Chi Ha Ucciso Bambi?

di Ezrebet
(/viewuser.php?uid=93992)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


Giugni attraversò il breve tratto che lo separava dalle transenne tirate alla bell’è meglio sul terreno sconnesso, si fermò a qualche centimetro dal nastro teso e aspettò. Prima o poi si sarebbero accorti di lui e qualcuno gli avrebbe rivolto la parola per i ragguagli. Nel frattempo, lasciò vagare lo sguardo intorno. Boschi e radure coprivano i pendii a perdita d’occhio; quella mattina il cielo era terso e si vedeva anche il Cimone. Un lieve sorriso gli increspò le labbra.

La sua placida contemplazione del paesaggio fu bruscamente interrotta dalla voce di Rizzi, l’agente che per primo ero giunto sul posto. Giugni si voltò e vide che l’uomo era seguito dal medico legale. Si stupì di trovare il dottore.
“Che ci fai qui, Doc?.. non pensavo fosse affare tuo”.
L’uomo sospirò, togliendosi gli occhiali da vista e cominciando a pulire le lenti sulla manica della giacca imbottita “Lo è, capo”.
“Ma la chiamata parlava di..”, il dottore lo fermò subito “Si, è vero. Il cadavere è li.. vieni a dare un’occhiata”.
Giugni sollevò un poco il nastro e si trovò sulla scena del crimine. Come si era aspettato, vide il capriolo. Giaceva sull’erba, gli occhi spalancati e vuoti puntati al cielo, il ventre squarciato da una ferita che partiva dalla gola e attraversava l’addome, un’altra che correva perpendicolare, disegnando un’orrenda croce rossa del sangue ormai rappreso sulla peluria chiara.
Il commissario si rivolse poi a Rizzi “A che ora è stato trovato e da chi”.
“Stamattina, verso le quattro e mezza, da un gruppo di cacciatori..” e indicò gli uomini, intenti a parlare con un altro poliziotto “Stanno rilasciando una deposizione”.
Giugni fissò i quattro con malcelato disprezzo. Odiava i cacciatori. Erano mine vaganti. Se fosse stato per lui, avrebbe abolito la caccia seduta stante.. Distolse lo sguardo “Non ci sono segni di armi da fuoco?”.
“No” intervenne Doc “Non sul cadavere”.
L’attenzione del commissario si concentrò sul medico legale “Ancora non capisco perché tu sia qui. Mi aspettavo al massimo il veterinario..”.
Doc si inginocchiò e cominciò a cercare qualcosa nella borsa accanto al capriolo. Disse “E’ il quarto caso in pochi giorni. Il veterinario ha detto che non poteva venire per altri impegni, che non poteva perdere tutta la mattina qui.. eccetera eccetera.. Rizzi mi ha chiamato”.
“Si, commissario” fece subito l’agente “Ho creduto che fosse necessario un esame autoptico prima di rimuovere la salma.. e dal momento che il veterinario si rifiutava..”.
“..si si..” lo interruppe Giugni “..hai detto il quarto?”.
Doc annuì, mentre raccoglieva tracce ematiche dai contorni slabbrati delle ferite “In due settimane, capo” ribadì.
Giugni invidiava da sempre la mano ferma del Doc. Sarebbe stato un eccellente tiratore, se solo non avesse deprecato l’uso delle armi. Doc si proclamava nemico di tutte le armi.. Il commissario riteneva che avesse scelto di tagliuzzare cadaveri per sublimare la sua aggressività repressa e che il fatto di deprecare l’uso delle armi fosse niente altro che una difesa messa su dall’inconscio.. Decise di lasciar andare quei pensieri, nei quali spesso si intrappolava da solo, per concentrarsi sulla scena che aveva davanti.
“Chi ha seguito gli altri casi?” s’informò.
Doc alzò lo sguardo “Nessuno. Non sono stati considerati casi..”.
Giugni strinse le labbra “Ma questo è il quarto capriolo morto in due settimane”.
“Stessa zona, stesse modalità” fece Rizzi.
“Ci sono fotografie degli altri.. cadaveri? Rapporti del..veterinario..?” chiese.
“Bisogna chiederlo a lui. L’hanno chiamato le guardie zoofile della zona e lui ha fatto quanto necessario. Non so se il necessario contempli anche foto e rilievi..” fece Doc con una punta di polemica nel tono.
Giugni si ricordò solo in quel momento che Doc era anche un sostenitore della causa animalista e che faceva parte di alcuni comitati per la difesa della fauna e della flora della zona.
“Che cosa dobbiamo aspettarci, Doc?” chiese, ed era una domanda retorica, perché era matematicamente certo che il medico legale avesse già allertato le guardie zoofile e che in pochi minuti quelle sarebbero arrivate.
“Be, capo.. ci sono tre denunce contro ignoti sul tavolo di qualche funzionario in questura, per danneggiamento della fauna in zona protetta, qui abbiamo un altro reato.. e poi vedi che scempio..”.
“Quattro caprioli ammazzati e sventrati in questo modo” disse più a se stesso che al medico.
Quello annuì.
Un momento dopo, il silenzio fu rotto dal motore di un’automobile. E Giugni capì che si trattava del fuoristrada delle guardie zoofile. Sospirando, si voltò per affrontarli. 



