La ragazza dell'ultimo banco

di NiNieL82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Capitolo 1- ***
Capitolo 2: *** -Capitolo 2- ***
Capitolo 3: *** -Capitolo 3- ***
Capitolo 4: *** -Capitolo 4- ***
Capitolo 5: *** -Capitolo 5- ***



Capitolo 1
*** -Capitolo 1- ***


LA RAGAZZA DELL'ULTIMO BANCO.


Capitolo 1

L'importanza di non essere.


Il cielo plumbeo prometteva neve.

Fu quella la prima cosa che Matteo vide alzandosi dal suo letto, dopo che sua madre poco delicatamente era entrata in camera per sollevare l'avvolgibile e farlo svegliare con il solito e monotono monito:

Alzati! O farai tardi a scuola!”

Ci volle qualche canonico secondo prima che cominciasse a carburare per bene, poi Matteo poggiò i piedi per terra e rabbrividì per il contatto con il pavimento gelido.

Ecco! Quello era un bel modo per cominciare una giornata che doveva essere tutto meno che fallimentare.

Si grattò la testa e scompigliò i capelli neri già arruffati senza il suo aiuto e si guardò allo specchio. Matteo non era contento del suo aspetto. Non lo era mai stato.

Odiava il suo corpo troppo alto e dinoccolato, le ginocchia appuntite e l'attaccatura delle orecchie bassa. Odiava le costanti occhiaie un po' grigiastre che contornavano gli occhi scuri, scialbi e un po' inespressivi. Le labbra erano fini, quasi impercettibili nell'ovale macchiato da un'ombra scura che rappresentava un abbozzo spaurito di barba. Una barba che tra l'altro aveva deciso, sin dal principio, di crescere in tutte le direzioni: destra, sinistra, basso, alto.

Matteo sapeva di non essere bello. Affatto. Per conquistare le ragazze sapeva di dover puntare sulla sua simpatia, sulla sua intelligenza e sulla buona dialettica che aveva migliorato negli anni, parlando da solo davanti allo specchio: interminabili monologhi inconcludenti, che lo vedevano disquisire di politica scolastica, di temi da trattare alle interrogazioni e di discorsi d'amore che non venivano mai proferiti.

C'è qualche cosa che fa paura quando hai diciotto anni e poche e fallimentari esperienze alle spalle. Qualcosa che non puoi controllare, che sfugge ad ogni tuo ordine più del tuo corpo che cambia lentamente ma prepotentemente. Quel qualcosa che i suoi compagni chiamavano amore e i genitori di Matteo declassavano a semplici cottarelle giovanili, guaribili con un po' di sport, studio, qualche buona lettura e un'uscita con gli amici il sabato sera.

Matteo non sapeva dire se fosse mai stato innamorato o no. Sapeva quello che aveva provato davanti alla sua compagna di classe di quarta ginnasio, quando durante l'ora di educazione fisica l'aveva osservata di nascosto fare stretching, mentre la maglietta grigia elastica di tendeva sul seno privo di biancheria, mostrando i capezzoli inturgiditi dal freddo. Fu quella volta, per la prima volta in vita sua, che Matteo si eccitò guardando una ragazza. Non capì esattamente cosa stesse succedendo, o meglio, non se ne rese conto. L'unica cosa che sapeva era che, mentre la guardava, tutti cominciarono a ridere. E quando lui se ne rese conto, ormai era troppo tardi. Anche Elena, la bella Elena, quella che girava senza reggiseno quando faceva educazione fisica, quella che metteva in subbuglio gli ormoni dormienti di ogni quattordicenne nei paraggi, voltandosi aveva visto la tela del cavallo della tuta di Matteo tendersi impietosamente e portando una mano alla bocca, voltandosi verso la sua amica che sedeva vicino a lei, aveva indicato il povero Matteo che si guardava intorno imbarazzato.

Da quel momento i sogni erotici, via via sempre più spinti e sempre più fantasiosi, sulla giovane compagna di quarta liceo vennero surclassati dal ricordo della brutta figura di Matteo che a malapena riusciva ad alzare lo sguardo davanti ad Elena.

Matteo non seppe mai se la sua lussuriosa ossessione per i capelli castani e leggermente mossi di Elena fosse amore o no. Fortunatamente -a seconda dei punti di vista- il lavoro del padre lo portò lontano dalla città dove al tempo risiedevano, facendo lasciare alle spalle di Matteo e di suo fratello Michele tutto quello che avevano creato. Ossessione per Elena inclusa.

Era forse per questo che Matteo non poteva essere sicuro di essere stato realmente innamorato di qualcuno. Il lavoro di suo padre lo aveva costretto a continui cambiamenti da quando era un bambino, facendolo diventare un essere un po' chiuso, restio alla nuove conoscenze, o meglio, capace di stringere rapporti leggeri, senza nessun vero e proprio legame.

In parole povere. Matteo aveva avuto tanti amichetti, ma mai nessun migliore amico; tante conoscenze, ma mai una vera e propria compagnia di amici con il quale uscire la sera, stare seduti su di un muretto o una gradinata a ridere e scherzare, fumare, cercare di rubare un bacio ad un'amica che stranamente appariva più bella senza un vero e proprio motivo, a cantare canzoni con una chitarra disturbando i vicini che finivano con chiamare i Carabinieri.

Tutto questo a Matteo Zanin, classe 1992, era mancato. E alle volte, quando arrivava in una nuova città, quando vedeva un gruppo di ragazzi ridere o divertirsi giocando a calcio con una pallina di carta arrotolata o con una bottiglietta di plastica vuota, si sentiva vuoto, come se mancasse qualche cosa alla sua formazione.

Michele Zanin, suo fratello, invece era l'opposto di lui. Classe 1990, aveva ereditato la bellezza e la delicatezza dei tratti della madre. Dai capelli sempre in ordine, al corpo atletico, all'altezza considerevole, Michele era uno di quei ragazzi che nei corridoi delle scuole faceva voltare tutte le ragazzine e le faceva sospirare sognanti.

Erano passati, infatti, cinque anni da quando l'erezione inaspettata di Matteo aveva svelato i veri sentimenti del ragazzo nei confronti della bella compagna di classe e da allora Michele aveva seminato un numero considerevole di amori a distanza, una caterva di lettere d'amore -in barba alle e-mail -e una sequela di insulti ogni qualvolta la precedente fidanzata scopriva che Michele aveva un'altra.

Di tutto questo, Matteo, non aveva avuto nemmeno una briciola.

Per anni si era chiesto se nelle culle dell'ospedale dove era nato avessero fatto le cose per bene e non avessero scambiato lui con il vero figlio dei Zanin.

Se si guardava intorno Matteo non vedeva altro che differenze con il resto della famiglia: della bellezza di sua madre non aveva ereditato niente; della simpatia del padre, un uomo che riusciva a far ridere perfino un depresso, non aveva ereditato nulla. Sembrava che suo fratello Michele avesse preso tutto il meglio dei genitori e Matteo aveva dovuto accontentarsi delle briciole.

Sospirò guardandosi allo specchio.

Lui era quello sempre malaticcio, quando era un bambino. Lui era sempre quello che piangeva quando giocava alla guerra con Michele e finiva per farsi male.

Lui era quello che si nascondeva dietro i suoi genitori prima di prendere una qualsiasi iniziativa.

Così, se Michele era quello ribelle, quello che era riuscito a farsi bocciare in quinta ginnasio, in prima liceo e ora si apprestava a ripetere la seconda liceo con noncuranza, quasi per lui lo studio fosse uno scherzo, Matteo era quello serio e giudizioso, quello che non aveva mai perso un solo anno di liceo nonostante gli spostamenti continui della famiglia che lo costringevano a lasciare la scuola anche ad anno inoltrato.

Ed era questo che Matteo desiderava: essere come suo fratello. Avere una ragazza diversa in ogni città; correre la mattina appena sveglio e arrivare a scuola fresco come una rosa; essere ammirato per il suo fisico. E soprattutto riuscire ad avere tutti gli amici che aveva Michele e che con nostalgia lo chiamavano anche quando la distanza era grande.

Perché Matteo Zanin, anni diciotto, del segno del Toro, era come un'ombra nascosta dietro il padre e il fratello. Un'ombra grigia, nemmeno scura, di cui nessuno si accorgeva, che camminava piano per non disturbare nemmeno se stesso. Un'ombra triste, come quel cielo grigio, talmente compatto che sembrava quasi una lastra di acciaio. E invece era solo una massa triste e incapace di risplendere.

Proprio come Matteo.


Ciabattando per il corridoio della casa ancora nella penombra, Matteo si scompigliò ancora una volta i capelli con le mani, entrando in cucina.

Alla televisione il telegiornale parlava di politica, di crisi mondiale e di guerra in Afghanistan.

La mamma di Matteo, Daniela, ascoltava in silenzio, sistemando le stoviglie utilizzate la notte prima.

Dalla portafinestra semiaperta del piccolo poggiolo, entrava un freddo pungente, che sembrava quasi fare a pugni con la temperatura corporea del ragazzo ancora in pigiama e si mischiava con il profumo delle paste calde.

Nella famiglia Zanin c'era un rituale: tutte le mattine, il padre di Matteo, Giovanni, usciva presto e andava al bar sotto casa -o a quello più vicino- e comprava i cornetti caldi per tutti. Non succedeva mai, o quasi, che mancassero i cornetti e che entrando in cucina non si sentisse l'invitante profumo del dolce appena sfornato.

Il papà ha preso i cornetti alla crema per me?” chiese Matteo mettendosi a sedere al tavolo.

Lo sai che li ha presi!” rispose Daniela senza staccare gli occhi dal notiziario del mattino.

Ecco l'ennesimo rituale della famiglia Zanin: nessuno doveva parlare durante il telegiornale. A qualsiasi ora venisse trasmesso, tutti dovevano stare in religioso silenzio, lasciando che la voce dell'anchorman risuonasse per la casa.

Matteo, senza aggiungere altro, si mise a sedere e prese un cornetto. La sfoglia era ancora calda e fragrante. Il ragazzo ne addentò un pezzo e socchiuse gli occhi. Matteo amava mangiare le estremità prima di arrivare al ripieno cremoso e gustoso. Infondo lui era sempre stato così: calmo, riflessivo, attento. Il completo opposto di suo fratello Michele che, a differenza del fratello minore, era la quintessenza dell'impulsività.

Assaporò il cornetto in silenzio, sorseggiando di tanto in tanto il caffellatte freddo, come piaceva a lui.

Prese un secondo cornetto e lo mangiò nello stesso identico modo. Daniela guardava attenta il telegiornale, sbattendo di tanto in tanto, per sbaglio, tra loro le varie stoviglie.

Quella era una giornata tipo a casa di Matteo Zanin. L'unica cosa che differenziava la cucina dagli altri giorni era che le presine per il forno con la faccia di Babbo Natale stampata sopra, capeggiavano vicino ai canovacci logori dall'uso e dall'umidità accumulata e filtrata dentro le trame, indicando l'arrivo delle festività di Natale.

Natale. Appunto!

Matteo sospirò e passò di nuovo la mano sui capelli ribelli. Doveva sbrigarsi o sarebbe stato troppo tardi.

E non parlava della scuola. Non parlava nemmeno dell'orario. Matteo Zanin era l'ultimo arrivato nella sezione D della Terza Liceo del Classico Galilei.

Matteo Zanin era quello nuovo, intelligente, che i primi giorni tutti riempivano di domande. Figlio di un militare, costretto -ma guarda che fortuna- a stare sempre in giro, senza dover pagare una sola lira.

Peccato che Matteo non amasse la sua vita e una volta passata la curiosità dei primi giorni, tutti lo considerarono il nuovo arrivato, quello intelligente che sapeva fare benissimo le traduzioni di greco e latino.

Matteo Zanin non era popolare. Non era bello come Molinari, il figlio del notaio più conosciuto in città; non era nemmeno sportivo come Rinaldi, il giocatore di basket della classe, figlio del sindaco della città.

Matteo Zanin era interessante solo perché era il nuovo arrivato, l'inaspettato ultimo acquisto dell'ultimo anno di liceo, quello in cui gli equilibri sono stati creati e non si ha tempo per far entrare qualcuno di nuovo e conoscerlo come si è fatto con tutti gli altri per tutto il tempo precedente. Le ragazze non erano attratte dalla bellezza di Matteo. Matteo, come già detto, non era bello. O per lo meno, era un tipo, uno di quelli che se passi per strada non ti giri a guardare pensando 'cavolo! proprio un bel ragazzo'. Tutte erano attratte dalla sua vita senza radici, così poco simile alla loro noiosa vita. E poi, francamente, era il fratello di Michele Zanin, che solo poggiando piede nell'atrio del Liceo Classico Galileo Galilei, era diventato il ragazzo più ambito della scuola. Avvicinare lui, quindi, significava avvicinare Michele.

Ma non era quello che interessava Matteo e che le metteva una certa premura.

In ogni classe c'è una storia da raccontare.

Ogni alunno è un libro aperto che si può sfogliare con facilità, per colpa di tutta quella vasta gamma di sentimenti che, ancora, difficilmente si riesce a controllare. Ogni ragazzo o ragazza che sedeva tra i banchi pieni di scritte o di gomme attaccate sotto perché la professoressa non se ne rendesse conto, aveva un mondo che stava lentamente creando muovendo i primi passi nel cammino della vita.

Matteo, seduto in disparte, all'ultimo banco, aveva osservato silenziosamente tutti. Così aveva scoperto che Molinari aveva una cotta non corrisposta per Lara Landolfi, la ragazza più timida che qualcuno avesse mai conosciuto, capace di arrossire anche quando diceva presente all'appello; e Lara, dal canto suo, era la classica ragazzina che si scopre innamorata del professore di matematica.

C'era Mattioli che prendeva in giro tutti per non farsi prendere in giro per via del suo aspetto goffo e grasso; c'era Veranocchia, ovvero Veronica 'ranocchia' Fassi, nota per essere una grande stronza, che sguazzava nel mettere nei guai i suoi compagni e che non passava mai un compito a nessuno. Matteo aveva scoperto che Veranocchia, come nelle migliori tradizioni da telefilm, era innamorata di Molinari, che le sorrideva solo quando aveva bisogno di qualche cosa.

Ogni classe che aveva frequentato Matteo, era stata scannerizzata mentalmente dal ragazzo che nel giro di pochi giorni capiva tutto di tutti. Almeno fino a quell'anno.

In ogni classe c'è una persona strana. Qualcuno con cui si parla ogni tanto, che ha problemi suoi, problemi con il mondo, problemi con la classe, problemi con i genitori... Alle volte tutto assieme. Insomma, quello che i ragazzi tendono a chiamare un caso umano. Il soggetto della classe.

Matteo quando entrava nella classe, la guardava in silenzio e subito lo riconosceva.

I casi umani hanno un modo di vestire tutto loro; sono tormentati da qualcosa o da qualcuno; sono silenziosi e scontrosi.

Quel settembre, quando entrò nella sua nuova classe, Matteo raggiunse l'ultimo banco con noncuranza, ignorando gli sguardi dei compagni. Fu nel momento esatto in cui posò lo zaino sul banco che vide una persona che non aveva notato entrando e che sedeva vicino alla finestra.

