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di angelady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** SENZA RESPIRO ***
Capitolo 2: *** QUANDO GUARDO IL MARE ***
Capitolo 3: *** GUARDANDO IL CIELO ***
Capitolo 4: *** IL RITORNO DI NANA ***
Capitolo 5: *** SORRISI DI CRISTALLO ***
Capitolo 6: *** IL RICORDO DI REN ***
Capitolo 7: *** SCHEGGE DI RICORDI ***



Capitolo 1
*** SENZA RESPIRO ***


ATTENZIONE: I personaggi di questo racconto sono dell’anime di Ai yazawa, “NANA”. I fatti del racconto sono esclusivamente inventati, tuttavia, annuncio che potrebbero riscontrarsi alcuni spoiler.

“Sembra passato solo un attimo dall’ultima volta che ti ho guardata,

sembra soltanto ieri che ti ho conosciuta…ti rivedo ancora in quel sorriso incerto e mesto, fissa ad osservare i miei occhi, mentre i tuoi pensieri si perdevano nella immaginazione di ogni istante che avresti voluto passare con me.

Si, so il tuo piccolo segreto, perché quella sera forse sono entrato anch’io nei tuoi sogni.

Come sempre mi accendo una sigaretta, e vago con lo sguardo in cerca di un posacenere, te lo immagini ancora; noi che fumiamo le stesse sigarette, non potevamo proprio stare lontani uno dall’altra, anche se passano gli anni noi siamo sempre insieme…non è vero?

Eppure, te ne sei andata, senza lasciarmi nemmeno il ricordo di una spiegazione, ma forse la tua sofferenza era la spiegazione. Sono stato così estraneo nel perderti? Vorrei voltarmi e trovarti ancora accovacciata al mio petto, sentire il tuo respiro sulla pelle, quel respiro di cui mi nutrivo, ora sento solo freddo, e ho paura che questa sensazione non se ne andrà mai, mi sento un fiore senza petali, e tu l’acqua che mi tiene in vita…stiamo morendo insieme Nana, come avevamo promesso…o forse sono rimasto da solo.”

Sul treno diretto a Tokyo una ragazza dai lunghi capelli biondi guardava pensierosa dal finestrino, tra le dita teneva una sigaretta. L’odore del fumo le penetrava tra le narici, chiudendo gli occhi ne assaporò l’essenza che sapeva di ricordi. Si stirò stancamente le chiome all’indietro, sistemandosi sulla poltrona per stare più comoda, mentre un uomo le chiedeva se poteva sederle accanto, la ragazza gli fece un cenno si assenso, ma senza voltare il volto.

-Scusi, posso spostare i suoi bagagli qui sopra?-

Imperterrita, come senza vita guardava fuori da quel finestrino, come se stesse aspettando qualcosa, l’uomo le rifece la domanda, quasi imbarazzato. La donna si girò confusa verso di lui, scrutandolo nei minimi particolari, si chiese quando fosse arrivato e da quanto le stesse parlando.

-Come dice?-

-Se posso mettere i suoi bagagli sul posto bagagli-

-Oh-

-Poi l’aiuto io a ritirali giù quando siamo arrivati…-

-Non ce ne bisogno, grazie-

-Come vuole-

L’uomo sistemò i bagagli e poi prese comodamente posto accanto alla ragazza; era un uomo semplice, sulla quarantina, in giacca e cravatta, con il giornale a portata di mano e gli occhiali per leggere.

La ragazza si sfilò dal pacchetto un’altra sigaretta, l’uomo la scrutava affascinato, è una ragazza carina, pensava mentre si soffermava a guardare il suo vestito bianco sotto una giacca pesante, la cosa che lo colpì di più furono le sue dita che dolcemente trattenevano la sigaretta.

-Ne vuole una?-

-No grazie, non fumo-

-Beato lei, io non sono mai riuscita a togliermelo questo vizio-

-E’ così giovane…può ancora smettere-

-Hm-

-Beh…ma quasi quasi le faccio compagnia, sarà un viaggio lungo fino a Tokyo-

La donna sorrise e gli porse il pacchetto.

-Comunque molto piacere, Kito Yasawa-

-Nana-

Il viaggio terminò prima del previsto, una volta arrivati alla stazione la ragazza lo salutò. Ora se ne stava seduta su una panchina con il suo bagaglio ai piedi, si guardava in giro annoiata, mentre si sfilava dal pacchetto un’altra sigaretta.

Era difficile guardarsi attorno, affrontare il proprio passato…gli era così mancato tutto quello, il suo mondo, i suoi amici. Ma a volte bisogna lasciare ciò che ti è più caro per non rovinarlo, e lei, era sprofondata in un baratro troppo scuro e profondo per rimanere a guardare rovinare tutto, così aveva deciso di seguire l’istinto, una decisione avventata che la portò lontano da tutto.

“Se chiudo gli occhi e resto da sola con me stessa sento ancora che questa città mi fa star male, e allora vorrei scappar via. Mi chiedo che cosa faccio qui se non sono ancora pronta a rivivere il passato!”

Trascinava con fatica la enorme valigia marrone, vecchia e consumata, come se avesse sempre viaggiato, e si chiedeva se fosse ancora in tempo a indietreggiare sui suoi passi, in fondo avrebbe fatto meglio a rimanere dov’era, lo sentiva dentro di se ogni passo che faceva, quella voce nella sua testa le imponeva di tornare indietro.

E se per una volta avesse fatto il contrario di ciò che le pareva giusto, forse avrebbe ottenuto dei risultati, si, sarebbe rimasta e avrebbe affrontato il passato, dopo di che, poteva anche morire.

Era talmente immersa fra i suoi pensieri che non si accorse di essere arrivata vicino alla casa di un uomo che una volta, era stato un grande amico, il destino, pensò, alzando gli occhi notò che le griglie della tapparella erano socchiuse; dalla finestra si poteva vedere sulla strada. Si sfilò l’ennesima sigaretta, e sorrise tristemente a quel pensiero, se Yasu l’avesse vista da quella finestra sicuramente non l’avrebbe riconosciuta…o peggio, avrebbe fatto finta di niente.

Come faceva male, pensare che un tempo per ogni problema, per ogni lacrima repressa avrebbe potuto suonare il suo campanello e sfogare tutto tra le sue braccia, e ora che sentiva il bisogno di piangere, era sola.

Improvvisamente un auto le sfrecciò affianco, mancandola per poco, Nana si strinse tra se chiudendo gli occhi, pregando che in quel momento la vettura tornasse indietro e la investisse, poi si rannicchiò a terra, stringendosi la testa con le mani, mille immagini, ricordi, scorrevano davanti a lei. Se ne era andata per non essere abbandonata, per evitare di piangere e di soffrire, per stare bene, eppure ora era abbandonata a se stessa, era sola, e questa realtà faceva più male del passato.

-Eih, ragazzina! Tutto ok?-

Non alzò il volto per guardare chi fosse l’uomo che le teneva strette le mani, forse non l’aveva nemmeno sentito. Il suo corpo tremava dai singhiozzi che non riusciva a frenare, le sue mani erano sudate…ne sarebbe valsa la pena di soffrire così tanto tempo fa, invece di scappare? Forse oggi sarebbero diverse tante cose, la voce dell’uomo la richiamò, Nana alzò lo sguardo sorpresa.

********

Negli ultimi anni la vita di Ren Honjo si era divisa tra la perdita della donna che amava e le riunioni per tossici dipendenti. Era sveglio già da un po’, non dormiva mai molto da tempo; dormire lo faceva pensare troppo, e quando pensava a lei non aveva più motivi di esistere, non se non poteva stringerla a se, e sentirla cantare ancora una volta, per lui, questo accadeva ogni volta che chiudeva gli occhi.

Stava davanti alla vetrata del soggiorno con una tazza di caffè in mano, non aveva cessato un solo istante di fissare la pioggia cadere, il caffè era ormai freddo nella tazza. Il suo sguardo era in trance, niente coglieva la sua attenzione, solo la leggera figura della pioggia che sfilava sotto i suoi occhi, si strinse scosso da un improvviso brivido, faceva freddo quella mattina, si allontanò dalla vetrata trascinandosi sul divano, si accese una sigaretta e chiuse gli occhi, ascoltando il respiro del suo corpo, era come galleggiare sulle onde del mare.

L’improvviso suonare del campanello lo distolse dall’atonia dei suoi pensieri, riportandolo alla realtà. Si alzò stancamente, scarnendo la cenere della sigaretta che era caduta sui jeans, e andò ad aprire, non era importante chi fosse, non gli importava, sapeva che non sarebbe mai potuto essere lei.

-Che vuoi a quest’ora Take-chan?-

-Sono le 11 Ren, non ricordi che avevamo un appuntamento?-

-Oh, si, è vero…entra-

-Tutto bene?-

Teneva lo sguardo fisso al di fuori della porta, come per sperare che da un momento all’altro potesse spuntare dopo cinque anni la donna che non riusciva a dimenticare.

-Ren?-

-Si tutto come al solito-

-Bene, allora andiamo a vedere per quel lavoro?-

-Oggi non sono dell’umore, magari domani…-

-Ma che dici? Per trovarti quel lavoro ho dovuto sudare sette camice…è un mese che te ne parlo. Si può sapere che ti prende?-

-Non mi va di uscire…-

-Non ti va mai di fare niente. Resti disoccupato a vita?-

-Prima o poi troverò un lavoro…-

-Ren, finiscila con questa storia, rimettiti in sesto-

-In sesto? Che ho che non va?-

-Me lo chiedi pure? Ma…guardati attorno, la tua casa è peggio di una discarica, non mangi, dormi poco, sei senza lavoro da più di due mesi…ti sembra il modo di vivere?-

-Non è colpa mia se la fabbrica dove lavoravo ha chiuso i battenti…-

-Ma sono passati quasi tre mesi, e non ti sei preoccupato di cercarne un altro, con cosa speri di campare?-

-I soldi non mi mancano…-

-Certo, finchè si tratta di andare a donne…-

Si prese una birra fresca dal frigo, poi ne prese un'altra e la offrì all’amico che si stava accomodando sul divano.

-Ok, andiamo a vedere per quel lavoro…-

-Si…-

-Che, hai sentito Takumi ultimamente?-

-No, è un pezzo che non lo vedo, penso che sia dalla sorella, lo sai che sta divorziando?-

-Sono solo separati-

-Mi ha detto che Nana ha chiesto il divorzio, almeno, qualche tempo fa mi aveva detto così-

-E la bambina?-

-Solitamente la affidano alla madre…quindi non saprei-

Ren abbassò lo sguardo pensando al sorriso di Takumi quando teneva fra le braccia la sua bambina.

Bevve un altro sorso di birra dalla lattina, rimurginando su quel pensiero.

Ripensò a tutte le volte in cui avrebbe desiderato anche lui avere un figlio da amare e crescere, chissà se sarebbe stato un buon padre, avrebbe sorriso anche lui nel tenere in braccio un figlio suo, sarebbe stato felice. Gli era sempre mancata una famiglia, e l’idea che il matrimonio di Takumi stava finendo lo feriva.

“Il tuo sorriso ancora mi colpisce, al solo pensiero. Se avessi saputo che te ne saresti andata avrei fatto di tutto a finchè diventassimo una famiglia, con un figlio nostro…che pensiero egoista.”

Teke-chan appoggiò la lattina vuota sul tavolino di vetro che stava davanti al divano e si diresse verso la porta, Ren lo seguiva con la coda dell’occhio, mentre continuava a sorseggiare la sua birra.

-Allora andiamo?-

Ren lo fissò un istante, poi sorridendogli prese la giacca di pelle e lo raggiunse sulla porta, sfilando dalla tasca dei jeans il pacchetto di sigarette vuoto lo accartocciò e lo gettò a vuoto nella stanza.

-Andiamo andiamo…-

“Si, era un pensiero egoista e capriccioso,pensare di tenerti legata a me con un figlio che non volevi, e sicuramente mi avresti odiato per questo, ma almeno ti avrei avuta ancora accanto a me…”

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Capitolo 2
*** QUANDO GUARDO IL MARE ***


“In quel momento, mentre una pioggia fitta aveva incominciato a cadere sulla mie lacrime, stavo ancora guardando dentro i suoi occhi se quello che avevo davanti era un sogno o la realtà.”


Le sue mani stringevano ancora le sue dita affusolate, e la guardavano negli occhi, era come specchiarsi in un sogno, un ricordo, e più la guardava in quegli occhi lucidi, più le sembravano famigliari, si aveva già visto le sue lacrime.
Nana si scostò dal ragazzo, cadendo all’indietro, lasciò cadere il palmo delle mani sull’asfalto, abbassò il volto, sconsolata. Il ragazzo si mise una mano fra i capelli biondi cercando di capire cosa realmente stesse succedendo, aveva paura a parlare, a pronunciare anche solo una sillaba, aveva paura che quel momento fosse solo nella sua testa.
Cercò di farsi coraggio, ma appena prima di parlare la ragazza scappò via, e sapeva che non era un illusione, lei c’era veramente, l’aveva riconosciuta dagli occhi. Perché non aveva fatto nulla per fermarla? Era rimasto pietrificato davanti a quell’angelo dai capelli biondi e il vestito bianco, da non riuscire nemmeno a gridare il suo nome, per fermarla, che stupido, se ne stava ancora li, seduto sulla strada con una mano sulla bocca e l’espressione stupita, immerso nei suoi pensieri. Nana non era morta.
-Nobu!-
Si voltò di scatto, dall’altra parte della strada, sul marciapiede Yasu lo guardava confuso.
-Che diavolo ci fai per terra sulla strada? Stai male?-
Nobu si alzò in tutta fretta, impaziente di raggiungere l’amico, le sue scarpe scivolavano sull’asfalto bagnato e per un attimo perse l’equilibrio che recuperò subito dopo correndo verso l’uomo con due sacchetti di plastica in mano. Yasu lo guardava e non capiva, cosa era successo da sconvolgerlo tanto?
-Yasu…Yasu…!-
Si gettò sull’amico in lacrime come un bambino, ancora stupito e incredulo di quello che era appena accaduto, perché era veramente lei, allora come era potuto succedere che l’avevano creduta morta?

