Ghost Seeker- La Cercatrice Di Fantasmi di Scarcy90 (/viewuser.php?uid=31253)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Stramba Ragazza ***
Capitolo 2: *** L'Importanza Di Essere Un Guard ***
Capitolo 3: *** Il Potere Del Gene S ***
Capitolo 4: *** La Nascita Dell'S1 Cassandra ***
Capitolo 1 *** Una Stramba Ragazza ***
Ghost Seeker- Capitolo 1
Ghost Seeker- La Cercatrice di Fantasmi
I fantasmi non esistono!
Non ci sono prove concrete
della loro
esistenza, a parte qualche testimonianza assurda o le parole di qualche
fanatico che ha solo voglia di apparire in televisione. E’
vero, in alcune
vecchie case si possono sentire strani scricchiolii e sibili
inquietanti ma
proprio perché è una vecchia casa,
l’evento sovrannaturale sarebbe che non si
sentisse alcun tipo di rumore.
Molti evitano i cimiteri di
notte perché
dicono che ci sono i fantasmi… Se studiassero un
po’ di più, scoprirebbero che
quelle fiammelle che erano stupidamente scambiate per fantasmi sono
solo i gas
emessi dai cadaveri in putrefazione che una volta a contatto con
l’aria
bruciano. Non c’è nulla di sovrannaturale in
questo, è pura scienza.
Ovviamente
c’è anche chi pensa di essere
posseduto da un fantasma e a quel punto vengono convocati santoni vari
e strane
donne con indosso tuniche multicolori e amuleti che pesano quanto la
loro
testa. Be’ in questi casi la spiegazione più
semplice e azzeccata è la pazzia.
Solo un pazzo potrebbe pensare di essere posseduto da un fantasma.
Ma quello che ritengo
davvero assurdo è
sentire parlare di faccende in sospeso. Avete visto tutti Casper, no? I
fantasmi in quel film non possono raggiungere
l’aldilà perché hanno delle questioni
irrisolte che impediscono alla loro essenza di assurgere
all’altro mondo. Sì,
come no. Allora la prossima sarà che il Bianconiglio ha
preso casa a Manattham
e che ha dato una festa invitando fate, gnomi, folletti e orchi.
Quando un essere umano
muore, muore e basta il
suo corpo cessa le sue vitali funzioni e la vita si ferma. Non
c’è nulla dopo,
nessun Aldilà, né Campi Elisi, Oltretomba,
Nirvana… Non c’è nulla!
Semplicemente chiudiamo gli occhi per non riaprirgli mai più.
Fantasmi, spiriti,
presenze… Non esistono!
O almeno questa era la
mia opinione prima
d’incontrare Cassandra Artemis Hyde e la sua sgangherata
famiglia.
Jason Blake
I fantasmi esistono!
Vi assicuro che non sono una
pazza visionaria.
I fantasmi esistono davvero e io ho a che fare con loro fin da quando
sono
venuta al mondo. E’ vero, a volte ci sono sul serio pazzi
visionari che pensano
di aver visto un fantasma quando invece sono loro a non starci con il
cervello.
Ed è anche vero che al mondo esistono persone che si fingono
maghe o santoni in
grado di scacciare presenze o spiriti. Questi sono casi in cui non
c’è
l’intervento di un vero fantasma, perché esistono
delle tecniche precise per
potersi liberare di uno spirito e la mia famiglia fa parte di
un’organizzazione
segreta (finanziata dai governi di tutto il mondo) che è
incaricata di fare in
modo che i fantasmi risolvano le loro faccende in sospeso e raggiungano
l’Aldilà. Per far parte
dell’organizzazione segreta si devono possedere dei poteri
dati da un particolare gene che ci siamo tramandati fin dalla notte dei
tempi.
Ho avuto a che fare
con i fantasmi ogni attimo
della mia vita e a volte, dimenticandomi del fatto che le altre persone
non li
possono né vedere né sentire, iniziavo a
conversare con loro in pubblico, e
soprattutto a scuola, dando l’impressione di parlare da sola.
Per questo mio
comportamento sono stata etichettata come una tipa stramba e forse
è anche il
motivo per cui al di fuori della mia famiglia e
dell’organizzazione non ho mai
avuto amici, fino a quando la mia strada non ha incrociato quella di
Jason
Blake e del suo caratteraccio.
Cassandra
“Cassie” Hyde
Capitolo 1: Una
Stramba Ragazza (Blake)
Dal giorno in cui mi
trasferii a S. Francisco
cominciai a chiedermi seriamente se i miei genitori mi odiassero sul
serio
oppure se fossi io ad avere una qualche forma di sfighite cronica.
No, perché
trasferirmi da New York a S.
Francisco proprio quando la mia vita aveva cominciato a prendere una
piega
decente, doveva essere proprio una punizione divina, non ci poteva
essere altra
spiegazione. Per tutta la vita ero sempre stato considerato un
perdente, un
topo di biblioteca che pensava solo a studiare e a fare il saccente, e,
in
effetti, era così. Fino ai sedici anni ero stato un
occhialuto e brufoloso adolescente
canzonato dai ragazzi e accuratamente evitato dalle ragazze. Poi,
durante
l’estate dei miei diciassette anni, entrai per sbaglio in una
palestra di
karate scambiandola per una libreria- lo so che è strano
come errore, ma
dall’esterno sembrava davvero una libreria. Stavo per
andarmene quando
Soichiro-san, il proprietario di origini giapponesi del dojo,
m’invitò a
restare per assistere alla lezione. Aveva solo sei allievi (tra cui
un’unica
ragazza) ma erano tutti bravissimi nelle arti marziali. Rimasi talmente
affascinato da quella lezione che quando Soichiro-san mi chiese
“Tonerai
domani?”, io non potei fare altro che annuire sorridendo.
Così iniziai a
frequentare il dojo e scoprii
di essere tremendamente portato per il karate. In più avevo
trovato degli amici
sinceri nei sei ragazzi che erano diventati miei compagni. Fino a quel
momento
non avevo mai avuto degli amici, mi era sempre bastato avere me e i
miei libri,
ma adesso che facevo parte di qualcosa mi sentivo veramente completo.
Soichiro-san mi
consigliò di non indossare gli
occhiali durante gli allenamenti e siccome senza ero più
cieco di una talpa mi
trovai costretto a portare le lenti a contatto.
Passai l’intera
estate al dojo lavorando molto
per apprendere il più possibile: ero sempre stato
dell’idea che quando si fa
qualcosa o lo si fa bene oppure è meglio non cominciarlo
affatto. I miei
allenamenti procedevano alla grande e si vedeva anche dal mio fisico
che cominciava
a scolpirsi e ad abbandonare le fattezze dello sfigato scheletrico che
ero
sempre stato.
In poco tempo divenni
l’allievo migliore del
dojo e Soichiro-san era davvero fiero di me.
In quel dojo avevo trovato
degli amici, quasi
una seconda famiglia e inoltre Evelyn, la ragazza che frequentava il
dojo con
noi, stava cominciando ad interessarsi a me. Ero ancora incredulo ma
era
impossibile fraintendere gli sguardi che mi lanciava. A me era sempre
piaciuta:
con quella sua carnagione scura tendente al dorato, i sinuosi capelli
castani e
i luminosi occhi verdi.
Avevo deciso! Le avrei
chiesto al più presto
di uscire con me, e la mia sorpresa fu enorme quando lei
accettò con piacere il
mio invito. Passammo una serata stupenda ed io mi sentivo
l’essere più felice
esistente sulla faccia della terra. Non accadde nulla di fisico ma,
quando la
riaccompagnai a casa, mi disse che le sarebbe piaciuto molto uscire
ancora con
me e che mi considerava un ragazzo gentile e simpatico.
Avevo raggiunto
l’apoteosi. Tornai a casa
praticamente fluttuando a trenta centimetri da terra per come mi
sentivo
felice.
Ovviamente ero troppo
felice, e qualcuno lassù
decise che tanta felicità avrebbe fatto male alla mia povera
salute e così
quella stessa sera i miei genitori mi comunicarono che la banca in cui
lavorava
mio padre aveva aperto una sede più grande a S. Francisco e
che ci saremmo
trasferiti tutti entro la fine della settimana.
In quel momento capii che
cosa voleva dire
sentire il mondo che crolla sotto i piedi.
Stavo per perdere tutto: i
miei amici, il
dojo, Evelyn…
Evelyn… Avrei
voluto chiederle di aspettarmi,
di avere una relazione a distanza fino a quando non avessi trovato il
modo di
tornare da lei ma sapevo che non sarebbe stato giusto fare una cosa del
genere.
Così seguii i miei genitori salutando per sempre le uniche
persone al mondo che
mi avessero mostrato il vero significato dell’amicizia e
dell’amore.
Perciò da sfigato
cronico, ero passato ad
essere un allievo di un dojo ed ora sarei diventato il nuovo arrivato
che si è
trasferito da New York, e avevo come la sensazione che alla Abraham
Lincoln
High School di S. Francisco non avrei avuto per niente vita facile.
Sentivo con
una certezza allarmante che si sarebbe abbattuta su di me una qualche
specie di
catastrofe.
La mattina del mio primo
giorno nella nuova
scuola varcai la soglia di quell’edificio a me sconosciuto
avendo in mente il
pensiero fisso di scappare via. Per la prima volta in tutta la mia vita
avrei
voluto saltare un giorno di scuola per andare da Evelyn. Il mio
carattere
troppo corretto me lo impedì. A volte avrei tanto voluto
essere un bastardo menefreghista!
-Bene, signor Blake-,
cominciò il preside
Jordan sorridendomi. –Il tuo curriculum scolastico
è davvero impressionante. Il
massimo dei voti in tutte le materie, iscritto al club di matematica,
di astrofisica
e di teatro. In più ha anche frequentato per un anno una
palestra di karate.-
Quanto sarei voluto tornare
subito in quella
palestra invece di stare a sentire quell’idiota di Jordan
decantare le mie
lodi.
-Sono veramente senza
parole-, continuò lui.
–La Lincoln High School è veramente felice di
accoglierti tra le sue schiere,
anche se ormai è rimasto solo un anno scolastico da passare
insieme.-
Fosse stato per me, non ci
sarebbe stato
neanche un anno scolastico alla Lincoln, fosse stato per me, avrei
continuato a
frequentare la mia vecchia scuola insieme ai miei amici.
-Sono davvero contento di
poterti dare il
benvenuto, signor Blake-, il preside si alzò e mi porse la
mano perché gliela
stringessi.
Mi alzai anch’io e
rispondendo al suo gesto
dissi: -La ringrazio, preside Jordan. Cercherò di fare del
mio meglio anche qui
alla Lincoln.-
-Così ti voglio
ragazzo! Deciso e
determinato!- esclamò con gli occhi che brillavano.
Proprio in quel momento
bussarono alla porta.
-Avanti-, disse Jordan.
La porta si aprì
e un ragazzo biondo, alto qualche
centimetro più di me, entrò nella stanza. I suoi
occhi erano scuri, quasi neri,
e mi penetrarono scrutandomi mentre il suo viso sorrideva in segno di
saluto. Era
alquanto inquietante…
-Voleva vedermi, signore?-
-Sì, signor
Tyler.-
Il ragazzo mi
squadrò velocemente senza
perdere la sua espressione gioviale.
-Ti presento il signor Jason
Blake, si è
appena trasferito da New York.-
Lui allungò la
mano ed io la strinsi.
-Piacere di conoscerti e
benvenuto alla Lincoln
High School. Io sono Nicolas Tyler, ma puoi chiamarmi Nick.-
-Io sono Blake-, risposi con
un sorriso
veloce. Odiavo quando mi chiamavano per nome, preferivo di gran lunga
il mio
cognome.
-Il signor Tyler
è uno studente molto
preparato e affidabile, nonché il capitano della nostra
imbattibile squadra di
basket scolastica.-
-Già, se vuoi
c’è un posto libero in squadra-,
cominciò Nick tornando a sorridere. –Hai un fisico
perfetto per il basket.-
Era per questo che prima mi
aveva quasi fatto
una radiografia.
-Grazie per
l’offerta ma passo-, non avevo
alcuna voglia di giocare a basket, era uno sport che non mi piaceva.
-Come vuoi-, disse Nick
sempre sorridendo.
Poteva una persona sorridere in continuazione?
-Signor Tyler, vorrei che
mostrassi la scuola
al signor Blake. Oggi sarai la sua guida, ho dato un’occhiata
ai vostri orari e
sono identici quindi non avrete problemi.-
-Lo farò con
grande piacere, preside Jordan.-
-Bene, allora buona
permanenza, signor Blake-,
mi disse il preside lanciandomi un’occhiata speranzosa.
Aggrottai la fronte
scocciato ma la mia buona
educazione non si smentiva mai.
Cercai di stamparmi
l’ennesimo falso sorriso sulle
labbra e risposi con un “Grazie”.
Nick ed io uscimmo
dall’ufficio del preside e
ci dirigemmo verso la zona degli armadietti.
-Quel Jordan è
davvero insopportabile-,
cominciò Nick stiracchiandosi.
Lo fissai con aria
incuriosita.
-E’ gentile solo
con gli studenti popolari o
intelligenti che possano dare prestigio alla scuola. Per lui tutti gli
altri
nemmeno esistono, odio le persone come lui.-
Non avrei mai pensato che un
tipo come Nick
fosse così dedito alla correttezza.
-Qual è il numero
del tuo armadietto?- mi
chiese curioso.
Guardai il foglietto che mi
aveva dato Jordan
pochi minuti prima.
-171-, risposi tornando a
fissare Nick.
-Ci avrei giurato,
è l’armadietto accanto al
mio-, sospirò Nick scocciato. –Jordan vuole a
tutti i costi che io ti convinca
ad entrare nella squadra, ne sono sicuro.-
Stavo per ribattere ma lui
fu più veloce.
-Tranquillo, ho capito che
non lo farai quindi
non starò al gioco di quel preside deficiente.-
-Grazie-, risposi facendo il
mio primo vero
sorriso da quando avevo messo piede a S.Francisco.
New York mi mancava ancora,
insieme a tutte le
persone che avevo lasciato, ma forse la Lincoln High School non sarebbe
stata
così terribile come me l’ero immaginata.
-Figurati, amico-,
esclamò dandomi una pacca
sulla spalla. –Sembri un tipo simpatico perciò
sono contento di farti visitare
la scuola.-
Arrivammo davanti agli
armadietti e Nick aprì
il suo indicandomi quello alla sua sinistra.
Mi avvicinai
all’armadietto e inserendo la
combinazione lo aprii.
Mi tolsi la borsa a tracolla
nera che avevo
sempre usato fin da quando avevo cominciato il liceo. Me
l’aveva regalata mio
nonno un anno prima di morire. In effetti era vecchia, logora e di
pelle nera
ma era un suo regalo e non me ne separavo mai.
La aprii e ne tirai fuori le
cose da mettere
nell’armadietto: ipode, libri, penne di riserva, i miei
fumetti preferiti e… il mio
vecchio cellulare. Lo avevo
spento la sera in cui i miei mi avevano detto del trasferimento. Sapevo
che era
stato un comportamento da vero codardo, ma non avevo avuto il fegato di
sentire
Evelyn. L’avevo semplicemente cancellata dalla mia vita senza
dirle una sola
parola.
Riposi il cellulare in un
angolo sperduto
dell’armadietto, dove non potevo vederlo.
Da giorni mi chiedevo se
Evelyn mi avesse
chiamato o avesse lasciato qualche messaggio, ma a cosa mi sarebbe
servito
saperlo? Sarebbe solo stata una sofferenza inutile.
-Alla prima ora abbiamo
matematica.-
Nick interruppe i miei
pensieri facendomi
sobbalzare.
-Stai bene?- chiese, notando
che non accennavo
a rispondere.
-Sì-, dissi
subito chiudendo all’istante
l’armadietto. Dovevo smetterla di vivere nel passato, ormai
il mio presente e
il mio futuro erano a S. Francisco.
Nick alzò un
sopracciglio confuso, probabilmente
stava cercando di credere alla mia risposta nonostante la mia faccia
fosse
piuttosto eloquente.
Mentre ci dirigevamo verso
la classe di matematica,
la mia attenzione fu attirata da una tizia un po’ stramba.
Era di spalle e stava
aprendo il suo armadietto.
Non era molto alta, di certo
non superava il
metro e sessanta, aveva lunghi capelli neri e di nero non aveva solo
quello.
Scarpe, gonna, giacca e collant erano tutte nere. Ad un tratto la
ragazza si
voltò ma senza incontrare il mio sguardo, ed era stato
meglio così altrimenti
sarei saltato per la sorpresa. Aveva una carnagione chiarissima, mi
faceva
senso pensarlo, ma sembrava quella di un cadavere, mentre i suoi occhi
erano
azzurri, ma non un azzurro caldo come quello dei miei occhi, era un
colore
strano, glaciale tendente al bianco.
Quella ragazza dava i
brividi.
-Quella è
Cassandra-, disse ad un tratto Nick.
-Cassandra?- chiesi
voltandomi a guardarlo
mentre ormai eravamo dentro la classe di matematica.
-Sì, Cassandra
Hyde… “Cassie” per gli amici,
anche se non credo di averla mai vista in compagnia di qualcuno.-
-Come mai?-
Ci sedemmo in fondo alla
classe per continuare
a parlare.
-L’hai vista?-
chiese lui ironico. –Fa paura
soltanto a passarle accanto. Da quando è morta sua madre, si
è rifugiata in
quel look da finta Dark. Non che prima fosse troppo diversa ma almeno
era più
carina. Comunque non ricordo di averla mai vista parlare con qualcuno
qui a
scuola, e ormai la conosco dalle elementari. L’hanno sempre
considerata una
tizia stramba.-
-La considerano stramba solo
per i suoi occhi
e per come si veste?- chiesi allibito. Non potevo credere che la
evitassero
solo per questo.
-Be’ questi sono
due elementi ma quello
fondamentale è che parla da sola. Lo fa in continuazione a
volte anche
litigando con se stessa. E’ uno spettacolo piuttosto
inquietate. Per questo
tutti la evitano. E le cose sono peggiorate da sette anni a questa
parte,
l’assenza di sua madre l’ha resa ancora
più fuori di testa.-
Esattamente in quel momento
Cassandra entrò
nell’aula. Si diresse lentamente verso il suo banco, in prima
fila, e prima di
sedersi incrociò le braccia fissando intensamente la sua
sedia. Poi con il
pollice fece il gesto d’intimare a qualcuno di andarsene.
Ma non c’era
nessuno seduto lì!
-Adesso capisci cosa voglio
dire?- mi chiese
Nick con tono serio.
Annuii continuando a
guardare verso Cassandra.
In quel momento lei si
voltò verso di me e fu
una cosa talmente strana che per poco non mi misi ad urlare. I suoi
occhi erano
puntati nei miei, mi scrutavano quasi come se volessero entrare
direttamente
nel mio corpo. Ma la cosa ancora più sconvolgente fu il
brivido di calore che
mi attraversò la schiena. Non avevo paura di lei,
più che altro avevo come la
sensazione di conoscerla, di averla sempre conosciuta.
Lei smise di fissarmi e si
sedette facendo
danzare i suoi lunghi capelli neri come la notte.
Da quell’occhiata
non avevo solo capito di
conoscerla, ma avevo anche notato quanto fosse bella. Non una bellezza
tradizionale ma quasi sovrannaturale. Come se avessi appena visto uno
splendido
fantasma… Ma che sciocchezza! I fantasmi non esistevano! Di
certo ero ancora
fuori fase a causa del viaggio e del trasloco.
-Buongiorno a tutti-, disse
il professore
entrando in aula.
Un coro scoraggiato di
“Buongiorno” fu la sola
risposta che riuscì ad ottenere.
Mi alzai e mi diressi verso
il professore
consegnandogli il foglio che mi aveva dato il preside Jordan.
-Ah, sei il nuovo
studente… Jason Blake,
giusto?- chiese leggendo il mio nome sul foglio.
-Sì-, risposi.
Avevo la strana sensazione che
qualcuno mi stesse fissando e sentivo anche di sapere chi fosse la
persona in
questione.
