Blush.

di Adoxia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Blaise Zabini/Pansy Parkinson; ***
Capitolo 2: *** 2.Lucius Malfoy/Lily Evans; ***



Capitolo 1
*** 1.Blaise Zabini/Pansy Parkinson; ***


-Beautiful girl, don't you throw your love around.

La neve fioccava leggiadra fuori dalla finestra dell’aula di Trasfigurazione, poggiandosi sugli alti pini che s’ergevano maestosi lungo tutto il viottolo verso la Guferia. Sul davanzale s’erano accumulati tanti piccoli mucchietti di ghiaccio e neve misti assieme, e parevano proprio non volersi sciogliere per tutta la durata del dì. Pansy Parkinson osservava mogia il tetro dipinto oltre la gelida lastra di vetro che la separava dal mondo esterno, non che le mancasse così tanto. Sbuffò, quasi impercettibilmente, abbandonandosi ai suoi pensieri anziché ai forbiti discorsi della professoressa McGranitt.

E d’un tratto, come se fosse stata condotta da un istinto naturale, iniziò a scribacchiare distrattamente sulla pergamena consumata che aveva davanti a sé, esprimendo tutto il suo stato d’animo in un unico, intricato disegno astratto: linee curve che s’intrecciavano in una morsa infernale, quasi parevano impossibili da districare. E come aveva iniziato a disegnare, così riprese a guardare oltre la finestra, volgendo lo sguardo verso la Foresta Proibita ed ancora più lontano, verso il Lago Nero.

Quell’anno scolastico aveva aperto i battenti in maniera nettamente diversa rispetto ai precedenti cinque anni; quasi non riconosceva più i suoi coetanei della subdola casa di Serpeverde, intenti nei loro affari o troppo dediti allo sport che più li contraddistingueva: il Quidditch. Non era mai stata mossa da una vera e propria simpatia spontanea nei confronti delle sue compagne di Dormitorio, Millicent e Daphne: infatti, trascorrevano la maggior parte del loro tempo a chiacchierare e a scambiarsi pettegolezzi talmente scrupolosi da far indispettire anche un membro della loro stessa casa. Spesso Pansy si domandava se fosse stata smistata nella casa giusta: carattere indisponente, cattiveria sottile, una buona dose di pettegolezzi a portata di conversazione, sorprendenti abilità magiche pronte a rovinare anche la più intensa delle storie amorose.

Sì, Pansy Parkinson aveva quella caratteristica empatia che la contraddistingueva in tutta Hogwarts, dal primo sino al quinto anno. E non essere smistata nella casa di Serpeverde sarebbe stato un errore madornale, a suo parere, ma in quel freddo Giovedì di inizio Gennaio, la giovane studentessa dai capelli scuri rimuginava sui suoi errori e sui suoi misfatti. Su tutto ciò che aveva ricevuto, quasi divinamente, l’appoggio dei suoi coetanei, ma soprattutto su tutto ciò che i suoi coetanei le recriminavano, come se volessero enfatizzare la loro tipologica incoerenza.

Così iniziò a fissare il suo compagno di banco Vincent Tiger, che con un’aria intontita ed imbambolata fissava le sottile labbra della professoressa McGranitt, intenti ad articolare uno monologo alquanto noioso sui rischi della Trasfigurazione in oggetti inanimati. Come con le sue compagne di Dormitorio, non aveva mai instaurato un reciproco rapporto di fiducia con lui; eppure se lo ritrovava al suo fianco per un suo litigio con Goyle, la sera precedente. “Cose da ragazzi” era la spiegazione alla domanda di Pansy sul perché Tiger avesse improvvisamente deciso di sedersi accanto a lei, ripudiando la compagnia del suo migliore amico. E senza alcuna protesta, la ragazza aveva accettato, pur di non restar sola l’ennesima lezione scolastica. Anche Draco era cambiato, ultimamente: dall’inizio dell’anno, era taciturno,ombroso,fuggiasco,scontroso e facilmente irritabile. Forse troppo. Più volte la ragazza aveva provato a chiedergli qual’era il motivo del suo comportamento instabile, ma la risposta era semplicemente rappresentata da un dito medio alzato, dal primo “Buongiorno!” all’ultima “Buonanotte!”. E ciò irritava Pansy più di ogni altra cosa esistente ad Hogwarts: erano cambiati tutti, dalla prima all’ultima persona nella quale aveva riposto la sua fiducia.

E per accrescere maggiormente la sua confusione psicologica, anche l’ultima persona in cui sperava ancora una coerenza comportamentale negli anni precedente, dava l’impressione di una metamorfosi irriverente: Blaise Zabini. Troppe occhiate sognanti, troppi silenzi imbarazzati, eppure così tanti insulti, così tanti soprusi, così tanti cambi d’umore improvvisi. Aveva sentito parlare di una certa ‘adolescenza’ che portava con sé tante novità nel pensiero e nei cuori dei ragazzi, ma non pensava di esser circondata da persone affette da questa grave forma di lunaticità cronica. Anche quella mattina bigia, Blaise Zabini si stava comportando in modo innaturale: lanciava occhiate clandestine verso la studentessa di Serpeverde dal viso carlino, poi scribacchiava qualcosa su di un foglietto. Tornava ad osservare scrupolosamente, e poi ancora a scrivere. Così per tutta la lezione.

E ciò non fece altro che peggiorare lo stato introspettivo di Pansy, che non appena la professoressa dichiarò conclusa la lezione quotidiana, fece il più in fretta possibile per fiondarsi verso la porta ed uscire da quell’aula infernale. Ignorò le risatine pettegole delle sue compagne di Dormitorio, che la squadrarono dalla testa ai piedi per farla sentire più a disagio di quanto già non lo fosse. Cinse con presa sicura ed incredibilmente forte i suoi libri al petto, tentando di scorgere con occhiate furtive la figura di Zabini che si allontanava dal banco per uscire dalla classe.

Eppure, non lo vide, nonostante i suoi sforzi immani nel farsi spazio fra la folla studentesca. Probabilmente era già uscito, o forse era ancora all’interno, in maniera tale da non farsi vedere gli occhi della coetanea. La folla s’accalcava ancora di più, e Pansy riusciva a stento a respirare: l’oppressione, fisica e psicologica, che provava in quel momento, era indescrivibile. Aveva necessariamente bisogno di qualcuno che le desse una mano ad uscire di lì, in qualsiasi modo, ovunque egli fosse. Quando uno spintone dalla forza disumana le diede abbastanza carica da capitombolare per terra al corridoio, fra i passi frenetici degli studenti e il vociare estremamente fastidioso, assieme a tutti i suoi libri sparsi sul pavimento.

Stava per alzarsi per dirne quattro al maleducato e sfrontato essere che l’aveva fatta trovare in quella situazione imbarazzante, quando gli si parò davanti la figura imponente di Blaise Zabini, che la guardava con aria divertita e al contempo disgustata, quando le disse «Dovresti far più attenzione, la prossima volta, Carlino» e le porse la mano, invitandola a rialzarsi, con fare di galanteria beffarda. Pansy lo guardò con ribrezzo: avrebbe voluto umiliarlo dalla prima sino all’ultima parola, ma in quel momento la sua capacità di formulare frasi di senso compiuto era svanita inspiegabilmente. Tutto ciò che riuscì a fare fu lanciargli uno sguardo disorientato e misteriosamente offeso, pieno di rancore. Con malo modo allontanò la mano scura poco distante dal suo viso, raccogliendo tutti i suoi libri e foglietti sparsi sul pavimento.

