo aiuto. Inoltre, aveva anche
ripreso a dare lezioni di magia ai giovani aspiranti stregoni, i quali
si erano rivelati vivaci ed intraprendenti, oltre ogni aspettativa.
“Forse 745 anni sono troppi,
per pretendere di essere ancora efficienti come un tempo.”
pensò tra sé e sé “Ma è anche vero,
che non ho mi avuto tanti allievi prima d’ora. Per fortuna, Ascot
mi dà un grande aiut…”
Il pensiero ebbe il destino di rimanere incompiuto.
Clef era arrivato sulla soglia
dell’ultima porta, quando notò che, all’interno
della stanza, c’era qualcosa che non andava. O meglio,
c’era qualcosa che non sarebbe dovuto esserci.
Il monaco rimase con il braccio
rigido e il bastone a mezz’aria, incerto sul da farsi; con
cautela, varcò la porta aperta e cominciò a dirigersi
verso la cosa che aveva attirato la sua attenzione.
I raggi della luna, entranti dalla
finestra, illuminavano con il loro chiarore le mura, il pavimento e il
misterioso oggetto che rimandava, a sua volta, quell’alone
argenteo.
Si avvicinò di più, fino a che non sovrastò il tavolino che reggeva il motivo di tanto stupore.
-Sembrerebbe uno specchio… eppure sono certo che fino a questa mattina non c’era nulla qui sopra!- mormorò.
Si guardò intorno, ma nulla
tradì qualcosa di insolito: quelle stanze erano di accesso solo
a lui e ai suoi collaboratori più stretti. E per giunta, era
certo che, quell’oggi, nessuno vi era entrato, poiché
c’era stato parecchio da fare giù nel villaggio, per via
della sistemazione di alcune case. La mattina, quando aveva aperto le
porte aveva visto bene: sul tavolo di legno, non vi era posato alcun
che.
Ritornò a fissare il cimelio:
una cornice dorata formata da gradi foglie d’acanto intrecciate,
con al centro un grande cuore vitreo, il quale riproduceva beffardo,
l’immagine accigliata del monaco dalla candida chioma e gli occhi
acuti. Clef si soffermò per guardarlo meglio e notò che,
negli intrecci del metallo, vi erano alloggiate tre sferette colorate,
equidistanti tra loro, ciascuna grande come una grossa noce.
Erano opache, ma vi si poteva comunque indovinarne il colore: una era rossa, una verde e l’ultima blu.
“Che strano.”
riflettè “Lo specchio e la cornice sono tirati a lustro e
sembrano nuovi. Queste pietre, invece, appaiono vecchie e
malconce”.
Spinto dalla curiosità,
tuttavia non senza una certa esitazione, Clef passò un dito
sulla cornice d’acanto, arrivando a sfiorare la sferetta rossa.
Non accadde niente.
Insistette e toccò anche quella verde, per finire con quella blu. Lo specchio non diede alcun cenno.
Il monaco corrugò la fronte e fissò il misterioso oggetto.
-Se non sei solo il frutto della mia
immaginazione, domani mattina dovrò, per forza, ritrovarti
qui!-considerò ad alta voce, riferendosi più a sé
stesso che effettivamente allo specchio.
Non si udì risposta, come prevedibile, solo una leggera eco alla sua voce, prodotta dal vuoto della stanza.
Clef voltò le spalle allo specchio e scavalcò la soglia, battendo il bastone.
Chiuse anche quell’ultima porta, sebbene nella sua mente si fossero aperti tanti altri enigmi.
-Non capisco proprio come ci sia
arrivato e che cosa possa significare,- ammise dubbioso - ma lo
scoprirò. Domattina farò dare un’occhiata anche
agli altri…-
Così dicendo, si avviò verso le sue stanze, rimuginando su quanto accaduto.
La luna aveva ceduto il passo al sole, che sorrideva benevolo sul Regno di Cefiro.
Il castello tornò ad
animarsi, segno della vita che riprendeva il suo corso; Clef aveva
dormito poco e male: il pensiero di quello strano specchio gli aveva
agitato il sonno e reso impossibile il riposo.
-Sembra che tu non dorma da almeno un secolo!-scherzò Ferio, commentando la faccia abbastanza provata del monaco.
-Invece vedo che tu scoppi di energie.- ribattè costui, mentre tentava di reprimere uno sbadiglio.
-Magari Ferio non hai usato le
parole giuste… ma, effettivamente, Clef hai un’espressione
stanca.-affermò Presea, preoccupata.
-Di’ pure che non ha una bella cera!- rincarò la dose Caldina.
Rafaga ed Ascot affondarono entrambi
il proprio viso in una mano: a volte, dubitavano seriamente che la
ballerina di Chiizeta si rendesse conto di quanto diceva…
-A-ehm…- si schiarì la
voce Clef - Per vostra sfortuna, non vi ho fatti chiamare per
deliberare sulle mie condizioni di salute, anche se non posso negare di
non aver affatto riposato, questa notte.-
-E perché?- chiese di nuovo Caldina.
-Fatemici arrivare e lo saprete.
Dunque, non credo che le parole servano a molto, perciò vi prego
di seguirmi.- ordinò il saggio, con tono che non ammetteva
obiezioni.
I presenti si lanciarono l’un
l’altro occhiate interrogative: se avessero voluto saperne di
più, avrebbero dovuto fare solo una cosa, seguire Clef e
scoprire dove li stesse conducendo.
Nel giro di qualche minuto, furono tutti davanti la famosa porta.
Il monaco battè,
puntualmente, in terra il suo bastone e la porta si aprì, sotto
lo sguardo incuriosito degli astanti.
-Un momento! – fermò tutti Ferio – Dov’è Lantis?-
-Ho mandato a chiamare anche lui, ci
raggiungerà a breve.- tagliò corto Clef, dimostrando
ancora una volta di avere tutto sotto controllo. –Comunque hai
fatto bene a ricordarti di lui, Ferio. Avevo intenzione di aspettarlo,
prima di raccontarvi quello che devo.-
Fortunatamente, Lantis fece il suo
ingresso a breve, facendo si che la curiosità degli altri non
dovesse attendere molto per essere soddisfatta.
Il giovane spadaccino era solo,
probabilmente aveva appena finito un turno di guardia e Primera non era
ancora riuscita a raggiungerlo.
-Desideravi vedermi? – chiese
il ragazzo, mettendosi leggermente sull’attenti. –Ho saputo
che mi stavi cercando.- continuò, con la sua voce profonda.
-Si, Lantis. Avrei una cosa da
sottoporre alla tua attenzione, anzi! Da sottoporre
all’attenzione di tutti!- annunciò Clef, aprendo il
braccio sinistro e indicando il suo uditorio.
-E sarebbe?- chiese scettico Rafaga, il quale cominciava ad insospettirsi, dati i numerosi misteri che stava facendo il monaco.
-Un attimo di pazienza, un attimo di pazienza…- rassicurò quest’ultimo.
Entrò per primo nella stanza e quindi lo vide. Proprio quello, lo specchio.
Con passo leggero si avvicinò
al tavolino e squadrò l’oggetto: era esattamente come lo
ricordava dalla sera prima e la luce del sole non fece altro che
confermare le sue impressioni.
Il vetro e la cornice erano lucidi. Le tre sfere erano grezze e opache.
-Venite avanti!- invitò i suoi amici.
In men che non si dica, ciascuno aveva preso il suo posto, intorno a quello che stava loro indicando il monaco.
-E questo cos’è?- chiese Caldina.
-Sembrerebbe uno specchio.- rispose Presea.
-Ci hai fatto venire qui, per uno specchio?- storse il naso Rafaga.
-In effetti…- aggiunse Ferio.
-Ha qualcosa di familiare- commentò Ascot, sovrappensiero.
Lantis si limitò a squadrare a fondo il cimelio.
-Per quanto possa sembrare banale,
si, vi ho convocato qui per questo specchio.- esordì Clef,
mantenendo un tono fermo e sicuro. –Vi prego di prestare la
massima attenzione. E’ apparso dal nulla, dal giorno alla notte,
e la sua fattura non è quella dei mastri di Cefiro.-
-Hai ragione!- esclamò
Presea, avvicinandosi di più. –Conosco a memoria tutti i
metalli che ci sono sul nostro pianeta e su quelli limitrofi. Questo
non l’avevo mai visto.-
-Non mi sembra che emani un aura
malvagia… di’ un po’, Ascot, ti pare che
potrebbe essere uno strumento di magia nera?- gli chiese Caldina.
-Dubito che, se Clef non vi abbia
riscontrato niente di tutto ciò, possa riuscirvi io!- si
schermì l’evocatore.
-Suvvia, Ascot! Sappiamo tutti che hai grandi doti, talmente grandi che, se volessi, potresti benissimo superarmi!-
-Ma Clef, io…-
-Ciononostante, - lo interruppe con
decisione il monaco, alzando una mano – non siamo qui per
discutere di questo. Dimmi piuttosto che cosa stavi per aggiungere
prima, quando hai affermato che lo specchio ti sembrava familiare.-
Ascot si sentì tutti gli
occhi puntati contro e, sebbene avesse imparato a gestire parte della
sua timidezza, si sentì comunque a disagio.
-No, no. Niente…-
-Coraggio, parla pure liberamente.
Questo specchio non dà segni di vita, qualunque osservazione
potrebbe esserci utile.- lo continuò a rassicurare Clef.
Il giovane tornò a fissare lo specchio.
-I colori. Non mi sembrano casuali.-
Tutti si voltarono verso quell’oggetto che aveva creato tanto scompiglio, seppur fosse di dimensioni alquanto ridotte.
Avevano capito che cosa intendeva Ascot: quei colori ricordavano quelli dei Cavalieri Magici.
-Da quanto tempo non riceviamo una
visita di quelle simpatiche ragassuole?-domandò Caldina, dando
voce al quesito che tutti si erano posti in cuor loro.
-Da troppo.-fu la lapidaria risposta
di Ferio. Non aveva detto una parola da quando erano entrati nella
stanza, eppure come d’altra parte aveva fatto Lantis,
anch’egli aveva notato il riferimento cromatico, quella sorta di
legame che univa lo specchio ai Cavalieri.
Clef aveva intuito i sentimenti
dell’ex principe di Cefiro. E non solo: sapeva perfettamente
ciò che passava per la testa sia dello spadaccino, sia
dell’evocatore.
Sapeva quanto costasse loro rimanere tanto lontani da quelle ragazze.
Tuttavia, quello specchio certo non si poneva per risolvere i problemi, semmai, di complicarli…
Il saggio si riscosse dai suoi pensieri, scuotendo la testa.
-Hai provato a toccare le sfere?- chiese Rafaga, che voleva andare per le vie spicce.
-Mio buon comandante -sospirò Clef, sconsolato -è la prima cosa che ho fatto!-
-Ma allora non si sa proprio niente!- esclamò Caldina, esasperata.
-Già, a quanto pare è
così… - confermò Presea, rassegnata –Fin
quando i Cavalieri Magici non torneranno, non potremo scoprire questo
mistero.-
A sentire queste parole, Ferio si rabbuiò.
-Posso provare, Clef?- si fece avanti Lantis.
-Prego, prego.- lo invitò il mago, facendosi da parte.
Il ragazzo studiò attentamente la superficie dello specchio, ispezionando accuratamente centimetro dopo centimetro.
Quale abile stratega e condottiero, non sarebbe stato da lui lasciare al caso nemmeno il più piccolo particolare.
