June's Flowers di ArtemisiaSando (/viewuser.php?uid=134075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
CAPITOLO
1
Per
la prima volta da quando aveva cominciato il lavoro, Victor Sullivan
decise di
prendersi una pausa, una delle sue: ovvero qualcosa che prevedesse un
bicchiere
di scotch e un sigaro, qualsiasi bettola sarebbe andata più
che bene.
Infondo
la città non era poi così male, considerando che
le terre di confine erano
ancora martoriate dalla guerra recente. Junon sembrava ancora
conservare quel
fascino discreto di cittadina di provincia che le permetteva di non
annegare
completamente nel marciume e nell’illegalità che
la guerra aveva portato con
sé.
La
gente era ancora infelice e povera, ma qua e là
c’era chi tentava di
riprendersi e di certo i bar del sobborgo erano
l’attività più redditizia.
Erano frequentati da gentaglia d’ogni tipo, militari
disertori compresi, ma
Sully non era un tipo schizzinoso e se qualcuno aveva intenzione di
rompergli
le uova nel paniere quella sera avrebbe trovato ciò che gli
spettava.
Entrò
da una porticina consunta all’angolo di un palazzo. Sembrava
di discendere agli
inferi tanto erano angusti i maledetti scalini, ma di certo pareva
quello meno
mal frequentato data la scarsità di loschi ceffi
all’entrata. L’odore di fumo
nella fastidiosa penombra era forte, ma non quanto si sarebbe aspettato
e non
si pentì della scelta considerando l’opzione di
fumarsi un sigaro in santa
pace. Un vago sentore di benzina da quattro soldi riempiva
l’aria, ma, a parte
il tintinnio di bicchieri e bottiglie, regnava uno strano silenzio.
Si
diresse immediatamente verso il bancone, curandosi bene di non guardare
in
faccia nessuno, non era mai prudente in posti come quello. Il barista
era un
individuo magro e slavato, non molto più giovane di lui, e
pareva estremamente
infastidito dal dover asciugare bicchieri su bicchieri.
Ordinò
uno scotch senza ghiaccio, ma dubitò seriamente che fosse
anche solo lontanamente
il migliore che avevano, nonostante questo per una volta non
protestò, voleva
solo starsene una serata tranquillo, senza che qualche stronzo gli
puntasse
addosso una pistola o cercasse di fregarlo.
Solo
quando si fu sistemato sullo sgabello che, a occhio, avrebbe sostenuto
bene il
suo peso, si voltò verso l’estremità
opposta della stanza notando che addossato
alla parete si trovava un cencioso palchetto. Ciò che lo
stupì davvero fu ciò
che sopra vi si trovava: nella tenue penombra, illuminata a giorno
solamente in
quell’angolo di stanza, individuò una ragazza.
Strizzò
appena gli occhi azzurro mare per vederla meglio e quasi si
rovesciò addosso
tutto il bicchiere, che gli fosse venuto un colpo se in piedi su quel
palco non
c’era la ragazza più bella che avesse mai
camminato sulla terra! Non era certo
il genere di donna che di solito aveva occupato il suo letto, ma non
c’era
nulla da obbiettare a quella sua paralizzante bellezza.
Il
delicato vestito bianco fasciava un corpo esile che pure avrebbe fatto
invidia
a qualsiasi modella da copertina, con quei fianchi stretti e sinuosi,
il seno
generoso, le gambe candide e tornite. La osservò come uno
scolaretto fino a che
la ragazza non ebbe alzato il viso, guardando apparentemente dalla sua
parte e
il cuore sembrò schizzargli in gola per un lungo istante. Su
quel viso dolce e
gentile, circondato dai lunghissimi e lisci capelli mogano ramato, si
apriva un
sorriso degno di una dea della primavera tra le labbra piene di un
tenue color
pesca.
Solo
quando la sconosciuta posò gli occhi grandi e profondi
distrattamente su di
lui, Sully poté notare l’oro puro in cui
navigavano le sue pupille, iridi che
brillavano alla luce degli sgangherati riflettori come pietre di rara
bellezza.
Victor gracchiò un istintivo sorriso quando si accorse di
aver trovato un
tesoro d’immenso valore proprio in quella squallida bettola.
La
osservò ancora un istante senza la minima idea di che cosa
ci facesse in un posto
come quello, fino a che la ragazza cominciò ad intonare una
canzone. Non gli
sembrò affatto strana la mancanza di un accompagnamento,
nonostante di musica
non ne capisse un accidente, poteva di sicuro affermare di non aver mai
ascoltato niente di simile.
Improvvisamente
capì il perché del silenzio al suo arrivo, la
ragazza doveva lavorare lì ogni
sera e chiunque in quella stanza aveva aspettato di sentirne la voce in
religioso mutismo.
Estel
conosceva ormai ogni canzone talmente a memoria che cantare non le
recava il
benché minimo disturbo o impegno, così poteva
guardare attentamente chiunque
nella sala. Nonostante tutto la gente ancora la incuriosiva, riusciva a
ferirsi
così a fondo da radere al suolo città, spezzare
vite e famiglie eppure c’era
chi era ancora là per lei, commuovendosi a sentirla cantare.
La
clientela era di solito abituale, più che altro ex militari
ritrovatisi senza
lavoro dopo la fine della guerra, persone sole al mondo, mariti
infedeli e
gentaglia di qualsiasi specie, che si inventava i mestieri
più sgradevoli pur
di uscire dalla povertà. Quella sera però
c’era una faccia nuova proprio
davanti al bancone, lo strano individuo non sembrava essere afflitto
dagli
stessi problemi che tormentavano gli altri, anzi, aveva un cauto
sorriso sulle
labbra sottili ad illuminare gli impavidi occhi azzurri.
Sorriso
a cui Estel si sentì istintivamente di rispondere: rispetto
agli altri clienti
del locale era dotato di una bellezza virile e spavalda, che si
rifletteva nel
viso squadrato dai lineamenti gentili e rassicuranti. Non doveva avere
più di
trenta o trentacinque anni, ma a June sembrò stranamente
maturo, come se la
sapesse più lunga di quanto non desse a vedere in
realtà. I capelli castani
erano compostamente tirati indietro sulle tempie se non per un corto
ciuffo
scomposto sulla fronte, la barba sembrava volutamente non rasata di
qualche
giorno contrapponendosi ai baffi leggermente più lunghi.
Era
davvero alto e il corpo piazzato e muscoloso traspariva dai pantaloni
beige e
dalla camicia verde chiaro aperta sul petto. Lo fissò tanto
intensamente che si
sentì sussultare quando, sul finire della canzone,
l’uomo allargò il proprio
sorriso per lei.
Con
un guizzo degli occhi d’oro la ragazza distolse lo sguardo
arrossendo e Sully
capì di essere cotto, posò distrattamente il
bicchiere sul bancone lanciandole
un ultimo, furbo, sorriso.
-
Amico, sai chi è la ragazza?- si rivolse allo svogliato
barista, quando la
melodia si fu spenta:- Non sei il primo e non sarai l’ultimo
a volerlo sapere,
“amico”. Non voglio problemi con la mia cantante,
quindi tutto ciò che devi
sapere è che si è presentata qui tre giorni fa.
Non ho idea di chi sia, né da
dove venga, ma ho il forte sospetto che sia una vagabonda,
però è bella, sa
cantare e questo è quanto.- rispose acido facendo sorridere
Sully, aveva già
promesso a se stesso una pausa e da quell’idiota non avrebbe
ottenuto che i
vaneggiamenti di un meschino, perciò si rassegnò
a godersi il resto della
serata.
La
sconosciuta cantò ancora diverse canzoni, fino a che fu
abbastanza tardi per il
proprietario per accennarle con un gesto che poteva andare.
Ringraziò
fugacemente gli avventori e voltò loro le spalle uscendo
dalla porta di
servizio, Victor, colto di sorpresa, ricevette da lei un ultimo timido
sguardo,
ma non poté seguirla dato che il barista lo teneva
strettamente sotto
controllo. La lasciò andare a malincuore, sperando di
ritrovarla il giorno
seguente e pensando ad una tattica per avvicinarsi a lei, almeno per
sapere il
nome della ragazza che, con un solo sguardo, aveva tenuto una notte
intera in
scacco il suo cuore.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
CAPITOLO
2
Sullivan
non si limitò a tornare la sera seguente, ma per molte sere
a seguire si
ripresentò nel minuscolo bar solo per vederla. Ormai
conosceva molte delle sue
canzoni e riusciva comunque ad apprezzarle ogni giorno, era sicuro che
la
ragazza si fosse accorta della sua presenza ed ogni sera la scopriva ad
osservarlo attentamente mentre beveva il suo scotch o fumava il sigaro.
Forse
era semplicemente una sua impressione, ma più si abituava
alla sua presenza più
la ragazza gli sembrava bella, anche se bellezza per lei sembrava
più un
eufemismo che un attributo. Qualche volta gli era parso quasi
impossibile che
potesse esistere qualcosa del genere al mondo, un tesoro di una
preziosità
talmente rara ed inestimabile da non poter essere paragonato a nulla
che
Sullivan avesse mai rubato in vita sua.
Alla
decima sera Sully decise di attuare il suo piano: sarebbe uscito dal
locale
molto prima della fine dell’esibizione e l’avrebbe
aspettata nel vicolo su cui
dava la porta sul retro.
Quando
fu nel vicolo tenuemente illuminato si accese un sigaro, e accostandosi
al muro
accanto alla porta attese pazientemente.
Lo
straniero se ne era andato presto quella sera, ed Estel
l’aveva osservato
uscire con un tenue senso di disagio. Si era abituata alla presenza
dell’uomo
che gentilmente l’ascoltava ogni sera con un dolce sorriso
sulle labbra, se
avesse avuto più rispetto per se stessa avrebbe chiesto il
suo nome, si sarebbe
avvicinata al bello sconosciuto ricambiando quell’interesse
che sembrava
provare per lei. L’istinto le diceva che avrebbe potuto
fidarsi, lasciarlo
entrare, il buon senso la rimetteva in riga ogni sera, ricordandole che
avere
un qualsiasi tipo di relazione con qualcuno sarebbe stato un rischio
che non
poteva permettersi di correre.
