Eternal Love - Quando l'Amore supera tutto

di Wave__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** The Return ***
Capitolo 3: *** Elena and Susan together again ***
Capitolo 4: *** Fallen Angel ***
Capitolo 5: *** True ***
Capitolo 6: *** History ***
Capitolo 7: *** Paul is back ***
Capitolo 8: *** 'Cause the love never ends ***
Capitolo 9: *** Only You. ***
Capitolo 10: *** I want you in my life. Forever. ***
Capitolo 11: *** Don't leave me. ***
Capitolo 12: *** Because I love him. ***
Capitolo 13: *** The Change ***
Capitolo 14: *** Mum and Dad. ***
Capitolo 15: *** Will I be a good father? ***
Capitolo 16: *** Epilogo - Five Years Later ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***



















Prologo

«Che cos’hai da dire a tua discolpa, Elena?»
Elena lo fissò, senza dire nulla. Suo padre – Dio – sapeva già tutto quello che lei voleva che sapesse. Perché aveva convocato tutti gli Arcangeli, in un’unica stanza?
Per farle per caso cambiare idea?
Inutile. Elena non lo avrebbe mai fatto. Aveva rischiato tutto, per tutto.
Per colui che amava.
«Stiamo aspettando.»
Questa volta le parole di Dio risuonarono forti e chiari, nette nell’aria della stanza circostante. L’espressione di Elena era qualcosa che non si poteva descrivere.
L’unica cosa che si percepiva da lei, oltre al coraggio di fronte ad una situazione così drastica? La fierezza verso sé stessa. Lei era fiera del suo operato, di quello che aveva fatto e, ancor di più, per l’amore che provava per Lui.
Lui, un uomo che le aveva fatto rischiare sé stessa, perfino il suo essere angelo.
«Non ho nient’altro da dire, Padre. Tutto quello che dovevo dire, l’ho detto. Mi sono innamorata e non ho intenzione di scusarmi per questo. Tutti meritano una possibilità. Tutti meritano una possibilità di cambiamento. E’ quello che ci hai insegnato tu. L’amore sopra ogni cosa.»
Un pugno battè sull’ampia scrivania, facendola traballare violentemente. Elena sussultò a sua volta.
Sicuramente suo Padre non si aspettava un affronto del genere dalla sua Figlia prediletta.
«Smetti di dire idiozie! Noi ti abbiamo insegnato l’amore, ma verso i tuoi simili, non verso.. Dei rinnegati e obbrobriosi abomini con sete di sangue!»
Elena strinse i pugni, chiudendo gli occhi e cercando di respirare profondamente. Doveva calmarmi, o sarebbe stata la fine.
«Non capisci! Lui non è come gli altri. Dagli una possibilità, Padre.»
«Mai! Non ha un’anima e, se ce l’ha, e nera più dell’Inferno stesso. E’ un essere infernale, destinato alla dannazione eterna.»
Gli Arcangeli si alzarono, cercando di calmarlo, senza successo, per poi risedersi ad un Suo semplice sguardo.
«Io non lo lascio, a causa di una stupida ripicca! A te non sta bene? Perfetto. Ma a me si! Io lo amo, così com’è. E così sarà sempre. Nessuno mi farà cambiare idea. Ovunque sarà, ovunque sarò, io lo troverò.»
L’ira di suo Padre era qualcosa d’immenso, d’inquantificabile, qualcosa che si poteva palpare anche nell’aria circostante.
«Così questa è la tua ultima parola?», domandò, cercando di trattenere la rabbia, senza riuscirci. I suoi occhi chiari e profondi erano puntati in quelli nocciola di sua Figlia.
«Si.», rispose senza induci l’angelo.
«Ti dichiaro ufficialmente bandita dal Cielo. Dal Paradiso. Dalla tua vera Casa. Non potrai più farci ritorno, pena la morte. Da oggi in poi.. Sei un Angelo Caduto. Una schifosa sottospecie che ha scelto la dannazione, al posto della sua Famiglia. Sei marchiata con la lettera T, di Traditrice. Che ha venduto la sua anima al più lurido demone infernale, per Amore.»
Un piccolo martelletto di legno picchiò sul tavolo. La seduta era tolta.
Elena chiuse gli occhi, sapendo perfettamente che cosa sarebbe successo in quel momento. Respirò profondamente; un dolore immenso la colpì alla schiena. Le sue ali si spalancarono e, al posto del bel color candido, iniziarono a striarsi di nero.
L’infedeltà al Paradiso.
Strinse i denti, senza emettere nessun suono e, un istante dopo, una voragine sotto di lei si aprì. L’oscurità la inghiottì.
Stava cadendo.

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Capitolo 2
*** The Return ***



The return

Dopo centinaia di anni Elena era apparsa nuovamente in città. Si fermò ad annusare i profumi nell’aria, a guardarsi intorno con occhi spaesati, quasi non riconoscendola all’impatto e ricordandola com’era una volta.
Ricordando com’era la sua cittadina natale circa duemila anni prima. Una piccola cittadina dove tutti si amavano, quella città dov’era cresciuta e dov’erano cresciute due piccole bambine completamente diverse da tutti gli altri ragazzini del luogo, ma soprattutto totalmente differenti dai semplici esseri umani.
Una piccola città che oggi ospitava milioni di abitanti che si accalcavano per le piccole strade, correndo a destra e a sinistra, occupati nelle loro faccende.
Tornando a Mosca e potendo osservare nuovamente il Cremlino e tutte le sue bellezze, ogni minimo e unico ricordo riaffiorava. Si scoprì a ripensare a Susan, il suo piccolo demonietto, conosciuto millenni prima quando erano ancora delle semplici ragazzine umane che non avevano ancora totalmente completato la trasformazione per diventare esseri immortali. Respirò profondamente e si gettò in mezzo alla folla. La parte nascosta di lei sperava sinceramente di incontrare la sua migliore amica a Mosca. Credeva che anche Suz fosse li. Era una sensazione, forte e potente.
Avevano passato l’intera esistenza insieme, fino a quando poi non era sparita, senza lasciare traccia. Non aveva potuto fare altrimenti.
Erano completamente diverse, ma completamente simili. Elena era un angelo, sempre serva devota a Dio. Suz era un demone, spietato. La prima con lunghi capelli mori ed ondulati; la seconda aveva capelli di uno strano colore indefinito, data la sua mania di tingersi di tanto in tanto delle tonalità più strane.
L’aspetto esteriore era solo un fattore, perché quello che avevano dentro era qualcosa di indescrivibile. Era come se fossero sorelle, sensibili, che provavano emozioni, ma soprattutto sapevano amare. Improvvisamente la “nuova” arrivata si bloccò di colpo in mezzo alla strada. Sentiva il suo odore, l’odore di Susan. L’avrebbe riconosciuto tra mille altri fragranze presenti nell’atmosfera.
Per poco non travolse due passanti, gettandosi dal lato opposto della strada, infilandosi dentro al negozio di Bershka presente all’angolo. La cercò con lo sguardo, notandola con in mano un bellissimo paio di jeans, insieme a un’altra ragazza. Anch’ella un demone. Aveva un viso familiare, già noto, ma non ricordava dove l’avesse vista. Probabilmente in una delle sue numerose tappe in giro per il mondo. La stava fissando, sicuramente aveva capito la vera natura di Elena.
Le indicò Susan, che continuava a sbirciare oltre gli scaffali del negozio, cercando qualcosa che la convincesse. Non s’era accorta di nulla.
Neanche della presenza della sua migliore amica. Fece cenno alla ragazza bionda di stare in silenzio e s’avvicino cauta, senza fare il minimo rumore.
Era girata di spalle, così le coprì gli occhi, divertita.
«Indovina un po’ chi c’è qui?» rise, spostandole le mani dagli occhi.
Si portò immediatamente le mani al volto, sfiorandole le mani.
La sua voce, la sua presenza, perfino il suo profumo le erano familiare. Si divincolò dalla presa, voltandosi e gettandole le braccia al collo, abbracciandola forte a sé, come a volerla stritolare.
«E chi poteva essere se non l’angioletto mio!»
«Demonietto dai capelli rossi, mi sei mancata da morire!», le fece passare una mano tra i capelli, scombussolandoglieli.
«Angioletto no, i capelli no!» si lamentò, cercando di aggiustarseli, lanciando sguardi allo specchio.
«Eh smettila Susan, sono solo capelli! Ma parlando di cose serie.. Quanto tempo è passato da quando non ti vedo? Pensavo di non trovarti più! Allora come vanno le cose qui?» spostò lo sguardo sulla ragazza bionda, così le allungo la mano per presentarsi.
«Scusami, mi sono fatta prendere dall’adrenalina appena l’ho vista. Comunque piacere. Mi chiamo Elena, ma per tutti sono Ever. Eh si, sono un angelo», abbassò la voce in modo tale che sentissero solo le due ragazze «che sta dalla parte dei vampiri, ovviamente.»
Le strizzò l’occhio, per poi riprendere a parlare.
«Comunque ti ho già vista, ma non ricordo dove.» cercò di ricordare, ma invano. «State cercando un abito? C’è qualche festa importante?»
Non le aveva ancora fatto dire come si chiamava, come sempre non riusciva a tenere a bada la sua parlantina. Alla fine la ragazza dai capelli biondi prese la parola.
«Piacere mio, Ever. Io sono Taylor, simpatizzante per i vampiri anche io. Io sto cercando un vestitino per..»
«..Per un appuntamento galante!» la interruppe Susan, ridendo.
«Allora, se è galante, ti serve per forza un abito impeccabile!»
«Tay, tu forse non lo sai, ma lei è un angelo intelligente, l’avrebbe comunque capito!» continuò, dando dei leggeri colpetti sulla testa di Ever come se fosse una bambina.
L’angioletto era rimasto immobile, colpito ripetutamente alla nuca, quando improvvisamente riniziò a parlare.
«Ehi tu! Giù le mani dalla mia testa, non sono una bambina!» sorrise, per poi scoppiare a ridere di gusto. «Tu, invece, cosa cerchi?»
«Mmm.. Un cappotto. Il mio l’ho rotto.. Chissà come!»
Le scoccò un’occhiata furente.
«Ah si? Casualmente s’è rotto? Facciamo i conti dopo, demone.» sbuffò, guardandola male.
«Dai Angioletto, questi sguardi non si addicono a una come e te e poi lo sai che mi annoio a levarmi i vestiti!», rispose Susan, raddrizzando la schiena, per poi stringere le spalle mostrando indifferenza, cercando di rimanere impossibile, anche se si notava perfettamente che le veniva da ridere.
Curiosarono tra le file di vestiti, mentre Tay s’era incantata a fissare a bocca aperta un vestito nero dal manichino. Si diresse nel punto in cui si era fermata, seguendo i suoi occhi. Cercò qualcosa fino a che non la trovò. La vidi prendere un cappotto rosso e il vestitino nero, dirigendosi alla cassa. Nessuna delle due ebbe il tempo di replicare per fermarla.
«Questi sono miei regali. Adesso andiamo. Vi porto in un bel posto.»
Pagò, per poi portarsi al centro e prendere sottobraccio entrambe le ragazze demoni, andando verso l’uscita del negozio.
Ma, appena fuori, un ragazzo andò a sbattere contro Taylor, che lo fissava imbambolata. Colpo di fulmine? Da quello che si vedeva era stato proprio così. Capirono immediatamente che era un angelo, grazie alla sua aura.
Suz strattonò la sua migliore amica, che ancora contemplava quel magnifico angioletto di cui il nome gli risuonava nella mente ma che non riusciva a ricordare.
«Tay, noi andiamo!» proruppe Ever, tirando per un braccio l’amica.
«Ci si vede tesoro!» rispose Suz, alzando la mano in segno di saluto, senza voltarsi a guardarla.
Taylor era talmente impegnata a parlare con la sua nuova fiamma, che non si accorse neanche che la stavano salutando, per raggiungere la prossima destinazione.
«Lasciamo i neo-piccioncini da sola, sarà meglio» disse sorridendo, abbassando la voce e riprendendo a camminare.
«Uhm.. Bella coppia devo dire, eh!» risposte sghignazzando, voltandosi a guardarli.
«Ma adesso non pensiamo a loro. Pensiamo a divertirci, io e te. Forza, ti porto in un bel posto, preparati.»
«Bel posto? Mi auguro che sia un posto da angioletti, mio adorato Angelo.»

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Capitolo 3
*** Elena and Susan together again ***


 

Elena and Susan together again

Quando ebbero lasciato da soli i due piccioncini, si diressero insieme in un bel posticino che Elena aveva scoperto la poco.
«Non ti immagini neanche quanto tu mi sia mancata, non riuscivo a rintracciarti e sarei potuta morire!» scoppiò a ridere per la sua stessa battuta, «Come se io potessi morire, poi!»
«Beh, io comunque eviterei l’argomento. Preferirei non mandarmela da sola la sfortuna.»
«Tralasciando l’argomento morte.. Sono contenta che adesso tu sia qui con me, di nuovo insieme come tremilacinquecento anni fa! Soprattutto senza invecchiare mai.»
«Anche tu Angioletto mi sei mancato. Ehi, sono passati solo quattromila anni ma sono ancora molto giovane e sarò bella e perfetta per sempre.»
Le fece l’occhiolino, quando improvvisamente Elena si fermò davanti ad un pub.
«Siamo arrivate. Posto da angioletti? Non credo proprio.» rise divertita, facendo schioccare la lingua sul palato.
«Non mi ricordavo che ce ne fosse uno da queste parti.»
«Benvenuta al “Devil’s Pub, amica mia.»
Quando finalmente si decise ad aprire la porta del locale, Susan sgranò gli occhi, restando a bocca aperta, stupita. Davanti a noi c’erano dei ballerini bellissimi che facevano streep tease. La musica dance anni Novanta a palla nel locale.
«Allora che te ne pare? Sono o non sono assolutamente magnifici?» le batté una mano sulla spalla, «Forza, divertiamoci!»
Quando Suz ritrovò la parola, esclamò: «Hai capito il mio Angelo che posti conosce e che sta frequentando! Stai perdendo la via della perdizione a furia di frequentarmi tesoro.»
Le sorrise soddisfatta, quasi orgogliosa di quel cambiamento in fattore di locali.
«Vedi? Questo è uno dei posti quasi migliori che ci siano qui! Via della perdizione addirittura! A quanto pare mi piace perderla, non credi? Sai, in quattromila anni ne passa di acqua sotto i ponti!» le fece l’occhiolino, iniziando a ridere divertita, scendendo alcuni gradini per dirigersi al bancone, scavalcando la folla.
«Adesso non ci resta che vedere cosa sanno fare, poi possiamo commentare le loro abilità. Uhm.. Il barista è messo bene, vediamo un po’ gli altri..»
«Direi che quel ragazzo che balla sul cubo.. Non è fantastico?» le domandò, sedendosi una affianco all’altra su due sgabelli del bancone del locale.
«Il biondo? Ev, mi stupisci, non ricordi che a me non piacciono i biondi? Però dai, potrei fare un eccezione per lui. Comunque tesoro, fare gli Angioletti è noioso, ovvio che ti piaccia perdere la retta via! Senza regole, senza ordini, decidi tu per te e non devi dar conto a niente e nessuno. Aaah, ringrazio di essere un demone!»
Sorrise a trentaquattro denti, ghignando e osservando la sua amica di sottecchi.
«Si, proprio quel biondo! Mi ricordo che non ti piacciono e neanche a me attirano molto, ma quello è davvero bello! Lui è l’eccezione che conferma la regola per così dire!»
Il barista si avvicinò ad entrambe, a chiedere cosa volessero da bere ed entrambe ordinarono due Martini.
«Ma intanto che aspettiamo da bere, dimmi un po’.. Come te la passi qui? Che hai fatto in questi anni in cui non ci siamo viste?»
Si notava che in quella breve domanda c’era l’avidità di dettagli a cui bramava Ever, la curiosità di sapere le avventure della sua migliore amica.
«In questi anni? Un po’ qua, un po’ la. Nulla di straordinario. Tu invece angioletto?»
Arrivarono i loro cocktail ed entrambe lo alzarono alla salute l’una dell’altra, sorridendosi a vicenda per poi far tintinnare soavemente i bicchieri.
«Dicevamo?» chiese Elena, sorseggiando il suo martini, appoggiandolo sul bancone, giocando con la ciliegina che c’era nel bicchiere. «Ah si, di dove sono stata. Pure io un po’ qui e un po’ la però sappi che anche se non ti vedevo, c’era chi ti teneva d’occhio per me e tu non te ne sei neanche mai accorta!»
La sua espressione divenne perplessa. Non badava a nascondersi o a nascondere le sue tracce ma che addirittura non si fosse accorta di niente era un po’ strano.
«Adesso vuoi sapere troppo, demonietto! Mica posso dire chi mi dava notizie su di te. Ma tornando al discorso di prima.. Essere un piccolo, dolce e tenero angioletto mi piace davvero! Anche se con te nei paraggi mi sa che diventerò..» fece cenno con le mani di un angelo che cade, «Fallen Angel.»
Susan scoppiò a ridere a vedere quel gesto.
«Te l’ho detto, frequentarmi fa male. Scatenerai l’ira dei piani superiori.», alzò gli occhi verso l’alto, finendo il martini e mangiandosi la ciliegia.
«Oh si, scatenerei l’ira di Dio, che poi mi punirebbe facendomi cadere. Meglio che io faccia la brava! Sappi che comunque se sono sulla Terra da tremilacinquecento anni all’incirca, un motivo pur ci sarà! Non credi?» alzò le spalle, ridendo.
«Noioso lassù tra i santi eh?» le domandò ridacchiando, ordinando un altro Martini.
«Eheheh, non mi annoio tra i santi ma c'è da dire che la vita in questo secolo è uno spasso.» fece l'occhiolino ridendo, guardandosi attorno per farle capire che si riferiva soprattutto al luogo. Si affrettò ad aggiungere uno strascicato e borbottato:«Scusami Dio.» Poco dopo rialzò il tono della voce.
«E comunque non mi piace che uccidi per nutrirti.»
«E chi ti dice che io uccida solo per nutrirmi?»
«Non è divertente Suz, anche loro hanno una vita. Ora che son tornata, ti rimetto io in riga!»
«Brrr, tremo di paura!» rise, fingendo di rabbrividire e mostrando sul suo dolce visino un espressione al quanto preoccupata. Dentro di lei però sapeva che quando Elena diceva una cosa, non la diceva per scherzare ma la metteva realmente in pratica.
«Ti conviene preoccuparti davvero dato che ho già un piano per farti rientrare nei canoni della normalità.»
Susan sbuffò sonoramente.
«Adesso si che la vedrò dura per me e il sangue umano», rispose piagnucolando.
«Già tesoro. Visto che il tuo angioletto preferito è tornato all'assalto.. La pacchia è finita!»
Un secondo sbuffo.
«Che palle, Ever, non puoi farmi questo!»
«Invece si che posso! Ah, ricordati che non farò mai parte degli Angeli Caduti. Sono troppo importante su in Paradiso io.»
«Pff, poco modesta. Anch'io sono importante: in Paradiso, all'Inferno.. Ovunque insomma!» fece una pausa, sventolandosi una mano davanti al viso per il troppo caldo poi riprese a parlare «Bhè, considerata la faccenda del cibo faremo uno scambio, mia cara. Mi dirai chi mi spiava o altrimenti te la farò pagare. Quel nome te lo faccio sputare con la forza.»
«Ho detto di no, Demonietto, non insistere. Quel nome non lo avrai mai.»
«Eddai Angioletto, fuori quel nome, ora! Avanti! Dai dai dai dai!» urlò battendo i piedi per terra, cantilenando le parole.
«Non mi ricordavo che facessi anche i capricci. Cavolo sono stata via davvero tanto tanto tempo! Se vuoi quel nome.. Forse mi hai convinta.» il sorriso sul volto di Susan s'illuminò, speranzosa «Direi che adesso possiamo ballare un po', in mezzo a tutti quei ragazzi! Siamo o non siamo qui per questo?»
C'erano una marea di ragazzi di ogni età, poche ragazze. La pista era piena di corpi che si strusciavano l'uno accanto all'altro, ballavano a tempo della musica spacca timpani. Ragazzi che si baciavano accanto ad un pilastro, altri che bevevano, altri ancora che fumavano. Sembrava che Suz si fosse dimenticata del fattore “far sputare il nome”, quando improvvisamente lo bloccò per un braccio, facendola voltare. I suoi capelli scuri si mossero come se un colpo di vento gli avesse scombussolati.
«Eh no, prima il nome.» ghignò, lasciandole il braccio.
La fissò con degli occhi iridescenti, uno sguardo di fuoco che sembrava volerla incenerire. Un'espressione di quelle che avrebbe perforato l'anima di chiunque. Restò immobile per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
«Ti posso dire che è un gran bel ragazzo demone.. Ma più di questo non posso dirti altro!»
Susan si bloccò di colpo. Sul suo volto si dipinse un'espressione di puro stupore misto a perplessità.
«Potresti ripetere? Non credo di aver sentito bene.»
«Invece hai proprio capito alla perfezione. Un ragazzo demone.» le risposte scandendo l'ultima parola, come se volesse imprimergliela nel cervello.
«Un demone? Ed io non avrei avvertito un mio simile? Aspetta aspetta aspetta. Tu ti terresti in contatto con i demoni solo per tenermi d'occhio?»
Era davvero shoccata, oltre ad essere notevolmente incuriosita dal suo strano comportamento. Di solito demoni ed angeli non andavano un granchè d'accordo, infatti i casi come quello di Elena e Susan erano molto rari proprio a causa di come si nutrivano, dalle loro regole e dal loro stile di vita.
«Ragazzo poi..» balbettò confusa. Inizialmente aveva pensato alla sua amica Taylor, visto che l'aveva incontrata numerose volte durante i suoi spostamenti ma il fatto di aver scoperto che era un ragazzo, spiazzava ogni ipotesi possibile.
«Adesso non pensare troppo al motivo per cui non l'hai sentito, non ci arriveresti mai. Lui sa nascondersi molto bene. Ora però divertiamoci!»
..E così dicendo la tirò con forza verso il centro della pista.
«Si si, cambia anche discorso, ingrata!» le rispose cercando di farsi sentire al di sopra del volume della musica, iniziando a ballare sotto le luci a intermittenza prodotte dai fari appesi al soffitto.
«Dai su, non fare quella faccia stupefatta, tesoro. Sai che sarei capace di tutto per di avere tue notizie quando non posso esserci io nei paraggi.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire, mia amata angioletta.» scherzò, schioccandole un rapido bacio sulla guancia.
«Seriamente Susina, adesso basta scervellarti. Goditi la serata e il locale! Ti piace?»
«Ehi tu, non mi chiamare Susina che lo odio! Mi domandi anche se mi piace? Sei un bravo angelo, questo posto è favoloso.»
Dopo pochi minuti furono avvicinate da due ragazzi, un moro e un biondo. Entrambi davvero affascinanti, vestiti con un completo ultimo modello. Dovevano essere i figli di qualche potente e ricco russo del posto. Chiunque fossero, non potevano lasciarli scappare o meglio, Susan non poteva. Fece schioccare la lingua contro il palato, in modo sensuale, sia per richiamare l'attenzione del ragazzo sia per farsi notare e capire dall'amica.
«Ciao!» esclamò avvicinandosi al moro, che poco dopo si presentò prendendole gentilmente la mano e baciandole il dorso come si faceva un tempo. Quella si che era classe. Il ragazzo si presentò con il nome di Tyler. Il biondo invece era andato direttamente da Elena, presentandosi allo stesso modo, senza però dirle il nome. Iniziarono a ballare tutti insieme, tra uno scambio di battute e l'altro. Quando il gruppetto stava cominciando a smembrarsi, Susan si riavvicinò a lei, parlandole vicino all'orecchio.
«Saprò quel nome. Dovessi rivoltare tutti i santi si lassù e quelli sotto terra, ma stai cerca che lo saprò.»
«Impossibile. Se non te lo dico io, non lo potrai mai sapere neanche se rivoltassi Paradiso e Inferno.»
Si voltò per tornare dal suo accompagnatore, allungando una mano verso di lui che la chiuse sulla sua, facendole fare una giravolta. Infine le appoggio una mano forte sulla schiena, sfiorandole il collo con le labbra. Elena osservò tutta la scena ed esclamò, divertita: «Ah, solo una cosa. Non mangiartelo. Ti tengo d'occhio!»
Sebbene Susan fosse lontana, sapeva perfettamente che aveva sentito la sua frase. La musica non guastava il suo perfetto e sensibile udito da demone. Per tutta risposta replicò con un «Guastafeste!», facendole una linguaccia. Risero entrambe, fissandosi. Se solo avessero immaginato cosa sarebbe successo di li a pochi minuti, non avrebbero riso in quel modo. Per nulla.