Cacciò fuori dal mantello la mano destra e decise di prendere contatto fisico con quel freddo cimelio.
Sfiorò la sfera blu, non accadde nulla.
Passò a quella verde. Nemmeno.
Infine, sfregò lievemente il
polpastrello dell’indice contro la sfera rossa. Questa era calda
e fu allora che emise un impercettibile bagliore vermiglio.
Anche Clef lo notò. Lantis si tirò su, turbato.
Che significava tutto ciò?
-Ebbene?- ruppe il silenzio Rafaga- Non mi pare sia successo alcun che.-
-No, niente di niente.-considerò pigramente Caldina.
Possibile che nessuno si fosse accorto della luce scarlatta?
-Resterà un mistero.-annuì Presea.
Ma Ascot e Ferio non erano dello stesso avviso, loro avevano visto.
-Posso provare anch’io?-
Senza attendere risposta, l’ex
principe andò dritto sulla sfera verde, passandovi sopra il
dito. La biglia era viva, gli carezzò la pelle ed emise un
bagliore color delle foglie.
-Se non vi spiace, provo
anch’io- affermò Ascot mentre si avvicinava, suscitando lo
stupore generale, in quanto gli altri davvero non riuscivano a vedere.
Lantis e Ferio si fecero da parte.
La sfera blu era davanti al giovane evocatore. Se aveva capito come
stavano le cose sul serio, sperò di cuore che la cosa
funzionasse anche con lui.
Ispirò a fondo e si
preparò a sfiorare la sfera. Lì per lì
sembrò che non accadesse nulla ed Ascot aveva già perso
le speranze, quando all’improvviso, la sfera cedette sotto la sua
pressione, come se fosse diventata fluida. Anche lei emise la sua luce,
cerulea.
Clef non si era perso una virgola di tutto quello che era accaduto.
-Se non vi spiace, noi torniamo alle
nostre occupazioni, abbiamo molto lavoro da sbrigare e i giochetti con
gli specchi non ci riguardano.- sottolineò il comandante.
–Ci vediamo questa sera.- aggiunse, già fuori dalla porta.
–Caldina!- la richiamò.
-Si, si, arrivo!- fece la ballerina
– Be’ tesori, mi piacerbbe rimanere ma non posso... se
scoprite qualcosa di nuovo, mi raccomando, informate la Caldina!-
-Mi associo. Il lavoro non manca, mi
ritiro anch’io.- affermò Presea- Ma vale la stessa cosa:
non fatevi scrupolo di chiamarci, se dovesse sbloccarsi qualcosa!-
-Certamente, grazie lo stesso del tempo che avete dedicato a questa faccenda!-ringraziò cortesemente Clef.
Le due donne oltrepassarono la soglia e la porta si chiuse, lasciando i tre giovani e il mago.
Nessuno aveva i coraggi di parlare, ma Ferio riuscì comunque a dire qualcosa.
Tutto questo ha
dell’incredibile. Non siamo arrivati ad una soluzione definitiva,
ma ci stiamo avvicinando alla risposta. E quella risposta ha un nome:
Cavalieri Magici.-
-Cosa ne pensi tu, Clef?- fece Ascot.
-Non ne ho idea, ragazzi miei, ma ho
visto che c’è del buono in quello specchio. I miei poteri
mi hanno permesso di vedere, ma non di sentire. Solo voi avete la
chiave per scoprire questo mistero.
Una frase alquanto sibillina. Ascot si guardò bene dall’aggiungere altro.
-Vorrei avere l’occasione di
confrontarmi con questo specchio.- Lantis aveva espresso un imperativo
camuffato da desiderio.
Clef non fece una piega.
-E’ qui a disposizione, quando
vuoi.- gli rispose placido, prendendo la via della porta. -Io andrei,
non ho più niente da fare qui… è roba vostra.
Posso solo augurarvi buona fortuna. E darvi un consiglio: affrontate la
prova uno per volta. Sono certo che chiunque abbia mandato questo
specchio, vorrebbe così.-
In un batter d’occhio, Clef era già sparito.
-Scommetto che, come sempre, sa più di quello che lascia intendere.- commentò Ferio, puntando le mani sui fianchi.
-Voglio essere io il primo.- decise
severamente Lantis, tralasciando questa volta l’eufemismo del
condizionale. –Non voglio scavalcarvi, ma penso che sia prudente
seguire l’ordine con il quale ci ha riconosciuto lo specchio.-
aggiunse con tono più benevolo.
-Per me va bene.-disse tranquillamente Ascot.
-Anche per me.- confermò
Ferio –Ragazzi, sono proprio curioso di sapere che cosa ci
aspetta!-esclamò facendo schioccare le dita trepidante.
Fuori dalla stanza, Clef era ritto, appoggiato al suo bastone e sorrideva compiaciuto.
-Mi chiedo che cosa ti sarai
inventato questa volta…- mormorò mentre tornava nei suoi
appartamenti, con espressione divertita.
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Capitolo 2 *** Canto II - Fulgens Focus ***
MKR
Canto II
Fulgens Focus
Il corridoio principale dell’ala est rimbombava di passi, nel silenzio della notte.
Fiero e sicuro, Lantis procedeva con passo spedito verso la stanza
dello specchio: voleva vederci chiaro e scoprire quale fosse il segreto
di quell'oggetto comparso dal nulla.
L’unica cosa del quale era certo, riguardava il legame che quella
sfera rossa aveva con Hikaru, la sua Hikaru. Quando aveva sfiorato la
biglia scarlatta, questa aveva risposto, illuminandosi. Possibile che
si fosse trattato di una semplice coincidenza? No. Le altre due sfere
avevano reagito solo al tocco di altre due distinte persone, guarda
caso, Ferio ed Ascot, i quali avevano lo stesso interesse che aveva
anch’egli, Lantis di Cefiro, nel riprendere il contatto con i
Cavalieri Magici, ormai assenti da mesi.
Hikaru. Il solo pensiero della ragazza dalla chioma infuocata fece
affrettare l’andatura dello spadaccino: voleva rivederla, doveva
rivederla. Da quando l’aveva conosciuta aveva imperato cosa fosse
la serenità, la quale, negli ultimi anni, gli era mancata
abbastanza.
Nel corso delle visite che Hikaru aveva fatto su Cefiro, aveva parlato
molto con lei, anche se non era mai riuscito ad esprimerle chiaramente
ciò che provava nei suoi confronti. Ci aveva provato più
volte, ma la ragazza, con le sue osservazioni dettate dalla sua
semplicità, lo aveva sempre spiazzato. Come quando gli aveva
detto che le sarebbe piaciuto, si, sposare Lantis, ma anche
Eagle… Appunto, Eagle. Il ragazzo costituiva un ostacolo non
indifferente al rapporto che Lantis avrebbe voluto instaurare con il
Cavaliere del Fuoco.
Il comandante di Autozaam aveva mostrato un certo interesse verso
Hikaru e questo non era sfuggito a Lantis, procurandogli non pochi
ripensamenti. Amava Hikaru e rispettava Eagle come un fratello, ma
chiedergli di scegliere tra uno di due era qualcosa di inconcepibile:
non sarebbe mai stato capace di rinunciare ad uno in favore
dell’altra… Eppure, Lantis sapeva che prima o poi avrebbe
dovuto farlo. Certo, se anche Hikaru fosse stata innamorata di lui,
Eagle avrebbe certamente accettato la cosa con più
condiscendenza…
Improvvisamente si ritrovò davanti alla pesante porta di rovere.Oltre i suoi battenti c’era il famoso specchio.
Lo spadaccino si era messo d’accordo con Ferio ed Ascot, i
ragazzi avevano deciso che ognuno avrebbe affrontato lo specchio da
solo.
Lantis sarebbe stato il primo. Appoggiò le mani contro la porta
e spinse in avanti; i cardini cigolarono, ma i battenti si aprirono. Il
pezzo di vetro incorniciato era lì, come sempre, illuminato dal
pallore lunare.
Il ragazzo si portò avanti, raggiungendo il tavolino. Ora si
poneva un problema: come interagire correttamente con lo specchio.
A parte la reazione della sfera rossa, il cimelio non aveva dato altri
segni di vita, nonostante Clef le avesse tentate tutte. Che servisse
una formula magica, capace di rivelare il segreto dello specchio?
Lantis ci pensò un po’ su: non aveva trovato alcun tipo di
incisione sulla cornice, nessun indovinello, nessun verso da decifrare
o da recitare. Scartò quest’ipotesi, concentrandosi su
altro.
Forse avrebbe dovuto rompere il vetro… no, non sarebbe stata una
mossa intelligente: era abbastanza certo che quell’oggetto
dovesse rimanere integro. Per una frazione di secondo, rimpianse di
essersi proposto per primo al confronto con lo specchio, ma siccome non
sarebbe stato da Lantis arrendersi così, non si diede per vinto:
appoggiò le mani sul tavolo, determinato a farsi venire
un’idea adeguata.
Hikaru.
Quel dolce sorriso gli apparve nella mente come un lampo che, nella
notte nera, illumina le tenebre. Doveva trovare il modo di costringere
quel pezzo di metallo e vetro a collaborare. Ma come?
Inconsciamente, passò nuovamente l’indice sulla sfera
rossa, mentre era perso nei suoi pensieri che, ovviamente, convergevano
sul Cavaliere del Fuoco. La biglia si illuminò
all’istante, risplendendo di un luce scarlatta e intensa.
L’attenzione di Lantis venne richiamata dall’evento e lo
spadaccino si rese conto che la sfera si era staccata dalla cornice:
ora, ruotava su sé stessa, rossa come il fuoco, creando un
vortice fiammeggiante che aveva invaso tutta la stanza.
Rosse erano le pareti, rosso era il pavimento, rossa era la luce della
luna che continuava, imperterrita, a filtrare dalle finestre.
“Salute a te, Lantis di Cefiro” echeggiò una voce profonda.
-Chi sei?-chiese il ragazzo, per nulla intimorito.
“Io sono il Fuoco e sono giunto a te attraverso lo Specchio dei Sogni.”
-Lo Specchio dei Sogni? Come quello di cui parla la leggenda?-propose Lantis, sospettoso.
“Questo è lo Specchio della leggenda, l’oggetto che
permette il contatto tra mondi paralleli, mosso dalla forza di
volontà delle persone.”
-E perché è venuto da noi?- fece il giovane, continuando
il suo interrogatorio sottolineando il plurale, come a mettere in
evidenza anche il coinvolgimento di Ferio ed Ascot.
“A questa domanda non posso rispondere, perché forze
più grandi hanno deciso il nostro incontro, Lantis di
Cefiro.”
-Allora spiegami quale sarà il tuo ruolo!-
La voce dell’Elemento non stava affatto dissipando i dubbi dello
spadaccino, semmai li stava aggrovigliando ancor di più.
“La volontà di rivedere Colei alla quale appartengo
è forte nel tuo animo. Se vuoi, io posso darti la
possibilità di incontrarla.”
Lantis rimase interdetto: l’Elemento gli stava proponendo di condurlo da Hikaru?
-Come faccio a sapere che non mi stai ingannando?-domandò il giovane, curioso di vedere la reazione del Fuoco.
“Tu cosa senti?” replicò la profonda voce in tono tranquillo.
Lantis chiuse gli occhi e lasciò che venisse toccato
dall’aura dell’Elemento: avvertiva un grande potere, ma
nessun desiderio di inganno.
Che quell’Elemento fosse il Fuoco, dominato da Hikaru, non vi era
alcun dubbio. Dunque, davvero gli sarebbe stata offerta la
possibilità di rivederla?