Non
sapeva quanto a lungo sarebbe rimasta, né quanto a lungo
sarebbe rimasto lui,
probabilmente quell’improvvisa uscita significava
un’imminente partenza e il pensiero
le punse spiacevolmente il cuore, ma allo stesso tempo la costrinse a
riportare
i piedi saldamente a terra.
Concluse
la serata e, come sempre, si avviò verso la porta sul retro.
Le sembrò strano,
appena uscita sul vicolo, sentire un forte odore di sigaro impregnare
l’aria.
Il
cuore
mise Victor Sullivan in allarme ancor prima che il cervello elaborasse
il
rumore della serratura che scattava. Col battito irregolare ancora
nella gola,
lanciò il mozzicone di sigaro a terra e aspettò
che la ragazza si facesse
strada attraverso l’uscio. I capelli ramati ondeggiarono
appena alla brezza
della sera e un intenso profumo di fiori freschi gli inondò
i polmoni, non
appena la donna gli passò accanto senza accorgersi della sua
presenza.
-
Ehi!- la fermò con voce più rauca di quanto si
sarebbe aspettato, non appena
quella prese a camminare nella direzione opposta, ondeggiando
piacevolmente i
fianchi. La ragazza si arrestò a pochi passi da lui,
voltandosi, apparentemente
tranquilla. Un mare d’oro lo inondò, nonostante lo
sguardo di lei non fosse dei
più amichevoli:- Non voglio problemi.- fiottò
distogliendo lo sguardo e
riprendendo a camminare.
Sully
si morse distrattamente il labbro inferiore, non poteva lasciarla
scappare
così:- Aspetta.- disse piano afferrandole delicatamente il
braccio esile e
caldo, questa volta la ragazza rilassò lo sguardo, stupita.
-
Tranquilla, non voglio farti del male. Non sono come gli altri
sciacalli lì
dentro.- continuò dolcemente lasciandola, l’ultima
cosa che voleva era metterla
in una brutta situazione.
-
No, infatti non sei come loro. Sei l’unico che è
stato tanto sfrontato da
seguirmi fin qui.- scherzò lei, nascondendo per un istante
gli occhi d’oro tra
le lunghe ciglia nere. Sully si sentì mancare il respiro,
averla così vicina era
tutta un’altra cosa e per un attimo non seppe cosa
rispondere, se non
sfoderando un modesto sorriso dei suoi che di solito con le donne aveva
sempre
funzionato.
Poi
improvvisamente la risata leggera e melodiosa di lei ruppe il silenzio,
suscitando in Sullivan la stessa reazione:- Davvero, che sei venuto a
fare?-
sorrise dolcemente, ma senza indietreggiare.
-
Volevo solo sapere il tuo nome. – si sentì
rispondere e per un attimo Estel
rimase confusa dal calore che il viso dello sconosciuto aveva acceso
nel suo
cuore. Lo guardò intensamente nelle iridi azzurre e seppe
che poteva fidarsi,
il cuore gli batteva talmente forte nel petto che quasi
arrossì per lui e per
un istante la tentazione di toccarlo fu così forte che
temette di non
resistere.
Sully
ricevette lo sguardo più intenso che avesse mai visto, quasi
la ragazza gli
stesse guardando direttamente attraverso l’anima. Resistette
all’impulso di
abbassare gli occhi e dopo un lungo istante la vide tornare a
sorridere, bella
come la primavera. In quel momento capì che ormai la sua
priorità non era
portarsela a letto, improvvisamente quel desiderio era stato scalzato
da
qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome.
-
Estel. Il mio nome è Estel June. –
soffiò e solo allora l’uomo si accorse di
quanto erano rimasti vicini, sorrise appena sperando di non sembrare
troppo
idiota e resistette all’impulso di abbracciarla.
-
Victor Sullivan, per gli amici sono Sully.- ghignò
abbassando lo sguardo sulle
proprie scarpe, non gli era mai successo di essere tanto impacciato con
una
donna, soprattutto una che doveva essere press’a poco di
dieci anni più
giovane.
-
Ora devo proprio andare.- sorrise lei indietreggiando di qualche passo,
non
sembrava infastidita e Victor ne fu piacevolmente sorpreso.
-
Stai attenta.- gracchiò istintivamente vedendola girare le
spalle e
allontanarsi, lei si voltò con un gesto distratto della
mano:- So badare a me
stessa.- lo canzonò, non poteva darle torto, era stata una
delle frasi più
stupide che avesse mai usato per approcciare qualcuno. Gli rivolse un
ultimo
fugace sorriso e con una scrollata di spalle se ne andò,
salendo in fretta le
scale alla fine del vicolo male illuminato.
Sully
guardò la figura esile dai capelli ramati sparire in
lontananza maledicendosi
tra i denti:- Stai attenta? E chi cazzo sono? Sua madre?- si
rimproverò con
voce roca, prendendo un altro sigaro dal taschino della guayabera. Non
riuscì
ad accenderlo, invece si lasciò pesantemente andare contro
il muro battendovi
forte i palmi di entrambe le mani, notando solo in quel momento che
tremavano.
-
Diavolo! Il cuore … - ghignò dovendo ansimare per
riprendere velocemente il
controllo, e quello cos’era? Non aveva mai avuto una reazione
del genere, anche
con le donne più belle che aveva incontrato e ora il cuore
gli batteva in petto
come ad un ragazzino alla sua prima cotta.
Prese
un respiro profondo e passandosi una mano tra i capelli decise che era
ora di
smetterla con quella farsa, non poteva lasciarsi vincere da una
ragazzina,
doveva dimostrare a se stesso che poteva essere una delle tante. Accese
il
sigaro prendendo una generosa boccata e si avviò verso il
suo albergo.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
CAPITOLO
3
Il
giorno
seguente Estel sentiva ancora nelle orecchie la profonda voce
dell’uomo che
l’aveva sfrontatamente fermata nel vicolo. Dopo tutto il
tempo che avevano
passato osservandosi a prudente distanza, ritrovarlo così
vicino era stato
disarmante per lei. Avrebbe mentito a se stessa se non avesse ammesso
di nutrire
per lui un certo interesse, infondo non solo era bellissimo, ma
c’era qualcosa
nel suo sguardo, nel suo sorriso che riusciva a penetrare le sue
difese, farla
sentire al sicuro.
Con
il cestino pieno di fiori tra le mani, si avviò
distrattamente per la strada
principale della città. Cosa sapeva di lui infondo, a parte
il nome? Non era il
caso di lasciarsi avvicinare, nonostante si presentasse assiduamente al
locale
per vederla da più di una settimana.
Il
vestito che sfilò nella vetrina accanto a lei la distrasse,
sospirò pensando
che non se lo sarebbe mai potuto permettere e prima di potersene
accorgere
sbatté violentemente contro qualcosa di solido. Il cestino
rovinò a terra e di
sicuro sarebbe caduta se qualcuno non l’avesse prontamente
sorretta tra le braccia.
-
Oh
dio, mi scusi! Sono mortificata, è colpa mia, ero
distratta.- esclamò
velocemente, vergognandosi ad alzare lo sguardo.
-
Dovresti stare più attenta quando cammini!- la
rimproverò una voce rauca e
profonda, che la indusse immediatamente a rivolgere il viso verso
l’uomo che
ancora la sorreggeva tra le braccia forti.
Sully
quasi si strozzò con la propria saliva quando si accorse che
la ragazza che
teneva tra le braccia era la stessa Estel del bar. Si guardarono
stupiti per un
lungo, imbarazzante momento e per un attimo, premuti ancora
l’uno contro
l’altro, sentirono i loro cuori galoppare
all’unisono nella confusione della
strada.
-
Ma
tu sei il pedinatore del bar! Sullivan … -
esclamò la ragazza quando Victor la
liberò dall’abbraccio, ancora confuso e
meravigliato.
-
Diavolo, ragazzina! Non ti stavo pedinando!- rimbrottò di
rimando con un gesto
stizzito delle braccia, sperando che il calore che sentiva in tutto il
corpo
non si desse a vedere anche sul viso.
-
E
comunque puoi chiamarmi Sully.- scosse la testa sconsolato, ma dovette
rialzare
lo sguardo quando Estel scoppiò in una dolce risata:- Ok
… Sully. Allora fai
anche qualcosa che non sia bere scotch e fumare sigari in un bar, eh?-
lo
canzonò mentre si chinava a raccogliere i fiori che le erano
caduti insieme al
cestino di vimini.
Victor
si chinò ad aiutarla, lasciandosi prendere in giro, era
semplicemente
adorabile:- Già, ti stupirebbe sapere che ho persino un
lavoro.- ghignò
reggendole il gioco, sfiorandole volutamente la mano. Lei
arrossì visibilmente,
ma non perse il dolce sorriso:- Sono impressionata. Grazie …
- sussurrò poi
rialzandosi, Sully la seguì.
-
Allora … te lo comprerai questo vestito?- scherzò
sperando ancora di fare
breccia nel cuore di lei, o forse ci era già riuscito, dato
che, nonostante la
tranquillità con cui stavano chiacchierando, poteva sentire
di non esserle
indifferente.
-
Oh, no. Magari! Il massimo che posso permettermi per ora sono questi
fiori.-
sorrise gettando un’occhiata distratta alla vetrina, ma
Victor trattenne
l’impulso di entrare e comprale l’intero negozio,
non sembrava il tipo di donna
che accettasse regali immotivati. Con la fierezza che aveva nello
sguardo di
lupo piuttosto Sullivan con molta probabilità avrebbe
ricevuto uno schiaffo.
-
Sono per qualcuno di speciale?- non poteva resistere
all’impulso di flirtare, voleva
starle vicino il più a lungo possibile.
-
Per
la mia padrona di casa. Vive sola, il marito non
c’è più da qualche anno e i
figli sono morti in guerra, sai … - rispose dolcemente,
abbassando lo sguardo
come se ricordasse qualcosa di bello. Ok, il cielo ce l’aveva
con i suoi
principi morali, il primo dei quali era sempre stato “non
farti accalappiare da
una donna”.
Si
limitò a rispondere al sorriso, senza dar retta alla voce
che gli diceva di
riprenderla tra le proprie braccia:
-
Posso accompagnarti? – chiese quasi senza pensare e la
ragazza parve
piacevolmente colpita.
