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CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!
Premetto che questa è la mia prima fanfic, quindi non sarà un gran chè...
Innanzi tutto vorrei ribadire che Shaoran è MOOOOOOOOOOOLTO OOC, in quanto per
il suo carattere mi sono ispirata ad un mio compagno di classe! In questa fanfic
non appariranno le carte di Clow. che Sakura ha catturato senza l'aiuto di
Shaoran, ma solo Kerochan, qualche volta. Inoltre Sakura non ha MAI conosciuto
Shaoran (don't worry, è questione di pochi secondi...). Infine vorrei
ringraziare Laukurata89 perchè mi ha ispirata involontariamente e soprattutto
perchè mi ha dato molti buoni motivi per scrivere una fanfic (io??? Non
ricordo... Forse in quel momento mi stavo facendo una canna...
NdLaukurata89)(.........)! Ok, ho finito! Ecco il primo capitolo, che si
intitola: "Chi sei?". Lo so, non ha senso, ma è la prima cosa che mi è venuta in
mente!!! Buona lettura (ne dubito...)!!!
-Finalmente è
finita…-, disse una ragazza dai capelli castani nascosta sotto un giacchino
rosa.
-Già, Sakura. Che
stress… Ed ora devo andare a fare compere con mia madre. Sai, devo comprare la
stoffa per il costume da Befana che ti devo confezionare per l’Epifania.-, disse
una dolce ragazza dai lunghi capelli scuri.
-COOOSA???-
-Dài, scherzavo!
Ora tu che fai?-
-Oggi tocca a me
cucinare, quindi andrò a casa. Ci sentiamo dopo per telefono, Tomoyo! Ciao!-
-Ciao Sakura!-
La ragazza dai
capelli castani si avviò verso casa, ma mentre attraversava la strada un ragazzo
con la bicicletta quasi la investì.
-Ma sei pazzo???-,
disse la castana.
-Scusa, carina!-,
rispose il giovane con un velo ironico.
“Non l’ho mai
visto prima… Sarà appena arrivato!”, pensò Sakura. Mentre camminava l’immagine
del suo eventuale assassino le passò davanti: era alto e aveva un viso davvero
incantevole, due occhi marroni e profondi e capelli dello stesso colore sempre
scompigliati che le ricordavano Harry Potter (ma che paragoni faccio? Ndme).
L’unica cosa che stonava era un sorriso beffardo e da presa in giro. Questo
particolare le dava un fastidio pazzesco solo a pensarci. La stava per investire
e rideva pure? Eppure non le dispiaceva di aver conosciuto quel ragazzo… Be’,
non è che lo conoscesse, lo aveva solo visto e gli aveva dato del pazzo, ma
nient’altro. Quasi si pentiva di averlo insultato in quel modo. Ma le riecheggiò
in mente la frase pronunciata dal giovane: “Scusa, carina!”… Carina… Carina? A
lei? Nessun ragazzo gliel’aveva detto fino a quel momento.
Rimuginando
sull’accaduto, arrivò a casa:
-Ciao, sono
tornata!-
-Una bambina di
dieci anni non dovrebbe arrivare a casa a quest’ora, soprattutto se è un mostro
che potrebbe spaventare tutto il vicinato…-, disse il fratello Touya.
-La vuoi
smettere??? Che profumino… Polpette di granchio! Le adoro! Si mangiano le
polpette di granchio, la la la! Scusa, ma non avrei dovuto cucinare io?-
-Se avessi
aspettato te avremmo mangiato alle undici di stasera, mostro! Dato che non hai
niente da fare, vai a stendere il bucato!-, disse Touya togliendo una polpetta
di granchio dalle mani di Sakura e indicandole una montagna di vestiti.
-Ok!-
La castana giunse
in giardino e cominciò a stendere, quando sentì un pallone colpirle il braccio…
-Ma cosa…?-
-Ehi, ancora tu?
Mi passeresti la palla? Stavo giocando a calcio con i miei amici ed è finita nel
tuo giardino…-
-Eh? Ah, sì,
subito! Ecco la palla…-, disse Sakura porgendo il pallone al ragazzo che le si
prospettava davanti.
-Noi ci siamo già
incontrati, vero?-
-Be’, in effetti
ti stavo per investire…-
-S-senti… Come ti
chiami?-
-Io sono Shaoran
Li, tu?-
-Ecco… Io mi
chiamo Sakura Kinomoto, piacere! Da quanto sei qui?-
-Mi sono
trasferito due giorni fa.-
-Allora non hai
tanti amici…-
-Nemmeno uno.-
-Ma non hai detto
che stavi giocando con i tuoi compagni?-
-Be’, ecco io… In
effetti… Non sono affari tuoi!-, sbottò il ragazzo, andandosene di corsa.
“Shaoran…”
*Il giorno dopo a
scuola…*
-Buongiorno,
ragazzi! Seduti!-. Il professor Terada entrò.
-Pssss! Tomoyo!
Non sai che mi è successo ieri!-, disse Sakura, che si era appena seduta. Quella
notte aveva dormito poco, ma non capiva il perché.
-Cosa?-
-Un ragazzo mi
stava per…-. Non finì la frase perché in classe entrò il loro nuovo compagno.
-Salutate il
vostro nuovo compagno, Li Shaoran! Viene da Hong Kong.-
Era lui.
Perché Sakura tremava ed era così nervosa?
-Siediti pure
dietro Sakura!-.
Shaoran si avviò
verso il suo banco e si sedette.
-Ehi, Kino?-
-Sì??? Comunque mi
chiamo Sakura…-, disse la ragazza un po’ irritata.
-Certo, Kino, Ci
si rivede, eh? Sai che hai degli occhi così belli che guardo quasi più loro che
il tuo sedere?-
-Ma cosa…?-. La
ragazza si voltò esasperata. Ma chi era lui per parlarle così?
La giornata passò
in quel modo, fra gli “educati” apprezzamenti di Shaoran e la malinconia di
Sakura.
Sì, non era
arrabbiata, ma malinconica. Aveva capito che loro due non sarebbero mai andati
d’accordo e le dispiaceva in un modo incredibile. Aveva perso un amico prima
ancora di averlo trovato.
SCUSATE SCUSATE
SCUSATEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!! Lo so, è breve ed è brutto, però vi assicuro che
dal prossimo capitolo capirete molte cose e accadranno eventi più coinvolgenti.
Vi prego solo di lasciare una recensione, soprattutto se negativa!!! Vi
ringrazio in anticipo, CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!
CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Ora viene la parte più bella… Ah ah
ah ah ah ah!!! (io ho paura di questa qua… NdShaoran)(e poi tu non ti
comporteresti mai così, vero? NdSakura)(be’… Dipende! Me la dai?
NdShaoran)(cheeeeeeeeeeeee??? NdSakura)… Ok, ecco il secondo capitolo, che ho
intitolato: “Ma come ti permetti?!”… Si chiama così perché Sakura lo dice
praticamente ogni due secondi…!!!
-Ciao,
Tomoyo, ciao Kino!-, disse Shaoran con scherno.
-Tomoyo, aiutoooooo!-, gridò esasperata la castana.
-Dài,
Sakura, è simpatico!-, ammise la mora con uno strano sorriso
-Cosa????????????-
-Be’,
andiamo a casa ora.-
Sakura
salutò Tomoyo e s’incamminò verso casa sua. Quel giorno non era compito suo
cucinare, quindi poteva benissimo fare una passeggiata. Da sola. Finalmente
sola.
Ripensò
alla giornata a scuola appena trascorsa,
“Ma
come si è permesso di dirmi quelle cose? Apprezzo il fatto che mi trovi carina,
ma nel modo in cui lo esprime lui sembra una presa in giro… Non so cosa pensare
di Shaoran: è così scontroso e beffardo, ma così… così carino, devo
ammetterlo.”.
I suoi
pensieri furono interrotti da delle ragazze che cantavano a squarciagola una
canzone: “Almeno tu nell’universo” (è di Mia Martini, credo, ma a me piace la
versione di Elisa… Ndme).
-SAI,
LA GENTE E’ STRANAAAA, PRIMA SI ODIA E POI SI AMAAA…-
Le
parole di quella canzone erano davvero adatte a quel momento di riflessione: “Lo
odio? O lo amo? Di solito l’odio è qualcosa di più immediato dell’amore. L’amore
arriva dopo molto tempo dal momento in cui si conosce una persona. Io conosco
Shaoran da due giorni, non posso amarlo. E poi lui è DAVVERO odioso… Mi prende
sempre in giro… Ma quando i suoi occhi incrociano i miei… Non resisto, vorrei
avvicinarmi a lui e accarezzarlo… Subito, però, il mio sguardo si posa su quel
sorriso, un sorriso che mi fa rabbrividire dalla rabbia. Un sorriso che mi rende
triste, non so perché…”.
-Ciao
baby!-. Quella voce la risvegliò dai suoi pensieri.
Ad un
tratto un misto di irritazione e acidità le si infiltrò nello sguardo, per poi
arrivare fino alle labbra, lasciando quel corpo sottoforma di voce:
-Che
vuoi? Non hai ancora finito di disturbarmi?-.
Ma che
stava facendo? Dove era finita la piccola e graziosa Sakura di sempre?
Il suo
sorriso si era spento e aveva lasciato il posto ad una smorfia di fastidio
profondo.
-Ehi,
calmati piccola! Che ti è successo? Hai perso la mammina???-
Quelle
parole la colpirono nel profondo, come se lei fosse un birillo, quella frase la
atterrì come una palla da bowling.
-T-tu…
COSA PUOI CAPIRE TU DI MIA MADRE? T-TU NON HAI IL DIRITTO DI PARLARE COSI’ DI
LEI! COME TI PERMETTI?!-
Era
furiosa. Avrebbe voluto fargli del male, fargli capire come si sentiva in quel
momento, disperata, delusa.
Sì,
delusa, Perché? Aveva insultato sua madre. Ok, l’aveva solo nominata, ma il suo
nome era stato pronunciato con tanto scherno. Non lo sopportava.
Aveva
impiegato anni a costruirsi quel muro che separava la madre da ogni pensiero.
Non voleva che si parlasse in giro di quella perdita. In fondo lo sapevano solo
la sua famiglia e Tomoyo.
“Tomoyo…”
Le era
stata sempre vicina e aveva cercato di difendere sempre e comunque la sua amica,
sempre. Ma proprio sempre?
“Oggi
no. Oggi non mi ha difesa da Shaoran. Quando mi ha chiamata Kino lei ha detto
che lui era simpatico. Cos’è cambiato? Fino a qualche giorno fa avrebbe
aggredito (verbalmente, si capisce! Ve la immaginate Tomoyo che fa wrestling???
Ndme) chiunque mi avesse presa in giro o menzionato mia madre…”.
Fu
distratta da un colpo di tosse del ragazzo.
Si
ricordò…
-Oh, ci
sei?-, disse Shaoran.
Lei lo
guardò con tristezza e scappò via, lontano da quegli occhi ingannatori che le
intimavano di restar lì.
“Perché
non gliel’ho fatta pagare? Sto soffrendo solo per lui e lo lascio andare così?
Cosa mi trattiene dallo spaccargli la faccia? Non lo so…”.
All’improvviso si fermò e si voltò di scatto.
Per un
attimo vide sul volto di Shaoran una sfumatura di preoccupazione, ma poi subito
il ragazzo cambiò espressione e le disse:
-Senti,
fai come vuoi! Ma almeno spiegami che ho fatto! Mah, le donne… Be’, stammi bene,
bionda! (che ne dici Lau? Visto che le tue esperienze di vita sono utili???
Ndme)- . Così disse e si voltò camminando placidamente con le mani in tasca.
Sakura
lo guardò stizzita e sbottò:
-IO NON
SONO BIONDA, SONO CASTANA!-
-Certo,
certo. Ciao, Kino bionda!-
Sakura
si girò dalla parte opposta e cominciò a camminare con uno strano sorriso
stampato sul volto…
“… Ma
perché sorrido? Dovrei piangere… Ha parlato male di mia madre e io sorrido? Ma
che mi prende??? Oh mio Dio… Che mal di testa io…”.
Non
riuscì a terminare la frase perché si appoggiò esausta al muro.
Si
sentiva stanca, ma non aveva fatto niente, Niente? Stava camminando da un’ora.
Non se n’era proprio accorta. Il tempo si fermava quando si perdeva in quegli
occhi nocciola…
-Sakuraaaaa! Dove seiiii???-
-Touya…-
-Sakura, ma che ci fai accasciata a terra?-
-Sono…
io…-. Non riuscì a terminare la frase perché svenne tra le braccia del fratello.
-Capita a volte che la gente che ti sta attorno sia contro di te, vero? Ma tu
non devi demoralizzarti, mai…-
Una
persona le stava parlando, ma non capiva chi fosse…
-Piccola mia, io ti salverò… Resisti, mia piccola Sakura…-
-Ma
tu chi sei?-
-Salve, il mio nome è…-
-… La
donna è mobile, la la la la la la…-
-Papà... Ma che stai cantando???-. Sakura era stesa sul letto e il padre le
stava servendo del the.
“Sono a
casa… Allora è stato un sogno… Chissà chi era quella persona…”.
Il
signor Fujitaka, dopo aver verificato le condizioni della figlia, uscì dalla
stanza.
-Kero?
Ti devo fare una domanda.-
-Sì?-,
rispose un peluche alato.
-Be’,
tu mi hai detto che le Card Captor fanno sogni premonitori, vero?-
-Sì,
Sakura-, disse Kerochan mentre si ingozzava di biscotti.
-Questi
sogni possono essere premonitori anche se non sono inerenti alla magia?-
-Certo!
Clow un giorno sognò di ricevere una giraffa al compleanno e la ricevette!!!-
-Ok,
grazie Kero!-.
Non era
più arrabbiata, ma solo tranquilla.
All’improvviso il telefono squillò…
-Pronto?-
-Ciao,
Sakura, sono Tomoyo. Ti devo raccontare una cosa…-
CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Come va? Ve l’avevo detto che era più comprensibile
questo capitolo!!!
Ringrazio infinitamente tutte coloro che hanno recensito!!!
Non
so come chiamarmi:
sono felice che la storia ti ispiri!!! Comunque ho fatto apposta a inserire
quella similitudine!!!!!!!!!!!! Shaoran non potrebbe MAI essere paragonato ad
Harry Potter…!!!
Dark
Feder:
sìììììììììììì!!! Festeggiamooooooooo!!! Scusa, sono impazzita… Comunque so che a
te piace Yue, vero? Sai, credo che fra un po’ inserirò anche lui! Che ne pensi?
Spero che anche questo capitolo ti piaccia!!!
Lala_g: che belloooooo!!! Sono felice che la fancic ti
piaccia! Come ho già detto mi sono ispirata ad un mio compagno di classe che si
comporta così anche con le prof!!! Mi raccomando, dimmi la tua opinione anche su
questo cap!!!
LAU(MALATA……….ECC….ECC..):
ave, Laura!!! Non ci credo, ho una tua recensione!!! Sono
felicissimissimissimissimissimissima che la storia ti piaccia!!! Cavolo, ho una
recensione della mitica Lau (grazie, grazie, modestamente… NdLau)!!! Comunque la
frase di cui parli è: soko ni inkei ka desu??? Mi vergogno a dirti il
significato… Va be’, diciamo che significa che l’inkei è nel soko… Ma perché
l’ho scritto??? Mah! Mi raccomando, continua a recensire perché mi fai davvero
morire dalle risate! AH AH AH AH AH!!! A presto, aspetto un tuo commento!!!
Jk
Helen: wow, ti piace davvero la mia fancic? Che
belloOoOoOoOoOoO!!! Comunque Shaoran OOC è molto più attivo (in tutti i sensi…),
vero??? Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo!!!
Anto
chan: visto, ho
aggiornato abbastanza presto!!! (ci hai messo due giorni!!! NdAnto) va be’, devi
considerare il fatto che sono LENTISSIMA a scrivere, quindi… Spero che lascerai
un commento anche questa volta, ciaoooo!
Rossanasmith: mi
fa molto piacere che la storia ti piaccia!!! A me, personalmente, piace più
Shaoran versione babbio, però volevo provare a fare qualcosa di diverso! Be’,
spero che “Come ti permetti?!” ti sia piaciuto, ciaoooo!!!
LizDreamer:
davvero ti piace? Sìììììììì! Che bello! Non sai quanto tempo ho impiegato ad
insegnare a Shaoran come si doveva comportare! (io non sono un maniaco e non
guarderei mai il sedere di Sakura! NdShaoran)(sì, ma quello dell’Arcuri
sì…)(come hai scoperto che non leggevo la Bibbia ma Playboy???NdShaoran)(lascia
perdere…)! Spero che continuerai a commentare, ciaoooooooooooooooooooo!!!
Shiny94: ciao! Lo so che Shaoran non ha un carattere molto
piacevole, però io l’ho immaginato così! Comunque scoprirete molte cose su
Shaoran nel prossimo capitolo, che spero leggerai! Ciao!
L’egittologa: che
bellooooo! Una nuova persona si è aggiunta al circolo dei malati mentali!!! No,
scherzo! Comunque “nd” significa “nota di…”, capito? Mi raccomando, se hai
qualche altro dubbio, chiedi pure a me, io sono sempre disponibile! Ciaoooo!
Ok, ho
finito!!!
Il
prossimo cap (credo) si chiamerà: “Il messaggio”!!! Ciaoooooooooooooooo e
recensiteeeeeeeeee!
-Ti
dispiacerebbe venire un secondo a casa mia, Sakura?-, disse la mora tenendo in
mano la cornetta.
-Va bene
Tomoyo, vengo fra cinque minuti!-
Detto questo,
Sakura riattaccò. Fece un respiro profondo e andò in cucina per avvisare il
fratello che andava da Tomoyo.
-Va bene, ma
torna per cena-
-Sì, Touya!-.
Era allegra,
non sapeva perché, ma si sentiva completamente felice. Stranamente felice. Cercò
di ricordarsi ciò che aveva fatto prima di quel buco nero che aveva in mente,
che equivaleva al suo svenimento. Non ricordava un gran chè. Solo due occhi, due
stupendi e profondi occhi che la fissavano preoccupati, per poi tramutarsi in
due frecce che la colpirono nel cuore.
Si risvegliò
da quei pensieri e s’incamminò verso la casa dell’amica.
“Com’è bella
la luna…”.
Ad un tratto
si ritrovò davanti un alto ragazzo dai capelli argentei e l’abito bianco.
-Dove stai
andando, Sakura?-
-Ciao, Yue!
Vado da Tomoyo, perché?-
Il viso del
guardiano della luna sembrava preoccupato:
-Qui… In
questa città c’è una persona dotata di poteri magici, lo sento…-
Sakura si
concentrò.
-E’ vero!
Proviene da casa di Tomoyo. Andiamo!-.
I due corsero
a perdifiato verso la casa della mora. Il vento pungeva sui loro visi come delle
spine taglienti.
-Siamo
arrivati!-, ansimò Yue.
-Tomoyo? C’è
nessuno?-, disse Sakura.
-Guarda, la
porta è aperta!-
-Entriamo...
Yue, posso farti una domanda?-
-Sì.-,
rispose Yue soffiandosi il naso (anche gli esseri magici hanno il raffreddore!
Ndme)
-Che shampoo
usi???- (non posso fare a meno di scrivere queste cose demenziali! Ndme)
-Pantene,
perché?-
-No, niente,
i tuoi capelli sono fantastici!!!-
I due
varcarono la soglia della casa.
“Non so
perché, ma ho un brutto presentimento…”. Il cuore di Sakura batteva
all’impazzata e lei non riusciva proprio a fermarlo.
Aprì di
scatto la porta della cucina e la scena che le si prospettò dinnanzi la colpì
nel cuore, lo distrusse e lo frantumò in mille e mille pezzettini.
-Sh-shaoran…
Tomoyo…-. Solo questo riuscì a dire, poi sprofondò in una sedia e si prese la
testa fra le mani, singhiozzando rumorosamente.
Shaoran era
seduto su una sedia e Tomoyo sopra di lui. Si stavano abbracciando.
“Calmati
Sakura… Forza, non è detto che stiano insieme, non si stavano mica baciando…”.
Quei pensieri, però, non riuscirono a consolarla.
-Sakura… Che
c’è?-, disse dolcemente Tomoyo.
-CHE C’E’? TU
OSI CHIEDERMI COS’ABBIA IO? TOMOYO, TU SEI…-. Non riuscì più a continuare. Ormai
la rabbia si era impossessata di lei, della sua mente, del suo corpo.
Shaoran
restava zitto, perché non capiva cosa stesse succedendo (anche se si dà una
mossa, rimane sempre un cretino! No, scherzo!!! Ndme).
“… Come ha
potuto farmi questo? Tomoyo sapeva che Shaoran mi… piaceva. Mi piaceva? Non lo
sapevo nemmeno io che lo amavo e pretendo che lo sapesse Tomoyo? Lei non ha
colpa di tutto questo. Forse anche per lei è stato amore a prima vista nei
confronti di Shaoran. La colpa è solo mia. Lei si è data subito una mossa e ha
fatto vedere il suo lato migliore, mentre io cos’ho mostrato a Shaoran? Né un
sorriso, né una parola dolce, nulla di nulla. Loro saranno sempre felici insieme
e io non posso farci niente…”. Pensando questo, Sakura si alzò e uscì
dall’abitazione senza salutare, mentre Tomoyo la rincorreva con Shaoran e Yue
tornava a casa sottoforma di Yukito pensando che sarebbe stato inutile per lui
restare lì.
Sakura si
fermò e si sedette su una panchina. Subito Tomoyo e Shaoran la imitarono.
-Ehi, Kino,
che hai? Hai perso la…la… testa???-. Non osava ripetere la scena accaduta
qualche ora prima, avendo notato la reazione della castana.
-Perché siete
qui? Dovreste stare insieme, felici e contenti…-, disse Sakura tirando su col
naso.
-Stare
insieme??? Ma che dici? Tu credi che noi… Ah ah ah!!! Come puoi pensare
questo?-, rise Tomoyo.
Sakura la
guardò curiosa e perplessa:
-Non fare la
finta tonta, ho capito che state insieme!-. A quel punto Sakura cominciò a
singhiozzare sempre più forte, quasi disperatamente.
-Sakura, ora
ti spiego. Mio padre Chinoko lasciò mia madre Sonomi quando lei era ancora
incinta…-
-Incinta? Che
significa?-, disse curiosa Sakura.
-…………………….Poi
ti spiego… Comunque, mio padre andò in Cina e trovò una ragazza molto carina.
Dopo averlo fatto con lei…-
-Cosa ha
fatto con lei?-, sbottò Sakura.
-Scusa ma tu
che vedi il pomeriggio alla tv, i teletubbies???-, rise Shaoran.
-Schhh!
Comunque ebbero un bambino, e questo bambino è Shaoran.-, disse Tomoyo.
-Quindi voi
siete… fratelli… Allora perché eravate abbracciati?-, pronunciò Sakura dopo
essersi asciugata le lacrime.
-Perché ci
siamo appena ritrovati! Tu che faresti se vedessi Touya dopo molti anni?-.
rispose Tomoyo.
-Be’, in
effetti…-
-Kino, ma
perché piangevi?-, disse Shaoran curioso.
-Io? No,
niente!-, Non poteva mica dirgli che quando incontrava i suoi occhi si sentiva
in paradiso!
-Be’, ora è
tutto sistemato! Ciao sorella, ciao bionda!-, salutò il cinese toccando il
sedere alla castana.
-Primo: non
sono bionda! Secondo: non osare più toccarm! Terzo: ti odio!-, urlò Sakura.
-Certo…
Ciaooooooo!!!-.
Sakura, così,
tornò a casa.
“Cavolo, che
spavento! Credevo che stessero insieme… Ma cosa mi viene in mente??? E’ stato
bello, però, fare la parte dell’ingenua! Tutti pensano che io non sappia niente
di niente, e invece… Shaoran è proprio stro**o qualche volta, però…”. A quel
punto un sorriso dominò il suo dolce viso.
Ma i suoi
pensieri furono interrotti da… UN MESSAGGIO…
“Chissà chi
sarà…”, pensò Sakura, che lesse con meraviglia l’SMS appena ricevuto.
“TVB… Non
dimenticarlo.”.
Sakura
rispose al messaggio (d’ora in poi i messaggi di Sakura saranno sottolineati e
quelli di colui che risponde in corsivo ndme).
“Chi sei?”
“Il tuo
sogno… Il futuro è mio… Non aver paura…”
“Senti, parla
chiaro perché fra poco mi finiscono i messaggi gratis!”
“Ma fatti una
ricarica!!! Comunque io so il futuro. Io sono la persona del tuo sogno.”
“Ma chi sei
veramente? Io ti conosco?”
“Sono colei
che contempla la luna (non sono una fan di Yue…). Io ti proteggerò da qualsiasi
male…”
“Be’, io non
direi proprio, dato che sono appena inciampata e non è venuto nessuno a
soccorrermi…”
“Tu chi credi
che io sia?”
“Penso
qualcuno che mi vuole bene davvero, tipo Tomoyo”
Ciaooooooooooo! So che il titolo non è del tutto adatto, ma mi piaceva in un
modo incredibile! Mi dispiace, ma non posso ringraziarvi uno per uno, perché
devo andare a studiare storia (abbiamo il compito……………………..)! Quindi grazie
soprattutto a Laukurata89, che ha corretto la mia storia prima che venisse
pubblicata (grazie prof Scotto!!!), ma anche Anto chan, non so come chiamarmi
(sai che volevo chiamarmi anch’io così all’inizio??? Poi dopo anni [???] di
riflessione ho trovato un nome decente!), Deborah, Avril90 (volevo chiederti una
cosa: tu ti chiami così perché ti piace Avril Lavigne? No, perché io adoro come
canta!!!), Dark Feder (che ne dici? Forse Yue è comparso per troppo poco
tempo?), Rossanasmith (secondo te è lungo abbastanza? Grazie per aver notato
questo problema, te ne sono infinitamente grata!!!), lala_g, Shiny94 (il sogno è
solo quello in corsivo! Scusa se non ho specificato!), LizDreamer, Jk Helen,
Geo88, Sakura93 e ancora Laukurata89 (mi dispiace un casino che abbiano tolto
la tua recensione… Perché non chiediamo al presidente della Repubblica il lutto
nazionale??? Comunque grazie
miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiille per averne inserito
un’altra! E poi soprattutto grazie per il tuo sostegno! Mi sto commuovendo… sigh
sigh…………)….
Ok, ho
finito! Ci vediamo al prossimo cap che si intitolerà………….. non lo so ancora!!!
Va be’, scusate la mia demenzialità…
Salve a
tuttiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
(oggi sono molto educata, vero??? Ndme)…
Ecco
il quarto capitolo, che si chiama: “La mia anima è in te”!!! Buona
lettura!!!!!!!!!!!!!
P.S.=
scusate tanto tanto tanto, ma ho sbagliato a scrivere l’altra volta! Sakura qui
ha quattordici anni, non dieci. Scusate ancora, sono davvero dispiaciuta!!!
Perdonatemi per quello che ho scritto!
P.P.S.= vi
consiglio di leggere questo capitolo ascoltando “Hide and Seek” degli Imogen
Heap (è la canzone della pubblicità di “The O.C.”)!!!
Il vago
ricordo di quel nome scritto su una lastra di pietra nel cimitero di Tomoeda le
si infiltrò nel cervello.
“Non è
possibile…”. Potrebbe essere uno scherzo. Sì, ma di chi? La sua famiglia era da
escludere, come anche Tomoyo, del resto. Allora chi osava spacciarsi per… SUA
MADRE?
Era rimasta
paralizzata in quella posizione, con il cellulare che pendeva dalla sua mano
sinistra, la destra fu portata alla bocca, perché un leggero gemito di sorpresa
le era uscito dalle labbra. Ormai non sapeva più che fare, così si appoggiò al
muro per ottenere un minimo sostegno.
“Non mi
interessa chi sei e cosa vuoi da me, ma non è giusto fare questi scherzi.”
“Io sono
tua madre Fujiko, non potrei mai farti uno scherzo del genere. Sei la mia
bambina, come potrei prenderti in giro?”
“Mamma, ma
tu sei morta…”
“Non del
tutto…”
A quelle
parole Sakura rimase letteralmente pietrificata. La sua mamma…
“La mia
mamma… MIA MADRE…”.
Perché?
Perché doveva succedere tutto così in fretta?
L’arrivo di
Shaoran… La sua indecisione… Shaoran e Tomoyo che sono fratelli… La sua mamma…
“Se sei
davvero mia madre, fatti vedere! Perché io non ti credo. Mia madre è morta e
ormai me ne sono fatta una ragione, quindi non voglio tornare indietro!”
-Eccomi qua.-.
Una voce
ruppe quel silenzio quasi sacro che si era creato attorno a lei. La luna era
alta nel cielo, ma era un po’ sfocata. Il vento diventava sempre meno forte,
quasi fino a scomparire. I gatti non miagolavano più, ma giocavano felici fra
loro.
Era tutto
così tranquillo, così maledettamente tranquillo.
Quella voce
riecheggiò nella strada, rimbalzando da un palazzo ad un altro, fino ad arrivare
alle orecchie della castana, ormai sconvolta nel vedere la figura che si
stagliava davanti a lei.
Quella voce
dolce… La conosceva bene. Era quasi musica per lei. Il suo canto celestiale le
riempiva la mente e il corpo di felicità.
“Non è
possibile… Allora tu…”.
Come se le
leggesse nel pensiero, la figura le disse:
-Ciao,
Sakura. Ora hai capito tutto, vero? Io non sono mai morta, sono stata vicino a
te… sempre-
Sakura
parlava con voce strozzata, come se stesse per piangere. Sinceramente, non
sapeva se essere felice o triste:
-I-io… Io
non capisco…-
-Non far
finta di non capire… Lo so, io sono sempre stata un mistero per te. Prima…-
-Aspetta,
T-tomoyo.-, balbettò la castana.
-Sì? Ora
puoi farmi tutte le domande che vuoi, non sarò mai più un segreto per te.-,
aggiunse la mora con un sorriso quasi angelico.
-L’anima di
mia madre… è in te, vero? Si è… reincarnata, giusto?-.
Detto
questo cominciò a piangere senza sosta.
“La mia
mamma… è qui con me. Finalmente posso riabbracciarla!”. Questo pensava Sakura in
quel momento, mentre si avvicinava all’amica.
“Amica…
Cosa sarà ora Tomoyo per me? E’ mia madre, sì, ma è anche la mia migliore amica.
Cosa devo scegliere?”
-Tomoyo…
Chi sarai tu per me… ora?-, chiese quasi timorosa della risposta Sakura.
-Cosa sono
stata per te fin’ora?-
Sakura
riflettè un momento:
“Ecco…
Tomoyo è… Per me è stata la donna più importante della mia vita, da quando è
morta mia madre (non pensate che siano lesbiche… In questa ff non lo sono!!!
Ndme). Mi ha protetta da tutti, tranne da Shaoran…”.
-Tomoyo,
perché non mi difendi mai da Shaoran?-
La mora
sorrise placidamente e pensò: “Me l’aspettavo questa domanda…”
-Ti ho
detto che io so il futuro, vero? Questo significa che so qualcosa che tu non sai
e che riguarda anche Shaoran.-
“Shaoran…”
-Significa
forse che avremo un futuro insieme?-, chiese Sakura eccitata da quella notizia.
“Allora mi
piace davvero… Shaoran… Ma perché prima lo odio e un secondo dopo lo amo più di
me stessa?”.
-Sai, a
volte è bello vivere la vita senza sapere l’avvenire. Io voglio, o meglio tua
madre, vuole che tu viva la tua vita. Non preoccuparti del futuro…-
-Ma allora
tu e mia madre siete due entità diverse?-. Sakura non capiva in pieno la
situazione.
-Siamo come
Eriol e Clow Reed, capisci?-
Sakura era
felicissima ed era persa nei suoi pensieri, per questo non rispose alla mora.
-Ora ti
accompagno a casa, amica mia. Noi siamo amiche e il nostro rapporto non è che
migliorato. Non è cambiato nulla.-.
Così
dicendo le due amiche si incamminarono verso l’abitazione della castana.
Ciaooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!! Come va? Ecco il quinto capitolo,
che s’intitola: “E’ la prima volta che…”! Ho incentrato il capitolo su un certo
avvenimento, perché è una cosa che nessuno ha mai trattato fin’ora. Lo so, è
abbastanza imbarazzante, però…!!!
-Svegliati
Sakuraaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!-, gridò un peluche giallo che svolazzava sopra la
testa della sua padrona.
-Mmh… Sì…-.
Una ragazzina castana si alzò di malavoglia dal suo caldo letto.
-Kerochaaaaaan…-, disse sbadigliando sonoramente.
-Sì?-,
rispose il pupazzo.
-Mi sento
strana…-
-Senti
qualche presenza?-, disse preoccupato Kerochan.
-No, ma…
Boh! Forse mi sto immaginando tutto…-.
Così
dicendo, Sakura si vestì velocemente e scese per fare colazione.
Quando posò
l’occhio sulla foto della madre, un immancabile sorriso le si allargò sul volto.
-Mammina…
Dopo ti saluterò.-
Fece
velocemente colazione e, ignorando i vari nomignoli che le affibiava il
fratello, si avviò verso la scuola.
L’aria
attorno a lei era frizzante e le pungeva il viso, ma questo le faceva piacere.
Il sole era alto nel cielo e rischiarava la città con i suoi caldi ed aurei
raggi. Il cielo azzurro le ricordava, invece, il colore di un piccolo fiore
selvatico nato nel suo giardino. Le piaceva tantissimo; sembrava una rosa, ma
non aveva spine, e poi lo stelo era lungo e sottile. Solo vedendolo tutti i suoi
problemi sparivano all’improvviso e un sorriso le si apriva immancabilmente in
faccia. L’aveva notato il giorno prima, quando Tomoyo l’aveva accompagnata a
casa.
Non è che
fosse poi così sconvolta dalla scoperta che aveva fatto il giorno prima, perché
comunque aveva notato che la sua amica era estremamente protettiva con lei e non
notava nessun atto di invidia nei suoi confronti. Di solito tutti gli amici
litigano almeno una volta, ma loro due mai. Quindi c’era qualcosa di strano nel
loro rapporto e finalmente lei aveva capito cosa fosse.
Un’improvvisa folata di vento la distrasse dai suoi pensieri e le scompigliò i
capelli. Guardò avanti a sé e vide due figure camminare nella stessa direzione.
-Tomoyo!
Shaoran!-, gridò Sakura agitando la mano in segno di saluto.
-Ciao
Sakura!-, rispose la mora voltandosi.
-Ehi, Kino,
come va?-, rise il ragazzo.
-IO MI
CHIAMO SAKURA!-, urlò esasperata la castana.
-Come sei
nervosa oggi… Che hai le mestruazioni???-, disse Shaoran cpn il suo solito
sorrisetto.
-Tomoyo,
aiutami… Non lo sopporto più!-, piagnucolò Sakura.
-Shaoran,
dài… Non hai pietà di questa ragazza?-. rise la mora.
-Be’,
andiamo a scuola, se no facciamo tardi!-, tagliò corto la ragazza dagli occhi
color smeraldo.
*Poco dopo
in classe…*
-Ragazzi,
oggi vi devo spiegare un nuovo argomento di matematica.-, disse sorridente la
signorina Mitsuki. (da quanto ho capito, nell’anime il prof di italiano è
Terada, mentre quella di matematica è la Mitsuki! Ndme).
-Oh no…-,
sospirò Sakura.
-Dai, se
vuoi dopo ti aiuto io.-, sussurrò Shaoran.
-Davvero?-,
spalancò gli occhi la castana.
-Certo!-,
disse sorridente il ragazzo.
-Tu sei
bravo in matematica, vero?-, disse Sakura stupita.
-Matematica? Guarda che io stavo parlando di educazione sessuale!-, rise il
ragazzo.
Dopo
qualche minuto, mentre la Mitsuki spiegava per la seconda volta il concetto per
chi non aveva capito (fra questi c’era anche Sakura, ovviamente… Ndme), Shaoran
spalancò gli occhi incredulo e pensò: “Allora quella che ho fatto non era una
battuta…”. Dopo aver ben formulato in mente una frase minimamente educata per
riferire ciò che aveva visto a Sakura, bisbigliò:
-Ehm…
Bionda?-
-Non
chiamarmi bi…-, non finì la frase la castana, perché Shaoran la interruppe.
-O hai un
taglio sul sedere, oppure…-, esitò il ragazzo: -oppure hai avuto le
mestruazioni…-.
Sakura non
capiva bene cosa volesse dire, anche perché era immersa nella spiegazione della
divisione fra due polinomi (la mia prof di mate ci ha messo due settimane per
spiegarcela!!! Ndme).
Sakura si
girò per guardarsi la gonna e… in effetti era tutta sporca di sangue (Lau, anche
le mie esperienze di vita non sono così inutili…!!! Ndme).
Così alzò
di scatto e notò che anche la sedia era sporca:
-Tomoyo!-,
disse impaurita la ragazza.
-Oh mio
Dio…-, disse la mora guardando prima l’amica, poi la sedia e poi Shaoran.
-Sakura,
fai finta di tenerti il naso come se ti stesse uscendo il sangue, ok?-, disse
furbescamente Tomoyo, che poi aggiunse:
-Professoressa, a Sakura esce il sangue dal naso. Posso accompagnarla in
infermieria?-,
Dopo il
permesso della Mitsuki, Sakura e Tomoyo si avviarono verso il bagno della
scuola.
-Certo,
Sakura, che hai fatto proprio una bella figura di merda!-, disse quasi ironica
Tomoyo.
-Ma come
parli? Tu non hai mai detto parolacce, Tomoyo!-, disse sorpresa Sakura.
-Io sono
tua madre e, se permetti, ho vent’anni più di te e le parolacce posso dirle!-,
disse quasi stizzita la mora.
-Mah…
Comunque ora che faccio?-, riferì Sakura guardandosi la gonna.
-Ma perché
le gonne delle divise sono sempre bianche???-, notò esasperata Tomoyo.
Sorvolando
su quello che fecero prima di procurarsi un’altra gonna (credo che sappiate
tutte a cosa alludo… Ndme), tornarono in classe e Sakura era ancora rossa per la
vergogna.
-Uff… Non
fare quella faccia, guarda che ti ho vista solo io…-, disse rassicurante Shaoran
a Sakura.
-E ti
sembra poco?-, bisbigliò acida la castana, mentre Tomoyo rideva come una pazza
per quella scena.
All’uscita
si trovarono tutti e tre presso il cancello della scuola per salutarsi:
-Ciao, Kino
bionda!-, salutò ironico Shaoran.
-Uff… Vuoi
smetterla?-, disse seccata Sakura.
-Ah,
dimenticavo! Auguri e buone mestruazioni!!!-, aggiunse ancora il ragazzo.
-Tomoyo…
NON LO SOPPORTO!!!-, gridò la castana mentre la mora rideva divertita.
Così si
avviarono verso casa.
-Sono
tornata!-, salutò allegra Sakura.
-Ciao
mostro!-, la accolse il fratello Touya.
-Insomma,
VUOI SMETTERLA PURE TU???-, urlò Sakura.
-Quanto sei
nervosa… Ma che hai le…-, cominciò il ragazzo.
-BASTA!-,
disse la castana andando in camera sua.
-Ma è
impazzita? Io volevo chiederle se avesse le matite che le ho prestato ieri…
Mah!-, disse Touya perplesso e ritornò a cucinare.
BONJOUR!!!
Comme ça va? Scusate, ma non mai fatto francese…!!! Comunque anch’io sapevo che
si chiamasse Nadeshiko nell’anime, ma mi ricordavo anche Fujiko. Perciò ho
controllato su
www.google.it e il primo nome che è risultato è stato Fujiko! Mi dispiace…
Comunque ringrazio Laukurata89 per il suo sostegno morale (???) e anche:
L’egittologa, LizDreamer, Evanescense88, Avril90, Rossanasmith, Anto chan, Non
so come chiamarmi, Dark Feder. GRAZIE MILLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!! Ci
vediamo al prossimo capitolo, che si chiamerà: “Il party di quel sabato
pomeriggio…”. Ciao!!!
Ciao! Ecco
il sesto capitolo della fancic!!! Sarà non troppo romantico, ma neanche troppo
comico! Be’, lascio a voi i giudizi (sinceri!)!!! Ecco: “Sguardi”! Lo so, non è
quello che vi avevo detto, ma ho cambiato idea e allora… Be’, buona lettura!!!
Era una
calda giornata di marzo e, nonostante il venticello fresco che tirava, il sole
splendeva sereno e il cielo sgombro di nuvole sovrastava tutta la città, mentre
era percorso da decine di rondini leggere ed eleganti viaggiavano libere e senza
meta.
Una ragazza
dai capelli castani salutò felice la propria classe.
-Ciao
Sakura! Sei felice oggi, eh? Che è successo?-, salutò curiosa una graziosa
ragazza dai capelli neri con riflessi viola e blu (Lau, tipo Grappolo! Ndme).
-Non ce le
hai più?-, s’intromise un ragazzo alto e sorridente.
-Cominci
già di prima mattina?-, disse nervosamente Sakura.
-Mi
sbagliavo, ce le hai ancora!-, aggiunse Shaoran.
-Ma sapete
da dove vengono le me…-, cominciò a parlare Yamazaki.
-Non
continuare…-, disse Chiharu portando via Yamazaki che ormai stava spiegando
tutto il metodo di riproduzione del camaleonte norvegese.
-Ah,
comunque ciao Kino!-, rise ironicamente il ragazzo cinese.
-Ciao…-,
borbottò Sakura sedendosi sul banco e appoggiando i piedi sulla sedia.
-Guarda che
così ti si vedono le mutande!-, avvisò Shaoran.
-Mi vuoi
guardare in faccia una volta tanto, eh?-, disse Sakura. Non era arrabbiata,
però: quasi divertita.
“Com’è
bello… Che occhi stupendi… E i capelli? E poi le sue mani…”. (il resto è meglio
non scriverlo, perché altrimenti come rating avrei dovuto mettere NC95… Ndme).
-Oh, ci
sei?-, disse Shaoran.
-Eh? Sì…-,
cominciò a parlare Sakura, ma Shaoran ormai si era allontanato da lei e andava
verso il centro della classe.
-Che stai
facendo???-, chiese perplessa la castana.
Il ragazzo
era in piedi accanto alla cattedra e non accennava a muoversi. Teneva lo sguardo
fisso verso il vuoto e contava mentalmente fino ad otto.
Tutti lo
guardavano curiosi e, come Sakura, perplessi. Proprio quest’ultima, credendo che
lui non stesse bene, gli si avvicinò per chiedergli come stesse.
-Shaoran,
ma cosa…?-. Non terminò la frase perché il ragazzo la scostò con una mano e salì
sulla cattedra.
-Avete mai
visto qualcuno che balla breakdance?-, chiese alla classe, che rispose
negativamente.
-Meglio
così!-, disse Shaoran saltando dalla cattedra e facendo una capriola per aria.
Tutti
rimasero a bocca aperta.
-Sì sì, lo
so, sono bravissimo…-, disse vantandosi Shaoran.
Dalla
classe si levarono molti: “Ma come hai fatto?” e “Sei fantastico!!!”, ma Sakura
fu l’unica che rimase zitta.
-Be’, Kino,
visto?-, aggiunse il ragazzo con scherno.
-Caro,
guarda che questo lo so fare anch’io!-, disse un po’ maleducatamente la castana.
-Allora
fallo!- (l’avete capita la battuta? Ah ah ah!!! Altrimenti ve la spiego nel
prossimo capitolo! Ah ah ah… Quanto sono stupida… Ndme), proferì Shaoran.
-Bene!-,
annuì Sakura, che intanto saliva sulla cattedra.
“In effetti
non ci ho mai provato… E se morissi?”. Un’altra voce nella sua mente gridò: “Che
palle, sei sempre così pessimista??? Se tu fossi un dj ti chiamerei dj Mortorio…
A proposito, quella che sta parlando adesso è la tua parte
diabolico-maleducata…”. Sakura scuotè la testa e pensò: “Sapevo che mi avrebbero
fatto male tutti quei succhi di frutta…!”.
Pensando
questo saltò dalla cattedra e fece due capriole per aria atterrando
perfettamente.
-Visto,
signor io-sono-meglio-di-yuri-chechi???-, disse ironica Sakura.
-Lo credi
davvero? Sicuramente non saprai fare questo!-.
Andarono
avanti così per un bel po’, finché non arrivò il professor Terada.
Alla fine
entrambi erano stanchissimi e si dovettero letteralmente trascinare verso i loro
banchi. All’improvviso Sakura si sentì così idiota per esser stata tanto
presuntuosa. Allora scrisse un bigliettino e lo porse a Shaoran, che subito lo
lesse (i bigliettini di Sakura saranno scritti in corsivo, quelli di Shaoran
sottolineati! Ndme).
“Senti… Mi
dispiace per prima, ma ero un po’ nervosa. Davvero… Quindi scusami.”.
Subito lui
girò il foglietto e scrisse:
“E’ inutile
che dici queste cose, io sono sempre più bravo di te. E poi mi ha suggerito
Tomoyo di farlo!”
Appena
lesse il bigliettino, Sakura si voltò verso l’amica, che le fece l’occhiolino.
“E perché?
E poi ricorda che comportandoti così avrai sempre meno amici.”
Shaoran
rispose scrivendo:
“Perché lei
voleva che tu ti dessi una mossa e che non fossi nota solamente per la tua
modestia… Mah,,, Comunque a me non interessa avere amici, anche perché non ne ho
mai avuti, ma sono ancora qui. Voglio dire, anche se avessi avuto amici, cosa ci
avrei guadagnato?”
La castana
lesse sconcertata il foglio e rispose:
“Ma come ti
vengono in mente queste cose? Gli amici sono importantissimi! Io aspetto da
tempo qualcosa da te, non l’hai capito?”
Ma mentre
il foglietto compiva il suo tragitto per arrivare al banco di Shaoran, esso fu
intercettato da una grande mano.
“Kinomoto e
Li, invece di scrivervi bigliettini d’amore, perché non seguite la lezione?”. Il
professor Terada era fra Sakura e Shaoran.
La castana
a quelle parole divenne tutta rossa, mentre Shaoran rispose maleducatamente al
professore:
-Bigliettini d’amore??? A lei? No, grazie!-
Sakura a
quelle parole si voltò di scatto e disse quasi gridando:
-Tu pensi
sempre di essere il migliore, vero? Be’, ti dico una cosa: tu sei solo un brutto
egoista, egocentrico, patetico e…-. Non potè continuare perché le vennero le
lacrime agli occhi e si voltò.
-E anche se
fosse?-, rispose deciso Shaoran.
Intanto il
professore era tornato alla cattedra e diceva:
-Ragazzi,
state assistendo ad una lite fra genitori…-.
Tutti
rimasero sconcertati e perplessi.
Terada
lesse l’ultimo bigliettino inviato da Sakura, che naturalmente fu frainteso:
-Qui c’è
scritto che Kinomoto aspetta da tempo qualcosa da Li… Kinomoto, ha bisogno di
andare in infermeria?-, disse sadico (???) il professore.
Sakura
ringhiò furiosa e stette zitta, non rispondendo alle provocazioni del
professore.
Alla fine
suonò la campanella dell’intervallo.
-Sakura,
che hai?-, disse Tomoyo con tono preoccupato.
-No,
niente… Mi fa male la testa…-, rispose la castana massaggiandosi le tempie.
-Non è che
sei davvero incinta?-, aggiunse scherzosamente Shaoran.
Sakura lo
fulminò con lo sguardo, mentre Tomoyo dava una gomitata al ragazzo.
-Ora vai in
infermeria e ti riposi, ok?-, consigliò dolcemente Tomoyo.
Oltre
quegli occhi, Sakura vide lo sguardo dolce e preoccupato della madre. Così
sorrise e si avviò verso quel luogo, dove si stese su un caldo e bianco letto e
si addormentò.
Appena
Tomoyo chiuse la porta dell’infermeria, si girò verso Shaoran e disse
indicandolo con un dito:
-TUUUUUUUUUUUUUU… Come hai potuto! Ma ti rendi conto? Ma perché dovevo avere un
fratello così stupido…-. Così dicendo si sbattè una mano sulla fronte.
-Ma che ho
fatto?-, disse irritato il ragazzo.
-Che hai
fatto??? CHE HAI FATTO??? Spero tu stia scherzando, dato che è quasi scoppiata a
piangere davanti a te!-, gridò la mora.
-Ma chi?-,
chiese perplesso Shaoran.
-Oh mio
Dio… Per caso facendo una capriola ti è caduto il cervello? Sto parlando di
Sakura, e di chi se no??? Perché la tratti sempre male?-, lo rimproverò la mora.
-Io???
Senti, non cominciare! Voi ragazze siete tutte così problematiche! Questo è il
mio carattere e non lo cambierò per una stupida e insulsa ragazzina!-, rispose
il giovane.
Tomoyo
allora gridò furiosa:
-NON
PARLARE COSI’ DI SAKURA! LEI E’ SICURAMENTE MIGLIORE DI TE DA MOLTI PUNTI DI
VISTA! Ok, forse non è molto sveglia e a volte non capisce niente, ma almeno ha
un cuore!-. Terminò la frase dando un bel calcio lì a Shaoran.
-Ora credo
che anche tu abbia bisogno dell’infermeria-, disse ancora arrabbiata Tomoyo
mentre Shaoran apriva dolorante la porta della stanza dove si trovava Sakura per
stendersi su un letto.
Guardò la
ragazza che era stesa nel letto accanto al suo e sorrise.
“Questa
volta ho un po’ esagerato… Ma che me ne importa? Ora ho un sonno…”. Questo pensò
mentre si addormentava beatamente.
Ciao a
tutttttttttttttttttttttti!!! Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì! Ora voglio
ringraziare uno per uno quelli che hanno recensito:
Evanescense88: ah ah ah!
Hai ragione, povera Sakura!!! (io muoio di vergogna e TU ridi??? NdSakura)!!!
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!! Ciao ciao! Evviva gli
evanescense! Li adoro!!!
Sakura93:
sììììì! Sono molto sadica nei riguardi di Sakura! Ah ah ah!!! (io ho paura di
questa qui… NdSakura)! Ti è piaciuto questo capitolo? Fammi sapere, mi
raccomando!
Non so come
chiamarmi: Sì!!! Il
nostro Shaoran ha dei poteri magici! Sì, ma solo dai fianchi in giù… Ok, lascia
perdere!!! Fammi sapere se il capitolo ti è piaciuto, ciao ciaoooooo!
Avril90:
lo so, mi dispiace per Sakura, ma deve sopportarmi ancora per un po’!!! Ah ah
ah! Sìììì! Comunque mi fa piacere che mi consideri brava! Grazie mille! Ciao
ciao!!! E soprattutto: AVRIL LAVIGNE IS THE BEST!!!
Faffy:
ciaooooooo!!! Come va??? Che bello, hai recensito!!! Ora sono in fase di
kinokoosin (si scrive così???)! No, scherzo (mica tanto…)! Che fai? Leggi i
fumettini…??? (non capisco se quella cosa è panna o altro… NdFaffy)… Sì….! Mi
raccomando, Fede, continua a recensire!!! E ricorda cosa disse il vecchio
saggio: “Un inkei per uno non fa male a nessuno”!!! (ma che
stai male??? NdFaffy)! Ciao ciaus!!!
Dead_sound2000:
ciao! Certo,
Sakura sta crescendo, ma solo fisicamente, perchè mentalmente rimane la stupida
di sempre (ma come ti permetti??? NdSakura)! Be’, continua a recensire! Ciaoo!
LizDreamer:
ma sai che il tuo nickname mi piace tantissimo??? Ok, non c’entra niente… Sono
contentissima che ff ti piaccia!!! Mi raccomando, continua a recensire!!! Hello!
Anto Chan:
che bello, ti piace davvero la mia ff? Ah ah ah!!! (che ti ridi??? NdAnto)…
Comunque le figure di Sakura non finiscono qui! Ah ah ah! Sono diabolica! Ciao e
continua a recensire!
Deborah:
Ah ah ah!!! Sì, Shaoran è davvero cattivo! Ma così almeno fa qualcosa, no?
Altrimenti starebbe ancora con una margherita in mano dicendo: “La saluto… o non
la saluto?”… Ciao e continua a recensire!!!
Lau (o
meglio, la suprema Lau… oppure preferisci somma ponteficia??? Ponteficia…ma non
esiste ‘sta parola!!!):
Ciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiao!!! Come va? Ah ah ah! (ah, sei così già
di prima mattina??? NdLau)… Davvero ti ho fatto ridere un po’??? Che bello!
Allora sono utile al mondo! Festeggiamo??? Ok, lascia perdere! Sai che oggi ha
chiamato Drink a casa??? Ha detto che voleva prepararti la colazione, ma non
sapeva come si spalmasse la marmellata sulle fette biscottate… Mah! Ma non è che
stanotte tu e lui……….. Eh??? Di’ la verità…!!! (in effetti… NdLau)… Com’è stato?
Fammi sapere! Voglio tutti i dettagli!!! W l’inkei!!! Ok, lascia perdere!!!
Spero che questo cap ti sia piaciuto! A proposito, come sta l’orfano? Sai,
questa storia mi commuove… sigh sigh…. Be’, ciaoooooooooooooooooooooooooo!!!
L’egittologa:
Ah ah ah! Non so come mi sia venuta in mente quella parte demenziale! Posso
farti una domanda? Perché ti chiami “L’egittologa”? Una curiosità!!! Be’,
ciaoooooooo e recensisci, mi raccomando!!!
Rossanasmith: sono d’accordo con te! Ah ah ah!!! Te lo
immagini??? Che ridere!!! Mi raccomando, continua a recensire!!! Evviva il
nostro Shaoran OOCissimo!!! Ciaooooooo!
Dark Feder:
che bello! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto! Comunque anche a me è
successo qualcosa del genere, ma è meglio sorvolare… Che figura!!! Lasciamo
perdere… Mi raccomando, continua a recensire!!!
Ciaoooooooooooooooooooooooooooooooo!!!
Shiny94:
non preoccuparti per il ritardo! L’importante è che il capitolo ti sia piaciuto,
no? Anzi, ti ringrazio per averlo fatto (recensire… cosa hai capito???)!!!
Ciaooooooooooo!!!
Ecco, ho
finito! Grazie anche a coloro che hanno letto solamente!!!
Ci vediamo
al prossimo capitolo, che si chiamerà (credo): “L’infermeria”.
Ciaooooooooooooooooo!
Ciao a
tuttiiiiiiiiiiiiiiiii!!! Scusate per il ritardo, ma purtroppo fra scuola, danza
e tutto il resto non trovo molto tempo per le ff…
Be’, ora vi
lascio al nuovo capitolo che si chiama “L’infermeria”! Scusate se è molto breve,
ma è solo un capitolo di transizione! Ciao e buona lettura!
Due corpi
pallidi giacevano freddi su due letti vicini, un ragazzo e una ragazza.
Sembrerebbe
un film horror, invece erano solo in un infermeria (Oddio, che paura…
Ndtutti)(lo so che l’inizio dice già tutto, però…! Ndme).
-Mmh…-. Un
verso uscì dalla bocca della ragazza castana che si stringeva le candide coperte
attorno al fragile corpo: si era appena svegliata.
-Ma che
succede? Ah, è vero! Sono nell’infermeria… Aaaaaah!-, gridò vedendo che c’era
anche Shaoran.
-Oh mio
Dio, e ora che faccio? E se si sveglia? Io non sono mai stata da sola con lui…-,
disse spaventata.
-Che dovrei
fare, violentarti? Non sono un pedofilo…-. Una voce uscì da un groviglio di
coperte.
-Ah ah ah,
molto divertente!-, disse ironicamente Sakura.
Rimasero in
silenzio per qualche secondo, durante i quali Shaoran si tolse le coperte dal
caldo corpo, essendo travolto da un brivido di freddo dietro la schiena.
-Aaaaaaaaaaaaaaaah!-, urlò la ragazza castana.
-Mmh? Che
c’è?-, chiese perplesso il ragazzo guardandosi e notando che indossava solo
delle mutande.
-Ma...-,
cercò di parlare Sakura, molto imbarazzata.
-Be’? Non
sei mica la prima ragazza che mi guarda in queste condizioni! Ci sono persone
che hanno visto anche di peggio, anzi, di meglio…-, disse con un sorriso ambiguo
stampato sul volto.
-Cioè, tu
mi vorresti dire che…-, cominciò attonita la ragazza.
-Be’? Tu
no? Certo che sì! Innanzi tutto con mia madre. Lei mi insegnato in gran parte la
teoria. Poi Tomoyo, alcune mie amiche dell’asilo durante la mia festa di
compleanno. Ma c’è anche Yong Changai… Non la scorderò mai. E’ stata lei a
insegnarmi la pratica. L’ho conosciuta alle medie. Scusa, perché tu no?-, spiegò
serio il ragazzo.
Sakura non
sapeva come comportarsi: piangere, arrabbiarsi o non are nulla? Alla fine, però,
scelse la seconda opzione.
-Ma… ti
rendi conto? Tu non puoi… Ma perché? COME PUOI ESSERE COSI’… COSI’…-. Non riuscì
a finire la frase perché il ragazzo la interruppe tranquillamente.
-A me non
sembra grave e sbagliato. Tu non hai mai nuotato in costume?-.
Sakura
spalancò gli occhi e impallidì subito:
-Ah, nuotare… O-ok…-, disse imbarazzatissima.
-Perché,
che avevi capito?-, chiese Shaoran con finta ingenuità.
-Lo sai
benissimo! Io non casco nei tuoi stupidi trucchetti.-, proferì superba Sakura.
-Guarda che
l’hai fatto qualche secondo fa.-, disse ridendo Shaoran.
“Che
sorriso dolce… Non l’ho mai visto ridere così. Che spavento mi sono presa!
Credevo che l’avesse fatto…”, pensò la castana, ma quasi leggendole nel
pensiero, il ragazzo disse voltandosi:
-Ah,
comunque non sono vergine.-.
-CHE
COSA??? E CON CHI L’HAI FATTO?-, gridò disperata Sakura.
“Allora, se
mi mettessi con lui non sarei nemmeno il suo primo amore… NON E’ GIUSTO!”, ma
una piccola voce le entrò nel cervello: “Ehi, stupida! Almeno il ragazzo si è
dato una mossa, al contrario di te! A proposito, io sono la tua parte più
cattiva e ironica, AH AH AH AH AH!!!”. Mentre Sakura cercava di ricordarsi cosa
avesse mangiato il giorno prima per trovare la causa di quella sua pazzia
prematura, Shaoran rispose:
-L’ho fatto
quest’estate con una francesina davvero deliziosa… Vuoi i particolari?-, chiese
ironico il ragazzo.
Con un
gesto del capo, Sakura non acconsentì e prese il cellulare dalla sua cartella.
-Uhm… Che
bel cellulare… Dai qua!-, disse Shaoran prendendo il cellulare e mettendoselo
nelle mutande.
Sakura
gridò come una cantante lirica (che bei paragoni che faccio, vero??? Ndme) e
cercò di riprendersi il cellulare.
-Dammi! Ma
che schifo! Ora come farò ad usarlo? Bleah!-, disse schifata Sakura mentre si
avvicinava al ragazzo.
-Oh, per
l’igiene non preoccuparti: stamattina mi sono lavato!-, disse ridendo Shaoran.
Ad un certo
punto il cellulare della ragazza vibrò (consideriamo il fatto che è ancora in
quel posto sconosciuto…!!! Ndme).
-Wow, hai
anche la vibrazione! Chissà dove te lo metti quel cellulare, eh?-, disse Shaoran
schernendola.
-Smettila e
fammi leggere il messaggio!-, pregò la ragazza.
-Aspetta lo
leggo io… Allora qui c’è scritto: Ciao, sono Tomoyo! Come va? Come è andata
con Shaoran? Se ha fatto lo stupido lo aggiusto io! Ehi, cos’è che vuole
fare mia sorella??? Va be’, continuiamo: … Be’, volevo dirti che stasera c’è
la festa di compleanno di Yamazaki, ci vieni? Dillo anche a Shaoran! Ciao ciao!
J… Ok, io ci
vengo alla festa, tu?-, disse serio alla ragazza che gli stava davanti.
“Com’è
carino… Ma quanto lo odio a volte. E’ davvero insopportabile!”.
-OOOOOOOOOOOOOOH!!!-, le gridò nell’orecchio Shaoran.
-Eh? Ah sì,
certo, 2+2 è 4, sì…-, disse incantata Sakura.
-Veramente
ti ho chiesto se verrai alla festa… Sai, stai facendo progressi in matematica!-,
esclamò il ragazzo.
-Ah ah ah…
Che ridere… Comunque sì, ci vengo!-, disse Sakura.
Così
dicendo uscirono entrambi dalla scuola e si avviarono per la casa della
ragazza.
-Scusa, ma
perché eri in infermeria?-, chiese curiosa Sakura.
-Oh,
niente. Diciamo che mi hanno danneggiato i gioielli…-, proferì Shaoran.
-Gioielli?
Che gioielli? Allora saresti dovuto andare da un orefice…-, chiese perplessa
Sakura.
-Niente,
lascia stare…-.
Così
dicendo arrivarono a casa della castana, che aprì il cancello e disse un flebile
“Grazie” mentre Shaoran le ricordò della festa di quella sera, che avrebbe
cambiato loro la vita.
Ciao a
tuttiiiiiiii!!! Scusate il ritardo stratosferico, ma mi si è rotto il pc e
avevo perso il capitolo, così devo ringraziare infinitamente Laukurata89per avermelo
rinviato! Ora vi lascio al cap, ciao e buona lettura!!!
-Ragazzi,
non sapevo che Yama avesse una casa così grande!-. Un ragazzo dai folti capelli
stava ammirando il salone immenso in cui era appena entrato.
-Shao, non
è lì la festa! Lì ci sono gli amici di mia nonna.-, avvisò un alto ragazzo che
portava a stento dei regali,
-E che ci
fanno gli amici di tua nonna QUI? Credevo che saremmo restati da soli…-, chiese
Shaoran chiaramente deluso.
-Fanno un
torneo di briscola… Non preoccuparti, tanto noi staremo al piano di sopra!-.
Così dicendo, Shaoran, Yamazaki ed Eriol, che era tornato apposta
dall’Inghilterra, salirono le scale.
I muri
erano cosparsi di quadri meravigliosi e nell’ingresso c’era una grandissima
scrivania di quercia sulla quale erano stati posti molti pacchetti. Sulla
ringhiera della scala spiccavano numerosi vasi da fiori appoggiati al solido
legno. Uno di questi colpì Shaoran.
-Wow! Che
fiore è questo?-, chiese con evidente curiosità.
-Ehi, non
faccio mica botanica! Non so, credo sia…-, cominciò Yamazaki, che venne subito
interrotto da Eriol:
-E’ una
viola del pensiero. La Viola del
Pensiero fu uno dei simboli utilizzati durante l'Impero di Napoleone dalle
compagini dei suoi sostenitori, che anche clandestinamente sostenevano il
proprio Imperatore; pare infatti che la Viola del Pensiero fosse la parola
d'ordine dagli stessi utilizzata. La mitologia greca associa invece la Viola del
Pensiero alla bellissima ninfa Io, di cui si innamorò perdutamente Giove, che,
proprio per questo, fu trasformata per volere di Giunone in giovenca. Il
significato comunemente attribuito alla Viola del Pensiero è dunque quello di
riflessività e ricordo…-. Quel vocabolario
vivente di Eriol fu scagliato contro il muro da un sonoro “SBANK!” proveniente
da Shaoran.
-Lo sai che sei
davvero insopportabile???-, aggiunse spazientito il cinese mentre Eriol cercava
di ricomporre i suoi occhiali.
Dopo risate generali
e imprecazioni, Shaoran chiese a Yamazaki:
-Ma chi hai invitato alla festa?-.
-C’è Tomoyo???-,
chiese un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi neri dai piedi delle scale.
-Kosura, non rompere
pure oggi!-, disse Eriol.
-Ma chi è questo qua
che vuole mia sorella???-, domandò Shaoran con curiosità.
-Lascia stare, è il
mio vicino… Senti, tu non sei stato invitato, quindi vai a casa e conta fino a
54654854545545546477878791133 e poi ritorni, ok?-, disse Yamazaki, -e poi non
hai nemmeno un regalo!-, aggiunse.
-Dai! Ti prego,
fammi restare per un po’…-, chiese il tizio sconosciuto con gli occhi
luccicanti.
In effetti sarebbe
stato divertente, no? “Qui c’è un bell’intreccio… Eriol vuole Tomoyo, che piace
anche a Kosura, amato da Naoko che piace anche a Chizu, amato anche da Rika, che
a sua volta piace al signor Terada, che è anche ricambiato… Mio Dio, che
casino!”.
Dopo parecchie botte
in testa per riprendersi, Yamazaki acconsentì anche alla partecipazione di
Kosura e condusse i tre in una stanza di media grandezza nel cui mezzo si
stagliava un tavolo pieno di cibo: pizze, patatine, focacce ecc.
-Ragazzi non
mangiate… niente…-, non fece in tempo a dire che i tre avevano mangiato metà
della tavola.
-Ma quando arrivano
le altre?-, chiese impaziente Shaoran affondato in una poltrona rossa accanto al
camino ormai spento, poiché la primavera era ormai arrivata, anche se fuori un
venticello fresco scompigliava i capelli di una castana…
-Tomoyo, mi
vergogno! Non posso andare in giro così!-.
-Oh, Sakura: non
puoi indossare per tutta la vita il grembiulino dell’asilo! E poi, cosa vuoi che
sia una maglietta un po’ più corta…-, disse una ragazza dai capelli scuri.
-Un po’??? Mi copre
a stento! Io mi metto la giacca…-, protestò Sakura infilandosi un giacchino in
jeans blu.
-Fai come vuoi… Però
stai bene con quella maglia, vero ragazze?-, chiese con falsa innocenza Tomoyo.
-Sì, Sakura: stai
benissimo! Almeno tu puoi metterti certi abiti, io con queste gambe che mi
ritrovo cosa posso mettere?-, piagnucolò Naoko.
-Ragazze, siete
tutte fantastiche! Non come me, sono troppo magra…-, disse Rika.
-Be’, muoviamoci,
chè è tardi!-, tagliò corto Chiharu.
Così dicendo si
misero a correre e arrivarono in pochi minuti a casa di Yamazaki. Suonarono il
campanello con un po’ di affanno e notarono che ad aprire la porta non c’era il
padrone di casa, bensì… nessuno.
-P-perché la p-porta
si ap-pre da s-sola?-, chiese impaurita Sakura.
-Hai ancora paura di
queste cretinate? Sarà uno scherzo del mio Yama…-, disse sognante Chiharu.
-Aaah, mi hai
scoperto…-, si lamentò deluso un ragazzo che teneva un filo in mano, l’altra
estremità del quale era attaccata alla maniglia della porta.
Così dicendo
Yamazaki baciò dolcemente la bocca truccata della fidanzata.
-Auguriii!-. Tutte
le altre ragazze li riportarono alla realtà.
-Scusate, è che
Chiharu bacia così bene…-, disse Yamazaki sorridendo.
Dopo che tutti i
regali furono posti sempre sulla stessa scrivania, il festeggiato accompagnò le
nuove arrivate nella sala dove avrebbero dovuto festeggiare. Salendo le scale
Sakura notò un fiore in un vaso, quello STESSO fiore che piaceva a Shaoran.
-Che fiore è
questo?-, chiese la castana fra il curioso e il meravigliato.
- E’ una viola del pensiero. La Viola del
Pensiero fu uno dei simboli utilizzati durante l'Impero di Napoleone dalle
compagini dei suoi sostenitori, che anche clandestinamente sostenevano il
proprio Imperatore; pare infatti che la Viola del Pensiero fosse la parola
d'ordine dagli stessi utilizzata. La mitologia greca associa invece la Viola del
Pensiero alla bellissima ninfa Io, di cui si innamorò perdutamente Giove, che,
proprio per questo, fu trasformata per volere di Giunone in giovenca. Il
significato comunemente attribuito alla Viola del Pensiero è dunque quello di
riflessività e ricordo…-,
cominciò Tomoyo, che però fu subito interrotta da Sakura:
-Tomoyo, ma come fai
sapere così tante cose?-.
A quel punto
Yamazaki sorrise: “Be’, almeno la reazione è stata diversa da quella di
Shaoran!”.
-Se tu il pomeriggio
studiassi invece di vedere Cartoon Network 24 ore su 24, forse le sapresti anche
tu…-, rispose ironica Tomoyo.
Ormai Sakura si era
abituata a quel suo modo di fare molto ironico e canzonatorio, anche se non
sapeva che sua madre fosse così maledettamente spiritosa.
Così dicendo,
arrivarono nella sala della festa e lì tutti si salutarono con un bacio sulla
guancia.
-Ehi Kino, per caso
hai scambiato la casa per il Moulain Rouge???-, chiese ironicamente Shaoran
notando il vestito molto succinto della ragazza.
-Che cos’è, sei
geloso?-. Non sapeva perché, ma quel giorno a Sakura sembrava di avere una
marcia in più, qualcosa che la spingeva a rispondere alle provocazioni del
ragazzo.
-Oh-oh, ti sono già
ritornate?-, disse ridendo il cinese.
-Smettila,
stupido.-, sentenziò Sakura.
-Stupido??? Sei
arrivata alla “s”, brava!-, rise Shaoran.
-Non fai ridere. Sei
patetico!-, disse la castana, ridendo anch’essa.
