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di tikki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alive ***
Capitolo 2: *** Everything's fine. I'm here for you. ***
Capitolo 3: *** Your embrace. ***
Capitolo 4: *** Confessions ***
Capitolo 5: *** Painful truth. ***



Capitolo 1
*** Alive ***


Un boato si diffonde per la sala grande.
“E’ finita”.
Ed è finita davvero. Voldemort è stato sconfitto.
Un milione di emozioni contrastanti mi attraversano. Gioia, euforia, dolore, incredulità. Le vedo riflesse nei volti che  mi circondano, le vedo centuplicate. Ognuno è estasiato per la fine di una guerra che sembrava destinata a durare per sempre. Ognuno è dilaniato dal dolore per le vittime, per gli amici, i parenti, i conoscenti e anche gli sconosciuti che non vivranno mai la gioia di una vittoria per la quale hanno combattuto fino alla fine.
Ho baciato il mio migliore amico. La consapevolezza dell’enormità di ciò che ho fatto mi coglie impreparata. L’ho baciato, ma lo volevo davvero? Forse l’ho fatto solo perché credevo di non avere più tempo, forse l’ho fatto perché sentivo di doverlo fare.
Non voglio affrontare Ron, non so cosa potrei dirgli.
Prima o poi ci sarà tempo di parlare, ma non adesso.
Voglio silenzio, voglio solitudine.

Mi torna in mente che tra i corpi distesi in Sala Grande ne manca uno. Manca il cadavere dell’uomo che ci ha salvati tutti, che ha sacrificato la sua vita per noi. Severus giace ancora nella stamberga strillante. E’ stato solo per tutta la vita, non voglio che sia solo anche nella morte. Decido di andare a recuperare il corpo, da sola.

Il passaggio segreto è buio e stretto, cammino per un tempo che mi sembra infinito, e poi sento un rumore. Non riesco ad identificarlo, mi fa paura. Sembra il rantolo di un animale ferito.
Accelero il passo, dopo pochi metri sbuco nella Stamberga.
Ciò che vedo mi lascia senza fiato, incapace di agire, incapace di parlare.

Severus respira.

Ecco cos’era qual rumore. Non è morto, respira. E’ svenuto, è senza sensi, ma è inequivocabilmente vivo. Non so come, non me lo chiedo nemmeno.
Mi tuffo per terra e cerco nella mia borsa una boccetta di sciroppo rimpolpa-sangue, insieme all’unguento per le ferite. Spargo l’unguento sul collo e mi accorgo che la ferita è già quasi sanata. Solo alora scorgo una boccetta per terra. Piton non era uno sprevveduto, aveva previsto che il suo Signore avrebbe tentato di ucciderlo e con le ultime forze era riuscito a richiudere la ferita.
Gli verso lo sciroppo rimpolpa-sangue direttamente in gola, sperando che funzioni.

Funziona.

Il respiro torna regolare, gli occhi si aprono.Non posso fare  meno dipensare che, per quanto velati dal dolore, quegli occhi siano meravigliosi.


“Granger” mormora. “Portami via di qui. Ti prego”.
E io lo faccio. L’unica cosa che voglio è che torni a stare bene. Voglio che l’eroe di questa guerra sia celebrato come merita. Faccio levitare il corpo e lo trasporto fino all’infermieria. Madama Chips lo sottopone immediatamente a tutte le cure possibili. “Guarirà” mi dice, notando l’apprensione nel mio sguardo.
Decido di andare a riposarmi, ne ho bisogno. La consapevolezza che Severus starà bene mi infonde una strana calma, una strana pace. Ho fatto ciò che dovevo, l’ho salvato. Accenno ad un sorriso mentre mi domando come reagirà quando lo saprà. Non gli piacerà affatto l’idea di dover essere riconoscente ad una mezzosangue.

Mi sveglio dopo un sonno insolitamente tranquillo e vago per il castello. E’ l’alba, e la luce del sole rende ancora più evidenti i danni che la battaglia ha causato, alcuni cortili sono crollati, c’è sangue ovunque e, con immenso orrore, mi rendo conto che ci sono cadaveri che non sono ancora stati trovati. Ricaccio un conato di vomito. Devo allontanarmi da qui.
Scappo. Corro, salgo una rampa di scale, poi un’altra. Non so nemmeno dove stia andando.
Mi ritrovo davanti all’ufficio del Preside. E’ buffo, l’ho subito riconosciuto come “l’ufficio di Silente” quando in realtà è l’ufficio di Piton. Entro. Noto il pensatoio. Improvvisamente capisco che i ricordi che Piton ha donato ad Harry devono essere ancora lì. Agisco d’impulso e tuffo la testa nel pensatoio.

