From Me To You di LaMicheCoria (/viewuser.php?uid=53190)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Love Me Do ***
Capitolo 2: *** 02. Please Please Me ***
Capitolo 3: *** 03. From Me To You ***
Capitolo 4: *** 04. She Loves You ***
Capitolo 5: *** 05. I Want To Hold Your Hand ***
Capitolo 6: *** 06. All My Loving ***
Capitolo 7: *** 07. Can't Buy Me Love ***
Capitolo 8: *** 08. A Hard Day's Night ***
Capitolo 9: *** 09. And I Love Her ***
Capitolo 10: *** 10. Eight Days A Week ***
Capitolo 11: *** 11. I Feel Fine ***
Capitolo 12: *** 12. Ticket To Ride ***
Capitolo 13: *** 13. Yesterday ***
Capitolo 1 *** 01. Love Me Do ***
fmty
Disclarimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
Copyright ©
Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
Nota di partenza.
Eccomi a voi, gente. Vi ricordate la
modalità della Raccolta “The Book of Love
“ ?
Bene, per questa ho deciso di
riprendere più o meno lo stesso schema: non saranno i versi di una sola canzone
a fare da sfondo alle varie coppie, ma le
canzoni di una sola raccolta.
In questo caso il primo CD dei brani
dei Beatles dal 1962 al 1966: tredici coppie per le tredici canzoni contenute
all’interno della raccolta musicale. E poi, altre tredici per il disco
seguente. Sì, perché questa sarà una doppia raccolta, miei cari! Quindi,
preparatevi, perché vedrete coppie come non ne avete mai viste prima! (Se, come
no!)
No, davvero, di alcune coppie non ho
mai trattato, quindi spero di riuscire a renderle per il meglio!
Bien! Non vi svelo nulla circa i
pairing scelti, che varieranno dallo Shonen-Ai all’Het ad alcuni personaggi
resi in versione Nyo!
La dedico a tutti voi che mi avete
seguito fino ad adesso, perché senza di voi non sarei mai riuscita a cavarne un
ragno dal buco.
Grazie. Davvero, davvero grazie.
.: Love Me Do :.
Austria si perdeva in pindarici
voli di fantasia solamente quando le dita andavano a sfiorare i tasti bianchi
del pianoforte.
Nell’intreccio sempre diverso di
una melodia, avvolto dal lieve chiarore proveniente dalla finestra e
accompagnato dal sussurro soffuso delle note, allora poteva permettere alla propria
mente di vagare dove più gli aggradava, ricamare tralci di fantasie dorate e
abbandonare la realtà dei fatti al proprio, gretto destino.
Lontano dallo strumento, però,
Roderich era una persona piuttosto pragmatica: la guerra era la guerra, la pace
era la pace, e la tregua un momento in cui nessuna delle due parti aveva capito
bene cosa si dovesse fare.
Non gli era quindi difficile
vedere la presenza di Spagna, in casa sua, come un’oggettiva conseguenza dell’alleanza
matrimoniale tra le potenze di cui erano Rappresentanti: Antonio se ne sarebbe
andato al primo mutare della marea e qualcun altro ne avrebbe preso il posto. E
il tutto senza lacrime, senza rimpianti e lui sarebbe tornato a suonare il
pianoforte, in attesa che il silenzio dei corridoi fosse riempito da nuove voci
e nuovi passi.
Era semplice, era reale, perché gli eventi, tra loro –tutti loro- non potevano prendere una
piega diversa. Quindi, perché preoccuparsi?
Non era amore quello che li legava, Austria ne era certo. Era Roderich ad avere qualche dubbio.
Se Spagna parlava con lui di
politica e guerre, Antonio gli cingeva i fianchi con le braccia e affondava il
volto contro la sua spalla.
Antonio gli indicava col braccio
l’orizzonte, a mostrargli la spuma delle onde che aveva inghiottito l’Invincibile
Armada di Spagna.
Una dicotomia, questa, che l’austriaco
avrebbe apprezzato particolarmente..se fosse davvero esistita. Perché non importava se fosse Spagna o Antonio a
parlargli, alla fine erano le labbra della stessa persona che cercavano le sue,
le mani di un unico corpo che gli affondavano le dita tra i capelli, il respiro
di un solo fiato quello che si spezzava nel silenzio della stanza da letto.
E quando Spagna, quando Antonio, sussurrava, gli prometteva che
l’avrebbe amato per sempre, che sempre sarebbe stato sincero, e mormorava e lo
pregava di amarlo a sua volta, Austria sapeva bene che erano solo menzogne d’un
momento.
Roderich,
invece, finiva per crederci ogni volta.
{ Love, love me do
You know I love you,
I’ll always be true,
So please, love me do }
|
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Capitolo 2 *** 02. Please Please Me ***
fmty2
Disclarimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
Copyright ©
Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: Please Please Me :.
Lo guardò con stampato in faccia
il sorriso più grande che gli riuscisse –e
lui era Feliciano Vargas, eh.
Allargò le braccia più che potè,
piegando la testa di lato senza togliersi quell’espressione incoraggiante dal
volto; sapeva che Germania, dalla sponda opposta del letto, lo stava guardando
come se fosse impazzito.
Lo sapeva e non gli importava:
Germania lo guardava sempre come fosse impazzito, ma era uno sguardo privo di
un serio rimprovero e pieno di una alquanto confusa curiosità.
Quindi non si diede pena per gli
occhi strabuzzati del compagno, ma aprì le braccia ancora di più, tendendosi
con uno sbuffo.
-Forza, Lud!- esclamò -Non è
difficile!-
Non era difficile, non era lo era
davvero. Non secondo la sua ottica, almeno.
Per lui quel gesto era più che
naturale, non aveva bisogno di motivi o di troppe spiegazioni per essere
compiuto, così come tutti le altre attenzioni che riservava a Germania.
E Ludwig sembrava apprezzare, sì,
insomma, di quello non dubitava, anche se non era mai il tedesco a prendere l’iniziativa:
si limitava a rispondere, a seguire il percorso che Feliciano aveva tracciato per
lui con tanta cura.
Mai che fosse Germania a battere
il sentiero per primo e Veneziano, alle volte, sentiva una vocina pestifera in
fondo a tutto, al cuore e alla mente, che gli diceva quanto i gesti di risposta
del tedesco non fossero che quello, una risposta,
un modo per liberarsi al più presto della sua presenza –molesta o meno che fosse.
Non che l’italiano ci credesse,
ma gli lasciava sempre una sensazione brutta, lo stomaco un po’ torto, gli
occhi un po’ bassi, il sorriso un po’ sbilenco. Come pioggerella fine fine, che
non faceva rumore, ma bagnava lo stesso.
Quindi, per quella sera, aveva
deciso che Germania sarebbe stato il primo e non il primo a fare i piatti, a
spazzare, ad occupare il bagno, no. Lui doveva essere il primo in quello.
-Forza, Lud!- ripeté con veemenza
-Abbracciami!-
Non era poi una richiesta così
folle, no?
Bastava
un tentativo e sarebbe tornato il sole.
{ Come on, come on, come on, come on
Please, please me, wo yeah, like I please you
wo yeah, like I please you
wo yeah, like I please you }
Note di Fine
Capitolo
Visto
che per due giorni sarò a Pisa per un test, non mi sembrava giusto lasciarvi
così senza aggiornare!