-
Non stavi lavorando?- lo guardò circospetta, senza
trattenere un sorriso:- Mai
detto. Vengo volentieri però.- scherzò puntandosi
le mani sui fianchi.
-
Certo
che sei un bel tipo. – osservò Estel passandogli
accanto, aspettando che Sully
la seguisse. L’uomo sorrise appena con una strana tenerezza
che gli invadeva
poco a poco il petto.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO
4
Camminarono
fianco a fianco per un po’ chiacchierando piacevolmente, la
presenza di lui la
rasserenava in maniera curiosa nonostante l’avesse conosciuto
solo la sera
prima. Sentire i passi di Sully accanto ai suoi, il respiro ritmico e
calmo, il
calore del corpo alto e piazzato le avevano acceso nel cuore un
sentimento che
non provava da troppo tempo. Era un uomo divertente, arguto e brillante
nonostante non perdesse occasione per flirtare con lei, ma non si
sentiva
affatto infastidita, anzi le sue leggere avances la scaldavano
piacevolmente
restituendole una sensazione che temeva di aver dimenticato anni prima.
Quando
arrivarono nella stradina di periferia dove abitava la sua affittuaria,
Estel
bussò pazientemente alla porta non aspettandosi subito una
risposta. Bussò di
nuovo, questa volta provando a farsi riconoscere:
-
Signora Jennings, sono Estel! È permesso?-
esclamò gettando un’occhiata
attraverso la finestra aperta.
La
donna si alzò lentamente dalla poltrona del salotto:- Oh,
Estel, tesoro entra.
È aperto.- rispose una voce squillante dall’altra
parte della porta.
June
sorrise spingendo la maniglia e involontariamente afferrò la
mano di Sully in
piedi dietro di sé:- Vieni.- sussurrò, col cuore
che batteva un po’ più forte
quando l’uomo rispose rafforzando la stretta.
-
Come sta, signora? Ha dormito bene?- le chiese accorata, abbracciandola
di
slancio con il braccio non impegnato nella stretta di Sully,
stranamente non
voleva lasciarlo andare.
-
Così, così … sai, la schiena.- rispose
lei in tono confidenziale:- Ma non
dovevi disturbarti a passare, fai già tanto per me.- la
rimproverò dolcemente,
ma Estel non poté frenare un largo sorriso.
-
Per me è un piacere. Se non le dispiace, oggi ho portato una
persona.- rise
appena mostrando la mano stretta in quella di Sullivan, lo
guardò fugacemente e
la dolcezza negli occhi azzurri di lui la fece arrossire.
-
Cielo, no che non mi dispiace! Che bel ragazzo! Era ora, piccola mia
… -
esclamò mettendola in improvviso imbarazzo:- NO, ma che ha
capito signora … -
rispose accaldata, la voce leggermente più forte di quanto
avrebbe voluto.
Accanto
a lei il respiro di Sully cambiò, come se stesse
sorridendo:- Ci sto
lavorando.- sussurrò l’uomo con fare
confidenziale, sporgendosi leggermente
verso la donna. Estel si schermì appena, sperando che le
dita coprissero il
rossore sul viso:- Sa, vorrei tanto vederla sistemata con un bel
giovanotto
come lei, signor … - cominciò la signora Jennings
indicando il petto di Victor.
-
Sullivan.- finì per lei, forse divertito dalla situazione,
ma non accennava a
volerle lasciare la mano.
-
Oh, signor Sullivan lei mi ricorda tanto mio marito alla sua
età! L’ho
conosciuto in un periodo di licenza dalla marina, buon anima
… anche lei ha
tutta l’aria di esserci stato.- sospirò strizzando
gli occhi per vederlo meglio
ed anche Estel si voltò a guardarlo, mentre, ad un gesto
della signora, si
accomodavano tutti e tre intorno al tavolo della cucina.
Non
aveva notato prima quanto brillassero le iridi azzurre di lui, quanto
fossero
belle e piene di sentimenti. Voleva sapere ogni cosa
sull’uomo che,
d’improvviso, era piombato nella sua vita, voleva rimanergli
accanto, con tutto
il cuore.
-
Si, mi hanno congedato cinque anni fa. Lei la sa lunga.-
ghignò con un mezzo
sorriso dei suoi ed anche la signora Jennings si trovò
accattivata dalla voce
di lui rauca e profonda, scoppiando in una risatina adulatrice.
Passarono
un’ora estremamente piacevole, vista la straordinaria
capacità di Sully di
intrattenere sempre conversazioni divertenti ed interessanti. Estel non
ricordava di aver riso in quel modo da molti, troppi anni e la
sensazione di
contare di nuovo qualcosa per qualcuno le scaldò il cuore
quando pensava ormai
non fosse più possibile.
Lo
sguardo dell’uomo sembrava di sincero interesse per lei,
quando le riservava
dolci e fugaci occhiate tra un argomento e l’altro. Senza
accorgersene
accostarsi a lui, toccargli gentilmente il braccio, sfiorarne la mano
erano
diventati gesti spontanei e sinceri.
Quando
salutarono la signora Jennings, con la promessa di tornare al
più presto in compagnia
di Sullivan, era già mattina inoltrata. Si fermarono un
istante davanti alla
porticina a volta e June sentì di dover, almeno in parte,
esprimere quei
sentimenti che aveva provato durante quella loro passeggiata.
-
Grazie … - sussurrò senza riuscire a guardarlo
negli occhi, aveva paura di
leggervi qualcosa di più della semplice gratitudine.
-
Di
cosa?- le chiese Sully, colto di sorpresa, era la creatura
più dolce e gentile
che avesse mai conosciuto in vita sua.
-
Per avermi accompagnata, per tutto … sei stato …
grazie … - sorrise poi, rossa
in viso rialzando lo sguardo per sostenere il suo. Era andato, perso,
ormai si
sentiva un caso irrecuperabile, ora che l’aveva conosciuta
Sully sapeva di non
poter più tornare indietro. C’era qualcosa in lei
che riusciva a portare alla
luce la parte migliore di lui e l’unica cosa che poteva fare
era rispondere al
sorriso, questa volta sperando che la ragazza vi cogliesse i sentimenti
che
stavano nascendo nel suo cuore.
-
Grazie a te, per avermi concesso il tuo tempo.- scherzò
distogliendo lo
sguardo, non sapeva quanto ancora avrebbe resistito dal posare le
labbra su
quelle di lei.
-
Senti … conosco un posto bellissimo qua vicino, possiamo
andare se ti va. –
propose cautamente la ragazza torturandosi una ciocca di capelli
ramati, Sully
sollevò un sopracciglio, stupito che si fosse
improvvisamente sciolta.
-
Ora?- rise appena, senza volerlo, non desiderava prenderla in giro, ma
solo
dissimulare il proprio entusiasmo.
-
Se
non hai da fare ovviamente … bada che non si può
fumare però!- lo rimbeccò alla
fine, con un cipiglio adorabile:- Sul mio onore.- sorrise Sullivan
posandosi
una mano sul petto, Estel scosse le spalle facendo ondeggiare la chioma
color
mogano.
Raggiunsero
un piccolo parco di periferia proliferato accanto alla sponda di un
fiumiciattolo, il primo verde che vedeva nella città ancora
coperta di macerie.
Non smisero un secondo di punzecchiarsi, di giocare con le parole e gli
sguardi
almeno finché Estel non scelse una tranquilla panchina
adagiata, in apparente
precario equilibrio, sotto uno dei maestosi ciliegi in fioritura. Si
sedettero
in silenzio l’uno accanto all’altra godendo del
panorama, coperto qua e là del
rosa dei petali di ciliegio strappati dal vento.
Sully
la sentì sospirare lasciandosi andare allo schienale della
panchina:- Hai fatto
colpo. Sembra che la signora Jennings si sia innamorata di te.-
ridacchiò,
cominciando ad intrecciare i folti capelli lisci in una morbida treccia.
-
Peccato
che il mio cuore stia già battendo per qualcun altro.-
fiottò Victor senza
riuscire a trattenersi, ma distolse lo sguardo da lei, fissandolo
invece in un
punto imprecisato in lontananza. Non era una menzogna, il cuore batteva
davvero
veloce sotto la canottiera bianca tesa sui pettorali.
-
Sully … stai flirtando con me?- lo canzonò la
ragazza, smettendo di toccare i
capelli e voltandosi a guardarlo, poteva sentire le iridi
d’oro di lei
scrutargli dolcemente il viso. L’uomo accennò una
rauca risata, sperando di
buttarla sullo scherzo:- Hai ragione. Perdono.- sospirò
alzando le mani,
sconfitto.
Lei
lo seguì, accennando una risata ma di nuovo i loro sguardi
si allacciarono e
Sully non poté fare a meno di notare quanto grandi e
profondi fossero gli occhi
della ragazza: erano animati da qualcosa che non si sentiva di
riconoscere in
nessuna delle donne con cui aveva avuto una relazione.
La
cosa lo rassicurava e spaventava allo stesso tempo. Sapere di aver
trovato in
lei qualcosa che nella sua vita non aveva precedenti faceva oscillare i
suoi
pensieri dove non avrebbero dovuto, ma l’idea che June avesse
potuto scoprire
chi fosse in realtà Victor Sullivan lo terrorizzava. Se
avesse saputo che razza
di criminale aveva di fronte, quanti uomini aveva ucciso per il
semplice
piacere del denaro e della sua carriera di donnaiolo incallito
l’avrebbe
sicuramente perduta.
Eppure
non poteva ignorare il tiepido sorriso che le illuminava il volto
guardandolo,
l’istinto comandava il suo corpo e i suoi sentimenti, ma
sapeva che l’avrebbe
ferita … prima o poi sarebbe accaduto.
Estel
sentiva il proprio cuore attanagliato da quello sguardo limpido e
sincero, le
dolci avances dell’uomo stavano lasciando un impronta sul suo
corpo, un segno
che non avrebbe potuto ignorare per sempre.
