Ebbene sì… a più di due anni di
distanza dall’ultima volta che ho aggiunto una storia a questa raccolta torno
ad aggiornare! Sapevo che non l’avrei lasciata qui a marcire all’infinito ma…
ci è voluto più del previsto!
Però ieri ho ricevuto
l’illuminazione… sapete quando vi viene l’ispirazione e dite: ok, questa volta
ci sono… ecco, ieri è successo questo! Ecco quindi che abbandono per un attimo
Stregoni e Hobbit per una one shot sui miei cari Boromir e Faramir! (chi segue
l’altra mia fan fiction Stella Cieca, sa quanto li adoro… ah, per chi seguisse
quella fan fiction, non l’ho abbandonata… sono solo molto occupata in questo
periodo, ma non appena riesco aggiornerò!!)
Comunque, spero che questa fan fiction vi piaccia, spero che i personaggi
non siano OOC e… beh… TANTI AUGURI AL GRANDE PROFESSORE che oggi compirebbe 120
anni! Auguri J.R.R. Tolkien!!
E auguri a tutti voi per un sereno 2012!! (anche se con due giorni di
ritardo!! J )
Perché i guerrieri non piangono
« Faramir, sei qui? » era da circa mezz’ora che Boromir
girava per il palazzo alla ricerca del fratello minore. La balia gli aveva
chiesto di aiutarla a cercarlo perché non riusciva a capire dove si fosse
cacciato e, se non si fosse presentato alla lezione che si sarebbe tenuta da lì
a poco con il suo precettore, di certo il Sovrintendente Denethor non sarebbe
stato molto contento e avrebbe pensato che la donna non sapeva svolgere
adeguatamente il suo lavoro.
« Faramir! » urlò nuovamente Boromir « Ti avviso sto
entrando, e non mi importa se questa è camera tua, io entro lo stesso! »
Il ragazzino di dieci anni spalancò la porta, che si aprì
senza il minimo rumore o cigolio: il padre aveva dato ordine ai servi di oliare
a dovere i cardini, in modo tale che le porte non facessero rumore e lui potesse,
nei suoi rari momenti di riposo, evitare di essere disturbato dal cigolio
prodotto dai cardini che sfregavano gli uni contro gli altri quando Boromir e
Faramir si divertivano a correre da una stanza all’altra per gioco.
Non che gli fosse concesso tanto spesso di divertirsi in
quel modo, né in altri modi possibili… Boromir, in quanto primogenito, era
sempre sotto pressione perché il padre voleva che venisse istruito a dovere per
il suo futuro da Sovrintendente, mentre Faramir… quando non aveva lezione col
precettore, era lasciato da solo nella sua stanza. In conclusione, erano
davvero pochi i momenti in cui i due potevano giocare liberamente, come si
addice a dei bambini della loro età.
Boromir entrò nella stanza del fratello e si chiuse la porta
alle spalle. La prima cosa che fece fu guardare verso il letto, ma non vi era
nessuno, né sopra, né nascosto sotto le coperte. Guardò allora sotto al letto,
ma anche lì suo fratello non c’era.
« Faramir… lo so che sei qui! Ti conviene venire fuori! La
balia ti sta cercando e sai benissimo che se non vai a lezione nostro padre si
arrabbierà e ti punirà! »
Il ragazzino girò per la stanza, spostò le tende e ispezionò
ogni angolo, ma niente, di suo fratello neanche l’ombra. Sospirò, convinto
ormai che Faramir non si trovasse lì, e fece per riaprire la porta e andarsene
quando un rumore, come un singhiozzo soffocato, attirò la sua attenzione:
proveniva dall’armadio.
Ecco dove si trovava Faramir! Come aveva fatto e non
arrivarci prima?
Si avvicinò di soppiatto all’armadio, cercando di non
produrre il minimo rumore, afferrò la maniglia e aprì di scatto l’anta: ed
ecco, si trovò di fronte suo fratello Faramir, raggomitolato in un angolo, con
la testa fra le ginocchia. I capelli scuri ricadevano a coprirgli il viso.
« Faramir! » esclamò Boromir sorpreso di trovarlo in quello
stato.
Il bambino sollevò leggermente il viso, e Boromir si trovò
ad osservare due occhi rossi e gonfi di lacrime.