Eccomi di nuovo con un thriller noir.. Seconda avventura del mio cacciatore di mostri preferito, Roman.
Spero vi piaccia!!!
Ezrebet

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


Il cronista stava registrando tutto in uno di quei piccoli registratori ormai fuori commercio.
A Giugni non piaceva gran che quella pratica. Non che gli fosse capitato spesso di rispondere a domande su un inquietante fatto di cronaca nera successo tra le montagnedell’Appennino, ma ogni volta era quel cronista e aveva con sé quell’aggeggio. Nella fattispecie, qualcuno aveva spifferato in fretta e furia il caso dei quattro caprioli trovati morti e subito la stampa locale si era mossa. Ed eccolo lì, a rispondere a domande banali su qualcosa di cui sapeva davvero poco, per il momento. In confronto, affrontare la furia delle guardie zoofile era stato uno scherzo.

 

Mezz’ora dopo, era di nuovo libero. Attraversò il corridoio che lo separava dalla sala ristoro ed infilò lentamente le monetine, selezionando caffè espresso. Era sveglio dall’alba, ad inseguire indizi, a leggere gli appunti del veterinario che, per inciso, li aveva mandati per fax ed erano in parte illeggibili, a tampinare Doc, nella speranza trovasse qualche traccia umana sul cadavere. Aveva sonno e aveva fame.
Tornò verso il suo ufficio e si bloccò in mezzo al corridoio quando vide il Sindaco in persona che lo aspettava sulla soglia.
Angela Barbieri era stata eletta qualche mese prima a furor di popolo, presentandosi con una lista civica che raccoglieva sostenitori di ogni genere. Tra i quali, ricordò subito Giugni, i rappresentanti dei comitati ambientalisti e delle guardie zoofile.
“Commissario” lo salutò con un cenno del capo “Sono qui per il ritrovamento di stamattina”.
“Ah, si?” rispose subito facendole strada in ufficio “Purtroppo, non ci sono novità..” ma le parole gli morirono in gola quando la vide sporgersi un poco “E’ il quarto caso. Come mai non siamo stati avvisati prima? Se si aggira un pazzo per i nostri boschi..”.
Giugni si riprese quasi subito “Dottoressa, non sappiamo se le cose stanno in questi termini”.
“Come?” esclamò la donna “Quattro caprioli muoiono nell’area protetta del parco e vengono sventrati in quel modo orribile, tutti e quattro!”.
Giugni sospirò ed improvvisamente il caffè gli parve peggiore di un istante prima. Appoggiò il bicchierino sul ripiano e sillabò “Non possiamo ancora trarre conclusioni, dottoressa”.
“Ma i cittadini..” stavolta fu lui a fermarla con un cenno “I cittadini devono stare tranquilli. A quanto sembra, il nostro matto, se c’è un matto, ritiene di ammazzare caprioli..” si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania “Quindi, non c’è alcun pericolo per gli esseri umani”.
A quelle parole, la donna non rispose. Lo fissò seria, poi mormorò “I giornali ne parleranno nell’edizione di domani”.
“E’ il loro mestiere” fece lui “Noi faremo il nostro. E lei, Sindaco, farà il suo. Non rilasci dichiarazioni su questa storia ed aspetti i nostri aggiornamenti..”.
Prima di uscire, il Sindaco disse “Io lo farò.. ma ci sono i comitati, le guardie zoofile.. i testimoni.. non tutti useranno la stessa discrezione..”.
Rimasto solo, Giugni appoggiò il capo allo schienale della sedia e senza accorgersene, scivolò in un sonno leggero.
 
********************************************************************************
La stazione era piccola e disadorna. Due binari, niente sottopassaggio, niente biglietteria, niente bar. Era sceso dal treno seguendo il suo istinto. O, per meglio dire, il suo fiuto. Solo, aveva percorso con calma il marciapiedi fino all’uscita e si era trovato in una piazza circolare, con aiuole curate lungo tutto il perimetro, e negozi dalle saracinesche abbassate. Si voltò verso il campanile. Le nove e mezza di sera. Guardò ancora in giro, scorse un’insegna in legno, colorata in modo vivace.
“Da Mari, B&B”.
Attraversò la piazza deserta, entrò nel vicolo e trovò subito ciò che cercava. Una piastrella di ceramica che ritraeva un paesaggio montano. Sotto, la scritta in neretto “B&B”.
Venne ad aprirgli una donna di mezza età, che gli rivolse un bel sorriso “Buonasera. Immagino abbia bisogno di una stanza.. E’ arrivato col treno da Bologna?..Se avesse telefonato, le avrei fatto trovare tutto pronto..” lo fece entrare e lo accompagnò nel salottino, pieno di ninnoli e fotografie su ogni ripiano “.. ma in cinque minuti la stanza è a posto. E se vuole cenare, c’è una bella locanda a pochi minuti da qui”.
“Grazie. Ma ho già mangiato” le disse Roman, che sembrava imponente in mezzo alla stanza.
“Si accomodi. Le vado a preparare il letto”.
La donna scomparve su per le scale. Roman non si sedette, né si guardò intorno. Puntò lo sguardo alla finestra, oltre i vetri, nella notte. Era arrivato. 