Si rialzò fisicamente, eppure farlo mentalmente fu impossibile: aprì bocca, tentando di dire una qualsiasi offesa abbastanza ragguardevole, eppure tutto ciò che fuoriuscì fu un balbettio incomprensibile, tale da far spuntare un ghigno distruttivamente singolare sul volto di Blaise. Il ragazzo si allontanò ridacchiando con Draco dell’accaduto, continuando a lanciare occhiate alla studentessa anche mentre si allontanava gongolando, lasciandola con una moltitudine di foglietti che a stento tratteneva fra le dita affusolate. Sì, cambiarono tante cose ad Hogwarts, quel maledetto sesto anno.

***


Quella sera, la cena in Sala Grande si svolse in maniera molto più che frettolosa, per Pansy: non toccò assolutamente niente di tutto quel ben di Dio che si stagliava sull’enorme tavolo di Serpeverde, fino a quando non arrivarono i dolci, allora sì che prese una fetta di Cheesecake alla zucca e cioccolato, mandandola giù con quattro grossi bocconi. Marcus Flitt la osservava ridacchiando di gusto, mentre ingurgitava quella delizia in poco più di venti secondi. Ma l’aria funesta che aleggiava su di Pansy fece svanire il sorrisetto divertito di Marcus, che sbuffò infastidito, tornando al suo calice quasi vuoto di Succo di Zucca. Non appena ebbe finito l’ultimo boccone di cheesecake, la ragazza si alzò frettolosamente dal tavolo e si avviò verso il Dormitorio, noncurante dei richiami poco apprezzanti dei membri della sua stessa Casa.

Giunse al dipinto guardiano della Sala Comune, nei Sotterranei, pronunciò sottovoce la parola d’ordine e sgusciò nel piacevole tepore della stanza, riscaldata fievolmente dal caminetto di marmo ornato con teschi e statuette. Le lampade emanavano una luce fioca e verdastra, che a stento illuminava la stanza stessa, completamente vuota. Subito balenò nella mente della studentessa l’idea di sedersi sui comodi sofà in pelle nera come l’inchiostro. Ma scosse immediatamente la testa, e si diresse verso il Dormitorio femminile: tutto ciò che desiderava, in quel momento, era lo stendersi sul letto e rimuginare sugli avvenimenti del giorno, dagli spontanei ‘vaffanculo’ di Draco ai cambiamenti improvvisi ed inspiegabili di Zabini.

Non appena entrò nel dormitorio, si accorse di essere completamente sola: tutti erano a cena, nella Sala Grande, e lo sarebbero stati ancora per un bel po’ di tempo, forse abbastanza per ripetere la lezione di Astronomia in tutta tranquillità. Con questa precisa intenzione, Pansy si avvicinò al comodino accanto al suo letto, prendendo fra le mani i suoi libri e tutti gli appunti e post-it che quella mattina non aveva fatto in tempo a mettere al proprio posto, ognuno nel libro corrispondente, dopo la colossale caduta appena fuori l’aula di Trasfigurazione. Ne approfittò per riordinarli, aprendoli uno ad uno, leggendone il contenuto e posizionarli fra le pagine nuove e perfettamente curate dei suoi libri. Cura delle Creature Magiche, Pozioni, Trasfigurazione, Aritmanzia e…

E quello cos’era?

Una pergamena un po’ rovinata piegata in quattro, incredibilmente resistente a tutti gli strazi che ebbe sopportato, a giudicare dagli strappi sui bordi e dagli angoli spiegazzati, leggermente ruvida. Profumava di abeti freschi misto a spezie orientali, come il coriandolo. La aprì con leggera esitazione, curiosa di scoprire cosa ci faceva un oggetto sconosciuto a lei proprio fra i suoi libri. Le dita separarono freneticamente i lembi accoppiati, fatti combaciare alla perfezione, scartandoli in fretta e furia come se fossero regali di Natale. Eccola, aperta del tutto. Ma prima di leggerne il contenuto, si guardò attorno: il dormitorio era vuoto, così come la Sala Comune. Niente rumori misteriosi, né mormorii appena percettibili, né spifferi di vento impetuoso. Pareva quasi che non s’udisse il continuo boato delle acque del Lago Nero, soffiare e soffiare ancora, specie nell’impassibile silenzio notturno.

Finalmente l’aprì.

E il suo cuore saltò un battito, quando riconobbe la calligrafia di Blaise Zabini.


Se iniziassi questa lettera con “Cara Pansy”, non mi riconosceresti, ed oltretutto apparirei come banale ed artefatto.

Ci conosciamo da cinque anni. Cinque, lunghi anni.

E ne abbiamo passate tante assieme, dalla tarantola nel letto di Goyle al nostro primo ‘Incarceramus’ nella Sala Comune. Ti ricordi, vero? Draco ci guardò con un’aria a metà fra l’ammirazione e l’invidia, lamentandosi delle nostre ‘manie di protagonismo’ con quello sfigato di Theodore Nott. E tu mi guardavi con aria soddisfatta e con quel ghigno fiero impresso sul volto da carlino, mentre reggevi con sicurezza la tua bacchetta di betulla fra le dita affusolate e pallide.

Era il quarto anno, appena prima del Ballo del Ceppo di Natale; lo confesso, avevo intenzione di invitarti. Te ne stavi seduta in Sala Comune a chiacchierare enfaticamente con Daphne, e non ebbi mai l’occasione di chiedertelo in privato, manco ci concedessero un attimo d’intimità. Un giorno, lo ricordo ancora come se fosse stato ieri, eri nel Cortile di Pietra, da sola, seduta su di una panchina, fra vento e foglie secche che svolazzavano copiosamente, con un pesante libro di Pozioni fra le mani.

L’avrei fatto, ne ero certo. Te l’avrei chiesto tutto d’un fiato, come fanno quelli di Tassorosso ai Corvonero: per evitare l’imbarazzo, parlano il più in fretta possibile, tentando di celare il rossore sulle loro gote. Così avevo intenzione di fare. Non fraintendermi,ora,però: tutti avevano già un accompagnatore, ed io ero rimasto abbandonato alla mia ultima possibilità: tu, la mia ruota di scorta, il mio giocattolo preferito.

Avanzavo con passo veloce, fra il gelo pungente di inizio Dicembre, verso di te; c’ero quasi, mancavano pochi metri, forse quattro o cinque.
Il cuore mi batteva all’impazzata dall’ansia.
Tre metri. Accennai una leggera corsa.
Due. Mancava poco, ero sul punto di pronunciare quelle sei imperscrutabili parole d’invito.

U…No. “- Parkinson. Che sorpresa…inaspettata.-“ una voce familiare, dal tono caldo ed ambrato, che non si abbinava alla perfezione allo sguardo gelido ed impenetrabile del mio amico, riecheggia da quell’istante nella mia mente, ancora oggi. Draco Malfoy mi precedette di secondi.

Nemmeno, frazioni di secondi. E quando voltai le spalle per andarmene, con la rassegnazione della mia assenza al Ballo che tanto avevo atteso di trascorrere con te, lasciai che il fato decidesse al posto mio. In un attimo tu accettasti l’invito, ed io, che tanto c’avevo creduto e che tanto c’avevo sperato, per quella dannatissima sera dove tutti se la spassavano in Sala Grande, mi limitai a fissare il soffitto del Dormitorio Maschile di Serpeverde.

Tutto a causa tua.

E non ti biasimo se adesso mi starai definendo con tutti i termini spregevoli che ti vengono in mente, dato il mio comportamento incoerente, innanzitutto con me stesso, ma anche con te. Lo riconosco: la lunaticità mi appartiene più di ogni altra cosa al mondo, oltre l’arroganza, s’intende.

‘Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.’

E non mi aspetto che tutto ciò sia ricambiato, Carli…No,no. Pansy.
In questo momento ti sto osservando mentre guardi fuori alla finestra, nell’aula di Trasfigurazione. Hai un’aria pensierosa, non capisco cosa ti frulli in mente. E adesso…Adesso ti sei accorta che ti sto guardando. E, come l’idiota che hai sempre conosciuto e reputato tale, sto scrivendo questa lettera.

