Fashion Detective - The only one in the world.

di Mela and Polly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno studio in Raso - I parte ***
Capitolo 2: *** Uno studio in Raso - II parte ***



Capitolo 1
*** Uno studio in Raso - I parte ***


Fashion Detective, the only one in the world.




John “Three Backstage Pass” Watson è un modello costretto ad abbandonare il proprio lavoro dopo una dolorosa caduta da un paio di Armadillos firmate McQueen.
Per superare lo shock post-traumatico cerca di scrivere un blog sulla propria vita da comune mortale, ma fallisce, piombando nella depressione più profonda e ritrovandosi a indossare maglioni di lana tremendamente indie e bluse a quadri degne del peggiore degli Hipsters.
Tutta la sua vita sembra sfilacciarsi tragicamente, come un abito ultra cheap Made in China.
Ma poi incontra lui, Sherlock Holmes.
Professione? Fashion Detective: the only one in the world.










~Uno studio in Raso



Lo ricordava come se fosse accaduto ieri, John. L'accecante baluginio dei flash fotografici, il bianco alone dell'occhio di bue puntato su di lui e su di lui soltanto, i quaranta metri di passerella da percorrere con la grazia di un fenicottero del Borneo Sudequatoriale, Anna Wintour e Franca Sozzani in front row ad ammirare il suo défilé.
Stralci d'immagini vivide quanto dolorose colpivano la sua mente ogni volta che chiudeva gli occhi nell'inutile tentativo di prendere sonno, tingendo i suoi incubi di
greige e tortora, taupe e belje, particulière, tangerine e tanti altri colori in quel momento tristemente passati di moda.
Poi ancora ricordi, come scene sconnesse di un film indipendente: un giovane modello con ai piedi un magnifico paio di Armadillos in vera pelle di Drago di Komodo, un penetrante crampo al polpaccio, l'incespicare del suo passo sicuro e leggiadro e... la caduta.
A quel punto dell'incubo John si risvegliava sudato, sconvolto e sofferente.
No, checché ne dicesse la sua terapeuta, non sarebbe mai riuscito a superare l'umiliante fine della sua splendente carriera.
Lui, John “Three Backstage Pass” Watson, aveva un'unica ragione di vita:
la moda.

“Non hai scritto ancora nulla?”
La psicoterapeuta lo fissava con insistenza, beatamente inconsapevole di indossare una blusa che sarebbe stata fuori moda perfino nel duemiladieci, aspettando da lui una risposta.
“No” rispose John, per nulla incline al dialogo.
La donna aggrottò la fronte e scarabocchiò qualcosa sulla sua agenda – chiaramente non una Moleskine.
“Hai deciso il nome? Hai dato un titolo al tuo blog, almeno?” lo incalzò, sperando di ottenere più che risposte monosillabiche.
John distolse lo sguardo, nel tentativo di celare la profonda sofferenza che lo attanagliava. Era successo proprio quella mattina, dopo l'ennesimo incubo a base di tomaie e tacchi a spillo: aveva trovato un nome perfetto per il suo blog, o almeno così credeva. Aveva acceso il proprio MacBook e aperto WordPress, finalmente deciso a creare quel maledetto diario; sotto alla dicitura titolo aveva digitato quello che riteneva essere una delle catchphrase migliori dell'universo e aveva atteso, atteso e atteso nuovamente migliaia millesimi di secondo per ottenere l'approvazione.
Poi, la disperazione: il dominio “The Fashion Kitten” era già in uso. Aveva pianto per ore prima di superare lo shock.
“N-no, non ho ancora un nome per il blog” riuscì a balbettare, nonostante la voce, sopraffatta dal dolore, gli morisse in gola dopo ogni parola. “The... The Fashion Kitten era già occupato” aggiunse successivamente, sentendo gli occhi diventare lucidi.
La donna-dall'orribile-blusa annuì comprensiva.
“Sei stato coraggioso ad ammetterlo. So quanto può essere dolorosa questa esperienza, ma sono qui per aiutarti a superarla. Insieme ce la possiamo fare, John, credimi” lo consolò.
Dopo un attimo di silenzio l'uomo si alzò di scatto, assai più rapidamente di quanto i suoi skinny jeans sembrassero permettere.
“No, questo... questo è più di quanto una persona alla moda possa sopportare!” mormorò ferito. “Era già in uso. Già in uso.” ripeté, abbassando le palpebre per contenere tutto il dolore che lo attraversava, poi con gesti decisi si drappeggiò la sciarpa vintage attorno al collo e lasciò lo studio.


