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di IlaOnMars6277
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Schianto ***
Capitolo 3: *** Tu sei pazza ***
Capitolo 4: *** Ricordi ***
Capitolo 5: *** Ma tu chi sei? ***
Capitolo 6: *** Non sono affari tuoi ***
Capitolo 7: *** Tempo ***
Capitolo 8: *** Ho un'idea ***
Capitolo 9: *** Il foglio bianco ***
Capitolo 10: *** Su due livelli ***
Capitolo 11: *** Sono stata io ***
Capitolo 12: *** Una Voce ***
Capitolo 13: *** Non abbiamo tempo ***



Capitolo 1
*** Intro ***


“Jared… stai dormendo?”

“No”

“Ho paura”

“Anche io”

“E se rimanessimo qui per sempre? Ci hai pensato?”

“Non credo sarebbe possibile”

“E se lo fosse?”

“…… Immagino dovremmo fare qualcosa per impedire che accada”

“Che cosa?”

“Non lo so, ancora non lo so. Ma devo capirlo, fosse l’ultima cosa che faccio”

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Capitolo 2
*** Schianto ***


SCHIANTO


La solita routine.
Sveglia alle sette.
Doccia.
Colazione.
Un filo di trucco e corsa verso il solito lavoro.
Le giornate si susseguivano identiche, nessuna novità a rallegrarla, nessuna persona che la interessasse veramente. Erano tutti poco pazienti per ascoltare quello che aveva da dire, poco curiosi di capire i suoi pensieri e le sue emozioni; per quello non aveva stretto amicizia con nessuno.
Denise entrò in fretta in macchina, spinse l’acceleratore più forte del solito. Era in ritardo e il suo datore di lavoro non ammetteva ritardi.
Mancava veramente poco alla destinazione quando, superata una curva dovette frenare bruscamente per non finire nell’automobile ferma di fronte a lei. Spazientita cominciò a suonare il clacson ripetutamente. Attese più di cinque minuti ma niente cambiò. La strada era bloccata.
Aprì il finestrino e cercò di sbirciare quale fosse la causa. Quella zona di Los Angeles non era mai trafficata, l’aveva scelta appositamente per viverci e anche perché era meno costosa. In lontananza vedeva delle persone, parecchie persone ad essere sincera. Sbuffò e rientrò nell’abitacolo arrendendosi all’ipotesi di lasciare lì la macchina e farsi una corsa. Sarebbe arrivata comunque in ritardo rischiando il licenziamento, quindi si tirò su le maniche, ingranò la retromarcia,  si spinse di nuovo avanti e accelerando passò con metà automobile sul marciapiede. Chi se ne frega se la rompo! E’ un catorcio! Presa dall’enfasi e dalla rabbia non ascoltò i clacson delle altre persone ferme in fila e dei vigili che le fischiavano intimandola di fermarsi. Pensava solo ad arrivare a destinazione.
Avrebbe dovuto dar retta al suo istinto quella mattina ed andare a piedi.
Avrebbe dovuto mettere la sveglia prima.
Sarebbe dovuta andare a letto prima la notte precedente.
Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte soprattutto se gli eventi si mettono in moto e la rabbia ti offusca il cervello. Probabilmente nulla le avrebbe impedito di investire un uomo e nell’impatto brusco sbattere forte la testa contro il vetro.

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Capitolo 3
*** Tu sei pazza ***


Tu sei pazza


Quando riaprì gli occhi sentì un forte dolore alla testa. Si toccò  spaventata ma sembrava essere tutto in ordine. Guardò fuori e non c’era nessuno. Com’era possibile? L’avevano lasciata svenuta sul sedile senza aiutarla? Che razza di gente era?
Prese il cellulare per chiamare qualcuno che potesse aiutarla ma non prendeva, lo lanciò irritata sul sedile e provò a scendere. Lo sportello era fortunatamente intatto e  tenendosi la testa con la mano, lo spinse scendendo con attenzione; poi si sporse verso il cofano e lo vide.
Il corpo di un uomo, seduto sull’asfalto che si massaggiava le costole. Avrà avuto si e no trent’anni ed era di bell’aspetto da quello che poteva vedere. Ma la cosa più importante era che non era morto. Si inginocchiò accanto a lui e gli toccò una spalla.
“Ehi, stai bene?”
“Ma sei deficiente? Potevi uccidermi, pazza! Sei una cazzo di matta, ecco chi sei!”
Denise rimase allibita. Non era di bell’aspetto, molto di più, ma non le pareva il caso di pensarci visto che le aveva appena dato della matta.
“Attento a te e a come parli! Chi cazzo ti credi di essere? Stavi in mezzo alla strada come un cretino! Ringrazia che non ti ho ucciso piuttosto!”
“Si, sei decisamente matta…ma tutte io…” fu quasi un bisbiglio ma lei lo sentì.
“Guarda che ti sento” disse accigliata “piuttosto…dove sono andati tutti?”
“Saranno scappati, visto la gente che gira!”
Ignorò la sua frecciatina. “Perché non ci hanno portati in ospedale?” la cosa la faceva riflettere sul serio e spaventare da morire.
Il ragazzo si guardò intorno come se si rendesse conto solo in quel momento che fossero soli. Si passò una mano a ravviare i capelli e si alzò.
“Non lo so. Ma io ci vado subito. Anzi, mi ci accompagni tu, almeno fai qualcosa di buono nella tua vita”
Questo era troppo. Denise si avvicinò, lo prese per il collo della maglia e urlò “Io non so chi tu sia ma non hai il diritto di rivolgerti così a me!”
“Piacere sono Jared, ora mi porti in ospedale? “
Lei lo lasciò di scatto. Si era resa conto che le sue mani stavano tremando. Non era rabbia, era paura. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi e non voleva farle uscire proprio davanti a quello sconosciuto che aveva quasi investito e che si faceva beffe di lei. Strofinò forte gli occhi e si sedette sul marciapiede abbracciando forte le gambe.
“Che stai facendo? Ti senti male? Forse serve anche a te un medico…”
Sentiva le lacrime sull’orlo, avrebbe voluto urlargli di andarsene e di lasciarla sola, ma si sentiva troppo in colpa, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Soffocata dalla stoffa uscì debolmente la sua voce “Dammi due minuti”.
Jared la guardava preoccupato e irritato allo stesso tempo. Non sapeva cosa fare.
Infilò una mano in tasca in cerca del telefono, ma le tasche erano vuote. Le sue imprecazioni risuonarono per la vallata. Denise alzò la testa di scatto : “Che succede?”
“Il mio cazzo di telefono!” lo vide abbassarsi e cercare dappertutto. Voleva dirgli di prendere il suo ma lo lasciò cercare, in quel momento stava troppo male per pensare anche al telefono di quell’esaltato.
Le stava scoppiando la testa e oltretutto le era venuta anche un po’ di nausea.
Si voltò a guardare quello strano ragazzo che camminava avanti e indietro borbottando qualcosa di incomprensibile. Si avvicinò.
“Senti, abito qui vicino…andiamo a piedi a casa mia, così ci diamo una ripulita e prendo qualcosa per il mal di testa” lo disse quasi con voce atona, sembrava stesse vivendo un incubo.
“Va bene” rispose Jared, sbattendo le braccia lungo i fianchi, rassegnato  “fammi strada”.