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Capitolo 4
*** Fallen Angel ***



Fallen Angel

Pochi minuti dopo l'aria si era scaldata notevolmente. S’iniziavano a sentire i capelli sudati schiacciati sulla nuca. I due ragazzi erano davvero molto sexy. C'era una musica latino americana in sottofondo, ballata corpo a corpo, strusciandosi addosso a quello dell'altro. Tyler aveva proposto a Susan di salire al piano superiore, dove avrebbero potuto bere qualcosa con tranquillità. Non se lo fece ripetere due volte. Ovviamente. Era nel suo stile. Tyler parlò con il buttafuori che si trovava alla fine della scalinata, andando ad indicargli un tavolo, che sicuramente aveva prenotato prima. Era una stanza enorme con dei tavoli e dei divanetti appartati, probabilmente un luogo in cui si facevano effusioni, in cui si faceva sesso senza essere disturbati da altri. Si sedettero e iniziarono a parlare del più e del meno. Nel frattempo Elena era rimasta al piano di sotto a ballare con il ragazzo biondo. Improvvisamente lui avvicinò le labbra alle sue, sfiorandole e schiudendole, come per baciarla.
Si scostò subito guardandolo male.
«Che pensi di fare? Stammi lontano. Non sono come tutte le altre che ti scopi qui dentro! Vergognati. Me ne vado.» sbuffò esasperata. Lui, però, la bloccò per un braccio.
«Dai scusa, non so cosa mi è preso.»
«Non mi bastano le tue scuse.»
Elena sentiva la presenza di Susan al piano di sopra e sapeva che sicuramente aveva riconosciuto la sua voce nella massa. Fu così. Stava bevendo con tranquillità ridendo con Tyler quando sentì le parole di Elena. Si concentrò di più sulla sua tonalità, eliminando tutto il resto dei rumori esterni, riuscendo così a sentire in maniera forte e chiara la voce dell'amica. Strinse la mano in un pugno e con una scusa sbrigativa liquidò il ragazzo moro, scendendo rapidamente le scale per andare a controllare. Vide Elena e il biondo in un angolo del locale. Lui la tratteneva ancora per un braccio. Mise una mano sul braccio di lui, furente. Solo allora mollò la presa. Lo spinse contro al muro con una mano sola, prendendolo per il collo e alzandolo da terra per qualche centimetro. La situazione stava degenerando.
Maledizione!
«Non ti permettere mai più di posare le tue luride mani su di lei. Mi sono spiegata?»
Sentiva i suoi denti cominciare ad allungarsi. Quel tizio avrebbe fatto una brutta fine e non se ne sarebbe neanche accorto nessuno, neppure il suo amico. Sarebbe morto da solo come un cane, come quello che era: un fottuto bastardo.
Non poteva ucciderlo li. Elena le posò una mano sul braccio, parlandole telepaticamente.
“Lascia perdere. Non sporcarti le mani per una feccia del tenere. Andiamocene, Susan.”
Non l'ascoltava, la sua natura di demone aveva preso il sopravvento su di lei. Continuava a tenere il ragazzo appeso al muro senza ascoltare le parole dell'amica.
Le labbra lasciavano le sue zanne scoperte ed oramai gli occhi erano iniettati di rosso. Aveva fame, una fame incredibile.
“Quando mai mi sono fatta scrupoli!”, le urlò con tono infuriato nella sua mente. Elena le posò un'altra volta la mano, parlando questa volte a voce alta.
«Non mi toccherà più. Lascialo stare e andiamocene. Non ne vale davvero la pena.»
Si voltò per guardarla fissa nei suoi occhi rossi. La staccò dal ragazzo, quasi con forza, rivolgendomi poi a lui che ancora si toccava il collo e cercava di calmare il suo respiro. Era spaventato. Terrorizzato.
«E tu non farti mai più vedere. Potrei denunciarti per una cosa simile. Ricordati che so che questo è un locale clandestino, chiudereste in men che non si dica. Non mi istigare, Andrew.»
Il ragazzo la guardò stupita. Non le aveva detto di essere il proprietario del locale insieme a Tyler e non le aveva neanche mai accennato a come si chiamasse, ma per sua natura e grazie al dono della telepatia, lo sapeva.
«Susan. Andiamo via. Ora.» scandì quelle quattro parole in modo che la ascoltasse. Dovette trascinarla letteralmente fuori dal locale. Se non lo avesse fatto sarebbe tornata indietro e l’avrebbe mangiato in meno di cinque secondi.
Quando arrivarono all'esterno, nell'aria gelida della notte, Suz diede in escandescenza, sbraitando contro ad Elena.
«Perchè l'hai fatto? Perchè mi hai portata via? Ora ho fame!»
«Non potevi ucciderlo e nemmeno nutrirti. Era pieno di gente li dentro. Ti sei per caso ammattita? Sai bene che dobbiamo restare nascosti!»
Si guardò intorno e poi indicò un vicolo alle sue spalle.
«Se vuoi quello è il tuo pasto ma ti terrò sotto controllo e non lo ammazzerai. Prenderai solo quello che ti serve per placare la fame. Io userò i miei poteri per fargli sentire meno dolore.» le sorrise, iniziando lentamente a incamminarsi verso il vicolo, seguita da Susan.
«Aaah, grazie Angioletto, ti adoro!» urlò, saltandole al collo e abbracciandola forte.
«Non sono così cattiva poi.»
Rapidamente si divisero: Elena si posizionò all'angolo della stradina mentre Susan raggiunse l'uomo nello stretto e buio vicolo. Lo avvicinò senza farsi sentire e aspettò che Elena fosse abbastanza vicina da poter utilizzare le sue capacità ma non così vicina da vedere la scena. Al suo cenno si avventò sull'uomo, mordendogli la gola. Fece due grandi sorsi, socchiudendo gli occhi. Il sangue era la cosa migliore per placare la rabbia. Elena sospirò. Non le piaceva vedere la sua migliore amica squartare persone, ma sapeva che la fame era la fame e che lei ne aveva bisogno in quel momento. Quando notò che l'uomo si stava indebolendo lo lasciò andare, appoggiandolo a terra.
Susan s'avvicinò pulendosi la bocca sporca di sangue con la manica del vestito.
«Ora si che va molto meglio, e poi hai visto? Non ho ucciso nessuno, sono stata proprio brava.», le fece notare soddisfatta, cercando di farle cambiare idea sulla dieta. Elena le allungò subito un fazzoletto.
«Pulisciti, honey.»
Si voltò ad osservare l'uomo a terra, prima di riprendere a parlare.
«Non morirà, per fortuna. Ma la dieta la farai lo stesso.»
Susan sbarrò gli occhi.
«Cosa? Dai Angioletto, non parlerai seriamente! Che cosa dovrei mangiare? Scoiattoli come Stefan in “The Vampire Diaries”?» le chiese con occhi supplichevoli, cercando di impietosirla.
«Togliti quell’espressione dalla faccia, non mi fai effetto. Sai che quando dico una cosa è quella. Non riuscirai a farmi cambiare idea. Bhè, ti regalo delle sacche di sangue stile Stefan Salvatore, allora. Ma aspetta.. Anche tu guardi quel telefilm? E' bellissimo.»
«No El, tu mi stai diventando cattiva. Questo non va bene per un angioletto eh. Mando un reclamo lassù sai? Comunque si, una mia compagna di stanza in Francia lo vedeva, così mi sono incuriosita anch'io. E' fatto bene, direi che finalmente mostrano i veri vampiri, però quei licantropi sono sprecati.» commentò sbuffando.
«Non sono cattiva sono solo..» ma si bloccò a metà frase, facendo cadere l'argomento, «Quel telefilm lo guardavo di tanto in tanto, sai quando non si ha niente da fare. Tyler comunque non è sprecato, è un bel ragazzo ammettilo!»
«Non dicevo sprecati in quel senso. Si, ma dai nel ruolo di licantropo, una puzzola! Tyler me lo farei pu... Lascia perdere va.»
Si bloccò, sghignazzando. In certi momenti era troppo schietta a dire quello che pensava. Suz si strinse le braccia al petto. Faceva fresco e si era ricordata solo in quel momento di aver dimenticato tutte le sue cose al piano superiore del locale.
Elena lo notò.
«Hai lasciato il tuo cappotto al locale vero? Insieme alla borsetta e a tutti i tuoi documenti. Vado a riprendertele. Aspettami qui e non fare danni in mia assenza.»
Suz voltò la testa rapidamente disapprovando la cosa e strattonandola per un braccio.
«No tesoro, non ci torni dentro con quel cretino a piede libero.»
«Dammi tre secondi e torno subito da te. Va tutto bene.» le sorrise dirigendosi a passo svelto verso il locale.
Non fece neanche in tempo a protestare che vide l’amica sparire di nuovo all'interno del locale, in mezzo a tutta quella massa di gente che oltre a ballare sotto le luci lampeggianti, faceva anche altro. Non si fece vedere da nessuno, salì rapidamente le scale parlando con il dj, obbligandolo a farla entrare nel privè dato che aveva dimenticato li la sua borsetta. Il ragazzo annuì, lasciandola passare. Prese in fretta ciò che stava cercando, per uscire il più velocemente possibile da lì.
Susan, da fuori, ascoltava tutti i singoli rumori che riusciva a percepire. Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che l’amica aveva i suoi accessori.
Il respiro, però, le si mozzò quando riconobbe il ragazzo che prima ci aveva provato con lei. Quel cretino biondo le stava bloccando la strada. Suz iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro, restando concentrata sui pensieri dell'amica.
Quella volta non lo avrebbe lasciato vivo, lo sapeva benissimo, ma sentiva anche che Elena non glielo avrebbe mai perdonato. Perché nonostante quello che gli potevano fare, lei non avrebbe mai voluto la sua morte.
Susan non aveva limiti, non si sapeva dare limiti e quando era in quello stato era ancora peggio riuscire a tenerla a bada. Respirò profondamente, tornando con la mente nel locale, localizzando solamente la voce del suo angelo.
«Levati. O ti faccio fuori Andrew.» le diede una spallata, ma lui come risposta la tirò per un braccio, appoggiando il suo corpo contro a quello della ragazza.
Doveva restare calma, non poteva perdere il controllo in quel luogo, davanti a tutti. Non poteva aprire le sue ali.
«Lasciami.» gli entrò nella mente, manovrandogli i pensieri. Il ragazzo si girò confuso e se ne andò. Si allontanò a rapidi passi, uscendo dal locale come una furia. Notò Suz all'angolo del locale ancora scossa.
«Smettila di fare l'agitata come vedi sono qui, sana e salva!»
Senza preavviso Susan la aggredì, rimproverandola a parole senza neanche badare ai suoi oggetti.
«Sei pazza? Vuoi che quel deficiente faccia davvero una brutta fine? Te l'avevo detto di non andarci da sola!»
«Eh va bene, che palle, ho sbagliato questa volta, non sarei dovuta entrare da sola! Ma se fossi venuta anche tu, l'avrei sbranato, e sai che io non voglio vedere quelle cose. Cerco anche di proteggere te, diamine. Se non tenessi a te, non avrei cercato di tenerti d'occhio anche quando non c'ero! Vuoi sbranarlo davanti a tutti? Vai, accomodati pure, non ti fermo questa volta. Cazzo Suz, capiscimi. Sono in una..» si bloccò improvvisamente, come se ci fosse che non voleva dirle, non ancora almeno. «Lasciamo stare, non tocchiamo più l'argomento. Adesso ce ne andiamo e ci calmiamo?»
«Se non rispettassi quello che fai sarei entrata senza pensarci due volte ma sapevo benissimo che se l'avessi visto, l’avrei uccido. Per questo me ne sono rimasta qui, a passeggiare come un'anima in pena! E sei in una.. Cosa? El continua la frase o da qui non ci muoviamo!»
Susan ignorò la giacca e la borsa che Elena le stava passando, fermandosi sul suo viso, quasi da volerla trapassare con lo sguardo da parte a parte.
Il tono che aveva usato non le era piaciuto, come non le piaceva quell'alone di mistero che trepidava intorno alla sua migliore amica.
Elena alzò gli occhi al cielo come se cercasse qualcuno poi iniziò a parlare.
«C'è una cosa che è successa in questi anni che tu ovviamente non sai, ma non so come dirtela così su due piedi. So che rispetti quello che faccio ma la situazione, per me, è difficile! E Dio solo sa che cosa gli succede in questo momento!»
«Che cosa è successo, El?»
«Suz, davvero non so come dirtelo.»
Il demone si stava arrabbiando davvero e non era una bella cosa, non era un bello spettacolo. Era meglio sputare subito il rospo. Di cosa non si accorta?
Odiava i misteri. Lei era schietta e non si perdeva in giri di parole. Era inutile girarci intorno, perdendo tempo e fiato, tanto prima o poi il colpo arrivava.
Forte e potente come non mai.
«Non sai come dirmi cosa? El, vuoi che sgozzi qualcuno prima che tu ti decida a parlare?» la minacciò, sfoggiando un sorriso sadico, facendo uscire il Demone che c'era in lei.
Appoggiò la mano sulla maniglia del locale, facendole capire che sarebbe andata a sbranarsi Andrew. Elena s'era bloccata a guardarla.
Sapeva che non stava scherzando e che doveva parlare, subito. Sarebbe stato meglio farlo adesso, prima che fosse stato troppo tardi. Prese un respiro profondo e la fissò.
«Ok, torna normale. Ti dirò tutto.»
Susan annuì, mollando la presa dalla maniglia, riprendendo poco a poco le sembianze umane. Ora, a sangue freddo, anche se ancora con i nervi tesi, Suz risentì sul suo corpo il vento freddo. Indossò il suo cappotto velocemente, sotto lo sguardo attento della sua migliore amica.
I suoi occhioni scuri erano diventati uno specchio lucido. Riflettevano i suoi stati d'animo. Dolore, ansia, preoccupazione. Svoltò in una stradina laterale, sedendosi su un muretto. Susan la raggiunse, sistemandosi di fianco a lei.
Il suo tono e il suo sguardo non promettevano nulla di buono. Dopo un tempo che parve infinito, iniziò a parlare.
«Sono in una brutta situazione Susan. Una pessima situazione.», l'aveva chiamata per nome intero, una cosa che non faceva mai e che utilizzava solo quando la questione era davvero seria. «Quando dicevo di essere importante per Dio, lo sono, è vero. Solamente che ora Dio è in collera con me perchè..» si fermò come per riprendere fiato, ripetendo per la seconda volta in una giornata in gesto di un angelo caduto.
Era in arrivo diretto una bomba, che di li a poco si sarebbe schiantata al suolo.
«Sono Caduta. Ero importante in cielo. Una delle più importanti ma ora appartengo anch'io alla categoria “Angeli Caduti”.»
Sottolineò le ultime due parole, sospirando, sperando che Suz si sarebbe dimenticata di chiederle il motivo per cui Dio era in collera ma era una cosa del tutto impossibile: Susan ricorda sempre tutto. Il Demone restò immobile, senza parole. Incredula per quello che aveva appena sentito; stentava ancora a crederci.
«Cosa? Ma quando? Come? Perchè? El, come hai potuto subire la Caduta? Eri uno degli angeli più potenti. E' assurdo! Voglio dire.. Come hai fatto? Cos'hai potuto fare di così tanto grave?»
Elena era come sospesa nei ricordi, con lo sguardo rivolto nuovamente al cielo. Si riscosse tornando alla realtà, rispondendo solamente all'ultima domanda dell'amica.
«Mi sono innamorata di un demone. La cosa ha fatto incazzare Dio. E' successo circa quattro anni fa, ma non era nulla di definito. Per questo motivo non potevo venire a cercarti e non potevo neppure contattarti. Hai ragione, ero uno degli angeli più potenti ma al Grande Capo, non è andata a genio la mia relazione. Oggi è arrabbiato con me e da una parte ha ragione, ci credo. Il suo miglior angelo con un demone. Così ha deciso di mandarmi sulla Terra non come suo testimone, ma come Angelo Caduto.
In questo modo avrei potuto fare quello che volevo.» quasi rise, ma risuonò come una risata forzata.
«Ho rinunciato alla mia vita da potente Angelo del Paradiso per stare con un Demone.»

