Spremuta d'arancia

di Lexi Niger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


A Francesca
che condivide il mio debole per i professori affascinanti.
A tutte le ragazze che non ne sono immuni.

Ringrazio infinitamente ThePoisonPrimula e Drama_Queen per il banner che hanno realizzato per la storia.

 

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Capitolo 1

 

Era ancora profondamente addormentata quando il cellulare aveva iniziato a squillare, provocandole un mezzo infarto per lo spavento. Stropicciandosi gli occhi con le mani, si prese qualche secondo per riaversi dallo sgradito risveglio prima di prestare attenzione al suo telefono che continuava imperterrito a proporle quell’orribile suoneria che lei non si era mai decisa a modificare.
«Pronto?» esordì poco convinta, soffocando a fatica uno sbadiglio.
«Tesoro?» indagò sua madre, preoccupata. «Stai bene?».
«Certo».
«Immagino tu stia per uscire» continuò, «quindi ti auguro buona fortuna per il tuo esame».
Quante volte avrebbe dovuto ripeterle che non si augura buona fortuna? In più di dieci anni sembrava non aver afferrato il concetto, eppure lei si era sforzata di trasmetterglielo..
Un momento, aveva davvero detto “immagino tu stia per uscire”?
Clara si voltò di scatto verso la radiosveglia sul comodino, pregando silenziosamente che il suo presentimento fosse sbagliato.
7.55.
L’orologio digitale aggiornò proprio in quell’istante l’ora, mentre la ragazza districava ansiosamente le gambe dal lenzuolo che, dispettoso, sembrava voler peggiorare la situazione.

«Mamma devo scappare».
Chiuse la conversazione senza aggiungere altro, consapevole che ogni minuto trascorso a spiegare cosa stava succedendo era estremamente prezioso per potersi vestire e sistemare prima di uscire.
Era in ritardo. No, era in uno spaventoso ritardo.
Marta le aveva dato appuntamento alle 8.20 per una colazione veloce prima dell’esame, come loro abitudine da ormai tre anni. Clara sapeva, anzi ne era certa, che violare quel rito avrebbe provocato conseguenze inimmaginabili. Non era superstiziosa, quello no, però perché cambiare le tradizioni quando queste sembravano produrre effetti positivi?
Si avviò a passo di marcia verso il bagno, sciacquandosi il viso che portava ancora i segni del cuscino, mentre le occhiaie della sera prima erano, se possibile, più evidenti.
Con qualche imprecazione poco fine mandò al diavolo la mancata sveglia e si fece una coda alta, raccogliendo i capelli che quella mattina sembravano proprio incapaci di assumere una forma accettabile.
Tornò in camera sbuffando, le premesse per una giornata disastrosa sembravano esserci tutte.
Ringraziò la sua diligenza che l’aveva spinta a preparare la borsa la sera prima, così da evitare di dimenticare a casa qualcosa di fondamentale. Aprì l’armadio, rapidamente estrasse un abito fiorato e un cardigan da abbinarci e se li infilò: non aveva il tempo di meditare sulla mise più adatta per l’occasione. Avvicinandosi al comodino recuperò la sua tracolla e, per vendetta, lanciò il cuscino contro l’orologio prima di uscire velocemente dalla stanza.

Sciocca, si rimproverò da sola, ma scoppiò a ridere rovinando la sua ramanzina.
Si precipitò letteralmente giù dalle scale, sperando di non incrociare nessun condomino che le rallentasse il passo. Arrivò in strada e si mise a correre verso la fermata del tram distante un centinaio di metri, mentre lo sferragliare del mezzo iniziava a essere udibile alle sue spalle.

Non posso perderlo.
Se lo ripeté come un mantra una dozzina di volte, mentre aumentava il ritmo delle falcate.
Si fermò solo davanti alle porte aperte, piegandosi in due sulle ginocchia con il fiato corto e i polmoni in fiamme.

«Serve aiuto?» le chiese cortesemente un signore anziano lì accanto.
Gli fece cenno di no con la testa, troppo in debito di ossigeno per articolare una frase intera di senso compiuto. Dopo un’ultima occhiata scettica l’altro si allontanò, occupando l’unico posto a sedere rimasto libero.
Era una giornata no, avrebbe dovuto prenderne atto, scendere da quel dannato tram e tornare sotto le coperte dove nulla di spiacevole sarebbe potuto accadere.
Il cellulare prese a squillare di nuovo, richiamando l’attenzione di un paio di ragazzini di fronte a lei che ridacchiarono. Era così oscena la sua suoneria?
Per un lunghissimo istante pensò di ignorarlo, convinta che fosse sua madre.

«Marta?» domandò incerta, dopo essersi decisa a rispondere.
«Dove sei finita?».
«Sto arrivando» tagliò corto.
Non era il caso di spiattellare il suo devastante inizio di giornata a tutti i presenti che sapientemente fingevano di interessarsi al panorama quando invece ascoltavano attentamente ogni sua parola.

«Sei già al bar?».
«Affermativo».
Affermativo? Sul serio? La sua amica guardava troppe serie tv poliziesche, era un dato di fatto.
«Prendimi una brioche alla marmellata e una spremuta di arancia, per favore».
Odiava sfruttare le altre persone ma, in quella situazione, o Marta le ordinava la colazione o l’avrebbe sicuramente saltata, conoscendo i tempi medi con cui i tavoli venivano serviti.

«Già fatto».
Ecco perché adorava Marta: sapeva raddrizzare il suo umore con un gesto gentile e completamente inatteso.

«Grazie. Sarò lì a minuti».
Quando finalmente scese dal tram ebbe l’istinto di mettersi a saltare per la gioia e la soddisfazione di essere arrivata in tempo per trangugiare il cornetto e non presentarsi all’esame a digiuno, rischiando di collassare sul foglio delle domande.

«Eccomi, eccomi, eccomi» cantilenò sbracciandosi mentre raggiungeva Marta al tavolo.
Un paio di uomini si voltarono nella sua direzione, probabilmente perplessi da quella manifestazione di gioia, ma Clara li ignorò lasciandosi cadere sulla sedia.

«Hai una faccia» commentò la sua amica, osservandola attenta.
«Non c’è bisogno che tu me lo dica, lo so benissimo» ammise sconsolata, addentando la brioche.
Era deliziosa, tiepida, come piaceva a lei.

«Cos’è successo?» indagò Marta, la cui curiosità era proverbiale.
«Non mi è suonata la sveglia».
«E’ un miracolo che tu ce l’abbia fatta allora» si complimentò l’altra.
«Davvero» ammise Clara. «Sarebbe stata una tragedia saltare questo esame».
Spazzolandosi le briciole dalle gambe recuperò la sua spremuta, portandosela velocemente alle labbra per dissetarsi dopo la colazione e la corsa di poco prima.

«Che schifo».
Per fortuna riuscì a trattenersi dallo sputare il sorso che aveva appena bevuto, altrimenti il vestito di Marta sarebbe stato irrimediabilmente rovinato.

«Che succede?» domandò l’amica, vedendo la sua faccia disgustata.
«E’ dolcissima. Imbevibile».
«Chiedi di portartene un’altra» le propose, cercando di calmarla.
Clara lanciò un’occhiata veloce all’orologio accorgendosi che erano già in ritardo, figurarsi se poteva concedersi il lusso di attendere un’altra spremuta, una decente.

«Lascia perdere» la rassicurò. «Porto il bicchiere al bancone e andiamo, ok?» propose, recuperando la sua borsa. E magari faccio il culo al barista tanto che ci sono.
Mentre passava cautamente tra due tavoli un ragazzo si alzò e le diede una spallata, involontariamente. La ragazza recuperò fortunatamente l’equilibrio, ma non riuscì ad evitare che la spremuta si rovesciasse al suo fianco, per terra.

«Scusami» si affrettò a dire l’altro. «Non mi ero accorto che ci fosse qualcuno».
Era carino, ancora di più per l’espressione supplichevole che gli si leggeva in viso.

«Sono Claudio» aggiunse spudoratamente, tendendole la mano e approfittando del momento.
Clara non fece in tempo a replicare perché fu interrotta da una voce proveniente da dietro le sue spalle.

«E io sono quello che gradirebbe la sua attenzione, se non è chiedere troppo».
Ma senti questo! Come si permette?
Si voltò infuriata, trovandosi di fronte gli occhi più azzurri che avesse mai visto.
Dopotutto  le cameriere non avrebbero dovuto pulire il pavimento, dato che la spremuta si era versata copiosamente sulla camicia e i pantaloni dello sconosciuto.

 

 

Considerazioni

Spero che abbiate gradito questo primo capitolo. Non è nulla di trascendentale, solo una storia che vuole lasciarsi leggere, senza troppe cerimonie. Si svilupperà in cinque capitoli, almeno se non cambio i miei progetti. Fatemi sapere se ne vale la pena.
A presto!
Lexi

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Si prese qualche istante per valutare la situazione, lasciando che il suo sguardo si muovesse lentamente dalla camicia azzurra incollata a un ventre piatto per poi scendere verso un paio di pantaloni beige dal taglio classico, irrimediabilmente rovinati da due macchie informi che si estendevano sulle cosce. Le scarpe erano immacolate, per fortuna. Clara si concesse un mezzo sospiro di sollievo.
«Si rende conto del disastro che ha combinato?» le chiese lo sconosciuto bruscamente.La ragazza indietreggio impercettibilmente, a disagio, e lui sembrò notarlo perché sul suo viso si dipinse un ghigno soddisfatto.
«Sì, ma è.. » iniziò, insicura su come impostare la propria difesa, ma fu di nuovo interrotta.

Perché nessuno la lasciava parlare?

«Colpa mia» terminò al suo posto Claudio.
Due paia di occhi si fissarono su di lui, sebbene animati da sentimenti contrastanti.
«Non si immischi» suggerì lo sconosciuto. «Questa discussione non la riguarda».
Usò un tono duro, definitivo. Ma l’altro non sembrò accorgersene, rimanendo immobile accanto a Clara che non sapeva se intervenire o approfittare dell’aiuto fornitole.
«Le ripeto che è colpa mia, la ragazza non c’entra nulla».
«Si risparmi l’interpretazione del cavalier servente per una diversa occasione» ribadì l’altro, con una forte dose di sarcasmo. «Sono certo che avrà altri impegni, quindi se ci vuole scusare.. ».
Claudio cedette, arretrando di qualche passo, ma si voltò di nuovo prima di imboccare definitivamente l’uscita.
«Vada, vada!» lo incitò lo sconosciuto, ormai esasperato. «Non vale la pena dannarsi per questa ragazzina, ne può trovare di meglio».
Clara gli lanciò un’occhiata di fuoco e il suo avversario rispose con un sorriso compiaciuto.

Ma chi si crede di essere?

«Allora, ragazzina, come.. ».
Non riuscì a proseguire perché fu distratto da un’altra persona che entrò nel locale, facendosi largo tra i tavoli con foga. Era Marta.
«Si può sapere che fine hai fatto?» esordì frustrata quando giunse a portata di orecchio. «Dobbiamo muoverci, altrimenti non ci lasceranno più sostenere quello schifoso esame».

Dannazione, l’esame!

Nella confusione di quegli ultimi minuti Clara si era persino scordata del ritardo stratosferico in cui si trovava, decisamente aumentato dopo aver perso tempo con l’imbecille che aveva di fronte.
«Devo andare» chiarì, recuperando la sua abituale fermezza di spirito.
«Non ci pensi nemmeno, non abbiamo finito».
Le agguantò un braccio mentre già si allontanava e la ragazza faticò non poco per scrollarsi di dosso quella presa salda.
«Ho un esame» ripeté scocciata.
«La scusa più vecchia del mondo» la canzonò lo sconosciuto, per nulla convinto e disposto a crederle.
«Vada a quel paese» concluse Clara, prima di scattare verso l’esterno, cogliendo sia Marta che il suo tormentatore di sorpresa. La sua amica la seguì subito, consapevole che avrebbero dovuto correre per arrivare puntuali all’appello.
«Non finisce qui».
Sentì la sua minaccia quando ormai era in strada e la ignorò totalmente, concentrata sul percorso più breve da seguire per arrivare davanti all’aula Bonanni.
«Giriamo di qui» suggerì l’amica alle sue spalle. «Dovremo salire meno rampe di scale».
Clara accettò volentieri il consiglio, dato che le forze potevano venirle meno da un momento all’altro. Giunsero a destinazione con il fiatone, trovando una folla corposa davanti alle porte d’ingresso.
«Non hanno ancora chiamato?» chiese Marta ad una ragazza al suo fianco, non appena si fu ripresa da quella maratona imprevista.
Non ci fu bisogno di risposta, poiché il vociare fastidioso degli altri studenti si spense improvvisamente, chiaro segnale che un professore fosse uscito dall’aula con la lista degli iscritti.
«Abate» chiamò una voce roca pochi secondi dopo, confermando la supposizione di Clara.
«Antonelli».
Un ragazzo dietro di lei la spintonò per passare, facendola finire addosso a Marta.

