Camelot -prima stagione-

di Lillibeth_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La chiamata del drago (parte 1) ***
Capitolo 2: *** La chiamata del drago (parte 2) ***



Capitolo 1
*** La chiamata del drago (parte 1) ***


 

 

In una terra lontana caratterizzata da miti e magia. Il fato decide di prendere il sopravvento e riporre le sue speranze in una stella, che non è mai stata destinata a brillare in cielo, ma sulla terra. Il nome di questa stella è ignoto a molti, ma negli angoli più remoti della terra si vocifera che sia… Marlyn.

 

 

Ma credo che, a poco a poco, possiamo operare cambiamenti positivi.
Ogni giorno, quando ci alziamo, cerchiamo di orientare bene i nostri intenti, pensando: Vivrò questa giornata in maniera più positiva. Non devo sprecarla.
Dalai Lama, L’arte della felicità sul lavoro

 Marlyn:

<< Buongiorno, buongiorno, buongiorno! >>, esclamai, entrando nella stanza di mia madre, con una tazza colma di latte nella mano destra e un mazzo di fiori di campo nella sinistra. << Come sta la mia mammina oggi? >>, domandai, poggiando quello che avevo tra le mani sul tavolo. Nell’attesa di una sua risposta, aprii le tapparelle della finestra così da far filtrare un po’ di sole nella stanza.
 << Mmm >>, mugugnò l’interpellata, << tesoro >>, mormorò con voce roca.
Non appena udii i suoi sussurri, accorsi al suo capezzale e mi inginocchiai accanto a lei. << Sono qui >>, la rassicurai, accarezzandole la fronte, calda e allo stesso tempo sudata.
Le mie labbra formarono una smorfia. La temperatura corporea era piuttosto alta rispetto alla notte precedente. Avrei voluto sospirare, ma non me lo concessi, consapevole che se la mamma avesse colto quel mio stato d’animo, non avrebbe perso tempo a preoccuparsi.
<< Lo so che sei qui >>, rispose, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi materni, prendendo la mia mano, ancora poggiata sulla sua fronte, e stringendola. << Sapevo che saresti venuta >>. Mi fissò con quei suoi occhi azzurri così simili ai miei. Quanto dolore potevo leggere in essi, ma siccome non riuscivo a sopportarne il peso, rinunciavo a immergermi dentro quelle pozze.
Scossi la testa, ridacchiando. << Certo che lo sapevi >>, le diedi ragione, alzandomi con l’intento di andare nell’altra stanza a prendere dell’acqua fredda e un panno. << Sei una veggente >>, alzando un po’ la voce, cosicché mi sentisse anche dalla stanza accanto.
<< Marlyn, ti prego >>, mi ammonì, non appena mi vide ritornare con una piccola scodella, << ti ho detto che non ho bisogno di aiuto >>.
Sospirai, scuotendo la testa. << Non cambierai mai >>, commentai, rivolgendole uno dei miei tanti sorrisi, che lei amava. << Sei sempre la solita testarda. Vuoi sempre fuoriuscire da tutte le situazioni da sola, così da prendere solo tu i meriti >>, la canzonai, per non farle pesare quella situazione in cui ci trovavamo da parecchi mesi.
Purtroppo mia madre si era ammalata e aveva preso una polmonite in pieno inverno. Fortunatamente, lei era una guaritrice, sul vero senso della parola, ed io avevo ereditato molte delle sue doti, che non comprendevano solo la conoscenza di alcune erbe benefiche, ma anche le così potenti, ma alquanto rare, arti magiche.
Grazie alle sue conoscenze e agli anni di esperienza, che avevo accumulato, osservandola mentre lei era all’opera, la stavo curando alla perfezione. Ogni giorno d’estate, infatti, andavo a lavorare nei campi, e in inverno preparavo anche i decotti curativi di mia madre così da guadagnare qualche tazza di latte, più che benefico per mia madre, o qualche pagnotta di pane, che era sempre accettata.
<< Oh tesoro >>, mormorò con un tono così intenso che mi fece venire i brividi, << non è questa la vita che avrei voluto per te >>, dichiarò, singhiozzando. 
<< Mamma >>, la ripresi, posizionando sulla sua fronte il panno inumidito, << lo sai che questa è la vita che piace a me >>, mentii, cercando di assumere un tono dolce in moda da convincerla.
<< Marlyn cara >>, mi guardò con compassione, << non sforzarti a dire ciò che non pensi veramente >>.
Le sue parole furono come uno schiaffo per me, ma nonostante questo, cercai di ignorarle. << Bevi questo >>, le porsi la tazza di latte, con fare sbrigativo, << ti farà bene >>.
<< Marlyn… >>, iniziò.
<< Io vado a lavorare >>, le comunicai, prima che potesse continuare, << faccio il giro di ronda tra i malati >>, presi la bisaccia, posta sul tavolo. << Non sei la sola confinata a letto >>, conclusi, strizzandole l’occhio. << Per fortuna ho avuto una brava maes… >>, a interrompermi furono dei tonfi alla porta. << Vado a vedere chi è >>, annunciai, dirigendomi verso la porta.
Scommettevo che fosse la moglie del capo villaggio, che chiedeva spiegazioni sul perché il marito non fosse ancora guarito.
Sbuffai al solo pensiero. La gente credeva che si potesse risolvere tutto con uno schioccar di dita. La medicina era un’arte lenta, a differenza della magia, una dote che non mi era permessa utilizzarla, poiché era vista come un fattore malvagio. Naturalmente tutto questo era dettato dall’ignoranza, che regnava sovrana in molti luoghi.
Aprii la porta e non appena vidi un’anziana figura dinanzi a me, le mie labbra si curvarono in un sorriso. << Olaf! >>, esclamai gioiosa.
Olaf era un vecchissimo druido, dalla barba bianca e i capelli dello stesso colore. Nonostante fosse anziano, non possedeva la gobba e i suoi occhi erano verdi e vispi come quelli di un ragazzo. Nessuno era a conoscenza del fatto che appartenesse a una congregazione magica qui al villaggio a parte mia madre ed io, ma era noto come un esperto medico, proveniente da una cittadella.
<< Sono lieto di vederti Marlyn >>, mi salutò, regalandomi un sorriso.
<< Prego accomodati >>, lo invitai a entrare e lo feci accomodare. << Mamma non mi ha detto nulla del tuo arrivo >>, dissi, facendogli strada verso la stanza dove dormiva mia madre.
<< Sai com’è Hunith. Dice sempre ciò che le va di dire >>, mi ricordò, seguendomi.
<< Mamma >>, la chiamai, entrando nella stanza, << è arrivato il tuo ospite >>, lo dissi con una punta d’ironia.
<< Olaf >>. Fui sul punto di strabuzzare gli occhi, quando mi accorsi che mia madre fece un’espressione piuttosto dispiaciuta nel vederlo. Lei era sempre stata molto legata al suo vecchio amico, mi chiedevo quale fosse il motivo per cui non gioisse del suo arrivo.
<< Hunith >>, lui ricambiò freddamente. E lì ebbi la conferma che fosse successo qualcosa dal loro ultimo incontro. Se non ricordavo male, l’ultima volta che Olaf ci aveva degnato della sua presenza, era stata circa due mesi fa.
<< Va bene >>, dissi alzando le mani in segno di arresa. << Io vado prima che io sia accusata di essere troppo piccola per ascoltare i vostri discorsi >>, dissi saggiamente, ripensando a tute le volte che mia madre mi avesse “invitato” a andare a cogliere dei fiori o a riempire dei secchi d’acqua.
<< Vedo che non perdi mai la tua insolenza >>, mi fece notare Olaf con un sorrisetto di chi la sapeva lunga.
<< E tu il tuo senso dell’umorismo >>, risposi a tono, essendo cosciente che Olaf fosse come uno zio per me e che potessi parlare tranquillamente con lui. << Ci vediamo dopo >>.
Dopo pochi passi, mi ritrovai fuori dalla casa. Vedere Olaf mi faceva sempre stare meglio. Lui era il perfetto modello da seguire per me, dopo mia madre. I suoi anni passati all’interno di comunità magiche, mi lasciavano intendere che la magia non fosse odiata da tutti e che ci fossero delle persone, che la praticavano in maniera pacifica, esattamente come me.
Feci le visite che dovevo fare e fui lieta di vedere che il capo villaggio stesse meglio in così poco tempo. La moglie era talmente felice che mi regalò un cesto di frutta, che accettai con piacere.
Una volta finite le visite, mi avviai verso casa. Durante il tragitto, mi domandai se Olaf si fermasse da noi per il pranzo, anche se mi sembrava improbabile vista la freddezza che si era istaurata tra lui e la mamma. Conoscendo mia madre, che era molto riservata, rinunciai in partenza nel capire cosa potesse essere successo, ma non mi stranii quando vidi mia madre salire sul cavallo di Olaf.
<< Che sta succedendo qui? >>, chiesi avvicinandomi ai due.
<< Porto tua madre alla congregazione >>, spiegò Olaf, salendo anche lui sul cavallo, << c’è una riunione molto importante, che… >>.
<< Sarebbe meglio che tu la saltassi >>, giudicai, guardando mia madre, << sei ancora debole e poi non stai ancora bene >>, più che a lei, mi riferii a Olaf, che m’ignorò tranquillamente.
<< Ma no, tesoro >>, mi rispose, accennando un sorriso, che io reputai forzato, << hanno bisogno di me >>, sospirò. << E poi lì sono esperti di malattie come la mia >>, tenne presente.
<< Appunto >>, s’intromise Olaf.
“Appunto sto cavolo” avrei voluto rispondergli, ma insistere era solo fiato sprecato, così non mi rimase che salutarli e augurargli buon viaggio.
<< Marlyn >>, mi chiamò mia madre.
<< Sì? >>, mi avvicinai a lei con naturalezza.
<< Dammi un bacio >>, fu una richiesta normale, ma in essa lessi un significato immenso, che forse solo io in quel momento potevo comprendere, però senza fare storie e domande, la accontentai, autoconvincendomi che mia madre volesse solo salutarmi.