-Bene, signor Blake, spero
sarà contento di
sapere che, per darle il benvenuto, prima ancora di essere a conoscenza
del suo
arrivo, avevo preparato un bel test a sorpresa sul programma dello
scorso
anno.-
-Cosa?!-
-E’ impazzito!-
-Ma stiamo scherzando!?-
I miei compagni di classe
accolsero in quel
modo la notizia del test a sorpresa.
-Non ci sono problemi-,
risposi in direzione
del professore.
Lui mi guardò un
po’ deluso. Forse si
aspettava che mi mettessi a piangere disperato, questo
perché non aveva ancora
letto la mia scheda. Un test di matematica, per me, era solo un
passatempo come
un altro.
Mentre tornavo a posto,
quasi
involontariamente, guardai in direzione di Cassandra. Come avevo
immaginato mi
stava fissando intensamente, sembrava che volesse scoprire ogni mio
segreto con
la sola forza del pensiero.
Distolsi lo sguardo,
tentando d’ignorarla, e
tornai a sedermi.
-Devi averla colpita,
è la prima volta che la
vedo così interessata a un ragazzo-, bisbigliò
Nick facendomi l’occhiolino.
–Spero che il suo non sia un interesse da Serial Killer,
molti dicono che sia
un’assassina mercenaria.-
Mi voltai di scatto a
guardarlo e vidi che si
stava trattenendo a stento dallo scoppiare a ridere.
No, Cassandra non era un
serial killer, ma di
certo non era una ragazza come tutte le altre. Di questo ne ero
assolutamente
sicuro.
Prima che me ne rendessi
conto erano passate
quattro ore ed era arrivata la pausa pranzo.
Dopo quella prima ora a
matematica non vidi
più Cassandra Hyde. Più pensavo al suo sguardo e
meno mi sentivo tranquillo.
In mensa presi le uniche
cose che mi
sembravano commestibili: maccheroni al formaggio, e polpettone con
patate.
Seguì Nick verso
un tavolo piuttosto affollato.
Che fosse quello della…
-Salve squadra!-
esclamò Nick sedendosi tra
due ragazze stupende, erano delle Cheerleader, lo si capiva subito.
-Ehi, Nick!- lo
salutò un ragazzo di colore
dandogli il cinque.
-Come va, amico?!- disse un
altro ragazzo alto
forse un paio di metri, dandogli una pacca sulla spalla e sedendosi
accanto a
lui.
-Ragazzi, lui è
Jason Blake-, cominciò Nick
presentandomi. –Sì è trasferito qui da
New York. Quella vecchia ciabatta di
Jordan mi ha chiesto di tenerlo d’occhio.-
-Salve-, dissi con un cenno
della testa.
-Blake, lui è
Kevin Martin, il vice della
squadra e mio braccio destro-, disse indicando il ragazzo nero.
–E lo spilungone
è Tom Komarovskii.-
-Mio padre è
russo-, mi spiegò Tom,
probabilmente per giustificare il suo cognome insolito.
-Gli altri componenti della
squadra saranno
sparsi qui in giro, appena li acchiappo te li presento.-
-E noi?- chiese una delle
ragazze. –Non ci presenti,
Nick?-
-Giusto, scusate-, disse
Nick sorridendo.
–Loro sono Julia Bone e Kelly Reynols, capitano e
vicecapitano delle Cheerleader.-
Ci avrei scommesso.
-Ciao, Jason-,
cominciò Julia alzandosi e
dandomi un bacio sulla guancia.
-Blake-, risposi senza fare
una piega e con
tono piuttosto glaciale. La categoria delle Cheerleader non mi era mai
piaciuta, soprattutto visto come mi avevano trattato quelle di New York
quando
ero ancora un topo di biblioteca brufoloso. -Preferisco essere chiamato
Blake.-
-Va bene, Blake-, rispose
lei sorridendomi.
Sembrava una gattina spelacchiata che faceva le fusa perché
era entrata in
calore.
Non avevo voglia di avere
quella ragazza
appiccicata addosso ma Nick m’invitò a sedermi e
Julia si mise subito al mio
fianco cominciando a parlare e a ridere.
Era bella, su questo non
potevo discutere.
Capelli lunghi biondi, occhi azzurri e fisico spettacolare: la classica
ragazza
pon-pon. Ma in quel momento ero ancora troppo soggetto al ricordo di
Evelyn
perché la mia mente potesse pensare ad altro. Comunque,
anche senza Evelyn,
dubitavo che la mia mente si sarebbe mai concentrata su una Cheerleader.
All’improvviso una
strana sensazione m’invase.
Il collo mi stava formicolando e un brivido mi percorse la spina
dorsale. Sapevo
chi era.
Mi voltai lentamente e vidi
quegli occhi
azzurri come il ghiaccio puntati su me. I nostri sguardi
s’incontrarono per un
attimo poi Cassandra tornò ad addentare il suo sandwich
fingendo di guardare
fuori dalla finestra.
La fissai per qualche
secondo prima che Nick
mi richiamasse all’ordine chiedendomi come fosse andato il
test di matematica.
Parlavo con loro, ascoltavo
i problemi
esistenziali di Julia e Kelly riguardo il loro colore preferito di
smalto che
sarebbe andato fuori produzione entro un paio di settimane, sentivo che
i
ragazzi stavano parlando dell’ultima partita di basket, ma la
mia attenzione
era tutta concentrata alle mie spalle, verso l’unico tavolo
dove era seduta una
sola persona. Sì, perché tutti evitavano
Cassandra quasi come una malattia
contagiosa. Non c’era nessuno seduto al tavolo con lei, e chi
stava seduto ai
tavoli vicini non l’aveva neanche guardata.
A un certo punto avvertii di
nuovo i suoi
occhi puntati sulla mia schiena e poi più nulla. Che avesse
smesso di guardarmi?
No, anche prima quando aveva distolto lo sguardo ed io mi ero girato,
sapevo
che lei era lì, lo sentivo, adesso non provavo
più quella strana sensazione.
Mi voltai curioso verso il
suo tavolo e lei…
non c’era.
Era uscita dalla mensa ed io
lo avevo saputo
senza vederla andare via.
No, non era possibile. Di
certo si trattava
solo di un caso. Ma quale sensazione?! Probabilmente era stato solo
intuito,
avevo visto di sfuggita che aveva quasi terminato il suo sandwich
quindi era
naturale che dopo pochi minuti si sarebbe alzata per andare
via…
Non c’era proprio
nulla di strano o di
paranormale. Anche se io continuavo a credere che quella Cassandra
fosse una
specie di fantasma. Non che io credessi in certe sciocchezze, ma il suo
atteggiamento era quello di un
fantasma.
Viveva senza che nessuno la vedesse o notasse la sua presenza. Nessuno
tranne… me.
-Blake-, mi
richiamò Kevin.
-Sì, dimmi.-
Dovevo togliermi Cassandra
dalla testa. Non
aveva nulla di strano, ero io che stavo enfatizzando tutta la
situazione.
-A New York, come stavi
messo a ragazze?- il
suo sorrisino quasi mi fece venire voglia di prenderlo a schiaffi.
Certo non pensiamo
più a Cassandra però
tiriamo in ballo Evelyn, perché no?
-Mi vedevo con una ragazza
ma niente di serio-,
risposi sperando che non mi chiedessero i particolari perché
altrimenti mi
sarei alzato e me ne sarei andato via.
-Una sola ragazza?- chiese
Julia incredula.
–Uno schianto come te non aveva la fila fuori dalla porta di
casa? Io farei di
tutto per una notte di fuoco con te.-
Bene, avevo trovato qualcuno
che voleva
violentarmi, ed era solo il mio primo giorno di scuola.
-Be’ ti ringrazio,
ma fino a poco tempo fa non
ero tutto questo granché.-
Finalmente suonò
la campanella prima che la
situazione si facesse ancora più spiacevole, almeno per il
sottoscritto.
-Dobbiamo andare. Adesso
abbiamo Storia,
Blake-, mi annunciò Nick alzandosi. –Meglio
sbrigarsi, la
Rodriguez non ammette ritardi.-
-Okay-, risposi alzandomi a
mia volta.
Anche gli altri si preparano
a tornare in
classe raccogliendo le loro cose sparse per tutto il tavolo.
-Sai-, mi
sussurrò Julia in un orecchio con
voce sensuale, -se hai voglia che qualcuno ti faccia compagnia anche
fuori
dall’ambito scolastico, io sono sempre disponibile. Mi
piacerebbe approfondire
la nostra conoscenza.-
Forse non aveva ancora
capito con chi aveva a
che fare. Non ero uno a cui piaceva andare con la prima che passava,
avevo
ancora una dignità, probabilmente trasmessami dal quel
vecchio gentiluomo
inglese di mio nonno.
-Grazie per
l’offerta, ne terrò conto-
“…quando
i pesci voleranno e i maiali vivranno sott’acqua.”
Lei mi sorrise e voltandosi
cominciò a
sculettare verso l’uscita. Non aveva proprio alcun genere di
pudore.
Nick ed io raggiungemmo
l’aula di Storia e per
fortuna la tanto temuta professoressa Rodriguez non era ancora
arrivata.
Ci sedemmo in ultima fila.
-Sembra che tu abbia fatto
colpo anche su
Julia-, cominciò lui guardandomi ammirato.
-Non per offendere, ma non
credo che per far
colpo su una come lei ci si debba sforzare tanto-, ero stanco di
fingermi
felice e contento, avevo solo voglia di prendere a pugni qualcuno ma
dovevo
trattenermi e aspettare di trovare una palestra dove poterlo fare.
-In effetti Julia
è una ragazza sprovvista di
freni. Se vede qualcuno che le piace, ci si fionda addosso senza
pensare alle
conseguenze, parlo per esperienza personale-, mi fece
l’occhiolino e proprio in
quel momento decisi di voltarmi verso la porta.
Come al solito non capivo
cosa mi avesse
spinto a guardare in quella direzione esattamente quando era entrata
Cassandra
Hyde. La cosa stava cominciando a preoccuparmi. Sentivo che sarebbe
arrivata,
non riuscivo a spiegarmelo ma sapevo che sarebbe entrata esattamente in
quell’istante.
Lei mi lanciò una
delle sue occhiate degne di
un Ice-berg e si sedette in prima fila.
Non riuscivo proprio a
capire cosa diavolo
stesse accadendo.
-Buongiorno a tutti-, disse
una voce femminile
facendomi scendere dalle nuvole.
Guardai verso la cattedra e
dovetti quasi
alzarmi in piedi per vedere chi fosse entrato. Era una donna, con i
lineamenti
tipici sudamericani, e alta un metro e cinquanta o giù di
lì. Era piuttosto
tarchiata e i suoi lunghi capelli neri erano costretti in una crocchia
alta che
le conferiva un’aria seria e soprattutto pericolosa.
-Ho sentito che
c’è un nuovo studente…-, si
guardò in giro curiosa mentre inforcava gli occhiali ornati
da una pacchiana
montatura multi color.
-Sono io-, risposi alzandomi
in piedi.
Cassandra si
voltò e i nostri occhi s’incontrarono
di nuovo prosciugando tutto il mio fiato. Non riuscivo a smettere di
guardarli,
erano magnetici. Avvertivo il mio cuore battere più forte
sotto l’influenza di
quello sguardo mentre la stanza intorno a me cominciava a svanire
lasciando
chiaro e vivido ai miei occhi solo quell’azzurro ghiaccio.
-Pensi che mi dirai il tuo
nome entro oggi,
ragazzo?-
Quella domanda mi fece
tornare in me.
-Ah, sì
certo…-, mormorai rivolgendomi
nuovamente alla professoressa. –Mi chiamo Jason Blake, vengo
da New York.-
-Bene, signor Blake, puoi
sederti-, cominciò
lei con tono tranquillo.
Obbedii all’istante
-Sei fortunato ad essere
arrivato proprio
oggi. Come vi avevo detto la scorsa settimana in questi giorni ci
dedicheremo
agli strani e insoliti costumi in uso nel Medioevo. Vi darò
tre giorni per
portare a termine una ricerca approfondita dell’argomento che
vi assegnerò.
Lavorerete in coppie, decise da me ovviamente.-
Nessuno si
lamentò o provò a ribattere,
evidentemente non conveniva avere reazioni del genere con una
professoressa
come quella.
La Rodriguez si sedette
dietro la cattedra e
prese l’elenco degli alunni.
-Cominciamo. Tyler e
Jonhson: “Cerimonia della
creazione di un cavaliere”.-
Nick mi guardò e
sorrise. Poi lanciò
un’occhiata soddisfatta al ragazzo moro che stava davanti a
noi.
-Turner e Harrison:
“Usanze nel matrimonio”.-
Due ragazze in seconda fila
si guardarono
contente.
-Sullivan e Burton:
“I Tornei”.-
Mi guardai un attimo
intorno. Sembrava che
tutti stessero evitando di guardare in una determinata zona, e non ci
misi
molto a capire che si trattava di quella in cui stava Cassandra.
Certo, era chiaro, avevano
tutti il terrore di
finire in coppia con lei, per questo attendevano la decisione della
Rodriguez
respirando appena.
-Uhm… Blake e
Hyde: “La caccia alle Streghe”.-
D’un tratto tutti
si voltarono a fissarmi e
solo in quel momento compresi in modo chiaro le parole della Rodriguez.
Provai a parlare ma quella
subito mi bloccò.
-C’è
qualche problema, signor Blake?-
Certo che c’era!
Mi aveva appioppato la stramba solo
perché ero quello nuovo!
-No, nessun problema-,
risposi con un mezzo
sorriso.
Maledetta la mia buona
educazione!
-Invece il problema
c’è!-
Mi voltai di scatto verso
Cassandra.
-Perché devo
stare in coppia con lui? Anzi,
perché devo stare in coppia?! Lo sa che lavoro molto meglio
da sola, senza
scocciature tra i piedi!-
Aggrottai la fronte
accigliato… Ero io la
scocciatura?
-Cassie, non puoi continuare
a lavorare da
sola a questi progetti-, esordì la Rodriguez guardandola
seria. –Se non
accetterai di lavorare con il signor Blake sarò costretta a
escluderti da
questo compito, e lo sai che una cosa del genere comporterà
l’abbassamento
della tua media nella mia materia.-
Cassandra rimase un attimo
in piedi
continuando a fissare la professoressa poi sedendosi mormorò
qualcosa di molto
simile a “Okay, lavorerò con quel tizio”.
Ma che credeva?! Che a me la
cosa piacesse?!
Neanche ero arrivato e già mi avevano messo in coppia con
una specie di
psicopatica asociale!
-Bene-, disse la Rodriguez
sorridendo. –Sono
proprio contenta che la questione sia stata risolta. Ho sentito dire
che tu,
Blake, sei un ottimo studente, e Cassie è la migliore del
mio corso. Sono
davvero curiosa di sapere cosa combinerete insieme.-
Cassandra si
voltò un attimo a guardarmi: i
suoi occhi sembravano emanare fuoco. A quanto pareva non le stavo
simpatico, e
la cosa era reciproca.
Appena la campanella
suonò tutti si alzarono
per recarsi alla lezione successiva e stavo per farlo anch’io
quando Cassandra
Hyde si parò davanti al mio banco.
La guardai confuso e
sorpreso mentre mi
chiedevo come avesse fatto a raggiungere il mio banco così
velocemente in mezzo
a tutto quel marasma di ragazzi, zaini e libri.
-Aspettami alla fine delle
lezioni, dobbiamo parlare
della ricerca-, il suo tono era serio quasi come se dovessimo parlare
di un
segreto di Stato.
-Sì…
Certo…-
-Perfetto. A dopo-, mi
lanciò un altro sguardo
glaciale e si diresse verso la porta con
un’agilità sorprendente.
Non riuscivo a capire
perché quella tipa ce
l’avesse tanto con me.
-Fossi in te mi porterei
dietro un po’ di aglio
e un paletto di frassino-, cominciò Nick ridendo.
Mi voltai a guardarlo.
-Andiamo è solo
una ragazza problematica, mica
una vampira-, risposi sorridendo. –Sono sempre stato un tipo
con i piedi per
terra, quindi non ho paura di lei. Più che altro mi sto
chiedendo perché mi
odia così tanto, neanche mi conosce.-
-Ti assicuro che non
l’ho mai vista
interessata a un’altra persona, né per odio
né per amore… Devi avere qualcosa
che l’attira.-
-Forse è la mia
indiscutibile bellezza-, dissi
ridendo.
-Sì, sogna pure-,
ribatté Nick ridendo e
dandomi un pugno sulla spalla.
Risi anch’io ma
non mi sentivo per niente
tranquillo. C’era qualcosa di strano in quella ragazza, non
sapevo di cosa si
trattasse ma sentivo che non era niente di buono. Non era di certo una
vampira,
un licantropo, un fantasma o qualsiasi altro essere sovrannaturale, ma
non era
neanche una semplice liceale. I suoi occhi di ghiaccio nascondevano un
qualche
segreto ed io volevo sapere cosa fosse.
Magari si trattava
semplicemente di cocaina,
crack o eroina. A quel punto mi sarei rivolto alle autorità
competenti e tanti
saluti. Se era davvero una tossicodipendente era mio dovere aiutarla ad
uscire
da quel giro malsano e deleterio, per poi tornare tranquillamente alla
mia
vita.
Alla fine
dell’ultima ora mi diressi al mio
armadietto per prendere i libri che mi sarebbero serviti a casa per
studiare.
Lo chiusi e per poco non mi
venne un colpo:
alla mia destra, poggiata all’armadietto, c’era
Cassandra Hyde che mi fissava
con quei suoi occhi inquietanti e di ghiaccio. Se ne stava con le
braccia
incrociate come se stesse aspettando qualcosa.
-Possiamo studiare a casa
tua?- mi chiese con
tono duro.
-Ehm…- a casa
mia? La mia non era ancora una
casa, c’erano scatoloni sparsi ovunque e molti mobili non
erano ancora
arrivati. In più mia madre girava per casa in preda ad una
crisi per mancanza
di ordine. Non avremmo potuto studiare in un posto del genere.
–Veramente è
ancora incasinata a causa del trasloco.-
-Accidenti-,
mormorò Cassandra pestando il
piede a terra. –Vorrà dire che andremo da me, in
biblioteca non troveremo i
libri che ci servono per la ricerca.-
-Perché da te ci
sono?- chiesi chiudendo il
lucchetto dell’armadietto.
-Mio padre gestisce una
libreria di libri
antichi, non hai idea di quello che sono riuscita a trovare tra gli
acari e la
polvere.-
La guardai sorpreso.
Fantastico, era una che
si dava alle letture sull’occulto. Ci mancava solo questa!
-Bene, allora vada per casa
tua-, dissi
sorridendo. Poi la mia buona educazione si fece di nuovo avanti prima
che io
potessi fermarla. –Comunque io sono Jason Blake, ma puoi
chiamarmi solo Blake.-
Le porsi una mano in segno
di pace, sperando
che riuscisse a farla svelenare un po’ nei miei confronti.
Lei la guardò per un
attimo e poi sospirando sconfitta la strinse.
-Chiamami Cassie, se ti
sento solo una volta
pronunciare il nome Cassandra ti faccio fuori-, alzò lo
sguardo e lo puntò su
me. –Non sto scherzando.-
-Sì, ti credo-,
risposi subito cercando di
restare calmo. Le minacce sulle labbra di Cassand… Cassie,
risultavano tremendamente reali.
Stavo per lasciarle la mano
quando a un tratto
avvertii qualcosa di strano. Come se avessi preso una leggera scossa
che poi
era scomparsa all’improvviso.
-Stai bene?- mi chiese lei
alzando un
sopracciglio.
-Sì, benissimo-,
risposi con una voce
piuttosto acuta.
-Allora potresti restituirmi
la mia mano,
potrebbe servirmi in un futuro piuttosto prossimo-, mi gelò
ancora una volta
con i suoi occhi.
-Scusa-, mormorai mollando
subito la presa.
-Andiamo-,
decretò lei voltandosi e camminando
velocemente verso l’uscita.
