Il patto dell'angelo

di Takiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAP.1 ***
Capitolo 3: *** CAP.2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sarah Hudson si riteneva una donna fortunata: aveva tutto quello che da sempre sognava; il lavoro dei suoi sogni, un marito, Jack, che la amava e che lei amava, una piccola villetta nella periferia di New York, con tanto di prato verde intorno alla casa ed un cane, un dolcissimo Chow chow di nome Lion.
Conobbe Jack al primo anno di college, a Yale. Non fu amore a prima vista, anzi, inizialmente non si sopportavano: idee diverse, modo di vivere diverso, carattere spaventosamente e incredibilmente uguale, ogni volta che si incontravano volavano fulmini e saette dai loro sguardi, per non parlare delle parole non proprio tenere che si dicevano, anzi, urlavano; solo in seguito, dopo esser stati costretti a preparare un esame insieme, scoppiò prima la passione, poi l'amore. Le persone che li conoscevano erano convinte che i due ragazzi litigassero in continuazione solo perchè erano attratti l'uno dall'altra, che il loro non era vera antipatia, solo tensione sessuale.
Si sposarono due anni dopo la laurea, dopo che Sarah riuscì ad ottenere l'impiego che aveva sempre desiderato: era una dei giornalisti di punta del New York Times, si occupata prevalentemente delle recensioni dei grandi spettacoli di Broadway, era la migliore nel suo campo.
La cosa più importante della sua vita, però, arrivò solo tempo dopo: David. Il piccolo David. Il suo angioletto. La sua ragione di vita.
Dave era un bambino sveglio e vivace, sorrideva e rideva sempre, trasmetteva gioia e tenerezza.
Quella notte Sarah era nella stanzetta del bambino a cullarlo e coccolarlo per farlo dormire.
-Su, David..Da bravo, fai la nanna- Cantilenò la donna, tenendo tra le braccia il piccolo Dave -La mamma è qui e ti terrà in braccio finchè non dormirai...- Disse dolcemente al bambino, che non aveva proprio intenzione di dormire: era stranamente nervoso, agitato; questo malessere continuava ormai da parecchie ore, la pediatra aveva detto che non c'era bisogno di allarmarsi, probabilmente gli sarebbe spuntato da lì a poco il primo dentino, ed era agitato per il dolore.
Lo cullava passeggiando per la cameretta che, mesi prima, aveva amorevolmente preparato insieme a Jack: avevano riempito la stanza di pelouches, giocattoli adatti agli infanti, posters sui muri con disegnati sopra i personaggi dei cartoni animati, specialmente Paperino, il personaggio Disney preferito da Jack. Avevano tinto i muri color azzurro cielo e posto delle stelline gialle fosforescenti sul soffitto e, nella culla, avevano messo un piccolo orsetto di pelouche vestito da angioletto: Sarah l'aveva trovato qualche settimana prima della nascita di David, in un centro commerciale; l'aveva preso come un segno del destino, un messaggio degli angeli, che avrebbero sempre protetto il suo prezioso “paciocchino”, come era solita chiamarlo lei.
-Sarai stanca morta..- Sussurrò dolcemente una voce profonda dietro di lei -Perchè non lasci che ci pensi io a farlo dormire?- Jack era appoggiato al muro vicino alla porta e, già da un po', osservava la moglie cullare il figlio per farlo addormentare: la scena più dolce a cui un padre possa assistere.
Quell'uomo alto, dagli occhi e capelli castani amava profondamente la sua famiglia: quella donna bionda dai grandi occhi castani e quel bambino di appena pochi mesi e dagli occhi scuri e vispi rappresentavano la sua felicità.
-Sicuro?- Chiese Sarah avvicinandosi al marito per baciargli dolcemente le labbra -Non è semplice, lo sai.. Poi, stasera, sembra voglia fare i capricci- Disse, con un dolce sorriso disegnato sulle labbra. -Domani mattina, alle 8, ho una riunione importante al lavoro e...Oh, mio Dio!!- Esclamò improvvisamente, dopo aver guardato l'ora sull'orologio dei Puffi appeso al muro -Sono già le 2!! Non mi sveglierò mai in tempo!!- Disse, quasi sbuffando. Non sarebbe stato il primo ritardo dovuto alle notti quasi insonni, non le dava fastidio fare le ore piccole per David, la infastidivano, invece, i commenti acidi dei colleghi, detti alle sue spalle, le battutine sarcastiche pronunciate a bassa voce.