***


L'uomo lacerò l'involucro di cellophane del lavasecco con un gesto deciso.
"Quant'è vecchio?" domandò alla ragazzina, arricciando il naso in una malcelata smorfia di disgusto.
Molly si morse nervosamente il labbro.
"P...Primavera
-Estate 2011" disse lisciandosi nervosamente la coda di cavallo che profumava di Sunsilk-lisci-effetto-seta. "Non ho saputo trovare di meglio."
Sherlock sospirò.
"Va bene. Possiamo iniziare con la macchina da cucire." Il rumore secco della macchina da cucire riempiva la sartoria, un rumore che suonava come TATA TAPATATA TAPATAPATA, ma anche come TAPATAPATÀ TAPATÌ TÀ.
Molly vedeva l'ombra di Sherlock proiettata sul muro, le dita abili che lavoravano veloci, così simile a come, sin da bambina, si era sempre immaginata il Fantasma dell'Opera.
“Ma siamo a Milano” si corresse mentalmente “Forse dovrei pensare a lui come al Fantasma della Scala”.
Avanzò timidamente verso l'uomo.
Com'era affascinante, Sherlock Holmes!
I riccioli bruni, frutto di molteplici permanenti eseguite dagli hair stylist di Coppola, lassù all'ultimo piano della Rinascente, si stagliavano contro la pelle eburnea del suo volto, resa liscia e luminosa dallo scrub al miele della sera precedente. La sartina si fece coraggio. “Non può dirmi di no, questa volta.” pensò.
“Ho mandato LOVE seguito da IL MIO NOME seguito da IL SUO NOME al Love Calculator. La nostra percentuale di affinità è più alta del solito, questa settimana. È un buon segno. Coraggio, Molly Hooper” Si schiarì delicatamente la voce per richiamare l'attenzione del detective. L'uomo alzò lo sguardo dal minidress che stava rendendo, senza tanti complimenti, a brandelli.
“Sì, Molly?” la ragazza prese un profondo respiro. “Mi chiedevo se dopo, una volta finito qui in sartoria... Mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè più tardi.”
“Liscio, al ginseng. Mi mantiene attivo e mi aiuta a bruciare più in fretta le calorie della lattuga senza condimento che mi sono concesso per pranzo tre giorni fa. Niente zucchero, ovviamente. Mi troverai al piano di sopra.” fu la risposta laconica del detective.
Molly lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva all'appendiabiti e si riappropriava del suo cappotto Belstaff e della sua sciarpa vintage Paul Smith.
“La prossima volta andrà meglio, Molly” sussurrò a se stessa.



***



Aveva bisogno di una tisana calmante agli estratti naturali di frutta, pensò mentre percorreva le trafficate vie di Milano. Aveva
decisamente bisogno di una tisana calmante agli estratti naturali di frutta.
“Ehi, stai un po' attento!” berciò verso l'uomo che l'aveva appena urtato.
“John?! John Watson, l'astro nascente dell'alta moda maschile!?” domandò questo, non appena scorse la sua morbida chioma bionda. “Stamford! Sono Mike Stamford, sfilavamo insieme per la Élite Models.”
Il volte di John si illuminò.
“Sì, certo, mi ricordo di te. Ermenegildo Zegna Autunno/Inverno 2005, vero?” gli chiese, pur conoscendo già la risposta.
“Già” rispose Mike gioviale. “Ma è comprensibile che tu non mi abbia riconosciuto subito: sono ingrassato di ben sette etti da allora. Figuriamoci, ho dovuto allargare tutti i miei vestiti di un millimetro virgola tre... sto proprio invecchiando!”
John sorrise. In effetti le guance del vecchio amico avevano un aspetto meno scavato del solito, gli anni passati e i sette etti di grasso non erano stati clementi con lui.
“Beh, ti va un MocaCioccoLatte Dietetico senza caffeina, senza cioccolato e senza latte? Ho sentito che da Arnold's lo preparano in modo di-vi-no” propose Mike, ansioso di ingurgitare le quattro agognate calorie del MocaCioccoLatte Dietetico. John non poté declinare.
“Ho sentito del tuo piccolo incidente, quello alla settimana della moda di Parigi. Cosa è successo?” indagò Stamford, una volta che entrambi ebbero tra le mani l'enorme bicchiere di carta pieno di liquido bollente e assolutamente sugar free.
“Ho avuto un... piccolo incidente” disse, calibrando bene ogni parola.
“Capisco.”
“E tu, Mike? Lavori ancora per la Élite Models?” domandò John, desideroso di distogliere l'attenzione dal proprio problema.
“Ora faccio il manager. Ci sono un sacco di giovani aggraziati e affascinanti, proprio come eravamo noi una volta. Dio, quanto li detesto!”
“Già, maledetti pseudo-alternativi!” rise John.
“E adesso? Cosa pensi di fare? Hai intenzione di rimanere in città?”
Il biondo impallidì.
“Scherzi, vero? Sono un modello in pensione e Milano è una città talmente costosa! Insomma, lo so che avere una gelateria Vegan-Fruttariana sotto casa è indispensabile, però temo di dover rinunciare a queste forme basilari di civiltà e trasferirmi. Ho sentito dire che nell'hinterland non hanno caffetterie d'asporto, né boutique d'abiti vintage. Sarà dura!”
“Oh. My. God. Sembra terribile!” esclamò Mike, sinceramente terrorizzato. “Amico, devi trovarti un coinquilino, è vitale!”
“Andiamo, sono un modello in pensione, estremamente ordinato, silenzioso, bellissimo, educato e alla moda. Chi mi vorrebbe mai come coinquilino?” rispose John, cercando di farlo ragionare.
“Sai una cosa? Non sei il primo che me lo dice, oggi”.
“...Conosci un altro modello in pensione estremamente ordinato, silenzioso, bellissimo, educato e alla moda in cerca di un coinquilino?” chiede il biondo, stupito.
“Aspetta e vedrai, mio caro, aspetta e vedrai!”