Beh, spero che tu abbia il piacere di leggerla almeno quanto io ho amato scrivertela.

Cosa avrei concluso, raccontandoti tutti questi aneddoti qui ad Hogwarts? Niente,ho solo enfatizzato il mio concetto de ‘tutto fumo e niente arrosto’.

Ma forse, qualcosa di piccolo e di minuto, il quale mi manca più di ogni altra cosa al mondo, spero possa nascere grazie a questa pergamena ingiallita: il tuo splendido sorriso, che non vedo da troppo tempo, ormai.
Con amore paradossale,

Blaise Zabini.



Pansy si lasciò cadere sul letto, poggiandosi una mano sul cuore che pareva esplodere pur di uscirle dal petto.
Dallo sgomento, la lettera le era caduta dalle mani fragili e tremanti, posandosi leggera come una piuma sotto il letto a baldacchino nero e verde. Si stese, ansimante, con la testa affollata di mille e più pensieri, dal motivo per il quale Blaise le aveva scritto quella lettera, a quel monotono atteggiamento lunatico, presente in ogni sua parola.
Ecco il motivo per cui, quella mattina, il ragazzo di colore la fece capitombolare goffamente fuori dall’aula: era solo una scusa poco fine per consegnarle una lettera.
‘Contraddittorio’, lo definì Pansy, facendo schioccare le nocche, in segno di evidente nervosismo. Avrebbe voluto far tanto, dopo aver letto il contenuto di quella pergamena. Chiedere spiegazioni, in primo luogo, al mittente.
Un brivido le percosse la schiena, al sol pensiero di dover discutere con il suo ‘migliore amico’ del perché quella lettera fosse indirizzata proprio a lei, fra le tante sgualdrine sguaiate di Hogwarts. Sospirò, indecisa sul da farsi, mettendosi a sedere e tentando di ragionare razionalmente.
E d’un tratto, un cigolio sinistro riecheggiò in tutto la stanza; Pansy sobbalzò, e volse il capo verso l’uscio in legno d’acero: quando vide un volto familiare far capolino dall’esterno della stanza, e mormorare insicuro «Pansy…? Posso entrare?».
La voce di Daphne Greengrass colmò il dormitorio di un calore maggiore di quanto fosse quello emanato dalla stufa posta centralmente nella stanza.
E in un attimo la mente di Pansy sfiorò i ricordi degli anni precedenti, quando la sua amica non adottava ancora quegli atteggiamenti snob nei suoi confronti. Per accogliere la sua amica a sedersi con lei sul letto, Pansy le fece un cenno con la mano; l’altra ricambiò con uno sguardo d’intesa, richiudendo la porta dietro di lei.
«Come mai tutta questa fretta di correre nel Dormitorio, dopo cena? Non hai mangiato niente…» azzardò Daphne, mordicchiando un labbro nervosamente, mentre giocherellava con il lembo della coperta che aveva fra le dita, a capo chino.
«Beh, non è stata una delle mie giornate migliori, e tutto ciò che desidererei adesso è andarmene da questo posto per…» Un’ improvvisa risatina compiaciuta spuntò dalla bocca di Daphne, che cercava con evidenza di celarla dietro un velo di apprensione fra amiche. Pansy interruppe il suo discorso, osservando l’amica ridere, ora, di gusto, mentre una fitta allucinante le torceva lo stomaco: cos’era, un altro trucchetto da quattro soldi per farla sentire ancor di più una schifezza?
Stava per chiedere spiegazioni, quando la voce di Daphne mutò.

Da ambrata e pacata, a gelida e da brividi per l’emozionante tono semigrave.

«Non credevo fossi così ingenua da cascarci…Carlino».

E a Pansy le si fermò il cuore quando la ragazza che aveva ritenuto Daphne Greengrass, altri non era che il mittente della lettera, il quale aveva ripreso le sue sembianze dopo aver bevuto una Pozione Polisucco molto potente, a giudicare dal fatto che gl’avesse modificato anche la voce.

«..Tu…Tu!..Come…Come!?» esclamò Pansy, sobbalzando quando vide Blaise davanti a lei, nel dormitorio femminile, in un luogo dove proprio lui non avrebbe dovuto esserci.

Zabini ridacchiò divertito, tralasciando galanterie e scuse da porgere, poi rispose con menefreghismo «Il deposito di pozioni di Piton può rivelarsi molto utile, a volte, sai?» e con aria di sfida, fissò la ragazza negli intensi occhi verdi, che a stento si reggevano aperti per la stanchezza.

Pansy distolse lo sguardo, tornando a fissare il pavimento, forse per l’ennesima volta, e lo fece soprattutto per evitare lo sguardo inquisitorio di Blaise. Sentiva la rabbia montarle dentro, come un uragano distruttivo, come un’eruzione esplosiva, come un maremoto implacabile. Strinse i pugni il più forte possibile, quasi come se questo fosse il suo unico metodo di sfogo.

E intanto un bruciore iniziò a pizzicarle gli occhi, richiamando quelle lacrime inopportune che non avrebbero fatto altro che accrescere l’orgoglio e la soddisfazione di Blaise. Ma c’erano troppe domande lasciate in sospeso, e la giovane studentessa di Serpeverde doveva trovare risposta almeno ad una sola di quelle.

Così, tutto d’un tratto, senza pensarci né dedicarci più di un secondo, disse sottovoce «…Perché l’hai fatto?».

E come per magia, Zabini smise di ridere.

La scrutò in ogni suo minimo dettaglio, cercando una qualsiasi scusa pur di tirarsi fuori da quella situazione imbarazzante. Eppure, non gli venne in mente niente di abbastanza credibile. E l’ultima cosa che gli rimaneva…era la verità.

«Sono in dovere di dirtelo, Carlino» disse quasi a malincuore il ragazzo, sedendosi sul letto affianco a quello di Pansy, incrociando le braccia in segno di umore vulnerabile.
La ragazza lo fissò indiscreta, inarcando un sopracciglio in attesa di spiegazioni. «Tutto ciò che sta accadendo è farina del mio sacco: la lettera, lo spintone, la mia presenza qui. Ma dietro ad ogni cosa, c’è qualcun altro che muove le pedine al posto nostro. » la voce si fece più cupa man mano che le parole trascorrevano come fiumi impetuosi.
«..E cosa vorresti dire con tutto ciò?» esclamò Pansy, rossa di rabbia sulle gote, color che spiccava particolarmente sulla sua pelle olivastra.
«Dico solo» iniziò Zabini «Che tutto ciò che ho scritto in quella lettera, è motivato. Non da me, però. C’è qualcun altro in questa faccenda, qualcuno che mi ha…convinto, a far tutto questo, ecco.»

E Pansy esplose come una bottiglia di gassosa agitata per troppo tempo, ed inevitabilmente il ragazzo di fronte a lei non ebbe scampo da quel monologo sprezzante. «…Sei troppo codardo per fare un discorso come si deve, senza mezzi termini e senza tutta quest’aura di misteriosità? Dimmi le cose come cazzo stanno, o ti sbatto fuori da qui con calci,pugni,e bacchetta!»

Blaise notò quel rossore divamparle sul volto olivastro, e ciò che in primo luogo fece spontaneamente fu una risatina mozzata.
Si ricompose, compiaciuto del fatto che il Carlino di fronte a lui si stava scaldando più del dovuto, e ciò non poteva che essere un punto a suo favore.


«E’ stata una scommessa, mia povera illusa. Fra me e quel bel sorrisino ammaliante di Malfoy. Non è stato magnifico? Ogni cosa è andata come dovuto» e detto ciò, il ragazzo di colore si avvicinò vertiginosamente verso Pansy, la quale, istintivamente, si scansò indignata.