-Grazie a chi sta leggendo e recensendo ;) più in là arriveranno capitoli più lunghi ^^

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Capitolo 4
*** Ricordi ***


RICORDI


Da quant’è che non entrava un uomo in casa sua? Le venne in mente proprio nel momento in cui Jared si chiuse in bagno e lei rimase sola in cucina a prendere una pasticca per alleviare quel cerchio alla testa fastidiosissimo.
Si passò la mano sul viso, strofinando forte gli occhi, a volte sembrava le desse sollievo. Venne spaventata dalla voce di Jared che la chiamava e da un boato.
Andò in bagno ma non lo trovò. Dove cavolo era andato?
Lo trovò nello studio, che sistemava i suoi dipinti accatastati in disordine per terra. Si voltò a guardarla imbarazzato.
“Scusa! Volevo vedere quello con il tramonto e sono caduti tutti, mi dispiace tanto…”
“Tranquillo…” si avvicinò aiutandolo a risistemarli “non importa, avrei dovuto gettarli tempo fa”
“Ma sei matta?” e la guardò con gli occhi sbarrati come se avesse detto chissà quale idiozia.
“E’ da stamattina che me lo ripeti, se continui finirò per crederci”
“No, no che sei matta perché investi le persone ne sono certo. Intendevo…non puoi disfarti di questi bei dipinti, li hai fatti tu?” intanto guardava fisso quello che lo aveva incuriosito dal principio; un mare al tramonto.
“Si li ho fatti io, ma è roba di tanto tempo fa. Quasi una vita fa”.
Perchè raccontava queste cose ad un estraneo che le stava anche antipatico? Bello era bello, senza dubbio e anche troppo pieno di sé. Ma, lo osservò a lungo mentre fissava il suo disegno, aveva una luce strana negli occhi, quasi la spaventò.

Ricordava perfettamente quando lo dipinse. Era a casa della nonna, la sua cameretta dava sull’oceano, ma non scendeva mai in spiaggia per quei chili in più che con il tempo aveva eliminato. Profondamente insicura, rimaneva spesso in camera ascoltando musica, disegnando ma soprattutto colorando. Le piaceva colorare, le dava soddisfazione e sensazione di completezza; quella che non provava per se stessa. Aveva aperto la finestra e riportato con facilità i deboli raggi del sole che si riflettevano sul mare mentre dava spazio alla notte.

La voce di Jared la risvegliò dai suoi pensieri “Beh, sei molto brava oltre ad essere matta” e sorrise sincero.
“Prenditelo se ti piace tanto” lo liquidò così e tornò in cucina.
Lui la raggiunse quasi subito chiedendo un bicchiere d’acqua; glielo porse senza guardarlo. Si era comportata scortesemente, ma ormai non ci faceva più caso.
“Ho detto qualcosa che ti ha infastidita?”
“No, niente che non possa superare. Senti..qui abbiamo problemi molto più grandi e dovremmo risolverli” e si accomodò sul ripiano della cucina.
“Se mi fai usare il telefono chiamo mio fratello e mi faccio venire a prendere”
Denise sbuffò pesantemente “sento che qui il problema è diverso ma….fai pure. Il telefono è accanto al divano”
Questo non capiva che non era così semplice? C’era indubbiamente qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa. Si disse che era stato l’incidente a metterla così di malumore e si servì ancora dell’acqua aspettandolo in quella posizione.
Dopo cinque minuti tornò in cucina, scuro in volto.
“Che c’è? Non viene?” disse lei, con una nota di ironia nella voce.
“Ha detto….”
 “Cosa?”
“Che non può”
“Oh….conoscerai un’altra persona sicuramente che possa venire a recuperati”
“No tu non capisci, ha detto di essere in vacanza, ed era anche abbastanza seccato. Mi ha dato del menefreghista”
“Beh, allora ha ragione…chiama qualcun altro”
“Ma quale vacanza!!! L’ho visto stamattina, abbiamo fatto colazione insieme” urlò infilandosi le mani nei capelli. Denise trasalì sentendolo urlare, non era la prima volta che scattava contro di lei, ma il suo volto in preda al panico la fece spaventare.
“Forse…forse era una scusa perché…… stava facendo altro” se stava cercando di consolarlo, non aveva intrapreso una bella strada.
“Devo…dobbiamo…andare a parlare con qualcuno, vieni con me!” così dicendo la prese con forza e la trascinò fuori.

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Capitolo 5
*** Ma tu chi sei? ***


MA TU CHI SEI?



Denise si fece trascinare per le vie da quel ragazzo ormai in preda al panico più totale, ma riusciva a rimanere impassibile. Questo era quello che appariva dall’esterno, perché dentro, Jared, ribolliva di rabbia e paura. Aveva una strana sensazione e non voleva assolutamente che fosse vera. Arrivò di fronte alla casa che cercava, bussando forte e insistentemente. Denise si fermò qualche passo dietro di lui, attendendo di capire cosa avesse in mente. Una donna pallida, dagli occhi chiari e capelli biondi comparve sulla porta, spalancando gli occhi alla vista di Jared, che subito le parlò “ Dov’è Shan?”

“In Brasile pare, dovresti saperlo”

“E che ci fa lì’?” la donna lo guardava scrutandolo dalla testa ai piedi, con aria preoccupata ma rispose con una vena di sarcasmo “è in vacanza! Servirebbe anche a te, prima di diventare una pazzo, più di quanto tu già non sia”

Denise strabuzzò gli occhi sentendo le parole di quella donna, doveva conoscerlo bene per parlargli in quel modo…forse era la moglie del fratello o la sua fidanzata, i suoi dubbi vennero schiariti da Jared, che spostandosi per rendere la visuale migliore, le presentò “Questa è Emma, la mia assistente…”disse indicandola “e lei è….” La fissava incalzandola a parlare; così si schiarì la voce e allungando una mano disse “sono Denise….un’amica…ehm..un’amica di Jared” .
Emma le strinse la mano sorridendole e aggiunse “ oh si, un’amica di Jared..Ok…” e le lasciò la mano.
Subito divenne rossa, avendo capito a cosa alludeva la sua assistente, ma l’uomo intervenne per lei “non è quel tipo di amica”.
Salutarono frettolosamente e tornarono a camminare, Denise seguiva Jared in silenzio, lui apriva la strada borbottando qualcosa tra sé e camminando velocemente, a volte qualcuno per strada lo salutava o scattava foto, ma lui non si fermava e proseguiva dritto. Dopo un tempo interminabile sotto al sole cocente, Denise si arrestò intimandogli di fermarsi.
“Cosa c’è, sei stanca?”
“Si, fermati un attimo, sta per scoppiarmi il cuore” Jared si bloccò e lei si sedette su un muro di recinzione per riprendere fiato, respirò a fondo aspettando che il cuore smettesse di battere così forte. Osservò il ragazzo, non riusciva a starsene fermo, camminava in circolo guardandosi intorno come se cercasse qualcuno. Denise, che aveva ripreso il controllo del respiro, chiese “Conosci parecchie persone da queste parti o c’è qualcosa che non so?” Jared si bloccò fissandola.
“A cosa ti riferisci?
“Alle persone che ti salutavano per strada ed ai tipi che ti fotografavano “
“Quelli erano paparazzi”
“Sei famoso?”
“Un po’…ho una band e ho recitato in qualche film. Stai meglio? Possiamo ripartire?”
“Dove stiamo andando?”
“A casa mia” Denise non fece domande.
“Si sto meglio, andiamo”.
“Non vuoi chiamare qualcuno, per avvisarli che sei qui?”
“No, nessuno mi cercherebbe, stai tranquillo” si alzò e proseguì nella direzione che seguiva lui inizialmente.
Jared riprese a camminare al suo fianco, confuso.

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Capitolo 6
*** Non sono affari tuoi ***


Non sono affari tuoi



Si rigirava nel letto senza riuscire ad addormentarsi. Si sentiva in colpa per tutto l’accaduto, se solo non avesse provocato l’incidente… Aveva anche investito una persona famosa, ma quello che la preoccupava di più era la soluzione alla quale era giunta e alla quale probabilmente anche Jared  era arrivato. Quando cambiò l’ennesima posizione, dopo quattro ore a rigirarsi tra le lenzuola, si alzò e vagò per quella casa così grande e così stranamente spoglia.
L’arredamento lasciava a desiderare, mobili scombinati tra loro e messi li come se fosse una casa in allestimento. I muri spogli e bianchi avrebbero dovuto emanare una sensazione di vuoto e freddo, invece sembrava quasi che si abbinassero con quel caos.

Salì al piano superiore e nella prima stanza trovò Jared coperto fino al collo che respirava piano. Entrò nella camera senza fare rumore e con la coda dell’occhio vide l’uomo aprire e richiudere gli occhi velocemente.