Lo spadaccino riaprì gli occhi, seppur non completamente.
“Ti sto forse raccontando menzogne, Lantis di Cefiro?”disse la voce, beffarda.
-No, stai dicendo la verità. Ma come hai intenzione di portarmi al tuo Cavaliere?-
“Al tuo, vorrai dire. Sono io che appartengo a lei, non il
contrario” precisò l’Elemento”mentre voi due
vi appartenete vicendevolmente.”
-Ciò non toglie che tu non mi abbia ancora detto in che modo mi
consentirai di avere un contatto con lei.-fece Lantis, dimostrando di
non aver perso il filo della discussione.
“La chiave è la tua forza di volontà. Sei stato
capace di evocarmi dallo specchio, ora devi solo affidarti a me. Vieni
avanti.”
Senza esitazione, Lantis avanzò verso il cimelio: ne uscì
una grande fiammata che, con il suo calore, avvolse tutta la stanza.
Ardeva, ma non bruciava.
Ed infine, ecco che apparve, fiero e maestoso, lo spirito del Fuoco: un
possente guerriero dall’armatura lucente si erigeva maestoso tra
le fiamme.
Lantis non si lasciò intimorire e attese pazientemente che l’Elemento facesse la sua mossa.
“Vieni da me, Lantis di Cefiro. Non aver timore e lascia che sia il tuo impavido cuore a guidarti.-
Lo spadaccino ubbidì al comando del Fuoco, sicuro che dietro non
ci fosse alcuna trappola. Ora percepiva distintamente uno stralcio
dell’aura che emetteva anche Hikaru quando combatteva.
Quell’essere era davvero il Fuoco, guardiano del Cavaliere dalla rossa treccia.
Una volta che il giovane fu giunto davanti allo spirito,
quest’ultimo gli mise una mano sulla testa e con la sua voce
calda e profonda, gli sussurrò:”Libera la tua mente e
segui la tua volontà. Fidati di te stesso…”
Un calore, lo stesso calore che aveva percepito quando aveva toccato la
sfera scarlatta, si impadronì del suo corpo. Per un istante si
fece più intenso, poi sparì del tutto.
Lantis aprì gli occhi e se ne rese conto.
Non era più su Cefiro.
Ci volle qualche secondo, affinché Lantis capisse dove fosse
finito. La stradina nel quale si trovava era deserta e silenziosa: era
fiancheggiata da alcune grandi costruzioni che il ragazzo riconobbe
come le case nelle quali abitavano gli abitanti della Terra. Una volta,
Hikaru gli aveva portato delle fotografie rappresentanti il suo mondo.
-Questa è casa mia!-aveva detto mostrandogli una tipica casa
giapponese, tutta su un piano, con tanto di giardino lussureggiante e
porticato.- e qui c’è la palestra dove mi alleno con i
miei fratelli.-
-Tu vivi in questo posto?-le aveva chiesto Lantis, piano.
-Si, vivo assieme ai miei tre fratelli. La mia casa è bellissima e non la lascerei per nulla la mondo! Anche se…-
-Anche se?-aveva incalzato Lantis, preoccupato per la brusca interruzione.
-Si, insomma, un giorno dovrò andarmene! Quando andrò al
college e poi, quando mi sposerò!-aveva concluso al fanciulla ,
sorridendo dolcemente. Lantis era rimasto a fissarla, pensando a quanto
sarebbe stato bello vivere sulla Terra con la sua Hikaru, in una di
quelle strane ma graziose casupule. In fondo, ormai non aveva nulla a
trattenerlo su Cefiro, sebbene fosse il suo pianeta natale. Quel regno
non aveva più bisogno di lui, ma egli aveva bisogno del
Cavaliere del Fuoco, per tanto avrebbe potuto benissimo trasferirsi ed
iniziare una nuova vita altrove. Ma prima avrebbe dovuto accertarsi dei
sentimenti di Hikaru.
Lo spadaccino mise da parte i suoi ricordi e solo allora si
guardò: non aveva più la divisa nera della Guardia Reale,
bensì un pantalone scuro e una giacca avvitata color panna.
“Vestiti terrestri” suppose. Non vi badò più
di tanto, considerando che aveva una priorità più
urgente: trovare Hikaru.
Essendo un giovane abituato a cercare razionalmente la soluzione ai
problemi, ordinò mentalmente tutte le nozioni utili che aveva a
disposizione. Ma non reputò nessuna di queste funzionale a
risolvere il suo problema. Inspirò a fondo, deciso a non
arrendersi, quando avvertì un flusso di aria calda che andava
espandendosi per la stradina deserta; riconosciuto l’indizio come
un segno del Fuoco, Lantis percorse la direzione indicatagli,
lasciandosi guidare dal tepore.
Dopo aver percorso un paio di isolati, l’aria calda si dissolse,
lasciando il giovane davanti ad un enorme ingresso in pietra e in
legno. Intravide sulla targa di metallo, appesa ad una colonna, la
scritta “Famiglia Shidou” e immediatamente capì di
essere arrivato. Con ritrovata fiducia, varcò la soglia,
ritrovandosi in un vialetto coperto da un lastricato di marmo. Lantis
non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno che, immediatamente, gli
venne incontro un grosso cane bianco. Non sembrava avere brutte
intenzioni, anzi scodinzolava allegro. Si fermò a pochi passi
dal giovane, guardandolo con curiosità.
-Scommetto che tu sei Hikari.-sussurrò Lantis, abbassandosi e tendendo una mano aperta all’animale.
Hikari si avvicinò lentamente, annusando al mano di Lantis:
certamente dovette trovarla di suo gradimento, poiché si
lasciò accarezzare con tranquillità.
-Hikari, sei qui?-domandò una voce fresca e gioviale.
Si affacciò dalla palestra un visetto sorridente che rimase
letteralmente basito nel vedere chi c’era in giardino.
Sgranò gli occhi e balbettò: -L-lantis!-
Lo aveva riconosciuto anche se indossava abiti inconsueti per lui.
Il giovane si rizzò in tutta la sua maestosa altezza, rivolgendo
un dolcissimo sguardo alla ragazza. Scendendo dalla passerella, il
Cavaliere del Fuoco si mosse verso il giovane, ancora incredula.
-Ma come hai fatto ad arrivare qui?- gli chiese senza smettere di guardarlo.
-E’ una storia lunga.-comnciò Lantis.
-Hikaru! Cosa stai facendo?- tuonò una voce.
La ragazza si voltò di scatto.
-Satoru! Ecco, vedi…-
-Chi è quel ragazzo?-continuò il fratello maggiore della
fanciulla, senza staccare uno sguardo di ghiaccio da Lantis.
-Un amico.-si affrettò a rispondergli la sorella.
-E come si chiama?-
-Lantis.-affermò egli stesso, prendendo la parola.
-Satoru, Hikaru, cosa state facendo?- chiesero anche Masaru e Kakeru, essendo sopraggiunti in quell’istante.
-A quanto pare la nostra Hikaru ha visite.- commentò freddamente Satoru.
-E questo chi è?-chiese Masaru, squadrando sospettosamente il nuovo venuto.
-Si chiama Lantis,-rispose Hikaru tentennante- è un mio amico, è tanto che ci conosciamo e…-
-Che cosa?- urlò Kakeru- Cosa hai detto?-
La ragazza realizzò solo in quell’istante ciò che
aveva detto e si portò le mani alla bocca: aveva appena
condannato Lantis a subire una sfuriata di gelosia da parte dei
fratelli.-
-Di un po’, come ti sei permesso di uscire con nostra sorella senza il nostro consenso?- fece truce Masaru.
-Perché, avrei dovuto chiedere il vostro permesso? Vostra
sorella mi sembra grande abbastanza da sapersi guardare da sola!-
rispose a tono Lantis.
Non avrebbe potuto scegliere parole più sbagliate. Gli occhi di
Satoru, lampeggiarono inviperiti, nonostante fosse il più calmo
dei tre fratelli.
-Tu! Come osi dire queste oscenità! Mia sorella è ancora
una bambina! Ti faremo vedere noi come ci si comporta!-sibilò il
ragazzo adirato –Ti daremo una lezione che non ti scorderai!
Masaru, Kakeru!-
-Si, Satoru!- risposero pronti i due fratelli minori.
-Conducete questo insolente in palestra!-
-Non possiamo fargliela passare liscia! La nostra adorata Hikaru non si tocca.-gridò infiammato Masaru.
-Gli faremo passare la voglia di fare il gradasso!- gli fece eco Kakeru.
Hikaru scosse la testa, sempre con le mani sulla bocca.
-Lantis, mi dispiace!-
-Tranquilla, non c’è niente da temere. Un giorno sarebbe
dovuto accedere, tanto vale che facciamo subito.- concluse sbrigativo
il giovane.
C’era un piccolo particolare che i fratelli di Hikaru non avevano
considerato, sfidando Lantis di Cefiro. Egli era il migliore spadaccino
del pianeta.
-Sarò io il tuo primo avversario!-intimò Masaru, rivolto a Lantis.
Il giovane non lasciò trapelare alcuna emozione, sicuro di sé.
-Bene.-
-Le regole sono quelle del kendo e se perderai, Lantis, non dovrai
più azzardarti ad avvicinarti a nostra sorella!- abbaiò
Kakeru.
-E se dovessi vincere?-
-Hai una bella faccia tosta! Questo non succederà mai, ma se
dovesse capitare, ebbene, ci faremo da parte.-gli rispose Masaru,
mentre finiva di prepararsi.
Anche Lantis stava ultimando i preparativi, aiutato da Hikaru.
I due sfidanti si misero uno di fronte all’altro e Kakeru diede il via all’incontro.
Satoru osservava tutto dalla sua postazione sul fondo della palestra,
mentre la sorella gli era accanto con le mani giunte, pregando che
tutto andasse per il meglio.
Masaru era partito subito all’attacco, rimanendo spiazzato dall’agilità di Lantis.
-N-non è possibile!-commentò, sbigottito.
-Avanti, fratello, non puoi permettere che quel bell’imbusto
faccia il cascamorto con la nostra sorellina!- lo incitava Kakeru.
Lantis si muoveva con somma eleganza, schivando prontamente tutti gli
attacchi di Masaru. Il ragazzo era sempre più sorpreso. Da dove
era saltato fuori quel tizio? Sembrava davvero che fosse nato con la
spada alla mano.
-Basta! Mi arrendo, sono sfinito!- gemette Masaru, gettando al sua
spada di legno da una parte e atterrando sul pavimento, carponi.
-Masaru! Che cosa stai facendo?- strillò Kakeru -Come puoi dire così?-
-Lantis, non avevo mai incontrato nessuno come te… devo ammettere che sei davvero forte.-
Hikaru, nel vedere il risultato di quel primo scontro, sorrise e Satoru non lasciò inosservato quel particolare.
-Perdono, fratello!-sussurrò Masaru, mentre si dava il cambio con Kakeru.
-Tranquillo, ci penserò io!-rispose il ragazzo, pieno di boria.
Lantis appariva stranamente calmo, sembrava che ciò che stesse
accadendo non lo turbasse minimamente. Una ruga comparve sulla fronte
di Satoru, mentre Hikaru guardava con apprensione e silenziosamente il
suo Lantis.
Ben presto, l’ardore e la foga di Kakeru vennero meno, dovendosi
arrendere anch’egli all’evidenza dei fatti: Lantis era
davvero molto forte, aveva un modo di combattere superlativo.