E quel rossore pareva enfatizzare l’uragano che le scuoteva tutto, dentro, quando lei si alzò ed aprì bocca per protestare, ma come quella maledettissima mattina, riuscì solo ad avvertire un leggero spiffero di aria fresca che le accarezzava la bocca.

«…Io…Io…FUORI! VATTENE…VATTENE VIA!» riuscì solo a gridare, esasperata e con le lacrime agli occhi…e al cuore. Tutto ciò che aveva immaginato, come se le persone fossero cambiate in meglio, anziché in peggio, si sgretolò in pochi attimi. Aveva perso il lume della ragione, ormai le gote le pizzicavano fastidiosamente, ed erano rosse come il fuoco dalla rabbia. L’uragano spazzò via tutto. La ragione fu perduta per sempre.

«Ti preferisco con le guance arrossite. Sei molto più carina.» mormorò invece Blaise, del tutto tranquillo e prevenuto sulla situazione presentatasi quella sera.
Voltò le spalle per andarsene.

No, non poteva lasciarlo andare così.
Non dopo…Non dopo quella pergamena ingiallita; Non potevano essere solo fandonie, solo bugie inventate di sana pianta per vincere una stupida scommessa.

E l’uragano investì anche Blaise.

«FUORI DAL MIO DORMITORIO E DALLA MIA VITA, STRONZO!» esclamò furibonda.
L’ultima risatina, poi la porta si richiuse con un tonfo pronunciato.

Pansy si lasciò crollare come un muro per terra, fra singhiozzi mozzati e lacrime che scorrevano infinitamente. Nessuno, era lì con lei. Solo…Solo Pansy, Pansy e quella stupida lettera ancora sotto il letto.

Gattonando a mo’ di felino, Pansy raggiunse la pergamena ingiallita, prese la sua bacchetta, ed esclamò «…Tu non distruggerai mai più la vita a nessuno.»
Sospirò, avvertendo ancora i segni di assestamento del respiro regolare, dopo quei singhiozzi così marcati. «…Incendio.»

La pergamena, assieme ai suoi sentimenti, si ridusse ad un innocente mucchietto di cenere.

***
 

Blaise Zabini richiuse la porta del dormitorio femminile di Serpeverde con un tonfo pronunciato.
Dopo, il silenzio.
Il continuo boato delle acque del Lago Nero.
E…puzza di bruciato.
Sogghignò, soddisfatto, comprendendo l’azione appena compiuta dalla ragazza.
Eppure, sapeva che c’era ancora qualcosa che avvertiva come un peso sul cuore, come se tante altre azioni non lo fossero.

In cuor suo, sapeva che in quella lettera c’era qualcosa di vero: una frase, un espressione, una citazione.
Qualcosa che proveniva dai suoi sentimenti, e non da una fottuta scommessa.

…Ma non lo ammise mai. Né a Draco, né a Pansy, né a se stesso.





*** Spazio autrice***
Non uccidetemi! L'idea è originale, del comporre una one shot per ogni lettera della parola "blush", che appunto caratterizzerà tutta la fanf, ma non sono una cima nel trasmettere emozione ai lettori, perciò, perdonatemi! ^__^
Vorrei ringraziare in maniera speciale ScreamingHeart, che a scuola mi porge sempre la stessa, fatidica domanda...
"Se ti do un foglio, scrivi la fanfiction?"
E io non posso che acconsentire! Quindi, se questa fanfiction è stata pubblicata qui, è anche (e soprattutto!) merito suo ^^
E sì, ho inserito una citazione di Catullo, nella lettera di Zabini (mi sembrava perfetta! *--*). Una recensione è sempre gradita, mi farebbe tanto piacere conoscere i vostri pareri su questo piccolo, a finale inaspettato, capitolo!
Ricordo che per ogni recensione ricevuta, rispondo in questo spazio al capitolo successivo a quello recensito, giusto per tenere un po' d'ordine in questa mente tanto incasinata! xD
Al prossimo capitolo...
"L"! 


 

Vostra Phob

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Capitolo 2
*** 2.Lucius Malfoy/Lily Evans; ***


Avvertimenti: Capitolo decisamente OOC, raiting Arancione per motivi ovvi e con una buona dose di fantasia e idee complicate. Lucius ha un solo anno di differenza, in questa fanfiction, rispetto a Lily. Quindi, Lily è al sesto anno, mentre Lucius è al settimo.  



‘Late night sex, smokin’ cigarettes 
I try real hard but I can’t forget 
Now in a heartbeat, I would do it all again’

-The Pretty Reckless-




Il freddo pungente di inizio Febbraio sferzava continuamente il volto arrossato della giovane Lily Evans, che, tutta infreddolita, se ne stava rannicchiata nel suo mantello nero dagli alamari d’argento, tentando di ripararsi il più possibile dietro un enorme albero di quercia.
Erano ormai più di trenta minuti che attendeva l’arrivo di James, il suo fidanzato, e iniziava a preoccuparsi del suo evidente ritardo; certo, il ruolo di Prefetto era molto impegnativo e richiedeva del tempo aggiuntivo senza preavviso, e Lily tentava di convincersi che fosse proprio quella la ragione della sua proroga.
Sfogliava sempre con più nervosismo il libro di Astronomia che stringeva fra le dita intirizzite dal freddo, mordicchiandosi il labbro impazientemente. Il suo sguardo cercò conforto volgendosi verso l’immensa distesa di acqua ardesiaca del Lago Nero, che si stagliava con imponenza lambendo quel tetro angolo di Hogwarts.
Fortunatamente, non c’era vento che potesse arruffare i lunghi capelli rossi della studentessa del sesto anno, la quale iniziò a torturarseli sulle punte con agitazione, attraverso movimenti frenetici delle dita.
Si alzò dalla panchina dove era comodamente seduta per guardarsi attorno e cercare di scorgere l’esile figura di James, magari in preda al respiro trafelato e ad una corsa talmente rapida da essere indescrivibile.
Eppure, niente di tutto ciò.
Aveva ancora fra le dita il biglietto che le era arrivato dopo pranzo, circa verso le 14:00, fra una lezione e l’altra.

‘Tesoro,
ti aspetto alla nostra panchina sulla riva del Lago Nero, oggi stesso, alle 17:00. Devo parlarti.
Non portare libri, sarò lì puntuale e non ci sarà bisogno della loro presenza, almeno per stavolta!
James’

Lily accartocciò infastidita quel messaggio dallo sfondo parzialmente schernente, ritornando alla sua interessantissima lettura sulla costellazione di Orione, la quale era la costellazione maggiormente visibile durante le notti freddi e terse invernali.
Giunta circa al quinto rigo di lettura, una voce dal tono glaciale e sfacciatamente impertinente, interruppe l’attenzione della ragazza, a quel punto, impossibile da recuperare.

«Ti ha dato ancora buca, vero?»

Lo sguardo inquisitorio ed agghiacciante di Lucius Malfoy squadrò da capo a piedi l’esile ed aggraziata figura di Lily Evans, la quale, per tutta risposta, ricambiò quell’aria schizzinosa rispondendogli tono a tono
«…Scusami? Non credo siano affari che ti riguardino» e subito la ragazza si stupì di quanto fu semplice esporre verbalmente i suoi pensieri; di solito le risultava difficile, pertanto restava zitta la maggior parte delle volte.
A Lucius scappò una risatina sferzante, inarcando un sopracciglio con aria snob, e, allibito dalla risposta pronta della ragazza dai fulvi capelli rossi, le disse superbo: «Troppo coraggiosa per una sola Grifondoro».

E come se Lily non avesse più messo freno alla sua ira nei confronti del ragazzo dai capelli color avorio, ricambiò con la stessa moneta:  «Troppo viscido per un solo Serpeverde ».
E tornò al suo libro, come se non fosse successo niente, facendo finta che non le importasse affatto.
Appunto.
‘Facendo finta’.