“Jared… stai dormendo?”
“No”
“Ho paura”
“Anche io”
“E se rimanessimo qui per sempre? Ci hai pensato?”
“Non credo sarebbe possibile”
“E se lo fosse?”
“…… Immagino dovremmo fare qualcosa per impedire che accada”
“Che cosa?”
“Non lo so, ancora non lo so. Ma devo capirlo, fosse l’ultima cosa che faccio”

Spostò le coperte e si alzò strofinandosi il viso, poi aggiunse guardandola “Devi esserci un cavolo di motivo per cui è capitato tutto ciò”
“Credo sia tutta colpa mia. Se non ti avessi investito…non saremmo qui” l’ultima frase fu quasi un bisbiglio.
“Stai chiedendo scusa per caso?” la guardò abbozzando un sorriso, lei fissava il pavimento.
“Si…cioè…è un dato di fatto”
“Allora dimmelo per bene, perché non ho capito” camminò verso di lei, fermandosi di fronte a gambe divaricate e braccia incrociate, in attesa.
Lei lo fissò di rimando, in quel momento notò quegli occhi così chiari che la stavano fissando ironicamente; si sentì in imbarazzo come non le capitava da tanto tempo e abbassò lo sguardo per scontrarsi con il corpo del ragazzo senza maglietta.
Non poteva dargliela vinta, prese un respirone e disse “Ok, scusa! Non avrei dovuto fare la matta per strada! Contento??”
“Molto” disse sorridendo, ma lei subito aggiunse “ma…che ci facevi in mezzo alla strada?”
“Firmavo autografi”
Lei roteò gli occhi, gli diede un pugno in pieno petto e giranzolò per la stanza “Allora….Che musica fai? ”
Jared prese a massaggiarsi la parte colpita, indeciso se rispondere a quella donna impertinente, poi la vide buttarsi sulla poltrona e attendere una risposta. Il volto era serio e concentrato, non l’aveva ancora notato ma era una bella ragazza; occhi verde chiaro, capelli chiari e una bocca carnosa. Il suo sguardo scese ad accarezzare le gambe lunghe e snelle.
“Allora? rispondi! ”
Capì che aveva a che fare con una donna complicata e dai cambi d’umore repentini, così si accomodò sul letto rispondendo alla sua domanda.
“Non vedo che pertinenza ci sia con il problema che abbiamo”
“Lo faccio per conoscerti meglio, dobbiamo capire come risolvere, ma se non ci conosciamo un po’ non possiamo arrivarci”
“Non mi và di parlare delle mie cose, tu piuttosto che fai, oltre ad investire le persone?”
 “Non voglio farmi gli affari tuoi, sto cercando di capire se abbiamo qualcosa in comune che non và”
“Va tutto bene e andava tutto bene, fino a poche ore fa”
“Ti ho già chiesto scusa. E comunque, di solito, chi dice così e con questo tono difensivo, non racconta la verità”
“Fai la psicologa?”
“No, sono una semplice commessa. Cerco di venire a capo di qualcosa, ma mi rendi le cose complicate”
“Di me sai anche troppo, esaminiamo il tuo caso…” si alzò in modo teatrale mettendo le mani dietro la schiena “una semplice commessa che non ha parenti in città, ne amici, che va in giro ad investire le persone, che vive isolata dal mondo su quella collina insieme al suo passato che tiene chiuso in uno studio dove non entra mai, visto la quantità di polvere, e che non utilizza le sue preziose mani per disegnare perché…perché…questo mi sfugge”
“Non sono affari che ti riguardano” si alzò velocemente dirigendosi verso la porta, ma lui l’afferrò per un braccio e la tirò a sé “anche io sto cercando di capire, per venire fuori da questa situazione, è stata una tua idea” . In molti gli avevano detto che aveva uno sguardo magnetico e sperò che anche questa volta funzionasse con la ragazza testarda e impulsiva che aveva di fronte. Lei lo fissò di rimando con cattiveria ma dopo pochi secondi spostò l’attenzione verso la parete dietro di lui, accennando un “ok” sottovoce.
Lui le lasciò il braccio e lei riprese posto sulla poltrona.
“I miei non volevano che dedicassi la mia vita all’arte, era uno spreco di tempo per loro; ma io continuavo a coltivare questa passione, non potevo farne a meno; su questo penso che riesci a capirmi” Jared annuì e lei riprese a parlare con voce roca, rotta da delle lacrime che volevano affiorare ma che cercava di trattenere a tutti i costi “continuai i miei studi d’arte nonostante i continui rimproveri e le occhiatacce costanti dei miei. Un giorno, non molto lontano, un’amica organizzò una piccola mostra per il mio compleanno, invitò anche i miei genitori, con i quali non parlavo da anni ormai,  per dimostrare che quello che facevo non era tempo perso…." respirò profondamente stringendo i pugni per continuare "e….te la faccio breve; sono morti in un incidente stradale mentre venivano alla mostra. Ecco tutto. Da quel giorno lasciai perdere , mi trasferì qui e cercai un lavoro per mantenermi. Il resto puoi immaginarlo”.
Si alzò sospirando pesantemente, era da tanto che non raccontava i suoi momenti bui a qualcuno, anzi quasi nessuno sapeva.
Mentre tornava a letto sentì le lacrime spingere forte per riuscire a uscire ma lei le ricacciò indietro e tornò a far finta di dormire.

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Capitolo 7
*** Tempo ***


TEMPO



Come chiudeva gli occhi, le immagini si susseguivano in carrellata. Lo scontro in auto, lei bambina con le mani sporche di colore, il trasferimento, le urla dei suoi genitori, il corpo di Jared a terra, sua nonna al chiaro di luna, i suoi quadri sul pavimento in una nuvola di polvere. Spalancò gli occhi sperando che fosse tutto un brutto sogno, alzò una mano per stropicciarli e li sentì umidi. Le lacrime avevano approfittato della sua debolezza per venire fuori e lasciare che si sfogasse in quel modo che a lei era sempre apparso bizzarro.

Jared si rigirava nel letto, ormai era abituato all’insonnia, quindi allungò una mano per afferrare un libro e prese a leggere per distrarsi. Dopo pochi secondi lo chiuse sbuffando e puntò lo sguardo sul soffitto. Non credeva a quello che stava accadendo, non poteva essere vero, queste cose accadono solo nei film si ripeteva, ma le prove erano contro le sue convinzioni e dovette dar atto che la ragazza ci era arrivata prima di lui e stava reagendo apparentemente bene, anche meglio di lui.
Doveva fare l’uomo e cercare una soluzione, ma l’unica cosa fissa nella sua mente erano le parole del fratello e di Emma che gli rimbombavano nella testa come un disco rotto. Si alzò di scatto e accese il computer portatile.
Cliccò le parole “dimensione parallela” e lesse:
“è un ipotetico universo separato e distinto dal nostro ma coesistente con esso”……..
“ è chiaramente un espediente che lascia infinite possibilità” …..
“A volte il tema della dimensione parallela si lega a quello del viaggio nel tempo”
…... Jared chiuse il portatile e scese a cercare Denise.

