Sweet as a dream

di _Garnet915_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. I’ll forget you. I must - #26. Rododendro ~ Primo Amore ***
Capitolo 2: *** 2 . Sorrow… -#9. Crisantemo ~ Dolore ***
Capitolo 3: *** 3. Sapore di famiglia - #15. Iris ~ Fede ***



Capitolo 1
*** 1. I’ll forget you. I must - #26. Rododendro ~ Primo Amore ***


I'LL FORGET YOU. I MUST.

1. I’ll forget you. I must - #26. Rododendro ~ Primo Amore

Camminava da sola lungo il corridoio deserto del Garden.

“ovvio che è deserto” pensò

“il coprifuoco è appena scattato! Spero solo non mi scoprano, altrimenti mi vedo già revocata la mia promozione… già me lo immagino! Quistis Trepe, 17 anni, insegnante per due minuti soltanto!”.

Trattenne una risatina che stava per uscirle: che pensiero idiota! Ma soprattutto, idiota lei! Non si poteva certo scherzare su argomenti del genere.

“Che regola del cavolo, però! Perché pure per gli insegnanti scatta il coprifuoco?!” ribatté dentro di sé.

I suoi passi eleganti riecheggiavano debolmente nel corridoio vuoto e lievemente illuminato da alcune lampade sul soffitto. Quistis stava rientrando nella sua stanza, dopo aver passato l’intera serata seduta su una panchina del parco, quasi abbandonata a sé stessa e ai suoi pensieri, non certo taumaturgici per il suo animo e per il suo equilibrio mentale.

Passava rapida, eretta, lungo il corridoio del dormitorio femminile, verso la sua stanza. Quando giunse di fronte alla porta del suo dormitorio si bloccò e la aprì dopo aver frugato nelle tasche dell’uniforme alla ricerca delle chiavi. Appena richiuse la porta dietro di sé, reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, rimanendo appoggiata alla porta, con le mani dietro la schiena. Il buio la avvolgeva: in genere, Quistis detestava stare al buio, ma quella sera ne sentiva un dannato bisogno. Voleva rimanere racchiusa in sé stessa, non voleva aprire gli occhi e vedere il suo volto, che si stava rigando di lacrime, riflesso nello specchio del comò. Non voleva vedersi debole, avrebbe solo aumentato l’odio e il ribrezzo verso di sé. La testa, che le sembrava pesante, ciondolava appena e, ogni volta che batteva leggermente contro la porta, si sentiva un rumore sordo. Dopo un minuto, che a lei parve un’eternità, decise finalmente di illuminare la stanza e di non rimanere ferma nella stessa posizione troppo a lungo: tastò la parete con una mano alla ricerca dell’interruttore e, quando lo trovò e accese la luce, si sentì come investita da una violento fascio bianco. Tenendo gli occhi socchiusi, ancora abituati al buio, si diresse a passi veloci verso il letto, buttandocisi sopra non molto elegante, nascondendo la testa nel cuscino. Stava ripensando agli eventi di quella giornata che, ne era sicura, avrebbero sconvolto la sua vita, già abbastanza difficile fin dall’infanzia e che, ogni giorno, diveniva sempre più ostica e disseminata di ostacoli.

La sua mente era concentrata in particolare su quella frase che uscì proprio dalle sue labbra:

Va bene accetto

Sembra una frase da niente, detta così, ma per Quistis era un giro di boa, forse un via libera verso la strada dell’inferno. Rivedeva, con gli occhi chiusi, lei, in piedi di fronte alla cattedra ordinata del preside, sull’attenti, mentre l’uomo dalle mani grassocce si ripuliva con un panno gli occhiali prima di cominciare il suo discorso.



In parole povere, quel giorno, a Quistis venne proposto un nuovo incarico, quello di insegnante delle matricole del Garden. E “va bene accetto” fu tutto quello che la ragazza riuscì a pensare in quel momento, parlò senza riflettere, anche perché non sapeva nemmeno quali classi le avrebbero assegnate.

“Forse se mi trovo qualcosa di nuovo da fare potrò pensare di meno a lui” si era detta

Eppure, sentì una pugnalata dritta al cuore quando il preside, molto soddisfatto della risposa della giovane, le comunicò le classi affidatale.

C’era anche la sua!!

Non ci poteva credere, non ci voleva credere, le sembrava tutto così dannatamente assurdo e senza senso, eppure era la semplice verità. Durante quel momento interminabile nascose le mani dietro la schiena, nonostante fosse sull’attenti, per impedire al preside di coglierla in quell’improvviso quanto devastante momento di debolezza. Quando si accorse che anche le sue gambe iniziavano a tremare come foglie, cercò in ogni modo di nascondere la sua agitazione, al punto da non ascoltare più le parole del preside stesso. La sua voce, come ovattata, rimbombava nella sua testa confusa, percependo appena alcune parole… si stava perdendo un’ entusiasmante serie di raccomandazioni sul suo nuovo incarico. Dopo il discorso del preside, uscì di fretta e furia dalla presidenza, diretta verso la sua camera, dove si trovava ora, con la faccia nascosta nel cuscino…



Alzò un poco la testa dal cuscino, aprendo gli occhi: preferì uscire da quel ricordo tanto doloroso. Voleva mettersi a sedere sul letto, stare sdraiata l’avrebbe aiutata solo a chiudere gli occhi e a ricordare, ricordare, sempre e solo ricordare. Si sporse un po’ in avanti per assumere la postura desiderata: fu in quel momento che vide l’angolo di un quaderno dalla copertina gialla sporgere da sotto il letto. Incuriosita, si sporse ulteriormente, allungò il braccio e, tastando quel misterioso angolo, si rese conto che quell’oggetto non era altro un suo vecchio diario, che non scriveva da un anno almeno.

