In the sake of Art

di Ilarya Kiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 0 -Prologue- ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 -Beautiful, beautiful- ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 -Arms- ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 -If we ever meet again- ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 -Maybe we could be together- ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 -Imperfection- ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 -Tea break- ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 -Epiphany- ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 -Fallen in love- ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 -Like a snake- ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 -Wounds- ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 -Hot water, hot steam- ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 -Finally, the leaving- ***
Capitolo 14: *** Chapter 13 -Deidara's story- ***
Capitolo 15: *** Chapter 14 -Some skeletons fall down from the closet- ***
Capitolo 16: *** Chapter 15 -Cocodè!- ***
Capitolo 17: *** Chapter 16 -The sky belongs to us- ***
Capitolo 18: *** Chapter 17 -Late at morning- ***
Capitolo 19: *** Chapter 18 - 'The target I was born for'- ***
Capitolo 20: *** Chapter 19 -You will always be by my side, you promise?- ***
Capitolo 21: *** Chapter 20 -A great performance- ***
Capitolo 22: *** Chaper 21 -I love you, senpai.- ***
Capitolo 23: *** Chapter 22 -Next morning, another leaving- ***
Capitolo 24: *** Chapter 23 -Sasuke Uchiha- ***
Capitolo 25: *** Chapter 24 -An amazing show for Zetsu.- ***
Capitolo 26: *** Chapter 25 -Don't you cry.- ***
Capitolo 27: *** Chapter 26 -No more lies, just love.- ***
Capitolo 28: *** Chapter 27 -Ambush- ***
Capitolo 29: *** Chapter 28 -We are forsaken- ***
Capitolo 30: *** Chapter 29 -Sweet hopes- ***
Capitolo 31: *** Chapter 30 -The end is about to begin- ***
Capitolo 32: *** Chapter 31 -A thousand suns- ***
Capitolo 33: *** Chapter 32 -...and Thanks- ***
Capitolo 34: *** Final Chapter -Epilogue.- ***



Capitolo 1
*** Chapter 0 -Prologue- ***


Prologue



Stava in piedi a braccia spalancate, con gli occhi puntati nel cielo aperto.
Fuochi riempivano l’aria, squassata e lacerata mille e mille volte con un boato incessante che penetrava nella carne e scuoteva ogni fibra come se fosse fatta di carta di riso.
La ragazza si era gettata a terra, dimentica dell’Apocalisse, e sembrava capace solo di guardarlo.
Per lei era un dio.
Seppe che quel momento dava senso a tutta la loro vita, che ogni cosa era avvenuta solo per risolversi in quell’istante superbo di bellezza, e si gonfiò di gioia.
Le loro vite si stavano sublimando con il mondo tutto attorno a loro, in un crescendo di magnificenza abbagliante.
Arte.

Si dice che il valore di un ninja si deduca dalla sua morte, e la loro morte sarebbe stata ricordata nei secoli come la loro apoteosi, come il loro momento più elevato, il capolavoro assoluto.

L’arte è esplosione.

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Capitolo 2
*** Chapter 1 -Beautiful, beautiful- ***


Beautiful, beautiful



In pochi mi hanno detto che sono bella,
ma di certo non si può negare che tutti si voltino nella mia direzione quando cammino, e nessuno riesce a distogliere tanto facilmente lo sguardo da me, come se fossero tutti quanti attratti da una sorta di magnetismo elettrico.
Diciamo pure che sono quel tipo di persona che attira l’attenzione con un solo sguardo, perché sì, il mio sguardo ha qualcosa di magnetico, e di inquietante anche, questo lo so bene ed un filo sottile di vanitoso autocompiacimento mi piega le labbra ogni volta che vedo qualcuno impallidire ed accartocciarsi su se stesso davanti ai miei occhi oscuri.
Il mio nome? Non vi interessa.
Il mio villaggio di appartenenza? Mai esistito, e se vi chiedete dove io sia nata beh, non è importante.
Chiamatemi Tsukaiko, e fatevelo bastare.
Non dirò dove sono cresciuta, perché solo rievocare il nome di quel luogo mi provoca fitte di disgusto misto a furore, è il luogo dove lo sporco sistema ninja ha provato a piegarmi per incanalare il mio potenziale artistico nella sua stupida via della guerra, e per cosa, poi? Per mandare avanti l’”economia”.
Mi fanno schifo.
Ancora ricordo la voce saccente del sensei che ci spiegava il senso che il villaggio aveva imposto alle nostre piccole, futili e sacrificabili vite di genin: “Le missioni sono importanti perché sono gli introiti che riceviamo che sostengono il villaggio, quindi è importante portarle sempre a termine! Capito ragazzi? È proprio grazie ai vostri futuri guadagni che le nuove generazioni potranno crescere qui al sicuro e diventare combattenti valorosi come voi!”
Missioni. Il nome che i ninja affibbiano a sporchi lavoretti da sicario all’interno di guerre di altri, progettate a tavolino da loro stessi, grazie alle quali poter allevare nuovi vermi da combattimento per nuove guerre, e via così all’infinito, in un ciclo di sangue interminabile.
Io non appartengo a nessun villaggio, appartengo solo alla mia Arte, e non voglio avere a che fare con gente del genere, vorrei solo che morissero tutti.

Qualche tempo fa, un nome catturato per sbaglio da una voce in una locanda attirò la mia attenzione.
“Akatsuki”: un nome bellissimo, pensai, il nome del miracolo della rinascita perpetua dello splendore che illumina il cielo, il fatto che fosse pronunciato con un rantolo di terrore poi creò un interessante ossimoro che mi stuzzicò ancor di più di piacere.
Ora mi sono informata, ed ho saputo che si tratta di un’organizzazione di nukenin di alto livello che agisce apparentemente senza legami di sottomissione ad alcun villaggio e soprattutto senza avere uno scopo preciso, come se avessero un fine segreto che li lega tra di loro, lasciando generalmente distruzione attorno a sé.
Trovo la cosa allettante.
Voglio unirmi a loro, trovare un posto dove sentirmi tra miei pari, poter finalmente dare atto a tutte le mie risorse artistiche ed essere libera, oh sì, essere libera!

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Capitolo 3
*** Chapter 2 -Arms- ***


Arms



La fibra organica penetrò nella carne del suo braccio maciullato con uno sguiscio viscido, e Deidara contrasse la faccia per evitare di emettere versi di dolore.
Era già abbastanza umiliante così.
“Finiscila di fare quelle smorfie moccioso, anzi, dovresti ringraziare Pain che mi fa fare questo lavoraccio gratis, perché sei stato molto fortunato. In qualsiasi altra circostanza saresti rimasto senza braccia o mi saresti stato debitore a vita: prestazioni del genere valgono un occhio della testa.”
Ora avrebbe voluto spaccargli la testa in due con un’accetta; avrebbe ritenuto un insulto alla sua Arte sublimare un vecchio taccagno meschino ed odioso come lui. Nel frattempo, si concentrò a dominare anche le contrazioni del suo viso, rimanendo impassibile alle fitte acute provenienti dal braccio destro.
Era da un’ora e passa ormai che Kakuzu e Deidara stavano seduti uno davanti all’altro in quella stanza opprimente dal soffitto basso impregnata dal puzzo di cadaveri, nella semi-penombra, tentando di porre un rimedio allo sfacelo che era stato fatto dei suoi arti superiori: per il braccio sinistro erano bastati dieci minuti di rapida sutura di muscoli e nervi (l’osso sarebbe guarito col tempo, ed infatti una dura stecca di legno lo assicurava immobile accanto al torace dell’akatsukino), perché l’arto amputato era stato ritrovato fortunatamente ancora in buone condizioni, ma per il destro il discorso era più complicato: il sabbaku no soosoo nel quale era stato sacrificato ne aveva letteralmente spolpato e strappato via la carne e tutto il resto, ed era stato solo per puro miracolo che Zetsu era riuscito a ritrovare la mano parzialmente integra tra la sabbia, dopo il combattimento.
Una zaffata di putridume particolarmente intensa investì le sue narici, e Deidara maledisse nuovamente Kakuzu per aver deciso di operare in un luogo disgustoso come il suo obitorio personale, dove teneva i cadaveri prima di rivenderli e guadagnarci. La scena che doveva sopportare impassibile, poi, era orribile: il vecchio nukenin si era visto costretto ad amputare parte del braccio ad uno dei suoi morti per trapiantarlo a Deidara, ed era proprio per questo che ci stavano mettendo così tanto tempo, perché un trapianto è molto più complesso –“e costoso” come diceva il vecchio spilorcio- di una semplice sutura.
Magari fosse stato reciso con la precisione e la pulizia del sinistro, sarebbe stato tutto più semplice.
Hatake…solo il pensiero di quello schifoso copia-ninja di Konoha infiammò il biondo di rabbiosa frustrazione e sete di vendetta, tanto che strinse il pugno sinistro al punto di infilarsi le unghie nella carne, auto-infliggendosi delle fitte atroci.
Quel combattimento era stato pessimo, si era fatto quasi uccidere da un portatore di sharingan, un ragazzino l’aveva riempito di pugni e perdipiù aveva perso Sasori.
Non si era mai reso conto, in realtà, di quanto si fosse legato al suo partner fino al momento fatale della sua scomparsa.
Danna, sciocco che non sei altro. Dopo tutti quei discorsi ti sei rivelato una contraddizione, che esponeva le sue debolezze fuori dalla corazza di legno. E ti sei fatto ammazzare da quella tua vecchia parente come un rammollito.
La consapevolezza di credere in un Arte più vera ed efficace del proprio compagno più anziano perduto riuscì solo in parte a risollevare il suo umore lugubre.
“Finito.”
Deidara si rialzò su gambe instabili, con le braccia saldamente steccate aderenti al corpo.
“Ti vuoi muovere, Kakuzu? Il capo vuole vederci.” esclamò Hidan, entrato all’improvviso nell’obitorio con il naso arricciato per la puzza di cadavere.

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Capitolo 4
*** Chapter 3 -If we ever meet again- ***


If we ever meet again



La selva è buia al calar del sole, i ciuffi di fogliame ostacolano la luce color sangue dell’astro morente che cola lentamente oltre le cime dei monti, laggiù, lasciando dietro di sé la scia viola e fredda delle tenebre.
Non sono felice.
Mi ricordo di Sasori, che in momenti come questi non perdeva occasione di rinfacciarmi la mia debolezza -mpf- e la mia inesperienza, provocandomi con quel suo tono saccente e con quella sua aria superiore che così tante volte mi faceva inferocire, divertendosi a vedere le mie reazioni smodate e provando un gusto ineguagliabile nel ribattere ad ogni mia replica: discutevamo d’Arte, ci sputavamo addosso insulti di ogni genere e a volte arrivavamo perfino ad azzuffarci; ma prima di lui non avevo mai incontrato nessuno che sostenesse con me quel genere di discorsi, ed ora mi manca, mi manca terribilmente.
Questo silenzio implode nel mio cervello con un dolore accecante, accentuato dalle ferite terribili nella carne e nell’orgoglio che deturpano le mie braccia, come per ricordarmi costantemente l’umiliante sconfitta che io ed il mio compagno abbiamo subito.

Tra gli alberi oscuri, un calpestio lieve.

L’aria opprimente di silenzio ha come acutizzato i miei sensi, ed odo davanti a me un rumore frusciante di passi lieve, lieve, più forte man mano che si avvicina, e mi risucchia fuori dai miei vaneggiamenti malinconici.
Fermo il mio passo strascicato, fissando il punto da dove proviene il suono, e mi accorgo che sotto le fronde viene materializzandosi la sagoma di una donna, sempre più vicina, avvolta da un lungo e semplice kimono bianco: una volta uscita dall’intrico degli alberi si ferma arrestando i piedi nudi sulla ghiaia del sentiero, e punta su di me uno sguardo magnetico.
“Fai parte di Akatsuki?”mi chiede con accento ingenuo, avendo notato la mia veste.
“Chi diavolo sei?”
“Bene, ne fai parte.”
“Cosa vuoi?”
“Nulla.” risponde. Ha capelli corti e ribelli, le lasciano scoperta la nuca.
“Solo una curiosità.”
Le sue parole si fondono ad una melodia sottile, sinuosa, dolcissima, che si libra nell’aria come un filo d’acqua che fluisce da una fonte di montagna e mi si insinua sotto pelle, inebriandomi.
Il mondo attorno a me svanisce, la selva, il tramonto, e resta solo lei, bella e lucente come una dea, con i suoi occhi neri e magnetici che fissano i miei e le sue labbra, che mormorano la canzone come un invito morbide e soavi, petali di fiore di pesco fruscianti nel vento.
Mi ha rapito, mi ha in suo potere.
Ed è allora che comprendo che lei è troppo bella, troppo dolce, troppo perfetta per essere reale: è un’illusione. Tentando di riacquisire potere sui miei sensi, concentro il chakra nell’occhio sinistro e lentamente l’ambiente comincia a riapparire; la canzone si interrompe bruscamente.
“Bravo.” Sussurra lei con un sorrisetto di dileggio.
È infida e altezzosa, dentro di me comincia a crescere la rabbia. La detesto.
“Sparisci dalla mia strada o farai una brutta fine!”
“Mmm. Coraggioso da parte tua minacciarmi di morte quando non puoi nemmeno usare le braccia.” replica, accennando alle maniche nere della mia tunica che mi pendono afflosciate lungo i fianchi, vuote.
“Si può sapere cosa diavolo vuoi!?” le urlo addosso, in preda alla collera, ferito nell’orgoglio da quella stupida bambina comparsa all’improvviso che si permette di prendersi gioco di me in modo così sfacciato.
“Capire il valore di uno shinobi di Akatsuki.”
Detto questo, scompare come uno spettro nella brezza.
Percepisco un tocco fresco sfiorarmi veloce l’orecchio, mi volto ed in una frazione di secondo intravedo un lampo bianco e poi dolore, dolore alla faccia. Catapultato all’indietro dalla forza del calcio, con un colpo di reni riesco a roteare nell’aria ed atterro in piedi fermandomi qualche metro indietro, facendo sollevare per l’attrito una nuvola di polvere grigiastra che ovatta la vista.
È forte.
Un secondo fruscio, subito mi piego su me stesso mentre il suo piede candido sfreccia sopra la mia testa, tagliando in due la nebbiolina di polvere, e mi getto di lato rotolando sulle mie braccia doloranti steccate al corpo. Come avevo previsto, eccola di nuovo alle mie spalle, roteante come una geisha al culmine della sua danza, e la accolgo con un calcio allo stomaco mentre ancora giro su me stesso steso a terra: emette un verso soffocato e perde l’equilibrio, scatto in piedi e le salto addosso con tutto il mio peso serrandole la gola con le gambe; seduto sopra i suoi polmoni le stritolo la trachea impedendole anche l’ultimo respiro.
Con mia somma sorpresa e irritazione, dalla sua bocca pallida e contratta fuoriesce in un sibilo singhiozzato una risata.
“Chiedo perdono per la mia incapacità” ride, ride come un’idiota “…ma la mia Arte è ancora imperfetta.”
“Che ne sai tu, di Arte!?”
Sto per tirarle una testata in pieno viso per darle il colpo di grazia, quando la sua sagoma si dissolve in un piccolo vortice di brezza, facendomi cadere col sedere sulla ruvida ghiaia del selciato.
Accecato dalla rabbia, volto furiosamente attorno la testa per cercarla facendomi volteggiare i capelli davanti alla faccia, dove si incollano sugli occhi per il sudore del breve scontro.
Ed eccola di nuovo là, sotto gli alti alberi accanto al sentiero, seminascosta dal fogliame e dall’oscurità notturna che con le sue dita nere ha appena strangolato il giorno, bianca come il fantasma di un incubo.
“Stai attento” mormora “Potrei non lasciarti più scappare, se dovessimo mai incontrarci di nuovo.”
Intravedo un sorriso, e poi scompare nel nulla, esattamente come era apparsa prima.

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Capitolo 5
*** Chapter 4 -Maybe we could be together- ***


Maybe we could be together


Un mormorio diffuso si espandeva monotono per le pareti della grande e buia caverna che ospitava la statua diabolica, dove tutti i membri di Akatsuki si erano riuniti per una convocazione improvvisa di Pain.
Hidan come al solito si lamentava di essere stato interrotto nel bel mezzo di un rito sacrificale, Kisame pronunciava commenti taglienti sulla sua passione per il trafiggersi il corpo in punti sempre più intriganti, Tobi, un tipo inutile appena arrivato che sembrava conoscere solo Zetsu, parlava a vanvera infastidendo tutti, e Deidara se ne restava in silenzio, tutto imbronciato per gli affari suoi.
Lo scopo di quella riunione non era ancora stato svelato, e più il tempo passava, più l’insofferenza degli akatsukini aumentava, facendo crescere proporzionalmente anche il baccano.
Fu Itachi il primo ad accorgersi che Konan mancava all’appello, non essendo presente neanche con la sua proiezione spirituale.
“Silenzio, per favore, fate un po’ di silenzio!” intimava Pain senza essere ascoltato, quando all’improvviso tutti ammutolirono all’unisono, all’ingresso di due donne che entrarono nel covo comparendo al di sotto dell’arcata di pietra che nascondeva il rifugio.
Una di loro era Konan, avvolta come gli altri nella sua tunica nera con le stampe di nuvole rosse bordate di bianco, mentre l’altra era una completa sconosciuta: aveva capelli neri, corti e ribelli ed un kimono candido stretto in vita da un semplice obi di seta.
Deidara sgranò i suoi occhi azzurri, ma nessuno sembrò accorgersene, catturati tutti com’erano dalla grazia del passo della nuova venuta, e dal vago sentore di mistero che sembrava attorniarla come un’aureola.
“Oggi la nostra organizzazione acquisterà un nuovo membro.” Esordì Pain, soddisfatto per il sospirato silenzio e per l’attenzione di tutti concentrata sulle sue parole –evento piuttosto raro-
“Vi presento Tsukaiko. Da questo momento prenderà il posto di Sasori, che è morto qualche giorno fa lasciando una falla troppo grande tra le nostre fila.”
Tutti approvarono, chi incuriosito, chi sfregandosi le mani.
Tutti tranne Deidara.
“Che!? Quella lì dovrebbe diventare la mia partner!? No! Non se ne parla!” sbottò il biondo puntando il naso contro la ragazza con fare accusatorio –avrebbe puntato il dito se le sue braccia fossero state in funzione-, e vedendosi tornare indietro come risposta un adorabile sorrisetto.
“Beh, se lei ti fa così tanto schifo, possiamo sempre fare scambio!” disse Kisame snudando i denti appuntiti, ed attirandosi un’occhiataccia di Itachi e Konan.
“Puoi sempre fare coppia con me Deidara!” esclamò Tobi dal suo angolino, facendo seguire alla sua affermazione una risata così stupida che lasciava intravedere quale genere convivenza sarebbe stato possibile con un individuo come lui, e Deidara storse la faccia, schifato.
Il baccano che stava nuovamente risorgendo fu troncato subito dalla mano destra della ragazza in bianco, che era stata sollevata con delicatezza a chiedere attenzione.
“In primo luogo…” cominciò a dire, chinando umilmente il capo e facendo scorrere le mani sulle cosce verso il basso, in un inchino “vorrei porgere la mia infinita gratitudine a Pain, che mi ha permesso di unirmi ad un’organizzazione di ninja potenti come la vostra. E poi, spero di non deludervi, farò del mio meglio per essere alla vostra altezza.”
Per la caverna si diffuse un mormorio stupito: nessuno di loro si era mai mostrato tanto vulnerabile davanti agli altri, nessuno considerava una cosa importante essere apprezzato da nessuno –solo, possibilmente, temuto-, nessuno si era mai mostrato così disponibile. Probabilmente, infatti, se non ci fosse stato Pain, quei nukenin si sarebbero sbranati tra loro come un branco di squali.
“La decisione è già stata presa, Tsukaiko prenderà il posto di Sasori, e basta. Dichiaro sciolta la riunione.”
Detto questo, la proiezione spirituale di Pain si dissolse tremolando, e con la sua anche quella di qualche altro membro non presente fisicamente, mentre tutti gli altri si affrettavano a levare le tende ed in particolare Hidan, che essendo stato interrotto a metà rito era rimasto con la sua lancia sacrificale conficcata di sbieco nella testa per tutta la durata dell’assemblea.
Rimasero solo Konan, Tsukaiko e Deidara.
“Ecco.” disse la donna con il fiore di carta tra i capelli, porgendo a Tsukaiko una tunica nuova, pulita e ben piegata.
“Spero che possiate andare d’accordo. Ora potete prendervi qualche giorno di tempo per conoscervi meglio, per il momento non ci sono nuovi ordini. Addio.”
Anche Konan si dissolse, in un turbine di fogli sventolanti.
Deidara si ritrovò da solo con quella stupida ragazzina provocante, che lo guardava in silenzio con quel suo odioso dolce sorriso.
“Che fai!? Mi perseguiti?” l’aggredì, arrabbiato.
“No.” Rispose lei, semplicemente. “Non avevo idea del compagno a cui sarei stata assegnata. A proposito, ho saputo che hai appena perso il tuo, mi dispiace davvero moltissimo. Però, sono contenta di essere finita con te, sei forte.”
Deidara si chiese nuovamente quale diavolo di un demone gli avesse messo alle costole quella ragazza, così irritante e strana, che non riusciva a capire se fosse solo stupida, o lo stesse prendendo in giro. Si voltò senza risponderle, nauseato da quel sorriso.
“Tu sei pazza.” Sibilò tra i denti.
“Forse hai ragione. Ma personalmente credo che la genialità non possa esistere senza un briciolo di follia, non credi?”
Il biondo si voltò di scatto, esasperato, e la trovò in piedi lì dov’era prima, con le mani intrecciate sulla tunica piegata appoggiata davanti alle gambe, come una bambina.
“Credo che oltre essere pazza, tu parli anche a vanvera.”
Lei abbassò lo sguardo a terra, ma mormorò:
“Forse, staremo bene insieme, io e te.”
Come no. Pensò Deidara, mentre si avviava fuori dalla caverna alla luce calda del sole senza aspettarla.

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Capitolo 6
*** Chapter 5 -Imperfection- ***


Imperfection



La mia Arte è imperfetta, lo so.
È una grande rabbia e frustrazione per me creare ogni volta le mie opere, i miei canti, le mie danze, e rendermi poi conto che non sono assolutamente all’altezza delle mie aspettative, e soprattutto scoprire, quando cerco di evolverle in qualcosa di più sublime, che non sono altro che brutte copie di quelle precedenti.
Certo, sono di un’accuratezza impeccabile, senza mai un minimo errore in nulla, ma sono imperfette.
Manca qualcosa, qualcosa di indispensabile che mi sfugge, che vola via dalle mie dita come un soffione dispettoso sospinto dal vento inseguito dalle mani di un bambino, imprendibile…
È da una vita che lo cerco, e da una vita che non lo trovo.
Però, nutro buone speranze per il futuro:
è proprio per questo che mi sono unita ad Akatsuki, in fondo.

Il mio nuovo compagno mi incuriosisce.
Dalla prima volta che l’ho notato, non mi è sembrato il genere di persona che si trova di solito tra le squadrette di chunin che ti saltano addosso urlando quando sorpassi con la punta del piede il confine di un qualche villaggio: è diverso, non sembra nemmeno uno shinobi, ed è per questo che ho scelto lui come campione per testare il reale valore e prestigio di Akatsuki, e l’esito non mi ha affatto deluso.
Di qui la mia decisione di prenderlo anche come compagno di squadra.
Sì, lo so, mi odia. Normale. Tutte le persone a cui rivelo un briciolo della mia vera personalità cominciano ad odiarmi, in un modo o nell’altro, ma stranamente la cosa questa volta non mi preoccupa.
È strano.
Di solito appaio nella mia veste di tenera giovane donna davanti agli occhi di tutti lasciando strisciare fuori il mio disgusto ed il mio orgoglio solo con brevi e fugaci occhiate, le quali di solito provocano piacevoli sussulti ed incomprensioni nei miei interlocutori, che cedono ai miei piedi abbagliati dal mio fascino e mistero, inconsapevoli però della mia vera indole e natura.

Ma a Deidara ho detto che la mia Arte è imperfetta.
Non ho idea del perché l’abbia fatto, non l’avevo mai confidato a nessuno.

Non so, forse sto solo diventando pazza sul serio, come mi ha detto anche lui quando siamo diventati compagni, ma ho una strana sensazione, come una specie di fiducia smorzata.

Non so perché, ma ho la sensazione che io e lui staremo davvero bene, insieme.

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Capitolo 7
*** Chapter 6 -Tea break- ***


Tea break



Stavano seduti al tavolino l’uno davanti all’altra, quasi ignorati tra la folla mormorante di cui era piena la casa da tè, con una tazza piena di liquido fumante sotto il naso che solleticava i loro volti con il suo vapore bollente.
“Sicuro di non volere una mano?”
“Che palle, bambina, ti ho detto di no!”
Deidara chinò la testa verso il bordo della sua tazzina in modo piuttosto ridicolo, e tentò di sorseggiare la bevanda direttamente dal tavolo sul quale era appoggiata, facendo dei rumori gorgheggianti e schizzandosi le guance.
“Non è che devi per forza fare l’imitazione di un cane con problemi di cataratta solo perché non ti piaccio ancora abbastanza da permettermi di aiutarti, eh, Dei-senpai.”
Deidara si risollevò di scatto, nero di rabbia ed irritazione: “Finiscila immediatamente di provocarmi, bambina, o per te saranno guai!”
Lei alzò le spalle e sorrise, arrendevole.
Deidara non aveva ancora digerito la sua nuova compagna, dopo già ben tre giorni di convivenza, anche se lentamente si stava abituando alla sua presenza profumata ed al modo sottile che aveva di provocarlo con le sue battute ed i suoi sorrisi che, anche se faticava ad ammetterlo a se stesso, ricordava molto quello del vecchio Sasori. In realtà, Tsukaiko gli riempiva la testa di domande: aveva infatti la costante sensazione che lei lo stesse prendendo in giro, che avesse qualcosa da nascondere e che si divertisse a vedere il suo smarrimento, lasciandogli trapelare sprazzi di verità con baleni di sguardi e gesti appena accennati, come se quella donna di selvaggia bellezza che lo aveva attaccato nella boscaglia si fosse nascosta dietro ad una coltre di sorrisetti falsi e stucchevoli come zucchero colato, che gli davano la nausea.
Inoltre, era una presenza opprimente. Deidara infatti non poteva negare che fosse molto, molto attraente, non particolarmente bella ma sinuosa e velata di un affascinante mistero come una principessa esotica, e poi, aveva osato sedurlo, quella sera nella foresta, e non gliel’avrebbe mai perdonato.
“Coraggio, fatti aiutare.”
Tsukaiko spostò il suo sgabello vicino a quello di Deidara, e nonostante le proteste del biondo sollevò la tazza e gliela portò vicino alle labbra, per aiutarlo a bere in un modo abbastanza decoroso per il luogo pubblico dove si trovavano. Lui però non bevve, e voltò lo sguardo verso la ragazza, trovandosela vicinissima che reggeva la tazza appena sotto la sua bocca.
“Facciamo così, Tsuka-san, visto che sei così servizievole. Io ti assecondo, ma poi tu non apri quella bella boccuccia per almeno un paio d’ore, intesi?”
“Mmm…no.” Rispose la ragazza, rimettendo impietosamente giù la tazza. “Ti arrangi, mi dispiace. Non accetto le tue condizioni.”
Deidara rimase lì a fissarla un po’ interdetto, non sapendo se interpretare la cosa come una vittoria o un’ennesima provocazione, ma non fece in tempo a riscuotersi che lei era già scoppiata a ridere.
“Non ti sopporto, lo sai mocciosa?”
“Beh, eri tu che non volevi farti imboccare da me, non negarlo. Piuttosto, è da quando ti ho visto che continuo a chiedermi…come ti sei ridotto così?”
Deidara grugnì. “Fatti gli affari tuoi. Non mi sembra importante per la nostra convivenza.”
“A me invece sì.” Tsukaiko rimase un secondo a fissare le maniche vuote e ciondolanti della tunica del biondo, soprappensiero. “Sono dell’opinione che per essere più affiatati sia necessario conoscerci meglio a vicenda, punti forti e debolezze.”
Non me ne frega niente di essere affiatato con te, stava pensando Deidara, quando la ragazza si avvicinò a lui ancora di qualche centimetro, inconsapevolmente, per sistemarsi meglio sulla seggiola, e lui si voltò di scatto dall’altra parte arrossendo, turbato. “Come vuoi, bambina, partiamo da te allora. Hai abilità innate? Ho notato che sei un’illusionista, ma non mi sono sembrate arti oculari. Che mi dici delle tue tecniche?” Tsukaiko arrossì un po’, per qualche motivo incomprensibile.
“La mia abilità innata è il suono piangente dello shamisen, i miei kunai sono pennelli, mani e piedi la mia spada.”
Deidara rimase un po’ perplesso in silenzio, senza capire, a guardare quel bel volto che all’improvviso si era volto a terra, purpureo di inaspettata timidezza.
“…sei una geisha?” azzardò, storcendo la faccia in una smorfia volutamente canzonatoria, ma poco convincente.
“Sono un artista!” esclamò allora lei, allargando le braccia ed aprendo al cielo un largo sorriso tra le gote arrossate, e Deidara rise.
“Pfff…ma fammi un piacere.”
“Come, scusa?” Tsukaiko tornò immediatamente gelida, fulminando il compagno per l’enorme offesa ricevuta.
“Adesso non venirmi a dire che gli spettacolini delle geishe sono Arte. Per favore. Non sono altro che intrattenimenti spendibili per deliziare le masse sudice di cafoni che frequentano le case di piacere, null’altro.”
“Come osi!?” saltò su la mora, infuriata. “Le geishe sono donne nate nell’Arte e che vivono per l’Arte, non sono luride sgualdrine da bassofondo! Con il disegno e la danza si catturano le sottili anime delle stagioni, e con il canto e la poesia le dolci e strazianti note del cuore, in una sintesi perfetta e sublime! Non esiste nulla di più elevato e perfetto che si possa chiamare Arte!”
“Ma non mi dire.” sussurrò il biondo sorridendo sornione, trovandosela davanti in piedi che gridava strizzando i bei lineamenti in una maschera d’ira, con gli sguardi di rimprovero di metà degli avventori della casa da tè puntati addosso.
“Che ne vuoi sapere, tu del sublime? Le arti tradizionali non hanno proprio nulla di sublime, e lo sai. Mi hai detto tu stessa che la tua Arte è imperfetta, quella sera in cui sei apparsa dal nulla per importunarmi. Ricordi, cara?”
Tsukaiko strinse i pugni sul tavolo ringhiando, piegandosi su se stessa come un animale ferito, colpita nel punto più dolente. Deidara si sorprese della facilità con cui era riuscito l’affondo: con Sasori non era mai riuscito a colpire il suo orgoglio in modo così efficace come lui riusciva a ferire il suo, e la cosa lo aveva sempre frustrato molto.
“Anche se non è ancora perfetta, la mia Arte lo diventerà presto, puoi giurarci.” La voce di Tsukaiko gli giunse flebile, amara e vibrante di determinazione. “E poi si può sapere da quale pulpito tu, un nukenin da campo di battaglia, parli di Arte? Mi fai solo ridere.”
“Ah, sì!?” gli occhi di Deidara si infiammarono, quando si alzò in piedi e saltò sul proprio sgabello, usandolo come una pedana.
“Allora ascoltami bene, ragazzina. L’Arte è…”

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Capitolo 8
*** Chapter 7 -Epiphany- ***


Epiphany



“Arte è un istante di effimera bellezza,
Arte è la sublimazione di un attimo fuggevole,
Arte è la perfezione irripetibile di un momento, fugace ed impareggiabilmente prezioso,
un secondo di estasi che si innalza fra tutti gli altri monotoni secondi della vita con una magnificazione improvvisa, colto in meno di un battito…
Arte è esplosione!”

“Ciò che perdura nel tempo può sembrare bello ed esaltante, ma proprio la sua longevità lo rende banale e consueto, lo appiana al livello di tutto ciò che esiste e tutta la sua originalità si risolve in una mera stranezza soffocata dalla visione ripetuta e dall’abitudine.
Come può dirsi Arte, una volgarità del genere?
L’Arte dev’essere sublime nascita e sublime morte al tempo stesso, così perfetta da non poter durare più di un istante, un istante in cui si risolve tutto il senso dell’esistenza, in cui le emozioni ed i pensieri si espandono all’infinito colmando il cuore di gioia…
Arte è esplosione!”

So che è la verità, lo so perché è tutto il mio essere che ininterrottamente si innalza a quest’idea,
ma a volte, davvero, mi chiedo perché continuo a ripeterlo. È frustrante, e quando mi capita, mi do dello stupido: io non devo demordere, non devo perdere la fiducia, mai! Arriverà il tempo in cui capiranno!
Il mondo ha bisogno della mia Arte, sarebbe migliore se l’ascoltasse, se la comprendesse, perché ognuno capirebbe l’importanza di ogni singolo istante, capirebbe che la bellezza è così breve che va colta come un frutto maturo, e va goduta immediatamente e con prontezza in ogni secondo della nostra vita, invece che ignorata e avvilita nell’attesa eterna di una gioia futura che non arriverà mai, ma che anzi fa marcire l’anima sempre di più col passare inesorabile e vuoto del tempo;
mi rendo conto, però, che è complicato per le sorde orecchie della gente incolta.
E purtroppo il mondo è pieno di cafoni.
So già che quando abbasserò lo sguardo vedrò un’orda di facce infastidite, come al solito, oppure annoiate o ironiche.
È sempre così.
Tsukaiko se ne starà sicuramente con la testa appoggiata su una mano, a fissarmi perplessa, oppure starà sghignazzando fra sé e sé, con le braccia incrociate, sicura della supremazia della sua stupida arte tradizionale fatta di noiosi paesaggi di morto inchiostro nero e note deprimenti.
Nemmeno lei capirà quale meraviglia possa celarsi nella magnificazione di un attimo, come tutti gli altri.
È sempre stato così.