Ecco
dunque il capitolo GerIta! Sono secoli che non scrivo su di loro, ma spero che
non sia venuta la schifezza che temo. Ma ai posteri l’ardua sentenza!
Ringraziamenti
A
Rota, Chiaki e Harinezumi per aver recensito
<3
A
Chaska e Jacqueline per aver inserito la storia tra le preferite <3
A
Color___by e Chiaki per aver inserito la storia tra le ricordate <3
A
Harinezumi, Sasuchan7 e Chiaki per aver inserito la storia tra
le seguite <3
Me
vi vuole tantissimo bene!
Grazie!
|
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Capitolo 3 *** 03. From Me To You ***
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Disclarimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
Copyright ©
Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
Ad Harinezumi ~
A Julia_Urahara
~
.: From Me
To You :.
Alle volte, Inghilterra si
chiedeva se Francia lo capisse davvero quando gli diceva di lasciarlo in pace.
Più che altro glielo gridava, lanciandogli contro una delle sue stramaledette
baguette, ma era solo per enfatizzare il concetto…e liberare la credenza
da quella robaccia d’oltremanica per riempirla con del sano cibo inglese.
L’impudico vinofilo poteva anche
evitarsi di infastidirlo ad ogni piè sospinto –anzi, piedino considerando il
soggetto-, sia che stesse sudando sopra qualche ingarbugliato affare di
Stato, sia che stesse sbrogliando il filo da cucito annodato. Gli sarebbe
stato, se non grato, quanto meno riconoscente per non dover tirare fuori il
moschetto e costringerlo alla fatica di sbudellarlo sul tappeto.
E invece no: arrivava, gli
prendeva una ciocca di capelli, se l’attorcigliava al dito, gli soffiava sull’orecchio,
lo chiamava mon coeur, gli sussurrava
qualche stramberia sdolcinatamente zuccherosa, ma soprattutto francese , e poi..le mani. Dappertutto.
Osceno. E fastidioso.
Terribilmente fastidioso.
Anche in quel preciso istante, chino
su scartoffie regali varie e variegate, avvertì le dita di Francis accarezzargli
le spalle e disegnare cerchi sulla camicia bianca, a punta di dita, prima di
colmare quello spazio vuoto tra mano e pelle con un sospiro. Cominciò un lieve
massaggio che, invece di calmarlo, mise Arthur ancora di più sul chi vive.
-Che fai?- soffiò, lanciandogli
un’occhiata obliqua.
Francia rise.
-Un massaggio- spiegò, con
semplicità -Così ti rilassi-
Anche senza vederlo, Inghilterra
fu sicuro che avesse appena fatto spallucce.
-Sei nudo- replicò Arthur,
togliendosi gli occhiali da lettura e stringendosi la radice del naso tra le dita
-Come faccio a rilassarmi con te nudo, dietro
di me?-
Si accorse troppo tardi del
potenziale francese nascosto in una
frase altrimenti innocente: mordersi la lingua era inutile, ormai, a meno di
tranciarsela di netto per soffocarsi e ovviare così alle battute sconce della
rana.
Non era un’idea troppo malsana, in effetti..
-E’ per meglio essere in contatto
con la Madre Terra- ridacchiò, Francis, continuando imperterrito il massaggio e
scivolando con le dita dalle spalle alla clavicola –E poi ho una rosa a coprire
le vergogne-
Inghilterra fu sul punto di
replicare, poi si ricordò dell’infelice affermazione di poco prima e decise di
rimanere zitto: almeno quella bestiaccia francese non si era accorta del doppio
sens—
-Comunque, mon cher, per la questione delle posizioni..-
Appunto.
Scivolando rumorosamente con la
sedia, Arthur cercò di mettersi in piedi e levarsi di torno il più presto
possibile, prima che la situazione degenerasse –perché lo sapeva, lui che sarebbe degenerata. Sarebbe degenerata di sicuro.
Ma Francia non parve essere d’accordo
con la sua fuga: gli lasciò le spalle e gli circondò il torace con le braccia,
costringendolo di nuovo a sedere.
-C..che
fai, you git?!- esclamò Inghilterra, con una nota
di panico nella voce.
Francis ridacchiò, sussurrandogli
qualcosa all’orecchio. Arthur sgranò gli occhi, incapace di replicare.
Quel maledetto francese era una
creatura abbietta! Una mente perversa votata al crimine e alla corruzione di
giovani anime ancora candide e innocenti!
Cantare
i Beatles come risposta era davvero uno colpo basso.
{ I got arms that long to hold you
And keep you by my side
I got lips that long to kiss you
And keep you satisfied. }
Note di Fine
Capitolo
Uh!
Avevo voglia di aggiornare, sì: anche perché questa è l’idea da cui tutto ha
avuto inizio. Esatto, doveva essere solo questa, nel progetto originale.
Poi
sono diventate 26 fan fiction.
Ehm..
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Capitolo 4 *** 04. She Loves You ***
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Disclarimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
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Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: She
Loves You :.
A dividerli non c’era che il
tavolinetto bianco, eppure la distanza pareva dilatarsi ad ogni parola non
detta, lasciata cadere nel nulla come zucchero nel tea.
Sacro Romano Impero non guardava Austria e Austria non guardava Sacro Romano
Impero: a fare loro da sfondo solo il giardino e il crocchiare delle foglie.
Roderich aveva il volto tirato e
stanco, gli occhi cerchiati nero ed un colorito piuttosto malsano, considerò l’Impero
Bambino, lanciandogli un’occhiata di sbieco: forse avrebbe dovuto approfittare
di quel pomeriggio per riposare invece che dedicarlo a mantenere in piedi una
facciata in rovina. Che tutti stessero abbandonando la dimora di Austria non
era più in segreto, che il padrone di casa fosse costretto a piagarsi le dita e
a scorticarsi le braccia tra lavori domestici e panni di lavare, era di dominio
pubblico.
Invece lo aveva invitato nella
Sala Grande, per bere un tea.
Il perché, Sacro Romano Impero
doveva ancora capirlo e non era nemmeno tanto dell’umore per fare qualcosa che
non fosse soffocare le proprie urla tra le piume del cuscino.
L’austriaco versò una tazza di
tea al bambino, una per sé e rimase in silenzio, sistemando la posizione della zuccheriera
con accuratezza al limite del maniacale; l’Impero inarcò un sopracciglio,
chiedendosi perché Roderich si ostinasse a prendere tempo. Soprattutto, si
chiese per cosa stesse prendendo
tempo.
-Fra poco parti- commentò Austria
d’improvviso e Sacro Romano Impero non si diede nemmeno la pena di rispondere. Era
un dato di fatto, alla fine, non una domanda.
Ancora poche ore e la casa, i campi, i fiori,
i lunghi corridoi, il suono del piano, tutto sarebbe sfumato nel rosso del
sangue, nel clangore delle spade e nel
terreno divelto da stivali chiodati.
E la cosa peggiore era che l’ultimo
ricordo non sarebbe stato un sorriso d’Italia, né la sua voce che lo chiamava o
un saluto carico di commozione e affetto! Sarebbero state lacrime e scuse, una
mano che si ritraeva e il suo corpo così fragile e minuto strattonato con forza,
le urla ferite e deluse, pigolii e flebili “Mi
dispiace”.
Posò le mani sulle ginocchia,
stringendo il tessuto nero delle brache tra le dita. Non avrebbe dovuto –non avrebbe voluto- reagire così, ma il
rifiuto di Italia..no, non era riuscito a sopportarlo.