-Aspettami-, esclamai
mettendomi la borsa a
tracolla e seguendola. Appena le fui accanto dissi: -Come ci arriviamo
a casa
tua?-
Lei mi fissò un
po’ accigliata.
-Ma fai solo finta di essere
stupido o lo sei
per davvero? Ci andremo in macchina-, detto questo indicò
un’auto nera
parcheggiata non molto lontano dall’uscita.
Appena la vidi fu come se un
fulmine mi avesse
colpito in pieno. Era una…
-Dodge gtx del
’70-, dissi senza riuscire a
togliere gli occhi da quell’auto.
-Fantastico-,
mormorò Cassie con tono
esasperato, -mi è capitato anche un patito di automobili,
non credo che possa andare
peggio di così.-
Lasciai perdere i commenti
di Cassie e mi
diressi spedito verso quel gioiello di macchina. Lei mi raggiunse poco
dopo
mentre io ero troppo occupato ad ammirare la bellezza di quella
carrozzeria per
prestare attenzione a chi o cosa mi stava attorno.
-Come l’hai
avuta?- chiesi con aria sognante.
-Me l’ha regalata
mio padre per i miei
diciassette anni-, rispose lei aprendo lo sportello.
-Ho sempre desiderato
un’auto come questa, ma
i miei mi hanno sempre detto che fino a quando frequenterò
il liceo posso anche
prendere l’autobus.-
Lei mi fissò per
qualche secondo senza dire
una parola. Poi prima che potessi intervenire mi lanciò le
chiavi della
macchina e venne verso di me.
-Guida tu.-
-Cosa?- chiesi osservando il
piccolo mazzo di
chiavi nella mia mano.
-Se ci tieni tanto puoi
guidare tu-, continuò
sedendosi al posto del passeggero. –Non ho mai dato
importanza alle auto
quindi… divertiti pure…-
Le sue parole ci misero
qualche secondo a
trovare la giusta collocazione all’interno del mio cervello.
-Posso davvero?- ero ancora
piuttosto
incredulo.
-Se mi farai ancora una
domanda del genere, cambierò
idea-, rispose lei senza guardarmi.
-Grazie-, esclamai al colmo
della felicità.
Mi tolsi la tracolla, girai
dalla parte del
guidatore e salendo lanciai la borsa sul sedile posteriore. Chiusi lo
sportello
e infilai la chiave. Subito il motore si accese facendo quelle che, per
me,
erano indiscutibilmente fusa. Sorrisi come un ebete nel sentire quel
suono
meraviglioso.
-Uomini-, mormorò
Cassie guardando fuori dal
finestrino. –Siete come dei bambini. Per farvi felici basta
un giocattolo
nuovo.-
Non risposi a quella sua
frecciatina. Le ero
troppo grato per quell’opportunità, non ce la
facevo proprio a ribattere.
Eravamo in viaggio da
più o meno dieci minuti,
e in base alle stentate indicazioni di Cassie dovevamo essere quasi
arrivati.
Aveva parlato poco e niente durante tutto il tragitto. Apriva bocca
solo per
dire “Svolta a destra”, “Continua
dritto” o “Alla prossima gira a
sinistra”. A
quel punto non potevo più trattenermi.
-Posso farti una domanda?-
chiesi timoroso.
-Se non puoi proprio farne a
meno-, rispose continuando
a fissare imperterrita fuori dal finestrino.
-Perché mi odi?-
Lei si voltò a
guardarmi e i suoi occhi
divennero all’improvviso più dolci ma senza
perdere la loro decisione.
-Non ti odio,
però… è complicato-, il suo tono
era strano e confuso, diverso da quello che aveva usato fino a quel
momento.
-Prova a spiegarmi, sono un
ragazzo
intelligente e di larghe vedute. Non mi sorprendo facilmente-, risposi
con un
sorriso, cercando di scavare un buco in quel muro di cemento che Cassie
aveva eretto
tra noi due.
-Credimi, questo ti
sorprenderebbe-, mormorò
con un tono quasi inudibile. –Comunque ti tratto in modo
così freddo perché
appena ti ho visto mi hai dato una strana sensazione…-
-Che sensazione?- chiesi
curioso.
-Siamo arrivati-, disse
indicando un palazzo
piuttosto antico alla nostra destra. –Parcheggia davanti alla
libreria.-
Era evidente che il nostro
discorso era caduto
e chissà se e quando avrei potuto tirarlo fuori di nuovo.
Presi la borsa dal sedile
posteriore,
restituii le chiavi della macchina a Cassie e una volta sceso
dall’auto diedi
un’occhiata alla libreria davanti alla quale
c’eravamo fermati.
La vecchia insegna in legno
recitava “Antique
Books”, nel caso qualcuno, guardando la vetrina del negozio,
non avesse chiaro che
si trattasse di un negozio di libri antichi. In effetti, guardandomi
attorno,
tutto il quartiere era composto da case in vecchio stile Ottocento o
giù di lì,
e avevo come la sensazione che di notte non fosse esattamente un luogo
allegro
dove poter fare una passeggiata. Nella vetrina del negozio
c’erano diversi
libri rilegati con pesanti copertine di cuoio e di pelle. Quei volumi
dovevano
valere un capitale, di certo avevano centinaia di anni.
Riuscii a leggere qualche
titolo. C’era
un’antica edizione del Vecchio Testamento,
un’edizione de “L’Asino
D’Oro” di
Apuleio con le scritte in oro, “Il Manuale della Arti
Mediche- 1535” e altri volumi
i cui titoli non erano molto leggibili.
-E’ la libreria di
tuo padre?- chiesi quando
anche Cassie scese dall’auto.
-Sì, appartiene
alla mia famiglia da
generazioni. L’aveva aperta un mio antenato che amava
collezionare i libri antichi
e alla fine tutti gli Hyde amano questo genere di cose. Credo sia nel
nostro
DNA, abbiamo il “gene del libro antico”.-
A quelle parole mi era
sembrato di scorgere un
sorriso sul suo volto impassibile.
-Piacciono anche a me-,
dissi sorridendole. –I
libri, qualsiasi tipo di libri, sia antichi che moderni…
Sono sempre stato un
topo di biblioteca.-
Lei mi squadrò
sorpresa.
-A guardarti non si direbbe
proprio-, disse
ironica.
-Sì,
be’… Un paio d’anni fa non ero
esattamente come adesso.-
Lei mi fissò per
un attimo lanciandomi uno dei
suoi soliti sguardi di ghiaccio, anche se un po’
più benevolo rispetto a quelli
che mi aveva riservato durante le ore scolastiche, e mi fece strada.
Non entrammo nel negozio ma
nell’edificio
accanto, passando per un portone di legno piuttosto antico e
malridotto.
Camminammo fino all’ascensore, vecchio anche quello, ed
entrammo, mentre io
pregavo che quell’aggeggio non si bloccasse.
Cassie premette il pulsante
per il settimo
piano e chiuse la porta di legno con una finestrella di vetro tutto
macchiata
d’umidità. L’ascensore
cominciò a muoversi cigolando ed emettendo rumori poco
confortanti.
Ci mise diversi secondi
prima di fermarsi al
nostro piano, e la sua lentezza non aveva contribuito a
tranquillizzarmi.
Uscimmo finalmente da quel trabiccolo- mi ripromisi di prendere le
scale per
scendere- e ci fermammo davanti ad un’imponente porta in
legno antico. Una
targhetta recitava “Professor H. Hyde, esperto di
Storia”.
-Tuo padre è un
professore?-
-Insegna Storia alla San
Francisco State
University-, rispose Cassie aprendo la porta.
-E la libreria?-
-Per quella abbiamo una
dipendente.-
Entrai con calma in casa
guardandomi
lentamente attorno. Dire che ero sbalordito era poco: non era una casa,
ero
finito nell’attico di un miliardario senza accorgermene.
L’appartamento era
grande e luminoso, arredato in stile moderno e con tutti i confort che
uno
potesse immaginare.
-Seguimi-, disse Cassie
facendomi strada.
Passammo da quello che
doveva essere il
soggiorno e vidi un enorme televisore al plasma e un grande divano di
pelle
nero.
La stanza successiva era la
cucina: arredata
in modo impeccabile con tutto quello che si sarebbe potuto desiderare.
-Cassie…-
-Cosa?- lei mi
guardò sorpresa, poi capì. –Ah,
avevo dimenticato di dirti che la famiglia Hyde è sempre
stata ricca sfondata,
mio nonno era nell’industria del petrolio. La libreria e la
cattedra universitaria
sono solo del passatempi a cui papà non vuole rinunciare.-
-Stavi parlando di me?-
chiese una voce
profonda e divertita alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e mi
trovai davanti ad un
uomo giovane, aveva di sicuro meno di quarant’anni, con
capelli castani e gli
stessi identici occhi di Cassie. Erano proprio uguali! Però
il padre non era
inquietante e freddo quanto la figlia.
-Papà, lui
è Blake, un mio compagno di classe-,
mi presentò Cassie mentre si toglieva la giacca e la buttava
su una sedia.
-Piacere di conoscerti, sono
Hermes Hyde, il
papà di Cassie-, mi porse la mano.
La strinsi titubante.
–Piacere mio, signore.-
-E’ bello
conoscere finalmente un amico di mia
figlia-, disse lui sorridendo.
-Non siamo amici-,
precisò Cassie
trascinandomi via. –Dobbiamo solo fare una stupida ricerca
per storia. Andiamo
a studiare in biblioteca.-
Mi scaraventò-
letteralmente, non pensavo che
una ragazza potesse essere così forte!- in
un’altra stanza, prima che potessi
rispondere al signor Hyde, e chiuse la porta.
-Cerco qualche libro che ci
può servire. Tu
non ti muovere da qui, faresti solo danni.-
Annuii senza smettere di
guardarla poi iniziai
a osservare la stanza dove eravamo appena entrati. La parola
“biblioteca” era
quasi riduttiva. L’intera stanza era piena zeppa di scaffali
stracolmi di libri
antichi e di vario genere. Era davvero enorme e una grande vetrata
proprio
davanti a me permetteva a una notevole quantità di luce di
illuminare l’intera
stanza.
Cassie sparì
dietro a una serie di scaffali
mentre io me ne stavo immobile vicino al tavolo da studio che stava al
centro
della sala.
Quella casa era strana,
quell’atmosfera era
strana e quella ragazza era ancora più strana!
Dove diavolo ero capitato!?
-Ciao.-
Sussultai spaventato al
suono di quella voce.
Mi voltai di scatto verso la
porta. Una donna
bellissima stava in piedi a un paio di metri da me. Aveva lunghi
capelli neri,
come quelli di Cassie, e occhi azzurro ghiaccio, esattamente come
quelli di
Cassie! Ma che li facevano con lo stampino in quella famiglia!
-Salve-, risposi quando ebbi
ripreso il fiato
che era scappato via per lo spavento.
Se non avessi saputo che la
madre di Cassie
era morta avrei subito detto che doveva essere lei. Forse era una
zia…
-Sei un amico di Cassie?- mi
chiese lei
sorridendole.
-Forse la parola amico è un tantino esagerata-,
dissi cercando di precisare. Non
volevo morire, e Cassie poteva essere a portata d’orecchio.
–Sono un suo
compagno di scuola, mi chiamo Blake.-
-Piacere di conoscerti-,
cominciò lei
porgendomi la mano.
-Con chi ce l’hai?
Adesso ti metti anche a
parlare al vento?-
Mi voltai e vidi Cassie
venirmi incontro con
una pila altissima di volumi.
-Che sono tutti quei libri?-
chiesi
spaventato.
Lei lì
poggiò sul tavolo e mi guardò con occhi
seri.
-Questi ci serviranno per
l’introduzione. Dì
là ce n’è un’altra ventina
che useremo per la ricerca vera e propria. Se una
cosa deve essere fatta meglio farla come si deve.-
Era la mia stessa filosofia
ma lei esagerava.
-Capisco…
Comunque non stavo parlando da solo-,
mi ricordai della sua accusa.
-Ah, sì? E con
chi stavi parlando?- incrociò
le braccia con fare ironico.
-Con tua zia… O
almeno credo che sia tua zia.-
-Mia zia?- il suo sguardo
era davvero confuso.
Sbattei le palpebre un paio
di volte.
-La donna con i capelli neri
che sta un paio
di passi dietro di me. Non so se sia tua parente ma avete gli stessi
occhi e vi
somigliate parecchio-, dissi cercando di spiegarmi.
Cassie impallidì
di colpo, e la sua carnagione
era pallida già di suo.
-Tu…
Tu… Riesci a vederla?- mi chiese con un
filo di voce.
Aggrottai la fronte confuso.
Mi voltai di
nuovo verso la donna con cui avevo parlato poco prima: era esattamente
dove
stava pochi secondi prima e mi sorrideva con calore.
-Cos’hai bevuto,
Cassie? Non ti fa bene
sniffare la polvere della biblioteca… Certo che la vedo,
è qui con noi in
questa stanza-, risposi semplicemente indicandola.
Lei spalancò gli
occhi.
-Papà!-
esclamò. –PAPA’!- questa volta
urlò.
Ma che stava succedendo?
Perché urlava in quel
modo.
-Papà! Vieni
subito qui!- le sue urla avevano
un volume davvero notevole.
-Che succede?!- chiese il
signor Hyde aprendo
la porta quasi immediatamente. Mi guardò curioso mentre io
alzavo le spalle.
–Allora?-
-Lo vorrei sapere
anch’io?- intervenni con
calma.
-Papà…-,
cominciò Cassie prendendo un respiro.
–Blake riesce a vederla…-
Ancora con la storia del
riuscire al vederla?
Era un essere umano, cavolo! Era del tutto normale che io riuscissi a
vederla.
-Lui riesce a vedere tua
madre?- anche gli
occhi del signor Hyde si spalancarono.
-Madre?- la mia confusione
aumentava. –Ma tua
madre non era morta diversi anni fa?-
Sia il signor Hyde che
Cassie si voltarono a
guardarmi.
-Infatti…-,
esordì lei con un filo di voce.
-E allora come spieghi che
è qui accanto a
me?- chiesi ironico.
-Perché quella
non è davvero mia madre. Quello
è il suo… fantasma.-
Mi voltai di scatto verso la
donna che stava
un paio di passi alla mia destra. Era reale e sembrava assolutamente
tangibile.
Non poteva essere un fantasma, i fantasmi neanche esistevano!
Perciò quei due
stavano scherzando, vero?
***L'Autrice***
Ed eccomi qui con questa nuova storia, che poi non tanto
nuova non è visto che giace nel mio computer da
più di un anno. Sinceramente ero molto indecise se
pubblicarla o meno, prima di tutto perchè non sono sicura
che valga davvero e secondo perchè sono ferma alla stesura
del terzo capitolo da una vita... ^^' Però ho pensato che
forse cominciandola a pubblicare avrei avuto qualche incentivo per
continuare a scriverla.^^
Chi mi conosce sa che accetto qualsiasi tipo di parere,
quindi se la storia fa schifo ditelo pure senza problemi, non ci
metterò niente a cancellarla a a far finta che non sia mai
esistita...^^
Ringrazio in anticipo tutti quelli che hanno letto questo
primo capitolo, con la speranza che siate arrivati fino alla fine senza
aver voglia di uccidermi...^^
Un bacio a tutti!
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Capitolo 2 *** L'Importanza Di Essere Un Guard ***
Ghost Seeker- Capitolo 2
Capitolo
2:
L’Importanza Di Essere Un Guard (Cassie)
Lo avevo capito subito che quel Jason Blake
non era una persona come le altre. Il colore dei suoi occhi aveva
instillato in
me il dubbio e l’energia che avvertivo intorno a lui, non era
quella che
sentivo osservando un normale essere umano.
E adesso era in casa mia,
nella mia biblioteca
e riusciva tranquillamente a vedere il fantasma di mia madre.
C’era una sola
spiegazione per quell’avvenimento così insolito,
perché i fantasmi esistono ma
alle persone normali, le persone che non posseggono il gene
S, non è consentito vederli ed entrare in contatto
con loro.
Blake era in grado di vedere
il fantasma di
mia madre senza problemi, il che lo inseriva indiscutibilmente nelle
persone
“non normali”, come me.
-Blake-, cominciò
mio padre con voce
tranquilla facendo qualche passo verso di lui. Sapeva che il ragazzo
stava
morendo dalla paura e non voleva rischiare di peggiorare la situazione.
–Capisco che questa storia possa sembrarti un tantino
bizzarra...-
-Bizzarra?!-
esclamò Blake spalancando gli
occhi incredulo. –Riesco a vedere chiaramente una donna morta
anni fa. Questa
non è una storia bizzarra… E’ un incubo.
E voi siete tutti pazzi, come riuscite a restare così calmi
davanti a tutto
questo?!-
Mi voltai di scatto a
fissarlo. Cercai di
assumere l’aria più rassicurante possibile ma non
ero mai stata brava in quel
genere di faccende perciò il mio volto assunse la mia
abituale espressione
scocciata.
-Agli incubi ci si abitua,
Blake-, incrociai
le braccia indispettita. –Soprattutto quando un incubo come
questo ti
accompagna per tutta la vita.-
-Ma che diavolo vai
blaterando?- continuò lui
con una terrorizzata nota d’urgenza nella voce.
–L’avevo capito subito che eri
stramba ma non pensavo che fossi anche fuori di testa fino a questo
punto.-
-Io non sono fuori di
testa!- esclamai
puntando i miei occhi nei suoi.
-Sì, invece-,
ribatté lui quasi urlando.
Potevo capire che fosse
sconvolto ma adesso
stava proprio esagerando e io non ero famosa per la mia pazienza.
-Se io sono fuori di testa
ti comunico, mio
caro, che lo sei anche tu dato che riesci a vedere un fantasma.-
Lui spalancò gli
occhi e mi fissò spaventato.
Doveva aver dimenticato che nella stanza insieme a noi c’era
il fantasma di mia
madre.
Mio padre fece un respiro e
con calma si
avvicinò a Blake posandogli una mano sulla spalla.
-Blake ci sono delle cose
che devi sapere. Con
molta probabilità tu sei un…-
-Io devo andarmene da qui!-
esclamò Blake
liberandosi dalla presa di mio padre e fiondandosi fuori dalla porta
della biblioteca.
Se n’era andato?
Be’ meglio così, non mi era
mai stato simpatico e poi era così cocciuto, negava anche
l’evidenza.
Papà si
voltò a guardarmi con il suo solito
sguardo calmo, quello che usava per farmi fare quello che non avrei mai
voluto.
-Che
c’è?- chiesi scocciata.
-Lo sai che devi seguirlo e
convincerlo a
tornare qui.-
-No, non devo. Non ho nessun
obbligo e dubito
che lui voglia rimettere piede qui dentro-, risposi con tono secco. Non
avevo
alcuna intenzione di parlare ancora con quell’idiota e
neanche mio padre
sarebbe riuscito a convincermi. Non se ne parlava neanche!
-Cassie, non essere
testarda-, mi rimproverò
lui con la sua solita aria gentile che mi faceva venire i nervi.
–Lo stavi
aspettando, e lui ti stava cercando. Lo sai che non puoi sottrarti a
tutto
questo. Il fatto che abbia cominciato a vedere le anime proprio adesso
che vi
siete incontrati significa che è lui.-
Sapevo che mio padre aveva
ragione ma non
volevo ancora ammetterlo, non volevo che proprio quel ragazzo imbecille
fosse
ciò che stavo aspettando da così tanto tempo.
-Vi siete toccati?- mi
chiese papà
all’improvviso.
-Come scusa?- dissi
imbarazzata.
-Tu e Blake. I vostri corpi
sono entrati in
contatto diretto?- riformulò.
All’improvviso la
stretta di mano con cui si
era presentato in corridoio mi ritornò in mente.
Sì, i nostri corpi erano
entrati in contatto e in quel momento io l’avevo capito che
era avvenuto qualcosa
ma non volevo ammetterlo testarda com’ero.
Il mio gene aveva attivato
quello assopito di
Blake perché si erano riconosciuti, e adesso si era
innescato un meccanismo che
niente e nessuno avrebbe mai potuto bloccare. Era il nostro destino, e
mi
toccava ficcarlo in testa a Blake.