Ma quando abbasso lo sguardo, mi rendo conto di starmi sbagliando.
“Ti prego, continua!” mormora.
Stringe le dita nella tunica sulle ginocchia, il suo volto è disteso come quello di un bambino che vede per la prima volta un arcobaleno, i suoi occhi che mi fissano luccicano.
“Tu…mi stavi ascoltando?”
“Ma certo! Vai avanti, ti prego! Parlami ancora del sublime istante di effimera bellezza, lo trovo geniale!”
Le sue parole mi entrano dentro come uno schianto di vento e mi sconvolgono. No, non le sue parole. I suoi occhi.
Mi sta ancora prendendo in giro? Sta cercando malignamente di essermi il più crudele ed odiosa possibile!?
“Perché fai quella faccia?”
“Beh…il locale si è svuotato. Credo che stia arrivando il proprietario a cacciarci perché ho fatto scappare tutti i clienti.”
“Oh…” lei si guarda in giro, rendendosi conto in quell’istante insieme a me che siamo rimasti soli, in mezzo ad un deserto di tavoli e sedie vuote.
“Non mi importa! Meglio così, mi hanno sempre dato fastidio gli ignoranti!”
Il suo volto si illumina, scatta in piedi a braccia aperte, con un sorriso diverso da quello che le ho visto dipinto in volto in questi giorni: è euforica, esaltata, un po’ folle, ma mi sembra più familiare così, e sento il cuore che comincia a martellarmi prepotentemente nelle orecchie.
“Lo sapevo di aver fatto bene a scegliere te! Me lo sentivo! Sei un genio! Sei diverso da tutti quelli che ho incontrato fino ad adesso, e mi hai aperto gli occhi! Ho sbagliato tutto…ma adesso tu mi hai mostrato la via della perfezione, la stavo cercando da una vita!”
Il suo sorriso psicopatico mi spaventa e mi eccita, mozzandomi le parole in gola. È sincera.
Lei ha capito, davvero.
Ma che diavolo mi prende? È naturale che abbia capito, io sono un genio, e lei semplicemente è più sveglia della media. Più artistica della media. Più simile a me, della media.
“Ti prego…” continua, congiungendo le mani a mò di preghiera, sempre sorridendo a trentasei denti, accesa da una luce interiore, “mostrami una delle tue opere, voglio vederne una! Fammi capire cosa si prova a vivere un’esperienza del genere…per favore!”
“Emh…”
“Cosa c’è che non va? Cos’hai?”
“Davvero, lo farei anche subito.”
Sì qui, immediatamente. Farei esplodere il tavolo, la sedia, il locale, la città…tutto! Salto giù dallo sgabello e quasi mi viene da piangere guardandola negli occhi, quegli occhi adoranti e colmi di aspettativa, tutti neri e lucidi…
“Ma mi servono le braccia per poterlo fare. Ora non ce la faccio.”
Queste stupide braccia rattoppate come una vecchia coperta consunta non smettono mai di farmi male, steccatami addosso con violenza da quel cane schifoso di Kakuzu, immobili…maledette! Ho finalmente trovato qualcuno con un po’ sale in zucca, e non posso nemmeno mostrarle le mie opere!
Lei sembra un po’ delusa, ma mi sorprende e sorride, più mesta.
“Hai ragione, perdonami. Aspetterò. Ti fanno male?”
“Solo un pochino.” Mento io, sentendo una strana vampa di calore risalirmi fino alla testa quando lei afferra una delle mie maniche, vuota, come se si stesse preoccupando per me.
“Stai bene? Sei paonazzo.”
“Sì…è solo il tè. Era troppo caldo.”
“Sì e vero, io mi sono ustionata la lingua. Sarà meglio che andiamo a pagare, adesso, o ci cacceranno davvero via!”
Comincia a camminare trascinandosi dietro me, con la mia manica vuota e nera stretta nella mano, in direzione della cassa, dentro la quale il proprietario sta quasi cercando di nascondersi, preso dai tremiti alla vista delle nostre vesti. Io mi lascio portare, come spinto da un’onda marina.
E nel frattempo, mi rendo conto che lei è la persona che stavo cercando da una vita, la prima al modo che sia riuscita a cogliere la bellezza della mia Arte, e che, soprattutto, è anche la mia partner.
Aveva ragione lei:
“Staremo benissimo insieme, io e te.”

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Capitolo 9
*** Chapter 8 -Fallen in love- ***


Fallen in love



Oh, Dio, esiste qualcosa di più meraviglioso dell’amore?
Amore per l’Arte, s’intende. No! Non c’è!
Non so più quale kami ringraziare per averlo incontrato, per aver incrociato il mio cammino con il suo, per aver scelto, fra tanti, proprio lui!
È quasi un miracolo, un dono della sorte: io non avevo capito nulla, nulla su cosa significasse perfezione. Illudendomi, avevo imboccato la strada sbagliata dell’accuratezza formale, la quale più che ad una strada assomiglia ad un vicolo ceco, o meglio, ad un circolo vizioso: stavo scendendo sempre più a fondo in una spirale di fredda e vuota forma, sempre più ridondante per la sua mancanza di anima, tanto che le mie opere assomigliavano ad uno scheletro di perfetto cristallo senza un cuore.
Ma lui mi ha aperto gli occhi: non riuscivo a smettere di ascoltarlo mentre parlava, ed era come se stesse rovesciando in me la sua anima lucente, come un’alba, ed avesse sciolto i vincoli cristallizzati dei canoni comuni di bellezza che mi opprimevano dentro congelandomi il cuore, liberandomi da essi e mettendomi le ali.
È un genio! Ed io mi sono innamorata, oh sì, mi sono innamorata della sua Arte!

Ieri sera mi ha anche finalmente mostrato una delle sue opere, appena siamo arrivati a questa piccola locanda vicino alla cascata.
Era il tramonto, ed avevamo occupato la piccola stanza che ci era stata assegnata, dalle pareti di carta alla maniera tradizionale dipinte con uccelli variopinti e fiori di ciliegio, che io amai subito al primo sguardo, facendo trapelare al mio compagno uno sguardo di orgoglio. Mi raccontò che lui ed il suo vecchio partner, che venni a sapere essere niente meno che Akasuna no Sasori, il famoso fondatore della squadra marionettistica a Suna, tornavano molto spesso in quel posto tra una missione e l’altra, ed il proprietario teneva in riservo per loro proprio quella stanza vicino alla sorgente termale ogni volta che gli facevano visita.
Noi akatsukini infatti non abbiamo una dimora fissa, mi ha spiegato, e quindi ci siamo trovati ciascuno un piccolo rifugio personale, per trovare un minimo di stabilità nella nostra vita randagia.
Mi disse di aprire l’armadio di legno a doppia anta, e vi trovai dentro una grossa borsa verde piuttosto pesante, che mi fece appoggiare sui tatami ed aprire tirando la zip che la attraversava quasi per metà. Dopodiché mi invitò ad infilarci dentro una mano e pescare a caso il primo oggetto che mi fossi trovata tra le dita: estrassi allora una piccola rondine bianca, fatta di argilla, composta dai suoi tratti anatomici più essenziali ed elegantemente stilizzata. Mi spiegò che lo stile che lui usava e che potevo ritrovare anche in quella piccola scultura era il super flat, ossia un’avanguardia recente che consisteva nella rappresentazione piatta e bidimensionale della realtà, a simboleggiare la società moderna vuota, piatta e senza cuore.
Quale oggetto migliore, da far esplodere?
Con mia somma sorpresa però, l’uccellino d’improvviso aprì le ali e spiccò il volo dal palmo aperto della mia mano come se si stesse gettando dal suo nido, e la mia espressione sbigottita suscitò in Deidara una risata vivace.
“Non potevo mica non metterci del mio, non credi?” disse sorridendomi.
Il volatile bianco come la neve volteggiò sbattendo le sue piccole ali attorno alle nostre teste in circoli sempre più ampi, facendo ondeggiare qualche filo d’oro della chioma del mio compagno, fino a salire sul soffitto.
Infine, aprendo le ali come ad abbracciare il mondo, esplose.
Un istante di perfetta bellezza, brillò evanescente come una stella, e poi svanì, senza lasciarsi dietro nulla se non una vaga eco di meraviglia.
Fu come se con lei fosse esploso anche il mio cuore.

Ora è sera, e sono avvolta tra le morbide coperte nella penombra argentea della stanza, ad ascoltare il canto quieto e continuo della cascata fuori. È rilassante.
Soggiorneremo qui finché non giungeranno nuovi ordini per noi da parte di Pain, e nel frattempo dobbiamo riposarci per essere al massimo delle nostre possibilità, quando sarà il momento di entrare in azione.
Ma io non riesco a dormire, e non so perché.
È una sensazione che mai avevo provato prima, come se un brivido inarrestabile avesse preso possesso dei miei pensieri e del mio cuore dominandoli e piegandomi al suo volere, mantenendo fissa nello specchio delle mie iridi sempre la stessa immagine, che non mi lascia da ieri sera, quando ho visto per la prima volta una delle sue opere.
La luce ardente nei suoi occhi azzurri, belli come un cielo d’inverno.




Spazio Autrice

Ehilà!^^
Di solito non intervengo dopo i capitoli, nascondendomi nell'ombra tra le quinte della storia, ma qui non potevo proprio fare a meno di saltar fuori! XD Innanzitutto, grazie a tutti quelli che mi seguono, ed un ringraziamento speciale a chi commenta -fa sempre molto piacere leggere i pensieri dei lettori, e riempie di voglia di continuare!- Grazie anche a chi semplicemente legge, naturalmente!
Volevo solo dire un paio di cose:
-Innanzi tutto, lo stile di Dei, il super flat, è realmente un movimento d'arte post-moderna nato in giappone sull'onda del pop e del manga e fondato dall'artista Takashi Murakami, che comprende scultura, pittura, manga ed animazione.
-"Tsukaiko" significa letteralmente "incantatrice di serpenti", eh sì. Questa cosa si rivelerà importante più avanti! (Anche perchè lei è un po' un furbacchiona...Kukuku^^)
Sarà amore? Boh, si vedrà...
Al prossimo capitolo!^^


Kiki

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Capitolo 10
*** Chapter 9 -Like a snake- ***


Like a snake



“Non mi hai ancora parlato delle tue tecniche.”
Tsukaiko sorrise. Stava inginocchiata ad un angolo della camera, a riporre con cura i pennelli e la boccetta d’inchiostro che aveva usato per dipingere in un involto di seta nera, dando le spalle a Deidara.
“Pensavo le avessi intuite, senpai.”
Anche Deidara sorrise.
“Fai la furba? Tu mi hai solo descritto il tuo modo di fare Arte, non di combattere.”
“Non è forse la stessa cosa?”
Tsukaiko si alzò e ripose con cura l’involto nella sua metà di armadio, attardandosi per qualche secondo a riordinare i suoi effetti, e continuando a dare le spalle a Deidara.
“Io mi sono esposto, con te. Adesso è il tuo turno. Sei stata tu a dire che per te è importante, oppure volevi solo prenderti un vantaggio in un eventuale scontro?” era tornato serio, ma l’altra scoppiò a ridere, una risata sinistra, voltandosi: reggeva tra le mani due piccoli ed eleganti falcetti d’acciaio, collegati tra loro al livello dell’impugnatura da un’unica lunga catena sottile. La ragazza li alzò davanti al volto, per mostrarli al compagno, dubbioso.
“Kusarigama?”
“Già. Ma questi non amo molto usarli, li tengo solo per casi disperati. Sono un tantino brutali.”
“Perciò, combatti a breve distanza.”
“Hai assaggiato i miei colpi.”
“Sei un’esperta di Arti Marziali, allora?”
“Preferisco chiamarla “danza”.”
“Hai altre armi?”
“No.” Tsukaiko rimise al loro posto le due piccole falci, con cura. “O almeno, nessun altra arma ninja. Odio kunai e shuriken, li trovo banali ed inutili.”
“Concordo, nemmeno io li uso. E poi, sei un’illusionista?”
“Il mio canto ammalia. Diciamo così..”
“Non hai una qualche dote innata? Qualche tecnica speciale che ti renda unica?” chiese Deidara, un po’ spiazzato dal fatto che una kunoichi comune come lei fosse stata accettata in Akatsuki.
“Certo.” Rispose quella, e si picchiettò la fronte con la punta del dito indice, con un’espressione astuta. “So usare bene questo. Cervello a parte, adopero solo qualche tecnica semplice, e tutte quelle in cui mi sono cimentata finora mi sono sempre riuscite bene. E poi sono anche un’attrice, da brava donna d’arte completa quale sono.” “Ah, sì?” Il biondo si accostò a lei, mentre aprivano la porta scorrevole che dava sul piccolo cortile della locanda e uscivano all’aperto. Là, la cascatella scrosciante si gettava con spruzzi tiepidi in un piccolo laghetto termale, cadendo giù dalla parete di roccia ricoperta di vegetazione che si innalzava a lato della costruzione, circondando lo sprazzo d’erba e rendendolo simile ad un chiostro, recintato da un lato dalle pareti di carta dell’edificio, dall’altro dal fianco della montagna, chiuso e riparato. La locanda, infatti, sorgeva addossata alla parete scoscesa di un piccolo strapiombo, tra le basse montagne piene di foreste vicino al confine con il Paese della Roccia.
“In fondo, cos’è la vita, se non un’ininterrotta recita della maschera che ci viene calcata addosso alla nostra nascita?” Tsukaiko si sedette sulla panca di legno di fianco alla riva del laghetto, lasciando vagare lo sguardo tra le onde danzerine, con un lieve sorriso ad incresparle il volto, malinconico.
“Perciò, per te la vita sarebbe una recita?” Deidara si sedette accanto a lei, fissandola. “Mi stai dicendo che tu non fai altro che “recitare”, mentire, a tutti quelli che ti stanno attorno?”
“Lo faccio spesso, sì.”
“Anche con me?”
Lei arrossì violentemente.
“Sei viscida come una serpe, Tsuka-san.” Disse Deidara, alleggerendo il tono, come se trovasse in fondo piacevole ed interessante quella sua strana concezione della vita. Ma lei si irrigidì all’improvviso, stingendo i pugni sulle ginocchia fino a farsi sbiancare le nocche.
“Non dirlo mai più.”
“Cosa?” chiese il biondo, sorpreso.
“Quella parola. Non dirmi mai più che sono una serpe. Mai.”
La ragazza si alzò di scatto e si allontanò, andando a recuperare il dipinto che aveva lasciato là tra i cespugli qualche ora prima, ritraente dal vero la cascata e le piante attorno con lunghe pennellate di inchiostro nero.
“E comunque…” si voltò di nuovo, rossa in volto. “Sappi che ho preso la decisione di mentire il meno possibile, a te, Dei-senpai.”
Corse dentro alla camera e sbatté la porta scorrevole, dileguandosi dalla vista di Deidara, rimasto ad osservare stupito tutta quella scena con la bocca aperta, senza comprenderne la ragione.

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Capitolo 11
*** Chapter 10 -Wounds- ***


Wounds




È gia quasi notte, e Tsukaiko non è ancora tornata.
Non mi ha detto dove andava, ha solo sbattuto quella porta ed è sparita come un fantasma per tutto questo tempo, lasciandomi da solo qui in taverna a brancolare in giro senza braccia e senza aiuti, ed a rimuginare.
Cosa accidenti le è preso? Le donne proprio non le capisco. Non riesco a capire come abbia fatto ad arrabbiarsi per il fatto che l’abbia chiamata bugiarda, visto che me l’aveva detto lei stessa poco prima, e ne sembrava anche orgogliosa. È lunatica.
Spero solo di non averla offesa troppo…finalmente stavo cominciando a trovarla simpatica, non vorrei aver già rovinato tutto.
Sento un rumore alle mie spalle, ed eccola finalmente rientrare. Nemmeno si leva il cappello quando si siede di fronte a me, appoggiando le mani al tavolino e chiamando l’oste con un cenno del capo. Solo dopo aver ordinato del riso al manzo si volge a me, nervosa, che la guardo con un sopracciglio alzato.
“Ma dov’eri, senpai? Ti ho cercato in camera, ma non c’eri.” chiede.
“Dovrei farti la stessa domanda.”
Non le capisco proprio, le donne. Lei sbuffa, e finalmente toglie il largo copricapo di paglia intrecciata, liberando le sue corte ciocche ribelli che si scuotono, al tocco, soffici e nere come le piume di un pulcino di corvo, prima di ricaderle parzialmente sugli occhi pesantemente truccati di verde.
Quel colore le dona, esalta la profondità delle sue iridi scure.
“Sono scesa in paese a fare delle commissioni, tutto qui.” Il suo riso arriva, e si mette a mangiare senza aggiungere altro. Il piccolo ristorante della locanda è quasi vuoto, anche a causa della bassa stagione, ed il brusio è molto lieve: gli unici suoni che si sentono sono principalmente lo sciacquio imbarazzante che provoco io nel bere la mia cena –l’oste è stato gentile a portarmi il brodo con la cannuccia, finché le mie braccia non guariscono e le mie altre due mani non se ne vanno in giro tutto il giorno a “fare commissioni”- ed il suo masticare. Sembra avere molta fame, e mi lascio stupidamente catturare dai suoi gesti: ingoia un boccone dopo l’altro facendo sparire tutto il riso in bocca come in un forno, tanto che non mi stupirei se una volta finito si mettesse a leccare la ciotola.
“Ehi, tutto a posto?”
All’improvviso, un tremito violento le ha scosso le spalle come una scarica elettrica facendole cadere le bacchette di mano, e lei ha strizzato gli occhi come se un forte dolore le stesse attraversando il corpo, anche se in un secondo è tornata più composta di prima, ha recuperato le bacchette ed ha alzato su di me uno sguardo scocciato.
“Ma che dici? Sto bene, sono solo un po’ stanca.”
“Riguardati, perché potrebbe arrivare da un momento all’altro l’ordine di partire.”
“Non preoccuparti per me.” Sorride, stiracchiando le guance senza curarsi di farmi credere che ha davvero voglia di essere contenta.
“Piuttosto, non potremmo andare da nessuna parte con le tue braccia ancora in quello stato. Come stai, migliorano?”
“Sì, certo.”
“Dopo se vuoi ci do un’occhiata.”
Un bollore improvviso mi sale alla faccia inarrestabile all’idea di lei che visita le mie braccia, di lei che tocca la mia pelle con quelle sue dita bianche ed affusolate, senza un motivo che sul momento riesca a spiegarmi.
“Sei anche un medico?!”
“No, non proprio, ma una shinobi del mio villaggio mi ha insegnato un paio di tecniche di guarigione di base.”
“Non me l’avevi detto!”
“…ti avevo detto che tutte le tecniche che provo a fare mi vengono bene. Ma, scotta tanto, quel brodo? Sei un po’ rosso.”

Questa ragazza mi confonde.
Prima mi dice che la vita è come un’enorme recita, poi mi confida che con me sarà sincera, ed infine mi mente, spudoratamente, quasi senza curarsi di nascondermelo. Perché oggi le è successo qualcosa, ne sono certo: ogni minuto che passa è scossa sempre dallo stesso tremito di sofferenza, come un postumo di qualche attacco elettrico, forse, o comunque una ferita. Qualcosa procurato in uno scontro, insomma.
Assorto, sto seduto sulle ginocchia in mezzo alla camera, ad aspettarla, nella penombra della sera.
Chissà poi perché deve trattarmi così? Perché mi ha detto che non mi avrebbe più mentito? Adesso che ci penso però, è cambiata, da un po’, da quando abbiamo parlato di Arte. Prima non faceva altro che inondarmi con quei sorrisetti insulsi da brava ragazza remissiva, mentre adesso è diventata volubile ed incostante come una marea, ed in effetti, questo potrebbe essere sintomo di sincerità.
Lei entra dalla porta del bagno, silenziosa, dopo essersi lavata le mani. Si inginocchia davanti a me, afferra con dita leggere il colletto della mia tunica e la sbottona, facendo scivolare via il tessuto leggero dalle mie spalle fasciate. Rimango inginocchiato davanti a lei a torso nudo.
Cosa vuole da me? Perché mi fa tormentare così? Perché ha deciso che tra tutta la gente che c’è in questa terra schifosa dovevo essere proprio io quello per cui doveva gettare la sua maledetta maschera? E forse non l’ha fatto, forse invece sta continuando a mentirmi come un viscido serpente dalla lingua biforcuta, pronta per confondermi con i suoi sorrisi e soggiogarmi al suo potere.
Il suo tocco fresco sfiora la mia pelle, e trema. Accarezza con orrore le disgustose suture sulle mie braccia, ferite ancora aperte e gonfie, cucite insieme in modo rozzo e sgraziato. Mostruose.
“Chi ti ha fatto questo?” mormora con un fil di voce, guardandomi.
No, non può mentire. Trema, non so se per quella sua ferita misteriosa oppure per la vista del mio corpo martoriato, e mi guarda intensamente negli occhi, brillanti nell’ambrata penombra che filtra dalla carta dipinta delle pareti. E’ come se stesse soffrendo per me, è come se fosse sbigottita sapendo che qualcuno mi ha barbaramente strappato via le braccia, è come se le dispiacesse davvero. Nessuno mi ha mai guardato così, nemmeno mia madre.
Per un secondo, un brevissimo secondo, un istinto irrefrenabile prende possesso di me e provo il desiderio irresistibile di piegarmi su di lei e baciare quella pelle bianca, di morderla, di leccarla…
“Te lo racconto un’altra volta.”
Mi mordo le labbra, scosso. Non riesco a capire che diavolo mi prende.
Per fortuna lei gattona dietro di me, fuori dal mio campo visivo, ed appoggia le sue mani tiepide dove le mie ossa non si sono ancora saldate. Percepisco il vago cambio di pressione in lei, tipico dell’azione dell’impasto del chakra, e poi un calore intenso, piacevole, che si diffonde gradualmente nel mio corpo placando il dolore e guarendo le ferite.
“Accidenti, sei brava, Tsuka-chan.”
“Grazie.” Le sue mani premono un po’ di più, indecise. “Te l’avevo detto che mi veniva bene.”
È così dolce, a volte.
“Così poi potrò finalmente vederti all’opera, sul serio. Non riesco a pensare ad altro.”
“Davvero?”
“Sì.”
Muove le mani in piccoli circoli, aiutando il calore a diffondersi, ed a volte ne stacca una per spostare i miei lunghi capelli dalla zona su cui sta lavorando, poiché essendo tanti e folti continuano a cadere dove non dovrebbero. È come una carezza.
“Ho finito” sussurra.
Piano piano, svolge le bende che tengono ferme le stecche di legno, liberando finalmente i miei arti superiori dalla loro prigione stretta e scomoda. Allargo le braccia con un gesto liberatorio, stiracchiandole, e le ossa riparate rispondono con una serie di schiocchi sonori. I tessuti non si sono ancora rimarginati completamente, ma posso muoverle.
“Grazie Tsuka-chan.” Mi volto verso di lei, riconoscente.
Sto meglio, grazie a lei ed alla sua tecnica “di base”. “Di niente senpai.” Se non fosse così buio, direi che è arrossita. Sorride.
“Adesso riposati. Io me ne vado un secondo alle terme, che sono un po’ stanca da tutti i giri che ho fatto oggi.”
Si alza e sparisce.
Rimasto solo, sospirando tiro fuori il futon dall’armadio, lo sistemo per terra e poi mi infilo sotto le coperte, con ancora il suo calore che mi scorre nelle vene, come un abbraccio caldo.
Mio malgrado, con il cuore che pulsa più forte del solito mi ritrovo a pensare che se davvero mente, quando siamo insieme, vorrei che continuasse a mentirmi così per tutto il resto della vita.

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Capitolo 12
*** Chapter 11 -Hot water, hot steam- ***


Hot water, hot steam



Devo annegare, smettere di respirare, smettere di provare ciò che sto provando.
L’acqua bollente mi preme sul corpo e sul viso, agitando come serpi nere le mie ciocche ribelli e schiacciando la poca aria che mi resta nei polmoni, togliendomi la vita e l’ossigeno.
Riemergo a bocca spalancata e no, è inutile, non se ne va, non se ne vuole andare, inspiro folate di vapore caldo e bagnato che sale come nebbia leggera dalla superficie sulfurea della vasca, tornando a farmi respirare.
Non se ne va.
Il suo corpo così caldo, il suo respiro lento e l’aroma della sua pelle, sono rimasti impressi nelle mie palme che l’hanno guarito il modo permanente, penetrati nella mia carne, scivolando nelle mie arterie come un veleno che mi ha dato alla testa e mi ha stordita come liquore.
Sono immersa, nuda, nell’acqua bollente, e vorrei toccarlo di nuovo.
Non posso farne a meno.
E quel sorriso, quando mi ha ringraziata, mi ha sconvolto l’anima. Sono scappata perché temevo che non sarei più riuscita a controllare le mie azioni, oppure sarebbe stato troppo doloroso farlo…
Mi ha detto “grazie, Tsuka-chan”, e poi mi ha sorriso: era così…oh, non ci sono parole per descriverlo. Come un raggio di sole tra le nubi congestionate di un uragano, come un bucaneve sbocciato tra le crepe del cemento, come una carezza in una fredda vita di solitudine…è la prima volta che mi sorride così, sinceramente, senza quel vago sentore di ironia e sfacciataggine che di solito scorgo nel suo viso per metà coperto da quei capelli biondi.
E poi, è così bello.
Questo desiderio mi spaventa, mi perseguita, non mi dà pace. Come se non avessi anche altri problemi a cui pensare.

Oggi alcune delle persone che credevo di essermi lasciata alle spalle per sempre sono tornate a farmi visita, con le loro facce cattive e vendicative ed i loro brutti modi.
Gente del mio villaggio, s’intende, dove tutti, dal primo all’ultimo, mi hanno odiata, oppure hanno mal sopportato la mia presenza come se fossi stata una spina nel fianco, una macchia nera tra le loro schiere di chunin linde e pulite: la bambina ribelle.
Alla fine mi sono davvero ribellata. Per forza, li odiavo anch’io tantissimo: ho goduto con tutte le fibre del mio essere quando mi sono strappata di dosso il coprifronte e l’ho distrutto senza lasciarne traccia, non volevo avere più niente a che fare, con loro, niente! Nemmeno portare in testa il loro stemma sfregiato dal graffio del tradimento; loro sapevano che sarei stata una traditrice fin dalla mia nascita, perché è scritto nel mio sangue, e mi hanno trattata di conseguenza.
Cosa si aspettavano che facessi? Oltre che chiamarmi “viscida serpe”, a guardarmi con quegli occhi crudeli dovunque andassi, a mormorare alle mie spalle fin dai banchi di scuola, nonostante i miei tentativi di essere brava e buona, non hanno fatto altro per me che tentare di conformarmi a tutti gli altri, per farmi diventare uno dei mille anonimi pedoni sacrificabili di cui è composta la nostra società.
Ed io non ci sono stata.

Oggi, mentre andavo a zonzo per i dintorni del paese qui accanto, sono incappata in un agguato appostato ad un incrocio vicino al confine e sono stata costretta ad eliminare un paio degli assalitori, i più pericolosi, dopo essere riuscita a farmi dire cosa volevano da me; infatti, pur avendo abbandonato il villaggio, non ero mai entrata nella lista nera del capo-ninja. A quanto pare invece, l’ingresso in Akatsuki mi ha definitivamente targata come “criminale”.
La missione dei miei assalitori era quella di eliminarmi, dato che a parere delle autorità resterei comunque pericolosa chiusa in una cella, e da oggi, dopo queste due uccisioni, la mia fedina penale è certamente peggiorata. Sono sicura che ritenteranno di attaccarmi.
Mi stavano anche colpendo di sorpresa, quei bastardi. Maledizione! I colpi che ho ricevuto mi fanno ancora male: sono stata costretta a fingermi morta in un lago di sangue, per poter aspirare alla distrazione di cui avevo bisogno per attaccare e fuggire. Peccato che il lago di sangue fosse vero.
Ma questo bagno mi sta facendo bene, al corpo e al cuore.

Deidara non deve saperlo, comunque, perché comprometterebbe la concentrazione per le missioni per conto di Akatsuki, e poi, non voglio che lui sappia che quelli del mio villaggio mi cercano.
È troppo importante per me, è colui che mi ha aperto gli occhi ed io lo adoro:
non voglio che sappia con quale razza di serpente si sia trovato a fare coppia.

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Capitolo 13
*** Chapter 12 -Finally, the leaving- ***


Finally, the leaving



Deidara e Tsukaiko stavano giocando a scacchi cinesi seduti nel cortile della locanda quando arrivò l’annuncio della nuova missione di Akatsuki. La ragazza sobbalzò, turbata, quando percepì la forte voce mentale risuonarle roboante nelle meningi:
“Nuovo ordine: il vostro nuovo obbiettivo è il cercoterio tricoda, trovatelo. Attivatevi più in fretta che potete. Non abbiamo molte informazioni da darvi, e proprio per questo vi suggerisco di cominciare la ricerca nei territori di Paesi minori. Sbrigatevi.”
Deidara sorrise ironico alla vista della faccia della compagna, che si massaggiava le tempie infastidita da quell’imprevisto contatto mentale.
“Che c’è, bambina, ti sei spaventata?”
“Finiscila.” Grugnì lei, dopo avergli gettato un’occhiataccia.
“Era Pain?” aggiunse.
“Già.”
“Ma come diavolo fa?”
“Mah. Non ho mai capito fino in fondo fin dove si spingono le sue possibilità, ma a sentir parlare Konan è onnipotente come un dio.”
“Secondo me è una bufala. Conosce solo qualche tecnica appariscente.”
Deidara scoppiò a ridere. “Può anche darsi. Ma non si può negare che sia stato capace di mettere insieme quest’ammasso di pendagli da forca in un’organizzazione efficiente, dopo tutto!”
“Sono un pendaglio da forca io, secondo te?” lo provocò Tsukaiko, snudando i denti candidi in un sorriso aggressivo.
“Tutti lo siamo. O non saremmo qui.”
Si alzarono entrambi dalla loro posizione inginocchiata, sistemandosi le vesti stropicciate con veloci pacche sulle gambe. Tsukaiko allungò lo sguardo sulle mani di Deidara, sulle sue palme: quella mattina le aveva fatto vedere quelle strane bocche con tanto di denti e lingua che si aprivano come mostruose cavità nelle sue mani, dopo che lei le aveva notate di sfuggita mentre facevano colazione.
Erano strane, inquietanti, spaventose.
Tsukaiko però adorava le cose spaventose, e quel particolare non aveva fatto altro che aumentare a dismisura l’attrazione animale e travolgente per il compagno che la dominava prepotentemente da qualche tempo, violenta ed imbarazzante.
Arrossendo, seguì Deidara dentro la camera, e cominciarono a radunare le loro cose per il viaggio. Il tutto si svolse in modo veloce ed ordinato, mentre i due discutevano su quale paese visitare per primo. Quando la meta fu decisa –il piccolo paese dei Laghi-, i due si affrettarono fuori, pagarono l’oste e si avviarono fianco a fianco sul sentiero ghiaioso battuto dal sole, protetti dai loro ampi cappelli di paglia. Camminavano silenziosi, sollevando un lieve polverio con i loro passi lievi, lugubri ombre nere e rosse nella luce del mattino inoltrato.
Fu Tsukaiko che prese l’iniziativa di rompere quel silenzio:
“Tu…ti consideri un criminale, Dei-senpai?”
Il biondo si accigliò, nascosto dalla tesa ombrosa del copricapo. A quanto pareva, la ragazza aveva preso davvero sul serio la sua frase di prima, ed era rimasta su a rimuginarci tutto il tempo. Deidara però non la capiva: che problemi c’erano da farsi su una cosa così ovvia?
“Beh, Tsuka-san,” rispose, senza celare la sua perplessità.
“Certo che sì. Ho tradito il mio villaggio, quindi sono un fuorilegge, come te.”
“No, non hai capito.” Rispose lei, scuotendo il capo.
“Questo è quello che sei nei confronti delle istituzioni ninja. Ma io ti ho chiesto se tu ti senti un criminale, ossia se credi che ciò che fai sia sbagliato. Che tu sia una persona cattiva per il tuo tradimento, insomma.”
Il biondo rimase ancora più spiazzato nell’assurdità della domanda, e nel tentativo di pensare ad una risposta intelligente si rese conto di non averci mai pensato, in realtà.
I ninja nascono per uccidere, fedeli o traditori che siano.
“Sai una cosa?” sospirò infine, lasciandosi andare in uno slancio di sincerità, “…non lo so. In fondo, credo che non mi interessi affatto. Sono un artista, punto. Sono fedele alla mia Arte, e non mi interessa niente altro.”
La mora con sua somma sorpresa si lasciò sfuggire un risolino, che inizialmente lo irritò come una derisione di fronte suo sfogo sincero, ma poi gli scivolò addosso come una carezza, non appena lei si mise a parlare.
“Oh, come ti capisco. Anche per me è così! Solo che sai, in giro è pieno di gente che sembra solo godere nel far soffrire gli altri…volevo solo…”
“…volevi solo accertarti che non fossi una sottospecie di Hidan più basso di 10 centimetri?”
Scoppiarono a ridere entrambi, reggendosi i cappelli tutti sbilenchi.
“Sai…” riprese Deidara, riprendendo fiato, “…è proprio per questo che ho lasciato Tsuchi. Io facevo Arte, e ricevevo richieste da ogni parte: dallo Tsuchikaghe, da ninja meno esperti, da shinobi che me la pagavano…non sempre del mio stesso paese. Ed è successo che visto che usavano le mie opere contro il mio villaggio…eheh, gli shinobi di Tsuchi volevano rinchiudere me, e così me ne sono andato. Ma non mi è dispiaciuto un granché, anzi, è stata una vera e propria liberazione!”
Tsukaiko lo ascoltava rapita, annuendo ad ogni frase. Se un passante avesse per caso percorso in quel momento il loro stesso tratto di sentiero, avrebbe pensato sicuramente che quei due giovani spensierati non fossero veramente due akatsukini, ma che vestissero quelle vesti solo per gioco: il biondo raccontava sbracciandosi cose che parevano imprese straordinarie e la mora pendeva letteralmente dalle sue labbra, commentando ogni tanto.
“…ma…” stava appunto dicendo, “…è stato così facile per te? Non avevi degli amici?”
Deidara si rabbuiò. “Dipende. Se le persone che si definiscono “amici” sono quelle che ti capiscono, allora nessuno. Qualche rompiscatole, quello sì. E che mi dici di te? Non so nemmeno da che villaggio provieni. Avevi amici, famiglia…?”
“Lasciamo perdere.” Mormorò la mora, mesta, per poi riprendere, “E tu? Ce l’avevi una famiglia?”
“No.” Deidara si oscurò ancora di più, aveva pronunciato quel monosillabo ancora prima che Tsukaiko finisse di parlare, violento e conclusivo come un colpo di pistola.
“Piuttosto, fra poco si fa buio, dobbiamo trovarci un riparo.”
I due si rifugiarono sotto una piccola grotta resa invisibile dai numerosi tentacoli vegetali di piante rampicanti boschive, per quella notte, e si addormentarono subito senza dirsi nulla accucciati il più possibile lontano l’uno dall’altra, per quanto permetteva l’angusto spazio della cavità.

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Capitolo 14
*** Chapter 13 -Deidara's story- ***


Deidara's story



Una brutta bestia mi morde lo stomaco, mi tormenta e mi punzecchia da tutta la notte, impedendomi di abbandonarmi al sonno che sarebbe necessario per l’organismo di una kunoichi come me. Maledizione.
Da quando gli ho fatto quella fottuta domanda sulla famiglia non mi ha più parlato, si è solo limitato a frasi di circostanza, si è richiuso in se stesso come un riccio ricoperto di spine. Temo che abbia ricominciato ad odiarmi, e non potrei sopportarlo.
Non ho idea di che ore siano, ho alternato fasi di veglia e sonno leggero per un tempo che a me è parso infinito. La mia mente non è lucida.
È tutta la notte che mi tormento pensando a Deidara, ed ora questa pessima sensazione sta diventando così insopportabile da darmi quasi la nausea.
Apro gli occhi e mi sollevo, finalmente, decisa a chiedere perdono, e nel buio della notte allungo la mano accanto a me, strofinandola sulla roccia, in cerca del corpo del mio compagno.
Ma non sento niente, oltre all’umida consistenza della parete naturale.
Mi riscuoto, rotolo carponi e quando finalmente i miei occhi escono dall’appannamento del mio sonno inquieto sondo tutto lo spazio intorno a me, ma lui non c’è. Deve essere uscito mentre dormivo.
Esco, scostando le fronde e rabbrividendo al soffio del venticello notturno.

“Senpai…”
Lo trovo seduto su un tronco caduto, solitario, sopra una piccola altura priva di vegetazione, dalla quale si domina con lo sguardo la foresta che ci circonda ed il cielo, immensa concavità oscura scintillante di milioni di stelle.
Piegato in avanti mi sembra quasi una roccia antica, incastrata a fondo lì da sempre, se non fosse per i lunghi capelli sciolti, lasciati liberi come una cascata d’oro sopra gran parte della schiena, che ondeggiano piano al ritmo del respiro della notte.
Non si volta verso di me, sembra quasi che non si sia accorto del mio arrivo.
Mi siedo accanto a lui, senza nemmeno trovare il coraggio di guardarlo in faccia, tanto mi pare grande e solenne il suo silenzio.
“Senti, Dei-senpai…io non volevo…”
“…cosa ci fai qui Tsuka-chan? Dovresti riposarti.”
La sua frase fredda mi ferisce come un pugnale nelle viscere. Non stavo così male per colpa di qualcuno dai tempi dell’accademia, ma non ho intenzione di arrendermi. Lui è il mio mentore, è troppo importante.
“Lo so che sei arrabbiato con me, ma per favore, accetta le mie scuse. Non era mia intenzione offenderti.”
“No.” mormora lui dopo una pausa, un po’ meno glaciale di prima. “Non ce l’ho con te.”
“Davvero? Allora cosa c’è, qual è il problema?”
“Ma niente.”
“Non te ne staresti qui seduto da solo nella notte dopo avermi tenuto il muso per tutto il giorno, se non avessi qualche preoccupazione, senpai.”
Mi avvicino un pochino di più a lui, con lo stomaco in subbuglio.
“A me puoi dirlo.”