« Faramir, ma cosa succede? »
Il bambino non gli rispose, ma abbassò di nuovo il viso, e cominciò
a singhiozzare.
Non sapendo cosa fare, Boromir si sedette accanto a lui
nell’armadio e gli fece passare un braccio attorno alle spalle:
« Non vuoi dirmi cosa succede? » gli domandò ancora.
Faramir non disse nulla, ma scosse vigorosamente il capo.
« Dovresti dirmelo invece, potrei aiutarti! »
« No non mi puoi aiutare! » sbottò con rabbia Faramir,
lasciando il fratello maggiore stupito e senza parole.
« Ma… perché dici così? » gli disse quindi Boromir,
riprendendosi dall’iniziale sorpresa per il comportamento del fratellino « Lo
sai che quando sei triste puoi sempre raccontarmi cosa c’è che non va, così ti
posso… »
« Ti ho già detto che non mi puoi aiutare! » esclamò Faramir
alzando finalmente la testa « Tu sei d’accordo con papà! A te ascolta sempre, a
me no! Non gli importa niente di me, invece tu sei il suo preferito! »
Per Boromir fu come ricevere un pugno nello stomaco. Quelle
affermazioni lo lasciarono interdetto e senza parole: Faramir non gli aveva mai
parlato in quel modo, non si era mai arrabbiato con lui. Erano sempre stati
complici, amici, oltre che fratelli. Come poteva ora dirgli delle cose del
genere, dopo che lui aveva sempre cercato di difenderlo quando il padre
sembrava prenderlo di mira?
Sì, perché Boromir se ne rendeva perfettamente conto: a
volte loro padre pareva avercela, per qualche sconosciuto motivo, con Faramir,
ma lui cercava sempre di proteggerlo. Certo, non riusciva a far cambiare gli
atteggiamenti di Denethor nei confronti del suo fratellino, ma era sempre
pronto a stargli accanto e consolarlo quando il padre lo rimproverava.
Ed ora Faramir lo accusava di essere il preferito di
Denethor e di essere d’accordo col padre? D’accordo per cosa poi?
« Ma cosa dici Faramir? » cercò di dire Boromir con calma,
nonostante sentisse un certo fastidio crescere dentro di lui « Lo sai che io
non la penso come papà, lo sai che… »
« Non è vero! » gridò Faramir « Non è vero niente! Sei un
bugiardo, mi racconti anche tu un sacco di bugie, non ti interessa niente di me
e… »
SCIAFF!!
Faramir rimase per qualche secondo con gli occhi spalancati:
non poteva credere che suo fratello gli avesse appena dato uno schiaffo.
Boromir lo aveva picchiato? Il suo fratellone… la persona che lui aveva sempre
preso come modello, quello che era sempre al suo fianco, nel bene e nel male,
la persona a cui più di ogni altra Faramir voleva assomigliare… lo aveva
davvero schiaffeggiato?
L’espressione che si dipinse sul viso di Boromir fu, per
qualche verso, identica a quella di Faramir: gli aveva davvero appena dato uno
schiaffo? Aveva davvero picchiato il suo fratellino? Lui, che amava quella
pulce più di qualunque altra persona in quell’enorme palazzo? Lui, che nei
momenti in cui qualcosa non andava sapeva di poter contare sulle facce buffe
che Faramir avrebbe fatto per tirargli su il morale? Lui… lo aveva davvero
schiaffeggiato?
« Faramir io… » Boromir tentò di giustificarsi ma, prima che
potesse aggiungere altro, Faramir gli si avventò addosso, e prese a tirare
pugni e calci alla cieca, nel tentativo di fare al fratello maggiore almeno il
doppio del male che lui gli aveva inflitto con quello schiaffo.
Certo, Boromir aveva cinque anni in più di lui, e non fu
difficile per il ragazzino più grande bloccare la maggior parte dei colpi che
stava ricevendo, anche se un pugno lo colpì sul labbro, e un calcio al
ginocchio lo lasciò particolarmente dolorante, tanto che dovette dare uno
spintone al fratellino per evitare di ritrovarsi coperto di lividi.
Faramir gridò, ritrovandosi a gambe all’aria nell’armadio
dove fino a poco prima era rannicchiato a piangere.
