Don't phunk with my heart

di francy91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi sei? ***
Capitolo 2: *** Come ti permetti?! ***
Capitolo 3: *** Il messaggio ***
Capitolo 4: *** La mia anima è in te ***
Capitolo 5: *** E' la prima volta che... ***
Capitolo 6: *** Sguardi ***
Capitolo 7: *** L'infermeria ***
Capitolo 8: *** Giochi pericolosi - 1^ parte ***
Capitolo 9: *** Giochi pericolosi - 2^ parte: Il paradiso ***
Capitolo 10: *** No more suffering ***
Capitolo 11: *** SBANK! ***
Capitolo 12: *** Amor fallax ***
Capitolo 13: *** Via ***
Capitolo 14: *** Prenderla con filosofia... ***
Capitolo 15: *** Rosa ***
Capitolo 16: *** E arrivò ***
Capitolo 17: *** Emotion ***
Capitolo 18: *** Volando sull'Inferno ***
Capitolo 19: *** S&S: prima notte ***
Capitolo 20: *** All that I'm living for ***
Capitolo 21: *** Disordine e confusione ***
Capitolo 22: *** 00:44 ***
Capitolo 23: *** Ragionevole istinto ***
Capitolo 24: *** Dolore per il ritorno ***
Capitolo 25: *** Isteria ***
Capitolo 26: *** L'ultimo ululato ***
Capitolo 27: *** I think I'm paranoid ***
Capitolo 28: *** Qui? ***
Capitolo 29: *** Odio ***
Capitolo 30: *** Pareti di ghiaccio ***
Capitolo 31: *** Desiderio ***
Capitolo 32: *** Osserva ciò che non vedi ***
Capitolo 33: *** La maschera di neve e cera ***
Capitolo 34: *** Il fidanzamento ***
Capitolo 35: *** Punti di potere ***
Capitolo 36: *** Amante ***
Capitolo 37: *** Verità ***
Capitolo 38: *** Just my imagination ***
Capitolo 39: *** Haiku ***
Capitolo 40: *** Stelle ***
Capitolo 41: *** Onde nel cielo ***
Capitolo 42: *** Don't phunk with my heart ***



Capitolo 1
*** Chi sei? ***


CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Premetto che questa è la mia prima fanfic, quindi non sarà un gran chè... Innanzi tutto vorrei ribadire che Shaoran è MOOOOOOOOOOOLTO OOC, in quanto per il suo carattere mi sono ispirata ad un mio compagno di classe! In questa fanfic non appariranno le carte di Clow. che Sakura ha catturato senza l'aiuto di Shaoran, ma solo Kerochan, qualche volta. Inoltre Sakura non ha MAI conosciuto Shaoran (don't worry, è questione di pochi secondi...). Infine vorrei ringraziare Laukurata89 perchè mi ha ispirata involontariamente e soprattutto perchè mi ha dato molti buoni motivi per scrivere una fanfic (io??? Non ricordo... Forse in quel momento mi stavo facendo una canna... NdLaukurata89)(.........)! Ok, ho finito! Ecco il primo capitolo, che si intitola: "Chi sei?". Lo so, non ha senso, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente!!! Buona lettura (ne dubito...)!!!

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Driiiiiiiiiiiin!!!

-Finalmente è finita…-, disse una ragazza dai capelli castani nascosta sotto un giacchino rosa.

-Già, Sakura. Che stress… Ed ora devo andare a fare compere con mia madre. Sai, devo comprare la stoffa per il costume da Befana che ti devo confezionare per l’Epifania.-, disse una dolce ragazza dai lunghi capelli scuri.

-COOOSA???-

-Dài, scherzavo! Ora tu che fai?-

-Oggi tocca a me cucinare, quindi andrò a casa. Ci sentiamo dopo per telefono, Tomoyo! Ciao!-

-Ciao Sakura!-

La ragazza dai capelli castani si avviò verso casa, ma mentre attraversava la strada un ragazzo con la bicicletta quasi la investì.

-Ma sei pazzo???-, disse la castana.

-Scusa, carina!-, rispose il giovane con un velo ironico.

“Non l’ho mai visto prima… Sarà appena arrivato!”, pensò Sakura. Mentre camminava l’immagine del suo eventuale assassino le passò davanti: era alto e aveva un viso davvero incantevole, due occhi marroni e profondi e capelli dello stesso colore sempre scompigliati che le ricordavano Harry Potter (ma che paragoni faccio? Ndme). L’unica cosa che stonava era un sorriso beffardo e da presa in giro. Questo particolare le dava un fastidio pazzesco solo a pensarci. La stava per investire e rideva pure? Eppure non le dispiaceva di aver conosciuto quel ragazzo… Be’, non è che lo conoscesse, lo aveva solo visto e gli aveva dato del pazzo, ma nient’altro. Quasi si pentiva di averlo insultato in quel modo. Ma le riecheggiò in mente la frase pronunciata dal giovane: “Scusa, carina!”… Carina… Carina? A lei? Nessun ragazzo gliel’aveva detto fino a quel momento.

Rimuginando sull’accaduto, arrivò a casa:

-Ciao, sono tornata!-

-Una bambina di dieci anni non dovrebbe arrivare a casa a quest’ora, soprattutto se è un mostro che potrebbe spaventare tutto il vicinato…-, disse il fratello Touya.

-La vuoi smettere??? Che profumino… Polpette di granchio! Le adoro! Si mangiano le polpette di granchio, la la la! Scusa, ma non avrei dovuto cucinare io?-

-Se avessi aspettato te avremmo mangiato alle undici di stasera, mostro! Dato che non hai niente da fare, vai a stendere il bucato!-, disse Touya togliendo una polpetta di granchio dalle mani di Sakura e indicandole una montagna di vestiti.

-Ok!-

La castana giunse in giardino e cominciò a stendere, quando sentì un pallone colpirle il braccio…

-Ma cosa…?-

-Ehi, ancora tu? Mi passeresti la palla? Stavo giocando a calcio con i miei amici ed è finita nel tuo giardino…-

-Eh? Ah, sì, subito! Ecco la palla…-, disse Sakura porgendo il pallone al ragazzo che le si prospettava davanti.

-Noi ci siamo già incontrati, vero?-

-Be’, in effetti ti stavo per investire…-

-S-senti… Come ti chiami?-

-Io sono Shaoran Li, tu?-

-Ecco… Io mi chiamo Sakura Kinomoto, piacere! Da quanto sei qui?-

-Mi sono trasferito due giorni fa.-

-Allora non hai tanti amici…-

-Nemmeno uno.-

-Ma non hai detto che stavi giocando con i tuoi compagni?-

-Be’, ecco io… In effetti… Non sono affari tuoi!-, sbottò il ragazzo, andandosene di corsa.

“Shaoran…”

*Il giorno dopo a scuola…*

-Buongiorno, ragazzi! Seduti!-. Il professor Terada entrò.

-Pssss! Tomoyo! Non sai che mi è successo ieri!-, disse Sakura, che si era appena seduta. Quella notte aveva dormito poco, ma non capiva il perché.

-Cosa?-

-Un ragazzo mi stava per…-. Non finì la frase perché in classe entrò il loro nuovo compagno.

-Salutate il vostro nuovo compagno, Li Shaoran! Viene da Hong Kong.-

Era lui. Perché Sakura tremava ed era così nervosa?

-Siediti pure dietro Sakura!-.

Shaoran si avviò verso il suo banco e si sedette.

-Ehi, Kino?-

-Sì??? Comunque mi chiamo Sakura…-, disse la ragazza un po’ irritata.

-Certo, Kino, Ci si rivede, eh? Sai che hai degli occhi così belli che guardo quasi più loro che il tuo sedere?-

-Ma cosa…?-. La ragazza si voltò esasperata. Ma chi era lui per parlarle così?

La giornata passò in quel modo, fra gli “educati” apprezzamenti di Shaoran e la malinconia di Sakura.

Sì, non era arrabbiata, ma malinconica. Aveva capito che loro due non sarebbero mai andati d’accordo e le dispiaceva in un modo incredibile. Aveva perso un amico prima ancora di averlo trovato.

Ma…

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SCUSATE SCUSATE SCUSATEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!! Lo so, è breve ed è brutto, però vi assicuro che dal prossimo capitolo capirete molte cose e accadranno eventi più coinvolgenti. Vi prego solo di lasciare una recensione, soprattutto se negativa!!! Vi ringrazio in anticipo, CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!

Francy

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Capitolo 2
*** Come ti permetti?! ***


Nuova pagina 1

CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Ora viene la parte più bella… Ah ah ah ah ah ah!!! (io ho paura di questa qua… NdShaoran)(e poi tu non ti comporteresti mai così, vero? NdSakura)(be’… Dipende! Me la dai? NdShaoran)(cheeeeeeeeeeeee??? NdSakura)… Ok, ecco il secondo capitolo, che ho intitolato: “Ma come ti permetti?!”… Si chiama così perché Sakura lo dice praticamente ogni due secondi…!!!

 

****************************************************************************

-Ciao, Tomoyo, ciao Kino!-, disse Shaoran con scherno.

-Tomoyo, aiutoooooo!-, gridò esasperata la castana.

-Dài, Sakura, è simpatico!-, ammise la mora con uno strano sorriso

-Cosa????????????-

-Be’, andiamo a casa ora.-

Sakura salutò Tomoyo e s’incamminò verso casa sua. Quel giorno non era compito suo cucinare, quindi poteva benissimo fare una passeggiata. Da sola. Finalmente sola.

Ripensò alla giornata a scuola appena trascorsa,

“Ma come si è permesso di dirmi quelle cose? Apprezzo il fatto che mi trovi carina, ma nel modo in cui lo esprime lui sembra una presa in giro… Non so cosa pensare di Shaoran: è così scontroso e beffardo, ma così… così carino, devo ammetterlo.”.

I suoi pensieri furono interrotti da delle ragazze che cantavano a squarciagola una canzone: “Almeno tu nell’universo” (è di Mia Martini, credo, ma a me piace la versione di Elisa… Ndme).

-SAI, LA GENTE E’ STRANAAAA, PRIMA SI ODIA E POI SI AMAAA…-

Le parole di quella canzone erano davvero adatte a quel momento di riflessione: “Lo odio? O lo amo? Di solito l’odio è qualcosa di più immediato dell’amore. L’amore arriva dopo molto tempo dal momento in cui si conosce una persona. Io conosco Shaoran da due giorni, non posso amarlo. E poi lui è DAVVERO odioso… Mi prende sempre in giro… Ma quando i suoi occhi incrociano i miei… Non resisto, vorrei avvicinarmi a lui e accarezzarlo… Subito, però, il mio sguardo si posa su quel sorriso, un sorriso che mi fa rabbrividire dalla rabbia. Un sorriso che mi rende triste, non so perché…”.

-Ciao baby!-. Quella voce la risvegliò dai suoi pensieri.

Ad un tratto un misto di irritazione e acidità le si infiltrò nello sguardo, per poi arrivare fino alle labbra, lasciando quel corpo sottoforma di voce:

-Che vuoi? Non hai ancora finito di disturbarmi?-.

Ma che stava facendo? Dove era finita la piccola e graziosa Sakura di sempre?

Il suo sorriso si era spento e aveva lasciato il posto ad una smorfia di fastidio profondo.

-Ehi, calmati piccola! Che ti è successo? Hai perso la mammina???-

Quelle parole la colpirono nel profondo, come se lei fosse un birillo, quella frase la atterrì come una palla da bowling.

-T-tu… COSA PUOI CAPIRE TU DI MIA MADRE? T-TU NON HAI IL DIRITTO DI PARLARE COSI’ DI LEI! COME TI PERMETTI?!-

Era furiosa. Avrebbe voluto fargli del male, fargli capire come si sentiva in quel momento, disperata, delusa.

Sì, delusa, Perché? Aveva insultato sua madre. Ok, l’aveva solo  nominata, ma il suo nome era stato pronunciato con tanto scherno. Non lo sopportava.

Aveva impiegato anni a costruirsi quel muro che separava la madre da ogni pensiero. Non voleva che si parlasse in giro di quella perdita. In fondo lo sapevano solo la sua famiglia e Tomoyo.

“Tomoyo…”

Le era stata sempre vicina e aveva cercato di difendere sempre e comunque la sua amica, sempre. Ma proprio sempre?

“Oggi no. Oggi non mi ha difesa da Shaoran. Quando mi ha chiamata Kino lei ha detto che lui era simpatico. Cos’è cambiato? Fino a qualche giorno fa avrebbe aggredito (verbalmente, si capisce! Ve la immaginate Tomoyo che fa wrestling??? Ndme) chiunque mi avesse presa in giro o menzionato mia madre…”.

Fu distratta da un colpo di tosse del ragazzo.

Si ricordò…

-Oh, ci sei?-, disse Shaoran.

Lei lo guardò con tristezza e scappò via, lontano da quegli occhi ingannatori che le intimavano di restar lì.

“Perché non gliel’ho fatta pagare? Sto soffrendo solo per lui e lo lascio andare così? Cosa mi trattiene dallo spaccargli la faccia? Non lo so…”.

All’improvviso si fermò e si voltò di scatto.

Per un attimo vide sul volto di Shaoran una sfumatura di preoccupazione, ma poi subito il ragazzo cambiò espressione e le disse:

-Senti, fai come vuoi! Ma almeno spiegami che ho fatto! Mah, le donne… Be’, stammi bene, bionda! (che ne dici Lau? Visto che le tue esperienze di vita sono utili??? Ndme)- . Così disse e si voltò camminando placidamente con le mani in tasca.

Sakura lo guardò stizzita e sbottò:

-IO NON SONO BIONDA, SONO CASTANA!-

-Certo, certo. Ciao, Kino bionda!-

Sakura si girò dalla parte opposta e cominciò a camminare con uno strano sorriso stampato sul volto…

“… Ma perché sorrido? Dovrei piangere… Ha parlato male di mia madre e io sorrido? Ma che mi prende??? Oh mio Dio… Che mal di testa io…”.

Non riuscì a terminare la frase perché si appoggiò esausta al muro.

Si sentiva stanca, ma non aveva fatto niente, Niente? Stava camminando da un’ora. Non se n’era proprio accorta. Il tempo si fermava quando si perdeva in quegli occhi nocciola…

-Sakuraaaaa! Dove seiiii???-

-Touya…-

-Sakura, ma che ci fai accasciata a terra?-

-Sono… io…-. Non riuscì a terminare la frase perché svenne tra le braccia del fratello.

 

 

-Capita a volte che la gente che ti sta attorno sia contro di te, vero? Ma tu non devi demoralizzarti, mai…-

Una persona le stava parlando, ma non capiva chi fosse…

-Piccola mia, io ti salverò… Resisti, mia piccola Sakura…-

-Ma tu chi sei?-

-Salve, il mio nome è…-

 

 

-… La donna è mobile, la la la la la la…-

-Papà... Ma che stai cantando???-. Sakura era stesa sul letto e il padre le stava servendo del the.

“Sono a casa… Allora è stato un sogno… Chissà chi era quella persona…”.

Il signor Fujitaka, dopo aver verificato le condizioni della figlia, uscì dalla stanza.

-Kero? Ti devo fare una domanda.-

-Sì?-, rispose un peluche alato.

-Be’, tu mi hai detto che le Card Captor fanno sogni premonitori, vero?-

-Sì, Sakura-, disse Kerochan mentre si ingozzava di biscotti.

-Questi sogni possono essere premonitori anche se non sono inerenti alla magia?-

-Certo! Clow un giorno sognò di ricevere una giraffa al compleanno e la ricevette!!!-

-Ok, grazie Kero!-.

Non era più arrabbiata, ma solo tranquilla.

All’improvviso il telefono squillò…

-Pronto?-

-Ciao, Sakura, sono Tomoyo. Ti devo raccontare una cosa…-

 

**************************************************************************

 

CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Come va? Ve l’avevo detto che era più comprensibile questo capitolo!!!

Ringrazio infinitamente tutte coloro che hanno recensito!!!

Non so come chiamarmi: sono felice che la storia ti ispiri!!! Comunque ho fatto apposta a inserire quella similitudine!!!!!!!!!!!! Shaoran non potrebbe MAI essere paragonato ad Harry Potter…!!!

Dark Feder: sìììììììììììì!!! Festeggiamooooooooo!!! Scusa, sono impazzita… Comunque so che a te piace Yue, vero? Sai, credo che fra un po’ inserirò anche lui! Che ne pensi? Spero che anche questo capitolo ti piaccia!!!

Lala_g: che belloooooo!!! Sono felice che la fancic ti piaccia! Come ho già detto mi sono ispirata ad un mio compagno di classe che si comporta così anche con le prof!!! Mi raccomando, dimmi la tua opinione anche su questo cap!!!

LAU(MALATA……….ECC….ECC..): ave, Laura!!! Non ci credo, ho una tua recensione!!! Sono felicissimissimissimissimissimissima che la storia ti piaccia!!! Cavolo, ho una recensione della mitica Lau (grazie, grazie, modestamente… NdLau)!!! Comunque la frase di cui parli è: soko ni inkei ka desu??? Mi vergogno a dirti il significato… Va be’, diciamo che significa che l’inkei è nel soko… Ma perché l’ho scritto??? Mah! Mi raccomando, continua a recensire perché mi fai davvero morire dalle risate! AH AH AH AH AH!!! A presto, aspetto un tuo commento!!!

Jk Helen: wow, ti piace davvero la mia fancic? Che belloOoOoOoOoOoO!!! Comunque Shaoran OOC è molto più attivo (in tutti i sensi…), vero??? Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo!!!

Anto chan: visto, ho aggiornato abbastanza presto!!! (ci hai messo due giorni!!! NdAnto) va be’, devi considerare il fatto che sono LENTISSIMA  a scrivere, quindi… Spero che lascerai un commento anche questa volta, ciaoooo!

Rossanasmith: mi fa molto piacere che la storia ti piaccia!!! A me, personalmente, piace più Shaoran versione babbio, però volevo provare a fare qualcosa di diverso! Be’, spero che “Come ti permetti?!” ti sia piaciuto, ciaoooo!!!

LizDreamer: davvero ti piace? Sìììììììì! Che bello! Non sai quanto tempo ho impiegato ad insegnare a Shaoran come si doveva comportare! (io non sono un maniaco e non guarderei mai il sedere di Sakura! NdShaoran)(sì, ma quello dell’Arcuri sì…)(come hai scoperto che non leggevo la Bibbia ma Playboy???NdShaoran)(lascia perdere…)! Spero che continuerai a commentare, ciaoooooooooooooooooooo!!!

Shiny94: ciao! Lo so che Shaoran non ha un carattere molto piacevole, però io l’ho immaginato così! Comunque scoprirete molte cose su Shaoran nel prossimo capitolo, che spero leggerai! Ciao!

L’egittologa: che bellooooo! Una nuova persona si è aggiunta al circolo dei malati mentali!!! No, scherzo! Comunque “nd” significa “nota di…”, capito? Mi raccomando, se hai qualche altro dubbio, chiedi pure a me, io sono sempre disponibile! Ciaoooo!

Ok, ho finito!!!

Il prossimo cap (credo) si chiamerà: “Il messaggio”!!! Ciaoooooooooooooooo e recensiteeeeeeeeee!

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Capitolo 3
*** Il messaggio ***


Nuova pagina 1

CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! Vi lascio subito al capitolo, che si chiama: “Il messaggio”!!!

 

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-Ti dispiacerebbe venire un secondo a casa mia, Sakura?-, disse la mora tenendo in mano la cornetta.

-Va bene Tomoyo, vengo fra cinque minuti!-

Detto questo, Sakura riattaccò. Fece un respiro profondo e andò in cucina per avvisare il fratello che andava da Tomoyo.

-Va bene, ma torna per cena-

-Sì, Touya!-.

Era allegra, non sapeva perché, ma si sentiva completamente felice. Stranamente felice. Cercò di ricordarsi ciò che aveva fatto prima di quel buco nero che aveva in mente, che equivaleva al suo svenimento. Non ricordava un gran chè. Solo due occhi, due stupendi e profondi occhi che la fissavano preoccupati, per poi tramutarsi in due frecce che la colpirono nel cuore.

Si risvegliò da quei pensieri e s’incamminò verso la casa dell’amica.

“Com’è bella la luna…”.

Ad un tratto si ritrovò davanti un alto ragazzo dai capelli argentei e l’abito bianco.

-Dove stai andando, Sakura?-

-Ciao, Yue! Vado da Tomoyo, perché?-

Il viso del guardiano della luna sembrava preoccupato:

-Qui… In questa città c’è una persona dotata di poteri magici, lo sento…-

Sakura si concentrò.

-E’ vero! Proviene da casa di Tomoyo. Andiamo!-.

I due corsero a perdifiato verso la casa della mora. Il vento pungeva sui loro visi come delle spine taglienti.

-Siamo arrivati!-, ansimò Yue.

-Tomoyo? C’è nessuno?-, disse Sakura.

-Guarda, la porta è aperta!-

-Entriamo... Yue, posso farti una domanda?-

-Sì.-, rispose Yue soffiandosi il naso (anche gli esseri magici hanno il raffreddore! Ndme)

-Che shampoo usi???- (non posso fare a meno di scrivere queste cose demenziali! Ndme)

-Pantene, perché?-

-No, niente, i tuoi capelli sono fantastici!!!-

I due varcarono la soglia della casa.

“Non so perché, ma ho un brutto presentimento…”. Il cuore di Sakura batteva all’impazzata e lei non riusciva proprio a fermarlo.

Aprì di scatto la porta della cucina e la scena che le si prospettò dinnanzi la colpì nel cuore, lo distrusse e lo frantumò in mille e mille pezzettini.

-Sh-shaoran… Tomoyo…-. Solo questo riuscì a dire, poi sprofondò in una sedia e si prese la testa fra le mani, singhiozzando rumorosamente.

Shaoran era seduto su una sedia e Tomoyo sopra di lui. Si stavano abbracciando.

“Calmati Sakura… Forza, non è detto che stiano insieme, non si stavano mica baciando…”. Quei pensieri, però, non riuscirono  a consolarla.

-Sakura… Che c’è?-, disse dolcemente Tomoyo.

-CHE C’E’? TU OSI CHIEDERMI COS’ABBIA IO? TOMOYO, TU SEI…-. Non riuscì più a continuare. Ormai la rabbia si era impossessata di lei, della sua mente, del suo corpo.

Shaoran restava zitto, perché non capiva cosa stesse succedendo (anche se si dà una mossa, rimane sempre un cretino! No, scherzo!!! Ndme).

“… Come ha potuto farmi questo? Tomoyo sapeva che Shaoran mi… piaceva. Mi piaceva? Non lo sapevo nemmeno io che lo amavo e pretendo che lo sapesse Tomoyo? Lei non ha colpa di tutto questo. Forse anche per lei è stato amore a prima vista nei confronti di Shaoran. La colpa è solo mia. Lei si è data subito una mossa e ha fatto vedere il suo lato migliore, mentre io cos’ho mostrato a Shaoran? Né un sorriso, né una parola dolce, nulla di nulla. Loro saranno sempre felici insieme e io non posso farci niente…”. Pensando questo, Sakura si alzò e uscì dall’abitazione senza salutare, mentre Tomoyo la rincorreva con Shaoran e Yue tornava a casa sottoforma di Yukito pensando che sarebbe stato inutile per lui restare lì.

Sakura si fermò e si sedette su una panchina. Subito Tomoyo e Shaoran la imitarono.

-Ehi, Kino, che hai? Hai perso la…la… testa???-. Non osava ripetere la scena accaduta qualche ora prima, avendo notato la reazione della castana.

-Perché siete qui? Dovreste stare insieme, felici e contenti…-, disse Sakura tirando su col naso.

-Stare insieme??? Ma che dici? Tu credi che noi… Ah ah ah!!! Come puoi pensare questo?-, rise Tomoyo.

Sakura la guardò curiosa e perplessa:

-Non fare la finta tonta, ho capito che state insieme!-. A quel punto Sakura cominciò a singhiozzare sempre più forte, quasi disperatamente.

-Sakura, ora ti spiego. Mio padre Chinoko lasciò mia madre Sonomi quando lei era ancora incinta…-

-Incinta? Che significa?-, disse curiosa Sakura.

-…………………….Poi ti spiego… Comunque, mio padre andò in Cina e trovò una ragazza molto carina. Dopo averlo fatto con lei…-

-Cosa ha fatto con lei?-, sbottò Sakura.

-Scusa ma tu che vedi il pomeriggio alla tv, i teletubbies???-, rise Shaoran.

-Schhh! Comunque ebbero un bambino, e questo bambino è Shaoran.-, disse Tomoyo.

-Quindi voi siete… fratelli… Allora perché eravate abbracciati?-, pronunciò Sakura dopo essersi asciugata le lacrime.

-Perché ci siamo appena ritrovati! Tu che faresti se vedessi Touya dopo molti anni?-. rispose Tomoyo.

-Be’, in effetti…-

-Kino, ma perché piangevi?-, disse Shaoran curioso.

-Io? No, niente!-, Non poteva mica dirgli che quando incontrava i suoi occhi si sentiva in paradiso!

-Be’, ora è tutto sistemato! Ciao sorella, ciao bionda!-, salutò il cinese toccando il sedere alla castana.

-Primo: non sono bionda! Secondo: non osare più toccarm! Terzo: ti odio!-, urlò Sakura.

-Certo… Ciaooooooo!!!-.

Sakura, così, tornò a casa.

“Cavolo, che spavento! Credevo che stessero insieme… Ma cosa mi viene in mente??? E’ stato bello, però, fare la parte dell’ingenua! Tutti pensano che io non sappia niente di niente, e invece… Shaoran è proprio stro**o qualche volta, però…”. A quel punto un sorriso dominò il suo dolce viso.

Ma i suoi pensieri furono interrotti da… UN MESSAGGIO…

“Chissà chi sarà…”, pensò Sakura, che lesse con meraviglia l’SMS appena ricevuto.

“TVB… Non dimenticarlo.”.

Sakura rispose al messaggio (d’ora in poi i messaggi di Sakura saranno sottolineati e quelli di colui che risponde in corsivo ndme).

“Chi sei?”

“Il tuo sogno… Il futuro è mio… Non aver paura…”

“Senti, parla chiaro perché fra poco mi finiscono i messaggi gratis!”

“Ma fatti una ricarica!!! Comunque io so il futuro. Io sono la persona del tuo sogno.”

“Ma chi sei veramente? Io ti conosco?”

“Sono colei che contempla la luna (non sono una fan di Yue…). Io ti proteggerò da qualsiasi male…”

“Be’, io non direi proprio, dato che sono appena inciampata e non è venuto nessuno a soccorrermi…”

“Tu chi credi che io sia?”

“Penso qualcuno che mi vuole bene davvero, tipo Tomoyo”

“Ti dice qualcosa il nome Fujiko?”

 

**************************************************************************

 

Ciaooooooooooo! So che il titolo non è del tutto adatto, ma mi piaceva in un modo incredibile! Mi dispiace, ma non posso ringraziarvi uno per uno, perché devo andare a studiare storia (abbiamo il compito……………………..)! Quindi grazie soprattutto a Laukurata89, che ha corretto la mia storia prima che venisse pubblicata (grazie prof Scotto!!!), ma anche Anto chan, non so come chiamarmi (sai che volevo chiamarmi anch’io così all’inizio??? Poi dopo anni [???] di riflessione ho trovato un nome decente!), Deborah, Avril90 (volevo chiederti una cosa: tu ti chiami così perché ti piace Avril Lavigne? No, perché io adoro come canta!!!), Dark Feder (che ne dici? Forse Yue è comparso per troppo poco tempo?), Rossanasmith (secondo te è lungo abbastanza? Grazie per aver notato questo problema, te ne sono infinitamente grata!!!), lala_g, Shiny94 (il sogno è solo quello in corsivo! Scusa se non ho specificato!), LizDreamer, Jk Helen, Geo88, Sakura93 e ancora Laukurata89 (mi dispiace un casino che  abbiano tolto la tua recensione… Perché non chiediamo al presidente della Repubblica il lutto nazionale??? Comunque grazie miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiille per averne inserito un’altra! E poi soprattutto grazie per il tuo sostegno! Mi sto commuovendo… sigh sigh…………)….

Ok, ho finito! Ci vediamo al prossimo cap che si intitolerà………….. non lo so ancora!!! Va be’, scusate la mia demenzialità…

Ciaooooooooooooooooooooooo!!!

 

Francy

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Capitolo 4
*** La mia anima è in te ***


Nuova pagina 1

Salve a tuttiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! (oggi sono molto educata, vero??? Ndme)… Ecco il quarto capitolo, che si chiama: “La mia anima è in te”!!! Buona lettura!!!!!!!!!!!!!

P.S.= scusate tanto tanto tanto, ma ho sbagliato a scrivere l’altra volta! Sakura qui  ha quattordici anni, non dieci. Scusate ancora, sono davvero dispiaciuta!!! Perdonatemi per quello che ho scritto!

P.P.S.= vi consiglio di leggere questo capitolo ascoltando “Hide and Seek” degli Imogen Heap (è la canzone della pubblicità di “The O.C.”)!!!

 

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“Ti dice qualcosa il nome Fujiko?”

Sakura non riuscì più a muoversi in quel momento.

“Fujiko…”

Il vago ricordo di quel nome scritto su una lastra di pietra nel cimitero di Tomoeda le si infiltrò nel cervello.

“Non è possibile…”. Potrebbe essere uno scherzo. Sì, ma di chi? La sua famiglia era da escludere, come anche Tomoyo, del resto. Allora chi osava spacciarsi per… SUA MADRE?

Era rimasta paralizzata in quella posizione, con il cellulare che pendeva dalla sua mano sinistra, la destra fu portata alla bocca, perché un leggero gemito di sorpresa le era uscito dalle labbra. Ormai non sapeva più che fare, così si appoggiò al muro per  ottenere un  minimo sostegno.

“Non mi interessa chi sei e cosa vuoi da me, ma non è giusto fare questi scherzi.”

“Io sono tua madre Fujiko, non potrei mai farti uno scherzo del genere. Sei la mia bambina, come potrei prenderti in giro?”

“Mamma, ma tu sei morta…”

“Non del tutto…”

A quelle parole Sakura rimase letteralmente pietrificata. La sua mamma…

“La mia mamma… MIA MADRE…”.

Perché? Perché doveva succedere tutto così in fretta?

L’arrivo di Shaoran… La sua indecisione… Shaoran e Tomoyo che sono fratelli… La sua mamma…

“Se sei davvero mia madre, fatti vedere! Perché io non ti credo. Mia madre è morta e ormai me ne sono fatta una ragione, quindi non voglio tornare indietro!”

-Eccomi qua.-.

Una voce ruppe quel silenzio quasi sacro che si era creato attorno a lei. La luna era alta nel cielo, ma era un po’ sfocata. Il vento diventava sempre meno forte, quasi fino a scomparire. I gatti non miagolavano più, ma giocavano felici fra loro.

Era tutto così tranquillo, così maledettamente tranquillo.

Quella voce riecheggiò nella strada, rimbalzando da un palazzo ad un altro, fino ad arrivare alle orecchie della castana, ormai sconvolta nel vedere la figura che si stagliava davanti a lei.

Quella voce dolce… La conosceva bene. Era quasi musica per lei. Il suo canto celestiale le riempiva la mente e il corpo di felicità.

“Non è possibile… Allora tu…”.

Come se le leggesse nel pensiero, la figura le disse:

-Ciao, Sakura. Ora hai capito tutto, vero? Io non sono mai morta, sono stata vicino a te… sempre-

Sakura parlava con voce strozzata, come se stesse per piangere. Sinceramente, non sapeva se essere felice o triste:

-I-io… Io non capisco…-

-Non far finta di non capire… Lo so, io sono sempre stata un mistero per te. Prima…-

-Aspetta, T-tomoyo.-, balbettò la castana.

-Sì? Ora puoi farmi tutte le domande che vuoi, non sarò mai più un segreto per te.-, aggiunse la mora con un sorriso quasi angelico.

-L’anima di mia madre… è in te, vero? Si è… reincarnata, giusto?-.

Detto questo cominciò a piangere senza sosta.

“La mia mamma… è qui con me. Finalmente posso riabbracciarla!”. Questo pensava Sakura in quel momento, mentre si avvicinava all’amica.

“Amica… Cosa sarà ora Tomoyo per me? E’ mia madre, sì, ma è anche la mia migliore amica. Cosa devo scegliere?”

-Tomoyo… Chi sarai tu per me… ora?-, chiese quasi timorosa della risposta Sakura.

-Cosa sono stata per te fin’ora?-

Sakura riflettè un momento:

“Ecco… Tomoyo è… Per me è stata la donna più importante della mia vita, da quando è morta mia madre (non pensate che siano lesbiche… In questa ff non lo sono!!! Ndme). Mi ha protetta da tutti, tranne da Shaoran…”.

-Tomoyo, perché non mi difendi mai da Shaoran?-

La mora sorrise placidamente e pensò: “Me l’aspettavo questa domanda…”

-Ti ho detto che io so il futuro, vero? Questo significa che so qualcosa che tu non sai e che riguarda anche Shaoran.-

“Shaoran…”

-Significa forse che avremo un futuro insieme?-, chiese Sakura eccitata da quella notizia.

“Allora mi piace davvero… Shaoran… Ma perché prima lo odio e un secondo dopo lo amo più di me stessa?”.

-Sai, a volte è bello vivere la vita senza sapere l’avvenire. Io voglio, o meglio tua madre, vuole che tu viva la tua vita. Non preoccuparti del futuro…-

-Ma allora tu e mia madre siete due entità diverse?-. Sakura non capiva in pieno la situazione.

-Siamo come Eriol e Clow Reed, capisci?-

Sakura era felicissima ed era persa nei suoi pensieri, per questo non rispose alla mora.

-Ora ti accompagno a casa, amica mia. Noi siamo amiche e il nostro rapporto non è che migliorato. Non è cambiato nulla.-.

Così dicendo le due amiche si incamminarono verso l’abitazione della castana.

-Ti voglio bene, amica mia-

-Anch’io… mamma.-

 

****************************************************************

CIAO A TUTTIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!! Lo so, questo capitolo è stato un po’… strano. Ma ditemi la vostra opinione, mi raccomando!!!

Non posso ringraziarvi singolarmente, ma GRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAZIE!!!

Ci vediamo al prossimo capitolo, che s’intitolerà: “E’ la prima volta che…”! Ciao a tutte e

RECENSITEEEEEEEE!!!

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Capitolo 5
*** E' la prima volta che... ***


Nuova pagina 1

Ciaooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!! Come va?  Ecco il quinto capitolo, che s’intitola: “E’ la prima volta che…”! Ho incentrato il capitolo su un certo avvenimento, perché è una cosa che nessuno ha mai trattato fin’ora. Lo so, è abbastanza imbarazzante, però…!!!

 

****************************************************************

 

-Svegliati Sakuraaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!-, gridò un peluche giallo che svolazzava sopra la testa della sua padrona.

-Mmh… Sì…-. Una ragazzina castana si alzò di malavoglia dal suo caldo letto.

-Kerochaaaaaan…-, disse sbadigliando sonoramente.

-Sì?-, rispose il pupazzo.

-Mi sento strana…-

-Senti qualche presenza?-, disse preoccupato Kerochan.

-No, ma… Boh! Forse mi sto immaginando tutto…-.

Così dicendo, Sakura si vestì velocemente e scese per fare colazione.

Quando posò l’occhio sulla foto della madre, un immancabile sorriso le si allargò sul volto.

-Mammina… Dopo ti saluterò.-

Fece velocemente colazione e, ignorando i vari nomignoli che le affibiava il fratello, si avviò verso la scuola.

L’aria attorno a lei era frizzante e le pungeva il viso, ma questo le faceva piacere. Il sole era alto nel cielo e rischiarava la città con i suoi caldi ed aurei raggi. Il cielo azzurro le ricordava, invece, il colore di un piccolo fiore selvatico nato nel suo giardino. Le piaceva tantissimo; sembrava una rosa, ma non aveva spine, e poi lo stelo era lungo e sottile. Solo vedendolo tutti i suoi problemi sparivano all’improvviso e un sorriso le si apriva immancabilmente in faccia. L’aveva  notato il giorno prima, quando Tomoyo l’aveva accompagnata a casa.

Non è che fosse poi così sconvolta dalla scoperta che aveva fatto il giorno prima, perché comunque aveva notato che la sua amica era estremamente protettiva con lei e non notava nessun atto di invidia nei suoi confronti. Di solito tutti gli amici litigano almeno una volta, ma loro due mai. Quindi c’era qualcosa di strano nel loro rapporto e finalmente lei aveva capito cosa fosse.

Un’improvvisa folata di vento la distrasse dai suoi pensieri e le scompigliò i capelli. Guardò avanti a sé e vide due figure camminare nella stessa direzione.

-Tomoyo! Shaoran!-, gridò Sakura agitando la mano in segno di saluto.

-Ciao Sakura!-, rispose la mora voltandosi.

-Ehi, Kino, come va?-, rise il ragazzo.

-IO MI CHIAMO SAKURA!-, urlò esasperata la castana.

-Come sei nervosa oggi… Che hai le mestruazioni???-, disse Shaoran cpn il suo solito sorrisetto.

-Tomoyo, aiutami… Non lo sopporto più!-, piagnucolò Sakura.

-Shaoran, dài… Non hai pietà di questa ragazza?-. rise la mora.

-Be’, andiamo a scuola, se no facciamo tardi!-, tagliò corto la ragazza dagli occhi color smeraldo.

*Poco dopo in classe…*

-Ragazzi, oggi vi devo spiegare un nuovo argomento di matematica.-, disse sorridente la signorina Mitsuki. (da quanto ho capito, nell’anime il prof di italiano è Terada, mentre quella di matematica è la Mitsuki! Ndme).

-Oh no…-, sospirò Sakura.

-Dai, se vuoi dopo ti aiuto io.-, sussurrò Shaoran.

-Davvero?-, spalancò gli occhi la castana.

-Certo!-, disse sorridente il ragazzo.

-Tu sei bravo in matematica, vero?-, disse Sakura stupita.

-Matematica? Guarda che io stavo parlando di educazione sessuale!-, rise il ragazzo.

-Dovevo immaginarlo…-, borbottò Sakura rigirandosi delusa.

Dopo qualche minuto, mentre la Mitsuki spiegava per la seconda volta il concetto per chi non aveva capito (fra questi c’era anche Sakura, ovviamente… Ndme), Shaoran spalancò gli occhi incredulo e pensò: “Allora quella che ho fatto non era una battuta…”. Dopo aver ben formulato in mente una frase minimamente educata per riferire ciò che aveva visto a Sakura, bisbigliò:

-Ehm… Bionda?-

-Non chiamarmi bi…-, non finì la frase la castana, perché Shaoran la interruppe.

-O hai un taglio sul sedere, oppure…-, esitò il ragazzo: -oppure hai avuto le mestruazioni…-.

Sakura non capiva bene cosa volesse dire, anche perché era immersa nella spiegazione della divisione fra due polinomi (la mia prof di mate ci ha messo due settimane per spiegarcela!!! Ndme).

Sakura si girò per guardarsi la gonna e… in effetti era tutta sporca di sangue (Lau, anche le mie esperienze di vita non sono così inutili…!!! Ndme).

Così alzò di scatto e notò che anche la sedia era sporca:

-Tomoyo!-, disse impaurita la ragazza.

-Oh mio Dio…-, disse la mora guardando prima l’amica, poi la sedia e poi Shaoran.

-Sakura, fai finta di tenerti il naso come se ti stesse uscendo il sangue, ok?-, disse furbescamente Tomoyo, che poi aggiunse:

-Professoressa, a Sakura esce il sangue dal naso. Posso accompagnarla in infermieria?-,

Dopo il permesso della Mitsuki, Sakura e Tomoyo si avviarono verso il bagno della scuola.

-Certo, Sakura, che hai fatto proprio una bella figura di merda!-, disse quasi ironica Tomoyo.

-Ma come parli? Tu non hai mai detto parolacce, Tomoyo!-, disse sorpresa Sakura.

-Io sono tua madre e, se permetti, ho vent’anni più di te e le parolacce posso dirle!-, disse quasi stizzita la mora.

-Mah… Comunque ora che faccio?-, riferì Sakura guardandosi la gonna.

-Ma perché le gonne delle divise sono sempre bianche???-, notò esasperata Tomoyo.

Sorvolando su quello che fecero prima di procurarsi un’altra gonna (credo che sappiate tutte a cosa alludo… Ndme), tornarono in classe e Sakura era ancora rossa per la vergogna.

-Uff… Non fare quella faccia, guarda che ti ho vista solo io…-, disse rassicurante Shaoran a Sakura.

-E ti sembra poco?-, bisbigliò acida la castana, mentre Tomoyo rideva come una pazza per quella scena.

All’uscita si trovarono tutti e tre presso il cancello della scuola per salutarsi:

-Ciao, Kino bionda!-, salutò ironico Shaoran.

-Uff… Vuoi smetterla?-, disse seccata Sakura.

-Ah, dimenticavo! Auguri e buone mestruazioni!!!-, aggiunse ancora il ragazzo.

-Tomoyo… NON LO SOPPORTO!!!-, gridò la castana mentre la mora rideva divertita.

Così si avviarono verso casa.

-Sono tornata!-, salutò allegra Sakura.

-Ciao mostro!-, la accolse il fratello Touya.

-Insomma, VUOI SMETTERLA PURE TU???-, urlò Sakura.

-Quanto sei nervosa… Ma che hai le…-, cominciò il ragazzo.

-BASTA!-, disse la castana andando in camera sua.

-Ma è impazzita? Io volevo chiederle se avesse le matite che le ho prestato ieri… Mah!-, disse Touya perplesso e ritornò a cucinare.

 

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BONJOUR!!! Comme ça va? Scusate, ma non mai fatto francese…!!! Comunque anch’io sapevo che si chiamasse Nadeshiko nell’anime, ma mi ricordavo anche Fujiko. Perciò ho controllato su www.google.it e il primo nome che è risultato è stato Fujiko! Mi dispiace… Comunque ringrazio Laukurata89 per il suo sostegno morale (???) e anche: L’egittologa, LizDreamer, Evanescense88, Avril90, Rossanasmith, Anto chan, Non so come chiamarmi, Dark Feder. GRAZIE MILLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!! Ci vediamo al prossimo capitolo, che si chiamerà: “Il party di quel sabato pomeriggio…”. Ciao!!!

p.s.= RECENSITEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!

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Capitolo 6
*** Sguardi ***


Nuova pagina 1

Ciao! Ecco il sesto capitolo della fancic!!! Sarà non troppo romantico, ma neanche troppo comico! Be’, lascio a voi i giudizi (sinceri!)!!! Ecco: “Sguardi”! Lo so, non è quello che vi avevo detto, ma ho cambiato idea e allora… Be’, buona lettura!!!

 

*************************************************************+

 

-Buongiorno a tutti!-

Era una calda giornata di marzo e, nonostante il venticello fresco che tirava, il sole splendeva sereno e il cielo sgombro di nuvole sovrastava tutta la città, mentre era percorso da decine di rondini leggere ed eleganti viaggiavano libere e senza meta.

Una ragazza dai capelli castani salutò felice la propria classe.

-Ciao Sakura! Sei felice oggi, eh? Che è successo?-, salutò curiosa una graziosa ragazza dai capelli neri con riflessi viola e blu (Lau, tipo Grappolo! Ndme).

-Non ce le hai più?-, s’intromise un ragazzo alto e sorridente.

-Cominci già di prima mattina?-, disse nervosamente Sakura.

-Mi sbagliavo, ce le hai ancora!-, aggiunse Shaoran.

-Ma sapete da dove vengono le me…-, cominciò a parlare Yamazaki.

-Non continuare…-, disse Chiharu portando via Yamazaki che ormai stava spiegando tutto il metodo di riproduzione del camaleonte norvegese.

-Ah, comunque ciao Kino!-, rise ironicamente il ragazzo cinese.

-Ciao…-, borbottò Sakura sedendosi sul banco e appoggiando i piedi sulla sedia.

-Guarda che così ti si vedono le mutande!-, avvisò Shaoran.

-Mi vuoi guardare in faccia una volta tanto, eh?-, disse Sakura. Non era arrabbiata, però: quasi divertita.

“Com’è bello… Che occhi stupendi… E i capelli? E poi le sue mani…”. (il resto è meglio non scriverlo, perché altrimenti come rating avrei dovuto mettere NC95… Ndme).

-Oh, ci sei?-, disse Shaoran.

-Eh? Sì…-, cominciò a parlare Sakura, ma Shaoran ormai si era allontanato da lei e andava verso il centro della classe.

-Che stai facendo???-, chiese perplessa la castana.

Il ragazzo era in piedi accanto alla cattedra e non accennava a muoversi. Teneva lo sguardo fisso verso il vuoto e contava mentalmente fino ad otto.

Tutti lo guardavano curiosi e, come Sakura, perplessi. Proprio quest’ultima, credendo che lui non stesse bene, gli si avvicinò per chiedergli come stesse.

-Shaoran, ma cosa…?-. Non terminò la frase perché il ragazzo la scostò con una mano e salì sulla cattedra.

-Avete mai visto qualcuno che balla breakdance?-, chiese alla classe, che rispose negativamente.

-Meglio così!-, disse Shaoran saltando dalla cattedra e facendo una capriola per aria.

Tutti rimasero a bocca aperta.

-Sì sì, lo so, sono bravissimo…-, disse vantandosi Shaoran.

Dalla classe si levarono molti: “Ma come hai fatto?” e “Sei fantastico!!!”, ma Sakura fu l’unica che rimase zitta.

-Be’, Kino, visto?-, aggiunse il ragazzo con scherno.

-Caro, guarda che questo lo so fare anch’io!-, disse un po’ maleducatamente la castana.

-Allora fallo!- (l’avete capita la battuta? Ah ah ah!!! Altrimenti ve la spiego nel prossimo capitolo! Ah ah ah… Quanto sono stupida… Ndme), proferì Shaoran.

-Bene!-, annuì Sakura, che intanto saliva sulla cattedra.

“In effetti non ci ho mai provato… E se morissi?”. Un’altra voce nella sua mente gridò: “Che palle, sei sempre così pessimista??? Se tu fossi un dj ti chiamerei dj Mortorio… A proposito, quella che sta parlando adesso è la tua parte diabolico-maleducata…”. Sakura scuotè la testa e pensò: “Sapevo che mi avrebbero fatto male tutti quei succhi di frutta…!”.

Pensando questo saltò dalla cattedra e fece due capriole per aria atterrando perfettamente.

-Visto, signor io-sono-meglio-di-yuri-chechi???-, disse ironica Sakura.

-Lo credi davvero? Sicuramente non saprai fare questo!-.

Andarono avanti così per un bel po’, finché non arrivò il professor Terada.

Alla fine entrambi erano stanchissimi e si dovettero letteralmente trascinare verso i loro banchi. All’improvviso Sakura si sentì così idiota per esser stata tanto presuntuosa. Allora scrisse un bigliettino e lo porse a Shaoran, che subito lo lesse (i bigliettini di Sakura saranno scritti in corsivo, quelli di Shaoran sottolineati! Ndme).

“Senti… Mi dispiace per prima, ma ero un po’ nervosa. Davvero… Quindi scusami.”.

Subito lui girò il foglietto e scrisse:

“E’ inutile che dici queste cose, io sono sempre più bravo di te. E poi mi ha suggerito Tomoyo di farlo!”

Appena lesse il bigliettino, Sakura si voltò verso l’amica, che le fece l’occhiolino.

“E perché? E poi ricorda che comportandoti così avrai sempre meno amici.”

Shaoran rispose scrivendo:

“Perché lei voleva che tu ti dessi una mossa e che non fossi nota solamente per la tua modestia… Mah,,, Comunque a me non interessa avere amici, anche perché non ne ho mai avuti, ma sono ancora qui. Voglio dire, anche se avessi avuto amici, cosa ci avrei guadagnato?”

La castana lesse sconcertata il foglio e rispose:

“Ma come ti vengono in mente queste cose? Gli amici sono importantissimi! Io aspetto da tempo qualcosa da te, non l’hai capito?”

Ma mentre il foglietto compiva il suo tragitto per arrivare al banco di Shaoran, esso fu intercettato da una grande mano.

“Kinomoto e Li, invece di scrivervi bigliettini d’amore, perché non seguite la lezione?”. Il professor Terada era fra Sakura e Shaoran.

La castana a quelle parole divenne tutta rossa, mentre Shaoran rispose maleducatamente al professore:

-Bigliettini d’amore??? A lei? No, grazie!-

Sakura a quelle parole si voltò di scatto e disse quasi gridando:

-Tu pensi sempre di essere il migliore, vero? Be’, ti dico una cosa: tu sei solo un brutto egoista, egocentrico, patetico e…-. Non potè continuare perché le vennero le lacrime agli occhi e si voltò.

-E anche se fosse?-, rispose deciso Shaoran.

Intanto il professore era tornato alla cattedra e diceva:

-Ragazzi, state assistendo ad una lite fra genitori…-.

Tutti rimasero sconcertati e perplessi.

Terada lesse l’ultimo bigliettino inviato da Sakura, che naturalmente fu frainteso:

-Qui c’è scritto che  Kinomoto aspetta da tempo qualcosa da Li… Kinomoto, ha bisogno di andare in infermeria?-, disse sadico (???) il professore.

Sakura ringhiò furiosa  e  stette zitta, non rispondendo alle provocazioni del professore.

Alla fine suonò la campanella dell’intervallo.

-Sakura, che hai?-, disse Tomoyo con tono preoccupato.

-No, niente… Mi fa male la testa…-, rispose la castana massaggiandosi le tempie.

-Non è che sei davvero incinta?-, aggiunse scherzosamente Shaoran.

Sakura lo fulminò con lo sguardo, mentre Tomoyo dava una gomitata al ragazzo.

-Ora vai in infermeria e ti riposi, ok?-,  consigliò dolcemente Tomoyo.

Oltre quegli occhi, Sakura vide lo sguardo dolce e preoccupato della madre. Così sorrise e si avviò verso quel luogo, dove si stese su un caldo e bianco letto e si addormentò.

Appena Tomoyo chiuse la porta dell’infermeria, si girò verso Shaoran e disse indicandolo con un dito:

-TUUUUUUUUUUUUUU… Come hai potuto! Ma ti rendi conto? Ma perché dovevo avere un fratello così stupido…-. Così dicendo si sbattè una mano sulla fronte.

-Ma che ho fatto?-, disse irritato il ragazzo.

-Che hai fatto??? CHE HAI FATTO??? Spero tu stia scherzando, dato che è quasi scoppiata a piangere davanti a te!-, gridò la mora.

-Ma chi?-, chiese perplesso Shaoran.

-Oh mio Dio… Per caso facendo una capriola ti è caduto il cervello? Sto parlando di Sakura, e di chi se no??? Perché la tratti sempre male?-, lo rimproverò la mora.

-Io??? Senti, non cominciare! Voi ragazze siete tutte così problematiche! Questo è il mio carattere e non lo cambierò per una stupida e insulsa ragazzina!-, rispose il giovane.

Tomoyo allora gridò furiosa:

-NON PARLARE COSI’ DI SAKURA! LEI E’ SICURAMENTE MIGLIORE DI TE DA MOLTI PUNTI DI VISTA! Ok, forse non è molto sveglia e a volte non capisce niente, ma almeno ha un cuore!-. Terminò la frase dando un bel calcio  a Shaoran.

-Ora credo che anche tu abbia bisogno dell’infermeria-, disse ancora arrabbiata Tomoyo mentre Shaoran apriva dolorante la porta della stanza dove si trovava Sakura per stendersi su un letto.

Guardò la ragazza che era stesa nel letto accanto al suo e sorrise.

“Questa volta ho un po’ esagerato… Ma che me ne importa? Ora ho un sonno…”. Questo pensò mentre si addormentava  beatamente.

 

********************************************************************

Ciao a tutttttttttttttttttttttti!!! Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì! Ora voglio ringraziare uno per uno quelli che hanno recensito:

Evanescense88: ah ah ah! Hai ragione, povera Sakura!!! (io muoio di vergogna e TU ridi??? NdSakura)!!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!! Ciao ciao! Evviva gli evanescense! Li adoro!!!

Sakura93: sììììì! Sono molto sadica nei riguardi di Sakura! Ah ah ah!!! (io ho paura di questa qui… NdSakura)! Ti è piaciuto questo capitolo? Fammi sapere, mi raccomando!

Non so come chiamarmi: Sì!!! Il nostro Shaoran ha dei poteri magici! Sì, ma solo dai fianchi in giù… Ok, lascia perdere!!! Fammi sapere se il capitolo ti è piaciuto, ciao ciaoooooo!

Avril90: lo so, mi dispiace per Sakura, ma deve sopportarmi ancora per un po’!!! Ah ah ah! Sìììì!  Comunque mi fa piacere che mi consideri brava! Grazie mille! Ciao ciao!!! E soprattutto: AVRIL LAVIGNE IS THE BEST!!!

Faffy: ciaooooooo!!! Come va??? Che bello, hai recensito!!! Ora sono in fase di kinokoosin (si scrive così???)! No, scherzo (mica tanto…)! Che fai? Leggi i fumettini…??? (non capisco se quella cosa è panna o altro… NdFaffy)… Sì….! Mi raccomando, Fede, continua a recensire!!! E ricorda cosa disse il vecchio saggio: “Un inkei per uno non fa male a nessuno”!!! (ma che stai male??? NdFaffy)! Ciao ciaus!!!

Dead_sound2000: ciao! Certo, Sakura sta crescendo, ma solo fisicamente, perchè mentalmente rimane la stupida di sempre (ma come ti permetti??? NdSakura)! Be’, continua a recensire! Ciaoo!

LizDreamer: ma sai che il tuo nickname mi piace tantissimo??? Ok, non c’entra niente… Sono contentissima che ff ti piaccia!!! Mi raccomando, continua a recensire!!! Hello!

Anto Chan: che bello, ti piace davvero la mia ff? Ah ah ah!!! (che ti ridi??? NdAnto)… Comunque le figure di Sakura non finiscono qui! Ah ah ah! Sono diabolica! Ciao e continua a recensire!

Deborah: Ah ah ah!!! Sì, Shaoran è davvero cattivo! Ma così almeno fa qualcosa, no? Altrimenti starebbe ancora con una margherita in mano dicendo: “La saluto… o non la saluto?”… Ciao e continua a recensire!!!

Lau (o meglio, la suprema Lau… oppure preferisci somma ponteficia??? Ponteficia…ma non esiste ‘sta parola!!!): Ciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiao!!! Come va? Ah ah ah! (ah, sei così già di prima mattina??? NdLau)… Davvero ti ho fatto ridere un po’??? Che bello! Allora sono utile al mondo! Festeggiamo??? Ok, lascia perdere! Sai che oggi ha chiamato Drink a casa??? Ha detto che voleva prepararti la colazione, ma non sapeva come si spalmasse la marmellata sulle fette biscottate… Mah! Ma non è che stanotte tu e lui……….. Eh??? Di’ la verità…!!! (in effetti… NdLau)… Com’è stato? Fammi sapere! Voglio tutti i dettagli!!! W l’inkei!!! Ok, lascia perdere!!! Spero che questo cap ti sia piaciuto! A proposito, come sta l’orfano? Sai, questa storia mi commuove… sigh sigh…. Be’, ciaoooooooooooooooooooooooooo!!!

L’egittologa: Ah ah ah! Non so come mi sia venuta in mente quella parte demenziale! Posso farti una domanda? Perché ti chiami “L’egittologa”? Una curiosità!!! Be’, ciaoooooooo e recensisci, mi raccomando!!!

Rossanasmith:  sono d’accordo con te! Ah ah ah!!! Te lo immagini??? Che ridere!!! Mi raccomando, continua a recensire!!! Evviva il nostro Shaoran OOCissimo!!! Ciaooooooo!

Dark Feder: che bello! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto! Comunque anche a me è successo qualcosa del genere, ma è meglio sorvolare… Che figura!!! Lasciamo perdere… Mi raccomando, continua a recensire!!! Ciaoooooooooooooooooooooooooooooooo!!!

Shiny94: non preoccuparti per il ritardo! L’importante è che il capitolo ti sia piaciuto, no? Anzi, ti ringrazio per averlo fatto (recensire… cosa hai capito???)!!! Ciaooooooooooo!!!

 

Ecco, ho finito! Grazie anche a coloro che hanno letto solamente!!!

Ci vediamo al prossimo capitolo, che si chiamerà (credo): “L’infermeria”. Ciaooooooooooooooooo!

Francy

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Capitolo 7
*** L'infermeria ***


Nuova pagina 1

Ciao a tuttiiiiiiiiiiiiiiiii!!! Scusate per il ritardo, ma purtroppo fra scuola, danza e tutto il resto non trovo molto tempo per le ff…

Be’, ora vi lascio al nuovo capitolo che si chiama “L’infermeria”! Scusate se è molto breve, ma è solo un capitolo di transizione! Ciao e buona lettura!

 

*****************************************************************

Due corpi pallidi giacevano freddi su due letti vicini, un ragazzo e una ragazza.

Sembrerebbe un film horror, invece erano solo in un infermeria (Oddio, che paura… Ndtutti)(lo so che l’inizio dice già tutto, però…! Ndme).

-Mmh…-. Un verso uscì dalla bocca della ragazza castana che si stringeva le candide coperte attorno al fragile corpo: si era appena svegliata.

-Ma che succede? Ah, è vero! Sono nell’infermeria… Aaaaaah!-, gridò vedendo che c’era anche Shaoran.

-Oh mio Dio, e ora che faccio? E se si sveglia? Io non sono mai stata da sola con lui…-, disse spaventata.

-Che dovrei fare, violentarti? Non sono un pedofilo…-. Una voce uscì da un groviglio di coperte.

-Ah ah ah, molto divertente!-, disse ironicamente Sakura.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, durante i quali Shaoran si tolse le coperte dal caldo corpo, essendo travolto da un brivido di freddo dietro la schiena.

-Aaaaaaaaaaaaaaaah!-, urlò la ragazza castana.

-Mmh? Che c’è?-, chiese perplesso il ragazzo guardandosi e notando che indossava solo delle mutande.

-Ma...-, cercò di parlare Sakura, molto imbarazzata.

-Be’? Non sei mica la prima ragazza che mi guarda in queste condizioni! Ci sono persone che hanno visto anche di peggio, anzi, di meglio…-, disse con un sorriso ambiguo stampato sul volto.

-Cioè, tu mi vorresti dire che…-, cominciò attonita la ragazza.

-Be’? Tu no? Certo che sì! Innanzi tutto con mia madre. Lei mi insegnato in gran parte la teoria. Poi Tomoyo, alcune mie amiche dell’asilo durante la mia festa di compleanno. Ma c’è anche Yong Changai… Non la scorderò mai. E’ stata lei a insegnarmi la pratica. L’ho conosciuta alle medie. Scusa, perché tu no?-, spiegò serio il ragazzo.

Sakura non sapeva come comportarsi: piangere, arrabbiarsi o non are nulla? Alla fine, però, scelse la seconda opzione.

-Ma… ti rendi conto? Tu non puoi… Ma perché? COME PUOI ESSERE COSI’… COSI’…-. Non riuscì a finire la frase perché il ragazzo la interruppe tranquillamente.

-A me non sembra grave e sbagliato. Tu non hai mai nuotato in costume?-.

Sakura spalancò gli occhi e impallidì subito:
-Ah, nuotare… O-ok…-, disse imbarazzatissima.

-Perché, che avevi capito?-, chiese Shaoran con finta ingenuità.

-Lo sai benissimo! Io non casco nei tuoi stupidi trucchetti.-, proferì superba Sakura.

-Guarda che l’hai fatto qualche secondo fa.-, disse ridendo Shaoran.

“Che sorriso dolce… Non l’ho mai visto ridere così. Che spavento mi sono presa! Credevo che l’avesse fatto…”, pensò la castana, ma quasi leggendole nel pensiero, il ragazzo disse voltandosi:

-Ah, comunque non sono vergine.-.

-CHE COSA??? E CON CHI L’HAI FATTO?-, gridò disperata Sakura.

“Allora, se mi mettessi con lui non sarei nemmeno il suo primo amore… NON E’ GIUSTO!”, ma una piccola voce le entrò nel cervello: “Ehi, stupida! Almeno il ragazzo si è dato una mossa, al contrario di te! A proposito, io sono la tua parte più cattiva e ironica, AH AH AH AH AH!!!”. Mentre Sakura cercava di ricordarsi cosa avesse mangiato il giorno prima per trovare la causa di quella sua pazzia prematura, Shaoran rispose:

-L’ho fatto quest’estate con una francesina davvero deliziosa… Vuoi i particolari?-, chiese ironico il ragazzo.

Con un gesto del capo, Sakura non acconsentì e prese il cellulare dalla sua cartella.

-Uhm… Che bel cellulare… Dai qua!-, disse Shaoran prendendo il cellulare e mettendoselo nelle mutande.

Sakura gridò come una cantante lirica (che bei paragoni che faccio, vero??? Ndme) e cercò di riprendersi il cellulare.

-Dammi! Ma che schifo! Ora come farò ad usarlo? Bleah!-, disse schifata Sakura mentre si avvicinava al ragazzo.

-Oh, per l’igiene non preoccuparti: stamattina mi sono lavato!-, disse ridendo Shaoran.

Ad un certo punto il cellulare della ragazza vibrò (consideriamo il fatto che è ancora in quel posto sconosciuto…!!! Ndme).

-Wow, hai anche la vibrazione! Chissà dove te lo metti quel cellulare, eh?-, disse Shaoran schernendola.

-Smettila e fammi leggere il messaggio!-, pregò la ragazza.

-Aspetta lo leggo io… Allora qui c’è scritto: Ciao, sono Tomoyo! Come va? Come è andata con Shaoran? Se ha fatto lo stupido lo aggiusto io! Ehi, cos’è che vuole fare mia sorella??? Va be’, continuiamo: … Be’, volevo dirti che stasera c’è la festa di compleanno di Yamazaki, ci vieni? Dillo anche a Shaoran! Ciao ciao! J Ok, io ci vengo alla festa, tu?-, disse serio alla ragazza che gli stava davanti.

“Com’è carino… Ma quanto lo odio a volte. E’ davvero insopportabile!”.

-OOOOOOOOOOOOOOH!!!-, le gridò nell’orecchio Shaoran.

-Eh? Ah sì, certo, 2+2 è 4, sì…-, disse incantata Sakura.

-Veramente ti ho chiesto se verrai alla festa… Sai, stai facendo progressi in matematica!-, esclamò il ragazzo.

-Ah ah ah… Che ridere… Comunque sì, ci vengo!-, disse Sakura.

Così dicendo uscirono entrambi dalla scuola e si avviarono per  la casa della ragazza.

-Scusa, ma perché eri in infermeria?-, chiese curiosa Sakura.

-Oh, niente. Diciamo che mi hanno danneggiato i gioielli…-, proferì Shaoran.

-Gioielli? Che gioielli? Allora saresti dovuto andare da un orefice…-, chiese perplessa Sakura.

-Niente, lascia stare…-.

Così dicendo arrivarono a casa della castana, che aprì il cancello e disse un flebile “Grazie” mentre Shaoran le ricordò della festa di quella sera, che avrebbe cambiato loro la vita.

 

********************************************************************

 

Ciao! Lo so, non è molto significativo, ma mi serve per avviare l’altro, no? Grazie a tutti!

Ci vediamo al prossimo capitolo!

Ciaoooooooooooooooooooooooo!

Francy

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Capitolo 8
*** Giochi pericolosi - 1^ parte ***


Nuova pagina 1

Ciao a tuttiiiiiiii!!! Scusate il ritardo stratosferico, ma mi si è rotto il pc e avevo perso il capitolo, così devo ringraziare infinitamente Laukurata89 per avermelo rinviato! Ora vi lascio al cap, ciao e buona lettura!!!

 

 

-Ragazzi, non sapevo che Yama avesse una casa così grande!-. Un ragazzo dai folti capelli stava ammirando il salone immenso in cui era appena entrato.

-Shao, non è lì la festa! Lì ci sono gli amici di mia nonna.-, avvisò un alto ragazzo che portava a stento dei regali,

-E che ci fanno gli amici di tua nonna QUI? Credevo che saremmo restati da soli…-, chiese Shaoran chiaramente deluso.

-Fanno un torneo di briscola… Non preoccuparti, tanto noi staremo al piano di sopra!-. Così dicendo, Shaoran, Yamazaki ed Eriol, che era tornato apposta dall’Inghilterra, salirono le scale.

I muri erano cosparsi di quadri meravigliosi e nell’ingresso c’era una grandissima scrivania di quercia sulla quale erano stati posti molti pacchetti. Sulla ringhiera della scala spiccavano numerosi vasi da fiori appoggiati al solido legno. Uno di questi colpì Shaoran.

-Wow! Che fiore è questo?-, chiese con evidente curiosità.

-Ehi, non faccio mica botanica! Non so, credo sia…-, cominciò Yamazaki, che venne subito interrotto da Eriol:

-E’ una viola del pensiero. La Viola del Pensiero fu uno dei simboli utilizzati durante l'Impero di Napoleone dalle compagini dei suoi sostenitori, che anche clandestinamente sostenevano il proprio Imperatore; pare infatti che la Viola del Pensiero fosse la parola d'ordine dagli stessi utilizzata. La mitologia greca associa invece la Viola del Pensiero alla bellissima ninfa Io, di cui si innamorò perdutamente Giove, che, proprio per questo, fu trasformata per volere di Giunone in giovenca. Il significato comunemente attribuito alla Viola del Pensiero è dunque quello di riflessività e ricordo…-. Quel vocabolario vivente di Eriol fu scagliato contro il muro da un sonoro “SBANK!” proveniente da Shaoran.

-Lo sai che sei davvero insopportabile???-, aggiunse spazientito il cinese mentre Eriol cercava di ricomporre i suoi occhiali.

Dopo risate generali e imprecazioni, Shaoran chiese a Yamazaki:
-Ma chi hai invitato alla festa?-.

-Chiharu, Tomoyo, Sakura, Rika, Naoko e mio cugino Chizu…-, rispose vago Yamazaki.

-C’è Tomoyo???-, chiese un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi neri dai piedi delle scale.

-Kosura, non rompere pure oggi!-, disse Eriol.

-Ma chi è questo qua che vuole mia sorella???-, domandò Shaoran con curiosità.

-Lascia stare, è il mio vicino… Senti, tu non sei stato invitato, quindi vai a casa e conta fino a 54654854545545546477878791133 e poi ritorni, ok?-, disse Yamazaki, -e poi non hai nemmeno un regalo!-, aggiunse.

-Dai! Ti prego, fammi restare per un po’…-, chiese il tizio sconosciuto con gli occhi luccicanti.

In effetti sarebbe stato divertente, no? “Qui c’è un bell’intreccio… Eriol vuole Tomoyo, che piace anche a Kosura, amato da Naoko che piace anche a Chizu, amato anche da Rika, che a sua volta piace al signor Terada, che è anche ricambiato… Mio Dio, che casino!”.

Dopo parecchie botte in testa per riprendersi, Yamazaki acconsentì anche alla partecipazione di Kosura e condusse i tre in una stanza di media grandezza nel cui mezzo si stagliava un tavolo pieno di cibo: pizze, patatine, focacce ecc.

-Ragazzi non mangiate… niente…-, non fece in tempo a dire che i tre avevano mangiato metà della tavola.

-Ma quando arrivano le altre?-, chiese impaziente Shaoran affondato in una poltrona rossa accanto al camino ormai spento, poiché la primavera era ormai arrivata, anche se fuori un venticello fresco scompigliava i capelli di una castana…

-Tomoyo, mi vergogno! Non posso andare in giro così!-.

-Oh, Sakura: non puoi indossare per tutta la vita il grembiulino dell’asilo! E poi, cosa vuoi che sia una maglietta un po’ più corta…-, disse una ragazza dai capelli scuri.

-Un po’??? Mi copre a stento! Io mi metto la giacca…-, protestò Sakura infilandosi un giacchino in jeans blu.

-Fai come vuoi… Però stai bene con quella maglia, vero ragazze?-, chiese con falsa innocenza Tomoyo.

-Sì, Sakura: stai benissimo! Almeno tu puoi metterti certi abiti, io con queste gambe che mi ritrovo cosa posso mettere?-, piagnucolò Naoko.

-Ragazze, siete tutte fantastiche! Non come me, sono troppo magra…-, disse Rika.

-Be’, muoviamoci, chè è tardi!-, tagliò corto Chiharu.

Così dicendo si misero a correre e arrivarono in pochi minuti a casa di Yamazaki. Suonarono il campanello con un po’ di affanno e notarono che ad aprire la porta non c’era il padrone di casa, bensì… nessuno.

-P-perché la p-porta si ap-pre da s-sola?-, chiese impaurita Sakura.

-Hai ancora paura di queste cretinate? Sarà uno scherzo del mio Yama…-, disse sognante Chiharu.