Allora era un’abitudine!

«Astori».
«Cos’è successo al bar?» le chiese sottovoce l’amica, distraendola.
«Ho rovesciato la spremuta sull’idiota che hai visto» le spiegò concisamente.
«Oggi non te ne va bene una» commentò l’altra, battendole una pacca sulla spalla in un gesto solidale.
«Così sembra».
Rimasero in silenzio ancora qualche minuto, attendendo che fosse il proprio turno.
«Montesi».
Clara si riscosse dai suoi pensieri e, dopo aver salutato Marta con un in bocca al lupo di buon auspicio, si diresse verso la porta con il tesserino identificativo in mano.
Il professore controllò che nome e cognome fossero corretti, lanciò un’occhiata rapida al suo viso per accertarsi che non vi fosse nessuno scambio di persona, poi si scostò lasciandola entrare.
La ragazza si lasciò cadere esausta in seconda fila, dal momento che quelle più lontane erano quasi totalmente occupate. Forse lì sarebbe riuscita a conservare un posto per l’amica, che avrebbe potuto rivelarsi molto più preziosa di qualche sconosciuto.
Purtroppo il suo piano fu mandato a monte da un tipo piuttosto sfigato che si diresse convinto verso la panca al suo fianco. Non era giornata, ogni più piccolo dettaglio sembrava sbatterglielo in faccia a gran voce. Poteva ancora alzarsi e ritirarsi, ma decise che avrebbe sfidato la sorte, con la caparbietà che era solita mostrare nelle situazioni più complicate.
Finalmente il professore rientrò alle spalle dell’ultimo studente, chiudendo la porta e invitandoli al silenzio. Facendosi aiutare da un paio di persone in prima fila distribuì il foglio con le domande, chiedendo di tenerlo voltato fino a quando non avesse dato inizio all’esame.
Erano ormai le nove e mezza quando Clara iniziò a leggere i quesiti, concentrandosi sui tranelli sicuramente nascosti nella loro formulazione. Il primo le sembrò eccessivamente semplice e tracciò un segno sulla risposta corretta con un po’ di diffidenza. Stava per passare al secondo quando un rumore la distrasse, calamitando la sua attenzione sulla porta aperta.

Non è possibile.

Lo sconosciuto era appena entrato, respirando faticosamente come se avesse fatto una corsa. Clara notò subito che si era cambiato, poiché ora indossava un paio di normalissimi jeans e una polo blu, parzialmente nascosta sotto una giacca di pelle marrone scuro.
Sembrava più giovane e, le costava ammetterlo, era dannatamente affascinante mentre si sistemava gli occhiali sul naso in imbarazzo.
«E’ in ritardo» lo rimproverò l’anziano professore seduto alla cattedra, mentre recuperava il foglio degli iscritti. «Lei è?».
«Giulio Visconti, professore di diritto costituzionale» si presentò, attirando gli sguardi sorpresi e adoranti di metà delle persone presenti, ovviamente di sesso femminile.
«Perdoni il mio errore» si affrettò a scusarsi l’altro.

Complimenti Clara, hai mandato a quel paese un professore!

Si batté una mano sulla fronte, dandosi della sciocca e protestando contro il destino che le riservava solo beffe, ma in questo modo attirò l’attenzione di Visconti che si era distratto ad osservare gli studenti.
La riconobbe subito, il suo viso mostrò incredulità per una frazione di secondo, prima di ricomporsi in un’espressione di studiata indifferenza.
«Questa non è l’aula Ponzi?» chiese tranquillo, mascherando perfettamente qualsiasi emozione stesse  provando in quel momento.
«No. E’ quella di fronte» spiegò Clara, senza riuscire a trattenersi.
Forse le sarebbe stato riconoscente e avrebbe dimenticato l’increscioso incidente del bar.
«Grazie, signorina» disse, rivolgendosi verso di lei solo per un attimo. «Mi scuso per l’interruzione, professore».
Si avviò spedito verso le porte da cui era entrato un paio di minuti prima e, senza che altri se ne accorgessero, le lanciò una penetrante occhiata.
Si era sbagliata: la minaccia era ancora lì, limpida nella furia che animava i suoi occhi azzurri.


 

Considerazioni

Rieccomi qui! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia divertite. Finalmente scopriamo chi è la vittima del disastro di Clara, nonché il suo persecutore. Che ne pensate di Giulio? E Clara?
Sono davvero al settimo cielo per i commenti che mi avete lasciato sullo scorso capitolo, spero di avere delle recensioni anche su questo perché mi aiutano molto a capire cosa vedete nella storia.
Ho aggiornato in fretta, non vi prometto che ci riuscirò sempre. BTW, ci proverò!
A presto!
Un bacio, Lexi

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Le occorsero svariati minuti per riprendersi e smettere di provare quella fastidiosa sensazione che la sua occhiata gelida e astiosa le aveva lasciato. A fatica provò a concentrarsi sulle domande del compito escludendo, per quanto le era possibile, il flusso di pensieri e riflessioni indesiderate che gli avvenimenti di quella mattina avevano provocato.
Maledetto Visconti, proprio oggi dovevo incontrarti!
Provò a respirare profondamente, ripetendosi che inveire contro di lui non avrebbe risolto la situazione né le avrebbe fatto ottenere un buon risultato all’esame.
Sforzati!
Sollevò lo sguardo, disperata, incontrando per caso quello dell’amica che le sorrise solidale. Ovviamente non poteva prevedere il caos che regnava nella sua mente, ma il suo supporto rese Clara più decisa a dimenticarsi delle sue disavventure e tornare ad affrontare i quesiti.
Purtroppo la commissione aveva previsto che gli studenti avessero solo quarantacinque minuti per rispondere a trenta domande, quindi si ritrovò a dover liquidare in fretta argomenti a cui normalmente avrebbe dedicato più attenzione. Quando l’anziano professore annunciò che il tempo era scaduto e li invitò a posare le penne, Clara sbuffò insoddisfatta, consapevole che il suo voto non sarebbe stato affatto soddisfacente. La confortò un poco il fatto che quell’esame servisse solo per fornire un’indicazione di massima per l’orale invece che essere un verdetto definitivo. Accontentandosi di tale magra consolazione, si avviò triste verso Marta che invece sembrava abbastanza contenta della sua prova.

«Com’è andata?» indagò subito l’amica, ritirando l’astuccio nella borsa.
«Poteva andare meglio».
«Allora è un 30» sospirò Marta sollevata, accennando un sorriso.
Clara sapeva che quella era la sua affermazione abituale dopo un compito, ma in quell’occasione non si trattava di una frase scaramantica buttata lì per non vantarsi.

«No, davvero» replicò affranta.
Marta sembrò valutare se crederle o meno, per poi decidere di tirarle su il morale comunque.

«Vedrai che ti sbagli».
Clara annuì per accontentarla, in fin dei conti non era colpa dell’amica se la sua testa aveva iniziato a perdersi in divagazioni impedendole di concentrarsi come avrebbe dovuto.
Insieme uscirono dall’aula, unendosi alla folla nel corridoio che defluiva verso le scale.

«Si fermi».
Udì a malapena quell’ordine poco velato nel frastuono che la circondava. Si girò verso Marta per valutare la sua reazione ma l’altra sembrava completamente assente, persa in chissà quale riflessione.
Probabilmente si era solo immaginata la sua voce.

Perfetto, sto impazzendo!
«Si fermi, dannazione».
No, non stava impazzendo. Lui era lì, dietro di lei, pronto a darle di nuovo il tormento. La prima ipotesi non sembrava poi così male alla luce della piega presa dagli eventi.

«Finalmente! Ha già attirato abbastanza l’attenzione dei suoi colleghi» sottolineò severo, appena lei si voltò.
Clara sbirciò intorno a sé, notando che in effetti qualche suo compagno guardava stupito quella scena insolita. Arrossì prima di riuscire a impedirselo.

«Che succede?» le chiese Marta, tornando sui suoi passi appena si accorse di aver lasciata indietro.
«Ho bisogno di parlare con la sua amica» chiarì il professore, anticipandola. «La prego di lasciarci».
La ragazza rimase impietrita, del tutto ignara del motivo per cui Visconti volesse avere un colloquio privato con Clara.

«Ti spiego più tardi» la rassicurò quest’ultima, invitandola ad accontentarlo. Dopo una leggera esitazione, l’altra lo fece, abbandonandola ad affrontarlo.
«Cosa vuole da me?» chiese scocciata non appena rimasero soli.
Lui le lanciò uno sguardo di odio cocente tanto che per un attimo lei pensò che l’avrebbe aggredita.

«Cosa voglio?» replicò incredulo. «Lei mi ha fatto fare la figura dell’idiota».
Forse perché lo sei.
«Guardi come sono vestito» continuò, afferrando i bordi della giacca di pelle con enfasi. «Qual è il primo aggettivo che le viene in mente vedendomi?».
Sexy.
No, non va bene. Non devi nemmeno azzardarti a pensarlo.

«Giovane» sparò incerta.
«Perfetto» batté le mani, per nulla felice. «Scommetto che invece professionale e preparato non le hanno nemmeno sfiorato il cervello».
«In effetti, no» confessò Clara.
«Lei sa cosa vuol dire insegnare a trent’anni?».
«Avere uno stuolo di ragazze che sbavano al suo passaggio?!» replicò lei senza riflettere.
Lui la fissò incredulo, per poi abbandonarsi ad una risata amara.

«Faticare per ottenere il rispetto degli studenti e la loro attenzione» chiarì serio.
Clara si sentì in colpa per qualche istante, accorgendosi di quanto lui sembrasse abbattuto. Ma si riscosse in fretta, riflettendo sulle sue effettive responsabilità in quella vicenda.

«Non dovrebbe guadagnarseli per la sua bravura?».
Si accorse di aver oltrepassato il limite quando i suoi occhi si ridussero a due fessure.

«Sta insinuando che non sappia svolgere il mio lavoro?» chiese furioso.
«Sto solo dicendo che ciò che indossa non dovrebbe importare se è un professore stimato» spiegò, assolutamente convinta della sua posizione.
«Ma cosa ne vuole sapere lei?» sbottò esasperato.
«Niente» ammise. «Quindi non c’è ragione che io rimanga».
Si voltò, sollevata, ma non riuscì a compiere più di un paio di passi prima di essere bloccata da lui, che le sbarrò la strada e la via di fuga rappresentata dalle scale. Erano soli nel corridoio, poteva permettersi di trattenerla anche contro la sua volontà senza che nessuno si meravigliasse di un simile comportamento da parte di un docente.

«Non può andarsene. Sto aspettando le sue scuse».
Usò un tono definitivo, facendole capire che non si sarebbe spostato da lì fino a quando non avesse ottenuto ciò che voleva.

«Mi scusi».
Lo disse in fretta, sottovoce, tanto che lui si piegò in avanti per riuscire a cogliere le sue parole.

«Con un po’ più di convinzione» intimò, per nulla soddisfatto. «E che sia udibile».
Clara prese un respiro profondo e lo fissò dritto nei suoi splendidi occhi azzurri.

«Mi scusi».
«Ora ci siamo» disse lui, accennando un sorriso tiepido. «Rimane il fatto che ha combinato un disastro: ha rovinato anche il libro che stavo leggendo oltre ai vestiti».
In quel momento estrasse dalla ventiquattrore un romanzo, le cui pagine erano state completamente inzuppate dalla spremuta, incollandosi le une alle altre. Aguzzando la vista Clara riuscì a leggere il titolo, mezzo sbiadito dall’incidente.

«Le ho fatto un favore» replicò sincera.
«Come?».
«Non ne valeva la pena» spiegò, indicando ciò che lui teneva tra le mani.
Lui la guardò allibito, incapace di credere che una studentessa potesse prendersi tali libertà.

«Quindi sarebbe un’esperta di letteratura?» la canzonò sarcastico.
«No» disse lei scrollando le spalle, indifferente alla sua sprezzante ironia. «Ma se ci tiene glielo ricompro, così almeno evita di sprecare i suoi soldi due volte».
Visconti scoppiò a ridere, inaspettatamente, anche se la ragazza non riuscì a capire se fosse divertito e sconcertato. Probabilmente una buona dose di entrambi.

«Sa una cosa?» disse lui quando riacquistò il dovuto controllo. «Avrei voluto essere un suo professore».
Clara rimase spiazzata da quella rivelazione, incapace di articolare una risposta decente. Aprì un paio di volte la bocca ma non riuscì a elaborare nulla di sensato per controbattere.