Si era persino scordata di averlo, tanto era il tempo che non lo scriveva. Lo ripulì un po’ dalla polvere e poi iniziò a sfogliarlo. Era un diario che aveva iniziato a scrivere due anni prima, quando aveva 15 anni. Un diario durato appena un anno. Quistis non era molto il tipo da diario, dopo solo 12 mesi si era stufata di scrivere e lo aveva abbandonato nella sua stanza, destinato a marcire, sepolto dalla polvere e dal tempo che scorreva. Quistis non era semplicemente una persona definibile “non da diario”, ma era una che i diari li odiava. Se ne era resa conto proprio mentre teneva quel diario ricomparso all’improvviso. E, nonostante, non li sopportasse, quella volta sentiva un gran bisogno – dentro di sé – di sfogliarlo, di leggerlo, di occupare, così, la sua mente con altri pensieri. La sua attenzione cadde sulla prima pagina scritta:

Giovedì, 15 aprile
“Evviva, ce l’ho fatta! Posso dire di essere,
attualmente, la SeeD più giovane dell’intero Garden!
Ho appena 15 anni e già sono SeeD! Sono molto
soddisfatta di me! Il preside, consegnandomi il
diploma, mi ha detto che è molto difficile che
una persona, alla mia età, abbia già dato e superato
sia esame scritto sia esame pratico! Questo mi rende
molto felice; forse più che felice mi rende soddisfatta…
soddisfatta sì. Ops, l’avevo già scritto prima… pazienza!
Dopotutto è la verità, cosa dovrei scrivere, delle menzogne?!”


come dimenticare il giorno in cui era diventata SeeD? Fu un giorno molto bello per lei! Continuò a sfogliarlo lentamente, ma già alla terza pagina si accorse con orrore che molte pagine erano dedicate solo a lui… in particolare, la sua attenzione cadde su alcune righe particolari…

Domenica, 30 agosto
“Tra poco ricominceranno i corsi, le matricole che
hanno una famiglia sono andate a trovarle e tra
poco torneranno qui; gli orfani – che non sono
pochi! – sono rimasti qui. Anche io sono rimasta
qui. Beh, ci sarebbe la mia famiglia adottiva a
Dollet, però… non sono mica i miei genitori il
motivo per cui sono qui? Per non rivederli più?
Anche lui non ha famiglia ed è rimasto qui tutta
l’estate. Ho passato due mesi e mezzo a fermare
i litigi tra lui e Seifer, rimasto anche lui (purtroppo)
al Garden! Cavoli, ogni occasione era buona per
mettere il Gunblade alla mano e lottare! Da
“brava” SeeD che ero, ero sempre lì pronta a
fermarli. Manco a dirlo, mi mettevo in mezzo
assieme a Shu (anche lei era rimasta e, così,
non mi sono annoiata!); io mi occupavo di Squall,
lasciando a lei, povera, Seifer! Certo che Squall
è proprio bello… credo proprio di amarlo!”


Gettò lontano il diario, furente; alcune lacrime iniziarono a pungerle il viso.

“Certo che lo amavo! Certo che lo amo ancora adesso!” si disse, furibonda.

Si alzò in piedi e aprì la finestra lì vicino, lasciando che il gentile venticello serale le accarezzasse le guance e, in qualche modo, con le sue fredde dita gliele asciugasse…

Non sapeva il perché… ma lo amava, al punto da farle scoppiare il petto…

Il fatto che lo amava era vero almeno quanto quello che dovesse dimenticarlo. Ormai lei era una sua insegnate e lui era un suo studente. E poi, Squall era molto chiuso, introverso, non interessato ai rapporti con gli altri, nemmeno a quelli di amicizia, figuriamoci con quelli amorosi! “Darei qualunque cosa… qualunque cosa pur di abbattere tutti quei muri invisibili che lui frappone fra sé e il resto del mondo… Dio, cosa darei… eppure, non posso nemmeno gridare ad alta voce questo mio desiderio… tutto ciò che posso fare è solo… soffocare il più velocemente possibile questo mio primo amore…” Chiuse gli occhi alcuni istanti, assaporando il profumo delicato e quasi impercettibile del vento…

Forse, chissà…

Un giorno… ce l’avrebbe fatta…

Sarebbe riuscita nel suo intento…

L’avrebbe dimenticato…

Ancora non sapeva quando…

Ma era sicura che l’avrebbe dimenticato…

Ti dimenticherò… Devo…

In quanto a lunghezza, devo dire che questa one shot non eccelle moltissimo :P La considero, tuttavia, un banco di prova per quelle che saranno le storie successive che scriverò (anche se questa one shot non mi piace affatto) per True Colors, ed in particolare per il set theme "35 flowers", al quale sono iscritta all'interno della community. Spero vi piaccia comunque, anche se non si capisce molto bene... E' la primissima one shot in assoluto che scrivo, ho cercato di essere meno prolissa possibile! :P

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Capitolo 2
*** 2 . Sorrow… -#9. Crisantemo ~ Dolore ***


2 . Sorrow… -#9. Crisantemo ~ Dolore

In momenti come quelli l’aria salmastra di Balamb le dava, stranamente, una sensazione di pace con sé stessa. Quando si sentiva sola, tremendamente sola, oppure stanca, stressata o arrabbiata… le bastava inspirare lentamente l’aria che la circondava per sentirsi un po’ meglio. Funzionava soprattutto quando respirava l’aria marina.

Era una cosa strana, sciocca dal suo punto di vista. Ma la faceva stare bene.

Nessuno sapeva di questa sua strana usanza al di fuori di lei. E dato la giornata che aveva passato aveva un tremendo bisogno di calmarsi, di trovare un po’ di pace dopo che una burrascosa tempesta si era improvvisamente scatenata nel suo cuore per tre lunghi, interminabili minuti di quella giornata assolutamente da dimenticare. Tre minuti… li aveva sempre considerati brevi… ma quella volta no… decisamente no… anzi, per lei, quella volta, erano fin troppi.

Non sapeva perché era successo.

Non pensava che quelle persone avrebbero potuto fare una cosa del genere.

I suoi genitori adottivi erano andati al Garden a trovarla.

E questo scatenò in lei una terribile bufera; rimasero in sua compagnia solo tre minuti.

“Tre minuti della mia vita sprecati” pensò mentre inspirava.

Ormai non si ricordava nemmeno perché li odiava. La lontananza da loro durata più di otto anni aveva assopito l’astio verso la sua famiglia; quell’astio che l’aveva portata ad iscriversi al Garden; quell’astio che diede il via alla sua vera vita.