Me la ritrovo all’improvviso così vicina, lei, così bella, così terribilmente simile a me, che all’improvviso mi rendo conto che forse a lei potrei raccontarlo, che potrei fidarmi, e che mi capirebbe. Nessuno mi ha mai capito, prima.
Nessuno mi ha mai chiesto di raccontare la mia storia, forse perché non è lacrimevole e stucchevole come quelle di quei mocciosi orfanelli a cui tutti girano attorno commuovendosi, e quindi nessuno mi può correre incontro gridando che io sono così perché mi è morta la mamma o altro. Che poi tra trovatelli si riuniscono tutti assieme e diventano tutti amiconi, che tanto è tutta colpa di un’infanzia piena di disgrazie.
No, la mia storia non è così.
“E’ solo che oggi mi hai fatto tornare in mente i tempi dell’accademia, a Tsuchi. Sai, tutti mi prendevano sempre in giro perché ero troppo piccolo per diventare uno shinobi, e mi disprezzavano: mi chiamavano bastardo. Sai com’è. Mia madre lavorava come geisha in una casa di piacere in un paese vicino e mio padre…mah. Non s’è mai saputo chi è.
Si dice che nelle accademie finiscano i discendenti di clan ninja ed i residui della società, ed è proprio così che accade: solo che per quanto riguarda me, nessuno mi ha mai dato un soldo bucato. Ero un ragazzino ribelle, sempre solo per le strade a fare casino con i miei esperimenti artistici, e l’unico che vide in me del potenziale fu proprio lo Tsuchikaghe, il vecchio Oonoki; fu lui che mi prese sotto la sua ala e mi fece entrare in accademia. Quello fu davvero un bel momento: finalmente qualcuno che aveva fiducia in me!
Ero convinto che avesse capito la mia Arte, dato che aveva deciso di investirci sopra, ed a dir la verità vide bene, perché fui promosso a jonin a soli 14 anni, ed entrai nella squadra degli esplosivi, composta da shinobi scelti tutti più anziani di me. Ne ero molto orgoglioso. La feci pagare molto dura a tutti quelli che mi avevano deriso, che mi avevano chiamato bastardo, loro che provenivano tutti da clan d’élite e che avevano sempre avuto davanti a sé la strada spianata per diventare quello che volevano, con le loro tecniche segrete ed il loro talento “innato”.
Solo col tempo mi resi conto che Oonoki non aveva capito proprio niente di me, gli ero utile come arma da guerra, solo perché la mia Arte comprende anche la distruzione, e niente altro. Non dava il giusto spazio alle mie possibilità, pretendeva di piegarmi al suo comodo come se io fossi stato la materia di argilla tra le sue mani, e non l’artista.”
Faccio una pausa, sospiro.
“Sai, è stata mia madre ha insegnarmi l’arte, quando ero ancora molto piccolo.
Sì, era davvero una geisha, non fare quella faccia! Mi lasciava sempre da solo per andare a lavorare tutto il giorno, ma quando ero davvero molto piccolo stava sempre con me, ed ha sempre cercato di trasmettermi la sua passione per l’Arte. Anche tu ti dai tante arie da geisha, ma davvero Tsuka-chan, è una vita miserabile: mia madre vendeva il suo talento per quattro soldi a gente rozza, che la maggior parte delle volte pagava per avere…il trattamento completo, sai a cosa mi riferisco. È proprio così che sono nato io, in fondo.
Sono sempre stato negato per il disegno e tutto il resto, ma lei mi diceva sempre che non era un gran problema, perché la cosa più importante è un’altra, ed è quello che lei mi ha insegnato: “la vera opera d’arte è quella che rispecchia l’anima dell’artista”,
E la mia anima è un’esplosione.”
Gli occhi neri di Tsukaiko riflettono le stelle del cielo, mentre mi guarda. Sento il suo respiro fattosi sempre più lieve, per paura di disturbare il mio racconto, e le sue gote nivee sembrano riflettere soffusamente la luce che la luna le fa scivolare addosso.
“Deve essere stata dura.” Sussurra. “Ma…come hai capito la tua vera ispirazione? Come sei arrivato all’esplosione?”
“Diciamo che l’ho sempre avuta dentro. Forse…mi è successa una cosa, quando avevo due anni.”
Lei si protende ancora di più verso di me, in attesa.
“Mia madre mi aveva lasciato solo, non so perché –mah, era sempre molto distratta e inesperta, aveva 18 anni quando sono nato…-, ed io sono uscito di casa, e mi sono messo ad andare in giro per la via dove vivevamo. C’era una lavanderia poco prima della fine della strada e ci sono entrato, forse ero attratto da tutta quella gente che entrava e usciva, chi lo sa. Ricordo solo una cosa di quell’evento: le persone che correvano tutte fuori come impazzite, puzza di gas, e poi… l’esplosione. È saltato tutto per aria, all’improvviso c’è stata solo una luce immensa, divina, e poi più nulla. Sono sopravvissuto per miracolo.
E’ stato incredibile, è durato pochissimo ma in quell’attimo ho creduto di avere raggiunto l’infinito alla fine di tutto…dev’essere stato allora.”
“Wow.” Mormora lei. Senza che me ne sia accorto, immerso nella memoria, ha preso la mia mano tra le sue.
“Beh, poi…” continuo, sentendomi un po’ a disagio “Come ti ho detto me ne sono andato dal villaggio perché ho cominciato a vendere le mie opere anche a nemici, e allora…”
“E’ una cosa incredibile, davvero.”
“Dici? A me sembra solo un evento sfortunato e banale.”
“…ma solo tu ne avresti ricavato una forma d’Arte. Chiunque altro ne sarebbe stato traumatizzato e basta.”
“Beh…”
Stringe la mia mano tra le sue, tiepide, lisce come la seta, questo contatto mi brucia nella pelle e mi eccita il sangue nelle vene dandomi di volta al cervello, è così tremendamente bella sotto la luce delle stelle…è così vicina che sento il suo respiro caldo sulla bocca…
“Sai” mormoro “sei la prima persona a cui ho raccontato queste cose.”
“La prima…perché…?” esala lei in un soffio.
“Perché tu sei…”
Il desiderio per le sue labbra mi offusca il pensiero e mi tronca le parole, mi piego in avanti verso di lei aspettandomi di incontrare il calore umido della sua bocca, ma trovo solo il vuoto ed un grido mi perfora le orecchie.
Per poco non mi catapulto in avanti come un deficiente, senza capire che succede riprendo il controllo dei miei sensi ed alzo lo sguardo, e quello che vedo mi gela il sangue nelle vene: qualcuno ha strappato via Tsukaiko ghermendola per i capelli e trascinandola sull’erba urlante, approfittandosi della nostra, emh, “distrazione”.
Merda!

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Capitolo 15
*** Chapter 14 -Some skeletons fall down from the closet- ***


Some skeletons fall down from the closet



“Hidan! Cosa cazzo ci fai qui!?”
Le dita che ghermivano i capelli di Tsukaiko come una tenaglia mollarono la presa, e subito dopo un calcio roteante colpì in faccia l’assalitore, che però sembrò incassare il colpo senza perdere l’equilibrio e senza fare una piega. Hidan sbuffò, osservando dall’alto in basso la bella kunoichi che lo aveva appena colpito, con quei begli occhioni neri freddi e arrabbiati.
“Come sei noiosa.”
“Ma come ti permetti!? Cosa diavolo ti è saltato in testa, stupido!?”
Deidara sembrava uscito di testa, raramente perdeva le staffe in quel modo, ed Hidan ghignò.
“Non ci si dovrebbe attaccare tra compagni! Brutto idiota!” gridò ancora il biondo.
“Ma smettila, ti sembrava un attacco, quello?” Tsukaiko restò muta, ma parve quasi sibilare di rabbia mentre lanciava un’occhiataccia all’albino. “Piuttosto, non si dovrebbe neanche fornicare tra compagni, dovesti saperlo fin troppo bene, tu, vero Deidara? Anche se devo ammettere che un po’ mi è dispiaciuto, eravate molto carini.”
La ragazza nascose la faccia sotto la tesa del colletto della veste, ed il biondo, se possibile, si infuriò ancora di più, ma sembrò trattenersi dal rispondergli per le rime, incassando il doppio colpo che gli era stato lanciato.
Quel genere di allusioni lo umiliavano.
“Senti.” Disse infine, rendendosi conto che Hidan non aveva la minima intenzione di andarsene di lì, e sicuramente non era sopraggiunto con l’unico scopo di evitare effusioni erotiche tra due partner della stessa organizzazione. “Vedi di rispondere alla mia domanda, cosa sei venuto a fare, qui? Io e Tsukaiko siamo già in missione.”
Hidan non gli era mai andato particolarmente a genio, forse per il suo atteggiamento strafottente e per quella sua maniera di aprire sempre la bocca a vanvera, senza mai dire nulla d’intelligente. Probabilmente non aveva un quoziente intellettivo così elevato, ma la sua immortalità compensava l’idiozia, in Akatsuki. Però, la cosa che più gli dava fastidio era la sua mancanza di qualsiasi forma di rispetto: era più anziano di lui di qualche anno –Deidara infatti aveva solo 19 anni, mentre Hidan più di 20-, però si trovava nell’organizzazione da molto meno tempo di lui, e per questo aveva meno autorità. Hidan però sembrava fregarsene alla grande.
“Sai, volevo solo accertarmi di una cosa sulla signorina.”
Lasciò scorrere lo sguardo su Tsukaiko che ancora si copriva il volto, inginocchiata per terra, soffermandosi languidamente sulle pieghe e concavità che il tessuto creava aderendo alle sue curve sinuose. “Non so se lo sai, ma Kakuzu ha sentito in giro qualche storiella interessante su di lei. Tipo…”
Deidara non si preoccupò tanto delle parole di Hidan, quanto della reazione della sua compagna: era impallidita come se avesse appena visto lo spettro della morte in faccia, per poi indurirsi in una maschera spaventosa d’odio e di rabbia.
“Che ne vuoi sapere tu, di me, eh!? Gira quel culo che puzza d’incenso e sparisci dalla mia vista prima che possa commettere qualche azione di cui poi mi debba pentire!” gridò la mora.
Deidara ebbe un fremito: era terrificante.
“Zitta, puttana!”
Lei chiuse la bocca, fremendo di umiliazione. “Potresti picchiarmi anche tutta la notte, se vuoi, ma ti ricordo che con me queste minacce non contano nulla. E comunque non ti servirebbe a un cazzo. Su, dai, perché non tiri fuori la lingua, eh? Così vediamo quanto riesci ad allungarla…”
Un secondo calcio lo raggiunse in pieno viso, ma questa volta fu meno gentile del primo: Hidan fu schiantato dieci metri più indietro con la potenza di una palla di cannone, e quando si rialzò, la sua faccia parve irriconoscibile, ricoperta di sangue e ammaccata sul naso com’era.
“Vattene!” urlò Tsukaiko, fuori di sé dal furore. Deidara la guardava perplesso e vagamente intimorito, senza capire. “Sappi una cosa, Deidara.” Urlò Hidan da debita distanza, apprestandosi a sparire secondo gli ordini della mora. “C’è una taglia sulla sua testa, ed anche piuttosto salata. Attirerà sicari come le mosche al miele!”
Detto questo, si affrettò ad andarsene, pulendosi il sangue dal naso.
Tsukaiko era rimasta là in piedi, ansimante, stringendo i pugni al punto da infilarseli nella carne: il biondo ebbe quasi paura ad avvicinarsi.
“Si può sapere cos’è questa storia? Che intendeva dire?” le chiese, accertandosi di essere abbastanza lontano per poter schivare in tempo un suo eventuale sfogo di rabbia nei suoi confronti, con conseguente disfacimento della faccia in un ammasso informe di carne e sangue.
“Niente.” Sibilò lei in risposta, continuando a tenere lo sguardo fissato in direzione del punto dove era sparito Hidan. “Ho una taglia sulla mia testa. Problemi? Ho tradito il mio villaggio, mi pare normale. E’ venuto a rompere i coglioni solo perché il mio corpo lo eccita sessualmente e mi vorrebbe possedere, ma io non sono quel genere di gallina che si concede facilmente e non potrà mai e poi mai avermi, anzi. So che è così, non è il primo, tendo spesso a fare quest’effetto a certi uomini.”
Deidara non faticò ad immaginarselo, considerato anche l’effetto che il corpo di Tsukaiko faceva su di lui. Ma qualcosa non gli tornava comunque.
“Lo odio.” Disse ancora la ragazza “speravo che almeno in Akatsuki non ce ne fosse, di gente così stupida.”
“Non sai quanti, purtroppo. Qui è pieno di gente strana e con poteri straordinari, ma in tanti sono anche dei gran cafoni, come lui.” Rimase un attimo in silenzio, perdendosi in qualche ragionamento con lo sguardo fisso a terra.
“Ho capito!” esclamò poi all’improvviso folgorato dalla rivelazione, con espressine trionfante, facendo voltare la mora “L’altro giorno sei incappata in un attacco di sicari, quando sei stata fuori tutto il giorno e sei tornata per cena. Sbaglio?”
“Emh, più o meno.”
“Ma perché non me l’hai detto? Eri ferita!”
Tsukaiko guardò per terra, facendo strusciare la suola del sandalo sull’erba.
“Non volevo che ti preoccupassi inutilmente per me, Dei-senpai.”
Deidara si avvicinò, prendendola affettuosamente per un braccio.
“Non dire sciocchezze, siamo compagni. Dobbiamo dircele queste cose. Adesso torniamo in quel buco umido a dormire, che tra qualche ora ci sarà l’alba.”
Lei si lasciò trasportare fino agli alberi, stanca. Quando si addormentarono, nella piccola grotta nascosta dai rami, si appoggiò contro la spalla tiepida di lui, assaporando sulla sua lingua esageratamente lunga quel bacio sotto la luna che il suo compagno non era riuscito a darle.

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Capitolo 16
*** Chapter 15 -Cocodè!- ***


Cocodè!



Qualcosa di caldo, morbido e profumato è premuto contro il mio corpo, respira piano.
Il sonno mi offusca ancora la mente, è una piacevolissima sensazione di tepore: non fa troppo freddo né troppo caldo, la mia posizione è comoda, fuori non è ancora sorto del tutto il sole e Tsukaiko è tra le mie braccia, addormentata.
È perfetto, è uno di quei rari momenti che si vorrebbe durassero per sempre, in un eterno istante catturato nella fuga del tempo, espanso fino all’infinito.
Mmm.
Non mi interessa se lei si sveglia: cingo il suo fianco e la tengo stretta, assaporando la sensazione della sua pelle sotto la tela che lentamente va su e giù, immersa nel sonno.
Il profumo degli oli che emana dalla sua cute mi inebria, apro le labbra e le bacio i capelli come per assaggiarla, giocando con la lingua su queste ciocche nere e setose che trasudano il suo sapore.
Com’è buona. Me la mangerei.
Nella matassa assonnata dei miei pensieri mi chiedo come mai sia possibile fare a meno di una donna, una volta che se ne è conosciuta la dolcezza –la stringo ancora di più, le bacio la fronte bianca-. Sasori era proprio un idiota, a dire che non c’è bisogno di loro per...

“Deidara-san, Tsukaiko-san, convocazione. Subito.”

Lei sobbalza, svegliandosi di soprassalto al fragore della voce che trapassa le meningi, ed io per poco non tiro una testata contro la parete dietro di me.
Maledetto Pain! Maledetto e schifoso, devo ricordarmi di farlo fuori, la prima volta che ne ho l’occasione.
“Oh no…era ancora Pain che ci parla nella testa?”
“Si Tsuka-chan, dobbiamo muoverci.”
Poverina, è ancora tutta rintronata dal sonno. Meno male che non si è accorta che io…chissà che avrebbe pensato.
“Ehi, cosa c’è?”
“Niente, niente. Ma dobbiamo rispondere alla chiamata di Pain. Si vede che ha scoperto il regalino che hai fatto ad Hidan ieri sera.”

Non mi sbagliavo.
Al richiamo sono presenti Pain e Konan, statuari ed innervositi come genitori la cui pazienza è stata forzata troppo, Hidan e Kakuzu –il primo ha il volto ricoperto di garza-, più naturalmente quel rompipalle di Tobi, Zetsu, Itachi, Kisame…insomma, tutta la squadra al completo. Che bello.
Tsukaiko mi fissa di sottecchi, un po’ contrariata. Credo che si renda conto di essere lei la causa di tutto questo disturbo, e soprattutto che se ne stanno rendendo conto anche tutti gli altri. Kisame mastica maledizioni tra i denti appuntiti.
Pain comincia a parlare, il suo tono è seccato.
“Vi ho fatti convocare qui, adesso, perché sono venuto a sapere che è avvenuto uno spiacevole episodio tra due membri della nostra organizzazione, e non posso tollerare che tra compagni perseveri questo atteggiamento di violenza e mancanza di rispetto. Ora ognuno di loro racconterà la sua versione dell’avvenuto, e poi chiariremo le circostanze. Forza, Hidan.”
L’offeso, già quasi invisibile nella sua forma di spettro spirituale, ha il volto completamente coperto di bende, ma non è difficile scorgervi il cipiglio che gli storce la faccia per l’arrabbiatura.
“Ieri notte ero andato da quei due per chiarire la storia della taglia sulla testa di Tsukaiko, mi sembrava una cosa abbastanza importante da tener da conto. Lei però senza motivo mi ha colpito in faccia!”
“Mi ha insultata!”
“Stronzate!”
“Silenzio! Hidan, modera le parole!” interviene Pain, irritandosi ancora di più.
Tsukaiko è furibonda, ha dissotterrato l’ira nata ieri sera. Spero solo che non si metta a menar le mani: spiritualmente siamo qui convocati in uno dei nostri covi consueti, ma i nostri due corpi sono ancora seduti in quella piccola grotta in mezzo al bosco…non vorrei che le mie braccia si staccassero, “accidentalmente”, di nuovo.
“Lui è venuto a disturbare me e Dei-senpai senza alcun motivo, mi ha presa per i capelli e mi ha offesa con le sue insinuazioni sulla mia vita privata!” continua Tsukaiko, furibonda.
“Se l’ho presa per i capelli è perché stavano fornicando!”
“Hidan!” esclama Kakuzu,
“Non è vero!” strilla Tsukaiko,
“Ah, ma non mi dire…” sogghigna Kisame,
“Una bella scopata! Yeee!” urla Tobi come un idiota.
“Basta adesso!”
L’urlo di Pain pone fine a tutti quei commenti, che mi scivolavano addosso acidi e brucianti come acido solforico. Sono stato umiliato, Tsuka-chan è stata umiliata. Vorrei che esplodessero qui, tutti. Maledetti bastardi.
“Non stavamo fornicando.” Sibila Tsukaiko, e nella grotta cade il gelo, ponendo fine a qualsiasi altro dubbio sulla questione. Oh, sì, quando vuole fa davvero paura.
“Bene.” Si ricompone Pain, “A quanto pare, c’è stata solo un’incomprensione.
Tsukaiko-san, sei stata provocata, ma la tua reazione è stata eccessiva. Chiedi scusa ad Hidan.”
La mia compagna mugugna tra i denti qualcosa di simile ad una richiesta di perdono.
“Hidan-san, per procurarti quel colpo, hai mancato di rispetto alla tua compagna, l’hai offesa. Chiedile scusa anche tu.”
Anche Hidan borbotta qualcosa.
“Ok. Da oggi comportatevi con più riguardo. Dichiaro la riunione sciolta.” E si dissolve, come una nuvoletta di fumo.
La fa tanto facile, Pain: ci convoca per costringerci a chiederci perdono come se fossimo dei bimbetti da asilo, e poi se ne va pensando che si sia risolto tutto; è capitato solo una volta un caso in cui si è trovato costretto a scacciare qualcuno per un motivo simile, per un attentato alla vita di un compagno…il nukenin che io ho sostituito con la mia ammissione. Il viscido Orochimaru.
Brrr, che pensiero raccapricciante.
A volte penso che sia un po’ ingenuo, il boss, forse non si rende davvero conto dell’ammasso di traditori ed assassini con cui ha a che fare, forse è davvero convinto che la nostra sia un’associazione compatta e fedele ad un unico ideale.
Ma sicuramente mi sto sbagliando, non può essere così stupido.
“E così, ci siamo presi a calci, eh?”
A parlare è stato Kisame, il quale appena sparito Pain si è voltato verso di me e la mia compagna con un ghigno sbilenco, provocatore. Glielo strapperei dalla faccia a mani nude.
“Sì.” Tsukaiko lancia uno sguardo pieno di odio nella direzione di Hidan, il quale però sembra mettersi a ridacchiare.
“Sei contenta adesso, viperetta? Ti sei subito fatta rimproverare dal capo, che ragazzina cattiva.”
“Te la sei cercata, schifoso!”
“Non mi pare, non ti ho detto nulla di particolare che non si sappia già in giro, ossia che tu sei iscritta a questa organizzazione dalla nascita, quasi per diritto di eredità. Oh, o forse non si sa? Forse ti da fastidio che se ne parli?”
Tsukaiko ringhia sommessamente.
Più Hidan parla, più io divento dubbioso- mio malgrado- della mia compagna, anche se ormai ho capito com’è fatta, ho imparato a conoscerla: non proprio il tipo di persona che dice sempre la verità. Per questo motivo comprendo che abbia dei segreti che non ha ancora deciso di svelarmi, in fondo non mi conosce ancora così bene, sebbene mi abbia praticamente dichiarato degno della sua fiducia e sincerità. Ma questa sembra una cosa grossa, che la fa star male. A cosa diavolo si riferisce quell’idiota di un immortale?
“Hidan dai, piantala, sei infantile.” Lo rimprovera Kakuzu, inutilmente. Tutti infatti sembrano ardere di curiosità proprio come me.
“Pff. Come vuoi piccola, se ti fa arrabbiare io e Kakuzu non lo diremo a nessuno, anche se forse vorrò qualcosa in cambio per tenere la bocca chiusa…”
Si lascia scappare un sorriso pregno di lascivia, ed in silenzio mi riprometto di fargliela pagare per ogni insulto che sta facendo alla mia Tsukaiko.
“O forse non è questo il problema. Ah, già, che stupido. Te la sei presa perché vi ho interrotto mentre stavate amoreggiando!”
Scoppia un boato di proteste e commenti, e scoppia anche la mia pazienza.
Adesso vado lì e lo ammazzo.
“E piantala! Guarda che ti farà esplodere se continui così!”
grida la voce di Tobi elevandosi sopra la massa, e sto quasi per commettere qualche follia e mettermi nei casini pure io, quando sento una mano, lontano, laggiù nella grotta dove sono rimasti i nostri corpi per permetterci di apparire qui sottoforma di spettro, afferrarmi il polso.
Il mio cuore rallenta, la rabbia sfuma, la mente torna lucida. È lei.
“Qualsiasi cosa stavamo facendo, sono affari nostri.” E’ la sua voce che parla. “E a sentirvi parlare mi sembrate solo un pollaio di galline pettegole.”
“La ragazza ha ragione” conviene Kisame, e tutti quelli che cercano di mantenere il loro decoro non esprimendosi –Itachi, Zetsu, Kakuzu- assentono tutti in coro chinando la testa o cacciando sospiri, “Ma sai, Tsukaiko-san, il fatto è che questa associazione è composta da gente così noiosa e pesante, che ci divertiamo con queste piccole cosette. E poi, sai, Deidara non è nuovo a questo genere di…”
Itachi lo interrompe con un’occhiataccia, ed io sono trattenuto solo dalla presa tranquillizzante di Tsukaiko. Figlio di puttana di merda.
“Dai gente, finiamola, è anche ora andarsene per noi.”
Detto questo Kakuzu e Hidan scompaiono, e mentre Tsukaiko trascina via anche me riesco solo a sentire la voce gracchiante di Zetsu che commenta: “Bah, inutile che fai il moralista. Tanto lo sapevano tutti che Sasori e Deidara erano…”

Riapro gli occhi e siamo nella piccola grotta nascosta dagli alberi, i raggi di sole filtrano dorati tra le fronde illuminando le foglie come fresche lanterne verdi.
Tsukaiko mi sta stringendo il polso, seduta a gambe incrociate davanti a me, e mi guarda con preoccupazione.
“Stai bene?” mi chiede, calma.
“Io…sì. È solo che mi fanno incazzare come una bestia.”
“Ti stavi agitando, prima.”
Probabilmente è vero. Ero completamente fuori dai gangheri, proprio come lei. A quanto pare, però, lei è riuscita a mantenere un autocontrollo sufficiente a non peggiorare la situazione.
Vedendo la mia espressione sospira, e mi lascia andare il polso. No, non mi chiederà cosa intendevano dire quei pezzi di merda con le loro insinuazioni su di me e Saso-danna. So che non lo farà. Ed io non le chiederò riguardo quella faccenda di cui parlava Hidan che la fa tanto arrabbiare. Quando vorrà farlo sarà lei a parlarmene, non voglio farla star male oltre.
“Uff…” sbuffa, annoiata, ed alza gli occhi al cielo, “…allora, vogliamo andarcene? Il Paese dei Laghi è ancora piuttosto lontano.”
Sorrido e mi alzo per uscire, seguendo lei.
Non so perché, ma lei è la prima persona con cui riesco a sentirmi davvero a mio agio, al sicuro.
Come se mi sentissi a casa.

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Capitolo 17
*** Chapter 16 -The sky belongs to us- ***


The sky belongs to us



Grande quasi quanto un cavallo, superficie liscia e senza la minima imperfezione, impeccabile.
Ali immense ed eleganti, linee semplici ed essenziali, una sintesi eccelsa.
Bellissimo.
Non esito a rendergli nota la mia meraviglia.
“E’ meraviglioso Dei-senpai!!! Un gusto straordinario, perché avevi detto di non saper disegnare!? E vola, anche!!!”
Sembra molto orgoglioso della sua opera, sorride tronfio con le mani sui fianchi, e mi farebbe quasi ridere se non fosse che ha tutto il diritto di essere fiero della sua Arte.
“Certo che vola, ma soprattutto esplode!”
Rido. Ma certo che esplode.
“Permettete, Tsuka-hime?”
Salta sulla schiena del grande volatile bianco come un raggio di sole, e tende verso di me la sua mano come se stesse invitando una principessa. Io credo di essere arrossita, mentre la afferro e salto in groppa alla scultura insieme a lui. Sento la linguetta umida leccarmi il palmo.
“Dovrei farti vedere i miei disegni.”
“Come? Ma mi era sembrato di capire che non ti piacessero più le tue opere.” il suo tono è vagamente provocatorio.
“Intendo dire gli ultimi che ho fatto. Ho cercato di metterci l’anima.”
“Li vedrò volentieri quando saremo arrivati.”
Le grandi ali si sollevano ai lati del corpo flessuoso dell’uccello allungando la loro ombra sull’erba, dopodiché sbattono potenti verso il basso e con un grosso balzo ci solleviamo verso il cielo infinito.
Il fiato mi resta imprigionato in gola in un singulto inespresso, i miei occhi sono accecati dal sole dritto in fronte a noi e qualcosa nel mio petto si gonfia e spinge, stiamo volando!
Stiamo volando davvero!
Non è come quando si ricade a terra dopo un lungo salto, quando volteggiando tra i rami ci s’illude di essersi librati come uccelli al vento: infatti, si è pur sempre schiavi delle leggi della fisica, e si ricade giù.
Noi, invece, stiamo infrangendo queste leggi! Siamo esseri umani ribelli al volere divino che c’ha voluto senz’ali, siamo eroi che s’innalzano nel cielo mattutino, sempre più su! È magnifico!
Vagamente consapevole delle sue mani attorno ai miei fianchi, riacquisto il dono della vista dopo essermi strizzata gli occhi, e vedo sotto di noi la foresta che si fa sempre più piccina. È la sensazione più bella che abbia mai provato in tutta la mia vita.
All’improvviso qualcos’altro di non altrettanto piacevole si insinua nel mio petto, anche se è stupido.
“Ehi” mi volto verso il mio senpai, che stacca subito le mani dalla presa con cui mi ha aiutata ha mantenere l’equilibrio, e mi sorride. È terribilmente bello con i capelli che gli volteggiano sulle spalle, lasciando intravedere lo strano apparecchio meccanico che porta sull’occhio sinistro quando è in missione.
“Cosa c’è bambina, hai le vertigini?”
“Ma smettila! E puoi anche finirla di chiamarmi “bambina”, non sono tanto più giovane di te!”
“Uff…dai, su, dimmi.”
“Senti, tu…hai mai portato nel cielo con te Sasori?”
“Eh!?”
Fa una faccia strana, una specie di smorfia storta per nascondere qualcosa d’imbarazzante, ma poi il suo sguardo cambia ed indossa subito la sua solita maschera da provocatore, sorridendo ironico e sollevando le sopracciglia. Lo so, sono cattiva, ma non posso farne a meno. Non mi sono sfuggite le allusioni degli altri akatsukini, stamattina, e non riesco più a tenermi dentro il fastidio che mi danno.
“Ma si può sapere che razza di domande ti saltano in mente? Cosa c’è, sei gelosa?”
“Può darsi…” il mio stomaco si stritola davanti ai suoi occhi azzurri, mentre parlo.
“Beh…se proprio vuoi saperlo, no. In realtà lui se ne andava sempre in giro dentro ad una marionetta enorme e soprattutto pesantissima, sarebbe stato molto scomodo. Poi, a parte questo, credo che non abbia mai voluto concedermi la soddisfazione di portarlo in volo su una delle mie opere. Sai, litigavamo spesso.”
“Davvero?”
“Oh, sì. Di Arte. Avevamo due concezioni molto differenti di bellezza: io l’attimo fuggevole, lui l’eternità; continuavamo a cercare di convincerci l’un l’altro che la nostra Arte è la migliore. Però i fatti hanno deciso la sentenza: lui è morto.”
Ha smesso di sorridere, un’ombra di tristezza gli ha offuscato il bel volto. Non mi sembra molto felice di aver predominato sul suo compagno, anzi, direi che le loro “litigate” gli mancano molto.
“Eravate molto legati?”
Di nuovo l’espressione imbarazzata, l’ho colto proprio quando ha abbassato le sue difese. Forse gli sto dando fastidio, ma io sto sicuramente peggio. È come se un tarlo maligno avesse cominciato all’improvviso a mangiarsi pian piano le fibre del mio cuore.
“…”
non mi risponde, si limita a perdersi nell’azzurro infinito con lo sguardo.
Lui è nato per il cielo, sembra fondersi con il vento che gli scompiglia la lunghissima chioma leonina, d’oro, ed i suoi occhi riflettono il gelo luminoso del cielo d’inverno delle montagne.
Come vorrei che fosse mio.
Solo mio.
Sospira.
“Sì, continuavamo a scannarci, ma lui aveva capito la vera importanza della parola Arte. Lui sì che era un vero artista, anche se avevamo idee diverse. Eravamo legati da questo.”

Non so cosa mi prenda.
Il laghetto, tra i giunchi, rispecchia gli ultimi raggi del tramonto, sanguinosi. Mi tolgo il cappello.
Perché dovrei star così male? I miei nemici sono lontani, nessuno cercherà di prendersi la mia testa per riportarla al mio ex villaggio, qui.
L’aria è ferma e tiepida, leggero vapore sale dalle acque. Mi slaccio il mantello.
Hidan non è un problema, non rivelerà il mio segreto. Non glielo permetterò, e Deidara non lo saprà mai.
Tolgo la casacca, sfilo il tessuto di rete dalle braccia e slaccio la fascia sul seno. Getto tutto sull’erba.
Che, poi, adesso siamo alle porte del Villaggio Mizu nel Paese dei Laghi, appena a poche centinaia di metri dai cancelli, nascosti in un piccolo rifugio dietro una collina.
Praticamente invisibili. C’è anche un laghetto termale, una bella fortuna –il Paese dei Laghi ne è pieno- e sento un tremendo bisogno di farmi un bagno.
Slaccio la cintura e mi sfilo sandali e pantaloni insieme.
Ho un terrificante bisogno di farmi un bagno.
Mi infilo nuda fra le canne flessibili e mi immergo nell’acqua calda fino al ventre, accarezzando con la punta delle dita le cime spinose di queste piante eleganti nella loro lenta danza. È un buon momento per la poesia.
“Una dolce danza dolorosa,
pianto di canne nel lago.
Pianto del mio cuore.”
No, non mi piace. Ne ho composti di migliori, questo è troppo triste. Devo lavare via questa sensazione, non ne posso più.
I flutti bollenti accolgono il mio corpo teso con il loro abbraccio bagnato, sospiro. Mi sento meglio.
Il sole tramonta lentamente dietro alla cima erbosa della collina, scomparendo con i suoi ultimi raggi ammiccanti e lasciando la natura nell’ombra tranquilla e senza vento. Avrei dovuto portarmi qualche candela.
Ci sono due ninfee sull’acqua, eroiche vite che sopravvivono sole alla calura eccessiva del loro ecosistema natio, bianche e soavi come fuochi fatui. Sono bellissime.
Desidero toccarle e mi avvicino volteggiando senza peso nell’acqua, fino a raggiungerne i petali galleggianti e bianchi, pregni di profumo.

Un tocco bollente come l’acqua mi sfiora la spina dorsale.

Sussulto di scatto e mi volto creando qualche schizzo argentino, e davanti a me c’è lui.
Lui, bellissimo e vero, gli occhi azzurri nella notte e la mano tremante. Nudo.
Perché è qui? Perché trema? Io…
I miei pensieri si sciolgono e resta solo il battito impazzito del mio cuore. E poi me ne rendo conto: anch’io sto tremando.
Non dice nulla, ma non avrei la lucidità né per ascoltarlo né tantomeno per rispondergli, il mondo si è sciolto. Sento solo un fuoco intenso, una fame.
Lui.
Sfioro, accarezzo, afferro la sua mano protesa calda, viva, la premo sulla mia bocca e ne bacio le strane labbra, le lecco, le mordo…cosa diavolo sto facendo? I miei pensieri si annullano in un vortice incoerente che arde e sale e preme dal basso ventre, accendendo il mio corpo di brividi convulsi e inarrestabili. Che sto facendo? Lo desidero, lo desidero più di ogni altra cosa al mondo…lo voglio.
Mi afferra per i fianchi e mi spinge con forza contro di sé, sento il suo corpo muscoloso contro il mio contrarsi per aderire alla mia pelle fremendo di desiderio, mi aggrappo al suo collo forte ed affondo le unghie e i denti nella sua carne, e passo la lingua tra suoi capelli biondi bagnati, strofinandomi e premendomi contro di lui al ritmo dei suoi sospiri. Lui mi vuole, lo sento, e anch’io lo voglio, lo voglio tutto, lo voglio adesso.
Le sue mani e tutte le sue bocche esplorano le mie curve e le mie sinuosità, le sue lingue bagnate mi fanno vibrare la carne, corrono sul mio seno, sulla mia schiena, sui miei fianchi, sul mio ventre, tra le mie gambe…mi prende.
Annaspando, incontro le sue labbra ed il suo respiro caldo, la sua lingua, sotto la sua pelle fremente il suo cuore sembra esplodere.
Io, l’Incantatrice di Serpenti, imprigionata e avvinta.
Mai nessuno mi ha stretta così, mai nessuno mi ha stretta…universo di solitudine che crolla in mille schegge argentate, mi possiede nel più profondo.
E nella notte annego nei suoi occhi azzurri, ed io prendo possesso di lui e lui prende possesso di me, e diventiamo una cosa sola sotto il nostro cielo, sotto le nostre stelle.
Oh sì…

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Capitolo 18
*** Chapter 17 -Late at morning- ***


Late at morning.



