Dopoguerra

di orual
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Funerali ***
Capitolo 2: *** La Tana ***
Capitolo 3: *** Fratelli e sorelle ***
Capitolo 4: *** Hogwarts ***
Capitolo 5: *** Nuove conoscenze, vecchi problemi ***
Capitolo 6: *** Il primo Natale ***
Capitolo 7: *** Girare pagina ***
Capitolo 8: *** Molte vittorie p. 1 ***
Capitolo 9: *** Molte vittorie p. 2 ***
Capitolo 10: *** Vivi e morti ***
Capitolo 11: *** Ammissioni ***



Capitolo 1
*** Funerali ***


 Breve premessa.
Con questo (tristerrimo) incipit, ritorno su efp e do inizio ad un progetto lungo, il mio primo. E’ la prosecuzione ideale della mia serie Cronache della Seconda Guerra (che è stata amata assai più di quanto mi aspettassi:), ma non è parte di quella serie perchè tratta, come il titolo suggerisce alle vostre astute menti di lettori, di episodi successi dopo la Seconda Guerra. In un certo senso non abbandono il campo dei miei amati missing moments, perchè tutti i racconti di Dopoguerra si inseriranno tra l’ultimo capitolo dei Doni della Morte e l’Epilogo.
Sarà una raccolta di one-shot più che una storia organica, ma non voglio pormi dei limiti troppo rigidi. Procederà in ordine cronologico, a meno che a volte non mi stanchi e faccia salti in avanti o indietro. Toni, temi e umori varieranno con il variare degli eventi: del resto la vita funziona così.
Gli aggiornamenti... media velocità.
Ora la smetto di concionare e vi lascio alla lettura, ricordandovi che le recensioni sono più che gradite, come sempre.
Non prima di aver ricordato, però, che i personaggi non mi appartengono: sono di J.K. Rowling ed io mi limito a giocarci per personale divertimento!
A presto!

 
Funerali
 
I Babbani osservarono, quel giorno, sciami di gufi che ricordarono a qualcuno uno strano episodio ornitologico di quasi vent’anni prima.
In molti, vedendo nelle strade gruppi a volte molto folti di persone abbigliate in modo eccentrico, pensarono a manifestazioni folkloristiche o ipotizzarono che ci fosse nei pressi un evento musicale hippie.
L’aria quasi vibrava per le Materializzazioni e le Smaterializzazioni che, invisibili ad occhi babbani, avvenivano ovunque. In molti camini, dietro le porte di case intonacate frequentemente in colori insoliti, splendettero fiamme verdi che gettarono qualche riflesso anche sui vetri di finestre che affacciavano su strade frequentate da comuni passanti. Ma nessuno dei normali cittadini inglesi quel giorno sospettò di essersi svegliato in una mattina diversa da tutte le altre, perchè uno dei Maghi Oscuri più potenti di tutti i tempi era morto.
Nella Sala grande, ad Hogwarts, la mattinata trascorse lenta: la professoressa McGranitt aveva personalmente invitato tutti quelli che potevano o volevano farlo ad andare a dormire nelle Torri, anche per sfoltire la massa di persone che affollava la Sala, rendendo difficile il trasporto e la cura dei feriti, il comporre i cadaveri. Non c’erano più parole d’ordine né divisioni. Nelle Sale Comuni delle Case, diversi studenti ed adulti dormivano o riposavano, storditi, sparsi tra le poltrone ed i divani.
Harry, Hermione e Ron percorsero automaticamente la strada dall’ufficio di Silente fino alla Torre di Grifondoro, e poi, con un brevissimo sguardo di consultazione, si avviarono insieme su per la scaletta del dormitorio maschile. Hermione si sentiva assolutamente incapace di staccarsi dagli altri due, o di provare anche solo la curiosità di vedere che cosa fosse avvenuto del suo letto o della stanza dove aveva dormito per sei anni. Così arrivarono insieme nella stanza che era stata di Harry e Ron. Tre dei cinque letti erano dismessi, con i materassi arrotolati: quelli di Harry, Ron e Dean, che non erano tornati a scuola a settembre. Anche gli altri due, però, avevano l’aria di non venire usati da giorni. I tre ristettero un attimo sulla porta, ed Harry mormorò:
-Hermione, non è che conosci un incantesimo per rifare uno dei letti?
-Non ce n’è bisogno- replicò Ron. Gli altri due si voltarono a guardarlo, colpiti. Lui si strinse nelle spalle:
-Vi ho solo accompagnati. Devo tornare giù, da...
-Oh, Ron... veniamo con te!- disse Hermione, con voce stridula. Harry avrebbe voluto annuire, ma aveva l’impressione che non sarebbe mai riuscito a fare tutte le scale fino alla Sala Grande. La stanchezza gli stava piegando le ginocchia.
-Tanto è inutile, dormite. Hai un aspetto tremendo, Hermione, e poi non c’è nulla da... dire o fare, ancora. Io devo andare dai miei. E’ presto per...
...per le condoglianze. Harry mise una mano sulla spalla di Hermione, che sembrava terrorizzata all’idea che il terzetto si separasse e più che intenzionata a seguire Ron. Lui capiva, invece, che i Weasley avevano bisogno di un tempo solo loro per piangere Fred. Ancora non riusciva a realizzarlo davvero, che Fred era morto: la stanchezza gli offuscava i pensieri.
Ron pretese che Hermione si mettesse a letto, con voce ferma. Harry cercò stancamente di aiutarlo a convincerla, prendendola per mano, ed infine lei, riluttante, si coricò nel letto di Neville, e Ron, con un laconico “a dopo” sparì per le scale. Harry non fece in tempo a toccare il letto di Seamus: già dormiva un sonno oscuro e profondissimo, senza sogni.
 
Quando Hermione riaprì gli occhi dovevano essere le due del pomeriggio. Harry dormiva ancora, distrutto, ma si accorse che un altro letto era occupato, nella stanza: Neville, trovando il suo occupato, doveva aver rifatto uno degli altri con un colpo di bacchetta, e russava leggermente con la spada di Grifondoro appoggiata al comodino.
Hermione si alzò senza rumore, e si diresse verso il bagno, per contemplarsi nello specchio e cercare, dopo aver constatato che faceva spavento per il suo pallore e per un brutto taglio sulla fronte, di sistemarsi i capelli inumidendosi le dita, e di far tornare un po’ di colore sul viso, sciacquandosi gli occhi pesti. Avrebbe dovuto anche cambiarsi d’abito: era sporca di sangue, di fango, affumicata, impolverata dai calcinacci. Pensò che l’avrebbe fatto più tardi, perchè sentiva forte l’urgenza di andare da Ron. Così riattraversò la stanza circolare dove Harry e Neville continuavano a dormire, ed uscì senza fare rumore. Fuori dalla porta, quando la socchiuse, trovò Lee Jordan, seduto con la schiena contro il muro. Sembrava affranto.
-Controllavo che nessuno vi disturbasse- borbottò, quando lei lo guardò interrogativa, -Così, tanto per fare qualcosa- soggiunse poi.
-Hai visto Ron?- chiese Hermione sottovoce, anche se conosceva già la risposta.
-Giù con i suoi. Sono tutti intorno a...-
La voce gli si spezzò,  e distolse lo sguardo.
Hermione sentì il cuore pesante, e si affrettò a scendere.
Molti Grifondoro erano in Sala Comune, addormentati sulle poltrone, o a parlare sommessamente tra loro. Seamus le corse incontro con Dean: entrambi la abbracciarono silenziosi, prima di lasciarla proseguire.
Il castello era un rovinoso campo di battaglia, e vederlo in quelle condizioni era così strano, ora che non si combatteva più, che le fece quasi paura. Dappertutto la gioia si mescolava al dolore. Nessuno osava ridere o esultare troppo forte, come si era fatto all’alba, quando era appena finita, per rispetto a coloro che piangevano i caduti. Ogni volto che vedeva, era un tuffo al cuore per il sollievo (“è vivo”). Ma nel contempo l’ansia le torceva lo stomaco al pensiero di coloro che aveva visto cadere. Erano ancora vivi? Chi era morto? 
La Sala Grande ospitava i corpi. In quelle ore erano stati riuniti tutti, ricomposti e deposti in fila su una lunga pedana che aveva sostituito i tavoli delle case. Si parlava piano. C’erano oltre cinquanta morti, e non le ci volle molto per individuare il gruppo di teste rosse dei Weasley, ad una estremità. Col cuore straziato, si rese conto che il torpore del primo sollievo le aveva attutito il dolore incredibile della morte di Fred. Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance mentre camminava lungo la sala verso di loro. Passò oltre il corpo esile di una ragazza, e riconobbe Susan Bones, esanime. Un gruppo eterogeneo di ragazzi ed adulti le stava attorno, e sentì i lamenti fievoli del pianto di Hannah Abbott a fianco dell’amica. Poi scorse il piccolo Dennis Canon, impietrito dal dolore, che sosteneva una donna esile e bionda piegata dal pianto straziante vicino al corpo di Colin. Non sapeva che fosse rimasto, era minorenne... Chiuse gli occhi, bloccandosi in mezzo alla sala, incapace di proseguire. Le lacrime non volevano fermarsi. Poi sentì che qualcuno la prendeva per mano, e riconobbe la stretta.
-Sono qui- disse Ron, e lei aprì gli occhi per guardarlo. Aveva lo sguardo duro, e non piangeva. La strinse a sé silenziosamente, fin quasi a mozzarle il fiato.
-Come... come stai?- chiese lei, cercando di controllare il pianto per non turbarlo ulteriormente.
-Vieni a salutarlo anche tu- disse lui per tutta risposta, e la condusse con decisione lungo la fila dei morti, fino a raggiungere la sua famiglia.
Lei avanzò, avvinghiata a lui. Aveva paura di vedere i volti dei Weasley molto più di quanto temesse di impressionarsi al cadavere di Fred. Erano seduti intorno all’estremità della pedana: Fred era l’ultimo della fila.
Molly sembrava essersi assopita tra le lacrime, avvinghiata alla figlia, che le sosteneva la testa. Percy e suo padre parlavano fitto poco lontano, le teste vicine, ricucendo lo strappo di anni di lontananza. Charlie piangeva piano, tenendo la mano di Fred. Hermione intuì che dovevano averlo fatto tutti, alternandosi, nelle lunghe ore della mattina. In piedi accanto a Charlie, Fleur, la chioma argentea stranamente risaltante tra le rosse teste dei Weasley, un braccio fasciato ed appeso al collo, gli dava dei colpetti sulla spalla.
-Bill ha portato George in infermeria- mormorò Ron –continuava a vomitare... non... non era più in grado di...
Il corpo di Fred era stato lavato e composto. Sembrava dormisse: solo una piega innaturale dei capelli, una strana rigidezza nei tratti denunciavano la verità. Il sussurro di Ron, che spiegava l’assenza di due di loro, fece alzare la testa a Ginny. Anche lei aveva gli occhi asciutti e lo sguardo come scolpito nella pietra. Sillabò, senza emettere alcun suono, in direzione di Hermione:
-Come stai?
-Io... bene. Ginny... mi dispiace tanto!- sussurrò Hermione.
Ginny scosse il capo. Gli occhi castani si riempirono di lacrime, che non uscirono. Ron continuava a tenere stretta Hermione, con un braccio intorno alle spalle, come se fosse lei ad aver perso un fratello. Ma Hermione capì che la stringeva anche per controllare il tremito delle sue stesse mani. Si avvinghiava a lei.
-Hermione!- la voce gentile di Arthur, anch’essa sussurrata, -Come stai?
Come stai?Sembrava che nessuno riuscisse a trovare altre parole. Hermione le sentiva sussurrare anche intorno a sé, tra le streghe ed i maghi che si incrociavano su e giù per la sala, come naufraghi scampati all’affondare di una nave che a malapena si capacitano di essere vivi e che anche altri lo siano, con tanta morte intorno.
-Bene, grazie, signor Weasley.
Lui annuì. Gli occhi sempre cortesi erano velati da una patina di sgomento,  e non sembrava del tutto in sé. Percy gli si avvicinò, tenendogli una mano sulla spalla. Si controllavano a vicenda, perchè nessuno crollasse: Hermione se ne rese conto. Percy, Ginny, Ron e Bill sembravano aver mantenuto, non sapeva come, una specie di calma per sorreggere i quattro che invece erano crollati. Si chiese quando sarebbe venuta la loro volta.
Molly si riscosse ed aprì gli occhi. Hermione aveva temuto quel momento, e non resse il suo sguardo affranto e vacuo. La signora Weasley, al contrario del marito, non la salutò, né diede segno di averla vista. Ron e Ginny si scambiarono uno sguardo, poi Ginny mormorò alla madre, che continuava a tenerla avvinghiata:
-Mamma, c’è Hermione.
Molly alzò gli occhi su di lei, ma pareva non riuscisse a tenerli fermi. Le lacrime avevano ripreso ad inondarle la faccia devastata, ma piangeva in silenzio e senza singhiozzi.
-Oh, cara...- disse solo, prima di tornare a chinarsi su Fred.
-Mamma è la più... la più sconvolta...- sussurrò Ron. Aveva una voce stridula ed innaturale, e sembrava un vecchio.
-E’ naturale...- si affrettò a bisbigliare Hermione –Forse è meglio che vi lasci so...
-No!- la interruppe Ron, stringendole il braccio –Per favore... resta. Siamo già stati soli a sufficienza...
-Sta arrivando Harry!- osservò Percy, che aveva costretto il signor Weasley a sedersi, ed i due e Ginny si voltarono di scatto.
Al suo passaggio la sala sembrava gelarsi. Molti parenti in lacrime lasciarono i loro morti per abbracciarlo e ringraziarlo, nonostante il lutto, e questo sembrava più di quanto Harry potesse sostenere: tremava, pallido. Hermione alzò il braccio per fargli cenno, staccandosi un momento da Ron ed andandogli incontro e lui si precipitò a raggiungerla, quasi di corsa.
La abbracciò, mormorandole -Perché non mi hai svegliato?- in tono di rimprovero.
-Oh, smettila. Neanche tu lo avresti fatto se ti fossi alzato per primo- ribatté lei.
-Come... stanno?
-I genitori di Ron sono...- le sfuggì un singhiozzo –affranti. George è stato portato in infermeria, e anche Charlie... Per ora sembra che Ginny, Ron, Bill e Percy reggano.
Aveva fatto appena a tempo a dirgli tutto questo, che raggiunsero gli altri, ed Harry poté abbracciare Ron. Alla sua comparsa anche la signora Weasley sembrò riscuotersi, e mormorò flebilmente:
-Harry, caro... spero che tu abbia potuto riposare.
-Certo, signora Weasley- rispose Harry.
Il suo sguardo vagò sul corpo di Fred, poi andò oltre, ed Hermione, che lo seguiva con gli occhi, sussultò notando per la prima volta che Lupin e Tonks erano stati deposti proprio accanto. Sapeva già che erano morti: Tonks, in particolare, l’aveva vista cadere, colpita da una maledizione, e si ricordò che in quel momento era tanto presa dalla foga del combattimento che aveva pensato solo a cambiare posizione perchè Ginny non rimanesse scoperta sulla sinistra. Accanto ai due corpi non c’era nessuno a vegliare: si chiese se la madre di Tonks avesse già saputo. Con Harry, si avvicinò alla coppia distesa: anche a loro era stato prestato l’estremo ossequio, ed i corpi erano lavati ed in ordine. I capelli di Tonks si erano assestati, con la morte, sul suo colore naturale, un castano molto scuro e lucido: Harry glieli sfiorò e mormorò:
-Non ho mai saputo di che colore li avesse davvero.
Insieme, fecero un piccolo, strano sorriso.
-Harry, sei il padrino di Teddy, te lo ricordi?- lo interpellò Hermione timidamente, e subito vide il sorriso di lui gelarsi sul volto.
-Avevo... avevo quasi dimenticato...
-Immagino che sia con sua nonna.
-Già. Hermione...
-Dimmi.
Ma Harry sembrava distratto da quel pensiero: passarono vari istanti prima che riprendesse, lentamente:
-Dovrei... occuparmi del bambino, no? Come Sirius avrebbe voluto fare con me. Credi che...
La guardò con una strana ansia dipinta in viso.
-Penso che Remus lo avrebbe voluto. Ma lui... lui è più fortunato di te, Harry, e credo che sua nonna se ne prenderà cura molto meglio di quanto non abbiano fatto i tuoi zii.
-Sì, però...
La conversazione a bassa voce tra i due fu interrotta dalla professoressa McGranitt, che parlava dall’estremità della Sala dove un tempo stava la tavola dei professori, ma che sicuramente veniva udita per magia anche in tutto il resto del castello. La professoressa aveva un braccio al collo, ma per il resto sembrava incolume.
-Scusatemi. Questo è un giorno di grande gioia per noi, e di grande dolore. Ho parlato con gli altri docenti e con l’attuale ministro della Magia ad interim, il signor Shackelbolt. Abbiamo ritenuto opportuno celebrare i funerali solenni delle vittime della Battaglia di Hogwarts questa sera stessa. Naturalmente, le famiglie che desidereranno per i loro cari esequie private sono libere di portare via i... resti dei congiunti, e riceveranno tutto l’aiuto che ci è possibile dare. Prevediamo una grande affluenza da tutta la Gran Bretagna. Abbiamo stabilito l’ora per le sei di questa sera, presso il lago. Ci sembra giusto che le vittime possano riposare... nel luogo che hanno difeso, accanto alla tomba del Professor Silente, come caduti non degni di un minor onore.
Gli Elfi Domestici mi pregano di ricordare che le cucine sono aperte a chiunque abbia bisogno di ristoro. Inoltre, su incarico di Madama Chips invito nuovamente tutti a recarsi da lei in Infermeria, almeno per una visita di controllo. Non lasciamo che lo shock ci permetta di trascurare ferite e lesioni che potrebbero aggravarsi.
-Dovresti andarci anche tu- disse Harry guardandola, -quel taglio è proprio brutto.
Sarebbe stato bello potersi preoccupare solo di quel genere di ferite.
 
Il pomeriggio di maggio cominciava appena a sfumare nella sera quando la riva del lago cominciò a gremirsi di gente. Venivano dal castello, dal parco, dai cancelli di ingresso, dopo essersi Materializzati sulla soglia, in file silenziose come piccole processioni. Appena qualche brusio, che si spegneva quando arrivavano in vista delle lunghe, terribili file di salme, avvolte in lenzuoli dal biancore argenteo e deposte sulle lastre di marmo che presto si sarebbero chiuse su di loro. Hermione era sicura di aver riconosciuto il corpo di Colin Canon, così piccolo da parere rattrappito in mezzo agli altri. Le prime file di sedie erano riservate ai parenti, e con un movimento quasi automatico lei ed Harry fecero per staccarsi dal gruppo dei Weasley, che procedevano come aggrumati intorno ai genitori ed a George, per sorreggerli, avvinghiati gli uni agli altri. Ron si voltò immediatamente per far loro cenno di seguirli, ed anche il professor Lumacorno, che continuava a ripetere “Solo i parenti” davanti alle prime file di sedie, con un’aria compunta che parve irritare Harry, fece loro:
-Oh, signor Potter, signorina Granger... passate, passate pure.
E continuava ad arrivare tanta e tanta gente... all'apparenza, tutti i maghi e le streghe della Gran Bretagna. Vide Terry Boot cereo in volto, seduto in prima fila accanto a quelli che non potevano che essere i suoi genitori, per quanto gli somigliavano, e si rese conto che anche lui doveva aver perso qualcuno. Un fratello più grande, forse? Le era parso di aver visto un Auror del ministero con folti ricci castani, come Terry... E tutti quelli che erano stati al funerale di Silente, e tutti, tutti gli studenti che aveva conosciuto, visto o solo incrociato nei corridoi lungo i suoi anni di scuola... tranne i Serpeverde, ma c’era persino qualcuno di loro. Tutti gli anni che Hermione aveva trascorso nel mondo magico erano riuniti, coagulati nel prato vicino al lago: questo, più di ogni altra cosa, le diede la fortissima sensazione di star vivendo il momento di svolta della sua vita. Adesso capiva fino in fondo quanto fosse epocale quello che avevano fatto. Eppure, era strano rendersene conto ora che quel pensiero non le dava alcuna gioia.
Sapeva che famiglie e parenti dei Mangiamorte caduti erano venuti presto nel pomeriggio, e la McGranitt aveva loro permesso di portare via i corpi dalla saletta laterale dove erano stati sistemati i morti della parte avversa. Aveva anche dovuto farsi aiutare da qualche Auror per evitare che qualcuno assalisse quegli uomini e quelle donne vestiti di scuro, le facce contorte in una smorfia di rabbia e paura, dove quasi non restava spazio per il dolore della perdita. Alcuni corpi erano rimasti non reclamati, e si era provveduto a seppellirli poco lontano, in tumuli anonimi sulla riva opposta del lago. Anche il corpo di Tom Riddle, banale ed abbandonato nella morte, aveva subito quella sorte. Sembrava impossibile, impossibile che il mago malvagio, potentissimo, temuto da tutti fino a qualche ora prima, non fosse altro che il cadavere di un vecchio orribilmente sfigurato dagli anni e dal male, brutto, ripugnante quasi, da tumulare senza cura. Nessuno se ne preoccupava più, ed Hermione faceva fatica a rendersi conto che solo il giorno prima, a quella stessa ora, lei, Harry e Ron uscivano fradici e stravolti dal lago in Scozia dove il drago si era tuffato, braccati, inseguiti, disperatamente tesi alla caccia che li vedeva testa a testa con un nemico mortale che ora era... morto.
Ron le stava passando un braccio intorno alle spalle. Come già altre volte, aveva l’impressione che spesso la sua stretta fosse un modo di aggrapparsi a lei oltre che un gesto che rispondeva all'istinto di proteggerla, e gli si strinse, intrecciando le dita con le sue. Harry continuava a guardarsi intorno frenetico, voltando la testa con i movimenti nervosi di un uccello, ed Hermione si chiese perchè insistesse tanto nel farsi del male, guardando chi fossero le persone che li circondavano per identificare i morti.
Quando la McGranitt aveva annunciato che il funerale sarebbe stato quella sera stessa, per un attimo aveva pensato che fosse troppo presto. Ma ora riconosceva la saggezza di chi aveva vissuto altre guerre: meglio salutare i caduti prima che la portata di quanto successo facesse esplodere chi era rimasto, di gioia per la fine della paura, e di dolore. Tutti, intorno a lei, sembravano sull’orlo di un collasso. Harry era sempre più pallido, e la mano di Ron tremava nella sua. Ed i singhiozzi della signora Weasley non erano più sommessi, ma ben udibili...
Il celebrante terminò il suo breve discorso, e con un gesto della bacchetta, imitato da un paio di aiutanti, tutti i corpi scivolarono delicatamente dalle lastre su cui erano posati nelle fosse al loro fianco, e le lastre si spostarono per chiudere i tumuli tutti uguali. Incisi per magia, comparvero i nomi dei morti nel marmo. Poteva vedere fin dal suo posto la scritta Fred Weasley, e la tomba immediatamente vicina era quella comune di Lupin e Tonks, Tonks con i capelli che non cambiavano più colore e che non avrebbe mai più riso, né inciampato in niente, i suoi venticinque anni spenti per sempre nel silenzio di quell’angolo di parco, in quieto riposo accanto a Remus, che non avrebbe più guardato gli altri con i suoi occhi miti e tristi, e mai più sarebbe entrato trionfante in casa d’altri a sera tarda per annunciare che Teddy aveva avuto un fratello, o una sorella...
C’era Andromeda, si rese conto, poco lontano da loro, un bambino in braccio, il piccolo Teddy che loro non avevano ancora mai visto se non in foto, ed il viso senza lacrime, duro ed orgoglioso come quello di una vera Black.
Mentre l’assemblea si scioglieva lentamente, Hermione la vide restare immobile, in piedi davanti alla sua sedia, sola come davvero era, perso il marito, la figlia, il genero nel giro di poche settimane, col bambino che dormiva sulla sua spalla.
-Portiamo la mamma a casa- sentì dire Bill, che aiutava Ginny a sostenerla: la signora Weasley era avvinghiata alla figlia, e lei non faceva nulla per staccarsi, continuando a sorreggerla con occhi sempre asciutti.
Gli altri annuirono.
Hermione non fece in tempo a pensare che non aveva una casa dove tornare –e per la prima volta dopo quella che le sembrò un’infinità, ripensò ai suoi genitori in Australia- che Ron si voltò verso lei ed Harry e disse:
-Venite anche voi, naturalmente.
Loro annuirono, perchè davvero consideravano la Tana come una casa, ma Harry disse:
-Andate pure avanti, io... volevo fare una cosa.
-Io ed Hermione ti aspettiamo- ribattè Ron.
Lo videro avvicinarsi ad Andromeda, e parlarle sommessamente, distogliendola dalla sua contemplazione muta ed orgogliosa.
-Forse era troppo presto- mormorò Hermione, timorosa che una risposta brusca della donna potesse abbattere ulteriormente Harry.
-No, guarda...
Andromeda stava lentamente porgendo il bambino ad Harry, che lo prese in braccio, goffo come tutti i ragazzi, e lo accarezzò. Hermione sentì che le lacrime, stranamente rimaste bloccate nei suoi occhi per tutta la durata del funerale, sgorgavano e le inondavano le guance. Contro il sole che tramontava dietro al lago (il sole che era sorto quella mattina in tempo per vedere Voldemort sconfitto) scorsero appena la shilouette nera di Harry che restituiva il bambino ad Andromeda, alla quale il vento leggero spingeva i capelli dietro le spalle.
-Ci vediamo presto, signora Tonks- lo sentirono dire. Mentre tornava verso di loro, Ron che la stringeva da dietro, il mento appoggiato sulla sua spalla, mormorò, posandole un bacio sulla guancia:
-Ricomincerà tutto, non è vero? Voglio dire, in qualche modo... ricomincerà la vita normale.
Sentiva il dolore per Fred vibrare forte nella sua voce.
-Certo- mormorò Hermione.
Harry li raggiunse, e consultandosi con un solo sguardo, si incamminarono verso i cancelli, per Smaterializzarsi, seguendo gli ormai pochi gruppetti di gente rimasta. Hermione si voltò indietro un’ultima volta, e la sua esclamazione sommessa fece girare anche i due ragazzi.
Un’altra figura camminava, esitante e schiva, verso Andromeda, che era rimasta praticamente sola sulla riva del lago.
-E’... è lei?- chiese Hermione bisbigliando.
-Credo di sì- rispose piano Harry.
Narcissa Malfoy ristette qualche istante vicino alla sorella, curva e come oppressa da stanchezza e vergogna, ed il vento non recò traccia delle loro voci. Ma poi Andromeda tese la mano che non sorreggeva il nipote, e lasciò che la sorella la stringesse tra le sue, e la brezza portò l’eco di un singhiozzo che nessuno di loro tre avrebbe saputo attribuire all’una o all’altra.
-Ricomincerà- mormorò Hermione.
Poi si voltarono, per uscire dal parco del castello e tornare alla Tana.
 
 

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Capitolo 2
*** La Tana ***


 Auff! Che fatica, ragazzi! Però sono di nuovo qui, con il secondo capitolo, e sono contenta che il progetto prenda forma. Ho alcune cosette da dire, ma lo faccio in fondo, per lasciarvi leggere in pace.
A voi!

 
La Tana
 
Era una primavera meravigliosa, quella. Le colline, intorno alla Tana, erano una profusione generosa di alberi fioriti, e non si vedevano altro che cieli azzurri da quando tutto... era finito. Due settimane, anzi, quasi tre, pensò Ron, cercando di appoggiare ordinatamente sul letto le cose che andava togliendo dal suo armadio. Erano state appena sufficienti per riaprire la Tana, quelle settimane, dopo il soggiorno della famiglia da zia Muriel il mese precedente alla battaglia finale, o almeno così pareva a Ron. Gli sembrava di non aver fatto altro che spolverare, o forse si era costretto a farlo per distrarsi. Le faccende di casa erano una delle cose più adatte a svuotare la mente: l’insegnamento che aveva ricevuto da Fleur a quel proposito, nel periodo che aveva passato a Villa Conchiglia quell’inverno, si era rivelato nuovamente provvidenziale. La guerra finita, la ricerca degli Horcrux terminata... avevano lasciato spazio libero nella sua povera testa, dopo un anno intero in cui non aveva pensato che a quello. E lo spazio libero rischiava di venire occupato da troppe cose: Fred e la sua assenza che echeggiava ovunque, per esempio, oppure cosa fare del suo futuro, oppure... oppure Quello.
Lo stomaco che brontolava lo avvertì che era quasi ora di pranzo, e lasciando perdere la biancheria sul suo letto, prese a scendere le scale: se a nessuno degli altri quel giorno era venuto in mente di cucinare, ci avrebbe pensato lui. Per ospitare ben nove persone al momento, la casa era incredibilmente silenziosa, in quei giorni: i suoi passi suscitarono echi per rampa di scale, mentre scendeva.
In cucina, però, trovò che qualcuno lo aveva preceduto: Hermione frugava gli scaffali più alti in punta di piedi, e sul fuoco c’era già una pentola dalla quale cominciavano a sollevarsi sbuffi di vapore. Si voltò quando lo sentì arrivare.
-Oh, sei tu... ho pensato che... potevo darmi da fare, vista l’ora, e...
Ron la raggiunse e prese senza sforzo dallo scaffale la ciotola che lei non riusciva a raggiungere, porgendogliela.
-Sì, venivo giù per questo. Ero a preparare i bagagli.
Hermione si irrigidì.
-Ron...
-Senti, risparmiami la discussione, per favore. Ne abbiamo già...
Inciampò in qualcosa che era stato lasciato per terra, ed imprecò sottovoce. Poi si chinò a raccoglierla.
-Che accidenti...?- cominciò, osservando la bottiglia vuota di Whisky Incendiario. Hermione esitò, con gli occhi pieni di tristezza. Ma la risposta venne da Ginny, affacciatasi in quel momento alla porta, con una tazza vuota in mano che posò nel lavello.
-George- disse solo.
-L’ha rifatto?- chiese Ron.
Era la seconda volta in pochi giorni che trovavano una bottiglia vuota.
-Credevo di averle buttate tutte.
-L’ha trovata in dispensa, credo. Mamma ne teneva una per farci le ciliegie sotto spirito... mi è venuto in mente adesso- rispose Ginny, in tono incolore.
-Quel... cretino!
-Ron...- lo interruppe Charlie, che veniva da fuori, con aria paziente.
-Dov’è?
Charlie accennò all’aia con il mento: sotto un albero, vicino al muretto posteriore del pollaio, tutti poterono vedere George seduto a fissare il vuoto.
-Almeno oggi è uscito- osservò Ginny. Era la prima volta dopo tre settimane. –Ron ha ragione, Charlie. Fred lo ammazzerebbe se lo vedesse.
Entrambi i fratelli sbiancarono a sentire il nome di Fred, ma Charlie si riprese immediatamente, e disse, brusco:
-Ognuno di noi reagisce come può. Guarda la mamma. Bisogna avere pazienza.
Ginny abbassò lo sguardo, fece una specie di alzata di spalle rabbiosa e se ne andò: la udirono risalire le scale. Passava quasi tutto il suo tempo con la mamma, in quei giorni. Tutti cercavano di non lasciare mai da soli lei, il papà e George. Il papà però era innocuo, nel dolore come in tutti i suoi aspetti, rifletté Ron, e si limitava a passare buona parte del suo tempo nel capanno, tra i suoi aggeggi babbani. Era chiaro che si sforzava di reagire: quando gli si parlava aggrottava dolorosamente la fronte, in uno sforzo patetico di rispondere a tono e cortesemente. La mamma andava peggio. Girava per la casa facendo le pulizie, o cucinando agli orari sbagliati, quando neanche Ginny riusciva a costringerla a letto. Avrebbe potuto sembrare uno sfogo equivalente a quello del capanno per il papà, ma non rispondeva a tono e terrorizzava i figli con l’evidenza del suo essere poco lucida. E George...
-Dobbiamo solo aspettare. Avere pazienza- ribadì Charlie.
La zuppa sul fuoco tracimò, tra sfrigolii di vapore, ed Hermione si riscosse, precipitandosi a girarla con la bacchetta. Usava ancora quella di Bellatrix, anche se il signor Olivander gliene aveva promessa una nuova. Di fatto, pensò Ron, non aspettavano che l’arrivo del pacco di Olivander per partire...
Lei ed Harry avevano fatto del loro meglio per sparire, in quei giorni. Si erano sobbarcati il loro carico di lavoro nelle pulizie, certo, e giravano per la casa come tutti, ma sembrava non si sentissero in diritto di soffrire con gli altri o di mostrare il loro dolore davanti a quello dei familiari. Harry aveva chiesto a Kingsley di far sì che lui, ma anche gli altri abitanti della Tana, poco meno celebri, venissero lasciati in pace, ed il Ministero aveva imposto una protezione intorno alla vecchia casa, per tenere lontani i curiosi. Lui quel giorno non c’era: era andato a trovare Andromeda e Teddy Tonks, per la prima volta dai funerali. Hermione lo incoraggiava molto nel suo intento di coltivare i rapporti con quella famiglia, ed anche Ron lo avrebbe ritenuto salutare per l’amico, se solo fosse riuscito a trovare il tempo di... soffermare la sua mente anche su quello.
Hermione tolse la zuppa dal fuoco, e Ron terminò di apparecchiare, preparando tutti i posti, nonostante George e la signora Weasley non mangiassero quasi mai con loro.
-E’ pronto!- gridò poi, e sentirono Percy scendere, il signor Weasley rientrare, e Ginny argomentare per costringere la mamma a tornare di sotto per il pranzo.
Un altro giorno che seguiva il suo corso.
 
-Cedro e corda di cuore di drago. Dieci pollici. Resistente. Davvero niente male, Hermione- osservò Percy, prendendole di mano la bacchetta nuova ed avvicinandosela agli occhiali cerchiati di corno. Sul tavolo ancora occupato dai resti della colazione stavano due pacchi lunghi e sottili, appena disfatti, e Charlie e Ginny osservavano con interesse Ron ed Hermione estrarne gli oggetti che vi erano contenuti. Il signor Olivander era stato gentilissimo a mandare loro così presto quelle nuove bacchette. Il gufo che le aveva recapitate aveva portato anche una lettera molto cortese:
 
“Vi prego sinceramente di informarmi se doveste riscontrare qualsiasi tipo di difficoltà con le vostre nuove bacchette. Le mie condizioni di salute mi impediranno di riprendere una regolare attività fino all’autunno, ma le mie scorte e la conoscenza pregressa delle bacchette che vi avevo venduto sono state sufficienti per realizzare degli strumenti che, umilmente, ritengo possano servirvi piuttosto bene. Resto sempre il vostro debitore
T.L.Olivander”
 
-E’ stato davvero gentile- commentò Hermione, appoggiando il foglio di pergamena accanto alla sua tazza di tè. Ron osservava con attenzione la sua bacchetta nuova, fatta di legno di pioppo, con un nucleo di crine di unicorno. La provò con un gesto distratto, e sorrise, compiaciuto:
-E’ quella giusta. Il vecchio Olivander è veramente un mago, nel suo mestiere.
Non era stato possibile recuperare le loro bacchette, rimaste a Villa Malfoy dopo la loro fuga: al momento tutti i possedimenti della famiglia erano sotto Sequestro Ministeriale, in attesa che si aprisse il processo, e comunque avevano convenuto con Harry che le bacchette non avrebbero più potuto servirli bene, dal momento che erano state loro vinte e sottratte.
-Mi manca la mia vecchia bacchetta- osservò un po’ malinconica Hermione, producendo con noncuranza dal nulla un folto stormo di uccelli, che uscirono in uno sbatter d’ali dalla finestra aperta.
-Beh, non mi pare che la tua abilità ne risenta!- fece Harry, appena sceso per la colazione. Percy si strinse a Charlie per fargli posto, ma Ginny si alzò così bruscamente che tutti rimasero interdetti.
-Vado a portare la colazione a mamma- fece, in tono piatto, e tolse la teiera sbeccata dal tavolo, per metterla su un vassoio insieme ad una tazza e un piatto di biscotti.
Uscì come un turbine, lasciando la cucina in preda all’imbarazzo ed Harry più che mai mortificato.
-Perce, credo che dovremmo andare a cercare George. Papà si serve da solo prima di chiudersi nel capanno, e alla mamma ci pensa Ginny, ma credo che sia ora che anche lui riprenda a fare colazione regolarmente- esordì Charlie, afferrando poi il fratello per il gomito e trascinandolo fuori con ancora la forchetta in mano. Harry, Ron ed Hermione restarono soli intorno al tavolo, mentre Harry si accasciava lentamente su una sedia.
-E’... è solo sconvolta per Fred, Harry- fece Hermione, così in fretta da farfugliare.
-Lo siamo tutti- commentò Ron, e lei si affrettò a stringergli una mano sotto al tavolo.
Ginny si era tenuta a distanza da Harry in modo sempre più evidente via via che passavano i giorni, e nessuno in casa sembrava avere la forza per indagare quel comportamento. Ron non si azzardava a fare ipotesi: come aveva spiegato ad Hermione, prendeva atto solamente del fatto che Ginny stava reagendo al lutto in modo diverso da lui, ma del resto questo si poteva dire di tutti loro. Hermione, però era preoccupata per Harry, e trasmetteva la sua ansia anche a lui.
-Devi darle tempo, e...
-Per favore, Hermione. Non ho alcun diritto su Ginny, non stiamo insieme, e suo fratello è appena morto- la interruppe Harry. Sembrava così depresso che Ron sembrò temere che avrebbe sprofondato la faccia nel piatto di bacon che Hermione gli aveva sospinto davanti, e gli mise una mano sulla spalla. Harry si raddrizzò stancamente e li guardò.
-Abbiamo bisogno di tempo, Harry- ripeté Hermione, addolorata.
-Lo so.
-Allora, non ci hai ancora raccontato della tua visita ad Andromeda...- tentò Ron, per cambiare argomento.  Harry era stato a trovare la signora Tonks il giorno precedente. Aveva preso sul serio il ruolo di padrino che Lupin gli aveva affidato prima di morire, ed era chiaro a tutti che si rivedeva nel piccolo orfanello. Interpellato a quel modo, fece un sorrisetto.
-I capelli gli cambiano colore in continuazione.
-Proprio come Tonks- mormorò Hermione, un po’ commossa ed un po’ intenerita, -E lei come sta?
-Puoi immaginare. E’ disperata. Credo che non sia crollata solo perchè sa che deve occuparsi del bambino. Però... è davvero in gamba. Mi piace.
Ron pensò cosa doveva significare perdere così tante persone care in poco tempo. Ancora, non credeva che si sarebbe mai ripreso dalla morte di Fred, nonostante cercasse di pensarci il meno possibile (forse era quello il suo modo di reagire?), eppure aveva Harry, Hermione, e tutti gli altri, che si occupavano di lui o di cui lui si doveva occupare.
Harry si alzò, bloccando le proteste che Hermione aveva già sulle labbra:
-Non ho fame. Non preoccuparti, mangerò qualcosa a pranzo-, ed uscì dalla porta che si apriva sull’aia assolata, probabilmente per un’altra delle sue passeggiate sotto il Mantello. Hermione sospirò, prese la bacchetta nuova e spedì tutte le stoviglie nel lavello, dove cominciarono a rigovernarsi da sole con un acciottolio tranquillo. Qualche altro colpo di bacchetta, e la cucina era sistemata.
-Dovresti insegnarmi- osservò Ron, carezzando con un dito la sua bacchetta nuova.
-Anche se ti insegnassi, non lo faresti- rimbeccò lei.
-Non è vero!- rispose Ron indignato –Hermione, sei ingiusta. Dopo Natale sono molto migliorato, lo avevi ammesso anche tu.
Lei gli fece un sorriso, ed uscì a sua volta dalla cucina, facendo udire i suoi passi sulle scale.
La guerra aveva cambiato tutto, pensò Ron, seduto nella cucina vuota. Forse Ginny aveva bisogno di un po’ di tempo. In fondo non aveva visto Harry, né aveva avuto sue notizie per mesi e mesi, e non era facile ricucire un simile strappo. Doveva essere per quello che lui ed Hermione invece erano più vicini che mai, in quei giorni. Ma anche per loro non era tutto uguale, rifletté, girando senza accorgersene il cucchiaino nella tazza già vuotata, che gli era rimasta in mano e che quindi non era finita nel lavello con le altre. Dopo la battaglia non avevano ancora parlato di... Quello. Sembrava troppo poco importante rispetto a tutto il resto. Forse il fatto che Hermione continuasse a ripetere che non voleva che la accompagnasse in Australia, era un rifiuto in qualche modo paragonabile all’ostilità di Ginny per Harry. Perchè non lo voleva? Lui, in quei giorni, non desiderava altro che starle accanto, al punto da sentirsi leggermente in colpa nei confronti di tutti gli altri, e l’idea che lei facesse un lungo viaggio da sola era praticamente insopportabile. Il pensiero gli fece venire in mente che Hermione aveva annunciato che sarebbe partita non appena avesse potuto contare sulla nuova bacchetta.
Si alzò, spedì la sua tazza a ripulirsi con le altre e si affrettò a seguire Hermione.
Lei era nella stanza di Ginny, quella dove aveva sempre dormito nei periodi trascorsi alla Tana. Stava riempiendo la sua borsa di perline, e l’immagine era così familiare ed ansiogena per Ron, che gli provocò un momento di vertigine.
-Hermione?
Lei sobbalzò, voltandosi a guardarlo sulla soglia.
-Santo cielo, Ron, mi hai spaventata.
-Stai partendo?
Lei assunse un’aria imbarazzata.
-Beh, sì, lo sai. Devo andare a cercare i miei, non ce la faccio più a... non so neanche dove sono esattamente, e devo andare. Ora ho la bacchetta, sarà tutto più semplice.
Ron annuì.
-Certo, lo so. Volevo solo dirti che...- esitò –che sto finendo le valigie anche io.
Lei, che sembrava aspettarselo, strinse le labbra.
-Ron, ti ho detto che non voglio che tu venga.
-Ma... perchè non vuoi?
Lei si guardò le mani, esitante:
-La tua famiglia ha bisogno di te.
-Anche tu hai bisogno di me- rispose Ron, chiedendosi un attimo dopo se Smaterializzarsi potesse essere la soluzione appropriata, a quel punto. Hermione, però, non sembrava colpita dalle sue parole, e continuava a discutere:
-Oh, beh, questo lascialo giudicare a...
-Non vorrai fare come Ginny?- si lasciò sfuggire Ron, e vide che Hermione spalancava la bocca.
-P-prego?- balbettò.
-Lo sai cosa intendo. Cos’è, una specie di... di rifiuto?
-Ma che stai...?
-Allora perchè non ne abbiamo ancora parlato?
-Di cosa?
-Lo... lo sai!
Lei arrossì.
-Cosa c’entra questo, adesso?
-C’entra, perchè...- Ron si bloccò. Oh, no, pensò, non sarebbe tornato un sedicenne innamorato della propria compagna di classe. Quell’epoca era finita, l’adolescenza si era bruscamente conclusa per tutti loro, ed ora non ci sarebbero state altre scuse.
-A Natale mi hai detto che dovevamo aspettare, ma solo fino alla fine della guerra- fece, fissandola negli occhi. Hermione continuò a diventare lentamente rossa come un pomodoro. Per un attimo ebbe l’aria più che esplicita di star pensando che non immaginava che la guerra sarebbe finita tanto improvvisamente, poi bisbigliò:
-Ron, tutto questo non c’entra nulla con... con i miei genitori. Io devo partire per ritrovarli, e tu devi restare con i tuoi. Le nostre famiglie hanno bisogno di noi.
-Tu fai parte della mia famiglia, Hermione. Tu ed Harry fate parte della mia famiglia.
-Io... oh, Ron, lo so, è così bello da parte tua, e...
-E comunque io sono innamorato di te.
La bacchetta di cedro sfuggì dalle dita di Hermione e cadde con un colpo secco e nitido sul pavimento di legno della stanza. Ron sentì che la bocca gli si asciugava e che la gola gli si seccava, e fu soddisfatto di aver detto quelle parole, visto che probabilmente non avrebbe mai più parlato in vita sua. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, si limitò a guardare Hermione, che da rossa che era diventava pallida. Negli occhi di lei fiorirono due lacrime che rotolarono in sincronia sulle sue guance.
Naturalmente lo sapevano entrambi, ma Hermione forse pensava che lui non l’avrebbe mai detto così esplicitamente, e nel mezzo di una discussione, poi.
-Da anni- aggiunse Ron, e si sentì soddisfatto: dopotutto era riuscito a dire qualcos’altro, anche se la sua voce era suonata orribilmente stridula.
Hermione non diceva ancora nulla, anzi, intensificò il pianto, che però restava muto, senza singhiozzi. Aveva stretto le braccia intorno al corpo, come per contenere il tremito che la scuoteva tutta. Come se le gambe gli fossero diventate di legno, Ron mosse con estrema difficoltà i due passi che lo separavano da lei. Poi allungò un braccio e le sfiorò una spalla, incerto, e lei gli gettò le braccia al collo, mentre il suo pianto diventava improvvisamente rumoroso, da silenzioso che era stato, come se qualcuno avesse rimosso un Silencio praticato su di lei. Farfugliò qualcosa di incomprensibile.
-C-come dici?- chiese lui, sorreggendola e cercando di decidere se essere spaventato o compiaciuto.
-Lo so!- ripeté Hermione, ficcandogli in bocca i capelli castani, più crespi che mai, e subito dopo alzando di scatto il viso per fissarlo con occhi indecifrabili, tanti erano i sentimenti che vi si affastellavano.
Incapace di resistere oltre, Ron la baciò: era la prima volta che lo faceva, visto che l’unico bacio che si erano scambiati era stato un’iniziativa di lei, si disse in un momento di lucidità, l’ultimo prima che ogni altra cosa fosse cancellata dalla sensazione delle labbra di Hermione che si schiudevano al suo tocco esitante. Lei profumava di acqua di Colonia, come sempre, ed i capelli, colpiti dal sole che entrava dalla finestra, avevano qualche riflesso più chiaro, tendente all’oro, ed indossava un vecchio maglioncino grigio che aveva sempre trovato incantevole addosso a lei, ed aveva le labbra morbidissime, e le sue lacrime gli stavano bagnando la faccia, ed era bello che fosse tanto più piccola di lui e che lui potesse racchiuderla tutta tra le braccia, ed era la sua Hermione, e la guerra era finita, e lei non era rimasta uccisa come nei suoi incubi, anche se Fred era morto, e nulla, nulla avrebbe potuto essere come prima, ma forse qualcosa avrebbe potuto cambiare anche in meglio, e avrebbe continuato a baciarla per sempre, e...
 Quando a malincuore allentò la stretta e le permise di respirare, fece un sorriso storto al vedere quanto fosse rossa in viso. Lei disse solo:
-Oh!- ed abbassò gli occhi, come se la testa le stesse scoppiando per i troppi pensieri.
-Non abbiamo ancora avuto, ehm, il tempo di parlarne, ma...- balbettò lui –la guerra è finita, ed avevamo detto di aspettare, e Fred è morto ed io non voglio sprecare più nulla della mia vita, e...
-Oh, Ron...
-Ma naturalmente non è perchè Fred è morto che voglio stare insieme a te- si affrettò ad aggiungere Ron, temendo di venire frainteso, -è solo che abbiamo perso tanto di quel tempo e... beh, insomma, Hermione, lo sai...
-Oh, Ron...- ripeté Hermione, come incapace di dire altro: la sua parlantina sembrava bloccata. Tirò qualche respiro per calmarsi, appoggiando la fronte al mento di lui, le braccia ancora intorno al suo collo. Sembrò che fossero passati anni, quando parlò.
-Beh, io... io... immagino che potrei avere b-bisogno di una mano per trovare Wendell e Monica Wilkins in una nazione di ventidue milioni di abitanti, e...
Ron, incredulo per la sua capacità di stare al punto, le prese il viso fra le due mani e lo inclinò all’indietro, zittendola immediatamente mentre si guardavano negli occhi:
-Santo cielo, sei incredibile, sai? Mi ero dimenticato che stavamo parlando del viaggio in Australia! Comunque...
-...io... mi piacerebbe tanto che tu venissi con me, Ron. Solo che... io pensavo che ci servisse ancora tempo per parlare di... Quello, e poi...
Anche lei chiamava tutta la questione dei loro sentimenti Quello! Ron pensò che probabilmente, a dispetto delle apparenze, erano sin troppo simili, e rise. Rise di cuore, per la prima volta da settimane.
-...e non volevo toglierti ai tuoi finché non fosse stato chiaro quello che c’era tra noi e...- continuava lei imperterrita.
-Altro tempo? Hermione, tu sei matta!- la interruppe lui.
Lei lo guardò, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò timidamente, allontanando poi il viso subito per impedirgli di zittirla a lungo, come lui già si accingeva a fare con molta buona volontà:
-Comunque... anche se vado da sola, non devi preoccuparti di... Quello. Devi fare ciò che è meglio per i tuoi, ed io me la caverò benissimo, e quando tornerò... beh, ci sarà tempo. Per me ed Harry hai già dato così tanto che...
Fu allora che si ripresentò agli occhi di Ron l’immagine di Fred morto. Prima era certo di voler andare, perchè perdere di vista Hermione e lasciare che i tenui fili di Quello, tessuti con tanta fatica attraverso la guerra, si sfilacciassero, gli sembrava una cosa che non sarebbe riuscito a sopportare, neanche se la separazione fosse durata un giorno soltanto. Ora però tutto era chiaro tra loro, e forse, la saggezza di Hermione avrebbe potuto convincerlo a restare. Pensò a sua madre con Ginny sempre accanto, agli occhi spenti di suo padre. In quei giorni non aveva mai trovato il tempo o il coraggio di sedersi con lui nel capanno e fargli semplicemente compagnia. Però Hermione era fragile e sola, mentre gli altri erano tanti... ecco a cosa serviva essere in tanti: a sostenersi.
-Tu... sei sicura che riusciresti a cavar...
-Ma sei scemo, Ron?
La voce di George, aspra sulla porta della camera, li fece sobbalzare entrambi. Con la coda dell’occhio, Ron vide Hermione diventare pallida come un cencio, e fu sicuro di essere sbiancato a sua volta. Lei fece per divincolarsi dal suo abbraccio e non ci riuscì solo perchè lui, istintivamente, aveva irrigidito la presa sulla sua schiena.
-G-George...- cominciò.
-Dille che vai. Non la lascerai andare da sola? Tanto cosa resti a fare qui?
Hermione fece uno strano suono, a metà tra un sospiro ed un gemito, mentre Ron si sentiva tremare le mani.
-Io... voi come...?
-Ce la caveremo.
Era pallido, George, l’ombra di se stesso, gli occhi come annegati nel gonfiore e nelle occhiaie che circondavano le iridi, la barba lunga, le labbra screpolate, ed aveva parlato con un tono rauco che denotava come non aprisse bocca da settimane.
-E allora... tu smettila col Whisky Incendiario!- ribatté Ron, senza avere idea di dove avesse trovato il coraggio di dire una cosa simile. George alzò le spalle e fece una strana smorfia.
-Tanto me lo avete buttato via tutto.
-Perché eri così idiota da continuare!
Era stata Ginny a parlare, anzi, a gridare alle spalle del fratello, comparendo all’improvviso sul pianerottolo. Negli istanti di silenzio che seguirono, Percy si affacciò dalla ringhiera del piano superiore, e Charlie salì le scale. Stavano tutti lì a guardarsi, sul disimpegno ridicolmente stretto, con George come incorniciato dalla porta della camera delle ragazze, che non guardava nessuno di loro.
-Non è facile per nessuno- disse lentamente Charlie, come aspettandosi che qualcuno esplodesse da un momento all’altro, -...qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?
-Ron vuole accompagnare Hermione a cercare i suoi genitori. Gli ho detto di farlo- fece George con voce atona.
-Beh, ma certo, fa benissimo...- rispose Charlie.
Ron non chinò la testa per guardare Hermione, ma a giudicare dal tremito che avvertiva tenendola abbracciata, dedusse che solo perchè la sua bacchetta giaceva ancora per terra non si era Smaterializzata lasciandoli a dirimere le loro questioni familiari.
-N-non era così scontato- disse –La mamma sta male, e papà...- prese un respiro -...e tu, George...
-Beh, cosa pretendi?- esplose inaspettatamente George. Respirava forte: si reggeva con una mano allo stipite, e Ron ricordò che probabilmente non mangiava sul serio da giorni –Cosa pretendi?
-Io... n-niente, solo che...- rispose Ron, spaventato e sconvolto per gli improvvisi sbalzi di reazione del fratello.
-Solo che Fred non avrebbe voluto che...- cominciò invece Ginny, dura, ma George si voltò verso di lei con una furia che nessuno di loro aveva mai usato verso la sorella, e prima che chiunque potesse intervenire, la colpì.
-Non osare! Non OSARE dirmi cosa Fred avrebbe o non avrebbe fatto!
-Smettila!-urlò Charlie sconvolto, trattenendogli il braccio e quasi sorreggendolo, visto che barcollava, mentre Percy scendeva di corsa i gradini che lo separavano dagli altri e Ron lasciava Hermione, che lo stava spingendo via, per correre verso Ginny, che fissava George con gli occhi spalancati, tenendosi scioccata una mano sulla guancia dove il fratello l’aveva colpita.
George cadde in ginocchio di schianto, e cominciò a piangere: un pianto disperato e furente che sembrava squarciare l’aria, con singhiozzi simili a latrati. Charlie si era inginocchiato con lui, trattenendogli le spalle come poteva, e Ron sentì che anche Ginny -Ginny!- piangeva tra le sue braccia, squassata dai singhiozzi, e Percy si era chinato al fianco degli altri due con le lacrime che scorrevano da sotto gli occhiali cerchiati di corno, ed Hermione, che adesso stava dirimpetto a lui, inquadrata dalla porta della camera, piangeva in piedi con  il viso nascosto tra le mani, e certamente stava pensando che non era giusto che lei fosse lì, perchè ancora credeva di essere un’ospite.
Si chinò, per assecondare il movimento di sua sorella, e anche loro due raggiunsero gli altri sul pavimento, tutti e cinque sconvolti, mentre il dolore per Fred sembrava rimbalzare sulle pareti del pianerottolo e colpirli e colpirli ancora. Poi Ginny si allungò verso George, lo sfiorò, e George scattò in avanti per abbracciarla, soffocandola nella sua stretta, mentre lei si avvinghiava al suo collo.
Tutte le lacrime del mondo non sembravano sufficienti a piangere per Fred.
 