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Capitolo 2
*** Everything's fine. I'm here for you. ***


Angolo autrice: Ciao a tutti! Innanzitutto ringrazio quelli che hanno recensito il capitolo precedente e quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, mi ha fatto molto piacere. E’ passato solo un giorno da quando ho pubblicato il primo capitolo ma oggi avevo voglia di scrivere ancora, così mi sono decisa ad aggiornare subito. Non credo che in futuro riuscirò ad aggiornare così spesso, anche perché gli esami universitari ormai incombono (aaaargh!) e io inizierò presto ad avere una relazione ossessivo-compulsiva con i miei libri.
In ogni caso, spero di riuscire a pubblicare almeno un capitolo a settimana! Detto ciò, buona lettura! Spero vi piaccia!
Tikki




Quando riemergo dal pensatoio mi sembra di essere stata via per un’eternità. Mi sento colpevole, mi sento sporca per aver frugato in ricordi che non erano destinati a me. Ho invaso l’intimità di una persona, mi sono intrufolata nei suoi ricordi più profondi senza chiedere permesso.
Una tristezza infinita mi invade quando ripenso a ciò che ho visto. Harry mi aveva fugacemente accennato a cosa fosse contenuto in quel filo argenteo, nel pensatoio, ma non avrei mai pensato che un ricordo potesse contenere un dolore così acuto. La profondità dei sentimenti di Piton per Lily mi distrugge, l’improvvisa consapevolezza dell’incredibile coraggio di quell’uomo, della sua stolida sopportazione delle sofferenze mi lascia attonita. Ha passato la sua intera vita nel ricordo di un amore che non si è mai realizzato, si è distrutto con le proprie mani, si è colpevolizzato per non aver saputo essere la persona giusta per Lily, per non essere riuscito ad amarla come meritava, per averle inconsapevolmente dato la morte. E’ un dolore troppo profondo per essere portato da una sola persona, non mi capacito di come abbia fatto a non impazzire.

Ancora una volta torno a vagare per il castello, per ritrovarmi nei sotterranei, i sotterranei in cui Piton ha passato la sua esistenza solitaria. Un’infinita pietà mi invade, ma insieme ad essa c’è anche dell’invidia. Invidio Lily, invidio il fatto che Piton l’abbia amata incondizionatamente per la sua intera vita, vorrei un briciolo di quell’amore, darei di tutto per essere amata così profondamente. L’unica cosa simile all’amore che conosco è il goffo sentimento che Ron prova per me. Tento ancora di non pensarci.