La luce dell’alba si infiltra tra le fessure delle finestre malconce, scaldando l’interno buio con il suo tepore dorato. Sbadiglio.
Lei sta ancora dormendo, accucciata su un fianco come un ghiro nella sua tana, mi da la schiena: sdraiato come sono, vedo solo le sue scapole bianche –sì, insomma, ci sono un paio di lividi rossastri qua e là, ma non posso certo lamentarmi visto che è colpa mia se sono lì…-ed un ciuffo morbido di capelli corvini che copre appena il lungo collo ripiegato in avanti. Nella penombra mattutina mi nasce spontaneo un largo sorriso.
È bellissima. Una gioia strana ma intensa mi pervade tutto da quando mi sono svegliato, come una leggera corrente elettrica nelle vene, seguendo il ritmo del suo respirare. Mi sento adrenalinico.
Dio, abbiamo fatto l’amore!
Non mi capacito ancora che sia potuto succedere, non riesco a credere che sia stata una coincidenza che lei abbia deciso di farsi il bagno proprio quando avevo deciso di farlo anch’io, dall’altra parte del lago…dev’essere destino, per forza. Ah! E dire che avevo anche cercato di evitarla per non disturbarla. Quando l’ho vista lì, poi, china su quella ninfea, così bella e nuda e sensuale, ho sentito qualcosa dentro di me stracciarsi in due, con un dolore quasi fisico: la mente gridava di andarsene, che era una cosa stupida, che lei d’altronde era solo la mia nuova partner e che l’avrebbe presa malissimo, che avrei devastato il nostro bel rapporto…qualcos’altro invece sussurrava che dovevo toccarla, che dovevo provarci, qualcosa di irrazionale e non espresso ma forte. Qualcosa che mi diceva che quello che non sarebbe stato solo un puro atto carnale, ma qualcosa di molto, molto di più. Perché lei è speciale per me. È assolutamente unica.
E poi, beh…quando mi agito tendo a non ascoltare mai il cervello, io.
È stato magnifico, per me è stata la prima volta…con una donna. Con lei, la mia Tsuka-chan.
Mi sento come se potessi alzare le montagne a mani nude, e frantumarne la cima rigettandole a terra.
Prurito improvviso al naso:
“Etciù!”
Lei sussulta e si sveglia con un rantolo assonnato, io sento che sto per starnutire di nuovo.
“Salute…”
“Graz…etciù!”
Si gira e la vedo sorridere, allunga la mano bianca ai miei capelli ancora umidi, mi accarezza. È bellissima.
“Buongiorno. Mi sa che ti sei preso il raffreddore per colpa mia, senpai.”
Strofina le sue gambe lisce contro le mie, sotto il mio futon gettato sulle assi di questo rifugio dietro la collina, troppo piccolo in realtà per due persone. È così morbida e tiepida. È così dolce e radiosa…
“Non fa niente. Piuttosto…”
Lascio scorrere la mano leccandole i fianchi, pieni di lividi e di morsi. Mamma mia. Ieri notte colto dal suo trasporto e dalla sua passione non ho badato ai segni che poi le avrei lasciati impressi sul corpo, e inoltre…
Appoggio la fronte contro la sua e la stringo a me prendendola per le spalle, sentendomi crescere dentro un’apprensione sempre più grande.
“Spero di non essere stato io a far del male a te, Tsuka-chan. Per te…era la prima volta.” Le sussurro.
“Non preoccuparti Dei-kun.” Mormora lei in risposta, con un sorriso dolcissimo e gli occhi neri che brillano.
“La prima volta ha fatto un po’ male, ma poi è passato. La seconda è stata molto meglio. La terza…qualcosa di sublime…per non parlare della quarta e della quinta –dio benedica quelle tue mani!-. La sesta ero un po’ stanca, ma poi la settima è stata il degno finale.” Ridacchia, ammiccante.
Così vicina a me, sento il suo respiro, il suo sangue caldo che pulsa vivo sotto la sua pelle bianca.
Il cuore mi batte forte, lei è con me, lei mi sta sorridendo, è per lei che sto impazzendo, è per lei che tutti i miei pensieri si stanno annodando e sciogliendo in una sorta di dolce euforia. Ho paura che…
“Tsuka-chan.”
La guardo negli occhi, i suoi occhi che brillano di luce propria.
“…se non è colpa di qualche tua altra diabolica tecnica illusoria, ho paura di essermi innamorato di te.”
No, non mi sono innamorato di te. Ti amo. Ti amo da sempre, ti amo da quando ti ho scorta tra gli alberi come un’apparizione, ti amo da quando mi hai detto che sì, eri un po’ folle, ma la genialità comporta una certa dose di follia in fondo, ti amo da quando ero solo, a Tsuchi, chiuso tra quattro mura, ad odiare tra i denti il mondo, di amo da quando ero così arrabbiato che mi veniva da piangere, ti amo da sempre… Tu t’illumini d’una tenerezza soffusa e posi le tue labbra
morbide sulle mie, il tuo sapore si fonde al mio e ti sento trattenere il respiro.
“…e allora trema di terrore, senpai, perché io sono pazza di te.”
Oh sì!
Rispondo al tuo bacio con passione finché non noto dalle fessure della baracca di legno un sole già scandalosamente alto.
“Ehi, bambina, dovremmo andare a lavorare.”
“No, dai, solo cinque minuti.”
Ti tiri su e ti metti a cavalcioni sopra di me, sorridendo come una furbetta.
E va bene,
direi che cinque minuti possiamo anche concederceli.

Il villaggio Mizu sorge incuneato fra tre piccole collinette erbose, che contribuiscono a difenderlo dalle intemperie dell’atmosfera e dagli attacchi dei nemici. Ad est qualche albero sparuto preannuncia la grande foresta che ricopre quasi per intero il Paese del Fuoco, la quale si estende all’orizzonte vasta e verde scuro come un immenso oceano vivente. Dalle fronde si innalzano spesso voli improvvisi di stormi di uccelli, testimoniando il passaggio di qualche viandante.
A nord-ovest, invece, l’orizzonte è abbracciato da una lunga catena montuosa azzurrina che si innalza immensa e spaventosa nonostante i chilometri che ci separano da essa. Le montagne della mia terra, della mia vecchia terra.
Dalla cima di questa collina possiamo abbracciare con lo sguardo tutto il villaggio, un ammasso di tetti verdi di tegole antiche e comignoli.
Tsukaiko, silenziosa, mi fa un cenno col capo e si avvia verso le porte del villaggio, precedendomi e scivolando sull’erba come una nube funesta. Io la seguo con lo sguardo per qualche secondo, poi mi avvio anche io in direzione diversa, verso un’entrata laterale.
Abbiamo deciso che per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni è meglio dividerci: rastrelleremo il paese in cerca del segreto del nascondiglio del tricoda. Non dovrebbe essere molto lontano. Abbiamo scelto Mizu come prima tappa, infatti, perché sappiamo che il cercoterio a tre code è una bestia d’acqua dolce, e quindi le probabilità che si nasconda in questo paese sono più elevate che altrove.
Speriamo, almeno.
Cammino fino al piccolo portale ovest, una modesta porta di legno dipinto di giallo e vergata con il nome del villaggio, con un piccolo presidio sguarnito affacciato all’esterno; dalle imposte semi-chiuse giungono i rantoli di qualcuno che russa. Poco male, penso divertito. Nessuno mi farà problemi per entrare.
La strada in cui mi immetto è stretta e ingombra di piccoli edifici, in giro non c’è quasi nessuno. Strano. Questa è una via laterale piena di abitazioni e qualche bottega, e cerco con gli occhi un qualche luogo che possa fare al mio comodo: è meglio che non mi faccia vedere in centro, per la veste che porto sarebbe alquanto controproducente farsi notare subito. Meglio tenersi nei vicoli.
Spero che Tsukaiko non commetta questo errore… Ma no, che dico. Lei ne sa una più del diavolo, sono più che certo che userà i suoi trucchetti illusori ed il suo bel sorrisetto da brava ragazza, che riserba per gli sconosciuti di cui si prende gioco, per non farsi notare. Al pensiero di lei mi sorge un sorrisetto dolce insieme coi ricordi vivi e caldi di poco fa, ma li scaccio subito. Mai distrarsi quando si è in azione.
Alla mia destra compare un’insegna un po’ malconcia, una piccola sala da tè semi-nascosta da un ampio porticato di colonnine di legno e tende sbiadite. Perfetto.

“Non ho niente da dire a quelli come te. Se non vuoi nient’altro, fuori dal mio locale.”
Mmm, ma che simpatico quest’uomo, dalla sua bocca sdentata spruzza fuori qualche goccia di saliva mentre mi scaccia. Che visione disgustosa.
Gradirei approfondire il nostro discorso con toni un po’ più “persuasivi”, quando all’improvviso dalla porta fanno il loro ingresso due shinobi vestiti di bianco e di viola, rumorosi e con la tipica espressione minacciosa e superiore di chi sa di avere in pugno la situazione. Il loro coprifronte è fregiato con una piccola nota musicale, vengono dal villaggio del Suono. Cosa cavolo ci fanno qui dei ninja del Suono?
Quando mi vedono, la loro faccia cambia.
Sono sicuro che si staranno chiedendo pure loro “oh merda, cosa cavolo ci fa qui un ninja di Akatsuki!?” Pfff… “Cosa…cosa sta succedendo?” il primo indietreggia portando la mano alla fodera dei kunai, pallido e tremante come se avesse visto un fantasma.
“Fa parte di Akatsuki!” urla quel simpaticone dell’oste,“Uccidetelo!”
I due piegano le ginocchia in posizione d’attacco e la poca gente nel locale si precipita fuori urlando, io senza perdere tempo comincio ad impastare due piccoli pezzi d’argilla presi dalle borse sulla cintura sotto la veste, invisibili all’esterno.
I due esitano, non sembrano molto esperti.
Prima che possano applicare il chakra che hanno impastato si ritrovano due delle mie bombe-insetto che strisciano su aderenti alle loro gambe, passando sotto l’orlo dei pantaloni.
“Fermi lì. Se sarete fortunati, potreste sublimarvi in due bellissime opere d’arte.”
I due si immobilizzano, ed il secondo –un ragazzo giovane con i capelli castani raccolti sulla testa- sembra trovare il coraggio di sfidarmi, nonostante le sue gambe tremino come foglie al vento.
“Stupido! Non ti conviene ucciderci, questo villaggio appartiene già al Suono! Akatsuki non l’avrà mai!”
“Ah, davvero? Scommetto che c’entra qualcosa con il tricoda. O mi sbaglio?”
Quel figlio di un cane sputa sui miei piedi.
“…fai pure lo sbruffone quanto vuoi, con noi. Aspetta solo che arrivi Sauke Uchiha, e poi vedrai!”
Prima che finisca la frase, le mie bombe se li portano all’inferno.
Stupidi ninja del Suono.



Carissimi lettori!
Innanzitutto, rieccomi, sono felicissima di essere tornata! ^^
Mi sono sentita in dovere di intervenire perchè mi rendo tristemente conto di essere stata assente per più di due mesi per colpa di cause maggiori e, davvero, è molto triste T.T Quindi chiedo umilmente perdono e gomen nasai, e giuro che da oggi sarò più attiva che mai! :D

Quindi, che altro, buona lettura!!!

PUSS
Kiki

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Capitolo 19
*** Chapter 18 - 'The target I was born for'- ***


"The target I was born for"



Gli occhi di quest’uomo mi inquietano, nascosti dalle lenti tonde e trasparenti.
“Quanti anni hai, ragazzina?”
“Diciotto.”
“Oh, caspita. Avrei detto che fosse passato meno tempo.”
Distoglie lo sguardo con un sorrisetto viscido, e muove due passi sul selciato del viale, come per girarmi attorno e soppesarmi. La luce aranciata che filtra da sotto il tendone della bancarella rende i suoi capelli grigi raccolti in una coda sulla nuca di una strana tonalità cangiante, e fa luccicare il suo coprifronte.
Il Suono.
Sapevo che un giorno sarebbe successo, lo so da quando sono nata, ma non so come devo comportarmi, ora. Il mio cervello si è svuotato, le mie membra sono bloccate, non capisco, è una sensazione che avevo dimenticato…paura?
“Cosa vuoi da me? Cosa
sai di me?”
“Non fare la stupida, dai, lo sai benissimo.”
Risolleva gli occhi su di me, sempre con quel sorriso odioso stampato in faccia. Un viso sconosciuto, mai visto, ma terribile. Basta quel coprifronte a renderlo tale, ed il tono della sua voce, come se fossi sempre stata una sua conoscenza. Solo quello. Merda. Merda merda merda.
“Sai, ti davamo per dispersa.”
“Come avete fatto a trovarmi?”
“E’ stato facile. Non ti conveniva farti ammettere in Akatsuki, se ci tenevi così tanto a nasconderti, per non parlare poi della brutta storia della taglia…ma è comunque una buona cosa, significa che sei forte.”
“Stai zitto.”
“Non te l’hanno insegnata, l’educazione, a casa? Che maleducata. A proposito…come ti chiami?”
Questo sconosciuto, incontrato per caso per strada mentre cercavo informazioni al mercato della frutta, che mi ha fermata come se nulla fosse, che mi sta trattando come se sapesse tutto di me, come se avesse in pugno la mia vita, come se fosse un fantasma proveniente dal passato oscuro che ha dato origine alla mia nascita,
non sa il mio nome!?
“Come hai fatto ad avermi riconosciuto?”
“La somiglianza è impressionante. Non ci si può sbagliare.”
Tremo. Non posso saperlo, io, della “somiglianza”. Mi manca un termine di paragone, che non ho mai conosciuto in vita mia se non nelle storie terribili dei miei compagni al villaggio.
“Mi chiamo Tsukaiko.”
“Mmm, appropriato. È stata tua madre a chiamarti così?”
Lo sto odiando da impazzire. Se non fossimo nel centro di un villaggio pieno di civili l’avrei già ammazzato senza pietà.
“Non lo so. È morta dandomi alla luce.”
“Oh uhuhuhuh…sì, lo immaginavo.”
Sto cambiando idea. Lo ucciderò comunque, anche sotto gli occhi dei bambini che giocano qua intorno.
“Cosa-diavolo-volete-da-me?”
“Trovarti. Hai l’età giusta per renderti utile, anche se il tuo scopo non sarà più quello per cui sei nata.”
Lo scopo per cui sono nata.
“Anche se prima dovremo testare le tue capacità. Ti faremo combattere contro una persona.”

Ho ascoltato abbastanza.
Impasto il chakra e carico nella mia mano destra l’energia per l’evocazione, mentre compongo i sigilli lo shinobi sconosciuto del Suono si sposta a velocità impressionante saltando sull’impalcatura del tendone della bancarella di fronte.
Dal mio braccio scheggia fuori l’enorme serpente bianco che lo raggiunge a fauci spalancate.
“Ah ah! Una somiglianza impressionante!”
La gente corre e grida, mentre lui evita per un soffio i denti veleniferi di Oni scansandosi e preparando una tecnica.
È veloce.
Spicco un salto e volando sull’impalcatura col pugno carico di chakra lo colpisco dritto in faccia, scagliandolo al suolo con un fragore di ossa infrante.
Il selciato smosso e crepato è sporcato da una scia di sangue scarlatto, il ninja del Suono si rialza reggendosi la mascella.
“Sei veloce, Tsukaiko.” Sogghigna guardandomi dal basso della strada.
Come…? Sotto i miei occhi la sua mascella si ricompone tra le sue mani, e riparte all’attacco.
Salto giù dal tendone della bancarella affrontandolo faccia a faccia, il suo chakra è concentrato su una mano formando una lama. Ah, dev’essere un medico, maledizione.
Lo colpisco di nuovo, ripetutamente, ma ha capito il mio schema d’attacco e para tutti i colpi con la sinistra, per poi affondare con la destra, carica di chakra. Lo noto e mi scanso appena in tempo…un brandello della mia veste vola via, come tagliato da un bisturi affilatissimo. Devo stare attenta.
I suoi colpi di mano si fanno più serrati ed io indietreggio fino al legno del banco delle ciliegie, per poi spiccare un salto sopra di lui, preparare una tecnica ed atterrargli alle spalle. Non fa in tempo a girarsi del tutto che gli ho piantato nella schiena il mio colpo di vento: l’aria si concentra in mezzo secondo fra le mie dita con un violento risucchio per poi liberarsi in una deflagrazione potentissima e tagliente, che scaglia il mio avversario ad una ventina di metri di distanza travolgendo tre file dei banchi del mercato, ormai deserti.
Non gli lascerò tregua, non potrà più curarsi come ha fatto prima.
Lo inseguo mentre è ancora in volo ed evoco nuovamente Oni, il mio serpente bianco, che si scaglia sibilando sul suo corpo sfracellato e lo avvolge completamente, sollevandolo da terra fra le sue immense spire. Lo raggiungo in un secondo, volteggiando fra le rovine e la frutta schiacciata, e preparo una nuova tecnica di vento. Una lama, questa volta.
“Uhuhuh…Arte del Vento! Meglio di quanto pensassi!”
Lo guardo bene in faccia, mentre gli punto la mano ricoperta di aria solida e tagliente alla gola.
Rantola, ha gli occhiali rotti ed una grossa ferita grondante di sangue. Oh, sì, bene. Mi fa schifo il fatto che abbia trovato la sfacciataggine di ridere.
“Muori, bastardo.”
“Non adesso, ragazzina. Tieniti carica per Sauke Uchiha.”
E scompare, con una nuvoletta di fumo.
…che? Resto interdetta per qualche secondo con la tecnica pronta sollevata verso il mio serpente che stringe il nulla. Non era una copia, ne sono certa. Dev’essere una cazzo di tecnica di translocazione.
Mi rendo all’improvviso conto delle voci che starnazzano intorno a me.
Nonostante i miei propositi di non farmi notare sono stata colta dall’ira, e ho combinato questo disastro sfoderando addirittura le mie arti magiche. Non avrei dovuto farlo.
Presto mi ritrovo circondata da civili spaventati e arrabbiati, le vittime del mio sfacelo. Mi urlano contro frasi impronunciabili, ma tutti ammutoliscono quando Oni sibila innervosito all’indirizzo di uno di loro, un omone corpulento in grembiule, e poi striscia verso di me e risale sul mio braccio entrando dalla manica, per poi sparire.
“Maledetta! Mi hai distrutto la bancarella!”
“Oh, no! È tornato il serpente!”
“Vattene!”
Quelle facce piene di odio. Era da un po’ di tempo che non le vedevo, potrei quasi dire che mi sono mancate. Li detesto. Tutti. Valgono meno della feccia, loro e quello schifoso ninja del Suono di prima. Quel ninja del Suono…
Ora mi hanno trovata, mi hanno richiamata indietro.
Nulla sarà più come prima: il momento che ho atteso, odiato e temuto per quasi diciannove anni è giunto. Non so cosa devo fare…
Avanzo sulle macerie, la gente si sposta di lato, terrorizzata, per farmi passare.
Tutti tranne uno, che si era confuso con i popolani.
Che mi fissa con quei suoi bellissimi occhi azzurri spalancati.
“…senpai…”


Come promesso, ecco il nuovo capitolo! ^^
Nota importante, mooolto importante: da adesso le cose si movimenteranno un bel po', si può quasi dire che da qui comincia l'azione vera e propria della storia. Che succederà...?
Kukukukukukukuku...amanti dei combattimenti, preparatevi! XD
Al prossimo chapter!

Kiki

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Capitolo 20
*** Chapter 19 -You will always be by my side, you promise?- ***


You will always be by my side, you promise?



“…senpai…”
La gente di Mizu gridava e si agitava, accorrendo sempre più numerosa sui resti sfracellati di tende, banchi di legno e frutta tutta sparsa per terra, il luogo del misfatto. Tutti correvano attorno a lei, la kunoichi di Akatsuki dai capelli color petrolio e la pelle bianca, e la insultavano, ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi di più di qualche metro. Il suo volto era disfatto, vacuo e funereo. Macchiato di succo rosso di ciliegia.
“…senpai…”
Deidara era accorso nel centro del villaggio non appena aveva sentito la prima esplosione, ed aveva assistito senza parole al combattimento della sua compagna contro Kabuto Yakushi.
Una cosa tremenda.
Aveva pensato di darle della stupida, poi, di rimproverarla per tutto quel casino che aveva combinato, di chiederle da dove spuntava quel serpente bianco.
Ma ora, ora che vedeva i suoi occhi…no. Era successo qualcosa. Il suo volto era una maschera. I suoi occhi, persi nel nulla di un dolore antico come il mondo, lo cercavano.
Era successo qualcosa di grave.
Corse da lei e tirò fuori una delle sue opere già pronte, facendola apparire con un boato ed un forte sbatter d’ali in mezzo al disastro.
“Andiamocene, Tsuka-chan.”
“…senpai…”
La afferrò per i fianchi e lei si fece sollevare passivamente come un sacco, lui la cinse stretta a sé fra le rinnovate grida dei paesani e spiccarono il volo sul grosso rapace d’argilla sul quale erano montati.
Il mercato divenne piccolo piccolo, i tetti verdi furono presto solo un ricordo perso sotto la coltre candida delle basse nubi.
Deidara stringeva la sua compagna stretta a sé.
“…senpai…perdonami.”
Lei lo stava guardando. Il suo volto bianco macchiato di ciliegia. I suoi occhi vuoti.
“Tsuka-chan…”
Deidara si chinò su quella fronte macchiata, la baciò. Era preoccupato per lei. Terribilmente. Non l’aveva mai vista così, era stravolta.
Atterrarono dietro ad una collina poco lontano, quella dove sorgeva il piccolo rifugio abbandonato che li aveva ospitati quella notte. Lui la aiutò a smontare, lei appena toccato terra si aggrappò alle sue spalle e spalancò gli occhi vacui:
“No! No! No! Dobbiamo andare via da qui! Via! Dobbiamo andarcene!”
Deidara la osservò allibito mentre lei lo prendeva e lo scuoteva reggendosi a lui, urlando come una pazza.
Le prese la testa fra le mani, lei rimase a guardarlo stravolta, ansimando a bocca aperta.
“Bambina, calmati. Ti prego.”
Lei rimase a fissarlo in silenzio. Poi i suoi immensi occhi neri si riempirono di lacrime, e, con immensa sorpresa del ragazzo, scoppiò a piangere disperatamente, gettandosi su di lui come su uno scoglio di salvezza ed affondando il volto fra i suoi folti capelli biondi, inondandoli di calde lacrime.
“Tsuka-chan…”
la strinse forte a sé, sentendola reggersi a lui singhiozzando, senza più energie, come se le sue gambe non fossero più in grado di tenerla in piedi. Il ragazzo scivolò in ginocchio sull’erba facendola accasciare sul suo corpo, come un solido e caldo sostegno. Lei si avvinghiò ancora di più al suo collo, sentendo le braccia di lui attorno a sé che la circondavano forti e rassicuranti.
“Tsuka-chan, cos’è successo?”
“Io…io…io…” i singhiozzi le mozzavano le parole, fioche.
“Io…non posso dirtelo…senpai…”
Il suo pianto crebbe d’intensità, nonostante le forze l’abbandonassero sempre di più.
“E’ stato Kabuto Yakushi a ferirti?”
“Lui…lui…io…”
“Ti ha fatta piangere. Non glielo perdonerò mai.”
“…senpai…”
“Non è necessario che andiamo via, bambina. Ti proteggerò io.”
“…senpai…”
“Ti proteggerò io. Qualsiasi cosa sia successa, io ti proteggerò.”
La baciò di nuovo sulla fronte, sentendo il fuoco dell’ira nascere nel suo cuore rovente ed inarrestabile come un’eruzione vulcanica. Qualunque cosa fosse successa, i ninja del Suono avevano fatto star male la sua Tsukaiko.
L’avevano fatta piangere, lei, che era forte e altera come solo una vera artista poteva esserlo. L’avrebbero pagata cara, carissima.
“…senpai…”
la sentì sussurrare tra i singhiozzi, con un soffio stremato.
“Tu…rimarrai sempre al mio fianco…me lo prometti?”
Sembrava più tranquilla: Deidara le scostò il volto e la guardò in quegli occhi bui e segnati, inondati di pianto.
“Rimarrai sempre al mio fianco, me lo prometti?”
“Sì, bambina. Sempre. Lo prometto.”
Tsukaiko chiuse gli occhi, le sue labbra si piegarono in qualcosa che somigliava ad un sorriso. Si afflosciò su di lui, scossa ancora da qualche fremito di pianto, e gli posò un bacio sul collo. Dopodiché non si mosse più, se non per lo spezzato su e giù del suo respiro.
Il ragazzo rimase ancora qualche minuto là seduto, reggendola tra le sue braccia.
Non avrebbe mai più perdonato chi aveva fatto soffrire in quel modo la persona che amava.

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Capitolo 21
*** Chapter 20 -A great performance- ***


A great performance



Ok, d’accordo. È necessario un riepilogo della situazione, assolutamente, o questa è la volta buona che ci esco pazzo sul serio.
Dunque, Mizu è inequivocabilmente sotto il controllo di quelli del Suono. La questione è: perché?
Ho sentito dire che Orochimaru spesso attaccava piccoli villaggi per reclamare uomini che lo seguissero e combattessero per lui, ma non mi sembra questo il caso, perché quel genere di azione era momentanea e violenta. Qui invece pare che si siano insediati.
La mia ipotesi più convincente è che il tricoda si trovi proprio qui, e che il Suono voglia in qualche modo approfittarsi del suo potere.
Mmm.
E poi c’è il problema più grande di tutti, che non ho ancora abbastanza informazioni da sbrogliare: cosa cazzo vuole Kabuto Yakushi da Tsukaiko? Cosa cazzo vuole
il Suono dalla mia Tsukaiko?
Non riesco a capire se quest’affare possa essere in relazione alla nostra missione, o se è una questione di precedenti. Forse è un problema personale. Non lo so.
L’unica cosa che so per certa è che domani, quando rimetteremo piede là dentro, non avrò pietà.
Devo solo aspettare che Tsukaiko si svegli e mi dia qualche dettaglio in più, tutto qui.
Gliela farò pagare carissima e poi riusciremo anche a portargli via il tricoda.

“Buongiorno bambina.”
“Mmm, dai…ti ho detto di smetterla di chiamarmi così, ho solo un anno in meno di te…”
“Ma a me piace chiamarti così. Sei la mia bambina.”
I suoi occhi pesti fanno fatica ad abituarsi alla luce del giorno, anche se piuttosto nuvolosa, che entra dalla porta aperta della baracca, ed i suoi capelli neri sono tutti disordinati. Ha un viso terribile, ma almeno ha smesso di piangere. Le accarezzo la chioma arruffata.
“Come stai?”
“Mmm…”
“Va un po’ meglio?”
Lei non risponde. Tira su il busto facendo perno sui gomiti, stesa a terra com’è, ed appoggia la testa sulla mia gamba, mentre ancora le mie dita giocano tra le sue ciocche. La sento sospirare.
“Sì, va meglio.”
“Meno male. Mi hai fatto preoccupare.”
“Senpai…?”
“Dimmi.”
“Perdonami. Ti ho fatto fare una figuraccia.”
“Non importa.”
“Ma non preoccuparti, non accadrà mai più. Ho appena preso una decisione.”
“Ah, sì?”
“Sì.”
“Cioè?”
“Mizu deve essere distrutto. Raso al suolo.”
“Come…?”
Lei si solleva, prendendomi la mano e guardandomi con occhio deciso. Sì, sta meglio, questa è la vera Tsukaiko che conosco io!
“Se questo villaggio è in mano al Suono, almeno da quanto mi ha detto quel ninja con cui ho combattuto, tanto vale distruggerlo e toglierlo dalle loro sudice mani. Tanto per noi non sarebbe stato di nessun vantaggio, e se il tricoda si trova qui non è certo all’interno di quelle quattro mura. Tra l’altro, potremo approfittare del caos per estorcere informazioni, oppure se siamo fortunati qualche ninja potrebbe anche decidere di tirare fuori il tricoda ed usarlo come arma, chissà. E toglieremo al Suono una delle sue preziose proprietà.”
“Ma… tutte quelle famiglie?”
“Bah, non me ne frega niente di loro. Vedrò di farli uscire tutti prima, i civili.”
“Certo che tu arrivi in fretta alle soluzioni drastiche.”
“Sì, è vero.”
“Sei cattivissima, Tsuka-chan.”
“Lo so, biondo.”

Si alza in piedi e si risistema i capelli, esortandomi con un’occhiata a fare lo stesso.
Mi sorprende ogni ora di più.
E’ appena passata attraverso ad un devastante crollo emotivo ed ora propone di radere al suolo Mizu, facendo crollare tutti i miei film mentali nei quali io proteggevo lei, inerme e in lacrime, contro tutto e tutti…ed in effetti è un’idea intelligente, anche se detta così sembra un po’ avventata.
Sicuramente senza scrupoli.
Ma non so, forse le è venuta quest’idea proprio per questo. Nei suoi occhi decisi scorgo riflessi malcelati di rabbia. E dolore, tanto dolore.
Vorrei sapere chi è veramente, cosa le è successo, il suo segreto proibito…potrei aiutarla.
“Allora senpai, ci muoviamo? Dobbiamo trovare un modo per far scappare tutti i civili prima di stasera.”
“Ok, stasera con l’appoggio del buio, allora.”
“Oh, sì. Sarà una performance grandiosa.”

È sera.
Il tramonto incendia con le sue fiamme vermiglie l’ultima sottilissima linea di cielo frastagliata dalle cime dei monti all’orizzonte.
Io e Tsukaiko siamo in piedi, fianco a fianco, sulla cima della collina che domina Mizu.
“Pronto, senpai?”
“Diamo il via alle danze.”
Componiamo in fretta diverse sequenze di sigilli, dalle mie mani sfrecciano come saette piccole creature bianche che sibilano con le ali al vento.
L’aria attorno alle mura si fa irreale, comprimendosi con forti risucchi in circoli evanescenti e vagamente illuminati di chakra. L’Arte del Vento di Tsukaiko.
“Katsu!”
Le creature si gettano sui tetti e sui muri con un rintocco di puro silenzio, prima di sublimarsi in una, due, tre, quattro magnifiche esplosioni abbaglianti e potentissime.
Le sfere di aria compressa si riducono in punti di luce bianchissima prima di rigettare la loro potenza con un rombo di tuono ed onde d’urto che si espandono velocissime e perfettamente sferiche, che si fondono meravigliosamente con il fuoco dirompente delle mie esplosioni plasmandolo ed accrescendolo fino a sfiorare il cielo.
Ci prendiamo per mano, osservando il villaggio disfarsi briciola per briciola sotto la meraviglia impetuosa delle nostre opere d’arte.
“Senpai…è bellissimo.”
Le stringo la mano, incapace di descrivere le mie emozioni a parole.
La cenere fluttua vibrando nell’aria pulsante e dal cielo cominciano a cadere una dopo l’altra gocce di pioggia odorose, che presto si convertono in un acquazzone, incapace di spegnere il crescendo di esplosioni infuocate che infuria poco sotto di noi, illuminando la pioggia ed espandendo il suo splendore.
Rombano le esplosioni ed il tuono, tutto profuma di ceneri e pioggia.
Scoppiamo a ridere, senza un vero motivo, pura gioia, e lei mi salta al collo ed io la bacio, mentre l’Arte raggiunge il suo culmine.
Questa in assoluto è l’opera di distruzione più meravigliosa che io abbia mai vissuto.

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Capitolo 22
*** Chaper 21 -I love you, senpai.- ***


I love you, senpai.



Mai mi era capitato che la mia vita cambiasse tante volte in un intervallo di tempo così breve.
Ho toccato il cielo, e gli dei hanno voluto rigettarmi giù nel buio della disperazione nemmeno dodici ore più tardi. Ma si sa, la mia vita è maledetta. Me lo insegnano da quando sono nata.
Il Suono mi ha richiamata indietro, il destino che ho scritto nel sangue da ancora prima che nascessi si sta compiendo: io sono una loro proprietà. Una
sua proprietà.
Mi rivorranno indietro a tutti i costi, ed io già lo sapevo da tempo: è da tutta la vita che so che mi avrebbero richiamata, che vengo chiamata “traditrice” per colpa loro, che mi porto la loro puzza dentro… ed anche se il pensiero mi ha sempre disgustata e terrorizzata, fin dai tempi dell’accademia quando tutti mi additavano come una creatura maledetta, ormai era una cosa che avevo accettato. Ho provato ad illudermi di sfuggirgli, ma in fondo sapevo che perfino il mio ingresso in Akatsuki non li avrebbe fermati. Che dire, mi ero rassegnata. In fondo è una cosa che mi hanno sempre detto, al villaggio, che sarei finita così: sarei divenuta una traditrice e mi sarei unita a lui.
Ma tutto questo era prima, perché adesso mi è successa una cosa che non posso dimenticare.
Ho incontrato Deidara.

Adesso non posso più fare finta di essere chi non sono, non posso più indossare la maschera dell’artista libera e ribelle tappandomi le orecchie alle grida che giungono dal mio passato e dal mio futuro, non posso più chinare la testa.
Non più.
Non esiste forza in cielo o in terra, adesso, che possa convincermi a tornare da lui, che possa strapparmi via da questa mia inutile ed insulsa vita, che è appena fiorita diventando da fango che era un dolcissimo bocciolo di ciliegio.
Ho incontrato Deidara, mi ha detto che resterà sempre al mio fianco. Adesso non posso permettere che distruggano questo bellissimo fiore.
Maledizione.

Farò qualsiasi cosa, adesso, per sfuggire al destino che il mio mondo ed il mio sangue mi hanno cucito addosso…radere al suolo Mizu è stato solo l’inizio, oh sì. Li distruggerò tutti, se sarà necessario, ucciderò anche lui, proprio
lui, se sarà necessario. Non mi interessa, anzi: forse potrebbe essere anche un atto di bene per tutta l’umanità. Io che faccio qualcosa di bene per l’umanità…pff, che pensiero assurdo. Senza dubbio mi ringrazieranno. E poi potrò restare qui, in Akatsuki, libera finalmente da tutti i miei antichi legami, e potrò dedicare la mia vita alla mia unica vera passione, l’Arte, insieme a Deidara.
E non ci sarà più nulla che potrà dividerci.

Mi chiedi cosa c’è che non va, a cosa sto pensando.
No, rispondo io, non è niente, mi ero solo persa in un mio ragionamento strano…rido e ti bacio il collo bollente, tu ci resti un po’ male. Dici che sono un po’ pazza sul serio, in fondo.
Ma anche tu sorridi, nel buio della notte.
“Davvero vuoi saperlo?”
“Sì…”
“Ti amo, senpai."


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Capitolo 23
*** Chapter 22 -Next morning, another leaving- ***


Next morning, another leaving



Il mattino seguente alla distruzione di Mizu tra i Ninja del villaggio vigeva ancora una grande confusione. La sera prima era corsa voce –messa in giro non si sa da chi- che quella notte sarebbe avvenuto il terremoto più potente degli ultimi dieci anni, e che era un pericolo rimanere all’interno degli edifici. I civili erano stati evacuati tutti per questioni di sicurezza, mentre i pochi ninja di Mizu ed il reggimento proveniente dal Suono, capeggiato da Kabuto Yakushi, erano rimasti tra le mura, avendo intuito che sarebbe avvenuto qualcosa di grave.
L’attacco aveva ucciso cinquantasette uomini, e abbattuto al suolo tutto il villaggio. Nemmeno un muro era rimasto in piedi.
Kabuto aveva quasi paura a riferirlo di persona ad Orochimaru: anche se di solito con lui si tratteneva, temeva di subire il suo brutto vizio di fare a pezzi chi gli portava cattive notizie.
Invece, con sua grande sorpresa, il sennin si limitò a stare in silenzio, piegando la faccia in un ghigno soddisfatto, che fece venire i brividi al ninja occhialuto.
“Bene, meglio di quanto mi aspettassi. Mandale Sauke subito. Non vedo l’ora di scoprire le sue vere abilità…forse non è stata una perdita di tempo, diciotto anni fa."