Era un’alba tersa, ed erano venuti tutti a salutarli: persino la signora Weasley. I figli avevano discusso per decidere se dirle che Ron partiva di nuovo, timorosi delle sue possibili reazioni, ma Bill, consultato da Ron in merito alla questione, aveva deliberato di chiedere al signor Weasley, ed il signor Weasley si era pulito gli occhiali, era uscito dal capanno, era entrato nella camera da letto sua e della moglie e le aveva comunicato la notizia semplicemente, seguito dal codazzo attonito dei figli. E la signora Weasley si era alzata dal letto ed aveva detto, con lo sguardo meno assente che le avessero visto in quei giorni:
-Ronnie, caro... tu ed Hermione avrete bisogno di biancheria pulita da mettere in valigia.
Adesso, i due coniugi stavano in piedi uno a fianco dell’altra, terribilmente sciupati ed invecchiati, a guardarli partire. Si sarebbero Smaterializzati subito fuori dal cortile, diretti ad Heathrow, e c’erano un paio di Auror a qualche metro di distanza, che verificavano che nessuno importunasse la famiglia, nonostante avessero scelto di partire all’alba proprio per evitare i curiosi. Hermione aveva deciso di viaggiare in aereo fino a Sydney: Smaterializzarsi era improponibile ad una distanza così grande, e Ron aveva acconsentito senza fiatare, anche se sarebbe stato il primo aereo che avrebbe preso in vita sua. Avevano immagazzinato i bagagli nella borsa di perline, ma una volta all’aeroporto avrebbero dovuto tirarli fuori, per non dare troppo nell’occhio affrontando un volo intercontinentale con un minuscolo bagaglio a mano. Ron teneva un braccio intorno alla vita di Hermione, disegnando con la manica del suo golf infeltrito una striscia marrone sulla giacchetta chiara di lei.
George teneva Ginny vicina a sé, un braccio intorno alle sue spalle. Non aveva ricominciato a mangiare regolarmente, in quei tre giorni, ed i fratelli lo tenevano tacitamente d’occhio come prima, ma dopo l’esplosione erano tutti più tranquilli, in qualche modo.
Harry baciò Hermione sulle due guance. Le aveva offerto di venire con loro, ma lei aveva rifiutato decisamente. Pensava che avesse diritto ad un po’ di tranquillità, ed in un momento in cui Ron non c’era, gli aveva suggerito di non restare sempre alla Tana. Non riusciva a togliersi dalla testa cosa avrebbe potuto accadere ad Harry, con la sua mania di sentirsi sempre il responsabile di tutto, se avesse potuto assistere alla scena del pianerottolo. Probabilmente non avrebbe neanche capito che quello sfogo aveva fatto bene a tutti. Ma la strada era ancora lunga, per ciascuno di loro, e lei pensava che Harry avrebbe dovuto stringere più legami possibili con Teddy: un rapporto tutto nuovo, senza aspettative o compiti da portare a termine, per una volta nella sua vita.
-Se non tornate entro due settimane vengo a cercarvi- fece lui, cercando di scherzare, ma un po’ abbattuto.
Si teneva il più lontano possibile da Ginny, evitava persino di guardare dalla sua parte. Un altro problema in sospeso, pensò Hermione sospirando, ma ci sarebbe stato un tempo anche per quello... ci sarebbe stato un tempo per tutto,  un’intera vita per ricostruire, progettare, pensare... adesso doveva pensare ai suoi genitori, e poi si sarebbe occupata di... tutti. Abbracciò forte Harry, si voltò a salutare con la mano anche Charlie, Percy un po’ in disparte come sempre, Bill e Fleur arrivati da Villa Conchiglia per l’occasione.
 Poi strinse forte la mano di Ron, Ron che la guardava con una tenerezza che le toglieva il fiato e che non l’avrebbe mai lasciata sola, e girò sul posto, Smaterializzandosi con lui.
 
 
Allora. Era la prima volta in assoluto che descrivevo una scena apertamente romantica, completa di dichiarazione (!!) e bacio, tra Ron ed Hermione. Finora, come sa chi ha letto le altre mie storie, ho sempre lasciato il romanticismo ad un livello molto “platonico” ed implicito, perchè volevo lasciare il primo bacio a zia Jo, come di dovere. Avevo ed ho una gran paura di sbrodolare, giunta al dunque, quindi ho riscritto la scena una ventina di volte prima di ritenerla io stessa più o meno “funzionante”. Però ho bisogno urgente dei vostri riscontri.
Poi, Fred. Dunque, questo capitolo non doveva parlare di Fred, ma la scena si è scritta da sola. Cioè: siamo alla Tana e Fred è morto. Come si fa a lasciare la cosa in secondo piano, anche se vogliamo parlare di Ron ed Hermione? Comunque ci sarà un capitolo, anzi, più di uno, dedicato più specificamente a George ed ai suoi sentimenti. Non so se la scena della crisi vi è sembrata un po’ troppo forzata.
Quando ho scritto (anzi, la tastiera ha scritto da sola) che George schiaffeggiava Ginny e poi la abbracciava, mi sono messa a piangere.
Ho parlato anche troppo. Spero tanto che vi sia piaciuto.
Vi mando un bacio e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento!
 

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Capitolo 3
*** Fratelli e sorelle ***


 Dovete perdonarmi per il lungo ritardo ma un esame particolarmente impegnativo ha prosciugato tutto il mio tempo e le mie energie. Con questo capitolo, però, continua il nostro viaggio nel Dopoguerra dei nostri eroi. Spero che lo apprezzerete, colgo l’occasione per ringraziarvi dell’entusiasmo con cui sono stati accolti i primi due capitoli!
Buona lettura! :)

 
Fratelli e sorelle.
 
“...siamo rientrati ieri sera, e ci abbiamo messo un’infinità ad arrivare a casa di Hermione dall’aeroporto, che sarebbe il posto dove arrivano e partono questi aggeggi volanti dei Babbani (usarli è stato terrificante). Noi stiamo bene, ed anche i genitori di Hermione vanno meglio. Li abbiamo trovati da cinque giorni e già ricordano buona parte del passato, inclusi gli anni del college (che secondo lei sono fondamentali). All’inizio credevano che Hermione si chiamasse Wilkins di cognome, perchè si sono ricordati di lei prima ancora che di loro, e questo ha fatto piangere Hermione un bel po’. Gli aveva fatto un incantesimo davvero forte, comunque prendono la pozione ogni tre ore (Hermione ne aveva fatto scorta al San Mungo prima di partire) e lei lancia su di loro il Controincantesimo di Memoria tutte le mattine. E’ molto più tranquilla da quando è stata sicura che la riconoscevano, dice che tutto il resto verrà col tempo. Da poco si sono ricordati anche di me e Harry, così hanno potuto riconoscermi, prima mi chiamavano Edwin e credevano che fossi il ragazzo che portava il latte a Brisbane, e anche se Hermione gli ripeteva chi fossi, si vedeva che non le credevano, anche se per non dispiacerle annuivano. Stamattina li ha trovati che leggevano tutti contenti un librone immenso sui denti dei Babbani, che stava nel loro soggiorno, con delle immagini raccapriccianti (di lavoro curano la bocca dei Babbani, per Hermione è normale), ed era molto soddisfatta. Dice che suo padre le ha detto che non si era reso conto quanto gli mancasse “Teoria dell’Odontostomatologia” mentre era in Australia. Credo di non aver ricevuto i vostri gufi in queste due settimane per via della troppa distanza, o forse perchè ci siamo spostati in continuazione fino a che non li abbiamo trovati. Mi è arrivato solo quello di Charlie, ma l’altroieri, quando eravamo a Brisbane già da due giorni, e comunque non era in buone condizioni. Laggiù usano i cacatua per la posta.
Finisco questa lettera e faccio un salto a casa: ho appena sentito Ginny via camino e mi ha detto che George per fortuna  non ha ripreso a bere, a quanto sembra. E’ arrivato ora Harry, per salutarci, così farà lui compagnia ad Hermione.
Spero che anche tu e Fleur stiate bene.
Salutala da parte mia.
Ciao
Ron”
 
Fleur restituì a Bill la lettera, coperta dai tratti storti dell’angolosa grafia di Ron, sollevando poi il bicchiere di succo di zucca ghiacciato e finendo di vuotarlo.
-Sono contonta che sia andato tuto bene, ala fine- disse, con un piccolo sorriso.
Bill annuì, scorrendo di nuovo la lettera con gli occhi e abbandonandosi allo schienale della seggiola. Era in ferie, e come gran parte del traumatizzato mondo magico, vi sarebbe rimasto almeno fino a settembre, in una sorta di aspettativa.
Gli occhi di Fleur indugiarono sulla maglietta delle Sorelle Stravagarie e sull’orecchino a zanna, e sorrise, perchè da tempo Bill non tirava fuori dall’armadio quel look trasgressivo. L’anno che era appena trascorso era stato all’insegna della discrezione, e anche in ufficio aveva adottato uno stile assolutamente anonimo. Tutti loro cercavano di attirare l’attenzione il meno possibile, per difendere Ron. Adesso, però, Bill poteva sfogarsi.
-Indossavi quella malietta al nostro primo appuntamonto- fece Fleur, con un sorrisetto.
Lui se la guardò e sorrise di rimando:
-Beh, tesoro, perchè anche tu non ti metti il vestito che avevi al nostro primo appuntamento?
Fleur cercò di ricordarsi quale fosse. Il tubino grigio perla o l’abitino celeste con gli inserti in voile? C’era tutta una serie di abiti che anche lei aveva smesso di indossare dopo sposata, visto come era subito precipitata la situazione e quanto tempo doveva passare in casa. Sì, concluse, era quello con gli inserti, perchè ricordava bene quanto disperatamente Bill si fosse sforzato di non guardare fisso il voile cercando di scorgere cosa ci fosse sotto. Un vero gentiluomo. Per questo l’aveva sposato.
-Bill! Sono una donna sposata.
Lui ghignò, sporgendosi dalla sedia per darle un bacio:
-Una bellissima donna sposata, vorrai dire.
-Sia pure...- sorrise lei contro il suo viso, poi si scostò:
-Andiomo dai tuoi, tesoro?
-Davvero non ti cambi?
-Un’oltra volta, magari.
Andavano alla Tana circa due volte la settimana, in quel periodo. In agosto sarebbero partiti per la Francia, visto che era quasi un anno che Fleur non riabbracciava i suoi genitori e Gabrielle, e Bill sperava di lasciare i suoi per un po’ con la situazione ormai stabilizzata, anche se certo non si poteva sperare di tornare alla normalità prima di molti mesi, forse anni. Lui stesso si sorprendeva a pensare tristemente quanto poco, degli ultimi anni, avesse passato il suo tempo con i suoi fratelli: e faceva male ora che Freddie era morto. Aveva tirato fuori dai cassetti della memoria tutti i ricordi lontani del tempo precedente al suo ingresso ad Hogwarts, gli anni in cui erano a casa tutti insieme, Ron e Ginny non ancora nati o minuscoli, ed i gemelli che, a soli tre anni, quando era stata comprata la sua bacchetta l’avevano fatta sparire in meno di due ore... e lui aveva dovuto dannarsi per ritrovarla, dato che non voleva rivolgersi alla mamma e mostrarsi sconfitto di fronte ai fratelli minori... A quel tempo pensava che i genitori avrebbero anche potuto smettere di sfornargli tutti quei fratelli. Forse non se li era goduti abbastanza, invece, durante le estati che passava a casa. Lui e Charlie erano rimasti un po’ separati dagli altri, negli anni della scuola e dopo, ed era un vero dispiacere, adesso, ricordarlo.
Fleur aveva già preso la Polvere Volante dalla mensola del caminetto, e si era voltata a guardarlo:
-Andiamo?
 
Il soggiorno era vuoto quando vi atterrarono, ma subito dopo entrò Ron.
-Mi pareva di aver sentito arrivare qualcuno!- argomentò, avvicinandosi per abbracciarli.
-Ron! Come stai? Speravo di trovarti ancora qui!- esclamò Bill, lasciando che Fleur baciasse il cognato sulle due guance. Nella lettera arrivata poco prima, e scritta prima di pranzo, Ron avvertiva che sarebbe andato alla Tana. Lo guardò: era lentigginoso come sempre ed indossava una maglietta color porpora con su scritto UNIVERSITA’ DI BRISBANE in celeste, che si affrettò a spiegare con un gesto noncurante quando vide che i due lo fissavano:
-Oh, vedete, il padre di Hermione all’inizio pensava che fossi uno del posto... mi ha regalato la maglietta per questo motivo, per incoraggiarmi a continuare gli studi invece di consegnare il latte a domicilio. Carina, vero?
Fleur produsse un orrendo sorriso storto, come sempre quando fingeva di approvare qualcosa che non approvava, ma Ron non parve accorgersene.
-Adesso ti riconoscono, vero?
-Oh, sì...  Non è che ci fossimo visti tante volte, ma suppongo sia perchè Hermione negli anni ha mostrato loro tante foto e parlato tanto di me... e di Harry- si affrettò ad aggiungere, arrossendo.
-Bon, e come va, con lei?- chiese Fleur senza troppi preamboli. Ron esitò, ma non tanto.
-Ehm... suppongo... bene. Molto bene.
-Stote insieme?
-Fleur, tesoro...
-Non essere ridicolo, Bill!
-Io, ehm... immagino di sì. Penso.
-Beh, era ora- fece Fleur, mulinando i lunghi capelli argentei per allontanarli dal viso ed annuendo con aria d’approvazione. Ron era più rosso di quanto Bill pensava potesse arrossire una persona.
-Mamma come sta?- chiese, per cambiare argomento e perchè chiedere di lei, di papà e di George era ormai un automatismo per tutti loro.
-B-bene. Insomma. E’ stata contenta di vedermi. Mi ha chiesto di Hermione e dei suoi.
Bill fu d’accordo con Ron che si trattava di una buona notizia. I primi giorni la signora Weasley era sembrata a stento in grado di rendersi conto che esistessero al mondo altre persone al di fuori dei suoi figli e del marito. I suoi fratelli erano troppo piccoli per ricordarlo, ma lui aveva già otto anni quando gli zii Prewett erano stati trovati morti, e la mamma era come caduta in una stanza chiusa, senza finestre sul mondo esterno, che conteneva solo papà, lui, Charlie, Percy ed i gemelli nati da poche settimane. Gemelli, come Fabian e Gideon... dubitava che gli altri si rendessero conto pienamente di cosa stesse passando la loro madre.
-Senti Bill...- Ron abbassò la voce con fare cospiratorio.
-Sì?
-Non potresti... parlare con Ginny?
-Riguardo ad Harry?- ribatté Bill. Era ormai noto in famiglia che il comportamento di Ginny cominciava a destare preoccupazioni: -Ron, sai come la penso sul fatto che Ginny deve essere libera di...
-Non sto dicendo di convincerla a... rimettersi con lui, o quello che è... solo che... Bill, lei lo tratta malissimo, e quando è arrivato a casa di Hermione stamani era una specie di straccio.
-Cosa posso...?
-E che ne so? Tanto se ci parlo io crede che parteggi per Harry. Io voglio solo che smetta di trattarlo come un criminale. Hermione è preoccupata per lui. E anche io.
-E anche io- interloquì Charlie, entrando a sua volta in soggiorno –Buongiorno a voi. Ron ha ragione, Bill.
-Va bene, ma perchè pensate che io debba...
-Oh, Bill, lo sai che sei così bravo a parlar con le persone. Provasci almeno, no? Jinnì è tremonda con lui, lo sappiamo anche noi- interloquì Fleur.
-Beh, sentite, per prima cosa voglio andare a vedere come sta mamma.
-Ah, perfetto- rispose subito Ron. -Dove c’è mamma trovi di sicuro anche...
-Ho capito- lo interruppe Bill, a metà tra il divertito ed il seccato. Lasciò la cucina, mentre gli altri tre alle sue spalle si affrettavano a scambiarsi sguardi di intesa.
Lasciò il salotto e si affrettò a salire in camera dei suoi genitori, dove presumibilmente avrebbe trovato sua madre. Invece la incontrò per le scale: stava seduta sul primo gradino del pianerottolo, con a fianco una cesta piena di biancheria, e rammendava con filo e bacchetta.
-Bill, caro...- disse, con una specie di vero sorriso. Ginny, che era in camera sua con la porta aperta, probabilmente per sorvegliarla, si affacciò immediatamente ed annuì con aria abbastanza soddisfatta alla silenziosa pantomima del fratello per chiedere la situazione.
-Mamma, ho visto Ron, giù in salotto.
-Oh, caro, è tornato dall’Australia ieri sera. Gli ho detto di portare Hermione, ma naturalmente lei ed i suoi hanno bisogno di un po’ di tempo insieme...
-Gin, tu come stai?
Lei alzò le spalle.
-Studiavo- disse brevemente.
La professoressa McGranitt aveva annunciato tramite il Ministero che la scuola avrebbe regolarmente riaperto i battenti a settembre. Correva voce che avesse accettato l’incarico di preside, ma solo per un anno prima di ritirarsi. Ginny era stata la prima di loro a decidere di tornare, e dato che aveva studiato assai poco l’anno passato, aveva subito scritto alla scuola, come la circolare della McGranitt invitava a fare, per farsi inviare programmi, mettersi in pari e sostenere l’ammissione al settimo anno a settembre, quando ci sarebbero stati per tutti gli studenti gli esami che avevano dovuto essere annullati a seguito della Battaglia.
Anche Ron doveva terminare gli studi, come del resto i suoi amici, e Bill si sentì felice all’idea che tutti loro avrebbero potuto per un anno almeno godere di un ambiente protetto, prima di affrontare il mondo esterno già entrato così prepotentemente nelle loro vite.
 
-George?
Il ragazzo alzò lo sguardo dal volume che stava sfogliando, un vecchissimo libro di scuola. Fece un cenno con la testa alla vista del fratello, per far capire che aveva registrato la sua presenza.
Nelle due settimane che Ron aveva passato lontano da lui, era dimagrito ulteriormente, ma tutto sommato Ron pensò che gli standard di devastazione erano stati anche più bassi.
-Com’è andata?- gli chiese George, con voce smorzata.
-Bene. Abbiamo trovato i genitori di Hermione e si stanno rimettendo. Hai visto che c’è anche Bill?
George scosse la testa. Ron entrò cautamente nella stanza dei gemelli. Era la prima volta che lo faceva dalla morte di Fred e l’impressione di essere in una specie di santuario fu orribile. C’erano numerosi scatoloni (da quando si erano trasferiti nell’appartamento in Diagon Alley, Fred e George avevano usato la stanza come un magazzino), dai quali fuoriuscivano strani manufatti e prototipi di invenzioni magiche. L’armadio semiaperto lasciava intravedere i vestiti dell’uno e dell’altro, in pile separate ma non troppo ordinate. Gran parte della roba era rimasta comunque nell’appartamento. In cima alla pila di maglie di sinistra, un golf celeste esibiva una F rossa che era come un pugno in viso: Ron riusciva a vederla anche chiudendo gli occhi. Il letto di Fred era liscio, intatto da quando Bill li aveva trasferiti tutti da zia Muriel durante le vacanze di Pasqua che anche loro due avevano trascorso alla Tana... gli ultimi giorni di Fred nella casa dov’era nato, ma a quel tempo lui non poteva saperlo, e certo la mamma aveva insistito per rifare tutti i letti prima di partire senza sapere che il copriletto sbiadito di Fred non sarebbe stato spiegazzato mai più.
Ron vi si sedette lentamente, sentendo il familiare cigolio che caratterizzava tutte le vecchie reti dei letti di casa Weasley. George, davanti a lui, seduto sul suo, continuava a sfogliare il libro, e adesso che lo vedeva da più vicino, Ron si rese conto che era un vecchio Manuale di Trasfigurazione, roba da terzo o quarto anno.
Era pieno di scritte scarabocchiate ai margini, e Ron era sicuro che fossero di Fred. Non era altro che un altro capitolo dell’ossessiva caccia alla traccia di Fred, che tentava quotidianamente tutti loro, e dalla quale era quasi impossibile distogliere George.
-Cosa c’è scritto?- chiese, a voce bassa.
George alzò lo sguardo castano dal libro e storse la bocca: era la cosa più simile ad un sorriso che in quei giorni sapesse produrre.
-Scemenze. Questo libro era mio. Continuava a scarabocchiarmelo, ed io lo facevo sul suo.
Gli avvicinò le pagine aperte, e sopra un paragrafo sulla Trasfigurazione Umana Incompleta, Ron poté vedere un’efficace caricatura di George (ma in fondo anche di Fred stesso) con un corpo da bradipo sulla scopa, mentre mancava un bolide che si schiantava contro un giocatore occhialuto sullo sfondo. Sotto campeggiava la scritta “Il precoce G.W. capace di trasformarsi in bradipo, mentre collabora alla distruzione del Bambino Sopravvissuto”. Un’altra mano, presumibilmente quella di George, aveva cancellato con vigore la G, sostituendola con una F ed argomentando: “Colpa tua, fratello”.
Sembravano passati secoli da quando il Bolide di Dobby aveva quasi ammazzato Harry sul campo di Quidditch della scuola.
Un martello dall’aria gommosa uscì saltellando debolmente da uno scatolone rovesciato: appariva decisamente barcollante, come se l’incantesimo che lo animava si stesse esaurendo. Un altro prototipo di Fred? A giudicare dallo sguardo appannato con cui George lo fissò, sì.
-George?
-Uhm?
-Senti, io... perchè non... non ti trasferisci da me? Cioè, in camera mia.
Non aveva idea di come gli fosse uscita quella frase. Tra l’altro avrebbe comportato che Harry si spostasse, ma Ron era sicuro che avrebbe capito, e poi George non poteva continuare a stare là dentro. Lo guardò, sicuro di star per fronteggiare una sceneggiata simile a quella di un paio di settimane prima, cercando di far trasparire dalla sua espressione quanto non stesse proponendo di sostituirsi a Fred.
Il fratello lo guardava, in silenzio.
 
-Ahem... Gin, che ne dici di accompagnarmi a dare una sistemata al giardino? Credo sia ora che qualcuno tagli l’erba sul retro, il tavolo non si vede più.
Ginny, con aria assolutamente scettica, fissò il fratello maggiore, sollevando la testa dal libro sul quale era concentrata e voltandosi a guardarlo. Sentì Fleur che aveva seguito il marito e che sommessamente diceva a sua madre:
-Molly, che ne disce di spostarsci in salotto con quosta roba da rammendare? Le posso far vedere il mio lavoro di maglia, così mi spiega come concludere...
Con una certa sorpresa da parte di Ginny, di Bill –che, Ginny lo avrebbe scommesso, aveva istigato la moglie a quella mossa- e della stessa Fleur, Molly si alzò un po’ faticosamente e prese il cesto della biancheria. Fleur poté condurla abbastanza docilmente per le scale, fino in salotto dove il signor Weasley si sforzava di leggere un libro.
-Cosa vuoi, Bill?- tagliò corto Ginny, senza fare troppi preamboli.
-Ci vieni in giardino?
-Devo studiare.
-Oh, sono sicuro che la tua ammissione al prossimo anno non sarà in pericolo se passi cinque minuti con me.
Ginny si alzò e lo seguì in giardino con aria torva. Quando lui estrasse la bacchetta e prese a rasare l’erba con attenzione gli si mise accanto, facendo Evanescere quello che lui tagliava.
Per un po’ di tempo, sufficiente perchè Ginny finisse per concentrarsi davvero su quello che stavano facendo, Bill non disse nulla. Poi esordì:
-Come... va?
Ginny si bloccò.
-Cosa intendi?- chiese, con occhi pericolosamente assottigliati.
-Beh, in generale, nessuno di noi è al suo massimo al momento, non è così?
-Allora perchè mi fai questa domanda? Non sono al mio massimo, come è ovvio.
Bill roteò gli occhi.
-Gin, mi preoccupo solo per te. Mi sono preoccupato anche di tutti gli altri membri della nostra famiglia, se la cosa può rassicurarti.
Ginny si addolcì un poco.
-Scusa. Ma tanto lo so che tutti siete sulle spine perchè...
-...perché?
-Perché tratto male Harry.
Bill si voltò per nascondere il sorriso soddisfatto. Avrebbe dovuto fare lo Stregopsicologo, altro che Spezzaincantesimi alla Gringott.
-Ah.
-Che significa “ah”?
-No, solo... allora ti accorgi che lo stai trattando male.
Ginny si inalberò.
-Lo sapevo! Ascolta, Bill, non sono affari tuoi, né di Ron né di nessun altro, e...
-Neanche di Harry?
Ginny, le mani sui fianchi, lo fronteggiò dal basso.
-Sono affari miei!
-No, perchè Harry, a quanto pare, non ha idea di cosa tu lo stia punendo.
-Io non lo sto...
-Ginny...
-Beh, dovrebbe avercela. E comunque non sono affari...
-Ti sto solo suggerendo di spiegarti con lui. Una punizione è più efficace se ben compresa dall’interessato.
-Io non lo sto punendo!
-Ah, beh, allora...
Bill fece spallucce, si girò da un altra parte e strinse la lingua tra i denti, concentrato spasmodicamente nel tagliare l’erba attorno ai bulbi di narciso senza recidere i fiori. Ginny esitò qualche momento, poi cominciò a bassa voce:
-E’ solo che... che non... voglio dire, tutti sembrate pretendere che fra noi riprenda come se l’ultimo anno non fosse mai passato.
-E invece...
-E invece è passato, eccome! Non so cosa vi aspettiate, ma non ho intenzione di riprendere a fare la fidanzatina del Prescelto solo perchè così devono andare le cose!
Erano arrivati fin sotto il melo. Bill fece volar via un altro ciuffo d’erba e si lasciò cadere a sedere.
-Ginny, tu sei innamorata di Harry da sempre!- obiettò.
-Questi sono affari miei!- ringhiò Ginny.
-Sto cercando solo di dire che nessuno si aspetta un bel niente da te.
-Sì invece. Siete tutti preoccupati perchè maltratto il povero Harry!
-Tu sei libera di trattarlo come ti pare, mi chiedevo solo se hai davvero riflettuto sul fatto che se lo meriti o meno.
Ginny si mise a sedere accanto al fratello. Anche lei era stanca e pallida, come tutti. Era l’unica di loro che aveva trascorso buona parte dell’anno a scuola, e questo aveva significato fronteggiare maltrattamenti e pressioni psicologiche che probabilmente lui e gli altri potevano solo immaginarsi, pensò Bill, perchè certo lei, come suo solito, si era rifiutata di scendere in particolari. Indossava una vetusta maglietta grigia che doveva essere appartenuta a lui, in origine, ed aver sceso l’intera scala dei fratelli prima di arrivarle: sul grigio i capelli rossi spiovevano come lingue di fuoco, arruffati e mal trattenuti da un elastico. Aveva il viso cereo e gli occhi duri.
-Non lo faccio per ripicca- mormorò piano, sollevandogli in viso uno sguardo pieno di tristezza –ma non voglio tornare con Harry e non è giusto che pensiate che sono... malvagia solo per questo.
Bill capì che parlava sul serio e le passò un braccio intorno alle spalle.
-Nessuno ti costringe a fare nulla e nessuno pensa che tu sia cattiva Gin! Siamo solo tutti sconvolti. Lo capisci?- disse con dolcezza.
Lei nascose il viso contro la sua spalla e annuì.
-Mi permetti un consiglio, però?
Ginny emise un suono bofonchiato che Bill prese per un sì.
-Dovresti parlare con Harry... ferma!- si interruppe, stringendola perchè lei aveva già fatto guizzare la testa in alto, pronta a ribattere –E’ solo gentilezza, Ginny. Se non vuoi tornare con Harry devi solo parlargli e spiegargli il perchè. Questa non è altro che correttezza nei rapporti, e tu sai che io la consiglio sempre. Questo discorso prescinde dal fatto che lui sia Harry Potter e tu mia sorella. O meglio, queste cose c’entrano solo perchè stimo molto lui e voglio tanto bene a te.
Ginny storse la bocca in una smorfia comicamente lenta. Solo dopo qualche minuto accennò ad annuire. Sospirò:
-Uhm.
-Lo farai?
-Penso... forse.- fece lei, alzandosi in piedi.
Bill, tranquillamente, le sorrise, dato che non riteneva necessario aggiungere altro. Si alzò a sua volta, fece Evanescere l’erba tagliata che Ginny non aveva ancora eliminato ed osservò soddisfatto:
-Bel lavoro. Credo che tu possa tornare a studiare, signorina.
Sorrise a sua volta quando vide che Ginny gli faceva un minuscolo accenno di sorriso. Si incamminò verso la casa, ed era quasi sulla soglia quando Ginny chiamò:
-Ehi, Bill!
Si voltò, per ritrovarsela tra le braccia, e la strinse, sospettando che il tremito delle sue spalle nascondesse qualche lacrima. Non reputò necessarie altre parole, e quando Ginny sciolse l’abbraccio e corse via, sedette soddisfatto sui gradini della porta della cucina.
Dalla finestra del soggiorno gli arrivavano stralci della conversazione di Fleur e sua madre che discutevano di maglia, e si rese conto che era la prima volta che sua madre sosteneva una conversazione con qualcuno, dalla Battaglia.
L’ombra della tettoia era piacevole, e le cicale frinivano tanto da riempire l’aria del loro mormorio.
 
Verso sera arrivò Harry, direttamente da casa di Hermione. La signora Weasley, aiutata da Fleur e Bill, stava mettendo in tavola la cena per tutti, mentre Charlie, il signor Weasley e Percy conversavano a voce bassa in un angolo della cucina.
-L’ho trovata proprio bene- disse Harry con un sorriso a Ron, che stava finendo di apparecchiare –Torni là, stasera? Lei vorrebbe.
-Va bene- rispose subito Ron, un moto di compiacimento a sentire quel “vorrebbe”. Non si era ancora abituato al fatto che Hermione era la sua ragazza.
-I suoi mi hanno riconosciuto subito, praticamente! Hermione era contenta, dice che migliorano a vista d’occhio. Suo papà, però, mi ha voluto guardare per forza i denti.
-Oh, l’ha fatto anche a me. Dice che dovrei atturarmi qualcosa. Suona doloroso.
-Lo è. A me, comunque, ha detto che non è mai troppo tardi per l’apparecchio- fece Harry.
I due amici si scambiarono un ghigno. Poi arrivò Ginny.
-Ti dispiace Ron? Devo parlare con Harry.
-Fate pure!- si affrettò a rispondere il fratello, mentre Harry diventava pallido come un cencio e seguiva Ginny che, abbastanza gentilmente, gli faceva strada fuori della porta della cucina, verso il giardino immerso nel crepuscolo.
Bill gli aveva detto qualcosa del colloquio avuto con Ginny, e sapeva che per Harry non sarebbero state buone notizie. Ma almeno sarebbe finita quella situazione di tensione, o così sperava.
Adesso che con Hermione andava tutto bene, finalmente, si sentiva dispiaciuto per Harry oltre ogni dire. L’amico gli pareva più solo che mai, e si sentiva un po’ in colpa.
Quando sedettero a tavola, Harry e Ginny mancavano ancora all’appello, e nessuno commentò il fatto.
George sedeva accanto a Ron, e del tutto inaspettatamente gli bisbigliò:
-Ron, l’offerta della tua stanza è ancora valida?
Ron sbarrò gli occhi: non avrebbe mai creduto che George avrebbe finito con l’accettare.
-Oh, certo! Cioè, io stasera dovevo andare da Hermione, e poi devo chiedere ad Harry di spostarsi, ma...
-Vai pure dalla tua bella, e lascia Harry dov’è. Stanotte posso dormire nel tuo letto.
Ron era troppo contento per ribattere alcunché, e George aveva già voltato la testa sul piatto dal quale pescava con scarsa convinzione cucchiaiate di minestra. Non riusciva a credere di essere riuscito a convincerlo, come poi ce l’avesse fatta, non sapeva: gli sembrava il primo passo che suo fratello facesse per staccarsi dall’ombra di Fred.
Oltre la testa di Percy, vedeva le sagome ormai quasi indistinguibili di Harry e Ginny che parlavano e parlavano sotto il melo.
Bill era bravo con le persone, ma forse anche il piccolo Ronnie, talvolta, riusciva a non essere da meno.
Sua madre portò in tavola l’arrosto, e Ron avrebbe scommesso che sarebbe stato delizioso come un tempo.
 
Ginny naturalmente cambierà idea, visto che questa è una storia IC, ma non tutto succede schioccando le dita!
Il lutto di George è il più difficile da gestire o descrivere, ma da qualche parte anche lui dovrà pur cominciare a venir fuori, no? Comunque sarà lento e doloroso.
La prossima volta un aggiornamento più rapido, promesso!
Commenti e recensioni sono sempre graditi!

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Capitolo 4
*** Hogwarts ***


 Ok. Sono un mostro. Però sono tornata, aggiornando tutto, anche il mio divertissement su Hogwarts ai tempi di Molly (per chi non lo avesse ancora visto, qui). Sperando di farmi perdonare! Esami, poi lavoro estivo, poi campi in posti non raggiungibili da internet, poi vacanza...
Però ora ci sono. E questo capitolo mi ha spezzato il cuore, per cui ho voglia di scrivere il prossimo.
Siate buoni e scrivetemi cosa ne pensate.
Comunque Orual è tornata. ;)
Buona lettura.

 
Hogwarts
 
-Hermione, cara...- disse la signora Granger entrando nella stanza della figlia. Hermione era seduta alla sua scrivania, e sfogliava uno dei suoi ordinatissimi quaderni di appunti.
-Dimmi, mamma.
Jean, gli occhi grigi ed i capelli castano chiaro tagliati molto corti, guardò con affetto la sua bambina voltarsi a guardarla. Sapere di aver vissuto per molti mesi senza avere idea di chi fosse sua figlia era un pensiero talmente incredibile che talvolta immaginava di aver sognato tutto. Ma l’anno a Brisbane lo ricordava perfettamente, proprio come tutto il resto della sua vita, adesso che erano settimane che Hermione faceva bere a lei ed a Richard quegli intrugli terribili e puntava loro contro il suo bastoncino. Da due o tre giorni aveva smesso di farlo, dicendo che secondo lei non era rimasto più nulla di dimenticato. Jean ne era stata contenta, visto che quella cura le aveva fatto ricordare anche molte cose che aveva volentieri rimosso da anni, come tutto il lungo periodo prima della nascita di Hermione, quasi dieci lunghi anni senza riuscire ad avere figli. Era curioso che proprio quella bambina così voluta si fosse rivelata così speciale, e non solo nel senso che la sua prima pagella delle elementari (come del resto tutte le successive) non portava alcun voto che fosse inferiore al dieci.
-Pensavo, cara, che forse è tempo di fare compere per la scuola. Sai, andare a... come si chiama? Diagon Alley? So che ormai sei grande, ma ci farebbe tanto piacere accompagnarti...
Era stato bellissimo passare l’intera estate con lei: non accadeva da alcuni anni, ormai. Si erano abituati a non averla con loro non soltanto quando era a scuola, ma sempre più spesso anche durante le vacanze, presa com’era dalle sue amicizie e dalle avventure misteriose del mondo che l’aveva risucchiata. Hermione non aveva mai parlato volentieri di quello che succedeva nel mondo magico negli ultimi anni, ma Jean e Richard non erano degli sprovveduti, e men che meno degli ingenui (Hermione ed il suo cervello non erano nati sotto un cavolo) ed avevano preso a leggere il giornale che lei si faceva spedire a casa. Certo, era difficile prestare fede agli articoli di un giornale le cui immagini si movevano, e quando poi la Gazzetta era sparita per venir sostituita da una specie di rivista con colori più kitsch di quelli di un giornaletto scandalistico babbano, la difficoltà di estrapolare le notizie era diventata ingente. Tuttavia era chiaro che c’era una guerra in corso, e che l’amico famoso di Hermione, quell’Harry di cui lei parlava da mattina a sera, era seriamente coinvolto, e che Hermione stessa, la loro bambina, stava acquistando notoriamente una fama che non le era gradita e partecipava a cose molto più grandi di lei. Cose pericolose.
Discuterne era stato inutile: il risultato, solo il più completo silenzio da parte di Hermione, che aveva cominciato a far sparire di casa i giornali. E quell’espressione tesa, preoccupata, triste che difficilmente la lasciava...
Era bello, bello davvero vedere come fosse serena e affezionata, adesso, e quanto fosse felice di trascorrere il suo tempo con loro.
E finalmente potevano conoscere meglio i suoi amici, dato che non passava giorno che l’uno o l’altro non venisse a trovarla nella loro bella casa in stile georgiano in un sobborgo di Londra tranquillo e signorile. Harry Potter, il “famoso” Harry Potter, gentile, un po’ distratto e per nulla a disagio nella loro casa ordinaria, e l’altro, quel Ron che fissava le cose più comuni con gli occhi fuori dalle orbite, e che baciava timidamente Hermione quando pensava che nessuno li vedesse. Hermione aveva detto che nella tremenda battaglia che avevano affrontato per sconfiggere il malvagio mago contro cui lottavano, uno dei fratelli di Ron era morto, e questo aveva congelato i signori Granger, terrificati all’idea che la loro preziosa ed unica figlia fosse andata così vicina alla morte, e l’avesse più volte fronteggiata. E chissà cosa non voleva dire per la più che fondata paura di spaventarli ulteriormente. Non avevano quasi voluto crederle quando aveva asserito di aver vissuto in tenda tutto l’intero anno, spostandosi per non venire catturata, come poi in effetti era successo. Fortuna, si era detta Jean Granger, che in quell’occasione non le era capitato assolutamente nulla di male, come la figlia le aveva assicurato. I loro nemici avevano l’aria di essere gente senza scrupoli, e avrebbero perfino potuto... torturarla! Fortuna che non era successo nulla.
-Oh, mamma... sì, in effetti mi servono alcune cose e... pensavo, potremmo portare con noi anche Harry e Ron. Voglio dire... sai, io sono sempre stata ospite della famiglia di Ron, e sarebbe bello poter ricambiare, adesso.
Jean sorrise.
-Ma certo, tesoro. Manda loro un messaggio con uno dei tuoi strani sistemi.
-Faccio un salto a casa di Ron, mamma, è più rapido. Ora che ci penso, forse è il momento di comprare un gufo.
Grattastinchi sollevò la testa dal cuscino e soffiò, disgustato.
 