Grazie per aver letto e commentato..
A presto.
Ezrebet

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


La locandina del giornale locale annunciava un’intervista al commissario Giugni sul caso dei ritrovamenti di caprioli morti, ma niente di più. E leggendo l’articolo, non sembrava che la polizia si preoccupasse più di tanto di ciò che appariva come l’opera di teppisti.
 

Roman comprò l’edizione, scorse la pagina, poi gettò l’intero plico nella spazzatura. Niente di nuovo.
Cominciò a camminare. Qualcuno si voltava al passaggio di quell’uomo, alto e robusto, vestito di nero, avvolto nell’impermeabile lucido, che nulla aveva del turista.. Ma Roman, sebbene consapevole di quegli sguardi curiosi e perplessi, continuava a camminare, diretto dove il suo fiuto lo portava. Nemmeno si accorse di aver superato il cartello che sanciva la fine del centro abitato e di inoltrarsi nel parco protetto. Un sentiero sassoso si apriva a lato della strada, poche curve dopo. Si fermò solo alcuni secondi, poi riprese a camminare. I suoi passi erano sicuri sul terreno pietroso, unico compagno di viaggio il suono del bosco.
*******************************************************************************
Doc era seduto sulla barella, ancora inguainato sulla tuta verde che utilizzava per le autopsie. Dondolava le gambe con noncuranza, mentre osservava Giugni scorrere il rapporto sull’esame del cadavere. E Giugni, ben consapevole di quello sguardo, lesse in fretta, appoggiato alla parete della stanza.
Alla fine, disse “Hai trovato tracce di DNA” e alzò gli occhi sul dottore.
“DNA umano” precisò quello “Per la precisione”.
“Vuoi dire che…” fece un cenno con la mano, e Doc l’interruppe “..che mescolato al sangue del capriolo c’era sangue umano, si. Proprio questo intendevo”.
Giugni mosse appena la testa. Il silenzio cadde tra i due come una pietra. Non c’era molto altro da dire, se non che questa storia stava prendendo una piega indesiderata.. Giugni sospirò, staccandosi dalla parete ed avviandosi alla porta.
“Niente da dichiarare?” gli domandò Doc.
Il commissario si voltò, la mano stretta intorno alla maniglia della porta “..credo che sia inutile elucubrare su questi risultati..” fece voltandosi “Forse, chi ha ucciso e sventrato l’animale si è tagliato..ecco spiegate le tracce. Anzi, mi pare la spiegazione più probabile”.
Doc annuì “Forse” strinse gli occhi “Ma sai benissimo che potrebbe anche essere un’altra la spiegazione.. anzi, di spiegazioni ce ne potrebbero essere altre diecimila”.
“..dobbiamo attenerci ai dati di realtà” lo riprese subito il poliziotto “Il sangue della vittima e dell’assassino si sono mescolati”.
Il medico fece spallucce “Si, può darsi. Ma devo dirtelo io quale dovrebbe essere la prassi da seguire, in questo caso?”.
“No” disse subito Giugni.
Un momento dopo, stava già pensando a come organizzare le squadre di ricerca in tutta l’area protetta nel più breve tempo possibile. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


La capacità di aspettare mantenendo l’attenzione era uno degli insegnamenti più importanti del Maestro, una lezione che Roman aveva interiorizzato nel tempo. La pazienza era veramente la virtù dei forti, o, per meglio dire, il potere dei forti. In quei momenti, lungi da essere momenti perduti, Roman recuperava. Recuperava energia, recuperava pensieri, recuperava ricordi.. Guardava dall’alto ciò che era accaduto, vedendo chiaramente le connessioni, le ricorrenze, i depistaggi, vedeva e rivedeva con gli occhi della mente, e tutto, magicamente, andava al suo posto di moto proprio,  i pezzi s'incastravano, come quelli di un puzzle.