Era dall’inizio dell’anno che quello studente di Serpeverde di un anno più grande di lei la tormentava con sguardi e sorrisini inopportuni, nonostante la costante presenza di James nei paraggi, pronto a puntare la sua bacchetta contro l’invadente ‘ammiratore’.
Eppure Lily non sapeva spiegarsi il motivo di quell’ossessiva persecuzione: era una ‘lurida mezzosangue’, come affermava lui stesso, e non sprecava occasione per offenderla e sfigurarla, anche davanti a tutta Hogwarts.
Nemmeno in quell’attimo così imbarazzante, ebbe il tempo di ragionare su come sarebbe stato gratificante stampargli un sonoro ceffone sull’immacolata guancia sinistra.

Accadde l’impensabile, in una frazione di secondo.
Improvvisamente, il terreno iniziò a cederle sotto i piedi, come se un terremoto limitato solo all’aria circostante la panchina dov’era seduta scavasse un varco sotterraneo.

Magia arcana, inspiegabile, anche per la più diligente delle studentesse di Grifondoro.
E più il terreno tremava vertiginosamente, più Lily sentiva il panico montarle dentro; non era preparata ad un’occasione del genere, e riuscire ad estrarre la sua bacchetta dal mantello parve, in quel momento, un’impresa titanica.
Lucius, spaesato ancor di più, fissava incredulo il terreno scosso, che da lì a momenti sarebbe crollato proprio sotto i loro piedi.
In un attimo, il buio.

Lucius e Lily sprofondarono in un tunnel sotterraneo, scavato in pochi secondi da una magia non esercitata da nessuno dei due studenti appena menzionati.
Magia arcana, appunto.

Il tunnel sotterraneo si faceva via via più stretto, più buio, e ricco di radici e piante selvatiche, mentre i due studenti scivolavano gridando, sempre più giù.
Giù, e ancora giù.
Lily, inconsapevolmente, strinse il braccio di Lucius, il quale era proprio davanti a lei, mentre cercava di proteggersi il volto con le braccia.
E ancora, scivolavano.
Per quanto tempo e per quanti metri, questo non lo seppero nemmeno loro.
Lily si sentiva soffocare; l’ossigeno pareva assentarsi quasi del tutto, il buio le ostruiva la vista e tutto ciò che riusciva a percepire era lo scrosciare rumoroso delle pietre al suo passaggio, le sue urla impaurite e i mozzati singhiozzi di Lucius.
D’un tratto, un tonfo rimbombante di arresto.
Poi, il silenzio.

Lily si massaggiò dolorante la caviglia destra, mentre Lucius faceva lo stesso con il braccio sinistro.
Entrambi avevano i mantelli completamente logorati dalle piante spinose che si ergevano dappertutto in quel dannatissimo tunnel sotterraneo, e Lily intravide di sfuggita una moltitudine di graffi sanguinanti sugli avambracci del magnanimo studente di Serpeverde, che pur di proteggerla si era esposto a rischi piuttosto dolorosi.
Con evidente sofferenza, Lucius strappò dei lembi dal mantello per in fasciarsi le ferite che grondavano copiosamente di sangue vermiglio, che goccia dopo goccia produceva un rumore sordo e riecheggiante, il quale si diffondeva distintamente nella fine della galleria nel sottosuolo.

Lily non ci badò più di un minuto, piuttosto si soffermò ad osservare il luogo in cui si trovavano: era molto scuro, la luce solare filtrava ben poco dalla buca sulla superficie, e dovevano trovarsi in una sorta di ‘stanza scavata nel sottosuolo’.
C’erano radici ed erbe selvatiche dappertutto, e le ortiche disseminate ovunque non facevano che irritare ancor di più la pelle sensibile della ragazza, la quale si grattava con sofferenza su braccia e gambe.

Solo dopo che Lucius riprese il controllo della situazione, mormorò flebilmente: «Dove…Dove siamo?»
Lily lo guardò con aria stizzita, poi gli rispose: «Dove credi di essere? In un albergo a cinque stelle? Non vedi che siamo rinchiusi fra quattro ‘mura’ pericolanti e prive di ossigeno e di luce? Se non usciamo subito di qui…Oh, non voglio nemmeno immaginarlo! » gridò tutto d’un fiato, esasperata, dimenandosi a destra e a manca.

«E’ colpa tua, immensamente colpa tua!» riprese, ormai senza freni, la giovane studentessa dai capelli rossi «E’ colpa tua se siamo finiti in questo casino! Non potevi evitarmi, una buona volta? Non potevi semplicemente ignorarmi e lasciarmi in pace?» gli puntò contro un dito con aria accusatoria.
Lucius non fece altro che ridacchiare divertito: forse non dava a vedere la sua motivata preoccupazione, eppure l’ira che esprimeva Lily con chiarezza cristallina non faceva altro che alleviare la tensione.
Almeno era in compagnia di un altro cervello, per di più un altro, ottimo cervello.

Lily continuava a blaterare infastidita, poggiandosi su di un masso abbastanza grande da fungere come ‘sedia’.
«E qui ci sarà il mio letto, ora, che ne pensi? Ottimo direi, giusto? Un arredamento perfetto per una fossa sotterranea comparsa nel nulla! Dì la verità, l’hai fatto apposta! Non vuoi far altro che rovinarmi la vita, vero, Malfoy?»
Ancora una risatina.

Poi, finalmente, una risposta: «Non ne so niente, Evans. Davvero. Non è che star qui sia altrettanto piacevole, per me. A quest’ora avremo già dovuto essere a cena: il Sole è ormai calato e fra poco non ci resterà che una manciata di panico e le successive, ultime ore della nostra vita.»
Sospirò, ma aveva tutt’altro che l’aria ansiosa, come voleva far credere.
Lily si lasciò sfuggire un grido acuto di nervosismo quando perquisì a fondo il suo mantello e trovò la sua bacchetta di Salice spezzata in due palesi metà.

«Meraviglioso, perfetto, aggiungerei! E ora come faccio ad uscire di qui? E dire che non posso nemmeno praticare l’incantesimo Ascendo…Ti odio, e te la farò pagare! Oh, sì, certo che te la farò pagare, io…» esclamò furiosa Lily, camminando avanti ed indietro per tutta la lunghezza della ‘stanza’.
«Evans, annodati quella fottutissima e irrequieta lingua, io sto studiando.»
E con uno scatto improvviso e stranito, Lily si voltò verso Lucius, il quale era disteso per terra, poggiato con la testa su di un masso, le braccia dietro la nuca a mo’ di ‘posa da spiaggia’, e lo sguardo rivolto verso l’incantevole distesa di stelle e costellazioni che si ergeva oltre il buco di provenienza.

Uno squarcio di cielo.

E tutto ciò bastò per tranquillizzare, almeno momentaneamente, la frenesia di Lily, la quale si diresse verso Lucius e si stese accanto a lui, pur di ammirare quel paesaggio indescrivibile.
Ogni stella che componeva la costellazione di Orione non poté far altro che illuminare di un intenso bagliore il tunnel sotterraneo, imperlando divinamente il volto compatto ed angelico del ragazzo.
Per un attimo, Lily si incantò nell’osservarlo con scruto, e rabbrividì leggermente, forse per il freddo o per l’emozione. Ma non poteva restare un minuto di più rinchiusa in quella buca sotterranea, e la sua unica speranza era compiere l’incantesimo Ascendo.
E se la sua bacchetta, in quel momento, era impossibile da utilizzare, ne avrebbe usata un’altra.
L’unica, altra bacchetta esistente in quell’angusto e sconosciuto angolo di Hogwarts.