Jack le sorrise e le prese dalle braccia il bambino -Vai a dormire, qui ci penso io..Vero, piccolino?- Chiese poi, retorico, con estrema tenerezza al bimbo, prima di iniziare a canticchiare “My Way”, la bellissima canzone di Frank Sinatra, artista che l'uomo adorava: pensava fosse la ninna nanna ideale per suo figlio, insieme a Magnolia, di J.J.Cole.
Sarah uscì dalla stanza con le parole della canzone ancora in testa e si diresse verso la sua camera da letto mugugnandone la melodia. Per lei le cose più importanti di questo mondo erano il suo bambino ed il suo lavoro, non avrebbe mai e poi mai potuto vivere senza uno di questi; per questo motivo aveva dato il bambino a Jack, anche se a malincuore. Non perchè non si fidasse del marito, Jack era un padre attento ed affettuoso, oltre che un marito meraviglioso, ma perchè mai avrebbe voluto rinunciare a guardare quel bambino dormire beato nel suo lettino e dargli la buonanotte con un dolce bacio sulla fronte. D'altra parte, aveva studiato e sudato molto per ottenere quell'impiego, la concorrenza era agguerrita, ogni giorno Sarah, come ogni giornalista, doveva dare il massimo, puntare ad essere la migliore.
La donna raggiunse il letto e si accoccolò sotto le coperte: il calore del piumone e la morbidezza del materasso la rilassarono e lasciarono andare via i pensieri; ci mise poco ad addormentarsi, era veramente esausta. Dopo non molto iniziò a sognare: sognò il cielo azzurro, sognò un bel ragazzo con i capelli castani ed occhi scuri e vispi, sognò se stessa, più vecchia, vicino a quel ragazzo.
Improvvisamente, un urlo raccapricciante squarciò la notte, David iniziò a piangere e gridare con quanta voce aveva in corpo, era un grido di dolore, un lamento straziante; Jack lo seguì a ruota, iniziò ad urlare terrorizzato da qualcosa, un lampo di luce azzurra illuminò per un istante tutta la casa per poi uscire dalla finestra della cameretta. Poi il silenzio ed il buio.
-Jaack!!! Che succede?- Urlò Sarah spaventata, mentre si alzava in fretta dal letto; corse nella camera del bambino e quello che vi trovò non era ciò che aveva lasciato solo pochi minuti prima: i muri celesti della stanza erano imbrattati di schizzi di sangue e Jack era lì, immobile, con gli occhi sbarrati, sporco di plasma, a guardare il corpo del bambino a terra: il suo ventre era aperto, dal petto fin sotto la pancia. A quella vista la donna si sentì male, barcollò per qualche metro -Cosa hai fatto, Jack? Perchè??- Chiese all'uomo in stato di shock, disperata. Tentò di andare verso il corpo del figlio ma non arrivò: cadde a terra, svenuta.

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Capitolo 2
*** CAP.1 ***


Nonostate fosse notte fonda, una piccola folla di curiosi si era raggruppata intorno a casa Hudson: le persone facevano domande alle autorità lì ferme, più per curiosità che per vero interesse, le persone raramente pensano agli affari propri.
I vicini della coppia, il signor e la signora O'Connor, due signori sui sessant'anni, spettegolavano, raccontavano ciò che sapevano e inventavano ciò che non sapevano: si sentivano al centro dell'attenzione e poco importava se il motivo era la morte di un bambino, a loro piaceva quell'attenzione.
C'era qualche camioncino pieno di poliziotti e due ambulanze davanti alla casa, lì ferme: Sarah era davanti ad una di queste e continuava a strillare e a piangere; il pigiama e la pelle erano ancora sporchi del sangue di Dave, l'aveva tenuto in braccio, tentato di rianimarlo e coccolato fino all'arrivo delle autorità e delle ambulanze, chiamate da Jack. I paramedici non riuscivano a calmarla o a visitarla, la donna era completamente sconvolta e tentava di raggiungere il corpo del bimbo, ormai coperto dalla plastica nera.
Si venne a sapere che chi aveva ucciso il figlio della donna era, forse, il marito. Le persone iniziavano già a fare ipotesi sul movente dell'omicidio: forse lei lo tradiva? Ma allora perchè uccidere il bambino? Forse non era suo figlio? O, più semplicemente, era partito di testa?
La piccola calca continuava a crescere, ben presto la folla occupò gran parte della via, e ci volle l'intervento della polizia per sgombrare la strada.