Aveva una lama tra le mani, una di quelle piccole che si posso svitare da un comune tempera lapis, le unghie smangiucchiate e lunghissimi capelli castano scuro che si poggiavano sul banco.

Non degnò Matteo di un solo sguardo, non lo salutò, non fece una sola occhiata ad una delle ragazze che stavano dall'altra parte della classe.

Lei non alzava la testa, stava a incidere nel banco chissà che cosa e non disse una sola parola per tutta la durata delle lezioni.

Matteo si incuriosì subito. La osservò in silenzio, di nascosto, guardando le frasi che tracciava nel banco quando la ragazza si fermava a guardare le nuvole: e succedeva spesso. Quando il cielo era limpido e si vedevano solo strati bianchi di nuvole che riempivano il cielo giocando a rincorrersi tra di loro, la vicina di banco di Matteo si incantava, sorrideva appena e poi tornava a tracciare il banco o a prendere appunti.

Erano passati tre mesi in quel modo, anche se per quasi un mese nessuno aveva varcato la soglia della classe per il solito sciopero per i termosifoni spenti.

Erano passati già tre mesi e solo qualche settimana prima, Matteo, aveva capito qualche cosa della sua compagna di banco. Qualche cosa di quella ragazza che gli stava quotidianamente vicino, ma che era lontana come un'aliena.

Quella ragazza che parlava solo se doveva, quando la professoressa la interrogava e che sollevava solo la mano per l'appello.

Quella ragazza che tutti scansavano come un'appestata.

Matteo stava pensando a questo quando sentì qualcuno colpirlo nella nuca. Si voltò, toccando la parte offesa e guardò chi lo aveva colpito: era Michele, che con la tuta e gli auricolari sorrideva divertito dalla reazione del fratello minore.

Teo! Lo sai quante ore di corsa devi fare per smaltire quei due cornetti che ti sei mangiato?” disse Michele cercando di essere serio, ma con poco successo.

Matteo socchiuse gli occhi e rispose:

Micky... Lo sai quanto ci vuole prima che ti mandi a fare in c...”

Ragazzi!” intervenne Daniela troncando la frase di Matteo.

Matteo stava per replicare ma Michele fu più veloce e disse:

Vai a vestirti fratellino. Devo scegliere cosa mettermi e mentre lo faccio tu puoi andare a fare la doccia!”

Come sempre.

Michele cominciava a litigare, Matteo finiva per essere sgridato e per aver torto.

Vinto anche quella mattina, Matteo si alzò mentre Michele Coccuzza ridendo, spiegava alla folta schiera di telespettatori di Uno Mattina le proprietà terapeutiche e anti-età del pompelmo.





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Capitolo 2
*** -Capitolo 2- ***


Capitolo 2

Tagli sul legno.


Una scala dei pompieri appoggiata su di un albero che si stagliava con le sue foglie quasi sempiterne contro il cielo plumbeo di quella mattina uguale alle altre, adornava il noioso paesaggio di un quartiere bene.

Il Liceo Classico 'Galileo Galilei' iniziava una nuova giornata. Mentre un pompiere si arrampicava su di uno degli alberi del piccolo parco di fronte la scuola per salvare un micio che non riusciva a scendere, i motorini cominciavano a riempire i parcheggi di fronte la scuola e gli alunni, in attesa del suono della campanella, attendevano davanti ai portoni ridendo e scherzando.

La vita in un liceo è piena di colori: di quelli dei giubbini e delle sciarpe degli studenti; delle risate e delle parole, delle parolacce, dei baci sui motorini davanti alla scuola; dei secchioni poco attraenti invidiosi di tutti quei ragazzi con le moto bellissime e il fisico atletico; dei ripetenti bulli che rendono la vita impossibile ai ragazzi più giovani di loro prendendoli in giro o mettendo in atto scherzi idioti che avrebbero segnato per sempre i ricordi liceali dei poveri malcapitati.

Come in tutti i licei, anche al Galilei si parlava di baci, di amori e di prime volte. Di traduzioni di greco o di latino, di appunti di matematica per un interrogazione impossibile, oppure si andava alla disperata ricerca di un bignami, amico fidato dello studente ozioso, per raccogliere informazioni essenziali sulle vite degli scrittori e delle loro opere più importanti.

Quella fiumana di persone, quella moltitudine di voci, di risate, di sorrisi, riempiva la strada di fronte al liceo come sempre. Infreddoliti, gli studenti del liceo classico con le loro storie, speranze, sorrisi e vivacità stavano già con la testa persa nelle vacanze di Natale, fiaccati da un mese di scioperi e qualche giorno glorioso di occupazione, criticato da quelli degli Istituti Tecnici, che parlavano di proletariato e li definivano figli di papà. E poco importava se non era così per tutti, se dentro il Liceo Classico Galilei ci fossero anche dei ragazzi che non appartenevano all'alta borghesia; una volta dentro quel Liceo si diventava come tutti gli altri. Come tutti quei figli di papà con la puzza sotto il naso, che non dovevano manifestare per diritti che loro avevano per nascita.

Le solite stronzate partitistiche.

Il pompiere scendeva lentamente dalla scala, con il piccolo micio che miagolava disperato.

Qualche ritardatario parcheggiava la moto proprio nel momento in cui la campanella trillava e riempiva con la sua eco gli enormi corridoi dai soffitti alti, pieni di affreschi.

Subito sul pavimento a scacchiera, la eco della campana venne sostituita da quella indistinta di mille voci e lo scalpiccio dei piedi di mille ragazzi diventava il frastuono di un plotone che marcia contro il nemico. O per lo meno era quello che si poteva immaginare se si stava dentro ad una classe.

Nella sezione D della terza liceo del Classico Galilei, alle otto e un quarto di quel martedì di dicembre, come tutte le mattine, la classe era deserta. Deserta tranne che per una ragazza minuscola, con le mani coperte da un maglione troppo lungo, che in silenzio tracciava con una lama tolta da un temperino una parola nel banco già scorticato da lei o da suoi compagni altrettanto incivili: PAURA.
Tagli nel legno che lei incideva giornalmente.

Perché, alle volte, nelle classi dei licei, perfino in quelle di un istituto tecnico pieno di figli dei proletari abituati a combattere ogni giorno e ben lontani dall'essere nati con il culo nel burro, ci sono delle storie che non si raccontano, vite che non vengono vissute, che non vivono in un silenzio creato artificialmente e artificiosamente.

Le mani di quella ragazzina che incidevano sul banco pensieri che nessuno decifrava, erano una parte della sua storia sconosciuta e per quel momento dovevano rimanere coperte.

La ragazza dell'ultimo banco era come un oggetto, come una pianta che è viva e che respira, ma che non muovendosi e non parlando viene ignorata da tutti.

In classe tutti conoscevano il suo nome, ma i suoi compagni non lo usavano mai. Dal primo giorno di scuola, nella gloriosa quarta Ginnasio che contava tra i suoi iscritti Molinari, il figlio del più noto notaio della città e Ambrosi, figlia dell'unica Miss Italia che la città poteva vantare -e che sembrava davvero aver ereditato la bellezza materna- era entrata anche quella ragazza silenziosa ed enigmatica che si era messa a sedere da sola all'ultimo banco, quello vicino alla finestra e non si era mai curata di stringere rapporti d'amicizia con i suoi coetanei, anzi, li evitava accuratamente. Quell'assenza di contatti suscitò l'ilarità dei compagni che cominciarono ad additarla come diversa, come anormale. Per gioco, per puro divertimento, cominciarono a chiamarla 'la ragazza dell'ultimo banco', poi, con il passare dei giorni e dei mesi, quello divenne il suo nome e nessuno la chiamò in maniera differente.

Nessuno sapeva nulla di lei o si interessava a raccogliere informazioni sul suo conto. Infondo, fare così era la cosa più ovvia, più normale, almeno con una che di normale non aveva nemmeno il modo di vestire e sembrava uscita da un video dei Nirvana. Di lei si sapeva solo che sua madre stava con uno che non era il padre; che non aveva un amico o un'amica e che spesso la si vedeva persa nei suoi pensieri, osservando le nuvole fuori dalla finestra. Il suo mondo era una scorza dura, difficile da bucare. Lei era misteriosa. Silenziosa e soprattutto strana.

Nessuno si era mai chiesto, o aveva anche solo osato farlo, se quella strana ragazza fosse felice. Tutti erano troppo impegnati ad evitarla, troppo spaventati da quei silenzi, da quei vuoti che non possono fare parte della vita spensierata di un ragazzino del liceo.

La lasciarono lì nel suo cantuccio fatto di sogni mai detti, di scritte tatuate sul banco con un temperino e con la finestra che si apriva sul cielo. Cinque anni di anonimato e di solitudine; di risate sommesse e di sguardi annoiati rivolti per puro caso verso di lei. E che lei non ricambiava mai, se non per sbaglio.

Nulla cambiò fino al settembre di quell'anno quando Matteo Zanin entrò nella classe e venne presentato dalla professoressa Genovesi come il nuovo acquisto della classe. Tutti ascoltarono la presentazione della professoressa che faceva i soliti discorsi barbosi sulla speranza che Matteo si dimostrasse ancora lo studente diligente che le avevano detto fosse e che il suo curriculum mettesse voglia di studiare anche ai suoi nuovi compagni di classe.

Fu allora che la ragazza dell'ultimo banco tornò alla ribalta.

Alle volte ci vuole poco perché la storia cambi. Qualcuno parla di destino, qualcun altro di fatalità, che poi sono le stesse cose, solo con nomi differenti. Nessuno immaginava, però, che quella mattina di settembre, mentre il sole stava alto nel cielo azzurro, facendo sognare agli alunni ancora le vacanze al mare, quando la professoressa Genovesi indicò l'unico posto libero dell'aula -quello dell'ultimo banco vicino alla finestra-, quando con passo lento e annoiato Matteo posò la sua borsa nell'unico posto libero nella classe e ci trovò una ragazza che non aveva notato entrando, qualcosa si mise in moto.

La stessa ragazza, Matteo, l'avrebbe spiata di nascosto per tutti quei tre mesi, periodo nel quale avrebbe cercato il minimo spiraglio nel quale potersi intrufolare per poter capire più di lei, della sua storia non raccontata. Dei suoi sorrisi persi davanti alle nuvole che correvano veloci nel cielo.

Perché quel ragazzo entrato in una terza liceo qualsiasi, piena di tutti quei colori, discorsi e pensieri che riempiono la vita di ogni giovane, inaspettatamente, avrebbe mostrato a se stesso e a tutta la sezione che nulla è come sembra e che bisogna scavare infondo per capire qualche cosa di qualcuno. Anche se quel qualcuno non è intenzionato a dirci nulla.


Un'altra giornata uggiosa.

Nadia odiava le giornate uggiose. Le mettevano tristezza e la facevano pensare. E lei odiava pensare.

Specialmente quella mattina.

'Shh! Vuoi che ti senta?'

Inutile, pensò Nadia. Aveva capito tutto anche senza sentire.

'Tu lo sai che io ti voglio bene, vero?'

Nadia lo sapeva che aveva sbagliato di nuovo. Come sempre nella sua vita, come quella volta tanti anni prima quando ancora era una bambina.

Ricordava i suoi singhiozzi. Ed erano tanto simili a quelli di quella notte.

'E stai ferma, cazzo! Lo vedi che così mi faccio male?'

Forse, quei singhiozzi erano i suoi, quelli che soffocava nel cuscino, cercando di non gridare la sua disperazione, di non mostrare che lei sapeva e quindi essere complice silenziosa di quello scempio.

Per non alzare un polverone su scala nazionale, che avrebbe messo alla berlina tutta la sua famiglia.

Nadia si era appena alzata. Erano le nove. Tutti erano andati via. E lei era sola. Sola con il silenzio opprimente, quasi asfissiante di quella casa. Con le pantofole felpate, di quelle carine con i pompon, la vestaglia che le copriva le spalle e che lasciava intravedere appena una sottoveste nera con il bordo della gonna in pizzo. Nadia si avvicinò alla finestra e la spalancò completamente. Rabbrividendo un po', passando una mano sul braccio coperto dal sottile strato di seta e affacciandosi guardò la strada ordinata e pulita del quartiere per bene dove abitava.

Un camion con una scala e degli operai sopra sistemava una delle luminarie che si stavano staccando. E non ci si poteva permettere di certo una cosa simile durante le vacanze di Natale, quando tutti escono dalle case sfidando il freddo per guardare le vetrine e cominciare a pensare ai regali da mettere sotto l'albero.

Nadia scosse la testa e tornò dentro. Quell'aria di festa la opprimeva ancora di più del silenzio nella sua casa. Lasciò la finestra spalancata e si avvicinò alla porta di cucina. Dentro c'erano i resti della colazione mangiata in fretta dal suo compagno, la caffettiera semiaperta sulla cucina e una tazzina dentro il lavello. Una giornata come le altre. Una giornata uguale a tante in una vita silenziosa, vissuta tra le lacrime e i dolori infiniti; tra le delusioni e i dispiaceri. Triste e grigia come quel cielo di metallo che sovrastava la città che si svegliava e che si preparava a respirare a pieni polmoni lo smog della popolazione che produce, che si muove, che lavora.

Non come Nadia che stava chiusa in quella casa da tanto, troppo tempo.

Nadia era sempre stata debole, fragile, incapace di contrapporsi al mondo che le aveva sferzato addosso sin dall'inizio.

Nadia era una donna triste, nata vecchia, che portava sulle spalle, sin da quando era una bambina, un senso di colpa che difficilmente avrebbe cancellato e al quale, di giorno in giorno, si aggiungevano paure e rimorsi che la facevano tenere aggrappata al bordo della sua esistenza con le unghie.

E Nadia cominciava ad essere stanca di stare aggrappata.

Lei non era nata per combattere. Lei non voleva nemmeno combattere.

Sin da quando era piccola le cose erano state difficili. Era nata di piedi, di lunedì. La luna era piena quel giorno. Sua nonna, una donna che aveva vissuto le disavventure delle Seconda Guerra Mondiale e che aveva sotterrato due mariti, disse che quelli erano segni avversi del destino: che solo per il fatto di essere nata di piedi significava che aveva cominciato la sua vita camminando; che la Luna avrebbe controllato la sua vita e la sua testa sarebbe stata piena d'acqua affinché potesse controllare, la luna, per bene ogni sua mossa e renderla fallimentare.

All'inizio nessuno aveva voluto crederci. Detti popolari come quello avevano preso il posto della scienza illuminata, della fatalità appunto. Nessuno è destinato a qualche cosa. Nessuno ha scritto quello che siamo prima che noi stessi nascessimo.

Nadia aveva scoperto da subito che non era così.

Aveva più ricordi brutti che belli. Più cicatrici nel corpo e nell'anima di chiunque altro al mondo.

Prese una tazzina e versò il caffè. Lo zuccherò appena e lo sorseggiò. Era freddo, ma non le importava. Lo bevve tutto e poi, con movimenti meccanici, mise la sua tazzina vicino a quella del compagno, si avvicinò al balcone e lo spalancò guardando un palazzo in costruzione proprio davanti al suo.

Era uno scheletro di travi e di mattoni, una sorta di bocca piena di denti acuminati che si ergevano minacciosi davanti a lei. Vinta da quella paura infantile, Nadia si allontanò e lasciò il cantiere alle sue spalle.