-Aaah, mi hai scoperto…-, si lamentò deluso un ragazzo che teneva un filo in mano, l’altra estremità del quale era attaccata alla maniglia della porta.

Così dicendo Yamazaki baciò dolcemente la bocca truccata della fidanzata.

-Auguriii!-. Tutte le altre ragazze li riportarono alla realtà.

-Scusate, è che Chiharu bacia così bene…-, disse Yamazaki sorridendo.

Dopo che tutti i regali furono posti sempre sulla stessa scrivania, il festeggiato accompagnò le nuove arrivate nella sala dove avrebbero dovuto festeggiare. Salendo le scale Sakura notò un fiore in un vaso, quello STESSO fiore che piaceva a Shaoran.

-Che fiore è questo?-, chiese la castana fra il curioso e il meravigliato.

- E’ una viola del pensiero. La Viola del Pensiero fu uno dei simboli utilizzati durante l'Impero di Napoleone dalle compagini dei suoi sostenitori, che anche clandestinamente sostenevano il proprio Imperatore; pare infatti che la Viola del Pensiero fosse la parola d'ordine dagli stessi utilizzata. La mitologia greca associa invece la Viola del Pensiero alla bellissima ninfa Io, di cui si innamorò perdutamente Giove, che, proprio per questo, fu trasformata per volere di Giunone in giovenca. Il significato comunemente attribuito alla Viola del Pensiero è dunque quello di riflessività e ricordo-, cominciò Tomoyo, che però fu subito interrotta da Sakura:

-Tomoyo, ma come fai sapere così tante cose?-.

A quel punto Yamazaki sorrise: “Be’, almeno la reazione è stata diversa da quella di Shaoran!”.

-Se tu il pomeriggio studiassi invece di vedere Cartoon Network 24 ore su 24, forse le sapresti anche tu…-, rispose ironica Tomoyo.

Ormai Sakura si era abituata a quel suo modo di fare molto ironico e canzonatorio, anche se non sapeva che sua madre fosse così maledettamente spiritosa.

Così dicendo, arrivarono nella sala della festa e lì tutti si salutarono con un bacio sulla guancia.

-Ehi Kino, per caso hai scambiato la casa per il Moulain Rouge???-, chiese ironicamente Shaoran notando il vestito molto succinto della ragazza.

-Che cos’è, sei geloso?-. Non sapeva perché, ma quel giorno a Sakura sembrava di avere una marcia in più, qualcosa che la spingeva a rispondere alle provocazioni del ragazzo.

-Oh-oh, ti sono già ritornate?-, disse ridendo il cinese.

-Smettila, stupido.-, sentenziò Sakura.

-Stupido??? Sei arrivata alla “s”, brava!-, rise Shaoran.

-Non fai ridere. Sei patetico!-, disse la castana, ridendo anch’essa.

-Ma io non voglio far ridere nessuno…-, bisbigliò Shaoran avvicinandosi pericolosamente al viso dell’”amica”, per poi allontanarsi subito per prendere una patatina.

Anche se non avevano avuto alcun contatto, anche se quel momento era stato solo un attimo della sua vita, a Sakura pareva che fosse stato più lungo di quanto avesse mai immaginato (sto parlando del momento…! Ndme). Non sapeva perché, ma si sentiva come se fosse stata violata, sporcata, come se la sua vita candida fosse un lenzuolo bianco e che una macchia indelebile. Non sapeva però che quella piccola macchia si sarebbe propagata in tutto quel lenzuolo e che l’avrebbe compreso in tutta la sua chiarezza e bianchezza.

-Ragazzi, che ne dite di fare un gioco?-, chiese Naoko mentre addentava un panino rotondo.

-Sì! Io propongo obbligo, giudizio e verità!-, propose Tomoyo che era seguita da Eriol e Kosura come dei cagnolini.

Così dicendo si sedettero tutti su due divani opposti: su quello azzurro di pelle si sistemarono i ragazzi, ovvero Shaoran (magari c’erano pure le ragazze che facevano la ola ad ogni nome… Ndme), Yamazaki, Eriol, Kosura e Chizu, arrivato da poco. Invece su un divano rosa di velluto si sedettero le ragazze: Sakura, Tomoyo, Chiharu, Naoko e Rika.

-Allora, chi comincia? Dai, inizia tu, Yama! Obbligo, giudizio o verità, cosa scegli?-, chiese Tomoyo.

-Mmh… obbligo!-, rispose sicuro il ragazzo.

-Ok, allora dato che ci sono decido io, ok? Un obbligo… Vediamo… prova a non dire cazzate per un quarto d’ora! No, questo è troppo difficile…! Allora, guarda negli occhi Chiharu e dille che la odi!-, propose Tomoyo.

-Ma io…-, protestò Yamazaki.

-Dai, è solo un gioco!-, lo incoraggiò Chiharu.

-Ok… allora… Non ci riesco… io ti… io ti amo! No, non ci riesco!-, disse il festeggiato.

-E dai! E’ un gioco, non preoccuparti!-, proferì dolcemente  la sua fidanzata.

-Ok, ce la posso fare! Io… io ti odio! Ecco, l’ho detto…-, sbottò Yamazaki.

-Sigh… Mi hai spezzato il cuore…-, finse di piangere Chiharu.

-Scusa, non è vero! Io ti amo, credimi!-, si giustificò il ragazzo.

-Guarda che sto scherzando, stupido!-, rise Chiharu.

-Ok, ora decido io! Tomoyo, obbligo, giudizio o verità?-, chiese Yamazaki.

-Verità!-, disse decisa la mora.

-Ok… Allora, chi ti piace di più, Eriol o Kosura?-, chiese maliziosamente Yamazaki.

-Dai, non puoi chiedermi certe cose! Allora… Be’, io…-, disse alzandosi Tomoyo: -io amo Eriol-. Detto questo lo baciò. Eriol pietrificato, seduto sul morbido divano e Tomoyo che gli sorrideva.

-Wow! Abbiamo una dichiarazione in diretta, ragazzi! Ok, ora chiedete a me, dai!-, disse divertito Shaoran.

-Mmh… Ok! Dai, Rika, chiedi tu a Shaoran.-, consigliò Tomoyo, che nel frattempo si era ricomposta.

-Ok… obbligo, giudizio o verità?-, chiese Rika.

-Mmh… facciamo giudizio!-, disse Shaoran con un po’ di indecisione.

-Ok! Allora dai un giudizio a tutte noi in base a fisico, carattere e attrazione!-, propose la ragazza.

-Attrazione? Ok! Allora… per fisico: Tomoyo 8, Rika 7.5, Naoko 6, Chiharu 8- e Sakura… 7.-. A quel voto Sakura si aprì istintivamente la giacca.

-Be’, se la metti così, Sakura: 8! Per carattere: Tomoyo 7, a volte sei così rompiscatole! Rika 6, troppo dolce! Naoko 7.5, Chiharu 5, non mi piaci molto, e Sakura 8, nonostante l’ingenuità, non sei male. Per attrazione invece: Tomoyo 8, mi ferma solo il fatto che sei mia sorella, Rika 5, Naoko 4, Chiharu 7.5 e Sakura… 0!-, giudicò Shaoran.

-Che cosa??? Ma come ti permetti?-, protestò la castana.

-Io ho detto solo la verità.-, si giustificò Shaoran.

-Cioè, tu non mi ritieni attraente?-, chiese Sakura quasi incredula.

-No! Assolutamente! Sei troppo ingenua per i miei gusti! Dai, accontentati di una media del 5…-, disse Shaoran con fare un po’ annoiato.

-Ma sentitelo! Tu credi di essere la brutta copia di Rocco Siffredi??? Be’, neanche tu sei poi così bello e attraente, se proprio vuoi saperlo!-, disse Sakura in preda alla rabbia.

-Non tutte la pensano così… Jasmine diceva che ero fantastico!-, disse sorridendo Shaoran.

-E chi sarebbe questa Jasmine?-, domandò con ira la castana.

-La francesina, te la ricordi?-, chiese ridendo il ragazzo.

-“La francesina, te la ricordi?”… Ma non farmi ridere!-, lo imitò Sakura.

-Dai ragazzi, smettetela! Perché non balliamo un po’?-, propose Yamazaki.

Sakura si sedette con aria scocciata sul divano e guardò gli altri che ballavano, finchè…

 

Ciaooo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi dispiace di non potervi ringraziare uno per uno, ma non ho tempo! Quindi grazie a Sakura93, Zoa, l’egittologa, Anto Chan, Dark Feder, non so come chiamarmi, Shiny, MORFEa, LizDreamer, Avril90, Faffy e soprattutto Laukurata89!

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Capitolo 9
*** Giochi pericolosi - 2^ parte: Il paradiso ***


Nuova pagina 1

In una casa di Tomoeda, Giappone, Asia, Terra, Sistema solare, Via Lattea, Universo… (ok, la smetto! Sembra l’introduzione di “ET”… Ndme)(non osare profanare le mie opere! NdSpielberg)(OH MIO DIO! C’è Spielberg! IO LA AMOOO! NdDawson)(scusate, mi basta Shaoran come gay, grazie! Ndme)(scusa bella, ma fatti li c***i tua!!! E poi io sono più etero di Robbie Williams e Rocco Siffredi messi insieme… NdShaoran)(AH AH AH! Tu… etero??? NdSakura)(hai qualcosa da dire, Principessa Odessa? E poi qui c’è qualcuno che può confermare… NdShaoran)(mais oui, le mon adoré Shaoran est heterosexuel! NdJasmine)(La vogliamo finire??? Io dovrei iniziare a scrivere il capitolo, se non vi dispiace! E voi, Chiharu e Yamazaki, smettela di pomiciare!!! Ndme)(ma noi ci amiamo! Smack smack… NdChiharu e Yama che sembrano due hippy)(al mio tre dovete stare tutti zitti… e fermi! Tomoyo, smettila di… Oh mio Dio, lascia stare… 1…2…3! Ndme)(scusate per questa penosa introduzione… Se volete non la faccio più… Ndme)(sì, magari! Ndtutti)! Ok, ora comincia il capitolo vero e proprio! Ciao e buona lettura!

 

 

Una ragazza castana era seduta su una soffice poltrona, mentre tutti ballavano.

“Ora secondo lui io dovrei aspettarlo qui tutta la sera? E no, non gliela darò vinta! Però io… No, non posso. E poi? Con chi ballerei? Yamazaki ed Eriol sono occupati e Chizu e Kosura si stanno ingozzando di patatine e non intendo disturbarli... Rimane solo Shaoran, anche lui occupato a fare l’esibizionista egocentrico come al solito… Che devo fare?”. Mentre Sakura pensava questo, due ragazzi si sedettero su due poltrone alla sua destra e alla sua sinistra.

Sakura si voltò istintivamente e vide due persone inaspettate.

-Perché sei qui, Sakura?-, chiese una ragazza con i codini castani.

-E’ vero, vieni a ballare, dai!-, propose un giovane dai capelli corti e scuri.

-Chiharu, Yamazaki… Grazie, ma preferisco restare qui.-, disse Sakura guardando con uno sguardo omicida Shaoran che ballava e cantava a squarciagola “Like a virgin” di Madonna.

-Dai, Shaoran è così, non puoi cambiarlo. Purtroppo non è perfetto: è egoista, egocentrico, presuntuoso, ammetto che non è per niente delicato con le ragazze, però tu lo devi accettare così com’è. Ma… ti piace, vero?-, chiese Chiharu.

-Che??? Va be’, è inutile mentire… Sì, lui mi piace, ma a volte, anzi, quasi sempre vorrei ucciderlo.-, ammise Sakura rossa in viso.

-Sakura, non preoccuparti! Ci pensiamo noi, vero Chiharu?-, disse maliziosamente Yamazaki.

-Sì, Sakura! Ho già un’idea in mente…-, sorrise l’altra ragazza.

-Ma io… no, vi prego! Non ce n’è bisogno…-. Non riuscì a finire la frase che subito i due fidanzati si allontanarono ridendo maliziosamente.

"Ho paura di quei due... Chissà che cosa combineranno...", pensò la castana.

-Ragazzi! Fermi! Shaoran, smettila di usare la mia crema per le scarpe come dentifricio!-, ordinò Yamazaki spegnendo la radio.

-Che c'è? Perchè hai spento?-, chiese deluso Shaoran sputando quella cosa che aveva in bocca.

-Dobbiamo fare un gioco...-, rise Chiharu.

Tutti si guardarono ridendo e, mentre ognuno proponeva un gioco, a Tomoyo ne venne in mente uno...

-Ho un'idea! Perchè non giochiamo a "Sette minuti in paradiso"?-, domandò sorridendo la mora con Eriol che le sbavava dietro.

-Eriolino mio, mi stai sbavando tutta la gonna...-, disse indignata Tomoyo.

-Oh, scusa, prosciuttino mio! (???)-, si giustificò Eriol. (Hai visto, Lau? Ndme)(avresti anche potuto fare a meno di mettere quel pezzo...! NdLau).

-Ma voi non eravate innamorati anche nel DNA???-, chiese Rika.

-Litighiamo sempre, ma ci amiamo...-, dissero entrambi baciandosi.

-Oddio... Comunque sì, giochiamo a "Sette minuti in paradiso"!-, confermò Chiharu.

-Scusate, io non so come si gioca.-, disse timidamente Sakura.

-CHE COOOSA??? Oh mio Dio... Io ci giocavo all'asilo!-, proferì fiero Shaoran.

A quel punto Sakura lo guardò negli occhi: uno sguardo che fece indietreggiare anche il ragazzo. Gli occhi di Sakura erano arrabbiati, solo l'odio regnava in quel verde così calmo. Nessuno aveva mai visto le iridi della ragazza così oppresse dall'ira.

-Ehm... Dato che tu, Shaoran, sei così esperto, tu e Sakura sarete i primi...-, disse con molta calma Yamazaki.

Il ragazzo dai capelli marroni cercò di obiettare, ma la paura di ricevere ancora quello sguardo da Sakura lo fermò e così compì il suo destino.

-Dovrete restare chiusi per sette minuti in quel ripostiglio, da soli.-, spiegò il gioco Chiharu.

Sakura si accarezzò i capelli come per  mostrare che la cosa non la colpiva affatto, ma questo era così maledettamente falso. Non voleva restare sola con lui, aveva paura di cosa le avrebbe fatto Shaoran. In fondo, le sue ipotesi non erano poi così infondate: da quando era venuto in Giappone ci aveva provato con tutte le ragazze della classe, tranne lei. Cosa poteva significare? Non sapeva se interpretare quel messaggio come un segno positivo o meno. Be', in un certo senso era bello sapere che non la considerava solo come un bel corpo, no? Ma cosa sarebbe diventata per lui? Non aveva alcuna speranza con lui, no.

-Forza, entrate!-, la risvegliò Tomoyo dai suoi pensieri.

I due entrarono in uno stanzino che sembrava un ripostiglio dalle pareti un po' ingiallite e il pavimento tutto impolverato. Sulle pareti c'erano dei poster molto strani: un tramonto bellissimo, un cielo stellato, un cuore spezzato unito con lo stelo di un fiore attorcigliato intorno. Che potevano significare quelle immagini? Poi la porta si richiuse dietro le loro spalle. Freddo. Il cuore di Sakura danzava con un ritmo violento e lei tremava, ma non per paura. Da quando la porta si era chiusa sentiva solo piacere, un piacere strisciante che le intimava di restare in quella stanza. Si avvicinò al ragazzo che era di spalle, ma lui la sentì arrivare e disse:

-Be'?-.

-Mmh? Che facciamo?-, chiese maliziosamente la ragazza.

-Ma che hai? Sembri strana...-, osservò Shaoran un po' stupito.

-Davvero?-, chiese Sakura accarezzandogli i capelli.

Shaoran non credette ai suoi occhi: Sakura gli stava accarezzando i capelli... Ma che le era preso?

-Ehi, che fai?-, domandò Shaoran un po' spaventato per il comportamento della castana.

Sakura non rispose, ma si "limitò" a... baciarlo.

Inizialmente era solo un bacio a stampo, senza passione, ma poi Sakura schiuse le labbra e lasciò che la sua lingua penetrasse nella bocca di Shaoran, che, preso dalla situazione, ricambiò il bacio e aprì anch'egli la bocca... Le loro lingue si strofinavano, si avvicinavano, si allontanavano e infine si univano di nuovo per muoversi in perfetto sincronismo. Sentivano ognuno il palato dell'altro. Durante quella danza infinita, Shaoran mise con attenzione le mani sui fianchi della ragazza, poi un po' più giù, sempre più giù, senza che lei protestasse, mentre Sakura posizionò delicatamente le mani sulle spalle del ragazzo. Accarezzo la morbida felpa del ragazzo, fino a soffermarsi sul suo petto non  ancora pienamente formato, ma già fortissimo e muscoloso. Si fermò un po' ad accarezzargli il busto, poi arrivò giù, fin sotto il bacino. A quel punto il suo respiro divenne più affannato e il bacio ancora più passionale di quanto già non fosse. La mano di Sakura arrivò all'inguine del ragazzo e l'accarezzo delicatamente. A quel punto fu Shaoran a sussultare e ad aprire gli occhi senza staccare da quel bacio morboso, ossessivo. Però, quando la ragazza fece più pressione con la mano, Shaoran si staccò e guardandola negli occhi proferì una sola parola fra il divertito e lo sprezzante:

-Troia...-.

Bastò una sola parola per risvegliarla, per farle togliere quella mano, per aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà. Era arrabbiata, furiosa, frustrata, imbarazzata... Perchè lui non l'aveva fermata? Perchè aveva avuto quell'impulso? Perchè non ci aveva pensato? Perchè lui l'aveva spinta sempre più in là? Perchè... perchè... perchè...

Non ebbe il coraggiò di guardare in faccia Shaoran, così uscì velocemente, correndo, correndo, correndo... Una lacrima le scendeva già. Tutti si voltarono a guardarla, mentre la porta del ripostiglio rimaneva socchiusa. Scese rapidamente le scale e uscì da quella casa maledetta, da quella festa maledetta, da quel ragazzo maledetto. Finalmente potè liberare tutte le lacrime, finalmente il vento potè asciugare il suo viso. Non credeva ancora a ciò che aveva fatto, ma fuggì. Sì, quello era il suo unico scopo: fuggire, lontano, lontano, lontano...

 

****************************************************************************

Ciao a tutti! Come vi è sembrato questo capitolo? Avete visto Sakura quanto è p*****a??? Ora passiamo ai ringraziamenti:

Zoa: ciao Francy!!! Spero di averti stupita con questo finale! Sai, non volevo fare qualcosa di banale, così ho pensato questo... Che ne pensi? Spero che recensirai! Ciao ciao!!!

Anto Chan: ciao!!! Anch'io voglio ripetizioni di matematicaaa!!! Non mi piace... (ehi, non sono mica un professore! NdShaoran) e se ti facciamo una sciarpa tipo Sakura??? (ok! NdShaoran)... ok, spero che ti sia piaciuto questo capitolo! Mi raccomando, continua a recensire, mi fai troppo ridere!!! Ciao!

L'egittologa: ciao! Davvero pensi che sia così brava? Grazie! Anch'io immagino le scene quando leggo ff! Ah ah ah, anche la tua ff è fantastica! Ti è piaciuto il cap? Fammi sapere! ciao ciao!

Dark Feder: ciaooooooooo! Sai, mi fa molto piacere che la mia ff ti piaccia! Spero che anche questo cap ti sia piaciuto! (ne dubito... ndme)!!! Continua a recensire! Ciao ciao!

Nemesy: ciao! Sai che hai proprio un bel nickname? Mi piace tantissimo! Ok, non c'entra nulla... Sono contenta che trovi carina la mia storia! Ciao ciaooooooooooooooooo!!!

Bee: ah ah ah, ciaooo! Non preoccuparti, anch'io ho i miei momenti isterici...!!! Ti piace questo capitolo? Spero che ti abbia sorpresa, perchè il mio scopo era proprio quello! Ciao ciao!!!

Lurei-Chan: ti è piaciuta davvero? Ne sono felicissimaaaaaaaaaaa! Spero che continuerai a leggere, perchè mi fa molto piacere! Ciaooooooooooooooooooooooooooooooooo! XD

Sakura_Chan^^: grazie per tutti i complimenti!!! Mi fa davvero molto piacere, veramente! Fammi sapere se il cap ti è piaciuto, ok? Ciao ciiiiiiiiiaooooooooooooooooooo!!!

Ok, ho finito! Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ciao ciao, ci vediamo al prossimo capitolo!

P.S.: RECENSITEEE!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** No more suffering ***


Ma è fantastico!!! Siamo arrivati al capitolo 10!!! Non ci credo… E soprattutto non immaginavo nemmeno che questa storia avrebbe avuto tanto successo! Grazie a tutti! Ah ah ah! Vi ho scioccate, vero?Ah ah ah! Che bello! (ma questa è andata o è solo una nostra impressione??? Ndtutti)(no, è proprio così di natura… NdShaoran)! Speravo proprio di avere delle recensioni negative (sono sadica…! Ndme), quindi grazie a tutti! In questo capitolo capirete molte cose, ma non so se vi piaceranno! Mah… Be’, buona lettura!

 

 

Correva, correva, correva…

Piangeva, piangeva, piangeva…

Una figura, un’ombra scura…

Un grido, un urlo di liberazione, di disperazione…

-Perché…?-.

Un cielo scuro, senza luna, la terra bagnata…

-No…-.

Lacrime, lacrime, lacrime amare scendevano su un candido e innocente viso. Una ragazza seduta su una panchina stringeva il suo bambino, un uomo tornava dal lavoro, stanco ma felice, dei ragazzini giocavano a pallone per strada. Il paesaggio più piacevole del mondo, ma che per una persona non esisteva: il mondo non esisteva. In quel momento c’erano solo i suoi pensieri e le sue lacrime, la sua folle corsa  verso l’ignoto. Quell’ombra si fermò sulle rive del fiume e cominciò a pensare freneticamente, frasi sconnesse inondavano la sua mente, finchè solo una di queste l’ebbe vinta: “Come ho potuto?”. Così, immobile, seduta sull’erba fresca e bagnata, ragionò cercando di restare calma.

“Non può essere… Io non ho potuto farlo, io, Sakura Kinomoto. No, non è possibile! Me lo sarò sognato…”. Ma si contraddisse subito, perché sentiva sulle proprie labbra ancora il gusto della crema per le scarpe che Shaoran quasi aveva ingoiato. “Ma chi voglio prendere in giro? Certo che sono stata io… Ma non mi sono resa conto di niente, cioè… Non riuscivo a fermarmi. Non ero io… No, non ero in me quando l’ho fatto! E allora chi…”. Il filo dei suoi pensieri si spezzò inesorabilmente perché vide qualcosa uscire dall’acqua del fiume: questa era molto luminosa, sembrava… un fantasma.

-OH MIO DIO! U-UN F-F-F-F-F-F-FANTASMA!-, gridò Sakura.

-Uff… Proprio la fifona dovevo andare a prendere? Ehi, carina, non osare chiamarmi fantasma!-, reagì lo spirito. Era una ragazza dai capelli lunghi e biondi  raccolti da un fermaglio rosso con delle perline azzurre. I suoi occhi erano neri e indossava una tunica bianca con una cintura dorata che le cingeva la vita. Questa figura, però, aveva  qualcosa di strano: era contornata da una strana aurea lucente e sembrava sfumata, come un angelo.

-Tu sei Sakura, vero?-, riprese la figura.

-Ehm… se te lo dico tu mi uccidi?-, chiese tremante Sakura.

-No…-, disse esasperata la figura.

-Sì, sono io. Tu chi sei?-, domandò Sakura che aveva guadagnato un po’ di coraggio dall’ultima frase.

-Piacere, io sono Jasmine Croissant.-. Quella specie di angelo allungò la mano per stringere quella di Sakura, che però strinse solo l’aria.

-Ah, è vero! Non mi sono ancora abituata… Ti dice qualcosa il mio nome?-, chiese Jasmine.

Sakura si ricordò… JASMINE…

-Non può essere!!! Tu sei la fidanzata di Shaoran…-, La castana era a bocca aperta: non ci credeva! Ma come era possibile?

-ERO la sua fidanzata. Sicuramente vuoi sapere perché sono qui, giusto?-, chiese Jasmine.

-Be’, in effetti sì.-. Lo sguardo di Sakura si fece sempre più triste di quanto già non fosse, ma non sapeva perché. Per un momento dimenticò ciò che era successo poco prima, quello che era accaduto con Shaoran.

-Io… io ti devo ringraziare, Sakura. Tu sei stato il mio unico appiglio, seppur involontario. Io non sono gelosa di Shaoran, ormai non lo sono più. Lui non è più mio. Ormai mi sono rassegnata, però dovevo fare una cosa prima di lasciarlo per sempre.-. La bionda cominciò a sorridere, un sorriso triste e malinconico.

-Scusami, ma non capisco cosa vuoi dire.-. Sakura la guardava perplessa.

-Io dovevo salutare il mio Shaoran per l’ultima volta.-, ammise Jasmine.

-E io come ti ho aiutata?-, chiese la castana sempre più confusa.

-Perché sei scappata dalla festa? Per colpa mia. Mi dispiace…-.

Sakura, però, continuava a non capire. Vedendo la faccia della sua interlocutrice, Jasmine continuò a parlare:

-Nello stesso attimo in cui tu e Shaoran-kun siete entrati in quella stanza, io sono morta. Ormai il mio cancro ai polmoni andava avanti da anni e non c’era speranza di guarigione, perciò ho intimato mia madre di staccare la spina del respiratore. Però, prima di raggiungere il mio cielo volevo fare un’ultima cosa: salutare Shaoran. Lui è stato l’unico ragazzo che avessi amato davvero. Ma per far ciò dovevo prendere possesso di un corpo vivo e mi è sembrato che la persona giusta fossi proprio tu. Quindi tutto quello che è successo nella stanza è stata opera mia. Io… insomma, mi dispiace. E’ colpa mia se ora lui ti considera una ragazza facile e ora tu ne pagherai tutte le conseguenze, però devi capirmi: io dovevo farlo.-. A quel punto la bionda scoppiò in un pianto triste e silenzioso.

-Tu non devi giustificarti! Certo, ora per me sarà molto imbarazzante guardarlo e parlargli, probabilmente Shaoran mi prenderà in giro per tutta la vita, ma l’importante è che il vostro amore sia stato suggellato. Io sono onorata di aver svolto questo compito in nome dell’amore, quindi non devi scusarti, ok? Ti ringrazio per aver scelto me, davvero!-. Sakura sentiva tanta compassione per quella ragazza e poi non le interessava più di aver fatto quella figura con Shaoran: l’importante era che aveva aiutato una persona.

-Ora devo andare… Ma ricorda, quando salirò in cielo diventerò l’angelo custode di Shaoran, quindi ti prego di non farlo soffrire… Lo so, ora è insopportabile, però con lui c’è bisogno di bontà e pazienza, doti che tu incarni. Ciao Sakura e buona fortuna!-, disse Jasmine ascendendo verso l’oscurità, fino a quando non diventò solo un punto di luce e scomparve.

Sakura la salutò con la mano e si asciugò le lacrime che le bagnavano il viso.

Ora si sentiva più felice, decisa e raggiante: “Devo tornare alla festa e raccontare tutto a Shaoran, subito!”. Così cominciò a correre verso la casa di Yamazaki e vide che tutti erano fuori gridando il suo nome.

-Sono qui, ragazzi!-, disse agitando una mano.

Tutti le vennero incontro tranne Shaoran, che rimase poggiato al muro con le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso verso un’altra direzione.

-Sto bene, dai, torniamo su a ballare!-, esclamò Sakura. Sapeva che restando triste l’avrebbe data vinta a Shaoran, così lo guardò fra il “pensa-quello-che-vuoi-ma-io-mi-sto-divertendo-e-tu-no” e il “smettila-di-fare-l’orgoglioso-testardo-e-parlami” e salirono tutti di nuovo a festeggiare.

Sakura, però, si recò prima in bagno per lavarsi bene il viso dalle lacrime che ancora le rigavano il volto. Poi il suo sguardo si soffermò sulle sue mani, le stesse che avevano toccato Shaoran. Come un flashback Sakura rivisse quei momenti… Come aveva potuto? Lei, che arrossiva anche solo per uno sguardo… Certo, l’aveva fatto per volontà di Jasmine, ma i gesti erano i suoi e poi… il suo primo bacio. Era stato il suo primo bacio… Che suono strano che avevano quelle due parole… Inaspettatamente una lacrima scese dai suoi occhi e si sedette a terra con le braccia incrociate attorno alle ginocchia.

Così, con la porta semichiusa e in quella posizione, cominciò a piangere silenziosamente con lievi singhiozzi che le scuotevano tutto il corpo e la facevano tremare.

“E ora? Ora che succederà? Lui mi chiederà perché l’ho fatto e io che risponderò? Lui vorrà sempre di più… Certo, a me piace, ma è un amore puro, innocente… Non ci sono secondi fini o imbrogli: io lo amo davvero. Cosa? Lo amo? Io? Lo amo… Forse è una conclusione un po’ affrettata, ma che importa? Non posso rischiare di creare ulteriori confusioni e ripensamenti: no. Quindi devo capire se lo amo veramente e stasera ne avrò la prova… Però, come farò a guardarlo in faccia? In fondo sono anch’io che l’ho voluto… Ho la sensazione che ciò che è successo in quel ripostiglio lo volevo anch’io. Ma come ho potuto?”. Queste frasi furono interrotte da un ulteriore singhiozzo più forte degli altri. A quel punto qualcuno spinse in avanti la porta e porse la testa per vedere chi fosse dentro la stanza.

-Ehi, Kino, che ci fai qui?-. Shaoran la guardò scrollandosi i capelli dalla fronte.

Sakura non osò alzare il capo, anzi, lo affondò ancora di più fra le ginocchia.

-Quanto sei stupida… Ormai l’hai fatto, punto.-, sbuffò Shaoran entrando definitivamente nella stanza per lavarsi le mani e guardando la ragazza attraverso lo specchio.

Sakura, però, non gli diede retta e continuò a piangere. Ad un certo punto alzò la testa mostrando le lacrime che le scendevano copiosamente sul volto e disse:

-Tu amavi Jasmine, vero? Allora perché l’hai lasciata? Non capisci che le hai fatto male?-.

-No, non l’amavo.-, disse Shaoran.

-Non è vero! Lei ti amava e tu cosa fai? L’abbandoni! Ormai lei è morta e tu non puoi fare più niente, ma almeno avresti potuto sostenerla nella sua malattia!-, strillò la castana.

-Sai, lei me lo disse che sarebbe tornata a salutarmi, ma non credevo che l’avrebbe fatto così… Lei era una ragazza fantastica: capiva sempre cosa provavo solo guardandomi e quando si ammalò mi chiese lei di andarmene, perché non voleva che la vedessi soffrire. Così io me ne andai e non l’ho mai più vista prima di stasera. Io so cosa è successo stasera. Ma ormai è inutile pensarci, perché lei è morta e, evidentemente, non era la persona giusta per me. Quindi, basta piangere.-, disse Shaoran tirandole una salviettina che si trovava vicino a lui.

Sakura lo guardò e poi si asciugò le lacrime.

-Ora andiamo, se no ci danno per dispersi. E…-, cominciò Shaoran.

-E non dire a nessuno di quello che successo nella stanza, chiaro?-, ordinò Sakura alzandosi.

-Sì, sargente!-, disse Shaoran avvicinando la mano destra alla fronte come per fare un saluto militare.

Così dicendo si avviarono verso la stanza della festa.

-Però, sai che hai proprio un bel culo?-, disse ridendo Shaoran.

-Cretino!-, sentenziò Sakura offesa.

-Sì, questa è la Sakura che conosco!!!-, disse Shaoran che intanto era rincorso da Sakura.

-Se ti prendo ti taglio i capelli con la motosega!-, disse ridendo Sakura.

-Sì, sei così lenta che non prenderesti nemmeno se io corressi bevendo un cappuccino e leggendo “I promessi sposi” in turco contemporaneamente!-, disse Shaoran.

-CHE COSA HAI DETTO? ORA TI UCCIDOOO!!!-, gridò Sakura correndo verso Shaoran.

Ma… la festa non è ancora finita, no?


********************************************************************

Ciao! Ora credo che tutto sia più chiaro, spero! Passiamo ai ringraziamenti:

Non so come chiamarmi:  grazie infiniiiiiiiiiiiiiiiite! Lo so, ti sembrerò pazza, ma io ti devo proprio ringraziare perché mi hai scritto un commento negativo! Io amo i personaggi di CCS e le loro vere caratteristiche, ma volevo provare una variante, capisci? E comunque ora hai capito che Sakura da sola non avrebbe mai fatto nulla a Shaoran, ma è stata tutta “colpa” di Jasmine, ok? Ciaooo!

Anto Chan:  ah ah ah!!! Che ridere! Sei simpaticissimaaa!!! Se è per questo io voglio anche ripetizioni di educazione fisica…!!! Ciao ciao!!!

Sakura_Chan^^:  spero che il capitolo ti sia piaciuto! Lo so che è molto imbarazzante…!!!

Mustad girl:  mi fa piacere che la storia ti piaccia, davvero! Spero che questo capitolo ti sia piaciutooo! Ciao!

Dany92:  in effetti le foto hanno contribuito anche loro…!!! No, va be’… Fammi sapere su questo capitolo, ciao!

Ele chan:  sono contentissima che la fanfic ti piacciaaaaaaa!!! Continua a recensire, mi raccomando! Ciao ciao!

LizDreamer:  sai, il mio obiettivo era proprio quello: lasciarvi di stucco! Sono felice di esserci riuscita con te! Continua a recensire! Ciao ciao!

Avril90:  che bello, sei tornataaaa! Spero di leggere presto le tue ff!!! Ciao ciao!

Bee:  grazie per tutti i complimenti e poi sono d’accordo con te: Shaoran è proprio S*****o con la “S” maiuscola! Ciaoooooo!

Faffy:  è iniziato il progetto “Stacca i cog****i a Sessomaru” (la mancanza dell’”h” è volontaria…!)!!! Io lo ammazzzzzzzzzzzoooooo! Povera Paris… sigh… Evviva Sessho che mangia la panna sprayyyyyyyyy!!! Ciao ciao e salutami Paris che è in cura da House (t’immagini che bella coppia Paris-House???)(non essere blasfema… NdFaffy)… che bello venireeeee! Lasciamo perdere, ciaooooo!

Ho finito! Spero che mi lascerete molte recensioni (aspetta e spera… Ndtutti)……!!! Ciao, ci vediamo al prossimo capitolo e

Recensite!!!

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Capitolo 11
*** SBANK! ***


Ciao a tuttiiii!!! Questo capitolo sarà molto breve perché sono già le nove di sera e ho sonno… Argomento interessante, vero??? Vi lascio subito al

capitolo, buona lettura!!!

 

 

La pace era ritornata a casa di Yamazaki, o almeno così sembrava a Sakura che, scossa dagli ultimi avvenimenti, si trovò finalmente tranquilla a parlare con Shaoran. Parlare? Be’, non proprio…

-Senti, tu non capisci niente! Ma come si fa a non adorare the Master, The God, the Best???-, disse esasperato Shaoran ad una castana dall’espressione molto perplessa:

-Ma dai, Eminem è troppo volgare e depresso… Io preferisco Baglioni!-, disse un po’ offesa Sakura.

-Chi??? Baglioni??? Ma non lo ascolta nemmeno mia madre! Senti, questa sì che è una canzone!-, proferì Shaoran porgendo alla glaucopide l’altra cuffia del suo lettore MP3 e canticchiando: -tu balli così per me ma indovina nella testa che c’è, c’è quella cosa, amo i tuoi capelli mori come li muovi ma vado fuori per quella cosa…-.

-Ma… che schifo! Dai, è una canzone troppo pervertita! Come si chiama questa sottospecie di non-so-chè???-, chiese Sakura disgustata dagli argomenti trattati dalla canzone.

-Si chiama “Quella cosa” dei Gemelli Diversi… Ma dai, non mi dire che non hai mai sentito canzoni che parlano di sesso!!!-, chiese meravigliato il moro che intanto cantava il ritornello.

-Ehm… No! Solo tu potevi conoscerla, non c’è che dire!-, disse Sakura togliendosi la cuffia e allontanandosi dal ragazzo pensando: “Calmati, calmati, calmati! Ti ha dato la sua cuffia, ti rendi conto? Oddio… Quant’è bello… Ma come faccio a rispondergli sempre così male???”.

Intanto Tomoyo, Eriol, Chiharu e Yamazaki guardavano i due e parlavano.

-Ma secondo te cosa sarà successo nel ripostiglio prima?-, chiese Chiharu.

-Non preoccuparti, lo sapremo presto…-, disse Tomoyo sorridendo.

-Ah, e come faremo, Freud?-, domandò ironicamente Yamazaki.

-Semplice: ho messo delle telecamere lì!-, rispose di nuovo la mora.

-Ehm… e da quanto tempo sono lì? No, perché, sai…-, cominciò Chiharu.

-Lo so, l’avete fatto nel ripostiglio… Ma non vi preoccupate, non venderò la cassetta spacciandola per la nuova stagione di “Biancaneve e i sette nani”…!-, disse rassicurante Tomoyo.

-Ah, grazie… Ehi, non dire a nessuno che l’abbiamo fatto, ok? Altrimenti ci prenderanno in giro per tutta la vita…-, proferì arrossendo Chiharu.

-Non preoccupatevi, sarò muta come una mummia!-, rassicurò Tomoyo.

-Be’, il colore è quello…!-, disse Yamazaki ridendo.

-Dai, non sono poi così pallida!!!-, ritenne la mora.

Le risate dei quattro furono interrotte dalla venuta (allora lo fai apposta! NdFaffy), ehm, volevo dire, dall’ARRIVO di Sakura e Shaoran.

-Yama, tu hai il motorino?-, chiese il cinese.

-Sì, perché? Ce l’ho nel garage. Ho anche quello di mio cugino e forse anche mia nonna ha portato il suo…-, disse Yamazaki.

-Tua nonna ha il motorino???-, chiese Eriol.

-Non ignorare tutte le possibilità di mia nonna… Vi ho detto che ora ha un nuovo fidanzato? E’ francese, si chiama Jean-Pierre…-, disse ridendo il festeggiato.

A sentire la parola “francese” Sakura ebbe un sussulto, ma poi si ricompose subito. Shaoran se ne accorse e bisbigliò:

-Ma è possibile che pensi ancora a Jasmine? Quanto sei monotona…-.

Sakura lo fulminò con lo sguardo perché se avesse parlato sicuramente avrebbe dovuto censurare il suo discorso.

-Comunque, stavo dicendo che… insomma, potremmo farci un giro, eh, Harley?-, chiese Shaoran.

-Ma da quando vi date tutti questi nomignoli???-, chiese Chiharu.

-Harley sta per la fabbrica di moto Harley Davidson…-, spiegò Yamazaki con un non so chè di Piero Angela.

-Scusate, però sarebbe stato bello vedere un film…-, propose Sakura speranzosa.

-Be’, considerando che lo sceglierai tu, sicuramente saremmo costretti a guardare “La fabbrica di cioccolato” o “Madagascar”…-, disse ironico Shaoran.

Sakura sbuffò e si rassegnò a non proporre più nulla. Però il fatto che le rispondeva le piaceva da matti e sicuramente non gliel’avrebbe data vinta…

-Comunque sì, vi va di fare un giro con le moto? Io e Chiharu andremo sulla mia, Eriol e Tomoyo su quella di mio cugino e Shaoran e Sakura su quella di mia nonna… Vi sta bene? Non preoccupatevi, sono tutte buonissime e funzionanti, quindi…-, disse Yamazaki notando lo sguardo omicida di Shaoran che non voleva assolutamente la moto della nonna di Yamazaki.

-Ma voi cospirate contro di me o è una mia impressione??? Perché dovrei stare sulla stessa moto di quel pirata della strada?-, chiese Sakura fingendo di essere arrabbiata quando in realtà ci godeva.

-Sai, tu non farai mai l’attrice! E’ inutile che fingi, tanto so che ti piace, altrimenti non avresti fatto QUELLO nel ripostiglio…-, disse sorridendo Shaoran.

Sakura, per quell’ultima affermazione, divenne rossa, prima per la vergogna e poi per la rabbia.

-Cosa mi avevi detto? Se alludi di nuovo a quello che è successo, io ti spezzo in mille parti, ti frullo e ci faccio una salsa Barilla…-, disse Sakura in tono minaccioso.

-Eeh… Ok, andiamo al garage a prendere le moto, dai!-, disse Yamazaki un po’ perplesso per le minacce avanzate da Sakura.

I sei scesero le scale e uscirono dall’abitazione giungendo, dall’altro lato del palazzo, al fantomatico garage.

-Io e Eriol prendiamo la bianca!-, disse Tomoyo notando una moto candida nell’angolo destro della stanza.

-Io e Kino prendiamo la rossa, così se le vengono non si vede…-, disse Shaoran ridendo.

-Ma la vuoi smettere???-, intimò la castana salendo sulla moto dietro al ragazzo. Che bella sensazione… E pensare che solo un’ora prima pensava che non l’avrebbe mai più abbracciato e invece? Ora le braccia della ragazza erano strette attorno alla vita di Shaoran. Sentiva il suo profumo… Senza accorgersene appoggiò la testa leggere sulla schiena del ragazzo.

-Che fai, dormi? Mettiti il casco, non te la pago io l’assicurazione!-, disse Shaoran porgendole il casco.

Sakura si trovò così confusa che non rispose e si limitò a infilarselo. Era immersa in una favola: magari Shaoran le avesse porto un anello dichiarandole il suo amore in modo sincero, senza le solite battutine sceme.

Le moto furono accese e tutti uscirono dal garage.

-Che ne dite, facciamo una gara?-, chiese Shaoran sprezzante.

-Sì!-, risposero all’unisono Eriol e Yamazaki.

-Allora… UNO…-, cominciò Shaoran.

-No, è pericoloso!-, disse Sakura.

-… DUE…-, continuò il cinese.

-No, ti prego! Io ho paura, Shaoran! Ti prego, non voglio!-, continuò la castana quasi piangendo.

Nessuno si accorse dell’attimo di esitazione del cinese (che era stato proprio un attimo…), che subito terminò:

-… TRE!!!-.

-AAAAAAAH!-, gridò Sakura spaventatissima.

I tre ragazzi erano tutti concentrati e scendevano velocemente la discesa. La strada sembrava una distesa scura e in movimento. Tutta quella velocità, tutto quel frastuono spaventarono ancora di più, se è possibile, Sakura.

Subito Shaoran si trovò in testa, ma un grido di Sakura lo riscosse:

-ATTENTO, UN GATTO!-.

Shaoran sterzò violentemente per non investire quel povero animale (che per giunta era nero…) e si diresse verso il muretto che cingeva la strada. Ormai Shaoran aveva perso il controllo del veicolo e stava per scontrarsi con Sakura contro il muretto. Le altre due moto andarono avanti perché non avevano colto la svolta del cinese… Stavano quasi per morire, quando Sakura si gettò a terra spingendo anche Shaoran. I due si trovarono sulla strada molto vicini e sentirono un grande boato. I loro occhi erano chiusi, ma se non fosse stato così avrebbero visto la moto rossa schiantarsi contro il muretto. Sakura stringeva ancora il cinese, che era privo di sensi…

La castana si alzò a fatica: era salva. Perché? Perché era caduta sopra Shaoran… Si voltò per guardare come stesse e spalancò gli occhi…

-AAAAAAAAAAH!-. Un ultimo grido prima del pianto.

 

 

Ciao! Lo so, non è un gran chè, ma non sono molto sveglia in  questo momento… Mi basta dire che mentre scrivo guardo Lazio-Roma… Stanno 3 a 0!!! Io sono della Juve, ma mi piace guardare i derby! Interessante, vero???????? Mi dispiace, non posso ringraziarvi singolarmente, perché ho sonno… Buona notte a tuttiiiii!

 

Grazie a tutti e recensite!!!

Ciaooooooooooooooo!!!

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Capitolo 12
*** Amor fallax ***


-Va tutto bene…-

Una ragazza dai capelli biondi apparve davanti agli occhi del ragazzo che, inerte, guardava la scena stupito.

-Jasmine… Ho bisogno di te, ti prego, torna!-, Ora Shaoran si era alzato dal pavimento e rincorreva una figura sfocata a opaca che gli parlava dolcemente. Il luogo in cui i due si trovavano era irriconoscibile e favoloso: era tutto rosa e bianco e qua e là si stagliavano alberi rigogliosi e pieni di frutti maturi. Sullo sfondo erano presenti monti alti e innevati dai quali si innalzava lentamente il sole, unica fonte di luce e splendente meraviglia della natura. In lontananza si sentiva una voce pura e innocente che cantava una splendida canzone che parlava d’amore…:

-Sei il primo mio pensiero che al mattino mi sveglia,

l’ultimo desiderio che la notte mi culla,

sei la ragione più profonda di ogni mio gesto,

la storia più incredibile che conosco…-.

Così faceva quella canzone e la voce della persona che dolcemente la cantava rendeva quelle parole ancora più candide.

-Amore, no. Ormai io ho finito il mio compito sulla Terra e ora devo proteggerti da quassù. No, non devi chiedermi di ritornare. Il destino ha voluto che io morissi e che lasciassi la vita precocemente, ma il fato ti ha anche portato una persona stupenda.-. La voce della ragazza bionda era soave e solenne. Il suo vestito bianco svolazzava leggero per la brezza delicata che tirava.

-Io ti amo, non posso perderti!-. La voce di Shaoran era rotta da un leggero pianto e il suo viso era sconvolto dalla tristezza, dal dolore interiore che lo affliggeva.

-Ti ricordi? Ricordi il nostro primo bacio vicino al centro commerciale, sulla nostra panchina bianca? E ti ricordi quando la riempimmo di disegni di noi due? E la nostra prima volta in campeggio? Ricordi quanto fu bello? Eravamo noi due soli e…-, cominciò Shaoran sorridendo occasionalmente ricordando tali avvenimenti.

-Anch’io ti ho amato, ma oggi tu hai detto a Sakura che non mi amavi, e poi ormai non possiamo fare più nulla. Ora tu devi vivere la tua vita e innamorarti di nuovo. Io ti guarderò da quassù e ti proteggerò, ma tu devi promettermi che amerai di nuovo qualcuno, perché l’amore è parte di te e non ti lascerà mai, come un corpo non abbandonerà mai del tutto un’anima. Addio…-. Jasmine si allontanò e la sua voce divenne sempre più distante e debole.

-NOOOOOO! Io… come farò? Non c’è che io possa amare ormai…-. Shaoran era disperato, ma inaspettatamente…

 

-Shaoran, va tutto bene! Ora i dottori ti porteranno a fare degli esami, ma tu non devi preoccuparti!-. Una ragazza castani dagli stupendi occhi verdi gli stava parlando, ma lui era ancora confuso per il sogno che aveva appena fatto. Solo il caos regnava in quel momento in quell’ospedale. Due dottori e una dottoressa stavano portando Shaoran in fretta su una lettiga e Sakura gli stava vicino.

-Signorina, ora dobbiamo fare dei controlli al paziente, quindi i dottori Fushidoka e Sochijiwa dovranno restare con lui, mentre io resterò con lei. So che vuole stare col suo amico, ma ora deve venire con me per degli accertamenti.-. La dottoressa Sanbochi, così si chiamava, prese Sakura per mano e la portò in una stanza non diversa dalle altre: bianca e quadrata.

-Come ti chiami?-, chiese la dottoressa mentre le sentiva il battito cardiaco con lo stetoscopio.

-S-sakura.-, rispose Sakura meccanicamente, In quel momento pensava solo a Shaoran e a quanto tutto fosse accaduto così velocemente… La caduta… La disperazione… L’arrivo in ospedale con l’auto del padre di Yamazaki guidata da sua nonna…

-Io sono Kaori.-, disse la dottoressa con un sorrise davvero rassicurante. Era una bella ragazza: giovane, con capelli castani corti e con una simpatica frangia. Era magra e aveva un viso dolce e sorridente. Quella vista calmò un po’ Sakura, che cominciò a parlare con la dottoressa.

-Quanti anni ha?-, chiese con un po’ di timidezza.

-Ventisette. Dammi pure del tu! E tu quanti anni hai?-, chiese Kaori.

-Quindici. Come… come sta Shaoran?-, domandò Sakura nuovamente preoccupata.

-Be’, sicuramente non è in pericolo di vita e, per quanto ho visto prima, non ha alcun danno alle gambe. Ma da quello che hai notato anche tu, ha un braccio rotto, Quindi non è grave, non preoccuparti!-, la rassicurò la donna.

Dopo una breve pausa, essa continuò:

-Lo ami, vero? No, non fare quella faccia! Lo so, non dovrei impicciarmi dei vostri affari, ma, sai, è sempre bello trovare ancora quell’amore puro e incondizionato, insomma, l’amore vero.-.

Sakura a quelle parole arrossì e sorrise:

-Sì… Però lui è così…-, cominciò la ragazza,

-Schifoso? Maledettamente ironico? Egocentrico? Esibizionista? Egoista?-, chiese Kaori.

Sakura  era meravigliata: come faceva a sapere come fosse Shaoran???

-Ti stai chiedendo come lo so, giusto? Be’, diciamo che anche io sono nella tua stessa situazione! Hai presente il dottor Fushidoka?-. domandò la dottoressa riponendo lo stetoscopio e sedendosi accanto a Sakura.

-E’ l’uomo biondo?-, chiese Sakura cercando di rammentare le figure dei due dottori che avevano portato via Shaoran.

-No, quello con i capelli neri e gli occhi blu. Ha dieci anni più di me, ma è bellissimo. Però è egoista e… insomma, è un sosia del tuo innamorato! Vuoi una dimostrazione?-, chiese Kaori sempre sorridendo.

-Ok!-, disse la castana. Ormai stava molto meglio grazie a quella dottoressa.

In quel momento entrò il dottor Fushidoka:

-Ehi, Sanbo! Mi dai lo stetoscopio?-, chiese un uomo alto dai tratti somatici molto regolari e gli occhi blu in cui ci si poteva perdere.

-Primo: io non mi chiamo Sanbo, ma Kaori Sanbochi! Secondo: prenditelo da solo!-, disse la dottoressa fingendo di essere arrabbiata.

-Mmh… Sei ancora nel periodo del profondo rosso???-, chiese ironicamente il dottore prendendo lo stetoscopio e uscendo.

-Visto?-, disse spazientita Kaori.

-Sai, anche Shaoran fa così! Non lo sopporto proprio…-, rise Sakura.

-Vieni, andiamo a vedere se i dottori hanno finito con lui!-, propose la dottoressa prendendo Sakura per mano e uscendo dalla stanza.

Dopo aver chiesto l’esito degli esami, a Sakura fu permesso di entrare a salutare Shaoran,

Chiuse la porta dietro di sé e guardò il ragazzo che era steso sul letto con un braccio ingessato.

-Ciao…-, salutò Sakura sorridendo.

-Mmh…-. Shaoran aprì lentamente gli occhi.

-Come stai?-, chiese la castana accarezzando prima il lenzuolo del letto e poi i capelli del ragazzo.

-Non sei mia madre! Comunque come vuoi che stia?-, disse spazientito il ragazzo. Ma Sakura non si diede per vinta. Quello era il momento giusto per dirgli cosa provava: non poteva scappare e poi Kaori le aveva suscitato una determinazione e una sicurezza incredibili.

-Shaoran?-.

-Mmh?-.

-Ti amo.-.

 

 

Ciao a tutti! Colpo di scena! Ammetto che per i dottori mi sono ispirata alla magnifica serie del “Dr. House MD”!!! W House! E’ troppo bello… Ok, lasciamo stare… Non posso ringraziarvi singolarmente perché devo studiare, dato che domani devo fare alle prime tre ore compito d’italiano, poi due ore di compito di greco e all’ultim’ora compito d’inglese!!! Quindi ringrazio: Sakura_chan^^, LizDreamer, evanescense88, non so come chiamarmi, kikka94, Anto Chan, Black Rose, Shiny, Ele chan!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Grazieeee!!!

Recensiteeeeeee!!!

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Capitolo 13
*** Via ***


Tuus amor fallax est…

 

Eccolo…

Quasi lo senti sotto la pelle il momento in cui tutta la tua intera esistenza cambierà… per sempre. Sintomi: brividi, occhi umidi e rossi, parole dette più a sè stessi che ad altri,

Ed ecco, sfogliando questo diario tutto è diventato più chiaro.

Aisha

 

 

Cercava di essere forte, di fare la cosiddetta rockgirl, ma non era il suo forte. Emotiva? Troppo.

I suoi occhi socchiusi non percepivano nessuna figura nitida: solo luci, colori e una visione acquosa del mondo. La luce che proveniva dalle ampie finestre le faceva pensare a sua madre. Non se la ricordava molto, ma pensando a lei le veniva in mente una luce piacevole. Non quella che fa chiudere gli occhi per la troppa potenza, ma quella che illumina il viso e che lo rende quasi angelico. Angelico come sua madre. Tutti dicevano che avevano lo stesso sorriso, la stessa vivacità. Ma la madre che trovava in Tomoyo era diversa dalla sua vera madre. In poche parole, non era sua madre. O forse sì, ma il suo carattere si era fuso con quello di Tomoyo durante la reincarnazione. Quindi, non avrebbe trovato più sua madre sé stessa in tutto e per tutto… I capelli, ormai lunghi fino alle spalle o poco più in giù, erano immobili quasi come se stessero aspettando il tanto agognato alito di vento che avrebbe ridato loro la vita e la vivacità di un tempo. Le labbra erano ancora un po’ schiuse per le due parole dette, ma tremavano leggermente, come tutto il corpo, del resto. Scossa da un brivido, si toccò i capelli e li sistemò dietro le orecchie chiudendo gli occhi. Subito le mani furono riposte attorno a un lembo del suo vestito blu. Era passata una notte dal fatidico incidente, ma lei non aveva ancora dormito. Ciononostante, sul suo viso non si intravedeva alcun segno di stanchezza: le gote rosee erano leggermente bagnate, gli occhi verdi erano come affogati in un mare di lacrime che stentavano a scendere da quei due smeraldi tanto rassicuranti, come un usignolo, indeciso e spaventato, fugge dalla vita libera nei cieli per restare sicuro nel suo caldo nido. Poi, però, egli prende coraggio e salta scoprendo la piacevolezza e la giocondità della vita, della libertà. Così le lacrime imprigionate negli occhi della ragazza si lasciarono scivolare sulle sue gote prima lentamente, come se fossero diffidenti verso quel nuovo mondo e poi sempre più velocemente, sempre più decisamente, fino ad abbandonare del tutto la propria sorgente. Di loro rimarrà solo una scia leggera e umida che ricordi la loro presenza.

Si trovava innanzi ad uno dei due letti presenti nella stanza bianca e candida. Sembrava che infondesse un sentimento di felicità e tranquillità, invece quello che stava accadendo era ciò che di più grave e diverso potesse accadere.

Lui, Shaoran, era steso sul letto con un lenzuolo che dava al celeste polvere che lo copriva fino alla vita. Indossava una vestaglia anch’essa celeste, una di quelle che di solito si trovano negli ospedali. Il viso… Il suo viso era concentrato. La fronte era aggrottata, ma dalle espressioni che faceva non era facile capire su che argomento ragionasse. I capelli spettinati lo rendevano ancora più affascinante di quanto già non fosse. Il braccio accuratamente ingessato giaceva immobile sul materasso.

-Ehm…-. Questa fu la prima espressione del ragazzo.

Sakura non riuscì a capire cosa gli passasse per la testa. Be’, non era una novità… Subito un brivido, né il primo né l’ultimo di quella mattina, la scosse: aveva paura… Temeva le sue parole che le sembravano tante spine che le si infilavano nel cuore, soffocandolo.

-Toglimi una curiosità: per quale motivo… insomma, perché dici che ti piaccio???-, chiese incredulo Shaoran grattandosi la testa.

Sakura non riuscì a rispondere. Insomma, non aveva ancora capito se quello era un “Sì, anch’io” o un “No, mi fai schifo”… Lei non voleva giri di parole, in quel momento aveva solo bisogno di chiarezza.

-Ok, non vuoi rispondere… Probabilmente vuoi sapere se abbracciarmi o andare via piangendo… Giusto?-, chiese Shaoran alzandosi a fatica. Era ancora debole, ma si stabilizzò subito. Era di fronte a Sakura e la guardava negli occhi. Lei non riusciva, però, a reggere il contatto visivo e abbassò subito lo sguardo. Tra una lacrima e l’altra annuì e il ragazzo si spostò velocemente verso di lei e si affiancò alla ragazza mettendole una mano dietro alla schiena. Sakura non capì più nulla. Brividi continui torturavano il suo autocontrollo… Ma il ragazzo la spinse dolcemente verso una parete. Non la stava abbracciando, ma appoggiava solo una mano sulla schiena di Sakura. Che significava?

-Bene, stai piangendo. Ora devi solo uscire dalla stanza correndo e avrai ricevuto la tua risposta.-. Per la prima volta Sakura vide Shaoran assumere un atteggiamento serio. In quel momento Shaoran aprì la porta bianca e fece cenno a Sakura di uscire. Il viso del ragazzo non era rivolto verso di lei, bensì guardava l’ignoto e solo occasionalmente le iridi color ciliegia del ragazzo si arrischiavano in quelle color erba della ragazza.

Allora era un no… No,,, Che parola pesante… Solo due lettere, ma quando si pronunciano diventano piombo... L’aveva scaricata così, senza che lei reagisse, senza nessuna parola. Mosse pochi passi, prima lenti e poi sempre più veloci verso il corridoio senza guardare in faccia quel ragazzo che la rendeva triste, malinconica, disperata, distrutta. Il suo viso ormai era diventato un diluvio di lacrime che scendevano già  sofferenti e sicure. Sì, ma sicure di che cosa? Di aver perso? Di essere state conseguenza di dolore, dolore, dolore…? Oppure sicure che ormai la loro traccia non sarebbe più scomparsa, che la loro eternità avrebbe pesato e distrutto un animo innocente, una persona che amava incondizionatamente? Ormai credeva che la sua giovinezza sarebbe stata rovinata da quell’avvenimento. Il suo primo amore… l’aveva respinta.

Uscì dall’ospedale e, sempre correndo, arrivò a casa sua. Nessuno la fermò: il padre e il fratello, dopo essersi assicurati della salute di Sakura, erano andati rispettivamente a lavoro e a scuola, quindi era sola, finalmente sola. Prese il suo lettore mp3 e cominciò ad ascoltare la canzone che le piaceva di più: “Piccolo grande amore”, Baglioni. Ma non sapeva cosa stesse succedendo all’ospedale…

 

***

Shaoran si sedette sul letto e cominciò a cantare una canzone:

-Don't cry to me. If you loved me, You would be here with me. You want me, Come find me. Make up your mind…-. (è tratta da “Call me when you’re sober” degli Evanescence, Ndme).

-Sai, ti conosco solo da circa… quattro minuti e già non ti sopporto…-. Una voce si levò dal letto posto sull’altra parete e un ragazzo sugli undici anni alzò il capo riccioluto dal cuscino. Era molto carino: capelli biondi e occhi castani, ma il viso aveva qualcosa che lo rendeva scaduto e sfiorito.

-Ehm… E tu chi sei???-, chiese Shaoran quasi spaventato. Non aveva notato che ci fosse qualcun altro nella stanza.

-Piacere, Franz.-, disse il ragazzo, -mia madre è tedesca e mio padre giapponese. Tu sei Shaoran e sei cinese, giusto? Perché hai mandato via quella ragazza? Non capisci che le hai fatto solo del male?-, disse Franz calmo.

-Ehi, ehi, ehi! Calma! Come fai a sapere queste cose, dottor Stranamore??? E poi non sono affari tuoi!-, dichiarò Shaoran un po’ spazientito.

-Lei ti ama davvero, non l’hai capito? Ma tanto siamo in stanza insieme, quindi prima o poi dovrai ascoltarmi… Vuoi una sigaretta?-, chiese il ragazzo biondo.

Shaoran restò prima un po’ sorpreso per la richiesta del suo compagno di stanza… Aveva solo undici anni e già fumava??? Mah… Così rifiutò e si stese definitivamente sul letto, addormentandosi.

***

I'm so tired of being here
suppressed by all of my childish fears
and if you have to leave
I wish that you would just leave
because your presence still lingers here
and it won't leave me alone

(My immortal, Evanescence)

 

Ciao a tutti! Scusate scusate!!! Non uccidetemi, vi prego…!!! Ora passiamo ai ringraziamenti!

Anto Chan: Sono strafelice che ti piaccia! Recensisci anche questa, se vuoi! Spero che lo farai! Ciao e buon Natale!!!

Mustad girl: Grazie per i complimenti e spero che ti piaccia anche questo capitolo! Ciao e buon Natale!

Ele chan: Ehm… Abbi pietà di me! Lo so, ho appena profanato una coppia fantastica………! Be’, recensisci presto! Ciao e buon Natale!

Kikka94: Ti è piaciuto questo capitolo? Spero decisamente di sì!!! Fammi sapere, mi raccomando! Ciao e buon Natale!

LizDreamer: NO! Metti a posto la motosegaaaaa!!!! No, scherzo! Be’, recensisci presto! Ciao e buon Natale!!!

Non so come chiamarmi: Ciaaaaao!!! Como stas??? Ok, lascia perdere… Spero che il cap ti piaccia! Ciao e buon Natale!!!

Evanescense88: Grazie per il complimento!!! Comunque fammi sapere su questo cap!!! Ciao e buon Natale!

Sakura_Chan^^: Sì, lo so! Ho voluto far dichiarare prima Sakura perché mi piaceva la scena! Ciao e buon Natale!!!

Faffy: Sigh…………….. Ora non potrai recensire il cap perché sei a Vicenza, vero? Uffa! Be’, se vai a Monza salutami Virginia e Gertrude!!! Sai che mi è venuto (???) in mente? Te lo immagini Sessho sullo skate? Che carino! Col cappellino con la visiera e l’atteggiamento da Eminem!!!! Va be’, lasciamo stare…….! BUON NATALE! E cerca di venire prestoooo! Ah ah ah!!! Ciaooooooooooooo!!!

L’egittologa: che bello, sei tornata!!! Continua a recensire, mi raccomando! Buon Natale, ciao!!!

Ok, I’ve finished! Vi auguro

BUON NATALE!

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Capitolo 14
*** Prenderla con filosofia... ***


Solo un piccolo e grazioso orologio ticchettava in casa Kinomoto. Sembrava fosse l’unica cosa sveglia in quella notte in cui il cielo trapunto di stelle lucenti sovrastava palazzi oscurati, i cui piani erano illuminati solo da quel quarto di luna, unica fonte di luce che galleggiava leggera nell’aria profumata, resa viva dai miagolii dei gatti del quartiere; invece c’era ancora qualcuno che fissava il vuoto dal suo letto, pensando e ragionando velocemente…

“E se l’avessi baciato subito? No, comunque mi avrebbe allontanata o, peggio, avrebbe approfittato del mio amore per crearsene uno tutto suo. Materialista, ovviamente. E se non gli avessi detto nulla? Be’, sicuramente sarebbe stato più facile e certamente stanotte avrei dormito invece di essere qui a spiegarmi i perché e i per come… Ma non mi pento di ciò che ho fatto: sono stata sincera, punto. Prima o poi gliel’avrei detto e sono sicura che averlo fatto ora sia stata la cosa più giusta… E se non ci fosse niente di sbagliato, niente di cui vergognarsi, niente per cui soffrire? Sicuramente starei meglio. In effetti non c’è nulla di sbagliato nel provare amore, il che mi riconduce al fatto che non è amore. Se mi fossi dichiarata per un vero amore, sicuramente sarebbe stato tutto diverso: non mi sarei vergognata di provarlo, ma con spavalderia avrei detto a tutti ‘Sì, io amo Shaoran Li, problemi?’… Invece ora non faccio altro che pensare a quanto mi stia sbagliando: faccio appena in tempo ad accorgermi che lo amo con tutta me stessa e un attimo dopo tutta la catasta ordinata di sentimenti che avevo costruito così zelantemente e ordinatamente in un soffio crolla lasciandomi impotente e disperata. Quanto avrei voluto parlarne con Tomoyo… Ma credo che parlando di questi argomenti lei mi reputerebbe una stupida ragazzina che s’innamora del primo che passa… E poi, che diavolo, è suo fratello! Tomoyo mi conosce alla perfezione, ma la cosa non è reciproca… E se fosse una di quelle sorelle tremendamente gelose come mio fratello? Be’, però Tomoyo non ha l’aria di essere così, no… Ah, mi sembra di vivere in un disequilibrio tale… E poi ho la sensazione che tutti conoscano già a memoria i miei pensieri, credo di essere così prevedibile… Forse è per questo che Shaoran non vuole saperne di me. Ma certo, ho trovato! Io… devo crescere, devo cambiare, devo evolvermi. A volte mi sembra che tutti intorno a me cambino inesorabilmente, invece io rimango sempre una bambina, sì, sempre e solo la solita sagoma che cerca di immaginare un mondo senza guerre e violenze… Quanto sono patetica! Ma perché non me ne sono accorta prima? Certo, ero più preoccupata per le mie bambole, i miei peluche… Ma ora basta! E’ tempo di cambiare, di crescere.”.

Pensando questo, Sakura si alzò dal letto, prese un foglio e scrisse:

 

 

 

 

Lesse e rilesse quel foglio molte volte prima di ritenersene soddisfatta. Ma non pensava minimamente alle conseguenze di quel suo gesto prettamente adolescenziale.

 

*Intanto, in ospedale…*

 

-Tanto lo so che sei sveglio, non puoi fingere con me…-. Un ragazzo biondo, impassibile, guardava Shaoran che, inutilmente, cercava di togliersi dai piedi quel filosofo ambulante.

-Senti, Adolf, non rompere! Ma perché non mi hanno messo in stanza con Paris Hilton???-, chiese a nessuno in particolare.

-Hai sempre la fissazione di mettere soprannomi a chiunque, ma a Jasmine non l’hai messo, vero?-, chiese maliziosamente il riccioluto.

-E-e tu come fai a sapere di Jasmine???-, chiese Shaoran esterrefatto.

-Dovresti stare più attento a metterti dello scotch sulla bocca quando dormi…-, consigliò il biondo guardandosi una mano.

-Io… io non parlo nel sonno!-, ritenne il cinese.

-Oh, certo… Allora, dimmi, forse è stato il Gobbo di Notredam (scusate, non so se si scrive così… Ndme) a nominarla? E comunque il tuo frequente uso di  nomignoli determina il fatto che cambi gli altri perché non accetti te stesso e cerchi di eclissare sugli altri i doveri che dovresti compiere tu.-, disse Franz con aria professionale,

-Certo Freud…-, disse scocciato Shaoran, che subito aggiunse: -Ma tu non dormi mai? Uff… E comunque.-, disse vedendo che Franz apriva la bocca per parlare: -Jasmine è morta e mi manca da morire, contento? E Sakura non mi piace!-.

-L’importante è crederci…-, esclamò il tedesco con una risata contenuta.

-B-U-O-N-A-N-O-T-T-E!-, quasi urlò Shaoran.

Il biondo non rispose, ma si limitò a stendersi sul letto e a pensare… Conosceva Shaoran da poco meno di un giorno e quella ragazza l’aveva vista solo una volta, ma sentiva di essere attaccato a loro in un modo indescrivibile. Il perché, stranamente, non lo sapeva nemmeno lui. Lui, il filosofo di turno, il sapiente, colui che trova la soluzione a ogni cosa, il paziente, l’insicuro. Debolezza, questa, che non si poteva perdonare.

Ma non si vergognava di nulla, perché nessuno lo conosceva e nessuno avrebbe potuto giudicarlo, perché nessuno sapeva la sua storia. Allora cominciò ad avere un’idea, una stupida idea: qualcuno doveva conoscerlo. Lui non era mai riuscito ad avere un amico con le buone, allora l’avrebbe fatto con le cattive.

Ora, come sempre, era sicuro di cosa fare…

 

 

Ciao a tutti! Lo so, il capitolo è breve, ma devo urgentemente fare il riassunto di un capitolo de “I promessi sposi” per le vacanze e stranamente ora mi va, quindi non posso sprecare quest’occasione! Pertanto non posso nemmeno ringraziarvi, però ho un quesito da porvi (come sono manzoniana oggi…!): nessuno si è chiesto chi fosse Aisha, il nome scritto all’inizio dello scorso capitolo? Se ne avete anche la minima idea, vi prego di farmelo sapere nelle recensioni! E’ come un sondaggio, diciamo! Allora recensite e soprattutto…

 

BUON 2007!!!