Stava succedendo anche adesso, mentre, seduto sulle radici di una quercia secolare, appunto aspettava. L’odore l’aveva portato fin lì, l’aveva costretto a camminare per ore, ad attraversare boschi di castagni, a vagare nella penombra del tramonto in quella grigia giornata di febbraio.
Il solito. Aveva cominciato ad avvertirlo alla stazione, aveva cercato il treno giusto, alla fine ne era stato sommerso in modo insopportabile. Anche adesso, non avvertiva nient’altro che quel fetore, pungeva le narici insistente, costringendolo a pensare, a progettare, ad attendere.
Il fiuto l’aveva guidato fino ad una piccola radura. L’aveva calpestata, osservata, era rimasto in mezzo ad essa per l’intero pomeriggio. Al calar del sole, si era spostato oltre il limitare del bosco, tra le querce. Prima o poi, il suo istinto l’avrebbe avvisato.
*******************************************************************************
Il sole rosso del tramonto aveva inondato sentieri, boschi e radure e le ore rimaste erano poche.  Le squadre stavano rastrellando il parco, ma gli uomini non erano molti e la notte li avrebbe costretti ad interrompere le ricerche. Giugni non voleva soffermarsi troppo sul pensiero che gli trapanava il cervello da quando aveva lasciato le stanze di Doc.  L’idea che ci fosse dell’altro, che il sangue dei caprioli non fosse l’unico versato era azzardata, esagerata, perfino fuorviante. C’erano in giro teppisti che si divertivano a massacrare povere bestie innocue e a lasciare macabri trofei in giro per il parco, sperando di salire agli onori della cronaca. Ecco cos’era. O forse era altro.
Il pensiero era quello, era lì, insistente. Il suo istinto investigativo non c’entrava. O forse si, ma non era solo qualcosa legato al mestiere. C’era anche quell’altro affare. Strinse la mascella, mentre lasciava che la scena s’illuminasse una volta di più nella sua mente. Rivide sé stesso, ragazzino, almeno trentacinque anni prima, magro, alto, serio, mentre i vecchi del paese chiacchieravano seduti in piazza. Li aveva ascoltati, disegnando sulla polvere del selciato con un ramo secco, a testa china, silenzioso. Parlavano di ricorrenze, di fatti misteriosi, di animali morti nel bosco. Caprioli straziati e rinvenuti nei boschi, marchiati da croci di sangue.
Il ricordo l’aveva colpito come uno schiaffo nel pomeriggio, mentre organizzava le squadre. E aveva sentito il chiavistello girare nel mare della sua memoria, trovare il lucchetto ed aprire una porta di cui aveva dimenticato l’esistenza. Non poteva negare l’evidenza, la consistenza reale e tragica del ricordo.
Era già accaduto. Caprioli morti, marchiati a sangue, abbandonati nella boscaglia.
L’agente Rossi interruppe il corso dei suoi pensieri. Gli si parò davanti “Capo. Abbiamo trovato un tizio” indicò un uomo alto, robusto, completamente vestito di nero, che sembrava non ascoltare nemmeno quanto l’agente Micheli gli stava dicendo.
“E dove l’avete trovato?” s’informò il commissario.
“Era seduto ai piedi di quella quercia” Rossi indicò in modo vago dentro la boscaglia “Dice che sta aspettando”.
“E che cosa, sta aspettando? Gliel’avete chiesto?”.
Rossi alzò le spalle “Non ha risposto… per me, potrebbe anche essere il pazzo che ammazza caprioli”.
Giugni gli lanciò un’occhiata severa, poi si avviò verso l’uomo. Lo guardò meglio. Non aveva lauree in medicina, né era uno psichiatra, ma l’espressione sul viso dello sconosciuto non sembrava quella di un pazzo in preda ad un delirio omicida. Piuttosto, gli pareva l’espressione di un monaco, di uno che era stato appena distolto da un momento meditativo. Sospirò, pensando che,  per quanto ne sapeva, si trattava pur sempre di uno stato alterato di coscienza.
“Capo, abbiamo fermato questo signore, che dice di chiamarsi Roman” lo informò subito Micheli “Dice che sta aspettando”.
Giugni fece un cenno col capo, poi puntò lo sguardo sullo sconosciuto. La domanda rimase sospesa tra loro, quando i loro occhi s’incontrarono. Da qualche parte dentro di sé, il commissario seppe che Roman, se così davvero si chiamava, non era il colpevole. Questa certezza improvvisa lo invase all’istante, costringendolo ad abbandonarsi ad essa. Fece due passi avanti e chiese “Può aiutarci?”.
Roman annuì lentamente, sotto lo sguardo esterrefatto dei presenti.
  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


L’uomo disse a Giugni che stava aspettando la notte.
Il commissario lo guardava, senza intervenire. In realtà, molte domande si inseguivano nella sua mente, raggiungevano le labbra, ma poi si fermavano, come scontrandosi con una sorta di timore. L’idea lo indispettiva, ma non poteva negare a se stesso che Roman gli ispirava timore, fiducia e …si, anche protezione. Per Dio, era questo che aveva sentito quando se l’era trovato davanti. Non provava una sensazione simile dai tempi in cui suo padre lo addestrava ad andar per boschi. In quei momenti, aveva avuto la chiara percezione che niente avrebbe potuto scalfirlo, perché suo padre era lì, a mettersi fra lui e i pericoli e le minacce dell’ambiente esterno. Una sensazione perduta negli anni, quando era rimasto solo e se l’era dovuta cavare con le sue sole forze. Be’..adesso, davanti a quest’uomo enorme, di nero vestito, che parlava a monosillabi, che era stato sputato dal bosco si sentiva come allora. Protetto.