Stava andando in camera sua, quando vide la porta di quella di sua figlia socchiusa. Era la prima volta che succedeva da tanto tempo. La prima volta che sua figlia lasciava uno spiraglio aperto al mondo. Uno spiraglio aperto a sua madre. Nadia appunto.

Con mano tremante spinse l'uscio ed entrò nella camera ordinata, che profumava di sua figlia e che era piena di lei anche quando era assente.

'Profumo di vaniglia' pensò sorridendo Nadia annusando il profumo che portava la ragazza.

Alle pareti c'erano poster di cantanti moderni e no. C'era Ligabue che capeggiava alla testata del letto, le braccia aperte, il mento all'insù, la chitarra davanti.

Era stata Nadia a far amare Ligabue a sua figlia. Era stata lei a mettere in continuazione il CD di 'Buon Compleanno Elvis' nel lettore e sua figlia, che allora aveva solo tre anni e che ancora non parlava bene, aveva imparato a memoria tutte le canzoni. Da allora Ligabue era diventato uno di loro. Uno di famiglia, insomma.

Lui, la sua voce roca, la sua filosofia alle volte profonda, alle volte spiccia.

Ora non le univa più nemmeno quello. Solo sua figlia era rimasta fedele al Liga. I CD capeggiavano nella colonnina tutti assieme, belli in vista. Frasi delle canzoni del Liga erano scritte con l'UNIPOSCA sulle ante degli armadi e sulla scrivania.

Nadia si guardava intorno sentendosi una intrusa in quel mondo che non le apparteneva più, dal quale se ne era andata senza fare rumore.

Guardò il letto accuratamente rifatto e vide un orsacchiotto piuttosto vecchio e malconcio sul lato destro. Si avvicinò e mettendosi a sedere prese il giocattolo e lo strinse al petto. Quello era il primo regalo che Nadia aveva fatto a sua figlia. E forse uno dei più sentiti.

Mille ricordi affiorarono lentamente alla mente di Nadia. Risate, colori, vita. Un periodo così lontano che non le sembrava nemmeno possibile che lei stessa lo avesse vissuto assieme a sua figlia.

Lacrime calde bagnarono il volto di Nadia: da quando piangere era diventata un'abitudine? Da quando piangere era diventato più semplice di bere un bicchiere d'acqua?

'Smettila! Tanto lo so che ti piace...'

Ecco da quando. Da quando il mostro era entrato tra di loro.

'Una puttana! Ecco cosa sei! Come tutte le tue amiche'

E i mostri non hanno sempre la faccia brutta e cattiva. Alle volte aspettano qualche tempo per diventarlo. Alle volte, quando si trasformano in quello che sono realmente sono più pericolosi di quelli che mostri lo sono sempre stati.

'Tanto lo so che ti piace. E muoviti cazzo!'

Ed era solo colpa sua. Il mostro, le sue frasi sussurrate nella notte, la sua bella faccia che si sfigurava nel momento della trasformazione, erano entrati nella vita di Nadia e di sua figlia per caso. E da allora il buio era diventato loro amico. E così la paura e il dolore.

Il mostro aveva preso in mano le loro vite. Le aveva spaventate e aveva cancellato il loro rapporto di affetto. Erano sparite le risate, erano morti i colori.

Nulla era come prima in quella casa.

E Nadia sentiva che era solo colpa sua.

E stringendo l'orsacchiotto forte al petto, quello stesso orsacchiotto con la faccia buffa che l'aveva salutata dallo scaffale di un negozio quindici anni prima, pianse forte.

Come aveva fatto quella notte, come stava facendo poco prima. Come faceva sempre da sei anni a quella parte, ormai.


Da un po' di tempo la ragazza dell'ultimo banco era strana. Anche se parlare di stranezze quando si trattava di lei era una cosa ordinaria. Lei era sempre strana. Lei era sempre silenziosa e assente.

Nessuno si curava anche solo di capire quale fosse il motivo di quella stranezza, nessuno era veramente interessato a lei nella sua classe. Ormai avevano fatto il callo a quella ragazza strana e non si rendevano quasi conto che lei, in quelle ultime settimane era cambiata per davvero.

Un tempo era facile sentire la sua voce fine, come quella di una persona che non ha parlato per molto tempo, alle interrogazioni. Ora, sempre più di frequente, la ragazza dell'ultimo banco non accettava le chiamate alle interrogazioni e collezionava dei voti quasi irrecuperabili in tutte le materie. Il suo volto sparuto era diventato una maschera bianca, indifferente a tutto, perfino alle nuvole bianche. Al contrario, passava ore ad incidere sul banco quelle parole che sembravano lasciate al caso ma a cui solo un ottimo osservatore riusciva a dare un senso. E a Matteo Zanin quelle parole frullavano continuamente in testa.

C'era qualche cosa di spaventoso in quelle parole, un messaggio scuro che Matteo aveva decifrato da un mese ormai, prima che cominciasse la mesata degli scioperi, delle autogestioni e delle occupazioni.

Da un mese, infatti, Matteo cercava il coraggio di agire, di sfondare quella porta sprangata che era il cuore della sua compagna di banco e costringerla ad uscire fuori e vedere la vera luce del mondo.

La ragazza dell'ultimo banco non lo sapeva. Viveva nel suo mondo ermetico, lontana dai pensieri altrui e dai suoi. Non immaginava che quel ragazzo che non amava le sfide, che non amava prendere iniziative e che si nascondeva dietro la sua straordinaria intelligenza, dietro il suo innato acume che gli permetteva di decifrare qualsiasi carattere matematico e no, preferendo di gran lunga indossare la sua maschera di ragazzo indolente per non mostrare le sue debolezze agli altri, avrebbe cambiato le vite di entrambi con un inatteso gesto di coraggio, rendendo più vivibile quella vita vivacchiata che lei e Matteo avevano vissuto fino a quel momento.


Alla fine aveva fatto davvero tardi.

Michele, nella sua moto 125, si toglieva il casco e sistemava i ricci guardandosi nel finestrino di un'auto lì vicino. Matteo, sospirando frustrato, si voltò e guardò la camionetta dei pompieri allontanarsi, mentre una vecchietta stringeva al petto un gattino, rassicurandolo. Sollevò poi gli occhi al cielo e sospirando cercò di trapassare quella massa omogenea di nuvole scure che oscuravano il sole. Odiava le giornate uggiose, gli mettevano tristezza.

Sistemando la sciarpa, Matteo, si voltò verso il fratello e disse:

Vuoi muoverti? Arriveremo in ritardo?”

Michele sbuffò e prendendo i libri che Matteo aveva messo nella sua borsa, ironizzò:

Scusami secchia. Non volevo farti arrivare in ritardo...”

Matteo scosse la testa arreso. Era inutile mettersi contro il fratello. Significava litigarci e arrivare alle mani e quelle poche volte che era successo, Matteo lo ricordava ancora bene, aveva portato i segni per giorni e giorni.

Senti! Io vado. Ci vediamo all'uscita!”

All'uscita non posso. Vado a casa di Liliana a studiare!” sorrise Michele.

Matteo si voltò. Il nome di una ragazza e il verbo studiare in una frase nel linguaggio del fratello facevano a pugni. Anzi! Entravano in conflitto come quando usi qualche programma assieme ad un altro nel PC.

Studiare?” domandò poco convinto.

Michele guardò il cielo con aria indifferente e rispose:

Sai! Sono un po' indietro in latino e ho pensato che Liliana mi potesse aiutare!”

Io sono un anno avanti a te come programma! Perché non lo hai chiesto a me?” chiese ancora Matteo.

Michele sorrise malizioso. Stava per rispondere quando la seconda campanella suonò. Matteo fece un gesto con la mano e seccato disse:

Ho capito! Torno a casa in autobus!” e senza aspettare la risposta del fratello entrò dentro l'istituto.

A testa china, Matteo, percorse piuttosto velocemente i corridoi del liceo, dove ancora riecheggiavano le voci degli alunni riversati sui corridoi.

Pensava a mille cose: alla sua rendita scolastica che era abbastanza soddisfacente; pensava ad Elena, la bella ragazza della quarta liceo; pensava a suo fratello che si preparava a fare sesso con la sua nuova ragazza, dimenticando completamente Daria, sua ragazza per quasi due anni, con la quale Michele aveva condiviso un letto di fortuna durante le occupazioni dell'anno prima, nel Liceo Classico 'Alessandro Manzoni' e con la quale aveva dovuto affrontare la terribile prova di un aborto, quando scoprirono che il risultato di quelle notti di protesta era un bambino.

Pensava a tutto questo, Matteo. E pensava a lei. Alla sua compagna di classe. Alla ragazza dell'ultimo banco e ai suoi tagli nel legno.

Arrivò davanti alla sua classe e sentì la risata di Ambrosi, la ragazza più bella della classe nonché l'infelice ragazza di Molinari, che rideva abbracciando Rinaldi mentre Veranocchia guardava con cupidigia Molinari che senza degnarla di uno sguardo, parlava con Rossi, suo amico del cuore, fissando serio Lara Landolfi che, poco lontano, rideva piano con Satta, la sua compagna di banco e amica del cuore.

Mattioli uscì dalla classe. Guardò Veranocchia e un sorriso malvagio si dipinse sul suo volto. Quasi gonfiò i polmoni perché lo sentissero tutti e disse:

Veranocchia! È inutile che lo guardi così! Non tira nemmeno con il vento davanti a te!”

La povera Veronica Fassi sbarrò gli occhi e raddrizzò la schiena, come colpita da una pugnalata. Non ebbe il tempo di vedere Molinari guardarla con sorpresa prima, scoppiando a ridere poi. Veronica, a testa china corse nel bagno delle ragazze, non prima di inciampare nel piede che Mattioli aveva teso, permettendo a tutti i presenti, Molinari e Mattioli più degli altri, di ridere di cuore. Non pago, Mattioli, quando la vide sparire nel bagno delle ragazze entrò in classe.

Non c'era nessuno se non la ragazza dell'ultimo banco. Non la degnò di uno sguardo e diresse la sua enorme figura verso la lavagna e prendendo il gesso scrisse 'VERANOCCHIA FESSA FACCI CAGARE!'.

Divertito poggiò il gessetto accanto alla cimosa e sbatté le mani con forza per togliere la polvere, si voltò e vide gli occhi chiari della ragazza dell'ultimo banco fissarlo. Sentendosi in imbarazzo per via di quegli occhi puntati addosso, Mattioli si bloccò un attimo, poi voltandosi, riprese il gesso e lo lanciò contro la ragazza dell'ultimo banco. Lei non reagì nemmeno quando, passandole vicino all'orecchio, il gessetto andò a schiantarsi contro il muro dietro lei. Continuò a fissare Mattioli in silenzio e lui, chinando la testa biascicò un mezzo:

Sfigata!” e uscì dalla classe per lasciarla di nuovo da sola.

Fu così che la trovò Matteo. Seduta nel suo banco, da sola, che incideva parole nel legno.

Fu in quello stesso momento che la professoressa di latino entrò in classe, seguita da tutti gli alunni e una strana sensazione si impadronì di Matteo. Qualcosa che il diciottenne intuì essere coraggio, si rimescolò nelle sue viscere e veloce raggiunse il cervello permettendogli, con passo svelto di raggiungere in fretta il fondo della classe. Come il primo giorno di scuola, tre mesi prima, poggiò lo zaino sul banco. Nessuna reazione come allora, con l'unica differenza che il primo giorno di scuola, lei, la ragazza dell'ultimo banco, guardava con interesse le nuvole, quel giorno, invece, continuava maniacalmente a ricalcare la parola che aveva tracciato con la lama smussata.

Matteo spostò la sedia e si mise a sedere. Frugò nello zaino, con il pretesto di cercare qualche cosa, poi, dopo aver tolto il libro di latino, si voltò verso la sua vicina di banco e con il cuore che gli batteva anche nelle orecchie per la paura e l'emozione, dando una rapida occhiata alla parola PAURA che la ragazza aveva tracciato, fece una cosa che in quei tre mesi non aveva ancora fatto: le parlò.

Io so il tuo segreto!” le sussurrò all'orecchio sovrastando la professoressa Castelli che a voce alta disse:

Mattioli e Gardini. Lo sapete vero che oggi vi devo interrogare. E non accetto scuse...”


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Capitolo 3
*** -Capitolo 3- ***


Vorrei scusarmi se negli scorsi capitoli non mi sono presentata.

Lo faccio sempre ma non dovendo mettere nessuna precisazione sull'appartenenza dei personaggi, non ho proprio pensato di scrivere chi sono.

Allora! Scherzi a parte... Mi chiamo Niniel82 ed è la prima volta che scrivo in questa sezione.

Se avete letto le trame del concorso letterario che è stato indetto sul sito, avrete letto anche la trama della mia storia. Forse ^___^!!!

LA RAGAZZA DELL'ULTIMO BANCO, infatti, è nata con l'idea di essere pubblicata come one-shot per concorrere al famoso concorso ma, a quanto pare, non è andata come speravo.

All'inizio ci sono rimasta un po' male, lo ammetto, ma ora mi rendo conto che ho avuto la possibilità di rendere un po' più profonda la storia e di caratterizzare di più i personaggi.

Ecco perché da una shot ho scritto una long per spiegare meglio degli aspetti che nella shot potevano solo diventare marginali.

Ringrazio chiunque ha letto i due capitoli ed elliepotter che ha recensito.

Per me è importante sapere che cosa pensate della mia storia. È la prima originale che pubblico e vorrei davvero avere una vostra recensione. Accetto tutte le critiche, basta che siano costruttive e non offendano l'altrui persona.

Voglio inoltre ricordare che i fatti narrati nella storia sono inventati qualunque somiglianza dei fatti, luoghi, personaggi descritti è puramente casuale.

Un bacio a tutti. Niniel.

Buona lettura.


Capitolo 3

La faccia del mostro.


Io conosco il tuo segreto!”

La voce di Matteo era un soffio quasi impercettibile mentre Gardini ridava:

Ma prof! Non può interrogare!”

La professoressa Castelli era una donna con gli occhi neri e piccoli, i capelli corvini sempre raccolti, con una grande passione per e lingue morte che, nonostante ci provasse con tutto il cuore, non riusciva a far sentire ai suoi alunni.

Era la classica professoressa tutta di un pezzo che sapeva tenere in pugno tutta unaclasse con un solo sguardo. Ecco perché Gardini, vedendo lo sguardo che le venne rivolto dalla professoressa si gelò sul posto.

E qual sarebbe il motivo di grazia? Non è Lunedì e non mi sembra neanche tu non abbia avuto il tempo di studiare, dato che tutte queste cose le ho spiegate molto prima che cominciasse la stagione degli scioperi!”

Tutti sghignazzarono. Molinari fece spallucce e diede una pacca sulla spalla a Gardini e disse:

Ci tocca!” e prendendo la sedia si avvicinò alla cattedra con il libro di latino in mano.

Gardini lo seguì.

Tutti erano troppo presi a guardare l'interrogazione, per vedere la strana reazione della ragazza dell'ultimo anno.

Con gesti lentissimi, quasi impercettibili, smise di calcare sulla ferita che aveva procurato al legno del banco e gli occhi azzurro scuro si voltarono verso di lui. Erano spaventati. Sembrava quai che si stessero scurendo mano a mano che passavano i secondi diventando due pozze scure in cui Matteo poteva essere risucchiato dentro.

Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato solo per loro. Non c'erano più le grida, le risate, la voce acuta della professoressa Castelli, ma solo la ragazza dell'ultimo banco e Matteo, che si fronteggiavano in silenzio, come due pistoleri silenziosi in un dello a mezzogiorno.

Matteo deglutì e sospirando disse:

So che aspetti un bambino!”

Quello fu il colpo finale. La pelle già bianca divenne quasi opalescente. La ragazza si trasfigurò per un attimo, come se solo scoprendo il suo segreto si fosse finalmente liberata da un peso che la opprimeva. Ma durò poco. Gli occhi azzurri si ridussero a due fessure scure, piene di rancore e la ragazza, con la sua voce piccola piccola, ma simile ad un sibilo di serpente, lo minacciò:

Se provi a dire a qualcuno che sono incinta...”

Non lo voglio dire a nessuno. Voglio solo aiutarti!” rispose in fretta Matteo.

La ragazza dell'ultimo banco sollevò un sopracciglio raddrizzando la schiena. Il maglione si tese e sotto si vide per un attimo la perfetta forma ad ovetto del ventre.

Vuoi aiutarmi?” chiese quasi divertita la ragazza.

Sì!” rispose deciso Matteo, non sapendo nemmeno lui da dove togliesse fuori tutto questo coraggio.

La ragazza lo guardò con interesse per un attimo, poi prendendo di nuovo la lama, senza dire nulla, riprese a ferire il suo banco.

Matteo si sentì perso. Si guardò intorno. La Castelli stava facendo tradurre un pezzo di Seneca a Molinari. Mattioli sghignazzava divertito, mangiucchiando caramelle colorate che teneva nascoste sotto il banco. Erano invisibili. Ma non gli importava. Matteo voleva attirare l'attenzione della compagna, riuscire a scucirle una parola, qualche cosa che gli facesse capire i sentimenti di quella ragazza che condivideva con lui il banco , involontariamente, le sue paure con Matteo. E in un estremo tentativo di attirare l'attenzione della ragazza mormorò:

Di cosa hai paura? Del mostro per caso?”

Per la seconda volta la lama smussata venne abbandonata e gli immensi laghi azzurri della ragazza si posarono sul viso pallido del ragazzo, scrutando la profondità degli occhi scuri del ragazzo che le sedeva affianco da tre mesi ma che lei osservava per la prima volta solo in quel momento. Stavolta non c'era paura nel volto della ragazza, ma cauto stupore. Soppesò a lungo quello che avrebbe dovuto dire e quando parlò, disse:

Hai letto le mie parole?”

Matteo annuì. La ragazza guardò la parola PAURA e quella vicina MOSTRO. Sorrise ricordando quello che le diceva la madre quando era piccola, per farle passare la paura dopo un incubo:

'I mostri non esistono piccola. Esistono solo nelle fiabe. E sono brutti e cattivi!'

In quegli anni aveva imparato invece che il mostro può uscire dai libri di fiabe, può indossare i vestiti di un comune essere umano a modo e rispettabile. Ha una bella macchina, un bel lavoro. Nel palazzo dove abita tutti lo conoscono e lo salutano. Lui risponde con un sorriso e chiede sempre a tutti come è stata la giornata. Un uomo normale. Talmente normale che non desta sospetti.

Leggo quelle parole da un po'. Non puoi affrontar tutto da sola!” pigolò ancora Matteo.

Come potrebbe un uomo così affabile con tutti, essere un mostro?

Come potrebbe un uomo che porta la spesa alle vecchiette compiere atti atroci verso un fiore?

Eppure ci riescono. Perché i mostri non hanno che a cuore se stessi. Non hanno amore per nessun altro che per la loro persona. E curano in maniera maniacale la loro reputazione di uomini perfetti.

Quante volte, quando ne parlano i giornali, si sente dire:

Ma era un brav'uomo. Non me lo sarei mai immaginato, sa?

I mostri sono subdoli. Entrano nella tua vita con un sorriso, promettendoti amore. Ma poi, quando tutto comincia a cambiare, dell'amore che promettevano all'inizio, i mostri non ne hanno più.

I mostri amano il ficus che tengono fuori dalla porta, che addobbano in maniera ridicola quando è Natale.

Il Mostro ama il silenzio. Guai se solo qualcuno prova solo ad alzare la voce. Prova a gridare. Si arrabbia, diventa nervoso.

Il Mostro quando non sa come passare il tempo chiude tutte le finestre.

Questa è una richiesta d'aiuto!” disse Matteo indicando la superficie scorticata del banco.

Allenta il nodo della cravatta e accendono il bellissimo televisore ultimo modello che nessun altro, tranne lui, può toccare. Si avvicina al tavolo degli alcolici e sceglie un bottiglia.

Mio padre è un militare! Un generale. Se io gli dico quello che ti è stato fatto, lui ci può aiutare!” continuò Matteo, guardando la ragazza che fissava un punto davanti a sé in silenzio.

Beve qualche cosa di forte. Canticchia gettando un occhiata al salotto. Ti chiama. Tu devi andare subito da lui. Il Mostro si arrabbia se non si fa come dice.

Ti guarda quando entri in camera chiedendoti per che cosa porta tutti quei soldi a casa, lui, se poi vai in giro vestita come una stracciona.

Qualcuno ti ha fatto del male?” continuò il ragazzo.

Sembra arrabbiarsi. Il Mostro quando si arrabbia fa paura. Chiudi gli occhi e lui si rende conto di averti spaventato. Sorride bevendo un altro sorso dal suo bicchiere. Ti chiede di avvicinarti. Tu lo fai poco convinta, ma lui non se ne accorge.

Devi dirmelo! Giuro! Non voglio prenderti in giro e andare a raccontarlo a tutta la scuola. Davvero!” continuò Matteo.

Ti chiama e ti chiede di sedergli in grembo, sorridendo. Ti accarezza i capelli, ne aspira l'odore. Senti un brivido freddo correrti lungo la schiena. Il Mosto è pronto ad attaccare. Lo sai. Si sta già trasformando, lentamente.

Se è così me lo devi dire. Io ti voglio aiutare. Non siamo tutti mostri come credi!” cercò di convincerla Matteo.

Ti accorgi della sua erezione. Cerchi di alzarti, divincolarti, ma la sua indole è già uscita fuori. Ti sovrasta, ti schiaffeggia se provi a morderlo a tirare calci. Poi ti blocca. E la trasformazione avviene quando senti il rumore della zip e senti che ti penetra.

Non ci sono più i cartoni animati di quando eri bambina, i sorrisi di tuo nonno che ti insegnava ad andare in bici. Lui li ruba in un secondo, il tempo che le basta per minacciarti, per spaventarti. E guai se provi anche solo per un attimo a ribellarti. Tua madre che piange in cucina e la sua prossima vittima e tu lo sai. E mangerà anche lei.

Greta! Greta mi senti?”

La ragazza dell'ultimo banco si voltò guardando con rinnovata sorpresa il suo compagno. E per la prima volta da quando si conoscevano, Greta Balestrieri sorrise. E non per circostanza. Non per cortesia. Greta Balestrieri, la ragazza dell'ultimo banco quella a cui nessuno voleva parlare perché lei non parlava con nessuno, quella strana, quella pazza, si rese conto per la prima volta che qualcuno, per davvero le stava tendendo una mano. Qualcuno l'avrebbe aiutata a uscire da quell'incubo una ola per tutte.

Gardini! Molinari! Potete andare a posto. Tre a tutti e due!”

La campanella suonò. La Castelli guardò l'ora e prendendo il cappotto e la sua borsa on i libri e il registro uscì salutando gli alunni che non ebbero tempo di far chiasso che subito, Marchesi, il professore di matematica, entrò in classe annunciando:

Oggi si spiega! Siamo a Dicembre e non abbiamo cominciato nemmeno il ripasso! Aprite il libro del quinto anno a pagina ventisei. I logaritmi!”

Greta frugò la borsa e prese un fogliettino da dentro la sua agenda. Scrisse veloce e porse il foglietto a Matteo che lo lesse:

'IL MOSTRO MI ASPETTA ALL'USCITA, OGGI. PORTAMI CON TE E PROMETTO CHE TI SPIEGO TUTTO!'

Matteo annuì. Accartocciò il foglio nel momento in cui il professore si alzò per andare alla lavagna e scrivere una formula alla lavagna. Guardò Greta e sorrise. Si sentiva fiero di sé, aveva fatto qualche cosa di coraggioso e non aveva avuto bisogno di un adulto.


Mi raccomando. Studiate bene questo capitolo che giovedì interrogo. E poi non venite a dirmi che non ve l'ho detto!”

La professoressa Mandelli gridò inutilmente cercando di superare il frastuono dei banchi che venivano spostati. C'era un momento in cui tutta la classe non ascoltava nulla. E quello era al suono dell'ultima campanella.

La professoressa di letteratura scosse la testa e mise dentro la borsa scura il registro, preparandosi ad uscire anche lei.

Possiamo andare prof?” chiese Rossi che già stringeva il casco.

Ambrosi stava già mano nella mano con Molinari che con la coda dell'occhio guardava Landolfi che sistemava i capelli con un gesto della mano e metteva le ultime cose dentro la borsa, mentre Satta l chiedeva se volevano uscire assieme quella sera per far un giro al centro commerciale che avevano appena aperto.

Matteo indugiò sistemando qualche cosa dentro la borsa, ma Greta sibilò:

Muoviti, pezzo di idiota! Se ci vedono uscire assieme sospetteranno qualche cosa! Aspettami all'uscita. Tutti se ne saranno andati via ed io e te potremo camminare tranquillamente!”

Matteo annuì. In effetti il ragionamento quadrava. Se gli avessero visti assieme qualcuno avrebbe potuto sospettare ed indagando la storia del bambino sarebbe venuta subito fuori.

Si alzò, non rivolse uno sguardo alla ragazza e si avvicinò a Mancini, un ragazzo con cui era diventato abbastanza amico in classe e si mise a parlare.

Prof?” disse ancora Rossi.

Quando suona la seconda campanella potete uscire!” rispose la Mandelli ricordando: “E mi raccomando. Studiate il capitolo del Congresso di Vienna. Giovedì comincio ad interrogare e non voglio scuse. Siete al quinto anno e non ho nessuna intenzione di portarvi alla fine del primo quadrimestre con NC in pagellina”

Va bene prof!” dissero tutti in coro.

Proprio in quel momento suonò la campanella. Matteo guardò in direzione di Greta e la vide seduta da una parte che giocherellava con una ciocca di capelli. Sarebbe uscita per ultima, come sempre.

Fate piano!” si raccomandò la Mandelli.

Gli alunni non ascoltavano. Ridendo Mattioli, Molinari e Gardini facevano dispetti a Rossi e a Pisano. Ambrosi gridava qualche cosa contro il suo ragazzo, mentre Landolfi salutava Veranocchia tornava a parlare con Satta.

Ti accompagna tuo fratello?” chiese Mancini a Matteo.

Matteo scese le scale in silenzio. Non stava nemmeno ascoltando quello che stava dicendo l'amico. Stava pensando a Greta e a quel sorriso. E per un attimo un brivido di paura lo percorse: lui non sapeva che cosa fare! Aveva detto a Greta che la poteva aiutare, ma come avrebbe fatto.

Sì! Suo padre era un generale. Ma dell'esercito. Cosa avrebbe potuto fare nel caso Greta si fosse confessata anche con lui? Di certo non poteva andare a casa del mostro e bombardarla!

Non era auspicabile!

Allora? Cosa avrebbe fatto? Avrebbe chiesto aiuto a suo fratello? Quello, nel peggiore dei casi, ci avrebbe provato con Greta, peggiorando la situazione.

Di parlarne con sua madre nemmeno a pensarci. Quella sarebbe stata subito sul chi vive chiedendo continuamente a Matteo se il bambino fosse suo oppure no.

La nonna viveva da anni nel fantastico delle telenovela e quindi non era di nessun aiuto.

-In che guaio mi sono andato a cacciare- pensò Matteo mettendosi le mani tra i capelli.

Zanin? Zanin mi stai ascoltando?”

La voce di Mancini fece tornare alla realtà Matteo che voltandosi verso l'amico disse:

Scusa ero sovrappensiero. Dicevi?”

Stavano uscendo fuori dalla scuola. Greta si era mischiata con un gruppo di ragazzi di quinta ginnasio.

Ma ti è successo qualcosa? Hai una faccia!” rispose Mancini.

Matteo sospirò e disse:

Tutto apposto! Ho solo dimenticato il quaderno di matematica in classe. Vado a riprenderlo!” e salutando l'amico aggiunse: “Ci vediamo domani!” e salì le scale.

Mancini non fece domande e si allontanò. Era quello che Matteo voleva. Confondersi tra la folla e raggiungere Greta.

Ci riuscì e quando le fu vicino, prendendo il braccio della ragazza, disse:

Seguimi!”

Greta fece come ordinato. Seguì Matteo e quando furono fuori dalla scuola, guardandosi attorno, il ragazzo mormorò:

Dimmi chi è!”

Il dito di Greta indicò un punto lontano dall'ingresso della scuola.

La vedi quella BMW la?”

Matteo annuì senza parlare e Greta continuò:

Quella è la macchina del Mostro. Ed è la macchina del padre del mio bambino!”

Matteo la guardò sorpreso.

Conosceva quella macchina. Tutti nella sua classe sognavano di averne una simile appena presa la patente. E tutti sapevano chi guidava quella macchina: il patrigno di Greta.


Mamma sono a casa!” disse Matteo dopo aver aperto la porta.

Matteo! Dov'è tuo fratello?” chiese la madre non sentendo i figli litigare come erano soliti fare ad ogni ora del giorno.

Michele è andato a studiar da una sua compagna di classe!” rispose Matteo.

La madre del giovane si affacciò sulla porta. E vide un ragazza, vestita con abiti da uomo molto più grandi della sua taglia. I capelli erano arruffati e il viso spaurito, quasi non avesse mai visto una casa.

Cercò di sorridere, per apparire il più naturale possibile e asciugando le mani con un canovaccio e disse:

Non ti ho mai vista. Matteo non porta mai nessuno a casa. Quello che porta le ragazze a casa è il mio più grande, Michele. Dovresti conoscerlo. Dice di essere molto conosciuto nella vostra scuola. Ma non ci crede nemmeno lui!” e sorrise tirata.

Matteo uscì dalla camera e sollevando gli occhi al cielo esclamò:

Mamma!”

Che ho fatto?” chiese risentita la donna. Non le piaceva mai che suo figlio la sgridasse davanti a chi non conosceva.

Non è nemmeno entrata che tu già la stressi!” disse Matteo prendendo la mano di Greta e portandola in cucina aggiunse: “Greta è una mia compagna di classe. Oggi pranza con noi. La devo aiutare a recuperare!”

La donna raddrizzò la schiena e sbuffando disse:

Hey! Guarda bene come parli a tua madre. Quando io avevo la tua età, se mi permettevo solo di pensare di parlare così a mia madre nessuno mi risparmiava uno schiaffo di quelli che ti fanno girare la testa per tre ore...”

... Ricordarti sempre che devi portare rispetto a tua madre...” concluse a bassa voce Matteo aggiungendo poi a voce alta: “Va bene mamma... Va bene!”