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Capitolo 5
*** True ***



True

Susan stava battendo un piede per terra cercando di scaricare la tensione e valutando una ragione valida che aveva portato Dio a quella scelta. Quando sentì le sue ultime parole, si bloccò di colpo, quasi smettendo pure di respirare. Elena sentiva il suo nervosismo, era palpabile nell'aria, nelle ossa, dentro di lei.
Quando riuscì a srotolare la lingua, parlò. Era visibilmente sotto shock.
«COSA?!» alzò lo sguardo, senza sapere che cosa dire.
Le sembrava di aver ogni singola fibra del corpo paralizzata, intorpidita dal freddo e intenta ancora ad elaborare quella verità. Ebbe quasi l'impressione di non avere nulla sotto i piedi che la reggesse, come se il pavimento fosse sprofondato liberando una voragine e fu sul punto di liberare le ali, per restare “a galla”.
Il formicolio alla schiena si fece più intenso ma riuscì a riprendersi e a ritornare sulla Terra in tutti i sensi.
«Ti sei innamorata di un demone?» glielo domandò quasi ad accertarsi che fosse vero. Fece un respiro profondo, pronta a formulare la domanda successiva. «Da quanto tempo sei.. Caduta?»
Conoscendo Dio le avrà chiesto di rinunciare al suo amore, ma conoscendo lei le sembrava scontato che ora facesse parte degli angeli rinnegati.
Annuì.
«Hai capito bene. Sono innamorata di un demone.» fece una pausa che sembrò infinita, una di quelle più lunghe della sua vita.
«Ti sembra strano vero? La dolce, innocente, tenera Elena, prediletta di Dio che si lascia coinvolgere in una storia con un Demone assetato di sangue.»
Rise forzatamente, per poi rispondere alla seconda domanda: «Sono Caduta da circa due mesi. Abbiamo passato quattro anni a nasconderci. Ho fatto quattro anni a far capire a Dio che potevamo fidarci dei Demoni, che non tutti sono uguali, che ci sono anche quelli buoni. Mi ha obbligata ad interrompere la mia relazione ma io ero, e sono, troppo innamorata per lasciarlo andare. Anche per questo ti stavo lontana. Non volevo che venissi coinvolta in una faccenda che non ti riguardava.» sospirò, scuotendo la testa.
«Così dopo questi quattro anni, che per me sono una lasso di tempo lunghissimo.. Fiiiiuuu, caduta! Caduta come in un precipizio e destinata a vivere sulla Terra!»
«L'ho detto io che a furia di frequentarmi avresti preso brutte strade!» iniziò a ridere come un'idiota, tenendosi la pancia. Elena la guardò perplessa ma poi capì.
Susan stava cercando di smorzare l'aria che si era fatta troppo pesante e troppo carica per i gusti di un demone.
«Non ci posso ancora credere. La dolce, buona e ubbidiente El che trasgredisce alla più importante regola di Dio e viene punita per questo. O meglio.. E' lei stessa a decidere di andare incontro alla punizione che tutti gli angeli temono più di ogni altra cosa: quella di essere cacciati dal Paradiso, dalla loro casa.»
Le sembrava ancora tutto irreale, come se fosse uno scherzo, un assurdo scherzo. Susan quando l'aveva abbracciata poche ore prima, non aveva sentito nulla di diverso in lei. Chi poteva darle torto? Probabilmente anche Susan per amore avrebbe fatto la stessa scelta. Da due mesi a questa parte Elena era un Angelo Caduto.
«Ho trasgredito alla più grande legge di Dio: innamorarmi di un Demone. Dio non poteva tollerare una cosa simile tra uno dei suoi migliori angeli e un Demone dell'Inferno più profondo. Non che sia Satana in persona eh, ma è comunque un Demone.»
«Certo che però stare quattro anni con questo Demone di nascosto, sei stata veramente in gambe a non farti mai scoprire, eh?» le diede una gomitata al braccio, ridacchiando.
Alzò lo sguardo al cielo, cosa che se poteva evitava di fare, esclamando: «Puoi punire tutti gli angeli che vuoi, ma l'amore verso gli altri, senza distinzioni.. Non è la prima cosa che insegni?» fece quella domanda al vuoto più totale, ma in realtà quello era un messaggio per Dio stesso.
Anche se era un Demone, sicuramente aveva sentito le sue parole e forse ci avrebbe riflettuto un po'. Riabbassò gli occhi verso l'amica, che la stava strattonando per un braccio, fissandola.
«Ssssh, non dire queste cose! Già mi ha punita e le tue parole lo farebbero infuriare di più! Lui non ci pensa all'amore. Lui pensa che tutto debba filare liscio: Angeli con Angeli, Demoni con Demoni. Per Lui è tutto come una grande scala sociale e gerarchica, dove non puoi uscire dalla tua classe, altrimenti verrai punito. Hai ragione tesoro, la prima cosa che insegna Dio è l'amore.. Ma amore tra i simili, non l'amore tra esseri differenti.»
«Se quello che ho detto lo offenderà, che se la prenda pure e punisca anche me! Allora come la mettiamo per la nostra amicizia? Anche quella è un male per il tuo Dio.» sottolineò il fatto che non credeva né in Lui, né nelle sue regole.
I Demoni erano sempre pronti a fare danno, casini e a sporcarsi di sangue intraprendendo guerre o uccidendo. Non avevano limiti a niente. Erano liberi di avere relazioni e rapporti con chi volevano. Strinse un pugno.
«Tra me e te non c'è differenza. Siamo nate nello stesso modo.»
«Per Dio l'amicizia è una cosa differente dall'amore. Dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Come nella parabola del “Buon Samaritano”. Io ti voglio un bene con tutta me stessa e ti aiuterò sempre. Dio sa la buona amicizia che c'è tra noi due. Ma l'amore spiritico e fisico con un Demone non lo concepisce, e non lo farà mai. Per la seconda volta ti dico che hai ragione. Siamo state concepite e siamo nate in egual modo.»
«Esattamente.» rispose Susan, fulminandola con lo sguardo. «Sai, credo che tu mi debba raccontare molte cose. Non scamperai al mio interrogatorio a costo di tenerti sveglia per tutta la notte. In fin dei conti devi raccontarmi di quanti anni? Quattro? Beh, quattro anni sono abbastanza tempo. Ma noi ne abbiamo ancora fin troppo a disposizione.»
Susan si alzò dal muretto, ridacchiando ancora una volta, per poi allungare una mano ad Elena che gliela strinse, sorridendo divertita.
«Quella tua faccia e quelle tue parole mi stanno facendo capire che adesso andremo a casa tua, dove mi bombarderai di domande per sapere il più possibile, soprattutto per sapere chi è. Okay, sono pronta per l'interrogatorio. Andiamo forza, prima che cambi idea.»
Susan aveva già percorso buona parte del vicolo ma El non la stava seguendo. Si era fermata davanti al muretto con gli occhi al cielo. Pensava alla sua casa. Suz la riscosse dai pensieri, chiamandola a gran voce, ormai quasi fuori nella luce del lampione della strada principale.
«Avanti o rimarrai indietro. O magari sai per caso anche dove ho la casa?» domandò ridendo, portandosi una mano davanti alla bocca, soffocando la risata.
«Magari lo so per davvero. Cosa ne sai?»
L'espressione di Susan mutò, tornando impenetrabile e fin troppo seria. «Sto scherzando sciocca, non lo so.»
«Ed io cosa ne so se magari il mio stalker non te l'ha riferito?»
«Sta’ tranquilla, non mi ha detto dove abiti.»
Camminarono in silenzio, in maniera rapido. Passarono lungo vicoli stretti e larghi viali, fino ad arrivare in un ampio campo abbastanza isolato e fuori dal mondo.
Al suo esatto centro sorgeva una bellissima villa a due piani, in stile ottocentesco.
«Eccolo li. Il mio angolo di pace.», indicò la casa, tirando fuori le chiavi dalla borsetta.
«Devo ammettere che ti sei sistemata proprio bene. Hai una villa che è uno schianto. Perfetto e innato stile dell'Ottocento, proprio come piace a te. D'altronde quell'epoca l'hai sempre adorata.»
Arrivarono alle scalette d'entrata fin sotto al portico. Susan aprì la porta di casa mentre Elena osservava ogni minimo dettaglio di quella reggia.
«Fai come se fosse casa tua. Casa mia, è casa tua, lo sai.»
Di fronte all'ingresso si trovava un'ampia scalinata, con dei corrimani color d’oro. Probabilmente quella doveva essere stata una villa in cui si facevano numerose feste in grande stile. Lo si capiva anche dal modo in cui era strutturata. Sulla sinistra si trovava un ampio salone con un arcata magnifica, decorata da numerosi fenici incise nel muro. Sulla destra invece si trovava una cucina, utilizzata davvero poco dato che Susan beveva solo sangue e se mangiava qualche cibo umano lo faceva solo per abitudine.
Si avviarono verso il piano superiore, dove si trovavano le camere e i bagni..
E che camere.
«Questa è la mia stanza.» esclamò estasiata.
Un magnifico letto a baldacchino con copriletti rossi sfoggiava al centro della camera. Anche le tende avevano lo stesso colore. C'era anche una scrivania con sopra vari oggetti. Penne, fogli vari, trucchi. Susan non era mai stata una persona ordinata. Amava il disordine. Appeso al muro Elena riconobbe un quadro impressionistico di Monet ma, ancora una volta, la voce squillante di Suz interruppe la masse a punto della camera da parte dell'amica.
«Io mi faccio una rapida doccia.»
Elena annuì. Girò per un tempo che parve infinito tutta la casa, lasciandole il tempo anche di vestirsi. Le docce di Susan sembravano –erano- infinite, era quasi mezz'ora ch’era sotto l'acqua. Uscita dal bagno prese dal suo armadio un babydoll rosso pulito e lo indossò, cercando anche dei vestiti per Elena.
Susan cercò El, trovandola seduta a circa metà della scala. Non avevano bisogno di parlare, entrambe sentivano la presenza l'una dell'altra.
«Devo dire che se mi vai in giro così, altro che scalpore mi provochi tra gli uomini.»
«Tu dici?» rise divertita «Tieni, questi sono per te. Cambiati anche tu, io ti aspetto in soggiorno.»
Detto questo, la lasciò sola, scendendo le scale. Elena andò a cambiarsi e a lavarsi; lei era molto più rapida di Susan. Indosso il babydoll azzurro che le aveva dato l'amica, fissandosi allo specchio prima di decidere di scendere. Cercò nell'armadio una vestaglia da abbinare, trovandola. Ovvio.
Quando fu pronta scese velocemente al piano di sotto, raggiungendo Susan nel soggiorno. Stava guardando un programma in televisione quando la sentì arrivare. Spostò lo sguardo dalla tv ad Elena.
«Allora come mi sta?» le chiese, parandosi davanti a lei. Era davvero troppo tempo che non stavano insieme. Le era mancata da morire la sua risata, i suoi modi di fare. Le era mancata lei in tutto e per tutto.
«So sexy.»
Elena si lasciò cadere nella poltrona di fronte a lei, incrociando le gambe, fissandola nei suoi profondi occhi azzurri. Susan fece lo stesso, stringendo allo stomaco un cuscino.
«Allora? Preparati a sputare il rospo, mia cara.» l'avvertì, guardandola sorridendo in modo quasi maligno.
«Interrogatorio di terzo grado in atto?»
«Si si, pure interrogatorio di quarto, di quinto e di sesto grado. E' questo quello che ti attende amore mio bello.»
«Avanti, sono pronta! Domanda tutto quello che vuoi ed io ti risponderò.», si fece una croce sul cuore con le dita. «Inizia!»
«Okay, adesso posso iniziare.» sorrise, battendo le mani come una bambina.
«Chi è? Lo conosco? Come l'hai conosciuto? Parlami di lui.»
El era felice che finalmente potesse dire la verità, senza nascondere più nulla. Finalmente si sarebbe liberata di quel peso sul cuore.
L'interrogatorio era iniziato. C'era davvero tanto da raccontare. Avevano tutta la notte a disposizione. Elena chiuse gli occhi, riportando la mente a quattro anni precedenti per poi iniziare a raccontare alla sua migliore amica tutta la storia, senza tralasciare nulla.

 

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Capitolo 6
*** History ***


 

History

«Si chiama Paul.» iniziò a raccontare Elena, assorta nei suoi ricordi passati.
«Ha quasi duemila anni. Come ben sai è un demone e, prima che tu possa chiederlo.. No, non lo conosci. L'ho conosciuto quattro anni e mezzo fa in Europa, precisamente a Praga. Ero ancora in missione per.. Dio. Stavamo cercando di far calmare le acque durante una guerra segreta tra due clan nemici di vampiri. In questi opposti schieramenti c'erano anche demoni e licantropi. Io e Paul eravamo simpatizzanti per lo stesso clan di vampiri. L'ho conosciuto casualmente in una base nascosta tra le montagne dopo che avevamo subito un violento attacco in cui avevamo perso molti uomini e in cui avevamo dovuto battere in ritirata. Mi ricordo ancora alla perfezione quella giornata. Era il 4 novembre 2008 e fu in quel luogo che lo vidi per la prima volta. Non ero vicino a lui, tutt'altro. Eravamo distanti, ma nel momento in cui i nostri sguardi si erano incontrati, è scoccato in me, in noi, qualcosa. E’ come se.. Le nostre anime si fossero unite inesorabilmente. Puoi chiamarlo come ti pare. Infatuazione, colpo di fulmine, anche se definirlo solo come “fulmine” è riduttivo.»
Una breve risata proruppe dalla gola di Elena, giusto il tempo per far metabolizzare l’inizio del racconto alla sua migliore amica.
«E' stato un temporale di emozioni, sensazioni, sentimenti. Fu la cosa più bella che avessi mai provato. Cercai di ignorare per giorni quello che mi succedeva, cercavo di ignorare soprattutto lui che sapevo che mi cercasse. Alla fine, però, mi trovò. Parlammo a lungo, ma gli dissi che non potevo avere a che fare con lui, di ignorarmi e di fare come se non esistessi. Noi due facciamo parte di due categorie differenti. Chi aveva mai visto un Demone assieme ad un Angelo? Lui, ovviamente, testardo come pochi, non mi ascoltò. Faceva di tutto per incontrarmi, facendola sembrare una casualità. Anche quando lo vedevo di sfuggita non potevo fare altro che sorridergli. Le mani mi sudavano, la mente mi si annebbiava, il cuore mi ballava nel petto, facendo le giravolte. Ormai era un mese c’erano accampati in quel luogo. I viveri scarseggiavano, ma se fossimo usciti allo scoperto, il nostro tentativo di protezione sarebbe risultato vano. Eppure.. Giorni dopo.. Accadde il peggio.
Fummo attaccati nella nostra base.»
L’angelo fece un respiro profondo, prendendo fiato. Ne aveva bisogno, davvero bisogno. Il resto era qualcosa che la sua mente faceva di tutto per intrappolare dietro ogni pensiero. Ripensare a quel giorno ancora le faceva male. E non solo un male mentale, ma un male incommensurabile al cuore, per ciò che aveva dovuto provare.
«Paul restò gravemente ferito. Tutti pensavano che non ce l'avrebbe fatta a superare la notte. Non l'ho mai abbandonato, neanche un secondo. Sono stata al suo capezzale per giorni interi, curandolo con i miei poteri. Quando iniziai a capire che stesse meglio, che le ferite stavano guarendo in modo abbastanza rapido e che riusciva a respirare da solo.. Poco prima che lui si risvegliasse, mi dileguai. Mi allontanai dalla tenda in cui era alloggiato. Scappai, se vuoi usare quella parola. Non l'ho visto per dei giorni, e forse era meglio così. Oppure no. Paul venne comunque a conoscenza del nome di quella ragazza che l’aveva salvato. Lui non lasciava mai nulla al caso, né tanto meno, lasciava una cosa come quella senza almeno un “grazie.” Conobbe il mio nome da dai vampiri, che gli dissero ciò ch’ebbi fatto. Così si mise a cercarmi, trovandomi ovviamente. Era il sei dicembre, quando me lo ritrovai davanti. Non ebbi il tempo di fare nulla, di dire nulla. Né tanto meno di girare i tacchi e sparire. Mi fece capire che dovevo stare in silenzio ed ascoltarlo. Mi raccontò della prima volta che mi aveva visto, della prima volta che i nostri occhi si erano incrociati. Mi spiegò che aveva saputo che gli avevo salvato la vita –anche se io quello lo sapevo già-, aggiungendo che ormai non poteva più evitarmi, che era troppo tardi per tornare indietro. Non capii che cosa mi volesse dire con la sua ultima affermazione. L’avevo osservato perplessa, quando improvvisamente.. Improvvisamente le sue labbra calde toccarono le mie. Non riuscii a staccarmi più da lui. Più il bacio si faceva intenso e più sentivo crescere dentro di me la voglia di sentirlo solamente mio. Quel bacio è stata la cosa più dolce, unica e magnifica che io abbia mai ricevuto.»
Ennesima pausa. Susan la scrutava senza dire nulla, a labbra semichiuse, incapace di dire qualcosa. L’unica cosa che adesso voleva sapere, era il resto. La curiosità era sempre stata accesa nel demone dai capelli rossi.
Si rese conto, in quel momento, che Elena aveva alzato gli occhi al cielo. Occhi che ormai erano diventati lucidi, come carta vetrata.
«Però Dio aveva già saputo della mia “pecca”, del disonore che gli avevo inflitto. Non solo a lui, ma al Cielo completo. Mi richiamò in Paradiso, impedendomi di vederlo. Inizialmente.. Accettai. Non volevo essere motivo di disonore, o peggio. Eppure quello che provavo –e provo- per Paul era troppo forte per essere messo a tacere da una stupida legge di divisione divina. Così disubbidii. Continuai a frequentarlo a Sua insaputa. Quattro lunghi anni a vederlo di nascosto. Ci davamo appuntamento telepaticamente, dove capitava, soprattutto quando lavoravamo nelle vicinanze l'uno dell'altro. Non possiamo dire di esserci vissuti in questo lungo tempo.  In fondo ci vedevamo raramente e, quando c’incontravamo, non era mai per più di due o tre giorni. A volte anche solo per una manciata di minuti. Il nostro amore è forte, non ci siamo mai lasciati, anzi.. Siamo più forti e uniti che mai.
Però.. Quattro mesi fa Dio mi ha scoperta e mi ha detto chiaramente di chiudere questa relazione con Paul, di lasciarlo andare, che era contro natura e che se non lo avessi fatto mi avrebbe punita. Mi diede due mesi, per pensare e riflettere il da farsi, ma come ben sai, sono ostinata e se so che è la cosa giusta, mi metto contro tutti e tutto. Allo scoccare della scadenza, mi ritrovai questa volta di fronte a Dio stesso e agli Arcangeli, sapendo perfettamente cosa ciò significasse. Ero messa male. Molto male. Mi hanno ripetuto per la centesima volta la stessa frase. Lascialo, è un mostro e ancora parole, parole. Futili e buttate al vento. Avrei preferito morire, che lasciare Pj. Rifiutai, affermando davanti alla Corte Angelica di amarlo e di essere disposta a qualunque cosa per stare con lui. Così non se l'è fatto ripetere due volte. Mi ha punita. Bandita eternamente dal Paradiso e dall’Eden stesso. Così adesso sono un bellissimo Angelo Caduto a spasso per il pianeta Terra».
Chiuse e riaprì le palpebre, sospirando, mostrando gli occhi pieni di lacrime.
Lasciare la propria Casa, la propria Famiglia, non è facile. Non lo sarà mai. Ma lei aveva rinunciato a tutto ciò, sapendo che era la scelta corretta. Le avrebbe sempre fatto male, quel dolore probabilmente non si sarebbe mai attutito, ma era giusto così.
Dentro di lei lo sapeva alla perfezione.