Lei me ne diede uno sulla fronte, così come faceva sempre. << Abbi cura di te, tesoro >>, quella frase tenne vivo il sospetto che stesse succedendo qualcosa che non quadrasse.
<< E tu di te >>, ricambiai.
<< Ora dobbiamo andare >>, c’interruppe Olaf, spronando il cavallo a partire.
Io annuii, sospirando e girandomi per entrare in casa.
<< Tesoro >>, mi chiamò un’altra volta e, non sapendo il perché, fui invasa da un’ondata di brividi. Mi voltai nuovamente e fui sul punto di fermare il cavallo, che aveva già preso a camminare.
Gli occhi di mia madre erano lucidi. Stava piangendo. Lì, allora capii. Quella era l’ultima volta che l’avrei vista.
Mi morsi il labbro inferiore e le rivolsi un sorriso. << Ti voglio bene >>, le urlai, consapevole che non avrei potuto fare nulla per lei, poiché avevo imparato che quando il destino decideva di chiamare a se una persona, non c’era modo di fermarlo. E lei lo sapeva. Nessuno meglio di lei lo sapeva. Lei era la portatrice della vista.
<< Anch’io >>, rispose, mandandomi un bacio.
Quando vidi il cavallo sparire tra i boschi, corsi in casa e mi gettai sul mio pagliericcio. Iniziai a piangere e a singhiozzare, consapevole che non avrei mai più rivisto la mia mamma. Mi chiesi il perché fosse toccato proprio a me, anzi proprio a lei, dimenticandomi completamente di Olaf e del loro rapporto freddo.
Passarono cinque giorni. Ben cinque giorni da quando mia madre era partita. In questi giorni mi limitai solo a mangiare un pezzo di pane e qualche frutto, senza uscire da casa, dandomi malata. La gente credette che avessi contratto la malattia di mia madre e non venne a scocciarmi per i decotti. Il sesto giorno sentii un certo trambusto e quando udii una donna urlare, capii che erano giunti coloro che mi avrebbero annunciato la morte di mia madre erano arrivati.
Pronta alla triste notizia, prima che bussassero alla porta, andai ad aprire. Alla soglia trovai mia cugina Charlotte, che mi fissava con le lacrime agli occhi. Il nostro istinto ci fece abbracciare ed io le sussurrai: << è morta, vero? >>.
Lei annuì e mi carezzò i capelli. << Sì >>, mi sussurrò. Nessuna lacrima solcò il mio volto. Ne erano già scese troppe.
Invitai mia cugina a entrare e lei accettò. Preparai un infuso e non le chiesi nemmeno come avesse saputo una tale notizia. Mary, la madre di Charlotte nonché sorella di mia madre, possedeva anche lei la vista e sicuramente aveva incaricato la figlia di portarmi la triste novella.
<< Dov’è successo? >>, mi limitai a chiedere, servendo l’infuso.
<< Alla congregazione in cui si era recata >>, mi narrò, piangente. << Mia madre lo aveva predetto da settimane >>, confessò con voce straziata, << ma io non volevo crederci >>.
<< Com’è morta? >>, chiesi freddamente.
Lei mi guardò negli occhi e sospirò. << Si è aggravata >>.
<< Avrei dovuto immaginarlo >>, sentenziai, portandomi la tazza alle labbra. << Mi sono sopravvalutata molto nelle mie doti >>.
<< Non dirlo neanche per scherzo >>, mi rimproverò, severa, << tu hai fatto il possibile. La malattia purtroppo ha preso il sopravvento >>.
<< Non sarebbe successo se fossi stata più competente >>, affermai, portandomi una mano alle tempie.
<< Non farti divorare dal rimorso >>, mi consigliò, prendendomi la mano sinistra. << Perché tu non hai colpe e lo sai >>.
Fissai Charlotte negli occhi. Erano così diversi dai miei. Erano verdi e più piccoli. Nonostante fossimo cugine, non ci somigliava per niente. Lei era alta e formosa, e possedeva dei lunghi capelli biondi. E inoltre era molto dolce e sensibile. Io invece ero totalmente l’opposto: non ero molto alta, e purtroppo avevo una costituzione molto smilza. La mia pelle era diafana, un fattore che mi faceva sembrare anemica, quando non lo ero. Poi, i miei occhi erano azzurri e i miei capelli color nero corvino ondulati. Un particolare di cui non andavo fiera erano le mie orecchie, che era smisuratamente grandi. Una combinazione che mi faceva apparire molto strana.
L’unica cosa che accomunava me e Charlotte era la magia, ereditata dalle nostre madri, però con delle caratteristiche diverse. Solo che la mia adorata cugina aveva scelto di disconoscere tale pratica, poiché sosteneva che non l’avrebbe mai aiutata.
<< Sei molto buona con me Charlotte >>, apprezzai il suo tentativo di incoraggiarmi, << ma non merito le tue parole >>.
<< Invece sì >>, ribatté lei, << tu meriti di più >>.
<< Non merito nulla >>.
<< Vieni con me >>.
Le sue parole mi fecero spalancare la bocca. Charlotte lavorava da poco a Camelot, uno dei cinque regni, dove la magia era molto più che proibita. Infatti, l’unico motivo che l’aveva portata a lavorare lì era stata una visione della madre, che la vedeva sposata con un uomo giusto. Io, quando avevo appreso la notizia, mi ero chiesta se fosse giusto che mia zia la manipolasse in quel modo.
<< Stai scherzando, spero >>. Mi alzai dalla sedia e le dissi: << si è fatto tardi, è meglio che tu vada a letto >>.
Si alzò anche lei, << io spero che tu rifletta sulle mie parole >>, mi accarezzò una guancia, << Camelot è una città ricca, dove potresti approfondire i tuoi studi sulla medicina >>, mi annotò, << lì c’è un bravissimo medico di nome Gaius e… >>.
<< Buonanotte cugina >>, la interruppi inespressiva, << spero che riuscirai a dormire sul mio pagliericcio >>.
Lei sospirò e dandomi un bacio sulla guancia, uscì dalla stanza, lasciandomi lì, sola. La prima cosa che feci fu sdraiarmi sul pavimento. Non potevo usare il pagliericcio di mia madre che era infettato e non potevo nemmeno lasciare che Charlotte dormisse per terra.
Chiusi gli occhi e lasciai che l’oblio prendesse il sopravvento.
Quella notte feci uno strano sogno. Vidi un drago rosso raffigurato su una bandiera e poi magicamente prese vita, librandosi alto nel cielo.
Al mio risveglio, non potei negare che fui sommersa da dubbi. Quello che avevo appena sognato era il simbolo di Camelot, e questo significava soltanto una cosa: il fato mi voleva a Camelot. Non era stato un caso che Charlotte mi avesse proposto di seguirla e nemmeno che avessi sognato quel drago.
Ora la domanda, che mi ponevo, era una: cosa avrei dovuto fare? Lasciare Ealdor, il mio villaggio d’origine, o andare in luogo che avrebbe sicuramente cambiato la mia vita per sempre.