Greta sorrise mettendo una mano davanti alla bocca. Matteo che stava guardando dentro il frigo per vedere cosa ci fosse da mangiare, fece capolino da dietro l'anta del frigo e socchiudendo gli occhi disse:

Uhm! Vedo che stai ridendo!”

Greta incrociò l braccia sul tavolo e chiese:

Perché? Non mi credi capace di ridere?”

Non è che non ti credo capace di ridere. È che non ti ho mai visto farlo. E visto che oggi hai sorriso due volte...” disse matto e si blocco facendo vedere la scatola dei sofficini e chiedendo: “Ti piacciono? Se non puoi mangiarli fritti li metto al forno!”

Sono incinta non diabetica! Comunque non ho capito se è un bene o un male che tu mi abbia vista sorridere oggi!”

Matteo prese una padella da dentro un pensile e sorridendo rispose:

Tranquilla! È un bene. Non sei come Mercoledì Addams che quando sorride spaventa tutti!”

Greta sbarrò gli occhi e la bocca e fingendosi risentita replicò:

Cosa vorresti dire Zanin? Che sembro Mercoledì Addams?”

Non ho detto questo!” sorrise Matteo.

I due cominciarono a ridere e a scherzare mentre la mamma, dal salotto annuiva nella poltrona vicino alla nonna.

La vecchia, sentendo le risate chiese alla nuora:

Che succede?”

La madre di Matteo si voltò e sorridendo rispose:

Matteo ha la ragazza!”

La nonna sorrise e tornando a guardare 'Beautiful' disse:

Ma guarda tu cosa vanno ad inventarsi questi! L'ho sempre detto, io! Come 'Sentieri' non ce ne saranno più di telenovala!”


Matteo stava lavando i piatti in silenzio. Greta, mentre mangiavano aveva raccontato a grandi linee la sua storia. Di come il Mostro fosse entrato nella sua vita e in quella di sua madre. Di come tutto fosse precipitato nel giro di pochi mesi. Gli raccontò delle violenze, dei brividi quando la porta di camera si apriva a notte fonda. Gli raccontò delle minacce se avessero provato a denunciarlo. E del silenzio della madre, troppo spaventata anche per reagire.

Mia madre è una che ha sofferto nella vita. Quando era una bambina, mentre era in vacanza con i genitori, ha visto morire il suo fratellino più piccolo. Il nonno dice che è sicuro che non fosse colpa sua. Mio zio a quando è successo il fatto aveva appena quattro anni. Ma lei, che era la più grande, non ha mai potuto sopportare il peso di questa responsabilità. Ha fatto molte stupidaggini nella sua vita, per non parlare del fatto che da allora ha cominciato a comportarsi in modo strano e crescendo ha fatto un sacco di scelte sbagliate. Ecco perché io non conosco mio padre. Il poco che so è che lo ha conosciuto durante una vacanza, sono stati assieme per qualche settimana e quando mamma è tornata in città era incinta di me. Non volle abortire e mi mise al mondo da sola. Mio nonno la prese molto male, ma le stette vicino, nonostante tutto... Poi è arrivato lui...”

Greta si rabbuiò. Matteo sospirò e disse:

Il fatto che tua madre abbia sofferto non è una scusa per portare un essere simile in casa. Da quando sei nata tu dovrebbe essere diventata almeno un po' più responsabile, non trovi?”

Greta scosse la testa e sorridendo amara rispose:

Tu parli bene. Tua madre è la classica donna perfetta. Sta a casa, prepara il pranzo, pulisce, ti stira le camicie. Mia madre è quella che tutti definirebbero una persona molto immatura, che ama gli agi ma che non vuole compiere sforzi. E lui le ha sempre dato questo stile di vita!”

Ma tua madre sta con lui perché ha i soldi o per paura?”chiese Matteo mettendosi a sedere.

Prima lo faceva per i soldi. Quando hanno cominciato a stare assieme mia mamma tornava sempre a casa con un nuovo regalo. Era felice! E quando l'ho incontrato lui mi ha fatto capire di essere veramente innamorato di lei. 'Nadia è una donna fantastica. Credo proprio che la sposerò'. Diceva questo all'inizio. Specchi per le allodole. È entrato nella nostra casa con la promessa di un matrimonio che ancora non si è celebrato. Prima ha cominciato a picchiar la mamma. Poi, una notte d'estate, mentre stavo nel mio letto ad ascoltare musica, l'ho visto entrare. Quella è stata la prima volta che... che...”

Matteo interruppe Greta. Non ce la faceva a sentir dire quella parola. E giocherellando con i bordi del cesto di vimini che la mamma riempiva di frutta disse:

Tu lo devi denunciare. Se tua madre non lo ama...”

Se lo dovessi denunciare perderei mia madre. Lo vuoi capire?” lo interruppe Greta.

Una donna che non sa badare a sé non è il migliore aiuto che puoi avere mettendo al mondo un bambino a diciassette anni. Greta... Tu hai bisogno di qualcuno che t aiuti, che ti guidi...” stava elencando matto quando Greta si alzò in piedi e sbottò:

Nadia Balestrieri è mia madre. Mi ha cresciuto e se non avesse incontrato quel mostro ora le cose sarebbero diverse. Tutti possiamo incontrare persone sbagliate. Tu non la conosci. Non voglio che a giudichi... perché se lo rifarai me andrò via. E farò a meno del tuo aiuto...”

Matteo rimase in silenzio poi, illuminandosi disse:

C'è un modo!” e avvicinandosi a Greta aggiunse: “Se tu convincessi tua madre a denunciare a sua volta, nessuno vi separerà!”

Greta ci pensò un attimo e rispose:

Ha troppa paura che mi faccia del mal se mai dovesse denunciare!”

Mio padre è un militare. Ne parlerei con lui prima di fare la denuncia. Faremo in modo che non vi possa fare del male...” le spiegò Matteo.

Greta gli prese la mano e la strinse forte e con le lacrime agli occhi lo implorò:

Non dire nulla ancora nessuno. Ti prego!”

Ma dobbiamo fare qualche cosa...” replicò spaventato Matteo.

Dammi tempo!” implorò sull'orlo delle lacrime Greta.

Tempo! Ma sei matta? Quello è pazzo! Potrebbe farvi qualche cosa di peggio!” le fece notare Matteo.

Greta scosse la testa e rispose:

A Natale siamo in montagna dalla sorella di mia madre. Lui non viene mai. Ha litigato con la zia e lei non lo vuole in casa. Una volta lì ho quindici giorni per pensarci!”

Matteo annaspò un attimo guardando il calendario. Mancavano ancora nove giorni alle vacanze natalizie.

Nove giorni passano veloci quando qualche cosa che non vuoi deve venire. Ma quando c'è necessità che il tempo voli, quello sembra quasi fermarsi.

Si voltò verso Greta e domandò:

Le vacanze sono il ventidue. Che cosa farai nel frattempo?”

Greta scosse la testa, ammettendo di non sapere come fare. Matteo cacciò una mano nei capelli e disse:

Puoi dormire qua da noi qualche volta. Ho un letto estraibile nella mia stanza. Michele ti cederà volentieri la stanza...”

Tu non gli dirai nulla, però?” domandò terrorizzata Greta.

Non gli dirò nulla. Tranquilla. Il problema però è un altro... Non puoi venire qua per nove giorni di seguito senza che qualcuno si insospettisca. Anche mia nonna che sa dirti esattamente cosa ha fatto Ridge Forrester nell'ultima settimana, ma non ricorda che classe frequento quest'anno, comincerebbe a chiedersi se c'è qualche cosa che non va!” le spiegò Matteo che passando una mano sulla faccia, guardando l'albero di Natale che si accendeva e si spegneva aggiunse: “Hai una buona amica? Una di cui ti puoi fidare? Una che non farebbe troppe domande se ogni tanto andassi da lei a dormire?”

Greta annuì e rispose:

La mia vicina di casa, Elena. Ci conosciamo da quando siamo bambine!”

E sa qualche cosa?” chiese Matteo.

Greta scosse la testa e Matteo disse:

Lo devo dire a lei. E devi dirle che io sto cercando il modo di far arrestare il tuo patrigno. Ma se per caso dovesse succedere che né io, né Elena ti possiamo ospitare... Promettimi che ti chiuderai in camera a chiave quando dormirai a casa. Se non lo vuoi fare per me, o per te... Fallo per il bambino... Sempre che tu lo voglia tenere!”

Greta si strinse nelle spalle e con un sorriso rispose:

Sono arrivata al quarto mese. Secondo te?”

Matteo annuì con un sorriso velato. Guardando ancora le luci dell'albero disse:

Ti aiuterò, promesso. Ma tu devi permettermi di parlare con mio padre. Lui saprà cosa dirmi!”

Greta sospirò e rispose:

Prima che io parta ti dirò cosa voglio fare. Ti chiedo solo del tempo!”

Matteo rimase qualche secondo in silenzio. In un attimo mille pensieri gli frullarono in testa. Aveva paura. Paura che qualche cosa andasse storto, che qualcuno si potesse fare davvero male, che lui potesse farsi male.

Pensò che fino a quella mattina la sua vita era stata normale e niente l'aveva scossa. Una vita normale non vissuta quasi. Una vita ben lontana dai canoni che il padre sognava per lui e che ricopriva Michele per entrambi.

Perché Matteo non amava esporsi. Ma quella sera la vita, il destino e uno strano sentimento di amicizia lo spinsero a prendersi cura di quel gattino ferito, di quella ragazza che amava le nuvole e che scriveva il suo dolore silenzioso nel banco. Un dolore che solo lui aveva ascoltato. E che ora era diventato il modo più veloce che Matteo aveva trovato per crescere e diventare finalmente un adulto.

Ora muovi le chiappe Balestrieri. Devi recuperare un po' di voti. E poi devo dire alla mamma che ti fermi a dormire. E tu devi avvisare la tua... Una delle poche cosa che voglio è che tu perda l'anno!” disse Matteo alzandosi per andare in camera sua.

Greta sorrise e scosse la testa. Di una cosa era certa. Matteo non era come tutti gli altri suoi compagni di classe che non si erano mai accorti di nulla. Matteo a differenza di tutti loro sapeva essere un buon amico.


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Capitolo 4
*** -Capitolo 4- ***


Capitolo 4

La solitudine e i suoi mille racconti




Conosci Remedios la Bella?”

Matteo si voltò con le sopracciglia aggrottate verso Greta che sorridendo ripeté:

Conosci Remedios la Bella?”

Matteo rimase qualche secondo in silenzio pensando. Poi voltandosi verso la ragazza disse:

Sì! Credo che sia una delle protagoniste di un libro... Ma non ricordo quale!” e riprese a tradurre il testo di latino che la professoressa Castelli aveva assegnato per il giorno dopo.

Sì! È uno dei personaggi di 'Cent'anni di solitudine' di Gabriel Garcìa Màrquez...” ribatté Greta guardando il libro di latino senza vederlo realmente.

Fuori la neve cominciava a scendere con fiocchi fitti. L'albero di Natale illuminava il salotto nella penombra dove la nonna, coperta con un plaid su di una poltrona, dormiva tranquilla. Non si era resa conto che la nuora era entrata in camera e aveva spento la televisione.

Greta sospirò e Matteo rispose distratto:

Interessante...”

Greta osservò Matteo in silenzio per qualche secondo, poi seria disse:

Remedios non è mai morta, lo sai?”

Son contento per lei!” rispose Matteo prendendo il vocabolario e sfogliandolo velocemente.

Greta sospirò e aggiunse:

Remedios era una ragazza bellissima. Gli uomini si innamoravano di lei ma spesso e volentieri morivano. In un modo o in un altro tutti cominciarono a pensare che Remedios avesse un qualche strano filtro che accecasse gli uomini che l'amavano portandoli alla morte. Lei invece non sembrava interessata all'amore. Viveva in un mondo tutto suo, non conosceva Macondo e stava rinchiusa quasi sempre tra quattro mura. Era semplice. Poteva sembrare una ritardata. Non sapeva né leggere e né scrivere e si era cucita un sacco per vestirsi e aveva rasato i capelli a zero. Poi, un giorno, mentre stendeva le lenzuola di donna Fernanda, salì al cielo. Come la Madonna. Volò via e di lei non si seppe più nulla...”

Matteo si era bloccato e aveva ascoltato quello che Greta gli stava raccontando. La sigla de 'La Vita In Diretta' arrivò attutita dalla cucina. Michele uscì dal bagno canticchiando 'Close To Me' dei Cure ed entrò in camera sua sbattendo la porta e svegliando la nonna che dal salotto gridò:

Com'è finito Beautiful?”

Matteo guardò gli occhi di Greta. Non stava parlando di qualche cosa di triste, nonostante tutto, nonostante il fatto che da un paio di giorni a quella parte sembrava come essersi svegliata dal letargo in cui era caduta mostrandosi più allegra del solito, il quel preciso momento, mentre parlava di Remedios la Bella, gli occhi della ragazza dell'ultimo banco era tornati tristi, velati di quel dolore radicato in lei, lo stesso dolore cieco che stava nutrendo il bambino che portava nel grembo.

Voglia andare via come lei, sai, a volte... A volte vorrei che tutto finisse così. Io che stendo i panni e volo via, lontana, verso il cielo...” spiegò Greta guardando i fiocchi fitti di neve che coprivano i tetti della casa di fronte a quella di Matteo. Per un attimo il ragazzo si sentì come qualche giorno prima quando, prendendo il coraggio a quattro mani, decise di parlare con la sua compagna di banco ed aiutarla. In quel momento, Greta, era di nuovo la ragazza dell'ultimo banco e basta, quella che tutti lasciavano in un angolo per giorni, per mesi, per anni senza curarsi che un mostro con una bella macchina, ogni giorno, veniva a prenderla per divorarla nel silenzio di una casa dall'arredamento perfetto. E in un attimo capì. Ecco perché Greta guardava le nuvole. Ecco perché si perdeva a fissare il cielo in silenzio. Perché sperava che quel cielo la rapisse come aveva fatto con Remedios e la portasse via, lontana dalle risatine delle sue compagne di classe, dai compagni di classe che le lanciavano contro i gessetti e l'indifferenza dei professori che nemmeno si ponevano qualche domanda su quello strano comportamento. Il cielo. Lo stesso che aveva rapito Remedios dalla sua non vita, proprio come Greta che, a differenza della giovane protagonista di 'Cent'anni di solitudine', conosceva la grettezza dell'uomo e la respingeva.

Lontana nel cielo, sopra un mondo sporco che la guardava dall'alto al basso. Sopra un mondo imperfetto che le aveva procurato ferite più profonde di quelle che lei inferiva al legno non più liscio del suo banco.

Sorrise e cercando di sdrammatizzare e di riportare l'attenzione di Greta alla traduzione di latino, disse:

Non è possibile. Non puoi volare. Va contro le leggi di gravità. E poi devi recuperare ancora matematica. Non ti puoi permettere di volare via...”

Greta rise e lanciò il cuscino contro Matteo che fingendosi risentito disse:

Non farlo mai più. Posso diventare molto cattivo sai?”

Greta rise più forte e replicò:

Certo, sto tremando di paura Zanin!” e ridendo si becco la prima cuscinata al quale ne seguì un'altra e un'altra ancora.