Perché la sua vita era dentro al Garden, lontana da quelle persone. La sua stessa vita le aveva fatto scordare l’odio verso i suoi genitori. Un odio incancellabile, rimasto come chiuso in uno scrigno nei recessi del suo animo, pronto tuttavia ad essere aperto da un momento all’altro. E quel giorno era giunto. Il giorno in cui avrebbe finalmente aperto quello scrigno ed affrontato ciò che teneva custodito da parecchi anni. Era qualcosa di difficile da fare, eppure andava fatto: sciogliere quei nodi così stretti che tenevano imprigionati quei ricordi non era cosa facile. Lo sapeva bene. Ma ciò di cui era consapevole davvero era la difficoltà elevata che avrebbe sicuramente incontrato nel tentativo di affrontare il passato, una volta emerso.

La visita dei suoi genitori adottivi aveva scatenato una bufera tremenda in lei, una bufera formata di numerose “cose” che Quistis non riusciva a nominare. Era riuscita a definire solo la voglia di ricordare. Ricordare ciò che fu di lei nel passato tra il periodo trascorso alla casa di pietra e la sua vita attuale, quella al Garden di Balamb. Voleva riempire quel frammento passato di lei; fino a quel momento, se qualcuno le chiedeva del suo passato, del perché fosse al Garden, lei rispondeva sempre con una frase asettica:

Non sono mai andata d’accordo con i miei genitori adottivi

Senza mai porsi un perché riguardo questo fatto che lei riteneva indiscutibile. E si era accorta che era arrivato il momento di dare il giusto spazio anche alle domande. Alla descrizione dettagliata di quelle poche immagine rievocate nella sua mente da quelle figure chiamate “genitori adottivi”. Un complesso meccanismo psicologico si stava innestando in lei, ma per farlo funzionare bene aveva bisogno di pace. Per questo, appena i suoi genitori la congedarono, prese il primo traghetto che collegava F.H. (dove era attraccato il Garden) con il piccolo porto di Balamb. Solo quando toccò il suolo lastricato del molo iniziò a sentirsi un po’ meglio.

E ora era lì, seduta su un muretto bagnato dal mare, le cui onde spruzzavano di tanto in tanto le caviglie della ragazza. Ma non le importava molto bagnarsi, alla fine. Aveva ben altro per la testa.



Era stato il preside, quella mattina, a comunicarle una visita per lei da parte di “persone che non vedeva da molti anni”. L’uomo, però, aveva preferito non anticiparle nulla perché, ne era sicuro, se avesse rivelato in anteprima che le persone che la desideravano era i suoi genitori adottivi, lei avrebbe rifiutato di parlarci, figurarsi di parlarci!

Quando se li vide di fronte le venne un colpo: la sua mente era come bloccata dallo shock; le sue gambe, tremanti, volevano muoversi. Ma la sua mente e il suo cuore erano come bloccati e per questo Quistis non riuscì a scappare via.

A livello fisico quel desiderio era giunto; a livello mentale e interiore no. Era troppo sorpresa anche solo per formulare una frase banale. Lei era molto agitata; sua madre e suo padre, invece, non trapelavano alcuna emozione. I loro visi, entrambi incorniciati da capelli neri come la pece (molto corti quelli di lui; sciolti, lisci e di media lunghezza quelli di lei), erano quasi inespressivi; era come se, davanti alla ragazza, vi fossero due automi e non due esseri umani.

Lui indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca sotto una giacca dello stesso colore dei pantaloni e una cravatta grigia; lei aveva indosso un tailleur rosso scuro e calzava un paio di scarpe nere con i tacchi alti. Come se dovessero entrambi partecipare più ad una cerimonia solenne piuttosto che andare a trovare la figlia adottiva che non vedevano dalla bellezza di sette anni; o forse di più.

Erano passati tanti anni, ma i due erano rimasti praticamente uguali. Buffo. In genere, dopo sette anni una persona dovrebbe apparire un po’ più diversa dal solito. Invece, loro no. Erano sempre gli stessi. Sempre gli stessi capelli scuri, lo stesso volto ancora giovane e senza i segni prematuri della vecchiaia.

Quistis fissò i due per lunghi minuti con uno sguardo gelido di ostilità mista ad insicurezza. Non sapeva perché erano venuti lì, ma non si fidava di loro.

“Ciao, cara” fu il padre a interrompere quel silenzio che, dopo alcuni minuti, si era fatto quasi imbarazzante. “E’ da tanto che non ci vediamo” continuò la moglie. Quistis non disse nulla, tanto era inorridita dalla naturalezza con la quale i due si comportavano. Ma come? Non si erano sempre odiati? Non avevano sempre bisticciato? Urlato? E allora, perché si comportavano come due genitori che abbracciano la figlia appena rincasata la sera dopo una lunga giornata scolastica o lavorativa? Quistis non sopportava tutto questo.

“Come siamo eleganti; cos’è, dovete andare ad un ricevimento?”riuscì a dire acida

I volti dei due rimasero, ancora una volta impassibili; questo fece innervosire ancor di più la ragazza. Strinse le mani a pugni per non alzarle contro di loro, anche se la voglia di tirare un paio di ceffoni ad entrambi e urlargli addosso qualche insulto pesante era molto forte. Si trattenne. Non seppe nemmeno come e perché.

La donna fece un passo avanti ed allungò una mano per accarezzare la figlia; Quistis, istintivamente, indietreggiò e schiaffeggiò la mano della madre adottiva, ricacciandola indietro.

“Stai indietro!” urlò. Pian piano tutta la sua calma andava scemando; non era possibile che, dopo quegli anni il cui unico ricordo che aveva era il litigio con loro due che si ripeteva per un motivo o per un altro, si comportassero come nulla fosse. Forse loro volevano iniziare a ricostruire qualcosa, ma avevano fatto male i calcoli. Non avevano considerato che anche lei aveva dei sentimenti, che lei avrebbe potuto essere contraria al loro possibile progetto.

“non capisco perché siate venuti qui!” disse con le lacrime che iniziarono a pungerle gli occhi

“L’unico ricordo che ho di voi due… è quello di due genitori che avevano sempre da ridire su tutto quello che facevo, sempre! Litigavamo e basta!! Ma vi rendete conto che di tutti gli anni passati assieme, anche se pochi, l’unica cosa che ricordo di voi è il litigio che puntualmente arrivava tra di noi?! E ora… dopo più di sette anni che me ne sono andata… voi, senza considerare i miei sentimenti, siete venuti qui… ma per fare cosa??” trattenne un attimo il fiato, mentre osservava i volti dei suoi genitori che, gradualmente, si dipingevano di un’espressione mista di sorpresa e di delusione

“Andatevene…” sussurrò “Andatevene!!!” urlò poi.