Ron abbassò lo sguardo sulle scalcagnate ciabatte estive come se fossero la cosa più affascinante che gli fosse dato di vedere sulla terra.
-Hermione, a proposito di Hogwarts, io...
-I miei ci danno un passaggio fino a Londra, hanno detto che hanno voglia di rivedere Diagon Alley... sai, per loro è un posto davvero bizzarro! Hai letto la Gazzetta, ieri, vero? I lavori per eliminare gli effetti delle ultime maledizioni sono terminati e tutto è pronto- continuò Hermione, passando in rassegna con occhio critico lo scaffale dei libri di Ron, in uno stato di pietoso disordine come sempre.
-Io penso di non tornare a scuola, Hermione.
-E comunque non credo che noteremo nulla di diverso, a parte il fatto che dovremo frequentare le lezioni con l’anno di Ginny... ecco, questo in effetti sarà un po’... come?
Hermione si voltò di colpo verso Harry, e altrettanto fece Ron, che proprio non si aspettava la risposta dell’amico. Harry, pallido come sempre in quel periodo, tanto che quasi non ci facevano più caso, aveva una strana aria seria e addolorata insieme.
-Hermione, quest’anno non tornerò a scuola- ripeté, con estrema chiarezza.
Hermione sgranò gli occhi. Poi rise.
-Non dire sciocchezze.
-Parlo sul serio.
-Ma...
Realizzò che era serio un memento dopo aver aperto bocca, e l’idea fu come uno schiaffo in viso: Ron la vide barcollare ed appoggiarsi alla libreria. Si riprese subito.
-Harry, è stata dura per tutti noi, ma la vita deve andare avanti. Non puoi permettere che Voldemort ti porti via un anno intero della tua vita senza lottare per riprendertelo... e poi... Hogwarts, di nuovo, ci pensi? Ci è mancata tanto quest’inverno, e non avere più un problema al mondo, solo pensare agli esami del M.A.G.O....
-Uh, certo che questo è un argomento persuasivo...- mormorò Ron, prima di mordersi le labbra pensando a cosa avrebbe dovuto dirle a sua volta da lì a poco, e che quindi era il caso di evitare frecciatine.
Harry si puliva gli occhiali con aria stanca.
-Quest’inverno mi mancava, ed in un certo senso è ancora così, ma non è più il posto per me.
-Che vorresti dire?
-E’ inutile far finta che sia tutto ok, dopo quello che è successo. Non so bene cosa succederà ora della mia vita...- Ron sentì una stretta al cuore a sentire Harry dire così, e vide che Hermione stringeva i pugni fino a far sbiancare le nocche -...ma quello che è certo è che non rientrerò a scuola a settembre.
-E che cosa farai?- Hermione lottava per trattenere i toni pungenti.
-Non lo so. Sono maggiorenne. Sono libero per la prima volta nella mia vita, non ho neanche Gin... voglio dire, andrò da qualche parte. Vedrò qualcosa. Starò con Teddy, forse.
-E’ per Ginny che non vuoi tornare ad Hogwarts?- non poté trattenersi Hermione. Ron la guardò a bocca aperta e si preparò all’esplosione di Harry, che però non venne. Lui fronteggiò l’amica alzandosi lentamente in piedi e parlando con una certa freddezza:
-Non dipende dalle persone, o verrei perchè voi andate. Dovresti saperlo. Ora scusatemi.
Prese la porta, e quietamente uscì. Hermione rimase a guardare la soglia, mordendosi le labbra a sangue, e nella stanza ci fu silenzio per quasi un minuto.
-Cosa dobbiamo fare?- chiese poi lei sommessamente, senza guardare Ron.
“Ci siamo” pensò lui, e si mosse a disagio sul suo letto, dove era seduto.
-Credo... credo che sia giusto che faccia come vuole.
-Ma cosa dici, Ronald!- scattò lei, muovendosi dalla posa che aveva mantenuto e guardandolo piena di irritazione: -E’ uno dei suoi classici momenti “è colpa mia e non ho diritto a godere della vita”, per di più con la faccenda di Ginny in ballo, ma...
-Credo che non avresti dovuto parlargli di Ginny. E poi, da quando si sono chiariti, lei non lo tratta più come un criminale. Ma comunque per Harry non è una pacchia che lei lo abbia mollato, e tu dovresti andarci piano con questi accenni.
Hermione lo fissò:
-Cosa?
-Sono affari loro, e inoltre io gli credo quando dice che non è quello il motivo. Abbiamo visto troppe cose per tornare a scuola come se niente fosse.
-Ma cosa stai dicendo, cosa c’è di meglio che un anno ad Hogwarts a recuperare tutte le cose che ci siamo persi, tutti insieme, senza più pericoli... io ne ho abbastanza, non vedevo l’ora di poter stare al sicuro con tutti voi, e se Harry non ci sarà...
Ron sentì fortissima la voglia di vomitare anche l’anima.
-Staremo insieme anche se non saremo tutti a scuola, Hermione. Non ci sono più cose da temere, adesso.
-Noi dobbiamo convincerlo!
-Non dobbiamo affatto. E comunque... volevo dirti che anche io penso di non ritornare a settembre.
Aveva parlato così veloce che quasi non si distinguevano le parole, ma l’espressione prima vacua e poi completamente sconvolta di lei gli disse che non aveva vuotato il sacco a vuoto.
Le ci volle qualche momento per riuscire a parlare, la voce distorta da quanto la controllava:
-Non tornerai a scuola?- articolò, in tono piatto.
-Temo di no.
Lei sbatté il vecchio libro che aveva preso in mano senza accorgersene sullo scaffale. Parlò con voce tagliente:
-Ron, non essere ridicolo. D’accordo, studiare non è la tua passione, ma non vorrai dire che non intendi finire la scuola?
-Io... sì, in effetti penso... beh, che l’anno che è passato mi abbia insegnato a sufficienza.
-L’anno che è passato ci ha impedito di andare a scuola.
-Beh, non si impara tutto a scuola, Hermione, lo sai benissimo.
-Certo che...- Hermione si bloccò. Si stava arrabbiando, e Ron sapeva che su poche cose come lo studio Hermione era totalmente inflessibile. Su Harry si poteva discutere, il Bambino Sopravvissuto, e tutto il resto, ma lui...
-Ron... non puoi dire sul serio. Il diploma serve, lo studio è importante, qualunque cosa tu voglia fare dopo, e... non fare il bambino come Harry!
-Hermione, so che il diploma per te è importante, ma non tutti siamo uguali.
-Basta con queste sciocchezze!- sbottò lei. Ron vide con dispiacere che era sull’orlo delle lacrime.
Le si avvicinò e le circondò la schiena con un braccio.
-Herm, non fare così.
-Perchè non vuoi tornare ad Hogwarts?- fece lei, con voce davvero addolorata. Ron era impreparato ad una reazione del genere. Sapeva che avrebbe disapprovato, ma non si era aspettato di vederla perdere il controllo a quel modo.
-Voglio fare qualcos’altro. In realtà, voglio...
- Qualcos’altro cosa? Cosa puoi fare se non ti diplomi, Ron?- lo interruppe lei, stridula
-Calmati! Hermione, non fare così! Non mi lasci neanche spiegare.
Sapeva cosa le stava succedendo. Aveva fatto un progetto e loro glielo stavano mandando all’aria.
-Spiegare cosa? Io... io pensavo che saremmo stati tutti insieme... ancora un anno, prima di... voi... perchè devi sempre rovinare tutto?
L’accusa era così ingiusta che Ron aprì la bocca per ribattere e si trovò senza parole. “No. Non di nuovo!” fece in tempo a pensare, rendendosi conto con orrore che stavano litigando per l’ennesima volta. Cercò di sollevarle la testa, per guardarla negli occhi e parlarle.
Ma lei lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime, e sciogliendosi dal suo tentativo di abbraccio, corse fuori dalla sua stanza.
 
Hermione si era nascosta nell’angolo riparato dietro la legnaia, nel giardino della Tana.
Ma cosa succedeva? Erano tutti impazziti?
Dopo un mese di vera felicità, con tante cose finalmente risolte, Ron sempre con lei, i suoi genitori ritrovati, e tutti i problemi che comunque restavano senza più il peso dell’ineluttabilità che tutto aveva prima della fine della guerra, la vita aveva cominciato a riacquistare sapore, e così la voglia di fare.
Si rendeva conto quanto avesse pensato con piacere, da quando era arrivata via gufo la circolare della McGranitt, al loro ritorno a scuola, alla bellezza di Hogwarts e della tranquillità dello studio, alle serate in Sala Comune, i pomeriggi primaverili passati a ripassare in riva al lago, e tutto questo finalmente senza problemi. Aveva pregustato un intero anno da trascorrere con Harry e Ron senza pericolo, finire la scuola, prendersi tutto il tempo per diventare adulti ora che di tempo ce n’era, curare le ferite prima di scegliere nuove strade...
Aveva pregustato anche, si rese conto, il potersi occupare con calma di Ginny ed Harry, con la spensieratezza con cui aveva affrontato quel tipo di faccende almeno fino al loro quinto anno, senza che qualsiasi pensiero non implicante guerra, morte, Horcrux la facesse sentire in colpa perchè stava perdendo tempo.
Harry, che l’aveva raggiunta in preda al più profondo disagio, le batté una mano sulla spalla, cauto, per evitare di venire colpito da qualche maledizione.
-Perché, sentiamo? Vi siete messi d’accordo?- strillò lei, alzando uno sguardo furibondo.
-Io... non so nulla della decisione di Ron, lo giuro. Quanto a me...
-Quanto a te cosa? Perchè non vuoi tornare a scuola?!
-Non è il caso, Hermione.
-Tu hai sempre adorato Hogwarts. Almeno quanto me.
-Forse è vero- Harry si grattò la testa, cercando di trovare le parole –Ma penso che fosse per due motivi diversi. Voglio dire, tu ami studiare, io cercavo più una... casa. E’ tutto diverso, ora, tutto...
-Certo, è diverso. Per una volta nella nostra vita potremmo stare insieme a scuola, senza pensieri, senza più Voldemort...
-Non è quello. Non so bene cosa farò adesso, Hermione, ma sono certissimo che non voglio tornare a scuola. Tu però non fare così... ognuno di noi deve seguire la sua strada... sarebbe successo comunque, prima o poi.
Lei tirò un lungo sospiro, poi lo guardò:
-Scusami per aver detto quella cosa di Ginny.
-Non è nulla. Comunque Ginny non c’entra davvero.
-Ron non vuole venire!- sbottò lei, mentre un altro fiotto di pianto le annegava le parole. Un anno senza Harry era un’idea insopportabile. Un anno senza Ron... beh, un anno senza Ron era qualcosa di impossibile. Un controsenso. Hogwarts senza Ron. Non avrebbe potuto andarlo ad applaudire alle partite senza vergognarsi, finalmente, né baciarlo per incoraggiarlo, così lui si sarebbe sentito un leone e non avrebbe sbagliato neanche una parata.
-Sì, avevo capito.
-E’ che... abbiamo perso tanto tempo!
Harry le passò un braccio intorno alle spalle:
-Recupereremo in un altro modo.
Hermione lo guardò:
-Tu sei proprio sicuro, Harry?- chiese, con un’ultima supplica patetica.
Dispiaciuto, lui annuì.
Hermione si alzò in piedi un po’ incerta:
-Credo che andrò a casa. Dillo tu agli altri- fece, senza più guardarlo negli occhi. Fece due passi in direzione dello steccato, ed un momento dopo, si era Smaterializzata.
 
-Mi dispiace disturbare, signore, ma vorrei vedere Hermione.
Era stato il signor Granger ad aprire la porta, e lo guardò vagamente accigliato:
-Entra pure, Ron. Hermione mi sembra un po’... alterata, oggi pomeriggio. E’ successo qualcosa?
-Sì... nulla di grave, cioè, ma vorrei parlarle.
L’uomo si tirò indietro, e Ron si fece strada nella casa ordinata, pulita ed elegante, fino alla porta della stanza di Hermione, al piano di sopra. Aprì senza pensarci su, poi si maledisse:
-Scusate- biascicò.
Hermione, il viso spaventosamente gonfio, stava seduta sul letto dalla trapunta con un sobrio motivo a fiorami celesti (tutta la sua stanza era bianca e blu), e sua madre era intenta a versarle del tè nella tazza che teneva tra le mani. Quando lo vide, appoggiò subito la bella teiera sul comodino della figlia e si alzò, lisciandosi la gonna:
-No, vieni pure, Ronald. Non ho capito bene, ma c’entri eccome in questa storia- disse, gentilmente- sono certa che la consolerai assai meglio di quanto potrei fare io.
Ron era alquanto scettico su quest’ultimo parere, ma si fece avanti, colse uno sguardo incoraggiante della signora Granger che uscì silenziosamente, e in un attimo fu solo nella stanza con Hermione, che sorseggiava il suo tè in silenzio.
La prima volta che era stato in camera di Hermione, aveva solo notato quanto fosse diversa dalla sua. Naturalmente era una camera di ragazza, ma anche quella di Ginny non era così. Tutto era troppo... immobile, come doveva essere normale in una casa Babbana, ma l’effetto per un mago purosangue come lui era vagamente inquietante. I toni del bianco e del blu si rincorrevano sui mobili, i libri riposavano ordinati sugli scaffali: moltissimi libri, che Ron non le aveva mai visto in mano o a scuola: libri di scrittori Babbani che lui non aveva mai sentito nominare o conosceva a stento: Dickens, Shakespeare, Pope, e poi file e file di libri per bambini, che conoscendo Hermione dovevano essere stati letti in età prescolare, se non direttamente sul seggiolone, ed una imponente Encyclopaedia Britannica, e molto altro. C’era la scrivania verniciata di blu, con graziosi disegni bianchi, ed un vaso di fiori sempre freschi, e poi c’era il baule di Hogwarts, e l’angolo della stanza più normale (almeno per Ron), quello con filtri, bacchette, giornali dalle foto semoventi, marchingegni, e la borsa di perline floscia e vuota, appesa ad un grazioso gancio d’ottone come tutte le altre borsette di Hermione, come una delle tante.
Si sedette cautamente sul davanzale della finestra dai vetri impiombati, che affacciava sugli alberi frondosi del viale, tranquillo e poco frequentato. Sperava che parlasse lei, ma visto che la ragazza non sembrava averne alcuna intenzione, si schiarì la voce e cominciò:
-Voglio riaprire il negozio. Il negozio di scherzi, voglio dire. Con George.
Hermione alzò la testa e lo fissò:
-Come?
-Sì. Vedi, quando dicevo che quest’ultimo anno mi ha insegnato tanto... beh, dico sul serio. Ci ho pensato in queste ultime settimane, e una volta tanto so benissimo cosa devo fare. Harry... credo non voglia tornare perchè ha ancora le idee confuse, io invece... beh, per me non è così.
-Il negozio di scherzi?- chiese lei a bassa voce. Non sembrava più propensa ad arrabbiarsi come prima.
-Sì. Voglio stare con la mia famiglia, e voglio occuparmi di George, così... vedi... penso che staremmo tutti meglio. Non dirgli che ho detto che voglio “occuparmi” di lui- aggiunse in fretta.
-Figurati.
-Penso... so che tu credi che io non sono bravo a capire le persone, ma penso che George debba riprendere a vivere, e il negozio è un bel modo di ricominciare a vivere, senza dimenticarsi di Fred.
-Perché dici così?
-Così cosa?
-Che io penso che tu non capisca le persone.
-Beh, io... Oh, andiamo... “hai la sensibilità di un cucchiaino”, e via dicendo.
-Era tanto tempo fa. Non lo penso più da un pezzo.- commentò Hermione, arrossendo un po’. Non che si vedesse molto, sulla faccia arrossata dal pianto.
-Beh, ad ogni modo... quando gli ho proposto di venire a dormire da me ha accettato, e forse accetterà anche questa idea.
-Come, vuoi dire che non gliel’hai ancora detto?
-Beh, prima c’era da chiarire con te. Lo sapevo che non l’avresti mandata giù tanto facilmente.
Hermione poggiò la tazza sul piattino, senza guardarlo, poi sollevò gli occhi.
-Scusami se ho reagito così. Però...
-Uh?
-Ecco... non è giusto che io cerchi sempre di programmare le vostre vite, lo faccio perchè vi voglio bene.
-Lo so- si affrettò a commentare Ron divertito, ma lei non aveva ancora finito.
-Ron, io... non pensare che voglia interferire, ma io credevo... mi era sembrato di capire che avresti voluto fare l’Auror.
Ron strinse le labbra per un attimo.
-Beh... Forse era più una cosa che mi immaginavo di voler fare. Sai com’è, no? Tutti diciamo “da grande farò l’Auror”, o “lo Spezzaincantesimi”, o...
-Non... non mi sembrava che tu la mettessi così.
Ron stette un po’ in silenzio.
-Io...- ricominciò Hermione, esitante, poi si alzò di scatto dal letto, corse da lui alla finestra e gli prese una mano, dicendo con aria ansiosa:
-Ron, io... è bellissimo quello che vuoi fare per George, ma ricordati anche di te. Per l’Accademia serve il M.A.G.O.
Le orecchie di Ron erano rosse, e lui borbottò:
-Tanto non sarei entrato comunque. E poi... ti sembrerà stupido, ma senza Harry mi sembra che non abbia senso.
-Non è stupido. Come per me Hogwarts senza di voi.
Ron la guardò, scioccato:
-Hermione, tu adori la scuola!
-Sì. Infatti ci andrò anche... anche senza di voi. Ma non sarà la stessa cosa. E tu, l’Accademia?
Ron scosse la testa.
-Era un’idea sballata. Per ora, se George vuole, i Tiri Vispi. E non sono un ripiego, credimi. Mi ha sempre affascinato quello che facevano loro. Poi... poi vedremo, chi lo sa?
Hermione annuì, ma sembrava più triste che mai. Ron, d’impulso, se la tirò sulle ginocchia, e lei gli sedette in collo:
-Dai, Hermione, verrò ad Hogsmeade tutti i fine settimana.
-Non è quello... solo... non dovesti dire che non sei all’altezza o non saresti entrato comunque, perchè...
-Ehi! Non fare quella faccia. Non sai che io sono il tipo di persona che vince solo alla fine?
Lei lo guardò, un po’ rossa in viso:
-Di cosa parli?
Lui le fece un sorrisetto, ed alzò le spalle.
-Beh, di te, per esempio- rispose, attirandola a sé e baciandola con trasporto.
 
Settembre era arrivato, il Binario Nove e Tre Quarti era gremito di gente e più rumoroso che mai, perchè la maggior parte del mondo magico si rincontrava in quell’occasione, dalla fine della guerra.
Neville raggiunse il loro gruppo correndo, e tutti si abbracciarono con trasporto. Non fece domande su Harry e Ron, sprovvisti di baule, perchè Hermione aveva scritto a lui ed a Luna per evitare scene imbarazzanti proprio in quell’occasione. Ginny sembrò più felice che mai di vedere Neville, e quando avvistò Luna, appena arrivata sul binario, per mano a suo padre, lo trascinò via dal gruppo dei suoi verso di lei. L’anno passato doveva aver cementato la loro amicizia in modo incredibile, pensò Hermione, cercando di non pensare, per l’ennesima volta, a quanto sarebbe stata sola e abbandonata lei, senza Harry e Ron.
Aveva salutato i suoi con calma a casa. Li aveva trovati più riluttanti del solito a lasciarla andare, ed anche per lei il distacco era stato più doloroso. L’estate passata insieme non era stata sufficiente a ricucire del tutto la sofferenza di quell’anno lontani nel corpo e nel cuore. Sentiva nella tasca il peso della merenda che sua madre le aveva preparato per il viaggio, in un ultimo desiderio di sentirla ancora bambina: la mela liscia e verde e la schiacciata fatta in casa, “che non fa male a denti”.
-Allora... buon anno, Hermione!- Harry la abbracciò stretta, il suo odore fin troppo familiare, e lei lottò per impedire alle lacrime di vincere la battaglia che stavano ingaggiando da quella mattina presto. A scuola senza di lui... a scuola senza di loro...
-Abbi cura di te, per favore. Non farmi preoccupare.
Lui fece il solito sorriso sciupato:
-Tranquilla.
Certo, tranquilla... avrebbe preteso da Ron gufi giornalieri su di lui.
Ron lo prese per mano proprio in quel momento, e la allontanò un po’ dagli altri. Aveva le orecchie rosse, ed Hermione pregò che non intendesse fare qualche gesto dimostrativo proprio allora, ma lui si limitò a mormorare:
-Mi mancherai.
“Potevi venire, allora” pensò Hermione, ma si morse le labbra e rispose:
-Anche tu. Scrivimi di Harry, per favore. E anche di te, naturalmente- si affrettò ad aggiungere, prima che si offendesse –E di George, e di Tiri Vispi.
Ron annuì, le asciugò una lacrima che era riuscita, malgrado i suoi sforzi, a farsi strada sulla guancia e sussurrò:
-Dai, non essere triste. Andrà alla grande. Sei Caposcuola. Avrai un MAGO che resterà negli annali... come tutti i tuoi esami.
Hermione annuì, poi lo afferrò per le spalle, si alzò in punta di piedi e lo baciò, con la timidezza incantevole per Ron che i loro baci non avevano ancora avuto il tempo di perdere. Lui ricambiò con molto più trasporto, praticamente sollevandola da terra, finché la voce di Ginny li interruppe:
-Ehi, piccioncini... il treno parte.
Erano venuti tutti i Weasley, alla stazione, per salutarle. Ginny passò da un fratello all’altro, scomparendo tra le loro braccia, e poi in quelle di sua madre e di suo padre, la spilla di Prefetto che brillava sul petto, “il quarto in famiglia” come aveva singhiozzato la signora Weasley quando era arrivato il gufo con la nomina. Neville sembrava cresciuto ulteriormente in altezza durante l’estate, e la spilla di Caposcuola scintillava negli occhi di sua nonna quasi più che sulla sua uniforme. Anche Luna era stata nominata Prefetto, il distintivo più che mai bizzarro accostato alla sua perenne aria svagata, e la mano alzata a salutare Dean Thomas circondato da ragazzine più piccole (probabilmente le sue sorelle, pensò Hermione) e così il gruppetto blasonato si avviò al treno, trascinando i pesanti bauli. Tutto come sempre eppure diverso da sempre.
Fu all’ultimo che Harry scattò in avanti, afferrò Ginny per un braccio frenandola,  mentre tutti si affrettavano a superarli per salutare gli altri tre dal finestrino e riuscì a mormorarle:
-Fai un buon anno!
Lei annuì, guardandolo negli occhi senza più traccia di astio o imbarazzo.
-Abbi cura di te, Harry- disse, lealmente, poi si voltò, forse per impedirgli di vederle in viso più a lungo, e con i capelli rossi che svolazzavano dietro di lei, saltò sul treno che già si muoveva.
Il suo viso comparve dopo qualche istante accanto a quello di Hermione, e le mani sventolarono fuori dai finestrini finché il treno non arrivò troppo avanti perchè fossero visibili, ed infine sparì tra i vapori che si alzavano come fiocchi di cotone nell’aria di settembre.
 
 
Beh, non pensavate mica che Hermione mandasse giù come acqua fresca il fatto che Harry e Ron non tornassero a scuola?! Fosse successo a me, avrei avuto una crisi isterica.
Lo so, Harry è insopportabile. Ma va capito, è il Bambino Sopravvissuto. Durerà un altro po’, poi si sveglierà.
Invece Ron... ah, il nostro Ron.
Tra parentesi, l’ultimo film ha confermato il mai perso vizio di fargli fare sempre la figura dell’idiota. E invece è un eroe. Un eroe! Ecco!
Un bacione, alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Nuove conoscenze, vecchi problemi ***


 Eccomi con un nuovo capitolo, che può essere considerato un po’ più di transizione. Da adesso vedrete che ci saranno salti temporali un po’ più lunghi, e del resto abbiamo svariati anni da coprire... Comunque non è detto che in futuro io non torni a riempire qualche buco della storia, per adesso continuiamo con l’ordine cronologico.
Grazie tanto a tutti i lettori, soprattutto a chi non manca mai di commentare e consigliarmi.
Buona lettura!

 
Nuove conoscenze, vecchi problemi
 
Novembre era arrivato portando un inverno precoce e piuttosto freddo. C’erano già state spruzzate di neve, ma la campagna intorno ad Hogsmeade era ancora brunastra, ed aspettava da una mattina all’altra di risvegliarsi sotto una coltre improvvisa cresciuta nello spazio di una notte di bufera. Quella domenica, però, sembrava che ancora ci si dovesse limitare ad una pioggia mista a nevischio, gelida e le cui gocce cadevano con una certa compattezza sui passanti. Gli studenti di Hogwarts sciamavano in un brusio che riempiva le strade principali, emettendo vere e proprie nubi con i fiati, appannando le vetrine e sgocciolando dai mantelli fradici quando entravano nei negozi.
Ron entrò scosso da brividi alla Testa di Porco, togliendosi il giaccone ed asciugandosi con un colpo di bacchetta. Salutò Aberforth che era intento ad asciugare bicchieri col suo lurido grembiule, e colse con la coda dell’occhio i movimenti eccitati di alcuni ragazzini, che davano mostra di averlo riconosciuto. Ultimamente, gli era successo abbastanza spesso, soprattutto nelle intere giornate passate a Diagon Alley a rendere di nuovo agibile Tiri Vispi (nel mese che era rimasto chiuso, dall’entrata in clandestinità di tutti i Weasley fino alla Battaglia Finale, il negozio era stato pesantemente vandalizzato, e nessuno se ne era occupato per l’estate), a contrattare per nuovi ordini di merci ed a valutare l’assunzione di almeno un commesso.
Tirare avanti un’attività era più faticoso di quanto avesse immaginato, soprattutto perchè George era (si sentiva in colpa anche solo a pensarlo, ma così stavano le cose al momento) un peso più che un aiuto.
Non che non volesse rimettere il negozio in attività. Ron meditava su come proporglielo da tempo, quando un giorno George era spuntato nella stanza che adesso divideva con lui, e aveva buttato lì:
-Sai... pensavo di riaprire il negozio. Ma mi serve una mano.
Solo che la volontà non era sufficiente. Quello che con Fred non era che un gioco ed un’avventura, adesso pesava su George come un dovere, invecchiandolo precocemente. Era lento in tutto: nelle decisioni, nelle trovate. Così, per lasciargli ritrovare la voglia di inventare scherzi e idee geniali che un tempo venivano fuori naturali come una risata nella sua mente, Ron si era sobbarcato ogni aspetto tecnico che potesse affaticarlo o distrarlo, dalla saracinesca del negozio a Diagon Alley ai nuovi moduli ministeriali obbligatori, al ripristino delle relazioni commerciali con i fornitori dall’estero. Era come sguazzare in un mare sconosciuto di burocrazia.
Si lasciò cadere su una sediaccia, piuttosto vicino al banco, ed ordinò una Burrobirra ad Aberforth, dando un’occhiata al vecchio orologio che segnava le undici meno cinque. Il messaggio di Hermione gli dava appuntamento per le undici lì.
Le orecchie cominciavano a scongelarsi, e mentre aspettava, tirò fuori un fascio di pratiche sulle quali si scervellava da un paio di giorni. Non sapeva nulla di permessi relativi alla gestione di un esercizio commerciale, fino a due mesi prima, e tutt’ora, molta della roba scritta in caratteri piccolissimi su quei bolli in pergamena gli sembrava meno comprensibile degli sgorbi sul manuale di Rune di Hermione. Probabilmente gli serviva l’aiuto di Bill o di papà. O di Charlie, che trafficando con animali pericolosi e soggetti a restrizioni, aveva una cultura in fatto di moduli pressoché sconfinata. Ma Charlie, con dispiacere di tutti, e soprattutto della signora Weasley, che soffriva molto più di un tempo per le separazioni, era tornato al suo lavoro in Romania due settimane prima, dopo aver trascorso tutta l’estate e buona parte dell’autunno con loro. In casa restavano solo lui, George e Percy, che non dava segni di voler tornare nell’appartamento di Londra dove aveva abitato negli ultimi tre anni, almeno per il momento.
Anche Percy aveva le sue preoccupazioni, naturalmente. Come molti impiegati del Ministero durante il regime, aveva ricevuto un gufo che lo informava di essere sotto inchiesta. Dal momento che non era rimasto coinvolto in nessuna azione condotta contro Babbani, Nati Babbani o Mezzosangue, negli ultimi mesi anche rifiutandosi di farlo, con rilevanti rischi personali, non c’era da temere che lo si potesse accusare di nulla. Ma intanto era sospeso dal lavoro, e comunque al Ministero era in corso una profonda riorganizzazione, che probabilmente avrebbe significato, per molti giovani impiegati, la ripresa da zero delle loro carriere. Questo lo rendeva piuttosto depresso, lui che era stato sempre il primo della classe in tutto, ma poiché era chiaro che si sforzava di farsi perdonare il suo abbandono, Ron era propenso a passare sopra a molta della sua irritabilità.
Il signor Weasley, invece, era stato reintegrato immediatamente in servizio, con un consistente aumento di stipendio ed odore di promozione nell’aria. I figli, però, avevano dovuto unire i loro sforzi per spingerlo ad accettare ed a tornare a lavoro, dove senza dubbio si sarebbe distratto e risollevato: inizialmente era molto incerto, soprattutto per la preoccupazione di lasciare la moglie sola a casa. Alla fine, poiché la signora Weasley si era arrabbiata con lui quando aveva scoperto che era sul punto di rifiutare le soddisfazioni sul lavoro a lungo meritate ed altrettanto a lungo attese, facendo la prima vera sfuriata dalla morte di Fred in un modo così normale che tutti si erano sentiti molto sollevati, il signor Weasley, ingrigito e curvo, era rientrato in ufficio all’inizio di ottobre.
 
Ron finì la Burrobirra schioccando la lingua, e stava allungando il braccio per riappoggiarla  sul bancone quando qualcosa di molto simile ad un turbine variopinto lo travolse, facendo ribaltare la seggiola e schiantandosi con lui a terra.
-Santo cielo, che disgrazia... chiedo scusa!
Una ragazza si stava alzando, accanto a lui, usando il suo stomaco come punto d’appoggio. Ron, disteso in mezzo alle cianfrusaglie fuoriuscite dal contenuto di una borsa apertasi nell’urto, appartenente a lei, emise un suono a metà tra il conato di vomito ed il gemito, poi fu tirato in piedi dalla solida stretta della ragazza, una testa piena di capelli neri e riccioluti, amplissime vesti da strega classiche, piuttosto insolite per una persona così giovane, in una gran quantità di fantasie e colori diversi, e le mani più sporche che Ron avesse mai visto.
Lei si scusò ancora: aveva l’aria simpatica. Poi lo guardò con più attenzione, e sembrò riconoscerlo, perchè spalancò gli occhi azzurri. Ron si preparò alla filippica del “Ma tu sei l’eroe, l’amico di Harry Potter che...”, già sorbita varie volte negli ultimi mesi e che aveva perso fascino molto in fretta. Si chiedeva come aveva fatto Harry a tollerarlo tutta la vita. Lei, invece, disse, del tutto inaspettatamente, con aria lieta:
-Tu devi essere uno dei fratelli di Percy!
Questo era una novità. Soprattutto, Ron non ricordava di aver mai incontrato prima un amico di Percy, a parte certi noiosi ex compagni di scuola. Lei, poi, sembrava lontanissima dal tipo di persona che avrebbe potuto apprezzare Percy, o che Percy avrebbe potuto apprezzare. Non aveva idea di come potessero essersi conosciuti.
-Sì, in effetti... sono Ron, il suo fratello più piccolo- disse, incerto.
Neanche il suo nome sembrò richiamare alla mente della ragazza spunti di attualità o politica recente. Sorridendo, gli strinse la mano con la sua, e si presentò con voce squillante:
-Audrey Herriot. Molto piacere per me, immagino un po’ meno per il tuo sterno.
Si chinò a raccogliere tutta la roba che si era rovesciata dalla sua sciupatissima valigetta marrone: inquietanti siringhe di cristallo che rollavano dolcemente intorno a loro, fialette, una discreta quantità di quello che sembrava mangime per polli sfuso, ed una bacchetta tutta piena di ditate. Quando ebbe terminato, con l’aiuto di Ron che si era automaticamente piegato a darle una mano, gli sorrise ancora, si raccomandò:
-Saluta Percy, io devo proprio scappare!-, poi si volse verso il banco, dove Aberforth aveva continuato tutto il tempo a lustrare bicchieri, completamente impassibile, e lo apostrofò:
-Stanno tutte bene, signor Silente, ma per favore non mi dica cosa dà loro da mangiare, è sicuramente qualcosa di illegale. Dolly ha un po’ di gengivite, le lascio una pozioncina che può aiutarla.
Trafficò nella valigetta, estrasse una fiala dal contenuto verdino, si raccomandò:
-Due volte al giorno!-, al che Aberforth annuì, e poi, in un turbine, prese la porta ed uscì, proprio mentre Hermione, Ginny, Neville e Luna entravano assieme, chiacchierando.
Ron andò loro incontro, felice che fossero finalmente arrivati e gratificato dall’abbraccio di una Hermione molto affettuosa.
Non li vedeva dall’inizio della scuola, anche se c’era stata una corrispondenza molto fitta con sua sorella e naturalmente Hermione. Anche Neville gli aveva scritto, e persino Luna aveva mandato qualche bigliettino quasi indecifrabile nella sua gentile assurdità.
Sedettero tutti ad un tavolino, dove gli altri fecero le loro ordinazioni, parlando tutti insieme della nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, quell’Hestia Jones che avevano conosciuto tramite l’Ordine e che a quanto pareva era davvero brava.
-E’ quasi un peccato avere così poco da imparare sull’argomento- disse Hermione, senza alcuna traccia di vanità, ma come una semplice constatazione.
Il resto del corpo insegnante non era cambiato, almeno per quell’anno, visto che la professoressa McGranitt aveva mantenuto la cattedra di Trasfigurazione pur accettando di dirigere la scuola.
Era difficile, per lui, distogliere lo sguardo da Hermione, cui il vento freddo aveva acceso le guance rendendole rosse come il cappellino, i guanti e la sciarpa che portava con il cappottino nero, ma era contento di rivedere anche gli altri, e soprattutto di constatare quanto Ginny avesse ripreso peso, tornando alla sua normale figura esile ma sana.
Neville parlava con un’autorità ed uno sguardo franco e tranquillo che nessuno di loro aveva mai osservato prima in lui. Raccontò dettagliatamente a Ron di come aveva dovuto riprendere più volte studenti che si mostravano aggressivi verso Serpeverde vecchi e nuovi.
-Purtroppo è difficile- si inserì Hermione –dopo tutto quello che è successo, anche quelli del primo anno devono scontare per i loro compagni di Casa.
-Ho letto sul Profeta che i Malfoy sono sotto processo tutti e tre... cosa ne dice papà?- si inserì Ginny, la spilla di Prefetto appuntata sul golf celeste che baluginava alla luce del fuoco nel focolare affumicato del locale, come quelle degli altri tre.
-Dice che probabilmente ne verranno fuori con un’ammenda in denaro. Sapete quello che ha fatto lei, no, ha impedito che Harry venisse scoperto quando pensavano che fosse morto, ed alla Battaglia Finale non hanno combattuto... forse lui si farà un paio d’anni. Ormai ci sarà abituato.
-E Draco? E’ vero quello che dicono?
Ron alzò le spalle:
-Non ne so più di voi. Pare non abbia ucciso proprio nessuno, come la madre. Resterà fuori, vedrete.
-Quel figlio di...- Neville sbottò in una parolaccia che fece spalancare la bocca a Ron ma che non scompose gli altri tre. Due mesi di scuola insieme dovevano essere stati sufficienti per abituarsi al nuovo Neville.
-Non mi sembra giusto che qualcuno rimanga impunito in questo modo... scusate, ma proprio non lo sopporto. C’è gente che sconterà tutta la vita anche solo la stupidità malvagia di gente come Malfoy, che non ha fatto nulla solo perchè non c’è stata la possibilità...
-Beh, Neville, in realtà la possibilità l’ha avuta- intervenne Hermione, sempre corretta –E’ che più che altro, gli è mancato il fegato. Sono piccoli vigliacchi opportunisti, non meritano la tua rabbia.
Tutti sapevano che Neville pensava a sé ed ai suoi genitori, però, e nessuno ebbe il coraggio di aggiungere altro sull’argomento. Ginny chiese a Ron ragguagli sulla famiglia, anche se riceveva lettere frequentissime da tutti, e Ron fu ben lieto di cambiare discorso, aggiornandoli.
-...e Fleur ha cominciato Medimagia a settembre, e sembra molto soddisfatta... Bill dice che non sa come faccia a studiare così tanto e continuare a cucinare così bene.
Hermione annuiva, soddisfatta. A quanto pareva, il suggerimento che aveva dato a Fleur quasi senza pensarci ad aprile aveva avuto più successo di quanto avrebbe immaginato.
-Papà dice che la Facoltà di Medimagia è un covo di scienziati miopi che non vedono aldilà del proprio naso. Limitati- disse soavemente Luna. Tutti annuirono, guardandosi. Luna era sempre Luna.
-...a proposito, lo sapete che ho appena incontrato un’amica di Percy?
-Percy ha degli amici? Stai scherzando!- commentò Ginny, sarcastica.
-Era la ragazza uscita mentre stavate entrando. Mi ha quasi sfondato lo stomaco quando mi è caduta addosso.
-E come lo conosce?
-Non ne ho idea. Non ha avuto tempo di dirmelo. Non so bene neanche cosa ci facesse qui. Credo abbia dato ad Aberforth qualcosa per le sue capre.
-Ah, beh, si interessa di capre, che sono noiose quasi quanto Percy- commentò Ginny –Si spiega tutto.
 
Più tardi, Ginny, Luna e Neville lasciarono sola la coppia, che se ne andò a camminare cercando un po’ di solitudine, uscendo dal villaggio sulla strada fradicia che portava verso la scuola.
Hermione, naturalmente, chiese di Harry. Tutti loro avevano avuto la speranza di vederlo arrivare con Ron, ma non si era fatto vivo.
-Ti scrive regolarmente, vero?- si accertò Ron.
-Certo, una volta alla settimana. Ma non è a stessa cosa che vederlo. Speravo che oggi... comunque sta bene? Mangia?
-Sta piuttosto bene. Non so se mangia, Hermione, è già abbastanza stancante controllare che George non si dimentichi di cenare.
Hermione annuì comprensiva, stringendoglisi addosso mentre lui le passava un braccio intorno alle spalle:
-Non sono riuscita a capire, dalle vostre lettere, se sta sempre da voi.
Ron sospirò. Non era un argomento piacevole:
-Non proprio. Cioè, spesso dorme da noi, sai... in camera di Bill ora che George dorme da me, ma tante volte la sera non c’è... va un po’  a casa Tonks, un po’ a Grimmauld Place, credo.
Hermione rimase un po’ zitta, con le labbra strette:
-E cosa... fa, di preciso?
-Beh... nulla, al momento. Sembra... penso sia un po’ depresso- ammise francamente Ron.
-Accidenti, che scoperta! Certo che è depresso, ma così, senza fare nulla, finirà per diventare matto!
Ron alzò le spalle:
-Che vuoi, Hermione... non voglio stargli addosso ed esasperarlo, e poi...
-Vedi, è esattamente quello che temevo quando ho saputo che non sareste tornati a scuola, io...
-Ehi, un momento, potresti evitare di parlare al plurale? Io non sto passando le mie giornate a pensare che...
-Hai, ragione, scusami- lo interruppe in fretta lei, in tono colpevole. Ron capì che, nonostante le rassicurazioni premurose che gli scriveva per lettera, non si era ancora riconciliata con la sua scelta di non tornare a scuola, anche lasciando da parte Harry.
-E’ solo che... cerco di controllarmi, ma la verità... è che sono terrorizzata a non avervi sotto gli occhi dopo lo scorso anno. Soprattutto Harry- continuò lei  a bassa voce.
-Già- annuì comprensivo. Cos’altro poteva fare?
-So che c’è George a cui pensare, ma... per favore, Ron... dai un’occhiata ad Harry!
-Ci sto provando, Hermione... non è facile come sembra. Il negozio mi porta via una marea di tempo, e lui è... beh, lo sai come fa quando non vuole farsi aiutare. E’ un genio, in questo.
Hermione annuì ancora, e la conversazione arrivò ad un punto morto. Niente male, per essere la prima volta che si rivedevano in oltre due mesi, pensò cupamente Ron, approfittando comunque della pausa di silenzio per sbirciare Hermione, e constatare con soddisfazione, se non altro, che aveva un aspetto sano, senza traccia di occhiaie, curato e simile a quello dell’Hermione di sempre, fin troppo familiare con indosso, ancora una volta, l’uniforme di Hogwarts. I capelli le diventavano crespi per l’umidità come avevano fatto in tutte le uscite invernali ad Hogsmeade da quando avevano tredici anni. Mentre era intento in questo esame, lei, colta forse dallo stesso pensiero, sollevò gli occhi a guardarlo, e lo scrutò attentamente.
-Hai l’aria stanca... un po’ diversa- osservò gentilmente, sfiorandogli la guancia con la mano.
-Stavo proprio pensando che tu sei sempre uguale. L’umido ti fa diventare i capelli come un cespuglio.
-Grazie infinite.
Ma aveva sorriso.
-Cosa c’è, di diverso?
-Sembri... sembri più grande.
Si sentiva così. Forse dipendeva dal fatto che non faceva più vita da studente.
Erano arrivati non molto lontano dalla Stamberga Strillante, e sedettero vicino allo steccato che ne teneva lontano gli intrusi. Guardare quel posto faceva venire le vertigini. Non aveva avuto occasione di tornarci dalla morte di Piton, durante la Battaglia, e a giudicare da come la guardava anche Hermione, nemmeno lei lo aveva fatto.
Aveva cominciato a piovigginare nevischio, piuttosto insistentemente, ed Hermione evocò un Incantesimo Impervius che li protesse come una sorta di manto impermeabile, anche se non riusciva a ripararli dal vento freddo. Foglie morte svolazzavano in mulinelli intorno a loro, chiazzando le tracce di neve sotto gli alberi.
L’appuntamento stava diventando un vero disastro, a quanto pareva. Erano settimane che contava i giorni che mancavano a rivederla, e forse era il caso di farglielo capire.
-Sono contento di rivederti- mormorò, stringendo la mano di Hermione, e poi chinandosi a baciarla, un po’ impacciato. Non lo aveva ancora fatto da quando si erano rivisti, e lei ricambiò con trasporto, gettandogli subito dopo le braccia al collo:
-Scusami, ti sto deprimendo con le mie preoccupazioni per Harry!
-Non è che non mi preoccupi per lui, sai?
-Lo so. Come va il negozio?
Un argomento forse non piacevolissimo, ma almeno c’era qualcosa da dire. Parlò di moduli, scadenze, di fastidi. Di qualche soddisfazione.
-...l’altro giorno sono salito in camera per andare da George a vedere se combinava qualcosa... praticamente gli ho trasformato la mia stanza in un laboratorio, pur di invogliarlo a riprendere a sperimentare le cose che piacevano a... a loro due. Insomma, gli faccio “George... George?” e lui sembrava addormentato con la testa sulla scrivania, tutto circondato da polverine e robaccia, e poi mi avvicino, lui alza la testa dalla scrivania, mi guarda e rovescia gli occhi! Ma tutti, completamente dall’altra parte, capito? L’ha chiamato Collirio Capovolgente... accidenti, credevo di morire di spavento! Non serve a nulla, ovvio, ma se vuoi spaventare gli amici o raccontare una storia horror ad Halloween è perfetto.
Hermione rise con lui.
-Sembra un po’ disgustoso!
-Lo è. Però si è dato una smossa, capisci? Quando ha visto la faccia che ho fatto si è messo a ridere, e... beh, la mamma e Percy hanno salito di corsa le scale... non lo aveva ancora fatto da quando... lo sai, no? Da quando è morto Fred. Allora ho pensato che magari tutto quell’impazzire dietro ai moduli non è così inutile.
Hermione annuì. Aveva sorriso fino a quel momento, ora la sua espressione cambiò. Lo guardava con gli occhi accesi.
-Se va tutto bene, riapriamo la prossima settimana. Certo, non sarà come una volta, ma almeno...
Hermione si sporse verso di lui e lo abbracciò di slancio.
-Oh, Ron... sei stato bravissimo!
Sentì un piacevole calore in zona orecchie, mentre la stringeva. I complimenti di Hermione erano musica per le sue orecchie.
-Beh...- mormorò compiaciuto e impacciato -...è tutto merito di George, sai? Io ho solo...
Hermione non sembrava condividere questa opinione, perchè gli chiuse la bocca con un bacio.
Il resto dell’appuntamento fu un successo.
 
Hermione lo aveva pregato di stare più attento ad Harry, e doveva provarci, nonostante tutto. I giorni seguenti furono frenetici per l’apertura imminente del negozio, ma venerdì incrociò Harry che transitava alla Tana, e senza perdere l’occasione, gli scaricò uno scatolone sulle braccia. Lui lo aiutò di buon grado a trasportare una gran quantità di roba a Diagon Alley, con Smaterializzazioni a più riprese. Al negozio, George sistemava il nuovo laboratorio. Ron si era scervellato per circa due settimane, prima di decidersi a chiedere cosa dovevano fare delle cose di Fred. Conservare il suo tavolo, la sua attrezzatura ed i suoi cassetti come in un museo gli sembrava sbagliato come buttare tutto. George aveva acconsentito, sia pure con una faccia spaventosa, a mettere via le cose ordinatamente, in scatole che erano finite nella vecchia stanza dei gemelli, che era sulla strada per diventare un inquietante santuario della memoria di Fred. Il tavolo da lavoro, invece, era rimasto, stranamente nudo accanto a quello di George. Ron, senza azzardarsi a toccarlo, aveva sistemato un vecchio tavolino sbilenco in un angolo, e quel tavolino al momento rischiava seriamente di collassare sotto i pilastri di scartoffie, la parte dell’attività che non era fantasiosa, brillante e stimolante... e che lui si era accollato.
Dopo il trasloco dei vari scatoloni, Harry aveva dato una mano con qualche Incantesimo Pulente, visto che l’inaugurazione era prevista per lunedì ed a Ron tutto sembrava di essere anni luce lontano da una condizione vagamente accettabile.
Ma alla fine del lavoro, si rese conto con soddisfazione di essere riuscito a non farsi sfuggire nuovamente Harry dalle mani, perchè, sporco di polvere come lui, sembrò la cosa più naturale del mondo chiedergli:
-Ceni da noi, stasera, vero?-, e lui accettò con la disinvoltura che ricordava altri periodi della loro vita.
Dopo cena, nel salotto deserto (i suoi genitori si erano ritirati presto, e George era sicuramente in camera di Fred, dove andava tutte le volte che Ron non gli stava col fiato sul collo), alla luce mutevole del fuoco, mentre fuori infuriava una tormenta di nevischio che faceva prevedere strade ingombre l’indomani, ascoltò Harry raccontare di Teddy Lupin, che già puntava i piedi per camminare e sputava tutte le pappe che la signora Tonks provava a propinargli. Andava da loro quasi tutti i giorni. Ron, d’altra parte, non vedeva il bambino da oltre due mesi, preso com’era dal lavoro, e non riusciva neanche ad immaginarsi come potesse essere cambiato in tutto quel tempo.
-Sono andato ad Hogsmeade, domenica...- buttò lì, come se Harry non lo avesse saputo –Ho visto tutti, e stanno bene. Hermione era... dispiaciuta che tu non ci fossi.
-Immagino- rispose Harry, in tono neutro. –Mi ha scritto una lettera lunga sette pagine.
-Beh, è... sai com’è fatta, no? Un po’ ansiosa.
Si astenne dal dirgli che, almeno secondo lui, avrebbe potuto fare lo sforzo di andare.
-Le ho già risposto. Le ho spiegato. Ho voglia anche io di rivederla, di rivederli tutti. E’ solo che... non lo so, il bagno di folla tra gli studenti, proprio...
E poi c’era Ginny, naturalmente. Gli aveva detto di salutarlo. Ron considerò tuttavia che in quel momento, dire “Ginny ti saluta” equivaleva a far morire la conversazione.
-Già- annuì Ron -Lo sai che mi hanno fermato due o tre volte?
-Non è così fico, eh?
-Non proprio.
Harry gli diede una specie di pugno sulla spalla. Era come essere davanti al caminetto della Sala Comune. O quasi.
-Senti, amico...- cominciò, annaspando. Non era nato per quelle cose, lui: -Come... insomma, Hermione ed io ci chiedevamo...
Cosa intendi fare della tua vita? Quando ti darai una mossa? Se non è il caso di stabilizzarti un po’?Nessuna di quelle formule sembrava adeguata.
-Lo so.
Harry lo guardava con una specie di sorriso. Non sembrava arrabbiato o turbato, solo stanchissimo. Una stanchezza infinita –Non è che Hermione abbia bisogno di portavoce, si è già espressa dettagliatamente per lettera.
-Oh.
Ci fu un po’ di silenzio, poi Ron si schiarì la voce.
-E... ehm...
-Hermione deve stare tranquilla. Non è che...
-Beh, a dire il vero non è che i tuoi precedenti la facciano stare molto tranquilla.
Usare Hermione per intendere “”noi” era comodissimo... perfetto, se non fosse stato così da vigliacchi.
-Non ho intenzione di... stare così per sempre, ok? Ma non so bene cosa... ho bisogno di tempo. Mi dispiace che tu ed Hermione siate preoccupati...- oltre ad essere da vigliacchi, a quanto pare era anche inutile -...però... dovete... non lo so, fidarvi... che ne verrò fuori.
Ron annuì.
-Non è che non si... che non ci fidiamo. Solo, ci piacerebbe fare qualcosa.
-Avete i vostri problemi a cui pensare. E tu hai George. Io me la cavo.
-E... Ginny?- chiese Ron a bassa voce. Non avevano affrontato l’argomento, da quando Ginny e lui si erano chiariti, ma era chiaro che Harry non era al massimo dello splendore neanche su quel versante.
-Mi ha detto che era meglio... era meglio prendersi una pausa. Una pausa lunga- rispose Harry in tono piatto, fissando il fuoco.
-Non ce l’ha con te.
-Mi ha detto anche questo.
Era difficile non sentirsi in colpa per come andavano bene le cose con Hermione.
-Mi dispiace- commentò, piano. Harry alzò le spalle e le scosse molto lentamente, come se si stesse scrollando di dosso dell’acqua fredda.
-Come va, con Hermione?- chiese, con un cambiamento di tono forzato che però non nascondeva un nucleo di vero interesse e piacere.
-Beh... bene. Benissimo.
A dire il vero, pensò Ron, l’unica ombra nel loro rapporto era il fatto che Harry stesse tanto male. Ma gli parve inutile ribadire il concetto. Alzò il braccio e diede una pacca sulla spalla di Harry.
-Potresti... potresti cercare di... riemergere? O di farti vedere più... riemerso? Lei è... almeno tranquillizza Hermione, cioè. Lei non è qui, e sta sempre a pensarci ed a preoccuparsi e non può constatare di persona... si tormenta e...
-... ed è inutile. Capito. Ci proverò.
-E io non farò la spia anche se non sarai al massimo.
Harry annuì. Sembrava un compromesso accettabile entrambi. Si guardarono, e quella specie di sotterfugio verso Hermione li fece sentire così complici e compatti che si sorrisero, spontaneamente, e Ron si ritrovò a pensare che, se tutto andava bene, non avrebbero dovuto mentirle per molto.
 