«Questa è tutta la storia, tesoro.»
Stranamente Susan non aveva mai interrotto Elena durante il racconto. Aveva prestato attenzione ad ogni singola parola, assorbendo tutti i dettagli di quello che l’amica aveva dovuto subire.
«Che teneri, mamma mia.», riuscì a dire soltanto. Non sembrava neanche una storia vera, sembrava uno di quei film che creavano gli umani per intenerire le persone.
Le sorrise teneramente per poi alzarsi ed abbracciarla forte a lei.
«Tesoro, lo sai che io ci sono sempre per te, non m'importa le scelte che fai o con chi decidi di stare. Se è amore vero hai preso la decisione giusta, non c'è niente di sbagliato quando segui quello in cui sei convinta. Anche io se fossi stata al tuo posto, avrei affrontato la situazione come hai fatto tu.», fece una pausa, ridendo sommessamente. «Bhè, adesso però lo voglio conoscere e poi, è anche uno dei miei simili.. Mi piace già, sai?» ridacchiò, facendole l’occhiolino, pensando a qualcuno che avesse quel nome, inutilmente.
«Si, sono convinta che ti piacerà. Ha fatto innamorare un Angelo come me, come potrebbe non piacerti?»
«Allora sarà davvero così.» le diede un bacio sulla guancia, teneramente.
«Sai Suz, mi manca davvero tanto.» le confessò, facendo calare sul suo viso un alone di tristezza.
«Da quanto tempo è che non lo vedi? Sai almeno dov'è?» domandò subito, sentendo quell'affermazione.
«Sarà all'incirca un mese e mezzo. E' in giro chissà dove per delle faccende che non mi ha detto. Quando gli ho chiesto, mi ha risposto che erano delle cose top secret.»
«Anche lui con ‘sta storia dei “fatti segreti”.» sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Stava per aggiungere qualcosa, ma Elena la interruppe.
«Ora però tocca a te sputare il rospo! Mi hanno riferito che hai un'amante segreto!» disse facendo la finta tonta, guardandosi in giro, con un sorrisetto divertito sul viso. Meglio parlare d’altro e lasciar cadere il discorso su Pj, prima che la malinconia e la nostalgia potessero avventarsi su di lei.
«Ma si può sapere come lo sai che fino ad oggi non lo sapeva neppure sua sorella e tu invece si? Chris Evans, un demone, lo conosci? Sto con lui da quasi sei mesi», le sorrise imbarazzata. Oh oh, e così anche la nostra bella demonietta aveva una cotta per qualcuno.
«Mia cara, colui che mi diceva tutto questo, mi ha riferito anche che c'era questo ragazzo che ti girava attorno e che sembrava la riproduzione di Francisco Lachowski.» Elena si focalizzò sul nome, cercando nella mente qualcosa, un dettaglio che potesse farglielo ricordare. «Uhm, il nome l'ho già sentito da qualche parte, ma personalmente non lo conosco. Voglio incontrarlo.» le strinse le mani, felicissima.
Susan non aveva mai visto l’amica così entusiasta di un suo ragazzo. Elena li aveva sempre scartati, ad uno ad uno. Diciamo che era piuttosto selettiva, ecco.
«Oh, non so più chi girasse intorno a chi, se io a lui o lui a me», replicò, prima di continuare, «Ma si può sapere chi te l'ha detto El?»
«Ehi, adesso basta farmi domande, mi hai messo sotto torchio abbastanza! Comunque sia, lo scoprirai davvero molto presto.» le fece l'occhiolino, alzandosi dalla poltrona.
«Avanti Angelo, sai che non sopporto i misteri..» sbuffò, guardandola con gli occhi supplichevoli. «Non è che per caso hai chiesto a Paul di tenermi d'occhio? Ha duemila anni, da quello che mi hai detto.» le chiese, cercando di farle scappare qualche informazione, anche solo un minimo indizione ma Elena era furba. Molto furba e molto scaltra. In men che non si dica cambiò l'argomento del discorso.
«Cosa facciamo? Ci mangiamo una pizza? Tanto per fare qualcosa di diverso.»
«Non so, scegli tu. Tu sei l'ospite d’onore in questi giorni» rise, aspettando però che El rispondesse alla sua domanda, inutilmente. Se non voleva dire una cosa, non l’avrebbe sputata neanche con la forza.
«Vada per la pizza.. Però ti porto fuori però a mangiarla. Dunque vestiti velocemente che andiamo.»
Elena aveva deciso tutto velocemente, senza lasciare il tempo all’amica di fiatare, per un motivo ben preciso. Nella sua mente c’era stato un brusio, che solo lei aveva captato. Scappò in camera di Susan per cercare qualcosa nel suo guardaroba. Il demone fece spallucce e la seguì. Inutile cercare di farla parlare.
L’angelo optò per un vestitino azzurro acqua con una pochette nera e un paio di tacchi azzurri. L'azzurro era il colore preferito di un angelo. Si guardò le cicatrici sulle spalle, le cicatrici dove erano racchiuse le sue ali, ormai macchiate, andando a coprirle con un copri-spalle nero.
Susan scelse un vestito nero, delle scarpe con tacco e una borsetta intonati al vestito. Non si truccò ma si sistemò solo un po' i capelli e fu pronta.
Le domande del demone continuavano ad arrivare, ma Elena non la stava ascoltando. Immersa in un altro mondo.. O in altri pensieri.
«Vai benissimo così!»
Susan fece appena in tempo a mettere il cellulare e le chiavi di casa nella pochette, quando fu letteralmente trascinata via da Elena, che l’afferrò per un braccio e la trascinò per il corridoio fino alla porta di casa. Sapeva che anche se la tirava potevano lievitare da terra senza farsi male. Non diede neanche il tempo a Susan di chiudere a chiave. El schioccò le dita e la porta scattò, chiudendosi.
«Accidenti, prima non gli usavi con tanta facilità i tuoi poteri» le fece notare il demone, ricordandole quante volte l'aveva rimproverata per l'uso scorretto che ne faceva. Per tutta risposta alzò le spalle.
«Adesso chiamiamo un taxi e andiamo.»
Dopo pochi minuti il mezzo da loro chiamato, si fermò proprio di fronte all’abitazione. Salirono, ed Elena indicò al tassista la direzione.
«Darkness Restaurant.»
Susan sbarrò gli occhi. Non aveva mai sentito un ristorante con quel nome. Dov’era quel posto? E perché voleva andare proprio lì?
Le diede una gomitata, richiamando la sua attenzione. Elena si voltò, con un sorriso ampio stampato sul viso.
«Ma che posto è, Angioletto? Non conosco locali con quel nome.»
Elena continuava a sorridere, come se la spina del cervello le si fosse staccata momentaneamente.
«Tra poco vedrai. Adesso basta domande.» le fece l'occhiolino, spostando poi il suo sguardo all'esterno dell'abitacolo.
Le si era stampato un sorriso ebete sulla faccia. Ma alla sua espressione c'era una motivazione e chi poteva negarla? Il suo amore era di nuovo con lei. 
“Amore mio, sono finalmente a Mosca. Ho bisogno di abbracciarti. Troppo tempo lontano da te. Vediamoci tra mezz’ora al Darkness Restaurant.”
Ecco che cosa aveva fatto scattare Elena dalla poltrona, poco prima, per correre a vestirsi.
Lui. L’unico uomo che lei avesse mai amato. L’uomo per cui aveva rischiato tutto.
L’uomo per cui aveva lasciato tutto. Lui.

Paul era finalmente arrivato in città. 

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Capitolo 7
*** Paul is back ***



Paul is back

Aveva letteralmente trascinato Susan fino al taxi, dicendo al tassista il nome del luogo prescelto. La macchina si mise in moto, correndo rapida sull'asfalto e per le ampie strade di Mosca.
Si sentiva l'agitazione di Ever nell'aria.  Come biasimarla, d'altronde erano quasi due mesi che non lo vedeva Pj e sicuramente, pensarlo li con lei, nella sua stessa città, a pochi minuti da loro, la faceva andare in iperventilazione.
Ever chiuse gli occhi, in modo di concentrarsi e mettersi in contatto telepaticamente con il suo demone.
“Paul, amore, sono io, Ever. Tra cinque minuti sarò al Darkness. Ho una sorpresa per te.”
Chiuse il contatto e guardò Susan negli occhi, che la osservava quasi con un'espressione sconvolta. Come biasimarla? Un istante prima erano a casa, e un istante dopo a bordo di un taxi!  
«Oh, va tutto bene Demonietto mio, stai tranquilla!» 
Nonostante le parole, Suz non era per nulla tranquilla. Osservava attentamente la sua amica come se dovesse scoprire chissà quale segreto, ma Ever era brava a nascondere le sue emozioni e tutto quello che le passava per la mente. Per tutta la strada guardò fuori dal finestrino, fino quando il taxi iniziò a frenare e ad entrare nel parcheggio del ristorante.
L’angelo pagò l’autista e, rapidamente, scesero entrambe.
Il taxi ripartì, verso una nuova destinazione. L'angelo si guardò i in giro, in ansia.
Più che ansia sembrava agitazione, eccitazione.
Ever fremette. Si voltò rapidamente, puntando lo sguardo in un angolo oscuro del locale, nel quale vide un’ombra. Un tuffo al cuore. Enorme. Strinse automaticamente la mano di Suz.
«Eccolo.» riuscì a dire solamente. 
Il suo amore era li, a pochissimi passi da lei. Susan si voltò nella direzione in cui guardava la sua amica, accorgendosi solo ora della presenza di un demone.
Lo vide uscire dall'oscurità, avanzando verso la luce. Ever non resistette più. Suz non fece in tempo a domandare nulla, che vide l’amica iniziare a correre verso di lui, anche se con i tacchi non era affatto facile. Paul avanzava verso di lei e non poteva fare altro che sorriderle, era sempre così bella.. Appena fu alla giusta distanza, si lanciò tra le sue braccia, gettandogli le braccia attorno al collo. Quando si era letteralmente lanciata su di lui, Paul non era più riuscito a trattenere l'emozione e l'aveva stretta a sè, baciandole l'incavo del collo.
Susan si voltò dal lato opposto, prendendo dalla borsetta il cellulare, in modo da lasciargli il loro spazio. Sinceramente in quel momento si sentiva di troppo.
I piedi di Ever non toccavano più il suolo: l’aveva letteralmente sollevata da terra.
Stava quasi per piangere, sentiva le lacrime pungerle i bordi degli occhi. 
«Amore, mi sei mancato da morire. Non mi lasciare più sola tutto questo tempo.» 
Lo abbracciò forte a sè. Non voleva più farlo andare via. Paul le prese il viso tra le mani, puntando i suoi occhi in quelli della ragazza.
«Quanto sei bella. Ogni giorno che passa lo diventi sempre di più.», le baciò con dolcezza le labbra, per poi stringerla nuovamente. «Non ti lascerò più sola, neanche per un istante.» 
«Quanto mi sei mancato. Mi sei mancato così tanto che il non averti accanto mi faceva perdere perfino il fiato.»
Un secondo bacio; un bacio talmente dolce che faceva intravedere tutto l'amore che provavano uno per l'altro. «E anche tu sei sempre bellissimo».
Si staccò dal suo abbraccio e lo prese per mano, sorridendo adesso divertita. 
«Vieni, ho una persona da farti conoscere.» 
S'incamminarono verso la sua amica, che era ancora voltata. Ovvio, era nella natura di Susan. Quando sentì dei passi alle sue spalle, si voltò, guardandoli e non potè fare a meno di sorridere. Era imbarazzata a stare lì, con la sua migliore amica e il suo ragazzo che non si vedevano da mesi. Ever sapeva che si sentiva di troppo, ma voleva farglielo conoscere. Non domani, non tra mesi. Adesso. 
«Tesoro mio, ecco che finalmente lo conosci.» aveva un sorriso da pesce lesso stampato sul viso. «Susan, lui è Paul. Ma basta che lo chiami Pj.» 
Almeno era un demone ed era già una grande cosa. Inoltre aveva rapito il cuore della sua migliore amica, portandola a fare ciò che soltanto un angelo davvero determinato avrebbe fatto.
«Piacere mio, Susan.» spostò lo sguardo dal ragazzo ad Ever.
«Il piacere è tutto mio.», replicò Paul, stringendo la mano tesa di Susan. Anche se non si erano mai incontrati prima d'allora, sapeva benissimo che poteva permetterle di avvicinarsi alla sua Ever. 
Suz improvvisamente aggiunse: «Mi fa davvero piacere conoscerti, ma ora è arrivato il momento che io me ne vada, lasciandovi soli.» replicò, in tono tranquillo.
Paul emise un sospiro di sollievo quando sentì che la sua amica se ne voleva andare. Non perchè non la volesse li con loro, ma perchè era troppo tempo che non stava assieme a lei, al suo angelo. 
«No no! Prima mangiamo un panino o una pizza assieme, poi sarai liberissima di andartene. Non ti ho fatto vestire così per niente.» si voltò verso Paul e si stampò sul viso un espressione triste –finta triste-.
«A te va bene se resta a mangiare un panino? Non voglio farla andare via così.»  
«Ma no, non...» 
Elena non diede neanche il tempo di rispondere che esclamò un: «Forza entriamo!» 
Trascinò entrambi nel locale, chiedendo al cameriere un tavolo in cui sedersi. Susan e Paul si scambiarono un'occhiata che stava a dire “tanto ha deciso lei”.
Si sedette di fianco a Paul, mentre Susan di fronte a loro due. 
«Non ti dovevi preoccupare, con questo vestito potevo trovarci altro da fare.» esclamò l'amica, sospirando, appoggiando la borsetta sulla sedia affianco.
«Forza Susan, non fare quella faccia. Mangi qualcosa e poi te ne vai. Allora, cosa ordinate?» 
«Per me quello che vuoi tu, è indifferente.» le rispose in tono rassegnato, guardando in giro nel locale alla ricerca di qualche ragazzo carino con cui potersela filare, in modo da lasciare i due piccioncini soli soletti.
«Io a dir la verità, non ho fame.»  affermò Paul, puntando i suoi occhi in quelli di Ever.
«Non mi puoi dire una cosa del genere. Senza fare storie, qualcosa mangiamo tutti.» lo guardò con uno sguardo pieno d'amore. Chiamò il cameriere poco dopo.
«Tre piadine con il prosciutto e la salsa rosa, più tre coca cola. Grazie.» 
Il cameriere prese l'ordinazione e se ne andò, allontanandosi da loro. Susan lo fissò per tutto il tempo, sperando che il cameriere le chiedesse qualcosa, qualsiasi cosa, basta che sparisse da li. Invece.. Niente.
Quando fu sparito e quando non ci fu più nessuno a portata d'orecchio, Ever parò.
«Susan, devo confessarti una cosa.» 
La ragazza dai capelli rossi sbarrò gli occhi, stranita e pronta per il colpo di grazia. 
«Vedi, il tuo stalker, come l'hai chiamato tu..» fece una pausa ad effetto, «Era Pj.»  
Le fece un ampio sorriso prima di scoppiare a ridere. 
«Il dubbio me l'avevi fatto venire quando mi avevi detto che era un demone, ma ancora non ho capito come ho fatto a non sentire mai la tua presenza.» ammise, alzando le spalle. 
Paul non rispose ed Ever non toccò l'argomento. Probabilmente il demone non voleva far sapere in giro i suoi mezzi per non essere notato. Il cameriere tornò poco dopo con le ordinazioni, lasciando anche il conto. Susan e Paul mangiarono controvoglia, lo fecero solo per fare felice la persona che gli aveva portati li.
Mangiarono tutto molto rapidamente e casualmente gli occhi di Elena e di Susan s'incrociarono.
In quelli della ragazza demone si leggeva nettamente il disagio di essere li con loro due, così l'angelo, senza farsi notare, utilizzò i suoi poteri psichici sul cameriere che, poco dopo, arrivò fino al loro tavolo, cercando di non sembrare imbarazzato.
Paul lanciò un'occhiata d'intesa alla sua ragazza, trattenendo una risata.
«Ehm, scusami..» disse il ragazzo rivolto a Susan, «Ti andrebbe di fare un giro con me in città, appena finisco il turno? Mancano solo dieci minuti, poi sono libero.»
Susan si girò, guardandolo con espressione stranita. 
“Adesso ci provavano anche sul posto di lavoro? Sempre meglio di niente. Ottimo diversivo per andarmene e lasciare i due amanti soli soletti”, pensò la ragazza, accettando immediatamente l’invito, senza stare li a rifletterci. Ogni scusa era buona per alzarsi ed uscire da quel locale.
«Magari mi ci scappa anche qualcosa con il cameriere, che ne sai!» sussurrò Suz tra sè, ridendo.
Ever la fulminò con lo sguardo. Aveva sentito ogni singola parola.
«Ok, non faccio niente», promise a denti stretti. Più che una promessa sembrava una frase buttata li tanto per dire qualcosa e tenere l'amica buona.
Paul osservò Susan alzarsi e annuì con il capo, in riferimento al fattore “cameriere”.
Tra demoni si capivano, capivano i loro istinti. Purtroppo l'occhiata tra i due venne intercettata, com’era prevedibile. Diede una gomitata a Paul.
«Hey, vuoi due! Vi siete coalizzati adesso?» sbuffò.
Diede un bacio sulla guancia a Susan, che ricambiò, per poi allontanarsi rapida.
Così le urlò: «ci sentiamo più tardi tesoro!» 
Si fermò di colpo, girandosi di nuovo verso il tavolo, alzando il cellulare in alto e indicando la schiena del cameriere, che aveva ormai finito il turno. 
«Uhm, penso sia più sicuro domani, Angioletta.», le fece l’occhiolino divertita e, detto questo, si dileguò, uscendo dal locale. 
“Finalmente soli!”, esclamò dentro di sè Paul, appena Susan uscì.
Aspettava il momento di restare con lei in solitudine da quando era arrivato li.
Si voltò verso Elena, accarezzandole i capelli. Lei lo fissò con intensità, perdendosi nei suoi occhi scuri.
«Amore mio, sei qui.. Ancora non ci credo.», gli accarezzò la guancia con la punta delle dita. 
«Mi sei mancata così tanto..» sorrise, avvicinandosi a lei fino a baciarla. 
«Tu mi sei mancato da morire proprio..» 
«Devi raccontarmi tutto quello che è successo.»  disse tra un bacio e l'altro.
Le sue labbra cercavano quelle di lei, come due calamite che sono troppo vicine per non attrarsi. Tutto il suo corpo cercava quello di lei. Ora che potevano stare di nuovo insieme non l'avrebbe lasciata andare nemmeno per un momento. 
Ever spostò le sue labbra vicino al suo orecchio, sussurrando delle parole che fecero fremere Pj.
«Se andassimo a casa mia?» fece una  breve pausa, «Ho voglia di te.» 
«E questo un angioletto come te lo può fare?» la guardò divertito, mordendosi il labbro inferiore, prima di andare a posare le sue labbra all’incavo del collo, baciandolo.
«Oh si.. Posso fare anche di più.», sussurrò dolcemente, con una punta di malizia nella voce. Da quando c'era lui, la sua vita era cambiata in così poco tempo che ancora non riusciva a spiegarselo. Sapeva soltanto che lo amava con tutta se stessa.
«Non vorrei mai portarti sulla cattiva strada...»  
Trattenne una risata; sapeva già la sua reazione. L'amava da impazzire. Era l'unica che in tutta la sua vita era riuscita a darle un senso e fargli battere quel cuore che da troppo tempo s'era ormai fermato.
«Mah, sai.. Io sono già sulla cattiva strada. Da qualche mese non sono più sotto il controllo di Dio. Sono Caduta. E l'ho fatto per stare con te. Per sempre.» 
Pj sorrise dolcemente. Sapeva quanto ad Elena fosse costato tutto quello. Il dolore che aveva dovuto sopportare da sola durante la Caduta. Gli dispiaceva per quello ch’era successo, ma al tempo stesso era orgoglioso di lei.
Aveva sacrificato tutto, per lui. Per loro due. Per il loro amore.
Pagarono e, prima d’uscire, strinse lui la mano.
«Andiamo nel posto più buio che c'è qui vicino. Devo farti vedere una cosa.»
«Uuuuh, nel posto più buio..», si avvicinò e la abbracciò da dietro.
«Mi piace il buio...» le baciò la guancia questa volta, respirando il suo profumo. «Ma non mi piace doverti portare in un luogo oscuro. Questa città è piena di demoni che, come me, preferiscono restare nell'ombra.» replicò in tono serio. Se le fosse successo qualcosa, anche se si fosse trattato solo di un graffio, non se lo sarebbe mai perdonato. Il buio non faceva per Elena.
Era comunque un ex-angelo ed era meglio per lei restare alla luce.
Si voltò e lo bacio dolcemente, come solo un angelo sa fare. 
«Non mi succederà nulla. Ci sei tu con me.»
Chiuse gli occhi e toccò di nuovo le sue labbra. Si diressero verso il retro del locale, dove nessuno li avrebbe potuti vedere. 
«Torneremo a casa..» fece una pausa, lasciando uscire le ali, spiegandole di fronte a lui. Erano bianchissime, nonostante quelle striature nerastre che adesso le dipingevano, segno che lei non era più un “vero” angelo.
Nonostante le venature scure, le sue ali erano candide e rispecchiavano appieno la sua anima.
Paul le accarezzò il viso con le dita. Ever sapeva benissimo che n’era rimasto stupito. Non aveva mai visto le ali di un angelo, nè tanto meno quelle del suo amore.
«Torneremo a casa volando.», sorrise dolcemente, avvicinandosi a lui, per poterlo abbracciare, circondando il su corpo con le ali.
«Sono bellissime, Ever.» rispose con tono dolce e profondo. Sapeva quanto fossero preziose per lei. Simboleggiavano ciò che aveva fatto, ciò che avrebbe ripetuto, se il tempo fosse tornato indietro.
«Ma se dobbiamo tornare a casa in questo modo, permettimi di usare anche le mie, di ali.» 
Paul non ricordava se Elena le avesse già viste, ma dalla sua espressione si capì subito che quella sarebbe stata la prima volta. Era totalmente stupita. Non era da Pj spiegare così le ali, come se niente fosse. Si confusero con l’oscurità della notte.
Grandi ali spigolose e nere, nere come il catrame, come le tenebre più fitte. Come i meandri dell’Inferno stesso. Totalmente l'opposto di quelle dell'angelo. Le ali di Paul si nascondevano in tutta quell'oscurità. La baciò, permettendo alla sua lingua di accarezzare quella di lei.
Le loro ali erano totalmente in contrasto. 
Erano così diversi, eppure così uguali. Ma cosa più importante.. Si amavano da morire.
Incrociò la mano alla sua.
«Forza, andiamo.» sbattè le ali, alzandosi pochi centimetri da terra, aspettando che lui facesse lo stesso. Diede anch'egli un colpo d'ali, arrivandole di fronte.
Elena era tutto per Pj e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla, anche da sè stesso se ce ne sarebbe stato bisogno. 
Canalizzò la sua energia intorno a loro, creando una barriera che li rendesse invisibili all'occhio umano. Era meglio per entrambi. Non potevano rischiare di dare nell’occhio.
«Ora possiamo andare per davvero.»  
Si capiva lontano un miglio che gli ultimi mesi che avevano passato lontani, li aveva devastati entrambi, anche se c’era d’ammettere che Pj era riuscito a rafforzare i suoi poteri ulteriormente, diventando più forte di prima. Elena lo vide utilizzare le sue nuove potenzialità e restò di stucco. Non avrebbe mai pensato ad una cosa del genere.
«E da quando ti sai rendere anche invisibile?» replicai, ridendo. Si avvicinò a lui di nuovo.
Gli posò le braccia attorno al collo e si sollevarono assieme ancora di più. Arrivarono nel punto più alto, proprio al centro della grande luna. La luce lli illuminava totalmente.
Appoggiò la fronte a quella del suo ragazzo, facendo il sorriso più dolce e puro che si fosse mai visto. Ancora una volta le sue labbra furono su quelle di Pj, ottenendo così un bacio morbido, delicato ma allo stesso tempo voglioso e passionale.
«Te l'ho mai detto?» 
Notò che la stava guardando con un espressione strana.
Sapeva c’era arrivato il momento. Quel momento magico che aspettava da quattro anni. Quelle parole che avevano sempre premuto per uscire, ma che non aveva mai potuto realmente dire, se non a sé stessa.
«Ti Amo, Paul John Watson. Ti Amo come non ho mai amato nessuno in tutta la mia lunga vita. Sarò Tua, per sempre.»  
Lo baciò nuovamente, questa volta con molta più passione.
Il suo corpo vibrava sotto quelle carezze e sotto quei baci.