«Perché?» chiese infine, sentendo le guance in fiamme.
Non hai quattordici anni, non ha una cotta per te. Finiscila!
«Per potermi prendere qualche soddisfazione nei suoi confronti».
Lapidario. Freddo come una doccia ghiacciata.
Se ne andò prima che lei riuscisse a replicare alcunché. Clara rimase immobile in mezzo al corridoio, come una sciocca ragazzina, pregando il destino di non incrociare di nuovo la strada di Giulio Visconti.
Era sopravvissuta una volta, forse la seconda non sarebbe stata altrettanto fortunata.

 
 

Considerazioni

Ciao! Questo è un capitolo importante e purtroppo ho la sensazione di non averlo reso al meglio, non sapete quanto mi irriti questo fatto. Ma tant’è, non riuscivo a cambiarlo, quindi ve l’ho lasciato così. Fa schifo? Fatemelo sapere, in questo caso è davvero importante.
Mi auguro che abbiate ora un’immagine più chiara dei personaggi e dei loro caratteri.
Da domani torno a seguire le lezioni dopo la pausa esami e avrò meno tempo per scrivere, quindi probabilmente gli aggiornamenti saranno settimanali.
Vi ringrazio tantissimo per l’affetto che dimostrate verso la storia, ogni volta che trovo una recensione sorrido come una scema.
A presto!
Lexi

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Erano già le undici quando riuscì a lasciare l’università per dirigersi alla fermata del tram che l’avrebbe riportata a casa. Per colpa di quell’esame aveva completamente sprecato una mattinata di studio e, come se non bastasse, ora era di pessimo umore e sufficientemente stanca per sapere con certezza che avrebbe combinato poco o nulla anche durante il pomeriggio. All’orale mancavano solo un paio di giorni e Clara sentiva di non essere pronta, o almeno non abbastanza per ottenere un voto alto che la soddisfacesse e le permettesse di chiudere in bellezza il suo percorso accademico.
Si fermò sulla banchina, sbuffando risentita mentre infilava nelle orecchie gli auricolari e accendeva l’mp3 così da isolarsi dal resto del mondo. Forse non era un’idea brillante ascoltare musica ad alto volume quando avvertiva già un leggero mal di testa, ma nemmeno le chiacchiere inutili delle persone che la circondavano sarebbero state un toccasana. Scelse il male minore.
Proprio quando stava perdendo completamente la pazienza, per colpa del ritardo e di un bambino molesto che continuava a piangere nel passeggino, il mezzo pubblico arrivò e lei si affrettò a salire per cercare un posto libero. Si accasciò sgraziatamente sul primo che trovò, sentendo le sue energie venir meno.

Riprenditi, la giornata è ancora lunga!
Il traffico del centro decise ovviamente di dare il suo contributo, bloccando il tram ad ogni incrocio e costringendolo a procedere a passo d’uomo. Ad un certo punto l’avanzare si arrestò completamente senza che vi fosse alcun semaforo rosso a giustificare il fatto.
Clara si guardò intorno furiosa, cercando nelle espressioni dei presenti la stessa esasperazione che sicuramente caratterizzava il suo viso. Nessuno sembrava innervosito, nessuno scalpitava come lei per poter scendere, era assurdo!

«Mamma, guarda!» gridò un ragazzino, attirando l’attenzione verso un corteo che si scorgeva in lontananza. «Chi sono?».
La ragazza scattò in piedi e si spostò per vedere meglio, cercando di capire cosa stava succedendo.

Non è possibile.
Una manifestazione sindacale stava attraversando il viale che il tram percorreva per portarla a casa, impedendo totalmente la circolazione. Sentì distintamente il rumore del clacson suonato da automobilisti spazientiti almeno quanto lei, avendo la conferma che la strada era impraticabile per qualsiasi mezzo di locomozione.
Guardò l’orologio e si accorse che era già passata mezz’ora e che non poteva assolutamente permettersi di perdere altro tempo prezioso. Con un diavolo per capello marciò verso la testa e bussò insistentemente alla cabina del guidatore, che le aprì visibilmente sorpreso.

«Posso scendere, per favore?» chiese Clara.
«Non ci troviamo ad alcuna fermata» specificò l’anziano tramviere. «Non posso aprire le porte».
Stava scherzando?!
«Senta» ci riprovò la ragazza, con il tono più persuasivo del suo repertorio. «Sono di fretta. Non posso aspettare che il corteo finisca».
L’altro sembrò non cogliere l’urgenza della sua richiesta, o forse preferì ignorarla.

«E’ così giovane» sottolineò. «Si goda la vita invece di essere sempre di corsa».
Si goda la vita?
«Va bene, ascolterò il suo consiglio» disse accondiscendente. «Ora però mi lasci scendere».
«Mi piacerebbe accontentarla» ribadì l’anziano. «Ma è contro il regolamento».
Clara mandò a quel paese gli ideatori di quelle stupidissime norme che le vietavano di lasciare il tram e tornò a sedersi, non senza aver lanciato un’ultima occhiata astiosa al guidatore che aveva scrollato le spalle indifferente prima di rintanarsi di nuovo nella sua cabina.
Passarono una decina di minuti prima che gli slogan si attenuassero di intensità, segnalando che la manifestazione era passata. Il tram fortunatamente riprese la sua marcia e la ragazza dovette attendere solo un paio di fermate prima di poter rimettere piede a terra.

Grazie tante! Borbottò acida al mezzo che le sfilava davanti proseguendo il suo percorso.
Ormai esausta, si costrinse a salire le scale fino al quarto piano dal momento che la spia dell’ascensore segnalava che questo era occupato, probabilmente da un condomino scansafatiche che lo utilizzava anche abitando al primo piano. Le sembrò incredibile varcare la soglia del suo appartamento e potersi finalmente rilassare, certa che lì non sarebbe stata vittima di nuovi spiacevoli imprevisti.
Lanciò malamente borsa e cardigan sul divano all’ingresso, dirigendosi spedita in cucina alla ricerca di qualcosa che potesse mangiare velocemente per colmare la fame che iniziava a farsi sentire sotto forma di rumorosi gorgoglii del suo stomaco. Dopo una breve riflessione optò per una focaccia surgelata alla crescenza con pomodorini, che infilò nel microonde per fare prima.
Proprio mentre si apprestava a preparare spartanamente la tavola con una tovaglietta e le posate sentì il cellulare squillare.

«Marta?» domandò perplessa non appena riuscì a recuperarlo.
«Finalmente!» esclamò l’altra. «Temevo che non lo sentissi come al solito».
Sembrava sua madre quando la rimproverava per non aver risposto alle chiamate, anzi forse era persino più petulante, il che era tutto dire.

«Che c’è?» chiese per cercare di farla breve. Se le si dava corda la sua amica poteva anche tenerla incollata al telefono per un’ora, trovando sempre argomenti di cui discutere.
«Ti sei già dimenticata?».
Ok, era stata una mattinata snervante ed era a pezzi, ma non si poteva accusarla anche di essere rimbambita. Non ancora almeno.

«Ma di cosa stai parlando?».
«Delle spiegazioni che mi hai promesso un paio di ore fa» spiegò Marta, sbuffando sonoramente.
Le spiegazioni..
Clara chiuse gli occhi, passandosi una mano nei capelli nel tentativo di calmarsi ed evitare di inveire contro la sua amica, la cui curiosità si manifestava proprio nel momento meno opportuno.
«Cosa vuoi sapere?» si informò, mantenendo un tono neutro.
«Tutto!» affermò l’altra, scoppiando a ridere divertita.
Cosa ci fosse di divertente poi lo sapeva solo lei.
«Ci ha provato?».
Clara, che intanto aveva recuperato un bicchiere d’acqua per dissetarsi, rischiò di strozzarsi per quell’uscita inaspettata e dovette tossire ripetutamente per poter  riacquistare la voce.

«Sei impazzita?» disse incredula.
«Non vedo altri motivi per cui avrebbe voluto rimanere da solo con te» precisò l’altra, seguendo il filo del suo ragionamento.
«Voleva delle scuse per l’incidente di questa mattina» spiegò Clara, sperando di spegnere le fantasie dell’amica.
«E c’era bisogno di mandarmi via?» domandò stupefatta e un po’ indispettita.
«Probabilmente pensava di rendermi le cose più facili».
No, probabilmente lo aveva fatto per intimidirmi, approfittando della situazione favorevole.
«Che gentile!» esclamò Marta, sospirando con aria sognante.
«Non lo è affatto!» replicò Clara, difendendo il suo punto di vista. «Mi ha trattata come una ragazzina sciocca e pasticciona».
«Tu gli hai rovesciato la spremuta sui pantaloni» le ricordò giustamente l’amica.
E sulla camicia, se voleva essere precisa.

«Lo stai difendendo?» chiese incredula e arrabbiata. Dov’era finita la solidarietà femminile?
«Assolutamente no» si affrettò a chiarire l’altra. «Però è comprensibile che fosse arrabbiato con te».
«Non è stata colpa mia» ripeté la ragazza, esasperata.
Un cretino le era finito addosso e lei continuava a subire i rimproveri al suo posto, che ingiustizia.

«Ad ogni modo» proseguì Marta, tornando allegra. «Vedi il lato positivo!».
«Quale sarebbe?».
«Hai abbordato un figo da paura!» trillò, spaccandole i timpani.
«E’ un professore» sottolineò Clara.
«Non per te!» precisò l’altra, su di giri. «Stai per laurearti e lui insegna alla triennale».
“Per potermi prendere qualche soddisfazione nei suoi confronti”.
Rabbrividì impercettibilmente ricordandosi la frase con cui lui si era congedato. Effettivamente Marta aveva ragione, fortunatamente non sarebbe mai stato un suo professore.

«Non stai morendo dalla voglia di scoprire qualcosa su di lui?» continuò l’amica imperterrita.
«No, sto morendo di fame» replicò acidamente. «Ci sentiamo stasera».
Non le diede il tempo di replicare, chiudendo la conversazione.
Tornò in cucina per sfornare la sua focaccia, ubbidendo al segnale acustico del microonde che la avvisava che il piatto era pronto.

Starà pranzando anche lui?
«Marta, ti uccido!» giurò, sedendosi a tavola.
Ci mancavano giusto quei pensieri inopportuni a rovinarle il resto della giornata.


 

Considerazioni

Eccomi! Sono un po’ in ritardo e mi scuso con voi, ma non sono riuscita a scrivere il capitolo prima di stasera. L’ho riletto velocemente per pubblicarvelo in fretta, perché altrimenti avreste dovuto aspettare giovedì e mi dispiaceva. Quindi ditemi se ci sono strafalcioni e se vi piace, pur essendo un capitolo di passaggio.
Io vi ringrazio immensamente per l’affetto che dimostrate verso la storia, proprio non me l’aspettavo! Quindi grazie per le recensioni e grazie anche per chi ha inserito la storia nelle seguite.
Se qualcun altro volesse regalarmi il suo parere mi farebbe solo felice.
Detto questo vi lascio, spero di postare presto, ma l’università rende il tutto più complicato.
Un bacio!
Lexi

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Non ci mise molto a capitolare. Tagliò giusto una fetta, ingoiò frettolosamente un paio di bocconi scottandosi il palato, poi si alzò per recuperare il portatile che aveva lasciato sulla scrivania in camera la sera prima. Ufficialmente lo aveva fatto per avere un po’ di compagnia mentre pranzava, girovagando su internet per tenersi aggiornata su cosa accadeva nel mondo e tra i suoi amici.
Non ufficialmente invece..

No! Non esisteva un’altra versione.
Sbocconcellò ancora qualche pezzo di focaccia, mentre con le dita tamburellava impaziente sulla tastiera in attesa che il sistema operativo si avviasse. Non appena le applicazioni d’apertura si caricarono lanciò internet e si collegò a Facebook,  scorrendo distrattamente la bacheca per vedere se qualcuno aveva lasciato messaggi interessanti. Non trovò nulla, così decise di dare un’occhiata al sito del Corriere della Sera per leggere articoli di cronaca e politica: non che la entusiasmassero i dibattiti attuali tra partiti contrapposti anche se ugualmente inconcludenti, ma era sempre meglio avere un quadro della situazione del paese piuttosto che essere totalmente disinformati.
Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, si stufò velocemente, troppo stanca per prestare sufficiente attenzione a simili tematiche. Si allungò per spegnere il computer quando le tornarono in mente le parole di Marta.

Non stai morendo dalla voglia di scoprire qualcosa su di lui?
Si bloccò, indecisa se darle ascolto e lasciarsi trascinare dalla curiosità che caratterizzava l’amica e che lei aveva sempre criticato, oppure rimanere fedele a se stessa e alla propria indifferenza.
Oh, al diavolo! Non sto facendo nulla di male.
Si risedette, trascinando il portatile più vicino. Con un’inspiegabile frenesia digitò il suo nome nel motore di ricerca che le fornì in risposta numerose pagine che lo riguardavano o in cui veniva citato.
Aprì il suo profilo sul Linkedin, al cui vertice faceva bella mostra di sé una foto in bianco e nero che lo ritraeva serio, donandogli qualche anno in più di quelli che dimostrava.