E l’avrebbe ottenuta a tutti i costi, pur di ritornare sulla terraferma, lontana dai pericoli e dall’infrazione delle regole.
«Quindi…Cosa sarebbe questo groviglio di lucciole nucleari?» mormorò Lucius, interrompendo quel silenzio glaciale fra i due, sforzandosi di ricordare la forbita spiegazione della professoressa di Astronomia, due notti precedenti a quella sera.
«E’ la Costellazione di Orione, non vedi la cintura?» ribatté con aria saputella Lily, mentre indicava le tre stelle più luminose che lei avesse mai visto, oltre a Sirio, ovviamente.

«Vedi queste tre stelle?» riprese a spiegare «Sono Mintaka, Alnilam e Alnitak, dette più comunemente ‘I tre re’, o ‘I Re Magi’, a seconda della tradizione. Grazie a loro è facile individuare la costellazione, e per non sapere una nozione così elementare, non puoi esser altro che distratto durante le spiegazioni.» lo ammonì con sguardo inquisitorio.
Lucius fece spallucce e riprese a parlare, indicando il resto della costellazione «Beh, professoressa, allora…Se proprio non mi sbaglio, la stella in alto a destra è Betelgeuse, quella a sinistra è Bellatrix, quella in basso a destra è Saiph, quella a sinistra è Rigel. Non sono tanto incompetente, o sbaglio?»

«Per stavolta potrei accontentarmi.» soffiò superflua Lily.
Lunghi attimi di silenzio seguirono quell’affermazione. Subito dopo, a Lily tornò in mente il suo scopo fondamentale: l’uscire da quella buca, rubando la bacchetta a Malfoy.
Sarebbe stata disposta a tutto, pur di tornare al Dormitorio femminile di Grifondoro.
Disposta…anche a quello.
In un attimo, chiusi gl’occhi, la mano di Lily iniziò a perquisire freneticamente l’addome di Lucius, tastando bene con le dita finché non avesse trovato quel sacrosanto pezzo di legno.
Lo sguardo di Lucius si incupì, ma al tempo stesso, mostrò interesse perverso.
Fissò la rossa dritta negl’occhi, sbalordito da un’azione che mai, pensò, riuscisse a compiere la ‘studentessa modello-impeccabile-perfettina di Grifondoro’.

Ma lo sguardo di Lily non resse per molto l’aria disinvolta, e si adattò ad un aspetto più imbarazzato che spontaneo. Non le balzarono in mente scuse plausibili, così mormorò qualcosa di incomprensibile, ritraendo la mano ed arrossendo vistosamente.
Un sorriso, che assomigliava più ad un ghigno soddisfatto, comparve sul volto di Lucius, il quale mormorò a bassa voce, a fior di labbra «Se proprio devi perquisirmi, fallo con un tocco più erotico che impacciato, ok?»
Lily rimase sbigottita, iniziò a smaniare la mano con la quale aveva toccato l’addome di Lucius, arrossendo sulle gote. Per un attimo pensò di dover ringraziare il lato più negativo di quel posto: l’oscurità. Ma dovette rassegnarsi quando si rese conto che il suo volto era ben esposto ai flebili, eppure incantevoli, raggi della Luna.
La ragazza maledì il suo rossore improvviso, quando poi tentò di giustificarsi «Certo che sei proprio un ingrato! Ho semplicemente provato a spostare quelle ortiche dalle tue braccia già perfettamente infettate dai germi! Non mi sorprende affatto che il tuo pensiero sia sempre rivolto alla perversione.»

Lucius ridacchiò, eppure aveva già compreso le intenzioni della ragazza.
Con un gesto disinvolto dei polsi, si lasciò scivolare lungo la robusta corporatura  il mantello nero, dove all’interno si nascondeva, ben al sicuro, la sua bacchetta di olmo.
«Sei un’ingenua, Lily Evans.»
Appena un sussurro.
Uno scrosciare di foglie e di sassi, gli ‘uh uh uh’ dei gufi appollaiati sugli alberi, poi la quiete notturna.
E Lucius tornò a guardarla, volgendole uno degli sguardi più penetranti che mai avesse ricevuto.

«Non avresti dovuto essere qui. Avresti dovuto prendere la bacchetta dal primo istante, scappando via da me, lasciandomi solo. A marcire. In questa fossa comparsa dal nulla.»
E intanto camminava con le braccia conserte.
«…Ma, vedi…Tutto accade per una ragione. Se sei ancora qui senza provare ad uccidermi o a scappare disperatamente, c’è un motivo. La verità è che a te non dispiace essere in mia compagnia, stasera, vero?»
Lily rimase folgorata da quella domanda: quale risposta sarebbe stata più plausibile, più sensata?
Era vero, la presenza di Lucius, anche a un miglio di distanza da lei, la irritava parecchio.

Eppure, c’era qualcosa.
Qualcosa di inspiegabile, di ossessivo.
Qualcosa di celato, di proibito.
Un’attrazione.
Un’attrazione che non doveva esistere, non dopo le attenzioni e le lusinghe di James, non dopo quel fidanzamento, non dopo la felicità.
Una felicità che aveva costruito con sangue e sudore, che aveva coltivato giorno per giorno, alimentando ciò che contava davvero per lei, cancellando le frivolezze e i perditempo.
E Lucius non avrebbe mai potuto vanificare tutti quegli sforzi.
Almeno così credeva che fosse.

«Sono chiacchiere! Futili, infondate, insensate chiacchiere! Non hai niente su cui basarti per render valida questa tua tesi! E ti sbagli, sai? Non sono un’ingenua, posso cavarmela da sola, posso uscire di qui anche a mani nude…Non ho bisogno della magia!»
«Fallo, allora.»
«…Cosa,scusa?»
«Scalare una decina di metri e poco più a mani nude non dev’esser un problema per te, dico bene?» l’aria di Lucius divenne più competitiva che apprensiva.

E a Lily tutto questo non piacque.
Nonostante ciò, non poteva dimostrare, per l’ennesima volta, che era solo un’incapace, buona a nulla, dipendente incallita dalla magia. Aveva forza di volontà da vendere, e sarebbe uscita di lì con le sue forze e la sua determinazione. Niente di più, niente di meno.
Rivolse uno sguardo provocatorio al giovane studente di Serpeverde, gli voltò le spalle con aria altezzosa, si rimboccò le maniche, e poggiò i palmi contro il terreno gelido ed arso della parete.
Era pronta per scalarla, sapeva che ce l’avrebbe fatta, prima o poi.
Bastavano pochi sforzi, e la libertà le sarebbe corsa incontro a braccia aperte; Lily non attendeva altro.

Espirò, inspirò. La Luna le donava riflessi carmini ai capelli, spettacolo impagabile che Lucius non poté che apprezzare.
Si diede una piccola spinta, poggiando prima il piede destro e poi il sinistro su alcune piccole, instabili rocce che puntellavano qua e là la parete.
Instabili. Troppo instabili.
Dopo pochi secondi dall’aver poggiato i piedi su di esse, le pietre crollarono giù dalla parete, e Lily cadde vistosamente per terra, dolorante.
Ma non si diede per vinta.
Ancora una volta, ma cadde.
Un metro più in su della volta precedente, ma cadde.
Non si arrese: ci provò ancora, malgrado le ferite sanguinanti sulle gambe nude, non più protette dalle calze logorate dalle spine.
Quante volte tentò e tentò ancora, questo non le seppe neanche lei.
Dovette intervenire Lucius per fermarla da quel rituale disperato, il quale provava un senso d’angoscia e di compassione, ma al tempo stesso di competizione irrefrenabile nei confronti della rossa.

«…Ancora una volta…Posso…Posso farcela…» ansimò Lily, esanime, trattenuta dalla presa sicura di Lucius.
…Basta.
Avrebbe dovuto metter fine a quel supplizio.
Metter fine, certo. Ma a modo suo.