 

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Capitolo 8
*** 'Cause the love never ends ***




'Cause the love never ends.

Le accarezzò il viso, dolcemente. Aveva detto "ti amo" ad un demone come lui, che non aveva mai conosciuto l'Amore, che non aveva mai osato amare, sempre pronto ad uccidere, pieno di odio e di rancore.
Quelle due semplici, ma allo stesso tempo enormi parole, entrarono dentro di lui come una luce che trafigge la notte.
Rimase li, davanti a lei sospeso nell'aria, senza dir nulla, senza rispondere alle sue domande e affermazioni. Elena sapeva benissimo che le sue "faccende" da demone non gliele avrebbe mai raccontate.
Sapere troppe cose sul suo mondo l'avrebbe messa in pericolo e non poco.
Si vedeva che Pj lottava contro sè stesso per far fuoriuscire dalle sue labbra quelle parole, tanto bramate, tanto ricercate. Ma per quanto l'amasse non era da lui esprimere i suoi sentimenti.
Le loro labbra si toccarono di nuovo, risplendendo nell'oscurità della notte.
La passione galleggiava nell'aria, attorno a loro.. In loro.
I loro baci si facevano sempre più intensi, man mano che passavano i secondi.
Paul appoggiò una mano sui suoi capelli, stringendola a lui facendole quasi mancare l'aria. Ripresero a volare pochi minuti dopo, tenendosi per mano e restando invisibili all'occhio umano. Non aveva risposto al suo "ti amo", ma Ever lo conosceva, sapeva come'era fatto. Sapeva che prima che lui si potesse sbloccare, sarebbe passato del tempo, non perché non l’amasse, ma perché per lui tutto ciò che gli stava succedendo, era ancora complicato da definire e da accettare.
Aveva passato l’intera sua vita ad odiare e, da un momento all’altro, si era ritrovato ad amare con tutto sé stesso una donna. Un angelo, per di più.
Era consapevole di tutto ciò e lei avrebbe aspettato.
Un giorno ce l'avrebbe fatta a dirglielo. Si avvicinò, abbracciandolo stretto.
Corpo contro corpo. Anima contro anima. Facevamo le piroette nell'aria, sbattendo le ali in sincronia, sorridendo. Si baciarono ancora, e ancora, tra una pausa e l’altra.
Le loro lingue si cercavano costantemente, per poi intrecciarsi e rincorrersi in una danza senza sosta.
La città era buia; era come se loro fossero le uniche persone sveglie di quel luogo e in quel momento. Era come se il mondo e il tempo si fossero fermati.
Quella notte c'erano milioni di stelle in cielo: risplendevano una ad una come se l’immensità fosse diventata un tappeto dorato ed infinito.
Arrivarono fino a casa di lei e s’avvicinarono alla finestra.
Si fissarono negli occhi per un secondo che parve infinito. 
«Eccoci qui, siamo arrivati. Questa è casa mia. Entriamo da qui? Tanto ormai tanto vale scendere, no?» gli chiese Ever, indicando la finestra semi-aperta, avvicinandosi nuovamente a lui poco dopo, chiudendo gli occhi e baciandolo. 
«Per me va bene.» disse sorridendo, alzando le spalle, ricambiando il suo bacio. Allungò una mano sotto al bordo della finestra, aprendola.
Quando ce la fece, entrò e richiuse le ali –gesto che venne seguito da lei- e, prima che potesse dire o fare qualcosa, la tirò con sé, delicatamente.
La mano di Pj andò ad intrecciarsi a quella di Elena, il loro corpi si toccarono e quei baci continuarono, fino quando non l'appoggiò al letto, stendendosi sopra di lei, accarezzandole i lunghi capelli.
Però, improvvisamente la sua espressione si rabbuiò leggermente.
«Aspetta.. Sei sicura che non sarai richiamata.. Su, vero?», alzò gli occhi verso l'alto ad indicare il Paradiso.
Non voleva causarle ulteriori problemi, non voleva che lui diventasse un problema. Le tracciò i contorni del viso con le dita, puntando i suoi occhi nei suoi.
Ever per tutta risposta scosse la testa, quasi divertita. 
«Certo che no. Sono un Angelo Caduto, ricordi? Questo vuol dire per certo che Dio non mi rivuole con sé. Ma mi va bene così. Io ho scelto te. Sceglierei sempre te.»
Lo accostò ancora di più al suo corpo, facendoli combaciare perfettamente. Le sue sensazioni le facevano capire che però Pj non era del tutto convinto.
Infatti si alzò dal letto e da lei, restando in piedi a guardarla.
Ever si sedette sul morbido materasso, allungando una mano verso la sua, stringendogliela pochi istanti dopo.
«Ehi amore, va tutto bene. Non succederà nulla di tutto quello che pensi. Nulla.», scandì l’ultima parola, stringendo la sua mano in maniera ancora più forte, facendogli capire di sedersi affianco a lei. Lui lo fece.
«Puoi pensare di avermi causato tanti problemi, tante incomprensioni.. Pensi che la colpa della mia Caduta sia tua.. Ma sai io cosa ti dico? Tu sei il mio miglior problema. Il problema più bello che potessi avere. Nessuno mi porterà via da te. Nessuno. Non più. Mai più. Siamo io e te, insieme fino alla fine.»
Pj stava per aprire bocca, per dire qualcosa ma Ever fu più veloce.
Gli appoggiò un dito sulle labbra dolcemente, per farlo rilassare e tranquillizzare e, in tutta risposta, lui chiuse gli occhi e dipinse sulle sue labbra un piccolo sorriso.
Voleva solo che lei non avesse problemi, voleva solo che lei vivesse una vita facile, semplice.. Forse si preoccupava troppo, ma la sua preoccupazione era pari all'amore che provava nei suoi confronti. Le accarezzò dolcemente il viso con un dito, ancora una volta, andando a sposta dolcemente la sua mano dietro alla sua nuca, attirandola a sé e donandole un leggero bacio sulle labbra.
«Elena.. Tu sei la cosa più bella che potesse capitare nella mia vita e se Dio ti dovesse rivolere con Lui, sappi che non mi arrenderò senza lottare, senza combattere. Non ti restituirò al Paradiso.», fece una piccola pausa e deglutì, puntando i suoi occhi neri in quelli chiari di lei. «Sai, ho sempre pensato che i demoni fossero avversi all'amore, il che è vero, ma tu mi hai salvato. Non parlo solo di quando mi hai salvato la vita. Mi hai salvato completamente e, in poco tempo, sei riuscita a dare un senso a tutta la mia esistenza. Sei diventata il mio mondo, la mia stella, la mia costellazione, il mio universo intero. Sei così tante cose che per un Demone come me tutto questo è difficile da spiegare e da gestire. L'unica cosa che so?»
Ennesima pausa; le prese il viso tra le mani e avvicinò le sue labbra a un soffio dalle sue. Ma non aveva finito di parlare, non ancora. Elena non replicò, gli lasciò il suo tempo, per qualsiasi cosa lui avesse voluto dirle.
«Ti amo Elena, come non ho mai amato in vita mia e ti voglio con me per l'eternità.»
Elena schiuse leggermente le labbra, senza parole. Non si sarebbe mai aspettata una confessione del genere in piena regola. Ogni suo più piccolo gesto la rendeva euforica, faceva sobbalzare il suo cuore e fremere la sua anima.
Lo tirò a se, ricambiando il suo bacio ed intrecciando le sue dita ai suoi capelli, scostandosi solamente per guardarla negli occhi.
Si era dichiarato, aveva dichiarato il suo amore per il suo angelo.
Era riuscito a fare il suo grande passo. Aveva aspettato così a lungo quel momento. Aveva sempre saputo che Pj aveva un cuore, emozioni.. Un'anima. 
 «Tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, Pj. Neanche Dio mi porterà via da te. Nè adesso, nè mai più. Sono tua, per l'eternità. Ti Amo, come non ho mai amato nessuno.»
Le accarezzò una guancia e, pochi attimi dopo, si lasciò ricadere sul materasso, sdraiò sul materasso, tirandolo a lei, sopra di lei, continuando a baciarlo.
Paul ricambiò ogni suo bacio con passione crescente. La desiderava, la desiderava più di ogni altra cosa. Quando il corpo del demone s'adattò perfettamente a quello di Elena, non riuscì più a trattenersi: fece scivolare la sua mano lungo il suo corpo, tastando ogni centimetro di lei, infilando le mani sotto al vestito, alzandoglielo fino a toglierlo, lasciandola così solamente in intimo.
Ever non perse un attimo. Anche lui lo voleva. Lo voleva costantemente.
Allungò le sue mani fino al bordo della sua maglietta, levandogliela, staccandosi dalle labbra di lui solo per quel breve istante. Lei lo stringeva a sé, accarezzandogli la schiena con le sue dita agili e affusolate.
La voglia di lui la faceva impazzire ogni volta. Pj continuò a baciarla con passione quasi famelica, incapace di resisterle, incapace di starle lontano.
Erano mesi che aspettavano entrambi quel momento.
Scese con le labbra lungo il suo collo, arrivando al suo petto ansante, che si alzava e si abbassava a ritmo sconnesso.
Baciava il corpo di Ever come se fosse la cosa più preziosa del mondo –effettivamente per lui era così- sentendo il calore dei loro corpi fondersi.
Il demone sentiva il suo corpo avvampare dall'interno e, senza neanche quasi pensarci, si portò le mani ai bottoni dei pantaloni, slacciandoseli. 
 «Ti Amo, mio piccolo angelo.»
 «Ti Amo anch'io.»
I loro occhi s’incatenarono nuovamente, mentre sui loro visi si stampavano dei sorrisi raggianti, sorrisi che divampavano tra un bacio e l’altro, mentre i loro cuori, le loro menti e le loro anime desideravano che quel momento non finisse mai. 

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Capitolo 9
*** Only You. ***














































ONLY YOU

Ever lo voleva. Costantemente. Lo voleva e lo amava, lo amava come non aveva mai amato nessun altro e come mai avrebbe amato. Lui era il solo e l’unico, Paul era tutto.
Era cielo e terra, acqua e fuoco, passione e amore, ossessione quasi.
Lei non riusciva a stare senza di lui, e viceversa. Potevano stare separati per mesi, ma quando poi si rincontravano, tornavano ad essere loro, senza mezzi termini.
Senza troppi giri di parole.
Tornavano ad essere una cosa unica, due persone con un’unica Anima.
Lui era semplicemente tutto. Lui tirava fuori il meglio di lei, la faceva mettere in gioco e lei, a sua volta, tirava fuori il buono che c’era in lui, quel buono che Pj non aveva mai visto, che Pj non aveva mai creduto di avere.
Conteneva tutto. Aveva tutto quello che di meglio Ever potesse desiderare.
Sapeva perfettamente quanto però il suo ragazzo poteva anche risultare pericolo.
Era pur sempre un demone, non c’era da dimenticare ciò.
Ma all’angelo non importava, non importava nulla.
Lei lo accettava così com’era, con pregi e difetti.
Lei lo amava completamente, per quello che era, per il fatto che non si era mai nascosto, che aveva sempre fatto vedere il buono e il cattivo, senza distinzione.
Era quello il bello di Ever: lei lo accettava, lei non gli avrebbe mai chiesto di cambiare.
No, non lo avrebbe mai fatto.
Se si ama una persona, la si ama per quello che è.
«Tu sei la miglior cosa che mi sia mai capitata. L’errore che ancora rifarei. Ti sceglierei ancora. Scegliere ancora te, sempre te.»
Ever si spostò, facendo pressione sul corpo di Paul, portandosi sopra di lui; le mani del ragazzo che scorrevano sul suo corpo, sulla schiena della ragazza, fino al gancetto del reggiseno, che slacciò poco dopo, levandoglielo e lasciando ricadere al suolo, senza pensarci troppo.
L’angelo lo amava, in modo incontrastato. In tutto e per tutto.
Per quello che era, dentro e fuori. Inebriata da quello che Paul fosse.
Una persona magnifica che era rimasta per troppo tempo chiusa ermeticamente sotto una corazza.
Le sue labbra scorrevano sul petto di Ever, lente, alternano baci a lingua. Tutti quei gesti, quelle attenzioni, erano qualcosa che non poteva essere descritto.
«Voglio te, solamente te. Nessun’altra. Sempre.»
Gli occhi scuri di Paul, quegli occhi così scuri che sembravano racchiudere solamente un’oscurità totale e perenne, di un’anima troppo macchiata nel corso dei secoli, di un’anima che non aveva mai visto il buono, ma solamente il male, ovunque. Quegli occhi che si specchiavano in quelli così chiari della ragazza che lui amava. Si, perché il demone aveva un cuore.
Il demone provava emozioni.
L’amava.
L’amava come non aveva mai amato nessuna e come mai avrebbe più amato.
Si poteva dire che era stata quella ragazza ad aprirlo all’amore, era stata quella ragazza a prendergli il cuore, era stata quella ragazza a strapparlo dal suo sonno, era stata lei a fargli vedere il buono che vigeva dentro al suo essere.
Era stata lei a fargli iniziare a vedere il mondo.
Quel cuore che per secoli, che per troppi anni, era rimasto freddo come il ghiaccio.
Quel cuore che, adesso, adesso provava emozioni mai provate, mai vissute.
Tutto per Ever. Tutto grazie a lei.
Ever era il suo primo amore. Il suo Unico e Solo Amore. Il suo grande amore.
Amore per cui avrebbe dato tutto, amore per cui sarebbe stato disposto a sacrificare sé stesso.
Amore per cui entrambi sarebbero morti, pur di restare l’uno accanto all’altro, a proteggersi, a viversi. Costantemente. Sempre.
Per continuare ad amarsi in quel modo incontrastato, senza mai smetterlo.
Erano due corpi con un’unica anima.
Non si erano mai desiderati così tanto, prima d’allora.
Era come se il tempo intorno a loro si fosse fermato, era come se fossero in una sorta di mondo parallelo, era come se, in quel preciso momento, fossero isolati da tutto e tutti.
Nessun pensiero, nessun problema, niente di niente gli toccava, ora.
C’erano solamente loro. Era come se si fossero teletrasportati in un posto lontano, dove le uniche forme di vita esistenti erano loro due.

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Capitolo 10
*** I want you in my life. Forever. ***










































I want you in my life. Forever

Si, erano pazzi l’uno dell’altra e non potevano, non voleva stare divisi. Volevano viversi, viversi davvero. Non voleva più nascondersi nel buio e nell’oscurità, loro volevano viversi sotto la luce del sole, mano nella mano camminare nelle strade di Mosca o di qualsiasi altra città che sarebbe divenuta la loro meta.
Erano la metà perfetta; lei per lui e lui per lei.
Lui era tutto quello che lei aveva sempre desiderato; le mani di Pj scorrevano sul suo corpo, accarezzandole la pelle, le sue labbra attaccate a quelle di Elena.
La voglia di aversi cresceva di minuto in minuto.
Se Dio l’avesse rivoluta.. Purtroppo sarebbe rimasto deluso.
Quello era il suo posto, con lui. Lui era casa sua. Neanche il Paradiso stesso lo era mai stato. Lui invece sì. Era il suo porto sicuro, quel posto nella sua mente ove tutte le volte si rifugiava. Era la sua dimora sicura.

Elena si strinse a Pj, facendo scorrere i polpastrelli sulla sua schiena ormai nuda –avendolo liberato di essa un istante prima- fino a portarle al bordo dei jeans, che spinse verso il basso assieme ai boxer, abbassandole per quanto potesse.
Il demone perso il controllo su sé stesso e, in una frazione di secondo, spogliò Elena dell’intimo che ancora indossava, stendendola sul letto e andando a squadrare il suo corpo ormai nudo sotto di lui.
Le mani di Paul tastarono completamente il suo corpo, dal viso alle cosce, prima di scendere e baciarlo completamente dolcemente.
Il corpo di Elena sussultava sotto quelle carezze e lui non faceva altro che compiacersene.
Probabilmente non si erano mai desiderati così tanto come in quel momento, probabilmente nessuno dei due aveva mai desiderato così tanto un’altra persona.
Elena con lui si sentiva completa, nonostante l’essere demone di Paul. Amava anche le parte che lui odiava.
Quando le sue labbra tornano su quelle dell’angelo, non si fece sfuggire il momento.
Ribaltò la posizione in un batter d’occhio, mettendosi a cavalcioni sopra di lui, avvicinandosi e riprendendo qual bacio che aveva interrotto un istante prima, per poi scendere con le labbra sul suo collo, lasciando lui un segno.
Ops, era questo che portava l’eccitazione del momento.
Gli baciò il petto, facendo scorrere la mano sul suo membro, mentre Paul si abbandonò a quel tocco, che lo fece sospirare profondamente.
I loro corpi uniti facevano scintille, e sempre lo sarebbero stati. Eternamente.
I loro corpi si scontravano e si strofinavano tra loro, i loro respiri si univano e si posavano sulla pelle già calda l’uno dell’altro. Le mani, i capelli, il fiato.. tutto quello che entrava in contatto con Paul lo faceva impazzire.
Nuovamente riprese il controllo della situazione, portando la sua amata con la schiena contro al materasso, bloccandole la mani sopra la testa con una sola delle sue, per poi entrare dentro di lei dolcemente, accarezzando con quella libera il suo seno, lasciando la sua lingua a contatto con quella dell’angelo, tra un ansito e l’altro.
Elena ansimò, prima di staccarsi e portare le labbra al suo orecchio.
«Ti piace il gioco duro, eh? Ricorda che quando è così, i duri iniziano a giocare.. E sabbiamo già che nessuno dei due mollerà, non è così?»
Gli sorrise dolcemente, prima di lasciar fuoriuscire un gemito provocato da una spinta intensa. Quando riuscì a liberare una mano dalla presa di Paul, la portò all’interno dei suoi capelli, che strinse e tirò involontariamente.
I loro corpi erano percorsi da brividi; le loro emozioni, le loro sensazioni erano così intense e loro così uniti sia fisicamente che mentalmente, che Elena iniziò a sentire la schiena pizzicare, proprio al centro della schiena, all’apertura delle cicatrici da cui sarebbero fuoriuscite le ali.
L’ennesima spinta e l’ennesimo movimento sincronizzato, l’ebbrezza del momento, tutto ciò che provava, e non riuscì a trattenerle.
Le sue ali venate di nero fuoriuscirono, andando a coprire il corpo di Paul, che si bloccò a fissarle.
«Scus..», non riuscì a completare la parola, che Paul la baciò con intensità e passione crescente, riprendendo a muoversi.
I suoi occhi lucidi dall’eccitazione puntati nei suoi, la sua mano adesso sul viso di lei.
«Sei bellissima.. E sei mia..», sussurrò di rimando il demone, sorridendole divertito per quella strana reazione.
Si mossero ancora a ritmo, scambiandosi i posti più e più volte; ogni spinta faceva ansima Elena, mentre le mani correvano sulle zone più sensibili del suo corpo.
Quel momento era qualcosa di unico ed eccezionale, unicamente loro.
Qualcosa che sarebbe rimasto radicato al loro interno, nelle profondità più nascoste dell’anima, nei meandri di esse.
Raggiunsero l’apice del piacere nello stesso momento, ma non si staccarono.
Volevano ancora sentirsi, restare così. Almeno per un po’.
Sospesi in quel limbo solamente e unicamente loro.

Sospesi in quel limbo ove esistevano soltanto loro.

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Capitolo 11
*** Don't leave me. ***















Don't leave me.


Stare con lei era qualcosa per lui indescrivibile. Stare lì, abbracciati in quel letto, sotto quelle lenzuola che sapevano di loro, del loro amore, intrise del profumo mischiato di quella notte ch’era stata loro.
In quella notte che, anche se non lo sapevano, avrebbe cambiato totalmente il corso delle loro esistenze.