Più
trascorreva del tempo con lui, più Sully le sembrava
l’uomo più bello che
avesse mai visto e per un intenso istante dovette lottare contro
l’impulso di
toccarlo, sentire se era caldo come immaginava, se le orecchie non la
stavano
tradendo trasmettendole il battito accelerato che proveniva dal petto
di lui. Di
nuovo il suo corpo reagì di conseguenza, il sangue fluido e
caldo che le
viaggiava veloce fino al viso.
-
Che c’è?- chiese sulle sue, distogliendo lo
sguardo al sorriso divertito del
ragazzo.
Il
gesto inaspettato di Sully le bloccò il respiro a
metà dei polmoni: la mano di
lui slittò lentamente verso i suoi capelli, districandone
gentilmente un fiore
caduto dall’albero sopra di loro. Il cuore le
mancò una contrazione,
riprendendo subito a battere velocemente:- Oh … -
riuscì solamente a sospirare
sperando che lui non si accorgesse di quel momento di debolezza.
Si
rimproverò per aver sperato in un abbraccio, in una carezza
e prontamente
riacquistò un sorriso apparentemente tranquillo nonostante
Sullivan la
guardasse ancora con estrema dolcezza, forse combattuto quanto lei.
-
Merda!- imprecò poi, quando lo sguardo gli cadde
inavvertitamente
sull’orologio:- Devo andare, avevo dimenticato di avere un
impegno per pranzo.-
le spiegò irritato con quella sua voce profonda.
-
Mi
spiace, è colpa mia. Ti ho chiesto io di venire.-
sospirò Estel, delusa, ma il
sentimento non le impedì di sfiorare gentilmente la mano di
Victor con la sua.
-
Quando posso rivederti?- le chiese suadente, confondendola:- A parte il
bar?
Qui … vengo qui ogni giorno prima di pranzo. Ti
aspetterò.- sorrise di cuore e
per la prima volta lo vide in seria difficoltà. Neppure lei
si sarebbe mai
sognata di poter pronunciare quelle parole, ma si fidava di Sully,
voleva
averlo vicino finché fosse stato possibile. Forse se ne
stava persino
innamorando.
-
O-Ok … a presto allora.- ghignò l’uomo,
con voce più rauca del solito, ma il
sorriso non abbandonò nessuno dei due neppure quando Sully
si fu alzato e
allontanato di qualche passo. Le voltò le spalle solamente
quando June l’ebbe
salutato appena con la mano esile e tiepida, lasciandola sola col
proprio
cuore.
Cos’era
quella strana sensazione di vuoto nel petto? Si sentiva talmente
ingenua che
dovette lottare contro l’impulso di allontanarlo, non
permettere a se stessa di
rivederlo, di provare qualcosa di più profondo del timido
sentimento che
cresceva in un angolo della sua anima che fino a quel momento aveva
creduto
freddo e perduto.
-
Che stai facendo, Estel?- si rimproverò con un sorriso, le
dita strette intorno
alla collana che portava sul petto.
___________________________________________________________________________________
Questa
volta il capitolo è un pò più lungo,
mi scuso, ma non vorrei dovermi trovare ad aggiungerne troppi :)
(Anche se premetto di essere una gran logorroica e la storia
è lunga, nonostante la gran parte sia già pronta
al sicuro nel mio pc ^-^ )
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
CAPITOLO
5
Per
quasi una settimana Sullivan tornò nel bar ogni sera, ed
ogni mattina in quel
piccolo parco che Estel gli aveva mostrato. Passavano lunghe ore a
chiacchierare e scherzare senza che l’uomo sentisse
l’urgenza di concludere
qualcosa con lei, gli bastava averla vicina, poter godere della luce
che
gettava su qualsiasi cosa avesse la fortuna di incontrare il suo
sguardo.
Victor
era già nel bar quando June arrivava per lo spettacolo, lei
aveva preso
l’abitudine di salutarlo leggermente con la mano prima di
iniziare a cantare,
mentre per Sully le parole d’amore che la ragazza pronunciava
nelle sue canzoni
avevano assunto nuovi significati. Era diventato suo amico, ma sapeva
che cosa
si agitava sotto la superficie, perché la voce di lei era
riuscita ad
insinuarsi così a fondo nel suo cuore.
Aveva
sempre creduto di aver amato ogni donna con cui aveva diviso il letto
almeno
una notte, ma dovette ammettere di essersi sbagliato. Per nessuna aveva
mai
provato neppure la metà di ciò che Estel riusciva
a scatenare dentro di lui,
non era mai stato innamorato ed ogni sera, per brevi momenti, riusciva
ad
accettare che cosa stesse succedendo. Si stava innamorando di lei
…
L’idea
gli fu chiara solamente la sera in cui Estel cambiò la sua
ultima canzone. Nel
silenzio del bar Sully ascoltò parole che mai aveva sentito:
“ Whenever I sang my
songs, on the
stage, on my own
Whenever I said these words, wishing they would be heard
I saw you smiling at me, was it real or just my fantasy?
You’d always be there in the corner of this tiny
little bar
My last night here for you, same old songs just once more
My last night here with you? Maybe yes, maybe no
I kind of liked it your way
How you shyly placed your eyes on me
Oh, did you ever know that I had mine on you?
Darling so there you are, with that look on your face
As if you’re never hurt, as if you’re
never down
Shall I be the one for you
Who pinches you softly but sure, if frown is shown then
I will know that you’re no dreamer
So let
me come to you, close as I want to be
Close
enough for me to feel your heart beating fast
And
stay there as I whisper how I loved your peaceful eyes on me
Did you ever know that I had mine on you?
Darling
so share with me your love if you have enough
Your
tears if you’re holding back, or pain if that’s
what it is
How can I let you know, I’m more than the dress
and the voice?
Just reach me out then, you will know that
you’re not dreaming
Darling so there you are, with that look on your face
As if you’re never hurt, as if you’re
never down
Shall I be the one for you
Who pinches you softly but sure, if frown is shown then
I will know that you’re no dreamer”
Il
cuore di Sully batteva tanto forte da coprire persino i suoi pensieri
mentre
gli occhi di lei brillanti e profondi lo osservavano ancora
teneramente, forse
sperando in una reazione che non fosse la sua bocca aperta in modo
piuttosto
ebete. Distolse lo sguardo, sapendo di essere arrossito fin sopra le
orecchie
senza però riuscire a trattenere un ghigno dei suoi,
sperando di ricacciare
indietro la commozione.
-
Ehi, amico … la canzone sembrava proprio per te. Che fai? Te
la porti a letto
la troietta? Deve scopare bene … - interruppe i suoi
pensieri l’uomo che era
stato seduto accanto a lui al bancone, fino a quel momento in silenzio.
Qualcosa
scattò rumorosamente nella mente di Sully e solo dopo si
accorse che non era
stato altro che il rumore delle sue mascelle che si serravano:-
Già … - ghignò,
apparentemente tranquillo scuotendo le spalle.
La
sua leggera risata si interruppe immediatamente, mettendo troppo tardi
l’uomo
in allarme, infatti con un movimento fulmineo si voltò
sferrandogli un destro
dritto in faccia.
I
movimenti all’interno del locale si fecero convulsi mentre
l’uomo cadeva dallo
sgabello battendo la testa sul pavimento polveroso. Victor
sentì Estel chiamare
il suo nome dal palco, ma per una volta non
l’ascoltò, mentre si voltava con la
guardia alzata per fronteggiare i quattro o cinque uomini che ora lo
stavano
attorniando.
Non
era di certo la prima volta che veniva coinvolto in una rissa e di
certo non
sarebbe stata l’ultima, vedere il sangue lo eccitava, la
rabbia lo accecava e
riusciva a sgombrare la mente, dando retta solo al suono del proprio
cuore che
accelerava i battiti. Sullivan seppe incassare egregiamente i colpi che
ricevette al volto e allo stomaco, senza mai cadere, restituendone il
doppio e
con il doppio della forza.
La
rissa andò avanti per lunghi minuti finché uno
schiocco metallico piuttosto
familiare rievocò il silenzio. Sully lasciò la
presa sull’uomo che teneva per
il bavero della giacca e si voltò verso il bancone, da dove
il barista gli
stava puntando al petto una grossa doppietta. Sorrise, spavaldo come al
solito,
cosciente di avere solo un coltello con sé: mai partecipare
ad una sparatoria
con un coltello, di solito se lo era sempre ricordato.
-
Non pensare che non ti sparerò, amico. Non è la
prima volta che vedo un piantagrane
come te … - lo minacciò il proprietario senza
abbassare il tiro:- Puoi provarci.-
gracchiò Sullivan fronteggiandolo a testa alta.
-
NO!- gridò qualcuno alle sue spalle, poi, come un vortice di
capelli ramati, la
ragazza si interpose tra lui e il fucile, forse appena riuscita ad
attraversare
la folla di uomini carichi di testosterone.
Sully
guardò le spalle delicate di lei, ferme e sicure muoversi
appena più
velocemente in accordo con il respiro leggermente accelerato.
-
No
… lascialo stare, ti prego. Non causerà
più problemi, mi prendo io la
responsabilità per questo.- affermò sicura nel
silenzio attonito del bar:- Come
vuoi ragazzina, ma se lo rivedo qui attorno non ci penserò
due volte. Lo stesso
vale anche per te … non voglio problemi io. –
abbaiò il barista posando il
fucile sul bancone. Victor sentì la ragazza sospirare appena
prima di voltarsi
verso di lui:- Sully andiamo … No! Lascia perdere, lascia
stare … usciamo di
qui.- lo rimproverò leggermente quando vide che i pugni di
lui si stavano
serrando di nuovo.
June
insinuò la mano tiepida nella sua, facendolo rilassare un
poco anche se il
cuore batteva ancora veloce per la rabbia e lo sforzo, annebbiandogli
leggermente i pensieri. Si lasciò trascinare fuori dal bar
fino al vicolo dove le
aveva parlato la prima volta.
-
Ma
che diavolo credevi di fare? Sei stanco di vivere?- esclamò
stupita quando si
furono fermati. Le ferite al viso pulsavano incredibilmente,
così come le sue
tempie.
-
Ahhh quell’idiota ti aveva insultata, per quel che vale.-
gracchiò chiudendo
gli occhi per ridurre la pressione alla testa. Aspettò di
sentirla gridare,
insultarlo per ciò di cui era stato responsabile, invece il
calore della mano
di lei sul viso lo fece sussultare.