 

E questo nonostante lo straniero non avesse detto praticamente niente, se non che stava aspettando la notte, che sarebbe arrivato qualcuno, che li avrebbe aiutati.
Ben conscio degli sguardi curiosi e scettici dei propri uomini, Giugni preferì condurre quella scarna conversazione in disparte, dietro le volanti parcheggiate appena fuori il limitare della radura, sulla statale. Offrì una sigaretta a Roman, che rifiutò, continuando a mantenere quell’espressione – non espressione che lo disorientava e attirava al tempo stesso.
“Dunque..” iniziò ad un certo punto “Secondo lei, dobbiamo aspettare la notte..”.
“Si” fece quello. E non disse altro, sempre fissandolo, in un modo addirittura imbarazzante. Era sempre Giugni a fissare il proprio interlocutore..e adesso, si trovava fissato e a secco di parole..
Sospirò “..gli uomini, secondo lei, sono abbastanza..?”.
“Gli uomini non contano. Non servono” scandì “Ciò che conta è l’attesa vigile e consapevole”.
Le parole di Roman erano criptiche e tuttavia si incastravano dentro Giugni con una facilità inattesa. Avrebbe dovuto torchiarlo, tentare di scoprire la sua identità, senza accontentarsi.. invece, stava in attesa delle sue risposte, seguendo la voce dentro di sé ribadire la convinzione istintiva che l’aveva assalito da subito. In un certo senso, era spaventato. Roman era uno sconosciuto, non c’era alcuna ragione valida per prendere come oro colato quanto diceva.. Ma ammise a sé stesso che non occorreva cercare ragioni. La razionalità non aveva niente a che fare con questa faccenda.
L’agente Rossi interruppe il flusso dei suoi pensieri. Gli arrivò alle spalle “Commissario, è buio. Dobbiamo interrompere, qui”.
Giugni si guardò intorno, sorpreso. Non si era reso conto che la luce rossa del tramonto aveva lasciato il posto alla penombra che precede la notte. Si staccò dalla portiera della volante e guardò Rossi “Si. Tornate in paese”.
Davanti allo sguardo stupito dell’agente, riprese “Io e il signor.. Roman, rimaniamo”.
“Ma, commissario.. credo che sarebbe bene lasciare una o due volanti sulla statale..”.
“No” lo fermò subito “O meglio. Le volanti possono anche circolare sulla statale, ma qui rimarremo io e Roman..” lanciò un’occhiata allo straniero “Se è sempre dell’idea. Non è in stato di fermo, e se ne può andare anche subito, se crede..” ma sapeva che l’ultima domanda era inutile. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


“E’ meglio stare qui al buio” disse Roman, senza staccare gli occhi dal centro della radura.
 

Giugni seguì la direzione del suo sguardo, per l’ennesima volta vide il solito paesaggio, illuminato dalla luna. Una distesa d’erba deserta, circondata dal bosco. Nel buio, riusciva a distinguere soltanto le sagome degli alberi e delle foglie, mosse appena dal vento, che disegnavano ombre sull’erba. I suoni della notte li circondavano ed erano quelli che aveva imparato a conoscere fin da quando andava per boschi con suo padre.
Non discusse la decisione di Roman. In effetti, pensava anche lui che aspettare fosse meglio. Il fatto che non riuscisse ad afferrare che cosa, stessero aspettando seduti al buio, non lo preoccupava troppo. Nella sua carriera di poliziotto ne aveva fatti a centinaia di appostamenti.
Tuttavia, una domanda gli girava nella testa da un po’ e alla fine si trovò a chiedere “Come è arrivato qui? Intendo, qui, al paese, proprio adesso..”.
Roman non si mosse, ne distolse lo sguardo. Disse “Vuole davvero saperlo?”.
“Si” confermò Giugni.
“Qualcuno potrebbe anche chiamarlo caso. Coincidenza. Ma nel mio mondo questa parola non ha alcun significato” fece l’uomo “E’ un odore che mi guida. Un odore forte, che non posso in nessun modo ignorare”.
Giugni aggrottò la fronte. Una risposta enigmatica. Ma d’altronde, che cosa poteva pretendere da un uomo che sembrava comparso dal nulla, sbucato fuori dal niente.. e che, nonostante questo, pareva muoversi in quella faccenda molto meglio di tutti loro?
“..un odore, dice” ripeté pensieroso.
“Si. L’odore della morte, commissario” si voltò appena, senza incontrare i suoi occhi “Sono addestrato a trovarlo, seguirlo, stanarlo”.
“Capisco” mormorò Giugni “E che cos’altro le dice questo suo.. fiuto?”.
Roman, finalmente, lo guardò.
“Perché mi fa questa domanda? Non sa già tutto anche lei? Vuole delle conferme? O non è già abbastanza quel che sta pensando..?”.
Il commissario lo fissò “Pensa davvero di sapere che cosa mi passa per la testa?”.
Il silenzio di Roman lo spinse a continuare “Ebbene, adesso glielo dico. Penso che ci sia una banda di pazzi, magari drogati, che si diverte a fare queste cose nel Parco, spaventando la gente..” ma l’espressione dell’uomo lo zittì. Entrambi sapevano che questa non era la verità.
“Io credo che lei sappia che non siamo di fronte ad una banda di pazzi drogati. Io credo che lei sappia che c’è ben altro da stanare, qui” dopo un’ultima occhiata, si voltò e tornò a guardare la radura.
Giugni ebbe di nuovo la visione di se stesso, bambino, che ascoltava i racconti dei vecchi nella piazza del paese. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, e stava per farlo quando vide la mano di Roman alzarsi, invitandolo al silenzio.
Immediatamente, il suo sguardo corse alla radura, lungo i confini del bosco. Dovette aguzzare la vista, per vedere bene. E vide. Luci. Candele, forse. Una lunga teoria di luci stava scivolando fuori dalla vegetazione, diretta al centro del prato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