Immersi in quell’oscurità, rotta soltanto dal chiarore della luce lunare, i cui raggi entravano dalla finestra aperta, rendendo quell’attimo, quel momento, ancora più magico e perfetto.
Erano loro due, abbracciati non solamente con le braccia, ma con l’anima.
Un momento a dir poco perfetto, che sarebbe sempre rimasto lì, nei meandri dei ricordi, come il momento magnifico che avevano vissuto assieme.
I loro cuori battevano con lo stesso ritmo, le anime s’intrecciarono, così come le loro mani. Insieme nella buona e nella cattiva sorte.
Il lenzuolo bianco copriva i loro corpi nudi, la testa di Elena poggiava sul petto di Paul, ascoltando in silenzio il suono del suo respiro.

Il demone si voltò un attimo, andando a baciare il collo della sua amata ma, proprio in quel momento, la situazione precipitò.
Il suo corpo s’irrigidì di colpo, una sensazione che conosceva bene si stava impossessando di lui, contorcendogli lo stomaco e portando il suo viso a mutare.
Era tempo che non si nutriva e, sentire il calore del corpo vivo ed accaldato di Elena tra le braccia, non lo aiutava di certo. Rapidamente si era allontanato, afferrando i suoi boxer ed infilandoseli rapidamente, fiondandosi dall’altra parte della stanza, dandole le spalle. La sua mano a palmo aperto fissa sul muro, i suoi respiri profondi cercando di calmarsi.
«Per stasera basta così…», proruppe con un tono di voce pieno di rabbia. Una rabbia inconscia che aveva iniziato ad impadronirsi di lui, in quanto nella sua mente scorreva un unico pensiero. Avrebbe potuto mettere in pericolo la vita del suo unico amore, in quanto, in quel momento, si riteneva superficiale e disattento.
Ma non poteva di certo prevedere una cosa del genere.
Elena, dal canto suo, si era tirata rapidamente a sedere al centro del grande letto, tenendo il lenzuolo davanti al petto, respirando in maniera sconnessa, a causa di ciò che stava succedendo.
Non era stupida, aveva perfettamente capito che cosa stesse succedendo.
La fame, la sete. Paul stava male. Era per quello che s’era allontano da lei. Per non farle del male, per non sfamarsi di lei. Per evitare d’ucciderla.
Nonostante Elena fosse un angelo caduto, possedeva ancora parte dei suoi poteri, tra cui l’empatia. Sentiva ch’era spaventato, sentiva la sua paura. Paura di farle del male. Strattonò il lenzuolo, legandoselo attorno al corpo come meglio potè, alzandosi dal letto ed avvicinandosi a lui, lentamente.
Sapeva che cosa sarebbe potuto succedere, ma non le importava.
Lei non avrebbe mai lasciato nulla al caso. Non avrebbe lasciato Pj in quello stato, non lo avrebbe lasciato con quel senso di colpa che lo stava divorando dall’interno.
«Non mi farai del male. Io lo so..», sussurrò lentamente, andando a stringergli una spalla con la mano. «Ci sono qui io, con te. Andrà tutto bene. Ti amo per quello che sei. Amo tutto di te. Anche la tua parte oscura. Ti amo più della mia vita, perché tu sei la mia vita. Sei la mia persona, la persona che mi completa.», continuò, prima di far passare le sue braccia attorno al suo torace nudo, stringendosi a lui e andando a posare la fronte contro la sua schiena.
Pj, però, chiuse la mano a pugno, picchiandolo leggermente contro al muro, andando a portarsi una mano alla bocca, reprimendo l’impulso di sfoderare i denti, trattenendo la fame, la sete.. I suoi sforzi erano resi vani dalla troppa vicinanza della sua ragazza.
La rabbia dilagava nel suo animo, dentro di lui, così come la fame. Non si sarebbe mai perdonato se le avesse fatto anche soltanto un graffio.
«Elena.. Allontanati.», sputò fuori con un tono di voce soffocato, mentre si sforzava di non respirare. La gola bruciava per via della sete di sangue. Chiuse gli occhi, mentre lei si allontanava da lui, ripetendogli che non le avrebbe torto neanche un capello. Le piangeva l’anima, le faceva male il cuore. Ogni respiro era una stilettata di dolore che la perforava da parte a parte. Non poteva vederlo in quelle condizioni. Le lacrime le pungevano gli occhi, ma le tratteneva; non voleva e non poteva permettersi di piangere in quel momento. Non davanti a lui. Non quando aveva bisogno di lei. Lui era quello che era e lei lo aveva accettato. Lo avrebbe sempre accettato.
Si allontanò ancora, arrivando quasi fino al bordo del letto, aspettando.
Paul deglutì a vuoto, girandosi lentamente e, in un lampo, afferrò la lampada da terra ch’era affianco a lui e la scagliò contro al muro opposto, facendola andare in mille pezzi. Elena aveva abbassato istintivamente la testa, sentendo il cuore scoppiarsi.
Si era girato verso di lei nonostante avesse ancora gli occhi rossi pieni di piccoli filamenti di sangue, residui di quella che era stata la sua “trasformazione”.
I suoi occhi svisceravano sempre quelli dell’angelo, che cercava un contatto visivo. Niente, nulla da fare. Si era fiondato ad afferrare la sua maglietta e i suoi jeans, che si rinfilò in una frazione di secondo, prima di avvicinarsi alla finestra aperta, respirando l’aria fredda della notte.
Evitava il suo sguardo, non osava immaginarlo, doveva ritenerlo un mostro.. Ma per Elena lui era semplicemente l’uomo che lei amava e per cui avrebbe dato tutto, se glielo avesse chiesto.
«Devo andare, Elena..», proruppe con voce più fredda e roca di quanto volesse farla in realtà apparire.
«Paul, aspetta!», urlò Ever. Troppo tardi.
Si accovacciò sul bordo della finestra e saltò giù, buttandosi di sotto e, poco prima che atterrasse, le sue ali spigolate e nere più della pece si aprirono, facendogli toccare il suolo delicatamente. Immediatamente le fece sparire, guardando il bosco e correndo chissà dove, in cerca di una preda.
Elena era rimasta con le mani serrate attorno al davanzale, ad osservarlo andarsene, senza voltarsi. Sparì tra gli alberi, lasciandola sola.
Con una mano si teneva ancora addosso al lenzuolo, mentre si allontanava e si fiondava al comodino, afferrando il suo cellulare.
Scrisse un rapido messaggio, mentre le lacrime andavano ad offuscarle la vista.
“Ho bisogno di te, Susan. Sono a casa mia, riesci a trovarmi. Ti aspetto.”
Inviò e richiuse l’apparecchio, prima di alzare il braccio e scagliandolo contro al muro, violentemente, facendolo andare in una marea di pezzetti.
Appoggiò la schiena contro i piedi del letto di legno, tenendosi il telo bianco e candido –che ancora era impregnato del profumo di Pj- al petto.
Si tirò le gambe al petto, posando la fronte sulle ginocchia e scoppiando in un pianto irrefrenabile, lasciando quelle piccole goccioline salate piene d’amore e dolore per ciò che Pj provava, scorrere sul proprio viso, senza preoccuparsi di fermarle.
Un pianto così forte e devastante da non farle riuscire neanche a respirare in mezzo ai singhiozzi che le scuotevano il petto.

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Capitolo 12
*** Because I love him. ***

















Because I love him.


Susan uscì dal bagno ancora con l’asciugamano tra i capelli, e fu proprio in quel momento che sentì squillare il suo cellulare. Guardò l’orologio appeso nella sua stanza, che segnava quasi le quattro di notte. Si, Susan soffriva d’insonnia, nonostante fosse un demone. Dormiva pochissimo, ma proprio la sua natura differente, la faceva star sveglia nonostante le poche ore di sonno che faceva per ogni notte.
“Strano, nessuno mi cerca mai a quest’ora..”, pensò nella sua mente, andando a prendere il telefono e, quando vide lampeggiare il nome della sua migliore amica, quasi il fiato le morì in gola. Doveva essere per forza successo qualcosa.
Impossibile ed impensabile che le scrivesse a quell’ora.
Rapidamente andò ad aprire la bustina dell’sms, leggendolo con il cuore in gola. Poche parole, che la lasciarono basita e piena di preoccupazione.
Si levò rapidamente l’asciugamano dalla testa, lasciando così i capelli gocciolare sulla schiena. Rapidamente si era vestita ed aveva aperto la finestra, schiudendo le ali e volando fino alla sua casa, in cui captò solamente la sua presenza. C’era la presenza solo dell’angelo. Di Pj.. Nemmeno l’ombra. La fronte della ragazza si corrucciò, mentre attraverso la telecinesi andò ad aprire il gancio della porta-finestra, entrando dal balcone un istante dopo aver chiuso le ali.
Quello che gli occhi di Suz videro, fu qualcosa che la fece morire un istante dopo. Cocci a terra, lampada rotto, e una gran rabbia repressa respirante nell’aria.
Ever seduta al centro del letto, con il lenzuolo attorno al corpo ancora nudo, continuava a piangere.
Corse verso di lei, salendoci sopra, fiondandosi di fronte.
«Tesoro, sono qua! Che cosa è successo?!», esclamò, portando le mani alle spalle dell’angelo, scuotendolo leggermente, in modo da farle riprendere il controllo su sé stessa; controllo che sembrava aver perduto, lasciando spazio alla disperazione del momento.
«Io non.. Pj, lui.. Non avrei dovuto..»
Frasi sconnesse e senza un’apparente senso uscivano dalle labbra di Ever. La preoccupazione di Susan cresceva di minuto in minuto, andando già a pensare al peggio. Lei era la sua migliore amica, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
«Tu e Paul, cosa? Ti ha fatto del male?»
Nessuna risposta arrivò alle orecchie del demone, se non un singhiozzo secco. Merda.
«Ev, ti prego, parlami.», implorò l’amica.
Scosse la testa, cercando di calmarsi, cercando di calmare quel pianto, respirando profondamente.
«Noi.. Noi abbiam fatto l’amore e poi.. poi..»
Un nuovo attacco di lacrime, un groppo in gola che le attanagliò le corde vocali, impedendole nuovamente di parlare.
«..E poi lui è scappato via..», concluse la frase, lanciando un’occhiata agli oggetti a terra, così come il rimanente dei suoi vestiti.
«Okay, ho capito. Ma che è successo?», ma appena dette quelle parole, nella mente si Susan avvenne un lampo di genio, susseguito da un moto d’ansia, mentre l’apprensione di pochi attimi prima si spense.
«Non.. Gli è venuta fame, vero?», più che una domanda era un’affermazione, a sé stessa. Abbassò la testa, per poi rialzarla sull’amica.
«Ma non ti ha toccata, vero?»
Ever si ostinava a non parlare, cercando di respirare e calmare quel pianto che non aveva fatto altro che soffocarla, fino a quel momento. Non voleva credere che fosse successa una cosa del genere. Ma era successo.
Scosse poi in maniera impercettibile la testa.
«No lui.. No. Non lo farebbe mai. Non se lo perdonerebbe mai..», sussurrò flebilmente, scuotendo ancora la testa, mentre Suz le levò una lacrima dal viso con il polpastrello di un dito. Non disse niente, la sua migliore amica doveva sfogarsi, e lei non l’avrebbe interrotta.
«Mi.. Mi ha baciato il collo e.. Ed è cambiato tutto. S’è alzato di scatto, portandosi al muro, ed io.. Io ho commesso un errore. Mi sono avvicinata, gli ho messo una mano sulla spalla e lui.. Tremava. S’è voltato e aveva i suoi.. I suoi denti affilati e gli occhi.. Gli occhi..», abbassò nuovamente lo sguardo, lasciando che altre lacrime spuntassero dagli angoli della sua bocca.
«Lui.. Lui ha lottato contro sé stesso per non farmi del male e poi.. Poi se n’è andato. Mi.. Mi fa male vederlo in quello stato, mi fa un male completo.. Perché io lo amo..»
Susan non aveva detto parola, restando semplicemente in ascolto. Sembrava come se non bevesse da un secolo, tanto che la sua gola si fosse seccata. Non aveva parole di conforto da offrirle, la situazione non era semplice, e lei sapeva benissimo quanto fosse difficile controllare quell’impulso, quando si teme di fare del male alla persona a cui vuoi bene, o che ami.
Le strinse la mano con la sua.
«Lo so che fa male, quando devi combattere la fame, la sete.. Fa male ad entrambi.. Ma devi cercare di sostenerlo o si odierà per averti “spaventata” così tanto. Potrebbe non passargli tanto facilmente. Purtroppo, tesoro, è parte di ogni demone, è parte di lui. Non può combatterla, eliminarla. Nessuno può. Mantenere il controllo di quanto beviamo, è difficile, e più beviamo, più grosso è il danno per la persona da cui prendiamo il sangue, specie per chi nutrendosi differentemente, non ha la possibilità di riassumere tutto il sangue perso. Ma ti ci abitui, ed è quello che riuscirai a fare anche tu. Tra noi il morso non uccide, ma voi angeli siete comunque creature più delicate sotto certi aspetti, è comprensibile che avesse tutto questo timore di ferirti, di farti del male. Lui ti ama.», disse in modo calmo, ma serio.
In maniera rapida e dolcissima, l’amica andò ad abbracciare l’angelo, stringendola contro il suo petto e portandole una mano tra i lunghi scuri capelli mossi, passandoci la mano, lentamente, proprio come quando erano bambine.
«Adesso ci sono io, sta tranquilla, con il tempo migliorerà.»
El si strinse forte a lei, appoggiando il suo viso sulla spalla dell’amica.
«Lo sosterrò, sempre. Anche nei momenti peggiori. Se ami davvero una persona, la ami con pregi e difetti, in maniera unica e totale. La ami anche se dentro di lui c’è una parte oscura. Lo ami perché è semplicemente perfetto, così com’è. E’ questo che è Pj.»
«Grazie per essere qui, Demonietto..», disse in un sussurro, senza staccarsi dall’abbraccio, quell’abbraccio che valeva tutto. Ogni singola cosa. Valeva più di ogni minima parola.
«Non mi devi ringraziare. Ehi, sono la tua migliore amica!», proruppe divertita, nonostante la serietà che Elena aveva assunto.
Era tornata alle parole che aveva detto poco prima Susan, riguardanti i demoni. L’aveva messa di fronte ad una realtà che non aveva mai considerato, anche se comunque stava con un demone da più di quattro anni. Aveva bisogno di metabolizzare il tutto.
«Mi aspetti? Mi faccio una doccia rapida e mi vesto.»
Suz annuì, lasciando che l’angelo si alzasse con il lenzuolo attorno al corpo, dirigendosi al bagno, ove s’infilò in doccia, lavandosi rapidamente. Per fortuna aveva l’abitudine di tenere un ricambio completo in quella piccola stanzetta. Si vestì in meno di due minuti, con una felpa larga grigia e il pantalone di un pigiama.
Non che sentisse freddo, ma era la forza d’abitudine per mischiarsi con gli umani.
«Come ti senti, dolcezza?», domandò il demone, non appena uscì dal bagno El. Si era premurata di sistemare un po’ la stanza totalmente in disordine.
Non potè fare a meno di sorriderle.
«Io.. Si, abbastanza. E grazie. Per la stanza e.. Per essere qui.»
Sorrise di rimando, scuotendo la testa. Elena si era seduta sul letto, che ancora sapeva del profumo di Paul, un minimo.
«Ti potrà sembrare stupido ma.. Ti va di coccolarmi? Come quando eravamo piccole..», conclusi timidamente, inclinando la testa da un lato.
Il sorriso sul volto di Susan si ampliò notevolmente.
«Certo. Vieni qua, Angioletta.»
Le si avvicinò, andando a stendersi di fianco a lei, sul grande letto.
Ehi, era la sua migliore amica.
Un’amicizia oltre i confini. Un’amicizia che durava ormai da millenni.
Un’amicizia forte ed indissolubile, che nessuno sarebbe mai riuscito a spezzare.

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Capitolo 13
*** The Change ***

























The Change.

Quanto tempo era passato da quella notte, quando Paul era letteralmente scappato, lasciando Elena in balia delle sue emozioni? Quanto tempo era passato da quella notte in cui Susan era stata affianco alla sua migliore amica, facendole capire che doveva star tranquilla, e che ogni demone è così, sotto ogni aspetto?
La risposta? Due mesi.
Due mesi in cui Paul era letteralmente sparito, senza farsi trovare, senza volersi far trovare. Elena non riusciva neanche a percepirlo.
L’angelo sapeva che non doveva cercarlo, sapeva quando Pj aveva bisogno di stare da solo, e quello era uno di quei momenti.
Ma adesso, l’assenza stava diventando troppo pesante, tutto lo stava diventando.
Erano giorni estenuanti quelli che stavano passando Paul ed Elena; un Amore come il loro sarebbe durato tutta la vita.
In qualsiasi posto fossero, in qualsiasi anno o momento, si sarebbero sempre ritrovati.

Elena aveva passato la maggior parte del tempo, in quei lunghi sessanta giorni, assieme a Taylor e a Susan.
Adesso, tutte e tre, si trovavano sedute nel soggiorno a casa del demone dai capelli rossi –colore momentaneo, ovviamente-, davanti al caminetto acceso e scoppiettante. Non che ne avessero bisogno, ma a loro piaceva l’atmosfera che provocava.
Il fuoco, l’odore di legna bruciata, il calore che emanava.
«Dai El! Un po’ di sano shopping ti farà bene!», esclamò Taylor, strattonando leggermente per un braccio la sua nuova amica, nonostante fosse seduta comodamente sulla poltrona. Quest’ultima sbuffò, quasi esasperata.
«Al posto che volerci portare a fare shopping, perché non ci racconti un po’ di come vanno le cose tra te e l’angioletto bello? Sembra che qualcun altro finirà come me.», affermò ridendo, dandole una leggera spallata, scuotendo la testa.
«Non ne voglio parlare, eddai!»
«Troppa privacy fa male, Tay. Dovresti scioglierti un po’ di più! Andiamo, tutti noi facciamo.. Sesso. Elena è la prima.», ribatte questa volta Suz, alzando la testa e scoppiando a ridere.
El sgranò un poco gli occhi, schiudendo le labbra, appositamente.
«Sei.. Sei proprio..»
«Un stronza. Meno male che adesso qualcuno mi capisce.», sospirò la demone bionda, scuotendo la testa.
Le chiacchiere proseguivano, ma Elena si era come disconnessa. Qualcosa era appena successo.
Un crampo la colpì all’addome, strappandole un respiro, mentre con la mano rapidamente andò a coprirsi la pancia. Non era il primo che aveva, anzi. Si erano susseguiti, da ormai quasi tre settimane.
«Stai bene?!», domandò con un tono di voce decisamente più alto la sua migliore amica, che si era già avvicinata a lei, seguita da Taylor.
«Sei bianca come un cencio..»
L’angelo scosse la testa, tornando a posare la schiena contro lo schienale della poltrona ove era seduta.
«Sto bene.. Saranno solamente gli effetti collaterali del mio essere caduta. Credo.»
La sua migliore amica non sembrò crederci, ed andò a puntare lo sguardo su Taylor, che alzò le spalle, quasi con aria rassegnata.
Se Elena aveva qualcosa, di certo non avrebbe parlato.
L’angelo sapeva bene che non erano effetti collaterali della caduta dal Paradiso.
Era.. Qualcosa di più. Qualcosa che in lei stava cambiando.
Quel pensiero fisso le martellava nella mente, tanto che si era disconnessa totalmente dalla conversazione che stava avendo con le altre due ragazze.
«Ci stai ascoltando?!», esclamarono all’unisono Suz e Tay, facendo sobbalzare Elena e facendola riscuotere dai suoi pensieri.
Si alzò di scatto dalla poltrona, afferrando il cappotto sul bracciolo e la borsa ai piedi di essa.
«Scusate io.. Io devo andare.»
Non diede tempo neanche di rispondere, che schizzò fuori dalla casa. 
«Che cosa è appena successo?», domandò Taylor, indicando la porta d’ingresso. Susan scosse la testa, senza aggiungere altro.
 