« Si può sapere cosa diavolo sta succedendo qui? » la balia,
che doveva aver sentito il baccano prodotto dai due, spalancò la porta della
camera, rimanendo a bocca aperta nel trovare Faramir a gambe all’aria e Boromir
che si tastava un ginocchio con aria arrabbiata.
Senza badare alla donna, Faramir si rialzò, lanciandosi
nuovamente contro il fratello.
« BOROMIR, FARAMIR! » tuonò la balia dirigendosi a grandi
passi verso di loro. Afferrò Boromir per un braccio e fece lo stesso con
Faramir:
« Dico io! Ma cosa vi prende? » esclamò scioccata « Si può
sapere cos’è successo? Non vi siete mai comportati così! »
« Io non c’entro niente! » urlò Boromir.
« Ah certo, scommetto che Faramir si è schiaffeggiato da
solo e che tu non hai niente a che fare con le cinque dita che ha stampate in
faccia! » ribattè lei.
« E non dici niente del mio labbro e del mio ginocchio? »
urlò ancora Boromir.
« Ah io di certo non posso dire niente! Siete voi che mi
dovete delle spiegazioni! » la balia lasciò andare i due, cha ancora teneva
bloccati per evitare che riprendessero a picchiarsi.
« Quindi? » domandò, incrociando le braccia sul petto.
Boromir la osservava arrabbiato, mentre Faramir stava col
capo chino e tirava su col naso. Nessuno parlò per alcuni secondi, ma era
inutile: entrambi sapevano che la donna non li avrebbe lasciati andare senza
ricevere una spiegazione, non era una che si arrendeva facilmente.
« Gli ho tirato uno schiaffo. » esclamò infine Boromir.
« Questo lo avevo intuito, ma si può sapere perché lo hai
fatto? »
« Chiedilo a lui! » disse indicando Faramir « Sembrerà
strano, ma è stato lui a iniziare, io volevo consolarlo e lui ha iniziato a
dire bugie! Ho dovuto farlo! »
« Non c’è mai un motivo per cui si deve picchiare.
Credevo di avertelo insegnato, Boromir. E anche tu Faramir, si può sapere cosa
ti è preso? »
Faramir rimase in silenzio, continuando a tirare su col
naso, finché Boromir, spazientito, parlò al posto del fratello minore:
« Si è inventato un sacco di bugie! Ha detto delle cose che
non sono vere! Non è vero che sono il preferito di papà, e sai cosa ti dico?
Che non ti voglio più parlare! Che non sei più mio fratello! »
Dopo aver urlato la sua rabbia in faccia a Faramir, Boromir
corse fuori dalla stanza mentre gli si formava un nodo in gola.
Non voleva farsi vedere piangere. Lui era sempre stato
quello forte, quello che sosteneva Faramir, lui era il guerriero e non
piangeva, perché i guerrieri non piangono, nemmeno quando la persona che più
amano al mondo li picchia in quel modo, nemmeno quando hanno appena deciso che
non rivolgeranno mai più la parola a loro fratello anzi, a quello che ormai non
è più loro fratello. Perché i guerrieri non piangono. Mai!
La balia rimase scioccata dalle parole di Boromir, ma cercò
di non darlo a vedere. Aveva un compito più urgente ora: pensare al piccolo
Faramir che piangeva a dirotto, tastandosi la guancia ancora arrossata.
Si inginocchiò, e abbracciò il piccolo nel tentativo di
consolarlo.
Che Denethor avesse una particolare predilezione per il suo
primogenito era evidente a tutti, ma non si sarebbe mai aspettata che Faramir
se ne fosse già reso conto. Insomma aveva appena cinque anni… la donna sospirò:
evidentemente aveva ancora molto da imparare sui bambini. Non perché uno è
piccolo significa che non si renda conto di certi comportamenti del padre,
senza contare che Faramir si era sempre dimostrato un bambino molto
intelligente e sensibile. Doveva aspettarselo che prima o poi il problema
sarebbe emerso.