-Ma io non voglio
far ridere nessuno…-, bisbigliò Shaoran avvicinandosi pericolosamente al viso
dell’”amica”, per poi allontanarsi subito per prendere una patatina.
Anche se non avevano
avuto alcun contatto, anche se quel momento era stato solo un attimo della sua
vita, a Sakura pareva che fosse stato più lungo di quanto avesse mai immaginato
(sto parlando del momento…! Ndme). Non sapeva perché, ma si sentiva come se
fosse stata violata, sporcata, come se la sua vita candida fosse un lenzuolo
bianco e che una macchia indelebile. Non sapeva però che quella piccola macchia
si sarebbe propagata in tutto quel lenzuolo e che l’avrebbe compreso in tutta la
sua chiarezza e bianchezza.
-Ragazzi, che ne
dite di fare un gioco?-, chiese Naoko mentre addentava un panino rotondo.
-Sì! Io propongo
obbligo, giudizio e verità!-, propose Tomoyo che era seguita da Eriol e Kosura
come dei cagnolini.
Così dicendo si
sedettero tutti su due divani opposti: su quello azzurro di pelle si sistemarono
i ragazzi, ovvero Shaoran (magari c’erano pure le ragazze che facevano la ola ad
ogni nome… Ndme), Yamazaki, Eriol, Kosura e Chizu, arrivato da poco. Invece su
un divano rosa di velluto si sedettero le ragazze: Sakura, Tomoyo, Chiharu,
Naoko e Rika.
-Allora, chi
comincia? Dai, inizia tu, Yama! Obbligo, giudizio o verità, cosa scegli?-,
chiese Tomoyo.
-Mmh… obbligo!-,
rispose sicuro il ragazzo.
-Ok, allora dato che
ci sono decido io, ok? Un obbligo… Vediamo… prova a non dire cazzate per un
quarto d’ora! No, questo è troppo difficile…! Allora, guarda negli occhi Chiharu
e dille che la odi!-, propose Tomoyo.
-Ma io…-, protestò
Yamazaki.
-Dai, è solo un
gioco!-, lo incoraggiò Chiharu.
-Ok… allora… Non ci
riesco… io ti… io ti amo! No, non ci riesco!-, disse il festeggiato.
-E dai! E’ un gioco,
non preoccuparti!-, proferì dolcemente la sua fidanzata.
-Ok, ce la posso
fare! Io… io ti odio! Ecco, l’ho detto…-, sbottò Yamazaki.
-Sigh… Mi hai
spezzato il cuore…-, finse di piangere Chiharu.
-Scusa, non è vero!
Io ti amo, credimi!-, si giustificò il ragazzo.
-Guarda che sto
scherzando, stupido!-, rise Chiharu.
-Ok, ora decido io!
Tomoyo, obbligo, giudizio o verità?-, chiese Yamazaki.
-Verità!-, disse
decisa la mora.
-Ok… Allora, chi ti
piace di più, Eriol o Kosura?-, chiese maliziosamente Yamazaki.
-Dai, non puoi
chiedermi certe cose! Allora… Be’, io…-, disse alzandosi Tomoyo: -io amo Eriol-.
Detto questo lo baciò. Eriol pietrificato, seduto sul morbido divano e Tomoyo
che gli sorrideva.
-Wow! Abbiamo una
dichiarazione in diretta, ragazzi! Ok, ora chiedete a me, dai!-, disse divertito
Shaoran.
-Mmh… Ok! Dai, Rika,
chiedi tu a Shaoran.-, consigliò Tomoyo, che nel frattempo si era ricomposta.
-Ok… obbligo,
giudizio o verità?-, chiese Rika.
-Mmh… facciamo
giudizio!-, disse Shaoran con un po’ di indecisione.
-Ok! Allora dai un
giudizio a tutte noi in base a fisico, carattere e attrazione!-, propose la
ragazza.
-Attrazione? Ok!
Allora… per fisico: Tomoyo 8, Rika 7.5, Naoko 6, Chiharu 8- e Sakura… 7.-. A
quel voto Sakura si aprì istintivamente la giacca.
-Be’, se la metti
così, Sakura: 8! Per carattere: Tomoyo 7, a volte sei così rompiscatole! Rika 6,
troppo dolce! Naoko 7.5, Chiharu 5, non mi piaci molto, e Sakura 8, nonostante
l’ingenuità, non sei male. Per attrazione invece: Tomoyo 8, mi ferma solo il
fatto che sei mia sorella, Rika 5, Naoko 4, Chiharu 7.5 e Sakura… 0!-, giudicò
Shaoran.
-Che cosa??? Ma come
ti permetti?-, protestò la castana.
-Io ho detto solo la
verità.-, si giustificò Shaoran.
-Cioè, tu non mi
ritieni attraente?-, chiese Sakura quasi incredula.
-No! Assolutamente!
Sei troppo ingenua per i miei gusti! Dai, accontentati di una media del 5…-,
disse Shaoran con fare un po’ annoiato.
-Ma sentitelo! Tu
credi di essere la brutta copia di Rocco Siffredi??? Be’, neanche tu sei poi
così bello e attraente, se proprio vuoi saperlo!-, disse Sakura in preda alla
rabbia.
-Non tutte la
pensano così… Jasmine diceva che ero fantastico!-, disse sorridendo Shaoran.
-E chi sarebbe
questa Jasmine?-, domandò con ira la castana.
-La francesina, te
la ricordi?-, chiese ridendo il ragazzo.
-“La francesina, te
la ricordi?”… Ma non farmi ridere!-, lo imitò Sakura.
-Dai ragazzi,
smettetela! Perché non balliamo un po’?-, propose Yamazaki.
Sakura si
sedette con aria scocciata sul divano e guardò gli altri che ballavano,
finchè…
Ciaooo!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi dispiace di non potervi ringraziare
uno per uno, ma non ho tempo! Quindi grazie a Sakura93,
Zoa, l’egittologa, Anto Chan, Dark Feder, non so come chiamarmi, Shiny, MORFEa,
LizDreamer, Avril90, Faffy e soprattutto Laukurata89!
In una casa
di Tomoeda, Giappone, Asia, Terra, Sistema solare, Via Lattea, Universo… (ok, la
smetto! Sembra l’introduzione di “ET”… Ndme)(non osare profanare le mie opere!
NdSpielberg)(OH MIO DIO! C’è Spielberg! IO LA AMOOO! NdDawson)(scusate, mi basta
Shaoran come gay, grazie! Ndme)(scusa bella, ma fatti li c***i tua!!! E poi io
sono più etero di Robbie Williams e Rocco Siffredi messi insieme… NdShaoran)(AH
AH AH! Tu… etero??? NdSakura)(hai qualcosa da dire, Principessa Odessa? E poi
qui c’è qualcuno che può confermare… NdShaoran)(mais oui, le mon adoré Shaoran
est heterosexuel! NdJasmine)(La vogliamo finire??? Io dovrei iniziare a scrivere
il capitolo, se non vi dispiace! E voi, Chiharu e Yamazaki, smettela di
pomiciare!!! Ndme)(ma noi ci amiamo! Smack
smack… NdChiharu e Yama che sembrano due hippy)(al mio tre dovete stare tutti
zitti… e fermi! Tomoyo,
smettila di… Oh mio Dio, lascia stare… 1…2…3! Ndme)(scusate per questa penosa
introduzione… Se volete non la faccio più… Ndme)(sì, magari! Ndtutti)! Ok, ora
comincia il capitolo vero e proprio! Ciao e buona lettura!
Una ragazza
castana era seduta su una soffice poltrona, mentre tutti ballavano.
“Ora
secondo lui io dovrei aspettarlo qui tutta la sera? E no, non gliela darò vinta!
Però io… No, non posso. E poi? Con chi ballerei? Yamazaki ed Eriol sono occupati
e Chizu e Kosura si stanno ingozzando di patatine e non intendo disturbarli...
Rimane solo Shaoran, anche lui occupato a fare l’esibizionista egocentrico come
al solito… Che devo fare?”. Mentre Sakura pensava questo, due ragazzi si
sedettero su due poltrone alla sua destra e alla sua sinistra.
Sakura si
voltò istintivamente e vide due persone inaspettate.
-Perché sei
qui, Sakura?-, chiese una ragazza con i codini castani.
-E’ vero,
vieni a ballare, dai!-, propose un giovane dai capelli corti e scuri.
-Chiharu,
Yamazaki… Grazie, ma preferisco restare qui.-, disse Sakura guardando con uno
sguardo omicida Shaoran che ballava e cantava a squarciagola “Like a virgin” di
Madonna.
-Dai,
Shaoran è così, non puoi cambiarlo. Purtroppo non è perfetto: è egoista,
egocentrico, presuntuoso, ammetto che non è per niente delicato con le ragazze,
però tu lo devi accettare così com’è. Ma… ti piace, vero?-, chiese Chiharu.
-Che??? Va
be’, è inutile mentire… Sì, lui mi piace, ma a volte, anzi, quasi sempre vorrei
ucciderlo.-, ammise Sakura rossa in viso.
-Sakura,
non preoccuparti! Ci pensiamo noi, vero Chiharu?-, disse maliziosamente
Yamazaki.
-Sì,
Sakura! Ho già un’idea in mente…-, sorrise l’altra ragazza.
-Ma io… no,
vi prego! Non ce n’è bisogno…-. Non riuscì a finire la frase che subito i due
fidanzati si allontanarono ridendo maliziosamente.
"Ho
paura di quei due... Chissà che cosa combineranno...", pensò la castana.
-Ragazzi! Fermi! Shaoran, smettila di usare la mia crema per le scarpe come
dentifricio!-, ordinò Yamazaki spegnendo la radio.
-Che
c'è? Perchè hai spento?-, chiese deluso Shaoran sputando quella cosa che aveva
in bocca.
-Dobbiamo fare un gioco...-, rise Chiharu.
Tutti si
guardarono ridendo e, mentre ognuno proponeva un gioco, a Tomoyo ne venne in
mente uno...
-Ho
un'idea! Perchè non giochiamo a "Sette minuti in paradiso"?-, domandò sorridendo
la mora con Eriol che le sbavava dietro.
-Eriolino mio, mi stai sbavando tutta la gonna...-, disse indignata Tomoyo.
-Oh,
scusa, prosciuttino mio! (???)-, si giustificò Eriol. (Hai visto, Lau?
Ndme)(avresti anche potuto fare a meno di mettere quel pezzo...! NdLau).
-Ma voi
non eravate innamorati anche nel DNA???-, chiese Rika.
-Litighiamo sempre, ma ci amiamo...-, dissero entrambi baciandosi.
-Oddio... Comunque sì, giochiamo a "Sette minuti in paradiso"!-, confermò
Chiharu.
-Scusate, io non so come si gioca.-, disse timidamente Sakura.
A quel
punto Sakura lo guardò negli occhi: uno sguardo che fece indietreggiare anche il
ragazzo. Gli occhi di Sakura erano arrabbiati, solo l'odio regnava in quel verde
così calmo. Nessuno aveva mai visto le iridi della ragazza così oppresse
dall'ira.
-Ehm...
Dato che tu, Shaoran, sei così esperto, tu e Sakura sarete i primi...-, disse
con molta calma Yamazaki.
Il
ragazzo dai capelli marroni cercò di obiettare, ma la paura di ricevere ancora
quello sguardo da Sakura lo fermò e così compì il suo destino.
-Dovrete
restare chiusi per sette minuti in quel ripostiglio, da soli.-, spiegò il gioco
Chiharu.
Sakura
si accarezzò i capelli come per mostrare che la cosa non la colpiva
affatto, ma questo era così maledettamente falso. Non voleva restare sola con
lui, aveva paura di cosa le avrebbe fatto Shaoran. In fondo, le sue ipotesi non
erano poi così infondate: da quando era venuto in Giappone ci aveva provato con
tutte le ragazze della classe, tranne lei. Cosa poteva significare? Non sapeva
se interpretare quel messaggio come un segno positivo o meno. Be', in un certo
senso era bello sapere che non la considerava solo come un bel corpo, no? Ma
cosa sarebbe diventata per lui? Non aveva alcuna speranza con lui, no.
-Forza,
entrate!-, la risvegliò Tomoyo dai suoi pensieri.
I due
entrarono in uno stanzino che sembrava un ripostiglio dalle pareti un po'
ingiallite e il pavimento tutto impolverato. Sulle pareti c'erano dei poster
molto strani: un tramonto bellissimo, un cielo stellato, un cuore spezzato unito
con lo stelo di un fiore attorcigliato intorno. Che potevano significare quelle
immagini? Poi la porta si richiuse dietro le loro spalle. Freddo. Il cuore di
Sakura danzava con un ritmo violento e lei tremava, ma non per paura. Da quando
la porta si era chiusa sentiva solo piacere, un piacere strisciante che le
intimava di restare in quella stanza. Si avvicinò al ragazzo che era di spalle,
ma lui la sentì arrivare e disse:
-Be'?-.
-Mmh?
Che facciamo?-, chiese maliziosamente la ragazza.
-Ma che
hai? Sembri strana...-, osservò Shaoran un po' stupito.
-Davvero?-, chiese Sakura accarezzandogli i capelli.
Shaoran
non credette ai suoi occhi: Sakura gli stava accarezzando i capelli... Ma che le
era preso?
-Ehi,
che fai?-, domandò Shaoran un po' spaventato per il comportamento della castana.
Sakura
non rispose, ma si "limitò" a... baciarlo.
Inizialmente era solo un bacio a stampo, senza passione, ma poi Sakura schiuse
le labbra e lasciò che la sua lingua penetrasse nella bocca di Shaoran, che,
preso dalla situazione, ricambiò il bacio e aprì anch'egli la bocca... Le loro
lingue si strofinavano, si avvicinavano, si allontanavano e infine si univano di
nuovo per muoversi in perfetto sincronismo. Sentivano ognuno il palato
dell'altro. Durante quella danza infinita, Shaoran mise con attenzione le mani
sui fianchi della ragazza, poi un po' più giù, sempre più giù, senza che lei
protestasse, mentre Sakura posizionò delicatamente le mani sulle spalle del
ragazzo. Accarezzo la morbida felpa del ragazzo, fino a soffermarsi sul suo
petto non ancora pienamente formato, ma già fortissimo e muscoloso. Si
fermò un po' ad accarezzargli il busto, poi arrivò giù, fin sotto il bacino. A
quel punto il suo respiro divenne più affannato e il bacio ancora più passionale
di quanto già non fosse. La mano di Sakura arrivò all'inguine del ragazzo e
l'accarezzo delicatamente. A quel punto fu Shaoran a sussultare e ad aprire gli
occhi senza staccare da quel bacio morboso, ossessivo. Però, quando la ragazza
fece più pressione con la mano, Shaoran si staccò e guardandola negli occhi
proferì una sola parola fra il divertito e lo sprezzante:
-Troia...-.
Bastò
una sola parola per risvegliarla, per farle togliere quella mano, per aprire gli
occhi e guardare in faccia la realtà. Era arrabbiata, furiosa, frustrata,
imbarazzata... Perchè lui non l'aveva fermata? Perchè aveva avuto quell'impulso?
Perchè non ci aveva pensato? Perchè lui l'aveva spinta sempre più in là?
Perchè... perchè... perchè...
Non ebbe
il coraggiò di guardare in faccia Shaoran, così uscì velocemente, correndo,
correndo, correndo... Una lacrima le scendeva già. Tutti si voltarono a
guardarla, mentre la porta del ripostiglio rimaneva socchiusa. Scese rapidamente
le scale e uscì da quella casa maledetta, da quella festa maledetta, da quel
ragazzo maledetto. Finalmente potè liberare tutte le lacrime, finalmente il
vento potè asciugare il suo viso. Non credeva ancora a ciò che aveva fatto, ma
fuggì. Sì, quello era il suo unico scopo: fuggire, lontano, lontano, lontano...
Ciao a
tutti! Come vi è sembrato questo capitolo? Avete visto Sakura quanto è
p*****a??? Ora passiamo ai ringraziamenti:
Zoa:
ciao Francy!!! Spero di averti stupita con questo finale! Sai, non volevo fare
qualcosa di banale, così ho pensato questo... Che ne pensi? Spero che
recensirai! Ciao ciao!!!
Anto
Chan: ciao!!! Anch'io voglio ripetizioni di matematicaaa!!! Non mi piace...
(ehi, non sono mica un professore! NdShaoran) e se ti facciamo una sciarpa tipo
Sakura??? (ok! NdShaoran)... ok, spero che ti sia piaciuto questo capitolo! Mi
raccomando, continua a recensire, mi fai troppo ridere!!! Ciao!
L'egittologa: ciao! Davvero pensi che sia così brava? Grazie! Anch'io
immagino le scene quando leggo ff! Ah ah ah, anche la tua ff è fantastica! Ti è
piaciuto il cap? Fammi sapere! ciao ciao!
Dark
Feder: ciaooooooooo! Sai, mi fa molto piacere che la mia ff ti piaccia!
Spero che anche questo cap ti sia piaciuto! (ne dubito... ndme)!!! Continua a
recensire! Ciao ciao!
Nemesy: ciao! Sai che hai proprio un bel nickname? Mi piace tantissimo! Ok,
non c'entra nulla... Sono contenta che trovi carina la mia storia! Ciao
ciaooooooooooooooooo!!!
Bee:
ah ah ah, ciaooo! Non preoccuparti, anch'io ho i miei momenti isterici...!!! Ti
piace questo capitolo? Spero che ti abbia sorpresa, perchè il mio scopo era
proprio quello! Ciao ciao!!!
Lurei-Chan: ti è piaciuta davvero? Ne sono felicissimaaaaaaaaaaa! Spero che
continuerai a leggere, perchè mi fa molto piacere!
Ciaooooooooooooooooooooooooooooooooo! XD
Sakura_Chan^^: grazie per tutti i complimenti!!! Mi fa davvero molto
piacere, veramente! Fammi sapere se il cap ti è piaciuto, ok? Ciao
ciiiiiiiiiaooooooooooooooooooo!!!
Ok, ho
finito! Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ciao ciao, ci vediamo
al prossimo capitolo!
Ma è fantastico!!! Siamo arrivati al
capitolo 10!!! Non ci credo… E soprattutto non immaginavo nemmeno che questa
storia avrebbe avuto tanto successo! Grazie a tutti! Ah ah ah! Vi ho
scioccate, vero?Ah ah ah! Che bello! (ma questa è andata o è solo una nostra
impressione??? Ndtutti)(no, è proprio così di natura… NdShaoran)! Speravo
proprio di avere delle recensioni negative (sono sadica…! Ndme), quindi
grazie a tutti! In questo capitolo capirete molte cose, ma non so se vi
piaceranno! Mah… Be’, buona lettura!
Correva,
correva, correva…
Piangeva,
piangeva, piangeva…
Una figura,
un’ombra scura…
Un grido,
un urlo di liberazione, di disperazione…
-Perché…?-.
Un cielo
scuro, senza luna, la terra bagnata…
-No…-.
Lacrime,
lacrime, lacrime amare scendevano su un candido e innocente viso. Una ragazza
seduta su una panchina stringeva il suo bambino, un uomo tornava dal lavoro,
stanco ma felice, dei ragazzini giocavano a pallone per strada. Il paesaggio più
piacevole del mondo, ma che per una persona non esisteva: il mondo non esisteva.
In quel momento c’erano solo i suoi pensieri e le sue lacrime, la sua folle
corsa verso l’ignoto. Quell’ombra si fermò sulle rive del fiume e cominciò a
pensare freneticamente, frasi sconnesse inondavano la sua mente, finchè solo una
di queste l’ebbe vinta: “Come ho potuto?”. Così, immobile, seduta sull’erba
fresca e bagnata, ragionò cercando di restare calma.
“Non può
essere… Io non ho potuto farlo, io, Sakura Kinomoto. No, non è possibile! Me lo
sarò sognato…”. Ma si contraddisse subito, perché sentiva sulle proprie labbra
ancora il gusto della crema per le scarpe che Shaoran quasi aveva ingoiato. “Ma
chi voglio prendere in giro? Certo che sono stata io… Ma non mi sono resa conto
di niente, cioè… Non riuscivo a fermarmi. Non ero io… No, non ero in me quando
l’ho fatto! E allora chi…”. Il filo dei suoi pensieri si spezzò inesorabilmente
perché vide qualcosa uscire dall’acqua del fiume: questa era molto luminosa,
sembrava… un fantasma.
-Uff…
Proprio la fifona dovevo andare a prendere? Ehi, carina, non osare chiamarmi
fantasma!-, reagì lo spirito. Era una ragazza dai capelli lunghi e biondi
raccolti da un fermaglio rosso con delle perline azzurre. I suoi occhi erano
neri e indossava una tunica bianca con una cintura dorata che le cingeva la
vita. Questa figura, però, aveva qualcosa di strano: era contornata da una
strana aurea lucente e sembrava sfumata, come un angelo.
-Tu sei
Sakura, vero?-, riprese la figura.
-Ehm… se te
lo dico tu mi uccidi?-, chiese tremante Sakura.
-No…-,
disse esasperata la figura.
-Sì, sono
io. Tu chi sei?-, domandò Sakura che aveva guadagnato un po’ di coraggio
dall’ultima frase.
-Piacere,
io sono Jasmine Croissant.-. Quella specie di angelo allungò la mano per
stringere quella di Sakura, che però strinse solo l’aria.
-Ah, è
vero! Non mi sono ancora abituata… Ti dice qualcosa il mio nome?-, chiese
Jasmine.
Sakura si
ricordò… JASMINE…
-Non può
essere!!! Tu sei la fidanzata di Shaoran…-, La castana era a bocca aperta: non
ci credeva! Ma come era possibile?
-ERO la sua
fidanzata. Sicuramente vuoi sapere perché sono qui, giusto?-, chiese Jasmine.
-Be’, in
effetti sì.-. Lo sguardo di Sakura si fece sempre più triste di quanto già non
fosse, ma non sapeva perché. Per un momento dimenticò ciò che era successo poco
prima, quello che era accaduto con Shaoran.
-Io… io ti
devo ringraziare, Sakura. Tu sei stato il mio unico appiglio, seppur
involontario. Io non sono gelosa di Shaoran, ormai non lo sono più. Lui non è
più mio. Ormai mi sono rassegnata, però dovevo fare una cosa prima di lasciarlo
per sempre.-. La bionda cominciò a sorridere, un sorriso triste e malinconico.
-Scusami,
ma non capisco cosa vuoi dire.-. Sakura la guardava perplessa.
-Io dovevo
salutare il mio Shaoran per l’ultima volta.-, ammise Jasmine.
-E io come
ti ho aiutata?-, chiese la castana sempre più confusa.
-Perché sei
scappata dalla festa? Per colpa mia. Mi dispiace…-.
Sakura,
però, continuava a non capire. Vedendo la faccia della sua interlocutrice,
Jasmine continuò a parlare:
-Nello
stesso attimo in cui tu e Shaoran-kun siete entrati in quella stanza, io sono
morta. Ormai il mio cancro ai polmoni andava avanti da anni e non c’era speranza
di guarigione, perciò ho intimato mia madre di staccare la spina del
respiratore. Però, prima di raggiungere il mio cielo volevo fare un’ultima cosa:
salutare Shaoran. Lui è stato l’unico ragazzo che avessi amato davvero. Ma per
far ciò dovevo prendere possesso di un corpo vivo e mi è sembrato che la persona
giusta fossi proprio tu. Quindi tutto quello che è successo nella stanza è stata
opera mia. Io… insomma, mi dispiace. E’ colpa mia se ora lui ti considera una
ragazza facile e ora tu ne pagherai tutte le conseguenze, però devi capirmi: io
dovevo farlo.-. A quel punto la bionda scoppiò in un pianto triste e silenzioso.
-Tu non
devi giustificarti! Certo, ora per me sarà molto imbarazzante guardarlo e
parlargli, probabilmente Shaoran mi prenderà in giro per tutta la vita, ma
l’importante è che il vostro amore sia stato suggellato. Io sono onorata di aver
svolto questo compito in nome dell’amore, quindi non devi scusarti, ok? Ti
ringrazio per aver scelto me, davvero!-. Sakura sentiva tanta compassione per
quella ragazza e poi non le interessava più di aver fatto quella figura con
Shaoran: l’importante era che aveva aiutato una persona.
-Ora devo
andare… Ma ricorda, quando salirò in cielo diventerò l’angelo custode di
Shaoran, quindi ti prego di non farlo soffrire… Lo so, ora è insopportabile,
però con lui c’è bisogno di bontà e pazienza, doti che tu incarni. Ciao Sakura e
buona fortuna!-, disse Jasmine ascendendo verso l’oscurità, fino a quando non
diventò solo un punto di luce e scomparve.
Sakura la
salutò con la mano e si asciugò le lacrime che le bagnavano il viso.
Ora si
sentiva più felice, decisa e raggiante: “Devo tornare alla festa e raccontare
tutto a Shaoran, subito!”. Così cominciò a correre verso la casa di Yamazaki e
vide che tutti erano fuori gridando il suo nome.
-Sono qui,
ragazzi!-, disse agitando una mano.
Tutti le
vennero incontro tranne Shaoran, che rimase poggiato al muro con le braccia
incrociate al petto e lo sguardo fisso verso un’altra direzione.
-Sto bene,
dai, torniamo su a ballare!-, esclamò Sakura. Sapeva che restando triste
l’avrebbe data vinta a Shaoran, così lo guardò fra il
“pensa-quello-che-vuoi-ma-io-mi-sto-divertendo-e-tu-no” e il
“smettila-di-fare-l’orgoglioso-testardo-e-parlami” e salirono tutti di nuovo a
festeggiare.
Sakura,
però, si recò prima in bagno per lavarsi bene il viso dalle lacrime che ancora
le rigavano il volto. Poi il suo sguardo si soffermò sulle sue mani, le stesse
che avevano toccato Shaoran. Come un flashback Sakura rivisse quei momenti… Come
aveva potuto? Lei, che arrossiva anche solo per uno sguardo… Certo, l’aveva
fatto per volontà di Jasmine, ma i gesti erano i suoi e poi… il suo primo bacio.
Era stato il suo primo bacio… Che suono strano che avevano quelle due parole…
Inaspettatamente una lacrima scese dai suoi occhi e si sedette a terra con le
braccia incrociate attorno alle ginocchia.
Così, con
la porta semichiusa e in quella posizione, cominciò a piangere silenziosamente
con lievi singhiozzi che le scuotevano tutto il corpo e la facevano tremare.
“E ora? Ora
che succederà? Lui mi chiederà perché l’ho fatto e io che risponderò? Lui vorrà
sempre di più… Certo, a me piace, ma è un amore puro, innocente… Non ci sono
secondi fini o imbrogli: io lo amo davvero. Cosa? Lo amo? Io? Lo amo… Forse è
una conclusione un po’ affrettata, ma che importa? Non posso rischiare di creare
ulteriori confusioni e ripensamenti: no. Quindi devo capire se lo amo veramente
e stasera ne avrò la prova… Però, come farò a guardarlo in faccia? In fondo sono
anch’io che l’ho voluto… Ho la sensazione che ciò che è successo in quel
ripostiglio lo volevo anch’io. Ma come ho potuto?”. Queste frasi furono
interrotte da un ulteriore singhiozzo più forte degli altri. A quel punto
qualcuno spinse in avanti la porta e porse la testa per vedere chi fosse dentro
la stanza.
-Ehi, Kino,
che ci fai qui?-. Shaoran la guardò scrollandosi i capelli dalla fronte.
Sakura non
osò alzare il capo, anzi, lo affondò ancora di più fra le ginocchia.
-Quanto sei
stupida… Ormai l’hai fatto, punto.-, sbuffò Shaoran entrando definitivamente
nella stanza per lavarsi le mani e guardando la ragazza attraverso lo specchio.
Sakura,
però, non gli diede retta e continuò a piangere. Ad un certo punto alzò la testa
mostrando le lacrime che le scendevano copiosamente sul volto e disse:
-Tu amavi
Jasmine, vero? Allora perché l’hai lasciata? Non capisci che le hai fatto
male?-.
-No, non
l’amavo.-, disse Shaoran.
-Non è
vero! Lei ti amava e tu cosa fai? L’abbandoni! Ormai lei è morta e tu non puoi
fare più niente, ma almeno avresti potuto sostenerla nella sua malattia!-,
strillò la castana.
-Sai, lei
me lo disse che sarebbe tornata a salutarmi, ma non credevo che l’avrebbe fatto
così… Lei era una ragazza fantastica: capiva sempre cosa provavo solo
guardandomi e quando si ammalò mi chiese lei di andarmene, perché non voleva che
la vedessi soffrire. Così io me ne andai e non l’ho mai più vista prima di
stasera. Io so cosa è successo stasera. Ma ormai è inutile pensarci, perché lei
è morta e, evidentemente, non era la persona giusta per me. Quindi, basta
piangere.-, disse Shaoran tirandole una salviettina che si trovava vicino a lui.
Sakura lo
guardò e poi si asciugò le lacrime.
-Ora
andiamo, se no ci danno per dispersi. E…-, cominciò Shaoran.
-E non dire
a nessuno di quello che successo nella stanza, chiaro?-, ordinò Sakura
alzandosi.
-Sì,
sargente!-, disse Shaoran avvicinando la mano destra alla fronte come per fare
un saluto militare.
Così
dicendo si avviarono verso la stanza della festa.
-Però, sai
che hai proprio un bel culo?-, disse ridendo Shaoran.
-Cretino!-,
sentenziò Sakura offesa.
-Sì, questa
è la Sakura che conosco!!!-, disse Shaoran che intanto era rincorso da Sakura.
-Se ti
prendo ti taglio i capelli con la motosega!-, disse ridendo Sakura.
-Sì, sei
così lenta che non prenderesti nemmeno se io corressi bevendo un cappuccino e
leggendo “I promessi sposi” in turco contemporaneamente!-, disse Shaoran.
-CHE COSA
HAI DETTO? ORA TI UCCIDOOO!!!-, gridò Sakura correndo verso Shaoran.
Ciao! Ora
credo che tutto sia più chiaro, spero! Passiamo ai ringraziamenti:
Non so come
chiamarmi: grazie infiniiiiiiiiiiiiiiiite! Lo so, ti sembrerò
pazza, ma io ti devo proprio ringraziare perché mi hai scritto un commento
negativo! Io amo i personaggi di CCS e le loro vere caratteristiche, ma volevo
provare una variante, capisci? E comunque ora hai capito che Sakura da sola non
avrebbe mai fatto nulla a Shaoran, ma è stata tutta “colpa” di Jasmine, ok?
Ciaooo!
Anto Chan:
ah
ah ah!!! Che ridere! Sei simpaticissimaaa!!! Se è per questo io voglio anche
ripetizioni di educazione fisica…!!! Ciao ciao!!!
Sakura_Chan^^: spero che il capitolo ti sia
piaciuto! Lo so che è molto imbarazzante…!!!
Mustad
girl: mi fa
piacere che la storia ti piaccia, davvero! Spero che questo capitolo ti sia
piaciutooo! Ciao!
Dany92:
in effetti le foto hanno contribuito anche loro…!!! No, va be’… Fammi sapere su
questo capitolo, ciao!
Ele chan:
sono
contentissima che la fanfic ti piacciaaaaaaa!!! Continua a recensire, mi
raccomando! Ciao ciao!
LizDreamer: sai, il mio obiettivo era proprio
quello: lasciarvi di stucco! Sono felice di esserci riuscita con te! Continua a
recensire! Ciao ciao!
Avril90:
che bello, sei tornataaaa! Spero di leggere presto le tue ff!!! Ciao ciao!
Bee: grazie per
tutti i complimenti e poi sono d’accordo con te: Shaoran è proprio S*****o con
la “S” maiuscola! Ciaoooooo!
Faffy:
è iniziato il progetto “Stacca i
cog****i a Sessomaru” (la mancanza dell’”h” è volontaria…!)!!! Io lo
ammazzzzzzzzzzzoooooo! Povera Paris… sigh… Evviva Sessho che mangia la panna
sprayyyyyyyyy!!! Ciao ciao e salutami Paris che è in cura da House (t’immagini
che bella coppia Paris-House???)(non essere blasfema… NdFaffy)… che bello
venireeeee! Lasciamo perdere, ciaooooo!
Ho finito!
Spero che mi lascerete molte recensioni (aspetta e spera… Ndtutti)……!!! Ciao, ci
vediamo al prossimo capitolo e
Ciao a tuttiiii!!! Questo
capitolo sarà molto breve perché sono già le nove di sera e ho sonno…
Argomento interessante, vero??? Vi lascio subito al
capitolo, buona lettura!!!
La pace
era ritornata a casa di Yamazaki, o almeno così sembrava a Sakura che, scossa
dagli ultimi avvenimenti, si trovò finalmente tranquilla a parlare con Shaoran.
Parlare? Be’, non proprio…
-Senti,
tu non capisci niente! Ma come si fa a non adorare the Master, The God, the
Best???-, disse esasperato Shaoran ad una castana dall’espressione molto
perplessa:
-Ma
dai, Eminem è troppo volgare e depresso… Io preferisco Baglioni!-, disse un po’
offesa Sakura.
-Chi???
Baglioni??? Ma non lo ascolta nemmeno mia madre! Senti, questa sì che è una
canzone!-, proferì Shaoran porgendo alla glaucopide l’altra cuffia del suo
lettore MP3 e canticchiando: -tu balli così per me ma indovina nella testa che
c’è, c’è quella cosa, amo i tuoi capelli mori come li muovi ma vado fuori per
quella cosa…-.
-Ma…
che schifo! Dai, è una canzone troppo pervertita! Come si chiama questa
sottospecie di non-so-chè???-, chiese Sakura disgustata dagli argomenti trattati
dalla canzone.
-Si
chiama “Quella cosa” dei Gemelli Diversi… Ma dai, non mi dire che non hai mai
sentito canzoni che parlano di sesso!!!-, chiese meravigliato il moro che
intanto cantava il ritornello.
-Ehm…
No! Solo tu potevi conoscerla, non c’è che dire!-, disse Sakura togliendosi la
cuffia e allontanandosi dal ragazzo pensando: “Calmati, calmati, calmati! Ti ha
dato la sua cuffia, ti rendi conto? Oddio… Quant’è bello… Ma come faccio a
rispondergli sempre così male???”.
Intanto
Tomoyo, Eriol, Chiharu e Yamazaki guardavano i due e parlavano.
-Ma
secondo te cosa sarà successo nel ripostiglio prima?-, chiese Chiharu.
-Non
preoccuparti, lo sapremo presto…-, disse Tomoyo sorridendo.
-Ah, e
come faremo, Freud?-, domandò ironicamente Yamazaki.
-Semplice: ho messo delle telecamere lì!-, rispose di nuovo la mora.
-Ehm… e
da quanto tempo sono lì? No, perché, sai…-, cominciò Chiharu.
-Lo so,
l’avete fatto nel ripostiglio… Ma non vi preoccupate, non venderò la cassetta
spacciandola per la nuova stagione di “Biancaneve e i sette nani”…!-, disse
rassicurante Tomoyo.
-Ah,
grazie… Ehi, non dire a nessuno che l’abbiamo fatto, ok? Altrimenti ci
prenderanno in giro per tutta la vita…-, proferì arrossendo Chiharu.
-Non
preoccupatevi, sarò muta come una mummia!-, rassicurò Tomoyo.
-Be’,
il colore è quello…!-, disse Yamazaki ridendo.
-Dai,
non sono poi così pallida!!!-, ritenne la mora.
Le
risate dei quattro furono interrotte dalla venuta (allora lo fai apposta!
NdFaffy), ehm, volevo dire, dall’ARRIVO di Sakura e Shaoran.
-Yama,
tu hai il motorino?-, chiese il cinese.
-Sì,
perché? Ce l’ho nel garage. Ho anche quello di mio cugino e forse anche mia
nonna ha portato il suo…-, disse Yamazaki.
-Tua
nonna ha il motorino???-, chiese Eriol.
-Non
ignorare tutte le possibilità di mia nonna… Vi ho detto che ora ha un nuovo
fidanzato? E’ francese, si chiama Jean-Pierre…-, disse ridendo il festeggiato.
A
sentire la parola “francese” Sakura ebbe un sussulto, ma poi si ricompose
subito. Shaoran se ne accorse e bisbigliò:
-Ma è
possibile che pensi ancora a Jasmine? Quanto sei monotona…-.
Sakura
lo fulminò con lo sguardo perché se avesse parlato sicuramente avrebbe dovuto
censurare il suo discorso.
-Ma da
quando vi date tutti questi nomignoli???-, chiese Chiharu.
-Harley
sta per la fabbrica di moto Harley Davidson…-, spiegò Yamazaki con un non so chè
di Piero Angela.
-Scusate, però sarebbe stato bello vedere un film…-, propose Sakura speranzosa.
-Be’,
considerando che lo sceglierai tu, sicuramente saremmo costretti a guardare “La
fabbrica di cioccolato” o “Madagascar”…-, disse ironico Shaoran.
Sakura
sbuffò e si rassegnò a non proporre più nulla. Però il fatto che le rispondeva
le piaceva da matti e sicuramente non gliel’avrebbe data vinta…
-Comunque sì, vi va di fare un giro con le moto? Io e Chiharu andremo sulla mia,
Eriol e Tomoyo su quella di mio cugino e Shaoran e Sakura su quella di mia
nonna… Vi sta bene? Non preoccupatevi, sono tutte buonissime e funzionanti,
quindi…-, disse Yamazaki notando lo sguardo omicida di Shaoran che non voleva
assolutamente la moto della nonna di Yamazaki.
-Ma voi
cospirate contro di me o è una mia impressione??? Perché dovrei stare sulla
stessa moto di quel pirata della strada?-, chiese Sakura fingendo di essere
arrabbiata quando in realtà ci godeva.
-Sai,
tu non farai mai l’attrice! E’ inutile che fingi, tanto so che ti piace,
altrimenti non avresti fatto QUELLO nel ripostiglio…-, disse sorridendo Shaoran.
Sakura,
per quell’ultima affermazione, divenne rossa, prima per la vergogna e poi per la
rabbia.
-Cosa
mi avevi detto? Se alludi di nuovo a quello che è successo, io ti spezzo in
mille parti, ti frullo e ci faccio una salsa Barilla…-, disse Sakura in tono
minaccioso.
-Eeh…
Ok, andiamo al garage a prendere le moto, dai!-, disse Yamazaki un po’ perplesso
per le minacce avanzate da Sakura.
I sei
scesero le scale e uscirono dall’abitazione giungendo, dall’altro lato del
palazzo, al fantomatico garage.
-Io e
Eriol prendiamo la bianca!-, disse Tomoyo notando una moto candida nell’angolo
destro della stanza.
-Io e
Kino prendiamo la rossa, così se le vengono non si vede…-, disse Shaoran
ridendo.
-Ma la
vuoi smettere???-, intimò la castana salendo sulla moto dietro al ragazzo. Che
bella sensazione… E pensare che solo un’ora prima pensava che non l’avrebbe mai
più abbracciato e invece? Ora le braccia della ragazza erano strette attorno
alla vita di Shaoran. Sentiva il suo profumo… Senza accorgersene appoggiò la
testa leggere sulla schiena del ragazzo.
-Che
fai, dormi? Mettiti il casco, non te la pago io l’assicurazione!-, disse Shaoran
porgendole il casco.
Sakura
si trovò così confusa che non rispose e si limitò a infilarselo. Era immersa in
una favola: magari Shaoran le avesse porto un anello dichiarandole il suo amore
in modo sincero, senza le solite battutine sceme.
Le moto
furono accese e tutti uscirono dal garage.
-Che ne
dite, facciamo una gara?-, chiese Shaoran sprezzante.
-Sì!-,
risposero all’unisono Eriol e Yamazaki.
-Allora… UNO…-, cominciò Shaoran.
-No, è
pericoloso!-, disse Sakura.
-…
DUE…-, continuò il cinese.
-No, ti
prego! Io ho paura, Shaoran! Ti prego, non voglio!-, continuò la castana quasi
piangendo.
Nessuno
si accorse dell’attimo di esitazione del cinese (che era stato proprio un
attimo…), che subito terminò:
-…
TRE!!!-.
-AAAAAAAH!-, gridò Sakura spaventatissima.
I tre
ragazzi erano tutti concentrati e scendevano velocemente la discesa. La strada
sembrava una distesa scura e in movimento. Tutta quella velocità, tutto quel
frastuono spaventarono ancora di più, se è possibile, Sakura.
Subito
Shaoran si trovò in testa, ma un grido di Sakura lo riscosse:
-ATTENTO, UN GATTO!-.
Shaoran
sterzò violentemente per non investire quel povero animale (che per giunta era
nero…) e si diresse verso il muretto che cingeva la strada. Ormai Shaoran aveva
perso il controllo del veicolo e stava per scontrarsi con Sakura contro il
muretto. Le altre due moto andarono avanti perché non avevano colto la svolta
del cinese… Stavano quasi per morire, quando Sakura si gettò a terra spingendo
anche Shaoran. I due si trovarono sulla strada molto vicini e sentirono un
grande boato. I loro occhi erano chiusi, ma se non fosse stato così avrebbero
visto la moto rossa schiantarsi contro il muretto. Sakura stringeva ancora il
cinese, che era privo di sensi…
La
castana si alzò a fatica: era salva. Perché? Perché era caduta sopra Shaoran… Si
voltò per guardare come stesse e spalancò gli occhi…
-AAAAAAAAAAH!-. Un ultimo grido prima del pianto.
Ciao!
Lo so, non è un gran chè, ma non sono molto sveglia in questo momento… Mi basta
dire che mentre scrivo guardo Lazio-Roma… Stanno 3 a 0!!! Io sono della Juve, ma
mi piace guardare i derby! Interessante, vero???????? Mi dispiace, non posso
ringraziarvi singolarmente, perché ho sonno… Buona notte a tuttiiiii!
Una
ragazza dai capelli biondi apparve davanti agli occhi del ragazzo che, inerte,
guardava la scena stupito.
-Jasmine… Ho bisogno di te, ti prego, torna!-, Ora Shaoran si era alzato dal
pavimento e rincorreva una figura sfocata a opaca che gli parlava dolcemente. Il
luogo in cui i due si trovavano era irriconoscibile e favoloso: era tutto rosa e
bianco e qua e là si stagliavano alberi rigogliosi e pieni di frutti maturi.
Sullo sfondo erano presenti monti alti e innevati dai quali si innalzava
lentamente il sole, unica fonte di luce e splendente meraviglia della natura. In
lontananza si sentiva una voce pura e innocente che cantava una splendida
canzone che parlava d’amore…:
-Sei
il primo mio pensiero che al mattino mi sveglia,
l’ultimo desiderio che la notte mi culla,
sei
la ragione più profonda di ogni mio gesto,
la
storia più incredibile che conosco…-.
Così
faceva quella canzone e la voce della persona che dolcemente la cantava rendeva
quelle parole ancora più candide.
-Amore, no. Ormai io ho finito il mio compito sulla Terra e ora devo proteggerti
da quassù. No, non devi chiedermi di ritornare. Il destino ha voluto che io
morissi e che lasciassi la vita precocemente, ma il fato ti ha anche portato una
persona stupenda.-. La voce della ragazza bionda era soave e solenne. Il suo
vestito bianco svolazzava leggero per la brezza delicata che tirava.
-Io
ti amo, non posso perderti!-. La voce di Shaoran era rotta da un leggero pianto
e il suo viso era sconvolto dalla tristezza, dal dolore interiore che lo
affliggeva.
-Ti
ricordi? Ricordi il nostro primo bacio vicino al centro commerciale, sulla
nostra panchina bianca? E ti ricordi quando la riempimmo di disegni di noi due?
E la nostra prima volta in campeggio? Ricordi quanto fu bello? Eravamo noi due
soli e…-, cominciò Shaoran sorridendo occasionalmente ricordando tali
avvenimenti.
-Anch’io ti ho amato, ma oggi tu hai detto a Sakura che non mi amavi, e poi
ormai non possiamo fare più nulla. Ora tu devi vivere la tua vita e innamorarti
di nuovo. Io ti guarderò da quassù e ti proteggerò, ma tu devi promettermi che
amerai di nuovo qualcuno, perché l’amore è parte di te e non ti lascerà mai,
come un corpo non abbandonerà mai del tutto un’anima. Addio…-. Jasmine si
allontanò e la sua voce divenne sempre più distante e debole.
-NOOOOOO! Io… come farò? Non c’è che io possa amare ormai…-. Shaoran era
disperato, ma inaspettatamente…
-Shaoran, va tutto bene! Ora i dottori ti porteranno a fare degli esami, ma tu
non devi preoccuparti!-. Una ragazza castani dagli stupendi occhi verdi gli
stava parlando, ma lui era ancora confuso per il sogno che aveva appena fatto.
Solo il caos regnava in quel momento in quell’ospedale. Due dottori e una
dottoressa stavano portando Shaoran in fretta su una lettiga e Sakura gli stava
vicino.
-Signorina, ora dobbiamo fare dei controlli al paziente, quindi i dottori
Fushidoka e Sochijiwa dovranno restare con lui, mentre io resterò con lei. So
che vuole stare col suo amico, ma ora deve venire con me per degli
accertamenti.-. La dottoressa Sanbochi, così si chiamava, prese Sakura per mano
e la portò in una stanza non diversa dalle altre: bianca e quadrata.
-Come
ti chiami?-, chiese la dottoressa mentre le sentiva il battito cardiaco con lo
stetoscopio.
-S-sakura.-, rispose Sakura meccanicamente, In quel momento pensava solo a
Shaoran e a quanto tutto fosse accaduto così velocemente… La caduta… La
disperazione… L’arrivo in ospedale con l’auto del padre di Yamazaki guidata da
sua nonna…
-Io
sono Kaori.-, disse la dottoressa con un sorrise davvero rassicurante. Era una
bella ragazza: giovane, con capelli castani corti e con una simpatica frangia.
Era magra e aveva un viso dolce e sorridente. Quella vista calmò un po’ Sakura,
che cominciò a parlare con la dottoressa.
-Quanti
anni ha?-, chiese con un po’ di timidezza.
-Ventisette. Dammi pure del tu! E tu quanti anni hai?-, chiese Kaori.
-Quindici. Come… come sta Shaoran?-, domandò Sakura nuovamente preoccupata.
-Be’,
sicuramente non è in pericolo di vita e, per quanto ho visto prima, non ha alcun
danno alle gambe. Ma da quello che hai notato anche tu, ha un braccio rotto,
Quindi non è grave, non preoccuparti!-, la rassicurò la donna.
Dopo
una breve pausa, essa continuò:
-Lo
ami, vero? No, non fare quella faccia! Lo so, non dovrei impicciarmi dei vostri
affari, ma, sai, è sempre bello trovare ancora quell’amore puro e
incondizionato, insomma, l’amore vero.-.
Sakura
era meravigliata: come faceva a sapere come fosse Shaoran???
-Ti
stai chiedendo come lo so, giusto? Be’, diciamo che anche io sono nella tua
stessa situazione! Hai presente il dottor Fushidoka?-. domandò la dottoressa
riponendo lo stetoscopio e sedendosi accanto a Sakura.
-E’
l’uomo biondo?-, chiese Sakura cercando di rammentare le figure dei due dottori
che avevano portato via Shaoran.
-No,
quello con i capelli neri e gli occhi blu. Ha dieci anni più di me, ma è
bellissimo. Però è egoista e… insomma, è un sosia del tuo innamorato! Vuoi una
dimostrazione?-, chiese Kaori sempre sorridendo.
-Ok!-,
disse la castana. Ormai stava molto meglio grazie a quella dottoressa.
In quel
momento entrò il dottor Fushidoka:
-Ehi,
Sanbo! Mi dai lo stetoscopio?-, chiese un uomo alto dai tratti somatici molto
regolari e gli occhi blu in cui ci si poteva perdere.
-Primo:
io non mi chiamo Sanbo, ma Kaori Sanbochi! Secondo: prenditelo da solo!-, disse
la dottoressa fingendo di essere arrabbiata.
-Mmh…
Sei ancora nel periodo del profondo rosso???-, chiese ironicamente il dottore
prendendo lo stetoscopio e uscendo.
-Visto?-, disse spazientita Kaori.
-Sai,
anche Shaoran fa così! Non lo sopporto proprio…-, rise Sakura.
-Vieni,
andiamo a vedere se i dottori hanno finito con lui!-, propose la dottoressa
prendendo Sakura per mano e uscendo dalla stanza.
Dopo
aver chiesto l’esito degli esami, a Sakura fu permesso di entrare a salutare
Shaoran,
Chiuse
la porta dietro di sé e guardò il ragazzo che era steso sul letto con un braccio
ingessato.
-Ciao…-, salutò Sakura sorridendo.
-Mmh…-.
Shaoran aprì lentamente gli occhi.
-Come
stai?-, chiese la castana accarezzando prima il lenzuolo del letto e poi i
capelli del ragazzo.
-Non
sei mia madre! Comunque come vuoi che stia?-, disse spazientito il ragazzo. Ma
Sakura non si diede per vinta. Quello era il momento giusto per dirgli cosa
provava: non poteva scappare e poi Kaori le aveva suscitato una determinazione e
una sicurezza incredibili.
-Shaoran?-.
-Mmh?-.
-Ti
amo.-.
Ciao a
tutti! Colpo di scena! Ammetto che per i dottori mi sono ispirata alla magnifica
serie del “Dr. House MD”!!! W House! E’ troppo bello… Ok, lasciamo stare… Non
posso ringraziarvi singolarmente perché devo studiare, dato che domani devo fare
alle prime tre ore compito d’italiano, poi due ore di compito di greco e all’ultim’ora
compito d’inglese!!! Quindi ringrazio:
Sakura_chan^^, LizDreamer, evanescense88, non so come chiamarmi, kikka94, Anto
Chan, Black Rose, Shiny, Ele chan!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!Grazieeee!!!
Quasi
lo senti sotto la pelle il momento in cui tutta la tua intera esistenza
cambierà… per sempre. Sintomi: brividi, occhi umidi e rossi, parole dette più a
sè stessi che ad altri,
Ed
ecco, sfogliando questo diario tutto è diventato più chiaro.
Aisha
Cercava
di essere forte, di fare la cosiddetta rockgirl, ma non era il suo forte.
Emotiva? Troppo.
I suoi
occhi socchiusi non percepivano nessuna figura nitida: solo luci, colori e una
visione acquosa del mondo. La luce che proveniva dalle ampie finestre le faceva
pensare a sua madre. Non se la ricordava molto, ma pensando a lei le veniva in
mente una luce piacevole. Non quella che fa chiudere gli occhi per la troppa
potenza, ma quella che illumina il viso e che lo rende quasi angelico. Angelico
come sua madre. Tutti dicevano che avevano lo stesso sorriso, la stessa
vivacità. Ma la madre che trovava in Tomoyo era diversa dalla sua vera madre. In
poche parole, non era sua madre. O forse sì, ma il suo carattere si era fuso con
quello di Tomoyo durante la reincarnazione. Quindi, non avrebbe trovato più sua
madre sé stessa in tutto e per tutto… I capelli, ormai lunghi fino alle spalle o
poco più in giù, erano immobili quasi come se stessero aspettando il tanto
agognato alito di vento che avrebbe ridato loro la vita e la vivacità di un
tempo. Le labbra erano ancora un po’ schiuse per le due parole dette, ma
tremavano leggermente, come tutto il corpo, del resto. Scossa da un brivido, si
toccò i capelli e li sistemò dietro le orecchie chiudendo gli occhi. Subito le
mani furono riposte attorno a un lembo del suo vestito blu. Era passata una
notte dal fatidico incidente, ma lei non aveva ancora dormito. Ciononostante,
sul suo viso non si intravedeva alcun segno di stanchezza: le gote rosee erano
leggermente bagnate, gli occhi verdi erano come affogati in un mare di lacrime
che stentavano a scendere da quei due smeraldi tanto rassicuranti, come un
usignolo, indeciso e spaventato, fugge dalla vita libera nei cieli per restare
sicuro nel suo caldo nido. Poi, però, egli prende coraggio e salta scoprendo la
piacevolezza e la giocondità della vita, della libertà. Così le lacrime
imprigionate negli occhi della ragazza si lasciarono scivolare sulle sue gote
prima lentamente, come se fossero diffidenti verso quel nuovo mondo e poi sempre
più velocemente, sempre più decisamente, fino ad abbandonare del tutto la
propria sorgente. Di loro rimarrà solo una scia leggera e umida che ricordi la
loro presenza.
Si
trovava innanzi ad uno dei due letti presenti nella stanza bianca e candida.
Sembrava che infondesse un sentimento di felicità e tranquillità, invece quello
che stava accadendo era ciò che di più grave e diverso potesse accadere.
Lui,
Shaoran, era steso sul letto con un lenzuolo che dava al celeste polvere che lo
copriva fino alla vita. Indossava una vestaglia anch’essa celeste, una di quelle
che di solito si trovano negli ospedali. Il viso… Il suo viso era concentrato.
La fronte era aggrottata, ma dalle espressioni che faceva non era facile capire
su che argomento ragionasse. I capelli spettinati lo rendevano ancora più
affascinante di quanto già non fosse. Il braccio accuratamente ingessato giaceva
immobile sul materasso.
-Ehm…-.
Questa fu la prima espressione del ragazzo.
Sakura
non riuscì a capire cosa gli passasse per la testa. Be’, non era una novità…
Subito un brivido, né il primo né l’ultimo di quella mattina, la scosse: aveva
paura… Temeva le sue parole che le sembravano tante spine che le si infilavano
nel cuore, soffocandolo.
-Toglimi una curiosità: per quale motivo… insomma, perché dici che ti
piaccio???-, chiese incredulo Shaoran grattandosi la testa.
Sakura
non riuscì a rispondere. Insomma, non aveva ancora capito se quello era un “Sì,
anch’io” o un “No, mi fai schifo”… Lei non voleva giri di parole, in quel
momento aveva solo bisogno di chiarezza.
-Ok,
non vuoi rispondere… Probabilmente vuoi sapere se abbracciarmi o andare via
piangendo… Giusto?-, chiese Shaoran alzandosi a fatica. Era ancora debole, ma si
stabilizzò subito. Era di fronte a Sakura e la guardava negli occhi. Lei non
riusciva, però, a reggere il contatto visivo e abbassò subito lo sguardo. Tra
una lacrima e l’altra annuì e il ragazzo si spostò velocemente verso di lei e si
affiancò alla ragazza mettendole una mano dietro alla schiena. Sakura non capì
più nulla. Brividi continui torturavano il suo autocontrollo… Ma il ragazzo la
spinse dolcemente verso una parete. Non la stava abbracciando, ma appoggiava
solo una mano sulla schiena di Sakura. Che significava?
-Bene,
stai piangendo. Ora devi solo uscire dalla stanza correndo e avrai ricevuto la
tua risposta.-. Per la prima volta Sakura vide Shaoran assumere un atteggiamento
serio. In quel momento Shaoran aprì la porta bianca e fece cenno a Sakura di
uscire. Il viso del ragazzo non era rivolto verso di lei, bensì guardava
l’ignoto e solo occasionalmente le iridi color ciliegia del ragazzo si
arrischiavano in quelle color erba della ragazza.
Allora era un no… No,,, Che
parola pesante… Solo due lettere, ma quando si pronunciano diventano
piombo... L’aveva scaricata così, senza che lei reagisse, senza nessuna
parola. Mosse pochi passi, prima lenti e poi sempre più veloci verso il
corridoio senza guardare in faccia quel ragazzo che la rendeva triste,
malinconica, disperata, distrutta. Il suo viso ormai era diventato un
diluvio di lacrime che scendevano già sofferenti e sicure. Sì, ma sicure di
che cosa? Di aver perso? Di essere state conseguenza di dolore, dolore,
dolore…? Oppure sicure che ormai la loro traccia non sarebbe più scomparsa,
che la loro eternità avrebbe pesato e distrutto un animo innocente, una
persona che amava incondizionatamente? Ormai credeva che la sua giovinezza
sarebbe stata rovinata da quell’avvenimento. Il suo primo amore… l’aveva
respinta.
Uscì dall’ospedale e,
sempre correndo, arrivò a casa sua. Nessuno la fermò: il padre e il
fratello, dopo essersi assicurati della salute di Sakura, erano andati
rispettivamente a lavoro e a scuola, quindi era sola, finalmente sola. Prese
il suo lettore mp3 e cominciò ad ascoltare la canzone che le piaceva di più:
“Piccolo grande amore”, Baglioni. Ma non sapeva cosa stesse succedendo
all’ospedale…
***
Shaoran si sedette sul
letto e cominciò a cantare una canzone:
-Don't cry
to me. If you loved me, You would be here with me. You want me, Come find
me. Make up your mind…-. (è tratta da “Call me when you’re sober” degli
Evanescence, Ndme).
-Sai, ti conosco solo da
circa… quattro minuti e già non ti sopporto…-. Una voce si levò dal letto
posto sull’altra parete e un ragazzo sugli undici anni alzò il capo
riccioluto dal cuscino. Era molto carino: capelli biondi e occhi castani, ma
il viso aveva qualcosa che lo rendeva scaduto e sfiorito.
-Ehm… E tu chi sei???-,
chiese Shaoran quasi spaventato. Non aveva notato che ci fosse qualcun altro
nella stanza.
-Piacere, Franz.-, disse il
ragazzo, -mia madre è tedesca e mio padre giapponese. Tu sei Shaoran e sei
cinese, giusto? Perché hai mandato via quella ragazza? Non capisci che le
hai fatto solo del male?-, disse Franz calmo.
-Ehi, ehi, ehi! Calma! Come
fai a sapere queste cose, dottor Stranamore??? E poi non sono affari tuoi!-,
dichiarò Shaoran un po’ spazientito.
-Lei ti ama davvero, non
l’hai capito? Ma tanto siamo in stanza insieme, quindi prima o poi dovrai
ascoltarmi… Vuoi una sigaretta?-, chiese il ragazzo biondo.
Shaoran restò prima un po’
sorpreso per la richiesta del suo compagno di stanza… Aveva solo undici anni
e già fumava??? Mah… Così rifiutò e si stese definitivamente sul letto,
addormentandosi.
***
I'm so tired of being here
suppressed by all of my childish fears
and if you have to leave
I wish that you would just leave
because your presence still lingers here
and it won't leave me alone
(My
immortal, Evanescence)
Ciao a
tutti! Scusate scusate!!! Non uccidetemi, vi prego…!!! Ora passiamo ai
ringraziamenti!
Anto Chan: Sono strafelice che ti piaccia! Recensisci anche questa, se vuoi! Spero
che lo farai! Ciao e buon Natale!!!
Mustad girl: Grazie per i complimenti e spero che ti piaccia anche questo capitolo!
Ciao e buon Natale!
Ele chan: Ehm… Abbi pietà di me! Lo so, ho appena profanato una coppia
fantastica………! Be’, recensisci presto! Ciao e buon Natale!
Kikka94: Ti è piaciuto questo capitolo? Spero decisamente di sì!!! Fammi sapere,
mi raccomando! Ciao e buon Natale!
LizDreamer: NO! Metti a posto la motosegaaaaa!!!! No, scherzo! Be’, recensisci
presto! Ciao e buon Natale!!!
Non so come chiamarmi:
Ciaaaaao!!! Como stas??? Ok, lascia perdere… Spero che il cap ti piaccia! Ciao e
buon Natale!!!
Evanescense88: Grazie per il complimento!!! Comunque fammi sapere su questo cap!!! Ciao
e buon Natale!
Sakura_Chan^^: Sì, lo so! Ho voluto far dichiarare prima Sakura perché mi piaceva la
scena! Ciao e buon Natale!!!
Faffy: Sigh…………….. Ora non potrai recensire il cap perché sei a Vicenza, vero?
Uffa! Be’, se vai a Monza salutami Virginia e Gertrude!!! Sai che mi è venuto
(???) in mente? Te lo immagini Sessho sullo skate? Che carino! Col cappellino
con la visiera e l’atteggiamento da Eminem!!!! Va be’, lasciamo stare…….! BUON
NATALE! E cerca di venire prestoooo! Ah ah ah!!! Ciaooooooooooooo!!!
L’egittologa: che bello, sei tornata!!! Continua a recensire, mi raccomando! Buon
Natale, ciao!!!
Solo un
piccolo e grazioso orologio ticchettava in casa Kinomoto. Sembrava fosse l’unica
cosa sveglia in quella notte in cui il cielo trapunto di stelle lucenti
sovrastava palazzi oscurati, i cui piani erano illuminati solo da quel quarto di
luna, unica fonte di luce che galleggiava leggera nell’aria profumata, resa viva
dai miagolii dei gatti del quartiere; invece c’era ancora qualcuno che fissava
il vuoto dal suo letto, pensando e ragionando velocemente…
“E se
l’avessi baciato subito? No, comunque mi avrebbe allontanata o, peggio, avrebbe
approfittato del mio amore per crearsene uno tutto suo. Materialista,
ovviamente. E se non gli avessi detto nulla? Be’, sicuramente sarebbe stato più
facile e certamente stanotte avrei dormito invece di essere qui a spiegarmi i
perché e i per come… Ma non mi pento di ciò che ho fatto: sono stata sincera,
punto. Prima o poi gliel’avrei detto e sono sicura che averlo fatto ora sia
stata la cosa più giusta… E se non ci fosse niente di sbagliato, niente di cui
vergognarsi, niente per cui soffrire? Sicuramente starei meglio. In effetti non
c’è nulla di sbagliato nel provare amore, il che mi riconduce al fatto che non è
amore. Se mi fossi dichiarata per un vero amore, sicuramente sarebbe stato tutto
diverso: non mi sarei vergognata di provarlo, ma con spavalderia avrei detto a
tutti ‘Sì, io amo Shaoran Li, problemi?’… Invece ora non faccio altro che
pensare a quanto mi stia sbagliando: faccio appena in tempo ad accorgermi che lo
amo con tutta me stessa e un attimo dopo tutta la catasta ordinata di sentimenti
che avevo costruito così zelantemente e ordinatamente in un soffio crolla
lasciandomi impotente e disperata. Quanto avrei voluto parlarne con Tomoyo… Ma
credo che parlando di questi argomenti lei mi reputerebbe una stupida ragazzina
che s’innamora del primo che passa… E poi, che diavolo, è suo fratello! Tomoyo
mi conosce alla perfezione, ma la cosa non è reciproca… E se fosse una di quelle
sorelle tremendamente gelose come mio fratello? Be’, però Tomoyo non ha l’aria
di essere così, no… Ah, mi sembra di vivere in un disequilibrio tale… E poi ho
la sensazione che tutti conoscano già a memoria i miei pensieri, credo di essere
così prevedibile… Forse è per questo che Shaoran non vuole saperne di me. Ma
certo, ho trovato! Io… devo crescere, devo cambiare, devo evolvermi. A volte mi
sembra che tutti intorno a me cambino inesorabilmente, invece io rimango sempre
una bambina, sì, sempre e solo la solita sagoma che cerca di immaginare un mondo
senza guerre e violenze… Quanto sono patetica! Ma perché non me ne sono accorta
prima? Certo, ero più preoccupata per le mie bambole, i miei peluche… Ma ora
basta! E’ tempo di cambiare, di crescere.”.
Pensando questo, Sakura si alzò dal letto, prese un foglio e scrisse:
Lesse e
rilesse quel foglio molte volte prima di ritenersene soddisfatta. Ma non pensava
minimamente alle conseguenze di quel suo gesto prettamente adolescenziale.
*Intanto, in ospedale…*
-Tanto
lo so che sei sveglio, non puoi fingere con me…-. Un ragazzo biondo,
impassibile, guardava Shaoran che, inutilmente, cercava di togliersi dai piedi
quel filosofo ambulante.
-Senti,
Adolf, non rompere! Ma perché non mi hanno messo in stanza con Paris Hilton???-,
chiese a nessuno in particolare.
-Hai
sempre la fissazione di mettere soprannomi a chiunque, ma a Jasmine non l’hai
messo, vero?-, chiese maliziosamente il riccioluto.
-E-e tu
come fai a sapere di Jasmine???-, chiese Shaoran esterrefatto.
-Dovresti stare più attento a metterti dello scotch sulla bocca quando dormi…-,
consigliò il biondo guardandosi una mano.
-Io… io
non parlo nel sonno!-, ritenne il cinese.
-Oh,
certo… Allora, dimmi, forse è stato il Gobbo di Notredam (scusate, non so se si
scrive così… Ndme) a nominarla? E comunque il tuo frequente uso di nomignoli
determina il fatto che cambi gli altri perché non accetti te stesso e cerchi di
eclissare sugli altri i doveri che dovresti compiere tu.-, disse Franz con aria
professionale,
-Certo
Freud…-, disse scocciato Shaoran, che subito aggiunse: -Ma tu non dormi mai? Uff…
E comunque.-, disse vedendo che Franz apriva la bocca per parlare: -Jasmine è
morta e mi manca da morire, contento? E Sakura non mi piace!-.
-L’importante
è crederci…-, esclamò il tedesco con una risata contenuta.
-B-U-O-N-A-N-O-T-T-E!-, quasi urlò Shaoran.
Il
biondo non rispose, ma si limitò a stendersi sul letto e a pensare… Conosceva
Shaoran da poco meno di un giorno e quella ragazza l’aveva vista solo una volta,
ma sentiva di essere attaccato a loro in un modo indescrivibile. Il perché,
stranamente, non lo sapeva nemmeno lui. Lui, il filosofo di turno, il sapiente,
colui che trova la soluzione a ogni cosa, il paziente, l’insicuro. Debolezza,
questa, che non si poteva perdonare.
Ma non
si vergognava di nulla, perché nessuno lo conosceva e nessuno avrebbe potuto
giudicarlo, perché nessuno sapeva la sua storia. Allora cominciò ad avere
un’idea, una stupida idea: qualcuno doveva conoscerlo. Lui non era mai riuscito
ad avere un amico con le buone, allora l’avrebbe fatto con le cattive.
Ora,
come sempre, era sicuro di cosa fare…
Ciao a
tutti! Lo so, il capitolo è breve, ma devo urgentemente fare il riassunto di un
capitolo de “I promessi sposi” per le vacanze e stranamente ora mi va, quindi
non posso sprecare quest’occasione! Pertanto non posso nemmeno ringraziarvi,
però ho un quesito da porvi (come sono manzoniana oggi…!): nessuno si è chiesto
chi fosse Aisha, il nome scritto all’inizio dello scorso capitolo? Se ne avete
anche la minima idea, vi prego di farmelo sapere nelle recensioni! E’ come un
sondaggio, diciamo! Allora recensite e soprattutto…
“Sarà il
cielo, sarà la libertà, saranno le stelle che dalla loro dimora mi guardano
superbe. Stelle, non siate crudeli. Se la sorte giocosa non si accorge di me, se
la mia anima vagabonda non trova casa in nessun cuore, se io, come un fiume che
non trova la sua foce nell’azzurro mare, non riesco a dividere le mie acque con
altri, la colpa non è vostra. Stelle, non siate tristi. La vostra immensa
bellezza non può donarne a sufficienza per me. Ma non abbandonatemi, stelle. La
vostra tiepida luce mi guida nell’immensa e intricata foresta della vita. Non
lasciatemi sola, stelle. Comprendetemi... Siamo molto simili: voi, stelle
silenziose, aspettate statiche la vita che verrà senza sapere cosa succederà, ma
con molta speranza…”,
Chiuse gli
occhi per un istante e una lacrima scese bagnandole il viso. Dalla finestra
aperta filtrava la tiepida e fioca luce emanata dalle stelle che impreziosivano
il cielo con la propria lucentezza.
Sakura era
seduta sul suo freddo letto con le ginocchia al petto e il mento poggiato su di
esse. Ormai erano sei mesi che era prigioniera della stessa estenuante routine.
Il giorno e la notte erano scanditi da evidenti cambiamenti di umore e di
carattere. Certo, compiva le stesse ed identiche azioni, ma così… rabbiosamente
e malignamente, mentre la sera era la solita Sakura, O forse era una Sakura
triste, malinconica. Solo un aspetto non cambiava dal giorno alla notte: la
disperazione. Anche se la mattina essa veniva presentata come sarcasmo o ironia,
c’era sempre un fondo di disperazione in tutto ciò che faceva e diceva.
-Sakura, a
tavola!-. Una voce maschile si alzò dalla cucina per arrivare a Sakura.
-Sì,
arrivo.-, rispose lei con voce strozzata dal pianto. Si alzò dal letto come al
solito e si asciugò le lacrime con il lenzuolo. Mentre raggiungeva la porta
passò davanti allo specchio. Quei sei mesi l’avevano cambiata non poco. Innanzi
tutto i suoi occhi non erano più illuminati da quella scintilla che le dava
vita. Ora erano spenti, come se guardasse tristemente la sua vita dall’esterno.
Il professor Terada aveva spiegato la figura dell’inetto nel Novecento e lei lo
incarnava perfettamente: incapace di vivere, sempre un passo indietro rispetto
agli altri, il che era molto frustrante, ovviamente. Non era una ragazza
“normale”: non aveva sull’anta dell’armadio i poster di Justin Timberlake o di
Tom Welling, tanto che per un certo periodo pensava di avere altri determinati
gusti. Ogni giorno di più, però, capiva che lei non era attratta né dai ragazzi,
né dalle ragazze, bensì solo da Shaoran che, per lei, era un essere a parte.
Fissò il
suo profilo e si vide un po’ ingrassata. Be’, questo era spiegabile: ormai era
Touya che la accompagnava a scuola in auto e lei non faceva nemmeno un passo con
i suoi pattini che, oltretutto, non le andavano più. Inoltre, ormai mangiava
anche di più. Si pensi solo al fatto che a pranzo portava circa cinque buste di
patatine. In fondo, non è noto che il cibo è la medicina dell’amore?