Elena camminava rapida per le strade di Mosca. Sapeva dove doveva andare, chi cercare, chi trovare. E, per la prima volta, non era Pj. Aveva bisogno di una risposta sicura, certa. Una risposta che solamente una persona sola poteva darle.
Ecco perché si trovava lì, nella Piazza Rossa, proprio all’esatto centro, con tutti i sensi all’erta, riuscendo solamente dopo minuti a captare chi cercava.
Uno stregone potente, forse il più potente fino all’ora esistito: Jeremia.
Trovarlo non era semplice, per nulla, sempre nascosto, sempre a vivere nell’oscurità per sopravvivere. Eppure lui ed Elena avevano intrecciato questo legame speciale, attraverso un incantesimo di sangue, in cui si erano legati. Se lui aveva bisogno di lei, l’angelo l’avrebbe trovato. Stessa cosa se avesse richiesto aiuto Elena.
Si era stabilito a Mosca da qualche decennio, ormai.
Ed ora Elena era nuovamente sulle sue tracce. Riprese a camminare, seguendo il suo istinto, entrando in un palazzo l’isolato successivo, ma non salì le scale.
Un ingresso nascosto portava ad un sotterraneo protetto attraverso la magia.
Scese le scale, chiamando il suo nome.
«Jeremia?»
Una folata di vento e poi la schiena dell’angelo andò a sbattere violentemente contro la parete, mentre una mano le andò a tappare la bocca.
«Chi cazzo ti manda?», sputò fuori una voce maschile, che Elena conosceva bene.
Fece per parlare, ma la mano le tappava l’uscita delle parole.
Il ragazzo fece schioccare le dita, lasciando che una lieve fiamma aleggiasse nell’aria, andando così ad illuminare il volto della ragazza.
«Merda, Elena!», pronunciò il ragazzo biondiccio, dagli occhi verdi, liberandola dalla presa, andando ad abbracciarla rapidamente.
«Cazzo che modi, Jeremia!», esclamò Elena, ricambiando però l’abbraccio calorosamente.
«Scusami, scusami. E’ solo che ultimamente non è un bel periodo. Sono in guerra con una fazione di lycan non troppo gentili.», le fece l’occhiolino, dopo averla lasciata andare, scendendo così le rimanenti scale, seguito da lei.
«E così ho saputo che la nostra angioletta qua.. E’ caduta.»
«..E non potrei star meglio di così, in tutta onestà. Ho rinunciato a tutto per l’uomo che amo, e non me ne pento.»
Arrivarono fino ad un piccolo spazio angusto, arredato in malo modo, ovviamente. Due sedie, un tavolo e una branda.
Era un sotterraneo, dopotutto. Arredato con il minimo indispensabile.
Elena si era seduta su una delle sedie, posando un gomito al tavolo; era nervosa, decisamente nervosa. Forse troppo, tanto che Jeremia non potè fare altro che sospirare, puntando i suoi occhi sulla ragazza che aveva di fronte.
«Sei sicura di star bene, angioletta?»
Scosse la testa, prima di rispondere: «No, non sto bene.»
«Non mi fraintendere, sai quanto io ti voglia bene e quanto mi faccia piacere vederti. Per me come mia sorella, e lo sarai sempre ma.. Sento che questa non è una visita di cortesia, non è così, Elena?»
Sospirò questa volta. Già, Jeremia aveva ragione. Non lo aveva cercato per nulla.
«C’è.. Qualcosa che non va.. In me. Qualcosa che non capisco, che non riesco a spiegarmi..»
«Che cosa dovrebbe “non andare”?»
«Se lo sapessi non sarei qui, non credi? Fai un incantesimo, qualsiasi cosa. Ma so che qualcosa c’è. E non è una cosa.. Normale.»
Gli occhi color nocciola di Elena si puntarono seri in quelli verdi di Jeremia, che non potè fare altro che rassegnarsi.
Conosceva bene Elena e sapeva benissimo che, se si fissava su una cosa, avrebbe sempre trovato un modo per spuntarla e vincerla. Era come una battaglia persa in partenza. Tanto valeva fare come diceva, accontentarla.
Chiuse gli occhi, andando a posare una mano sulla sua spalla, dopo essersi avvicinato a lei, lasciando i suoi poteri defluire, alla ricerca di quel qualcosa che il ragazzo sapeva non esserci quando..
Quando Jeremia tremò e una visione andò a colpirlo.
Gli occhi si sbarrarono, diventando vitrei.
«Jeremia.. Jeremia, parlami!», esclamò Elena, afferrandolo per un braccio e scuotendolo leggermente, inutilmente.
Jeremia cadde a terra, ed El non esitò a fiondarsi su di lei, per cercare di aiutarlo.
Ali di due differenti colori, soffici come quelle di un angelo, ma spigolose e nere come quelle di un demone. Lunghi canini fatti apposta per dissanguare, ma mai usati. Due volti che Jeremia conosceva bene: quello dolce di Elena e quello di Pj.
Un abbraccio, una toccata rapida ai capelli leggermente scuri di una nuova figura, un bacio su una guancia dato da Elena.
Una parola detta a voce alta, susseguita da una risata dolcissima, in sincronia, ma proveniente da due voci differenti: una femminile ed una maschile. Che lo stregone non aveva mai sentito. Aveva capito. Sapeva che cosa stava succedendo ad Elena.

Jeremia sbarrò gli occhi, ansante a terra. Non aveva capito un granchè da quella visione che aveva appena avuto, ma una cosa era certa: Elena aveva ragione.
«Stai bene!? Che diamine è successo? Io.. Io non sapevo che cosa fare. Sei crollato a terra..», sussurrò l’angelo, aiutandolo a rialzarsi.
Jeremia si appoggiò con una mano al bordo del tavolo, senza dire nulla, nonostante le insistenze di Elena.
«Dimmi che cazzo hai visto!», sputò fuori, a voce alta, strattonandolo con forza con entrambe le mani dalle spalle.
Lo stregone afferrò i polsi della sua amica, puntando i suoi occhi in quelli di lei.
«Intanto calmati. Per prima cosa. Io so che cosa ti sta succedendo. Avevi ragione a dire che c’era qualcosa che non andava.»
Sbarrò gli occhi scuri, mollando la presa, restando semplicemente a fissarlo, atona.
«Non ho mai visto niente del genere, Elena..», iniziò Jeremia, sinceramente.
«Non hai mai visto.. Cosa, esattamente! Jeremia, parl..»
Si bloccò, prima di finire la frase. Aveva capito con un semplice sguardo lanciatole.
Sgranò gli occhi, sentendosi mancare. Oh mio Dio. Qualcosa fuori dal normale, dal comune, qualcosa mai visto prima d’allora.
«Devi parlare con Pj. Al più presto.»
Elena semplicemente annuì.
«Grazie di tutto, Jeremia.»
Aggiunse un istante prima, prima di smaterializzarsi, svanendo da quel sotterraneo in un battito di ciglia.

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Capitolo 14
*** Mum and Dad. ***

















Mum and Dad.


Elena era letteralmente “scappata via” dal sotterraneo ove aveva incontrato Jeremia, il quale era ancora notevolmente confuso.
Non poteva credere a ciò che aveva visto. Qualcosa fuori dal comune, qualcosa che, forse, avrebbe potuto portare finalmente la pace tra Angeli e Demoni.
Forse.
Jeremia scosse la testa, buttandosi sul letto e chiudendo gli occhi. Non voleva pensarci, voleva riposare la testa, visto che, da quando Elena se n’era andata, le visioni su lei e Pj erano continuate, seppur in maniera sconnessa.
 
Elena correva per le strade di Mosca. Non poteva dare nell’occhio volando, durante la giornata. C’era solamente un posto, in quella città, in cui Pj si sarebbe rifugiato.
La sua vecchia casa. Si, perché lui e l’angelo avevano passato qualche giorno, in passato, proprio nella grande capitale russa.
La ragazza dai capelli scuri odiava i mezzi di trasporto, ma in quel momento un taxi era la sua unica speranza. I suoi poteri si erano dimezzati, e non poteva più teletrasportarsi di qua e di là come se niente fosse.
Aveva indicato un quartiere russo, uno di quelli malandati, non propriamente al centro, ma in periferia. Era un posto perfetto per nascondersi e non destare sospetti, ecco perché aveva scelto quel luogo in precedenza, in accordo con la sua ragazza.
Il taxi si fermò, ed Elena lascio ricadere sul sedile anteriore una banconota, senza neanche dare il tempo al tassista di darle il resto. Non aveva tempo, doveva vedere Paul, subito.
Riprese a correre, urtando un passante, svoltando in un vicolo composto da archi in pietra. Scorse la terza porta sulla destra e s’infilò dentro, salendo le scale, attaccandosi al corrimano, facendo il più in fretta possibile per raggiungere il terzo piano.
Pj poteva anche essere arrabbiato per quello che aveva fatto, quella lontana notte, ma Elena aveva bisogno di parlare subito con lui, che lo volesse o meno.
Non bussò neanche alla porta, si smaterializzò al suo interno –la distanza era minima, alla fine-, respirando profondamente, guardandosi attorno.
Si, Paul era ancora in quel piccolo appartamento arredato al meglio e totalmente accogliente, nonostante il fuori facesse pensare ad un tugurio di prima categoria.
L’angelo questa volta iniziò a camminare, lentamente, verso la stanza da letto che lei conosceva bene. Il demone aveva un braccio sopra agli occhi, probabilmente dormiva, ma era una cosa abbastanza impossibile che non si fosse accorto della presenza di Elena nella stanza.
La ragazza si sedette sul letto, prima di sdraiarsi al suo fianco, posando la testa sul suo petto coperto dalla maglietta a maniche corte scura.
Sarebbe rimasta lì tutta la vita a guardarlo, tanto che era bello.
Era così dannatamente bello da toglierle il fiato.
Era la cosa più bella che le fosse capitata nella sua vita.
Il profumo inconfondibile di Elena perforò le narici di Paul, che al momento non aveva neanche la forza di aprire gli occhi, né di distinguere la realtà.
Se fosse solo stato un sogno non avrebbe saputo cosa fare, ma se fosse stata la realtà e lei fosse stata realmente lì, non avrebbe saputo che cosa dire.
No, una parte di lui diceva che fosse la realtà.
«Pensi che sia così facile eludermi?», domandò Pj, levandosi il braccio dagli occhi, lasciando che i suoi occhi si abituassero un istante alla luce, beandosi poi della splendida visione di Elena, sorridendole divertito, andando a passare una mano lungo i capelli lunghi e scuri.
Erano stati più di sessanta giorni estenuanti, in cui aveva dormito poco e aveva cercato di evitare in tutti i modi di squartare qualcuno, data la sua sete di sangue.
Posò le sue labbra sulla fronte dell’angelo, in maniera impercettibile.
«Mi sei mancata così tanto..», sussurrò in maniera impercettibile, portando Elena ad abbracciarlo maggiormente, respirando il suo profumo, la sua essenza, respirando lui in ogni sfaccettatura.
«Mi sei mancato, da morire. Troppo. Non volevo irrompere a casa tua ma.. Ma ero sfinita. La tua lontananza mi distrugge. Io ho bisogno di te, perché ti amo.», sussurrò, avvicinandosi e stampandole un bacio casto sulle labbra. Notò che Pj stava per dire qualcosa, ma Elena premette un dito sulla sua bocca, facendogli capire di tacere e di farla parlare.
«Ti prego, Pj, fammi parlare.», una breve pausa, i loro occhi si scontrarono e così l’angelo riprese a parlare.
«Non ti devi odiare per quello che è successo, ormai due mesi fare, non ti odiare, non farlo, perché ci starei male. Mi sento morire, quando ti guardi come se fossi la fossi la peggiore delle bestie infernali, ti guardi pieno d’odio ed io.. Io non riesco a sopportarlo. Quando ti guardi così, quando ti comporti così.. Mi uccidi. Sento il cuore e l’anima andare in mille pezzi.»
Si sedette sul letto, passandosi una mano tra i capelli, chiudendo un istante gli occhi, prima di puntarli su quelli di Pj, seria come non mai.
«Tu sei la persona più bella e umile che io abbia mai conosciuto. Ricordati sempre che io ti amo, che non me ne andrò mai. E quando dico mai, sai che è la verità. Sai che darei la mia vita, per te. So che anche se non sei vicino a me, è come se lo fossi. Forte, chiaro, lucido ed indelebile nella mia anima. Dentro di me non c’è spazio per nessun altro. Solo tu. Per sempre.»
Quelle parole erano state scandite dall’emozione vibrante negli occhi di Elena, che no si erano mai staccati da quelli di Paul. Elena lo amava davvero, in ogni sua sfaccettatura, più di sé stessa. E quella n’era la dimostrazione completa.
Paul non le aveva chiesto niente, e lei, lei aveva detto tutto quello che provava, che sentiva, riflettendo le sue emozioni negli occhi, che andarono ad imprimersi negli occhi dell’uomo che amava.
Paul, per tutta risposta, scosse la testa. Le sue parole lo avevano riempito di gioia, di amore, ancora più grande e forte di quello che già provava. Che lei era riuscito a farle provare. C’era qualcosa che le doveva, qualcosa che Elena doveva sapere.
Qualcosa che non le aveva mai detto. Lei non aveva mai conosciuto quella parte di lui, oscura, quella parte di lui che lo portava ad uccidere per fame e divertimento, quella parte di lui che lo aveva portato a combattere, tempo prima, ad una guerra che non gli apparteneva.
Un mercenario che combatteva solo per ego, per soldi, per divertimento, per avere una fama tra i demoni. L’ultima notte che aveva passato con lei, era stato solamente un segno datogli dal suo stesso istinto, per non farle dimenticare quello che realmente era. Un demone spietato, uno dei più temuti all’Inferno.
Lui amava Elena, in maniera incondizionata, ma le aveva mentito per troppo, troppo tempo.
Ora che lei stessa aveva rinunciato alla sua stessa vita, per lui, ora che si era perfino fatta ripudiare dal suo stesso Dio, ora che lei era una parte impossibile da lasciare andare per la vita del demone.. Non poteva più mentirle.
«Non mi perdonerei mai se ti accadesse qualcosa, e quello che mi è successo quella sera di due mesi fa, è solo una delle tante sfaccettature della mia essenza. Elena.. Io non sono lo stinco di santo che tu credi che io sia..»
Elena avrebbe tanto voluto parlare, dire qualcosa. Bloccarlo. Dirle che non le interessava niente di ciò che aveva fatto in passato. Perché era vero. Elena lo amava così com’era. Inutile negarlo. Lo amava anche per la parte che lui odiava.
Paul le fece cenno di tacere, riprendendo così il discorso.
«Aspetta, fammi finire. Devi sapere e poi tu stessa mi dirai se vuoi o no continuare a vivere il resto della tua vita con uno come me..», la guardò negli occhi, mentre la paura di perderla si fece così pesante sul suo cuore, quasi da fargli smettere di respirare, se ne fosse stato capace.
Pj non resistette a tale tensione, si alzò in piedi, iniziando a camminare avanti ed indietro nella stanza, lasciando che la sua voce riecheggiasse nella stanza.
«La prima volta che ci siamo incontrati, durante quella sanguinosa guerra.. Beh, io.. Io non ero l’umile soldato che tu credevi. Ero un mercenario, che si era spinto fino a lì solo per fama e denaro. I ragazzi che il mese scorso sono stati massacrati.. Non sono stati animali.. Sono stato io!», urlò, battendo un pugno sulla scrivania vicino al muro, crepandola. Elena non si era mossa, era rimasta ad ascoltare ogni singola parola senza battere ciglio. Aveva osservato l’intera scena senza muoversi.
«Questi mesi in cui sono mancato, prima di arrivare a Mosca, intendo.. Ti ho sempre detto che erano questioni private. Non era vero. Sono sparito perché sono stato chiamato dal mio superiore, per questioni sporche, che anche il più stupido e maligno dei demoni si sarebbe rifiutato di svolgere.. Ma non io. Ho infranto ogni sorta di legge del mondo terreno e del nostro. Sono stato accusato di tradimento dalla mia stessa gente. Elena, io non sono quello che tu pensi.»
Un sospiro, un lungo sospiro. Pj si passò una mano tra i capelli, prima di fermarsi davanti al letto, allargando le braccia, lasciando che una lacrima solcasse il suo viso.
«Elena, io ti amo.. Ma tu come puoi amare un mostro?»
L’angelo era rimasto senza parole, incapace di dire qualsiasi cosa. Le lacrime le pungevano gli occhi, ma non avrebbe permesso che cadessero.
Non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Era rimasta seduta sul letto, a fissare Pj, come se realmente non lo vedesse.
Lei aveva scavalcato mari e monti, aveva addirittura voltato le spalle a Dio, suo Padre, pur di stare con lui.. E cosa veniva a sapere?
Che lui faceva affari sporchi con un altro lurido demone, che la sua gente l’aveva rinnegato e che lo odiavano.
Forse volevano addirittura la sua morte.
La testa le girava vorticosamente, come se il mondo avesse preso a girare al contrario in un battito di ciglia. Non si mosse dal letto, andando però a parlare.
Aveva quella domanda che le frullava in testa, e l’avrebbe fatto.
«Perché non me l’hai detto, Pj?! Diamine, io ho sempre creduto in te, nella nostra storia, nel nostro amore! Abbiamo entrambi fatto i salti mortali per stare insieme.. E dietro a tutto.. C’era questo!», urlò Elena, alzandosi dal letto di scatto, mentre un dolore la colpì al ventre, lasciando che sul suo viso si dipingesse una smorfia di dolore. Paul non si lasciò sfuggire quel piccolo dettaglio.
«Elena, stai b..?»
«Sto benissimo, Paul! Non pensare di cambiare discorso, non adesso!»
El si sentiva ferita, in profondità. Non avrebbe mai pensato che Pj potesse mentirle per tutto per quel tempo, per tutti quegli anni. Eppure.. Eppure non era arrabbiata. Si sentiva solamente esclusa dalla vita dell’uomo che amava.
Si avvicinò a lui, senza staccare gli occhi sai suoi. Paul respirò profondamente, chiudendo gli occhi quando vide la sua mano alzarsi.
Pensava che gli arrivasse uno schiaffone in pieno viso, d’altronde se lo meritava. La stava facendo soffrire, come non avrebbe mai voluto fare. Avrebbe dovuto dire la verità molto tempo prima. Avrebbe dovuto trovare il coraggio e la forza per dirle ogni cosa. Sarebbe stato meglio.
Era pronto per quella sberla, che non arrivò mai.
Per tutta risposta le dita della ragazza si andarono a posare sul viso di lui.
«Mi hai ferita, e delusa. Non poco, Pj. Ma non m’importa di quello che sei stato. Non m’importa di quello che hai fatto. Mi importa di oggi. M’importa di noi.», proruppe seria, probabilmente seria come non lo era mai stata.
«Dal passato si impara, così come si impara dai propri errori. Il passato serve per modificare il presente, per renderlo migliore, ricordalo.»
La sua mano strinse quella del demone, mentre l’altra restò posata sulla sua guancia.
«So che è dura, so che non ti perdoneresti mai se mi succedesse qualcosa o se mi facessi del male. So che dentro di te c’è l’Inferno fatto a persona. So anche che tutti i giorni lotti per tenere a freno quello che si muove in te, la tua parte oscura.. Ma come vedi, sono qui. Con te. Non ti lascio, Pj. Nella buona e nella cattiva sorte, io ci sarò. Sempre amore, sempre.»
Il demone abbassò lo sguardo, sospirando profondamente. Si stava chiedendo com’era possibile che Elena provasse, sentisse e pensasse tutte quelle cose su di lui, dopo averle detto esplicitamente quello che aveva fatto. Dopo averle mostrato, seppur a parole, il mostro che fosse. Che era.
«Io.. Non so cosa dire.. Non me l’aspettavo. Mi sarei aspettato un’altra reazione. Decisamente..», sussurrò Paul. Elena portò due dita al mento del suo uomo, alzandogli il viso verso l’alto, in modo che i suoi occhi incrociassero i suoi, ancora una volta, ancora come fosse la prima.
«Come potrei non amarti? Io ti amo. Completamente. Per tutto. Ti amo per quello che tu non vedi. Ti amo anche per la tua parte oscura che tu tanto odi. Io ti amo, in tutto e per tutto, perché dentro di te, il tuo cuore e la tua anima, danno che sei una persona speciale, che ha sentimenti. Che prova sentimenti. Anche se ti ostini a negarlo.»
Fece una breve pausa, sorridendogli ed avvicinandosi a lui, ancora di più.
«Tu sei la persona migliore che mi potesse capitare. Sei la persona migliore che potrei desiderare costantemente. Sei la persona che mi completa. Sei la persona che mi ha fatto innamorare. Se tu fossi un mostro, come avrei potuto innamorarmi di te, in ogni tua sfaccettatura? Non sei un mostro, sei tutt’altro che un mostro. I veri mostri sono altri, non tu.»
Le labbra di Elena sfioravano quelle di Pj che, in maniera impercettibile, era andato a posare le sua mani sui fianchi di lei, avvicinandola a sé.
«Adesso baciami, Pj. Ho bisogno di te e del nostro amore. Non mi lasciare, mai..»
L’angelo chiuse gli occhi, assaporando quel dolce bacio, che sapeva d’amore. Che sapeva di lui. Quel bacio che racchiudeva tutto.
La consapevolezza di un amore oltre i confini, di un Amore che non sarebbe riuscito ad essere spezzato da nessuno.
Di quell’Amore che si sarebbe solamente potuto ampliare, ma mai scemare.

«Ho ancora una cosa da dire, Pj. So benissimo un’altra cosa, la cosa più importante del mondo.»
Paul aggrottò le sopracciglia, senza sapere ove la donna che amava stesse andando a parare.
«Sai benissimo, cosa, esattamente?», chiese in un sussurro. Eppure l’angelo ancora non parlava, si ostinava a restare lì, a fissarlo, a leggere la sua anima attraverso i suoi occhi.
«Avanti parla. Qualsiasi cosa sarà, l’affronteremo assieme. Te lo prometto.»
Sul viso di Elena andò a dipingersi un meraviglioso sorriso, uno dei più belli che Pj avesse mai visto. Gli occhi dell’angelo lampeggiavano di gioia, andando a velarsi leggermente di una patina di lacrime colpe di felicità.
El sentì il cuore battere rapido nel petto, mentre andava a pronunciare quelle fatidiche dieci parole, che aveva trattenuto da quando aveva lasciato Jeremia.
Da quando aveva scoperto la verità. Ecco perché così tanta fretta di parlare con Paul John. Ecco perché era corsa per mezza città, adattandosi addirittura ad uno stupidissimo taxi.
Ed ora era giunta quella confessione, quelle parole che, appena pronunciate, avrebbero cambiato la vita di entrambi. Per sempre.
«So che sarai un ottimo padre per nostro figlio, Amore.»