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Capitolo 15
*** Rosa ***


 

“Sarà il cielo, sarà la libertà, saranno le stelle che dalla loro dimora mi guardano superbe. Stelle, non siate crudeli. Se la sorte giocosa non si accorge di me, se la mia anima vagabonda non trova casa in nessun cuore, se io, come un fiume che non trova la sua foce nell’azzurro mare, non riesco a dividere le mie acque con altri, la colpa non è vostra. Stelle, non siate tristi. La vostra immensa bellezza non può donarne a sufficienza per me. Ma non abbandonatemi, stelle. La vostra tiepida luce mi guida nell’immensa e intricata foresta della vita. Non lasciatemi sola, stelle. Comprendetemi... Siamo molto simili: voi, stelle silenziose, aspettate statiche la vita che verrà senza sapere cosa succederà, ma con molta speranza…”,

Chiuse gli occhi per un istante e una lacrima scese bagnandole il viso. Dalla finestra aperta filtrava la tiepida e fioca luce emanata dalle stelle che impreziosivano il cielo con la propria lucentezza.

Sakura era seduta sul suo freddo letto con le ginocchia al petto e il mento poggiato su di esse. Ormai erano sei mesi che era prigioniera della stessa estenuante routine. Il giorno e la notte erano scanditi da evidenti cambiamenti di umore e di carattere. Certo, compiva le stesse ed identiche azioni, ma così… rabbiosamente e malignamente, mentre la sera era la solita Sakura, O forse era una Sakura triste, malinconica. Solo un aspetto non cambiava dal giorno alla notte: la disperazione. Anche se la mattina essa veniva presentata come sarcasmo o ironia, c’era sempre un fondo di disperazione in tutto ciò che faceva e diceva.

-Sakura, a tavola!-. Una voce maschile si alzò dalla cucina per arrivare a Sakura.

-Sì, arrivo.-, rispose lei con voce strozzata dal pianto. Si alzò dal letto come al solito e si asciugò le lacrime con il lenzuolo. Mentre raggiungeva la porta passò davanti allo specchio. Quei sei mesi l’avevano cambiata non poco. Innanzi tutto i suoi occhi non erano più illuminati da quella scintilla che le dava vita. Ora erano spenti, come se guardasse tristemente la sua vita dall’esterno. Il professor Terada aveva spiegato la figura dell’inetto nel Novecento e lei lo incarnava perfettamente: incapace di vivere, sempre un passo indietro rispetto agli altri, il che era molto frustrante, ovviamente. Non era una ragazza “normale”: non aveva sull’anta dell’armadio i poster di Justin Timberlake o di Tom Welling, tanto che per un certo periodo pensava di avere altri determinati gusti. Ogni giorno di più, però, capiva che lei non era attratta né dai ragazzi, né dalle ragazze, bensì solo da Shaoran che, per lei, era un essere a parte.

Fissò il suo profilo e si vide un po’ ingrassata. Be’, questo era spiegabile: ormai era Touya che la accompagnava a scuola in auto e lei non faceva nemmeno un passo con i suoi pattini che, oltretutto, non le andavano più. Inoltre, ormai mangiava anche di più. Si pensi solo al fatto che a pranzo portava circa cinque buste di patatine. In fondo, non è noto che il cibo è la medicina dell’amore?

Guardò per un attimo i capelli lunghi che si stendevano sulla schiena. La riga ad un lato che si era fatta lasciava cadere un ciuffetto di capelli davanti agli occhi, il che le dava un’aria aggressiva.

Decise di non fare atto di ulteriori cambiamenti e scese svelta le scale. Sin da lì si sentiva profumo di cibo. Sakura si sedette goffamente su una sedia e guardò il fratello mentre le offriva un piatto di pesce.

-Grazie.-, mugugnò.

-Ma che hai? Sei sempre triste, uffa…-. Il fratello cercò invano i suoi occhi, ma Sakura li teneva ben incollati sul suo piatto e non osò alzarli.

-Non ho niente.-. Detto questo cominciò a mangiare, mentre il fratello borbottava costantemente e ininterrottamente.

I pensieri di Sakura vagavano liberamente come le note di una tiepida canzone d’estate, durante una notte calda e stellata. Aveva sognato molte volte notti del genere, ma non ne aveva mai passate. Subitò ripensò alla giornata appena trascorsa…

 

Entrò in classe con passo pesante e con il viso scuro.

-Ciao Sakura!-, la salutarono tutti. Lei li ignorò completamente e si sedette al suo solito banco.

-Ehm… Sakura?-, provò timidamente Tomoyo.

-Non rompere.-, rispose freddamente Sakura.

La mora si voltò triste e sussurrò qualcosa all’orecchio di Shaoran. Sakura se ne accorse subito e disse:

-Insomma, la volete smettere? Basta, basta, BASTA! Non avete il diritto di ficcarvi nei miei fatti personali! Né tu né Shaoran potete fare qualcosa: IO ho deciso questo e IO lo porterò avanti. Sono sempre stata una stupida e ora che sono cambiata, che sono migliorata, nessuno mi apprezza! Grazie tante!-, terminò acida.

Tomoyo sospirò rumorosamente e lo fece anche Shaoran, ma con poca convinzione.

La castana si sedette sulla sua sedia e non disse più nulla per tutta la mattinata. Durante l’intervallo restò sola come sempre e si appoggiò ad un albero, pensando e riflettendo. Il sole sul suo viso creava forme astratte e impressionanti.

E poi era tutto silenzio fino all’uscita, quando i due “amici” la salutavano e lei, automaticamente, non rispondeva e se ne andava a testa alta, come orgogliosa del fatto che stesse spezzando l’unico fragile filo di amicizia che aveva.

 

Pensando al suo comportamento sentì un odio indescrivibile verso sé stessa e, prima di scoppiare in lacrime, si alzò dal tavolo e ritornò in camera sua.

Ormai questa routine era quotidiana: di mattina era fredda e pungente, di sera triste e fragile.

Si posò sul letto e si addormentò quasi subito ascoltando delle voci indistinte che provenivano dalla strada…

-Dobbiamo farlo per il suo bene, lo capisci?-, sussurrò una ragazza dai capelli lunghi e mori.

-Senti, io non posso! Capisci? Ne va di mezzo la mia reputazione.-, bisbigliò indignato un ragazzo dai capelli corti e spettinati.

-Oh, la tua reputazione! Se non lo farai di mezzo ci andrà la tua vita! E ora muoviti.-, ordinò annoiata Tomoyo.

-Però sappi che qualsiasi cosa succeda la responsabilità è TUA.-, assicurò Shaoran.

Tomoyo annuì impercettibilmente e si avvicinò ad un albero.

-Sali.-, ordinò.

-Che???-, gridò il ragazzo notando l’altezza della pianta.

-Zitto e sali, muoviti!-, disse Tomoyo soffocando una risata.

-Ma sei scema??? Neanche se me lo chiedesse Paris Hilton in persona!-, rispose Shaoran indignato.

-Senti, o ti muovi, o dirò a tutti che sei ancora…-, cominciò Tomoyo con voce maliziosa.

-Io non sono vergine!-, la corresse Shaoran.

-Lo so, ma nessun altro lo sa…-, sorrise angelicamente Tomoyo.

-Non si fanno questi ricatti però…-. Detto questo, Shaoran cominciò ad arrampicarsi svogliatamente all’albero e la mora lo seguì. La notte era silenziosa e limpida. Era il 31 marzo, il giorno prima del compleanno di Sakura, e la primavera si faceva sentire, con la sua brezza e la sua frizzantezza.

-Ok, ora devi solo cercare di aprire la finestra della sua camera senza romperla.-, sussurrò Tomoyo.

-Oh, certo, come se fossi un fabbro o un falegname…-, ironizzò Shaoran osservando dall’alto in basso la finestra.

-Dai, usa la spada…-, consigliò Tomoyo gettando sguardi vigili verso la strada.

-Sì, molto divertente. Hai detto senza rompere la finestra…-, le ricordò voltandosi Shaoran.

-Senti: io voglio rivedere la mia amica felice e, purtroppo, l’unico mezzo per farlo sei TU. Non è mica colpa mia se si è innamorata di te.-, bisbigliò acida la mora.

-Guarda, mi sto commuovendo…-, proferì Shaoran fingendo di piangere.

-Stupido! Dai, sbrigati. Potresti fare leva dal basso con la spada, no? Dai, prova!-, lo incoraggiò la mora con sguardo allegro ed eccitato per l’idea che aveva avuto.

Shaoran sbuffò e infilò la punta della spada sotto la finestra e, abbassando l’arma, la finestra si aprì,

-Corri, veloce!-, bisbigliò Tomoyo.

Shaoran saltò dentro la stanza seguito subito dalla sorella. Subito lei chiuse la finestra e entrambi guardarono verso il letto dalle coperte rosa che ospitava Sakura…

 

******************************************************************************

Ciao a tutti! Mi scuso per l’enorme ritardo, ma non ho proprio avuto tempo! Quindi spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ora passo ai ringraziamenti:

evanescense88: grazie per il complimento!!! Spero che anche questo enigmatico capitolo ti piaccia! E scusa per il ritardo!!!

Kira-chan: ciao! Mi fa piacere che la pensi così! Inizialmente non avevo molta fiducia in questa storia… Grazie e continua a leggere!

Selene: ciao! Sai, mi piace molto il tuo nickname! Forse l’ho già detto… Mah! Comunque probabilmente la magia comparirà, ma non lo so ancora, mi dispiace molto… Spero che continuerai a recensire, ciaooooo!

Non so come chiamarmi: sono felice che ti piacciano! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!!

Zoa: grazie Francy! Che bello, finalmente sei tornata! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Fammi sapere, ciao!

Laukurata89: LAURAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!! Che bello! Ciao Britney!!! (va be’, se io sono Paris Hilton e tu Britney Spears…!!!)! Lo so, è molto frustrante la cancellazione delle recensioni ma, come diceva un mio capitolo, bisogna prenderlo, ehm, cioè, prenderla (???) con filosofia!!! Mi fa piacere che ti siano piaciuti i capitoli, davvero!!! Spero che tu stia meglio e che recensisca presto! Alla mail posso rispondere martedì, ok? Appena posto il capitolo leggo il tuo, va bene? Ciao ciao e guarisci presto!!!

 

Ok, ho finito! Ecco una piccola domanda (diciamo un sondaggio) a cui rispondere nelle mail: che fine ha fatto Franz?????????? Mi raccomando, recensite!!! Ciao ciao e grazie a tutti per la pazienza che avete con me!

Francy

 

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Capitolo 16
*** E arrivò ***


15. E arrivò

MI fermai al centro della stanza. Com’era difficile rendersi conto che era tutta colpa mia… Tutto, dal primo istante in cui ci siamo conosciuti. Io ero stato la causa della sua felicità e poi del suo dolore. Ma bisogna essere coerenti e sinceri da questo punto di vista: non l’ho amata nemmeno per un secondo. Ma allora perché mi si stringe il cuore vedendola così? Perché sento una sensazione di angoscia sapendo che da sei mesi, da quando si dichiarò in quell’ospedale, lei è cambiata… a causa mia? Sì, evidentemente è colpa mia. Ma certo! Sono entrato nella sua vita come un uragano sconvolgendole l’esistenza… Modestamente, faccio quest’effetto a molte ragazze, ma sembra che lei sia quasi impazzita per me. Dovrei esserne felice e invece mi sento irreparabilmente in colpa, il che è impressionante, dato che nella mia vita mi sono sentito in colpa solo una volta, ossia quando Jasmine è morta e io non stringevo la sua mano mentre lei lasciava la Terra…

Sakura era lì, stesa sul suo letto, e dormiva piangendo e mormorando qualcosa… forse proprio il mio nome. Tomoyo era accanto a me e la sentii singhiozzare. Si aggrappò al mio braccio. Non la biasimavo: la sua migliore amica piangeva nel suo letto per causa mia. Era diventata uno straccio ormai.

Per un po’ stemmo in silenzio ad ascoltare il dolce suono delle lacrime che sgorgavano dagli occhi di Sakura e da quelli di mia sorella. Poi essa parlò.

-Shaoran…-, sussurrò Tomoyo.

-Che c’è?-. Non lo dissi con sarcasmo come sempre, ma seriamente.

-Cosa provi? Intendo, cosa provi per Sakura adesso vedendola così, così…?-, chiese la mora fra un singhiozzo e l’altro guardandomi negli occhi. Vedevo tutta la sua determinazione, tutto il suo coraggio negli occhi della sorella. La capiva benissimo.

-Pena, senso di colpa, malinconia… Ma nient’altro, mi dispiace.-. Cavolo, quant’ero serio. Probabilmente non lo ero stato mai così tanto.

-Ah, capisco. Be’, però il senso di colpa è già qualcosa, no?-, disse Tomoyo sforzandosi di fare un sorriso convincente, ma non ci riuscì, dato che il risultato fu malinconico e rassegnato.

Mi sentivo un verme. Nella mia vita non avevo fatto altro che far soffrire ragazze: prima Jasmine, poi mia sorella, poi Sakura. Penso ancora che quest’ultima sia quella che ha sentito di più la mia presenza.

Mi fermai un attimo a riflettere: perché mi sentivo in colpa? La prima ragione che mi venne in mente fu il fatto che per colpa mia lei piangeva di notte, per colpa mia da sei mesi aveva cambiato carattere e chissà dove avesse trovato la forza per farlo… L’amore. Sì, probabilmente la forza dell’amore era così… potente che lei ha avuto la volontà e i mezzi per cambiare… per me. Diavolo, quanto mi sento in colpa… Anche per mia sorella, ovviamente. Cambiando carattere Sakura ha anche allontanato la sua migliore amica.

-Senti…-, cominciò Tomoyo, ma un singhiozzo la fermò.

-Calmati e parla.-, la incoraggiai io con un sorriso, anche se vistosamente forzato.

-Ok, allora… Vuoi davvero farlo? Io non voglio costringerti, ma il fatto è che… fa male, Shaoran. Fa male vedere la mia migliore amica piangere per mio fratello. Tu… tu non sai quanto mi senti anch’io in colpa perché non le sono stata vicina, perché invece di essere con lei in ospedale sei mesi fa ero con la nonna di Yamazaki (Lau, in tuo onore!!! Ndme)… Shaoran, dimmi la verità: sei in grado, hai voglia di fare questo per me? Se non vuoi farlo per lei, perché non la ami o per qualsiasi altro motivo, fallo per me. Ti prego.-. Proferì le ultime due parole abbassando lo sguardo per nascondere il viso pregante.

Chiusi gli occhi. Ora dovevo capire ciò che volessi. Non m’importano le conseguenze né il futuro: dovevo decidere in base a ciò che volevo in quel momento. Allora risposi:

-Va bene, lo farò. Ma sappi che… che tutto ciò che dirò e che farò sarà dettato dai miei sensi di colpa, non da altro, ok?-. La mia voce si strozzò a metà frase, il che mi colse di sorpresa.

-Shaoran, io… Grazie.-, aggiunse sorridente Tomoyo con quel viso dolce a cui non si può mai negare una promessa.

Mi avvicinai al letto di Sakura. Sentivo chiaramente il profumo dei suoi capelli sciolti e lunghi che mi colpiva con violenza. La guardai in faccia: il viso era ancora bagnato dalle lacrime e la bocca semiaperta produceva suoni che sembravano dicessero: “Ti amo, Shaoran”, ma non ne ero sicuro. MI voltai per un secondo verso Tomoyo e la vidi infilarsi dentro l’armadio, ma prima che potessi aprire bocca per chiederle spiegazioni, lei mi sorrise e sussurrò:

-Conosco Sakura e, anche se è cambiata, so che si vergognerebbe troppo con la mia presenza. Ma non preoccuparti, ho posto una telecamera sulla scrivania, quindi dopo potrò assistere alla scena…! Buona fortuna.-. Sorrise ancora per un attimo e l’anta dell’armadio si chiuse.

Dovevo immaginarlo, una telecamera…

MI voltai ancora verso Sakura che ancora dormiva fra le coperte rosa. Feci un respiro profondo, conscio del fatto che il gesto che presto avrei fatto avrebbe cambiato le nostre vite. Così, le misi la fredda mano destra sulla fronte e lei, piano piano, aprì gli stupendi occhi verdi. Mi correggo: non li aprì, li sbarrò.

-Shao… tu… io… non… cosa… dove… qui… ora… io… sei… sei tu?-. Dopo un balbettio particolarmente divertente, Sakura riuscì a spiccicare due parole sensate.

-In persona.-, dissi con un sorriso poco convincente.

Sakura si stropicciò gli occhi. -No.-, disse, -non può essere… BASTA!-, gridò infine scoppiando a piangere. Io arretrai per l’urlo che aveva appena fatto e le tappai la bocca con una mano.

-Ma sei pazza? E se venisse tuo fratello? Ci butterebbe direttamente dalla finestra!-, dissi arrabbiato togliendole la mano dalla bocca.

-Oh, non avrei paura. E poi, se succedesse almeno avrei l’onore di morire insieme a te.-, disse lei con sguardo adorante e meditabondo, -Ammesso che tu sia vero.-, aggiunse.

La prima frase mi fece quasi pena. Era così dipendente da me, come se fossi la sua droga preferita. La seconda frase mi rassicurò un po’, perché almeno sapevo che tutto ciò che aveva detto era stato frutto del suo inconscio.

-Certo che sono vero.-, dissi guardandole la bocca. Era così sorridente solo perché aveva visto me… Che responsabilità! Non volevo che altri dipendessero da me, no.

Sakura alzò una mano verso il mio viso per toccarlo. E arrivò.

La sua mano era calda e mi accarezzava il viso con leggerezza e delicatezza.

-Se tu fossi vero, sai, non avrei mai fatto questo. Ma io so che sei solo un sogno o forse un’illusione, ma questo non mi spaventa, anzi. Non sai quante volte ho sognato di accarezzarti e ora mi sembra così reale, così disperatamente, insensatamente, spaventosamente e malinconicamente reale.-. Detto questo, cominciò ad accarezzarmi i capelli. Io restavo immobile. Ma dov’è finito il tuo sarcasmo? La tua ironia? Dove diavolo sono finite? Non posso restare immobile così, come se delle stupide carezze da parte di una stupida ragazzina mi mettessero a disagio… Questo pensavo, e intanto mi allontanai da quella mano che mi faceva così tanta pena.

-Ecco, lo sapevo-, proferì Sakura abbassando contemporaneamente la mano e gli occhi verdi, -ora come un sogno te ne andrai via, vero? Sapevo non fossi reale, ma ci speravo ancora. Come faccio a liberarmi di te? Come faccio a capire che tu sei diverso? No, non sei tu quello diverso: sono io che non so… che non so capire, che non so sentire, che non so essere.-. Aveva ancora gli occhi bassi, ma non piangeva più.

-Perché non piangi più?-. La domanda mi venne spontanea, ma me ne pentii subito: dovevo fare solo il minimo indispensabile, non farla soffrire maggiormente.

-Vorresti che piangessi? Ormai ho capito che è inutile piangere per un sogno. Tu sei un sogno, ma il più bello che mi sia mai capitato. Le lacrime…-.

-… sono per i deboli. Lo so, te l’ho detto io quando sono uscito dall’ospedale.-. Ora non la guardavo più. Non avevo il coraggio di incontrare quegli occhi disperati e rassegnati alla dura constatazione dell’amore.

-Ora ritornerai nella mia mente, suppongo. E sarai solo un altro dei miei finti ricordi. E passerò notti e notti per trovare un senso, un senso di te.-, bisbigliò con voce astratta e triste.

Che paura. Paura di decidere, paura di tutto quello che non so, di quello che non ho.

-Se un senso c’è, ovviamente.-, aggiunse afflitta.

Eppure…

Alzai gli occhi per incontrare i suoi che mi fissavano estasiati e vuoti. Mi sentivo immensamente colpevole di tutto, tutto quanto. Qualsiasi cosa le fosse capitata, io ne sarei stato la causa.

Che paura. Paura di me.

Chiusi gli occhi e immaginai dietro le palpebre il suo sguardo passivo e disperato, Tutto di lei temevo. Sì, le sue mani incrociate sul petto, i suoi occhi immensamente silenziosi che, allo stesso tempo, gridavano aiuto, il suo viso che mi incantava, che mi suscitava sensi di colpa indescrivibili.

-Ora che hai finito di torturarmi, sogno, lasciami. Le stelle intorno alla luna bella nascondono di nuovo l'aspetto luminoso…-

-…quando essa, piena, di più risplende sulla terra... Saffo, vero?-, chiesi triste.

-Sì, forse la poetessa Saffo è stata l’unica che mi ha fatto rimanere in vita durante questi sei mesi.-, rispose Sakura in tono piatto.

Io conoscevo bene quella poetessa, dato che mia madre si interessava molto di poesia. Non si sarebbe mai detto… All’inizio odiavo tutti i poeti: inguaribili depressi che non hanno altro da fare che scrivere i propri pensieri su un foglio bianco. Poi conobbi Jasmine e a lei piaceva molto la poesia, quindi mi adeguai.

-Vorrei che ci fosse un modo per farti capire che non sono un sogno…-, cominciai a parlare fissando la coperta rosa per non incontrare gli occhi delusi di Sakura.

-Non credo ci sia, immagino.-, parlò lentamente fissandomi. Non potei più trattenermi: potevo, dovevo e soprattutto volevo rivedere la Sakura che si offendeva, che rideva, che reagiva, che viveva.

Così aspettai che lei interrompesse il contatto visivo, attesi quel momento, E arrivò.

Mi chinai su di lei, le alzai il viso prendendolo fra le mani fredde e la guardai un attimo negli occhi: erano terrorizzati, disperati, chiedevano aiuto.

-No. Non voglio, ti prego. Se succedesse, il distacco sarebbe anche peggiore. Nei miei soliti sogni non ti sei mai spinto così oltre e ora, se mi baciassi, probabilmente non riuscirei più a farmene una ragione, impazzirei, non riuscirei più a vivere… Ti prego, no…-. Le parole se si spezzarono in bocca. Lei temeva un bacio. E arrivò.

Posai le mie labbra sulle sue e posi le mie mani sulle sue spalle. Lei rimase immobile, ma poi sentii le sue guance bagnate. Era un innocente bacio a stampo, ma mi sentivo così… così soddisfatto, forse. Mentre lei piangeva e singhiozzava. La sentivo sobbalzare: tremava.

Mi staccai dalle sue labbra e mormorai:

-Ti amo.-.

Avevo detto la mia più grande e pericolosa bugia, o la mia più oscura e occulta verità. Non lo capivo ancora. La vidi lottare, lottare contro di me, lottare contro i suoi sentimenti, le sue reazioni, lottare contro sé stessa.

Era rossa in viso, ma non di vergogna o di imbarazzo, bensì di sforzo: si sforzava di non credere a quello che avevo appena detto, di non credere a tutto ciò che aveva sempre voluto. Di non credere a me.

-Non voglio soffrire, non voglio svegliarmi con la consapevolezza che sia stato solo un bel sogno o un incubo. Non voglio chiudere gli occhi.-. Queste furono le parole disperate che pronunciò, ma io la interruppi.

-Shh… Chiudi gli occhi e dormi ora.-.

-NO! Io non…-. Questa volta non la interruppi con le parole, ma con un altro bacio, sempre innocente. Il suo respiro si fece più affannoso, ma allo stesso tempo più calmo. Mi staccai subito per permetterle di parlare.

-Non avrei mai creduto che il mio secondo bacio sarebbe stato più intenso del primo.-. Sorrise.

Sorrise.

Sorrise.

Aveva sorriso. Ed era tutto merito mio.

Le permisi di stendersi sul letto e le rimboccai le coperte. Avvicinai la mia bocca al suo orecchio sinistro e cominciai a sussurrarle una canzone:

-A un passo dal possibile, A un passo da te, Paura di decidere, Paura di me, Di tutto quello che non so, Di tutto quello che non ho, Eppure sentire, Nei fiori tra l'asfalto, Nei cieli di cobalto - c'è, Eppure sentire, Nei sogni in fondo a un pianto, Nei giorni di silenzio - c'è un senso di te…-. Sussurrai le parole di quella canzone con tristezza, ma con la consapevolezza di aver regalato il sorriso a Sakura, ma anche di aver mentito.

Sakura si addormentò con il sorriso sulle labbra. Io mi avviai verso la finestra a l’aprii voltandomi verso l’armadio.

-Esci, Tomoyo.-. La mia voce risuonò piatta nella stanza. Attraversai la finestra e scesi in strada seguito da mia sorella.

-Sei stato grande, Shaoran! Lo so, non avremmo dovuto dare false speranze a Sakura, ma sei stato davvero un fantastico attore!-, disse Tomoyo con un mezzo sorriso.

Eravamo già in strada. Mi voltai verso di lei.

-E chi ha detto che ho recitato?-.

 

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Ciao a tutti! Be’? Vi piace? Spero di sì! Ho inserito una poesia di Saffo in omaggio a Faffy! Inoltre la canzone che canta Shaoran per far addormentare Sakura è proprio “Eppure sentire” di Elisa, la colonna sonora del film “Manuale d’amore 2”.

Mi dispiace di dirvi che non posso ringraziarvi singolarmente, ma devo mangiare……………….! Quindi…

Grazie e recensite!!!

Francy

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Capitolo 17
*** Emotion ***


Nuova pagina 1

La fresca aria primaverile entrò nell’aula appena aprii la finestra.

-Finalmente un po’ di fresco!-, dissi fra me e me.

Infatti in quel periodo, nonostante fosse aprile, c’era un caldo insopportabile, tanto da “costringere” me, Tomoyo e Shaoran ad intraprendere una divertente quanto intima (almeno fra me e Shaoran) gita al mare il giorno precedente.

Sì, avete capito bene: intima. Ok, certo non è successo ciò che a Shaoran potrebbe suggerire l’idea di intimo (e che io giudico a dir poco riprovevole a quest’età, al che lui mi risponde: “Antica…”). La mia idea di intimo è stare con Shaoran e ridere insieme. Be’. Certo, non gli nego qualche bacio, ma stiamo insieme da un anno e mezzo e non voglio esagerare. Stiamo benissimo insieme! Certo lui non è cambiato per niente (e nemmeno io, a dirla tutta). Guardandomi allo specchio mi sono resa conto che non erano quella riga al lato e quel ciuffo sugli occhi a conferirmi quell’aria aggressiva: erano invece i miei occhi. Ma da quando Shaoran si è dichiarato la loro durezza si è tramutata in morbidezza e dolcezza… Almeno è quello che mi dice Shaoran nei suoi pochi ma intensi momenti romantici e dolci.

Lo amo in tutto e per tutto, potrei ripeterlo mille e mille volte, ma non sarebbe abbastanza. A volte anche lui me lo dice, ma quando lo fa non osa guardarmi in faccia. Io gliene chiedo il motivo, ma lui dice che si vergogna ad esprimere i suoi sentimenti. Ma perché? Non è certamente qualcosa di cui vergognarsi!

A consolarmi però c’è sempre il ricordo di quella notte in cui salì in camera mia come un angelo liberatore… Non dimenticherò mai il suo profumo agrodolce che sapeva di arancia, i suoi occhi ramati solo per me, i suoi capelli morbidi come il pelo di una pantera… E poi le sue labbra che incontravano con prepotenza e contemporaneamente con gentilezza le mie…

-Buongiorno culetto d’oro!-.

Parli del diavolo e spuntano le corna…

-COME OSI CHIAMARMI COSI’? LA DEVI SMETTERE, CAPITO?-. Ovviamente le mie risposte erano sempre molto “gentili”, ma in fin dei conti quello era il suo quanto mai ambiguo modo di farmi complimenti, quindi sotto sotto ne era lusingata.

-Dai, non fare così… Sappiamo entrambi che ti piace da matti.-, disse con voce suadente avvicinandosi a me con quello sguardo passionale che adoravo tanto e che mi faceva venire i brividi. Oh, dimenticavo: purtroppo quello sguardo faceva crollare tutte le difese e le armi a mia disposizione. Infatti rimasi lì imbambolata ed estasiata dalla sua figura atletica e pulcherrima, come avrebbero detto i Romani, mentre lui si accostava sempre di più a me, tanto che ormai avevo davanti il suo petto.

Cominciò ad accarezzarmi i capelli con un movimento quasi ipnotico: su e giù, su e giù, su e giù… Sentivo qualcosa nascere dentro di me, qualcosa di travolgente, paragonabile ad un fiume in piena… No, di più: era una sensazione irresistibile che mi faceva venire voglia di urlare, ma allo stesso tempo non volevo, perché temevo che così facendo il mio fiume si prosciugasse. Ma non potevo farne a meno, non ci riuscivo…

Intanto Shaoran era passato alla mia schiena. La accarezzava lentamente, ma con decisione: dalla nuca al bordo della gonna, su e giù, su e giù, su e giù…

Tesi le braccia e circondai con esse la sua vita.

Tremavo.

Con mia grande sorpresa scoprii che anche lui era leggermente scosso, ma niente in confronto ai fremiti e ai brividi che tempestavano il mio corpo e soprattutto la mia mente.

Lo sentii muoversi fra le mie braccia: pose una mano sul mio fianco, con l’altra continuava quel movimento onirico ed illusorio lungo la mia schiena tremante. Ma ciò che mi sconvolse di più fu la sua testa piegata di lato e che lentamente si poggiava sulla mia spalla.

Mi sentivo benissimo e stranissimamente nello stesso momento: era una sensazione nuova, un brivido che andava al di fuori della paura, un fremito che si estraniava dalla semplice ed innocente eccitazione…

Sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo e il suo respiro mi faceva venire la pelle d’oca. Volevo contemporaneamente che la smettesse e che continuasse a torturarmi così.

All’improvviso le sue labbra incontrarono il mio collo, dolci e leggere più delle ali di una farfalla. Mi sentivo il cuore battere fortissimo, probabilmente lo sentiva anche lui; il sangue mi pulsava nelle vene e il mio cervello stava andando in tilt: non riuscivo a capire più nulla, a parte le sue labbra su di me. Una bufera, una tempesta dentro di me…

Stavo per cedere, ma in quel momento l’abbandono mi sembrava la cosa più sicura del mondo: essere fra le sue braccia, un dolce oblio privo di incertezze e paure, una morbida nuvola su cui riposare e stare in pace. Adesso capivo cosa significasse morire per amore.

Non ce la facevo più era troppo, troppo. E così, cedetti:

-Ah…-, gemetti forte, senza contegno. Ma in quel momento non mi importava, nulla importava fuorché le sue labbra su di me.

Ormai il mio respiro si era fatto affannoso e il mio cuore mi scoppiava nel petto.

Lui rise piano sul mio collo. Non era una risata ironica, ma dolce e contrita.

Mi sentivo persa, ma quella sensazione mi piaceva, mi piaceva da matti, mi piaceva più di quanto fosse lecito.

-Ti amo.-, rise ancora piano, le labbra che si muovevano come piccole gocce di pioggia invisibili sul mio collo fremente. Sentirmi dire quelle due parole mi fece battere i denti, ma non per il freddo. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse, ma sicuramente riguardava il mio Shaoran.

Mi accasciai contro il suo petto. Perché non la smetteva di torturarmi? Perché non continuava? Mi sentivo tutta intorpidita e mi girava la testa.

Lui mi abbracciò alzando la testa e posandola sulla mia; le mani sulla mia schiena erano ferme, ma sotto di loro i miei muscoli si contraevano impressionati dal suo tocco come la pellicola di una macchina fotografica.

-Tutto bene?-, chiese con fare preoccupato ma anche scherzoso.

Ci misi qualche secondo per rispondere:

-Sì, credo… credo di sì.-, balbettai.

Mi baciò la fronte e mi guardò negli occhi.

-Sicura? Sembri un po’ sconvolta.-, disse alzando un sopracciglio.

Be’, in effetti “un po’” era un eufemismo: ero visibilmente e, devo dire, piacevolmente sconvolta.

-Dai, andiamo a sederci: fra poco verranno tutti gli altri.-.

Ma perché era così… dolce? Preoccupato per me? Comunque sia andai a sedermi inciampando non poche volte. Lui si sedette dietro di me e sicuramente questo non mi faceva bene: sentivo i suoi occhi su di me.

In pochi minuti arrivarono gli altri e alla fine il professore: la lezione ebbe inizio.

ECCOMIIIIII! Sono tornata, per vostra sfortuna, e molto più determinata di prima! Come vi è sembrato questo capitolo? Vi prego, per favore, recensite! Voglio sapere la vostra opinione, è molto, molto, molto importante per me!
Ringrazio in particolare Mucca91 che, forse involontariamente, mi ha dato la giusta spinta per continuare questa storia! Grazie mille a tutti!

Recensite, mi raccomando!

Francy

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Capitolo 18
*** Volando sull'Inferno ***


Nuova pagina 1

La campanella che annunciava la fine delle lezioni mi risvegliò parzialmente dalla mia lunga e costante trance. Non ricordavo praticamente nulla delle spiegazioni fatte dal professor Terada e sinceramente quella non era la mia prima preoccupazione.

-Sakura? SAKURA? SA-KU-RA? S-A-K-U-R-A???-, mi chiamò Tomoyo.

Solo in quel momento mi risvegliai totalmente e scesi dalla soffice nuvola che mi aveva ospitata per alcune ore. Da quando mi ero seduta alla mia sedia invitata da Shaoran fino a quel momento tutto era un buco nero, un buio inspiegabile e ovattato.

-Ehi, Kino? Sei tra noi? Oppure vuoi che ti chiami particella di sodio???-, chiese con la sua solita voce ironica Shaoran.

-Smettila e sta’ zitto, imbecille! Sakura, che succede? E’ da quando sono entrata in classe che sei così.-. disse soprappensiero la mia amica.

Io persistevo nel mio silenzio morbido e seducente, lo stesso che aveva caratterizzato quei momenti passati con Shaoran in classe. Oddio, solo a pensarci mi girava la testa e mi tremavano le ginocchia… Perché mi ero sentita così illecitamente bene? Perché lui si era comportato così sensualmente male? Non era mai successo in un anno e mezzo di fidanzamento che io mi sentissi così strana… così semplicemente felice e persa nello stesso momento… E soprattutto cos’era quella forza che mi aveva spinta a volere sempre di più? Mi sentivo colpevole, ma di cosa? Avevo la sfocata sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e vergognoso, come quando…

Oddio.

Come quando al compleanno di Yamazaki, in quel ripostiglio io e Shaoran… Sì, mi sentivo proprio come allora. Umiliata per aver aperto così tanto il mio cuore ad una persona che sicuramente, ad ogni passo falso, avrebbe scoccato frecce di dolore e frustrazione. Ma non era proprio umiliazione quella che avevo provato mentre lui mi accarezzava quella mattina: era imbarazzo, imbarazzo per un qualcosa di innominabile che avrei voluto fare, ma che ancora non riuscivo ad identificare. Cosa mi stava accadendo? Cosa volevo da lui? E perché lui si comportava così? Forse lo voleva anche lui. Certo, ma cosa, precisamente?

Una gran confusione mi fece offuscare il cervello, ma poi improvvisamente ricordai che a meno di un metro da me c’erano Tomoyo e lui, l’oggetto dei miei pensieri e la loro stessa fonte: inizio e fine.

-Cosa le hai fatto, brutto…-, cominciò Tomoyo prendendo Shaoran per il colletto mentre lui cercava di sfuggire alla morsa strangolatrice della sorellastra.

-Lascialo, Tomoyo. Non ha fatto nulla.-, dissi con voce assente ma pur sempre divertita da quella scena.

I loro occhi si librarono su di me: quelli di Tomoyo meravigliati e preoccupati, quelli di Shaoran… non avrei saputo dirlo. Forse riconoscenti per averlo salvato dalle grinfie della mia amica, ma c’era anche un filo di… qualcosa di irriconoscibile. Sembrava dicessero: “Ehi, finalmente sei tornata fra noi. Non credevo di essere così scioccante…”. Aleggiava qualcos’altro in quegli occhi castani: forse… malizia.

-Sakura! Come stai? Che è successo? Perché sei così pensierosa? Per favore, parlami!-, quasi implorò Tomoyo.

-Va tutto bene. Sono solo un po’ stanca per ieri. Mi sa che ho dormito troppo poco per i miei standard.-, risposi con un sorriso guardando sempre Shaoran.

Quest’ultimo, ascoltando le bugia detta, alzò un sopracciglio e sul suo viso comparve un sorrisetto ambiguo. Ma perché era così maledettamente misterioso?

Tomoyo non sembrava estremamente convinta, ma si arrese saggiamente capendo che non avrebbe attinto altro da me. Così mi alzai e presi la borsa, la cui traiettoria, con mia grande sorpresa, fu intercettata dalla calda mano di Shaoran, che la prese al mio posto. Aprii la bocca per protestare, ma lui mi sorrise e mi fece l’occhiolino. Un sorriso vero, non saccente o sarcastico. Un sorriso sincero, oserei dire amorevole, aggettivo che non avrei mai usato per descrivere qualsiasi cosa inerente a lui.

Tomoyo ci guardò perplessa e con un sopracciglio inarcato, ma non fece commenti. Così uscimmo dall’aula e Tomoyo annunciò:

-Ragazzi, io oggi ho le prove del coro, quindi non posso venire a casa con voi. Shaoran, ricordati che oggi devi cucinare tu e non barare andando a comprare tutto in rosticceria, intesi? Sakura, tu è meglio se ti riposi, ok? Mi sembri strana. Allora ci vediamo dopo, ciao! A domani Sakura!-, salutò gioviale Tomoyo, ma con un’ombra di preoccupazione in viso. Io la salutai con la mano e Shaoran fece lo stesso con la mano libera dalla mia borsa.

Così ci trovammo da soli a passeggiare per i corridoi della scuola, in attesa di trovare l’uscita.

Più volte lo guardai di sottecchi mentre camminava accanto a me, ma alla decima occhiata mi beccò e chiese:

-Che c’è?-, quasi con voce innocente.

Io diventai completamente rossa, probabilmente anche le mie gambe, che si intravedevano sotto la gonna della divisa, divennero rosse.

-Ehm… n-n-niente…-, balbettai con una risata isterica.

Lui fece un’espressione da se-lo-dici-tu e continuò a camminare.

Aprii numerose volte la bocca per parlare, ma non sapevo proprio cosa dire: avevo ancora addosso la sensazione stupenda e tormentosa di quella mattina.

Infine sospirai e lo fissai ancora di sottecchi.

Non sapevo cosa fare. Di solito era sempre molto loquace, soprattutto quando eravamo soli. E rideva, oh, se rideva. Ma quel giorno era particolarmente, quasi spaventosamente silenzioso e serio.

Intanto eravamo arrivati in strada e camminavamo sempre in religioso silenzio.

Lo guardai nuovamente di sottecchi e scoprii che anche lui mi stava fissando.

-Che c’è?-, entrambi rompemmo il silenzio contemporaneamente.

Io voltai la testa imbarazzata e lo guardai di nuovo di nascosto. Rimasi interdetta: mi stava ancora fissando!

-C’è qualche problema?-, mi chiese tranquillamente.

Rimasi alquanto perplessa.

-Guarda che sei tu quello che mi fissa.-, dissi seria.

-Anche tu mi stavi guardando.-.

-Sì, ma tu mi stavi… fissando.-, dissi imbarazzata.

-Non è vero.-, negò.

-Sì che è vero.-.

-No.-

-Sì.-

-No.-

-Sì.-

-Noooo.-

-Dio, Shaoran, perché neghi? Non è mica una cosa vergognosa guardare una persona! Te ne sto chiedendo solo il motivo, perché se mi fissi ci sarà un motivo, no?-, dichiarai sull’orlo dell’esasperazione, ma raccomandandomi sempre di avere pazienza.

-E se non ci fosse un motivo?-.

-Se c’è preferirei che me lo dicessi, se non c’è che motivo c’era di fissarmi? Non capisco, ti vergogni? Tu ti vergogni? Stiamo insieme da un anno e mezzo, dovremo aver superato quella fase e...-. Non riuscivo più a continuare: mi sentivo… Non sapevo nemmeno come mi sentivo.

-Ehi, calmati. Dato che sei così determinata perché non mi dici tu perché mi guardavi?-, rispose presuntuoso, fermandosi.

Ecco, fantastico. Perché lo stavo guardando? Non mi restava altro da fare che dire la verità. A saperla, la verità…

-Be’, ecco, io… Oggi sei strano: sei silenzioso, serio, gentile e…-, stavo per aggiungere le mie considerazioni su ciò che era successo quella mattina stessa, ma rinunciai imbarazzata, -… e volevo sapere perché. Certo, se è qualcosa che vuoi condividere con me, ovviamente, altrimenti non importa, non c’è problema.-, terminai con più calma e fermezza.

Lui si grattò la testa e ci pensò bene. Sembrava concentrato su qualcosa di davvero importante. Altro che essere o non essere…

-Non è una brutta cosa, anzi. E’ solo che per te sarebbe scioccante. O meglio, potresti rimanere perplessa e dire che già lo sapevi, ma per me non è così semplice. E’ come se non…-.

Si vedeva da un chilometro che era imbarazzato e che faceva una grande fatica a parlarmi di questo fantomatico argomento, ma io non riuscivo proprio a capire. Però, per non metterlo a disagio, dissi così:

-Shaoran, ti confesso che non sei stato molto chiaro e che non ho capito niente-, al che lui mi indirizzò uno sguardo che diceva “Ma quando mai…”, che io saggiamente ignorai: -però capisco che per te è difficile parlarmene. Comunque sia, sai che io sono qui e che ti ascolterò sempre, cercando di capirti…-, al che mi interruppe sillabando:

-Cercando.-

-Certo, se tu fossi più chiaro… Ma non importa: mi va bene anche così.-. Sorrisi rassicurante.

-Thank you, baby! Ok, senti… Non è che ti andrebbe di venire a casa mia?-, disse con la sua solita voce sarcastica, che alla fine ho imparato, mio malgrado, ad apprezzare.

Il cuore mi si rifugiò con un sussulto in gola. Ma perché mi sentivo sempre così in imbarazzo a stare da sola con lui? Tomoyo era alle prove del coro e sicuramente sua madre era a lavoro… Non volevo che i nostri contatti divenissero sempre più… intimi. Ok, meglio cambiare parola: ravvicinati.

Tuttavia annuii.

-Mi devi aiutare a cucinare, sai com’è!-, disse con una smorfia che esprimeva tutto il suo odio innato per tutto ciò che riguardasse la cucina.

-Tu chiedi aiuto a ME per cucinare? Sei messo proprio male, allora!-, dichiarai, dato che le mie abilità culinarie erano classificabili fra il poco più che scarso e il quasi allucinantemente orripilante.

-Lo so, lo dici a me? Ma tu guarda che fidanzata dovevo trovarmi… Non sa nemmeno cucinare!-, disse ironico battendosi una mano sulla gamba come per marcare la sua rassegnazione.

-Ripeti quello che hai detto se ne hai il coraggio!-, lo sfidai e cominciai a rincorrerlo ridendo spensieratamente, finalmente.

***

-Finalmente abbiamo finito…-, dissi esausta togliendomi il grembiule.

-Infatti. Ah, a proposito: complimenti per la fine che hai fatto fare a quella povera acciuga…-, disse ridendo e sedendosi accanto a me sul divano rosso di velluto.

-Sai cosa ti meriti? Un bel film romantico! Vediamo cosa c’è oggi in TV… Wow, sei fortunato! C’è “Titanic”!!!-. Ormai sapevo come colpirlo, dato il suo innato odio anche per i film “sbaciucchiosi”, come li chiamava lui. E poi doveva scontare di avermi infilato un’acciuga nella maglietta…

Mentre lui gridava pietà per non vedere quel film, io mi alzai per prendere il telecomando, che era posto sul televisore. In quel momento lui mi guardò in modo strano (e aggiungerei preoccupante) e disse:

-Ehi, avvicinati un secondo: sei sporca di cibo lì…-, e così dicendo cominciò a toccarmi il sedere.

Purtroppo non mi resi subito conto di quello che stava facendo, ma quando me ne accorsi, be’, non l’avrebbe passata liscia…

-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! MA COME TI PERMETTI, BRUTTO………………-.

-Aspetta forse non era cibo! Forse era un’altra cosa, ah ah ah!-, rise ironicamente.

Mentre il mio colorito diventava sempre più peperonesco, presi un cuscino e glielo gettai addosso con tutta la forza che avevo. Fra una cucinata e l’altra, sempre ridendo, aggiunse:

-Oh, ma non preoccuparti! Tanto il divano è rosso, non se ne accorgerà nessuno! Be’, a parte me, ovviamente!!!-.

-SHAORAN LIIIIIIIIIIIII! TI ODIO!-, gridai fra i cuscini e le piume che ormai volavano da ogni parte.

-E dai, smettila!-, urlò lui ancora più forte con una sonora risata.

Continuammo a prenderci a cucinate per tutta la casa, fin quando arrivammo in una camera da letto, quella di Tomoyo. Il letto dalle candide coperte bianche spiccava fra le pareti celesti e il pavimento di parquet, liscio e perfettamente… scivoloso. Sulle mensole poste tutt’attorno alle pareti riposavano ignari e beati libri dall’aspetto pesante e spesso. Una scrivania di legno di mogano accoglieva un computer superattrezzato e una lampada anch’essa bianca. Conoscevo ogni singolo angolo di quella stanza, che era stata teatro dei nostri mutevoli giochi fin da piccole. L’ospitale e soffice letto era lo sfondo delle nostre lunghissime chiacchierate adolescenziali, che ormai diventavano sempre più serie da quando stavo con Shaoran. Non sarei mai riuscita a vivere senza, questo è poco ma sicuro.

Comunque appena arrivati lì Shaoran, sempre ridendo come un ossesso, mi gettò un’altra pioggia di cuscini in testa.

-Come… hai… osato! Te… ne… pentirai!-, ansimai io.

-Non ne sarei così sicuro, mocciosetta!-, ironizzò lui gettandomi sul letto.

Stavamo ancora ridendo come matti e ansimavamo e sospiravamo e ci guardavamo e… ci amavamo. Lui era a cavalcioni sopra di me e mi guardava in modo strano, avvicinandosi sempre di più, sempre di più, sempre di più…

-Preso!-. Gli gettai in pieno viso il cuscino che avevo adocchiato poco prima vicino alla mia mano destra.

Lui mi fissò, un arcobaleno di emozioni sul volto: dapprima perplesso, poi deluso (ma per cosa?) e infine ritornò scherzoso come prima.

-Tu, piccola e insignificante poppante, mocciosa schifosa…-, cominciò a gridare brandendo un cuscino particolarmente grande.

Come lui, anch’io avevo il mio punto debole: odiavo essere chiamata mocciosa: avevo quasi diciassette anni, non so se mi spiego!

Intanto Shaoran mi sovrastava con quel enorme cuscino in mano e me lo stava per scagliare addosso mentre io imploravo pietà.

Ma ad un certo punto lui fece cadere sordamente il cuscino sul letto e mi prese per un polso. Io, ovviamente, lo guardai con un’espressione perplessa e sorpresa.

-Ma cosa…-, cominciai.

-Shhh!-, mi zittì lui.

Alzai le spalle in segno di resa e mi lasciai guidare da lui, che prima mi fece alzare in piedi e poi mi portò sotto il letto. Al mio sguardo perplesso e interrogativo rispose:

-Sta venendo Tomoyo, ho sentito le chiavi nella serratura.-.

-Ooh…-, dissi, non sapendo cos’altro dire.

Ok, diciamo che quello era l’unico angolo della stanza della mia amica che non avevo mai conosciuto. Soprattutto in una così gradita compagnia…

C’era buio lì sotto e lui mi stringeva come se avesse paura che potessi svanire da un momento all’altro. Improvvisamente l’allegria che avevo provato giocando con lui per tutta la casa si trasformò in trepida frenesia, in muto piacere, in oscuro nervosismo… Tutto cominciò a girare e io iniziai a tremare proprio come era successo quella mattina a scuola. Poi tutto cambiò di nuovo: ora mi sentivo calma, ma una calma strana, come quella che precede una tempesta o un’intrepida sorpresa… Come l’attesa di un bacio: si è felici solo in attesa di esserlo.

-Mi dici una cosa?-, bisbigliai nel suo orecchio.

-Sì?-. Le sue labbra vibrarono ancora una volta sul mio collo, che fu scosso da un brivido dolce e armonico. Lui era l’abile musicista che incantava tutti con il movimento delle sue mani esperte, io ero la chitarra, pronta a reagire ad ogni suo tocco, come se se l’aspettasse, ma non come qualcosa di tedioso e abitudinario: ogni centimetro di pelle che veniva a contatto con lo strumento era un suono, una diversa sfumatura di dolcezza e di brivido, una tonalità differente di tremore e di libertà. Neanche il vento più potente sarebbe riuscito a muovere le sensibili e fragili corde della chitarra: solo il musicista ci riusciva, anche solo con il suo prezioso respiro, anche solo con una parola. Il musicista se ne sarebbe andato, e la chitarra sarebbe stata solo un inutile oggetto senza anima.

-Perché siamo nascosti?-, sussurrai ancora visibilmente scossa.

Lui ci pensò su e poi posò di nuovo i suoi occhi sui miei.

-Non ti va? Se vuoi usciamo allo scoperto e ti accompagno a casa.-, propose, evidentemente sicuro della mia risposta.

-No no no… Cioè, sì che mi va. E’ solo che vorrei sapere perché…-.

-Mettiamola così: non parlare per i prossimi dieci minuti, ok?-, mormorò esasperato.

Gli indirizzai un’occhiataccia, ma ubbidii subito quando mi strinse ancora di più a sé. Ormai i nostri corpi combaciavano perfettamente e la cosa ovviamente non mi lasciava indifferente.

Sentivo i leggeri passi di Tomoyo entrare in camera: canticchiava a bocca chiusa. L’eccitazione e l’emozione crescevano smisuratamente e, nello stesso momento in cui Tomoyo si sedette sul letto (probabilmente si stava cambiando), Shaoran mi baciò. Le sue labbra lisce e morbide sulle mie mi fecero girare la testa più di quanto non lo facesse già… Il suo respiro caldo e seducente che si fondeva con il mio… Le sue mani che mi stringevano e ad ogni tocco provocavano mille fremiti sulla mia pelle… I suoi capelli che mi solleticavano il volto… Il suo viso tremante… Anche lui sentiva quello che sentivo io? Anche lui volava come volavo io? Anche lui voleva come volevo io?

Nonostante tutti i miei sforzi, essi si rivelarono vani: non riuscii proprio a mantenere casto quel bacio. A convincermi fu anche la sua lingua che si infiltrò dolcemente e gentilmente fra le mie labbra, facendole schiudere solo al suo tocco, e poi penetrò tra i miei denti. E fu così che mi arresi.

Con le mie mani accarezzai i suoi capelli morbidi e lisci e ormai, invece di respirare, ansimavo. Ma non come quando ci stavamo prendendo a cucinate, no. Era del tutto diverso: era qualcosa di affascinante, sensuale, elettrizzante…

Intanto ci baciavamo e Tomoyo era sopra di noi. Sapevo che ci avrebbe sentiti se non mi fossi data una calmata, ma non riuscivo proprio a resistere: veniva da dentro e non accennava ad andarsene.

Le mie mani continuarono ad accarezzargli i capelli e le sue si muovevano sinuosamente lungo la mia schiena. Ma all’improvviso…

All’improvviso un flashback, un orribile ed inaspettato flashback: c’erano poster di tramonti, cieli stellati e uno di un cuore spezzato tenuto insieme dallo stelo di un fiore… una stanza piccola… io e Shaoran. No: la festa di compleanno di Yamazaki, il gioco “Sette minuti in paradiso”, noi due chiusi lì dentro… le mie labbra sulle sue, le nostre lingue che si toccavano, le sue mani… le MIE mani… le sue parole, no, la SUA parola.

Mi staccai da lui scioccata, come quando ci si sveglia da un bel sogno, la realtà sembrava insuperabile e impossibile da affrontare. Stavo per gridare, per fare qualsiasi cosa, ma lui mi mise una mano sulla bocca e mi guardò perplesso, sorpreso e meravigliato.

Rimanemmo così per un minuto o forse più, fin quando sentimmo Tomoyo entrare in bagno e chiudere la porta a chiave.

-Che c’è?-, chiese Shaoran ancora sorpreso, togliendomi la mano dalla bocca.

-Niente. Senti ora devo andare, ci vediamo domani. Ciao.-.

Non fece in tempo a trattenermi che già ero in piedi e mi avviavo verso la porta della cameretta. Lui però mi seguì velocemente e, mentre stavo per girare l’angolo per scendere le scale, mi si parò davanti.

-Mi vuoi dire cosa sta succedendo?-, chiese guardandomi negli occhi. Non riuscii a sostenere quello sguardo per più di cinque secondi e arrossii. Furtivamente feci un passo laterale verso sinistra per confonderlo, ma lui capì e mi sbarrò la strada anche con le braccia.

-Non mi freghi. Dannazione, mi vuoi dire cosa diavolo succede?-, ripetè con mal celata ira.

-Devo andare a casa, Shaoran. Potresti gentilmente farmi passare? E’ tardi e mio fratello potrebbe preoccuparsi.-. Bella scusa, complimenti. Potresti vincere il premio per Miss Banalità.

- Bella scusa, complimenti. Potresti vincere il premio per Miss Banalità.-. Wow, che telepatia!, -Per favore, se c’è qualcosa che non va dimmelo.-, pregò quasi.

-Va tutto bene.-, sussurrai.

Nel frattempo scostai il suo braccio e scesi rapidamente le scale.

-Maledizione, Sakura! Si vede da due chilometri che c’è qualcosa che non va.-, alzò la voce stizzito ed evidentemente irritato dal mio silenzio.

Ormai ero vicina alla porta e lo salutai con voce triste e assente:

-A domani.-.

Mentre chiudevo la porta di casa intravidi la sua figura in cima alle scale: inerte ed impotente.

“Mi dispiace”. I miei ultimi pensieri prima di scoppiare a piangere nella strada muta.

Ecco, finito! Vi piace questo capitolo? Spero di sì! E’ un po’ più lungo perché voglio rimediare alla mia lunga assenza.

Ora passiamo ai ringraziamenti:

Dany92: grazie mille! Mi fa piacere che pensi questo di come ho descritto le emozioni di Sakura! Spero che recensirai anche questo cap, ciao!

Selenina93: sono felice che ti piaccia Shaoran versione Playboy! Grazie per i complimenti! A presto!

Manu: ciaooo! Grazie mille per quello che hai scritto *me diventa rossa tipo Sakura*! Spero che ti sia piaciuto questo capitolo! Fammi sapere, ciao!

Ferula_91: grazie! Fammi sapere se ti piace anche questo, ciao ciao!

Faffy: Faaaaaaaaaaaaaaaffy… sigh sob sniff… ueeeee! Non è giusto, adesso divento triste… perché sei partita??? 2 settimane senza di te, ti rendi conto? Non penso che ce la farò… potrei impiccarmi con un bastoncino di liquirizia… (sì, certooooooooo, hai ragione… pronto polizia?anzi no, hello police? Here there’s a mad girl who want to kill herself by sweets… NdFaffy)… sei partita oggi e già mi manchi! (ma queste 2 sono normali??? Ndtutti)…Harry ti salute: come on bitch, suck my…….ehm….hello faffy! You’re in my heart and you’ll beh ere forever, kisses! P.S.: would you like to visit the grave of my mum? Thank you!... Sai, purtroppo avere un kino koshin con Ciccio Bello non è stimolante… Yes, it is! Suck it, Beautiful Ciccio! NdHarry… Sì… Grazie mille per quello che mi hai scritto! Ciao ciao, faffy-chan! Hello, my favourite bitch!

Tropiusuccia: ciao! Grazie mille, sono content ache la ff ti piaccia! A presto e fammi sapere su questo cap!

Silgree89: mi dispiace, non posso rispondere alla tua domanda! Ti piacerebbe se succedesse? Comunque non preoccuparti, questa volta non vi farò aspettare! Grazie mille per ciò che hai scritto! Fammi sapere! Ciao!

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Capitolo 19
*** S&S: prima notte ***


Nuova pagina 1

Le nostalgiche e amare note di “Bring me to life” mi risuonavano in testa e compivano un Tour de France nel mio cervello.

Sì, Amy, hai ragione, pensai. Avevo ancora bisogno di qualcuno che mi riportasse ancora una volta alla vita. Quella che mi piaceva davvero: la mia vita. Quella che volevo, desideravo, bramavo: Shaoran. Lui era la mia vita. La mia sola ed unica fonte di sostegno, gioia, speranza. Ti amo, mi ripetei mentalmente.

Lo amavo? Certo che sì. E allora perché quella reazione a casa sua? C’erano tre possibilità:

a) ero pazza;

b) ero completamente e inesorabilmente pazza;

c) lo amavo, ma non ero pronta ad approfondire il nostro rapporto.

Inizialmente presi per buona la b), ma poi mi soffermai anche sull’ultima possibilità. In effetti non avevo mai pensato a quel lato del nostro rapporto, ma non era del tutto colpa mia: non se n’era mai presentata l’occasione. Prima di quel giorno non mi aveva mai abbracciata e, in generale, trattata così. Non mi sentivo a mio agio ad essere trattata a quel modo, come se il musicista avesse indossato dei guanti e la chitarra non lo riconoscesse più. Ma la chitarra si sarebbe abituata, un giorno. Un giorno… L’avrei aspettato con impazienza, perché in quel momento non riuscivo a fuggire quella confusione.

C’era un altro modo per far riabituare la chitarra al delicato e sensibile tocco del musicista: se si fosse tolto quei guanti illusori sicuramente sarebbe tornato tutto normale. Ecco la soluzione: dovevo farlo ritornare insopportabilmente sé stesso.

Improvvisamente mi ritornò in mente la canzone che anni prima avevo sentito due giorni dopo aver conosciuto Shaoran:

“Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si ama…”.

Era vero.

Ma perché era strana? Il bello di innamorarsi è notare come i sentimenti verso una persona cambino così lentamente e insieme velocemente da non farcene accorgere. Insomma, è molto più emozionante vedere un fiore crescere lentamente e con colori sempre più intensi che vederne uno ormai nel pieno della sua rigogliosità. Be’, forse il mio atteggiamente era troppo di parte: non potevo di certo essere la migliore giudice in merito, avendo un fidanzato che inizialmente forse mi odiava, ma che ultimamente dichiarava in vari quanto ambigui modi di amarmi.

Ritornando alla questione della mia ormai evidente pazzia, bene, perché non ero pronta ad approfondire il nostro rapporto?

a) non credevo al sesso prima del matrimonio? Poteva anche essere;

b) amavo “Grease” e avrei gradito di certo un lieto fine del genere alla nostra storia? Esatto. Avevo sempre avuto un debole per cose del genere: il playboy che si innamora davvero, ma se ne vergogna immancabilmente e Sandy, piccola e graziosa ragazza innocua, che, da notare, alla fine cambia radicalmente per il suo amore;

c) mi vergognavo enormemente e avevo una gran paura.

Tutte le possibilità mi sembravano estremamente giuste e veritiere, ma una seconda analisi mi sconvolse: erano tutte così spaventosamente egoiste in modo frustrante: tutto si incentrava su di me, tutto, completamente. Ma come potevo essere così egoista? Non pensavo a lui, che sicuramente si era stancato di quei soliti baci e voleva qualcosa di più? Non pensavo alla nostra storia, che in un modo o nell’altro avrebbe dovuto evolversi?

Ora sapevo cosa dovevo fare: scusarmi con lui. E soprattutto parlargli.

Così scesi dalla mia camera, avvisai Touya che sarei uscita e mi recai a casa di Tomoyo.

***

-Ehi Satura! Che ci fai qui a quest’ora?-, chiese una Tomoyo in pigiama scrutandomi sorpresa sulla soglia.

Sorrisi e presi coraggio:

-Devo parlare con Shaoran.-.

Mentre la mia amica si scostava per farmi entrare e poggiava la mia giacca su una sedia, mi spiegò:

-Shaoran è già andato a dormire. Strano, stasera c’era “American pie 3”, lui l’adora…-.

Sapevo benissimo che non stava dormendo, ma lasciai cadere così il discorso.

-Senti, potresti aspettare solo un quarto d’ora? Devo finire di fare una cosa in cucina, tu intanto puoi guardare la TV in salotto.-, propose Tomoyo indicando il divano rosso su cui quello stesso pomeriggio Shaoran ed io eravamo seduti. Il suo fantasma mi guardò ironico dalle ombre di quel rosso.

Annuii alla mia amica e mi sedetti lì, cercando qualcosa da guardare.

Ad un certo punto, mentre stavo per spegnere la televisione, notai sotto il mobile tutte le cassette prodotte da Tomoyo.

Un sorriso mi si piazzò sul viso: nostalgico e curioso.

Chissà com’ero prima di Shaoran: non me lo ricordavo proprio più.

Notai una cassetta con un’etichetta strana:

S&S: prima notte

Probabilmente arrossii per quell’espressione, ma la curiosità fu più forte. Così inserii la cassetta nel videoregistratore e spinsi Play.

Avete presente quella sensazione di ineluttabilità che si prova a volte prima di fare qualcosa? Quando si pensa: “Ehi, e se quello che sto per fare cambiasse la mia vita? E se la peggiorasse?”. Succede sempre così, ma dopo mille dubbi la risposta è sempre “Sì, lo voglio”. Al diavolo i rischi, al diavolo il pericolo: mi butto. E così feci.

Le immagini erano buie perché probabilmente Tomoyo aveva dimenticato di scoprire l’obiettivo. Ciononostante le voci si sentivano chiarissime…

-Cosa provi? Intendo, cosa provi per Sakura adesso vedendola così, così…?-

-Pena, senso di colpa, malinconia… Ma nient’altro, mi dispiace.-

*************************************************************

Ciao a tutti! Breve capitolo, mi dispiace! Visto Tomoyo? Vedi cosa succede a conservare le cassette???

Comunque vi ringrazio per le belle recensioni! Quindi GRAZIE a

Manu, Dany92, Silgree89!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Grazie mille e recensiteeeeeeeeeeee!!!!!!!!

Francy

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Capitolo 20
*** All that I'm living for ***


All that I'm living for,
All that I'm dying for,
All that I can't ignore alone at night.

Vivevo per te e mi hai abbandonata.

Vivevo per te e mi hai delusa.

Vivevo per te e mi hai mentito.

Muoio per te e mi abbandoni.

Muoio per te e mi deludi.

Muoio e mi stai ancora testardamente mentendo.

Sei a pochi metri da me e sai, te ne accorgi, abbassi il capo.

-Tanto sai fare solo questo.-.

Sai che la notte è difficile. So che la notte è difficile.

E’ meschina e codarda. E’ onnipresente, anche nella luce più accecante. Non esiste la luce immensa e intatta. Il buio sì. Non esiste un mondo senza ombra. Ma uno senza luce sì.

I can feel the night beginning.
Separate me from the living.
Understanding me,
After all I've seen.
Piecing every thought together,
Find the words to make me better.
If I only knew how to pull myself apart.

Ma la notte a volte è amica, è confidente. Certo, ti tradisce al primo segno di debolezza, ma capisce.

La notte ha sentito ciò che ho sentito io, ha visto ciò che ho visto io, ha provato ciò che ho provato io. La notte è amica. La notte ti abbraccia. La notte ha in mano un coltello. E senza troppi problemi, mentre il dolore ti divora, chiedendo solo sostegno con un abbraccio, la notte ti accoltella. E tu non hai il tempo di guardarla in faccia, ma sai che ti fissa. Ti sta fissando in modo inespressivo: l’avrebbe fatto con chiunque, pensi. Niente di personale, dice la notte. Sì, non preoccuparti. Tutto a posto, capisco. E intanto il sangue sgorga lento e fugace.

-Di cosa stai parlando?-. Alza di nuovo il capo e io mi riscuoto. Ma la notte è ancora lì e mi fissa mentre cado, mentre mi contorco, mentre il vortice mi attira verso di sé.

Non gli rispondo. Rispondo solo alla notte. Lei mi capisce.

Lei mi capisce. E mi aiuterà ad uscirne, a filtrare via. La notte mi aiuterà.

All that I'm living for,
All that I'm dying for,
All that I can't ignore alone at night.
All that I'm wanted for,
Although I wanted more.
Lock the last open door, my ghosts are gaining on me.

Ottenere fa rima con avere. Ma non è così. E neanche con volere. Io volevo, io voglio. Io morivo, io muoio. Volere non fa rima con morire, ma sono collegate da uno stretto rapporto consequenziale: per ottenere ciò che si vuole si è disposti a morire. Se non lo si ottiene, si muore. E io muoio per entrambe le cose.

Cosa c’è? Perché parli ancora? Non ti sembra di aver fatto abbastanza parlando? Non credi di essere troppo sbagliato? Be’, io sì.

Ma sono io che voglio troppo. Mi è stata offerta una proposta straordinaria, ma io non l’ho valutata come avrei dovuto. E ora sono qui. Qui a morire.

-Sakura, parlami.-.

Qui a morire.

-Dimmi qualsiasi cosa.-.

Qui a morire.

-Insultami, gridami in faccia, ma parla!-.

Qui a morire.

-Sakura, parla!-.

QUI A MORIRE.

-SMETTILA DI STARE IN SILENZIO!-

-QUI A MORIRE.-.

Un grido piatto, filtrato con destrezza dalla mia mente. Un viaggio difficile.

Non voglio più ascoltarlo. No. Non parlare più. Voglio sentire solo la notte. Solo la sua voce suadente e traditrice, vellutata e ingannatrice. Voglio solo lei. Voglio chiudere la porta, la porta della realtà. Chiuderla a chiave e non aprirla più. Mai Più.

I believe that dreams are sacred.
Take my darkest fears and play them
Like a lullaby,
Like a reason why,
Like a play of my obsessions,
Make me understand the lesson,
So I'll find myself,
So I won't be lost again.

La voce della notte mi culla. La porta socchiusa, la realtà filtra ancora, ma presto si chiuderà tutto. Una ninnananna per la mia anima. La notte canta, mi accarezza. Dormi, dice. Dormi, non pensare: finirà tutto. Il dolore, la gioia, la tristezza, la felicità, la sofferenza, il benessere: manca poco, ma presto sarà tutto finito. Neanche il ricordo vivrà nel tuo cuore, Ascolta e lasciati portar via, lasciati rapire dal suono delle tue ossessioni, dalla melodia delle tue paure più buie e oscure. Prendi la tua vita e suonala: i tuoi sogni e i tuoi incubi saranno la sinfonia del tuo essere. Lasciati trasportare delle tue note, non da quelle oblique e stonate della realtà: suona.

Questa musica mi farà capire dove ho sbagliato. Forse non avrà importanza, ma così non mi perderò più. Mai Più.

Guess I thought I'd have to change the world to make you see me,
To be the one.
I could have run forever,
But how far would I have come
Without mourning your love?

Mi amavi abbastanza da farmi male o mi odi quanto basta per farmi morire? L’amore e l’odio, la luce e il buio, il corpo e l’anima, lo ying e lo yang: perché tu sei sempre tutto per me? Perché mi possiedi così completamente tanto da farmi male? Eppure pensavo che amare fosse facile.

Neanche odiare è facile e tu non lo sai. Non sai niente di me, della mia anima, del mio cielo, della mia terra, del mio mondo. Tu sei solo una tacita stella che è già morta, ma io non me ne accorgo perché gli anni luce che ci dividono compensano la potenza del tempo, dello spazio e della materia. Siamo lontani: tu non esisti più, ma io ti vedo ancora: sei dentro, fuori, lassù in cielo, laggiù nelle viscere dell’erebo. Sei dappertutto, mi perseguiti: ma io posso fare una cosa che tu non puoi nemmeno immaginare, mia cara stella: posso chiudere la porta e vivere per sempre dentro di me.

Perché sei pallida, stella? Hai paura? Dovresti. Dovrei.

Credevo che amarti sarebbe stato facile: ma quante lacrime avrei dovuto versare, quanta tristezza avrei dovuto domare, quante pene avrei dovuto espiare senza piangere il tuo amore?

Should it hurt to love you?
Should I feel like I do?
Should I lock the last open door,
My ghosts are gaining on me

Ora è finita: la speranza è l’ultima a morire, ma dovrà farlo comunque. E’ morta con me. Il coltello della notte, lucente e brillante, intriso nel mio sangue, è sollevato al cielo come un trofeo del mio dolore.

E’ ora di chiudere la porta. E i fantasmi si impossessano di me.

* * *

-Ah, finalmente a casa! Ma,,, Tomoyo! Cosa è successo a Satura? Sta male? Perché è stesa sul divano?-.

-Ciao mamma. Siediti, ti spiegherò tutto con calma.-.

“Come al solito Tomoyo dice sempre tutto a sua madre, ma io non voglio che le spieghi ciò che è successo.”. Ero confusa: non riuscivo a muovermi e nemmeno ad aprire gli occhi. Va bene, ho usato la parola sbagliata: non volevo muovermi e nemmeno aprire gli occhi. Ciononostante ricordavo tutto infinitamente bene. Tutto. Ma lì per lì non mi ritrovai affatto scioccata: la quiete dopo la tempesta. O forse prima.

-Ha visto la cassetta. Quella cassetta.-.