Guardò per
un attimo i capelli lunghi che si stendevano sulla schiena. La riga ad un lato
che si era fatta lasciava cadere un ciuffetto di capelli davanti agli occhi, il
che le dava un’aria aggressiva.
Decise di
non fare atto di ulteriori cambiamenti e scese svelta le scale. Sin da lì si
sentiva profumo di cibo. Sakura si sedette goffamente su una sedia e guardò il
fratello mentre le offriva un piatto di pesce.
-Grazie.-,
mugugnò.
-Ma che
hai? Sei sempre triste, uffa…-. Il fratello cercò invano i suoi occhi, ma Sakura
li teneva ben incollati sul suo piatto e non osò alzarli.
-Non ho
niente.-. Detto questo cominciò a mangiare, mentre il fratello borbottava
costantemente e ininterrottamente.
I pensieri
di Sakura vagavano liberamente come le note di una tiepida canzone d’estate,
durante una notte calda e stellata. Aveva sognato molte volte notti del genere,
ma non ne aveva mai passate. Subitò ripensò alla giornata appena trascorsa…
Entrò
in classe con passo pesante e con il viso scuro.
-Ciao
Sakura!-, la salutarono tutti. Lei li ignorò completamente e si sedette al suo
solito banco.
-Ehm…
Sakura?-, provò timidamente Tomoyo.
-Non
rompere.-, rispose freddamente Sakura.
La mora
si voltò triste e sussurrò qualcosa all’orecchio di Shaoran. Sakura se ne
accorse subito e disse:
-Insomma, la volete smettere? Basta, basta, BASTA! Non avete il diritto di
ficcarvi nei miei fatti personali! Né tu né Shaoran potete fare qualcosa: IO ho
deciso questo e IO lo porterò avanti. Sono sempre stata una stupida e ora che
sono cambiata, che sono migliorata, nessuno mi apprezza! Grazie tante!-, terminò
acida.
Tomoyo
sospirò rumorosamente e lo fece anche Shaoran, ma con poca convinzione.
La
castana si sedette sulla sua sedia e non disse più nulla per tutta la mattinata.
Durante l’intervallo restò sola come sempre e si appoggiò ad un albero, pensando
e riflettendo. Il sole sul suo viso creava forme astratte e impressionanti.
E poi
era tutto silenzio fino all’uscita, quando i due “amici” la salutavano e lei,
automaticamente, non rispondeva e se ne andava a testa alta, come orgogliosa del
fatto che stesse spezzando l’unico fragile filo di amicizia che aveva.
Pensando
al suo comportamento sentì un odio indescrivibile verso sé stessa e, prima di
scoppiare in lacrime, si alzò dal tavolo e ritornò in camera sua.
Ormai
questa routine era quotidiana: di mattina era fredda e pungente, di sera triste
e fragile.
Si posò
sul letto e si addormentò quasi subito ascoltando delle voci indistinte che
provenivano dalla strada…
-Dobbiamo
farlo per il suo bene, lo capisci?-, sussurrò una ragazza dai capelli lunghi e
mori.
-Senti, io
non posso! Capisci? Ne va di mezzo la mia reputazione.-, bisbigliò indignato un
ragazzo dai capelli corti e spettinati.
-Oh, la
tua reputazione! Se non lo farai di mezzo ci andrà la tua vita! E ora muoviti.-,
ordinò annoiata Tomoyo.
-Però
sappi che qualsiasi cosa succeda la responsabilità è TUA.-, assicurò Shaoran.
Tomoyo
annuì impercettibilmente e si avvicinò ad un albero.
-Sali.-,
ordinò.
-Che???-,
gridò il ragazzo notando l’altezza della pianta.
-Zitto e
sali, muoviti!-, disse Tomoyo soffocando una risata.
-Ma sei
scema??? Neanche se me lo chiedesse Paris Hilton in persona!-, rispose Shaoran
indignato.
-Senti, o
ti muovi, o dirò a tutti che sei ancora…-, cominciò Tomoyo con voce maliziosa.
-Io non
sono vergine!-, la corresse Shaoran.
-Lo so, ma
nessun altro lo sa…-, sorrise angelicamente Tomoyo.
-Non si
fanno questi ricatti però…-. Detto questo, Shaoran cominciò ad arrampicarsi
svogliatamente all’albero e la mora lo seguì. La notte era silenziosa e limpida.
Era il 31 marzo, il giorno prima del compleanno di Sakura, e la primavera si
faceva sentire, con la sua brezza e la sua frizzantezza.
-Ok, ora
devi solo cercare di aprire la finestra della sua camera senza romperla.-,
sussurrò Tomoyo.
-Oh,
certo, come se fossi un fabbro o un falegname…-, ironizzò Shaoran osservando
dall’alto in basso la finestra.
-Dai, usa
la spada…-, consigliò Tomoyo gettando sguardi vigili verso la strada.
-Sì, molto
divertente. Hai detto senza rompere la finestra…-, le ricordò voltandosi
Shaoran.
-Senti: io
voglio rivedere la mia amica felice e, purtroppo, l’unico mezzo per farlo sei
TU. Non è mica colpa mia se si è innamorata di te.-, bisbigliò acida la mora.
-Guarda,
mi sto commuovendo…-, proferì Shaoran fingendo di piangere.
-Stupido!
Dai, sbrigati. Potresti fare leva dal basso con la spada, no? Dai, prova!-, lo
incoraggiò la mora con sguardo allegro ed eccitato per l’idea che aveva avuto.
Shaoran
sbuffò e infilòla
punta della spada sotto la finestra e, abbassando l’arma, la finestra si aprì,
-Corri,
veloce!-, bisbigliò Tomoyo.
Shaoran
saltò dentro la stanza seguito subito dalla sorella. Subito lei chiuse la
finestra e entrambi guardarono verso il letto dalle coperte rosa che ospitava
Sakura…
Ciao a
tutti! Mi scuso per l’enorme ritardo, ma non ho proprio avuto tempo! Quindi
spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ora passo ai ringraziamenti:
evanescense88: grazie per il complimento!!!
Spero che anche questo enigmatico capitolo ti piaccia! E scusa per il ritardo!!!
Kira-chan:
ciao! Mi fa piacere che la pensi così! Inizialmente non avevo molta fiducia in
questa storia… Grazie e continua a leggere!
Selene: ciao!
Sai, mi piace molto il tuo nickname! Forse l’ho già detto… Mah! Comunque
probabilmente la magia comparirà, ma non lo so ancora, mi dispiace molto… Spero
che continuerai a recensire, ciaooooo!
Non so come chiamarmi: sono felice che ti
piacciano! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!!
Zoa: grazie
Francy! Che bello, finalmente sei tornata! Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto! Fammi sapere, ciao!
Laukurata89:
LAURAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!! Che bello! Ciao Britney!!! (va be’, se io sono Paris
Hilton e tu Britney Spears…!!!)! Lo so, è molto frustrante la cancellazione
delle recensioni ma, come diceva un mio capitolo, bisogna prenderlo, ehm, cioè,
prenderla (???) con filosofia!!! Mi fa piacere che ti siano piaciuti i capitoli,
davvero!!! Spero che tu stia meglio e che recensisca presto! Alla mail posso
rispondere martedì, ok? Appena posto il capitolo leggo il tuo, va bene? Ciao
ciao e guarisci presto!!!
Ok, ho
finito! Ecco una piccola domanda (diciamo un sondaggio) a cui rispondere nelle
mail: che fine ha fatto Franz?????????? Mi raccomando, recensite!!! Ciao ciao e
grazie a tutti per la pazienza che avete con me!
MI fermai
al centro della stanza. Com’era difficile rendersi conto che era tutta colpa
mia… Tutto, dal primo istante in cui ci siamo conosciuti. Io ero stato la causa
della sua felicità e poi del suo dolore. Ma bisogna essere coerenti e sinceri da
questo punto di vista: non l’ho amata nemmeno per un secondo. Ma allora perché
mi si stringe il cuore vedendola così? Perché sento una sensazione di angoscia
sapendo che da sei mesi, da quando si dichiarò in quell’ospedale, lei è
cambiata… a causa mia? Sì, evidentemente è colpa mia. Ma certo! Sono entrato
nella sua vita come un uragano sconvolgendole l’esistenza… Modestamente, faccio
quest’effetto a molte ragazze, ma sembra che lei sia quasi impazzita per me.
Dovrei esserne felice e invece mi sento irreparabilmente in colpa, il che è
impressionante, dato che nella mia vita mi sono sentito in colpa solo una volta,
ossia quando Jasmine è morta e io non stringevo la sua mano mentre lei lasciava
la Terra…
Sakura era
lì, stesa sul suo letto, e dormiva piangendo e mormorando qualcosa… forse
proprio il mio nome. Tomoyo era accanto a me e la sentii singhiozzare. Si
aggrappò al mio braccio. Non la biasimavo: la sua migliore amica piangeva nel
suo letto per causa mia. Era diventata uno straccio ormai.
Per un po’
stemmo in silenzio ad ascoltare il dolce suono delle lacrime che sgorgavano
dagli occhi di Sakura e da quelli di mia sorella. Poi essa parlò.
-Shaoran…-, sussurrò Tomoyo.
-Che
c’è?-. Non lo dissi con sarcasmo come sempre, ma seriamente.
-Cosa
provi? Intendo, cosa provi per Sakura adesso vedendola così, così…?-,
chiese la mora fra un singhiozzo e l’altro guardandomi negli occhi. Vedevo tutta
la sua determinazione, tutto il suo coraggio negli occhi della sorella. La
capiva benissimo.
-Pena,
senso di colpa, malinconia… Ma nient’altro, mi dispiace.-. Cavolo, quant’ero
serio. Probabilmente non lo ero stato mai così tanto.
-Ah,
capisco. Be’, però il senso di colpa è già qualcosa, no?-, disse Tomoyo
sforzandosi di fare un sorriso convincente, ma non ci riuscì, dato che il
risultato fu malinconico e rassegnato.
Mi sentivo
un verme. Nella mia vita non avevo fatto altro che far soffrire ragazze: prima
Jasmine, poi mia sorella, poi Sakura. Penso ancora che quest’ultima sia quella
che ha sentito di più la mia presenza.
Mi fermai
un attimo a riflettere: perché mi sentivo in colpa? La prima ragione che mi
venne in mente fu il fatto che per colpa mia lei piangeva di notte, per colpa
mia da sei mesi aveva cambiato carattere e chissà dove avesse trovato la forza
per farlo… L’amore. Sì, probabilmente la forza dell’amore era così… potente che
lei ha avuto la volontà e i mezzi per cambiare… per me. Diavolo, quanto mi sento
in colpa… Anche per mia sorella, ovviamente. Cambiando carattere Sakura ha anche
allontanato la sua migliore amica.
-Senti…-,
cominciò Tomoyo, ma un singhiozzo la fermò.
-Calmati e
parla.-, la incoraggiai io con un sorriso, anche se vistosamente forzato.
-Ok,
allora… Vuoi davvero farlo? Io non voglio costringerti, ma il fatto è che… fa
male, Shaoran. Fa male vedere la mia migliore amica piangere per mio fratello.
Tu… tu non sai quanto mi senti anch’io in colpa perché non le sono stata vicina,
perché invece di essere con lei in ospedale sei mesi fa ero con la nonna di
Yamazaki (Lau, in tuo onore!!! Ndme)… Shaoran, dimmi la verità: sei
in grado, hai voglia di fare questo per me? Se non vuoi farlo per lei, perché
non la ami o per qualsiasi altro motivo, fallo per me. Ti prego.-. Proferì le
ultime due parole abbassando lo sguardo per nascondere il viso pregante.
Chiusi gli
occhi. Ora dovevo capire ciò che volessi. Non m’importano le conseguenze né il
futuro: dovevo decidere in base a ciò che volevo in quel momento. Allora
risposi:
-Va bene,
lo farò. Ma sappi che… che tutto ciò che dirò e che farò sarà dettato dai miei
sensi di colpa, non da altro, ok?-. La mia voce si strozzò a metà frase, il che
mi colse di sorpresa.
-Shaoran,
io… Grazie.-, aggiunse sorridente Tomoyo con quel viso dolce a cui non si può
mai negare una promessa.
Mi
avvicinai al letto di Sakura. Sentivo chiaramente il profumo dei suoi capelli
sciolti e lunghi che mi colpiva con violenza. La guardai in faccia: il viso era
ancora bagnato dalle lacrime e la bocca semiaperta produceva suoni che
sembravano dicessero: “Ti amo, Shaoran”, ma non ne ero sicuro. MI voltai per un
secondo verso Tomoyo e la vidi infilarsi dentro l’armadio, ma prima che potessi
aprire bocca per chiederle spiegazioni, lei mi sorrise e sussurrò:
-Conosco
Sakura e, anche se è cambiata, so che si vergognerebbe troppo con la mia
presenza. Ma non preoccuparti, ho posto una telecamera sulla scrivania, quindi
dopo potrò assistere alla scena…! Buona fortuna.-. Sorrise ancora per un attimo
e l’anta dell’armadio si chiuse.
Dovevo
immaginarlo, una telecamera…
MI voltai
ancora verso Sakura che ancora dormiva fra le coperte rosa. Feci un respiro
profondo, conscio del fatto che il gesto che presto avrei fatto avrebbe cambiato
le nostre vite. Così, le misi la fredda mano destra sulla fronte e lei, piano
piano, aprì gli stupendi occhi verdi. Mi correggo: non li aprì, li sbarrò.
-Shao… tu…
io… non… cosa… dove… qui… ora… io… sei… sei tu?-. Dopo un balbettio
particolarmente divertente, Sakura riuscì a spiccicare due parole sensate.
-In
persona.-, dissi con un sorriso poco convincente.
Sakura si
stropicciò gli occhi. -No.-, disse, -non può essere… BASTA!-, gridò infine
scoppiando a piangere. Io arretrai per l’urlo che aveva appena fatto e le tappai
la bocca con una mano.
-Ma sei
pazza? E se venisse tuo fratello? Ci butterebbe direttamente dalla finestra!-,
dissi arrabbiato togliendole la mano dalla bocca.
-Oh, non
avrei paura. E poi, se succedesse almeno avrei l’onore di morire insieme a te.-,
disse lei con sguardo adorante e meditabondo, -Ammesso che tu sia vero.-,
aggiunse.
La prima
frase mi fece quasi pena. Era così dipendente da me, come se fossi la sua droga
preferita. La seconda frase mi rassicurò un po’, perché almeno sapevo che tutto
ciò che aveva detto era stato frutto del suo inconscio.
-Certo che
sono vero.-, dissi guardandole la bocca. Era così sorridente solo perché aveva
visto me… Che responsabilità! Non volevo che altri dipendessero da me,
no.
Sakura
alzò una mano verso il mio viso per toccarlo. E arrivò.
La sua
mano era calda e mi accarezzava il viso con leggerezza e delicatezza.
-Se tu
fossi vero, sai, non avrei mai fatto questo. Ma io so che sei solo un
sogno o forse un’illusione, ma questo non mi spaventa, anzi. Non sai quante
volte ho sognato di accarezzarti e ora mi sembra così reale, così
disperatamente, insensatamente, spaventosamente e malinconicamente reale.-.
Detto questo, cominciò ad accarezzarmi i capelli. Io restavo immobile. Ma
dov’è finito il tuo sarcasmo? La tua ironia? Dove diavolo sono finite? Non posso
restare immobile così, come se delle stupide carezze da parte di una stupida
ragazzina mi mettessero a disagio… Questo pensavo, e intanto mi allontanai
da quella mano che mi faceva così tanta pena.
-Ecco, lo
sapevo-, proferì Sakura abbassando contemporaneamente la mano e gli occhi verdi,
-ora come un sogno te ne andrai via, vero? Sapevo non fossi reale, ma ci speravo
ancora. Come faccio a liberarmi di te? Come faccio a capire che tu sei diverso?
No, non sei tu quello diverso: sono io che non so… che non so capire, che
non so sentire, che non so essere.-. Aveva ancora gli occhi bassi, ma non
piangeva più.
-Perché
non piangi più?-. La domanda mi venne spontanea, ma me ne pentii subito: dovevo
fare solo il minimo indispensabile, non farla soffrire maggiormente.
-Vorresti
che piangessi? Ormai ho capito che è inutile piangere per un sogno. Tu sei un
sogno, ma il più bello che mi sia mai capitato. Le lacrime…-.
-… sono
per i deboli. Lo so, te l’ho detto io quando sono uscito dall’ospedale.-. Ora
non la guardavo più. Non avevo il coraggio di incontrare quegli occhi disperati
e rassegnati alla dura constatazione dell’amore.
-Ora
ritornerai nella mia mente, suppongo. E sarai solo un altro dei miei finti
ricordi. E passerò notti e notti per trovare un senso, un senso di te.-,
bisbigliò con voce astratta e triste.
Che paura.
Paura di decidere, paura di tutto quello che non so, di quello che non ho.
-Se un
senso c’è, ovviamente.-, aggiunse afflitta.
Eppure…
Alzai gli
occhi per incontrare i suoi che mi fissavano estasiati e vuoti. Mi sentivo
immensamente colpevole di tutto, tutto quanto. Qualsiasi cosa le fosse capitata,
io ne sarei stato la causa.
Che paura.
Paura di me.
Chiusi gli
occhi e immaginai dietro le palpebre il suo sguardo passivo e disperato, Tutto
di lei temevo. Sì, le sue mani incrociate sul petto, i suoi occhi immensamente
silenziosi che, allo stesso tempo, gridavano aiuto, il suo viso che mi
incantava, che mi suscitava sensi di colpa indescrivibili.
-Ora che
hai finito di torturarmi, sogno, lasciami. Le stelle intorno alla luna bella
nascondono di nuovo l'aspetto luminoso…-
-…quando
essa, piena, di più risplende sulla terra... Saffo, vero?-, chiesi triste.
-Sì, forse
la poetessa Saffo è stata l’unica che mi ha fatto rimanere in vita durante
questi sei mesi.-, rispose Sakura in tono piatto.
Io
conoscevo bene quella poetessa, dato che mia madre si interessava molto di
poesia. Non si sarebbe mai detto… All’inizio odiavo tutti i poeti: inguaribili
depressi che non hanno altro da fare che scrivere i propri pensieri su un foglio
bianco. Poi conobbi Jasmine e a lei piaceva molto la poesia, quindi mi adeguai.
-Vorrei
che ci fosse un modo per farti capire che non sono un sogno…-, cominciai a
parlare fissando la coperta rosa per non incontrare gli occhi delusi di Sakura.
-Non credo
ci sia, immagino.-, parlò lentamente fissandomi. Non potei più trattenermi:
potevo, dovevo e soprattutto volevo rivedere la Sakura che si
offendeva, che rideva, che reagiva, che viveva.
Così
aspettai che lei interrompesse il contatto visivo, attesi quel momento, E
arrivò.
Mi chinai
su di lei, le alzai il viso prendendolo fra le mani fredde e la guardai un
attimo negli occhi: erano terrorizzati, disperati, chiedevano aiuto.
-No. Non
voglio, ti prego. Se succedesse, il distacco sarebbe anche peggiore. Nei miei
soliti sogni non ti sei mai spinto così oltre e ora, se mi baciassi,
probabilmente non riuscirei più a farmene una ragione, impazzirei, non riuscirei
più a vivere… Ti prego, no…-. Le parole se si spezzarono in bocca. Lei temeva un
bacio. E arrivò.
Posai le
mie labbra sulle sue e posi le mie mani sulle sue spalle. Lei rimase immobile,
ma poi sentii le sue guance bagnate. Era un innocente bacio a stampo, ma mi
sentivo così… così soddisfatto, forse. Mentre lei piangeva e singhiozzava. La
sentivo sobbalzare: tremava.
Mi staccai
dalle sue labbra e mormorai:
-Ti amo.-.
Avevo
detto la mia più grande e pericolosa bugia, o la mia più oscura e occulta
verità. Non lo capivo ancora. La vidi lottare, lottare contro di me, lottare
contro i suoi sentimenti, le sue reazioni, lottare contro sé stessa.
Era rossa
in viso, ma non di vergogna o di imbarazzo, bensì di sforzo: si sforzava di non
credere a quello che avevo appena detto, di non credere a tutto ciò che aveva
sempre voluto. Di non credere a me.
-Non
voglio soffrire, non voglio svegliarmi con la consapevolezza che sia stato solo
un bel sogno o un incubo. Non voglio chiudere gli occhi.-. Queste furono le
parole disperate che pronunciò, ma io la interruppi.
-Shh…
Chiudi gli occhi e dormi ora.-.
-NO! Io
non…-. Questa volta non la interruppi con le parole, ma con un altro bacio,
sempre innocente. Il suo respiro si fece più affannoso, ma allo stesso tempo più
calmo. Mi staccai subito per permetterle di parlare.
-Non avrei
mai creduto che il mio secondo bacio sarebbe stato più intenso del primo.-.
Sorrise.
Sorrise.
Sorrise.
Aveva
sorriso. Ed era tutto merito mio.
Le permisi
di stendersi sul letto e le rimboccai le coperte. Avvicinai la mia bocca al suo
orecchio sinistro e cominciai a sussurrarle una canzone:
-A
un passo dal possibile, A un passo da te, Paura di decidere, Paura di me, Di
tutto quello che non so, Di tutto quello che non ho, Eppure sentire, Nei fiori
tra l'asfalto, Nei cieli di cobalto - c'è, Eppure sentire, Nei sogni in fondo a
un pianto, Nei giorni di silenzio - c'è un senso di te…-. Sussurrai le parole di
quella canzone con tristezza, ma con la consapevolezza di aver regalato il
sorriso a Sakura, ma anche di aver mentito.
Sakura
si addormentò con il sorriso sulle labbra. Io mi avviai verso la finestra a
l’aprii voltandomi verso l’armadio.
-Esci,
Tomoyo.-. La mia voce risuonò piatta nella stanza. Attraversai la finestra e
scesi in strada seguito da mia sorella.
-Sei
stato grande, Shaoran! Lo so, non avremmo dovuto dare false speranze a Sakura,
ma sei stato davvero un fantastico attore!-, disse Tomoyo con un mezzo sorriso.
Ciao a
tutti! Be’? Vi piace? Spero di sì! Ho inserito una poesia di Saffo in omaggio a
Faffy! Inoltre la canzone che canta Shaoran per far addormentare Sakura è
proprio “Eppure sentire” di Elisa, la colonna sonora del film “Manuale d’amore
2”.
Mi
dispiace di dirvi che non posso ringraziarvi singolarmente, ma devo
mangiare……………….! Quindi…
La fresca
aria primaverile entrò nell’aula appena aprii la finestra.
-Finalmente
un po’ di fresco!-, dissi fra me e me.
Infatti in
quel periodo, nonostante fosse aprile, c’era un caldo insopportabile, tanto da
“costringere” me, Tomoyo e Shaoran ad intraprendere una divertente quanto intima
(almeno fra me e Shaoran) gita al mare il giorno precedente.
Sì, avete
capito bene: intima. Ok, certo non è successo ciò che a Shaoran potrebbe
suggerire l’idea di intimo (e che io giudico a dir poco riprovevole a quest’età,
al che lui mi risponde: “Antica…”). La mia idea di intimo è stare con Shaoran e
ridere insieme. Be’. Certo, non gli nego qualche bacio, ma stiamo insieme da un
anno e mezzo e non voglio esagerare. Stiamo benissimo insieme! Certo lui non è
cambiato per niente (e nemmeno io, a dirla tutta). Guardandomi allo specchio mi
sono resa conto che non erano quella riga al lato e quel ciuffo sugli occhi a
conferirmi quell’aria aggressiva: erano invece i miei occhi. Ma da quando
Shaoran si è dichiarato la loro durezza si è tramutata in morbidezza e dolcezza…
Almeno è quello che mi dice Shaoran nei suoi pochi ma intensi momenti romantici
e dolci.
Lo amo in
tutto e per tutto, potrei ripeterlo mille e mille volte, ma non sarebbe
abbastanza. A volte anche lui me lo dice, ma quando lo fa non osa guardarmi in
faccia. Io gliene chiedo il motivo, ma lui dice che si vergogna ad esprimere i
suoi sentimenti. Ma perché? Non è certamente qualcosa di cui vergognarsi!
A consolarmi
però c’è sempre il ricordo di quella notte in cui salì in camera mia come un
angelo liberatore… Non dimenticherò mai il suo profumo agrodolce che sapeva di
arancia, i suoi occhi ramati solo per me, i suoi capelli morbidi come il pelo
di una pantera… E poi le sue labbra che incontravano con prepotenza e
contemporaneamente con gentilezza le mie…
-Buongiorno
culetto d’oro!-.
Parli del
diavolo e spuntano le corna…
-COME OSI
CHIAMARMI COSI’? LA DEVI SMETTERE, CAPITO?-. Ovviamente le mie risposte erano
sempre molto “gentili”, ma in fin dei conti quello era il suo quanto mai ambiguo
modo di farmi complimenti, quindi sotto sotto ne era lusingata.
-Dai, non
fare così… Sappiamo entrambi che ti piace da matti.-, disse con voce suadente
avvicinandosi a me con quello sguardo passionale che adoravo tanto e che mi
faceva venire i brividi. Oh, dimenticavo: purtroppo quello sguardo faceva
crollare tutte le difese e le armi a mia disposizione. Infatti rimasi lì
imbambolata ed estasiata dalla sua figura atletica e pulcherrima, come avrebbero
detto i Romani, mentre lui si accostava sempre di più a me, tanto che ormai
avevo davanti il suo petto.
Cominciò ad
accarezzarmi i capelli con un movimento quasi ipnotico: su e giù, su e giù, su e
giù… Sentivo qualcosa nascere dentro di me, qualcosa di travolgente,
paragonabile ad un fiume in piena… No, di più: era una sensazione irresistibile
che mi faceva venire voglia di urlare, ma allo stesso tempo non volevo, perché
temevo che così facendo il mio fiume si prosciugasse. Ma non potevo farne a
meno, non ci riuscivo…
Intanto
Shaoran era passato alla mia schiena. La accarezzava lentamente, ma con
decisione: dalla nuca al bordo della gonna, su e giù, su e giù, su e giù…
Tesi le
braccia e circondai con esse la sua vita.
Tremavo.
Con mia
grande sorpresa scoprii che anche lui era leggermente scosso, ma niente in
confronto ai fremiti e ai brividi che tempestavano il mio corpo e soprattutto la
mia mente.
Lo sentii
muoversi fra le mie braccia: pose una mano sul mio fianco, con l’altra
continuava quel movimento onirico ed illusorio lungo la mia schiena tremante. Ma
ciò che mi sconvolse di più fu la sua testa piegata di lato e che lentamente si
poggiava sulla mia spalla.
Mi sentivo
benissimo e stranissimamente nello stesso momento: era una sensazione nuova, un
brivido che andava al di fuori della paura, un fremito che si estraniava dalla
semplice ed innocente eccitazione…
Sentivo i
suoi capelli solleticarmi il collo e il suo respiro mi faceva venire la pelle
d’oca. Volevo contemporaneamente che la smettesse e che continuasse a torturarmi
così.
All’improvviso le sue labbra incontrarono il mio collo, dolci e leggere più
delle ali di una farfalla. Mi sentivo il cuore battere fortissimo, probabilmente
lo sentiva anche lui; il sangue mi pulsava nelle vene e il mio cervello stava
andando in tilt: non riuscivo a capire più nulla, a parte le sue labbra su di
me. Una bufera, una tempesta dentro di me…
Stavo per
cedere, ma in quel momento l’abbandono mi sembrava la cosa più sicura del mondo:
essere fra le sue braccia, un dolce oblio privo di incertezze e paure, una
morbida nuvola su cui riposare e stare in pace. Adesso capivo cosa significasse
morire per amore.
Non ce la
facevo più era troppo, troppo. E così, cedetti:
-Ah…-,
gemetti forte, senza contegno. Ma in quel momento non mi importava, nulla
importava fuorché le sue labbra su di me.
Ormai il mio
respiro si era fatto affannoso e il mio cuore mi scoppiava nel petto.
Lui rise
piano sul mio collo. Non era una risata ironica, ma dolce e contrita.
Mi sentivo
persa, ma quella sensazione mi piaceva, mi piaceva da matti, mi piaceva più di
quanto fosse lecito.
-Ti amo.-,
rise ancora piano, le labbra che si muovevano come piccole gocce di pioggia
invisibili sul mio collo fremente. Sentirmi dire quelle due parole mi fece
battere i denti, ma non per il freddo. Non riuscivo a capire di cosa si
trattasse, ma sicuramente riguardava il mio Shaoran.
Mi accasciai
contro il suo petto. Perché non la smetteva di torturarmi? Perché non
continuava? Mi sentivo tutta intorpidita e mi girava la testa.
Lui mi
abbracciò alzando la testa e posandola sulla mia; le mani sulla mia schiena
erano ferme, ma sotto di loro i miei muscoli si contraevano impressionati dal
suo tocco come la pellicola di una macchina fotografica.
-Tutto
bene?-, chiese con fare preoccupato ma anche scherzoso.
Ci misi
qualche secondo per rispondere:
-Sì, credo…
credo di sì.-, balbettai.
Mi baciò la
fronte e mi guardò negli occhi.
-Sicura?
Sembri un po’ sconvolta.-, disse alzando un sopracciglio.
Be’, in
effetti “un po’” era un eufemismo: ero visibilmente e, devo dire, piacevolmente
sconvolta.
-Dai, andiamo
a sederci: fra poco verranno tutti gli altri.-.
Ma perché era
così… dolce? Preoccupato per me? Comunque sia andai a sedermi inciampando non
poche volte. Lui si sedette dietro di me e sicuramente questo non mi faceva
bene: sentivo i suoi occhi su di me.
In pochi
minuti arrivarono gli altri e alla fine il professore: la lezione ebbe inizio.
ECCOMIIIIII!
Sono tornata, per vostra sfortuna, e molto più determinata di prima! Come vi è
sembrato questo capitolo? Vi prego, per favore, recensite! Voglio sapere la
vostra opinione, è molto, molto, molto importante per me!
Ringrazio in particolare Mucca91 che, forse involontariamente, mi ha dato la
giusta spinta per continuare questa storia! Grazie mille a tutti!
La campanella
che annunciava la fine delle lezioni mi risvegliò parzialmente dalla mia lunga e
costante trance. Non ricordavo praticamente nulla delle spiegazioni fatte dal
professor Terada e sinceramente quella non era la mia prima preoccupazione.
-Sakura?
SAKURA? SA-KU-RA? S-A-K-U-R-A???-, mi chiamò Tomoyo.
Solo in quel
momento mi risvegliai totalmente e scesi dalla soffice nuvola che mi aveva
ospitata per alcune ore. Da quando mi ero seduta alla mia sedia invitata da
Shaoran fino a quel momento tutto era un buco nero, un buio inspiegabile e
ovattato.
-Ehi, Kino?
Sei tra noi? Oppure vuoi che ti chiami particella di sodio???-, chiese con la
sua solita voce ironica Shaoran.
-Smettila e
sta’ zitto, imbecille! Sakura, che succede? E’ da quando sono entrata in classe
che sei così.-. disse soprappensiero la mia amica.
Io persistevo
nel mio silenzio morbido e seducente, lo stesso che aveva caratterizzato quei
momenti passati con Shaoran in classe. Oddio, solo a pensarci mi girava la testa
e mi tremavano le ginocchia… Perché mi ero sentita così illecitamente bene?
Perché lui si era comportato così sensualmente male? Non era mai successo in un
anno e mezzo di fidanzamento che io mi sentissi così strana… così semplicemente
felice e persa nello stesso momento… E soprattutto cos’era quella forza che mi
aveva spinta a volere sempre di più? Mi sentivo colpevole, ma di cosa? Avevo la
sfocata sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e vergognoso, come
quando…
Oddio.
Come quando
al compleanno di Yamazaki, in quel ripostiglio io e Shaoran… Sì, mi sentivo
proprio come allora. Umiliata per aver aperto così tanto il mio cuore ad una
persona che sicuramente, ad ogni passo falso, avrebbe scoccato frecce di dolore
e frustrazione. Ma non era proprio umiliazione quella che avevo provato mentre
lui mi accarezzava quella mattina: era imbarazzo, imbarazzo per un qualcosa di
innominabile che avrei voluto fare, ma che ancora non riuscivo ad identificare.
Cosa mi stava accadendo? Cosa volevo da lui? E perché lui si comportava così?
Forse lo voleva anche lui. Certo, ma cosa, precisamente?
Una gran
confusione mi fece offuscare il cervello, ma poi improvvisamente ricordai che a
meno di un metro da me c’erano Tomoyo e lui, l’oggetto dei miei pensieri e la
loro stessa fonte: inizio e fine.
-Cosa le hai
fatto, brutto…-, cominciò Tomoyo prendendo Shaoran per il colletto mentre lui
cercava di sfuggire alla morsa strangolatrice della sorellastra.
-Lascialo,
Tomoyo. Non ha fatto nulla.-, dissi con voce assente ma pur sempre divertita da
quella scena.
I loro occhi
si librarono su di me: quelli di Tomoyo meravigliati e preoccupati, quelli di
Shaoran… non avrei saputo dirlo. Forse riconoscenti per averlo salvato dalle
grinfie della mia amica, ma c’era anche un filo di… qualcosa di irriconoscibile.
Sembrava dicessero: “Ehi, finalmente sei tornata fra noi. Non credevo di essere
così scioccante…”. Aleggiava qualcos’altro in quegli occhi castani: forse…
malizia.
-Sakura! Come
stai? Che è successo? Perché sei così pensierosa? Per favore, parlami!-, quasi
implorò Tomoyo.
-Va tutto
bene. Sono solo un po’ stanca per ieri. Mi sa che ho dormito troppo poco per i
miei standard.-, risposi con un sorriso guardando sempre Shaoran.
Quest’ultimo,
ascoltando le bugia detta, alzò un sopracciglio e sul suo viso comparve un
sorrisetto ambiguo. Ma perché era così maledettamente misterioso?
Tomoyo non
sembrava estremamente convinta, ma si arrese saggiamente capendo che non avrebbe
attinto altro da me. Così mi alzai e presi la borsa, la cui traiettoria, con mia
grande sorpresa, fu intercettata dalla calda mano di Shaoran, che la prese al
mio posto. Aprii la bocca per protestare, ma lui mi sorrise e mi fece
l’occhiolino. Un sorriso vero, non saccente o sarcastico. Un sorriso sincero,
oserei dire amorevole, aggettivo che non avrei mai usato per descrivere
qualsiasi cosa inerente a lui.
Tomoyo ci guardò perplessa e con un
sopracciglio inarcato, ma non fece commenti. Così uscimmo dall’aula e Tomoyo
annunciò:
-Ragazzi, io oggi ho le prove del coro,
quindi non posso venire a casa con voi. Shaoran, ricordati che oggi devi
cucinare tu e non barare andando a comprare tutto in rosticceria, intesi?
Sakura, tu è meglio se ti riposi, ok? Mi sembri strana. Allora ci vediamo
dopo, ciao! A domani Sakura!-, salutò gioviale Tomoyo, ma con un’ombra di
preoccupazione in viso. Io la salutai con la mano e Shaoran fece lo stesso
con la mano libera dalla mia borsa.
Così ci trovammo da soli a passeggiare per
i corridoi della scuola, in attesa di trovare l’uscita.
Più volte lo guardai di sottecchi mentre
camminava accanto a me, ma alla decima occhiata mi beccò e chiese:
-Che c’è?-, quasi con voce innocente.
Io diventai completamente rossa,
probabilmente anche le mie gambe, che si intravedevano sotto la gonna della
divisa, divennero rosse.
-Ehm… n-n-niente…-, balbettai con una
risata isterica.
Lui fece un’espressione da se-lo-dici-tu e
continuò a camminare.
Aprii numerose volte la bocca per parlare,
ma non sapevo proprio cosa dire: avevo ancora addosso la sensazione stupenda
e tormentosa di quella mattina.
Infine sospirai e lo fissai ancora di
sottecchi.
Non sapevo cosa fare. Di solito era sempre
molto loquace, soprattutto quando eravamo soli. E rideva, oh, se rideva. Ma
quel giorno era particolarmente, quasi spaventosamente silenzioso e serio.
Intanto eravamo arrivati in strada e
camminavamo sempre in religioso silenzio.
Lo guardai nuovamente di sottecchi e
scoprii che anche lui mi stava fissando.
-Che c’è?-, entrambi rompemmo il silenzio
contemporaneamente.
Io voltai la testa imbarazzata e lo guardai
di nuovo di nascosto. Rimasi interdetta: mi stava ancora fissando!
-C’è qualche problema?-, mi chiese
tranquillamente.
Rimasi alquanto perplessa.
-Guarda che sei tu quello che mi fissa.-,
dissi seria.
-Anche tu mi stavi guardando.-.
-Sì, ma tu mi stavi… fissando.-, dissi
imbarazzata.
-Non è vero.-, negò.
-Sì che è vero.-.
-No.-
-Sì.-
-No.-
-Sì.-
-Noooo.-
-Dio, Shaoran, perché neghi? Non è mica una
cosa vergognosa guardare una persona! Te ne sto chiedendo solo il motivo,
perché se mi fissi ci sarà un motivo, no?-, dichiarai sull’orlo
dell’esasperazione, ma raccomandandomi sempre di avere pazienza.
-E se non ci fosse un motivo?-.
-Se c’è preferirei che me lo dicessi, se
non c’è che motivo c’era di fissarmi? Non capisco, ti vergogni? Tu ti
vergogni? Stiamo insieme da un anno e mezzo, dovremo aver superato quella
fase e...-. Non riuscivo più a continuare: mi sentivo… Non sapevo nemmeno
come mi sentivo.
-Ehi, calmati. Dato che sei così
determinata perché non mi dici tu perché mi guardavi?-, rispose presuntuoso,
fermandosi.
Ecco, fantastico. Perché lo stavo
guardando? Non mi restava altro da fare che dire la verità. A saperla, la
verità…
-Be’, ecco, io… Oggi sei strano: sei
silenzioso, serio, gentile e…-, stavo per aggiungere le mie considerazioni
su ciò che era successo quella mattina stessa, ma rinunciai imbarazzata, -…
e volevo sapere perché. Certo, se è qualcosa che vuoi condividere con me,
ovviamente, altrimenti non importa, non c’è problema.-, terminai con più
calma e fermezza.
Lui si grattò la testa e ci pensò bene.
Sembrava concentrato su qualcosa di davvero importante. Altro che essere o
non essere…
-Non è una brutta cosa, anzi. E’ solo che
per te sarebbe scioccante. O meglio, potresti rimanere perplessa e dire che
già lo sapevi, ma per me non è così semplice. E’ come se non…-.
Si vedeva da un chilometro che era
imbarazzato e che faceva una grande fatica a parlarmi di questo fantomatico
argomento, ma io non riuscivo proprio a capire. Però, per non metterlo a
disagio, dissi così:
-Shaoran, ti confesso che non sei stato
molto chiaro e che non ho capito niente-, al che lui mi indirizzò uno
sguardo che diceva “Ma quando mai…”, che io saggiamente ignorai: -però
capisco che per te è difficile parlarmene. Comunque sia, sai che io sono qui
e che ti ascolterò sempre, cercando di capirti…-, al che mi interruppe
sillabando:
-Cercando.-
-Certo, se tu fossi più chiaro… Ma non
importa: mi va bene anche così.-. Sorrisi rassicurante.
-Thank you, baby! Ok, senti… Non è che ti
andrebbe di venire a casa mia?-, disse con la sua solita voce sarcastica,
che alla fine ho imparato, mio malgrado, ad apprezzare.
Il cuore mi si rifugiò con un sussulto in
gola. Ma perché mi sentivo sempre così in imbarazzo a stare da sola con lui?
Tomoyo era alle prove del coro e sicuramente sua madre era a lavoro… Non
volevo che i nostri contatti divenissero sempre più… intimi. Ok, meglio
cambiare parola: ravvicinati.
Tuttavia annuii.
-Mi devi aiutare a cucinare, sai com’è!-,
disse con una smorfia che esprimeva tutto il suo odio innato per tutto ciò
che riguardasse la cucina.
-Tu chiedi aiuto a ME per cucinare? Sei
messo proprio male, allora!-, dichiarai, dato che le mie abilità culinarie
erano classificabili fra il poco più che scarso e il quasi allucinantemente
orripilante.
-Lo so, lo dici a me? Ma tu guarda che
fidanzata dovevo trovarmi… Non sa nemmeno cucinare!-, disse ironico
battendosi una mano sulla gamba come per marcare la sua rassegnazione.
-Ripeti quello che hai detto se ne hai il
coraggio!-, lo sfidai e cominciai a rincorrerlo ridendo spensieratamente,
finalmente.
***
-Finalmente abbiamo finito…-, dissi esausta
togliendomi il grembiule.
-Infatti. Ah, a proposito: complimenti per
la fine che hai fatto fare a quella povera acciuga…-, disse ridendo e
sedendosi accanto a me sul divano rosso di velluto.
-Sai cosa ti meriti? Un bel film romantico!
Vediamo cosa c’è oggi in TV… Wow, sei fortunato! C’è “Titanic”!!!-. Ormai
sapevo come colpirlo, dato il suo innato odio anche per i film
“sbaciucchiosi”, come li chiamava lui. E poi doveva scontare di avermi
infilato un’acciuga nella maglietta…
Mentre lui gridava pietà per non vedere
quel film, io mi alzai per prendere il telecomando, che era posto sul
televisore. In quel momento lui mi guardò in modo strano (e aggiungerei
preoccupante) e disse:
-Ehi, avvicinati un secondo: sei sporca di
cibo lì…-, e così dicendo cominciò a toccarmi il sedere.
Purtroppo non mi resi subito conto di
quello che stava facendo, ma quando me ne accorsi, be’, non l’avrebbe
passata liscia…
-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! MA COME TI
PERMETTI, BRUTTO………………-.
-Aspetta forse non era cibo! Forse era
un’altra cosa, ah ah ah!-, rise ironicamente.
Mentre il mio colorito diventava sempre più
peperonesco, presi un cuscino e glielo gettai addosso con tutta la forza che
avevo. Fra una cucinata e l’altra, sempre ridendo, aggiunse:
-Oh, ma non preoccuparti! Tanto il divano è
rosso, non se ne accorgerà nessuno! Be’, a parte me, ovviamente!!!-.
-SHAORAN LIIIIIIIIIIIII! TI ODIO!-, gridai
fra i cuscini e le piume che ormai volavano da ogni parte.
-E dai, smettila!-, urlò lui ancora più
forte con una sonora risata.
Continuammo a prenderci a cucinate per
tutta la casa, fin quando arrivammo in una camera da letto, quella di
Tomoyo. Il letto dalle candide coperte bianche spiccava fra le pareti
celesti e il pavimento di parquet, liscio e perfettamente… scivoloso. Sulle
mensole poste tutt’attorno alle pareti riposavano ignari e beati libri
dall’aspetto pesante e spesso. Una scrivania di legno di mogano accoglieva
un computer superattrezzato e una lampada anch’essa bianca. Conoscevo ogni
singolo angolo di quella stanza, che era stata teatro dei nostri mutevoli
giochi fin da piccole. L’ospitale e soffice letto era lo sfondo delle nostre
lunghissime chiacchierate adolescenziali, che ormai diventavano sempre più
serie da quando stavo con Shaoran. Non sarei mai riuscita a vivere senza,
questo è poco ma sicuro.
Comunque appena arrivati lì Shaoran, sempre
ridendo come un ossesso, mi gettò un’altra pioggia di cuscini in testa.
-Non ne sarei così sicuro, mocciosetta!-,
ironizzò lui gettandomi sul letto.
Stavamo ancora ridendo come matti e
ansimavamo e sospiravamo e ci guardavamo e… ci amavamo. Lui era a cavalcioni
sopra di me e mi guardava in modo strano, avvicinandosi sempre di più,
sempre di più, sempre di più…
-Preso!-. Gli gettai in pieno viso il
cuscino che avevo adocchiato poco prima vicino alla mia mano destra.
Lui mi fissò, un arcobaleno di emozioni sul
volto: dapprima perplesso, poi deluso (ma per cosa?) e infine ritornò
scherzoso come prima.
-Tu, piccola e insignificante poppante,
mocciosa schifosa…-, cominciò a gridare brandendo un cuscino particolarmente
grande.
Come lui, anch’io avevo il mio punto
debole: odiavo essere chiamata mocciosa: avevo quasi diciassette anni, non
so se mi spiego!
Intanto Shaoran mi sovrastava con quel
enorme cuscino in mano e me lo stava per scagliare addosso mentre io
imploravo pietà.
Ma ad un certo punto lui fece cadere
sordamente il cuscino sul letto e mi prese per un polso. Io, ovviamente, lo
guardai con un’espressione perplessa e sorpresa.
-Ma cosa…-, cominciai.
-Shhh!-, mi zittì lui.
Alzai le spalle in segno di resa e mi
lasciai guidare da lui, che prima mi fece alzare in piedi e poi mi portò
sotto il letto. Al mio sguardo perplesso e interrogativo rispose:
-Sta venendo Tomoyo, ho sentito le chiavi
nella serratura.-.
-Ooh…-, dissi, non sapendo cos’altro dire.
Ok, diciamo che quello era l’unico angolo
della stanza della mia amica che non avevo mai conosciuto. Soprattutto in
una così gradita compagnia…
C’era buio lì sotto e lui mi stringeva come
se avesse paura che potessi svanire da un momento all’altro. Improvvisamente
l’allegria che avevo provato giocando con lui per tutta la casa si trasformò
in trepida frenesia, in muto piacere, in oscuro nervosismo… Tutto cominciò a
girare e io iniziai a tremare proprio come era successo quella mattina a
scuola. Poi tutto cambiò di nuovo: ora mi sentivo calma, ma una calma
strana, come quella che precede una tempesta o un’intrepida sorpresa… Come
l’attesa di un bacio: si è felici solo in attesa di esserlo.
-Mi dici una cosa?-, bisbigliai nel suo
orecchio.
-Sì?-. Le sue labbra vibrarono ancora una
volta sul mio collo, che fu scosso da un brivido dolce e armonico. Lui era
l’abile musicista che incantava tutti con il movimento delle sue mani
esperte, io ero la chitarra, pronta a reagire ad ogni suo tocco, come se se
l’aspettasse, ma non come qualcosa di tedioso e abitudinario: ogni
centimetro di pelle che veniva a contatto con lo strumento era un suono, una
diversa sfumatura di dolcezza e di brivido, una tonalità differente di
tremore e di libertà. Neanche il vento più potente sarebbe riuscito a
muovere le sensibili e fragili corde della chitarra: solo il musicista ci
riusciva, anche solo con il suo prezioso respiro, anche solo con una parola.
Il musicista se ne sarebbe andato, e la chitarra sarebbe stata solo un
inutile oggetto senza anima.
-Perché siamo nascosti?-, sussurrai ancora
visibilmente scossa.
Lui ci pensò su e poi posò di nuovo i suoi
occhi sui miei.
-Non ti va? Se vuoi usciamo allo scoperto e
ti accompagno a casa.-, propose, evidentemente sicuro della mia risposta.
-No no no… Cioè, sì che mi va. E’ solo che
vorrei sapere perché…-.
-Mettiamola così: non parlare per i
prossimi dieci minuti, ok?-, mormorò esasperato.
Gli indirizzai un’occhiataccia, ma ubbidii
subito quando mi strinse ancora di più a sé. Ormai i nostri corpi
combaciavano perfettamente e la cosa ovviamente non mi lasciava
indifferente.
Sentivo i leggeri passi di Tomoyo entrare
in camera: canticchiava a bocca chiusa. L’eccitazione e l’emozione
crescevano smisuratamente e, nello stesso momento in cui Tomoyo si sedette
sul letto (probabilmente si stava cambiando), Shaoran mi baciò. Le sue
labbra lisce e morbide sulle mie mi fecero girare la testa più di quanto non
lo facesse già… Il suo respiro caldo e seducente che si fondeva con il mio…
Le sue mani che mi stringevano e ad ogni tocco provocavano mille fremiti
sulla mia pelle… I suoi capelli che mi solleticavano il volto… Il suo viso
tremante… Anche lui sentiva quello che sentivo io? Anche lui volava come
volavo io? Anche lui voleva come volevo io?
Nonostante tutti i miei sforzi, essi si
rivelarono vani: non riuscii proprio a mantenere casto quel bacio. A
convincermi fu anche la sua lingua che si infiltrò dolcemente e gentilmente
fra le mie labbra, facendole schiudere solo al suo tocco, e poi penetrò tra
i miei denti. E fu così che mi arresi.
Con le mie mani accarezzai i suoi capelli
morbidi e lisci e ormai, invece di respirare, ansimavo. Ma non come quando
ci stavamo prendendo a cucinate, no. Era del tutto diverso: era qualcosa di
affascinante, sensuale, elettrizzante…
Intanto ci baciavamo e Tomoyo era sopra di
noi. Sapevo che ci avrebbe sentiti se non mi fossi data una calmata, ma non
riuscivo proprio a resistere: veniva da dentro e non accennava ad andarsene.
Le mie mani continuarono ad accarezzargli i
capelli e le sue si muovevano sinuosamente lungo la mia schiena. Ma
all’improvviso…
All’improvviso un flashback, un orribile ed
inaspettato flashback: c’erano poster di tramonti, cieli stellati e uno di
un cuore spezzato tenuto insieme dallo stelo di un fiore… una stanza
piccola… io e Shaoran. No: la festa di compleanno di Yamazaki, il gioco
“Sette minuti in paradiso”, noi due chiusi lì dentro… le mie labbra sulle
sue, le nostre lingue che si toccavano, le sue mani… le MIE mani… le sue
parole, no, la SUA parola.
Mi staccai da lui scioccata, come quando ci
si sveglia da un bel sogno, la realtà sembrava insuperabile e impossibile da
affrontare. Stavo per gridare, per fare qualsiasi cosa, ma lui mi mise una
mano sulla bocca e mi guardò perplesso, sorpreso e meravigliato.
Rimanemmo così per un minuto o forse più,
fin quando sentimmo Tomoyo entrare in bagno e chiudere la porta a chiave.
-Che c’è?-, chiese Shaoran ancora sorpreso,
togliendomi la mano dalla bocca.
-Niente. Senti ora devo andare, ci vediamo
domani. Ciao.-.
Non fece in tempo a trattenermi che già ero
in piedi e mi avviavo verso la porta della cameretta. Lui però mi seguì
velocemente e, mentre stavo per girare l’angolo per scendere le scale, mi si
parò davanti.
-Mi vuoi dire cosa sta succedendo?-, chiese
guardandomi negli occhi. Non riuscii a sostenere quello sguardo per più di
cinque secondi e arrossii. Furtivamente feci un passo laterale verso
sinistra per confonderlo, ma lui capì e mi sbarrò la strada anche con le
braccia.
-Non mi freghi. Dannazione, mi vuoi dire
cosa diavolo succede?-, ripetè con mal celata ira.
-Devo andare a casa, Shaoran. Potresti
gentilmente farmi passare? E’ tardi e mio fratello potrebbe preoccuparsi.-.
Bella scusa, complimenti. Potresti vincere il premio per Miss Banalità.
- Bella scusa, complimenti. Potresti
vincere il premio per Miss Banalità.-. Wow, che telepatia!, -Per favore, se
c’è qualcosa che non va dimmelo.-, pregò quasi.
-Va tutto bene.-, sussurrai.
Nel frattempo scostai il suo braccio e
scesi rapidamente le scale.
-Maledizione, Sakura! Si vede da due
chilometri che c’è qualcosa che non va.-, alzò la voce stizzito ed
evidentemente irritato dal mio silenzio.
Ormai ero vicina alla porta e lo salutai
con voce triste e assente:
-A domani.-.
Mentre chiudevo la porta di casa intravidi
la sua figura in cima alle scale: inerte ed impotente.
“Mi dispiace”. I miei ultimi pensieri prima
di scoppiare a piangere nella strada muta.
Ecco, finito! Vi piace questo capitolo?
Spero di sì! E’ un po’ più lungo perché voglio rimediare alla mia lunga
assenza.
Ora passiamo ai ringraziamenti:
Dany92: grazie mille! Mi fa piacere che
pensi questo di come ho descritto le emozioni di Sakura! Spero che
recensirai anche questo cap, ciao!
Selenina93: sono felice che ti piaccia
Shaoran versione Playboy! Grazie per i complimenti! A presto!
Manu: ciaooo! Grazie mille per quello che
hai scritto *me diventa rossa tipo Sakura*! Spero che ti sia piaciuto questo
capitolo! Fammi sapere, ciao!
Ferula_91: grazie! Fammi sapere se ti piace
anche questo, ciao ciao!
Faffy: Faaaaaaaaaaaaaaaffy… sigh sob sniff…
ueeeee! Non è giusto, adesso divento triste… perché sei partita??? 2
settimane senza di te, ti rendi conto? Non penso che ce la farò… potrei
impiccarmi con un bastoncino di liquirizia… (sì, certooooooooo, hai ragione…
pronto polizia?anzi no, hello police? Here
there’s a mad girl who want to kill herself by sweets… NdFaffy)… sei partita
oggi e già mi manchi! (ma
queste 2 sono normali??? Ndtutti)…Harry ti salute: come on bitch, suck my…….ehm….hello
faffy!
You’re in my heart and you’ll beh ere forever, kisses! P.S.: would you like
to visit the grave of my mum? Thank you!... Sai, purtroppo avere un kino
koshin con Ciccio Bello non è stimolante… Yes, it is! Suck it, Beautiful
Ciccio! NdHarry… Sì… Grazie mille per quello che mi hai scritto! Ciao
ciao, faffy-chan! Hello, my favourite bitch!
Tropiusuccia: ciao! Grazie mille, sono
content ache la ff ti piaccia! A presto e fammi sapere su questo cap!
Silgree89: mi dispiace, non posso
rispondere alla tua domanda! Ti piacerebbe se succedesse? Comunque non
preoccuparti, questa volta non vi farò aspettare! Grazie mille per ciò che
hai scritto! Fammi sapere! Ciao!
Le
nostalgiche e amare note di “Bring me to life” mi risuonavano in testa e
compivano un Tour de France nel mio cervello.
Sì, Amy, hai
ragione, pensai. Avevo ancora bisogno di qualcuno che mi riportasse ancora una
volta alla vita. Quella che mi piaceva davvero: la mia vita. Quella che volevo,
desideravo, bramavo: Shaoran. Lui era la mia vita. La mia sola ed unica fonte di
sostegno, gioia, speranza. Ti amo, mi ripetei mentalmente.
Lo amavo?
Certo che sì. E allora perché quella reazione a casa sua? C’erano tre
possibilità:
a)ero pazza;
b)ero
completamente e inesorabilmente pazza;
c)lo amavo, ma
non ero pronta ad approfondire il nostro rapporto.
Inizialmente
presi per buona la b), ma poi mi soffermai anche sull’ultima possibilità. In
effetti non avevo mai pensato a quel lato del nostro rapporto, ma non era
del tutto colpa mia: non se n’era mai presentata l’occasione. Prima di quel
giorno non mi aveva mai abbracciata e, in generale, trattata così. Non mi
sentivo a mio agio ad essere trattata a quel modo, come se il musicista avesse
indossato dei guanti e la chitarra non lo riconoscesse più. Ma la chitarra si
sarebbe abituata, un giorno. Un giorno… L’avrei aspettato con impazienza, perché
in quel momento non riuscivo a fuggire quella confusione.
C’era un
altro modo per far riabituare la chitarra al delicato e sensibile tocco del
musicista: se si fosse tolto quei guanti illusori sicuramente sarebbe tornato
tutto normale. Ecco la soluzione: dovevo farlo ritornare insopportabilmente sé
stesso.
Improvvisamente mi ritornò in mente la canzone che anni prima avevo sentito due
giorni dopo aver conosciuto Shaoran:
“Sai, la
gente è strana, prima si odia e poi si ama…”.
Era vero.
Ma perché era
strana? Il bello di innamorarsi è notare come i sentimenti verso una persona
cambino così lentamente e insieme velocemente da non farcene accorgere. Insomma,
è molto più emozionante vedere un fiore crescere lentamente e con colori sempre
più intensi che vederne uno ormai nel pieno della sua rigogliosità. Be’, forse
il mio atteggiamente era troppo di parte: non potevo di certo essere la migliore
giudice in merito, avendo un fidanzato che inizialmente forse mi odiava, ma che
ultimamente dichiarava in vari quanto ambigui modi di amarmi.
Ritornando
alla questione della mia ormai evidente pazzia, bene, perché non ero pronta ad
approfondire il nostro rapporto?
a)non credevo
al sesso prima del matrimonio? Poteva anche essere;
b)amavo
“Grease” e avrei gradito di certo un lieto fine del genere alla nostra storia?
Esatto. Avevo sempre avuto un debole per cose del genere: il playboy che si
innamora davvero, ma se ne vergogna immancabilmente e Sandy, piccola e graziosa
ragazza innocua, che, da notare, alla fine cambia radicalmente per il suo amore;
c)mi vergognavo
enormemente e avevo una gran paura.
Tutte le
possibilità mi sembravano estremamente giuste e veritiere, ma una seconda
analisi mi sconvolse: erano tutte così spaventosamente egoiste in modo
frustrante: tutto si incentrava su di me, tutto, completamente. Ma come potevo
essere così egoista? Non pensavo a lui, che sicuramente si era stancato di quei
soliti baci e voleva qualcosa di più? Non pensavo alla nostra storia, che in un
modo o nell’altro avrebbe dovuto evolversi?
Ora sapevo
cosa dovevo fare: scusarmi con lui. E soprattutto parlargli.
Così scesi
dalla mia camera, avvisai Touya che sarei uscita e mi recai a casa di Tomoyo.
***
-Ehi Satura!
Che ci fai qui a quest’ora?-, chiese una Tomoyo in pigiama scrutandomi sorpresa
sulla soglia.
Sorrisi e
presi coraggio:
-Devo parlare
con Shaoran.-.
Mentre la mia
amica si scostava per farmi entrare e poggiava la mia giacca su una sedia, mi
spiegò:
-Shaoran è
già andato a dormire. Strano, stasera c’era “American pie 3”, lui l’adora…-.
Sapevo
benissimo che non stava dormendo, ma lasciai cadere così il discorso.
-Senti,
potresti aspettare solo un quarto d’ora? Devo finire di fare una cosa in
cucina, tu intanto puoi guardare la TV in salotto.-, propose Tomoyo indicando il
divano rosso su cui quello stesso pomeriggio Shaoran ed io eravamo seduti. Il
suo fantasma mi guardò ironico dalle ombre di quel rosso.
Annuii alla
mia amica e mi sedetti lì, cercando qualcosa da guardare.
Ad un certo
punto, mentre stavo per spegnere la televisione, notai sotto il mobile tutte le
cassette prodotte da Tomoyo.
Un sorriso mi
si piazzò sul viso: nostalgico e curioso.
Chissà
com’ero prima di Shaoran: non me lo ricordavo proprio più.
Notai una
cassetta con un’etichetta strana:
S&S: prima
notte
Probabilmente
arrossii per quell’espressione, ma la curiosità fu più forte. Così inserii la
cassetta nel videoregistratore e spinsi Play.
Avete
presente quella sensazione di ineluttabilità che si prova a volte prima di fare
qualcosa? Quando si pensa: “Ehi, e se quello che sto per fare cambiasse la mia
vita? E se la peggiorasse?”. Succede sempre così, ma dopo mille dubbi la
risposta è sempre “Sì, lo voglio”. Al diavolo i rischi, al diavolo il pericolo:
mi butto. E così feci.
Le immagini
erano buie perché probabilmente Tomoyo aveva dimenticato di scoprire
l’obiettivo. Ciononostante le voci si sentivano chiarissime…
-Cosa provi? Intendo,
cosa provi per Sakura adesso vedendola così, così…?-
-Pena, senso di colpa,
malinconia… Ma nient’altro, mi dispiace.-
All that
I'm living for,
All that I'm dying for,
All that I can't ignore alone at night.
Vivevo
per te e mi hai abbandonata.
Vivevo
per te e mi hai delusa.
Vivevo
per te e mi hai mentito.
Muoio
per te e mi abbandoni.
Muoio
per te e mi deludi.
Muoio e
mi stai ancora testardamente mentendo.
Sei a
pochi metri da me e sai, te ne accorgi, abbassi il capo.
-Tanto
sai fare solo questo.-.
Sai che
la notte è difficile. So che la notte è difficile.
E’
meschina e codarda. E’ onnipresente, anche nella luce più accecante. Non esiste
la luce immensa e intatta. Il buio sì. Non esiste un mondo senza ombra. Ma uno
senza luce sì.
I can feel
the night beginning.
Separate me from the living.
Understanding me,
After all I've seen.
Piecing every thought together,
Find the words to make me better. If I only knew
how to pull myself apart.
Ma
la notte a volte è amica, è confidente. Certo, ti tradisce al primo segno di
debolezza, ma capisce.
La
notte ha sentito ciò che ho sentito io, ha visto ciò che ho visto io, ha provato
ciò che ho provato io. La notte è amica. La notte ti abbraccia. La notte ha in
mano un coltello. E senza troppi problemi, mentre il dolore ti divora, chiedendo
solo sostegno con un abbraccio, la notte ti accoltella. E tu non hai il tempo di
guardarla in faccia, ma sai che ti fissa. Ti sta fissando in modo inespressivo:
l’avrebbe fatto con chiunque, pensi. Niente di personale, dice la notte. Sì, non
preoccuparti. Tutto a posto, capisco. E intanto il sangue sgorga lento e fugace.
-Di
cosa stai parlando?-. Alza di nuovo il capo e io mi riscuoto. Ma la notte è
ancora lì e mi fissa mentre cado, mentre mi contorco, mentre il vortice mi
attira verso di sé.
Non
gli rispondo. Rispondo solo alla notte. Lei mi capisce.
Lei
mi capisce. E mi aiuterà ad uscirne, a filtrare via. La notte mi aiuterà.
All that
I'm living for,
All that I'm dying for,
All that I can't ignore alone at night.
All that I'm wanted for,
Although I wanted more.
Lock the last open door, my ghosts are gaining on me.
Ottenere fa rima con avere. Ma non è così. E neanche con volere. Io volevo, io
voglio. Io morivo, io muoio. Volere non fa rima con morire, ma sono collegate da
uno stretto rapporto consequenziale: per ottenere ciò che si vuole si è disposti
a morire. Se non lo si ottiene, si muore. E io muoio per entrambe le cose.
Cosa c’è? Perché parli ancora? Non ti sembra di aver fatto abbastanza parlando?
Non credi di essere troppo sbagliato? Be’, io sì.
Ma
sono io che voglio troppo. Mi è stata offerta una proposta straordinaria, ma io
non l’ho valutata come avrei dovuto. E ora sono qui. Qui a morire.
-Sakura, parlami.-.
Qui
a morire.
-Dimmi qualsiasi cosa.-.
Qui
a morire.
-Insultami, gridami in faccia, ma parla!-.
Qui
a morire.
-Sakura, parla!-.
QUI
A MORIRE.
-SMETTILA DI STARE IN SILENZIO!-
-QUI
A MORIRE.-.
Un
grido piatto, filtrato con destrezza dalla mia mente. Un viaggio difficile.
Non
voglio più ascoltarlo. No. Non parlare più. Voglio sentire solo la notte. Solo
la sua voce suadente e traditrice, vellutata e ingannatrice. Voglio solo lei.
Voglio chiudere la porta, la porta della realtà. Chiuderla a chiave e non
aprirla più. Mai Più.
I believe
that dreams are sacred.
Take my darkest fears and play them
Like a lullaby,
Like a reason why,
Like a play of my obsessions,
Make me understand the lesson,
So I'll find myself,
So I won't be lost again.
La
voce della notte mi culla. La porta socchiusa, la realtà filtra ancora, ma
presto si chiuderà tutto. Una ninnananna per la mia anima. La notte canta, mi
accarezza. Dormi, dice. Dormi, non pensare: finirà tutto. Il dolore, la gioia,
la tristezza, la felicità, la sofferenza, il benessere: manca poco, ma presto
sarà tutto finito. Neanche il ricordo vivrà nel tuo cuore, Ascolta e lasciati
portar via, lasciati rapire dal suono delle tue ossessioni, dalla melodia delle
tue paure più buie e oscure. Prendi la tua vita e suonala: i tuoi sogni e i tuoi
incubi saranno la sinfonia del tuo essere. Lasciati trasportare delle tue note,
non da quelle oblique e stonate della realtà: suona.
Questa musica mi farà capire dove ho sbagliato. Forse non avrà importanza, ma
così non mi perderò più. Mai Più.
Guess I
thought I'd have to change the world to make you see me,
To be the one.
I could have run forever,
But how far would I have come
Without mourning your love?
Mi
amavi abbastanza da farmi male o mi odi quanto basta per farmi morire? L’amore e
l’odio, la luce e il buio, il corpo e l’anima, lo ying e lo yang: perché tu sei
sempre tutto per me? Perché mi possiedi così completamente tanto da farmi male?
Eppure pensavo che amare fosse facile.
Neanche odiare è facile e tu non lo sai. Non sai niente di me, della mia anima,
del mio cielo, della mia terra, del mio mondo. Tu sei solo una tacita stella che
è già morta, ma io non me ne accorgo perché gli anni luce che ci dividono
compensano la potenza del tempo, dello spazio e della materia. Siamo lontani: tu
non esisti più, ma io ti vedo ancora: sei dentro, fuori, lassù in cielo, laggiù
nelle viscere dell’erebo. Sei dappertutto, mi perseguiti: ma io posso fare una
cosa che tu non puoi nemmeno immaginare, mia cara stella: posso chiudere la
porta e vivere per sempre dentro di me.
Perché sei pallida, stella? Hai paura? Dovresti. Dovrei.
Credevo che amarti sarebbe stato facile: ma quante lacrime avrei dovuto versare,
quanta tristezza avrei dovuto domare, quante pene avrei dovuto espiare senza
piangere il tuo amore?
Should it
hurt to love you?
Should I feel like I do?
Should I lock the last open door,
My ghosts are gaining on me
Ora
è finita: la speranza è l’ultima a morire, ma dovrà farlo comunque. E’ morta con me. Il coltello
della notte, lucente e brillante, intriso nel mio sangue, è sollevato al cielo
come un trofeo del mio dolore.
E’
ora di chiudere la porta. E i fantasmi si impossessano di me.
* * *
-Ah,
finalmente a casa! Ma,,, Tomoyo! Cosa è successo a Satura? Sta male? Perché è
stesa sul divano?-.
-Ciao mamma. Siediti, ti spiegherò tutto con calma.-.
“Come al solito Tomoyo dice sempre tutto a sua madre, ma io non voglio che le
spieghi ciò che è successo.”. Ero confusa: non riuscivo a muovermi e nemmeno ad
aprire gli occhi. Va bene, ho usato la parola sbagliata: non volevo
muovermi e nemmeno aprire gli occhi. Ciononostante ricordavo tutto infinitamente
bene. Tutto. Ma lì per lì non mi ritrovai affatto scioccata: la quiete dopo la
tempesta. O forse prima.
-Ha
visto la cassetta. Quella cassetta.-.
-Oh…
immaginavo. Ma non avevi tagliato la parte che hai registrato per sbaglio?-.
-Non
l’ho fatto e adesso me ne pento in una maniera indescrivibile, mamma. Ero
convinta che se l’avessi fatto avrei danneggiato la memoria di quella notte,
l’avrei manipolata. Lo so, sono stata una stupida.-.
-No,
piccola. Vedrai che andrà tutto bene. Shaoran-, a quel nome trasalii
bruscamente, ma fortunatamente non mi videro perché le voci provenivano dalla
cucina: -l’ha vista?-.
-Mentre ero in cucina e lavavo i piatti Sakura guardava la cassetta e ha
iniziato a piangere e a singhiozzare, ma io avevo le cuffie, quindi non l’ho
sentita, ma probabilmente Shaoran sì. Quando ho finito di lavare i piatti sono
entrata in salotto e ho letteralmente visto l’inferno: Shaoran era in piedi sul
primo gradino della rampa di scale, pallidissimo, avrei giurato che stesse per
piangere; Sakura era gelida, non so come altro definire la sua postura, la sua
voce, il suo viso, i suoi occhi: molto peggio rispetto a quando Shaoran
l’aveva mandata via dalla sua stanza in ospedale: peggio di quei sei mesi di
silenzio e dolore…-.
-Capisco. Ora dov’è Shaoran?-.
-Aspetta, non ti ho detto tutto: lui le si è avvicinato, senza mai guardarla
negli occhi, ma Sakura li aveva chiusi. Era cosciente, ma manteneva sempre gli
occhi chiusi. E improvvisamente è crollata mormorando: “E’ ora di chiudere la
porta. E i fantasmi si impossessano di me.”. E da quel momento è come in trance.
Shaoran ha preso la giacca e se n’è andato sbattendo la porta.-.
E proprio in quel
momento si sentì qualcuno entrare.
Ciao
a tutti! Scusate tanto per il ritardo e anche perché non vi posso ringraziare
singolarmente, ma sono molto occupata!
Un
grandissimo Grazie
a tutti coloro che
recensiscono e leggono! Ciao, alla prossima!
Francy
P.S.: la canzone iniziale è "All that I'm
living for" degli Evanescence!
Cosa? Pensate
che io scherzi? Be’, allora risparmiatevi le risate, perché non è così.