Ma non aspettò che i due se ne andassero; questa volta la mente della ragazza ascoltò il suo corpo. Con le gambe finalmente libere di muoversi, aprì furiosamente la porta della presidenza dietro di lei e si mise a correre. Il preside, che aveva aspettato fuori per rispetto della riservatezza dei tre, rimase stupito dall’immagine di Quistis con gli occhi gonfi dal pianto e che correva come una forsennata verso l’ascensore.



lo sguardo abbassato scrutava le onde del mare che si infrangevano contro il muretto e le bagnavano i piedi. Quel breve incontro aveva risvegliato in lei la voglia di ricordare qualcosa. Faceva scorrere nella sua mente, con grande fatica, tutte le immagini del suo passato, ma senza risultato. Quella sua ricerca disperata nel suo animo la faceva star male con il passare del tempo.



Cerca di qua, cerca di la… ma i risultati non c’erano. Più rovistava nel suo passato, più ricordava i litigi con i due genitori. Nient’altro

“Non è possibile!” si disse

“Perché? Perché non mi viene in mente altro? Perché sono venuti?! Perché sono venuti a trovarmi dopo tanti anni di rapporti interrotti e silenzi prolungati?! Perché?! Se non fossero venuti, il mio passato non mi avrebbe in qualche modo interessato, non mi avrebbe ferita in questo modo!”

quella visita… quel non ricordare nulla se non una cosa sola… la facevano soffrire… l’avevano ferita. Si era scoperta debole e insignificante un’altra volta. Debole nei rapporti con gli altri e con i suoi studenti dapprima e ora… debole persino nei confronti del suo passato. E quel che era peggio era che soffriva per quello, provava un forte dolore.

Nella sua vita aveva fallito in molte cose: non era una buona insegnante perché troppo giovane e si era trovata costretta a restare un SeeD. Non era riuscita a instaurare un rapporto corretto con i suoi studenti; non riusciva a pensare con la propria testa, spesso erano gli altri che le dicevano cosa fare in una situazione nella quale lei non sapeva nemmeno come iniziare. E ora… stava fallendo pure con il passato…

Per lei era troppo, il dolore che era subentrato in lei improvvisamente aumentava inesorabilmente, senza fermarsi. Non le dava tregua. Rimase altri minuti con le gambe raccolte tra le braccia e il viso chino sulle ginocchia per nascondere ad occhi estranei le sue lacrime che, improvvise come il dolore, erano comparse. Mille perché, mille dubbi, mille immagini confuse nella sua testa, mille fallimenti…

Cercava, in mezzo a quella bufera, qualcosa che le potesse dare conforto. Cercava soprattutto nel suo passato; aveva fallito con gli altri. Ma non voleva fallire con sé stessa. Almeno quello no. Perdere contro sé stessa perché non ricordava qualcosa era troppo. Era anche meravigliata come quel breve incontro con i suoi genitori adottivi, che erano ormai degli estranei per lei, l’avesse portata a quella sofferenza. Quell’incontro era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Fallita verso gli altri, fallita verso sé stessa… era una fallita. Si vedeva come una fallita.

Quell’aggettivo, a parer suo, calzava perfettamente con la sua persona. Non che ne andasse particolarmente orgogliosa… anzi…

… … …

Basta era stufa! Stufa di rimurginare, di soffrire, di sottolineare i suoi difetti, di ricordarsi che lei era fatta praticamente e solamente da difetti. Ormai era anche stufa di stare lì, accucciata da sola, costretta a nascondere il viso per non mostrare agli estranei il suo dolore. Quel suo dover nascondere agli altri la sua sofferenza, però, non le faceva bene. Per niente. Aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i suoi dolori… sì… ma con chi?! Non c’era nessuno! Squall e Rinoa era meglio lasciarli stare, erano troppo presi l’uno dall’altra. Selphie, invece, aveva altri problemi suoi per la testa. Irvine, farfallone com’era, non avrebbe mai capito. Zell nemmeno, data la sua ingenuità nonostante avesse 17 anni suonati.

Si sentiva sola… e quella solitudine non faceva che aumentare il dolore che provava…

Si alzò in piedi ma, quando si voltò e fece per incamminarsi, si accorse che una figura maschile le bloccava la strada. Le lacrime che scendevano copiose le offuscavano la vista; tutto quello che riusciva a vedere era una maglia nera sotto una giacca grigia di trench sbottonata. Alzò un poco il viso, strizzando un po’ gli occhi per mettere meglio a fuoco il volto che le stava di fronte: capelli corti e biondi… occhi azzurri… una piccola cicatrice che attraversa la faccia…

Seifer… l’ultima persona che, in quel momento, voleva vedere…

“Beh, che fai?” disse il ragazzo con ironia

“E tu che vuoi?” trovò il coraggio di ribattere lei

“Ehi, ehi, ehi! Che tono acido che abbiamo! Stona decisamente con questo tuo faccino triste” fece un sorrisetto beffardo e le prese il mento con il pollice destro. “Come sei strana! Ti ho vista appollaiata per terra e sono venuto a vedere che hai!”

“Puoi anche andartene se la mia faccia e il mio tono di voce non ti piacciono, sai!” ribattè ancora più acida la biondina “se ti do tanto fastidio, perché sei venuto qui, eh? Che cosa vuoi veramente da me? Anche tu… anche tu… non riesco a capire nemmeno te… perché mi disturbi, perché ti comporti in modo strano?! Perché vieni qui e mi giudichi senza sapere niente? Anche tu non tieni conto di ciò che provo io…” le lacrime, che fino ad un momento prima si erano interrotte, ricominciarono lentamente a scendere.

“Perché fai così? Fai esattamente come i miei genitori! E io sto male, ci soffro! Ma tu riesci a capire come mi sento io, lo riesci a capire?!” liberato il mento dalla presa di lui, iniziò a prenderlo a pugni sul petto mentre farfugliava frasi incomprensibili, strozzate dalle lacrime e dal groppo che le si era formato in gola. Un pugno non troppo forte dopo l’altro…

Bum… bum… bum…

Sembrava stesse scaricando la sua tensione su di Seifer che la osservava con uno sguardo allibito; la sua ironia e la sua sfacciataggine erano di colpo svanite di fronte a quell’esplosione di dolore improvvisa della ragazza che lo avevano lasciato spiazzato. Era la prima volta che si sentiva così. E, nemmeno lui, capiva un perché… il perché di questa sensazione mai provata prima.