-Ho capito-, risposi a
papà mentre lui
continuava a fissarmi per decifrare la mia decisione.
–Sì, i nostri corpi sono
entrati in contatto, quindi vado a recuperare quel novellino e te lo
porterò
qui.-
Mio padre sorrise e mentre
uscivo dalla
biblioteca all’inseguimento di Blake mormorò
qualcosa che suonò simile a “Tanto
lo so che quel ragazzo piace anche te.”
Tzè. Dubitavo
altamente che per me Blake
sarebbe mai stato anche solo meno irritante di quanto fosse ora. Non lo
sopportavo e non volevo che fosse lui, non volevo che la mia vita
dovesse dipendere
da uno come lui. Ma ormai tutto era stato deciso e non sarebbero stati
i miei
capricci infantili a cambiare le cose.
Corsi fuori
dall’appartamento e imboccai le
scale il più in fretta possibile. Ero veloce, molto veloce
ma Blake aveva un
vantaggio notevole e chissà dove poteva essere. Dovevo
trovarlo prima che si
cacciasse in qualche guaio.
Ero quasi arrivata
all’ultimo piano di scale e
all’improvviso una strana sensazione mi invase. Sentivo
Blake, sentivo che non
era lontano, avvertivo la sua presenza in modo così chiaro e
nitido che per
poco non pensai di averlo accanto.
Rallentai il passo e mi
diressi camminando
verso il vecchio portone di legno aprendolo con calma. Quello che vidi
una
volta fuori mi lasciò senza fiato. Blake era fermo immobile
esattamente al centro
del marciapiede e si guardava intorno confuso. Ero riuscita a sentirlo
così
distintamente, non pensavo che avremmo mai potuto avere un legame
così forte.
-Perché li vedo
solo ora?- chiese Blake senza
voltarsi.
Anche lui doveva aver
avvertito la mia
presenza.
-Perché fino ad
ora non mi ero mai accorto che
il mondo è popolato anche da… loro?-
la sua voce era calma ma aveva sempre quella nota di
incredulità che non
l’aveva ancora abbandonata.
Sapevo a cosa si stava
riferendo. Per la
strada passeggiavano tranquillamente alcune persone, passavano davanti
a noi
senza guardarci ma c’erano anche degli altri individui
che non erano come gli altri. Passavano attraverso i muri
o attraverso le altre persone. Avevano vestiti di epoche diverse e i
loro
sguardi erano vuoti, senza alcuna gioia. Erano fantasmi.
Entità con cui avevo
avuto a che fare per tutta la vita e che adesso a causa mia si stavano
insinuando subdoli anche nella vita di Blake senza che lui potesse fare
nulla
per impedirlo.
-Non li hai mai visti
perché ancora non mi
avevi incontrata-, risposi alle sue domande con tono neutro senza far
trasparire quel senso di colpa che in realtà mi stava
divorando.
Lui si voltò
lentamente a guardarmi.
-Voglio sapere che sta
succedendo. Voglio
capire quello che mi sta accadendo prima che la testa decida di
esplodermi sul
serio-, i suoi occhi erano seri e più azzurri del solito.
Non capivo come avevo
fatto a non notarlo subito, solo il colore dei suoi occhi avrebbe
dovuto farmi
capire immediatamente di fronte a chi mi trovavo fin dal nostro primo
incontro.
-Se vuoi sapere tutta la
verità-, cominciai
con sguardo comprensivo, -devi semplicemente venire con me.-
Mi voltai e tornai
all’interno del portone.
Non ci fu bisogno di voltarmi per sapere che Blake era qualche metro
dietro di
me, lo sentivo che mi stava seguendo avvertivo il suo calore dentro il
mio
corpo.
Entrammo di nuovo nel mio
appartamento e
tornammo in biblioteca dove mio padre ci stava aspettando seduto al
tavolo
mentre sistemava quattro tazze con del tè caldo dentro.
-Sapevo che ci saremmo
rivisti, Blake-, disse
con uno dei suoi soliti sorrisi gioviali. –Siediti e prendi
un po’ di tè,
vedrai che ti farà bene. Tra poco arriveranno anche dei
pasticcini e dei biscotti.-
Blake guardò mio
padre in modo circospetto e
si sedette proprio di fronte e lui.
-Siediti anche tu Cassie,
sai che tutto questo
riguarda Blake almeno quanto riguarda te.-
Mi avvicinai al tavolo
diretta alla sedia
accanto a mio padre ma lui mi indicò deciso con lo sguardo
quella alla destra
di Blake.
Con un sospiro di sconfitta
mi sedetti accanto
a lui e misi un paio di zollette di zucchero nella mia tazza colma di
tè caldo
e profumato.
Blake stava seduto, rigido
come un palo e
fissava la tazza che stava proprio di fronte a me.
-An-anche sua moglie
prenderà il tè?- chiese
Blake imbarazzato o impaurito, non riuscivo a capire bene che genere di
tono
avesse assunto la sua voce.
Papà ed io ci
fissammo un attimo e poi
scoppiammo a ridere mentre il volto del povero Blake assunse
all’improvviso
diverse tonalità di rosso.
-No, Blake-,
cominciò mio padre con un
sorriso. –I fantasmi non hanno un corpo quindi non possono
bere o mangiare.
Questo tè è per una persona in carne ed ossa, per
il momento diciamo che è per
la mia assistente.-
-Sono stata retrocessa al
ruolo di
“assistente”?- chiese una dolce voce femminile
dalla porta.
Ci voltammo tutti nella
direzione da cui
proveniva. Sulla soglia della porta, con in mano un vassoio enorme
pieno di
qualsiasi ben di Dio proveniente dalla pasticceria sotto casa,
c’era una ragazza
con lunghi capelli scuri e profondi occhi azzurri, vestita in modo
piuttosto
sportivo.
-Scusa Dafne, ma Blake
è ancora piuttosto
confuso quindi ho preferito adottare una linea più soft per
cominciare a
spiegargli come stanno le cose.-
Dafne fece un sorriso e
camminando velocemente
verso il tavolo posò il vassoio e si accomodò
accanto a mio padre.
-Non sono mai stata
favorevole ai metodi
gentili. E’ un uomo e saprà affrontare tutto
quello che gli diremo- si voltò a
guardare Blake e lo fissò dritto negli occhi. Lui
sussultò. –Sì, mio caro
Blake, i miei occhi sono identici ai tuoi esattamente come quelli di
Cassie
sono uguali a quelli di suo padre.-
-Siamo parenti?- chiese
Blake confuso.
-No, noi siamo qualcosa di
più che parenti-,
continuò Dafne con un sorriso. –Tu ed io siamo dei
Guard. Il nostro compito
è quello di aiutare i Seeker nelle loro
missioni e di fare in modo che le anime bianche
riescano ad arrivare nell’Aldilà.-
Blake spalancò
gli occhi confuso, probabilmente
al suo posto avrei reagito esattamente nello stesso modo.
-Sei la solita impulsiva
Dafne-, disse papà
con tono serio. –Non penso proprio che Blake sia riuscito a
capire una sola
parola di quello che hai detto.-
-Provo a spiegargli io come
stanno le cose,
papà-, ero stata io a parlare? Non me ne ero neanche accorta
ma la mia bocca si
era aperta prima che me ne rendessi conto. Sapevo solo che ero io a
dover
parlare con Blake, ero io che dovevo fargli capire quello che stava
succedendo.
Solo così lui avrebbe davvero capito.
-Prima di tutto
c’è una cosa che ti deve
entrare in testa-, cominciai mentre lui mi guardava sempre
più incredulo. –Se
tu riesci a vedere i fantasmi significa che una parte di te
è come me.-
Sbatté le
palpebre ma non me la presi, ancora
non poteva capire.
-Io sono una Seeker, tutta
la mia famiglia lo
è… Da sempre. I Seeker sono degli umani che hanno
un particolare gene, chiamato
“gene S” che permette loro di vedere i fantasmi.
Questo gene consente ad un
Seeker non solo di vedere i fantasmi, ma di essere più
veloce, più forte e più
intelligente di un qualsiasi umano. Quello che un Seeker deve fare
è facilitare
il passaggio delle anime nell’Aldilà e
perché ciò avvenga deve aiutare i
fantasmi a risolvere le loro faccende in sospeso. Lo so che ti
sembrerà assurdo
ma è vero che i fantasmi rimangono sulla terra
perché hanno qualcosa di incompiuto
che li lega ancora al nostro mondo.-
Blake non fiatava, forse
neanche respirava,
pendeva letteralmente dalle mie labbra.
Presi un respiro profondo e
continuai.
-Nella maggior parte dei
casi per poter
aiutare le anime i Seeker devono permettere ai fantasmi di possedere i
loro
corpi. In questo modo però il Seeker non ha più
il controllo del proprio corpo
e questo potrebbe causare diversi problemi. Ed è qui che
entrano in scena i
Guard.-
Blake guardò per
un attimo Dafne e tornò
subito a fissarmi.
-Il Guard è il
protettore del Seeker. In
qualunque caso e in qualsiasi situazione la vita del Seeker
è sotto la diretta
responsabilità del suo Guard.-
-Quindi io sarei un Guard?-
mi chiese Blake
esitante.
-No, tu non sei un Guard. Tu
sei il mio Guard ed io sono la tua
Seeker. I
nostri geni S sono entrati in contatto quando prima mi hai stretto la
mano e il
mio gene ha fatto risvegliare il tuo che era assopito. E’ per
questo che solo
adesso hai potuto vedere i fantasmi.-
-Ma… Ma come
è possibile? Come mai ho questo
gene S?-
Era disorientato, lo capivo.
Sentivo i suoi
sentimenti, la sua paura.
-Un Guard ha dentro di
sé il sangue di un
Seeker, ma il suo è sangue impuro perché
probabilmente il Seeker da cui l’ha
ereditato ha mischiato il suo sangue con quello di umano comune.-
-Stai cercando di dire che
uno dei miei
parenti è un Seeker?- mi chiese lui incredulo.
-Sì-, risposi con
tono serio. –Per poter preservare
il gene S in modo puro i Seeker possono avere dei figli solo con altri
Seeker,
per questo avvengono i matrimoni combinati. Ormai non sono rimasti
più molti
Seeker puri e quelli che ci sono devono essere preservati.-
-Aspetta. Vuoi dire che
anche i tuoi genitori
si sono sposati per un matrimonio combinato?- chiese incredulo.
-Sì, ma il nostro
è un caso a parte-,
intervenne mio padre con un sorriso. –Calliope ed io eravamo
cresciuti insieme
e ci siamo innamorati prima che i nostri genitori decidessero di farci
sposare.-
-Capisco. E’ per
questo che voi Seeker avete
tutti gli occhi di quel colore?-
-Il colore dei nostri
occhi-, continuai
cercando di essere il più chiara possibile, –ha
una funzione puramente pratica.
Quando un fantasma possiede il corpo di un Seeker gli occhi di quel
Seeker
assumono immediatamente il colore degli occhi del fantasma proprio
perché in
realtà i nostri occhi non hanno un vero e proprio colore. In
questo modo se un
Seeker è posseduto il suo Guard o altri Seeker se ne
accorgono subito.-
-E gli occhi dei Guard
invece?- continuò lui.
–Come mai anche noi Guard abbiamo gli stessi occhi?-
-E’ per permettere
a noi Seeker di
riconoscervi. Esiste un solo Guard per ogni Seeker, i loro geni si
riconoscono
in base ai loro caratteri e alle attitudini comuni.-
Blake mi fissò
per un attimo.
-Quindi il tuo gene S ha
scelto me…-, osservò
lui incredulo.
-Sì,
neanch’io ci potevo credere ma non
possiamo farci nulla è andata così. Sinceramente
ho sempre sperato che il mio
Guard fosse una donna, voi uomini siete stupidi e ingestibili ma non
sempre si
può avere tutto dalla vita.-
-Scusa tanto se non sono
quello che volevi-,
rispose lui risentito. –Io neanche ci volevo entrare in tutta
questa storia. Se
solo quel mio parente non fosse stato un Seeker…-
-Chi ha deciso di chiamarti
Jason?- chiese
all’improvviso mio padre.
Blake ed io ci voltammo a
guardarlo.
-Perché me lo
chiede?-
-Ai Seeker e ai Guard non
vengono dati nomi a
caso-, cominciò a spiegare mio padre. –Io mi
chiamo Hermes, poi c’è Cassandra,
Dafne, Calliope… Non ti suonano particolari come nomi?-
Blake ci pensò un
attimo e poi gli parve di
capire.
-Sono tutti legati alla
mitologia…-
-Esatto, lo facciamo per una
questione di
identificazione. Anche Jason è un nome mitologico quindi, se
è stato uno dei
tuoi parenti a sceglierglielo probabilmente è lui il Seeker.-
-Mia madre mi ha sempre
detto che quando era
piccola suo padre le ripeteva in continuazione che se avesse avuto un
figlio
con gli occhi azzurri avrebbe dovuto chiamarlo Jason.-
-Quindi è tuo
nonno il Seeker… Come si
chiama?-
-Warren. Icarus
Warren… Non avrei mai pensato
che il suo nome fosse legato ai Seeker, ho sempre creduto che fosse
strano ma
mai fino a questo punto.-
-Icarus Warren?!-
l’incredulità che avevo
messo in quel nome appena sussurrato era evidente anche nelle voci di
mio padre
e Dafne che lo avevano pronunciato esattamente nello stesso modo.
-Tu… Tu sei il
nipote di Icarus Warren?-
chiese papà con lo stupore di un bambino che aveva appena
visto l’albero della
Cuccagna.
Blake guardò mio
padre confuso, poi mi rivolse
uno sguardo ancora più confuso e si limitò ad
annuire.
-Sì, mio nonno si
chiama così. Perché? Lo
conoscete?-
Dire di conoscere Icarus
Warren è quasi un
insulto al mondo dei Seeker.
-Icarus Warren non
è stato solo un semplice
Seeker-, cominciai io cercando di far capire a Blake tutta
l’importanza
nascosta dietro a quel semplice nome. –Icarus Warren
è una leggenda.-
Blake mi fissò
sorpreso mentre mio padre decise
di intervenire.
-Non è ancora il
momento di parlare di tuo
nonno, Blake. Per poter capire fino in fondo quello che lui
è stato per noi
Seeker devi prima capire chi siamo veramente ma soprattutto contro cosa
combattiamo perché devi…-
-Sta
parlando come se io avessi accettato di diventare un Guard-,
cominciò Blake
fissando mio padre dritto negli occhi. –Non voglio tutto
questo e non ho
intenzione di entrare nel vostro mondo.-
-Tu non capisci-, intervenni
senza riuscire a
fermarmi. –Non c’è nulla da accettare le
cose stanno così e basta. Non puoi
scegliere di non essere un Guard, fa parte di te.-
Era vero. Ormai il gene S di
Blake si era
risvegliato e aveva riconosciuto il mio. Non c’era niente che
lui potesse fare
per rinnegare il suo destino. Era legato a me per sempre.
-Che significa che non posso
scegliere?-
Sentivo il suo stato
d’animo. Come sua Seeker
avrei avvertito i suoi sentimenti in ogni situazione. Paura.
Incertezza. Voglia
di scappare. Era questo che avvolgeva l’aura di Blake in quel
momento. Ma non
poteva farlo, il gene S non glielo avrebbe permesso.
-Non puoi scegliere, Blake-,
disse mio padre
con tono comprensivo. –Il gene S non dà questa
possibilità. Una volta che si
attiva nel momento in cui Cassie si troverà in pericolo o
sotto il controllo di
un’anima, tu correrai da lei, sentirai il bisogno di aiutarla
e di proteggerla.
Questo è il potere del gene S, un potere a cui non potrai
sottrarti.-
-Sono un tipo forte. Gene S
o meno, riuscirò a
non farmi coinvolgere in questa pagliacciata.-
Mio padre lo
fissò con occhi comprensivi ma io
sapevo che quel suo sguardo non era così innocuo come poteva
sembrare. Hermes
Hyde aveva qualcosa in mente, me lo sentivo.
-Va bene, Blake-,
cominciò con voce calma. –Se
sei convinto di riuscire a resistere al richiamo del gene S, io non ti
costringerò in alcun modo a diventare il Guard di Cassie.-
-Cosa?!-
Quell’esclamazione
sorprese anche me,
soprattutto perché era uscita proprio dalla mia bocca prima
che la ragione
potesse bloccarla.
-Papà! Esiste un
solo Guard per ogni Seeker.
Se Blake non…-
-Cassie-, il tono categorico
di papà riuscì
quasi a spaventami, il che era tutto dire visto che mio padre era la
persona
più pacata del mondo. In genere ero io a rimproverare lui.
–Non possiamo costringere
qualcuno a fare quello che gli chiediamo contro la sua
volontà.-
E da quando la
volontà contava qualcosa se
c’era il gene S di mezzo?
A me non era mai stata data
alcuna possibilità
di scelta.
-Quindi, Blake, se questa
è la tua decisione
definitiva, puoi anche andare.-
Blake si alzò in
piedi e guardò mio padre con
un misto di sollievo e gratitudine. Lui non lo conosceva, non poteva
sapere che
stava escogitando uno dei suoi piani. Finalmente il mio Guard si era
manifestato e dubitavo fortemente che mio padre se lo sarebbe lasciato
scappare.
-Nessuno di noi
verrà più a cercarti, questa è
una promessa.-
-La ringrazio, signor Hyde-,
la gratitudine di
Blake era quasi palpabile.
-Nel caso dovessi cambiare
idea potrai
rivolgerti a me o a Cassie quando vorrai.-
-Ne terrò conto,
ma non credo che ci sarà più
occasione di rivederci, signor Hyde. Tendo ad essere molto risoluto
nelle mie
decisioni.-
Adesso ne avevo davvero
abbastanza! Quei due
stavano farneticando!
-Io non posso essere una
Seeker se no ho un
Guard, non passerò mai di livello in questo modo. Anzi, non
ce lo avrò neanche
un livello! E come la mettiamo con l’Organizzazione?!-
-Ora basta, Cassie. Ormai
Blake ha deciso.
Troveremo una soluzione, forse posso fare in modo che Dafne sia anche
la tua
Guard.-
Ma di che diavolo stava
parlando?! Lo sapeva
benissimo che non si poteva fare. Non avrebbe mai funzionato.
-Per favore, Dafne. Riporta
Blake a casa sua.-
Mi voltai a guardare Dafne
che se n’era stata
in silenzio tutto il tempo.
-Signora Hyde, non occorre
che mi
riaccompagniate. Posso prendere tranquillamente un autobus, non vorrei
crearvi
disturbo.-
Quel ragazzo era davvero
troppo educato per i
miei gusti. Senza contare che a causa del suo rifiuto adesso mi
ritrovavo in
una situazione davvero spiacevole. Non avrei mai potuto fare il mio
ingresso
nell’Organizzazione e i progetti di tutta una vita sarebbero
stati cancellati
di colpo. In più c’era il piccolo dettaglio della
morte: senza un Guard non ci
sarebbe stato nessuno a proteggermi durante il contatto corporeo con le
anime.
Sarei stata completamente in balia di qualche defunto megalomane.
-Non ci sono autobus che
passano in questa
zona, e comunque non mi costa niente accompagnarti a casa, sarei dovuta
uscire
in ogni caso.-
Dafne era proprio quella che
mi stava
sorprendendo di più. Aveva atteso il momento di conoscere il
mio Guard almeno
quanto me e adesso si rassegnava senza combattere. Stentavo quasi a
riconoscerla.
-Va bene, allora accetto il
passaggio.-
Guardavo tutta la scena e mi
sentivo come una
spettatrice davanti alla TV.
Blake salutava mio padre con
una stretta di
mano, si rimetteva lo zaino in spalla e seguiva Dafne fin fuori la
porta
lanciandomi solo una veloce occhiata.
Possibile che fosse finito
tutto così? Avevo
finalmente trovato il mio Guard e dovevo lasciarlo andare solo
perché era un
bambino cocciuto che non voleva affrontare la realtà?
E no! Non poteva finire
così! Non lo avrei
permesso!