***



L'atelier era deserto, non fosse stato per la figura longilinea ed efebica che se ne stava davanti allo specchio, intenta ad applicarsi delle ciglia finte tempestate di zirconi.
Lo sconosciuto non sembrò sorpreso del loro arrivo. Sembrava che si aspettasse la loro visita, così come ci si aspetta il prepotente -e oramai quasi stucchevole- ritorno del nero nelle collezioni invernali.
“Mike, mi presti il tuo iPad? Il mio è scarico” d
omandò, tendendo una mano elegante e dalle unghie perfettamente curate verso di loro.
“Perché non usi il laptop?” replicò l'amico.
Il ragazzo sbuffò sonoramente, con aria d'impazienza. “...cielo, Mike. Sei giurassico.”
“Mi dispiace, temo di averlo dimenticato al brunch macrobiotico di questa mattina con gli altri manager.” L'imbarazzo dell'uomo era più che evidente. Imbarazzo per la dimenticanza, o per qualcosa di ben più difficile da confessare? “Ma non credo me lo abbiano portato via. Voglio dire, è un...” Sembrò esitare, soppesando con cautela le proprie parole. “Un iPad, non un iPad 2. Chi mai lo vorrebbe? Se vuoi te lo vado a prendere...”
John si sentì raggelare. Mike Stamford, Mike Stamford che suggeriva di utilizzare un volgarissimo laptop, e che confessava -cielo! Così spudoratamente!- di non essere in possesso del gadget hi-tec più cool del momento?! Che ne era stato del vecchio Mike “Oh-so-damn-cool” Stamford?
Era come se tutte le sue certezze fossero crollate.
“Può usare il mio.” si offrì, più per togliere l'amico dall'imbarazzo che per mera filantropia.
Mike parve apprezzare il gesto.
“Lui è un vecchio amico, John Watson.” annunciò, dandosi un'aria importante.
Lo sconosciuto sollevò a malapena gli occhi dalle sue cuticole.
“...Parigi o Milano?” domandò con fare annoiato.
John sussultò, sperando di aver capito male.
“Come scusi?”
“Dove è successo? A Parigi o a Milano?” ripeté il ragazzo, spazientito.
Vennero interrotti dall'arrivo di una giovinetta scialba, con un metro da sarta annodato attorno al collo.
“Che sia una nuova tendenza?” si domandò John, frastornato.
“Ah, Molly col mio ginseng, grazie!” esclamò l'androgino sconosciuto. “Che è successo al rossetto, gioia?”
La ragazza arrossì violentemente.
“L'ho... L'ho cambiato. Era una nuance troppo intensa per il mio incarnato.” pigolò con voce flebile.
L'uomo la squadrò con compassione.
“Davvero? Secondo me era un gran passo in avanti. Ora il segno della matita per il contorno delle labbra è troppo netto. Fa così anni novanta, Molly.”
Il rossore sulle guance della ragazza raggiunse una insolita tonalità amaranto (“Siamo in autunno” -si disse John “Che razza di guance si tingono d'amaranto in autunno? Dovrebbero virare verso il rosso melograno, come minimo, per non essere considerate di cattivo gusto.”). Con un'ultima occhiata nervosa all'uomo a cui aveva portato il caffè, la giovane si dileguò.
“Le dà fastidio il pilates?” La domanda dello sconosciuto colse nuovamente John alla sprovvista.
“Come, scusi?”
“Quando rifletto faccio pilates, e, a volte, non assumo carboidrati per giorni. Le darebbe fastidio? I possibili coinquilini dovrebbero conoscere i loro difetti.”
Il mondo stava iniziando a girare un po' troppo velocemente per i gusti di John.
“Hai...hai fatto del gossip su di me, Mike?” domandò sconvolto all'amico.
Stamford sfoderò un sorriso divertito. “Nemmeno una parola, John. Non un tweet. Nulla.”
Il ragazzo si intromise.
“Sono stato io a dire a Mike questa mattina che mi serviva un coinquilino. Sa, sono un personaggio difficile da gestire, soprattutto in periodo di saldi. E ora eccolo qui, di ritorno da un MocaCioccoLatte da Arnold's assieme a un vecchio compagno di passerella che ha dovuto prematuramente abbandonare le sfilate, dopo una poco signorile caduta avvenuta a Parigi. Non è così difficile da capire.”
“Come fa a sapere di Parigi?” chiese John, che nel frattempo si stava domandando se stava scontando in quel momento surreale tutti gli eccessi della propria gioventù vissuta tra i party e i club più esclusivi della Milano da bere.
L'altro non lo filò di striscio. “Ho messo gli occhi su un loft in via Montenapoleone che è l'amore. Dovremmo essere in grado di permettercelo. Ci incontreremo lì domani sera, giusto prima dell'happy hour.” Si infilò il cappotto di ottima fattura, e si annodò una sciarpa vintage al collo.
“Scusatemi ma sono di fretta, ho dimenticato i miei cartamodelli in sartoria.”
“...tutto qui?” John non sapeva se sentirsi più sconvolto o più irritato. Non doveva irritarsi. Quando si irritava contraeva eccessivamente i muscoli del viso, e poi doveva spendere una fortuna in antirughe.
“Prego?”
“Ci siamo appena conosciuti e già si parla di condividere un loft... arredato da chissà chi, poi.” affermò John, con una punta di panico. Non avrebbe mai abitato in un posto che non fosse stato progettato da un interior desingner di fama nazionale.
“Problemi, gioia?”
“Non sappiamo nulla l'uno dell'altro. Non so dove ci dovremmo incontrare, non conosco il suo nome, né la sua professione, né chi è il suo estetista o che marca di smalto ha usato per la french manicure.”
“So che lei è un ex modello in pensione, azzoppatosi cadendo da delle Armadillos durante la Settimana della Moda di Parigi. Ha un fratello che si preoccupa per lei, ma non vuole chiedergli aiuto perché non lo approva, forse a causa della sua insana passione per gli stivali da cowboy a punta decorati con fiamme e teschi, o più probabilmente perché di recente ha indossato una maglia Monella Vagabonda. E so che il suo terapista pensa che la sua imitazione di Zoolander sia psicosomatica, e credo abbia perfettamente ragione. Penso che possa bastare, no?
Il mio nome è Sherlock Holmes, e il mio indirizzo è 221B, Via Montenapoleone. Kisses.”