La ragazza, intanto, continuava a piangere sul suo petto disperata. Alla fine, aveva trovato qualcuno su cui sfogare il proprio dolore non qualcuno con cui condividerlo. Si sentiva tremendamente egoista, stava imprigionando Seifer che, in quell’occasione, non era colpevole del dolore altrui. E questo la faceva stare peggio. Ormai il dolore la circondava, come se niente sarebbe mai stato in grado di liberarla…

E Seifer… Seifer si sentiva come travolta con violenza da quell’immagine struggente di Quistis che piangeva contro di lui e lo prendeva a pugni che avevano la violenza pari a quella di pizzicotti, cioè nulla… non sapeva assolutamente perché… ma stava iniziando a soffrire assieme a lei. Era come se i sentimenti di lei, attraverso il pianto, stessero passando lentamente dentro di lui. Ma lui si sentiva troppo piccolo e debole per contenerli tutti. Ed era strano che Seifer Almasy, proprio lui, si sentisse debole.

Con un gesto improvviso, l’afferrò per un gomito, trascinandola verso l’hotel di Balamb, dove ordinò una stanza. La ragazza non disse nulla per tutta la durata del breve tragitto, non capiva nemmeno cosa le stesse succedendo. Non riusciva nemmeno a vedere dove stava mettendo i piedi. Sentiva solo la stretta di Seifer attorno al suo polso guidarla chissà dove. Ad un certo punto si fermarono alcuni minuti per poi riprendere quella corsa verso chissà dove.

Salirono delle scale. Poi, tutto quello che sentì era una chiave girata in una serratura, l’aprirsi e il chiudersi di una porta, poi solo la bocca di Seifer toccare la sua in un bacio che non sapeva definire.

Non era aggressivo… ma nemmeno dolce… era un bacio strano, un bacio che racchiudeva in sé mille emozioni contrastanti che lo rendevano misterioso e affascinante allo stesso tempo. Quistis non percepiva ostilità in quel bacio improvviso. Fu l’unica cosa che capì.

Si abbandonò facilmente a quel bacio, al quale ne seguì un altro e un altro ancora. Aveva un tremendo bisogno di qualcuno accanto, anche solo per qualche minuto. Era l’unico modo per alleviare quel dolore che ormai la possedeva, che era parte di lei. Era disperata, bisognosa di sostegno.

E, involontariamente, lo aveva trovato. Lo aveva trovato nella persona che lei riteneva la meno adatta. Ma, in quel momento, non le importava nulla se Seifer fosse adatto o meno a consolarla. Voleva essere consolata e basta. Non voleva altro. Quando si staccarono, Quistis non poté fare a meno di chiedergli:

“Perché questo? Perché qui?”

Il ragazzo attese alcuni istanti prima di risponderle, cingendole la vita con un braccio:

“Non lo so… non chiedermelo… “ sussurrò con tono quasi supplichevole.

E la baciò nuovamente, con lo stesso impeto. Quistis rispose appassionatamente al bacio: finalmente una cosa l’aveva capita… Se voleva davvero, in quel momento dal dolore, non aveva bisogno di domande… di incertezze, di dubbi, di storie passate non ricordate… solo qualcuno accanto a lei che, anche senza un motivo ben preciso, volesse stare con lei.

E in quella piccola stanza, cullata dal profumo del mare e circondata dalle prime stelle della sera che spuntavano nel cielo, aveva finalmente trovato una via per uscire dal dolore… una via improvvisa, che non avrebbe mai immaginato di percorrere…

Nota dell'autrice: In questa one shot ho voluto esaminare un pò meglio Quistis, non so se ci sono riuscita o meno! ^^' Seifer compare alla fine e, anche se ho lasciato le cose tra i due a metà, vorrei sottolineare che è una cosa voluta. La comparsa di Seifer serve solo a far capire una cosa molto semplice a Quistis...^^ Questa one shot, come le altre della raccolta, è stata scritta per True Colors

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Capitolo 3
*** 3. Sapore di famiglia - #15. Iris ~ Fede ***


3. Sapore di famiglia - #15. Iris ~ Fede

“Torni qui settimana prossima, alla solita ora. Bisogna fare alcuni controlli per accertarsi che tutto proceda per il meglio”

“La ringrazio” la biondina si alzò e, dopo aver congedato il dottore, lasciò lo studio medico con il suo cappotto nero tra le braccia: le suole dei suoi mocassini producevano uno strano rumore sul parquet lucido ad ogni suo passo.

Quando richiuse la porta dietro di sé, appoggiò la schiena ad essa e chiuse gli occhi; nonostante il freddo vento galbadiano soffiava e, crudele, le sfiorava tutto il corpo con affusolate dita di ghiaccio, facendola rabbrividire, esitò dall’indossare il cappotto.

Doveva ancora riprendersi dalla notizia appena ricevuta; e doveva anche dirla a lui.

“Sì, bel problema” pensò Quistis.

“Per me non ci sono problemi, ma per lui? Lui sarebbe pronto ad affrontare una situazione del genere? A rimandare tutti i suoi progetti futuri, a faticare il doppio di quanto dovrebbe per quello che accadrà?”

Domande, domande, solo domande.

Tante domande su Seifer, sulla sua reazione, sul suo comportamento rimbombavano nella sua testa, senza darle un momento di tregua. Eppure, non stava male, non ne soffriva. Perché, in cuor suo, c’era già una risposta a tutti quegli interrogativi…

Aveva fede

Fede in Seifer.

Era fiduciosa nel fatto che Seifer avrebbe capito, accettato la situazione con gioia. Che sarebbe stato in grado di donarle un sorriso confortevole… a lei, che aveva da poco iniziato un cammino lungo e difficile ma che avrebbe portato – dal suo punto di vista – felicità ed un futuro più… più… radioso, forse. Vedeva davanti a sé il futuro, ma non sapeva come definirlo. Sapeva solo che l’immagine che le si era formata in testa sin dal momento in cui il dottore le aveva dato quella notizia le infondeva dolcezza e calore.