Stavo per uscire di corsa
dalla stanza e
correre dietro a Blake quando mio padre mi afferrò per un
polso costringendomi
ad arrestare la mia corsa.
-Se vuoi che il tuo Guard
torni da te,
seguirlo è l’ultima cosa che devi fare. Fidati del
tuo papà bello ed
intelligente, per una volta.-
Mi divincolai dalla presa di
mio padre con un
gesto di stizza.
-Ma quale intelligente?! Hai
permesso che tua
figlia restasse senza un Guard. Questa è tutto tranne che
intelligenza!-
-Fidati di me, piccola.
Sarà proprio il tuo
Blake a tornare da te, senza che tu muova neanche un dito. O
quasi…-
Mio padre sorrideva ma io
ero più irritata che
mai.
-Prima di tutto non
è il “mio” Blake. Secondo,
il tuo comportamento mi sta insospettendo. Lo so che hai in mente
qualcosa,
papà. E’ inutile che ti dica quanto questo non
contribuisca a tranquillizzarmi.-
-Oh, tesoro-, sorrise
ancora. –Devi solo
lasciar fare tutto a me, e ogni cosa andrà al suo posto.-
Stavo per ribattere quando
il fantasma di mia
madre oltrepassò la porta e si diresse fluttuando verso di
noi.
-Cal, ricordi quella tua
amica di cui mi
parlavi questa mattina?-
Cal sorrise e
annuì con un viso sereno e
contento.
-Puoi invitarla a venire
qui? Penso di aver
trovato un modo per risolvere il suo problema.-
-La chiamo subito-, rispose
Cal sorridendo
gioiosa.
Sparì e dopo un
attimo riapparve nello stesso
punto ma al suo fianco adesso c’era il fantasma di una
giovane donna. L’aura
intorno a lei era grigio fumo, quindi era una suicida. Una ragazza
così bella,
con meravigliosi occhi scuri e lucenti capelli biondi lunghi fino alla
schiena,
aveva deciso, per un qualche oscuro motivo, di suicidarsi.
Chissà
perché?
Il suicidio era proprio uno
degli aspetti
dell’animo umano che ancora stentavo a capire, nonostante
nella mia vita avessi
sempre avuto a che fare con la morte.
-Lei è Jane-,
cominciò Cal non rinunciando
alla sua espressione gioviale. – Si è suicidata
dopo che il marito l’ha
abbandonata ed è andata a vivere con la sorellastra di lei.-
Okay, non dico che era un
buon motivo per
suicidarsi… Però, poverina. Non era stato facile
da affrontare, e in effetti
aveva rinunciato, aveva deciso di non affrontarla quella situazione
così dolorosa.
-Come mai sei rimasta sulla
Terra, Jane?-
chiesi con tono gentile. Era importante scoprire quale fosse la sua
faccenda in
sospeso.
-Voglio che Rick muoia-, lo
disse con un tono
talmente piatto che un brivido mi percorse la schiena. –E
voglio essere io ad
ucciderlo.-
Spalancai gli occhi
sorpresa.
-Avevo intenzione di seguire
questo caso
complicato proprio oggi pomeriggio ma visti i recenti sviluppi direi
che te ne
puoi occupare tu, Cassie.-
Quelle parole ci misero
qualche secondo per
essere assimilate in modo corretto dal mio cervello. E anche
così non ero
riuscita a capirle del tutto.
-Che hai detto?-
Mio padre mi
guardò con un sorriso.
-Voglio che sia tu ad
effettuare il contatto
con Jane.-
-Papà, ma sei
uscito fuori di testa?! Vuoi che
io abbia il mio primo contatto anima-Seeker con una che vuole uccidere
il
marito e per di più senza avere un Guard ad aiutarmi?!-
Il sorriso di
papà si allargò mentre io
cominciavo a sentirmi davvero terrorizzata, come se non riconoscessi
più l’uomo
che avevo di fronte.
-Tesoro mio, vedrai che alla
fine di questa
giornata tutto sarà andato al suo posto.-
Lo fissai con gli occhi
spalancati.
-Jane, cara-,
cominciò rivolto verso il
fantasma. –Se diventerai un tutt’uno con il corpo
di questa ragazza potrai
finalmente avere la tua vendetta e trovare la pace eterna.-
Un sorriso si dipinse sulle
labbra di Jane
mentre fissava i suoi occhi scuri nei miei.
Accadde tutto velocemente.
Un attimo prima fissavo
quegli occhi magnetici
e impregnati di tristezza intrappolati in un volto delicato e privo di
vita, e
l’attimo dopo li rividi intrappolati in un viso pallido ma
vivo. Un viso che
conoscevo bene perché era il mio viso.
Jane si era impadronita del
mio corpo
separandolo totalmente dalla mia anima.
Era da una vita che mi
preparavo ad affrontare
il mio primo contatto anima-Seeker ma non avrei mai immaginato che
sarebbe
stato così… naturale.
Adesso il mio corpo
apparteneva a Jane ed io
ero diventata il fantasma. Era una sensazione così strana.
Vedevo le mie mani e
i miei piedi e sapevo che ero assolutamente incorporea, eppure sentivo
uno
strano formicolio in tutto il corpo che mi ricordava una cosa
fondamentale: io
esistevo. Anche se non più nel mio corpo continuavo ad
essere viva.
-E’ una cosa
fantastica…-, quella frase
sussurrata con tanto stupore dalla mia voce mi riportò
bruscamente alla realtà.
Perché la voce era la mia ma non ero stata io a parlare.
Jane osservava il mio corpo,
cominciò a
toccarsi la guance e le braccia. Era incredula e allo stesso tempo
entusiasta.
-Ora che ho un corpo
potrò finalmente avere
quello che desidero da cinque lunghi anni. Rick è un uomo
morto ormai.-
Jane mi lanciò
un’ultima occhiata e sfrecciò
fuori dalla porta prima che io avessi il tempo di pronunciare una solo
sillaba.
-Che aspetti?- mi chiese
papà con un sorriso.
–Seguila e fermala.-
-Ma come faccio senza Guard?
Da sola non ho
alcun potere…-
-Anche se senza Guard sei
comunque una Seeker
ed è tuo dovere fare qualcosa.-
Fissai mio padre incredula.
La faceva davvero facile
lui, stava scaricando
tutte le responsabilità su di me.
Sapevo che i fantasmi non si
spostavano come
gli umani. A loro bastava usare l’apparizione come mezzo di
trasporto. Quindi
mi concentrai intensamente sul mio corpo, quello che adesso possedeva
Jane, e
un istante dopo mi ritrovai seduta sul sedile posteriore di quella che
sembrava
indiscutibilmente la mia macchina.
Jane era al volante e aveva
un ghigno
inquietante che sfigurava quello che fino a pochi minuti prima era
stato il mio
corpo.
-Adesso, mio caro Rick, ti
farò una bella
sorpresa.-
Sussurrò quella
frase con così tanto odio e
soddisfazione che mi crebbe dentro una rabbia così intensa
da farmi quasi
bruciare.
Non potevo credere di dover
affrontare da sola
una pazza suicida, e tutto perché mio padre era uscito fuori
di testa e il mio
Guard aveva deciso di abbandonarmi senza neanche provare ad accettare
una
realtà che, volente o nolente, era anche sua.
Maledetto Jason Blake!
***L'Autrice***
Ed eccomi arrivata con il secondo capitolo di questa
storia...^^
Spero che vi sia piaciuto. Purtroppo del terzo ho scritto solo un paio
di pagine e non so quando riuscirò a pubblicarlo, comunque
cercherò di non farvi aspettare troppo...^^
Come avete visto il nostro Jason fa a tutti gli effetti parte
del mondo dei Seeker, anche se per il momento sembra parecchio
reticente nell'accettarlo. Direi che comunque il padre di Cassie sembra
piuttosto deciso nella sua decisione, anche se a quanto pare ha messo
parecchio in pericolo la vita della figlia... Chissà se
Blake deciderà di aiutarla... xD
Mancano alcune risposte alle recensioni,
continuerò a rispondere immediamente... ^^
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Capitolo 3 *** Il Potere Del Gene S ***
Ghost Seeker- Capitolo 3
Capitolo 3: Il
Potere Del Gene S (Blake)
Per tornare alla normalità dovevo solo fingere
che quel pomeriggio non fosse successo nulla, come se non fosse mai
esistito.
Per farlo dovevo aspettare di essere a casa visto che per il momento
ero ancora
intrappolato in un’automobile alla cui guida c’era
la Guard del signor Hyde,
Dafne.
Eravamo a
metà strada ormai e per tutto quel
tempo nessuno di noi due aveva spiccicato una sola parola.
Fondamentalmente ero
davvero grato a quella donna dato che ero certo del fatto che il signor
Hyde le
avesse detto di accompagnarmi a casa per convincermi a diventare il
Guard di Cassie.
Non avevo alcuna
intenzione di accettare un
evento del genere.
La mia vita andava
bene così, non volevo che
si complicasse aggiungendoci cose superflue come il dover difendere una
Seeker
dai fantasmi che l’avrebbero posseduta. Mi sentivo un matto
soltanto nel
pensarle certe cose talmente assurde da essere invece così
vere.
Forse avevo davvero
messo Cassie in
difficoltà. Aveva parlato di un’organizzazione,
ma, fino a prova contraria, la
mia sanità mentale era molto più importante di
una ragazza che conoscevo da
poche ore. Per quanto mi sentissi legato a lei in modo quasi morboso,
come se
avessi potuto avvertire continuamente la sua presenza, anche se eravamo
lontani, rimaneva che dovevo in ogni modo contrastare
quell’istinto perché non
era reale.
-Stai pensando a
Cassie?-
Sussultai nel
sentire quelle parole come se
Dafne me le avesse urlate direttamente nel timpano.
-Scusa se mi sono
intromessa, ma so che faccia
ha un Guard quando sente l’aura del suo Seeker.-
Guardai il profilo
di quella donna così bella.
Sembrava talmente giovane ma mostrava una maturità quasi
sovrannaturale.
-E’ una
cosa nuova per me ma sto cercando di
non pensare a Cassie. Come sai, non voglio farmi coinvolgere in questa
storia di…
fantasmi. In fin dei conti basterà che mi abitui al fatto di
vedere gente morta
camminare per strada, non credo che sia questo grande problema.-
-Se lo dici tu.-
-Più che
altro stavo ripensando a quello che
ha detto Cassie riguardo all’organizzazione e ai livelli. Che
cosa voleva
dire?-
Dafne rimase in
silenzio per qualche secondo
continuando a fissare la strada.
-In teoria non
potrei rivelarti certe cose
visto che hai rifiutato di accettare la tua natura di Guard. Non credo,
però,
che ci sia nulla di male a parlartene, dopotutto dubito che lo
riferirai mai a
qualcuno.-
-Be’
diciamo che ancora non ho voglia di
indossare una camicia di forza.-
Dafne sorrise
voltandosi a guardarmi per un
attimo e tornò a fissare la strada.
-I Seeker non
agiscono in modo arbitrario. C’è
un’organizzazione a monte che protegge le identità
dei Seeker e ne regola le
azioni.-
Osservai Dafne a
bocca aperta mentre lei
continuava il suo discorso.
-Questa
Organizzazione si chiama Tripla S,
cioè Supernatural Sociaty of Seeker.
E’ stata fondata intorno all’anno 1000 da un
ristretto gruppo di Seeker che
avevano deciso di far fronte comune per risolvere almeno in parte il
problema
del trapasso delle anime.-
-E già
allora erano a conoscenza del gene S?-
Vista la tecnologia
praticamente inesistente
dell’epoca, mi sembrava abbastanza improbabile che potessero
conoscerlo.
-No, il gene S
è stato scoperto da un giovane
Seeker, quasi quarantacinque anni fa. Era uno scienziato brillante, e
analizzando attentamente dei campioni del suo stesso DNA
scoprì che nei Seeker
i cromosomi sessuali sono legati da un sottile filamento di DNA. A
prima vista
sembrava proprio a forma di S, per questo decise di chiamarlo Gene S-
Sbattei le palpebre
più volte mentre
cominciavo a sentirmi ancora più confuso.
-Quindi
anch’io ho questo pezzo di DNA in
più?-
-Sì, ma
quello di noi Guard non è grande e
visibile come quello dei Seeker, e molti pensano che sia per questo che
noi non
possiamo avere un contatto completo con le anime. A parte questo e il
colore
degli occhi abbiamo le stesse doti dei Seeker.-
Anche se non avrei
dovuto stavo cominciando
davvero a incuriosirmi.
-Quali sarebbero
queste doti?-
-Velocità,
forza, intelligenza. In confronto a
quelle di un comune essere umano, queste caratteristiche in un Seeker o
in un
Guard sono nettamente superiori.-
-Eppure io non mi
sento diverso rispetto a
stamattina. Non credo di essere più forte, più
veloce o più intelligente.-
Dafne sorrise
divertita.
-Questo
perché il tuo Gene S si è appena risvegliato.
Dagli qualche giorno e ti sentirai una persona completamente diversa.-
La cosa
m’incuriosiva davvero ma di certo non
avevo intenzione di diventare un Guard. Ero solo curioso, tutto qui.
-E invece la storia
dei livelli cos’è?-
-Be’…
Ogni Seeker forma una squadra con il suo
Guard e in base alla loro esperienza ottengono un livello. Il livello 1
è
quello base, sono Seeker giovani e alle prime armi a cui vengono
affidati
incarichi piuttosto semplici.-
-Tu a che livello
sei?-
-Hermes ed io siamo
una squadra di livello 3,
chiama S3 Hermes. Siamo i Seeker ancora sul campo più
esperti, dato che dal
livello 4 in su le cose cambiano un po’.-
-In che senso?-. Ero
cosciente del fatto che
la mia curiosità mi stava mettendo in una situazione
piuttosto scomoda ma non
potevo fare a meno di voler sapere.
-I Seeker di livello
4 sono i responsabili
delle basi che la Tripla S ha sparse in tutto il mondo. Quindi, in
pratica,
sono quelli che danno gli ordini a noi Seeker di livello inferiore.-
Non avrei mai
immaginato che dietro a tutta
questa storia di Seeker ci fosse un’organizzazione
così ben strutturata.
-Il capo di tutto
è il Seeker di livello 5.
Solo pochi Seeker di livello 4 sanno chi è ma fanno un
giuramento per
proteggere l’identità del Seeker di livello 5. Lui
non interviene mai, dirige
tutto dall’alto senza mai mostrarsi.-
-Come mai
è così? Non dovrebbe combattere
anche lui in prima linea o almeno aiutare i suoi subordinati?-
Dafne sorrise ancora.
-Lui è il
Seeker più potente, non ha bisogno
di farsi vedere per incoraggiarci. Sappiamo che se dovesse succedere
qualcosa
di davvero grave lui sarebbe lì per noi. Per il momento
possiamo cavarcela
benissimo da soli sotto le sue direttive.-
Il tono di voce di
Dafne rasentava davvero la
venerazione, sembrava quasi che stesse parlando di una specie di
divinità.
-Lo rispettate
parecchio-, commentai sorpreso.
-Lo so che
può sembrare strano ma affrontare
tutta questa circostanza sapendo che c’è qualcuno
che comunque vadano le cose
ti proteggerà, aiuta davvero a non diventare completamente
pazzi.-
Scese uno strano
silenzio. Tutte quelle
informazioni mi avevano… sorpreso. Ero curioso di conoscere
la storia dei
Seeker e dei Guard ma non volevo far parte di quel mondo. Il mio
desiderio era
di finire il liceo in santa pace e poi cominciare a lambiccarmi il
cervello per
riuscire a capire cosa avrei voluto fare della mia vita, esattamente
come un
qualsiasi altro ragazzo americano della mia età. Magari
frequentare un college,
entrare in qualche strana confraternita, ma di certo le mie ambizioni
non
comprendevano il dare la caccia alle anime per consentire loro il
trapasso.
-Posso farti una
domanda?- mi chiese Dafne
gentilmente.
-Certo.-
-Cos’è
che ti spaventa di più del fatto di
essere un Guard? I fantasmi, i poteri, le missioni?-
Il suo tono era
normale, come se mi avesse
chiesto quale fosse il mio cibo preferito e la cosa
m’inquietò. La calma di
Dafne mi rendeva nervoso.
-Non sono spaventato
da niente di tutto ciò,
per quanto l’idea di avere a che fare con qualcosa di
assolutamente irrazionale
possa stranirmi.-
-E allora
cos’è?-
-Non voglio perdere
il controllo della mia
vita-, risposi fissando il profilo della donna, che non distoglieva gli
occhi
dalla strada. –Se accettassi il mio ruolo sarei costretto a
prendere ordini da
gente che neanche conosco e dovrei avere a che fare con cose
più grandi di me.
Ci ho messo una vita a non sentirmi più il tizio
più strano e sfigato
dell’Universo, non ce la farei ad affrontare tutto questo. Ho
imparato a
riconoscere ciò che voglio e a ottenerlo. Quello che adesso
desidero è essere
normale.-
Dafne sorrise con
una smorfia molto attraente.
-Perché
ridi?-
-Le tue
parole… Mi ricordi Cassie.-
Cassie. Cassie.
Cassie!
Sempre lei!
Anche mentre parlavo
con Dafne, anche mentre
la mia mente doveva essere occupata continuavo a sentire una specie di
doppio
filo che mi legava a lei. Come se una parte del mio cervello avesse
innalzato
un monumento a quella stramba ragazza e stesse sempre lì in
adorazione
ricordandomi ogni secondo che lei esisteva e che io ero… suo. Non in senso romantico, era
più come se fossi una sua proprietà
e la cosa m’infastidiva.
Forse avevo
già perso ogni controllo sulla mia
vita senza neanche accorgermene.
-Lei è
come te-, continuò Dafne senza
aspettare una mia risposta. –Non credere che lei abbia sempre
accettato il suo
destino. Dopo la morte di sua madre voleva abbandonare questo mondo,
odiava i
Seeker e l’organizzazione. Come te, aveva intenzione di
riprendere il controllo
della sua vita ma poi si è resa conto di non poterlo fare.
L’ha accettato solo
sperando di non dover essere più sola, di poter avere
qualcuno al suo fianco
che la supportasse e l’aiutasse a sentirsi meno strana.
Vedere me accanto a suo
padre, vedere che un Guard poteva essere così importante per
un Seeker le aveva
ridato fiducia ma ora…-
Ora io le avevo
rovinato la vita. In sostanza
era questo che Dafne stava cercando di dirmi.
-Tu non hai colpa,
Blake-, mi rivolse un
sorriso quasi materno. –Non possiamo pretendere che tu
accetti passivamente che
la tua vita venga stravolta, e Cassie è abbastanza forte da
riuscire a superare
le missioni e le dure prove che l’aspettano anche senza di
te, senza il suo
Guard.-
-Uhm-,
annuì spostando il mio sguardo fuori
dal finestrino, notando un piccolo gruppo di gente che aveva indosso
degli
strani abiti anni ’30. Probabilmente erano fantasmi.
Sì,
Cassie era una tipa tosta. Non si sarebbe
lasciata scoraggiare dalla mia assenza, ne ero certo.
Eppure… Eppure non
riuscivo a non sentirmi in ansia. Ero in pensiero per lei e per il suo
futuro,
non volevo che Cassie dovesse affrontare tutto da sola.
Dafne mi stava
incastrando! Lo avevo capito,
non ero stupido.
Forse non
c’era neanche bisogno che provasse a
convincermi perché a un tratto di mi resi conto che
lentamente stavo
cominciando a mettere Cassie al di sopra di tutto, anche della mia
vita.
-Tu lo sapevi, vero?-
-Cosa?- mi chiese
lei sorpresa.
-Che la mia mente mi
avrebbe fatto questo
scherzetto da manuale.-
Non ero arrabbiato,
stava accadendo tutto
senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Non potevo contrastare
qualcosa
che partiva da me.