-Ha detto che ti ama-
L’Impero bambino strabuzzò gli
occhi, rischiando di strozzarsi con la propria saliva; alzò il volto e fissò
Roderich, incapace di parlare, di dire qualsiasi cosa. La voce si era bloccata
in gola, il cuore nel petto. Qualcosa frullò le ali dentro di lui. Speranza, forse? Consapevolezza?
...Sì. Consapevolezza.
Perchè tutte quelle lacrime...
-E’ stata lei stessa a dirmelo-
continuò l’austriaco, tagliandosi una fetta di torta, lasciandola intatta sul
vassoio -Allora?- chiese poi, sistemandosi gli occhiali con un gesto tra l’impaziente
e lo stizzito -Non dovresti esserne felice?-
Che senso c’era a rispondere ad
una domanda priva di senso?
Sacro Romano Impero scese dalle
sedia con un salto e corse fuori dalla Sala.
Fuori solo il giardino e il
crocchiare delle foglie.
Felice?
Si sentiva come se il suo amore potesse durare per sempre.
{ She says she
loves you
And you know that can't be bad
Yes, she loves you
And you know you should be glad }
Note di Fine
Capitolo
Se
c’è una cosa che odio è avere il tempo, ma non l’ispirazione: mi sversa, non
posso farci niente. Ma, come dice il buon Asimov, “I
write for the same reason I breathe - because if I didn't, I would die."
Perciò,
eccoci qui, bella gente <3 Sapete che vi voglio bene, vero? (Non fateci
caso, sto scrivendo a l’uno meno dieci di notte, ergo..)
Non
ho molto da dire a riguardo. Perché Austria a fare da messaggero? Povero
Austria, ha bisogno d’amore, tutti lo bistrattano D: No, vabbè, non è solo per
quello. Diciamo che è l’unico (bene o male) che sta ad ascoltare i patemi
amorosi del nostro HRE, quindi..
La
fine è un’ipotesi HRE -> Germania? Forse sì, forse no. Dipende da voi e da
come vedete la cosa.
Sappiate
solo che sono una persona romantica, anche se non si direbbe XD
Bien!
Passiamo ai ringraziamenti!!
Ringrazio:
-Jo-san, Harinezumi,
Julia_Urahara e Rota per
aver recensito i precedenti capitoli
<3
-Jo-san per aver messo la storia tra le preferite <3
|
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Capitolo 5 *** 05. I Want To Hold Your Hand ***
fmty5
Disclarimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
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Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
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Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
Ad Harinezumi
(Visto che la SpaMano
alla fine l’ho scritta?)~
.: I Want To Hold Your Hand :.
La sua prima reazione è uno
sbuffo bello e buono: lo spagnolo si è di nuovo addormentato sul tavolo della
cucina, accidenti a lui!
Lovino si stropiccia gli occhi e
soffoca uno sbadiglio, prima di farsi strada verso il lavello e tirare la caffettiera
fuori dalla credenza. Antonio può dire e brigare e fare quello che vuole, ma il
caffè migliore è quello italiano, non
ci sono discussioni.
Ed esiste una ferrea legge non
scritta per quando lo viene a trovare: pomodori di Madrid e caffè di Napoli. Perché lui,
Lovino, l’acqua ragia che lo spagnolo si ostina a chiamare caffè si rifiuta di
berla, persino sotto tortura. Meglio il cibo di Inghilterra, a quei punti –ma magari no, dai.
Fuori il sole s’è alzato già da
qualche ora e occhieggia di bianco sulle tende della cucina, creando scie di
pulviscolo dorato che lentamente si lasciano cadere sui mobili e sulla figura
di Spagna, lungo disteso sul tavolo.
Scuotendo il capo, Lovino dosa il
caffè con cura al limite del maniacale, interrompendosi di tanto in tanto per
lanciare uno sguardo dietro di sé e controllare che Antonio stia ancora
dormendo. In teoria non è tipo dal sonno pesante, ma quella sera deve aver
fatto particolarmente tardi col lavoro, viste la quantità di carte in disordine
sotto la guancia.
Romano si gratta la punta del
naso e, messa da parte la caffettiera, fa scivolare via le scartoffie da sotto
la faccia di Spagna, pareggiandone gli angoli e sistemandole dall’altra parte
del tavolo.
Si mette le mani ai fianchi e
decide che sì, ora può tornare a cose
ben più importanti.
Quando mette il caffè sul fuoco,
l’altro non dà segni di vita, nemmeno per il ribollio dell’acqua o lo
sfrigolare crocchiante della fiammella sotto la Moka. Lovino fa spallucce, per
quanto possa trovare strano quel comportamento, e mette sul tavolo piattino,
tazzina e cucchiaino. Ci pensa su un attimo e poi prende un altro piattino, un’altra
tazzina ed un altro cucchiaino: chissà, magari è la volta buona che lo spagnolo
decide di aprire gli occhi.
Nulla.
Nemmeno l’aroma invitante del
caffè appena versato sortisce qualche effetto: Antonio grugnisce, ma non si
sveglia, strofina la fronte contro il braccio destro –sui cui è appoggiata-, e chiude e riapre le dita della mano
sinistra, quasi a voler riafferrare gli incartamenti vari e variegati che lo
hanno tenuto sveglio fino ad un’ora non meglio precisata.
L’italiano si siede con un
sospiro e poggia il mento sul pugno chiuso: osserva per un po’ le dita di
Antonio -che sono lunghe e piagate dall’elsa
di spade antiche, nere di terra straniera e cenere di pistola, che ancora sanno
di mare e orto e sabbia dell’arena- e le ripensa chiuse attorno alle
proprie, torna al “Lascia che ti tenga la mano!” in risposta alla sue occhiate
astiose, al sorriso dell’altro per quel gesto dagli innumerevoli significati.
Spagna deve essere quello forte, quello
che non si lascia abbattere e guarda avanti a costo di sembrare un perfetto
ebete –cosa che gli riusciva piuttosto
bene, poi.
Ecco perché era sempre il primo a prendergli
la mano, a dargli calore quando c’era freddo, a farlo rialzare quando cadeva.
Bhè, quasi sempre.
-Ma guarda un po’ te- sospira
Lovino e, mentre si gode il caffè mattutino, intreccia le dita della mano
libera a quelle di Spagna. Però lo fa in silenzio –senza dire “Voglio stringerti la mano!” per quanto possa essere vero.
Anche se nessuno, forse nemmeno Lovino, sa se è vero o no-, ché è il bastardo quello che fa sempre casino
quando si tratta di smancerie.
E il calore che sente nel petto e
che lo fa sorridere è solo colpa del caffè, eh.
{ Yeah, you got that something
I think you'll understand
When I say that something
I want to hold your hand
I want to hold your hand
I want to hold your hand
I want to hold your hand }
Note di Fine
Capitolo
Oddio,
è arrivata la SpaMano! *si getta da un ponte*
No,
okay, calma. Diciamo che questa ha un doppio significato, che spero si colga
dall’ultima parte. Soprattutto, spero si capiscano i due piani di lettura per
il gesto di Spagna (quello di tendersi verso il lavoro che lo ha steso) e
quello di Romano (prendergli la mano). Sì, insomma, ci siamo capiti *In realtà,
si è capita solo lei*.