 

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Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei. Essi appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

 

 

Ciao a tutti, mi chiamo Lily e questa, come potete notare, è la mia prima storia.
Ho deciso di trasformare Merlin, il nostro amato beniamino, in una lei (non immagino quelle che mi succederebbe se lo venisse a sapere T_T), e ho rivoluzionato un pochino (molto) la storia. State tranquilli, se mai la leggerete, troverete quasi tutti i vecchi personaggi, solo che alcuni di loro subiranno qualche cambiamento. Spero possiate leggere e farmi sapere cosa ne pensiate, e soprattutto se ne valga la pena continuare con questa mia follia.
Ah, prima che me ne dimentichi, la citazione che avete trovato all’inizio rispecchia, a parer mio, il capitolo. Ne inserirò delle altre nei capitoli successivi.
Non mi rimane che augurare buona lettura a tutti voi e a ringraziarvi anticipatamente per il tempo che dedicherete alla mia storia.
Un bacino.
                                                                                                    Lillibeth_92
P.S. visto che è tardi, auguro a tutti voi una buonanotte e dei sogni merliniani e arturiani.

 

 

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Capitolo 2
*** La chiamata del drago (parte 2) ***


In una terra lontana caratterizzata da miti e magia. Il fato decide di prendere il sopravvento e riporre le sue speranze in una stella, che non è mai stata destinata a brillare in cielo, ma sulla terra. Il nome di questa stella è ignoto a molti, ma negli angoli più remoti della terra si vocifera che sia… Marlyn.

 

            Ci sono dei momenti in cui non fa bene pensare.
Più ci rifletti e più ti sembra Folle.
Più cerchi di trovare la via, e più ti appare come labirinto.
Più tenti di arrivare al nodo problematico, più i fili della ragione si aggrovigliano,
ti si attorcigliano intorno.
Sono quei momenti in cui devi fare una sola cosa: agire d’istinto.
Non pensarci più. Decidi, Agisci, Corri, Dillo, Fallo!

ANTON VANLIGT, MAI TROPPO FOLLE

 

 

Marlyn: 

<< Potrei presentarti a uno di quegli erranti cavalieri che sono sempre al servizio di Camelot! >>. L’ultima esclamazione di Charlotte fu la goccia che fece traboccare il vaso, che metaforicamente simboleggiava la mia pazienza, ridotta quasi a un granello di cenere, grazie alla mia adorata cugina.
<< No >>, ripetei per l’ennesima volta, << Charlotte come te lo devo dire? No, no, no e poi no >>, le ripetei all’infinito, coprendomi il volto con una mano, << quale punto non ti è chiaro del concetto: vengo a Camelot solo per trovare un lavoro migliore? >>.
<< Nessuno >>, osò rispondermi con la sua sfacciataggine.
La incenerii con lo sguardo. << E allora >>, iniziai con una voce, che avrebbe fatto invidia a una malata di depressione, << perché insisti nel volermi trovare un marito? >>, le chiesi supplicante. << Io non ho bisogno di un uomo >>, mi sgolai, continuando a camminare lungo i boschi. << Ho solo diciassette anni e se permetti trovarmi un marito è proprio l’ultimo dei miei pensieri >>.
<< Ecco perché noi due non siamo mai andate d’accordo cugina >>, mi fece notare, ignorando bellamente tutto ciò che le avevo detto. Finsi di nulla, poiché non mi sembrava né il momento, né il luogo adatto per accendere una discussione. << Tu pensi a cose futili, invece che a farti una famiglia. Tu prendi la vita con troppa semplicità >>.
<< Noi due non abbiamo mai avuto molto in comune, perché i nostri modi di pensare sono totalmente opposti >>, la corressi, << su tutto >>.
La magia per Charlotte era il male. Una stupida credenza di cui si era convinta fin dalla nascita ed ero pronta a scommettere che il suo soggiorno a Camelot avesse contribuito a peggiorare la situazione. Sperai vivamente di non dovermi pentire della scelta, che avevo appena fatto.
<< Beh in teoria non è così. Adesso abbiamo un luogo in comune >>, mi fece notare.
<< Oh no >>, scossi la testa, accennando un sorriso di circostanza. << Camelot non è casa mia. E’ solo un luogo come un altro >>, le ricordai. << Starò lì per un po’ e poi me ne andrò >>, spiegai senza fare caso quello che dicevo avesse senso. << Camelot non è la mia meta, ricordatelo. E’ solo una specie di… >>, feci una pausa, per riflettere sul termine giusto da utilizzare << luogo transitorio >>.
<< Tu hai proprio idee strane >>, inferì ancora Charlotte, << come puoi dire una cosa de genere, se non ci hai ancora messo piede? >>, mi chiese, accennando uno sbuffo.
<< Mi basta già il fatto che non accentino quelli come… >>, Charlotte mi lanciò un’occhiata eloquente, che io colsi al volo e, infatti, continuai la mia frase, aggiungendo: << me >>.
<< Non che il sovrano abbia tutti i torti >>, lo difese prontamente, << la magia può essere pericolosa e malvagia >>, lo disse come se fosse una novità, di cui io ne fossi completamente estranea, << e tu lo sai >>.
<< Certo che lo so >>, risposi con un sorriso finto, << ci convivo ogni giorno, proprio come fai tu >>. La guardai di sbieco. << Non pensare che tu sia l’unica a mettere in gioco giornalmente il tuo autocontrollo. Ad ogni modo >>, sospirai, << piantiamola di litigare, se no di qua a Camelot avremo ripudiato la nostra parentela >>, cercai di sdrammatizzare.
<< Non è una cattiva idea >>.
<< Prego? >>.
<< Voglio dire… >>, tentò di spiegarsi meglio, << tu usi ancora la magia, no? >>, lo disse come se fosse un reato.
Non le risposi per mettere in risalto la stupidità della domanda.
<< Ecco, non vorrei che… >>, leggendo la sua espressione nervosa, capii che volesse dirmi qualcosa di consistente, ma non ne aveva il coraggio.
<< Mi scoprissero e tu ne andassi di mezzo perché abbiamo lo stesso sangue? >>, ipotizzai senza usare un minimo tono beffardo o ironico.
<< Non era volevo dire questo, ma più o meno il concetto è quello >>, ammise, guardandosi le punte dei piedi.
<< Fantastico >>, mormorai, << non posso usare la magia, perché se no perderò la testa e mia cugina vuole ripudiarmi, per il semplice motivo che potrà perdere anche lei la testa >>, scossi la testa, guardandola. << Perché mi hai proposto di seguirti? Non facevi meglio a lasciarmi lì? >>.