Era una mattina come altre, un giorno qualsiasi, fuori pioveva e tirava un vento forte, non era la giornata ideale per uscire, anche se glielo aveva promesso. La guardava mortificato mentre dormiva accovacciata al suo petto, sentiva il calore del suo corpo, i suoi seni alzarsi e abbassarsi all’unisono col suo respiro, le accarezzò la testa, immergendo le dita tra le ciocche scure dei suoi capelli, le diede un bacio sulla guancia, Nana si svegliò. Aprendo gli occhi si ritrovò il volto di Ren intento a fissarla.
-Scusa, non volevo svegliarti-
Lei richiuse gli occhi, lasciando intravedere un velo di tristezza, si strinse ancora di più a lui, bagnandogli il petto con le lacrime, Ren non capiva quel comportamento così distorto, perché ora piangeva? La avvolse fra le sue braccia, e riprese a baciarla.
-Ren…fermati-
Era un sussurro, appena udibile, anche se Ren l’aveva sentito non si fermò, se l’avesse fatto sarebbe rimasto da solo a guardarla soffrire, come era già successo altre volte…si mise dolcemente sopra di lei, facendole accavallare le gambe sulle sue anche, Nana gli avvolse le spalle con le braccia mentre lui spingeva incontrollabilmente sempre di più, nascose il viso fra i suoi muscoli, trattenendo il respiro mentre lui moriva dentro di lei.
Fare l’amore era l’unico modo per sentirsi uniti, quell’insieme di sensazioni, di sospiri e gemiti, li faceva sentire un'unica cosa, l’unico modo per dimenticare tutto il resto. Quando Nana staccò le braccia dal suo collo, Ren la guardò confuso.
-Nana-
Il suo volto era bagnato e i suoi occhi febbricitanti, immersi ancora nella passione, strinse gli occhi e gettò la testa all’indietro, trattenendo gemiti strozzati ad ogni spinta più audace che Ren le infliggeva, finchè entrambi si ritrovarono tra l’estasi del paradiso, Ren si lasciò cadere stancamente sul suo petto.
-Perché mi hai lasciato?-
-Ti stavo ferendo con le unghie-
-Non ho sentito-
Fece un sorriso beffardo e lo abbracciò di nuovo.
-Perché piangevi?-
-Non lo so…non parliamone-
-Non penso che sia una buona idea uscire con questo tempo-
-Non mi va più di uscire- il suo sguardo si fece cupo -…Ren…pensi ancora che sposarci sia una buona idea?-
Non rispose. La guardò tristemente negli occhi, mentre lei gli accarezzava la guancia, si divincolò dalla ragazza, prendendo il pacchetto di sigarette che stava sul comodino, ne sfilò una e se la accese, Nana si girò di spalle, coprendosi col lenzuolo fin sotto il mento, chiuse gli occhi sconsolata, perché non sapeva più cosa voleva? In quel momento si sentì così sola e imbarazzata…
Anche se non ne aveva voglia decise comunque di uscire, non riusciva a sopportare il silenzio di Ren, forse non sopportava più il silenzio tra loro, che cosa era rimasto del loro amore, se non il contatto fisico, quando si era creato quel muro che li faceva stare tanto lontani? Mentre si vestiva sentiva il suo sguardo fisso su di lei, che strano, ad ogni movimento che faceva si sentiva a disagio. Si girò, poco prima di uscire dalla camera per scorgere il volto del ragazzo coperto dalle mani mentre singhiozzava silenzioso, sapeva che non sarebbe servito a nulla restare ancora li, a giocare sui loro sentimenti, a piangere e a chiedersi cosa non andava. Non lo sopportava più. Quando lei svanì dietro la porta Ren si girò di scatto.
-Nana!-
Era ormai lontana per poterlo sentire.
Fu quello il momento in cui capì che la stava perdendo, un sentimento che si era celato dentro di lui a lungo, ma che non era mai stato capace di ascoltare. La gelosia che aveva verso di lei, verso Yasu, che ogni volta gli rammentava che rischiava di perderla se avesse continuato a rovinarsi la vita, mentre si perdeva dietro l’effetto illusorio della droga, si ricordò che gli disse che sarebbe stato lui stesso a togliergliela, e la consapevolezza che erano caduti da tempo in un tunnel senza uscita, faceva ancora più male. Si strinse ancora di più a se, mentre il ricordo del suo sorriso si faceva vivo nella sua testa, ora non trattenne più le lacrime.
Mentre camminava per le strade di Tokyo, sotto la pioggia, le immagini del suo futuro si presentavano incerte, sbiadite come un vecchio disegno, frugò nelle tasche in cerca delle sigarette, ma le aveva dimenticate a casa, proprio ora che ne aveva bisogno, poi la sua attenzione fu catturata dai suoni che provenivano dal pub vicino a casa di Haci, forse sarebbe dovuta andare a trovarla, ma sapeva che Takumi era con lei, e di vederlo non aveva proprio voglia.
Chissà quando sarebbe nato il bambino che Haciko portava in grembo, pensò che sarebbe stato bello se per un attimo avesse dimenticato che Haci non era più con lei, in quell’appartamento dove era iniziato tutto, in quel momento le avrebbe dedicato la sua voce, solo per esprimerle quanto le mancasse tutto quello. Sarebbe stato bello poter tornate indietro, dimenticare il giorno del concerto, le notti passate con Ren, e sperare che tutto fosse solo un sogno, come se non fosse mai scesa dal treno e stesse ancora bevendo la birra in compagnia di Haciko.
Ren, se avesse ascoltato il cuore sarebbe tornata indietro da lui, per accovacciarsi ancora fra le sue braccia e lasciarsi trasportare dal sentimento che li univa, invece nella sua testa una voce la faceva indugiare, se fosse tornata da lui non sarebbe cambiato niente, avrebbe continuato a soffrire, a piangere su ogni cosa che sapeva non avrebbe mai avuto. Non sarebbe più tornata da Ren. Prese il cellulare per controllare l’ora, erano solo le sette, sorrise pensando che forse una speranza per cambiare la sua vita c’era ancora…
Sulla riva del mare teneva in mano il cellulare, mentre guardava atona il numero di Ren, era come se la mente non le appartenesse più; non poteva essere felice in quel modo, non poteva accettare l’offerta di cantare da solista, anche se Haci l’aveva appoggiata, sapeva che non aveva senso se non ci sarebbero stati i membri della sua band, perché per lei erano la sua famiglia. No, non sarebbe diventata solista, non poteva sposare Ren, sapendo che non poteva dargli la famiglia che lui voleva, non poteva diventare la moglie che lui desiderava. Ad un tratto si ricordò il giorno in cui le disse che non li avrebbe aiutati a salvare il concerto, prendendo per una sera il posto di Shin. Non aveva mai fatto nulla per lei, nemmeno le cose che più le stavano a cuore, poi il cellulare le scivolò dalla mano cadendo in acqua, Nana lo guardava tristemente mentre svaniva tra la profondità del mare, in quel momento desiderò di svanire anche lei tra quegli abissi.
La notizia sulla scomparsa e la presunta morte di Nana Osaki era comparsa in prima pagina su tutti i giornali del mattino dopo. L’articolo descriveva in modo dettagliato che erano stati trovati gli effetti personali della ragazza in riva al mare, e che non era stato trovato nessun corpo, che probabilmente era stato trasportato a largo dalla marea.
Yasu teneva fra le mani il giornale, si faceva forte sotto la sua corazza da uomo maturo, ma dagli occhi cadevano lacrime che non riusciva a trattenere, che senso aveva stare al suo funerale, se non era nemmeno stato trovato il corpo? Da lontano scorgeva i volti tristi e disperati degli amici; Nobu stringeva i pugni e aggrottava la fronte, incapace di rendersi conto che lei non c’era più, che non era riuscito a mantenere la promessa fatta alla nonna di Nana, non l’aveva protetta a costo della sua vita, non le era stato accanto, e ora l’aveva persa. Haci era poco più lontana, stretta tra le braccia di Takumi, il suo volto sprofondava tra il suo petto, mentre lo abbracciava disperatamente, non poteva fare altro che piangere, Takumi la guardò abbattuto, non poteva fare nulla per lei.
Yasu si avvicinò a Nobu, cercando di consolarlo gli mise una mano sulla spalla, ma il ragazzo si scansò brusco.
-Non provare a consolarmi Yasu!-
Si lasciò cadere a terra pesantemente, gli mancava il respiro, era come se un pugnale l’avesse ferito al petto, Yasu si inginocchiò stringendolo col braccio.
-Lasciami…lei…non c’è più Yasu…-
Si alzò di scatto e corse via, gridando il nome della ragazza.
Ren non era venuto, finita la funzione Yasu cercò di chiamarlo al cellulare, ma senza alcun risultato, si diresse verso il taxi che aveva chiamato pochi istanti prima, aveva la brutta sensazione che avesse perso un altro amico. Se fosse andato a casa sua sicuramente non gli avrebbe aperto, sapeva che non voleva vedere nessuno, così, anche se non riusciva a non preoccuparsi decise di tornare a casa.
Nel suo appartamento Ren se ne stava al buio, il telefono era abbandonato in un angolo, ormai la batteria era quasi scarica. Giaceva inerme sul letto sfatto, era rimasto tutto come lei lo aveva lasciato; il pacchetto di sigarette vuoto era ancora accartocciato sul comodino, e per terra i suoi vestiti erano sparsi ovunque, chiudendo gli occhi, al solo pensiero, poteva ancora sentire il suo profumo. Gli mancava. Si stropicciò gli occhi, cercando di riprendersi, si alzò dal letto ed andò in bagno, si sentiva come un corpo vuoto, senza vita, in quei giorni aveva desiderato la morte, glielo aveva promesso, perché allora non riusciva ad abbandonare la sua vita? Si guardò in giro confuso, aprì l’acqua della vasca, lasciandosi trasportare dal rumore dell’acqua che gli riempiva le orecchie.
Fu un attimo, e sprofondò in quell’abisso che si era costruito col tempo, lo stesso che aveva inghiottito anche Nana, forse non se ne rese conto, o forse era così scontato e naturale che non ci faceva più caso, la salvezza, si ritrovò a pensare, mentre stringeva tra le mani il vizio della sua dannazione. Si, una salvezza che lo stava portando pian piano a consumarsi. Si chiese se Nana lo avesse mai saputo, perché sicuramente, doveva averlo saputo, Yasu non glielo aveva mai detto? Che importanza aveva ora, lei non c’era più, non esisteva più un loro, l’unirsi di frasi nascoste dietro l’indifferenza di quegli occhi vitrei e il sorriso nostalgico che sempre si faceva vivo nei suoi ricordi, deglutì amaramente quei pensieri e fece quello che ormai più di tutto riusciva a farlo stare bene. Rovesciò sul bordo della vasca la polverina bianca che stava dentro ad una bustina, e con una cannuccia la sniffò su per il naso, ora poteva sentirsi di nuovo bene.

Nobu stringeva nervosamente tra le mani una tazza di caffè, teneva il volto abbassato, ancora incredulo di quanto aveva appena visto, cercò di guardare l’amico negli occhi, ma non riusciva a sillabare alcun ché, Yasu si alzò, lasciandogli il tempo di formulare le parole adatte. Anche Nobu si diresse verso di lui con sguardo risoluto, finalmente riuscì a parlare.
-L’ho vista! Le ho stretto le mani…e…sono sicuro che era lei-
Yasu lo guardò stranito, di chi diavolo stava parlando non ne aveva proprio idea.
-Chi hai visto?-
-Ma come chi…lei…-
-Nobu, se non ti spieghi meglio io non posso sapere a chi ti riferisci-
-Parlo di Nana!-
-Ancora con questa storia! E’ mai possibile che ogni volta che si avvicina natale tu la veda in giro dappertutto?-
-Ma no, ti dico che questa volta l’ho vista veramente!-
Yasu abbassò lo sguardo, capiva il dolore dell’amico, forse più di lui, gli mise una mano sulla spalla, Nobu si voltò risoluto verso di lui.
-La pianti di compatirmi?-
-Io…-
-Io un cavolo, tu non mi credi e mi tratti come se fossi un povero cretino, che vede in giro la sua amica morta-
-Non è così-
-Eh, certo, come no-
-Ascolta, Nana è morta e per quanto desidero più di te che non fosse così devo accettare la realtà, possibile che tu non ci riesca?-
-Perché so quello che ho visto, ne sono sicuro-
Si rattristò, chinando il capo e chiudendo gli occhi riusciva ancora a vedere quella donna dai lunghi capelli biondi e il vestito bianco piangere seduta sull’asfalto, mentre una pioggia fitta cadeva dal cielo. Si voltò di nuovo verso l’amico che lo fissava preoccupato e gli sorrise.
-Io so quello che ho visto, so che era lei-
Detto questo prese e se ne andò, ancora con il sorriso sulle labbra.
Take-chan nel frattempo stava accompagnando Ren dal signor Misoko per chiedergli un colloquio di lavoro. Da quando i Trapnest si erano sciolti, dopo che Ren era stato in comunità per disintossicarsi, l’uomo era sempre restato accanto al chitarrista, trovandogli dei lavori che poi non duravano mai abbastanza. Erano fermi in colonna sulla statale, Ren teneva una sigaretta tra le dita con la mano fuori dal finestrino, mentre pensava al suo passato. Non aveva per niente voglia di andare a cercare lavoro, non gliene importava nulla, tanto l’avrebbe sicuramente perso due settimane dopo.
-Vedrai, Misoko è uno in gamba, ti darà sicuramente il lavoro-
Il ragazzo fece un altro tiro dalla sigaretta e annuì svogliatamente.
-Che entusiasmo Ren, io ti aiuto a cercare lavoro, e tu quasi te ne freghi-
Ren si voltò verso l’amico e lo guardò aggrottando un sopracciglio.
-Quasi?...se è per questo non me ne frega un accidenti di niente-
-Ah ecco!-
-Dai, non fare così…io scherzo, lo sai-
Che bello era sorridere, era da tempo che non riusciva a farlo, quella battuta gli fece tornare il buono umore, dentro di se si sentiva sollevato al pensiero. Si accese un’altra sigaretta, e continuò a guardare annoiato fuori dal finestrino, mentre la macchina restava ferma in colonna, tra i rumori assordanti dei clacson che echeggiavano senza tregua. Poi un flash, forse una visione, ma il suo sguardo si fermò su quei capelli biondi che volano nel vento freddo di dicembre. Come in un sogno, il volto della ragazza si voltò un attimo verso di lui, e lì si sorprese a guardare in quegli occhi lucidi che sapeva, aveva già visto. Cercò di aprire la portiera dell’auto, Teke lo fermò trattenendolo per un braccio.
-Ren, ma che fai?-
Non rispose, e districandosi dalla stretta che lo cingeva scese dalla vettura, per correre verso la donna. Quando il suo sguardo la cercò, capì che se ne era andata.
Un illusione. Forse il desiderio di volerla vedere, un angelo che lo facesse sorridere ancora.

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Capitolo 3
*** GUARDANDO IL CIELO ***



“Che vita si può vivere fuggendo da ciò che ami? Se il nostro destino è scritto nelle stelle, allora la mia deve essere caduta da tempo…perché il mio destino era stare con te.”



Faceva più freddo ora che si sentiva ancora più sola, si strinse con le braccia, in cerca di un conforto che nessuno poteva darle, perché lei da quel conforto, era scappata.
L’immagine del viso di Nobu le tornava alla mente come in una fotografia, il ricordo dei suoi occhi grandi e stupiti nel vederla, sapeva che l’aveva riconosciuta. Tremava al pensiero di dover affrontare tutti, di dover dare mille spiegazioni inutili, che ora come ora, non avevano più senso. Si strinse le mani alla gola, cercando di regolarizzare il respiro, doveva riacquistare la calma. Si decise a raggiungere l’hotel dove alloggiare, era stata una giornata talmente stancante e piena di emozioni che non vedeva l’ora di fare una doccia e andare a dormire. Accese una sigaretta e attese che un taxi passasse. Si guardava in giro, abbagliata dalle luci della città che brillavano riflesse nella sua memoria di qualche anno fa. Non era cambiata Tokio dall’ora. Il fumo si espandeva al di sopra della sua testa e moriva al contatto con l’aria fredda, un brivido di freddo le percorse la schiena, anche le sue labbra erano screpolate, tanto che la sigaretta si era incollata, quando la prese fra le dita, sentì la pelle strapparsi. Strinse le labbra brucianti disinvoltamente, poi scostando lo sguardo notò un taxi che si avvicinava, si alzò in tutta fretta per riuscire a fermarlo.
L’hotel era poco lontano dal mare, accanto a una gelateria e ad un distributore di sigarette. Quando Nana scese dal taxi per un attimo il respiro le si fermò, quelle case, quel distributore, quei lampioni accanto all’incrocio, il mare…la casa di Ren. Il destino. La sua espressione si fece dura e altera, e decisa si diresse all’hotel, non poteva continuare a scappare, doveva ricomporre il puxel della sua vita, ora che era più adulta, e meno orgogliosa, doveva riuscire a sistemare il passato.
La camera non era certo quella di un hotel di lusso, ma abbastanza accogliente per trascorrerci poco tempo, in attesa di trovare un posto migliore. Si diresse esausta nel bagno, azionando i rubinetti della doccia, si svestì in fretta e si trascinò sotto il getto di acqua calda. L’acqua le scivolava sul viso, lavando via la stanchezza della giornata e la tristezza che avevano lasciato le lacrime, si portò indietro i capelli che le erano scivolati sul volto, stirandoli con le mani dietro le spalle. Chiudendo gli occhi poteva ancora sentire quel gesto famigliare, quando era Ren a farlo, accarezzandole la testa e baciandola poi sul collo, un brivido le percorse il corpo, il ricordo del tocco di Ren era ancora vivo dentro di lei.
Il mattino dopo, la pioggia non cessava di cadere. Quando Nana si svegliò era appena mattina, cercò di richiudere gli occhi e riprendere sonno per dormire ancora un po’, ma dormire era impossibile; nella sua testa, i ricordi del passato non volevano allontanarsi: L’immagine di un bicchiere con le fragole che cade per terra e si frantuma in mille pezzi, ferendole una guancia, la rabbia che aveva provato nel sapere che Hachiko avrebbe sposato Takumi, che l’avrebbe abbandonata, quelle stesse immagini le passavano davanti agli occhi come se le stesse vivendo in quell’istante. Hachi…ogni volta che pensava a lei le si stringeva il cuore, si augurava che stesse bene e che fosse felice, che Takumi infondo fosse un bravo padre e un marito affettuoso. Anche se non era il futuro che aveva voluto per lei. Se avesse potuto tornare indietro le sarebbe stata più vicina, riempiendo la sua solitudine con il suo affetto, allora forse anche fra loro sarebbe stato diverso.
Si strofinò tra le lenzuola, cercando di scacciare dalla mente i ricordi dolorosi, si asciugò gli occhi lucidi, notando che l’anello che portava all’anulare brillava nel buio. Le luci della strada si riflettevano sull’oggetto, facendolo risplendere. Nana lo osservava malinconica, non era riuscita a toglierselo, perché non riusciva a non amarlo, qualunque cosa sarebbe successa, lei sarebbe sempre stata sua, di Ren.