In quel momento, sentirono passi fuori dalla porta, e si girarono per guardare, attraverso il vetro della finestra del salotto, chi si avvicinasse nel cortile tra il turbinare dei fiocchi. Entrambi avevano portato la mano alla bacchetta nonostante sapessero perfettamente che nessun estraneo poteva aver oltrepassato il cerchio di protezione del Ministero. Certi tic erano duri a morire. Ma naturalmente era solo Percy, in compagnia però di un’altra persona.
Sentirono la porta aprirsi, e Percy argomentare, imbarazzato:
-...credo che i miei siano tutti a dormire... forse è il caso di...
-Non dire sciocchezze, Perce! Scomodare tua madre solo perchè ho bisogno di un po’ di Polvere di Idragora... sicuramente la tiene in dispensa come tutti... una vera sbadataggine averla finita... mi sono dimenticata di controllare le scorte, come sempre...
Ron riconobbe la voce della ragazza che accompagnava Percy. Harry, invece, fissava il vano della porta ad occhi sgranati.
I due entrarono in soggiorno, con le teste spolverate di bianco e le guance arrossate dal vento, e si fermarono un po’ interdetti:
-Oh, ma guarda, è tuo fratello Ron! Ci siamo già conosciuti, non è vero?- fece Audrey Herriot, cordiale, tendendogli la mano.
-Beh, più o meno...- rispose Ron.
Percy sembrava piuttosto imbarazzato:
-E come...
-Oh, ero da Aberforth, domenica, per le sue capre... sai, gliele visito gratuitamente, è un amico! Ho incontrato tuo fratello in un pub... vi somigliate moltissimo.
-Ah, beh... Audrey, questo è Harry Potter, un caro amico di famiglia e...
-Lo avevo riconosciuto, naturalmente. E’ un vero piacere.
La giovane scosse i riccioli scuri mentre stringeva cordialmente la mano ad Harry, che le sorrise:
-Molto lieto.
Ci fu un momento di silenzio, poi Audrey riprese a parlare, per nulla imbarazzata:
-Ho finito l’Idragora, e mi è rimasto uno Knarl che si rotola per i disturbi di stomaco, su ad Aberdeen... i suoi proprietari sono molto angosciati, ma senza Idragora non posso preparare le supposte... così Perce ha proposto di venire a qui a prenderne un po’ dalle vostre scorte...
-Audrey è Guaritrice Veterinaria... si occupa di Creature Magiche per conto del Ministero- fece Percy, pomposamente.
-Già, ma l’Apoteca del Dipartimento è chiusa, a quest’ora... sarebbe stata una bella seccatura farsi aprire, e quel povero Knarl...
Ron ed Harry continuavano ad annuire. Ron si chiese quanto avrebbe potuto resistere senza prendere a sghignazzare per la faccia di Percy, pietrificata tra l’imbarazzo e la serietà. Idragora o meno, aveva portato una ragazza a casa... ed era stato beccato da suo fratello minore. Quasi poteva vedere i pensieri angosciosi che dovevano passargli per la testa in quel momento.
-Beh, Audrey, ti accompagno a...
-Ma lascia perdere, faccio da sola... sento l’odore della vostra dispensa fin da qui.
Sembrava che stesse per cominciare una breve schermaglia tra lei e Percy, deciso a scortarla in cucina, ma Audrey impedì qualsiasi discussione spingendo la spalla di Percy fino a che le ginocchia non gli cedettero e lui crollò a sedere su di una seggiola, ed avviandosi verso la cucina a grandi passi.
Percy fissò inespressivo Ron ed Harry.
-Ehm... Perce?- cominciò Ron, incapace di trattenersi.
-Le sto solo dando una mano- tagliò corto il fratello, più rosso che mai.
Aveva portato a casa una ragazza. Non c’era neanche bisogno di pronunciarla, quella frase, tanto aleggiava nell’aria.
-Solo una mano. Per l’appunto ero con lei quando si è accorta di questo problema e...
-Per l’appunto? Alle dieci di sera?
-L’ho accompagnata nel giro di visite. Siamo amici.
-Come diavolo l’hai conosciuta?
-Ministero. Comunque non ti riguarda.
Ci fu un altro po’ di silenzio. Audrey armeggiava in cucina e Percy sembrava seduto su un puntaspilli, tanto era chiaro il suo terrore che i movimenti non troppo delicati di Audrey svegliassero sua madre.
-Comunque è carina- buttò lì Ron.
Percy lo fulminò con lo sguardo e non rispose. Harry cominciò a tremare violentemente al fianco di Ron, chiaramente cercando di reprimere una risata. Audrey rientrò trionfante con un vasetto:
-L’ho trovata subito, che ti avevo detto? Senti, perchè non resti qui, Perce, sei a casa, non vale la pena che tu esca di nuovo!
-Ma figurati! Ti accompagno ad Aberdeen e poi a casa tua. E’ questione di un attimo.
-E’ gentilissimo ad accompagnarmi nei giri serali... sono così noiosi!- disse Audrey sorridendo, rivolta a Ron.
-Già- fece Ron. Il tremito di Harry continuava e lui aveva l’impressione di essere sul punto di soffocare per impedirsi di ridere.
Percy prese Audrey per un braccio con una certa decisione e cominciò ad indirizzarla verso la porta.
-E’ stato un piacere conoscerti, Harry... Ron... sempre lieta di rivederti!- trillò lei, infilando il vasetto in una piega dell’ampia veste verde a disegnini blu.
Loro ricambiarono il saluto, Percy biascicò un  “Ci vediamo” e la coppia prese la porta e si allontanò nella notte ventosa per Smaterializzarsi fuori dal muretto.
Harry fissò Ron e fu come essere di nuovo ad Hogwarts, quando una Ginny minuscola diceva loro dei baci di Percy con Penelope Light.
Fu un miracolo se non svegliarono tutta la casa per il gran ridere.
 
La “mia”Audrey l’avevo già introdotta in Lista di Nozze Lovegood-Scamandro, una one-shot scritta qualche tempo fa, che fa “idealmente” parte di questa raccolta, nel senso che se non l’avessi scritta prima potrebbe essere un capitolo di Dopoguerra.
 Si chiama Herriot perchè... zia Jo non ha specificato il cognome, e visto che me la sono immaginata come l’equivalente magico di un veterinario... beh, chi ha letto qualcosa di James Herriot capirà (tra parentesi, sono libri deliziosi, che consiglio a tutti).
Spero che abbiate apprezzato il capitolo, ci sentiamo presto con il prossimo!
(PS: una recensione fa sempre piacere!)


 

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Capitolo 6
*** Il primo Natale ***


 Eccomi di ritorno! Sono stata impegnata con qualche esame ed ero un po’ incerta su come costruire questo capitolo, per cui mi ci è voluto un po’. E’ venuta fuori una trama piuttosto tenera... ma del resto è una storia di Natale... anche se immaginarla e descriverla in questo mese caldissimo non è stato facile!;)
Come vedrete, ci saranno, verso la fine, accenni al passato di Molly, Arthur e Andromeda: questo perchè nel frattempo ho scritto una one-shot natalizia con i personaggi di E’ illegale Molly Prewett! e visto il tema comune non ho resistito alla tentazione di fare collegamenti. In fondo vi ho messo il link.
Buona lettura, le recensioni sono sempre bene accette!

 
Il primo Natale
 
La neve si era depositata sul davanzale di pietra, ed aprire la finestrella impiombata non era stato facile. Il gelo aveva disegnato sul vetro una sottile ragnatela di ricami, che quasi impedivano di guardare fuori il lago e le montagne che circondavano il castello. Ginny lasciò entrare Leotordo che picchiettava con una certa insistenza al vetro, e lo guardò planare attraverso la stanza per andare a svegliare Hermione con colpetti di becco non troppo delicati.
-Mmh... cosa.. Leo, no, sei tutto b... ho capito, ho capito... ah, guarda qua che disastro!
Hermione si sporse, e con la mano afferrò a tentoni la bacchetta lasciata sul comodino, per asciugare Leo e tutte le sue lenzuola, bagnate dal suo scrollarsi la neve di dosso. Poi gli sfilò la lettera assicurata alla zampa, e lui andò dignitosamente a posarsi sullo schienale di una seggiola, vicino alla finestra. Era mattina presto, e dagli altri letti, tutti con le cortine chiuse, non proveniva alcun rumore. Ginny rabbrividì e rientrò a letto, scambiandosi un silenzioso buongiorno con Hermione, che si accingeva ad aprire la lettera, ben riparata dalle coperte.
Nonostante la stanza fosse piuttosto affollata, i fiati delle occupanti non erano sufficienti a renderla neanche tiepida, all’alba.
Era l’anno scolastico più strano che avesse mai vissuto, a meno che non si volesse considerare quello appena passato un anno scolastico invece che una detenzione. I dissesti del’anno precedente facevano sì che un sacco di studenti fossero rimasti indietro e frequentassero corsi di anni precedenti ai loro: tutti quelli che non erano riusciti a superare gli esami di ammissione di settembre ai rispettivi anni, o quelli che neanche ci avevano provato, come il numero consistente di Nati Babbani, che avevano ricevuto un indennizzo dal Ministero, ma ai quali nessuno poteva restituire l’anno perduto, trascorso a casa quando non in fuga. Così le lezioni erano un caos di facce insolite, in mix sempre diversi.
La stanza dove dormiva, ospitava, oltre a Judith Lee e Calì, come l’anno passato (lei ed Judith erano state accorpate alle più grandi perchè rimaste troppo poche nelle rispettive camere), anche Jean-Louise Friars, del suo anno, ed Hermione, entrambe Nate Babbane ed assenti durante tutto il precedente anno scolastico.
Quanto a lei, aveva superato l’esame di settembre a pieni voti, forse per la volontà quasi feroce con la quale aveva studiato non solo quanto era possibile farlo nel corso dell’anno precedente, ma anche tutta l’estate, nel disperato tentativo di non pensare troppo a Fred. Judith non ce l’aveva fatta e ripeteva il sesto anno, ma non era colpa sua: aveva passato l’anno ad Hogwarts terrorizzata per la sua famiglia e sconvolta per sua madre, spedita in quanto Nata Babbana ad Azkaban durante i rastrellamenti del settembre precedente. Jean-Louise, ovviamente, non ci aveva neanche provato, e tutto sommato lei e Judith erano state contente di ritrovarsi insieme, amiche per la pelle da sempre come erano. Per Ginny, invece, superare gli esami aveva significato cambiare quasi tutti i suoi compagni di classe, almeno nei corsi principali, ma la cosa non le dispiaceva. Negli ultimi due anni si era molto allontanata da chiunque non avesse fatto parte dell’ES, ed ora che Colin era... morto, non c’era nessuno del suo anno a Grifondoro con il quale avesse rapporti stretti.
Naturalmente, c’era Hermione, c’erano Neville e, in tutti i corsi in comune con i Corvonero (quell’anno Incantesimi e Cura delle Creature Magiche), Luna, e poi Dean e Seamus, e Calì che, come sua sorella Padma, aveva deciso di ripetere l’anno per ottenere un buon MAGO, invece che tentare di darlo a settembre. Lavanda non era tornata, ed era una delle tante. Ferita gravemente da Greyback, era uscita dal San Mungo solo ad ottobre, e Calì era riservatissima sulle sue condizioni di salute.
-Cosa scrive?- mormorò, rivolta ad Hermione per non svegliare le altre. Lei, che scorreva il foglio aggrottando le sopracciglia ogni volta che faceva fatica a decifrare qualche sgorbio particolarmente oscuro nella grafia di Ron, ma alternando alla perplessità rossori incantevoli, le sorrise, dicendole di rimando:
-Il negozio va piuttosto bene... e naturalmente tua madre mi ha invitata per Natale.
-Naturalmente. Verrai, vero?
-Magari qualche giorno, ci sono anche i miei a cui pensare.
Ginny annuì. Natale si avvicinava, e non ne era affatto contenta. Sarebbe stato il primo senza Fred, e inoltre Natale a casa sua significava Harry, senza ombra di dubbio. Si sentiva un po’ in colpa, ma non aveva potuto fare a meno di essere felice del fatto che lui avesse deciso di non tornare ad Hogwarts. Dubitava che avrebbe sopportato una vicinanza simile, quando invece il non averlo visto per mesi aveva avuto il potere di tranquillizzarla tanto, dopo gli eventi dell’estate. D’altra parte, però, vedeva la preoccupazione di Hermione e sapeva via lettera quanto anche Ron si occupasse di tenere Harry lontano dalla depressione, e anche se nessuno di loro le aveva mai rinfacciato niente... la preoccupava l’idea di rivedere Harry.
Si alzò, visto che era quasi ora di colazione, e si diresse verso il bagno prima che anche le altre si svegliassero.
Mezz’ora più tardi, scendeva con Hermione in Sala Grande, piena dei familiari odori della colazione. Lei ricontrollava di aver preso tutto l’occorrente per la mattinata nella borsa di cuoio dove teneva i libri. Essere compagna di classe di Hermione aveva i suoi lati sgradevoli, come avevano potuto constatare tutti gli studenti del suo anno: era talmente più brava degli altri che rischiava sempre di mettere in imbarazzo qualcuno. Ma, anche in considerazione del fatto che era, più che mai, una celebrità, aveva scelto un profilo assai discreto, e si limitava ad un’eccellenza quanto più silenziosa possibile... se mai era possibile ad un’eccellenza come quella di Hermione passare inosservata. Alle lezioni di Difesa, soprattutto, sembrava non fosse possibile insegnarle nulla. Ma del resto, nella loro classe, c’erano diverse punte di diamante, in quel campo, lei e Neville inclusi: la professoressa Jones si era complimentata caldamente.
Sedettero vicino a Neville, che ripassava un tomo di Erbologia mai visto prima. Si preoccupò che le fosse sfuggito qualcosa:
-Neville, che roba è?- chiese, perplessa.
-Oh, nulla... la professoressa Sprite mi sta dando delle letture facoltative, visto che sono così avanti col programma... per il concorso alle Serre, sai?
-Concorso?- intervenne Hermione, terminando l’esame della sua cartella son aria soddisfatta –Che concorso, Neville?
-Oh, sapete- un’ombra del Neville timido di sempre spuntò sul suo viso, mentre arrossiva lievemente: -La professoressa ha... suggerito che potrei tentare di... entrare alle Serre Sperimentali Ministeriali, dopo il MAGO. Sono due anni di tirocinio... per accedere bisogna superare un concorso, e allora...
Le due ragazze annuirono. Hermione sembrava colpita, e cadde in una sorta di meditazione con aria assente sulla sua tazza di caffellatte.
Quanto a lei, avvertì come un senso di malessere che le serrava lo stomaco. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo Hogwarts. Quando la scuola aveva riaperto non aveva dubitato neanche un minuto che sarebbe tornata, perchè avvertiva troppo profondamente quanto fosse un rifugio per lei, in quei frangenti. Cercava di vivere alla giornata, di godersi le amicizie e di dimenticare più cose possibili dell’anno passato.
-Siete a posto con i regali di Natale, ragazzi?- stava dicendo Hermione.
-No, veramente. Quando saremo a casa dovrò fare un salto a Diagon Alley, ad Hogsmeade la volta scorsa non ho trovato nulla per George e per mamma- rispose Ginny. E per Harry, aggiunse mentalmente. Avrebbe dovuto fargli un regalo? Non riusciva a risolvere la questione.
-Cosa regalerai a Ron?- chiese ad Hermione.
-Gli ho comprato... un libro.
-Un libro?
-Un libro di Difesa. Anche se ha deciso di dedicarsi al negozio insieme a George, credo che non dovrebbe dimenticare altre sue aspirazioni.
Ginny annuì lentamente: -Probabilmente hai ragione.
-A mia nonna regalerò una delle Bombegonie che sono riuscito a far germogliare nella Serra numero Cinque il mese scorso- intervenne Neville, spalmando un’abbondante dose di marmellata sul suo pane tostato –Quanto a voi... vedrete la mattina di Natale.
-Neville, non dovevi farci un regalo!
-E’ stato un piacere, ragazze.
Lo disse con un tono talmente disinvolto che non sembrava neanche lui: Hermione e Ginny si guardarono e poi scoppiarono a ridere.
Si alzarono da tavola, quasi subito raggiunti da Luna. Dean e Seamus si unirono a loro, e tutti insieme si avviarono verso l’aula di Incantesimi.
 
Teddy cominciò ad urlare mentre i suoi capelli diventavano rossi quasi come la sua faccia. Harry, in preda al panico, lo prese in braccio, dondolandoselo da una spalla all’altra. Si conoscevano da quasi otto mesi, e supponeva di poter dire di stargli simpatico, ma non era riuscito a calmarlo una sola volta quando cominciava a piangere. E visto che la signora Tonks era appena uscita per andare a fare delle commissioni, e si sarebbero dovuti incontrare direttamente alla Tana quella sera, dove erano invitati per la Vigilia, si prospettava un lungo pomeriggio.
-Cosa... dove ho sbagliato?- chiese sgomento al bambino, che continuava a piangere.
-Sei bagnato... no, non lo sei. Sete? Non ti piace la pappa? Ma come, è buonissima!- fece, mettendosene un cucchiaio in bocca e guardando Teddy con aria accattivante. Era purè di pastinaca, un elemento del vasto campionario di pappe che Andromeda aveva cominciato ad inserire da circa un mese nella dieta di Teddy, e non poteva dire che fosse proprio squisito, ma gli ordini erano di introdurre quella scodella di materia arancione nel corpo di Teddy, in un modo o nell’altro, e lui avrebbe cercato di eseguire.
Il bambino continuava a strillare. Adesso aveva anche gli occhi molto neri. Sbattè le manine sul piano del seggiolone, urtando il cucchiaio e facendogli compiere un arco quasi perfetto.
-Ehi, niente male!- commentò Harry, piegandosi pazientemente a terra per riprenderlo, poi cambiando idea e dirigendosi al cassettone per prenderne un altro pulito.
Si muoveva in quella casa ormai con grande disinvoltura, e Andromeda Tonks lo lasciava fare. Certo non si poteva dire che, con lei, fossero grandi amici, ma era più che altro perchè entrambi cercavano di concentrare tutte le energie sul bambino, ed Andromeda, vista la perdita di tutti i suoi cari, aveva accettato piuttosto a fatica, almeno all’inizio, che ci fosse qualcun altro che avanzava pretese sull’affetto di Teddy. Anche se si trattava di Harry Potter, il Salvatore del mondo magico.
Però era una donna profondamente giusta, e non se l’era sentita di rifiutare Teddy ad Harry, che già i primi giorni dopo la tragedia, si era presentato alla sua porta con un’espressione che le aveva ricordato quella di un cane intimidito, a chiedere di vedere il bambino:
-Sono... beh, Remus mi aveva detto che mi avrebbe nominato suo padrino, sa... il suo... tutore.
Andromeda si era irrigidita, ma Harry non intendeva portarle via il bambino, cosa peraltro piuttosto ragionevole, data la sua giovane età (era però rimasta piuttosto stupita, pur senza fare commenti, quando lui non era rientrato ad Hogwarts in settembre). Sembrava aver capito il bisogno quasi fisico che aveva Harry di quella compagnia, ed avevano finito per giungere ad una sorta di pacifica convivenza, con lui che veniva a casa loro quasi tutti i giorni, ed un babysitter assicurato per ogni volta che ne aveva bisogno. Col trascorrere dei mesi, Teddy aveva smesso di essere l’unico tramite che li univa, e si era sviluppata una sorta di amicizia, piuttosto insolita, vista anche la differenza di età.
-Avanti, Teddy, cosa posso fare per te? Per farti piacere questa buona pappa? Chissà se i Legilimens sono più bravi con i loro figli? Vuoi... oh, avanti, io... dai, almeno smetti di piangere! Ti darò... niente pastinaca, ti darò...- fece per allungare la mano verso il frigo, ma quello commentò, impassibile:
-La signora Tonks ha detto pastinaca, per oggi.
Sobbalzò, perchè non si era ancora abituato all’intransigenza vocale del frigorifero di casa Tonks, sbatté la nuca contro uno scaffale ed inciampò, piombando sul divano retrostante.
-Ouff...- esclamò. Poi notò che Teddy aveva smesso di piangere.
-Che vorresti dire, scusami? Non vorrai che mi faccia male per divertirti?
Teddy era l’unico al mondo a non avere alcuna pretesa su di lui, ed anche per questo Harry era disposto ad accontentarlo pressoché su tutto, ma quello sembrava un po’ troppo.
Il labbro inferiore del bimbo ricominciava a tremare, però, per cui si alzò dal divano, si mise in piedi di fronte a lui e si lasciò cadere a terra. Teddy sorrise apertamente, ed alla successiva caduta fece una risatina, lieve come tanti piccoli colpetti di tosse, mentre i suoi capelli diventavano celesti e poi verdi, il che, lo sapevano bene, esprimeva intensa soddisfazione.
-Bravo, Teddy... così, niente broncio. Adesso che ne dici di un bel cucchiaio di pappa?- chiese, restando per terra.
Quasi incredulo, guardò il bambino impugnare maldestramente il cucchiaio e raccogliere un po’ di purea dal piatto.
-Bravissimo... aspetta che...
La pastinaca contenuta nel cucchiaio gli si spiaccicò in faccia come un proiettile, e Teddy rise in modo adorabile. Harry si tolse lentamente gli occhiali, li pulì nell’orlo del maglione e li inforcò di nuovo per fronteggiare il bambino che troneggiava nel seggiolone.
-Non intendevo questo.
 
Hermione era arrivata alla Tana subito dopo pranzo, anche se aveva passato i primi giorni delle vacanze di Natale a casa dei suoi, ed in cucina aiutava a sbucciare le patate, seduta accanto a Ginny al grande tavolo mentre la signora Weasley cucinava con grande concentrazione. La Tana non era molto diversa da altri Natali: i vecchi mobili e le pareti storte erano state ornate con decorazioni vecchio stile, tralci di edera si arrampicavano intorno al passamano di legno delle scale ed in salotto un albero era stato coperto di candele. C’era animazione, ma meno chiasso di altri anni. Charlie era arrivato prima di pranzo direttamente dalla Romania, e stava giocando a Quidditch con Percy nel cortile (se lo svolazzare instabile di Percy poteva essere definito “gioco”).
Bill e Fleur arrivarono nel pomeriggio, lei meravigliosa in un abito rosso fiamma con ricami dorati, lui trasandato come sempre e pronto ad aiutare suo padre che ancora inchiodava alle pareti statuine di legno che cantavano “Bianco Natal”.
Ron e George arrivarono verso la fine del pomeriggio insieme ad Andromeda, come avevano concordato in precedenza: loro avevano lavorato in negozio fino alle cinque, quando a fatica, insieme ai commessi, erano riusciti a far uscire la folla di gente che ancora stipava il negozio e ad abbassare le saracinesche, e Andromeda li aveva raggiunti lì per usare il camino di Tiri Vispi, dopo alcune compere a Diagn Alley che le avevano impegnato il pomeriggio. Harry, che era rimasto a casa con Teddy, avrebbe dovuto raggiungerli nel primo pomeriggio, ma non si era visto, e nessuno ci aveva fatto caso, fino all’arrivo di Andromeda, che naturalmente aveva subito cercato il nipote.
-Santo cielo, in effetti non sono ancora arrivati. Ci dobbiamo preoccupare?- fece subito Molly, in apprensione. Ron, che aveva sorriso ad Hermione con una faccia che le parve molto stanca appena entrato in cucina, si affrettò a tranquillizzarla:
-Sarà tutto a posto, mamma. Provo a chiamarlo dal camino.
Aveva gettato la polvere verdastra nel fuoco del caminetto, dove si consumava un ceppo natalizio profumato e bellissimo e vi aveva infilato la testa. “Harry?” lo sentirono chiamare.
Quando la ritrasse, guardò chi lo aveva seguito in salotto:
-Ci sono e stanno bene, perchè li ho sentiti ridere, ma probabilmente non ha sentito che lo chiamavo.
Si strinsero nelle spalle, e Ron si voltò per reggere la scala a suo padre, impegnato negli ultimi ritocchi, e parecchio barcollante, mentre Molly cominciava ad apparecchiare. Scaricando un improbabile numero di piatti sulle braccia di Hermione dalla credenza, disse:
-Forse è meglio che qualcuno vada a chiamarlo. Ginny, tesoro, per favore, fai un salto.
Quasi tutti si immobilizzarono, perchè sapevano che la richiesta poteva essere pericolosa, ma fu chiaro a tutti, Ginny compresa, che la signora Weasley lo aveva detto soprappensiero, perche Ginny era l’unica con le mani libere in quel momento. Così lei annuì senza scomporsi troppo, prese una manciata di polvere dal vaso e pronunciato forte l’indirizzo di casa Tonks, scomparve in un turbinio di riflessi verdi.
 
Non era mai stata a casa di Andromeda prima di allora. Dall’interno provenivano tonfi e strani urletti, e quando uscì dal camino ebbe la forte tentazione di sguainare la bacchetta... tanto per stare sul sicuro. Invece la casa era vuota, a parte la cucina. Teddy, dall’alto di un seggiolone, imbrattato di pappa in modo quasi disumano, ne gettava i resti a cucchiaiate verso il pavimento, dove Harry, sdraiato, faceva da bersaglio. Teddy rideva in maniera irresistibile ed i suoi capelli avevano accecanti mutamenti cromatici dal verde al turchino. Harry rideva a sua volta, pur cercando di ripararsi gli occhiali dagli schizzi di pappa.
-Ma... che sta succedendo, qui?- chiese Ginny, del tutto sconcertata. La sua voce fece sussultare Harry, ma non scompose in nessun modo Teddy, tanto che un ennesimo proiettile di pappa centrò in pieno il viso attonito con cui Harry dal pavimento la stava fissando.
Subito dopo lui si tirò in piedi incespicando e si passò una mano sulla faccia per togliere residui di pastina.
-Ehm, ciao- disse, -Che... che cosa ci fai qui?
Fece un paio di gesti inconsulti, come se fosse indeciso se porgerle la mano o avvicinarsi per dare e ricevere un bacio sulla guancia, ed in entrambi i casi si fosse ricordato di essere del tutto impresentabile, impregnato come si trovava al momento di pappa quasi ovunque.
Un altra cucchiaiata arrivò a spiaccicarsi sulla sua schiena, perchè Teddy non dava segno di intendere che il gioco fosse finito, e lo splat lo fece sussultare. Si girò, avvicinandosi al seggiolone, togliendogli gentilmente il cucchiaio di mano e dando al bambino una ripulita con il tovagliolo.
-Stavamo... ehm... giocando- fece, dandole le spalle.
-Vedo- commentò lei. Allungò la mano verso una chiazza sul cassettone, vicino a dove si trovava, vi immerse un dito ed assaggiò con aria critica:
-Purè di pastinaca.
-Andromeda ha detto che è... ora di cominciare  a svezzarlo.
-Non mi sembra che sia d’accordo.
-No.
-Non mi sorprende, visto quanto è cattiva questa roba.
Harry prese a sua volta una ditata da quel poco che restava nella scodellina di Teddy e storse il naso:
-E’ davvero cattiva.
-Ma perchè te la stavi facendo tirare addosso?
-Erano ore che piangeva. Ero disposto anche a venir ricoperto di pastinaca pur di farlo smettere, e questa cosa lo divertiva. Comunque...- indugiò, guardandola fisso: -Come mai sei qui?
-Ti stanno tutti aspettando, alla Tana. Ci chiedevamo dove foste finiti tu e Teddy.
Lui la fissò, inespressivo:
-Che significa che ci state aspettando? La festa non è stasera?
Ginny alzò le sopracciglia e guardò l’orologio:
-Harry, non so quanto tempo abbiate passato qui a tirarvi pastinaca, ma sono quasi le sei.
-Come?- Harry si girò a fissare il pendolo di legno scuro, poi sbarrò gli occhi –Io...
-Sono ore che cerchi di farlo mangiare?
-Più o meno. Credevo fossero al massimo le tre. Devo essere un po’ stanco.
Oltre la pastinaca, Ginny guardò il viso segnato. Non si vedevano da settembre, e non le sembrò molto migliorato. Aveva sempre gli occhi verdissimi, ed i capelli più disastrosi che mai, ma era strana la sensazione di estraneità che le dava il rivederlo, dopo una così lunga lontananza, mista pur sempre a tutti i ricordi che aveva di lui e la consapevolezza di anni di amicizia e ben di più.
-Andromeda era preoccupata, voleva venire a vedere.
-Accidenti! Meno male che non l’ha fatto, non so se sarebbe stata tanto felice di... questo.
Le tornarono in mente certi pomeriggi trascorsi in riva al lago, quasi due anni prima: un Harry spiritoso e segreto che nessuno conosceva. Un tempo avrebbero riso insieme, trovandosi in un tale teatro di guerra all’ultima cucchiaiata di purè alla pastinaca.
-E’ meglio se vai a dare una ripulita a te ed a Teddy, io penso alla cucina.
Harry le scoccò un’occhiata indecifrabile, nella quale la gratitudine rappresentava solo lo strato più superficiale, sollevò il bambino dal seggiolone con una abilità ed una sicurezza che la stupì, e mormorando un “Grazie, credo sia il caso” sparì per le scale, di sopra, da dove presto arrivò un rumore di acqua corrente, ed un parlottare confuso inframmezzato da gorgheggi di Teddy.
Ginny cominciò a lavorare di Gratta e Netta sulla carta da parati macchiata, sui mobili di legno lucido della cucina vecchio stile di casa Tonks, sul pavimento di terracotta e sul disastro del seggiolone ed i suoi dintorni. Spedì scodellina e cucchiaio nel lavello. Appese al frigorifero c’erano una decina di foto magiche, tutte che raffiguravano Teddy. La più vecchia doveva essere stata scattata quando aveva solo pochi giorni di vita, e con un moto di nostalgia Ginny osservò Remus e Tonks salutarla dai due lati del neonato Teddy, che dormiva placidamente. Tonks aveva i capelli più rosa che mai, e non stava ferma un attimo: sorrideva, le strizzava l’occhio, la sua mano correva a raggiungere quella di Remus, intrecciando le dita alle sue. Lui si voltava e si allungava per darle un bacio dietro l’orecchio, continuando a carezzare un piedino di Teddy con l’altra mano. Sentì che gli occhi le si offuscavano, guardandoli. Cosa avrebbe pensato Tonks di lei e delle sue scelte recenti, se fosse stata ancora viva? L’avrebbe capita?
Le altre foto erano state scattate nei mesi successivi, così che vari Teddy, di età diverse dormivano o si muovevano da soli o insieme ad Andromeda, salutando qualcuno oltre l’obiettivo, forse Harry stesso, che compariva in diverse foto, con il bambino in braccio, o intento ad intrattenerlo con un giocattolo morbido (che nella foto Teddy gli toglieva di mano per ciucciarlo con grande soddisfazione), ed in una sdraiato sul divano con Teddy sulla pancia, entrambi addormentati profondamente.
Harry sorrideva (nelle foto in cui era sveglio), ma non sembrava mai davvero, del tutto felice. Aveva un’espressione che le era estranea e la spaventava, e Ginny non sapeva se avrebbe dovuto in qualche modo ritenersene responsabile. Aveva sempre accuratamente scacciato pensieri del genere, perchè sapeva che erano una china pericolosa. Ma anche se si era sempre rifiutata di ascoltare Ron o chiunque altro su argomenti come “la sofferenza di Harry”, quelle foto gliela facevano guardare in faccia. Non bastava una pace formale, come quella con lui sottoscritta quella sera alla Tana, prima di tornare a scuola.
Dal piano superiore continuavano a provenire rumori teneri, e la tentazione di andare a vedere fu troppo forte. Salì le scale con qualche esitazione, si affacciò alla porta del bagno ed osservò, appoggiata allo stipite, Harry terminare di far indossare a Teddy i minuscoli vestiti della festa (una microscopica salopette a strisce viola ed oro dall’aspetto così sgargiante che doveva trattarsi di un acquisto della stessa Tonks per il suo bambino), parlandogli sottovoce:
-Adesso andiamo dalla nonna, sì? E da tutti i nostri amici: zia Molly, zio Arthur, Ron, George... te lo ricordi George, quello che ti ha fatto tanto ridere l’altra volta? E ci sono anche Hermione e Ginny che non ti ricordi di sicuro perchè sono state via... sono tornate per Natale apposta per te.
Teddy rise, senza capire una parola, poi gorgheggiò animatamente indicando la porta alle spalle di Harry, dove era comparsa lei. Harry le fece un sorrisetto.
-E’ un bambino adorabile- disse lei.
-Sono d’accordo.
-Non parla, ancora?
-Per nulla. Ma quasi sempre si riesce a capire abbastanza bene cosa vuole. Per esempio, gli piaci.
-Come fai a dirlo?
-Capelli verdi. E’ contento quando gli diventano verdi- rispose Harry, carezzando i ricciolini del bimbo, di sapore decisamente punk con quella tinta.
-Come il rosa di Tonks?
-Più o meno.
Sollevò Teddy dal fasciatoio, spedì con la bacchetta la lurida tutina che gli aveva tolto nel cesto della biancheria.
-Se me lo guardi un attimo, faccio la doccia- disse, piuttosto disinvoltamente. Ginny annuì, ben contenta di prendere in braccio un bimbo così grazioso e profumato, che le sorrideva in maniera incantevole:
-Ehi, Teddy! Anche tu mi piaci molto!- gli disse, tendendo le braccia e lasciandoselo adagiare in collo da Harry, che la aiutò a prenderlo bene come avrebbe fatto una mamma ansiosa.
-Guarda che ce la faccio.
-Attenta a non farlo cadere.
Ginny evitò di ribattere, ed alzò lo sguardo sul viso di Harry, mentre il peso di Teddy le gravava le braccia con dolcezza. Harry fece un piccolo sorriso, Ginny gli sorrise a sua volta e si rese conto che non erano più così vicini da mesi. E non si trattava solo di vicinanza fisica.
-Grazie, Ginny. Faccio in un attimo.
-Ti aspettiamo di sotto.
Lui fece un’ultima carezza a Teddy, poi Ginny indietreggiò, staccandosi da quel contatto perchè potesse chiudere la porta del bagno.
Teddy blaterava e gonfiava bollicine di saliva, e Ginny pensò che al momento non aveva le idee abbastanza chiare per esprimersi in modo molto migliore di lui.
 
-Signora Weasley, questa sera ha superato se stessa!
Una Molly dai capelli quasi completamente grigi sorrise, ed apparve più simile ad un tempo di quanto fosse mai stata negli ultimi mesi, mentre faceva levitare davanti a sé un enorme pudding di Natale. Erano tutti stipati nel soggiorno della Tana, dove si erano spostati, muniti di piattini e forchette, al termine della Cena della vigilia: Arthur, grigio a sua volta e tranquillo, Charlie con una nuova bruciatura che occupava quasi tutta la guancia sinistra, Bill con Fleur splendida nell’abito rosso, Percy con gli occhiali cerchiati di corno alzati sulla fronte e gli occhi stranamente nudi senza quel riparo, George magro, più sbattuto di Harry, taciturno e seduto vicino a suo padre, Ron sul profondo davanzale della finestra ammorbidito da un cuscino con l’aria stanca ma soddisfatta ed un braccio intorno alle spalle di Hermione, che aveva la schiena appoggiata al suo petto e vezzeggiava Teddy, in collo a Ginny seduta all’altro suo lato.
Harry, su una seggiola di legno poco lontano da loro tre, si sporse verso Hermione:
-Quindi stanotte vai a casa?
-Sì, al momento di andare a dormire... sai, mi sembra giusto passare il Natale con i miei... ero un po’ combattuta e questo è il compromesso- rispose lei, sorridendo a Ron oltre le sue spalle.
-Tu resti, vero Harry?
-Accompagno la signora Tonks e Teddy e poi torno, sì- annuì lui.
Andromeda, molto elegante nel suo vestito verde cupo con ricami dorati, i capelli ancora nerissimi intrecciati in un nodo sopra la testa, aveva voluto spiegazioni per il ritardo di Harry, ma non si era arrabbiata, forse cogliendo l’ironia della situazione. Adesso aiutava la signora Weasley a fare le porzioni del dolce sul vecchio buffet in un angolo, spedendo i piattini con precisi movimenti di bacchetta ai vari presenti.
-La Tana non è cambiata per niente, in questi anni- disse poi, guardandosi intorno con i profondi occhi scuri, seduta sul divano accanto a Molly, quando tutti ebbero il loro piattino: -Mi ricordo il primo Natale in questa casa.
Hermione ed Harry alzarono lo sguardo, incuriositi:
-Andromeda ed i tuoi erano amici, da ragazzi?
-Sì, la mamma me ne ha accennato, qualche volta- rispose Ron, vago –Erano a scuola insieme, sai, ed il papà di Tonks... era in Grifondoro, lo stesso anno di mia mamma.
-Non lo sapevo!
-A volte, con gli anni, questi contatti un po’ si perdono... e con tutti i problemi che ci sono stati, e gli impegni... sì, credo che i miei siano stati parecchio impegnati con noi, per un bel po’ di tempo- fece Ron.
-Andromeda non me ne ha mai parlato, in questi mesi- intervenne Harry, le sopracciglia aggrottate, -pensavo che si fossero frequentati soprattutto attraverso l’ordine!
Molly, la testa appoggiata ad una mano, il gomito puntato sul bracciolo del divano, guardava Andromeda con un piccolo sorriso, mentre lei continuava:
-C’eri tu, ragazzo... ed anche tu- fece indicando Bill e poi Charlie -...anche se eri lungo un soldo di cacio. E...
Ma tacque, e tutti capirono che c’erano state anche altre persone, quel Natale di ventisei anni prima, anche se nessuno sembrò comprendere tranne Arthur e Molly che si sorrisero dai due lati opposti della stanza dove si trovavano, un sorriso così malinconico che Harry avvertì un nodo allo stomaco.
-E’ stato quel Natale che hai lasciato definitivamente la tua famiglia, mi ricordo- intervenne Arthur pacato, ed Andromeda annuì:
-Mai fatta scelta più saggia.
-Sei venuta a raggiungere Ted che era da noi a metà serata... in mezzo alla tormenta di neve, povera cara...- commentò Molly, fissando Andromeda con un’aria materna decisamente buffa, visto che si trattava di una sua coetanea di mezza età.
Tutti i giovani della stanza ascoltavano incantati, ed Harry si ripromise di chiedere, in futuro, ad Andromeda, di raccontare quel passato.
Teddy si era addormentato in braccio ad Hermione,  e anche Ginny aveva abbandonato la testa sulla spalla dell’amica. Il grande albero, mano a mano che il fuoco nel camino scemava, restava l’unica fonte di luce nella stanza, dove il brusio delle varie linee dei discorsi si intrecciava nella penombra.
-Anche questo è un... primo Natale, in fondo- commentò Ron –Il primo senza... beh, senza Fred.
-Come sta George?- chiese Hermione, lanciando un’occhiata all’interessato che rigirava il pudding nel piatto con il cucchiaino, senza mangiarlo.
-Non bene. Ultimamente era migliorato abbastanza, ma le feste sono sempre pericolose, giusto?
Hermione ed Harry annuirono silenziosamente.
-Ti ricordi il Natale dello scorso anno, Harry?- chiese Hermione, e lui rivide, incredibilmente nitide le immagini di loro due nel bianco cimitero di Godric’Hollow, la neve chiazzata di colori per il riflesso delle vetrate della chiesetta. Erano ricordi assai più nitidi di quelli relativi alla disavventura che era immediatamente seguita a casa di Bathilda. Ricordava persino l’arricciarsi dei capelli dell’amica sulla tempia, mentre tracciava in aria un cerchio per far apparire una ghirlanda, e l’appoggiava sulla lapide spoglia e semplice dei suoi genitori:
“L’ultimo nemico ad essere sconfitto sarà la morte”
Fred era da qualche parte con i suoi, con la mamma di Teddy, che ora si succhiava un pollice nel sonno, e Remus, che gli aveva parlato proprio di suo figlio quando gli era apparso insieme a Sirius, sua madre e suo padre, nella Foresta Proibita la notte in cui anche lui era andato incontro alla morte.
-E’ stata la più brutta vigilia della mia vita. Anche peggiore di questa, anche se Fred non c’è più- disse Ron, carezzando col pollice il braccio di Hermione –Se avessi saputo che di lì a poco vi avrei trovato, forse...
-Anche a noi non è andata tanto bene... ricordi, Harry?
Harry non rispose: in quel momento voleva ricordare solo il cimitero con la sua pace, e l’aria che si riempiva delle carole di Natale cantate dal coro della chiesina.
Sussultò quando Arthur cominciò a cantarne davvero una, mentre la pendola batteva la mezzanotte:
From starry skies descending...
La signora Weasley aveva le lacrime agli occhi, forse per Fred, o forse per altri pensieri o ricordi che loro non potevano comprendere. George non cantò, ma Ron si unì immediatamente a suo padre, seguito da tutti gli altri, mentre Fleur si alzava per versare il ponce dalla pentola tenuta in caldo sulle braci e mandare in mano a ciascuno una tazza di spessa ed irregolare ceramica.
-Buon Natale a tutti voi- disse Arthur, tranquillo, quando ebbero finito di cantare –Certo i nostri cari... sono contenti di vederci festeggiare qui insieme, anche se ci mancano.
-Buon Natale!- rispose Bill, alzando la tazza, e tutti bevvero agli assenti nel soggiorno caldo e nella notte fredda, mentre il cielo di Natale si stendeva ancora una volta immoto e luminoso sulla terra.
 
Spero che non sia risultato troppo “buoni sentimenti”, ma per me una famiglia riunita a Natale è dolce sempre e comunque! ^_^
Eccovi, se vi siete incuriositi, il link a Primo Natale alla Tana.
A presto, ragazzi!

 
 

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Capitolo 7
*** Girare pagina ***


 Eccomi con un nuovo capitolo, che spero potrà piacervi: sono influenzata ed ho approfittato della pausa forzata per portare a termine il capitolo che già era quasi pronto. Come sempre sono un po’ indietro con le risposte alle recensioni, ma ormai sapete che quando pubblico ritaglio anche un po’ di tempo per sistemare gli arretrati, quindi abbiate fiducia.
Buona lettura!

 
 
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Audrey rise, e si aggiustò un’onda di riccioli scuri dietro l’orecchio.
-Dobbiamo festeggiare, Perce!- esclamò, lasciando cadere l’onnipresente valigetta di vecchia pelle per terra e buttandogli le braccia al collo.
-Ehm... suppongo di sì- rispose Percy, l’aria pacata che non riusciva a nascondere del tutto quanto fosse contento. Era stato appena reintegrato al lavoro, dopo lunghi e snervanti mesi di attesa. Ancora all’Ufficio da dove era partito, quello dei Rapporti Internazionali. Anche se significava ricominciare la sua carriera, non gli dispiaceva. Era un po’ un modo di cancellare ed espiare gli anni trascorsi in maniera che ora gli appariva odiosa, a fare il galoppino del Ministro. Il suo lavoro attuale era molto meno pagato, ma aveva certo più dignità.
-L’unica cosa che mi dispiace, Aud, è che non potrò più accompagnarti nei tuoi giri. Devi capire, non ho più molto... ehm, tempo libero, e...
-Ma Perce, certo che no! Vorrà dire che i nostri appuntamenti saranno un po’ più romantici- lo interruppe lei, allegrissima. Indossava una veste da strega celeste, lavorata a piccoli punti più scuri, terribilmente retrò, ed era straordinario come riuscisse ugualmente ad apparire snella e slanciata, avvolta in quella specie di sacco informe. O forse erano i suoi occhi ad essere parziali, pensò Percy. Comunque, si disse, un mago d’onore come lui era (o si sforzava di essere), si sarebbe deciso a chiederglielo da settimane. L’unica cosa che lo aveva trattenuto era stato il non poter contare ancora sulla sicurezza del posto, fino a quel giorno. O forse anche qualche esitazione dovuta al fatto che Audrey era diversa da lui, brillante ma disordinata, un vero ciclone che metteva sistematicamente in disordine la sua vita regolare. Come era potuto accadere che fosse arrivato al punto di cercare le parole giuste per chiederle di... sposarlo, addirittura, se erano così poco simili?
Forse era perchè si erano conosciuti in piena guerra, quando l’ordine non era proprio la caratteristica principale delle sue giornate, ed i suoi pensieri erano disperatamente incentrati sul modo di ritornare in contatto con i suoi senza mettere in pericolo nessuno.
L’aveva conosciuta al Ministero: prendevano quasi tutti i giorni lo stesso ascensore, Percy sempre uguale in completi gessati da lavoro in due o tre diverse sfumature di beige, e lei sempre diversa, ora con uno spaventoso graffio in faccia, ora con quindici strani uccelli chioccianti in una gabbia verde, ora con addosso odori inquietanti ed una volta completamente ricoperta di una specie di grondante bava purpurea. “E’ solo saliva di Tybula, dovevo consegnare questi moduli in fretta e non sono passata a ripulirmi” gli aveva detto con aria rassicurante quando lui aveva indietreggiato bruscamente, gli occhi fuori dalle orbite, al suo ingresso nell’ascensore. Era stata la prima volta che si erano rivolti la parola, il giorno che al Ministero era poi successo quel pandemonio a causa di Harry, Ron ed Hermione, ma lui lo aveva saputo solo dopo. Nel corso dei mesi avevano stretto uno strano rapporto di conoscenza “da ascensore” prima, da “due passi dopo il lavoro” poi, e Percy vi si era aggrappato, immerso com’era nella più profonda solitudine in quel periodo della sua vita. Con la sua famiglia non voleva e non poteva ancora ricongiungersi, e tutti quelli che erano stati suoi amici e colleghi al Ministero, con il nuovo regime mostravano aspetti nuovi ed inquietanti di loro stessi. L’arrivismo era diventato ferocia, l’amore per la carriera mancanza di scrupoli. E questo valeva per quelli a cui lo Stato di Sangue, per lo meno, aveva permesso di salvare il posto.
Audrey era del tutto aliena a questo tipo di mentalità, ed era abbastanza chiaro che non era una fan entusiasta del regime. Faceva opposizione allo stato delle cose semplicemente non prendendole sul serio. Seguiva la sua routine delle visite con ostinazione, anche certe giornate in cui tutti cercavano di non girare per le strade, faceva battute inopportune, e Percy era sicuro che sarebbe stata capace di entrare anche in una casa con sopra il Marchio Nero, se sull’indirizzario del giorno vi fosse stato segnalato un Crupp malato, perchè semplicemente si rifiutava, con una specie di incoscienza, di accorgersi di Voldemort e di tutto il resto. Trattava tutti allo stesso modo,  e una volta, sbalordito, Percy l’aveva vista prestare la bacchetta ad uno dei Nati Babbani ridotti in miseria a Diagon Alley, che gliela chiedeva lamentosamente per dimostrare  che era un mago, un ritornello ricorrente in quei giorni. E l’aveva fatto con molta cortesia. Percy, che si trovava con lei, aveva dovuto strappare di mano all’uomo la bacchetta di Audrey e Smaterializzarsi con lei all’istante per evitare che venisse arrestata da sgherri in uniforme ministeriale che si avvicinavano minacciosi.
-Ma dico, sei impazzita, vuoi farti arrestare? Non le conosci le nuove leggi?
-A me delle nuove leggi non me ne importa un fico- aveva risposto lei –Io, se un brav’uomo mi chiede la bacchetta in prestito gliela do.
-Che ne sapevi che era un brav’uomo?
-Oh, di recente quasi tutti i mendicanti sono brav’uomini- aveva risposto lei, guardandolo seria e tranquilla.
Ma tutta questa impermeabilità all’atmosfera di regime era più o meno crollata quando era venuta a sapere della sua partecipazione alla Battaglia di Hogwarts, quando si erano rivisti, un paio di settimane dopo. Lui l’aveva contattata per sapere come stava, visti i recenti enormi cambiamenti, e spiegarle che era tornato a stare alla Tana, lasciando l’appartamento di Londra.
Ricordava come se fosse accaduto il giorno prima la sua rabbia. Non l’aveva mai vista arrabbiata né prima né poi. Le aveva sempre raccontato poco della sua famiglia e di tutte le questioni relative, ma lei si era offesa quando aveva realizzato che era andato a combattere senza di lei.
-Aud, tu non hai fatto altro che correre rischi per mesi. Non mi rimprovererai di essere andato ad aiutare la mia famiglia!
-Dovevi chiamarmi. Cosa siamo amici a fare?
-Sono sicuro che hai tanti altri amici, e...- aveva argomentato ragionevolmente lui, pensando contemporaneamente che lui non ne aveva quasi nessuno.
-Lascia perdere i miei altri amici. Stiamo parlando di te.
-Non volevo certo metterti in pericolo!
-E se morivi, cosa facevo, io, eh?- aveva sbraitato lei –Non mi avevi ancora neanche chiesto se volevo essere la tua ragazza!
Percy era arrossito e glielo aveva chiesto allora. E lei aveva detto di sì.
 