Anche in Akatsuki vigeva un gran caos. Tutti, chi prima chi poi, erano venuti a sapere della distruzione di Mizu. I più avevano pensato che Tsukaiko dovesse avere decisamente gli stessi problemi di sangue freddo di Deidara, e che quei due, insieme, erano quello che si può dire a buona ragione una “coppia esplosiva”-in tutti i sensi, come continuava a ripetere maliziosamente Hidan facendo innervosire tutti-.
Sicuramente Tsukaiko era una che non scherzava.
Pain aveva ricevuto la notizia con evidente fastidio e riprovazione, ma affermò che se quello era necessario per l’acquisizione del tricoda, allora ben venga. Inoltre, sapeva che la ragazza era in qualche modo legata al Suono –secondo quanto gli aveva riferito Kakuzu dopo una mazzetta- e che forse quell’attacco poteva anche essere dipeso da questo. Ben venga anche così: le questioni della vita privata devono essere tenute fuori da Akatsuki, ed ognuno può gestirsi i suoi problemi come gli pare.

La taglia sulla testa di Tsukaiko fu alzata: naturalmente dopo una performance simile, ben pochi avrebbero avuto il coraggio di affrontarla per meno di 10.000 ryo.

“Mi fischiano le orecchie” disse Tsukaiko al suo compagno, mentre camminavano fianco a fianco su un sentiero sterrato che conduceva dritto dritto verso le montagne.
Avevano passato tutta la mattina a cercare di scoprire se riuscivano a ricavare informazioni sul tricoda nella confusione dei ninja e dei civili, mimetizzati tra la folla dei profughi, ed in effetti avevano scoperto che il Suono aveva occupato il villaggio proprio per sfruttare il potere del cercoterio: la collocazione di esso era però top-secret. Da quanto erano riusciti a capire interrogando un alto ufficiale –sotto l’ipnosi canora di Tsukaiko-, doveva trovarsi in un grande lago, da qualche parte ai piedi delle prime montagne.
Ora erano in viaggio verso appunto questo fantomatico lago.
“Ufff…sono stanca. Dobbiamo proprio camminare?”
“Ti ho ripetuto mille volte che se ci andassimo in volo ci individuerebbero subito. Avremo sguinzagliate alle calcagna non so quante squadre…meglio continuare a nascondersi.”
“Mmm.”
“Ehi…”
Deidara si voltò per guardarla in faccia. Non riusciva a capire come facesse a sembrargli sempre più bella ogni giorno che passava.
“…come fai a creare le esplosioni con l’Arte del Vento?”
Era dalla notte prima che continuava a parlarne: era rimasto estremamente colpito dall’abilità nel maneggiare il chakra della sua compagna. A quanto aveva capito dalle due parole stitiche che lei gli aveva concesso, con cui non aveva mai perso l’abitudine di rivolgersi a lui quando l’argomento erano le sue tecniche, Tsukaiko aveva inventato quella tecnica esplosiva in poche ore, proprio per quell’occasione. Deidara aveva fatto il pensiero assurdo che lei si vergognasse del proprio straordinario talento, come se fosse qualcosa di negativo. Ma non ci aveva fatto caso: ormai era abituato alle sue stranezze, si sentiva solo orgoglioso di lei. D'altronde, era stato proprio lui il suo modello…
“Beh…non è complicato in realtà. Se si comprime l’aria al punto giusto, poi essa provoca una detonazione espandendosi. Il difficile è solo riuscire a tenere sotto controllo le sfere di aria compressa: sono molto instabili. Basta distrarsi un attimo ed esplodono quando non dovrebbero. Oh, ma dai. Non sono vere esplosioni, sono solo potenti onde d’urto. Me ne vergogno, quasi.”
“Io le ho trovate bellissime. Mantenevano la loro perfetta geometria sferica anche nella detonazione. Una finezza estetica non da poco.”
“Credi davvero?”
“Sì!”
“Ah…ma so di poter fare di meglio.”
Il terreno ghiaioso scricchiolava sotto le suole dei loro sandali, ed il sole causava una calura fastidiosa, nonostante il vento fresco proveniente da nord. Le tuniche nere non aiutavano ad allontanare il caldo, tanto che entrambi le avevano slacciate sul davanti, lasciando vedere le casacche al di sotto: quella della ragazza arrivava appena a coprirle qualche lembo di pelle sotto il seno, lasciando scoperto quasi tutto il ventre piatto e sodo ricoperto dalla maglia di rete a quadri larghi che la divisa prevedeva da indossare. Acconciati in quel modo, i due lasciavano anche in vista le loro armi: le borse gialle piene d’argilla l’uno, i kusarigama l’altra, appesi con i manici incrociati ad una cintura di cuoio doppia che le stringeva i fianchi sinuosi, sopra la sua zona lombare. La catenella attaccata ai manici era arrotolata poco sotto le due piccole falci, ma ad ogni passo tintinnava in modo inquietante.
Deidara pensò che non l’aveva mai vista maneggiarli, nonostante li portasse sempre con sé sotto la veste.
Considerando la sorpresa della sua Arte del Vento, vederla combattere con quelli doveva essere un vero spettacolo…“brutali”, li aveva definiti lei.
All’improvviso, un fruscio dietro un cespuglio li avvisò di una visita imprevista.
Cinque ninja saltarono fuori dalla bassa vegetazione stringendo katane tra le mani e gridando a squarciagola, due di loro caddero subito con il collo rotto dai calci di Tsukaiko, un terzo subì la pronta reazione degli esplosivi di Deidara. Gli ultimi due, trovandosi uno contro uno con i due membri di Akatsuki, rimasero lì fermi sbalorditi con le spade ancora in mano e gli occhi spalancati.
“Bu!” ringhiò Deidara fingendo uno scatto in avanti.
I due gettarono le armi e si precipitarono in fuga.
Deidara scoppiò a ridere.
Il tutto era durato non più di 40 secondi.
“Ma chi accidenti erano questi poveracci?” chiese il biondo, una volta finito di ridere.
“Dei disperati in cerca di soldi, probabilmente.” Rispose la mora, sondando uno dei cadaveri in cerca del coprifronte, e non trovandolo.
“Hanno sicuramente alzato la tua taglia, Tsuka-chan.”
“Già. Dobbiamo stare più attenti, d’ora in avanti. Cominceranno a saltarci tutti addosso come zecche.”
“Ah…nessun problema, se sono tutti come questi qua!”
“No, senpai, sul serio. Oh, no, niente, lascia perdere…”
“Che intendi dire?”
Tsukaiko smise di toccare il cadavere e si alzò in pedi di scatto, dando le spalle al suo compagno. Cominciò a camminare avanti e indietro torturandosi il labbro inferiore con i denti, con le sopracciglia aggrottate: sembrava tremendamente combattuta con se stessa. Infine si decise, ed alzò verso Deidara uno sguardo preoccupato.
“Devo dirti una cosa importante, senpai. Non sono solo i sicari e quelli del mio villaggio a cercarmi. Da ieri, ci sono anche quelli del Suono.”
Deidara spalancò gli occhi azzurri, stupito. Sentiva che quello che la sua compagna gli stava dicendo era la verità. E che c’entrava con il suo grande segreto.
“E’ per colpa di Yakushi?”
“No, no…è una storia più lunga. Lui è solo un intermediario.”
La ragazza si morse di nuovo il labbro, puntando gli occhi a terra. Restò ancora per un po’ in silenzio.
“Io…non per mia volontà sono legata a quelli del Suono, senpai. Yakushi ieri mi ha detto che avrebbero inviato contro di me una persona per farmi combattere contro di lei…uno con lo stesso cognome di Itachi. Io…”
“…ma perché?”
Tsukaiko smise di parlare e scosse la testa. Stringeva i pugni contro i fianchi, aveva la bocca cucita.
“Ehi…”
Deidara capì che stava soffrendo, e sentì fiammeggiare in sé il furore contro quelli del Suono, qualunque relazione essi avessero con Tsukaiko. Non gli importava niente, la facevano star male, questo bastava.
Fece un passo avanti e le prese la testa fra le mani, sollevandole il viso. Aveva gli occhi lucidi.
“Senpai…” disse, con voce flebile. “Ti chiedo solo una cosa. Ti prego, stanne fuori. Quando arriveranno, lascia che li affronti da sola. Non voglio che tu ne resti coinvolto. Troverò il modo di sconfiggerli e poi troveremo il tricoda, se non l’avremo già fatto prima. Non voglio che tu…”
“Non dire stronzate.”
Deidara la guardava dritta negli occhi, strinse la presa.
“Io sarò sempre al tuo fianco. Te l’ho promesso, ricordi?”
“Ma…”
“Non dirmi nulla, se non vuoi. Ma io non ti lascerò da sola, sei troppo importante per me, capito? Non potrei mai perdonarmi di averti lasciata andare a morire, o non so cosa. Non mi interessa se hai un segreto terribile con il Suono che non vuoi dire a nessuno, o altro…io…ti amo, merda! Capito, scema?”
Dagli occhi neri e grandi di Tsukaiko avevano ripreso a colare lente scie di lacrime.
Deidara sbuffò e la strinse a sé, sentendo le braccia di lei che lo circondavano aggrappandosi a lui.
“Ti amo, scema…”
“Verranno a portarmi via, senpai…dovrò ucciderli dal primo all’ultimo.”
“Allora, metteremo in atto la performance più magnifica che si sia mai vista.”
Lei sorrise con un singhiozzo, gli baciò le labbra.
“Grazie, senpai.”
Sorrise, stringendo a sé l’uomo che amava.
“Ora sarà il caso di disfarsi di quei corpi, prima che qualcuno capisca che siamo passati di qui.”
“Emh, già.”
I due si separarono dal loro abbraccio, poi cominciarono la macabra operazione di “smaltimento dei cadaveri”.
Non si resero conto che qualcuno li stava osservando, occultato tra la vegetazione bassa e ombrosa.

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Capitolo 24
*** Chapter 23 -Sasuke Uchiha- ***


Sasuke Uchiha



Mi sveglio, e Tsukaiko è sparita.
Cazzo!
Avrei dovuto aspettarmelo…
“Se cerchi la ragazza, se n’è andata un’ora fa.”
La voce gracchiante di Zetsu mi fa scattare seduto, e comincio a cercarlo di qua e di là nella penombra del tronco cavo che avevamo scelto come rifugio per la notte. Lo trovo che pende a testa in giù sopra di me, affondato fino al busto nella materia vegetale della pianta. Mi ha fatto prendere un colpo.
“Che diavolo ci fai qui!?”
“Vi sto seguendo da Mizu. Brutta mossa farlo saltare in aria, ahi ahi, credo che Orochimaru si sia arrabbiato un sacco. Ma a quanto pare Tsukaiko-san ha deciso di andarlo ad affrontare da sola, amico. Anche se mi sembra un po’ strano, al posto di attaccarvi a sorpresa hanno mandato un serpente a chiamare la ragazza. Mah.”
“E tu perché non mi hai svegliato!?”
“Non mi sembrava il caso. Mi sembravi stanco.”
“Ma che cazzo dici?”
“Beh, sai. Le supposizioni di Hidan si sono rivelate vere.”
"..."
Momento di silenzio.
“Cioè, tu ci stavi spiando!?”
“Emh…”
"Fai schifo!" Gli spaccherei la faccia con un’accetta qui e adesso, ma al momento ho qualcosa di più grave a cui pensare. Mi precipito fuori dal tronco cavo buttandomi la veste sulle spalle e tiro fuori una delle mie opere già pronte per fare più in fretta. Salto sul volatile e spicco il volo.
“Ehi, Romeo!” grida Zetsu, spuntando all’esterno dell’albero, “…è andata in una valle ad est!”
“Con te facciamo i conti più tardi, cactus pervertito del cazzo!”
Prendo quota e mi precipito ad est, con l’orribile sensazione che Tsuka-chan stia facendo qualcosa di terribilmente stupido.

Questa mattina sono stata svegliata dal verso sibilante di un serpente. Era mediamente lungo, marronastro, anonimo: niente a che vedere con Oni, il mio serpente bianco, che invece ha già raggiunto i cinque metri di lunghezza ed ha le squame brillanti e bianche, appena intarsiate da un complicato ghirigoro violaceo sul dorso. D’altronde, Oni fa parte della stirpe reale dei serpenti. Ho scoperto di possedere il mio serpente a sette anni, la prima volta che mi hanno insegnato la tecnica del richiamo: dovevo evocare un coniglio, ed invece è comparso lui. Poi mi hanno spiegato che probabilmente quella creatura è legata a me da un contratto eseguito alla mia nascita… ma ora sto proprio divagando.
Il serpente marrone mi ha svegliata e con un cenno del capo mi ha invitata ad uscire dal cavo dell’albero dove io e Deidara stavamo dormendo, era molto presto e Deidara non si è nemmeno svegliato. Ho indugiato a lungo, prima di decidermi ad uscire, indecisa se svegliarlo o no. Ho appoggiato la mano sulla sua schiena calda che andava lentamente su e giù, ascoltando il suo respiro lento e rassicurante. Quando dorme è bello come un angelo.
Sapevo che non mi avrebbe mai permesso di andare da sola, e che se l’avessi portato con me sarebbe rimasto al mio fianco fino alla fine.
Infine gli ho dato un bacio sui capelli e sono scappata fuori facendo il meno rumore possibile, seguendo la via che mi indicava il serpente bruno, ben sapendo che mi avrebbe condotto dalla persona contro cui avrei dovuto combattere.
Non voglio che Deidara rischi la vita per me, non lo sopporterei, non dopo tutte le bugie che gli ho raccontato. E poi, se fosse venuto avrebbe capito chi sono davvero, e questo non dovrà mai saperlo. Non voglio, perché sono sicura che anche lui comincerebbe a disprezzarmi, proprio come tutti gli altri.

Ora il sole che lentamente compie il suo cammino ascendente nel cielo illumina il mio sentiero di ciottoli, in salita, e fa proiettare la mia ombra contro le sterpi ai lati del cammino. Basse montagnole rocciose circondano l’orizzonte su due lati, mentre piano piano io e la mia guida rettile ci inerpichiamo sulla cima dell’altura. Una volta raggiunto il pianoro sulla vetta, ricoperto di sterpaglie pungenti, si apre ai miei occhi un’ampia e profonda vallata, racchiusa tra gli strapiombi delle alture intorno su tre lati, mentre il quarto si perde in una fitta selva che si inerpica su un’altra salita, meno scoscesa rispetto alle altre. Gli alberi ricoprono una piccola parte della valle, il resto è ricoperto d’erba; sotto le fronde delle prime piante scorgo due figure, in attesa.
Il serpente sibila nuovamente e poi scompare, in un turbinio di nuvolette di polvere.
So di essere arrivata, e mi getto a volo libero giù dallo strapiombo che si apre sotto i miei piedi, atterrando silenziosamente sull’erba.
Le due figure si accorgono del mio arrivo ma non si muovono, attendendo che io di mia volontà mi avvicini. Una la riconosco subito per il ninja che ho attaccato al mercato di Mizu, quel ragazzo occhialuto che Deidara mi ha detto chiamarsi Kabuto Yakushi, mentre l’altra mi è completamente sconosciuta, ma intuisco che deve essere la persona contro cui desiderano che io combatta.
“Sei venuta, allora.” Grida Kabuto, per farsi sentire da me. “Strano. Ed io che pensavo che avremmo dovuto venire a stanarti…invece sei venuta con le buone. Bene, sei intelligente, ragazzina, ottima scelta. Facevi la voce tanto grossa, a Mizu, ma poi eccoti qui.”
Mentre Kabuto faceva questo discorsetto, io mi sono avvicinata e mi sono posizionata davanti alla coppia, circa a sei metri da loro, distanza perfetta per avere una visuale completa dell’avversario ed evitare eventuali attacchi a sorpresa. Getto su di loro uno sguardo cupo, riversando tutto il mio disprezzo.
“Sarete morti entrambi entro mezzogiorno. E poi scoverò il vostro villaggio e gli farò fare la stessa fine di Mizu. E poi toccherà ad Orochimaru.”
Kabuto scoppia a ridere sguaiatamente, l’altro mantiene un’espressione impassibile, come se non avesse capito nemmeno una delle mie provocazioni.
“Sì, certo ragazzina. Prima di tutto vediamo se esci viva da Sasuke, e poi ne riparliamo. Lui è stato scelto come prossimo contenitore di Orochimaru, al posto tuo. Lo abbiamo giudicato più idoneo…ma adesso che finalmente ti abbiamo ritrovata, Orochimaru è curioso di scoprire il tuo vero potenziale. Chi poi tra voi due diventerà il prossimo contenitore, quindi, lo giudicherà l’esito di questo scontro.”
Sasuke, senza neanche guardarmi, avanza in posizione di combattimento, fronteggiandomi.
Lo squadro bene, in effetti è piuttosto evidente che è un Uchiha, assomiglia parecchio ad Itachi: il suo volto perfetto è bianco e latteo come un bassorilievo di marmo, e così anche il suo corpo muscoloso che scorgo tra le pieghe della casacca immacolata. Bello e perfetto e freddo come una statua. Le sue mani sono dure e forti, e sebbene siano parzialmente nascoste dalle maniche lunghe e dai mezzi guanti, scorgo fasci scattanti di nervi che le attraversano sotto la pelle pallida.
I suoi occhi sono due pozzi neri. In passato devono aver fatto girare la testa a parecchie ragazzine, ma ora vi scorgo solo un vuoto opaco di miseria. Deve essere uno che ha sofferto: probabilmente è più giovane di me, ma il suo sguardo è quello di un vecchio consumato dall’odio.
Mi fissa impassibile, come se fossi solo l’ennesimo manichino da abbattere sulla sua strada. Mi chiedo cosa l’abbia spinto ad unirsi al Suono, ad accettare un destino miserabile come quello di diventare il prossimo corpo di Orochimaru. Che, d’altronde, era il destino riservato a me.
Sasuke Uchiha, dunque, vediamo cosa sai fare.

Senza aspettare cenni dalla parte avversaria, estraggo i kusarigama dalla loro custodia sulle reni e mi lancio in attacco, decisa ad uccidere.
La risposta mi stupisce: Sasuke blocca il mio falcetto sollevato con la sua katana esattamente a metà tragitto. È velocissimo. Non leggo nulla nei suoi occhi, quando con un secco movimento di polso fa saltare via l’arma dalla mia presa e mira dritto al mio collo con un fendente.
Blocco il colpo con la seconda falce nell’altra mano ed abbasso la lama per farla strofinare contro quella della sua spada e bloccarla, in modo tale da acquistare un po’ di tempo, mentre con la mano che è stata disarmata afferro la catena e la faccio roteare in modo tale che la falce che vi è attaccata all’estremità, tornando indietro, si conficchi tra e scapole del mio avversario. Lui però la nota e liberando la katana dalla presa vicino al mio collo si volta per parare il colpo da dietro.
C’è uno scontro di lame e qualche scintilla, e poi saltiamo entrambi l’uno via dall’altra, allontanandoci di qualche metro.
È maledettamente forte, ma non abbastanza per competere con me.
Mi scruta con i suoi occhi impassibili, registrando le possibilità della mia versatile arma: sì, bravo, i miei attacchi non partono solo dalle mie mani, ma anche e soprattutto dai volteggi della catena.
Sento un cambio di pressione nell’aria, sta impastando del chakra: scatta in avanti con la spada sguainata senza comporre nemmeno un sigillo, cogliendomi di sorpresa.
Paro il colpo con la falce nella mano destra dal basso, e sento che qualcosa è cambiato…la lama della sua katana è ricoperta di chakra! Graffia il mio falcetto e mira dritto alla catena, sicuramente deciso a tagliarla ed a evitare il brutto inconveniente dei volteggi delle due lame che vi sono attaccate all’estremità, ma io sono più veloce e con un salto mi allontano e salvo la mia arma.
Mi insegue e tenta un affondo, che schivo prontamente. Con la coda dell’occhio noto dei fulmini, vuol dire che usa l’Arte del Fulmine.
Ah ah, Vento batte Fulmine. Sorrido.
Spicco un salto più alto ed impasto un sufficiente quantitativo di chakra, ricoprendo tutta la mia arma con esso. Il Vento rende qualsiasi lama cento volte più tagliente, oltre alle altre interessanti qualità che ha. E soprattutto rende inoffensiva l’arte del Fulmine.
Volteggiando a mezz’aria afferro con due mani la catena e faccio roteare le lame in due circoli di morte, pronti a falciare il mio avversario di sotto.
Le lame si scontrano in una cascata di scintille: la sua katana resiste a malapena all’attacco.
Volteggiando in una danza perfetta, manovro la catena girandogli attorno sempre più velocemente e facendo cantare l’aria attorno a noi in sibili assordanti, lui fa sempre più fatica a resistermi.

Non ho dubbi che entro cinque minuti riuscirò a prendermi la sua testa.

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Capitolo 25
*** Chapter 24 -An amazing show for Zetsu.- ***


An amazing show for Zetsu.



Zetsu giunse sul luogo dello scontro molto prima di Deidara, muovendosi tra le radici viventi delle piante con la velocità e la nascostezza che erano sue prerogative: era ansioso di godersi quel combattimento fino alla fine, e non c’era nulla al mondo che gli avrebbe impedito di farlo. D’altronde, proprio quello era il suo compito attuale in Akatsuki, ossia di intrufolarsi dappertutto e raccogliere il maggior numero possibile di informazioni, senza essere notato da nessuno. Era una cosa che gli riusciva particolarmente congeniale, e non mancava mai di svolgere il suo compito di osservatore con pieno zelo.
Soprattutto quando si trattava di gente interessante come Deidara, Tsukaiko o Sasuke Uchiha.
Quando spuntò alla luce del sole, emergendo con la testa sul terreno scosceso che circondava la valle, lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi lo stupì moltissimo: Sasuke sembrava in difficoltà.
L’erede dello Sharingan arretrava passo dopo passo parando dei colpi che Zetsu faticò in un primo momento ad identificare: sembrava infatti che attorno a Tsukaiko, che volteggiava a velocità spaventosa facendo danzare l’ampia tunica nera, splendessero due ampi cerchi di luce che entrando in contatto con la lama dell’Uchiha generavano una pioggia di scintille ed un evidentissimo scontro tra due chakra diversi. Risuonavano con sibili e fischi terrificanti, e non lasciavano il tempo all’avversario nemmeno di respirare.
Poi all’improvviso capì: i cerchi erano formati da due lame che roteavano a velocità pazzesca, agganciate ad una catena che Tsukaiko manovrava con maestria eccezionale.
“Sasuke dovrebbe attivare la sua arte oculare, o finisce a fette.” Disse lo Zetsu Nero.
“Dovrebbe prima uscire da quella spiacevole situazione, non credi? È abile, ma non credo che in quell’inferno d’acciaio possa trovare la concentrazione per attivare lo Sharingan.”
“Da lui non sai mai cosa puoi aspettarti. Ma mi stupisce trovarlo così…quella ragazza fa paura.”
“Fa paura”. Non ci sarebbe stata maniera più appropriata per descrivere Tsukaiko, oltre all’abilità nel combattimento: quando nei suoi movimenti rapidissimi volgeva per un attimo il viso nella direzione da cui Zetsu osservava, si poteva scorgere nel suo volto di pietra un ghigno feroce, sanguinario, terrificante. Quella ragazza stava combattendo per uccidere, e per un secondo Zetsu ebbe l’istinto di ritirarsi di nuovo nella terra, come se, fatti fuori Sasuke e Kabuto, poi giungesse anche il suo turno.
Deglutì e si auto-impose di riacquistare il controllo.
Lo scontro di lame proseguiva senza risoluzione apparente, finché, in una pausa di mezzo secondo più lunga delle altre, nell’aria si avvertì un cambio di pressione: il corpo di Sasuke cominciò una trasformazione, la sua pelle divenne innaturalmente bluastra e dalle scapole fuoriuscirono due enormi ali composte di dita umane.
“Ecco, ce l’ha fatta! Ha liberato il sigillo!” Disse il Nero al Bianco.
L’Uchiha materializzò un chidori sulla mano sinistra e mirò alla figura danzante della kunoichi, la quale per schivare l’assalto dovette allontanarsi di corsa e porre termine al suo tremendo attacco con le lame. I due si fronteggiarono per qualche istante interminabile, col respiro pesante, e poi accadde qualcosa di strano: l’immobilità divenne quasi perfetta, e Zetsu dedusse che Sasuke era finalmente riuscito ad attivare lo Sharingan e ad intrappolarla in un’illusione. Ma poi, l’aria vibrò, vibrò intensamente nei timpani di Zetsu come attraversata da una nota bassissima e penetrante. Solo dopo un certo tempo si accorse che in quell’accordo infernale era insita una melodia, e che proveniva da Tsukaiko. Poi tutto finì, Sasuke fece una smorfia e la sua avversaria scoppiò in una risata crudele.
“Cos’è successo?” chiese il Bianco.
“Credo che Tsukaiko sia riuscita a contrastare lo Sharingan, forse quella che abbiamo sentito era una tecnica illusoria sonora. Deve averla cantata. Non ci saranno illusioni in questo combattimento, perché ciascun avversario può neutralizzare quelle dell’altro. Stiamo a vedere.”
I due si erano già rimessi in guardia e Sasuke aveva spiccato il volo, cominciando a lanciare attacchi dell’Arte del Fuoco. La situazione pareva ribaltata: Tsukaiko cominciò a schivare gli attacchi uno dopo l’altro, finché spiccò un balzo all’improvviso e dalla manica della sua tunica uscì velocissimo un immenso serpente bianco.
“Wow” disse il Nero. “Allora è vero quello che si dice in giro…”
Il grande serpente bianco incontrò i serpentelli neri evocati in risposta da Sasuke, ma riuscì a liberarsene avvolgendo su di essi il proprio lungo corpo e stritolandoli, per poi gettarsi sul ninja a fauci spalancate, costringendolo a virare verso terra. Il ragazzo tentò di afferrare la katana, ma alle sue spalle comparve rapidissima Tsukaiko, che gli afferrò con forza le braccia da dietro e le piegò in modo innaturale. I due ninja si schiantarono al suolo insieme.
La valle risuonò di un grido soffocato e del macabro schiocco delle ossa che si spezzano.
E poi il serpente si avventò al collo del ragazzo.

Kabuto Yakushi sembrava sparito, quindi nessuno si preoccupò di fermare i sette ninja che erano appena arrivati nella boscaglia sulla parete più agibile della valle.
Sui loro coprifronte era inciso lo stemma di un villaggio minore, poco conosciuto.
Ciò che trovarono nella valle era il loro obbiettivo, inginocchiato e di spalle, aggrappato ad una figura riversa al suolo in un lago di sangue che andava allargandosi sempre di più.
Il caposquadra senza perdere tempo afferrò il suo shuriken –uno di quelli 10 volte più grandi della misura standard-, e lo lanciò.

Dopo un quarto d’ora di ricerca affannosa finalmente Deidara trovò la valle che gli aveva indicato Zetsu, e precipitò in picchiata la sua cavalcatura fino a raggiungere una perfetta visuale.
Quel quarto d’ora avrebbe potuto contenere la sua intera vita, da tanto gli era parso interminabile: gli sembrava che ogni secondo che sprecasse sorvolando creste e crepacci deserti fosse un secondo troppo tardi, ed il pensiero di trovare solo un cadavere al suo arrivo non riusciva ad abbandonare la sua mente.
Per questo, la visione che ebbe non appena scese di quota lo inorridì ed il suo cuore perse un paio di battiti.
Tsukaiko era inginocchiata in un lago di sangue.
Ma poi lei sollevò lo sguardo, lo vide, gli sorrise. Tra le sue braccia giaceva un corpo privo di sensi, con le braccia orrendamente distrutte. Stava per dargli il colpo di grazia.
Ma poi il suo corpo ebbe uno strano sussulto, ed il suo sorriso ammutolì.
Si afflosciò in avanti, con uno shuriken di dimensioni eccezionali piantato tra le scapole.
Deidara gridò.

Ciò che vide Zetsu fu piuttosto confuso, e solo in seguito capì bene cosa accadde davvero.
Tsukaiko abbandonata al suolo con uno shuriken enorme piantato nella schiena, Deidara che si lanciava dal cielo in picchiata negli alberi, urlando, gli alberi che esplodevano, corpi umani carbonizzati che volavano insieme ai rami e alle foglie, boati assordanti, fuoco ovunque.
Un inferno.
Scorse con la coda dell’occhio Kabuto che compariva accanto al corpo esanime di Sasuke e se lo portava via.
Tsukaiko rimase riversa a terra, con la veste intrisa di sangue che rifletteva le esplosioni tra gli alberi.

Deidara corse fuori dal bosco carbonizzato e fumante, si gettò in ginocchio accanto a Tsukaiko.
Zetsu pensò che fosse il momento migliore per avvicinarsi, ed emerse, non visto, a qualche metro da loro: Deidara afferrò la compagna per le spalle ed estrasse con un colpo secco l’arma dalla sua schiena. Dalla ferita sgorgò un fiotto di sangue.
“Tsuka-chan...”
Il suo volto era rigato di lacrime, contratto in una smorfia di dolore. Si chinò sulla ragazza con il respiro mozzato da violenti singhiozzi e la strinse a sé, lei tossì e lo macchiò di sangue scuro.
“Senpai…sei qui…”
“Tsuka-chan, non parlare…sei al sicuro adesso, va tutto bene…”

“Commovente.”
Deidara e Zetsu alzarono lo sguardo alla voce sorniona che aveva parlato, era quella di Kabuto.
Era tornato, dopo aver messo al sicuro Sasuke.
“Non avevo mai visto un simile esempio di lealtà tra compagni in Akatsuki. Ma adesso fossi in te la lascerei andare subito, perché deve venire con me. Questa kunoichi appartiene al Suono.”
“Maledetto bastardo!”
Zetsu pensò che Deidara si sarebbe lanciato al collo di Kabuto e gli avrebbe staccato la testa a mani nude, se non fosse che stava sorreggendo Tsukaiko ferita.
“Tsuka-chan non appartiene a nessuno! Dovete finirla di rovinarle la vita! Lei non andrà da nessuna parte!”
Mentre gridava, Deidara stingeva Tsukaiko come se fosse stata l’ultima cosa cara che gli rimanesse al mondo.
“Ma come, non lo sai? Lei deve venire al Suono, invece. Deve tornare a casa.
Tsukaiko-san è la figlia del sommo Orochimaru.”

Deidara spalancò gli occhi, poi li ridusse a due fessure.
Prese una delle sue opere senza dire nulla e la lanciò contro Kabuto, che non poté fare altro che sparire alla velocità del suono.
L’onda d’urto dell’esplosione raggiunse anche i tre akastukini, e sollevò un’incredibile nuvola di erba, terriccio e polvere. Quando il paesaggio tornò di nuovo visibile, Zetsu vide che Deidara si era già innalzato in volo e si allontanava nel cielo, dopo aver preso con sé la sua partner.
Rimase solo nella valle devastata.

Quello sì che era stato uno spettacolo imperdibile.



Buonanotte carissimi lettori!
(ma dico, guarda a che razza di ora da nottambula mi ritrovo a pubblicare...)
Ebbene sì. Questo era il capitolo fatidico, unh! Finalmente ecco l'identità Tsukaiko in tutta la sua shokkaggine!
-Ahah...anche se qualcuno l'aveva già capito, giusto Akatsuki e October? ^^-
Eccola qui, per farvi contenti, come me la immagino io.

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...sopravviverà...? E soprattutto, che farà ora quel povero terrorista biondo?

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 26
*** Chapter 25 -Don't you cry.- ***


Don't you cry.



Aiuto!
Il suo sangue mi inzuppa la veste, tanto, troppo sangue. Stappo un pezzo di stoffa dalla tunica e lo premo sulla sua schiena bianca, il sangue continua a sgorgare.
No no! Aiuto!
“Non lasciarmi bambina, ti prego non lasciarmi…!”
Le ampie ali della mia opera ci fanno scudo dal vento, l’ho portata giù subito, l’ho portata giù alla prima superfice piana che ho trovato e l’ho stesa con la testa sulle mie ginocchia…continuava a tossire sangue e non potevo portarla troppo lontano, continua a perdere sangue…
“No, no, non lasciarmi Tsuka-chan! T-ti prego non lasciarmi anche tu! Non puoi farmi questo anche tu! M-maledizione! Non morire anche tu come Saso-danna! Noi due eravamo amanti, sai…ma…ma non è la stessa cosa! Tu non puoi lasciarmi! Ti amo merda! Mi uccidi se muori così…!”
“…non p-puoi dirmi che tu e Sasori eravate amanti quando ho un buco nei p-polmoni, senpai…”
Mi risollevo subito da lei, la sua voce è flebile e soffocata, il suo viso bianco come la morte…ma ha un sorrisetto di rimprovero sulle labbra.
“T-Tsuka-chan…”
“Non piangere, senpai.”
Solleva una mano bianca tremante, asciuga le mie lacrime con una dolce carezza.
“Bambina mia…”
“O-ora proverò ad arrestare l’emorragia con una tecnica medica, m-ma devi darmi il tuo chakra…”
Protende anche l’altra mano verso di me, io la prendo subito e la stringo forte, donandole tutta la mia forza. Sono mani fredde…
Sento il mio chakra fluire da me a lei, il suo corpo appoggiato a me acquista pian piano un po’ di calore, e la perdita di sangue diminuisce. Tiene le mie mani premute sul suo petto, sento il mio chakra che le dà forza, il suo cuore che acquista energia.
Ti darò anche la mia vita se la vuoi, amore…

Passato qualche minuto, lascia le mie mani e si risolleva a fatica da me, che l’ho tenuta in braccio fino ad adesso tentando di scaldarla.
“Ecco fatto!” mormora, per nulla sicura sulle gambe e con due enormi cerchi sotto gli occhi neri.
“Ma non sei guarita! Guardati, non ti reggi in piedi…”
“Questo è tutto quello che posso fare. Non sono mica un medico…dai, adesso dovresti aiutarmi a fasciarmi.”
La prendo per mano e la faccio inginocchiare accanto a me, dopodiché le tolgo la casacca e la canottiera, squarciate in corrispondenza della ferita. C’è un buco rosso terribile nella sua pelle perfetta, profondissimo, per nulla guarito, anche se non sanguina più. Mi sta ritornando voglia di piangere…
“Tieni, usa la mia tunica. La tua l’ho già sporcata abbastanza…”
Mi passa il suo mantello ed io lo faccio a brandelli, per poi fasciarlo stretto attorno al suo torace. Lei non alza neppure un dito, respirando a fatica, troppo debole per contribuire. Quando la fasciatura è stretta e sicura, le prendo i fianchi e la faccio sdraiare di nuovo su di me, coprendola poi con il mio mantello tutto macchiato. L’abbraccio e la cullo.
“Questo è dei ninja del tuo villaggio, vero?”
Estraggo un coprifronte che ho preso ad uno di quei luridi bastardi nel bosco.
“Sì.”
“Sono stati loro a lanciare lo shuriken. Li ho uccisi tutti.”
“Pff…è tipico di loro cogliere l’avversario alle spalle…grazie per avermi salvato, senpai. Sarei morta se non fosse stato per te.”
“Perché non mi hai fatto venire con te fin da subito, piccola?”
Non posso prendermela con lei adesso, non ce la faccio. Dovrei arrabbiarmi, dovrei dirle “mi devi delle spiegazioni, e subito”, dovrei sentirmi tradito…ma non proprio non ce la faccio. Le mie parole suonano con una dolcezza che mi sgorga genuina dal cuore. È viva e vivrà, e questa è l’unica cosa che conta.
“…non ritenevo ce ne fosse bisogno…quell’Uchiha, l’avevo appena sconfitto.”
“Ma poi ti hanno colpita alle spalle.”
“Eh, già…”

Il suo respiro è raspante ed affaticato. Ma ora che finalmente ho saputo la verità, ora che tutto mi è chiaro, voglio che lo sia anche tra noi. Voglio infrangere questo muro che ancora la divide da me, e che ha quasi rischiato di impedirmi di salvarla.
“Tsuka-chan…tu…tu non mi hai fatto venire perché non volevi che io sapessi che sei la figlia di Orochimaru? È questo il tuo segreto?”
Il suo respiro si ferma, il suo corpo si irrigidisce.
“C-c…come lo sai…?”
“Me l’ha detto Kabuto quando sei svenuta.”
“I-io…”
Prende a tremare violentemente e comincia a divincolarsi, come se volesse fuggire il mio abbraccio. La sento singhiozzare.
“…che fai, Tsuka-chan?”
“Lasciami qui! Non toccarmi!”
Rotola su di un fianco e mi lancia uno sguardo terrorizzato, ricoperta di sudore freddo, con le membra scosse da un tremito incontrollabile.
“Ma che fai!?”
“Non toccarmi!”
Dai suoi occhi comincia a sgorgare un fiume di lacrime.
“Non devi più toccarmi! Non ti costringerò più a toccare ciò che disprezzi!”
“Ma cosa dici!?”
La sua voce disperata viene spezzata dal pianto irrefrenabile, tanto che ho paura che la sua ferita riprenda a sanguinare per la violenza dei suoi singhiozzi.
“…Orochimaru è mio padre, ma tu non dovevi saperlo mai, non dovevi…”
Mi protendo su di lei e la circondo con le mie braccia, stringendola a me e sentendo tutto il suo dolore uscire fuori come una cascata, lei, debole e ferita…
“Credi che io ti disprezzi per chi ti ha generata? Perché dovrei, non te li sei mica scelti tu i genitori…”
“…senpai…”
“Te l’hanno fatta pesare tantissimo al tuo villaggio natale, vero…? Era per questo che non volevi dirmelo…?”
“Sì!...tantissimo…loro mi c-chiamavano maledetta…tutti quelli che mi guardavano...mi chiamavano viscida serpe…”
“Io ti amo bambina. Sei una grande artista, non mi importa da chi sei nata, non pensare mai più che potrei odiarti per questo.”