La sigaretta si stava consumando lentamente fra le sue labbra, l’odore dolciastro delle black stone gli riempiva le narici. Aveva ancora addosso la stessa camicia del giorno prima, il suo letto era ordinatamente fatto, non era andato a dormire. Era stato sveglio tutta la notte a pensare alle parole di Nobu, alla sua espressione convinta e decisa mentre gli confessava le sue convinzioni. Come poteva essere? Prese fra le dita quel che rimaneva della sigaretta, e la spense nel posacenere, poi si cinse a mettersi gli occhiali da sole. Stava per cambiarsi la camicia e andare al lavoro quando il telefono squillò.
-Si?-
-Yasu…sono io-
-Ren! Che succede?-
-E’ un po’ che non ci sentiamo…-
-Si, sono stato un po’ occupato col lavoro ultimamente, e tu che mi dici, ne hai trovato un altro?-
Ren rimase in silenzio per un attimo.
-Ren? Ci sei?-
Lo richiamò con tono preoccupato, senza ricevere alcuna risposta, quando si rese conto che l’amico stava piangendo.
-Che è successo?-
-Non riesco a dimenticarla-
Singhiozzava ora disperato, cercando di trovare il fiato per continuare.
-Ogni volta che mi giro per strada la vedo…sento che lei è qui, che non è morta…e questa sensazione mi uccide! Non so più che fare…-
Gli veniva ancora in mente quello che Nobu gli aveva riferito. E se lei fosse davvero ancora viva? E si trovasse a Tokio? Ogni sua certezza andava svigorendosi. Non c’era mai stato un corpo, e infondo poteva anche essere viva.
-Io…non penso che sia morta Ren-
-Come? Che dici?-
-Ieri Nobu mi ha raccontato una cosa. Mi ha detto che l’ha vista-
-Cosa?-
-Mi ha detto che ne era convinto. Io, sinceramente non ho dato molta importanza alle sue parole, mi ripete quasi sempre che la vede, però…non so, ieri era diverso-
Dall’altra parte del telefono la voce di Ren non si udiva.
-Ren. Penso che dovresti cercarla, invece di piangerti addosso-
-Yasu, non diventare come Nobu, lo sai benissimo che lei è…altrimenti, come è possibile che non è qui con me?-
-Tu parli in modo drammatico, come se la vostra storia fosse una bellissima tragedia. Ma le cose fra voi non andavano da tempo…per lei, penso che nulla andava da parecchio-
-Lo so, ma se ci penso e me ne convinco sto ancora più male, perché capisco che lei non era felice accanto a me-
-Questo mi sembrava ovvio Ren, io il mio consiglio te l’ho dato, ora tocca a te. Ti saluto, devo andare al lavoro-
Yasu riattaccò, si strofinò gli occhi stanchi con le dita, ripensando alla conversazione appena avuta. Ci credeva veramente che lei era viva? Prese la ventiquattrore e con questo pensiero andò al lavoro.
Tutto ciò che aveva era una valigia, pochi vestiti e le sigarette. I soldi stavano finendo. Guardava incuriosita i cataloghi di lavoro, cercandone uno che fosse alla sua portata, alla fine decise che un lavoro valeva l’altro. Si accese una sigaretta, mentre sfogliava una rivista, c’era un articolo che parlava dei trapnest; non c’era scritto molto, infondo si erano sciolti da un po’, dopo la “caduta” di Ren per la riabilitazione, gli altri membri della band non se l’erano sentiti di continuare…voltò la pagina e vide l’immagine di Ren. Abbassò lo sguardo, malinconico al pensiero del suo sorriso, lui era sempre presente nei suoi pensieri, in ogni gesto, in ogni ricordo, in ogni attimo di vita.
Il pacchetto di sigarette era vuoto, e fuori il tempo sembrava si fosse stabilizzato, a parte il freddo inevitabile. Indosso aveva il vestito bianco, che le ricadeva elegantemente sopra le ginocchia, mentre a coprirle le spalle aveva un leggero golf nero aperto davanti. Mise il piumino pesante per proteggersi dal freddo, si legò i lunghi capelli biondi in una coda di cavallo, e infine si mise gli stivali neri e alla fine uscì.
Si stringeva tra se e se, il freddo era pungente tanto da penetrare nella pelle, ogni suo respiro si condensava con l’aria gelida. Si fermò, notando che in un bar cercavano personale decise di entrare per chiedere un colloquio.
-Buongiorno!-
-Buongiorno…-
Un uomo di mezza età, robusto e con la voce possente si era avvicinato a lei. In mano teneva uno strofinaccio umido, Nana lo guardava incuriosita.
-Ho visto che state cercando personale-
-Sei qui per il posto…sei la decima questa settimana-
-La decima?-
-Tutte le altre ragazze che hanno fatto il periodo di prova erano delle incapaci, tu hai qualche esperienza di lavoro in un bar?-
-Beh…più o meno, chiedo solo di provare-
-Ok, inizi oggi. La paga non è granché, ma come inizio è già qualcosa, devi compilare delle carte…vieni con me…-
Le diede un grembiule con inciso il nome del locale, di colore verde e pizzato all’orlo, lo guardò perplessa, chiedendosi se sarebbe durata abbastanza o se avrebbe fatto la fine di quelle che l’avevano preceduta.
-Quel vestitino non va bene…devi indossare roba comoda-
-Potrei andare a casa a cambiarmi-
-Si…facciamo così, vieni qui per le due, va bene? –
-Ok-
-Portati anche un cambio…a volte capita che i clienti ti rovescino le cose addosso-
-Bene, allora vengo alle due, a dopo-

Prese una maglietta nera e i jeans, si vestì in fretta, quasi con non curanza, infondo doveva solo andare a lavorare in un bar, si raccolse i capelli con un mollettone, e si truccò quel che bastava. Aveva ancora un po’ di tempo prima delle due, decise comunque di uscire e andare a fare un giro.
Le mani nelle tasche dei jeans le davano un aria svogliata, quasi rozza, tra le labbra la solita sigaretta, ormai quasi consumata. Era immersa nei suoi pensieri, circondata dal rumore del vento, si strinse un poco nel cappotto pesante per scacciare il freddo.
Un rumore la sorprese all’improvviso, l’alzarsi in volo di un piccione, Nana alzò il volto al cielo grigio e freddo e gli sorrise. Dalla finestra del condominio di fronte un ragazzo la osservava ammirato, quando i loro sguardi si incrociarono Nana abbassò il volto, pietrificata. Si era dimenticata che era la via di Ren quella su dove stava passeggiando, e ora, lui era li che la guardava.
Più la guardava più si convinceva che gli piaceva, quel portamento aveva qualcosa di famigliare, qualcosa che conosceva già, e quegli occhi imbarazzati, gli davano la certezza che non poteva non amarli. Nana fece finta di nulla, e si affrettò ad arrivare all’incrocio per attraversarlo…
Un minuto e l’avrebbe persa, un esitazione, un pensiero di troppo e l’avrebbe vista correre via. Non di nuovo. La donna che aveva visto quando era in macchina, non poteva essere lei, non la sua Nana.
Il sangue gli scorreva veloce nelle vene, il cuore accelerava ad ogni respiro, la speranza si apriva dentro di lui come un vulcano, si accostò più esternamente alla finestra…
-Nana!-
Un errore. Un vizio. Il desiderio. L’istinto…lei si girò di scatto voltando il volto a quella finestra, di nuovo i loro sguardi si incontrarono, smarriti, impauriti, sollevati. Se lui fosse corso giù per raggiungerla, sicuramente non ci sarebbe più stata al suo arrivo. Si morse le labbra tristemente, le lacrime cominciarono a scendere lasciando una visione sfuocata all’immagine del suo volto.
-…Nana…Oddio…Nana…-
Non aveva la forza di controbattere, il fiato le mancava dall’emozione, si strinse le mani alla gola, si sentiva mancare. Ren era così vicino…dopo sei anni vedeva di nuovo l’unico amore della sua vita, e i sentimenti che provava per lui erano gli stessi di un tempo.
Doveva pensare a cosa fare; scendere le scale e andare da lei, o rimanere a contemplarla dalla finestra. No, l’avrebbe raggiunta, l’avrebbe stretta tra le braccia e non l’avrebbe lasciata più andare via, Nana era viva.

“Non avrei mai immaginato di rivedere i suoi occhi e provare ancora quel senso di svenimento, non avrei mai immaginato di desiderarlo ancora così tanto…e ora che dovrei raccontargli tutto, anche le parole mi pesano, così forte che mi viene solo da piangere…”

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Capitolo 4
*** IL RITORNO DI NANA ***


Non poteva andarsene, scappare come aveva sempre fatto, se era tornata lo aveva fatto con l’intenzione di risistemare la sua vita, si accese un’altra sigaretta, le tremava tra le dita, non fece in tempo a portarsela alle labbra che una mano, veloce, gliela sfilò via.


“In questi anni, dove ho provato a costruire la mia felicità su castelli di carta, ho sempre saputo che prima o poi sarebbero crollati”



Il caffè caldo fumava dalla tazza con un buffo disegno; un paperotto col salvagente. Erano passati sei anni da quando abitava in quella grande casa, la dimora di una star, che non era lei. Si strofinò gli occhi, un poco stanca del peso della mattinata, aveva ancora così tante cose da fare, troppe da pensare, e nessuna da dimenticare…si affrettò a lavare i piatti nel lavandino, aveva appena messo le mani nell’acqua calda che il campanello suonò.
Non si stupì, né cercò di immaginare chi potesse essere, già lo sapeva. Si asciugò le mani e andò al citofono.
-Si, Takumi vieni pure…-
Appena aprì la porta l’ex bassista dei TRAPNEST entrò senza quasi neanche salutare.
-Papà…papà!-
Una bambina dai lunghi codini neri corse in contro all’uomo, felice di rivederlo, e gli si gettò fra le braccia, Takumi la prese in braccio sorridendo, mentre Nana li guardava tristemente.
Takumi era rimasto l’uomo di un tempo; i capelli neri lunghi, un portamento elegante, forse il suo viso tradiva il suo stato d’animo. Diede un grosso e tenero bacio alla bimba, quando alzò lo sguardo Nana vide che nei suoi occhi c’erano le lacrime.
-Takumi, vuoi una tazza di caffè? O una birra?-
Le sorrise mesto, quasi nostalgico, fissò per un istante il pavimento, perso tra i ricordi del passato che lo accompagnavano in ogni istante, poi alzò il volto e annuì.
Satzuki era seduta al tavolo del soggiorno intenta a pastrugnare su un foglio da disegno, mentre Nana e Tekumi erano in cucina. La ragazza gli pose la birra fresca, Takumi guardava la scena e la riviveva nella sua testa, un immagine ormai lontana sepolta tra i ricordi di un tempo. Prese la lattina senza azzardare un cenno, impassibile come sempre, la aprì svogliatamente bevendone un sorso. Nana tornò ad occuparsi dei piatti sporchi nel lavandino.
-Allora, come va?-
-Come al solito, domani cominciano i lavori per la nuova casa-
-Ah…bene, sarai sicuramente contentissimo…-
-Inutile girarci intono Nana…sono qui per discutere del divorzio-
-Si…però…è da un po’ che non ci vediamo, e…niente volevo sapere come stai…-
-Si si…ti ho detto che sto bene no?-
La guardava negli occhi, e niente era cambiato in lei, era sempre la solita sognatrice che giocava alle bambole con la figlia e piangeva per le commedie romantiche, la stessa che qualche tempo fa ascoltava ancora un cd dei BLAST, di nascosto per non farsi vedere piangere.
Amare per Takumi era sempre stato un contrasto, perché era troppo attaccato alla sua carriera e alla fama della sua, come la chiamava lui, principessa Reira, per accorgersi che il valore più grande era l’amore di una famiglia, ma come dargli torto, come rimproverare un errore come il suo se lui una famiglia non l’aveva mai avuta? Non si può essere migliori di quello che ti insegnano, però ci si può provare, lui, non aveva voluto affibbiarsi questa fatica. Guardò la sua donna mentre asciugava i piatti, e si strofinava le mani bagnate nel grembiule, ammirato dalla sua semplicità di fare e di essere, e un rimorso gli invase il petto, sapeva che in fondo un tempo, quella che ancora per poco poteva chiamare moglie, l’aveva amata.
-Per quanto riguarda Satzuki possiamo metterci d’accordo sui giorni che starà con te. Dimmi quando sei disponibile-
-Non lo so, devo vedere l’agenda, e sentire il lavoro-
-Ok, allora mi dirai in settimana?-
Attese la risposta ma la sorprese il silenzio, perché mai Takumi non rispondeva? Provò a chiederglielo di nuovo, lo chiamò lievemente per nome, quasi intimorita, e girandosi lentamente incrociò i suoi occhi penetranti.
-Takumi-
-Posso venire qui a trovarla nel frattempo…no?-
-C…certo…che domande-
Il fiato le moriva in gola, le mani le tremavano. Non osava nemmeno sfiorare l’idea di muoversi, era paralizzata sotto lo sguardo suadente dell’uomo, svoltò di lato la testa, e si sorprese di essere circondata dalle sue braccia, deglutì ansante schiacciando la schiena contro il bordo del lavandino.
-Comunque…puoi anche venire se io non sono in casa…-
-Preferisco quando ci sei tu-
Nana conosceva Takumi, sapeva apprestarsi ai suoi trabocchetti, sapeva che quando lui era arrabbiato o scosso gli sarebbe bastato fare l’amore con lei, per calmarlo. Conosceva ogni sua espressione, tono di voce, e portamento del corpo, ed era consapevole di non avere abbastanza forza di volontà per respingere i suoi vizi. Takumi avvicinò le labbra alle sue, la guardò di sfuggita prima di chiudere gli occhi e unire il contatto, Nana in quel breve arco di tempo riuscì solo a dire il suo nome.
Le mani dell’uomo si muovevano lente, dolci, delicate sulla coscia di Nana, la sensualità di quel gesto la mandava in estasi, e si accaldò ancora di più quando lui si introfulò fra le sue cosce, scoprendola eccitata e vogliosa.
-Takumi…fermati…-
Le sue dita si facevano strada nella sua femminilità, Nana non poteva reprimere gli spasmi, e ad ogni vibrazione il suo corpo si aderiva sempre di più a quello di Takumi. Gli avvolse le spalle con le braccia affondando il viso fra l’incavo del collo, era come se tutto fosse tornato in quel periodo dove si frequentavano le prime volte, quando bastava un nulla per farli cadere nella passione.
Nana aprì di scatto gli occhi e alzando il viso notò lo sguardo interrogativo della bimba, che teneva il suo disegno fra le mani.
-Sa…Satzuki!-
Takumi si allontanò di scatto da lei, passandosi le mani fra i capelli e voltandosi con un sorriso stampato sul volto verso la bambina.
-Che c’è tesoro, hai già finito il tuo disegno?-
-Si…-
-Io e la mamma ci stavamo abbracciando perché papà oggi è un po’ triste, e allora la mamma, lo consolava-
-Si tesoro, papà era triste…-
-Perché papà?-
Takumi si morse il labbro inferiore e la guardò teneramente, poi la abbracciò stringendola forte a se.
-Perché mi sei mancata tanto piccola mia-
-Anche tu mi sei mancato papà-
Si incamminò verso la porta, riprendendo la lattina di birra che aveva appoggiato sul tavolo. Nana gli corse il contro per salutarlo.
-Bene…-
Le accarezzò lievemente la guancia col dorso della mano, e la guardava languido, mentre lei si lasciava coccolare dal calore che emanava quella mano così cara in quel momento. Il contatto si interruppe, Takumi si girò di spalle intento ad andarsene.
-Ci sentiremo in settimana, ma molto probabilmente verrò a trovare la bambina qui a casa, sempre se per te va bene-
Sapeva che non avrebbe replicato, non aveva il coraggio di negarglielo, sorrise lievemente beffardo e se ne andò, Nana era ancora sulla soglia della porta, con lo sguardo perso nel vuoto.