La trovò intenta a massaggiarsi la testa, inchiodò scalzo di fronte a lei urlando “Siamo tornati indietro nel tempo!” la ragazza lo guardò con sguardo stanco e alzandosi rispose “pensavo ci fossi già arrivato” “Non ne avevo la certezza ma….oggi parlando con Emma, ho notato una cosa che ho ricollegato soltanto adesso”
“Che cosa?”
“Indossava una maglietta grigia con dei fori sulle maniche ma,  qualche mese fa, la dimenticò in un albergo di Miami” parlava in modo concitato ed esaltato, come se stesse spiegando una scoperta innovativa di cui nessuno era a conoscenza.
Denise lo guardò scura in volto e Jared si rese conto degli occhi rossi e gonfi, smorzò il sorriso e si avvicinò, ma Denise si scostò dandogli le spalle, rispondendo “Ora che hai capito il problema, hai anche la soluzione? Perché io è tutta la notte che ci penso…”
“Per questo hai pianto? Hai paura di rimanere qui?” Lei si voltò respirando forte, sedendosi sul bordo del letto improvvisato.
“No….non lo so, mi sento smarrita” a quelle parole Jared si avvicinò sedendosi accanto a lei
“Deve esserci un motivo se siamo qui, forse è un bene, possiamo cambiare qualcosa di cui abbiamo rimorso…non so, la vedo come una cosa positiva in fin dei conti” stava parlando sinceramente, come era giunto alla conclusione il suo viso si era illuminato in un largo sorriso e la prima cosa che gli balenò in mente fu “più tempo a disposizione”, il problema del tempo lo aveva sempre preoccupato e affascinato.
“Tu non capisci….è proprio questo il problema. Se siamo tornati indietro per cambiare qualcosa…perché non sono tornata in un tempo adatto a salvare i miei?”
“Come fai a saperlo?”
“Ho acceso la tv prima, è il 15 maggio. I miei sono morti a febbraio”
“E già avevi nascosto i tuoi quadri?” Non voleva essere così diretto, ma un’altra consapevolezza gli stava rischiarando le idee. Lei annuì solamente. Jared  mise da parte le sue idee e la fissò; era il ritratto della tristezza e della debolezza, neanche lo guardava in volto. Si lasciò sopraffare dalle emozioni e l’attirò a sé, come Denise sentì il contatto di un’altra persona ricominciò a versare lacrime, tutte quelle che non aveva versato in vita sua. Le definiva una debolezza, una cosa da stupida, da immatura e le aveva sempre ricacciate indietro, in quel momento avevano rotto gli argini costruiti con tanta cura ed era bastato che qualcuno le trasmettesse un po’ di calore. Era crollata la sua difesa che aveva tirato su con forza in tutto quel tempo.

 Eh già…il tempo.

 “Grazie….scusami..” Denise sciolse l’abbraccio.
“Di cosa?”
“Mi sono lasciata andare…non lo faccio mai”
“Fa bene piangere, a volte ti schiarisce le idee” le sorrise sinceramente e lei fece lo stesso. Poi si alzò ed esclamò “ho un piano”.
La ragazza lo guardò con espressione mista a divertimento e scetticismo ma fece segno di continuare. Jared prese a camminare avanti e indietro nella stanza “Allora…se sei tornata indietro, c’è sicuramente qualcosa che devi cambiare e sicuramente ha a che fare con i tuoi quadri” a quelle parole la traccia di divertimento sul viso di Denise scomparì, ma lui continuò deciso “ti è stata data l’opportunità di non sprecare il tuo talento, questo è chiaro! Quindi adesso andiamo a casa tua e come prima cosa rispolveriamo i tuoi dipinti, l’attrezzatura e provi a fare un bel disegno” si voltò a guardarla sperando di non trovare un viso contrariato e fu sollevato di trovare i suoi occhi persi in riflessioni, ancora non gli rispondeva, quindi incalzò “allora? Che ne dici?”.
La ragazza annuì dicendo “va bene, ci provo…ma prima avrei una richiesta, anzi due”.
“Sarebbero?”
“Possiamo mangiare qualcosa? Saranno ventiquattro ore che non metto qualcosa nello stomaco” Jared rise e la trascinò in cucina.








Complimentoni a chi ci era arrivata!! :D probabilmente sono riuscita ad essere poco misteriosa :P
Ora come pensate possano tornare alla normalità? L'idea che avuto Jared sarà esatta?
Grazie di aver resistito e recensito fino a qui, e grazie anche a chi legge silenziosamente :3

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Capitolo 8
*** Ho un'idea ***


Ho un'idea



“Stai meglio? Possiamo andare?” lui era già sulla porta.
“Si ma…ho la seconda richiesta ancora…” lui la guardò, poi mettendo gli occhiali da sole disse “sei una donna esigente…dimmi”
“Non è che avresti tipo un’automobile per spostarci?” Jared sfilò gli occhiali riflettendo “si….ma non so dove siano le chiavi. Ma….ci sono le biciclette” e sorridendo la portò nel garage.
Salirono sulle bici e proseguirono verso casa. Denise arrancava dietro a quell’uomo che sembrava non essere mai stanco, pedalava in salita e in pianura sempre alla stessa velocità e si maledì per aver accettato il giro in bici. Ma che razza di vip va in giro in bicicletta? Lo guardò meglio quando riuscì a raggiungerlo, il vento gli scompigliava i capelli e il suo atteggiamento sembrava quello di una persona spensierata e in pace con se stessa. Per un attimo questa sensazione invase anche lei, finché non arrivano a casa.

Jared entrò nello studio ed aprì le finestre per far entrare la luce, nell’aria danzavano granelli di polvere ma lui pareva non farci caso, continuò a tirare giù i quadri e a disporli nella stanza in modo che fossero visibili. Lei lo osservava ferma sulla porta, voleva scappare fuori, avrebbe fatto persino un altro giro in bici piuttosto che stare lì. Lui si fermò ad osservarla facendole cenno di avvicinarsi, lei scosse il capo, si sentiva incollata a terra e gli occhi pizzicavano di nuovo, la rabbia si impossessò di lei e corse in bagno.
Jared rimase a guardarla scappare via e sentì una porta sbattere forte, sapeva che non sarebbe stato facile, ma doveva provare, per il suo bene e anche per quello di lui, dovevano cambiare la situazione. Si guardò in giro e rovistò fra valigie e scaffali, in cerca di qualche tela, pennello e tutte le cose utili. Trovò quel che cercava e attese. Aspettò quasi mezzo’ora fermo in quella stanza, attorniato dalla polvere, poi si alzò ed andò a bussare.
Denise sentì dei colpi alla porta e non rispose. Ancora altri colpi. Respirò profondamente ed aprì, lasciando entrare Jared.
“Dai vieni, lo so che è difficile ma almeno prova”
“Non ce la faccio, mi tremano le mani e….non so neanche cosa disegnare”
“Ho un’idea…vieni con me….fidati” la prese per un polso e la riportò nello studio. Si avvicinarono alla tela bianca che troneggiava nella stanza, Jared prese una matita e la mise nelle mani di Denise, poi le prese la mano e cominciò a scarabocchiare qualcosa. Lei si lasciava guidare, nonostante il respiro cominciò ad accelerare e gli occhi a bruciare di nuovo, anzi, non avevano mai smesso. Delle linee si susseguivano senza senso, o almeno così sembrava a lei. Si voltò a guardarlo in volto, ruotò la testa leggermente per trovarlo a pochi centimetri da lei, il volto concentrato aveva creato una piccola ruga tra le sopracciglia, gli occhi fissi sulla tela e le labbra semiaperte. Poi la mano si bloccò e lui la guardò sorridendo “abbiamo finito”.
Lei smise di fissarlo e guardò il disegno aggrottando le sopracciglia “ma che mostro hai fatto?”
“Non lo so, è uno di quelli che spesso viene a trovarmi durante i miei incubi, l’ho anche reso più carino sai…” e rise muovendo anche il corpo della donna.
Rise anche lei e aggiunse un paio di corna a quel mostro.
“Se devi disegnare un mostro lascia che sia orrendo” e continuò ad imbruttirlo.
Non si era accorta che Jared si era staccato da lei e la guardava dalla poltrona, mentre era assorta e si divertiva a creare. La fissò a lungo mentre si estraniava dalla realtà ed entrava in un mondo tutto suo, dove la creatività la faceva da padrone, era bastato poco per farla riattivare, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato così semplice, come sapeva se la sua deduzione fosse esatta? Sarebbe bastato risvegliare il suo talento per tornare alla vita di tutti i giorni? Già, la sua vita…perché era stato coinvolto anche lui in questa cosa? Non poteva aiutarla qualcun altro? I suoi pensieri furono distratti dalla sua voce “A cosa stai pensando? “ era ancora in piedi di fronte alla tela che lo guardava preoccupata.
“Niente…solo…come facciamo a sapere che questa è la strada giusta per tornare?” Denise si accomodò su un bracciolo della poltrona e scuotendo la testa rispose “ci stavo pensando anche io mentre venivamo qui…temo che anche tu debba fare qualcosa per te stesso, altrimenti non capisco il motivo della tua presenza”
“E cosa dovrei fare io?”
“Non so…in questo periodo cosa stavi facendo?” a quella domanda Jared si sistemò meglio sulla poltrona e prese  a pensare ad alta voce “ beh, ero in pausa dal tour da qualche mese, sono andato a qualche festa ed a qualche evento al quale ero stato invitato…niente di che”
“Non è…. successo nulla… che vorresti cambiare? Magari qualcosa che…” ma venne interrotta dal cantante che disse in un fiato “ Successo nulla, hai ragione!”
“Ho ragione? Non capisco…” Jared si alzò di scatto “Si…l’altro giorno Tomo mi ha chiamato facendomi un discorso strano, io non lo avevo capito, ma ora…mi sembra più chiaro”
“Chi è Tomo e che discorso?”
“E’ con me nella band e mi parlava del tempo, di come passi in fretta e noi non ce ne accorgiamo…Pensavo fosse solo un discorso nostalgico, quindi lo stavo ascoltando poco…ma credo si riferisse al fatto che da quando siamo fermi non ho scritto, composto, diretto e fatto nulla” finì la frase bisbigliando, come se stesse parlando più con se stesso che con Denise, che si alzò e catturando la sua attenzione, disse “credo proprio che dovresti fare qualcosa allora” lo aveva detto con tenerezza e abbozzando un sorriso, sollevata dalle nuove dichiarazioni che li avrebbero portati fuori da quella situazione e grata del fatto che si fosse aperto con lei; quello che non si aspettava fu la sua reazione nervosa. La scostò in malo modo e urlò “Ti pare facile? Se per anni non ho fatto nulla ci sarà stato un cavolo di motivo no? Le canzoni non mi vengono così, come se niente fosse…Prima era più semplice, avevo sentimenti da riversare in musica, che sia stata rabbia, passione, riflessioni, consigli…Ora non ho nulla da dire, gli eventi non mi travolgono e non trovo ispirazione in niente. Tutti fanno qualcosa per attirare la curiosità degli altri, in ogni modo possibile e si aspettano che io faccia altrettanto…” aveva parlato così forte che gli stava facendo male la gola e quando guardò in volto la donna, non trovò segni di paura o derisione, lo fissava comprensiva. Poi si avvicinò a lui e lo abbracciò dicendo “Senti la pressione, lo capisco….ma ti hanno mai detto che non siamo obbligati a soddisfare le aspettative altrui?” gli posò un bacio sulla guancia e uscì.