Takiel osservava la casa circondata dai curiosi e delle autorità lontano dalla folla, vicino agli alberi del parco. Il suo sguardo castano era corrucciato ed il volto dai lineamenti decisi era contratto dalla rabbia, aveva le braccia incrociate al petto; un freddo vento gli scompigliava i lunghi e già disordinati capelli neri.
-Hai fatto proprio un gran pasticcio.- Disse freddo ad una misteriosa entità dietro agli alberi -Ci sei riuscita.. Adesso nessuno avrà più il bambino.-
-Non sono stata io, bambolotto- Rispose una voce femminile dietro di lui -Non è stato nessun demone, nessuno che abbia a che fare con l'inferno... Puoi dire lo stesso di voi?- La donna si avvicinò a Takiel, guardandolo con aria di accusa -Non sapevo che gli angeli uccidessero i bambini...Ero rimasta che li dovessero proteggere- Disse con un sorriso sulle labbra, o meglio, un ghigno.
-Infatti non lo facciamo- Rispose Takiel infastidito da quell'accusa, girando la testa per guardarla: aveva la pelle chiarissima, quasi bianca, i capelli erano lunghi, nero corvino e lisci, gli occhi verde acqua, con il contorno dell'iride rosso, nascondevano un'anima malvagia, senza speranze o sogni. Quegli occhi nascondevano un demone infernale. Indossava un abito nero che le arrivava sotto al ginocchio, senza maniche, ma non pareva provare freddo, non pareva provare alcuna sensazione.
-E comunque dammi una ragione per crederti..Sei un demone, Berith. I demoni mentono.- Continuò l'angelo, infilando le mani nelle tasche dei jeans. Non si fidava di lei, non si fidava di alcun demone, in realtà: gli era stato insegnato a diffidare delle loro parole; l'inferno era il nemico, la piaga da cui bisognava liberare il mondo, un luogo da cui non usciva mai nulla di buono, tantomeno la verità.
-Oh, andiamo, Tak!- Esclamò Berith, perdendo quasi la pazienza -Lo sai benissimo che quel bambino serviva tanto a voi quanto a noi. E ci serviva vivo. Senza contare che, qui nei dintorni, non c'è e nemmeno c'è stata la presenza di un demone..Oh, a parte me, ovviamente.- Disse con un tocco di ironia -Abbiamo avuto preciso ordine di stare lontani da quella casa, nulla doveva accadere a quell'esserino insignificante- Spiegò all'angelo, pronunciando le ultime parole con tono quasi disgustato -o alla sua famiglia. Noi non c'entriamo assolutamente nulla con tutto ciò. Io piuttosto, sottospecie di angelo caduto, perchè mai dovrei crederti?-
-Anzitutto, non sono un caduto, ma un fuggitivo, è diverso.- Replicò Takiel -Prima di tagliarmi le ali devono prendermi.- Aggiunse sorridendo beffardo -E comunque te lo ripeto: non sono stato io.- Disse l'angelo: come poteva uno schifoso demone pensare che un angelo, seppur fuggitivo, avesse ucciso una creatura innocente? -Quindi chi ha ucciso David Hudson, se inferno e paradiso sono fuori da questa faccenda?- Chiese poi, con aria interrogativa guardando quella casa, che sarebbe stata, nei giorni seguenti, rinonimata "La casa degli orrori". Le persone continuavano ad arrivare e a curiosare, i due esseri potevano sentirne le voci dalla loro posizione.
La polizia portò fuori, in manette, Jack Hudson, che continuava a gridare la propria innocenza, mentre la moglie continuava ad indicarlo e ad apostrofarlo, urlando “assassino”. Takiel ebbe un sussulto. Poteva mai essere vero?
-Ebbene sì, Takiel.- Disse Berith sorridendo diabolica, come se gli avesse letto i pensieri -Molto spesso, quasi sempre, in verità, non serviamo noi. Fanno tutto loro. Gli umani. Ormai i veri demoni sono loro.- Spiegò con aria e tono soddisfatti. -Il male,ormai, se lo fanno tra di loro. E' inutile che tentate di distruggerci, anzi..Se continua così, dovrete difenderci e difendervi da loro- Sghignazzò compiaciuta. Takiel provò un senso di disgusto verso gli uomini, una sensazione del tutto nuova per lui. Come potevano gli esseri umani sprecare in questo modo il dono che il Signore aveva fatto loro, la vita? E come poteva Dio amare quegli esseri più di quanto amasse gli angeli stessi? Come poteva lui, Takiel, difendere quegli esseri come se fossero suoi fratelli?