…e capisco molte cose, ora.
Dev’essere questo che aveva scoperto Kakuzu, questo pensava di dirmi Hidan la notte in cui Tsuka-chan l’ha preso a calci per farlo stare zitto, questo il motivo per cui i ninja del Suono la rivogliono indietro.
Questa la verità che lei non riesce a sopportare.

“Sai…”
La sua voce è flebile e atona mentre parla, ma ascolterò tutto quello che vorrà dirmi anche se per lei ora sarebbe meglio riposare.
So che è importante.
“…il Suono aveva attaccato il mio villaggio natio, prima della mia nascita…Orochimaru portò via con sé molti ninja, e tra loro c’era anche mia madre. Io non l’ho mai vista, è morta quando sono nata, ma mi hanno raccontato che era molto dotata nelle arti illusorie e nel controllo del chakra. Dei ninja che erano stati portati via non tornò nessuno, tranne mia madre. Mi hanno detto che Orochimaru usava gli uomini per i suoi esperimenti…ed anche con mia madre fece lo stesso. Tornò che era incinta di me, ed io la uccisi nascendo.
Sono cresciuta all’orfanotrofio del villaggio, e tutti mi odiavano e mi temevano. Era inutile quanto io tentassi di dimostrare la mia buona volontà…un giorno mi dissero di chi ero figlia, e allora capii il loro disprezzo. Nel mio villaggio giravano leggende terribili su Orochimaru, dopo il mio concepimento…tutti dicevano che ero come lui, che avrei tradito il villaggio e l’avrei raggiunto al Suono, e che la mia Arte era malvagia e proibita. Io…non l’avevo nemmeno mai visto…”
Si interrompe e sospira tra le lacrime. Le bacio gli occhi.
“…solo quando fui più grande venni a sapere che Orochimaru ogni tre anni cambiava corpo per ottenere sempre più potere, ed allora capii ciò che nessuno aveva osato dirmi…io ero stata concepita come suo contenitore ideale, con il suo stesso talento nelle arti magiche ed un’arte illusoria abbastanza potente da poter contrastare lo Sharingan degli Uchiha, che lo ossessionava.”
Sospiro anch’io, mentre lei prende fiato. Anch’io ho conosciuto la potenza dello Sharingan…allora sarebbe per sconfiggerlo che è nata questa creatura meravigliosa?
L’idea mi riempie di rabbia e disgusto. Come si può giocare così con la vita umana? Se si ha un obbiettivo da raggiungere, il modo più onorevole è affrontarlo con le proprie forze.
Non creando e distruggendo vite.
“…quando compii sedici anni lasciai il mio villaggio che mi odiava e cominciai a seguire la mia ispirazione, vivendo libera come avevo sempre sognato. Cercavo di dimenticare lo scopo per cui ero nata, credevo di essere felice. Poi, ho incontrato te…”
Sorride stancamente, si volta per guardarmi per il secondo che le sue forze le permettono.
“…io...non ti ho detto nulla sul mio passato perché temevo che cominciassi anche tu ad odiarmi, e non sarei mai riuscita a sopportarlo: tu sei fantastico, sei geniale, sei la mia guida e la mia meta."
Si interrompe per un altro istante, e fatico a trattenere nel silenzio l'amore e la gratitudine che mi infiammano il petto.
“…ma l’altro giorno, a Mizu, quando pensavo che oramai fosse tutto dimenticato, il mio passato è tornato a rivendicarmi. È per questo che ti ho detto che mi cercano, amore, è per questo che volevano testare le mie capacità…per capire se ero davvero il contenitore perfetto…”
“Non piangere, Tsuka-chan. Tu sei fantastica e non diventerai il contenitore di nessuno. Ricordati che ti ho promesso che sarò sempre al tuo fianco.”
“Oh, senpai, io…”
“Shhh. È meglio se ti riposi, adesso. Devi recuperare le forze.”
Senza protestare i suoi occhi si chiudono e la sua testa si appoggia nella piega del mio collo, i suoi singhiozzi sono calmati dal mio cullare. Presto il suo respiro si fa regolare ed il suo volto sfatto assume l’aspetto pacifico del sonno.

Ora finalmente conosco la verità, ora posso finalmente salvarla dalla maledizione che le è stata impressa sottopelle da quando è nata.
Ucciderò Orochimaru, fosse l’ultima cosa che faccio nella mia vita.



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Buonanotte a tutti, rieccomi nel bel mezzo delle tenebre di Halloween a pubblicare capitoli random! -lol-
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante sia venuto molto melodrammatico...

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Capitolo 27
*** Chapter 26 -No more lies, just love.- ***


No more lies, just love.



La prima cosa che penso quando riprendo conoscenza, è che faccio fatica a respirare: un dolore sordo e penetrante mi toglie l’aria tra le scapole, e l’ossigeno che riesco a procurarmi è scarso e bruciante.
Subito dopo mi rendo conto del vento forte che mi scompiglia i capelli e mi sbatte in faccia, e mi sento pervasa da una lieve vertigine. Socchiudo le palpebre e vedo il cielo: siamo in volo. Sento anche i battiti delle ali del grande volatile, che planano e dominano i venti e le correnti ascensionali.
Poi mi torna in mente tutto.
Ieri ho sconfitto Sasuke Uchiha, e stavo anche per dargli il colpo di grazia e passare a Kabuto, se non fosse stato che i ninja del mio schifoso paese mi hanno teso un agguato alle spalle e colpito con quello maledetto shuriken…una vampata sorda di rabbia mi pervade, al loro pensiero.
Codardi, bastardi! Quanto vorrei non essere mai cresciuta in un villaggio ninja…e invece no, io appartenevo al villaggio, e se poi ho deciso di andarmene e magari di prendermi qualche vendetta per le loro cattiverie, allora sono etichettata “da sopprimere”.
Ma non fa niente, è stato solo un incidente di percorso, il mio senpai li ha uccisi tutti. Ora ci penseranno due volte prima di mandare qualcun altro a colpirmi alle spalle…

E poi, all'improvviso, quelle parole.
"...tu non mi hai fatto venire perché non volevi che io sapessi che sei la figlia di Orochimaru?"
...
Sì.
Deidara lo sa. Glielo ha detto Kabuto quando ho perso i sensi.
Sento le sue braccia forti che mi stringono in volo, il suo calore che penetra piacevolmente nel mio corpo sofferente e nella mia anima maledetta. Il suo respiro sui miei capelli.
Lui lo sa, e mi sta stringendo a sé come prima.
Non gli interessa per niente.
Lo sa.

Mi sento strana, ma è piacevole.
Io sono la figlia di Orochimaru, il sennin traditore, l'uomo più malvagio che queste terre abbiano mai conosciuto, generata con il solo scopo di essere usata per i suoi folli fini. Questo è il mio segreto.
L'unica mia profonda verità, questo dato di fatto obbrobrioso che nemmeno io ho mai accettato e che come una malattia corrode e consuma la mia vita dal momento stesso della mia nascita,
proprio questo non sembra essere un problema per Deidara.
Lui lo sa, e lo accetta.

Mi sento strana. Proprio strana.
Mi viene quasi da piangere: mi sento protetta. Adesso anche tu lo sai, senpai, conosci il segreto che mi ha generata...è come se ora fossimo ancora più vicini, più uniti.
Tu vedi tutto di me, ed ami anche la mia parte più oscura, quella che io stessa detesto.
Niente più bugie, solo amore.

Credo di comprendere ora il profondo significato dell'esplosione, sai? E' un'energia dirompente, incontenibile, stravolgente tutta in un unico punto ed in un unico momento.
Qualcosa di molto simile a quello che sento dentro nel mio petto, proprio adesso.
Ah, no, mi sbaglio.
L'esplosione dura solo un istante, questo sembra destinato a durare in eterno.

All’improvviso mi rendo conto che si è accorto che sono sveglia. Sento che mi stringe il braccio, e anche se non posso vedere il suo viso so che sta sorridendo.
“Bentornata tra noi dolcezza.”
Il suo tono è tenero. Non sembra arrabbiato con me per tutto quello che gli ho taciuto, mi sento in colpa.
“Senpai…sei arrabbiato con me?”
“Sì, un po’ sì.” Ma la sua voce ride. “Ma in fondo me l’avevi detto che eri un’attrice falsa e bugiarda, quindi diciamo che un po’ me l’aspettavo. Ummm… facciamo così, ti schiaffeggerò un po’ quando sarai guarita. Così saremo pari.”
Cavolo, sembra parlare sul serio. Ma mi sento comunque molto meglio.
“Mmm…ma dove stiamo andando, Dei-senpai? Il lago del tricoda è dietro di noi, dall’altra parte…”
“Possibile che in un momento come questo pensi alla missione? Dovevi essere proprio una kunoichi esemplare prima di tradire…non li capisco quelli del tuo villaggio. Comunque niente tricoda, per ora. Andiamo a farti curare.”
“D’accordo…”
L’allusione al mio passato al villaggio mi fa sorridere. Ormai vede tutto di me. Sa dove colpire, non solo dove fa più male, ma anche dove fa più bene. Non sono mai stata così vulnerabile di fronte a qualcuno, ma stranamente non mi fa più paura.
“Dove, di preciso?”
“Non so. Il primo villaggio che troviamo ci fermiamo. Ma prima allontaniamoci un po’ di qui, direi che ci siamo fatti notare fin troppo in questa zona. Ah…dovremo anche trovarci degli indumenti normali, se ci presentassimo conciati così da qualsiasi medico, con la divisa di Akatsuki tutta stracciata e sporca, credo che riceveremmo solo schioppettate.”
“Ah…ma, pensavo fosse proibito andare in giro senza divisa…”
“Diremo che ci siamo procurati vestiti di fortuna prima di ricevere da loro tuniche nuove. Ma poi, scusa, ti sembra una cosa importante?...”
“Ma…non dovremmo andare da Kakuzu a farci curare? Credevo che non si potesse andare da altri…”
“Sciocchezze. Non gli permetterò mai di toccarti. E dove c’è Kakuzu c’è anche quella bestiaccia di Hidan…no no.”
“Ma scusa, la fate spesso questa cosa di confondervi tra i civili, voi di Akatsuki?”
“Assolutamente no, noi siamo i primi. E Pain si arrabbierebbe tantissimo se lo scoprisse…”
“Ma perché allora…”
“Sei troppo importante, tu. Molto più degli ordini di un capo che non s’è mai neanche fatto vedere in faccia. Cosa credi? Che ti lascerei nelle mani di Kakuzu?”
“Ma tu sei pazzo.”
“Ah ah…adesso te ne accorgi?”
Scoppiamo tutti e due a ridere, e nonostante l’allegria la ferita mi manda fitte lancinanti.
“D’altronde…” dice lui, stringendomi forte “…l’hai detto tu stessa che non è una cosa negativa. Ma che vuoi farci? Siamo artisti. Le uniche regole che seguiamo sono quelle che noi stessi ci prefiggiamo, e non ci facciamo condizionare da quello che vorrebbero fare gli altri di noi…giusto?”
Sospiro.
“Sì, hai ragione.”
Maledizione, sa dannatamente dove andare a colpire per farmi stare bene.

Sorvoliamo tutto il Paese dei Laghi: colline sempre più verdi, alte, basse, lunghe, sinuose scorrono sotto di noi come onde di un immenso oceano verdeggiante, sul quale si affacciano ogni tanto occhi lucenti di specchi d’acqua, che risplendono sotto il cielo splendente senza nubi.
Compaiono i primi alberi, e ci fermiamo accanto ad un piccolo paesino al limitare della grande foresta, vicino al confine con l’immensa Terra del Fuoco.
Deidara mi lascia dentro allo stretto ventre vuoto del grande uccello d’argilla, e sparisce per qualche tempo. Io sonnecchio, il tempo vola.
Quando torna, al posto della divisa lacera e sporca di sangue indossa una casacca blu scuro di tela, stretta in vita da una cintura dello stesso colore, e un paio di mezzi guanti di pelle sulle mani. I pantaloni chiari s’intonano bene al colore, e nel complesso, pur essendo molto semplice, questo vestito gli dona decisamente di più che quella specie di campana nera che nasconde la faccia della nostra divisa.
Mi lancia un vestito altrettanto semplice, verde chiaro, con la scollatura allacciata da piccoli bottoncini colorati. “Dove hai preso questa roba?”
“Era stesa fuori…sai com’è. Un colpo di vento.”
Ridiamo entrambi. Mentre mi aiuta a vestirmi mi fa notare che rispetto a questo vestito da ragazzina io ho un paio di taglie in più, e che le gambe sicuramente sborderanno un po’ troppo…ridiamo di nuovo e ci tiriamo buffetti. Prima di partire mi adagia una casacca di lana sulle spalle, e mi fa appoggiare su di sé per aiutarmi a camminare. Le mie proteste sul fatto che sembro una vecchia azzoppata in minigonna sono tutte inutili, e così acconciati entriamo nel paese, dove Deidara ha già trovato un medico compassionevole disposto a curare per non troppi spiccioli una povera ragazza finita al centro del fuoco incrociato durante uno scontro di ninja.

“Emh…”
La domanda che sto per fare è un po’ imbarazzante.
Sono stesa sul letto della casa del medico, che ha misericordiosamente accolto questa giovane coppia che ha perso tutto in agguato di ninja finché la dolce Yumi dai capelli neri –che poi sarei io- non sarà guarita. Deidara –che nella nostra farsetta si chiama Takashi, ed è pressoché irriconoscibile con tutti i capelli tirati indietro e con la faccia, per la mia gioia, ben visibile- sta seduto al bordo del letto, e stavamo facendo conversazione fino ad un momento fa, fino a che mi è tornata alla memoria quella sua frase di stamattina.
E, appunto, è una cosa imbarazzante.
“Ma…che intendevi dire stamattina con le parole “io e Saso-danna eravamo amanti”?”
La sua faccia allegra si rabbuia di colpo come se gli avessero tirato un pugno nello stomaco, in modo piuttosto comico in effetti, e poi abbassa la testa fin sulle mani, nascondendosi la faccia.
“Merdissima…mi ero scordato di avertelo detto…”
Mio malgrado, scoppio a ridere –procurandomi un dolore forte e vendicativo nella schiena-, vinta dalla sua reazione buffa. Non sono più gelosa, non così tanto, almeno, anche perché sarebbe abbastanza da pazzi esserlo di una persona morta.
“Beh…intendevo dire quello che ho detto. È così. Non volevo che lo sapessi, insomma…”
“Poi tutti in Akatsuki ti prendevano in giro…ahahah…che stupidi.”
“E’ imbarazzante…”
“Oh, sì. Peggio che noi due.”
“No, non è proprio la stessa cosa…”
“Beh, eravate due maschi…”
“Emh…”
“Credevi che avrei pensato che sei
o-mo-sessuuuale?
“In realtà…”
Si volta a guardarmi, serio, un po’ turbato. Ma anche sereno. Non saprei, non l’ho mai visto così.
“…io stesso pensavo di esserlo, prima di incontrarti.”
“Oh.”
Sorride, strofinandosi le dita sugli occhi. Non so perché, ma mi sembra terribilmente bello, così, senza il suo solito sorriso accattivante e provocatore. Senza la sua solita maschera. Anche lui ha gettato via tutte le difese, proprio come me.
“…sai, io avevo sedici anni. Saso-danna trentadue. Io non sapevo nulla di queste cose…ero praticamente un bambino. E lui, sai, sotto quella marionetta gobba di tre quintali era…tremendamente bello.”
Si mordicchia le dita, guardando fuori dalla finestra il sole che cala, inondandoci di luce rosso sangue. Parla senza nessun rimorso, senza nessun dolore. Mi chiedo il perché: ricordo perfettamente la sua reazione alle allusioni dei compagni in Akatsuki…era come se impazzisse, una volta mi ha perfino fatta preoccupare. Non lo so.
“Ma sai, credevo di aver capito tutto allora. Gli ero molto affezionato, ed anche se litigavamo in continuazione l’ho sempre rispettato moltissimo. E pure lui, anche se stentava a dimostrarmelo, aveva i suoi modi di rispettarmi. Sono stato male quando è morto, davvero. Anche se ora mi sono reso conto di non aver capito proprio niente: quello era sesso. L’amore è un’altra cosa.”
Mi lancia uno sguardo, timido, il primo da quando ha incominciato a raccontarmi la sua storia, e sorride.
Di nuovo quella sensazione, quell’esplosione dentro.
Allungo la mano e gli accarezzo la guancia, lui strizza gli occhi come un cucciolo. Gli passo le dita tra i capelli, tesi sulla nuca in una cipolla disordinata in cima alla testa, e li scompiglio, li sciolgo.
“Resta accanto a me, stanotte, per favore Dei-k…khem, Takashi.”
“Sì sì…Yuri…”
“Ah ah…guarda che mi chiamo Yumi…”
Di nuovo ci mettiamo a ridere, sommessamente. Lo facciamo spesso, spessissimo da ieri. Sono felice. Ho un buco nella schiena, il mio ex villaggio mi vuole morta, Orochimaru vuole il mio corpo, ma sono felice. Sono davvero felice.
“Sai senpai…”
Chiude le tendine della stanzetta e si stende accanto a me, vestito.
“…non mi importa niente di quello che dicono gli altri. Ti amo e basta.”
“Neanche a me importa più.”
“Senpai…ma tu ti saresti innamorato di me anche se ero un maschio…?”
“Pfff. Che domande sceme che fai. Certo che sì.”
Nella penombra del tramonto sorrido. Certo che Deidara è proprio forte.
Ci addormentiamo così, accarezzati dalla brezza fresca della foresta che entra facendo frusciare le tendine, stanchissimi.
Sono davvero, davvero felice.


Eccomi tornata ad aggiornare! Un ringraziemento speciale a tutti quelli che leggono/commentano, mi date sempre tante soddisfazioni!
Beh, che dire, ho preso il vizio delle immagini. A parte questo, per fare il capitolo qui sopra mi sono divertita un sacco! Voi che ne pensate?

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Capitolo 28
*** Chapter 27 -Ambush- ***


Ambush



Deidara e Tsukaiko furono svegliati da un grido.
Entrambi aprirono gli occhi all’istante, attraversati da un lampo gelido. Tsukaiko gemette e tentò di issarsi seduta come aveva fatto il suo compagno, ma lui la spinse di nuovo giù con malagrazia.
Altre grida.
“Sta ferma.”
Il nukenin biondo fece appena in tempo a gettare la coperta sopra la sua ragazza, prima che il muro della porta fosse sfondato e distrutto con fragore. Tutto crollò all’improvviso, il fuoco invase la stanza arroventando il viso di Deidara e divorando le tende e quello che restava del muro.
In quell’inferno di fiamme roventi si udirono altre grida disperate, e voci perentorie e minacciose. Deidara vide una sagoma di uomo, poi di due, di tre.
Seppe subito chi erano e cosa volevano, anche senza stare ad ascoltare le loro parole.
La rabbia ed il risentimento gli offuscarono la vista, e scoppiò a ridere, quando le fiamme si furono un poco dissolte, poco prima del secondo assalto. Una risata folle e cattiva, piena di disprezzo.
Gli uomini si riversarono nella stanza insieme al fuoco con grida e minacce, e trovarono il nukenin in piedi fra le fiamme, con il volto distorto dal folle ghigno e le mani impostate in una posizione della Terra. Non ebbero il tempo di poggiare il loro sguardo sulle lenzuola deformi, che nascondevano il loro obbiettivo fremente.
Le cose iniziarono ad esplodere.

La casa di quel povero medico di periferia fu all’improvviso sconquassata da schianti terribili, la gente si catapultò fuori dalle abitazioni e cominciò a correre per le vie, atterrita e urlante.
Uomini ed oggetti si stavano tutti sublimando senza distinzione alcuna.

“Morite tutti, maledetti bastardi! Morite! Morite! Gioite e morite! Esplodete! Con la vostra morte sublime raggiungerete l’apice delle vostre inutili ed insulse vite, bastardi! Bastardi maledetti!”

Tsukaiko si strinse sotto il suo lenzuolo, percependo il furore del fuoco e degli schianti. Il respiro le si mozzava in gola, il dolore alla schiena era insopportabile. Ebbe la consapevolezza che il mondo attorno a lei stava esplodendo.
Faceva malissimo dappertutto, ma si sentì invadere all’improvviso da una gioia incontenibile.
Tutto ciò che aveva imparato di nuovo sulla Bellezza stava acquistando un senso.
Tutto il suo essere stava acquistando senso.
Percepì mani, molte mani che la afferravano, e le urla di Deidara. Uomini forti e odiosi che volevano potarla via.
Tutta la potenza della promessa che aveva fatto a sé stessa, di non arrendersi, di essere libera, di far saltare con furia eccelsa tutte le catene che la imprigionavano, la invase e la possedette accendendola di energia dirompente.
Strappò le mani dei rapitori via da sé e cominciò ad attaccare alla cieca tutti i ninja che scampavano alle esplosioni, incurante del buco sanguinante che le impediva il respiro. Li fece saltare con l’Arte del Vento, gocce di bianco che si espandevano all’infinito con potenza impareggiabile. Rise.
Luce ovunque, esplosioni ovunque, era come un’estasi.
Non le interessava il fuoco sulle gambe, perché chiunque l’avesse evocato si era appena trasformato in un’abbagliante magnificazione di Bellezza.
Tutto aveva senso, ora.
L’Arte è esplosione.

Tutto era confuso, tutto era un roboante trionfo di morte.
Senza quasi accorgersene, Tsukaiko si ritrovò in piedi accanto a Deidara su una delle sue opere a forma di volatile, senza sapere come ci era arrivata, senza sapere perché le sue gambe erano bruciate e sanguinavano, senza sapere perché il suo compagno avesse tre kunai piantati in un braccio ed un ustione sul viso. Spiccarono il volo e videro dall’alto l’inferno che avevano creato.
E risero.

Gli uomini del Suono, giunti in massa su ordine del Sommo Orochimaru per recuperare la sua figlia ribelle senza possibilità di fallimento, videro il loro obbiettivo ed il suo partner innalzarsi nel cielo, e capirono che coloro con cui avevano a che fare non erano altro che due pazzi, due pazzi furiosi che ridevano.
Tutto esplodeva, regnava il caos.
Ogni loro tentativo era stato inutile, quei due sembravano in preda all’euforia ed all’odio insieme, avvicinarsi senza morire era impossibile.
In quindici avevano provato ad attaccare direttamente, in quindici erano morti.
Scelsero la ritirata, e tirarono a sorte lo sventurato che avrebbe riportato la notizia del fallimento al sommo Orochimaru.

Deidara e Tsukaiko volavano alti, quando all’improvviso alla ragazza le gambe non ressero più.
Si afflosciò all’improvviso senza un suono, e Deidara fece appena in tempo ad accorgersene con una scarica di adrenalina gelida, riuscendo ad afferrarla sotto le ascelle per impedire che cadesse da un’altezza spropositata e finisse schiantata al di sotto. Ingoiò l’urlo che gli era passato tra le labbra per non spaventarla e la fece sedere sul dorso del volatile.
Era molto pallida.
“Cavolo…che male.”
Tsukaiko sorrideva, nonostante il dolore. La tela verde del suo vestitino si era macchiata di sangue scuro in corrispondenza delle ali.
Lo spavento improvviso riportò alla realtà i due artisti, come una secchiata d’acqua ghiacciata nel bel mezzo di un sogno profondo e meraviglioso, e schiarì le loro menti frastornate.
Tutto fu chiaro, tutto quello che era appena accaduto, e la verità li sconvolse dura e cruda come un’onda anomala in piena faccia.
“Senpai…il medico…”
“E’ morto.”
Deidara stringeva la compagna tra braccia e guardava giù: la casa che li aveva misericordiosamente accolti non esisteva più. Tra i fumi che ancora salivano al cielo, al confine del bosco, erano visibili solo macerie. Anche altre case erano state coinvolte, ed i civili ancora correvano per le strade agitandosi come formiche. Il nemico sembrava scomparso, probabilmente avevano optato per la ritirata. Entrambi potevano rendersi ben conto dell’accaduto solo in quel momento: prima erano stati sopraffatti dalla loro Arte, dalla loro furia distruttrice, ed avevano fatto saltare in aria ogni cosa che avevano intorno senza pensare lucidamente.
Ma almeno erano riusciti a fuggire.
“Devono aver usato un sensitivo…quei maiali…” mormorò la mora con odio.
“…già. Non hanno aspettato nemmeno un secondo ad inseguirci, dopo che hai sconfitto quell’Uchiha…ah, che stupido! Avrei dovuto prevederlo…”
“Non è colpa tua, dai…”
“…e adesso non ci lasceranno respirare neanche per un istante. Merda. Saranno stati una trentina…la prossima volta potrebbe arrivare Orochimaru in persona.”
Ci fu un attimo di silenzio assorto. Deidara digrignava i denti, maledicendo se stesso in silenzio e masticando promesse di vendetta. Perdere il controllo in quel modo era stato da vero idiota, ma era stato più forte di lui: l’odio e la rabbia avevano preso il sopravvento, e l’Arte aveva fatto il resto. Aveva distrutto tutto a caso, attirando sicuramente l’attenzione di tutti i presidi ninja presenti nel raggio di kilometri e kilometri, e poi, soprattutto, non era riuscito ad impedire che Tsukaiko si alzasse e prendesse parte al combattimento. Adesso la sua ferita si era sicuramente riaperta.
Inoltre, era stato così idiota da pensare di essere volato abbastanza lontano da guadagnare almeno un paio di giorni di tempo dagli inseguitori che il Suono gli avrebbe messo inevitabilmente alle calcagna dopo la sconfitta dell’Uchiha. Idiota, idiota.
Orochimaru aveva covi in tutto il Paese, figuriamoci.
Avrebbe dovuto pensarci prima.

“Dobbiamo andare via, il più lontano possibile, dobbiamo nasconderci in uno dei nostri covi, almeno finché non riuscirò a reggermi in piedi.”
La voce di Tsukaiko era amara, mentre parlava scoprì il braccio del suo compagno dalla manica della casacca e strappò un pezzo di stoffa dove avevano colpito i kunai. Cominciò a fasciarlo, con aria afflitta. Deidara notò il suo abbattimento, ma in quel preciso momento non seppe che dire. Si sentiva il petto ingombro di sensi di colpa per la sua incompetenza e per il suo stupido errore.
“Mi odi, adesso, senpai? Sei così pazzo da aver scelto di restare al fianco di una creatura maledetta, e la maledizione perseguiterà anche te, finché resti con me.”
Il ragazzo inizialmente spalancò gli occhi, stupito da quella frase così terribile, ma poi emise una risatina stanca, lasciandosi curare docilmente le ferite.
“Devi essere proprio depressa per dire una cosa del genere. Ti sei forse dimenticata il nostro obbiettivo finale?”
“Eh…?” Tsukaiko si volse a guardarlo negli occhi, senza capire.
La performance più magnifica che si sia mai vista. La nostra vittoria segnerà anche il picco più alto dell’Arte di tutta la storia. Mi sembrava che avessimo deciso così, un? Sinceramente non vedo l’ora di far saltare in aria anche il resto della marmaglia, magari con un po’ più di preavviso…”
Sorrise con fare colpevole, mentre la ragazza gli medicava l’ustione sul viso.
“Presto tutto questo sarà finito. E noi due insieme raggiungeremo la perfezione. Ti sembra una cosa per cui deprimersi?”
“No…”
Tsukaiko tirò le guance in un sorriso, con le gote arrossate. Tentò una risata, ma dai suoi occhi cominciarono a scendere una, due, tre lacrime, una dopo l’altra. Una risata singhiozzante di pianto.
Deidara la abbracciò.
“Vedrai che andrà tutto bene,
bambina mia.”


Sono tornata! ^^
Come al solito, un enorme ringraziamento a chi mi commenta, e anche a chi mi legge! -fa bene all'autostima degli scrittori...lol-
Sembra che le cose si stiano mettendo male...ebbene sì, sono sadica e non lascero a questi due poveracci nemmeno un attimo di pace! XD Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e, come scritto sopra, qualsiasi commento sarà graditissimo!
Ecco qualcosa molto nello stile di Tsukaiko, la battaglia.

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Capitolo 29
*** Chapter 28 -We are forsaken- ***


We are forsaken



Non abbiamo molta scelta, adesso.
Stiamo volando a massima velocità verso il covo ad est, l’unica cosa che possiamo fare in questo momento è appoggiarci alla nostra organizzazione. Siamo praticamente dei disperati.
Che vergogna.
Braccati come animali da ben due villaggi ninja, feriti ed impossibilitati a combattere, siamo costretti a farci curare le piaghe da Kakuzu, ed infine nasconderci in una delle nostre tane per tutto il tempo sufficiente a farci riprendere le forze necessarie alla distruzione di un villaggio potente come quello del Suono.
Le ferite a cui mi riferisco, naturalmente, sono quelle di Tsukaiko.

Riposa, nascosta nel ventre della mia opera.
Come avevo immaginato, un paio dei punti che le erano stati applicati alla schiena sono saltati, e per di più la pelle sui bordi della ferita si sta infiammando. Non va bene.
Giuro, l’ultima cosa che vorrei fare in questo momento è quella di rivedere quella sottospecie di zombie rattoppato e maleodorante di Kakuzu, e sentire tutta la manfrina che tirerà sicuramente fuori dopo aver capito che abbiamo cercato di evitarlo in tutti i modi. Nauseante…
Per non parlare di quell’idiota di Hidan: sarà sicuramente felicissimo di non togliersi dalle scatole neanche per un secondo per mettersi a punzecchiare Tsuka-chan sul suo padre degenere e me sulle mie “scandalose avventure sentimentali”…insopportabile. Potrei sempre fargli saltare in aria qualcosa, umh, sì, niente male come idea. Non sarebbe una grande perdita, lui non ci serve a niente, non è lui che deve curare Tsukaiko.

È tardi, ormai. Fa freddo quassù.
Con l’aria ghiacciata dell’oscurità resa fitta dal calare del tramonto che mi sbatte in faccia non ho voglia di pensare: mi deprimerei se lo facessi, e non posso farlo. Ho qualcuno di troppo importante a cui badare per permettermi di abbandonarmi alla tristezza, ho qualcuno che devo mantenere felice e far stare bene, che devo riempire di speranza per il futuro e voglia di combattere, che devo aiutare a guarire. No, se permettessi all’abbattimento di prendermi, avrei fallito ancora prima di cominciare. La notte è buia: il sole ha appena ritirato tutte le sue braccia di calore e luce nel baratro dell’orizzonte, tutti i suoi raggi dorati e cremisi, sì, uno per uno, fino all’ultimo sottile filo di luce che è stato come un ultimissimo ed arido addio, e ci ha abbandonati.
Ci ha abbandonati al freddo, ed io non devo pensare.

Avvisto il fianco di un’altura rocciosa a poca distanza, eccoci, siamo arrivati.
Gli alberi la circondano come un mare, occultando l’ingresso nascosto del nostro covo: nonostante la scarsa visibilità so bene dove condurre le ali della mia cavalcatura e con ampi battiti inizio a girare in circoli concentrici sempre più stretti, preparandomi per la discesa.
Ho freddo: più ci allontaniamo dal cielo e più la luce seppur vaga delle stelle ci abbandona. È sempre più buio. Devo evitare di pensare, anche se un brivido che non so se sia per l’aria notturna o per cos’altro mi attraversa tutte le membra accendendo di dolori reumatici le cicatrici sulle braccia.
Le zampe imponenti del mio volatile toccano il suolo con un leggerissimo suono ovattato, facendo solo scricchiolare qualche rametto. Siamo finalmente arrivati, e la mia parte di mente che sto cercando di ignorare tira un sonoro sospiro di sollievo: questa volta sono sicuro che nessuno ci ha seguito, abbiamo volato sempre coperti dalle nubi candide ed ho compiuto un tragitto illogico e pieno di deviazioni prima di giungere qui, appositamente per eventuali depistaggi.
Salto giù dalla mia opera ed infilo la testa nel suo becco per svegliare Tsuka-chan, lei apre subito gli occhi ed afferra la mano che le porgo per uscire allo scoperto, facendosi tirare pesantemente da me. Un brivido scuote anche lei, una volta uscita allo scoperto. D’altronde, indossiamo ancora questi leggeri abiti da civili.
Si appoggia a me ed insieme arranchiamo fino all’entrata nascosta dagli arbusti del sottobosco.
Appena entrati, veniamo accolti da una risata idiota.

“Deidara-senpai! Sembri una donna con quei capelli sciolti! Ahahahahahah! Sai che mi piaci? Quasi quasi mi innamoro di te…”

Non è la voce che mi aspettavo di sentire, maledizione. I miei occhi che piano piano si stanno abituando a distinguere le figure nel buio più fitto scorgono un uomo seduto sulla pietra accanto all’ingresso, e dall’oscurità emergono una mano guantata di nero ed una maschera arancione.
Tobi.

“Beh? Sembrate conciati piuttosto maluccio ragazzi. Che fine ha fatto la divisa?”

Un’altra voce che non avevo assolutamente voglia di ascoltare di nuovo. Non ho bisogno della vista per capire da dove essa proviene e le mie mani, muovendosi da sole, frugano sulla schiena di Tsukaiko, prendono i falcetti e li lanciano nel buio.
Segue un tonfo pesante ed un rumore metallico.

“Ehi ma che fai, sei scemo? A momenti mi prendevi un occhio!”
“Razza di cactus bastardo di merda!!! Perché non ci hai dato una mano l’altro giorno, eh!? Te la sei svignata come tuo solito dopo aver sbirciato nascosto sottoterra come un topo e poi sei sparito come un codardo!!! Ti ho promesso che te la farò pagare e lo farò!”

La rabbia improvvisa e dirompente che mi offusca il pensiero e la vista conduce di nuovo le mie mani a gettarsi nel sacco sulla cintura e a mordere un ingente quantitativo di C2, ora lo faccio fuori quel pezzo di merda, lo ammazzo!
Ma qualcosa immobilizza la mia mano, delle dita strette debolmente sui tendini tesi e frementi del mio polso. E poi sento una voce flebile ed un fiato tiepido all’orecchio: “Senpai…” dice, “…per favore, senpai, adesso non è il momento.”
Sento il sangue all’improvviso defluire giù dalle tempie, e mi ritrovo ansimante col cuore che mi martella nel petto ed il polso stretto dalla mano gentile di Tsukaiko. La furia scema, ma sono comunque molto arrabbiato: cosa diavolo ci fanno qui Tobi e Zetsu?