Era strano, strano come Audrey fosse entrata nella sua vita in modo impercettibile. Quando l’aveva conosciuta non aveva creduto che potessero essere amici. Quando erano diventati amici non aveva creduto possibile innamorarsi di lei (men che meno che lei si innamorasse di lui, ma quando aveva parlato di essere la sua ragazza, non aveva esitato un minuto a cogliere la palla al balzo, stupendo persino se stesso). E forse, stando con lei, i primi tempi, non avrebbe potuto immaginare che avrebbe fatto la mossa successiva tanto presto. La sua vita era sempre stata organizzata e pianificata, doveva essere stata la guerra ad allentargli alcuni rigidi sistemi nella testa. La guerra e Audrey.
Audrey gli sorrise ancora, seduta com’era sul muretto che delimitava un campo nello Yorkshire, vicino ad una fattoria che aveva problemi con le sue vacche sperimentali.
-Un po’ mi mancherà, la tua compagnia durante il lavoro, ma chi sono io per ostacolare l’ascesa del futuro Ministro?- rise lei.
-Oh, non scherziamo, Aud- fece lui serio –Per diventare Ministro ci vuole una carriera di tutto rispetto alle spalle e...
-Ma lo vedi che in realtà ci hai pensato?- esclamò Audrey, ridendo a crepapelle. Poi si sporse in avanti e gli diede un bacio. Percy sentì un brivido che correva lungo la sua schiena. Audrey aveva gli occhi del colore del cielo lavato di marzo alle sue spalle ed era terribilmente bella.
-Vuoi sposarmi?- sputò fuori senza quasi rendersi conto di cosa stava dicendo.
Audrey sgranò gli occhi, sobbalzando come se avesse preso una botta in testa.
-Eh?
Percy non rispose, si limitò a fissarla con uno sguardo che sperava sembrasse serio e motivato, mentre il suo cervello gridava “Cosa hai combinato?”. Audrey si batté le mani sulle ginocchia:
-Caspita, Weasley...- cominciò.
-Non devi rispondermi per forza di sì, ma sono molto... ehm, sicuro di voler...- intervenne Percy, con la voce che andava via via scemando e un tale imbarazzo in viso da farsi appannare gli occhiali.
-Ci hai messo mesi per chiedermi di uscire... quanto a tempi siamo migliorati- disse Audrey in tono cordiale. Poi, semplicemente, saltò dal muretto in collo a lui, che barcollò per sostenerla e mantenersi in equilibrio –Sì, certo che voglio sposarti... oh, Perce! Mia madre sarà estasiata, dice sempre che sei un ragazzo così ammodo!- esclamò, con voce improvvisamente acuta, le braccia strette intorno al suo collo e la guancia appoggiata alla sua: -Però guarda che... non credo di essere molto adatta a fare la First Lady.
Percy la scostò appena da sé, per poterla guardare in faccia:
-Io penso di sì. Ma se dovesse risultare che è vero... vorrà dire che non sarò Ministro.
 
-Ciao Harry!- lo salutò Ron, le braccia piene di roba dagli strani involucri colorati. Il cartello sulla porta diceva “Chiuso”, ma Harry era entrato lo stesso, facendo trillare i Campanellini Spernacchianti, sicuro di trovare l’amico in negozio anche dopo l’orario di chiusura.
-Come va?
-Non male... il fatturato è in aumento. La gente sta ricominciando a comprare roba che la diverte, ma ci vorrà ancora un po’.
-George?
-E’ di là, passa a salutarlo, gli farà piacere- disse Ron, accennando col mento alla porta del retrobottega.
Harry vi si avventurò, e trovò George al suo tavolo da lavoro, circondato da mucchi di piume di tutti i tipi.
-Ehi, Harry!- fece, alzando appena gli occhi quando lo sentì entrare. Il laboratorio aveva sempre un’aria leggermente sbilenca, asimmetrica, con uno dei due grandi tavoli completamente liscio e vuoto e l’altro così sovraccarico. Il tavolino di Ron, dal lato di George, non faceva che accentuare quella sensazione.
-Qualcosa in preparazione?- chiese Harry.
-Qualcosa- tagliò corto George –Teddy che combina?
Harry alzò le spalle, con un sorrisetto:
-Dice “nanna”. Secondo Andromeda sta per “nonna”, secondo me vuol dire che ha sonno. Comunque...
-Come mai da queste parti?
-Volevo chiedere una mano a Ron.
-Perfetto. Portalo via, mi dà sui nervi quando finge di riordinare il negozio per sorvegliarmi.
-Ehi!- esclamò Ron, immerso tra gli scaffali.
-Vai pure con Potty, Ron, non farò alcun gesto inconsulto, stasera.
Ron arrivò con ancora una manciata di pacchi che ripose in una scatola in un angolo.
-Non fingo di riordinare. Non abbiamo assunto un magazziniere per investire quei soldi in quella roba costosissima dalla Cambogia, ti ricordo.
-E sarà un affare.
-Cosa volevi, Harry?
-Mi serve una mano, sei libero stasera?
Ron diede un’occhiata a George, ancora chino sul suo lavoro. Una delle piume sulle quali stava lavorando prese fuoco, e lui emise un verso soddisfatto.
-Come no- sospirò Ron –Ti ho lasciato un panino nel cassetto se fai tardi, George.
-Sì, mamma.
Ron prese la giacca da un gancio sopra il suo tavolino, dal quale scelse un paio di pergamene fittamente stampate che si mise in tasca con poca cura.
-Moduli- disse, con disgusto -Possiamo andare.
Uscirono insieme nel crepuscolo limpido. Le campane di Londra stavano suonando le sei.
-Come va con George?- chiese Harry quando furono fuori dal negozio, per i meandri di Diagon Alley ancora gremiti, illuminati meravigliosamente dalle vetrine accese, molto più interessanti di qualsiasi vetrina babbana.
-Lo hai visto. Direi bene, a parte il fatto che mangia sempre poco. Quando fa le notti in negozio salta la cena a piè pari. Ma siccome il lavoro secondo me e Bill gli fa bene, ho concordato con mamma di lasciargli sempre qualche panino in posti strategici, invece che insistere che ceni a casa.
-Tipo il cassetto?
-Oh, quello non credo lo mangerà. Ma ne ho messo uno sopra le scatole della Polvere Pustolente, così quando andrà a prenderla gli verrà in mente di mangiare.
-Ottima idea. E funziona?
-Quasi sempre. Dove stiamo andando?
Si erano incamminati verso il Paiolo Magico, ed Harry disse:
-Ora te lo spiego. Ti va una Burrobirra?
Seduti davanti alla loro bibita in un angolo del pub abbastanza riparato (non abbastanza, comunque, da impedire ad una strega di mezza età di avvicinarsi per stringere loro la mano con emozione ed occhi lucidi), Ron stese le gambe sotto il tavolo, sgranchendosele. Era stanco, fortunatamente si avvicinava il fine settimana. L’indomani, sabato, avrebbero chiuso all’ora di pranzo, e poi Hermione e Ginny sarebbero tornate per le vacanze di Pasqua, che cadeva molto presto visto che era ancora la fine di marzo.
-Allora?
-Allora... ho preso alcune decisioni- buttò lì Harry, giocherellando col boccale. Ron lo guardò trattenendosi dai plateali gesti che gli erano venuti in mente, come per esempio alzare le braccia al cielo e gridare “era ora!”.
-Ehm... bene. Che... che decisioni?
-Ci ho pensato in questi ultimi tempi, dopo Natale. Credo che... che mi stabilirò a Grimmauld Place. Non posso continuare a fare l’ospite vostro e di Andromeda in eterno.
-Lo sai che da noi puoi stare quanto vuoi. Mamma sarebbe felicissima- disse Ron. Ma in cuor suo era contento della decisione di Harry e gli sorrise.
-Però credo che farò qualche modifica alla casa.
-Amico, mi stai chiedendo una mano?
Harry gli diede un amichevole pugno sulla spalla:
-C’è ancora parecchia roba mia rimasta a Privet Drive. Non sono mai andato a prenderla. Se mi dai una mano volevo trasferire tutto a Grimmauld. Sempre, naturalmente, che i miei zii non abbiano buttato ogni cosa.
Ron non era particolarmente entusiasta del progetto. Ricordava gli zii di Harry come dei perfetti squilibrati, pur avendo avuto con loro pochi contatti. Tuttavia annuì.
-Basta che non ci arriviamo via camino- commentò.
 
Si Smaterializzarono fuori dal pub, per apparire in un giardino pubblico deserto. I lampioni erano già accesi, ed Harry lo guidò con sicurezza sul marciapiede di una quieta via residenziale, che svoltò poi in un’altra apparentemente identica. Ricordava la difficoltà che avevano avuto ad identificare la casa arrivandoci in volo con la Ford Anglia di papà: visto dall’alto quel quartiere era una distesa di blocchetti identici al centro di fazzoletti verde prato.
Il numero 4, con un pratino delimitato da aiuole simmetriche e due alberelli uguali ai due lati del sentierino di cemento, mise Ron a disagio. Tuttavia seguì Harry fino alla porta.
-Sai, prima di stasera non ero nemmeno sicuro che abitassero ancora qui- fece lui, indicando il campanello con la targa di ottone sopra che recitava “Dursley” –Non li ho più rivisti dalla sera in cui sono stati portati al sicuro da Dedalus e Hestia Jones.
Ron ricordò di aver sentito, tra le notizie confuse e a flusso continuo dei primi giorni, quando il dolore per Fred era ancora così forte che tutti erano come storditi, anche qualcosa riguardo a comunicazioni dell’Ordine per cui la famiglia di Harry era stata risistemata nella sua casa e la scorta aveva potuto essere ritirata.
Harry suonò il campanello e la mano di Ron corse irresistibilmente alla bacchetta, in tasca. Non si poteva mai sapere.
Il viso della donna che aprì la porta, la zia di Harry, si trasfigurò in modo indescrivibile quando si rese conto di chi c’era sulla soglia, e ci furono vari attimi di silenzio.
-Tu- mormorò, sconvolta e decisamente poco accogliente.
-Ciao. Posso entrare?
Lei esitò per un tempo che parve lunghissimo, poi si fece da parte, e loro poterono finalmente entrare nell’ingresso pulito e ordinato della casa. La zia di Harry lo guardò esitante, e per un attimo parve che non volesse permettere loro di andare più in là dell’ingresso.
-Vedo... ehm, che vi siete risistemati bene.
La donna strinse le labbra sottilissime, poi annuì. Gli occhi slavati erano carichi di uno strano misto di antipatia (odio era una parola eccessiva), disagio e apprensione.
-Sono... sono venuto per prendere le mie ultime cose. Sempre che non abbiate buttato tutto.
-Sono... sono di sopra- rispose zia Petunia, con voce inespressiva.
-Ah. Allora, se non ti dispiace vado a prenderle. Ron mi darà una mano.
Non sembrava che ci fosse nessun altro in casa. Ron seguì Harry per le scale, fino a che non arrivarono al piano superiore, il corridoio foderato in carta da parati a strisce bianche e celesti e le porte laccate di bianco, tutto così pulito che faceva impressione a toccarlo. La porta in fondo al corridoio era chiusa a chiave, e Harry dopo un momento di sconcerto, tirò fuori la bacchetta per aprirla, quando zia Petunia li raggiunse facendoli sobbalzare (non faceva alcun rumore con le pattine indosso), scostò Harry sibilando:
-Metti via quell’arnese!-, e con la chiave che teneva in mano aprì la porta.
-Ehm... grazie- fece Harry.
Lui e Ron entrarono nella stanza, che sapeva di chiuso. Probabilmente gli zii di Harry non avevano neanche riaperto la stanza, da quando erano tornati a stare a Privet Drive il maggio precedente. Harry, a tentoni, accese la luce che illuminò la stanza per un attimo prima che la lampadina, per il lungo inutilizzo, si fulminasse. Allora brancolò fino alla finestra, aprendo i vetri e gli scuri e lasciando che l’ultima luce della sera entrasse nella camera. Una coltre di polvere copriva ogni cosa: il letto fatto, con un copriletto sbiadito, il comodino vuoto se si faceva eccezione per una lampada da tavolo ed un bicchiere completamente vuoto, dai bordi opachi. La scrivania era sgombra, sul piano un solo giornale, rimasto spiegazzato. Quando Ron si avvicinò vide un Silente in fotografia che camminava, e constatò la data, risalente al luglio del 1997, quasi due anni prima. Uno strato di polvere grigiastra si era depositato tra le pagine. Quando ne sollevò un lembo, vide l’impronta del giornale sul legno marrone chiaro della scrivania. Non c’era molto altro in quella stanza: un armadio con le ante rimaste socchiuse, dalle quali occhieggiavano alcuni maglioni e pantaloni appesi alle grucce, un paio di scaffali vicino alla scrivania, con vecchie cianfrusaglie per lo più babbane e qualche libro per bambini. In un angolo, tra la scrivania e la finestra, stava un mucchio informe di roba sulla quale Harry si chinò:
-Ad essere sincero pensavo che avrebbero buttato via tutto.
Erano vesti mal piegate: l’uniforme della scuola, quella del Quidditch con i ricami dorati che scintillavano debolmente alla luce ormai morente del crepuscolo, molti libri di testo, il vecchio calderone di peltro nel quale tante volte anche Ron aveva lavorato, quando avevano preparato pozioni in coppia. Era pieno di provette mezze vuote, con ingredienti ormai da buttare, vecchie scorte di scuola, la bilancia di ottone di Harry con i suoi pesetti, il coltello d’argento. Accanto c’era un mazzo di piume legato insieme da un elastico, alcune vecchie e spennacchiate, sporche d’inchiostro, altre lisce, mai usate, ancora bianche o marrone chiaro, varie boccette d’inchiostro che col tempo si era seccato, un paio di rotoli di pergamena nuova.
Harry Evocò un paio di scatole di cartone che si posarono dolcemente al centro del pavimento, poi accese sia la lampada della scrivania che quella sul comodino, visto che non ci si vedeva quasi più.
-Allora, pensavo che questa roba di Hogwarts potrebbe finire in una scatola. Io riempio l’altra con alcuni di questi vestiti- fece, aprendo l’armadio.
Ron annuì senza parlare e si mise all’opera. Pensava silenziosamente a quanta roba inutile ci fosse in camera sua, e quanto fossero sorprendentemente scarse le proprietà personali di Harry. In una casa come Grimmauld Place, non avrebbero riempito neanche l’anta di uno dei grandi armadi scuri del primo piano. C’era qualcosa di triste e di patetico nell’uniforme stropicciata e polverosa, che nessuna madre aveva provveduto a lavare quando Harry era tornato dal suo sesto anno di scuola. Gli altri oggetti erano come relitti di un’infanzia perduta, che in qualche modo era anche la sua: conosceva quella vecchia roba come se fosse stata di sua proprietà, tante erano le volte in cui l’aveva vista usare, ma in mezzo scorreva come un oceano di avvenimenti e di tempo, che faceva sembrare tutto come appartenente ad un altro mondo. Era strano pensare, per esempio, che Hermione avesse ancora a che fare con roba del genere tutti i giorni, tanto lui se ne sentiva lontano.
-Ehi, Harry, vuoi... tenere anche questi?- chiese, indicando gli inchiostri secchi ed inutilizzabili.
Harry, che osservava critico una vecchia felpa grigiastra, alzò lo sguardo.
-Credo che ci sia un incantesimo per scioglierli. E poi... sì. Sono di Hogwarts. E non è che abbia tanta roba, fanno numero, no?
Ron annuì con un mezzo sorriso, mettendo anche gli inchiostri nello scatolone. Finì  prima dell’amico, e si avvicinò per guardarlo scegliere tra jeans oversize e vecchie felpe. Il cassetto della biancheria era già stato interamente trasferito nello scatolone. Ron era abituato ad avere cose di seconda mano ed a non fare molto caso a quello che metteva addosso, ma quella vecchia roba del cugino di Harry gli parve più orrenda del solito.
-Harry... io lascerei stare tutto. Comprati dei vestiti nuovi.
-La roba che mi ero portato in viaggio era l’unica decente, in effetti. Ma ormai mi è rimasto poco.
-Sono due anni che hai sempre indosso i soliti quattro golf e quella decina di magliette.
-Magari c’era qualcosa da recuperare. Le canottiere si possono usare.
-Ok, però poi basta- sollevò un pigiama infeltrito e particolarmente orrendo: -Questa roba la mettevi al quarto anno, scommetto che non ti sta neanche più.
Era come se l’amico cercasse, in quella vecchia camera, la speranza di qualche bel ricordo a cui aggrapparsi. Anche l’usare sempre gli stessi vestiti era preoccupante, in un certo senso. Come una spia dell’incapacità di andare avanti.
-Senti, Harry, io butterei tutto. Non la roba di Hogwarts, intendo questa robaccia.
-Dici che dovrei lasciarla qui? Non credo che i Dursley la toccheranno per i prossimi cinquant’anni!
-Allora portiamo via tutto, lo buttiamo noi.
Così cominciarono a svuotare totalmente l’armadio, buttando ogni cosa nello scatolone, fino a che i cassetti non furono tutti vuoti, come gli scaffali.
-C’è qualcos’altro?
Harry si guardò intorno e raccolse qualche libricino da bambini (“Dudley non li leggeva, arrivavano direttamente a me”), un paio di vecchi soldatini di plastica, una corda per saltare (“Santo cielo, quanto mi piacevano questi soldatini...”), un sacchetto di biglie scheggiate, e mise tutto nello scatolone della roba di scuola.
-Possiamo andare- disse poi, guardandosi intorno un’ultima volta –Sai... l’ultima volta che sono stato qui, non credevo che avrei mai più rivisto questa stanza. Ero abbastanza sicuro che saremmo morti.
Ron, appoggiato al davanzale della finestra, spostò un bioccolo di polvere con il piede:
-Lo eravamo tutti- diede un sospiro –ma siamo vivi, ed è una bella fortuna. Tanto vale ricominciare a vivere, non ti pare?
-Lo so che non... sono stato il massimo.
-Sono contento che vai a vivere a Grimmauld. Anche se ti ci vorranno secoli prima di mettere tutto in ordine. E’ un passo avanti.
Harry si tolse gli occhiali e li pulì nell’orlo del maglione:
-Ho... ho pensato di entrare all’Accademia Auror- buttò lì.
Ron lo guardò un momento. Sentì che all’altezza dello stomaco si rimescolavano vari sentimenti, fino a che prevalse il sollievo per il fatto che Harry avesse finalmente deciso di fare qualcosa. Hermione ne sarebbe stata contenta, e ne era felice anche lui. Lottò per richiudere immediatamente la porta che quella notizia aveva spalancato in lui. La porta dell’ “e perchè non anche tu?”.
-Naturalmente se... se supero l’esame di ammissione.
Ron fece una risatina:
-Stai scherzando, vero?
-No, mi sono informato, c’è un test. Lo avevo chiesto a... a Tonks. Ed inoltre ci vogliono almeno cinque MAGO, me lo disse la McGranitt... penso che dovrò dare degli esami sostitutivi.
-Ok, stai scherzando. Harry! Diamine, appena ti vedranno entrare dalla porta ti nomineranno Auror Supremo o qualcosa del genere... non so chi diriga il Dipartimento, da quando Scrimgeour è morto, ma per la miseria, si metterà a... a piangere di gioia quando ti vedrà!
Harry sembrò sul punto di rispondere, quando un rumore nel corridoio ricordò loro dov’erano e cosa stavano facendo.
-Continuiamo a parlarne a... ehm, a casa mia?- disse Harry. Ron annuì, e sollevando lo scatolone con gli ultimi ricordi di Harry, mentre lui prendeva quello dei vestiti, lo seguì nel corridoio, dove zia Petunia, che evidentemente, vincendo il terrore che sembravano ispirarle, si era avventurata per controllare che non volessero demolirle la casa, stava addossata ad una porta chiusa, guardandoli con i grandi occhi slavati spalancati.
-Io... ho fatto tutto. Grazie per aver conservato questa roba...- fece Harry, piuttosto urbanamente.
Sua zia annuì. Harry si guardò intorno.
-Gli altri dove sono?
-Vernon starà per tornare, e Dudley è a Snobkin, ovviamente- rispose lei, fredda.
-Beh, mi farebbe piacere se tu salutassi Dudley da parte mia.
Sul volto cavallino della donna si contrasse un muscolo. Ma restava uno dei visi più indecifrabili che Ron avesse visto in vita sua. Harry si schiarì la gola, poi si frugò in tasca.
-Sono stato a Godric’s Hollow, di recente... il villaggio dove abitavano i miei genitori. La casa...cioè, quello che ne resta... è stata... preservata con la magia- zia Petunia contrasse il viso come davanti ad una parolaccia –Tra le cose ho trovato questa e penso che... ho pensato che lei sarebbe stata contenta che la avessi.
Porse alla donna una fotografia, e Ron intravide due bambine con le teste vicine, davanti ad una altalena appesa ad un albero. L’immagine era immobile, in un bianco e nero leggermente sfocato che le conferiva l’aspetto di un ricordo lontanissimo. Una grafia sottile aveva scritto sul bordo bianco “maggio ‘66”. Dopo quella che sembrò un’infinità, zia Petunia allungò la mano che tremava leggermente, prese la foto e la avvicinò al viso. La luce radente del lampadario nel corridoio le incideva profondamente sul viso le dure linee di espressione agli angoli della bocca. Alzò gli occhi su Harry che la fronteggiò tranquillo, in silenzio.
-Credo... credo che sia tutto- disse Harry dopo qualche istante.
Zia Petunia non disse nulla, ancora. Aveva gli occhi annebbiati: Ron non avrebbe saputo dire se fosse dovuta alla rabbia, all’imbarazzo o ad una qualche forma di commozione. La mano che teneva la foto si strinse inconsciamente fino a spiegazzarla.
-Beh... ciao, zia.
Ron seguì Harry mentre superava la donna, ed erano quasi arrivati alle scale, all’altro capo del corridoio, quando la sentirono mormorare:
-Ciao.
Harry si voltò verso di lei, che all’apparenza almeno non lo guardava, fece un mezzo sorriso, e si avviò giù per le scale.
-Andiamo a Grimmauld. Ceni da me?
-E chi cucina? Kreacher?- fece Ron. Harry annuì.
-In questi mesi gli avevo chiesto di stare ad Hogwarts, Hermione dice che si deprimono se non hanno nulla da fare, guarda come si era ridotto gli anni scorsi! Ma ora che sono tornato, l’ho richiamato.
-Hermione non sarebbe molto contenta di sapere che Kreacher lavora per te- fece Ron con un sorriso.
-Io avevo bisogno di una mano, e lui è contento. Comunque non l’ho ancora detto a Hermione, volevo aspettare  fino a che non sarò riuscito a passare alla Gringott ad aprirgli un conto, visto che si è offeso quando mi sono offerto di salariarlo... dovrò farlo di nascosto.
Si Smaterializzarono dall’ingresso di Privet Drive ridendo.
 
-Devo... devo dirvi una cosa.
Ron alzò gli occhi dal piatto di spezzatino. Lui e George erano a pranzo alla Tana, quel giorno, e Ginny era tornata solo quella mattina, per l’inizio delle vacanze di Pasqua. Percy li guardava esitante, e suo padre dovette incoraggiarlo:
-Cosa c’è, Perce?
-Non... insomma, volevo evitare un annuncio ufficiale, ma ho... insomma, ho chiesto a Audrey... Audrey Herriot... di sposarmi, e lei ha detto di sì.
George sbatté gli occhi:
-E chi sarebbe Audrey?
Ron e Ginny si guardarono, sollevando le sopracciglia, piuttosto increduli.
Percy non aveva mai parlato con loro di Audrey, e se Ron non l’avesse incontrata in novembre sarebbero rimasti all’oscuro come George. Per la verità, Ron aveva raccontato anche al fratello dell’esilarante serata che gli era capitata qualche mese prima, ma George non ci aveva fatto alcun caso, commentando con: “Perce è così ingessato che farebbe scappare anche Eloise Midgeon” e dimenticandosi l’episodio subito dopo.
-Dai, George, te l’avevo raccontato!
I signori Weasley si guardavano al di sopra del tavolo.
-Beh, penso che sia una bella notizia, figliolo- cominciò Arthur, appoggiando il tovagliolo.
-Lei è molto carina. Davvero una brava ragazza- fece Molly, allungando intenerita la mano ad accarezzare quella del figlio. Dalla morte di Fred, tutte le sue espressioni, di gioia e di dolore, erano diventate più misurate. Un tempo avrebbe strillato: di gioia o di raccapriccio.
-Come, cosa, ma... mamma, tu la conosci?-sbottò George, accigliato.
-Tuo fratello ce l’ha presentata qualche mese fa. Comunque Arthur l’aveva già incontrata al Ministero.
George sbuffò:
-Ministero? Anche lei una bacchettona del Ministero?
-Ti ringrazio a nome della categoria!- rise il signor Weasley.
-Comunque è Guaritrice Veterinaria. Frequenta il Ministero solo perchè c’è l’Apoteca Generale all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche!- puntualizzò Percy, piccato.
-Beh, Perce, è... fantastico. Davvero- commentò Ginny, aprendo bocca per la prima volta. Sorrideva: un vero, genuino sorriso. Sembrava anche un po’ commossa.
L’intervento di George li aveva distratti, ma tutti realizzarono meglio quello che Percy aveva appena comunicato. Si sarebbe sposato!
-Santo cielo, tesoro...- Molly asciugò furtivamente una lacrima mentre si alzava:
-Sarà meglio chiamare Bill, scriverò a Charlie in serata- disse, avvicinandosi al camino e prendendo un manciata di polvere.
C’era qualcun altro, che non avrebbe potuto essere avvertito. Forse era per quello che George continuava ad avere un’aria così scontrosa, e gli occhi vagamente appannati. Ginny avvicinò la sedia alla sua, e bisbigliò, con voce ferma:
-Lui lo sa già, George!
Suo padre ed i suoi fratelli, rimasti intorno alla tavola, annuirono. George alzò gli occhi dallo spezzatino. Il suo volto era la maschera di un sogghigno:
-Beh, Perce, farai l’addio al celibato, vero?

“...Ci sono novità grosse da queste parti, e te le scrivo subito invece di aspettare di vederti domani perchè altrimenti scoppio... e piombo a casa tua, e spavento il tuo zio babbano che state ospitando. Percy si sposa. Hai capito bene. Con la ragazza che vi avevo raccontato di aver incontrato alla Testa di Porco, mesi fa. Quel furbastro non solo ci stava insieme da mesi... praticamente dalla Battaglia, ma l’aveva anche già presentata a mamma, e senza farsi accorgere di nulla!
Non avrei mai detto che Percy avrebbe trovato una in grado di sopportarlo, e il bello è che lei sembra anche proprio simpatica! Mi fa anche un po’ impressione perchè Bill è molto più grande di me, ma Percy non poi tanto, e... vabbè. Naturalmente sei invitata. Sarà per settembre, a quanto pare.
Siamo contenti, anche se un po’ turbati per il fatto che Fred non sarà con noi per questo evento... né per tutti i prossimi. George l’ha buttata sul ridere ma era evidente che fingeva, lì per lì era proprio... non so descrivertelo, come sconvolto di non avere una spalla con cui fare battute a ripetizione su un argomento che si prestava così bene. Se ci fosse stato Fred l’avrebbero fatto morbido, invece è stato tutto molto tranquillo, con noi che eravamo felici, mamma che ha chiamato Bill, così dopo lui e Fleur si sono Materializzati da noi, papà che era proprio contento, e anche Ginny, avresti dovuto vederla, era proprio emozionata, lei che lascia sempre trapelare poco. Comunque di certo ti racconterà tutto lei domani. Ma è stata una felicità tranquilla, quasi sottotono, ed ho pensato che la nostra famiglia è cambiata, e sarà anche normale ma devo abituarmici.
Visto che ti sto scrivendo ti anticipo anche un’altra cosa, anche se comunque te l’avrei detta domani: Harry si è trasferito definitivamente a Grimmauld. Ed ha fatto anche progetti per settembre, ma non ti dico nulla perchè di certo ti avrà scritto lui o te lo dirà domani. Solo che non volevo ti preoccupassi più, perchè secondo me ha proprio... voltato pagina e vorrei che anche tu fossi più tranquilla. Ora vorrei solo che tornasse con Ginny, il che è strano dopo tutte le storie che avevo fatto quando si misero insieme, vero?
Mi sei mancata, sono contento di vederti domani, quanto tempo è che non ci vediamo? Un mese dall’ultimo Hogsmeade? Un po’ troppo.
Mi manchi molto (l’avevo già scritto).
(Comunque, tanto vale ripetertelo perchè è vero. Vorrei poterti vedere tutti i giorni, ma per favore non dirmi che allora avrei dovuto tornare a scuola anche io.)
(So che non lo faresti.)
Per adesso buonanotte senza bacio della buonanotte, addebitamelo a domani, ho parecchi arretrati (e anche tu).
Ron
PS: se non ti dispiace, tieni Leo da te e riportamelo domattina, si sarà stancato ad arrivare fino a Londra.”
 
Vorrei fare una precisazione su Harry e la carriera da Auror. Sul sito di J.K., quindi la Bibbia per i fanwriter IC, c’è scritto che “Harry Potter si unì a 17 anni al rinnovato dipartimento degli Auror”. Chiarissimo. Questo significa che Harry in realtà è entrato subito, immediatamente negli Auror, perchè compiva 18 anni nel luglio dopo la Battaglia di Hogwarts, quindi tra maggio e luglio! Inoltre qui sembra che non abbia neanche fatto un po’ di addestramento. Ma anche considerando gli anni di addestramento come un periodo in cui Harry era già “unito al rinnovato dipartimento Auror”, è evidente che l’Harry della mia storia è in ritardo di più di un anno. Quando ho cercato di immaginare come si sarebbe comportato Harry dopo la Battaglia, non avevo letto questa frase così precisa sui tempi. Mi sembrava naturale che ci avrebbe messo un po’ a decidere cosa fare della sua vita e su questa base ho inventato e scritto. Evidentemente zia Jo non la pensava così. Ora è tardi per cambiare, ma mi sembrava giusto segnalare che in questo aspetto, la mia storia non è esattamente canon. Mi perdonate? ;)
 
 
 

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Capitolo 8
*** Molte vittorie p. 1 ***


 Tac-tac-tac-tac-tac! Le dita battono freneticamente sulla tastiera. I fogli scarabocchiati di appunti sul capitolo frusciano scompaginati sul letto. Tac-tac-tac-tac-tac-tac-tac-tac! La tisana fumante sul comodino è diventata tiepida, poi fredda, ma qui l’ispirazione chiama ed il capitolo scorre, per una volta fluido che è una bellezza, giusto qualche puntata online a controllare su Wikipedia qualche nome, qualche dicitura esatta, un paio di ricostruzioni fatte prima a penna su un foglio, un consulto al mio elenco di giocatori della nuova squadra di Quidditch di Grifondoro, poi via tac-tac-tac-tac-tac-tac, e “aspetta, torno su e inserisco anche questa scena” e “adesso ci starebbe bene... sì, certo”, e nelle cuffie If on a winter’s night di Sting, che non c’entra nulla col capitolo né per temi né per atmosfere, ma vabbè. E’ tardi, domani sveglia presto, è quasi tutto scritto, chiudiamo? No, dai, ancora un po’, mi sto divertendo, tac-tac-tac-tac-tac-tac-tac...
Ed eccovelo qui. E’ venuto spropositatamente lungo, per cui l’ho diviso in due. La seconda parte tra una settimana.

 
Molte vittorie
(parte prima)
 
-Questa roba è assurda, e non ho ancora cominciato con Incantesimi!
Ginny gemette e si girò sulla schiena, strizzando gli occhi contro il cielo limpidissimo e lasciando il libro di Trasfigurazione aperto. La brezza leggera della fine di aprile ne sfogliò le pagine, costellate di pezzetti di pergamena e appunti volanti.
-Mi sta scoppiando la testa!- si lamentò ancora, una mano sulla faccia.
Hermione, seduta a gambe incrociate con la schiena appoggiata ad un albero e la sua copia del libro sulle ginocchia, emise un verso indistinto, che probabilmente Ginny era tenuta ad interpretare come un’espressione di comprensione e commiserazione. Prese un ennesimo appunto, poi disse ad alta voce:
-...completare con una torsione di seconda classe, concentrandosi sulla porzione di corpo che... ahah, è chiaro, aspetta un...
-Hermione? Mi stai ascoltando?
-Uh? Certo- fece Hermione senza guardarla -Torsione di seconda classe, così...- si raddrizzò un po’ sulla schiena, puntò la bacchetta sul suo piede, eseguendo un complicato movimento -...seguita dalla formula. Ahem. Avimorfus.
Il suo piede sinistro sembrò rinsecchire, mentre calza e scarpa sparivano, e nel giro di qualche istante, si ritrovò con la caviglia che confluiva in una zampa d’uccello, con tanto di artiglietti, in tutto e per tutto simile a quella del passero che stava beccando poco lontano, se non fosse stato per le dimensioni.
-Bene!- esclamò Hermione, alzando su Ginny uno sguardo che non riusciva a mascherare quanto fosse assolutamente soddisfatta. L’amica si era alzata sui gomiti, fissando esterrefatta e un po’ sgomenta il piede di Hermione.
-Accidenti, Hermione, ma come... la professoressa l’ha spiegato solo oggi...- lanciò un’occhiata sconsolata al suo libro –Io ero arrivata solo al secondo paragrafo sulle leggi di Trasfigurazione Umana...
-Beh, non è tanto difficile, però la sensazione è... stranissima- Hermione agitò gli artigli della sua zampetta d’uccello. Era vagamente inquietante –Ti aiuto, se vuoi.
-E’ tardi e devo ancora fare il tema di Incantesimi. E sono stanca- si lagnò Ginny.
-A chi lo dici- Neville si lasciò cadere accanto a loro pesantemente. Aveva un braccio completamente coperto di graffi, ed allo sguardo interrogativo delle amiche sospirò:
-L’Urigardenia Unghiulata della Serra Nove è ancora arrabbiata. Non riusciamo a rinvasarla.
-Proprio uno spasso, queste lezioni integrative di Erbologia, eh?- fece Ginny.
-Hermione, ci sei già riuscita?- esclamò Neville notando solo in quel momento la zampa d’uccello -..non doveva spiegarvelo stamani, la McGranitt? Sei bravissima- disse con sincera ammirazione.
-E’ così, infatti, ce l’ha spiegata stamani, la Trasfigurazione Umana Avanzata. Beato te che non fai più Trasfigurazione, questa roba è troppo... troppo per chiunque non sia un genio- sbottò Ginny, guardando con disgusto il libro.
-Beh, è l’ultimo argomento del programma, per forza è più difficile di qualunque altra cosa che abbiamo provato prima- osservò Hermione.
-Lasciamo perdere. A che punto sei con il tema di Incantesimi, Neville?
-Nemmeno una sillaba.
-Ti va se lo facciamo insieme? Su questa roba torno domani, non ce la faccio più.
Neville si passò una mano sulla fronte.
-Perché no? Credo che anche Luna debba farlo, la chiamo e andiamo in biblioteca, che dici?
-Ginny, adesso però non puoi- osservò Hermione, e davanti allo sguardo vacuo dell’amica aggiunse pazientemente:
-L’allenamento, Ginny! Sei il Capitano, l’hai fissato tu!
Ginny sgranò gli occhi, imprecò, poi sbatté i libri nella borsa e corse via.
 La finale della Coppa di Quidditch sarebbe stata disputata il primo di maggio, ed avrebbe visto scontrarsi Grifondoro e Corvonero. Ginny, nonostante l’enorme pressione dei compiti, aveva intensificato gli allenamenti fino a fissarli praticamente tutti i giorni, tra le lamentele dei compagni di squadra.
-Va beh, niente tema, per adesso- sospirò Neville –Tu l’hai già finito, Hermione?
-L’ho scritto ieri durante la sessione di recupero di Pozioni, visto che il professor Lumacorno mi aveva esentata.
-Non so come fai a portare avanti tante materie e ad essere in pari. Anche Ginny e Luna, per la verità. Tra Erbologia, Difesa, Incantesimi e Astronomia sto impazzendo. Forse lascerò Aritmanzia.
-Cosa?! Neville, proprio ora? Ma se l’ultimo test è andato benissimo!- protestò Hermione, che non voleva sentir parlare di lasciare, soprattutto Aritmanzia.
-Ho studiato un mese e mezzo per quel test! Non posso fare così ogni volta...
-Ormai i giochi sono fatti, la McGranitt è avanti come al solito, ma credo che anche tutti gli altri professori chiuderanno il programma entro le prossime due settimane, e poi sarà solo ripasso e sessioni di preparazione agli esami!
-Lo dici come se parlassi di vacanze- sorrise Neville –Senti, ti va se andiamo a vedere l’allenamento?- propose poi, guardando il campo di Quidditch dove in lontananza cominciavano a vedersi figurine scarlatte che sfrecciavano.
Hermione considerò il libro che aveva in mano, poi annuì:
-Aspetta che mi ritrasfiguro il piede.
 
-Allora è confermato?
Il brusio in Sala Comune si incentrava su una notizia che quella mattina Hermione aveva letto piuttosto di sfuggita sulla Gazzetta.
Calì indicò la bacheca col mento:
-Guardate anche voi. E’ il giorno dopo la finale del Quidditch.
Tra gli altri avvisi spiccava una pergamena nuova, ancora arricciata ai lati:

“Nell’approssimarsi del primo anniversario della Battaglia di Hogwarts
il Ministero della Magia ha stabilito il 2 Maggio come Festa della Vittoria a memoria dell’evento.

La scuola ospiterà la celebrazione della ricorrenza
e la commemorazione dei caduti.
Tutti gli studenti sono esortati a partecipare.”

 

Neville andò a guardare, da sopra le teste dei più piccoli. Hermione non si era mai accorta quanto fosse diventato alto. Poi tornò verso di lei, che si era già sistemata vicino al solito tavolo, per togliere libri e appunti ficcati frettolosamente nella borsa quando erano andati a vedere l’allenamento e sistemarli in ordine.
-Che ne pensi?- chiese, sedendosi accanto ed allungando la mano a tormentare fogli appallottolati lasciati sul piano del tavolo da qualche studente che si era seduto lì prima di loro.
Hermione alzò le spalle:
-In realtà mi aspettavo qualcosa del genere. La cosa incredibile è che sia già passato un anno, non trovi?
Neville annuì. Aveva assunto un’espressione assorta.
-Santo cielo, mi sembra ieri... come se avessi avuto in mano la spada di Grifondoro fino a un attimo fa.
-Una commemorazione... a dire il vero penso che una festa sia più che giusta, ma non so come la penseranno i parenti delle vittime... mi domando se Harry accetterà di venire.
-Perché non gli scrivi per chiederglielo?- intervenne Ginny, raggiungendoli con i capelli ancora umidi per la doccia che aveva seguito l’allenamento. Hermione e Neville la fissarono con prudenza.
-Hai letto anche tu?
Lei alzò le spalle:
-Eccome. Mi sembra una buona idea. Voglio dire, un anno dalla morte di quei bastardi, c’è di che festeggiare!
Vide i loro sguardi e capì subito, affrettandosi ad aggiungere:
-Sono sicura che... insomma, Fred e gli altri... sarebbero d’accordo con noi.
-Lo penso anche io- disse Neville.
-Tonks... sarebbe stata eccitata come una bambina!- commentò Hermione con un sorriso malinconico –Beh... scriverò ad Harry, come dici tu. Penso che non se la dovrebbe perdere, questa. Magari Ron riesce a convincerlo. Vado a prendere Bathilda.
 
Harry chiuse stancamente il libro di Trasfigurazione sul tavolo. Stava studiando nella cucina di Grimmauld Place, circondato da un silenzio rotto solo dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto e dai lievi rumori casalinghi che Kreacher produceva armeggiando tra il caminetto ed il forno. La cucina, come il resto della casa, era uno splendore di pulizia, anche se la maggior parte delle stanze, una volta eliminati con solerzia da Harry e Kreacher arazzi muffiti, teste di elfi impagliate, antiche vetrine di mogano piene di brutti soprammobili d’argento massiccio e tendaggi ispessiti dalla polvere e dall’umidità, risultava piuttosto spoglia. Del resto, i bisogni di Harry limitavano il suo uso della casa ad una sola camera, comunque troppo grande per essere riempita dalle sue poche cose. Aveva passato un pomeriggio a comprare qualche vestito con Ron, tra Diagon Alley ed un vicino centro commerciale babbano, ed entrambi sapevano che Hermione avrebbe pagato per poter esserci, ma era stato estremamente divertente farlo loro due soli. Erano praticamente i primi vestiti non di seconda mano che avesse mai posseduto o indossato, a parte la divisa di Hogwarts e le vesti da mago che aveva dovuto comprare nel corso degli anni. Aveva così reso un po’ meno vuoto il grande armadio di legno scuro della stanza che aveva scelto, con l’unico criterio che era solo al primo piano, e non richiedeva tante rampe di scale, e che aveva vicino il bagno in condizioni migliori. Per il resto la casa, vuota e pulita com’era, sembrava in attesa di essere affittata, eccezion fatta per le stanze di Sirius e Regulus, che erano state riordinate con cura e lasciate intatte. Qualche volta Harry saliva fin lassù, a sedere sul letto di Sirius, accuratamente sprimacciato da Kreacher tutti i giorni, e magari a sfogliare qualcuno dei suoi libri di quando era ragazzino.
Nonostante la grande casa fosse vuota e silenziosa, quelle ultime settimane non lo avevano immalinconito affatto. C’era una certa soddisfazione nel raschiare via tutto e disinfettare quel posto, che era stato così a lungo infestato dall’oscura storia della famiglia che vi aveva abitato. Fare piazza pulita era come rendere un omaggio a Sirius, che certo l’avrebbe fatto in modo altrettanto radicale se avesse avuto modo e tempo. Inoltre, per la prima volta aveva una casa sua e tempi suoi, Kreacher gli era di compagnia (in qualche strano modo), nessuno lo disturbava, e lo studio che aveva ripreso in mano, per quanto faticoso, lo teneva impegnato e gli dava un obiettivo e uno scopo, dopo tanti mesi di avvilente fluttuare nella propria incertezza. L’unica cosa che non aveva cambiato era la frequenza delle sue visite ad Andromeda ed il tempo trascorso con Teddy. Foto del bambino erano sparse un po’ ovunque, attaccate con il Magiscotch agli stipiti della finestra ed alla mensola del grande caminetto, tra un sorriso di Hermione ed una smorfia di Ron, vicino alla foto del vecchio Ordine della Fenice che gli aveva regalato Moody, sullo specchio del bagno insieme ad istantanee scattate sul campo di Quidditch di Hogwarts, quasi sempre vuote perchè i soggetti schizzavano fuori dalla cornice a caccia del Boccino o diretti a segnare un punto.
Un lieve beccare alla finestra lo distrasse, e prima che avesse avuto il tempo di alzare lo sguardo, Kreacher, salito su una sedia, aveva già fatto entrare il gufo bruno che Ron aveva regalato a Hermione per Natale, subito chiamato un po’ per scherzo un po’ sul serio Bathilda, visto la ricorrenza che cadeva quel giorno.
-Ciao, Bathilda!- Harry si alzò per andarle incontro, mentre lei, con dignità, si posava sullo schienale di una vecchia sedia e porgeva la zampa che recava legata una lettera. Dalla morte di Edvige non aveva più avuto animali, ma accudiva spesso i gufi degli amici quando gli portavano posta.
-Kreacher, possiamo offrirle qualcosa?
-Certo, padron Harry, Kreacher conserva sempre i topi morti che trova per i gufi degli amici del padrone, signore!- gracchiò Kreacher, rimestando la zuppa e precipitandosi ad aprire la porta della dispensa.
-Oh, ehm, fantastico, ottima idea- commentò Harry, sperando silenziosamente che Kreacher conservasse quei bocconcini in un contenitore ben separato dal resto del cibo, e ripromettendosi di controllare prima possibile –Ehi, aspetta, topi morti? Trovi così tanti topi morti per la casa?
Kreacher riemerse dalla dispensa tenendone uno per la coda e portandolo premurosamente verso Bathilda, che emise un verso di approvazione:
-Se non ne trova abbastanza, Kreacher li uccide, signore!- disse, soddisfatto, con un’aria vagamente truce.
-Beh... ottimo, Kreacher, davvero...- fece Harry, incerto. Poi alzò le spalle ed aprì la lettera di Hermione, sedendosi sul tavolo mentre la scorreva.
Caro Harry,
stiamo tutti bene qui, a parte lo studio che sta diventando un tantino pressante. Io comunque sono in pari per tutte le materie, e la McGranitt ha già concluso il programma, per cui stiamo cominciando i ripassi e le esercitazioni pre-MAGO. Neville è praticamente l’idolo della Sprite, segue sessioni integrative quasi tutti i pomeriggi, vuole provare ad entrare alle Serre Sperimentali Ministeriali dopo la fine della scuola, e credo proprio che ci riuscirà, anche se sugli altri fronti se la cava un po’ peggio. Ginny dice che non ha idea di cosa farà dopo. A dire il vero mi sembra che discorsi del genere la innervosiscano un po’. Comunque se la sta cavando benissimo, tenendo conto del fatto che il Quidditch le porta via tantissimo tempo. Hai saputo che Grifondoro è in finale? Giochiamo contro Corvonero il primo di maggio, e Dean mi ha detto in confidenza che se non vinceranno teme che Ginny possa mostrare il lato violento del suo carattere. Demelza sembra un po’ isterica, ma forse è perchè ha i GUFO e Ginny li fa allenare tutti i giorni.
Non so se l’hai letto sul Profeta, ma gli avvisi apparsi nelle bacheche qui a scuola hanno confermato che il 2 maggio ci sarà una festa per la commemorazione della Battaglia. So che queste cose in genere non ti piacciono, ma penso che sia una cosa importante e che dovresti sforzarti di venire. Sono sicura che la McGranitt non permetterà che diventi una cosa frivola, e poi c’è Fred, ci sono Colin e Susan, e penso che potresti portare Andromeda e Teddy a trovare Remus e Tonks... insomma, in fondo abbiamo tutti i motivi per festeggiare e per ricordarli. E’ appena arrivata una lettera di Ron, che ha saputo e ci dice che verrà.
Volevo anche dirti che sono così felice che tu abbia ripreso a studiare! Ma ce la fai da solo? Hai bisogno di un programma di ripasso? Che argomenti vanno approfonditi per il test dell’Accademia? Hai parlato con Kingsley o qualcuno al Quartier Generale Auror?
Neville, Ginny e Luna ti salutano tanto. Spero di vederti presto!
Con affetto
Hermione
-Servo la cena, padron Harry?
La voce stridula di Kreacher irruppe tra le meditazioni che la lettera aveva suscitato. In realtà, la parte che lo aveva di gran lunga preso di più era quella relativa alla finale del Quidditch, ed a Ginny che aveva preso il suo posto come Capitano. Lo sguardo gli corse ad una delle foto sulla mensola del camino, una Ginny in divisa da Quidditch che rideva di gusto, gli occhi scintillanti ed i capelli al vento, schivando più e più volte un Bolide che le veniva scagliato contro. Nella foto, come del resto in tutte le foto, ad Harry sembrava più bella che mai. Ora che tutto il resto, nella sua vita, cominciava a trovare una direzione, avvertiva più acutamente la sua mancanza. A Pasqua l’aveva rivista e si era accorto, con un po’ di pietà per se stesso, di essere tornato ad un paio di anni prima, quando la guardava di nascosto e lo stomaco gli si chiudeva se lei entrava nella stanza. Lei era stata gentile, amichevole: lo era sempre, soprattutto da quando era venuto a prenderlo a casa Tonks a Natale. Probabilmente il suo soffermarsi a fantasticare come un sedicenne innamorato aveva qualcosa di patetico, ma Ginny lo aveva allontanato, e non c’era nulla che potesse fare... se non sperare che si innamorasse di nuovo. (Di lui. Perchè c’erano altre raccapriccianti possibilità). O che fosse ancora innamorata e decidesse che era passato abbastanza tempo per riprovare.
-Padron Harry, la minestra si raffredderà!- commentò Kreacher.
-Scusami, Kreacher. Sono qui.
 