Sembravano lucciole. Uscivano dal bosco, dalla parte opposta rispetto a loro. Lente, una dopo l’altra, le luci scivolavano verso il centro della radura sotto lo sguardo sbalordito ed incantato di Giugni. Per un istante, il commissario pensò ad un’allucinazione, forse dovuta alla stanchezza, forse dovuta allo stato d’animo in cui si trovava. Non riuscì a staccare gli occhi da lì, neanche per guardare Roman, il cui atteggiamento tradiva la tensione. Pur senza toccarlo né guardarlo, Giugni sentì che l’uomo si stava preparando all’attacco.. Fu una sensazione strana, era come avere accanto una tigre pronta a colpire.

“Sono arrivati” lo sentì dire con voce appena percepibile.
Non c’era alcun dubbio che stessero aspettando proprio questa lunga teoria di luci avvolte dalle ombre della notte. Quelle due parole furono in grado di risvegliarlo dallo stato di stupore in cui era così rapidamente caduto. Spostò lo sguardo su Roman, sulle spalle di lui, rigide e possenti.
“Che cosa pensa di fare? ..” si trovò a chiedere “E chi diavolo sono..? Una congrega di pazzi..?” e di nuovo guardò le luci, ora disposte in cerchio davanti ad un ipotetico centro.
“Non sono pazzi. Non nel senso che crede” gli disse subito “Meglio sarebbe se lo fossero. Invece sono perfettamente consapevoli di quel che fanno”.
Il poliziotto corrugò la fronte “..una banda di assassini di caprioli?” chiese ancora “Mi sta dicendo che questi qui si riuniscono per ammazzare un animale ogni tanto?”.
“Non le sto dicendo niente altro che quello che già sa” fece Roman. E chiaramente, non si stava riferendo all’ultima frase. Roman si riferiva a quanto Giugni stava già sentendo ed elaborando dentro di sé e che aveva radici molto lontane.. qualcosa che finiva invariabilmente, ogni volta, a scontrarsi con le sue certezze razionali. Si formava nella sua mente, gli strizzava le viscere in una morsa del tutto simile alla paura, simile a ciò che tante volte aveva provato nella sua carriera.. E tuttavia diversa, più profonda, che aveva origini più lontane in lui, più nascoste dentro, qualcosa che sfuggiva a qualsiasi definizione riuscisse in quell’istante a mettere insieme. Paura, si, terrore..ma termini comunque non sufficienti.
Fissò di nuovo quello spettrale cerchio di luci, che adesso avevano preso a muoversi in un ordinato girotondo.
E mentre guardava, si diede dello stupido.
Se fossi in me, pensò, sarei già intervenuto, pistola spianata, distintivo, voce grossa, insieme a tutta la squadra. Strinse la mascella..ma non sono in me perché li ho mandati tutti via e sono rimasto qua con un perfetto sconosciuto, forse pazzo, che parla in modo incomprensibile.
Ma era una bugia, perché Giugni quel linguaggio se lo sentiva rimbombare dentro e collimava alla perfezione con ciò che era riaffiorato alla memoria da subito, da quando aveva iniziato ad addentrarsi in quella faccenda.
“Agirò soltanto quando tutto sarà compiuto” mormorò Roman stringendo gli occhi “Adesso, sarebbe inutile”.
Giugni avrebbe voluto obiettare che non era sensato aspettare un altro cadavere. E che non l’avrebbe di certo lasciato agire in solitaria.. Ma qualcosa lo fermò dall’esprimersi. Sospirò, mentre si rendeva conto della cantilena. Dal girotondo di luci si era levato un coro, basso e monotono. Parole incomprensibili, lente, continue. Tese l’orecchio, muovendosi appena sull’erba. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII ***