Certo, c’era da dire che Boromir non meritava quelle accuse:
nonostante le preferenze che Denethor mostrava nei suoi confronti, il ragazzino
non aveva mai fatto sentire Faramir inferiore anzi, gli era sempre stato
accanto, facendo di tutto per far capire al fratellino che non voleva in alcun
modo porsi a un livello superiore solo perché il padre aveva questa preferenza
nei suoi confronti.
Aspettò che il bambino si calmasse un po’, e quando parve
che avesse finalmente smesso di piangere la balia sciolse l’abbraccio e,
guardando Faramir negli occhi, gli domandò con dolcezza:
« Allora, mi spieghi cos’è successo con tuo fratello? »
Il bambino scoppiò nuovamente a piangere, quasi più forte di
prima, lasciando la donna sbigottita e senza parole.
« Facciamo così, » sospirò infine « Ora ti lavi la faccia e
bagniamo un po’ quella guancia prima che diventi viola… poi ne riparliamo. »
Dovette passare un quarto d’ora abbondante prima che Faramir
si calmasse del tutto e fosse in grado di parlare.
« Allora, hai detto a tuo fratello che è il preferito di
vostro padre? » domandò infine la donna.
Faramir annuì, tirando su col naso.
« Ma Faramir, il vostro papà vuole bene a entrambi! » disse
la balia, anche se era consapevole del fatto che quelle parole non convincevano
nemmeno lei « E Boromir ti vuole un bene immenso! »
Il bambino tirò nuovamente su col naso:
« Ma… ma Boromir ha detto che… » balbettò, sul punto di
rimettersi a piangere « Ha detto che non mi parla più, che non è più mio
fratello! »
La balia sorrise:
« Faramir, non è che lui non è più tuo fratello solo perché
ha deciso così! »
Il bambino la guardò con aria interrogativa.
« Ti spiego, » continuò la donna, che aveva capito che
Faramir non aveva afferrato il senso del suo discorso « Voi sarete sempre
fratelli, perché siete nati dalla stessa mamma e dallo stesso papà! Lo sarete
sempre e niente potrà mai impedirvi di esserlo. »
« Ma Boromir ha detto… »
« Boromir ha detto così perché era molto arrabbiato, ma sono
sicura che presto gli passerà. Lui ti vuole molto bene e sai una cosa? Quando
cinque anni fa tu sei nato, e abbiamo dato la notizia a Boromir, ha saltato per
il palazzo per l’intera mattinata urlando che era nato il suo fratellino! Pensa
che ha svegliato l’intero palazzo gridando di gioia! » la donna osservò il
bambino, che pareva ancora irrequieto, quindi aggiunse « Sono sicura che presto
farete la pace! »
« Quindi, » chiese ancora Faramir per essere sicuro che
Boromir fosse veramente ancora suo fratello « io e lui saremo sempre fratelli?
»
« Ma certo! » lo rassicurò la donna ridendo.
« Anche quando saremo morti? »
« Certo ma… bambino mio, non pensare a queste cose! Sei
ancora troppo piccolo per pensare alla morte! E ora corri, vai dal precettore
che ti starà aspettando per la tua lezione! »
« Ma… veramente dovrei andare a uccidere un drago che… »
« Faramir! » lo riprese severamente la donna « Tuo padre si
trasformerà in un drago, se salti ancora una volta la lezione! »
Sbuffando, Faramir si diresse verso la porta che dava sul
corridoio.
« E ricordati, » aggiunse la donna prima che lui uscisse «
se incontri Boromir di chiedergli scusa! Vedrai che così gli passerà tutto! »
Il pomeriggio passò lentamente. La lezione di Faramir pareva
non dovesse finire mai e il suo maestro di certo non faceva niente per
rendergli il lavoro più leggero: era noioso, quando parlava sembrava che la
voce provenisse dall’oltretomba e tutte le volte il bambino rischiava di
addormentarsi. Quando gli capitava, si metteva a pensare a quando lui e
Boromir, durante i loro giochi, prendevano in giro il maestro. Lo chiamavano il
morto vivente, e Boromir era bravissimo ad imitarne la voce tanto che, tutte le
volte che Faramir ci pensava durante la lezione, doveva stare attento a non
scoppiare a ridere in faccia al maestro! Ma quel pomeriggio, ogni volta che
pensava a suo fratello che imitava il precettore, gli veniva un nodo in gola e
rischiava di scoppiare a piangere, al ricordo di quello che era successo solo
poche ore prima.