Apro la porta della familiare aula di pozioni e mi immobilizzo per lo stupore. Piton è lì, davanti ad un calderone, come sempre.  Il suo viso è pallido, le guancie scavate. Sul collo intravedo i segni del morso di Nagini.  Indossa una camicia bianca di stoffa morbida e un paio di pantaloni neri. A parte il dettaglio dell’abbigliamento e l’aria convalescente mi sembra quasi che nulla sia cambiato, che lui sia sempre il solito professore, e io l’alunna.
Alza gli occhi, mi guarda. Mi sembra che quello sguardo sia carico di tutta la tristezza e di tutta la dolcezza del mondo. Poi mi parla: “Buongiorno miss. Granger. A quanto pare le devo la vita.”
Ci metto un secondo a capire che è il suo modo di ringraziarmi. “Io, beh, non ho fatto nulla, professore, l’ho solo portata al castello”, rispondo.
Mi guarda e fa una smorfia, non saprei dire se fosse un tentativo di sorridere o una colica renale. “Beh, se non ci fosse stata lei sarei ancora agonizzate su quel pavimento. Non so per quanto tempo avrei potuto resistere.”
A questo punto vorrei chiedergli che cosa ci fa fuori dal letto nelle sue condizioni, ma lui sembra leggermi nel pensiero.
“Madama Chips mi ha quasi ucciso con le sue stesse mani” mi dice “quando stamattina ho osato alzarmi dal letto, ma le ho assicurato che sarei andato a preparare una pozione per i feriti gravi. Ci sono troppe cose da fare perché potesse dirmi di no, sa benissimo che la sua abilità nelle pozioni non si avvicina nemmeno minimamente alla mia.”
Detto questo, ritorna a volgere lo sguardo sulla pozione, mormorando tra se e se gli ingredienti ancora da aggiungere.
Non resisto, so che non dovrei farlo ma le parole mi scappano di bocca. “Le manca molto?” gli chiedo.
“No, dovrebbe essere pronta tra qualche ora, credo”
Mi ha frainteso, non riesco a credere alla mia fortuna, dovrei semplicemente smettere di giocare con la sorte e chiudere qui il dialogo, invece decido di andare fino in fondo.
“No” dico “non intendevo chiedere quanto manca per la pozione. Io, ecco, mi stavo chiedendo se le manca molto. Lily, intendo”
Alza gli occhi dal calderone e io mi pento immediatamente di avegli chiesto ciò che gli ho chiesto. Fino a quel momento i suoi occhi avevano espresso una sorta di allegria, ora vedo l’allegria trasformarsi in stupore, lo stupore in rabbia. Mi sembra di aver visto anche una punta di dolore in quello sguardo, ma non ci giurerei.
Quando parla la voce rimane calma, ma è gelida. “Vedo che Potter non ci ha pensato nemmeno un attimo prima di sbandierare i miei ricordi più intimi al vento. Non potevo aspettarmi un comportamento diverso. Spero vi siate fatti una bella risata sul dolore del sottoscritto.”
“No, professore, Harry non c’entra. Lui, lui non mi ha detto nulla, sono stata io. Ho trovato il pensatoio e, ecco, ho guardato i ricordi. Mi dispiace, mi dispiace davvero”
“Non è un concetto molto difficile, Granger, bisogna evitare di violare i ricordi degli altri senza permesso. Ma in fondo non mi aspettavo nulla di meglio da lei. Se ne vada, corra a ridere con i suoi amichetti del povero professore che rimarrà solo come un cane per il resto della sua vita. Non voglio la sua pietà, non voglio la pietà di nessuno.”
“Ma io..”
“SE NE VADA, ho detto”.
Ha alzato la voce, mi ha urlato contro. Il suo viso è distorto dalla rabbia, le narici sono dilatate, respira a fatica. Ma sono i suoi occhi che non posso sopportare, sono due baratri colmi di dolore e di disprezzo, e io non posso permettermi di smarrirmici dentro.
Esco dall’aula e chiudo la porta dietro di me, ho le lacime agli occhi e percorro il corridoio quasi correndo. Non capisco perché me la stia prendendo tanto, Piton ha ragione, non avrei dovuto farlo, e non avrei nemmeno dovuto credere che avrebbe potuto reagire diversamente. Cosa mi aspettavo? Che mi abbracciasse e si mettesse a piangere? Sono una stupida.
Io volevo soltanto che si sentisse libero di parlare, volevo solo che scaricasse su di me il macigno di pensieri che lo opprime. La sua anima è troppo nera e la mia è troppo pura, voglio che la contamini, che mi faccia portare quel peso per un po’. Devo aver dimenticato per un attimo che l’uomo che avevo di fronte in quell’aula non è lo stesso che ho visto nel pensatoio. Quell’uomo non esiste più, è stato temprato dal dolore e dalla solitudine, dal disprezzo di un mondo che non l’ha mai voluto, dal ricordo di una donna che non l’ha mai ricambiato.
Rallento il passo. Voglio tornare indietro. Voglio dirgli tutte le cose che sto pensando. Voglio dirgli che non deve essere solo per forza, che sta logorando la sua anima, la sta affogando nella solitudine inutilmente. Lui è un uomo coraggioso, ed ha scontato per troppo tempo una pena autoinflitta.
Faccio dietro-front. Percorro qualche metro, poi cambio idea e torno indietro ancora una volta. Non so cosa fare. Vado avanti così per un po’, poi decido che ormai ho combinato un disastro enorme, tanto vale concluderlo in bellezza.
Apro l’aula di Pozioni piano. Piton è seduto, gli occhi persi nel vuoto. Sta piangendo. Non capisco come sia possibile, non voglio nemmeno saperlo. Mi guarda, e per un attimo sento tutto il suo dolore farsi mio. Se lui non vuole salvarsi, allora lo farò io per lui, lo trascinerò a forza fuori dal suo odio.
“Va tutto bene” gli dico. “Torni in infermieria, deve riposarsi. Ci penso io a finire la pozione.”
Mi guarda, si alza ed esce dall’aula.
“Va tutto bene” gli ripeto mentre si allontana.
“Grazie, Granger” mi sembra di sentirlo sussurrare. E’ lontano, potrei averlo frainteso, ma sono abbastanza sicura che l’abbia detto sul serio.
Sorrido, mi rimbocco le maniche e torno sula pozione.



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Capitolo 3
*** Your embrace. ***


Angolo autrice: Chiedo umilmente perdono per il terribile ed imperdonabile ritardo! In quest'ultimo periodo ho avuto qualche problema personale che mi ha sottratto il tempo che avrei dovuto dedicare alla storia. In ogni caso: ecco qui il nuovo capitolo! spero vi piaccia!
Baci
Tikki






Sono passati giorni dal nostro incontro nel sotterraneo, e non ho più visto Piton. Non sono andata a trovarlo in infermieria e le poche volte in cui sono passata da Madama Chips per visitare i feriti meno gravi, quelli che non sono stati trasferiti al San Mungo, Piton dormiva, o fingeva molto bene di farlo.
Mi sono soffermata a lungo ad osservarlo, perchè mi affascina. Non ero mai riuscita a vederlo come un uomo, l’avevo sempre e solo ritenuto semplicemente un professore. Avevo dato per scontato che non avesse sentimenti, che la sua massima gioia fosse nel torturare gli studenti, mentre adesso mi ritrovo ad avere una visione completamente diversa che mi destabilizza, che ha distrutto le mie certezze e che non posso ignorare. Sono ancora ferma nell’intento di volerlo aiutare, ma non so come.
Nel frattempo, Ron è venuto più volte da me, con occhi speranzosi. Non so se volesse parlare di quello che c’è stato tra di noi o se stesse semplicemente sperando di riuscire a pomiciare ancora un po’, ma non gliene ho lasciato il tempo. Ho inventato scuse, sono scappata via dicendomi troppo impegnata nell’aiutare le opere di riscostruzione del castello. Ron ha perso un fratello, voglio che si concentri solo sul suo dolore, deve metabolizzarlo e comprenderlo, e io non voglio interferire in tutto questo.