-
Sei ferito … - sussurrò accigliata, ma i
sentimenti che vide nei suoi occhi gli
stritolarono il cuore:- Non è niente.- rispose con un mezzo
sorriso,
accorgendosi di quanto fossero vicini, gli sarebbe bastato sporgersi
per
baciarla. Estel sospirò delicatamente, abbassando per un
attimo gli occhi d’oro,
belli come il sole al tramonto.
-
Quanto sei testardo. Vieni.- sorrise appena allontanando la mano dal
suo viso,
Sully preferì che non l’avesse fatto, era la prima
volta che lo sfiorava a quel
modo.
__________________________________________________________________________
Ovviamente la canzone in questo capitolo non è
mia, ma è tratta dal videogioco Final Fantasy VIII e si
intitola "Eyes on me" cantata da Faye Wong. Di solito non inserisco
testi delle canzoni nei miei scritti, ma questa nelle parole era
particolarmente azzeccata e quindi ho dovuto fare un'eccezione ^-^ . La
fromattazione della canzone è un pò strana, ma il
programma l'ha deciso di testa sua e non sono riuscita a porre rimedio,
quindi vi prego di scusarmi. Ringrazio ancora infinitamente chi sta
continuando a sopportare i miei deliri, se scrivo ancora in parte
è anche merito vostro :) Buona lettura!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
CAPITOLO
6
Estel
lo condusse in silenzio, nelle strade poco illuminate, fino a casa dato
che
ignorava totalmente dove alloggiasse lui. Era piuttosto tardi e le luci
nell’appartamento della signora Jennings erano già
spente, perciò cercò di fare
meno rumore possibile guidando l’uomo per le scale fino alla
porta verde del
suo pianerottolo.
La
ragazza era stranamente consapevole della mano di Sully nella propria e
non
poteva ignorare i propri sentimenti mentre elaborava poco a poco
ciò che l’uomo
aveva fatto per lei quella sera.
Gli
aveva sfiorato il viso e, di nuovo nella sua vita, era stata invasa da
qualcosa
che pensava non sarebbe tornato mai più per lei, qualcosa
che pensava fosse
morto con Zell.
Accese
la lampada a piantana del salotto in modo che gli occhi di entrambi si
abituassero gradualmente alla luce e lasciò Victor seduto su
una delle sedie
attorno al tavolo circolare della sala da pranzo, mentre andava in
bagno a
prendere il necessario per disinfettare i tagli al viso e alle mani di
lui.
Tutta
la casa era pervasa dallo stesso delicato odore di fiori freschi che
emanava la
pelle della ragazza e solo allora Sully si rese totalmente conto di
dove fosse,
dato che l’aveva solo seguita in silenzio fino
all’appartamento senza riuscire
a trovare qualcosa di adatto da dire.
Ora
che cuore e cervello si erano calmati riuscì a mettere a
fuoco più chiaramente
che cosa fosse accaduto, le parole della canzone tornarono a pulsare
fastidiosamente nella sua testa, ma non avrebbe mai trovato il coraggio
di
chiederle se fossero state per lui, non dal momento in cui si era
comportato da
perfetto attaccabrighe.
Mossa
stupida la sua, dannatamente idiota. Si era lasciato prendere dalla
foga e
tutto ciò che aveva concluso era stato quasi far ammazzare
entrambi e aver
fatto perdere alla ragazza il lavoro che la sosteneva.
Appoggiò
la testa sulle mani, espirando forzatamente: “Non va bene,
Sully, non va per
niente bene, dannazione! La farai ammazzare così!”
si rimproverò serrando gli
occhi, ma si riprese velocemente quando la ragazza fece la sua comparsa
dal
corridoio.
Si
raddrizzò, passandosi entrambe le mani tra i capelli, eppure
rimase ancora in
silenzio, sperando di capire se Estel fosse arrabbiata con lui. Lei gli
si
sedette con calma davanti, posandosi in grembo delle piccole garze di
cotone e
una bottiglietta di disinfettante, bagnò una delle garze e
si sistemò ancora
più vicina con le gambe che si inserirono tra quelle aperte
di Sully.
-
Brucerà un pochino.- soffiò dolcemente
cominciando a tamponare il taglio sul
labbro, Victor sorrise teneramente senza potersi trattenere e
capì che non
c’era altra spiegazione per ciò che stava provando
… si era innamorato di lei.
-
Non fa niente.- rispose piano senza poter smettere di guardarla negli
occhi,
non era mai stata così vicina perché Sully
potesse distinguere chiaramente ogni
suo respiro. La osservò in silenzio per ancora qualche
minuto, concentrata
sulle sue labbra, ma completamente rossa in viso.
-
Vuoi spiegarmi perché? Potevano ferirti più
seriamente di così, potevi morire.-
fiottò la ragazza ad un certo punto, passando a tamponare la
ferita vicino al
sopracciglio destro, ora che era costretta a guardarlo negli occhi
Sullivan
notò quanto brillassero alla tenue luce della lampada.
-
Non ha importanza. Non è la prima volta che mi puntano
addosso un’arma. Sei tu
… ad essere importante.- ridacchiò,
più serio di quanto avesse voluto, fermando
la mano della ragazza. Non riusciva a capire se erano sempre stati
così vicini
o fosse stata lei ad avvicinarsi progressivamente, sta di fatto che il
respiro
di lei gli stava piacevolmente scaldando le labbra.
Eppure
Estel non sorrise come faceva di solito alle sue spudorate avances, ma
si
accigliò impercettibilmente e Sully si chiese se fosse
dolore quello che aveva
intravisto nei profondi occhi d’oro. Lo guardò per
un lungo istante mentre la
mano tremava appena sul suo viso, poi, senza che l’uomo se lo
aspettasse, June
posò delicatamente le labbra sulle sue.
Sullivan
si sentì girare la testa per l’improvviso
batticuore, ma osservò la ragazza
nascondere i grandi occhi tra le ciglia scure mentre premeva ancora la
bocca
calda e gentile sulla sua. Durò solo una manciata secondi,
ma furono
sufficienti per spiazzarlo, il profumo della pelle di lei lo travolse
scaldando
ogni angolo del suo corpo e della sua anima. Avrebbe approfondito il
bacio, ma
Estel si allontanò prima che Sully potesse stringerla al
petto.
-
Ti
prego, Sully … ti prego, non farlo mai più. Non
voglio perderti … - sussurrò
rossa in viso, gli occhi gialli che brillavano di quelle lacrime che
forse
stava cercando di trattenere.
A
Victor si spezzò il cuore, non pensava di significare
così tanto per lei e
l’idea lo sollevò e affondò allo stesso
tempo:- Piccola … non vado da nessuna
parte.- le rispose con un mezzo sorriso, allungando la mano per
sfiorarle il
viso caldo e gentile.
C’era
qualcosa che però, in tutto quel discorso, lo turbava
profondamente, qualcosa
di cui non si era consciamente accorto prima:- Estel …
perché non hai avuto
paura? Ti preoccupi per me, ma non per te. Ti hanno già
puntato un’arma
addosso, dico bene?- chiese accigliato, sapendo di toccare forse un
pessimo
discorso. June allargò gli occhi accusando il colpo e Sully
poté quasi sentire
il sussulto nel suo petto, prontamente la ragazza si
allontanò dalla sua mano,
alzandosi smarrita dalla sedia.
Si
era ripromessa che mai Victor avrebbe saputo del suo passato, avrebbe
preferito
soffrire tutto il tempo necessario piuttosto che perderlo, ma sembrava
che
l’uomo l’avesse messa alle strette quindi meritava
di sapere almeno in parte
chi fosse Estel June.
Afferrò
sconsolata la collana di Zell, che le scaldava il petto da
più anni di quanti
riusciva a ricordarne, come per aggrapparvisi:- E’ vero
… ho usato una pistola
per la prima volta quando avevo cinque anni. Io sono nata a Spira, in
un
villaggio di mercenari a est di Midgar, sono stata addestrata tutta la
vita per
poter continuare il “mestiere” dei miei genitori.
Quando arrivò la guerra avevo
solo quindici anni, i mercenari erano una razza scomoda, combattevamo
meglio
dei militari e con molti meno rimorsi quindi il governo
pensò bene di darci la
caccia. Fortunatamente vivevamo tra le montagne e non eravamo degli
sprovveduti, quindi per un po’ di tempo riuscimmo ad evitare
attacchi esterni.
Una
notte ci colsero di sorpresa con un attacco in massa, non avevamo idea
che ci
avessero localizzati ed eravamo pochi. A noi ragazzini non fu permesso
di
aiutare e venimmo solamente nascosti, quando, dopo tre giorni, tornammo
al
villaggio non esisteva più nulla, comprese le persone che
avevamo più amato. Nessuno
si arrese, soprattutto Zell … - sospirò il suo
nome, sperando che il dolore non
la spezzasse, che il ricordo del suo viso non tornasse a tormentarla:
-
Eravamo nati insieme, cresciuti insieme e affrontammo le nostre perdite
insieme. Io lo amavo, lo amavo più di qualsiasi altra cosa,
da più tempo di
quanto riesca a ricordare e, nonostante tutto, saperlo vicino non mi
permetteva
di crollare.
Passammo
cinque anni nel villaggio che avevamo ricostruito con le nostre forze,
a
progettare un futuro che non arrivò mai. Le acque sembravano
calme, ma il nuovo
governo si ricordò delle forze che nella passata guerra
avevano fatto la
differenza e mandò i suoi soldati migliori a finire il
lavoro.
Dodici,
eravamo solo dodici … dodici ragazzi di vent’anni,
ma secondo qualcuno avremmo
potuto ribaltare il paese. Li vidi morire uno ad uno, cadevano come se
non
avessero avuto una vita prima di quel momento, quasi non fossero mai
esistiti.
A
volte i ricordi sembrano così confusi da sembrare quelli di
qualcun altro …
però ricordo la mano di Zell stretta nella mia, la sua voce
che mi gridava di
non guardarmi indietro. Tentammo di fuggire, ma ci accerchiarono quasi
subito.
Sentii
i fucili caricarsi e capii che sarebbe finita così, me ne
sarei andata come
avevo vissuto, con lui accanto … invece, quando fu il
momento, ricordo che Zell
mi guardò come faceva sempre, prepotente, saccente, ma lui
non si scansò dai
proiettili, scansò me.