Ma quanti anni ha?
Avidamente cercò la data di nascita, inserita tra i dati più strettamente anagrafici: 18 novembre 1981. Non aveva ancora trent’anni e già gli era stata affidata una cattedra, un caso più unico che raro in una realtà accademica dove la maggioranza dei professori aveva un’età avanzata.
Favoritismi?
Clara sperò intensamente per qualche istante che lui fosse un raccomandato, uno dei numerosi esempi della pratica di nepotismo che vigeva in numerose università. Ma dovette ricredersi in fretta, bastò infatti una lettura del suo curriculum per capire cosa avesse spinto il rettore ad accordagli fiducia: laurea conseguita a pieni voti con una tesi che aveva ottenuto infiniti elogi, un dottorato in diritto costituzionale italiano e uno a Oxford per approfondire la conoscenza in ambito internazionale. Non vi erano dubbi che fosse stato accolto a braccia aperte quando aveva deciso di stabilirsi nel suo paese piuttosto che all’estero, come invece avevano preferito molte persone di talento: i suoi studenti erano fortunati ad avere un insegnante così preparato.
Chissà se è davvero bravo a spiegare?
Incapace di fermarsi, lo cercò nell’elenco docenti dell’università, dove ancora una volta si imbambolò di fronte alla foto che lo mostrava quasi sorridente, con  un’espressione più rilassata rispetto a quella dell’altro profilo.
Ma i cervelloni non dovrebbero essere brutti?
Non riusciva a credere che Giulio Visconti fosse stato così spudoratamente baciato dalla dea bendata che gli aveva conferito insieme bellezza e intelligenza: doveva avere qualche difetto, qualcosa a cui lei potesse aggrapparsi per non cadere vittima del suo fascino.
Mentre combatteva la sua battaglia personale per convincersi di detestarlo, le cadde l’occhio sul’orario delle lezioni, accessibile dalla sua pagina.

Fermati, Clara!
Senza prestare ascolto ai moniti del proprio cervello lo aprì e rimase pietrificata quando si rese conto che la sua ultima lezione si sarebbe tenuta proprio quel pomeriggio. O meglio, da lì a un’ora.
“Approfondimento sui diritti legati al sistema previdenziale e assistenziale” recitava il programma allegato, dandole il colpo di grazia.
Possibile che dovesse affrontare un argomento che le suscitava ancora non pochi dubbi e sul quale le avrebbe fatto comodo un ripasso, tanto più se questo le offriva l’occasione di assistere a una sua spiegazione?

E’ destino, avrebbe cantilenato Marta se fosse stata a conoscenza della novità.
Se esisteva il destino, le era sicuramente avverso dal momento che l’aveva messa in una situazione spinosa, lasciandola ad arrovellarsi su quale fosse la scelta più sensata.

Devi studiare, hai solo due giorni!
Eppure la tentazione di vederlo nel suo ambiente era troppo forte per essere messa a tacere dalla sua coscienza di studentessa modello, sempre pronta a fare la cosa giusta.
Come in preda a un attacco isterico iniziò a percorrere lo stretto spazio della cucina avanti e indietro, sbuffando e scombinandosi i capelli che aveva liberato dalla coda. Per un attimo pensò di rivolgersi a Marta, ma si rese subito conto che la sua amica non sarebbe stata obiettiva nel suo parere: doveva decidere da sola.
E così fece, mettendosi a correre tra il bagno e la camera da letto nel tentativo di risultare presentabile e, se possibile, anche attraente.

Attraente? Non volevi passare inosservata?
Ma la vanità femminile prese il sopravvento, facendole sprecare minuti preziosi davanti allo specchio per trovare l’abbinamento giusto e applicare una leggera dose di trucco sulle guance.
Alla fine era soddisfatta ma tremendamente in ritardo, tanto che pensò di rinunciare all’ultimo, salvo poi ricredersi un istante dopo: era la sua unica occasione, non poteva gettarla via!
Fortunatamente il tram non si bloccò nel traffico e Clara arrivò in aula con qualche minuto di anticipo, prendendo posto nelle ultime file accanto a un gruppo nutrito di ragazze che chiacchieravano tra loro, preoccupate per gli imminenti esami.
Visconti entrò quando l’orologio segnava esattamente le tredici e trenta, sorridendo alla classe mentre posava la valigetta sulla cattedra.

E’ persino puntuale!
«Bentrovati» esordì appena si fu seduto. «Oggi cercheremo di essere concisi ma essenziali, non voglio trattenervi qui più del dovuto».
Un mormorio di assenso si diffuse tra i presenti e Clara dovette ammettere che quel discorso gli era sembrato dannatamente ragionevole.
«Sbaglio o qui dentro si muore di caldo?» continuò il professore, alzandosi per sfilarsi la giacca dello splendido completo grigio perla che indossava. Dozzine di occhi seguirono attentamente i suoi movimenti, non perdendosi nemmeno un dettaglio del suo corpo e così fece anche Clara, rimproverandosi al contempo di essere una sciocca ragazzina infatuata di un uomo più grande.
Dandosi un contegno estrasse dalla borsa un quaderno e una penna, concentrandosi sulla spiegazione e prendendo appunti qualora un concetto le risultasse nuovo o fosse espresso da un punto di vista diverso da quello a cui era abituata.
Visconti spiegava con la Costituzione aperta in una mano, pronta per essere sfogliata e consultata, e uno schema appoggiato davanti a lui per non divagare come invece accadeva a molti docenti. La sua lezione risultò immediatamente molto lineare ma al contempo coinvolgente per il suo modo di arricchire i concetti esposti con esempi concreti che, secondo lui, aiutavano gli studenti a fissare meglio i punti chiavi per non scordarli.
Trascorse un’ora senza che Clara quasi se ne accorgesse, quando invece era solita controllare ogni due minuti l’orologio durante le sue ordinarie lezioni di diritto. Si riscosse dai suoi scarabocchi solo quando sentì che il tono della sua voce era cambiato, divenendo meno accademico.

«Ci prendiamo una pausa di cinque minuti?» chiese, ottenendo ovviamente un assenso unanime.
Uscì velocemente dall’aula e Clara si guardò intorno per vedere se altri studenti seguivano il suo esempio. In effetti qualcuno si era alzato per andare a prendere una boccata d’aria o una bibita rinfrescante, ma lei rimase inchiodata alla panca, indecisa se approfittare dell’occasione per andarsene o rimanere fino alla fine dell’ora successiva.

Hai già perso troppo tempo!
L’amara verità era che quel pomeriggio di follia l’avrebbe pagato quella stessa sera, quando sarebbe stata costretta a rimanere alzata fino a tardi per recuperare le pagine che avrebbe dovuto studiare in quelle due ore.
Attanagliata dai rimorsi, ritirò le sue cose in borsa e si alzò per allontanarsi approfittando del caos generale che l’avrebbe resa invisibile.
Purtroppo il suo piano si infranse quando sulla porta si scontrò con una persona che stava a sua volta entrando, tenendo tra le mani una lattina di Coca-Cola aperta che si rovesciò in parte sul pavimento per la prontezza di riflessi che l’altro dimostrò nell’indietreggiare.

Questa volta mi uccide, pensò disperata mentre fissava un Giulio Visconti incredulo ed esasperato.

 

 

Considerazioni


Ecco un altro capitolo per voi. Clara alla fine ha ceduto, incapace di resistere alla possibilità di vedere Giulio nel suo ruolo di professore. Ma la buona sorte non è dalla sua parte, visto che il suo tentativo di svignarsela fallisce miseramente. Cosa penserà Giulio?
Nello scorso capitolo ho notato una flessione nelle recensioni, spero che sia perché non avete avuto il tempo di lasciarle e non perché vi siete accorte che la storia non le merita. Ovviamente non sto a ripetervi quanto i vostri pareri siano preziosi, anche se negativi, quindi se avete qualche critica fatemela pervenire senza problemi.
Cerco di aggiornare settimanalmente, come avrete notato, ma non posso darvi la certezza che sarà sempre così. Anyway, mi impegnerò al massimo per rimanere costante.
A presto!
Lexi

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Si erano guardati negli occhi per un tempo che le era sembrato eterno, rimanendo in assoluto silenzio, incapaci di credere alla sfortuna che li aveva fatti incrociare, o meglio scontrare, di nuovo.
Poi Giulio aveva distolto lo sguardo per analizzare la macchia bruna che si era sparsa sul pavimento, arrivando a lambire le sue lucide scarpe nere.

Almeno non l’ho sporcato.
«Promettete di non dire a nessuno che sono stato io a portare una lattina in classe» disse divertito rivolgendosi alla classe, che lo assecondò scoppiando in una risata solidale.
Clara lo osservò mentre si godeva il momento di ilarità dopo aver appoggiato la Coca-Cola al sicuro sulla cattedra, non sapendo se uscire o restare ad aspettare una sua reazione.
Ci pensò il professore a porre fine ai suoi dubbi, tornando a prestarle attenzione dopo averla deliberatamente ignorata per un minuto buono.

«Per favore vada a chiamare il responsabile di piano e gli dica di mandare qualcuno a ripulire il disastro che ha combinato» suggerì, lanciandole un’occhiata che la sfidava a disobbedirgli.
Clara si sentì avvampare e dovette fare un enorme sforzo per non balbettare la sua timida protesta.

«Veramente io.. » iniziò, ma non riuscì a proseguire perché Giulio non le fornì il tempo sufficiente per difendersi.
«Non stava comunque uscendo?» sottolineò infatti, con un sorriso compiaciuto.
“Per potermi prendere qualche soddisfazione nei suoi confronti”, le sue parole riecheggiarono limpide nella sua mente.
Quale migliore occasione di questa?
La ragazza si trovò suo malgrado a dovergli dare ragione e ad annuire.
«Allora si muova così non perderà la spiegazione» la incitò, sembrando persino preoccupato per lei. Era un ottimo attore, senza dubbio abbastanza abile da strappare qualche espressione sognante alle ragazze sedute in prima fila.
Clara indietreggiò imbarazzata, sgattaiolando il più in fretta possibile fuori dall’aula e dirigendosi verso il bancone dove sperava di trovare l’uomo che le era stato detto di cercare. Ovviamente la cattiva sorte che la perseguitava dal mattino non dava segni di volerla abbandonare per dedicarsi ad altri, così si ritrovò appoggiata al muro in attesa che il responsabile tornasse da chissà quale commissione che lo aveva fatto assentare.
Trascorsero una decina di minuti in cui la ragazza soppesò l’idea sempre più allettante di mandare a quel paese Giulio e la sua richiesta per recarsi a casa dove l’attendeva il manuale di diritto, rimasto a prendere polvere sulla sua scrivania. Ma il desiderio di non dargliela vinta, permettendogli di farsi beffe di lei alle sue spalle di fronte ai suoi studenti, fu più forte di qualsiasi altro pensiero, così Clara si mise a vagare per i corridoi coltivando la speranza di incontrare fuori da qualche aula il responsabile del piano.

«Scusi» lo chiamò a gran voce, scorgendolo voltare l’angolo diretto verso un’altra ala dell’edificio.
Fortunatamente l’altro la sentì e arrestò la sua camminata, permettendole di accostarsi.

«In aula Maggiore è stata rovesciata una bibita sul pavimento, il professore mi ha chiesto di avvisarla» spiegò cercando di arrivare subito al punto.
«Chi è stato?» domandò l’uomo, come se fosse un aspetto rilevante della faccenda.
A quanto pareva prendeva davvero sul serio il divieto di portare lattine all’interno delle aule.
Per un attimo Clara fu tentata di incolpare Visconti e provocargli un richiamo, ma decise che era meglio evitare di fornirgli un ulteriore motivo per odiarla.

«Uno studente» confessò, rimanendo volutamente sul vago.
L’altro sembrò rassegnarsi al fatto che non avrebbe ottenuto il nome di un colpevole, poiché si congedò sbrigativamente.

«Manderò qualcuno a pulire».
La ragazza aspettò di rimanere sola per fargli il verso e ripercorrere rapidamente la strada fino all’aula. Arrivata sulla porta esitò qualche secondo prima di farsi
coraggio ed entrare.

«La davamo per dispersa» proruppe subito lui, sorridendo ironico, scatenando una nuova ondata di risate.
Clara non lo degnò di uno sguardo e forse fu quel suo moto di orgoglio a irritarlo, spingendolo a tormentarla ancora.