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Capitolo 9
*** Il foglio bianco ***


Il Foglio Bianco



Camminava sicura sulla spiaggia, stava tornando a casa, dove avrebbe trovato la nonna ai fornelli e le avrebbe chiesto sicuramente di aiutarla a preparare la tavola. Adorava stare con lei l’estate, poteva essere se stessa, non aveva bisogno d’altro. Entrò nella grande veranda per arrivare alla cucina. Si aspettava di trovarla lì immersa in una nuvola di vapore e investita di odori forti e accattivanti, ma la casa era silenziosa e stranamente inodore. Una strana paura le attanagliò lo stomaco e si rifugiò nella sua stanza, corse a perdifiato e una volta dentro chiuse la porta a chiave. Scivolò contro la porta ad occhi chiusi per recuperare il fiato. Di colpo un odore metallico la risvegliò dallo stato di rilassamento ed aprì gli occhi, di fronte a lei una tela bianca. Si avvicinò e la sfiorò delicatamente, al suo tocco la tela prendeva colore, colori allegri e solari. Sorrise spontaneamente a quella piccola magia ma quando guardò la sua mano un urlo le morì in gola, del sangue scendeva dalle sue dita fino a percorrerle il braccio, fino a terra e sui suoi vestiti. Alzò il viso e vide la tela completamente ricoperta di sangue.

Aprì gli occhi alzandosi di scatto e l’urlo che le era rimasto nella gola nel sogno, trovò libera uscita. Si guardò le mani chiare e pulite e si diede mentalmente della scema per averlo fatto, poi si riavviò i capelli cercando di calmarsi.
In quel momento entrò Jared “ che succede?”
“Un incubo, un fottutissimo incubo” lui si mise accanto a lei accarezzandole un braccio “ti va di raccontarmelo?” lei scosse la testa come per scacciare quelle immagini sanguinolente che le invadevano la mente “no, non me la sento” bloccò la mano di Jared e la strinse forte. Lui la guardò negli occhi, lei ricambiò con uno sguardo timido ed impaurito, tremava ancora per lo shock. Sembrava che il tempo si fosse fermato, nessuno dei due provava a muoversi o a respirare più forte ma Jared non resistette a lungo, scostò le coperte attirandola a se, non sapeva se lei acconsentisse perché era ancora confusa o se lo volesse sul serio, ma non ci pensò e catturò le sue labbra ancora bagnate dalle lacrime.

Aveva capito sin da subito che cosa aveva in mente e non lo aveva fermato, sentiva anche lei la voglia di assaggiare quelle labbra e quando l’avevano toccata si era sentita protetta e soddisfatta, come se finalmente avesse ottenuto quello che voleva. Mentre approfondiva il bacio rilassandosi tra le sue braccia aveva liberato la mente da ogni pensiero e preoccupazione. Le mani scorrevano avide sulla loro pelle cosparsa di brividi finché lei non si staccò rimanendo ancorata a lui che le sorrise dolcemente.
“Non pensi più che sono una pazza?”
“Oh, lo penso ancora…ma credo che tu sia una pazza interessante” e riprese a sfiorarle il collo.
“Jared…”
“Mh mh?”
“Stavo pensando…”
“Questa non è una bella notizia” lei sorrise tirandogli un cazzotto, ma lui non si scompose e continuò a sfiorarla.
“Questa esperienza fuori dalle righe potrebbe darti ispirazione, ci hai pensato?” lui si staccò per fissarla “Per una canzone intendi?” “Una canzone, un intero album, un film o qualsiasi altra cosa tu sia in grado di fare” la guardò pensieroso e si alzò.
Lei confusa si irrigidì “scusa, non volevo intromettermi nelle tue cose, speravo solo di darti una mano…come tu hai fatto con me” lui serio rispose “non sono arrabbiato, sto cercando….torna a dormire, buonanotte” e così dicendo uscì dalla stanza.

Perché aveva reagito così? Non voleva essere maleducata, voleva solo rendersi utile come lui lo era stato con lei. In fin dei conti era riuscito a risvegliare qualcosa che si era assopito in lei: da tempo non provava curiosità nel parlare con qualcuno, nel cercare nei lineamenti una particolarità da voler imprimere nella memoria, la voglia di poter essere utile a qualcuno se non poteva esserlo con se stessa. Mentre era profondamente persa nei suoi pensieri camminò per la casa buia e silenziosa,  solo quando si ritrovò di fronte alla tela con il mostro di Jared si rese conto di essere arrivata lì. Prese un foglio bianco e si appoggiò sulla poltrona tracciando i lineamenti di un volto che aveva impresso ormai nella mente e nel cuore.
 

Jared non aveva dormito tutta la notte, si era rigirato nel letto talmente tante volte da aver disfatto le coperte e farle cadere a terra. Denise aveva ragione, poteva prendere riferimento da questa situazione e portarla a suo favore, recuperando il tempo perso. Ma una domanda lo disturbava più di tutto: perché non ci era arrivato lui? Sarebbe stata una cosa facile da capire, un altro se stesso ci sarebbe arrivato dall’inizio e non avrebbe visto l’ora di tornare alla normalità per poter concludere qualcosa di concreto. Guardò la luce che filtrava dalle finestre e si alzò, deciso a scusarsi per quel suo cambio d’umore, aveva capito che Denise altro non voleva che aiutarlo. Andò nella sua camera ma non la trovò, la chiamò varie volte ma non ebbe risposta. Sperò di trovarla nell’unica stanza dove non aveva guardato, entrò nello studio e si rabbuiò non trovandola neanche lì. Dove diavolo era finita? Lo aveva lasciato da solo in casa sua? Si avvicinò alla poltrona, attirato da un foglio che giaceva ai suoi piedi, lo voltò e spalancò gli occhi, poi un sorriso distese le sue labbra mentre guardava l’uomo disegnato sulla carta e gli sembrò di specchiarsi.