<< Parla con mia madre >>, si tradì incoscientemente, e subito tentò di rimediare al danno fatto. << Cioè volevo dire… >>.
Io strabuzzai gli occhi a quelle parole, fermandomi. << Che tu sei venuta a cercarmi solo perché te l’ha detto tua madre? >>, non riuscivo a credere nemmeno io a quello che avevo appena detto.
<< Sì >>, annuì incerta, << ha visto una cosa importante per il tuo futuro >>.
Sbuffai, mordendomi il labbro inferiore con gli incisivi. << Ed io che pensavo che tu fossi dolce e tutto il resto >>, parlottai, << e di essere io la cattiva tra le due. Comunque, cosa vedeva la sua visione? >>.
<< Su questo non ci sono dubbi >>, concordò, beccandosi come conseguenza un’occhiataccia, e per tagliare corto, rispose subito alla mia domanda: << un uomo >>.
Per me quella risposta fu come aver ricevuto un secchio di acqua gelida in pieno volto. << Cosa? >>, sibilai lentamente, << io starei andando a Camelot per… un uomo?!? >>, la guardai con occhi fiammeggianti. << Sapevo che non ti avrei mai dovuto seguire in questa follia >>, mi girai, facendo per andarmene.
<< No >>, mi trattenne per il braccio, << scherzavo ovviamente >>, si affrettò a dire.
<< C’è un’alta percentuale che io ti creda >>, dissi ironica, accennando anche un sorrisetto.
<< No >>, ripeté, lasciando libero il mio braccio, << non dicevo sul serio >>, tentò di tranquillizzarmi.
<< Lo spero per te >>, le augurai, riprendendo a camminare. << Perché se così non fosse… >>, la avverti, ma non ebbi la forza di terminare la frase. << Ad ogni modo >>, sviai il discorso, << cosa ha visto tua madre nella visione? >>.
Lei sospirò, seguendomi << Una cosa alquanto strana >>.
<< Che desidererei sapere >>.
<< Va bene, va bene >>, si arrese, stufa << la sua predizione è stata molto generica >>.
<< Spiegati meglio >>.
<< Ha visto te che facevi un sogno su un drago >>, mi spiegò, non sorprendendomi troppo. Avevo imparato, a mie spese, che le veggenti riuscivano a scorgere anche i lati più nascosti del tuo futuro.
<< E come sai il drago… >>.
<< E’ il simbolo di Camelot >>, conclusi, << lo so. Se non ne fossi stata a conoscenza, non credo che avrei mai accettato di seguirti >>.
<< Ricordami di maledire il drago >>, mi disse, seria.
Io non appena analizzai le parole, feci una smorfia ed esclamai: << strega! >>.
<< Mai quanto te >>, ribatté, iniziando a correre.
<< Scommessa? >>, le urlai, inseguendola, mentre le mie labbra si curvavano leggermente all’insù. << Tanto non mi prendi >>, Charlotte continuò a correre ed era già parecchio lontana.
Nonostante sapessi che fosse scorretto, usai la mia magia per fermarla. Con gli occhi feci sollevare di pochi centimetri la radice di un albero e lei ci inciampò, atterrando sgraziatamente sull’erba. Io mi fiondai subito su di lei. << Ti ho preso! >>, esclamai.
<< Sleale >>, mormorò, divincolandosi.
Io mi alzai subito da lei, poiché non ero forte, essendo abbastanza gracile di costituzione, e mi avrebbe di sicuro strattonato via in poco tempo.
Non appena mi sollevai da terra, il mio sguardo si posò quella che era la nostra meta: Camelot. Dinanzi a noi si erigeva il castello fortificato, che proteggeva l’intera città. Era… molto grande. Sì, decisamente molto grande.
<< Che te ne pare? >>, mi chiese Charlotte con un ghigno.
<< Ho visto di peggio >>, dovetti ammettere, dandole una pacca sulla spalla. << Molto peggio >>. << Pronta? >>, mi domandò.
<< Mai stata >>.
<< Fa lo stesso >>.
Entrambe ci avviammo verso le porte della città e quando entrammo, rimasi un po’ impressionata dalla diversità tra il luogo attuale ed Ealdor.
<< Non credo proprio che si possa fare un paragone con Ealdor >>, mi lesse nel pensiero.
<< Sarebbe ridicolo farlo >>, dovetti ammettere, posando il mio sguardo su delle bambine che correvano per la strada e ridevano.
<< Ma che succede? >>. Le parole di Charlotte mi fecero distogliere lo sguardo dalle bambine e lo portarono su quella che probabilmente doveva essere la piazza principale, che era completamente ricoperta di gente. Entrambe, spinte dalla curiosità, ci avvicinammo alla folla, e a me bastò un attimo capire cosa stesse succedendo.
Su uno dei balconi più alti del castello c’era un uomo, che riconobbi come il re grazie alla corona che portava sul capo. Stava condannando un uomo macchiato del reato di aver compiuto… atti di natura magica. Il mio volto si dipinse in una maschera di terrore.
Subito mi voltai verso Charlotte, che con mio grande stupore era rimasta impassibile alla scena. Io, in quel momento, non potei fare a meno di lanciarle un’occhiata di puro disgusto, ma non appena udii il rullo dei tamburi, riportai la mia attenzione sul condannato a morte, che aveva già posto la testa sul ceppo. O meglio, i soldati lo avevano costretto a farlo.
Il boia aveva già innalzato la sua scure, attendendo che la mano del re si abbassasse per decapitare l’uomo.
Lessi negli occhi dell’uomo rabbia e frustrazione, e fu allora che compresi che fosse innocente. Continuai a guardare la scena orripilata, e provai un crampo allo stomaco. Era la mia coscienza che mi diceva di agire, ma il mio cervello m’invitava a starmene al mio posto.
Accadde tutto così in fretta. La mano del re si abbassò e così anche la scure del boia, che si frantumò in mille pezzi.
Tutti urlarono nel vedere quella scena, persino il re. << Maleficio, maleficio >>, continuava a ripetere il sovrano di Camelot.
Charlotte mi guardò inorridita, sussurrandomi: << ti rendi conto di ciò che hai fatto? >>.
<< Quello che avresti dovuto fare tu >>, le risposi, riducendo gli occhi a due fessure.
Senza che me ne accorgessi, si susseguì un altro urlo. Mi girai immediatamente verso il condannato e mi portai una mano alla bocca nel notare che fosse stato trafitto in pieno petto da una freccia.
Il mio sguardo guizzò verso il re e accanto a lui scorsi una guardia con una balestra alla mano. Lo fissai con odio, ma mi trattenni poiché sapevo che qualunque cosa avessi fatto sarebbe stata quella sbagliata.
Il re, con un ghigno soddisfatto, iniziò ad applaudire e la folla gioì con lui. Anche Charlotte mostrò il suo compiacimento, urlando: << giustizia fatta! Viva il re >>.
Io, non potendo reggere quello spettacolo un secondo di più, mi dileguai, allontanandomi da mia cugina, con l’intento di andare via da lì, ma l’urlo disperato di una donna mi fermò.
Era accanto a me e piangeva. Tutti si allontanarono da lei, tutti tranne me. Rimasi a fissarla con gli occhi sbarrati e, ascoltando le sue parole, compresi che fosse la madre di quello che era stato appena ucciso. Maledisse il figlio del re, promettendogli la sua morte.
Capii quella donna. Come poteva sopportare che qualcuno avesse strappato la vita a suo figlio? Provavo persino io rancore verso quell’uomo per quello che aveva fatto, ma allo stesso tempo non giustificavo le sue parole. Il figlio del re era innocente. Non era macchiato dei peccati del padre, o almeno lo speravo per lui.
<< Ricordati Uther Pendragon >>, lo minacciò puntandogli il dito, << la tua rovina è appena giunta >>.
<< Arrestatela >>, urlò il re senza pietà.
La donna compì un gesto che mi terrorizzò a morte. Si fiondò su di me e mi guardò negli occhi, sorridendomi con cattiveria. << Tu non lo salverai >>, mi mormorò.
<< Cosa? >>, non seppi mai come riuscii a trovare il coraggio di parlare.