Perché
Romano mica era un pischello qualunque, eh. Era un bambinello coi
contro..fiocchi. Comunque. E’ troppo tardi per fare lezioni di storia, quindi è
meglio chiuderla qui XD
Bene!
Ho scritto l’ultima SpaMano mesi indietro assai. Spero di non aver fatto troppo
schifo .-.
Ringrazio:
-Rota per aver recensito.
-Kya_ per aver messo la
storia tra le preferite.
-Lollyware99 per aver messo la
storia tra le seguite.
|
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Capitolo 6 *** 06. All My Loving ***
fmty
Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
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.: All My Loving :.
Che Prussia gli mandasse delle
lettere dal fronte per informarlo sulla sua salute era del tutto inutile: ad
Austria non importava nulla delle
condizioni di Gilbert. Come se ne potesse sentire la mancanza, poi!
Pura idiozia.
Di cosa avrebbe dovuto sentire la
mancanza? Della sua risata irritante? Dei suoi modi paragonabili a quelli di
una scimmia urlatrice? -…Del lieve
sfiorarsi di labbra la notte prima della partenza, dei suoi baci, delle sue
carezze, dei suoi morsi e dei suoi sospiri?
Per quel che gli importava,
Prussia poteva anche morire, al fronte.
Quella guerra non stava portando
altro che morti e Roderich era stanco: stanco delle quattro mura da cui non gli
era permesso uscire, stanco di fare il bello e il cattivo tempo in casa di
Germania, perché l’Austria pareva non appartenergli più, stanco di tutte quelle
lettere idiote.
Sono
sempre Magnifico e sto bene
recitavano le missive e l’austriaco avrebbe tanto voluto farle a pezzi o gettarle
nel camino. Quel gesto gli avrebbe procurato un piacere impagabile.
Invece le teneva tra le mani, la
mascella contratta e gli occhi ridotti a due fessure, poi scuoteva il capo con
un sospiro e tornava a suonare –soffocando,
nota dopo nota, gli spari che sentiva oltre l’orizzonte, cancellando i tonfi
dei corpi senza vita con un intreccio inarrestabile di armonie.
E non aveva smesso di suonare un
solo istante, dacché la guerra era finita: il vecchio Hans si faceva sempre più
vecchio, sempre più torto e piegato dagli anni che avanzavano, e, accanto al
piano, le lettere di Gilbert si ammassavano, rade e sporche, accartocciate e
intrise di sangue secco, di cenere fumante. Non ne aveva letta nessuna.
La prima, no, solo la prima l’aveva
letta, sì, e da lì aveva deciso che sarebbe stata l’ultima. Perché aprirle, in
fondo? Non gli importava nulla di Prussia…di Gilbert, non gli importava nulla
di Gilbert. Si era disinteressato da
tempo delle questioni mondiali.
Mentre suonava, però, lo sguardo
cadeva ogni volta su quell’unica missiva aperta, che non riusciva mai a buttare
via per quanto sporca e lacera fosse.
Sono
sempre Magnifico
cominciava, come sempre, ma con grafia incerta, tremante, di chi a stento
riesce a tenere una penna fra le mani. L’inchiostro, inoltre, era sbavato in
più punti –In altri, le sbavature
sembravano addirittura fresche.
E, se solo fosse finita come le
centinaia, le migliaia che quel becero di un prussiano gli spediva durante la
guerra -e non voleva, no, non voleva
ricordare nulla, nulla, nulla, nulla, non voleva sapere, non voleva ricordare
il perché gli avesse mandato tutte
quelle lettere-, allora avrebbe continuato ad aprirle, una dopo l’altra,
inveendo contro di lui e contro la sua idiozia, contro la sua risata irritante
e contro i suoi modi paragonabili a quelli di una scimmia urlatrice -Contro il lieve sfiorarsi di labbra la notte
prima della partenza, contro i suoi baci, le sue carezze, i suoi morsi e i
suoi sospiri.
Se solo fosse finita come al
solito, ma..
Ma non sto più così bene.
{ I'll pretend that I'm kissing
The lips I am missing
And hope that my dreams will come true
And then while I'm away
I'll write home every day
And I'll send all my loving to you }
Note di Fine
Capitolo
Ma
è deprimente…D: E bhè la canzone è il
significato del perché Prussia continua a scrivere quelle lettere, anche se è
tutto detto in modo molto, molto implicito.
Non
sono in vena di parlare molto nelle note, oggi, scusate!
Ringrazio:
-Memento Mori per aver recensito.
-Carol_97 e _Lenalee_ per aver messo la storia tra le seguite.
|
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Capitolo 7 *** 07. Can't Buy Me Love ***
fmty6
Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
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Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
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Su un sottomarino giallo.
.: Can’t Buy Me Love :.
L’espressione di Austria per un
attimo le fece temere il peggio: livido, gli occhi sgranati dietro le lenti
quasi del tutto appannate, le labbra ridotte ad una linea scura e dritta, tanto
sottile da correre il rischio di confondersi e sparire nel pallore del volto
contratto.
Lily si torse le mani e abbassò
il capo, nascondendosi dietro una ciocca di capelli che era scivolata via dal
nastrino viola per correrle in aiuto.
Oh, ecco. Aveva rovinato tutto.
Eppure la giornata le era
sembrata così piena di promesse e speranza! Era riuscita a convincere il suo
fratellone a farla uscire col signor Austria, anche se solo per andare al
supermercato, aveva indossato il suo vestito più bello e il cielo non era mai
stato così azzurro, il sole così splendente.
Il signor Austria si era
presentato sotto casa con espressione serena, un accenno di sorriso all’angolo
delle labbra. Era così bello nel completo nero e le lenti degli occhiali gli
scivolavano appena sul naso, regalandole un lampo bianco quando lui si girava a
guardarla –Ed era accaduto spesso, per
quelle poche strade che avevano percorso insieme.
E invece…invece, oh! Aveva
rovinato tutto!
È che quella gioielleria era così
bella! Anelli, catenine, orecchini, per quanto alcuni articoli fossero troppo
sfarzosi o pesanti per lei, a Lily piaceva oltremodo fermarsi per osservare i
giochi di luce dei brillanti sulle vetrine. Quando aveva indicato un anello di
diamanti e aveva commentato “Oh, com’è bello…” non era stato certo per
cattiveria! Tantomeno per far sentire il signor Austria in dovere di spendere
così tanto per farle un regalo! –Il suo
fratellone diceva che il signor Austria era davvero un taccagno e che la
taccagneria lo metteva sempre a disagio e Lily non voleva mettere il signor
Austria a disagio, non lo voleva per niente al mondo.
-Ma non mi serve certo un anello di
diamanti per essere felice!- si affrettò ad esclamare, scuotendo con forza il
capo e allontanandosi con un salto dalla vetrina -L…la vostra compagnia mi è
certamente più cara, signor Austria!- balbettò, arrossendo.
Oh, era certa, il signor Austria
l’avrebbe riaccompagnata a casa e avrebbe detto al fratellone di accompagnarla
lui al supermercato a prendere il formaggio per la fondue, ne era sicura, lo sapeva…
Fece un piccolo salto nel sentire
la mano del signor Austria posarsi sulla spalla; quando rialzò il capo per
guardare l’altro negli occhi, Lily sentì ogni preoccupazione evaporare in uno
sbuffo di fumo, come cose senza importanza.
Il lieve sorriso gentile, imbarazzato,
sereno del signor Austria era un tesoro davvero prezioso.