-Oh… immaginavo. Ma non avevi tagliato la parte che hai registrato per sbaglio?-.

-Non l’ho fatto e adesso me ne pento in una maniera indescrivibile, mamma. Ero convinta che se l’avessi fatto avrei danneggiato la memoria di quella notte, l’avrei manipolata. Lo so, sono stata una stupida.-.

-No, piccola. Vedrai che andrà tutto bene. Shaoran-, a quel nome trasalii bruscamente, ma fortunatamente non mi videro perché le voci provenivano dalla cucina: -l’ha vista?-.

-Mentre ero in cucina e lavavo i piatti Sakura guardava la cassetta e ha iniziato a piangere e a singhiozzare, ma io avevo le cuffie, quindi non l’ho sentita, ma probabilmente Shaoran sì. Quando ho finito di lavare i piatti sono entrata in salotto e ho letteralmente visto l’inferno: Shaoran era in piedi sul primo gradino della rampa di scale, pallidissimo, avrei giurato che stesse per piangere; Sakura era gelida, non so come altro definire la sua postura, la sua voce, il suo viso, i suoi occhi: molto peggio rispetto a quando Shaoran l’aveva mandata via dalla sua stanza in ospedale: peggio di quei sei mesi di silenzio e dolore…-.

-Capisco. Ora dov’è Shaoran?-.

-Aspetta, non ti ho detto tutto: lui le si è avvicinato, senza mai guardarla negli occhi, ma Sakura li aveva chiusi. Era cosciente, ma manteneva sempre gli occhi chiusi. E improvvisamente è crollata mormorando: “E’ ora di chiudere la porta. E i fantasmi si impossessano di me.”. E da quel momento è come in trance. Shaoran ha preso la giacca e se n’è andato sbattendo la porta.-.

E proprio in quel momento si sentì qualcuno entrare.

Ciao a tutti! Scusate tanto per il ritardo e anche perché non vi posso ringraziare singolarmente, ma sono molto occupata!

Un grandissimo Grazie a tutti coloro che recensiscono e leggono! Ciao, alla prossima!

Francy

P.S.: la canzone iniziale è "All that I'm living for" degli Evanescence!

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Capitolo 21
*** Disordine e confusione ***


Nuova pagina 1

Io non sono debole.

Io sono forte.

Non mi credete? Ve lo dimostrerò, ORA.

Cosa? Pensate che io scherzi? Be’, allora risparmiatevi le risate, perché non è così.

-Yamazaki, fammi un favore: sparati-.

-Che ti prende, Sakura? E’ da qualche settimana che stai così…-.

-Così come? Incazzata? Acida? Intrattabile? Rompiscatole? Credimi, ho i miei buoni, ottimi motivi-.

Alzai gli occhi al cielo per poi posarli di nuovo sul bicchiere di spumante che reggevo o, meglio, strangolavo fra le mie mani.

Yamazaki sospirò, ma non si arrese.

-Non puoi mandare il mondo a farsi fottere senza un motivo. Oggi compi diciotto anni, diamine, non sei una bambina: devi ragionare e fare la scelta giusta-.

-Tu hai un’idea davvero sbagliata dei diciotto anni, cazzo. Io ho visto cose che tu nemmeno immagini, lo capisci questo? Prima quelle fottutissime carte di Clow (e non fare sempre quella faccia da pesce lesso quando te ne parlo, prima o poi dovrai credere a questa storia assurda), poi l’anima di mia madre che va nel corpo di quella troia impalata, un cinesino (non cerco nemmeno un appellativo decente per lui, c’è l’imbarazzo della scelta) che mi tratta come una puttanella da quattro soldi solo perché, Dio santo, sono carina ma notoriamente cogliona (fortunatamente quest’ultima qualità è andata perdendosi); a sedici anni e mezzo sono sull’orlo della depressione (anzi, direi che quell’orlo l’ho oltrepassato di un bel po’) e la situazione non sta migliorando per niente… TI sembra normale?-.

-Cazzo, Sakura, la pianti di fare l’incompresa? Hai solo scoperto che il tuo fidanzato non ti amava veramente, non puoi mica pretendere di trovare il vero amore a sedici anni. E poi per quanto riguarda Tomoyo penso che ti sia stata offerta una grande possibilità, cioè quella di cambiare aria e di frequentare altri posti e altra gente…-.

Lo fissai, prima incredula, poi sempre più convinta che avesse ragione.

-Hai ragione. Per una volta hai ragione, lo ammetto-.

-Per una volta???-, disse guardandomi sconcertato, per poi abbracciarmi.

-Se Chiharu fosse qui ci ucciderebbe seduta stante-, mormorai con le labbra premute sulla maglietta che gli copriva il petto.

-Non stiamo facendo nulla di male: sto abbracciando un’amica in crisi-, alzò le spalle e parlò in tono angelico.

-Amica?! E il bacio dell’altro giorno era da amica, secondo te?-, alzai la testa fissandolo con un sopracciglio alzato.

-Quello della scorsa volta è stato un errore-, ammise lui guardando altrove.

-Ti va di sbagliare un’altra volta?-, proposi con voce suadente avvicinando ulteriormente le mie labbra alle sue.

-Sakura…-, cominciò lui con un’espressione fra l’esasperato e il dispiaciuto, con un velo di pietà e qualche ricamo di tentazione.

-No-, lo interruppi,-stai zitto. Primo: io sono depressa, no? Quindi ho bisogno d’amore. Secondo: è cominciato tutto con la tua festa di compleanno e quel maledetto gioco in quello stanzino, quindi in parte la causa del mio dolore sei tu e devi pagare con una dolce pena. Terzo: è solo un bacio e io ho davvero bisogno di un sostegno-.
Elencai il punto tre con voce più flebile a avvicinandomi ancora di più.

Lui sospirò. Ero così vicina da sentire il suo soffio muovere la mia frangia.

Mi sistemai meglio sul divano per stargli perfettamente di fronte, poi…

Contatto.

Inizialmente il bacio era insapore. Poi sentii le nostre essenze unirsi, confondersi e amalgamarsi. Il mio aroma col suo, il suo respiro col mio. Era una sensazione inebriante e fresca… Leggera come una penna di gabbiano ed estatica, sublime, perfetta…

Iniziai a sospirare. Iniziammo a sospirare.

Gemei flebilmente. Gememmo intensamente.

Poi si staccò da me, delicatamente ma con decisione.

Mi accasciai inerme sul suo petto e lui mi circondò le spalle con le braccia: avevamo ancora il fiato corto.

-Sai che stiamo facendo un orribile errore?-, mormorò sommessamente lui.

-Sì-, affermai,-un orribile, orrendo, dolcissimo e piacevolissimo errore-.

Tenni ancora gli occhi chiusi mentre lui sospirava per risposta.

Esitai un attimo, poi aggiunsi:

-Quando siamo insieme ho un’irresistibile voglia di fare l’amore con te-. Tutto d’un fiato.

Lui si irrigidì, ma poi si sciolse nuovamente e cominciò:

-Sakura…-. Poi un sospiro. Lungo.

Mi approfittai di quella pausa per attaccare.

-Non posso mica rimanere vergine per tutta la vita. Tanto vale che mi faccia suora-.

Lui ridacchiò più rilassato.

-Bellezza sprecata. A parte gli scherzi, non sono io la persona con cui… Insomma, io non sono il ragazzo giusto per te. Innanzi tutto sono fidanzato da… cinque anni, suppergiù-.

-Non è detto che Chiharu sia la persona giusta per te. Hai detto tu stesso che non si può pretendere di incontrare il vero amore a sedici anni. Nel tuo caso a dodici-, ribattei decisa.

-Comunque sia, non è la cosa giusta-, replicò testardo e rigido.

-Capisco-, tagliai corto. Avrei voluto avere un tono inflessibile, ma la voce mi si strozzò a metà parola.

Lui sospirò per l’ennesima volta e restammo lì, abbracciati e stesi sul divano, fino a quando le campane suonarono la mezzanotte, tre ore più tardi.

***

-Era necessario, Tomoyo, ne abbiamo già parlato-.

-No, Shaoran: non lo era!-. Diceva così, ma era sicura del contrario.

-Ormai a Sakura non importa più niente di te e me. Dobbiamo accettare la sua scelta. E’ passato troppo tempo, non possiamo più cambiare idea-. Il ragazzo abbassò gli occhi: diceva così, ma era convinto del contrario.

-Però ha ragione. Abbiamo sbagliato… Le abbiamo fatto solo del male e non ce ne siamo nemmeno resi conto. Siamo dei bugiardi…-. Dicendo questo la mora cominciò a singhiozzare.

-Dai, l’abbiamo fatto a fin di bene. E poi abbiamo mentito solo all’inizio-. Si fermò un attimo a riflettere e poi aggiunse:

-Secondo te costano molto le chiamate internazionali da Hong Kong al Giappone?-.

-Perchè?-, domandò stupita la ragazza.

-Voglio chiamare Yamazaki e insultarlo fino a notte fonda-.

Ciao a tutti! Scusate per il capitolo breve, ma avevo pianificato che fosse l’ultimo, poi però mi è venuta l’illuminazione davanti alla pagina vuota di Word!

Come avrete ben capito, Tomoyo e Shaoran si sono appena trasferiti a Hong Kong… ma perché? Lo scoprirete nella prossima puntata! J

Francy

P.S.: grazie a tutti per le recensioni!!!

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Capitolo 22
*** 00:44 ***


Nuova pagina 1

-Allora, ascoltami bene, brutto figlio di…-.

-Shaoran?-.

-Che cazzo vuoi, Tomoyo? Non vedi che sto parlando con un certo pezzo di merda chiamato Yamazaki? Quindi non disturbare e va’ a farti fottere pure tu, grazie.-.

-Primo, io non me ne vado da nessuna parte. Secondo, preferirei che omettessi le parolacce. Terzo, non vedo in che modo tu stia parlando con Yamazaki, almeno che su quella banana che hai in mano non ci sia un microfono con rete telefonica incorporata-.

Il ragazzo guardò l’oggetto che teneva vicino all’orecchio e notò che non era un telefono, ma proprio una banana.

-Be’, ecco, io… Tomoyo, mi sono appena svegliato, che cosa pretendi!-, sbraitò.

In effetti era così. Avrebbe chiamato Yamazaki la notte precedente, ma Tomoyo gli aveva consigliato di farlo appena sveglio per avere la mente più fresca e le idee più chiare. E il risultato si vede…

Shaoran sbuffò e si avviò verso il cordless abbandonato sul tavolo della cucina dove Tomoyo beveva del succo d’uva fissando il fratellastro.

-Hai ancora intenzione di chiamare Yamazaki riguardo a Sakura?-, domandò lei con finta indifferenza.

Il ragazzo annuì rapidamente cercando il numero sul suo cellulare.

-Shaoran, non puoi farlo. Ricordi il giorno in cui ha visto la cassetta? Ricordi quando ci ha “gentilmente” chiesto di uscire dalla sua vita senza più rompere cortesemente i coglioni? Noi siamo venuti qui a Hong Kong proprio per questo. Sapevo che avremmo semplicemente potuto cambiare scuola, o sezione addirittura, ma io ti ho pregato di andare ad Hong Kong. Perché, secondo te? Perché volevo che Sakura non ci vedesse più, che non soffrisse nemmeno per il nostro ricordo. Ho fatto tanto per ottenere il permesso da mia madre, ho sofferto tanto per dimenticare Sakura. Non ci sono riuscita, ma non per questo penso che lei voglia ricordarsi di me. Di noi. Lei vuole dimenticarci ed è ora che cominciamo anche noi. Quando lo capirai? E’ passato un anno, Shaoran-, sbottò Tomoyo tutto d’un fiato.

Shaoran alzò gli occhi sul viso della sorellastra e scandì lentamente:

-Io non voglio-. Poi aggiunse più in fretta: -Se tu lo vuoi fai pure-.

-Cos’è, ti dà fastidio di essere stato lasciato? Di essere stato ferito nell’orgoglio? Be’, ti dico una cosa: lei è stata ferita nel cuore e questo fa molto più male. Ma tu non lo sai, vero? Tu e il tuo fottutissimo orgoglio maschile. Non capisci che facendo così lei ti odierà ancora di più? Ti ho già detto che Sakura è molto sensibile: ha vissuto esperienze che neanche tu puoi immaginare. Prima la morte di sua madre, poi le carte di Clow di cui ti ho parlato la settimana scorsa, poi la scoperta che io sono l’incarnazione di sua madre, poi tu. Non ti vergogni, eh? Non provi nemmeno un briciolo di disgusto verso te stesso?-, lo sfidò.

Lui si accigliò e disse impertinente:

-Senti chi parla. Non dovresti essere tu a vergognarti? In fondo l’idea è stata tua, io ho solo seguito le regole-.

Tomoyo lo guardò dritto negli occhi senza segni di cedimento e parlò lentamente:

-Vuoi saperlo? Davvero vuoi saperlo? Ebbene, io mi vergogno di quello che ho fatto ogni giorno. Ci penso ogni minuto, ogni secondo della mia vita e l’unica cosa che ne ricavo è una muta disperazione che mi invade ogni parte del corpo. Sento le ossa sfracellarsi sotto il peso del senso di colpa, il cuore aumenta i suoi battiti per la rabbia verso me stessa, gli occhi mi bruciano al solo pensiero degli ignominiosi atti che ho compiuto. Mi faccio schifo, Shaoran. Questo è tutto-.

Tirò su col naso, ma poi si riprese subito e continuò:

-E tu? Eh? Tu non senti niente? Anche tu hai le tue colpe, sai?-.

-E quali sarebbero, di grazia?-, chiese con voce sarcastica.

-Tu dovevi fare il minimo indispensabile. Ma hai esagerato come al tuo solito. Ci mancava poco che non faceste sesso. Fortunatamente ho convinto Sakura che non era la cosa giusta e che doveva aspettare, altrimenti ora starebbe già spingendo un passeggino-, concluse asciutta la mora.

-Adesso è colpa mia, eh? Io non l’amavo e non l’ho mai amata, ma dovevo pur soddisfare i miei desideri da fidanzato, non credi? Così magari avrei trovato una scusa per lasciarla. “Se non vuoi farlo ti lascio”. Lei non avrebbe mai tradito la sua migliore amica per una cosa del genere, così l’avrei lasciata, grazie e arrivederci, e tutta questa stupida farsa sarebbe finita-. Man mano che parlava il tono di voce del ragazzo acuiva sempre di più.

Tomoyo lo fissò. Il suo viso era un arcobaleno di emozioni: prima incredulità, poi tristezza, poi ancora stupore e infine rabbia. Rabbia.

-Come hai potuto tradirla in questo modo, con che cuore l’hai fatto? Perché non mi hai detto questo tuo vergognoso piano?-, urlò.

Shaoran si voltò verso la finestra e poi ancora verso la sorellastra. Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse lentamente. I suoi occhi erano apparentemente tranquilli, ma segretamente riflettevano la rabbia annidatasi nelle iridi di Tomoyo.

-Se non la ami e non l’hai mai amata come dici tu, perché ti sei adirato tanto quando Rika e Naoko sono venute a trovarci avantieri?-, chiese la ragazza ricomponendosi.

Per un attimo un silenzio elettrico e rumoroso si stagliò fra i due. Poi Shaoran rispose guardando la sorellastra negli occhi.

-L’hai detto tu: orgoglio maschile. Non sopporto di essere stato lasciato da una cretina qualsiasi. Non ha perso tempo a rimpiazzarmi, a quanto pare-.

La rabbia lacerò la calma della mora.

-Smettila. Smettila di insultarla e di perseguitarla. Basta. Ora e per sempre, basta-. Nonostante l’ira parlò con fermezza misurata.

Shaoran posò lentamente il cordless sul tavolo guardando la sua mano compiere quel gesto. Sembravano ore, non secondi. Ma alla fine il telefono trovò un piano stabile.

-Forza, dobbiamo andare a scuola e io devo imparare i miei soliti dieci ideogrammi giornalieri. Maledetto cinese…-, disse la ragazza con disgusto.

Shaoran annuì. Erano stati inseriti in due sezioni diverse, ma sullo stesso piano, quindi si vedevano solo a pranzo. Be’, non nel vero senso della parola: durante il pranzo Tomoyo stava tutto il tempo attaccata al cellulare parlando con Eriol. La sua compagnia telefonica avrebbe dovuto ringraziarla, dato che metà dei guadagni erano prodotti da lei.

-Oggi ho il compito di letteratura inglese. Hemingway, mai sentito nominare. Quindi non vengo, resto a casa-.

Tomoyo gli indirizzò uno sguardo omicida (tradotto: non-hai-nessun-senso-del-dovere-e-resterai-sempre-un-ragazzino-non-crescerai-mai-se-non-ti-prendi-le-tue-responsabilità. Insomma, uno sguardo da mamma).

-Allora io vado. Ci vediamo-. La mora salutò con la mano e si avviò verso la porta d’ingresso.

L’aprì. Uscì. Si voltò. La chiuse.

Era da solo. Si avvicinò al tavolo e prese il telefono.

***

Yamazaki e Chiharu per i miei diciotto anni mi regalarono il nuovo album di Avril Lavigne. Era impacchettato così minuziosamente che mi sembrava un peccato scartarlo. Oh mio Dio, a volte ritornavano i miei stupidi atteggiamenti da Sakura pre-crisi depressiva. Della serie: “Chi non muore si rivede”.

La sveglia, sempre la stessa da chissà quanti anni (mi stupivo di quanto una macchina fosse molto più resistente di un cuore) segnava 00:17.

Accesi il computer con un gesto secco. Non emise alcun rumore.

-Ma che diavolo…-, borbottai.

Sbuffai rumorosamente e chiamai Touya. Ok, forse sarebbe meglio dire che svegliai Touya, il quale, dagli intrinsechi meandri dei suoi sogni (erotici con Yuki, aggiungerei io, ma forse sarebbe meglio se Sakura non pensasse queste cose: già sta messa male! Ndme) bofonchiò con voce assonnata:

-E Miss Rompipalle è… Sakura Kinomoto! Congratulazioni, sorellina-.

Ma perché erano tutti così maledettamente ironici da un po’ di tempo? Mi passò un inizialmente folle, ma poi ragionevole pensiero: forse lo erano sempre stati e io non me n’ero mai accorta. Possibile che fossi così preso da… da… da Colui-che-non-deve-essere-nominato (a dire la verità lo nominavo e anche parecchio, ma ovviamente accompagnavo il tutto con una dose abbondante di epiteti e appellativi simpaticissimi…) da non accorgermi degli altri? Possibile che mi avesse assorbita fino a questo punto? Non potevo più permetterglielo: da quel momento sarebbe uscito in tutti i sensi dalla mia vita. Il suo ricordo non mi feriva più. No, davvero. Mi provocava solo un’immane rabbia omicida, ma niente di più. Bene, d’ora in poi niente Shaoran Li, basta.

-Ma che ci fai LI’ sulla porta della mia stanza?-.

Grazie Touya, tu sì che rendi tutto più facile. Rinunciai per il momento alla missione Kill Shaoran (metaforicamente). Magari avrei potuto contattare Quentin Tarantino per una coproduzione di una nuova trilogia. Immaginavo già il trailer…

Dopo Kill Bill col Vetrìl, arriva Kill Shaoran con l’Autàn!

Lasciai perdere e spiegai il problema a Touya.

Lui sbuffò ed esclamò:

-Ma non sai fare proprio niente… E poi, scusa, io domani dovrei svegliarmi alle 6, dato che io lavoro, non come un’altra persona di mia conoscenza-.

-Io vado a scuola, ricordi? Non ho tempo per lavorare-, risposi impettita.

-Anch’io andavo a scuola quando ho cominciato a lavorare, e allora? Il problema è che oggi i giovani sono tutti scansafatiche e…-.

-Sì, è arrivato l’uomo di vita vissuta (ah ah ah, come Shaory, vero Lau? Ndme)!-, lo interruppi ridacchiando.

-Andiamo a vedere questo computer che non funziona…-, sospirò.

Lo accompagnai nella mia camera mentre lui sbadigliava come un bradipo in letargo (chissà se ci vanno davvero). Ad un certo punto notai che i suoi sbadigli sembravano dicessero:

Shaaaaa-oooooo-raaaaan

“Pronto manicomio? Vorrei prenotare una stanza singola, per favore”, pensai.

-Ecco, vedi? Non funziona-, dichiarai premendo più volte il tasto per accendere il computer.

Touya si chinò sul case e poi inclinò la testa a lato. Restò così per qualche attimo, poi sussurrò come se stesse facendo un immenso sforzo nel pronunciare quelle parole:

-Allontanati il più possibile da me perché potrei non rispondere delle mie azioni-.

Io restai sgomenta, poi mi decisi a chiedergli di cosa stesse parlando.

Touya fece una breve pausa e, sempre senza voltarsi, mormorò lentamente. Anzi, ringhiò:

-Hai diciotto anni e…-, scoccò un’occhiata all’orologio, -… venticinque minuti e non riesci a capire perché il computer non si accende quando… quando…-, respirò tremante, -QUANDO LA SPINA E’ STACCATA!-.

A quell’urlo seguì il mio silenzio. Dopo una ventina di secondi risposi:

-Oh…-. Non sapeva cos’altro dire.

Mio fratello uscì dalla stanza imprecando e sbattendo la porta.

Io mi strinsi nelle spalle.

-Mah, tanto chiasso per così poco… E poi è mezzanotte passata, cosa pretendi!-, sbraitai.

Alzai le spalle e mi sedetti di fronte al monitor. Attesi che si caricasse e che si accendesse completamente, poi mi connessi ad Internet e aprii una pagina.

Inizialmente controllai le mail ricevute

Leggi mail: 0/138

Nessuna nuova mail. Quelle 138 erano costituite da una conferma di registrazione ad una chat a cui mi ero iscritta l’anno prima. In effetti mi ci ero iscritta, ma non l’avevo mai provata. Primo obiettivo dei miei primi… ventotto minuti da completa diciottenne: chattare. Ah, comunque le altre 137 mail erano le newsletter del sito cuoriinfranti.it: raccontaci il tuo dolore, un cuore infranto è per sempre.

Bella consolazione.

Scrissi nel browser l’indirizzo della chat e completai il log-in con il mio nickname (Sakura-anticina, non ero razzista, solo che odiavo un cinese e ne rimetteva un altro miliardo e passa di suoi connazionali) e la mia password (shaoranliègay). Ecco il mio profilo:

Nome: Sakura

Cognome: Kinomoto, ma se mi chiamate Kino vi scuoio vivi

Nickname: Sakura-anticina, evviva il sushi, abbasso gli

involtini primavera

Età: per ora 17, fra un anno 18, fra due anni 19, fra tre anni

20… (ad infinitum)

Lingua: a quanto pare ben funzionante, ma forse per i cinesini

le mie capacità sono sottovalutate. So anche toccarmi

la punta del naso con la lingua…

Amo: il nero, il buio, l’oscurità, lo champagne, il sushi,

l’educazione fisica, la fine

Odio: la Cina, i Cinesi, le Cinesi, le cose cinesi, gli alberi

cinesi, gli animali cinesi, le auto cinesi (N.B.: mai

comprare auto Dongfeng Motor), i pesci cinesi, le pietre

cinesi, le strade cinesi, i frullatori cinesi, i gatti cinesi…

(ad infinitum)

Vorrei essere: più fortunata, più selettiva, più innamorata

NON vorrei essere: uhm… cinese

Città: Depression Town

Stato: Tristezzalandia, ma ho anche una villa in Disperaland

Ecco qui. A dire il vero non lo ricordavo così tragico, ma in fondo aveva ragione. Però quel nickname… non lo so, non mi piaceva più. Per la verità non mi piaceva più molto quel profilo, ma non mi andava di riscrivere tutto, così decisi di cambiare solo il nickname.

Problema: come mi sarei chiamata?

Riflettei per più di dieci minuti. Quando rinunciai le lancette della sveglia segnavano 00:42.

Sbirciai sulla scrivania per trovare ispirazione e mi venne un’idea. Cercai fra i fogli sparsi quel foglio e lo trovai quasi subito. La poesia.

La poesia che avevo scritto qualche giorno dopo la scoperta, quella scoperta. La lessi.

Cos’è la forza, se nel mio cuore la dolce neve

ha cominciato a sciogliersi?

E se nelle mie vene scorre acqua sporca?

Disperazione dolorosa, desolazione drastica.

Ignominioso incendio in un cuore annegato.

Polvere

echeggiante.

Come un cruciverba lessi 1 verticale: C.H.E.D.I.P.E.

Ecco il mio nickname, chedipe.

Raccoglieva in sé tutta me stessa.

Sostituii il nickname.

Vuoi salvare le modifiche apportate? Sì/No

Sì.

Entrai nella chat. Spiai l’angolo in basso a destra del monitor.

00:44

Bene, ecco il nuovo capitolo. Per favore, fatemi sapere la vostra opinione! E’ davvero importante per me.

Grazie a Sakura182blast, FillyCicca483, Lan, Faffy (ah ah, sai che sto leggendo “It” di Stephen King e ad un certo punto c’era scritta una frase in latino e alla fine… indovina un po’? PLINIO! Visto quant’è famoso? Lo conoscono pure gli Americani! E bravo Plinio! :^D), manu, Dany92, enzasakura, e last but not the least (???) Lau, alias colei che è tornata, alias laukurata89, alias sono arrabbaita (hai scritto così invece di arrabbiata! Non so perché mi fa ridere, forse perché mi ricorda il nonno di Heidi! Sai, la baita…!!!), alias sempre io (quella arrabbiata), alias laura in diretta, alias sempre io (oddio, finalmente ho finito!!!)(grazie per le…88438838 recensioni! MI hanno fatto tanto piacere! Ah ah ah, per caso ti è capitato di non riuscire a far funzionare il pc perché la spina non era attaccata??? Ah ah ah!).

Grazie anche a quelli che hanno solo letto, ovviamente!

Ovviamente vi starete chiedendo: ma CHEDIPE (che, se non l’avete capito, si forma leggendo in successione la prima lettera di ogni verso) da dove esce? Ah ah ah, è una storia fantastica! Se volete scoprirla cliccate sul link riportato qui sotto e cercate CHEDIPE nell’elenco!

http://www.vampiri.net/tipo_ix.html

Ciao a tutti e lasciate la vostra opinione, mi è davvero molto utile!

Francy

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Capitolo 23
*** Ragionevole istinto ***


Nuova pagina 1

00:44

Oltre a me e ad altri tre utenti non c’era nessun altro nella chat. Essa era divisa in stanze: Amore, Sesso, Sport, Amicizia, Musica, Cinema, Libri, Presentazione. Entrai proprio in quest’ultima, dato che era la prima volta che navigavo su quel sito. Chissà perché c’era così poca gente? Be’, forse perché il giorno seguente tutti sarebbero andati a scuola e quindi si sarebbero dovuti svegliare presto, ma a me non interessava più di tanto.

Nella stanza che avevo scelto c’erano, come ho detto, tre utenti: Kuzotare16, KingOfDemons666 e ^Chizuzo^.

Pensai rapidamente e poi scrissi:

Ciao, io sono Sakura

Cambiai subito idea: non ero Sakura in quel momento. Non avevo nulla in comune coi fiori di ciliegio, tranne il fatto che, come loro, stavo appassendo.

Perciò cancellai Sakura e digitai:

Ciao, io sono Chedipe, ho 18 anni. Voi?

Mi sembrava una presentazione alquanto scialba, ma se avessi continuato avrei potuto scrivere di quanto fossi depressa e tutti sarebbero scappati a gambe levate pensando: Probabilmente sono finita nella stanza Depressi, ho sbagliato…

Così premetti invio e vidi il mio messaggio proiettarsi nello spazio apposito.

Ero leggermente elettrizzata da ciò che stavo facendo: per me era la prima volta che conoscevo qualcuno senza guardarlo in faccia ed ero impressionata da quanto fossi diventata coraggiosa da quando l’avevo conosciuto. Non che navigare in una chat fosse un’impresa così ardua ed estenuante, ma in quel periodo non riuscivo proprio a legare con nessuno che non mi chiedesse se ci fosse qualcosa che non andava. Come quella volta che uscii con Naoko e Rika e, con le migliori intenzioni, non ne dubito, mi presentarono alcuni loro amici. Brutta esperienza. In assoluto. I loro occhi sospettosi e commiserevoli che mi analizzavano fermandosi sui miei occhi. Non ricordavo nemmeno uno dei loro nomi: appena me li dissero me li dimenticai, così, all’istante. Poi uno di loro bisbigliò qualcosa nell’orecchio del suo amico, il quale annuì e rise maliziosamente. Sfortunatamente, e senza accorgermene io stessa, avevo letto il labiale. Sembra uno zombie mummificato, ma su quella lì me lo farei un giro.

Non ero arrabbiata come ci si aspetterebbe, ma triste e umiliata, tanto umiliata. La vergogna mi costrinse ad abbassare la testa, lo sguardo e la dignità. Perché si comportavano tutti così? Perché mi trattavano come una… una puttana? Ricordai benissimo che quella parola mi aveva fatta rabbrividire e fu con quel brivido che capii: non mi sarei dovuta più fidare di nessuno, mai più. Scoprii di esserci riuscita, ma cominciai a non fidarmi nemmeno più di me stessa. Ero perduta.

Così avevo detto a Naoko e a Rika, che avevano intenzione di entrare in un negozio etnico, che ero allergica all’incenso (falsissimo, ne adoravo l’aroma) e che le avrei aspettate fuori. Intanto i loro amici erano seduti su una panchina, chi normalmente, chi sullo schienale, nella piazza di fronte al negozio. Li avrei affrontati, quei due bastardi. Avrei detto loro che non potevano permettersi di trattarmi a quel modo, che loro non erano niente, che erano solo delle ombre schifose, che non avrebbero mai trovato nulla comportandosi così, che alla fine sarebbero caduti e nessuno li avrebbe aiutati a rialzarsi; insomma, che erano degli stronzi cronici.

Non lo feci.

Li guardai uno per uno e me ne andai verso casa, camminando mogia e sentendo ogni parte del mio corpo scoppiare in lacrime, sfogare il proprio dolore.

Improvvisamente ricordai il nome di quello alto, il ragazzo con la voce squillante che aveva bisbigliato quella frase al suo amico: Kori, ma tutti lo chiamavano Coly, non so per quale motivo. Sentii la sua voce dietro di me in quel maledettissimo e dannatissimo tono malizioso, scherzoso, ironico che tanto odiavo:

-Ehi, bella, ti va di farmi una sega?-.

E giù una cascata di risa da parte degli amici.

Bene, ora avrei dovuto girarmi, avviarmi verso di lui e dagli un bel calcio nelle sue preziosissime palle, cosicché le dimensioni di quella cosa sarebbero risultate così rimpicciolite che nemmeno la mano di Barbie avrebbe potuto farci qualcosa.

Non lo feci, ovvio.

Continuai a camminare con passo ancora più lento, come se temessi di svenire se avessi camminato più velocemente.

Quando le risate non si erano ancora spente il mio simpaticissimo Coly aggiunse:

-Va be’, se proprio vuoi ti posso anche pagare, ma voglio un’opera d’arte poi!-.

Ah ah, divertente. Ero così divertita che per poco sarei caduta a terra tenendomi la pancia per il gran ridere. Così divertita che mi venivano la lacrime agli occhi. Così divertita e accecata dalle risa che per poco non venni investita da un bambino in bicicletta. COSI’ MALEDETTAMENTE E DANNATAMENTE DIVERTITA DA TIRARGLI UNA PIETRA ADDOSSO.

Vicino alla piazzetta c’era un cantiere con una montagna di pietre, più o meno grandi. Senza pensarci ero arrivata fin lì, come se il mio corpo sapesse già cosa fare, ma il mio cervello fosse arrivato in ritardo. Come se l’istinto avesse superato ragione.

E l’istinto superò la ragione.

(S)fortunatamente il sasso rimbalzò sulla panchina producendo un rumore sordo e spezzandosi in due. Avevo visto il mio braccio, che prima era teso e poi flesso per la pseudolapidazione, scendere muto e floscio lungo i fianchi.

Avrei potuto prendere qualche bambino, pensai con orrore verso me stessa.

Diavolo, però mi sento davvero meglio.

Ma che dici? Avresti potuto uccidere qualcuno, te ne rendi conto?

Non rompere, mamma.

Non riuscivo a pensare a Tomoyo, non potevo farlo insultandola, perché era mia madre. Anche se a volte la denigravo era solo per non destare stupore nella gente, affinché non facessero domande inutili, tipo E Tomoyo? Non te la prendi anche con lei? Sai che ha le sue colpe, grandi colpe. Non le volevo bene, ma la rispettavo, sia perché era mia madre, in un certo senso, sia perché mi aveva resa felice, anche se con una menzogna. Mi andava bene così.

Ma lui no. Non si meritava alcun rispetto.

All’improvviso mi riscossi dai miei pensieri e notai che sullo schermo c’erano dei messaggi:

Kuzotare16: ciao Chedipe! Io, come puoi vedere dal nick ^_^ sono Kuzotare, ma puoi anche chiamarmi Tare. Ho 16 anni! Dove vivi?

KingOfDemons666: ehi ciao. Io sono KingOfDemons, ma il mio vero nome è Kevin e vivo in Oregon, Usa, ma mia madre è giapponese e io ho 28 anni.

^Chizuzo^: ciao, sono Natsu, 13 anni, bisessuale, Hokkaido. Come sei?

Alzai un sopracciglio e mi resi conto che mi ero inspiegabilmente fissata sul messaggio di Kuzotare16, che si faceva chiamare Tare. Quelli dell’aspirante satanista e della Heidi cresciuta troppo in fretta e con un’amicizia troppo stretta con Clara e Peter avevano trovato su di me una superficie impermeabile ed erano scivolati via. Ma quello di Tare mi attirava, chissà perché.

Così le inviai un messaggio privato:

Ciao Tare, ti va di parlare un po’ con me?

Sembrava molto patetico, ma lo inviai ugualmente.

Lei rispose quasi subito:

Certo! :-)

Così cominciammo a chattare.

Chedipe: dove vivi?

Kuzotare16: a Pechino, tu?

Cazzo. Con tutti i Giapponesi che ci sono mi doveva capitare la cinese… Incredibile. Restai letteralmente a bocca aperta. Mi passai la mano sul viso mormorando ripetutamente: “Oddio… oh mio Dio…” e mi maledissi per essere entrata in quella chat. Ma perché ero così stupida?...

Ciò che mi sconvolse di più, però, non fu il fatto che era cinese, anzi, fui proprio io. Pensavo che sarei scoppiata a piangere istericamente e gridando: “Perché tutte a me le disgrazie? Perché…?”, invece non feci nulla di anormale. Ad un tratto un pensiero incoerente si insinuò nella mia mente: stavo guarendo. Sorrisi a quell’idea e scoprii che non era così incoerente. Folle sì, ma non incoerente.

Kuzotare: ehi? ^__^

Senza pensarci mossi le dita sulla tastiera fissando lo schermo, come rapita da un dettaglio che mi sfuggiva.

Chedipe: scusa,

Avrei dovuto scrivere una bugia. Scusa, mio padre mi ha chiamata per una commissione. Scusa, dovevo andare in bagno. Scusa, si era staccato il filo del mouse e ho dovuto cercare il posto giusto dove inserirlo. Invece scrissi:

Chedipe: scusa, ma sono rimasta scioccata. Ho avuto una specie di rivelazione e ho capito che sto guarendo.

Le scrissi tutta la vicenda, non ce la facevo a tenerla nascosta. Una vocina nel mio cervello mi intimava: Che stai facendo, razza di deficiente? Quella è una sconosciuta e tu le racconti tutto. Certo che non hai nessun senso della responsabilità e della discrezione, cara mia. Quando crescerai? E poi chi ti dice che non è un pedofilo?

Ho 18 anni, so difendermi da sola e sono capace di intendere e di volere, quindi chiudi il becco.

Ma che cosa stai dicendo? Tu forse non riesci a capire che…

Come un demone molesto risucchiai quella voce premendo il tasto invio.

Mi sentivo bene, meglio, anzi. Come quando avevo tirato quel sasso a Coly. No, molto meglio, molto molto meglio.

Inspiegabilmente sperai che Tare mi abbandonasse, che mi mandasse a farmi benedire e buonanotte. Invece no.

Kuzotare16: Chedipe, capisco benissimo come ti senti. Anch’io sono in una situazione simile e ti giuro che sto davvero male. Cheddy (posso chiamarti così??? Ok, la smetto di fare la stupida, scusa…). Mi dispiace che anche tu stia passando un periodo difficile e ti posso assicurare per certo che ogni volta che ti vorrai sfogare io sarò qui, sempre. Ci conosciamo praticamente da quindici minuti e non ci siamo mai viste in faccia, ma l’amicizia ha i suoi tempi per ognuno e i suoi modi di apparire. Non dubitare mai di me, io ti voglio bene, Chedipe, (chiunque legga questi messaggi non mi prenda per lesbica per favore…) e, be’, devi capire che non siamo tutti uguali. Io non sono Chi-sai-tu (non intendo il nostro piccolo grande Voldy, ovviamente!), sono diversa e spero che te ne renderai conto col passare del tempo. Sono mezza cinese (mio padre è di Taiwan, mia madre di Ryukyu), ma non per questo sono come lui. Il tempo fa miracoli, quindi te ne accorgerai presto ;) Spero che tu mi creda

Quelle parole erano così comuni, così banali, ma io ci credevo, per qualche motivo a me sconosciuto. E ne fui finalmente felice. A dire il vero la sua… ironia mi fece ridere. Strano, io odiavo l’ironia. E il sarcasmo.

Chedipe: grazie infinite Tare XD Ora vado a letto, buonanotte. A presto.

Ero felicissima di averla conosciuta.

Mi addormentai quasi beata. 01:09

***

-Da quando ti interessa?-.

-Non sono affari tuoi. Rispondi-. Avrebbe voluto aggiungere qualche appellativo “simpatico”, ma non gli sembrava il momento più adatto. Teneva in mano, anzi, strangolava il cordless con insistenza maniacale, tanto che lo sentiva quasi scricchiolare. Ma no, probabilmente era la sua immaginazione. Fatto sta che le sue mani sudavano e due o tre volte rischiò di far cadere la cornetta tanto erano umide. Non era ancora letteralmente infuriato, ma era in quella tiepida e purgatorica stanza chiamata eccitazione. Sentiva ogni parte del suo corpo tendersi sotto i vestiti momentaneamente leggeri di aprile. Quel lunatico, giocoso, pagliaccesco aprile. Improvvisamente gli venne in mente Pennywise il Clown, il versatile e multiforme pagliaccio che il Club dei Perdenti affrontava in “It”*. Chissà, forse quell’aprile sarebbe stato una vera e propria distruzione, emotivamente parlando, come Stephen King aveva immaginato. Ridacchiò a questa insinuazione e ritornò alla sua comunicazione.

-Io e Sakura non stiamo insieme-, ammise con malcelata svogliatezza Yamazaki.

-Mmh. E allora perché l’uccellino mi ha detto che tu e la castana sembrate avere una grande, oh, grandissima complicità?-, chiese Shaoran fra l’impertinente e l’ironico sull’orlo della rabbia.

-Probabilmente il tuo uccellino non ha visto giusto. E comunque sia gli uccellini non s’interessano degli affari altrui-.

-Il mio uccellino è addomesticato, non dimenticarlo mai, Yamazaki-. Rise enigmatico e continuò: -E comunque io mi gestisco i miei uccellini e tu gestisci il tuo, di uccellino. Non vorrei che il tuo passerotto incontri per caso la passerotta della nostra cara castana, altrimenti la tua passerottina Chiharu ti beccherà (bella questa, ah ah) e tu non vuoi che succeda, vero?—Il suo tono ora era minaccioso.

-Non siete più fidanzati, a quanto pare-.

-Ma tu sì-.

A quell’affermazione Yamazaki si zittì all’istante. La conversazione si stava facendo pesante e Shaoran ci godeva, oh se ci godeva.

-Senti, a me Sakura non piace, davvero. Non mi è mai piaciuta in quel senso-.

-Non ti deve piacere in nessun senso, sushiman-, lo interruppe il cinese. Ora sentiva come sottofondo il solito ronzio delle chiamate internazionali, chiaro e vibrante. Non ci aveva fatto caso prima.

-Mi vuoi dire chi ti ha detto che stiamo insieme?-. chiese ad un tratto Yamazaki.

-Sarò uno stronzo, un bastardo, tutto quello che vuoi, ma non sono un traditore-, sbottò.

-Ma certo, non sei un traditore!-. L’esclamazione suonò come un grido di trionfo. Di vittoria. Poi continuò: -Certo che no, sei solo stato un anno e mezzo con una ragazza che nemmeno amavi. Bella sorellastra che hai, non ha neanche difeso la sua migliore amica…-.

No. Non poteva dire quelle cose su sua sorella. Il fatto che avevano sbagliato era già pienamente assodato, ma, a dispetto di tutto ciò che aveva detto a Tomoyo, lui sentiva una colpa ancora maggiore e peggiore. E’ come quando ci si lamenta dei propri genitori, ma abbiamo solo noi il diritto di farlo; se qualcun altro li critica subito andiamo su tutte le furie. Era la stessa cosa.

-Senti, lurido pezzo di merda, non farmi incazzare se no vengo in Giappone seduta stante e ti ficco quella testa di cazzo che hai in quel posto che sai tu e te le faccio uscire dall’ombelico, intesi?-, ruggì.

-…-

Seguì un silenzio intriso di sgomento da una parte e soddisfazione dall’altra.

-Ora ascoltami: togli le tue schifose mani dalla castana e vai a farti fottere, compriendido?-,

-Siamo solo amici. Va bene-. Yamazaki si rese conto saggiamente che era ora di fare marcia indietro con Sakura. Certo, per lui era solo un’amica a cui concedeva un po’ di “sollievo”, ma Shaoran aveva ragione: se Chiharu l’avesse scoperto sarebbero stati guai. Perché lui l’amava.

-Ah, e un’ultima cosa: azzardati a parlar di nuovo male di mia sorella e…-

-Ero arrabbiato e alterato, non lo pensavo sinceramente, scusa-, lo interruppe precedendo un altro mare di minacce pressocchè infondate.

-Ok-, rispose fugacemente. Gli sembrava di essere un mafioso. L’idea lo fece sorridere.

-La stai facendo soffrire molto-.

Perché usava il presente? Shaoran non se ne accorse subito, ma quando lo fece dentro di lui si solidificò una certa inspiegabile soddisfazione.

-E’ il mio lavoro-. E in effetti ci guadagnava molto.

-Allora… ciao. E non preoccuparti, io amo Chiharu-.

-Ci conto-. Spinse il tasto rosso.

Yamazaki sospirò.

La farà soffrire ancora di più, non se ne rende conto?, pensò.

Shaoran sospirò.

E anche questa è fatta, ora devo alla pros…

***

Bene, finito anche il 23esimo. Come si vede la storia di Shaoran è ambientata temporalmente dopo quella che sta vivendo Sakura. Be’, la differenza è di poche ore, a dire il vero, ma ora si ristabilizzerà.

Cosa ne pensate della piega che sta prendendo la storia? E cos’è che ha interrotto i pensieri di Shaoran? Fate ipotesi, se volete! Mi piacerebbe davvero entrare nelle vostre fantasie (sulla fanfic, si capisce…)! Ora passo ai ringraziamenti:

Dany92: oddio, grazie per i complimenti! Mi fa piacere che pensi questo del mio stile, grazie infinite! Spero di aver soddisfatto la tua curiosità :)

Manu: ah ah ah, grazie! Sinceramente le parti comiche non sono proprio quelle che mi vengono meglio (se c’è davvero qualcosa che mi viene meglio…). Diciamo che sono più tipo da storia maniaco-depressiva, ma non importa! Sono felice che ti piaccia ^^ a presto!

Sakura182blast: se Sakura invece di Kerochan avesse a disposizione il Mignolo col Prof (hai presente? E’ un cartone in cui ci sono due topi, di cui un genio che sembra il signor Burns che vuole conquistare il mondo e uno stupido fino all’esasperazione) conquisterebbe la Cina e saccheggerebbe tutto… Poveri Cinesi… sigh… (oh, ti riprendi??? NdSakura182blast)..ehm, sì, ci sono! A presto ^^

Sasetta: grazie! Sai che la tua è stata la 200esima recensione? GRAZIE! Fammi sapere per il capitolo, ciao ciao!

Laukurata89(che fantasia… scherzo!): ciao triangolo puffoidale! (cominciamo con le cavolate? Ndte con una bacchetta in mano e l’aria da prof(nooo, sono Harry Potter, guarda!))… Inizio col dire che in questo capitolo Sakura è modellata(e cos’è, un vestito???) più su di me che su di te(e che siamo, manichini???), perché innanzi tutto se fosse… ehm… non mi viene la parola, devo dire per forza modellata… va be’, se fosse… ah, ispirata! Se fosse ispirata a te io dovrei essere Kuzotare, ma fra me e quella ragazza dal nome ambiguo(dopo ti dico che significa) ci sono molte differenze: 1) lei è saggia!io no… e forse è meglio così!; 2) mi vergognerei non so quanto a dirti che ti voglio bene; 3) io non vivo a Pechino! (e questo si era capito… Ndte)… Va be’, non si sa mai! Comunque l’odio di Sakura per i Cinesi per caso ti ha fatto ricordare qualcosa? Se non hai capito te lo dico io: ti piace il ’91, vero??? Ah ah ah! Come io (di questo sono più che sicura) sono un’eccezione alla regola “Quelle del ’91 sono tutte puttane”, Kuzotare è un’eccezione a “I Cinesi (cose, persone e animali) sono tutti bastardi”. Ah ah ah! Va be’, lasciamo stare! Spero che recensirai questo capitolo (almeno che non ti sia venuto un infarto leggendo, ma dato che non ti è venuta dovrai recensire per forza, ah ah! Scherzo…), ciao ciao piccolo pasticcino con crème brulé! P.S.: Kuzotare significa vaff…!!!!!!!

Enzasakura: eh eh, mistero! Non posso dirti se torneranno insieme, ma… be’... probabilmente si incontreranno , ma non dirlo a nessuno!!! Ciao ciao!

PIajoe22: ciao! Non preoccuparti, ormai ho imparato la lezione: aggiornare entro due settimane, per forza! Quindi non preoccuparti! Sai che da piccola adoravo il sapientino??? Solo che ora invece di parlare emette suoni sconnessi… Chissà, probabilmente è posseduto dal diavolo!!! Va be’, lascia stare… ciao ciao, spero di sentirti presto! :)

Faffologa!: ciao Faffologa mia adorata!... Sono ancora temporaneamente innamorata di te per Nereide… Ti amoooooo! Ok, la smetto! Salutami Luther-licantropo! Io sono ancora dell’idea che sarebbe carino se fosse tutto peloso (e lo sono, bella, lo sono… NdLuthy con un ghigno)… aiuto! Ciao ciao puffana! Manda una S a Willy! La seconda…

Zoa: ciao Francy, sono Francy! Ah ah ah! (la smetti con questo fatto??? Ndte)… ok! Grazie tante per i complimenti, sono onorata *me inchinata* e spero di rimettermi subito in pari con la tua fanfic! A proposito, ho letto quella song-fic: stupenda! Dopo se ci riesco te la recensisco! A presto!

Bene! Al prossimo capitolo, ciao ciao!

Francy

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Capitolo 24
*** Dolore per il ritorno ***


Nuova pagina 1

Aprile… Chissà perché quel mese si chiamava così. Forse perché “apre” definitivamente le porte alla primavera. Chi lo sa. Oppure perché riesce ad far divaricare le grandi barriere della mente, insormontabili, ma non per questo insostenibili. Tutto scaturiva dall’apertura della mente, niente rischiava di cadere rovinosamente a pezzi. Aprile era il mese perfetto per le scelte. Magari proprio in questo mese si acquistavano più case, si accendevano più mutui, si comperavano automobili. Era aprile, no? Marzo era il mese della follia, dell’umore, della luna, della fatalità, del “carpe diem”, insomma. Sì, cogli l’attimo. Niente male come frase, e bravo Orazio. Lui sì che ci sapeva fare. Uomo saggio, senza dubbio. Tornando a marzo, questo era un mese transitorio: non preoccuparti dei rischi, dei pericoli, della paura, fai quello che ritieni giusto. E se pensi che non esista giustizia, fai solo quello che vuoi. E se credi che non esista volontà, non temere: è tutto uno scherzo, una frivola barzelletta, una leziosa donzella che corre sotto la pioggia, che non obbedisce a nessuno, nemmeno a sé stessa: fa quello che crede, anche se contemporaneamente non crede. Confuso? Dovresti esserlo. Illuminato? Può darsi, ma non darci peso: è tutto un gioco. La vita è un gioco, non dimenticarlo. Alla fine può perdere chiunque, ma non importa: è un gioco.

Febbraio era un mese triste, a suo modo: l’ultima goccia di consapevolezza evapora in un alito di vento, il palloncino emette l’ultimo soffio prima di afflosciarsi esanime, la palla gira per l’ultima volta, lenta… lenta… lenta, prima di fermarsi statica e melanconica. Stava per finire tutto e questa consapevolezza rendeva tutto più grande e bello, ma in un modo evanescentemente mesto.

Shaoran nel suo calendario mentale si trovava ormai a marzo. Pazzo pazzo marzo, pazzo pazzo Shaoran.

Sollevò il coperchio della pentola poggiata sul forno lievemente incrostato. Da quanto tempo sua madre non gli faceva visita? Di solito veniva ogni sabato a casa di Shaoran e Tomoyo per pulire un po’, dato che entrambi i ragazzi non avevano molto tempo, fra lo studio, i rimpianti e i ricordi. Ed era sempre la stessa storia, completa e infinita. Sua madre voleva che lui e Tomoyo andassero a vivere con lei, ma perché? Avevano diciotto anni, dopotutto, riuscivano perfettamente a badare a sé stessi. Oppure temeva un rapporto pressocchè incestuoso fra i due? Ma per favore… Probabilmente era rimasta scioccata da “Cruel intentions”. Sì, probabile.

Dalla pentola fuoriuscì una consistente e chiaroscura folata di fumo.

-Dannazione…-, farfugliò con la bocca impastata, come succede quando ci si è appena svegliati o non si è parlato per un lungo lasso di tempo.

Poi si rese conto di ciò che aveva detto e sorrise quasi amaramente: in una situazione del genere avrebbe benissimo detto: “Porca troia!” o chissà cos’altro. E invece no. Improvvisamente si ricordò di tutti i tentativi di persuasione attuati con Sakura per farle dire una parolaccia. Il risultato migliore che aveva ottenuto era “Porca paletta”. Chissà se ora diceva parolacce. E se sì, chissà a chi le indirizzava.

Indovina? A te, razza di imbecille.

Non avrebbe mai creduto possibile una cosa del genere. Lei lo odiava? Era questo l’interrogativo che lo assillava giorno e notte senza saperne il motivo e l’origine. E poi a lui cosa importava dell’opinione di una ragazzina, una stupida ragazzina ingenua…? Ingenua, sì… Sentì il velluto dei pantaloni tendersi, ma cercò di indirizzare il suo sguardo, la sua attenzione e le sue mani al pasto che stava preparando. Cercò.

…Sì, così ingenua che gli veniva voglia di violentarla, di farle male… Era così felice, serena… Troppo felice, serena. Sentiva che quello era il suo compito: farle male, fisicamente e psicologicamente; ma se davvero era così, allora ci stava riuscendo alla perfezione. Sentiva l’adrenalina e il sangue salirgli al cervello fino a fargli girare la testa. Voleva averla, subito.

Non puoi, mio caro. E sai qual è il bello? Eh, lo sai? E’ che è tutta colpa tua: hai rovinato tutto, sei solo uno stupido.

Sul serio. Sì, ci credeva, ma non poteva fare a meno di assaporare quella fantasia (quel sogno) proibita (anelato) di possederla (di amarla) comunque, dovunque, ma subito, ora, adesso… Non importava dove e come, l’importante era che ci fosse lei. E non importava nemmeno se lei volesse: lui e lei, basta. La volontà di lui, ma non la volontà di lei. Il piacere di lui, ma non il piacere di lei. E andava bene così: perfetto.

Mentre si lasciava andare a quei lascivi pensieri non si accorse di sudare, tremare, dell’aumento della salivazione in bocca, del fremito che lo colse quando venne sussultando.

Si riscosse rapidamente in un torpore innaturale, senza imbarazzo, e ripensò a ciò che l’aveva colto di sorpresa dopo la telefonata tanto da ridestarlo dai suoi pensieri. Una cretinata, ma l’aveva fatto ridere. Quel ragazzo aveva fatto strada, no? Su Mtv… Aaren, bel nome d’arte si era scelto. Come si chiamava il suo gruppo? Ah, sì: Swords’n’Senses. Bel nome, molto… sibilante.

Quando aveva scorto sullo schermo della televisione il viso magro di quel ragazzo, incorniciato da riccioli biondi, stringendo in mano un microfono nero e argentato, lo riconobbe subito: quella specie di Nostradamus del ventunesimo secolo, Franz.

Aveva riso tanto, ma poi si era accorto che aveva bisogno di parlargli. Perché? Chi lo sa. Come poteva? Altrettanto ignoto. Alla fine del video di una ballata gotica (s’intitolava “Lonely fairytale’s witch”) una voce maschile e squillante aveva annunciato: Per tutti i fan degli Swords’n’Senses una magnifica sorpresa! Sabato 4 aprile la rock band tedesca che spacca si esibirà in un concerto al Disneyland di Hong Kong! Non mancate, i biglietti saranno reperibili su Internet sul sito…

Aveva preso nota del sito e cominciato a cucinare. Ed eccolo lì a pensare a Sakura (pensare era un eufemismo) per l’ennesima volta, senza controllo, senza repulsione, ma con tanta rabbia per un qualcosa di innominabile e innominato, qualcosa che Shaoran aveva lasciato dietro di sé da tanto tempo, ma che fidatamente l’aveva seguito ed era cresciuta con lui nutrendosi dei suoi ricordi sfuggenti e pieni: la nostalgia. Νόστος + Άλγος: “Dolore del ritorno”. O meglio, dolore per il ritorno; tristezza e mestizia, sì, non l’avevano mai colpito dopo la morte di Jasmine e si sentiva debole. Lui doveva farle male, ma indirettamente era lei che lo angustiava e angosciava. Non lo sopportava e non l’avrebbe fatto a lungo. Perché nostalgia? Cosa gli mancava? Aveva tutto: una bella casa, una quantità di denaro che farebbe invidia anche ad un quarantenne in carriera, una famiglia accettabile… Non vedeva suo padre da quando era partito per il Giappone dato che era in Mongolia per scattare le foto che avrebbe pubblicato nel suo nuovo libro di fotografia, ma non sentiva molto la sua mancanza, ci era abituato, in un certo senso: aveva trascorso metà della sua vita in giro per il mondo. Inoltre a scuola c’erano molte ragazze praticamente innamorate di lui, in particolare Xian Hu. Quindi cosa gli mancava? Nulla.

Sì, nulla.

Prese in mano il cordless, ma poi lo posò di nuovo sul tavolo. Lo riprese, lo riposò. Lo strinse ancora una volta nelle mani e si rese conto solo dopo di ciò che stava facendo.

Questo capitolo è abbastanza breve perché, come avete visto, è più riflessivo che narrativo. Ho deciso di viaggiare nella (schifosissimaidiotastupidaimbecille) testa di Shaoran per farvi un po’ capire le sue intenzioni. Se Sakura è disperata lui non è di certo rose e fiori…

Franz cantante è un’idea davvero deficiente, mi è venuta così perché volevo una bella conversazione fra Nostradamus e Testa-di-…rapa. Insomma, è una cretinata!!!

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, ossia:

Manu, Dany92, Enzasakura, Zoa, Sakura182blast, panna con ricotta (…), Piajoe22, Faffy!

Grazie infinite per le recensioni, ma grazie anche a chi ha letto solamente (sta diventando una specie di filastrocca…)!

Al prossimo capitolo, che si chiamerà “Isteria”!

Francy

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Capitolo 25
*** Isteria ***


Nuova pagina 1

-Pronto?-

-Buongiorno giovanotto, sono Jessica Fletcher-.

-Chi, scusi?-.

-Come fa a non riconoscermi! Sono la signora in giallo, la madre di Konan-superdetectivecongliocchiali, la moglie di Sherlock Holmes, la cognata del fratello deila consuocera del prozio del marito della cugina di secondo grado di Ellery Queen, perbacco e pofferbacco!-.

-Scusi signora, ma io non la conosco proprio. Comunque sia perché ha chiamato?-.

Shaoran tossì più volte: riprodurre la voce della signora in giallo non era un gioco da ragazzi, ma era fondamentale per il suo piano (E cosa facciamo domani sera? Cerchiamo di conquistare il mondo? NdMignolo)(eh eh… no, Mignolo…!!! NdProf con la bava… Oddio, forse è meglio se lo cancello questo pezzo!!!). Non sarebbe stato semplice contattare il leader di un gruppetto di ragazzini amati da milioni di poppanti sbavanti, ma un modo c’era.

-Ehm… Ho chiamato per parlare con Franz. Devo svolgere delle indagini per l’FBI sul terrorismo e i kamikaze…-.

-E che c’entra Franz, scusi?-.

Certo che il suo manager era davvero una scocciatura, ma Shaoran sapeva bene come lavorarselo.

-Oh, giovincello, le devo confessare che la mia nipotina Samantha (con l’acca, sia ben chiaro) vorrebbe un’autografo di Franz sul suo bel sederino! Sapesse quant’è carino, quando era piccola ero sempre io a cambiarle i pannolini, ma ora ha… 16 anni e se li cambia da sola. Non che porti ancora i pannolini, sia ben chiaro, giovanotto! Oh oh oh!-. Terminò di parlare e aspettò una risposta dal manager degli Swords’n’Senses.

-Quindi la sua nipotina è una bella fi… ehm, cioè, è graziosa?-, rispose con voce malferma l’uomo che dalla voce dimostrava una trentina d’anni.

-Perdindirindina, giovine, bella e disponibile! Sono io che le organizzo gli appuntamenti! Allora se io le cedo la mia nipotinainainaucciola ciccina carina puccina lei può passarmi Franz al telefono?-.

-Certo signora, ora glielo passo. Dica alla sua gn…, ehm, nipotina di farsi trovare alle otto davanti ai cancelli del Disneyland, va bene? Grazie!-. Il manager dallo scarso autocontrollo lessicale sembrava seriamente contento e questo soddisfece Shaoran, il quale si schiarì una decina di volte la voce per ritornare sé stesso.

Il suo piano era quello di adulare il manager di Franz per far sì che Franz potesse parlare con lui e c’era riuscito brillantemente.

Fissò attentamente il sole di mezzogiorno che spuntava da un grattacielo lontano, brillante, acerbo, sempreverde. All’improvviso un ricordo subitaneo gli squarciò i pensieri: la pelle pallida di Sakura quella volta che avevano fatto una gita al mare. Il suo costume pudico e le sue guance rosse… I capelli stretti in una coda di cavallo con un elastico verde, quel verde perlato dei suoi occhi, la pupilla oscura come un buco nero in cui si può entrare, ma se ne rimane prigionieri per sempre.

Ricacciò velocemente quei pensieri nel suo inconscio.

Ma l’inconscio conserva, nostro malgrado. Perché pensava a quelle cose? Quelle fottutissime cose da poppante, quello schifo di confuso ed indefinito senso di malinconia, come quando si beve una bottiglia di vodka e quando si è a letto si grida, si soffoca, si affoga… con la disperazione del grigio, il ritratto di una lettera di frustrazione.

Distolse lo sguardo dal sole, un po’ per l’accecante riflesso che gli provocava nella mente

(Left broken empty in despair
Wanna breath can't find air
Thought you were sent from up above
But you and me never had love
So much more I have to say
Help me find a way

To be left outside alone, Anastacia)

un po’ perchè dalla cornetta proveniva una voce che sembrava esclamasse “Pronto?”, quindi rispose.

-Ciao Franz, ti ricordi di me?-.

-Oh, lo sapevo: Shaoran Li…-, rispose esasperato Franz.

-Cioè, è da quattro anni che non ci sentiamo e mi accogli con cotanta freddezza??? Comunque bentornato dall’MTV Music Awards, Franz… Hitler? Come ti chiami?-, domandò tutto d’un fiato il cinese, riprendendosi.

-Il mio nome completo sarebbe Franz Boku No Chinbo Shaburè, ma puoi chiamarmi anche Fra’-, elencò, e poi aggiunse: -Con che arguto stratagemma sei riuscito a realizzare il più grande sogno di milioni e milioni di ragazzine pseudo-ormoni viventi?-.

-Non montarti troppo la testa, amico. Comunque mi sono finto Jessica Fletcher-.

-Chi?-, chiese il biondo con voce perplessa.

-Possibile che non la conosca nessuno? Ma cosa vedete il martedì sera tutti quanti?-, esclamò sconcertato il moro aggirandosi per la casa con il cordless nella mano sinistra, scrivendo un messaggio con la destra: Ciao Xian Hu, senti, ti ho organizzato un appuntamento con un esperto di musica a cui ho parlato molto di te e che vuole sentirti cantare per farti diventare famosa. Alle otto davanti ai cancelli del Disneyland. Mi raccomando, fai tutto quello che ti dice. Tutto. P.S.: fingi di chiamarti Samantha, ok? Ciao bella. In fondo quel povero manager si aspettava una “nipotina” da spupazzarsi, chi altro avrebbe accettato a parte la ragazza che venerava Shaoran tanto da poter fare tutto ciò che le ordinava? E poi Xian una volta in una delle miriadi di lettere d’amore che gli inviava (e che lui gettava prontamente via) gli aveva confessato che il suo sogno (a parte quello di vivere con Shaoran in una casetta con fiorellini, decine di bambini e magari anche candelabri che si muovono e parlano, topolini che aiutano nei servizi e un burattino che va a scuola) era quello di diventare cantante. Bene, l’avrebbe colpita nel suo punto debole. Tanto Xian sarebbe stata disposta a perdere anche la sua innocenza per lui. Beh, lei avrebbe voluto perderla con lui, ma a lui l’idea dispiaceva enormemente (a suo parere Xian era una di quelle che “non si filano nemmeno di striscio”. Come dire, il rischio di spingere un passeggino ospitante un nanetto sbrodolante non lo allettava minimamente).

Quella sera, mentre Shaoran avrebbe ballato in una sala enorme e psichedelica durante la festa dai risvolti tragici organizzata dagli Sword’n’Senses, Xian si sarebbe trovata nuda fra braccia fredde e lenzuola umide, priva della sua innocenza, persa in suo nome.

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

Appena entrai in classe mi sedetti sulla mia sedia di legno retta da uno scheletro metallico e appoggiai la testa sul banco. Forse tutto quello champagne, forse l’ora in cui ero andata a dormire, qualsiasi cosa fosse mi faceva sentire oppressa e intorpidita.

Tre anni prima Terada mi aveva costretta a sedermi al primo banco. Che orrore. E poi per un motivo stupido: “La finestra ti farà male, Kinomoto”, così aveva giustificato la sua scelta. Ridicolo.

(Non capivo ancora quanto avesse ragione)

Ad ogni modo, Terada aveva annunciato che agli inizi di aprile sarebbe stato trasferito a Nagoro, quindi a breve sarebbero arrivati dei nuovi professori. La nuova riforma non permetteva la presenza di un solo professore per tutte le materie, quindi avremmo avuto cinque o sei insegnanti nuovi. Ciò non mi dispiaceva più di tanto, anzi: Terada sapeva troppo di me e questo non mi piaceva affatto. Ma perché i professori non si fermavano solo ai voti? Perché avevano la mania di fare gli psicologi comprensivi e facevano quei discorsi da con-me-puoi-sfogarti-quando-vuoi-sono-tuo-amico, ma quando ti giustifichi per non aver fatto i compiti ti guardano con superiorità reprensiva e scuotono la testa? Come se fossero saggi, come se capissero qualcosa di tutto. “Che ci vuoi fare, è l’adolescenza… Passerà tutto… Non è nulla di grave… Anch’io alla tua età avevo di questi problemi”. Cercai di immaginare il professor Terada da adolescente stile Shaoran e scoppiai a ridere, amaramente, mestamente.

Avevo pensato che l’”amicizia” con Yamazaki mi avrebbe aiutata. Sinceramente non sapevo nemmeno perché mi comportassi così… Perché tentavo Yamazaki? Perché volevo che tradisse Chiharu? Oddio, Chiharu mi era pur sempre simpatica, era una mia amica. Va bene, non ci parlavamo da tanto, ma non mi interessava poi molto. Non parlavo con nessuno di solito. Solo da un mesetto mi ero avvicinata a Yamazaki, ma era successo così casualmente che al nostro primo bacio mi sembrava solo un sogno, tutto, solo un sogno. Era stato dolce… Dolce quanto può essere un tradimento, ovviamente, ma in quel momento non ci pensavamo. Parlo por me, s’intende, ma posso dedurre che neanche lui pensava alla sua Chiharu. In fondo quella di Yamazaki era una personalità affatto complessa, facile da interpretare: amava Chiharu, o meglio, l’aveva amata, ma il legame che li univa soffocava ogni suo ripensamento e ogni sua atto reazionario. In un linguaggio più semplice, Chiharu era la corda che legava Yamazaki all’albero della nave per far sì che non cadesse nella tentazione del canto della sirena, il mio; ma non si accorgeva che stringendolo troppo Yamazaki si affievoliva, mentre il suo desiderio per la sirena cresceva senza sosta. Ma la sirena cosa faceva nel frattempo? Seduceva, persuadeva, cospargeva il corpo della sua pena di angeliche piume nere, esalando respiri celesti e fatali, tesseva la sua melodia su una tela di lame.

Tuttavia non volevo essere la causa di un altro caos, non mi piaceva stare al centro dell’attenzione, almeno nel senso negativo dell’espressione. Presi goffamente un foglio dalla cartella e cominciai a scrivere:

Perché voglio fare questo a Yamazaki? Anzi, perché sono così attaccata a lui?

a) sono così malefica da seminare zizzania come se fossero patate;

b) segreto professionale;

c) voglio essere al centro dell’attenzione, mio malgrado, voglio essere amata di nuovo. Non mi piace l’indifferenza.

Non mi rendevo nemmeno conto di aver pensato una cosa e di averne scritta un’altra. D’altro canto ero consapevole di avere più facce, come tutti d’altronde. Ognune è il contrario di sé stesso.

In quel preciso istante suonò la campanella e di scatto accartocciai il foglio nascondendolo sotto il banco.

-Ciao Sakura, che facevi qui? Eravamo tutti nel cortile e di solito arrivi in ritardo-.

Be’, forse Naoko per “di solito” intendeva tre anni fa.

-Eh… Stavo… stavo facendo una barchetta di carta! Sì sì-. Sorrisi convincente, non troppo forse.

-Se lo dici tu…-, rispose Naoko. In quel momento entrarono tutti gli altri.

Io mi trovavo davanti alla lavagna e da un lato avevo il muro con la porta e dall’altro (indovinate un po’?) Yamazaki. Stessa disposizione da tre anni, stesse mosche spiaccicate sul muro accanto al mio banco, stesse incisioni sul legno della sedia, stesso soffocamento ogni volta che qualcuno usava la lavagna e invece di posare il cancellino sull’apposito ripiano lo riponeva sul mio banco. Mi faceva venire la nausea…

Fortunatamente però c’era Yamazaki che rallegrava un po’ l’atmosfera, per quanto possa essere rallegrante impalare mosche con la punta del compasso, s’intende.

Ero immersa nelle mie riflessioni sull’eventuale riproduzione delle mosche quando Yamazaki mi parlò:

-Ehm… Ciao Sakura. Senti, ti dovrei parlare-.

Girai di poco la testa fissandolo.

-Dunque? Tu e sincempomply vi siete lasciati?-, domandai con aria impertinente. Sapevo che a stento mi sopportava, quindi peggio di così non potevo fare. D’altronde ero solo una sirena.

-Shhh! Zitta, te lo dico dopo-, tagliò corto lui leggermente irritato.

Magari si erano lasciati veramente, non era da escludere. Odisseo non resisteva più. Il canto della sirena lo angustiava sensualmente… lievemente, come capelli al vento, i suoi capelli. Le corde si spezzarono e finalmente egli fu libero. Raggiunse la sirena e cadde nell’oblio della morte nello stesso momento in cui la mano della creatura indugiò sulla sua pelle, sfiorando le sue labbra. La sirena non poteva amare, solo distruggere. Il bacio della morte, poi un altro ancora. Il dolce cadavere di Odisseo giaceva accanto a lei, esanime, esangue, amaro, amato.

Perché non cadere nella tentazione? In fondo ero solo un meraviglioso (sinistro) demone, un libidinoso (distruttivo) miraggio, una lussuriosa (orrenda) menzogna. Niente di più.

Accolsi la sua risposta con un’alzata di spalle e in quel momento entrò la professoressa.