Mela&Polly
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Capitolo 2
*** Uno studio in Raso - II parte ***





Oh. Mio. Dio.” Scandì John, ammirando l'imponente palazzo in via Montenapoleone. “Siamo in una zona super, super, super esclusiva! Ed è proprio sopra lo show room di Louis Vuitton, semplicemente divino. Sarà davvero costoso!”
Sherlock scrollò le spalle.
“Non preoccuparti, gioia. La signora Hudson, la padrona di casa, mi deve un favore e-nor-me” lo rassicurò. “Anni fa comprò un intero stock di felpe De Puta Madre, io le ho dato una mano.”
“Li avete bruciati tutte, mi auguro” sospirò John, rabbrividendo al solo pensiero di quel marchio da truzzi di provincia.
“No” rispose il moro, sotto lo sguardo atterrito dell'aspirante blogger. “Ho convinto la stampa di quanto fossero all'avanguardia quelle felpe tamarre, di come l'accostamento tra piccione, rosso menopausa e rosa shocking fosse raffinato e cool e... puff! Abbiamo venduto tutto al triplo del costo effettivo” concluse con una punta d'orgoglio.
John non poté che fissarlo affascinato, mentre Sherlock si preparò a suonare il campanello del 221B.
“Sherlock, mio piccolo macaron all'essenza di violetta e radicchio!” esclamò una donna abbigliata in ametista, non appena il portone verde mirto selvatico si aprì.
Sciura Hudson, tesoro, è sempre un piacere incontrarla” la salutò l'uomo. “Le presento il trend setter John Watson. Siamo qui per il loft, sa, quello per cui l'ho videochiamata ieri.”
“Certo, stelline, seguitemi pure” disse, invitandoli ad entrare. “Purtroppo è un attico in pieno centro di soli duecentosettanta metri quadrati, i vostri cocktail party non potranno ospitare più di un centinaio di invitati...”
“Che scomodità!” mormorò John, arricciando il naso.
“Non si preoccupi, sciura Hudson, diremo che i nostri invitati saranno solo cento perché si tratta di un happening estremamente esclusivo, per pochi eletti” chiosò Sherlock. “Non sarà certo questo a metterci in imbarazzo agli occhi di tutta la Milano da Bere!”

 

“Nonostante sia molto angusto, lo trovo discretamente bello” commentò il blogger, muovendo qualche passo insicuro nel loft.
“Sì. Sì, sono pienamente d'accordo” aggiunse Sherlock.
“Beh, non appena avremo gettato nella spazzatura queste orrende gigantografie di Lady Gaga potrebbe diventare un posto vivibile!”/”Come puoi vedere ho già appeso la mia strepitosa collezione di gigantografie di Lady Gaga” dissero poi, contemporaneamente.
John e Sherlock si fissarono imbarazzati per qualche istante.
“Ovviamente possiamo appendere anche qualche foto di Katy Perry” azzardò Sherlock, internamente ferito dalle parole del futuro coinquilino. Quella era la sua fottutissima collezione di gigantografie della divina Gaga. Come osava?
“Sì” commentò John con mestizia. “Sì, sarà meglio.”
“Vi sono due cabine armadio” suggerì la signora Hudson a quel punto. “In caso aveste bisogno di due cabine armadio, ovviamente!”
Un'espressione sconvolta apparve sul volto di John, perfettamente liscio grazie alla maschera notte a base di placenta di orsetto lavatore.
“Certo che avremo bisogno di due cabine armadio!” esclamò scandalizzato.
“Oh, non preoccupatevi” sorrise la donna, accondiscendente. “La signora Brambilla, il portone accanto, prende quelli che indossano Monella Vagabonda!”

“Ti ho googlato, ieri sera. In modo non assolutamente creepy.”
“Hai trovato qualcosa che deliziasse le tue pupille?”
“Ho trovato il tuo blog, The Science of Price Reduction”
Che ne pensi?”
“Affermi che puoi riconoscere un abito di Issa London dall'orlo inferiore e una giacca di Michael Kors dalla scalvatura delle maniche.”
“Sì. E posso leggere la tua carriera di modello dal tuo profumo di Calvin Klein e dalla perfetta cura delle tue cuticole, e le imbarazzanti abitudini stilistiche di tuo fratello dalla scrivania del tuo iPad.”
John tacque, ancora una volta meravigliato dalle parole del futuro coinquilino. Non solo era un uomo dal gusto innato, capace di indossare con stile e classe sia un magnifico completo di Ermenegildo Zegna che una camicia di Zara, ma era pure arguto e osservatore!
“John, smettila di sgranare gli occhi” lo redarguì Sherlock. “Se continui così ti verranno delle orrende righe d'espressione!”
“Oh, hai ragione” concordò, prima di riassumere una neutra espressione scazzata che ben si sposava con il suo stile Hipster.
“Allora, Sherlock, che ne pensi di questi tre suicidi seriali?” chiese la signora Hudson, guardandolo preoccupata. “La signora Brambilla mi ha riferito che la signora Locatelli le ha riferito che la signora Mancini le ha riferito che qualcuno le ha detto che al mercato ha sentito che alla fiera dell'est qualcuno ha detto che i cadaveri indossavano degli abiti agghiaccianti. È un caso di tua competenza, vero?”
“Quattro” rispose Sherlock. “Sono quattro suicidi seriali, cara. Sento il fastidioso olezzo di abiti Abercrombie&Fitch, qualche leccapiedi di Lestrade sta arrivando. C'è un'altra vittima.
In quell'istante la porta del loft si spalancò e un ragazzo abbigliato da capo a piedi come un perfetto idiota californiano, ovvero camicia&infradito nonostante i -10° celsius di Milano in pieno Febbraio, fece la sua comparsa. Sherlock non lo lasciò parlare.
“Dove?” gli domandò a bruciapelo.
“Non lontano da qui, a Palazzo Giureconsulti.”
“Che c'è di nuovo questa volta?” indagò l'uomo. “Lestrade non avrebbe mandato nessuno fin qui, se non ci fosse qualcosa di diverso! Spero ti abbia almeno pagato il taxi.”
“Que-questa vittima... “ balbettò il nuovo arrivato, intimorito da Sherlock. “Questa volta non è stata trovata nel proprio appartamento. Era vicino alla...vicino alla passerella. Allora, viene? Devo mandare un tweet a Lestrade per confermare la sua presenza.”
“Chi è l'assistente al Backstage?”
“Anderson.”
Sherlock roteò gli occhi perfettamente azzurri.
Oh Cielo” disse con fare drammatico. “Non lavora bene con me, quell'inetto.”
“Viene? Guardi che la connessione tramite iPhone costa!”
“Non in taxi con lei, bella gioia. Sembra che si sia fatto il bagno nella colonia, è esiziale per le mie povere narici. Vi raggiungerò tra poco.”
Sherlock aspettò che il giovane lasciasse l'abitazione, per poi cominciare a piroettare su se stesso con la stessa ineffabile grazia di Natalie Portman nei panni del Cigno Nero.
“Divino! Delizioso!” esclamò, esibendosi in un arabesque da manuale. “Et voilà, plié, assemblé, degagé, emboité, fouetté, retiré et... jeté! Oh, è come una svendita da Burberry!” continuò, evidentemente su di giri. “Signora Hudson, potrei fare tardi, se arriva il mio estetista rimandi l'appuntamento, ok?
“Oh, Sherlock, mia piccola cupcake alla moda. Sono la tua padrona di casa, non la tua assistente personale!”