-Yamazaki,
fammi un favore: sparati-.
-Che ti
prende, Sakura? E’ da qualche settimana che stai così…-.
-Così come?
Incazzata? Acida? Intrattabile? Rompiscatole? Credimi, ho i miei buoni, ottimi
motivi-.
Alzai gli
occhi al cielo per poi posarli di nuovo sul bicchiere di spumante che reggevo o,
meglio, strangolavo fra le mie mani.
Yamazaki
sospirò, ma non si arrese.
-Non puoi
mandare il mondo a farsi fottere senza un motivo. Oggi compi diciotto anni,
diamine, non sei una bambina: devi ragionare e fare la scelta giusta-.
-Tu hai
un’idea davvero sbagliata dei diciotto anni, cazzo. Io ho visto cose che tu
nemmeno immagini, lo capisci questo? Prima quelle fottutissime carte di Clow (e
non fare sempre quella faccia da pesce lesso quando te ne parlo, prima o poi
dovrai credere a questa storia assurda), poi l’anima di mia madre che va nel
corpo di quella troia impalata, un cinesino (non cerco nemmeno un appellativo
decente per lui, c’è l’imbarazzo della scelta) che mi tratta come una puttanella
da quattro soldi solo perché, Dio santo, sono carina ma notoriamente cogliona
(fortunatamente quest’ultima qualità è andata perdendosi); a sedici anni e mezzo
sono sull’orlo della depressione (anzi, direi che quell’orlo l’ho oltrepassato
di un bel po’) e la situazione non sta migliorando per niente… TI sembra
normale?-.
-Cazzo,
Sakura, la pianti di fare l’incompresa? Hai solo scoperto che il tuo fidanzato
non ti amava veramente, non puoi mica pretendere di trovare il vero amore a
sedici anni. E poi per quanto riguarda Tomoyo penso che ti sia stata offerta una
grande possibilità, cioè quella di cambiare aria e di frequentare altri posti e
altra gente…-.
Lo fissai,
prima incredula, poi sempre più convinta che avesse ragione.
-Hai ragione.
Per una volta hai ragione, lo ammetto-.
-Per una
volta???-, disse guardandomi sconcertato, per poi abbracciarmi.
-Se Chiharu
fosse qui ci ucciderebbe seduta stante-, mormorai con le labbra premute sulla
maglietta che gli copriva il petto.
-Non stiamo
facendo nulla di male: sto abbracciando un’amica in crisi-, alzò le spalle e
parlò in tono angelico.
-Amica?! E il
bacio dell’altro giorno era da amica, secondo te?-, alzai la testa fissandolo
con un sopracciglio alzato.
-Quello della
scorsa volta è stato un errore-, ammise lui guardando altrove.
-Ti va di
sbagliare un’altra volta?-, proposi con voce suadente avvicinando ulteriormente
le mie labbra alle sue.
-Sakura…-,
cominciò lui con un’espressione fra l’esasperato e il dispiaciuto, con un velo
di pietà e qualche ricamo di tentazione.
-No-, lo
interruppi,-stai zitto. Primo: io sono depressa, no? Quindi ho bisogno d’amore.
Secondo: è cominciato tutto con la tua festa di compleanno e quel maledetto
gioco in quello stanzino, quindi in parte la causa del mio dolore sei tu e devi
pagare con una dolce pena. Terzo: è solo un bacio e io ho davvero bisogno di un
sostegno-.
Elencai il punto tre con voce più flebile a avvicinandomi ancora di più.
Lui sospirò.
Ero così vicina da sentire il suo soffio muovere la mia frangia.
Mi sistemai
meglio sul divano per stargli perfettamente di fronte, poi…
Contatto.
Inizialmente
il bacio era insapore. Poi sentii le nostre essenze unirsi, confondersi e
amalgamarsi. Il mio aroma col suo, il suo respiro col mio. Era una sensazione
inebriante e fresca… Leggera come una penna di gabbiano ed estatica, sublime,
perfetta…
Iniziai a
sospirare. Iniziammo a sospirare.
Gemei
flebilmente. Gememmo intensamente.
Poi si staccò
da me, delicatamente ma con decisione.
Mi accasciai
inerme sul suo petto e lui mi circondò le spalle con le braccia: avevamo ancora
il fiato corto.
-Sai che
stiamo facendo un orribile errore?-, mormorò sommessamente lui.
-Sì-,
affermai,-un orribile, orrendo, dolcissimo e piacevolissimo errore-.
Tenni ancora
gli occhi chiusi mentre lui sospirava per risposta.
Esitai un
attimo, poi aggiunsi:
-Quando siamo
insieme ho un’irresistibile voglia di fare l’amore con te-. Tutto d’un fiato.
Lui si
irrigidì, ma poi si sciolse nuovamente e cominciò:
-Sakura…-.
Poi un sospiro. Lungo.
Mi
approfittai di quella pausa per attaccare.
-Non posso
mica rimanere vergine per tutta la vita. Tanto vale che mi faccia suora-.
Lui ridacchiò
più rilassato.
-Bellezza
sprecata. A parte gli scherzi, non sono io la persona con cui… Insomma, io non
sono il ragazzo giusto per te. Innanzi tutto sono fidanzato da… cinque anni,
suppergiù-.
-Non è detto
che Chiharu sia la persona giusta per te. Hai detto tu stesso che non si può
pretendere di incontrare il vero amore a sedici anni. Nel tuo caso a dodici-,
ribattei decisa.
-Comunque
sia, non è la cosa giusta-, replicò testardo e rigido.
-Capisco-,
tagliai corto. Avrei voluto avere un tono inflessibile, ma la voce mi si strozzò
a metà parola.
Lui sospirò
per l’ennesima volta e restammo lì, abbracciati e stesi sul divano, fino a
quando le campane suonarono la mezzanotte, tre ore più tardi.
***
-Era
necessario, Tomoyo, ne abbiamo già parlato-.
-No, Shaoran:
non lo era!-. Diceva così, ma era sicura del contrario.
-Ormai a
Sakura non importa più niente di te e me. Dobbiamo accettare la sua scelta. E’
passato troppo tempo, non possiamo più cambiare idea-. Il ragazzo abbassò gli
occhi: diceva così, ma era convinto del contrario.
-Però ha
ragione. Abbiamo sbagliato… Le abbiamo fatto solo del male e non ce ne siamo
nemmeno resi conto. Siamo dei bugiardi…-. Dicendo questo la mora cominciò a
singhiozzare.
-Dai,
l’abbiamo fatto a fin di bene. E poi abbiamo mentito solo all’inizio-. Si fermò
un attimo a riflettere e poi aggiunse:
-Secondo te
costano molto le chiamate internazionali da Hong Kong al Giappone?-.
-Perchè?-,
domandò stupita la ragazza.
-Voglio
chiamare Yamazaki e insultarlo fino a notte fonda-.
Ciao a tutti!
Scusate per il capitolo breve, ma avevo pianificato che fosse l’ultimo, poi però
mi è venuta l’illuminazione davanti alla pagina vuota di Word!
Come avrete
ben capito, Tomoyo e Shaoran si sono appena trasferiti a Hong Kong… ma perché?
Lo scoprirete nella prossima puntata! J
-Che cazzo
vuoi, Tomoyo? Non vedi che sto parlando con un certo pezzo di merda chiamato
Yamazaki? Quindi non disturbare e va’ a farti fottere pure tu, grazie.-.
-Primo, io
non me ne vado da nessuna parte. Secondo, preferirei che omettessi le parolacce.
Terzo, non vedo in che modo tu stia parlando con Yamazaki, almeno che su quella
banana che hai in mano non ci sia un microfono con rete telefonica incorporata-.
Il ragazzo
guardò l’oggetto che teneva vicino all’orecchio e notò che non era un telefono,
ma proprio una banana.
-Be’, ecco,
io… Tomoyo, mi sono appena svegliato, che cosa pretendi!-, sbraitò.
In effetti
era così. Avrebbe chiamato Yamazaki la notte precedente, ma Tomoyo gli aveva
consigliato di farlo appena sveglio per avere la mente più fresca e le idee più
chiare. E il risultato si vede…
Shaoran
sbuffò e si avviò verso il cordless abbandonato sul tavolo della cucina dove
Tomoyo beveva del succo d’uva fissando il fratellastro.
-Hai ancora
intenzione di chiamare Yamazaki riguardo a Sakura?-, domandò lei con finta
indifferenza.
Il ragazzo
annuì rapidamente cercando il numero sul suo cellulare.
-Shaoran, non
puoi farlo. Ricordi il giorno in cui ha visto la cassetta? Ricordi quando ci ha
“gentilmente” chiesto di uscire dalla sua vita senza più rompere cortesemente i
coglioni? Noi siamo venuti qui a Hong Kong proprio per questo. Sapevo che
avremmo semplicemente potuto cambiare scuola, o sezione addirittura, ma io ti ho
pregato di andare ad Hong Kong. Perché, secondo te? Perché volevo che Sakura non
ci vedesse più, che non soffrisse nemmeno per il nostro ricordo. Ho fatto tanto
per ottenere il permesso da mia madre, ho sofferto tanto per dimenticare Sakura.
Non ci sono riuscita, ma non per questo penso che lei voglia ricordarsi di me.
Di noi. Lei vuole dimenticarci ed è ora che cominciamo anche noi. Quando
lo capirai? E’ passato un anno, Shaoran-, sbottò Tomoyo tutto d’un fiato.
Shaoran alzò
gli occhi sul viso della sorellastra e scandì lentamente:
-Io non
voglio-. Poi aggiunse più in fretta: -Se tu lo vuoi fai pure-.
-Cos’è, ti dà
fastidio di essere stato lasciato? Di essere stato ferito nell’orgoglio? Be’, ti
dico una cosa: lei è stata ferita nel cuore e questo fa molto più male. Ma tu
non lo sai, vero? Tu e il tuo fottutissimo orgoglio maschile. Non capisci che
facendo così lei ti odierà ancora di più? Ti ho già detto che Sakura è molto
sensibile: ha vissuto esperienze che neanche tu puoi immaginare. Prima la morte
di sua madre, poi le carte di Clow di cui ti ho parlato la settimana scorsa, poi
la scoperta che io sono l’incarnazione di sua madre, poi tu. Non ti
vergogni, eh? Non provi nemmeno un briciolo di disgusto verso te stesso?-, lo
sfidò.
Lui si
accigliò e disse impertinente:
-Senti chi
parla. Non dovresti essere tu a vergognarti? In fondo l’idea è stata tua, io ho
solo seguito le regole-.
Tomoyo lo
guardò dritto negli occhi senza segni di cedimento e parlò lentamente:
-Vuoi
saperlo? Davvero vuoi saperlo? Ebbene, io mi vergogno di quello che ho fatto
ogni giorno. Ci penso ogni minuto, ogni secondo della mia vita e l’unica cosa
che ne ricavo è una muta disperazione che mi invade ogni parte del corpo. Sento
le ossa sfracellarsi sotto il peso del senso di colpa, il cuore aumenta i suoi
battiti per la rabbia verso me stessa, gli occhi mi bruciano al solo pensiero
degli ignominiosi atti che ho compiuto. Mi faccio schifo, Shaoran. Questo è
tutto-.
Tirò su col
naso, ma poi si riprese subito e continuò:
-E tu? Eh? Tu
non senti niente? Anche tu hai le tue colpe, sai?-.
-E quali
sarebbero, di grazia?-, chiese con voce sarcastica.
-Tu dovevi
fare il minimo indispensabile. Ma hai esagerato come al tuo solito. Ci mancava
poco che non faceste sesso. Fortunatamente ho convinto Sakura che non era la
cosa giusta e che doveva aspettare, altrimenti ora starebbe già spingendo un
passeggino-, concluse asciutta la mora.
-Adesso è
colpa mia, eh? Io non l’amavo e non l’ho mai amata, ma dovevo pur soddisfare i
miei desideri da fidanzato, non credi? Così magari avrei trovato una scusa per
lasciarla. “Se non vuoi farlo ti lascio”. Lei non avrebbe mai tradito la sua
migliore amica per una cosa del genere, così l’avrei lasciata, grazie e
arrivederci, e tutta questa stupida farsa sarebbe finita-. Man mano che parlava
il tono di voce del ragazzo acuiva sempre di più.
Tomoyo lo
fissò. Il suo viso era un arcobaleno di emozioni: prima incredulità, poi
tristezza, poi ancora stupore e infine rabbia. Rabbia.
-Come hai
potuto tradirla in questo modo, con che cuore l’hai fatto? Perché non mi hai
detto questo tuo vergognoso piano?-, urlò.
Shaoran si
voltò verso la finestra e poi ancora verso la sorellastra. Aprì la bocca per
parlare, ma poi la richiuse lentamente. I suoi occhi erano apparentemente
tranquilli, ma segretamente riflettevano la rabbia annidatasi nelle iridi di
Tomoyo.
-Se non la
ami e non l’hai mai amata come dici tu, perché ti sei adirato tanto quando Rika
e Naoko sono venute a trovarci avantieri?-, chiese la ragazza ricomponendosi.
Per un attimo
un silenzio elettrico e rumoroso si stagliò fra i due. Poi Shaoran rispose
guardando la sorellastra negli occhi.
-L’hai detto
tu: orgoglio maschile. Non sopporto di essere stato lasciato da una cretina
qualsiasi. Non ha perso tempo a rimpiazzarmi, a quanto pare-.
La rabbia
lacerò la calma della mora.
-Smettila.
Smettila di insultarla e di perseguitarla. Basta. Ora e per sempre, basta-.
Nonostante l’ira parlò con fermezza misurata.
Shaoran posò
lentamente il cordless sul tavolo guardando la sua mano compiere quel gesto.
Sembravano ore, non secondi. Ma alla fine il telefono trovò un piano stabile.
-Forza,
dobbiamo andare a scuola e io devo imparare i miei soliti dieci ideogrammi
giornalieri. Maledetto cinese…-, disse la ragazza con disgusto.
Shaoran
annuì. Erano stati inseriti in due sezioni diverse, ma sullo stesso piano,
quindi si vedevano solo a pranzo. Be’, non nel vero senso della parola: durante
il pranzo Tomoyo stava tutto il tempo attaccata al cellulare parlando con Eriol.
La sua compagnia telefonica avrebbe dovuto ringraziarla, dato che metà dei
guadagni erano prodotti da lei.
-Oggi ho il
compito di letteratura inglese. Hemingway, mai sentito nominare. Quindi non
vengo, resto a casa-.
Tomoyo gli
indirizzò uno sguardo omicida (tradotto:
non-hai-nessun-senso-del-dovere-e-resterai-sempre-un-ragazzino-non-crescerai-mai-se-non-ti-prendi-le-tue-responsabilità.
Insomma, uno sguardo da mamma).
-Allora io
vado. Ci vediamo-. La mora salutò con la mano e si avviò verso la porta
d’ingresso.
L’aprì. Uscì.
Si voltò. La chiuse.
Era da solo.
Si avvicinò al tavolo e prese il telefono.
***
Yamazaki e
Chiharu per i miei diciotto anni mi regalarono il nuovo album di Avril Lavigne.
Era impacchettato così minuziosamente che mi sembrava un peccato scartarlo. Oh
mio Dio, a volte ritornavano i miei stupidi atteggiamenti da Sakura pre-crisi
depressiva. Della serie: “Chi non muore si rivede”.
La sveglia,
sempre la stessa da chissà quanti anni (mi stupivo di quanto una macchina fosse
molto più resistente di un cuore) segnava 00:17.
Accesi il
computer con un gesto secco. Non emise alcun rumore.
-Ma che
diavolo…-, borbottai.
Sbuffai
rumorosamente e chiamai Touya. Ok, forse sarebbe meglio dire che svegliai
Touya, il quale, dagli intrinsechi meandri dei suoi sogni (erotici con Yuki,
aggiungerei io, ma forse sarebbe meglio se Sakura non pensasse queste cose: già
sta messa male! Ndme) bofonchiò con voce assonnata:
-E Miss
Rompipalle è… Sakura Kinomoto! Congratulazioni, sorellina-.
Ma perché
erano tutti così maledettamente ironici da un po’ di tempo? Mi passò un
inizialmente folle, ma poi ragionevole pensiero: forse lo erano sempre stati e
io non me n’ero mai accorta. Possibile che fossi così preso da… da… da
Colui-che-non-deve-essere-nominato (a dire la verità lo nominavo e anche
parecchio, ma ovviamente accompagnavo il tutto con una dose abbondante di
epiteti e appellativi simpaticissimi…) da non accorgermi degli altri? Possibile
che mi avesse assorbita fino a questo punto? Non potevo più permetterglielo: da
quel momento sarebbe uscito in tutti i sensi dalla mia vita. Il suo ricordo non
mi feriva più. No, davvero. Mi provocava solo un’immane rabbia omicida, ma
niente di più. Bene, d’ora in poi niente Shaoran Li, basta.
-Ma che ci
fai LI’ sulla porta della mia stanza?-.
Grazie Touya,
tu sì che rendi tutto più facile. Rinunciai per il momento alla missione Kill
Shaoran (metaforicamente). Magari avrei potuto contattare Quentin Tarantino per
una coproduzione di una nuova trilogia. Immaginavo già il trailer…
Dopo Kill
Bill col Vetrìl, arriva Kill Shaoran con l’Autàn!
Lasciai
perdere e spiegai il problema a Touya.
Lui sbuffò ed
esclamò:
-Ma non sai
fare proprio niente… E poi, scusa, io domani dovrei svegliarmi alle 6, dato che
io lavoro, non come un’altra persona di mia conoscenza-.
-Io vado a
scuola, ricordi? Non ho tempo per lavorare-, risposi impettita.
-Anch’io
andavo a scuola quando ho cominciato a lavorare, e allora? Il problema è che
oggi i giovani sono tutti scansafatiche e…-.
-Sì, è
arrivato l’uomo di vita vissuta (ah ah ah, come Shaory, vero Lau? Ndme)!-, lo
interruppi ridacchiando.
-Andiamo a
vedere questo computer che non funziona…-, sospirò.
Lo
accompagnai nella mia camera mentre lui sbadigliava come un bradipo in letargo
(chissà se ci vanno davvero). Ad un certo punto notai che i suoi sbadigli
sembravano dicessero:
Shaaaaa-oooooo-raaaaan
“Pronto
manicomio? Vorrei prenotare una stanza singola, per favore”, pensai.
-Ecco, vedi?
Non funziona-, dichiarai premendo più volte il tasto per accendere il computer.
Touya si
chinò sul case e poi inclinò la testa a lato. Restò così per qualche attimo, poi
sussurrò come se stesse facendo un immenso sforzo nel pronunciare quelle parole:
-Allontanati
il più possibile da me perché potrei non rispondere delle mie azioni-.
Io restai
sgomenta, poi mi decisi a chiedergli di cosa stesse parlando.
Touya fece
una breve pausa e, sempre senza voltarsi, mormorò lentamente. Anzi, ringhiò:
-Hai diciotto
anni e…-, scoccò un’occhiata all’orologio, -… venticinque minuti e non riesci a
capire perché il computer non si accende quando… quando…-, respirò tremante,
-QUANDO LA SPINA E’ STACCATA!-.
A quell’urlo
seguì il mio silenzio. Dopo una ventina di secondi risposi:
-Oh…-. Non
sapeva cos’altro dire.
Mio fratello
uscì dalla stanza imprecando e sbattendo la porta.
Io mi strinsi
nelle spalle.
-Mah, tanto
chiasso per così poco… E poi è mezzanotte passata, cosa pretendi!-, sbraitai.
Alzai le
spalle e mi sedetti di fronte al monitor. Attesi che si caricasse e che si
accendesse completamente, poi mi connessi ad Internet e aprii una pagina.
Inizialmente
controllai le mail ricevute
Leggi mail:
0/138
Nessuna nuova
mail. Quelle 138 erano costituite da una conferma di registrazione ad una chat a
cui mi ero iscritta l’anno prima. In effetti mi ci ero iscritta, ma non l’avevo
mai provata. Primo obiettivo dei miei primi… ventotto minuti da completa
diciottenne: chattare. Ah, comunque le altre 137 mail erano le newsletter del
sito cuoriinfranti.it: raccontaci il tuo dolore, un cuore infranto è per sempre.
Bella
consolazione.
Scrissi nel
browser l’indirizzo della chat e completai il log-in con il mio nickname
(Sakura-anticina, non ero razzista, solo che odiavo un cinese e ne rimetteva un
altro miliardo e passa di suoi connazionali) e la mia password (shaoranliègay).
Ecco il mio profilo:
Nome: Sakura
Cognome:
Kinomoto, ma se mi chiamate Kino vi scuoio vivi
Nickname:
Sakura-anticina, evviva il sushi, abbasso gli
involtini primavera
Età: per ora
17, fra un anno 18, fra due anni 19, fra tre anni
20…
(ad infinitum)
Lingua: a
quanto pare ben funzionante, ma forse per i cinesini
le mie capacità sono sottovalutate. So anche toccarmi
la punta del naso con la lingua…
Amo: il nero,
il buio, l’oscurità, lo champagne, il sushi,
l’educazione fisica, la fine
Odio: la
Cina, i Cinesi, le Cinesi, le cose cinesi, gli alberi
cinesi, gli animali cinesi, le auto cinesi (N.B.: mai
comprare auto Dongfeng Motor), i pesci cinesi, le pietre
cinesi, le strade cinesi, i frullatori cinesi, i gatti cinesi…
(ad
infinitum)
Vorrei
essere: più fortunata, più selettiva, più innamorata
NON vorrei
essere: uhm… cinese
Città:
Depression Town
Stato:
Tristezzalandia, ma ho anche una villa in Disperaland
Ecco qui. A
dire il vero non lo ricordavo così tragico, ma in fondo aveva ragione. Però quel
nickname… non lo so, non mi piaceva più. Per la verità non mi piaceva più molto
quel profilo, ma non mi andava di riscrivere tutto, così decisi di cambiare solo
il nickname.
Problema:
come mi sarei chiamata?
Riflettei per
più di dieci minuti. Quando rinunciai le lancette della sveglia segnavano 00:42.
Sbirciai
sulla scrivania per trovare ispirazione e mi venne un’idea. Cercai fra i fogli
sparsi quel foglio e lo trovai quasi subito. La poesia.
La poesia che
avevo scritto qualche giorno dopo la scoperta, quella scoperta. La lessi.
Cos’è la
forza, se nel mio cuore la dolce neve
ha cominciato
a sciogliersi?
E se nelle
mie vene scorre acqua sporca?
Disperazione
dolorosa, desolazione drastica.
Ignominioso
incendio in un cuore annegato.
Polvere
echeggiante.
Come un
cruciverba lessi 1 verticale: C.H.E.D.I.P.E.
Ecco il mio
nickname, chedipe.
Raccoglieva
in sé tutta me stessa.
Sostituii il
nickname.
Vuoi salvare
le modifiche apportate? Sì/No
Sì.
Entrai nella
chat. Spiai l’angolo in basso a destra del monitor.
00:44
Bene, ecco il
nuovo capitolo. Per favore, fatemi sapere la vostra opinione! E’ davvero
importante per me.
Grazie a
Sakura182blast, FillyCicca483, Lan, Faffy (ah ah, sai che sto leggendo “It” di
Stephen King e ad un certo punto c’era scritta una frase in latino e alla fine…
indovina un po’? PLINIO! Visto quant’è famoso? Lo conoscono pure gli Americani!
E
bravo Plinio! :^D), manu, Dany92, enzasakura, e last but not the least (???)
Lau,
alias colei che è tornata, alias laukurata89, alias sono arrabbaita (hai scritto
così invece di arrabbiata! Non so perché mi fa ridere, forse perché mi ricorda
il nonno di Heidi! Sai, la baita…!!!), alias sempre io (quella arrabbiata),
alias laura in diretta, alias sempre io (oddio, finalmente ho finito!!!)(grazie
per le…88438838 recensioni! MI hanno fatto tanto piacere! Ah ah ah, per caso ti
è capitato di non riuscire a far funzionare il pc perché la spina non era
attaccata??? Ah ah ah!).
Grazie anche
a quelli che hanno solo letto, ovviamente!
Ovviamente vi
starete chiedendo: ma CHEDIPE (che, se non l’avete capito, si forma leggendo in
successione la prima lettera di ogni verso) da dove esce? Ah ah ah, è una storia
fantastica! Se volete scoprirla cliccate sul link riportato qui sotto e cercate
CHEDIPE nell’elenco!
Oltre a me e ad altri tre utenti non c’era nessun altro nella chat. Essa era
divisa in stanze: Amore, Sesso, Sport, Amicizia, Musica, Cinema, Libri,
Presentazione. Entrai proprio in quest’ultima, dato che era la prima volta
che navigavo su quel sito. Chissà perché c’era così poca gente? Be’, forse
perché il giorno seguente tutti sarebbero andati a scuola e quindi si sarebbero
dovuti svegliare presto, ma a me non interessava più di tanto.
Nella stanza che avevo scelto c’erano, come ho detto, tre utenti: Kuzotare16,
KingOfDemons666 e ^Chizuzo^.
Pensai rapidamente e poi scrissi:
Ciao, io sono Sakura
Cambiai subito idea: non ero Sakura in quel momento. Non avevo nulla in comune
coi fiori di ciliegio, tranne il fatto che, come loro, stavo appassendo.
Perciò cancellai Sakura e digitai:
Ciao, io sono Chedipe, ho 18 anni. Voi?
Mi
sembrava una presentazione alquanto scialba, ma se avessi continuato avrei
potuto scrivere di quanto fossi depressa e tutti sarebbero scappati a gambe
levate pensando: Probabilmente sono finita nella stanza Depressi, ho
sbagliato…
Così premetti invio e vidi il mio messaggio proiettarsi nello spazio apposito.
Ero
leggermente elettrizzata da ciò che stavo facendo: per me era la prima volta che
conoscevo qualcuno senza guardarlo in faccia ed ero impressionata da quanto
fossi diventata coraggiosa da quando l’avevo conosciuto. Non che navigare
in una chat fosse un’impresa così ardua ed estenuante, ma in quel periodo non
riuscivo proprio a legare con nessuno che non mi chiedesse se ci fosse qualcosa
che non andava. Come quella volta che uscii con Naoko e Rika e, con le migliori
intenzioni, non ne dubito, mi presentarono alcuni loro amici. Brutta esperienza.
In assoluto. I loro occhi sospettosi e commiserevoli che mi analizzavano
fermandosi sui miei occhi. Non ricordavo nemmeno uno dei loro nomi: appena me li
dissero me li dimenticai, così, all’istante. Poi uno di loro bisbigliò qualcosa
nell’orecchio del suo amico, il quale annuì e rise maliziosamente.
Sfortunatamente, e senza accorgermene io stessa, avevo letto il labiale.
Sembra uno zombie mummificato, ma su quella lì me lo farei un giro.
Non
ero arrabbiata come ci si aspetterebbe, ma triste e umiliata, tanto umiliata. La
vergogna mi costrinse ad abbassare la testa, lo sguardo e la dignità. Perché si
comportavano tutti così? Perché mi trattavano come una… una puttana? Ricordai
benissimo che quella parola mi aveva fatta rabbrividire e fu con quel brivido
che capii: non mi sarei dovuta più fidare di nessuno, mai più. Scoprii di
esserci riuscita, ma cominciai a non fidarmi nemmeno più di me stessa. Ero
perduta.
Così avevo detto a Naoko e a Rika, che avevano intenzione di entrare in un
negozio etnico, che ero allergica all’incenso (falsissimo, ne adoravo l’aroma) e
che le avrei aspettate fuori. Intanto i loro amici erano seduti su una panchina,
chi normalmente, chi sullo schienale, nella piazza di fronte al negozio. Li
avrei affrontati, quei due bastardi. Avrei detto loro che non potevano
permettersi di trattarmi a quel modo, che loro non erano niente, che erano solo
delle ombre schifose, che non avrebbero mai trovato nulla comportandosi così,
che alla fine sarebbero caduti e nessuno li avrebbe aiutati a rialzarsi;
insomma, che erano degli stronzi cronici.
Non
lo feci.
Li
guardai uno per uno e me ne andai verso casa, camminando mogia e sentendo ogni
parte del mio corpo scoppiare in lacrime, sfogare il proprio dolore.
Improvvisamente ricordai il nome di quello alto, il ragazzo con la voce
squillante che aveva bisbigliato quella frase al suo amico: Kori, ma tutti lo
chiamavano Coly, non so per quale motivo. Sentii la sua voce dietro di me in
quel maledettissimo e dannatissimo tono malizioso, scherzoso, ironico che
tanto odiavo:
-Ehi, bella, ti va di farmi una sega?-.
E
giù una cascata di risa da parte degli amici.
Bene, ora avrei dovuto girarmi, avviarmi verso di lui e dagli un bel calcio
nelle sue preziosissime palle, cosicché le dimensioni di quella cosa
sarebbero risultate così rimpicciolite che nemmeno la mano di Barbie avrebbe
potuto farci qualcosa.
Non
lo feci, ovvio.
Continuai a camminare con passo ancora più lento, come se temessi di svenire se
avessi camminato più velocemente.
Quando le risate non si erano ancora spente il mio simpaticissimo Coly aggiunse:
-Va
be’, se proprio vuoi ti posso anche pagare, ma voglio un’opera d’arte poi!-.
Ah
ah, divertente. Ero così divertita che per poco sarei caduta a terra tenendomi
la pancia per il gran ridere. Così divertita che mi venivano la lacrime agli
occhi. Così divertita e accecata dalle risa che per poco non venni
investita da un bambino in bicicletta. COSI’ MALEDETTAMENTE E DANNATAMENTE
DIVERTITA DA TIRARGLI UNA PIETRA ADDOSSO.
Vicino alla piazzetta c’era un cantiere con una montagna di pietre, più o meno
grandi. Senza pensarci ero arrivata fin lì, come se il mio corpo sapesse già
cosa fare, ma il mio cervello fosse arrivato in ritardo. Come se l’istinto
avesse superato ragione.
E
l’istinto superò la ragione.
(S)fortunatamente il sasso rimbalzò sulla panchina producendo un rumore sordo e
spezzandosi in due. Avevo visto il mio braccio, che prima era teso e poi flesso
per la pseudolapidazione, scendere muto e floscio lungo i fianchi.
Avrei potuto prendere qualche bambino, pensai con orrore verso me stessa.
Diavolo, però mi sento davvero meglio.
Ma
che dici? Avresti potuto uccidere qualcuno, te ne rendi conto?
Non
rompere, mamma.
Non
riuscivo a pensare a Tomoyo, non potevo farlo insultandola, perché era mia
madre. Anche se a volte la denigravo era solo per non destare stupore nella
gente, affinché non facessero domande inutili, tipo E Tomoyo? Non te la
prendi anche con lei? Sai che ha le sue colpe, grandi colpe. Non le volevo
bene, ma la rispettavo, sia perché era mia madre, in un certo senso, sia perché
mi aveva resa felice, anche se con una menzogna. Mi andava bene così.
Ma
lui no. Non si meritava alcun rispetto.
All’improvviso mi riscossi dai miei pensieri e notai che sullo schermo c’erano
dei messaggi:
Kuzotare16: ciao Chedipe! Io, come puoi vedere dal nick ^_^ sono Kuzotare, ma
puoi anche chiamarmi Tare. Ho 16 anni! Dove vivi?
KingOfDemons666: ehi ciao. Io sono KingOfDemons, ma il mio vero nome è Kevin e
vivo in Oregon, Usa, ma mia madre è giapponese e io ho 28 anni.
^Chizuzo^: ciao, sono Natsu, 13 anni, bisessuale, Hokkaido. Come sei?
Alzai un sopracciglio e mi resi conto che mi ero inspiegabilmente fissata sul
messaggio di Kuzotare16, che si faceva chiamare Tare. Quelli dell’aspirante
satanista e della Heidi cresciuta troppo in fretta e con un’amicizia troppo
stretta con Clara e Peter avevano trovato su di me una superficie impermeabile
ed erano scivolati via. Ma quello di Tare mi attirava, chissà perché.
Così le inviai un messaggio privato:
Ciao Tare, ti va di parlare un po’ con me?
Sembrava molto patetico, ma lo inviai ugualmente.
Lei
rispose quasi subito:
Certo! :-)
Così cominciammo a chattare.
Chedipe: dove vivi?
Kuzotare16: a Pechino, tu?
Cazzo. Con tutti i Giapponesi che ci sono mi doveva capitare la cinese…
Incredibile. Restai letteralmente a bocca aperta. Mi passai la mano sul viso
mormorando ripetutamente: “Oddio… oh mio Dio…” e mi maledissi per essere entrata
in quella chat. Ma perché ero così stupida?...
Ciò
che mi sconvolse di più, però, non fu il fatto che era cinese, anzi, fui proprio
io. Pensavo che sarei scoppiata a piangere istericamente e gridando: “Perché
tutte a me le disgrazie? Perché…?”, invece non feci nulla di anormale. Ad un
tratto un pensiero incoerente si insinuò nella mia mente: stavo guarendo.
Sorrisi a quell’idea e scoprii che non era così incoerente. Folle sì, ma non
incoerente.
Kuzotare: ehi? ^__^
Senza pensarci mossi le dita sulla tastiera fissando lo schermo, come rapita da
un dettaglio che mi sfuggiva.
Chedipe: scusa,
Avrei dovuto scrivere una bugia. Scusa, mio padre mi ha chiamata per una
commissione. Scusa, dovevo andare in bagno. Scusa, si era staccato il filo del
mouse e ho dovuto cercare il posto giusto dove inserirlo. Invece scrissi:
Chedipe: scusa, ma sono rimasta scioccata. Ho avuto una specie di rivelazione e
ho capito che sto guarendo.
Le
scrissi tutta la vicenda, non ce la facevo a tenerla nascosta. Una vocina nel
mio cervello mi intimava: Che stai facendo, razza di deficiente? Quella è una
sconosciuta e tu le racconti tutto. Certo che non hai nessun senso della
responsabilità e della discrezione, cara mia. Quando crescerai? E poi chi ti
dice che non è un pedofilo?
Ho
18 anni, so difendermi da sola e sono capace di intendere e di volere, quindi
chiudi il becco.
Ma
che cosa stai dicendo? Tu forse non riesci a capire che…
Come un demone molesto risucchiai quella voce premendo il tasto invio.
Mi
sentivo bene, meglio, anzi. Come quando avevo tirato quel sasso a Coly. No,
molto meglio, molto molto meglio.
Inspiegabilmente sperai che Tare mi abbandonasse, che mi mandasse a farmi
benedire e buonanotte. Invece no.
Kuzotare16: Chedipe, capisco benissimo come ti senti. Anch’io sono in una
situazione simile e ti giuro che sto davvero male. Cheddy (posso chiamarti
così??? Ok, la smetto di fare la stupida, scusa…). Mi dispiace che anche tu stia
passando un periodo difficile e ti posso assicurare per certo che ogni volta che
ti vorrai sfogare io sarò qui, sempre. Ci conosciamo praticamente da quindici
minuti e non ci siamo mai viste in faccia, ma l’amicizia ha i suoi tempi per
ognuno e i suoi modi di apparire. Non dubitare mai di me, io ti voglio bene,
Chedipe, (chiunque legga questi messaggi non mi prenda per lesbica per favore…)
e, be’, devi capire che non siamo tutti uguali. Io non sono Chi-sai-tu (non
intendo il nostro piccolo grande Voldy, ovviamente!), sono diversa e spero che
te ne renderai conto col passare del tempo. Sono mezza cinese (mio padre è di
Taiwan, mia madre di Ryukyu), ma non per questo sono come lui. Il tempo fa
miracoli, quindi te ne accorgerai presto ;) Spero che tu mi creda
Quelle parole erano così comuni, così banali, ma io ci credevo, per qualche
motivo a me sconosciuto. E ne fui finalmente felice. A dire il vero la sua…
ironia mi fece ridere. Strano, io odiavo l’ironia. E il sarcasmo.
Chedipe: grazie infinite Tare XD Ora vado a letto, buonanotte. A presto.
Ero
felicissima di averla conosciuta.
Mi
addormentai quasi beata. 01:09
***
-Da
quando ti interessa?-.
-Non sono affari tuoi. Rispondi-. Avrebbe voluto aggiungere qualche appellativo
“simpatico”, ma non gli sembrava il momento più adatto. Teneva in mano, anzi,
strangolava il cordless con insistenza maniacale, tanto che lo sentiva quasi
scricchiolare. Ma no, probabilmente era la sua immaginazione. Fatto sta che le
sue mani sudavano e due o tre volte rischiò di far cadere la cornetta tanto
erano umide. Non era ancora letteralmente infuriato, ma era in quella tiepida e
purgatorica stanza chiamata eccitazione. Sentiva ogni parte del suo corpo
tendersi sotto i vestiti momentaneamente leggeri di aprile. Quel lunatico,
giocoso, pagliaccesco aprile. Improvvisamente gli venne in mente Pennywise il
Clown, il versatile e multiforme pagliaccio che il Club dei Perdenti affrontava
in “It”*. Chissà, forse quell’aprile sarebbe stato una vera e propria
distruzione, emotivamente parlando, come Stephen King aveva immaginato.
Ridacchiò a questa insinuazione e ritornò alla sua comunicazione.
-Io
e Sakura non stiamo insieme-, ammise con malcelata svogliatezza Yamazaki.
-Mmh. E allora perché l’uccellino mi ha detto che tu e la castana
sembrate avere una grande, oh, grandissima complicità?-, chiese Shaoran fra
l’impertinente e l’ironico sull’orlo della rabbia.
-Probabilmente il tuo uccellino non ha visto giusto. E comunque sia
gli uccellini non s’interessano degli affari altrui-.
-Il
mio uccellino è addomesticato, non dimenticarlo mai, Yamazaki-. Rise
enigmatico e continuò: -E comunque iomi gestisco i miei uccellini
e tu gestisci il tuo, di uccellino. Non vorrei che il tuo passerotto
incontri per caso la passerotta della nostra cara castana, altrimenti la tua
passerottina Chiharu ti beccherà (bella questa, ah ah) e tu non vuoi che
succeda, vero?—Il suo tono ora era minaccioso.
-Non siete più fidanzati, a quanto pare-.
-Ma
tu sì-.
A
quell’affermazione Yamazaki si zittì all’istante. La conversazione si stava
facendo pesante e Shaoran ci godeva, oh se ci godeva.
-Senti, a me Sakura non piace, davvero. Non mi è mai piaciuta in quel senso-.
-Non ti deve piacere in nessun senso, sushiman-, lo interruppe il cinese. Ora
sentiva come sottofondo il solito ronzio delle chiamate internazionali, chiaro e
vibrante. Non ci aveva fatto caso prima.
-Mi
vuoi dire chi ti ha detto che stiamo insieme?-. chiese ad un tratto Yamazaki.
-Sarò uno stronzo, un bastardo, tutto quello che vuoi, ma non sono un
traditore-, sbottò.
-Ma
certo, non sei un traditore!-. L’esclamazione suonò come un grido di trionfo. Di
vittoria. Poi continuò: -Certo che no, sei solo stato un anno e mezzo con una
ragazza che nemmeno amavi. Bella sorellastra che hai, non ha neanche difeso la
sua migliore amica…-.
No.
Non poteva dire quelle cose su sua sorella. Il fatto che avevano sbagliato era
già pienamente assodato, ma, a dispetto di tutto ciò che aveva detto a Tomoyo,
lui sentiva una colpa ancora maggiore e peggiore. E’ come quando ci si
lamenta dei propri genitori, ma abbiamo solo noi il diritto di farlo; se qualcun
altro li critica subito andiamo su tutte le furie. Era la stessa cosa.
-Senti, lurido pezzo di merda, non farmi incazzare se no vengo in Giappone
seduta stante e ti ficco quella testa di cazzo che hai in quel posto che sai tu
e te le faccio uscire dall’ombelico, intesi?-, ruggì.
-…-
Seguì un silenzio intriso di sgomento da una parte e soddisfazione dall’altra.
-Ora ascoltami: togli le tue schifose mani dalla castana e vai a farti fottere,
compriendido?-,
-Siamo solo amici. Va bene-. Yamazaki si rese conto saggiamente che era ora di
fare marcia indietro con Sakura. Certo, per lui era solo un’amica a cui
concedeva un po’ di “sollievo”, ma Shaoran aveva ragione: se Chiharu l’avesse
scoperto sarebbero stati guai. Perché lui l’amava.
-Ah, e un’ultima cosa: azzardati a parlar di nuovo male di mia sorella e…-
-Ero arrabbiato e alterato, non lo pensavo sinceramente, scusa-, lo interruppe
precedendo un altro mare di minacce pressocchè infondate.
-Ok-, rispose fugacemente. Gli sembrava di essere un mafioso. L’idea lo fece
sorridere.
-La
stai facendo soffrire molto-.
Perché usava il presente? Shaoran non se ne accorse subito, ma quando lo fece
dentro di lui si solidificò una certa inspiegabile soddisfazione.
-E’
il mio lavoro-. E in effetti ci guadagnava molto.
-Allora… ciao. E non preoccuparti, io amo Chiharu-.
-Ci
conto-. Spinse il tasto rosso.
Yamazaki sospirò.
La
farà soffrire ancora di più, non se ne rende conto?, pensò.
Shaoran sospirò.
E
anche questa è fatta, ora devo alla pros…
***
Bene, finito anche il 23esimo. Come si vede la storia di Shaoran è ambientata
temporalmente dopo quella che sta vivendo Sakura. Be’, la differenza è di poche
ore, a dire il vero, ma ora si ristabilizzerà.
Cosa ne pensate della piega che sta prendendo la storia? E cos’è che ha
interrotto i pensieri di Shaoran? Fate ipotesi, se volete! Mi piacerebbe davvero
entrare nelle vostre fantasie (sulla fanfic, si capisce…)! Ora passo ai
ringraziamenti:
Dany92:
oddio, grazie per i complimenti! Mi fa piacere che pensi questo del mio stile,
grazie infinite! Spero di aver soddisfatto la tua curiosità :)
Manu:
ah ah ah, grazie! Sinceramente le parti comiche non sono proprio quelle che mi
vengono meglio (se c’è davvero qualcosa che mi viene meglio…). Diciamo che sono
più tipo da storia maniaco-depressiva, ma non importa! Sono felice che ti
piaccia ^^ a presto!
Sakura182blast: se Sakura invece di Kerochan avesse a disposizione il Mignolo col
Prof (hai presente? E’ un cartone in cui ci sono due topi, di cui un genio che
sembra il signor Burns che vuole conquistare il mondo e uno stupido fino
all’esasperazione) conquisterebbe la Cina e saccheggerebbe tutto… Poveri Cinesi…
sigh… (oh, ti riprendi??? NdSakura182blast)..ehm, sì, ci sono! A presto ^^
Sasetta:
grazie! Sai che la tua è stata la 200esima recensione? GRAZIE! Fammi sapere per
il capitolo, ciao ciao!
Laukurata89(che fantasia… scherzo!): ciao triangolo puffoidale! (cominciamo con
le cavolate? Ndte con una bacchetta in mano e l’aria da prof(nooo, sono Harry
Potter, guarda!))… Inizio col dire che in questo capitolo Sakura è modellata(e
cos’è, un vestito???) più su di me che su di te(e che siamo, manichini???),
perché innanzi tutto se fosse… ehm… non mi viene la parola, devo dire per forza
modellata… va be’, se fosse… ah, ispirata! Se fosse ispirata a te io dovrei
essere Kuzotare, ma fra me e quella ragazza dal nome ambiguo(dopo ti dico che
significa) ci sono molte differenze: 1) lei è saggia!io no… e forse è meglio
così!; 2) mi vergognerei non so quanto a dirti che ti voglio bene; 3) io non
vivo a Pechino! (e questo si era capito… Ndte)… Va be’, non si sa mai! Comunque
l’odio di Sakura per i Cinesi per caso ti ha fatto ricordare qualcosa? Se non
hai capito te lo dico io: ti piace il ’91, vero??? Ah ah ah! Come io (di questo
sono più che sicura) sono un’eccezione alla regola “Quelle del ’91 sono tutte
puttane”, Kuzotare è un’eccezione a “I Cinesi (cose, persone e animali) sono
tutti bastardi”. Ah ah ah! Va be’, lasciamo stare! Spero che recensirai questo
capitolo (almeno che non ti sia venuto un infarto leggendo, ma dato che non ti è
venuta dovrai recensire per forza, ah ah! Scherzo…), ciao ciao piccolo
pasticcino con crème brulé! P.S.: Kuzotare significa vaff…!!!!!!!
Enzasakura:
eh eh, mistero! Non posso dirti se torneranno insieme, ma… be’...
probabilmente si incontreranno , ma non dirlo a
nessuno!!! Ciao ciao!
PIajoe22:
ciao! Non preoccuparti, ormai ho imparato la lezione: aggiornare entro due
settimane, per forza! Quindi non preoccuparti! Sai che da piccola adoravo il
sapientino??? Solo che ora invece di parlare emette suoni sconnessi… Chissà,
probabilmente è posseduto dal diavolo!!! Va be’, lascia stare… ciao ciao, spero
di sentirti presto! :)
Faffologa!:
ciao Faffologa mia adorata!... Sono ancora temporaneamente innamorata di te per
Nereide… Ti amoooooo! Ok, la smetto! Salutami Luther-licantropo! Io sono ancora
dell’idea che sarebbe carino se fosse tutto peloso (e lo sono, bella, lo sono…
NdLuthy con un ghigno)… aiuto! Ciao ciao puffana! Manda una S a Willy! La
seconda…
Zoa:
ciao Francy, sono Francy! Ah ah ah! (la smetti con questo fatto??? Ndte)… ok!
Grazie tante per i complimenti, sono onorata *me inchinata* e spero di
rimettermi subito in pari con la tua fanfic! A proposito, ho letto quella
song-fic: stupenda! Dopo se ci riesco te la recensisco! A presto!
Aprile…
Chissà perché quel mese si chiamava così. Forse perché “apre” definitivamente le
porte alla primavera. Chi lo sa. Oppure perché riesce ad far divaricare le
grandi barriere della mente, insormontabili, ma non per questo insostenibili.
Tutto scaturiva dall’apertura della mente, niente rischiava di cadere
rovinosamente a pezzi. Aprile era il mese perfetto per le scelte. Magari proprio
in questo mese si acquistavano più case, si accendevano più mutui, si
comperavano automobili. Era aprile, no? Marzo era il mese della follia,
dell’umore, della luna, della fatalità, del “carpe diem”, insomma. Sì, cogli
l’attimo. Niente male come frase, e bravo Orazio. Lui sì che ci sapeva fare.
Uomo saggio, senza dubbio. Tornando a marzo, questo era un mese transitorio: non
preoccuparti dei rischi, dei pericoli, della paura, fai quello che ritieni
giusto. E se pensi che non esista giustizia, fai solo quello che vuoi. E se
credi che non esista volontà, non temere: è tutto uno scherzo, una frivola
barzelletta, una leziosa donzella che corre sotto la pioggia, che non obbedisce
a nessuno, nemmeno a sé stessa: fa quello che crede, anche se contemporaneamente
non crede. Confuso? Dovresti esserlo. Illuminato? Può darsi, ma non darci
peso: è tutto un gioco. La vita è un gioco, non dimenticarlo. Alla fine può
perdere chiunque, ma non importa: è un gioco.
Febbraio era
un mese triste, a suo modo: l’ultima goccia di consapevolezza evapora in un
alito di vento, il palloncino emette l’ultimo soffio prima di afflosciarsi
esanime, la palla gira per l’ultima volta, lenta… lenta… lenta, prima di
fermarsi statica e melanconica. Stava per finire tutto e questa consapevolezza
rendeva tutto più grande e bello, ma in un modo evanescentemente mesto.
Shaoran nel
suo calendario mentale si trovava ormai a marzo. Pazzo pazzo marzo, pazzo pazzo
Shaoran.
Sollevò il
coperchio della pentola poggiata sul forno lievemente incrostato. Da quanto
tempo sua madre non gli faceva visita? Di solito veniva ogni sabato a casa di
Shaoran e Tomoyo per pulire un po’, dato che entrambi i ragazzi non avevano
molto tempo, fra lo studio, i rimpianti e i ricordi. Ed era sempre la stessa
storia, completa e infinita. Sua madre voleva che lui e Tomoyo andassero a
vivere con lei, ma perché? Avevano diciotto anni, dopotutto, riuscivano
perfettamente a badare a sé stessi. Oppure temeva un rapporto pressocchè
incestuoso fra i due? Ma per favore… Probabilmente era rimasta scioccata da
“Cruel intentions”. Sì, probabile.
Dalla pentola
fuoriuscì una consistente e chiaroscura folata di fumo.
-Dannazione…-, farfugliò con la bocca impastata, come succede quando ci si è
appena svegliati o non si è parlato per un lungo lasso di tempo.
Poi si rese
conto di ciò che aveva detto e sorrise quasi amaramente: in una situazione del
genere avrebbe benissimo detto: “Porca troia!” o chissà cos’altro. E invece no.
Improvvisamente si ricordò di tutti i tentativi di persuasione attuati con
Sakura per farle dire una parolaccia. Il risultato migliore che aveva ottenuto
era “Porca paletta”. Chissà se ora diceva parolacce. E se sì, chissà a chi le
indirizzava.
Indovina? A
te, razza di imbecille.
Non avrebbe
mai creduto possibile una cosa del genere. Lei lo odiava? Era questo
l’interrogativo che lo assillava giorno e notte senza saperne il motivo e
l’origine. E poi a lui cosa importava dell’opinione di una ragazzina, una
stupida ragazzina ingenua…? Ingenua, sì… Sentì il velluto dei pantaloni
tendersi, ma cercò di indirizzare il suo sguardo, la sua attenzione e le sue
mani al pasto che stava preparando. Cercò.
…Sì, così
ingenua che gli veniva voglia di violentarla, di farle male… Era così felice,
serena… Troppo felice, serena. Sentiva che quello era il suo compito:
farle male, fisicamente e psicologicamente; ma se davvero era così, allora ci
stava riuscendo alla perfezione. Sentiva l’adrenalina e il sangue salirgli al
cervello fino a fargli girare la testa. Voleva averla, subito.
Non puoi, mio
caro. E sai qual è il bello? Eh, lo sai? E’ che è tutta colpa tua: hai rovinato
tutto, sei solo uno stupido.
Sul serio.
Sì, ci credeva, ma non poteva fare a meno di assaporare quella fantasia (quel
sogno) proibita (anelato) di possederla (di amarla) comunque,
dovunque, ma subito, ora, adesso… Non importava dove e come, l’importante era
che ci fosse lei. E non importava nemmeno se lei volesse: lui e lei, basta. La
volontà di lui, ma non la volontà di lei. Il piacere di lui, ma non il piacere
di lei. E andava bene così: perfetto.
Mentre si
lasciava andare a quei lascivi pensieri non si accorse di sudare, tremare,
dell’aumento della salivazione in bocca, del fremito che lo colse quando venne
sussultando.
Si riscosse
rapidamente in un torpore innaturale, senza imbarazzo, e ripensò a ciò che
l’aveva colto di sorpresa dopo la telefonata tanto da ridestarlo dai suoi
pensieri. Una cretinata, ma l’aveva fatto ridere. Quel ragazzo aveva fatto
strada, no? Su Mtv… Aaren, bel nome d’arte si era scelto. Come si chiamava il
suo gruppo? Ah, sì: Swords’n’Senses. Bel nome, molto… sibilante.
Quando aveva
scorto sullo schermo della televisione il viso magro di quel ragazzo,
incorniciato da riccioli biondi, stringendo in mano un microfono nero e
argentato, lo riconobbe subito: quella specie di Nostradamus del ventunesimo
secolo, Franz.
Aveva riso
tanto, ma poi si era accorto che aveva bisogno di parlargli. Perché? Chi lo sa.
Come poteva? Altrettanto ignoto. Alla fine del video di una ballata gotica
(s’intitolava “Lonely fairytale’s witch”) una voce maschile e squillante aveva
annunciato: Per tutti i fan degli Swords’n’Senses una magnifica sorpresa!
Sabato 4 aprile la rock band tedesca che spacca si esibirà in un concerto al
Disneyland di Hong Kong! Non mancate, i biglietti saranno reperibili su Internet
sul sito…
Aveva preso
nota del sito e cominciato a cucinare. Ed eccolo lì a pensare a Sakura (pensare
era un eufemismo) per l’ennesima volta, senza controllo, senza repulsione,
ma con tanta rabbia per un qualcosa di innominabile e innominato, qualcosa che
Shaoran aveva lasciato dietro di sé da tanto tempo, ma che fidatamente l’aveva
seguito ed era cresciuta con lui nutrendosi dei suoi ricordi sfuggenti e
pieni: la nostalgia. Νόστος + Άλγος: “Dolore del ritorno”. O meglio, dolore
per il ritorno; tristezza e mestizia, sì, non l’avevano mai colpito dopo la
morte di Jasmine e si sentiva debole. Lui doveva farle male, ma
indirettamente era lei che lo angustiava e angosciava. Non lo sopportava e non
l’avrebbe fatto a lungo. Perché nostalgia? Cosa gli mancava? Aveva tutto: una
bella casa, una quantità di denaro che farebbe invidia anche ad un quarantenne
in carriera, una famiglia accettabile… Non vedeva suo padre da quando era
partito per il Giappone dato che era in Mongolia per scattare le foto che
avrebbe pubblicato nel suo nuovo libro di fotografia, ma non sentiva molto la
sua mancanza, ci era abituato, in un certo senso: aveva trascorso metà della sua
vita in giro per il mondo. Inoltre a scuola c’erano molte ragazze praticamente
innamorate di lui, in particolare Xian Hu. Quindi cosa gli mancava? Nulla.
Sì, nulla.
Prese in mano
il cordless, ma poi lo posò di nuovo sul tavolo. Lo riprese, lo riposò. Lo
strinse ancora una volta nelle mani e si rese conto solo dopo di ciò che stava
facendo.
Questo
capitolo è abbastanza breve perché, come avete visto, è più riflessivo che
narrativo. Ho deciso di viaggiare nella (schifosissimaidiotastupidaimbecille)
testa di Shaoran per farvi un po’ capire le sue intenzioni. Se Sakura è
disperata lui non è di certo rose e fiori…
Franz
cantante è un’idea davvero deficiente, mi è venuta così perché volevo una bella
conversazione fra Nostradamus e Testa-di-…rapa. Insomma, è una cretinata!!!
Ringrazio
tutti coloro che hanno recensito, ossia:
Manu, Dany92, Enzasakura, Zoa, Sakura182blast, panna con ricotta
(…),
Piajoe22, Faffy!
Grazie
infinite per le recensioni, ma grazie anche a chi ha letto solamente (sta
diventando una specie di filastrocca…)!
-Come fa a
non riconoscermi! Sono la signora in giallo, la madre di
Konan-superdetectivecongliocchiali, la moglie di Sherlock Holmes, la cognata del
fratello deila consuocera del prozio del marito della cugina di secondo grado di
Ellery Queen, perbacco e pofferbacco!-.
-Scusi
signora, ma io non la conosco proprio. Comunque sia perché ha chiamato?-.
Shaoran tossì
più volte: riprodurre la voce della signora in giallo non era un gioco da
ragazzi, ma era fondamentale per il suo piano (E cosa facciamo domani sera?
Cerchiamo di conquistare il mondo? NdMignolo)(eh eh… no, Mignolo…!!! NdProf con
la bava… Oddio, forse è meglio se lo cancello questo pezzo!!!). Non sarebbe
stato semplice contattare il leader di un gruppetto di ragazzini amati da
milioni di poppanti sbavanti, ma un modo c’era.
-Ehm… Ho
chiamato per parlare con Franz. Devo svolgere delle indagini per l’FBI sul
terrorismo e i kamikaze…-.
-E che
c’entra Franz, scusi?-.
Certo che il
suo manager era davvero una scocciatura, ma Shaoran sapeva bene come
lavorarselo.
-Oh,
giovincello, le devo confessare che la mia nipotina Samantha (con l’acca, sia
ben chiaro) vorrebbe un’autografo di Franz sul suo bel sederino! Sapesse quant’è
carino, quando era piccola ero sempre io a cambiarle i pannolini, ma ora ha… 16
anni e se li cambia da sola. Non che porti ancora i pannolini, sia ben chiaro,
giovanotto! Oh oh oh!-. Terminò di parlare e aspettò una risposta dal manager
degli Swords’n’Senses.
-Quindi la
sua nipotina è una bella fi… ehm, cioè, è graziosa?-, rispose con voce malferma
l’uomo che dalla voce dimostrava una trentina d’anni.
-Perdindirindina, giovine, bella e disponibile! Sono io che le organizzo gli
appuntamenti! Allora se io le cedo la mia nipotinainainaucciola ciccina carina
puccina lei può passarmi Franz al telefono?-.
-Certo
signora, ora glielo passo. Dica alla sua gn…, ehm, nipotina di farsi trovare
alle otto davanti ai cancelli del Disneyland, va bene? Grazie!-. Il manager
dallo scarso autocontrollo lessicale sembrava seriamente contento e questo
soddisfece Shaoran, il quale si schiarì una decina di volte la voce per
ritornare sé stesso.
Il suo piano
era quello di adulare il manager di Franz per far sì che Franz potesse parlare
con lui e c’era riuscito brillantemente.
Fissò
attentamente il sole di mezzogiorno che spuntava da un grattacielo lontano,
brillante, acerbo, sempreverde. All’improvviso un ricordo subitaneo gli squarciò
i pensieri: la pelle pallida di Sakura quella volta che avevano fatto una gita
al mare. Il suo costume pudico e le sue guance rosse… I capelli stretti in una
coda di cavallo con un elastico verde, quel verde perlato dei suoi occhi, la
pupilla oscura come un buco nero in cui si può entrare, ma se ne rimane
prigionieri per sempre.
Ricacciò
velocemente quei pensieri nel suo inconscio.
Ma
l’inconscio conserva, nostro malgrado. Perché pensava a quelle cose? Quelle
fottutissime cose da poppante, quello schifo di confuso ed indefinito senso di
malinconia, come quando si beve una bottiglia di vodka e quando si è a letto si
grida, si soffoca, si affoga… con la disperazione del grigio, il ritratto di una
lettera di frustrazione.
Distolse lo
sguardo dal sole, un po’ per l’accecante riflesso che gli provocava nella mente
(Left
broken empty in despair
Wanna breath can't find air
Thought you were sent from up above
But you and me never had love
So much more I have to say
Help me find a way
To be left outside alone, Anastacia)
un po’
perchè dalla cornetta proveniva una voce che sembrava esclamasse “Pronto?”,
quindi rispose.
-Ciao
Franz, ti ricordi di me?-.
-Oh, lo
sapevo: Shaoran Li…-, rispose esasperato Franz.
-Cioè, è
da quattro anni che non ci sentiamo e mi accogli con cotanta freddezza???
Comunque bentornato dall’MTV Music Awards, Franz… Hitler? Come ti chiami?-,
domandò tutto d’un fiato il cinese, riprendendosi.
-Il mio
nome completo sarebbe Franz Boku No Chinbo Shaburè, ma puoi chiamarmi anche
Fra’-, elencò, e poi aggiunse: -Con che arguto stratagemma sei riuscito a
realizzare il più grande sogno di milioni e milioni di ragazzine pseudo-ormoni
viventi?-.
-Non
montarti troppo la testa, amico. Comunque mi sono finto Jessica Fletcher-.
-Chi?-,
chiese il biondo con voce perplessa.
-Possibile che non la conosca nessuno? Ma cosa vedete il martedì sera tutti
quanti?-, esclamò sconcertato il moro aggirandosi per la casa con il cordless
nella mano sinistra, scrivendo un messaggio con la destra: Ciao Xian Hu,
senti, ti ho organizzato un appuntamento con un esperto di musica a cui ho
parlato molto di te e che vuole sentirti cantare per farti diventare famosa.
Alle otto davanti ai cancelli del Disneyland. Mi raccomando, fai tutto quello
che ti dice. Tutto. P.S.: fingi di chiamarti Samantha, ok? Ciao bella. In
fondo quel povero manager si aspettava una “nipotina” da spupazzarsi, chi altro
avrebbe accettato a parte la ragazza che venerava Shaoran tanto da poter fare
tutto ciò che le ordinava? E poi Xian una volta in una delle miriadi di lettere
d’amore che gli inviava (e che lui gettava prontamente via) gli aveva confessato
che il suo sogno (a parte quello di vivere con Shaoran in una casetta con
fiorellini, decine di bambini e magari anche candelabri che si muovono e
parlano, topolini che aiutano nei servizi e un burattino che va a scuola) era
quello di diventare cantante. Bene, l’avrebbe colpita nel suo punto debole.
Tanto Xian sarebbe stata disposta a perdere anche la sua innocenza per lui. Beh,
lei avrebbe voluto perderla con lui, ma a lui l’idea dispiaceva
enormemente (a suo parere Xian era una di quelle che “non si filano nemmeno di
striscio”. Come dire, il rischio di spingere un passeggino ospitante un nanetto
sbrodolante non lo allettava minimamente).
Quella
sera, mentre Shaoran avrebbe ballato in una sala enorme e psichedelica durante
la festa dai risvolti tragici organizzata dagli Sword’n’Senses, Xian si sarebbe
trovata nuda fra braccia fredde e lenzuola umide, priva della sua innocenza,
persa in suo nome.
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Appena
entrai in classe mi sedetti sulla mia sedia di legno retta da uno scheletro
metallico e appoggiai la testa sul banco. Forse tutto quello champagne, forse
l’ora in cui ero andata a dormire, qualsiasi cosa fosse mi faceva sentire
oppressa e intorpidita.
Tre anni
prima Terada mi aveva costretta a sedermi al primo banco. Che orrore. E poi per
un motivo stupido: “La finestra ti farà male, Kinomoto”, così aveva giustificato
la sua scelta. Ridicolo.
(Non
capivo ancora quanto avesse ragione)
Ad ogni
modo, Terada aveva annunciato che agli inizi di aprile sarebbe stato trasferito
a Nagoro, quindi a breve sarebbero arrivati dei nuovi professori. La nuova
riforma non permetteva la presenza di un solo professore per tutte le materie,
quindi avremmo avuto cinque o sei insegnanti nuovi. Ciò non mi dispiaceva più di
tanto, anzi: Terada sapeva troppo di me e questo non mi piaceva affatto. Ma
perché i professori non si fermavano solo ai voti? Perché avevano la mania di
fare gli psicologi comprensivi e facevano quei discorsi da
con-me-puoi-sfogarti-quando-vuoi-sono-tuo-amico, ma quando ti giustifichi per
non aver fatto i compiti ti guardano con superiorità reprensiva e scuotono la
testa? Come se fossero saggi, come se capissero qualcosa di tutto. “Che ci vuoi
fare, è l’adolescenza… Passerà tutto… Non è nulla di grave… Anch’io alla tua età
avevo di questi problemi”. Cercai di immaginare il professor Terada da
adolescente stile Shaoran e scoppiai a ridere, amaramente, mestamente.
Avevo
pensato che l’”amicizia” con Yamazaki mi avrebbe aiutata. Sinceramente non
sapevo nemmeno perché mi comportassi così… Perché tentavo Yamazaki? Perché
volevo che tradisse Chiharu? Oddio, Chiharu mi era pur sempre simpatica, era una
mia amica. Va bene, non ci parlavamo da tanto, ma non mi interessava poi molto.
Non parlavo con nessuno di solito. Solo da un mesetto mi ero avvicinata a
Yamazaki, ma era successo così casualmente che al nostro primo bacio mi sembrava
solo un sogno, tutto, solo un sogno. Era stato dolce… Dolce quanto può essere un
tradimento, ovviamente, ma in quel momento non ci pensavamo. Parlo por me,
s’intende, ma posso dedurre che neanche lui pensava alla sua Chiharu. In fondo
quella di Yamazaki era una personalità affatto complessa, facile da
interpretare: amava Chiharu, o meglio, l’aveva amata, ma il legame che li univa
soffocava ogni suo ripensamento e ogni sua atto reazionario. In un linguaggio
più semplice, Chiharu era la corda che legava Yamazaki all’albero della nave per
far sì che non cadesse nella tentazione del canto della sirena, il mio; ma non
si accorgeva che stringendolo troppo Yamazaki si affievoliva, mentre il suo
desiderio per la sirena cresceva senza sosta. Ma la sirena cosa faceva nel
frattempo? Seduceva, persuadeva, cospargeva il corpo della sua pena di angeliche
piume nere, esalando respiri celesti e fatali, tesseva la sua melodia su una
tela di lame.
Tuttavia
non volevo essere la causa di un altro caos, non mi piaceva stare al centro
dell’attenzione, almeno nel senso negativo dell’espressione. Presi goffamente un
foglio dalla cartella e cominciai a scrivere:
Perché voglio
fare questo a Yamazaki? Anzi, perché sono così attaccata a lui?
a)sono così malefica da seminare zizzania come se fossero patate;
b)segreto professionale;
c)voglio essere al centro dell’attenzione, mio malgrado, voglio essere
amata di nuovo. Non mi piace l’indifferenza.
Non mi
rendevo nemmeno conto di aver pensato una cosa e di averne scritta un’altra.
D’altro canto ero consapevole di avere più facce, come tutti d’altronde. Ognune
è il contrario di sé stesso.
In quel
preciso istante suonò la campanella e di scatto accartocciai il foglio
nascondendolo sotto il banco.
-Ciao
Sakura, che facevi qui? Eravamo tutti nel cortile e di solito arrivi in
ritardo-.
Be’,
forse Naoko per “di solito” intendeva tre anni fa.
-Eh…
Stavo… stavo facendo una barchetta di carta! Sì sì-. Sorrisi convincente, non
troppo forse.
-Se lo
dici tu…-, rispose Naoko. In quel momento entrarono tutti gli altri.
Io mi
trovavo davanti alla lavagna e da un lato avevo il muro con la porta e
dall’altro (indovinate un po’?) Yamazaki. Stessa disposizione da tre anni,
stesse mosche spiaccicate sul muro accanto al mio banco, stesse incisioni sul
legno della sedia, stesso soffocamento ogni volta che qualcuno usava la lavagna
e invece di posare il cancellino sull’apposito ripiano lo riponeva sul mio
banco. Mi faceva venire la nausea…
Fortunatamente però c’era Yamazaki che rallegrava un po’ l’atmosfera, per quanto
possa essere rallegrante impalare mosche con la punta del compasso, s’intende.
Ero
immersa nelle mie riflessioni sull’eventuale riproduzione delle mosche quando
Yamazaki mi parlò:
-Ehm…
Ciao Sakura. Senti, ti dovrei parlare-.
Girai di
poco la testa fissandolo.
-Dunque?
Tu e sincempomply vi siete lasciati?-, domandai con aria impertinente. Sapevo
che a stento mi sopportava, quindi peggio di così non potevo fare. D’altronde
ero solo una sirena.
-Shhh!
Zitta, te lo dico dopo-, tagliò corto lui leggermente irritato.
Magari
si erano lasciati veramente, non era da escludere. Odisseo non resisteva più.
Il canto della sirena lo angustiava sensualmente… lievemente, come capelli al
vento, i suoi capelli. Le corde si spezzarono e finalmente egli fu libero.
Raggiunse la sirena e cadde nell’oblio della morte nello stesso momento in cui
la mano della creatura indugiò sulla sua pelle, sfiorando le sue labbra. La
sirena non poteva amare, solo distruggere. Il bacio della morte, poi un altro
ancora. Il dolce cadavere di Odisseo giaceva accanto a lei, esanime, esangue,
amaro, amato.
Perché
non cadere nella tentazione? In fondo ero solo un meraviglioso (sinistro)
demone, un libidinoso (distruttivo) miraggio, una lussuriosa (orrenda)
menzogna. Niente di più.
Accolsi
la sua risposta con un’alzata di spalle e in quel momento entrò la
professoressa.
*Cinque
minuti dopo*
-Ragazzi, immaginate che io tengo un paralelopoido e che io devo misurare la
lungaggine del lato AB…-.
Capelli
bianchi/grigi/neri/rosa (può una professoressa di matematica sessantenne avere
le extension rosa?), baffi alla francese (un’estetista no? Conosci questa
parola?), una bocca che assomigliava tanto ad un aspirapolvere pieno d’acqua
usato al contrario (avevo perso il conto di quante volte mi avesse sputato
nell’occhio mentre parlava a due metri di distanza da me. Sia maledetto il primo
banco di fronte alla lavagna), un giapponese con i fiocchi (lungaggine??? Ma che
parola è?), la professoressa Kina Karabu era, come si può notare, la nostra
sgrammaticata professoressa di matematica. Riuscii ad ascoltare fino alla frase
sul “paralelopoido”, poi non ce la feci più e mi accinsi a fissare ipnotizzata
la sua ciccia che sballonzolava in ogni modo possibile e immaginabile,
ritrovandomi a pensare che anch’io ero ingrassata abbastanza nei tre anni
precedenti. Tutti i pantaloni non salivano più su delle ginocchia, ma la cosa
non mi aveva mai preoccupata più di tanto. Se qualcuno mi avesse mai amata, lo
avrebbe fatto per quello che ero, in tutti i sensi.
-Signorina Kinokoshin, mi vuolerebbe risolvere questa equazzzzione?-. E via una
cascata di saliva che mi risvegliò dalla mia trance.
-Scusi,
mi chiamo Kinomoto, capito? K-I-N-O-M-O-T-O, avete presente?-, risposi
impertinente.
-Mi
risolga questa eq…-.