“Ouh, che caratterino! Mi piaci mi piaci!” continua a blaterare Tobi, ma sono troppo, troppo stanco e arrabbiato per badargli.
“Dov’è Kakuzu…? Abbiamo bisogno di lui, non di ascoltare le vostre stronzate…”
“Ahia, cadi male Deidara-sempai!”
Tobi salta giù dal suo sedile roccioso e si avvicina a noi con quel suo fare infantile, non ho neanche la forza di irritarmi a causa sua. Zetsu non si sente più, probabilmente l’ho spaventato abbastanza da fargli desiderare di sparire sottoterra.
“Mamma mia, che faccia che avete!”
“Già…” mormora Tsukaiko “…ora chiamaci Kakuzu, per favore, Tobi-chan”
“Non posso.”
“Come no?”
“Proprio non posso.”
“Tobi, cazzo, vuoi che ti stacchi la testa…!?”
“Shhh…senpai…”
“Kakuzu non c’è. Lui e Hidan sono partiti per una missione ieri.”
“…cosa?”
“Hanno detto di dover partire alla ricerca dell’enneacoda, il capo ha molta fretta.”
“…la ricerca dell’enn…”
“Mi sa che non li rivedremo molto presto…ihihihihihih!”

Le mie gambe all’improvviso si svuotano dell’ultimo briciolo di energia che le teneva in piedi e cedono sotto il mio peso, cado in ginocchio trascinando giù la mia compagna.
Sono stanco, e Kakuzu non c’è.
E sono troppo debole per mettermi a pensare ad una soluzione o per arrabbiarmi di nuovo.
Tsuka-chan appoggia la fronte sul mio collo, accasciata al mio fianco, ed emette un lieve gemito soffocato. Anche lei non ce la fa più.

“Perché ti serve così tanto Kakuzu, Deidara-senpai? Non ti basta Tobi?”
“Ah…avete scelto il momento peggiore per farvi ammazzare, ragazzi. In questo momento non c’è nessuno che possa guarirvi come si deve.”
Zetsu ricompare dall’oscurità con una torcia in mano, ed avvicinandosi al muro dà fuoco alle lanterne che sono appese lungo la parete, illuminando almeno parzialmente l’ambiente.
Così riesco a vedere la sua brutta faccia a due colori.
“Zetsu…vieni un attimo qui vicino a me.”
Lui mette giù la fiaccola e si inginocchia accanto a me e Tsukaiko.
POW!
Il mio pugno gli arriva dritto sul naso.
“…mmmpf…”
“Questo è per aver fatto il guardone.”
“Mmm…come vuoi spiritosone.”
Sposta con un gesto annoiato la mia mano dalla sua faccia, ed io la lasco ricadere sul terreno sassoso, senza riuscire a trovare la forza di opporre resistenza.
“Dovresti ringraziare il cielo di averci trovati, perché io e Tobi stavamo per levare le tende. Se non foste stati così fortunati sareste arrivati qui scoprendo di essere tutti soli. Ma sarò buono: dirò al capo che avete bisogno di un paio di tuniche nuove e vi procurerò qualcosa per mangiare finché non sarete in grado di andarvene per conto vostro. Scommetto che siete qui solo per nascondervi, eh…? Ma certo, avrete sicuramente il Suono alle calcagna dopo tutto quel casino…bah. Buon per te che siamo nella stessa organizzazione.”
Detto questo, quella sottospecie di pianta carnivora si rialza e sparisce di nuovo sottoterra, con una smorfia a metà tra il seccato ed il divertito sul volto.
“Beh, ragazzi, io invece me ne devo proprio andare! A presto Tsuka-chan! A presto biondina!”
Ed anche Tobi ci lascia, disfacendosi nell’oscurità che lo circonda.
Restiamo soli, stanchi, infreddoliti, inginocchiati al suolo nella grande e vuota caverna.
Abbandonati.


Eccomi tornata con il nuovo capitolo! Spero che vi sia piaciuto, le cose si fanno sempre più tragiche...
Spero di continuare la pubblicazione con un minimo di regolarità, perchè purtroppo la VITA REALE è un po' invadente...-XD-
Come al solito, grazie a tutti i lettori e i recensori, mi dà sempre la carica leggere i vostri pensieri, e ne attendo anche qui sotto!
Ed infine...
Buon Natale e Buon Anno Nuovo a tutti voi!!! *.*
(personalmente sparerò mille fuochi d'artificio urlando GENJUTSU WA BAKUHATSU! ...)

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Capitolo 30
*** Chapter 29 -Sweet hopes- ***


Sweet hopes



Il fuoco scoppietta piano a qualche metro da dove sono accucciata, arrostendo gli ultimi due esemplari di pesce di fiume che Zetsu è passato a portarci un paio d’ore fa, unici reduci di un gruppo che di membri ne contava più o meno una decina, ora tutti morti e sepolti nel fondo dei nostri stomaci. Con la pancia piena tutto sembra sempre un po’ meno brutto, già.
Il fuocherello ci riscalda i piedi e le ossa infreddolite, illuminando appena l’immenso e risuonante ambiente della caverna: fuori si è pure messo a piovere, e l’umidità di certo non aiuta i dolori della mia ferita a passare. Non mi importa molto, mi ci dovrò abituare, visto che Kakuzu è in missione fino a chissà quando e non può curarmi, sono una kunoichi e non mi posso mettere a lamentarmi per un po’ di bruciore ad una ferita, come una bambinetta. Io non sono più una bambina, anzi, non lo sono più da molto più tempo di molta gente della mia età, visto che mi rifiuto di chiamare infanzia ciò che ho vissuto al mio villaggio da quando ho imparato ad intendere e volere fino al mio tradimento.
Sarà anche per questo che mi piace così tanto quando Dei-senpai mi chiama “bambina”: mi fa sentire a casa, è come se fosse diventato la mia famiglia, ma anche senza “come se”. Lui è la mia famiglia, è tutto quello che ho.
Sonnecchia, appoggiato con la schiena ad un masso, le gambe ben stese in avanti e le mani incrociate sulla pancia. La testa gli pende tutta su una spalla, ed i capelli gli cadono in faccia come una tenda sugli occhi, caldi e risplendenti come un’aureola alla luce tremolante e rossiccia delle fiamme.
Cavolo, com’è bello quando dorme.
Finalmente riesce a riposarsi un po’ dopo tutto il tribolare e le incazzature che ha subito per colpa mia, ed il suo volto da angelo è disteso e sereno come se andasse tutto bene, come se fosse già tutto finito. All’improvviso mi coglie il desiderio di accarezzarlo, di entrare in contatto con la sua pelle tiepida, e gattono accucciandomi accanto a lui, appoggiando la testa nell’incavo del suo collo ascoltandolo respirare.
Ho pensato molto, in queste ultime ore.
Ed i miei pensieri non erano felici, per niente.
Adesso vorrei solo stargli accanto come se nulla fosse, non ne posso più di tutto questo dolore e di queste divagazioni contorte e angoscianti: vorrei che fossimo felici come la prima volta che ci siamo amati, quando l’unica protagonista nella nostra vita era la passione e non un’ombra di morte. Voglio dimenticarmi di tutto, solo per qualche momento, voglio il mio brevissimo attimo di serenità, lo pretendo.
Sollevo la mano fino ai suoi folti capelli biondi, immergo le dita tra le ciocche d’oro tutte annodate dal vento che le ha scompigliate per tutto il giorno, in volo, avvicino le labbra al suo collo e mi beo del suo odore bollente, del suo sapore. Brividi sottili di piacere percorrono le mie membra ad ogni tocco, e vibro come un gattino che fa le fusa, sentendo il fuoco elettrico risvegliarsi e ardere sotto la mia epidermide e all’interno del mio ventre.
Ho pensato che questa potrebbe anche essere l’ultima volta che ci amiamo, perché il futuro è incerto e pericoloso, e se ci penso ho paura: dopo aver rimuginato tutto il giorno in stato di semi-coscienza, ho raggiunto la conclusione che la cosa peggiore che possiamo fare in questo momento sia quella di scappare e nasconderci. Nessun luogo è sicuro in eterno, e senza dubbio Orochimaru tenterà sempre di colpirci quando crederemo di essere più protetti, e quindi temporeggiare, ora, -come avevamo deciso di fare- sarebbe come condannarci a suicidio. No, questa storia deve finire subito. La cosa migliore che potremmo fare è attaccarli noi, di sorpresa, proprio quando ci crederanno nascosti a leccarci le ferite, e devastarli completamente fino all’ultimo uomo.
Lo so, ma ho paura: io sono ferita, e Deidara-senpai…temo che potrebbe fare follie e farsi ammazzare, ed io non riuscirei a sopportarlo, solo all’idea mi viene la nausea. Non posso perderlo, e non voglio morire, non ora: devo passare la mia vita con lui.
Tutto questo mi riempie di paura, e la mia mano scivola dal suo collo più giù, ad accarezzare il petto snello ma forte, e si sofferma un pochino appena sotto lo sterno, dove si sente rimbombare al di sotto il pulsare regolare della sua vita.
Ma non voglio pensare, ora, no. Voglio solo serenità, me ne basta solo un poco.
La mano scende giù, accarezza la pancia piatta e muscolosa, scende ancora e si infila sotto la casacca blu, raggiungendo finalmente il contatto di fuoco con la carne calda al di sotto.

“Bambina…”

Il suo sussurro mi incendia di desiderio affamato, languido e dolce, dischiudo le labbra e gli bacio il collo caldo, nutrendomi di lui e delle sue mani che cingono con forza e calma i miei fianchi e mi stringono a sé. Le sue labbra, la sua bocca rassicurante e un po’ intontita dal sonno.
Con dita delicate gli slaccio la cintura dei pantaloni.

“No…non adesso, sei ferita…”
“Se non ora, quando…?”
“Quando avremo la nostra casa…”

“Io lo voglio anche adesso. Sei tu la mia casa…ti prego.”
Mi inginocchio sopra di lui, dopo aver lasciato le mutandine da qualche parte dove ero seduta prima, e ci stringiamo l’un l’altra assaporando il calore reciproco, annegando nel nostro bacio appassionato.
Lo so che anche lui ha pensato la stessa cosa che ho pensato io, oggi: ha pensato che se vogliamo sopravvivere dobbiamo buttarci all’assalto come due pazzi scatenati, secondo il nostro stile d’altronde, e rischiare il tutto e per tutto in un tentativo disperato in cui metteremo in gioco il nostro futuro e le nostre vite. Sa che non c’è alternativa, se vogliamo conservare un flebile soffio di speranza.
Sa anche lui che potrebbe essere la nostra ultima notte.
Anche lui ha paura.
Lo sento nell’ansiosa passione con cui mi stinge sui fianchi, nella disperata dolcezza del suo bacio, e lo sento nel suo debole tentativo di rifiutarmi, che non regge più a lungo di un sassolino che cerca di arginare l’oceano.
Lentamente ci uniamo, con una scarica di calore che mi pervade e fugge fuori in un gemito dalle mie labbra dischiuse, ma senza violenza, con gentilezza, come avesse paura di rompermi, ed io gli circondo il torace con le braccia e mi aggrappo al suo abbraccio, sopraffatta.
Quante volte abbiamo fatto l’amore in questo poco tempo…? Non le ho contate, e se l’avessi fatto cercherei di dimenticarne il numero come scongiuro, ma non ce n’è mai stato bisogno, perché ogni volta era da prendere a sé, come unica. Ogni volta c’era qualcosa di nuovo, tracce dell’emozione della prima sotto la luna, parole non dette, complicità nascoste, sorrisi aperti…ogni volta è come se fosse la prima, nuova, irripetibile. Ma adesso…
Non ci sono parole per descrivere quello che provo, che sto provando.
L’anima filtra dai pori della pelle, si insinua e si fonde, incendio.
“…andrà tutto bene, vero?”
“Certo.”
“…davvero?”
“Sì.”
“…e dopo…?”
“Dopo…”
“Ripetimi quello che hai detto prima…”
“Dopo avremo una casa.”
“…una casa…”
“Una casa vera…di quelle dove tornare.”
“Smetteremo di fuggire…”
“Avremo un posto dove tornare. Non ho mai avuto un posto dove tornare…solo me stesso. Ma la cosa non era un gran che…sono irritante.”
“Ahahah…è vero…”
“Già…”
“E poi avremo dei figli.”
“Emh…”
“Ne voglio tre! E non staranno mai zitti, come loro padre!”
Ubriaca di lui, scoppio in una risatina dolorosa, mentre mi stringe con più forza e affonda ancora di più i suoi baci nel mio collo, fra le mie corte ciocche corvine.
“La farò io una casa per te, te la regalerò, sarà bello…”
“Sì, sarà bello…”
Inutile tentare di dare ancora un senso alle parole, annegano, soffocano, muoiono confuse nel rimestio impazzito della nostra fusione di carne e di anima. Mi perdo in lui, tutto il pericolo, il dolore, il mondo si dissolvono, almeno per adesso, almeno per un momento.
Almeno finché possiamo ancora sperare.

I miei sogni sono quieti, mi scorrono veloci dentro agli occhi, lascio che restino a tenermi compagnia ancora per un po’, preservandoli dalla luce dell’alba e dalle lame brillanti e chiare della veglia. Il mio corpo è abbandonato, l’unica coscienza che ne ho è il calore intenso che placa il dolore alla schiena, il contatto della mia pelle contro un abbraccio familiare e rassicurante.
Vedo un prato fiorito, un cielo azzurro.
Lontano, montagne.
Un sorriso, un paio di occhi ridenti, azzurri come il cielo sulle montagne.
Vedo le catene che mi cingono al passato spezzate in terra, in frammenti brillanti, ed il mio futuro libero, aperto, mio, nostro.
Il mondo è nostro, e anche il cielo. Tutto.
Pace.

Qualcuno alle mie spalle si sveglia, e si muove, distogliendomi dal dormiveglia e maltrattando la pelle infiammata tra le scapole, poi si sposta lasciandomi al freddo.
No…per favore senpai, ancora due minuti…
Lasciami sognare ancora due minuti, due minuti di paradiso.
Di dolci speranze.



Buonasera miei gentili ascoltatori, eccomi qui con il nuovo capitolo caldo di forno!
Voglio fare un ringraziamento speciale a October, Emmevi e Hoel, che sembrano intenzionate ad esaminare e commentare ogni capitolo di questa mia storiella! Grazie! *.*
Un grazie super-gigante anche a chi legge senza commentare, naturalmente, e anche a tutti i vari "seguiti"-"preferiti" ecc!
Pubblico ora in extremis e spero di tornare presto, domani ho il mio primo esame in università...- Aiuto!!! XD-
A presto!

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Capitolo 31
*** Chapter 30 -The end is about to begin- ***


The end is about to begin



Il momento prima dell’alba è sempre il più buio.
Poi, il cielo cominciò a tingersi timidamente d’azzurro, all’orizzonte, ed i raggi del nuovo giorno pian piano invasero tutto il paesaggio, penetrando col loro calore e le loro aspettative in ogni anfratto oscuro. Illuminarono fiocamente l’ingresso di una caverna nascosta, introducendo la loro luce attraverso le fronde che ne mimetizzavano l’ingresso, rivolto verso l’aurora.
Il bianco chiarore svegliò Deidara, che stava dormendo abbracciato a Tsukaiko, e lui strizzò gli occhi infastidito, prima di sollevarsi a fatica sulle braccia e soffocare uno sbadiglio. Faceva freddo, e la pelle che prima era a contatto con quella della ragazza reclamava il calore perduto, pizzicando all’aria mattutina. Guardò fuori, e vide l’alba. Poi guardò Tsukaiko, che si era rannicchiata fingendo di dormire ancora, evidentemente poco propensa all’idea di dover aprire gli occhi: la luce bianca le illuminava la pelle macchiata di lividi, rendendola simile a neve, neve sporca, ma purissima; le bende attorno al suo torace si stavano sciogliendo, e in alcuni punti si erano strappate.
Il ragazzo le toccò un braccio e lei si sollevò subito seduta, esponendo il suo volto bianco alla luce, i suoi occhi di pece nera troppo lucidi e privi di stanchezza per quell’ora mattutina, svegli. Non si dissero nulla, semplicemente Deidara le rivolse un cenno col capo, e lei annuì.
Sapevano già quello che stavano per fare.

L’aria si stava scaldando lentamente, ed il sole stava ammiccando alla sua prima apparizione, quando due figure uscirono dal fogliame, silenziose, nella pace irreale dei primi momenti del sorgere. Tsukaiko avanzava per prima, il torace strettissimo in tre strati di bende immacolate, esposto alla luce del primo giorno fra i lembi neri della tunica, completamente slacciata per lasciarle maggiore possibilità di movimento. Il suo passo svelto non tradiva nessun segno di sofferenza, il suo sguardo era di granito: avanzava tra le foglie silenziosa come un fantasma, incedendo passo dopo passo contro la follia più stupida e importante della sua vita, determinata a recidere con vigore tutti i legami che le ammorbavano il cuore.
Respirava purezza e libertà, quella mattina.
Deidara la seguiva a pochissimi metri di distanza, avvolto nella veste nera, con i capelli raccolti parzialmente in cima al capo, alla maniera dei samurai, della guerra. Aveva la maggior parte delle sue scorte di esplosivi dentro le borse, cinte alla vita, e la battaglia che ribolliva feroce nel fondo pulsante dell’anima: quel giorno avrebbe combattuto con ogni fibra di se stesso, come non aveva fatto mai. Con un senso.
In tutta la sua vita, le sue lotte erano state accompagnate solo dalla pura concretizzazione della bellezza artistica, dall’affermazione del suo ego, da quel suo valore che nessuno era mai riuscito a notare, ma ora era diverso: combatteva per un sogno.
E nessuno poteva sconfiggere un sogno.

I due camminarono per qualche ora senza emettere nessun suono, mentre pian piano la foresta si svegliava al loro passaggio. Si fermarono in una piccola radura accanto al fianco di un colle, ombrosa e riparata, e finalmente si decisero a fermarsi.
Si trovavano a meno di un kilometro da una delle sedi del Suono registrate tra le informazioni di Akatsuki.
Deidara cominciò velocemente ad armeggiare con la sua argilla, e sparì sottoterra occultando la sua presenza ed il suo chakra sotto la coltre sicura del suolo, predisponendo il piano che avevano architettato poco prima di partire.
Tsukaiko rimase in piedi in mezzo all’erba, sfilò con calma i sandali e rimase a piedi nudi, per ottenere il massimo dell’aderenza e sensibilità e per entrare in contatto col flusso di energia che sentiva provenire dalla terra, come aveva sempre fatto fin da bambina prima di cominciare a danzare; poi, si sfilò la tunica nera e la gettò a terra, rimanendo a torso nudo, con i pantaloni neri a stringerle le gambe fino al polpaccio ed il petto coperto unicamente dalla fasciatura strettissima a tre strati. Le catene appese insieme ai falcetti alle sue reni tintinnavano lievemente alla brezza mattutina, ed il sole colpì le sue iridi nerissime, le quali rifletterono, illuminate, la sagoma nitida delle pupille, due sottilissime fessure rettili annegate in due pozzi neri.
Si concesse un secondo di raccoglimento per respirare, e poi eseguì la sua tecnica.

Il canto cominciò.

O almeno, non fu subito un canto ciò che sentirono i ninja del Suono di servizio tra i cunicoli del covo ad est, quanto piuttosto un lieve battere, un leggero ritmo che pervadeva tutto, aria, pareti, persone.
Un ritmo irresistibile, che presto cominciò a scuotere in tremiti convulsi le membra dei più deboli, a far saltellare i più giovani, a far ondeggiare i fianchi delle donne. Era un ritmo allegro, veloce, quasi ossessivo, e passò pochissimo tempo che i pavimenti di pietra si ritrovarono a risuonare di un roboante sbattere di piedi, che pareva una grande festa.
“Che sta succedendo!?”
“Non riesco a fermarmi!”
“Chiamate il sommo Orochimaru!”
Tra le urla di terrore presto cominciarono a risuonare le strilla disumane di gioia animale di qualcuno che aveva cominciato a perderci la testa, in quel canto, forte, estenuante, irrefrenabile, e che diventava sempre più alto e veloce, sempre più veloce…
“Chiamate il sommo Orochimaru!”

All’improvviso il canto variò leggermente, facendosi più acuto e ripetitivo, e gli shinobi si misero tutti in fila dimenando i loro corpi a ritmo, per poi avviarsi come una processione terrorizzata verso l’uscita in superficie. Nulla sembrava arrestare quella canzone diabolica.
Braccia e gambe danzavano follemente per la foresta, e la giostra ignara e urlante avanzò sempre più in fretta tra gli alberi verso la fonte di quella musica ipnotica, finché cominciarono anche i fuochi d’artificio.
E tutto esplose, nel giro di un centinaio di metri, ancor prima che il capofila potesse distinguere da lontano il volto di quella strana dama bianca, che cantando ondeggiava le dita nell’aria come se stesse dirigendo la loro ultima orchestra.
L’esca era stata lanciata, il dado era tratto.

“Credo che questo lo farà incazzare un bel po’.” Sussurrò la voce sotterranea di Deidara, in un’aria ancora turbata dagli ultimi scoppi di morte, le ultime mine che venivano pestate dai piedi dei ninja dominati dalla tecnica ipnotica canora di Tsukaiko.
La risposta fu molto più veloce di quanto il biondo nukenin si aspettasse, e saettò con un sibilo tagliando il fumo e le ceneri, una decina di bagliori metallici che colpirono poco distante dai piedi nudi della ragazza.
Tsukaiko sorrise appena, stringendo tra le dita, vicino al volto, gli unici tre shuriken che stavano per raggiungere l’obbiettivo, acchiappati in un soffio e senza la minima esitazione.
“…certo che ha fatto in fretta…” mormorò tra sé e sé Deidara. Probabilmente la loro preda si trovava già nei paraggi.

“E brava la mia ragazza.” Sibilò una voce oltre il fumo, profonda.
“Strano.” Commentò Tsukaiko, infilandosi le tre stelline d’acciaio che aveva intercettato nella borsa apposita alla cintura.
Non c’era alcun bisogno di presentazioni.
“Ed io che pensavo che tu fossi timido. Ti faccio così paura da costringerti a venir fuori già da subito, padre?”
In risposta giunse una risatina sommessa, viscida.
Nella nebbia comparve la figura di un uomo alto, non ben definita, che avanzava lentamente in avanti verso lo spiazzo devastato di tronchi bruciati ed ossa polverizzate che avevano creato le mine di Deidara.
“Non posso mica sottovalutarti, dopotutto…”
Dalla nebbia emerse il volto bianco del fondatore del Villaggio del Suono, smorto ed emaciato, con un sorriso sardonico che campeggiava storto ed i sottili occhi rettili socchiusi in un ghigno di compiacimento.
“…tu sei la mia bambina.”

Deidara sobbalzò e si sentì improvvisamente colpito da un furioso istinto omicida.
Ma non poteva muoversi, doveva stare calmo.
Il suo chakra era parzialmente schermato dallo strato di terreno che ricopriva la sua testa, e anche se le probabilità di essere già stato individuato erano alte, non poteva bruciarsi la possibilità di un eventuale attacco a sorpresa.
Avevano una linea d’azione, dovevano provare almeno a rispettarla. Almeno all’inizio.
Il piano era, in sintesi: Tsukaiko contro Orochimaru, lui contro tutti gli altri che lo avrebbero accompagnato, dopo averli costretti ad accorrere facendo fuori tutti i membri di uno dei covi più forniti del Suono. Sapeva che i compiti erano assolutamente equi, considerando che l’uno era un sennin, uno dei tre ninja leggendari, e gli altri carne da macello per le sue bombe. Insomma, lui avrebbe dovuto consentire a Tsukaiko di compiere la sua vendetta mentre teneva occupati tutti gli altri con le sue tecniche a lunga distanza, e la sua presenza sarebbe dovuta essere –di preferenza- una brutta sorpresa.
Così strinse i denti e aguzzò le orecchie, in ascolto.

“Mi dispiace che siamo arrivati a questo punto, Tsukaiko.”
Disse Orochimaru con voce profonda, guardandola fissamente negli occhi attraverso la nebbiolina che andava diradandosi.
“…e non capisco perché ti ostini a considerarmi come un’alternativa così brutta. Guardati, sei nata per unirti a me. Hai appena distrutto uno dei miei presidi più grandi! Non hai risparmiato nessuno, hai creato un deserto di devastazione intorno a te! Ed è così da sempre.”
Non diventerò mai il tuo contenitore, MALEDETTO!
Tsukaiko urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, col volto deformato dalla rabbia, impugnando all’istante i suoi kusarigama. Orochimaru sorrise, e scosse la testa.
“No, no…quella è acqua passata, ci sono ben altri che possono ospitarmi nel loro corpo…tu, mia cara, sei stata una piacevole sorpresa, tu ti sei rivelata incredibile!”
Il sennin si esaltò, scoppiando a ridere mentre parlava, ed allargò le braccia per enfatizzare le sue parole.
“Tu hai intelligenza, iniziativa, sei spietata! Sei mia figlia! Sono anni che ti sto osservando, e da anni ho deciso che eri troppo preziosa per poter diventare un mio semplice contenitore! Sei come me, porti distruzione ovunque tu vada! Lo so, sai, cos’hai fatto quando hai tradito? Sei peggio di me!”
Tsukaiko strinse i denti, sfregando tra di loro i lunghi canini e sibilando di rabbia.
“Hai raso al suolo la tua accademia, e nel farlo ridevi! Io so che tu, nel profondo del tuo cuore, non avresti mai voluto crescere il quel posto dove tutti ti disprezzavano.”
Tsukaiko esitò, e le sue mani che impugnavano i falcetti si abbassarono impercettibilmente.
E’ colpa tua!” gridò, “…sei stato tu a farmi nascere! Tutta la mia vita fa schifo per colpa tua!
“Hai ragione, mia cara, è solo colpa mia.”
Il tono di voce si abbassò, sembrava aver abbandonato l’atteggiamento di sfida. Tsukaiko rimase allibita, con i falcetti ancora sollevati in aria.
“Non avrei mai dovuto lasciarti lì. Avrei dovuto tenerti con me, fin da subito, e saresti cresciuta insieme a persone che ti avrebbero capito, accettato. Io ti avrei insegnato a sviluppare tutte le tue incredibili capacità, e ti avrei lasciata libera di fare tutto ciò che volevi. Il Suono non è un villaggio come gli altri, non ti avrei costretto a diventare ciò che non volevi, a combattere per qualcosa in cui non credevi…”
Fece una pausa, ed avanzò di un passo sul terreno bruciato, facendo ondeggiare una ciocca color petrolio di fronte agli occhi gialli. Tsukaiko aveva le gambe paralizzate, e tratteneva il respiro.
“…ti avrei lasciato dedicare all’arte, visto che ti dona così tanto la veste da geisha, e la tua sensibilità va di pari passo con la tua capacità di comprendere a fondo quello che accade attorno a te. Saresti stata amata.
La mora kunoichi lasciò cadere le braccia lungo ai fianchi, ed arretrò dalla posa d’attacco.
I suoi occhi neri cominciarono a luccicare, e dalle sue labbra dischiuse sembrava essere stata strappata via ogni parola.
“Quindi capisco che tu qui abbia preparato questa astuta trappola per farmi fuori, facendo nascondere il tuo compagno sottoterra.”

“Maledizione…” imprecò Deidara sottovoce, ma non si mosse.
Oltre a Orochimaru, percepiva una folla di ninja, dietro di lui, occultati nell’ombra, che non aspettavano altro che la fine di quel teatrale e melenso discorso per entrare in azione e prendersi i loro scalpi. Si stava immaginando la sua compagna, in superficie, che ringhiava davanti a quell’essere odioso.

“…ma possiamo ricominciare tutto daccapo, sai?”
L’uomo dalla lunga chioma nera tese una mano in avanti, verso Tsukaiko, che rimaneva muta.
“Vieni con me, ti renderò felice! Non dovrai più scappare, sarai il mio braccio destro, la mia punta di diamante! Insieme cambieremo questo mondo ingiusto, e ti insegnerò tutto quello che so. Posso renderti immortale! Ci eleveremo al di sopra della conoscenza!”
Tsukaiko esitò, sollevò lo sguardo sul sennin, ormai molto vicino a lei.
“Ma cosa vuoi da me, padre…? Hai gettato una maledizione sulla mia vita, e poi mi parli così?”
Le sue parole tremavano, come anche tutto il resto del suo corpo.
Una lacrima scese sul suo viso bianchissimo.
“Perdonami per tutto quello che ti ho fatto passare. Mi sono reso conto troppo tardi di quanto tu sia importante.”

Deidara, dal suo nascondiglio, stava cominciando a preoccuparsi.
Cosa diavolo stava accadendo!?

“Se vuoi perdonarmi, possiamo ricominciare.”
“Avrò una vita normale?”
“Sì.”
“Mi prometti la libertà?”
“Sì.”

Deidara non poté più sopportare quel tormento: emerse dal terreno con la testa, poco oltre i due shinobi in piedi nello spiazzo devastato dalle esplosioni, dalla polvere di ossa e dal sangue.
Orochimaru stava tendendo la mano a Tsukaiko, e lei tremava come una foglia.
Piangeva.
Non ascoltarlo Tsuka-chan!” urlò, sentendo la disperazione gonfiarsi inesorabilmente nel petto.

“Mi accetterai per quello che sono?”
“Sì.”
“Mi libererai dalla maledizione che mi hai lasciato alla nascita?”
“Sì, figlia mia.”

Tsukaiko prese la mano di Orochimaru, sorridendo timidamente.

“TSUKA-CHAAAN!!!”


Buongiorno a tutti signore e signori!
Chiedo perdono per l'intervallo di tempo eccessivo tra una pubblicazione e l'altra, che purtroppo si sta allungando per motivi a me superiori
-dannata vita reale...-
Come mio solito, ringrazio profondamente tutti quelli che mi seguono, mi preferiscono e mi commentano! E di nuovo un grazie speciale alle mie fedelissime October, Emmevi e Hoel, che sono molto onorata di avere come costanti recensitrici!
Per il resto...beh...
...fiato sospeso?
MUAHAHAHAH ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 32
*** Chapter 31 -A thousand suns- ***


A thousand suns



Una nube grigia oscurò il sole, rendendo l’atmosfera irreale, e Tsukaiko afferrò la mano di Orochimaru, sorridendo timidamente.
Gli strattonò il braccio e con la mano libera gli piantò la piccola lama nella pancia.
Dalle retrovie saltarono all’istante sul campo cinque chunin causando l’esplosione di altrettante mine, tutto ricominciò a scoppiare con boati assordanti e le luci accecanti illuminarono il sennin, che allungò all’istante il collo mirando alla carotide della bianca kunoichi, e quest’ultima, che spiccò un improvviso salto all’indietro e si mise in salvo all’ultimo secondo.
Che pensavi di fare?” esclamò Orochimaru con un sorriso animale spalancato in faccia, ritirando il lungo collo elastico, mentre lo spostamento d’aria delle esplosioni metteva in dubbio il suo equilibrio.
“Naturalmente è avvelenato.” Sorrise dolcemente Tsukaiko, mostrando tra le mani il minuscolo coltellino ricurvo che aveva tenuto occultato fino a quel momento, gocciolante di sangue rosso. “Sai com’è…ho avuto modo di mettere le mani tra le cose di un certo Akasuna no Sasori…mi hanno raccontato che lo conoscevi. Era un esperto di veleni.”
“Ti sembrerà strano, ma la cosa non mi stupisce affatto.”
“Sono sempre tua figlia dopotutto.”
Una testa bianca cornuta di serpente fece capolino dalla spalla della ragazza, strizzando gli occhi verdi e facendo sibilare la rossa lingua biforcuta.
Orochimaru si esaltò ancora di più, stringendosi la piccola ferita sul ventre con la mano: la partita si sarebbe rivelata divertente, per lui.
“Peccato. Ed io che speravo che mi stessi ascoltando sul serio, prima. Allora temo che tu debba morire!
Il sennin si lanciò in avanti correndo, Tsukaiko impostò le mani e anche lei si gettò in corsa, pronta allo scontro.


Ho collegato all’ultimo, nei profondi meandri dei miei neuroni, le azioni della mia compagna con quella frase che le avevo sentito dire una volta, “sono anche un’attrice”…
Che razza di stronza, ho quasi creduto che stesse per seguire Orochimaru sul serio! E poi si è messa pure a rovistare tra le cose di Saso-danna! Ma quando accidenti l’ha fatto!?
Maledizione, la adoro.
Ed è pure molto brava, stava quasi per convincere anche suo padre. Si è persino fatta scendere la lacrimuccia.
Le farei un applauso se non fosse che qualcos’altro sopra di me stia reclamando la mia attenzione con una certa urgenza, infatti le mine che avevo posizionato prima di cominciare l’azione sono esplose ormai tutte, ed i ninja ch e si è portato dietro Orochimaru sembrano più essere uno squadrone d’esercito che una squadra d’appoggio.
Salto fuori dal mio nascondiglio sotterraneo scrollandomi di dosso la terra che mi è ancora rimasta attaccata, afferro mastico e risputo un’opera alata. Ci salto sopra e prendo il volo poco prima che Tsukaiko e Orochimaru cozzino in uno scontro ferocissimo qualche metro davanti a me, uno scintillio di due chakra estremamente simili, freddi, velenosi e inarrestabili.
Non perdo tempo e prendo quota, estraendo dalle borse alcune delle mie bombe leggere, veloci sparvieri bianchi come la neve che acquistano eccezionale velocità, scagliati in movimento.
Una decina di essi si infrangono detonando sul gruppo di ninja ancora occultato tra gli alberi ai margini della radura, e stanandoli completamente.
Shuriken e kunai volano in mia direzione, alcuni di dimensioni spropositate, io li scanso tutti senza difficoltà e torno a mettere mano alle bombe.
Sotto di me, i guerrieri si confondono, come tante formiche. Sono tanti, diversi, quasi sicuramente molti di loro hanno abilità speciali che li rendono più ostici, ma per me non può essere un problema: da quassù son tutti uguali, tutti danneggiabili.
La mia Arte non risparmia nessuno, non c’è niente da fare. Lancio nuove bombe e nuove vite vengono folgorate con la sublimazione di questo singolo istante, brillanti.
Non devono intromettersi tra di due mostri che combattono nella radura.