Per quanto la scena gli apparisse surreale, sapeva di essere vicino alla soluzione. L’idea che si trattasse di un branco di drogati non lo abbandonava, ma era più che altro un rifugio mentale, una scappatoia, perché questa faccenda, e lo sentiva ormai profondamente nelle viscere, erano molto più complessa. Ma la paura non era razionalizzabile e Giugni la relegava in fondo, perché non poteva certo accettare che le sensazioni scatenate dal riaffiorare vivido dei ricordi d’infanzia avessero il sopravvento impedendogli di agire da poliziotto. Si convinse di essere appostato e pronto ad intervenire.
Roman lo guardò da sopra la spalla “Non intendo lasciare che ammazzino un altro innocente per il loro immondo fine” gli disse, quasi leggendogli nella mente “Ma voglio affrontare il mostro”.
Giugni lo fissò, incapace di dire alcun che. Improvvisamente, un’altra finestra si  era aperta nella sua mente. Si rivide ragazzino, nascosto proprio in questo punto del bosco o forse un altro angolo del parco, acquattato tra le fronde, si vide davanti alla stessa scena, immerso nel buio. Sentì il ribrezzo provato all’udire il grido dell’animale e alla vista del fiotto di sangue che si era levato alla luce della candele.
Per poco non cadde sull’erba, a quella visione, così intensa da sembrare reale.
Roman alzò appena un sopracciglio “Ogni pezzo sta andando a posto, vero, commissario?”.
Non c’era traccia di supponenza o sarcasmo in quel sussurro. I loro sguardi s’incontrarono.
Ritrovando il fiato, Giugni fece “Devo intervenire..”.
Roman gli pose una mano sul braccio, un gesto delicato, che stonava in un uomo della sua stazza e dai suoi atteggiamenti.
“Guardi” e tornò a fissare lo sguardo sul gruppo, che aveva smesso di cantilenare. Erano adesso fermi, mentre due di loro si mossero trasportando qualcosa in un sacco. Guardando meglio, il poliziotto vide che il sacco sembrava avere vita propria.. e un attimo dopo, al centro del cerchio comparve un capriolo. Le zampe erano legate a due a due, il muso stretto in una fascia di pelle, pareva, per impedirgli di emettere suoni.. ma anche da quella distanza, Giugni vide i suoi occhi. Sgranati, fissi, terrificanti. Lesse il terrore negli occhi dell’animale, la muta richiesta d’aiuto al buio. Fece per muoversi, spinto dall’orrore.. ma di nuovo la mano di Roman lo trattenne senza sforzo.
“Il terrore negli occhi della vittima è ciò che cercano. Non è il sangue che vogliono, è quello sguardo. Hanno bisogno del terrore per fare quel che fanno” mormorò.
Giugni tentò di dire “Dobbiamo intervenire..” ma Roman continuò a trattenerlo “L’attesa è importante. Ciò che prova, commissario, è l’essenza della missione. La compassione per le vittime. Agiremo al momento opportuno”.
Improvvisamente, l’aria si fece più fredda. Una corrente gelida scese sulla radura e lambì i due uomini ai limiti di essa, tra gli alberi. Un brivido attraversò Giugni che disse “Congeleremo..”.
Ma Roman scosse la testa “No. Non succederà” lo fissò “Lei sa già cosa sta per succedere. Lo sa. E questa volta lascerà che sia la compassione, e non la paura, ad agire per lei, commissario”.
Quel che seguì trasportò Giugni in un deja’vu incontrollabile. Vide come in un sogno le fiamme che si levarono in mezzo al cerchio umano, la forma apparentemente antropomorfa che il fuoco disegnava e davanti alla quale tutti si inchinarono. Pensò ad uno scherzo dovuto alla luce della candele..lo pensò, ma non ci credette, nemmeno per un istante. Come al rallentatore guardò Roman che si sollevava, trasciandoselo dietro, senza mollargli il braccio. Lo seguì, verso il centro.
Mentre si avvicinavano vide meglio. Un uomo teneva sollevato un coltello da cacciatore sul corpo del capriolo, il cui sguardo sembrava impazzito dal terrore, mentre il fuoco comparso al centro del cerchio continuava a crepitare. Gli occhi di Giugni, pur nella concitazione del momento, saettavano dal capriolo alle fiamme, e la rabbia per quanto avveniva si mescolava in lui al terrore per la forma che intuiva nel fuoco.. Un terrore che si era risvegliato in lui e che non apparteneva al poliziotto, ma ad un ragazzino curioso, che aveva agito sotto la spinta della paura..La paura che esplode di fronte all’inspiegabile. La stesso che provava adesso, guardando la scena sacrificale, perché di questo si trattava, la scena che aveva relegato nei meandri della sua mente rendendola in qualche modo inaccessibile ai ricordi consci.
Non si accorse che Roman gli lasciava il braccio scagliandosi nel bel mezzo di quella teoria assorta, fece quello che l’istinto gli disse di fare. Corse sull’uomo che brandiva il coltello e lo prese per le braccia, cogliendolo di sorpresa. Lo face barcollare, disarmandolo e lo colpì senza nemmeno vederlo, più e più volte, finché non cadde riverso sull’erba, il volto, una maschera di sangue. Poi, si voltò, e guardò il capriolo. Aveva lo sguardo fisso, e per un attimo temette che fosse morto d’infarto. Ma l’animale mosse appena le zampe legate.
E’ vivo,pensò, mentre una incontrollabile sensazione di sollievo lo avvolse. Nonostante la confusione che aveva intorno e le urla che avevano rotto il silenzio della notte, Giugni lo slegò con calma, gli tolse il laccio dal muso e lo sollevò. Non ne sentì il peso, mentre lo trasportava lontano dalla radura, fin dentro il bosco. E camminò ancora, fino alla statale. Una volta lì, si sedette su una pietra, al bordo della strada, l’animale ancora stretto. E come aveva previsto, nel giro di pochi minuti, passò la volante.
Solo alla vista delle luci, si diede il permesso di svenire, cadendo di lato sull’asfalto.
L’auto frenò e ne corsero fuori due agenti, con la pistola spianata. La abbassarono soltanto quando riconobbero che l’uomo sdraiato a terra, incosciente, abbracciato ad un capriolo semi svenuto era il commissario Giugni.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX ***