L’euforia iniziale ha lasciato spazio solo al dolore, che si esprime nel silenzio. Nessuno sa cosa dire per consolare perdite inconsolabili. Vedo troppe ferite aperte, che non verranno mai sanate, e lacrime cariche di dolore, che tracciano segni profondi nelle anime di chi le versa e di chi si trova costretto a osservarle, ipotente. In tutto questo dolore, però, mi stupisco sempre di scorgere la forza. Vedo persone che piangono negli angoli bui, da sole, ma poi si rialzano, si fanno coraggio e vanno avanti.
E’ questo il grande dono degli uomini. Gli uomini non hanno artigli, non hanno zanne e non hanno veleno, ma posseggono il coraggio di ricominciare, sempre, da capo. Si lasciano alle spalle le lacrime, si sforzano di dimenticare e vanno avanti, ricostruiscono ciò che è stato distrutto, riallacciano sapientemente le fila della propria vita. Le cicatrici rimangono, ne sono consapevoli, ma sono proprio quelle cicatrici a fare di loro ciò che sono. Non dimenticano, ma vanno avanti.
Vorrei che Piton capisse questo, vorrei che avesse il coraggio di non nascondersi dietro una maschera di odio e di rivelarsi per ciò che è. Vorrei che capisse, che accettasse le proprie cicatrici e le rendesse parte dell’uomo che è diventato, senza rinnegarle più. Forse è impossibile, forse sono solo una stupida, ma in questo momento vorrei solo aiutarlo.


E’ sera, un’altra giornata è trascorsa, uguale alle altre. Mi dirigo in infermeria per aiutare Madama Chips a somministrare le pozioni ai malati. La sala è silenziosa e buia, si sente solo il respiro quasi unisono dei malati. Madama Chips mi dice che per questa sera non ha bisogno del mio aiuto, perchè la gravità dei feriti sta man mano diminuendo, e quindi riesce a cavarsela da sola.
Il coraggio di questa donna mi riempie d’orgoglio. Lei è una di quelle persone che non si arrendono mai, sono sicura che avrebbe mille cose da dire, se solo volesse.
Mentre mi congedo da Madama Chips noto che il letto occupato da Piton è vuoto.
“Mi scusi, Madama Chips” le chiedo “come mai il professor Piton non è più ricoverato?”
“Oh, signorina, lei sa come è fatto il professor Piton. Non sopporta di dover dipendere da nessuno.  Appena ha recuperato abbastanza forze da reggersi in piedi è ritornato nelle sue stanze, nei sotterranei”.
Tipico.
Esco dall’infermeria e mi dirigo a grandi passi verso la sala comune di Grifondoro. Poi inizio a pensare a Piton, mi dispiace sapere che è solo ancora una volta, soprattutto perché si sta solo ora riprendendo da quella terribile ferita.
Sono stanca ed assonnata, ma faccio dietro-front e vado nei sotterranei. Busso delicatamente alla porta del suo studio ed entro.
Non capisco immediatamente cosa stia succedendo. E’ tutto buio, non si vede quasi nulla. L’unica fonte di luce è il camino. C’è una poltrona rivolta verso il fuoco scoppiettante, e su di essa intravedo la sagoma di un uomo, seduto compostamente.
“Ehm” balbetto “Professore, va tutto bene?”
“Cosa c’è, Granger? Sei venuta a controllare che non stia piangendo come un infante al ricordo del mio defunto amore? Pensavi che mi sarei ucciso, in preda ad un dolore insopportabile? Beh, Granger, ficcatelo nella testa: io non ho bisogno di te. Anzi: io non ho bisogno di nessuno. Non voglio sguardi di compassione, preferisco di gran lunga essere odiato che compatito. Sai, Granger, cosa accomuna tutti gli uomini? Li accomuna il fatto che pensano di conoscerti. Non importa cosa tu voglia o cosa tu dica, tutti pensano sempre di avere il diritto di aiutarti. Si sentono tutti paladini della giustizia e sia aspettano anche che tu sia grato nei loro confronti. Io vorrei solo essere lasciato in pace. Questo è tutto.”
Si è alzato dalla portrona, nel frattempo, e ora mi sta guardando. Ha in mano una bottiglia di Whisky Incendiario, è vuota. E’ arrabbiato, e lo vedo. Il fuoco del camino deforma i suoi lineamenti, insieme alla rabbia.
Non so cosa dire, mi sento una stupida per avere anche solo pensato di poterlo aiutare. Lo fisso in silenzio, a lungo. Poi finalmente trovo le parole, e il coraggio per pronunciarle.
“Lei vuole essere lasciato in pace solo perché è un codardo. E’ molto più facile fare così, crede che io non lo sappia? Lei si sta crogiolando nel suo dolore e adora trasformarlo in disprezzo per il mondo che La corconda. Ma non capisce che così sta semplicemente allontanando tutto e tutti? Non capisce che c’è tanta bellezza nel mondo, e lei la sta ripudiando?.”
Sta per ribattere, ma non gliene concedo il tempo. Continuo a parlare, quasi senza prendere fiato.
“Forse sono solo una stupida ragazzina, è vero. Forse non so nulla della morte e del dolore e non ho il diritto di dirle come vivere la sua vita. Io so solo che non possiamo distruggerci pensando al passato, non possiamo vivere la nostra vita nel ricordo di ciò che è stato, né possiamo tormentarci per come abbiamo agito. Lei sta tentando di espiare un peccato che non verrà mai perdonato, e non sto parlando del senso cristiano del termine, sto solo dicendo che lei è la prima persona a doversi perdonare. Fino a quando non vorrà farlo, beh, fino ad allora continuerà a vagare su questa terra, odiando tutti e odiando se stesso in attesa che qualcosa cambi nella sua vita. Ma non succederaà, non succederà nulla finché lei non capirà che il passato è passato, e che Lily Evans sarebbe fiera di lei per ciò che ha fatto per suo figlio.”
Mi guarda, e io quasi non resisto alla profondità dei suoi occhi. Leggo il dolore inconsolabile che li caratterizza, e capisco che ho ragione. E’ brutto da dire, ma ho ragione. Quest’uomo non portà mai vivere la sua vita se non sarà il primo a perdonarsi.
Non so cosa mi prende, mi sento solo molto triste. Per lui, per me, per questa situazione senza via d’uscita. Mi viene da piangere.
 E allora faccio una cosa stupida. Mando tutto a quel paese, mi avvicino a Piton e lo abbraccio. Non è un abbraccio di circostanza, è un abbraccio reale. E’ il mio corpo contro il suo, le mie braccia attorno alle sue spalle. Lo stingo forte, come se lui fosse l’unica persona in grado di tenermi ancorata alla realtà.
E lui ricambia.
Sento le sue braccia cingersi attorno alla mia vita e stingere. Sento il suo mento appoggiarsi alla mia spalla.
Rimaniamo così per quello che potrebbe essere un secolo. Guancia contro guancia. Ognuno respira l’odore dell’altro e ci si perde dentro. Ci stiamo estraniando per un attimo dalla nostra realtà, dai ruoli che ricopriamo, dalle nostre storie e dalle nosrte paure.
Siamo solo umani, siamo un uomo e una donna, uniti in un abbraccio.