«Non si sieda nelle ultime file, potrebbe distrarsi e chissà quale guaio combinerebbe stavolta».
Stronzo.
Si divertiva un mondo a umiliarla davanti a tutti, facendola sentire una completa idiota quando invece lei era abituata a essere trattata con rispetto proprio perché ritenuta una persona saggia e affidabile. Imponendosi di non arrossire, estrasse i suoi appunti e si mise in ascolto, sperando che almeno quella lezione si rivelasse utile ai fini del suo esame.
Quando le due ore furono strascorse Visconti annunciò soddisfatto la fine del corso, invitando chi nutrisse dubbi a contattarlo per ricevere ulteriori chiarimenti e augurando a tutti un sincero “in bocca al lupo” per la prova orale che si sarebbe tenuta a distanza di qualche giorno.
Clara recuperò la sua roba e si diresse verso l’uscita posteriore che dava sulla scala antincendio, nel tentativo di defilarsi prima di subire altre ritorsioni. Quando la porta non si aprì pensò di aver sbagliato tirando, così provò a spingere ma il risultato fu lo stesso: era chiusa.

Maledizione!
Inferocita si voltò per tornare sui suoi passi, mentre Visconti la seguiva divertito, scoppiando in una risata a stento trattenuta quando lei arrivò a portata d’orecchio.
«Teme che la voglia uccidere?» la canzonò.
«Non saprei» ammise Clara, incerta.
«Per questa volta la risparmio» continuò lui, inaspettatamente di buon umore.
E certo, mi hai già reso lo zimbello della situazione!
«Dopotutto mi ero sbagliato».
«Su cosa?» domandò lei, spaesata dal cambio repentino di argomento.
«Sulla questione del rispetto» chiarì lui. «Oggi la classe era al completo nonostante la pessima figura che lei mi ha costretto a fare stamattina».
Te lo aveva detto.
Si trattenne dal ribattere acidamente, onde evitare che il suo slancio di bontà svanisse velocemente, come neve al sole.

«Meglio così» confermò lei, avviandosi verso l’ingresso. «Arrivederci».
«Aspetti» ordinò lui, sorprendendola. Si affrettò a raccogliere le sue cose e la raggiunse con un paio di ampie falcate. «Mi tolga una curiosità».
Clara lo fissò spaesata, mentre lui la precedeva aprendole la porta e lasciandola passare prima di richiuderla alle sue spalle.

E questa galanteria?
«Sarebbe?» chiese, leggermente agitata. Non si poteva mai sapere cosa passasse per la testa di quell’uomo.
«Perché si è presentata alla mia lezione oggi?».
Merda.
Aveva sperato con tutta se stessa di passare inosservata proprio per potersi sottrarre a domande spinose da parte sua e invece ora si trovava lì, senza possibilità di fuga.
«Avevo dei dubbi sull’argomento» spiegò, cercando di apparire convincente.
Giulio fece per replicare quando il suo cellulare si mise a squillare, costringendolo ad allontanarsi di qualche passo per rispondere in privato.

Grazie al cielo! pensò Clara, a cui la chiamata sembrava l’opportunità perfetta per darsela a gambe e fuggire dall’interrogatorio alla quale la stava sottoponendo. Lui dovette intuire tali pensieri dalla sua espressione perché le intimò con la mano di non muoversi.
Non lo sa che il mondo non gira intorno a lui?
La ragazza sbuffò scocciata, arrendendosi alla sua volontà. Per ingannare il tempo nell’attesa si guardò intorno in cerca di qualcosa di interessante, ma il corridoio era quasi completamente deserto così ben presto la sua attenzione fu calamitata dalla sua figura alta e slanciata e dalle sue invitanti labbra che si dischiudevano ritmicamente per sostenere la conversazione.
Sei patetica, sappilo.
Quando Giulio finì la telefonata tornò subito da lei, riprendendo a camminare in direzione dell’uscita, ignaro dell’esame dettagliato a cui era stato sottoposto.

«Allora le è servita?» riprese da dove si erano interrotti.
Clara lo guardò spaesata, non capendo a cosa si riferisse.

«La mia spiegazione» le ricordò lui, lanciandole un’occhiata indagatrice.
«Oh, sì» affermò la ragazza dopo qualche secondo di esitazione. Secondi che le costarono cari.
Lui sorrise furbescamente, fermandosi all’improvviso e fissandola intensamente.

Perché non prevedo nulla di buono?!
«Ora mi dice il vero motivo?» domandò lui serafico, come se non avesse creduto a una sola delle sue parole.

 
 

Considerazioni

Eccovi il nuovo capitolo. Vi aspettavate un  Giulio arrabbiatissimo, ditemi la verità! Invece questa volta ha agito in maniera più sottile, umiliando quanto bastava la nostra Clara ed evitando scenate assurde e poco consone a un professore. Giulio si era essenzialmente irritato con lei la prima volta per il timore di aver perso la stima dei suoi studenti, ora invece, rassicurato dalla partecipazione alla sua ultima lezione, sembra lasciar correre questo secondo incidente, per di più perché non gli ha procurato altri danni. Ma il bel professore non rinuncia a togliersi qualche curiosità, mettendo Clara in una situazione spinosa. Come ne uscirà? Gli dirà la verità?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di avere come sempre un vostro parere. Colgo l’occasione di ringraziare chi mi lascia una recensione dall’inizio e chi si è
aggiunto solo recentemente, grazie infinite! Nel frattempo provvedo a rispondere alle vostre splendide recensioni sullo scorso capitolo.
Se questa storia procede è anche merito vostro :)

A presto! 
Lexi

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Nel corridoio ormai deserto regnava un silenzio surreale, Clara avrebbe giurato che i battiti accelerati del suo cuore si sentissero anche a distanza di qualche metro, quindi cercò di rilassarsi per evitare che Visconti si rendesse conto di averla mandata nel panico.
Che mi invento?
Ovviamente non aveva speso un solo istante a meditare su un piano di emergenza qualora lui l’avesse scoperta e ora era lì, immobile, senza un’idea per tirarsi fuori da quella situazione imbarazzante in cui lui l’aveva messa. Giulio intanto se ne stava in piedi di fronte a lei, tranquillo, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione e non scorgesse modo migliore per impiegarlo.
Disperata, provò a valutare un paio di ipotesi, ma dovette scartarle subito perché poco plausibili: non poteva rifilargli la prima cosa che le passava per la testa sperando che abboccasse, era troppo sveglio. Alla fine decise di mantenere la sua versione iniziale, sperando di riuscire a convincerlo.

«È la verità» disse seria. «Avevo dei dubbi».
Giulio sembrò soppesare attentamente le sue parole, continuando a studiarla con i suoi occhi azzurri che la mettevano in difficoltà.

«Come sapeva che avrei trattato quegli argomenti?» chiese, rimanendo diffidente.
E ora?
Clara si sentì come un topolino indifeso, stanato da un gatto che non le lasciava vie di fuga e la incalzava, spingendola con le spalle al muro fino a quando non sarebbe capitolata, sconfitta. Non poteva ritrattare quanto aveva sostenuto fino a quel momento, né poteva avvalorare quella tesi senza ammettere di aver consultato con attenzione il programma del suo corso.
«Ho letto il sillabus» ammise, cercando di rimanere impassibile.
Sono pur  libera di farlo, no?!
«Bene» continuò lui, annotandosi mentalmente l’informazione ed elaborandola per continuare quella sottospecie di tribunale dell’inquisizione. «Lo sa che si trova solo sulla mia pagina personale?».
Lo sapeva. Come ogni singolo studente di quell’università anche lei conosceva l’organizzazione del sito web e il posizionamento dei contenuti all’interno delle numerose sezioni.
Si limitò ad annuire, sperando che lui si accontentasse e smettesse di trattenerla lì, per tormentarla.
Fu un’illusione di breve durata.

«Perché ha visitato la mia pagina?» indagò sospettoso.
Sono spacciata.
Non c’era una singola giustificazione che le venisse in mente che non la rendesse ridicola o assolutamente folle. Lui non era un suo professore, lei non seguiva un suo corso, perché diavolo sarebbe dovuta finire lì?

«Allora?» la incalzò lui, non lasciandole il tempo di macchinare una scusa credibile.
«Ero curiosa» confessò, arrossendo per l’imbarazzo.
Avrebbe pagato qualsiasi somma di denaro per evaporare e dissolversi nell’aria, sottraendosi a quello sguardo al contempo lusingato e incerto che lui le rivolse e che peggiorò il rossore che già le infiammava le guance.

«Di me?» domandò, giusto per avere una conferma delle sue deduzioni.
«Del suo curriculum» precisò Clara. Dopotutto non si trattava di un profilo personale, non c’erano indizi sui suoi gusti musicali o foto della sua vita privata, per quanto le sarebbe piaciuto scoprire qualcosa in più su di lui.
Idiota!
«Perché?».
Visconti non si arrendeva, non mollava la presa, come un cane che ha agguantato un osso e non ha intenzione di rinunciarvi fino a quando non lo ha sgranocchiato a dovere. Lei era quell’osso.

«Speravo fosse un raccomandato».
Glielo disse senza mezzi termini e mezze misure, tanto ormai non aveva più senso cercare di nascondersi dietro una facciata che non la rappresentava e a cui, in ogni caso, lui non sembrava dare credito.

«Sarebbe stato più facile giustificare la sua presenza qui, come docente, in mezzo a centinaia di colleghi più anziani».
Giulio rimase senza parole di fronte a quella dichiarazione, il viso pacato stravolto dall’espressione incredula di chi non si aspetta una rivelazione di tale portata.

«Così si è convinta che sono preparato?» chiese, leggermente piccato.
Sei stata delicata come un elefante, complimenti!
Clara avrebbe dovuto scusarsi per essere stata così schietta e probabilmente inopportuna, ma lui non si era di certo comportato in modo irreprensibile nei suoi confronti, quindi non lo fece. Se quella era una sorta di sfida, erano pari.
«Il suo percorso accademico è eccellente, per questo ho deciso di approfittarne e seguire la sua lezione» spiegò, cercando con quell’apprezzamento velato di rimediare alla sua uscita precedente.
Lui la fissò a lungo, costringendola a distogliere lo sguardo per evitare di sentirsi troppo esposta.

«Forse» esordì lui alla fine.
«Forse?».
Perché non le dava fiducia nemmeno quando era stata completamente sincera con lui?

«Sì, esatto» replicò lui, sorridendo inaspettatamente. «La vera ragione è un’altra».
«Quale?» indagò allora Clara, esasperata dal suo atteggiamento diffidente.
«Lei voleva accertarsi di persona che fossi un professore degno della propria cattedra».
Touchè.
Quell’insinuazione la colse completamente alla sprovvista, togliendole la lucidità per protestare veementemente contro quella che aveva tutte le caratteristiche di un’accusa. In fondo, senza rendersene conto, ciò che l’aveva convinta a recarsi in università quel pomeriggio era proprio la volontà di scoprire se lui fosse bravo quanto sulla carta sembrava essere.
«No».
Cercò di difendersi, afferrando saldamente quell’ultimo lembo di dignità che le era rimasto e che lui non sarebbe riuscito a strapparle.

«Sì invece» ribadì lui. «Non provi a mentirmi, me ne accorgo».
Bugiardo.
Lui sembrò captare il suo scetticismo perché sorrise soddisfatto, prima di darle la dimostrazione concreta che era lei in errore e non viceversa.
«Quando sta dicendo una bugia i suoi occhi si velano» affermò sicuro.
«Si velano?» domandò lei, colta di sorpresa.
«Esatto» chiarì lui. «Perdono la luminosità che li contraddistingue e quel piglio battagliero che hanno quando invece si infervora su questioni in cui crede fermamente».
Amen.
Clara rimase a bocca aperta, fissandolo stupefatta mentre la sua mente ripercorreva il suo discorso che non faceva una piega e che la descriveva meglio di quanto le sue amiche avrebbero mai potuto fare. Forse nemmeno sua madre sarebbe riuscita a eguagliarlo.
«Sono un buon osservatore» si giustificò lui, scrollando le spalle come a sminuire l’importanza dell’affermazione appena fatta.
«Probabilmente ha ragione» ammise lei, cercando di riacquistare la lucidità che aveva perso dopo che lui aveva definito i suoi occhi luminosi.
«Vede, non ci voleva poi molto» concluse orgoglioso, senza tracce dell’amarezza che lei aveva intravisto poco prima quando aveva messo in discussione il suo operato.
Clara non rispose, si limitò ad affiancarlo e a percorrere il corridoio insieme a lui, sperando che le loro strade si separassero prima che succedesse qualcos’altro di spiacevole. Si fermarono entrambi quando giunsero alle scale che avrebbero condotto lei all’uscita e lui verso un’altra ala dell’edificio dove era diretto. Era pronta per salutarlo e darsela a gambe quando lui la stupì di nuovo, con una delle sue uscite imprevedibili.