C’era tecnica, c’era vigore, c’era astuzia,
c’era talento.
-Ah, getto la spugna!-fece lamentoso Kakeru, afflosciandosi al suolo, sconfitto e avvilito.
Masaru lo aiutò a rialzarsi ed entrambi i fratelli si rivolsero al maggiore, con sguardo suppilce.
-Satoru, tu sei il migliore di noi! Fatti valere e imprimi una sonora sconfitta a questo presuntuoso!-
Il ragazzo si alzò e lanciò uno sguardo alla sorella che
osservava Lantis senza emettere una sillaba. I suoi occhi brillavano
ogni volta che lo spadaccino schivava un colpo o segnava un punto a suo
favore. Dunque doveva tenere molto a quel giovane…
-Vai, Satoru!- gridò Masaru.
Lantis ed il fratello di Hikaru si misero uno davanti all’altro, pronti a cominciare l’incontro.
Satoru Shidou sapeva bene di aver di fronte un tipo di avversario che non aveva mai incontato prima di allora.
Si inchinarono lievemente e cominciarono; il maggiore dei fratelli
lasciò che fosse lo spadaccino a fare la prima mossa,
così da prendere tempo.
Lo aveva osservato durante gli scontri con i suoi fratelli e aveva
trovato il suo modo di combattere eccezionale. Sembrava che dentro di
lui regnasse l’essenza del Fuoco stesso.
Quel ragazzo che aveva davanti doveva essere davvero un grande
combattente dal cuore puro, per custodire in sé una tale forza.
Satoru cercava di cogliere di sorpresa Lantis in tutti i modi, ma non
ci fu verso di sorprendere lo spadaccino di Cefiro.
Per la prima volta, Satoru fu messo in difficoltà. Dal canto
suo, Lantis cercò di non usare il massimo delle proprie
potenzialità, poiché non avrebbe voluto far del male ai
fratelli di Hikaru. La ragazza non glielo avrebbe mai perdonato. Ma nel
contempo, non voleva farsi sconfiggere: il suo desiderio più
grande era stare con la sua Hikaru e battere Satoru e i suoi fratelli
era l’unico modo per ottenere la loro approvazione.
Lo scontro si protrasse per un po‘, poi, quando le forze
cominciarono a venire meno, Satoru ebbe un cedimento, tuttavia Lantis
non ne approfittò: non sarebbe stato onorevole.
Colpito da quel gesto, Satoru mise da parte la spada e, cogliendo negli
occhi di Hikaru il fulgore di un sentimento semplice e delicato, disse
solo queste brevi parole:- Mi hai dimostrato quanto vali, Lantis. Ti
avevo sottovalutato, ed un bravo guerriero non dovrebbe mai fare un
simile errore.-
Poi si avvicinò e gli sussurrò:-Mia sorella è una persona eccezionale, vedi di trattarla con rispetto.-
-Io la rispetto più di me stesso.- rispose Lantis, non lasciandosi cogliere impreparato.
Satoru e Lantis sostennero ciascuno lo sguardo dell’altro, infine
il maggiore dei ragazzi Shidou richiamò i suoi fratelli.
-Masaru! Kakeru! Andiamo, per noi qui non c’è più niente da fare.-
-Ma Satoru…-
-Lascia stare, Kakeru. Lantis si è meritato di vincere.- affermò serenamente Satoru.
Il ragazzo si rimise al suo posto e annuì.
I tre fratelli salutarono Hikaru e si raccomandarono a Lantis, dopo di che uscirono dalla palestra.
-Lantis, sei stato bravissimo! Mai nessuno era riuscito a battere in
fila tutti e tre i miei fratelli.-si congratulò Hikaru,
raggiungendo il giovane.
Egli non disse nulla, si limitò a fissarla, beandosi del suo incantevole sorriso.
-Come stanno tutti gli altri?-chiese all’improvviso la ragazza.
-Bene.-rispose Lantis.
-Ed Eagle? Si sta riprendendo, non è vero?-
Il ragazzo si arrestò. Perché chiedeva di Eagle?
-Purtroppo Fu, Umi ed io non siamo potute venire ultimamente
perché siamo alle prese con lo studio per l’esame di
ammissione al college…- continuò la fanciulla.
Ecco dunque perché le ragazze non si erano fatte vedere!-
-… però vi pensiamo spesso! Pensiamo a Clef, Ascot,
Ferio, Zazu, Geo… e al mio caro quarto fratello Eagle! Allora,
non mi vuoi proprio dire come sta?-
Lantis la scrutò e lasciò affiorare sulle proprie labbra un sorriso sereno.
“Al mio quarto fratello Eagle…” Ah, piccola e dolce
Hikaru! Ti preoccupi sempre di tutti e Lantis temeva che in
realtà amassi un altro! Eagle avrebbe capito? Lantis si
augurò di si…
-Bene, va migliorando.-affermò il ragazzo.
-Sono contenta! Prometto che presto verrò a trovarvi tutti…-
-Hikaru?-la interruppe Lantis.
-Si?-
-Che ne diresti, se venissi a vivere sulla Terra?-
-Cosa? Lasceresti Cefiro?-
-Ormai lì non c’è più niente che mi tiene legato…-
Hikaru si fece triste.
-E’ per colpa nostra, se non hai più un fratello…-
Lantis sentì il dovere di bloccarla, non solo verbalmente, ma
anche fisicamente. La prese per le spalle con un gesto non troppo
brutale e le disse:- No, Hikaru, voi avete fatto ciò che era
giusto! La verità è che qui sulla Terra c’è
qualcosa di fondamentale per me… una cosa senza la quale non
potrei vivere.-
-Davvero? E che cos’è?-chiese la ragazza con curiosità.
Lantis si avvicino è spostò le mani sui fianchi di lei,
cingendole delicatamente la vita con il braccio sinistro, mentre con la
mani destra le accarezzava il viso.
-Non riesci proprio ad immaginarlo?-
Hikaru sorrise, abbandonandosi al tenero bacio che Lantis, dopo essersi chinato, le stava donando.
-Piano, altrimenti Satoru potrebbe ripensarci!-fece ella ridendo.
Lantis inarcò un sopracciglio e Hikaru scoppiò in una risata argentina.
-Mi farebbe davvero piacere se tu venissi qui, sulla Terra… ma Cefiro è il tuo mondo…-
-Il mio mondo è dove sei tu. Hikaru, con te ho trovato una
serenità indescrivibile, è come se fossi nato una seconda
volta.-fece Lantis.
La ragazza si strinse al giovane, in un abbraccio caldo e sicuro.
-E’ stato il Fuoco a mandarti da me, vero? Lo sento.-sussurrò senza staccarsi.
-Si.-
-E allora è destino che dobbiamo stare insieme.-
Quel bel momento venne interrotto da Hikari che giunse, saltellando e scodinzolando, sotto il porticato.
-E’ un bel cane.-commentò Lantis.
-E’ il migliore!-rispose Hikaru, accarezzandolo.
La giornata stava per giungere al termine, ormai il sole era oltre l’orizzonte.
Hikaru e Lantis s soffermarono a guadare quel disco infuocato, sapendo che era ora di separarsi.
-Verrò quanto prima.-decise Hikaru.
-La prossima volta tornerò indietro con te… durante questo periodo di tempo cercherò di organizzarmi.-
-Dovrai incominciare una nuova vita.-lo avvertì Hikaru con premura.
-E' da sempre che non faccio altro. Non mi spaventa.- fece egli, chinandosi nuovamente e baciando la ragazza.
-A presto.- lo salutò Hikaru.
Un dolce tepore invase sia Lantis che il Cavaliere del Fuoco.
Fu un istante: lo spadaccino era tornato su Cefiro.
-Ben tornato, Lantis di Cefiro!-lo accolse una voce possente.
Il ragazzo si riprese e si ritrovò nella stanza dello specchio.
Il Guardiano del Fuoco stava scomparendo lentamente: aveva portato a
termine il suo compito.
-Grazie.-disse Lantis.
Il guerriero fiammeggiante chinò il capo e in un bagliore
scomparve all’interno della biglia rossa, che ora aveva smesso di
vorticare, facendosi lucente, in netto contrasto con le altre due,
rimaste opache.
Lantis si ritrovò al buio.
-A presto, Hikaru.-rispose sottovoce, mentre si stava girando in direzione della porta, facendo frusciare il nero mantello.
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Capitolo 3 *** Canto III - Veritatis Ventum ***
MKR
Canto III
Veritatis Ventum
Ferio si stava divertendo a lanciare in aria, per poi riprendere
al volo, una monetina argentata. Testa o Croce? Testa: lo specchio
avrebbe parlato da solo. Croce: avrebbe avuto bisogno di un piccolo,
come dire, incoraggiamento.
L’ex-principe di Cefiro adorava fare le cose testa sua, e
così era andata anche quella volta: a nulla erano valsi i
tentativi di ragguaglio sulla situazione da parte di Lantis. Egli aveva
già affrontato la prova e i suoi consigli sarebbero stati
preziosi, ma Ferio non aveva voluto saperne. Quella era la sua sfida.
La stanza, come al solito, era silenziosa e immersa nella sua surreale
atmosfera. Lo specchio era lì. L’unica differenza che si
sarebbe potuta notare constava nella lucentezza della biglia rossa,
mentre quella verde e quella blu erano rimaste opache.
Il ragazzo lanciò per l’ennesima volta la monetina e la
riprese chiudendola con uno scatto tra i palmi delle mani: aveva
avvertito che quello sarebbe stato il lancio definitivo.
Dopo interminabili mesi avrebbe rivisto Fu, il suo bel Cavaliere del Vento.
Al suo ritorno, Lantis aveva annunciato la sua intenzione di
trasferirsi definitivamente sulla Terra, per stare accanto ad Hikaru.
Tale notizia aveva suscitato tanto lo sconvolgimento dei suoi amici,
tanto la completa condiscendenza di Clef, da rendere quasi buffo il
contrasto di toni della combriccola.
Il monaco sapeva tutto, Ferio ne era certo, la sua reazione era stata
fin troppo tranquilla. Dunque, chissà se nel progetto di
chicchessia sarebbe rientrata anche l’eventualità del suo
trasferimento… Una vita assieme a Fu, sulla Terra. Prospettiva
niente male.
Qualche sera addietro, aveva sentito Lantis e Clef discutere sulle
conseguenze che avrebbe portato l’abbandono di Cefiro, prima fra
tutte, l’accorciamento della vita.
Lo spadaccino non era rimasto minimamente turbato dalla notizia e Ferio stesso aveva pensato che non fosse nulla di grave.
Avrebbe avuto meno tempo a disposizione, era vero, ma lo avrebbe trascorso assieme a Fu, come desiderava.
Fin dal primo momento che aveva parlato con il Cavaliere del Vento,
l’ex-principe di Cefiro aveva intuito di aver davanti una ragazza
fuori dall’ordinario.
All’apparenza fredda, distaccata e calcolatrice; in realtà dolce, sensibile ed intelligente.
Ferio sospirò e riportò l’attenzione sulla
monetina. Lentamente, schiuse i palmi, lasciando intravedere il
dischetto argentato.
Croce.
Perfetto, così significava che il ragazzo avrebbe dovuto fare
qualcosa. Ma cosa? Magari una cosa straordinaria o magari una cosa
semplice. Testa o Croce.
Ferio rilanciò la monetina, ripetendo il medesimo rituale.
Di nuovo Croce.