*Cinque minuti dopo*

-Ragazzi, immaginate che io tengo un paralelopoido e che io devo misurare la lungaggine del lato AB…-.

Capelli bianchi/grigi/neri/rosa (può una professoressa di matematica sessantenne avere le extension rosa?), baffi alla francese (un’estetista no? Conosci questa parola?), una bocca che assomigliava tanto ad un aspirapolvere pieno d’acqua usato al contrario (avevo perso il conto di quante volte mi avesse sputato nell’occhio mentre parlava a due metri di distanza da me. Sia maledetto il primo banco di fronte alla lavagna), un giapponese con i fiocchi (lungaggine??? Ma che parola è?), la professoressa Kina Karabu era, come si può notare, la nostra sgrammaticata professoressa di matematica. Riuscii ad ascoltare fino alla frase sul “paralelopoido”, poi non ce la feci più e mi accinsi a fissare ipnotizzata la sua ciccia che sballonzolava in ogni modo possibile e immaginabile, ritrovandomi a pensare che anch’io ero ingrassata abbastanza nei tre anni precedenti. Tutti i pantaloni non salivano più su delle ginocchia, ma la cosa non mi aveva mai preoccupata più di tanto. Se qualcuno mi avesse mai amata, lo avrebbe fatto per quello che ero, in tutti i sensi.

-Signorina Kinokoshin, mi vuolerebbe risolvere questa equazzzzione?-. E via una cascata di saliva che mi risvegliò dalla mia trance.

-Scusi, mi chiamo Kinomoto, capito? K-I-N-O-M-O-T-O, avete presente?-, risposi impertinente.

-Mi risolga questa eq…-.

-Sì sì, ho capito. Ehm, allora…-. Dieci minuti dopo, quando erano ancora tutti in silenzio aspettando la mia risposta, io esclamai:

-Io… io non so leggere, professoressa. E vorrei che lei non ne parlasse davanti a tutti-. Finsi di piangere con una spudoratezza a me estranea.

-Signorina Kinokono, non mi prendia in giro, debba essere chiaro! Io esigghio che…-.

Andò avanti fino al suono della campanella dell’intervallo.

Mi alzai sospirante dalla sedia e mi avviai verso la finestra della classe, come facevo sempre, ma Yamazaki mi prese inaspettatamente per il gomito e mi trascinò a passo sostenuto in cortile. Mi guardò per un secondo e cominciò:

-Non dobbiamo vederci più, Sakura-.

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

Ciao a tutti! Innanzi tutto mi scuso per il ritardo, ma come sapete è iniziata la scuola e non ho più molto tempo per scrivere… Cercherò di aggiornare almeno una volta a settimana, ma se tardo sappiate che è per ovvi motivi.

Poi volevo informarvi che la prof.ssa Karabu è ispirata ad una persona vera: la mia professoressa di matematica degli ultimi due anni! Ed è stata lei a creare questa nuova parola: la lungaggine (sul dizionario di Word esiste… Stiamo scherzando???)!

Nel prossimo capitolo succederanno delle cose un po’ spiacevoli, perciò preparatevi…

Ringrazio tutti coloro che… (recensiscono e anche quelli che leggono solamente, lo sappiamo! Ndtutti)… Va beh, come non detto!

A presto, spero :)

Ciao ciao e fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!

Francy

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Capitolo 26
*** L'ultimo ululato ***


Senza nome 1

Hong Kong, 2 aprile, 23:26

Le luci vagavano per la sala, rosse. La moquette produceva un dolce sospiro sotto i loro passi, rossa. Le tovaglie, le sedie, la palla stroboscopica, il cielo, le menti, gli occhi, rossi.

Musica rossa, infernale, cattiva, invitante.

Shaoran stava discutendo con alcuni registi di video musicali trentenni, milionari e dotati di un intero harem di aspiranti ballerine nei video (tra l’orgiastico e il karma) degli Swords’n’Senses per cercare di avere una parte nel nuovo video della canzone “Bite me, lil pussy”.

-Ragazzi, sembra una di quelle feste che organizza Snoop Dogg, avete presente? Quelle in cui è tutto bianco o tutto nero! Stupendo.-. Shaoran si guardò intorno e vide una cascata di capelli biondi e riccioluti.

-Franz Franz Franz, carissimo amico mio… Sai che ti voglio davvero tanto bene? Ma tanto tanto… Ah, comunque la festa che hai organizzato è davvero stupenda. Adoro il rosso, sai?-. Nel dire ciò si avvicinò ancora di più alla figura vestita di rosso, come tutte le altre figure danzanti, frementi, scalpitanti, provocanti che in quel momento complottavano contro Dio, come stava facendo lui.

-Shaoran Shaoran Shaoran, due sono le cose: o ti sei già bevuto una dozzina di drink (ah ah ah, Drink! Visto Lau? Ndme), oppure vuoi una parte nel nuovo video, sbaglio?-. Il biondo circondò le spalle del cinese con un braccio.

-Ma come hai fatto ad indovinare, tesoro! Dai, scherzo, ho solo bevuto un pochino… Il vero motivo era il secondo. Ti prego, non ho mai scopato davanti ad una telecamera, dammi questa soddisfazione, facciamo come regalo di Natale anticipato, che ne dici?-.

Nel frattempo si dirigevano verso un bancone. Rosso. Si sedettero su due sgabelli. Rossi. Ordinarono due boccali di vodka in vetro trasparente. Rosso. Una ciliegia. Rossa.

-Diciamo che potrei provarci, ma non ti assicuro niente. A proposito, ti consiglio di mangiare prima la ciliegia, è meglio, te lo assicuro.-. Detto ciò Franz leccò prima la sua ciliegia e andò in estasi quando se la mise fra le labbra pallide. Shaoran lo fissò, dapprima perplesso, poi curioso e infine rassegnato e lo imitò.

Sentì un vortice policromatico infestarlo, perseguitarlo… Un fantasma si polverizzò, risorse dalle sue ceneri, volò, cantò, ruotò, inalò, creò assonanze, dissonanze, polisemie diaboliche, crateri di asteroidi caduti come angeli dal dolce fluire della schiuma bianca nella volta celeste… Il caldo… cessa… di… esistere. Il freddo… muove… i… suoi… tentacoli… frigidi… verso… di… LUI.

Gli manca il fiato, il cielo scorre, rosso come sangue fresco, luccicante come una lama esposta alla luce della morte, vivo come il ritmo contorto e stonato delle onde elettromagnetiche del dolore… Sì…

Si accasciò sul bancone: la testa posata sulle braccia, le gambe penzoloni, pesanti come colpe. Troppo intenso il piacere, troppo sconvolgente il battito, troppo debellante il potere.

Scorse solo il volto estasiato, fermo, socchiuso in un’espressione di fascino paradisiaco ed edonistico del biondo. Poi fu tutto monocromatico. Rosso.

Tomoeda, 3 aprile, 13:48

-Come scusa?-.

Avevo capito perfettamente e inoltre mi aspettavo già da tempo quella fatidica frase. Ciononostante, restai immobile lì, come un iceberg. Desideravo sciogliermi, ma non era possibile. Un iceberg non può sciogliersi senza che attorno l’ambiente si riscaldi. Anche solo una folata di scirocco farebbe sciogliere una minima ma fondamentale parte dell’iceberg. Intorno ad esso, però, solo vento gelido, ghiaccio e ancora gelo. Non era colpa dell’iceberg se non si scioglieva.

Non mi sciolsi, non arrivò nessuna folata di vento caldo e rassicurante. Solo gelide stelle di ghiaccio, lontane, nere.

-Sakura, non possiamo andare avanti così. So che ti sembrerà banale, ma devi capirmi: io sono fidanzato con Chiharu da anni, la conosco come me stesso, la capisco, posso aiutarla, io… la amo, Sakura, e questo significa che non voglio più vederti.-. Il ragazzo ricominciò a respirare appena ebbe terminato di pronunciare l’ultima parola.

Mi strinsi attorno al mio cuore, sanguinando rabbia. E sofferenza.

Accortosi di ciò che aveva detto, si corresse:

-Non posso più vederti.-.

La mia bocca lavorò da sola e d’altronde non cercai nemmeno di fermarla. Ero troppo stanca, di tutto.

-Tu non la ami, si vede da un chilometro. E’ solo una costrizione della tua mente, un obbligo etico-morale che ti sei posto da solo e da cui non riesci ad uscire. Io lo so, Yamazaki. Io…-.

-Smettila. Tu non sai niente, ma come faccio a spiegartelo senza farti soffrire?-, si chiese gemendo.

-E’ inevitabile.-. Questa volta fu la mia segreta consapevolezza a parlare, nonostante io cercassi con tutte le mie forze di fermarla.

-Come?-. Evidentemente l’avevo solo sussurrato e lui non aveva capito. Oppure non voleva capire, opzione che presi per buona ma che ignorai.

-Niente.-, tagliai corto.

Sospirò:

-Senti, non voglio che tu soffra, ma devi capire che non posso tenere un piede in due scarpe (piede? Scarpe? Eh eh, Faffy… Ndme), cerca di capirmi.-.

-Non ti preoccupare, è tutto ok.-, lo rassicurai ironica.

Infilai la mano nella tasca della divisa e, come facevo spesso ormai, chiusi la mano in un pugno che non comprendeva il dito medio. In quella posizione invisibile restai per almeno un minuto mentre lui parlava. Non lo ascoltavo più.

Hong Kong, 3 aprile, 00:02

Scese arrancando dal taxi in cui l’avevano caricato.

-Sicuro che non ti serva aiuto?-, domandò il tassista guardando il ragazzo in faccia per la prima volta. Ne rimase quasi scioccato: quel giovane aveva degli occhi spaventosi, terrificanti, rossi. Dentro di essi danzava la luce infernale del piacere, della follia, dell’estasi. Camminava barcollando, cosa che fece riflettere il tassista: probabilmente aveva bevuto un bicchiere di troppo. Non sapeva quanto stesse sbagliando, dato che Shaoran aveva bevuto almeno tre litri di vodka (con una ciliegia che non era esattamente una ciliegia, bensì un concentrato di droga e allucinogeni, da restarci secco) e qualche bicchiere di assenzio. Si era risvegliato in un taxi, con la cerniera dei pantaloni aperta e i capelli molto più spettinati del solito, ma non se ne accorse nemmeno: era già sorprendente che ricordasse ancora come si camminava.

Chiuse lo sportello senza rispondere, un gesto automatico e metallico. Sì, metallico, si sentiva proprio così in quel momento. Come un coltello. Come il sapore della violenza.

Meccanicamente, con gli occhi chiusi e una serpeggiante consapevolezza, arrivò ad un cancello. Non si faceva domande, non si chiedeva dove fosse stato, non si domandava cosa stesse facendo, non si rispondeva semplicemente perché non aveva domande da porsi. E andava bene così, certo. Per lui.

Certe notti ti senti padrone di un posto
che tanto di giorno non c'è

(Ligabue, “Certe notti”)

La sua mente fu catturata solo dal fruscio dell’erba sotto le suole delle scarpe. Le sue scarpe rosse. I pugni erano chiusi, serrati, sottilmente stretti. Lo sguardo alto, affilato, tagliente, metallico.

Poi… quel suono… soave… liberatorio… dolce… Un suono che uccideva con le note… che mordeva intersecava dannava malediceva provocava incrinava.

Come osi sfidarmi…

Non sai, demonio, che ho le mie armi.

E se un morso non ti farà tacere,

allora è questo che devi vedere:

la morte

aprirà le sue porte,

risorgerai

e poi morirai.

Si avvicinò a quel suono… Non riusciva a distinguerlo.

Batteva, spingeva, graffiava… fischiava nelle orecchie, bruciava gli occhi…

Era sempre più vicino… uno spirito androgino strisciò accanto a lui.

Se meriti morte, teleute e dolore,

guardami in faccia e ti dirò con ardore,

che la mente offuscata agogna l’edonè,

mia piccola strega, morirò qui con te.

E’ l’istinto che parla, la ragione è ormai elusa,

puoi chiamarmi Ade, Bià o Medusa,

ma la pietra non si scioglie, né rende la grazia.

Fissa il mio sguardo, meraviglia che strazia,

ma ti dico che mite è la lieve speranza

che tutto ciò è solo una stanza

di una poesia poco divertente, per raccontare

la storia di colui che non riesce a sopportare

la breve gioia di carne e potenza,

preparati, peccatrice, questa è violenza.

Mi fissi spaesata e mi chiedi dove sono stato,

ti guardo negli occhi e il maglione è andato.

Sgrani i tuoi dolci due piccoli gioielli,

scendono le mie mani, pesanti martelli.

La gonna si strappa, si straccia, si stringe,

capito, bestiaccia? Il mio sguardo non finge.

Sii come ti voglio, grida, urla, ma baciami… qui,

dove il diavolo scrisse: “E così sia, sì”.

Bagnati le labbra, umide come la notte,

ma fallo, altrimenti questo è quello che ti spetta:

morte albina, cieco dolore, buio bianco,

perché ti fermi? Pensi che io sia stanco?

“No”, rispondi, “Non voglio, per favore!”.

Zitta, troia, non voglio sentire questo orrore!

Fammi sentire le stelle scoppiare,

fammi vedere la mano calare.

Non gridare, misera, voglio il terremoto…

Cosa fai, ti sposti? Bevi il maremoto!

E ora è il momento, il pianista è al terzo attacco,

è ora di fare lo scacco

matto. Apri, stendi, canta il dolore,

spira il piacere e respira l’amore…

… morboso, implacabile, sanguinario…

mostruoso. Vuoto acquoso, acqua salata,

lacrime scese dai tuoi occhi di fata.

Piangi, farfalla, sbatti le ali,

prima che io sbatta i tuoi ultimi banali

battiti di cuore, di ciglia e di vita,

corvina è la morte, violenza infinita,

fai spazio, sanguigna vampira,

paura del buio, salvezza che spira.

Le dita ghiacciate, lacustri e impietose

scacciano lo spirito di mille rose

di diamanti, sparse intorno alla tua virtù…

Non c’è, orrore! Ma che mi racconti tu?

Rabbia, ira, impensabile verità,

ineffabile speranza di irrealtà…

Soffri, schifosa, il panico giunge

e intanto una nuvola da scudo funge.

Nessuno vedrà più la tua spregevole vergogna,

ma non preoccuparti, non è mica una rogna!

E adesso chiudi gli occhi, schifoso scarafaggio,

non hai né virtù, né giustizia, né coraggio.

Addio, piangi ancora, il velo è smagliato,

la luna aspetta il mio ultimo ululato.

Sicuramente non avrete capito niente, lo so, ma nel prossimo capitolo sarà più chiaro!

A proposito, ciaooooooooooooo! Scusate per l’enorme ritardo, ma la scuola mi assorbe completamente…

Fatemi sapere presto, ciao ciao!

Francy

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Capitolo 27
*** I think I'm paranoid ***


Senza nome 1

Cosa spinge un uomo a tacere? Cosa spinge un uomo a mentire?

L’equilibrio non esiste, è solo una convenzione asettica che l’uomo ha predisposto per la sua sete di ambizione.

***

I sottili raggi del sole formavano una proiezione rossastra sotto le sue palpebre, quelle di colui che giaceva sull’erba bagnata, inerme e lontano. Shaoran.

Nudo, inspirò l’aria della tarda mattinata con stanchezza e spossatezza. Ma in fondo, che senso aveva svegliarsi? Il sonno è un rifugio sicuro per le nostre colpe e le nostre pene. Il sonno ristora.

Il sonno guarisce. E durante il sonno… Beh, durante il sonno siamo noi che gestiamo e schiavizziamo il destino, che diventa un foglio bianco. E allora scriviamo il nostro racconto, uccidiamo il nero, seminiamo il campo bianco della pagina della nostra vita. Un lampo, forse, illuminerà la nostra mano tremante e concitata. Forse un tuono ci sveglierà dal nostro torpore e ci ricorderà che il destino è una pagina scritta con il pennarello indelebile dell’incoscienza.

Cosa aveva fatto la sera precedente? Che era successo? Si sentiva scosso, umido, non riusciva ad aprire gli occhi: non ricordava nulla. Chissà, una labile memoria a volte aiuta. A volte è meglio non ricordare.

A volte… Sì.

***

Ormai Yamazaki parlava da almeno un quarto d’ora e io non avevo sentito una parola di tutta l’arringa che mi aveva proposto. In fondo, non aveva dichiarato nulla che non sapessi già. Ricordavo solo poche parole sparse, come “amore”, “Chiharu” e “porcaputtanaSakuraascoltami”.

Alzai gli occhi al cielo e mi stiracchiai: ero tutta indolenzita e non avevo ancora intenzione di collezionare incoerenti frammenti di una discussione altrettanto inutile.

Mi voltai disinvolta ignorando i suoi tentativi di richiamare la mia attenzione, ma quando vidi non sentii l’inconfondibile “click” del destino che compiva il suo tortuoso percorso. Chissà perché non lo percepii. Probabilmente ero troppo impegnata a fissare a bocca aperta gli occhi di quella persona che mi guardava al di là della recinzione del cortile.

Gli occhi di Tomoyo.

***

Suo malgrado, aprì gli occhi e si alzò velocemente. Dove erano andati a finire i suoi vestiti? Ah, eccoli: malandati e sgualciti sull’erba fresca, proprio accanto all’aiuola delle margherite. Bagnati anch’essi, ovviamente, dalla rugiada e forse da qualche altro liquido estraneo.

Ogni passo era pari alla caduta di un masso dal dodicesimo piano. La lingua era asciutta, sembrava un pezzo di cartone in bocca.

Ma che cazzo è successo ieri?, pensò.

Che importa… Saranno le undici o addirittura mezzogiorno, sarebbe meglio cercare Tomoyo così mi prepara il pranzo. A proposito, osservò mentalmente, ieri non l’ho vista per niente. A dire il vero non so nemmeno come stracazzo ci sono finito a dormire sul prato… Boh… Ricordo solo di aver visto tutto rosso. E va beh, concluse sbadigliando, ora chiedo a Tomoyo di farmi una bella torta così sto a posto.

Aprì a fatica la porta e poi, ricordandosi di non indossare nulla, fece per prendere il soprabito appeso all’attaccapanni, ma poi ridendo se lo sfilò e lo gettò a terra. Tanto non l’avrebbe visto nessuno, aveva questa sensazione.

La cercò per tutta la casa, ma non trovò nessuno.

Si sedette su una sedia della cucina, accese la TV e si concentrò su una puntata di “Hercules”.

Accarezzò la tovaglia a rombi rossi e arancioni con i bordi gialli e pensò di prendere una coca-cola. Si alzò sempre con la stessa fatica e si avviò verso il frigo. Tra le varie calamite di “Pokemon” (ok, questo è il mio frigo! Ndme) scorse un bigliettino fermato con dello scotch:

Vado da Sakura. Non cercarmi, per favore.

COSA??? Era in Giappone? Ma che diavolo stava accadendo al mondo? Erano impazziti tutti? Cosa poteva aver fatto perché lei se ne andasse in Giappone da… da… da Sakura, persino? Erano ormai due anni che non si vedevano.

Le ragazze… Chi le capisce?

***

Il cuore batté sempre più velocemente… per la rabbia. Cieca, velenosa rabbia.

Avrei voluto gridarle contro di andare in non so quale paese. Nessuno avrebbe potuto ospitare una persona così… così… indegna e maligna.

Aprii la bocca per gridare, per gridare la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente, ma poi mi fermai di mia spontanea volontà. Saldai lo sguardo nei suoi occhi scuri, sgranati e miscelati, eterogenei, profondi, impuri nel loro sostrato di malinconia e rabbia. Cosa? Rabbia? Lei era arrabbiata? Oh, probabilmente la bimbetta non immaginava quanto lo fossi io… Lei, arrabbiata! Che assurdità!

-Ciao.-, mormorò con gli occhi concentrati sul terreno.

Ciao??? CIAO?!? Sì, certo, salutiamoci come due vecchie amiche quarantenni che si ritrovano con i rispettivi figlioletti e mariti. Brutta scimmia, altro che amiche! Te la faccio vedere io l’amicizia…

-Ciao.-, risposi, invece. Sentii la mia voce asettica, estranea, indifferente, come se nella mia testa non fosse accaduto nulla in quella frazione di secondo. Come se avessi un corpo di latta e un cuore di rame.

E ora vuoi che io risponda alle tue domande, vero? A me è andata abbastanza bene, a parte la depressione e l’abbandono. E in Cina come ti è andata? Hai fatto la troia come a tuo solito, schifoso pezzo di latta? E magari ora dirai che sai che non dovresti essere qui, ma che dovevi scusarti, dovevi sprecare le tue fottute e sporche parole con me? Giusto? E allora sai che ti dico? Che tu sei davvero una…

-Ho bisogno di te.-, interruppe così i miei turpi pensieri.

Ero di fronte a lei, immobile e con un’espressione che probabilmente le incuteva paura.

Che cazzo vuoi da me? Hai bisogno di me??? Cosa sentono le mie orecchie! TU hai bisogno di me? E io secondo te non ne avevo prima che ti mettessi in testa di sparare una cazzata durata un anno e mezzo e che mi ha rovinato la vita? Ti rendi conto? Una storia di un anno e mezzo basata su una bugia? La mia felicità basata su una bugia? La mia vita? E ora sei tu ad avere bisogno di me? E sentiamo, per quale stradannatissimo e supercazzoso motivo dovresti aver bisogno del mio aiuto, brutta schifezza?

-Perché?-. Ancora quella voce estranea e sterile fuoriuscì dalla mia gola.

E ora mi farai un resoconto della tua vita disperata e ossessionata dal senso di colpa? Eh? Mi dirai che hai sbagliato e che te ne sei accorta solo ora? Oh, poveriiina! Mi dispiace TAAANTO, guarda! Oh, povera piccola stronzetta che non sei altro, schifosa bastarda,…

Mi interruppe ancora:

-Sakura, io…-. La voce le si ruppe a metà frase, poi inspirò a lungo e continuò con più calma, guardandomi negli occhi:- io sono stata violentata.-.

Bene, cosa ci si poteva aspettare da una stronza come te, da una schifosa troia, scusami! Avresti dovuto immaginarlo, cara mia… Eh, scusa! Voglio dire, in fondo sei solo una sporca puttana…

-E chi mi dice che è vero?-. La domanda che avrei preferito rivolgerle era un’altra, ma lascia perdere. Tomoyo rispose con tanta velocità e tanta impetuosità da non permettermi di pensare, se così poteva essere chiamato quell’atto.

-Chi te lo dice, eh? CHI? Questo!-. Si alzò la maglietta quasi con ira e si scoprì la pancia fino all’ombra delle costole sotto la pelle diafana. Anche dalla distanza in cui mi trovavo potevo benissimo osservare una grande macchia subito sopra l’ombelico. Dopo una seconda occhiata mi accorsi delle due mezzelune che lo definivano: un morso.

Restai a bocca aperta e con gli occhi sgranati: era… spettacolare. Molto probabilmente le era uscito anche del sangue. Molto sangue.

-Gesù Cristo morto e risorto…-, sussurrai senza fiato. Certo, una cosa del genere non poteva mica farsela da sola.

Una piccola e fioca candela si accese nella mia mente quando ritornai a guardarla negli occhi, in quelle due sfere rabbiose, esasperate, esauste, distrutte. Non ce la feci più, la tentazione era così grande… Una foglia morta, la prima di tante altre, cadde dal mio albero e nello stesso momento sbocciò una gemma nel punto in cui la foglia prima sventolava instabile ed inutile.

Mi avvicinai alla recinzione, poggiai le mani sulle sbarre di ferro e la fissai: piangeva, ma guardava altrove.

-Ciao.-, la salutai con solennità e rispetto, -Bentornata.-.

***

Ciao a tutti! Ecco un altro capitolo. Volevo commentare alcuni aspetti:

1) Le parolacce: non so se per voi sono offensive e se preferireste che le limitassi, ma il motivo per cui le inserisco è quello di creare la soluzione davanti ai vostri occhi o, se possibile, dentro di voi, con voi, per voi. Perciò se ci fosse qualche problema con esse non dovete fare altro che dirlo;

2) Spero che voi abbiate capito cos’è successo: Shaoran era così fatto, ma così fatto che, tornando a casa, ha violentato la povera Tomoyo che lo aspettava in giardino. Sto cominciando a non sopportare più quel ragazzo…!!! Comunque, Tomoyo è partita la notte stessa della violenza, è per questo che la mattina si ritrova già in Giappone… Non ha i superpoteri!

3) Presto, che dico presto?, PRESTISSIMO tornerà Shaoran. Tanto per essere chiari, nel prossimo capitolo. Perciò… preparatevi!

4) Infine, vorrei farvi sapere che ho scritto una one-shot su Originali --> Storico, si chiama “Cade la pioggia”. Se vi capitasse di leggerla mi farebbe molto piacere! Va beh, non importa, lasciamo stare…

Fine! A prestissimo, ciao ciao a tutti!

Grazie per le recensioni e, se potete, lasciatemi un commento!

Francy

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Capitolo 28
*** Qui? ***


Senza nome 1

Il perdono è come una goccia d’acqua sulla pelle: prima scivola sinuosa ed elegante come pioggia, poi finalmente cade e si trasforma, come un bicchiere infranto muta in preziose lame sanguinarie. Ma la scia di quella goccia resta sempre e viene assorbita dalla pelle.

E’ inutile illudersi di essere orgogliosi, fieri dei propri difetti, perché il dolore alla fine cade, s’infrange, si spezza come un ramo secco al vento; il perdono viene invece assorbito e neanche le più ammirabili e mirabolanti leggi fisiche possono confutarlo.

***

-Tutto bene?-, le chiesi con voce timida.

Tomoyo sedeva di fronte a me, un po’ china in avanti mentre beveva il the che le avevo preparato. Ci eravamo recate a casa mia appena erano finite le lezioni, con mio grande sollievo: volevo parlarle, consolarla, convincerla gridando che andava tutto bene, anche se ciò non era assolutamente vero, né per me, né tantomeno per lei.

Non sapevo, non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo appena mi aveva rivelato del suo stupro. Questa parola, quel suono sibilante, sordo, aspro, cupo… Mi incuteva quasi timore. Mi sentivo persa, come se avessi sbattuto la testa mille volte contro il muro, come se un martello gigante mi stesse costringendo a conficcarmi nel terreno, per restarvi per sempre, vestigia di un rito sacro, debole reliquia ormai sporca e impura, icona sconsacrata.

Non mi rendevo ancora conto del cambiamento letteralmente fulmineo del mio trattamento nei suoi confronti. Bene, un bel riepilogo non mi avrebbe fatto male, no? Allora: Tomoyo era tornata dalla Cina perché, come lei stessa aveva annunciato, aveva bisogno di me; io l’avevo trattata con una freddezza inaudita, mentre avevo pensato che… ehm, insomma… che fosse una brutta persona (visto Faf? Lo dovevo usare prima o poi! Ndme), per usare un eufemismo; e poi? Oh, certo, poi l’avevo perdonata e le avevo promesso che nel pomeriggio ci saremmo riviste a casa mia.

L’avevo perdonata.

Un moto di orgoglio mi frantumò la ragione e mi strinse la coscienza con artigli graffianti. Come avevo potuto mostrarmi così debole? Come? Per uno stupido stupro? Migliaia di donne venivano stuprate ogni giorno e io mi ero commossa per una stupidaggine del genere? Sì, avevano tutti ragione: ero debole, vile, fragile, tenue come mani ormai insensibili, delicate come cartone sotto un acquazzone… Stupida ingenua, stupida idiota, stupida disperata, stupida…

Stupida testarda. Come dubitare della verità? Il perdono non è da ingenui, né da idioti, né da disperati: è da giusti, da onesti, da umani. Se non si può più amare, se non si può più capire la realtà, se non ci si può più liberare dell’orgoglio, della fierezza della nostra umanità, della ferocia, delle pallottole che continuiamo a sparare senza aver bisogno di munizioni, allora perché odiare? Perché salire in questa soffitta buia e polverosa, in questo turpe rifugio da noi architettato e che abitiamo sempre più spesso? Muriamone la porta, distruggiamo le scale che vi conducono… e poi guardiamoci attorno. Chi non ha bisogno di un punto di riferimento? Una soffitta fatiscente non è il posto giusto.

Odiare significa essere il proprio aguzzino, significa ricattarsi.

Se non riesci ad essere indifferente, allora ama. Ma non odiare. Non murarti vivo.

È umano amare, ed è ancor più umano il perdonare.

(Tito Maccio Plauto)

-Sakura? SAKURA?-, urlò Tomoyo scuotendomi.

-C… che c’è?-, risposi scossa.

-E’ da dieci minuti che stai ferma nella stessa posizione e non mi rispondi!-, sorrise.

Capii benissimo perché lo fece. Fu come un déja vu, come se fossimo tornate indietro nel tempo di due anni. Sorrisi anch’io, nonostante sentissi un nodo in gola e quello strano formicolio al naso, preludio di un pianto imminente.

Ci fissammo per qualche attimo, poi mi concentrai sul cucchiaino con il quale giravo il the.

Ero molto imbarazzata e mi mostravo timida senza nemmeno rendermene conto. Lì per lì ritenni che la causa fosse ciò che avevo pensato appena avevo scorto Tomoyo oltre il recinto della scuola. Quello che mi era passato per la mente era stato a dir poco vergognoso e solo a pensarci sentivo le guance arrossarsi e accaldarsi, rubiconde e scottanti.

-Allora…-, cercai di iniziare.

-Ti va di ascoltarmi?-, chiese timidamente Tomoyo alzando il capo con molto più fervore rispetto alla sua voce.

-Senza dubbio.-, risposi subito, esaltata come non mai.

-Bene.-, cominciò entusiasta, ma con sguardo incerto, -Quando sono arrivata qui stamattina pensavo che mi saresti saltata addosso e che mi avresti staccato la testa a morsi.-.

Sorrisi e, convinta di non avermi offesa, rise anche lei.

-Tanto per rimanere in tema…-, azzardò.

-In tema di cosa?-, domandai, poiché non avevo capito cosa intendesse.

-Di morsi.-, ammise con un sorriso più triste.

Abbassai gli occhi leggermente imbarazzata e mi concentrai sulla sua tazza di the mezza vuota.

Parlò con voce strozzata e acuta, ma non accennava a piangere:

-Stanotte ero in giardino e ho visto una persona che si avvicinava, allora mi sono alzata e le sono andata incontro. Non voglio descriverti tutto nei particolari, non penso che te la sentiresti di ascoltare tutta la storia. Comunque, mi ha gettata a terra e si è accanito su di me… Insomma, penso che tu possa immaginare il resto.-.

Mi sentivo completamente inutile. Sembravo così debole da non poter ascoltare una storia del genere? Beh, lo ero senza dubbio, ma volevo dimostrare il contrario. A lei e a me.

-Se parlarne ti può facilitare la situazione, io sono qui.-, decretai con decisione.

Tomoyo ne fu visibilmente contenta, perché mi dedicò un ampio sorriso e continuò con più certezza.

-Non capivo cosa stesse dicendo, ma parlava con suoni sibilanti. A volte mi insultava e mi minacciava. Appena si è avvicinato mi ha strappato i vestiti e…-. Non ce la fece più.

Rifugiò la testa fra le mani e i capelli corvini, più scuri della notte.

Le passai una mano sulla spalla allungandomi verso di lei.

-Non… non preoccuparti. Non devi parlarmene per forza.-, cercai di rassicurarla.

Ero disgustata, disgustata da ciò che l’uomo poteva fare. Cos’era un cuore spezzato in confronto a questo? Cosa la turpe tristezza della passività? Cosa la morte?

Ero impressionata, impressionata dalla crudeltà e dall’indecenza dell’uomo, dalla brutalità, dalla ferocia e dalla bestialità… Ma come poteva nascondersi nella coscienza un frammento così perenne, imperfetto, impuro, autodistruttivo e dannabile?

-Senti…-, cominciai incerta.

-Sì?-, rispose con voce ferma. Nonostante il ricordo, nonostante il trauma, non aveva pianto. La sua forza era ineffabile e, ammisi, mi era mancata come la luna in una notte malinconica.

-Hai riconosciuto quell’uomo?-, domandai con calma.

Lei alzò il capo e mi fissò così a lungo da costringermi a distogliere lo sguardo e a concentrarmi sulle mie mani, fredde e sudate.

I suoi occhi erano insistenti, ma non nei miei confronti; stava seriamente riflettendo su qualcosa di veramente importante e la sua perseveranza mi suscitava un certo timore: sembrava una questione di vita o di morte e, in effetti, lo era.

Alla fine rilassò il viso e la sua espressione ritornò leggermente sconsolata, ma non angosciata come prima.

-No. Non so chi fosse, non lo conoscevo.-, decretò infine, frettolosa.

-Ah. Ma hai intenzione di denunciare l’accaduto?-, chiesi con garbo e tatto.

-No. So che non sei d’accordo, ma non lo denuncerò e non cambierò idea. Sì, ciò che mi ha fatto è stato a dir poco umiliante e crudele, ma probabilmente stanotte gli era successo qualcosa di… insomma, forse non sarà una giustificazione esatta, ma nessuno può giudicare. Ognuno ha i propri problemi e forse stanotte lui aveva i suoi.-.

-E secondo te è giusto che li abbia sfogati su di te?-. Avevo gli occhi sgranati, ero sconvolta e irritata.

-No.-, proclamò con un tono che non ammetteva repliche, -Non m’importa perché è successo. Avrà avuto le sue ragioni.-.

Nonostante non fossi assolutamente d’accordo, mi arresi. In fondo la decisione doveva essere la sua.

***

Un’ora dopo mi offrii di accompagnarla a casa, dove quella mattina aveva lasciato le valigie.

Camminavamo mano nella mano e sorridevamo. Sembrava che tutto fosse tornato come prima: scherzavamo, ridevamo e parlavamo come due quattordicenni nonostante avessimo entrambe diciotto anni.

Fu per questo che quando arrivammo a casa sua tutto sembrò rivoltarsi e ruotare ad altissima velocità.

Gli occhi di Tomoyo si spalancarono come se avesse appena visto un fantasma; le sue labbra, stese in un sorriso in seguito ad un mio commento riguardo al sedere del signore dei fumetti dei “Simpson”, fremettero per poi afflosciarsi in una smorfia di puro e cupo orrore.

Il mio volto si piegò come un foglio di carta e venne strappato in mille pezzi. La mia allegria si accasciò e pianse, abbandonato e malinconico come i battiti di batteria di Lars Ulrich, i miei occhi urlavano l’amarezza che custodivo da anni.

-Ciao, Tomoyo. Potresti aprire il cancello? Io non ho le chiavi e sono qui fuori da tre ore, mi si sta congelando il… Ah.-.

Si voltò verso di me.

Ah.

Era l’unica cosa che riuscì a dire quando mi vide.

Quando Shaoran mi vide.

***

Ciao! Lo so, lo so, sono in IMPERDONABILE ritardo, ma il fatto è che con la fantasia sono arrivata praticamente al capitolo 50 ed è difficile riscrivere quello che ho immaginato mesi fa, ma ce la metterò tutta per aggiornare il più presto possibile, lo prometto!

Ed ora i ringraziamenti:

Sakura182blast: ciao! Non preoccuparti, sto preparando per lui una vendetta davvero gelida… MUAHAHAHAUAHHAUAHAHAH!!! Ok, mi riprendo… Spero che mi lascerai una recensione, ciao bella!

Ichigo_91: lo so che mi vuoi uccidere per la piega che ho dato alla storia (e non ti do torto!)… Mi dispiace… Spero che continuerai a seguire la ff, ciao ciao! :)

Yumemi: grazie! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto! Purtroppo non ho potuto curare questo cap come ho fatto con i precedenti, ma mi auguro davvero che tu l’abbia trovato comunque leggibile… A presto, spero! Bye!

Sakurabethovina: hai ragione… Potrei far diventare Sakura una serial killer! Grazie per l’idea! No, scherzo… :) Povera Tomoyo, però… Beh, almeno lei e Sakura si sono riappacificate. Tengo molto alla loro amicizia, in una maniera inimmaginabile. Spero che lascerai una recensione, ciao ciao!

Enzasakura: ciao! Sì, mi sa che Shaoran era proprio partito… completamente. Alla fine non è stata colpa sua per quello che ha fatto a Tomoyo: se non fosse stato strafatto non si sarebbe nemmeno azzardato! A presto, ciao!

Ok, ho finito! A prestissimo, ve l’assicuro!

Ciao a tutti, spero che commenterete, se volete!

Grazie mille per il sostegno, alla prossima!

Francy

5

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Capitolo 29
*** Odio ***


Senza nome 1

Chi dice che la calma risolve tutto è un grande stronzo.

Lo capii in quel momento.

Bene.

Avevo aspettato da tempo quel momento.

Non sto scherzando.

Davvero.

No?

Come fate a non credermi?

Fatemi capire bene… Non mi credete?

Fate bene.

Spesso avevo pensato a come avrei reagito se lo avessi incontrato e, guarda caso, tutte le volte avevo accidentalmente spaccato e infrante qualche bicchiere.

Ciononostante non mi ero mai augurata nemmeno per scherzo di rincontrarlo. Perché? Per il semplice motivo che ero forte solo nella mia immaginazione: magari nei miei incubi lo avrei anche picchiato a sangue, massacrato, trucidato, scannato, squartato, dissanguato, salassato, spezzettato, triturato, spellato, scuoiato, scorticato, maciullato… Insomma, il concetto è chiaro, no? Ma nella realtà non l’avrei mai fatto, lo sapevo benissimo. Probabilmente avrei pianto per il dolore del ricordo e stupidaggini simili. A pensarci bene, non ero cambiata minimamente da quando avevo dieci anni… Non ero cresciuta minimamente e lui mi avrebbe trovata uguale a prima, innocua ed innocente… E avrebbe potuto giocare ancora con me, avrebbe potuto usarmi come la sua Barbie, mi avrebbe riempita di caramelle nauseanti e poi mi avrebbe spogliata e mi avrebbe cambiato i vestiti e poi, hop, dritta nello scatolone. No.

Ero cambiata. Non ero né innocua né tantomeno innocente. Ero una ragazza nuova, ero adulta, ero cresciuta. Forse la tragica tendenza alle lacrime era insita nel mio carattere, perché no? Qualunque scusa pur di non ammettere di non essere cambiata per nulla. Nascosi questo pensiero in una piccolissima parte di me; come succedeva alle donne possedute dal diavolo, che, per non essere espulso dal corpo che infestavano, si rifugiavano nel braccio sinistro.

Intanto eravamo entrati in casa, io, Tomoyo e l’altro. Diamine, non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome? Che schifo…

Non riuscivo a capire chi o che cosa fossi di preciso: non volevo essere ingenua per cadere nelle sue grinfie un’altra volta, così avrei dovuto fargli capire che ero completamente indipendente, libera; nel frattempo, però, temevo che questo atteggiamento avrebbe fatto allontanare in qualche modo Tomoyo.

Mi sedetti sul divano. Perché eravamo entrati in casa?

Oh sì, Tomoyo gli aveva detto di volergli parlare e io l’avevo seguita, anche se l’unica che avrei voluto fare era tornare a casa e bere tre litri di camomilla.

Non mi sedetti, sprofondai nel vero senso della parola sul divano. Non volevo che mi vedesse, il perché poi era un mistero anche per me.

Non sapevo come comportarmi: guardarlo negli occhi con tutto l’odio che potevo letteralmente ammaestrare? O nascondermi prudentemente per evitare di crollare? Pensavo che l’odio mi avesse resa più forte, invece ero più confusa di quanto pensassi.

L'odio è un liquore prezioso, un veleno più caro di quello dei Borgia; perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore. Bisogna esserne avari. (Charles Baudelaire)

Sentii appena la porta chiudersi dietro Tomoyo e

(Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran)

l’altro. Erano entrati in un’altra stanza e, anche volendo, non avrei potuto sentire niente di ciò che stavano dicendo. Meglio così, anche perché a quanto pareva parlavano in cinese. Grandioso.

Bruciai di vendetta come se avessi un tizzone ardente fra le labbra, come se fossi una fenice mentre fiammeggia, avvampa e s’incenerisce col suo stesso fuoco, come un orologio che ticchetta e tintinna ancora con un’eco indomabile, mentre le fiamme lo avvolgono.

La vendetta è un profumo che scotta, un vento caldo 212° Fahrenheit, un rubino detestabile e dannabile.

***

Tomoyo restò in piedi davanti alla porta chiusa, mentre Shaoran era poggiato al tavolino polveroso poco lontano dalla ragazza.

-Beh? Che c’è?-, chiese lui. Sembrava lievemente sconvolto, spaesato. Aveva gli occhi venati di rosso, il che spaventava Tomoyo, ma la ragazza non desisteva: doveva parlargli e capire.

Lei lo guardò strabuzzando gli occhi per lo stupore.

-Che significa “Che c’è?”?!-.

When you forbeit the white-dressed snow,

You’ll find a new place, a tempest-tossed island.

An ivory ivy will replace the unripe mople over which the crow

Flies. Melody fall, you don’t have to pretend.

-Significa che non lo so!-, spiegò il giovane alzando un sopracciglio come se fosse una cosa ovvia.

-Parla in cinese. Non voglio che ci senta.-.

-Sei tu il capo…-, rispose evasivo.

Lei prese un bel respiro e guardò Shaoran negli occhi. Sembrava sincero: la guardava con la faccia a forma di punto interrogativo e batteva il piede a terra, come se stesse tenendo il ritmo di una melodia muta e cieca.

-Dove sei andato stanotte?-, gli chiese decisa.

-Mio Dio, non me lo chiede nemmeno mia madre e tu…-. Shaoran alzò gli occhi al cielo.

-Rispondi. Subito.-, sottolineò lei.

-Ad una festa, perché?-, domandò svogliato.

-Perché quando sei tornato… non… Tu sai cosa hai fatto, vero?-.

-Io?-, chiese il ragazzo guardandosi attorno.

-Sì, tu.-. Riuscì a stento a trattenere il flusso di insulti che bussava violentemente alla sua bocca.

-Non so, cosa avrei dovuto fare?-. Era sempre più confuso e non riusciva a capire cosa Tomoyo volesse da lui.

-Non ricordi proprio?-. Ci sperava. Voleva che non ricordasse, desiderava che non fosse stato lui a farlo, ma solo il suo corpo. Il cavallo nero del concupiscibile aveva portato il carro sempre più giù… Il cavallo bianco ormai era ferito e sanguinante e il suo manto candido era scuro e viscido.

-Direi di no.-, rispose lui sorridendo a mezza bocca.

-Tu mi hai… Dopo la festa… Probabilmente avrai bevuto un po’ (un po’??????????? A confronto l’Uomo Duff è sobrio come Mastro Lindo! Ndme) e... Insomma, Shaoran, quando sei tornato a casa…-. Incespicò e balbettò

-Sì?-, la incoraggiò lui.

-Mi hai… Tu…-. Basta, bisognava mettere un punto a quella frase. –Tu mi hai violentata.-. Scandì per bene le parole, forse per sentire meno dolore, ma il risultato fu alquanto deludente.

But the crow crawls like a wounded flower. It’s a bleeding

Tango with dew and blood, when a bleak blaze bleeps,

A volatile void will reflect the hiss, the diving

Winter of its life without any beating skips.

-Eh?-.

-Hai capito bene.-. Quell’attesa la fece appassire. Le veniva da piangere e stavolta non si sarebbe trattenuta, lo sapeva bene.

Lui la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, la bocca aperta e il corpo sostenuto ormai completamente dal tavolino su cui si era seduto.

-Io… ehm… Non lo sapevo…-, biascicò in tono di scusa.

-Non sono le tue scuse che voglio, volevo solo essere sicura che tu non mi avessi fatto nulla.-, chiarì la ragazza, ma il suo viso diceva tutt’altro.

Shaoran si avvicinò cauto, destreggiandosi con movimenti calmi e sicuri. Era davanti a Tomoyo e, lì, l’abbracciò.

-Grazie.-, balbettò lei fra i singhiozzi, poggiando il capo sulla spalla di lui.

-Sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto in questo momento?-, rispose lui scherzosamente. Ma era evidente che parlava così solo per coprire l’imbarazzo.

Fatto sta che lei gli tirò un calcio sullo stinco, ridendo nervosa.

-Eri…?-, cominciò lui.

-No. Qualcosa dal mio fratellastro dovevo pure prenderla, no?-, sorrise.

-E chi…?-, iniziò ancora una volta Shaoran.

-Eriol, l’anno scorso.-.

-Che schifo, ma non ti fa impressione quel tipo? Sembra Harry Potter…-.

Lei, ridendo gli sferrò un secondo calcio.

-Ok, ok… Ho capito!-. Shaoran si staccò da lei e poggiò una mano sulla porta.

-Ma tu guarda, uno vuole aiutare una persona e poi… Ingrata!-, la apostrofò fingendo irritazione.

Risero insieme.

-Mi dispiace.-, il sorriso scomparve dal volto del ragazzo.

-Non c’è problema. Ma se nasce un figlio lo chiamo Terenzio.-.

Si fissarono prima seri, poi scoppiarono a ridere.

Shaoran aprì la porta aspettandosi di vedere Sakura e invece… il divano era vuoto.

***

Finito! Spero vi sia piaciuto, l’ho scritto in tutta fretta perché ho tantissimo da fare!

Sapete che mi sono commossa quando ho visto le vostre recensioni??? No, davvero… GRAZIE INFINITE! Siete fantastiche e… Oddio, ora mi emoziono… Passiamo ad altro, se no allago la tastiera… :)

Comunque il mio contatto msn è francyhosi@hotmail.it

Certo che potete contattarmi, è davvero un piacere e quando ho letto le vostre recensioni mi sono davvero commossa, non sto scherzando!

Purtroppo, però, non uso quasi mai msn, quindi mi troverete raramente, mi dispiace…

Ciao a tutti, grazie per aver letto questo capitolo! Lasciatemi un commento, se volete!

Grazie mille, ciao!

Francy

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Capitolo 30
*** Pareti di ghiaccio ***


Senza nome 1

Capitolo trentaaaaaaaaaaaaaaaa!

Vi rendete conto??? Siamo arrivati al capitolo trenta, non ci credo! Yuppy! Evviva! Urrà! (… evvai... Abbiamo un’improvvisa voglia di un suicidio di massa, lo sai? Ndtutti)…

Forse è meglio cominciare…! Ecco il capitolo, spero vi piacerà!


***

I'd love to be one of those colorful early summer days
When everybody is happy that you came
Everybody smiles back at you as soon as your eyes cross their eyes
But something has to happen first
I know winter has to come before it blossoms.

(Elisa, Broken)

Non potevo essere pazza.

Posai i piatti sul tavolo e tornai a prendere le posate dal cassetto.

Insomma, ero solo confusa probabilmente.

Sentii l’acqua bollire e mi avvicinai velocemente ai fornelli.

Sì, ero confusa, non poteva esserci alcun’altra spiegazione, giusto?

La porta dell’ingresso si chiuse con un tonfo sferragliante.

Ma d’altronde ero dovuta andare via, a casa: non avevo avuto scelta.

-Ciao.-, borbottò svogliato mio fratello.

E poi Tomoyo non mi aveva pregata di restare, mi aveva solo condotta in casa senza dirmi niente… Inoltre aveva una faccia così sconvolta che pareva dicesse: “Voglio stare da sola e se mi disturbi ti storco il menisco.”. E per di più stava parlando con Shaoran… Probabilmente gli stava ordinando di tornare subito in Cina e di non farsi vedere mai più. Tomoyo mi voleva bene, anche se ovviamente era affezionata pure a suo fratello. Ma questo non m’interessava, non mi interessava niente di lui: c’era solo Tomoyo in quella casa.

-Da quando salutare è un optional?-, si lamentò Touya sbirciando oltre la mia spalla per vedere cosa stessi cucinando.

Chissà se Tomoyo gli avesse detto proprio quello. Beh, quando l’abbiamo visto davanti al cancello di casa sua lei era non solo sorpresa, ma più che altro spaventata. Ma la domanda che mi premeva di più era perché fosse tornato. Il ritorno di Tomoyo era più che giustificato e sapevo che sarebbe stato difficile aiutarla a superare il trauma della violenza, ma perché lui era qui? La situazione di Tomoyo non gli riguardava.

Mi stupii della freddezza con cui parlavo di lui, come se fossi stata rinchiusa in un labirinto di ghiaccio, gelido ma salvifico: senza di esso sarei stata libera, ma preda delle calde, scottanti e brucianti emozioni dell’esterno. Tuttavia sentivo che le pareti si stavano sciogliendo pian piano… La rabbia, rossa e rubiconda, mi invadeva tutta, mi costringeva a mordermi l’anima, a contorcermi, a sparare contro la carne della mia mente, a succhiare il sangue della mia delusione, a violentare la bambina che era in me, innocente e ingenua, ma debole come un ramoscello d’ulivo percosso da un vento formicolante, frustante e frustrante.

-Sei morta?-. Mio fratello mi guardava fisso. Eppure non era la prima volta che mi distraevo, anzi: gli ultimi quattro anni della mia vita erano stati una disattenzione perpetua: i primi due anni perché ero innamorata di lui, gli ultimi due perchè ero stata assoggettata dalla disperazione salace della perdita e della sconfitta.

E la rabbia sciolse la prima parete del mio labirinto di ghiaccio, mentre Touya si stringeva nelle spalle e prendeva il pane dalla dispensa.

Scolai gli spaghetti e sbattei la pentola sul tavolo, così forte che si staccò uno dei due piccoli manici, il quale restò, tagliente e bagnato, fra le mie mani.

BASTA, BASTA, BASTA! Con tutti i ragazzi che c’erano dovevo essermi innamorata proprio di lui, quella maledetta primavera di quattro anni prima? Che vuoto, che dispersione di calore, che spreco di lacrime e sangue, di battiti di cuore e respiri di aria fresca e fulgida. Per quanto potessi maledirmi, ascoltarmi e rispondermi meccanicamente, la verità era che non potevo attaccare: c’era solo il mio labirinto a difendermi.

Scappai inciampando due o tre volte fra le scale, mi stesi sul mio letto e, come sempre, non piansi, ma contemplai il mio cuore angosciato svuotarsi e vomitare le sue putride viscere. Emaciato, diafano, secco.

La sveglia segnava le dieci meno un quarto. Tomoyo non mi aveva cercata, ma proprio in quel momento squillò il telefono: sapevo che era lei, ma non mi sforzai nemmeno di alzarmi dal letto. Quando la rabbia mi abbandonava senza forze, allora era il momento della malinconia: due anni vissuti in questa maniera mi avevano resa insensibile e vuota come un teatro abbandonato, senza fantasmi e senza sogni.

Sentii mio fratello alzare la cornetta: avevo lasciato la porta aperta, tanto non sarebbe mai entrato nella mia camera. L’ultima volta che l’aveva fatto per chiamarmi a tavola io stavo strappando le tende svogliata e assente per cancellare la sua presenza, in caso che le avesse toccate mentre scendeva dalla finestra quella notte, la notte della mia condanna, la notte in cui smisi di piangere e iniziò il mio segreto e a quel tempo sottile piagnisteo.

-Pronto?-, disse Touya preoccupato. Una breve pausa e poi continuò:

-Ah, ciao Tomoyo! Non eri in Cina?-, chiese.

Non so quale bugia inventò Tomoyo, ma mio fratello ci credette.

-Ah, ho capito, quindi niente di grave. Spero che tuo padre stia meglio adesso. E quel tizio, il tuo fratellastro? E’ tornato anche lui?-.

Touya non sapeva che il suo fratellastro era stato anche il mio fidanzato e la causa di tutto, l’origine del mio cambiamento di cui anche lui si era spesso lamentato durante quei due anni.

-Capisco. Comunque sì, Sakura è qui, ma… direi che non è in grado di parlarti. Sì. No, sta… dormendo, credo.-.

E poi subito:

-No, non penso. Ok, le dirò che hai chiamato. Non preoccuparti, probabilmente non ti ha aspettata perché oggi doveva cucinare lei. Ok, ciao.-.

Chiuse la cornetta e lo sentii sospirare. Percepii subito lo scricchiolio dei gradini sotto i suoi piedi, il fruscio dei pantaloni e lo strano fischio che le sue mani sudate producevano strisciando contro la ringhiera. Si bloccò a metà rampa, si voltò e scese velocemente.

Mi stesi a pancia in giù sul letto e affondai la testa nel cuscino.

Di nuovo i suoi passi sulle scale: era incerto. Lento, salì i primi gradini, ma arrivato a metà circa accelerò di colpo e lo sentii respirare sulla soglia pochissimi istanti dopo.

-Ehi?-, bisbigliò, ma quel suono fu uno stridio di mille rondini in una silenziosa mattina invernale.

-Che vuoi?-, risposi in malo modo.

Di solito non parlavamo o almeno era stato così da due anni a quella parte.

Sospirò e con voce indolente mi chiese che cosa avessi.

Lo ignorai, ma dentro di me c’era la voglia, c’era il desiderio e c’era il bisogno di parlare, di gridare, di sentire la terra sotto i miei piedi, l’aria attorno a me, il cielo sopra di me e gli impulsi dentro di me. Come il lamento di una ninfa abbandonata dal fiore che ama (riferimento al mito di Eco e Narciso, Ndme), quella necessità incombente risvegliò il mio animo e mi aprì gli occhi, non con impetuosità e impeto, ma dolcemente e lievemente. Volevo davvero, davvero parlargli. Desistere era un peccato.

Sentii i suoi passi farsi più lontani, ormai era arrivato alla ringhiera delle scale e stava per scendere: non potevo perdere quell’occasione, no, no, NO.

Non volevo compiere lo stesso errore un’altra volta, non volevo restare muta allora e ancora, non volevo cantare il mio ultimo canto, comporre la mia ultima frase, lasciarmi cadere come un palloncino vuoto e raggrinzito: dovevo riempirmi, riempirmi, riempirmi senza scoppiare, se possibile, esalando e inalando contemporaneamente le tenere parole e la persa realtà.

-TOUYA!-, quasi gridai in preda a quel temporaneo e fulmineo slancio emotivo.

-E’ pronto, vieni a mangiare.-. Non lo ricordavo così permaloso. Non rendeva conto che ogni sua parola in quel momento per me era più che preziosa: inestimabile.

-No, vieni qui.-, lo pregai.

Probabilmente percepì il bisogno e la gravità nella mia voce, perché tornò nella mia camera con passi leggeri e morbidi.

Avevo alzato la testa dal cuscino, così potevo vedere la sua figura stagliarsi sulla soglia della porta semiaperta, che spinse per poter entrare più comodamente.

Aspettò che parlassi io, per non cadere e sbagliare di nuovo.

-Senti…-. Non avevo fatto i conti col mio imbarazzo: non sapevo come comportarmi con mio fratello, non era certo facile esprimere ciò che provavo in quel momento ad una persona che, in fin dei conti, era stata costretta a vivere con me per dei futili legami di sangue. In quel momento mi sembrò che fosse proprio così, che fossimo stati costretti a vivere nella stessa casa e, si sa, la convivenza nuoce ai sentimenti, perché la quotidianità uccide ogni tipo di emozione che, ad un certo punto, diventa ineffabile.

Il bisogno, però, era più potente e magnetico dell’imbarazzo, sentimento che non provavo da tantissimo tempo.

Gli raccontai tutto, tutto di Shaoran, delle menzogne, della felicità farcita di dolore, del mio anno e mezzo di amore, dei seguenti due anni di insensibilità e tempesta, di ciò che era successo a Tomoyo in Cina, del fatto che erano tornati… Tutto.

Nel frattempo Touya si era seduto su una sedia accanto al letto e mi guardava attento con le mani giunte sotto il mento e la frangia che a volte gli copriva gli occhi e che spesso spostava infastidito con una mano.

Parlavo a raffica, senza fermarmi, rigirandomi nel letto, prima a pancia in giù, poi di lato, dandogli le spalle. Alla fine, però, mi voltai verso di lui: non c’era più alcun imbarazzo, il pericolo che non mi prendesse sul serio (era quello il mio timore più grande) era passato, perché era evidente che mi stesse ascoltando.

Quando terminai di parlare alzai il busto e lo appoggia ai cuscini circondandomi le ginocchia con le braccia e piegando la testa all’indietro fino a toccare il muro.

Sentii improvvisamente freddo e così sciolsi i capelli per farli ricadere sul collo, affinchè lo coprissero. Gettai l’elastico sulla scrivania poco lontana e agitai la testa per far posare la chioma anche sulle spalle. Aspettai pazientemente che dicesse qualcosa.

-Hai pianto?-, mi chiese ad un certo punto, costringendomi con le parole a voltare il capo.

-In che senso?-, domandai confusa. Pensavo che avrebbe insultato

(Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran)

lui, che lo avrebbe maledetto e… e invece?

-No.-, risposi decisa, orgogliosa della mia forza, fiera della mia resistenza: non avevo mai pianto in quegli anni, non perché non avessi sofferto, ma perché mi ero promessa di non versare nemmeno una piccola e futile lacrima per lui, perché quest’inutile frutto di dolore sarebbe diventato una significativa e indubbia prova della mia debolezza. Non l’avrei permesso, mai.

-Io non capisco…-, affermò Touya piano, quasi parlando fra sé: -Perché la gente crede che piangere sia sinonimo di mostrare debolezza? Esiste gente che ne va fiera, che ne è orgogliosa, che crede di meritarsi una medaglia per questo. Io penso invece che piangere sia un segno di coraggio, perché chi piange sa ed è consapevole di mostrare una parte di sé che gli altri potrebbero insensibilmente attaccare, ma si piange lo stesso. Di solito la catagoria di coloro che non piangono corrisponde a quella di coloro che sostengono di non interessarsi di cosa pensano gli altri di loro. Questa è la vera ipocrisia: se non t’interessa l’idea che gli altri hanno di te, allora perché ti nascondi dietro l’orgoglio? Forse è l’imbarazzo, come un guerriero che si sfila l’elmo in piena battaglia, l’imbarazzo di mostrare la propria identità mentre tutti gli altri combattenti restano anonimi? Ma è proprio questo il bello della vita: mostrarsi, deboli o forti, non importa, ma mostrarsi. Tu ti stai nascondendo, invece.-.

Tacqui, fissandolo con una certa curiosità: non l’avevo mai sentito parlare così, forse si era drogato… A parte gli scherzi, quelle parole mi punsero e si conficcarono nella mia carne. Così facendo mi provocarono dolore, ma soprattutto mi resero sensibile, sensibile all’esterno e non solo all’interno.

-A quanto pare neanche tu sei la persona più felice della Terra.-, constatai per sviare l’argomento.

Sorrise triste e annuì.

-In effetti…-.

Ricambiai il sorriso e guardai verso e attraverso la finestra buia e senza tende. Tutto quello che aveva detto era così giusto... Era una specie di verità universale. In quel momento mi vergognai di aver provato orgoglio della mia forza apparente, trasparente in modo da rendere visibile la debolezza e la stanchezza sottostanti.

-Yukito dice che sono troppo etero per stare con lui. Mah… solo perché ho apprezzato la nostra docente di telecomunicazioni all’università… Mi sembra esagerato, insomma. Pensa che io sia una persona superficiale, che possa abbandonarlo per una donna.-. A quel punto la sua voce si fece più rabbiosa: -Non capisco, cosa devo fare per fargli capire che lo amo? Lo devo sposare? Se potessi lo farei, ma purtroppo…-.

Lo osservai bene. Sapevo che stava con Yukito da quando avevano finito il liceo e la cosa non mi aveva sconvolta particolarmente, ero molto felice che mio fratello avesse trovato un altro passatempo invece di darmi sempre fastidio…

-E’ normale essere gelosi, lo ero anch’io in un certo senso… con lui.-, sussurrai.

-Che bastardo. La prossima volta che lo vedo gli spacco la faccia e giuro che lo faccio, non è un modo di dire.-, ringhiò.

Mi venne da ridere, infatti ridacchiai piano. Mi aveva sempre difeso fin da quando ero piccola, senza mai tirarsi indietro. Anche sapendo che ero innamorata di Yukito si era fatto da parte, in un certo senso, e non mi aveva demoralizzata, benché fosse impossibile una relazione fra me e Yukito.

In quel momento, improvvisamente, si sporse verso di me e mi abbracciò. Mi rigirai fra le sue braccia e lo circondai anch’io.

-Piangi.-, mi ordinò quasi.

Voltai la testa da un’altra parte.

-Piangi, non ti vede nessuno. E anche se fosse, dovresti solo essere fiera di te.-.

Lo fissai, concentrandomi sui capelli per non guardarlo negli occhi.

-No…-, sussurrai, ma la mia voce era rotta, infranta da qualcosa di irriconoscibile.

-Forza.-. Mi diede una pacca sulla spalla. Quel solo gesto di vicinanza, di comprensione fece sciogliere un’altra parete. Inevitabilmente.

Pianse con me, piansi con lui. Per qualche minuto, finchè non sentimmo la voce di nostro padre dall’ingresso.

-Sono tornato!-, esclamò.

Libera, sciolta e non più attorcigliata intorno a me stessa, mi avviai giù con Touya.

Non servivano cerimonie e ringraziamenti. Era quello il bello di essere fratelli: una convivenza forzata poteva diventare desiderata; i grazie volano al vento, sono inutili, i gesti no.

Libera.

Sciolta.

***

Tomoyo posò la cornetta.

-Ha risposto il fratello, ha detto che sta dormendo.-, esclamò piatta la ragazza.

-Riguardo al discorso di prima, non sono per niente d’accordo con te. Shaoran, devi andartene.-, aggiunse.

-Non capisci.-.

-Cosa dovrei capire?-, domandò stizzita.

***

Cosa dovrà capire? Domande senza risposta…

Ok, lasciamo stare!

A presto con un altro capitolo, spero da voi gradito!

Grazie a tutte coloro che hanno recensito, ciao ciao!

Francy

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Capitolo 31
*** Desiderio ***


Senza nome 1

-BASTA, BASTA, BASTA!-, esclamò esasperata Tomoyo.

-Oh, ti calmi?-. Shaoran alzò un sopracciglio, stupito dalla reazione della ragazza.

-Calmarmi? CALMARMI? Ma ti rendi conto di cosa mi hai detto? Tu sei una sciagura, una catastrofe, una DISGRAZIA!-, urlò la mora.

Il ragazzo tacque per qualche attimo, osservando in faccia la ragazza, la quale ansimava per la rabbia. Alla fine aprì lentamente la bocca ed esclamò, come se fosse la cosa più naturale del mondo:

-Pesce in mano!-.

Tomoyo lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite:

-Pesce… in mano?-.

Il ragazzo aveva un viso serio.

-Sì, insomma, è un modo di dire… Un’intersezione… No, aspetta, volevo dire interiezione… penso…-.

-Cioè…-, prese una lunga pausa e poi parlò a denti stretti, -IO TI PARLO DI COSE SERIE E TU MI DICI QUESTE CRETINATE? TORNATENE SUBITO IN CINA, BRUTTO PEZZO DI…-.

Shaoran non terminò di ascoltare la frase, perché scappò ridendo nell’altra stanza prima che Tomoyo lo smembrasse e gettasse impazzita tutti i mini-Shaoran ottenuti nel water.

-E comunque non posso andarmene: pomeriggio mi sono iscritto a scuola e indovina dove? Nella stessa classe di Sakura. Ma guarda che caso…-. Non potè più continuare perché Tomoyo cominciò a gridare:

-DISGRAZIATO!-, picchiandolo con la valigia ancora piena.

***

La mattina seguente non andai a scuola: mi sentivo uno straccio.

Come vapore acqueo il pensiero di Shaoran si condensò nella mia mente, ma avrei presto creato un canale di scarico, senza dubbio.

Appena mi svegliai risi nel vedere il cielo bianco che rifletteva il proprio bagliore nella mia stanza. Una risata amara, un altro giorno incolore. Ero sicura che Shaoran fosse tornato per restare, come Tomoyo. Probabilmente voleva diplomarsi in Giappone.

Non so come mi vennero in mente quei pensieri e come intuii quelle ipotesi, ma ero sicura che fossero vere. Sapevo anche che avrebbe cercato di farmi innamorare un’altra volta di lui, ovvio, solo perché il suo giocattolino fai-quello-che-dico gli era mancato. Poverino, probabilmente non aveva trovato nessuna ragazza stupida, ingenua ed inutile come me. La rabbia mi assalì ancora una volta e le diedi libero sfogo: contenerla era impossibile, oltre che inutile. Elusa, illusa, disillusa, delusa… Non avrei più sopportato una sofferenza del genere. DI qualcosa in fondo gli ero debitrice: ero diventata più forte, accorta, prudente, attenta, adulta, grazie a lui. Sì, avrei dovuto ringraziarlo per questo. Risi immaginando la scena: “Certo, mi hai fatto soffrire, piangere, chiudere e rovinare, ma ti devo dire grazie.”. Poco probabile, decisamente poco probabile.

Vedevo la mia vita come una linea, prima chiara, bianca, poi improvvisamente nera e oscura. Non dovevo dargli la soddisfazione di aver giocato il suo gioco: dovevo essere fredda, implacabile, glaciale. Mi ero allenata per due anni ed era abbastanza: era ora di mettere in pratica la teoria. Tacere e ignorare, ecco cosa dovevo fare, provare indifferenza e… ed ero più decisa che mai a vincere quella battaglia, ad aggiudicarmi finalmente la guerra. Troppo, era tutto troppo: troppo il dolore, troppa la frustrazione, troppa l’umiliazione, troppa persino la determinazione.

E se fossi caduta nella sua trappola? No, no, NO. Per due anni avevo immaginato di stringergli la gola, di fargli confessare tutte le sue colpe, di soddisfare le mie turpi pene. Con Tomoyo era stato tutto diverso, il rancore non aveva graffiato così profondamente il mio spirito.

Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che nel mondo non ci fossero solo buoni?

Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che la vita è fatta di eventi lieti e infelici?

Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che soffrendo si cresce e si matura l’animo?

Avrei dovuto rassegnarmi?

No.

No.

No.

NO.

Voleva fottermi? Voleva ingannarmi? L’unica cosa che poteva fottermi era il suo pensiero, nient’altro.

Questa volta sarei stata io a vincere e lui non avrebbe potuto fare nulla se non fissare me che aprivo con le dita le sue cicatrici e che ne creavo di nuove, l’avrei penetrato come aveva fatto lui con la mia anima e la mia dignità. Perversamente.

Sapeva cosa volevo e non capivo perché fosse tornato. Sorpresa! Non ero più la bimbetta di allora. Aprii piano la bocca, mi leccai il labbro inferiore e la richiusi di scatto, facendo schioccare i denti.

Ero stata solo un suo capriccio e, in fondo, anche la mia vendetta lo era. Il raziocinio? Beh, anche questo era d’accordo. Insomma, era una delle poche volte in cui l’istinto e la ragione aspiravano allo stesso obiettivo. Un capriccio ragionevole, insomma: razionale, meritato. Sì, me lo meritavo.

Nel pomeriggio chiamai Tomoyo per sapere i compiti.

-I… i compiti?-, ripetè titubante.

-Sì, i compiti per domani. Oggi non sono venuta a scuola, hai notato?-, domandai sarcastica.

-Ecco… Vedi, Sakura, purtroppo… Beh, stamattina mi sono iscritta e a dire il vero nella tua classe non c’era più posto, così mi hanno inserita in un’altra classe.-, confessò dispiaciuta.

-Ah.-, riuscii a dire. Ero amareggiata e rammaricata: era appena tornata dalla Cina, stava passando una situazione delicatissima e ci eravamo appena riappacificate e… E non eravamo in classe insieme? Non avevo il sostegno, il bisogno necessario che in quei due anni mi era mancato più di qualsiasi altra cosa? Come era possibile? Più era l’ostinazione, più la perdita. Capii finalmente il legame fra questi due fattori.

-Ma tanto c’è la pausa pranzo e potremo stare insieme in quel momento, vero?-, aggiunse, conscia del motivo del mio silenzio prolungato.

-Certo!-, sorrisi disperata, stringendo ancora una volta le mani della Solitudine, vestita di stracci e dagli occhi spenti e lacerati.

-Il problema è un altro.-, dichiarò secca la mia amica.

-Dimmi.-, esclamai quasi prima che terminasse la frase.

Non tergiversò più, non dubitò né esitò, questa volta.

-Shaoran è nella tua classe. Lo so, lo so, credimi: ho fatto tutto il possibile per dissuaderlo dal rimanere qui, ma ormai si è iscritto e… Sakura, scusami se non sono riuscita a difenderti per la seconda volta, anzi, per la terza volta. Perdonami, davvero, ma io…-. Un fiume di parole accavallate una sull’altra, una in groppa all’altra, confuse.

-Ehi.-, esclamai per arginare quel corso torrenziale di frasi rammaricate, -Non c’è alcun problema. Me la so cavare da sola, non è colpa tua.-. Ovviamente era sottinteso che fosse colpa di lui.