-Sono una Guard,
Blake. So quello che stai
provando e so che non lo si può annullare o dimenticare come
stai cercando di
fare tu.-
-Non ci ho neanche
provato ad annullarlo-,
ammisi abbassando lo sguardo e cominciando a fissarmi le mani
abbandonate sulle
mie gambe. –Mi chiedo solo se sarà sempre
così?-
-Dipende da cosa
intendi.-
-Se per me Cassie
sarà sempre il primo
pensiero, se la mia vita girerà sempre intorno alla sua, se
la sua incolumità
sarà sempre più importante della mia, se
avrò sempre voglia di vederla come in
questo momento.-
Cassandra Hyde stava
diventando una specie di
ossessione. Quella parte del mio cervello che la venerava diventava
sempre più
grande e potente.
Dafne mi
lanciò uno sguardo strano.
-Sì,
sarà sempre così. Anche se…-
“Blake,
aiutami!”
Un brivido di
terrore mi percorse la schiena.
-Fermati!- esclamai
con urgenza.
-Cosa
c’è?-
-Fermati, ti ho
detto!-
Il mio tono quasi
disperato doveva averla
convinta perché accostò immediatamente fermando
l’auto.
-Che succede,
Blake?-
“Ti
prego, Blake. Non posso farcela da sola.”
-Cassie!-
-Blake, che diavolo
sta succedendo?- il tono
di Dafne era preoccupato.
-Cassie,
è in pericolo…-, mormorai con sguardo
vitreo fissando dritto davanti a me.
-Okay, Blake. Adesso
devi concentrarti. - Mi poggiò
una mano sul braccio per cercare di darmi forza. –Devi
comunicare con lei, devi
riuscire a scoprire dove si trova.-
Annuì e
chiusi gli occhi per precludere il
mondo esterno.
“Cassie”
pensai con intensità. “Cassie,
sono
Blake.”
“Blake?!
Allora mi senti…” il suo tono si
tranquillizzò improvvisamente.
“Sì.
Ti
sento…” Avrei voluto dire che la sentivo
sempre, che la sua presenza nella
mia mente era praticamente costante, ma non mi sembrava il caso. “Che succede? Dove sei?”
“Il
fantasma di una pazza assassina ha preso
possesso del mio corpo. Vuole vendicarsi e uccidere il suo ex marito.
Non so
che fare!”
“Cassie
adesso calmati, sto arrivando.”
Non potevo credere
di averlo detto. Stavo
davvero per andare a salvare Cassie. Mi stavo catapultando in quel
mondo che
avevo rifiutato senza neanche provare un minimo di paura o
d’incertezza.
All’inizio non capii perché ma poi tutto mi fu
chiaro: Cassie.
Lei
era in pericolo.
Lei
era sola.
Lei
aveva bisogno di me e io volevo
aiutarla.
“Blake,
sono…”
“So
dove sei Cassie, ti sento perfettamente.
Resisti, tra poco sarò lì.”
Riaprii gli occhi di
scatto e mi voltai verso
Dafne che mi guardava con aria di apprensione.
-Metti in moto,
dobbiamo andare da Cassie.-
Probabilmente avevo
uno sguardo così
determinato che Dafne non si soffermò a fare altre domande
ripartendo
velocemente e dirigendosi esattamente dove le avevo detto.
-Che succede, Blake?-
-Un fantasma. Ha
preso il corpo di Cassie.-
Non riuscivo a stare
fermo, l’ansia mi stava
divorando.
-Accidenti! Cassie
è ancora una Seeker alle
prime armi, dobbiamo fare presto, prima che sia troppo
tardi…-
-Troppo tardi?!-
quasi urlai.
-Cassie non ha
ancora il pieno controllo del
suo spirito quando è fuori dal suo corpo e se dovesse
perdere completamente il
contatto potrebbe restare… Potrebbe restare un fantasma per
sempre. Non ci rimane
molto tempo.-
Quelle parole. Una
doccia gelata avrebbe avuto
un impatto minore sul mio corpo. NO! Non potevo permettere che
accadesse, non
potevo permettere che Cassie corresse un pericolo simile.
-Che devo fare?-
chiesi con sicurezza. –Dimmi
come posso aiutarla.-
Dafne mi
lanciò uno sguardo preoccupato e poi
tornò a fissare la strada.
-Non so se ne sarai
in grado, Blake. Ci
vogliono mesi di addestramento per riuscire a diventare un vero Guard.
Potrebbe
essere troppo pericoloso per te…-
-Dimmi cosa devo
fare! Non m’interessa se mi
accadrà qualcosa, io la devo salvare!-
Dafne prese un
respiro profondo.
-Ogni Guard agisce
in modo diverso-, cominciò
cercando di essere il più chiara possibile. –Io
riesco a far ritornare Hermes
nel suo corpo tramite i miei occhi, fissando il corpo posseduto di
Hermes in un
modo particolare con un’energia che rilasciano i miei occhi,
posso far uscire
l’anima intrusa. Ma non lo so come tu ci potrai
riuscire… E’ soggettivo.-
Accidenti!
-Dovrai capirlo da
solo. Posso provare ad
usare la stessa tecnica con Cassie, ma non credo che potrò
fare qualcosa,
perché sei tu il suo Guard.-
-D’accordo-,
risposi con calma. –Riuscirò a
capire come fare.-
-Lo spero davvero-,
mormorò lei preoccupata.
Pochi minuti dopo
arrivammo nella zona
residenziale di S. Francisco. La via era composta da una serie di
villette con
prati curati e perfetti.
-Dov’è?-
mi chiese Dafne con urgenza.
Mi guardai intorno e
finalmente la vidi.
-Eccola!- esclamai
sollevato.
L’auto di
Cassie era parcheggiata davanti ad
una delle villette e lei stava scendendo. Chiuse lo sportello e rimase
a
fissare la casa con uno strano ghigno sul volto.
Fu allora che lo
vidi. Un fantasma apparve
accanto a Cassie, stava parlando ma lei non lo degnava di uno sguardo.
Ci misi
qualche secondo a capire che quello non era un fantasma qualsiasi,
era… Cassie!
Prima che Dafne
potesse fermarmi, mi
catapultai fuori dalla macchina.
-Blake! Aspetta!-
Sentii la sua voce
in lontananza, la mia
attenzione era tutta focalizzata sul corpo di Cassie che si muoveva
verso la
casa. No, non verso la casa ma verso un uomo che era chinato su delle
aiuole
del giardino.
“Cassie!”
pensai cercando di stabilire un contatto.
Il fantasma si
voltò e i suoi occhi opachi
incontrarono i miei. Una strana ondata di sensazioni mi travolse: il
sollievo
perché vedevo di nuovo i suoi occhi, la paura di non
riuscire a salvarla, la
felicità nel vedere l’intensità con cui
mi guardava.
“Blake,
dobbiamo fermarla.”
Ormai ero a pochi
metri dall’anima di Cassie
ma ugualmente non cominciammo a parlare, era inutile. Bastava
comunicare in
quel modo.
“Lo
vuole uccidere. Vuole uccidere quell’uomo
perché è stato per causa sua se Jane si
è suicidata.”
Finalmente la
raggiunsi e potei osservarla da
vicino. Era strana, non somigliava per niente agli altri fantasmi che
avevo
visto. Loro erano quasi reali, non trovavo differenze tra il loro
aspetto e
quello di un essere umano. Ma lei… Lei sembrava sul punto di
scomparire:
trasparente e pallida, completamente incorporea.
“Stai
bene?” era impossibile non accorgersi della mia
ansia.
“Non
mi
rimane molto tempo” mi fece un flebile sorriso. Se
era così disperata da
sorridermi le cose si stavano mettendo davvero male.
-Adesso ci penso
io-, mormorai usando di nuovo
le parole.
“Blake,
è pericoloso. Non sei pronto. Questa è
un’anima difficile da gestire, è vendicativa e ha
sete di sangue. Lo vuole
uccidere perché l’ha tradita e
abbandonata.”
La fissai mentre
diventava sempre più
incorporea.
“Mi
dispiace, Blake. Non avrei mai dovuto
coinvolgerti in tutta questa storia. Vai via, è troppo
pericoloso.”
Mi fissò
negli occhi preoccupata e
dispiaciuta.
Lei era quella che
stava per scomparire e
diceva a me di andarmene perché era troppo pericoloso
restare lì? Era
incredibile.
Sorrisi, cercando di
sembrare il più sicuro
possibile.
-Andrà
tutto bene, Cassie.-
Lei
spalancò gli occhi ma non le diedi il
tempo di rispondere. Jane si era avvicinata all’uomo che la
guardava sorpreso.
Riuscii ad
avvicinarmi abbastanza per poter
sentire quello che stava dicendo.
-Ciao, Rick.
E’ da tanto che non ci vediamo-,
il suo tono era neutro ma il ghigno malvagio che le sfigurava il volto
la
rendeva terrificante. Quel volto era di Cassie ma gli occhi non erano i
suoi.
-Ci conosciamo?-
Era sorpreso e
confuso. Si alzò e continuò a
guardare quella strana ragazzina che gli era piombata davanti.
“Blake,
fermati.”
Cassie era
preoccupata, lo sentivo
distintamente. L’avvertivo al mio fianco mentre mi dirigevo
verso Jane.
“Lasciami
fare, Cassie. Non permetterò che ti
succeda qualcosa.”
-Uhm… Non
dovrei sorprendermi che tu ti sia
dimenticato di me, anche quando ero in vita m’ignoravi, ormai
ci sono abituata.
Però non sono più disposta ad accettarlo.-
In quel momento la
vidi, stava per estrarre
qualcosa dalla tasca della giacca.
“E’
armata?”
“Ha
una
pistola” rispose Cassie.
“Dove
diavolo l’ha presa?”
“L’ha
rubata al poliziotto che l’aveva fermata
per eccesso di velocità. Lo ha messo al tappeto. Adesso lei
ha il mio corpo e i
miei poteri, non è come un essere umano qualsiasi.”
Avevo a che fare con
qualcosa che era davvero
più grande di me ma il desiderio di salvare Cassie vinceva
su qualsiasi mia
paura.
Prima che Jane
potesse tirare fuori la pistola
corsi verso di lei e le immobilizzai le braccia dietro la schiena.
-Chi accidenti
sei?!- urlò cercando di
divincolarsi.
-Non ti
permetterò di farle del
male-, le sibilai in un orecchio mentre il pover’uomo ci
guardava spaventato.
Farle?!
La mia paura era che
non facesse del male a
Cassie e non a quell’uomo.
Jane
riuscì a liberarsi dalla mia presa, era
molto più forte di quanto avessi immaginato. Si
voltò a guardarmi e i suoi
occhi scuri mi scrutarono con odio. Era così strano vedere
quegli occhi sul volto
di Cassie: sapevo che non era lei e alla fine era comunque lei. O
almeno era il
suo corpo, non potevo attaccarla.
Non feci in tempo a
finire di formulare quel
pensiero che Jane mi si avventò addosso colpendomi con un
pugno nello stomaco.
Il fiato si mozzò in gola e un dolore lancinante mi avvolse
l’addome.
L’avevo
sottovalutata.
Ma come poteva avere
un così perfetto
controllo del corpo e dei poteri di Cassie se fino a poco prima era
solo un
fantasma?
Alzai lo sguardo
giusto in tempo per vedere il
suo piede raggiungere il mio viso con un calcio. Un strano sapore
metallico si
diffuse in bocca fino a scivolarmi giù fino in gola.
Mi ritrovai in
ginocchio mentre i colpi di
tosse non mi permettevano di respirare.
-Blake! No! Vattene
via!-
Era stata Cassie ad
urlare. La guardai anche
se la vista si era appannata per il dolore e la vidi, lì a
pochi passi da me,
mentre mi guardava con apprensione. Ma quello che mi colpii fu il suo
aspetto:
era appena visibile. Il tempo era quasi scaduto.
“Perché
non reagisci?” mi chiese preoccupata mentre
osservai inerte Jane che si
avvicinava di nuovo a Rick che era rimasto immobile a guardarci.
“E’…
E’
il tuo… corpo Cassie. Non posso
ferirti…”
“Stupido!
Devi ferirmi, devi colpire Jane ed
impedire che uccida Rick o, peggio, che uccida te. Non ti preoccupare
per me,
fai solo in modo che Jane non porti a termine i suoi piani.”
Non avevo idea di
cosa fare, sarebbe stato
troppo rischioso colpire Cassie.
“Fallo
per me, ti prego Blake. Dammi ascolto.”
-Papà,
papà!-
Alzai di scatto lo
sguardo in direzione della
porta della casa. Una bambina con lunghi boccoli castani stava correndo
verso
di noi. Poteva avere al massimo tre anni e sorrideva contenta mentre
guardava
il suo papà.
Vidi gli occhi di
Jane riempirsi d’odio mentre
la sua mano si insinuava di nuovo all’interno della sua tasca
alla ricerca
della pistola. Non poteva! Non poteva fare del male anche a quella
povera
bambina innocente!
La rabbia
s’impossessò del mio corpo. Mi
rimisi in piedi di scatto e mi avventai su Jane proprio un attimo prima
che
puntasse la pistola su Rick e sua figlia.
Mi rialzai e, quando
vidi che anche lei stava
per farlo, le assestai un calcio in pieno stomaco.
-Jane! Vieni da
papà!- esclamò Rick
accogliendo la piccola tra le sue braccia e stringendola a
sé per proteggerla.
La Jane nel corpo di
Cassie si riprese dal
colpo e fissò Rick e la bimba.
-Chi sei tu? Che
vuoi da me?!- esclamò lui
spaventato.
La bimba se ne stava
tra le sue braccia
guardando Jane con i suoi occhioni impauriti.
-Sono…
Sono il passato-, rispose Jane abbassando
lo sguardo.
Mi voltai a guardare
l’anima di Cassie, ormai
era quasi scomparsa del tutto. Dovevo fare qualcosa… Ma
cosa?!
All’improvviso
avvertì la mano destra
formicolarmi come se si fosse addormentata. La guardai e vidi qualcosa
di
strano: un alone blu l’aveva avvolta, come una specie di
nebbiolina densa. La mano
si mosse da sola senza che io le dessi un comando. Sì
posò sul petto di Jane
dandole una spinta leggera e d’un tratto accadde:
l’anima di Jane uscì dal
corpo di Cassie che si accasciò.
Riuscii ad
afferrarla appena prima che
toccasse terra mentre proprio di fronte a me appariva un fantasma. Una
donna
dai lunghi capelli biondi e gli occhi scuri. Mi guardò e un
sorriso triste le
si dipinse sul volto.
-Mi dispiace-,
mormorò.
-Jane..-,
sussurrò Rick fissando il fantasma
davanti a me. Poteva vederla? Ma come? Non ci stavo capendo
più niente. –Sei
proprio tu?-
Jane
camminò lentamente verso Rick con un
sorriso amaro sulle labbra.
-Sì,
Rick. Sono io, o meglio, sono il fantasma
di Jane.-
Tenevo il corpo di
Cassie stretto a me e nel
frattempo avevo il cervello che mi pulsava dolorosamente. Non avrei mai
creduto
di assistere a una scena del genere.
-Le hai dato il mio
nome?- chiese con una nota
dolce nella voce.
-Io ti ho sempre
amata Jane e non potevo
dimenticarti. Quando ti ho lasciata l’ho fatto per te,
perché a te il mio amore
non bastava e lo sapevo. Non riuscivo a darti quello che volevi
perché
nonostante ci amassimo eravamo lontani, ormai non eravamo
più quelli di prima.
Io… Io non pensavo che tu… Che ti saresti tolta
la vita.-
Sentii il corpo di
Cassie muoversi tra le mie
braccia.
-Cassie…-,
bisbigliai guardando il suo viso
dalla pelle pallida.
Lei aprì
lentamente gli occhi e sbatté le
palpebre un paio di volte. Il mio cuore fece una capriola: erano i suoi
occhi,
quel colore così strano eppure così bello. Era
tornata!
Mi guardò
e poi si voltò a fissare Jane.
-Tocca a me adesso-,
mormorò. Si staccò con
calma da me e riuscì a camminare a fatica verso Jane.
Intorno a Jane si
creò una strana luce chiara,
più Cassie si avvicinava e più quella luce
diventava vivida e forte.
-Mi dispiace, Rick-,
continuò Jane sorridendo.
–Quello che è accaduto non è stata
colpa tua; lo sapevo che mi amavi, l’ho
sempre saputo ma la gelosia e l’odio mi hanno accecata. Vivi
per me e cresci la
tua bambina…-
-Non andartene,
Jane.-
-Non posso restare,
questo non è più il mio
posto.-
Cassie congiunse le
mani e chiuse gli occhi,
poi le divise e le posizionò sulla schiena di Jane. Sembrava
quasi che potesse
toccarla davvero, anche se era un fantasma. Le sue mani furono avvolte
dalla
stessa luce che aveva avvolto Jane fino ad assorbirla tutta.
L’alone di luce
intorno alle mani di Cassie era di un’intensità
assurda, mi facevano male gli
occhi a guardarlo.
La luce si
concentrò nelle mani di Cassie e
all’improvviso ritornò di colpo
nell’anima di Jane illuminandola completamente.
-Addio, Rick-,
sorrise a quelle parole, come
se fosse davvero in pace con se stessa e con il mondo. –Ti
amerò per sempre.-
Appena
pronunciò quelle parole la luce si fece
ancora più forte e poi scomparve. Così,
semplicemente, come se non fosse mai
esistita.
-Jane…-,
mormorò ancora Rick stringendo ancora
di più a sé la piccola.
-Jane è
andata via-, cominciò Cassie
sorridendo comprensiva. Un sorriso delicato, che rendeva il suo volto
quasi
angelico. –Adesso non ha più nulla che la leghi
ancora al nostro mondo, ha trovato
la via per essere felice.-
Rick la
guardò con le lacrime agli occhi.
-Adesso anche lei
può essere felice, Rick. Non
c’è più nulla in sospeso e la sua vita
può andare avanti. Non viva più nel
ricordo di Jane, lei non lo vorrebbe.-
-L’ho
fatta soffrire-, mormorò lui con voce
spezzata.
-Ma adesso lei non
soffre più e l’ha
perdonata. Si perdoni anche lei e vada avanti, non guardi
più al passato. Lo
faccia per…-
Cassie non
finì la frase, si portò la mano
alla testa e si aprì in una smorfia di dolore.
Mi affrettai a
raggiungerla prima che si
accasciasse a terra e la sorressi.
-Cassie-, il mio
tono era preoccupato come mai
lo era stato in tutta la mia vita.
-Lo faccia per
Jane-, terminò tenendo gli
occhi chiusi prima di perdere i sensi.
Guardai il suo volto
tranquillo. Probabilmente
era stravolta, il processo che aveva portato Jane alla pace eterna
doveva
averle risucchiato tutte le energie.
-Ma voi…
Chi siete?-
Guardai Rick con
ansia. Non sapevo cosa
rispondere.
-Siamo amici-, disse
una voce dietro di me.
Hermes!
-Non si sforzi di
capire quello che è appena
accaduto-, continuò Hermes con il suo solito sorriso
comprensivo. –Pensi solo a
vivere.-
Dafne apparve al
suo fianco e mi sorrise
felice.
-Hai trovato il tuo
potere da Guard, Blake-,
disse con tono orgoglioso. –E per essere la prima volta sei
stato davvero
bravissimo.-
-Io…-
-Cosa farai Blake?-
Guardai Hermes
confuso.
Cosa? Cosa avrei
dovuto fare? Mi ero
catapultato in quel mondo senza che nessuno di loro mi costringesse, ma
volevo
davvero farne parte? Volevo davvero passare la vita a dare la caccia ai
fantasmi?
Volevo davvero rinunciare a tutto quello che avevo per proseguire in
quella
pazzia che non aveva neanche un minimo di logica?
Abbassai lo sguardo
e mi ritrovai a fissare il
viso di Cassie. Era serena, un po’ pallida e provata, ma
stava bene. Ero
riuscito a salvarla e una meravigliosa sensazione di vittoria e
appagamento
prese il sopravvento all’interno della mia mente.
Volevo davvero
diventare un Guard?
Le palpebre di
Cassie si mossero quasi
impercettibilmente e la risposta mi fu chiara nella mente. Ora sapevo
quello
che volevo ma il mio corpo decise di abbandonarmi e
all’improvviso tutto venne
avvolto dalle tenebre e dall’oscurità.
