Ocean Soul

di snoopy 15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 capitolo ***


Ocean Soul 1 capitolo

La musica House mi rimbombava nelle orecchie. Il cuore mi batteva freneticamente nel petto. Gli occhi mi bruciavano per le luci stroboscopiche. La pista da ballo era gremita da ragazzi e ragazze che ballavano franeticamente.
Appoggiai la testa sul bancone del bar e chiusi gli occhi. Avevo la testa in fiamme forse per i troppi super-alcolici bevuti o per le notti di insonne al capezzale di mia madre in ospedale. Non mi facevo un ora continua di sonno da una settimana. Avevo la testa tra i gomiti ,appoggiati sul bancone lurido del bar della discoteca più popolare e frequentata della città.
Avevo ancora gli occhi chiusi quando Drik ,il barista mi fischiò in un orecchio. Mi svegliò.
“Azati non è nè un posto salutare ,nè comodo .”
Alzai la testa con dispiacere, sbadigliai, mi strofinai gli occhi.
“Pacchia finita. Preferivo rimanere ancora a vivere da mio padre!”
Dissi in modo ironico.
“Con tua madre ?? Ti avrebbe sbattuto fuori casa come ha fatto per le troppe tipe che ti portavi a casa e ti facevi??? Che ne pensi??”
“Azzittisciti. Ringraziami del posto di lavoro che ti ho trovato o se no continuavi a lavorare in nero per la mafia!”
“Tieni Christopher. Questo lo offre la casa."
Drick prese subito un bicchiere pulito, lindo senza incrostature ai bordi.
Iniziò a scolare un mix di bevande alcoliche come al suo solito. Finì subito e me lo avvicino con due dita.
“Tieni e riprenditi. Mangia qualcosa e vai a lavarti la faccia. Sembra quasi che non dormi da due giorni. Scolai subito il bicchiere. Il mix era il mio aperitivo-super alcolico preferito Sex on the beach.
Finito di bere posai il bicchiere e lo allontanai da me. Drik mi avvicinò un piatto curvo di colore nero con  una manciata di salatini. Gli mangiai.

Mi allontanai dalla “Black Roses”. I pneumatici dei taxi bianchi slittavano veloci sull’asfalto bagnato.  Pioveva. Tirai su il cappuccio della felpa nera dell’adidas. Era l’alba.
Sbadigliai. Tirai fuori l’ipod nero dalla tasca dalla felpa. Misi le cuffiette nell’orecchie. Mi appoggiai al pannello trasparente della fermata dell’autobus. I capelli bagnati sotto il cappuccio si erano attaccati al collo. Rabbrividì. Aspettai per trenta minuti l’autobus. Non arrivò a destinazione. Lentamente mi avviai verso una via secondaria. L’ipod si scaricò. Tolsi le cuffie. Sentì un urlo disumano. Proveniva dalla via parallela alla mia. Corsi per vedere l’accaduto. M;i fermai di colpo e  chiusi gli occhi. Sentivo il sapore aspro della bile sulle labbra: per poco non vomitai. Il cuore batteva furiosamente. Volevo sparire. Mi accasciai a terra. Nel viale si trovava il corpo senza vita di un uomo sulla quarantina. Aveva i capelli biondi. Gli occhi azzurri erano spalancati. La testa era girata verso la mia direzione. Mi alzai e mi avvicinai al cadavere. Subito supposi che l’uomo doveva appartenere a un ceto medio - alto per via degli abiti di lusso. Sul petto si trovava un enorme squarcio a forma triangolare. Spalancai gli occhi.
“Impossibile” dissi a voce alta e ancora incredulo.  La cosa che mi impressionò maggiormente non è fu  la vista del sangue sulla strada,o l’ampia ferita, ma le grandi ali bianche. Le sfiorai. Erano morbide ma allo stesso tempo affilate. Mi tagliai un polpastrello. Da lontano sentì lo stridio delle sirene delle voltanti della polizia. Scappai velocemente. Caddi fratturandomi un polso. Mi alzai mi nascosi dietro a un cassonetto della spazzatura. Strinsi i denti e la mano al polso per alleviare il dolore. I raggi del sole irradiarono la via. Un raggio colpì un oggetto metallico poco lontano da me.  Chiusi un occhio, il bagliore era troppo forte e accecante. Mi abituai alla luce. Presi l’oggetto con la mano ancora sana. Lo nascosi nella tasca dei pantaloni. L’oggetto era di media lunghezza. Sembrava una specie di rompi ghiaccio argentato. Aveva una forma triangolare.