La notte passò lenta ed onnivora, mangiatrice di sogni e di riposo. Il fatto che Shaoran fosse nella mia stessa classe mi era d’aiuto per la mia vendetta. Beh, a dire il vero non ero proprio sicura di che vendetta parlassi, poiché non sapevo in cosa consistesse, sinceramente.

Pensandoci, sarebbe stato sufficiente ignorarlo, così da essere anche più prudente: non mi sarei mai perdonata se fossi caduta nella sua trappola.

Non mi rendevo conto di essere patetica, forse, o megalomane, nevrotica, paranoica e psicolabile o probabilmente anch’io cominciai a mentire, a seppellire le bugie nel peggiore dei modi, fingendo nei miei stessi confronti. Credevo fosse solo un’umida frase da film, “mentire a sé stessi”, e invece no. Strano, tutto diviene più percettivo quando si sente un’emozione forte, odio o amore che sia.

La luna si sciolse, come una macchia di sangue di unicorno nel denso petrolio fosco. Faceva paura, la luna. Bisbigliava piani di battaglia, sussurrava principi filosofici ineccepibili, raccontava violenze inenarrabili, dipingeva nella mente porte socchiuse e bocche spalancate, finestre dischiuse e occhi vibranti di malattia.

Piansi di rabbia, mordendo le lenzuola. La mia ambiguità mi incuteva paura, terrore, paranoia. Mi alzai dal letto per cercare quella parola sul vocabolario. Paranoia. La usavo spesso, ma non ne conoscevo il significato preciso.

Paranoia: è un termine per descrivere una psicosi di paura, relativa alla percezione di essere perseguitati. Questa percezione spesso causa il cambiamento del comportamento naturale in modo radicale, dopo un po' di tempo il comportamento dei soggetti affetti può diventare estremamente compulsivo.

Percezione di essere perseguitati? Sì

Cambiamento del comportamento naturale? Sì.

Il comportamento dei soggetti affetti può diventare estremamente compulsivo. SÌ.

Bella scoperta, ero paranoica. C’era da festeggiare…

j

Mentirai ai miei occhi
Sbaglierai se mi tocchi
Non puoi dimenticarla
Una bugia quando parla
E sbaglierà le parole
Ma ti dirà ciò che vuole.

(“La paura che…”, Tiziano Ferro)

j

Il giorno dopo l’avrei rivisto. L’idea non mi angustiava, anzi, mi eccitava particolarmente. Finalmente avrei ottenuto ciò che anelavo da così tanto tempo. Era inquietante quanto l’odio potesse magicamente sminuzzare l’allegria e nutrire il rancore, lo stesso raschiante rancore che stritolava il mio animo, che si tramutava in ossessione pura e micidiale.

Sulla scrivania c’era una delle poesie che avevo scritto in quei due anni, la famosa CHEDIPE.

Cos’è la forza, se nel mio cuore la dolce neve

ha cominciato a sciogliersi?

E se nelle mie vene scorre acqua sporca?

Disperazione dolorosa, desolazione drastica.

Ignominioso incendio in un cuore annegato.

Polvere

echeggiante.

Ridicola. Risi rumorosamente, con tono roco e gutturale. Quella risata mi incusse più timore di quanto avesse fatto la mia sete di vendetta.

Accartocciai il foglio e andai a dormire.

Quando mi svegliai la pagina era ancora nel mio pugno chiuso e quei pensieri stringevano così tanto la mente da farla sanguinare.

j

***

Ciao a tutti. Ecco un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.

Sakura a dire il vero sta cominciando ad assomigliarmi un po’… Quando mi arrabbio tanto, ma proprio seriamente, sento le stesse cose che prova lei. Fa uno strano effetto giudicare il proprio alter ego.

Comunque, la definizione di “paranoia” è liberamente presa da Wikipedia (ok, ok, Faffy: Wikipedìa! Con l’accento sulla “i”… Ndme)… Inoltre, il “pesce in mano” di Shaoran è una stupidissima ed esasperante esclamazione di un mio compagno di scuola. Può significare “Oh, cavolo!” (per non dire altro…).

Ecco i ringraziamenti:

Yumemi: penso che comunque non si sia capito di cosa stessero parlando Tom e Sharon (ehm… Ndte)(ehi, donna spregevole, Sharon è un nome femminile! NdShaoran)! Spero ti sia piaciuta questa Sakura paranoica (quanto adoro questa parola! Si nota?) (no, guarda, dato che la ripeti ogni due secondi… Ndte). A presto! P.S.: grazie!

Sakura bethovina: eh, se l’hai capito buon per te! Io non dirò niente! Segreto professionale (anche questa è una cosa che dico sempre… Va beh, non c’entra niente in effetti). Ciao ciao e grazie!

Sakura93thebest: devo dirti la verità… ma mi raccomando, non dirlo a nessuno! Shaoran è tornato in Giappone perché… perché voleva la sua torta! Ma acqua in bocca!!! (ehi, Mezzosangue, mi stai prendendo in giro per caso? Ndte)… Ehm, scusa! Lasciamo stare… Spero ti sia piaciuto questo capitolo, a prestissimo e grazie!

Sakura182blast: che fratello saggio… Sì, hai ragione. Sinceramente ha fatto impressione anche a me che scrivevo, quindi immagina! Che ne pensi di questa Sakura alquanto strana? Spero di sentirti presto, ciao ciao e grazie!

Fuffina: hai visto??? Ho messo PIM! Fish In Hand forever! Ah ah ah! Che bello! Non vedevo l’ora di metterlo (plagiatrice! NdScodella)! Senti, donna spregevole, che ne dici di questa Sakura “attrassata” come direbbe Oral-M? Insomma, si eccita pensando di strangolare Sharon! (ma sei proprio fissata con gli strangolamenti??? Ndte)(sì, sono sexy! Ndme)(come Sakura a 5 anni… slurp… NdTouya)(senti, pedofilo ninfomane, perché non ti slurpi il mio... NdMr. Spazzaneve)… Scusa per questa cosa sclerotica, è solo che sto ascoltando la stessa canzone da minimo due ore e non sto esagerando… (esageri? Ma sì che esageri! Certo, tu esageri! È inutile che neghi, tu esageri! Te lo dico io, esageri! Io lo so, esageri! Ti capisco, esageri! Ma come esageri! Ma esageri ancora? So che esageri! Capito? ESAGERI, ESAGERI, ESAGERIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII! NdAlessandra)… Forse è meglio abbandonare qui il capitolo… (d’accordissimo, per Giove! Ndte con i baffoni tipo zio Vernon e con la voce del tizio del cortile)! Ciao ciao e che Plinio il Giovane e i suoi figli illegittimi siano con te!

Bene, a prestissimo spero! Ciao ciao e grazie per le recensioni!

Francy

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Capitolo 32
*** Osserva ciò che non vedi ***


Senza nome 1

The smile when you tore me apart.
You took my heart,
Deceived me right from the start.
You showed me dreams,
I wished they'd turn into real.
You broke a promise and made me realize.
It was all just a lie.

(Angels, Within Temptation)

Fuoco sprezzante, nè angelo nè demone, ma solo uno struggente, sconfortante morso infiammato che tutta mi ha percossa, conducendomi verso un prematuro matrimonio con la distruzione.

Sogno brillante, non dimenticherò mai il tuo fulgido splendore, il tuo frusciare nella mia mente, il tuo insinuarti controvoglia.

Ectoplasma inconsistente, come puoi provocare così tanto dolore se non hai identità? Se fossi di ferro potresti affilare le mie membra, ma sei ben più intangibile. Se fossi di seta potresti accarezzarmi con dolcezza, ma sei ben più graffiante. Se fossi di luce potresti riscaldare, bruciare la mia pelle fredda, ma sei ben più crudele, cullante.

Sweet child you worry too much, my child
See the sadness in your eyes
You are not alone in life
Although you might think that you are

(Our farewell, Within Temptation)

Bambina, dolce bambina: il mio nome non è più. Ed è tutta colpa tua, uomo ribelle, creatura innaturalmente comune, falsa. Perché le menzogne ormai sono come fiori in un giardino nascosto, che crescono e si riproducono con rapidità asfissiante, turbante, avvilente.

Non è una metafora: sei un fantasma. Lo eri quando il tuo finto amore mi possedeva tutta, lo sei ora che i miei brividi chiedono vendetta, ora che la luna rispecchia i miei occhi, riflette il loro inquietante fulgore.

Il vento entrò dardeggiando dalla finestrella del bagno intrecciando i miei capelli con movimenti fluidi e ritmici e portandoli dietro le spalle, mentre la mattonella di fronte a me ritraeva perfettamente la superficie del mio viso da cui colava luce trasparente simile ad acqua sanguinante.

Era la ricreazione e sentivo voci ridenti e civettuole bussare alla porta del bagno, con decisione, con violenza.

Volevo che Tomoyo fosse lì con me, ma purtroppo il professor Washinke l’aveva chiamata per un progetto sulla costruzione di un plastico della foresta Amazzonica o qualcosa del genere… A proposito, il professor Terada era stato trasferito in un liceo con specializzazione scientifica ed era stato sostituito da quattro nuovi insegnanti: Nikeru di giapponese, storia e filosofia (sulla sessantina, chiamato anche “Marpione”, con una presunta relazione con la Shiga), la Shiga di matematica, fisica e chimica (capelli scuri e corti tipo barboncino, ma una cinquantenne alquanto simpatica), Zeshine di storia dell’arte e inglese (ventinove anni, aveva studiato a Cambridge e non era riuscito a sbarazzarsi di quell’orrendo, ma a suo tempo affascinante, accento inglese... ma a parte questo, simpaticissimo anche se a volte completamente isterico e paranoico), la Nukki di educazione fisica (capelli lunghi e castani tipo Samara, sulla quarantina, ma ancora bellissima).

Ritornando alla mia poco rosea situazione, uscii dal bagno con una violenza e un impeto tali da far cadere il pacchetto di patatine della ragazza più vicina alla porta.

-Sai che me ne devi pagare un altro pacco, vero?-, si rivolse a me stizzita e indignata. La ignorai completamente e continuai a camminare per il corridoio con le orecchie tese.

-E’ normale che poi ti dicano che sei una…-. Smisi subito di ascoltare e mi resi conto che quella che stava parlando era Chiharu. Non la biasimavo, in fondo io ero solo la strega cattiva della sua perfetta fiaba in cui la principessa s’innamorava del principe a dieci anni e rimanevano insieme per tutta la loro stomachevole e caramellosa vita avendo tanti bambini e non sapendo nemmeno come hanno fatto a nascere… no? O meglio, lo ero stata.

-Dài, amore, lasciala stare.-, sussurrò Yamazaki, ma riuscii a sentirlo lo stesso. Continuai a camminare velocemente e a passi piccoli lungo il corridoio tappezzato di quadri delle Tomoeda degli anni ’20, un polveroso e soffocante agglomerato di miseri edifici fatti di calce, cemento e storia.

-Non cominciare, hai capito? Non cominciare a difenderla!-, strillò Chiharu con una voce acutissima da soprano strozzato.

Incredibile come mi giunse solerte e celere la consapevolezza che per lui, a causa sua, avevo perso, avevo perso tutto. Non l’innocenza, non l’ingenuità, non la magia, non il romanticismo, non il sogno… Certo, anche quelli, però anche Tomoyo, Chiharu, Yamazaki… Le loro amicizie preziose si erano trasformate in odio, risentimento e amarezza. Non le avrei mai più ritrovate nella loro forma più pura, lo sapevo benissimo, almeno finchè non avessi trovato ciò che anelavo così struggentemente.

Lo capii con tanta calma, con così tanta rassegnazione che risultai inquietante anche a me stessa.

Quella mattina era entrato in classe fra il letterale delirio di tutti, a parte Yamazaki e il professor Marpione (che aveva già capito con uno sguardo che tipo fosse. Magari l’avessi fatto anch’io…). A dire il vero fra i deliranti c’ero anch’io, ovviamente per la mia innata, infinita, ineffabile, sgraziata, smodata, illusoria sete di vendetta.

Annodai il cervello e lo sciolsi dai sensi continuando a camminare.

Io ero delirante, certo, pazza di desiderio, ossessiva, assediata dal lacerante anelo egoista. Ah, egoista! Egoista? Ma che stavo dicendo? Era stato lui a sbagliare, lui a mentire, lui a sfruttarmi! Lui non era niente, era vuoto, completamente vuoto. Non era altro che un bel corpo misto agli effimeri obiettivi della sua vita: sesso e stupidità. Cosa faceva in fondo? Qual era il principale, l’unico fine della sua vita? Far ridere tutti a scapito degli altri, dei distanti da quel mondo comodo e ipocrita da cui si poteva precipitare nel mio baratro per un’unica parola sbagliata: secchiona? GIU’! Grassa? GIU’! Disperata/Scontrosa cronica? GIU’! Folle? GIU’! Tutti erano anelli di questa catena, compresa io, cosa di cui mi vergognavo immensamente. Non avevo mai sofferto per non essere accettata nella cosiddetta società, ma era cambiato tutto, tutto si era trasformato a causa sua: non ero più la ragazzina allegra che tutti, bene o male, vogliono bene per quello che è, ero semplicemente cresciuta prendendo un’altra strada. Il problema era che al momento in cui i percorsi si erano divisi avrei potuto cambiare, ma non l’avevo fatto. Testardaggine? Illusione? Ingenuità? Avevo deciso di restare immobile mentre gli altri camminavano decisi sulla via dell’accettazione, perché è con essa che si ottiene tutto, è con essa che ci si difende e si attacca. Per questo ero così indifesa, volubile, vulnerabile.

Non potevo ignorarlo. Sono fuori. La coscienza di ciò mi spinse verso l’aula e mi accompagnò al mio banco, di fronte alla porta, accanto al muro.

-… e allora le ho detto: ‘Bella mia, guarda che con 1107 Renminbi (= 100 Euro, Ndme) posso farti tutto quello che vuoi, pure succhiarti il muco dal naso!’…-. Una fragorosa risata accompagnò queste parole, mentre la sua voce echeggiava ancora in aula.

Tutti ignorarono il mio ingresso e sinceramente ne fui estremamente lieta. Raggiunsi la lavagna e giocai un po’ col gesso mentre il capannino che si era formato attorno a lui ancora rideva per la sua battuta. Ecco: simulazione della conquista di un obiettivo. Soggetto: creatura prevaricatrice, egoista, presuntuosa, arrogante, meschina, opportunista, traditrice, possessiva, viziata, mutevole, avente il fine pratico di provocare riso e ilarità negli altri appartenenti al suo allegro e infimo gruppo. In poche parole, un essere umano.

Mi ricordai di quella mattina, di come ero stata delusa dalla sua reazione. Pensavo che mi si sarebbe subito avvicinato con sguardo provocatorio, che mi avrebbe apostrofata con qualche commento poco lindo, che avrebbe in qualche modo fatto riferimento al passato… e invece? E invece niente. Come si dice, un piano stroncato sul nascere. Avevo infatti basato la mia vendetta sulla sua indole molto propensa al piacere e poco incline alla continenza e al rispetto dei limiti. Non sapevo se mi avesse guardata, poiché avevo tenuto gli occhi bassi: la mia finta forza e la mia falsa aggressività non potevano arrivare fino al punto di guardarlo negli occhi.

(… Anche se il desiderio di farlo mi aveva fottuta non poco…)

Però sapevo che non mi aveva parlato e probabilmente non aveva accennato a me. Avrei dovuto studiare la situazione, anche se il ruolo di stratega non mi era mai piaciuto: ero troppo debole e insicura per architettare piani alla Team Rocket, decisamente.

Ad un certo punto mi accorsi che nell’aula c’era qualcosa che mancava… quel sottofondo… Oh, certo, la sua voce. Conosceva anche il silenzio, maaagicooo… E chi se lo sarebbe aspettato?

-SAKURA SAKURA SAKURA!-, mi sentii chiamare dalla mia destra. Alzai lo sguardo e… No.

Perché l’avevo fatto?

Non poteva essere…

Avevo quasi paura.

Oh, ma non di lui. Di me.

Gli stessi timori bisbiglianti e sommessi…

Le mie reazioni, le sue parole…

Niente più finzione: dietro l’ombra della mia vendetta c’era ciò che rivolevo indietro: me stessa, la mia piccola quattordicenne che scopre il mondo poco a poco, che crede ancora nelle fiabe, che guarda film sdolcinati senza vergognarsene, che fa amicizia con così tanta facilità… Avevo fatto parte di quel mondo che non volevo lasciare, della sua sicurezza comune, del suo grande, caldo e confortante abbraccio. Allora perché ero stata costretta ad uscirvi così impetuosamente? Perché ero stata minacciata fino a rinunciarci? Perché avevo scelto una nuova strada?

Quando incontrai i suoi occhi, in quell’attimo evasivo, elusivo, vago, inafferrabile, sfuggente, non ottenni alcuna risposta, ma il mio capriccio fu soddisfatto: volevo vedere il male in faccia? Ecco fatto. Risultato? Non era cambiato nulla. Ciò fece nascere un dubbio in me: e se anche la mia vendetta alla fine si fosse rivelata inutile, vana, inane? No no no no no no no no no no no no, MAI. Non avrei nemmeno dovuto pensare qualcosa del genere.

Intanto quel momento terminò e i miei occhi si posarono su Tomoyo, la quale mi aveva precedentemente chiamata.

Cosa sono i millenni? Una manciata di tempo. Polvere in confronto a un unico sguardo dell'eternità. (Hermann Hesse).

E intanto cosa avevo scoperto in quell’eternità? L’inania di denudare ciò che vi si nasconde.

***

Ciao a tutti! Innanzi tutto vorrei scusarmi per l’enorme ritardo, ma la settimana scorsa sono stata in gita per tre giorni, poi per i vari impegni scolastici è stato difficile racimolare un po’ di tempo per scrivere… Ma ora ci sono le vacanze di Pasqua, quindi volendo potrei aggiornare anche questa settimana!

Grazie a tutti per le recensioni, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se penso che non sia risultato come effettivamente volevo… Speriamo bene.

Ciao, a prestissimo!

Francy

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Capitolo 33
*** La maschera di neve e cera ***


Senza nome 1

Un mese. Un intero mese, inutile come gli ultimi morti anni della mia vita. Era maggio inoltrato, primavera, fiori ormai sbocciati, cespugli verdi e intensi, petali che cadevano dagli alberi e bla bla bla, non me ne importava assolutamente niente. Qualcuno dice che la miglior cura per gli impetuosi sentimenti umani è la natura: io rimanevo completamente indifferente di fronte ad essa, ovviamente a differenza di pochi anni prima. Al centro dei miei pensieri non c’erano più farfalle colorate e sperdute o magari le margheritine che imperlavano il mio giardino. No. Era la mia maschera, la mia maschera che non sapevo cosa coprisse: chi ero davvero? Questa sciagurata copertura celava la mia infantilità o la mia disperazione? E da cosa era formato questo turpe velo insanguinato? Razionalità? Pazzia? Chissà. L’unica cosa di cui ero disperatamente certa era che questa cosiddetta maschera era di neve e cera: si sarebbe velocemente sciolta, ma ciò che più mi inquietava era cosa avrebbe denudato di me. Delirante incertezza, miserabile sorte.

Ore che lente e inesorabili
attraversano il silenzio del mio cielo
per poi nascondersi da un tratto
dietro nuvole che straziano il sereno

sentirle riaffiorare quando tutto
sembra aver trovato il giusto peso
aver la voglia di rubarle al tempo
per potergli dare tutto un altro senso

(“Nuvole e lenzuola”, Negramaro)

I miei silenti pensieri vennero accartocciati e gettati via dalla massiccia voce del prof Marpione, ma non era diretta a me.

-Buon Dio, signor Li, la smetta di fare il buffone. È dall’inizio della lezione che sta trafficando con quella fionda! La finisca, altrimenti prendo provvedimenti.-.

Nell’aula regnò il completo e ineluttabile silenzio, conseguenza del feroce ringhio del professore che in quel momento stava illustrando il pensiero di un pressoché sconosciuto filosofo malese.

-Certo prof, non si preoccupi.-, asserì lui probabilmente soffocando un sorriso,-Anzi, vorrei porle una domanda.-, continuò imitando un tono dotto.

-Prego?-, rispose Marpione soddisfatto del cambiamento, ma anche leggermente sospettoso e diffidente.

-Volevo sapere… Prof è il diminutivo di profilattico???-.

Non appena terminò di pronunciare la frase l’aula fu scioccamente invasa da una violenta nevicata, ma che dico, bufera di risate che appesantì le pareti, fece tremare i vetri e infuriare me: come si poteva essere così stupidi? Non mi sentivo superiore, insomma, quelle non erano parole di una superba, bensì di un’odiatrice. C’è una spessa differenza fra le due categorie: il superbo odia e/o invidia il resto del mondo credendosi, per disperazione o convinzione, migliore di esso; un odiatore, semplicemente, detesta l’universo e persino sé stesso. Ecco, forse era quella la mia maschera… Sì. Ma allora cos’era la mia metà così vilmente offuscata da essa? Cosa si trovava sotto? Quale terreno incerto e cannibale lo inghiottiva? Cos’è che sento così vicino come una melodia incalzante e profonda che non riesco ad identificare con nessun suono mortale?

Non capivo… Non riuscivo a far violenza alla mia nuova personalità senza cambiare il mio ignominioso obiettivo, non riuscivo a sciogliere la mia maschera per ritornare me stessa perché sapevo che non avrei mai trovato un Sole così potente e luminoso da polverizzarla, non riuscivo a piegarmi alle mie volontà lasciandole galoppare a briglia sciolta senza cadere inesorabilmente in una situazione di stallo marmorea e irremovibile.

La mia attenzione venne di nuovo presa a calci dalla caduta di una penna, così, perso il filo dei miei pensieri, non mi restò altro da fare che voltare la testa verso sinistra, ascoltare e fissare attentamente il professore.

-… la tradizione filosofica e culturale di tutta l’Asia, che in Occidente è vista con molto rispetto. Ad esempio, durante uno dei miei numerosi viaggi a Londra…-.

L’imminente (e chilometrico) resoconto del suo viaggio fu interrotto da un lungo e acuto “Aaaah!” proveniente dal centro dell’aula. Tutti ci girammo verso quella direzione e appena mi resi conto di chi fosse il soggetto della situazione mi voltai subito. Chi era? Naturalmente, lui. Chi altri, se no? Nell’attimo in cui lo guardai vidi le sue mani strette a coppa davanti alla bocca e la fionda di cui Marpione si era precedentemente lamentato che giaceva sul banco con accanto una penna.

-SIGNOR LI, VADA SUBITO FUORI!-, urlò il professore al colmo dell’ira.
Probabilmente si era colpito la bocca con la penna e si era fatto male. Si era fatto male. Si era fatto male… SI ERA FATTO MALE!!! Ah ah ah, ben gli stava!

All’improvviso, mentre tutti si precipitavano al suo banco per assicurarsi delle sue condizioni (probabilmente solo per ingraziarsi il più popolare della classe, che ipocriti… come lui, del resto), io non riuscii a trattenermi dallo scoppiare in una risata fragorosa, argentina, isterica, disperata, spaventosa, così acuta da coprire le voci premurose e false di tutta la classe. Io, felice nel suo dolore, crudele relitto di me stessa, letizia del male. Scoppiai letteralmente, accesa da quella inaspettata polvere da sparo, innescata da un piccolo flotto di sangue, preda di una ossessiva follia omicida, quasi, o forse completamente.

Tutti si voltarono verso la mia figura, piegata dalle risate, impermeabile alla vergogna, impassibile ai loro sguardi increduli ed irritati. Che mi fissassero pure, almeno io ero sincera, non dissimulatrice e assetata di un potere inesistente come loro. La collera dentro di me crebbe fino a toccare misure indicibili, inconfessabili; il piacere era ancora più intenso e carezzevole, se possibile, incontenibile, come le mie risate roche, come la mia voce confusa, tridimensionale, sintetica, disperata che mi pareva illusoriamente sicura in quel momento.

-Signorina Kinomoto, non ammetto questi comportamenti infantili e sciocchi. Vada fuori anche lei!-.

Ecco, c’era da aspettarselo. Io e Shaoran (oddio, quel nome… No, non potevo essere così debole: Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran SHAORAN SHAORAN SHAORAN…) fuori, insieme, da soli. Lui ci avrebbe provato, mi avrebbe baciata e io… E io? Che avrei fatto? Oh, ma ci sarei stata, ovviamente: era finalmente l’occasione di illuderlo, non potevo sprecarla così. Era tutto così scontato nella mia testa, pianificato fino all’esasperazione, fino alle lacrime.

Mi alzai con sfacciataggine, continuando a ridere irosamente, tristemente. Mi sentii inutile, piccola e patetica, ma solo per un millesimo di secondo, un unico granello di tempo, insignificante quanto dimenticabile, in cui la mia maschera si scostò lievemente per poi essere rimessa al suo posto dalle mie labbra ancora più tese e dai miej occhi ancora più bagnati di stille stoiche e adirate.

Brancolai con decisione attraverso la porta e poggiai i gomiti sul davanzale della finestra del corridoio fissando la mia espressione decisa riflessa sul vetro pieno di ingannevoli e opachi aloni.

Percepii, prima con la mente e poi con l’udito, la porta che si chiudeva con un tonfo sordo e il suo respiro affannoso intermezzato da imprecazioni borbottate e risate sommesse.

Ecco.
Eccomi lì.

Il silenzio, dopo tanto chiasso (in particolare nella mia confusa testa) era quasi più pesante e poderoso di quelle risate, era come una ruvida mano posata sulla mia bocca che mi costringeva a tacere. Mi minacciava.

Eccoci lì.

Ero pronta.

Fissavo i messaggi d’amore scritti con un pennarello rosa sul davanzale. Patetici.

Si era steso a terra, avevo sentito lo spostamento d’aria.

Bene. Ormai immaginavo già cosa stesse pensando e cosa mi stesse per dire: “Sai che da qui ti si vedono le mutande?”. Tsè, le solite cose.

Era il momento di cominciare. Cosa? Non lo sapevo assolutamente, ma avrei detto qualsiasi cosa mi fosse venuta in mente. E finalmente sarei stata libera da tutto, da tutti. Da lui.

^^^^^^^^^^^^^^^^

Ciao, è inutile che mi scusi per il ritardo, ma volevo solo dirvi che mi sono trovata di fronte a un bivio per quanto riguarda la continuazione della storia. Dovevo scegliere fra ciò che avevo pensato sin dall’inizio e un’improvvisa ispirazione che mi ha folgorata da pochi giorni. Be’, ho scelto quest’ultima. Spero che reputerete valida la mia scelta, quando la scoprirete, ovviamente. Ora che ho le idee chiare, penso di continuare senza problemi e soprattutto cercherò di bloccare tutte le ispirazioni imminenti perché altrimenti rischio di fermare di nuovo la storia.

Grazie mille per il sostegno che tutte quante mi date nonostante la mia incostanza, spero di ricompensarvi giustamente.

A presto.

Francy

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Capitolo 34
*** Il fidanzamento ***


Senza nome 1

La lacerante distanza
Tra fiducia e illudersi
È una porta aperta
E una che non sa chiudersi

(“La paura che…”, Tiziano Ferro)

-Sei ingrassata,-, esclamò con voce leggermente roca per la strana posizione che immaginavo tenesse (non lo stavo guardando, non lo avrei mai fatto neanche sotto tortura), -ma sei bellissima lo stesso.-.

Oh, certo, e ora che altro dirà? Che sono più carina quando mi arrabbio? La mia ira incalzante e famigerata era indescrivibile, anche se ormai riuscivo a padroneggiarla discretamente. Fingevo una snervante indifferenza, un misero tentativo di controllare me stessa, di egemonizzarmi, monopolizzarmi e manopolarmi per non lasciar spazio alla sua nociva presenza, velenosa e acre come arsenico, quello che usavano le principesse e le attrice. Sì, avete mai notato che le donne dispongono di un modo inconfondibile ed ineccepibile di uccidere ed uccidersi? Non lasciano tracce, non creano ulteriori problemi. In fondo le donne sono tolleranti. Le graziose eredi al trono reale che semplicemente (e illecitamente) aspirano magari a curarsi della fragile e possente natura o a lenire i gonfiori dolorosi e umani, ma non possono perché devono vestirsi di bianco e donare il loro grembo in nome di altri, più preziosi e più sfortunati principi di latta. La sorte non è generosa. Mai. Con nessuno.

Cosa avrei risposto? Cercai di mostrare e dimostrare una serena sovranità sul mio animo intarsiato con lame intolleranti, ma l’inesistente liceità dei miei pensieri mi impedì di ostentare una sincera sicurezza. Lui non se ne accorse, come sempre. Del resto, perché avrebbe dovuto? Lui non era mai stato mio amico. Questa frase mi balenò in testa e fece affogare per un attimo il mio cuore sperduto. Di solito, quando ero ancora piccola (solo qualche anno prima, a dire il vero), conoscendo una persona la trattavo subito da amica, giocavo con lei, le parlavo allegramente e speranzosamente. Con Shaoran avevo vissuto solo giochi freddi che sembravano bollenti per il fallace amore che li avevano illuminati, riflesso in uno specchio bugiardo; le parole non erano leggere e primaverili, ma pesanti e significative, ben troppo.

In amore tutto è importante, anche troppo.

Non c’era scelta, avrei dovuto farlo, avrei dovuto sottrarre l’importanza che per me aveva una carezza, che per me aveva un bacio, che per me aveva una parola. Mi ero accorta che, sì, forse ero troppo impuntita sugli atteggiamenti altrui e sul significato che un singolo dettaglio potesse avere. Non mi credevo così calcolatrice, a dire il vero, e nemmeno così stratega. Non lo ero mai stata. Mai. Mai stata. Ma lo ero diventata. Si cambia, pensai, e tu lo sai bene, non credi? Una pausa, poi continuai a riflettere: Non sono davvero sicura di volerlo fare. Ho paura. Paura di essermi sopravvalutata, di non essere ancora cresciuta abbastanza, di non avere ancora capito me stessa. Temo di fallire, di cadere nella sua turpe trappola, di suicidarmi a causa della mia inettitudine negletta. Ma devo farlo. Devo. E così, ovviamente lo feci, mi decisi. Ma forse… Sì, forse avrei dovuto giocarci un po’ prima.

-E tu sembri cresciuto, ma sei stupido lo stesso.-.

-Non sei cambiata per niente, non dici nemmeno una parolaccia! “Stupido”…-, rispose subito con aria leggera, ma vagamente a disagio.

Risi distrattamente di quell’affermazione.

-E invece sono cambiata davvero tanto, sai?-, asserii voltando la testa verso di lui con un sorriso repentino sul volto e poggiando i palmi delle mani sui vetri della finestra per lasciare le mie impronte. Solo in quel momento mi accorsi di avere le mani sudate.

-Sì, Tomoyo mi ha detto tutto. Non sapevo che ti piacesse così tanto Yamazaki.-, esordì lasciandomi impietrita per la sorpresa. In effetti non ricordavo di aver raccontato a Tomoyo di Yamazaki… Ero stupita, ma anche divertita da quel cambio di programma: la mia sicurezza, invece di scemare silenziosamente, si erse in tutta la sua maestosa altezza, ringhiando.

-Beh, penso che nemmeno a te sia dispiaciuto quel miliardo di cinesine con cui ti sei divertito in questi due anni, o sbaglio?-, domandai piegando la testa da un lato e guardandogli il viso concentrato. Uno strano sorriso stupefatto gli scopriva i denti. Ad un tratto mi venne in mente il morso che Tomoyo aveva sull’addome, non saprei perché… Ma no, non poteva essere: la dentatura di milioni di persone avrebbe potuto combaciare con quel segno e inoltre Shaoran non sarebbe mai arrivato a quel punto. Certo che sì, invece. E se anche l’avesse fatto, la mia amica non l’avrebbe mai permesso. Me l’avrebbe detto. Me ne avrebbe parlato. E io l’avrei ammazzato.

-Preferisco le giapponesi. Sono più… intelligenti.-. Capii subito che mi stava prendendo in giro. Non si riferì ovviamente alle capacità mentali delle mie connazionali, va da sé. All’improvviso alzò il busto e lo appoggiò al muro bianco e anonimo del corridoio, assumendo un’espressione lontanamente seria. Subito pensai che quell’atteggiamento ottundesse il suo odioso e digrignante comportamento beffardo.

Mi resi conto inaspettatamente di essere molto più tranquilla e indifferente di quanto pensassi. Bene, un po’ di freddezza non avrebbe assolutamente guastato e d’altronde non era il distacco la mia unica (e improvvisata) strategia?

Aspettai la sua eventuale risposta. Stava riflettendo, strano, pensavo sapesse solo pavoneggiarsi peggio di un… pavone. A pensarci bene non è che la mia fantasia fosse migliorata…

-Tu sei intelligente.-, affermò guardandomi negli occhi.

Sopportai quello sguardo forse solo perché me ne accorsi quando schiodò gli occhi dai miei.

-Nel senso proprio della parola o in quello tuo personale?-, domandai pur conoscendo perfettamente la risposta.

Un silenzio livido seguì il mio quesito, uno spigolo appuntito contro il

(mio mio mio mio mio mio mio mio mio mio mio mio mio mio)

suo fianco.

-Entrambi, suppongo.-. Era maledettamente posato, riflessivo, serio. Non ce la facevo a sopportare quell’atteggiamento: mi ricordava... Cosa? Tanto: la mia prima fuga dall’ospedale, la scoperta, la frustrazione, l’umiliazione, la rovina. Nonostante avessi superato il trauma iniziale, la memoria rimaneva sempre, il ricordo oblia e oblitera il chiarore del cuore.

-Ti amo, Sakura.-. A voce bassa.

-Anch’io.-. Fredda.

Avevo imparato a non negare l’evidenza e il fatto che io fossi ancora attaccata a lui in qualunque modo possibile era di certo facilmente ostentato. Non volevo far finta di amarlo per poi deluderlo come aveva fatto lui con me. Oddio, il mio piano iniziale era proprio quello, ma non potevo certo dire di essergli completamente indifferente. Tuttavia, non avrei mai detto “Ti amo”. Mai. Mai più.

Nonostante il sentimento controverso che ancora mi legava a lui, non sentii alcun brivido (come invece accadeva prima) quando mi dichiarò il suo amore. Non sapevo se fosse sincero, neanche lui avrebbe potuto dirlo probabilmente e, in tutta franchezza, non m’importava.

Un sorriso selvaggio mi rigò il volto mentre confessavo il mio gelido consenso, ma lui non intuì nemmeno il mio stato d’animo: in fondo, cosa poteva interessargli?

Ero immersa nei miei pensieri iracondi quando mi baciò. Come previsto…

Sentii il sapore del suo sangue sul labbro, poi più niente: avrei dovuto estraniarmi completamente, totalmente. Mi sarei allenata con il suo corpo come lui aveva fatto con il mio.

E fu così che mi fidanzai con Shaoran per la seconda volta: in un corridoio davanti alla mia aula, in virtù della più furente, disperata, caotica, sconnessa, vendicativa velleità da me espressa.

L’aspetto più vivido che ricordo è la confusione, la divergenza di impulsi contraddittori legati da una comune necessità di reazione. Caos.

Se non fosse per la nostra vista ed il nostro udito, la luce ed il suono non sarebbero che confusione e pulsazione dello spazio. Allo stesso modo, se non fosse per il cuore che ama, saresti solo polvere sottile alzata e dispersa dal vento...

(Gibran)

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

Bene! Pensate che sia finita qui? E invece no, ma non manca molto alla fine di questa storia. So già che mi mancherà scrivere, ma porto avanti questa fan fiction da due anni, non mi sembra giusto nemmeno nei confronti di voi lettori. Bene, ora passiamo ai ringraziamenti:

Sakura bethovina: beh, come dire… Tecnicamente sono tornati insieme, quindi una parte dei tuoi desideri è stata soddisfatta. Vedrai! A presto, spero, ciao e grazie per la recensione!

Sakura93thebest: in effetti le premonizioni di Sakura si sono avverate, non saprei fino a che punto però. Mi fa piacere che il mio ritorno ti abbia resa felice! Grazie per la recensione, a presto!

Sakura182blast: Shaoran si merita peggio, molto peggio di un’illusione! Io sinceramente l’avrei completamente ignorato. Comunque sì, direi che dev’essere punito, non so se Sakura sia d’accordo, ma credo di sì! Grazie per la recensione, ciao!

Ok, allora al prossimo capitolo. Spero che la storia vi stia piacendo. Non so se avete notato, ma Shaoran sta avendo un ruolo sempre più… marginale, in un certo senso, una specie di vittima della storia (anche se il vero titolo di vittima dovrebbe essere di Sakura o Tomoyo): si muove quando si muovono gli altri, non ha più quell’autorità personale di prima. Sta cambiando? Io non penso, non è il tipo che cresce. Voi che ne pensate? Beh, a presto e grazie!

Francy

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Capitolo 35
*** Punti di potere ***


Senza nome 1

-Cosa hai fatto?-. Tomoyo non ebbe nemmeno la forza di urlare tanta era la sorpresa, bensì parlò con un sospiro roco che mi faceva venire in mente la voce dei protagonisti dei film horror quando si ritrovano un’ascia conficcata nella nuca. Bizzarro.

Non risposi a quella domanda retorica, ma mi limitai a guardare verso il basso. I raggi del sole sferzavano i miei occhi attraverso un ciuffo di capelli che, colpito da quell’aurea lama, rimandava come un prisma la luce al mio sguardo come attraverso gli alberi di una foresta montana.

Fissai la sua espressione: tesa, sorpresa, ma sapevo che in fondo aveva sempre una risposta pronta. E infatti mi aspettavo proprio quella.

Il cemento sotto i nostri corpi inghiottiva tutti i raggi solari come un’onda impetuosa e corrosiva, il verde del retro della scuola sembrava vagamente inaridito a causa dell’asciutta afa che in quei giorni aveva colpito il centro del Giappone non risparmiando nemmeno Tomoeda. Gli alberi piangevano le loro foglie appena rinvigorite ma ora abbattute, cadute in un autunno anticipato, in una vecchiaia disarmante e lacerante.

Come me.

È incredibile come i pregiudizi non facilitino la vita, ma la complichino maggiormente: da tutti la primavera è considerata la stagione della rinascita, della resurrezione della natura e dell’animo umano (su una rivista avevo letto che anche i casi di depressione diminuiscono drasticamente da marzo a giugno; ero un’eccezione?), dello sprigionamento del chiarore, della luce. E invece? Invece qui da me le foglie cadono a maggio, in preda ad un secco vento violento, ad una rauca perdita d’acqua, ad una morte lenta, dorata e bollente.

Come me.

-Non capisco… Perché?-. La sua domanda mi lasciò stupita: come ho detto, ero pronta per una risposta, non per un quesito.

Comunque quella risposta me l’ero già preparata o, meglio, la sapevo a memoria per quante volte me l’ero ripetuta, sforzandomi di convincermi di essermi fidanzata con Shaoran per nient’altro che la mia vendetta, la sua illusione. NON ero caduta di nuovo nel suo tranello, ovvio. Altrimenti non so cos’avrei fatto.

-Perché voglio illuderlo, voglio fargli provare tutto l’inferno che ho vissuto io. Voglio vendicarmi.-, riassunsi in poche parole tutto il concetto senza con ciò sminuirlo, anzi.

Il vento fuggiva come un toro impazzito, caldo, secco, verso il suo fazzoletto di colore rosso sangue. Niente avrebbe potuto fermarlo, bruciante e ustionante com’era. Mi faceva male la testa e sentivo gli occhi inaridirsi come se dal mio corpo stesse evadendo tutta l’acqua che mi aveva accompagnata in ogni mio movimento. Correva via, scorreva, forse… delusa? Da cosa? Dal mio comportamento. Ho forse scavato nel mio petto? Sì, ho forse preso un coltello impugnandolo con veemenza e scavato nel mio petto? Mi sono forse messa in ginocchio bagnandomi le gambe col mio stesso sangue? Ho forse con disgusto e rassegnazione penetrato la carne fra le mie fragili costole per stringere il suo trofeo gocciolante e madido? Gli ho forse offerto il mio cuore con la mia mano, la mia stessa mano sanguinante, viscida e arrendevole? No. Non c’era nulla per cui essere delusi. Non lo ero io, non sarebbe dovuto esserlo nessuno. Nessun altro tranne me.

-Sakura…-, sospirò enigmaticamente, -io… Non pensi che lui possa capire tutt’altro? Va bene, io so che il tuo fine è quello, anche se non condivido, ma non importa. Insomma, io non accetto per principio la vendetta, perché credo sia inutile, ma ovviamente questa è la tua opinione.-.

Non mi venne nemmeno in mente di provvedere ad una nuova redazione del mio pensiero: ormai ero diventata completamente impermeabile alle opinioni altrui e ciò non mi permetteva di assorbire altre idee e nuovi concetti. Ero chiusa nel mio piccolo, sporco, protettivo mondo.

In ogni modo, avevo capito dove voleva arrivare (il dolore mi aveva donato perspicacia? Chissà) e risposi alla sua domanda intrinseca:

-Non succederà un’altra volta. Come credi che lo permetterei?-. Oh, le domande retoriche fanno sempre un certo effetto…

Fu lesta a rispondermi, ma ciò che disse non mi scalfì in alcun modo:

-Shaoran è furbo, non si lascerà guidare. Non l’ha mai fatto.-.

A me, a dire il vero, era sembrato che il suo obiettivo fosse proprio essere sopraffatto per poi avere la meglio, come sempre, come prima, come i fiori carnivori, che si fingevano immobili e si lasciavano calpestare per poi inghiottire nei loro soffocanti e delicati petali gli ingenui insetti.

Restai in silenzio, mentre sentivo la mia pelle seccarsi sempre di più e accapponarsi. La immaginai mentre si attorcigliava su sé stessa, lasciando scoperto il mio vero corpo, quello che tutti condividono e che ognuno crede particolare. Forse è così anche per la mente? Sì, forse eliminando quella spirale di dettagli e di dati personali siamo tutti uguali, vogliamo le stesse cose senza accorgercene, odiamo noi stessi, detestiamo il prossimo, ci smembriamo per donarci il nostro cuore l’un l’altro. Banale. E falso. Shaoran non si era mai graffiato la pelle con alcun coltello, non aveva mai martoriato il suo petto con tagli profondi per poi introdurre la mano fredda nel bollente regno regolato dalla natura, strappando il proprio cuore e offrendolo in ginocchio. Mai. E non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai provato quel dolore e quell’orgoglio, quel vuoto e quel dono, il denso liquido cupo che ne fuoriusciva e l’aura di bellezza che emanava.

-Ti ha detto che ti ama.-, constatò con aria pensante.

Mi strinsi fra le spalle alzandomi dal gradino e passeggiando lì accanto.

-Ora vado, il mio nuovo fidanzato mi starà aspettando.-, annunciai alzando un sopracciglio e con un sorriso sprezzante.

Tomoyo mi fissò. Conoscevo il significato di quello sguardo: Stai attenta.

La lasciai lì e mi avviai verso l’edificio con passo lento. Nonostante il mio comportamento mi sentivo completamente insicura. Il vento era ancora rovente e ogni volta che mi sfiorava infuocava la mia pelle come se mi stessi progressivamente avvicinando al gigantesco incendio di un bosco secco.

Mentre calpestavo l’erba gialla e fragile, sentii delle voci provenienti da dietro le cisterne dell’acqua.

-Mi dispiace, io…-. Una voce maschile, affranta.

Silenzio.

Il prato scricchiolava sotto i miei piedi.

-Forse è meglio così… Ma ricorda che l’unico che perde qui sei tu! Ora puoi anche andartene dalla tua Sakura, stronzo…-. E via una scarica di insulti e ingiurie.

Alla fine li avevo riconosciuti: erano Yamazaki e Chiharu. Bah, non aveva importanza, se non altro Chiharu non mi avrebbe più dato fastidio. Non che la differenza fosse poi così marcata…

Continuai a camminare lentamente, semicosciente sull’erba morta.

***

Non mi abbracciava, non mi accarezzava, non mi baciava e, soprattutto, non tentava di stuprarmi. Era impazzito.

Eravamo a casa mia; Touya stava facendo uno stage a Sapporo, mentre mio padre era ancora a lavoro e sarebbe tornato due o tre ore dopo. Conseguenza logica: eravamo soli.

Erano passati tredici giorni dal nostro fidanzamento, se così si poteva chiamare una situazione del genere. Non dubitavo poi tanto del mio self-control per un semplice e nuovo motivo: non mi attraeva minimente. Quei suoi capelli di mogano ora mi sembravano i più comuni del mondo, quegli occhi non avevano più un briciolo dell’enigmatica profondità che affibbiavo loro, quel viso lucente e angelico era diventato insipido e sbiadito, quel corpo atletico e particolare ora appariva come il più anonimo e vago.

Nei pochi giorni precedenti avevo finalmente compreso l’identità di quel mio attaccamento, semplicemente un cordone ombelicale fra lui e me fatto del mio inoppugnabile anelito di ritornare la persona di un tempo attraverso la sua illusione. Ero sicura che avrebbe funzionato, se non altro avrei collezionato una soddisfazione nient’affatto trascurabile.

Un modo davvero bizzarro e squallido di fidanzarsi, come aveva detto anche Yamazaki quando aveva scoperto tutto da Tomoyo. Da quando aveva lasciato Chiharu si era avvicinato molto a me e alla mia amica, a parte l’iniziale sconcerto nello scoprire il mio neofidanzamento con Shaoran. Anch’egli pensava che ci sarei ricascata e che avrei solo sofferto. Adoro l’amicizia…

Mi accorgevo di come guardava il mio fidanzato (come mi faceva ridere chiamarlo così!), delle minacce telefoniche che probabilmente gli propinava, ma io non facevo una piega: era tutto inutile, che l’avesse fatto o meno. Né Yamazaki, né Tomoyo, né nessun altro avrebbe potuto capire il mio disperato desiderio che si annidava in me come rabbia repressa e covava le sue infami uova.

Quando gli spiegai il mio concetto di vendetta mi disse una cosa che mi colpì, ma, ancora una volta, non mi intaccò: Tu pensi che queste uova, per così dire, possano schiudersi quando avrai illuso Shaoran per dare alla luce quella che eri. E se invece quest’invasione di uova distruttrici (era inutile, la sua vena fantascientifica non accennava a scomparire) portasse alla nascita di un’altra te, magari più vendicativa, falsa, malvagia o che so io? Non seppi come rispondergli, ma mi limitai a negare e a confermare la mia fiducia in quella vendetta. Probabilmente nemmeno lui gradiva troppo l’argomento. Gli amici sono di un ottimismo unico

In un attimo i miei pensieri diventarono differenti: in quello stesso luogo, su quel divano, davanti a quel televisore, due anni prima ero stata una ragazza felice, a cui bastava guardare il suo volto per stare bene con sé stessa. Fissai Shaoran fin quando non si voltò verso di me: non provavo nulla, rimanevo completamente indifferente. Non provavo né la letizia e la serenità di un tempo, né la confusione e la rabbia di qualche giorno prima; lo osservavo come un marito fa con una moglie, come un adulto fa con il suo cavallo a dondolo: inutile, un soprammobile. Ero già stanca di lui? No, non di lui, della mia vendetta? Stavo… stavo diventando proprio come Shaoran?

No, no, non era possibile! Non potevo! Avrei dovuto reagire, perché lui stava proprio attendendo un mio momento di debolezza, di disattenzione, di spossatezza. Non mi potevo permettere tutto ciò, nel modo più assoluto.

Così lo baciai appassionatamente risvegliando il disgusto che provavo per quelle labbra. Ah, quel sublime ribrezzo che sentito sulla mia lingua, quell’amarezza impietosa che mi avvolgeva in una spirale fredda e rabbiosa, secca e insapore come quel vento che portava ancora gli alberi in un luogo dove la vita era sepolta sotto ghiaccio e cemento, senza possibilità di fiorire.

Sentivo la sua soddisfazione nella constatazione dal vivo del mio cambiamento, percepivo il suo piacere dilagare senza argini attraverso le sue braccia soffocanti. Mi fece stendere sul divano sotto di lui; certo, una posizione simbolica, ma non mi stava bene comunque: mi divincolai senza allontanare le labbra dalle sue e mi sdraiai a pancia in giù su di lui.

Non sapevo perché l’avessi baciato e mi pentii di averlo fatto: non volevo che la situazione degenerasse, perché ciò avrebbe rappresentato la sua vittoria. In tal caso sarei letteralmente impazzita.

Tanto, peggio di così…

Tastavo il suo compiacimento nell’aria, nella sua bocca, sulla sua lingua. Dappertutto.

You love the way I look at you
While taking pleasure in the awful things you put me through
You take away if I give in
My life, my pride is broken

(“Points of authority”, Linkin Park)

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

Salve! Bene, ho spiegato un po’ di cose riguardanti il gesto di Sakura in questo capitolo, spero sia risultato tutto più chiaro.

Vorrei anche consigliarvi l’ascolto della canzone da cui è tratta la conclusione, dato che secondo me il testo si adatta perfettamente alla situazione.

Be’, passiamo subito ai ringraziamenti:

Sakura182blast: sono pienamente d’accordo! Io non ho mai vissuto un’esperienza come quella di Sakura, ma se mi accadesse impazzirei sul serio. Comunque, incredibile! Sto riuscendo a farti odiare Shaoran! Stupefacente! A presto e grazie!

Sakura bethovina: Yamazaki è completamente d’accordo con te! Certo, è una maniera squallida di fidanzarsi, ma se noti gli obiettivi di Sakura sicuramente è anche meglio di ciò che ci si aspettava (considerando che l’opzione peggiore sarebbe stato lo stupro di Shaoran…). Ciao, grazie per la recensione!

Faffy: a dire il vero ci ho pensato e sono arrivata ad una conclusione: la voglia di Sakura di ritornare quella di un tempo ha completamente eclissato Shaoran e tutto ciò che ha fatto; in pratica, lui è solo un tramite per il raggiungimento del suo obiettivo e ciò mette dunque in secondo piano anche il dolore e la delusione provati a causa sua. Grazie per la recensione piccola Ketty (ooooh, piccolo Plinio! NdNereide)… Sì… Ignoriamo… Ciao ciao!

Ichigo_91: non ti preoccupare assolutamente per il ritardo, non c’è problema! Grazie per i complimenti, spero di non deluderti, davvero! In effetti la situazione è un po’ problematica, ma si risolverà al più presto. Ciao e grazie ancora per la recensione!

Bene, allora vi saluto e vi ringrazio ancora per il vostro sostegno. Ciao ciao, alla prossima!

Francy

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Capitolo 36
*** Amante ***


“Amanti. Amanti fin quando la luna non cadrà, fin quando la pioggia non brucerà le nostre ossa, fin quando la terra non trasformerà le nostre gambe in radici, le nostre braccia in fruttuosi rami, i nostri sessi in timida acqua. Ma tutto ciò è già avvenuto, già avvenuto…”

Avevo letto quelle parole in un libro di testo che usavamo a scuola o, meglio, la persona che me l’aveva venduto l’aveva scritto sul frontespizio, sotto la sua firma: Rein Hikari. Quante volte avevo desiderato parlarle? O parlargli, dato che il suo nome non esprimeva il suo sesso. Luce di pioggia… Che nome poetico. Anche il mio lo era stato, tanto tempo prima, in un periodo più lontano di quello delle fiabe principesche, più antico della polvere che ricopriva i miei sentimenti. Forse leggendario, forse mai esistito. Fiore di ciliegio, delicato, sonnolento…

Non mi toccava prima che lo facessi io, era testardamente e misteriosamente ostinato a non fare la prima mossa, il che mi faceva preoccupare e imbestialire. Devo essere sincera: temevo di spingermi troppo avanti, di entrare in una terra da me sconosciuta, ma che lui aveva imparato a gestire tempo prima. Temevo che mi intrappolasse dentro di lui, temevo…

Il televisore esalò una melodia delicata, tenue, soffice, plasmata dal cielo, fatta di piume e petali bianchi. Volevo piangere. Sembrava uno di quei soavi motivi che avevo ascoltato durante le mie rare visite alla pagoda di Tomoeda, oppure quella volta che andai in gita con la mia classe in un giardino zen. Mi aveva così affascinato, con il suo ordine, la polvere acquosa che volava fra le nuvole rotanti… Solo il pensiero mi faceva sentire quasi calma… apparentemente. Perché? Beh, quella giustizia, quel calcolo enigmatico, quella prevedibilità mi faceva pensare a me stessa, al mio fantomatico cambiamento. Prima regolavo il mio mondo solo con un sorriso, con lo scuotere dei miei corti capelli castani, con uno sguardo brillante ed erboso, indossando il mio fermaglio preferito, quello rosso a forma di margherita, quando mio nonno mi veniva a trovare, quel nonno che avevo mandato al diavolo per una felicità e una liberazione che mi prometteva ma che poi venivano inghiottite dalle mie espressioni buie, cupe, rigate dal dolore, dalla rabbia, dai denti stretti, dagli occhi bassi e chiusi, dalla mia stessa volontà.

Perché pensavo che la colpa fosse delle sue promesse, quando ora era così chiaro che in realtà ero stata io a non voler crescere, a voler essere compatita, illusa? Ciò che odiavo così tanto, la commiserazione, in verità era il mio più intrinseco obiettivo… No, non poteva essere, stavo ragionando troppo velocemente. Dovevo riflettere, riflettere… Ma man mano che cercavo di ritornare indietro un’onda di consapevolezza mi spingeva sempre più in là, in alto mare. Ma volevo la spiaggia! Volevo arenarmi, volevo morire lì, salva, ingoiare la sabbia, soffocare nella mia sofferenza. Eppure non potevo...

Queste parole confuse vagavano nella mia mente, mentre il bacio continuava senza sosta, senza che io me ne accorgessi, senza che Shaoran facesse nulla. Ma fu l’ultima frase a risvegliare la mia attenzione a farmi vergognare: come potevo voler mollare tutto ora che lui era lì, sotto di me, ora che potevo vendicarmi, ora che la mia vita si sarebbe riaperta dinnanzi a me, ora che… Perché volevo volare via? Perché rinunciare a ciò che da anni attendevo? Perché lasciare andare il colpevole, aprire le porte della cella e dirgli di andarsene via, di fuggire semplicemente dal mondo? Non potevo assolutamente permettermelo, non potevo deludermi, no…

Ancora quella strana ed inaspettata voglia di piangere. Certo, mio fratello aveva avuto ragione: le lacrime dimostrano solo la forza e la volontà di essere diversa dagli altri, ma non potevo mostrare nulla di me stessa in sua presenza, non potevo scoprirmi ai suoi occhi, perché lui mi avrebbe fatto del male, lui…

Non riuscivo più a ragionare e, ve l’assicuro, non era la stessa sensazione di qualche anno prima, quando Shaoran mi baciava e io venivo letteralmente scombussolata dal suo amore che a quei tempi era tutto per me. No. Era completamente diverso. Io… stavo impazzendo. Ero paranoica, cattiva, meschina, infedele. Ero infelice. Ero cambiata ancora. Sentivo una voragine nel petto, la stessa che avevo aperto con la mie unghie, le mie dita, le mie fragili mani per donargli il mio cuore, ma ora si stava dolorosamente dilatando, mi toglieva il respiro…

Sto per morire, sto per morire, sto per morire…

Se era proprio quello che stava accadendo, beh, ero lieta che il momento fosse arrivato in quel momento. Non ero mai stata così confusa, non mi ero mai estraniata dalla realtà così profondamente. Percepivo una nausea dilaniante, distruttiva, caotica… Mi sentivo ripiena di materiale estraneo, di organi animali, di qualcosa che non mi appartenesse veramente. Volevo piangere, ma temevo che per ogni sforzo che facessi la voragine, la nausea e la confusione mi avrebbero divorata violentemente, con una brama mostruosa ed una stuprante frenesia.

Le mie labbra probabilmente erano ferme, immobili, gelide. Non le sentivo più, percepivo solo i miei pensieri, penosi e rivelatori, turpi e veritieri, spaventosi e liberatori.

Non potevo ascoltarmi, non potevo udirmi rinunciare a tutto per un’amenità del genere, sputare sulla mia dignità, calpestare il mio orgoglio, spiegare le vele e andare via, non tornare mai più a riprendermi ciò che mi meritavo. Io ero stata ingannata, io avevo subito ingiustizie su ingiustizie, io avevo vissuto l’alba e il tramonto, io ero degna di pace, io io io io io io io IO. Lui non era nessuno, non poteva rovinarmi la vita, non poteva fuggire senza pena, non poteva strapparmi con forza il cuore, poggiare le mani sul mio seno e squarciare, lacerare la carne che lo divideva da me stessa, frugare senza grazia né rispetto fra le mie gelide ossa ormai ridotte in briciole. Non ne aveva il diritto, semplicemente perché LUI NON ERA NESSUNO.

-Stupida.-, mi sentii dire. Allora non lo stavo più baciando?

Solo in quel momento mi accorsi di essere stesa sul divano a pancia in giù, mentre lui si era seduto sul tavolino di fronte a me.

Ripensai alla mia riflessione di prima e mi sconvolsi.

Egoista.

Ma in fondo è stata colpa sua.

Schifosa egoista, sono diventata come lui.

Perché non urlo? Perché mi nascondo ancora?

Ero diventata come lui…

Odiosa come lui.

Irrispettosa come lui.

Autodistruttiva… no.

Dolorante… no.

Parzialmente come lui.

-Sono diventata come te.-, biascicai.

Non aprirti alla sua volontà, non scoprirti il collo di fronte ai suoi fiammeggianti dardi.

Mi sentivo bagnata, sudata dappertutto, nonostante l’atmosfera secca e arida che aleggiava da due settimane non avrebbe dovuto permetterlo. Volevo piangere.

-Non ti illudere, non sarai mai come me…-, scherzò.

Quanta vergogna mi ha fatto provare, quanti pregiudizi, quanti rifiuti…

Illudere. Illudere. Illudere…

Continua a scherzare pur avendomi distrutta.

Voglio vivere.

Quello che sono diventata… è tutta colpa sua.

Lo sono sempre stata.

Bugie.

Tutti conoscono l’odio, prima o poi.

Bugie, bugie, bugie!

Sarebbe accaduto comunque. Sarei cambiata, ad ogni modo.

BUGIE, BUGIE! TUTTE FOTTUTISSIME BUGIE!

Che devo fare?

Che devo fare? Eh? Lui lo sa? Lui che si crede chiunque, ma che in realtà non è nessuno…

Tutti sono qualcuno.

Banale e sbagliato.

Non posso certo giudicare io.

È lui che non può giudicare! Lui dev’essere condannato!

Anch’io ho peccato.

Continuava così il mio dialogo, anzi, la mia discussione interiore fra la spietata passione e la giusta ragione, nel bianco più totale, senza che un colore emergesse da quella massa pallida che era la mia mente.

Devo cacciarlo.

Devo ragionare.

-Pensavi davvero che fossi così poco furbo?-.

Lo devo odiare.

Perché?

Non lo odio?

Certo, ma non posso rovinarmi per lui.

Non sto rovinando me, sto ricambiando la “cortesia” subita.

La retorica non serve.

-Ti sei messa tu in questa situazione. Almeno questa volta credo che non sia colpa mia…-.

Gli sto offrendo me stessa su un piatto d’argento.

Forse ha ragione, sono stata io a…

MI STA PRENDENDO IN GIRO! GLI STO CREDENDO!

Mi sembra tutto così sensato.

-Ho pensato cose orrende su di te in Cina, sai? Beh, sì. Eccitanti, ma pur sempre orrende. Il fatto che ti rispetti non significa che ti ami.-.

Mi ha mentito un’altra volta… Tredici giorni fa asseriva di amarmi.

Ci ho creduto solo perché facilitava la mia vendetta.

Dice che mi rispetta. Come osa fingere così spudoratamente?

Ora ho capito: ha lasciato che mi soddisfacessi, che nutrissi la mia vendetta. Per questo non ha mai fatto la prima mossa.

Impossibile, non è nemmeno capace di comprendere e domare sé stesso, figuriamoci gli altri… figuriamoci me.

-La cosa più sconvolgente è che ho capito tutto da solo, dato che Tomoyo non osava interferire per non combinare altri casini.-.

Silenzio. Finalmente ripresi il controllo di me stessa e delle voci che mi vorticavano in testa, sia quelle immaginarie che quelle reali. O forse… Sì, erano tutte vere, tutte coesistevano ed esistevano, facevano parte di me e l’avrebbero fatto finché non avessi trovato una soluzione.

Le uniche voci che ora percepivo erano quelle provenienti dal televisore, che spensi lentamente afferrando il telecomando che era finito sul tappeto. Osservai la lucina rossa ancora accesa sotto lo schermo di quella scatole piena di vite e priva di anima finché sentii dolore alla testa e chiusi gli occhi.

Che pace…

-Io non ti amo. Non mi piaci. Non sono attaccata a te in nessun modo.-.

Quelle parole toccarono le mie labbra prima di sfiorare il mio pensiero.

-Lo so, l’ho notato da come mi baciavi. Ma non ti sei allenata per niente in questi due anni? Baci peggio della prima volta…-, alzò gli occhi al cielo.

Non lo ascoltai nemmeno, ma pensai a ciò che avevo appena detto. Non mi piaceva… Non ero più legata a lui, né per odio, né per amore. Forse lui non se n’era accorto, ma in quel momento dalle mie labbra era sgorgata la più profonda e solitaria verità ragionata. Ciò non significava che il mio odio fosse stato falso, supposto, idealizzato, no: esso, come la mia sete di vendetta, era stato sincero, ma impensato, irrazionale, istintivo, innaturale, amorale. Nulla a che vedere, insomma, con quel risultato consapevole, seguito a tanta confusione e tanta perdita. Non una verità più vera, ma più lieta.

-Non tornerò mai più quella di prima, vero?-. Non avrei mai posto una domanda del genere a Shaoran, innanzi tutto perché non l’avrebbe capita e poi perché era alquanto imbarazzante, perché rivelava la vera natura della mia vendetta, di cui sinceramente non avrei voluto più parlare, almeno in quel momento.

-Non credo proprio, però probabilmente sarai più sveglia di prima. Mi sembra un aspetto positivo, no?-.

Stava scherzando, ma presi comunque sul serio la sua affermazione. Tristemente.

Ero stanca, stanca del dolore provato, della sua presenza lì, dello sforzo fatto per dimenticare la vendetta, ma sicuramente non della soddisfazione emersa dall’insipido bianco per aver combattuto una parte di me, la più forte, la più ostinata, la più estremista, la più fanatica, la più sbagliata, forse. L’avrei scoperto presto, almeno supponevo.

-Va’ via.-, affermai, non con odio, ma gentilmente… relativamente. Non l’avevo perdonato, ma non avevo nemmeno più la forza di odiarlo.

Salutò senza discutere e andò via, mentre la lucina rossa ancora mi fissava, lucida e tremolante.

Non mi chiese se fossimo ancora fidanzati. Ebbe così buon senso da non chiedermelo. O fu così perspicace da intuirlo. O entrambi.

Mi addormentai sul divano, ripensando a quella frase:

“Amanti. Amanti fin quando la luna non cadrà, fin quando la pioggia non brucerà le nostre ossa, fin quando la terra non trasformerà le nostre gambe in radici, le nostre braccia in fruttuosi rami, i nostri sessi in timida acqua. Ma tutto ciò è già avvenuto, già avvenuto…”

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

Salve a tutti! Un capitolo un po’ confuso, vero? Sakura ha proprio toccato il culmine dell’odio e, quando si arriva in cima, si deve pur scendere ad un certo punto. Vorrei precisare che il bacio di Sakura è dettato dalla mancanza di disgusto, ad un certo punto, alla presenza di Shaoran. Forse è un primo barlume di ragione? Chissà. Quindi lo bacia per risvegliare la sua voglia di vendetta, solamente per quello.

Passo ai ringraziamenti:

Sakura182blast: ciao! Anch’io sono d’accordo con te riguardo al fatto che Yamazaki e Chiharu si siano lasciati. Beh, anche lei era diventata troppo gelosa e paranoica… Inoltre, penso che Shaoran sia cresciuto un po’ di più (non dico tanto…) e che abbia imparato almeno un briciolo di rispetto dalla vicenda di Tomoyo, nonostante non l’abbia capita appieno. Dimmi cosa pensi di questo capitolo; ciao ciao e grazie mille!

Sakura93thebest: certo che mi ricordo di te! Comunque sì, anch’io ho visto quel film, ma ovviamente non posso commentare. Cosa pensi della reazione di Sakura? Fammi sapere, ciao ciao e grazie!

Ichigo_91: ciao, grazie mille per i complimenti, innanzi tutto! Non preoccuparti assolutamente per il ritardo. Spero che il capitolo ti sia piaciuto, grazie mille ancora, ciao!

Sakura bethovina: so che mi vorrai uccidere, ma, ehm… Lasciamo stare! Cosa ne pensi? Comunque Shaoran qui mi dice che si sente un po’ solo… sai, non fa nulla da due ore, gli manca tanto! Allora te lo mando! Divertitevi! Ehm, a parte questo, grazie per la recensione, ciao!

 

Bene, finito! A presto e grazie ancora per le letture e le recensioni, ciao!

Francy

 

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Capitolo 37
*** Verità ***


Senza nome 1

Era come essere in televisione. Guarda la telecamera, mi dicevano, guardala. E io la fissavo. Continuavo a fissarla. Imperterrita. Costretta. All’inizio della mia carriera amavo quel macchinario, mi faceva sentire felice, desiderata. Poi diventai una vecchia diva nel noir, impressa nelle menti di migliaia di polverosi professori di filosofia e casalinghe cartonate. Non ero contenta. Volevo ancora le telecamere, il successo che speravo, il pubblico che anelava il mio bianco collo, a volte distorto da un guizzo di sangue finto, a volte obnubilato dal fumo delle mie sigarette cancerogene. Ma in realtà ero costretta a recitare, una coercizione che inizialmente mi provocava piacere, ma che a lungo andare è diventato un peso poderoso, insostenibile come l’ilarità di un bambino durante un funerale o un sospiro sbuffante in una spiaggia soleggiata. Disarmonia, disordine. Pace. Ottenni pace solo quando mi accorsi del suono disturbato della mia voce sulle pellicole, degli sguardi in tralice, delle vene incoerentemente distribuite sulle mie lunghe gambe in bianco e nero, dei miei piedi stanchi, riesumati solo per novanta minuti di mistero. Ma ora mi sono ritirata. Addio, telecamere carnivore, divoratrici di sogni e dispensatrici di magiche e devianti visioni. Come un’edera mi sono arrampicata sulla vostra struttura stilizzata, sul tuo corpo anonimo, Shaoran, ma ora ho bisogno di crescere rigogliosa fra un mare di azzurro e nero. Voglio avere solo il cielo accanto a me, voglio volatili velati, violanti gentilmente i miei rami ricchi e imperturbabili per creare il loro nido rigeneratore di specie. Mi basta solo demolire il tuo corpo, il muro che invece di proteggermi mi schiaccia e mi fa crescere storta, storpia, sregolata. Desidero abbatterlo con i miei rami e con quelli dei miei vicini, di cui spesso ho sentito il soave soffiare del vento fra le foglie di rugiada, ma che non ho mai ammirato nel loro fragoroso splendore.

Telecamere… Quella parole mi fece tornare in mente le giornate trascorse con Tomoyo che mi riprendeva mentre catturavo qualche  nuova carta o quando le trasformavo in carte di Sakura. Le mie carte… Saranno già morte, soffocate dal mio odio, depredate dalla mia furia, estirpate dalle mie unghie appuntite e audaci. Sapevo già la verità, quindi non osai nemmeno andare a controllare e spalancare quel libro, impolverato e risucchiato dagli insetti, depositato sotto il letto. Non ne avevo la forza: avevo superato una giornata troppo liberamente stancante e faticosamente incantevole per darmi alle malinconiche esplorazioni.

Avevo imparato a dimenticare e, devo dire, ci ero riuscita alla perfezione. Non vedevo Kero-chan da quando l’avevo mandato al diavolo (pure lui… In quei due anni avevo completamente disgregato le mie certezze) e giustamente il peluche si era recato in Inghilterra con Eriol. Avrei dovuto chiamarlo, assicurargli che stessi bene, invitarlo di nuovo a vivere con me e a complicare allegramente la mia quotidianità. Ci riflettei su a lungo e arrivai ad una ragionevole conclusione: non gli sarebbe piaciuto il mio nuovo e, chissà?, definitivo carattere, la mia freddezza, la mia insensibilità alle reazioni, il mio disinteresse negli altri, il mio egoismo. Avrebbe finito per rimproverarmi per ogni minimo accenno di indisposizione, avremmo litigato e probabilmente l’avrei gettato nel water, certo, non prima che lui mi avesse ficcato la sua codina nell’occhio svuotandomi un’orbita. Cattiva idea. Decisamente una pessima idea.

Una frase mi balenò improvvisamente in mente, come se non l’avessi mai pensata, ma di cui in realtà conoscevo alla perfezione l’esistenza: ero come lui. La mia vista annebbiata da tale certezza indicò al mio corpo la sedia, su cui prontamente mi poggiai.