<< Arrestatela >>, ripeté il re.
Prima che le guardie corressero “in mio soccorso”, la donna si dileguò, creando un cumulo di polvere e formando un piccolissimo vortice in aria.
Io rimasi un po’ stordita e immediatamente tutti iniziarono a chiedermi se stessi bene. Io ero troppo spaventata per rispondere e restai lì immobile, fissando il vuoto. Fin quando un soldato si avvicinò, cacciando tutta la folla, che si era radunata attorno a me. Dopo mi squadrò e si avvicinò. Dovetti ammettere che fosse proprio un bell’uomo. Era alto e leggermente muscoloso, i suoi occhi erano azzurri e i capelli biondo miele, e aveva inoltre un accenno di barba sul volto. << Stai bene? >>, mi chiese con un tono di voce da cui si poteva evincere una nota di preoccupazione.
<< Sì >>, annuii fissando il punto in cui la donna era scomparsa, << credo di sì >>.
<< Bene >>, disse lui altezzoso, << non ti ho mai visto da queste parti >>.
<< Mi sorprenderei del contrario >>, risposi, rivolgendogli un leggero sorriso, << sono appena giunta in città e… >>, deglutii, << ho appena ricevuto un degno benvenuto >>, commentai, ancora scossa a quel susseguirsi di avvenimenti.
<< Oh mi dispiace >>, le sue labbra si curvarono in un sorriso di circostanza, << posso fare qualcosa? >>.
<< Ecco… veramente… >>, mi guardai in giro alla ricerca di Charlotte, ma non la intravidi da nessuna parte. << Sto cercando Gaius >>, confessai, non curandomi di dove potesse essere finita mia cugina. << Potresti dirmi dove lo posso trovare? >>.
<< Oh >>, annuì, << ma certo >>, accettò, << se mi segui, ti scorto da lui >>.
Io annui, e così seguii quel bel giovanotto, che mi sembrava avere, come dicevano dalle mie parti, l’occhio troppo lungo.
Durante il tragitto nessuno dei sue proferì parola, finché non giungemmo dinanzi ad una vecchia casa, che immaginavo appartenesse al cerusico. << Eccoci qui >>, annunciò con un lieve sorriso.
<< Grazie per la tua gentilezza >>, gli regalai un sorriso.
<< Di nulla… >>, mi guardò interrogativo, << tu come…? >>.
<< Marlyn >>, risposi, << Marlyn >>, ripetei, << e tu? >>.
<< Io? >>, domandò lui impreparato.
<< Ti avranno dato un nome oltre ai muscoli e ai riccioli biondi* >>, risposi emettendo una risatina dalle narici. Oh, certe volte il mio lato cattivello prendeva il sopravvento.
<< Ovviamente >>, rispose con un sorriso di circostanza, << Leon >>, rispose. << Ser Leon >>, ripeté. << Al tuo servizio >>, fece una cosa che fin a ora avevo solo immaginato. Prese la mia mano e ne baciò delicatamente il dorso.
<< Me ne ricorderò >>, affermai, cercando di respingere il calore che stava inondando le mie guance.
Lui si congedò con un sorriso e girandosi, si allontanò. Io, guardandolo andare via, commentai: << ho sempre pensato che i cavalieri avessero fascino. Ma comunque… >>, sospirai, voltandomi verso la porta dell’abitazione del cerusico. << Andiamo a noi >>.
Bussai per tre volte alla porta, ma non udii nessuna risposta, così poggiai la mano sulla maniglia della porta e la spinsi in avanti. La casa del medico era come l’avevo immaginata. Colma di libri e di strane ampolle sparpagliate qua e là. << C’è nessuno? >>, mormorai addentrandomi all’interno dell’abitazione. << Gaius? >>, chiamai, facendo un passo in avanti.
La risposta non tardò ad arrivare, poiché vidi un uomo precipitare da una scaffa di libri. << Oh santo cielo! >>, esclamai, arrestando con gli occhi la sua caduta.
Mi girai intorno alla ricerca di qualcosa di morbido e trovai in un angolo della stanza un letto sfatto. Subito lo feci apparire nell’esatto punto dove sarebbe atterrato l’uomo e riaccelerai la velocità della caduta. Per fortuna cadde sul letto sgraziatamente, non facendosi nulla.
<< State bene? >>, chiesi avvicinandomi.
Lui si alzò immediatamente dal letto e mi fissò sbigottito. << Come hai fatto? >>, mi chiese sconvolto.
Io entrai nel panico, non sapendo se mi volesse denunciare per quello che avevo appena fatto. << Cosa? >>, mormorai, tentando di fuoriuscire da quella situazione.
<< Quello >>, mi urlò contro, indicando il letto.
<< Io… >>, lo guardai negli occhi, tentando di non far emergere la paura, << mi appello del diritto di non rispondere >>. Stupida. Stupida. Stupida. Che diritto era mai quello?
<< Smettila >>, si avvicinò a me ed io indietreggiai. << Ho visto quello che hai fatto >>, mi accusò, << ma ad ogni modo… dovrei dire grazie >>.
<< Prego >>, risposi, sospirando. << Ora esprimerete la vostra gratitudine denunciandomi al re? >>, domandai.
<< Certo che no >>, mi rispose serio, << ma tu… >>, mi squadrò da capo a piedi, << chi sei? >>.
<< Marlyn >>, sospirai tranquilla, << o almeno così mi chiamano >>.
Lui sbarrò gli occhi nell’udire il mio nome. << Marlyn? >>, aprì leggermente la bocca, << la figlia di Hunith? >>.
Nell’udire il nome di mia madre, accennai un sorriso. << Esatto >>.
Anche lui sorrise. << Ora si spiega tutto >>.
Lo guardai stupita. << Come fate a sapere di mia madre? >>.
<< Conosco molto bene tua madre >>.
<< Conoscevate >>, lo corressi con una smorfia.
<< Che intendi dire? >>, domandò aggrottando la fronte.
<< E’ accaduto qualche giorno fa >>, raccontai, << una brutta polmonite >>, spiegai, fissando il pavimento, << che non sono stata in grado di curare >>.
Lui mi guardò apprensivo e mi chiese gentilmente: << una tazza di tè? >>.
<< Ne avrei veramente bisogno >>, lo guardai negli occhi intensamente.
Dopo una decina di minuti, eravamo tutti e due seduti a sorseggiare il tè. Gaius era più anziano di quel che pensassi. Era leggermente fiacco e i suoi capelli erano ben curati, ma totalmente bianchi. Nessuno aveva ancora deciso di proferire parola, finché non fui io a smorzare il silenzio, << sono giunta qua per iniziare una nuova vita >>, confessai, << ho lasciato Ealdor perché lì non avrei potuto accrescere le mie conoscenze mediche. Proprio ieri, quando una mia conoscente è giunta a farmi visita, mi ha proposto di seguirla e mi ha parlato di voi, così ho pensato che… >>, lo guardai nuovamente negli occhi, << voi potevate aiutarmi >>. Decisi di rispettare la decisione di Charlotte e non accennare nulla del fatto che fossimo parenti.
<< Hai avuto coraggio a recarti a Camelot >>, commentò, ricambiando lo sguardo. << Coloro che praticano la magia non sono ben accetti in questa città >>, colsi amarezza nelle sue parole.
<< Lo so >>, annuii, << ma non sarà questo a fermarmi >>.
Lui socchiuse gli occhi e sospirò. << Molto bene >>.
Alle sue parole sorrisi.
<< Ma dovrai essere cauta >>, mi raccomandò, << a non usare mai le tue doti magiche. In quanto all’arte della medicina >>, curvò le sue labbra all’insù, << sarà un piacere averti come allieva >>.
Alle sue parole feci un sorriso riconoscente. << Grazie, grazie >>, mi alzai dalla sedia e lo circondai con le braccia, non curandomi se quell’uomo fosse un quasi perfetto sconosciuto per me.
Lui, sorprendendomi, ricambiò l’abbraccio. Quando ci distaccammo, mi comunicò: << per ora lavorerai per me. Cercherò di trovarti un lavoro a corte >>.
Io annuii. << Grazie >>.
Passarono solo pochi istanti e Gaius mi mise al lavoro, assegnandomi la consegna di alcuni rimedi. Io senza lamentarmi eseguii tutto. Una volta finito, uscii in piazza per osservare meglio la città. Notai il grande mercato e vidi tutte le giovani donne alle prese con gli acquisti. Scossi la testa, non riuscendo trattenere una risata.