Da quando era scappato dal paradiso, Takiel aveva sempre vissuto in mezzo agli esseri umani: li proteggeva, cacciava le creature sovrannaturali che li minacciavano, tentava di garantire loro la pace; sapeva perfettamente che non erano innocenti, non tutti almeno, ma non gli era mai capitato di assistere ad un padre che colpiva il suo stesso figlio. Questo pensiero gli fece provare rabbia, tanta rabbia. “Stupidi esseri umani..” Pensò.
-Oh, non prendertela, Takiel..- Disse Berith, sorridendo beffarda -Questa eterna guerra tra noi doveva finire in qualche modo..- Spiegò divertita -Abbiamo vinto noi, con o senza profezia: gli uomini si sono uniti alle forze del male già da tanto tempo, solo voi non volete ammetterlo. Non sapete perdere!- Affermò derisoria.
-Io non c'entro più niente con il "tuo nemico"- Si limitò a dire l'angelo, senza aggiungere nulla. Guardava avanti a sé ed ascoltava il demone. Era deluso, arrabbiato, triste.
Berith ghignò guardando la creatura vicino a lei, poi scomparve, svanendo nel nulla. L'angelo rimase immobile per alcuni minuti, poi si avviò camminando pensieroso.

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Capitolo 3
*** CAP.2 ***


Berith non era sempre stata un demone: un tempo, negli anni '20, era una bellissima donna che sognava di cantare, di potersi esibire su un palcoscenico; la musica, il canto, il pianoforte erano la sua vita.
Era una ragazza dal carattere forte e determinato, ma allo stesso tempo romantica e sognatrice: il suo sogno era, appunto, la musica. Ma il mondo è sempre stato sessista e le donne non erano molto apprezzate sul palco, se non come spogliarelliste: qualunque donna riuscisse a ricamarsi un piccolo posto nello spettacolo era considerata una poco di buono, una puttana. Per questo motivo i suoi genitori, Thomas e Janet Boswell, per evitare le chiacchiere, le scelsero un marito e le proibirono di cantare o suonare.
Berith, di tuttta risposta, all'età di sedici anni, scappò di casa per evitare il matrimonio e per inseguire e coronare i suoi sogni fatti di note e libertà.
-Sia maledetto il giorno che ti ho conosciuto, Nahenia!- Pensò stizzita.
Nahenia era il demone a cui Berith vendette l'anima, per ottenere in cambio fama, soldi, successo e amore.
Si era presentato come un uomo elegante ed affascinante, appassionato di musica jazz, profondo e dalla cultura raffinata: la prima volta che Berith lo vide erano in un locale in cui si suonava musica jazz, nel quale Berith aveva trovato lavoro come cameriera.
Nahenia andava lì tutte le sere, si sedeva sempre allo stesso tavolo ed ordinava sempre lo stesso whisky, ascoltava la musica che qualche giovane gruppo di musicisti proponeva e guardava, ma sarebbe meglio dire che fissava, la giovanissima ed ingenua Berith, che ricambiava volentieri quegli sguardi. Una sera la invitò a sedersi al tavolo con lui, disse che “la buona musica pare ancor più bella se ascoltata insieme ad una donna incantevole”: la ragazza si sentì onorata da un complimento simile ed accettò di buon grado l'invito ed il corteggiamento dell'uomo, finendo la serata in uno squallidissimo motel a rinunciare a ciò che di più puro avesse il suo corpo. Quella notte, Nahenia, le promise fama, amore, ricchezza e talento, il tutto in cambio di una firma in fondo ad un foglio: Berith, nella sua giovane ed innocente ingenuità, credendo alla buona fede di quell'uomo che l'aveva così elegantemente corteggiata, firmò quel foglio. Il giorno dopo l'uomo sparì.
Ben presto tutti i suoi sogni iniziarono a realizzarsi: il cantante del locale l'aveva sentire cantare mentre puliva i tavoli e la volle con lui sul palco, era apprezzata ed acclamata da tutti, presto divenne la star del locale; da quel punto fu una passeggiata: arrivarono i primi successi, i soldi, gli uomini facevano follie per un suo sorriso; si dimenticò di quel misterioso uomo e di quel foglio da lei firmato.
Pochi anni più tardi, Nahenia si ripresentò davanti alla porta dell'elegante appartamento che Berith aveva acquistato a Manatthan; voleva ciò che gli spettava da contratto: la sua anima.
A nulla servirono le preghiere ed i pianti disperati della ragazza, la trovarono il mattino dopo morta, infarto dissero i medici, dal momento che non riuscivano a capire come potesse esser morta.