«Ha risolto i suoi dubbi?».
Usò un tono premuroso che la confuse più di quanto già non fosse.

«In parte». Non provò nemmeno a mentirgli, l’avrebbe scoperta immediatamente. «Vedrò di rimediare al resto stasera e domani».
«La posso aiutare, se vuole» propose, senza alcuna sfumatura che indicasse se l’idea gli andasse a genio o meno. «Domani ricevo nel mio ufficio».
Perché mi fai questo?
Non poteva rifiutarsi, non dopo il modo in cui si era comportata nei suoi confronti. Si offenderebbe, si ripeté mentalmente un milione di volte per convincersi che quella scelta non era dettata da motivazioni personali ma da un’improvvisa cura nei suoi confronti.
«Ci sarò» affermò, nascondendo l’euforia che provava e che l’avrebbe spinta a saltellare se si fosse trovata nell’intimità di casa sua.
Cominciò a indietreggiare pur senza voltarsi, mormorando un saluto e un ulteriore ringraziamento, così non si accorse dei gradini alle sue spalle fino a quando il pavimento non le mancò sotto i piedi, letteralmente.

No, ti prego, una caduta no.
Si stava già immaginando la scena imbarazzante che sarebbe seguita quando Giulio le afferrò un braccio, tirandola tempestivamente verso di sé e salvandola dalla figuraccia che sicuramente avrebbe fatto.
Si scostò a fatica dal suo petto solido, con il fiato corto e il cervello in panne. Lui non le fu certo di aiuto, perché si piegò preoccupato verso di lei, posandole una mano sulla spalla per evitare che lo spavento la destabilizzasse.

«Sta bene?» indagò, scrutandola con i suoi occhi attenti alla ricerca di qualche segno di malessere.
No, sei troppo vicino.
Annuì, stampandosi un sorriso falso sul viso che lo rassicurasse quanto bastava per farlo allontanare. Ci riuscì, infatti Giulio si congedò velocemente per recarsi a un appuntamento di lavoro, o così le sembrava di aver colto dalla sua ultima frase.

Se non ci riesco ora, come farò a concentrarmi domani?

 

 

Considerazioni


Ecco un nuovo capitolo, che avevo ben sviluppato nella mia testolina ma che non sono per nulla convinta di aver reso bene sulla carta. E’ un passaggio importante nell’economia della storia, quindi vi prego di farmi sapere cosa ne pensate perché questa volta ne ho davvero bisogno. Faccio appello anche a quei lettori silenziosi di cui non conosco l’opinione pregandoli di darmi un parere.
Per il resto, mi auguro di essere riuscita a trasmettervi l’agonia di Clara e anche l’incertezza di Giulio, che colpisce, indietreggia, si rifà avanti e così via. Perché?
E adesso ci aspetta il fatidico appuntamento nell’ufficio. Come premesso, non manca tanto alla conclusione, quindi le vostre curiosità saranno presto soddisfatte.
Grazie mille per esserci e per l’affetto che mi dimostrate, mi scalda il cuore (il che in questo periodo non guasta^^).
Vi abbraccio virtualmente!
Lexi

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Buon Natale!
Una dedica speciale alle ragazze che con le loro parole mi fanno sentire in famiglia.

Capitolo 8

Se sua madre fosse entrata nella sua camera quella mattina, approfittando della sua assenza per ispezionare casa, probabilmente avrebbe pensato che lei fosse stata vittima di un furto. Il contenuto del suo capiente armadio, o perlomeno buona parte di esso, si trovava sparso per la stanza: c’erano vestiti abbandonati sopra le lenzuola, camicette dimenticate sulla scrivania insieme a numerose gonne dalle più svariate fantasie, scarpe distrattamente lasciate sul pavimento pronte a provocare imbarazzanti e dolorose cadute.
Eppure Clara, che normalmente si riteneva una persona ordinata, non era riuscita a impedirsi di provocare quel casino, che sarebbe stata costretta a riordinare una volta rientrata dall’università.

Se sopravvivo.
Prevedendo quanto sarebbe successo, aveva cercato il piano e il numero dell’ufficio di Visconti la sera prima, annotandoseli sull’agenda per evitare di dimenticarseli all’ultimo, preda di un’ingiustificata agitazione. Quindi non impiegò molto a raggiungere il corridoio esatto, pur essendo uscita più tardi per evitare di arrivare eccessivamente in anticipo e dargli l’impressione di essere in trepidante attesa di quell’incontro. Come si era aspettata, altre due ragazze sostavano lì davanti, scambiandosi battute che lei non riusciva a cogliere e ridacchiando sommessamente.
Oche.
Visconti sembrava attirare la rappresentanza peggiore del genere femminile, quelle studentesse che erano totalmente disinteressate alla sua materia come alle altre, con l’unica differenza che a insegnarla non era un vecchio rugoso con voce cantilenante ma un giovane e brillante professore di neanche trent’anni. Si sentì a disagio nel dover condividere quei minuti con loro, come se la sua sola presenza lì fosse un segnale che anche lei, in fondo, era una ragazzina infatuata e non la donna responsabile che voleva credere di essere.
Rassegnata, prese posto su una panca a pochi metri di distanza, estraendo il quaderno degli appunti e cercando la concentrazione necessaria per isolarsi e sfruttare quel momento di inattività per ripassare. Erano le dieci e, nonostante avesse due persone a precederla, era fiduciosa che Visconti l’avrebbe ricevuta prima dello scadere del suo orario alle undici. Certo, lei non era una frequentatrice assidua di quegli incontri, ma le poche volte che le era capitato di recarsi da un docente se l’era sempre sbrigata in una quindicina di minuti o poco più.
Come previsto una delle due ragazze entrò e uscì in un quarto d’ora, scambiando uno sguardo entusiasta e sognante con l’altra prima che quest’ultima bussasse e scivolasse oltre la porta.

Finalmente sola.
Clara esultò silenziosamente, riprendendo a sfogliare le pagine e annotandosi a margine eventuali dubbi dell’ultimo secondo. Proprio mentre scriveva una possibile domanda, fu distratta da un rumore cadenzato di tacchi sul pavimento di marmo dell’edificio. Sollevando gli occhi si ritrovò a fissare una ragazza altissima, le cui gambe slanciate venivano esaltate da un paio di vertiginosi sandali e da una gonna stretta e decisamente troppo corta.
«Stai aspettando Giulio?» le chiese, mentre prendeva posto accanto a lei.
«Sì» rispose secca, indispettita. Non sapeva se a provocarle quella sensazione di fastidio fosse la bellezza appariscente dell’altra o il fatto che lei lo avesse chiamato per nome, come se godessero di un grado di intimità superiore, persino esclusivo. Le sembrava sbagliato.
«Comunque io sono Alice» disse, tendendole la mano.

Cos’era, una maniaca dei nomi?
«Clara» replicò, senza alcun entusiasmo. Non c’era nemmeno un singolo ragionevole motivo per cui avrebbero dovuto presentarsi, visto che il loro rapporto non avrebbe avuto seguito in futuro.
Ma approfittò dell’occasione per ispezionare ogni dettaglio dell’altra, notando lo smalto rosso sulle unghie e gli occhiali da sole griffati elegantemente sollevati tra i capelli. La borsa che teneva tra le mani era talmente minuscola da poter contenere a malapena un cellulare e un portafoglio, se li si premeva con forza all’interno.

Non è qui per questioni scolastiche.
Quel pensiero le diede noia, così cercò di scacciarlo tornando ai suoi appunti e immergendovisi così teatralmente da scoraggiare la dea al suo fianco dal disturbarla di nuovo. Funzionò, almeno fino a quando non si sentì scuotere da una mano esile che la invitava a prestare attenzione.
«È il tuo turno» sottolineò Alice, indicandole una persona che si allontanava di spalle.

Alla buon’ora.
La ringraziò in modo sbrigativo, recuperò la borsa e il quaderno e si diresse speditamente verso l’ufficio, dove entrò dopo aver educatamente bussato. Visconti era seduto dietro alla sua scrivania, con le braccia mollemente abbandonate lungo i braccioli e lo sguardo annoiato di chi ha ascoltato conservazioni vuote per oltre un’ora.
«Buongiorno» la salutò cordialmente. «Lei è l’ultima?».
A Clara sembrò di scorgere una nota di speranza in quella domanda e si sentì colpevole, come se fosse stata lei stessa a renderlo così insofferente.
«No» chiarì subito. «C’è un’altra ragazza».
«Allora la faccia entrare» la invitò lui, con un gesto rapido della mano.
«Ma sono arrivata prima io!» protestò veementemente. Era rimasta seduta lì fuori per un tempo che le era sembrato interminabile e ora lui la costringeva ad attendere ancora, come se lei non contasse nulla.
«Le mie studentesse hanno la precedenza» precisò lui. Sembrava persino protettivo, come se quelle oche meritassero una simile considerazione da parte sua.
«Come vuole».
Gli lanciò un’occhiata furiosa che diceva l’esatto contrario, prima di voltarsi e uscire da quella dannatissima stanza dove non avrebbe rimesso piede se non per ottenere i chiarimenti promessi.
«Ti sta aspettando» disse ad Alice, che la fissò perplessa per poi sorridere compiaciuta e sorpassarla.

Andate al diavolo, entrambi.
L’orgoglio che la contraddistingueva fin da bambina iniziò a pungolarla, esortandola ad andarsene dopo quello smacco: se lui la relegava all’ultimo posto nella sua agenda, lei non avrebbe nemmeno dovuto inserirlo nella sua. E nonostante quella fosse un’ipotesi allettante, si rese immediatamente conto che le si sarebbe rivoltata contro, portandola a rinunciare alle spiegazioni di cui aveva realmente bisogno.
Ho bisogno di lui.
Era una confessione insopportabile, specialmente ora che si sentiva umiliata dal suo comportamento. Cercò di scacciare ogni coinvolgimento a livello personale in quella faccenda, ripetendosi di restare calma e di sfruttarlo per poi escluderlo totalmente dalla sua esistenza. Non sarebbe stato difficile, dal momento che vi era entrato da un solo giorno.
Ma a chi vuoi darla a bere?
Lui esercitava una strana influenza su di lei, era capace di condizionare la sua giornata con un gesto che sarebbe parso insignificante ad altri, compresa lei fino a ventiquattrore prima. Quando finalmente era riuscita a riacquistare la tranquillità che lui le aveva sottratto, Alice uscì dall’ufficio, sorridente come una marmocchia che al lunapark ha avuto in dono un lecca-lecca gigante.
«Ti sta aspettando» le comunicò gentile, ma a Clara sembrò che stesse scimmiottando la sua uscita precedente, rendendola ridicola.
Imponendosi un certo controllo, la salutò e si diresse da lui, volendo evitare ulteriori perdite di tempo. Ma le sue nobili intenzioni svanirono velocemente quando lo trovò di buon umore, con un sorriso scanzonato a illuminargli il viso.
«Mi dica che non è come sembra» sentenziò senza riuscire a trattenersi.
Visconti era comodamente seduto ma, a differenza di prima, si era sfilato la giacca del completo e le maniche della sua camicia erano state arrotolate fino ai gomiti, lasciando in mostra gli avambracci coperti da una leggera peluria scura. In più la cravatta scura era allentata, come se fosse diventato un fastidio tenerla stretta intorno al collo.
«Come scusi?»
Lui la guardò spaesato, non capendo a cosa lei si riferisse.
«Che fa il cascamorto con le sue studentesse» continuò lei, inviperita.
Avrebbe dovuto tacere, ne era pienamente consapevole, ma la sua indignazione aveva preso il sopravvento riversandosi su di lui. Inaspettatamente Giulio scoppiò a ridere, lasciandola esterrefatta e peggiorando il suo nervosismo. Non la prendeva sul serio?
«Questa sì che è divertente» esclamò, non appena riacquistò un po’ della sua abituale compostezza. «Ma si ricorda con chi sta parlando?».

Con uno squallido donnaiolo.
«Con lei» sottolineò Clara, come se fosse ovvio.
«Con un professore» la corresse lui. «Quindi cerchi di comportarsi come richiesto».
Non ebbe nemmeno il tempo di elaborare una giustificazione per le sue parole perché rimase stordita dalla frase successiva, pronunciata a voce bassa, quasi stesse parlando da solo e non con lei. «Altrimenti non lo farò neppure io».
Per quanto si sforzasse di interpretarla, quell’ammissione non aveva alcun senso. Fu lui a richiamarla alla realtà, strappandola dalle supposizioni che stava architettando e invitandola a sedersi per iniziare a chiarire le sue perplessità.
«Abbiamo i minuti contati» annunciò, dopo aver guardato l’orologio che portava al polso.