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Capitolo 10
*** Su due livelli ***


Su Due Livelli


Denise si svegliò con un dolore alla testa, sicura di essersi addormentata in una posizione alquanto strana, aprì gli occhi e quello che le si parò davanti la lasciò senza fiato.
Era nella sua automobile, i vetri erano completamente frantumati e si erano riversati nell’abitacolo e su di lei. Fuori una folla di gente accerchiava le automobili in un continuo vociare, finché la mano di un uomo la prese per aiutarla ad uscire “signorina sta bene?” confusa e indolenzita continuava ad annuire trascinata da quell’uomo grosso. Spostò il suo sguardo verso l’asfalto e si portò le mani al volto, vedendo il corpo di Jared a terra privo di sensi. Si sganciò dalla presa dell’uomo e si inginocchiò accanto al cantante nonostante qualcuno le intimasse di mantenere la distanza. Cominciò a chiamarlo a gran voce, ma il ragazzo non apriva gli occhi, avrebbe voluto rivedere quegli occhi, anche se l’avessero guardata con crudeltà, ma aveva bisogno di sapere che fosse vivo, che non gli aveva troncato la vita, che poteva tornare a dedicarsi alle cose che più lo rendevano felice. Gli uomini dell’ambulanza lo caricarono e chiusero le porte andando via a sirene spiegate, mentre lei rimase in piedi, lasciando che le lacrime uscissero senza vergogna.
 
Jared piegò il disegno e se lo mise nella tasca della camicia che infilò ed uscì da quella casa, ormai si sentiva un estraneo là dentro senza di lei. Non faceva che chiedersi dove fosse finita, anche se sperava che la sua intuizione fosse giusta, più per lei che per lui.
Era rimasto solo, in quel luogo che conosceva come le sue tasche ma che di familiare, in quel momento, non aveva nulla.
Si fermò di fronte al cancello di casa sua, la osservò smarrito, perché tornare a casa? Perché continuare a vagare? Cosa avrebbe dovuto fare? A chi avrebbe potuto chiedere aiuto? Nessuno sapeva, l’unica persona che condivideva il suo segreto era sparita e lui l’aveva trattata anche male nonostante prima l’avesse baciata. Al ricordo si sfiorò le labbra con i polpastrelli e scosse la testa per cancellare il ricordo che le sue parole avevano avuto su di lui. Voleva aiutarlo….perchè gli tornava così difficile pensare che qualcuno volesse aiutarlo e non approfittarsi di lui? I suoi pensieri furono interrotti dal telefono che squillava.
Sospirando entrò in casa e alzò la cornetta:
 “Si?....Ciao Tomo….sono rientrato ora…Ok, se proprio devi. Ciao..a dopo.” E chiuse la telefonata.

Tomo aveva detto che sarebbe passato a salutarlo, si buttò sul divano sospirando; non chiamava mai, di solito arrivava senza avvisare, ormai la sua casa era aperta a tutti loro che considerava come fratelli. Chiuse gli occhi e cercò di non pensare, sicuramente una chiacchierata con Tomo gli avrebbe fatto bene.
 

Denise arrivò in ospedale ancora indolenzita e sporca. Aveva accettato di andarci solo per controllare che Jared fosse fuori pericolo, poi sarebbe tornata a casa e alla sua stupida vita. Arrivata alla stanza che le era stata indicata si fermò, all’interno sentiva delle persone parlare, aprì la porta quel poco per lasciare aperto un piccolo spiraglio e curiosò all’interno. Una donna dai capelli lunghi era accanto a Jared, gli teneva la mano e parlava con una donna che riconobbe, era Emma; l’aveva vista per pochi minuti ma ricordava bene quell’incontro.
Perché Jared non si svegliava? Lei era riuscita a tornare indietro e in parte era stato grazie a lui, anzi, se non ci fosse stato lui, probabilmente sarebbe ancora persa in chissà quale spazio temporale. Emma si mosse verso la porta e lei si allontanò fingendo di camminare per il corridoio, quando anche l’altra donna uscì, si affrettò ad entrare. Si fermò a guardalo: alcuni graffi gli contornavano il viso e un braccio era fasciato, non sembrava grave dall’esterno. Sapeva che il problema era all’interno e si sentiva impotente, avrebbe voluto aiutarlo, ma come? Una lacrima le solcò il viso un’altra volta, mentre gli accarezzava i capelli e gli sussurrava nell’orecchio “Non perderti, torna qui in questo tempo, fai quello che devi fare anche se è difficile, tu hai aiutato me e significa che in te c’è talmente tanta forza da poterne dare anche agli altri” gli lasciò un bacio sulle labbra e scappò verso il pronto soccorso, dove l’attendevano.
 
Il campanello lo fece sussultare, si era addormentato seduto sul divano e la voce di una donna aveva accompagnato quello strano sogno. Sbuffando andò ad aprire trovandosi di fronte il volto barbuto dell’amico. “Ehi J, che brutta cera!”
“Non ho dormito” rispose, mentre si accomodavano entrambi sul divano.
“Ancora incubi?”
“No stavolta è peggio, ma…lasciamo perdere. Come ti va?”
“Bene, cerco di tenermi impegnato ma…volevo passare a vedere come stavi. E’ un po’ di tempo che non ti fai sentire e vedere”
“Non mi parlare di tempo per favore… Comunque sto bene, è che....ho avuto da fare” balbettò.
“Lo capisco…beh..mi chiedevo…Quand’è che proviamo qualcosa? Non voglio farti pressioni, visto che anche Shan non c’è, ma….ho nostalgia del tempo passato insieme a creare, anche se alla fine non concludiamo nulla, avremmo passato comunque un bel momento insieme” A Jared si attorcigliò lo stomaco a quelle parole, lo guardò negli occhi e vi lesse speranza e comprensione, quello che cercava ma che stranamente in quel momento lo infastidiva soltanto. Forzatamente sorrise e rispose all’amico “Si, si può fare, magari appena torna mio fratello..”
“Oh magnifico! Che bella notizia che mi dai…ti vedevo un po’ perso ultimamente, ma deve esser stata solo una mia impressione” il cantante non rispose, non voleva uccidere l’entusiasmo che leggeva nei suoi occhi, accennò solo un sorriso, poi seguì Tomo che si era avvicinato alla porta.
Gli sorrise ancora per incoraggiarlo a non fare altre domande, sperava che se lo avesse visto di buon umore, la domanda che aveva sulla lingua non sarebbe uscita; perché, in quel caso, non avrebbe saputo come rispondere. Tomo rispose al sorriso, gli diede una pacca sulla spalla e farfugliando un “ci vediamo presto” aprì la porta ed uscì. Jared lo guardò allontanarsi lungo il vialetto, salire in automobile e immettersi in strada; sapeva che il suo amico non aveva aperto bocca per non metterlo in difficoltà, era sempre stato un buon osservatore e lo aveva sempre adorato per questo suo lato comprensivo e gentile, ma sapeva anche che non sarebbe stato in silenzio a lungo. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione e  trovare il modo di andarsene prima che accadesse.
Richiuse la porta e tirò un calcio ad una pila di libri accatastati a terra.






Ringrazio tanto, tutte le persone che recensiscono e che quindi mi spronano ad andare avanti! ( Nike07, La mia Pusher preferita, Pommy  e la mia Patatona!) e tutti quelli che seguono la storia, spero vi stia piacendo ;)

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Capitolo 11
*** Sono stata io ***


Sono Stata Io



Denise girò la chiave e rientrò in casa, era ancora come l’aveva lasciata. La tazza della colazione sul lavandino, le scarpe accanto al divano…Sospirò e, dopo una lunga doccia, facendosi forza entrò nello studio, aprì le finestre come aveva fatto Jared e la luce illuminò la stanza, ricacciando il nodo nella gola prese i quadri e li dispose a terra. Si fermò a fissare quello che aveva attirato la curiosità di Jared, il mare al tramonto.
 