“Sai Nana, le persone sono strane, perché si lasciano fare del male incondizionatamente…vorrei essere una principessa delle fiabe, per farmi venire a salvare dal mio eroe…”


Quando rientrò in casa il telefono squillò. Era come se Takumi avesse gettato un incantesimo su di lei, perché non riusciva a tornare alla realtà. Eppure sentiva la voce dall’altra parte dell’apparecchio che la chiamava ostinatamente.
-…Hachi! Che diavolo, ci sei?-
-Nobu?...-
-Tutto ok? Non mi rispondevi…-
-Si si…emh, ero solo sopra pensiero-
-Ascolta, devo parlarti…-
-Di cosa?-
-E’ complicato da spiegare al telefono, mi chiedevo se potevamo vederci in giornata-
-Non lo so, devo fare un sacco di cose a casa, e…-
-E’ una cosa davvero importante!-
-Va bene…allora…-
-Ci troviamo al solito Caffè alle cinque-
-A dopo, ciao-

***

Si accese un’altra sigaretta, le tremava fra le dita, non fece in tempo a portarsela fra le labbra che una mano, veloce, gliela sfilò via.
Rimase pietrificata, incapace di muoversi, incapace anche di respirare, appena si fosse girata avrebbe incontrato lo sguardo di Ren e non avrebbe potuto scappare. Si girò di scatto, alzando il volto, Ren la fissava esterrefatto, incredulo.
Non era il freddo che soffocava le parole, non era il dolore o la paura di averlo rivisto che le impedivano di parlare, nel suo petto esplodeva un senso di colpa, per averlo abbandonato, e di gioia perché dopo sei anni poteva rispecchiarsi nei suoi occhi chiari. Lo guardò con attenzione e si domandò perché anche lui non parlasse, se almeno l’avesse schiaffeggiata, o insultata sarebbe riuscita a parlare e a digli tutto, se lo meritava infondo no? Invece lui se ne stava li, con la sigaretta in bocca e lo sguardo fisso su di lei.
-Parla maledetto, dì qualcosa!-
Gettò la sigaretta e con uno scatto felino l’abbracciò, Ren riusciva sempre a stupirla.
-Ren…parla…odiami…- esplose in un pianto soffocato fra le braccia di Ren, mentre tirava i pugni contro il suo torace.
-Ti ho aspettato per tutto questo tempo…ti amo, come potrei odiarti…-
Le sue inutili difese si arresero alle parole del ragazzo, lo abbracciò a sua volta, gli bagnava la pelle con le lacrime e ad ogni singhiozzo Ren la stringeva più forte.

“Hachi, le persone sono strane, perché anche se il passato le ha ferite, inevitabilmente ritornano a percorrere lo stesso destino. Mentre sto qui, fra le braccia di Ren una parte di me vorrebbe ancora scappare…”


I poster sul muro della sua camera, la chitarra isolata in un angolo della stanza, e i cd sparsi sulla scrivania erano ancora l’icona che delineavano il carattere di Nobu. Quando la band si era sciolta, e Nana era scomparsa i membri dei BLAST erano tornati alla vita normale di un tempo, accantonando il sogno di sfondare nel mondo della musica. Yasu aveva aperto uno studio privato e ora esercitava il lavoro di avvocato a tempo pieno, Shin uscito dal carcere aveva dovuto passare del tempo con i suoi famigliari, ma se ne era andato poco dopo e ora lavorava come attore, mentre Nobu, era diventato quello che Nana aveva sempre voluto. Aiutava i suoi genitori con l’albergo, anche se a volte se ne andava per qualche giorno per incontrare i suoi amici.
Aveva appena riagganciato la cornetta del telefono, rimase un istante a pensare, poi non perse tempo, si vestì in fretta e saltò in macchina per giungere a Tokyo.
Era strano come ogni volta che doveva incontrarsi con Hachiko gli battesse forte il cuore, eppure l’aveva dimenticata da anni, tutto quello che c’era stato fra loro era una parentesi…ma si era ritrovato a pensare a loro, a quando stavano insieme e a come stavano bene, alla notizia che lei e Tekumi avrebbero divorziato lui era stato felice, ricordò amaramente che si era ubriacato quella sera, quando Shin glielo aveva detto, e poi si era sentito in colpa di essere felice di una cosa tanto triste e dolorosa per lei.
Quando arrivò Hachi era già al tavolo ad aspettarlo, si avvicinò dolcemente con un bel sorriso stampato sul volto.
-Ciao-
-Ciao Nobu-
Sembrava assurdo eppure gli era sembrato che lei fosse arrossita nel vederlo, in effetti era da molto che non si vedevano, Nobu si tolse la giacca di Vivien e la adagiò sulla sedia per poi prendere posto accanto alla donna.
-Dov’è la bambina?-
-Dai nonni, starà con loro per un paio di giorni, mentre sistemiamo alcune cose…-
-Sistemiamo…tu e…-
-Takumi-
Si guardarono un istante negli occhi, la vedeva turbata e imbarazzata, si chiese se era felice, se stava bene e se avesse potuto fare qualcosa per lei. La cameriera arrivò per chiedere l’ordinazione, e tutti pensieri cessarono. Nobu prese un tè freddo col limone, mentre Achi un cappuccino e una fetta di torta.
-Allora Nobu, di cosa volevi parlarmi?-
-Non è semplice. Quando l’ho detto a Yasu non ci ha creduto, però tu…tu sei diversa, penso che prima di dichiararmi pazzo ci penserai su a quanto sto per dirti…almeno lo spero-
-Così mi preoccupi, dimmi che cosa c’è!-
-Beh ecco…è successo che…-
In breve tempo le raccontò tutto; del giorno in cui aveva incontrato quella ragazza sotto la pioggia, e casualmente nelle vicinanze di dove abita Yasu, le disse che lo a eveva raccontato al ragazzo ma non l’aveva creduto. Il volto di Hachi si fece rigido, certo la storia era inverosimile, quella ragazza poteva essere chiunque, però cerdeva alle parole di Nobu. Pochi giorni prima era stata all’appartamento 707 e nella cassetta della posta aveva trovato delle fotografie e una cassetta; le foto di una donna che poteva essere Nana. Subito era andata a riferire tutto agli altri, mostrando le foto, avevano provato a chiedere alle linee aeree, Yasu si era diretto fino in America con la speranza di tornare indietro con lei, ma era stato tutto inutile, nessuno aveva mai visto la ragazza delle foto e tanto meno avevano mai sentito nominare il nome Nana Osaki.
La ragazza si portò una mano sulla fronte, sospirando a fondo, dentro sentiva che lei era viva, e che la storia che le aveva raccontato Nobu era vera.
-Io ti credo…-
-lo sapevo, allora…mi aiuterai a cercarla?-
-Farei qualsiasi cosa per ritrovare Nana e poterle dire quanto mi manca Nobu. Qualsiasi cosa…-

“Ogni mattina mi alzo, preparo la colazione per me e la mia bambina, la vesto, e poi comincia la mia giornata, ma per ogni istante del mio tempo non ho mai smesso di pensare a te, ogni minuto, ogni secondo, con la speranza che un giorno ci saremmo riviste, io continuo a cercarti Nana, invocando il tuo nome e spero che tu, in qualche modo, possa sentirmi”

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Capitolo 5
*** SORRISI DI CRISTALLO ***


“Era un baratro dove i sogni si erano persi, erano le sue braccia, i suoi baci, il suo dolore, così forte da trapassare il mio cuore.
Erano le sue dita ghiacciate fra le mie ciocche bionde, e il suo fiato freddo sul collo, le sue lacrime cadevano sulla mia pelle, e il mio cuore stava male. Mi era mancato così tanto…”

Ren la stringeva fra le sue braccia piangendo disperatamente, tremava dal freddo; era talmente sconvolto e meravigliato alla vista di Nana che era uscito con solo una maglietta.
Ora parlare a cosa sarebbe servito? Le parole rimanevano bloccate fra le labbra e i pensieri si cancellavano, niente aveva mai avuto importanza se non potevano stare insieme, e ora si erano ritrovati, ora erano ancora l’uno nelle braccia dell’altra. Nana gli mise le mani sul viso avvicinando il volto al suo, chiuse gli occhi e sospirò, non era facile spiegare tutto, non era facile dimenticare.
Lo sguardo del ragazzo si era fatto incuriosito, le lacrime erano cessate, e ora attendeva delle risposte.
-Ren…-
Alzò leggermente lo sguardo nel suo e capì; fra loro non era cambiato nulla. Erano gli stessi sentimenti quelli che provavano, e se lei si fosse scusata sarebbe successo tutto come tempo fa.
Si zittì un istante, se avesse parlato Ren l’avrebbe ascoltata, e poi, molto probabilmente sarebbero finiti a fare l’amore. Si allontanò da lui, e si accese una sigaretta.
-Io…devo delle scuse a tante persone. Sono stata una ragazza immatura e codarda, perché non ho saputo affrontare la mia vita faccia a faccia. Non ho saputo cambiare le cose che non mi piacevano, e ho lasciato che tutto si limitasse ad essere scialbo e piatto”
Ren la raggiunse senza dire una parola, senza commentare. Era la colpa di uno sbaglio, eppure anche lui l’aveva abbandona, come aveva fatto sua madre, quando il successo dei TRAPNEST lo chiamò all’epoca. Sospirò a fondo prima di continuare, getto la sigaretta e mise le mani nelle tasche.
-Avevo fallito. Era andato tutto a monte, la band, Hachi, Yasu…e noi…tra noi c’erano un sacco di buchi, di cose non dette. Le cose non andavano bene, e anche se lo sapevamo…abbiamo lasciato che andassero peggio, quelle poche volte che ci vedevamo finivamo a letto, e poi più niente, nessun discorso…niente-
-Nana…-
-Mi sono svegliata una mattina con la voglia di morire…e non ti volevo con me! Volevo solo andarmene Ren…avevo questo desiderio, questo pensiero nella testa…ho cominciato a camminare, a pensare, ero diventata un’altra persona, non mi importava più nulla di nessuno. Pensavo a Yasu e a Myu, non mi proteggeva più, non potevo più appoggiarmi a lui, non mi amava più, e Hachi era davvero felice con Takumi? Ero così arrabbiata con lei…e poi Nobu…tutto…e infine tu, che dormivi beato accanto a me, e non sei mai riuscito a capire che non ero felice…-
-Sei sempre stata così egoista da non capire che anche io stavo male!-
Era come uno schiaffo sul viso, le parole taglienti e fredde di Ren le erano arrivate così schiette da stupirla. Una persona egoista…si è vero, lo era sempre stata. Si strinse le mani sul cuore, mordendosi le labbra, Ren se ne stava li, fermo davanti a lei, con gli occhi lucidi senza dire altro.
Le sue parole l’avevano ferita, non perché le aveva dato dell’egoista, ma come era possibile che non se ne era mai accorta del suo dolore? Quale dolore? Perché Ren stava male?.
-Ho sempre saputo dell’affetto che Yasu provava per te, e in più di un occasione mi ha ripetuto che se non ti avesse visto felice ti avrebbe portato via da me-
-Ren…nessuno avrebbe mai potuto portarmi via da te…-
-Ero diventato una persona così fredda, e a volte ho pensato che non mi importasse niente di te, perché mi facevi sentire così, perché era tutto complicato Nana…-
-Abbiamo saltato il fosso senza riuscire ad arrivare dall’altra parte. Ma in questi anni, a cosa è servito?-
Appoggiò le mani sul viso singhiozzando debolmente.
Aveva sbagliato tutto? Stare con Ren non avrebbe mai dovuto essere il suo destino.
Tutto quello che era successo era stata la paura di perdersi, di non poter più stare insieme.
-Volevo disperatamente sposarti…volevo un figlio da te…-
-Per tenermi legata a te?-
-Sono stato anch’io un uomo egoista, ma ti ho sempre voluta, sei sempre stata l’unica che abbia amato…e mi sei mancata così tanto-
Nana gli mise le braccia al collo, le sue mani sprofondavano fra i capelli corvini del ragazzo mentre le mani di lui erano scivolate sotto al cappotto. L’istinto, forse il vizio, o semplicemente la voglia…le prese il viso fra le mani e la baciò passionalmente, mentre piangeva fra le sue braccia.
Forse quel desiderio che li spingeva sempre a ricapitolare non era semplice passione, la passione non fa piangere, né soffrire. Forse il loro destino era stare insieme, e non avrebbe avuto importanza il seguirsi degli eventi, perché era così che doveva andare.

“ Sai Hachi, credo che non esista un modo per esprimere l’amore, forse l’amore che io e Ren proviamo è talmente grande, e folle che solo unendo le nostre anime riusciamo a stare in pace fra noi…se ora Ren mi chiedesse di morire con lui lo seguirei…”

Nella penombra della stanza due figure sfilavano armoniose sotto le lenzuola di cotone bianco, fra l’odore di tabacco che proveniva dal pacchetto vuoto, appoggiato sul comodino accanto alla finestra. Ren le stringeva i polsi, mentre gemiti involontari si liberavano perdendosi nell’eco della stanza.
Le sfiorava il viso, baciandole la fronte, accarezzandole le spalle, scendendo a baciarla fra l’incavo dei seni, stringendoli dolcemente fra le mani, Nana lo strinse fra le sue braccia, desiderandolo di più, stringendo le dita suoi glutei che si contraevano ad ogni movimento, mentre i brividi del piacere percorrevano lungo la spina dorsale.
Altri gemiti, sussurri appena uditi di frasi mai dette e l’inarrestabile voglia di perdersi nel piacere dei loro corpi, unendo in uno solo le loro anime, i loro pensieri, i loro desideri…quella sensazione di appartenersi repressa da tempo, ma mai dimenticata. Strinse gli occhi reprimendo un senso di tristezza, mentre i capelli biondi si appiccicavano al viso. Non aveva mai smesso di amarlo.
-Ren…-
Nana lo abbracciò aggrappandosi forte alle sue spalle, lasciando cadere in dietro il capo, per poi spingersi verso di lui. Le cinse la vita e la baciò appassionatamente, bramando le sue labbra e desiderandola sempre di più, per non esserne mai sazio.
Le mordeva il lobo dell’orecchio e le baciava il collo, mentre con le mani le sfiorava i seni, scendevano sui fianchi, e poi sull’ombelico. Gli spasmi diventavano sempre più forti, più duri e audaci.
Avvinghiò le gambe intorno al suo corpo, stringendosi fra il calore di quell’abbraccio così bisognoso e disperatamente voluto. Erano gli stessi sguardi, quelli che si perdevano nell’istante di ogni bacio, di ogni gesto. Era quell’amore disperato che faceva gridare le loro anime, quell’amore coinvolgente e senza tempo da essere così sconvolgente e bello ma anche da far così male, perché era una rosa dai petali delicati, ma dalle spine pungenti, passionale e malinconico, dolce e pericoloso.
Lo richiamò a se, baciandolo sulle labbra calde, lo invitò a rientrare nel vortice che li aveva visti protagonisti fino a pochi istanti prima, gli mise le braccia al collo, mentre il ragazzo spingeva ancora energico dentro di lei. Chiudendo gli occhi Ren spinse di fianco la testa, ansimando un gemito di piacere misto al dolore, mentre Nana stringeva, come allora le unghie nella sulla pelle. Ren le prese il viso tra le mani .
-Guardami…-
Lo guardava negli occhi e quello che vedeva era lo stesso che provava dentro di se, la felicità di essersi ritrovati, e l’intesa dei loro corpi uniti in uno solo.
Si addormentarono ansimanti e sfiniti, per risvegliarsi la mattina dopo, mentre il sole appena tiepido scaldava loro la pelle. Nana si mosse appena verso Ren, lasciando scivolare un braccio sul suo bacino, Ren si svegliò, appena sentì il suo tocco.
Rimase un istante a fissarla, si strofinò gli occhi, poi guardò l’orologio, erano appena le sei. Non gli sembrava vero di aver passato la notte con lei, guardandola bene non sembrava nemmeno la Nana che aveva conosciuto, i capelli biondi che le coprivano il viso e le ricadevano lungo la schiena, la pelle un poco abbronzata, era ancora più bella. Si mise accanto a lei, guardò la forma del suo viso, gli vennero in mete tutte le espressioni e le smorfie del giorno passato, sorrise dolcemente e le strinse la mano, portandola al suo petto. Nana si svegliò di scatto.
-Ti avevo detto che mi ero innamorato…è tutto come allora sai…-
Lo guardò basita, un poco confusa, poi sorprendendolo gli saltò addosso per baciarlo.
-Eih…-
-Avevo pensato che fosse tutto un sogno, invece sei davvero accanto a me-
La strinse anche lui, era come rivivere il passato, scoprire che l’amava ancora più di qualsiasi altra cosa, e desiderarla ancora come la prima volta, la sua Nana.
Fece per sporgersi a prendere il pacchetto delle sigarette, ma era vuoto…
-No…ho finito il pacchetto…non è che me ne dai una?-
-Non puoi evitare?-
-Dopo l’amore mi piace fumare una sigaretta…mi rilassa…-
-Uomini…sono nella tasca del mio cappotto, valle a prendere-
-Non puoi andare tu? Se esco ho freddo…-
-Stronzo…perché io invece no? Se vuoi fumare alza il culo dal letto e vai a prendertele!-
La guardò beffardo, non era cambiata di una virgola, si alzò portandosi via le lenzuola.
-Ché sei impazzito?-
-Ho freddo-
Le rispose mordace, rivolgendole un sorriso malizioso, mentre la guardava coperta solo da un cuscino. Si stringeva quel cuscino al petto abbassando malinconico lo sguardo sulla sua pelle d’oca, poi si accorse che Ren l’aveva dolcemente coperta, appoggiandole il lenzuolo sulle spalle e stringendola fra le sue braccia, per poi rubarle un bacio.