Le loro risate arrivarono fuori dalla stanza. Michele, completamente profumato, ben lavato, stava nel corridoio sistemando i capelli neri quando sentì i due ridere. Smise di canticchiare e guardò il suo riflesso allo specchio. Da quando quella ragazzina strana era entrata in casa Matteo era cambiato. E anche la mamma sembrava più allegra. Quella ragazza che cantava canzoni di Ligabue e sorrideva appena, stava prendendo il posto del generale Zanin, sempre fuori casa, sempre lontano.

Le risate arrivarono sempre più forti mentre Matteo implorava pietà.

In un attimo Michele ricordò una serata simile a quella, senza neve, quando fece l'amore per la prima volta con Daria, sotto il piumone dei Looney Toones che aveva da quando era una bambina. E con una fitta allo stomaco e al cuore si rese conto che gli mancava davvero quel sapore dolce, la sua mano premuta sulla bocca di lei per non far sentire i gemiti della giovane.

Perché Michele Zanin aveva amato davvero solo una volta. Si era reso conto che tutto era finito era stato quando, stretto mano nella mano con Daria, per le strade ancora addobbate a festa nonostante fosse già Gennaio, aveva ammesso di non essere pronto ad essere un padre e aveva permesso alla sua ragazza di abortire.

A distanza di mesi, quando il pensiero diventava più pesante del piombo e non lo faceva dormire, Michele apriva il cassetto del suo comodino e guardava la foto di lui e Daria abbracciati durante l'occupazione. Quando il loro figlio stava sbocciando nel ventre della giovane. Quando ancora non avevano deciso di schiacciare quel piccolo fiore dalle radici deboli. Quando non aveva una voragine aperta nel centro del petto, scavata dalla solitudine di ragazze stupide che gli cadevano ai piedi solo perché era bello o per la sua moto e dall'assenza di un essere che non aveva mai visto neppure ma che, Michele lo sapeva, gli assomigliava davvero.

Scosse la testa, sospirò e cacciando dentro il malumore, uscì salutando velocemente tutti, lasciando indietro quelle risate che lo laceravano nel centro stesso della sua solitudine.



Nadia stava giocherellando con il telecomando, facendo zapping tra un talk show, una televendita, una serie televisiva e una telenovela di Veronica Castro in replica su qualche rete locale.

Greta avrebbe dormito ancora fuori casa. Anche quella sera il suo compagno sarebbe tornato a casa, avrebbe chiesto della giovane che aveva avvisato di non andare a prenderla e poi avrebbe cominciato a litigare con la compagna, ma facendolo nel modo peggiore, in silenzio, senza gridare ma rompendo qualche cosa e costringendola a pulire i cocci.


Dov'è Greta?”


Nadia si sollevò e guardò il palazzo di fronte al suo. Da una finestra si vedevano le lucine colorate dell'albero di Natale montato vicino alla finestra.


Di nuovo in giro? Ma quella puttanella ha preso

questa case per un albergo?”


Lentamente si avvicinò allo stanzino e prese la scala. Si arrampicò e prese un grosso scatolone. Non sapeva nemmeno lei perché lo faceva, ma prese anche un'altra scatola. E un'altra. Poi, inginocchiandosi cominciò ad aprirle tutte e guardò l'albero diviso in due tronchi e gli addobbi colorati pieni di paillette o brillantini. Non si era nemmeno resa conto che il canale su cui aveva lasciato acceso il televisore era Mtv. Cominciò a montare l'albero, poi piazzò le luci e una per una tutte le palline dorate e rosse tra i folti rami. Ai bordi dei rami piazzò i fiocchi e i pacchetti e davanti mise le campanelle. Sistemò il puntale e collegò la presa delle luci alla corrente.

Subito si accesero compiendo semplici giochi di luce che illuminarono la stanza nella penombra.

Soddisfatta sistemò gli scatoloni uno dentro l'altro lasciandoli però in mezzo al salotto, poi andò in bagno e si fece una doccia. Si vestì, s' truccò e stava per uscire di casa quando la chiave nella porta girò e dietro apparve il suo compagno.

La guardò e le chiese, senza nemmeno salutarla:

Dove stai andando?”

Nadia sorrise e rispose, indicando l'albero:

A prendere qualche regalo da mettere sotto l'albero... Lo sai che è Natale?”e senza aspettare risposta uscì, sorridendo.

Montare quell'albero le aveva ricordato le cose belle. Quando era una bambina e suo fratello era ancora vivo e tutta la famiglia montava l'albero di Natale nel grande salone. Quando Greta era piccola e guardava affascinata le lucette bianche. Quando ancora credeva a Babbo Natale e aspettava con impazienza la Vigilia, considerandola come la vera festa magica.

E mentre l'aria fredda le sferzava il viso, Nadia si rese conto che stava piangendo. Ogni singolo ricordo era una ferita che la lacerava. Ogni singola parola rievocata era uno schiaffo. E solo allora si rese conto di tutto quello che aveva perso da quando il suo compagno era entrato nella sua vita, da quando aveva scoperto che la solitudine aveva un peso, un odore e un sapore insopportabile.


Daniela sistemò una statuina del vecchio presepe e sorrise ascoltando la voce di Greta che dal bagno diceva:

Lo so. Il Congresso di Vienna era caratterizzato da due arie di pensiero: i conservatori che volevano ritornare al passato e i progressisti che volevano prendere come modello il passato ma progredire verso il futuro.”

Brava!” fece eco Matteo sulla soglia con il libro aperto. “Cosa è la Provvidenza?”

Greta parve pensarci un attimo e rispose:

Dopo che gli Illuministi avevano detto che l'uomo determinava la sua storia con la ragione, al Congresso di Vienna si dovette mettere sulla bilancia il tragico epilogo della Rivoluzione Francese e quella delle guerre di conquista di Napoleone che avevano segnato il tramonto definitivo dell'era dei lumi. Al Congresso di Vienna venne infatti assodato che non è l'uomo che guida la sua storia, bensì Dio che agisce con la Provvidenza divina che sistema ciò che l'uomo cerca di sistemare con la ragione.”

Bene!” e guardando ancora il libro Matteo chiese: “E chi erano gli ideologi della Restaurazione?”

Uno non mi hai chiesto che cosa è la Restaurazione!” sorrise Greta. “E io non ho potuto rispondere che è il processo di ristabilimento dei sovrani assoluti in Europa... E poi... perché non rispondi anche tu a qualche domanda?” e scuotendo la testa aggiunse: “Fai pena come insegnante!”

Daniela rise e disse:

Matteo... Non mi fai giustizia, sai?”

Mamma... Non mi mettere in imbarazzo...”cercò di difendersi Matteo ridendo divertito.

No! Io ero la migliore del mio corso quando ero a scuola. E in storia avevo sempre voti altissimi!” continuò la donna.

Uffa mamma!” replicò Matteo da dentro la camera aggiungendo subito: “Greta vuoi muoverti o vuoi che la mamma mi metta in ridicolo davanti a tutta la famiglia?”

Greta uscì dal bagno e sistemò la maglietta proprio davanti a Daniela, che rimase fulminata. In quel piccolo corpo acerbo, in cui si erano appena abbozzate le prime forme, spiccava piccola ma pur sempre visibile una piccola pancia della forma perfetta di un piccolo uovo. Daniela la conosceva. L'aveva vista formarsi due volte. E due volte aveva atteso nove mesi prima che la sua pancia si svuotasse e tornasse normale.

In un lampo Daniela capì tutto. Greta era incinta.

La guardò muoversi con grazia verso la porta della camera del figlio e sorrise tirata al sorriso della giovane.

Greta era incinta.

Ma di chi?

No! Non poteva essere di Matteo. Matteo era solo un bambino, un ragazzino incapace anche solo di pensare al sesso. Come poteva anche solo aver pensato di fare una cosa simile?

Guardò il suo volto riflesso nello specchio. E con un'occhiata più attenta si rese conto di essere più vecchia. Qualche capello bianco cominciava a spuntare tra i capelli folti e neri e le rughe solcavano il suo viso una volta perfetto.

Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, sapeva che sarebbe successo che i suoi due figlio avrebbero preso il volo e l'avrebbero lasciata da sola. Ma non così presto, non ora che non era preparata, almeno!

In attimo quella casa le tolse il respiro. Perfino la nonna divenne una catena che la teneva ancorata alla sua vecchiaia. Alla sua solitudine.

Perché per Daniela era quello essere soli. Un orologio che scandiva lento i minuti in cucina. Il pollo da girare nel forno la domenica a pranzo. La nonna che si svegliava alle quattro chiedendosi cosa fosse successo nella puntata di Beautiful. E suo marito le cui assenze riempivano il cuore di Daniela di tristezza e di malinconia.

Malinconia che si sarebbe accentuata una volta che Michele e Matteo avrebbero deciso di spiccare il volo.

E a quanto pareva... Quel momento era arrivato.


Buona serata Generale!” salutò cordialmente il soldato all'uscita della caserma facendo il saluto militare.

Buona serata a lei!” sorrise Giovanni Zanin mettendo i guanti e sistemando il cappello si diresse verso la macchina.

Entrò dentro l'abitacolo rabbrividendo appena per il freddo e accese il cellulare. Giovanni Zanin, infatti, poteva anche stare tutto il giorno a lavoro, ma non accendeva mai il cellulare prima di essere entrato nella sua macchina. Aveva sempre detto a sua moglie che qualsiasi problema doveva contattarlo in caserma e solo se era libero le avrebbe risposto.

Sua moglie si era dimostrata una buon allieva e aveva obbedito con la stessa meticolosità di un suo inferiore. Non lo aveva nemmeno contattato in caserma quando la situazione si era dimostrata più grave, come quando Michele e Matteo erano finito al comando di Polizia perché avevano partecipato all'occupazione. O quando la mamma di Giovanni aveva avuto una crisi cardiaca ed era stata ricoverata d'urgenza in cardiologia.

Quella sera suscitò quindi una certa sorpresa e curiosità vedere il numero della moglie apparire sul display una volta acceso il cellulare.

Rispose tranquillo:

Cosa è successo? Sta andando a fuoco la casa?” e sorrise alla sua stessa battuta.

Peggio!” rispose senza preamboli Daniela. La sua voce era asciutta e non nascondeva una nota di preoccupazione.

È successo qualche cosa ai ragazzi per caso?” chiese più preoccupato che mai Giovanni.

Daniela rimase un attimo di silenzio e poi balbettò con un filo di voce:

Riguarda Matteo...”

Che ha fatto?” chiese Giovanni sempre più preoccupato. Si sarebbe aspettato di sentire il nome di Michele, non quello di Matteo.

Hai presente la sua amica. La sua compagna di banco... Beh! Ho scoperto che è incinta...” replicò diretta Daniela, quasi bastasse quella parola per far capire tutto al marito.

Fu il turno di Giovanni di non parlare. Poi, con un sospiro, disse:

E allora? Non vedo cosa ci sia di male. Hai presente quante ragazzine rimangono incinte a diciotto anni?”

Penso che sia figlio di Matteo...” ribatté con la voce spezzata Daniela.

Di nuovo silenzio. L'abitacolo parve diventare troppo piccolo d'un tratto. Suo figlio stava per diventare padre. Suo figlio non era più un ragazzino imberbe, ma un uomo... Un futuro padre.

Guardò il suo viso riflesso nello specchietto e disse asciutto:

Arrivo subito!”


Matteo sorrise a Greta che sbadigliando disse:

Bene. Se domani dobbiamo essere freschi per l'interrogazione credo che sia ora di andare a nanna, Matteo Zanin...”e cominciandolo a spingere aggiunse: “Su! Fuori! Su! A nanna Zanin!”

Matteo stava ridendo quando sentì le chiavi girare nella toppa. Si irrigidì e guardò Greta.

Mio padre...”sussurrò il ragazzo.

Greta guardò la porta e poi fissò gli occhi scuri di Matteo. Bastò quello sguardo per capire. E bastò quello sguardo per capire.

No! Non voglio che tu dica nulla!”

Greta! Mio padre è un militare. Potrebbe aiutaci. Potrebbe dirci cosa fare...” le spiegò Matteo.

No! Non voglio che nessuno lo sappia. O almeno non per il momento. Aspetta che parta in montagna,. Che vada dai nonni...” replicò Greta terrorizzata.

Ma tu devi parlare con mio padre! Possiamo aspettare, ma abbiamo bisogno della tua denuncia. Noi da soli non possiamo fare nulla...” disse Matteo.

Matteo!”

La voce di Giovanni bloccò la discussione dei due. Il giovane Zanin si voltò verso il padre, drizzando la schiena quasi lo avessero appena sparato. Lentamente si voltò e con un filo di voce disse:

Sì papà!”

Devo parlarti!” disse Giovanni che stava sulla porta e guardava lui e Greta.

Matteo incurvò la schiena e senza dire nulla seguì il padre.

Nonostante la testa china riusciva a capire come si muoveva il padre anche senza a guardarlo: le braccia rigide lungo il corpo, la testa dritta e il petto in fuori.

Un militare, sempre e comunque, anche quando non era in caserma, anche quando smetteva la divisa.

Seguì il padre in silenzio, mentre le scarpe eleganti di Giovanni emettevano un sinistro ticchettio che echeggiava nel corridoio altrimenti deserto.

Aprì la porta del salotto dove nell'oscurità l'albero di Natale sembrava un mostro peloso pronto ad attaccarli se solo lo avessero disturbato. In effetti tutto il mobilio sembrava tendersi minaccioso verso di loro.

Matteo deglutì attese che suo padre accendesse la luce fissando la punta dei piedi.

Quando lo fece il mobilio riprese la sua forma famigliare ed antica e Giovanni indicò la poltrona al figlio, serio al punto tale da sembrare arrabbiato.

Siediti! Dobbiamo parlare!”

Matteo fece come ordinato e guardò il padre negli occhi, serio.

Tua madre oggi ha notato una cosa che prima non aveva visto... Greta è incinta. È così?”

La voce di Giovanni era dura, seria. Matteo non riusciva a guardarlo negli occhi, ma nonostante questo sapeva di non poter negare. Di non poter nascondere ancora a lungo la verità.

Sì! È incinta!”

Giovanni si sollevò e cominciò a misurare il salotto a grandi passi. Non parlava, ma guardava con la fronte corrugata davanti a sé, pensando chissà che cosa. Poi si bloccò davanti a Matteo, con le mani dietro la schiena e disse:

Mi sembra di essere sempre stato molto chiaro riguardo queste cose, con voi. Non vi ho forse detto che dovete dare attenzione quando si tratta di sesso. Non ricordi che ho parlato chiaramente con voi riguardo i rischi che si corrono con una gravidanza inattesa?”

Matteo sollevò gli occhi e incontrò quelli del padre.

Non ci poteva credere! Pensava che il bambino fosse suo.

Io” cominciò cercando di giustificarsi, ma il padre lo bloccò e disse:

Hai solo diciotto anni, ma dovresti essere maturo abbastanza per capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, non trovi? Fare sesso sarà anche divertente ma comporta dei rischi... Ora tu sai che la tua vita sarà condizionata da questo evento. Che probabilmente dovrai dire addio a tutti i tuoi sogni?”

Papà se mi lasci spiegare...” cercò di interromperlo Matteo, ma Giovanni scosse la testa e irremovibile continuò:

Sei grande abbastanza per fare sesso? Sei grande abbastanza per mettere incinta una ragazza? Bene! Immagino che tu sia grande abbastanza per ascoltarmi e fare la tua prima discussione da uomo. Ora parlo io. E non voglio sentire un solo fiato da te...”