Erano giorni che si era chiuso in sala incisione,  aveva provato e riprovato ma senza risultati. Alla fine aveva solo suonato canzoni che conosceva o sue vecchie melodie, senza tirarne fuori di nuove. Inoltre erano notti che non aveva più incubi, ma solo un sogno lo tormentava, la voce di una donna che faceva eco nella sua testa, non riusciva a capire interamente cosa dicesse, ma qualsiasi cosa fosse lo spingeva a fare qualcosa ed a non arrendersi. Aveva capito che Denise era riuscita a tornare indietro, o almeno così sperava, aveva tenuto con se il disegno e sicuramente quello era stato la prova che finalmente aveva affrontato i demoni del suo passato e li aveva sconfitti, almeno in parte. In quel momento toccava a lui, ma più si sforzava più non riusciva a fare nulla.
 


Prese la tela e con mano tremante ricominciò a disegnare quel volto che riusciva a vedere alla perfezione chiudendo gli occhi. La matita scorreva leggera e fluida mentre i ricordi si facevano spazio nella sua mente, arrivarono quelli felici dell’infanzia, i momenti con Jared in quella buffa e, allo stesso tempo, orrenda situazione. Non tardarono ad arrivare le immagini dei suoi incubi ricorrenti, le urla dei genitori, i loro visi delusi e accigliati e le sue mani sporche di sangue. Ansimò forte e si rese conto di aver smesso di respirare, fece entrare ossigeno nei suoi polmoni lanciando lontano la matita con rabbia e sedendosi a terra, la testa fra le gambe, come le avevano insegnato. Si rese conto di aver bisogno di essere rassicurata, anche soltanto con la presenza di qualcuno, era stata sola per troppo tempo. Sapeva chi volesse li vicino e allo stesso tempo non si spiegava il perché. Non capiva come poteva essersi affezionata così tanto ad uomo che conosceva poco, che probabilmente non avrebbe più rivisto o che forse non si sarebbe più svegliato per colpa sua. Si alzò di scatto e uscì diretta in ospedale, doveva rivederlo.
 



Jared uscì a fare un giro in bici per schiarirsi le idee, lo faceva spesso e funzionava sempre. Serrò la bici ad un’asse con la catena e scese in spiaggia. Il sole stava tramontando e le persone raccoglievano le loro cose lasciandosi alle spalle quel panorama così triste e potente allo stesso tempo. Un altro giorno finiva, altro tempo sfuggiva dalle sue mani senza aver concluso nulla. Si mise seduto sulla sabbia tiepida e fissò le onde infuriate dell’oceano, il sole aveva quasi sfiorato l’acqua e gli tornò in mente il quadro di Denise, erano gli stessi colori e gli procurava le stesse emozioni. O forse era perché stava pensando a lei?
 



Avvicinò la sedia al letto dove era adagiato Jared, si accomodò e gli strinse forte la mano, sperava che sentisse la sua presenza, anche se non era sicura di fargli un piacere. Era li per egoismo, era lei ad aver bisogno di lui, era il senso di colpa che la spingeva a controllare  se fosse ancora vivo. Gli accarezzò la mano e parlò piano “Non so se la mia presenza potrà farti piacere, ma sono venuta lo stesso sperando di trovarti sveglio. Chissà se anche tu ricorderai quello che abbiamo vissuto o mi insulterai dandomi ancora della pazza. Volevo solo ringraziarti perché…beh perché mi hai aiutata parecchio anche senza accorgertene, la tua sola presenza mi ha fatta stare meglio e spero accadrà anche in futuro” la voce si incrinò ripensando agli eventi, ma continuò “ se non ti avessi investito probabilmente non ci saremmo mai conosciuti ma, allo stesso tempo, tu non saresti qui…ed è tutta colpa mia”.

“Che cosa hai detto?” Una voce femminile la fece saltare dalla sedia. Una donna matura la stava osservando con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Denise non rispose ma lasciò la mano di Jared.
“Hai detto di aver investito mio figlio?” Oh cazzo, era la madre.
“Signora…io, è stato un incidente, non l’ho fatto di proposito…sono molto..dispiaciuta” rossa in viso era nel panico più totale che salì ulteriormente quando un uomo entrò dicendo “Mamma che succede?”
“Questa ragazza….” ed indicò Denise facendo qualche passo verso di lei “è colpa di questa ragazza se mio figlio è disteso in quel letto tra la vita e la morte!” stava urlando, decisamente, Denise arretrò ancora fino a ritrovarsi contro il muro.
La donna era furente e ne aveva tutto il diritto, l’uomo le teneva una mano sulla spalla per calmarla, poi le parlò “mamma, facciamo piano…ci penso io a lei, tu calmati”. Che significa ci penso io a lei?? Denise tremò di paura, guardò meglio quell’uomo ed i suoi muscoli e si immaginò scaraventata dalla finestra e frantumata sull’asfalto del parcheggio sottostante. L’uomo si avvicinò dicendo piano “Vieni fuori, facciamo quattro chiacchiere”. Visto che sembrava incollata a terra,  le si avvicinò e la spinse fuori facendola passare a debita distanza dalla madre.

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Capitolo 12
*** Una Voce ***


Una Voce

 

 

 



Shannon la portò sul terrazzo e si accese una sigaretta. Guardava la donna che pareva avesse ridotto così il fratello, era impaurita ma faceva di tutto per mascherarlo, la fissò a lungo poi parlò “Vi conoscete?” la ragazza sorpresa rispose “Pensavo che ‘quattro chiacchiere’ fosse una frase in codice per non dire: ti gonfio il viso di mazzate.” Shannon rise poi si ricompose “sono arrabbiato, ma non sono una bestia, non picchierei mai una donna” Denise si rilassò leggermente, spostando il peso su una gamba ma lui riprese “questo non esclude che potrei denunciarti “. Lei sospirò piano, certa che prima o poi ci avrebbero pensato “Certo, me lo merito…cosa aspetti a farlo?”
 “Aspetto che mio fratello si svegli e decida lui la tua sorte”. Ottima scelta pensò lei, sarebbe stata denunciata in ogni caso; se lui non avesse ricordato nulla e anche se avesse ricordato perché lo aveva lasciato là da solo e la colpa era comunque la sua. Visto che la ragazza non rispondeva presa da chissà quali pensieri, lui gettò la sigaretta e fece per tornare dentro, ma prima di rientrare si fermò e disse, rimanendo di spalle “Non farti vedere qui in giro, per il bene di mia madre. Anzi…” e sbuffò divertito “..per il tuo di bene, non so se, si tirerebbe indietro come ho fatto io”.
Denise annuì, cosciente che l’uomo non potesse vederla e si allontanò da quel posto.
 


L’ennesimo sogno lo aveva svegliato di soprassalto, questa volta le voci erano diverse anche se quella voce dolce e piena di tristezza continuava a popolare i suoi sogni. Diceva parole di conforto e di rimorso, tristi e dolci allo stesso tempo, talmente strazianti da far male al cuore. Sembrava la voce di Denise, quella strana ragazza, così persa e forte allo stesso tempo, più forte di quanto lei pensasse. L’aveva conosciuta per così poco tempo, ma sembrava conoscerla da sempre; e pensare che avrebbe dovuto odiarla a morte per quello che gli era successo, ma non ci riusciva proprio. Al contrario, era preoccupato per la sua sorte e impaziente di poterla vedere, di poterle chiedere cosa fosse successo, di sapere se stesse bene. Voleva abbracciarla di nuovo, prenderla in giro per i cambi d’umore improvvisi, baciarla ancora come era successo quella notte quando lo guardava con quegli occhi spalancati e pieni di paure mai dette. Qualcosa dentro di lui scattò all’improvviso, scese le scale così in fretta che saltò due gradini alla volta, afferrò la chitarra e prese a scrivere.
 