“Ho avuto tante amanti dopo di te, tante donne che occupavano l’altro lato del letto, mi riempivano di complimenti e forse qualcuna era pesino innamorata, ma mi sono sempre sentito solo. Non bastavano le loro labbra a nutrirmi né il loro corpo a riscaldarmi…niente aveva colore nella mia vita senza di te. E ora che sei qui, mi chiedo chi tu sia. Chi è questa donna dai lunghi capelli biondi, dalle unghie rosse e la sigaretta fra le dita? Chi sei per essere tornata a dividere quella metà con me? Mentre sfilo una sigaretta dal tuo pacchetto di sigarette, mi chiedo se la tristezza che ti ha portato via da me sia ancora padrona della tua vita…”

Era appena tornata dall’Inghilterra, a Tokyo. Aveva il solito look da principessa che era, lo sguardo perso altrove, e teneva per mano un bambino. Di tanto in tanto si fermava a guardare i cartelloni pubblicitari, ricordando con nostalgia che un tempo erano tappezzati dalle immagini dei TRAPNEST. Il bimbo la strattonava per attirare la sua attenzione, indicandole una bancarella di dolciumi la invitò ad avvicinarsi. Reira sorrise allegramente, mentre ne comprava un sacchettino.
-Queste sono le più buone. Quelle gommose si attaccano al palato e poi si sciolgono lentamente in bocca-
-Io preferisco i cioccolatini…sarà perché le caramelle hanno un sapore così dolce-
-E il cioccolato invece no? I grandi dicono un sacco di cose strane-
-Il cioccolato è fine-
-Mah…a me piacciono le caramelle-
-Vieni, dobbiamo andare…-
Lo riprese per una mano, mentre il bambino prendeva una caramella dal sacchetto. Alzando lo sguardo sulla ragazza notò che aveva gli occhi lucidi. Non capiva quel comportamento, era troppo difficile per un bambino di cinque anni capire cosa avessero i grandi quando piangevano. Le fece un sorriso offrendole una caramella, Reira gli sorrise a sua volta tornando ad essere allegra e spensierata.
In quello stesso momento un ragazzo appena maggiorenne le stava passando affianco con la macchina. I suoi occhi si persero al di là della strada, al di là della bancarella di dolci, verso la mano che stringeva quella del bambino, verso il suo sorriso allegro, incredulo, mentre si portava il cellulare all’orecchio.
Reira si era trasferita a Londra dopo che i TRAPNEST si erano sciolti, aveva lavorato per alcune riviste debuttando come modella, e in quell’arco di tempo aveva cercato di riprendere in mano una carriera. Tutto il suo mondo era crollato in pezzi, un mondo fatto di cristallo dove lei ne era stata fatta la principessa, intrappolata nelle ambiziosi di fama di Takumi.
L’amore può essere così spaventoso a volte, lei si era lasciata chiudere in quella trappola di cristallo, senza avere una vita, perché dentro era vuota. Le sue emozioni finivano alla vista dell’uomo che non avrebbe mai avuto, e dentro di lei rimaneva solo il desiderio di essere come lui la voleva, un angelo capace solo di cantare.
L’aveva vista di sfuggita; aveva sentito il rumore del motore che sfrecciava veloce di fianco a lei, e con la coda dell’occhio l’aveva visto. Chiuse automaticamente il cellulare, portandoselo al petto, mentre rimase a fissare la strada che si perdeva davanti a lei, ricordando malinconicamente a quando era pazza di lui.
-Andiamo andiamo…-
La strattonò di nuovo il bimbo, stavolta con l’espressione risoluta.
-Si, hai ragione, ora andiamo-
Aveva ancora nella testa il ricordo del suo viso, la mano che stringeva quella di un bambino…un bambino, il ricordo degli attimi passati con lei gli facevano male al cuore. Shin premette l’acceleratore dell’auto e sfrecciò via più veloce, lasciando lontani i ricordi.

“I ricordi lontani non possono farmi male, sono fumo che appartiene al passato…eppure il passato ritorna sempre a farmi visita”


Le black stone che riempiono il posacenere hanno il solito odore dolciastro, l’ultima del pacchetto si consuma lentamente fra le dita stanche. Sdraiato sul letto del suo appartamento se ne sta con la luce spenta, nella penombra, si vedono solo le scie di fumo che si sollevano verso l’alto. Il braccio gli copre il volto, come se ci fosse una luce a dargli fastidio. I pensieri lo disturbano, mentre fa un altro tiro consumandola fino a metà, e un po’ di cenere finisce sulla camicia.
In tutta la sua vita gli erano sfuggite tante certezze, aveva rinunciato, per un periodo a vivere una vita privata per starle accanto, ma la certezza che non avrebbe mai vacillato era il sentimento fraterno nei confronti di Ren.
Si rigirò sospirando, spegnendo la sigaretta, mentre il volto sorridente di Nana si faceva vivo fra i suoi ricordi.
Le certezze le aveva perse guardando quel sorriso ogni giorno e sapere che non lo avrebbe mai potuto avere. Un sentimento che avrebbe dovuto spegnersi con la morte della donna che amava, ma l’amore vive dentro il cuore, vive dopo la morte, e lui non aveva potuto dimenticarla, era ancora viva dentro di lui, e se chiudeva gli occhi pensando a lei, poteva ancora vederla sorridere e correrle incontro con la chitarra sulla spalla.
Scuotendo la testa si ricordò delle parole di Nobu, incredule e quasi folli… era come risentirla in quel momento, la voce del ragazzo che gridava disperatamente che Nana era viva. E Ren…dopo l’ultima telefonata non lo aveva più sentito, si sentiva un nodo sullo stomaco per aver riattaccato così in fretta. Lui era la persona più cara che aveva, eppure non riusciva a guardarlo negli occhi, ogni volta che Ren gli chiedeva di incontrarsi rifiutava, e quando gli telefonava faceva in modo di riattaccare il prima possibile. Una vergogna verso i suoi confronti, verso l’uomo che considerava un fratello, una vergogna che non poteva rivelare, non a lui, eppure non ne aveva nessuna colpa, l’amore non lo puoi comandare.
Il telefono squillò e tutti i suoi pensieri svanirono senza peso.
-Si, pronto?-
-Sono Reira…sto per arrivare-
-Fammelo salutale, voglio salutarlo-
Yasu sorrise sentendo la voce del bambino, che prese il telefonino dalle mani di Reira.
-Stiamo arrivando, ti porterò un sacco di caramelle…le abbiamo prese a una bancarella qui-
-Bene, io vi aspetto…-
Il bimbo stava per ribattere, quando la donna gli prese il telefonino di scatto, la guardò irritato e le fece il muso.
-Non penso di poter stare a lungo…dopo dovrei tornare a Londra per delle foto-
-Ma dai devi già partire? Allora il lavoro di modella ti va alla grande…-
-Già…Yasu…-
Le tremava la voce, non era cambiata in quegli anni la principessa dei TRAPNEST, era la stessa ragazza smarrita, di cui un tempo Yasu si era innamorato. Cercò sicurezza dentro di se, mentre la ascoltava in silenzio, aspettando la conclusione della sua frase.
-Yasu…voglio vederti, ho bisogno di te…-
Rimase un attimo senza parole, cosa poteva dire? Se quello che Reira stava dicendo era che voleva stare con lui per una notte, allora stare separati non era servito a nulla.
Si tolse gli occhiali da sole e li appoggiò sulla scrivania, cercando le parole da dire, per quanto gli costasse ammetterlo anche lui provava lo stesso desiderio di essere amato.
-…Vieni presto allora-
Reira sorrise dolcemente mentre chiudeva il telefono, guardò il bambino ancora imbronciato e intento a guardare il parco giochi dove alcuni bambini stavano giocando. Lo prese per mano e gli sorrise amorevolmente, poi si incamminarono verso la casa di Yasu.
L’appartamento era sempre rimasto lo stesso, a Reira era sempre parso un rifugio dove nessuno potesse trovarla, ripensando a Takumi, che l’aveva sempre tenuta controllata. Non ci fu bisogno di bussare, Yasu aprì la porta non appena sentì il rumore dei suoi tacchi. Era ancora più bella dell’ultima volta che l’aveva vista, Reira commossa nel rivederlo si precipitò ad abbracciarlo, mentre il bambino se ne rimaneva in disparte a guardare la scena.
-Ehi tu…vieni qui, non mi saluti?-
-Ma tu abbracci sempre prima la mamma di me-
-Vieni qui piccolo-
Il bambino gli corse in contro felice e anch’esso gli si gettò fra le braccia.
Davanti ad una tazza di tè Reira guardava dalla finestra, ripensando al passato, ogni tanto sorseggiava dalla tazza fumante, lasciando cadere lo sguardo su Yasu che giocava col bambino.
Sorrise nostalgica al pensiero della prima volta che lo aveva tenuto fra le braccia, così piccolo e indifeso, eppure l’unica speranza vera che aveva, di poter essere una persona normale, con dei sogni e dei sentimenti, oltre che una macchina capace solo di cantare.
All’improvviso le mani calde di Yasu avvolsero le sue ancora strette sulla tazza da tè, mentre le dava un lieve bacio sul collo, Reira chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle immagini del passato.

***

Erano passati solo pochi giorni dal funerale di Nana, e Hachi, Yasu, Nobu, e Mai-Misato era riuniti nell’appartamento 707. Yasu parlava al telefono con Myu, la sua voce era piuttosto distaccata e fredda, si sistemava in continuazione il nodo della cravatta, agitato, mentre Hachi parlava con Misato, cercando di consolarsi a vicenda. Nobu se ne stava in disparte, appoggiato col gomito sulla finestra, tratteneva a stento le lacrime, ripensando alla promessa che anni prima aveva fatto alla nonna di Nana. Le aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonata, che sarebbe sempre stato con lei, e l’avrebbe protetta, invece non era riuscito in nessuna di queste cose, era come aver tradito se stesso, non riusciva nemmeno a spiegarsi cosa provasse dentro di lui, non voleva ancora crederci che Nana non c’era più, che non avrebbe più accompagnato la sua voce con la chitarra.
Yasu finì la telefonata e raggiunse Nobu, sedendosi accanto a lui, anche Hachi e Misato facevano lo stesso.
-Che è successo con Myu?-
Hachi porse una lattina di birra a Yasu , guardando la mano tremante del ragazzo mentre l’afferrava, si sentiva un po’ a disagio ad averglielo chiesto.
-Fatto è che le cose fra noi non vanno…-
-Capisco…mi dispiace molto Yasu-
-Tranquilla…sto bene-
-Tu Misato desideri qualcosa da bere?-
-No Hachiko ti ringrazio-
-E tu Nobu?-
Nobu si girò verso di lei con disinvoltura, guardandola con una strana espressione negli occhi, la ragazza abbassò il viso, impaurita che potesse dirle qualcosa di orribile. Non avrebbe retto le parole dure di Nobu in quel momento, dove stava cercando di non crollare. Ma Nobu ritornò a guardare fuori rispondendo che non aveva bisogno di nulla.
La tensione si stava facendo ancora più dura, finchè Yasu parlò.
-Tekumi dov’è?-
-Oggi aveva del lavoro da fare, non poteva rimandare…-
Mentre rispondeva alla domanda pensava che da oggi in poi si sarebbe sempre sentita sola, se non poteva più vedere Nana, e guardando negli occhi di Yasu sapeva che anche per lui era così. Anche lui non era riuscito a tenere fede alla promessa fatta a Nana il primo giorno che ebbe una crisi respiratoria. Non l’avrebbe abbandonata, non sarebbe andato da nessuna parte…invece gradualmente si era staccato da lei, aveva dovuto farlo per il suo bene, perché lei dipendeva troppo da lui, e questa non era una buona cosa per Ren, che aveva costantemente paura di perderla per via di Yasu. Dopotutto però, si sentiva in colpa, se le fosse stato più vicino forse sarebbe riuscito a salvarla da quel vortice che a poco a poco l’ha travolta.
Non voleva tornare a casa e sapere che sarebbe stata da sola, perché Takumi doveva lavorare, eppure mancava poco al parto. Mentre cercava di trovare le parole pensò a Ren, e a dove fosse in quel momento. Forse anche lui sentiva le stesse sensazioni.
-In effetti anch’io dovrei tornare al mio lavoro…se vuoi posso accompagnarti a casa. Sarà difficile per te muoverti in quello stato-
-In effetti sono spesso stanca, e fare le sette rampe di scale non è salutare per una donna incinta…ma non voglio stare da sola, se Takumi lavorerà fino a tardi…-
-Oh posso stare io con te Hachiko-
Misato le prese la mano e gliela strinse guardandola dolcemente negli occhi, Hachi le sorrise commossa.
-Mi farebbe molto piacere Misato-
Yasu accompagnò le due ragazze a casa di quella che ormai era la signora Ichinose, quando scese dal taxi per ritornare in agenzia lo sorprese la chiamata di Reira.
-Non sapevo ci chiamare…scusami…-
-Reira?-
-Yasu…Ren è…sta male, io non so che fare-
-Dove sei?-
-A casa sua…ti prego…tu devi aiutarlo-
-Arrivo subito, tu nel frattempo chiama un ambulanza-
Reira lo teneva stretto fra le braccia, non riusciva a smettere di piangere, Ren sudava freddo, il suo sguardo era perso nel vuoto, e respirava a fatica, ansimando irregolarmente. Quando Yasu arrivò l’ambulanza era già sotto casa, Reira stava parlando con il dottore, spiegandogli quali sostanze avesse assunto Ren. Si girò verso Yasu mentre il dottore saliva sull’ambulanza, gli corse il contro abbracciandolo, Yasu la strinse a sua volta, baciandole la testa.
-Ha detto che andava un attimo in bagno…poi ha cominciato a dire che aveva la gola secca, e si è sentito male all’improvviso…quando l’ho visto cadere per terra ho creduto che fosse morto…-
-Ora cerca di calmarti, vedrai che andrà tutto bene…-
Quella notte Reira e Yasu rimasero fino al mattino successivo in ospedale, in attesa che Ren si svegliasse, ogni tanto lei si avvicinava al suo letto e lo chiamava lievemente sperando che si svegliasse, gli accarezzava la testa, e canticchiava una melodia, mentre Yasu si era preoccupato di andare a prendere qualcosa da mangiare. Quando tornò, vide Takumi nel corridoio accanto alla stanza di Ren.
-Non stavi lavorando?-
-Ho mollato tutto per venire qui. Non posso lavorare senza la cantante e il chitarrista-
-Ti ha chiamato Reira?-
-Non ci volevo credere quando mi ha detto che Ren era stato portato in ospedale per una overdose-
-Non mi dire che ti sei preoccupato!-
-Preoccupato… non potevo continuare il lavoro senza il resto della band, e Reira era qui a vegliare su Ren…Naoki invece è tornato a casa, non mi sembrava il caso di riunire tutti i membri dei trapnest in ospedale. Già è un rischio essere qui-
-Guarda che Ren se l’è vista davvero male…-
-Io penso al bene della band, se questa storia salta fuori, e finisce sui giornali sai che casini che ne escono. Ci manca solo un altro scandalo…-
Yasu lo guardava con rammarico, ma d'altronde Takumi era sempre stata una persona cinica ed egoista. Per lui il lavoro era sempre venuto prima di tutto.
-Ah, ho riaccompagnato Haci a casa…con lei c’è Misato, non voleva stare da sola-
-E’ bene che non stia da sola, io resto qui finchè non arrivano Take e Narita. Inoltre, sicuramente ci sarà qualche paparazzo in circolazione. Penso che farò tardi comunque…-
-Bene, io allora accompagno Reira a casa-
-Come vuoi. In effetti è meglio che sparite dalla circolazione-
Non disse nulla e entrò nella camera di Ren.
-Sarà meglio che tu torni a casa, non sarebbe un bene se arrivassero i giornalisti, o peggio quelli di SERCH-
Reira salutò con un bacio sulla fronte Ren, mentre Yasu la prendeva per il braccio, lei si strinse a lui. Standole accanto poteva sentire il suo profumo come allora, e stringerla fra le braccia gli faceva riaffiorare vecchi ricordi. Salutò con un cenno Takumi, mentre si avviava con Reira sottobraccio all’uscita.
-Ecco, sei arrivata-
-Perché non resti un po’ con me? Non mi va di stare da sola…-
-Ho del lavoro da sbrigare-
-Solo cinque minuti, ti prego Yasu-
Lei lo guardò tristemente, aveva ancora in mente l’immagine di Ren che ansimava sul pavimento del soggiorno, aveva avuto davvero tanta paura. Yasu annuì rassegnato, non se la sentiva di rifiutare una seconda volta, non aveva il cuore di lasciarla da sola vedendo che era ancora turbata.
Mentre si avvicinavano alla porta d’ingresso la tensione li sorprese impreparati, Reira si mordeva il labbro inferiore, mentre cercava di trovare nella borsetta la scheda magnetica per aprire la porta. Lui non potè fare a meno di notare che il cuore le batteva forte, e la mano tremava nel tentativo di aprirela, appoggiò la mano sulla sua e la ragazza smise di tremare.
Insieme aprirono la porta, mentre Yasu stava per lasciare la presa dalla sua mano Reira lo prese per la giacca e lo avvicinò a se, ritrovandosi a fissare i suoi occhi attraverso gli occhiali da sole. Aveva un espressione smarrita mentre le passava una mano fra i capelli, era un sentimento che già aveva conosciuto, tempo fa, avrebbe dovuto respingerlo, ma l’istinto lo invitava a continuare, le passò l’altra mano sulla vita e la attrasse a se baciandola, Reira gli mise le braccia al collo, lasciandosi andare all’impeto dei suoi baci, si avvinghiò a lui, e Yasu la trascinò in casa, chiudendo la porta dietro di se.