Doveva dirglielo…

Tirò fuori da una tasca del suo giubbotto un piccolo cellulare grigio a conchiglia e, freneticamente, scrisse un messaggio:

“Ho bisogno di parlarti urgentemente. Possiamo vederci al bar di Deling City sotto l’hotel il prima possibile, per favore?”

Bip

Bip

Messaggio inviato

Sospirò, pregando che il ragazzo rispondesse il prima possibile. Non ripose in tasca il telefonino; continuò ad osservarne la schermata senza battere ciglio, senza indossare il giubbotto. Immobile, in mezzo al marciapiede di una strada di Deling City un po’ troppo affollata, attendeva speranzosa una risposta.

Una risposta che arrivò alcuni minuti dopo:

“Scusa se ti rispondo ora, ero ad una riunione del comitato disciplinare; qualcosa di urgente? E’ successo qualcosa? Che, per caso qualche idiota ci ha provato con te? Chi è il coglione che vuole morire???”

Sospirò delusa.

“Che risposta scema…” subito dopo, però, un timido sorriso si abbozzò sulle sue labbra

“Però… è così tipico di lui!” si affrettò nel rispondergli. “Ma no, niente di tutto questo! E anche se fosse? Saresti geloso? Comunque… devo solo parlarti! Hai tempo?”

“Sì, prendo una macchina dal Garden e sono lì tra 15 minuti”

Era la risposta che voleva, finalmente!



Osservava in silenzio la tazza di the fumante che aveva ordinato senza nemmeno toccarla; stava, invece, con lo sguardo fisso su di essa, torturando con le mani la sua gonna a pieghe blu per l’agitazione. Aveva, sì, fede in Seifer, sapeva che avrebbe accettato la situazione, eppure…

Uno strano nervosismo aveva iniziato ad attanagliarla non appena loro due non si sedettero ad un tavolo e presero le ordinazioni.

Respirava lentamente, per calmarsi da quel nervosismo che la prendeva sempre di più, che aumentava man mano che si accorciavano le distanze dall’annuncio che stava per dargli. Aveva fiducia in Seifer eppure la paura stava prendendo il sopravvento. Paura che lui non avrebbe accettato quella situazione, di rimanere sola ad affrontare tutto quanto e di non riuscire a farcela. Perché – lo sapeva bene – da sola non sarebbe riuscita a portare avanti nulla. Fin da quando era diventata SeeD voleva che tutto fosse sotto controllo, almeno in apparenza: voleva che gli altri la vedessero come una persona forte, determinata e che ha il controllo di tutto. Ma, a lungo andare, questa maschera la soffocava, fino a quando non sentì il bisogno di strapparsela via… ma da sola non ce l’avrebbe mai fatta: grazie a Seifer riuscì a togliersela e a mostrare la sua vera sé stessa. Il suo vero io, verso il quale aveva sempre nutrito profondo terrore. Lo vedeva come un ostacolo ai suoi progetti, tutti legati, in un modo o nell’altro al Garden e ai SeeD, alla carriera… e quindi era disposta a tutto pur di raggiungerli, persino nascondere la sua reale essenza, arrivando ad odiare la maschera creatasi ma ad essere anche tremendamente debole – e forse anche un po’ vigliacca – per toglierla. Lui, però, l’aveva aiutata: le aveva rimosso quella maschera, scoperto il suo vero io… e l’aveva accettata per quello che era. L’aveva aiutata a superare tutti i suoi timori verso la sua “vera faccia”; e questo fu il motivo scatenante che fece innamorare Quistis di Seifer: poneva in lui la fiducia più assoluta, lo amava e lo rispettava benché l’amore non gli avesse fatto cambiare quel carattere strafottente che aveva. Era parte di lui e lei l’aveva accettata, così come Seifer aveva accettato lei. La fede che riponeva in lui era assoluta, però la paura, in quel momento, stava prendendo il sopravvento su di lei. Eppure era decisa a far valere la fede sul timore e a dirgli tutto, sperando in un sorriso da parte sua:

“Ecco…” balbettò

“Sì?” Seifer era sempre stato impaziente e anche in quell’occasione non mancò di dimostrare questo lato del suo carattere, lasciando che un’espressione a metà tra l’incuriosita e l’impaziente si dipingesse sul suo volto.

“Vedi… oggi sono andata… dal medico…” continuò

“Quindi?”

Cavolo! Non mi aiuta proprio! Ma non vede che riesco a malapena a parlare?!

“Quindi… Ecco… sono andata da… un… un…”

“Un?” incalzò ancora, mettendole fretta e agitandola ancor di più

“un… ginecologo… sono incinta, Seifer… di cinque settimane…”

Il silenzio calò tra loro dopo le ultime, vibranti, parole di Quistis. La ragazza non aveva il coraggio di alzare il volto e di guardarlo in faccia, temeva troppo la sua reazione a quel punto. I giochi erano fatti e se Seifer l’avesse presa male lei non avrebbe saputo come comportarsi. Seifer, dal canto suo, era sconvolto.

Un… un figlio?!

Non se lo sarebbe mai aspettato; quella notizia lo sconvolse parecchio. Era come se ogni fibra del suo corpo fosse stata colpita da una potente scarica elettrica, rendendolo quasi paralizzato. La voce gli si era strozzata in gola, non riusciva ad emettere un solo, singolo suono. La testa iniziò a girargli, le immagini ruotavano vorticosamente davanti a lui, luci e colori si mischiavano diventando una grande macchia che avrebbe provocato un’emicrania a chiunque l’avesse vista. Le gambe tremavano, stavano per muoversi, eppure il suo cuore le fermava. Guardò a lungo Quistis che teneva sempre il capo chino, priva di coraggio, indifesa e sola benché in quel momento fossero in un locale pieno di gente. Da una parte voleva alzarsi e andarsene, dall’altra portare via da lì Quistis, tornare al Garden e lì, in una delle loro stanze, stringerla forte, rassicurarla e fare progetti per quella vita che sarebbe arrivata; quando Quistis ebbe il coraggio di alzare il capo, vide i suoi occhi lucidi guardarlo supplichevoli.

E non resistette oltre.

Si alzò e, come una furia, se ne andò, in preda al panico che, improvvisamente lo aveva reso prigioniero. Quistis sentì il mondo crollarle addosso: la sua fede era stata tradita, si sentiva sola, tremendamente sola. Alcune lacrime iniziarono a solcarle il viso; tuttavia, non volle piangere in un luogo pubblico. Facendo resistenza, andò a pagare il conto e tornò al Garden – posteggiato ad Esthar – in treno.