Quando finalmente la lezione finì, l’ora di cena era vicina.
Faramir non sapeva se essere contento o triste, perché quello significava
mangiare insieme a suo padre e soprattutto significava che ci sarebbe stato
anche Boromir, ma lui non lo aveva ancora incontrato e non aveva avuto
l’occasione per chiedergli scusa. E se suo fratello non gli avesse rivolto la
parola per tutta la cena?
Quando entrò in sala da pranzo, accompagnato dalla balia,
notò subito che la sedia di suo fratello era vuota.
« Boromir non cena questa sera. » aveva detto asciutto suo
padre « Non si sente molto bene, ha detto di non avere fame. »
Di conseguenza, la fame passò anche a Faramir. Si sentì
nuovamente in colpa, era certo che Boromir non fosse lì perché non lo voleva
vedere, perché era ancora arrabbiato con lui.
Durante la cena suo padre non aveva detto una parola. Quando
c’era Boromir trovava sempre qualcosa da dire, ma quando era da solo con
Faramir non diceva mai nulla e, se il bambino provava a raccontare del nuovo
gioco che aveva imparato quel pomeriggio, o della storia che la balia gli aveva
raccontato, Denethor lo trattava come se non gli interessasse nulla di ciò che
il bambino aveva da dirgli.
« Ok, adesso busso… » ripeteva tra sé e sé Faramir, andando
avanti e indietro davanti alla porta della camera di suo fratello, e alzava la
mano, faceva per bussare, ma poi gli mancava il coraggio.
« Oh insomma Faramir! Sei o no un uomo di Gondor? » si disse
infine « Coraggio! »
Bussò.
Bussò, ma non rispose nessuno.
« Boromir posso entrare? » domandò Faramir cercando di non
parlare a voce troppo alta. Se qualcuno si fosse accorto che era ancora in giro
per i corridoi e non in camera sua, si sarebbe di sicuro meritato una bella
punizione!
Da dentro non giunse ancora nessuna risposta.
Faramir aprì la porta lentamente, e socchiuse gli occhi per
mettere a fuoco l’interno della camera, illuminato debolmente dalla luce di una
candela.
Boromir era steso sul letto, e dava le spalle alla porta.
« Boromir… » lo chiamò Faramir con voce incerta. Il ragazzo
non si mosse. « Sono venuto a chiederti scusa. »
Boromir continuava a dargli le spalle e a rimanere in
silenzio.
« Mi dispiace per quello che ti ho detto oggi, ma ero
arrabbiato. » il bambino aveva la voce che tremava.
« Non mi interessa. » finalmente Boromir rispose « Va in
camera tua. »
« Ma io… »
« Lasciami stare ho detto. Torna in camera tua. » disse
nuovamente Boromir in tono piatto senza voltarsi verso Faramir.
Il bambino uscì senza aggiungere altro. Sapeva che quando
Boromir era arrabbiato era meglio non disturbarlo, ma questo non servì a
tranquillizzarlo anzi, gli si formò nuovamente un nodo in gola e non appena si
mise a letto, si tirò le coperte fin sopra la testa e si addormentò piangendo.
Quella notte continuò a fare brutti sogni: sognava che
Boromir se ne andava, che gli diceva che non sarebbero mai più stati fratelli.
Sognava che un drago gigantesco stava per divorarlo e che Boromir stava lì a
guardare senza andare ad aiutarlo.
Quando la mattina dopo si svegliò, era completamente sudato
e il nodo in gola ancora non accennava ad andarsene.
Non vide Boromir a colazione, e nemmeno in giro per il
palazzo. Avrebbe voluto parlare con la balia per raccontarle cos’era successo,
ma non incontrò nemmeno lei quella mattina.
Triste e sconsolato, andò a fare un giro per i giardini del
palazzo, mentre aspettava che arrivasse il momento di recarsi a lezione dal
precettore, quando notò che si stavano avvicinando due ragazzi, uno di
quindici, l’altro di diciassette anni. Erano i figli di alcuni dignitari di
corte, consiglieri di suo padre o qualcosa del genere, non ricordava i nomi e
le funzioni di tutti, soprattutto di quelli che non gli stavano particolarmente
simpatici e quei due ragazzi non gli andavano per niente a genio. Ogni volta
che li incontrava e che suo padre Denethor non era presente, quei due non
perdevano occasione di prendersi gioco di lui e Boromir, in più erano più alti
di loro e questo giocava a vantaggio di quei due antipatici.