Assurdo pensare che era passato un anno esatto dalla mattina in cui aveva varcato la soglia di Villa Conchiglia sotto le spoglie di Bellatrix Lestrange, pensò Hermione mentre oltrepassava il portone di ingresso, diretta come gli altri studenti al campo di Quidditch per la finale, la mattina del primo di maggio. Da un lato le sembrava che fosse successo il giorno prima, dall’altro, tra quella sé così spaventata e braccata e lei sembravano stendersi secoli interi. Era come pensare ad una sua antenata, qualcuno che aveva affrontato cose terribili millenni prima. La lunghissima giornata di cui ricorreva l’anniversario, e poi la notte della Battaglia, erano una specie di sogno tremendamente nitido. Le file di tombe vicino al lato ovest del lago, visibili fin dal sentiero dove si trovava adesso, però, le assicuravano che tutto era vero. Le guardò di sfuggita, con un brivido di tristezza che oscurò l’euforia della folla davanti a lei.
Il tempo era abbastanza buono da permettere agli studenti che affollavano gli spalti del campo di Quidditch di non indossare la giacca. Hermione sedette tra Neville e Seamus, che si torceva nervosamente le mani e continuava ad incrociare le dita:
-Ci pensate, ragazzi? L’ultima partita di Quidditch... l’ultima finale per noi... Cavolo, dobbiamo vincere!
Luna li aveva salutati quando tutta la scuola si era incamminata fuori dal portone principale per dirigersi alle tribune. Quella volta non avrebbero guardato la partita insieme come facevano di solito: lei era andata a sedersi sugli spalti dei tifosi di Corvonero, completamente vestita di blu, ma con un cappello rosso ed oro in testa:
-E’ per far vedere a Ginny che penso anche a lei- aveva commentato soave. Con il binocolo, Hermione poteva scorgerla benissimo dall’altra parte del campo, grazie alla chiazza rossa costituita dal suo cappello. Era seduta tra Lisa Turpin e Anthony Goldstein, che guardava torvo il copricapo dell’amica.
Tutti fecero silenzio all’ingresso delle due squadre in campo, ma quando Madama Bumb fischiò, rilasciando le palle, il boato del tifo partì, assordante.
Sul campo echeggiò la voce di Ernie Macmillan, che aveva commentato tutte le partite quell’anno, ed era universalmente riconosciuto tra i cronisti più corretti e precisi che il megafono magico dello stadio ricordasse, anche se un po’ noioso e vagamente inquietante nella sua bravura a riconoscere anche da lontanissimo ogni singolo giocatore, dei quali enucleava con sorprendente precisione trascorsi, punti segnati e vicende sportive.
“Ed è McDougal che si impossessa immediatamente della Pluffa, per Corvonero... subito una bella azione e... si conferma la tendenza ottima mantenuta da questa giocatrice per tutto l’anno, è stata notata dal capitano Page quando... ma ecco che passa a Verlaine... Verlaine... risale il campo, ardito passaggio a ... no, intercettata da Weasley! Weasley in possesso di palla per Grifondoro, palla subito avanti a Robins che schiva il bolide di Inglebee e... ancora a Weasley che si è portata avanti, la capitano di Grifondoro non ha mai portato la squadra alla sconfitta quest’anno, e vediamo...”
-Forza, Ginny!- si sgolò Neville. Hermione, nervosamente, tormentava i guanti che si era portata per paura di avere freddo. Ginny volava benissimo: schivò Terry Boot con facilità ed andò a segnare: il Portiere di Corvonero, Page, distratto da un Bolide di Ritchie Coote, non fece in tempo ad intercettarla.
Gli spalti Grifondoro esplosero di esultanza, mentre il gioco riprendeva velocemente.
Ginny aveva una nota di ferocia nello stile: forse per quello durante tutto l’anno era stata così incredibilmente brava. Aveva sempre avuto talento, ma mai Hermione si era resa conto di quanto fosse preciso e micidiale il suo gioco. E c’era da dire che da Capitano aveva fatto un lavoro ottimo, ricostruendo praticamente dal nulla la squadra, dopo il disastroso anno precedente, durante il quale Grifondoro, per le continue punizioni dei suoi giocatori, non era riuscita a disputare neanche una partita. Demelza e Ritchie erano gli unici che restavano, della squadra che aveva capitanato Harry due anni prima. Dean Thomas, da riserva era diventato Cacciatore titolare, accanto a Ginny e Demelza. Jimmy Peakes, il Battitore amico di Ritchie, non era tornato a scuola: durante la guerra aveva perso le due sorelle maggiori ed il padre. Ginny aveva tormentato Natalie McDonald, una ragazza del quinto anno, fino a che non l’aveva convinta a presentarsi ai provini, che aveva vinto con tutta facilità conquistandosi il posto vacante di Battitore accanto a Ritchie: guardandola salvare Demelza da un Bolide micidiale che arrivava da Alice Austen di Corvonero, Hermione sorrise ricordando che Ginny l’aveva notata mentre colpiva il suo ragazzo durante un litigio, bersagliandolo con un intero set di Gobbiglie lanciate una ad una con mira letale. Natalie era stata il tramite per scoprire Euan, un ragazzetto pallido che dimostrava meno della sua età e che risultava essere il suo migliore amico ed un Cercatore piuttosto bravo, anche se era difficile sostenere il ruolo di successore del più grande Cercatore di cui Grifondoro avesse memoria, nonché Salvatore del mondo magico. Paddy Callahan, il più giovane della squadra, un tredicenne che faceva il secondo anno perchè, in quanto Nato Babbano, l’anno prima non aveva potuto frequentare, rosso di capelli e munito di un fisico che prometteva di raggiungere in pochi anni la mole di un guardaroba di medie dimensioni, era stato selezionato tra gli aspiranti Portieri ed aveva volato benissimo durante tutto l’anno.
La partita procedeva lentamente, con la tensione alle stelle. Neville e Seamus scattavano in piedi ogni volta che vedevano una figurina rossa sfrecciare verso la porta avversaria, ma le due squadre erano ben bilanciate ed i punti venivano segnati raramente.
-Ma cosa combina Euan?- sbraitò Seamus impaziente, cercando il Cercatore in alto, oltre gli anelli.
-Neanche Ackerley riesce a vedere nulla- commentò Calì, girandosi dalla fila davanti ed indicando il Cercatore di Corvonero, che sorvolava il campo a larghi cerchi –Il Boccino proprio non si vede.
“Ed è Thomas... Thomas ancora in possesso! No, è arrivata McDougal... McDougal lo urta con la scopa... è stato involontario, oppure... no, è fallo, madama Bumb segnala fallo, ma siamo decisamente troppo lontani perchè Dean possa... ah, peccato, molto vicino, ma il portiere Page, Capitano e veterano della squadra di Corvonero para senza problemi e la Pluffa è ancora in gioco. Adesso Robins! Robins passa al suo capitano, Weasley... Weasley... ancora Weasley, schiva il Bolide di Alice Austen, e non certo per colpa della Battitrice, era un tiro ottimo... schiva il Bolide di Inglebee... un altro Bolide, ma Coote la copre... è vicinissima... attenzione, è vicinissima!”
-Vai Ginny!- urlava Neville. Hermione si alzò, cercando freneticamente di seguire il volo dell’amica col binocolo.
-Bravissima, Ginny!- urlò una voce nota alle loro spalle. Mentre Ginny andava a segno e Seamus cominciava ad urlare, Hermione e Neville si voltarono di scatto.
“Page non ce la fa... ed è punto, Weasley segna per Grifondoro, e siamo settanta a sessanta per la sua squadra!”
-Harry!- esclamò stridula Hermione, gettando le braccia al collo dell’amico. Quelli abbastanza vicini a loro da sentire Hermione nello strepito del tifo si girarono, e nello stupore generale volarono pacche e saluti. La partita, però, si stava facendo troppo emozionante anche per dedicare la propria attenzione al Prescelto. Anzi, fu proprio Harry a gridare, guardando il campo:
-Il Boccino!
Euan era in picchiata, ed anche Stewart Ackerley sembrava aver visto qualcosa, perchè risaliva il campo come un fulmine. Il rumore delle urla del pubblico divenne così assordante che a stento si udiva la cronaca:
“E sembra proprio che i Cercatori abbiano qualche novità. Abercrombie è velocissimo! Euan Abercrombie... attenzione, arriva un Bolide di Inglebee che... no, l’ha schivato... ma ha perso... sì, ha perso il Boccino, non si vede più, risale...”
La delusione dei Grifondoro non ebbe quasi il tempo di cominciare, perchè immediatamente dopo Dean segnò.
-Cosa ci fai qui?- strillò Hermione nelle orecchie di Harry, un braccio ancora intorno al suo collo.
-Sono venuto per parlare con la professoressa McGranitt... chiederle alcune cose per... lo sai, no? Per l’Accademia Auror. Poi stanotte sono ospite da Hagrid, e domani c’è la Commemorazione.
-Stanotte dormi da noi, amico, che discorsi sono?- tuonò Neville. Seamus, urlante per il punto di Dean, si voltò per assentire, euforico.
-Credo sia meglio di no...-cominciò a schernirsi Harry con un sorriso, poi spostò lo sguardo sul campo, inducendo tutti gli altri a fare automaticamente lo stesso.
“Ginny Weasley sta... oh, per l’amor del cielo, ha rischiato grosso... incredibile, come l’ha presa?”
Ginny si era sporta con entrambe le mani dalla scopa, per afferrare la Pluffa lasciata cadere da Jocelyn Verlaine di Corvonero, colpita da un Bolide di Ritchie. Planò sbandando paurosamente, arrivando rasente alla folla sugli spalti: per un attimo fu così vicina a tutti loro che Hermione poté guardarla negli occhi e scambiare con lei uno sguardo mentre si riassestava sulla scopa, con la Pluffa sotto il braccio. Poi, un secondo prima che sterzasse e tornasse verso il campo, Hermione vide il suo sguardo sgranarsi, e capì che aveva visto Harry. Lui la stava fissando così intensamente che Hermione si meravigliò che le file di teste davanti a lui non si abbassassero per l’onda d’urto di quello sguardo. Ginny tornò al centro del campo, subito inseguita ed insidiata da Terry Boot. Harry continuò a guardarla, le mani aggrappate allo schienale del sedile davanti a lui.
-Laggiù!- urlò Romilda Vane, qualche fila avanti. Euan aveva visto di nuovo il Boccino, ma tutta la squadra di Corvonero aveva visto Euan, e ben due Bolidi partirono nella sua direzione, mentre l’altissima Morag McDougal e perfino Page, il portiere, che era nelle vicinanze, planavano minacciosamente verso di lui per ostacolarlo. Ackerley, il Cercatore di Corvonero, era lontanissimo. Ginny, al centro del campo, girò di scatto la testa disegnando una scia rossa nell’aria con i suoi capelli, poi urlò qualcosa, gettando la Pluffa che teneva ancora in mano a Demelza, e sfrecciò via anche lei verso Euan, che volava appiattito sul manico della scopa, cercando di schivare Morag, che quasi gli arrivò addosso. Anche Terry, Jocelyn e il battitore Inglebee adesso convergevano su di lui: Natalie McDonald urlò, imitando Ginny e correndo in suo soccorso, ma era troppo lontana...
-Ma cosa sta facendo? Ginny!- urlò Hermione, mentre lei piombava a testa bassa in mezzo al nugolo di giocatori in divisa blu, che si stava addensando su Euan. Questi si dispersero, ma lei sbandava, e un Bolide di Alice Austen, diretto ad Euan, la colpì alla schiena mentre Euan, sporgendosi in avanti, afferrava qualcosa. Il fischio di Madama Bumb fu coperto dalla folla che gridava, vedendo Ginny in caduta libera fare letteralmente una capriola nell’aria, stretta alla scopa nonostante il colpo ricevuto. Era ormai a pochi metri da terra: con una padronanza incredibile della scopa planò, riuscendo a rallentare, ed atterrò, crollando poi sull’erba.
-Si è fatta molto male?- ululò Neville, già in piedi e intento a scavalcare gli spalti. Harry lo precedeva già di parecchie file, diretto alle scale che davano accesso a campo. Hermione trattenne Neville per un braccio:
-No, guarda... si sta rialzando... si sta rialzando... abbiamo vinto, Neville!
Tutti sembravano realizzarlo solo in quel momento, e la folla Grifondoro esplose, mentre tutta la squadra atterrava, correndo verso il Capitano e Euan, che atterratole accanto, teneva alto il pugno con stretto il Boccino.
Una mano sul fianco, lei si alzò del tutto in piedi. Gli studenti  scavalcavano gli spalti pazzi di gioia per la vittoria, e Neville tese la mano ad Hermione per aiutarla a scavalcare mentre anche loro si accodavano alla folla. La squadra era un unico abbraccio collettivo: Dean e Paddy avevano sollevato Euan sulle loro spalle, ma l’eroina della partita era Ginny. Alice Austen, il viso contorto per la delusione ed i capelli scuri completamente stravolti intorno alla testa, le si avvicinò scusandosi per il Bolide troppo forte. Lei scosse la testa:
-Sto bene!- la sentirono gridare. Però teneva ancora la mano sul fianco e camminava un po’ piegata in avanti. Circondata dalla sua squadra, fu trascinata verso la tribuna dove la professoressa McGranitt aspettava, con la coppa tra le mani e gli occhi lucidi. Hermione, ormai vicinissima, vedeva Ginny guardarsi intorno, cercando qualcuno –Harry senza dubbio- tra la folla vociante che la circondava. Ma Harry era ricomparso accanto ad Hermione.
-Sta bene?- gli gridò. Lui scosse le spalle:
-Non ho fatto in tempo a vedere! Sembra di sì, più o meno.
Demelza singhiozzava di felicità a fianco di Dean, il cui sorriso candido spiccava a distanza ed al quale Seamus stava gridando a squarciagola qualcosa che lo faceva ridere. Paddy Callahan, il viso lucido per l’emozione, teneva ancora Euan sulle spalle, ed aveva un braccio intorno all’eccitatissima Natalie, che si sporse a baciare sulla bocca Ritchie Coote, tra i fischi e le urla di approvazione di tutti. Lui sollevò il braccio in segno di vittoria, del tutto stordito e rosso come un peperone. In mezzo alla confusione generale, Ginny, i capelli spinti indietro dal vento e lo sguardo orgoglioso e splendente, guardò il gruppo dei suoi amici. Nessuno dei suoi fratelli aveva assistito alla partita, ma lei, la prima donna Weasley dopo generazioni, aveva appena capitanato la squadra di Quidditch di Grifondoro alla vittoria della Coppa. Hermione la salutò entusiasta, Neville si sbracciava, e Luna, che li aveva raggiunti dicendo soavemente “E’ proprio bello per Ginny, vero?”, perso il cappello rosso agitava la sua sciarpa blu con scritto CORVONERO a lettere cubitali. Harry fissò Ginny, sorridendole leggermente, e le fece il segno di vittoria che si erano scambiati tanto spesso quando giocavano in squadra insieme. Lei esitò solo un attimo, poi gli restituì un sorriso raggiante.
“Ecco Weasley e la sua squadra ricevere la coppa dalla Preside! Weasley, Robins, Thomas, Callahan, Coote, McDonald e Abercrombie! Grifondoro vince la Coppa del Quidditch!”
 
Ok, era la prima volta che descrivevo così dettagliatamente momenti di vita ad Hogwarts, e la ragione della mia resistenza è che è difficile! Per non parlare della partita di Quidditch.
Spero che apprezzerete. E che mi lascerete una recensione, lo sapete che un autore si nutre così!
A presto con l’altra metà!
Oru

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Capitolo 9
*** Molte vittorie p. 2 ***


 Prima di tutto, grazie.
Questo capitolo, anzi, questa parte di capitolo, rende Dopoguerra la storia più lunga che abbia mai pubblicato su EFP. Lo scorso aggiornamento ha ricevuto più recensioni di quante ne avesse mai ricevute un mio capitolo, almeno tutte in una volta, e la storia ha superato le cento recensioni (ed io, come una scema alla scrivania a riguardarmi quel numerino con gli occhi luccicanti...).
Al momento la storia è seguita da oltre cento persone, ed è tra le preferite di una sessantina. Non potevo sperare di meglio quando ho cominciato a pubblicarla. Quindi... grazie!
Grazie per il vostro entusiasmo, la vostra pazienza, i vostri incoraggiamenti, le vostre osservazioni.
Mi avete fatto affezionare alla storia in modo incredibile, e la continuerò fin dove deve arrivare, statene certi. Grazie a tutti!
 
Senza por tempo in mezzo, eccovi la parte finale del capitolo, quella più seria e... sentimentale.
Spero che vi piacerà quanto vi è piaciuta la prima parte, ma anche solo metà andrebbe benissimo! ;)
Ci vediamo in fondo, buona lettura!

 
Molte vittorie
(parte seconda)
 
Grifondoro festeggiò fino a notte tarda, senza che nessuno, nemmeno Hermione con la sua spilla da Caposcuola, trovasse nulla da ridire. Harry cercò di schernirsi, almeno inizialmente, ma non poté né volle evitare, alla fine, di andare in Sala Comune anche lui, e prendersi la consueta dose di attenzione e acclamazioni. In realtà, tutti pensavano soprattutto alla vittoria, e meno di quanto avrebbero fatto solitamente a lui, così il ritorno fu molto più piacevole di come lo aveva immaginato. Fu strano rientrare in quel posto così familiare. C’erano un sacco di facce nuove, gli studenti degli ultimi due anni che lui non aveva praticamente mai visto, e poi gli amici ed i conoscenti. Hermione, seduta sulla sua solita sedia, un libro in grembo, era una visione talmente familiare che quasi faceva male. Mancava Ron, che era atteso il giorno successivo.
Mentre i cori si susseguivano ininterrotti e Ginny era la vera protagonista della serata, insieme al resto della squadra, Harry poté trascorrere molto tempo a parlare con Hermione, in un angolo appena più tranquillo.
-Sono stato al Ministero... al Quartier Generale degli Auror.
-Chissà che facce hanno fatto a vederti!
-Beh, un po’ sì, in effetti. Comunque ho parlato direttamente con Kingsley, in realtà. L’ufficio del Ministro è al piano di sopra. Lui ha convocato il Direttore del Dipartimento, che al momento è Isaac Proudfoot.
-E cosa ti hanno detto? “Signor Potter, il corpo degli Auror è nelle sue mani, ne faccia ciò che vuole”?
Harry sorrise, afferrando al volo un biscotto a forma di Boccino (qualcuno ne aveva liberate varie decine per la stanza, e ronzavano attorno finché qualcuno non li acchiappava e se li mangiava):
-Più o meno... comunque ho spiegato che quest’anno non avevo frequentato Hogwarts, e chiesto cosa dovevo fare visto che il requisito minimo di ingresso è un buon MAGO in Trasfigurazione, Pozioni, Incantesimi, Difesa ed Erbologia.
-Che ti hanno detto?
-Proudfoot voleva farmi entrare già quel giorno, ha detto che quella dei requisiti era una bazzecola e... insomma, io però non ero tanto d’accordo, e Kingsley era dalla mia parte.
-E quindi cosa avete deciso?
-Passano sopra ai MAGO in quanto alla formalità del certificato, ma dovrò comunque superare i test a settembre e Kingsley mi ha fatto capire che di fatto per farcela è necessario un livello MAGO, almeno su certi argomenti e certe tecniche. In particolare, devo curare molto Trasfigurazione, è fondamentale all’Accademia... ed è la cosa su cui sono più indietro.
-Come pensi di fare?
-Ho chiesto appuntamento alla professoressa McGranitt per concordare un programma di recupero. Comunque sto studiando già adesso a casa... E magari sentirò anche Vitious e Lumacorno.
-Con Difesa non avrai problemi. Ti dirò che la sola idea mi fa ridere. Per Erbologia, senti Neville. E’ diventato incredibile.
-Beh, non sarà più bravo di te.
Hermione alzò le spalle:
-Regge il confronto tranquillamente. Harry, sono... sono contenta di sentirti così!
-Così come?
-Così... insomma, così di nuovo con dei progetti.
C’era tanto di non detto, nell’espressione di Hermione, ma Harry si limitò a sorriderle, prima che in Sala Comune partisse un ennesimo coro di vittoria. Loro due si unirono agli altri, mentre la squadra, in piedi su alcuni tavoli, dirigeva la musica. Poi, improvvisamente, si trovarono tutti senza voce, e prima che si rendessero conto di quello che succedeva, una donna dai capelli neri raccolti in una treccia e dalle guance rosee era in mezzo a loro con le mani sui fianchi. Harry la riconobbe: era Hestia Jones, uno dei membri dell’Ordine e a quanto sapeva da Hermione e Ginny la nuova professoressa di Difesa contro le Arti Oscure. Hermione si voltò verso di lui per sussurrargli qualcosa, ma poiché tutti nella stanza erano stati silenziati, Harry poté solo leggerle sulle labbra che si trattava della nuova direttrice della Casa di Grifondoro, visto che la professoressa McGranitt era adesso la Preside. Hestia indossava un pigiama di seta turchese, ed era un’apparizione decisamente diversa dalla versione notturna della McGranitt in bigodini e vestaglia scozzese, ma il cipiglio era abbastanza simile.
-L’incantesimo Silencio è un’utile arma di difesa contro nemici particolarmente molesti- proclamò alla Sala Comune forzatamente ammutolita:
-La tentazione di rendervi edotti su questo argomento con una lezione sui pericoli del rumore e dello schiamazzo ad ore improbabili seduta stante è molto forte, ve lo garantisco. Potrebbe seguire per tutti l’ordine di consegna entro domani pomeriggio di un tema di centosettanta centimetri sull’argomento.
Tutti gli studenti strabuzzarono gli occhi, orrificati. Hestia Jones, che sembrava immensamente divertita, fece un sorrisetto.
-Sono contenta quanto voi che Grifondoro abbia vinto la Coppa, ragazzi, ma sono le due di notte. Weasley, dammela, è ora che riposi nell’ufficio del Direttore della Casa.
Tese le braccia a Ginny che, controvoglia, le porse la Coppa. Poi tornò a rivolgersi a tutti:
-Adesso, ragazzi, rimuoverò l’Incanto Silencio e voi andrete tutti a letto. Non costringetemi a tornare quassù, perchè potete scommettere cinquanta galeoni che se ritorno vi aspetteranno lezione in notturna e il suddetto tema di centosettanta centimetri. Buonanotte!- aggiunse cordialmente, prima di fare con la bacchetta un gesto che sul momento sembrò senza effetto, visto che tutti rimasero in silenzio. Poi, con un sommesso brusio, cominciarono a sciamare verso le scale dei dormitori. Molti davano cordialmente la buonanotte anche alla professoressa, che assisteva appoggiata al muro e rispondeva affabilmente. Era chiaro che la nuova Direttrice era piuttosto amata dagli studenti.
-Ciao, Harry!- gli disse quando lo notò –Odio dovertelo dire, ma non dovresti essere qui!- aggiunse poi.
-Ha ragione, professoressa, mi scusi. Sa, l’euforia... il Grifondoro...- cominciò Harry imbarazzato, senza neanche rendersi conto che non stava dando ad Hestia del tu come aveva sempre fatto le poche volte che si erano incontrati in precedenza.
-Non sei uno studente, puoi chiamarmi Hestia. Ma proprio perchè non sei uno studente...
-Hagrid mi starà aspettando, credo- si affrettò a dire Harry –Vado subito via.
-Signorina Granger...- cominciò Hestia, guardando eloquente la spilla di Caposcuola ancora attaccata alla veste di Hermione. Lei si affrettò a parlare:
-Mi scusi, professoressa. Sa, la vittoria...- cominciò vagamente.
Ginny, mentre anche gli ultimi studenti lasciavano la Sala Comune, si avvicinò al loro gruppetto:
-Weasley, nonostante l’indegna gazzarra, mi complimento per quell’ultima azione. Ottimo, davvero.
-Grazie, professoressa- sorrise storta Ginny, con un’occhiata di desiderio alla Coppa che la professoressa teneva noncurante per un manico.
-E’ stata fantastica. L’ultima azione, intendo- non poté trattenersi dal commentare Harry. Ginny lo guardò sorridendo:
-Niente male, eh? Che ne pensi?
-Penso che sia stata una partita splendida. Io...- cominciò Harry, fin troppo entusiasta di chiacchierare con Ginny, per di più di Quidditch.
-Le speculazioni sulla partita, in caso non ne abbiate ancora avuto abbastanza, domani- interruppe Hestia. Ginny fece spallucce e lo guardò:
-Domani, allora?
-Certo- rispose Harry, controllando a stento l’entusiasmo.
Hermione si sporse per dargli un bacio sulla guancia:
-Buonanotte, Harry. Buonanotte professoressa.
-Buonanotte!- risposero i due in coro. Harry sperò vagamente che Ginny seguisse l’esempio di Hermione, ma lei si limitò a fargli l’occhiolino, e raggiunse l’amica, che le passò un braccio intorno alle spalle. Harry rimase a guardare le due ragazze salire le scale del loro dormitorio, fino a che Hestia non lo riscosse dalla contemplazione.
-Harry, ora ti accompagno al portone, e ti raccomando di filare da Hagrid al più presto. Non sei uno studente, ma un tema di centosettanta centimetri sull’Incanto Silencio potrebbe essere utile per prepararsi ai test dell’Accademia Auror- disse, ammiccando.
 
La luce chiara che filtrava dalle finestre lo svegliò, sepolto sotto la pesantissima coperta patchwork che Hagrid aveva preparato per la brandina dove lo aveva fatto dormire, ai piedi del suo enorme letto. La sera prima lo aveva trovato ancora sveglio, intento a praticare buchi in delle cassette di legno per contenere i Vermicoli, e così avevano potuto chiacchierare un po’ insieme, prima di andare a dormire. Lui, già alzato, si muoveva con tutta la delicatezza che gli era possibile (anche se non era molta) per la stanza, armeggiando vicino al caminetto. Svegliarsi con Hagrid era un’esperienza strana, gli era successo soltanto un’altra volta nella vita, la mattina di quel suo fatidico undicesimo compleanno.
-Buongiorno- mormorò, emergendo con difficoltà da sotto la pesantissima coperta.
-Harry, ben svegliato, ci ho qui la colazione- fece Hagrid, lasciando perdere quello di cui si stava occupando e togliendo un vassoio enorme da suo posto in un canto del camino, dove lo stava tenendo in caldo. C’era un delizioso odore di bacon, e dalla cuccuma Hagrid versò abbondante acqua bollente nella teiera, dove diventò un tè forte e scurissimo come era sempre il tè preparato da Hagrid.
-Che ore sono?- chiese Harry, grattandosi i capelli più scompigliati che mai e sedendosi ad una delle gigantesche seggiole di legno della tavola.
-Le dieci passate, ma stanotte abbiamo fatto le ore piccole, eh, Harry?
-Già... le dieci? Accidenti, devo andare a parlare con la professoressa McGranitt!
-Fai colazione, che tanto non è che va da nessuna parte, la Preside- commentò Hagrid versando il tè in una tazza che sembrava più un boccale. Gli occhi gli brillavano, come la sera precedente, per il piacere di avere Harry ospite.
-E’ bello vederti, Harry, non ci credevo che venivi, dopo tanto tempo!- commentò, sedendosi sul suo grande letto a guardarlo mangiare a quattro palmenti, mentre legava insieme fascette di tralci fioriti che pescava da un cestone tra le sue gambe:
-Roba per stasera- disse, seguendo lo sguardo curioso di Harry –Per la celebrazione e la festa. Vedrai, sono speciali, li ho raccolti in un posto della Foresta che... sono piaciuti anche al tuo amico Neville.
-Non ne dubito!- disse Harry, spingendo in bocca un altro boccone di bacon. I fiori azzurri e scarlatti continuavano a fiorire, nonostante i tralci fossero recisi.
Si alzò, afferrò i vestiti lasciati su una sedia la sera prima e si affrettò ad uscire per lavarsi al vecchio abbeveratoio dietro la casa, nell’orto delle zucche. L’aria della mattina era ancora pungente, nonostante il cielo limpido.
-Torni per pranzo, eh?- lo apostrofò Hagrid quando rientrò frettolosamente per prendere lo zaino, prima di uscire alla volta del castello –Viene anche Ron, ha scritto stamani presto!
-Certo!
 
Al castello c’era un certo fervore di preparativi, che ricordava ad Harry l’atmosfera del Natale. Quel giorno le lezioni erano state sospese, e molti, fra insegnanti e studenti, andavano in giro con aria indaffarata, soprattutto tra la Sala d’Ingresso e la Sala Grande, dove si sarebbe tenuto il festeggiamento di quella sera. Chiese della professoressa McGranitt e fu indirizzato al lago, dove la trovò intenta a dirigere l’installazione di lunghe file di sedie nei pressi di quello che era diventato una specie di piccolo, glorioso cimitero di Hogwarts. Le sedie collocate a fronteggiare le lapidi bianche gli ricordarono con un brivido sgradevole il funerale celebrato esattamente un anno prima.
La professoressa, vista da vicino, gli sembrò invecchiata, anche se all’apparenza non era cambiata affatto: indossava una severa veste verde scuro ed aveva i capelli striati di grigio raccolti in uno stretto chignon. Stava apostrofando in tono piuttosto aspro un ragazzo grosso e goffo, che Harry ricordava vagamente appartenere a Tassorosso e che aveva appena fatto cadere un’intera pila di sedie. Aveva l’aria di desiderare ardentemente di non trovarsi lì in quel momento.
-...la terza volta che succede, Jeeves! Sta diventando ridicolo!
Harry, incerto se fosse il momento giusto per attirare la sua attenzione, rimase fermo dove si trovava fino a che la professoressa non lo notò e si affrettò ad avvicinarglisi.
-Harry, è un piacere vederti. Andiamo nel mio ufficio, penso... cioè, spero che qui le cose procederanno tranquillamente- disse, lanciando un’occhiata dubbiosa al gruppetto intento all’opera.
Seguendola a passo svelto, Harry riattraversò con lei il parco e l’ingresso al castello, poi i corridoi, dove incrociò parecchie persone che lo salutarono, inclusa Hermione che marciava verso la biblioteca con una gran pila di libri da restituire e che gli fece segno che si sarebbero visti più tardi.
L’ufficio del Preside di Hogwarts si trovava sempre allo stesso posto. Harry, che conosceva come le sue tasche il vecchio ufficio della professoressa, trovò straniante varcare la soglia sorvegliata dai gargoyle di pietra e ritrovare al posto sbagliato le vecchie cose: le sedie con lo schienale di legno duro, la scatola di biscotti decorata con un motivo scozzese sulla scrivania ed i libri. I ritratti dei presidi precedenti occhieggiavano però dal muro come al tempo di Silente: dal suo quadro l’anziano professore lo salutò allegramente e si accomodò sulla morbida poltrona dipinta come per ascoltare meglio. Con un certo timore, Harry cercò il ritratto di Piton, e lo identificò per la targhetta in quello immediatamente a destra di Silente. La cornice, però, in quel momento era vuota.
-Dimmi pure, Potter- cominciò la professoressa, sedendosi stancamente alla scrivania e facendogli cenno perchè si accomodasse davanti a lei.
 
Uscendo circa mezz’ora dopo, Harry si rese conto di assomigliare ad Hermione così come l’aveva incrociata poco tempo prima: aveva le braccia cariche di libri. La professoressa aveva nascosto a stento dietro il suo abituale atteggiamento austero la soddisfazione di sentirsi chiedere aiuto nello studio da Harry. Harry del resto non aveva dimenticato la promessa che aveva sbraitato al suo quinto anno, di fronte alla Umbridge: “Ti aiuterò a diventare Auror, Potter, fosse l’ultima cosa che faccio!”. Nemmeno lei pareva averlo dimenticato, ma era stata chiara sulla difficoltà dei test per l’Accademia. Harry doveva studiare, e studiare sodo, ed esercitarsi continuamente, e non presumere troppo sulle sue capacità in Trasfigurazione, e doveva mandarle regolarmente dei gufi con le perplessità e le difficoltà che avrebbe trovato. E doveva leggere questo, e quello, e... già, adesso che ci pensava meglio che aggiungesse anche Trasfigurazione nei Duelli, tutti e quattro i volumi, e quello, ed anche quello...
Barcollando sotto il peso dei libri che non era riuscito a ficcare nel suo zaino, quasi andò a sbattere contro Ginny, che risaliva a passo svelto le scale diretta alla Torre di Grifondoro. I libri finirono a terra. Uno si aprì su una pagina la cui intestazione recitava “Metamorfosi Orride nei Combattimenti: una Prospettiva”.
-Ma che... oh, Harry, sei tu! Cos’è tutta questa roba?- chiese Ginny, fissando i volumi sparsi attorno a sé.
-Me li ha dati la McGranitt... stavo cercando di portarli a casa di Hagrid. Mi ha invitato a pranzo.
-Lo so, c’è anche Ron.
Parve esitare un attimo, poi scrollò le spalle.
-Ti do una mano. Oggi non so bene come sarà servito il pranzo a noialtri, visto che la Sala Grande è occupata per i preparativi di stasera.
Raccolse i tomi più vicini a lei. Harry si affrettò a fare altrettanto, ed insieme si avviarono per le scale ed i corridoi.
-Come mai la McGranitt ti ha dato tutta questa roba?
-Credo di essermela cercata. Le ho chiesto aiuto per... insomma, i test di settembre. Per entrare all’Accademia Auror.
-Avevo sentito Hermione che ne parlava. Allora... ti fanno entrare anche senza MAGO?
Non c’era ostilità nella domanda. Harry, un po’ imbarazzato, rispose:
-Beh, sì. Ma devo comunque superare i test e...
-Spero che non ti serva la Trasfigurazione Umana Avenzata, quella roba è impossibile.
Harry alzò un po’ impensierito le spalle:
-Credo proprio di sì.
-Hermione ci è riuscita in un giorno. Roba da pazzi. Io mi scervello da due settimane, e ancora nulla. Ma forse sono stata un po’ troppo presa dal Quidditch.
-E’ stata mitica quella picchiata- disse Harry, sinceramente entusiasta, -il Bolide però deve aver fatto male. Non mi ricordavo che quella Battitrice di Corvonero fosse così brava.
-La Austen... beh, è forte. E’ un tipo a posto, poi mi ha anche chiesto scusa per la botta. Comunque Madama Chips me l’ha sistemata quasi subito.
-E il vostro nuovo portiere, Callahan... me lo ricordo, due anni fa era al primo anno... a dire il vero non pensavo che ne venisse fuori un giocatore.
-Paddy? Due anni fa era solo grasso, poi invece è diventato grosso e... beh, hai visto. Non ne fa passare una, o quasi. Comunque vola davvero veloce, per la sua mole.
-Sono d’accordo.
Parlare di Quidditch con Ginny era facile come respirare, come lo era stato due anni prima. Come se il tempo non fosse trascorso e loro fossero soltanto amici di lunga data. Ma per Harry, e forse anche per lei (la sbirciò di sottecchi) non era facile dimenticare che si erano messi insieme proprio in occasione della precedente vittoria della Coppa, due anni prima.
Insieme uscirono dal portone principale del castello, e cominciarono ad attraversare i prati diretti alla capanna di Hagrid.
Ginny era... qualcosa di diverso. Di diverso da tutto. Il modo in cui avvertiva la mancanza di lei non era quello in cui in passato aveva avvertito la mancanza di Ron ed Hermione, che a volte lo sorprendeva anche nelle sue serate solitarie a Grimmauld, quando ricordava i tempi della scuola (eppure era stato proprio lui a non voler tornare!). Hermione e Ron erano come parti di se stesso, prolungamenti di sé diversi da sé, con i quali era possibile costruire ed affrontare ogni cosa. Erano suo fratello e sua sorella, ma più di suo fratello e sua sorella. Quando Ron li aveva abbandonati, l’inverno di quell’anno tremendo, era stato seriamente come aver perso una gamba, ed essere furibondo per la mutilazione. Non voleva parlare di lui, non voleva ricordarlo, come ad un mutilato di recente fa ribrezzo il proprio moncherino. Il pianto di Hermione lo esasperava perchè continuava a far prudere il moncone mentre lui voleva solo far finta che non esistesse.
Ginny era diversa. Non era parte di lui. Mentre la guardava di sottecchi camminare nella luce piena di un bel giorno di maggio, il golfino dell’uniforme con le toppe sui gomiti perchè certo era appartenuto a qualche fratello, le braccia cariche di libri, i capelli (gli piacevano i suoi capelli, lisci e così splendenti da catturare ogni riflesso del sole, come d’oro rosso), gli occhi indecifrabili, pensò che anzi, non esisteva persona più aliena da lui di Ginny, in un certo senso. Erano cresciuti a fianco, spesso sotto lo stesso tetto, ma non insieme. Sapeva cosa le piaceva, cosa amava, cosa odiava, riusciva qualche volta a prevedere le sue reazioni, ma non sapeva mai davvero a cosa stava pensando. Il suo sguardo castano, limpido e duro, era sempre rimasto indecifrabile per lui. I due mesi passati insieme non erano stati nemmeno lontanamente sufficienti a capire Ginny. E allora perchè la voleva tanto, perchè anche allora l’aveva voluta? Cosa c’era in lei... lei che parlava di formazioni d’attacco Testa di Falco e di come preferiva posizionarsi a destra quando la realizzava con Demelza e Dean sul campo, concentrata come se stesse vedendo l’azione di gioco in quel momento... da dove veniva la volontà di stare con lei, anzi, di averla per sé? Ginny era semplice, coraggiosa, abituata ad avere poco eppure esigente negli affetti, quasi incapace di piangere dopo l’esperienza con il diario di Riddle, ma niente affatto immune al dolore. Era affezionata alla sua famiglia, alle persone che amava, eppure spesso sembrava sentirsene soffocata, lottava contro i limiti che l’età e l’inesperienza le imponevano con foga, aveva paura dell’impotenza (anche questo un lascito del suo rapporto con Voldemort). E le piaceva il Quidditch, pensò Harry, sorridendo, e immediatamente dopo quasi barcollò rendendosi conto di quanto in realtà Ginny gli somigliasse. Tutto quello che aveva pensato di lei, poteva dirsi anche di lui, in fondo, realizzò in un attimo, mentre imboccavano il vialetto che conduceva alla capanna di Hagrid. Per questo si era innamorato di lei? Perchè, anche se non la capiva, intuiva oscuramente che lei era l’unica a poter capire lui?
-Grazie, Ginny!- mormorò, quando arrivarono alla soglia di casa. Oltre la porta sentiva la voce di Ron che parlava con Hagrid, e capì che era già arrivato, ma non spinse il battente.
-Figurati- ribatté lei, fissandolo in silenzio.
Era bella. Era bellissima.
-Ginny...- cominciò roco, come se le parole neanche venissero da lui stesso, ma fosse qualcun altro a muovergli le labbra. Lei sgranò gli occhi, che per una volta furono del tutto comprensibili, e dicevano “no”. Ma se fosse un “no, mai” o un “non adesso, c’è mio fratello dietro la porta”, Harry non lo sapeva.
-Ci vediamo oggi pomeriggio, Harry- disse, piano. Si chinò a posare i libri che trasportava sul gradino di pietra della soglia, e fece per andarsene quando Ron aprì la porta:
-...controllo se sta... ah, è qui! Ehi, Harry!
Harry abbracciò l’amico, che gli prese i libri tra le mani.
-Cos’è questa roba? Oh, ciao, Ginny!
Lui e la sorella non si vedevano da settimane, e Ron l’abbracciò prima di chiederle:
-Cosa ci fai qui?- ed immediatamente dopo fece saettare lo sguardo ad Harry, che raccoglieva i libri appoggiati a terra da Ginny e li posava sul tavolo di Hagrid, già apparecchiato per tre con le rozze stoviglie del guardiacaccia. Tipico di Ron.
-Harry aveva bisogno di una mano con quei libri.
-Sì, la McGranitt mi ha riempito di roba da consultare per i test dell’Accademia.
Ron, che al contrario della sorella era quasi sempre un libro aperto, fece per dire qualcosa, qualcosa che di certo sarebbe suonato come “Perchè non hai usato un incantesimo di levitazione?”. Ma chiuse la bocca ed alzò le spalle, e certo Hermione aveva ragione a dire che era maturato tanto.
-Ci vediamo oggi pomeriggio, allora- concluse Ginny –Ciao, Hagrid.
Non aggiunse altro, volse le spalle e se ne andò su verso il castello.
Hagrid aveva arrostito un enorme tacchino.
 
Verso le cinque e mezza del pomeriggio, quando i preparativi erano stati completati da circa un’ora, Ginny lasciò il castello insieme agli altri studenti, diretta al lago. Non ricordava molto del funerale dell’anno precedente. Tutto si confondeva nella sensazione del corpo di sua madre da sostenere tra le braccia mentre camminavano verso le loro sedie, pesante come quello di un morto, e nella nebbia del dolore per Fred, una bruma accecante che non le permetteva di mettere a fuoco con chiarezza nulla. Al dolore si mescolava il sollievo per l’oscura sensazione che tutto fosse “finito”, ma era un sollievo che non dava gioia e prosciugava energie, come  un’immensa stanchezza.
Ed ora era passato un anno, un anno intero. Era finita da un anno, Voldemort era morto da un anno, Fred era morto da un anno. Camminando accanto ad Hermione, che come lei vestiva l’uniforme come aveva richiesto la preside, vide, avvicinandosi alle file di sedie, che molte persone erano già là. I suoi genitori si riconoscevano da lontano, anche a causa della differenza di altezza tra loro. Suo padre teneva un braccio sulla schiena di sua madre, attirandola e tenendola stretta a sé. La mamma indossava il cappello blu intenso con le stelle che i gemelli le avevano regalato qualche Natale prima, ed era elegante più del solito. Sapeva che si erano entrambi fatti forza per festeggiare la gioia di quel giorno. Sarebbe stato più facile quando fosse finito quel momento terribile eppure necessario e voluto, del ricordo. Si rese conto che entrambi i suoi genitori erano quasi completamente ingrigiti, e che suo padre si era davvero incurvato. Il dolore aveva inciso sul loro corpo in profondità. E lei? Lei era cambiata? Lo specchio sembrava dirle di no, ma gli altri la vedevano come prima? O la guardavano in modo diverso? E Harry? Per Harry sembrava che non fosse cambiato nulla da prima della guerra. Ancora quel pomeriggio l’aveva guardata con occhi che gridavano quanto la volesse. Ma un anno prima era stato impossibile accettare che qualsiasi cosa fosse rimasta la stessa. Forse perchè tutto era diverso. Voldemort era morto, Dobby, Lupin, Tonks, Fred (Fred!) erano morti, Geroge era un relitto, casa sua un luogo privo di calore, Ron ed Hermione stavano insieme. Tutto era diverso, ed Harry pretendeva che fosse tutto uguale.
No, non gli aveva detto di no perchè lui l’aveva lasciata, pensò mentre prendevano posto silenziosi e composti insieme al resto della scuola. Non era una stupida. Sapeva benissimo perchè l’aveva fatto.  Ma quell’anno lei aveva combattuto da sola la sua battaglia, ad Hogwarts. In nome di Harry, certo, ma non con lui, e qualcosa si era spezzato, forse anche prima che Fred morisse, e lei, poi, non aveva più avuto la forza di cedere a qualcun altro nemmeno una briciola di sé. Temeva di sgretolarsi tutta, di morirne. E invece voleva vivere. Voleva vivere, proprio perchè Fred era morto.
C’erano tutti, adesso. Gli studenti in uniforme contrastavano stranamente con l’eterogeneo resto della folla. La professoressa McGranitt era davanti a tutti, la voce un po’ amplificata, ma non troppo, il tono sommesso, una lunga pergamena in mano.
Cominciò a leggere la lunga lista di nomi, e ad ognuno c’era qualcuno, nella folla dei presenti, che incurvava le spalle come per un colpo ricevuto, o singhiozzava piano. Eccoli insieme, i vivi ed i morti.
“Albus Silente”
Lui era il primo della lista. Era sembrato ragionevole inserire anche le molte vittime morte precedentemente alla battaglia, insieme al sacrificio più illustre.
“Sam Boot”
“Susan Bones”
“Colin Canon”
“Dirk Cresswell”
 “Alistair Crawle”
“Dobby”
Bill e Fleur, che si tenevano per mano, ed il loro amore sembrava ripararli anche dal dolore. Era venuta la famiglia di Fleur, Gabrielle molto più grande di come la ricordava, scambiavano condoglianze con i suoi.
“Angela Finsbury”
“Bernice Gowan”
“Galathea Grinsbetterley”
George, accompagnato da Ron che era andato a prenderlo poco prima dell’inizio della cerimonia. Sedevano molto in fondo, come in un compromesso con George che chiaramente non avrebbe voluto essere lì. Ron aveva l’aria di un cane bastonato, perchè probabilmente George gli aveva urlato contro. Cosa c’era nell’animo di Ron perchè fosse sempre così fedele a tutti, sempre costantemente a guardare il fianco di qualcuno senza che nessuno guardasse il suo, solo qualche malumore e qualche cedimento ogni tanto e per il resto sempre in secondo piano, a fare la sua parte, che spesso era una parte priva di qualsiasi gloria, come il suo sgobbare per il negozio in quei mesi?
“Theoderic Ivern”
“Silvanus Kettleburn”
“Remus Lupin”
Percy, accompagnato da Audrey, gli occhiali appannati dal pianto. Anche altri intorno a loro piangevano, mano a mano che la voce della Preside pronunciava i nomi amati.
“Sturgis Podmore”
“Rachael Prescott”
Hagrid, una sedia più grande, la schiena che parava la visuale ad almeno una dozzina di persone, ed un grande fazzoletto a coprirgli il viso.
“Ninfadora Tonks”
Charlie, arrivato il giorno prima dalla Romania, il viso impietrito. Ricordò quanto fosse disperato l’anno precedente: era crollato subito, come George, e sembrava strano visto quanto era sempre stato indipendente. Adesso non piangeva, ma nei suoi occhi c’era qualcosa che assomigliava alla disperazione.
“Ted Tonks”
Andromeda, accompagnata da Harry che teneva Teddy in braccio. Si erano seduti vicinissimi a Ginny, Luna e Neville, schierati per farsi forza come avevano fatto tutto l’anno passato. Con Hermione in più, naturalmente. Teddy, nervoso ed inquieto, blaterava, ed Harry faceva fatica a tenerlo buono. Aveva compiuto un anno due settimane prima. Ginny ricordava benissimo quando Remus, dopo essere stato a Villa Conchiglia, aveva fatto irruzione anche da zia Muriel, per dir loro che era nato. Ricordava le prime foto. Fred aveva osservato quanto somigliasse a Tonks. Charlie, che proprio in quei giorni li aveva raggiunti, troppo angosciato per restare in Romania dopo la loro entrata in clandestinità, aveva guardato quelle due o tre istantanee per ore. Charlie conosceva bene Tonks, ricordò Ginny: aveva frequentato la scuola con lei. Erano poi rimaste le uniche foto della famiglia tutta intera.
Teddy si mise a piangere mentre l’elenco volgeva al termine. Harry lo ninnò energicamente, cercando di calmarlo, ed incontrò lo sguardo di Ginny. Erano gli occhi verdissimi di sempre, ed aveva mani delicate, mani di babbo con quel bimbo, e l’aria più sola che mai.
“Fred Weasley”
E la lista finì improvvisa, sul nome di suo fratello, che continuava ad echeggiare nell’aria, pronunciato dalla voce stanca della McGranitt, come se Fred non avesse fatto altro che continuare a morire ogni giorno, ora e secondo, nell’ultimo anno. Sembrava impossibile, in quel momento, aver ricominciato a vivere.
 Sulle lapidi sbocciarono per magia rose bianche, distinguibili dal marmo candido grazie al loro splendore incantato.
Tutti si alzarono, per osservare il silenzio richiesto dalla professoressa McGranitt in memoria delle vittime. Molti piangevano, con singhiozzi sommessi. Solo il pianto di Teddy si alzava chiaramente distinguibile, acuto contro il cielo, così azzurro e così quieto sopra i vivi ed i morti.
 