Quando Sherlock scomparve dall'appartamento, John appoggiò il proprio cappotto sulla sedia wassily, decidendo invece di riposare distendendosi sulla chaise longue.
“Tesoro, ti preparo qualcosa? Una tisana diuretica, magari?” gli chiese gentilmente la signora Hudson.
“Maledetta tisana diuretica!” imprecò John, inaspettatamente. “Non posso berla! Sto seguendo una dieta a base di acqua salmastra, una nuova moda di Hollywood.”
La donna sospirò rumorosamente.
“Oh, caro, quanto la capisco! Io ho appena finito la Plank. Terribile, davvero terribile” spiegò comprensiva.
La porta del 221B di Via Montenapolene si spalancò per la seconda volta nel giro di pochi minuti.
“Gioia, tu sei un modello” disse semplicemente Sherlock, senza nemmeno oltrepassare la soglia.
John si sollevò dalla chaise longue.
“Un modello di alta moda, in realtà.”
“E sei bravo?”
“Molto bravo.”
“Quindi hai visto un sacco di passerelle, di backstage.”
“Beh, sì.”
“Scommetto anche molti colleghi tirare di coca tra un'uscita e l'altra.”
“Sì, certo. Abbastanza per tutta una carriera e molto di più”.
Sherlock tacque un attimo, mentre il suo volto si deformava in un sorriso inquietante.
“...ne vuoi vedere ancora?”
“OMG yes!” gridò John, alzandosi di scatto.
“Eccellente. Signora Hudson, cara, noi usciamo” annunciò il moro.
“Tutti e due?!” domandò lei, stranita.
“Suicidi con abiti orrendi? Quattro?! Non ha senso stare seduti ad accumulare calorie se fuori accade qualcosa di così meraviglioso!” esclamò Sherlock, contento come una ragazzina di fronte alla sua prima it bag. “Il gioco, gioia bella, è iniziato!”