La mia testa, le mie braccia, le mie gambe, le mie labbra, i miei occhi… Tutto sapeva di lui, di ciò che tanto avevo odiato, ma per cui ora non trovavo nemmeno la forza di provare risentimento. I miei pensieri, per caso, tanto tempo fa, erano stati anche i suoi? Forse, il suo carattere sfuggentemente troppo chiaro e prevedibile era la conseguenza di un grande dolore? Ancora, il suo comportamento dissoluto e lezioso rappresentava la strada che avrei percorso per il resto della mia vita? Potevo ragionarci su.

Lo feci.

Capii.

Beh, in verità nel tempo trascorso insieme mi ero resa conto che la sua indole non ammetteva picchi di dolcezza. Anzi, avevo notato che usava quest’”arma” quando non sapeva che dire, come reagire o come rispondere ad una domanda o… o ai miei frequenti Ti amo. Tipico, avrei dovuto accorgermene. No, i rimorsi non mi erano mai piaciuti. Ad ogni modo, io sapevo di poter essere non dolce, ma almeno meno distaccata e friabile. Avrei potuto essere migliore, forse. Un giorno. Sarei cambiata, senza rendermene conto, senza che continue emorragie mentali mi occludessero gli organi recettivi,privandomi di ogni capacità di pensiero e ragionamento. Al solo immaginare ciò rabbrividii: non avrei mai più voluto smarrire la ragione, l’unica mia risorsa in quel momento, l’unico strumento che sapessi suonare, l’unico pennello che non mi avrebbe mai più sporcato i candidi abiti di vittima e colpevole. Perché io ero colpevole. Di cosa? Di autodistruzione e, forse, futura autocombustione: il mio fine e ponderoso anelito di vendetta aveva prosciugato le mie limpide fonti, fulcro di essenza vitale per i campi coltivati sul mio corpo, non più in fiore, non più sacri. Inutili messi inaridite. Eliminate, sfrattate dalla salvezza tanto agognata, agonizzante.

Ma vi ero uscita, giusto? Era tutto finito. Non sentivo più dentro di me quel desiderio infame ed infimo, non percepivo più il bisogno di fare del male a chi non ne avrebbe subito. Avevo persino creduto che Shaoran mi amasse davvero, solo perché ciò assecondava i miei desideri. Egoista, superficiale…

Perché avrei dovuto fargli del male? Fare del male? In fondo non sarei giunta ad alcuna conclusione: Shaoran non avrebbe sofferto come io volevo, io non avrei succhiato soddisfazione dalla sua fallace e fantasticata disperazione. Se avessi continuato… Oh, come mi sarei distrutta, come sarei caduta in basso, in quello stretto e profondissimo pozzo dove precipitano gli impuri, i dispensatori di pianto e tormento. In che confuso e nostalgico torpore sarei vissuta, in che claustrofobico e asfissiante crepitio di fuochi sarei rovinata, ansante, imprigionata fra le fiamme maledette e ignobili di un luogo che tutti i religiosi, dediti a qualsiasi dio, temono: l’inferno.

Forse mi stavo intestardendo troppo con argomenti del genere e probabilmente se avessi continuato non avrei fatto altro che tentarmi con un’infruttuosa e infeconda vendetta, senza seme e senza fine.

Così posai la penna che stringevo fra le dita e fissai la lavagna, su cui era stata scritta con caratteri grossolani una frase di un autore inglese che avevamo studiato due anni prima, ma che ora stavamo ripetendo per revisionare il programma:

Vi Veri Veniversum Vivus Vici.

In realtà quello non era inglese, nonostante questa citazione, come era precisato sotto in corsivo, fosse tratta dal “Doctor Faustus” di Christopher Marlowe. A me sembrava spagnolo, o forse tedesco… Comunque sia, appena sotto quella scritta di gesso se ne presentava un’altra, ma in maiuscolo, probabilmente la traduzione. Recitava così:

Con la forza della verità, vivendo, ho vinto l'universo.

Quanto vigore, quanta speranza in quella frase! Per sbaglio spostai rumorosamente il banco, tanta era l’esaltazione.

La forza della verità… Io la possedevo. Possedevo quell’autenticità incontaminata che tanto veneravo… o forse no? Nessuna menzogna mi deturpava più, ma forse l’opacità del colore emerso da un neutro bianco ne mostrava l’incompletezza, il parziale vuoto rispetto alle mie aspettative. Io avrei dovuto seriamente sapere la veridicità di ciò che mi riguardava e così, improvvisamente, mi sovvenero le domande da porre e la persona a cui sottoporle.

Attesi con mordace e impetuosa ansia l’ora di pranzo, ricopiando righi su righi quella stessa magica frase che aveva infiammato così causticamente il mio animo, forse per tema di dimenticarla, nonostante riconoscessi benissimo che ciò era estremamente improbabile. Continuai però a muovere velocemente la penna, mentre la mano mi doleva sempre di più e le parole del professore mi arrivavano sconnesse al cervello. Non mi interessava in che contesto questo fantomatico Marlowe avesse inserito un tanto significativo verso, da quale autore latino (ah, forse quella lingua era proprio latino… Chissà dove si parla...) fosse ispirata, a quale eroe greco facesse riferimento, di quale recondito e lontano significato fosse portatore: quella frase, in quel momento, era stata scritta per me. Non lo pensai per egoismo, ma perché avevo trovato qualcosa, qualcuno che mi comprendesse, ma non solo, che mi spingesse e spronasse a migliorare. Nessun buon consiglio ci sarebbe mai riuscito, ne ero certa; nessun saggio, nessun filosofo. Solo quella frase.

L’ora di chimica passò repentinamente (in realtà non mi ero nemmeno accorta dell’ingresso della professoressa) e, dopo quelli che a me sembrarono cinque minuti, suonò la campana del pranzo.

Mi alzai frettolosamente facendo strofinare la sedia sul pavimento con un fischio aspro e metallico e mi diressi verso Shaoran, che stava già avviandosi verso la porta.

-Shaoran.-, lo chiamai senza alzare troppo la voce, -Andiamo fuori, ti devo fare delle domande.-.

Non fece una piega e continuò a camminare, ma capii che aveva sentito e lo seguii. Mi impressionai per l’assenza di quell’obbligo. Della mia turpe ricerca di soddisfazione. Non ne sentii l’oppressiva mancanza.

Mentre muovevo passi lunghi e decisi lungo il corridoio, percepii un lieve tocco in corrispondenza del gomito. Mi voltai e vidi il volto preoccupato di Yamazaki. Immaginavo perfettamente cosa stesse pensando. Stai attenta, Shaoran può fare di tutto. Sai, non credo che abbia un cervello, ma molta, troppa forza di volontà. Oppure: Non farti prendere in giro. Insomma, non voglio essere costretto a mandarti a quel paese un’altra volta, non sono esattamente il tipo.

Sorrisi, più per le mie elucubrazioni che per rassicurarlo, ed esclamai:

-Le uova si sono schiuse. Non so cosa ne sia uscito, sinceramente.-.

-Vuoi dire che sei incinta?-, chiese all’improvviso una voce irrisoria alle mie spalle. Evidentemente Shaoran si era voltato e aveva ascoltato il mio messaggio in codice. Lo ignorammo.

-Allora spero di non trovare un pulcino violentato quando torni.-, esclamò Yamazaki con sguardo truce alle mie spalle.

-Se è per questo non ti preoccupare. In caso mi accada qualcosa, griderò come una gallina.-.

Scuotendo la testa alla mia battuta davvero squallida, mi voltò le spalle e io mi girai verso Shaoran, intenta a seguirlo.

Ben presto arrivammo nel parcheggio del cortile, in cui di solito non c’era mai nessuno, a parte gli spacciatori della scuola, che però erano molto discreti, presumibilmente.

Mi sedetti semplicemente a terra mentre Shaoran si poggiò al cofano di un’auto. Mi inoltrai nell’argomento, senza premesse.

-Cosa avevi intenzione di fare quando ci siamo fidanzati, tre anni e mezzo fa?-. Tutto d’un fiato, tutto d’un sorso. Come una pillola amara che provoca sollievo a lungo andare, ma che causa malessere all’istante.

Si accarezzò i capelli, gesto da divo del cinema o da ragazzo popolare, amato da tutti e conosciuto da nessuno. Provai disgusto per quella posa zuccherosa, quella chioma fulvo scuro, quei fugaci sguardi di sfida, quell’orgoglio che sapeva cadere solo per merito di una bella ragazza senza intaccarne la dignità e la popolarità, quell’atteggiamento che attirava gli occhi truccati di ingenue e sensuali quattordicenni, faceva alzare le gonne a immature e illuse quindicenni, donava ogni umano piacere a bruciate e civettuole sedicenni, sporcava le vite di amare ed innamorate diciassettenni, sprecava false parole d’amore con perse e monotone diciottenni, trascinava nella vergogna, nel pregiudizio, nella paura e marchiava a fuoco tutte le ragazze che avevano visitato almeno una volta le sue labbra ed eventualmente il suo letto. Come me. Per questo evitai di guardarlo, dato che sentii il mio odio acuirsi ancora, bollire, non come prima, non altrettanto selvaggiamente, ma con matrice comunque cocente.

-E basta con questi discorsi…-, sbuffò.

Lo fissai torva e sibilai fra i denti:

-Dovresti ringraziarmi per averti ancora lasciato la possibilità di pronunciare più di qualche mugolio sconnesso, con tutti i denti che ti avrei staccato con una pinza incandescente e un trapano…-.

-Ok, ok, ho capito. Sono una persona fortunata.-.

Annuii. A dire il vero avevo pronunciato quelle minacce più per il gusto di fargli capire fino a che punto mi avesse macchiata e marchiata. Forse era da considerare una vendetta anche quella? Poteva darsi, ma questa non mi pesava affatto, anzi, mi divertiva.

Dopo un sospiro cominciò a parlare:

-Come sai, volevo accontentare Tomoyo, così ho finto una smielatissima dichiarazione d’amore che non avrei immaginato nemmeno nei miei incubi peggiori. In realtà lo feci anche perché così pensavo che sarei riuscito a…-, e fece un gesto molto eloquente con le dita, -con te. Beh, eri carina. Ora meno, ma prima eri davvero bella. Poi contando il fatto che eri ingenua… Insomma, mi eccitava parecchio…-.

Un mio sopracciglio alzato gli fece cambiare subito argomento.

-Dopo un anno e mezzo mi ero leggermente  stancato di fare lo sdolcinato; inoltre, volevo quello per cui mi ero fidanzato con te. Certo, ti tradivo anche più volte al giorno-, non fui sconvolta da quest’affermazione, l’avevo immaginato, ma dalla soddisfazione e dal compiacimento di sé stesso con cui l’aveva ammesso, -… quindi cominciai a sedurti. Se non fosse stato per quella maledetta cassetta a quest’ora ti avrei già avuta… Ah, peccato. Sei una delle poche che mi sono mancate. Beh, questo è tutto.-, terminò asciutto, dopo uno sguardo sognante (probabilmente una fantasia erotica).

Non avevo scoperto nulla di nuovo sul piano dei fatti in sé per sé, ma ciò che mi sembrava così nuovo, diverso era il tono, l’atteggiamento che teneva nel confessare i suoi “peccati” come ad un prete: schietto, diretto, crudo, secco, insignificante. Quella era la storie di decine di ragazze. Io ero decine di ragazze.

L’anonimato che io detenevo per lui non mi paralizzò per l’odio, come mi sarei aspettata: mi lasciò intonsa. Indifferente. Abulica.

Ciononostante, non mi fece soffrire, perché ormai riuscivo a ragionare come lui, non a giustificarlo, ma a decifrarlo. Fu proprio questo a inquietarmi, così decisi di lasciare subito quel luogo, avendo ottenuto ciò di cui avevo bisogno: la verità.

A quel punto arrivava il momento più complicato, rovente, appuntito: vivere. Come avrei potuto farlo?

Il vento fischiava parole temibili nelle mie orecchie, l’erba sprigionava odori primordiali, l’atavico cielo da miliardi di anni era costretto da mani d’acciaio a fissare il suolo e io non sapevo più (se mai l’avessi saputo) comportarmi da ciò che ero: un essere vivente.

 

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Salve! Bene, come per Sakura questo capitolo ha rappresentatp l’ora della verità, così sarà anche per voi: vi spiegherò per bene i motivi della mia scelta, del mio capitolo precedente, insomma.

Premetto che le critiche e le sollecitazioni sono sempre ben accette, non voglio mettere in dubbio i vostri pareri, semplicemente perché sono i vostri e io li rispetto. Desidero solo rendere più chiaro il comportamento di Sakura e quello di Shaoran, perché forse non l’ho espresso al meglio, me ne rendo benissimo conto. Cominciamo da Shaoran: questo personaggio, come si può notare, è uno dei più meschini, falsi e ipocriti mai esistiti. Sotto la maschera della persona sfacciata che fa credere agli altri di essere sempre sincera e di non avere peli sulla lingua c’è un ragazzo che gode nel mentire, nel sentirsi superiore perché è l’unico a conoscere la verità. Ciò lo esalta come non mai, lo soddisfa profondamente: non avrebbe mai confessato la realtà a Sakura in nessun caso, se non fosse stato costretto (probabilmente le minacce telefoniche di Yamazaki non si sono rilevate poi così inutili). Ha mentito anche a Tomoyo, dicendole che negli ultimi tempi aveva sedotto Sakura solo per allontanarla da lui, invece il suo vero obiettivo era farla sua. A proposito di Tomoyo, la sua reazione alla scoperta dello stupro della ragazza è stata una delle più false, usata solo per ingraziarsi la mora e farle capire di essere una persona sensibile per guadagnarsi il suo aiuto nel conquistare (e portarsi a letto) Sakura; pensate che Tomoyo se lo sia lasciato scappare? Certo che no, però quella ragazza sa sacrificare sé stessa per il bene di Sakura (se avesse cominciato a polemizzare contro Shaoran la castana se ne sarebbe accorta e avrebbe fatto una strage, tanto era in enorme tensione). Il ruolo del ragazzo nella storia non è atto solamente al creare un conflitto fra l’”ingenua” e lo “spaccone”. Shaoran è più di uno spaccone, è un futuro distruttore di certezze, comprese le sue, se ne possiede lontanamente. Cionostante, io rispetto il suo carattere, fin quando non nuoce a nessuno, ovviamente, e credo che Sakura non avrebbe mai potuto cambiarlo. Non so se sia una visione realistica o pessimistica, o forse entrambe, dato che la verità è spesso negativa. Comunque, il suo atteggiamento è davvero riprovevole.

Passando a Sakura, la situazione si complica. Io personalmente la giustifico per ciò che ha fatto, per tutto: chi non avrebbe odiato una persona del genere? Chi avrebbe provato amore o anche solo affetto per Shaoran? Solo un masochista, suppongo. La sua sete di vendetta è sicuramente motivata, secondo me, anzi. Non si può perdonare un torto del genere solo perché la persona che l’ha commesso è estremamente affascinante. Io parlo da persona orgogliosa quale sono, ma penso che voi non fareste diversamente. C’è da dire, però, che sia l’odio che l’amore comportano una fatica e una concentrazione incomparabili, oppressive e la castana non è riuscita a sopportarle, essendo già in un baratro. Io penso che non si debba provare pietà per una coppia che non avrebbe mai funzionato: certo, gli opposti si attraggono (o, per dirla alla Celentano, “Due caratteri diversi prendon fuoco facilmente”), ma non quando gli interessi sono così differenti. L’unica che merita pietà fra i due è Sakura, che ha sempre sacrificato le sue forze per quel maledetto ragazzo. Per esprimerla con le sue parole, lei è l’unica che si è detratta il cuore dal petto per lui e che ha sopportato il dolore di una voragine invisibile. Nessun altro. Inoltre, lei più di qualunque altro ha vissuto in una confusione dettata non tanto dalla sofferenza della perdita dell’amore, ma della convinzione della sua stupidità e ingenuità. Si vergogna di sé stessa e la maniera migliore per vincere questo sentimento è odiare, cercare una vendetta che non avrà nessuno scopo, ma che la condurrà alla ragione, che i sentimenti spesso sovrastano. Personalmente non credo che questi ultimi debbano essere bollati come istintivi e, quindi, eliminati: al contrario, ragione e istinto devono convivere e prendere il sopravvento l’una sull’altro in occasioni prestabilite. La mancata attrazione che la ragazza prova per Shaoran potrebbe anche essere influenzata dal giudizio che ha nei confronti del suo carattere o forse è semplicemente cambiata. Infine, Sakura ammette di essere diventata come l’essere che più ha odiato e in effetti è così, almeno in parte. Vi renderete conto fra poco che proprio questa situazione la porterà via da questa situazione di stallo. Forse riuscirà a vivere e a vincere l’universo, chissà.

Bene, questo è tutto. Spero che abbiate letto, perché per me è davvero importante.

In questi righi ho risposto alle vostre recensioni, quindi mi limiterò a ringraziarvi semplicemente. Grazie mille per le recensioni a:

Sakura bethovina

Ichigo_91

Sakura93thebest

Vumeter313

Sakura182blast

Faffy

Ancora grazie per le recensioni lunghe, le adoro!

Bene, a presto, spero che vi sia piaciuto questo capitolo!

Francy

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Capitolo 38
*** Just my imagination ***


Senza nome 1

Il tetto si è bruciato
ora
posso vedere la luna

(Masahide)

 

Sventolai un volantino pubblicitario di un ipermercato per attenuare il caldo, ma senza successo.

Una mosca, lenta e assonnata, girava intorno a me sul curvilineo tratto di un’orbita invisibile, come fosse un pianeta stanco delle attrazioni, delle leggi fisiche che lo costringevano in quella continua e spossante rotazione, del tempo che passava così tediosamente e pigramente, della stoica piattezza dell’universo.

La sedia della mia camera era rovente e fradicia di sudore, come me. Non riuscivo nemmeno a concentrarmi sui legami ionici come avrei dovuto – e quando mai ci ero riuscita?

Il problema è che non sapevo nemmeno a cosa pensare: le parole di Shaoran? Non c’era poi tanto da dire, tutto ciò che doveva essere commentato l’avevo già ampiamente trattato. Forse avrei potuto aiutare mio fratello a cucinare, ma non volevo che mi facesse domande come al solito: E il tizio cinese che fa? Se fa qualcosa di male dimmelo… Ma come si comporta? Perché altrimenti lo uccido… Ah, e se sopraggiungesse qualsiasi problema con quello tu mi avvertiresti subito, vero? Se no come farei a difenderti?  e così via, fino alla pura e secca esasperazione. A volte mi pentivo di avergli raccontato tutto. Che ingrata; non riuscivo nemmeno a mantenere vive e sgorganti di acqua nuova e limpida i pochi affetti che mi rimanevano…

Una nuova disperazione mi dissipò, la vergogna che qualche giorno prima si sarebbe manifestata come insensibilità: se questo significava vivere, che senso aveva provarci se già dall’inizio sapevo che non sarei riuscita a fare altro che scavare una buca delle dimensioni del mio corpo? Che senso aveva creare una nuova me stessa se non conoscevo nemmeno il significato di ciò che desideravo fare, diventare, essere? Cambiare senza sapere cosa divenire, viaggiare misconoscendo la meta, venire alla luce ignorando la percezione di tale parola. Ma non è quello che succede ogni giorno a migliaia di neonati? Scacciai quel pensiero: assurdo.

Suonò con fervore il campanello, che svegliò me da quel monotono e insapore torpore e liberò la mosca dalla forza di attrazione che la obbligava a mostrarmi una sua faccia, come la Luna, divulgatrice di verginità.

Scesi in fretta le scale: in fondo volevo evadere da quella situazione infausta, in bilico come il sole tramontante sulla cima di un monte bianco di ghiaccio.

Quando aprii la porta fui smisuratamente ed estremamente lieta di scorgere il viso di Yamazaki in mezzo alla mia nebbia mentale, umida di lacrime, come le mie guance. Ebbene sì, avevo pianto. Di nostalgia, per essere precisi. E di malcelata rassegnazione. Non avevo alcuna speranza di riuscire a vivere serenamente se non fossi ritornata la ragazza di qualche anno prima. Non ci sarei riuscita. Perché? Perché sì, punto. Era un assioma indimostrabile.

Fatto sta che mi ritrovai, quasi senza accorgermene, più tranquilla e rilassata appena sentii il suono del suo nome nella mia testa, quando i nervi ottici inviarono un impulso nervoso così potente da attraversare tutto il tragitto fino al cervello di sinapsi in sinapsi in un tempo sostanzialmente minore del normale (già difficoltosamente quantificabile).

-Ciao.-, mi salutò e, senza aspettare una risposta, continuò: -Passavo di qui e… Posso entrare?-.

Sapevo perfettamente che la sua visita non era assolutamente casuale. Non glielo lessi negli occhi, non lo capii dal linguaggio dei gesti: lo sapevo, punto.

Mi feci da parte senza replicare: non potevo permettermi di urtarlo in qualche modo, quel momento di sicurezza mi sembrava troppo prezioso.

Com’era possibile che da una speranza così forte, avvolgente e possente come quella provata nel leggere la frase di Marlowe potesse nascere un’inquietudine, un’osmosi di paura e impotenza così terribili, tanto da aver bisogno di un viso e di una voce familiari per ritrovare la calma? Io, che in quel momento avevo bisogno di indipendenza… Ero diventata così debole? Una folata di vento gelido irruppe e portò via con sé, in un viaggio senza posa, la greve polvere che custodiva egoisticamente i miei pensieri presenti, esistenti, ma non viventi. Un punto fisso torreggiò nella nebbia: forse anche prima ero stata debole… Ma certo che lo ero stata! Avevo avuto bisogno di Tomoyo, di Touya, della protezione di mia madre, dell’amicizia… Un’ossessiva necessità, latente a suo tempo, poi sempre più gonfia, enorme, dilatata… Fino a scoppiare, prevedibilmente, così prevedibilmente che nessuno se n’era accorto. Debole.

La nostalgia è l’anelito di tornare in un tempo passato, un tempo necessariamente migliore. Migliore del presente. Ma esiste passato peggiore di ciò che si sta vivendo? Si prova nostalgia per tutta la propria vita: per l’infanzia, ignorando l’amarezza che si è provata nel non poter conoscere l’oggetto di discussione degli adulti; per l’adolescenza, chiudendo gli occhi di fronte ai turbamenti dolorosi e sofferti che l’hanno invasa; per l’età adulta, rinnegando i problemi di autonomia che si creano in quel frangente. La nostalgia è l’arte di idealizzare il passato esaltandone le apparentemente benefiche qualità e dimenticandone i turpi e lacrimosi disordini. La nostalgia è l’arte di illudersi.

Io volevo illudermi? Non volevo più essere illusa, tantomeno diventare autolesionista.

Questo significava che il passato poteva essere peggiore del presente. Rimasi sconvolta da quell’affermazione: non me la sarei mai aspettata. Io, l’essere più nostalgico esistente sulla faccia della Terra, io, io che mi sarei autodistrutta se non fossi riuscita a ritornare come prima, certo, dopo un numero considerevole di tentativi.

Camminai senza accorgermene verso il divano, dove mi sedetti. Non avevo ancora salutato Yamazaki.

-Ciao, comunque.-.

Fece un cenno col capo e affermò:

-Non volevo interromperti. Sembravi riflettere.-.

Ma come faceva a decifrarmi così precisamente? Ok, probabilmente dovevo aver assunto un aspetto assente, ma nessuno se n’era mai accorto quando mi era capitato (spessissimo).

-Perché non mi guardi il sedere come fanno tutti i maschi zuppi di ormoni come te?-, domandai alzando le sopracciglia.

-Perché non è interessante come i tuoi occhi.-, dichiarò con un sorriso.

A volte sapeva essere davvero vomitevolmente zuccheroso. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai.

-Stavo scherzando!-, esclamò quasi per giustificarsi, con un’espressione leggermente cupa.

Lo fissai ancora per un po’. I pochi capelli che costituivano la sua frangia erano lievemente scomposti e la fronte sembrava più spaziosa e lucente. Gli occhi scuri mi osservavano costantemente – ma non era quello che aveva sempre fatto nell’arco di quei due anni?

-Andiamo in cucina.-, suggerii. Quel divano, il posto in cui era seduto mi ricordavano troppi pomeriggi passati con Shaoran. Niente di positivo, insomma.

Annuì col capo: probabilmente aveva intuito il motivo della mia affermazione.

Entrammo in cucina, dove mio fratello stava preparando la cena e gli dissi:

-Cucina anche per Yamazaki: rimane a cena.-.

Touya voltò il capo verso di noi, salutando molto freddamente Yamazaki (ormai avevo perfettamente compreso che la sua malattia era la sindrome del fratello geloso… Ridicolo). Il ragazzo accanto a me mostrò un lieve sorriso e un debole gesto di saluto. Sorrisi.

-Cuciniamo noi, non ti preoccupare.-, e mi avvicinai con determinazione ai fornelli, dove Touya stava mescolando del brodo di pesce in una pentola.

Mio fratello ci fissò con spudorata insistenza ed esclamò:

-Io sono in camera mia, se succede qualcosa.-, marcando la congiunzione come per assicurarci che sarebbe effettivamente accaduto qualcosa.

Si chiuse la porta alle spalle e io e Yamazaki rimanemmo soli.

Per cinque minuti tacemmo. Ad interrompere il silenzio solo il borbottio furioso della pentola e il dissonante fragore di piatti e posate poste sul tavolo.

Quella scena non era affatto esclusiva: in quei due anni Yamazaki aveva messo piede innumerevoli volte in casa mia e soprattutto in cucina, che era il nostro luogo preferito. Era l’unico i cui muri non fossero impregnati di ricordi, le cui sedie non portassero l’ombra di corpi odiati, le cui luci non avessero sottratto all’oscurità volti laceranti e terrificanti. Spesso, inoltre, avevamo parlato fra quelle vuote mura di me, solo di me e di ciò che era successo. Non ricordavo un giorno in cui non si fosse presentata un’occasione del genere. Forse ero stata troppo egocentrica o Yamazaki troppo altruista. O entrambi.

-Da quanto non dicevi “Non ti preoccupare”? Sai, penso che tu non l’abbia mai detto in questi anni.-, irruppe la sua voce e ruppe il silenzio.

In effetti mi ero meravigliata della frase rivolta a mio fratello. Non ricordavi di aver mai pronunciato quell’enunciato, non perché desiderassi che gli altri si preoccupassero, anzi, al contrario, volevo che mi lasciassero in pace. In realtà, non mi interessava nulla degli altri e nemmeno di me stessa. Come essere l’oscurità e avere paura del buio, una fobia così dilaniante, divorante e disperata da rendermi completamente impotente, inutile, inane.

Scrollai le spalle, fingendo indifferenza. Continuai a mescolare il brodo, aspettando che Yamazaki pesasse gli spaghetti per essere inghiottiti da quella massa acquosa e bollente.

-200 grammi vanno bene?-, domandò, piegato leggermente per poter leggere i dati sullo schermo della bilancia elettronica. Annuii guardandolo e continuando a mescolare meccanicamente e svogliatamente.

-Ti va di raccontarmi ciò che ti ha detto Shaoran?-, chiese Yamazaki, avvicinandosi a me con un fascio di stecche rigide e cristalline in una ciotola. Immersi gli spaghetti nel brodo ormai bollente prima di rispondere, mentre lui rimetteva al suo posto il contenitore bianco.

Gli raccontai le poche informazioni scoperte e anche perché avevo deciso così precipitosamente di svelare l’effettiva verità, ossia partendo dalla citazione di Marlowe che tanto mi aveva infiammata.

-Infatti stamattina ho notato la tua espressione meravigliata. Sembrava che avessi scoperto il senso della vita.-, replicò avvicinandosi e appoggiando i gomiti al piano di legno accanto al forno, per godere di una vista agevole del mio viso.

-Ma non hai nient’altro da fare che fissarmi per tutto il tempo?-.

Incredibile. Insomma, non pronunciai quelle parole con ingratitudine, in fondo capivo che faceva tutto ciò per proteggermi, in qualche modo. La questione era che, nel bene o nel male, ero sempre sotto il suo controllo, non ossessivo e iperprotettivo come quello di una madre, o disinteressato e geloso come quello di un fidanzato, ma di tutt’altra specie, di tutt’altro calibro… Non avrei saputo decifrarlo. Ridacchiai. Asserivo sempre che la chiusura nei confronti del mondo aveva creato come effetto collaterale una maggiore percezione di me e degli altri, introspezione ovattata e attenzione annegata in un mare di nebbia ghiacciata. In realtà ciò non era mai avvenuto: non riuscivo nemmeno a definire la natura di una comune protezione né possessiva, né egoistica. Allora cosa mi aveva donato quella maggiore consapevolezza di me che difficilmente poteva essere spiegata come semplice e legittima preoccupazione? La verità era che avevo identificato poco o nulla dei miei istinti e della mia ragione. Soprattutto dei primi.

-Qualcuno deve pure pensare a te, no?-, dichiarò tutt’altro che prepotentemente, come sarebbe potuto trasparire da quelle parole. Mi fissò con la bocca ancora socchiusa e uno schizzo di sorriso, disegnato con fretta ma egregiamente.

Avrei dovuto digerire quella frase per poi vomitarla subito, come avrebbe agito una persona con un’idea precisa e ben definita di orgoglio, ma ciò non accadde. Quella frase non mi ferì, non mi sussurrò fugacemente alcun detrito di mia eventuale negligenza e incapacità di prendermi cura di me e di proteggermi. Non mi offese, insomma.

-In effetti…-, concordai.

Dopo una breve pausa, durante la quale ripresi a mescolare il contenuto della pentola, cosa che avevo terminato di fare a causa delle mie riflessioni, domandò all’improvviso e inaspettatamente:

-Come hai intenzione di vivere?-, sottolineando l’ultima parola non con scetticismo, bensì come se fosse un’azione ovvia, a portata di mano, davanti ai miei occhi. Illogico.

Una nuova angoscia, comunque, mi ottenebrò. Sentivo la schiena bollente e un leggero formicolio sulle braccia, come se invisibile carta velina mi graffiasse teneramente la pelle e recidesse i miei pensieri. Sintomi di incipiente disperazione.

-Io… non lo so.-, mormorai con voce spezzata, ma senza alcuna orma di pianto negli occhi.

Yamazaki assentì silenziosamente e io mi concentrai sul tondo riflesso giallo della lampada troneggiante sul soffitto sulla superficie del brodo, leggermente tremante e fremente.

Misi gli spaghetti con il brodo nei piatti che Yamazaki aveva collocato sul tavolo e, dopo aver posato con un’eco metallica la pentola nel lavandino, mi sedetti a tavola con il ragazzo.

-Ma perché parliamo sempre di me?-, sbuffai rumorosamente dopo aver ingoiato un boccone. Avrei dovuto continuare la frase, ma gli occhi strabuzzati di Yamazaki mi interruppero.

-Fanno così schifo? A me sembrano buoni…-, constatai masticando un altro po’ di spaghetti.

-Ma no! È solo che non avrei immaginato che l’avresti mai detto a me. Pensavo…-. Iniziò con enfasi e terminò con un lieve sospiro.

Cosa pensava? Pensava che fossi così egoista?

Ma non è anche quello che penso io?

Credevo fosse solo una mia opinione e invece era davvero così.

Cosa pensava? Pensava che in realtà avessi una così smaniante e tormentosa voglia di parlare e sentire parlare di me, un egocentrismo così ben intarsiato da non poter essere eroso da qualsivoglia raffica farinosa?

Non è vero. Assolutamente no.

In effetti non poteva che essere uno stupido pregiudizio.

Cosa pensava? Pensava che… Oh no, quella era l’alternativa peggiore. Pensava forse che mi servisse solo come psicologo, consultore a cui rivelare la mia amarezza e le mie frustrazioni?

Sta dicendo che…

-Stai dicendo che credi che io ti stia sfruttando o è la mia modestissima impressione?-, domandai con voce acuta e narici allargate per la sorpresa.

Si mostrò spiazzato: allora era proprio quello che stava pensando. Bene. Perfetto. E così in definitiva Shaoran mi aveva posseduta?

-No, assolutamente no. Non ti paragonerei mai a Shaoran.-, mi lesse nel pensieri interrompendo le mie riflessioni.

Restammo per qualche attimo in silenzio, fissandoci, io sospettosamente, lui disperatamente.

-Come potrei compararti ad una persona che pensa che elucubrazione ed eiaculazione siano la stessa cosa e, per giunta, che avvengano nello stesso organo?-. Sorrise spontaneamente.

Potrebbe sembrare impossibile, incoerente, assurdo, irrazionale, irragionevole, ma stavolta la ragione non aveva nulla a che fare con quella situazione. Gli credetti, senza assicurazioni, senza esaminarne la veridicità. Perché lo feci? Probabilmente perché a giudicarmi era stato l’unico che mi avesse soccorsa, faticosamente, correndo centinaia di rischi, lasciandosi alle spalle il passato, non riavvolgendolo attorno alle sue callose mani come avevo fatto io. Come avrei potuto diffidare di lui? Conoscevo enormemente bene il vento foriero di perigli che mi conduceva verso quella sicurezza, forte dei suoi mille nodi, incalzante e invadente. Non me lo scrollai di dosso. Non lo feci. Non me ne pentii, anche se quella situazione aveva un che di familiare. O forse era la mia immaginazione. Solo la mia immaginazione.

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

Salve! Il capitolo in realtà si incentra soprattutto sull’abbattimento di alcune frontiere e pregiudizi su di sé che Sakura ha maturato: nostalgia, egoismo ed egocentrismo.

Bene, passo subito ai ringraziamenti:

Sakura bethovina: sono felicissima, non  immagini quanto, del fatto che tu abbia compreso i miei motivi. Davvero, leggere quella recensione mi ha dato una gioia immensa! Grazie infinite, è veramente una grandissima soddisfazione. Ciao!

Sakura182blast: in effetti ci sarebbero tanto persone da confondere con quel degenere di Uobafet, ma non sottilizziamo… Shaoran sarebbe una bella preda, senza dubbio! Grazie mille per la recensione, spero di sentirti presto, ciao!

Faffy: povera suonatrice di pianola, come potrei non ringraziarti? Insomma, con tutto quello che avevi scritto e che poi si è cancellato… Sono ancora commossa per tutti i complimenti che mi hai fatto e spero di non aver deluso le tue nereidee aspettative. Spero di allietare ancora il mio udito con le sue splendide note e, soprattutto, le sue splendide parole (possibilmente scritte su una pagina di Word di un documento chiamato “C**x”). A presto, abominevole plinia delle nevi! E grazie infinite!

Bene, spero di leggere presto vostri commenti. Come sapete, la storia è ormai agli sgoccioli… A presto e grazie anche a chi ha letto!

Francy

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Capitolo 39
*** Haiku ***


Senza nome 1

Niente che viva sulla Terra è così umile da non restituire qualcosa di buono alla Terra. E niente è così buono che, se stravolto dal suo uso lecito, non si ribelli fino a perdere la sua vera natura. La virtù stessa diventa vizio se male indirizzata e il vizio talvolta può essere riscattato.

(…)

Così due re rivali sono accampati nell’uomo come nelle erbe: la grazia e la violenza. E dove la peggiore è predominante, ben presto il tarlo della morte divora quella pianta.

(Romeo + Giulietta, frate Lorenzo)

 

-Allora?-.

Avevamo appena posto i nostri piatti e le posate nel lavandino e ci eravamo seduti di nuovo al tavolo. Il neon mi costrinse a chiudere temporaneamente gli occhi, come una colomba che vola contro il cielo.

-Allora cosa?-, chiese Yamazaki alzando un sopracciglio.

-Non so… Parlami di te. Come va con Chiharu?-. Ovviamente sapevo perfettamente che si erano lasciati, ma volli fingere ignoranza per farmi spiegare i motivi del loro allontanamento. Non che volessi ficcare il naso, ma avevo la nettissima sensazione che ciò riguardasse anche me. Che acutezza…

Uno sciame di ronzanti pensieri subito mi avvolse nel suo formicolante abbraccio: in effetti non mi ero mai interessata a Yamazaki e Chiharu, ma ora ero costretta a farlo. Perché? Perché molto probabilmente la fine del loro fidanzamento era stato provocato da me. Io ero colpevole. Io avevo estirpato un amore. Io avevo reciso un sentimento. Io avevo morso il filo carnoso che li univa, avevo amputato un organo così fondamentale, disperatamente e universalmente basilare, facendo sanguinare entrambi. Come avevo potuto pensare che Chiharu non mi avrebbe più detestata? Stupida, stupida, stupida. Mi avrebbe odiata ancora di più, sempre di più, finché anche lei non mi avrebbe amputata. La vita, l’amore, le relazioni erano delle continue operazioni chirurgiche, delle costanti perdite di sangue prezioso, non sangue normale, non necessariamente vermiglio e denso: questo non si sarebbe mai rigenerato. Mai. Ed era proprio questo che concorreva a prosciugare una persona, la sua mente, il suo cuore. La vita era un incessante e crudele salasso.

Forse costringere Yamazaki a raccontarmi ciò che era successo quando non ce n’era minimamente bisogno avrebbe disseccato ulteriormente i suoi tessuti? Io stavo forse succhiando il suo sangue dalle sue umili vene? Stavo masticando la sua carne per ricavarvi più liquido possibile? Stavo bevendo allegramente dal calice del suo collo come un gattino lecca innocentemente del latte vergine e vitale da una ciotola solitaria?

-Certo che te ne parlo. Tu mi hai detto tutto di te… Sarebbe il minimo.-.

Aveva notato i miei occhi che scorrevano freneticamente in tutte le direzioni, il mio frettoloso brancolare nel buio, le mie espressioni sconnesse come disarmoniche e caotiche pennellate disordinate su una tela strappata.

Gli sorrisi confortata: ero felice che capisse anche le mie reazioni più spicciole e neonate. Ero felice.

-Non è una storia avvincente come la tua,-, ammiccò, -ma se la vuoi sapere…-. Annuii convintamente per capire subito fino a che punto fossi rea e fustigatrice in quella vicenda.

Poggiò i gomiti sul tavolo, cosa che feci anch’io per avvicinarmi ulteriormente e ascoltarlo meglio.

-Io e Chiharu ci siamo fidanzati quasi cinque anni fa. Per noi era la prima volta e in effetti la nostra storia è stata una specie di apprendistato, di tirocinio, o almeno così la vedo ora. Ovviamente quando ci siamo fidanzati non ci amavamo, ma ci piacevamo molto. L’amore è venuto dopo, verso i quindici anni. All’inizio non era né affetto, né passione… Semplicemente, stavamo insieme per attrazione fisica e mentale, dato che, come ti ho detto, per noi si trattava della prima esperienza.-. Si fermò un attimo e mi fissò. –Ma forse non t’interessa sapere tutto dall’inizio.-, constatò.

-Continua pure, mi interessa molto.-. E in effetti era vero. Immergermi in un’altra storia, in altre vite per me sconosciute non fungeva solo da distrazione, bensì risultava essere un’alienazione piacevole, a suo modo, anche perché questo faceva parte del mio piano per ricominciare a vivere – e forse ritornare me stessa, se ci fossi riuscita. Infine, poter conoscere i turbamenti e le sofferenze dell’unica persona che aveva osato avvicinarsi ad una bestia marchiata a fuoco, Ex di Shaoran, che aveva avuto il coraggio di guardarmi in faccia senza ostentare infondati pregiudizi ed espressioni disgustate mi dava una qualche innominabile speranza di riscattarmi. Riscattare cosa? Il mio malcelato egoismo, la mia fissazione con me stessa e le mie parole, i miei  impulsi, la mia natura. Semplicemente e monotonamente me. Una litania continua e ininterrotta, due rette parallele che, con un po’ di sforzo, si incontravano rimanendo tali. Perché ciò era possibile.

Tossicchiò lievemente e seguitò con il racconto:

-Fino a un anno fa eravamo molto felici, oserei dire in Paradiso. Non mi vergogno di dire che l’amavo forse più di me stesso: era il mio blocco, l’unica che riuscisse ad arginare la mia vena fin troppo creativa, ma allo stesso tempo la sola a capirmi, a non considerarmi solo un bugiardo che si divertiva a prendere in giro ingenue fanciulle.-, dichiarando ciò fece un gesto elegante con la mano, come per accompagnare una frase poetica, e conficcò il suo sguardo mesto e divertito contemporaneamente sulla mia espressione complice.

 Ridacchiai, capendo subito a chi si stesse riferendo. Abbassai impercettibilmente il capo osservando le lucide venature del levigato tavolo ligneo con un buffo sorriso stampato in faccia, non sapendo nemmeno da cosa esso fosse provocato.

-Probabilmente anche tu mi hai catalogato così in passato, vero?-, domandò. Mi accorsi della massiccia dose di retorica in quel quesito, così non replicai nulla, anche perché mi sovvenne improvvisamente il motivo di quel sorriso imbarazzato che aveva teso terribilmente le mie labbra screpolate: scusa. Era una manifestazione di scusa prima che capissi la mia colpa; avevo scontato anni e anni di isolamento forzato in una camera pallida, plumbea ed anonima prima di scoprire perché fossi stata rinchiusa, ma accettando con timida nonchalance gli ordini impartitimi. Non mi sorpresi così tremendamente: in fondo ero un essere umano. Luogo comune? Banale nullaosta? Rassegnazione districabile? O cercavo semplicemente un vetro dietro cui ingenuamente celare la mia più che visibile e fallosa figura? Comunque fosse, quell’affermazione non era poi così mediocre: chi non ha mai, consciamente o meno, etichettato coloro che lo circondano limitandosi ad esaminarne il superficiale spirito lezioso e capriccioso, dissoluto e sfrenato, afflitto e foderato, giocoso e disinteressato, immorale ed edonistico, ridente e solare, senza penetrarlo in profondità, con difficoltà, magari, ma fino in fondo, traendone il più longevo e purificante piacere? Tutti, almeno una volta nella vita. È ingiusto, sacrilego, devastante, ma non si può cambiare: pare che l’uomo, più di qualsiasi dio, goda nel infierire efferate stigmate sulla fragile pelle dei suoi simili, lamentandosi e piangendo poi le proprie.

Annuii tristemente e Yamazaki subitò mi rassicurò:

-Non c’è problema, l’ho fatto anch’io con te. Siamo pari.-. Se possibile, le sue iridi mostravano una mestizia più pentita e imbarazzata della mia. Non potevo restare immobile osservando quei due baratri convincendomi che non fosse colpa mia e, quindi, nemmeno di mio interesse. Percepivo sotto i polpastrelli le sensibili righe del tavolo che scorrevano parallele e armoniose. Ne rimasi estasiata mentre una melodia nuova nel mia mente mi fece sorridere.

Volevo essere sicura che non stessi immaginando tutto o, peggio, che lo stessi ingigantendo guardando attraverso un’enorme lente d’ingrandimento un’effimera e angosciosa bolla di sapone, ma la gioia era troppo scoppiettante per ignorarla, troppo soffocante e profumata.

Ero sensibile. Provavo qualcosa per un’altra persona, un’emozione: compassione, pietà, comprensione, stupore… Era tutto così fantascientificamente vivido… Non riuscivo a sopportarne il peso stando ferma, perciò sorrisi ancora una volta al piano di legno, toccandomi il viso. Volevo guardare, ascoltare, tastare, odorare, gustare quell’inaspettata ed eterea magnitudine con tutto il mio ritrovato corpo accartocciato.

In un filiforme attimo di consapevolezza sentii lo sguardo interrogativo ma sorridente di Yamazaki.

-Nulla.-, risposi senza che la sua lingua si fosse dislocata per creare suoni interrogatori. Si strinse nelle spalle e io gli feci segno con la mano di proseguire, ancora beata. Volevo che continuasse a parlarmi di sé.

-Comunque, tutti ci consideravano quasi marito e moglie: avevamo conosciuto le rispettive famiglie e andavamo molto d’accordo con esse. Inoltre…-, esitò roteando gli occhi e riflettendo sull’eventualità di affrontare un certo argomento. Facilitai la sua cernita agitando la testa verticalmente con tranquillizzante lentezza.

-Inoltre, come dicevo… Fummo i primi della classe a fare l’amore. Non fai caso nemmeno alle voci di corridoio?-, negai ostentatamente, -Beata te che ci riesci. Evidentemente molta gente non la pensa così.-.

Notai che l’argomento lo imbarazzava alquanto, ma mi divertiva vederlo annaspare.

-Come accadde?-, gli domandai, non per puro e piacevole sadismo, ma perché volevo davvero sapere come avvenisse un fidanzamento vero, sincero, non cantato, né incantato. Mi ero rapidamente accorta che le fantasie dei registi e degli scrittori contenevano, anche nonostante la censura dell’autore, una disumana quantità di sogni e amenità irrealizzabili. Esemplare.

-Beh…-. Quei tentennamenti imbarazzati, quell’esitazione astringente mi facevano quasi tenerezza. Quello era il prezzo per essere stata a contatto con una persona che si esprimeva riguardo a quell’argomento con sfacciata trivialità e volgare opulenza di indifferenza, no? Fortunatamente non avevo ancora maturato una soddisfacente idea di sesso da farsi influenzare.

-Eravamo a casa sua e… Dài, ma perché mi fai parlare di queste cose…?-. La vergogna e l’imbarazzo erano ormai perfettamente tangibili e condensate sulla sua pelle sottoforma di un sottile e opalescente strato di sudore sulla sua fronte.

-È stato fin troppo romantico, non esattamente il tuo genere, suppongo.-, esclamò riprendendosi.

Annuii e lo lasciai continuare.

-Cominciai a preoccuparmi di te dopo il mio compleanno, ti ricordi?-. Notò i miei occhi strabuzzati e il pallore sui miei zigomi, concludendo che ricordassi fin troppo bene. –Beh, in realtà mi sentivo colpevole per ciò che era accaduto in quella stanza durante quello stupido gioco, così m’interessai di più a te e Shaoran. Forse troppo.-. Mormorò le ultime due parole. Ero confusa… C’era qualcosa che non quadrava.

-Quando vi siete lasciati… ehm, pardon, quando tu hai lasciato Shaoran,-, precisò dopo una mia occhiata affilata come rigidi petali di inodore cristallo infranto, -mi sono sentito il dovere di starti vicino, sempre per quella spada di Damocle che mi pendeva sulla testa. A lungo andare quel dovere non era più tale per me: contro ogni mia aspettativa, non eri solo una ragazza ingenua, credula, vuota e un po’ ebete. Scusa se sto ammettendo questa pessima opinione che avevo di te, ma non posso e non voglio mentire.

-Poi non c’è molto da dire. Chiharu non ha mai accettato questo mio strano avvicinamento a te ed è diventata isterica e gelosa. Non era più l’indulgente e scherzosa ragazza di cui mi ero innamorato e gli strascichi non mi piacciono, così l’ho lasciata.-.

Non commentai nulla, ma mi limitai a guardarlo attentamente. Nonostante conoscessi bene la vicenda, ancora una volta fui sconvolta dal modo in cui venne narrata.

-Te l’avevo detto che non era avvincente.-, ammise rammaricato.

-Posso chiederti una cosa?-, domandai perplessa. Quella domanda aveva scavalcato tutti i paramenti nella mia testa senza poter essere ostacoltata. Non aspettai la sua risposta:

-Tu pensi che Chiharu avesse torto?-.

Ci pensò su per un momento, poi replicò:

-Beh… Forse sì. Perché essere gelosi di una semplice amica?-.

-Da quando fra semplici amici ci si bacia?-, chiesi esterrefatta. Non poteva essere così ingenuo. Io in effetti capivo benissimo Chiharu, a parte l’eccesso di isteria (non che la mia fosse sottovalutabile).

-Ma se sei stata tu a baciarmi!-, esclamò sorpreso del mio quesito, come se serbasse la risposta pronta per l’evenienza.

E come dargli torto?

Bene, cosa avevo concluso ed estratto da quella conversazione, a parte la scoperta di una mia nuova e più matura sensibilità?

Lettere in grassetto, vermiglie come sangue sacrificale aleggiavano con noncuranza del paesaggio desolato attorno alla loro ematica cornice: REA.

 

***

Il vento graffiava le mie gengive luccicanti dietro il mio sorriso, mentre il sole colpiva con forza i miei capelli sfuggenti. Le energetiche note di “Celebrity skin” degli Hole scaricavano sfiguranti bolle d’aria nelle mie orecchie scoperte da quel manto castano e crespo che danzava al vento come quel lembo di carta a strisce rosse e bianche che pendeva da un antraceo palo solitario sulla strada per Goromi.

Una breve gita al mare, aveva spiegato Tomoyo, non avrebbe fatto male a nessuno. Per questo mi trovavo nella sua Nissan rosso metallizzato con la proprietaria, Shaoran, Yamazaki e Rori. Ma cominciamo dall’inizio.

Era la metà di maggio e l’aria si era leggermente rinfrescata, acquistando un’umidità appiccicosa e brulicante tipica delle città marittime. Tomoyo mi aveva subito proposto quella breve visita per farmi rilassare dopo averle parlato di tutte le scoperte conseguite in quei giorni e le reti che avevo forato e penetrato. Si esaltò soprattutto quando le menzionai ciò che aveva detto Yamazaki prima di andare via quel giorno in cui mi rivelò indirettamente la mia colpevolezza (mio fratello l’aveva cacciato furibondo quando aveva scoperto che avevamo mangiato senza di lui, dimenticando di chiamarlo a tavolo. Permaloso): Se vuoi la mia modesta opinione, ti preferisco ora. Né ingenua, né paranoica; né eccessivamente magnanima, né estremamente avida; né sciocca, né superba. Secondo me sei perfetta così. Oserei dire che c’era proprio bisogno di Shaoran, una volta tanto. Avevo sorriso a quell’ultima affermazione che condividevo pienamente. Quanto al resto del periodo, non ero sicura che avesse poi così tanto ragione. Perfetta. Stava decisamente esagerando. Ero rea di aver interrotto uno splendido amore… Non era quella la perfezione. Quei pensieri evasero da me prima che riuscissi ad edificare ed intonacare pareti e soffitti sufficienti a respingerli. E Yamazaki inaspettatamente aveva risposto che, alla fine, si sarebbero lasciati comunque: i fidanzamenti a tredici anni, sosteneva lui, non duravano un gran che e per distruggere il suo era bastato solo il flebile stertore di una Ex di Shaoran. Sarebbe precipitato lo stesso, giudicava pacatamente. E, non avrei saputo dire perché e con quale forza, mi sentii lusingata da quelle parole. Ma quanto potevo essere malvagia? Non l’avrei mai compreso appieno. Fatto stava che un angelico e compiaciuto sorriso (che un attimo dopo mi sembrò inopportuno e maligno) deformò il mio viso. Persino Yamazaki rimase sensibilmente perplesso, ma le colleriche urla di Touya non gli permisero di chiedere spiegazioni.

Ad ogni modo, Shaoran era venuto a sapere della nostra gita, che in realtà avrebbe dovuto includere solo me, Tomoyo e Yamazaki, e decise (senza un minimo di preavviso, giustamente) di partecipare con la sua nuova ragazza, una certa Rori, una Gothic Lolita (il Goth-Loli è una moda i cui appartenenti indossano abiti con caratteristiche vittoriane e infantili a carattere piuttosto erotico. Ad es.: due codine sulla testa fermate con due grandi fiocchi colorati, calze a rete e biancheria in pizzo nero. È molto popolare in Giappone, cfr. Misa di “Death Note”. Ndme) con cui passava molto tempo nell’ultima settimana (in realtà si sarebbero lasciati due giorni dopo, ma non sottilizziamo). Non ci avevo mai parlato: era una quattordicenne molto silenziosa (quindi non era completamente colpa della mia asocialità), con capelli neri sempre raccolti in due trecce con fiocchi rosa e occhi celesti pesantemente truccati. Fissandola la prima volta che la vidi al fianco di Shaoran mi sembrò una fusione del mio prima e dopo Shaoran. Avevo riso a quel pensiero. Tutto sommato, comunque, poteva essere la ragazza giusta per Shaoran (alla cui presenza ormai non pronunciavo un solo vocabolo): poche parole e molti fatti. E la seconda parte era molto più evidente della prima, dato che durante il viaggio di andata a Goromi  mi cadde l’occhio sullo specchietto laterale dal quale potevo benissimo ammirare le loro silenziose e struscianti acrobazie accanto ad uno Yamazaki così irrigidito che temevo si sarebbe sbriciolato entro pochi secondi.

Dopo aver accostato Tomoyo ribadì di non voler sporcare  la sua auto (sicuramente si era accorta che Yamazaki stava iniziando a faticare a respirare per lo sgomento) e ordinò a Shaoran di sedersi al mio posto sul sedile anteriore. Rori non protestò affatto, al contrario del fidanzato, naturalmente, che iniziò a urlare come un dannato. Alla fine la situazione si risolse e io e Yamazaki fummo intervallati da un’indifferente e lontana Rori.

Voltandomi improvvisamente verso l’interno dell’auto notai che la mano che Yamazaki poggiava sul sedile era quasi completamente ricoperta dalla pallida coscia nuda della Gothic Lolita, che non si era accorta di nulla. Inizialmente scoppiai sommessamente a ridere con una mano a coprirmi il desiderato riso scrutando il suo volto intorpidito e più roseo del solito nel cercare di sfilare la mano senza farsi notare. Ma all’improvviso ciò che non riuscii più a trattenere non fu l’ilarità sormontante, bensì un’altra sensazione, più profonda, immersa ma emergente, rabbiosa, selvaggia. Con molto sforzo la ignorai, senza accorgermi di aver indebolito le mie difese. Infatti Yamazaki si rese subito conto di quel mutamento sostanziale e, liberato delicatamente l’arto, tornando serio, mi fissò attraverso i ciuffi notturni di Rori.

Voltai la testa nascondendo imbarazzata il viso con i capelli, vergognandomi della mia reazione… o di chissà cosa.

L’innaturale biancore del cielo mi accecò molto più del baluginante bagliore solare. La brezza sfregò il mio viso come lacrime estranee e stentoree. Odore di sale, pungente, affilato, rincuorante.

Non essere una vittima mi attanagliò con forza facendomi notare il lato positivo di quella sofferenza: non avrei provato dolore. E allora perché il mio corpo, la mia testa, il mio petto, le mie mani dolevano lo stesso?

Ero rea e lieta, non  felice.

 

Alla rugiada che si posa sui fiori
quando s'annuncia l'autunno
assomiglio
io che devo svanire
e vorrei
sospendermi nel nulla,
ridurmi
e diventare nulla.

(“Haiku”, Franco Battiato)

 

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Salve! Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo. Ribadisco che siamo quasi alla fine di questa vicenda, durata quasi due anni… Ora la finisco, altrimenti mi commuovo.

Ecco i ringraziamenti:

Sakura bethovina: La determinazione non deve mancare, fai bene a sperare, te lo garantisco, ma… Va beh, non dico nulla, che è meglio. A presto, grazie per la recensione e fammi sapere cosa pensi di questo capitolo!

Sakura93thebest: Shaoran non cambierà mai. Non credo sarebbe bastata Sakura a mutarlo. Mi dispiace di aver deluso le tue aspettative, ma non credo che si sarebbe lasciato coordinare… Grazie per la recensione, spero che continuerai a commentare!

Sakura182blast: Guarda, è più facile trovare un’utilità per Uobafet che per Shaoran: si lamenta sempre! Insopportabile.. Povera Rori (oddio, non ci conterei poi tanto…) Comunque sono d’accordissimo con te riguardo a Yamazaki. Purtroppo in questo capitolo quella palla di pelo di Shaoran fa la sua sporca comparsa mentre si avvinghia con la suddetta nell’auto di Tomoyo… È una martire quella ragazza. Evviva Alacabam!!! A presto, grazie mille per la recensione!

Bene, spero di sentire presto le vostre opinioni. Grazie anche a chi legge solamente. Ciao!

Francy

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Capitolo 40
*** Stelle ***


Senza nome 1

Blanda. Una vita blanda e stropicciata come il viso di un bimbo addormentato.

Sentivo il calore sul collo e sulla schiena, ma ero sicura che non fosse il sole. I suoi raggi pomeridiani lambivano i miei occhi o, meglio, le mie palpebre rendendole arancioni al mio sguardo apparentemente imprigionato nel buio. Ma allora cosa rendeva la mia pelle così calda? Lo sapevo, oh, lo sapevo benissimo. Era vergogna, ignobile e ignominiosa vergogna. Per cosa? Che ovvietà, per me stessa.

Ero stesa su un asciugamano, mentre la sabbia si raffreddava con l’avvento del tardo pomeriggio e la confusione della spiaggia ottenebrava paradossalmente alla mia mente l’intero mondo esterno.

Che tristezza, nuova, neonata, sconosciuta. Avrei preferito essere depressa, avere il coraggio di tentare il suicidio piuttosto che stanziarmi in questo bivalente limbo senza uscita, un labirinto con mura intonacate, tutte uguali, tutte ruvide, tutte candide e un soffitto, unico, irraggiungibile, impenetrabile.

Tutti gli altri stavano facendo il bagno in quel mare ormai quasi roseo, a parte me e Tomoyo che non potevamo per sanguinosi  motivi, ma in quel momento quest’ultima stava telefonando a Eriol.

Aprii gli occhi e li richiusi subito. Che frustrazione: non riuscivo a captare alcun segnale dall’esterno senza che questo mi ricordasse che ero sola. Assurdo, si potrebbe pensare, ma vero. Tomoyo era ormai troppo lontana, me ne rendevo conto. Quel consistente spicchio di vita che non avevamo condiviso era stato troppo importante per essere ignorato. Non che l’avessi voluto io, ma era inevitabile rendersene conto e inutile negarlo; le volevo bene, ma l’affetto non bastava a dare alla luce la fiducia. Essa era eccessivamente preziosa per essere spicciolamente sottovalutata e per giunta per me era fondamentale, proprio ora che non sapevo cosa fare, come agire, a chi rivolgermi.

Mi dispiaceva per la mia amicizia con Tomoyo, certo, però sinceramente non riuscivo nemmeno a immaginare fra noi la confidenza che c’era stata tempo prima né il cieco affidamento con cui donavo ogni mia decisione alla sua Corte, come se fosse il giudice di ogni mia scelta, frivola o pesante che fosse. Una realtà troppo malsana e viziata da riproporre: non ne avevo alcuna voglia. Prendermi le mie responsabilità era stato terribilmente difficoltoso ma istruttivo ed edificante: purtroppo mi era toccato ferirmi improvvisamente e profondamente invece che lasciare ai lembi di quel taglio il tempo di rimarginarsi per poi crearne subito un altro.

Sentivo che anche le mie gambe stavano arrossendo al pensiero della mia vita passata; ma come avevo potuto desiderare di tornare come quella bambina beota, ingenua, raggirabile come un ostacolo afflosciato al suolo, aperta ai coltelli e ai disinfettanti altrui? Di questo mi vergognavo: della mia essenza e del mio anelito. Forse allora Yamazaki aveva proprio ragione: meglio scorbutica, brontolante e sveglia che infantile, dolciastra e vuota. Vuota come un cranio ghignante.

Percepii dei passi sulla sabbia polverosa e immaginai fosse Tomoyo. Il corpo si sedette sull’asciugamano accanto al mio e solo odorando un raschiante profumo di sale e aprendo gli occhi realizzai la presenza di Rori. Giocherellava con la sabbia asciutta, mentre mille gocce simili a pestilenziali bisce le solcavano con la violenza di un aratro la pelle così diafana da sembrare trasparente al tenue fulgore solare, ormai in caduta libera senza paracadute su un mare che avrebbe attutito il suo pregiato fuoco fino ad esaurirlo e conservarlo nelle proprie viscere.

Ero molto curiosa riguardo a quella ragazza per svariati motivi: innanzi tutto perché non capivo il motivo per cui volesse passare del tempo con quella belva chiamata Shaoran. O forse lo stavo sopravvalutando? Ma quale belva, era solo un egoista malvagio, sadico ed edonista. Peggio per lui. Inoltre, il carattere, le maniere, il viso, gli occhi sognanti di quella ragazza mi parevano così familiari… In definitiva, volevo conoscerla per salvarla? Certo, senza dubbio, anche se non ero sicura che avrebbe sofferto quando, al più presto, ne ero certa, Shaoran l’avrebbe abbandonata. In realtà non sapevo nemmeno se lei lo amasse. Rori era per me un punto grigio nella nebbia, una stella corvina derelitta in un cielo tenebroso, una scaglia di cristallo fra mille simili di ghiaccio e vetro: irriconoscibile, non individuabile.

Cercai freneticamente un argomento sul quale intavolare un discorso e apprendere qualcosa, qualsiasi cosa, del suo carattere e del motivo per cui era fidanzata con Shaoran senza avergli spaccato un vaso da fiori in testa.

-Allora…-, cominciai indecisa, ma nella foga del momento mi sovvenne qualcosa da chiederle: -Come hai conosciuto Shaoran?-.

Con estremo imbarazzo mi accorsi che non mi stava nemmeno ascoltando, dato che il suo sguardo era perso apparentemente fra i ghirigori dell’ombrellone che ci si stagliava di fronte. In realtà, però, ero convinta che stesse riflettendo, data l’opacità e l’assente vitalità degli occhi.

Le sfiorai piano la spalla per farla voltare verso di me: la pelle era fresca e lucida, bagnata e leggermente ruvida per la salsedine, unico dono del mare. A quel contatto mi spaventai. Ero a disagio in sua presenza, perché… Perché? Presumevo qualcosa, forse che in lei esistesse un lembo di Shaoran, seppur minuscolo e ben ripiegato; in effetti era così: Rori portava in sé, nel suo sguardo, sulle sue labbra violacee, sulla sua chioma stillante sangue di mare e leggermente scomposta, un frammento di ciò che stavo rifuggendo testardamente, che già dalla visita di Yamazaki avevo cercato di distanziare e stigmatizzare con l’etichetta PASSATO, riconoscendo fin troppo bene che esso è fatto di ricordi, i ricordi di emozioni, le emozioni di impulsi, gli impulsi di vita. E la vita non si rinnega né si allontana, ma si apprende.

Una radio vicina gracchiò qualche romantica melodia di Utada Hikaru. Alzai gli occhi al cielo e proseguii a fissare la ragazza, che non aveva ancora dato segni di vita.

-Ho sentito, sto solo cercando di ricordare.-, replicò un attimo dopo il mio tocco fugace. La sua voce, sebbene sommessa, mi fece sussultare: troppo calma, consapevole e saggia per essere fidanzata con Shaoran. Dov’erano finiti l’isteria, la trasognatezza e l’immaturità? Erano forse stati solo una mia prerogativa? Mia e di molte altre, ma sua no. Era possibile che a quattordici anni si potesse essere così maturi da accettare compromessi con persone del genere? Io non lo ero stata e non lo ero nemmeno in quel momento, forse. Che ragazza strana.

All’improvviso la sua ultima frase mi ispirò: probabilmente anche lei era come Shaoran. Possibile? Beh, non ricordava nemmeno l’occasione in cui si erano conosciuti, logico che fosse così. No, c’era qualcosa di essenzialmente diverso, sostanzialmente cangiante e faticosamente percepibile. Solo uno sciocco avrebbe confuso l’eccepibilità di Shaoran con… la profondità di Rori, nonostante non la conoscessi e non potessi dunque esprimere opinioni. Tuttavia, era indispensabile notare la diversità dei due, l’assenza di quello sfrenato edonismo che caratterizzava lui e mancava in lei, come del resto l’insincerità del ragazzo e l’apparente disponibilità e franchigia della fidanzata. Solo una sciocca come me  aveva osato confondere la sfacciataggine di Shaoran con sincerità.

-Ah, sì: l’ho conosciuto ad una festa la settimana scorsa. Mi ha dato un passaggio a casa con la sua Nissan rosso metallizzato.-.

Sorvolando sul fatto che l’auto non fosse sua, ma di Tomoyo, che non gliel’avrebbe mai prestata, ergo  Shaoran l’aveva sottratta di nascosto, la sua frase fu molto concisa e pulita. Sincera, insomma.

Fui spiazzata da tanta chiarezza e dalla sua telegrafica risposta, così cercai subito una nuova domanda da porle per coinvolgere in qualche modo la sua fredda attenzione. Bruscamente ricordai che una settimana prima io e Shaoran eravamo ancora “fidanzati”, per così dire, e io non sapevo nulla di quella festa. Sorrisi laconica: me lo sarei aspettata, tipico del suo gioco. Scacciai quelle constatazioni amare e mi concentrai ancora per ideare un altro quesito.

-E… da quanto siete fidanzati?-, domandai piatta.

Questa volta mi rispose celermente e spontaneamente, alzando impercettibilmente un sopracciglio, forse la prima vera reazione da quando l’avevo conosciuta.

-Non siamo fidanzati.-.

Lo confessò come se fosse un’ovvietà, una realtà affatto inimmaginabile, troppo verosimile per non essere effettivamente vera. Mi lasciò interdetta: mi ero ormai preparata molte domande da porle, ad esempio come fosse successo. E invece? Una considerazione mi sovvenne brutalmente: il mio interesse nella loro storia era perfettamente combaciante con quello che avevo provato nei confronti di quella di Yamazaki e Chiharu? In un certo senso sì, in un altro no: da entrambe avrei dovuto scoprire qualcosa, ma la curiosità che mi capeggiava era differente. Mi interessavo a Yamazaki perché desideravo aiutarlo, forse, far mie tutte le colpe per rendermi utile. Avere un ruolo nella sua vita, in questo caso di antagonista, dato che avevo depredato un terreno già da tempo fertilizzato e bonificato. Qualunque ruolo ricoprissi per me era rilevante. Certo, se fosse stato un ruolo positivo… Ma ero la strega cattiva che aveva avvelenato con il frutto proibito un’incantevole e favoloso amore che tutti credevano ineluttabile, invincibile, imbattibile. E invece io ce l’avevo fatta, ma senza alcuna soddisfazione, come invece succede spesso alle streghe quando allontanano per capriccio la bella principessa. L’unica mia consolazione era stata la pietà del principe, la sua compassione: aveva compreso il sostrato di sofferenza che impolvera assassini, sadici, stupratori, violenti: la disperazione, la palese impossibilità di salvarsi o essere salvati. Il principe aveva abbandonato la principessa per correre in difesa della malvagia progettatrice di piani insensatamente diabolici e l’aveva soccorsa, le aveva insegnato ad accettare sé stessa, la sua malignità e l’umanità ormai seppellita sotto immisurabili vangate di polvere. Quello era il coraggio, quella era la vera e cruda temerarietà: non scavalcare le onde, bagnare il deserto, prosciugare le acque per cercare e liberare una dama rapita o entrare nell’oltretomba come Orfeo per recuperare la sposa spirata. No, in confronto a quel  coraggio il propulsore che aveva spinto Yamazaki era pura pazzia, come scambiare il cielo con la terra, seminare un campo celeste e immaginare mutevoli nuvole sul selciato, in un mondo dove avere i piedi per terra era da matti e gli occhi erano puntati verso di noi, che abitavamo la volta fatata.

 Aprii la bocca, non per parlare, ma Rori credette che le stessi per porre un’altra domanda e mi anticipò con mia enorme sorpresa:

-A dire il vero lui mi aveva detto di essere fidanzato, ma disse che né a lui né alla sua fidanzata sarebbe importato qualcosa.-.

Certo che non mi sarebbe importato, tanto immaginavo che mi avesse tradita. Crescendo si peggiora, avrei asserito qualche giorno prima, ma in quel momento non ne ero così assolutamente sicura.

-Quindi eri la sua… amante, per così dire?-, chiesi stringendomi le ginocchia con le braccia per frenarle.

-Sono la sua amante, se così mi vuoi chiamare.-. Sentivo che si stava aprendo sempre di più, anche se lentamente, e ne fui estremamente lieta.

A giudicare dalla parole di Rori, Shaoran non le aveva ancora confessato di aver lasciato la sua fidanzata – incredibile come fosse esilarante quella parola – ma perché? Forse quella ragazza era solitaria e disimpegnata, dunque non desiderava stringere rapporti di fedeltà, per quanto potesse essere fedele una relazione con Shaoran? E per questo il ragazzo le aveva tenuto tutto nascosto, probabilmente perché credeva che lei fosse innamorata di lui e volesse rimpiazzare il mio ruolo? Era l’unico motivo che mi veniva in mente in quel momento e anche il più confacente ai due caratteri, nonostante Rori non paresse affatto innamorata.

La domanda più fondamentale e impertinente mi solleticò la lingua, per poi perdere sensibilità al mio imperioso ordine. La tentazione però era insopportabile, insormontabile… Non resistetti, come un’ape che vola su uno splendido fiore con il timore che, posandovisi, ne incenerirebbe la magnificenza.