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Capitolo 4
*** Confessions ***


Mi godo il suo profumo per quello che mi sembra un tempo infinito. Ascolto il suo respiro farsi calmo e regolare, i suoi muscoli rilassarsi. Questo abbraccio mi fa dimenticare tutto ciò che ho vissuto negli ultimi mesi, tutto l’orrore, il dolore, la fame, la paura. In un istante capisco che anche per lui è così, o almeno mi piace illudermi che lo sia.
Non voglio lasciarlo, non ora, non dopo le cose che gli ho detto. Ho paura che quando scioglierò questo abbraccio torneremo ad essere due estranei, senza nulla in comune se non una guerra combattuta sullo stesso fronte. Sono terrorizzata dall’idea che lui ridiventi l’uomo cinico e crudele che conosco da anni, e che le cose che gli ho detto non sortiscano alcun effetto. In poche settimane mi sono trovata di fronte un uomo completamente diverso, ho visto il suo dolore misto alla rabbia e alle lacrime e per un attimo mi è sembrato di poterlo capire, di essere in grado di aiutarlo. Non so cosa mi spinga a desiderarlo vicino a me, non so perché io mi stia illudendo di poter davvero fare la differenza, per lui. So solo che ne ho bisogno, più di ogni altra cosa. 
Forse voglio solo che anche lui sia lì per me come io voglio esserlo per lui.
 