Mi è addosso prima che possa sbattere le palpebre.
Blocco il suo pugno incrociando le braccia davanti al viso e gli afferro l’avambraccio con le mani. I miei polsi scricchiolano all’impatto, le caviglie mi affondano nel terreno, sollevando una nube di polvere e sassolini: è stato come fermare una palla di artiglieria a due metri dal cannone.
“Non crederai mica che possa lasciare in vita qualcuno che rifiuta una mia così gentile richiesta, non trovi?”
Carico il piede destro di chakra del Vento e tenendo saldo il suo braccio ruoto sul sinistro alla più alta velocità che sono in grado di generare, schiantandogli il mio calcio sul fianco.
Una folata di vento potentissima mi scompiglia i capelli seguendo il movimento rotatorio della mia gamba, sollevando una ventata di polvere al suono di ossa che si spezzano.
“Sì, invece. Devi sempre considerare che potresti perdere la tua, di vita.”
Il braccio che gli sto imprigionando si solleva all’improvviso con una forza impressionante, e prima di rendermene conto mi ritrovo a volare a cinque metri di altezza, scagliata per aria: accosto le gambe al corpo e con una capriola atterro poco indietro, piegando subito le ginocchia in posa d’attacco.
“Perderai!” urlo, estasiata nel vederlo piegato in due dalle ferite che gli ho inflitto, “Il veleno che ti ho somministrato blocca i flussi del chakra, e non sarai così veloce a rigenerarti!”
È vero, o almeno così era scritto sugli appunti di Sasori che ho sbirciato.
“Se credi che due gocce di un intruglio bastino a fermarmi, sei una sciocca,
figliola.
Il suo tono è mordace, imposta le mani in un attimo e le impone sulla terra, che comincia ad essere scossa da profonde vibrazioni. Una tecnica tettonica, ma con chi crede di avere a che fare?
Fratture schioccanti ricoprono il terreno come una ragnatela, il terreno mi cede sotto i piedi e si dissesta, affondando e sollevandosi: pilastri di roccia e argilla si elevano nel mio campo visivo, nascondendomi dagli occhi il mio avversario. Salto verso l’alto per darmi tempo di impostare le mani, e dalle mie dita si materializzano delle lame lunghe, sottili e trasparenti, che scaglio con un ampio movimento di braccia contro gli ostacoli di roccia che mi si pongono davanti, tagliandoli come tronchi d’albero appena abbattuto. La terra continua a muoversi ed io continuo a lanciare lame rotanti di vento, decisa a non perdere d’occhio Orochimaru: l’istinto mi dice che ha intenzione di nascondersi da qualche parte e cogliermi di sorpresa mentre non guardo.
In qualche interminabile secondo questo giochetto finisce e la terra si ferma.
Mi scaglio senza attendere un attimo contro la figura appoggiata a terra con le mani piantate nel suolo, e la taglio in due con la mia Arte del Vento: l’immagine di mio padre sparisce e compare un pezzo di pietra tagliato in due al suo posto. Accidenti, una sostituzione, lo sospettavo…è riuscito a fregarmi nonostante abbia cercato di stare più attenta possibile.
Mi volto appena in tempo per scansare una lama che mi sfiora ad un braccio e si porta con sé uno schizzo del mio sangue, veloce come un bagliore di fulmine, che si pianta a pochi centimetri da uno dei miei piedi. C’è qualcosa attaccato all’elsa, con lunghi capelli neri ed un collo serpentino.
La visione mi da il voltastomaco.
La lama si stacca dal suolo con un suono metallico, e alla mia vista si presenta la testa di Orochimaru, lontana dal suo corpo, con la bocca spalancata ed una spada tutta ricoperta di bava che gli esce dalla gola. Scoppia a ridere vedendo la mia espressione.
“Sei veloce. Troppo per una con un buco nella spina dorsale. Devi aver ereditato da me anche la capacità di rigenerazione, eh? Ammettilo.”
“No. La mia forza è tutta nella voglia che ho di vedere quella tua testa staccata dal collo.”
Arretro di qualche metro con un nuovo balzo ed ammiro la testa alzarsi da terra ed arretrare fino al corpo, accucciato al suolo più indietro. Una delle sue mani afferra l’elsa della katana che spunta dalla bocca e la estrae completamente, con rumori disgustosi.
In realtà, un po’ delle capacità di rigenerazione le ho ereditate, oppure probabilmente sarei già morta da un pezzo. Ma non sono sviluppate quanto le sue, a quanto pare. E di certo non glielo dirò.
In questo momento di stasi, sento le esplosioni di Deidara detonare nell’aria attorno a noi, e mi danno coraggio.
Porto le braccia sulle reni ed afferro i manici dei miei kusarigama, attendendo di riuscire a portare a termine la mia strategia. Sento la musica tintinnante delle catenelle.
“Non mi dirai mica che hai già deciso di fare sul serio, abbiamo appena cominciato.” Ridacchia Orochimaru impugnando la sua lama, come se avesse ancora bisogno di provocarmi.
Non mi lascio distrarre dalle sue provocazioni, e lancio uno del falcetti verso l’alto cominciando la rotazione della catena, tenendola stretta sopra la testa. Mi scaglio in avanti, soffocando un grido per la fitta improvvisa tra le scapole che mi coglie come un coltello: probabilmente la ferita sta cominciano a riaprirsi di nuovo.
Il vento comincia a sibilare attorno alla mia testa, e la danza di lame e scintille ha inizio.

Deidara percepiva suoni terrificanti giungere dal suolo sotto di lui, stridii, grida, impatti, schianti di vento, ma non poteva lasciarsi distrarre troppo dal suo compito di pulizia del paesaggio.
Non appena la danza delle lame era cominciata, però, aveva iniziato a tendere l’orecchio verso i due avversari al di sotto. Prese gli ultimi due pugni di C2 che aveva nelle borse, ma si accorse che non c’era più nessuno ad accogliere la magnificenza della sua Arte: tutti gli shinobi del Suono sembravano infatti spariti, e non perché lui li avesse uccisi tutti, ma come se si fossero ritirati prima del tempo lasciando solo il loro padrone.
Diffidando di questa ipotesi, il biondo nukenin divise parte dell’argilla rimasta in un’innumerevole schiera di piccole farfalle, e le lanciò al di sotto, fra gli alberi, con lo scopo di esplodere all’incontro che un chakra avversario. Se i nemici avessero tentato scherzi, lui se ne sarebbe accorto subito.
Portò lo sguardo verso i due combattenti e non poté evitare di essere attraversato da un brivido di gelo, alla vista di quello scontro: Tsukaiko roteava a velocità indicibile su se stessa, compiendo ghirigori complicati con le sue falci nel tentativo di colpire Orochimaru, e quello saltava di qua e di là distruggendo il terreno al suo passaggio e incrociando la sua katana con le lame rotanti, provocando schianti pazzeschi e piogge di scintille. Deidara intuì la spaventosa quantità di chakra che percorreva il filo di quelle armi, così gelida e distruttrice che qualsiasi cosa si fosse posta in quell’incrocio rabbioso sarebbe finita inevitabilmente in pezzi.
Si concentrò su di loro, in attesa.

Fu solo un lampo, e Orochimaru riuscì finalmente ad eludere la rete d’acciaio di sua figlia e a lanciarsi in avanti a tutta la sua velocità, oltre le sue difese, riuscendo con un fendente a lanciare in alto una delle falci, che sparì nel cielo accompagnata subito dall’altra sull’altro capo della catena, sfuggita di mano.
Tsukaiko sussultò e tentò di arretrare, ma dietro di lei trovò solo un muro di roccia lasciato dagli effetti della tecnica tettonica.
Si scostò appena in tempo per evitare l’affondo, e si trovò la lama della spada di suo padre piantata a tre millimetri dalla guancia, nella parete di pietra.
In quel punto non aveva vie di fuga.
Orochimaru avvicinò il suo volto a quello della ragazza, sghignazzando compiaciuto, ed estrasse la katana dalla parete.
“Pare che sia finita qui, figliola…”
“Sì padre, è finita.
Il fondatore del villaggio del Suono sollevò il braccio per il colpo fatale, ma il colpo non arrivò mai.
Il suo braccio era rimasto bloccato da una presa ferrea, avvolto da un lungo corpo bianco e squamoso, che lo teneva immobile ancorato a l suolo senza permettergli di muovere un muscolo.
Oni, il serpente di Tsukaiko, lo avvolgeva completamente, dopo essere emerso dal terreno più veloce di un battito di ciglia.
La ragazza ridacchiò, e saltò dietro di lui. Avvicinò le labbra al suo orecchio.
“E’ ironico come anche per i ninja più geniali la sconfitta sia la stessa che per i più stupidi…uccisi proprio quando pensano di aver già vinto.”
“Avevi fatto nascondere il tuo serpente sottoterra ancora prima di lanciarti all’attacco…e mi hai condotto fin qui, facendoti mettere alle spalle al muro di proposito. Sei proprio una serpe.”
Orochimaru sorrise soddisfatto.
Tsukaiko pure.
Dal cielo ricaddero giù i kusarigama e la kunoichi li riacchiappò al volo con un movimento calcolato già da prima, dopodiché con una sola mossa di polso li caricò di chakra e li usò per incatenare ulteriormente Orochimaru, che si ritrovò ancora più stritolato di prima.
Il serpente si dissolse in una nuvola di fumo, e nell’aria che tornava limpida apparve il sorriso compiaciuto di Deidara, circondato da una nuvola di insetti di C3, che si scagliarono tutti contro l’imprigionato ricoprendolo di argilla candida.
Tsukaiko saltò sull’opera del suo compagno e prese un po’ di quota, impostando con le mani la sua tecnica di Vento esplosiva.

“Addio, maledetto.”

Orochimaru detonò con la forza di mille soli.


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Ed eccoci alla fine di questa stor...*khem khem* capitolo!
Ok, lo ammetto, quei mille soli mi esaltano! Un minuto di silenzio per il povero Chokky-Mario che si è sacrificato per la mia trama. - T.T-
Mi rendo conto che questo capitolo è stato tutta azione dall'inizio alla fine -era terribilmente necessario, se non c'è combattimento qui...-spero che abbiate apprezzato lo stesso! E ora...?
Ahahah, ci saranno matrimoni? Abbandoni, tradimenti, ESPLOSIONI? -oh, di certo quelle non mancheranno mai! XD-
Come al solito rigrazio tutti coloro che mi leggono/seguono/preferiscono/commentano, siete fantastici, grazie!

Ed ora...al prossimo capitolo per assistere al finale! (...???...)


Kiki

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Capitolo 33
*** Chapter 32 -...and Thanks- ***


...and Thanks



La sensazione è stupenda.
È potente come un pugno nel cuore, e un po’ dolorosa, anche, un po’ dolceamara, ma mi piace, la adoro. Non aspettavo altro, non volevo vedere altro.
Ce l’abbiamo fatta.
L’esplosione si allarga per un centinaio di metri con luce abbagliante, espandendosi all’infinito nel tempo e nello spazio dopo quel brevissimo momento di raccoglimento che rende il tuono ancora più potente e terrificante.
Deidara mi stringe forte, accucciato con me sul suo rapace d’argilla in volo, rapito dall’estasi.
Tutto ciò che ha ammorbato la mia vita dall’istante in cui sono nata si sta sublimando sotto i miei occhi in un istante eterno di fulgida bellezza.
Dura qualche secondo, pochi attimi, e solo quando il fuoco si spegne e la polvere comincia a diradarsi mi rendo conto di aver trattenuto il respiro.

“Ce l’abbiamo fatta…” mormorò Deidara, poco prima di allargare il viso in un sorriso liberatorio.
“Sì! Il bastardo è morto!”
Tsukaiko semplicemente si voltò con gli occhi lucidi e scoppiò a ridere, tremando come una foglia.
Poi scoppiarono a gridare entrambi, ulularono al vento la loro vittoria, cacciando urli esultanti misti a risa, alzando i pugni al cielo.
Era una sensazione bellissima.
Erano liberi!
Tsukaiko smise di urlare soffocata da un paio di colpi di tosse, e scostando la mano dalla bocca vide che era sporca di sangue. “Mi sa che ho esagerato…” disse con un sorriso leggiadro.
“Devi farti guarire sul serio, adesso, Tsuka-chan. Devi metterti a riposo. Ci hai dato dentro!”
“Sì…mi ha dato del filo da torcere. Ho dovuto metterci tutta la mia abilità, come mai mi era successo.”
“…ed io ho quasi finito le scorte di esplosivi.”
“Ahahah…siamo troppo forti!”
La mora kunoichi abbracciò il suo senpai, e lui la strinse forte, sentendosi felice come non lo era stato mai, così tanto che faticava persino a rendersene conto, lui che la felicità non l’aveva mai conosciuta.
“Hai fatto un ottimo lavoro, tutti gli altri ninja sono spariti.” Si complimentò Tsukaiko sorridendo.
“Sono scappati, in realtà…non ho capito perché.”
“Non importa.”

L’aria era ferma, ma fresca e pura. Sembrava irreale il silenzio, infranto solo dal lieve battere delle ali del rapace d’argilla, che regnava dopo il clamore della battaglia, intorbidito da sottili fumi che aleggiavano ancora.
Poi però si sentì un’esplosione.
I due artisti si voltarono subito nella direzione da cui veniva il botto, e videro le tracce di fumo in mezzo agli alberi, in un punto molto distante da dove si trovavano loro.
Poi ce ne fu un’altra, poi altre sette in successione, tutte fra gli alberi a grande distanza.
“Che succede…?”
“Sono le mie sentinelle, le avevo lanciate prima…”
Rimasero entrambi in silenzio per un paio di secondi, confusi.
“Sono predisposte ad esplodere a contatto con un flusso di chakra diverso dal mio, non capisco come possa essere…”
Deidara non fece in tempo a finire la frase, che la terra sotto di loro cominciò a tremare, come se un passo gigante l’avesse calpestata. Tsukaiko percepì d’improvviso un chakra potentissimo, bruciante, scorrerle sulla pelle come una scarica elettrica e trattenne il respiro.
“Oh, no…” mormorò… “…questo è…”
Una specie di terribile grugnito attraversò l’aria, perforando i timpani dei due shinobi, e dalle fronde degli alberi, in lontananza, emerse un qualcosa di orribile e terrificante.
E, soprattutto, enorme.
Tre code ricoperte di scaglie, simili a deformi pinne di gambero, saettarono tra i rami più alti facendoli volare lontano, ed un nuovo ruggito scosse l’atmosfera, ancora più potente del primo.
“Oh, fantastico” mormorò Deidara, con un sorriso sconcertato dipinto sul volto, “missione compiuta.”

Merda.
Il Sanbi.
Il fottuto trecode !
Devono averlo evocato loro, allora era vero che era sotto il loro controllo! Non appena hanno visto che con noi c’erano poche speranze con i mezzi tradizionali, avranno deciso di tirare fuori il loro asso nella manica. Beh, eccolo qui. Mi verrebbe quasi da dire “due piccioni con una fava”, se non fosse che nelle borse mi sono rimasti solo pochi grammi di C3. E che Tsuka-chan tossisce sangue.
La sento irrigidirsi come un pezzo di ghiaccio.
Deve aver capito subito anche lei che hanno cercato di incastrarci. Ma per come la vedo io, abbiamo fatto più che abbastanza, e star qui a giocare con quel grosso ammasso orribile di chakra non è proprio l’idea migliore, in questo momento; possiamo sempre catturarlo la prossima volta.
Faccio per far voltare il mio volatile d’argilla, quando Tsuka-chan mi afferra per un braccio e lo stritola come se dovesse strangolare una serpe a mani nude…ma che diavolo le prende!?
Tento di divincolarmi dalla presa scuotendo le spalle, e solo ora mi rendo conto che, fra i ruggiti del demone ed i boati dei suoi passi, nell’aria è scossa anche da un altro suono.
Una risata.
E purtroppo, una risata che ho già sentito.
Mi sporgo in avanti e appollaiato sul ramo di un albero sotto di noi lo vedo, pallido e ricoperto di una disgustoso liquido viscido, che ride e ci osserva con i suoi feroci occhi gialli.
Non siete altro che due folli!

Maledetto Orochimaru!” strillò Tsukaiko, livida in volto, stringendo il braccio del suo compagno dietro di lei un po’ per stare in equilibrio sulle membra malferme dalla stanchezza, un po’ per la terribile frustrazione che le imbestialiva l’anima.
Il ninja del Suono, sotto di loro, continuava a ridere, osservandoli, senza perdersi un secondo di quello spettacolo pietoso.
Come hai potuto restare in vita!? Maledetto!
Passò un istante da quando Deidara si accorse della sfera di energia che il Sanbi aveva tra le fauci a quando spintonò giù dall’uccello d’argilla Tsukaiko, gettandola fra le braccia frondose dei rami al di sotto, e venisse investito in pieno dal cannone di energia.
La ragazza non fece in tempo ad aggrapparsi ai rami che cedettero tutti sotto il suo peso, e si schiantò pesantemente sul suolo ricoperto di foglie incenerite e polvere. Tossì, scossa da un dolore lancinante alla schiena, e volse gli occhi sgomenta alla terribile luce bianca che occupava il cielo sopra di lei. Dimenticò ogni cosa, il sanbi, suo padre, la sua ferita. Aveva solo un nome nella mente.
Deidara-senpai!!!
Le gambe le facevano troppo male per stare in piedi, dopo il colpo alla schiena della caduta, così cominciò a strisciare trascinandosi coi gomiti e le ginocchia, strofinando la pelle bianca contro il duro suolo, verso il punto dove supponeva potesse essere caduto il suo senpai.

Deidara…

Emerse quasi subito dall’ombra delle piante, emergendo sulla piccola radura devastata dal combattimento, e cominciò ad affannarsi intorno urlando il suo nome. Le parve di continuare ad udire il demone ruggire ed Orochimaru sghignazzare, immobile da qualche parte dietro di lei, ma se ne disinteressò completamente. Non le sarebbe importato più di nulla se fosse successo qualcosa a…

Deidara, Deidara, ti prego…

Si trascinò nello spazio aperto fino a raggiungere un avvallamento dietro ad un grosso masso, da dove giungevano lamenti sommessi.
“Meno male, meno male che sei vivo…”
È steso con la schiena appoggiata alla pietra, la faccia ricoperta di sangue ed una gamba piegata in modo innaturale, ma è vivo, grazie agli dei, è vivo…
“Stai…stai bene Tsuka-chan?”
“Ho pensato che fossi morto! Come…come stai tu…?”
Fa una smorfia nell’issarsi sulle braccia e nel mettersi un po’ più dritto, ed io mi precipito a tenerlo su, sostenendolo con il mio peso. Sentendomi stracciare dentro dal dolore e dal sollievo, non riesco a fare a meno di aggrapparmi a lui e di stringerlo, col pretesto di aiutarlo a non cadere di lato.
“Sto…sto bene. Mi sono protetto parzialmente con la mia opera, ma ora è andata.”
Mi separo da lui e guardo accigliata la sua gamba, spezzata poco sotto il ginocchio. Non può muoversi così…
“Grazie per avermi salvata…”
“Lascia perdere. Orochimaru, perché non ci sta attaccando…?”
“Non…non lo so…”
“Ok, ok, senti, Tsuka-chan, dobbiamo andarcene. Ho argilla rimasta per un’opera piccola…ma dovremmo farcela.”
“…”
“….cosa…cosa c’è?”
“…no.”

Vedo i suoi occhi neri cerchiati di stanchezza fissarmi intensamente come mai avevano fatto.
“No.”
No.
“Tsuka-chan, cosa…?”
Alza una mano sulla mia bocca e mi zittisce, premendomela delicatamente sulle labbra.
“Ascoltami senpai. Ascoltami bene. Abbiamo qualche minuto prima che il sanbi riesca a raggiungerci, e qui dietro non può vederci, quindi con un po’ di fortuna non ci lancerà addosso un altro dei suoi attacchi, perché non è abbastanza intelligente da capire dove ci troviamo. Orochimaru non sembra intenzionato ad attaccarci, o sarebbe già qui. Non so perché non voglia muoversi, ma sospetto che il fatto sia legato a quando lo abbiamo fatto esplodere, prima: giuro sulla mia vita che sono sicura che non era una copia, quindi per scappare deve aver usato una qualche tecnica. Dato che non si muove, forse era una tecnica ad alto costo di chakra.”
Resto paralizzato ad ascoltare questo discorso, e a guardarla negli occhi. Ho una pessima sensazione.
“…se per caso dovesse subire un’altra esplosione come quella, magari sarebbe così danneggiato da non muoversi affatto. E un’esplosione del genere fermerebbe anche il sanbi, basterebbe ferirlo abbastanza da convincere quelli del Suono a farlo scomparire.”
Quello che sto ascoltando non ha nessun senso. Non può avere un senso. Scuoto la faccia per liberare la bocca:
“Cosa, Tsuka-chan, cosa!? Stiamo perdendo tempo, dobbiamo scappare via subito!”
Non possiamo scappare senpai!” grida, spaventandomi.
“Non possiamo…non possiamo in queste condizioni!” il suo bel volto si distorce in una smorfia di pianto, e lacrime trasparenti iniziano a rigare la polvere sulle sue guance.
“Se… proviamo a scappare ora, moriremo, senpai…moriremo tutti e due…tu non puoi camminare ed io non ho più chakra e a stento mi reggo in piedi, ti resta argilla a sufficienza per un’opera troppo piccola per poterci portare in salvo…e Orochimaru è ancora vivo, e il trecode ci sta dando la caccia…!”
A sottolineare le sue parole, l’ennesimo ruggito del demone scuote l’aria attorno a noi, spaventosamente più vicino di prima.
“…abbiamo poco tempo, senpai…”
Si protende verso di me, e allunga le mani alle borse che ho appese alla cintura.
“Ferma! Che stai facendo!?”
Non si fa arrestare dai miei tentativi di fermarla e apre le cerniere, ma invece di prendere la mia poca argilla rimasta, mi afferra le mani e le tiene strette, tornando a guardarmi negli occhi.
Ha smesso di piangere, ma la sua espressione non mi piace per niente.
Proprio per niente…
“E’ me che vogliono, senpai.”
Sento il cuore perdere un battito. No, più di uno.
Decisamente più di uno.
Resto a guardarla senza trovare la forza o la lucidità per ribattere qualcosa, è inutile che ci giro intorno, ho capito quello che vuole fare. Merda, ho capito quello che vuole fare.
L’unico suono che riesco ad articolare è un “…no…” detto fra le labbra, strattonato appena fuori dai miei polmoni che si rifiutano di respirare, annegato in uno dei ruggiti della bestia che si avvicina.
“E’ me che vogliono, senpai…se tu resti insieme a me, se proviamo a scappare, morirai di sicuro perché sei con me. Ma se tu fossi senza di me…allora potresti salvarti, e nessuno verrebbe più a disturbarti.”
“…no…”
“Se ora riesco a danneggiare il sanbi e a far esplodere di nuovo Orochimaru, tu potresti andartene con tutta calma…”
“…no…”
“…è l’unica via che ci resta…”
“No!”
“Sì! Senpai!”
“No! Non puoi farlo!” mi ritrovo a urlare, come un pazzo, strattonandole le mani per tenerla vicina a me, perché lei non può lasciarmi qui, non può neanche pensarci…
È scoppiata di nuovo a piangere, ed io mi porto le sue mani sul petto, strofino il viso contro il suo, incapace di fare qualsiasi altro gesto.
I passi del sanbi diventando sempre più vicini, abbiamo pochissimo tempo, un minuto, forse neanche quello.
Percepisco le sue mani stringerei forte le mie, poi singhiozzando mi appoggia le labbra sulla fronte, e la sento respirare.
“Sai anche tu che non c’è altra via, senpai, lo sai benissimo. Non ho quasi più chakra, ma posso unirlo al potere esplosivo della tua argilla, se ci provo, concentrandolo in un solo punto. Posso farlo, sarà meraviglioso.”
Respira di nuovo, io no.
“Senpai…io non posso permettere che tu muoia. Tu…sei davvero eccezionale, sei la persona più geniale che abbia mai conosciuto. Non puoi morire, la gente dovrebbe conoscere la bellezza sconvolgente che hai trovato tu, che porti ovunque tu vada, che cambia la vita una volta che la conosci.”
“Tsuka-chan….”
“Io…io non sono nulla, invece, sono solo un’ombra. Ho vissuto nel fango per tutta la mia vita, ma tu…tu come un sole l’hai presa e l’hai trasformata, l’hai resa davvero degna di essere vissuta. Per me sarà meraviglioso, raggiungerò finalmente la perfezione…”
No…
No!
Col cavolo!
Allungo le mani alle sue spalle e mi isso sulla mia unica gamba buona, tirandomi in piedi e scagliando lei nella polvere per il troppo peso. La vedo mentre mi guarda esterrefatta con le guance rigate di lacrime, accasciata a terra come una bambola senza fili.
“Non ti permetterò mai di fare quello che hai in mente. Un vero artista non demorde mai. Sta a vedere ed ammira.”
La vista mi tradisce per qualche secondo e fatico a mantenere l’equilibrio, la gamba mi fa un male allucinante. Non riesco quasi a respirare dal colpo di prima. È la determinazione che mi tiene in piedi, ma basta e avanza.
No, non la determinazione, la disperazione. Non posso perdere.
Infilo le mani nelle borse appese alla cintura dondolando pericolosamente su una gamba sola, e con le mie ultime energie raccolgo tra le mie mani ogni singola stilla di chakra che mi rimane, tranne lo strettissimo necessario per continuare a far funzionare i miei organi dopo la tecnica.
Richiamo le sentinelle rimaste tra gli alberi.
Davanti a me, con un disastroso boato, si erge il demone a tre code, ruggente.
È il momento di giocarsi tutto.
Esplosione!



Stava in piedi a braccia spalancate, con gli occhi puntati nel cielo aperto.
Fuochi riempivano l’aria, squassata e lacerata mille e mille volte con un boato incessante che penetrava nella carne e scuoteva ogni fibra come se fosse fatta di carta di riso.
La ragazza era gettata a terra, dimentica dell’Apocalisse, e sembrava capace solo di guardarlo.
Per lei era un dio.
Seppe che quel momento dava senso a tutta la loro vita, che ogni cosa era avvenuta solo per risolversi in quell’istante superbo di bellezza, e si gonfiò di gioia.
Le loro vite si stavano sublimando con il mondo tutto attorno a loro, in un crescendo di magnificenza abbagliante.
Arte.



“Si dice che il valore di un ninja si deduca dalla sua morte, e la mia morte sarà stata ricordata nei secoli come la mia apoteosi, come il mio momento più elevato, il capolavoro assoluto.”

Lo so.
È la fine.
È per tutto questo che ho combattuto?
Non lo so, aver perso ogni speranza è un po' triste. Ma mi piace. Mi piace molto.
Finalmente tutto avrà un senso e oh…la bellezza perfetta, finalmente sarà mia.
La mia vita, un’opera d’arte. Della durata di un istante.
E la cosa migliore, è che il mio capolavoro sarà in onore della persona che amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, e distruggerà coloro che odio.
Ho un solo rimpianto.
Mi mancherà, tantissimo, e sicuramente soffrirà.
Ma è il mio solo rimpianto.

“Sei sempre il solito, senpai.”
Deidara dischiuse gli occhi. La voce dolce di Tsukaiko gli arrivava da un posto lontanissimo, e non riusciva nemmeno a distinguere bene i suoi lineamenti.
Il trecode ruggiva ancora, circondato dal fumo della tecnica del nukenin, e Orochimaru, nascosto da qualche parte, rideva come un folle.
L’argilla non era bastata, e la tecnica non aveva sortito gli effetti previsti. Tsukaiko lo sapeva già da prima, l’aveva previsto, aveva avuto la situazione chiara fin da subito.
Aveva rubato un pugno di argilla al suo compagno, piccolo, solo un morso.
Deidara sentì un bacio soave posarglisi sulle labbra.

“Perdonami, senpai, per me non c'è altra via, ormai.
Mi mancherai, tu hai messo le ali a questo serpente.
Diventerò la cosa più bella che tu abbia mai visto.
Ti amo, addio.
E grazie.”

Deidara la intravide spiccare un salto in direzione del demone, mettendo il bocca qualcosa.
Poi tutto il suo chakra rimasto si concentrò in un unico punto dentro di lei, nei pressi del cuore.
E poi fu solo luce.


Ti amo, addio.
E grazie.


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...

(perdonate il ritardo, mi ci è voluto un po' per decidermi a scriverlo)
Kiki

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Capitolo 34
*** Final Chapter -Epilogue.- ***


Epilogue.



Dopo una caduta da quindici metri d’altezza, graffiato e percosso dai rami appuntiti dei grossi alberi, mi schianto al suolo sassoso con una violenza eccessiva, non controllata a causa di muscoli ormai distrutti. La schiena, fa male…
Grugnendo di dolore come un animale mi isso sui gomiti e rotolo su un fianco, e tra la polvere sollevata nell’impatto mi pare di scorgere un frammento del cadavere del mio nemico dissolversi nel C4. Per qualche lunghissimo secondo mi illudo di averlo finalmente schiacciato, e mi isso a fatica sulle ginocchia tremanti, ma subito dopo vengo di nuovo scaraventato nella realtà da un gancio che mi colpisce sulla mascella e mi scaglia all’indietro, facendomi di nuovo strisciare sul nudo terreno.
Con gli occhi annebbiati di sangue mi affanno nella polvere, e voltandomi sputo un dente, insieme ad una buona dose di sangue. E poi vedo il mio avversario, Sasuke Uchiha, in piedi davanti a me, completamente distrutto, percorso dai brividi innaturali di una tecnica elettrica, con la sua mano che ancora dondola stretta a pugno, come se non abbia più il fiato di tirarla su.
Vedendolo in crisi tento di alzarmi, ma…le gambe, non funzionano più. Cado all’indietro pesante e scomposto come un ubriaco e quasi mi sembra di udire quell’odioso Uchiha ridere di me.
Tsukaiko avrebbe dovuto finirlo, merda. Lo odio.
Lo odio…
Ma io come ci sono finito, qui? A farmi ammazzare da uno stupido Uchiha, umiliato, deriso, sconfitto. Rotolo nella polvere, e in fondo al mio cuore so che un po’ è proprio ciò che merito. Sono venuto io a cercarlo, dopotutto.

Ricordo benissimo cosa è successo il giorno in cui Tsukaiko è morta facendosi esplodere, da quel momento Orochimaru è diventato la mia ossessione. Ero steso a terra, cieco e incapace di camminare – proprio come adesso, sì -, e sono rimasto lì per tutto il tempo, senza potermi muovere: nel mentre che il tricoda ruggiva di dolore, durante quella magnifica esplosione, quando è scomparso per i troppi danni subiti, dopo che alcuni ninja del Suono sono corsi a recuperare il loro maledettissimo capo, ancora nascosto da qualche parte là attorno. Sono rimasto là a terra per tutto il tempo, fino a notte fonda, quando il vento fresco iniziò a spirare sul mio corpo ferito e sul mio spirito bollente di vendetta, finché Zetsu è spuntato dietro di me e mi ha portato in un posto sicuro. Hidan e Kakuzu erano entrambi morti – razza di zombie inutili, altro che immortali – e quindi nessuno ha potuto guarirmi con tecniche mediche adeguate, ma sono riuscito a riprendermi in fretta lo stesso. Ogni mattina friggevo sotto gli occhi dei miei compagni – soprattutto di
quell’Uchiha -, ero un perdente, una vergogna, e ogni notte sognavo di come avrei strappato il fegato a Orochimaru, e l’avrei dato in pasto a cani rabbiosi. E poi, lei. Lei.
L’ho odiata, all’inizio. Come ha potuto abbandonarmi? Come ha potuto tradirmi così? Poi, dopo un po’ di tempo, l’odio è passato ed è rimasto solo il dolore; detestavo già troppo tutto il resto del mondo per poter avere ancora la forza di essere arrabbiato con lei. D’altronde, se è morta l’ha fatto solo per me, ed il suo capolavoro assoluto l’ha dedicato proprio a me. Cazzo, se la amo ancora…quella sì che era vera Arte. Mi manca, da morire, è come se la sentissi ogni secondo che urla vendetta nei miei timpani, da dentro. Vivere è diventato insopportabile, senza di lei, soprattutto perché i fati avversi hanno voluto che come mio nuovo partner mi fosse assegnato quel decerebrato insopportabile di Tobi. Ho faticato a trattenermi dall’ucciderlo, quando Pain ce l’ha detto, perché quel deficiente, subito dopo l’ordine, ha fatto spallucce ed ha esclamato con fare sarcastico “Basta che non ti innamori anche di me,
senpai…si dice che porti sfiga a chiunque ti porti a letto. Anche se devo ammettere che non mi dispiacerebbe, si dice che tu sia molto bravo…”
Ha chiocciato come una gallina in calore, e da quel momento siamo diventati compagni.

Ora non so dove si sia cacciato, Tobi, e sinceramente non potrebbe importarmene di meno. Si sarà nascosto da qualche parte per sfuggire al tiro incrociato, poco male, preferisco non averlo tra i piedi. Ormai sto cominciando a disperare dell’esito di questo scontro, udendo il mio nemico spiattellarmi davanti con la sua stupida faccia inespressiva ogni singolo segreto delle mie arti magiche che è riuscito a carpire durante il duello.
Ho passato un anno, così, un anno che mi è parso interminabile. L’unica cosa che avevo in mente era di ammazzare quel padre degenere bastardo, e questo stronzetto qui davanti l’ha ucciso prima di me senza fare una piega, senza nemmeno ricordargli per quale motivo meritava di morire.
Lo odio, lo odio perché ha ucciso Orochimaru, lo odio perché è un Uchiha, lo odio perché la sua faccia mi da sui nervi…lo odio e basta.
Odio tutto, anche me stesso, sono patetico. Non so nemmeno perché ho voluto venire fin qui ad attaccar briga.
Forse, voglio solo morire.
La gente mi ha sempre detto che sono pazzo, fin da prima di entrare all’accademia, ma qui, tra la polvere, mentre mi torna un briciolo di lucidità in mezzo al delirio di odio e rabbia e dolore in cui ho vissuto dal momento in cui lei ha scelto di morire, comincio a pensare di esserlo diventato davvero. Sto ridendo, già, quale sano di mente riderebbe in faccia alla morte?
Forse voglio solo farla finita, nulla soddisfa più la mia fame di distruzione – Arte, Arte che nessuno capisce, nessuno apprezza, solo lei lo faceva…li odio, li odio tutti! -, nemmeno catturare il Sanbi insieme a Tobi mi ha dato un briciolo di soddisfazione, mi sono solo sentito di un gradino più vicino al baratro, più vicino all’abisso…proprio come quando Sasuke ha ucciso Orochimaru al posto mio, sempre più vicino, sempre meno scuse per vivere.
E poi, sono stanco.
Tsuka-chan, vado fuori di testa se non ci sei tu, non posso più vivere.
La nostra vita è come un’opera d’Arte, Tsuka-chan, e la tua è stata perfetta: breve effimera, indimenticabile, come il nostro amore, bellissima. La mai, fa schifo, ormai è sciupata. Hai superato il tuo maestro.

Sasuke Uchiha non capisce, non capisce nulla. Dell’Arte non gliene frega niente, e c’è una certa indifferenza mentre me lo dice, come per farmi impazzire ancora di più, ma io ho già deciso, ormai.
C’è un’unica cosa che posso fare, ora, ho la schiena rotta, ho finito il chakra, non ho più argilla.
Ho capito, tutto quello che ho fatto, tutta questa follia doveva portare a questa fine: Tsukaiko, mi avresti voluto vivo, ma il mondo è troppo stupido, la missione di illuminarlo, la missione che tu mi hai dato, è impossibile…tu non sei come il resto del mondo, tu sei come me, e sei morta. Mi chiedo perché abbia fatto passare un anno.
Mi strappo i vestiti di dosso e strappo i punti di sutura che, insieme al sigillo, assicuravano la mia quarta bocca, quella sul cuore. Proprio il mio cuore instabile, il centro traditore dove il mio pericoloso chakra ha sempre tentato di fare corto circuito e defibrillare, che mi ha fatto già saltare in aria da bambino…scusa se non te l’ho detto, Tsuka-chan, ma so che avresti odiato sapere che amavi una bomba innescata umana.
Sono stanco di aspettare, è il momento.
Il momento di brillare.
Vedo Sasuke Uchiha, ed il terrore che gli sbianca il viso già cinereo di suo, e rido e urlo cose che quasi nemmeno mi rendo conto di pronunciare. L’esplosione sarà devastante, si estenderà con un diametro minimo di dieci kilometri, qualcosa di mai visto, il cielo abbaglierà tutte le cinque grandi terre…
Sono pazzo, ma in fondo per noi artisti è una cosa positiva.

Scusami Tobi, morirai anche tu.
Non ho rimpianti.
Sto arrivando, Tsuka-chan.

L’Arte è…
Esplosione!


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Fine.



...ed eccoci qui, questa è la vera conclusione. Ciao cari, è un piacere vedere che siete davvero arrivati fin qui, alla fine, mi fa davvero molto piacere.
Voglio ringraziarvi, ciascuno di voi, per avermi accompagnato in questa lunghissima avventura che - se non sbaglio - va avanti da quasi due anni. Mi siete piaciuti, avete partecipato, vi siete emozionati insieme a me e mi avete sostenuto.
GRAZIE! *cuoricino*

Questa è stata una delle storie a cui sono sempre stata sempre più affezionata, mi mancherà un sacco, come anche mi mancherete voi che mi seguite!
Beh, addio allora.
L'Arte è esplosioneeeeeeeeeeee!!! *mangia un boccone di argilla ed esce di scena con una scenograficissima esplosione di repertorio*


ps.
...addio? Ho detto addio???
Se avete voglia di scoprire come questa storia possa andare avanti, potrete trovare il sequel proprio qui!

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