-Sì sì,
ho capito. Ehm, allora…-. Dieci minuti dopo, quando erano ancora tutti in
silenzio aspettando la mia risposta, io esclamai:
-Io… io
non so leggere, professoressa. E vorrei che lei non ne parlasse davanti a
tutti-. Finsi di piangere con una spudoratezza a me estranea.
-Signorina Kinokono, non mi prendia in giro, debba essere chiaro! Io esigghio
che…-.
Andò
avanti fino al suono della campanella dell’intervallo.
Mi alzai
sospirante dalla sedia e mi avviai verso la finestra della classe, come facevo
sempre, ma Yamazaki mi prese inaspettatamente per il gomito e mi trascinò a
passo sostenuto in cortile. Mi guardò per un secondo e cominciò:
-Non
dobbiamo vederci più, Sakura-.
@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@
Ciao a
tutti! Innanzi tutto mi scuso per il ritardo, ma come sapete è iniziata la
scuola e non ho più molto tempo per scrivere… Cercherò di aggiornare almeno una
volta a settimana, ma se tardo sappiate che è per ovvi motivi.
Poi
volevo informarvi che la prof.ssa Karabu è ispirata ad una persona vera: la mia
professoressa di matematica degli ultimi due anni! Ed è stata lei a creare
questa nuova parola: la lungaggine (sul dizionario di Word esiste… Stiamo
scherzando???)!
Nel
prossimo capitolo succederanno delle cose un po’ spiacevoli, perciò preparatevi…
Ringrazio
tutti coloro che… (recensiscono e anche quelli che leggono solamente, lo
sappiamo! Ndtutti)… Va beh, come non detto!
A presto,
spero :)
Ciao ciao
e fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!
Le luci vagavano per la sala, rosse. La moquette produceva un dolce sospiro
sotto i loro passi, rossa. Le tovaglie, le sedie, la palla stroboscopica, il
cielo, le menti, gli occhi, rossi.
Musica rossa, infernale, cattiva,
invitante.
Shaoran stava discutendo con alcuni registi di video musicali trentenni,
milionari e dotati di un intero harem di aspiranti ballerine nei video (tra
l’orgiastico e il karma) degli Swords’n’Senses per cercare di avere una parte
nel nuovo video della canzone “Bite me, lil pussy”.
-Ragazzi, sembra una di quelle feste che organizza Snoop Dogg, avete presente?
Quelle in cui è tutto bianco o tutto nero! Stupendo.-. Shaoran si guardò intorno
e vide una cascata di capelli biondi e riccioluti.
-Franz Franz Franz, carissimo amico mio… Sai che ti voglio davvero tanto bene?
Ma tanto tanto… Ah, comunque la festa che hai organizzato è davvero stupenda.
Adoro il rosso, sai?-. Nel dire ciò si avvicinò ancora di più alla figura
vestita di rosso, come tutte le altre figure danzanti, frementi, scalpitanti,
provocanti che in quel momento complottavano contro Dio, come stava facendo lui.
-Shaoran Shaoran Shaoran, due sono le cose: o ti sei già bevuto una dozzina di
drink (ah ah ah, Drink! Visto Lau? Ndme), oppure vuoi una parte nel nuovo video,
sbaglio?-. Il biondo circondò le spalle del cinese con un braccio.
-Ma come hai fatto ad indovinare, tesoro! Dai, scherzo, ho solo bevuto un
pochino… Il vero motivo era il secondo. Ti prego, non ho mai scopato davanti ad
una telecamera, dammi questa soddisfazione, facciamo come regalo di Natale
anticipato, che ne dici?-.
Nel frattempo si dirigevano verso un bancone. Rosso. Si sedettero su due
sgabelli. Rossi. Ordinarono due boccali di vodka in vetro trasparente. Rosso.
Una ciliegia. Rossa.
-Diciamo che potrei provarci, ma non ti assicuro niente. A proposito, ti
consiglio di mangiare prima la ciliegia,
è meglio, te lo assicuro.-. Detto ciò Franz leccò prima la sua ciliegia e andò
in estasi quando se la mise fra le labbra pallide. Shaoran lo fissò, dapprima
perplesso, poi curioso e infine rassegnato e lo imitò.
Sentì un vortice policromatico infestarlo, perseguitarlo… Un fantasma si
polverizzò, risorse dalle sue ceneri, volò, cantò, ruotò, inalò, creò assonanze,
dissonanze, polisemie diaboliche, crateri di asteroidi caduti come angeli dal
dolce fluire della schiuma bianca nella volta celeste… Il caldo… cessa… di…
esistere. Il freddo… muove… i… suoi… tentacoli… frigidi… verso… di… LUI.
Gli manca il fiato, il cielo scorre, rosso come sangue fresco, luccicante come
una lama esposta alla luce della morte, vivo come il ritmo contorto e stonato
delle onde elettromagnetiche del dolore… Sì…
Si accasciò sul bancone: la testa posata sulle braccia, le gambe penzoloni,
pesanti come colpe. Troppo intenso il piacere, troppo sconvolgente il battito,
troppo debellante il potere.
Scorse solo il volto estasiato, fermo, socchiuso in un’espressione di fascino
paradisiaco ed edonistico del biondo. Poi fu tutto monocromatico. Rosso.
Tomoeda, 3 aprile, 13:48
-Come scusa?-.
Avevo capito perfettamente e inoltre mi aspettavo già da tempo quella fatidica
frase. Ciononostante, restai immobile lì, come un iceberg. Desideravo
sciogliermi, ma non era possibile. Un iceberg non può sciogliersi senza che
attorno l’ambiente si riscaldi. Anche solo una folata di scirocco farebbe
sciogliere una minima ma fondamentale parte dell’iceberg. Intorno ad esso, però,
solo vento gelido, ghiaccio e ancora gelo. Non era colpa dell’iceberg se non si
scioglieva.
Non mi sciolsi, non arrivò nessuna folata di vento caldo e rassicurante. Solo
gelide stelle di ghiaccio, lontane, nere.
-Sakura, non possiamo andare avanti così. So che ti sembrerà banale, ma devi
capirmi: io sono fidanzato con Chiharu da anni, la conosco come me stesso, la
capisco, posso aiutarla, io… la amo, Sakura, e questo significa che non voglio
più vederti.-. Il ragazzo ricominciò a respirare appena ebbe terminato di
pronunciare l’ultima parola.
Mi strinsi attorno al mio cuore, sanguinando rabbia. E sofferenza.
Accortosi di ciò che aveva detto, si corresse:
-Non posso più vederti.-.
La mia bocca lavorò da sola e d’altronde non cercai nemmeno di fermarla. Ero
troppo stanca, di tutto.
-Tu non la ami, si vede da un chilometro. E’ solo una costrizione della tua
mente, un obbligo etico-morale che ti sei posto da solo e da cui non riesci ad
uscire. Io lo so, Yamazaki. Io…-.
-Smettila. Tu non sai niente, ma come faccio a spiegartelo senza farti
soffrire?-, si chiese gemendo.
-E’ inevitabile.-. Questa volta fu la mia segreta consapevolezza a parlare,
nonostante io cercassi con tutte le mie forze di fermarla.
-Come?-. Evidentemente l’avevo solo sussurrato e lui non aveva capito. Oppure
non voleva capire, opzione che presi per buona ma che ignorai.
-Niente.-, tagliai corto.
Sospirò:
-Senti, non voglio che tu soffra, ma devi capire che non posso tenere un piede
in due scarpe (piede? Scarpe? Eh eh, Faffy… Ndme), cerca di capirmi.-.
-Non ti preoccupare, è tutto ok.-, lo rassicurai ironica.
Infilai la mano nella tasca della divisa e, come facevo spesso ormai, chiusi la
mano in un pugno che non comprendeva il dito medio. In quella posizione
invisibile restai per almeno un minuto mentre lui parlava. Non lo ascoltavo più.
Hong Kong, 3 aprile, 00:02
Scese arrancando dal taxi in cui l’avevano caricato.
-Sicuro che non ti serva aiuto?-, domandò il tassista guardando il ragazzo in
faccia per la prima volta. Ne rimase quasi scioccato: quel giovane aveva degli
occhi spaventosi, terrificanti, rossi. Dentro di essi danzava la luce infernale
del piacere, della follia, dell’estasi. Camminava barcollando, cosa che fece
riflettere il tassista: probabilmente aveva bevuto un bicchiere di troppo. Non
sapeva quanto stesse sbagliando, dato che Shaoran aveva bevuto almeno tre litri
di vodka (con una ciliegia che non era
esattamente una ciliegia, bensì un concentrato di droga e allucinogeni, da
restarci secco) e qualche bicchiere di assenzio. Si era risvegliato in un taxi,
con la cerniera dei pantaloni aperta e i capelli molto più spettinati del
solito, ma non se ne accorse nemmeno: era già sorprendente che ricordasse ancora
come si camminava.
Chiuse lo sportello senza rispondere, un gesto automatico e metallico. Sì,
metallico, si sentiva proprio così in quel momento. Come un coltello. Come il
sapore della violenza.
Meccanicamente, con gli occhi chiusi e una serpeggiante consapevolezza, arrivò
ad un cancello. Non si faceva domande, non si chiedeva dove fosse stato, non si
domandava cosa stesse facendo, non si rispondeva semplicemente perché non aveva
domande da porsi. E andava bene così, certo. Per lui.
Certe notti ti senti padrone di un posto
che tanto di giorno non c'è
(Ligabue, “Certe notti”)
La sua mente fu catturata solo dal fruscio dell’erba sotto le suole delle
scarpe. Le sue scarpe rosse. I pugni erano chiusi, serrati, sottilmente stretti.
Lo sguardo alto, affilato, tagliente,
metallico.
Poi… quel suono… soave… liberatorio… dolce… Un suono che uccideva con le note…
che mordeva intersecava dannava malediceva provocava incrinava.
Come osi sfidarmi…
Non sai, demonio, che ho le mie armi.
E se un morso non ti farà tacere,
allora è questo che devi vedere:
la morte
aprirà le sue porte,
risorgerai
e poi morirai.
Si avvicinò a quel suono… Non riusciva a distinguerlo.
Batteva, spingeva, graffiava… fischiava nelle orecchie, bruciava gli occhi…
Era sempre più vicino… uno spirito androgino strisciò accanto a lui.
Se meriti morte, teleute e dolore,
guardami in faccia e ti dirò con ardore,
che la mente offuscata agogna l’edonè,
mia piccola strega, morirò qui con te.
E’ l’istinto che parla, la ragione è ormai elusa,
puoi chiamarmi Ade, Bià o Medusa,
ma la pietra non si scioglie, né rende la grazia.
Fissa il mio sguardo, meraviglia che strazia,
ma ti dico che mite è la lieve speranza
che tutto ciò è solo una stanza
di una poesia poco divertente, per raccontare
la storia di colui che non riesce a sopportare
la breve gioia di carne e potenza,
preparati, peccatrice, questa è violenza.
Mi fissi spaesata e mi chiedi dove sono stato,
ti guardo negli occhi e il maglione è andato.
Sgrani i tuoi dolci due piccoli gioielli,
scendono le mie mani, pesanti martelli.
La gonna si strappa, si straccia, si stringe,
capito, bestiaccia? Il mio sguardo non finge.
Sii come ti voglio, grida, urla, ma baciami… qui,
dove il diavolo scrisse: “E così sia, sì”.
Bagnati le labbra, umide come la notte,
ma fallo, altrimenti questo è quello che ti spetta:
morte albina, cieco dolore, buio bianco,
perché ti fermi? Pensi che io sia stanco?
“No”, rispondi, “Non voglio, per favore!”.
Zitta, troia, non voglio sentire questo orrore!
Fammi sentire le stelle scoppiare,
fammi vedere la mano calare.
Non gridare, misera, voglio il terremoto…
Cosa fai, ti sposti? Bevi il maremoto!
E ora è il momento, il pianista è al terzo attacco,
è ora di fare lo scacco
matto. Apri, stendi, canta il dolore,
spira il piacere e respira l’amore…
… morboso, implacabile, sanguinario…
mostruoso. Vuoto acquoso, acqua salata,
lacrime scese dai tuoi occhi di fata.
Piangi, farfalla, sbatti le ali,
prima che io sbatta i tuoi ultimi banali
battiti di cuore, di ciglia e di vita,
corvina è la morte, violenza infinita,
fai spazio, sanguigna vampira,
paura del buio, salvezza che spira.
Le dita ghiacciate, lacustri e impietose
scacciano lo spirito di mille rose
di diamanti, sparse intorno alla tua virtù…
Non c’è, orrore! Ma che mi racconti tu?
Rabbia, ira, impensabile verità,
ineffabile speranza di irrealtà…
Soffri, schifosa, il panico giunge
e intanto una nuvola da scudo funge.
Nessuno vedrà più la tua spregevole vergogna,
ma non preoccuparti, non è mica una rogna!
E adesso chiudi gli occhi, schifoso scarafaggio,
non hai né virtù, né giustizia, né coraggio.
Addio, piangi ancora, il velo è smagliato,
la luna aspetta il mio ultimo ululato.
Sicuramente non avrete capito niente, lo so, ma nel prossimo capitolo sarà più
chiaro!
A proposito, ciaooooooooooooo! Scusate per l’enorme ritardo, ma la scuola mi
assorbe completamente…
Cosa spinge un uomo a tacere? Cosa spinge un uomo a mentire?
L’equilibrio non esiste, è solo una convenzione asettica che l’uomo ha
predisposto per la sua sete di ambizione.
***
I sottili raggi del sole formavano una proiezione rossastra sotto le sue
palpebre, quelle di colui che giaceva sull’erba bagnata, inerme e lontano.
Shaoran.
Nudo, inspirò l’aria della tarda mattinata con stanchezza e spossatezza. Ma in
fondo, che senso aveva svegliarsi? Il sonno è un rifugio sicuro per le nostre
colpe e le nostre pene. Il sonno ristora.
Il sonno guarisce. E durante il sonno… Beh, durante il sonno siamo noi che
gestiamo e schiavizziamo il destino, che diventa un foglio bianco. E allora
scriviamo il nostro racconto, uccidiamo il nero, seminiamo il campo bianco della
pagina della nostra vita. Un lampo, forse, illuminerà la nostra mano tremante e
concitata. Forse un tuono ci sveglierà dal nostro torpore e ci ricorderà che il
destino è una pagina scritta con il pennarello indelebile dell’incoscienza.
Cosa aveva fatto la sera precedente? Che era successo? Si sentiva scosso, umido,
non riusciva ad aprire gli occhi: non ricordava nulla. Chissà, una labile
memoria a volte aiuta. A volte è meglio non ricordare.
A volte… Sì.
***
Ormai Yamazaki parlava da almeno un quarto d’ora e io non avevo sentito una
parola di tutta l’arringa che mi aveva proposto. In fondo, non aveva dichiarato
nulla che non sapessi già. Ricordavo solo poche parole sparse, come “amore”,
“Chiharu” e “porcaputtanaSakuraascoltami”.
Alzai gli occhi al cielo e mi stiracchiai: ero tutta indolenzita e non avevo
ancora intenzione di collezionare incoerenti frammenti di una discussione
altrettanto inutile.
Mi voltai disinvolta ignorando i suoi tentativi di richiamare la mia attenzione,
ma quando vidinon sentii l’inconfondibile “click” del destino che compiva il suo
tortuoso percorso. Chissà perché non lo percepii. Probabilmente ero troppo
impegnata a fissare a bocca aperta gli occhi di quella persona che mi guardava
al di là della recinzione del cortile.
Gli occhi di Tomoyo.
***
Suo malgrado, aprì gli occhi e si alzò velocemente. Dove erano andati a finire i
suoi vestiti? Ah, eccoli: malandati e sgualciti sull’erba fresca, proprio
accanto all’aiuola delle margherite. Bagnati anch’essi, ovviamente, dalla
rugiada e forse da qualche altro liquido estraneo.
Ogni passo era pari alla caduta di un masso dal dodicesimo piano. La lingua era
asciutta, sembrava un pezzo di cartone in bocca.
Ma che cazzo è successo ieri?, pensò.
Che importa… Saranno le undici o addirittura mezzogiorno, sarebbe meglio cercare
Tomoyo così mi prepara il pranzo. A proposito,
osservò mentalmente, ieri non l’ho vista
per niente. A dire il vero non so nemmeno come stracazzo ci sono finito a
dormire sul prato… Boh… Ricordo solo di aver visto tutto rosso. E va beh,
concluse sbadigliando, ora chiedo a Tomoyo
di farmi una bella torta così sto a posto.
Aprì a fatica la porta e poi, ricordandosi di non indossare nulla, fece per
prendere il soprabito appeso all’attaccapanni, ma poi ridendo se lo sfilò e lo
gettò a terra. Tanto non l’avrebbe visto nessuno, aveva questa sensazione.
La cercò per tutta la casa, ma non trovò nessuno.
Si sedette su una sedia della cucina, accese la TV e si concentrò su una puntata
di “Hercules”.
Accarezzò la tovaglia a rombi rossi e arancioni con i bordi gialli e pensò di
prendere una coca-cola. Si alzò sempre con la stessa fatica e si avviò verso il
frigo. Tra le varie calamite di “Pokemon” (ok, questo è il
mio frigo! Ndme) scorse un bigliettino fermato con dello scotch:
Vado da Sakura. Non cercarmi, per favore.
COSA??? Era in Giappone? Ma che diavolo stava accadendo al mondo? Erano
impazziti tutti? Cosa poteva aver fatto perché lei se ne andasse in Giappone da…
da… da Sakura, persino? Erano ormai due anni che non si vedevano.
Le ragazze… Chi le capisce?
***
Il cuore batté sempre più velocemente… per la rabbia. Cieca, velenosa rabbia.
Avrei voluto gridarle contro di andare in non so quale paese. Nessuno avrebbe
potuto ospitare una persona così… così… indegna e maligna.
Aprii la bocca per gridare, per gridare la prima cosa che mi sarebbe venuta in
mente, ma poi mi fermai di mia spontanea volontà. Saldai lo sguardo nei suoi
occhi scuri, sgranati e miscelati, eterogenei, profondi, impuri nel loro
sostrato di malinconia e rabbia. Cosa? Rabbia? Lei era arrabbiata? Oh,
probabilmente la bimbetta non immaginava quanto lo fossi io… Lei, arrabbiata!
Che assurdità!
-Ciao.-, mormorò con gli occhi concentrati sul terreno.
Ciao??? CIAO?!? Sì, certo, salutiamoci come due vecchie amiche quarantenni che
si ritrovano con i rispettivi figlioletti e mariti. Brutta scimmia, altro che
amiche! Te la faccio vedere io l’amicizia…
-Ciao.-, risposi, invece. Sentii la mia voce asettica, estranea, indifferente,
come se nella mia testa non fosse accaduto nulla in quella frazione di secondo.
Come se avessi un corpo di latta e un cuore di rame.
E ora vuoi che io risponda alle tue domande, vero? A me è andata abbastanza
bene, a parte la depressione e l’abbandono. E in Cina come ti è andata? Hai
fatto la troia come a tuo solito, schifoso pezzo di latta? E magari ora dirai
che sai che non dovresti essere qui, ma che dovevi scusarti, dovevi sprecare le
tue fottute e sporche parole con me? Giusto? E allora sai che ti dico? Che tu
sei davvero una…
-Ho bisogno di te.-, interruppe così i miei turpi pensieri.
Ero di fronte a lei, immobile e con un’espressione che probabilmente le incuteva
paura.
Che cazzo vuoi da me? Hai bisogno di me??? Cosa sentono le mie orecchie! TU hai
bisogno di me? E io secondo te non ne avevo prima che ti mettessi in testa di
sparare una cazzata durata un anno e mezzo e che mi ha rovinato la vita? Ti
rendi conto? Una storia di un anno e mezzo basata su una bugia?
La mia felicità basata su una bugia?
La mia vita? E ora sei tu ad avere bisogno di me? E sentiamo, per quale
stradannatissimo e supercazzoso motivo dovresti aver bisogno del mio aiuto,
brutta schifezza?
-Perché?-. Ancora quella voce estranea e sterile fuoriuscì dalla mia gola.
E ora mi farai un resoconto della tua vita disperata e ossessionata dal senso di
colpa? Eh? Mi dirai che hai sbagliato e che te ne sei accorta solo ora? Oh,
poveriiina! Mi dispiace TAAANTO, guarda! Oh, povera piccola stronzetta che non
sei altro, schifosa bastarda,…
Mi interruppe ancora:
-Sakura, io…-. La voce le si ruppe a metà frase, poi inspirò a lungo e continuò
con più calma, guardandomi negli occhi:- io sono stata violentata.-.
Bene, cosa ci si poteva aspettare da una stronza come te, da una schifosa troia,
scusami! Avresti dovuto immaginarlo, cara mia… Eh, scusa! Voglio dire, in fondo
sei solo una sporca puttana…
-E chi mi dice che è vero?-. La domanda che avrei preferito rivolgerle era
un’altra, ma lascia perdere. Tomoyo rispose con tanta velocità e tanta
impetuosità da non permettermi di pensare,
se così poteva essere chiamato quell’atto.
-Chi te lo dice, eh? CHI? Questo!-. Si alzò la maglietta quasi con ira e si
scoprì la pancia fino all’ombra delle costole sotto la pelle diafana. Anche
dalla distanza in cui mi trovavo potevo benissimo osservare una grande macchia
subito sopra l’ombelico. Dopo una seconda occhiata mi accorsi delle due
mezzelune che lo definivano: un
morso.
Restai a bocca aperta e con gli occhi sgranati: era… spettacolare. Molto
probabilmente le era uscito anche del sangue. Molto sangue.
-Gesù Cristo morto e risorto…-, sussurrai senza fiato. Certo, una cosa del
genere non poteva mica farsela da sola.
Una piccola e fioca candela si accese nella mia mente quando ritornai a
guardarla negli occhi, in quelle due sfere rabbiose, esasperate, esauste,
distrutte. Non ce la feci più, la tentazione era così grande… Una foglia morta,
la prima di tante altre, cadde dal mio albero e nello stesso momento sbocciò una
gemma nel punto in cui la foglia prima sventolava instabile ed inutile.
Mi avvicinai alla recinzione, poggiai le mani sulle sbarre di ferro e la fissai:
piangeva, ma guardava altrove.
-Ciao.-, la salutai con solennità e rispetto, -Bentornata.-.
***
Ciao a tutti! Ecco un altro capitolo. Volevo commentare alcuni aspetti:
1)
Le parolacce: non so se per voi sono offensive e se preferireste che le
limitassi, ma il motivo per cui le inserisco è quello di creare la soluzione
davanti ai vostri occhi o, se possibile, dentro di voi, con voi,
per voi. Perciò se ci fosse qualche problema con esse non dovete
fare altro che dirlo;
2)
Spero che voi abbiate capito cos’è successo: Shaoran era così fatto, ma così
fatto che, tornando a casa, ha violentato la povera Tomoyo che lo aspettava in
giardino. Sto cominciando a non sopportare più quel ragazzo…!!! Comunque, Tomoyo
è partita la notte stessa della violenza, è per questo che la mattina si ritrova
già in Giappone… Non ha i superpoteri!
3)
Presto, che dico presto?, PRESTISSIMO tornerà Shaoran. Tanto per essere chiari,
nel prossimo capitolo. Perciò… preparatevi!
4)
Infine, vorrei farvi sapere che ho scritto una one-shot su Originali -->
Storico, si chiama “Cade la pioggia”. Se vi capitasse di leggerla mi farebbe
molto piacere! Va beh, non importa, lasciamo stare…
Fine! A prestissimo, ciao ciao a tutti!
Grazie per le recensioni e, se potete, lasciatemi un commento!
Il perdono è come una goccia d’acqua sulla pelle: prima scivola sinuosa ed
elegante come pioggia, poi finalmente cade e si trasforma, come un bicchiere
infranto muta in preziose lame sanguinarie. Ma la scia di quella goccia resta
sempre e viene assorbita dalla pelle.
E’ inutile illudersi di essere orgogliosi, fieri dei propri difetti, perché il
dolore alla fine cade, s’infrange, si spezza come un ramo secco al vento; il
perdono viene invece assorbito e neanche le più ammirabili e mirabolanti leggi
fisiche possono confutarlo.
***
-Tutto bene?-, le chiesi con voce timida.
Tomoyo sedeva di fronte a me, un po’ china in avanti mentre beveva il the che le
avevo preparato. Ci eravamo recate a casa mia appena erano finite le lezioni,
con mio grande sollievo: volevo parlarle, consolarla, convincerla gridando che
andava tutto bene, anche se ciò non era assolutamente vero, né per me, né
tantomeno per lei.
Non sapevo, non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo appena mi aveva
rivelato del suo stupro. Questa parola, quel suono sibilante, sordo, aspro,
cupo… Mi incuteva quasi timore. Mi sentivo persa, come se avessi sbattuto la
testa mille volte contro il muro, come se un martello gigante mi stesse
costringendo a conficcarmi nel terreno, per restarvi per sempre, vestigia di un
rito sacro, debole reliquia ormai sporca e impura, icona sconsacrata.
Non mi rendevo ancora conto del cambiamento letteralmente fulmineo del mio
trattamento nei suoi confronti. Bene, un bel riepilogo non mi avrebbe fatto
male, no? Allora: Tomoyo era tornata dalla Cina perché, come lei stessa aveva
annunciato, aveva bisogno di me; io l’avevo trattata con una freddezza inaudita,
mentre avevo pensato che… ehm, insomma… che fosse una brutta persona (visto Faf?
Lo dovevo usare prima o poi! Ndme), per usare un eufemismo; e poi? Oh, certo,
poi l’avevo perdonata e le avevo promesso che nel pomeriggio ci saremmo riviste
a casa mia.
L’avevo perdonata.
Un moto di orgoglio mi frantumò la ragione e mi strinse la coscienza con artigli
graffianti. Come avevo potuto mostrarmi così debole? Come? Per uno stupido
stupro? Migliaia di donne venivano stuprate ogni giorno e io mi ero commossa per
una stupidaggine del genere? Sì, avevano tutti ragione: ero debole, vile,
fragile, tenue come mani ormai insensibili, delicate come cartone sotto un
acquazzone… Stupida ingenua, stupida idiota, stupida disperata, stupida…
Stupida testarda. Come dubitare della verità? Il perdono non è da ingenui, né da
idioti, né da disperati: è da giusti, da onesti, da
umani. Se non si può più amare, se non si può più capire la realtà,
se non ci si può più liberare dell’orgoglio, della fierezza della nostra
umanità, della ferocia, delle pallottole che continuiamo a sparare senza aver
bisogno di munizioni,allora perché
odiare? Perché salire in questa soffitta buia e polverosa, in questo turpe
rifugio da noi architettato e che abitiamo sempre più spesso? Muriamone la
porta, distruggiamo le scale che vi conducono… e poi guardiamoci attorno. Chi
non ha bisogno di un punto di riferimento? Una soffitta fatiscente non è il
posto giusto.
Odiare significa essere il proprio aguzzino, significa ricattarsi.
Se non riesci ad essere indifferente, allora ama. Ma non odiare. Non murarti
vivo.
È umano amare, ed è ancor più umano il perdonare.
(Tito Maccio Plauto)
-Sakura? SAKURA?-, urlò Tomoyo scuotendomi.
-C… che c’è?-, risposi scossa.
-E’ da dieci minuti che stai ferma nella stessa posizione e non mi rispondi!-,
sorrise.
Capii benissimo perché lo fece. Fu come un déja vu, come se fossimo tornate
indietro nel tempo di due anni. Sorrisi anch’io, nonostante sentissi un nodo in
gola e quello strano formicolio al naso, preludio di un pianto imminente.
Ci fissammo per qualche attimo, poi mi concentrai sul cucchiaino con il quale
giravo il the.
Ero molto imbarazzata e mi mostravo timida senza nemmeno rendermene conto. Lì
per lì ritenni che la causa fosse ciò che avevo pensato appena avevo scorto
Tomoyo oltre il recinto della scuola. Quello che mi era passato per la mente era
stato a dir poco vergognoso e solo a pensarci sentivo le guance arrossarsi e
accaldarsi, rubiconde e scottanti.
-Allora…-, cercai di iniziare.
-Ti va di ascoltarmi?-, chiese timidamente Tomoyo alzando il capo con molto più
fervore rispetto alla sua voce.
-Senza dubbio.-, risposi subito, esaltata come non mai.
-Bene.-, cominciò entusiasta, ma con sguardo incerto, -Quando sono arrivata qui
stamattina pensavo che mi saresti saltata addosso e che mi avresti staccato la
testa a morsi.-.
Sorrisi e, convinta di non avermi offesa, rise anche lei.
-Tanto per rimanere in tema…-, azzardò.
-In tema di cosa?-, domandai, poiché non avevo capito cosa intendesse.
-Di morsi.-, ammise con un sorriso più triste.
Abbassai gli occhi leggermente imbarazzata e mi concentrai sulla sua tazza di
the mezza vuota.
Parlò con voce strozzata e acuta, ma non accennava a piangere:
-Stanotte ero in giardino e ho visto una persona che si avvicinava, allora mi
sono alzata e le sono andata incontro.Non voglio descriverti tutto nei particolari, non penso che te la
sentiresti di ascoltare tutta la storia. Comunque, mi ha gettata a terra e si è
accanito su di me… Insomma, penso che tu possa immaginare il resto.-.
Mi sentivo completamente inutile. Sembravo così debole da non poter ascoltare
una storia del genere? Beh, lo ero senza dubbio, ma volevo dimostrare il
contrario. A lei e a me.
-Se parlarne ti può facilitare la situazione, io sono qui.-, decretai con
decisione.
Tomoyo ne fu visibilmente contenta, perché mi dedicò un ampio sorriso e continuò
con più certezza.
-Non capivo cosa stesse dicendo, ma parlava con suoni sibilanti. A volte mi
insultava e mi minacciava. Appena si è avvicinato mi ha strappato i vestiti e…-.
Non ce la fece più.
Rifugiò la testa fra le mani e i capelli corvini, più scuri della notte.
Le passai una mano sulla spalla allungandomi verso di lei.
-Non… non preoccuparti. Non devi parlarmene per forza.-, cercai di rassicurarla.
Ero disgustata, disgustata da ciò che l’uomo poteva fare. Cos’era un cuore
spezzato in confronto a questo? Cosa la turpe tristezza della passività? Cosa la
morte?
Ero impressionata, impressionata dalla crudeltà e dall’indecenza dell’uomo,
dalla brutalità, dalla ferocia e dalla bestialità… Ma come poteva nascondersi
nella coscienza un frammento così perenne, imperfetto, impuro, autodistruttivo e
dannabile?
-Senti…-, cominciai incerta.
-Sì?-, rispose con voce ferma. Nonostante il ricordo, nonostante il trauma, non
aveva pianto. La sua forza era ineffabile e, ammisi, mi era mancata come la luna
in una notte malinconica.
-Hai riconosciuto quell’uomo?-, domandai con calma.
Lei alzò il capo e mi fissò così a lungo da costringermi a distogliere lo
sguardo e a concentrarmi sulle mie mani, fredde e sudate.
I suoi occhi erano insistenti, ma non nei miei confronti; stava seriamente
riflettendo su qualcosa di veramente importante e la sua perseveranza mi
suscitava un certo timore: sembrava una questione di vita o di morte e, in
effetti, lo era.
Alla fine rilassò il viso e la sua espressione ritornò leggermente sconsolata,
ma non angosciata come prima.
-No. Non so chi fosse, non lo conoscevo.-, decretò infine, frettolosa.
-Ah. Ma hai intenzione di denunciare l’accaduto?-, chiesi con garbo e tatto.
-No. So che non sei d’accordo, ma non lo denuncerò e non cambierò idea. Sì, ciò
che mi ha fatto è stato a dir poco umiliante e crudele, ma probabilmente
stanotte gli era successo qualcosa di… insomma, forse non sarà una
giustificazione esatta, ma nessuno può giudicare. Ognuno ha i propri problemi e
forse stanotte lui aveva i suoi.-.
-E secondo te è giusto che li abbia sfogati su di te?-. Avevo gli occhi
sgranati, ero sconvolta e irritata.
-No.-, proclamò con un tono che non ammetteva repliche, -Non m’importa perché è
successo. Avrà avuto le sue ragioni.-.
Nonostante non fossi assolutamente d’accordo, mi arresi. In fondo la decisione
doveva essere la sua.
***
Un’ora dopo mi offrii di accompagnarla a casa, dove quella mattina aveva
lasciato le valigie.
Camminavamo mano nella mano e sorridevamo. Sembrava che tutto fosse tornato come
prima: scherzavamo, ridevamo e parlavamo come due quattordicenni nonostante
avessimo entrambe diciotto anni.
Fu per questo che quando arrivammo a casa sua tutto sembrò rivoltarsi e ruotare
ad altissima velocità.
Gli occhi di Tomoyo si spalancarono come se avesse appena visto un fantasma; le
sue labbra, stese in un sorriso in seguito ad un mio commento riguardo al sedere
del signore dei fumetti dei “Simpson”, fremettero per poi afflosciarsi in una
smorfia di puro e cupo orrore.
Il mio volto si piegò come un foglio di carta e venne strappato in mille pezzi.
La mia allegria si accasciò e pianse, abbandonato e malinconico come i battiti
di batteria di Lars Ulrich, i miei occhi urlavano l’amarezza che custodivo da
anni.
-Ciao, Tomoyo. Potresti aprire il cancello? Io non ho le chiavi e sono qui fuori
da tre ore, mi si sta congelando il… Ah.-.
Si voltò verso di me.
Ah.
Era l’unica cosa che riuscì a dire quando mi vide.
Quando Shaoran mi vide.
***
Ciao! Lo so, lo so, sono in IMPERDONABILE ritardo, ma il fatto è che con la
fantasia sono arrivata praticamente al capitolo 50 ed è difficile riscrivere
quello che ho immaginato mesi fa, ma ce la metterò tutta per aggiornare il più
presto possibile, lo prometto!
Ed ora i ringraziamenti:
Sakura182blast: ciao! Non preoccuparti, sto preparando per lui una vendetta
davvero gelida… MUAHAHAHAUAHHAUAHAHAH!!! Ok, mi riprendo… Spero che mi lascerai
una recensione, ciao bella!
Ichigo_91: lo so che mi vuoi uccidere per la piega che ho dato alla storia (e
non ti do torto!)… Mi dispiace… Spero che continuerai a seguire la ff, ciao
ciao! :)
Yumemi: grazie! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto! Purtroppo non ho
potuto curare questo cap come ho fatto con i precedenti, ma mi auguro davvero
che tu l’abbia trovato comunque leggibile… A presto, spero! Bye!
Sakurabethovina: hai ragione… Potrei far diventare Sakura una serial killer!
Grazie per l’idea! No, scherzo… :) Povera Tomoyo, però… Beh, almeno lei e Sakura
si sono riappacificate. Tengo molto alla loro amicizia, in una maniera
inimmaginabile. Spero che lascerai una recensione, ciao ciao!
Enzasakura: ciao! Sì, mi sa che Shaoran era proprio partito… completamente. Alla
fine non è stata colpa sua per quello che ha fatto a Tomoyo: se non fosse stato
strafatto non si sarebbe nemmeno azzardato! A presto, ciao!
Chi dice che la calma risolve tutto è un grande stronzo.
Lo capii in quel momento.
Bene.
Avevo aspettato da tempo quel momento.
Non sto scherzando.
Davvero.
No?
Come fate a non credermi?
Fatemi capire bene… Non mi credete?
Fate bene.
Spesso avevo pensato a come avrei reagito se lo avessi incontrato e, guarda
caso, tutte le volte avevo accidentalmentespaccato e infrante qualche bicchiere.
Ciononostante non mi ero mai augurata nemmeno per scherzo di rincontrarlo.
Perché? Per il semplice motivo che ero forte solo nella mia immaginazione:
magari nei miei incubi lo avrei anche picchiato a sangue, massacrato, trucidato,
scannato, squartato, dissanguato, salassato, spezzettato, triturato, spellato,
scuoiato, scorticato, maciullato… Insomma, il concetto è chiaro, no? Ma nella
realtà non l’avrei mai fatto, lo sapevo benissimo. Probabilmente avrei pianto
per il dolore del ricordo e stupidaggini simili. A pensarci bene, non ero
cambiata minimamente da quando avevo dieci anni… Non ero cresciuta minimamente e
lui mi avrebbe trovata uguale a prima, innocua ed innocente… E avrebbe potuto
giocare ancora con me, avrebbe potuto usarmi come la sua Barbie, mi avrebbe
riempita di caramelle nauseanti e poi mi avrebbe spogliata e mi avrebbe cambiato
i vestiti e poi, hop, dritta nello scatolone. No.
Ero cambiata. Non ero né innocua né tantomeno innocente. Ero una ragazza nuova,
ero adulta, ero cresciuta. Forse la tragica tendenza alle lacrime era insita nel
mio carattere, perché no? Qualunque scusa pur di non ammettere di non essere
cambiata per nulla. Nascosi questo pensiero in una piccolissima parte di me;
come succedeva alle donne possedute dal diavolo, che, per non essere espulso dal
corpo che infestavano, si rifugiavano nel braccio sinistro.
Intanto eravamo entrati in casa, io, Tomoyo e l’altro. Diamine, non riuscivo
nemmeno a pronunciare il suo nome? Che schifo…
Non riuscivo a capire chi o che cosa
fossi di preciso: non volevo essere ingenua per cadere nelle sue grinfie
un’altra volta, così avrei dovuto fargli capire che ero completamente
indipendente, libera; nel frattempo, però, temevo che questo atteggiamento
avrebbe fatto allontanare in qualche modo Tomoyo.
Mi sedetti sul divano. Perché eravamo entrati in casa?
Oh sì, Tomoyo gli aveva detto di volergli parlare e io l’avevo seguita, anche se
l’unica che avrei voluto fare era tornare a casa e bere tre litri di camomilla.
Non mi sedetti, sprofondai nel vero
senso della parola sul divano. Non volevo che mi vedesse, il perché poi era un
mistero anche per me.
Non sapevo come comportarmi: guardarlo negli occhi con tutto l’odio che potevo
letteralmente ammaestrare? O nascondermi prudentemente per evitare di crollare?
Pensavo che l’odio mi avesse resa più forte, invece ero più confusa di quanto
pensassi.
L'odio è un liquore prezioso, un
veleno più
caro di quello dei Borgia; perché è fatto con il nostro
sangue, la nostra
salute, il nostro
sonno e due terzi del nostro
amore. Bisogna esserne avari. (Charles Baudelaire)
Sentii appena la porta chiudersi dietro Tomoyo e
(Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran)
l’altro. Erano entrati in un’altra stanza e, anche volendo, non avrei potuto
sentire niente di ciò che stavano dicendo. Meglio così, anche perché a quanto
pareva parlavano in cinese. Grandioso.
Bruciai di vendetta come se avessi un tizzone ardente fra le labbra, come se
fossi una fenice mentre fiammeggia, avvampa e s’incenerisce col suo stesso
fuoco, come un orologio che ticchetta e tintinna ancora con un’eco indomabile,
mentre le fiamme lo avvolgono.
La vendetta è un profumo che scotta, un vento caldo 212° Fahrenheit, un rubino
detestabile e dannabile.
***
Tomoyo restò in piedi davanti alla porta chiusa, mentre Shaoran era poggiato al
tavolino polveroso poco lontano dalla ragazza.
-Beh? Che c’è?-, chiese lui. Sembrava lievemente sconvolto, spaesato. Aveva gli
occhi venati di rosso, il che spaventava Tomoyo, ma la ragazza non desisteva:
doveva parlargli e capire.
Lei lo guardò strabuzzando gli occhi per lo stupore.
-Che significa “Che c’è?”?!-.
When you forbeit the white-dressed snow,
You’ll find a new place, a tempest-tossed island.
An ivory ivy will replace the unripe mople over which
the crow
Flies. Melody fall, you don’t have to pretend.
-Significa che non lo so!-, spiegò il giovane alzando un sopracciglio come se
fosse una cosa ovvia.
-Parla in cinese. Non voglio che ci senta.-.
-Sei tu il capo…-, rispose evasivo.
Lei prese un bel respiro e guardò Shaoran negli occhi. Sembrava sincero: la
guardava con la faccia a forma di punto interrogativo e batteva il piede a
terra, come se stesse tenendo il ritmo di una melodia muta e cieca.
-Dove sei andato stanotte?-, gli chiese decisa.
-Mio Dio, non me lo chiede nemmeno mia madre e tu…-. Shaoran alzò gli occhi al
cielo.
-Rispondi. Subito.-, sottolineò lei.
-Ad una festa, perché?-, domandò svogliato.
-Perché quando sei tornato… non… Tu sai cosa hai fatto, vero?-.
-Io?-, chiese il ragazzo guardandosi attorno.
-Sì, tu.-. Riuscì a stento a trattenere il flusso di insulti che bussava
violentemente alla sua bocca.
-Non so, cosa avrei dovuto fare?-. Era sempre più confuso e non riusciva a
capire cosa Tomoyo volesse da lui.
-Non ricordi proprio?-. Ci sperava. Voleva che non ricordasse, desiderava che
non fosse stato luia farlo, ma solo il suo corpo. Il cavallo nero del concupiscibile aveva
portato il carro sempre più giù… Il cavallo bianco ormai era ferito e
sanguinante e il suo manto candido era scuro e viscido.
-Direi di no.-, rispose lui sorridendo a mezza bocca.
-Tu mi hai… Dopo la festa… Probabilmente avrai bevuto un po’ (un po’???????????
A confronto l’Uomo Duff è sobrio come Mastro Lindo! Ndme) e... Insomma, Shaoran,
quando sei tornato a casa…-. Incespicò e balbettò
-Sì?-, la incoraggiò lui.
-Mi hai… Tu…-. Basta, bisognava mettere un punto a quella frase. –Tu mi hai
violentata.-. Scandì per bene le parole, forse per sentire meno dolore, ma il
risultato fu alquanto deludente.
But the crow crawls like a wounded flower. It’s a
bleeding
Tango with dew and blood, when a bleak blaze bleeps,
A volatile void will reflect the hiss, the diving
Winter of its life without any beating skips.
-Eh?-.
-Hai capito bene.-. Quell’attesa la fece appassire. Le veniva da piangere e
stavolta non si sarebbe trattenuta, lo sapeva bene.
Lui la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, la bocca aperta e il corpo
sostenuto ormai completamente dal tavolino su cui si era seduto.
-Io… ehm… Non lo sapevo…-, biascicò in tono di scusa.
-Non sono le tue scuse che voglio, volevo solo essere sicura che
tu non mi avessi fatto nulla.-, chiarì
la ragazza, ma il suo viso diceva tutt’altro.
Shaoran si avvicinò cauto, destreggiandosi con movimenti calmi e sicuri. Era
davanti a Tomoyo e, lì, l’abbracciò.
-Grazie.-, balbettò lei fra i singhiozzi, poggiando il capo sulla spalla di lui.
-Sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto in questo momento?-, rispose
lui scherzosamente. Ma era evidente che parlava così solo per coprire
l’imbarazzo.
Fatto sta che lei gli tirò un calcio sullo stinco, ridendo nervosa.
-Eri…?-, cominciò lui.
-No. Qualcosa dal mio fratellastro dovevo pure prenderla, no?-, sorrise.
-E chi…?-, iniziò ancora una volta Shaoran.
-Eriol, l’anno scorso.-.
-Che schifo, ma non ti fa impressione quel tipo? Sembra Harry Potter…-.
Lei, ridendo gli sferrò un secondo calcio.
-Ok, ok… Ho capito!-. Shaoran si staccò da lei e poggiò una mano sulla porta.
-Ma tu guarda, uno vuole aiutare una persona e poi… Ingrata!-, la apostrofò
fingendo irritazione.
Risero insieme.
-Mi dispiace.-, il sorriso scomparve dal volto del ragazzo.
-Non c’è problema. Ma se nasce un figlio lo chiamo Terenzio.-.
Si fissarono prima seri, poi scoppiarono a ridere.
Shaoran aprì la porta aspettandosi di vedere Sakura e invece… il divano era
vuoto.
***
Finito! Spero vi sia piaciuto, l’ho scritto in tutta fretta perché ho tantissimo
da fare!
Sapete che mi sono commossa quando ho visto le vostre recensioni??? No, davvero…
GRAZIE INFINITE! Siete fantastiche e… Oddio, ora mi emoziono… Passiamo ad altro,
se no allago la tastiera… :)
Vi rendete conto??? Siamo arrivati al capitolo trenta, non ci credo! Yuppy!
Evviva! Urrà! (… evvai... Abbiamo un’improvvisa voglia di un suicidio di massa,
lo sai? Ndtutti)…
Forse è meglio cominciare…! Ecco il capitolo, spero vi piacerà!
***
I'd love to be one of those colorful early
summer days
When everybody is happy that you came
Everybody smiles back at you as soon as your eyes cross their eyes
But something has to happen first
I know winter has to come before it blossoms.
(Elisa,
Broken)
Non potevo essere pazza.
Posai i piatti sul tavolo e tornai a prendere le posate dal cassetto.
Insomma, ero solo confusa probabilmente.
Sentii l’acqua bollire e mi avvicinai velocemente ai fornelli.
Sì, ero confusa, non poteva esserci alcun’altra spiegazione, giusto?
La porta dell’ingresso si chiuse con un tonfo sferragliante.
Ma d’altronde ero dovuta andare via, a casa: non avevo avuto scelta.
-Ciao.-, borbottò svogliato mio fratello.
E poi Tomoyo non mi aveva pregata di restare, mi aveva solo condotta in casa
senza dirmi niente… Inoltre aveva una faccia così sconvolta che pareva dicesse:
“Voglio stare da sola e se mi disturbi ti storco il menisco.”. E per di più
stava parlando con Shaoran… Probabilmente gli stava ordinando di tornare subito
in Cina e di non farsi vedere mai più. Tomoyo mi voleva bene, anche se
ovviamente era affezionata pure a suo fratello. Ma questo non m’interessava, non
mi interessava niente di lui: c’era solo Tomoyo in quella casa.
-Da quando salutare è un optional?-, si lamentò Touya sbirciando oltre la mia
spalla per vedere cosa stessi cucinando.
Chissà se Tomoyo gli avesse detto proprio quello. Beh, quando l’abbiamo visto
davanti al cancello di casa sua lei era non solo sorpresa, ma più che altro
spaventata. Ma la domanda che mi premeva di più era perché fosse tornato. Il
ritorno di Tomoyo era più che giustificato e sapevo che sarebbe stato difficile
aiutarla a superare il trauma della violenza, ma perché
lui era qui? La situazione di Tomoyo
non gli riguardava.
Mi stupii della freddezza con cui parlavo di lui, come se fossi stata rinchiusa
in un labirinto di ghiaccio, gelido ma salvifico: senza di esso sarei stata
libera, ma preda delle calde, scottanti e brucianti emozioni dell’esterno.
Tuttavia sentivo che le pareti si stavano sciogliendo pian piano… La rabbia,
rossa e rubiconda, mi invadeva tutta, mi costringeva a mordermi l’anima, a
contorcermi, a sparare contro la carne della mia mente, a succhiare il sangue
della mia delusione, a violentare la bambina che era in me, innocente e ingenua,
ma debole come un ramoscello d’ulivo percosso da un vento formicolante,
frustante e frustrante.
-Sei morta?-. Mio fratello mi guardava fisso. Eppure non era la prima volta che
mi distraevo, anzi: gli ultimi quattro anni della mia vita erano stati una
disattenzione perpetua: i primi due anni perché ero innamorata di
lui, gli ultimi due perchè ero stata
assoggettata dalla disperazione salace della perdita e della sconfitta.
E la rabbia sciolse la prima parete del mio labirinto di ghiaccio, mentre Touya
si stringeva nelle spalle e prendeva il pane dalla dispensa.
Scolai gli spaghetti e sbattei la pentola sul tavolo, così forte che si staccò
uno dei due piccoli manici, il quale restò, tagliente e bagnato, fra le mie
mani.
BASTA, BASTA, BASTA! Con tutti i ragazzi che c’erano dovevo essermi innamorata
proprio di lui, quella maledetta primavera di quattro anni prima? Che vuoto, che
dispersione di calore, che spreco di lacrime e sangue, di battiti di cuore e
respiri di aria fresca e fulgida. Per quanto potessi maledirmi, ascoltarmi e
rispondermi meccanicamente, la verità era che non potevo attaccare: c’era solo
il mio labirinto a difendermi.
Scappai inciampando due o tre volte fra le scale, mi stesi sul mio letto e, come
sempre, non piansi, ma contemplai il mio cuore angosciato svuotarsi e vomitare
le sue putride viscere. Emaciato, diafano, secco.
La sveglia segnava le dieci meno un quarto. Tomoyo non mi aveva cercata, ma
proprio in quel momento squillò il telefono: sapevo che era lei, ma non mi
sforzai nemmeno di alzarmi dal letto. Quando la rabbia mi abbandonava senza
forze, allora era il momento della malinconia: due anni vissuti in questa
maniera mi avevano resa insensibile e vuota come un teatro abbandonato, senza
fantasmi e senza sogni.
Sentii mio fratello alzare la cornetta: avevo lasciato la porta aperta, tanto
non sarebbe mai entrato nella mia camera. L’ultima volta che l’aveva fatto per
chiamarmi a tavola io stavo strappando le tende svogliata e assente per
cancellare la suapresenza, in caso che le avesse toccate mentre scendeva dalla finestra
quella notte, la notte della mia condanna, la notte in cui smisi di piangere e
iniziò il mio segreto e a quel tempo sottile piagnisteo.
-Pronto?-, disse Touya preoccupato. Una breve pausa e poi continuò:
-Ah, ciao Tomoyo! Non eri in Cina?-, chiese.
Non so quale bugia inventò Tomoyo, ma mio fratello ci credette.
-Ah, ho capito, quindi niente di grave. Spero che tuo padre stia meglio adesso.
E quel tizio, il tuo fratellastro? E’ tornato anche lui?-.
Touya non sapeva che il suo fratellastro
era stato anche il mio fidanzato e
la causa di tutto, l’origine del mio cambiamentodi cui anche lui si era spesso lamentato durante quei due anni.
-Capisco. Comunque sì, Sakura è qui, ma… direi che non è in grado di parlarti.
Sì. No, sta… dormendo, credo.-.
E poi subito:
-No, non penso. Ok, le dirò che hai chiamato. Non preoccuparti, probabilmente
non ti ha aspettata perché oggi doveva cucinare lei. Ok, ciao.-.
Chiuse la cornetta e lo sentii sospirare. Percepii subito lo scricchiolio dei
gradini sotto i suoi piedi, il fruscio dei pantaloni e lo strano fischio che le
sue mani sudate producevano strisciando contro la ringhiera. Si bloccò a metà
rampa, si voltò e scese velocemente.
Mi stesi a pancia in giù sul letto e affondai la testa nel cuscino.
Di nuovo i suoi passi sulle scale: era incerto. Lento, salì i primi gradini, ma
arrivato a metà circa accelerò di colpo e lo sentii respirare sulla soglia
pochissimi istanti dopo.
-Ehi?-, bisbigliò, ma quel suono fu uno stridio di mille rondini in una
silenziosa mattina invernale.
-Che vuoi?-, risposi in malo modo.
Di solito non parlavamo o almeno era stato così da due anni a quella parte.
Sospirò e con voce indolente mi chiese che cosa avessi.
Lo ignorai, ma dentro di me c’era la voglia, c’era il desiderio e c’era il
bisogno di parlare, di gridare, di sentire la terra sotto i miei piedi, l’aria
attorno a me, il cielo sopra di me e gli impulsi dentro di me. Come il lamento
di una ninfa abbandonata dal fiore che ama (riferimento al mito di Eco e
Narciso, Ndme), quella necessità incombente risvegliò il mio animo e mi aprì gli
occhi, non con impetuosità e impeto, ma dolcemente e lievemente. Volevo davvero,
davvero parlargli. Desistere era un peccato.
Sentii i suoi passi farsi più lontani, ormai era arrivato alla ringhiera delle
scale e stava per scendere: non potevo perdere quell’occasione, no, no, NO.
Non volevo compiere lo stesso errore un’altra volta, non volevo restare muta
allora e ancora, non volevo cantare il mio ultimo canto, comporre la mia ultima
frase, lasciarmi cadere come un palloncino vuoto e raggrinzito: dovevo
riempirmi, riempirmi, riempirmi senza scoppiare, se possibile, esalando e
inalando contemporaneamente le tenere parole e la persa realtà.
-TOUYA!-, quasi gridai in preda a quel temporaneo e fulmineo slancio emotivo.
-E’ pronto, vieni a mangiare.-. Non lo ricordavo così permaloso. Non rendeva
conto che ogni sua parola in quel momento per me era più che preziosa:
inestimabile.
-No, vieni qui.-, lo pregai.
Probabilmente percepì il bisogno e la gravità nella mia voce, perché tornò nella
mia camera con passi leggeri e morbidi.
Avevo alzato la testa dal cuscino, così potevo vedere la sua figura stagliarsi
sulla soglia della porta semiaperta, che spinse per poter entrare più
comodamente.
Aspettò che parlassi io, per non cadere e sbagliare di nuovo.
-Senti…-. Non avevo fatto i conti col mio imbarazzo: non sapevo come comportarmi
con mio fratello, non era certo facile esprimere ciò che provavo in quel momento
ad una persona che, in fin dei conti, era stata costretta a vivere con me per
dei futili legami di sangue. In quel momento mi sembrò che fosse proprio così,
che fossimo stati costretti a vivere nella stessa casa e, si sa, la convivenza
nuoce ai sentimenti, perché la quotidianità uccide ogni tipo di emozione che, ad
un certo punto, diventa ineffabile.
Il bisogno, però, era più potente e magnetico dell’imbarazzo, sentimento che non
provavo da tantissimo tempo.
Gli raccontai tutto, tutto di Shaoran, delle menzogne, della felicità farcita di
dolore, del mio anno e mezzo di amore, dei seguenti due anni di insensibilità e
tempesta, di ciò che era successo a Tomoyo in Cina, del fatto che erano tornati…
Tutto.
Nel frattempo Touya si era seduto su una sedia accanto al letto e mi guardava
attento conle mani giunte sotto il
mento e la frangia che a volte gli copriva gli occhi e che spesso spostava
infastidito con una mano.
Parlavo a raffica, senza fermarmi, rigirandomi nel letto, prima a pancia in giù,
poi di lato, dandogli le spalle. Alla fine, però, mi voltai verso di lui: non
c’era più alcun imbarazzo, il pericolo che non mi prendesse sul serio (era
quello il mio timore più grande) era passato, perché era evidente che mi stesse
ascoltando.
Quando terminai di parlare alzai il busto e lo appoggia ai cuscini circondandomi
le ginocchia con le braccia e piegando la testa all’indietro fino a toccare il
muro.
Sentii improvvisamente freddo e così sciolsi i capelli per farli ricadere sul
collo, affinchè lo coprissero. Gettai l’elastico sulla scrivania poco lontana e
agitai la testa per far posare la chioma anche sulle spalle. Aspettai
pazientemente che dicesse qualcosa.
-Hai pianto?-, mi chiese ad un certo punto, costringendomi con le parole a
voltare il capo.
-In che senso?-, domandai confusa. Pensavo che avrebbe insultato
(Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran)
lui,
che lo avrebbe maledetto e… e invece?
-No.-, risposi decisa, orgogliosa della mia forza, fiera della mia resistenza:
non avevo mai pianto in quegli anni, non perché non avessi sofferto, ma perché
mi ero promessa di non versare nemmeno una piccola e futile lacrima per lui,
perché quest’inutile frutto di dolore sarebbe diventato una significativa e
indubbia prova della mia debolezza. Non l’avrei permesso, mai.
-Io non capisco…-, affermò Touya piano, quasi parlando fra sé: -Perché la gente
crede che piangere sia sinonimo di mostrare debolezza? Esiste gente che ne va
fiera, che ne è orgogliosa, che crede di meritarsi una medaglia per questo. Io
penso invece che piangere sia un segno di coraggio, perché chi piange sa ed è
consapevole di mostrare una parte di sé che gli altri potrebbero insensibilmente
attaccare, ma si piange lo stesso. Di solito la catagoria di coloro che non
piangono corrisponde a quella di coloro che sostengono di non interessarsi di
cosa pensano gli altri di loro. Questa è la vera ipocrisia: se non t’interessa
l’idea che gli altri hanno di te, allora perché ti nascondi dietro l’orgoglio?
Forse è l’imbarazzo, come un guerriero che si sfila l’elmo in piena battaglia,
l’imbarazzo di mostrare la propria identità mentre tutti gli altri combattenti
restano anonimi? Ma è proprio questo il bello della vita: mostrarsi, deboli o
forti, non importa, ma mostrarsi. Tu ti stai nascondendo, invece.-.
Tacqui, fissandolo con una certa curiosità: non l’avevo mai sentito parlare
così, forse si era drogato… A parte gli scherzi, quelle parole mi punsero e si
conficcarono nella mia carne. Così facendo mi provocarono dolore, ma soprattutto
mi resero sensibile, sensibile all’esterno e non solo all’interno.
-A quanto pare neanche tu sei la persona più felice della Terra.-, constatai per
sviare l’argomento.
Sorrise triste e annuì.
-In effetti…-.
Ricambiai il sorriso e guardai verso e attraverso la finestra buia e senza
tende. Tutto quello che aveva detto era così giusto... Era una specie di verità
universale. In quel momento mi vergognai di aver provato orgoglio della mia
forza apparente, trasparente in modo da rendere visibile la debolezza e la
stanchezza sottostanti.
-Yukito dice che sono troppo etero per stare con lui. Mah… solo perché ho
apprezzato la nostra docente di telecomunicazioni all’università… Mi sembra
esagerato, insomma. Pensa che io sia una persona superficiale, che possa
abbandonarlo per una donna.-. A quel punto la sua voce si fece più rabbiosa:
-Non capisco, cosa devo fare per fargli capire che lo amo? Lo devo sposare? Se
potessi lo farei, ma purtroppo…-.
Lo osservai bene. Sapevo che stava con Yukito da quando avevano finito il liceo
e la cosa non mi aveva sconvolta particolarmente, ero molto felice che mio
fratello avesse trovato un altro passatempo invece di darmi sempre fastidio…
-E’ normale essere gelosi, lo ero anch’io in un certo senso… con lui.-,
sussurrai.
-Che bastardo. La prossima volta che lo vedo gli spacco la faccia e giuro che lo
faccio, non è un modo di dire.-, ringhiò.
Mi venne da ridere, infatti ridacchiai piano. Mi aveva sempre difeso fin da
quando ero piccola, senza mai tirarsi indietro. Anche sapendo che ero innamorata
di Yukito si era fatto da parte, in un certo senso, e non mi aveva
demoralizzata, benché fosse impossibile una relazione fra me e Yukito.
In quel momento, improvvisamente, si sporse verso di me e mi abbracciò. Mi
rigirai fra le sue braccia e lo circondai anch’io.
-Piangi.-, mi ordinò quasi.
Voltai la testa da un’altra parte.
-Piangi, non ti vede nessuno. E anche se fosse, dovresti solo essere fiera di
te.-.
Lo fissai, concentrandomi sui capelli per non guardarlo negli occhi.
-No…-, sussurrai, ma la mia voce era rotta, infranta da qualcosa di
irriconoscibile.
-Forza.-. Mi diede una pacca sulla spalla. Quel solo gesto di vicinanza, di
comprensione fece sciogliere un’altra parete. Inevitabilmente.
Pianse con me, piansi con lui. Per qualche minuto, finchè non sentimmo la voce
di nostro padre dall’ingresso.
-Sono tornato!-, esclamò.
Libera, sciolta e non più attorcigliata intorno a me stessa, mi avviai giù con
Touya.
Non servivano cerimonie e ringraziamenti. Era quello il bello di essere
fratelli: una convivenza forzata poteva diventare desiderata; i grazie volano al
vento, sono inutili, i gesti no.
Libera.
Sciolta.
***
Tomoyo posò la cornetta.
-Ha risposto il fratello, ha detto che sta dormendo.-, esclamò piatta la
ragazza.
-Riguardo al discorso di prima, non sono per niente d’accordo con te. Shaoran,
devi andartene.-, aggiunse.
-Non capisci.-.
-Cosa dovrei capire?-, domandò stizzita.
***
Cosa dovrà capire? Domande senza risposta…
Ok, lasciamo stare!
A presto con un altro capitolo, spero da voi gradito!
Grazie a tutte coloro che hanno recensito, ciao ciao!
-Oh, ti calmi?-. Shaoran alzò un sopracciglio, stupito dalla reazione della
ragazza.
-Calmarmi? CALMARMI? Ma ti rendi conto di cosa mi hai detto? Tu sei una
sciagura, una catastrofe, una DISGRAZIA!-, urlò la mora.
Il ragazzo tacque per qualche attimo, osservando in faccia la ragazza, la quale
ansimava per la rabbia. Alla fine aprì lentamente la bocca ed esclamò, come se
fosse la cosa più naturale del mondo:
-Pesce in mano!-.
Tomoyo lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite:
-Pesce… in mano?-.
Il ragazzo aveva un viso serio.
-Sì, insomma, è un modo di dire… Un’intersezione… No, aspetta, volevo dire
interiezione… penso…-.
-Cioè…-, prese una lunga pausa e poi parlò a denti stretti, -IO TI PARLO DI COSE
SERIE E TU MI DICI QUESTE CRETINATE? TORNATENE SUBITO IN CINA, BRUTTO PEZZO
DI…-.
Shaoran non terminò di ascoltare la frase, perché scappò ridendo nell’altra
stanza prima che Tomoyo lo smembrasse e gettasse impazzita tutti i mini-Shaoran
ottenuti nel water.
-E comunque non posso andarmene: pomeriggio mi sono iscritto a scuola e indovina
dove? Nella stessa classe di Sakura. Ma guarda che caso…-. Non potè più
continuare perché Tomoyo cominciò a gridare:
-DISGRAZIATO!-, picchiandolo con la valigia ancora piena.
***
La mattina seguente non andai a scuola: mi sentivo uno straccio.
Come vapore acqueo il pensiero di Shaoran si condensò nella mia mente, ma avrei
presto creato un canale di scarico, senza dubbio.
Appena mi svegliai risi nel vedere il cielo bianco che rifletteva il proprio
bagliore nella mia stanza. Una risata amara, un altro giorno incolore. Ero
sicura che Shaoran fosse tornato per restare, come Tomoyo. Probabilmente voleva
diplomarsi in Giappone.
Non so come mi vennero in mente quei pensieri e come intuii quelle ipotesi, ma
ero sicura che fossero vere. Sapevo anche che avrebbe cercato di farmi
innamorare un’altra volta di lui, ovvio, solo perché il suo giocattolino
fai-quello-che-dico gli era mancato. Poverino, probabilmente non aveva trovato
nessuna ragazza stupida, ingenua ed inutile come me. La rabbia mi assalì ancora
una volta e le diedi libero sfogo: contenerla era impossibile, oltre che
inutile. Elusa, illusa, disillusa, delusa… Non avrei più sopportato una
sofferenza del genere. DI qualcosa in fondo gli ero debitrice: ero diventata più
forte, accorta, prudente, attenta, adulta, grazie a lui. Sì, avrei dovuto
ringraziarlo per questo. Risi immaginando la scena: “Certo, mi hai fatto
soffrire, piangere, chiudere e rovinare, ma ti devo dire grazie.”. Poco
probabile, decisamente poco probabile.
Vedevo la mia vita come una linea, prima chiara, bianca, poi improvvisamente
nera e oscura. Non dovevo dargli la soddisfazione di aver giocato il suo gioco:
dovevo essere fredda, implacabile, glaciale. Mi ero allenata per due anni ed era
abbastanza: era ora di mettere in pratica la teoria. Tacere e ignorare, ecco
cosa dovevo fare, provare indifferenza e… ed ero più decisa che mai a vincere
quella battaglia, ad aggiudicarmi finalmente la guerra. Troppo, era tutto
troppo: troppo il dolore, troppa la frustrazione, troppa l’umiliazione, troppa
persino la determinazione.
E se fossi caduta nella sua trappola? No, no, NO. Per due anni avevo immaginato
di stringergli la gola, di fargli confessare tutte le sue colpe, di soddisfare
le mie turpi pene. Con Tomoyo era stato tutto diverso, il rancore non aveva
graffiato così profondamente il mio spirito.
Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che nel mondo non ci fossero solo buoni?
Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che la vita è fatta di eventi lieti e
infelici?
Avrei dovuto rassegnarmi all’idea che soffrendo si cresce e si matura l’animo?
Avrei dovuto rassegnarmi?
No.
No.
No.
NO.
Voleva fottermi? Voleva ingannarmi? L’unica cosa che poteva fottermi era il suo
pensiero, nient’altro.
Questa volta sarei stata io a vincere e lui non avrebbe potuto fare nulla se non
fissare me che aprivo con le dita le sue cicatrici e che ne creavo di nuove,
l’avrei penetrato come aveva fatto lui con la mia anima e la mia dignità.
Perversamente.
Sapeva cosa volevo e non capivo perché fosse tornato. Sorpresa! Non ero più la
bimbetta di allora. Aprii piano la bocca, mi leccai il labbro inferiore e la
richiusi di scatto, facendo schioccare i denti.
Ero stata solo un suo capriccio e, in fondo, anche la mia vendetta lo era. Il
raziocinio? Beh, anche questo era d’accordo. Insomma, era una delle poche volte
in cui l’istinto e la ragione aspiravano allo stesso obiettivo. Un capriccio
ragionevole, insomma: razionale, meritato. Sì, me lo meritavo.
Nel pomeriggio chiamai Tomoyo per sapere i compiti.
-I… i compiti?-, ripetè titubante.
-Sì, i compiti per domani. Oggi non sono venuta a scuola, hai notato?-, domandai
sarcastica.
-Ecco… Vedi, Sakura, purtroppo… Beh, stamattina mi sono iscritta e a dire il
vero nella tua classe non c’era più posto, così mi hanno inserita in un’altra
classe.-, confessò dispiaciuta.
-Ah.-, riuscii a dire. Ero amareggiata e rammaricata: era appena tornata dalla
Cina, stava passando una situazione delicatissima e ci eravamo appena
riappacificate e… E non eravamo in classe insieme? Non avevo il sostegno, il
bisogno necessario che in quei due anni mi era mancato più di qualsiasi altra
cosa? Come era possibile? Più era l’ostinazione, più la perdita. Capii
finalmente il legame fra questi due fattori.
-Ma tanto c’è la pausa pranzo e potremo stare insieme in quel momento, vero?-,
aggiunse, conscia del motivo del mio silenzio prolungato.
-Certo!-, sorrisi disperata, stringendo ancora una volta le mani della
Solitudine, vestita di stracci e dagli occhi spenti e lacerati.
-Il problema è un altro.-, dichiarò secca la mia amica.
-Dimmi.-, esclamai quasi prima che terminasse la frase.
Non tergiversò più, non dubitò né esitò, questa volta.
-Shaoran è nella tua classe. Lo so, lo so, credimi: ho fatto tutto il possibile
per dissuaderlo dal rimanere qui, ma ormai si è iscritto e… Sakura, scusami se
non sono riuscita a difenderti per la seconda volta, anzi, per la terza volta.
Perdonami, davvero, ma io…-. Un fiume di parole accavallate una sull’altra, una
in groppa all’altra, confuse.
-Ehi.-, esclamai per arginare quel corso torrenziale di frasi rammaricate, -Non
c’è alcun problema. Me la so cavare da sola, non è colpa tua.-. Ovviamente era
sottinteso che fosse colpa di lui.
La notte passò lenta ed onnivora, mangiatrice di sogni e di riposo. Il fatto che
Shaoran fosse nella mia stessa classe mi era d’aiuto per la mia vendetta. Beh, a
dire il vero non ero proprio sicura di che vendetta parlassi, poiché non sapevo
in cosa consistesse, sinceramente.
Pensandoci, sarebbe stato sufficiente ignorarlo, così da essere anche più
prudente: non mi sarei mai perdonata se fossi caduta nella sua trappola.
Non mi rendevo conto di essere patetica, forse, o megalomane, nevrotica,
paranoica e psicolabile o probabilmente anch’io cominciai a mentire, a
seppellire le bugie nel peggiore dei modi, fingendo nei miei stessi confronti.
Credevo fosse solo un’umida frase da film, “mentire a sé stessi”, e invece no.
Strano, tutto diviene più percettivo quando si sente un’emozione forte, odio o
amore che sia.
La luna si sciolse, come una macchia di sangue di unicorno nel denso petrolio
fosco. Faceva paura, la luna. Bisbigliava piani di battaglia, sussurrava
principi filosofici ineccepibili, raccontava violenze inenarrabili, dipingeva
nella mente porte socchiuse e bocche spalancate, finestre dischiuse e occhi
vibranti di malattia.
Piansi di rabbia, mordendo le lenzuola. La mia ambiguità mi incuteva paura,
terrore, paranoia. Mi alzai dal letto
per cercare quella parola sul vocabolario. Paranoia. La usavo spesso, ma non ne
conoscevo il significato preciso.
Paranoia: è un termine per descrivere una psicosi di paura, relativa alla
percezione di essere perseguitati. Questa percezione spesso causa il cambiamento
del comportamento naturale in modo radicale, dopo un po' di tempo il
comportamento dei soggetti affetti può diventare estremamente compulsivo.
Percezione di essere perseguitati? Sì
Cambiamento del comportamento naturale? Sì.
Il comportamento dei soggetti affetti può diventare estremamente compulsivo. SÌ.