Fissai gli occhi celesti, di una sfumatura cristallina che mi ricordava il colore dell’acqua clorata delle piscine pubbliche, e notai la loro vivacità, così parlai:

-Perché frequenti una persona così… Shaoran?-. Un’altra tentazione, quella di far sgusciare innumerevoli e orribili appellativi, mi stava per annientare, ma la trattenni: a che pro confessare apertamente di essere una sua ex? Completamente vano, nonché controproducente e patetico.

Aspettò qualche attimo prima di replicare; quell’attesa mi innervosì: credevo di essere stata troppo pretenziosa e irriguardosa, ma alla fine non mi interessava così smaniatamente, anzi.

Si stese sul suo asciugamano rosa – un terribile flashback me ne rigettò uno simile che ero stata solita portare al mare verso i tredici anni – e si spruzzò sulla mano della crema protettiva contro i raggi solari da una bottiglietta a forma di rosa nera attorcigliata intorno ad un leccalecca. L’imboccatura era posta su un petalo del fiore che sgocciolò un denso liquido rosso che imporporò il latteo palmo della sua mano, dopodiché si spalmò il prodotto sulle braccia, sul collo e sulla pancia, fino ai margini del costume rosa – immancabilmente – con grandi fragole viola. La crema venne assorbita dopo due o tre secondi e di quel fluido vermiglio non ci fu più traccia.

-Perché Shaoran mi accontenta sempre, rimpinza i miei capricci fino a farli scoppiare, mi vizia in continuazione affinché io faccia qualcosa che lui gradisce, senza accorgersi che alla fine piace anche a me. Tuttavia preferisco che mi tratti come una brava bambina, che mi appaghi sempre. È così stupido e megalomane da credere di essere lui il vittorioso, ma in realtà comando io, a me va tutto il piacere, a lui vengono sottratte fatiche su fatiche… A volte vengo descritta come una stratega infantile, ma non capiscono che proprio la mia infantilità mi è favorevole e non mi ostacola affatto.-. Per la prima volta vidi i suoi occhi ravvivarsi, prima che fossero chiusi dai sempre più fragili raggi solari. Ciononostante, il suo primo sorriso, un ghigno beffardo, non abbandonò il suo marmoreo volto.

-Non sono cattiva, non voglio illuderlo o fargli del male, per questo ho scelto lui, perché è insensibile alle emozioni, a quanto pare. Se fosse stata una persona diversa l’avrei forse amato, oltre che sfruttato, ma lui è così e anch’io. Compromessi del genere sono inevitabili.-. Quasi per riscattare quell’improvvisa apertura e loquacità, tacque definitivamente restando immobile a prendere il sole, con la testa leggermente flessa su un lato e le trecce sulle rispettive spalle.

Sì, era proprio l’amante perfetta per Shaoran.

 

***

My song is love
My song is love unknown,
But I'm on fire for you, clearly
You don't have to be alone
You don't have to be on your own

(Coldplay, “A message”)

 

Percepii dei passi felpati e attutiti dalla sabbia alla mia destra.

-Come va?-, mi sentii chiedere da una voce leggermente argentina.

Aprii piano gli occhi e scoprii che era ormai sera, anche se un brillante bagliore baluginava dietro le lontane onde del mare, che ormai scorrevano pigre e svogliate, quasi fossero insonnolite e aspettassero che quel filo colloso e iridescente le lasciasse invisibili e confondibili con il cielo oscuro per addormentarsi beatamente.

In verità non mi ero accorta che fosse passato molto tempo da quando Rori aveva taciuto, ma evidentemente mi sbagliavo. Un po’ intorpidita per essere stata stesa tutto il pomeriggio, mi alzai prima a sedere e poi, con fatica, mi misi in piedi con un leggero barcollamento, subito soppresso.

Notando il mio traballamento, la voce che riconobbi come quella di Yamazaki mi ammonì scherzosamente:

-Calma e sangue  freddo.-.

Affilai lo sguardo nella semioscurità, accorgendomi per la prima volta che il chiasso e la confusione del pomeriggio erano drasticamente decrementati.

-Yamazaki… Non me lo sarei aspettato da te.-. esclamai con finto risentimento per la sua battuta allusiva. Con una seconda occhiata mi resi conto che in riva al mare Tomoyo cercava di lavar via la sabbia dalla sedia sdraio gialla – che al semibuio sembrava arancione – mentre Shaoran e Rori erano poggiati al cofano della Nissan parcheggiata poco lontano e si baciavano profondamente.

Mi apprestai a piegare il mio asciugamano assaporando con il tatto la sabbia quasi gelata che si stringeva alle mie mani chiedendomi aiuto, volendo gustare anche lei qualche parte di me per seguirmi testarda.

-Vuoi smetterla di chiamarmi per cognome? Io sono Takashi, non Yamazaki!-, asserì con enfasi. Ne fui leggermente stupita, ma, mettendo l’asciugamano nella borsa di Tomoyo, concordai:

-Se ti fa piacere… Takashi. A cosa devo tutto questo sprizzo di vitalità?-, domandai accorgendomi della sua quasi invisibile espressione briosa.

-Oh, nulla.-, si incupì sensibilmente.

Mi strinsi tra le spalle perplessa e mi incamminai verso l’auto, intenzionata a sedermi sul sedile posteriore ignorando le prestazioni di Rori e Shaoran.

Non mi accorsi che Yamazaki, oh, pardon, Takashi mi stesse seguendo finché non ridacchiò sommessamente con un grugno nasale.

In quel momento non stavo pensando a nulla, né ero poco disposta alla conversazione: semplicemente, volevo estraniarmi, non riflettere sul fatto che probabilmente Rori aveva reagito molto meglio di me, che quindi era stata più matura e distaccata. A che sarebbe servito seviziarmi ancora con inutili paragoni fino allo stremo? Non sapevo come avesse fatto, ma Yamazaki – non ce la facevo proprio a chiamarlo per nome – aveva insegnato qualcosa a quell’essere liscio e compatto come marmo e quindi impermeabile che ero: io ero io, nessuno avrebbe potuto negarlo, modificarlo, infrangerlo, impoverirlo, nemmeno io. O almeno lo speravo.

Entrai in auto e richiusi la porta con slancio, mentre Yamazaki apriva quella opposta e si sedeva sul sedile con goffaggine. Io mi trovavo dietro al sedile del guidatore, lui dietro a quello del passeggero, ai due estremi dei sedili posteriori. Un attimo di pausa dopo la scrosciante chiusura della portella e:

-Sai, da piccolo ero convinto che le stelle fossero tanti occhi, tantissimi occhi con cui il cielo ci guardava e ci spiava per conto degli alieni, che però non erano cattivi, ma solo curiosi del nostro mondo pazzo. Sui loro pianeti era tutto governato da regole precise, imprescindibili, ineccepibili e incontestabili, dai caratteri binari dei computer, da una matematica infrangibile. Le idee erano semplici combinazioni di numeri, come l’HTML. Era tutto monotono e perfetto e nessuno se ne lamentava. Ma poi hanno visto noi e non hanno creduto possibile una realtà fatta di immagini, suoni, parole, sensazioni che non corrispondessero a caratteri precisi, a segni e leggi scritte e regolate. Per questo ci sorvegliano, per capire come facciamo a essere così diversi da loro e a riuscire a vivere comunque. I soffitti non ci proteggono, sai? No, perché una parte del nostro cervello, quella più libera, quella di cui ci accorgiamo solo quando stiamo scalfendo il comune senso del pudore o la morale o le nostre stesse regole autoimposte, quella illimitata che corre dappertutto senza muovere un passo, pensa sempre alle stelle, le proietta nel nostro cervello cosicché gli alieni ci osservino anche a nostra insaputa, come il Grande Fratello di 1984. E nemmeno dormire per sempre ti nasconde dal loro sguardo attento: sogniamo le stelle, vogliamo le stelle, guardiamo le stelle ed esse guardano noi. Ho trascorso metà della mia esistenza a credere a questa storia assurda, ci pensi?-, terminò fissando il poggiatesta davanti a lui.

Era la prima volta che mi parlava così a lungo, che mi confessava qualcosa di veramente suo, che riguardasse lui e basta e… mi piacque. Mi piacque molto, sì. Mi resi conto di quanto i miei pregiudizi mi avessero incatenata e imprigionata fino a credere che Yamazaki fosse solo un ragazzino allegro, fantasioso e burlesco. Quanto ero stata il errore… Imperdonabilmente, forse.

Comunque, rimasi esterrefatta  da quel racconto, dalla sua fantasia non infondata, ma intelligente e perspicace. Non era solo fantasy, era vita. Sì, certo, magari le stelle non erano altro che ammassi di gas e altri materiali, magari gli alieni non esistevano o non conoscevano la matematica, o magari coloro che ci controllavano non erano poi così lontani… Eravamo noi, semplicemente noi, regolatori di noi stessi, limitatori lamentanti. Noi credevamo nella speranza, ma sopprimevamo le nostre; noi creavamo un nostro mondo, ma non ne accettavamo le leggi da noi stessi ideate; noi avevamo uno sviluppato istinto di sopravvivenza, ma rischiavamo ogni giorno di morire strangolati dalle nostre stesse mani fratricide. E allora? Cosa fare? Abbandonarsi a sé stessi? Incredibile come da una storia così bizzarra potessero nascere riflessioni del genere.

-Non è assurda, mi piace: è poetica e geniale.-, mormorai concentrandomi anch’io sul poggiatesta che mi antecedeva.

-Non dovrei essere io a ricoprire il ruolo del consolatore in questa storia?-, sussurrò ancora più tenuemente di me, abbassando il capo.

Alla luce di un forte lampione vicino notai le sue sopracciglia aggrottate e l’espressione pensante, non autocommiserata.

-Tu non sei il mio consolatore, tu sei Yamazaki.-, ribadii sorpresa da quel comportamento: non era offeso, ma sembrava che… che mi volesse dire qualcosa.

-Takashi.-, mi corresse.

-Takashi.-, sospirai scimmiottando la sua voce.

Scoppiammo a ridere contemporaneamente come due bambini che tirano una torta in faccia al maestro troppo esigente. Ammirai i capelli scompigliati, bagnati dal buio e gocciolanti ancora acqua salata, mentre continuava a ridere quasi mostrando le gengive. I suoi occhi risaltavano per lo splendore di una luce chiarissima, forse il riflesso del lampione che torreggiava accanto ad un pino, nei pressi dell’auto.

In quell’attimo giunse Tomoyo con la borsa e la sdraio, fece bruscamente spostare Shaoran e Rori dal bagagliaio per infilarci il carico e, saliti tutti sull’auto, ripartimmo.

Disattenta, la mia attenzione vagava frusciando fra le fronde di un albero fino a raggiungere le stelle.

Ritorniamo sulle stelle, pensai distrattamente, Ritorniamoci.

 

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Salve a tutti! Ecco i ringraziamenti:

Faffy: oh venerabile Plinia! Sono davvero commossa per tutti complimenti che mi hai fatto – soprattutto quello sulla psicologia interessante, sono rimasta estasiata come un criceto in agonia (ma non ti avevo detto di limitare le similitudini??? Ndte). Scusa se rispondo così deficientemente alla tua magnifica recensione (direi più bella della storia), ma tu mi conosci… Spero che Rori ti sia piaciuta; ho riflettuto sui motivi che potessero spingerla a stare con Shaoran e ho concluso che secondo me un po’ di strategia non avrebbe guastato (o almeno spero…). Grazie ancora per la recensione (ricorda di scriverla su Word, te lo dirò ad ogni capitolo!), ciao Diocleziana!

Sakura182blast:ciao Alacazip! In effetti nemmeno Sakura, come avrai letto, ripone molta fiducia in Tomoyo: il tempo guarisce, sì, ma spesso crea ferite i cui lembi non si possono proprio riunire (per dirla alla Sakura). A volte rileggo i primi capitoli della fan fiction e mi rendo conto di quanto la prima Sakura (che poi sarebbe uguale a quella originale) sia davvero poco sveglia, per non essere volgarità! Insomma, non voglio essere triviale, ma, come ben sai, non capiva un pene di nulla! Spero che Rori ti sia piaciuta e che l’abbia ritratta abbastanza realisticamente. Grazie mille per la recensione, non vedo l’ora di risentirti ancora, ciao! Uobafet ti manda un bacio!

Sakura93thebest: beh, non è che Sakura avesse dubbi riguardo ad un’altra (o forse più) relazione di Shaoran. Spero che Rori ti sia piaciuto come personaggio. Per il pistacchio sono fortemente d’accordo… Io direi un semino di uva! Grazie per la recensione, ciao!

Bene, allora grazie anche a chi ha solo letto, a prestissimo!

Francy

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Capitolo 41
*** Onde nel cielo ***


Senza nome 1

Devo essere saggia, non posso fare tutto per conto mio e lasciare che la natura faccia il suo corso… O forse sì?

Mi sfilai reggiseno e mutandine ed entrai con un brivido nell’acqua gelida, apparentemente lattea, dato che rivelava il colore della vasca.

Perché voler ritornare al passato? Non è la stessa mania che mi ha dilaniata, quella spietata nostalgia di innocenza? È poi così diversa? È pur sempre una brama di passato…

L’acqua gelida ribolliva sulla mia epidermide sottoforma di pelle d’oca. La schiena non ancora bagnata dal candido liquido si incurvò quando il freddo raggiunse l’addome, facendo contrarre improvvisamente gli addominali.

… Cos’è in fondo il passato? Non è ciò che siamo? E il futuro non è ciò che saremo?

Con immane fatica mi azzardai ad immergere la schiena nell’acqua ghiacciata, piano piano, con estrema ed estenuante lentezza, contando i centimetri di pelle asciutta mancanti, mentre le gambe già si erano abituate al gelo… o a tal punto desensibilizzate da non poterne più percepire la consistenza.

Noi siamo le decorazioni del passato e l’impalcatura del futuro. Quindi, secondo tale ragionamento, questo mio desiderio sarebbe giustificato. Oh no, anche la ragione è dalla mia parte… Per una volta che istinto e ragione concordano, ecco che la coscienza e il senno di poi coprono il cielo, le nuvole, il sole e le altre stelle con i loro corpi massicci, muscolosi, erculei. Due macisti inespugnabili e insormontabili.

Poggiai il capo sul bordo più alto della vasca e osservai le mattonelle che si disegnavano in figure squadrate e regolari dinnanzi a me, intenta a rilassare i muscoli irrigiditi dal freddo e dallo sforzo di non sentirlo.

Non posso ritornare a quel passato. Non posso ritornare a nessun passato: è sbagliato, amorale, incoerente, insoddisfacente. Oh, no, insoddisfacente proprio no: altrimenti come potrei anelare un atto così imbarazzante e sciocco?

Premetti con irruenza la pancia della bottiglia di bagnoschiuma per farle vomitare il fluido denso e trasparente che conteneva da quella bocca tonda, quasi un’espressione stupita e abbagliata.

Potrebbe anche essere insoddisfacente, perché no? Anche la mia vendetta lo è stata, sebbene fossi pazzamente certa che avrebbe magicamente risolto tutti miei problemi, che mi avrebbe riempita così smaniosamente di compiacimento da farmi morire in una poltiglia di sangue, schegge d’ossa e carne trita come un palloncino empio d’aria punto da un ragionevole spillo.

Qualche istante dopo della candida e glaciale schiuma mi incorniciava il viso come un cuscino di neve, paragone possibile più per il gelo che per la consistenza.

Ma che importanza ha? La vendetta era ingiusta, ma io la volevo e la vorrei anche ora se la ragione me l’avesse permesso. Ma che senso ha? La nostalgia del mio passato è uno spettro mai marginale, tutt’altro che trasparente, un’ombra che seguivo come una giovane cieca rapita dal buio. Un cielo terso e vuoto, solare e accecante, ceruleo e insignificante. Perché quale significato poteva assumere l’anelito di un passato distrutto e non con tanto rimpianto, non con l’immensa mestizia che mi sarei aspettata, non con la mordace correità negata. E allora? Devo far differenza fra un passato e l’altro? Che importanza ha? Che senso ha?

Ammirai i miei capelli castani diventare color mogano sotto la superficie dell’acqua, ormai quasi completamente coperta da morbidi e marcescibili iceberg di bollicine. L’odore tenue di menta penetrò prima il naso, poi lentamente mi sferzò e tagliò gli occhi come vetri affilati e defilati infilati con aggressività e impeto nelle mie lacrimanti pupille.

Non posso costringere ancora qualcuno a sottostare ai miei vani e superflui desideri. Non posso costringere  lui. È così semplice e, in fondo, è l’unico freno che posso intervallare fra ciò che avventatamente bramo e ciò di cui ragionevolmente – no, non ragionevolmente: il raziocinio mi sostiene strenuamente – , naturalmente necessito.

La spugna, pregna di acqua ghiacciata semitrasparente e bagnoschiuma in nette nuvole nevose, mi strofinava con la sua ruvida pelle gelida, lavando via e affievolendo ogni minimo accenno di pensiero, emozione, immagine, fantasia, ragionamento.

Non ero nulla, ero chiunque. Anonima in un mondo di personalità distratte e derubate, tradite e impaurite, nascoste e spavalde.

Neanche il freddo striava e levigava brutalmente le mie membrane senza nome, popolate da tanti altri esseri che forse possedevano un’anima incoerente, incompleta, solitaria, diversa, razionale, cinica, egoista, riformatrice come la mia. Ognuna viveva una propria piccola vita, minuscola, minima come la loro esigua dimensione, ma non per questo priva di significato. Ogni mia cellula, pur identica che fosse ad altre mille, era unica nella sua posizione, nella sua umile e nodale funzione, nells sua solitudine. Le cellule erano gli esseri – se così potevano essere chiamati – più introversi sulla faccia della Terra: non avevano bisogno di nessuno per amare, per odiare, semplicemente perché non sapevano farlo, non conoscevano la comunicazione; si riproducevano sperdutamente, senza bisogno di seconde entità: sacrificavano il loro corpo per crearne altri due, più giovani, più utili e sempre più prossimi alla morte.

Yamazaki mi sta contagiando…

Quell’unico pensiero mi fece sobbalzare, dopo il mortale silenzio che aveva trascritto i miei ragionamenti sull’aria viaggiatrice e volubile, facendoli volar via nel cielo, in quel regno vuoto e lugubre dove terminano le riflessioni perse, dimenticate, oscure, abbandonate senza un motivo o, semplicemente, gettate via dai loro proprietari dopo essere stati abusati sulle nuvole scomode e atemporali, destinate a morire in gocce di pioggia succulente per la fertile terra.

Le orecchie mi fischiavano con uno stridio roboante, così, appena finito di lavarmi il corpo e i capelli, mi alzai nella vasca con l’acqua che mi sfiorava le caviglie e uscii poggiando i piedi fradici sull’asciugamano immacolato che avevo precedentemente steso a terra.

Non posso mica chiedergli se è d’accordo… Sarebbe a dir poco squallido.

Come un boomerang, i pensieri che avevo accartocciato e cestinato nel cielo ritornarono, spiegati ma con i segni del mio abbandono. Nemmeno l’aria li accettava; ma non erano almeno migliori dei miei precedenti, insanguinati di vendetta e imbevuti di scorticante odio? Non li rinnegavo, ma li avevo comunque gettati via, in quanto non mi erano più utili e, inoltre, perché non volevo più contarne le pile incolonnate nel mio cervello, occupanti spazio prezioso ed eventualmente fruibile.

Voglio farlo.

Sospirai compatendomi e cercai di ricordare la causa scatenante di quel lungo monologo interiore riguardo all’eventualità di baciare ancora una volta Yamazaki, come era accaduto poco più di un mese prima: sebbene lo sforzo, non la visualizzai.

 

***

Bruciante. Cosa sarebbe potuto esserlo? Un fiore essiccato dalla furia di quel sole di cui si fidava, ma che l’aveva impietosamente distrutto? La sabbia che avvolgeva i venti di scirocco in un mezzogiorno estivo? Le lacrime di rabbia che rendevano le guance palpitanti, tremanti e scottanti di vergogna per quella temeraria proposta di penetrazione nel proprio animo? Le unghie che graffiavano il corpo altrui, indesiderato, troppo violento e pesante per essere scostato, assurdamente ponderoso nella sua bieca agilità? L’inferno che torvo attendeva i malvagi, intrappolato in una fantasia infantile e capricciosa di vendetta? L’immoralità che denudava l’umanità ai suoi stessi occhi come un uccello implume e incapace di volare, ignominia per sé stesso e per gli altri, vergogna della società, pudore violato, fonte sgorgante di fluido e denso imbarazzo, epifania dell’oscenità nascosta in ogni delicatezza vivente?

In quel momento l’unica cosa che bruciava erano le mie guance sotto un sole bollente, feroce, ferino e siderale. Basta illudersi: ero infiammata dal desiderio di baciarlo, di poter aggrapparmi e pendere dalle sue labbra e non riuscivo a evaderne.

Evadere, sì, se ce l’avessi fatta mi sarei sentita molto meglio e non avrei fantasticato languidamente di quella bocca che tanto bramavo… Oh, sto cadendo nell’erotico…

Meglio evadere anche da questo, decisamente: non mi era mai stato d’aiuto, benché fosse uno dei pochissimi ricordi piacevoli del fidanzamento con Shaoran di due anni prima che serbassi nei miei occhi e sulla mia pelle, sulla lingua e nel naso, nelle orecchie e… no, nell’anima no e nemmeno nel cuore. Solo sensi, importanti, ma mai e poi mai fondamentali.

Ma che senso aveva scivolare su quei viscidi viaggi mentali per distrarmi? Perché era nato quel maledetto desiderio?

Erano passati tre giorni dalla gita al mare, era domenica, una domenica opprimente come tutte le altre, decorata di fronzoli e volute per sembrare gradevole, ma sempre con lo stesso odore di aria viziata e cellophane rinsecchito nella spazzatura. Dopo aver fatto il bagno avevo deciso di fare una passeggiata con Yamazaki, come eravamo soliti durante le mattine di festività scolastica. Mi sarei recata io a casa sua perché a casa tua c’è Touya di mattina, vero?, aveva giustificato. In effetti cercava sempre in tutti i modi di evitare mio fratello, senza dubbio troppo iperprotettivo in un modo di cui non avevo affatto bisogno, ma che in realtà mi innervosiva e rendeva insicura, come una magnolia custodita e soffocata sotto una campana di cristallo. Insano.

Mi trovavo ancora in strada, ma entro pochi minuti sarei giunta presso quell’edificio di mattoni color magenta con finestre quadrate e persiane bianco panna che rappresentava la dimora di Yamazaki. Non vi ero mai entrata.

Fissai le automobili che mi fiancheggiavano, la loro tecnologica complessità e la precisa geometria che avrebbero sicuramente scatenato la fervida e sognante immaginazione del mio amico. Una risata sommessa mi fece sobbalzare e vibrare.

Il mio naso si arricciò all’acre e volgare odore dello smog, che galleggiava e levitava con innaturale grazia in leggere spirali verso le poche nuvole che increspavano il celeste, come schiuma candida di onde marine e saporite.

Oh, ma perché tentavo ancora di distrarmi concentrandomi sui miei sensi quando ciò che si trovava sulle rive di un torrente tumultuoso e tempestoso era la mia mente? Perché continuare a scostarmi bruscamente…? Assurdo che ci provassi ancora.

Tentai ancora una volta di capire da dove fosse sorto quell’irrefrenabile desiderio, quella voglia logorante e consumante che mi scalfiva con una violenza sorprendente. Un lampo strappò via, rapì quel ricordo da un buio tanto corposo quanto refrattario. Ora la memoria,prima offuscata dalla mia divorante bramosia, mi ripropose come un’estranea pellicola l’attimo in cui mi ero guardata allo specchio, prima di fare il bagno: quelle labbra carnose ma leggermente violacee, segmenti su un viso tondo, avevano a loro volta proiettato davanti al mio ignaro sguardo l’ultimo bacio, quello inflitto a Yamazaki nel giorno del mio diciottesimo compleanno. Niente di più sconvolgente, anche perché non avevo mai davvero riflettuto sul motivo di quel mio comportamento che ora mi sembrava completamente dissennato… almeno prima che questa scabrosa e irrecusabile voglia mi avvolgesse e stringesse nel suo abbraccio fin troppo umano per essere reale.

Percorsi al suono del lieve fruscio dei miei pantaloni il vialetto, anch’esso di mattoni, che portava all’economica porta dello stesso colore delle persiane.

Premetti con l’indice e il medio il tasto rosso del citofono meditando sull’acuto e stridulo urlo che ne derivò.

Volevo davvero farlo?

Niente di più certo.

Va bene, forse la domanda era già sbagliata sin dal principio: dovevo  proprio farlo? Non c’era modo di evitarlo?

Tutto vano: non poteva accadere altrimenti.

Rassegnata a me stessa, seguii con lo sguardo la porta aprirsi e salutai con un cenno della mano la figura che ne sgusciò appena mi accorsi che era proprio Yamazaki e non uno dei suoi due fratelli maggiori o genitori.

-Ehi.-, disse semplicemente con un sorriso sospirante, forse per la fretta con cui aveva sceso le scale.

Presi un respiro profondissimo e sospirai anch’io con il naso. Ci voltammo e cominciammo a incamminarci come sempre verso la nostra gelateria preferita, Kinokoshin, che si trovava accanto all’edificio scolastico.

-Scusami se ti ho costretta ad arrivare fin qui…-.

-… Ma sai quanto mi odi tuo fratello. Ho capito, non preoccuparti.-, terminai la frase per lui: era la stessa da un anno e mezzo: incredibile, se l’era appuntata da qualche parte per ricordarsela?

Si strinse nelle spalle e continuammo a camminare fra clacson caotici e penzolanti pini, su un marciapiede a mattonelle grigie e lastre bianco sporco ai margini, dove un maestoso cane color mandorlo ora saltellava dolcemente e fedelmente aggrappandosi alla stretta cintura del proprio padrone, dalla quale torreggiava imponente e trasbordava una pancia quasi sferica.

Un contatto inaspettato squarciò la mia placida osservazione e una mano avvolta attorno al mio polso mi strattonò verso destra con un’irruenza e un impeto impressionanti, o forse fu l’imprevedibilità a renderli tali a mio avviso.

-Se non stai attenta ti spacchi il setto nasale contro un palo. Sarebbe squallido, no? Insomma, è meglio avere il naso rotto per un pugno…-. Sorrise. Lo guardai ancora smarrita, mi voltai e notai il palo reggente un segnale di divieto di sosta che quasi avevo colpito, intenta nelle mie riflessioni riguardo al cane: era come me, si aggrappava capricciosamente al suo padrone, ricco di emozioni, fantasia, comprensione… Vivo, insomma. Capace di parlare, esprimersi con naturale semplicità: un dio, per quell’animale purtroppo costretto ad un mutismo soffocante, alla dipendenza e alla fedeltà per nutrirsi e sopravvivere.

Ero davvero questo? Che squallore misero e pesante…

Avrei voluto sciogliermi, infrangermi in miliardi di frammenti fini fino a non essere più rintracciabile, in nessun modo, in nessun mondo.

Continuammo a passeggiare e solo allora mi accorsi che la mano di Yamazaki era ancora calda attorno al mio immobile polso. Come un guinzaglio.

Lo fissai e lui se ne accorse qualche attimo dopo con la coda dell’occhio. Un dejà vu spalancò il suo surreale torpore sulla mia mente, ricordandomi con uno schiocco di dita del giorno in cui scoprii che Shaoran mi aveva sempre mentito, all’uscita da scuola, galleggianti in un inusuale silenzio… Sbarrai gli occhi e mi posai una mano sul petto, dove il cuore roteava pazzo, impaziente, senza limiti, spericolato, fragoroso.

Sto paragonando Shaoran a Yamazaki? Ma cosa…? Non credevo di essere tanto insicura da sovrapporre il vuoto al cielo, lo sporco alla catarsi, la vergogna alla gioia?

Chi mi avrebbe assicurato che Yamazaki sarebbe stato sempre fedele? Se si stancasse delle mie congetture contorte, dei miei penosi turbamenti non potrebbe far altro che abbandonarmi. Nient’altro.

Non sono mai stata così superficiale e frivola da credere che tutti i maschi fossero come Shaoran. E allora perché ora ho paura? Cosa temo?

Non paventavo il mondo maschile, solo Yamazaki. In un modo o nell’altro, ero sempre dipendente da qualcuno, questa era l’unica certezza.

Cosa potevo fare? Mi fidavo di lui, gli avevo raccontato tutto di me, ciò che pensavo e sentivo… a parte quella strana connessione che, nonostante tutti i solipsismi che avrei potuto instaurare, non mi sembrava affatto malsana. Almeno finché Yamazaki non mi avesse abbandonata.

Forse volerlo baciare si rivelava un altro segnale, un altro filo di questo legame distorto? Non avrei saputo dirlo, non avrei potuto, né voluto.

Lo osservai ancora con malcelata insistenza: le sottili labbra rosee sensibilmente socchiuse come la porta di una casa abbandonata… No: queste ultime ostentavano mistero e verginità per poi tacere fra le proprie pareti il più gretto, banale, stancante, monotono, polveroso, normale e fetido aroma nauseabondo di chiuso e passato. Yamazaki non era così, ne ero certa: lui era estremamente ricco, pieno senza empietà, colmo di ciò che ancora quasi non avevo gustato né odorato, un profumo e un sapore sublimi, delicati, eleganti e incisivi, indimenticabili, intensi.

Le sopracciglia sottili incoronavano gli occhi stretti e lunghi, quasi un taglio arabo, fine e marcato; i capelli mori applaudivano lievemente contro il capo ad ogni sbuffo noioso di vento, terminando su una nuca lucida e lattea, una curva sinuosa e sensuale che precipitava in una discesa arcuata sulla schiena stretta e perigliosa, liscia come un frammento di marmo fra sterpi e rovi spinosi.

Non potevo sopportare che un corpo così anonimo mi sfidasse attirandomi fino a quel punto.

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente, rimuginai.

Come uno Zahir, quel pensiero, da essere una fioca eco nelle mie orecchie, divenne un urlo incontenibile e irreprimibile, ma non per questo insopportabile.

Corpo… Attrazione… Mente…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Mi fido… Labbra… Nuca…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Bacio… Ti fisso… Vergogna…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Dipendenza… Dolce… Devo farlo…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Strada... Polso... Legame…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Respiro... Cane... Ho paura…

È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.

Carne… Spirito… Lo faccio.

La fretta, l’impazienza, l’imbarazzo, quella frase che rimbalzava come una minuscola pallina di flipper nella mia testa con tintinnii esasperanti e acutezze folli, l’irrazionalità, il bisogno, la mia nudità di fronte a me stessa. Furono questi i capi d’accusa che la mente allegò al mio incarceramento per aver chiesto a Yamazaki di fermarci un attimo davanti a una vetrina, per averlo inaspettatamente abbracciato e per aver ricoperto ancora una volta l’amaro ruolo dell’antagonista.

Non approfittai nemmeno dell’unico attimo di cui avrei potuto godere per fissare il suo volto contratto nello sbalordimento, gli occhi spalancati per il disorientamento, la bocca cerchiata per lo stupore… Sapevo cosa stesse pensando, facendo e non facendo, cose che invece ignoravo nei miei riguardi.

Inclinai la testa senza accorgermene e lo baciai. Semplicemente.

Il peso delle mie labbra fu immane per le sue, fragili e sottili, che si arresero senza aver combattuto e seminato giusta morte. Ciò mi rese ancora più triste e colpevole.

Criminale, tentatrice, ladra!

Lo so fin troppo bene.

A quanto pare non abbastanza, schifosa.

Non riesco a farne a meno…

Provocatrice! Assassina!

Le mie labbra screpolate scivolarono sulle sue con una flebile nota, come la corda più acida e acuta di una chitarra grattata dal vento.

Perdonami.

Non ne sei degna, spregevole verme.

Chiesi perdono, pregai per il perdono, ma non servì a nulla: Yamazaki si arrese con ancora più abbandonata tranquillità.

Perché un mese prima non avrei mai pianto per questo? Perché quel bacio era diverso? Fisicamente non era altro che un insignificante strofinio di labbra, come pietra pomice su un imperfetto foglio di pergamena, poesie sublimi che diventavano turpi su una superficie ruvida. Emotivamente ci fu qualcosa di differente, una puntuale punta di coltello conficcatasi nella mia pelle, una ferita insanguinante in una notte di spasimante silenzio, ma non seppi descriverla.

Mi guardo. Mi guardo e mi vergogno.

Sentivo una leggera scossa sotto l’ombelico; la cocca di una freccia davanti ai miei occhi ondeggiava senza sosta.

Il suo viso mi accarezzava… Che sensazione eccelsa, dolce ma non zuccherosa, triste ma non disperata, delicata ma non fragile… Una folata calda intiepidiva la mia guancia, regolare, non volubile e opportunista come il vento infedele.

Vicinanza crepitante, ingenuità pensante, ignoranza occultata.

Bruciante luna di ghiaccio amaro? No, non più.

Ho vinto l’universo…

Ho vinto solo una condanna a morte.

Le stelle… Posso guardare le stelle! Ho vinto l’universo!

Non vinto niente.

Ho vinto me.

Ho vinto l’universo.

Ho vinto l’universo.

 

^^^^^^^^^^^^^^^

Ecco a voi il PENULTIMO CAPITOLO. Ciò logicamente significa che il prossimo sarà l’ultimo, almeno è quello di cui sono sicura ora.

Ringrazio Sakura bethovina (come ben sai purtroppo ciò che desideri non potrà accadere, mi dispiace), Faffy (grazie per la lunghissima recensione, come sai le adoro, e soprattutto per i bellissimi complimenti e la perfetta analisi. L’ho salvata sul computer, ma non penso ce ne fosse bisogno: la ricorderò sempre, grazie infinite), Sakura182blast (dovremo rivederci tutte le puntate dei “Pokèmon” per capirlo! Grazie per la divertentissima recensione e anche per la presenza dello Zannuto, che capisco perfettamente…).

Scusate per i ringraziamenti telegrafici, ma non ho poco tempo a disposizione.

A presto e grazie anche a chi ha solo letto!

Francy

 

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Capitolo 42
*** Don't phunk with my heart ***


Senza nome 1

Chinai il capo finché sfiorai con il mento l’orlo della mia maglietta grigia. La testa ciondolava lievemente, spinta dal ritmico e frenetico alzarsi e abbassarsi dello sterno.

Chi c’era attorno a me? Nessuno, in quel momento c’ero solo io, in una strada desolata, ventosa, nevosa. Sembrava un monotono giorno di guerra: radici secche di alberi accasciati su un bianco infinito e risucchiante, avvenente e tentatore, mela rossa in un arido deserto di nebbia. Non c’era nulla. Solo bianco.

Io, unica figura nuda e spoglia come quell’unica pianta nell’unica neve, affondavo i piedi in granulose nuvole di terrore candido e gelido, mentre una macchia di sangue cigolava sul marmo fragile, si espandeva in eleganti e raffinati archi, in misteriosi e sinuosi ghirigori senza fine. Il bianco diventava scarlatto.

Il mio corpo pallido e diafano si sarebbe confuso con la neve, se non fosse stato per quella macchia spenta e castana dei miei capelli senza forza e senza vigore. I miei occhi erano infossati, due sfere vitree saettanti verso una fine incipiente, affamati e assetati, senza riposo, senza pace. Verdi come le fronde di quell’albero dovevano essere state in primavera; come esse erano sparite, così la vitalità in quelle orbite era stata dissipata dall’innaturalezza umana.

Come una cavia, una schiava, una serva, mi avevano sfruttata, mi avevano imposto malattie che non mi divoravano i tessuti solo per curare migliaia di altri bambini degenti. Un conato di vomito si unì al sangue, giallo e vermiglio su un bianco accecante. Non sentivo freddo.

Non capivo da dove potesse provenire quel liquido rosso, quasi roseo, che pullulava di infermità, febbre, pidocchi, vermi, calore malsano, umidità, disperazione roca. Mangiavo la neve, a gattoni, ancora nuda. Ne sentivo il gelo impietrire l’esofago, ghiacciare i denti, irrigidire lo stomaco, dove finalmente si fermò e si temperò.

Non avrei saputo dire perché in quel momento mi venne in mente quel sogno; l’avevo fatto qualche notte prima, quando ero ancora fidanzata con Shaoran. Non era stato difficile capirne il significato: umiliazione. Semplice. Nient’altro da aggiungere. Laconica.

Quando avevo separato le mie tremanti labbra da quelle di Yamazaki, avevo percepito sulla mia pelle delle leggerissime e fievolissime gocce d’acqua. Era pioggia? Con gioia l’avevo sperato, ma notai che le mie braccia, solcate dalla leggiadra acqua, odoravano fastidiosamente di detersivo. Sollevai il capo senza percepire la presenza di Yamazaki e notai un lenzuolo candido steso ad asciugare, appeso ad un fil di ferro a pochi centimetri dalla massiccia e scura ringhiera di un balcone.

Candido come la neve.

Chinai un’altra volta la testa, ma ora incrociai lo sguardo di Yamazaki. Non mi trovai nulla di ciò che avevo sperato, niente rabbia, niente frustrazione, niente esasperazione.

Ciò mi terrificò.

Pensavo fosse molto più prevedibile, un bravo ragazzo, gentile, certo, ma ragionevole. Una diga per le mie acque impetuose e straripanti.

E invece? Il suo sguardo era… no, non era neutro, ma affilato in un’espressione né accigliata, né collerica. Nulla da desumere – o almeno quella era la mia impressione.

Pian piano, il mio sfondo riafferrò sdegnato i contorti contorni che gli erano temporaneamente e pericolosamente sfuggiti. La vetrina denudava le facce imbronciate di perfetti manichini nerovestiti, eleganti e sensuali. Parrucche lucenti e leziose brillavano sotto gli splendenti neon gialli del negozio, mentre mani immobili e plastiche si contorcevano per l’appagamento di essere fissate, stregate dal desiderio che ogni sguardo umano rivolgeva loro, piegate inesorabilmente dal sesso incontaminato sfuggente da ogni singulto invidioso. Puro ed autentico piacere inconsumabile, forzato al solo pensiero, costretto ad una staticità, ad un’inerzia insopportabili, intoccabili, solidi e freddi. Bocche rosse senza sangue.

Uno scroscio di risa rapì il mio udito, squillante, fragoroso, rombante, cristallino: due ragazzine fissavano il cane color mandorlo che cercava di rincorrersi insistentemente la coda, prendendolo in giro. Come era accaduto a me: derisioni e beffe per azioni inconcludenti e sciocche. L’animale iniziò ad abbaiare, contento delle attenzioni altrui, senza rendersi conto che plasmava il suo stesso scherno. Il tarchiato padrone non poteva far altro che scoppiare a ridere bonariamente, senza avere il coraggio di mostrarsi perplesso o offeso lui stesso dalle stolte burle delle ragazze. Non lo proteggeva. Perché i cani sono fedeli. E chi è fedele è cieco.

Quell’odore… L’odore di pulito maniacale che mi pervadeva, che mi deturpava la pelle sottoforma di gocce discendenti. Come una devastante eruzione, quei gas velenosi mi infettavano, mi infestavano come malevoli insetti sventrati, incurvati e famelici… Ciononostante, non tentai nemmeno di spostarmi ed evitare così l’acqua crudele che mi cercava. Forse perché ero fedele.

Quell’effluvio tossico mi riempì anche la bocca, donandomi la turpe sensazione della morte lenta e torpida. Era come se mi stessi abbeverando direttamente dalla rotonda e perfetta imboccatura di un fustino di detersivo, mortale e amaro. Sentivo quasi il liquido premere e graffiare la superficie posteriore della mia lingua, infiammarmi la gola e incenerirmi la parte più densa del sangue, fino a far sì che nelle vene mi scorresse solo torbida acqua schiumosa.

Arricciai il naso a quella percezione troppo intensa per essere un succo della mia fantasia.

All’improvviso mi accorsi che tutto l’imbarazzo, tutta la vergogna che mi avevano allontanata e attratta, respinta e risucchiata, erano sbiadite come una pittura ad olio sotto un sole aggressivo.

Era spontaneo fissare Yamazaki. Naturale, quasi necessario. Perché? Esigevo una risposta, una reazione, qualcosa, qualsiasi cosa, un rifiuto, un assenso, un segnale sicuro di sconfitta o vittoria. Una decisione imprescindibile, certa e innegabile, incontestabile.

Osservai le sue sopracciglia completamente piatte, dritte.

Io avevo fatto ciò che avrei voluto fare da tanto, forse; ora doveva essere lui a rispondere. Era il suo turno.

Sentii una goccia più pesante e grossa delle altre cadere rovinosamente fra i miei capelli, scivolare con un mio brivido sulla nuca e forarmi i pensieri: alzai istintivamente la testa tendendo dolorosamente il collo.

I guaiti del cane soffocarono il movimento felino di Yamazaki proibendomi ogni possibilità di percepirlo… Per far cosa? Evitarlo? Perché, poi?

Sentii prima le sue labbra morbide e socchiuse sul tendine teso del collo, poco sotto la mandibola. Il suo respiro caldo, bruciante, bollente riportò improvvisamente e bruscamente alla realtà anche il tatto. Alla realtà? Era  realtà? Come il sapore del detersivo sulla lingua, anche quel flebile tocco mi parve troppo intenso per essere falso. Dovevo capire, dovevo assicurarmi che fosse tutto vero e non un altro odioso volo ad ali spiegate della mia infantile fantasia. Per questo, tenendo il capo ancora ben sollevato, avvolsi il suo corpo sorprendentemente vicino e incurvato con vigore, solo per saggiarne la consistenza, solo per capacitarmi della sua autenticità, solo per percepirne la vitalità, ciò che lo differenziava da quei voluttuosi manichini.

Solo perché mi piaceva da impazzire.

Oh, non il corpo, ma il suo corpo. Se non fossi stata così sicura che fosse il suo non lo avrei apprezzato fino all’estasi come, mio malgrado, stavo facendo.

Gli carezzai le braccia, quasi senza accorgermene, mentre i suoi peli mi solleticavano i polpastrelli e i palmi delle mani opponendo una pungente ma debole resistenza allo sfregamento.

Era fermo, con la bocca poggiata sul mio collo, senza muoversi, senza reagire. Eppure aveva iniziato lui: che diavolo aveva intenzione di fare?

Avevo compreso da un bel po’ la sua corposità e realtà – se mai ne avessi davvero dubitato – ma continuavo comunque a godere di quel lieve e velato sfiorare, di quel vago solletico, pensando ripetutamente: Questo è Yamazaki. Yamazaki. È lui, lui… Il suo corpo.

Ne rimasi ineffabilmente inebriata.

Inaspettatamente mi abbracciò con foga all’altezza delle scapole facendomi sollevare le braccia, che contemporaneamente si aggrapparono alle sue spalle. Una posizione scomodissima, ma in quel momento fu la più naturale che potessimo tenere.

Le fibre della sua maglietta non mi parvero interessanti quanto i suoi capelli, dritti e fradici anch’essi di quell’acqua impura a pulita insieme.

Non sapevo cosa provare, cosa sentire… Soddisfazione? E perché? Felicità? Forse. Forse sì. Altrimenti perché ostentavo quel sorriso così beato? Non era apertissimo, ma proprio per questo era vero. Cullata senza alcun dondolio visibile, avevo vinto me stessa senza presunzione e dominavo il mio universo interiore senza prigionieri e senza schiavi, solo una regina osannata da me stessa, non necessariamente venerata, ma almeno ammirata. Era quella l’autostima?

Ancora una volta i recettori sensoriali si annebbiarono, sfocando ogni pulsazione, rendendola sempre meno nitida fino a farla definitivamente sbiadire: ne rimase solo un pallido ed opaco alone.

C’era solo qualcosa, una cosa che diveniva sempre più limpida e definita: lui. Era dovunque, mi circondava con mille abbracci corporali e mentali, con il tremore delle sue labbra, i sospiri quasi impercettibili che esalava in continuazione, i capelli spinosi che mi pungevano la pelle stillando gocce frementi e leggiadre. E intanto i miei occhi vagavano verso l’alto, dove il sole veniva debolmente coperte da gassose schiume bianche che non lo spegnevano completamente, ma lasciavano trasparire un pallido ma intenso bagliore, come se il cielo fosse un immenso deserto di neve.

La brezza mi ravvivò i capelli per poi abbandonarne alcuni ciuffi sulla fronte e sul collo. Il mio sguardo, però, catturò il delicato e perfetto danzare del lenzuolo steso sopra di noi, un’eleganza non sensuale, ma raffinata, pura e candida come il suo colore. Cullato dal vento, spruzzava bolle di detersivo come un vecchio prete canuto che benedice il mondo con poche gocce di acqua santa sapendo che non basteranno mai per tutti.

Quando abbassai il capo e concentrai lo sguardo sulla sua testa china sul mio collo, mi focalizzai completamente su di lui: ogni senso, ogni emozione, ogni volontà, ogni movimento riguardava lui, forse senza accorgermene, forse consapevolmente. O forse entrambi.

Inalavo ed esalavo ogni lungo respiro mascherando l’odore del detersivo, percependo solo il suo sentore di fresco e le sue labbra roventi sulla mia gola.

Ogni frammento della sua pelle era nuovo per me, ogni suo capello, ogni suo sguardo indecifrabile… Così perdutamente vivibile, non fragile ed esauribile. Non sapevo nemmeno a cosa pensare, tranne che alla sua vicinanza così vigorosa.

Improvvisamente si scostò con leggerezza, ma celermente. Gli fissavo le scarpe senza avere il coraggio – o forse il buonsenso – di guardarlo negli occhi. Le sue mani erano ancora poggiate sulle mie spalle mentre mi spingeva verso una traversa vicina, stretta e deserta. Forse nella mia trance avevo ignorato e dimenticato che ci trovavamo in una strada molto frequentata – e soprattutto davanti ad una vetrina di una boutique gremita di gente. Non che a me importasse, ma in quel momento era lui a guidarmi e io non potevo sottrarmi. Non l’avrei voluto, per un motivo oscuro.

Imboccammo il vicolo, mentre io lo fissavo ancora frastornata dal repentino cambiamento di posizione; mi fece voltare dalla sua parte, lui appoggiato al muro con un piede sul marciapiede stretto e l’altro sull’asfalto sconnesso, io accanto a lui, con la spalla destra addossata alla parete di un prefabbricato giallo canarino.

-E Shaoran?-, mi sorprese. Finalmente lo fissai, ma non spaventata o imbarazzata, bensì sbalordita. Alzai un sopracciglio e finsi di non aver sentito.

-Prego?-.

-Shaoran.-. Non capii che ruolo ricoprisse in ciò che era accaduto, perciò replicai perplessa:

-Shaoran cosa, esattamente?-.

Incastonò il suo sguardo al mio con un’espressione neutra. Perché? Non riuscivo a comprendere i suoi repentini ragionamenti. Beh, neanche io ero stata molto accessibile da questo punto di vista.

-Tu pensi che Shaoran sia semplicemente sparito e ti sbagli: tu lo desidererai sempre, forse non lo amerai, ma sentirai sempre il bisogno di “sconfiggerlo”, di compiere la tua vendetta. Credi di aver ormai evitato con successo tutto il male che ti ha provocato? Pensi davvero di aver soppresso il tuo desiderio di vincerlo? Non morirà mai, neanche se lo volessi. So che lo vorresti e anch’io, se devo essere sincero, ma non dipende da me: io sono solo leggermente più saggio di te (perdonami la presunzione) da non escludere alcuna possibilità. Per favore, riflettici: Shaoran non è al di là di te, è dentro e non lo caccerai mai, perché tu vuoi distruggerlo, vuoi ancora farlo. Certo, forse in modo meno pericoloso, ma si tratterà sempre di devastazione. Non credere di essere diventata buona così, ad un tratto. Nessuno è buono.-. Si fermò un istante senza lasciarmi il tempo di elucubrare sull’assurdità di ciò che stesse dichiarando e continuò:

-Neanch’io sono buono, sai? Ho lasciato la ragazza che amavo, che mi amava, senza alcuna delicatezza, dopotutto. L’ho tradita baciandoti (non me ne pento, ma non è neanche piacevole illudere qualcuno, e tu lo sai bene). E inoltre ora pretendo di approfittarmi di una ragazza che crede di amarmi, forse, e che invece ha bisogno di un rimpiazzo. Non sono la vittima, io, sono il colpevole e mi dispiace sul serio.-. Fece ancora una pausa, più breve della precedente: ormai le sue parole scivolavano dentro di me senza alcuna reazione, non ne avevo il tempo. Proseguì:

-Tu sei di Shaoran, non lo capisci? Vai, illudilo, distruggilo, sii soddisfatta di te stessa, magari, e poi non tornare, perché troverai dolore dappertutto. Non tornare, se puoi… A volte penso davvero che sia meglio essere rapiti dagli alieni e finire in un mondo calcolato, monotono ma sicuro. Sei di Shaoran, è come se fosse scritto. O, se preferisci, Shaoran è tuo. Non ti ama e non l’ha mai fatto, ma siete annodati da un legame forse anche più forte.-. Terminò in sospeso.

Come?, avrei voluto chiedergli, Cos’hai detto?, ma fingere ancora di non aver sentito sarebbe risultato crudele e vano.

Non avevo ancora compreso cosa stesse dicendo, ma l’immediata impressione che mi fecero le sue parole non fu esattamente piacevole.

Io ero di Shaoran? Ero perplessa: ma cosa stava dicendo?

Ancora una volta, non sapevo a cosa pensare, ma per ben altri motivi: l’incoerenza di ciò che aveva pronunciato mi lasciò così esterrefatta che quasi scoppiai a ridere. E infatti lo feci.

Fu una risata amara, incredula, roca. Spaventosa.

Uno sguardo di ghiaccio mi oltrepassò trafiggendomi. Basto quello a bloccare i miei muscoli facciali nel bel mezzo del mio riso come se avessi accusato una paresi improvvisa. Chinai la testa con ancora un leggero ghigno sulle labbra e la rialzai subito dopo mostrando un’espressione incredibilmente seria.

-Ti assicuro che non è così.-. Sentii un’altra fragorosa ondata di risa solleticarmi la gola, ma la ingoiai tempestivamente prima che provocasse altri danni. L’ingenua risposta che avevo pronunciato con fermezza si rivelò immotivatamente esilarante, tanto mi sembrava assurdo discutere di un argomento del genere.

Inoltre non comprendevo perché prima mi avesse abbracciata così… amorevolmente, avrei osato dire, e perché ora mi stesse aggredendo, in un certo senso. Non che avesse parlato tanto aspramente, ma di certo il suo discorso non era stato dei più comprensivi e ciò mi preoccupava non poco.

-Dispiace anche a me saperti sua, ma è inevitabile.-, sospirò voltando il capo verso la strada principale. Temendo che stesse per andarsene, dunque gli afferrai con irruenza il polso attirandolo verso di me.

-Mi stai abbandonando?-, sussurrai; sul viso più nessun’ombra di ilarità.

-Puoi stare in cielo o in terra, non entrambi.-, affermò a testa alta.

Non lo riconoscevo più, il che, se possibile, mi terrificava maggiormente. Ero smarrita, persa in un turbine di emozioni che avrei dovuto ben conoscere e identificare, ma che in quell’attimo mi parvero sempre più mascherate, diverse, irriconoscibili, lontane. Non riuscivo a districarmi e faticavo ad affibbiare la colpa a Yamazaki: impossibile.

-Appunto: preferisco essere in cielo.-, mormorai poco decisa.

-Appartieni a Shaoran.-, scandì ancora una volta, subito.

A quel punto scostai un ramo in quella foresta turbolenta che era la mia mente e dal pertugio creatosi fuoriuscì con fluidità e agilità la rabbia, l’ira più rovente che avessi mai provato, probabilmente: perché non mi capiva? Probabilmente non mi stava nemmeno ascoltando… No, Yamazaki non mi avrebbe mai ignorata, mai. Mai.

Mai.

Fu in quel momento che scoppiai a piangere, non tanto per le sue parole, bensì per l’incomprensione, per il suo impenetrabile mutamento. Per la rabbia.

Veloci, saettanti e bollenti lacrime d’ira nettarono finalmente il mio viso, proprio ora che percepivo la tangibile e palpabile mancanza di quello sporco odore di pulito sulla mia pelle, di quelle ripetitive e benedette gocce di acqua mista a detersivo. Lacrime amare, masochiste, benefiche, liberatorie, iraconde, copiose, indomabili, lisce, liquide, pulite; lacrime basite, sprezzanti, coraggiose, tremanti, leggere, delicate, infantili, dolci, arcuate sui miei zigomi, lungo le mie guance contratte in una stupida smorfia di delusione.

Yamazaki è un essere umano, può cambiare quanto vuole. Non sarò certo io a giudicarlo, non sono affatto la persona più coerente del mondo, pensai, forse solo per calmarmi e riprendere il controllo del mio corpo.

Intanto lui mi fissava insistentemente, forse confuso sul da farsi, forse riluttante a consolarmi – non mi fidavo molto delle mie percezioni in quel momento.

-Mi piaci molto: non sei vuota come tutte le altre ragazze, sei speciale, riflessiva, intelligente, comprensiva, affatto superficiale, provi delle emozioni vere, non quelle mascherate da trucchi e bei vestiti. Ti sembrerà banale, ma è questo che penso di te. Non lo dico per consolarti, ma per farti capire che hai sofferto e ora anche tu devi far soffrire. È la legge della vita, mi sembra logico.-.

E a soffrire doveva essere lui.

Ma che discorso assurdo…

Non riuscivo a credere a una sola parola di ciò che stesse dicendo, anche se rimasi piacevolmente lusingata dall’opinione che aveva di me.

-Ho già fatto soffrire Tomoyo, non ti sembra abbastanza?-. In realtà non mi ero mai sentita davvero in colpa, crudele com’ero.

Probabilmente pensava che non mi potessi più risollevare dalla temporanea crisi di pianto, perché il suo viso mostrò stupore e sbigottimento.

Non rispose subito, ma alzò la testa fissando le tapparelle grigie della casa di fronte, mentre le mie lacrime ormai si erano ridotte a lucide strisce appiccicose sulle mie guance, sotto le quali la pelle tirava quasi dolorosamente.

-Sei di Shaoran.-, ribadì testardo.

Mi morsi il labbro inferiore per lenire la rabbia, come se quell’atto fosse un blando balsamo inconsistente.

Avrei voluto rimettere al suo posto quel ramo, richiudere l’apertura creata da me stessa, ma ormai l’ira era dilagata via, proprio come il male si era alzato da una spirale e aveva spiccato il volo sull’orlo della grande bocca del vaso di Pandora, come un avvoltoio su carcasse di angeli custoditi dal vento.

Una parte di me, la più razionale, quella che si fidava più ciecamente  di Yamazaki, decise senza il mio consenso di esaminare l’eventuale veridicità delle sue parole, con mia enorme indignazione: mi stava offendendo, il mio raziocinio mi stava propinando insulti nascosti sotto una spessa patina di smancerie e tecnicismi!

In realtà non pensavo più attivamente a Shaoran, lo reputavo inagibile, in un certo senso. Ciò significava che non potevo assolutamente calpestare un’altra volta la sua terra conosciuta, prevedibile, splendida alla vista, ma solo un autentico miraggio. Niente di tangibile e nitido, un mistero già risolto. D’altronde, come poteva una risposta esistere senza una domanda?

Ma dai divieti ci si poteva anche disincagliare, no? Bastava la volontà… Che non c’era. Come potevo esserne così certa? Beh, io non lo amavo più e non ero mai stata così testarda da toccare misconoscente il fuoco, bruciandomi, e sfiorarlo una seconda volta solo perché non avevo altro da tastare. Inoltre mi mancava la spinta più consistente: il desiderio, quello di cui tanto fantasticava Yamazaki, ma che io non percepivo più – almeno nei confronti di Shaoran. Non avevo voglia di guardarlo e bramarlo, di scompigliare quella folta frangia castana, di fissare le fiamme dei suoi occhi dardeggianti, di sfiorare le sue labbra vermiglie, come quelle di un bimbo. Tutte queste caratterizzazioni poetiche e discriminatorie non gli si addicevano più ai miei occhi, erano ormai sfumate nella più passiva e comune piattezza.

Un breve processo per un breve verdetto: Yamazaki sbagliava.

Almeno in quel momento Shaoran non rappresentava la mia maggiore preoccupazione: la fiducia donatami aveva con successo lisciato le mie pieghe e fasciato le mie piaghe. E a me bastava.

Gli indirizzai uno sguardo gelido e folle, pazzo di vittoria.

-Sbagli.-, dichiarai con inattesa risolutezza.

-Non immaginavo che i tuoi esami di coscienza fossero così rapidi.-. Sollevò con ironia le sopracciglia, sorridendo vacuo.

-Sai, in questi anni mi sono allenata bene.-, replicai leggermente aspra, ma con un ghigno angelico sul volto.

Improvvisamente compresi il senso di quel mutamento, del suo comportamento pressoché improbabile e alienato. Rabbrividii.

-Stai cercando di farti odiare?-. Sgranai gli occhi e restai a bocca aperta, tormentando il muro dormiente, graffiandolo con le mie unghie corte e irregolari.

Yamazaki voltò il capo nuovamente verso la strada che avevamo lasciato cinque – o forse quindici o sessanta – minuti prima, ma questa volta fui certa che non stesse per fuggire via, perché all’improvviso il suo sguardo scavò nell’asfalto bigio della stradina e vi costruì possenti e stabili fondamenta.

Era smarrito, lo si evinceva senza sforzo dalla sua espressione afflitta e frenetica.

-Per caso tu e Shaoran vi scambiate lettere minatorie?-, domandai sarcastica con un ghigno spietato.

-So che sembra troppo romanzesco, ma volevo proteggerti. Io non sono perfetto.-, borbottò con le labbra leggermente all’infuori, espressione che mi suggerì l’immagine di un bambino colto nel sacco mentre ruba per scherzo le chiavi dell’auto del padre e le nasconde.

-E chi lo è? In effetti anche questo è romanzesco…-, constatai pensierosa, ma proseguii subito:

-La vendetta non mi serve più, almeno per ora. Non c’è bisogno di giri di parole: io voglio te. È vietato desiderare la persona che mi ha afferrata nel momento giusto?-, chiesi quasi spazientita, molto sorpresa di aver espresso quelle conclusioni così apertamente e coraggiosamente.

-Ti ho solo facilitato la salita, un giorno o l’altro ce l’avresti fatta da sola.-. Dettagli, stupidi dettagli.

-Tu stai cercando di farti odiare.-, affermai perentoria.

Molto probabilmente aveva ragione, mi suggerì la mente, ma non l’ascoltai.

-Ma spiegami, perché prima non hai reagito così?-, domandai più calma, ridestando le sensazioni sublimi di poco – o tanto – prima.

-Semplicemente perché non riesco a controllare i miei impulsi. E…-, continuò rispondendo alla mia successiva domanda senza che l’avessi ancora formulata nella mia testa, -ho accettato scioccamente di baciarti durante il mio fidanzamento con Chiharu perché ero sicuro che fosse solo uno sfogo… Non volevo che ti, che mi, innamorassi.-.

Era tutto abbastanza chiaro: fin quando era stato convinto che il nostro rapporto non si sarebbe mai trasformato in una relazione stabile si era prestato alle mie lussuriose volontà. Ma ora era tutto diverso: lui era libero da Chiharu, io da Shaoran… Non c’era più nessuna scusa.

Abbandonai momentaneamente l’espressione accigliata e svelai quella curiosa e preoccupata.

-Di cosa hai paura?-, domandai ostentando calma apparente.

Si voltò ancora verso il viale trafficato, forse refrattario e riluttante a rispondere a quel quesito probabilmente troppo incisivo, ma, quando si girò poggiando la spalla sinistra al muro in modo da stare di fronte a me, notai la sua incertezza pensierosa, lo sguardo assente solo per un attimo, le sopracciglia fini corrugate e le rughe più accentuate sopra il naso, esattamente in mezzo agli occhi, la bocca ormai quasi indistinguibile, una strettissima piega pallida, le guance più gonfie per lo sforzo, le mani intrecciate l’una nell’altra come un’impervia e ostica foresta nordica.

-Non vorrei innamorarmi ancora di Chiharu o di qualche altra ragazza che, al momento, reputerei migliore di te per alcuni aspetti. Allo stesso tempo temo che ciò avvenga anche a te, che il tuo rancore verso Shaoran si risvegli come da un lungo letargo, che tu lo desideri ancora, forse in modo più maturo, ma si tratterebbe pur sempre di desiderio. Non voglio farti soffrire per mia assenza o soffocamento. Il mio ruolo è di esserti amico, confidente, e da tale mi devo comportare, proteggendoti.-.

Pronunciò queste frasi come un giuramento, con solennità e pomposità, fissandomi direttamente negli occhi. Ne rimasi gradevolmente colpita, ma replicai subito, quasi stizzita per l’ovvietà della mia risposta:

-Certo, anch’io me ne preoccuperei, ma, sai, in questo momento nella classifica delle mie priorità quest’argomento semplicemente… non esiste. Il futuro è il futuro e dovrà essere vissuto in modo diverso rispetto al presente, poi decideremo come. A me basta sapere solo che, se e quando ti bacerò, tu sarai d’accordo. Non voglio violentare nessuno…-, terminai con un sorriso eloquente.

Era proprio ciò che pensavo: perché dilaniarsi l’anima con cure eccessive e inopportune? Mi importava ciò che diceva, certo, ma non confidavo affatto in progettazioni mentali simili – come se io non l’avessi mai fatto… o forse proprio per quello.

L’unica certezza che esplorai in quell’attimo, mentre gli esaminavo il viso stringendo le labbra, fu che mi fidavo di lui, ma questo non gliel’avrei mai detto: la fiducia andava oltre l’amore, oltre la speranza e l’amicizia, oltre qualsiasi rapporto umano. La fiducia era semplicemente il fondamento di ogni rinforzo, l’orma di ogni piede, il fascio della chioma di emozioni di ognuno. Molti la confondevano con la fedeltà, ma per fidarsi del prossimo e di sé stessi non c’era la necessità di essere fedeli, benché le due parole condividessero la medesima radice: io mi sarei fidata di Yamazaki anche se mi avesse tradito o se lo avessi fatto io. Avremmo sempre avuto un certo tipo di rapporto, non saremmo mai stati soli.

Certo, poteva essere un mio compromesso artificiale, ma per quel momento mi aggradava.

Lo vidi tentennare, ciondolare per decidere in quale dei due burroni precipitare, incrociare le braccia, forse negante, forse rassegnato.

Poggiai la guancia destra sul muro ruvido e tiepido e attesi la sua decisione ad occhi chiusi, carezzandomi il fiore blu ricamato sulla parte inferiore della mia maglietta di cotone a mezze maniche.

Avevo detto tutto ciò che avrei dovuto, tutto ciò che pensavo, anelavo, credevo, rifiutavo, dimenticavo, serbavo. Non c’era più nulla da aggiungere.

Cos’avrei fatto se mi avesse negata? Beh, nulla: sarei andata avanti, avrei preso il diploma, forse avrei frequentato l’università, avrei festeggiato il mio compleanno ogni anno, il 1° aprile, mi sarei sfilava prima le scarpe e poi i pantaloni, come sempre insomma. E inoltre, fattore più importante, mi sarei fidata ancora di Yamazaki. Non sarebbe cambiato niente, dunque? Oh, troppo utopistico: sarei stata triste per un po’, mi sarei lasciata abbandonare una volta ancora nel turbine vacuo della solitudine, ma solo per poco. I sentimenti, le opinioni, le verità, le emozioni, i punti di vista assoluti non esistevano: era tutto relativo. La mia concezione della realtà sarebbe cambiata tanto radicalmente quanto era accaduto da poco più di quattro anni a quella parte, me ne rendevo tranquillamente conto.

Percepii un movimento davanti a me, scarpe da ginnastica che grattavano l’asfalto e poi…

-Se ti fa felice…-, mormorò carezzandomi il mento.

Aprii gli occhi e lo vidi davanti a me, praticamente un sorriso umano: le labbra stese mostravano dietro di esse due file di grandi e candidi denti con le rispettive gengive del colore del sole al tramonto. I suoi occhi distavano una ventina di centimetri dai miei, ma a me sembrarono vicinissimi.

-Lo stesso vale per te.-.

La sua frase precendente, comunque, non mi parve affatto un’esile concessione. Certo, forse le parole avrebbero potuto rendere equivocabili le sue intenzioni, ma il modo in cui furono liberate fu più che indubbio.

Stava per avvicinarsi timidamente, forse imbarazzato e sovrastato dalle nostre enormi possibilità, non più violate né proibite, quando mi riaffiorò con prepotenza un’unica imperiosa richiesta. In quell’attimo mi parve la più ingenua, sdolcinata, banale, deludente ed echeggiante affermazione che potessi formulare, ma sentii il bisogno impellente di condividerla con lui, nonostante la leziosità e la sua dolcezza di quella frase, divenuta acre per l’indecisione o per tema che fosse acerba. Non mi interessava, glielo dissi lo stesso.

-Yama… Takashi?-.

-Sì?-, esordì come da un piatto silenzio gelato spuntano urlanti migliaia di rondini nuove.

Il cuore pompava acido, zucchero e sangue. Inalai aria pura affogando nell’immenso spazio vuoto attorno a noi, per poi naufragare ancora sul suo volto.

-Non giocare col mio cuore.-.

 

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Ecco.

È finita.

Con aggiunta di frase smancerosa alla fine, avete notato? In realtà è l’unica eredità della prima versione della mia storia, in cui Sakura avrebbe detto ciò a ben altra entità…

Ancora non credo che sia davvero finita. Quarantadue capitoli… Un anno, dieci mesi e nove giorni.

Non è un caso che abbia pubblicato l’ultimo capitolo proprio oggi: diciamo che è la prima volta che mi faccio un regalo per il mio compleanno.

Quanto è cambiato in un anno e mezzo… A volte rileggo i primi capitoli e li trovo scialbi, patetici, orrendi, ma non ho comunque il coraggio di cambiarli: vanno bene così, mostrano quanto io, Sakura e tutta la storia siamo mutati in questo poco tempo.

Scusate per quello che è ho scritto, è leggermente sdolcinato, ma sono davvero triste e vi capisco se mi dite che mi faccio coinvolgere troppo, che dopotutto è solo una fanfiction, ve lo concedo.

Bene, comincio a ringraziare tutti, ma proprio tutti coloro che hanno letto la storia, almeno spero di calmarmi.

Un ringraziamento speciale a Laukurata89, che ha seguito finché ha potuto questa storia e che, soprattutto, l’ha fatta plasmare nella mia mente.

Inoltre, grazie a Faffy, che mi ha consigliata con grande frequenza e sapienza, una perfetta critica per un’autrice “neoclassicista”, per così dire (è la definizione più soft che ho trovato). Grazie per la tua ironia e la tua capacità di rendere piacevoli anche le imperfezioni più accentuate. Te ne sarò sempre infinitamente grata e ricambierò più che volentieri ogni volta che ne avrai bisogno.

Ringrazio (avete notato che è la densità di presenza di questa parola nei righi precedenti è pari a quella di tutti i Cinesi imbottigliati in una Coca-Cola da mezzo litro?) tutti coloro che hanno scritto almeno una recensione e coloro che hanno inserito questa storia fra i preferiti, ossia:

Alexis_92

Aquizziana

Barbymiari

Dany 92

Faffy

FillyCicca483

Ichigo_91

Jk helen

Kamura86

Kirax

Kristy4ever3msc

Laukurata89

Lele 91

Loprifan

Millennia Angel

Pallina chan

Sakura bethovina (grazie per le recensioni spietate! Sai che non mi offendono mai, puoi maledirmi quanto vuoi, mi divertono!)

Sakura93

Shiny94

Silgree89

Terrastoria

Yumemi

Inoltre un grande ringraziamento va anche a Sakura182blast per le recensioni divertentissime e le analisi molto gradite (Shaoran Maniaco giace senza segni di vita sotto il microfono di Jigglypuff, forse è morto davvero!).

Incredibile come sia cambiato il finale dalle mie originali aspettative, davvero banali, a mio avviso. Sono contenta di essere cresciuta almeno un po’ durante la stesura della storia e, se ciò è accaduto, è anche grazie a voi.

Spero di avervi allietati almeno un po’ con ciò che ho scritto e di avervi insegnato qualcosa, ad esempio che non bisogna mai disperarsi (pare che io non sia molto d’esempio), che per amare non è necessaria la passione, perché quella si spegne dopo un certo limite di tempo, ma la fiducia (neanche la fedeltà mi sembra troppo costruttiva, dato che non credo nella monogamia dell’uomo), che non sempre gli impulsi sono sbagliati, che niente è assoluto, ma tutto dipende dalle nostre scelte, che esistono mille motivi per esistere e non esistere, tutti terribilmente validi, e. infine, che Babbo Natale non esiste. Mi dispiace, sul serio. Scusate, sto farneticando…

Bene, ho finito. Saluto tutti coloro che sono stati in qualsiasi modo coinvolti in questa storia e li ringrazio affettuosamente,

A presto, forse.

La vostra Francy

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