“Una cosa semplice, una cosa semplice… Semplice…”
Mentre rifletteva, nella sua mente scorrevano i ricordi dei momenti
passati con Fu. Gli sguardi, i sorrisi, le semplici carezze…
L’ex-principe fissò la biglia verde: forse, avrebbe dovuto semplicemente sfiorarla, come la prima volta.
Tese la mano e accarezzò la sferetta verde. Esattamente come era
accaduto con quella rossa, la biglia verde si staccò dallo
specchio e prese a vorticare su se stessa, inondando la stanza di luce
smeraldina.
Una lieve brezza, sollevatasi dal nulla, scompigliò i capelli
del giovane, il quale seguiva attentamente i movimenti della sfera.
All’improvviso, un bagliore accecante costrinse Ferio a chiudere
gli occhi e a coprirsi il viso con un braccio per qualche secondo.
Quando fu certo di poterlo fare, il ragazzo spostò l’arto
e si trovò davanti una specie di elfo: lo Spirito del Vento si
era manifestato.
Era biondo, con lunghi capelli e un vestito color sottobosco, inoltre aveva un portamento elegante e raffinato.
“Salve, Ferio di Cefiro.”
-E tu saresti?- chiese il giovane, volendone apprendere di più.
“io sono il Vento, dipendente dal Cavaliere dalla bionda chioma.”
“Fu!” pensò Ferio.
“Sei pronto, principe, alla tua prova?”
-Non sono più un principe. Il vecchio sistema della Colonna è stato abolito.- spiegò il giovane, asciutto.
“Si può essere principi anche solo nell’animo.” lo corresse l’Elemento, con la sua voce flautata.
Quello Spirito aveva la stessa indole di Fu, perspicace e puntigliosa.
Quindi non si sarebbe potuto certo escludere che l’Elfo avesse un
legame con la ragazza.
-Ebbene, Spirito, cosa devo fare?- chiese Ferio, con la sua solita
praticità: amava arrivare subito al nocciolo della questione.
“Quanta fretta, principe! Non mi hai ancora risposto:sei pronto
ad affrontare la tua prova?” ripeté l’Elfo una
seconda volta.
Il ragazzo osservò l’Elemento: sebbene fosse fermo i suoi
abiti erano leggermente svolazzanti, come se fosse circondato da una
brezza impercettibile a chiunque altro.
Quale prova lo avrebbe atteso? Lantis era tornato vivo e vegeto dal suo
confronto e di sicuro il giovane ex-principe non era meno valoroso
dello spadaccino.
Cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Quasi si pentì di non aver
chiesto maggiori informazioni a Lantis… Ma cosa stava dicendo?
Qualunque cosa ci sarebbe stata ad attenderlo, egli l’avrebbe
affrontata con coraggio e la sua solita scaltrezza. D’accordo,
non aveva più il titolo di principe di Cefiro, ma nelle sue vene
scorreva sangue reale, sangue di guerrieri, sangue di temerari.
Sua sorella Emeraude aveva affrontato il suo terribile destino a testa
alta, sebbene sapesse quanto sarebbe stato doloroso dire addio al suo
mondo. Una vera principessa.
Ferio strinse la mano sul pomo dell’elsa della spada e si decise a parlare: -Sì, sono pronto.-
“E allora, principe Ferio, che abbia inizio la tua prova con lo
Specchio dei Sogni.” Annunciò l’Elfo, solenne.
“Lo Specchio dei Sogni!” pensò Ferio “Non
è solo una leggenda! Esiste davvero, ma chi l’avrà
portato qui?”
“Non è questo il momento di porsi domande.” fece lo Spirito, intercettando i pensieri del ragazzo.
-Sai leggere nel pensiero?- domandò Ferio, sorpreso fino ad un certo punto.
“Io sono il Vento e appartengo al Cavaliere al quale tu sei
legato. Non c’è bisogno di leggere i tuoi pensieri, per
sapere quali impressioni affollano la tua mente.”
Ancora una volta, il giovane venne spiazzato dall’incredibile
affinità di ragionamento che accomunavano Fu al suo Elemento.
Il ragazzo sorrise, scuotendo la testa.
-D’accordo, signor Vento. Mostrami la via.-
L’Elfo avanzò verso il giovane e quando gli fu davanti alzò un braccio teso in aria.
Un leggero e piacevole venticello cominciò a carezzare la pelle
del viso di Ferio: era così dolce e così delicato…
“Segui il tuo cuore e permetti alla verità di entrarvi, trovando rifugio sicuro.”
Lo Spirito mosse il braccio alzato e la brezza si fece più
insistente, agitandosi vorticosa intorno al ragazzo che decise di
cedere a quella nenia rilassante, il canto del Vento. Chiuse gli occhi
e cadde nell’oblio.
Un gruppo di studenti gli tagliò la strada e mancò davvero poco che Ferio perdesse l’equilibrio.
-Guardate dove correte!- gridò loro dietro.
Ma i ragazzi non si fermarono e non lo degnarono nemmeno di uno sguardo.
-Che razza di incivili.- borbottò a mezza voce.
Poi cominciò a guardarsi intorno, meravigliato. Le strade erano
strane e ricoperte di uno strano materiale nero; la gente era rinchiusa
in degli strani marchingegni con le ruote. Altissimi palazzi grigi
svettavano verso il cielo e un’insolita costruzione di ferro
bianco e rosso stava composta in mezzo a loro.
“Ma dove sono finito?” si chiese.
Fermò un passante, uno di quelli che andava a piedi correndo da un incrocio all’altro.
-Mi scusi, buon uomo, mi sa dire dove mi trovo?-
Il signore lo guardò scettico e sistemandosi gli occhiali sul
naso disse: -Giovanotto, mi stai forse prendendo in giro? Sei a Tokyo,
dove altro vorresti essere?-
Ferio aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Senza perdere altro tempo, l’uomo si allontanò in tutta
fretta scuotendo la testa e biascicando qualcosa contro la
gioventù allo sbando dei tempi moderni.
L’ex-principe di Cefiro, rimasto impalato sul solito marciapiede,
finalmente capì dove era arrivato: a Tokyo, la città di
Fu. Ma come avrebbe fatto a trovarla? Il Cavaliere biondo gli aveva
sempre raccontato di quanto fosse immenso il posto in cui viveva.
Mentre era impegnato in queste riflessioni, alle orecchie di Ferio
giunse nuovamente quella specie di ninna-nanna che aveva già
udito su Cefiro. Proveniva dalla torre, che fosse quello il luogo dove
avrebbe dovuto recarsi?
Approfittando del fatto che un folto gruppo di persone stessero
attraversando l’incrocio che aveva davanti, il giovane si
affrettò a disperdersi in mezzo a loro, così da arrivare
dall’altro lato della strada.
La nenia si faceva sempre più forte, man mano che il ragazzo si
stava avvicinando alla struttura ferrata. Si fermò un attimo a
scrutarla. Tante volte Fu gli aveva raccontato di come fossero state
improvvisamente prelevate dal piano più alto, quello concesso ai
visitatori, per essere proiettate su Cefiro. Mentre pensava a tutto
ciò, Ferio non poté fare a meno di notare quanto fosse
singolare la coincidenza che lo aveva portato lì. Sempre che si
trattasse di coincidenza.
All’improvviso, il canto si arrestò, facendo ridestare il ragazzo.
Ora come avrebbe fatto a trovare Fu? La sua Fu, il Cavaliere del Vento.
Era un bel problema, non sapendo minimamente da dove cominciare a
cercarla. Ma l’attimo di smarrimento durò poco, in quanto,
in lontananza, scorse ben presto un’esile figura dai corti
capelli biondi arricciati e un paio di occhiali tondi. Fu!
Non era sola: accanto a lei c’era un’altra ragazza,
più alta e con i capelli più lunghi, sebbene le
somigliasse tantissimo.
Ferio si precipitò immediatamente da loro.
-Per fortuna, oggi, ho un po’ di tempo e sono potuta venire con
te per comprare quei deliziosi dolcetti!- commentò allegramente
Ku.
-Ogni tanto è anche giusto che venga a comprarteli di persona!-
le fece notare la sorella con la sua calma razionale. -Non che mi
dispiaccia farlo per te, ma…-
-Fu!-
Sentendosi chiamare, la ragazza si voltò, rimanendo di sasso.
Non poteva essere… Quello era Ferio! Abbigliato in maniera
diversa dal solito, molto più simile alla moda terrestre, ma
sempre con il suo codino e la cicatrice ben in evidenza sul naso.
-Ferio?- esclamò ad alta voce, sorpresa.
-Conosci quel ragazzo?- le domandò Ku, anch’ella un po’ meravigliata.
-Oh, è una lunga storia.- tagliò corto la ragazza.
In quel momento, il giovane arrivò davanti alle due sorelle.
-Che ci fai qui?- gli domandò Fu, stranita.
-Sempre sulla difensiva, eh? Non credi che un “Come stai?”
sarebbe più appropriato? Sono solo svariati mesi che non ci
vediamo…- fece il ragazzo, riprendendo un po’ di fiato.
-Allora è già diverso tempo che vi frequentate?- constatò Ku, traendo le sue conclusioni.
-Be’, non è proprio così...- cominciò Fu, un po’ in imbarazzo.
-Più o meno.- rispose a sua volta Ferio, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del Cavaliere del Vento.
-Ah, credo di aver capito.- fece la sorella maggiore, lanciando uno sguardo divertito ad entrambi i giovani.
-Comunque io sono Ku, la sorella maggiore di Fu.-
-Io sono Ferio, piacere di conoscerti!- rispose affabilmente il ragazzo.
-Oh, ma guarda, mi sono appena ricordata di avere un impegno
importante! Bene, sorellina ci vediamo stasera a casa! Ci pensi tu a
comprare gli Hiyoko Mansu?-
-Ma Ku…- tentò di protestare Fu.
-Sì, lo so sei la sorella migliore del mondo. Divertiti con
Ferio, ciao, ciao!- li salutò entrambi la ragazza, sparendo ben
presto alla loro vista.
Le guance di Fu assunsero un vago colore scarlatto.
-Tu e tua sorella non vi somigliate per niente.- notò Ferio.
-Già.- commentò sinteticamente il Cavaliere dalla bionda chioma.
Per un po’rimasero lì impalati, a fissare il posto dove era sparita Ku pochi minuti prima.
-Cosa sono gli Hiyoko Mansu?- chiese improvvisamente il ragazzo.
-Oh, sono dei dolci particolarmente buoni, una specialità che
produce solo la pasticceria al piano di sopra della torre.-
spiegò la fanciulla.
-Mi piacerebbe assaggiarli. Sono buoni come i pasticcini e le torte che fa Umi?- si informò egli.
-I dolci di Umi sono insuperabili, ma anche questi non sono male. E va
bene.- sospirò Fu, rassegnata. -Dato che devo andare a comprarli
per Ku, sarà l’occasione per farteli provare.
-Non vedo l’ora.- commentò Ferio, annuendo soddisfatto.
L’ascensore che portava i visitatori all’ultimo ci
impiegò un po’ per arrivare. Fu e Ferio fecero scendere
tutti gli altri passeggeri, attendendo il loro turno.
Dall’alto della torre si vedeva Tokyo nella sua modernità
e nella sua sconfinatezza. Molte persone erano impegnate a guardare il
panorama tramite i binocoli posti qua e là.
Fu non riuscì a reprimere un sorriso, pensando alla prima occasione nella quale aveva rivolto la parola ad Hikaru.
-Perché sorridi?- domandò curioso il giovane.