E stava pianificando quel momento dal primo istante che l’aveva vista, che aveva visto i suoi meravigliosi capelli rossi ondeggiare a destra e a sinistra, seguendo il ritmo del clop clop delle sue ballerine.
«E’ la nostra sera, Lily. Non dovresti affaticarti.» Non era un tono dolce.
Lily si voltò, cercando i suoi occhi, e notò in essi una strana intenzione.
Intenzione che non riuscì a negare con facilità.
«…Malfoy…Io…» Lily non aveva più la spavalderia dell’inizio della serata; piuttosto, essa stava cedendo a poco a poco, ma specialmente con lo sguardo penetrante di Lucius.

Il ragazzo le si avvicinò lentamente, come un felino dai tratti sinuosi che punta la sua preda.
Poi, colpì.
«Anche i demoni vogliono divertirsi, il sabato sera. Fammi divertire anche tu, angelo baciato dalla Luna e dalla tentazione.»
In un attimo, l’oblio.
Le labbra di Lucius spinsero forte contro quelle di Lily, sfacciatamente, senza pudore.
Ogni minimo ed abile movimento di lingua s’insinuava sinuoso nella casta e minuta bocca della ragazza, serpeggiando insolentemente lungo tutto il palato, istigando la fanciulla a rabbrividire da un piacere proibito.
Lei non avrebbe mai potuto sottrarsi a quel richiamo allettante.
In un attimo si fece sua: si lasciò cingere dalle sue braccia dalla presa inquisitoria, e lentamente le mani di Malfoy scorsero lungo la schiena percorsa da palpiti improvvisi di Lily, sotto il mantello nero e, in un certo senso, impediente.
Non esitò un attimo a sfilarglielo di dosso, facendo scattare il bottone attorno al collo e lasciando che si  adagiasse cautamente sul terreno gelido.
Lily parve, per un attimo, contrariata alle intenzioni di Lucius.
Eppure, per lo stesso motivo per il quale non ebbe mai saputo spiegarsi l’ossessione nei suoi confronti di Malfoy, si era lasciata abbindolare dalle sue parole seducenti.
Lucius interruppe il bacio per sorriderle maliziosamente.
La Luna illuminava il suo volto dandogli un’aria sinistra, eppure accattivante.
Lily si morse le labbra. Non ne seppe nemmeno lei il motivo.
Aveva ancora bisogno dei suoi baci? Oppure tutto ciò che voleva era cancellare quella fonte di peccato lussurioso?

Un altro verso contrariato, poi le dita di Lucius fecero scattare i bottoni dalle asole corrispondenti della camicia bianca come la luce della ragazza.
Lily si morse ancora le labbra.
Lei non avrebbe mai voluto sottrarsi a quel richiamo allettante.
Le sue mani erano paralizzate: né riusciva a ricambiare l’azione di Lucius, né riusciva ad impedirla.
Immobile. Gelida.
Eppure, il suo cuore urlava di dolore.

*Tlac*. L’ultimo bottone della camicia.

Poi, essa cadde a terra.

…Era rimasto l’ultimo fragile ostacolo per godere appieno delle meraviglie celate spesso sotto un coprente mantello scuro.

Il richiamo del demone era incessante. Persisteva, ancora ed ancora.   Lily iniziò a mugugnare dei ‘no’ infastiditi, ma ormai il demone le si era avvinghiato addosso.

E non se ne sarebbe andato prima di lasciare un segno del suo passaggio.
Un altro rumore sordo, poi Lily sentì che i suoi seni non erano più sostenuti come qualche minuto precedente.
L’attaccatura era stata slacciata, e il demone si era approvvigionato della sua anima.
Ormai Lily era in balia di una condizione conflittuale fra la lussuria e la castità: il demone si era insinuato dentro di lei. E mai più sarebbe riuscito a cacciarlo.
Il reggiseno cadde a terra con un fruscio appena accennato, lo stesso che producono le piume che s’adagiano sul pavimento.
Nemmeno nel silenzio le urla di Lily riuscirono ad emergere: dalla sua gola provenivano solo ‘basta’ e ‘no’ sofferenti, ma il suo cuore le suggeriva di urlare al mondo il suo dolore lancinante, prima che il demone s’insidiasse anche in esso.

Ma Lily non ci riuscì.

Lucius era avviluppato ai suoi seni, mordicchiando i capezzoli e stuzzicandoli con le dita. Li leccava e li stringeva fra le mani, gioioso d’aver ottenuto la più grande meraviglia che gli si potesse mai concedere.
Ma il demone sentì l’impulso di andar oltre a queste raffinatezze: la sua mano iniziò a scorrere lentamente verso l’inguine dell’angelo.
D’un tratto, acqua.

Seppur una goccia microscopica, Lily pensò stesse affluendo dell’acqua dal ‘soffitto’ di terreno.
Ma quella goccia salata non proveniva da lì.
I suoi occhi grondavano lacrime.
Lacrime silenziose, lacrime invisibili. Le sentiva urlare, bruciare contro le gote arrossate, logorarle l’anima dai sensi di colpa.
Ma avrebbe posto fine, in un modo o nell’altro, a quel supplizio.

Il demone non udì le sue preghiere bagnate; lei fu costretta ad urlare.

Si distaccò con tutta la forza possibile da quella presa avvinghiante, afferrando il mantello di Lucius dal terreno. Lo perquisì da cima a fondo e non le fu difficile trovare ciò che cercava dall’inizio di quella vicenda.
«…STAI INDIETRO!» lo intimò, puntandogli contro un pezzo di legno d’olmo, che in quel momento rappresentava la sua salvezza.
La bacchetta di Lucius era fra le dita affusolate di Lily: le mani le tremavano, come la sua voce.

Le lacrime non esitarono a rigarle copiosamente le guance, mentre i singhiozzi le si acutizzavano man mano che il tempo trascorreva.
Teneva la bacchetta pronta per attaccare, il braccio teso, l’espressione livida e sofferente, ma al contempo abbastanza determinata da porre fine ad uno degl’incubi maggiori che visse fino a quel momento.

I capelli rossi le ricadevano sulle spalle e sui seni nudi, accarezzandone i lineamenti imperlati dalla Luna.
E fu solo in quel momento che il demone non vide altro che l’angelo più incantevole della sua vita.
I respiri irregolari e singhiozzanti di Lily non parevano calmarsi da soli, e necessitavano di un consiglio o semplicemente di un sostegno morale di uno dei suoi amici di Grifondoro.
…Di James.

Aveva bisogno di lui più di ogni altra persona al mondo, in quel momento.
Ma il demone aveva portato in lei un senso di colpa incancellabile: Lily, pur controvoglia, aveva acconsentito ai richiami insistenti di Lucius.
E ciò era un peccato che mai si sarebbe perdonata…O che avrebbe dimenticato.
Il demone la fissò.

La sua espressione era cupa, fra il pentimento logorante, la mortificazione, e la voglia di continuare.
Non aveva la forza di parlare. Gli sembrava tutto così folle, così irreale. La sola presenza di un angelo seminudo davanti a lui lo faceva sentire come un pazzo in preda ad una scossa elettrica.

«…Mi dispiace.»

Un attimo di silenzio.
Un’ultima lacrima, poi un sorriso poco abbozzato, quasi un ghigno.

«…Dispiace anche a me, per questo, Lucius.»

Lily puntò in alto la bacchetta di olmo, verso la buca di ingresso al tunnel.

Uno sguardo.
Diverso da un angelo innocente.
Assomigliante più ad un’imminente vendetta rancorosa.

«Ascendio.»
Un fascio di luce accecante illuminò la cavità buia nella quale si trovavano Lucius e Lily, diretto verso la superficie.
Poi, il buio più assoluto.
E in un silenzio, che in quel momento sembrava andare a braccetto con l’oscurità, accadde l’imprevedibile.

Il demone pianse per aver ballato troppo, quel sabato sera.
 