{ Say you don't need no diamond ring
And I'll be satisfied
Tell me that you want those kind of things
That money just can't buy
For I don't care too much for money
For money can't buy me love
Can't buy me love, love
Can't buy me love }
Note di Fine
Capitolo
Mi
regalate il signor Austria? Per
favore çAç Siate buoni!
Okay,
la smetto, la smetto. Direi, nulla da dire su questo capitolo. E’ piuttosto
semplice, anzi, oserei dire sempliciotto. Ma Lily mi ispira sempre così tanta
dolcezza <3 Anche se, secondo me, quando la si fa incavolare diventa una
belva. Potrebbe far persino concorrenza a Bielorussia!
Ma
bando alle ciance e ciancio alle bande!
Pensavo
di tenere un aggiornamento settimanale, tipo ogni domenica. Vediamo se riesco!
Mancano esattamente 6 capitoli alla fin—di già?! Oh, toh. E sì, lo so, vi avevo
promesso delle coppie crack!. Arrivano, arrivano J
Bene!
Passiamo ai ringraziamento!
A
Memento Mori, Harinezumi e Rota per aver recensito i capitoli precedenti!
Alla
prossima!
Yippie-ya-yeeeee!
*svanisce in groppa ad un pony rosa*
|
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Capitolo 8 *** 08. A Hard Day's Night ***
fmty8
Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
Copyright ©
Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: A Hard Day’s Night :.
Svezia si fermava spesso a
lavorare all’Ikea di Stoccolma o in qualcuna delle filiali del territorio: gli
piaceva respirare il profumo umido del legno, saggiarne la consistenza quando
si accingeva a tagliare le assi per i mobili, trovava di suo gusto persino l’odore
asprigno dei coloranti e dei grumi di colla filamentosa.
Il biascichio dei trucioli sotto
le scarpe era simile al crocchiolio della neve che strusciava contro la suola
degli scarponi pesanti, il chiacchiericcio dei clienti era come il crocchiare
delle foglie nel silenzio delle foreste.
Certo, tutto quel lavoro aveva
degli svantaggi: le mani e le nocche scorticate, la pelle arrossata, graffi e
persino qualche bruciatura, senza contare i genitori che venivano di lui,
scandalizzati e offesi, annunciati dal tintinnare di borse e colpi di tacchi
alti, lamentandosi che il loro pargolo era scoppiato a piangere da quanto
Svezia lo guardava male.
Il povero Berwald aveva cercato
di far capire loro quanto le sue intenzioni non fossero assolutamente cattive e
di come quei bambini così vivaci gli ricordassero Sealand la prima volta all’Ikea,
quando era praticamente affogato nella vasca delle palline. Oppure Ladonia quando si era perso nella zona degli armadi. Tutto inutile.
Così, quando tornava a casa la sera,
col sole che bruciacchiava l’orizzonte soffiando in cielo fumo e cenere
notturna, sentiva la schiena urlare ai quattro venti la propria indignazione e
le tempie che battevano a ritmo di tacchi e martello per chiodi.
La stanchezza era tale che, per
arrivare alla porta, era quasi costretto a trascinarsi sul viottolo.
Dentro casa, però, tutto
cambiava.
Fuori sull’uscio lasciava il
giorno morente, mentre dalla cucina arrivava la luce soffusa della lampada; l’odore
di colla che si portava addosso sin dal mattino scompariva, cancellato dal
tenue profumo di salmiakki –che Svezia lasciava sempre sul tavolo perché…perché
sapeva che Tino ne era più ghiotto di lui, ecco. Poi c’era la porta del
bagno, socchiusa, da cui proveniva l’incantevole tepore dell’acqua calda.
Insomma, appendere il soprabito
all’ingresso era come mettere via la fatica di una giornata intera. Un rituale
quasi sacro che il silenzio della casa contribuiva ad aumentare.
E poi c’era Finlandia che lo
aspettava in camera da letto: solitamente leggeva, Hanatamago acciambellata
sulle lenzuola come un cuscino peloso, ma non erano rare le volte in cui lo
trovava già addormentato, le coperte alte fino al mento e il corpo
raggomitolato sotto un doppio strato di plaid.
Che fosse ancora sveglio o già
nel mondo dei sogni, alla fine il risultato era sempre lo stesso: Svezia si
stendeva accanto a lui e chiudeva gli occhi, soffiando via le tracce di stress
rimasto con un sospiro pesante. Poi era solo la fronte di Tino contro il petto,
i suoi capelli che gli solleticavano il collo e le braccia che gli cingevano la
vita –Sembrava tutto così facile, la
notte, quando c’era il buio a nascondere quegli occhi che tanto lo
spaventavano.
Berwald allora lo stringeva a sua
volta, in silenzio, rimanendo abbracciati fino al mattino.
E poi c’erano Peter e Ladonia che non perdevano
un’occasione per intrufolarsi fra le coperte
e addormentarsi nel calore del
loro abbraccio.
{ But when I get home to you
I find the things that you do
Will make me feel alright
So why on earth should I moan
'Cause when I get you alone
You know I feel okay }
Note di Fine Capitolo
Buona
Pasqua, bella gente!!
Okay,
l’Ikea Family (termine coniato da Jo-san) mi mette tanta, tanta tenerezza
addosso. E lo so che loro non sono solo fluff e caramelle, però…Aw <3
Ringrazio
la Jo-san per aver recensito i
precedenti capitoli!
E
la prossima è un crack!pairing!
|
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Capitolo 9 *** 09. And I Love Her ***
fmty9
Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
Copyright ©
Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: And I Love Her :.
Francia sapeva bene quanto il suo
comportamento risultasse insolito agli occhi delle altre Nazioni: scompariva
per giorni, senza lasciar detto a nessuno quale fosse la destinazione, né
quando avesse intenzione di tornare. Al proprio capo diceva di aver bisogno di
un po’ di svago, di relax dopo tutto quel gran cianciare e amministrare e
politicare che gli rendeva i capelli flosci e gli faceva venire la rughe.
Ah, se solo le altre Nazioni
avessero saputo!
Ma come spiegare loro la
trepidazione che lo coglieva quando l’aereo cominciava il suo atterraggio? Come
descrivere la bellezza di uno Uadi nel pieno del mezzogiorno, simile ad un lago
di sole cinto dal bruno delle rocce? Come esprimere a parole la voce della
sabbia che crepitava nel Set-Maat, a
memoria di mille e più suoni di scalpellini e pittori dispersi nel vento?
Non avrebbe potuto e loro non
avrebbero capito.
Non per malizia, non per
cattiveria -o, almeno, non solo per
quello, soprattutto se si trattava di Inghilterra-, ma semplicemente perché
le altre Nazioni non avevano udito, non avevano visto e là dove lui avrebbe indicato con foga la più splendida
delle meraviglie, tutti non avrebbero visto che dune smorte e bollenti, cielo
arido e vecchi ruderi ammassati qua e là.
Non avrebbero colto lo splendore
di quel volto antico, gli occhi scuri allungati dalla linea nera del kohl, il sole che si infrangeva contro
le ali della corona ad avvoltoio posata sulla parrucca tripartita. Non avrebbero
sfiorato il collare a tre giri di granato, malachite e turchese, la veste lunga
fino alle caviglie tinta di rosso, né avrebbero sfiorato le spirali d’henné che
dai capezzoli brillanti di polvere d’oro risalivano lungo le spalle e poi si
aprivano a ventaglio dietro la schiena, mutandosi nei simboli delle Quarantadue
Province.