“Scommetto che hai delle domande da farmi” disse il moro quando sia lui che John furono saliti sul taxi.
“Sì, eccome caro mio” rispose il blogger. “Prima di tutto: dove stiamo andando?”
“Palazzo Giureconsulti, dove hanno avuto luogo alcune delle più eccezionali sfilate degli ultimi anni” spiegò. “La prossima?”
“Chi sei tu? E cosa fai?”
“Tu che dici?” rispose Sherlock, enigmatico, sorridendo nascosto dalla sua sciarpa in pura seta blu notte.
“Direi... un designer, un fashion designer” azzardò John, stringendosi nel maglione vintage acquistato pochi giorni prima in Via Vigevano.
“...Ma?” lo incoraggiò l'uomo dai capelli corvini.
“Gli stilisti come Lestrade non consultano altri fashion designer” analizzò attentamente, dall'alto della sua accurata conoscenza del mondo della moda. “Non per sfilate di questa importanza!”
Sherlock rise divertito.
“Sono un Fashion Detective, l'unico al mondo. Ho inventato io questo lavoro.”
“Che significa?”
“Significa che quando i couturiers si trovano in difficoltà, cioè sempre, si rivolgono a me.”
“I couturiers non consultano i dilettanti” gli fece notare John, leggermente scandalizzato.
“Sai il fatto tuo, John Watson. Scommetto che il tuo blog ha almeno duemila visite giornaliere, vero? E probabilmente hai un migliaio di follower su Twitter, ma non lo aggiorni spesso, nonostante la tua terapeuta te l'abbia consigliato per sopperire alla mancanza di vita sociale causata dal tracollo della tua carriera. Un migliaio... millecinquecentosettantacinque per la precisione” concluse, tacendo poi per umettarsi le labbra con il nuovo stick all'aloe e pappa reale di Yves Saint Laurent.
John sgranò ulteriormente gli occhi, sottolineati da una leggera passata di kajal dalla tonalità testa di moro (anche se non l'avrebbe mai ammesso nemmeno ai suoi millecinquecentosettantacinque followers).
“Però tu... tu preferisci Tumblr, è chiaro” continuò Sherlock, dopo essersi assicurato di aver tutta l'attenzione del blogger. “Twitter è troppo, troppo mainstream, ormai perfino i peggiori stagisti del mondo lo usano. Perfino Anderson.” aggiunse con una nota di sdegno, arricciando il naso. “E' chiaro che seguire la massa non fa per te. Io ti ho capito, John Watson: sei un Hipster!”
“AMAZING!” esclamò John, scattando una foto con il proprio iPhone e postandola in tempo reale sul suo Tumblr.
Sherlock sorrise deliziato.
“Poi c'è tuo fratello” continuò. “Il tuo iPad 2 è costoso, ma tu stai cercando un coinquilino che ti possa garantire la vicinanza ad una gelateria vegan-fruttariana e a ristoranti crudisti, non avresti sprecato soldi gettando nell'immondizia il tuo iPad-prima-edizione, quindi è un regalo. Però è di una persona del tutto priva del più basilare senso estetico: tra i preferiti della navigazione internet risultano blog quali “The Blonde Salad” e “The Fashion Fruit”, mentre la cronologia mostra che il sito più visitato all'acquisto della tablet era 'Amici degli Amici di Maria de Filippi', mentre tra le parole chiave più cercate capeggia 'Antonella Clerici nuda', quindi ha avuto un proprietario precedente. Il software è intestato ad Harry Watson, di certo non tuo padre, troppo giurassico per un gadget all'ultimo grido come questo, potrebbe essere un cugino, ma sei un modello che vive all'estero, hai pochi contatti con i parenti meno stretti. Quindi, è di tuo fratello. La sua tamarraggine insindacabile è evidente dalle App scaricate, inutili e volgari, nonché dalle foto di dubbie icone di moda come Anna Tatangelo che figurano tra i documenti.”
“E come facevi a sapere che...”
“Ha indossato una maglia Monella Vagabonda?” concluse Sherlock per lui. “È semplice, nel cestino ho trovato una mail in cui il negozio online di Monella Vagabonda confermava la ricezione del pagamento per una decina di maglie.”
“...praticamente quando hai detto di dover inviare una mail, hai unicamente frugato nel mio iPad!” commentò piccato.
“Non essere sciocco, John, ho anche giocato ad Angry Birds” chiosò Sherlock. “Comunque avevi ragione: gli stilisti come Lestrade non consultano i dilettanti.”
“Stupefacente!” esclamò John, dimenticandosi immediatamente che il Fashion Detective non aveva fatto altro che ficcanasare nel suo computer.
“Lo pensi davvero?”
“Certo, è stato straordinario, decisamente straordinario.”
“Non è quello che la gente dice di solito.”
“Cosa dice la gente di solito?”

“MA COME TI VESTI?!”


***


Trovarono ad accoglierli una spilungona lampadata, con la faccia ricoperta da quella che sembrava argilla semiliquida.
“Ciao, matusa.” apostrofò Sherlock, per niente entusiasta di averlo tra i piedi. L'ombretto sulle sue palpebre pareva essere stato applicato con un pennello da imbianchino. Di quelli con il rullo, per intenderci.
Il detective non parve scomporsi.
“Sono qui per vedere lo stilista Lestrade.”
“Sei nella lista?” domandò arrogantemente la ragazza, minacciandolo con un piegaciglia.
“Ho il VIP Access per il backstage, gioia.” ribattè lui, alzandosi il colletto del cappotto con un gesto che John trovò piuttosto tamarro.
“Fammi controllare se ti hanno inserito nella lista di Anderson, prima.” continuò lei, poco convinta dalle parole del ragazzo. Evidentemente non era nuova alle sue improvvisate sulle passerelle milanesi.
“Lestrade ha bisogno di una mia consulenza.” replicò Sherlock, ostentando la sua migliore faccia da sberle.
“E credo che tu sappia come la penso io riguardo a chi ficcanasa nelle nostre collezioni prima che queste vengano presentate in un evento ufficiale.” lo rimbeccò lei, per niente intenzionata a cedere, nemmeno di fronte agli occhi cerulei-perlacei-smeraldini del detective, che la guardavano come una gatto desideroso di farsi le unghie guarda un nuovo e costoso copridivano.
“Vedrana tignosa.” pensò Sherlock tra sé e sé. “Qui mi vedo costretto a giocare sporco.” Sfoderò quello che riteneva il più seducente dei suoi sorrisi, ma che in realtà riusciva solo a far appassire i ciclamini della signora Hudson ogni volta che faceva la propria comparsa sul volto senza rughe ed idratato del detective.
“So come la pensi, Sally. E so anche perché non sei tornata a casa tua dopo il cocktail party di venerdì sera.”
Colpita e affondata. “Ah io... e lui chi è?”
“Un mio collega, John Watson. John, ti presento la makeup artist Sally Donovan.” John gettò all'indietro la chioma color del grano in un gesto di saluto.
“Un collega?! Come mai ti hanno assegnato un collega?” Rise lei “ Ti ha per caso seguito a fare shopping al Corso senza acquistare nemmeno un paio di calzini?”
John cercò di nascondere la propria umiliazione dietro ad un timido sorriso. Veramente la ragazza lo riteneva capace di una cosa del genere? Aveva forse l'aria di chi si mescola alla plebaglia dei grandi magazzini, quella plebaglia che gira per Corso Vittorio Emanuele col naso all'aria senza comprare nulla? “Forse è il caso che io rimanga qui...” propose timidamente.
“No.” fu la secca risposta del detective.
Sally sospirò. Quel ragazzo era paragonabile solo ad un gruppo di fashion bloggers incompetenti che avessero deciso di disegnare una propria linea di t-shirt: un caso perso, fondamentalmente.
“È arrivato il matusa, lo faccio entrare!” urlò rivolta ad un ragazzo con un taglio di capelli che John aveva visto solamente nella prima serie di Dawson's Creek.
Sherlock si avvicinò baldanzosamente al tizio con i capelli improbabili. “Ah, Anderson. Ci si rivede!”
“È una precollection.” gli rispose l'altro, con voce stentorea. John si scostò per non essere travolto da una irruenta zaffata d'aglio. “ Non voglio che tu spoileri qualcosa su twitter, è chiaro?”
Sherlock sbadigliò. “Chiarissimo. Tua moglie starà via ancora a lungo?”
“Oh, non pretendere di aver azzeccato la cosa. Te lo avrà detto qualcuno.” La puzza d'aglio si fece più intensa.
Il detective sorrise sornione. “Me lo ha detto il tuo lucidalabbra.”
“Il mio...lucidalabbra?”
“È chiaramente un lucidalabbra maschile, dal profumo intenso di sandalo, muschio bianco e pino silvestre.” John continuava a sentire soltanto puzza d'aglio. Annusò furtivamente la propria camicia a quadri.
“Certo che è maschile.” protestò Anderson, ferito nell'orgoglio. “Lo indosso io. Sapessi come mi si screpolano le labbra in questa stagione.”
“E lo indossa pure la signorina Donovan.” continuò il detective. “Ma non sulle labbra. Ce ne sono tracce evidenti sulla clavicola sinistra. Posso passare, ora?”
“Senti, se stai insinuando qualcosa...”
“Non sto insinuando nulla. Dopotutto Sally è una makeup artist. È perfettamente normale trovare tracce di cosmetici sul suo corpo.”
A questo punto John era abbastanza sicuro che avrebbe dovuto tirare fuori la boccetta coi sali aromatici al mughetto per far rinvenire Sherlock, dato che Anderson si stava preparando a colpirlo in faccia con una sedia pieghevole, ma il peggio venne scongiurato dall'apparizione di un uomo con in faccia più silicone di Karl Lagerfield e di Donatella Versace messi assieme.