 
Come tutte le cose belle nella vita, anche questo abbraccio non può durare per sempre, e io mi ritraggo da lui. Mentre scivolo dalle sue braccia come un’ombra silenziosa penso a tutte le cose che dovrei dirgli, a tutte le cose che si aspetta che io gli dica. Forse vuole una spiegazione per questo gesto così inconsulto, forse vuole delle scuse. 
Io non ho scuse, non ho ragioni, ho solo bisogno di guardare i suoi occhi neri, ancora una volta, con la speranza che non sia l’ultima. Tengo lo sguardo sollevato e lo osservo in silenzio. Anche lui mi sta guardando, sembra senza parole. 
In un solo istante mi rendo conto di quanto tutta questa situazione sia assurda, ho combattuto una guerra senza batter ciglio solo poche settimane fa e ora ho paura di non riuscire a trovare le parole giuste da dire a un uomo che ho appena abbracciato.
“Mi dispiace, non so proprio…” incomincio, ma lui non mi lascia finire. Solleva una mano e la posa sul mio viso, lentamente. Mi accarezza piano una guancia, mentre con il pollice  mi sfiora le labbra socchiuse dallo stupore. In questo gesto c’è tutta la tenerezza del mondo, tutta la delicatezza che non avrei mai creduto possibile da parte di un uomo come lui. Le sue mani portano i segni delle mille pozioni create, delle battaglie combattute, della vita vissuta. Sento ogni singolo, piccolo callo carezzare la pelle liscia del mio volto e per un attimo non penso più a nulla. Anzi, l’unica cosa che penso è che le sue labbra sono così vicine che non mi ci vorrebbe nulla a colmare la distanza che ci separa e a sfiorarle con le mie. 
Non leggo più rabbia, nel suo sguardo, a dire il vero non leggo più nulla, perché in questo momento, guardandolo negli occhi, mi sembra solo di guardargli dentro.
Alla fine è lui a parlare.
“Hermione” mi dice, e io quasi impazzisco nel sentirlo pronunciare il mio nome, che ha un suono così dolce, così rassicurante quando proviene dalla sua voce profonda. “Quello che mi hai detto poco fa è vero. La mia vita non è stata facile, e credo che tu l’abbia capito. Quello che ho provato quando ho capito di aver condannato Lily alla morte è stato il dolore più grande che io abbia mai sperimentato, è stato come sentire la propria anima frantumarsi in mille pezzi, sapendo che non sarebbe mai più tornata come prima. Quel tipo di dolore ti segna per sempre, perché ogni parte di me sa che sono state solo le mie azioni a causare quegli avvenimenti. Non posso incolpare nessun’altro, non posso incolpare il fato, o un Dio in cui non credo, posso  solo tormentare me stesso. E’ quello che ho fatto per anni, perché non riuscivo a trovare altra via di uscita se non l’odio per me stesso ed il disprezzo per gli altri; non sono più stato in grado di amare nessuno, o di affezionarmi a nessuno, perché tuttora non credo di meritarmi nulla, se non la solitudine. 
Credimi, Hermione, vai via. Non sprecare il tuo tempo con un uomo cinico e crudele come me. Non so perché tu stia tentando di starmi vicina, non lo so davvero, ma so che sono stato davvero grato di averti qui e non voglio farti del male, non voglio rischiare di corrompere anche la tua anima.”
Lo guardo in silenzio e penso a quanto le persone siano complicate, a quanto sia difficile andare avanti, superare, sopravvivere. Vivere sembra così semplice, così elementare, basta respirare, mangiare, dormire. Ma dietro questi corpi, dietro questi muscoli, queste ossa, questi cuori c’è qualcosa di più. Ci sono delle anime che si affannano per trovare un equilibrio con il mondo e che cercano di colmare le proprie debolezze e i propri vuoti come meglio possono.
Capisco che anche io ho paura, come tutti gli altri. Una paura folle e atavica che mi rende incapace di agire ora, una paura che mi fa solo pensare alle conseguenze negative, al dolore che potrebbe risultare dalle mie azioni, ma io non voglio che sia così, non più.
Afferro la mano che sta accarezzando la mia guancia e la stringo con forza, con decisione. Ho perso le parole, ma voglio solo fargli capire che io non me ne andrò, per nessuna ragione.
“Granger” dice, e io capisco che questo breve momento di vulnerabilità sta giungendo al termine. “Ti prego, Granger, torna nel tuo dormitorio. Non mettermi in difficoltà.”
Non comprendo pienamente cosa intenda con queste ultime parole, forse sono solo io ad averle interpretate male, o forse non sono davvero la sola a pensare che la distanza che ci separa è così breve che azzerarla richiederebbe davvero poco. 
 
 
 
Angolo autrice: Qui chiedere scusa per il ritardo non è nemmeno lontanamente sufficiente, immagino. Credo che non si possa nemmeno chiamarlo "ritardo",  perchè in effetti ho visto bradipi più veloci di me nell'aggiornare storie! In realtà avevo quasi meditato di non scrivere più nuovi capitoli, non so nemmeno perchè, però oggi mi è arrivata l'ispirazione e io mi sono lasciata tentare, spero che il risultato sia decente! Vi chiedo ancora perdono per avervi fatto aspettare così tanto, speriamo che l'ispirazione giochi un po' meno a nascondino, la prossima volta. In ogni caso prometto che mi impegnerò di più!
Tanti baci
Tikki

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Capitolo 5
*** Painful truth. ***


E’ come se il tempo si fosse dilatato, come se ci fossimo smaterializzati in una dimensione in cui non esiste altro al di fuori di noi. Le mie dita stringono ancora il dorso della sua mano, appoggiata al mio viso, le mie labbra sono ancora socchiuse per lo stupore, e il battito del mio cuore è così frenetico che mi sembra quasi possa essere sentito da tutto l’universo.
Per una frazione di secondo vorrei dare ascolto alla parte irrazionale della mia mente, che in questo momento mi sta urlando di baciarlo con tutto l’amore che possiedo. Ogni singola cellula del mio corpo mi sembra tesa verso di lui; le mie mani, le mie labbra, i miei muscoli sono frementi, palpitanti in questa attesa che sembra infinita. Ho un bisogno folle di andare oltre i ruoli che abbiamo ricoperto fino ad ora. Voglio dimenticare di essere la studentessa, voglio che lui dimentichi di essere il professore, voglio perdermi nel calore delle sue labbra e lasciare che tutto il nostro dolore scivoli nell’oblio, anche solo per un secondo, senza sentire il bisogno di domandarmi cosa succederà dopo. Questa guerra ci ha forgiati, temprati, ci ha fatto dimenticare chi siamo e io voglio tornare ad essere me stessa con lui.
La parte razionale di me, però, mi fa capire che non posso gettarmi tra le sue braccia, non ora, non così. Non è il momento adatto per farlo perché l’uomo che ho davanti mi ha appena confessato le sue emozioni più intime, il dolore profondo e lancinante che si è tenuto dentro per anni. In questo momento è vulnerabile quasi quanto lo sono io e agire d’impulso ora significherebbe rovinare ogni cosa.
 