-Sei venuto, Se-Mer-Merut- Kemet, una figura solitaria e maestosa ai piedi della
Grande Sfinge, si voltò e gli sorrise -Il mio cuore si colma di gioia alla tua
vista-
E le altre Nazioni, il capo, i
capelli flosci e le rughe scomparvero nell’istante in cui Francia strinse Madre
Egitto tra le braccia e avvertì il calore immortale di quelle labbra -quelle labbra da cui, per primo, aveva visto
risplendere il dono della Parola- sulle proprie.
Anche il tempo parve disperdersi
nella sabbia, sotto il grembo stellato di Nut.
{ Bright are the stars that shine
Dark is the sky
I know this love of mine
Will never die
And I love her }
Note di Fine
Capitolo
Ta-dah!
Ve lo avevo promesso il pairing!crack, giusto? Ed eccolo qua <3 Lo posto
prima del solito, semplicemente perché domenica non ci sono <3
La
coppia, cui già pensavo da un po’, mi è stata ispirata da un role su Facebook
<3
Ed
ecco qualche spiegazione:
Uadi: etto di un torrente,
quasi un canyon o canalone in cui scorre (o scorreva) un corso d'acqua a
carattere non perenne.
Set-Maat: Luogo della Verità, nome del Villaggio degli Artigiani di
Deir El-Medina.
“o, almeno, non solo per quello, soprattutto
se si trattava di Inghilterra-, “A Jean-François Champollion si deve, nel
1822, la decifrazione dei geroglifici egizi. C’erano stati già dei tentativi in
tal senso, ad opera degli Arabi –prima- e dell’inglese Thomas Young (che per
anni discusse su Champollion riguardo a chi dovesse avere la “paternità” di
tale scoperta)
Quarantadue Province:
I
quarantadue nomoi (Regioni) dell’Antico
Egitto. Che i loro simboli siano tatuati sulla schiena di Madre Egitto è un mio
HeadCanon. Così come il fatto che il collare a tre giri di malachite
rappresentino l’Alto, il Basso ed il Medio Egitto.
Se-Mer-Merut: “Colui che Ama l’Amore”.
In realtà nella Role era “S-Mer-Merut” “L’Uomo che Ama l’Amore”, ma mi sono
accorta troppo tardi di quanto fosse cacofonico.
Nut: La Dea del Cielo
Stellato.
Ringrazio la Jo-san per aver recensito il precedente capitolo!
|
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Capitolo 10 *** 10. Eight Days A Week ***
fmty10
Disclaimer: I personaggi di
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Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
Alla Jo-san ~
.: Eight Days A Week :.
Micronazione voleva dire due
cose: essere abbastanza testardo da andare contro le grandi Potenze del proprio
territorio e non essere mai abbastanza.
Mai
abbastanza forte per valere la propria opinione, mai abbastanza grande per dimostrare di non essere più un bambino, mai abbastanza qualcosa per avere l’Indipendenza.
Che, poi, i fortunati che
riuscivano a staccarsi dalla “Madrepatria” in modo ufficiale c’erano eccome: Wy e Molossia,
ad esempio.
Loro avevano ottenuto ciò che
Sealand e Seborga erano anni che cercavano di strappare, con le unghie e coi
denti; soprattutto per Giorgio, il vedersi messo da parte da Feliciano e
Romano, relegato in seconda fila mentre loro due concedevano l’Indipendenza ad
un piccolo comune dell’Abruzzo, era stato un colpo allo stomaco mica da niente.
E quando poi Kristina era entrato
nella sua vita -con la dolcezza del vento
che canta tra gli alberi del Nord, bianca come la spuma ghiacciata dei mari
lontani grigi di nebbia e calda di bracieri antichi, di danze e suoni di popoli
silenti- il timore di non essere abbastanza nemmeno per lei -lei che era una Nazione riconosciuta, la
grande e potente Svezia- si era fatto sentire con lo stesso fragore dell’onda
che si schianta sugli scogli. L’aveva guardata negli occhi e lo stomaco si era
torto: si era sentito così piccolo al
suo confronto, e non solo per una questione di altezza.
Voleva, doveva dimostrarle quanto amore ci fosse nel proprio cuore, quel
cuore così piccolo di Micronazione, farle capire che anche uno sputo di terra
di trecentododici abitanti poteva provare gli stessi sentimenti della patria
dello Stilnovo, e con la stessa disperata intensità.
Le aveva regalato un tulipano
rosso –perché temeva di non avere
abbastanza parole per dirle “Ti
amo”-, le aveva cantato una serenata sotto la finestra –perché temeva di non avere abbastanza voce per dirle “Ti amo”-, le aveva regalato una profusione di mimosa
dorata -perché temeva di non avere
abbastanza fiori per dirle “Ti amo”-
Kristina gli aveva sfiorato le
ciglia col tulipano, prima di baciarlo.
Kristina lo aveva abbracciato da
dietro, prima di stringergli le mani che imbracciavano la chitarra.
Kristina si era stretta la mimosa
al petto, prima di regalargli quel suo splendido sorriso che sapeva di cielo
azzurro e legno intagliato.
Svezia l’aveva baciato, aveva
cantato con lui, intrecciato parole di lingue diverse unite da un unico suono,
aveva sorriso, gli aveva regalato più parole di quanto avesse mai fatto con
qualsiasi altra Nazione.
Ed erano bastati quei pochi gesti
-le dita di lei che gli sistemavano una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, il lieve sfiorarsi delle labbra, il tocco
appena accennato sul volto, sulle guance, sulle spalle..- perché Giorgio si
lasciasse alle spalle ogni timore.
Lo sapeva, eh, che sette giorni
non sarebbero stati mai abbastanza per
dimostrarle il proprio amore.
Ma, belin, che gli importava? Era una Micronazione, in fondo!
La sua, di settimana, aveva come minimo otto giorni.
{ Hold me, love me, hold me, love me
I ain't got nothing but love, babe
Eight days a week }
Note di Fine
Capitolo
Nyo!SveziaxSeborga!
*Sviene* Oh, cioè, tipo. Voi vi chiederete: ma che caspio di Pairing è? E’
TANTO AMMMMMMORE! Eh! EH! Ma perché certe cose succedono solo grazie alla Jo-san, che muove quella splendida pg
di Nyo!Svezia, alias Kristina.
Quindi,
a chi altri potevo dedicare questo capitolo, se non a lei? E NON VEDO L’ORA
CHE SIA IL 5 MAGGIO PER IL FUMETTOPOLI! ASDFGHJKL!!
Ehm!
Ringrazio:
Marguerite
e Jo-san per aver recensito il precedente capitolo!
Alla
prossima!
|
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Capitolo 11 *** 11. I Feel Fine ***
fmty11
Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono,
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Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
Non mi appartengono nemmeno le canzoni dei Beatles
Che vanno a chi detiene ancora oggi i loro
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Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: I Feel Fine :.
La casa era piccola, ma
confortevole: un cottage bianco immerso nel verde intenso della campagna
francese, finestrelle lucide che il sole trasformava in mosaici di luce, tende
candide appena scostate a mostrare frammenti di mobili e sorrisi, di stoviglie
e vita.
Timidi e leggeri, i momenti e i
giorni si susseguivano nel tempo che tempo non possiede, le stagioni non
sembravano mutare ed era sempre primavera.