“Sherlock, finalmente!” strillò in direzione del detective, brandendo dei pass ed un martini. “Mettetevi questi e sbrigatevi!”
John si rovesciò addosso il martini.

***
Il fanatico del botox altri non era che Gregory Lestrade, considerato unanimemente lo stilista emergente più promettente del momento...all'incirca dal 1986. E forse era proprio per questo -si disse John- che continuava a far sfilare in passerella spalline imbottite e scaldamuscoli pelosi nell'assoluta convinzione che fossero la cosa più rivoluzionaria ed innovativa che il mondo della moda avesse mai visto.

I pensieri dell'avvenente biondino vennero improvvisamente interrotti da Sherlock che lo strattonava per il pass.

“Attento a dove metti i piedi, gioia.”

John si accorse di aver pestato qualcosa di biondo e ossuto. Qualcosa di molto biondo e di molto ossuto, ad essere sinceri.
In effetti, aveva appena pestato quella che aveva tutta l'aria di essere l'ultima, avvenente vittima della serie di suicidi-di-cattivo-gusto.
Saltellò via con uno squittio inorridito.

“Si chiamava Jennifer Wilson, secondo i dati fornitici da New Faces.” spiegò Lestrade, affranto. “Diciannove anni. Lo so, so cosa starete pensando. Troppo vecchia per sfilare. Avremmo dovuto mandarla a casa appena compiuti i diciassette anni, ma era la sola modella alta un mentro e novantacinque ad entrare in una trentadue.”

John osservò affascinato il detective che si inginocchiava accanto al corpo della ragazza, mentre tutt'attorno alla sua chioma indomabile (un effetto volutamente ricercato, precisiamo) iniziavano a fluttuare, come per magia o per effetto di un'eccessiva dose di LSD, parole glitterate simili alle scritte delle foto modificate dai truzzi con Blingee.
“...fotonico.” Sussurrò, ammirato.
“Silenzio!” lo redarguì severamente Sherlock. “Mi deconcentri.”
“S-scusa, Sherlock.” mormorò l'ex fotomodello, arretrando di qualche passo per poter godere di una visuale migliore.
Le scritte sbrilluccicose avevano ormai invaso la stanza. Veloce come un mal di pancia durante una scampagnata in montagna John afferrò la sua Moleskine, ed iniziò ad appuntarsi le parole che via via gli scorrevano di fronte agli occhi.

“FINTA BIONDA”

“NASO RIFATTO”

“LIPOSUZIONE”

“UNGHIE FINTE”

“D DI DOMODOSSOLA”

“VELOCIRAPTOR”

“IL TUO CREDITO RESIDUO È INFERIORE A 1 EURO”

“BANANE LAMPONE CHI C'ERA CON TE”

Dopo qualche minuto di attenta osservazione del cadavere, accompagnata da un paio di danze della pioggia, un gioco di prestigio con le carte da briscola, e un'offerta di incenso al sacro altare di Coco Chanel, il detective sembrò soddisfatto.

“John?” chiamò il collega. “John, vieni qui. Ho trovato qualcosa che penso possa interessarti.”
Il biondino si avvicinò incuriosito.
“Guarda. Guarda il suo vestito.” continuò il detective. John si curvò sul cadavere e prese tra le dita un lembo di tessuto. Rabbrividì. La stoffa, al contatto con la pelle morbida ed idratata delle sue mani, era liscia e fredda, ma allo stesso tempo dura e... OH GAWD, cosa le stava succedendo? Si stava...sfilacciando? Il sarto non aveva fatto lo zigzag!
“È...raso?” domandò, sconvolto.
Sherlock lo guardò con aria grave. “Esatto, John. È proprio raso.”
Fu in quel momento che John Watson capì che si stava andando a cacciare in qualcosa di torbido e perverso.