Berith si trasformò in un demone, perchè è questo che spetta a chi vende la propria anima. -Sapevo di trovarti qui..- Una voce alle sue spalle mise fine ai suoi pensieri e la fece sobbalzare. -Takiel.. Non ti ho sentito arrivare..- Sussurrò guardando con la coda dell'occhio l'angelo.
-Ho saputo del tuo problema..- Disse Takiel curiosando in giro
-Ah, già si è diffusa la notizia? Il gazzettino degli angeli non perde tempo, a quanto vedo..- Rispose sarcastica la creatura inferale -Comunque sì. Mi hanno cacciata dall'inferno. Non sono più un demone.. A dire il vero, non sono più niente.- Disse tristemente, abbassando lo sguardo.
Non un demone, non uno spirito, non una donna. Non era classificabile in alcuno modo. Non era nemmeno uno zombie, aveva conservato alcuni dei suoi poteri di demone. Si sentiva vuota, insignificante, inutile.
-Sono un mezzo demone- Mormorò tristemente. I superiori di Berith, all'inferno, si infuriarono quando appresero che David era morto, che Berith non era riuscita a prenderlo e, quindi, a portare a termine la missione che le era stata assegnata. A nulla servì spiegare loro che il bambino era morto già prima del suo arrivo sulla Terra, la decisione ormai era presa: Berith non era più gradita all'inferno ed era meglio che se ne andasse, prima di finire tra le anime torturate.
-Quindi che sei venuto a fare, Takiel? A finirmi? Fai pure. Io potrò pure morire, ma tu resterai sempre un essere inferiore.- Disse ostentando arroganza, esibita solo per non farsi vedere debole dall'essere angelico.
-Non sono qui per ucciderti, Berith. Ho una proposta da farti.- La informò l'angelo. -Una proposta? Oh,mi spiace, tesoro. Ho già accettato una proposta in passato e ti assicuro che me ne sono pentita. A meno che.. l'angioletto non voglia divertirsi un po' con il diavoletto..- Disse con fare ammiccante, avvicinando le sue provocanti labbra alle labbra dell'angelo.
-No, Berith. Nessun divertimento, nessun gioco. Io ti aiuterò a tornare ad essere un demone a pieno titolo..E tu, in cambio aiuterai me.- Rispose serio Takiel, allontanando il suo viso da quello dell'attraente demone.
-Aiutarti? A fare cosa?- Chiese curiosa Berith
-A ripulire questo mondo. Ad eliminare la feccia. A rendere il mondo un posto più sicuro per tutti.- Disse Takiel con voce ferma e sicura.
-Quindi..Fammi capire bene. Tu, un angelo di Dio, un soldato del Signore, vuoi eliminare, quindi uccidere degli esseri umani? Bè.la cosa è interessante..- Berith camminava su e giù per la stanza dell'hotel in cui alloggiava, ragionando sulla proposta dell'angelo -Ma tutto ciò come potrebbe ridarmi il mio posto all'inferno?- Gli chiese infine, guardandolo negli occhi.
-Io so che se un demone viene espulso dall'inferno può riconquistare il suo posto portando delle anime ai suoi superiori.. Io ti sto proponendo questo. Uccidere insieme a me le persone indegne di far parte di questo mondo e prenderne le anime per portarle a Nahenia-
-Ne servono molte, sai?- Chiese il mezzo demone girandogli intorno ed osservandolo. Servivano 666 anime da portare all'inferno per esser riammessa tra i demoni -E poi come so che posso fidarmi di te?- Chiese sospettosa.
-Sono un angelo. Gli angeli non mentono.-
-Se è per questo nemmeno ammazzano la gente, bambolotto.. - Disse Berith sarcastica.
-E' l'unica possibilità che hai per tornare ad essere un demone.-
-Potrei decidere di prendere tutte quelle anime da me.. Senza l'aiuto di un angelo traditore..- Lo provocò il demone.
-Provaci pure, Berith. Ma io lo saprò. Saprò esattamente dove trovarti e dopo la prima anima presa.. Io ti ucciderò. Pensa alla mia proposta, mezzo demone. - Concluse Takiel con disprezzo. Berith sbuffò. Le conveniva, in effetti. Lui faceva il lavoro sporco e lei si sarebbe presa le anime. Persone inutili e prive di significato avrebbero perso la vita e a lei non faceva alcuna differenza, non gliene era mai fregato niente delle persone, nemmeno quando era in vita.
-D'accordo, Takiel. Ci sto.- Disse infine, porgendo la mano all'angelo.

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