-Niente di speciale. Stavo solo pensando a quel giorno in cui ho fatto
la conoscenza di Hikaru e di Umi, le mie più care amiche.-
-Ossia, il giorno in cui avete compiuto il primo viaggio su Cefiro?-
-Sì, quando ci ha chiamato la principessa… Emeraude.-
Il tono di Fu cambiò repentinamente, volgendo nella tristezza più oscura.
-Che c’è?- domandò Ferio, preoccupato.
-Mi intristisce sempre nominare tua sorella. È per colpa nostra
che non c’è più. Non credo che riuscirò mai
ad accettare tutto quello che abbiamo fatto.-
Il giovane si fermò, costringendo la ragazza a voltarsi indietro.
L’ex-principe di Cefiro aveva assunto un’aria dura e guardava severo il Cavaliere del Vento.
-Fu, ne abbiamo già parlato. Non avreste potuto fare altrimenti,
lo sapete bene. Tormentarti non ti è di aiuto, soprattutto
perché è una colpa che ti attribuisci ingiustamente.-
-Era pur sempre tua sorella. Quando penso che io ne ho ancora una, alla
quale posso portare i dolcetti che tanto adora, mentre tu…-
Ferio le si avvicinò e le alzò lentamente il volto, affinché lo guardasse negli occhi.
-Ci sono delle cose che vanno oltre le nostre possibilità di
comprendonio. Doveva succedere, ed è successo. Pensa alla
situazione di Cefiro: tutti sono davvero felici e non c’è
più il rischio che accada una cosa così triste e
orribile. Non rimproverarti per ciò che tu non hai deciso.-
Fu guardò il giovane negli occhi ed annuì piano.
A quel punto, l’ex-principe si tolse nuovamente l’orecchino e lo mise nella mano della fanciulla.
-Questa volta te lo sto donando nel tuo mondo e credo che non
sparirà più dalla tua mano. Tienilo, ci terrei davvero
che lo tenessi tu.- sussurrò chiudendole le dita sul cerchietto
dorato.
-Ferio, io…-
-A volte non c’è bisogno di parlare. Per una volta, lascia tutto così come è.-
La ragazza strinse il pugno chiuso e il giovane la lasciò andare.
-Allora, questi dolcetti? Comincio ad avere fame!-
-Vieni, la pasticceria è di qua.- fece Fu, mostrandogli la strada. Sul suo viso comparve un sorriso sereno.
-Ecco, questo è uno degli Hikoko Mansu.- disse la ragazza,
porgendo al giovane un dolcetto dorato. Si erano sistemati accanto ad
uno dei binocoli non utilizzati, addossati al parapetto.
Ferio prese ciò che gli stava offrendo Fu, l’odorò e quindi ne staccò un piccolo morso.
-Non male.- commentò dopo che ebbe ingoiato il boccone. -Ma non sono certo al livello dei dolci che fa Umi.-
-Già, Umi è una pasticcera eccellente. Peccato che quando
cominceremo a frequentare il college non potremo più vederci
tanto spesso.- fece tristemente la ragazza.
Ferio ingurgitò l’ultimo pezzetto di dolce.
-Andrete in scuole diverse?- si informò.
-Sì. Be’, è naturale, abbiamo attitudini diverse e
seguiremo anche strade diverse. Ma vorrei che la nostra amicizia non
finisse comunque. In questo periodo non siamo più venute su
Cefiro perché abbiamo avuto molto da fare con le decisioni che
riguardano il nostro futuro.- spiegò il Cavaliere del Vento.
Il ragazzo la guardò. Aveva immaginato che il motivo fosse
più o meno quello; conoscendo Fu era più che normale che
anteponesse i propri doveri agli svaghi. Per lei era importante che la
sua famiglia fosse contenta di lei.
-Voi tre siete molto amiche e siete legate da qualcosa di molto
profondo.La vostra amicizia va ben oltre quella che potrebbe essere una
semplice amicizia tra umani.- considerò Ferio, voltandosi verso
la bionda fanciulla.
Costei non disse niente, si limitò a fissarlo.
-Non bisognerebbe rinunciare agli affetti più cari, magari non
ci sarà l’assiduità che avete avuto fino a questo
momento, ma se vi volete bene troverete il modo di rivedervi anche
più spesso di quello che pensate.-
Fu sorrise.
-Grazie Ferio. Le tue parole mi sono state di grande conforto.-
Il giovane si sporse verso di lei e le carezzò una guancia,
esattamente come aveva fatto più di una volta su Cefiro, ogni
volta che la vedeva stanca o sconsolata per come stavano volgendo le
sorti della battaglia. Ella lo lasciò fare, memore della dolce
serenità che le infondeva quel tocco.
-In realtà, questo discorso vale anche per me. È da un
po’ di tempo che ci penso. Tutti questi mesi di lontananza mi
hanno fatto capire una cosa: starti lontano mi è molto
difficile, oserei dire impossibile. Per cui… Che ne diresti, Fu,
se decidessi di venire a vivere sulla Terra?-
La ragazza sbatté le palpebre, incredula.
-F-Ferio!- balbettò. -Ma cosa stai dicendo? Cefiro è il
tuo mondo, lì c’è la tua casa e tutti i ricordi che
ti legano a tua sorella Emeraude!- esclamò infine.
-Ma non ci sei tu.- ribatté Ferio, seriamente.
La fanciulla scosse la testa, sebbene le sue gote erano arrossite.
-Ferio, sii razionale, non capisci che è impossibile? Pensaci
bene. Come potresti trasferirti qui, impiantarti all’improvviso
in una realtà che non ti appartiene e in un mondo che non
conosci?- gli fece notare il Cavaliere dalla bionda chioma.
Ferio la scrutò un attimo, a labbra serrate.
-E tu, per una volta, lascia da parte la razionalità. Io su
Cefiro non ho più niente a trattenermi. Non sono più un
principe, non ho più alcun dovere. Fu, è stato il Vento a
concedermi di venire qui per parlarti, il tuo elemento. Secondo me,
dovremmo assecondare la sua voce.-
La ragazza distolse lo sguardo, mesta.
-O forse devo dedurre che tu non mi voglia e che c’è qualcun altro a cui sei interessata?-
Fu assunse un’espressione indignata.
-Ma cosa dici?- ripeté. -Tu non sai quanto a lungo abbia cercato
il tuo orecchino, la prima volta che me l’hai dato! Quanto abbia
sperato, le volte successive che non sparisse più dalla mia
tasca, quanto…- si interruppe.
Il giovane sorrideva furbamente soddisfatto e la ragazza capì
che l’aveva fatto apposta. Era caduta nel suo tranello.
Imbarazzatissima, si voltò per nascondere il proprio viso al ragazzo.
-Interessante… Allora un po’ a me tieni, non è vero, Fu?-
Non ottenne risposta.
Ferio la voltò, alzandole il viso in direzione del suo.
-Stai tranquilla, è una decisione che ho ponderato a lungo. Se
il Vento mi ha concesso questa possibilità, se il Vento vuole
che stiamo insieme, deve essere così, dobbiamo assecondarlo. Il
Vento non è capace di mentire, Fu. Se suona rabbioso annuncia
tempesta, se soffia placido allieta le giornate. Il Vento racconta la
verità.-
E allora lo sentì, sentì la voce del suo elemento che placava la sua ansia con la sua voce melodiosa.
Fu chiuse gli occhi e si lasciò pervadere da un frammento della sua stessa natura.
-Sì.- sussurrò infine.
Sollevò piano le palpebre e guardò il giovane che aveva davanti, con attenzione.
-Non sarà facile, questo lo sai?-
-Lo so.- replicò Ferio, tranquillamente. -Ma non ha senso
preoccuparsene ora. Nella vita, mia cara Fu, non si può sempre
decidere tutto con il dovuto anticipo e sperare che tutto vada come
voluto. Ci sono gli imprevisti dei quali bisogna tener conto e bisogna
reagire quando ci si presentano.-
La ragazza annuì, consapevole che il giovane le avesse detto una grande verità. Il vento si fece più forte.
-Sento che stai per andare via.- fece piano.
-Già. Ma non temere, ci rivedremo presto. Nel frattempo,
concentrati su quello che vuoi davvero: solo così troverai il
modo di ottenerlo.-
Fu alzò un’ultima volta lo sguardo sul ragazzo e sorrise
dolcemente. Come avrebbe potuto Ferio rinunciare a quel sorriso? No,
non ne sarebbe stato capace.
Il giovane si portò le mani della ragazza vicino alle labbra e le baciò teneramente.
Un vento impetuoso si sollevò solo per loro due, avvolgendoli con il suo ritmo danzante e frenetico.
Ferio fu costretto a chiudere gli occhi e sentì che Fu stava
lentamente scivolando dalla sua presa. Uno spiro d’aria
più intenso e l’ex-principe era tornato a casa.
Il ragazzo si ritrovò nuovamente nella sala inondata di luce
verde. L’Elfo sembrava non essersi mosso, era sempre fermo nella
posizione in cui l’aveva lasciato.
-Hai dunque trovato una risposta alle tue domande?- chiese lo Spirito.
-Non a tutte.- rispose Ferio, con voce tonante. -Ma ad alcune sì.-
-Sei soddisfatto?-
-Lo sono.-
L’Elfo abbozzò un sorriso sornione, quindi fece un inchino
e si voltò da un lato, aprendo le braccia. Una sottile brezza
prese a soffiare su di lui, scomponendolo in mille fili dorati che
scomparvero immediatamente alla vista, andandosi a rifugiare
all’interno della biglia verde. Questa, divenuta splendente come
uno smeraldo, si andò a collocare tra quella rossa, sfavillante
come un rubino, e quella blu, ancora opaca.
Ferio le guardò, sospirando.
-Non dovrei dirlo, ma questa è stata in assoluto l’impresa più difficile nella quale mi sia cimentato!-
Recuperò la monetina d’argento che gli era caduta e se la rimise in tasca; poi si tastò il lobo destro.
Sorrise.
Era liscio e morbido: l’orecchino non era tornato al suo posto.
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Capitolo 4 *** Canto IV - Assiduitas Aquae ***
MKR
Canto IV
Assiduitas Aquae
Era la terza volta che un ragazzo veniva a fare visita allo specchio, nel cuore della notte.
Ascot era nervoso: sia Lantis che Ferio avevano portato brillantemente
a termine la loro prova, contando esclusivamente sulle proprie forze.
Negli ultimi giorni li aveva visti spesso confabulare talora insieme,
talora con Clef. Incuriosito, il giovane evocatore aveva preso da parte
il monaco ed aveva preteso spiegazioni, ma questi, sorridendo, gli
aveva risposto che per lui non era ancora venuto il momento di
preoccuparsi e lo aveva congedato dolcemente.
L’aveva trattato come un bambino al quale si devono nascondere certe cose.
Ascot abbassò la testa e serrò piano i pugni: egli non
era più un bambino, aveva smesso di esserlo dopo aver incontrato
Umi, il bel Cavaliere dell’Acqua, dagli occhi azzurri e profondi.
Aveva imparato tante cose da lei, in primo luogo il valore
dell’amicizia e del rispetto reciproco. Perché Clef non si
era voluto sbilanciare? Che forse… Che forse fosse geloso? Che
non volesse che Umi avesse modo di incontrare lui, Ascot, al posto suo?
Il giovane scacciò immediatamente quel pensiero. Clef era il
monaco guida di Cefiro ed in quanto tale era super partes. No,
evidentemente, mirava solo a far sì che Ascot se la cavasse da
solo, esattamente come avevano fatto gli altri due.