<< Su, forza >>, una voce catturò la mia attenzione. << Muoviti. Devo fare pratica con un bersaglio in movimento >>.
Alzai lo sguardo e notai un giovane aitante che… lanciava pugnali contro un bersaglio vivente? Assunsi un’espressione stranita, soffermandomi qualche secondo sul ragazzo. Dovevo ammettere che Camelot in quanto a fascino giovanile era messa bene.
Era molto alto e abbastanza muscoloso. Come Leon era biondo e con gli occhi azzurri, ma con la differenza che appariva molto più giovane. Era molto carino e anche affascinante, ma il suo comportamento lasciava intendere molta presunzione. Una caratteristica da me non tollerata e poi… Cosa? Sbarrai gli occhi, accorgendomi che quello che portava il bersaglio non era altro che ELVIS. Mio cugino. Il fratello di Charlotte. Cosa ci faceva anche lui lì?
Lo sbruffone biondo lanciò dei pugnali contro il bersaglio, facendomi ingoiare saliva dalla rabbia. Come poteva Elvis lasciarsi trattare così? D’accordo che fosse gracile e, delle volte, anche debole moralmente, ma… non poteva e basta!
Mi avvicinai, sospirando, incerta se intromettermi o no.
Involontariamente Elvis cadde a terra e finì a un passo dai miei piedi. << Sempre a cacciarti nei guai, eh tesoro? >>, commentai, allungando una mano verso di lui, così da aiutarlo ad alzarsi.
<< Marlyn! >>, esclamò accettando la mia mano e formulando un sorriso. << Che ci fai qui? >>.
<< Proprio io >>, risposi con un sorriso, << Charlotte mi ha convinto a venire >>, gli spolverai le vesti con la mano. << Sei proprio incorreggibile >>.
<< Ah Marlyn >>, assunse un’espressione dispiaciuta, << mi dispiace molto per la zia >>.
<< Ragazzo, smetti di intrattenerti con la tua dolce fanciulla e torna qui >>, ci interruppe il biondo sbruffone. Entrambi ci voltammo verso di lui ed io alzando un cipiglio, gli dissi: << non pensi di esserti già divertito abbastanza per oggi? >>.
Lui mi guardò stupito e mi chiese: << ci conosciamo? >>.
<< Evidentemente no >>, risposi superando Elvis e avvicinandomi al biondo.
<< Quindi non ti conosco >>, affermò, squadrandomi.
<< Che recettività, amico mio >>, commentai provocando una risatina da parte di Elvis, che con un’occhiata da parte dello sbruffone, si zittì immediatamente.
<< Io non sono amico tuo, mocciosa >>, la sua voce si alterò leggermente.
<< Beh non ne ho mai avuto uno così asino >>, commentai, facendo una leggera risatina.
<< Hai un bel coraggio a parlarmi così >>, ammise avvicinandosi a me, << per essere una donna >>.
<< E tu troppa poca modestia per ammetterlo >>, ricambiai con un sorrisetto.
<< Sai che potrei mandarti in prigione? >>, fece un altro passo e la distanza fra noi due era si circa quattro centimetri. << Chi credi di essere? >>, alzai un cipiglio, << il re? >>, gli rivolsi un ghigno.
<< No, sono suo figlio >>.
Alle sue parole il mio ghigno si dissolse, facendomi gelare il sangue nelle vene. Oh cielo. Mi girai leggermente per guardare Elvis. << Perché non me l’hai detto? >>, mimai con le labbra, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
<< Non mi hai dato il tempo di farlo >>, mi rispose, portandosi una mano agli occhi.
<< Hai per caso la lingua? >>, mi chiese il principino.
Mi girai e gli rivolsi un sorriso. << No, per vostra sfortuna è ancora qui. Ma… >>, scossi la testa, << se volete mandarmi in prigione… >>, feci un passo indietro, << prima le vostre guardie dovranno prendermi >>, senza pensarci due volte, mi girai e iniziai a correre.
Ma cosa stavo facendo? Cosa? Cosa? Cosa?
Dopo essere giunta all’entrata del mercato, voltai leggermente la testa per controllare se quell’asino mi avesse mandato dietro qualche guardia. No. Non l’aveva fatto. Si era lanciato direttamente lui nell’inseguimento.
Okay, era ufficiale: ero impazzita del tutto.
M’infiltrai all’interno del mercato, passando sotto le bancarelle. Minuta per com’ero non mi era difficile intrufolarmi all’interno. Gattonai, stando attenta a non farmi notare dai vari commercianti, ma sfortunatamente un signore si accorse di me e pensò che volessi derubarlo della sua verdura. Io, ovviamente, uscii allo scoperto e il principino, che era al centro del mercato intento a studiare tutte le direzioni, che avessi potuto intraprendere, mi notò.
<< Oh no! >>, esclamai, riprendendo la mia corsa.
Lui mi urlò: << fermati >>.
<< Non ho sentito bene >>, ricambiai l’urlo, accennando una risata.
Saltai su una bancarella sgombra per dirigermi dall’altra parte del mercato, ma mentre stavo per saltare per terra, mi sentii agguantata dalla caviglia. Senza riflettere, sferrai un calcio così da liberarmi, ma caddi sulla bancarella. Non ebbi il tempo per provare dolore, perché provai a rimettermi in piedi, ma qualcuno mi aveva di nuovo bloccato la caviglia. Mi girai per vedere chi fosse, e non appena mi accorsi che era proprio quel disgraziato del principe, iniziai a dimenarmi, scalciando. << Oh no >>, mormorai.
<< Oh sì >>. La voce del biondo mi fece rabbrividire, ma non smisi di muovermi freneticamente.
<< Ti ho preso >>, dichiarò trionfante.
<< Non credo >>, con gli occhi feci scivolare i suoi piedi e cadde all’indietro, lasciando andare la presa, permettendomi di tirarmi su e scendere dalla bancarella. Feci per fuggire, ma mi accorsi che si era creata una piccola forma intorno a noi, e tra quelle persone c’era anche Gaius. Io lo guardai e lui scosse la testa con rassegnazione.
Mi sentii agguantare di nuovo. Il ragazzo mi aveva preso le braccia e mi teneva con decisione. Ritenni inutile dimenarmi, poiché non sarei riuscita nemmeno a fare il solletico a quell’energumeno. << Fine della corsa >>.
<< Così sembra >>, risposi rassegnata, << okay, portatemi pure in prigione >>.
Stupendomi, mi lasciò i polsi e mi sussurrò: << sarebbe un peccato sprecare tanto coraggio e lasciarlo marcire in prigione >>.
<< Come siete gentile >>, affermai con voce falsamente civettuola.
Lui ghignò e se ne andò, senza guardarsi indietro. Io scossi la testa, incerta se essere divertita o preoccupata.
<< Andiamo su >>, Gaius mi afferrò per un braccio e mi spinse via da lì. << Dovresti evitare situazioni del genere… invece che fai? Te le vai a cercare >>, mi rimproverò severo.
<< Non è vero >>, sbottai infastidita, << è stato lui a iniziare >>.
<< Smettila >>, mi ammonì categorico.
Passai il resto della giornata a consegnare vari intrugli medici, finché Gaius mi comunicò che mi avrebbe fatto partecipare come cameriera al banchetto che si sarebbe tenuto quella sera stessa. Io accettai molto volentieri, desiderosa di trovarmi un lavoro stabile.
Gaius mi condusse all’interno del castello e non appena entrai nella sala, dove si sarebbe svolto il banchetto, rimasi a bocca aperta. Non avevo mai visto nulla del genere in tutta la mia vita. Tutto quel cibo e tutta quell’atmosfera… Sembrava una favola. Peccato che io indossassi le mie umili vesti.
<< Guardate chi arriva… >>, sentii dire.
Incuriosita mi girai e vidi una bellissima ragazza fare il suo ingresso. Oh mamma mia. Ecco la protagonista della storia. Sorrisi, guardandola con occhi pieni di ammirazione. << E’ bellissima non trovi? >>.
<< Uh? >>, mi accorsi che accanto a me c’era una ragazza, che indossava anche lei abiti umili come me, e da questo dedussi fosse anche lei una serva. << Dici a me? Beh… sì, molto >>.