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Capitolo 15
*** Will I be a good father? ***



















Will I be a good father?


Pj era rimasto ad ascoltare le parole di Elena, senza aggiungere altro. L’amava, e l’avrebbe sempre amata, e per lei sarebbe riuscito a cambiare. Avrebbe rinnegato perfino sé stesso.
Ma alle parole di Elena, Paul restò di stucco, impietrito, immobile, cercando di elaborare ciò le sue orecchie avevano appena sentito.
Un figlio? Aveva davvero detto che avrebbero avuto un figlio? Un bambino, un loro bambino?
Il suo sguardo si puntò su di lei, fisso, andando poi a colorarsi di un dolce sorriso.
Il solo pensiero che di lì a poco qualcuno o qualcuna sarebbe nato a testimonianza del loro amore, lo rese felice.
Non riuscì a dire una parola, perché le parole non bastavano per esprimere quanto l’amasse, più che ami. Quanto già amasse quella piccola creatura che cresceva dentro di lei.. D’impulso le labbra del demone andarono a ricercare quelle dell’angelo, accarezzandole con entrambe le mani il viso, scendendo lungo il suo corpo, bloccandone una su un fianco e l’altra sull’addome.
«Mi basterebbe essere un padre degno di quel nome, ma so che con te al mio fianco, potrei riuscire dove ogni uomo fallisce.»
Paul fece una breve pausa, posando la fronte su quella di lei, tornando a parlare.
«Ti amo amore mio, e per te e nostro figlio sarò un uomo diverso. Se ti ho mentito era solo per paura di perderti, ma ora so che con te posso essere quello che sono realmente, non lascerò che niente e nessuno ci possa dividere.»
Elena pensava davvero che Pj non avrebbe più aperto bocca.
«Pensavo che non avresti più parlato. Pensavo che non volessi.. Lei o lui, ecco. Pensavo di aver sbagliato a dirtelo così, ma mi è uscito, spontaneamente. Non riuscivo più ad aspettare, dovevo dirtelo.»
Abbassò un attimo lo sguardo, prima di rialzarlo e puntare i suoi occhi in quelli scuri di Pj.
«Tu sarai un padre più che degno di quel nome. Il padre migliore del mondo. Tu non fallirai, io ti sarò sempre accanto quando starai per cadere, e ti sorreggerò, costantemente. Parliamo del presente, adesso. Il passato non è importante. Viviamo l’adesso, l’oggi, l’ora.»
«Come potrei non volerlo, amore mio? Io ti amo, e amo qualsiasi cosa provenga da te o dal nostro amore. Solo che.. Mi hai colto impreparato, tutto qua.»
Pj sorrise, stampandole un bacio leggero.
«Ti amo, ogni momento più del precedente..»
Le sue labbra erano come calamite per quelle del demone, incapace di starle lontano.
«Come l’hai saputo, Elena? Non è una cosa che si scopre attraverso mezzi di comuni mortali.», domandò, alzando un sopracciglio. L’espressione di Elena era qualcosa che non si poteva descrivere, ma che comunque voleva dire tutto.
Alzò infine le spalle.
«Sei andata da Jeremia, non è così? L’hai sospettato e sei voluta andare da lui per averne conferma.»
El sorrise, inclinando la testa da un lato, annuendo.
«Si, sono passata da lui. Era l’unico che avrebbe potuto dirmi qualcosa di concreto. Sai che è il più forte stregone che esista, e per questo è costantemente ricercato da entrambe le fazioni. Angeli e demoni se lo contendono, e lui non può far altro che scappare. Forse potrei anche aver trovato un modo per aiutarlo, ponendo fine al suo vivere in sotterranei o che altro.», concluse, andando a sedersi sul letto.
«Dobbiamo tanto a quel ragazzo, più di quel che pensiamo. Ci ha protetti tante volte, in questi quattro anni. E’ il minimo che possiamo fare per lui, per cui, qualsiasi idea tu abbia, ti appoggerò.»
Paul raggiunse Elena, inginocchiandosi di fronte a lei, mentre la mano dell’angelo andò ad accarezzare dolcemente il viso del suo compagno.  
«Quanto ti amo non lo immagini neanche. Quanto amerò questa piccola creatura.. Più della mia vita.»
«Secondo te.. Maschietto o femminuccia? Demone o angelo?», domandò Elena, senza staccare gli occhi da quelli del suo uomo.
Le loro labbra si sfiorarono dolcemente.
«Uhm.. Un’ibrida magari, a metà tra me e te. Qualcosa che non si è mai visto prima.. Bella come la mamma.» sussurrò nuovamente, posando i palmi delle mani sul materasso, tirandosi su, prima di andare a sovrastare il corpo di Elena con il suo, andando a farle posare la schiena sul materasso.
«Qualcuno di unico.. Io dico maschietto. Maschietto bello e forte come il suo papà.»
Questa volta fu l’angelo a sibilare in un soffio quelle parole. Era tutto così strano.
Era come se il mondo avesse preso a ruotare in maniera pi frenetica, in un altro senso. Andando a ruotare attorno a quella piccola creatura che cresceva nel ventre di Elena.
Qualcosa che, quando avesse visto la luce, sarebbe stato un essere fenomenale, più di quel che credevano entrambi.
«Ci sarà da scegliere un nome.. Sia maschili che femminili, visto che fino alla nascita, non sapremo il suo sesso.»
«Abbiamo tempo per i nomi, non credi, amore mio? L’importante che cresca forte e sano, amato da entrambi.», disse Paul, andando a girarsi e a posare un fianco sul materasso, tirandosi dietro la sua amata Elena.
«Un’altra piccola te, un’altra piccola donna a correre per casa, che amerò quanto te, più di ogni cosa, più della mia stessa vita.»
«Un altro piccolo te, un altro piccolo uomo a correre per casa, che amerò quanto te, più di ogni cosa, più della mia stessa vita.»
«Nessuno farà mai del male alla mia famiglia. Nessuno.»
Il naso di Pj andò a sfiorare quello di lei. Occhi negli occhi.
«Mai. Nessuno. Nessuno mi porterà mai vita da te. Nessuno ci porterà via da te. Io sono tua, noi siamo tuoi. Tu mi appartieni. Io ti appartengo.»
«Sono vostro, ed io ti appartengo.»

«Sei mio.»
«Si, tuo. E tu sei mia.»
«Tua.»

Quella che si erano appena fatti era una promessa. Una promessa che entrambi avrebbero mantenuto. Avrebbero dato la loro vita, qualsiasi cosa fosse successo, l’uno per l’altra e per il piccolo o la piccola che Elena portava in grembo.
«Non succederà nulla al bambino o alla bambina, te lo prometto, El. Non mi perdonerai mai se vi succedesse qualcosa..»
L’abbracciò, stringendola a lui e respirandola. Le labbra si sfiorarono, andando a schiudersi in un bacio, in un unione che sapeva di tutto.
Mi sorrise, accarezzandomi il viso, prima di portarsi a sedere.
Pj si alzò dal letto, andando a portarsi davanti alla finestra aperta, posando entrambi i palmi delle mani al davanzale, osservando attentamente la vita della città e le cupole del Cremlino in lontananza.
Anche Elena si alzò, avvicinandosi a lui, circondando il suo petto con le braccia, andando a posare la sua testa contro la schiena, stringendolo forte a lei.
«Lo sai che ti amo da morire. Ti amo come non ho mai amato nessuno. Ti amavo anche prima di conoscerti e, se ti conoscessi adesso, m’innamorerei ancora di te. Sempre è stato, e sempre sarà.»
Respirò profondamente il suo dolce profumo, lasciando che Paul John si voltasse e la stringesse tra le braccia, cullandola dolcemente.
«La stessa cosa che provo io. M’innamoro di te ogni giorno che passa.»
Le mani di Paul si posarono sul viso dell’angelo, mentre le loro labbra si univano ancora, in un nuovo bacio.
«Questa creatura è un miracolo. E’ il frutto del nostro amore..», sussurrò nuovamente.
Elena si portò una mano al ventre, lasciando che le mani del suo uomo si posassero sulle spalle, prima di andare a stringerla nuovamente contro il suo petto.
Neanche Dio e neanche il Diavolo sapevano quanto loro due si amassero.
L’amore per un Demone andava ben oltre le Sue aspettative.
L’amore per un Angelo andava ben oltre le aspettative di ogni demone di ogni girone infernale.
Se Dio l’avesse rivoluta con Lui, non sarebbe ritornata in Paradiso.
Se Satana avesse richiamato il suo Demone, Pj questa volta non si sarebbe lasciato influenzare: sarebbe rimasto al fianco di Elena, non sarebbe ritornato all’Inferno.
C’erano cose ben più importanti nella vita che farsi controllare da Dio o da Lucifero.
Quelle cose importanti –per Elena- erano Pj e quella piccola nuova vita che cresceva dentro di lei.
Quelle cose importanti –per Pj- erano Elena e quella piccola nuova vita che cresceva nel ventre del suo unico vero amore, l’unico che era riuscito a sciogliergli il cuore e l’anima, l’unico che aveva creduto in lei.

«Ti amo, Pj.»
«Ti amo anch’io, Elena.»
..E restarono lì, abbracciati davanti a quella finestra aperta, per un tempo indefinito.
La schiena di Elena adesso posata al petto di Pj, le cui mani carezzavano lente il ventre dell’angelo, restando a scrutare immobili e senza parlare, quel panorama, osservando il cielo colorarsi di varie sfumature, passando dal nero, al rosso, all’arancione e al rosa, andando ad indicare l’alba, l’inizio di una nuova giornata.
Che per loro stava ad indicare l’inizio di una nuova vita.

Assieme. Loro due e quella creatura che sarebbe nata, che avrebbe visto la luce, loro frutto.
Frutto del più grande sentimento esistente. Che li aveva travolti, entrambi.
L’amore.
 

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Capitolo 16
*** Epilogo - Five Years Later ***








































Epilogo - Five Years Later, 24th December

«Mamma, papa! Forza, guardate fuori! Nevica, nevica!», urlò Chanel saltellando davanti al grande finestrone, entusiasta alla vista di quei fiocchi grandi e candidi, tirando con la sua piccola manina i jeans che sua madre indossava.
Chanel aveva gli stessi lineamenti nella madre, eccetto per il colore degli occhi e per il naso, che aveva ereditato dal padre. Pj non perdeva occasione per ricordarle ciò che aveva sempre detto, anche prima che lei partorisse: “se sarà una femminuccia, sarà come avere una piccola te girare per casa.”
E così era stato.
«Dai dai! Chanel ha ragione! Voglio andare a correre nella neve!», esordì il piccolo Max che, dal canto suo, l’aveva affiancata, afferrandola per una mano e facendola ruotare su sé stessa, in una giravolta.
Il maschietto invece assomigliava tantissimo al padre, con la differenza che aveva acquisito gli occhi nocciola di Elena.
Ecco chi erano, quei due bambini: i loro due piccoli gemellini Max e Chanel Watson. La nascita di due piccoli esseri avvenuta cinque anni prima, dal grembo di Elena e nati dall'amore di quell'angelo e di Pj. Avevano dato la vita a due bambini fuori dal normale, dal comune.
Ibridi.
I primi ibridi esistenti, nati dal ventre di un angelo. Metà angeli e metà demoni. Le due parti si equivalevano, come in nessun altra creatura.
Nessuno aveva mai visto una creatura come Max e Chanel, che erano cercati continuamente, per essere conosciuti.
Proprio per questo Elena e Paul si erano spostati molteplici volte nel corso di quei cinque anni; anni in cui non avevano fatto altro che proteggerli da esseri spietati che li volevano e da chiunque volesse avvicinarsi loro.
Anni in cui avevano visitato una miriade di città. Da Mosca a Copenaghen, a Parigi, a Chicago, a Seattle, a piccole cittadine rurali in America, per poi tornare in Europa, nuovamente a Mosca.
Ecco perchè i loro due piccoli erano così entusiasmati dal vedere la neve. Era la prima volta, per loro. Pj passò un braccio attorno alla vita di Elena, tirandola a sé e stampandole un bacio sulle labbra.
«Bleah, mamma e papà si baciano..», esclamò la piccola Channie, scuotendo le spalle, con un espressione quasi schifata sul viso.
Elena non potè fare a meno che sorridere divertita a quella scena, piegandosi sulle ginocchia e andando ad accarezzarle i lunghi capelli scuri, stampandole un dolce bacio sulla bacia, ridendo assieme a lei.
Una risata in sincronia, quella di mamma e figlia che si mischiavano.
Max si era avvicinato, andando a portare le sue piccole braccia attorno al collo della sua mamma, mentre Paul osservava pieno d’amore quella scena, restando con la schiena posata al muro, vicino alla finestra.
Era diventata quella la sua vita.
Quella era la sua famiglia. Elena, l’amore della sua vita, e i loro due piccoli splendori, che avrebbe protetto a costo della vita.

«Papà, andiamo avanti!», esordì con voce decisamente alta Max, che si era già vestito, andando ad indossare cappello, sciarpa e guanti, pronto ad uscire di fuori, per giocare sulla neve.
Elena stava finendo di vestire la piccola, quando bussarono alla porta. Paul immediatamente si tese, parandosi davanti a Chanel e Max, trattenendo il fiato. L’angelo era andato a guardare fuori dallo spioncino della porta, sospirando e andando ad aprire.
«Guardate un po’ chi è arrivato!»
«Zio Jeremia!», esclamarono in coro i gemelli, fiondandosi sul ragazzo, quel ragazzo che aveva fatto tanto per i loro genitori e che adesso stava facendo tanto per i piccoli, proteggendoli con incantesimi potenti, che evitavano che qualcuno potesse localizzarli.
«Guardate che cosa vi ho portato.», disse un istante dopo Jeremia, sorridendo ad entrambi ed estraendo due grandi regali dal sacchetto che teneva tra le mani, porgendo i regali ai due piccoli, che sorrisero felici, levandosi rapidamente i giubbini, il cappello e la sciarpa, gettandoli sul divano, correndo verso il grande albero decorato con palline colorate e lucette intermittenti, che vigeva nell’ampio salotto, posandoli sotto ad esso.
Si, si poteva dire che adesso avevano una stabilità e che Paul ed El avevano preso a vivere sotto il loro stesso tetto anche Jeremia, per via di ciò che era e per i suoi ampi poteri. Soprattutto perché odiavano vederlo vivere in un qualche schifoso sotterraneo, cercando di nascondersi.
I bambini erano spariti a giocare, mentre i tre si erano spostati in cucina, in un punto ove potevano vederli, senza perderli mai d’occhio.
«Il loro potere cresce sempre di più, ogni anno che passa. Saranno immortali, lo sapete, vero?», domandò lo stregone, puntando gli occhi prima sulla sua migliore amica e poi sul suo compagno. Entrambi andarono ad annuire.
«So che cosa ho visto, lo ricordo come se fosse ieri. Ricordo quello che ho visto cinque anni e mezzo fa, quando ho toccato Elena la prima volta. I vostri figli sono qualcosa che nessuno ha mai visto, potenti, un incrocio puro tra due razze. Non diventati ibridi, sono nati così. Le loro ali saranno soffici come quelle di un angelo, ma spigolose e forti come quelle di un demone.», andò a sussurrare un istante dopo, tamburellando con le dita sul tavolo.
«Con questo cosa stai cercando di dirci, Jeremia?», domandò Pj, inquieto.
«Sta cercando di dire che chiunque non sia dalla nostra parte, o della nostra fazione, potrebbe volerli. Per oscuri scopi, o per ucciderli. Perché ne avranno paura. Ecco cosa sta dicendo Jer.», andò a concludere Elena, puntando poi i suoi occhi su quelli di Paul.
«Mai. Proteggerò i miei figli.. La mia famiglia a costo della vita. Costi quel che costi.»
«Ed io ti appoggerò.», disse El, stringendogli la mano.
«Io sarò al vostro fianco, in qualsiasi momento.», andò ad annuire Jeremia, prima di voltarsi nuovamente verso i piccoli, che giocavano tra di loro tranquilli, ridendo e parlando.
«Mamma, stiamo volando!», la voce decisamente alta di Chanel fece correre tutti in salotto. La bambina sospesa a mezz’aria che teneva per una mano il fratellino, facendolo penzolare. Le piccole ali squadrate, ma piene di piume soffici e scure, uscivano dalla sua schiena, dall’apertura che era andata a formarsi sui vestiti.
Max rideva divertito, Elena osservava quella scena senza dire una parola, così come Pj.
«Proprio a questo mi riferivo.. Così piccoli ma così potenti..»
Paul fulminò con lo sguardo lo stregone, che mosse la mano rapidamente, facendo scendere al suolo Chanel. Elena l’era già al fianco. Sapevano che cosa dovevano fare. Dovevano far imparare loro già adesso a controllare i loro poteri.
«Piccola mia, adesso devi concentrarti, devi fare in modo che le ali rientrino, pensi di farcela?»
La bambina andò ad annuire decisa, aveva un bel carattere, un incrocio tra quello di Elena e quello di Pj. Un istante dopo le ali erano sparite.
«E’ mezzanotte, è mezzanotte! E’ Natale! Il nostro primo Natale innevato!»
La tensione era stata smorzata dalla voce strillante di Max, che tutto contento era saltato in braccio al suo papà, che l’aveva stretto a sé.
Si spostarono vicino all’albero, andando ad afferrare i pacchetti incartati che ci stavano sotto, iniziando a scartarli.
Elena guardò un istante Jeremia, che era andato a mettersi tra i due gemellini, aiutandoli a strappare le carte quando non riuscivano.
El e Pj erano seduti vicino. Lei con la testa posata sulla spalla di lui, e lui che continuava a toccarle i capelli. L’angelo alzò gli occhi, andando ad incrociare quelli del demone ancora una volta, osservando poi Chanel e Max, intenti ad aprire tutti quei regali natalizi.
L’amore sgorgava dai loro occhi, anche attraverso un semplice sguardo.
Avevano lasciato tutto, per stare assieme –Elena era caduta e Pj si era allontanato dal suo capo all’Inferno- e, adesso, di un’altra cosa erano sicuri.
Avrebbero dato tutto non solo per loro stessi, non più.
Loro si sarebbero sempre protetti a vicenda, ma avrebbero fatto di più.
Avrebbero fatto qualsiasi cosa per i loro figli. I frutti del loro amore.
Avrebbero dato la loro vita se fosse servito a proteggerli.
Li avrebbero amati in maniera indescrivibile ed indissolubile, in un modo tale che solo i puri di cuore potevano fare. 
Avevano qualcosa per cui lottare, qualcosa per cui avrebbero sempre lottato: il loro amore e quello verso i loro due figli.


 
Note dell’autrice: La mia prima storia a capitoli è conclusa. Con questo epilogo si conclude l’avventura di Elena e Paul John, alla riscoperta di loro stessi e dell’amore.
Alla scoperta dell’essere genitori e di aver qualcosa per cui vale la pena lottare sempre, costantemente.
Scrivere l’ultimo capitolo, è stato qualcosa che non mi sarei mai immaginata. Triste ed emozionante al tempo stesso. E’ come se, chiusa questa storia, se ne fosse andata una parte di me.
La mia prima storia, così piena di me, di emozioni e sentimenti, che ho realmente provato. Ogni personaggio ha tante sfaccettature di me stessa, come persona. E poi, come si dice?
“In ogni storia, in ogni parola, in ogni personaggio, ogni scrittore mette qualcosa di sé.”
Ed è quello che io ho fatto. Ecco perché, sicuramente, le recensioni che ho ricevuto, parlando di un’infinità di emozioni e sensazioni trasmesse.
Non so se ci sarà un sequel, anche se ammetto che le idee per proseguire non mi mancano di certo. Però non assicuro nulla, non voglio dare illusioni a chi mi segue.
Potrebbe esserci, come potrebbe non esserci. Magari più in là, chi lo sa. :)
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita, che hanno letto questa storia con il fiato sospeso, che mi hanno recensita e che non vedevano l’ora di avere il capitolo successivo.
Grazie a chi me l’ha ispirata, questa storia. Non farò i loro nomi, ma sono quelle persone fondamentali nella mia vita, che mi hanno aiutata a crescere e che mi hanno sostenuta nei momenti peggiori, nei momenti in cui credevo di non farcela.
Ancora mille grazie a tutti, a chi mi ha seguita e a chi continuerà a farlo, attraverso le altre storie che pubblicherò.
Non smetterò mia di ringraziarvi. Grazie, immensamente.
- Wave. 

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