Rialzò il capo e fissò lo specchio: incastonate nella
cornice dorata spiccavano le due biglie, una di rubino ed una di
smeraldo, mentre la terza continuava ad essere di un celeste tendente
al grigiastro, orribilmente opaca.
Ascot sospirò: sarebbe stato all’altezza di sostenere e portare a termine la sua prova?
Avrebbe dato qualunque cosa pur di rivedere Umi. Si avvicinò
alla lastra di vetro, pensando ad un qualunque modo per spingerla ad
interagire con lui. Sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa… Ma
cosa? La magia che proteggeva quell’oggetto era molto potente,
quasi invalicabile, perfino per un evocatore del suo livello. Gli
avrebbe chiesto un enorme sforzo cercare di violare magicamente tutte
le protezioni imposte dallo specchio, per tanto abbandonò subito
l’idea. Cha Lantis e Ferio avessero usato le armi? No, sulla
cornice non sembrava esserci nessun segno, in più il vetro dello
specchio era integro. Dunque, non era con l’aiuto della violenza
che sarebbe venuto a capo di quella situazione.
Il giovane scosse la testa. Che assurdo enigma.
Inavvertitamente, poggiò entrambe le mani ai lati del cimelio e
fu allora che la sfera blu si illuminò debolmente; Ascot
tirò indietro le braccia. La fioca luce si dissolse
all’istante.
Volendo riprovare, avvicinò nuovamente la mano alla biglia e
questa mandò un tenue bagliore. Intuito il meccanismo,
l’evocatore poggiò l’indice sulla sfera cerulea,
sentendola cedere sotto il proprio tocco e divenire plasma.
Immediatamente, si staccò dallo specchio e prese a vorticare su
se stessa, come avevano fatto già quella rossa e quella verde
prima di lei. Un alone azzurro invase la stanza, come se si trovasse
sul fondo dell’oceano.
Una sottile musica vibrò nell’aria e una voce cristallina ruppe il silenzio.
“Salute a te, Ascot di Cefiro!”
Il ragazzo sobbalzò e non rispose. Da dove proveniva quel suono così dolce?
“Non mi rispondi, giovane evocatore? Hai forse perso la lingua?”
Ascot si riscosse e, offeso, ribatté: -No, non l’ho persa. Chi sei? Fatti vedere!-
“Come vuoi.” rispose la voce, tra il divertito ed il rassegnato.
Dalla luce cerulea emerse una figura sottile e aggraziata, con lunghi
capelli argentei e sinuosi come le onde del mare e una coda rivestita
di squame lucenti: era una Sirena.
-Chi sei?- ripeté il ragazzo, stupito da quella visone.
“Dovresti saperlo! Io sono l’Acqua, appartengo al Cavaliere dagli occhi di cristallo.”
-Umi!- esclamò Ascot.
“Sì, sono proprio l’Elemento del tuo bel Cavaliere.
Ora è arrivato finalmente il tuo turno, Ascot di Cefiro. Cosa
saresti disposto a fare, pur di rivedere la mia padrona?-
-Qualunque cosa.- rispose egli, senza la minima esitazione.
“Qualunque cosa? Ne sei sicuro?” domandò nuovamente
la Sirena, mentre la lunga chioma argentata e ondulata fluttuava
intorno a lei.
-Sì, io voglio rivedere Umi.- confermò l’evocatore.
“Saresti disposto anche a d abbandonare i tuoi amici mostri?”
Ascot aprì la bocca ma dovette fermarsi. Perché avrebbe
dovuto abbandonare i suoi amici? Non vi era motivo, ormai tutti al
castello li rispettavano. Erano riusciti a farsi voler bene, a farsi
accettare. Perché avrebbe dovuto separarsene? A meno che…
“Ancora non hai una risposta precisa.” gli fece notare lo
spirito. “È dunque per questo motivo che devi affrontare
la tua prova”.
Il giovane ci pensò un attimo su, poi parlò: -Che genere di prova?-
“Solo tu saprai di cosa si tratta. Dunque, sei pronto ad affrontarla?”
L’evocatore annuì. Non avrebbe avuto senso aspettare,
prima si sarebbe confrontato con la sua sfida, prima avrebbe avuto le
risposte che andava cercando.
Se aveva deciso di crescere e maturare era stato grazie ad Umi. Aveva
trovato il modo di fare apprezzare i suoi amici mostri, era riuscito a
rendersi utile nella battaglia per la salvezza di Cefiro. Clef
l’aveva preso come suo primo assistente e gli aveva insegnato
tantissime cose. Non c’era assolutamente paragone con la vita da
rinnegato, ai margini della civiltà, che aveva condotto in
passato. Quella che gli aveva offerto Zagato era stata l’ennesima
illusione.
Quella nuova vita gli piaceva, ma se ci fosse stata Umi sarebbe stato ancora tutto più bello.
-Cominciamo.- disse sicuro.
“Lasciati guidare dal tuo cuore e le decisioni che prenderai
saranno sempre le più giuste.” Cantilenò dolcemente
la Sirena. “Abbi fiducia nelle persone che ti sono vicine”.
Ad Ascot venne spontaneo paragonare quello Spirito ad Umi: avevano
entrambi un’indole divisa tra la vivacità e la dolcezza.
“Bene, Ascot di Cefiro, che lo Specchio dei Sogni possa valutare la tua forza d’animo!”
Il ragazzo ebbe un sussulto: dunque quello era davvero lo Specchio dei Sogni!
La Sirena prese lo slancio e con un guizzò scese
all’altezza del giovane. Mosse un po’ la coda ed
improvvisamente un mulinello di sottili fili luminosi prese posto in
mezzo alla stanza.
Vorticava senza sosta, ma lo faceva con ritmo tranquillo.
Ascot non ebbe paura e attese di venirne inghiottito. Così avvenne.
Il mulinello si avvicinò e fu come se si preparasse ad
assorbirlo al suo interno. Il ragazzo avvertì sulla pelle del
viso una piacevole frescura e poi cadde in un sonno pesante e profondo.
L’aria di primavera lo riscosse: gli uccellini cinguettavano
allegri su un albero nelle vicinanze. Si guardò intorno: uno
spiazzo enorme e deserto, circondato da una recinzione e contenente un
maestoso complesso edilizio di muratura bianca. Dove era finito?
Gli abiti da evocatore erano spariti, rimpiazzati da vestiti terrestri
assai più comuni e sobri. Nell’incertezza di dove andare e
cosa fare, Ascot non si mosse. Certo, non sarebbe potuto rimanere
lì, impalato come un sacco di patate, per tanto decise di
spostarsi verso la costruzione, cercando di capire qualcosa e di
ottenere qualche indizio su dove si trovasse.
Notò una targa attaccata sulla parete del palazzetto, ma non
fece in tempo a leggerla che una moltitudine di gente, arrivata da
chissà dove, invase lo spiazzo in pochissimo tempo.
C’erano molti ragazzi con dei fioretti e borse sportive in mano,
accompagnati dai rispettivi genitori, fratelli ed amici. Tanti si
salutavano, molti altri si davano pacche affettuose sulle spalle.
Ascot fu costretto a scartare da un lato un paio di ragazzi che se ne
stavano andando via di corsa. E mentre era lì, in piedi, senza
sapere che cosa fare, la vide. Proprio lei, Umi.
Stava chiacchierando con una donna molto alta e con i capelli corti. Accanto a lei, suo padre e sua madre sorridevano fieri.
Il giovane evocatore decise di avvicinarsi, senza pensare alle conseguenze che avrebbe avuto il suo gesto.
-Umi, la prova di oggi è stata straodinaria!-
-Grazie, maestra. Sono soddisfatta anche io del mio risultato.-
-Se continuerai così, ci sono buone probabilità che tu
possa partecipare alle Olimpiadi, un giorno!- disse la donna con i
capelli corti.
-Hai sentito, caro? La nostra bambina alle Olimpiadi!- esclamò la signora Rykuzaki.
-Il suo talento è notevole.- commentò il marito. -Ero sicuro che si sarebbe distinta.-
-Mi sembra un po’ presto per fare già progetti in grande.-
fece Umi, perplessa. -In fondo, l’anno prossimo comincerò
il college e cambieranno molte cose… Tuttavia, non vorrei
abbandonare la scherma.-
La sua maestra le sorrise placidamente.
-Per ora, Umi, goditi la tua vittoria. Parleremo del tuo futuro
un’altra volta. Ora vado a congratularmi anche con le altre
ragazze.-
Detto questo, la signora salutò i genitori di Umi e si allontanò, lasciando i tre da soli.
-Umi, la tua passione per questo sport e la tua bravura nella scherma
non devono essere messi da parte. Se magari cambiassi idea e scegliessi
un college con un programma di studi meno pesante…-
iniziò sua madre.
-No! Io voglio frequentare lo stesso college di Hikaru e Fu. Lo abbiamo deciso insieme.- protestò la ragazza.
-Ma Umi…- le fece notare il padre. -Devi pensare anche al tuo
futuro. Non frequentare lo stesso college delle tue amiche non
significa che non le rivedrai più!-
Il Cavaliere dell’Acqua stava per replicare, quando notò
qualcuno che non avrebbe dovuto essere lì. Sgranò gli
occhi e disse, senza nemmeno rendersene conto: -Ascot? Cosa ci fai tu
qui?-
I signori Rykuzaki si voltarono e videro un giovane dai capelli
castani, tendenti al mogano, ed occhi verde brillante che scrutava
timidamente la loro figlia.
Nell’immediato, Umi mise la sua borsa in mano alla madre e si
precipitò dall’evocatore, spingendolo via ed urlando: -Io
ho un attimo da fare, ci vediamo dopo a casa!-
Padre e madre si guardarono confusi per un attimo, poi sorrisero entrambi.
-Vedi che avevo ragione? La nostra Umi si è trovata un bel giovane!- cinguettò la signora Rykuzaki.
-Sì, cara. Ora si spiegano tante cose.- replicò il consorte.
-Mi piacerebbe conoscerlo, la prossima volta chiederò ad Umi di
presentarcelo! Mi sembra un bravo ragazzo, almeno dalle apparenze.
Magari la nostra bambina è stata fortunata come lo sono stata
io!- continuò la madre, sempre trillando.
-Ma certo cara! Quel ragazzo ha fatto una buona impressione anche a
me.- confermò il padre, sorridendo. -E poi dobbiamo fidarci di
Umi. Lei sa scegliersi le amicizie…-
Arrivati in un punto più tranquillo, Umi si fermò per riprendere fiato.
-Perché… Perché sei qui? È successo
qualcosa su Cefiro? Si sono forse risvegliati nuovamente i
Managuerrieri?-
-No.- rispose Ascot, anche lui con il fiatone. -Non è
successo niente di tutto questo… Io sono arrivato qui tramite lo
Specchio dei Sogni.-
-Lo Specchio dei Sogni?- ripeté il Cavaliere dalla chioma corvina. -E cosa sarebbe?-
In poche parole, il giovane spiegò ad Umi tutta la vicenda della
comparsa del cimelio e della confusione che si era venuta a creare al
castello, evitando accuratamente di menzionare la storia delle
associazioni tra le biglie colorate e Lantis, Ferio e se stesso.
La fanciulla sembrò parecchio interessata e quando ebbe la
certezza che davvero su Cefiro tutto scorresse alla perfezione,
esclamò: -Ma noi non siamo venute, di recente, per via dei
nostri impegni! Certo che non ci siamo dimenticate di voi!-
Ascot tirò sommessamente un sospiro di sollievo.