Faramir si nascose dietro una colonna del portico per
aspettare che i due se ne fossero andati. Non voleva incontrarli, ma a quanto
pareva i ragazzi si erano già accorti di lui, e si stavano dirigendo proprio
verso la colonna dietro la quale si era nascosto.
« Bene, bene, guarda un po’ chi abbiamo qui! » esclamò
quello più alto quando fu a pochi passi dal figlio del Sovrintendente.
« Ma non mi dire… » continuò l’altro « Il nanerottolo che
gira da solo per il giardino! »
« Io non sono un nanerottolo! » ribattè Faramir, deciso a
non lasciarsi mettere i piedi in testa anche se… aveva solo cinque anni e quei
due erano di gran lunga più forti di lui sotto molti aspetti.
« No, no certo! Non sei un nanerottolo! » riprese il primo «
Ma com’è che per difenderti hai sempre bisogno che ci sia tuo fratello? Da solo
proprio non ce la fai eh? Hai forse paura di noi? »
Faramir gonfiò il petto con orgoglio e strinse i pugni: « Io
paura di voi? Voi non sapete quanti draghi ho sconfitto! E tutto da solo, senza
l’aiuto di Boromir! Non ho mica bisogno di mio fratello, io, per cavarmela! So
benissimo badare a me stesso! »
I due ragazzi scoppiarono a ridere senza ritegno, lasciando
Faramir attonito. Le sue guance si tinsero di rosso per la rabbia.
« Areth, Doblung! » una voce li fece voltare « Cosa state
facendo? »
Boromir, che era appena entrato nei giardini, affiancò
subito Faramir.
« Oh, allora alla fine è arrivato tuo fratello! » ghignò
Doblung rivolgendosi a Faramir.
« E allora? Tanto avrei potuto cavarmela benissimo da solo!
» lo rimbeccò il bambino.
« Si può sapere cosa volete? » domandò ancora Boromir.
« Ehi moscerino non ti scaldare, stavamo solo scherzando un
po’ col tuo fratellino! » gli rispose Areth.
« Beh ascoltate il mio consiglio: vi conviene smetterla di
scherzare! Oggi non sono proprio in vena di prese in giro, chiaro? »
« Ma chi sei tu per venirci a dire cosa dobbiamo fare? »
ringhiò Areth avvicinandosi pericolosamente a Boromir. Certo… un ragazzo di
quindici anni contro uno di dieci è un po’ una lotta impari… senza contare che
Boromir era affiancato da un bambino di cinque anni, mentre l’amico di Areth ne
aveva diciassette.
« Si da il caso, se tu l’avessi dimenticato, che noi siamo i
figli del Sovrintendente! E che quello con cui stavi “scherzando” è mio
fratello, e io non ti permetto di prenderti gioco di lui è chiaro? » rispose
Boromir avvicinandosi a sua volta ad Areth.
Nell’udire quelle parole, Faramir si illuminò: Boromir aveva
appena detto che lui era suo fratello… allora non lo aveva abbandonato!
« E che cosa vorresti fare moscerino, picchiarmi? Sei di due
metri più basso di me! E io ho Doblung dalla mia parte! » fece Areth.
« Ma Boromir è dieci volte più forte di te, e io combatto
con lui! » esclamò il piccolo Faramir con orgoglio affiancando il fratello
maggiore.
Boromir lo guardò, e un sorriso di gratitudine gli si
dipinse sul volto.
« Non sarà necessario picchiarsi. » disse infine il figlio
maggiore del Sovrintendente « Non vedo per quale motivo dovremmo farlo. »
Faramir, che era già in posizione di attacco con i pugni
alzati, abbassò le braccia:
« Hai ragione! Non c’è un motivo. » ripeté, memore di ciò
che gli aveva detto il giorno precedente la balia.
« Non c’è motivo dici? » esclamò Areth « Bene, allora
creiamolo questo motivo! » e prima che Boromir potesse rendersene conto, il
ragazzo gli fece lo sgambetto e lo gettò a terra.