***

Il piccolo dormiva beatamente sul divano, mentre i due giovani consumavano una scena già vissuta.
Poi Reira si allontanò di colpo da lui, tirandosi indietro i capelli, Yasu la guardava interrogativo.
-Se non ci fermiamo andremo oltre, e non è il caso…con qui il bambino-
-Mi sarei fermato comunque…non è più possibile tra di noi-
Reira si riavvicinò stupida prendendo fra le mani la sua camicia, lo guardava incredula.
-Yasu…-
-E’ ora che tu vada, non devi lavorare domani?-
-Io…volevo…-
-A volte bisogna saper dare un freno ai propri istinti, e ammettere che si sta sbagliando-
- E se non ci stessimo sbagliando? Cosa ti ha fatto pensare una cosa simile? Pensi che lo faccia solo per sfogo?-
-Reira…tu vivi a Londra, e io sono qui…inoltre, non ha senso continuare se ci vediamo una volta al mese, ci facciamo solo del male-
-Yasu…-
-Ti aspetto il mese prossimo-
Si coprì il volto di lacrime con le mani, singhiozzando amaramente, cercando di smettere, Yasu andò a svegliare il piccolo che si era appena girato dall’altro lato.
Li guardò perplesso mentre lasciavano il suo appartamento. Era stato tutto un errore, il frutto di quell’amore senza futuro che si era presentato inaspettato, e lui sapeva che non poteva condividere un sentimento che non esisteva. L’amore che un tempo aveva provato per lei, ora non era più così forte da desiderare una vita insieme. Si rattristò mentre pensava a questo, era un concetto sbagliato da pensare perché avevano un figlio insieme, ma non riusciva a vivere a pieno quell’emozione, non finchè nel cuore avrebbe avuto il ricordo di Nana.

NOTE AUTRICE:^///^ Questo capitolo è venuto un pò lungo, ma spero che non vi annoi. Vi ringrazio per tutte le vostre recenzioni, mi aiutano moltissimo ad andare avanti con questa storia e sono anche delle gratificazioni dal punto di vista personale. Grzie ancora e a presto!

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Capitolo 6
*** IL RICORDO DI REN ***


“Brucia come fuoco sulla pelle il suo ricordo. Ho sempre cercato l’amore dalle persone…le donne erano l’affetto materno che mi è sempre mancato, e forse lo sono tutt’ora.”


La stanza, appena illuminata dal sole sembrava una vecchia aula di scuola, alcuni banchi erano accatastati ai lati, accanto alla finestra che dava sul cortile. Sulla parete sorgevano disegni malcurati e un poco stropicciati sui bordi, e alcuni poster di un gruppo ormai passato.
Shin guardava svogliatamente il suo copione, recitando ogni tanto qualche frase che non gli sembrava chiara, con la mano si sfiorava la testa, e il piede destro si muoveva nervosamente.
Erano passati gli anni, ma lei non l’aveva mai dimenticata. Era iniziato tutto come al solito, certo, con un pizzico in più di curiosità e malizia, ma era rimasto un lavoro per lui. Il peccato dei bambini è quello di crescere troppo in fretta, imparare i giochi della vita prima di aver imparato a vivere, ma non era il suo caso.
Reira era un angelo che danzava alle note della sua chitarra, un angelo ai suoi occhi.
-Non voglio che insisti…non voglio…che insisti…CHE INSISTI!...-
Non se la sarebbe mai tolta dalla testa, lei se ne stava li, anche mentre provava le battute, e i suoi occhi lo trafiggevano, gli ricordavano…quella mano, quella di quel bambino. Non era pronto per affrontare i fantasmi del suo passato. Sulla porta una ragazza se ne stava immobile a fissarlo, Shin non si stupì di vederla. Lei gli sorrise dolcemente mentre si avvicinava a lui con gli occhi grandi e lucidi di ammirazione.
-Ciao Shin…stai provando la parte?-
-Già, ma non riesco bene oggi…tu invece hai già studiato tutto?-
-Si…io apprendo in fretta-
Il dito pericolosamente sul mento di shin, e i suoi occhi troppo vicini per non guardarli, la ragazza si sporse più avanti e gli accarezzo una mano, appoggiata sul copione.
-Rin…non è il momento-
-si, beh…avevo pensato che magari…prima delle riprese potessimo stare un pochino insieme-
Il sorriso, la mano, i capelli che ogni volta ricadevano sul suo corpo esile, le sue labbra e la sua voce da angelo…e tutto era rivolto al suo ricordo, quando lei era sua.
Mise una mano sul viso di Rin, mentre i suoi occhi la scrutavano perplessi mentre la baciava.
L’istinto è come una morsa che ti lega e non ti molla più, rimani intrappolato nel desiderio, nel pericolo di quell’istinto che ti possiede, ed è come non esistere più.
Shin le sfiorava il collo, e le baciava il petto, la camicetta rosa di Rin slacciata lasciava intravedere le forme sinuose ed eleganti. La prese subito, spinto dall’impeto di quelle labbra roventi contro le sue, le gambe avidamente avvinghiate al bacino stretto e magro di lui.
Da lontano le voci provenienti dal corridoio interruppero l’unirsi dei due amanti, si ricomposero in fretta, mentre due figure entravano nella stanza, e tutto era tornato alla scena iniziale. Ora era il tempo di recitare, abbassò un ultima volta lo sguardo sulle parole, poi la luce della telecamera lo abbagliò e una voce diede via alla scena.

“In principio, il mio obiettivo era trovare un lavoro, e poi sarebbe venuto tutto il resto. Dovevo essere al lavoro un secolo fa, e invece mi ritrovo nella vasca da bagno di Ren. Ho la strana sensazione che non è passato il tempo in questi anni, ma sai Hachi, non mi dispiace in fondo. Sono tornata…sono tornata per amore di Ren”




Ren stava trafficando in cucina, cercando di preparare qualcosa somigliante ad una cena, Nana appena uscita dal bagno, se ne stava con l’accappatoio blu sul letto, i lunghi capelli bagnati sembravano più scuri, si capiva che erano tinti, cercava di pettinarseli, mentre guardava evasiva gli oggetti nella stanza; una tv al plasma davanti al letto con svariate videocassette e dvd, un grande armadio in fondo, accanto alla porta. Doveva averli comprati di recente. Aveva l’aria abbattuta, come se ogni oggetto riflettesse la sua assenza in quegli anni, prese una sigaretta dal pacchetto appoggiato sul comodino e l’accese.
Era ancora tutto li; i rumori della stanza, le voci sussurrate, lo strusciare delle lenzuola sui corpi eccitati e accaldati, ancora tutto come una volta, la stessa passione, lo stesso amore…
Ren e Nana stavano seduti l’uno di fronte all’altra in silenzio, lei sorseggiava il caffè senza guardarlo, mentre lui leggeva una rivista di pettegolezzi.
-Va tutto bene?-
Nana appoggiò la tazza e lo guardò perplessa, giocando con la catenina che teneva al collo.
-Dovevo presentarmi ad un lavoro oggi. Ormai fa niente-
-Colpa mia…-
-Ma no, non darti pensiero. Ne troverò un altro. E tu invece…che fai ora?-
Ren ammiccò un cenno di sorriso.
-Non ho un lavoro-
-E come fai a vivere?-
- E tu piuttosto, che cosa hai fatto in tutto questo tempo?-
Le si avvicinò di più, avvicinando il volto al suo, mentre le avvolgeva le spalle con il braccio. Nana rimase bloccata. Era incapace di parlare…si passò le dita fra i capelli che ricaddero sul volto di Ren.
-Io…io…-
-Cosa? Che hai fatto in questi anni? …chi hai conosciuto…?-
-Mi sono arrangiata come cameriera…e in altri posti. Basta che mi pagavano-
-Certo. Non sei cambiata per niente-
Gli si avvicinò ancora di più all’orecchio, il suo respiro affannato che penetrava nella pelle e la faceva rabbrividire, Ren se ne accorse perché sorrise maliziosamente, sfiorandole col dito il mento.
-Non è così facile cambiare…-
-No, non è facile…ma tu…sei ancora mia Nana-
I suoi occhi lo imploravano di continuare, ora pieni di lacrime non ancora cadute, avvicinò cauta la mano sulle sue labbra. Le avrebbe morse, assaggiate, mangiate in quell’istante.
-Sempre Ren…-
-Quindi sono ancora l’unico con cui hai fatto l’amore…l’unico di cui hai baciato le labbra…l’unico che ha sfiorato e assaggiato il tuo corpo…tutto di te-
-Ren…-
-Sono felice sai? Perché ora che sei qui con me posso tornare a vivere-
Nana lo guardava ancora negli occhi, scoppiando a piangere, mentre le labbra si impossessavano di quelle parole. Ren l’accolse impreparato, mentre le si sedeva a cavallo, e gli slacciò la cintura dei jeans. Ren fece cadere la spallina della canottiera baciandole la spalla, mordendola, leccandola…
La mano di Nana si muoveva investigatrice e avida; si teneva rigida sui piedi, mentre cercava di introfularsi dentro i boxer, strappando a Ren un gemito di piacere.
Le prese il viso fra le mani e si guardarono negli occhi, vogliosi entrambi dello stesso amore, Ren sorrise lievemente.
-Vuoi di nuovo farlo senza alcuna protezione?-
-Protezione?-
-Io non ho usato nulla ieri, e tu…prendi ancora la pillola?-
-No, ma non mi importa-
La guardò negli occhi, senza lasciar cadere mai lo sguardo, mentre lo divorava di baci e il tempo sembrava fermarsi, Nana era come stregata dalle sue iridi, si staccava leggermente da lui, si mordeva il labbro mentre le dita di Ren le sfioravano la pelle e le sue mani le toglievano le mutandine, lei stava ancora guardando l’azzurro intenso dei suoi occhi quando la penetrò inaspettatamente…lasciando che la passione li sorprese entrambi.
La tazza era ancora sul tavolo e il caffè fumava ancora, fuori le luci della città facevano da riflettori sui due innamorati.

Non era morta. Non l’aveva persa, era l’unica speranza che la faceva sorridere in quel momento. Nobu le camminava accanto, incrociando di tanto in tanto il suo sguardo, non riusciva ancora a credere che Hachi gli credesse.
Si fermarono davanti ad una vetrina di cioccolatini e Hachi si ricordò di S. Valentino, quando Satzuki voleva regalare una scatola di cioccolatini a Shin. Si girò di scatto verso di Nobu che le stava sorridendo imbarazzato e provò una strana sensazione al petto.
-Pensavo che sarebbe carino regalare dei cioccolatini anche a Nana quando la incontreremo-
-Stai ancora pensando a Nana?-
-Sempre Nobu, non smetto mai di pensare a lei, perché mi manca in modo indescrivibile. Vorrei tanto sentirla cantare, e dirle quanto è importante per me-
Lo sguardo di Nobu le raggelava il sangue, e il cuore, giurò che si fermasse nell’istante in cui lui prese la sua mano e la invitò ad incamminarsi. Mano per mano. Era una scena già vissuta, eppure aveva la dolcezza e l’armonia di una novità inaspettata. Come era calda la mano di Nobu, nonostante il freddo dell’inverno.
-Quando la incontreremo…-
Si ripè Nobu fra se e se, abbassando leggermente il capo, Hachi gli strinse più forte la mano, respirando la felicità di quel momento. Si sentiva come una ragazzina.
Il telefono squillò mentre si stavano dirigendo verso il centro, per comprare dei regali di natale, e subito l’atmosfera fra loro cambiò. Takumi era piuttosto seccato e innervosito.
-Ti ho detto che domani ho un lavoro da fare e non posso prendermi cura della bambina-
-Ma avevi detto che te ne saresti occupato, Satzuki non vedeva l’ora. Insomma, è dai nonni da due giorni e voleva stare con suo padre…-
-Nana ho detto che ho impegno importante di lavoro! Quindi non discutere!-
-Non discutere?...Takumi io…-
Non potè finire la telefonata perché l’ex bassista dei TRAPNEST riagganciò senza nemmeno salutare, Hachi si stringeva le mani sul petto, trattenendo a stento i singhiozzi.
-Hachi…-
-No Nobu, non dire niente…ti prego non dire niente-
Si arrese, sconsolato, non sopportava vederla piangere, ma non poteva fare nulla per lei se non darle il suo sostegno e la sua amicizia. Il vento soffiò più freddo e prendendola sotto braccio la trascinò in un bar, mentre da lontano la figura elegante e sorpresa di Yasu guardava la scena.
-Dove pensi che sia Nana?-
-In qualche albergo, non penso che sia tornata all’appartamento 707-
-Perché non dovrebbe tornare li? Quell’appartamento è la sua casa…io non capisco Nobu-
-Sarebbe trotto ovvio Hachi!-
Lo guardava tristemente, tenendo il fazzoletto stretto nel pugno.
-Non penso che voglia farsi riconoscere, non sarebbe scappata quel giorno quando mi ha visto-
Haci non rispose, e si chiese se Nana sarebbe scappata anche nel vedere lei. Se non voleva farsi trovare, perché era tornata a Tokio? Il pensiero che non volesse più vederla le bruciava dentro, era insopportabile, e non voleva crederci. Quando la vedrà Nana le verrà incontro e non la lascerà mai più sola, questa era la certezza che sentiva dentro di se.
-Senti che ne dici se andiamo a mangiare fuori stasera? Invitiamo anche Yasu e Ren…-
-Ren? È da tanto che non lo sento, so che è senza lavoro e che non sta molto bene-
-Già, appunto per questo, magari gli fa bene svagarsi un po’-
-Non lo so Nobu…-
-Coraggio, tua figlia è dai nonni e tu sei a casa da sola, sarà un occasione per uscire tutti insieme-
Nobu non aspettò la risposta e nemmeno vide il cenno di assenso che Hachi gli fece, prese il cellulare per scrivere un messaggio a Ren.
-Ecco fatto! “ti va di venire a cena con me Yasu e Haciko? Aspetto la tua risposta…Nobu”-
-Ma a Yasu non l’hai ancora chiesto-
-Ma lui verrà di sicuro…figurati!-
-No, perché c’è Ren-
-Verrà! Lo chiamo adesso per dirglielo-
Il telefono squillava ma nessuno rispondeva. Yasu fissava lo schermo del cellulare con il nome di Nobu che indicava la chiamata. Dentro di lui c’era ancora la colpa di quella notte non voluta con Reira, il ricordo del figlio sul divano che dormiva, l’avrebbe rivisto il mese prossimo, eppure aveva la sensazione che non sarebbe stato così.
Non aveva importanza quanto tempo era passato, né quanto lui desiderasse una famiglia, perché quel bambino non era mai stato veramente suo. Come si può essere padri se non si può insegnare a camminare, a ridere, a parlare…al proprio figlio? Come poteva essere un buon padre se lo vedeva una volta al mese? Si accese una sigaretta, le mani gli tremavano e gli occhiali erano appannati, le lacrime gli riempivano gli occhi.