-Quindi non siete venute solo perché siete state occupate?- si informò.
-Sì, l’anno prossimo sia Hikaru, sia Fu che io dovremmo
iniziare il college. La nostra vita cambierà quasi totalmente e
le scelte che prenderemo in questo periodo andranno ad influenzare
completamente il nostro futuro. Ecco perché dobbiamo prenderle
con ponderazione.-
L’evocatore si rilassò definitivamente. Dunque, non
c’era nessun altro ragazzo che aveva rattenuto il Cavaliere
dell’Acqua sulla Terra.
-Sai, vorrei che anche i miei genitori capissero quanto sia importante
per me fare le scelte giuste.- riattaccò Umi, sovrappensiero.
-Non sono d’accordo con quello che hai scelto?- chiese timidamente Ascot.
-Non esattamente.- cominciò a rispondere lentamente la ragazza.
-In effetti, loro preferirebbero che dessi più importanza allo
studio e alla scherma, piuttosto che all’amicizia. Vorrebbero che
frequentassi un altro college, uno con un programma di studi che mi
consentisse di allenarmi in tranquillità.-
-Sarebbe bello. Hai sempre detto che la scherma ti piace tantissimo!- notò il giovane.
-Certo… Ma dovrei dire addio a Fu e ad Hikaru!- obiettò l’altra.
Ascot si soffermò a guardare gli occhi azzurri di Umi che
brillavano di convinzione e determinazione. Le due stesse
qualità che a lui mancavano…Altrimenti avrebbe detto alla
ragazza cosa provava per lei molto tempo prima.
-Fu ed Hikaru ti vogliono bene. Sono tue amiche, due amiche vere.
Capiranno che, se dovessi scegliere un altro college, non
cambierà niente tra di voi. I tuoi genitori si preoccupano per
il tuo futuro… Se io dovessi abbandonare i meie amici per
motivazioni serie credo che loro capirebbero. Soffrirebbero, soffrirei
anch’io, ma capirebbero. Perché ci vogliamo bene.-
spiegò Ascot, mentre sentiva dentro di lui farsi maggior
chiarezza. Non era forse simile al suo dubbio la preoccupazione che
assillava Umi?
La fanciulla guardò un istante l’evocatore leggermente
perplessa. Poi, il suo viso si illuminò e battè le mani.
-Grazie, Ascot. Sono contenta di aver parlato con te. In effetti, hai
ragione: noi siamo amiche per la pelle, forse non è la distanza
che deve spaventarci...-
Il giovane sorrise, felice di aver visto tornare il sorriso sulle labbra del suo bel cavaliere dell’Acqua.
-Ma…- fece dopo un po’ Umi. -Perché dovresti
abbandonare i tuoi amici? Non sarai mica in partenza?- chiese la
ragazza.
Ascot arrossì di colpo e si affrettò ad aggiungere,
balbettando: -M-Ma no… No, no… Che cosa dici… Era
per dire, per fare un esempio…-
Umi fu soddisfatta della risposta e sembrò non fare caso al
terribile imbarazzo che si era impossessato del giovane evocatore.
-Tanto che sei qui e che hai citato i tuoi amici, voglio portarti in un
posto!- esclamò all’improvviso la fanciulla. -Vorrei
ringraziarti del conforto! Dai, su!- e afferrato Ascot per una mano, lo
trascinò via per le strade di Tokyo.
-Che ne dici, eh? Non saranno come i tuoi amici, ma ai bambini di qui piacciono molto!- annunciò Umi allegra.
I due giovani erano arrivati in un parco con lastricati di pietra a
segnare i percorsi ed eleganti panchine disposte lungo il cammino.
C’era un incantevole laghetto che si divideva in numerosi
canaletti, ognuno attraversato da un ponte, anch’esso in pietra.
Salici e ninfee ingentilivano l’atmosfera, dando quel tocco di
vegetazione e di vita a tutta quella roccia.
-Trovo che sia… Davvero bello.- sussurrò Ascot, guardandosi intorno. -Ma dove sono i mostri?-
-Eccoli qui!- esclamò la giovane, battendo una mano sulla pancia
di un kappa scolpito nella roccia, che decorava il pilastro di un ponte.
L’evocatore si avvicinò, sorridendo: -Per essere finti, sono davvero ben fatti!-
-Sapevo che ti sarebbero piaciuti!- fece soddisfatta Umi.
Percorsero un po’ del parco, restando vicini, finché non
arrivarono nei pressi un piccolo gazebo rialzato. La ragazza
salì i tre gradini e si voltò ad ammirare lo spettacolo
del giardino al tramonto: la roccia grigia, arrossata dalla luce del
sole al declino pareva incandescente.
C’era pace nell’aria. Umi si girò verso Ascot che,
nel contempo, era giunto ai piedi della rampa. Anch’egli stava
ammirando le sfumature rossastre che avevano invaso il giardino e, ben
presto, anche l’evocatore si ritrovò a fissare la ragazza.
Nel trovarsi di fronte quei due occhi color del mare, attenti e
scrutatori, Ascot distolse all’istante il suo sguardo dalla bella
figura di Umi, arrossendo esattamente come le rocce.
Perché non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in viso? Gli
sarebbe tanto piaciuto aprirle il suo cuore e rivelarle che era stato
il suo amore per lei a consentirgli di cambiare forma e diventare un
adulto. La sua prova si era rivelata più difficile del previsto.
Se solo non fosse stato così timido… Aveva amato
assiduamente Umi con la stessa assiduità dell’acqua che
erode nel tempo la pietra. Anzi, forse i suoi sentimenti per lei
erano addirittura cresciuti… Doveva, doveva dirle tutto. Avrebbe
voluto vivere con lei, avrebbe voluto che lei ricambiasse il suo amore.
Doveva essere coraggioso.
-Umi…-
-Sì, Ascot? Cosa c’è?- chiese la ragazza,
tranquilla e serafica, dall’alto della sua postazione. -Oh,
guarda, siamo tornati ai vecchi tempi! Ora sono di nuovo più
alta di te!-
Il giovane stirò un sorriso: -Oh, no. Non credo di poter mai
tornare indietro. Dopo che ti ho conosciuta, Umi, ho capito che si
possono fare tante cose per gli altri e che con la gentilezza si
ottiene molto di più che con i dispetti e la violenza. E tutto
questo lo devo a te. Io…- il ragazzo si prese un attimo di
pausa, mentre il Cavaliere dell’Acqua era rimasto sbalordito da
tali parole. Lo aveva notato subito che quella volta Ascot aveva un
qualcosa di diverso. Evidentemente, molto più diverso di quanto
immaginasse.
L’evocatore alzò fieramente lo sguardo verso la ragazza.
-Io devo chiederti una cosa, Umi. Te la devo chiedere da tanto
tempo. Mi… Mi permetti di amarti? Mi puoi dare una
possibilità?-
La fanciulla aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Ecco, ora aveva capito ciò che aveva di differente Ascot: non
era più il bambino, il nanerottolo capriccioso e un po’
burlone. Era diventato un adulto e non solo nell’altezza. Era
maturato davvero.
-Mi stai chiedendo il permesso di amarmi?- fece la fanciulla, riuscendo finalmente a dire qualcosa.
L’evocatore annuì, arrossendo ma non abbassando la testa.
-Mi stai chiedendo il permesso per fare una cosa così naturale?-
I due giovani rimasero a fissarsi in silenzio per un po’. La
ragazza stava prendendo coscienza del fatto che Ascot fosse giunto
sulla Terra per intercessione dell’Acqua, il suo elemento. E,
finalmente, capì anche il senso vero delle parole del giovane
quando le aveva parlato dell’eventualità di abbandonare i
suoi amici mostri. Lo avrebbe fatto per lei.
Il giovane temeva il silenzio di Umi, temeva di averla offesa. Inoltre,
l’acqua del laghetto e dei canaletti aveva cominciato ad
agitarsi, seppur con dolcezza. Non aveva più tempo: stava per
tornare su Cefiro.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Aveva fallito la sua prova, sarebbe
tornato indietro senza trionfo. Ormai il giardino stava sparendo, i
secondi si erano esauriti.
Poi, all’improvviso, avvertì qualcosa di caldo sulla guancia. Un bacio. Umi gli aveva dato un bacio.
-Abbi fiducia.-
Un sussurro di tenerezza, ecco cosa udì come ultima cosa, prima che le tenebre calassero intorno a lui.
Un suono flautato invitò Ascot a riprendere i sensi.
“Ben trovato, bell’addormentato.”
Il ragazzo si rimise in piedi, barcollando lentamente.
-Quello che ho vissuto, non stato solo un sogno, vero?- chiese alla Sirena.
“Ma certo che no! Tutto vero, verissimo! Anche se non cedo tu abbia trovato una piena risposta ai tuoi dubbi.”
-Infatti.- rispose il giovane. Eppure, nello stesso istante si portò una mano alla guancia.
“Io ti ho dato una mano, ma non puoi sperare che faccia tutto!
Ora sei tu che devi decidere!” esclamò la Sirena, agitando
la coda. “La mia parte l’ho fatta, da adesso in poi
è tutto nelle tue mani”.
Lo Spirito fece fluttuare i suoi lunghi capelli e prese ad avvitarsi su
se stessa fino a che non divenne di nuovo una scia di luce e non fu
ingabbiata nella biglia. Nel giro di qualche istante, anche la sfera
blu, divenuta di un bel colore zaffiro lucente, si andò a
riposizionare accanto alle altre.
Lo Specchio dei Sogni si illuminò a sua volta e il vetro scomparve: ora c’era una coltre argentea.
All’improvviso aumentò anche le sue dimensioni: ormai era diventato simile ad una porta.
-E così questo è davvero lo Specchio dei Sogni!- esclamò una voce alle spalle di Ascot.
-Clef!-
-Sapevo che anche tu ce l’avresti fatta.- fece piano il monaco.
-Ed ora… Che si fa?- domandò il ragazzo.
-Ora dovrete decidere voi quando andare. Lantis e Ferio già lo
sanno: una volta oltrepassato lo specchio non si potrà
più tornare indietro.-
Ascot osservò Clef senza alcuna nota di stupore. Sapeva che ci sarebbe stata una condizione simile, lo aveva intuito.
-Quindi penso che sia giusto che anche io mi prepari.- replicò solamente il giovane.
Clef annuì sorridendo: -Sarà una grave perdita non averti
più tra i miei allievi. Ma a volte, dobbiamo accettare le cose
come vengono. Non si può avere tutto.-
L’evocatore chinò il capo in segno di rispetto, quindi si
congedò, lasciando Clef da solo davanti allo specchio.
-Adesso penso che tu possa anche uscire. Come vedi è andato
tutto come previsto.- esclamò il monaco a voce alta, senza
voltarsi.
Per qualche istante non successe nulla, poi, da dietro una colonna, apparvero un paio di morbide orecchie rosa.
-Eh, mio buon Mokona. Sapevo che c’era il tuo zampino.
D’altra parte quei giovani ti sono sempre stati molto a cuore,
vero?-
Mokona emise un versetto allegro.
Clef rise e, battendo il bastone in terra, aprì la porta della stanza.
-Siamo ancora in tempo per una buona tisana. Ne vuoi una anche tu?- disse il monaco, uscendo.
Il simpatico ma potente esserino gli saltellò dietro.
Un paio di rimbalzi sul pavimento e fu fuori anche lui.
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