Per quanto sembrasse assurdo, un’ora dopo, spostatisi in Sala Grande, stavano festeggiando. Certo, erano festeggiamenti per nulla sguaiati, niente affatto simili all’euforia per la finale del Quidditch, soltanto il giorno prima. La Sala era decorata meravigliosamente con quei tralci di fiori che sbocciavano in continuazione, procurati da Hagrid, come a ricordare che Voldemort non era riuscito a sconfiggere la vita e l’amore. I paramenti delle quattro Case, sontuosi nella profusione di seta, addobbavano le pareti. I tavoli erano pieni di cibo, per chi voleva mangiare. E c’era tanta gente felice, davvero felice, tutti quelli che erano stati così fortunati da non perdere un parente o un amico stretto, e che festeggiavano la Vittoria come una vittoria del genere meritava di essere festeggiata: ridendo, abbracciandosi, godendo degli amici, della bontà del cibo, della bellezza di Hogwarts risorta dalla rovina cui era stata ridotta l’anno precedente e dalla magnificenza della serata che era sfumata in un tramonto dorato, glorioso ancor più di quello dell’anno passato, e poi in un crepuscolo limpido nel quale le stelle, sul soffitto della Sala come fuori, brillavano come gemme.
I signori Weasley erano seduti in un angolo a parlare fitto con Andromeda. Ginny si era accorta, ora che le ultime vicende li avevano molto avvicinati, che in realtà avevano riesumato un’amicizia molto vecchia, di cui i suoi, per qualche motivo, non le avevano mai parlato. Teddy era in braccio a sua madre, adesso, e lei lo teneva esperta e compiaciuta. Aveva smesso di piangere.
Sotto un’intera arcata di fiori sboccianti, Neville, Luna, Hannah, Ernie e qualche altro amico legato all’ES chiacchieravano tranquillamente, pescando del cibo da un paio di vassoi che avevano spostato lì vicino. Sapeva che stavano ricordando Susan e gli altri, perchè Hannah un po’ sorrideva e un po’ piangeva. Susan mancava anche a lei. L’anno passato era stata un’alleata fedele nella loro lotta contro il regime dei Carrow.
-Ginny, hai mangiato qualcosa?
Hermione si avvicinava con Ron, una fetta di torta in mano. Stavano vicinissimi. Quell’anno si erano potuti vedere molto poco.
Senza alzarsi dal suo posto, quasi nascosto dalla profusione di fiori, Ginny le sorrise, mentre si sedevano vicino a lei:
-Non ho molta fame.
Ron sospirò:
-A dire il vero neanche io. Mi è passata dopo la Commemorazione.
Sedettero vicino a lei.
-La professoressa è stata così brava a riuscire a far festeggiare tutti senza offendere la memoria dei morti, vero?- commentò Hermione quieta. E davvero, aveva ragione. Non festeggiare sarebbe stata darla vinta a Voldemort, ma non urtare i sentimenti di... tutti loro non era stato facile. Annuì, e restarono per un po’ in silenzio.
-Fred a volte mi manca così tanto che non riesco a respirare- disse, breve. Ron annuì:
-Gia. Come una fitta nello stomaco.
-I... i primi tempi... guardavo George sperando di vedere la faccia di Fred. Mi sono sentita male quando me ne sono accorta.
-Credo che lo abbiamo fatto tutti. Io, almeno...- mormorò Ron, lo sguardo perso sul quieto andirivieni della Sala. Ginny sospirò prima di proseguire. Parlava in un tono casuale, che neanche lei avrebbe saputo dire da dove le venisse fuori.
-A volte non ci credo che sia... morto. Continuo a pensare che mi arriverà un gufo con una lettera da lui, come l’anno scorso o che entrerò in una stanza e lo troverò lì. Così potrò dire “visto che ti eri immaginata tutto”?
Non sapeva come mai stesse parlando a quel modo. Hermione, le lacrime agli occhi, era zitta come sempre quando cercava di non intromettersi in quello che continuava a considerare un lutto privato sul quale lei non poteva avanzare alcun diritto. Ron, gli occhi celesti incupiti, si limitò a fissarla ed a stringere più forte la mano di Hermione
-Dov’è adesso George?
-E’ rimasto alle lapidi, penso- disse Ron a disagio, voltandosi verso l’ingresso della sala –Forse dovrei...
Ron era diventato un po’ il custode di George, quell’anno, ma non era giusto che si accollasse lui tutto il peso.
-Vado io- disse Ginny alzandosi.
 
La serata era tiepida, e la luna illuminava i prati quasi a giorno, al punto che verso la Riva delle Lapidi si vedevano scintillare il marmo dei tumuli ed i fiori incantati. Era un luogo pieno di pace e per nulla inquietante: sembrava che i morti facessero loro compagnia.
George non era lì, però. Per lo meno, non più. Forse, incapace di ulteriore contatto con la gente se ne era tornato a casa per conto suo. Forse era rientrato al castello e non si erano incrociati. Disorientata, Ginny esitò, guardandosi intorno nella notte precocemente tiepida. Seduto sulla tomba più vicina alla riva, quella di Colin, c’era qualcuno.
Harry si voltò quando la sentì arrivare a passi leggeri lungo il vialetto che separava due file di lapidi, e le fece un sorrisetto.
-Cercavo George- disse Ginny, a mo’ di spiegazione. Harry annuì:
-Era qui quando sono arrivato, ma è andato via qualche minuto fa. Credo sia tornato a casa.
-Volevamo solo assicurarci che.. stesse bene.
-Penso di sì.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Harry disse:
-Resti?
Ginny esitò, prima di sedersi a sua volta sulla lapide di Colin, i gomiti appoggiati alle ginocchia.
-Colin mi manca. Era un tipo buffo, ma eravamo amici dal primo anno- mormorò -L’anno scorso, quando ci siamo rivisti alla Battaglia, non mi è venuto in mente di fermarlo mentre entrava... come facevo, anche io volevo rimanere al castello, e anche io ero minorenne...
-Ginny, non ti starai dando la colpa di qualcosa, vero?
-A dire il vero, quella è una tua specialità.
Harry guardò tristemente le lievi increspature del lago, appena visibili alla chiara luce lunare, mentre riverberavano il soffuso bagliore dei fiori incantati sulle lapidi.
-E’ morta un sacco di gente per proteggermi, è difficile non provare sensi di colpa.
-Sono morti per tutti noi. Sapevano che sacrificarsi per permetterti di portare a termine la tua missione era necessario.
Harry sollevò lo sguardo verso di lei, e lei aggiunse, a denti stretti:
-Anche io lo sapevo. Lo sapevo benissimo.
-Ginny, avevo troppa paura di renderti un bersaglio, per questo ti ho lasciata!- sparò lui tutto di un fiato, come se avesse raccolto le forze fino a quel momento per affrontare l’argomento.
-Lo so.
L’anno precedente a scuola l’avevano insultata e maltrattata in continuazione come la “ragazza di Potter”, nonostante tutto. Era meglio che Harry non sapesse che il suo piano geniale non era servito poi tanto su quell’aspetto, ma visto che era anche stata interrogata illegalmente col Veritaserum da Alecto Carrow per scoprire dove si trovava Harry, in fondo era stato un bene che lui fosse sparito così completamente dalla sua vita e lei non avesse potuto dire nulla neanche costretta. Rabbrividì al ricordo del terrore che aveva provato al pensiero che le chiedessero qualcosa di Ron, perchè su quello sapeva, non avrebbe potuto mentire ed avrebbe fatto saltare la copertura della Spruzzolosi. La Carrow, però, non era interessata a Ron dopo la visita degli impiegati ministeriali a cui era stato mostrato il ghoul, in settembre.
-Io volevo... avrei voluto... voglio dire, Ron ed Hermione sono venuti con te ed io...
-Ginny non è che non mi fidassi di te, ma avevi ancora addosso la Traccia, e per di più... quello che abbiamo passato l’anno scorso non lo augurerei a nessuno.
Contrasse la faccia, come fronteggiando ricordi orribili. Ginny scosse le spalle
-Forse sono arrabbiata perchè non riuscirò mai ad essere così vicina a te come Ron ed Hermione.
-Io non voglio che tu mi sia vicina come Ron ed Hermione- esclamò Harry di rimando. La guardò, poi inspirò profondamente, come se stesse per tuffarsi nel lago:
-Io voglio che tu sia la mia ragazza, non mia sorella.
Si guardarono, poi Harry aggiunse:
-Però non voglio insistere su questo argomento. L’ho capito, quando l’estate scorsa mi hai detto che volevi stare sola. Solo che... tu... insomma, tu mi piaci tantissimo, Ginny. Non certo meno di Ron o Hermione. E’ solo diverso. Pensavo fosse chiaro.
Ginny sospirò. Non lo guardava più, adesso. Aveva gli occhi fissi sul lago.
-Anche tu mi piaci tanto, Harry. Da sempre, lo sai.
-E allora perchè...- insorse Harry, incapace di trattenersi.
-Ho... avevo... bisogno di ricominciare... da sola. Se tu fossi stato ad Hogwarts l’anno scorso lo capiresti, Harry. Voi... voi tre eravate il nostro chiodo fisso, non pensavamo ad altro, io, Neville, tutti. E per me era anche peggio, visto quello che c’era... che c’è stato tra noi. Non mi aggrappavo ad altro che al pensiero che eri da qualche parte a lottare per me e che dovevo stringere i denti per questo nelle punizioni e tutto il resto.
-Tutto il resto?- intervenne Harry ansioso. Ginny lo ignorò:
-Poi, quando tutto è finito... non è solo che era morto Fred. Ero... svuotata. Non avevo idea di cosa fare di... di tutto. Per la verità, non ho le idee molto chiare nemmeno ora- aggiunse amaramente, pensando all’incertezza del suo futuro dopo Hogwarts.
-Harry, tu sei sempre stato l’eroe di tutti, e non è facile dividere il proprio eroe personale con tutto il resto del mondo magico.
-L’eroe di tutti!- sbottò rabbioso Harry –L’eroe di tutti quando faceva comodo a tutti. Sono stato anche il pazzoide esibizionista ed il pubblico esempio di adolescente disturbato, ti ricordo!
Ginny lo guardò:
-Non per me.
-Appunto! Che vuoi che me ne importi di essere l’eroe di frotte di gente a cui basterebbe un articolo del Profeta per pensare che in realtà sono un mitomane esaltato e che sconfiggere Voldemort non è stata poi questa gran fatica, se non posso avere la ragazza che amo?
Non le aveva mai detto che la amava, prima. Erano stati insieme troppo poco tempo perchè un tipo impacciato come lui ci arrivasse. Suonava strano e struggente, in quel momento.
-Harry...- Ginny lo guardava, trattenendo come sempre le lacrime perchè non uscissero, ed i suoi lunghi capelli brillavano dei riflessi della luce fatata dei fiori sulla tomba di Colin.
-Sai... avevi ragione a dire che non può essere come se non fosse successo nulla. Ricominciamo da capo, allora- riprese lui. Ginny notò che stringeva i pugni come per trattenersi.
Guardò la fisionomia così familiare di Harry, famosa eppure in fondo ordinaria, gli occhi verdi miopi dietro le lenti ed i capelli spettinati. Ed il modo semplice con cui l’eroe la stava pregando di tornare con lui, come se per lui non esistesse nessun’altro al mondo, le strappò un sorriso:
-Sei davvero un bravo ragazzo, Harry Potter- mormorò, pensando quanto furiosamente fosse innamorata di lui.
-Sono pur sempre il Prescelto- fece lui di rimando, prendendole il viso tra le mani, chinandosi verso di lei e baciandola come se la sua vita ne dipendesse.
E forse era così.
 
Anticipo che il prossimo capitolo sarà una sorta di special, visto che in un certo senso ripercorrerà lo stesso episodio dal punto di vista di altri personaggi, fra cui Ron ed Hermione. Ho dovuto farlo perchè, per non rendere prolisso questo capitolo, ho scartato una marea di materiale che rielaborerò in un modo diverso.
A presto ed un bacione!

 

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Capitolo 10
*** Vivi e morti ***


Soooooono viiiivaaaaa..... (Mushu’s copyright)
Sì, sono viva. Sono viva ed ho qui il nuovo capitolo di Dopoguerra. Stupore. Sgomento.
Che devo fare se non scusarmi per il ritardo e sperare che non mi abbiate abbandonata? Che abbiate avuto fede nel Ritorno della Fiction?
Scusatemi davvero tanto. Nel frattempo ho fatto altro. Tra le altre cose, ho anche aggiornato una storia originale in sonno da quasi un anno (se siete curiosi la trovate qui). Ma doveva giungere il momento di Dopoguerra, e così è stato! Sono felicissima anche io!
Ah, so di non aver risposto ad alcune recensioni. Garantito che provvederò, ora che sono tornata!
 
Qualche noticina sul capitolo. Come eoni fa vi avevo anticipato, il capitolo approfondisce ulteriormente la sera dell’Anniversario della Vittoria. Sono scene e linee narrative che non potevo elaborare nel capitolo precedente o sarebbe diventato troppo lungo e sconclusionato. In particolare, indaga sul punto di vista della Tappezzeria per eccellenza, cioè Charlie.
Spero che vi piacerà, che recensirete, e che segni il ritorno a tempi di pubblicazione più umani.
Un bacione e ben ritrovati!
Oru

 
Vivi e morti
 
“Come va, Charlie?
Qui tutto bene, Fleur studia dalla mattina alla sera, al lavoro è tutto ok e mi hanno proposto di rispedirmi all’estero, ma non sono tanto sicuro di accettare. La mia signora Weasley, qui, non ne sarebbe tanto contenta, quindi per adesso continuo con i Castelli della Scozia, che a volte sono più pericolosi della roba che ho visto in Egitto.
Mamma sta abbastanza bene, Percy penso che ti abbia scritto per conto suo, comunque sicuramente ti sarà arrivato il gufo di mamma, e così non sarò più l’unico bravo ragazzo ammogliato in famiglia. Lei sembra molto a posto, non il tipo che diresti adatto a Perce, ma del resto Fleur si è innamorata di me, quindi tutto è possibile.
Ron sta dietro a George e insiste nel dire che vuole occuparsi del negozio. Si sono trasferiti nel vecchio appartamento sopra Tiri Vispi per comodità e lui si assicura che mangi regolarmente, che non beva (ancora gli capita, qualche volta) e lo porta a pranzo alla Tana almeno due volte alla settimana per rassicurare mamma.
Quando Percy andrà via di casa, in ottobre, credo che dovremo pensare ad una soluzione, perchè non mi piace che mamma e papà restino completamente da soli, non ancora, almeno. Mamma si deprime meno se ha qualcuno di cui occuparsi. E’ vero che per allora Ginny non sarà più ad Hogwarts. Non so cosa abbia intenzione di fare.
Comunque, il motivo per cui ti scrivo è che la McGranitt ha invitato tutti ad Hogwarts il 2 maggio, per una specie di cerimonia. Sarà l’anniversario, e non so come la pensi ma credo che dovremmo esserci tutti. Papà mi ha scritto che lui e la mamma hanno deciso di andare. Io e Fleur andremo sicuramente, vengono anche i suoi dalla Francia, e credo che Ron stia cercando di convincere George.
Fammi sapere cosa decidi o scrivi alla Tana!
Spero che i tuoi draghi stiano bene e che la faccenda del fertilizzante non abbia avuto ripercussioni gravi!
Fleur mi raccomanda di dirti che devi farti curare le cicatrici più grosse sulle mani o potresti perdere i mignoli, ma forse è solo isteria perchè avrà presto un esame.
Tutti e due ti salutiamo con affetto
Bill”
 
Era già passato un anno, e lui quasi non se ne era accorto. O meglio, i primi mesi, quelli estivi, trascorsi alla Tana per senso del dovere, erano stati interminabili, ma da quando era tornato a Obranesti, al CRODA (Centro di Ricerca ed Osservazione Draghi e Affini), la gratificante consuetudine del lavoro gli era calata addosso come un manto protettivo.
Charlie ripiegò la lettera, rifocillò il gufo che sembrava stremato, come sempre quelli che gli arrivavano dall’Inghilterra, ed uscì dal laboratorio, diretto alle cucine. Il CRODA era ospitato in una vecchia villa, circondata da un vastissimo terreno prevalentemente di brughiera, con zone boscose qua e là e ben due laghi. La regione di Obranesti, sui Carpazi, era montagnosa e sperduta, per chilometri intorno non c’erano insediamenti babbani, e la Confederazione Internazionale dei Maghi aveva dato l’autorizzazione per ubicarvi il Centro europeo di ricerca sui draghi, considerando l’habitat ideale. La comunità dei ricercatori-allevatori era costituita da una ventina di maghi e streghe di varie nazionalità. Quasi tutti si trattenevano per qualche anno al massimo, per specializzarsi e trasferirsi poi ad esercitare la professione di allevatore in patria. Erano tutti giovani, e quasi tutti scapoli eccezion fatta per i suoi amici più stretti, Milos Màrai ed Emelie Stevens, che si erano conosciuti sul posto, si erano sposati e crescevano i loro due bambini nella vecchia dependance ricavata dalla cascina annessa alla villa. Il direttore del centro, un mago rumeno alto ed imponente di nome Petru Cartarescu, con folti baffi scuri, era l’unico che superasse i quarant’anni tra i presenti. Lui era sposato, con figli già grandi, ed abitava nella città vicina, da dove si Smaterializzava ogni mattina per venire al lavoro. Da quando Hans Uhl se ne era andato, qualche mese prima, per aprire un Centro di ricerca dipendente da quello principale, nella regione dell’Alto Reno, Charlie si era trovato ad essere la persona presente a Obranesti da più tempo, escluso Cartarescu, e questo, in fondo, faceva pensare. Otto anni: era arrivato appena diplomato ed arrabbiato con se stesso ed il mondo. Ed ora? Persino Hans se ne era andato, i più vecchi restavano lui e Milos ed Emelie, che avevano tutta l’intenzione di restare a vita, a quanto pareva... ma erano una famiglia, e forse persino loro ci avrebbero ripensato, quando i figli fossero cresciuti abbastanza da avvertire la solitudine di un posto del genere. Per non parlare del fatto che una cinquantina di draghi di varie razze, la più alta concentrazione d’Europa, scorrazzavano nel raggio di sei chilometri d’attorno. E che, a parte qualche animale, erano l’unica compagnia disponibile.
Nella grande cucina comune c’erano già alcune persone, ed odori di varie tradizioni alimentari si mescolavano nell’aria, in un miscuglio un po’ stonato ma al quale tutti i presenti erano abituati.
-Capo, pensavo di dover venire a tirarti fuori da lì. Hai finito?- lo chiamò Gwen Stuffleson, che rimestava con la bacchetta in una pentola dalla quale si alzava un inconfondibile profumo di goulash. Accanto a lei, Vassilj affettava patate con un Incanto Tagliuzzante la cui formula russa Charlie non aveva mai sentito prima. Gwen e Vassilj erano i colleghi con cui lavorava a più stretto contatto. Era stato nominato capo della squadra che aveva la responsabilità delle covate e delle femmine quattro anni prima, dopo l’ottimo lavoro fatto con le dragonesse portate al Tremaghi senza danni, ed aveva scelto loro due perchè tra le nuove leve gli erano sembrati i migliori.
-Non sono io che ho incasinato tutti i risultati delle analisi, Gwen.
-Però io ho preparato la cena!- trillò lei.
-Dopo siamo invitati giù alla dependance, dai Màrai- comunicò il tranquillo Vassilj, che parlava un inglese pressoché perfetto, privo di qualsiasi difetto di pronuncia se si eccettuava una certa morbidezza nell’inflessione.
Cenarono in fretta, seduti all’estremità del lungo tavolo di legno, tra le spirali di vapori ed odori che si alzavano verso il soffitto a volte di pietra. Tutti parlavano piano, a gruppetti che corrispondevano, in genere, alle équipes di ricerca, scambiandosi osservazioni sui fatti del giorno. Mancava l’intera squadra di Etologia Magica, che da settimane monitorava gli accoppiamenti ed i comportamenti relativi dei dragoni e viveva praticamente accampata nella brughiera spoglia. Inigo Villares, delle Pozioni Sperimentali, entrò quasi completamente ricoperto di sterco di drago, chiese stancamente che qualcuno gli preparasse un sandwich e sparì in direzione dei bagni, lasciando dietro di sé una persistente traccia odorosa.
Charlie ed i suoi due compagni terminarono il pasto (i due colleghi discutevano animatamente di covate), e poi scesero alla dependance nel crepuscolo che si indorava, da Milos ed Emelie, che conversavano sommessi nel vecchio porticato cadente, aspettandoli.
-Buonasera, ragazzi...
-I pargoli sono a letto?
-I due su cui abbiamo qualche autorità sì...- sospirò Emelie, posandosi le mani sul ventre –Questo qua dentro decisamente no. Si è appena svegliato, anzi...
-Accidenti, sarò emozionatissima quando nascerà!- trillò Gwen, che adorava i bambini Màrai (come praticamente tutti, al Centro, visto che erano gli unici cuccioli in circolazione che non aggredissero chi si avvicinava con morsi velenosi) –Sarò la madrina, vero?
 Vassilj arricciò le labbra con aria di superiorità:
-Padrini e madrine non sono ruoli da seminare in modo scriteriato, Stuffleson.
 Emelie sembrò concordare, perchè ridacchiò bonariamente:
-Non credo che tu sia in grado di fare da tutore a nessuno, Gwen, se l’Ungaro Spinato spedisse me e Milos all’altro mondo!
Suo marito sorrise, ma Gwen si accigliò:
-Non dire queste cose, non succederà mai!
-Può succedere eccome, Gwen...- intervenne Charlie, decisamente di cattivo umore.
-Io non conosco nessuno che venga cresciuto dal padrino o dalla madrina...- si difese Gwen –Tutti hanno almeno un nonno, o un parente... comunque ovvio che mi occuperei io dei bambini se vi succedesse qualcosa, ragazzi- si affrettò ad aggiungere.
-Beh, il padrino di Frances è Charlie, e la madrina di Mairie mia sorella, quindi non ricadrebbe tutto su di te- intervenne Milos –E comunque, se è un maschio, il padrino sarà Vassilj, l’abbiamo già deciso, no?
-Vassilj odia i bambini! Sarà di certo una bella femminuccia- commentò Gwen, perfettamente convinta.
-Non odio i bambini. Lo tirerei su con un’educazione impeccabile- commentò tranquillo il giovane, in risposta.
-Povera creatura, me lo immagino. A letto tutte le sere alle sette, pasti regolari, verdure bollite...
-Charlie... va tutto bene?
Gli occhi penetranti di Emelie avevano tenuto d’occhio il suo progressivo incupirsi. Tutto quel parlare di bambini, di potenziali orfanelli e di padrini non faceva che indisporlo. Non c’era modo migliore per riportargli in testa Harry, Teddy, e naturalmente Tonks.
-Facciamo due passi, che ne dici?- propose l’amica, scambiando uno sguardo col marito ed alzandosi dalla sedia a dondolo con qualche difficoltà –Ho le caviglie gonfie alla sera, e camminare un po’ mi fa bene.
Charlie annuì, e si allontanò con lei, passeggiando nell’aria della sera appena rischiarata dalla luna e dagli sbuffi rossastri che provenivano dietro le colline, dove i Dorsorugosi combattevano per gli accoppiamenti. Emelie aveva una sensibilità speciale per le persone a cui teneva, e Charlie preferiva la sua compagnia a quella degli altri, in quel momento. Erano sette anni che, volente o nolente, aveva sempre finito per confidarle ogni cosa e chiederle consiglio.
-Cosa c’è che non va?- chiese infatti quasi subito lei, guardandolo bene in faccia, le mani appoggiate sul ventre ricurvo per la gravidanza.
Charlie alzò le spalle.
-Ho ricevuto una lettera da mio fratello Bill. Ci sarà una festa per l’anniversario della Vittoria ad Hogwarts.
Emelie proveniva da una famiglia babbana inglese, ed anche lei era stata molto in ansia per i suoi genitori durante l’anno del regime di Voldemort. Lei, Charlie e Gwen erano gli unici tre inglesi presenti all’epoca al Centro, e poi c’era Morgan Conlon, che era dell’Ulster. Tutti avevano seguito le vicende con apprensione, ma nessuno era stato coinvolto quanto Charlie, che era stato anche l’unico ad aver subito dei lutti tra i parenti e gli amici.
-Mi sembra una bella cosa. Credo che andrà anche Morgan, sentivo che ne parlava l’altro giorno con Geraldine. Sai, ha una sorellina a scuola, primo anno, credo.
-Non so se andare.
-E perchè?
Charlie restò in silenzio, ed Emelie gli posò una mano sul braccio, delicatamente.
-E’ per via di tuo fratello o... è quella vecchia storia?
-Il suo bambino è rimasto orfano, lo sai?
-Per questo eri così turbato, prima, con gli altri?
Altro silenzio.
Emelie strinse le labbra, con l’aria di aver capito tutto. L’ennesima volta.
-Charlie, tu devi riuscire a superare questa cosa.
-Non so come fare- si arrese il giovane, mettendosi a sedere su una vecchia panchina mezza marcita, che fiancheggiava il vialetto su cui camminavano e togliendosi dagli occhi i flosci capelli rossi.
Emelie sospirò. Charlie era suo amico e collega da sette anni. Avevano frequentato Hogwarts insieme, ma non si erano praticamente mai parlati: lo aveva riconosciuto nel ragazzo avanti a lei di un anno, capitano della squadra di Grifondoro, con una certa sorpresa quando lo aveva incontrato arrivata al Centro. Non sapeva che avesse fatto quella scelta professionale. Con gli anni erano diventati veramente amici, e quando lei e Milos si erano sposati, era stato ovvio che lui fosse il loro testimone, e padrino del loro primo figlio. In tutti quegli anni, Charlie non aveva mai avuto una relazione. Certo, non era poi così strano, in un ambiente isolato e ristretto come quello, non trovare il compagno della propria vita come era successo a lei e Milos, ma gli anni passavano, gli altri venivano e andavano e presumibilmente si facevano una vita, e qualche volta scoppiava anche qualche amore al Centro, tra due ricercatori che spesso finivano per odiarsi a morte, visto che non si poteva dire che l’ambiente risultasse propizio al romanticismo ed alla serenità di spirito, con tutti quei draghi, ed i campioni di sterco da analizzare, e bruciature quasi quotidiane.
Charlie però restava, non si innamorava, non cedeva praticamente mai alle avances che gli arrivavano numerose da incaute addestratrici appena assunte che non lo conoscevano e non sapevano ancora che lui non era disponibile. La povera Marta Fongaro, del gruppetto degli Etologi, aveva una cotta per lui da almeno tre anni, ma non c’era nulla da fare. Gwen, appena arrivata, quattro anni prima, una sera che avevano esagerato con gli Incantesimi d’Umore per calmare un cucciolo di drago troppo restio a farsi visitare per una Bronchite Bollente, gli era quasi saltata addosso, baciandolo in preda all’euforia, e Charlie l’aveva respinta nel più grande imbarazzo. Gwen era un tipo sportivo, e non se l’era presa.
Era stato innamorato per anni di una sua amica della scuola. Era stato convinto che dopo la scuola avrebbero continuato a fare tutto insieme. Lei gli aveva detto chiaro e tondo di no, e quando lui aveva insistito, si era arrabbiata. Avevano litigato. Lui aveva colto al volo la proposta di una borsa di studio per il Centro, in Romania, convinto che al suo ritorno lei avrebbe ceduto. Quando la borsa era finita, lei aveva già passato gli esami per l’ammissione all’Accademia Auror, e chiaramente viveva benissimo senza di lui. E lui aveva accettato la proposta di assunzione definitiva di Cartarescu, e se ne era tornato là. E non si era più mosso.
Era raro che tra loro affrontassero l’argomento “Ninfadora Tonks”, anche se con gli anni Emelie e Milos avevano finito per capire più o meno tutto di quella storia, il grande buco nero della vita di Charlie. Ma lei, Ninfadora, negli ultimi due anni, in successione, si era sposata con un altro, aveva avuto un figlio ed era morta. E Charlie, che dopo tanto tempo, sembrava essersi rassegnato all’idea che l’amica non lo avesse voluto perchè non intendeva avere relazioni stabili, aveva dovuto accettare la realtà che non lo aveva voluto perchè non voleva avere una relazione con lui.
“E’ una mazzata che può abbattere chiunque”, aveva osservato una sera Milos, con aria saggia.
E poi lei era morta, e Charlie si era reso conto di aver sprecato tutti gli anni in cui avrebbe potuto starle accanto, anche solo come amico, lontano da lei per rancore, ed era troppo tardi.
Un bel disastro, sotto ogni fronte. Emelie ultimamente era molto preoccupata per lui. Sul problema contingente della celebrazione, però, aveva le idee chiare.
-Secondo me dovresti andare alla commemorazione. Tanto più che c’è anche tuo fratello. I tuoi vorranno certamente che...
-Anche io voglio andare per Freddie! Ma...- Charlie sospirò –Em, non riesco a perdonarmi per quanto sono stato... stupido con lei.
-Lo vedo che non riesci a perdonarti. Però stai attento a non esagerare, nel considerare tutto il tempo che hai trascorso qui uno spreco.
Charlie sbuffò, ed Emelie si accigliò:
-Per l’amor del Cielo, Charlie, mi sto offendendo! Hai fatto otto anni di ricerca di altissima qualità. Sei la pupilla degli occhi del signor Cartarescu. Hai un curriculum che nel nostro campo è una specie di garanzia per qualsiasi posto tu voglia, dopo tanto tempo a Obranesti! Hai conosciuto noi, abbiamo fatto amicizia, sei il padrino del nostro Frances, hai conosciuto Hans, Marta, e Vassilj e Gwen, naturalmente... e tutti gli altri... e ti vogliamo tutti bene, e siamo contenti di averti con noi.
-Lo so.
-Allora, tutto questo è solo un effetto collaterale? Non sei lucido, Charlie, non lo pensi veramente!
-... è solo che a volte ho... ho paura di averlo fatto solo per scappare da Tonks... o forse per punirla, ed adesso... sembra tutto così inutile.
Emelie sospirò.
-Devi smetterla.
-Lo so.
Rimasero in silenzio per un po’, poi Emelie sbuffò, gli afferrò la mano e se la mise sulla pancia:
-Senti come si muove.
Charlie abbozzò un sorrisetto, sentendo i calci che provenivano da là sotto.
-Sarà un maschio o una femmina?
-Una femmina, secondo me. Ma Milos preferirebbe un maschietto. Comunque non ha molta importanza. Sei uno stupido se pensi che tutto quello che hai fatto fino ad ora non valga nulla. Io e Milos non ci saremmo sposati se non fosse stato per te. Niente Frances, niente Mairie e niente Signor Scalciante, qui dentro.
-Santo cielo, non mi starai facendo il discorsetto incoraggiante, Em?
-Charlie?
-Uh?
-Vai a quella cerimonia, fai i conti con te stesso, punisciti, torna alle origini... fai quello che ti pare, per favore, basta che poi tu ricominci a vivere la tua vita, dannazione!
Charlie la fissò, un po’ interdetto, per poi aiutarla automaticamente quando barcollò un po’ alzandosi, sbilanciata dal peso della gravidanza. Emelie era sempre la stessa.
-Sì, penso che lo farò- disse alla fine, porgendole il braccio mentre si incamminavano di ritorno verso la piccola casetta.
-E c’è un’altra cosa...
Charlie si girò a guardare l’amica, che lo fissava con gli occhi chiari, appena velati da un po’ di tristezza, camminando piano.
-Noi ti vogliamo bene. Sei il mio amico più caro. Però io credo che... che forse dovresti andartene da Obranesti.
 
All’ora di pranzo la Sala Grande di Hogwarts era già completamente occupata dall’allestimento per la festa che sarebbe seguita, ed il pranzo fu servito agli studenti nelle rispettive Sale Comuni. Hermione era piuttosto preoccupata per il surplus di lavoro che questa variazione avrebbe comportato per gli elfi domestici, ma evitò di dirlo, visto che Ginny non era dell’umore migliore. Si era presentata a pranzo in ritardo ed era stata vaga quando le avevano chiesto dove si fosse cacciata. Non era certo una buona giornata per nessuno, quindi Neville ed Hermione non le fecero domande.
Quasi d’accordo, misero qualche pezzo di roastbeef tra due fette di pane e si spostarono fuori dall’affollata e rumorosa Sala Comune, in cerca di un po’ di tranquillità. Neville aveva approfittato della mattinata senza lezioni per studiare disperatamente Aritmanzia, ed aveva un po’ di occhiaie.
-Andiamo a prendere Luna, che ne dite?- chiese alle ragazze, che annuirono.
Insieme, si avviarono per i corridoi, attraversando tutto il settimo piano in direzione della Torre di Corvonero, e fermarono un ragazzino del terzo anno che si stava apprestando ad entrare oltre la porta sormontata dalla sfinge, chiedendogli di riferire a Luna che la aspettavano fuori. Bastarono pochi attimi perchè la familiare sagoma bionda dell’amica sbucasse da lì, con un piatto di zuppa fumante in mano ed un bicchiere pieno di succo di zucca che fluttuava dolcemente davanti a sé.
-Andiamo a mangiare su alla Torre?
La Torre di Astronomia di giorno era strana a vedersi. Era un luogo assolato, perchè nessun albero arrivava a gettare la sua ombra sulla pietra biancastra di sole e sugli spogli pilastrini di pietra che durante le lezioni fungevano da piedistalli per i telescopi e gli astrolabi. I preziosi strumenti di giorno stavano chiusi nelle loro custodie di velluto e custoditi nello studio della professoressa Sinistra, la cui porta affacciava sulle scale a chiocciola un piano sottostante. I quattro sedettero a finire di mangiare appoggiati con la schiena al parapetto nord, poi Hermione fece diligentemente Evanescere le briciole (perchè “In un certo senso, siamo in un’aula”).
-E’ difficile pensare che non saremo qui, l’anno prossimo- commentò Neville, giocherellando col suo tovagliolo. Luna annuì, distratta. Hermione non disse nulla. Pensava che il grande cambiamento era stato quello del settembre precedente, quando era cominciata la sua vita senza Ron ed Harry a fianco ogni giorno. Tutti gli altri cambiamenti le sembravano molto meno determinanti, adesso.
-Neville, quando è il concorso per le Serre?
Neville, le mani che si torcevano nervosamente all’idea, disse con voce che voleva sembrare tranquilla:
-A metà luglio. Sto cercando di non pensarci.
-Ma se studi anche la notte!- sbuffò Ginny.
-Luna, tu cosa farai? Hai già deciso?- chiese Hermione gentilmente.
-Papà ha bisogno di un inviato speciale per certi articoli del Cavillo. Credo che gli darò una mano.
-Come sta tuo padre? Ha scritto?
Il signor Lovegood aveva passato molti mesi in convalescenza al San Mungo, dopo essere stato liberato da Azkaban. Luna, spesso accompagnata da uno di loro, gli aveva fatto visita tutti i fine settimana, fino a quando, verso gennaio, lui aveva potuto stabilirsi nuovamente nella loro casa vicino Ottery St. Catchpole, riedificata dalle macerie dell’esplosione dalla Squadra Risarcimenti Magici del Ministero.
-Sta bene. Ma credo sia meglio che i reportage sugli Snorticoli li faccia io, la sua salute non è più la stessa da quando i Mangiamorte l’hanno torturato.
La frase era agghiacciante, ma come sempre la sincerità di Luna era trasparenza e non prova di insensibilità, così persino Neville non si irrigidì:
-E’ naturale.
-Hagrid dice che sei bravissima con le Creature Magiche, Luna. Potresti fare l’addestratrice- intervenne Ginny.
-Credo che mi piacerebbe di più occuparmi delle creature di cui si sa poco, piuttosto che addestrare quelle di cui sappiamo già tutto. Per questo penso che i reportage per papà saranno divertenti.
-Poi staremo a vedere, eh?- intervenne Neville.
-Proprio così.
Hermione si era già informata sulle modalità di invio dei propri curriculum al Ministero della Magia. A dire il vero, non ci aveva pensato poi molto su. Si doveva vincere un concorso per essere assunti, dopodiché i vari dipartimenti contattavano e proponevano gli incarichi, scegliendo i neoassunti in base al curriculum. Il primo incarico non veniva scelto. Solo una volta divenuti organici ad un dipartimento era possibile fare domanda di trasferimento.
Il Ministero era per i migliori, ed il solo fatto che fosse difficilissimo accedervi solleticava Hermione. Negli anni passati, aveva quasi del tutto abbandonato l’idea di entrare nell’amministrazione del mondo magico a qualsiasi livello, disgustata dalla corruzione e dall’ottusità dell’ambiente, ma con Kingsley ed il nuovo governo le cose erano molto diverse.
-Non so cosa fare dopo Hogwarts- buttò lì Ginny, così bruscamente che Hermione e Neville sobbalzarono. Luna, naturalmente, non fece una piega: aveva tolto tutti i tappi di Burrobirra dalla sua collana preferita e li stava infilando in un ordine diverso.
-Sul serio. Non ne ho idea.
-Potresti venire con me per i reportage- intervenne Luna, placida.
-Grazie Luna, ma... ecco, le Creature Magiche non sono il mio forte.
-Beh, potrebbe essere solo un lavoretto estivo, Ginny- osservò ragionevolmente Neville –Credo che non possiamo aspettarci di fare fin da subito quello che vogliamo, ed in qualche modo bisogna partire.
-Sono d’accordo- disse Hermione. In cuor suo, pensava che la cosa di cui aveva veramente bisogno Ginny per ripartire fosse un chiarimento con Harry ed aprire qualche finestra in più nella sua torre d’avorio. Ma in mancanza di meglio, andare in giro per il mondo con Luna non sembrava una prospettiva così tremenda.
Ginny voltò la testa con un sorrisetto verso i suoi amici:
-Ragazzi, è meglio che non mi allontani troppo da casa. Quando Percy si sposerà, questo ottobre, tornerà a stare a Londra, con Audrey ovviamente, e non credo che mamma e papà siano del tutto pronti ad accettare l’idea che tutti i figli sono volati fuori dal nido, ormai.
-Allora qualcos’altro- soggiunse Neville pensoso –Ehi, e se sentissi Hannah? Sai che è già d’accordo per lavorare ai Tre Manici, quest’estate? Mi raccontava che sua zia cerca anche qualcuno per il servizio ai tavoli.
-Sua zia? Madama Rosmerta è la zia di Hannah?
Neville annuì:
-Da parte di madre. Me lo ha raccontato ieri, le do una mano con Erbologia.
Hannah, dopo l’interruzione degli studi al sesto anno per la morte della madre e il successivo, tremendo anno scolastico, conclusosi con la morte di Susan, che era sempre stata la sua migliore amica, era rimasta talmente indietro da non riuscire a superare gli esami per l’ammissione al settimo anno, il settembre precedente. Tuttavia, il padre ci teneva che finisse ugualmente gli studi, così stava terminando il sesto anno. Era cambiata molto, rispetto ai primi anni di scuola: era raro vederla sorridere, e le sue crisi d’ansia erano molto peggiorate.
-Questo potrebbe andare...- mormorò Ginny, quasi soprappensiero.
-Glielo accenno, allora?
-Perché no?
 
Dopo pranzo, Hermione scese alla capanna di Hagrid, per salutare Ron, che ancora non aveva visto. Era oltre un mese che non si incontravano, e sorrise riconoscendo il vecchio golf brunastro da lontano. Stava seduto nell’orto delle zucche, dando da mangiare a Fierobecco topi morti che pescava da una scatola ai suoi piedi. Dovette frenarsi per non corrergli incontro e saltargli letteralmente addosso, e si limitò a sedersi quieta al suo fianco.
-Ciao.
-Ehi!
Lui le passò subito un braccio attorno alle spalle, chinando la testa per baciarla. Accidenti se le era mancato. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente l’odore dei suoi capelli, così familiare. L’anno precedente in tenda li aveva tagliati due o tre volte. Sempre con grande imbarazzo, al contrario di quelli di Harry.
-Allora, a quanto pare mi sono perso la partita di Quidditch del secolo!- esordì lui. Era così tipico di Ron, pensò Hermione con un sorriso. Il Quidditch innanzi tutto.
-L’ennesimo membro della famiglia Weasley che porta Grifondoro alla vittoria- convenne -Devo dire che mi sono appassionata persino io. Harry?
-E’ dentro, che chiacchiera con Hagrid. E’ bello rivederti- fece lui, tutto in un solo fiato. Non era bravo, ancora dopo un anno intero, ad essere esplicito. Le orecchie diventarono adorabilmente rosse, come se nulla fosse cambiato dai tempi della scuola.
-Anche per me.
-Ti è arrivato il pacco che ho mandato?
-Certo. Bathilda era sfiancata, non credo che Leo abbia dato questo gran aiuto. Comunque, non penserai mica che distribuirò quella roba?
Ron fece un sorrisetto:
-E’ l’ultima serie delle Merendine Marinare, Hermione. Sono in anteprima per gli studenti di Hogwarts!
-A due mesi dagli esami, figurarsi. Li ho dati a Demelza perchè si esercitasse per la prova di antidoti.
-Che cosa?
-... ma non ci ha cavato un ragno dal buco.
-Lo credo bene!- insorse Ron –Quella è roba avanzata, magia di alto livello. Non credevo che sarei mai ritornato sul calderone, ma ho dovuto farlo, per dare una mano a George. Non so come abbiano fatto lui e Fred a prendere così poco ai GUFO, ne sa più George di chiunque altro! E comunque, Hermione, che ti è saltato in mente di far analizzare roba brevettata che commerciamo?
-Se la commerciate chiunque può metterla in un provetta e provare a scoprire come è fatta, no?
-Beh, ma non è il caso di incoraggiare questa pratica!
-Oh, smettila, Demelza non sa riconoscere una lingua di rospo da un baccello di Pugnacio. Era solo per esercizio! E comunque, parli come un vero uomo d’affari...- scoppiò a ridere Hermione, baciando Ron sulla punta del naso lentigginoso. Lui smise immediatamente di protestare, attirandosela sulle ginocchia. Lei arrossì:
-Ci vedranno!
Un sospiro.
-Chi l’avrebbe mai detto che avresti resistito un anno intero a scuola senza di me?
-Scemo.
 
Remus Lupin, 10 marzo 1960 - 2 maggio 1998
Ninfadora Tonks, 16 agosto 1973 - 2 maggio 1998
Tonks ragazzina faceva il grugno di porco sulla riva del lago, e lui rideva e rideva. Sembrava ieri. Tonks rovesciava il suo calderone per la quinta volta, a Pozioni, e Piton la puniva mettendola a sbucciare scarabei stercorari, e lei lo faceva e poi rovesciava per sbaglio la bacinella con le interiora degli scarabei. Tonks, vestita di giallo da capo a piedi, anche i capelli gialli, come sempre durante tutte le partite in cui Charlie giocava, per farlo arrabbiare ostentando il fatto che non avrebbe mai tifato per lui.
Tonks che lo spediva a sbattere contro il muro con un Sortilegio Scudo una sera che aveva cercato di baciarla, al settimo anno. I capelli rossi di imbarazzo. Era un po’ arrabbiata.
“Che caspita stai facendo, Charlie? Sei ubriaco?”
E lui, precipitoso, a fingere di stare scherzando, deluso ed imbarazzato.
Meglio smettere di ricordare. Da allora in poi, era stato sempre peggio...
Ed eccola là, la lapide. Vista da vicino. Le date quasi gridate dal marmo. Alla fine, Emelie aveva ragione. Aveva fatto bene a venire.
D’accordo. Scusa, Tonks. Sono stato un idiota.
Per tutto questo tempo.
Colpa mia. Avremmo potuto essere amici. Almeno altri otto anni.
E magari insistendo ti saresti innamorata di me e...
...e magari non saresti stata là a beccarti quella maledizione.
O forse sì.
Non ho fatto in tempo a colpire Dolohov. Nemmeno tu, però.
Eri troppo furente e addolorata per lui.
Non te ne sei accorta.
L’ho ammazzato, però un secondo troppo tardi.
Emelie ha ragione, io devo superare... devo rimettere un po’ a posto la mia vita.
Emelie ti piacerebbe, e anche Milos. E’ un peccato che non vi siate conosciuti.
Tonks, ho proprio rovinato tutto, eh?
Non frenò la lacrima che gli stava solcando la guancia.
Emelie dice che tu vorresti che io viva la mia vita in pace. Mi fiderò, perchè in genere ha ragione.
Cercherò di far meglio.
Forse devo andarmene davvero da Obranesti. Mi sono nascosto laggiù per troppo tempo.
Il dottor Cartarescu parlava di un progetto sperimentale a Bengasi. O potrei raggiungere Hans nell’Alto Reno, mi ha già scritto due volte. O potrei tornare da queste parti e...
-Ehi. Charlie...
-Anche tu qui, eh?
 George veniva dritto alla Riva delle Lapidi. Non se ne stupì nemmeno tanto. Non erano soli: qualche altra ombra rimaneva a far compagnia ai propri morti. Charlie credette persino di distinguere Harry, vagamente illuminato dalle luminescenze dei fiori, sulla riva del lago.
-La festa la trovavo un po’ pesante.
Charlie fissò il fratello sedersi sulla tomba di Fred, proprio lì accanto, le mani a sorreggere il mento. George era cambiato. Anche se non si trattava più di quello dei primi giorni di lutto, quelle tremende settimane alla Tana, era diverso da come lo ricordava. Aveva ripreso ad interessarsi al suo lavoro, persino a fare battute. Ma c’era molto più sarcasmo. E più amarezza, in ogni cosa.
-Come va giù in Romania, Charlie?- gli chiese, senza fargli domande indiscrete sul perchè fosse lì.
-Benone- esitò un attimo –A dire il vero, sto cominciando a pensare di lasciare.
-Davvero? Credevo adorassi quel posto.
-E’ così. Forse però è il momento di cambiare. Ho qualche altra opzione da valutare.
-Da queste parti?
Charlie si strinse nelle spalle. Forse non era ancora pronto.
-Non saprei. Può darsi.
George sbuffò.
-Io a volte vorrei proprio andare via, invece. Ma c’è il negozio, e credo che... Ron vorrebbe che continuassi.
Naturalmente, intendeva dire Fred. Non ci voleva un genio per capirlo, e Charlie afferrò al volo.
-E’ difficile capire cosa vorrebbero da noi i morti, uh?
George lo fissò.
-Tu e Tonks eravate molto amici, a scuola, vero? Me lo ricordo. Come mai vi siete persi un po’ di vista?
-Immagino... immagino sia stata colpa mia- mormorò Charlie, stringendo i pugni.
-La Romania, eh?
-Eh già.
No, certo che no.
-Perché vuoi andartene, George?
-Non sopporto Ronnie che fa la mamma, è ovvio- fece lui leggero, guardandosi con noncuranza il piede –E’ peggio di Harry con Teddy. Manca che si offra di pulirmi il culetto.
Era serio o scherzava? Non era più tanto facile capirlo, con George, ma poi lo sentì ridacchiare.
Rimasero un po’ in silenzio, poi Charlie si alzò. La notte intorno a loro era fresca e limpidissima.
-Io vado a casa. Sono un po’ stanco.
-Credo che me ne andrò anche io.
-Vai a Londra o fai un salto alla Tana?
-A Londra. Ho della roba da sbrigare in negozio.
-Allora ci vediamo, George?
-Sicuro.
Si scambiarono una pacca sulla spalla ed un secondo dopo George si era già avviato ai cancelli per Smaterializzarsi.
La tomba di Tonks brillava lieve.
Magari potrei davvero cercare qualcosa da queste parti. Giù in Galles, negli allevamenti statali...
Per qualche annetto, o i Gallesi Comuni diventano un po’ noiosi.
Potrei veder crescere Teddy, per un po’...
Sì, potrei.
Si incamminò, le mani in tasca, giù verso i cancelli.
Il tuo... il vostro bambino è davvero uno splendore, Tonks.
 