Bella scoperta, ero paranoica. C’era da festeggiare…
j
Mentirai ai miei occhi
Sbaglierai se mi tocchi
Non puoi dimenticarla
Una bugia quando parla
E sbaglierà le parole
Ma ti dirà ciò che vuole.
(“La paura che…”, Tiziano Ferro)
j
Il giorno dopo l’avrei rivisto. L’idea non mi angustiava, anzi, mi eccitava
particolarmente. Finalmente avrei ottenuto ciò che anelavo da così tanto tempo.
Era inquietante quanto l’odio potesse magicamente sminuzzare l’allegria e
nutrire il rancore, lo stesso raschiante rancore che stritolava il mio animo,
che si tramutava in ossessione pura e micidiale.
Sulla scrivania c’era una delle poesie che avevo scritto in quei due anni, la
famosa CHEDIPE.
Cos’è la forza, se nel mio
cuore la dolce neve
ha cominciato a
sciogliersi?
E se nelle mie vene scorre
acqua sporca?
Disperazione dolorosa,
desolazione drastica.
Ignominioso incendio in un
cuore annegato.
Polvere
echeggiante.
Ridicola. Risi rumorosamente, con tono roco e gutturale. Quella risata mi
incusse più timore di quanto avesse fatto la mia sete di vendetta.
Accartocciai il foglio e andai a dormire.
Quando mi svegliai la pagina era ancora nel mio pugno chiuso e quei pensieri
stringevano così tanto la mente da farla sanguinare.
j
***
Ciao a tutti. Ecco un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Sakura a dire il vero sta cominciando ad assomigliarmi un po’… Quando mi
arrabbio tanto, ma proprio seriamente, sento le stesse cose che prova lei. Fa
uno strano effetto giudicare il proprio alter ego.
Comunque, la definizione di “paranoia” è liberamente presa da Wikipedia (ok, ok,
Faffy: Wikipedìa!
Con l’accento sulla “i”… Ndme)… Inoltre, il “pesce in mano” di Shaoran è una
stupidissima ed esasperante esclamazione di un mio compagno di scuola. Può
significare “Oh, cavolo!” (per non dire altro…).
Ecco i ringraziamenti:
Yumemi: penso che comunque non si sia capito di cosa stessero parlandoTom e Sharon (ehm… Ndte)(ehi, donna spregevole, Sharon è un nome
femminile! NdShaoran)! Spero ti sia piaciuta questa Sakura paranoica (quanto
adoro questa parola! Si nota?) (no, guarda, dato che la ripeti ogni due secondi…
Ndte). A presto! P.S.: grazie!
Sakura bethovina: eh, se l’hai capito buon per te! Io non dirò niente! Segreto
professionale (anche questa è una cosa che dico sempre… Va beh, non c’entra
niente in effetti). Ciao ciao e grazie!
Sakura93thebest: devo dirti la verità… ma mi raccomando, non dirlo a nessuno!
Shaoran è tornato in Giappone perché… perché voleva la sua torta! Ma acqua in
bocca!!! (ehi, Mezzosangue, mi stai prendendo in giro per caso? Ndte)… Ehm,
scusa! Lasciamo stare… Spero ti sia piaciuto questo capitolo, a prestissimo e
grazie!
Sakura182blast: che fratello saggio… Sì, hai ragione. Sinceramente ha fatto
impressione anche a me che scrivevo, quindi immagina! Che ne pensi di questa
Sakuraalquanto strana? Spero di
sentirti presto, ciao ciao e grazie!
Fuffina: hai visto??? Ho messo PIM! Fish In Hand forever!
Ah ah ah! Che bello! Non vedevo l’ora di metterlo (plagiatrice! NdScodella)!
Senti, donna spregevole, che ne dici di questa Sakura “attrassata” come direbbe
Oral-M? Insomma, si eccita pensando di strangolare Sharon! (ma sei proprio
fissata con gli strangolamenti??? Ndte)(sì, sono sexy! Ndme)(come Sakura a 5
anni… slurp… NdTouya)(senti, pedofilo ninfomane, perché non ti slurpi il mio...
NdMr. Spazzaneve)… Scusa per questa cosa sclerotica, è solo che sto ascoltando
la stessa canzone da minimo due ore e non sto esagerando… (esageri? Ma sì che
esageri! Certo, tu esageri! È inutile che neghi, tu esageri! Te lo dico io,
esageri! Io lo so, esageri! Ti capisco, esageri! Ma come esageri! Ma esageri
ancora? So che esageri! Capito? ESAGERI, ESAGERI,
ESAGERIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII! NdAlessandra)… Forse è meglio
abbandonare qui il capitolo… (d’accordissimo, per Giove! Ndte con i baffoni tipo
zio Vernon e con la voce del tizio del cortile)! Ciao ciao e che Plinio il
Giovane e i suoi figli illegittimi siano con te!
Bene, a prestissimo spero! Ciao ciao e grazie per le recensioni!
The smile when you tore me apart.
You took my heart,
Deceived me right from the start.
You showed me dreams,
I wished they'd turn into real.
You broke a promise and made me realize.
It was all just a lie.
(Angels, Within Temptation)
Fuoco sprezzante, nè angelo nè demone, ma solo uno struggente, sconfortante
morso infiammato che tutta mi ha percossa, conducendomi verso un prematuro
matrimonio con la distruzione.
Sogno brillante, non dimenticherò mai il tuo fulgido splendore, il tuo frusciare
nella mia mente, il tuo insinuarti controvoglia.
Ectoplasma inconsistente, come puoi provocare così tanto dolore se non hai
identità? Se fossi di ferro potresti affilare le mie membra, ma sei ben più
intangibile. Se fossi di seta potresti accarezzarmi con dolcezza, ma sei ben più
graffiante. Se fossi di luce potresti riscaldare, bruciare la mia pelle fredda,
ma sei ben più crudele, cullante.
Sweet child you worry too much, my child
See the sadness in your eyes
You are not alone in life
Although you might think that you are
(Our farewell, Within Temptation)
Bambina, dolce bambina: il mio nome non è più. Ed è tutta colpa tua, uomo
ribelle, creatura innaturalmente comune, falsa. Perché le menzogne ormai sono
come fiori in un giardino nascosto, che crescono e si riproducono con rapidità
asfissiante, turbante, avvilente.
Non è una metafora: sei un fantasma. Lo eri quando il tuo finto amore mi
possedeva tutta, lo sei ora che i miei brividi chiedono vendetta, ora che la
luna rispecchia i miei occhi, riflette il loro inquietante fulgore.
Il vento entrò dardeggiando dalla finestrella del bagno intrecciando i miei
capelli con movimenti fluidi e ritmici e portandoli dietro le spalle, mentre la
mattonella di fronte a me ritraeva perfettamente la superficie del mio viso da
cui colava luce trasparente simile ad acqua sanguinante.
Era la ricreazione e sentivo voci ridenti e civettuole bussare alla porta del
bagno, con decisione, con violenza.
Volevo che Tomoyo fosse lì con me, ma purtroppo il professor Washinke l’aveva
chiamata per un progetto sulla costruzione di un plastico della foresta
Amazzonica o qualcosa del genere… A proposito, il professor Terada era stato
trasferito in un liceo con specializzazione scientifica ed era stato sostituito
da quattro nuovi insegnanti: Nikeru di giapponese, storia e filosofia (sulla
sessantina, chiamato anche “Marpione”, con una presunta relazione con la Shiga),
la Shiga di matematica, fisica e chimica (capelli scuri e corti tipo barboncino,
ma una cinquantenne alquanto simpatica), Zeshine di storia dell’arte e inglese
(ventinove anni, aveva studiato a Cambridge e non era riuscito a sbarazzarsi di
quell’orrendo, ma a suo tempo affascinante, accento inglese... ma a parte
questo, simpaticissimo anche se a volte completamente isterico e paranoico), la
Nukki di educazione fisica (capelli lunghi e castani tipo Samara, sulla
quarantina, ma ancora bellissima).
Ritornando alla mia poco rosea situazione, uscii dal bagno con una violenza e un
impeto tali da far cadere il pacchetto di patatine della ragazza più vicina alla
porta.
-Sai che me ne devi pagare un altro pacco, vero?-, si rivolse a me stizzita e
indignata. La ignorai completamente e continuai a camminare per il corridoio con
le orecchie tese.
-E’ normale che poi ti dicano che sei una…-. Smisi subito di ascoltare e mi resi
conto che quella che stava parlando era Chiharu. Non la biasimavo, in fondo io
ero solo la strega cattiva della sua perfetta fiaba in cui la principessa
s’innamorava del principe a dieci anni e rimanevano insieme per tutta la loro
stomachevole e caramellosa vita avendo tanti bambini e non sapendo nemmeno come
hanno fatto a nascere… no? O meglio, lo
ero stata.
-Dài, amore, lasciala stare.-, sussurrò Yamazaki, ma riuscii a sentirlo lo
stesso. Continuai a camminare velocemente e a passi piccoli lungo il corridoio
tappezzato di quadri delle Tomoeda degli anni ’20, un polveroso e soffocante
agglomerato di miseri edifici fatti di calce, cemento e storia.
-Non cominciare, hai capito? Non cominciare a difenderla!-, strillò Chiharu con
una voce acutissima da soprano strozzato.
Incredibile come mi giunse solerte e celere la consapevolezza che per
lui, a causa sua, avevo
perso, avevo perso tutto. Non l’innocenza, non l’ingenuità, non la magia, non il
romanticismo, non il sogno… Certo, anche quelli, però anche Tomoyo, Chiharu,
Yamazaki… Le loro amicizie preziose si erano trasformate in odio, risentimento e
amarezza. Non le avrei mai più ritrovate nella loro forma più pura, lo sapevo
benissimo, almeno finchè non avessi trovato ciò che anelavo così
struggentemente.
Lo capii con tanta calma, con così tanta rassegnazione che risultai inquietante
anche a me stessa.
Quella mattina era entrato in classe fra il letterale delirio di tutti, a parte
Yamazaki e il professor Marpione (che aveva già capito con uno sguardo che tipo
fosse. Magari l’avessi fatto anch’io…). A dire il vero fra i deliranti c’ero
anch’io, ovviamente per la mia innata, infinita, ineffabile, sgraziata, smodata,
illusoria sete di vendetta.
Annodai il cervello e lo sciolsi dai sensi continuando a camminare.
Io ero delirante, certo, pazza di desiderio, ossessiva, assediata dal lacerante
anelo egoista. Ah, egoista! Egoista? Ma che stavo dicendo? Era stato lui a
sbagliare, lui a mentire, lui a sfruttarmi! Lui non era niente, era vuoto,
completamente vuoto. Non era altro che un bel corpo misto agli effimeri
obiettivi della sua vita: sesso e stupidità. Cosa faceva in fondo? Qual era il
principale, l’unicofine della sua vita? Far ridere tutti a scapito degli altri, dei distanti
da quel mondo comodo e ipocrita da cui si poteva precipitare nel mio baratro per
un’unica parola sbagliata: secchiona? GIU’! Grassa? GIU’! Disperata/Scontrosa
cronica? GIU’! Folle? GIU’! Tutti erano anelli di questa catena, compresa io,
cosa di cui mi vergognavo immensamente. Non avevo mai sofferto per non essere
accettata nella cosiddetta società, ma era cambiato tutto, tutto si era
trasformato a causa sua: non ero più la ragazzina allegra che tutti, bene o
male, vogliono bene per quello che è, ero semplicemente cresciuta prendendo
un’altra strada. Il problema era che al momento in cui i percorsi si erano
divisi avrei potuto cambiare, ma non l’avevo fatto. Testardaggine? Illusione?
Ingenuità? Avevo deciso di restare immobile mentre gli altri camminavano decisi
sulla via dell’accettazione, perché è con essa che si ottiene tutto, è con essa
che ci si difende e si attacca. Per questo ero così indifesa, volubile,
vulnerabile.
Non potevo ignorarlo. Sono fuori. La
coscienza di ciò mi spinse verso l’aula e mi accompagnò al mio banco, di fronte
alla porta, accanto al muro.
-… e allora le ho detto: ‘Bella mia, guarda che con 1107 Renminbi (= 100 Euro,
Ndme) posso farti tutto quello che vuoi, pure succhiarti il muco dal naso!’…-.
Una fragorosa risata accompagnò queste parole, mentre la sua voce echeggiava
ancora in aula.
Tutti ignorarono il mio ingresso e sinceramente ne fui estremamente lieta.
Raggiunsi la lavagna e giocai un po’ col gesso mentre il capannino che si era
formato attorno a luiancora rideva per la sua battuta. Ecco: simulazione della conquista di un
obiettivo. Soggetto: creatura prevaricatrice, egoista, presuntuosa, arrogante,
meschina, opportunista, traditrice, possessiva, viziata, mutevole, avente il
fine pratico di provocare riso e ilarità negli altri appartenenti al suo allegro
e infimo gruppo. In poche parole, un essere umano.
Mi ricordai di quella mattina, di come ero stata delusa dalla sua reazione.
Pensavo che mi si sarebbe subito avvicinato con sguardo provocatorio, che mi
avrebbe apostrofata con qualche commento poco lindo, che avrebbe in qualche modo
fatto riferimento al passato… e invece? E invece niente. Come si dice, un piano
stroncato sul nascere. Avevo infatti basato la mia vendetta sulla sua indole
molto propensa al piacere e poco incline alla continenza e al rispetto dei
limiti. Non sapevo se mi avesse guardata, poiché avevo tenuto gli occhi bassi:
la mia finta forza e la mia falsa aggressività non potevano arrivare fino al
punto di guardarlo negli occhi.
(… Anche se il desiderio di farlo mi aveva fottuta non poco…)
Però sapevo che non mi aveva parlato e probabilmente non aveva accennato a me.
Avrei dovuto studiare la situazione, anche se il ruolo di stratega non mi era
mai piaciuto: ero troppo debole e insicura per architettare piani alla Team
Rocket, decisamente.
Ad un certo punto mi accorsi che nell’aula c’era qualcosa che mancava… quel
sottofondo… Oh, certo, la sua voce. Conosceva anche il silenzio, maaagicooo… E
chi se lo sarebbe aspettato?
-SAKURA SAKURA SAKURA!-, mi sentii chiamare dalla mia destra. Alzai lo sguardo
e… No.
Perché l’avevo fatto?
Non poteva essere…
Avevo quasi paura.
Oh, ma non di lui. Di me.
Gli stessi timori bisbiglianti e sommessi…
Le mie reazioni, le sue parole…
Niente più finzione: dietro l’ombra della mia vendetta c’era ciò che rivolevo
indietro: me stessa, la mia piccola quattordicenne che scopre il mondo poco a
poco, che crede ancora nelle fiabe, che guarda film sdolcinati senza
vergognarsene, che fa amicizia con così tanta facilità… Avevo fatto parte di
quel mondo che non volevo lasciare, della sua sicurezza comune, del suo grande,
caldo e confortante abbraccio. Allora perché ero stata costretta ad uscirvi così
impetuosamente? Perché ero stata minacciata fino a rinunciarci? Perché avevo
scelto una nuova strada?
Quando incontrai i suoi occhi, in quell’attimo evasivo, elusivo, vago,
inafferrabile, sfuggente, non ottenni alcuna risposta, ma il mio capriccio fu
soddisfatto: volevo vedere il male in faccia? Ecco fatto. Risultato? Non era
cambiato nulla. Ciò fece nascere un dubbio in me: e se anche la mia vendetta
alla fine si fosse rivelata inutile, vana, inane? No no no no no no no no no no
no no, MAI. Non avrei nemmeno dovuto pensare qualcosa del genere.
Intanto quel momento terminò e i miei occhi si posarono su Tomoyo, la quale mi
aveva precedentemente chiamata.
E intanto cosa avevo scoperto in quell’eternità? L’inania di denudare ciò che vi
si nasconde.
***
Ciao a tutti! Innanzi tutto vorrei scusarmi per l’enorme ritardo, ma la
settimana scorsa sono stata in gita per tre giorni, poi per i vari impegni
scolastici è stato difficile racimolare un po’ di tempo per scrivere… Ma ora ci
sono le vacanze di Pasqua, quindi volendo potrei aggiornare anche questa
settimana!
Grazie a tutti per le recensioni, spero che questo capitolo vi sia piaciuto,
anche se penso che non sia risultato come effettivamente volevo… Speriamo bene.
Un mese. Un intero mese, inutile come gli ultimi morti anni della mia vita. Era
maggio inoltrato, primavera, fiori ormai sbocciati, cespugli verdi e intensi,
petali che cadevano dagli alberi e bla bla bla, non me ne importava
assolutamente niente. Qualcuno dice che la miglior cura per gli impetuosi
sentimenti umani è la natura: io rimanevo completamente indifferente di fronte
ad essa, ovviamente a differenza di pochi anni prima. Al centro dei miei
pensieri non c’erano più farfalle colorate e sperdute o magari le margheritine
che imperlavano il mio giardino. No. Era la mia maschera, la mia maschera che
non sapevo cosa coprisse: chi ero davvero? Questa sciagurata copertura celava la
mia infantilità o la mia disperazione? E da cosa era formato questo turpe velo
insanguinato? Razionalità? Pazzia? Chissà. L’unica cosa di cui ero
disperatamente certa era che questa cosiddetta maschera era di neve e cera: si
sarebbe velocemente sciolta, ma ciò che più mi inquietava era cosa avrebbe
denudato di me. Delirante incertezza, miserabile sorte.
Ore che lente e inesorabili
attraversano il silenzio del mio cielo
per poi nascondersi da un tratto
dietro nuvole che straziano il sereno
sentirle riaffiorare quando tutto
sembra aver trovato il giusto peso
aver la voglia di rubarle al tempo
per potergli dare tutto un altro senso
(“Nuvole e lenzuola”, Negramaro)
I miei silenti pensieri vennero accartocciati e gettati via dalla massiccia voce
del prof Marpione, ma non era diretta a me.
-Buon Dio, signor Li, la smetta di fare il buffone. È dall’inizio della lezione
che sta trafficando con quella fionda! La finisca, altrimenti prendo
provvedimenti.-.
Nell’aula regnò il completo e ineluttabile silenzio, conseguenza del feroce
ringhio del professore che in quel momento stava illustrando il pensiero di un
pressoché sconosciuto filosofo malese.
-Certo prof, non si preoccupi.-, asserì
lui probabilmente soffocando un sorriso,-Anzi, vorrei porle una domanda.-,
continuò imitando un tono dotto.
-Prego?-, rispose Marpione soddisfatto del cambiamento, ma anche leggermente
sospettoso e diffidente.
-Volevo sapere… Prof è il diminutivo di profilattico???-.
Non appena terminò di pronunciare la frase l’aula fu scioccamente invasa da una
violenta nevicata, ma che dico, bufera di risate che appesantì le pareti, fece
tremare i vetri e infuriare me: come si poteva essere così stupidi? Non mi
sentivo superiore, insomma, quelle non erano parole di una superba, bensì di
un’odiatrice. C’è una spessa differenza fra le due categorie: il superbo odia
e/o invidia il resto del mondo credendosi, per disperazione o convinzione,
migliore di esso; un odiatore, semplicemente, detesta l’universo e persino sé
stesso. Ecco, forse era quella la mia maschera… Sì. Ma allora cos’era la mia
metà così vilmente offuscata da essa? Cosa si trovava sotto? Quale terreno
incerto e cannibale lo inghiottiva? Cos’è che sento così vicino come una melodia
incalzante e profonda che non riesco ad identificare con nessun suono mortale?
Non capivo… Non riuscivo a far violenza alla mia nuova personalità senza
cambiare il mio ignominioso obiettivo, non riuscivo a sciogliere la mia maschera
per ritornare me stessa perché sapevo che non avrei mai trovato un Sole così
potente e luminoso da polverizzarla, non riuscivo a piegarmi alle mie volontà
lasciandole galoppare a briglia sciolta senza cadere inesorabilmente in una
situazione di stallo marmorea e irremovibile.
La mia attenzione venne di nuovo presa a calci dalla caduta di una penna, così,
perso il filo dei miei pensieri, non mi restò altro da fare che voltare la testa
verso sinistra, ascoltare e fissare attentamente il professore.
-… la tradizione filosofica e culturale di tutta l’Asia, che in Occidente è
vista con molto rispetto. Ad esempio, durante uno dei miei numerosi viaggi a
Londra…-.
L’imminente (e chilometrico) resoconto del suo viaggio fu interrotto da un lungo
e acuto “Aaaah!” proveniente dal centro dell’aula. Tutti ci girammo verso quella
direzione e appena mi resi conto di chi fosse il soggetto della situazione mi
voltai subito. Chi era? Naturalmente, lui.
Chi altri, se no? Nell’attimo in cui lo guardai vidi le sue mani strette a coppa
davanti alla bocca e la fionda di cui Marpione si era precedentemente lamentato
che giaceva sul banco con accanto una penna.
-SIGNOR LI, VADA SUBITO FUORI!-, urlò il professore al colmo dell’ira.
Probabilmente si era colpito la bocca con la penna e si era fatto male. Si era
fatto male. Si era fatto male… SI ERA FATTO MALE!!! Ah ah ah, ben gli stava!
All’improvviso, mentre tutti si precipitavano al suo banco per assicurarsi delle
sue condizioni (probabilmente solo per ingraziarsi il più popolare della classe,
che ipocriti… come lui, del resto), io non riuscii a trattenermi dallo scoppiare
in una risata fragorosa, argentina, isterica, disperata, spaventosa, così acuta
da coprire le voci premurose e false di tutta la classe. Io, felice nel suo
dolore, crudele relitto di me stessa, letizia del male. Scoppiai letteralmente,
accesa da quella inaspettata polvere da sparo, innescata da un piccolo flotto di
sangue, preda di una ossessiva follia omicida, quasi, o forse completamente.
Tutti si voltarono verso la mia figura, piegata dalle risate, impermeabile alla
vergogna, impassibile ai loro sguardi increduli ed irritati. Che mi fissassero
pure, almeno io ero sincera, non dissimulatrice e assetata di un potere
inesistente come loro. La collera dentro di me crebbe fino a toccare misure
indicibili, inconfessabili; il piacere era ancora più intenso e carezzevole, se
possibile, incontenibile, come le mie risate roche, come la mia voce confusa,
tridimensionale, sintetica, disperata che mi pareva illusoriamente sicura in
quel momento.
-Signorina Kinomoto, non ammetto questi comportamenti infantili e sciocchi. Vada
fuori anche lei!-.
Ecco, c’era da aspettarselo. Io e Shaoran (oddio, quel nome… No, non potevo
essere così debole: Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran Shaoran
Shaoran SHAORAN SHAORAN SHAORAN…) fuori, insieme, da soli. Lui ci avrebbe
provato, mi avrebbe baciata e io… E io? Che avrei fatto? Oh, ma ci sarei stata,
ovviamente: era finalmente l’occasione di illuderlo, non potevo sprecarla così.
Era tutto così scontato nella mia testa, pianificato fino all’esasperazione,
fino alle lacrime.
Mi alzai con sfacciataggine, continuando a ridere irosamente, tristemente. Mi
sentii inutile, piccola e patetica, ma solo per un millesimo di secondo, un
unico granello di tempo, insignificante quanto dimenticabile, in cui la mia
maschera si scostò lievemente per poi essere rimessa al suo posto dalle mie
labbra ancora più tese e dai miej occhi ancora più bagnati di stille stoiche e
adirate.
Brancolai con decisione attraverso la porta e poggiai i gomiti sul davanzale
della finestra del corridoio fissando la mia espressione decisa riflessa sul
vetro pieno di ingannevoli e opachi aloni.
Percepii, prima con la mente e poi con l’udito, la porta che si chiudeva con un
tonfo sordo e il suo respiro affannoso intermezzato da imprecazioni borbottate e
risate sommesse.
Ecco.
Eccomi lì.
Il silenzio, dopo tanto chiasso (in particolare nella mia confusa testa) era
quasi più pesante e poderoso di quelle risate, era come una ruvida mano posata
sulla mia bocca che mi costringeva a tacere. Mi minacciava.
Eccoci lì.
Ero pronta.
Fissavo i messaggi d’amore scritti con un pennarello rosa sul davanzale.
Patetici.
Si era steso a terra, avevo sentito lo spostamento d’aria.
Bene. Ormai immaginavo già cosa stesse pensando e cosa mi stesse per dire: “Sai
che da qui ti si vedono le mutande?”. Tsè, le solite cose.
Era il momento di cominciare. Cosa? Non lo sapevo assolutamente, ma avrei detto
qualsiasi cosa mi fosse venuta in mente. E finalmente sarei stata libera da
tutto, da tutti. Da lui.
^^^^^^^^^^^^^^^^
Ciao, è inutile che mi scusi per il ritardo, ma volevo solo dirvi che mi sono
trovata di fronte a un bivio per quanto riguarda la continuazione della storia.
Dovevo scegliere fra ciò che avevo pensato sin dall’inizio e un’improvvisa
ispirazione che mi ha folgorata da pochi giorni. Be’, ho scelto quest’ultima.
Spero che reputerete valida la mia scelta, quando la scoprirete, ovviamente. Ora
che ho le idee chiare, penso di continuare senza problemi e soprattutto cercherò
di bloccare tutte le ispirazioni imminenti perché altrimenti rischio di fermare
di nuovo la storia.
Grazie mille per il sostegno che tutte quante mi date nonostante la mia
incostanza, spero di ricompensarvi giustamente.
La lacerante distanza
Tra fiducia e illudersi
È una porta aperta
E una che non sa chiudersi
(“La paura che…”, Tiziano Ferro)
-Sei ingrassata,-, esclamò con voce leggermente roca per la strana posizione che immaginavo tenesse (non lo stavo guardando, non lo avrei mai fatto
neanche sotto tortura), -ma sei bellissima lo stesso.-.
Oh, certo, e ora che altro dirà? Che sono più carina quando mi arrabbio? La mia
ira incalzante e famigerata era indescrivibile, anche se ormai riuscivo a
padroneggiarla discretamente. Fingevo una snervante indifferenza, un misero
tentativo di controllare me stessa, di egemonizzarmi, monopolizzarmi e
manopolarmi per non lasciar spazio alla sua nociva presenza, velenosa e acre
come arsenico, quello che usavano le principesse e le attrice. Sì, avete mai
notato che le donne dispongono di un modo inconfondibile ed ineccepibile di
uccidere ed uccidersi? Non lasciano tracce, non creano ulteriori problemi. In
fondo le donne sono tolleranti. Le graziose eredi al trono reale che
semplicemente (e illecitamente) aspirano magari a curarsi della fragile e
possente natura o a lenire i gonfiori dolorosi e umani, ma non possono perché
devono vestirsi di bianco e donare il loro grembo in nome di altri, più preziosi
e più sfortunati principi di latta. La sorte non è generosa. Mai. Con nessuno.
Cosa avrei risposto? Cercai di mostrare e dimostrare una serena sovranità sul
mio animo intarsiato con lame intolleranti, ma l’inesistente liceità dei miei
pensieri mi impedì di ostentare una sincera sicurezza. Lui non se ne accorse,
come sempre. Del resto, perché avrebbe dovuto? Lui non era mai stato mio amico.
Questa frase mi balenò in testa e fece affogare per un attimo il mio cuore
sperduto. Di solito, quando ero ancora piccola (solo qualche anno prima, a dire
il vero), conoscendo una persona la trattavo subito da amica, giocavo con lei,
le parlavo allegramente e speranzosamente. Con Shaoran avevo vissuto solo giochi
freddi che sembravano bollenti per il fallace amore che li avevano illuminati,
riflesso in uno specchio bugiardo; le parole non erano leggere e primaverili, ma
pesanti e significative, ben troppo.
In amore tutto è importante, anche troppo.
Non c’era scelta, avrei dovuto farlo, avrei dovuto sottrarre l’importanza che
per me aveva una carezza, che per me aveva un bacio, che per me aveva una
parola. Mi ero accorta che, sì, forse ero troppo impuntita sugli atteggiamenti
altrui e sul significato che un singolo dettaglio potesse avere. Non mi credevo
così calcolatrice, a dire il vero, e nemmeno così stratega. Non lo ero mai
stata. Mai. Mai stata. Ma lo ero diventata.
Si cambia, pensai,
e tu lo sai bene, non credi? Una
pausa, poi continuai a riflettere: Non
sono davvero sicura di volerlo fare. Ho paura. Paura di essermi sopravvalutata,
di non essere ancora cresciuta abbastanza, di non avere ancora capito me stessa.
Temo di fallire, di cadere nella sua turpe trappola, di suicidarmi a causa della
mia inettitudine negletta. Ma devo farlo. Devo. E così, ovviamente lo feci,
mi decisi. Ma forse… Sì, forse avrei dovuto giocarci un po’ prima.
-E tu sembri cresciuto, ma sei stupido lo stesso.-.
-Non sei cambiata per niente, non dici nemmeno una parolaccia! “Stupido”…-,
rispose subito con aria leggera, ma vagamente a disagio.
Risi distrattamente di quell’affermazione.
-E invece sono cambiata davvero tanto, sai?-, asserii voltando la testa verso di
lui con un sorriso repentino sul volto e poggiando i palmi delle mani sui vetri
della finestra per lasciare le mie impronte. Solo in quel momento mi accorsi di
avere le mani sudate.
-Sì, Tomoyo mi ha detto tutto. Non sapevo che ti piacesse così tanto Yamazaki.-,
esordì lasciandomi impietrita per la sorpresa. In effetti non ricordavo di aver
raccontato a Tomoyo di Yamazaki… Ero stupita, ma anche divertita da quel cambio
di programma: la mia sicurezza, invece di scemare silenziosamente, si erse in
tutta la sua maestosa altezza, ringhiando.
-Beh, penso che nemmeno a te sia dispiaciuto quel miliardo di cinesine con cui
ti sei divertito in questi due anni, o sbaglio?-, domandai piegando la testa da
un lato e guardandogli il viso concentrato. Uno strano sorriso stupefatto gli
scopriva i denti. Ad un tratto mi venne in mente il morso che Tomoyo aveva
sull’addome, non saprei perché… Ma no, non poteva essere: la dentatura di
milioni di persone avrebbe potuto combaciare con quel segno e inoltre Shaoran
non sarebbe mai arrivato a quel punto.
Certo che sì, invece. E se anche l’avesse fatto, la mia amica non l’avrebbe
mai permesso. Me l’avrebbe detto. Me ne avrebbe parlato. E io l’avrei ammazzato.
-Preferisco le giapponesi. Sono più… intelligenti.-. Capii subito che mi stava
prendendo in giro. Non si riferì ovviamente alle capacità mentali delle mie
connazionali, va da sé. All’improvviso alzò il busto e lo appoggiò al muro
bianco e anonimo del corridoio, assumendo un’espressione lontanamente seria.
Subito pensai che quell’atteggiamento ottundesse il suo odioso e digrignante
comportamento beffardo.
Mi resi conto inaspettatamente di essere molto più tranquilla e indifferente di
quanto pensassi. Bene, un po’ di freddezza non avrebbe assolutamente guastato e
d’altronde non era il distacco la mia unica (e improvvisata) strategia?
Aspettai la sua eventuale risposta. Stava riflettendo, strano, pensavo sapesse
solo pavoneggiarsi peggio di un… pavone. A pensarci bene non è che la mia
fantasia fosse migliorata…
-Tu sei intelligente.-, affermò guardandomi negli occhi.
Sopportai quello sguardo forse solo perché me ne accorsi quando schiodò gli
occhi dai miei.
-Nel senso proprio della parola o in quello tuo personale?-, domandai pur
conoscendo perfettamente la risposta.
Un silenzio livido seguì il mio quesito, uno spigolo appuntito contro il
-Entrambi, suppongo.-. Era maledettamente posato, riflessivo, serio. Non ce la
facevo a sopportare quell’atteggiamento: mi ricordava... Cosa? Tanto: la mia
prima fuga dall’ospedale, la scoperta, la frustrazione, l’umiliazione, la
rovina. Nonostante avessi superato il trauma iniziale, la memoria rimaneva
sempre, il ricordo oblia e oblitera il chiarore del cuore.
-Ti amo, Sakura.-. A voce bassa.
-Anch’io.-. Fredda.
Avevo imparato a non negare l’evidenza e il fatto che io fossi ancora attaccata a lui in qualunque modo
possibile era di certo facilmente ostentato. Non volevo far finta di amarlo per
poi deluderlo come aveva fatto lui con me. Oddio, il mio piano iniziale era
proprio quello, ma non potevo certo dire di essergli completamente indifferente.
Tuttavia, non avrei mai detto “Ti amo”. Mai. Mai più.
Nonostante il sentimento controverso che ancora mi legava a lui, non sentii
alcun brivido (come invece accadeva prima) quando mi dichiarò il suo amore. Non
sapevo se fosse sincero, neanche lui avrebbe potuto dirlo probabilmente e, in
tutta franchezza, non m’importava.
Un sorriso selvaggio mi rigò il volto mentre confessavo il mio gelido consenso,
ma lui non intuì nemmeno il mio stato d’animo: in fondo, cosa poteva
interessargli?
Ero immersa nei miei pensieri iracondi quando mi baciò. Come previsto…
Sentii il sapore del suo sangue sul labbro, poi più niente: avrei dovuto
estraniarmi completamente, totalmente. Mi sarei allenata con il suo corpo come
lui aveva fatto con il mio.
E fu così che mi fidanzai con Shaoran per la seconda volta: in un corridoio
davanti alla mia aula, in virtù della più furente, disperata, caotica,
sconnessa, vendicativa velleità da me espressa.
L’aspetto più vivido che ricordo è la confusione, la divergenza di impulsi
contraddittori legati da una comune necessità di reazione. Caos.
Se non fosse per la nostra vista ed il nostro udito, la luce ed il suono non
sarebbero che confusione e pulsazione dello spazio. Allo stesso modo, se non
fosse per il cuore che ama, saresti solo polvere sottile alzata e dispersa dal
vento...
(Gibran)
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Bene! Pensate che sia finita qui? E invece no, ma non manca molto alla fine di
questa storia. So già che mi mancherà scrivere, ma porto avanti questa fan
fiction da due anni, non mi sembra giusto nemmeno nei confronti di voi lettori.
Bene, ora passiamo ai ringraziamenti:
Sakura bethovina:
beh, come dire… Tecnicamente sono tornati insieme, quindi una parte dei tuoi
desideri è stata soddisfatta. Vedrai! A presto, spero, ciao e grazie per la
recensione!
Sakura93thebest:
in effetti le premonizioni di Sakura si sono avverate, non saprei fino a che
punto però. Mi fa piacere che il mio ritorno ti abbia resa felice! Grazie per la
recensione, a presto!
Sakura182blast:
Shaoran si merita peggio, molto peggio di un’illusione! Io sinceramente l’avrei
completamente ignorato. Comunque sì, direi che dev’essere punito, non so se
Sakura sia d’accordo, ma credo di sì! Grazie per la recensione, ciao!
Ok, allora al prossimo capitolo. Spero che la storia vi stia piacendo. Non so se
avete notato, ma Shaoran sta avendo un ruolo sempre più… marginale, in un certo
senso, una specie di vittima della storia (anche se il vero titolo di vittima
dovrebbe essere di Sakura o Tomoyo): si muove quando si muovono gli altri, non
ha più quell’autorità personale di prima. Sta cambiando? Io non penso, non è il
tipo che cresce. Voi che ne pensate? Beh, a presto e grazie!
-Cosa hai fatto?-. Tomoyo non ebbe nemmeno la forza di urlare tanta era la
sorpresa, bensì parlò con un sospiro roco che mi faceva venire in mente la voce
dei protagonisti dei film horror quando si ritrovano un’ascia conficcata nella
nuca. Bizzarro.
Non risposi a quella domanda retorica, ma mi limitai a guardare verso il basso.
I raggi del sole sferzavano i miei occhi attraverso un ciuffo di capelli che,
colpito da quell’aurea lama, rimandava come un prisma la luce al mio sguardo
come attraverso gli alberi di una foresta montana.
Fissai la sua espressione: tesa, sorpresa, ma sapevo che in fondo aveva sempre
una risposta pronta. E infatti mi aspettavo proprio quella.
Il cemento sotto i nostri corpi inghiottiva tutti i raggi solari come un’onda
impetuosa e corrosiva, il verde del retro della scuola sembrava vagamente
inaridito a causa dell’asciutta afa che in quei giorni aveva colpito il centro
del Giappone non risparmiando nemmeno Tomoeda. Gli alberi piangevano le loro
foglie appena rinvigorite ma ora abbattute, cadute in un autunno anticipato, in
una vecchiaia disarmante e lacerante.
Come me.
È incredibile come i pregiudizi non facilitino la vita, ma la complichino
maggiormente: da tutti la primavera è considerata la stagione della rinascita,
della resurrezione della natura e dell’animo umano (su una rivista avevo letto
che anche i casi di depressione diminuiscono drasticamente da marzo a giugno;
ero un’eccezione?), dello sprigionamento del chiarore, della luce. E invece?
Invece qui da me le foglie cadono a maggio, in preda ad un secco vento violento,
ad una rauca perdita d’acqua, ad una morte lenta, dorata e bollente.
Come me.
-Non capisco… Perché?-. La sua domanda mi lasciò stupita: come ho detto, ero
pronta per una risposta, non per un quesito.
Comunque quella risposta me l’ero già preparata o, meglio, la sapevo a memoria
per quante volte me l’ero ripetuta, sforzandomi di convincermi di essermi
fidanzata con Shaoran per nient’altro che la mia vendetta, la sua illusione. NON
ero caduta di nuovo nel suo tranello, ovvio. Altrimenti non so cos’avrei fatto.
-Perché voglio illuderlo, voglio fargli provare tutto l’inferno che ho vissuto
io. Voglio vendicarmi.-, riassunsi in poche parole tutto il concetto senza con
ciò sminuirlo, anzi.
Il vento fuggiva come un toro impazzito, caldo, secco, verso il suo fazzoletto
di colore rosso sangue. Niente avrebbe potuto fermarlo, bruciante e ustionante
com’era. Mi faceva male la testa e sentivo gli occhi inaridirsi come se dal mio
corpostesse evadendo tutta l’acqua
che mi aveva accompagnata in ogni mio movimento. Correva via, scorreva, forse…
delusa? Da cosa? Dal mio comportamento. Ho forse scavato nel mio petto? Sì, ho
forse preso un coltello impugnandolo conveemenza e scavato nel mio petto? Mi sono forse messa in ginocchio
bagnandomi le gambe col mio stesso sangue? Ho forse con disgusto e rassegnazione
penetrato la carne fra le mie fragili costole per stringere il suo trofeo
gocciolante e madido? Gli ho forse offerto il mio cuore con la mia mano, la mia
stessa mano sanguinante, viscida e arrendevole? No. Non c’era nulla per cui
essere delusi. Non lo ero io, non sarebbe dovuto esserlo nessuno. Nessun altro
tranne me.
-Sakura…-, sospirò enigmaticamente, -io… Non pensi che lui possa capire
tutt’altro? Va bene, io so che il tuo fine è quello, anche se non condivido, ma
non importa. Insomma, io non accetto per principio la vendetta, perché credo sia
inutile, ma ovviamente questa è la tua opinione.-.
Non mi venne nemmeno in mente di provvedere ad una nuova redazione del mio
pensiero: ormai ero diventata completamente impermeabile alle opinioni altrui e
ciò non mi permetteva di assorbire altre idee e nuovi concetti. Ero chiusa nel
mio piccolo, sporco, protettivo mondo.
In ogni modo, avevo capito dove voleva arrivare (il dolore mi aveva donato
perspicacia? Chissà) e risposi alla sua domanda intrinseca:
-Non succederà un’altra volta. Come credi che lo permetterei?-. Oh, le domande
retoriche fanno sempre un certo effetto…
Fu lesta a rispondermi, ma ciò che disse non mi scalfì in alcun modo:
-Shaoran è furbo, non si lascerà guidare. Non l’ha mai fatto.-.
A me, a dire il vero, era sembrato che il suo obiettivo fosse proprio essere
sopraffatto per poi avere la meglio, come sempre, come prima, come i fiori
carnivori, che si fingevano immobili e si lasciavano calpestare per poi
inghiottire nei loro soffocanti e delicati petali gli ingenui insetti.
Restai in silenzio, mentre sentivo la mia pelle seccarsi sempre di più e
accapponarsi. La immaginai mentre si attorcigliava su sé stessa, lasciando
scoperto il mio vero corpo, quello che tutti condividono e che ognuno crede
particolare. Forse è così anche per la mente? Sì, forse eliminando quella
spirale di dettagli e di dati personali siamo tutti uguali, vogliamo le stesse
cose senza accorgercene, odiamo noi stessi, detestiamo il prossimo, ci
smembriamo per donarci il nostro cuore l’un l’altro. Banale. E falso. Shaoran
non si era mai graffiato la pelle con alcun coltello, non aveva mai martoriato
il suo petto con tagli profondi per poi introdurre la mano fredda nel bollente
regno regolato dalla natura, strappando il proprio cuore e offrendolo in
ginocchio. Mai. E non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai provato quel dolore e
quell’orgoglio, quel vuoto e quel dono, il denso liquido cupo che ne fuoriusciva
e l’aura di bellezza che emanava.
-Ti ha detto che ti ama.-, constatò con aria pensante.
Mi strinsi fra le spalle alzandomi dal gradino e passeggiando lì accanto.
-Ora vado, il mio nuovo fidanzato mi
starà aspettando.-, annunciai alzando un sopracciglio e con un sorriso
sprezzante.
Tomoyo mi fissò. Conoscevo il significato di quello sguardo:
Stai attenta.
La lasciai lì e mi avviai verso l’edificio con passo lento. Nonostante il mio
comportamento mi sentivo completamente insicura. Il vento era ancora rovente e
ogni volta che mi sfiorava infuocava la mia pelle come se mi stessi
progressivamente avvicinando al gigantesco incendio di un bosco secco.
Mentre calpestavo l’erba gialla e fragile, sentii delle voci provenienti da
dietro le cisterne dell’acqua.
-Mi dispiace, io…-. Una voce maschile, affranta.
Silenzio.
Il prato scricchiolava sotto i miei piedi.
-Forse è meglio così… Ma ricorda che l’unico che perde qui sei tu! Ora puoi
anche andartene dalla tua Sakura, stronzo…-. E via una scarica di insulti e
ingiurie.
Alla fine li avevo riconosciuti: erano Yamazaki e Chiharu. Bah, non aveva
importanza, se non altro Chiharu non mi avrebbe più dato fastidio. Non che la
differenza fosse poi così marcata…
Continuai a camminare lentamente, semicosciente sull’erba morta.
***
Non mi abbracciava, non mi accarezzava, non mi baciava e, soprattutto, non
tentava di stuprarmi. Era impazzito.
Eravamo a casa mia; Touya stava facendo uno stage a Sapporo, mentre mio padre
era ancora a lavoro e sarebbe tornato due o tre ore dopo. Conseguenza logica:
eravamo soli.
Erano passati tredici giorni dal nostro fidanzamento, se così si poteva chiamare
una situazione del genere. Non dubitavo poi tanto del mio self-control per un
semplice e nuovo motivo: non mi attraeva minimente. Quei suoi capelli di mogano
ora mi sembravano i più comuni del mondo, quegli occhi non avevano più un
briciolo dell’enigmatica profondità che affibbiavo loro, quel viso lucente e
angelico era diventato insipido e sbiadito, quel corpo atletico e particolare
ora appariva come il più anonimo e vago.
Nei pochi giorni precedenti avevo finalmente compreso l’identità di quel mio
attaccamento, semplicemente un cordone ombelicale fra lui e me fatto del mio
inoppugnabile anelito di ritornare la persona di un tempo attraverso la sua
illusione. Ero sicura che avrebbe funzionato, se non altro avrei collezionato
una soddisfazione nient’affatto trascurabile.
Un modo davvero bizzarro e squallido di fidanzarsi, come aveva detto anche
Yamazaki quando aveva scoperto tutto da Tomoyo. Da quando aveva lasciato Chiharu
si era avvicinato molto a me e alla mia amica, a parte l’iniziale sconcerto
nello scoprire il mio neofidanzamento con Shaoran. Anch’egli pensava che ci
sarei ricascata e che avrei solo sofferto.
Adoro l’amicizia…
Mi accorgevo di come guardava il mio fidanzato (come mi faceva ridere chiamarlo
così!), delle minacce telefoniche che probabilmente gli propinava, ma io non
facevo una piega: era tutto inutile, che l’avesse fatto o meno. Né Yamazaki, né
Tomoyo, né nessun altro avrebbe potuto capire il mio disperato desiderio che si
annidava in me come rabbia repressa e covava le sue infami uova.
Quando gli spiegai il mio concetto di vendetta mi disse una cosa che mi colpì,
ma, ancora una volta, non mi intaccò: Tu
pensi che queste uova, per così dire, possano schiudersi quando avrai illuso
Shaoran per dare alla luce quella che eri. E se invece quest’invasione di uova
distruttrici (era inutile, la sua vena fantascientifica non accennava a
scomparire) portasse alla nascita di
un’altra te, magari più vendicativa, falsa, malvagia o che so io? Non seppi come rispondergli, ma mi
limitai a negare e a confermare la mia fiducia in quella vendetta. Probabilmente
nemmeno lui gradiva troppo l’argomento. Gli amici sono di un ottimismo
unico…
In un attimo i miei pensieri diventarono differenti: in quello stesso luogo, su
quel divano, davanti a quel televisore, due anni prima ero stata una ragazza
felice, a cui bastava guardare il suo volto per stare bene con sé stessa. Fissai
Shaoran fin quando non si voltò verso di me: non provavo nulla, rimanevo
completamente indifferente. Non provavo né la letizia e la serenità di un tempo,
né la confusione e la rabbia di qualche giorno prima; lo osservavo come un
marito fa con una moglie, come un adulto fa con il suo cavallo a dondolo:
inutile, un soprammobile. Ero già stanca di lui? No, non di lui, della mia
vendetta? Stavo… stavo diventando proprio come Shaoran?
No, no, non era possibile! Non potevo! Avrei dovuto reagire, perché lui stava
proprio attendendo un mio momento di debolezza, di disattenzione, di
spossatezza. Non mi potevo permettere tutto ciò, nel modo più assoluto.
Così lo baciai appassionatamente risvegliando il disgusto che provavo per quelle
labbra. Ah, quel sublime ribrezzo che sentito sulla mia lingua, quell’amarezza
impietosa che mi avvolgeva in una spirale fredda e rabbiosa, secca e insapore
come quel vento che portava ancora gli alberi in un luogo dove la vita era
sepolta sotto ghiaccio e cemento, senza possibilità di fiorire.
Sentivo la sua soddisfazione nella constatazione dal vivo del mio cambiamento,
percepivo il suo piacere dilagare senza argini attraverso le sue braccia
soffocanti. Mi fece stendere sul divano sotto di lui; certo, una posizione
simbolica, ma non mi stava bene comunque: mi divincolai senza allontanare le
labbra dalle sue e mi sdraiai a pancia in giù su di lui.
Non sapevo perché l’avessi baciato e mi pentii di averlo fatto: non volevo che
la situazione degenerasse, perché ciò avrebbe rappresentato la sua vittoria. In
tal caso sarei letteralmente impazzita.
Tanto, peggio di così…
Tastavo il suo compiacimento nell’aria, nella sua bocca, sulla sua lingua.
Dappertutto.
You love the way I
look at you
While taking pleasure in the awful things you put me through
You take away if I give in
My life, my pride is broken
(“Points of authority”, Linkin Park)
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Salve! Bene, ho spiegato un po’ di cose riguardanti il gesto di Sakura in questo
capitolo, spero sia risultato tutto più chiaro.
Vorrei anche consigliarvi l’ascolto della canzone da cui è tratta la
conclusione, dato che secondo me il testo si adatta perfettamente alla
situazione.
Be’, passiamo subito ai ringraziamenti:
Sakura182blast: sono pienamente
d’accordo! Io non ho mai vissuto un’esperienza come quella di Sakura, ma se mi
accadesse impazzirei sul serio. Comunque, incredibile! Sto riuscendo a farti
odiare Shaoran! Stupefacente! A presto e grazie!
Sakura bethovina:
Yamazaki è completamente d’accordo con te! Certo, è una maniera squallida di
fidanzarsi, ma se noti gli obiettivi di Sakura sicuramente è anche meglio di ciò
che ci si aspettava (considerando che l’opzione peggiore sarebbe stato lo stupro
di Shaoran…). Ciao, grazie per la recensione!
Faffy: a dire il vero ci ho
pensato e sono arrivata ad una conclusione: la voglia di Sakura di ritornare
quella di un tempo ha completamente eclissato Shaoran e tutto ciò che ha fatto;
in pratica, lui è solo un tramite per il raggiungimento del suo obiettivo e ciò
mette dunque in secondo piano anche il dolore e la delusione provati a causa
sua. Grazie per la recensione piccola Ketty (ooooh, piccolo Plinio! NdNereide)…
Sì… Ignoriamo… Ciao ciao!
Ichigo_91: non ti preoccupare
assolutamente per il ritardo, non c’è problema! Grazie per i complimenti, spero
di non deluderti, davvero! In effetti la situazione è un po’ problematica, ma si
risolverà al più presto. Ciao e grazie
ancora per la recensione!
Bene, allora vi saluto e vi ringrazio ancora per il vostro sostegno. Ciao ciao,
alla prossima!
“Amanti. Amanti fin quando la luna non cadrà, fin quando la pioggia non brucerà
le nostre ossa, fin quando la terra non trasformerà le nostre gambe in radici,
le nostre braccia in fruttuosi rami, i nostri sessi in timida acqua. Ma tutto
ciò è già avvenuto, già avvenuto…”
Avevo letto quelle parole in un libro di testo che usavamo a scuola o, meglio,
la persona che me l’aveva venduto l’aveva scritto sul frontespizio, sotto la sua
firma: Rein Hikari. Quante volte avevo desiderato parlarle? O parlargli, dato
che il suo nome non esprimeva il suo sesso. Luce di pioggia… Che nome poetico.
Anche il mio lo era stato, tanto tempo prima, in un periodo più lontano di
quello delle fiabe principesche, più antico della polvere che ricopriva i miei
sentimenti. Forse leggendario, forse mai esistito. Fiore di ciliegio, delicato,
sonnolento…
Non mi toccava prima che lo facessi io, era testardamente e misteriosamente
ostinato a non fare la prima mossa, il che mi faceva preoccupare e imbestialire.
Devo essere sincera: temevo di spingermi troppo avanti, di entrare in una terra
da me sconosciuta, ma che lui aveva imparato a gestire tempo prima. Temevo che
mi intrappolasse dentro di lui, temevo…
Il televisore esalò una melodia delicata, tenue, soffice, plasmata dal cielo,
fatta di piume e petali bianchi. Volevo piangere. Sembrava uno di quei soavi
motivi che avevo ascoltato durante le mie rare visite alla pagoda di Tomoeda,
oppure quella volta che andai in gita con la mia classe in un giardino zen. Mi
aveva così affascinato, con il suo ordine, la polvere acquosa che volava fra le
nuvole rotanti… Solo il pensiero mi faceva sentire quasi calma… apparentemente.
Perché? Beh, quella giustizia, quel
calcolo enigmatico, quella prevedibilità mi faceva pensare a me stessa, al mio
fantomatico cambiamento. Prima regolavo il mio mondo solo con un sorriso, con lo
scuotere dei miei corti capelli castani, con uno sguardo brillante ed erboso,
indossando il mio fermaglio preferito, quello rosso a forma di margherita,
quando mio nonno mi veniva a trovare, quel nonno che avevo mandato al diavolo
per una felicità e una liberazione che mi prometteva ma che poi venivano
inghiottite dalle mie espressioni buie, cupe, rigate dal dolore, dalla rabbia,
dai denti stretti, dagli occhi bassi e chiusi, dalla mia stessa volontà.
Perché pensavo che la colpa fosse delle sue promesse, quando ora era così chiaro
che in realtà ero stata io a non voler crescere, a voler essere compatita,
illusa? Ciò che odiavo così tanto, la commiserazione, in verità era il mio più
intrinseco obiettivo… No, non poteva essere, stavo ragionando troppo
velocemente. Dovevo riflettere, riflettere… Ma man mano che cercavo di ritornare
indietro un’onda di consapevolezza mi spingeva sempre più in là, in alto mare.
Ma volevo la spiaggia! Volevo arenarmi, volevo morire lì, salva, ingoiare la
sabbia, soffocare nella mia sofferenza. Eppure non potevo...
Queste parole confuse vagavano nella mia mente, mentre il bacio continuava senza
sosta, senza che io me ne accorgessi, senza che Shaoran facesse nulla. Ma fu
l’ultima frase a risvegliare la mia attenzione a farmi vergognare: come potevo
voler mollare tutto ora che lui era lì, sotto di me, ora che potevo vendicarmi,
ora che la mia vita si sarebbe riaperta dinnanzi a me, ora che… Perché volevo
volare via? Perché rinunciare a ciò che da anni attendevo? Perché lasciare
andare il colpevole, aprire le porte della cella e dirgli di andarsene via, di
fuggire semplicemente dal mondo? Non potevo assolutamente permettermelo, non
potevo deludermi, no…
Ancora quella strana ed inaspettata voglia di piangere. Certo, mio fratello
aveva avuto ragione: le lacrime dimostrano solo la forza e la volontà di essere
diversa dagli altri, ma non potevo mostrare
nulla di me stessa in sua presenza,
non potevo scoprirmi ai suoi occhi, perché lui mi avrebbe fatto del male, lui…
Non riuscivo più a ragionare e, ve l’assicuro, non era la stessa sensazione di
qualche anno prima, quando Shaoran mi baciava e io venivo letteralmente
scombussolata dal suo amore che a quei tempi era tutto per me. No. Era
completamente diverso. Io… stavo impazzendo. Ero paranoica, cattiva, meschina,
infedele. Ero infelice. Ero cambiata ancora. Sentivo una voragine nel petto, la
stessa che avevo aperto con la mie unghie, le mie dita, le mie fragili mani per
donargli il mio cuore, ma ora si stava dolorosamente dilatando, mi toglieva il
respiro…
Sto per morire, sto
per morire, sto per morire…
Se era proprio quello che stava accadendo, beh, ero lieta che il momento fosse
arrivato in quel momento. Non ero mai stata così confusa, non mi ero mai
estraniata dalla realtà così profondamente. Percepivo una nausea dilaniante,
distruttiva, caotica… Mi sentivo ripiena di materiale estraneo, di organi
animali, di qualcosa che non mi appartenesse veramente. Volevo piangere, ma
temevo che per ogni sforzo che facessi la voragine, la nausea e la confusione mi
avrebbero divorata violentemente, con una brama mostruosa ed una stuprante
frenesia.
Le mie labbra probabilmente erano ferme, immobili, gelide. Non le sentivo più,
percepivo solo i miei pensieri, penosi e rivelatori, turpi e veritieri,
spaventosi e liberatori.
Non potevo ascoltarmi, non potevo udirmi rinunciare a tutto per un’amenità del
genere, sputare sulla mia dignità, calpestare il mio orgoglio, spiegare le vele
e andare via, non tornare mai più a riprendermi ciò che mi meritavo.
Io ero stata ingannata,
io avevo subito ingiustizie su
ingiustizie, io avevo vissuto l’alba e
il tramonto, io ero degna di pace,
io io io io io io io IO. Lui non era
nessuno, non poteva rovinarmi la vita, non poteva fuggire senza pena, non poteva
strapparmi con forza il cuore, poggiare le mani sul mio seno e squarciare,
lacerare la carne che lo divideva da me stessa, frugare senza grazia né rispetto
fra le mie gelide ossa ormai ridotte in briciole. Non ne aveva il diritto,
semplicemente perché LUI NON ERA NESSUNO.
-Stupida.-, mi sentii dire. Allora non lo stavo più baciando?
Solo in quel momento mi accorsi di essere stesa sul divano a pancia in giù,
mentre lui si era seduto sul tavolino di fronte a me.
Ripensai alla mia riflessione di prima e mi sconvolsi.
Egoista.
Ma in fondo è stata
colpa sua.
Schifosa egoista, sono
diventata come lui.
Perché non urlo?
Perché mi nascondo ancora?
Ero diventata come lui…
Odiosa come lui.
Irrispettosa come lui.
Autodistruttiva… no.
Dolorante… no.
Parzialmente come lui.
-Sono diventata come te.-, biascicai.
Non aprirti alla sua
volontà, non scoprirti il collo di fronte ai suoi fiammeggianti dardi.
Mi sentivo bagnata, sudata dappertutto, nonostante l’atmosfera secca e arida che
aleggiava da due settimane non avrebbe dovuto permetterlo. Volevo piangere.
-Non ti illudere, non sarai mai come me…-, scherzò.
Quanta vergogna mi ha
fatto provare, quanti pregiudizi, quanti rifiuti…
Illudere. Illudere.
Illudere…
Continua a scherzare
pur avendomi distrutta.
Voglio vivere.
Quello che sono
diventata… è tutta colpa sua.
Lo sono sempre stata.
Bugie.
Tutti conoscono
l’odio, prima o poi.
Bugie, bugie, bugie!
Sarebbe accaduto
comunque. Sarei cambiata, ad ogni modo.
BUGIE, BUGIE! TUTTE
FOTTUTISSIME BUGIE!
Che devo fare?
Che devo fare? Eh? Lui
lo sa? Lui che si crede chiunque, ma che in realtà non è nessuno…
Tutti sono qualcuno.
Banale e sbagliato.
Non posso certo
giudicare io.
È lui che non può
giudicare! Lui dev’essere condannato!
Anch’io ho peccato.
Continuava così il mio dialogo, anzi, la mia discussione interiore fra la
spietata passione e la giusta ragione, nel bianco più totale, senza che un
colore emergesse da quella massa pallida che era la mia mente.
Devo cacciarlo.
Devo ragionare.
-Pensavi davvero che fossi così poco furbo?-.
Lo devo odiare.
Perché?
Non lo odio?
Certo, ma non posso
rovinarmi per lui.
Non sto rovinando
me,
sto ricambiando la “cortesia” subita.
La retorica non serve.
-Ti sei messa tu in questa situazione. Almeno questa volta credo che non sia
colpa mia…-.
Gli sto offrendo me
stessa su un piatto d’argento.
Forse ha ragione, sono
stata io a…
MI STA PRENDENDO IN
GIRO! GLI STO CREDENDO!
Mi sembra tutto così
sensato.
-Ho pensato cose orrende su di te in Cina, sai? Beh, sì. Eccitanti, ma pur
sempre orrende. Il fatto che ti rispetti non significa che ti ami.-.
Mi ha mentito un’altra
volta… Tredici giorni fa asseriva di amarmi.
Ci ho creduto solo
perché facilitava la mia vendetta.
Dice che mi rispetta.
Come osa fingere così spudoratamente?
Ora ho capito: ha
lasciato che mi soddisfacessi, che nutrissi la mia vendetta. Per questo non ha
mai fatto la prima mossa.
Impossibile, non è
nemmeno capace di comprendere e domare sé stesso, figuriamoci gli altri…
figuriamoci me.
-La cosa più sconvolgente è che ho capito tutto da solo, dato che Tomoyo non
osava interferire per non combinare altri casini.-.
Silenzio. Finalmente ripresi il controllo di me stessa e delle voci che mi
vorticavano in testa, sia quelle immaginarie che quelle reali. O forse… Sì,
erano tutte vere, tutte coesistevano ed esistevano, facevano parte di me e
l’avrebbero fatto finché non avessi trovato una soluzione.
Le uniche voci che ora percepivo erano quelle provenienti dal televisore, che
spensi lentamente afferrando il telecomando che era finito sul tappeto. Osservai
la lucina rossa ancora accesa sotto lo schermo di quella scatole piena di vite e
priva di anima finché sentii dolore alla testa e chiusi gli occhi.
Che pace…
-Io non ti amo. Non mi piaci. Non sono attaccata a te in nessun modo.-.
Quelle parole toccarono le mie labbra prima di sfiorare il mio pensiero.
-Lo so, l’ho notato da come mi baciavi. Ma non ti sei allenata per niente in
questi due anni? Baci peggio della prima volta…-, alzò gli occhi al cielo.
Non lo ascoltai nemmeno, ma pensai a ciò che avevo appena detto. Non mi piaceva…
Non ero più legata a lui, né per odio, né per amore. Forse lui non se n’era
accorto, ma in quel momento dalle mie labbra era sgorgata la più profonda e
solitaria verità ragionata. Ciò non
significava che il mio odio fosse stato falso, supposto, idealizzato, no: esso,
come la mia sete di vendetta, era stato sincero, ma impensato, irrazionale,
istintivo, innaturale, amorale. Nulla a che vedere, insomma, con quel risultato
consapevole, seguito a tanta confusione e tanta perdita. Non una verità più
vera, ma più lieta.
-Non tornerò mai più quella di prima, vero?-. Non avrei mai posto una domanda
del genere a Shaoran, innanzi tutto perché non l’avrebbe capita e poi perché era
alquanto imbarazzante, perché rivelava la vera natura della mia vendetta, di cui
sinceramente non avrei voluto più parlare, almeno in quel momento.
-Non credo proprio, però probabilmente sarai più sveglia di prima. Mi sembra un
aspetto positivo, no?-.
Stava scherzando, ma presi comunque sul serio la sua affermazione. Tristemente.
Ero stanca, stanca del dolore provato, della sua presenza lì, dello sforzo fatto
per dimenticare la vendetta, ma sicuramente non della soddisfazione emersa
dall’insipido bianco per aver combattuto una parte di me, la più forte, la più
ostinata, la più estremista, la più fanatica, la più sbagliata, forse. L’avrei
scoperto presto, almeno supponevo.
-Va’ via.-, affermai, non con odio, ma gentilmente… relativamente. Non l’avevo
perdonato, ma non avevo nemmeno più la forza di odiarlo.
Salutò senza discutere e andò via, mentre la lucina rossa ancora mi fissava,
lucida e tremolante.
Non mi chiese se fossimo ancora fidanzati. Ebbe così buon senso da non
chiedermelo. O fu così perspicace da intuirlo. O entrambi.
Mi addormentai sul divano, ripensando a quella frase:
“Amanti. Amanti fin quando la luna non cadrà, fin quando la pioggia non brucerà
le nostre ossa, fin quando la terra non trasformerà le nostre gambe in radici,
le nostre braccia in fruttuosi rami, i nostri sessi in timida acqua. Ma tutto
ciò è già avvenuto, già avvenuto…”
Salve a tutti! Un capitolo un po’ confuso, vero? Sakura ha proprio toccato il
culmine dell’odio e, quando si arriva in cima, si deve pur scendere ad un certo
punto. Vorrei precisare che il bacio di Sakura è dettato dalla mancanza di
disgusto, ad un certo punto, alla presenza di Shaoran. Forse è un primo barlume
di ragione? Chissà. Quindi lo bacia per risvegliare la sua voglia di vendetta,
solamente per quello.
Passo ai ringraziamenti:
Sakura182blast: ciao! Anch’io sono
d’accordo con te riguardo al fatto che Yamazaki e Chiharu si siano lasciati.
Beh, anche lei era diventata troppo gelosa e paranoica… Inoltre, penso che
Shaoran sia cresciuto un po’ di più (non dico tanto…) e che abbia imparato
almeno un briciolo di rispetto dalla vicenda di Tomoyo, nonostante non l’abbia
capita appieno. Dimmi cosa pensi di questo capitolo; ciao ciao e grazie mille!
Sakura93thebest: certo che mi ricordo
di te! Comunque sì, anch’io ho visto quel film, ma ovviamente non posso
commentare. Cosa pensi della reazione di Sakura? Fammi sapere, ciao ciao e
grazie!
Ichigo_91: ciao, grazie mille
per i complimenti, innanzi tutto! Non preoccuparti assolutamente per il ritardo.
Spero che il capitolo ti sia piaciuto, grazie mille ancora, ciao!
Sakura bethovina:
so che mi vorrai uccidere, ma, ehm… Lasciamo stare! Cosa ne pensi? Comunque
Shaoran qui mi dice che si sente un po’ solo… sai, non fa nulla da due ore, gli
manca tanto! Allora te lo mando! Divertitevi! Ehm, a parte questo, grazie per la
recensione, ciao!
Bene, finito! A presto e grazie ancora per le letture e le recensioni, ciao!
Era come essere in televisione. Guarda la
telecamera, mi dicevano, guardala.
E io la fissavo. Continuavo a fissarla. Imperterrita. Costretta. All’inizio
della mia carriera amavo quel
macchinario, mi faceva sentire felice, desiderata. Poi diventai una vecchia diva
nel noir, impressa nelle menti di migliaia di polverosi professori di filosofia
e casalinghe cartonate. Non ero contenta. Volevo ancora le telecamere, il
successo che speravo, il pubblico che anelava il mio bianco collo, a volte
distorto da un guizzo di sangue finto, a volte obnubilato dal fumo delle mie
sigarette cancerogene. Ma in realtà ero costretta a recitare, una coercizione
che inizialmente mi provocava piacere, ma che a lungo andare è diventato un peso
poderoso, insostenibile come l’ilarità di un bambino durante un funerale o un
sospiro sbuffante in una spiaggia soleggiata. Disarmonia, disordine. Pace.
Ottenni pace solo quando mi accorsi del suono disturbato della mia voce sulle
pellicole, degli sguardi in tralice, delle vene incoerentemente distribuite
sulle mie lunghe gambe in bianco e nero, dei miei piedi stanchi, riesumati solo
per novanta minuti di mistero. Ma ora mi sono ritirata. Addio, telecamere
carnivore, divoratrici di sogni e dispensatrici di magiche e devianti visioni.
Come un’edera mi sono arrampicata sulla vostra struttura stilizzata, sul tuo
corpo anonimo, Shaoran, ma ora ho bisogno di crescere rigogliosa fra un mare di
azzurro e nero. Voglio avere solo il cielo accanto a me, voglio volatili velati,
violanti gentilmente i miei rami ricchi e imperturbabili per creare il loro nido
rigeneratore di specie. Mi basta solo demolire il tuo corpo, il muro che invece
di proteggermi mi schiaccia e mi fa crescere storta,
storpia, sregolata. Desidero
abbatterlo con i miei rami e con quelli dei miei vicini, di cui spesso ho
sentito il soave soffiare del vento fra le foglie di rugiada, ma che non ho mai
ammirato nel loro fragoroso splendore.
Telecamere… Quella parole mi fece tornare in mente le giornate trascorse con
Tomoyo che mi riprendeva mentre catturavo qualche nuova carta o quando le trasformavo in carte di Sakura. Le mie carte…
Saranno già morte, soffocate dal mio odio, depredate dalla mia furia, estirpate
dalle mie unghie appuntite e audaci. Sapevo già la verità, quindi non osai
nemmeno andare a controllare e spalancare quel libro, impolverato e risucchiato
dagli insetti, depositato sotto il letto. Non ne avevo la forza: avevo superato
una giornata troppo liberamente stancante e faticosamente incantevole per darmi
alle malinconiche esplorazioni.
Avevo imparato a dimenticare e, devo dire, ci ero riuscita alla perfezione. Non
vedevo Kero-chan da quando l’avevo mandato al diavolo (pure lui… In quei due
anni avevo completamente disgregato le mie certezze) e giustamente il peluche si
era recato in Inghilterra con Eriol. Avrei dovuto chiamarlo, assicurargli che
stessi bene, invitarlo di nuovo a vivere con me e a complicare allegramente la
mia quotidianità. Ci riflettei su a lungo e arrivai ad una ragionevole
conclusione: non gli sarebbe piaciuto il mio nuovo e, chissà?, definitivo
carattere, la mia freddezza, la mia insensibilità alle reazioni, il mio
disinteresse negli altri, il mio egoismo. Avrebbe finito per rimproverarmi per
ogni minimo accenno di indisposizione, avremmo litigato e probabilmente l’avrei
gettato nel water, certo, non prima che lui mi avesse ficcato la sua codina
nell’occhio svuotandomi un’orbita. Cattiva idea. Decisamente una
pessima idea.
Una frase mi balenò improvvisamente in mente, come se non l’avessi mai pensata,
ma di cui in realtà conoscevo alla perfezione l’esistenza: ero come
lui. La mia vista annebbiata da tale
certezza indicò al mio corpo la sedia, su cui prontamente mi poggiai.
La mia testa, le mie braccia, le mie gambe, le mie labbra, i miei occhi… Tutto
sapeva di lui, di ciò che tanto avevo odiato, ma per cui ora non trovavo nemmeno
la forza di provare risentimento. I miei pensieri, per caso, tanto tempo fa,
erano stati anche i suoi? Forse, il suo carattere sfuggentemente troppo chiaro e
prevedibile era la conseguenza di un grande dolore? Ancora, il suo comportamento
dissoluto e lezioso rappresentava la strada che avrei percorso per il resto
della mia vita? Potevo ragionarci su.
Lo feci.
Capii.
Beh, in verità nel tempo trascorso insieme mi ero resa conto che la sua indole
non ammetteva picchi di dolcezza. Anzi, avevo notato che usava quest’”arma”
quando non sapeva che dire, come reagire o come rispondere ad una domanda o… o
ai miei frequenti Ti amo. Tipico,
avrei dovuto accorgermene. No, i rimorsi non mi erano mai piaciuti. Ad ogni
modo, io sapevo di poter essere non dolce, ma almeno meno distaccata e friabile.