Denise si buttò nel letto scoraggiata e distrutta nell’animo. Cosa pretendeva? Non poteva spiegare quello che era successo, sempre se fosse successo sul serio e che non lo avesse sognato, cominciava ad avere dubbi anche su quello. Anche se avesse spiegato l’accaduto rimaneva sempre un pericolo pubblico che aveva messo a repentaglio la vita di un uomo, pensandoci bene , meritava di essere denunciata. Se solo Jared si fosse svegliato ed avesse dato segni di ricordare l’accaduto, le sarebbe bastato per consolarsi che almeno non era una pazza; che oltre ad avere problemi nella vita reale, li aveva anche in quelle parallele e nei sogni. 
Si rivoltò sul letto a guardare il soffitto bianco, pensando a come informarsi sulle condizioni di Jared, visto che le era stato vietato di andare a trovarlo all’ospedale. Se lui non avesse ricordato non avrebbe potuto cercarla per avvertirla, sempre che lo volesse. Forse era meglio sparire definitivamente dalla sua vita, gli avrebbe evitato altri problemi. Se lui non l’avesse cercata, lei sarebbe sparita.
 
Shannon sedeva accanto al fratello, lo guardava e sperava si svegliasse al più presto. Non erano stati molto vicini ultimamente, quella mattina si erano visti solo sotto sua richiesta, anzi sotto minaccia, perché aveva inventato una scusa come al solito. Lo evitava da mesi per non raccontare i suoi problemi, non voleva mai aprirsi per non risultare debole, nonostante il fratello maggiore non avesse mai pensato che lo fosse. Ma ormai lo conosceva talmente bene da capirlo con un solo sguardo e quello che sperava in quel momento era che si svegliasse e lo guardasse negli occhi ancora una volta.








Vi avverto che questo è ilpenultimo capitolo ;) quindi dite la vostra, spiegatemi tutte le vostre ipotesi. Ci rivediamo con il capitolo finale ^_^

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Capitolo 13
*** Non abbiamo tempo ***


 

   Non abbiamo tempo



30 giorni, 6 ore, 27 minuti e 7 secondi dopo….


Denise era nervosa, si aggirava tra le persone, sorridendo a chi sapeva che i quadri esposti fossero i suoi. Aveva cercato qualcuno che potesse organizzarle una mostra, non voleva che tutti i suoi sforzi in quei mesi non fossero serviti a nulla, non pretendeva di diventare famosa, ma almeno che qualcuno l’apprezzasse tanto da comprarne qualcuno.
L’organizzatrice si avvicinò e le bisbigliò in un orecchio “ Qualcuno è interessato ad un quadro”
Denise rimase sbalordita e il cuore cominciò a tamburarle nel petto “Dici davvero?”
“Si, certo. Perché ti sorprendi tanto? E’ dietro la colonna che aspetta, non mi sembrava carino farvi parlare di denaro qui”
"Hai fatto benissimo, grazie” e si incamminò velocemente nella zona indicata.
Si diresse verso la colonna senza esitazione, era emozionata di avere a che fare con un primo acquirente, quindi girò l’angolo dicendo “Buonasera….”
La frase le morì sulle labbra.
Due occhi grigi la stavano fissando.
Aprì la bocca un paio di volte ma non uscì nessun suono, lui la fissava appoggiato al muro, più bello di come lo ricordasse; vestiva semplicemente con jeans e maglietta nera.
Parlò per primo “Ero interessato ad un quadro” lei si avvicinò, avrebbe voluto abbracciarlo e constatare con le sue mani che fosse reale e che stesse bene, capire se l’avesse riconosciuta, se si ricordasse di lei o fosse semplicemente una stupida coincidenza. Si limitò a fermarsi a qualche passo di distanza dicendo “quale in particolare?” la voce uscì in un bisbiglio. Lui sorrise dicendo “penso che tu lo sappia già”.
Denise gli restituì il sorriso, la preoccupazione abbandonò il suo sguardo ed i lineamenti del viso si distesero. Lui si avvicinò e le spostò i capelli dal collo, la ragazza sospirò e aggiunse “come stai?”
“bene”  sussurrò nel suo orecchio, quel piccolo gesto le provocò brividi su tutto il corpo ed uno strano nodo alla gola dello stomaco.
Era stata così in pena per lui; nonostante cercasse in ogni modo di non pensare, ogni ragionamento o pensiero superfluo tornava a lui, come se fosse una calamita. In quei giorni d’attesa, quasi claustrofobici, aveva pensato che, sarebbe bastato cercare su internet e qualche notizia su di lui e sul suo stato sarebbe uscita fuori. E così fu, una mattina cliccò play su un video e le immagini di Jared, che rendeva partecipi i suoi fan sul suo stato di salute, la rincuorarono. Aveva atteso inutilmente che lui la cercasse, anche solo per denunciarla, sia la madre che il fratello l’avevano vista, ma niente era successo. Si era arresa al pensiero di esser stata dimenticata, o peggio ancora ignorata. Era tornata alla sua vita, doveva fare in modo che gli avvenimenti non fossero stati tempo sprecato, così si era messa in moto per risollevare la sua vita. Ormai arresa e sconfitta ci aveva messo una pietra sopra, fino a quel momento.
L’emozione si stava impadronendo di lei, ma doveva sapere, quindi provò ad essere lucida e chiese “ricordi tutto?” voltandogli il viso per guardarlo negli occhi. Lui inclinò il volto di lato, la guardò seriamente e rispose
 “si, ricordo..... soprattutto questo” e le sfiorò le labbra, lei presa alla sprovvista da quel gesto, si aggrappò alle sue spalle. Sentiva che gli era mancato e al tempo stesso non si capacitava di come fosse possibile, spinta da un’intraprendenza che non sapeva di possedere, lo spinse verso la parete, e quasi non caddero a terra. La voce di Jared la riportò alla realtà: “non ti ricordavo così intraprendente” le sorrise, sfiorandola “sono sempre la pazza che hai conosciuto, piuttosto…non vuoi denunciarmi?” “Dipende da come ti comporterai in futuro…” riprese a baciarla più forte, tenendola stretta a se, godendo del suo profumo.
Era stato quello a riattivarlo, dopo essersi svegliato. Era come se, lo spazio temporale in cui era bloccati, avesse assorbito il suo profumo; e ormai assuefatto, sentiva che mancava qualcosa. Era strano da spiegare, ecco perché non lo aveva detto a nessuno. Ma ricordava tutto, perfettamente, forse ancora meglio del solito. Come se avesse intuito i pensieri di Jared, lei si fermò, rimanendo a pochi centimetri dal suo viso;  “Come sei tornato? Hai creato qualcosa?” Lui distolse lo sguardo da lei e guardando a terra rispose in un bisbiglio “No, ho provato varie volte ma non ne veniva mai niente di buono e la situazione non cambiava. Poi una sera stavo riflettendo, pensavo a dove potessi essere finita…” incrociò lo sguardo incuriosito di lei e le spostò una ciocca di capelli dal viso, continuando “ho iniziato a scrivere qualcosa e mi sono risvegliato in ospedale”
“Quindi stavi scrivendo….”
“Penso che il problema in me fosse un altro…” e le accarezzò la guancia arrossata. Rimase muta aspettando che lui spiegasse, ma lo vide sorridere e poi esplodere in una risata. Ricambiò il sorriso, emozionata nel vederlo tranquillo e rilassato, anche se non capiva cosa ci fosse da ridere. Quando si calmò disse “presto capirai a cosa mi riferisco…” Lei scosse la testa “ posso avere almeno un indizio?”
Lui alzò il viso verso il soffitto, fingendo di soppesare la richiesta, poi tornò a guardarla e annuendo le sfiorò il naso con il suo; le sfiorò le labbra con la lingua finchè non le dischiuse, permettendogli di baciarla come aveva immaginato di fare, da quando l’aveva vista passeggiare timida in quella sala piena di estranei.
 Le diede un ultimo bacio, come per sigillare i precedenti e la fissò aspettando che riaprisse gli occhi. Lei lo guardò confusa chiedendo “Era questo l’indizio?”
Lui annuì, intrecciò le loro mani e guardandosi intorno disse “allora? Non abbiamo tempo da perdere, il mio quadro dov’è?”.


Fine





Grazie a tutti per aver letto e commentato! ^.^ Alla prossima storia, se riesco a scrivere qualcosa che mi convinca ;)
Grazie sopratutto alla Pusher, compagna di sclerate sui Leto e affini, a Nike che ha seguito anche questa mia storia, ad Angela che mi sprona sempre a scrivere ed a stupirla e Pommy che mi riempe sempre di complimenti <3

 






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