<< Io sono Ginevra >>, mi tese la mano, << ma puoi chiamarmi Gwen >>.
La strinsi con vigore. << Marlyn, piacere >>.
<< Lo so >>, mi rispose, accennando un sorriso.
<< Prego? >>.
<< Ormai sei famosa qui, dopo quello che è successo oggi >>, mi spiegò, alludendo sicuramente al teatrino che avevamo messo su il biondino ed io.
<< Ah >>, risposi, annuendo, << quando oggi ho fatto la figura dell’idiota >>.
<< Oh non credo >>, mi sorprese, << tutti hanno detto che hai avuto coraggio ad affrontare Arthur >>.
<< Arthur, eh? >>, chiesi, << è così che si chiama il principino? >>.
<< Sì >>, annuì, << guarda, è lì >>.
Io mi voltai nella direzione da lei indicata, e lo vidi parlare con la ragazza che era passata un attimo fa. << Oh, sono promessi? >>, chiesi curiosa, non distaccando lo sguardo dai due.
<< Oh no >>, scosse il capo, << lei è lady Morgana, la figliastra del re ed io lavoro esclusivamente per lei >>.
<< Peccato >>, sussurrai delusa, << formano una bella coppia >>.
<< Io ci ho sempre sperato >>, mormorò, guardandoli anche lei << anche se non la invidio per niente… chi vorrebbe sposare Arthur? >>, aggiunse facendo una smorfia.
<< Una povera martire >>, risposi, pensando al comportamento di quel ragazzo. << La indurrebbe a trafiggersi con quel suo atteggiamento >>, commentai.
La serata proseguì tranquilla, ed io servii vino per tutto il tempo, evitando accuratamente il tavolo dov’era seduto il re. Non volevo nemmeno avvicinarsi a quella sottospecie di tiranno.
Dopo il banchetto, arrivò il momento più atteso della serata: l’esibizione di una cantante. Entrò la donna in questione e sotto lo sguardo impressionato di tutti, iniziò a cantare.
Aveva una voce più che melodiosa e… ma perché mi si stavano chiudendo gli occhi?
Notai che tutti i presenti si stavano addormentando. Tutti… tranne la cantante. Subito mi tappai le orecchie, per evitare che anch’io facessi la stessa fine. Improvvisamente la sala divenne buia e si crearono delle ragnatele. Quella era magia, non c’era ombra di dubbio.
Notai che la donna continuava a cantare e avanzava verso il tavolo del re, che aveva di fianco Arthur e Morgana. Oh no. Compresi che erano loro il suo obiettivo.
Cautamente mi avvicinai al tavolo reale, stando attenta a non farmi scorgere, altrimenti sarebbe stata la fine. Arrivò silenziosamente vicino al tavolo, ritrovandosi a pochi passi da Arthur, ma non era l’unica a esserlo. Dinanzi a lui c’era la cantante con uno spadino in mano.
Deglutii e mi guardai intorno, non sapendo cosa potessi fare. Il mio sguardo si posò sul lampadario e, incerta, lo feci crollare sulla donna, che fu schiacciata dal peso devastante.
Tutti improvvisamente si svegliarono, abbastanza storditi e confusi, per primo il re era inconsapevole di cosa fosse accaduto.
Sotto gli occhi di tutti riemerse il capo della donna da sotto il lampadario. Mi accorsi che la cantante si era tramutata nella vecchia donna di stamane. La vecchia con decisione lanciò lo spadino in direzione del principe Arthur. Io quasi urlai e mi fiondai su di lui. Il biondo, probabilmente dallo spavento, non riusciva a distogliere lo sguardo dal pugnale. Lo presi con tutte le mie forze e me lo trascinai verso di me, ma essendo un pesante peso morto, non riuscii a reggerlo e cademmo entrambi. Lui finì con molta poca grazia sopra di me, schiacciandomi completamente, mentre lo spadino si conficcò nella spalliera della sedia.
<< Oh cielo >>, esalai un sospiro.
Arthur mi fissò sconvolto e allo stesso tempo spaventato. Io gli sussurrai: << alzatevi. Mi state uccidendo >>. Lui balzò in piedi e mi tese la mano per aiutarmi. Io la accettai volentieri. Ero tutta dolorante.
Una volta su, mi ritrovai a un passo da me il re, che mi disse: << hai salvato mio figlio >>. Tutti quanti puntarono gli occhi su di me, nessuno escluso.
<< No, no >>, mi affrettai a dire, << io ho solo… >>.
<< Non essere modesta, verrai ricompensata >>, m’incoraggiò con la voce colma di gratitudine.
<< Se proprio ci tenete >>, sibilai.
<< Sarai la nuova valletta del principe >>, annunciò.
Tutti quanti alle sue parole applaudirono, tranne Arthur ed io che, contemporaneamente, urlammo: << cosa? >>.
Ed era questa la ricompensa? Fare da sguattera al principino reale? Oh, no, no, no, no, no. << Sire, vi ringrazio, ma non posso accettare >>, cercai di rifiutare la carica.
<< Padre, non puoi… >>, protestò Arthur, ma il sovrano c’ignorò bellamente.
Dopo il banchetto ci ritirammo tutti, ed io seguii Gaius sconvolta. Avevo deciso di alloggiare a casa sua e, infatti, mi diede una piccola stanzetta. Quando mi accorsi che c’era il letto, lo considerai un lusso pregiato.
Sospirando, mi sfilai dal collo un laccio che aveva per ciondolo un piccolo sacchettino. Lo sfilai dal laccio e con gli occhi lo feci ingrandire. Lì dentro c’era tutta la mia roba, che avevo alleggerito in quel modo, per evitare sforzi fisici.
 Mi cambiai e m’infilai sotto le coperte, ma nonostante fossi distrutta, non riuscivo a dormire. Mi sentivo strana e soddisfatta di me stessa, anche se ero consapevole che le mie doti non erano viste di buon occhio, ma per il momento volevo solo godermi questi attimi di pace.
Da domani sarei stata la valletta del principe e temevo quello che mi sarebbe potuto accadere. Forse preferivo di più il patibolo. 
Marlyn” udii il mio nome rimbombare nella mia testa. “Marlyn”. Aprii gli occhi. E ora che succedeva?
La voce continuò a tormentarmi, così, sbuffando, mi alzai dal letto e seguii la voce, che mi condusse nei sotterranei. << Perché tutte a me? >>, borbottai, aprendo la porta da cui proveniva la voce.
Vidi che la stanza era buia, così tornai indietro per prendere una torcia. Illuminai il luogo e mi accorsi che non era niente di meno che una grotta immensa. << Oh mamma mia >>, mormorai.
Udii un forte rumore e indietreggiai, spaventata. Davanti a me, apparve… un drago?!? << Oh mamma mia >>, ripetei, portandomi una mano alla bocca.
<< Stupita di vedermi giovane strega? >>, mi domandò.
<< Era tua la voce! >>, esclamai, guardandolo.
<< Oh sì >>, rispose, << ma non è la prima volta che ci incontriamo >>, ammise.
<< Cosa? >>, lo guardai come se fosse impazzito, ma poi ricordai il sogno della sera precedente. << Eri tu. Sì, eri tu >>, lo indicai, << sei stato tu a venirmi in sogno >>.
<< Proprio così, ragazza >>.
<< Perché? >>, chiesi, << perché mi hai condotto qui? >>.
<< Perché è appena iniziato >>, sentenziò, guardandomi fisso.
<< Cosa? >>, non riuscivo a capire.
<< Il tuo destino >>, rispose solennemente.
<< Cosa? >>, urlai.
<< C’è un destino che ti sta aspettando >>, affermò, << che dovrai percorrere con il futuro re >>. << Chi? >>, lo guardai sconvolta, << stai scherzando spero >>.
Il drago sembrò ignorarmi, poiché proseguì con il suo discorso: << C’è un motivo se tu sei speciale Marlyn. Il tuo destino è già stato scritto anni fa e non puoi far nulla per cambiarlo. Tu sei destinata a fare grandi cose al fianco di Arthur. Siete due facce della stessa medaglia e presto te ne renderai conto giovane strega >>.
<< Non può essere >>, lo contrastai, << quell’Arthur… >>.
<< E’ nelle tue mani >>, e lasciandomi senza parole, spiccò il volo, scomparendo dalla mia vista.
<< Aspetta >>, tentai di fermarlo, ma lui non tornò indietro.