Lentamente ritraggo la mia mano dalla sua, e lui fa lo stesso. Il mio viso è caldo, nel  punto dove le sue dita mi hanno sfiorata fino ad ora, è come se fossi riuscita ad assorbire un po’ del  suo dolore.
“Ha ragione” gli dico, “è molto tardi, è meglio che io ritorni nel mio dormitorio.”
Mi sembra strano congedarmi così, dopo questo inaspettato e surreale momento di intimità, eppure non provo imbarazzo né vergogna. Sono felice che lui abbia potuto aprire uno spiraglio del suo animo e lasciarmi cullare la sua agonia per un momento. Mi va bene così, semplicemente. Lo guardo profondamente negli occhi, prima di allontanarmi, e cerco di comunicare tutta la fierezza di cui sono capace. In questo istante, ogni fibra del mio corpo e della mia mente sa che non abbandonerò mai Severus Piton, nel bene o nel male, in un modo o nell’altro.


 
I miei passi risuonano nel corridoio silenzioso e buio. Non ho idea di quanto io sia stata in quei sotterranei, mi sembra passato un secolo, e in un certo senso è davvero passato un secolo. Mi sento così distante dalla persona che ero poche ore fa, così cresciuta, così adulta. Continuo a pensare alle parole di Piton, e mi sembra che tutto assuma un senso. Non avrei mai immaginato che potesse arrivare a confessarmi i suoi sentimenti più nascosti, ma non posso fare altro che comprenderlo. 
 
Sono ancora immersa nei miei pensieri quando raggiungo il dormitorio di Grifondoro. Durante queste settimane di ricostruzione del castello le Case non esistono più, almeno momentaneamente, ma la maggior parte degli studenti continua a dormire nel propri letti a baldacchino. E’ rassicurante, come se, almeno per le poche ore che separano il tramonto dall’alba, si potesse fingere che la devastazione della guerra non sia altro che un incubo distante e dimenticato, e che tutto sia come prima.
Entro nella Sala Comune e mi stupisco di vedere Ron russare sonoramente, rannicchiato su una delle poltrone di fronte al camino.  Non so se svegliarlo o lasciarlo in pace, ma poi noto un bigliettino appoggiato sullo schienale della poltrona. Mi avvicino e leggo la scomposta calligrafia di Ron  che recita: 
“Hermione, ho bisogno di parlare con te. Ti prego, quando rientri svegliami.”
 
Ecco, è arrivato il momento di affrontare la persona che ho evitato fino ad ora. Cerco di pensare, di capire in fretta cosa potrò dirgli. Immagino vorrà delle spiegazioni, in fondo ne ha il diritto. Sono stata crudele con lui, l’ho abbandonato in un momento in cui aveva più bisogno di un’amica. Anzi, l’ho illuso e poi abbandonato.
Non so nemmeno io perché tra noi sia scattato quel bacio, durante la battaglia. Quell’attimo mi sembra così lontano, così distante, mi sembra quasi che sia accaduto in un sogno dimenticato. Probabilmente ne avevamo bisogno entrambi, avevamo bisogno di qualcosa in cui credere, di qualcosa per cui lottare in un momento così disperato. Dovevamo aggrapparci all’idea che valesse la pena sopravvivere e che abbandonare questo mondo non fosse nemmeno un’opzione considerabile. Il dolore e la paura saturavano l’aria, incombevano pesanti su tutti noi e noi siamo stati soltanto umani, abbiamo semplicemente seguito l’unico sentimento che potesse darci la speranza e la forza per continuare, in mezzo a tutto quell’odio: l’amore.
 