Così come aveva fatto Seifer, prese a correre come una furia quando fu nella hall del Garden, lasciando libere le prime lacrime di cadere, di rigarle le guance e di esprimere la sua sofferenza, la sua solitudine; passava via veloce e, quando fu nella sua camera, si buttò sul letto, nascondendo la faccia nel cuscino e iniziando a piangere a dirotto.



Se tutto questo… non fosse mai successo… se solo…

Spaventata da questo suo ultimo pensiero, alzò il viso dal cuscino reso umido dalle molte lacrime versate; si mise a sedere sul letto. Era stata sdraiata con la faccia premuta, nascosta per due ore piene. Due ore durante le quali si era lasciata andare alla disperazione, dando libero sfogo a tutta la sua amarezza e al suo dolore; e non le importava nulla se tutto il Garden l’avesse sentita o meno. Per troppo tempo aveva represso la vera se stessa e Seifer l’aveva aiutata ad eliminare quella sua assurda abitudine. Ed ora non aveva nemmeno più tanta paura di quello che la gente pensava; credeva che, in fondo, pareri altrui non le avrebbero di certo cambiato la vita.

Aveva pianto a lungo; ma per che cosa, poi?

Una gravidanza, in genere, non è un evento che si augura? Allora perché ho pianto?

Si diceva continuamente nella testa; si portò una mano sul ventre, pensando a quella vita che era appena iniziata e che ora non desiderava altro che nascere, scoprire il mondo, vivere

Pensando a quella nuova vita già piena di speranze Quistis si sentì in colpa: aveva pianto perché troppo sola; ma il suo, in fondo, era solo un pianto liberatorio e tremendamente egoistico. Seifer aveva reagito male a quella gravidanza e lei si era abbattuta. Era talmente disperata che, alla fine, aveva dato la colpa al bambino, a suo figlio… e se ne era subito pentita amaramente. Rinchiusa in quella piccola stanza, dove aleggiava la disperazione, rischiava di impazzire: era sulla buona strada, visto che aveva addirittura pensato che il colpevole di tutto quanto fosse suo figlio… doveva uscire da lì; fare una camminata lunga per i corridoi del garden per schiarirsi le idee… e per ritrovare quella fede in Seifer che, nell’arco di poche ore, era scemata, svanita nel nulla. Fece per alzarsi dal letto, quando qualcuno bussò alla porta; senza dire niente, si diresse all’uscio per aprire e, non appena vide il volto di Seifer, richiuse di scatto la porta, appoggiandosi ad essa con la schiena.

“Quistis, apri per favore” disse calmo, tremendamente calmo

“Per che cosa?! Per sentirmi dire di abortire, magari? No, sai com’è, la tua performance di oggi pomeriggio è valsa più di mille parole, Seifer!!” urlò, di nuovo in preda alla disperazione. Era appena emersa dal mare delle pene che risiedeva nel suo cuore – come dopo una lunga nuotata – ed ecco che l’arrivo di Seifer la ributtava in quel mare, ora in burrasca. E lei rischiava di affogare. La fede per Seifer sarebbe riuscita a salvarla, però… non c’era in quel momento…

“Apri, per favore. Hai equivocato tutto… ecco, io…” e si interruppe, come in preda alla vergogna.

Quistis riuscì ad intuire quel suo imbarazzo semplicemente dal tono delle parole che pronunciava, senza guardarlo in faccia; ormai lo conosceva troppo bene e l’imbarazzo era certamente una cosa che non si addiceva a Seifer, sempre così strafottente e sicuro di sé. Passò in un attimo dalla disperazione alla calma, senza sapere perché; aprì la porta, spalancandola tutta.

“Ho bisogno di parlarti Quistis… ma non qui… vieni” disse sempre calmo, prendendola per una mano e trascinandola chissà dove. La sua mano si intrecciava gentile con la sua, quasi a volerla proteggerla da quella marea di studenti e reclute che li circondavano; voleva portare lei – e anche suo figlio – lontani da lì per un attimo. Lontani per un momento dalla confusione quotidiana; Seifer trascinava, mentre Quistis… Quistis era divisa, spaccata in due dentro di sé: la rabbia verso Seifer lottava alla pari con un desiderio di ritrovare quella fede che sembrava ormai persa del tutto nel ragazzo… come esausta da quel combattimento silenzioso, si lasciava trascinare, senza dire nulla…

Senza guardare nemmeno dove metteva i piedi, frastornata da tutti quegli eventi che, dentro di lei, si susseguivano veloci uno dopo l’altro, si ritrovò nella zona del coprifuoco del centro d’addestramento; era vuota, non c’era nessun altro all’infuori di loro. Quando Seifer le lasciò la mano che aveva stretto gentilmente fino a quel momento, Quistis si sentì come sospesa nel vuoto, sola e abbandonata. Non sapeva perché e, onestamente, non voleva nemmeno saperlo.

Tutto quello che voleva sapere in quel momento era solo cosa Seifer avesse da dirle.

Raggiunse il ragazzo, che si era appoggiato alla balaustra del terrazzo con entrambi i gomiti e che guardava fisso il cielo, reso rossastro dall’imminente tramonto; gli guardò attentamente il viso, illuminato dai raggi timidi e rossastri del sole; e, in quel momento, Quistis non riuscì a non pensare a quanto fosse affascinante in quel momento.

“Qui… tutto è iniziato qui… dieci mesi fa, ricordi?” iniziò

Certo… certo che lo ricordava. Erano dieci mesi che stavano insieme, quasi un anno… quel periodo di felicità era iniziato proprio lì, con un bacio suggellato e testimoniato da un sole prossimo al tramonto, esattamente come quello che poteva vedere in quegli istanti. Tutto era iniziato lì… e tutto continuava… ogni tanto, Quistis andava lì da sola e pregava… pregava che quella storia con Seifer non avesse fine. Perché quella storia le riempiva il cuore, la faceva traboccare di gioia… era tutto quello che le permetteva di vivere serenamente. “Sì… me lo ricordo… non potrei mai scordare quel momento…” sussurrò lei

Ricordava ancora il profumo del vento primaverile che accarezzava dolcemente i loro corpi, le labbra di Seifer sulle sue, labbra che avevano un sapore che lei non riusciva nemmeno a definire, tanta era l’emozione e la gioia che sentiva vibrare lungo tutto il suo corpo; sentiva ancora le lacrime di felicità che solcavano dolcemente il suo volto, offuscandole la vista.