Sospirai, posando la torcia per terra e appoggiandomi al muro per non precipitare. << Che brivido >>, mormorai, portando la testa all’indietro.

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Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei. Essi appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

*Mentre stavo scrivendo, guardavo con le mie amiche Hercules, così non ho resistito a modificare la frase di Meg, che dice a Hercules e farla recitare a Marlyn. Le mie amiche erano morte dalle risate.

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Eccomi qua, con il secondo capitolo. Spero vi sia piaciuto. Allora, come noterete ci sono tantissime differenze rispetto all’episodio originale. E naturalmente la nostra Marlyn è mooooolto diversa da Merlino. Come il regal babbeo è anche lei un po’ immatura e inoltre è abbastanza spigliata, affettuosa, impertinente e sicura di se, ma sotto certi aspetti anche insicura. Riesce persino a tenere testa ad Arthur, nonostante sappia chi sia.
Ho introdotti dei nuovi personaggi che saranno fondamentali nel proseguimento della storia e nei capitoli seguenti vedrete anche nuovi arrivi, e tantissimi cambiamenti.
Ringrazio immensamente chibisaru81 per aver commentato il capitolo precedente e Caskett96 e N a n n a per averla messa tra le storie seguite e infine i lettori. Spero si aggiungano nuovi recensori, perché per me le critiche sono molto costruttive e poi mi danno quello sprint in più per scrivere. Bene, dunque, vi lascio e visto che è l’orario di andare a nanna, colgo di nuovo l’occasione per augurarvi una buonanotte e dei sogni merliniani e arturiani.
Un bacino.

                                                                                   Lillibeth_92

 

 

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