Il bambino non è di Matteo, signor Zanin...”

Greta era sulla porta, pallida, con il petto che si sollevava e si abbassava velocemente, quasi avesse corso la maratona.

Guardò Matteo e Giovanni e con quello che sembrò uno sforzo sovrumano, disse:

Matteo mi sta difendendo. E non ha detto nulla perché sono io che gliel'ho chiesto. Ma visto come stanno le cose mi sono resa conto che non posso più tenerlo nascosto...”

Matteo sorrise guardando Greta.

Giovanni la guardava come se la vedesse per la prima volta.

Ho bisogno del suo aiuto signor Zanin.” pigolò Greta cercando di sorridere.


Giovanni sistemò le scarpe nella piccola scarpiera dietro la porta e infilò le pantofole. Daniela lo guardava in silenzio dal letto, con gli occhi sbarrati, in attesa di qualche notizia. Di qualche buona notizia.

Giovanni si rese conto che per lei le buone notizie sarebbero arrivate, ma in quel momento qualche cosa gli rendeva impossibile essere completamente sollevato nel sapere che suo figlio non si era messo nei guai.

Passò una mano sulla faccia e ricordò con orrore il racconto di Greta. E si chiese come un uomo potesse fare delle cose così abominevoli. Così terribili. Si spogliò con lentezza, ponderando cosa fare o non fare per aiutare quella giovane, aspettando solo qualche giorno.

Mise il pigiama e stava per entrare nel letto perso nei suoi pensieri quando Daniela gli chiese:

Allora?”

Giovanni si voltò e toccò la mano della moglie e sorridendo disse:

Non è figlio di Matteo!” e si mise a dormire, spegnendo la luce della lampada.

Daniela non disse nulla. Rimase in silenzio, al buio. Poi, dopo qualche minuto, il respiro regolare fece capire a Giovanni che la moglie si era addormentata.

A pancia in su guardava il soffitto illuminato di tanto in tanto da qualche macchina di passaggio.

Era quella la sua vita. Decidere. Sempre e da solo.

La vita del militare, del padre, dell'uomo e del figlio che si prende cura di una madre che perdeva pezzi di memoria ogni secondo, che seminava pezzi di vita nel cammino che la conduceva all'oblio del corpo e della mente.

Solo. Anche se intorno c'erano tante persone.

Solo come un corpo nel buio.

Perché la solitudine è questa. Corpi immersi nel buio dell'universo che lottano per non andare persi. Per non essere dimenticati una volta che il buio, la solitudine stessa li avrebbe inghiottiti per sempre.




Chiedo scusa per la latitanza.

Questo è il penultimo capitolo.

Sono riuscita a finirlo dopo tutto questo tempo.

Ora per il prossimo prometto che ci metterò meno tempo.

Ringrazio OurThirteen e PinkStuds per le recensioni che mi hanno lasciato. Spero che ci siate ancora a leggere questo capitolo e per farmi sapere che cosa ne pensate.

Ringrazio anche chi ha messo la storia tra i preferiti, ricordati, seguiti.

Anche voi mi incoraggiate a riempire un foglio di word vuoto.

Alla prossima.

Niniel82













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Capitolo 5
*** -Capitolo 5- ***


Capitolo 5

Leggera come una nuvola.


Una cosa che Matteo non sopportava era aspettare e non sapere che cosa sarebbe successo dopo.

In quel caso non sapere che cosa fosse successo dopo lo faceva stare se possibile ancora più male. Specialmente se il dopo poteva mettere a repentaglio la vita stessa di Greta.

Dopo la chiacchierata con suo padre, infatti, le cose cambiarono. Greta venne a scuola solo il giorno dopo, poi sparì.

Né un messaggio, né una mail, né una lettera.

Una settimana prima delle vacanze di Natale, Greta Balestrieri non venne più a scuola e nel banco vicino a Matteo rimasero solo i suoi tagli che aveva inciso, le nuvole sul cielo terso quando il sole faceva capolino per sciogliere un po' di neve e il suo silenzio che sembrava quasi mancare al resto di tutta la classe.

Per la prima volta, infatti, tutti cominciarono a chiedersi che fine avesse fatto Greta e cominciarono perfino ad usare il suo nome quando parlavano di lei.

Disgustato, Matteo tenne i denti stretti fino al 22 Dicembre, quando le scuole chiusero per le vacanze natalizie.

E nonostante tutto, nonostante l'aria di festa che si respirava anche in casa Zanin, Matteo non riuscì ad essere tranquillo. Più volte provò a chiamare Greta al cellulare, ma risultava sempre irraggiungibile. Aveva chiesto anche a suo padre, ma lui aveva risposto che Greta e sua madre erano al sicuro, che non doveva cercare Greta e quindi non doveva preoccuparsi.

Le vacanze cominciarono a passare.

Poi un giorno le cose cambiarono. Come le nuvole che si allontanano e mostrano il sole, qualcosa di inaspettato colse la vita di Matteo. Accadde il giorno prima di Capodanno che il Mostro apparve in TV.

Era perfetto, impeccabile. Stretto in un abito scuro, con una cravatta chiara. Era a lavoro quando i poliziotti lo andarono a prelevare. Non sorrideva, cercava di coprirsi il volto dalle telecamere che riprendevano il nuovo mostro della piccola città, l'uomo insospettabile che violentava la figlia minorenne della sua compagna.

Non fecero nessun cenno su Matteo o sulla sua famiglia. Dissero solo che la ragazza era stata aiutata da un generale dell'esercito, padre di un amico della ragazza, che si era assicurato che sia la ragazza che la madre fossero al sicuro prima che le manette scattassero ai polsi del mostro.

Matteo seguì la notizia con rabbia e rassegnazione. Rabbia verso il padre che sapeva e non gli aveva detto nulla. Rassegnazione perché dentro di sé sentiva che la vita di Greta da quel momento sarebbe cambiata per sempre, finalmente in meglio. M nonostante questo la loro amicizia sarebbe stata in serio pericolo.


Nella vetrina della panetteria difronte il Liceo Galilei ancora si accendevano e spegnevano le luci intermittenti, quasi desiderassero prendere in giro gli studenti che quel 7 Gennaio rientravano a scuola. La neve era scesa quella sera, ma non abbastanza da permettere alle scuole di rimanere chiuse. Così, come succedeva qualche settimana prima, motorini, sciarpe e cuffie colorate coloravano e riempivano la strada difronte al Liceo Galilei, dove gli studenti si raccontavano più o meno sguaiatamente le loro avventure, i regali, la noia e i divertimenti delle vacanze di Natale.

Matteo Zanin era agitato quella mattina. La neve ai lati della strada cominciava a diventare una poltiglia grigiastra che gli altri ragazzi si lanciavano contro, ma Matteo Zanin non pensava a questo mentre saliva le scale che lo avrebbero introdotto nell'enorme atrio del suo liceo.

Alcuni degli alunni, come al solito quando cominciava l'inverno, affollavano già gli androni troppo infreddoliti per stare in cortile o nel parcheggio delle moto. Matteo non si curò di loro, salì le scale a tre a tre ed arrivò al terzo piano. Corse verso la porta, ignorando le lamentele della bidella isterica e trovò la classe vuota.

Un peso gli piombò nel cuore. Aveva letto tutti i giornali locali e no durante le vacanze, cercando notizie di Greta e sospirando di sollievo quando non ne trovava. Ma non vederla lì, quella mattina lo riempì di paura.

Si mise a sedere al suo posto, guardando con aria sconsolata quello vuoto vicino alla finestra:

Ehy, Zanin! Non ti sarai mica innamorato della pazza dell'ultimo banco?” gridò Mattioli che almeno aveva avuto l'accortezza di non cambiare le vecchie abitudini e aveva continuato a chiamare Greta come sempre.

Matteo sorrise forzatamente e guardò il banco vuoto, con ansia.

Attese il suono della seconda campanella, guardò riversarsi i compagni in classe, aspettò che entrasse il professore di matematica e con aria afflitta, persa ormai ogni speranza, spostò lo zaino e si mise a sedere nel posto della ragazza. Come per magia lo stesso torpore di Greta colpì Matteo, che accarezzò con il dito le parole da lei incise, quasi che facendolo riuscisse a richiamarla a sé, a farla tornare ad essere di nuovo la ragazza dell'ultimo banco, quella che doveva proteggere.

L'attese tutta la mattina del sette. E anche quella dell'otto e del nove. Poi, il 10 Gennaio, mentre suonava la seconda campanella, una ragazza con un taglio di capelli corto dietro e lungo davanti entrò nella classe. Aveva due occhi azzurri bellissimi, arricchiti dall'eye-liner nero e da un ombretto chiaro. Le gote erano rosate dal phard e la bocca laccata dal lip-gloss. Indossava un cappottino corto, nero che doveva tenere aperto perché dalla maglietta elasticizzata si notava una piccola pancia, segno di una gravidanza che cominciava inesorabilmente a mostrare la sua presenza al mondo.

Tutti si voltarono a guardare quella giovane, non riconoscendola subito, additando la pancia, mormorando 'ma allora è vero', 'lo avevano detto al TG, il patrigno la violentava', 'non ci posso credere, quella è Balestrieri!', 'oh Dio! Ma è incinta!'.

Le voci cominciarono a diventare mormorii sempre più alti, sempre più forti, fino a diventare il frastuono che si sente in ogni classe quando tutti parlano a voce alta, con l'unica differenza che quel cicaleccio continuo era rivolta solo ad una persona, senza pudore, senza curarsi se quella persona potesse sentirli o no. Ma a quanto pareva Greta non si curava di loro. Passava tra i banchi guardando fissa il suo posto, quell'ultimo banco vicino alla finestra dove stava seduto quel suo amico dagli occhi e i capelli scuri che, anche se non lo vedeva chiaramente, era cambiato molto dopo quelle vacanze di Natale.

Matteo si illuminò e sorrise guardando Greta entrare, con le cuffie dell'Ipod ancora alle orecchie.

La guardò in silenzio, senza dire nulla. La guardò avvicinarsi e quando la ragazza poggiò la borsa su quello che era sempre stato il banco di Matteo, si avvicinò all'amico e serena disse:

Manco un paio di giorni e ti prendi il mio posto?”

Matteo sollevò un sopracciglio e rispose:

Sarebbe carino che magari mi dicessi perché sei sparita per tutti questi giorni!”

Greta sollevò un angolo della bocca in un sorrisino divertito e replicò:

Fammi sedere al mio posto e te lo dico...” e mettendosi in piedi aggiunse: “Sono una donna incinta. Un po' di rispetto!”

Il mormorio cessò. Che Greta fosse incinta era una cosa evidente. Ma sentirglielo dire era una cosa differente. Matteo sorrise e si alzò scuotendo la testa riprendendo quello che fino a prima delle vacanze di Natale era stato il suo posto. Poggiò lo zaino per terra e guardando Greta, avvicinandosi a lei le chiese:

Allora? Come mai sei sparita e non mi hai fatto sapere nulla? E non dirmi che papà ti ha detto di stare in un posto sicuro...”

Ero a casa di mia zia... Tuo padre mi ha consigliato di andare da lei fino a che non si sistemavano le cose... Svelato l'arcano!” lo interruppe sorridendo Greta.

Matteo la guardò stupito e un po' risentito dal sapere di essere sempre a conoscenza del posto in cui era stata nascosta la sua amica. Pensavano forse che avrebbe avuto la straordinaria idea di andarlo a dire al Mostro? Ma lo avevano preso per un bambino stupido?

Non prendertela!” disse Greta prendendogli la mano. “Non ho voluto che nessuno lo sapesse perché avevo paura che quel porco potesse seguire le persone che mi stavano vicino per sapere che fine avevo fatto io e la mamma... Non siamo state sempre dalla zia... Prima abbiamo passato un po' di tempo in un albergo in città. Poi siamo andate da lei, dopo Natale...”

Matteo annuì in silenzio e Greta continuò:

Io e mia madre ce ne siamo andate da casa il giorno della Befana. Abbiamo dovuto sistemare le nostre cose e io nelle mie condizioni non posso essere di grande aiuto. Così sono potuta tornare a scuola solo oggi. E ieri, io e mamma siamo state al comando dei Carabinieri!”

Ti hanno chiamata a deporre?” chiese Matteo incredulo.

Greta annuì e Matteo la strinse forte. Lei rispose un po' fredda all'abbraccio e sorridendo divertita disse:

Mi hai aiutata tu. Se tu non avessi preso coraggio, un mese fa e non mi avessi detto di sapere tutto, io non avrei avuto il coraggio di parlare con mia madre e di chiederle di andare a denunciarlo quando tuo padre mi ha detto che mi avrebbe protetto a costo della sua stessa vita!”

Matteo arrossì. Non era abituato a sentirsi elogiare. E gli piaceva. Come gli piaceva sentirsi orgoglioso di suo padre che, a quanto dicevano tutti, si era comportato da vero eroe.

E scrollando le spalle rispose.

Ho fatto quello che doveva essere fatto. Niente di più!” e poggiando la sua mano su quella di Greta, le domandò: “Ed ora? In cosa posso esserti utile?”

Greta lo guardò di sottecchi e divertita disse:

Una cosa ci sarebbe...”


20 Gennaio 2012...


Gioia corse ridendo felice verso Matteo.

Non la vedeva da un anno ormai ed era veramente diventata grande.

Matteo quasi non ci credeva. Erano passati due anni da quando Greta gli aveva chiesto di accompagnarla a fare l'ecografia, la mattina del suo rientro a scuola dopo l'arresto del patrigno.

L'anno della sua maturità classica. L'anno in cui tutto cambiò. In cui lui diventò un uomo capace di volare da solo. Fu quell'anno che decise di farsi coraggio e chiedere a Claudia Landolfi di uscire con lui. Si misero assieme e dopo l'estate cominciarono anche a vivere assieme.

In quello stesso anno, poco dopo l'esame orale, nacque Gioia Balestrieri.

Matteo non partecipò al parto, ma attese fuori che qualcuno le annunciasse che la bambina era nata. Quando la dottoressa uscì dalla sala parto Matteo pianse. Non seppe mai perché. Sapeva che la piccola era nata e dal sorriso della dottoressa sapeva che tutto era andato bene. Si sentiva commosso, come mai gli era successo prima di allora. E allo stesso tempo si sentiva triste.

Lo sapeva dal Natale passato che la vita di Greta dopo l'arresto del patrigno sarebbe cambiata per sempre. E sapeva che dopo il parto, per cancellare i brutti ricordi, le brutture della vita, Greta e Nadia avrebbero lasciato per sempre la loro vecchia città, per trasferirsi in una nuova.

Lontano da quel mostro che ora stava chiuso in una cella. E a quanto si diceva non aveva nemmeno una vita facile.

Il 12 Giugno 2010 Matteo Zanin ebbe la certezza che Greta Balestrieri sarebbe volata in cielo leggera, come Remedios la Bella, senza le lenzuola di donna Fernanda, ma con un piccolo esserino che le avrebbe reso la vita meno difficile da vivere, lasciando nella sua personale Macondo il suo ricordo.