Potevi evitare di spassartela pensò Clara, ma evitò di esternare quella sua battuta acida per non provocare un ulteriore diverbio.
Sistemò i suoi appunti sulla scrivania e iniziò a porre le domande che si era annotata, ascoltando con attenzione le risposte che lui le forniva e prendendo nota dei concetti più rilevanti e poco chiari. Visconti si rivelò un docente straordinariamente preparato, ma allo stesso tempo fu paziente e le permise di interromperlo quando non riusciva a seguire un suo ragionamento o quando le sorgevano nuovi dubbi. Ad un certo punto le allungò la Costituzione, esortandola a leggere lei stessa l’articolo che le aveva indicato mentre lui si chinava verso di lei per scorgere il testo a sua volta. Clara trattenne il respiro, avvertendo il calore della sua mano accanto alla propria e il suo viso così vicino che avrebbe potuto sfiorarlo con la punta del naso. Ma anche quel momento passò e la spiegazione proseguì come se nulla fosse successo, nonostante il suo cuore avesse accelerato i battiti e la sua concentrazione fosse venuta meno.
«Direi che abbiamo concluso» esordì soddisfatto, accorgendosi che i quesiti che la ragazza si era segnata erano stati affrontati per intero.
«Sì» confermò lei. Se solo il suo manuale avesse spiegato quegli argomenti con altrettanta chiarezza lei avrebbe potuto rileggerli, confrontandoli con l’approfondimento appena svolto.
Lui sembrò cogliere l’impercettibile esitazione nel suo assenso e comprenderne la causa.
«Le serve altro materiale?»
«Può prestarmelo?» chiese lei, sorpresa dalla sua perspicacia.
«In teoria no» affermò lui. «Ma può essere un nostro segreto» disse, regalandole un sorriso complice che la stordì.

Nostro. Come suonava bene quella parola pronunciata da lui.
«Prenda il libro con la copertina verde, sul quinto scaffale» le spiegò lui, accennando alla libreria che riempiva l’intera parete di sinistra.
Clara si avvicinò grata, ma si accorse in fretta che lui doveva aver sopravvalutato la sua altezza se riteneva che lei potesse arrivarci. Provò ad alzarsi sulle punte, ma anche così riusciva a malapena a raggiungere la mensola.
«Lasci fare a me» sussurrò lui alle sue spalle, allungandosi fino ad afferrare il volume e porgendoglielo non appena lei si voltò, trovandosi praticamente contro il suo petto. La ragazza non si era aspettata di averlo così vicino, perciò sussultò, perdendo la presa sul manuale che cadde a terra. Costernata per la sua stupidità, si affrettò a chinarsi per raccoglierlo, ma Giulio fu altrettanto rapido e finirono per scontrarsi, sbattendo violentemente la testa uno contro l’altro.
«Che dolore!» esclamò lui, sollevandosi mentre si teneva una mano sul sopracciglio destro.
«Oddio, mi dispiace! Io non so proprio… ».
«Lei è una fonte infinita di guai» la interruppe lui con un tono scherzoso, sdrammatizzando la situazione per toglierla dall’imbarazzo. Ma Clara divenne ancora più rossa in viso, incapace di articolare delle scuse decenti e di porre rimedio al disastro che aveva combinato.
«Mi faccia controllare» propose infine, cercando di rendersi utile.
Gli scostò delicatamente la mano e tastò la zona colpita, che ora risultava gonfia e presto avrebbe assunto un colorito violaceo.

Per fortuna non indossava gli occhiali.
Si ritrovò a fissarlo intensamente, perdendosi nei suoi limpidi occhi azzurri che per la prima volta non era nascosti dietro un paio di lenti. Il tempo sembrò fermarsi mentre nessuno dei due osava scostarsi e le dita di Clara continuavano a percorrere il suo viso, fino a posarsi nell’incavo tra collo e spalle.
«Non ci riesco» ammise Giulio con voce roca, prima di annullare la distanza che li divideva e stringerla a sé, mentre le sue labbra catturavano quelle della ragazza in un bacio che entrambi avevano desiderato troppo intensamente per potervi rinunciare.

Nemmeno io.


 

Considerazioni

Eccomi qui, con il capitolo natalizio che è venuto più lungo del solito ma che non mi sono sentita di tagliare, perché volevo che la scena risultasse completa. Che dite, vi ho fatto un regalo decente?
Adesso inizia un periodo un po’ incasinato, perché la sessione invernale di esami inizia subito dopo le vacanze e quindi lo studio diventa la mia priorità. Quindi non consideratemi dispersa se non aggiorno con la solita frequenza, cercherò di fare il possibile per non farvi attendere troppo.
Approfitto dell’occasione per augurarvi sinceramente un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo (nel caso non aggiornassi prima del 31). Se le ragazze che hanno aggiunto la storia tra le seguite senza mai lasciare una recensione volessero in questa occasione approfittarne mi farebbero un regalo di inestimabile valore :)
A presto!
Un bacio
Lexi

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Alla vostra pazienza.

Capitolo 9

Fu lui a prendere l’iniziativa, annullando le distanze tra loro per strapparle un bacio cauto, colmo di insicurezza e desiderio a lungo represso. Clara non se lo aspettava, fu perciò colta di sorpresa tanto da rimanere completamente passiva. Proprio nell’attimo in cui realizzò appieno la situazione, Giulio si staccò, come se temesse una reazione negativa. Rimanendo in silenzio le offrì uno sguardo dispiaciuto.
«Scusami, io non avrei... » snocciolò confusamente.
Clara avrebbe dovuto lasciarlo terminare e capire se nutriva dei ripensamenti su quanto appena accaduto, ma la voglia di stringerlo nuovamente tra le proprie braccia era troppo pressante per lasciare spazio a qualsiasi considerazione razionale. Lo strattonò per la camicia, tirandoselo letteralmente addosso e facendo finire entrambi contro la libreria alle sue spalle. Sentì un acuto dolore alla schiena causato dall’impatto con le mensole, mentre lui cercava di limitare i danni provocati dalla sua avventatezza appoggiandosi ai volumi ordinatamente disposti. Nessuno dei due prestò particolare attenzione a un paio di libri che capitolavano a terra, stravolti dalla smania di toccarsi che li stava divorando. Quasi si scontrarono nella fretta di ritrovare le labbra dell’altro, consapevoli dell’attrazione reciproca che li guidava, cancellando ogni inibizione. Giulio le afferrò saldamente un fianco, portandosela più vicina, mentre con l’altra mano le accarezzava il collo intrecciando tra le dita qualche ciocca di capelli. Passarono alcuni minuti in cui si separarono solo per riprendere fiato e lanciarsi un’occhiata complice e divertita, senza tuttavia guastare quel momento magico con qualche parola inopportuna. Erano ancora lì, in piedi contro la libreria, quando un deciso bussare li interruppe, mandandoli temporaneamente nel panico.
«Maledizione!» mormorò Giulio, mentre si avviava alla porta per vedere chi era venuto a disturbarli.
«Aspetti» lo fermò lei.
Vedendolo stupito gli indicò le condizioni della sua camicia, che per metà era fuoriuscita dai pantaloni, insieme alla cravatta che penzolava in disordine. Lo aiutò a ricomporsi, quasi come una mamma con il proprio figlio, per poi defilarsi verso la scrivania dove non avrebbe potuto essere scorta.
«Giulio, ragazzo mio!» esclamò una voce rauca dall’esterno. «Capito in un cattivo momento?».

Era perfetto fino a un attimo fa, pensò Clara lasciandosi sfuggire un sospiro di frustrazione.
«No, sono solo piuttosto impegnato» ammise il giovane dopo un caloroso saluto.
«Cosa ti è successo?» indagò l’altro, indicando il sopracciglio tumefatto.
«Niente di grave» chiarì Giulio. «Afferrando un manuale ne ho sbadatamente fatti cadere un paio».
Non sembrava essere particolarmente a disagio nell’apparire uno sciocco, eppure la ragazza si sentì in colpa per averlo costretto a pronunciare quella bugia che lo dipingeva assai diversamente dalla persona precisa che lei conosceva.
«Sono incidenti che capitano» scherzò l’anziano collega. «Piuttosto, ero venuto a chiederti se avevi già piani per pranzo, perché in caso contrario vorrei presentarti alcuni amici docenti».
Giulio esitò impercettibilmente, come se per un istante l’idea lo avesse allettato a sufficienza da mandare in fumo il suo incontro con Clara.
«Mi dispiace, oggi è una giornata veramente piena».
«Peccato. Erano desiderosi di conoscere un professore così giovane e brillante».
Clara avrebbe dovuto esultare per la decisione di Visconti e sentirsi lusingata dell’importanza che, con quel rifiuto, lui le aveva automaticamente attribuito. Eppure la sensazione di essere diventata improvvisamente un ostacolo era così forte da annebbiarle la vista di lacrime e cancellare il sorriso allegro che fino a quel momento le aveva illuminato il viso.
Non ascoltò la fine della conversazione e si accorse solo all’ultimo che Giulio aveva richiuso la porta e stava tornando da lei, completamente ignaro delle sue recenti riflessioni.
«Dov’eravamo rimasti?» chiese ironicamente.
Si chinò su di lei per baciarla ma la ragazza si scostò, lasciandolo di stucco.
«C’è qualcosa che non va?». Era serio, il tono divertito di poco prima aveva lasciato spazio a uno apprensivo, quasi allarmato.
«Sì» chiarì Clara, sforzandosi di guardarlo negli occhi. «Non dovremmo continuare, è sbagliato».
«Perché?»
«Perché lei sarebbe dovuto andare a quel pranzo, mentre io avrei dovuto essere già a casa, a preparare il mio esame».
Giulio scoppiò quasi a ridere, apparentemente sollevato.
«Se il problema tra noi è l’invito che ho rifiutato, allora non preoccuparti, non me ne importava niente» ammise sincero.

Bugiardo.
«Anche se fosse vero» continuò Clara imperterrita. «Rimane il fatto che io non dovrei essere qui, con lei, nel suo ufficio».
«Perché?».
«Perché stiamo infrangendo qualsiasi regolamento universitario!» sbottò lei, allargando le braccia per palesare l’ovvietà della sua affermazione. «Io sono una studentessa e lei è un professore».
«Mi hai mai trattato come tale?» domandò lui, incredulo.

Ci ho provato.
La ragazza esitò e lui ne approfittò per ridurre le distanze tra di loro, incombendo su di lei pur senza risultare minaccioso, perché nei suoi occhi si scorgeva nuovamente un certo ottimismo.
«Sii sincera».
«No» capitolò Clara.
«Ti prego, non cominciare ora».
L’attirò a sé per evitare che lei potesse inventare altre scuse, strappandole una debole protesta prima che entrambi si abbandonassero alle sensazioni provocate dal bacio che si stavano scambiando.
«Non lasciare che le convenzioni guidino sempre le tue azioni» le sussurrò dolcemente all’orecchio, mentre si spostava dalla sua bocca per aggredire il collo lasciato scoperto dal vestito che lei indossava. Clara si godette il tocco delicato delle sue labbra, mentre con le mani gli scompigliava i capelli corti per poi spostarsi verso il petto solido e armeggiare con i bottoni della sua camicia. Li fece passare attraverso le asole, uno alla volta, come se avesse a disposizione l’intero giornata e non una manciata di minuti. Nel frattempo Giulio aveva tempestato di baci e piccoli morsi la sua gola, arrossandole la pelle e provocandole ondate di calore che non riusciva a spegnere; non fu affatto d’aiuto quando iniziò ad accarezzarle la curva del seno, sfiorando con un pollice la scollatura dell’abito e il bordo del reggiseno. Clara sentì l’eccitazione crescere e con essa il bisogno di averlo più vicino, pelle contro pelle. Senza esitazioni gli sfilò la camicia, aiutandolo a districarsi dai polsini, per poi liberarlo anche dalla cravatta che finì  sul pavimento. Dopo un’occhiata provocatoria si dedicò al collo del giovane, alternando labbra e lingua, in una scia di focose attenzioni che terminò all’altezza del cuore con un sospiro strozzato di Giulio.
Clara si sollevò e sorrise compiaciuta, fiera di essere riuscita a penetrare quella corazza di imperturbabilità che sembrava alleggiare intorno al professore.
«Questa me la paghi» replicò lui, ridendo.
Prima che lei potesse rendersene conto, la spinse indietro in modo che la sua schiena si appoggiasse alla superficie della scrivania. Ma Clara, colta di sorpresa, allargò le braccia a frenare la discesa e urtò un portapenne che si rovesciò, spargendo a terra l’intero contenuto.