Sherlock si voltò verso Lestrade, scuro in volto. “È opera tua, Greg?”
Lo stilista fissò sgomento il cadavere. “Come... Come puoi pensare una cosa simile? Come puoi dubitare di me, Sherly? Sono cinque anni che siamo amici su Facebook. Cinque anni. Credevo contassero qualcosa, per te.” Si sentiva profondamente ferito. “Io sono vegano. Non potrei mai... Non potrei mai fare del male ad un'altra creatura. Il mio fisico assorbirebbe l'energia negativa emanata dalla mia azione, e mi verrebbero i punti neri.”
“Non stavo parlando della modella, gioia.” Sbottò il detective, indicando il corpo senza vita della ragazza con un gesto infastidito. “Sto parlando dell'abito in raso.”
Se avessero annunciato a Lestrade che i sabot a punta sarebbero stati l'accessorio moda dell'estate, la sua reazione non sarebbe stata nulla in confronto allo scoppio d'ira che seguì le parole di Sherlock.
“CHE COOOOOSA?!” strillò, agitando le mani in aria “Mi sta accusando di aver...di aver cucito quell'orrore?! Quell'oscenità? Quello scherzo della natura?! QUEL MOSTRO MITOLOGICO?!”
John provò a calmarlo. “ In fondo non è così male. Non so, magari riadattandolo, accostandoci una bella cintura in pelle di licantropo...”
“Non è così male?!” Lestrade iniziò a farsi aria con il pass che teneva ancora al collo. “ In nome di Twiggy, ragazzo mio, ma dove hai passato gli ultimi cinque anni? Nelle cabine-prova di Tally Weijl?!” lo stilista si passò una mano tra i capelli folti e fluenti, frutto di innumerevoli trapianti. “Non sono stato io, Sherlock. Lo giuro. Lo giuro sul nome di...”
“Va bene, va bene.” lo zittì il detective, stendendo una mano di vernice protettiva per cheratina sulle unghie. “Ti credo. È evidente che abbiamo a che fare con qualcuno di molto astuto, Greg. Qualcuno che sa come poter compromettere per sempre la vita e la carriera di uno stilista emergente.”
John guardò Sherlock, turbato. “Ma chi può essere così sadico? Chi potrebbe mai costringere una modella, seppur attempata, ad indossare un simile obbrobrio?”
Sherlock sorrise all'ingenuità del ragazzo. “Non hai idea di quanta gente sfigata ci sia in giro, gioia.”
Lestrade si intromise con poco tatto nel gioco di sguardi dal contenuto esplicitamente sessuale che si stava creando tra i due coinquilini. “Bene. Benissimo. Qualcuno sta cercando di boicottare la mia sfilata, insomma. Che cosa celestiale. Cosa ne facciamo di lei, ora?” e mollò un calcetto poco rispettoso alla ormai defunta top model.
Il detective fece spallucce. “C'è una compostiera nel giardino di una villa a circa 150 metri da qui. Chiama Anderson e digli di sbarazzars...”
“No, no!” protestò Lestrade “Basta con l'occultamento di cadaveri! Sarebbe la sesta modella che cerco discretamente di far sparire in venticinque anni di carriera. Non ho più l'età per queste cose.”
Sherlock sbuffò. “E allora per lo meno cerca di renderla presentabile. Cambiale l'abito. Infilale della cocaina su per il naso, giusto per non dare nell'occhio.”
Lestrade chiamò una delle assistenti del costumista, ordinandole di mettere un vestito decente alla cara salma. Si assicurò il suo silenzio infilandole un centone nella scollatura.

E fu mentre la modella veniva liberata da quell'abito orrendo, che Sherlock fece una scoperta sconvolgente.
Sul fianco della ragazza, tatuata in caratteri gotici, e accompagnata dall'immagine di un cuore alato trafitto da un pugnale, campeggiava una scritta misteriosa.

 

“IO E TE 3MSC”

“Per tutte le ristampe di Unknown Pleasure dei Joy Division!” mormorò John. “Cosa diavolo è quella scritta?!”
Lestrade sbiancò. “Non può... Non può essere. Le mie modelle non possono tatuarsi. C'è scritto nel contratto.”
“Non è un vero tatuaggio.” La voce di Sherlock giunse inaspettatamente distante. “È un trasferello, di quelli che si trovano nel fruttolo o negli yogurt della Danone. Ma solo in quelli alla fragola con gli zuccherini colorati.”

John si voltò per chiedere spiegazioni, ma il detective stava già correndo fuori dal backstage.
“È chiaramente un messaggio in codice! Andate alla Despar, comprate tutte le confezioni di yogurt che riuscite a trovare! Cercate di interpretare la scritta! L'assassino ha commesso un errore, un errore che gli sarà fatale!”
“Un errore? Che errore?!”
“Raso!”

 

***


E così Sherlock lo aveva piantato in asso, pensò tristemente John mentre si allontanava dalla passerella. Si chinò ad allacciare le spighette delle sue Clarks (si slacciavano in continuazione, e nessuno ne aveva ancora capito il motivo), e quando rialzò lo sguardo si trovò davanti un volto conosciuto.
“Stia alla larga da lui.” esordì Sally Donovan.
“Perchè?”
“Sa perché si trova qui? Non è che lo paghiamo, eh. Niente abbonamenti omaggio a Marie Claire o ad Esquire. Nulla di tutto ciò.”
Watson si sentiva confuso. “E allora per quale motivo...”
“Gli piace. Si eccita con queste cose. Più gli accostamenti sono arditi, più è eccitato. E sa una cosa?” continuò la ragazza, con un tono che fece venire la pelle d'oca a John. “Un giorno tutto questo non gli basterà più. Un giorno vedremo sfilare in passerella un abito in poliestere con applicazioni di lana cotta infeltrita, e sarà stato Sherlock Holmes a disegnarlo.”

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