 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


secondo cap

Corsi velocemente verso il piccolo appartamento che dividevo con mia madre. Mi giravo continuamente a guardare i metro di asfalto bagnato già percorsi. Qualcuno mi stava seguendo. Avevo questa sensazione. Percepivo flebili spostamenti d'aria provenire dalle mie spalle. Sentivo sul collo un fiato freddo e il respiro ritmatico di qualcuno. Dietro di me  non c'era nessuno. Il mio cuore iniziò a battere furiosamente nel petto. Inizia ad agitarmi. Svoltai l'angolo, l'edificio, dove abitavo, si erigeva vicino a un parchetto. Era ancora vuoto. In strada non c'era nessuno. Silenzio che fù rotto poco dopo dalla sirena di una volante della polizia. Avevo il cuore in gola. Attraversai ed entrai nell'edificio. Corsi sulle scale. Casa. Lanciai sul letto la felpa e il mazzo di chiavi. Il rompighiaccio scivolò dalla tasca cadendo a terra. Non ci feci molto caso. Ero agitato e mi dovevo calmare. Andai verso la doccia. Aprì il rubinetto. Un getto d'acqua bollente mi investì. Mi lasciai trascinare dal calore dell'acqua. Chiusi gli occhi e ricorsi mentalmete tutta la strada fatta del Black Roses fino a casa. Rividi la scena del delitto.  L'angelo biondo morto sul ciglio della strada. Le ali che mi attiravano verso di lui. Il bagliore del arma. Quell'immagine mi riportò alla realtà. Chiusi l'acqua della doccia. Mi asciugai velocemente i capelli con un asciugamano prima di legarmelo intorno al fianchi. La sensazione di stanchezza era improvvisamente sparita lasciando in circolo solo abbondanti dosi di adrenalina. Tastai la tasca della felpa in cerca del rompighiaccio. Lo trovai poco dopo a terra sulle piastrelle inpolverate. "Più che un rompighiaccio sempra una lama unica. Una specie di pugnale." pensai tra me e me. Con lo smartphone scattai qualche foto. Nascosi la lama nel doppio ripiano del cassetto. Indossai dei nuovi vestiti prendendoli dalla pila di panni puliti. Il telefono fisso squillò. Una paura immensa mi attraverso. "Mamma" pensai andando a rispondere.   Rimasi sconvolto da quelle parole. Non volevo crederci. Ero solo. Agganciai il telefono. Mia madre era morta da più di due ora ed io non ero lì con lei. "Un'aneurisma celebrale è espolosa creando un'emorragia interna. Il chirurgo ha fatto tutto il possibile. Ci dispiace per la sua perdita." Aveva detto una voce fredda ed imapassibile al telefono. Improvvisamente mi sentì vuoto. Una parte di me era morta con mia mamma.  Una lacrima mi rigò il viso. 



otto giorni dopo:

Scuola. L'odiavo a morte. L'edificio sembrava un carcere minorile di massima sicurezza. Camminai tranquillo lungo il corridoio deserto. Mi diressi con sicurezza nella mia aula "5 b". Come il corridio era vuota, tranne che per l'esile figura di Lucifero. Ragazzo intelligentissimo, deriso da tutti,soprattutto dal sottoscritto. Veniva chiamato da tutti "Pel di carota" a causa dei capelli rossi e le lentiggini. Viveva in una casa famiglia gestita da suore. Orfano dalla nascita, la madre era morta dandolo alla luce. Non era visto bene neanche dalle suore. Forse per via del nome e dal fatto che avesse i capelli rossi e fosse mancino. Non parlava molto. Mi avvicinai al suo banco. Lucifero alzò gli occhi verdi dal libro.  Mi guardò incuriosuto. "Cosa ci fai così presto a scuola?" mi domandò. "Niente." Risposi appoggiando lo zaino eastpack nero sul banco. "Se devi picchiarmi fallo immediatamente."   "Non ti voglio picchiare.Mi serve solo il tuo aiuto."

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