Lo guardo dormire, e per un attimo vorrei cedere alla codardia e lasciarlo lì, addormentato, ad aspettarmi. Poi ripenso a tutto ciò che mi è successo nelle ultime ore: solo pochi minuti fa mi sentivo cresciuta e adulta, non posso lasciare un conto così grande in sospeso.
Gli scuoto leggermente un braccio e chiamo piano il suo nome, lui sussulta immediatamente, aprendo gli occhi. Noto che il suo sonno è rimasto leggero, memore di quei mesi di paura passati in una tenda nei luoghi più disparati dell’Inghilterra, come animali impietriti dal terrore di essere braccati.
Mi guarda stupito, quasi come se non sapesse da dove cominciare. Lo vedo cercare la parole con difficoltà.
“Ciao Hermione” mi dice, alla fine. “Lo so che in queste settimane sei stata molto impegnata, mi dispiace di non essere riuscito a parlarti quanto avrei voluto, o quanto avrei dovuto.”
“No, Ron” gli rispondo “è colpa mia, avrei dovuto starti vicina, è questo che fanno gli amici. Non avrei dovuto scappare, il mio comportamento è stato imperdonabile e so che chiederti scusa non è nemmeno lontanamente sufficiente. Io non so perché mi sono comportata così, non so perché sono scappata. Il fatto è che ho avuto paura di ciò che è successo tra di noi.”
“Lo so, Herm, anche a me ha fatto paura. Ho pensato tanto a te ultimamente, non posso negarlo. Ho bisogno di te più di quanto sia in grado di ammettere. Ho sempre avuto bisogno di te, senza di te io non valgo nulla, e tu lo sai. Non sono bravo con le parole, Herm, non lo sono mai stato, lo dicevi sempre quando correggevi i miei temi, però quello che sto cercando di dirti è che voglio stare con te, se tu lo vuoi. Sei sempre stata più di un’amica per me e non posso sopportare l’idea di stare lontano da te”.
Sorrido nell’ascoltare queste parole, lo guardo e capisco che tutto l’affetto che provo per lui non potrà mai trasformarsi in qualcosa di più, e in un istante comprendo che devo radunare tutto il coraggio che ho e dirgli la verità.
“Ron” incomincio, sapendo che dopo che avrò pronunciato queste parole nulla tornerà mai come prima, “io ti voglio bene, te ne voglio davvero. Credimi, vorrei che la mia frase potesse finire lì, vorrei poterti dire che voglio stare con te per sempre e che i miei sentimenti uguagliano i tuoi, ma la verità è un’altra. La verità è che in questi ultimi mesi avevo bisogno di qualcosa che mi desse speranza, e tu eri lì. L’idea di poter stare con te mi ha aiutata a sopravvivere, a mantenere la salute mentale. Ogni volta che sprofondavo nella depressione, ogni volta in cui pensavo che la nostra ricerca fosse inutile e che la guerra non sarebbe mai finita tu eri ciò che mi manteneva sana. Tu rappresentavi la speranza che un giorno le cose sarebbero migliorate, che un giorno tutto sarebbe passato e che sarei stata felice. Quando ti dico che ti voglio bene non è solo una stupida frase di circostanza, perché i miei sentimenti per te sono così profondi che vanno oltre la mia capacità di espressione. Per diverso tempo l’ho interpretato come amore, Ron, ci ho creduto davvero con tutta me stessa, ma ora più che mai mi rendo conto di non poter stare con te. Da quando ci siamo baciati io ho avuto solo paura, questa è la verità. All’inizio speravo che fosse solo normale, banale paura di perdere l’amicizia che ci univa, ma più passava il tempo è più sentivo il bisogno di fuggire da ciò che era successo fra di noi, e questo non è normale. Non posso stare con te, e non riesco nemmeno a spiegarti il motivo. So che è profondamente ingiusto nei tuoi confronti, so che è egoista e crudele, ma non posso fare altro che dirti la verità, Ron. Io non posso sforzarmi di provare per te ciò che tu provi per me, se potessi farlo, credimi, lo farei, ma non ci riesco”.
Mi guarda con quei suoi occhi grandi, pieni di stupore e di dolore. Riesco a malapena a trattenere le lacrime.
“Perdonami” continuo “ti prego, Ron, perdonami”.
Si alza in silenzio, per un attimo ho paura che se ne vada così, senza dire una parola. Mi alzo anche io e continuo a guardarlo. All’improvviso si avvicina a me si getta tra le mie braccia, stringendomi forte. 
Non riesco a fare a meno di pensare che questo abbraccio sia così simile, eppure così diverso da quello che c’è stato tra me e Piton. Cerco di rispondere, stringendolo, comunicandogli tutto l’affetto non sono riuscita ad esprimere a parole, ma la verità è che io non appartengo a queste braccia, non ci sto bene, mi sento fuori luogo. E’ come se fossimo due pezzi non complementari di un puzzle che cercano di incastrarsi a forza, senza riuscirci. Mi sento soffocare, vorrei allontanarlo ma non posso, sta piangendo quietamente sulla mia spalla. Piccoli singhiozzi lo scuotono e sento le lacrime bagnare la mia spalla.
Rimaniamo così finché i suoi singhiozzi non terminano. Si scosta da me, mi guarda e, senza dire nulla, si allontana.





Angolo autrice: Non ho molto da dire, spero solo che abbiate apprezzato questo capitolo e che la storia vi stia interessando! Tra pochi giorni inizierò gli esami universitari che mi mancano, quindi non so davvero quando riuscirò ad aggiornare ancora, comunque spero di farlo al più presto! Aspetto con ansia le vostre recensioni, mi fanno sempre molto piacere!
Baci a tutti
Tikki

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