Il mondo non osò intaccare la
perfezione di quel giorno e ne fissò ogni più piccolo svolgimento come uno
spettatore, in silenzio e col cuore in gola per un’attesa che già sapeva come
si sarebbe risolta, ma che temeva potesse infrangersi se solo fosse venuto meno
al tacito accordato del proprio non-intervento.
Jeanne dal corpo di bambina e il
cuore di donna usciva sul balconcino, stringendo un giglio bianco al seno;
Francis la raggiungeva in silenzio e le cingeva la vita, sfiorando a punta di
dita i fianchi sottili. Lei fremeva appena a quel tocco tanto caro e faceva per
voltarsi, ma lui la fermava con un sorriso e un bacio tra i capelli. Francia
aspirava il suo profumo e Je t’aime, je
t’aime le sussurrava all’orecchio; socchiudeva gli occhi e sorrideva
deliziato nel vedere le guance di Jeanne tingersi d’un velo porpora.
E poi la lasciava andare e la
contemplava come fosse il bene più prezioso che Dio gli avesse mai concesso: le
faceva il baciamano, commuovendosi per l’azzurro dei suoi occhi che gli
ricordava il Cielo, infinito e puro, d’una bellezza tanto struggente che il cuore
si bloccava nel petto e il respiro si scioglieva nei polmoni. Si inginocchiava
e la fissava di nuovo, facendole intuire con uno sguardo quali fossero le sue
intenzioni. E la risposta di lei non ebbe bisogno di parole.
L’anello di diamanti sfolgorò di luce
non vera al dito candido di Jeanne e il bianco accecante del suo sorriso
divenne il colore dell’abito dal ricamo più fine, l’oro dei capelli si mutò in
lacrime e forgiò le fedi che Inghilterra consegnò dinanzi all’altare coperto di
gigli.
E Francis sorrideva del sorriso
che aleggiava sulle labbra di Arthur e che aveva sostituito il ghigno bruciante
dell’inglese, l’espressione cruda e crudele, lo sfrigolio del fuoco e il nero
della cenere.
Ma non era il momento per simili
pensieri, per simili parole!
Francis bandì ogni tristezza e
ogni dolore e il sussurro si fece grido e il Je t’aime si sollevò con ali di colomba, e voci di uomo e di donna
ripresero quell’urlo colmo di gioia perché il mondo lo sentisse, perché il
mondo lo comprendesse, perché il mondo lo invidiasse.
Per Francia il mondo perse
importanza nell’esatto momento in cui prese Jeanne tra le braccia, quel corpo
così esile splendido del fulgore dell’abito da sposa, e la trasse a sé e sentì
di nuovo la dolcezza delle sue labbra contro sulle proprie e le diceva che
l’amava e lei lo ripeteva a lui e sorrideva e alzava gli occhi al Cielo e Dio
li benediva, e oh, Francis si sentiva bene per quell’Amore e quella
Benedizione, e gli occhi di Dio erano gli occhi di Jeanne e avevano la dolcezza
dell’alba, e lui si sentiva morire, morire di pace.
Di pace…e di sogno.
-A cosa state pensando, fratellone Francia?-
Francis si voltò a guardare il
volto di Lisa, un poco arrossato a causa lunga camminata per le vie di Mont
Saint-Michel. Le sorrise e le porse la mano, per aiutarla a sopportare la
fatica; la ragazza lo fissò stupita e poi gli sorrise di rimando, accettando
volentieri quel gesto così galante.
-Alla donna che amo-
A Francis bastò il timido lampo
di comprensione negli occhi di Lisa -una
luce fioca e bianca, qualcosa che andava al di là della coscienza e di cui,
forse, lei nemmeno si era accorta-.
Jeanne era lì, era con lui.
Vicina come un sogno e distante
come la fantasia, ma era lì. E lo amava.
E si sentiva bene come se la
realtà fosse stata sogno e il sogno realtà.
{ She's in love with me and I feel fine
She's in love with me and I feel fine }
Note di Fine Capitolo.
Ommioddddddio,
questa cosa è indecente.
Sorvoliamo.
La
prima dovrebbe essere una specie di sogno, ecco perché del progredire delirante
della scena. L’ultima, invece, che si apre con la domanda di Lisa, e lo
sgretolarsi di ogni più bella fantasia e il triste ritorno alla realtà, già.
Lisa compare nella striscia “A bientot, Until We Meet Again” che vi consiglio
assolutamente. E’ splendida. Ah! E’ Francis stesso a dire a Lisa di chiamarlo
“Big Brother France” ù_ù
…Non
ci posso fare niente. Non mi verrai mai una FrancisxJeanne che non sia
deprimente, ecco. Ero anche partita con le migliori intenzioni. *Sospiro*
Comunque!
Ringrazio
Jo-san per aver recensito e Ilovestar
per aver messo la storia tra i preferiti.
…E
comunque, questa è indecente. Mi spiace, non sono riuscita a fare di meglio.
Mi
faccio perdonare con la prossima, promesso!
|
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Capitolo 12 *** 12. Ticket To Ride ***
fmty12
Disclaimer: I personaggi di
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Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
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Se fosse il contrario, me ne andrei nel cielo con Lucy e i diamanti
Su un sottomarino giallo.
.: Ticket To Ride :.
Non del buon vino, non il calore
di una donna sarebbero riusciti a farlo sorridere, quel giorno. Romanus si era sporto più volte sul
porto di Alessandria, si era tirato indietro, aveva piegato le ginocchia, aveva
raddrizzato la schiena, trattenuto il respiro, liberato il fiato in un fischio
di disappunto. Sarebbe stato facile spiccare un salto e gettarsi fra i flutti,
allontanarsi una bracciata dopo l’altra e issarsi sulla nave di papiro sempre
più lontana. Non avrebbe richiesto più fatica di una delle tante battaglie cui
aveva partecipato nella sua lunga vita, in fondo.
Non aveva nulla da temere dalle
onde.
Non aveva nulla da perdere -Gli
pareva di aver perso tutto.
Era stato stregato, come Marco
Antonio. La magia dell’Oriente, la sabbia del deserto…certo era stato vittima
di qualche sortilegio compiuto nel ventre freddo di templi distrutti. Divinità
senza nome avevano steso la mano su di lui, corrompendo il suo animo e la sua
mente con fiele dolce come il nettare.
Altrimenti, perché
quell’oppressione al petto? Non era il primo popolo di cui decretava la rovina
e nemmeno sarebbe stato l’ultimo. Il filo del gladio s’era abbeverato del
sangue di molte vittime,non c’era motivo di angustiarsi
tanto.
Ma allora, perché quel gelo alle
membra? Non era la prima donna cui tagliava la gola dopo averla sfiorata con le
labbra. Non gli era concesso amare veramente. Solo la morte, la gloria, il
trionfo erano schiavi del suo volere. Non l’affetto. Non l’amore. Quelli erano
meri ninnoli con cui adornare la veste per rendere meno cupo il colore del
sangue.
Tuttavia..
Romanus alzò gli occhi sull’orizzonte.
Di lontano, una barca nera di sogno, traghettata da Dei curvi e rugosi, le ossa
scheletriche e i musi animaleschi contratti dalla fatica.
Roma si chiese se un tempo, quando
ad accompagnare il loro viaggio v’era il salmodiare dei sacerdoti e le accorate
preghiere della gente comune, quel navigare verso la luce morente fosse privo
di ogni fatica.