« Si può sapere qual è il tuo problema? » ringhiò Boromir
rialzandosi, cercando di trattenersi dal tirargli un pugno.
« Oh nessuno, ma mi sa che ora il problema ce l’avrai tu! »
esclamò Areth, indicando i pantaloni di Boromir che si erano bucati a livello
delle ginocchia.
« E tu dovresti essere il nostro futuro Sovrintendente! »
rise Doblung « Il sovrintendente dai calzoni bucati! E meno male che si sono
bucati sulle ginocchia e non in altri punti! »
Boromir cercò di trattenersi. Ce la mise tutta, ma quando è
troppo è troppo, e poi Areth lo aveva fatto cadere e se c’era una cosa che non
sopportava, era che venisse messo in discussione il suo futuro da
Sovrintendente, senza contare che quando era arrivato quei due si stavano
prendendo gioco di suo fratello, e quella era di gran lunga la cosa peggiore!
Senza pensarci un secondo di più, si gettò addosso ad Areth,
e gli tirò un pugno sul naso. Quello barcollò e imprecò, mentre Doblung cercava
di fermare Boromir, ma grazie all’intervento tempestivo di Faramir, che gli
tirò un sonoro calcio nel sedere, Doblung non riuscì nel suo intento. Non che
il calcio di un bambino gli avesse fatto particolarmente male, ma Faramir aveva
giocato d’astuzia, prendendo il suo avversario alla sprovvista e distraendolo.
Mentre Doblung si voltava alla ricerca di Faramir, Boromir e
Areth continuavano a darsele senza risparmiare i colpi, quando all’improvviso
una voce li interruppe:
« Boromir, Faramir! » Denethor, Sovrintendente di Gondor, si
trovava a pochi metri da loro, e aveva assistito agli ultimi atti di quella
battaglia impari. Si avvicinò ai quattro e con voce tagliente domandò:
« Si può sapere cosa state facendo? »
« Ci difendiamo! » rispose pronto Faramir.
« Non voglio sentire scuse! Alzatevi e ripulitevi. »
Quando i ragazzi ebbero fatto ciò che Denethor gli aveva
detto, il Sovrintendente squadrò Areth e Doblung « Voi due, tornate a casa. »
ordinò. Quelli non se lo fecero ripetere due volte e se ne andarono: Areth
tastandosi il naso gonfio e Doblung massaggiandosi il sedere.
Denethor spostò infine l’attenzione sui suoi figli:
« Vorrei proprio capire per quale motivo i figli del Sovrintendente
debbano farsi sorprendere nei giardini del palazzo, mentre fanno una rissa con
i figli di alcuni tra i più importanti dignitari di corte. »
« Quelli ci istigano sempre! Abbiamo cercato di evitare di
arrivare alle mani… » disse Boromir.
« Ma Areth gli ha fatto lo sgambetto e lo ha fatto cadere! »
esclamò Faramir arrabbiato.
« Io spero solo che nessuno vi abbia visto e che non si
diffonda in Città la diceria che i miei figli si dedicano a risse nel loro
tempo libero. Per punizione, parlerò con i vostri precettori e gli dirò di
aumentare il lavoro individuale, così che nel tempo libero siate costretti a
rimanere sui libri, piuttosto che girare per il palazzo per fare a botte con
chi vi capita a tiro. »
Si voltò e fece per andarsene, poi aggiunse:
« Mi auguro almeno che tu sia riuscito a non farti
sopraffare, Boromir. »
Il ragazzo non rispose, ma rimase in silenzio, con la testa
bassa, meditando sulle ultime parole del padre e ciò che invece le balia gli
aveva sempre insegnato: Non c’è mai un motivo per cui si deve
picchiare.
Quel pomeriggio, i due fratelli erano nella stanza del
palazzo dove si recavano solitamente per studiare.
Sul tavolo vi erano pile e pile di libri, e Boromir e
Faramir erano nascosti dietro di esse. Non si erano ancora rivolti la parola
dopo ciò che era successo quella mattina. Improvvisamente, Boromir appoggiò la
piuma d’oca con cui stava scrivendo il riassunto di un noiosissimo capitolo di
storia in cui si narravano le vicende di Isildur.