La tazza con il caffè era ancora sul tavolo, ormai aveva smesso di fumare, Ren leggeva sorpreso il messaggio di Nobu, mentre Nana dormiva sul pavimento, accanto alla sedia. Fa freddo per terra, si sarebbe ammalata se non si fosse coperta.
-Nana-
La chiamò debolmente, aveva timore di svegliarla. La ragazza non si mosse, nemmeno quando Ren le sfiorò il viso con la mano.
-“Ti va di venire a cena con me Yasu e Haciko?”-
Ripè forte il testo del messaggio, e questa volta Nana si girò verso di lui, ancora assonnata. Lo sguardo di Ren cadde sul seno nudo, sorridendo malizioso al pensiero delle sue labbra che lo mordevano dolcemente, e a come le piaceva quando lo faceva.
-Che cosa?-
Riprese il controllo dei suoi pensieri, fissandola negli occhi, mentre scherniva divertito la situazione, le portò davanti agli occhi il cellulare.
-Nobu mi ha scritto un messaggio…guarda-
Le mostrò lo scritto, mentre lei prendeva il cellulare fra le mani. Sembrava scombussolata.
“Hachi” alla cena, no, non era pronta a darle delle spiegazioni, non era pronta a guardarla negli occhi, sarebbe scoppiata a piangere e si sarebbe vergognata di se stessa per averla lasciata sola, e aver mentito a tutti, Yasu compreso.
Si sentiva una bambina che doveva accettare la colpa di una marachella, e mentre leggeva quelle righe, il fiato le si fermava in gola. Non era come quando faceva fatica a respirare, qualcosa di peggio e faceva più male.
-Pensi di andarci?-
-Non da solo…-
-Sei matto? Io non vengo di certo!-
-Perché? Infondo sarebbe il momento giusto per ripresentarti a tutti-
-No!-
-Non ci vado senza di te-
-Allora sei uno stupido Ren-
-Sono stato senza di te per anni, non ti mollo neanche un secondo-
-Io rimango qui-
Aveva paura che nel momento in cui avrebbe messo piede fuori di casa lei se ne sarebbe andata. Così come era venuta, come un soffio di vento, lasciandogli il freddo nel cuore. Si alzò andando a prendere l’accappatoio blu che Nana aveva lasciato sul letto, poi tornò mettendoglielo sulle spalle, lei mise una mano su quella di lui. Lo guardava di profilo, mentre le dava un bacio sulla guancia e la stringeva per scaldarla, e si chiese se Ren avesse mai notato il diamante all’anulare. L’anello uguale a quello di Hchi, che tempo fa era il simbolo del loro fidanzamento, spostando gli occhi notò che anche Ren non si era mai tolto il lucchetto che teneva al collo. Dunque non si erano mai lasciati…
-Se vengo, sicuramente rovinò la serata a tutti, e non mi va. Non aver paura che me ne vada via, resterò qui ad aspettarti-
-Voglio andarci con te-
-Non è il caso che per il momento ci vai da solo? Io…non me la sento, non ho ancora la forza per…-
Ren si era alzato e si era rivestito; si stava allacciando la cintura quando le ultime parole di Nana lo colpirono. “Io non me la sento, non ho la forza…” era un passato che non avrebbe mai dimenticato, erano le parole che l’avevano accompagnato per anni, che gli avevano fatto passare momenti in cui vivere non era più una cosa naturale ma una sofferenza, un dovere nei confronti degli amici…di Yasu, chiuse gli occhi un istante e i ricordi gli affiorarono alla mente amari e crudi.

La mano tremava, le gocce di sudore scendevano lente lungo la fronte e la guancia, il suo respiro era affannoso e singhiozzava debolmente. Si reggeva a fatica al lavandino del bagno, l’espressione del suo volto era sofferente, non aveva smesso un attimo di piangere.
Il cellulare continuava a suonare in continuazione, ma Ren non rispondeva mai, non lo sentiva nemmeno, la sua testa era piena di rimpianti e dolori. Tre giorni prima aveva promesso a Nana che sarebbero andati a fare un giro, ma la pioggia li aveva costretti in casa, non si ricordava quasi niente, come se fosse successo anni indietro, nella sua testa c’era solo l’immagine della donna che amava accovacciata al suo petto, mentre dormiva. Già, stava dormendo, e quando si era svegliato non l’aveva più trovata accanto a se.
Il cellulare non era raggiungibile, e non era andata né da Yasu né da Hachi, e Nobu era tornato ad Osaka…Era subito uscito a cercarla, era stato in tutti i posti immaginabili, ma senza aver successo.
Nana era scomparsa.
Il cellulare suonava ancora, era Yasu, probabilmente la cerimonia del funerale era finita, Ren guardò lo schermo con gli occhi appannati, prese il mano l’apparecchio e lo lasciò ricadere per terra, la sua mano tremava, era debole.
Si trascinò sul bordo del lavabo a forza; accanto al rubinetto dell’acqua calda c’era una siringa, la prese continuando a singhiozzare, la strinse forte in un pugno serrato, il suo pensiero era uno solo, lei non c’è più…lei è morta…lei non è più sua.
Si lasciò scivolare a terra, senza peso, mentre infilava l’ago nella vena del braccio sinistro, ispirando stancamente, aveva superato i suoi limiti. Sentì che il peso di quel dolore si sollevava e lasciava la sua testa vuota, come se stesse galleggiando. Era così facile evadere dalla realtà e dai dolori della vita? La verità è che era sempre stato debole. Debole per non restare quando aveva preso la decisione di unirsi ai TRAPNEST abbandonando l’unica donna che avesse mai amato, debole nell’ammettere che non era felice, che avrebbe voluto allontanare Yasu da Nana, e ora era debole perché non aveva avuto il coraggio di andare al suo funerale.
Lasciò uscire l’ago dalla vena, una lieve scia di sangue scendeva fino al polso, e una goccia cadde sul pavimento, Ren chiuse gli occhi ancora immerso nell’estasi.
Lei è morta…lei è morta…lei è morta…-Nana…-
Singhiozzò debolmente, le mani fra i capelli e gli occhi chiusi, mentre si sdraiava per terra. Era solo.
Si addormentò per circa tre ore, e quando riaprì gli occhi era nel suo letto, qualcuno doveva averlo portato li, perché lui non aveva la forza di alzarsi. Si girò verso la finestra e vide Reira che guardava i primi raggi del sole.
-Reira?-
-Ren-
La ragazza si girò preoccupata e corse al suo fianco, nel frattempo Ren cercava di mettersi seduto, ma lo sforzo gli faceva calare la pressione, la dose che aveva preso doveva essere forte, la sua testa era ancora leggera.
-Ho citofonato per mezz’ora, ma tu non aprivi, così mi sono fatta aprire dal portiere, e ti ho trovato a terra, privo di sensi…con questa-
La voce roca non sembrava la sua, mentre gli mostrava la siringa, Ren chinò il volto all’ingiù amareggiato. Si sentiva in colpa, nei confronti di Reira.
-Mi…dispiace. Mi dispiace-
-Dici sempre così, dici sempre che smetterai, che non sei dipendente, e invece quasi ti ammazzi! Ren…perché?-
-Non posso…vivere…-
-Non dire sciocchezze! Ren ti prego…-
Lei morta, lei non esiste più…lei è solo un ricordo…un ricordo…un ricordo…
Ren non rispondeva, si asciugava gli occhi lucidi, ma non riusciva a smettere di piangere, per ogni lacrima riemergeva il suo ricordo, non si sentiva in colpa per la droga, ma per lei, perché non l’aveva salvata, perché non era riuscito a starle accanto, perché un tempo l’aveva abbandonata, e ora era lui a rimanere solo.
-Lei è morta-
-Ma tu sei vivo, e devi continuare a vivere…perché vuoi gettare via la tua vita così? Tu devi smettere Ren, o ne morirai!-
-Ma io…non…ci riesco….non ci riesco…non ci riesco…non ho la forza per…-
-Devi provarci!-
-Tu non hai detto niente a Takumi…vero?-
-No, figurati, se lo sapesse Takumi…a lui interessa solo il successo della band, la sua fama…-
-Sei ancora innamorata di lui?-
Reira si alzò di scatto dal letto, non se l’era aspettata una domanda del genere.
-Vi ho visti…-
Ammise malinconico, mentre Reira tornava a sedersi al suo fianco, mettendosi una mano sul volto.
-Vi ho visti insieme, mentre entravi nella sua camera…e lo baciavi-
-Oh…Ren-
L’aveva ammesso come se stesse parlando di sé, e mentre glielo confessava sentiva una strana fitta al petto, ormai Reira era l’unica amica che gli rimaneva, l’unica che poteva capirlo. Si avvicinò a lei e la abbracciò esplodendo in un pianto disperato.


Nana lo abbracciò da dietro, respirando il suo profumo, e ascoltando il ritmo del suo cuore, Ren chiuse gli occhi cullato dal tepore caldo del suo corpo.
-Ren…io ti amo-
Sorrise mesto, ormai erano solo ricordi quelli che facevano male. Lei era li con lui.
-Ti amo anch’io-

“Sai Hachi, sono convinta che la mia vita non sia del tutto un disastro, ora che sono qui con Ren, sento di essere sicura di me stessa, e per la prima volta nella mia vita voglio una famiglia, forse dei figli…ma più di ogni altra cosa voglio vederti”


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Capitolo 7
*** SCHEGGE DI RICORDI ***


Yasu era nel suo ufficio, assorto tra le pratiche di qualche cliente esigente. Il cellulare era di fianco a lui, appoggiato sulla scrivania, ma non osava guardarlo.
Nobu l’aveva chiamato prima che arrivasse in ufficio, lo aveva pregato di venire alla cena insieme a lui e ad Hachi, e inizialmente aveva accettato, ma quando gli era stato fatto il nome di Ren, rispose che si era appena ricordato che quella sera aveva un impegno.
Strano come le situazioni possono cambiare le persone, e per quanti sforzi facciano non riescono a rimediare, Yasu, per quante volte tentasse non riusciva a guardare Ren negli occhi, non riusciva a parlargli. Se fosse andato alla cena l’avrebbe visto triste e assente come sempre, quando stavano tutti insieme, e inesorabilmente avrebbero finito di parlare di Nana.
Il cellulare squillava senza tregua, Yasu smise di leggere le pratiche che teneva fra le mani, e con sguardo assente guardò lo schermo che si illuminava. Reira. Abbassò lo sguardo tristemente, chiudendo gli occhi e massaggiandosi con le dita le palpebre, mentre ripensava all’ultima conversazione avuta con lei. Non poteva ignorarla, era la madre di suo figlio, anche se il coraggio per rispondere mancava e il sudore gli bagnava la fronte. Si allentò il nodo della cravatta e rispose al cellulare.
Yasu rimaneva in silenzio, ascoltando i respiri affannosi della donna, forse stava piangendo e per non farsi sentire tratteneva le lacrime, poi un sussurro quasi udibile lo persuase a parlare.
-Reira?-
-Vo…volevo sentirti…-
-Stai lavorando?-
-No-
-Che succede? Stai bene?-
-Yasu…ho bisogno di te! Io sto male così…-
-Ne abbiamo già parlato tante volte. Sappiamo entrambi che è meglio così per tutti e due-
-Non è vero! L’hai deciso tu, io non ho avuto voce in capitolo…ti sei limitato a tagliarmi fuori dalla tua vita…-
-Non sei fuori dalla mia vita. Abbiamo un figlio insieme…tu…non mi sei indifferente-
-Perché mi tieni lontana da te allora? Perché Yasu…-
Aveva cominciato a piangere senza smettere un attimo. Era un dolore acuto, allucinante e disarmante davanti all’indifferenza. Yasu rimaneva inerme; le sue mani sembravamo annullarsi, e quella che teneva stretto il telefono era come burro. La fronte continuava a sudare, e il nodo della cravatta pareva più stretto, ora che anche lui sentiva un magone fermo in gola; la allentò ancora un po’, ma quella sensazione di soffocamento non se ne andava.
-Reira…smetti di piangere ti prego-
-Io…io non…non ci riesco-
-Cosa dovrei fare secondo te? Trasferirmi a Londra e abbandonare tutto? Vivere una vita imposta…ho anch’io dei sogni, delle aspirazioni…e…-
-La verità è che non vuoi stare con me! Allora dillo una volta per tutte! Dillo così posso smettere di sperare che qualcuno mi ami!-
-Reira…-
Il suo nome riecheggiò nell’anticamera del cervello, per poi morire sulle sue labbra, ma lei non aveva udito il richiamo, non aveva voluto sentire oltre, Yasu riagganciò la chiamata e poi notò il messaggio di Nobu che gli rammendava sempre l’invito a cena. Non si era ancora arreso. Tirò un lungo sospiro e lo chiamò.
-Yasu?-
-Nobu. Stasera vengo, dillo pure agli altri-
Così dicendo riagganciò e con un fazzoletto si asciugò il sudore dalla fronte, poi riprese i fogli su cui stava lavorando prima e continuò a leggerli.


“Sono sempre stato pronto a sacrificarmi per il bene delle persone a cui tengo, tante volte rinunciando alla mia vita. Ora che potrei vivere, mi manca la scusa per farlo. Mi manchi tu, Nana”

Sdraiata sul letto matrimoniale della camera dell’ex chitarrista dei TRAPNEST, Nana leggeva scrupolosa gli inserti di lavoro, cerchiando con un pennarello rosso quelli che potevano essere presi in considerazione. Sull’anulare della mano sinistra l’anello col diamante che le aveva donato Ren brillava ancora come la prima volta che lo aveva messo al dito. Pensierosa cerchiava tutti i posti da cameriera, commessa e venditrice ambulante, masticando svogliatamente ogni tanto l’estremità del pennarello, mentre giocava a incrociare le gambe e ogni tanto si spostava qualche ciocca bionda che le cadeva davanti al viso. Ren la osservava silenzioso dalla soglia della porta.
-Hai trovato qualcosa?-
-Forse-
Si avvicinò a lei con il passo felpato come quello di un gatto, per poi mettersi di fianco a lei, con una mano sotto il mento e il gomito appoggiato sul cuscino, Nana alzò lo sguardo e lo guardò interrogativa.
-Anche tu dovresti cercarti un lavoro-
-Mah…Take mi ha già fatto fare un colloquio, se tutto va bene inizio fra qualche giorno-
-Potresti comunque cercare…nel caso in cui non ti prendano!-
-Ah…Nana Nana…-
Si appoggiò completamento al cuscino, mentre le accarezzava la pelle liscia della spalla; la stessa pelle che portava il suo tatuaggio. Un brivido le percorse il collo, e tenne a stento un gemito, Ren sorrise malizioso.
-Smettila! So a cosa vuoi arrivare…ma non si può sempre pensare al sesso. Certo che non sei cambiato per niente! Sei il solito porco!-
-Porco?-
Ren emise una gioiosa risata. Era da anni che non rideva, e ora farlo sembrava rinascere. Non c’è cosa più bella che ridere con la donna che si ama.
-E dai, adesso non esagerare…e poi…dobbiamo recuperare il tempo perso, non credi?-
-Ora ho da fare, il tempo perso lo possiamo recuperare un’altra volta-
-Sei incredibile…-
-Sono solo occupata a fare altro. Se non trovo un lavoro dovrò andare presto ad abitare sotto i ponti!-
-Mah…puoi sempre venire qui con me…-
Lo fulminò con lo sguardo, ricordando tutte le volte che aveva detestato il fatto di dipendere da Ren. Non si sarebbe mai ripetuto, non sarebbe tornato tutto come allora.
Era ferma sulle sue decisioni e non avrebbe ribattuto lo sguardo di sfida di Ren. Ritornò a leggere gli annunci senza dare peso al fatto che Ren la stava ancora guardando contrariato. Stava rincorrendo gli stessi passi, e sicuramente avrebbe fatto gli stessi errori, ma era sempre quello che aveva voluto; vivere con lei, avere una famiglia…la guardava disinvolta e superba nei suoi atteggiamenti, come se la cosa non la sfiorasse nemmeno, questo lo irritava parecchio. Strinse i denti per scacciare quel senso di fastidio che si era istaurato dentro di lui.
-Dove stai ora?-
-Ho affittato una stanza qui vicino-
-Umh…Nana?-
-Che c’è?-
-Facciamo un giro?-
Un giro? Lo guardò sorpresa, e per un attimo dovette realizzare la domanda perché sembrava troppo inverosimile. Sorrise debolmente, la proposta le piaceva, e nel frattempo avrebbe potuto cercare un lavoro.
Ren si alzò dal letto e aprì l’anta del suo armadio per tirarne fuori una camicia bianca; la appoggiò sul letto delicatamente, come se stesse maneggiando una reliquia rara, poi si tolse i pantaloni e li adagiò anch’essi accanto alla camicia. Nana lo guardava perplessa, scorgeva le labbra di Ren sogghignare mentre si toglieva la maglietta e infine i boxer.
-Ma che diavolo stai facendo?-
-Mi spoglio, no?-
Rimase ancora per un attimo scossa, non capiva le intenzioni dell’uomo, quando la sagoma di Ren incominciò ad ondeggiare verso il bagno le fu chiaro il suo obiettivo.
-Era il caso di fare tutte queste scene?-
-Era divertente vederti lì a chiederti cosa stessi facendo-
Si lasciò scivolare la porta alle spalle, che non si chiuse.
-Oh si che ridere…sto ancora piegata in due dalle risate! Sei proprio scemo a volte. Ma non dovevamo fare un giro? Prima mi chiedi di fare una cosa, e poi d’un tratto te ne vai a fare la doccia?-
-Stasera c’è la cena con gli altri. Dovevo mettermi un po’ in sesto. Sai che Nobu non sta più con Yury? E invece…se sapessi di Yasu…a dire la verità lui mi evita, d'altronde le cose cambiano quando si ha una grande sofferenza…ma Nana, mi ascolti?-
Si girò di scatto sentendo la mano della ragazza che gli sfiorava la schiena, salendo sulla spalla e raggiungendo la clavicola, Ren respirava affannosamente.
Le labbra di Nana gli sfioravano il collo, lo baciavano, per poi raggiungere il suo orecchio, Ren stringeva la maglia ormai bagnata di Nana, sentiva la sua pelle irrigidita dal flusso dell’acqua, senza aspettare oltre gliela tolse.
-Chiedimi ancora se sei l’unico…-
Glielo sussurrò nell’orecchio, mentre le mani scendevano sulle natiche e accarezzavano la sua pelle, Ren chiuse gli occhi lasciandosi andare al piacere che stava crescendo sempre più intenso, ad ogni carezza, ad ogni bacio, ad ogni respiro…
-Lo sono…-
-…Sempre…-
La prese per la vita e la girò bruscamente di spalle, Nana teneva le mani aperte, i palmi appoggiati saldamente alla parete della doccia. Chinò all’ingiù la testa, mentre le mani del suo amante le percorrevano la schiena, le accarezzava il ventre, spingendola a chinarsi, mentre con una mano le accarezzava l’interno coscia, aprì leggermente le gambe, rispondendo a un istinto naturale, Ren le tolse gli slip e non aspettò più; la fece sua prepotentemente, ammaliato dal desiderio di volerla.
-…Dimmi che vuoi di più…-
-Ren…-
Il fiato le mancava in gola, mentre Ren spingeva ardentemente dentro di lei, facendola ondeggiare in avanti, quasi a farle male. Era strano come aveva preso piega questa passione, o semplicemente era sempre la stessa. Erano sempre gli stessi.
-Dimmelo Nana…-
Glielo imponeva follemente, mentre si ostinava ad azzardare spinte più audaci, più forti…
-Ren!...-
-…Dimmelo…dimmelo…-
-Di più…voglio di più…-
Avvicinò il viso al suo, ansimando e sospirando affannosamente. I battiti del suo cuore si stavano regolarizzando, mentre anche la sua forza cedeva. La girò di fronte a lui, guardandola negli occhi, mentre la prendeva ancora con impeto, Nana appoggiò la testa sulla sua spalla. Le sue unghie rosse lo ferivano spingendoli verso l’apice del piacere…