Mi
amava così forte da dare la vita per me e allo stesso tempo
mi privava della
facoltà di amarlo a mia volta. Non voleva che ripagassi il
mio debito, si è
portato via tutto ciò che avevo, ma ha anche voluto che
fossi la sola che lo
avrebbe ricordato. È qualcosa che riesco, a malapena, ad
accettare solo adesso
che sono passati cinque anni. Invece di essere quello che avevo sognato
per
noi, la famiglia che progettavamo la sera, da soli, ha scelto di essere
un
ricordo.
Mi
ha salvato e distrutto la vita nello stesso momento e questo non
potrò mai
perdonarglielo.- fiottò senza poter trattenere le lacrime,
ferita dallo sguardo
di Sully allarmato e smarrito. Gli voltò le spalle, cercando
di calmare i
singhiozzi che la scuotevano nel profondo, disorientata
dall’amore che provava
verso l’uomo che ancora la guardava in silenzio, sperando che
non la
rifiutasse.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
CAPITOLO
7
Sully
si sentiva esattamente come sballottato durante una rissa, il cervello
che
lavorava stranamente lento, non permettendogli di dire qualcosa per
consolarla.
Col petto in una morsa cercò di prendere un respiro per
guadagnare aria, ma,
anche se disorientato, trovò la forza di alzarsi spinto dal
cuore che gli
gridava di stringerla a sé.
Si
sentiva ferito dall’amore di lei verso qualcuno che da anni
non esisteva più e,
per uno sgradevole attimo, si sentì un intruso nella sua
vita, eppure la
raggiunse abbracciando le spalle esili con le proprie braccia
improvvisamente
più grandi e forti di quanto non si fosse mai accorto.
-
Sono qui … va tutto bene, sono qui con te.- le
sussurrò all’orecchio e per la
prima volta si rese conto di quanto fosse sottile e fragile il corpo di
lei, di
come si adagiasse perfettamente alle forme del suo. Allora Estel
allontanò le
mani dal viso e, calde e confortanti, le posò sui suoi
avambracci stringendoli
appena:- Mi dispiace, Sully … mi dispiace così
tanto … - soffiò tra le lacrime,
turbandolo.
-
Di
cosa? Non è colpa tua … - rispose stupito, mentre
poteva sentire il cuore di
lei battere veloce contro le proprie braccia:- Di non essere quella che
credevi. Pensavo che se te l’avessi detto … ti
avrei perduto … - sussurrò
adagiando piano la testa sulla spalla di Sully. L’uomo scosse
appena le spalle,
sorridendo, la sua carriera di donnaiolo era finita, mai più
una in ogni porto.
Sarebbe stata lei, sempre.
-
Estel … ma lo senti il mio cuore? Sei esattamente quella che
credevo.- ghignò
raucamente mentre la ragazza smetteva per un istante di respirare,
rimase un
attimo ancora in ascolto mentre i cuori di entrambi battevano
all’unisono, poi
la sentì allentare la presa e voltarsi nella stretta delle
sue braccia.
Con
estrema naturalezza lo guardò nelle iridi azzurre quasi
fosse il suo tesoro più
caro, uno sguardo che Sully non aveva mai ricevuto da nessuna donna, e,
ancora
una volta, premette le sue labbra calde su quelle di lui.
Finalmente
Victor poté baciarla come aveva sempre voluto, serrandola
tra le braccia,
adagiandola contro il proprio petto, cercando la lingua di lei con la
sua. Si
baciarono a lungo, intensamente, senza preoccuparsi di respirare o
delle
lacrime che ancora bagnavano il viso della ragazza. Sully la
accarezzò, la
leccò come per riguadagnare il tempo perduto, senza saziarsi
dei deboli gemiti
che emetteva quando le sue mani le sfioravano i fianchi, e la sua
lingua le
percorreva la linea del collo.
Eccitato
ed emozionato si lasciò sfilare la camicia mentre le mani di
Estel percorrevano
lentamente il suo torace, le braccia fino al viso.
-
Non voglio metterti fretta … - ansimò ad un certo
punto, cosciente di tutto
quello che la ragazza aveva dovuto sopportare in una sola sera. La
fissò nei
grandi occhi d’oro, splendenti come pietre preziose, accesi
di meravigliosi
sentimenti e, rossa in viso, con le mani infilate sotto la canottiera
bianca,
la vide sorridere.
-
E’
l’unica cosa che desidero davvero in questo momento.-
sussurrò facendogli
perdere la testa.
Guidato
dalle mani di lei tolse la canottiera, mentre l’aria nella
stanza si riempiva
dei sospiri di entrambi, Estel lo abbracciò teneramente
accoccolandosi contro
il suo petto costringendolo a respirare ancora più
velocemente:- Sei così caldo
… - sussurrò, facendo scivolare lentamente le
mani lungo la schiena di Sully.
L’uomo
sorrise, stranamente intenerito, nessuna donna con cui era stato si era
soffermata su certi particolari, aveva piuttosto preferito fare
l’amore in
maniera istintiva, tenendo fuori ciò che non fosse la
propria necessità
ormonale. June invece si stava affidando a lui, completamente,
sinceramente e
il pensiero lo scosse nel profondo; le sollevò il viso dal
petto, osservando un
istante quel dolce e luminoso sorriso capace di sciogliere il cuore,
poi
riprese il bacio.
Nella
tenue luce della stanza Sully non riusciva più a capire di
chi fosse il calore
che sentiva, se il suo o quello della ragazza a cui stava sfilando il
semplice
vestito lilla. Rimasta in biancheria, bella e seducente come
nessun’altra
donna, si adagiò di nuovo su di lui, il corpo premuto contro
il suo in modo che
le forme di entrambi si completassero. Sentì il proprio
cuore battere
furiosamente contro le costole, quasi volesse uscire dal petto e
fronteggiare
quello della ragazza che galoppava silenziosamente, facendole avvampare
il
viso.
-
Stai tremando … - si accigliò Sully, sentendo il
corpo di lei scuotersi
leggermente a contatto col proprio:
-
Scusami è che … non
pensavo che mi avresti voluta davvero … - sorrise Estel di
rimando,
schermendosi appena e di nuovo Victor fu sopraffatto dai sentimenti che
provava
per lei. La sollevò gentilmente tra le braccia, causandole
una momentanea
protesta:- Sully! Che fai?- esclamò senza perdere il
piacevole rossore al viso.
-
Taci, ragazzina.- gracchiò lui in risposta, portandola
direttamente nella
camera da letto e adagiandola sulle lenzuola pulite. Sfoderò
un sorriso dei
suoi, sapendo che effetto avrebbe avuto su di lei e godette del rossore
che le
si accese sul viso quando, con delicatezza, le si sistemò
cavalcioni allargando
le braccia ai lati del suo viso. La ragazza rispose teneramente al
sorriso
attirandolo verso di sé con le mani piccole e calde
aggrappate alle spalle
larghe di Victor.
Per
la prima volta nella sua vita Sully capì perché
il suo corpo era così alto e
forte, lo era per lei, per amarla, per proteggere ciò che si
nascondeva sotto
quegli occhi fieri e determinati, dietro l’animo di chi
agisce non perché non
abbia nulla da perdere, ma per poter dire di aver amato davvero. Estel
lo baciò
di nuovo, accarezzandogli il viso, passando le dita sottili tra i suoi
capelli,
rubandogli il cuore. Lasciò che June slacciasse la sua
cintura e poi i pantaloni,
sfilandoli delicatamente ma abbastanza velocemente da eccitarlo in
maniera
irresistibile.
Senza
neppure respirare fece scivolare entrambe le mani lungo tutto il torace
di lei,
provocandole un gemito a stento trattenuto, fino a raggiungere i ganci
del
reggiseno. Estel inarcò la schiena delicata e sensuale,
premendo tutto il corpo
contro la sua eccitazione, rendendogli semplice l’operazione.
Quando l’ebbe
sfilato, per fare compagnia a tutti i loro indumenti sul pavimento, si
prese un
istante per osservarla alla tenue luce che proveniva dalla sala.
L’aria
intorno a loro sembrava illuminata dagli occhi di Estel, fieri e
profondi che
risplendevano silenziosamente come pietre dal valore inestimabile,
fissi
teneramente nei suoi. Nonostante il forte rossore al viso non
tentò di
coprirsi, tutto il corpo di lei sembrava pronto ad accogliere il suo e
l’idea
lo eccitò talmente che quasi non riuscì
più a trattenersi.
-
Che c’è?- sussurrò la ragazza ansimando
appena, i capelli ramati sparsi sulle
lenzuola profumavano degli stessi fiori che coprivano la sponda del
fiume,
riflettendo gentilmente la luce della luna che proveniva dalla finestra
aperta.
-
Maledizione, sei ancora più bella di quanto pensassi.-
ghignò Sully, stupito e
accaldato, il sangue che scorreva veloce in ogni parte del corpo. Estel
si
schermì appena, distogliendo lo sguardo, ma guidò
lentamente la mano dell’uomo
fino alle mutandine di pizzo bianco. Sullivan ne afferrò un
lembo nella mano
grande e calda, prendendo a sfilarle senza distogliere un secondo lo
sguardo
dal viso di lei, immaginando quanto forte dovesse batterle il cuore.
Bastò
una carezza a farla sussultare e Sully capì di volere di
più, molto di più.
Sentì le dita bagnarsi immediatamente quando
entrò gentilmente in lei, sperando
di farle provare lo stesso piacere che stava sentendo in quel momento.
La
ragazza gemette forte, sempre più forte adattando il respiro
ai suoi leggeri
affondi, nascondendo di tanto in tanto i prodigiosi occhi
d’oro dietro le
lunghe ciglia scure. Ben presto Victor si scoprì ad ansimare
e, con la mente
ormai preda del proprio desiderio, si chinò su di lei
insinuandosi tra le gambe
sottili.
June
prese a sussurrare il suo nome tra un respiro e l’altro, e
Sullivan temette
quasi di impazzire mentre i fianchi di lei si muovevano in sincronia
con la sua
lingua, e tutto il corpo tremava alle carezze delle sue mani.