Avevo appena
accettato il mio destino da
Guard.
Sarei diventato il Guard di Cassie.
***L'Autrice***
Alla fine un po' d'ispirazione per questa storia mi
è tornata e nonostante tutti i problemi che il mio pc mi sta
dando in questo ultimo periodo mi sono messa subito a scrivere, finendo
questo capitolo in poco tempo e cominciando subito a scrivere il
quarto. Devo dire che la trama di questa storia, almeno nella mia
testa, diventa sempre più complicata. Il mondo dei Seeker si
comincia a scoprire piano piano ma ci sono ancora molte cose da dire, e
che la mia mente partorisce quando meno me lo aspetto. ^^ Quando avevo
letto le recensioni ricordo che mi era stato chiesto se in ogni
capitolo Blake e Cassie affronteranno nuove missioni, come se fosse una
specie di telefilm. Devo dire che più o meno sarà
così, ma alla fine ogni missione li porterà ad un
obiettivo molto più importante e pericoloso. Durante questo
percorso il loro rapporto dovrebbe diventare sempre più
forte, portandoli a diventare sempre più uniti, sia come
Seeker e Guard, e sia come qualcos'altro... ^^ Lo sapete che sono
comunque un'inguaribile romantica. ^^
Nel prossimo capitolo ci saranno ulteriori spiegazioni
riguardo quello che è accaduto in questo, e conosceremo
anche la madre di Blake, colei che gli ha trasmesso il Gene S, in lei
non manifesto... ^^ Hermes darà diverse spiegazioni a Blake,
e assisteremo alla nascita della squadra "S1 Cassandra", il team
Seeker-Guard formato dai nostri protagonisti.
Spero che questa storia sia di vostro gradimento,
sinceramente è molto affascinate scriverla, anche se devo
ammettere di non avere delle vere e proprie basi riguardo l'argomento
dei fantasmi e dell'aldilà. Quindi se ci sono degli errori o
trovate delle incongruenze rispetto a quello che sapete voi, fatemelo
sapere, sono sempre contenta di imparare nuove cose, e magari mi
aiuteranno anche a migliorare la storia.
Un grazie enorme a tutte le persone che stanno seguendo
questa storia, e soprattutto per la pazienza che dimostrate per gli
aggiornamenti un po' sporadici, anche se spero di poter postare presto
il nuovo capitolo... La mia ispirazione è un po'
altalenante, non posso farci nulla... ^^
Un bacio!!!
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Capitolo 4 *** La Nascita Dell'S1 Cassandra ***
Ghost Seeker- Capitolo 4
Capitolo 4: La
Nascita Dell’S1 Cassandra (Cassie)
Mi sentivo strana. Era come se fossi sospesa
all’interno di una bolla d’aria. Sentivo di essere
cosciente ma allo stesso
tempo non lo ero come se ci fosse stato qualcosa che non mi permetteva
di
aprire gli occhi anche se in realtà lo volevo.
Cercai di sforzarmi
e di riuscire a capire
dove mi trovassi, o cosa fosse accaduto.
Ricordai di aver
avuto il mio primo contatto
anima-Seeker con Jane, e ricordavo una bambina e una pistola.
Cos’altro era
accaduto?
“Non
permetterò che ti succeda qualcosa.”
Spalancai gli occhi
nel ricordare quelle
parole e la persona che le aveva pronunciate. Blake!
Lui… Lui
era venuto da me, era venuto ad
aiutarmi e mi aveva salvata proprio poco prima che la mia anima
abbandonasse
completamente il mio corpo. Era stato tutto esattamente come aveva
previsto mio
padre, Blake non era riuscito a ribellarsi alla sua natura ed era
venuto da me.
No, era corso da me! Infischiandosene di tutto, persino di se stesso e
della
sua vita.
Ci misi qualche
secondo a ricordare tutto e a
capire dove fossi.
Mi guardai attorno
un po’ spaesata prima di
intuire che ero nuda e completamente immersa in una vasca piena di un
liquido
azzurro.
Era la Healthy Room,
così l’aveva
soprannominata mio padre quando l’aveva fatta costruire. La
stanza dove i
Seeker e i Guard potevano riprendersi dopo le missioni che in genere
prosciugavano tutte le energie, soprattutto in una Seeker alle prime
armi come
me. Mio padre la usava di rado ormai, era abbastanza esperto da non
averne più
bisogno troppo spesso.
Il liquido in cui
ero immersa era S.G.E, S
Gene Extract, un composto preparato dai biochimici della Tripla S. A
quanto mi
aveva detto mio padre era un concentrato di cellule contenenti il Gene
S,
modificate in modo da far accelerare il processo di guarigione.
Quel composto aveva
rappresentato una vera
svolta nel mondo dei Seeker, prima di quella scoperta potevano
sopportare solo
poche missioni nell’arco di una settimana, ma con quel siero
un Seeker riusciva
a portarne a termine anche due o tre in un giorno solo.
Mi misi a sedere
all’interno della vasca di
vetro e cominciai a guardarmi intorno. La stanza era esattamente come
l’ultima
volta che l’avevo vista: completamente bianca. Pavimento,
soffitto e pareti
erano di un bianco quasi accecante.
Notai un accappatoio
piegato con cura e posato
su una sedia. Mi alzai e subito un getto d’acqua calda
proveniente dal soffitto
lavò via i residui dell’ S.G.M che avevo addosso.
Strizzai con cura i miei
lunghi capelli neri e uscii con calma dalla vasca indossando il morbido
accappatoio blu e le infradito che stavano vicino alla sedia.
Mi passai la mano
sul viso per togliere le
ultime goccioline d’acqua e notai con piacere che non mi
sentivo per niente
stanca, anzi. Era come se tutte le energie fossero tornate in me
completamente
rinnovate e amplificate.
Mi voltai verso la
porta per uscire ma in quel
momento notai qualcosa.
Nella seconda vasca,
a pochi passi da me c’era
qualcuno e non mi serviva di certo chissà quale intuito per
capire chi fosse.
Raggiunsi la vasca e
fissai il viso di Jason
Blake ancora profondamente addormentato. Anche lui era immerso fino al
collo in
quel liquido blu che gli consentiva di riprendere le forze
più velocemente.
Per un Seeker non
era semplice gestire
un’anima intrusa ma anche il lavoro di un Guard non era
facile: permettere
l’uscita dell’anima intrusa dal corpo del Seeker
era un processo che comportava
una grande fatica sia fisica che mentale. Non mi stupiva che il corpo
di Blake
si fosse affaticato almeno quanto il mio.
Guardai il suo volto
tranquillo e sereno, le
sue palpebre chiuse e i suoi lineamenti dolci. Sembrava quasi un
bambino che
dormiva beato.
Non seppi il
perché ma la mia mano si mosse da
sola prima che potessi soffermarmi a pensare su quello che stavo
facendo. La
posai con delicatezza sulla sua guancia e lo accarezzai fino al mento.
“Non
permetterò che ti succeda qualcosa.”
Le sue parole mi
ritornarono in mente
all’improvviso.
Aveva rischiato
così tanto per me, senza che
io neanche glielo chiedessi. Anzi, lo volevo convincere ad andare via,
non
volevo che corresse dei rischi per salvare me.
Da una parte sapevo
che quella volontà di
salvarmi era dovuta alla sua ritrovata natura di Guard ma
dall’altra cominciavo
a preoccuparmi perché ero io a non essere normale. Un Seeker
non ha slanci di
protezione verso il suo Guard, a meno che non subentri un forte
rapporto di
fiducia o di amicizia. E di certo io non avevo avuto il tempo di
instaurare
qualcosa del genere con Blake.
Però in
quei momenti di pericolo avevo pregato
perché lui si mettesse in salvo, avevo il terrore che gli
potesse accadere
qualcosa.
Probabilmente era
solo il senso di colpa verso
qualcuno che avevo messo in pericolo, o almeno lo speravo. Non potevo
provare
qualcosa per lui, era un Guard e ai Seeker era proibito innamorarsi di
un
Guard, almeno quanto lo era innamorarsi di un essere umano normale.
No, non era un
sentimento romantico. Era solo
il senso di colpa. Punto.
Tolsi la mano dal
suo volto e avvicinandomi un
po’ sussurrai:
-Grazie, di tutto
Blake. Ti devo la vita.-
Glielo dissi in quel
momento perché una volta
sveglio non avrei mai avuto il coraggio di ammettere che gli ero
davvero grata,
il mio carattere non me lo avrebbe permesso.
Lo guardai ancora
qualche istante e mi voltai
per raggiungere la porta.
-Cassie!-
Il mio nome urlato
mi costrinse a guardarlo di
nuovo.
Si era messo a
sedere e si guardava intorno
spaesato con il respiro affannato e tremante.
-Blake- dissi
avvicinandomi preoccupata.
–Blake, va tutto bene. Sei a casa mia.-
Lui mi
guardò dritto negli occhi e l’azzurro
intenso con cui mi travolse mi destabilizzò. Mano a mano che
il suo sguardo si
tranquillizzava e il suo respiro diventava più regolare
anche la mia ansia nel
vederlo così impaurito cominciò a scemare.
-Stai bene?- mi
chiese subito posando una mano
sulla mia che era appoggiata sul bordo della vasca. –Cosa
è successo? Dov’è
Jane? E Rick?-
Quella mano,
abbassai lentamente lo sguardo su
quella mano posata sulla mia. La fissai mentre una strana fiammata
partiva da
quella mano e cominciava a diffondersi in tutto il mio corpo. Raggiunse
il
cuore e lo fece accelerare, e se non avessi avuto un autocontrollo
così
sviluppato probabilmente non sarei riuscita ad impedire anche alle mie
guancie
di diventare scandalosamente arrossate.
Tornai a guardare
Blake: il suo viso era
ancora teso e i suoi occhi azzurri e caldi cercavano delle risposte
all’interno
dei miei, ancora spaesati per tutte le emozioni che mi avevano
travolta.
-E’ andato
tutto bene, Blake-, cercai di
sorridere, ma non era nella mia natura riuscire a rassicurare le
persone con
dolci espressioni facciali, perciò il mio viso rimase
totalmente impassibile.
–Siamo riusciti a completare il trapasso di Jane e a salvare
Rick e la piccola.
Non ricordi nulla di quello che è successo?-
Stavo cercando di
non badare al fatto che la
mano di Blake era ancora sulla mia ma proprio non ce la facevo, ancora
un
minuto e sarei davvero arrossita.
-Ricordo che tu eri
in pericolo e che stavi
per sparire, e che quando ti ho visto in quello stato ho attaccato Jane
e poi
sono riuscito a far uscire la sua anima dal tuo corpo con…
con una strana luce
che mi usciva dalla mano.-
A quel punto
posò gli occhi sulla stessa mano
di cui aveva parlato e che era ancora posata sulla mia. La
fissò per un attimo
e poi la tirò subito via come se si fosse scottato.
-Ehm…
Scusa. Io… Devo...-, si guardava intorno
spaesato e imbarazzato mentre cercava un modo per tirarsi fuori da
quella
situazione. Se non fossi stata in imbarazzo anch’io
probabilmente mi avrebbe
fatto sorridere vedere Blake così in crisi.
-Io… O
cavolo!-
-Cosa?- chiesi
aggrottando la fronte.
-Che ore sono?!-
Mi voltai verso la
porta e guardai l’enorme
orologio bianco con i numeri rossi che segnavano le…
-Ti prego, dimmi che
sono le due del
pomeriggio e non della notte?- chiese lui con tono supplicante.
-Sono le due di
notte.- Delicata come un
macete ovviamente.
-Accidenti! Mia
madre mi ammazzerà! Sono
morto! Non mi ha ucciso Jane ma ci penserà mia madre a
finire il lavoro…-
Non feci in tempo a
provare a calmarlo che lui
si alzò in piedi. Spalancai gli occhi incredula mentre
usciva dalla vasca senza
neanche aspettare che l’acqua della doccia lo ripulisse
completamente dal
siero. Eppure non era stato questo a sconvolgermi ma il suo corpo
completamente
nudo che si trovava proprio davanti ai miei occhi.
-Blake!- esclamai
afferrando l’accappatoio blu
posato sulla sedia accanto alla sua vasca.
-Cosa? Devo tornare
subito a casa-, disse con
urgenza.
-Hai intenzione di
andare in giro per la città
completamente nudo?!- risposi cercando di tenere gli occhi bassi ma
ormai avevo
visto tutto quello che c’era da vedere.
-Cazzo!-
Gli lanciai
l’accappatoio e lo indossò subito
completamente rosso in viso.
-Tranquillo, non ho
visto niente-, cercai di
imbastire quella bugia ma dubitavo che lui ci credesse, visto che il
mio tono era
tutt’altro che incoraggiante: la mia voce tremava, era troppo
evidente.
-Pensi che ci siano
i miei vestiti qui da
qualche parte?- mi chiese senza guardarmi mentre io mi stringevo ancora
di più
la cinta dell’accappatoio, ricordando solo in quel momento
che anch’io sotto
ero completamente nuda.
-Andiamo a cercare
mio padre, lui e Dafne
dovrebbero saperne qualcosa.-
Blake
annuì sempre senza accennare a
guardarmi.
Gli feci strada
fuori dalla Healty Room.
Eravamo sotto la libreria di famiglia, al di sotto di tutto
l’edificio. Mio
padre aveva fatto costruire un ambiente enorme dove poteva allenarsi
insieme a
Dafne e ovviamente la Healty Room rappresentava solo una piccola
percentuale di
quel posto.
Mi diressi lungo il
corridoio ben illuminato
che ci avrebbe portati all’ascensore.
-Dove siamo?- mi
chiese Blake con voce
confusa.
-E’ il
posto in cui Dafne e mio padre si
allenano, una specie di quartier generale della famiglia Hyde. Si trova
sotto
l’edificio dove vivo. Quella da cui siamo usciti prima
è la Healty Room, la
stanza dove Seeker e Guard riacquistano le forze dopo le missioni.-
-E il liquido blu
dove eravamo immersi…
Cos’era?-
-Un siero. Un
estratto del Gene S che aiuta i
nostri corpi a guarire più in fretta.-
-E’ per
questo che mi sento così… bene. Mi
sembra di essere rinato e di aver dormito per giorni.-
-Sì,
è merito del siero. E probabilmente anche
del fatto che la tua natura di Guard si sta risvegliando, quindi ti
senti molto
più forte di prima.-
Non lo guardai. Non
avevo ancora capito se
avesse accettato o meno la sua natura di Guard, se avesse finalmente
deciso di
diventare il mio Guard.
Arrivammo davanti
all’ascensore. Spinsi il
bottone e quello subito si aprì.
-Per fortuna non
è come quello che abbiamo
usato per salire prima a casa tua…-
-Quello è
l’ascensore per gli ospiti. Non
sarebbe normale avere un ascensore ultramodermo in un edificio come
quello-,
risposi con ovvietà.
Entrammo e rimanemmo
in silenzio, mentre io
spinsi il terzo bottone, su uno schermo Touch Screen, per raggiungere
il secondo
piano.
Mi appoggiai alla
parete dell’ascensore e
fissai le spalle di
Blake che se ne
stava in piedi un passo davanti a me. Le sue spalle erano larghe e mi
trasmettevano una strana sensazione di sicurezza, sentivo di poter
affidare la
mia vita nelle sue mani, avrei potuto farlo fino alla fine dei miei
giorni
senza pentirmene neanche per un istante.
Ma lui poteva
accettarlo? Avrebbe davvero
voluto che la sua vita venisse sconvolta in quel modo?
-Ho deciso-, disse
all’improvviso girando solo
il viso all’indietro per puntare i suoi occhi nei miei.
-Cosa?- chiesi
confusa.
-Da adesso in
poi… Io sarò il tuo
Guard.-
Spalancai gli occhi
mentre la porta
dell’ascensore si apriva.
-Sono
l’unico che può proteggerti e non
lascerò che tu corra di nuovo il rischio di perdere la vita.-
I suoi occhi
rimasero fissi nei miei, erano
seri e decisi, finché non voltò la testa e
cominciò ad uscire dall’ascensore
mentre io me ne stavo immobile, assolutamente allibita e senza parole.
Il
giorno che avevo aspettato per così tanto tempo era
finalmente giunto: avrei
avuto un mio team, e un mio Guard. Finalmente sarei diventata una vera
Seeker,
e il fatto che Blake fosse al mio fianco contribuiva a rendermi felice,
sapevo
di potermi fidare ciecamente di lui, lo potevo sentire chiaramente
analizzando
le sue emozioni. Era determinato e deciso, voleva davvero proteggermi,
e questo
lo rendeva l’unico al mondo capace di essere il mio Guard.
Lui era davvero
l’unico.
Uscii
dall’ascensore, dopo quel mio momento di
stallo, e insieme a Blake mi ritrovai all’interno della mia
cucina, la stessa
cucina che solo poche ore prima aveva accolto me e Blake di ritorno da
scuola.
Erano successe così tante cose da quel momento che sembrava
lontano secoli.
-Papà! Ci
sei?- dissi a voce alta.
-Cassie, siamo in
biblioteca…-, la voce di mio
padre arrivò un po’ ovattata a causa della porta
della biblioteca, che notai,
era chiusa.
Guardai un attimo
Blake e con calma ci
dirigemmo verso la stanza. Posai la mano sulla maniglia e abbassandola
aprii la
porta con un leggera spinta.
-Vi siete svegliati
prima del previsto-,
sorrise mio padre alzandosi dalla sedia e venendomi incontro.
C’era
qualcosa di strano. Sul tavolo della biblioteca
c’erano quattro tazze di caffè e una montagna di
pasticcini. Dafne era in piedi
vicino al caminetto, ma sul divano di fronte vidi seduti un uomo e una
donna.
Lui in giacca e cravatta, aveva dei perfetti capelli castani, un
po’ brizzolati
ai lati, un viso quasi squadrato e senza imperfezioni nei lineamenti, e
degli
occhi neri e profondi. La donna attirò di più la
mia attenzione: i suoi
lineamenti dolci, i lunghi capelli castano scuro, la forma dei suoi
eleganti
occhi verdi, mi ricordavano tremendamente qualcuno.
-Mamma!
Papà!- esclamò una voce al mio fianco.
-Ciao Jason-,
sorrise la donna mantenendo
un’espressione distesa.
Quella situazione
cominciava ad apparire
davvero molto strana. Una madre che rivedeva il figlio dopo che lui
aveva quasi
rischiato di morire non si comportava in quel modo. Lei era calma e se
anche
avesse avuto una qualche forma di preoccupazione non la dimostrava per
niente.
-Cassie-,
cominciò mio padre con un sorriso.
–Lascia che ti presenti Sandra e Michael Blake, i genitori di
Jason.
-Salve-, risposi io
in tono educato cercando
di non badare al fatto che indossavo solo un accappatoio.
-Ma che ci fate
qui?- chiese Blake stupito, e
passandomi accanto si diresse verso i propri genitori.
-Li ho contattati
io-, riprese mio padre. –Non
potevo certo permettere che ti dessero per disperso, Blake. Pensavo di
dover
dar loro qualche spiegazione, e invece, a quanto pare, i tuoi genitori
sapevano
già tutto, e anche di più.-
-Che significa?- il
tono di Blake era più
confuso che mai, lo sentivo chiaramente.
-Tuo padre ed io
sapevamo che prima o poi
questo giorno sarebbe arrivato-, Sandra continuava ad avere un viso
disteso e
rilassato. –Tuo nonno mi ha preparato bene
all’eventualità di avere un figlio
Guard, e io ho preparato tuo padre. La Tripla S ci ha fatto trasferire
qui
perché sapevano che c’era un Seeker che aveva
bisogno di un Guard e le
possibilità che fossi tu erano molto alte, almeno secondo la
loro opinione. E’
stata la Tripla S a fare in modo che tuo padre avesse la promozione e a
dirci
che scuola avresti dovuto frequentare. Mio padre me lo diceva sempre:
“i capi
della Tripla S sono sempre un passo avanti a te, quando tu cominci a
pensare
qualcosa loro l’hanno già attuato”.