“Tutto è iniziato qui diverso tempo fa… eppure, a me sembra solo ieri… questa storia mi sta rendendo ogni giorno sempre più completo, sempre più felice… fin dal primo momento… io ho avuto fede in te… e non l’ho ancora persa. E prego Hyne perché io possa averla per sempre. Lo prego spesso affinché noi due possiamo restare insieme quanto più a lungo possibile…” si fermò, visibilmente imbarazzato. Tutto quello che stava dicendo era vero, Quistis percepiva la sincerità che traspariva attraverso quelle parole, suscitando in lei una commozione che stava contendendo a fatica. Sapeva anche che lui non era il tipo da dire certe cose apertamente, nemmeno alla sua ragazza. Questo suo tentativo di andare oltre ciò che era, più di ogni altra cosa, la stava commuovendo

“Questo pomeriggio ho avuto paura… tanta paura; avevo paura di non riuscire a sorreggerti come si deve, di lasciarti sola a soffrire… e so quanto tu abbia paura della solitudine… eppure ho messo davanti a tutto i miei di timori, egoisticamente, e me ne sono andato via, scaricando su di te anche i miei problemi, le mie angosce improvvise… tutto!! Questa notizia, all’inizio, mi ha sconvolto a dirla tutta. Improvvisamente, come un flash, tutto un miscuglio di dubbi, ansie e quanto altro si è impossessato di me… e non volevo sentire altro… me ne sono andato via, sono scappato come un idiota… io… io…” non riuscì, ancora una volta, a proseguire.

Si mise le mani nei capelli, come se volesse strapparli, sull’orlo della disperazione. Quistis era rimasta in silenzio ad ascoltarlo. Più lo ascoltava più riusciva a percepire la sincerità delle sue parole; e più la percepiva più sentiva emergere quella fede che sembrava ormai perduta… l’amore verso Seifer, però, non l’aveva mai perduto in quelle poche ore… se ne era resa conto… l’amore era troppo grande per essere cancellato in così poco tempo. Non sapeva cosa dire. Aspettò che Seifer ricominciasse a parlare…

Ma non parlò… cercò allora di consolarlo in qualche modo… senza dire nulla, mise una mano sulla forte spalla di lui, quasi per infondergli calore senza bisogno di parole. Voleva fargli capire che gli era vicino, che stava capendo cosa gli era successo, che non gliene faceva una colpa… Seifer prese quella mano piccola nella sua, riscaldandola a sua volta. E rimasero così a lungo, senza parlare, senza muoversi, limitandosi a fissare l’orizzonte.

“Io…” balbettò appena Seifer diversi minuti dopo

“Io… io…” e poi esplose.

Si girò di scatto verso Quistis accogliendola in un abbraccio: la ragazza, sorpresa, non aveva nemmeno le forze per rispondere a quel gesto; le braccia rimasero, ciondolanti, distese lungo i fianchi del suo corpo, come fossero inermi; i suoi occhi erano sbarrati dalla dolce sorpresa.

Seifer affondò il viso nell’incavo del collo della ragazza per nascondere quelle lacrime che stavano iniziando a scendere:

“Io sono un’idiota! Avevo paura che questo figlio, in futuro, potesse commettere gli stessi identici errori che io ho commesso! Non volevo che diventasse una figura temuta dal mondo intero! Per quanto gli altri possano dirmi, la causa di tutto ciò che è accaduto in passato non è di Artemisia… è mia, solo mia! Io ho deciso di seguirla di mia spontanea volontà! Ho avuto un crollo psicologico, è vero, ma ho scelto io quella strada! E alla fine cosa avevo?! Niente!! Ero solo! I soldati mi obbedivano solo per paura e Fujin e Raijin… li sentivo lontani, troppo lontani!! E vivevo nell’odio! Ed era orribile! Io sono riuscito a guarire da tutto questo grazie a te! Ma cosa succederebbe se, un giorno, a nostro figlio capitasse la stessa cosa ma non trovi nessuno che lo aiuti a venirne fuori?! Io ho paura di creare un mostro!! Ho paura, capisci? Capisci?!” la strinse a sé più forte.

Le lacrime che prima erano trattenute a stento, ora scorrevano libere sulle guance di Quistis; ora aveva capito… come poteva essere stata tanto cieca? Come aveva potuto anche solo per poco avere perso la fiducia verso l’uomo che amava e che tanto la amava? Seifer l’aveva sempre sorretta eppure anche lui soffriva… soffriva tanto… al punto da avere paura che, un giorno, lasciasse al mondo un figlio crudele come lui fu in passato.

Perché non lo avevo capito?

Riuscì, finalmente, ad abbracciarlo a sua volta; attese che si calmasse un po’ poi disse:

“Non dire nient’altro… ho capito tutto… tu hai fatto tanto per me, mi hai sempre sorretta… ma anche tu hai bisogno di aiuto… non ti preoccupare… io te lo darò. E’ il minimo che posso fare dopo tutto quello che tu hai fatto per me… cresceremo insieme questo figlio… e non diventerà mai crudele… perché nemmeno tu lo sei stato… Seifer… tu avevi un crollo psicologico, è vero… ed è questo che ti ha spinto a fare ciò che hai fatto non la tua volontà… oh, Seifer…”

Seifer alzò il viso, mostrandole gli occhi lucidi e arrossati; lei sorrise timidamente a quella vista; e lui, in risposta, la baciò delicatamente e molto dolcemente



Nove mesi erano ormai passati; la figlia di Quistis e Seifer era nata, stava bene e poteva contare sull’affetto e sull’amore di due genitori splendidi. Due persone che si amavano e che nutrivano molta fede l’uno verso l’altra… ed era quella fede che alimentava il loro amore… e quell’amore, a sua volta, alimentava le loro vite che assumevano sempre più un sapore di famiglia…

Nota dell'autrice:ecco qui, la terza storia per True Colors, dovevo finire questa one shot prima di riprendere Alone, sorry ^^" Comunque, come le altre mie storie, non è che mi piaccia molto! Non so, c'è sempre quel qualcosa di troppo che, secondo me, non va. Pazienza! Così è, così rimane... fatemi sapere!^^

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