-
Sully, sto per … - ansimò ad un certo punto e
l’uomo si arrestò, alzandosi di
nuovo su di lei, pulendosi distrattamente le labbra col dorso della
mano.
Gli
occhi gialli erano stranamente languidi e velati da un desiderio che
mai vi
aveva letto, era davvero la creatura più bella che avesse
mai visto, anche ora,
arresa a lui come lo erano state tante altre. Eppure Victor sapeva che
qualcosa
era cambiato, era lui a vedere le cose diversamente, ora le vedeva
attraverso
quell’immenso mare d’oro, un mondo perfetto che
avrebbe volentieri condiviso
con lei e con nessun’altra.
Si
unì a lei con una delicatezza che non riconobbe nel proprio
corpo e sdraiandosi
su quello della ragazza capì che Estel lo completava
perfettamente, quasi entrambi
fossero nati solo per scoprirlo. Respirarono all’unisono,
adattando il respiro
involontariamente a quello dell’altro; June
sussurrò molte volte il suo nome
all’orecchio e lui fece altrettanto, la ragazza lo
accarezzò con dolcezza e
passione, muovendosi con lui, godendo con lui.
Per
lunghi minuti Sully non riuscì più a distinguere
di chi fosse quel continuo
pulsare tra loro, se il suo cuore o quello di Estel. La
desiderò più forte di
quanto non avesse mai desiderato qualsiasi altra donna:
-
Vengo … - sussurrò lei ad un tratto,
stringendogli le spalle, quando ormai
anche l’uomo sentiva di essere arrivato al limite.
La
guardò negli occhi di lupo vicinissima al suo viso e
respirò sulle sue labbra
col petto che ancora si alzava e abbassava frenetico:- Anche io.-
ghignò poco
prima di lasciarsi andare completamente. La ragazza gemette
piacevolmente
forte, quasi gridando e Sully espirò rumorosamente in un
rantolo basso e
prolungato.
Quando
riaprì gli occhi azzurri notò che June lo
guardava teneramente sorpresa, ancora
appena ansimante:- Sei bellissimo, Sully … l’uomo
più bello che abbia mai
visto.- sorrise con dolcezza, accarezzandogli il viso con la mano
piacevolmente
calda. Estel non era la prima donna ad avergli detto qualcosa del
genere,
eppure per la prima volta l’uomo non seppe che cosa
rispondere, per una volta
l’audacia di cui di solito si era sempre vantato non
riuscì a salire alle sue
labbra.
Abbozzò
invece un impacciato sorriso continuando a fissarla nelle iridi
d’oro sorprese
e brillanti. Era strano come, adesso che si erano uniti, tutto fosse
estremamente
naturale. Non sentì il bisogno di dire una sola parola
mentre la ragazza rispondeva
quieta al suo sorriso, bella come una ninfa, come una di quelle
infelici
principesse di cui erano piene tutte le leggende che aveva sentito.
Estel
non fece fatica a corrispondere quel dolce sorriso, nonostante
l’uomo con cui
avesse appena fatto l’amore, per la prima volta dopo Zell,
fosse pressoché uno
sconosciuto. Nelle iridi azzurre, velate dalla stanchezza piacevole
dell’orgasmo, poteva intravedere quell’animo da
donnaiolo di cui aveva fatto
sfoggio sin dalla prima sera che aveva incontrato il suo sguardo,
eppure si
fidava di lui. Non aveva importanza chi fosse stato fino a quel momento
l’uomo
accanto a lei, che cosa avesse fatto prima d’incontrarla,
voleva solo che
rimanesse così, ansante sopra di lei.
Quello
che c’era stato tra loro non era stato solo mera
istintività, lussuria, lo
avevano voluto, lo avevano assaporato come fosse stata la prima volta,
poteva
sentirlo. Lo sentiva nel corpo teso di lui, nei muscoli ancora
contratti per
non farle avvertire il peso del corpo alto e muscoloso. Tra le braccia
di Sully,
indifesa ed inerme, si sentì al sicuro, come se in quella
cella impenetrabile
che formavano i suoi bicipiti e le gambe intrecciate alle sue, niente
più
potesse raggiungerla.
Non
voleva allontanare la mano dal viso di Victor, che aveva chiamato per
nome
molte volte quella notte, privarsi del piacere di sentirlo vivo e caldo
sotto
il suo palmo, di osservarlo respirare ancora freneticamente, di
disegnare con
le dita i contorni delle labbra, giocare con i capelli castani.
Con
un sospiro appena più forte, Sullivan si lasciò
gentilmente andare su di lei
accostando il viso al suo petto, abbracciandola con una tenerezza che,
visto da
fuori, sembrava non avere. La ragazza osservò, sorridendo,
l’espressione
soddisfatta disegnarsi sotto i baffi castani di lui mentre il battito
del cuore
decelerava lentamente per tornare regolare.
-
Resta … questa notte, resta con me … -
sussurrò Estel, sistemando di nuovo
sulla fronte una ciocca di capelli ribelli di lui, scompigliati dalla
foga
dell’atto.
-
Diavolo! Non me ne andrei per niente al mondo … -
ghignò in risposta, le labbra
così vicine alla sua pelle da farla rabbrividire. Estel non
volle chiedersi se
quella notte avrebbe avuto un seguito, se sarebbe rimasta solo una luce
lontana
nella vita dell’uomo e un’ombra nella propria
… volle illudersi che lo
straniero dalla voce profonda avrebbe accolto il suo cuore spezzato,
l’avrebbe
custodito accanto al proprio. Forse avrebbe potuto persino amarla, ma
non ora. Quella
notte sarebbero stati solamente due amanti, quello era il tempo della
loro
prima intimità.
Dopo
gli anni passati nel vuoto dato dalla perdita dell’unico uomo
che avesse mai
amato, Estel si sentì stranamente libera.
___________________________________________________________________________
Diciamo
che questo è un piccolo esperimento, non è facile
descrivere una scena di intimità cercando di velare i
particolari ed al tempo stesso renderla emozionante. Ho provato, spero
vi piaccia e, se volete, dite liberamente che ne pensate. Grazie a
tutti!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
CAPITOLO
8
Per
un po’ nessuno dei due riuscì ad assopirsi.
Nonostante le braccia di Sully la
stringessero più forte di quanto June ricordasse in un uomo,
la pelle ruvida e
calda di lui scottava ancora a contatto con il suo corpo impedendole di
chiudere gli occhi.
Lo
guardò solamente occupare quella metà del letto
che credeva potesse rimanere
vuota per sempre, freddo specchio della propria anima e, quando un
sorriso si
affacciò nei suoi occhi, Victor colse ancora una volta
l’occasione per
accostare le labbra alle sue. Sembrava perfettamente a suo agio, lui,
con quel
sorriso prepotentemente stampato sulla bocca piacevole e sottile, e la
ragazza
sperò ardentemente che non si accorgesse della propria
emozione. Una felicità
che quasi non riuscì a trattenere, nel momento in cui,
istintivamente,
ripresero ad accarezzarsi.
Continuarono
ad amarsi per ore, perché Sully non sembrava mai stanco,
quasi non volesse più
abbandonare quell’adorabile ghigno di soddisfazione che Estel
notava allargarsi
sul suo viso ad ogni pausa.
Era
quasi l’alba quando la ragazza, ancora rannicchiata contro il
petto di lui,
sentì il sonno prendere il sopravvento e Sullivan la
lasciò chiudere gli occhi
d’oro, stringendola gentilmente.
Fu
l’uomo a svegliarla qualche ora più tardi,
chiamando sottovoce il suo nome con
una tenerezza che la ferì nel profondo, ricordandole
inevitabilmente quella
vita lontana e confusa, quasi fosse stata vissuta da qualcun altro.
Si
lasciò andare al calore del corpo di lui che la stringeva
ancora dolcemente,
ispirando l’odore di colonia e sigaro di cui la sua pelle era
impregnata,
ascoltando quella risata bassa e roca che l’aveva sempre
affascinata. Rimasero
stretti a lungo, parlando a malapena, senza riuscire a smettere di
sorridere e
solo quando Estel si offrì di preparargli la colazione Sully
sembrò in difficoltà.
-
Piccola, sono stato io a farti perdere il lavoro … e vuoi
offrirmi la
colazione? – si schermì con un ghigno, mentre la
ragazza si sistemava seduta
sul letto.
-
Ho
un piano anche per quello. – sospirò June
raccogliendo distrattamente i capelli
ramati sulla spalla, lasciandosi sfuggire un sorriso
all’espressione stupita di
lui.
-
Avrei dovuto immaginarlo. – gracchiò Victor in
risposta infilando i boxer, ai
piedi del letto fino a qualche momento prima. Estel lo
osservò attentamente
rivestirsi, incapace invece di alzarsi a sua volta, confusa
dall’amore che
sentiva dominare i propri pensieri.
Infondo
non sapeva quasi nulla di lui, eppure aveva affidato nelle sue mani
qualcosa di
cui solo Zell era stato in possesso, qualcosa per cui un solo uomo
aveva
lottato. Cosa ne sarebbe stato di quei sentimenti se Sully fosse
partito?
Si
sentì improvvisamente sciocca, guardandolo infilare la
canottiera bianca a
coprire il corpo solido e piazzato … di certo non poteva
essere stata la prima
e dubitava sarebbe stata l’unica. Allora perché
non poteva nascondere quel
sincero sorriso incontrando gli occhi limpidi e azzurri?
Perché di nuovo si
accostava a lui, lasciandosi cingere i fianchi, permettendogli di
sfiorare la
sua pelle con le labbra morbide e sottili?
June,
nonostante il pungente orgoglio la mettesse in guardia, sapeva di aver
perso
quella battaglia contro il proprio cuore, sapeva che ormai non poteva
porre
rimedio a ciò che sentiva, si era innamorata di lui.
La
ragazzina aveva davvero un piano, e glielo dimostrò
già dal giorno seguente
quando, con uno speranzoso sorriso, gli comunicò che da
quello stesso
pomeriggio avrebbe lavorato per il fioraio del quartiere.
Il
lavoro procedeva a rilento per Sully ed era felice di potersi concedere
una
pausa, di quando in quando, per fumare un sigaro osservando la ragazza
dietro
la mezza serranda del negozio. Si divertiva a flirtare con lei
affacciandosi al
bancone, fingendo sfacciatamente di essere un cliente.