Aveva ragione.-
Spalancai gli occhi
e mi voltai verso Blake.
All’improvviso avevo sentito una strana sensazione di
tristezza provenire dal
suo corpo, e quella tristezza mi entrò dentro, potevo quasi
toccarla.
-Perché
il nonno non mi ha mai parlato di tutta
questa storia?-
Era per suo nonno,
sicuramente era molto
affezionato a quell’uomo, e l’idea che non
l’avesse istruito per affrontare il
mio mondo lo aveva tremendamente deluso.
-Tuo nonno aveva
abbandonato il mondo dei
Seeker perché si era innamorato di una donna normale. Quando
sono nata io era
felicissimo perché non sarei stata coinvolta in questo mondo
neanche come
Guard. Ormai mio padre non voleva avere più nulla a che fare
con la Tripla S, e
mi parlava dei suoi giorni da Seeker come qualcosa di lontano e ormai
finito.-
Non potevo crederci,
stavo davvero ascoltando
la storia del famoso Icarus Warren. Avrei provato molta più
felicità se lo
stato d’animo di Blake non avesse continuato ad opprimermi in
quel modo.
-Se un Seeker decide
di lasciare la Tripla S perché
s’innamora di un umano, viene considerato un traditore e
disconosciuto
dall’intera comunità dei Seeker. Purtroppo la
popolazione dei Seeker va sempre
diminuendo a causa del gran numero di Seeker che decide di sposare
umani, e
nonostante questo anche il numero di Guard non è alto. Il
Gene S è molto
fragile, non è semplice che da un Seeker e un umano posso
nascere un Guard.
Infatti quando sei nato tu, mio padre non poteva crederci. Lui era
anche un
biologo molecolare quindi sapeva che era praticamente impossibile che
dentro di
me ci fossero dei geni che potessero dar vita al Gene S, e invece era
successo.
Tu eri una specie di piccolo miracolo, Jason. Tuo nonno decise il tuo
nome e mi
fece promettere che se la Tripla S avesse scoperto di te io avrei
lasciato che
tu seguissi il tuo destino, ovviamente solo se fosse stato un tuo
desiderio.
Tuo nonno ti voleva molto bene Jason, e non voleva coinvolgerti prima
del tempo
in qualcosa di così enorme, e non voleva influenzarti
sapendo quanto affetto
provassi per lui. Io ho sempre sentito parlare
dell’affascinante mondo dei
Seeker, e non sai quante volte da bambina ho desiderato di poter avere
i poteri
dei Guard, sapendo ciò tuo nonno non voleva che io deponessi
dei miei desideri
in te, come per viverli di luce riflessa, perciò abbiamo
deciso di non dirti
niente. Eppure sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato,
perché per ogni
Guard che nasce c’è un Seeker che lo aspetta, era
solo questione di tempo.-
Sandra
spostò i suoi profondi occhi verdi su
di me, scrutandomi gentilmente. Sbattei le palpebre sentendomi
parecchio in
soggezione mentre lei continuava ad osservarmi.
-Adesso che mio
figlio è diventato il tuo
Guard, Cassie, anche tu potrai portare avanti il lavoro di mio padre.
Se lui vi
potesse vedere sarebbe davvero fiero di questa squadra.-
Annuii con un
sorriso e mi voltai a guardare
Blake. Aveva ancora il volto contratto dalla delusione ma il suo animo
era più
sereno come se avesse davvero capito che Icarus aveva taciuto solo per
il suo
bene.
-A proposito di
squadra-, intervenne mio
padre. –E’ ora di ufficializzare la nascita del
vostro team. Ora che Jason ha accettato
di diventare un Guard la Tripla S deve essere informata di tutto
questo.-
-Ehm,
papà…-, cominciai leggermente
imbarazzata.
-Dimmi, tesoro-, mi
disse lui un po’ confuso.
-Prima di
ufficializzare tutto quanto,
potremmo andare ad indossare qualcosa?-
Blake mi
lanciò uno sguardo imbarazzato e per
poco non arrossii. Nessuno di noi due aveva dimenticato quello che era
accaduto
poco prima nella Healthy Room, anche se di certo avrei preferito
rimuovere. Era
decisamente troppo imbarazzante.
Una volta nella mia
stanza indossai un top
nero e dei jeans scuri. Asciugai i capelli velocemente e li lasciai
ricadere
lungo le spalle.
Mi sedetti un attimo
sul letto e chiusi gli
occhi, respirando profondamente. Avrei voluto chiedere scusa a Blake
per averlo
costretto a far parte di questo mondo, anche se era predisposto
geneticamente,
la Tripla S lo aveva portato da me di proposito, costringendolo ad
abbandonare
la sua vita precedente senza neanche avere la certezza che sarebbe
stato lui la
persona idonea per essere il mio Guard.
Avevo cominciato a
rovinargli la vita ancora
prima di conoscerlo. Era assurdo.
“Cassie, i
tuoi sensi di colpa mi stanno
facendo venire il mal di testa. Datti una regolata!”
Blake?! Ma non era
possibile, come poteva
usare il pensiero per comunicare anche quando la mia anima era dentro
al mio
corpo? Solo i Guard e i Seeker più allenati ci riuscivano,
dopo anni di
collaborazione. Dafne e mio padre avevano bisogno di una grande
concentrazione
per riuscirci.
“Blake,
come hai fatto?”
Ci riuscivo
anch’io, e senza sforzarmi neanche
troppo. Era una cosa così strana.
“Di che
parli?”
“Ad
attivare la comunicazione tramite il
pensiero. In teoria dovremmo riuscirci solo quando la mia anima
è fuori dal mio
corpo.”
“Non ne ho
idea. Avevo voglia di dare un
taglio al tuo senso di colpa, visto che mi sta opprimendo, e ho provato
con
questo metodo. Ero certo di riuscirci visto che lo avevo già
fatto.”
“E’
così strano…”
“Cassie,
smettila di sentirti in colpa.”
Spalancai gli occhi
incredula. Blake stava
cercando di tranquillizzarmi, aveva capito che mi sentivo in colpa per
quello
che gli avevo fatto.
“Ero
destinato a questa vita e se non fossi
diventato il tuo Guard lo sarei diventato per qualcun altro.
E’ una cosa che
parte da me, che è dentro di me. Non posso sradicarla e non
è colpa tua se
adesso la mia vita non sarà più come prima. Da un
lato devo ammettere che
comunque sono contento di quello che sta accadendo perché
almeno ho trovato un
vero obiettivo da portare avanti. Te lo dico in questo modo
perché guardandoti
in faccia non penso che ce la farei ma non so se è la mia
natura di Guard a
farmelo dire però farò qualsiasi cosa
perché tu sia al sicuro durante le
missioni, non ho intenzione di permettere che qualcuno o qualcosa ti
faccia del
male, non lo potrei sopportare. Adesso proteggere te è
l’unica cosa che conta
davvero nella mia vita.”
Okay, quelle parole
erano dettate dal Gene S
di Blake, eppure mi rendeva felice il fatto che lui la pensasse
così. Mi
rendeva molto più felice del dovuto e mi trovai costretta a reprimere tutta la mia gioia
altrimenti Blake
l’avrebbe avvertita.
“Blake…
Grazie, davvero. Grazie per avermi
salvato la vita e per aver deciso di non abbandonarmi. Ti devo molto e
penso
che ti dovrò anche di più in futuro. Ricordati
queste parole perché non credo
che le sentirai mai più pronunciate da me.”
L’atmosfera
cominciava a diventare un po’
troppo strana per i miei gusti, e per fortuna qualcuno decise di
togliermi da
quell’impiccio bussando alla porta. Forse era mio padre che
veniva a chiamarmi
per andare.
Mi diressi verso la
porta e quando l’aprii il
mio corpo si immobilizzò davanti alla persona che aveva
bussato alla mia porta.
-Posso entrare?- mi
chiese Sandra Blake con
voce gentile e con un sorriso che probabilmente era l’arma
più usata dalla
donna per non ottenere un rifiuto.
-Certo-, risposi
cercando di mantenere una
voce ferma.
Mi feci da parte e
lasciai che la madre di
Blake entrasse nella mia stanza. Si muoveva in modo stranamente
sciolto. Sapevo
perfettamente che non aveva alcun tipo di Gene S eppure tutta la sua
persona e
il suo essere delineavano quanto fosse stata vicina alla
possibilità di essere
una Guard. Era leggera nei movimenti, lo notai mentre prendeva una foto
di mia
madre posata su uno scaffale e la osservava. Aveva occhio critico ed
intelligente, si vedeva dal suo sguardo arguto e curioso.
Sì,
quella donna sarebbe stata una grande
Guard se sono la genetica gliene avesse data la possibilità.
Era impossibile
che un essere totalmente umano potesse sprigionare quell’aura
così sovrannaturale
eppure lei aveva questo dono.
-Sai, Cassie-,
cominciò guardandomi dolcemente
negli occhi. –Come ho detto prima io non ho il Gene S
però ho sempre avuto un
sesto senso molto sviluppato e a volte mi è capitato di
avvertire la presenza
di un fantasma.-
Spalancai gli occhi
quasi incredula.
-Mio padre una volta
mi spiegò come sia
possibile che figli di un Guard e di un umana possano diventare dei
“sensitivi”, passami il termine. Ovviamente non mi
riferisco a Santoni
imbellettati che gestiscono programmi Tv a pagamento ma di persone come
me. Noi
non siamo Seeker, non siamo Guard eppure abbiamo una specie di
capacità che ci
permette di avvertire a volte la presenza di anime o di…
Be’ di altro. Sai a
cosa mi riferisco.-
Annuii rapita da
quel discorso. Non avevo mai
creduto a coloro che si definivano sensitivi, ma dovevo ammettere che
forse
c’era del vero in quello che stava cercando di dirmi Sandra
Blake.
-A volte ho sentito
la presenza delle anime e
non mi riferisco solo ad anime innocue ma anche quelle malvagie. Ho
avvertito
di cosa possono essere capaci e devo ammettere che nonostante io abbia
sempre
conosciuto il destino di mio figlio da un lato sono anche tremendamente
spaventata per ciò che potrebbe accadergli.-
Fece un sospiro e si
sedette sul mio letto
facendomi segno di sedermi accanto a lei.
-Quando sono
diventata madre ho promesso di
proteggere mio figlio da tutto quello che avrebbe potuto ferirlo o
danneggiarlo
ma il mondo delle anime e dei Seeker è al di sopra delle mie
forze e so di non
poter nulla contro i pericoli che Jason incontrerà sul suo
cammino d’ora in
avanti. Lui ha deciso di accettare la sua natura e spero che abbia
capito a
cosa andrà incontro, anche se ora è il Gene S a
scegliere per lui. Jason in
questo momento non vede altri che te e l’importanza della tua
vita ma io vedo
la sua di vita e soprattutto vedo l’importanza che ha per te.-
Spalancai gli occhi
incredula a quelle parole.
-Tranquilla, Cassie.
So che per un Seeker
provare preoccupazione per il suo Guard, soprattutto dopo una
conoscenza così
breve, è alquanto insolito ma non ho intenzione di
comunicarlo alla Tripla S o
cose del genere.-
Non era stata
l’idea che la Tripla S venisse a
conoscenza della mia preoccupazione che mi aveva sconvolta ma il fatto
che
quella donna avesse capito così tanto in un lasso di tempo
decisamente breve.
Possedeva un intuito davvero invidiabile.
-In
realtà sono venuta qui a parlarti perché
vorrei che tu mi promettessi una cosa.-
Sfoderò
di nuovo quel sorriso che avrebbe
fatto sciogliere un ice-berg.
-Cosa?- chiesi
ancora sorpresa.
-Tu provi un certo
affetto per mio figlio,
vero? Ti senti legata a lui da qualcosa che non riesci a spiegarti.-
Ma come diamine
faceva a saperlo? Come lo
aveva capito? Come poteva aver interpretato i miei comportamenti
così
velocemente e in modo altrettanto corretto?
-Io…
Credo di sì-, risposi abbastanza
titubante.
-Non ti chiedo di
spiegarmi questo legame,
dubito che riuscirei a capire di cosa si tratta, è un
qualcosa di
sovrannaturale che io non ho le capacità per analizzare.-
A dire la
verità sembrava il contrario visto
che aveva capito praticamente tutto fino a quel momento.
-Conosco mio figlio,
Cassie. Se lui dice che
darà la vita per te stai pur certa che lo farà.
Pur di salvarti metterà se
stesso in pericolo e io ho paura che lui non sia del tutto cosciente
del
significato della morte. Non pretendo che lui non faccia quello per cui
è nato
e a cui è destinato però… Ti prego,
Cassie, promettimi che veglierai su di lui.
Promettimi che cercherai di impedirgli di fare sciocchezze. Vorrei solo
questo,
che tu ti prendessi cura del mio bambino perché io ormai non
posso più farlo.-
Abbassai lo sguardo
rattristata. Non era solo
per la mancanza del Gene S che Sandra non avrebbe più potuto
prendersi cura di
Blake ma anche perché per le regole stabilite dalla Tripla S
i Guard erano
costretti a non avere più contatti con la loro famiglia di
origine se composta
da soli umani. Probabilmente la Tripla S avrebbe fatto trasferire di
nuovo i
genitori di Blake trovando il modo di far restare lui a S. Francisco.
Lo
avrebbero fatto in modo subdolo e graduale in modo che lui se ne
accorgesse
quando era ormai troppo tardi e io, per legge, non potevo fare alcuna
parola su
questo avvenimento. Blake avrebbe dovuto sopportarlo e affrontarlo a
tempo
debito.
Non avevo mai
condiviso più di tanto le
stupide regole della Tripla S e dovevo ammetterlo quella regola era tra
le più
idiote e crudeli.
Finché
Blake fosse stato il mio Guard non
avrebbe mai più potuto rivedere i suoi genitori e questo mi
uccideva. Il mio
senso di colpa rischiava di raggiungere livelli storici inauditi.
Dovevo fare qualcosa
per alleviare almeno in
parte quella sensazione sgradevole che mi stava attanagliando lo
stomaco e
dovevo farlo prima che Blake si accorgesse del mio stato
d’animo. Non era
assolutamente pronto per conoscere la verità.
-Le prometto che
veglierò su Blake- risposi
fissando Sandra dritto negli occhi. –So quanto possa essere
istintivo, ne ho
avuto oggi la prova, e cercherò in ogni modo di fargli
comprendere che la sua
vita è fondamentale quanto la mia. Lei sa meglio di me che
al mondo esiste un
solo Guard per ogni Seeker, se Blake dovesse fare delle sciocchezze e
perdere
la vita anche la mia essenza di Seeker non avrà
più senso di esistere.-
Sandra ricambiava il
mio sguardo con un misto
di gratitudine e curiosità.
-Se posso
chiedertelo, chi è che parla in
questo momento? Cassandre Hyde, la nuova neo Seeker, o Cassie una
diciassettenne
in pena per la vita di un amico?-
Quella era
un’ottima domanda, e probabilmente
da quella donna avrei dovuto aspettarmi un’osservazione di
quel genere.
-E’
Cassandra a parlare. Semplicemente
Cassandra, una ragazza legata ad un mondo che molti non accetterebbero
e che sa
quanto sia importante la vita, soprattutto se è la vita di
una persona buona e
piena di coraggio come lo è Blake. Non potrei mai permettere
che gli accadesse
qualcosa, la sola idea mi fa stare male.-
La madre di Blake
continuò a guardarmi ma
questa volta scorgevo solo gratitudine nei suoi occhi.
-Sarai davvero una
grande Seeker, Cassie.-
Prese una delle mie
mani e la strinse tra le
sue senza lasciare i miei occhi neanche per un istante.
-Lo sarò
solo perché al mio fianco ci sarà un
grande Guard. Però, la prego di non riferire a Blake le mie
parole, non vorrei
che si montasse già la testa.-
Stranamente mi aprii
in un sorriso complice,
di certo non solito alla mia indole, che Sandra ricambiò
divertita.
-Non mi sembra il
caso che mio figlio conosca
così presto la vera idea che tu hai di lui. Gli aspettano
giorni difficili e
sono sicura che il tuo carattere autoritario e severo lo aiuteranno a
maturare
ancora e a diventare l’uomo e il Guard che ho sempre sognato
che fosse.-
Quella donna. Era
una rivelazione, non avevo
mai conosciuto un’umana così sensibile e
perspicace. Era come se anche lei, a
suo modo, avesse dei poteri che nemmeno io riuscivo a comprendere
totalmente.
Probabilmente dalla
madre di uno come Blake
non avrei potuto aspettarmi niente di meno.
-Dopo la cerimonia
di ufficializzazione, io e
mio marito non rivedremo più Jason. Lui si
trasferirà qui da voi e noi tra
pochi giorni lasceremo San Francisco, e ovviamente non posso dire
né a lui né a
te dove andremo.-
-Conosco le leggi
della Tripla S, anche se
molte non le condivido.-
-Non parteciperemo
alla cerimonia, sai che non
ci è dato vedere il quartier generale della Tripla S, quindi
saluterò mio
figlio adesso. Ti prego di non fargli capire in alcun modo quello che
sta per
accadere, e di spiegargli quando sarà il momento che questo
è un passaggio
fondamentale perché la sua vita di Guard abbia inizio.-
La guardai negli
occhi per un lungo istante,
avevo come la sensazione che avrebbe voluto scoppiare a piangere ma era
quanto
il suo carattere deciso e la sua discendenza così
prestigiosa glielo
impedissero.
-Le prometto che
Blake conoscerà tutte le
motivazioni e che troverò un modo per fargli accettare
questa parte del
percorso.-
-Grazie, Cassie-
rispose sorridendo. –Non avrei
davvero potuto sperare in una compagna d’avventura migliore
per Jason.-
-Siamo pronti-
urlò mio padre dalla cucina.
Sandra si
voltò a guardarmi ancora una volta.
-E’ il
momento- rispose con un sospiro.
-Vada a salutare
Blake- le suggerì con voce calma.
–Si prenda tutto il tempo che le occorre. Ci
penserò io a tenere buono mio
padre e anche tutto il mondo dei Seeker se sarà necessario.-
Sandra mi
guardò con commozione.
-Sei davvero una
ragazza straordinaria,
Cassie.-
Mi aprii in un
sorriso amaro.
-Sono solo una
ragazza che vorrebbe tanto
vivere in un mondo normale, ma faccio buon viso a cattivo gioco e vado
avanti. Blake
merita di salutare i suoi genitori, se l’è
meritato per quello che ha fatto
oggi e per tutto quello che farà in futuro.-
Sandra
annuì.
-Grazie ancora,
Cassie.-
Con queste parole e
un ultimo, dolce, sguardo
lasciò la mia stanza e si diresse verso il suo destino e il
suo futuro. Un futuro
in cui il figlio che aveva amato e cresciuto non ci sarebbe
più stato.
***L'Autrice***
Salve
a tutti ^^
Lo
so, tra un po' vi dimenticherete anche di chi sono, scusatemi. Ormai
aggiorno così di rado che mi vergogno di me stessa. Comunque
piano piano e con pazienza qualcosina dal mio cervello bacato riesco a
tirarla fuori.
Ecco
qui un nuovo capitolo di questa storia, e spero vivamente che vi sia
piaciuto. Ci ho messo davvero tanto a partorirlo e spero che per il
prossimo non dobbiate aspettare così tanto, anche se
purtroppo riesco a scrivere sempre più di rado.
Però
posso garantirvi che comunque questa storia è sempre meglio
delineata nella mia mente e che davvero intenzione di far accadere di
tutto. ^^
Nel
prossimo capitolo vedremo l'ufficializzazione della S1 Cassandra, e
quindi mi toccherà descrivere il quartie generale della
Tripla S, il che mi rende un po' indecisa, non so esattamente come
sarà, spero non una schifezza comunque xD
Come
sempre ringrazio tutti coloro che leggono queste e tutte le mie storie,
e vi prometto che risponderò alle recensioni di questo
capitolo e anche a tutte le recensioni a cui non ho ancora risposto.
Vi
ringrazio infinitamente per tutto l'affetto che ogni volta mi
dimostrate... ^^
Un
bacio
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