Di poppa, colse la figura di
Madre Egitto e lo sguardo d’ossidiana, tinto di rosso nello splendore del
tramonto, lo trafisse al petto. Quell’attimo di stasi tra il crepuscolo e la
notte più nera fu la fine, la comprensione.
Tese il braccio, allungò la mano,
chiamò il nome di lei tra il frangersi delle onde. Ma era inutile. Era troppo
tardi.
Il sole s’inabissò in un lampo
rosso di morte. La Barca di Atum si incagliò all’orizzonte, prua e poppa
alzarono le teste a fiore di loto in un crepitare di legno e pece, gli Dei
urlano, gridarono, ruggirono, levarono maledizioni, agitarono i remi spezzati,
il mare si levò alto in un gorgogliare di spuma, Nettuno richiuse feroce le
braccia nello stridore di creste scarlatte.
Madre Egitto era rimasta in
silenzio per tutto il tempo. Ad occhi chiusi aveva atteso che le onde a lei tanto
care le cingessero la vita, le strappassero le vesti, le spezzassero il collo,
le gonfiassero i polmoni. Non aveva detto nulla. Non una parola, non un grido,
non una preghiera.
E se solo avesse ringhiato contro
di lui, se solo l’avesse minacciato, se solo gli avesse promesso morte certa, Romanus avrebbe sentito il cuore farsi
più leggero: nella minaccia è insito il seme del ritorno.
Nel silenzio di quello sguardo
antico, Romanus cadde a terra, in
ginocchio.
La notte lo colse.
La Barca di Atum s’era
inabissata. Lo scarabeo non sarebbe più rinato.
Inerte aveva assistito all’ultimo
viaggio di Madre Egitto. Non sarebbe più tornata.
{ She said that living with me
Is bringing her down, yeah
For she would never be free
When I was around }
Note di fine capitolo
Sì, lo so. Ora è tecnicamente
lunedì, quindi avrei mancato l’aggiornamento di un giorno.
Chiedo venia. Ma
cause di forza maggiore :D
Bien! E’ collocata
temporalmente dopo la battaglia di Azio. La Barca di Atum (La forma del Sole al
tramonto) nella mitologia egizia è quella su cui Ra solca l’orizzonte al
crepuscolo per poi rinascere all’alba sottoforma di scarabeo.
Spero di essermi
fatta perdonare per la schifezza del capitolo precedente!
Al prossimo (e
ultimo!) capitolo!
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Capitolo 13 *** 13. Yesterday ***
fmty13
Disclaimer: I personaggi di
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Se così non fosse, io che me starei qui a fare?
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Su un sottomarino giallo.
.: Yesterday :.
America non era tipo da guardare
il passato: non per strafottenza, non per paura, non per poca considerazione
verso le proprie radici, ma per non correre il rischio di essere intrappolato
da ricordi limacciosi di tempi ormai irrecuperabili. Sapeva bene che se si
fosse concesso il lusso di immergersi nel passato, non avrebbe mai più fatto
ritorno.
Perché c’era un bel sole nel
passato, un disco perfetto contro un cielo azzurro patinato d’ambra. C’era un
campo infinito che brulicava di gocce di luce appena cadute, e una linea
d’orizzonte che sfumava di lontano. C’era il profumo cristallizzato di girasoli
dai petali gonfi di vento eternamente immobile, come vele spiegate nella
bonaccia del tempo.
C’era una camera intessuta di
profumi e sospiri, lenzuola increspate d’ombra e pieghe sopra il materasso
bianco, e una finestra socchiusa, che nascondeva il volto di vetro dietro il
lieve cadere delle tende. C’era un grande armadio dalla cui anta si intravedeva
appena la manica d’una pelliccia e il luccichio metallico di un moschetto che
ancora profumava di liquore, sangue e calumet. C’erano addirittura un vecchio
accendino ed una sigaretta accartocciata dagli anni, lasciati a riposo sul
comodino coperto da un centrino di pizzo.
E c’era un taglio di luce, sì,
una lama che cancellava ogni ombra e si scioglieva come pioggia dorata sul
grande letto e sfrigolava ed esplodeva sui corpi e sulle labbra, sbocciando tra
dita intrecciate e bocche schiuse, seguendo il profilo di schiene inarcate e
colli tesi nello spasmo estatico d’un roco sospiro.
No, America non era tipo da
guardare al passato. Non l’avrebbe mai fatto. Non se lo sarebbe mai permesso.
Che importava se non c’era più il
sole, ma la notte perenne? Non un cielo patinato d’ambra, ma soffocato da una
cortina di ferro? Non un campo infinito, ma terra bruciata e un orizzonte
livido di fumo? Che importava se dei girasoli non era rimasta che cenere torta?
Perché rimpiangere una camera ora
impregnata dell’amaro lezzo della muffa, gravida di un letto solitario e
sfatto, con una finestra sporca a marciare di polvere di fianco ad un armadio
vuoto e cadente?
Ad America non interessava più.
Ad America non importava più.
Non la solitudine, non la
sigaretta che gli moriva lenta tra le labbra, non l’accendino scarico e
malamente buttato sul pavimento.
Non gli importava di uno ieri dilatatosi in anni che parevano
promettere solo domani.
Non gli importava di Russia, che
dietro di sé aveva lasciato solo l’ombra d’un passato rimpianto.
{ Yesterday, all my troubles seemed so far away.
Now it looks as though they're here to stay.
Oh, I believe in yesterday }.
Note finali.
Bhé,
che dire? Siamo alla fine, gente. Questo era l’ultimo capitolo e non potevo
certo non scriverlo sulla mia OTP, ovvero la RusAme. Non riesco a dilungarmi
troppo, anche perché ammetto che il mio umore è già incrinato per…bhè, per una
leggenda che oggi ha smesso dopo vent’anni la maglia bianco-nera. Eh. EH.
Ma
non vi tedio su ‘ste cose, che è meglio!
Bhè..direi.
No, niente. Tranne che la pelliccia è un riferimento alla compagnia
russo-americana in Alaska e il fucile che sa di vodka, sangue e calumet alla
guerra di Crimea, così come l’accendino e la sigaretta sono un riferimento alla
Seconda Guerra Mondiale. Secondo me Alfred fuma. Meno di Ivan, ma secondo me…Oh,
ma questi son dettagli e paranoie che non interessano nessuno!
Oh,
Dei. Non ce la faccio a salutarvi! Mi viene male, mi sale la tristezza! Okay,
un respiro profondo..Uno, due, tre..
FORZA!
Ringrazio
Rota, Harinezumi, la Jo-san, Julia, _Chiaki, Memento Mori e Marguerite_ per le loro recensioni!
Chaska, la Jo-san, Himeisalittlepanda, Ilovestar e
Jaqueline per aver messo la storia
tra le preferite!
Color__by e Chiaki per aver messo la storia tra le ricordate!
Carol_97,
Harinezumi, Lollyware99, sasuchan7, _Chiaki e _Lenalee_ per aver messi questa storia tra le seguite!
Lo
sapete, vero, che senza di voi a quest’ultimo non ci saremmo mai arrivati, sì?
Avete l’idea del bene che vi voglio, della forza che mi avete dato?
Grazie.
Grazie
a tutti voi.
Alla
prossima!
Nemeryal
Fin.
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