Sei irrecuperabile.
Arrossì immediatamente, ritrovandosi sui gomiti a fissare Giulio che era rimasto in piedi a occupare lo spazio tra le sue gambe.
«Sono una frana» disse imbarazzata. «Mi scusi».
Lui la ignorò e si piegò su di lei, accarezzandole i fianchi snelli fino a quando la sua bocca si fermò sul suo petto, dove posò un paio di baci languidi.
«Cosa ne dici di darmi del tu?» propose divertito, lanciandole un’occhiata scanzonata, simile a quella di un bambino dispettoso.
Era del tutto logico quello che lui chiedeva, ma Clara si ritrovò in difficoltà, come se chiamarlo per nome fosse un gesto più intimo di quelli che avevano già condiviso.
«Va bene».
«Giulio» sottolineò lui, insoddisfatto.
«Va bene, Giulio».
Il sorriso che le regalò fu sufficiente a spazzare via ogni indecisione, perché era colmo di una gioia inaspettata, la stessa che in quel momento lei avrebbe potuto scorgere anche sul suo viso se solo si fosse guardata allo specchio. Il bacio che si scambiarono un istante dopo sembrava portare con sé una nuova consapevolezza: c’era qualcosa di speciale, tra loro. Ora lo sapevano entrambi.

 
 

Considerazioni

Ok, siete totalmente giustificate se volete ricoprirmi di improperi! Sono imperdonabile, vi ho lasciato più di un mese senza aggiornamenti. Spero possiate scusarmi, ma durante la sessione di esami di gennaio non sono riuscita a scrivere perché ero troppo stanca per potermi concentrare sulla storia. Poi ho sofferto per qualche giorno di crisi di ispirazione, non riuscivo a scrivere una singola riga. Finalmente sono riuscita a produrre questo capitolo, che è sicuramente uno dei più importanti e che, proprio per questo, ha reso la ripresa ancora più difficile. Non sono sicura di essere riuscita a renderlo bene, spero di sì, in ogni caso fatemi sapere cosa ne pensate.
Ora gli aggiornamenti dovrebbero tornare a essere regolari.
Mi siete mancate, non immaginate quanto.
A presto!
Lexi

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

L’amplesso era arrivato, in tutta la sua travolgente pienezza. Si erano guardati negli occhi, intensamente, mentre i loro corpi erano scossi dalle ondate conclusive del piacere che avevano condiviso e che li aveva visti unirsi lì, su quella scomoda scrivania. Giulio si era accasciato un attimo sulla spalla della ragazza, come a voler assaporare un’ultima volta il sapore della sua pelle e il profumo dei suoi capelli, sparsi disordinatamente sul piano sotto di lei.
Clara capì che era tutto finito quando lui finalmente si alzò, uscendo da lei e dandole le spalle. Non si era aspettata che quel momento di imbarazzo, che naturalmente seguiva un rapporto sessuale tra estranei, fosse colmato da frasi altisonanti e dichiarazioni di amore imperituro. Non era una sciocca. Eppure il silenzio che scese tra di loro, a riempire lo spazio lasciato da gemiti e sospiri che si erano susseguiti fino a poco prima, la lasciò disorientata. A fatica si sollevò, percependo un lieve fastidio alla schiena laddove era stata premuta contro la solidità del legno dal peso di Giulio. Mentre il professore si rivestiva, lei recuperò l’intimo e sistemò il vestito leggero che aveva scelto quella mattina e che era rimasto arrotolato in vita, poichè la foga della passione aveva impedito loro di spogliarsi completamente. Avrebbe voluto specchiarsi per constatare lo stato dei suoi capelli, sicuramente arruffati per via delle carezze di Giulio, ma si accontentò di passarvici le mani e legarli in una coda ordinata.  Mentre recuperava le proprie ballerine, finite chissà come dietro una sedia, notò la cravatta del giovane, ugualmente abbandonata sul pavimento.
«Cercavi questa?» esclamò canzonatoria quando si accorse che Giulio era alla ricerca piuttosto frenetica di qualcosa.
«Proprio così» ammise lui, allungando una mano per farsela consegnare e degnandola di un’occhiata per la prima volta da quando si era allontanato da lei. Fu questione di una manciata di secondi, perché il suo sguardo si sottrasse velocemente a quel contatto, rivolgendosi alla parete dietro di lei.

Cosa ti succede?
Avrebbe voluto porgli quella e un altro centinaio di domande per capire il motivo di quel suo atteggiamento inspiegabilmente distaccato, ma la paura di udire parole che l’avrebbero ferita, proprio quand’era più vulnerabile, la frenò.
Voltandosi recuperò la propria borsa e vi infilò rabbiosamente gli appunti che aveva dimenticato sulla scrivania, passati inevitabilmente in secondo piano alla luce degli sviluppi del loro incontro.
«Maledizione» imprecò Giulio, strattonandosi nervosamente la cravatta intorno al collo. Clara lo osservò in silenzio, captando segnali di insofferenza nel lieve tremolio delle sue mani e negli sbuffi che emetteva ripetutamente.
«Lascia fare a me» si offrì, vedendo che il professore non otteneva alcun risultato, se non quello di stropicciare ulteriormente la sua cravatta.
Giulio si arrese, a malincuore, consegnandogliela e rimanendo immobile in attesa che lei svolgesse il compito affidatole. Clara si sistemò di fronte a lui, gli sollevò il colletto e vi fece scorrere intorno il morbido tessuto per poi concentrarsi sul nodo da creare. La sua vicinanza non la aiutava a mantenere la lucidità necessaria e ci volle tutta la sua forza di volontà per escludere dalla mente le immagini dei loro baci appassionati e richiamare i ricordi degli insegnamenti di suo padre, che aveva accontentato il suo desiderio di bambina di imparare ad annodare una cravatta.
«Finito» annunciò soddisfatta.
«Grazie» rispose Giulio, arretrando impercettibilmente. «Ti sarò sembrato un impiastro, ma di solito me la cavo».
Entrambi colsero immediatamente il doppio senso che quella frase portava con sé, nonostante il giovane l’avesse pronunciata per alleggerire la tensione palpabile che aleggiava tra di loro.
«Scusami, ma ora ho del lavoro da sbrigare» continuò, recuperando la giacca dallo schienale della sua sedia.

Non ho più tempo per te.
Era quello il messaggio sottointeso, affiancato da un implicito invito ad andarsene da quello studio e, forse, dalla sua intera esistenza.
«Sì, certo. Capisco» balbettò Clara, che non si aspettava di essere liquidata così sbrigativamente.
Afferrò le proprie cose e si avviò verso la porta, senza avere il coraggio di chiedere spiegazioni o di protestare. Si era illusa di aver condiviso con lui molto più di un rapporto sessuale e ora ne scontava le dolorose conseguenze.
«Clara» la fermò lui, quando lei aveva già la mano sulla maniglia della porta, pronta a uscire.
La ragazza si voltò, trovandolo a pochi passi da lei. Avrebbe potuto toccarlo, se solo avesse allungato il braccio e si fosse sporta verso di lui.
«A presto» concluse, sorridendole insicuro.

Quanto presto?
Non c’era nulla di confortante nelle sue parole, nulla che le facesse presagire la sua volontà di rivederla ancora e di istaurare tra loro una relazione che esulasse da quella che avevano come alunna e professore. Nonostante ciò, Clara ne fece tesoro e si aggrappò con tutte le proprie forze a quel barlume di speranza che da esse poteva trarre.
«A presto».
A passo spedito si avviò lungo i corridoi che aveva attraversato solo qualche ora prima, facendo affidamento sul suo senso di orientamento per ritrovare gli ascensori che l’avrebbero condotta al piano terra. Tirò un sospiro di sollievo quando li raggiunse e premette il bottone argentato su cui campeggiava una freccia rivolta verso il basso.
«Fermati» le ordinò una voce conosciuta, mentre lei stava mettendo piede all’interno dell’ascensore che aveva risposto alla sua chiamata.
Clara ubbidì, arretrando e fissando incredula Giulio, che si avvicinava ansimante dopo quella che molto probabilmente era stata una corsa. Per un attimo, mentre lui riprendeva fiato, si cullò nell’idea che si fosse precipitato lì per implorare perdono e stringerla nuovamente tra le sue braccia.
«Avevi scordato questo» esordì invece, consegnandole il manuale che aveva promesso di prestarle per agevolarla nello studio.
«Grazie» disse lei, riconoscente. «Me ne ero dimenticata, che stupida».
Si fissarono per qualche istante, il tempo che un altro ascensore arrivasse al piano lasciando scendere alcune persone che li ignorarono, dirette ai loro uffici.
«Ora devo andare» ammise Clara, ribaltando le posizioni di poco prima. Ora era lei a volersi sottrarre velocemente a quella situazione per rifugiarsi nella sicurezza di casa sua, dove avrebbe potuto riflettere con calma sui recenti avvenimenti.
«In bocca al lupo per l’esame» le augurò Giulio.
Rimase lì, immobile, ad aspettare che lei scomparisse e il suo sguardo penetrante fu l’ultimo dettaglio che Clara riuscì a scorgere prima che le porte si chiudessero tra di loro.

È finita.
Era un pensiero dal retrogusto amaro quello che l’accompagnò fuori dall’edificio, dove una ventata di aria calda e umida le fece rimpiangere la frescura garantita dall’impianto di condizionamento interno. Cercando di non sprecare ulteriori minuti si diresse verso la fermata del tram, ma un suono breve e acuto del suo cellulare l’avvisò che aveva ricevuto un messaggio, così si fermò all’ombra di un palazzo per leggerlo.
«Sei in università? Pranziamo insieme?».
L’invito di Marta era allettante, non poteva negarlo. In quel momento, confusa com’era, poter ascoltare il consiglio di un’amica fidata le sembrava indispensabile. D’altra parte, la sua coscienza le ricordò che l’esame incombeva e che lei si era già concessa troppe distrazioni.
«Un panino al volo» rispose, sentendosi meglio per quel compromesso con se stessa.
«Perfetto. Ti aspetto al solito posto».
Clara raggiunse il bar in cinque minuti scarsi e individuò subito Marta, seduta a quello che insieme avevano eletto come il loro tavolo preferito, perché si trovava in un angolo tranquillo ma dotato di una buona vista sul resto del locale e sull’esterno.
«Eccoti!» la salutò l’amica, dimostrando un’allegria che la ragazza si ritrovò a invidiare.
Sfogliarono l’ampio menu scambiandosi qualche breve riflessione sul loro livello di preparazione, senza che Clara riuscisse a introdurre l’argomento che più le premeva discutere e che le aveva persino sottratto l’appetito.
«C’è qualcosa che non va?» le chiese Marta, preoccupata.

Tutto.
Giulio aveva appena fatto il suo ingresso e si stava facendo largo tra sedie e tavoli per raggiungere dei colleghi che Clara notò solo allora, seduti a poca distanza da loro. Marta, vedendo che l’amica non rispondeva, seguì la direzione del suo sguardo e riconobbe il professore.
«Non dirmi che ti tormenta ancora!» esclamò, mal interpretando l’espressione corrucciata dell’altra.

Non immagini quanto.
«Abbiamo fatto sesso».
Dirlo ad alta voce lo rese infinitamente più reale di quanto fosse stato fino a quel momento.
«Voi che cosa?» urlò Marta, non riuscendo a trattenersi. Così facendo attirò l’attenzione di tutti gli avventori, compreso lo stesso Giulio, che non si era accorto della presenza della ragazza.
I loro occhi si incontrarono, mescolando sorpresa e imbarazzo. Il giovane non impiegò molto a collegare lo stupore di Marta al rossore che colorava le guance dell’amica e il suo sguardo si velò di delusione e amarezza, di cui la ragazza era l’unica destinataria. Se solo avesse potuto, Clara si sarebbe alzata per spiegargli che aveva frainteso, che il loro segreto sarebbe rimasto tale e che lei non avrebbe provocato problemi. Rimase invece seduta, inchiodata al suo posto da un ruolo che era chiamata a interpretare e a cui non poteva rinunciare senza che la sua carriera e quella di Giulio fossero irrimediabilmente compromesse.
La mano di Marta, che stringeva comprensiva la sua, fu il solo conforto che poté concedersi.

 

Considerazioni

Pensavate che, dopo lo scorso capitolo, fosse tutto rose e fiori eh? Invece no, la situazione tra i due inevitabilmente si complica, com’era prevedibile se consideriamo che il loro rapporto non dovrebbe nemmeno esistere. Secondo voi cos’è successo a Giulio? Cosa gli è passato per la testa? E Clara, avreste agito nel suo stesso modo? Non è stato facile scrivere questo capitolo, perché temo che l’evoluzione dei sentimenti provati dai due personaggi possa risultarvi inaccettabile. Fatemi sapere se vi sembra logica oppure campata per aria. Ovviamente sarò disponibile a spiegare più dettagliatamente ciò che qui si può solo leggere tra le righe e ipotizzare.
Detto questo, spero di leggere le vostre opinioni e vi ringrazio per essere ancora qui a leggere la storia.
A presto!
Lexi

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