Avrei potuto essere migliore, forse. Un giorno. Sarei cambiata, senza rendermene
conto, senza che continue emorragie mentali mi occludessero gli organi
recettivi,privandomi di ogni capacità di pensiero e ragionamento. Al solo
immaginare ciò rabbrividii: non avrei mai più voluto smarrire la ragione,
l’unica mia risorsa in quel momento, l’unico strumento che sapessi suonare,
l’unico pennello che non mi avrebbe mai più sporcato i candidi abiti di vittima
e colpevole. Perché io ero colpevole. Di cosa? Di autodistruzione e, forse,
futura autocombustione: il mio fine e ponderoso anelito di vendetta aveva
prosciugato le mie limpide fonti, fulcro di essenza vitale per i campi coltivati
sul mio corpo, non più in fiore, non più sacri. Inutili messi inaridite.
Eliminate, sfrattate dalla salvezza tanto agognata, agonizzante.
Ma vi ero uscita, giusto? Era tutto finito. Non sentivo più dentro di me quel
desiderio infame ed infimo, non percepivo più il bisogno di fare del male a chi
non ne avrebbe subito. Avevo persino creduto che Shaoran mi amasse davvero, solo
perché ciò assecondava i miei desideri. Egoista, superficiale…
Perché avrei dovuto fargli del male? Fare
del male? In fondo non sarei giunta ad alcuna conclusione: Shaoran non avrebbe
sofferto come io volevo, io non avrei succhiato soddisfazione dalla sua fallace
e fantasticata disperazione. Se avessi continuato… Oh, come mi sarei distrutta,
come sarei caduta in basso, in quello stretto e profondissimo pozzo dove
precipitano gli impuri, i dispensatori di pianto e tormento. In che confuso e
nostalgico torpore sarei vissuta, in che claustrofobico e asfissiante crepitio
di fuochi sarei rovinata, ansante, imprigionata fra le fiamme maledette e
ignobili di un luogo che tutti i religiosi, dediti a qualsiasi dio, temono:
l’inferno.
Forse mi stavo intestardendo troppo con argomenti del genere e probabilmente se
avessi continuato non avrei fatto altro che tentarmi con un’infruttuosa e
infeconda vendetta, senza seme e senza fine.
Così posai la penna che stringevo fra le dita e fissai la lavagna, su cui era
stata scritta con caratteri grossolani una frase di un autore inglese che
avevamo studiato due anni prima, ma che ora stavamo ripetendo per revisionare il
programma:
Vi Veri Veniversum Vivus Vici.
In realtà quello non era inglese, nonostante questa citazione, come era
precisato sotto in corsivo, fosse tratta dal “Doctor Faustus” di Christopher
Marlowe. A me sembrava spagnolo, o forse tedesco… Comunque sia, appena sotto
quella scritta di gesso se ne presentava un’altra, ma in maiuscolo,
probabilmente la traduzione. Recitava così:
Con la forza della verità, vivendo, ho vinto l'universo.
Quanto vigore, quanta speranza in quella frase! Per sbaglio spostai
rumorosamente il banco, tanta era l’esaltazione.
La forza della verità… Io la possedevo. Possedevo quell’autenticità
incontaminata che tanto veneravo… o forse no? Nessuna menzogna mi deturpava più,
ma forse l’opacità del colore emerso da un neutro bianco ne mostrava
l’incompletezza, il parziale vuoto rispetto alle mie aspettative. Io avrei
dovuto seriamente sapere la veridicità di ciò che mi riguardava e così,
improvvisamente, mi sovvenero le domande da porre e la persona a cui sottoporle.
Attesi con mordace e impetuosa ansia l’ora di pranzo, ricopiando righi su righi
quella stessa magica frase che aveva infiammato così causticamente il mio animo,
forse per tema di dimenticarla, nonostante riconoscessi benissimo che ciò era
estremamente improbabile. Continuai però a muovere velocemente la penna, mentre
la mano mi doleva sempre di più e le parole del professore mi arrivavano
sconnesse al cervello. Non mi interessava in che contesto questo fantomatico
Marlowe avesse inserito un tanto significativo verso, da quale autore latino
(ah, forse quella lingua era proprio latino… Chissà dove si parla...) fosse
ispirata, a quale eroe greco facesse riferimento, di quale recondito e lontano
significato fosse portatore: quella frase, in quel momento, era stata scritta
per me. Non lo pensai per egoismo, ma perché avevo trovato qualcosa, qualcuno
che mi comprendesse, ma non solo, che mi spingesse e spronasse a migliorare.
Nessun buon consiglio ci sarebbe mai riuscito, ne ero certa; nessun saggio,
nessun filosofo. Solo quella frase.
L’ora di chimica passò repentinamente (in realtà non mi ero nemmeno accorta
dell’ingresso della professoressa) e, dopo quelli che a me sembrarono cinque
minuti, suonò la campana del pranzo.
Mi alzai frettolosamente facendo strofinare la sedia sul pavimento con un
fischio aspro e metallico e mi diressi verso Shaoran, che stava già avviandosi
verso la porta.
-Shaoran.-, lo chiamai senza alzare troppo la voce, -Andiamo fuori, ti devo fare
delle domande.-.
Non fece una piega e continuò a camminare, ma capii che aveva sentito e lo
seguii. Mi impressionai per l’assenza di quell’obbligo. Della mia turpe ricerca
di soddisfazione. Non ne sentii l’oppressiva mancanza.
Mentre muovevo passi lunghi e decisi lungo il corridoio, percepii un lieve tocco
in corrispondenza del gomito. Mi voltai e vidi il volto preoccupato di Yamazaki.
Immaginavo perfettamente cosa stesse pensando.
Stai attenta, Shaoran può fare di tutto. Sai, non credo che abbia un
cervello, ma molta, troppa forza di volontà. Oppure:
Non farti prendere in giro. Insomma, non voglio essere costretto a
mandarti a quel paese un’altra volta, non sono esattamente il tipo.
Sorrisi, più per le mie elucubrazioni che per rassicurarlo, ed esclamai:
-Le uova si sono schiuse. Non so cosa ne sia uscito, sinceramente.-.
-Vuoi dire che sei incinta?-, chiese all’improvviso una voce irrisoria alle mie
spalle. Evidentemente Shaoran si era voltato e aveva ascoltato il mio messaggio
in codice. Lo ignorammo.
-Allora spero di non trovare un pulcino violentato quando torni.-, esclamò
Yamazaki con sguardo truce alle mie spalle.
-Se è per questo non ti preoccupare. In caso mi accada qualcosa, griderò come
una gallina.-.
Scuotendo la testa alla mia battuta davvero squallida, mi voltò le spalle e io
mi girai verso Shaoran, intenta a seguirlo.
Ben presto arrivammo nel parcheggio del cortile, in cui di solito non c’era mai
nessuno, a parte gli spacciatori della scuola, che però erano molto discreti,
presumibilmente.
Mi sedetti semplicemente a terra mentre Shaoran si poggiò al cofano di un’auto.
Mi inoltrai nell’argomento, senza premesse.
-Cosa avevi intenzione di fare quando ci siamo fidanzati, tre anni e mezzo fa?-.
Tutto d’un fiato, tutto d’un sorso. Come una pillola amara che provoca sollievo
a lungo andare, ma che causa malessere all’istante.
Si accarezzò i capelli, gesto da divo del cinema o da ragazzo popolare, amato da
tutti e conosciuto da nessuno. Provai disgusto per quella posa zuccherosa,
quella chioma fulvo scuro, quei fugaci sguardi di sfida, quell’orgoglio che
sapeva cadere solo per merito di una bella ragazza senza intaccarne la dignità e
la popolarità, quell’atteggiamento che attirava gli occhi truccati di ingenue e
sensuali quattordicenni, faceva alzare le gonne a immature e illuse quindicenni,
donava ogni umano piacere a bruciate e civettuole sedicenni, sporcava le vite di
amare ed innamorate diciassettenni, sprecava false parole d’amore con perse e
monotone diciottenni, trascinava nella vergogna, nel pregiudizio, nella paura e
marchiava a fuoco tutte le ragazze che avevano visitato almeno una volta le sue
labbra ed eventualmente il suo letto. Come me. Per questo evitai di guardarlo,
dato che sentii il mio odio acuirsi ancora, bollire, non come prima, non
altrettanto selvaggiamente, ma con matrice comunque cocente.
-E basta con questi discorsi…-, sbuffò.
Lo fissai torva e sibilai fra i denti:
-Dovresti ringraziarmi per averti ancora lasciato la possibilità di pronunciare
più di qualche mugolio sconnesso, con tutti i denti che ti avrei staccato con
una pinza incandescente e un trapano…-.
-Ok, ok, ho capito. Sono una persona fortunata.-.
Annuii. A dire il vero avevo pronunciato quelle minacce più per il gusto di
fargli capire fino a che punto mi avesse macchiata e marchiata. Forse era da
considerare una vendetta anche quella? Poteva darsi, ma questa non mi pesava
affatto, anzi, mi divertiva.
Dopo un sospiro cominciò a parlare:
-Come sai, volevo accontentare Tomoyo, così ho finto una smielatissima
dichiarazione d’amore che non avrei immaginato nemmeno nei miei incubi peggiori.
In realtà lo feci anche perché così pensavo che sarei riuscito a…-, e fece un
gesto molto eloquente con le dita, -con te. Beh, eri carina. Ora meno, ma prima
eri davvero bella. Poi contando il fatto che eri ingenua… Insomma, mi eccitava
parecchio…-.
Un mio sopracciglio alzato gli fece cambiare subito argomento.
-Dopo un anno e mezzo mi ero leggermentestancato di fare lo sdolcinato; inoltre, volevo quello per cui mi ero
fidanzato con te. Certo, ti tradivo anche più volte al giorno-, non fui
sconvolta da quest’affermazione, l’avevo immaginato, ma dalla soddisfazione e
dal compiacimento di sé stesso con cui l’aveva ammesso, -… quindi cominciai a
sedurti. Se non fosse stato per quella maledetta cassetta a quest’ora ti avrei
già avuta… Ah, peccato. Sei una delle poche che mi sono mancate. Beh, questo è
tutto.-, terminò asciutto, dopo uno sguardo sognante (probabilmente una fantasia
erotica).
Non avevo scoperto nulla di nuovo sul piano dei fatti in sé per sé, ma ciò che
mi sembrava così nuovo, diverso era il tono, l’atteggiamento che teneva nel
confessare i suoi “peccati” come ad un prete: schietto, diretto, crudo, secco,
insignificante. Quella era la storie di decine di ragazze.
Io ero decine di ragazze.
L’anonimato che io detenevo per lui non mi paralizzò per l’odio, come mi sarei
aspettata: mi lasciò intonsa. Indifferente. Abulica.
Ciononostante, non mi fece soffrire, perché ormai riuscivo a ragionare come lui,
non a giustificarlo, ma a decifrarlo. Fu proprio questo a inquietarmi, così
decisi di lasciare subito quel luogo, avendo ottenuto ciò di cui avevo bisogno:
la verità.
A quel punto arrivava il momento più complicato, rovente, appuntito: vivere.
Come avrei potuto farlo?
Il vento fischiava parole temibili nelle mie orecchie, l’erba sprigionava odori
primordiali, l’atavico cielo da miliardi di anni era costretto da mani d’acciaio
a fissare il suolo e io non sapevo più (se mai l’avessi saputo) comportarmi da
ciò che ero: un essere vivente.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Salve! Bene, come per Sakura questo capitolo ha rappresentatp l’ora della
verità, così sarà anche per voi: vi spiegherò per bene i motivi della mia
scelta, del mio capitolo precedente, insomma.
Premetto che le critiche e le sollecitazioni sono sempre ben accette, non voglio
mettere in dubbio i vostri pareri, semplicemente perché sono i
vostri e io li rispetto. Desidero solo rendere più chiaro il
comportamento di Sakura e quello di Shaoran, perché forse non l’ho espresso al
meglio, me ne rendo benissimo conto. Cominciamo da Shaoran: questo personaggio,
come si può notare, è uno dei più meschini, falsi e ipocriti mai esistiti. Sotto
la maschera della persona sfacciata che fa credere agli altri di essere sempre
sincera e di non avere peli sulla lingua c’è un ragazzo che gode nel mentire,
nel sentirsi superiore perché è l’unico a conoscere la verità. Ciò lo esalta
come non mai, lo soddisfa profondamente: non avrebbe mai confessato la realtà a
Sakura in nessun caso, se non fosse stato costretto (probabilmente le minacce
telefoniche di Yamazaki non si sono rilevate poi così inutili). Ha mentito anche
a Tomoyo, dicendole che negli ultimi tempi aveva sedotto Sakura solo per
allontanarla da lui, invece il suo vero obiettivo era farla sua. A proposito di
Tomoyo, la sua reazione alla scoperta dello stupro della ragazza è stata una
delle più false, usata solo per ingraziarsi la mora e farle capire di essere una
persona sensibile per guadagnarsi il suo aiuto nel conquistare (e portarsi a
letto) Sakura; pensate che Tomoyo se lo sia lasciato scappare? Certo che no,
però quella ragazza sa sacrificare sé stessa per il bene di Sakura (se avesse
cominciato a polemizzare contro Shaoran la castana se ne sarebbe accorta e
avrebbe fatto una strage, tanto era in enorme tensione). Il ruolo del ragazzo
nella storia non è atto solamente al creare un conflitto fra l’”ingenua” e lo
“spaccone”. Shaoran è più di uno spaccone, è un futuro distruttore di certezze,
comprese le sue, se ne possiede lontanamente. Cionostante, io rispetto il suo
carattere, fin quando non nuoce a nessuno, ovviamente, e credo che Sakura non
avrebbe mai potuto cambiarlo. Non so se sia una visione realistica o
pessimistica, o forse entrambe, dato che la verità è spesso negativa. Comunque,
il suo atteggiamento è davvero riprovevole.
Passando a Sakura, la situazione si complica. Io personalmente la giustifico per
ciò che ha fatto, per tutto: chi non
avrebbe odiato una persona del genere? Chi avrebbe provato amore o anche solo
affetto per Shaoran? Solo un masochista, suppongo. La sua sete di vendetta è
sicuramente motivata, secondo me, anzi. Non si può perdonare un torto del genere
solo perché la persona che l’ha commesso è estremamente affascinante. Io parlo
da persona orgogliosa quale sono, ma penso che voi non fareste diversamente. C’è
da dire, però, che sia l’odio che l’amore comportano una fatica e una
concentrazione incomparabili, oppressive e la castana non è riuscita a
sopportarle, essendo già in un baratro. Io penso che non si debba provare pietà
per una coppia che non avrebbe mai funzionato: certo, gli opposti si attraggono
(o, per dirla alla Celentano, “Due caratteri diversi prendon fuoco facilmente”),
ma non quando gli interessi sono così differenti. L’unica che merita pietà fra i
due è Sakura, che ha sempre sacrificato le sue forze per quel maledetto ragazzo.
Per esprimerla con le sue parole, lei è l’unica che si è detratta il cuore dal
petto per lui e che ha sopportato il dolore di una voragine invisibile. Nessun
altro. Inoltre, lei più di qualunque altro ha vissuto in una confusione dettata
non tanto dalla sofferenza della perdita dell’amore, ma della convinzione della
sua stupidità e ingenuità. Si vergogna di sé stessa e la maniera migliore per
vincere questo sentimento è odiare, cercare una vendetta che non avrà nessuno
scopo, ma che la condurrà alla ragione, che i sentimenti spesso sovrastano.
Personalmente non credo che questi ultimi debbano essere bollati come istintivi
e, quindi, eliminati: al contrario, ragione e istinto devono convivere e
prendere il sopravvento l’una sull’altro in occasioni prestabilite. La mancata
attrazione che la ragazza prova per Shaoran potrebbe anche essere influenzata
dal giudizio che ha nei confronti del suo carattere o forse è semplicemente
cambiata. Infine, Sakura ammette di essere diventata come l’essere che più ha
odiato e in effetti è così, almeno in parte. Vi renderete conto fra poco che
proprio questa situazione la porterà via da questa situazione di stallo. Forse
riuscirà a vivere e a vincere l’universo, chissà.
Bene, questo è tutto. Spero che abbiate letto, perché per me è davvero
importante.
In questi righi ho risposto alle vostre recensioni, quindi mi limiterò a
ringraziarvi semplicemente. Grazie mille per le recensioni a:
Sakura bethovina
Ichigo_91
Sakura93thebest
Vumeter313
Sakura182blast
Faffy
Ancora grazie per le recensioni lunghe, le adoro!
Bene, a presto, spero che vi sia piaciuto questo capitolo!
Sventolai un volantino pubblicitario di un ipermercato per attenuare il caldo,
ma senza successo.
Una mosca, lenta e assonnata, girava intorno a me sul curvilineo tratto di
un’orbita invisibile, come fosse un pianeta stanco delle attrazioni, delle leggi
fisiche che lo costringevano in quella continua e spossante rotazione, del tempo
che passava così tediosamente e pigramente, della stoica piattezza
dell’universo.
La sedia della mia camera era rovente e fradicia di sudore, come me. Non
riuscivo nemmeno a concentrarmi sui legami ionici come avrei dovuto – e quando
mai ci ero riuscita?
Il problema è che non sapevo nemmeno a cosa pensare: le parole di Shaoran? Non
c’era poi tanto da dire, tutto ciò che doveva essere commentato l’avevo già
ampiamente trattato. Forse avrei potuto aiutare mio fratello a cucinare, ma non
volevo che mi facesse domande come al solito:
E il tizio cinese che fa? Se fa qualcosa di male dimmelo… Ma come si
comporta? Perché altrimenti lo uccido… Ah, e se sopraggiungesse qualsiasi
problema con quello tu mi avvertiresti subito, vero? Se no come farei a
difenderti? e così via, fino alla
pura e secca esasperazione. A volte mi pentivo di avergli raccontato tutto. Che
ingrata; non riuscivo nemmeno a mantenere vive e sgorganti di acqua nuova e
limpida i pochi affetti che mi rimanevano…
Una nuova disperazione mi dissipò, la vergogna che qualche giorno prima si
sarebbe manifestata come insensibilità: se questo significava vivere, che senso
aveva provarci se già dall’inizio sapevo che non sarei riuscita a fare altro che
scavare una buca delle dimensioni del mio corpo? Che senso aveva creare una
nuova me stessa se non conoscevo nemmeno il significato di ciò che desideravo
fare, diventare, essere? Cambiare senza sapere cosa divenire, viaggiare
misconoscendo la meta, venire alla luce ignorando la percezione di tale parola.
Ma non è quello che succede ogni giorno a migliaia di neonati? Scacciai quel
pensiero: assurdo.
Suonò con fervore il campanello, che svegliò me da quel monotono e insapore
torpore e liberò la mosca dalla forza di attrazione che la obbligava a mostrarmi
una sua faccia, come la Luna, divulgatrice di verginità.
Scesi in fretta le scale: in fondo volevo evadere da quella situazione infausta,
in bilico come il sole tramontante sulla cima di un monte bianco di ghiaccio.
Quando aprii la porta fui smisuratamente ed estremamente lieta di scorgere il
viso di Yamazaki in mezzo alla mia nebbia mentale, umida di lacrime, come le mie
guance. Ebbene sì, avevo pianto. Di nostalgia, per essere precisi. E di
malcelata rassegnazione. Non avevo alcuna speranza di riuscire a vivere
serenamente se non fossi ritornata la ragazza di qualche anno prima. Non ci
sarei riuscita. Perché? Perché sì, punto. Era un assioma indimostrabile.
Fatto sta che mi ritrovai, quasi senza accorgermene, più tranquilla e rilassata
appena sentii il suono del suo nome nella mia testa, quando i nervi ottici
inviarono un impulso nervoso così potente da attraversare tutto il tragitto fino
al cervello di sinapsi in sinapsi in un tempo sostanzialmente minore del normale
(già difficoltosamente quantificabile).
-Ciao.-, mi salutò e, senza aspettare una risposta, continuò: -Passavo di qui e…
Posso entrare?-.
Sapevo perfettamente che la sua visita non era assolutamente casuale. Non glielo
lessi negli occhi, non lo capii dal linguaggio dei gesti: lo sapevo, punto.
Mi feci da parte senza replicare: non potevo permettermi di urtarlo in qualche
modo, quel momento di sicurezza mi sembrava troppo prezioso.
Com’era possibile che da una speranza così forte, avvolgente e possente come
quella provata nel leggere la frase di Marlowe potesse nascere un’inquietudine,
un’osmosi di paura e impotenza così terribili, tanto da aver bisogno di un viso
e di una voce familiari per ritrovare la calma? Io, che in quel momento avevo
bisogno di indipendenza… Ero diventata così debole? Una folata di vento gelido
irruppe e portò via con sé, in un viaggio senza posa, la greve polvere che
custodiva egoisticamente i miei pensieri presenti, esistenti, ma non viventi. Un
punto fisso torreggiò nella nebbia: forse anche prima ero stata debole… Ma certo
che lo ero stata! Avevo avuto bisogno di Tomoyo, di Touya, della protezione di
mia madre, dell’amicizia… Un’ossessiva necessità, latente a suo tempo, poi
sempre più gonfia, enorme, dilatata… Fino a scoppiare, prevedibilmente, così
prevedibilmente che nessuno se n’era accorto. Debole.
La nostalgia è l’anelito di tornare in un tempo passato, un tempo
necessariamente migliore. Migliore del presente. Ma esiste passato peggiore di
ciò che si sta vivendo? Si prova nostalgia per tutta la propria vita: per
l’infanzia, ignorando l’amarezza che si è provata nel non poter conoscere
l’oggetto di discussione degli adulti; per l’adolescenza, chiudendo gli occhi di
fronte ai turbamenti dolorosi e sofferti che l’hanno invasa; per l’età adulta,
rinnegando i problemi di autonomia che si creano in quel frangente. La nostalgia
è l’arte di idealizzare il passato esaltandone le apparentemente benefiche
qualità e dimenticandone i turpi e lacrimosi disordini. La nostalgia è l’arte di
illudersi.
Io volevo illudermi? Non volevo più essere illusa, tantomeno diventare
autolesionista.
Questo significava che il passato poteva essere peggiore del presente. Rimasi
sconvolta da quell’affermazione: non me la sarei mai aspettata. Io, l’essere più
nostalgico esistente sulla faccia della Terra,
io, io che mi sarei autodistrutta se non fossi riuscita a ritornare
come prima, certo, dopo un numero considerevole di tentativi.
Camminai senza accorgermene verso il divano, dove mi sedetti. Non avevo ancora
salutato Yamazaki.
-Ciao, comunque.-.
Fece un cenno col capo e affermò:
-Non volevo interromperti. Sembravi riflettere.-.
Ma come faceva a decifrarmi così precisamente? Ok, probabilmente dovevo aver
assunto un aspetto assente, ma nessuno se n’era mai accorto quando mi era
capitato (spessissimo).
-Perché non mi guardi il sedere come fanno tutti i maschi zuppi di ormoni come
te?-, domandai alzando le sopracciglia.
-Perché non è interessante come i tuoi occhi.-, dichiarò con un sorriso.
A volte sapeva essere davvero vomitevolmente zuccheroso. Alzai gli occhi al
cielo e sbuffai.
-Stavo scherzando!-, esclamò quasi per giustificarsi, con un’espressione
leggermente cupa.
Lo fissai ancora per un po’. I pochi capelli che costituivano la sua frangia
erano lievemente scomposti e la fronte sembrava più spaziosa e lucente. Gli
occhi scuri mi osservavano costantemente – ma non era quello che aveva sempre
fatto nell’arco di quei due anni?
-Andiamo in cucina.-, suggerii. Quel divano, il posto in cui era seduto mi
ricordavano troppi pomeriggi passati con Shaoran. Niente di positivo, insomma.
Annuì col capo: probabilmente aveva intuito il motivo della mia affermazione.
Entrammo in cucina, dove mio fratello stava preparando la cena e gli dissi:
-Cucina anche per Yamazaki: rimane a cena.-.
Touya voltò il capo verso di noi, salutando molto freddamente Yamazaki (ormai
avevo perfettamente compreso che la sua malattia era la sindrome del fratello
geloso… Ridicolo). Il ragazzo accanto a me mostrò un lieve sorriso e un debole
gesto di saluto. Sorrisi.
-Cuciniamo noi, non ti preoccupare.-, e mi avvicinai con determinazione ai
fornelli, dove Touya stava mescolando del brodo di pesce in una pentola.
Mio fratello ci fissò con spudorata insistenza ed esclamò:
-Io sono in camera mia, se succede
qualcosa.-, marcando la congiunzione come per assicurarci che sarebbe
effettivamente accaduto qualcosa.
Si chiuse la porta alle spalle e io e Yamazaki rimanemmo soli.
Per cinque minuti tacemmo. Ad interrompere il silenzio solo il borbottio furioso
della pentola e il dissonante fragore di piatti e posate poste sul tavolo.
Quella scena non era affatto esclusiva: in quei due anni Yamazaki aveva messo
piede innumerevoli volte in casa mia e soprattutto in cucina, che era il nostro
luogo preferito. Era l’unico i cui muri non fossero impregnati di ricordi, le
cui sedie non portassero l’ombra di corpi odiati, le cui luci non avessero
sottratto all’oscurità volti laceranti e terrificanti. Spesso, inoltre, avevamo
parlato fra quelle vuote mura di me, solo di me e di ciò che era successo. Non
ricordavo un giorno in cui non si fosse presentata un’occasione del genere.
Forse ero stata troppo egocentrica o Yamazaki troppo altruista. O entrambi.
-Da quanto non dicevi “Non ti preoccupare”? Sai, penso che tu non l’abbia mai
detto in questi anni.-, irruppe la sua voce e ruppe il silenzio.
In effetti mi ero meravigliata della frase rivolta a mio fratello. Non ricordavi
di aver mai pronunciato quell’enunciato, non perché desiderassi che gli altri si
preoccupassero, anzi, al contrario, volevo che mi lasciassero in pace. In
realtà, non mi interessava nulla degli altri e nemmeno di me stessa. Come essere
l’oscurità e avere paura del buio, una fobia così dilaniante, divorante e
disperata da rendermi completamente impotente, inutile, inane.
Scrollai le spalle, fingendo indifferenza. Continuai a mescolare il brodo,
aspettando che Yamazaki pesasse gli spaghetti per essere inghiottiti da quella
massa acquosa e bollente.
-200 grammi vanno bene?-, domandò, piegato leggermente per poter leggere i dati
sullo schermo della bilancia elettronica. Annuii guardandolo e continuando a
mescolare meccanicamente e svogliatamente.
-Ti va di raccontarmi ciò che ti ha detto Shaoran?-, chiese Yamazaki,
avvicinandosi a me con un fascio di stecche rigide e cristalline in una ciotola.
Immersi gli spaghetti nel brodo ormai bollente prima di rispondere, mentre lui
rimetteva al suo posto il contenitore bianco.
Gli raccontai le poche informazioni scoperte e anche perché avevo deciso così
precipitosamente di svelare l’effettiva verità, ossia partendo dalla citazione
di Marlowe che tanto mi aveva infiammata.
-Infatti stamattina ho notato la tua espressione meravigliata. Sembrava che
avessi scoperto il senso della vita.-, replicò avvicinandosi e appoggiando i
gomiti al piano di legno accanto al forno, per godere di una vista agevole del
mio viso.
-Ma non hai nient’altro da fare che fissarmi per tutto il tempo?-.
Incredibile. Insomma, non pronunciai quelle parole con ingratitudine, in fondo
capivo che faceva tutto ciò per proteggermi, in qualche modo. La questione era
che, nel bene o nel male, ero sempre sotto il suo controllo, non ossessivo e
iperprotettivo come quello di una madre, o disinteressato e geloso come quello
di un fidanzato, ma di tutt’altra specie, di tutt’altro calibro… Non avrei
saputo decifrarlo. Ridacchiai. Asserivo sempre che la chiusura nei confronti del
mondo aveva creato come effetto collaterale una maggiore percezione di me e
degli altri, introspezione ovattata e attenzione annegata in un mare di nebbia
ghiacciata. In realtà ciò non era mai avvenuto: non riuscivo nemmeno a definire
la natura di una comune protezione né possessiva, né egoistica. Allora cosa mi
aveva donato quella maggiore consapevolezza di me che difficilmente poteva
essere spiegata come semplice e legittima preoccupazione? La verità era che
avevo identificato poco o nulla dei miei istinti e della mia ragione.
Soprattutto dei primi.
-Qualcuno deve pure pensare a te, no?-, dichiarò tutt’altro che prepotentemente,
come sarebbe potuto trasparire da quelle parole. Mi fissò con la bocca ancora
socchiusa e uno schizzo di sorriso, disegnato con fretta ma egregiamente.
Avrei dovuto digerire quella frase per poi vomitarla subito, come avrebbe agito
una persona con un’idea precisa e ben definita di orgoglio, ma ciò non accadde.
Quella frase non mi ferì, non mi sussurrò fugacemente alcun detrito di mia
eventuale negligenza e incapacità di prendermi cura di me e di proteggermi. Non
mi offese, insomma.
-In effetti…-, concordai.
Dopo una breve pausa, durante la quale ripresi a mescolare il contenuto della
pentola, cosa che avevo terminato di fare a causa delle mie riflessioni, domandò
all’improvviso e inaspettatamente:
-Come hai intenzione di vivere?-,
sottolineando l’ultima parola non con scetticismo, bensì come se fosse un’azione
ovvia, a portata di mano, davanti ai miei occhi. Illogico.
Una nuova angoscia, comunque, mi ottenebrò. Sentivo la schiena bollente e un
leggero formicolio sulle braccia, come se invisibile carta velina mi graffiasse
teneramente la pelle e recidesse i miei pensieri. Sintomi di incipiente
disperazione.
-Io… non lo so.-, mormorai con voce spezzata, ma senza alcuna orma di pianto
negli occhi.
Yamazaki assentì silenziosamente e io mi concentrai sul tondo riflesso giallo
della lampada troneggiante sul soffitto sulla superficie del brodo, leggermente
tremante e fremente.
Misi gli spaghetti con il brodo nei piatti che Yamazaki aveva collocato sul
tavolo e, dopo aver posato con un’eco metallica la pentola nel lavandino, mi
sedetti a tavola con il ragazzo.
-Ma perché parliamo sempre di me?-, sbuffai rumorosamente dopo aver ingoiato un
boccone. Avrei dovuto continuare la frase, ma gli occhi strabuzzati di Yamazaki
mi interruppero.
-Fanno così schifo? A me sembrano buoni…-, constatai masticando un altro po’ di
spaghetti.
-Ma no! È solo che non avrei immaginato che l’avresti mai detto
a me. Pensavo…-. Iniziò con enfasi e
terminò con un lieve sospiro.
Cosa pensava? Pensava che fossi così egoista?
Ma non è anche quello che penso io?
Credevo fosse solo una mia opinione e invece era davvero così.
Cosa pensava? Pensava che in realtà avessi una così smaniante e tormentosa
voglia di parlare e sentire parlare di me, un egocentrismo così ben intarsiato
da non poter essere eroso da qualsivoglia raffica farinosa?
Non è vero. Assolutamente no.
In effetti non poteva che essere uno stupido pregiudizio.
Cosa pensava? Pensava che… Oh no, quella era l’alternativa peggiore. Pensava
forse che mi servisse solo come psicologo, consultore a cui rivelare la mia
amarezza e le mie frustrazioni?
Sta dicendo che…
-Stai dicendo che credi che io ti stia sfruttando o è la mia modestissima
impressione?-, domandai con voce acuta e narici allargate per la sorpresa.
Si mostrò spiazzato: allora era proprio quello che stava pensando. Bene.
Perfetto. E così in definitiva Shaoran
mi aveva posseduta?
-No, assolutamente no. Non ti paragonerei mai a Shaoran.-, mi lesse nel pensieri
interrompendo le mie riflessioni.
Restammo per qualche attimo in silenzio, fissandoci, io sospettosamente, lui
disperatamente.
-Come potrei compararti ad una persona che pensa che
elucubrazione ed eiaculazione
siano la stessa cosa e, per giunta, che avvengano nello stesso organo?-. Sorrise
spontaneamente.
Potrebbe sembrare impossibile, incoerente, assurdo, irrazionale, irragionevole,
ma stavolta la ragione non aveva nulla a che fare con quella situazione. Gli
credetti, senza assicurazioni, senza esaminarne la veridicità. Perché lo feci?
Probabilmente perché a giudicarmi era stato l’unico che mi avesse soccorsa,
faticosamente, correndo centinaia di rischi, lasciandosi alle spalle il passato,
non riavvolgendolo attorno alle sue callose mani come avevo fatto io. Come avrei
potuto diffidare di lui? Conoscevo enormemente bene il vento foriero di perigli
che mi conduceva verso quella sicurezza, forte dei suoi mille nodi, incalzante e
invadente. Non me lo scrollai di dosso. Non lo feci. Non me ne pentii, anche se
quella situazione aveva un che di familiare. O forse era la mia immaginazione.
Solo la mia immaginazione.
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Salve! Il capitolo in realtà si incentra soprattutto sull’abbattimento di alcune
frontiere e pregiudizi su di sé che Sakura ha maturato: nostalgia, egoismo ed
egocentrismo.
Bene, passo subito ai ringraziamenti:
Sakura bethovina:
sono felicissima, nonimmagini
quanto, del fatto che tu abbia compreso i miei motivi. Davvero, leggere quella
recensione mi ha dato una gioia immensa! Grazie infinite, è veramente una
grandissima soddisfazione. Ciao!
Sakura182blast:
in effetti ci sarebbero tanto persone da confondere con quel degenere di
Uobafet, ma non sottilizziamo… Shaoran sarebbe una bella preda, senza dubbio!
Grazie mille per la recensione, spero di sentirti presto, ciao!
Faffy:
povera suonatrice di pianola, come potrei non ringraziarti? Insomma, con tutto
quello che avevi scritto e che poi si è cancellato… Sono ancora commossa per
tutti i complimenti che mi hai fatto e spero di non aver deluso le tue nereidee
aspettative. Spero di allietare ancora il mio udito con le sue splendide note e,
soprattutto, le sue splendide parole (possibilmente scritte su una pagina di
Word di un documento chiamato “C**x”). A presto, abominevole plinia delle nevi!
E grazie infinite!
Bene, spero di leggere presto vostri commenti. Come sapete, la storia è ormai
agli sgoccioli… A presto e grazie anche a chi ha letto!
Niente che viva sulla Terra è così umile da non restituire qualcosa di buono
alla Terra. E niente è così buono che, se stravolto dal suo uso lecito, non si
ribelli fino a perdere la sua vera natura. La virtù stessa diventa vizio se male
indirizzata e il vizio talvolta può essere riscattato.
(…)
Così due re rivali sono accampati nell’uomo come nelle erbe: la grazia e la
violenza. E dove la peggiore è predominante, ben presto il tarlo della morte
divora quella pianta.
(Romeo + Giulietta, frate Lorenzo)
-Allora?-.
Avevamo appena posto i nostri piatti e le posate nel lavandino e ci eravamo
seduti di nuovo al tavolo. Il neon mi costrinse a chiudere temporaneamente gli
occhi, come una colomba che vola contro il cielo.
-Allora cosa?-, chiese Yamazaki alzando un sopracciglio.
-Non so… Parlami di te. Come va con Chiharu?-. Ovviamente sapevo perfettamente
che si erano lasciati, ma volli fingere ignoranza per farmi spiegare i motivi
del loro allontanamento. Non che volessi ficcare il naso, ma avevo la nettissima
sensazione che ciò riguardasse anche me. Che acutezza…
Uno sciame di ronzanti pensieri subito mi avvolse nel suo formicolante
abbraccio: in effetti non mi ero mai interessata a Yamazaki e Chiharu, ma ora
ero costretta a farlo. Perché? Perché molto probabilmente la fine del loro
fidanzamento era stato provocato da me. Io ero colpevole. Io avevo estirpato un
amore. Io avevo reciso un sentimento. Io avevo morso il filo carnoso che li
univa, avevo amputato un organo così fondamentale, disperatamente e
universalmente basilare, facendo sanguinare entrambi. Come avevo potuto pensare
che Chiharu non mi avrebbe più detestata? Stupida, stupida, stupida. Mi avrebbe
odiata ancora di più, sempre di più, finché anche lei non mi avrebbe amputata.
La vita, l’amore, le relazioni erano delle continue operazioni chirurgiche,
delle costanti perdite di sangue prezioso, non sangue normale, non
necessariamente vermiglio e denso: questo non si sarebbe mai rigenerato. Mai. Ed
era proprio questo che concorreva a prosciugare una persona, la sua mente, il
suo cuore. La vita era un incessante e crudele salasso.
Forse costringere Yamazaki a raccontarmi ciò che era successo quando non ce
n’era minimamente bisogno avrebbe disseccato ulteriormente i suoi tessuti? Io
stavo forse succhiando il suo sangue dalle sue umili vene? Stavo masticando la
sua carne per ricavarvi più liquido possibile? Stavo bevendo allegramente dal
calice del suo collo come un gattino lecca innocentemente del latte vergine e
vitale da una ciotola solitaria?
-Certo che te ne parlo. Tu mi hai detto tutto di te… Sarebbe il minimo.-.
Aveva notato i miei occhi che scorrevano freneticamente in tutte le direzioni,
il mio frettoloso brancolare nel buio, le mie espressioni sconnesse come
disarmoniche e caotiche pennellate disordinate su una tela strappata.
Gli sorrisi confortata: ero felice che capisse anche le mie reazioni più
spicciole e neonate. Ero felice.
-Non è una storia avvincente come la tua,-, ammiccò, -ma se la vuoi sapere…-.
Annuii convintamente per capire subito fino a che punto fossi rea e fustigatrice
in quella vicenda.
Poggiò i gomiti sul tavolo, cosa che feci anch’io per avvicinarmi ulteriormente
e ascoltarlo meglio.
-Io e Chiharu ci siamo fidanzati quasi cinque anni fa. Per noi era la prima
volta e in effetti la nostra storia è stata una specie di apprendistato, di
tirocinio, o almeno così la vedo ora. Ovviamente quando ci siamo fidanzati non
ci amavamo, ma ci piacevamo molto. L’amore è venuto dopo, verso i quindici anni.
All’inizio non era né affetto, né passione… Semplicemente, stavamo insieme per
attrazione fisica e mentale, dato che, come ti ho detto, per noi si trattava
della prima esperienza.-. Si fermò un attimo e mi fissò. –Ma forse non
t’interessa sapere tutto dall’inizio.-, constatò.
-Continua pure, mi interessa molto.-. E in effetti era vero. Immergermi in
un’altra storia, in altre vite per me sconosciute non fungeva solo da
distrazione, bensì risultava essere un’alienazione piacevole, a suo modo, anche
perché questo faceva parte del mio piano per ricominciare a vivere – e forse
ritornare me stessa, se ci fossi riuscita. Infine, poter conoscere i turbamenti
e le sofferenze dell’unica persona che aveva osato avvicinarsi ad una bestia
marchiata a fuoco, Ex di Shaoran, che
aveva avuto il coraggio di guardarmi in faccia senza ostentare infondati
pregiudizi ed espressioni disgustate mi dava una qualche innominabile speranza
di riscattarmi. Riscattare cosa? Il mio malcelato egoismo, la mia fissazione con
me stessa e le mie parole, i
mieiimpulsi, la mia natura.
Semplicemente e monotonamente me. Una litania continua e ininterrotta, due rette
parallele che, con un po’ di sforzo, si incontravano rimanendo tali. Perché ciò
era possibile.
Tossicchiò lievemente e seguitò con il racconto:
-Fino a un anno fa eravamo molto felici, oserei dire in Paradiso. Non mi
vergogno di dire che l’amavo forse più di me stesso: era il mio blocco, l’unica
che riuscisse ad arginare la mia vena fin troppo creativa, ma allo stesso tempo
la sola a capirmi, a non considerarmi solo un bugiardo che si divertiva a
prendere in giro ingenue fanciulle.-,
dichiarando ciò fece un gesto elegante con la mano, come per accompagnare una
frase poetica, e conficcò il suo sguardo mesto e divertito contemporaneamente
sulla mia espressione complice.
Ridacchiai, capendo subito a chi si
stesse riferendo. Abbassai impercettibilmente il capo osservando le lucide
venature del levigato tavolo ligneo con un buffo sorriso stampato in faccia, non
sapendo nemmeno da cosa esso fosse provocato.
-Probabilmente anche tu mi hai catalogato così in passato, vero?-, domandò. Mi
accorsi della massiccia dose di retorica in quel quesito, così non replicai
nulla, anche perché mi sovvenne improvvisamente il motivo di quel sorriso
imbarazzato che aveva teso terribilmente le mie labbra screpolate: scusa. Era
una manifestazione di scusa prima che capissi la mia colpa; avevo scontato anni
e anni di isolamento forzato in una camera pallida, plumbea ed anonima prima di
scoprire perché fossi stata rinchiusa, ma accettando con timida nonchalance gli
ordini impartitimi. Non mi sorpresi così tremendamente: in fondo ero un essere
umano. Luogo comune? Banale nullaosta? Rassegnazione districabile? O cercavo
semplicemente un vetro dietro cui ingenuamente celare la mia più che visibile e
fallosa figura? Comunque fosse, quell’affermazione non era poi così mediocre:
chi non ha mai, consciamente o meno, etichettato coloro che lo circondano
limitandosi ad esaminarne il superficiale spirito lezioso e capriccioso,
dissoluto e sfrenato, afflitto e foderato, giocoso e disinteressato, immorale ed
edonistico, ridente e solare, senza penetrarlo in profondità, con difficoltà,
magari, ma fino in fondo, traendone il più longevo e purificante piacere? Tutti,
almeno una volta nella vita. È ingiusto, sacrilego, devastante, ma non si può
cambiare: pare che l’uomo, più di qualsiasi dio, goda nel infierire efferate
stigmate sulla fragile pelle dei suoi simili, lamentandosi e piangendo poi le
proprie.
Annuii tristemente e Yamazaki subitò mi rassicurò:
-Non c’è problema, l’ho fatto anch’io con te. Siamo pari.-. Se possibile, le sue
iridi mostravano una mestizia più pentita e imbarazzata della mia. Non potevo
restare immobile osservando quei due baratri convincendomi che non fosse colpa
mia e, quindi, nemmeno di mio interesse. Percepivo sotto i polpastrelli le
sensibili righe del tavolo che scorrevano parallele e armoniose. Ne rimasi
estasiata mentre una melodia nuova nel mia mente mi fece sorridere.
Volevo essere sicura che non stessi immaginando tutto o, peggio, che lo stessi
ingigantendo guardando attraverso un’enorme lente d’ingrandimento un’effimera e
angosciosa bolla di sapone, ma la gioia era troppo scoppiettante per ignorarla,
troppo soffocante e profumata.
Ero sensibile. Provavo qualcosa per
un’altra persona, un’emozione: compassione, pietà, comprensione, stupore… Era
tutto così fantascientificamente vivido… Non riuscivo a sopportarne il peso
stando ferma, perciò sorrisi ancora una volta al piano di legno, toccandomi il
viso. Volevo guardare, ascoltare, tastare, odorare, gustare quell’inaspettata ed
eterea magnitudine con tutto il mio ritrovato corpo accartocciato.
In un filiforme attimo di consapevolezza sentii lo sguardo interrogativo ma
sorridente di Yamazaki.
-Nulla.-, risposi senza che la sua lingua si fosse dislocata per creare suoni
interrogatori. Si strinse nelle spalle e io gli feci segno con la mano di
proseguire, ancora beata. Volevo che continuasse a parlarmi di sé.
-Comunque, tutti ci consideravano quasi marito e moglie: avevamo conosciuto le
rispettive famiglie e andavamo molto d’accordo con esse. Inoltre…-, esitò
roteando gli occhi e riflettendo sull’eventualità di affrontare un certo
argomento. Facilitai la sua cernita agitando la testa verticalmente con
tranquillizzante lentezza.
-Inoltre, come dicevo… Fummo i primi della classe a fare l’amore. Non fai caso
nemmeno alle voci di corridoio?-, negai ostentatamente, -Beata te che ci riesci.
Evidentemente molta gente non la pensa così.-.
Notai che l’argomento lo imbarazzava alquanto, ma mi divertiva vederlo
annaspare.
-Come accadde?-, gli domandai, non per puro e piacevole sadismo, ma perché
volevo davvero sapere come avvenisse un fidanzamento
vero, sincero, non cantato, né incantato. Mi ero rapidamente accorta
che le fantasie dei registi e degli scrittori contenevano, anche nonostante la
censura dell’autore, una disumana quantità di sogni e amenità irrealizzabili.
Esemplare.
-Beh…-. Quei tentennamenti imbarazzati, quell’esitazione astringente mi facevano
quasi tenerezza. Quello era il prezzo per essere stata a contatto con una
persona che si esprimeva riguardo a quell’argomento con sfacciata trivialità e
volgare opulenza di indifferenza, no? Fortunatamente non avevo ancora maturato
una soddisfacente idea di sesso da farsi influenzare.
-Eravamo a casa sua e… Dài, ma perché mi fai parlare di queste cose…?-. La
vergogna e l’imbarazzo erano ormai perfettamente tangibili e condensate sulla
sua pelle sottoforma di un sottile e opalescente strato di sudore sulla sua
fronte.
-È stato fin troppo romantico, non esattamente il tuo genere, suppongo.-,
esclamò riprendendosi.
Annuii e lo lasciai continuare.
-Cominciai a preoccuparmi di te dopo il mio compleanno, ti ricordi?-. Notò i
miei occhi strabuzzati e il pallore sui miei zigomi, concludendo che ricordassi
fin troppo bene. –Beh, in realtà mi sentivo colpevole per ciò che era accaduto
in quella stanza durante quello stupido gioco, così m’interessai di più a te e
Shaoran. Forse troppo.-. Mormorò le ultime due parole. Ero confusa… C’era
qualcosa che non quadrava.
-Quando vi siete lasciati… ehm, pardon, quando
tu hai lasciato
Shaoran,-, precisò dopo una mia
occhiata affilata come rigidi petali di inodore cristallo infranto, -mi sono
sentito il dovere di starti vicino, sempre per quella spada di Damocle che mi
pendeva sulla testa. A lungo andare quel dovere non era più tale per me: contro
ogni mia aspettativa, non eri solo una ragazza ingenua, credula, vuota e un po’
ebete. Scusa se sto ammettendo questa pessima opinione che avevo di te, ma non
posso e non voglio mentire.
-Poi non c’è molto da dire. Chiharu non ha mai accettato questo mio strano
avvicinamento a te ed è diventata isterica e gelosa. Non era più l’indulgente e
scherzosa ragazza di cui mi ero innamorato e gli strascichi non mi piacciono,
così l’ho lasciata.-.
Non commentai nulla, ma mi limitai a guardarlo attentamente. Nonostante
conoscessi bene la vicenda, ancora una volta fui sconvolta dal modo in cui venne
narrata.
-Te l’avevo detto che non era avvincente.-, ammise rammaricato.
-Posso chiederti una cosa?-, domandai perplessa. Quella domanda aveva scavalcato
tutti i paramenti nella mia testa senza poter essere ostacoltata. Non aspettai
la sua risposta:
-Tu pensi che Chiharu avesse torto?-.
Ci pensò su per un momento, poi replicò:
-Beh… Forse sì. Perché essere gelosi di una semplice amica?-.
-Da quando fra semplici amici ci si bacia?-, chiesi esterrefatta. Non poteva
essere così ingenuo. Io in effetti capivo benissimo Chiharu, a parte l’eccesso
di isteria (non che la mia fosse sottovalutabile).
-Ma se sei stata tu a baciarmi!-, esclamò sorpreso del mio quesito, come se
serbasse la risposta pronta per l’evenienza.
E come dargli torto?
Bene, cosa avevo concluso ed estratto da quella conversazione, a parte la
scoperta di una mia nuova e più matura sensibilità?
Lettere in grassetto, vermiglie come sangue sacrificale aleggiavano con
noncuranza del paesaggio desolato attorno alla loro ematica cornice: REA.
***
Il vento graffiava le mie gengive luccicanti dietro il mio sorriso, mentre il
sole colpiva con forza i miei capelli sfuggenti. Le energetiche note di
“Celebrity skin” degli Hole scaricavano sfiguranti bolle d’aria nelle mie
orecchie scoperte da quel manto castano e crespo che danzava al vento come quel
lembo di carta a strisce rosse e bianche che pendeva da un antraceo palo
solitario sulla strada per Goromi.
Una breve gita al mare, aveva spiegato Tomoyo, non avrebbe fatto male a nessuno.
Per questo mi trovavo nella sua Nissan rosso metallizzato con la proprietaria,
Shaoran, Yamazaki e Rori. Ma cominciamo dall’inizio.
Era la metà di maggio e l’aria si era leggermente rinfrescata, acquistando
un’umidità appiccicosa e brulicante tipica delle città marittime. Tomoyo mi
aveva subito proposto quella breve visita per farmi rilassare dopo averle
parlato di tutte le scoperte conseguite in quei giorni e le reti che avevo
forato e penetrato. Si esaltò soprattutto quando le menzionai ciò che aveva
detto Yamazaki prima di andare via quel giorno in cui mi rivelò indirettamente
la mia colpevolezza (mio fratello l’aveva cacciato furibondo quando aveva
scoperto che avevamo mangiato senza di lui, dimenticando di chiamarlo a tavolo.
Permaloso): Se vuoi la mia modesta
opinione, ti preferisco ora. Né ingenua, né paranoica; né eccessivamente
magnanima, né estremamente avida; né sciocca, né superba. Secondo me sei
perfetta così. Oserei dire che c’era proprio bisogno di Shaoran, una volta
tanto. Avevo sorriso a quell’ultima affermazione che condividevo pienamente.
Quanto al resto del periodo, non ero sicura che avesse poi così tanto ragione.
Perfetta. Stava decisamente
esagerando. Ero rea di aver interrotto uno splendido amore… Non era quella la
perfezione. Quei pensieri evasero da me prima che riuscissi ad edificare ed
intonacare pareti e soffitti sufficienti a respingerli. E Yamazaki
inaspettatamente aveva risposto che, alla fine, si sarebbero lasciati comunque:
i fidanzamenti a tredici anni, sosteneva lui, non duravano un gran che e per
distruggere il suo era bastato solo il flebile stertore di una
Ex di Shaoran. Sarebbe precipitato lo
stesso, giudicava pacatamente. E, non avrei saputo dire perché e con quale
forza, mi sentii lusingata da quelle parole. Ma quanto potevo essere malvagia?
Non l’avrei mai compreso appieno. Fatto stava che un angelico e compiaciuto
sorriso (che un attimo dopo mi sembrò inopportuno e maligno) deformò il mio
viso. Persino Yamazaki rimase sensibilmente perplesso, ma le colleriche urla di
Touya non gli permisero di chiedere spiegazioni.
Ad ogni modo, Shaoran era venuto a sapere della nostra gita, che in realtà
avrebbe dovuto includere solo me, Tomoyo e Yamazaki, e decise (senza un minimo
di preavviso, giustamente) di partecipare con la sua nuova ragazza, una certa
Rori, una Gothic Lolita (il Goth-Loli è una moda i cui appartenenti indossano
abiti con caratteristiche vittoriane e infantili a carattere piuttosto erotico.
Ad es.: due codine sulla testa fermate con due grandi fiocchi colorati, calze a
rete e biancheria in pizzo nero. È molto popolare in Giappone, cfr. Misa di
“Death Note”. Ndme) con cui passava molto tempo nell’ultima settimana (in realtà
si sarebbero lasciati due giorni dopo, ma non sottilizziamo). Non ci avevo mai
parlato: era una quattordicenne molto silenziosa (quindi non era completamente
colpa della mia asocialità), con capelli neri sempre raccolti in due trecce con
fiocchi rosa e occhi celesti pesantemente truccati. Fissandola la prima volta
che la vidi al fianco di Shaoran mi sembrò una fusione del mio
prima e
dopo Shaoran. Avevo riso a quel pensiero. Tutto sommato, comunque,
poteva essere la ragazza giusta per Shaoran (alla cui presenza ormai non
pronunciavo un solo vocabolo): poche parole e molti fatti. E la seconda parte
era molto più evidente della prima, dato che durante il viaggio di andata a
Goromi mi cadde l’occhio sullo
specchietto laterale dal quale potevo benissimo ammirare le loro silenziose e
struscianti acrobazie accanto ad uno Yamazaki così irrigidito che temevo si
sarebbe sbriciolato entro pochi secondi.
Dopo aver accostato Tomoyo ribadì di non voler
sporcare la sua auto (sicuramente si era accorta
che Yamazaki stava iniziando a faticare a respirare per lo sgomento) e ordinò a
Shaoran di sedersi al mio posto sul sedile anteriore. Rori non protestò affatto,
al contrario del fidanzato, naturalmente, che iniziò a urlare come un dannato.
Alla fine la situazione si risolse e io e Yamazaki fummo intervallati da
un’indifferente e lontana Rori.
Voltandomi improvvisamente verso l’interno dell’auto notai che la mano che
Yamazaki poggiava sul sedile era quasi completamente ricoperta dalla pallida
coscia nuda della Gothic Lolita, che non si era accorta di nulla. Inizialmente
scoppiai sommessamente a ridere con una mano a coprirmi il desiderato riso
scrutando il suo volto intorpidito e più roseo del solito nel cercare di sfilare
la mano senza farsi notare. Ma all’improvviso ciò che non riuscii più a
trattenere non fu l’ilarità sormontante, bensì un’altra sensazione, più
profonda, immersa ma emergente, rabbiosa, selvaggia. Con molto sforzo la
ignorai, senza accorgermi di aver indebolito le mie difese. Infatti Yamazaki si
rese subito conto di quel mutamento sostanziale e, liberato delicatamente
l’arto, tornando serio, mi fissò attraverso i ciuffi notturni di Rori.
Voltai la testa nascondendo imbarazzata il viso con i capelli, vergognandomi
della mia reazione… o di chissà cosa.
L’innaturale biancore del cielo mi accecò molto più del baluginante bagliore
solare. La brezza sfregò il mio viso come lacrime estranee e stentoree. Odore di
sale, pungente, affilato, rincuorante.
Non essere una vittima mi attanagliò con forza facendomi notare il lato positivo
di quella sofferenza: non avrei provato dolore. E allora perché il mio corpo, la
mia testa, il mio petto, le mie mani dolevano lo stesso?
Ero rea e lieta, nonfelice.
Alla rugiada che si posa sui fiori
quando s'annuncia l'autunno
assomiglio
io che devo svanire
e vorrei
sospendermi nel nulla,
ridurmi
e diventare nulla.
(“Haiku”, Franco Battiato)
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Salve! Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo. Ribadisco che siamo quasi
alla fine di questa vicenda, durata quasi due anni… Ora la finisco, altrimenti
mi commuovo.
Ecco i ringraziamenti:
Sakura bethovina:
La determinazione non deve mancare, fai bene a sperare, te lo garantisco, ma… Va
beh, non dico nulla, che è meglio. A presto, grazie per la recensione e fammi
sapere cosa pensi di questo capitolo!
Sakura93thebest:
Shaoran non cambierà mai. Non credo sarebbe bastata Sakura a mutarlo. Mi
dispiace di aver deluso le tue aspettative, ma non credo che si sarebbe lasciato
coordinare… Grazie per la recensione, spero che continuerai a commentare!
Sakura182blast:
Guarda, è più facile trovare un’utilità per Uobafet che per Shaoran: si lamenta
sempre! Insopportabile.. Povera Rori (oddio, non ci conterei poi tanto…)
Comunque sono d’accordissimo con te riguardo a Yamazaki. Purtroppo in questo
capitolo quella palla di pelo di Shaoran fa la sua sporca comparsa mentre si
avvinghia con la suddetta nell’auto di Tomoyo… È una martire quella ragazza.
Evviva Alacabam!!! A presto, grazie mille per la recensione!
Bene, spero di sentire presto le vostre opinioni. Grazie anche a chi legge
solamente. Ciao!
Blanda. Una vita blanda e stropicciata come il viso di un bimbo addormentato.
Sentivo il calore sul collo e sulla schiena, ma ero sicura che non fosse il
sole. I suoi raggi pomeridiani lambivano i miei occhi o, meglio, le mie palpebre
rendendole arancioni al mio sguardo apparentemente imprigionato nel buio. Ma
allora cosa rendeva la mia pelle così calda? Lo sapevo, oh, lo sapevo benissimo.
Era vergogna, ignobile e ignominiosa vergogna. Per cosa? Che ovvietà, per me
stessa.
Ero stesa su un asciugamano, mentre la sabbia si raffreddava con l’avvento del
tardo pomeriggio e la confusione della spiaggia ottenebrava paradossalmente alla
mia mente l’intero mondo esterno.
Che tristezza, nuova, neonata, sconosciuta. Avrei preferito essere depressa,
avere il coraggio di tentare il suicidio piuttosto che stanziarmi in questo
bivalente limbo senza uscita, un labirinto con mura intonacate, tutte uguali,
tutte ruvide, tutte candide e un soffitto, unico, irraggiungibile,
impenetrabile.
Tutti gli altri stavano facendo il bagno in quel mare ormai quasi roseo, a parte
me e Tomoyo che non potevamo per
sanguinosi motivi, ma in quel momento
quest’ultima stava telefonando a Eriol.
Aprii gli occhi e li richiusi subito. Che frustrazione: non riuscivo a captare
alcun segnale dall’esterno senza che questo mi ricordasse che ero sola. Assurdo,
si potrebbe pensare, ma vero. Tomoyo era ormai troppo lontana, me ne rendevo
conto. Quel consistente spicchio di vita che non avevamo condiviso era stato
troppo importante per essere ignorato. Non che l’avessi voluto io, ma era
inevitabile rendersene conto e inutile negarlo; le volevo bene, ma l’affetto non
bastava a dare alla luce la fiducia. Essa era eccessivamente preziosa per essere
spicciolamente sottovalutata e per giunta per me era fondamentale, proprio ora
che non sapevo cosa fare, come agire, a chi rivolgermi.
Mi dispiaceva per la mia amicizia con Tomoyo, certo, però sinceramente non
riuscivo nemmeno a immaginare fra noi la confidenza che c’era stata tempo prima
né il cieco affidamento con cui donavo ogni mia decisione alla sua Corte, come
se fosse il giudice di ogni mia scelta, frivola o pesante che fosse. Una realtà
troppo malsana e viziata da riproporre: non ne avevo alcuna voglia. Prendermi le
mie responsabilità era stato terribilmente difficoltoso ma istruttivo ed
edificante: purtroppo mi era toccato ferirmi improvvisamente e profondamente
invece che lasciare ai lembi di quel taglio il tempo di rimarginarsi per poi
crearne subito un altro.
Sentivo che anche le mie gambe stavano arrossendo al pensiero della mia vita
passata; ma come avevo potuto desiderare di tornare come quella bambina beota,
ingenua, raggirabile come un ostacolo afflosciato al suolo, aperta ai coltelli e
ai disinfettanti altrui? Di questo mi vergognavo: della mia essenza e del mio
anelito. Forse allora Yamazaki aveva proprio ragione: meglio scorbutica,
brontolante e sveglia che infantile, dolciastra e vuota. Vuota come un cranio
ghignante.
Percepii dei passi sulla sabbia polverosa e immaginai fosse Tomoyo. Il corpo si
sedette sull’asciugamano accanto al mio e solo odorando un raschiante profumo di
sale e aprendo gli occhi realizzai la presenza di Rori. Giocherellava con la
sabbia asciutta, mentre mille gocce simili a pestilenziali bisce le solcavano
con la violenza di un aratro la pelle così diafana da sembrare trasparente al
tenue fulgore solare, ormai in caduta libera senza paracadute su un mare che
avrebbe attutito il suo pregiato fuoco fino ad esaurirlo e conservarlo nelle
proprie viscere.
Ero molto curiosa riguardo a quella ragazza per svariati motivi: innanzi tutto
perché non capivo il motivo per cui volesse passare del tempo con quella belva
chiamata Shaoran. O forse lo stavo sopravvalutando? Ma quale belva, era solo un
egoista malvagio, sadico ed edonista. Peggio per lui. Inoltre, il carattere, le
maniere, il viso, gli occhi sognanti di quella ragazza mi parevano così
familiari… In definitiva, volevo conoscerla per salvarla? Certo, senza dubbio,
anche se non ero sicura che avrebbe sofferto quando, al più presto, ne ero
certa, Shaoran l’avrebbe abbandonata. In realtà non sapevo nemmeno se lei lo
amasse. Rori era per me un punto grigio nella nebbia, una stella corvina
derelitta in un cielo tenebroso, una scaglia di cristallo fra mille simili di
ghiaccio e vetro: irriconoscibile, non individuabile.
Cercai freneticamente un argomento sul quale intavolare un discorso e apprendere
qualcosa, qualsiasi cosa, del suo carattere e del motivo per cui era fidanzata
con Shaoran senza avergli spaccato un vaso da fiori in testa.
-Allora…-, cominciai indecisa, ma nella foga del momento mi sovvenne qualcosa da
chiederle: -Come hai conosciuto Shaoran?-.
Con estremo imbarazzo mi accorsi che non mi stava nemmeno ascoltando, dato che
il suo sguardo era perso apparentemente fra i ghirigori dell’ombrellone che ci
si stagliava di fronte. In realtà, però, ero convinta che stesse riflettendo,
data l’opacità e l’assente vitalità degli occhi.
Le sfiorai piano la spalla per farla voltare verso di me: la pelle era fresca e
lucida, bagnata e leggermente ruvida per la salsedine, unico dono del mare. A
quel contatto mi spaventai. Ero a disagio in sua presenza, perché… Perché?
Presumevo qualcosa, forse che in lei esistesse un lembo di Shaoran, seppur
minuscolo e ben ripiegato; in effetti era così: Rori portava in sé, nel suo
sguardo, sulle sue labbra violacee, sulla sua chioma stillante sangue di mare e
leggermente scomposta, un frammento di ciò che stavo rifuggendo testardamente,
che già dalla visita di Yamazaki avevo cercato di distanziare e stigmatizzare
con l’etichetta PASSATO, riconoscendo
fin troppo bene che esso è fatto di ricordi, i ricordi di emozioni, le emozioni
di impulsi, gli impulsi di vita. E la vita non si rinnega né si allontana, ma si
apprende.
Una radio vicina gracchiò qualche romantica melodia di Utada Hikaru. Alzai gli
occhi al cielo e proseguii a fissare la ragazza, che non aveva ancora dato segni
di vita.
-Ho sentito, sto solo cercando di ricordare.-, replicò un attimo dopo il mio
tocco fugace. La sua voce, sebbene sommessa, mi fece sussultare: troppo calma,
consapevole e saggia per essere fidanzata con Shaoran. Dov’erano finiti
l’isteria, la trasognatezza e l’immaturità? Erano forse stati solo una mia
prerogativa? Mia e di molte altre, ma sua no. Era possibile che a quattordici
anni si potesse essere così maturi da accettare compromessi con persone del
genere? Io non lo ero stata e non lo ero nemmeno in quel momento, forse. Che
ragazza strana.
All’improvviso la sua ultima frase mi ispirò: probabilmente anche lei era come
Shaoran. Possibile? Beh, non ricordava nemmeno l’occasione in cui si erano
conosciuti, logico che fosse così. No, c’era qualcosa di essenzialmente diverso,
sostanzialmente cangiante e faticosamente percepibile. Solo uno sciocco avrebbe
confuso l’eccepibilità di Shaoran con… la profondità di Rori, nonostante non la
conoscessi e non potessi dunque esprimere opinioni. Tuttavia, era indispensabile
notare la diversità dei due, l’assenza di quello sfrenato edonismo che
caratterizzava lui e mancava in lei, come del resto l’insincerità del ragazzo e
l’apparente disponibilità e franchigia della fidanzata. Solo una sciocca
come me aveva osato confondere la sfacciataggine
di Shaoran con sincerità.
-Ah, sì: l’ho conosciuto ad una festa la settimana scorsa. Mi ha dato un
passaggio a casa con la sua Nissan rosso metallizzato.-.
Sorvolando sul fatto che l’auto non fosse
sua, ma di Tomoyo, che non gliel’avrebbe mai prestata,
ergoShaoran l’aveva
sottratta di nascosto, la sua frase fu molto concisa e pulita. Sincera, insomma.
Fui spiazzata da tanta chiarezza e dalla sua telegrafica risposta, così cercai
subito una nuova domanda da porle per coinvolgere in qualche modo la sua fredda
attenzione. Bruscamente ricordai che una settimana prima io e Shaoran eravamo
ancora “fidanzati”, per così dire, e io non sapevo nulla di quella festa.
Sorrisi laconica: me lo sarei aspettata, tipico del suo gioco. Scacciai quelle
constatazioni amare e mi concentrai ancora per ideare un altro quesito.
-E… da quanto siete fidanzati?-, domandai piatta.
Questa volta mi rispose celermente e spontaneamente, alzando impercettibilmente
un sopracciglio, forse la prima vera reazione da quando l’avevo conosciuta.
-Non siamo fidanzati.-.
Lo confessò come se fosse un’ovvietà, una realtà affatto inimmaginabile, troppo
verosimile per non essere effettivamente vera. Mi lasciò interdetta: mi ero
ormai preparata molte domande da porle, ad esempio come fosse successo. E
invece? Una considerazione mi sovvenne brutalmente: il mio interesse nella loro
storia era perfettamente combaciante con quello che avevo provato nei confronti
di quella di Yamazaki e Chiharu? In un certo senso sì, in un altro no: da
entrambe avrei dovuto scoprire qualcosa, ma la curiosità che mi capeggiava era
differente. Mi interessavo a Yamazaki perché desideravo aiutarlo, forse, far mie
tutte le colpe per rendermi utile. Avere un ruolo nella sua vita, in questo caso
di antagonista, dato che avevo depredato un terreno già da tempo fertilizzato e
bonificato. Qualunque ruolo ricoprissi per me era rilevante. Certo, se fosse
stato un ruolo positivo… Ma ero la strega cattiva che aveva avvelenato con il
frutto proibito un’incantevole e favoloso amore che tutti credevano
ineluttabile, invincibile, imbattibile. E invece io ce l’avevo fatta, ma senza
alcuna soddisfazione, come invece succede spesso alle streghe quando allontanano
per capriccio la bella principessa. L’unica mia consolazione era stata la pietà
del principe, la sua compassione: aveva compreso il sostrato di sofferenza che
impolvera assassini, sadici, stupratori, violenti: la disperazione, la palese
impossibilità di salvarsi o essere salvati. Il principe aveva abbandonato la
principessa per correre in difesa della malvagia progettatrice di piani
insensatamente diabolici e l’aveva soccorsa, le aveva insegnato ad accettare sé
stessa, la sua malignità e l’umanità ormai seppellita sotto immisurabili vangate
di polvere. Quello era il coraggio, quella era la vera e cruda temerarietà: non
scavalcare le onde, bagnare il deserto, prosciugare le acque per cercare e
liberare una dama rapita o entrare nell’oltretomba come Orfeo per recuperare la
sposa spirata. No, in confronto a quelcoraggio il propulsore che aveva spinto Yamazaki era pura pazzia, come
scambiare il cielo con la terra, seminare un campo celeste e immaginare mutevoli
nuvole sul selciato, in un mondo dove avere i piedi per terra era da matti e gli
occhi erano puntati verso di noi, che abitavamo la volta fatata.
Aprii la bocca, non per parlare, ma Rori
credette che le stessi per porre un’altra domanda e mi anticipò con mia enorme
sorpresa:
-A dire il vero lui mi aveva detto di essere fidanzato, ma disse che né a lui né
alla sua fidanzata sarebbe importato qualcosa.-.
Certo che non mi sarebbe importato, tanto immaginavo che mi avesse tradita.
Crescendo si peggiora, avrei asserito
qualche giorno prima, ma in quel momento non ne ero così assolutamente sicura.
-Quindi eri la sua… amante, per così
dire?-, chiesi stringendomi le ginocchia con le braccia per frenarle.
-Sono la sua amante, se così mi vuoi
chiamare.-. Sentivo che si stava aprendo sempre di più, anche se lentamente, e
ne fui estremamente lieta.
A giudicare dalla parole di Rori, Shaoran non le aveva ancora confessato di aver
lasciato la sua fidanzata –
incredibile come fosse esilarante quella parola – ma perché? Forse quella
ragazza era solitaria e disimpegnata, dunque non desiderava stringere rapporti
di fedeltà, per quanto potesse essere fedele una relazione con Shaoran? E per
questo il ragazzo le aveva tenuto tutto nascosto, probabilmente perché credeva
che lei fosse innamorata di lui e volesse rimpiazzare il mio ruolo? Era l’unico
motivo che mi veniva in mente in quel momento e anche il più confacente ai due
caratteri, nonostante Rori non paresse affatto innamorata.
La domanda più fondamentale e impertinente mi solleticò la lingua, per poi
perdere sensibilità al mio imperioso ordine. La tentazione però era
insopportabile, insormontabile… Non resistetti, come un’ape che vola su uno
splendido fiore con il timore che, posandovisi, ne incenerirebbe la
magnificenza.
Fissai gli occhi celesti, di una sfumatura cristallina che mi ricordava il
colore dell’acqua clorata delle piscine pubbliche, e notai la loro vivacità,
così parlai:
-Perché frequenti una persona così… Shaoran?-. Un’altra tentazione, quella di
far sgusciare innumerevoli e orribili appellativi, mi stava per annientare, ma
la trattenni: a che pro confessare apertamente di essere una sua ex?
Completamente vano, nonché controproducente e patetico.
Aspettò qualche attimo prima di replicare; quell’attesa mi innervosì: credevo di
essere stata troppo pretenziosa e irriguardosa, ma alla fine non mi interessava
così smaniatamente, anzi.