E così fu infatti. Dopo il parto Greta attese un mese prima di battezzare la piccola Gioia, chiedendo a Matteo di farle da padrino. Non ci fu una grande festa. Alcuni compagni di classe parteciparono più per curiosità che per reale affetto verso Greta e sua figlia.

Poi, quando il sole di Agosto lasciò il posto alle nubi di Settembre che cantavano il requiem all'estate che stava passando, casa Balestrieri venne svuotata da dei camion di traslochi e la borsa di Greta si chiuse su di una foto di lei, Matteo e Gioia che capeggiava sulle sue cose.

Non ci furono lacrime, ma solo la promessa di rivedersi spesso e le solite frasi fatte:

Tanto non sto andando in America...”

Poi ci sono le mail...”

E anche i cellulari...”

E vuoi che non ti faccia vedere tua figlioccia!”

Certo! Ci sentiamo tutti i giorni su Skype!”

E in effetti Skype fu la loro risorsa, quello che gli permise di sentirsi tutti i giorni, di confidare la paure reciproche. A Matteo di chiedere consigli sulla sua storia con Claudia; Greta per confidare le sue paure sulla crescita della piccola Gioia.

Passò un anno e mezzo.

E solo quel 20 Gennaio 2012 Matteo e Greta si incontrarono di nuovo.

O meglio...

Gioia corse ridendo felice verso Matteo. O almeno corse per quello che poteva riuscire a fare una bambina di quasi due anni.

Impacciata nei movimenti. Ma leggera come una nuvola.

Come Remedios la Bella. Come sua mamma quando la sua vita cambiò radicalmente, mentre una macchina la portava via dal suo migliore amico.


Di quell'incontro, oltre la piccola Gioia che era una bellissima copia di Greta, solo in miniatura, un'altra cosa sarebbe rimasta impressa nella mente di Matteo per sempre: la mano che stringeva quella di Greta. E non era una mano qualunque. Era quella di un ragazzo.

Si chiamava Lorenzo e aveva un anno in più di Matteo e Greta.

Era uno studente di Lettere e aveva conosciuto Greta ad un'assemblea studentesca che si era tenuta nella Facoltà di Giurisprudenza dove Greta stava studiando.

L'amore tra di loro era spuntato giorno dopo giorno, tra un comizio e l'altro, scaldato dal sole tiepido dell'autunno, quello che comincia a far seccare la clorofilla dentro le foglie e le fa seccare.

E sotto quel sole triste, anticipo della stagione della morte, Lorenzo corteggiò Greta, in maniera semplice, senza essere invadente.

Cominciarono ad uscire. Si frequentarono e scoprirono di piacersi.

Lorenzo felice per la fortuna di aver conosciuto una ragazza meravigliosa e di una bellezza sconvolgente; Greta perché cominciava a conoscere quella normalità che il suo silenzio, le sue parole appena sussurrate quando era ancora una studentessa del liceo non le avevano permesso di vivere.

Arrivò Natale di nuovo. E fu allora che Lorenzo conobbe Gioia.

Per Greta fu una sorta di banco di prova. La possibilità di vedere se Lorenzo fosse l'uomo adatto a lei. Forse meschinamente la giovane pensava che conoscendo la bambina il ragazzo sarebbe scappato, ma dovette ricredersi.

Tra Gioia e Lorenzo si creò da subito un ottimo feeling. Entrarono in sintonia e cominciarono da subito a piacersi. Forse perché Lorenzo non era poi così simile a tutti gli altri ragazzi che Greta aveva conosciuto. O semplicemente perché era semplice amare Gioia, una bambina nata dal più grande dei dolori, venuta fuori dallo sporco del mondo ma bella e splendente come una stella.

Matteo di una cosa era certo. Vedere Greta camminare per mano con quel ragazzo alto, con folti cappelli ricci, la barba rossiccia incolta e gli occhi dello stesso azzurro del cielo lo rese felice. Perché infondo, quando qualcuno entra nella tua vita, anche se non ne ha fatto parte da sempre, può diventarne un tassello importante.

E Greta lo era diventata per tutta la famiglia Zanin. Perfino la nonna che ricordava solo i personaggi di Beautiful con precisione, ricordava perfettamente la giovane ragazza silenziosa, quella dei maglioni larghi e dagli occhi spaventati e chiedeva sempre come stava.

Perché, per quanto potesse dire la gente, Matteo sapeva che il suo affetto per la giovane amica era incondizionato. Anche se il mondo pensava il contrario, Matteo sapeva che l'amicizia che lo legava a Greta era pura ed era rimasta immutata. Forte e robusta come un albero secolare. Pura come le nuvole che la ragazza dell'ultimo banco osservava in silenzio una mattina di settembre, quando il destino li fece incontrare. Un regalo delle nuvole stesse e delle ali delle rondini che volavano verso il caldo del sud.

Ed era per questo motivo che sapere Greta felice, rendeva Matteo, se possibile, ancora più contento.


Allora hanno bocciato Molinari?”

Greta beveva il suo succo di frutta alla pesca e guardava l'entrata del Liceo Galilei.

Sì! Lui e Mattioli. Sono andati completamente impreparati all'esame...” rispose Matteo sorseggiando la sua birra.

Forse pensavano di poter leggere dal libro come facevano quando erano all'interrogazione!” rispose quasi infastidita Greta poggiando il bicchiere e facendo girare la cannuccia.

Matteo rise e Lorenzo, passando le mani sulle gambe per scaldarsi, domandò:

E tu come hai fatto per l'esame?”

Greta sospirò e rispose:
“Come ho fatto... Ho semplicemente fatto l'esame scritto assieme agli altri. L'orale sono venuti a farmelo in ospedale. Ricordo che stavo allattando Gioia... Assurdo...”

Matteo sorrise e rispose:

Però è andata bene dopotutto. Eri preparata e ricordo che non ti hanno fatto nessuno sconto nonostante la gravidanza!”

La Castelli ha detto che era tutto merito tuo se son riuscita a prendere il diploma. E che dovresti fare l'insegnante. Le ho detto che era molto meglio di no!” replicò Greta tranquilla, volgendo di nuovo lo sguardo verso la scuola.

Gioia stava in piedi davanti ad una sedia, giocherellando con delle cose che aveva recuperato dalla borsetta della mamma. Di tanto in tanto diceva qualche parolina non bene articolata, rivolta ai giochi più che agli adulti che le stavano attorno.

I tre ragazzi stettero in silenzio per un po', poi Matteo disse:

E tua madre?”

Greta sospirò e mettendosi a sedere meglio disse:

Credo che abbia smesso di darsi colpe per tutto. O almeno è quello che sta cercando di fare. So che è riuscita dopo tutti questi anni ad ammettere che se suo fratello è morto quando era un bambino non era per colpa sua ma per colpa degli eventi... E per il suo ex compagno... Beh! Per lui le cose sono diverse. Di quello dobbiamo parlarne assieme. Almeno per quello che le ha detto lo psicologo!”

Ah! Va dallo psicologo? Non me lo avevi detto!” replicò Matteo prendendo il cellulare da tasca che trillava forte annunciando l'arrivo di un messaggio. Matteo lo lesse, sorrise e ripose il telefonino in tasca.

Sì! Da un annetto ormai. Credo che sia perché stava andando in depressione dopo tutto quello che è successo. È stata la nonna a dirle di andare. E sono felice che ci sia riuscita...” rispose Greta.

Anche quel piccolo passo per la nuova vita di Greta era davvero importante. La mamma di Greta aveva avuto una vita difficile. Tutto era cominciato un'estate di molti anni prima quando il suo fratellino più piccolo morì annegato quando lei lo aveva ancora in custodia. Matteo aveva saputo da Greta che quella colpa aveva sempre tormentato Nadia e che non si era mai ripresa completamente dal lutto.

Sapere che aveva cominciato ad andare da uno psicologo rendeva un nuovo inizio qualche cosa di concreto e non un semplice miraggio.

Greta sbuffò e disse:

Andiamo al Galilei? Voglio vedere la nostra vecchia classe...”

Matteo la guardò titubante e chiese:

Sei sicura?”

Greta finì in un solo sorso il suo succo e annuendo rispose:

Certo! Ho voglia di sapere chi sta all'ultimo banco!”

Matteo sospirò. Qualche cosa gli diceva che non era indicato per Greta andare nella vecchia scuola, specialmente in un momento così delicato.

Greta lo guardò e quasi leggesse i suoi pensieri disse:

Matteo... Per nessuno la dentro sarò la ragazza dell'ultimo banco. Sarò solo Greta Balestrieri, una vecchia alunna che ha deciso di andare a salutare i suoi vecchi professori e vedere la classe dove ha passato la sua adolescenza...”

Non puoi portare Gioia!” cercò di temporeggiare Matteo.

Lorenzo sorrise e rispose:

Tranquillo. Sta con me. Andate se volete. Noi vi aspettiamo qua...” e prendendo in braccio la bambina baciandole una guancia aggiunse: “... vero piccola?”

Gioia abbracciò Lorenzo ridendo divertita. Matteo spostò lo sguardo dalla bambina e Lorenzo, a Greta.

Tre contro uno... Aveva perso!


La voce della Castelli arrivava chiara a forte da dietro la porta:

Franceschini... Ti avevo detto che dovevi assolutamente portare la traduzione oggi oppure ti avrei messo due... Se non ce l'hai, come la mettiamo!”

Io un'idea ce l'avrei per Franceschini, professoressa...” gridò la voce di un ragazzo.

Tutta la classe rise. Matteo e Greta sorrisero sotto i baffi mentre la Castelli gridava:

Bosio. Smetti immediatamente di fare lo stupido e chiedi scusa alla tua compagna...”

Greta scosse la testa e sollevando il pugno picchiò l'uscio. Il silenzio calò di botto e la Castelli disse:

Avanti!”

Fu Greta ad aprire la porta. E fu Matteo l'unico dei due a sentirsi agitato dal tornare nella vecchia classe dove aveva compiuto gli studi di terza liceo e che ora ospitava una quarta ginnasio.

Ma quando la Castelli li vide e spalancò la bocca per la sorpresa, un po' dell'ansia andò via e Matteo, anzi, quasi si aspettava una ramanzina per aver fatto tardi.

Balestrieri! Zanin!” e sollevandosi andò a baciare i suoi due ex alunni, calorosamente.

Come state?” chiese la donna.

Bene!” sorrise nervoso Matteo.

Greta invece guardava verso il suo banco. Una piccola fitta al cuore la prese quando vide al posto suo e di Matteo due ragazze che parlavano fitto tra di loro, indicando Matteo e guardandolo con occhi famelici.

E tu Balestrieri? Che cosa studi adesso?”

Greta si voltò, sorrise e rispose:

Faccio giurisprudenza... Sono al passo con gli esami e ho la media del ventotto!”

Gli occhi della Castelli si riempirono di orgoglio guardando Greta e Matteo e indicando la classe che li osservava curiosa disse:

Qua invece non cambia nulla!” e sorridendo continuò a parlare con Matteo, mentre gli occhi chiari di Greta rimasero poggiati sull'ultimo banco.

Con un cenno della mano Greta si allontanò dalla professoressa che la guardò per un attimo confusa. Matteo rimase in silenzio, guardando l'amica che come un fantasma si avvicinava all'ultimo banco, quello vicino alla finestra.

Ti dispiace se mi metto a sedere?” chiese alla nuova occupante del banco una volta che lo ebbe raggiunto.

La ragazza con i capelli neri e gli occhi appesantiti dall'eye-liner, giocherellò con il piercing che aveva sotto il labbro al lato sinistro e annuendo di alzò e lasciò il posto a Greta senza dire una sola parola.

Greta sorrise, la ringraziò e si mise a sedere. E quando lo fece quasi sentì un nodo salire in gola. Un nodo difficile da mandare giù.

Le dita della giovane corsero sui vecchi tagli che aveva impresso nel banco.

La sporcizia e la polvere di quei due anni sembrava quasi li avessero guariti.

Un dito indugiò sulla parola PAURA e la vicina della ragazza che occupava il suo posto chiese:

Questo era il tuo banco?”

Greta sollevò gli occhi lucidi e guardò la ragazza, poi volse lo sguardo del suo migliore amico e sorrise:

No!” rispose: “La ragazza che occupava questo banco non c'è più!” e una lacrima scese veloce bagnando le labbra di Greta Balestrieri.


Claudia sorrise e abbracciò Greta dicendo:

Mi spiace quasi che non ci siamo potute conoscere a fondo quando stavamo nella stessa classe. Ero proprio una stupida...”

Greta scosse la testa e prendendo meglio la mano di Gioia rispose:

Non c'è problema. Vuol dire che ci conosceremo meglio adesso!”

Claudia annuì con un sorriso e abbracciò Greta sussurrandole:

Torna presto a trovarci!”

Ci puoi contare...” rispose l'altra.

Matteo la guardò staccarsi dalla sua ragazza e quando Greta le fu vicina sentì una strana sensazione di vuoto riempirgli il petto. La sua migliore amica stava già andando via. E chissà per quanto non l'avrebbe vista.

Tranquillo. Torno per il matrimonio di Michele...” sorrise Greta commossa quasi rispondendo ai pensieri dell'amico.

A Giugno mancano ancora cinque mesi!” replicò Matteo.

Greta sorrise e rispose:

So che aspetterai... Ci conto Zanin!” ribatté Greta con gli occhi sempre più lucidi.

Matteo chinò la testa per non guardare Greta negli occhi. Se lo avesse fatto sarebbe sicuramente scoppiato a piangere come un bambino. E non voleva farlo davanti a Claudia anche se un nodo alla gola stringeva sempre più forte, quasi volesse strozzarlo.

Greta lo abbracciò, cogliendo Matteo di sorpresa. E piangendo disse:

Voglio conoscere questa Daria di cui mi avete parlato tanto. E poi i matrimoni sono una cosa meravigliosa. Lo sai che li adoro...” e asciugando le lacrime con il palmo della mano aggiunse: “Arrivederci piccolo grande migliore amico...” e baciandogli una guancia scappò sul treno, con la testa china e la piccola Gioia per mano che voltata verso Matteo lo salutava muovendo la piccola manina avvolta nel guantino colorato.

Matteo rispose al saluto con gli occhi lucidi, stringendo Claudia.

Lorenzo seguì le due poco dopo, salutando a sua volta.

Poi il capotreno fischiò e l'intercity partì.

Greta era di nuovo volata via, verso la sua nuova vita, verso le nuvole come Remedios la Bella.

A vivere la sua nuova vita dove era solo Greta Balestrieri e non più la ragazza dell'ultimo banco.



FINE.




Bene!

Eccoci all'ultimo capitolo.

Come ho già detto la storia non sarebbe stata

lunghissima,

essendo nata da una one shot

scritta per il concorso di EFP di questa estate.

Ringrazio chiunque abbia letto questa storia. E ringrazio chi

l'ha aggiunta tra i preferiti, ricordati e seguiti in questo lunghissimo

periodo. Ringrazio chi ha recensito i capitoli:

OurThirteen, -Velvet-, maudsunrise, Pinkstuds ed elliepotter.

e Chiara e Irene che hanno letto la mia storia

e mi hanno fatto sapere il loro giudizio.

Spero che sia piaciuta a tutti.

Fatemelo sapere. Anche con una recensione che non fa mai male...

un bacio e grazie a tutte.

Niniel82.






















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