Era
talmente piacevole vederla arrossire quando passava a prenderla alla
fine della
giornata, che quasi pensò che quella vita potesse durare per
sempre. Che, se
glielo avesse chiesto, Estel sarebbe diventata l’unica.
Nonostante
la sua naturale avversione per le storie a lungo termine, Victor
riusciva ad
intravedere nello sguardo sincero di lei qualcosa di cui, stranamente,
ogni
donna con cui aveva condiviso più di una notte
d’amore peccava terribilmente.
Se
non fosse stato sicuro che il suo “lavoro” avrebbe
presto o tardi rovinato
tutto, di certo non avrebbe esitato un istante a parlarle dei propri
sentimenti, di quanto fossero belli e profondi.
Eppure,
anche quando le teneva la mano, la stringeva con più
dolcezza di quanto
pensasse di essere capace, non riusciva ad essere sincero con lei.
Puntualmente
gli mancava il cuore di raccontarle che razza di mascalzone avesse
accanto, che
cosa aveva fatto per denaro e che costa stava facendo
tutt’ora dietro compenso.
Standole
così vicino, come mai era stato con nessun altra donna,
Sully sperò con tutto
se stesso che nulla l’avrebbe mai costretto a ferirla, a
mostrare quella parte
di sé di cui andava meno orgoglioso. Purtroppo Victor era
anche un uomo
intelligente e, nel profondo, sapeva che non avrebbe potuto ingannarla
per
sempre, che, prima o poi, ciò che faceva della propria vita
sarebbe venuto a
galla.
Almeno,
non così presto.
Stava
frequentando la ragazza ormai da un paio di settimane, assopendosi
sempre più
spesso nel suo appartamento la notte, rubando tempo alle sue ricerche
per
bighellonarle attorno, quando arrivò l’invito a
pranzo di Marlowe, cosa che, di
certo, non lo colse certo impreparato.
Victor
sapeva benissimo che cosa stava rischiando temporeggiando a quel modo e
conosceva Kate abbastanza bene da credere che la donna avesse intuito
qualcosa.
Forse per questo non se la sentì di rifiutare
l’invito, si armò invece della
faccia più tosta di cui disponeva per presentarsi
all’incontro.
Il
tempo
minacciava stranamente pioggia, conferendo all’intero
quartiere un’aria
opprimente di città in rovina qual’era.
Durante
il tragitto Sully si accese prudentemente un sigaro, sperando che
l’odore
pungente del tabacco coprisse quello floreale delle lenzuola su cui
aveva dormito
fino a qualche ora prima.
Aveva
lasciato Estel nella piccola cucina, intenta a preparare il pranzo che
avrebbe
portato quella mattina stessa alla signora Jennings in segno di
gratitudine per
la proroga che le aveva concesso sull’affitto. Le aveva
sorriso prima di
lasciare l’appartamento, curandosi di non farle notare la
propria
preoccupazione: Marlowe era una donna egoista oltre che estremamente
intelligente, se avesse intuito i sentimenti di Victor per la ragazza
di sicuro
l’istinto le avrebbe ordinato di far terra bruciata su tutto
ciò che non poteva
controllare.
La
donna
bionda in tailleur l’aspettava già accanto alla
fontana spenta della piazza
principale, riservandogli quel sorriso soddisfatto che
l’animava solo quando
poteva ammirare qualcosa che le apparteneva. Sully abbozzò
un sorriso in
risposta, trattenendo ancora il sigaro tra i denti, gesto che la fece
immediatamente volare tra le sue braccia.
L’uomo
la strinse distrattamente accennando una raspante risata delle sue:-
Kate. – la
salutò furbo, mentre la bella donna stringeva le mani alle
sue braccia.
-
Pensavo mi avessi dimenticata, Victor. – sorrise divertita,
allontanandosi.
-
E
come potrei? Abbiamo un contratto, no? – rispose Sully
sfacciatamente e non
poté fare a meno di notare quanto fossero freddi gli occhi
della donna in
confronto a quelli di Estel.
-
Già, un contratto. Sono contenta che te ne ricordi ancora,
dato che in questo
periodo sembri … distratto. – osservò
sollevando un sopracciglio, Victor capì
di essere nei guai. Katherine, con ogni probabilità, sapeva
della ragazzina.
-
Bé
… sono a un punto morto. Ma penso di potermela cavare.
– gracchiò mantenendo la
calma.
Per
tutta
risposta Marlowe gli rivolse un sorriso beffardo, quasi ad insultare
quella sua
sfacciata bugia.
-
E
questo punto morto … non è per caso
un’attraente ragazzina del posto? –
insinuò
raggiungendo il suo petto con le dita sottili, gli occhi azzurri che,
nonostante tutto, tradivano il desiderio che provava per lui.
Sully
sapeva che un’esitazione a quel punto avrebbe potuto costare
molto cara ad
entrambi, ed avrebbe negato qualsiasi cosa pur di risparmiare alla
piccola Estel
quel pericolo.
-
Quella? È solo una bambina. Mi sto divertendo un
po’, tutto qui. È talmente
ingenua che, se sparissi, non se ne accorgerebbe. – rise
forte per allontanare
la vergogna per ciò che aveva detto.
-
Ah, davvero? Se dovesse essere lei la causa di questa tua negligenza mi
troverei costretta a … darti un incentivo. –
sorrise come una scolaretta, quasi
non lo avesse appena minacciato di far sparire la donna che amava.
-
Diavolo,
Kate! Non essere gelosa. – gracchiò con un mezzo
sorriso, senza tradirsi.
-
Provamelo allora. Provami che quell’orfanella non conta
niente. – soffiò avvicinandosi
al suo corpo e, senza pensarci due volte, l’uomo la strinse e
la baciò come,
fino a qualche ora, prima aveva stretto e baciato la piccola June.
______________________________________________________________________________
Il
capitolo purtroppo è un pò corto e non ho avuto
tempo di rivederlo come avrei voluto, se quindi ci dovesse essere
qualcosa che stona siate liberi di comunicarlo che poi farò
i debiti aggiustamenti ;) Grazie a tutti i lettori!
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
CAPITOLO
9
Il
cielo plumbeo e pesante convinse Estel ad affrettarsi, nonostante fosse
il suo
giorno libero, nel riportare a casa quei pochi fiori freschi che spesso
comprava per la sua affittuaria.
Nonostante
le nuvole scure gravassero sulla città togliendole quel poco
di dignità che riaffiorava
insieme alla luce del sole, la ragazza non poté che
rivolgere loro un sorriso
distratto. Era ancora confusa per la piega inaspettata che stava
prendendo la
sua vita.
Fino
a poco tempo prima non avrebbe mai creduto di poter provare ancora per
qualcuno
quei teneri sentimenti che, di tanto in tanto, si affacciavano al suo
cuore
mentre era in compagnia di Sully. All’improvviso avere
accanto qualcuno non le
ricordava solo ciò che aveva perduto, non la costringeva ad
affrontare i
sentimenti che erano per anni rimasti in sospeso dove nessuno prima di
Zell era
stato.
Victor
era stato così gentile con lei, l’aveva
corteggiata tanto spietatamente che si
meritava la verità, meritava l’amore che ancora
June poteva dare.
Nelle
strade deserte rimbombava appena l’eco dei sandali della
ragazza che premevano
sui sampietrini dissestati in più punti, quasi il silenzio
avesse inghiottito
anche le persone oltre che la luce.
Solo
due persone restavano abbracciate accanto alla grande fontana spenta
della
piazza, e, per un attimo, l’immagine le ricordò
quanto desiderasse vedere
Sully.
Distolse
velocemente lo sguardo avvicinandosi, quasi non volesse spiare, ma
ciò che
infine colse con la coda dell’occhio, passando ai margini
della piazza
circolare, la colpì così forte da immobilizzarla.
-
Diavolo, Kate! Non essere gelosa. –
-
Provamelo allora. Provami che quell’orfanella non conta
niente. –
Le
dita persero la stretta sul cestino pieno di dalie ed orchidee, quando
realizzò
che le braccia che stringevano l’affascinante donna bionda in
tailleur nero,
erano le stesse in cui aveva dormito fino a poche ore prima.
Il
cervello della ragazza si rifiutò di lavorare per un tempo
che parve infinito,
tentando sicuramente di ingannarla, perché non poteva essere
lo stesso Victor a
cui aveva appena pensato di confessare il suo amore, quello che stava
premendo
avidamente le labbra su quelle della sconosciuta.
Prima
di poter vedere o sentire altro la coscienza di Estel si
svegliò bruscamente,
ordinandole vigliaccamente di scappare, di non lasciare che la ferita
si
approfondisse. Corse nella direzione opposta con quanto fiato aveva in
corpo,
pensando che la distanza potesse allontanare la delusione della fiducia
tradita, la solitudine di sentimenti che, adesso, sembravano ridicoli.
Si
fermò
solo quando, arrivata alla porta, si lasciò andare
leggermente contro lo
stipite in legno. Come poteva essere stata tanto stupida? Lo sapeva, lo
aveva
sempre saputo. Se c’era qualcuno da biasimare, sapeva di
dover essere la prima.
Tutte
quelle avances, i sorrisi, gli sguardi erano stati solo un gioco, e lei
c’era
cascata in pieno. La cosa peggiore, oltre la rabbia, oltre la
frustrazione, era
che lui non avrebbe mai saputo quanto l’avesse ferita.
Probabilmente il suo
cuore spezzato non sarebbe mai contato nulla.
Improvvisamente
si sentì di nuovo sola, più sola di quanto non
fosse mai stata. Eppure,
accostata allo stipite del portone di legno verniciato, June non
riuscì a
piangere. Non c’erano lacrime per quel vuoto che tornava come
una marea, più
potente di quando se n’era andato. Vi guardò
dentro e capì che, probabilmente,
era ciò che meritava, era ciò che le era sempre
spettato.
________________________________________________________________________
Purtroppo
il capitolo non è completo, ma ultimamente non ho avuto un
attimo di respiro. Quindi mi scuso in anticipo per le poche righe e
ringrazio sempre tutti i lettori!
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