Si stese sul suo asciugamano rosa – un terribile flashback me ne rigettò uno
simile che ero stata solita portare al mare verso i tredici anni – e si spruzzò
sulla mano della crema protettiva contro i raggi solari da una bottiglietta a
forma di rosa nera attorcigliata intorno ad un leccalecca. L’imboccatura era
posta su un petalo del fiore che sgocciolò un denso liquido rosso che imporporò
il latteo palmo della sua mano, dopodiché si spalmò il prodotto sulle braccia,
sul collo e sulla pancia, fino ai margini del costume rosa – immancabilmente –
con grandi fragole viola. La crema venne assorbita dopo due o tre secondi e di
quel fluido vermiglio non ci fu più traccia.
-Perché Shaoran mi accontenta sempre, rimpinza i miei capricci fino a farli
scoppiare, mi vizia in continuazione affinché io faccia qualcosa che lui
gradisce, senza accorgersi che alla fine piace anche a me. Tuttavia preferisco
che mi tratti come una brava bambina, che mi appaghi sempre. È così stupido e
megalomane da credere di essere lui il vittorioso, ma in realtà comando io, a me
va tutto il piacere, a lui vengono sottratte fatiche su fatiche… A volte vengo
descritta come una stratega infantile, ma non capiscono che proprio la mia
infantilità mi è favorevole e non mi ostacola affatto.-. Per la prima volta vidi
i suoi occhi ravvivarsi, prima che fossero chiusi dai sempre più fragili raggi
solari. Ciononostante, il suo primo sorriso, un ghigno beffardo, non abbandonò
il suo marmoreo volto.
-Non sono cattiva, non voglio illuderlo o fargli del male, per questo ho scelto
lui, perché è insensibile alle emozioni, a quanto pare. Se fosse stata una
persona diversa l’avrei forse amato, oltre che sfruttato, ma lui è così e
anch’io. Compromessi del genere sono inevitabili.-. Quasi per riscattare
quell’improvvisa apertura e loquacità, tacque definitivamente restando immobile
a prendere il sole, con la testa leggermente flessa su un lato e le trecce sulle
rispettive spalle.
Sì, era proprio l’amante perfetta per Shaoran.
***
My song is love
My song is love unknown,
But I'm on fire for you, clearly
You don't have to be alone
You don't have to be on your own
(Coldplay, “A
message”)
Percepii dei passi felpati e attutiti dalla sabbia alla mia destra.
-Come va?-, mi sentii chiedere da una voce leggermente argentina.
Aprii piano gli occhi e scoprii che era ormai sera, anche se un brillante
bagliore baluginava dietro le lontane onde del mare, che ormai scorrevano pigre
e svogliate, quasi fossero insonnolite e aspettassero che quel filo colloso e
iridescente le lasciasse invisibili e confondibili con il cielo oscuro per
addormentarsi beatamente.
In verità non mi ero accorta che fosse passato molto tempo da quando Rori aveva
taciuto, ma evidentemente mi sbagliavo. Un po’ intorpidita per essere stata
stesa tutto il pomeriggio, mi alzai prima a sedere e poi, con fatica, mi misi in
piedi con un leggero barcollamento, subito soppresso.
Notando il mio traballamento, la voce che riconobbi come quella di Yamazaki mi
ammonì scherzosamente:
-Calma e sanguefreddo.-.
Affilai lo sguardo nella semioscurità, accorgendomi per la prima volta che il
chiasso e la confusione del pomeriggio erano drasticamente decrementati.
-Yamazaki… Non me lo sarei aspettato da te.-. esclamai con finto risentimento
per la sua battuta allusiva. Con una seconda occhiata mi resi conto che in riva
al mare Tomoyo cercava di lavar via la sabbia dalla sedia sdraio gialla – che al
semibuio sembrava arancione – mentre Shaoran e Rori erano poggiati al cofano
della Nissan parcheggiata poco lontano e si baciavano profondamente.
Mi apprestai a piegare il mio asciugamano assaporando con il tatto la sabbia
quasi gelata che si stringeva alle mie mani chiedendomi aiuto, volendo gustare
anche lei qualche parte di me per seguirmi testarda.
-Vuoi smetterla di chiamarmi per cognome? Io sono Takashi, non Yamazaki!-,
asserì con enfasi. Ne fui leggermente stupita, ma, mettendo l’asciugamano nella
borsa di Tomoyo, concordai:
-Se ti fa piacere… Takashi. A cosa devo tutto questo sprizzo di vitalità?-,
domandai accorgendomi della sua quasi invisibile espressione briosa.
-Oh, nulla.-, si incupì sensibilmente.
Mi strinsi tra le spalle perplessa e mi incamminai verso l’auto, intenzionata a
sedermi sul sedile posteriore ignorando le prestazioni di Rori e Shaoran.
Non mi accorsi che Yamazaki, oh, pardon, Takashi mi stesse seguendo finché non
ridacchiò sommessamente con un grugno nasale.
In quel momento non stavo pensando a nulla, né ero poco disposta alla
conversazione: semplicemente, volevo estraniarmi, non riflettere sul fatto che
probabilmente Rori aveva reagito molto meglio di me, che quindi era stata più
matura e distaccata. A che sarebbe servito seviziarmi ancora con inutili
paragoni fino allo stremo? Non sapevo come avesse fatto, ma Yamazaki – non ce la
facevo proprio a chiamarlo per nome – aveva insegnato qualcosa a quell’essere
liscio e compatto come marmo e quindi impermeabile che ero: io ero io, nessuno
avrebbe potuto negarlo, modificarlo, infrangerlo, impoverirlo, nemmeno io. O
almeno lo speravo.
Entrai in auto e richiusi la porta con slancio, mentre Yamazaki apriva quella
opposta e si sedeva sul sedile con goffaggine. Io mi trovavo dietro al sedile
del guidatore, lui dietro a quello del passeggero, ai due estremi dei sedili
posteriori. Un attimo di pausa dopo la scrosciante chiusura della portella e:
-Sai, da piccolo ero convinto che le stelle fossero tanti occhi, tantissimi
occhi con cui il cielo ci guardava e ci spiava per conto degli alieni, che però
non erano cattivi, ma solo curiosi del nostro mondo pazzo. Sui loro pianeti era
tutto governato da regole precise, imprescindibili, ineccepibili e
incontestabili, dai caratteri binari dei computer, da una matematica
infrangibile. Le idee erano semplici combinazioni di numeri, come l’HTML. Era
tutto monotono e perfetto e nessuno se ne lamentava. Ma poi hanno visto noi e
non hanno creduto possibile una realtà fatta di immagini, suoni, parole,
sensazioni che non corrispondessero a caratteri precisi, a segni e leggi scritte
e regolate. Per questo ci sorvegliano, per capire come facciamo a essere così
diversi da loro e a riuscire a vivere comunque. I soffitti non ci proteggono,
sai? No, perché una parte del nostro cervello, quella più libera, quella di cui
ci accorgiamo solo quando stiamo scalfendo il comune senso del pudore o la
morale o le nostre stesse regole autoimposte, quella illimitata che corre
dappertutto senza muovere un passo, pensa sempre alle stelle, le proietta nel
nostro cervello cosicché gli alieni ci osservino anche a nostra insaputa, come
il Grande Fratello di 1984. E nemmeno
dormire per sempre ti nasconde dal loro sguardo attento: sogniamo le stelle,
vogliamo le stelle, guardiamo le stelle ed esse guardano noi. Ho trascorso metà
della mia esistenza a credere a questa storia assurda, ci pensi?-, terminò
fissando il poggiatesta davanti a lui.
Era la prima volta che mi parlava così a lungo, che mi confessava qualcosa di
veramente suo, che riguardasse lui e basta e… mi piacque. Mi piacque molto, sì.
Mi resi conto di quanto i miei pregiudizi mi avessero incatenata e imprigionata
fino a credere che Yamazaki fosse solo un ragazzino allegro, fantasioso e
burlesco. Quanto ero stata il errore… Imperdonabilmente, forse.
Comunque, rimasi esterrefatta da quel
racconto, dalla sua fantasia non infondata, ma intelligente e perspicace. Non
era solo fantasy, era vita. Sì, certo, magari le stelle non erano altro che
ammassi di gas e altri materiali, magari gli alieni non esistevano o non
conoscevano la matematica, o magari coloro che ci controllavano non erano poi
così lontani… Eravamo noi, semplicemente noi, regolatori di noi stessi,
limitatori lamentanti. Noi credevamo nella speranza, ma sopprimevamo le nostre;
noi creavamo un nostro mondo, ma non ne accettavamo le leggi da noi stessi
ideate; noi avevamo uno sviluppato istinto di sopravvivenza, ma rischiavamo ogni
giorno di morire strangolati dalle nostre stesse mani fratricide. E allora? Cosa
fare? Abbandonarsi a sé stessi? Incredibile come da una storia così bizzarra
potessero nascere riflessioni del genere.
-Non è assurda, mi piace: è poetica e geniale.-, mormorai concentrandomi anch’io
sul poggiatesta che mi antecedeva.
-Non dovrei essere io a ricoprire il ruolo del consolatore in questa storia?-,
sussurrò ancora più tenuemente di me, abbassando il capo.
Alla luce di un forte lampione vicino notai le sue sopracciglia aggrottate e
l’espressione pensante, non autocommiserata.
-Tu non sei il mio consolatore, tu sei Yamazaki.-, ribadii sorpresa da quel
comportamento: non era offeso, ma sembrava che… che mi volesse dire qualcosa.
-Takashi.-, mi corresse.
-Takashi.-, sospirai scimmiottando la
sua voce.
Scoppiammo a ridere contemporaneamente come due bambini che tirano una torta in
faccia al maestro troppo esigente. Ammirai i capelli scompigliati, bagnati dal
buio e gocciolanti ancora acqua salata, mentre continuava a ridere quasi
mostrando le gengive. I suoi occhi risaltavano per lo splendore di una luce
chiarissima, forse il riflesso del lampione che torreggiava accanto ad un pino,
nei pressi dell’auto.
In quell’attimo giunse Tomoyo con la borsa e la sdraio, fece bruscamente
spostare Shaoran e Rori dal bagagliaio per infilarci il carico e, saliti tutti
sull’auto, ripartimmo.
Disattenta, la mia attenzione vagava frusciando fra le fronde di un albero fino
a raggiungere le stelle.
Ritorniamo sulle
stelle, pensai
distrattamente, Ritorniamoci.
Faffy:
oh venerabile Plinia! Sono davvero commossa per tutti complimenti che mi hai
fatto – soprattutto quello sulla psicologia interessante, sono rimasta estasiata
come un criceto in agonia (ma non ti avevo detto di limitare le similitudini???
Ndte). Scusa se rispondo così deficientemente alla tua magnifica recensione
(direi più bella della storia), ma tu mi conosci… Spero che Rori ti sia
piaciuta; ho riflettuto sui motivi che potessero spingerla a stare con Shaoran e
ho concluso che secondo me un po’ di strategia non avrebbe guastato (o almeno
spero…). Grazie ancora per la recensione (ricorda di scriverla su Word, te lo
dirò ad ogni capitolo!), ciao Diocleziana!
Sakura182blast:ciao
Alacazip! In effetti nemmeno Sakura, come avrai letto, ripone molta fiducia in
Tomoyo: il tempo guarisce, sì, ma spesso crea ferite i cui lembi non si possono
proprio riunire (per dirla alla Sakura). A volte rileggo i primi capitoli della
fan fiction e mi rendo conto di quanto la prima Sakura (che poi sarebbe uguale a
quella originale) sia davvero poco sveglia, per non essere volgarità! Insomma,
non voglio essere triviale, ma, come ben sai, non capiva un pene di nulla! Spero
che Rori ti sia piaciuta e che l’abbia ritratta abbastanza realisticamente.
Grazie mille per la recensione, non vedo l’ora di risentirti ancora, ciao!
Uobafet ti manda un bacio!
Sakura93thebest:
beh, non è che Sakura avesse dubbi riguardo ad un’altra (o forse più) relazione
di Shaoran. Spero che Rori ti sia piaciuto come personaggio. Per il pistacchio
sono fortemente d’accordo… Io direi un semino di uva! Grazie per la recensione,
ciao!
Bene, allora grazie anche a chi ha solo letto, a prestissimo!
Devo essere saggia, non posso fare tutto per conto mio e lasciare che la natura
faccia il suo corso… O forse sì?
Mi sfilai reggiseno e mutandine ed entrai con un brivido nell’acqua gelida,
apparentemente lattea, dato che rivelava il colore della vasca.
Perché voler ritornare al passato? Non è la stessa mania che mi ha dilaniata,
quella spietata nostalgia di innocenza? È poi così diversa? È pur sempre una
brama di passato…
L’acqua gelida ribolliva sulla mia epidermide sottoforma di pelle d’oca. La
schiena non ancora bagnata dal candido liquido si incurvò quando il freddo
raggiunse l’addome, facendo contrarre improvvisamente gli addominali.
… Cos’è in fondo il passato? Non è ciò che siamo? E il futuro non è ciò che
saremo?
Con immane fatica mi azzardai ad immergere la schiena nell’acqua ghiacciata,
piano piano, con estrema ed estenuante lentezza, contando i centimetri di pelle
asciutta mancanti, mentre le gambe già si erano abituate al gelo… o a tal punto
desensibilizzate da non poterne più percepire la consistenza.
Noi siamo le decorazioni del passato e l’impalcatura del futuro. Quindi, secondo
tale ragionamento, questo mio desiderio sarebbe giustificato. Oh no, anche la
ragione è dalla mia parte… Per una volta che istinto e ragione concordano, ecco
che la coscienza e il senno di poi coprono il cielo, le nuvole, il sole e le
altre stelle con i loro corpi massicci, muscolosi, erculei. Due macisti
inespugnabili e insormontabili.
Poggiai il capo sul bordo più alto della vasca e osservai le mattonelle che si
disegnavano in figure squadrate e regolari dinnanzi a me, intenta a rilassare i
muscoli irrigiditi dal freddo e dallo sforzo di non sentirlo.
Non posso ritornare a quel passato. Non posso ritornare a
nessun passato: è sbagliato, amorale,
incoerente, insoddisfacente. Oh, no, insoddisfacente proprio no: altrimenti come
potrei anelare un atto così imbarazzante e sciocco?
Premetti con irruenza la pancia della bottiglia di bagnoschiuma per farle
vomitare il fluido denso e trasparente che conteneva da quella bocca tonda,
quasi un’espressione stupita e abbagliata.
Potrebbe anche essere insoddisfacente, perché no? Anche la mia vendetta lo è
stata, sebbene fossi pazzamente certa che avrebbe magicamente risolto tutti miei
problemi, che mi avrebbe riempita così smaniosamente di compiacimento da farmi
morire in una poltiglia di sangue, schegge d’ossa e carne trita come un
palloncino empio d’aria punto da un ragionevole spillo.
Qualche istante dopo della candida e glaciale schiuma mi incorniciava il viso
come un cuscino di neve, paragone possibile più per il gelo che per la
consistenza.
Ma che importanza ha? La vendetta era ingiusta, ma io la volevo e la vorrei
anche ora se la ragione me l’avesse permesso. Ma che senso ha? La nostalgia del
mio passato è uno spettro mai marginale, tutt’altro che trasparente, un’ombra
che seguivo come una giovane cieca rapita dal buio. Un cielo terso e vuoto,
solare e accecante, ceruleo e insignificante. Perché quale significato poteva
assumere l’anelito di un passato distrutto e non con tanto rimpianto, non con
l’immensa mestizia che mi sarei aspettata, non con la mordace correità negata. E
allora? Devo far differenza fra un passato e l’altro? Che importanza ha? Che
senso ha?
Ammirai i miei capelli castani diventare color mogano sotto la superficie
dell’acqua, ormai quasi completamente coperta da morbidi e marcescibili iceberg
di bollicine. L’odore tenue di menta penetrò prima il naso, poi lentamente mi
sferzò e tagliò gli occhi come vetri affilati e defilati infilati con
aggressività e impeto nelle mie lacrimanti pupille.
Non posso costringere ancora qualcuno a sottostare ai miei vani e superflui
desideri. Non posso costringere lui.
È così semplice e, in fondo, è l’unico freno che posso intervallare fra ciò che
avventatamente bramo e ciò di cui ragionevolmente – no, non ragionevolmente: il
raziocinio mi sostiene strenuamente – , naturalmente necessito.
La spugna, pregna di acqua ghiacciata semitrasparente e bagnoschiuma in nette
nuvole nevose, mi strofinava con la sua ruvida pelle gelida, lavando via e
affievolendo ogni minimo accenno di pensiero, emozione, immagine, fantasia,
ragionamento.
Non ero nulla, ero chiunque. Anonima in un mondo di personalità distratte e
derubate, tradite e impaurite, nascoste e spavalde.
Neanche il freddo striava e levigava brutalmente le mie membrane senza nome,
popolate da tanti altri esseri che forse possedevano un’anima incoerente,
incompleta, solitaria, diversa, razionale, cinica, egoista, riformatrice come la
mia. Ognuna viveva una propria piccola vita, minuscola, minima come la loro
esigua dimensione, ma non per questo priva di significato. Ogni mia cellula, pur
identica che fosse ad altre mille, era unica nella sua posizione, nella sua
umile e nodale funzione, nells sua solitudine. Le cellule erano gli esseri – se
così potevano essere chiamati – più introversi sulla faccia della Terra: non
avevano bisogno di nessuno per amare, per odiare, semplicemente perché non
sapevano farlo, non conoscevano la comunicazione; si riproducevano
sperdutamente, senza bisogno di seconde entità: sacrificavano il loro corpo per
crearne altri due, più giovani, più utili e sempre più prossimi alla morte.
Yamazaki mi sta contagiando…
Quell’unico pensiero mi fece sobbalzare, dopo il mortale silenzio che aveva
trascritto i miei ragionamenti sull’aria viaggiatrice e volubile, facendoli
volar via nel cielo, in quel regno vuoto e lugubre dove terminano le riflessioni
perse, dimenticate, oscure, abbandonate senza un motivo o, semplicemente,
gettate via dai loro proprietari dopo essere stati abusati sulle nuvole scomode
e atemporali, destinate a morire in gocce di pioggia succulente per la fertile
terra.
Le orecchie mi fischiavano con uno stridio roboante, così, appena finito di
lavarmi il corpo e i capelli, mi alzai nella vasca con l’acqua che mi sfiorava
le caviglie e uscii poggiando i piedi fradici sull’asciugamano immacolato che
avevo precedentemente steso a terra.
Non posso mica chiedergli se è d’accordo… Sarebbe a dir poco squallido.
Come un boomerang, i pensieri che avevo accartocciato e cestinato nel cielo
ritornarono, spiegati ma con i segni del mio abbandono. Nemmeno l’aria li
accettava; ma non erano almeno migliori dei miei precedenti, insanguinati di
vendetta e imbevuti di scorticante odio? Non li rinnegavo, ma li avevo comunque
gettati via, in quanto non mi erano più utili e, inoltre, perché non volevo più
contarne le pile incolonnate nel mio cervello, occupanti spazio prezioso ed
eventualmente fruibile.
Voglio farlo.
Sospirai compatendomi e cercai di ricordare la causa scatenante di quel lungo
monologo interiore riguardo all’eventualità di baciare ancora una volta
Yamazaki, come era accaduto poco più di un mese prima: sebbene lo sforzo, non la
visualizzai.
***
Bruciante. Cosa sarebbe potuto esserlo? Un fiore essiccato dalla furia di quel
sole di cui si fidava, ma che l’aveva impietosamente distrutto? La sabbia che
avvolgeva i venti di scirocco in un mezzogiorno estivo? Le lacrime di rabbia che
rendevano le guance palpitanti, tremanti e scottanti di vergogna per quella
temeraria proposta di penetrazione nel proprio animo? Le unghie che graffiavano
il corpo altrui, indesiderato, troppo violento e pesante per essere scostato,
assurdamente ponderoso nella sua bieca agilità? L’inferno che torvo attendeva i
malvagi, intrappolato in una fantasia infantile e capricciosa di vendetta?
L’immoralità che denudava l’umanità ai suoi stessi occhi come un uccello implume
e incapace di volare, ignominia per sé stesso e per gli altri, vergogna della
società, pudore violato, fonte sgorgante di fluido e denso imbarazzo, epifania
dell’oscenità nascosta in ogni delicatezza vivente?
In quel momento l’unica cosa che bruciava erano le mie guance sotto un sole
bollente, feroce, ferino e siderale. Basta illudersi: ero infiammata dal
desiderio di baciarlo, di poter aggrapparmi e pendere dalle sue labbra e non
riuscivo a evaderne.
Evadere, sì, se ce l’avessi fatta mi sarei sentita molto meglio e non avrei
fantasticato languidamente di quella bocca che tanto bramavo… Oh, sto cadendo
nell’erotico…
Meglio evadere anche da questo, decisamente: non mi era mai stato d’aiuto,
benché fosse uno dei pochissimi ricordi piacevoli del fidanzamento con Shaoran
di due anni prima che serbassi nei miei occhi e sulla mia pelle, sulla lingua e
nel naso, nelle orecchie e… no, nell’anima no e nemmeno nel cuore. Solo sensi,
importanti, ma mai e poi mai fondamentali.
Ma che senso aveva scivolare su quei viscidi viaggi mentali per distrarmi?
Perché era nato quel maledetto desiderio?
Erano passati tre giorni dalla gita al mare, era domenica, una domenica
opprimente come tutte le altre, decorata di fronzoli e volute per sembrare
gradevole, ma sempre con lo stesso odore di aria viziata e cellophane
rinsecchito nella spazzatura. Dopo aver fatto il bagno avevo deciso di fare una
passeggiata con Yamazaki, come eravamo soliti durante le mattine di festività
scolastica. Mi sarei recata io a casa sua
perché a casa tua c’è Touya di mattina, vero?, aveva giustificato. In
effetti cercava sempre in tutti i modi di evitare mio fratello, senza dubbio
troppo iperprotettivo in un modo di cui non avevo affatto bisogno, ma che in
realtà mi innervosiva e rendeva insicura, come una magnolia custodita e
soffocata sotto una campana di cristallo. Insano.
Mi trovavo ancora in strada, ma entro pochi minuti sarei giunta presso
quell’edificio di mattoni color magenta con finestre quadrate e persiane bianco
panna che rappresentava la dimora di Yamazaki. Non vi ero mai entrata.
Fissai le automobili che mi fiancheggiavano, la loro tecnologica complessità e
la precisa geometria che avrebbero sicuramente scatenato la fervida e sognante
immaginazione del mio amico. Una risata sommessa mi fece sobbalzare e vibrare.
Il mio naso si arricciò all’acre e volgare odore dello smog, che galleggiava e
levitava con innaturale grazia in leggere spirali verso le poche nuvole che
increspavano il celeste, come schiuma candida di onde marine e saporite.
Oh, ma perché tentavo ancora di distrarmi concentrandomi sui miei sensi quando
ciò che si trovava sulle rive di un torrente tumultuoso e tempestoso era la mia
mente? Perché continuare a scostarmi bruscamente…? Assurdo che ci provassi
ancora.
Tentai ancora una volta di capire da dove fosse sorto quell’irrefrenabile
desiderio, quella voglia logorante e consumante che mi scalfiva con una violenza
sorprendente. Un lampo strappò via, rapì quel ricordo da un buio tanto corposo
quanto refrattario. Ora la memoria,prima offuscata dalla mia divorante bramosia,
mi ripropose come un’estranea pellicola l’attimo in cui mi ero guardata allo
specchio, prima di fare il bagno: quelle labbra carnose ma leggermente violacee,
segmenti su un viso tondo, avevano a loro volta proiettato davanti al mio ignaro
sguardo l’ultimo bacio, quello inflitto a Yamazaki nel giorno del mio
diciottesimo compleanno. Niente di più sconvolgente, anche perché non avevo mai
davvero riflettuto sul motivo di quel mio comportamento che ora mi sembrava
completamente dissennato… almeno prima che questa scabrosa e irrecusabile voglia
mi avvolgesse e stringesse nel suo abbraccio fin troppo umano per essere reale.
Percorsi al suono del lieve fruscio dei miei pantaloni il vialetto, anch’esso di
mattoni, che portava all’economica porta dello stesso colore delle persiane.
Premetti con l’indice e il medio il tasto rosso del citofono meditando
sull’acuto e stridulo urlo che ne derivò.
Volevo davvero farlo?
Niente di più certo.
Va bene, forse la domanda era già sbagliata sin dal principio:
dovevoproprio farlo? Non c’era modo di evitarlo?
Tutto vano: non poteva accadere altrimenti.
Rassegnata a me stessa, seguii con lo sguardo la porta aprirsi e salutai con un
cenno della mano la figura che ne sgusciò appena mi accorsi che era proprio
Yamazaki e non uno dei suoi due fratelli maggiori o genitori.
-Ehi.-, disse semplicemente con un sorriso sospirante, forse per la fretta con
cui aveva sceso le scale.
Presi un respiro profondissimo e sospirai anch’io con il naso. Ci voltammo e
cominciammo a incamminarci come sempre verso la nostra gelateria preferita,
Kinokoshin, che si trovava accanto
all’edificio scolastico.
-Scusami se ti ho costretta ad arrivare fin qui…-.
-… Ma sai quanto mi odi tuo fratello. Ho capito, non preoccuparti.-, terminai la
frase per lui: era la stessa da un anno e mezzo: incredibile, se l’era appuntata
da qualche parte per ricordarsela?
Si strinse nelle spalle e continuammo a camminare fra clacson caotici e
penzolanti pini, su un marciapiede a mattonelle grigie e lastre bianco sporco ai
margini, dove un maestoso cane color mandorlo ora saltellava dolcemente e
fedelmente aggrappandosi alla stretta cintura del proprio padrone, dalla quale
torreggiava imponente e trasbordava una pancia quasi sferica.
Un contatto inaspettato squarciò la mia placida osservazione e una mano avvolta
attorno al mio polso mi strattonò verso destra con un’irruenza e un impeto
impressionanti, o forse fu l’imprevedibilità a renderli tali a mio avviso.
-Se non stai attenta ti spacchi il setto nasale contro un palo. Sarebbe
squallido, no? Insomma, è meglio avere il naso rotto per un pugno…-. Sorrise. Lo
guardai ancora smarrita, mi voltai e notai il palo reggente un segnale di
divieto di sosta che quasi avevo colpito, intenta nelle mie riflessioni riguardo
al cane: era come me, si aggrappava capricciosamente al suo padrone, ricco di
emozioni, fantasia, comprensione… Vivo, insomma. Capace di parlare, esprimersi
con naturale semplicità: un dio, per quell’animale purtroppo costretto ad un
mutismo soffocante, alla dipendenza e alla fedeltà per nutrirsi e sopravvivere.
Ero davvero questo? Che squallore misero e pesante…
Avrei voluto sciogliermi, infrangermi in miliardi di frammenti fini fino a non
essere più rintracciabile, in nessun modo, in nessun mondo.
Continuammo a passeggiare e solo allora mi accorsi che la mano di Yamazaki era
ancora calda attorno al mio immobile polso. Come un guinzaglio.
Lo fissai e lui se ne accorse qualche attimo dopo con la coda dell’occhio. Un
dejà vu spalancò il suo surreale torpore sulla mia mente, ricordandomi con uno
schiocco di dita del giorno in cui scoprii che Shaoran mi aveva sempre mentito,
all’uscita da scuola, galleggianti in un inusuale silenzio… Sbarrai gli occhi e
mi posai una mano sul petto, dove il cuore roteava pazzo, impaziente, senza
limiti, spericolato, fragoroso.
Sto paragonando Shaoran a Yamazaki? Ma cosa…? Non credevo di essere tanto
insicura da sovrapporre il vuoto al cielo, lo sporco alla catarsi, la vergogna
alla gioia?
Chi mi avrebbe assicurato che Yamazaki sarebbe stato sempre fedele? Se si
stancasse delle mie congetture contorte, dei miei penosi turbamenti non potrebbe
far altro che abbandonarmi. Nient’altro.
Non sono mai stata così superficiale e frivola da credere che tutti i maschi
fossero come Shaoran. E allora perché ora ho paura? Cosa temo?
Non paventavo il mondo maschile, solo Yamazaki. In un modo o nell’altro, ero
sempre dipendente da qualcuno, questa era l’unica certezza.
Cosa potevo fare? Mi fidavo di lui, gli avevo raccontato tutto di me, ciò che
pensavo e sentivo… a parte quella strana connessione che, nonostante tutti i
solipsismi che avrei potuto instaurare, non mi sembrava affatto malsana. Almeno
finché Yamazaki non mi avesse abbandonata.
Forse volerlo baciare si rivelava un altro segnale, un altro filo di questo
legame distorto? Non avrei saputo dirlo, non avrei potuto, né voluto.
Lo osservai ancora con malcelata insistenza: le sottili labbra rosee
sensibilmente socchiuse come la porta di una casa abbandonata… No: queste ultime
ostentavano mistero e verginità per poi tacere fra le proprie pareti il più
gretto, banale, stancante, monotono, polveroso, normale e fetido aroma
nauseabondo di chiuso e passato. Yamazaki non era così, ne ero certa: lui era
estremamente ricco, pieno senza empietà, colmo di ciò che ancora quasi non avevo
gustato né odorato, un profumo e un sapore sublimi, delicati, eleganti e
incisivi, indimenticabili, intensi.
Le sopracciglia sottili incoronavano gli occhi stretti e lunghi, quasi un taglio
arabo, fine e marcato; i capelli mori applaudivano lievemente contro il capo ad
ogni sbuffo noioso di vento, terminando su una nuca lucida e lattea, una curva
sinuosa e sensuale che precipitava in una discesa arcuata sulla schiena stretta
e perigliosa, liscia come un frammento di marmo fra sterpi e rovi spinosi.
Non potevo sopportare che un corpo così anonimo mi sfidasse attirandomi fino a
quel punto.
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente,
rimuginai.
Come uno Zahir, quel pensiero, da essere una fioca eco nelle mie orecchie,
divenne un urlo incontenibile e irreprimibile, ma non per questo insopportabile.
Corpo… Attrazione… Mente…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.
Mi fido… Labbra… Nuca…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.
Bacio… Ti fisso… Vergogna…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.
Dipendenza… Dolce… Devo farlo…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.
Strada... Polso... Legame…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua mente.
Respiro... Cane... Ho paura…
È la conseguenza dell’attrazione che mi lega alla sua
mente.
Carne…
Spirito… Lo faccio.
La fretta, l’impazienza, l’imbarazzo, quella frase che rimbalzava come una
minuscola pallina di flipper nella mia testa con tintinnii esasperanti e
acutezze folli, l’irrazionalità, il bisogno, la mia nudità di fronte a me
stessa. Furono questi i capi d’accusa che la mente allegò al mio incarceramento
per aver chiesto a Yamazaki di fermarci un attimo davanti a una vetrina, per
averlo inaspettatamente abbracciato e per aver ricoperto ancora una volta
l’amaro ruolo dell’antagonista.
Non approfittai nemmeno dell’unico attimo di cui avrei potuto godere per fissare
il suo volto contratto nello sbalordimento, gli occhi spalancati per il
disorientamento, la bocca cerchiata per lo stupore… Sapevo cosa stesse pensando,
facendo e non facendo, cose che invece ignoravo nei miei riguardi.
Inclinai la testa senza accorgermene e lo baciai. Semplicemente.
Il peso delle mie labbra fu immane per le sue, fragili e sottili, che si
arresero senza aver combattuto e seminato giusta morte. Ciò mi rese ancora più
triste e colpevole.
Criminale, tentatrice, ladra!
Lo so fin troppo bene.
A quanto pare non abbastanza, schifosa.
Non riesco a farne a meno…
Provocatrice! Assassina!
Le mie labbra screpolate scivolarono sulle sue con una flebile nota, come la
corda più acida e acuta di una chitarra grattata dal vento.
Perdonami.
Non ne sei degna, spregevole verme.
Chiesi perdono, pregai per il perdono, ma non servì a nulla: Yamazaki si arrese
con ancora più abbandonata tranquillità.
Perché un mese prima non avrei mai pianto per questo? Perché quel bacio era
diverso? Fisicamente non era altro che un insignificante strofinio di labbra,
come pietra pomice su un imperfetto foglio di pergamena, poesie sublimi che
diventavano turpi su una superficie ruvida. Emotivamente ci fu qualcosa di
differente, una puntuale punta di coltello conficcatasi nella mia pelle, una
ferita insanguinante in una notte di spasimante silenzio, ma non seppi
descriverla.
Mi guardo. Mi guardo e mi vergogno.
Sentivo una leggera scossa sotto l’ombelico; la cocca di una freccia davanti ai
miei occhi ondeggiava senza sosta.
Il suo viso mi accarezzava… Che sensazione eccelsa, dolce ma non zuccherosa,
triste ma non disperata, delicata ma non fragile… Una folata calda intiepidiva
la mia guancia, regolare, non volubile e opportunista come il vento infedele.
Le stelle… Posso guardare le stelle! Ho vinto l’universo!
Non vinto niente.
Ho vinto me.
Ho vinto l’universo.
Ho vinto l’universo.
^^^^^^^^^^^^^^^
Ecco a voi il PENULTIMO CAPITOLO. Ciò logicamente significa che il prossimo sarà
l’ultimo, almeno è quello di cui sono sicura ora.
Ringrazio Sakura bethovina (come ben sai purtroppo ciò che desideri non
potrà accadere, mi dispiace), Faffy (grazie per la lunghissima
recensione, come sai le adoro, e soprattutto per i bellissimi complimenti e la
perfetta analisi. L’ho salvata sul computer, ma non penso ce ne fosse bisogno:
la ricorderò sempre, grazie infinite), Sakura182blast (dovremo rivederci
tutte le puntate dei “Pokèmon” per capirlo! Grazie per la divertentissima
recensione e anche per la presenza dello Zannuto, che capisco perfettamente…).
Scusate per i ringraziamenti telegrafici, ma non ho poco tempo a disposizione.
Chinai il capo finché sfiorai con il mento l’orlo della mia maglietta grigia. La
testa ciondolava lievemente, spinta dal ritmico e frenetico alzarsi e abbassarsi
dello sterno.
Chi c’era attorno a me? Nessuno, in quel momento c’ero solo io, in una strada
desolata, ventosa, nevosa. Sembrava un monotono giorno di guerra: radici secche
di alberi accasciati su un bianco infinito e risucchiante, avvenente e
tentatore, mela rossa in un arido deserto di nebbia. Non c’era nulla. Solo
bianco.
Io, unica figura nuda e spoglia come quell’unica pianta nell’unica neve,
affondavo i piedi in granulose nuvole di terrore candido e gelido, mentre una
macchia di sangue cigolava sul marmo fragile, si espandeva in eleganti e
raffinati archi, in misteriosi e sinuosi ghirigori senza fine. Il bianco
diventava scarlatto.
Il mio corpo pallido e diafano si sarebbe confuso con la neve, se non fosse
stato per quella macchia spenta e castana dei miei capelli senza forza e senza
vigore. I miei occhi erano infossati, due sfere vitree saettanti verso una fine
incipiente, affamati e assetati, senza riposo, senza pace. Verdi come le fronde
di quell’albero dovevano essere state in primavera; come esse erano sparite,
così la vitalità in quelle orbite era stata dissipata dall’innaturalezza umana.
Come una cavia, una schiava, una serva, mi avevano sfruttata, mi avevano imposto
malattie che non mi divoravano i tessuti solo per curare migliaia di altri
bambini degenti. Un conato di vomito si unì al sangue, giallo e vermiglio su un
bianco accecante. Non sentivo freddo.
Non capivo da dove potesse provenire quel liquido rosso, quasi roseo, che
pullulava di infermità, febbre, pidocchi, vermi, calore malsano, umidità,
disperazione roca. Mangiavo la neve, a gattoni, ancora nuda. Ne sentivo il gelo
impietrire l’esofago, ghiacciare i denti, irrigidire lo stomaco, dove finalmente
si fermò e si temperò.
Non avrei saputo dire perché in quel momento mi venne in mente quel sogno;
l’avevo fatto qualche notte prima, quando ero ancora fidanzata con Shaoran. Non
era stato difficile capirne il significato: umiliazione. Semplice. Nient’altro
da aggiungere. Laconica.
Quando avevo separato le mie tremanti labbra da quelle di Yamazaki, avevo
percepito sulla mia pelle delle leggerissime e fievolissime gocce d’acqua. Era
pioggia? Con gioia l’avevo sperato, ma notai che le mie braccia, solcate dalla
leggiadra acqua, odoravano fastidiosamente di detersivo. Sollevai il capo senza
percepire la presenza di Yamazaki e notai un lenzuolo candido steso ad
asciugare, appeso ad un fil di ferro a pochi centimetri dalla massiccia e scura
ringhiera di un balcone.
Candido come la neve.
Chinai un’altra volta la testa, ma ora incrociai lo sguardo di Yamazaki. Non mi
trovai nulla di ciò che avevo sperato, niente rabbia, niente frustrazione,
niente esasperazione.
Ciò mi terrificò.
Pensavo fosse molto più prevedibile, un bravo ragazzo, gentile, certo, ma
ragionevole. Una diga per le mie acque impetuose e straripanti.
E invece? Il suo sguardo era… no, non era neutro, ma affilato in un’espressione
né accigliata, né collerica. Nulla da desumere – o almeno quella era la mia
impressione.
Pian piano, il mio sfondo riafferrò sdegnato i contorti contorni che gli erano
temporaneamente e pericolosamente sfuggiti. La vetrina denudava le facce
imbronciate di perfetti manichini nerovestiti, eleganti e sensuali. Parrucche
lucenti e leziose brillavano sotto gli splendenti neon gialli del negozio,
mentre mani immobili e plastiche si contorcevano per l’appagamento di essere
fissate, stregate dal desiderio che ogni sguardo umano rivolgeva loro, piegate
inesorabilmente dal sesso incontaminato sfuggente da ogni singulto invidioso.
Puro ed autentico piacere inconsumabile, forzato al solo pensiero, costretto ad
una staticità, ad un’inerzia insopportabili, intoccabili, solidi e freddi.
Bocche rosse senza sangue.
Uno scroscio di risa rapì il mio udito, squillante, fragoroso, rombante,
cristallino: due ragazzine fissavano il cane color mandorlo che cercava di
rincorrersi insistentemente la coda, prendendolo in giro. Come era accaduto a
me: derisioni e beffe per azioni inconcludenti e sciocche. L’animale iniziò ad
abbaiare, contento delle attenzioni altrui, senza rendersi conto che plasmava il
suo stesso scherno. Il tarchiato padrone non poteva far altro che scoppiare a
ridere bonariamente, senza avere il coraggio di mostrarsi perplesso o offeso lui
stesso dalle stolte burle delle ragazze. Non lo proteggeva. Perché i cani sono
fedeli. E chi è fedele è cieco.
Quell’odore… L’odore di pulito maniacale che mi pervadeva, che mi deturpava la
pelle sottoforma di gocce discendenti. Come una devastante eruzione, quei gas
velenosi mi infettavano, mi infestavano come malevoli insetti sventrati,
incurvati e famelici… Ciononostante, non tentai nemmeno di spostarmi ed evitare
così l’acqua crudele che mi cercava. Forse perché ero fedele.
Quell’effluvio tossico mi riempì anche la bocca, donandomi la turpe sensazione
della morte lenta e torpida. Era come se mi stessi abbeverando direttamente
dalla rotonda e perfetta imboccatura di un fustino di detersivo, mortale e
amaro. Sentivo quasi il liquido premere e graffiare la superficie posteriore
della mia lingua, infiammarmi la gola e incenerirmi la parte più densa del
sangue, fino a far sì che nelle vene mi scorresse solo torbida acqua schiumosa.
Arricciai il naso a quella percezione troppo intensa per essere un succo della
mia fantasia.
All’improvviso mi accorsi che tutto l’imbarazzo, tutta la vergogna che mi
avevano allontanata e attratta, respinta e risucchiata, erano sbiadite come una
pittura ad olio sotto un sole aggressivo.
Era spontaneo fissare Yamazaki. Naturale, quasi necessario. Perché? Esigevo una
risposta, una reazione, qualcosa,
qualsiasi cosa, un rifiuto, un assenso, un segnale sicuro di sconfitta o
vittoria. Una decisione imprescindibile, certa e innegabile, incontestabile.
Osservai le sue sopracciglia completamente piatte, dritte.
Io avevo fatto ciò che avrei voluto fare da tanto, forse; ora doveva essere lui
a rispondere. Era il suo turno.
Sentii una goccia più pesante e grossa delle altre cadere rovinosamente fra i
miei capelli, scivolare con un mio brivido sulla nuca e forarmi i pensieri:
alzai istintivamente la testa tendendo dolorosamente il collo.
I guaiti del cane soffocarono il movimento felino di Yamazaki proibendomi ogni
possibilità di percepirlo… Per far cosa? Evitarlo? Perché, poi?
Sentii prima le sue labbra morbide e socchiuse sul tendine teso del collo, poco
sotto la mandibola. Il suo respiro caldo, bruciante, bollente riportò
improvvisamente e bruscamente alla realtà anche il tatto. Alla realtà?
Erarealtà? Come il
sapore del detersivo sulla lingua, anche quel flebile tocco mi parve troppo
intenso per essere falso. Dovevo capire, dovevo assicurarmi che fosse tutto vero
e non un altro odioso volo ad ali spiegate della mia infantile fantasia. Per
questo, tenendo il capo ancora ben sollevato, avvolsi il suo corpo
sorprendentemente vicino e incurvato con vigore, solo per saggiarne la
consistenza, solo per capacitarmi della sua autenticità, solo per percepirne la
vitalità, ciò che lo differenziava da quei voluttuosi manichini.
Solo perché mi piaceva da impazzire.
Oh, non il corpo, ma il
suo corpo. Se non fossi stata così
sicura che fosse il suo non lo avrei apprezzato fino all’estasi come, mio
malgrado, stavo facendo.
Gli carezzai le braccia, quasi senza accorgermene, mentre i suoi peli mi
solleticavano i polpastrelli e i palmi delle mani opponendo una pungente ma
debole resistenza allo sfregamento.
Era fermo, con la bocca poggiata sul mio collo, senza muoversi, senza reagire.
Eppure aveva iniziato lui: che diavolo aveva intenzione di fare?
Avevo compreso da un bel po’ la sua corposità e realtà – se mai ne avessi
davvero dubitato – ma continuavo comunque a godere di quel lieve e velato
sfiorare, di quel vago solletico, pensando ripetutamente:
Questo è Yamazaki. Yamazaki. È lui, lui… Il suo corpo.
Ne rimasi ineffabilmente inebriata.
Inaspettatamente mi abbracciò con foga all’altezza delle scapole facendomi
sollevare le braccia, che contemporaneamente si aggrapparono alle sue spalle.
Una posizione scomodissima, ma in quel momento fu la più naturale che potessimo
tenere.
Le fibre della sua maglietta non mi parvero interessanti quanto i suoi capelli,
dritti e fradici anch’essi di quell’acqua impura a pulita insieme.
Non sapevo cosa provare, cosa sentire… Soddisfazione? E perché? Felicità? Forse.
Forse sì. Altrimenti perché ostentavo quel sorriso così beato? Non era
apertissimo, ma proprio per questo era vero. Cullata senza alcun dondolio
visibile, avevo vinto me stessa senza presunzione e dominavo il mio universo
interiore senza prigionieri e senza schiavi, solo una regina osannata da me
stessa, non necessariamente venerata, ma almeno ammirata. Era quella
l’autostima?
Ancora una volta i recettori sensoriali si annebbiarono, sfocando ogni
pulsazione, rendendola sempre meno nitida fino a farla definitivamente sbiadire:
ne rimase solo un pallido ed opaco alone.
C’era solo qualcosa, una cosa che
diveniva sempre più limpida e definita: lui. Era dovunque, mi circondava con
mille abbracci corporali e mentali, con il tremore delle sue labbra, i sospiri
quasi impercettibili che esalava in continuazione, i capelli spinosi che mi
pungevano la pelle stillando gocce frementi e leggiadre. E intanto i miei occhi
vagavano verso l’alto, dove il sole veniva debolmente coperte da gassose schiume
bianche che non lo spegnevano completamente, ma lasciavano trasparire un pallido
ma intenso bagliore, come se il cielo fosse un immenso deserto di neve.
La brezza mi ravvivò i capelli per poi abbandonarne alcuni ciuffi sulla fronte e
sul collo. Il mio sguardo, però, catturò il delicato e perfetto danzare del
lenzuolo steso sopra di noi, un’eleganza non sensuale, ma raffinata, pura e
candida come il suo colore. Cullato dal vento, spruzzava bolle di detersivo come
un vecchio prete canuto che benedice il mondo con poche gocce di acqua santa
sapendo che non basteranno mai per tutti.
Quando abbassai il capo e concentrai lo sguardo sulla sua testa china sul mio
collo, mi focalizzai completamente su di lui: ogni senso, ogni emozione, ogni
volontà, ogni movimento riguardava lui, forse senza accorgermene, forse
consapevolmente. O forse entrambi.
Inalavo ed esalavo ogni lungo respiro mascherando l’odore del detersivo,
percependo solo il suo sentore di fresco e le sue labbra roventi sulla mia gola.
Ogni frammento della sua pelle era nuovo per me, ogni suo capello, ogni suo
sguardo indecifrabile… Così perdutamente vivibile, non fragile ed esauribile.
Non sapevo nemmeno a cosa pensare, tranne che alla sua vicinanza così vigorosa.
Improvvisamente si scostò con leggerezza, ma celermente. Gli fissavo le scarpe
senza avere il coraggio – o forse il buonsenso – di guardarlo negli occhi. Le
sue mani erano ancora poggiate sulle mie spalle mentre mi spingeva verso una
traversa vicina, stretta e deserta. Forse nella mia trance avevo ignorato e
dimenticato che ci trovavamo in una strada molto frequentata – e soprattutto
davanti ad una vetrina di una boutique gremita di gente. Non che a me
importasse, ma in quel momento era lui a guidarmi e io non potevo sottrarmi. Non
l’avrei voluto, per un motivo oscuro.
Imboccammo il vicolo, mentre io lo fissavo ancora frastornata dal repentino
cambiamento di posizione; mi fece voltare dalla sua parte, lui appoggiato al
muro con un piede sul marciapiede stretto e l’altro sull’asfalto sconnesso, io
accanto a lui, con la spalla destra addossata alla parete di un prefabbricato
giallo canarino.
-E Shaoran?-, mi sorprese. Finalmente lo fissai, ma non spaventata o
imbarazzata, bensì sbalordita. Alzai un sopracciglio e finsi di non aver
sentito.
-Prego?-.
-Shaoran.-. Non capii che ruolo ricoprisse in ciò che era accaduto, perciò
replicai perplessa:
-Shaoran cosa, esattamente?-.
Incastonò il suo sguardo al mio con un’espressione neutra. Perché? Non riuscivo
a comprendere i suoi repentini ragionamenti. Beh, neanche io ero stata molto
accessibile da questo punto di vista.
-Tu pensi che Shaoran sia semplicemente sparito e ti sbagli: tu lo desidererai
sempre, forse non lo amerai, ma sentirai sempre il bisogno di “sconfiggerlo”, di
compiere la tua vendetta. Credi di aver ormai evitato con successo tutto il male
che ti ha provocato? Pensi davvero di aver soppresso il tuo desiderio di
vincerlo? Non morirà mai, neanche se lo volessi. So che lo vorresti e anch’io,
se devo essere sincero, ma non dipende da me: io sono solo leggermente più
saggio di te (perdonami la presunzione) da non escludere alcuna possibilità. Per
favore, riflettici: Shaoran non è al di là di te, è dentro e non lo caccerai
mai, perché tu vuoi distruggerlo, vuoi ancora farlo. Certo, forse in modo meno
pericoloso, ma si tratterà sempre di devastazione. Non credere di essere
diventata buona così, ad un tratto. Nessuno è buono.-. Si fermò un istante senza
lasciarmi il tempo di elucubrare sull’assurdità di ciò che stesse dichiarando e
continuò:
-Neanch’io sono buono, sai? Ho lasciato la ragazza che amavo, che mi amava,
senza alcuna delicatezza, dopotutto. L’ho tradita baciandoti (non me ne pento,
ma non è neanche piacevole illudere qualcuno, e tu lo sai bene). E inoltre ora
pretendo di approfittarmi di una ragazza che crede di amarmi, forse, e che
invece ha bisogno di un rimpiazzo. Non sono la vittima, io, sono il colpevole e
mi dispiace sul serio.-. Fece ancora una pausa, più breve della precedente:
ormai le sue parole scivolavano dentro di me senza alcuna reazione, non ne avevo
il tempo. Proseguì:
-Tu sei di Shaoran, non lo capisci? Vai, illudilo, distruggilo, sii soddisfatta
di te stessa, magari, e poi non tornare, perché troverai dolore dappertutto. Non
tornare, se puoi… A volte penso davvero che sia meglio essere rapiti dagli
alieni e finire in un mondo calcolato, monotono ma sicuro. Sei di Shaoran, è
come se fosse scritto. O, se preferisci, Shaoran è tuo. Non ti ama e non l’ha
mai fatto, ma siete annodati da un legame forse anche più forte.-. Terminò in
sospeso.
Come?,
avrei voluto chiedergli, Cos’hai detto?,
ma fingere ancora di non aver sentito sarebbe risultato crudele e vano.
Non avevo ancora compreso cosa stesse dicendo, ma l’immediata impressione che mi
fecero le sue parole non fu esattamente piacevole.
Io ero di Shaoran? Ero perplessa: ma cosa stava dicendo?
Ancora una volta, non sapevo a cosa pensare, ma per ben altri motivi:
l’incoerenza di ciò che aveva pronunciato mi lasciò così esterrefatta che quasi
scoppiai a ridere. E infatti lo feci.
Fu una risata amara, incredula, roca. Spaventosa.
Uno sguardo di ghiaccio mi oltrepassò trafiggendomi. Basto quello a bloccare i
miei muscoli facciali nel bel mezzo del mio riso come se avessi accusato una
paresi improvvisa. Chinai la testa con ancora un leggero ghigno sulle labbra e
la rialzai subito dopo mostrando un’espressione incredibilmente seria.
-Ti assicuro che non è così.-. Sentii un’altra fragorosa ondata di risa
solleticarmi la gola, ma la ingoiai tempestivamente prima che provocasse altri
danni. L’ingenua risposta che avevo pronunciato con fermezza si rivelò
immotivatamente esilarante, tanto mi sembrava assurdo discutere di un argomento
del genere.
Inoltre non comprendevo perché prima mi avesse abbracciata così… amorevolmente,
avrei osato dire, e perché ora mi stesse
aggredendo, in un certo senso. Non che avesse parlato tanto aspramente, ma
di certo il suo discorso non era stato dei più comprensivi e ciò mi preoccupava
non poco.
-Dispiace anche a me saperti sua, ma è inevitabile.-, sospirò voltando il capo
verso la strada principale. Temendo che stesse per andarsene, dunque gli
afferrai con irruenza il polso attirandolo verso di me.
-Mi stai abbandonando?-, sussurrai; sul viso più nessun’ombra di ilarità.
-Puoi stare in cielo o in terra, non entrambi.-, affermò a testa alta.
Non lo riconoscevo più, il che, se possibile, mi terrificava maggiormente. Ero
smarrita, persa in un turbine di emozioni che avrei dovuto ben conoscere e
identificare, ma che in quell’attimo mi parvero sempre più mascherate, diverse,
irriconoscibili, lontane. Non riuscivo a districarmi e faticavo ad affibbiare la
colpa a Yamazaki: impossibile.
-Appunto: preferisco essere in cielo.-, mormorai poco decisa.
-Appartieni a Shaoran.-, scandì ancora una volta, subito.
A quel punto scostai un ramo in quella foresta turbolenta che era la mia mente e
dal pertugio creatosi fuoriuscì con fluidità e agilità la rabbia, l’ira più
rovente che avessi mai provato, probabilmente: perché non mi capiva?
Probabilmente non mi stava nemmeno ascoltando… No, Yamazaki non mi avrebbe mai
ignorata, mai. Mai.
Mai.
Fu in quel momento che scoppiai a piangere, non tanto per le sue parole, bensì
per l’incomprensione, per il suo impenetrabile mutamento. Per la rabbia.
Veloci, saettanti e bollenti lacrime d’ira nettarono finalmente il mio viso,
proprio ora che percepivo la tangibile e palpabile mancanza di quello sporco
odore di pulito sulla mia pelle, di quelle ripetitive e benedette gocce di acqua
mista a detersivo. Lacrime amare, masochiste, benefiche, liberatorie, iraconde,
copiose, indomabili, lisce, liquide, pulite; lacrime basite, sprezzanti,
coraggiose, tremanti, leggere, delicate, infantili, dolci, arcuate sui miei
zigomi, lungo le mie guance contratte in una stupida smorfia di delusione.
Yamazaki è un essere umano, può cambiare quanto vuole. Non sarò certo io a
giudicarlo, non sono affatto la persona più coerente del mondo,
pensai, forse solo per calmarmi e riprendere il controllo del mio corpo.
Intanto lui mi fissava insistentemente, forse confuso sul da farsi, forse
riluttante a consolarmi – non mi fidavo molto delle mie percezioni in quel
momento.
-Mi piaci molto: non sei vuota come tutte le altre ragazze, sei speciale,
riflessiva, intelligente, comprensiva, affatto superficiale, provi delle
emozioni vere, non quelle mascherate da trucchi e bei vestiti. Ti sembrerà
banale, ma è questo che penso di te. Non lo dico per consolarti, ma per farti
capire che hai sofferto e ora anche tu devi far soffrire. È la legge della vita,
mi sembra logico.-.
E a soffrire doveva essere lui.
Ma che discorso assurdo…
Non riuscivo a credere a una sola parola di ciò che stesse dicendo, anche se
rimasi piacevolmente lusingata dall’opinione che aveva di me.
-Ho già fatto soffrire Tomoyo, non ti sembra abbastanza?-. In realtà non mi ero
mai sentita davvero in colpa, crudele com’ero.
Probabilmente pensava che non mi potessi più risollevare dalla temporanea crisi
di pianto, perché il suo viso mostrò stupore e sbigottimento.
Non rispose subito, ma alzò la testa fissando le tapparelle grigie della casa di
fronte, mentre le mie lacrime ormai si erano ridotte a lucide strisce
appiccicose sulle mie guance, sotto le quali la pelle tirava quasi
dolorosamente.
-Sei di Shaoran.-, ribadì testardo.
Mi morsi il labbro inferiore per lenire la rabbia, come se quell’atto fosse un
blando balsamo inconsistente.
Avrei voluto rimettere al suo posto quel ramo, richiudere l’apertura creata da
me stessa, ma ormai l’ira era dilagata via, proprio come il male si era alzato
da una spirale e aveva spiccato il volo sull’orlo della grande bocca del vaso di
Pandora, come un avvoltoio su carcasse di angeli custoditi dal vento.
Una parte di me, la più razionale, quella che si fidava più ciecamentedi Yamazaki, decise senza il mio consenso di esaminare l’eventuale
veridicità delle sue parole, con mia enorme indignazione: mi stava offendendo,
il mio raziocinio mi stava propinando insulti nascosti sotto una spessa patina
di smancerie e tecnicismi!
In realtà non pensavo più attivamente a Shaoran, lo reputavo inagibile, in un
certo senso. Ciò significava che non potevo assolutamente calpestare un’altra
volta la sua terra conosciuta, prevedibile, splendida alla vista, ma solo un
autentico miraggio. Niente di tangibile e nitido, un mistero già risolto.
D’altronde, come poteva una risposta esistere senza una domanda?
Ma dai divieti ci si poteva anche disincagliare, no? Bastava la volontà… Che non
c’era. Come potevo esserne così certa? Beh, io non lo amavo più e non ero mai
stata così testarda da toccare misconoscente il fuoco, bruciandomi, e sfiorarlo
una seconda volta solo perché non avevo altro da tastare. Inoltre mi mancava la
spinta più consistente: il desiderio, quello di cui tanto fantasticava Yamazaki,
ma che io non percepivo più – almeno nei confronti di Shaoran. Non
avevo voglia di guardarlo e bramarlo,
di scompigliare quella folta frangia castana, di fissare le fiamme dei suoi
occhi dardeggianti, di sfiorare le sue labbra vermiglie, come quelle di un
bimbo. Tutte queste caratterizzazioni poetiche e discriminatorie non gli si
addicevano più ai miei occhi, erano ormai sfumate nella più passiva e comune
piattezza.
Un breve processo per un breve verdetto: Yamazaki sbagliava.
Almeno in quel momento Shaoran non rappresentava la mia maggiore preoccupazione:
la fiducia donatami aveva con successo lisciato le mie pieghe e fasciato le mie
piaghe. E a me bastava.
Gli indirizzai uno sguardo gelido e folle, pazzo di vittoria.
-Sbagli.-, dichiarai con inattesa risolutezza.
-Non immaginavo che i tuoi esami di coscienza fossero così rapidi.-. Sollevò con
ironia le sopracciglia, sorridendo vacuo.
-Sai, in questi anni mi sono allenata bene.-, replicai leggermente aspra, ma con
un ghigno angelico sul volto.
Improvvisamente compresi il senso di quel mutamento, del suo comportamento
pressoché improbabile e alienato. Rabbrividii.
-Stai cercando di farti odiare?-. Sgranai gli occhi e restai a bocca aperta,
tormentando il muro dormiente, graffiandolo con le mie unghie corte e
irregolari.
Yamazaki voltò il capo nuovamente verso la strada che avevamo lasciato cinque –
o forse quindici o sessanta – minuti prima, ma questa volta fui certa che non
stesse per fuggire via, perché all’improvviso il suo sguardo scavò nell’asfalto
bigio della stradina e vi costruì possenti e stabili fondamenta.
Era smarrito, lo si evinceva senza sforzo dalla sua espressione afflitta e
frenetica.
-Per caso tu e Shaoran vi scambiate lettere minatorie?-, domandai sarcastica con
un ghigno spietato.
-So che sembra troppo romanzesco, ma volevo proteggerti. Io non sono perfetto.-,
borbottò con le labbra leggermente all’infuori, espressione che mi suggerì
l’immagine di un bambino colto nel sacco mentre ruba per scherzo le chiavi
dell’auto del padre e le nasconde.
-E chi lo è? In effetti anche questo è romanzesco…-, constatai pensierosa, ma
proseguii subito:
-La vendetta non mi serve più, almeno per ora. Non c’è bisogno di giri di
parole: io voglio te. È vietato desiderare la persona che mi ha afferrata nel
momento giusto?-, chiesi quasi spazientita, molto sorpresa di aver espresso
quelle conclusioni così apertamente e coraggiosamente.
-Ti ho solo facilitato la salita, un giorno o l’altro ce l’avresti fatta da
sola.-. Dettagli, stupidi dettagli.
-Tu stai cercando di farti odiare.-, affermai perentoria.
Molto probabilmente aveva ragione, mi suggerì la mente, ma non l’ascoltai.
-Ma spiegami, perché prima non hai reagito così?-, domandai più calma,
ridestando le sensazioni sublimi di poco – o tanto – prima.
-Semplicemente perché non riesco a controllare i miei impulsi. E…-, continuò
rispondendo alla mia successiva domanda senza che l’avessi ancora formulata
nella mia testa, -ho accettato scioccamente di baciarti durante il mio
fidanzamento con Chiharu perché ero sicuro che fosse solo uno sfogo… Non volevo
che ti, che mi, innamorassi.-.
Era tutto abbastanza chiaro: fin quando era stato convinto che il nostro
rapporto non si sarebbe mai trasformato in una relazione stabile si era prestato
alle mie lussuriose volontà. Ma ora era tutto diverso: lui era libero da
Chiharu, io da Shaoran… Non c’era più nessuna scusa.
Abbandonai momentaneamente l’espressione accigliata e svelai quella curiosa e
preoccupata.
-Di cosa hai paura?-, domandai ostentando calma apparente.
Si voltò ancora verso il viale trafficato, forse refrattario e riluttante a
rispondere a quel quesito probabilmente troppo incisivo, ma, quando si girò
poggiando la spalla sinistra al muro in modo da stare di fronte a me, notai la
sua incertezza pensierosa, lo sguardo assente solo per un attimo, le
sopracciglia fini corrugate e le rughe più accentuate sopra il naso, esattamente
in mezzo agli occhi, la bocca ormai quasi indistinguibile, una strettissima
piega pallida, le guance più gonfie per lo sforzo, le mani intrecciate l’una
nell’altra come un’impervia e ostica foresta nordica.
-Non vorrei innamorarmi ancora di Chiharu o di qualche altra ragazza che, al
momento, reputerei migliore di te per alcuni aspetti. Allo stesso tempo temo che
ciò avvenga anche a te, che il tuo rancore verso Shaoran si risvegli come da un
lungo letargo, che tu lo desideri ancora, forse in modo più maturo, ma si
tratterebbe pur sempre di desiderio. Non voglio farti soffrire per mia assenza o
soffocamento. Il mio ruolo è di esserti amico, confidente, e da tale mi devo
comportare, proteggendoti.-.
Pronunciò queste frasi come un giuramento, con solennità e pomposità, fissandomi
direttamente negli occhi. Ne rimasi gradevolmente colpita, ma replicai subito,
quasi stizzita per l’ovvietà della mia risposta:
-Certo, anch’io me ne preoccuperei, ma, sai, in questo momento nella classifica
delle mie priorità quest’argomento semplicemente… non esiste. Il futuro è il
futuro e dovrà essere vissuto in modo diverso rispetto al presente, poi
decideremo come. A me basta sapere solo che, se e quando ti bacerò, tu sarai
d’accordo. Non voglio violentare nessuno…-, terminai con un sorriso eloquente.
Era proprio ciò che pensavo: perché dilaniarsi l’anima con cure eccessive e
inopportune? Mi importava ciò che diceva, certo, ma non confidavo affatto in
progettazioni mentali simili – come se io non l’avessi mai fatto… o forse
proprio per quello.
L’unica certezza che esplorai in quell’attimo, mentre gli esaminavo il viso
stringendo le labbra, fu che mi fidavo di lui, ma questo non gliel’avrei mai
detto: la fiducia andava oltre l’amore, oltre la speranza e l’amicizia, oltre
qualsiasi rapporto umano. La fiducia era semplicemente il fondamento di ogni
rinforzo, l’orma di ogni piede, il fascio della chioma di emozioni di ognuno.
Molti la confondevano con la fedeltà, ma per fidarsi del prossimo e di sé stessi
non c’era la necessità di essere fedeli, benché le due parole condividessero la
medesima radice: io mi sarei fidata di Yamazaki anche se mi avesse tradito o se
lo avessi fatto io. Avremmo sempre avuto un certo tipo di rapporto, non saremmo
mai stati soli.
Certo, poteva essere un mio compromesso artificiale, ma per quel momento mi
aggradava.
Lo vidi tentennare, ciondolare per decidere in quale dei due burroni
precipitare, incrociare le braccia, forse negante, forse rassegnato.
Poggiai la guancia destra sul muro ruvido e tiepido e attesi la sua decisione ad
occhi chiusi, carezzandomi il fiore blu ricamato sulla parte inferiore della mia
maglietta di cotone a mezze maniche.
Avevo detto tutto ciò che avrei dovuto, tutto ciò che pensavo, anelavo, credevo,
rifiutavo, dimenticavo, serbavo. Non c’era più nulla da aggiungere.
Cos’avrei fatto se mi avesse negata? Beh, nulla: sarei andata avanti, avrei
preso il diploma, forse avrei frequentato l’università, avrei festeggiato il mio
compleanno ogni anno, il 1° aprile, mi sarei sfilava prima le scarpe e poi i
pantaloni, come sempre insomma. E inoltre, fattore più importante, mi sarei
fidata ancora di Yamazaki. Non sarebbe cambiato niente, dunque? Oh, troppo
utopistico: sarei stata triste per un po’, mi sarei lasciata abbandonare una
volta ancora nel turbine vacuo della solitudine, ma solo per poco. I sentimenti,
le opinioni, le verità, le emozioni, i punti di vista assoluti non esistevano:
era tutto relativo. La mia concezione della realtà sarebbe cambiata tanto
radicalmente quanto era accaduto da poco più di quattro anni a quella parte, me
ne rendevo tranquillamente conto.
Percepii un movimento davanti a me, scarpe da ginnastica che grattavano
l’asfalto e poi…
-Se ti fa felice…-, mormorò carezzandomi il mento.
Aprii gli occhi e lo vidi davanti a me, praticamente un sorriso umano: le labbra
stese mostravano dietro di esse due file di grandi e candidi denti con le
rispettive gengive del colore del sole al tramonto. I suoi occhi distavano una
ventina di centimetri dai miei, ma a me sembrarono vicinissimi.
-Lo stesso vale per te.-.
La sua frase precendente, comunque, non mi parve affatto un’esile concessione.
Certo, forse le parole avrebbero potuto rendere equivocabili le sue intenzioni,
ma il modo in cui furono liberate fu più che indubbio.
Stava per avvicinarsi timidamente, forse imbarazzato e sovrastato dalle nostre
enormi possibilità, non più violate né proibite, quando mi riaffiorò con
prepotenza un’unica imperiosa richiesta. In quell’attimo mi parve la più
ingenua, sdolcinata, banale, deludente ed echeggiante affermazione che potessi
formulare, ma sentii il bisogno impellente di condividerla con lui, nonostante
la leziosità e la sua dolcezza di quella frase, divenuta acre per l’indecisione
o per tema che fosse acerba. Non mi interessava, glielo dissi lo stesso.
-Yama… Takashi?-.
-Sì?-, esordì come da un piatto silenzio gelato spuntano urlanti migliaia di
rondini nuove.
Il cuore pompava acido, zucchero e sangue. Inalai aria pura affogando
nell’immenso spazio vuoto attorno a noi, per poi naufragare ancora sul suo
volto.
-Non giocare col mio cuore.-.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Ecco.
È finita.
Con aggiunta di frase smancerosa alla fine, avete notato? In realtà è l’unica
eredità della prima versione della mia storia, in cui Sakura avrebbe detto ciò a
ben altra entità…
Ancora non credo che sia davvero finita. Quarantadue capitoli… Un anno, dieci
mesi e nove giorni.
Non è un caso che abbia pubblicato l’ultimo capitolo proprio oggi: diciamo che è
la prima volta che mi faccio un regalo per il mio compleanno.
Quanto è cambiato in un anno e mezzo… A volte rileggo i primi capitoli e li
trovo scialbi, patetici, orrendi, ma non ho comunque il coraggio di cambiarli:
vanno bene così, mostrano quanto io, Sakura e tutta la storia siamo mutati in
questo poco tempo.
Scusate per quello che è ho scritto, è leggermente sdolcinato, ma sono davvero
triste e vi capisco se mi dite che mi faccio coinvolgere troppo, che dopotutto è
solo una fanfiction, ve lo concedo.
Bene, comincio a ringraziare tutti, ma proprio tutti coloro che hanno letto la
storia, almeno spero di calmarmi.
Un ringraziamento speciale a
Laukurata89, che ha seguito finché ha potuto questa storia e che,
soprattutto, l’ha fatta plasmare nella mia mente.
Inoltre, grazie a Faffy, che
mi ha consigliata con grande frequenza e sapienza, una perfetta critica per
un’autrice “neoclassicista”, per così dire (è la definizione più soft che ho
trovato). Grazie per la tua ironia e la tua capacità di rendere piacevoli anche
le imperfezioni più accentuate. Te ne sarò sempre infinitamente grata e
ricambierò più che volentieri ogni volta che ne avrai bisogno.
Ringrazio (avete notato che è la densità di presenza di questa parola nei righi
precedenti è pari a quella di tutti i Cinesi imbottigliati in una Coca-Cola da
mezzo litro?) tutti coloro che hanno scritto almeno una recensione e coloro che
hanno inserito questa storia fra i preferiti, ossia:
Alexis_92
Aquizziana
Barbymiari
Dany 92
Faffy
FillyCicca483
Ichigo_91
Jk helen
Kamura86
Kirax
Kristy4ever3msc
Laukurata89
Lele 91
Loprifan
Millennia Angel
Pallina chan
Sakura bethovina
(grazie per le recensioni spietate! Sai che non mi offendono mai, puoi maledirmi
quanto vuoi, mi divertono!)
Sakura93
Shiny94
Silgree89
Terrastoria
Yumemi
Inoltre un grande ringraziamento va anche a
Sakura182blast per le
recensioni divertentissime e le analisi molto gradite (Shaoran Maniaco giace
senza segni di vita sotto il microfono di Jigglypuff, forse è morto davvero!).
Incredibile come sia cambiato il finale dalle mie originali aspettative, davvero
banali, a mio avviso. Sono contenta di essere cresciuta almeno un po’ durante la
stesura della storia e, se ciò è accaduto, è anche grazie a voi.
Spero di avervi allietati almeno un po’ con ciò che ho scritto e di avervi
insegnato qualcosa, ad esempio che non bisogna mai disperarsi (pare che io non
sia molto d’esempio), che per amare non è necessaria la passione, perché quella
si spegne dopo un certo limite di tempo, ma la fiducia (neanche la fedeltà mi
sembra troppo costruttiva, dato che non credo nella monogamia dell’uomo), che
non sempre gli impulsi sono sbagliati, che niente è assoluto, ma tutto dipende
dalle nostre scelte, che esistono mille motivi per esistere e non esistere,
tutti terribilmente validi, e. infine, che Babbo Natale non esiste. Mi dispiace,
sul serio. Scusate, sto farneticando…
Bene, ho finito. Saluto tutti coloro che sono stati in qualsiasi modo coinvolti
in questa storia e li ringrazio affettuosamente,