***

Il mattino dopo un cinguettio insistente di passerotti e un fruscio di foglie, che scorreva lungo il tunnel fino alla cavità interna, svegliò Lucius.
Strabuzzò gli occhi per la luce accecante, la stessa che la sera precedente l’aveva abbandonato del tutto.
Si guardò attorno.
Era solo. Lei era andata via.
Cosa peggiore, con la sua bacchetta, lasciandolo bloccato in quel vicolo cieco.
Poi rivolse lo sguardo verso il terreno che fungeva da ‘pavimento’.
La sua bacchetta di olmo spiccava con evidenza sulla coltre scura del terriccio rossastro.
C’era qualcosa di diverso, però.
La bacchetta era stretta con sicurezza da un nastrino di raso rosso, ad una busta da lettere di carta ingiallita.
La ceralacca rossa assicurava che nessuno l’avesse mai aperta, ad eccezione del destinatario.
Una ‘L’ era impressa sul timbro ardente. Una firma elegante e perfettamente comprensibile.
Lucius lasciò perdere la sua amata bacchetta di olmo, prese la busta, la aprì e il suo cuore prese un ritmo altalenante.
L’angelo adirato gli aveva fatto visita.


Lucius Abraxas Malfoy.
‘Innumerevoli persone commettono un errore. Ma se hanno un minimo di buon senso, non lo ripetono.
I miei genitori babbani mi ripetevano in continuazione questa frase, di un autore che probabilmente non conoscerai, di nome Frances Parkinson Keyes. Sono sempre stata molto legata a questa citazione, e non vi è caso migliore dell’inserirla in quest’evento.
E’ stato un errore, Lucius.
Tutto.
Dal primo sguardo, a ieri sera.
Dalla prima provocazione, a ieri sera.
Dai primi contatti fisici…a ieri sera.
Dai primi silenzi, a questa lettera.
Questo sarà l’ultimo errore che compirò a causa tua, Lucius.
Non ci sarà altro; né sguardi, né sorrisini, né istigazioni.
Tuttavia, non posso incolparti totalmente dei tuoi sbagli. Ieri sera, non avrei mai dovuto.
Mai dovuto farmi ingannare da un demone come te.
Ed è questo che ho intenzione di fare: scappare via.
Da te, da tutto ciò che è successo, dai ricordi, piacevoli o meno che siano.
Una volta macchiato il telo bianco col sangue, la macchia non verrà mai via completamente.
Potrai provarci con tutti gli incantesimi, Lucius, con tutti quelli che conosci.
La macchia non verrà mai via.
Ed è così che mi sento: sporcata da un peccato che non avrei mai dovuto compiere, da una tentazione alla quale non ho saputo resistere un minuto in più.
Non importa se non tornerò il telo incontaminato di qualche giorno fa.
Io proverò a cancellare tutto, Lucius. Ogni singolo ricordo.
Mi sento logorata dai sensi di colpa, da un demone insidiatosi dentro di me che mi istiga ad essere quella che non sono.
Tu lo sai, Lucius.
Io non sono questa, e non lo sarò mai.
Dimentica tutto.
Dimentica ieri sera, e quelle precedenti, ogni minimo incontro.
Dimentica me.
Dimentica Lily Evans.
All’Inferno non c’è posto per gli angeli, come al Paradiso non c’è posto per i demoni.

Per l’ultima volta, Lily Evans.
 

 
Lucius si sentì mozzare il respiro da una forza arcana, da un elemento inspiegabile anche con la magia.
Qualcosa che lo afferrò e che non gli diede più pace, torturandolo e straziandogli l’anima.
L’amore per una Nata Babbana.

Prese la bacchetta, la lettera, puntò la buca in alto e mormorò «Ascendio».
Uscì fuori.
C’era luce, tanta luce. Eppure erano all’incirca le 7 del mattino di una giornata autunnale, un po’ cupa.
Ma no.

C’era luce nel suo cuore.
Ed era quella la luce che avrebbe lasciato accesa per il resto della sua vita.
Guardò richiudersi la voragine del tunnel sotterraneo, che si contrasse su se stessa, tornando ad essere il terreno poco smosso che ebbe sempre visto dal primo anno ad Hogwarts.
Sospirò.

Strinse la lettera fra le dita.

Tutto finì: per l’ultima volta, osservò le porte dell’Inferno chiudersi con un tonfo rimbombante.

***

Quella cupa mattina autunnale sembrò non finire mai.
Lily Evans era nel bagno femminile al secondo piano.
Tremava.
Erano passate poche ore da quando aveva lasciato la lettera e la bacchetta di Lucius nella buca.
Tutti erano a pranzo, lei era l’unica in quel gelido postaccio poco frequentato.
Sentiva le goccioline d’acqua scorrere e produrre un rumore riecheggiante, tonfando sui lavandini impeccabilmente puliti.
Si fissava allo specchio. Il suo respiro era irregolare.

Stringeva con le dita una ciocca enorme di capelli, con l’altra mano teneva delle forbici aperte.
Le avvicinò ai capelli con lentezza e indecisione.

Le appoggiò delicatamente.
Poi, con uno scatto fulmineo, le dita si richiusero e le forbici fecero lo stesso.

Ciocche immensamente incantevoli di capelli rossi caddero sul pavimento silenziosamente.
E non fece altro che continuare.
Tagliò, ancora. E ancora. E ancora.

I capelli cadevano a fiotti per terra, con un grido gelante di sofferenza.
Lily avrebbe dovuto ripulirsi da quella macchia, in un modo o nell’altro.
Le lacrime scorrevano: ormai le goccioline d’acqua che filtravano dal soffitto non erano le uniche ad adagiarsi sul lavandino.
Continuò a tagliare.

Finché, presa da una morsa infernale di frustrazione, scagliò lontano, con un grido agghiacciante, l’arma in metallo che aveva fra le dita.
Si adagiò a terra.
Singhiozzò liberandosi di tutti i sensi di colpa che ebbe accumulato.
Poi si fissò allo specchio.

E si rese conto che il demone, dentro di lei, la portò solo ad un gesto folle.
Bruciò le ciocche sul pavimento, poi, guardandosi allo specchio, diede una sistemata ai ciuffi ribelli che le ricadevano di una quindicina di centimetri sul volto.

Sospirò, poi sorrise, inclinando un po’ la testa e si fissò.
Il demone portò qualcosa di nuovo, nella sua vita.

Sia esso un taglio di capelli, un gemito di piacere, una lacrima gelida, una lettera da sfogo, un nuovo sentimento.
La tentazione verso qualcosa di proibito.
Lily sentì il demone dimenarsi dentro di lei.

Si stava accrescendo, o stava togliendo il disturbo, recandosi verso qualche altr’anima.



*Spazio autrice*
A parte qualche giorno di ritardo, spero siate soddisfatti! Non l'ho nemmeno letto una seconda volta prima di pubblicarlo, tanta era la voglia di far sapere al mondo di EFP dell'aggiornamento! Ci ho messo secoli pur di ottenere un risultato 'soddisfacente', eppure ciò che davvero può darmi conferma della mia soddisfazione...sono le vostre recensioni!
Ne ho bisogno: il terzo capitolo sarà molto impegnativo, e avrei intenzione di continuare, se permettete! U_U
Ringrazio Anolethros (la mia cara ScreamingHeart, continua fonte d'ispirazione) e Madeline_95, nuova 'appassionata' di questa fanfiction ^.^ Spero che abbiate entrambe la pazienza di leggere questo nuovo capitolo, non è da tutti riuscire a sopportare più di 10 pagine di Word come supplizio!
Attendo con ansia anche le nuove recensioni, magari di lettori/autori mai dichiarati 'seguaci' di Blush!
Un ringraziamento speciale anche a coloro che leggono ma non recensiscono ^^
Al prossimo capitolo (sempre se gradite!).

Vostra Adoxia (ex Phob

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