La prima persona che vide svegliandosi fu Doc. Era appoggiato alla parete verde, di fronte al letto, e lo fissava.
“Pensavo che non ti saresti svegliato più. Devono averti dato una dose da cavallo” disse subito, in tono polemico “..come stai?”.
Giugni lasciò vagare lo sguardo intorno, rendendosi conto di trovarsi in ospedale.
Il letto accanto era vuoto, i rumori giungevano attutiti dal corridoio. Oltre i vetri della finestra, il buio della notte.
“Hai dormito un giorno intero” lo informò l’uomo.
Il commissario lo guardò “..che cosa mi è successo?”. In realtà, ricordava i fatti nel bosco, ma non riusciva a ricostruire gli ultimi momenti. Si rivedeva correre nella boscaglia portando il peso del capriolo, poi più nulla.
“La volante ti ha trovato svenuto al margine della strada. Eri abbracciato ad un capriolo sotto choc, a quanto ho potuto appurare.. perché come al solito, il veterinario aveva altro da fare.. Rizzi mi ha svegliato e mi ha costretto a raggiungervi all’ospedale, dove ho preso in consegna l’animale, lasciandoti nelle abili mani dei medici del reparto”.
“Sta bene..?” s’informò a mezza voce.
“Benone, direi. Almeno fisicamente” lo scrutò con aria divertita “Ti sta a cuore Bambi, a quanto vedo”.
Lo sguardo che gli lanciò Giugni non servì a cancellare l’ironia dagli occhi di Doc, che riprese “..dovresti preoccuparti anche di tutto il lavoro che ti aspetta nel tuo ufficio, degli interrogatori ai pazzi che i tuoi hanno arrestato nel bosco, al Sindaco che vuole fare una conferenza stampa..”fece un cenno insofferente con la mano “Non so se riuscirai a sopportarlo. Ti dovrò prescrivere delle vitamine ricostituenti..”.
“..me le prescriverà se mai il mio medico, non il medico legale” ribatté subito sospirando.
Doc fece un sorrisetto, si avvicinò “Hai risolto il caso, comunque. Una banda di pazzi invasati campeggiava abusivamente nel parco e si dedicava a pratiche vietate sotto l’effetto di allucinogeni. Ho già prelevato campioni di DNA da ognuno dei fermati e sono certo di trovarne un po’ di quello che ho rinvenuto sulla scena, l’altro giorno. Caso risolto, complimenti, commissario”.
Giugni annuì, provò a sollevarsi, ma il dolore alla schiena gli impedì di farlo.
“No no, fermo là. Ancora due giorni di degenza e poi valutazione. Ti tocca” gli disse l’amico.
Un momento dopo, gli domandò “Gli agenti Rossi e Micheli hanno parlato di un tizio, un tale Roman, che sembra fosse rimasto con te nella boscaglia durante l’appostamento. Non c’è traccia di lui.. che devo dire, se mi chiedono qualcosa? E’ stata un’allucinazione collettiva o si può trovare da qualche parte?”.
Il commissario parve riflettere per un momento, poi disse “Provate a cercarlo. Ma secondo me, se ne è già andato”.
Il suo compito è finito, pensò tra se.
*********************************************************************
Il treno lo aveva portato lontano molte volte dall’odore della morte. Seduto in uno scompartimento vuoto, Roman si lasciava trasportare via, lasciava che le tracce si cancellassero, lasciava che gli uomini spiegassero per conto loro quanto avvenuto.
Pensò a Giugni. Pensò che la sua consapevolezza sarebbe stata l’unica traccia. Come sempre.
Lasciò che questo pensiero lo pervadesse, poi sbirciò fuori dal finestrino. La prossima stazione non era lontana.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=678463