« Sei stato forte, oggi. » disse.
Faramir alzò a sua volta la penna dal foglio su cui stava
svolgendo degli esercizi di bella grafia e lo guardò, da dietro la pila di
libri.
« Senza di te non me la sarei mai cavata contro quei due. »
disse ancora Boromir.
« Dici davvero? »
« Se tu non avessi distratto Doblung, me li sarei ritrovati
addosso entrambi, e già ho fatto fatica a difendermi da Areth, figuriamoci se
fosse intervenuto anche l’altro. Grazie, fratellino! »
« Io… pensavo che tu non mi volessi più come fratello! »
disse insicuro Faramir.
« Lo so, ieri ti ho detto delle cose bruttissime, e non
avrei dovuto. » gli spiegò Boromir « Non le pensavo davvero, ma ero molto
arrabbiato con te e non ho pensato a quello che stavo dicendo. »
« Anche io non volevo dirti che sei un bugiardo e che sei
come il papà. »
« Faramir… papà ti vuole bene! È solo che… lui è fatto così.
» Boromir si rese conto che non sapeva come affrontare quell’argomento, quindi
andò a sedersi di fianco al fratello e lo guardò fisso negli occhi.
« L’importante è che rimaniamo uniti io e te! Cosa ne dici?
» domandò.
« Allora siamo ancora fratelli? » chiese il bambino.
« Non abbiamo mai smesso di esserlo e lo saremo per sempre,
qualunque cosa succeda! »
Faramir si alzò di scatto e abbracciò Boromir che, un po’
impacciato, rispose all’abbraccio.
« Piano però… così mi stritoli! » disse ridendo il fratello
maggiore.
Quando Faramir sciolse l’abbraccio, Boromir si rese conto
che aveva i lacrimoni agli occhi:
« Questa notte… ho sognato che tu te ne andavi! Che mi
dicevi che non saremmo più stati fratelli. E poi c’era un drago bruttissimo che
mi stava per mangiare, ma tu rimanevi lì a guardare e non mi aiutavi! »
« Allora era proprio solo un brutto sogno! » commentò
Boromir « Se fosse stata la realtà, sarei venuto a uccidere il drago per
salvarti! Anche se mi sa che tu sei molto più bravo di me in queste cose, dopo
che ho visto come hai sistemato Doblung questa mattina! »
Faramir tirò su col naso e sorrise, sollevato.
« Ora asciugati quelle lacrime. » disse dolcemente il
fratello maggiore passandogli il dorso della mano sulle guance « Sei un
guerriero, e i guerrieri non piangono! »
Finalmente il bambino si calmò e dopo essersi fregato
vigorosamente gli occhi chiese:
« Credi che la balia abbia saputo quello che è successo? »
« Se anche non l’avesse ancora saputo, credo che lo verrà a
sapere presto. »
« Allora siamo nei guai! » disse Faramir mordendosi le
labbra.
« Già… »
Ci fu qualche secondo di silenzio.
« Mi insegni a picchiare come hai picchiato tu Areth questa
mattina? » esclamò agitato Faramir.
« Lo sai che non bisogna picchiare gli altri, ce lo dice
sempre anche la balia! Io non avevo la minima intenzione di fare a botte con
quell’antipatico, ma sono stato costretto da lui a farlo, per difendermi. »
Ma quando Boromir osservò il volto del fratello, si rese
conto della sua delusione.
« Però… credo di avere un altro tipo di combattimento da
insegnarti! » disse.
« Davvero? » esclamò Faramir entusiasta « Cos’è? Un duello
di spade?! O come si uccide un drago o… »
« No, no, niente di tutto ciò! »
Faramir aggrottò la fronte:
« E che razza di combattimento è allora? »
Boromir si alzò e si diresse verso un divanetto su cui erano
sistemati ordinatamente alcuni cuscini, ne afferrò uno e lo lanciò al fratello:
« Una battaglia di cuscini! » esclamò.
Fu così, che diedero il via a un combattimento all’ultimo
respiro, un combattimento così emozionante che mai nessun Cavaliere di Gondor
aveva avuto l’onore di vivere, durante le sue avventure, nella Terra di Mezzo.