“Per un istante, ma solo per un istante, vorrei aprire la porta di casa e trovare Nana ad aspettarmi, indaffarata ai fornelli a preparare zuppe troppo salate. Ma questa non è la nostra casa, è quella di Takumi…”


Appena rimise piede in casa la piccola Saztuki corse ad abbracciare la madre, Hachi ricambiò affettuosamente l’abbraccio, per poi mostrarle un regalo che aveva preso nel tempo in cui era stata fuori con Nobu. Prese la scatola che conteneva una deliziosa bambola con un delizioso vestito rosa, aveva il viso illuminato e gioioso. Buttò le braccia al collo della madre, per la seconda volta.
-Che bella grazie mamma! Ora la mia bambola avrà un’amica con cui giocare!-
-Qualche volta però farai giocare anche la mamma, vero?-
-No, tu sei grande per giocare con le bambole, e poi la puoi rompere!-
-Ma non è vero…-
-Si che è vero. Papà lo dice sempre…-
-Davvero?-
-Si certo…dice che tu sei una casinista che fa pasticci quando tocchi qualcosa-
-Papà parla troppo…-
Le rispose beffarda, e un poco seccata.
-Ah mamma…papà è di la in salotto-
Hachi si fermò di scatto guardando la bambina che tirava fuori dall’involucro la bambola, pensierosa, si diresse verso il salotto. Era ancora arrabbiata con Takumi, e a desso che ci pensava…Saztuki non era dai nonni? E Takumi che voleva ancora? Si fece coraggio e gli andò incontro.
Lo trovò addormentato sul divano, con il giornale sul petto, accanto a lui il posacenere era pieno di mozziconi di sigarette, nell’aria si era istaurato l’odore acre del fumo, si innervosì ancora di più, Takumi sapeva che non doveva fumare quando era insieme alla bambina.
Prese bruscamente il giornale e lo gettò per terra, ma non bastava a svegliarlo, così picchiò la gamba contro il tavolino, ma si fece solo male e non lo svegliò comunque. Si rassegnò e lo scosse leggermente, qualche timore lo aveva ancora nei suoi confronti, perciò cercò di non esagerare. Takumi si rapprese lentamente; aprendo gli occhi e notando Hachi che lo stava ancora scuotendo, la guardava come se volesse compatirla.
-La smetti? Sono sveglio…e comunque potevi chiamarmi-
-Devi andartene ora. Grazie per essere andato a prendere la bambina dai nonni, ma ora puoi tranquillamente tornare ai tuoi importanti impegni di lavoro-
-Non usare quel tono…-
-Uso il tono che mi pare, e ora ti pregherei di andartene!-
-Questa è ancora casa mia, e poi sono troppo stanco per guidare…inoltre ho fame-
Si alzò dal divano, prese dal pacchetto una sigaretta e si diresse verso la finestra, poi si rigirò leggermente verso Hachi, mostrandole che ormai fuori era buio.
Era come aver perso di nuovo la convinzione di potergli tenere testa, la verità era che non ne sarebbe mai stata capace, ma non perchè lei fosse meno forte, il problema era che nonostante tutto, una parte di lei non voleva lasciarlo andare.
-Beh comunque io stasera devo uscire…quindi la cena te la prepari da solo-
Sorrise beffardo, si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, accendendo la sigaretta. Voleva schernirla, forse metterla a disagio. Sapeva che non le era indifferente, e voleva giocare tutte le carte possibili per riaverla. Si avvicinò a lei, mettendole un braccio intorno alle spalle.
-E dove vai?-
-A cena con i miei amici…ci sarà anche Ren!-
-E per caso ci sarà anche…Nobu?-
-Si certo, è lui che ha organizzato la cena di gruppo…-
Lo sguardo ti Takumi si irrigidì. Cercare di riconquistare sua moglie non doveva avere come clausura la vicinanza di Nobu.
-Te la fai con lui?-
-…Non ti rispondo nemmeno! E poi cosa ti importa?-
La prese per le spalle, si stava arrabbiando veramente. Guardarlo ora faceva paura.
-Cosa mi importa? Mi importa perché tu mi appartieni…sei mia moglie! L’idea di te e di quel bamboccio insieme mi infastidisce!-
-Lasciami…-
-Non ti permettere di farmi questo!-
-Smettila…non è successo niente con Nobu…-
Lo abbracciò, per poi baciarlo, sorpresa di quello che stava facendo, Takumi trasformò la sua stretta in un abbraccio diverso, più sensuale, sorpreso più di Hachi. Forse era solo un abitudine, oppure la nostalgia del suo corpo, ma sapeva che era l’unico modo per calmarlo.

Da quando aveva avuto la brillante idea di una cena con tutti gli altri, l’umore di Nobu era cambiato visibilmente, in meglio. Per l’occasione si era comprato un paio di scarpe nuove, e aveva tagliato di poco i capelli; dentro di se cercava la sicurezza che non aveva da tanto, una presunzione che forse, sarebbe potuto accadere qualcosa con Haciko.
Come era prevedibile, era il primo ad essere arrivato al ristorante; una deliziosa taverna dove cucinavano su richiesta anche cibo messicano. Da un momento all’altro si aspettava che qualcuno gli mandasse un messaggio per disdire l’invito; Yasu forse gli avrebbe detto che era troppo occupato col lavoro e Ren che non se la sentiva, finchè nel bel mezzo di quei pensieri un messaggio arrivò davvero. Deglutì amaramente, assaporando con freddezza il momento il cui avrebbe assestato la delusione di un ripensamento da parte di qualcuno, invece Yasu lo informava che avrebbe solo ritardato di qualche minuto perché era fermo nel traffico. Nobu si risollevò il morale, si mise comodo sulla sedia e prese la lista dei vini, aspettando con impazienza l’arrivo del gruppo.
Quella sera era arrivata inaspettata e si preannunciava capricciosa. Ren si stava nervosamente allacciando i bottoni della camicia, mentre Nana si spazzolava assorta nei suoi pensieri i lunghi capelli biondi.
-Mi terrai il muso ancora per molto?-
Ren non rispose, si limitò a girarsi verso di lei, guardandola con freddezza. Non sopportava l’idea di doversi confrontare con lei per una stupida discussione.
Tutto era iniziato poche ore prima, dopo che avevano finito di fare l’amore. Ren le aveva di nuovo domandato se avrebbe partecipato alla cena che Nobu aveva organizzato, e come la volta precedente la sua risposta era stata negativa.
-Ren? Quando fai così non ti sopporto…se non mi va, non mi va!-
-Perché?-
-Perché no, non me la sento di incontrare tutti…così…per rovinare la cena-
-Finiscila, la verità è che hai paura di quello che potrebbero dire, o fare appena ti vedono. Sei una vigliacca se ragioni in questo modo!-
Si diresse verso di lui e con rabbia lo schiaffeggiò, facendolo vacillare, Ren si aggrappò all’anta dell’armadio, incredulo.
-Sei impazzita? A momenti cadevo…-
Davanti a lui c’era una donna spaventata e triste, teneva ancora la mano alzata e lo osservava sulla guancia che gli aveva colpito. Avrebbe potuto fargli davvero male, se fosse caduto in malomodo. Si avvicinò a lui, posando quella stessa mano sul suo viso, Ren la guardava un po’ seccato, ma gli sarebbe passata subito.
-Scusami…-
-Fai sempre così. Mi ferisci e io ti perdono sempre…-
Quelle parole non la fecero sentire meglio, piuttosto la innervosirono di più. E tutto era cominciato per una stupida cena. No, era iniziato tutto sei anni prima, quando dopo due anni si erano rivisti, la verità era che non lo aveva mai perdonato per averla lasciata da sola.
-Anche tu mi hai ferito!-
-Io non sono sparito per sei anni! Non me ne sono andato lasciando tutti e facendo credere di essere morto…Non hai…non hai nemmeno la minima idea di quello che ho passato per te…-
Nana lo guardava e non capiva quello che stava dicendo. Lui era sempre stato felice con suo lavoro, la sua band, o era solo l’impressione che si era fatta? Quante cose non aveva visto in quegli anni, e quante non sapeva? Si fece piccola piccola dentro di se, mentre allontanava la mano dal viso di Ren.
-Cosa c’è che non conosco?-
-Tante…troppe cose-
-Quali cose?-
-Se vieni alla cena le saprai…-
-No!-
-Allora buona notte…-
Si sbattè la porta alle spalle, ignorando il fatto che ora lei stava piangendo. Forse non l’aveva perdonata come credeva.
Mentre montava in macchina il ricordo delle parole che le aveva detto gli martellava nella testa; tutto era l’insieme di una serie di momenti indimenticabili, impossibili da rimuovere. Non era mai stato un uomo forte , e questo lo faceva soffrire.
In tutto quel tempo non aveva mai rivelato quello che le era successo, o dove era stata, che ne era della sua vita? Si guardava in giro spaesata, l’idea era quella di ritornare nella sua camera, nel suo hotel, ma era difficile abbandonare quell’appartamento. Si avvicinò allo specchio dell’armadio, guardandosi in viso non riusciva a riconoscere quella donna che era stata in passato. Non voleva perdere di nuovo Ren, non sarebbe più riuscita a vivere, non questa volta. Si mise la giacca e si precipitò giù per le scale, per raggiungere il suo hotel.
Una volta arrivata prese dal suo armadio dei vestiti eleganti; un vestito scollato e corto e le scarpe con il tacco che non le rendevano giustizia al suo solito look, sistemò in una borsa alcuni oggetti e il portafogli, poi si decise ad uscire. Era da tanto che non metteva quelle scarpe, si era dimenticata che facevano così male ai piedi, e quel vestito era uno dei tanti che aveva indossato una sera in un locale dove cantare, si sentiva come se non fosse mai partita per ritornare in Giappone. Mentre stava per uscire il cellulare squillò improvvisamente, si era dimenticata di averne uno, lo guardò stupita e per un istante cercò di realizzare. Lesse velocemente il messaggio, poi rimise il cellulare nella borsetta e con aria risoluta si avviò al ristorante.
Un messaggio per ricordare il passato; quei sei anni lontano da tutti, a rincorrere la felicità che cercava, le note di una vecchia canzone; la suoneria del suo cellulare, la sensazione che anche se era lontana quei sei anni erano dietro di lei, e la seguivano.
“Non credevo che lo avresti fatto…” Rileggeva il messaggio con astio, come a volerlo cancellare con il pensiero, la rabbia cresceva dentro di lei. Ren era a pochi minuti da lei, d’improvviso la voglia di abbracciarlo.
“Non ti mollo così facilmente Lucy, sei legata a Agorad…” non poteva guardarlo, quel messaggio le faceva salire il sangue al cervello, non voleva ritornare sui suoi passi, ora, anche volendo, non poteva più tornare indietro.
Quando Ren arrivò al tavolo erano già seduti tutti; Yasu aveva i suoi soliti occhiali da sole, ma capì lo stesso che nel vederlo si commosse, Nobu si alzò e andò a salutarlo, mentre Hachi rimase a guardarlo dolcemente, sorridendogli.
-Ciao!-
-Come al solito sei in ritardo Ren-
-Ero indeciso su cosa mettere…ma vedo che avete già mangiato!-
Yasu gli sorrise beffardo, indicando dei piatti vuoti e i bicchieri pieni.
-E si, quando si arriva tardi…ormai abbiamo finito, puoi ritornare a casa-
Nobu si intromise subito, spiegando che in quei piatti c’erano degli antiasti, che gli erano stati serviti prima, e che non avevano ancora ordinato, Ren gli mise una mano sulle spalle e sorridendo lo rassicurò che aveva capito il sarcasmo di Yasu, poi si accomodò al suo posto, porgendo un pacchetto a Yasu. Luomo lo guardò incuriosito.
-Un regalo per tuo figlio. Quando ho sentito Reira mi ha detto che era appena ripartita…circa un mese fa…poi ho avuto un sacco di cose da fare e a dire la verità me ne sono dimenticato…-
-Ah…grazie, gielo darò il mese prossimo quando ritorneranno-
-Come questo mese non vengono?-
Yasu lo fissò dispiaciuto e Ren capì.
-Ah…mi sono dimenticato anche questo mese…che stupido che sono-
-Ma no, in realtà aveva anticipato la visita, perchè doveva lavorare-
-Allora Ren, come va? Hai trovato lavoro?-
Hachi era intervenuta allegramente, mentre sorseggiava del vino dal suo bicchiere.
-Beh non so, mi devono chiamare, ma penso che mi prendano-
-Sono contenta per te-
-Grazie Hachi…sei sempre così carina con me…-
-Lei è sempre carina con tutti!-
Azzardò Nobu, sentendosi un po’ escluso.
Quando Nana entrò nel ristorante e li vide, decise di non presentarsi. Non era pronta per affrontare i suoi amici. Si nascondeva dietro una grande pianta e li osservava tristemente, sarebbe stato così semplice corrergli incontro e comportarsi come se niente fosse accaduto, ma non poteva accadere, perché lei per loro era morta. Vide da lontano Hchi e sul suo viso si illuminò un sorriso. Avrebbe voluto avanzare, ma le gambe non si muovevano, la paura era più forte della sua volontà, aveva ragione Ren, era solo una vigliacca, se non riusciva ad affrontare il suo passato. Fece un passo indietro, sul tentativo di andarsene, poi incontrò lo sguardo di Ren che la guardava senza muovere un muscolo, con indifferenza. Disse qualcosa, ma non riuscì a capire, si girò e se ne andò, mentre il cellulare squillava ancora; un altro messaggio era in attesa di essere letto.
Una donna davanti allo specchio guarda il rossetto rosso che le sbava le labbra appena strofinate da un fazzoletto… le gambe nude intorno ai fianchi di un uomo dai capelli scuri che le abbassa la spallina del vestito, scoprendole la spalla, mentre con l’altra mano le sfiora la coscia…Poi la scena di una donna coi capelli bagnati appena tinti, mentre tiene fra le mani un foglio accartocciato… lacrime che cadono e singhiozzi che non possono essere repressi…un ragazzo che guarda una donna che si esibisce in un locale…Nana rimise nella borsa il cellulare.
E poi il ricordo di una stanza verde che puzzava di alcol, un uomo che stringe la mano a una ragazza bionda e la bacia…voleva morire in quel momento…il nome di Ren, il grido disperato e lo schiaffo che la fece cadere a terra, ferendola alla fronte…si guardò attorno intimorita, mentre nella sua mente il nome Lucy la richiamava insistentemente.



“Dal passato riemergono quei ricordi che ti fanno sentire l’amaro in bocca, ma ora che ti guardo, per la prima volta, vorrei confidarti tutti i miei segreti, e poi ritornare ad amarci, per non sentire mai la tua mancanza, perché ora non posso più vivere senza di te”

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