Ron teneva un braccio intorno alle spalle di Hermione, e si godeva la sensazione del suo corpo così vicino, mentre camminavano lentamente nel parco pieno di luci fatate. Lei gli stava raccontando del concorso al Ministero, e lui la ascoltava solo con un orecchio. Quando George passò poco lontano, Hermione si interruppe, sconcertata:
-Va già a casa?
-Temo di sì.
-Perchè “temo”? Forse è stanco.
-Passerà la notte nel laboratorio, come al solito- disapprovò Ron.
-Beh, se può consolarti, l’ho trovato incredibilmente più sereno ed in salute, davvero Ron. Ed oggi di certo non era una buona giornata, con l’anniversario e tutto il resto...
Ron fece un sorrisetto.
-Harry si sta preparando ai test dell’Accademia, in settembre.
-Lo so.
-Tu... ehm, hai pensato dove andrai a stare dopo la scuola, Hermione?
-Dai miei genitori. Saranno contenti di avermi con loro per un periodo un po’ più lungo, sai? E’ da quando avevo undici anni che...
-Già. Beh, saremo abbastanza vicini, ci hai mai pensato? Tutti e due a Londra.
-Ron, possiamo Materializzarci, non credo che abbia molta importanza, no?- sorrise Hermione.
-Sì, certo, ma dico... non so, immagino che passeremo più tempo insieme, rispetto a quest’anno... cioè, lo spero.
Hermione arrossì.
-Lo spero proprio anche io- fece poi, seria.
-E magari, qualche volta... se ti fa... se ti fa piacere... insomma, potresti passare un po’ di tempo a casa mia. Cioè, mia e di George.
Caspita, non pensava che sarebbe stato così difficile. Hermione era più rossa che mai.
-A dire il vero, Ron, io... ehm, non credo che i miei ne sarebbero proprio entusiasti... insomma, non è come dormire... cioè, intendo... essere ospiti... alla Tana, giusto?
-Beh, spero proprio di no- fece Ron baldanzosamente, senza riuscire a reprimere un ghigno.
-E George cosa ne penserebbe?
-Sarà tanto se si accorge che sei in casa.
Hermione lo guardò, inquisitoria:
-Sai benissimo che non è vero- disse, saputa.
-Va bene. Ci prenderebbe in giro alla morte- fece Ron, un po’ incupito.
Hermione rise.
-Vedremo- disse, sibillina e imbarazzata.
-Hai notato che è quasi un anno che non litighiamo? Mai?- aggiunse poi, soprappensiero.
-Probabilmente perchè non ci vediamo mai. E’ difficile litigare per lettera, e quando ci vediamo...
-...quando ci vediamo?
-Beh, diciamo che litigare con te non è nelle mie priorità.
Ron chinò il capo verso di lei e la baciò, respirando beatamente il suo profumo. Aveva tutte le intenzioni di continuare per un’oretta o due, quando lei si divincolò dall’abbraccio e lo trascinò dietro un cespuglio. Per un attimo gli balenò in testa che volesse più intimità, ma poi si rese conto che guardava dall’altra parte del lago, verso le Riva delle Lapidi, che il chiarore dei fiori illuminava chiaramente.
-Ma che...
-Oh, Ron... guarda laggiù!
-Non vedo nulla.
-Guarda meglio! Sono... sono Harry e Ginny!- mormorò lei, in uno squittio soddisfatto.
Ci volle un po’ perchè mettesse a fuoco le loro sagome. Si stavano baciando.
-Beh, caspita!- riuscì a dire, stupefatto.
-Oh, lo sapevo, sono così contenta, lo sapevo che Ginny stava solo prendendo tempo, gliel’ho anche detto un paio di volte, era proprio l’ora e...
Hermione era a dir poco euforica. Continuava a parlare a macchinetta.
-...lei è così adatta a lui, e lui le piace da sempre, ed ora Harry sarà molto, molto più felice e potrò smetterla di preoccuparmi per lui e... oh, Ron!
Quasi lo sbatté a terra quando, al colmo dell’eccitazione, gli gettò le braccia al collo per baciarlo. Lui le passò un braccio dietro la schiena e se la tenne stretta, del tutto soddisfatto della piega che aveva preso la serata. Harry e Ginny di nuovo insieme, si poteva presumere, ed Hermione così bella, e niente rimasto a turbarla, se tutto andava bene tra quei due dall’altra parte del lago. Il negozio andava bene, George... beh, George migliorava, glielo aveva detto anche Hermione...
Un anno era passato, ed ogni giorno era stato un passo avanti.
 

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Capitolo 11
*** Ammissioni ***


Eccomi ancora. Non sono stata velocissima, è vero, ma è andata un po’ meglio dell’ultimo aggiornamento. Senza aggiungere altro vi lascio al capitolo, riservandomi un paio di commenti alla fine.
Grazie come sempre per tutti i vostri complimenti, i vostri consigli e le vostre recensioni!
Buona lettura!

 
Ammissioni
 
Harry non aveva avuto modo di vedere nessuno degli uffici dei Ministri della Magia che avevano preceduto l’attuale, ma non poteva negare che Kingsley avesse arredato il suo con un gusto molto personale e non propenso a farsi influenzare dalla fama di rigidità pomposa che l’incarico che adesso rivestiva si portava dietro. Le pareti erano ricoperte di stoffe dai colori caldi, ed i mobili erano tutti di vimini e tek. In un angolo occhieggiava una bacheca piena dei vecchi ritagli di giornale che riguardavano Sirius, motocicletta volante inclusa. Harry sorrise nostalgico: Kingsley non aveva voluto dimenticare uno dei suoi precedenti incarichi come Auror. Su un tavolo che affiancava la parete erano ammucchiati tutte le edizioni del giorno dei principali quotidiani babbani. In un angolo c’era un bollitore attorniato da basse tazze larghe, di ceramica grezza.
Si avvicinò alla grande scrivania piena di scartoffie e di strane piante rigogliose le cui foglie arrivavano, pendule, fino a terra. Ne sfiorò una, oziosamente, e l’intera pianta mutò colore, da un verde intenso e lucido al viola prugna. Tra due vasi particolarmente grandi, l’occhio gli cadde su una fotografia incorniciata di legno dipinto, e la prese in mano per guardarla mentre sedeva sulla poltroncina di vimini là accanto, incuriosito. Le persone ritratte erano chiaramente una famiglia. Un uomo giovane, la pelle scura ed un sorriso candido, stava al centro della scena, seduto su un divano davanti ad una finestra. Oltre il vetro, si scorgeva uno scorcio innevato. La somiglianza con Kingsley era evidente, e rendeva chiaro il motivo per cui la foto si trovasse su quel tavolo, ma Harry non sapeva nulla della famiglia di Kingsley, e non aveva idea di chi fosse l’uomo. Una bambina piuttosto piccola, di forse quattro anni, arrivava correndo e si arrampicava sullo schienale del divano, per sedersi a cavalcioni in precario equilibrio. Accanto a loro stava una ragazza dai lunghi capelli castano chiaro, una mano sulla spalla dell’uomo. Rideva, rovesciando la testa indietro, di qualcosa che succedeva dietro l’obiettivo, evidentemente. Harry notò che era incinta, poi la ragazza spostò lo sguardo su di lui e lo salutò, subito imitata dagli altri due. La bambina gli fece un gran sorriso.
-Eccomi qui, Harry!
La voce di Kingsley lo fece sussultare, e si affrettò a deporre la cornice dove stava, girandosi poi a guardarlo, sentendosi un po’ in colpa. Kingsley, però, si sedette tranquillamente alla scrivania, e lo guardò con i suoi profondi occhi scuri, lo sguardo tranquillo come sempre.
-Ciao, Kingsley.
-Sei stato gentile a venire fino a qui, ma volevo parlarti un momento dell’Accademia Auror.
Harry lo guardò, vagamente imbarazzato, e si chiese se per caso Kingsley non volesse dirgli che alla fine  avevano deciso che no, non poteva accedere ai test senza il certificato dei MAGO.
-So che ti stai preparando per i test.
Harry abbozzò un sorriso.
-Ho studiato per tutta l’estate. Hermione pensa che esageri. Hermione.
-So che Hermione è una nostra nuova dipendente, a proposito. Ha vinto il Concorso, vero?
-Sì.
Hermione, naturalmente, dopo i suoi brillantissimi MAGO e l’addio ad Hogwarts, aveva senza difficoltà affrontato il Concorso Ministeriale, ed era tra i cinque che lo avevano superato: prima in graduatoria, naturalmente.
-Bene, Harry. Volevo solo... ho pensato che fosse meglio avvertirti di alcune cose. Se tu dovessi passare i test, ed essere ammesso all’Accademia... e non dubito che ci riuscirai...
Harry deglutì, perchè lui, invece, qualche dubbio ce l’aveva. Strinse le mani attorno al bordo della sedia.
-Io vorrei chiarirti che la carriera di Auror... insomma, è dura e severa, e questo lo sai già. Ma oltre a questo... ti espone a vedere molte cose che si preferirebbe non dover vedere.
Harry si limitò a fissarlo, incerto su dove Kingsley volesse arrivare. Il Ministro ricambiò lo sguardo fermamente, chinandosi in avanti verso di lui:
-Voldemort non esiste più, ma il male o la delinquenza sono affare di tutti i giorni. Mi chiedo se, dopo l’infanzia e l’adolescenza che hai passato, sei sicuro di voler continuare ad occuparti quotidianamente di questo aspetto... sgradevole della natura umana. Sono un Auror anche io, e non voglio certo affermare che non si tratti di una professione nobile ed essenziale. Ma questo non significa che sia la scelta migliore per tutti.
Harry cercò di riordinare le idee, prima di rispondere, e Kingsley dovette interpretare il suo silenzio come un certo sgomento, perchè aggiunse pacato:
-So che a scuola si pensa sempre “da grande farò l’Auror”, non fraintendermi.
-Io... ehm, ho capito quello che vuoi dire. Però... in realtà, non è che volessi fare l’Auror perchè mi immagino che sia una professione particolarmente fica. Il fatto è che... ehm, queste.. questa roba è sempre stata quello che mi è riuscito meglio.
Alzò un po’ le spalle. Essere Harry Potter comportava, tra le altre cose, il fatto che tutti finivano per sospettare che ci fosse sempre una motivazione nobile in quello che faceva. Neanche una persona intelligente come Kingsley aveva considerato che lui si fosse orientato a quella scelta di carriera perchè a scuola era sempre riuscito in Difesa meglio che in tutte le altre materie, se si faceva eccezione per il Quidditch, e diventare un eroe sportivo non era il massimo per chi, come lui, di notorietà ne aveva avuta abbastanza per il resto della sua vita.
Kingsley annuì lentamente, guardandolo con interesse. Unì i polpastrelli delle dita e li fece flettere. Poi scosse la testa:
-Devi essere stanco che la gente cerchi di psicanalizzarti, Harry. Scusami.
-Non fa niente- si affrettò a ribattere Harry. Non sapeva come dire che l’interesse discreto di Kingsley non lo disturbava affatto. A parte i genitori di Ron e Ginny, in fondo, era la persona adulta più vicina che gli fosse rimasta, in un certo senso.
-Sappi che non era un tentativo di impicciarmi delle tue scelte, ma solo un avvertimento che mi sentivo in dovere di darti come Auror, e non come Ministro.
-Lo so.
Harry fece un sorrisetto: Kingsley era un tipo davvero in gamba, e gli piaceva. E non era detto che il suo avvertimento si rivelasse poi così campato in aria. Si ripromise di pensarci su.
E comunque, adesso, la cosa più importante, quella che lo faceva girare inquieto nel letto la notte, erano i test per l’ammissione che si avvicinavano.
-Bene, ho qualcosa per te, allora.
Gli porse un plico di carta pergamena, segnato da un grande sigillo in ceralacca rossa.
-E’ la tua autorizzazione speciale per l’ammissione ai Test dell’Accademia. Sostituisce i certificati MAGO. Spiega che nonostante tu non abbia sostenuto gli esami, si può ragionevolmente ritenere, in base ad eventi extrascolastici che ti riguardano, che tu sia in grado di essere ammesso ai test d’accesso.
Harry allungò la mano a prendere il plico. Recava scritto: “Alla cortese attenzione del Capo del Dipartimento Auror, Mr. Proudfoot”.
-Non che il vecchio Proudfoot ne abbia bisogno, eh? Fosse per lui, saresti già nel dipartimento da mesi.
-Preferisco affrontare i test- replicò Harry, ficcandosi la preziosa pergamena in tasca –Grazie, Kingsley.
-Ti auguro buona fortuna, Harry. Ah, e spero di vederti abbastanza presto, sono invitato a cena da Molly ed Arthur, sabato. Tu sarai dei nostri?
-Oh, ehm, il primo test è lunedì, e forse...-
Forse starò cercando freneticamente di ripassare, pensò, un po’ preoccupato. Kingsley annuì con aria comprensiva, poi si alzò, allungandosi oltre la scrivania per stringergli ancora amichevolmente la mano.
-Non voglio portarti via altro tempo, Harry. Ci vediamo.
-A presto, Kingsley.
Mentre si alzava, lo sguardo gli cadde nuovamente sulla foto poggiata sulla scrivania, e la curiosità ebbe il sopravvento.
-Chi sono?- non poté trattenersi dal chiedere, accennando alla famiglia ritratta. Un momento dopo, si stava già mordendo le labbra, chiedendosi perchè proprio lui, che era sempre tanto seccato delle’eccessivo interesse altrui per la sua vita privata, si fosse lasciato scappare una domanda tanto personale proprio a chi lui stesso aveva appena apprezzato per discrezione.
 Lo sguardo di Kingsley però, non espresse alcun fastidio. Lo guardò negli occhi prima di rispondere, con appena un’ombra di rigidezza nella voce:
-La famiglia di mio fratello Hector.
-Non... non sapevo che tu avessi un fratello!- disse Harry.
-Sono morti, purtroppo- il tono era appena velato di malinconia, e Kingsley, come sempre, lo guardava negli occhi, senza ombra di reticenza.
-Mi... mi dispiace.
-Grazie. E’ successo tanti anni fa. Sai, messe insieme le due ultime guerre, non credo che ci sia nessuno, nel mondo magico, senza un lutto familiare. Per questo sei l’eroe di così tante persone.
Harry si guardò le nocche.
-Immagino di sì.
-Arrivederci, Harry.
Era un inequivocabile segnale che la conversazione era finita, ed Harry, rammaricato, uscì dall’ufficio del Ministro in breve tempo. Controllò il vecchio orologio di Fabian Prewett e si avviò verso l’Atrium, al centro del quale la Fontana dei Magici Fratelli e l’orrida scultura che l’aveva sostituita durante il regime erano ora rimpiazzate da un’ampia vasca di marmo incassata nel pavimento al centro della grandissima sala e circondata da panchine, anch’esse di marmo. Dentro si rincorrevano increspature dorate, e sul bordo, fitti, tutto intorno erano incinsi nomi dei vari caduti delle due guerre.
Hermione stava mangiando un sandwich, seduta ad aspettarlo su una delle panchine, ed Harry si affrettò ad avvicinarsi, agitando il braccio per farsi vedere.
Si scambiarono un abbraccio, poi Hermione gli porse un sacchetto di carta:
-Non ero certa che avessi avuto il tempo di procurarti il pranzo- fece, premurosa.
-Scherzi? Devo tornare a mangiare a casa, o Kreacher si offenderà. Grazie, comunque, farò un piccolo aperitivo- fece, prendendo uno Zuccotto dal sacchetto frusciante e ficcandoselo in bocca.
-Perchè non fai un salto a Grimmauld a mangiare anche tu? Così mi racconti come è andata.
Hermione annuì, inghiottendo l’ultimo pezzo del sandwich, ed insieme si alzarono, dirigendosi verso uno dei camini addossati alle pareti dell’Atrium ed usandolo per ritrovarsi nella cucina di Grimmauld Place, pulitissima e più accogliente che mai.
-Padron Harry, signorina, voi mette le pattine, per favore, Kreacher ha appena finito di dare la cera- ingiunse Kreacher arrivando di corsa, cortese ma perentorio, inchinandosi e porgendo loro le pattine, che entrambi infilarono con cautela per poi spostarsi faticosamente fino al lungo tavolo. Kreacher, senza farli attendere un attimo, servì loro immediatamente arrosto di montone con pisellini novelli e purè di patate.
-Allora?
-Allora...
Era lunedì dell’ultima settimana di agosto, ed i neoassunti del concorso annuale entravano a lavorare al Ministero a partire dalla prima settimana di settembre. Quel giorno erano stati esposte le destinazioni dei novellini. Il primo incarico al Ministero non veniva infatti scelto: i vari Dipartimenti richiedevano ed ottenevano i tirocinanti esaminando i loro curriculum. Era una specie di nuovo Smistamento, e quella era stata una mattinata importante per Hermione, la più emozionante dopo il16 luglio, giorno del Concorso.
-Allora... ebbene, Ufficio per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche- buttò fuori Hermione tutto d’un fiato, scostandosi nervosamente i capelli dagli occhi.
-E’... ehm... una notizia buona o una cattiva?- chiese Harry, che non aveva idea di quello che Hermione avrebbe preferito, a parte la convinzione abbastanza fondata che non sarebbe stata entusiasta del Dipartimento di Giochi e Sport Magici.
-Abbastanza buona. E’ un campo che mi interessa, c’è una marea di cose su cui è necessario lavorare in direzione di un comportamento etico, e... comunque, ho incontrato il direttore, Thesibertus Traggle. E’ un tipo simpatico. Mi ha detto che si è battuto per avere me... pensa, era venuto persino a sapere del CREPA.
-E come diavolo ha fatto?
-Il censimento dei gruppi e delle attività scolastiche della Umbridge tre anni fa, ricordi? Naturalmente ho fatto registrare anche il CREPA. Il signor Traggle mi ha detto che era un’iniziativa meritoria.
Harry aveva l’impressione che Hermione avesse finito per trovarsi nel posto giusto, tuttavia chiese, curioso:
-Gli altri dove sono andati a finire?
Hermione ridacchiò, versandosi un po’ del denso sugo dell’arrosto sul purè:
-Ernie alle Catastrofi e Incidenti Magici. Sembrava un po’ scosso, l’ho incontrato in ascensore mentre tornavo nell’Atrium ad aspettarti, e aveva tutte le sopracciglia bruciate. Michael Corner... al Trasporto Magico. Non so se è stato contento, non ho potuto parlarci. Morag McDougal, ti ricordi, la Cacciatrice di Corvonero che ci ha dato del filo da torcere alla finale... agli Sport Magici, era semplicemente radiosa... e poi c’è Octavius Gaiman, probabilmente non te lo ricordi, è un Serpeverde che ha due anni più di noi... non so perchè si è deciso a tentare il test solo quest’anno, quasi non me lo ricordavo, mi è sembrato di capire che negli ultimi due anni è stato all’estero. Lui è finito alla Cooperazione Magica Internazionale, l’ho visto che parlava con Percy in corridoio... non sembra male. Per essere un Serpeverde, è ovvio.
Finirono di pranzare tranquillamente, e dovettero rifiutare la seconda porzione di torta con la glassa alla nocciola che Kreacher cercava di spingere loro nel piatto.
-Beh, ti ringrazio per l’ospitalità, Harry... devo andare, però, mamma e papà vorranno sapere... e anche Ron, è ovvio, anche se gli ho mandato Bathilda dal Ministero per non farlo stare sulle spine. Tu cosa farai, oggi pomeriggio?
-Studierò, credo.
-Ancora?
C’era qualcosa di vagamente disturbante in Hermione che disapprovava una frase che conteneva la parola studiare, ed Harry fissò l’amica con occhi eloquenti. Hermione fece un risolino:
-Non mi guardare così. Promettimi almeno che non farai le ore piccole, mi sembri un po’ dimagrito, Harry... come se ne avessi bisogno, tra l’altro. E poi, non vedi Ginny, il lunedì?
 
Hannah tirò su dal calderone una mestolata di zuppa, e la sorbì lentamente, con gli occhi socchiusi. Poi si allungò in direzione dello scaffale più vicino, afferrando un barattolo di ceramica e spolverando nella pentola un qualche aroma o ingrediente e riprendendo a mescolare. Ginny, che entrava in quel momento nella cucina dei tre Manici dalla porta sul retro, dove aveva fatto Evanescere un’intera cassetta di cocci di vetro che si erano rotti durante una rissa tra gente un po’ alticcia la sera precedente la guardò interessata, pulendosi le mani sul grembiule, mentre volute di vapore uscivano dalla porta del cortile, perdendosi sotto il sole del mattino.
-Cosa stai provando, Hannah?
-Una zuppa nuova. Ho aggiunto nepitella, ma ancora non ci siamo- rispose la ragazza senza voltarsi, molto concentrata.
Muovendo velocemente la bacchetta compì in successione sul suo calderone tre o quattro incantesimi non verbali del tutto sconosciuti a Ginny. Hannah era veramente brava con gli Incantesimi di Cucina, un campo nel quale lei non sapeva nulla, se si eccettuavano gli esercizi da primo anno come far diventare sodo un uovo o affettare un pomodoro.
Si avvicinò per guardare, ma fu richiamata da Madama Rosmerta, che si affacciò nella cucina dalla porta che dava sul bancone.
-Ginny, cara, ho bisogno di aiuto per favore.
Si affrettò a rientrare nella sua routine estiva, anche se l’estate volgeva ormai agli sgoccioli, prendendo le ordinazioni e spedendo boccali, bicchieri e piatti ricolmi da un capo all’altro del vasto locale degli avventori dei Tre Manici. Era stato un lavoretto estivo utile, le aveva permesso di mettere da parte i primi soldi che avesse mai guadagnato in vita sua, ed aveva potuto conoscere meglio Hannah, del che era grata: avevano stretto una solida amicizia, occupandosi dei clienti e prendendo un po’ in giro Madama Rosmerta,  la zia di Hannah dai modi civettuoli nonostante non fosse più fresca come una rosa, gentile ma a tratti un po’ dispotica. Rosmerta era la sorella del padre di Hannah, ed aveva un passato da femme fatale i cui fasti si estendevano ancora al presente, visto che molti degli avventori più fedeli ed affezionati, ed anche molti ragazzi imberbi, non riuscivano a celare una solida, sana ammirazione per le sue stupefacenti dotazioni femminili ed i tacchetti scintillanti delle sue scarpe.
In complesso, il consiglio di Neville si era rivelato ottimo, e poteva tirare un bilancio positivo, per quell’estate almeno. Ma naturalmente, la cosa migliore di tutte era Harry. Harry che riemergeva come da un lungo incubo accanto a lei, e si godeva l’estate, il sole, il calore della compagnia. La giornata che avevano passato al mare con Hermione, Ron, George e Luna era stata veramente bella. Si vedevano regolarmente, ma non troppo spesso: era inutile negare che ciascuno dei due fosse rimasto scottato dall’altro, in modi diversi, e volevano ricostruire dalle macerie. C’erano ferite un po’ troppo dolorose: e le piaceva il loro amarsi prudente, ancora timoroso. In qualche modo, la rassicurava. Pensò a lui, e si chiese come se la stava cavando. A Londra, lontanissimo da Hogsmeade, in quel momento era in corso il primo test d’ammissione all’Accademia.
Prese le ordinazioni ad un tavolo e le spedì in volo verso il bancone, poi si avvicinò alla bacheca nell’angolo vicino al camino, sempre strapiena di annunci: ogni due o tre giorni era incaricata di rimuovere quelli troppo palesemente illegali, visto che qualcuno non si faceva scrupoli di appenderli anche là e non solo alla Testa di Porco, da Aberforth, e Rosmerta ci teneva che I Manici mantenessero il loro “tono”. Strappò via i soliti manifestini che pubblicizzavano cacca di Doxy sofisticata, e lottò con un “Cerco uova di drago, pagamento in oro zecchino” che sembrava essere stato fissato alla bacheca con un Incanto di Adesione Permanente, tanto dovette faticare per staccarlo. Lasciò, anche se sapeva che erano inutili, gli strazianti avvisi con fotografie di persone scomparse che, a più di un anno dalla fine della guerra, qualcuno che non si rassegnava alla perdita di persone care continuava ad affiggere un po’ ovunque. Da sotto ad uno di questi, che come notò con una stretta al cuore, raffigurava due bambini molto piccoli, scivolò e cadde a terra un depliant viola e nero che non aveva mai visto prima, ma prima che potesse darvi un’occhiata, un urlo dalla cucina la fece voltare di scatto. Era Hannah, e dalla porta divisoria uscivano volute di fumo verdi e arancioni. Ginny si precipitò a darle una mano, chiedendosi cosa diavolo fosse successo, mentre Rosmerta cercava di tranquillizzare gli avventori, che erano ammutoliti, molti di loro con le bacchette sguainate (era difficile perdere certe abitudini). Il calderone di Hannah si stava contorcendo su se stesso, fuso dal calore della preparazione, e la cucina era invasa da una fitta nebbia di colori improbabili. Ginny annaspò tossendo alla cieca fino alla finestra, che spalancò per lasciare uscire il fumo.
-Hannah? Hannah, stai bene?
-Sono qui...- tossì Hannah, emergendo dal fumo, i capelli biondi appiccicati ai lati del viso dal vapore.
-Cos’è successo? Cos’è successo?- Rosmerta sembrava piuttosto arrabbiata quando piombò in cucina. I tacchi scintillavano anche attraverso il fumo, ma di lei le due ragazze non riuscivano a vedere nient’altro.
-Un incidente, zia. Credo... ehm, di averti fuso il paiolo più grande.
-Povera me, sei un disastro, Hannah! Voi ragazzine fate più danni che altro, qui dentro.
Ginny si accigliò, visto che gli esperimenti estivi di Hannah avevano costituito la fonte di buona parte degli incassi dei Tre Manici, nei due mesi passati, ma sapeva che Rosmerta era acida, ma non cattiva.
-Sparite, adesso... sarà meglio che... oh, insomma, Aereo!
Il forte getto d’aria che scaturì dalla bacchetta della donna sospinse fori dalla finestra il nuvolone di fumo pesante, rendendo l’aria nuovamente respirabile e rivelando le loro tre figure, tutte piegate in due per il fumo. Hannah era molto rossa.
-Andate via, ci vediamo domani, avete fatto abbastanza, per oggi. Ah, naturalmente vi decurterò mezza giornata di paga.
-Naturalmente- dissero in coro Hannah e Ginny, rassegnate. Hannah, troppo onesta per non fare almeno un tentativo, aggiunse, timidamente:
-Ginny non c’entra niente, zia, non...
-Oh, non ha importanza, non vi voglio tra i piedi mentre rassetto la mia cucina. Sparite, ragazze!
Ginny, non particolarmente turbata, si tolse il grembiule e lo appese al gancio, per poi uscire dalla porta del retrobottega tirandosi dietro Hannah per mano.
-Non preoccuparti, Hannah, staccare prima mi va benissimo. Avrei anche bisogno di una doccia a tutti i costi...- spiegò, mentre insieme uscivano dal corto vicolo che collegava il cortile interno ad una via laterale di Hogsmeade. Il sole splendeva caldissimo nel cielo, disegnando ai loro piedi ombre nette e corte.
-Credo che smetterò di provarci. E’ stato un fallimento totale!- sbuffò Hannah, strappandosi di dosso il grembiule che ancora portava al collo.
-Era solo il primo tentativo, hai fuso un calderone anche la prima volta che hai provato la Menta Frippante, ed è stato il drink più venduto da Rosmerta quest’estate.
Ginny sorrise mentre rassicurava l’altra. Hannah era un tipo strano, non esattamente il genere di persona con cui lei era portata ad andare d’accordo, non tanto per la sua insicurezza, quanto per l’alto tasso di lamentosità. Ma non era stato male dividere l’estate con lei. Hannah aveva lutti recenti che cercava di superare, un padre rimasto solo di cui sentiva la responsabilità, e Ginny si era spesso trovata a pensare che, negli aspetti meno gradevoli delle loro vite, si capivano perfettamente.
E poi, Hannah aveva un vero talento per la cucina, ed era così mite e modesta da non accorgersene affatto. Era difficile non provare simpatia almeno per questa sua caratteristica.
-Riprova domani e verrà meglio.
-Lo spero- fece l’altra, passando sulle mani sporche il grembiule appallottolato –Non mi dispiacerebbe riuscire a lavorare in questo campo, anche se la zia a volte è proprio... beh, insomma, è un po’... acida.
-Non è detto che tu debba lavorare con lei. Secondo me puoi benissimo metterti in proprio e farle concorrenza.
Hannah ridacchiò, confusa:
-Oh, non sarebbe... voglio dire, non sarebbe molto carino, no? Comunque...- un sospiro –Ci vogliono Galeoni per mettere su un’attività. Ci vogliono Galeoni per fare tutto!
-A chi lo dici...- fece Ginny pensierosa.
Al contrario di Hannah, non aveva intenzione di continuare ai Tre Manici dopo la fine dell’estate, ed era ora che cominciasse a guardarsi in giro per qualcos’altro. Magari poteva chiedere a Ron e George se avevano bisogno di una mano a Tiri Vispi. In attesa di qualcos’altro. L’eterno qualcos’altro.
-Vedo se riesco a capire come è andata ad Harry, Hannah. Oggi aveva il primo test per l’ammissione all’Accademia Auror, non te l’avevo detto, vero?
Hannah la fissava con occhi tondi di meraviglia:
-E come vuoi che sia andata? E’ Harry Potter.
Ginny sorrise di rimando, alzando le spalle:
-Già. A domani, Hannah- disse, prima di girare su se stessa per Smaterializzarsi.
 
Anche se il quartier generale degli Auror si trovava al Ministero, l’Accademia aveva sede presso un capannone dall’apparenza alquanto squallida ed abbandonata all’Isle of Dogs, nel distretto londinese di Blackwall. Una gran profusione di strisce catarifrangenti bianche e rosse, palizzate di lamiera e cartelli dissuasori contribuivano a tenere lontani i Babbani forse più che la variegata gamma di incantesimi usati per proteggere la zona. Una volta entrati, si restava colpiti dall’ambiente interno, anche se la differenza con l’esterno non era così sconcertante come al San Mungo o al Ministero. Gli ambienti erano piuttosto malandati: vecchi rivestimenti di legno coprivano fino a metà le pareti, intonacate poi fino al soffitto di bianco. La pianta dell’edificio, come quella della maggior parte dei luoghi magici che Harry aveva visto, era complessa più di quanto non si potesse sospettare dalla forma esterna della costruzione, del tutto banalmente rettangolare. Scale dalle ringhiere molto rovinate si diramavano dal corridoio principale, assieme a corridoi secondari e parecchie porte. Nella bacheca più vicina all’ingresso, piena di avvisi vecchi e di Gomme Bolle Bollenti appiccicate, una pergamena affissa aveva indirizzato Harry ad una sorta di bugigattolo, dove un mago dall’aria alquanto inquietante (non gli restavano che tre dita alla mano destra e due alla sinistra) gli aveva requisito la dichiarazione di Kingsley sostitutiva dei suoi certificati MAGO e lo aveva mandato, munito di una spilla recante un 5 da attaccare sul petto, in un’aula del tutto spoglia se non per i banchi ed una cattedra vuota. Piume e pergamene erano già pronte su ogni banco. Qualcuno degli altri candidati, che era già arrivato, sedeva fissando nervosamente la pergamena bianca davanti a sé, ognuno col suo bravo numero sul petto. In breve, tutti i banchi furono occupati: erano in dieci a sostenere l’esame, e si guardavano, scambiandosi cenni di saluto senza osare parlare.
Gli unici suoi coetanei erano Terry Boot e Padma Patil, che lo salutarono sussurrando. Harry ricordava che Terry era stato piuttosto bravo ai tempi dell’ES, mentre non riusciva a riportare alla mente quasi nulla di Padma, se non che una volta aveva Schiantato una libreria, mancando Dennis Canon, nella Stanza delle Necessità. Sapeva che Calì studiava Medimagia, o lavorava al San Mungo, non era sicuro. Lavanda Brown era letteralmente sparita, almeno per quanto ne sapeva lui, fin dalla Battaglia di Hogwarts. Gli altri candidati erano tutti più grandi di loro: Harry fu sorpreso di vedere Katie Bell, che lo salutò tranquilla. Sembrava di gran lunga la più serena del gruppo, come se l’esito della prova non le importasse poi molto. L’unico altro Grifondoro era un coetaneo di Katie, Edward Whistler, che Harry conosceva bene ma con il quale aveva parlato molto raramente. Poi c’erano due Corvonero, anche loro un anno più vecchi di lui, se non sbagliava, una Tassorosso sempre della stessa età, dai lunghi capelli biondi, ed un ragazzo ancora più grande, che Harry non ricordava affatto a quale casa appartenesse ma che era sicuro di aver visto a scuola. L’ultimo, un altro maschio, gli pareva di non averlo proprio mai visto. Ma forse la guerra aveva sommerso e mescolato i suoi ricordi precedenti.
Harry notò con scarso piacere che gli altri nove, per compensare il nervosismo che derivava loro dalla totale assenza di un professore, o qualsiasi altro referente di qualunque tipo, avevano trovato una buona idea mettersi a fissarlo, come chiedendosi che accidenti ci facesse là, insieme a comuni mortali che non avevano ucciso il più potente mago oscuro degli ultimi secoli. Non che non fosse abituato a cose del genere, ma non era piacevole lo stesso.
Dopo qualche minuto, tuttavia, la tensione dovette inevitabilmente sciogliersi, e visto che non succedeva nulla, e nessuno compariva per dare istruzioni di qualche tipo, i vicini di banco cominciarono a conversare sottovoce fra loro. Harry, che aveva occupato un banco all’estremità della classe, vicino alla finestra che affacciava in modo un po’ straniante su un prato fiorito (chiaramente una finestra magica, visto che fuori dal capannone si estendevano i Docks di Londra), continuò a fissare la lavagna, e sobbalzò quando dal nulla apparve la scritta:

Test d’Ammissione dell’Accademia Auror
(con il patrocinio dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia)
Prova Scritta Preliminare
Inizio prova ore 9:25
Tempo massimo 2h 27’

Accanto alla scritta, apparve un orologio disegnato col gesso, le cui lancette però cominciarono a muoversi come in un orologio vero e proprio.
-Ahem... succede qualcosa- mormorò Harry, per richiamare l’attenzione degli altri. Tutti sobbalzarono, voltandosi a guardare la lavagna.
-Ma.. che dobbiamo...- cominciò Katie perplessa.
-Ci lasciano soli? Credevo che qualcuno sarebbe...
-Le pergamene!- Juno Jarndyce, la Corvonero coetanea di Katie, indicò con un gridolino il suo banco, e subito tutti si chinarono sulla propria pergamena, che si andava riempiendo di domande vergate in inchiostro violetto.
Come un sol uomo, afferrarono la penna posta di lato sul banco con foga, leggendo freneticamente quello che appariva. Harry, lo stomaco spiacevolmente pesante, scorse il foglio, che si andava allungando mano a mano che le domande e lo spazio per rispondere prendevano centimetri. Non sembrava qualcosa di simile ad un test di Difesa Contro le Arti Oscure, come lui (e certamente anche gli altri) si erano aspettati di trovare. Le domande spaziavano in vari campi, ed alcune non sembravano avere alcuna utilità al fine della loro valutazione: una richiedeva di segnare il nome di battesimo di tutti i trisnonni, un’altra di elencare il maggior numero possibile di nomi di stazioni della metropolitana di Londra. C’erano anche domande più classiche: Trasfigurazione Umana Avanzata, proprio come aveva predetto la professoressa McGranitt, Difesa, naturalmente (ben sei quesiti riguardavano l’argomento dei Patronus), e quella che ad Harry parve un’infinità di domande sulle Pozioni più complicate che avesse mai studiato.
In tutto, c’erano una sessantina di quesiti, e presto si trovò a scrivere freneticamente, come tutti nella stanza, cercando di lottare contro il tempo che l’orologio disegnato sulla lavagna scandiva inesorabilmente. A poco più di un’ora dall’inizio del test, Gillian Sherton, la Tassorosso, lasciò cadere la penna sul tavolo e, quietamente, raccolse la borsa, abbandonando il campo. Il suo test non finito sparì dal banco appena lei varcò la soglia dell’aula. Anche il ragazzo di cui Harry non riusciva a ricordare la Casa rinunciò prima della fine del tempo a disposizione. Gli altri otto scrissero freneticamente nella stanza sempre più calda (il finto prato fuori dalla finestra era illuminato da un sole incandescente che penetrava oltre i vetri), in un gran stridere di piume, tra imprecazioni a mezza voce e odore di inchiostro. In fondo alla pergamena c’erano istruzioni per chiuderla e sigillarla con un Incantesimo di Firma che avrebbe identificato infallibilmente bacchetta e il relativo candidato. Tutti gli otto ragazzi rimasti in aula eseguirono obbedienti, con mano tremante, nell’arco degli ultimi minuti a disposizione, restando poi seduti, incerti sul da farsi. Quando le due ore e ventisette minuti scaddero, le pergamene sigillate (Padma, l’ultima a finire, aveva appena appoggiato la bacchetta) volarono via dai banchi in mano ad un mago che apparve solo allora, seduto alla cattedra, deserta fino a quel momento, ed intento a scartare una Cioccorana.
Tutti trattennero rumorosamente il fiato a quell’apparizione improvvisa, comprendendo che, a quanto pareva, era sempre stato là ad osservarli, usando un’avanzata tecnica di Dissimulazione, perchè per oltre due ore nessuno di loro si era accorto di nulla. Era un’idea oltremodo sgradevole, ed Harry si chiese con una certa inquietudine se avesse fatto nulla che potesse compromettere il test, a parte fissare con desiderio la nuca di Juno Jarndyce, che scriveva con instancabile lena anche quando lui si era trovato in preda a qualche momento di incertezza.
Il mago, un uomo dalla circonferenza ragguardevole, che vestiva un completo di tweed verde bottiglia, dalla tasca della cui giacca spuntava il bocchino di una pipa lunghissima, si schiarì la gola prima di esordire, con aria ilare:
-Molto bene, molto bene. Sono Gilbert H. Rumblescott, il vostro test è finito, e nel caso, non particolarmente probabile, che qualcuno di voi l’abbia superato...- si soffermò a guardarli uno per uno, indugiando su Harry –riceverete un gufo entro la serata, con la convocazione per i colloqui psicoattitudinali di domani, ai quali, nel caso ancora più improbabile che li superiate con successo, seguiranno  le prove pratiche. Oh, se ve lo steste chiedendo, questo giochetto si chiama Dissimulazione Avanzata Speciale. Ed è uno spasso, o non la insegnerei...- ghignò –...i novellini in angustie sono uno spettacolo che vale la pena di sbirciare. A proposito, signor Fellan, non si scomodi ad aspettare il gufo. La copiatura non è ammessa, neanche se il modello prescelto è una signorina affascinante come miss Patil.
Il ragazzo sconosciuto ad Harry fissò l’uomo con aria profondamente indignata, e se ne andò, strappandosi la spilla con il numero 9 dalla maglietta e sbattendo la porta. Tutti loro lo seguirono camminando lentamente, cercando di digerire lo shock ed il brusco calo di adrenalina che la fine del test aveva comportato.
Katie Evocò un ventaglio con la bacchetta, lo agitò davanti al viso e dichiarò con calma:
-E’ stato un disastro. Pazienza. Beh, ci vediamo, Harry.
Li precedette lungo i vecchi corridoi a lunghi passi, e sparì. Gli altri parlavano con brusii sommessi tra loro, confrontando risposte e dibattendo. L’Accademia era vuota, e silenziosa: sembrava deserta. Harry si chiese se non fosse stato architettato una specie di enorme scherzo surreale, mentre uscivano nella vampa accecante del calore esterno.
 
Ginny aspettava seduta su una massiccia panchina di cemento, nel caldo soffocante del mezzogiorno londinese di inizio settembre, guardandosi intorno come poco sicura di trovarsi nel posto giusto. Fu una sorpresa più che gradita, e ad Harry parve così bella da ingentilire persino il panorama del circostante quartiere popolare.
Quando li vide uscire dalla palizzata provvisoria che delimitava l’area attorno al capannone, fece un sorriso incerto nella sua direzione. Harry si affrettò ad avvicinarsi, ed il suo bacio fu come un tonico dopo lo stress della mattinata.
-Allora?
-Non lo so- borbottò lui, un po’ per scaramanzia. Nel complesso, gli era parso di essersela cavata piuttosto bene –Arriva un gufo oggi pomeriggio, se è andata bene.
Gli altri si erano dispersi, ognuno per la propria strada, ma Terry e Padma si avvicinarono, salutando entusiasticamente Ginny. Harry dovette ricordare a se stesso che lei aveva un rapporto molto più stretto di lui con loro: avevano passato insieme l’anno in cui lui era stato a caccia di Horcrux, e anche l’anno scolastico appena passato.
-Terry! Non sapevo che anche tu ci provassi. Luna mi aveva detto di Padma, ma...
-Ho deciso all’ultimo momento... ma non credo proprio che ne verrà fuori qualcosa- fece Terry, accennando cupamente all’edificio che si erano lasciati alle spalle.
-Sciocchezze, almeno sei arrivato alla fine- intervenne Padma -Due hanno lasciato durante la prova, e uno è stato segato dal professore perchè aveva cercato di copiare...
-...da lei- concluse Terry. Harry si rese conto in quel momento che teneva un braccio attorno alla vita di Padma, e che con tutta probabilità stavano insieme. Quando era successo? L’aveva mai saputo? Si chiese se la sua alienazione al mondo esterno sarebbe durata per sempre o avrebbe ricominciato ad accorgersi delle cose che succedevano oltre la stretta cerchia dei Weasley, di Hermione e di Teddy e Andromeda. Eppure Padma e Terry erano suoi amici, membri dell’ES che erano rimasti fedeli a lui fino all’ultimo.
-Come sta Calì?- chiese a Padma, sulla scia di questi pensieri.
-Domani comincia il corso per infermiera al San Mungo. Mi è sembrata contenta.
-E Lavanda, hai notizie di lei?
Padma si irrigidì subito:
-Calì non è contenta che se ne parli.
-Oh- fece Harry, imbarazzato. Ginny ritenne opportuno concludere la conversazione.
-Forse è meglio andare, Harry.
-Sì. Ci vediamo... ehm... speriamo di vederci domani, eh?
-Su di me non contare, Harry- fece Terry, funereo.
-Ma certo che ci vediamo domani- lo contraddisse Padma decisa.
Si allontanarono in direzione di una zona più riparata, dove Smaterializzarsi con discrezione. Harry e Ginny rimasero soli.
-Grazie per essermi venuta a prendere!- Harry affondò il viso nei capelli di lei, godendone il profumo fiorito che conosceva così bene. Lei allungò la mano a stringere la sua.
-Hannah ha fuso un calderone e Rosmerta ci ha sbattuto fuori prima- spiegò, ridacchiando. Delicatamente, gli passò un braccio dietro la schiena, e lo guidò lentamente verso la zona d’ombra dove Terry e Padma erano scomparsi pochi istanti prima.
-Vuoi tornare a casa o passi alla Tana? Credo che mamma stamani fosse più agitata di quando Percy ebbe il Concorso per il Ministero...
-Passiamo pure dai tuoi, anche se non sono affatto certo che sia andata bene.
-Smettila, dai...
Ginny scosse la testa mentre si Smaterializzavano, e continuò il suo discorso nello scenario improvvisamente diverso del fianco della collina presso la Tana, ancora protetta dagli Incantesimi di Materializzazione nonostante fosse passato oltre un anno dalla fine della guerra.
-...in fondo sei tu. E questa è la cosa che ti riesce meglio in assoluto. Sicuramente è la tua strada.
L’erba alta e secca dell’estate che finiva strusciava lieve contro le loro gambe. Harry la strinse.
-E che mi dici di te?- chiese cautamente, sapendo quanto Ginny amasse poco quell’argomento, ma deciso a smettere per un po’ di pensare al test.
Ginny sospirò:
-Di sicuro non continuo da Rosmerta. E’ stato utile ma ne ho abbastanza. In realtà non so... non so cosa voglio fare veramente. Il Quidditch è la cosa che mi riesce meglio, ma... ok, non ci sentiamo tutti stupidi quando diciamo che il Quidditch è quello che ci riesce meglio?
Harry si fermò improvvisamente, per tirarla a sé e baciarla. Quando Ginny diceva cose che evidenziavano troppo quanto somigliasse ad Harry per certi aspetti, non riusciva a trattenersi. Non era incline al romanticismo, ma il miscuglio di somiglianza e differenza estrema da sé che c’era in Ginny aveva per lui un fascino irresistibile.
-Ehi...- rise Ginny sotto le sue labbra.
-E allora perchè non il Quidditch?- fece Harry, approfondendo il bacio.
-Ma Harry...- protestò lei, senza però dar segno di volersi staccare.
L’improvviso Materializzarsi di qualcuno a pochi centimetri da loro li interruppe bruscamente, facendoli cadere a terra. Era Percy, che cadde a sua volta e si tirò sui gomiti, osservandoli imbarazzato prima di alzarsi e scuotersi via i forasacchi rimasti impigliati nella giacca.
-Scusatemi, ragazzi. Ma è meglio non sostare qui, visto che tutti lo usiamo come posto per Materializzarci e...
Ascoltando solo a metà il suo cicaleccio, lo seguirono verso casa, le mani saldamente intrecciate.
 
Il gufo era arrivato, naturalmente, e la sua famiglia stava festeggiando Harry con entusiasmo, profondendo auguri per le prove successive. Ginny osservava in silenzio la scena intorno al tavolo nel giardino della Tana, appoggiata al vecchio melo. La mano scivolata in tasca le si chiuse intorno a qualcosa di duro, e ne trasse fuori il volantino che aveva raccolto senza attenzione quella mattina ai Tre Manici. Sbatté le palpebre un paio di volte quando vi posò su gli occhi per leggerlo.
Pubblicizzava le Selezioni Ufficiali per la squadra di Quidditch dei Ballycastle Bats.
-E allora perchè non il Quidditch?- aveva detto Harry. Harry Potter, che amava proprio lei.
Sollevò lo sguardo verso la sua famiglia che lo circondava di affatto, e vide che stava cercando con gli occhi il suo sguardo. Si scambiarono un sorriso al di sopra delle teste rosse degli altri.
Com’era difficile capire se stessi e il mondo dopo tutto quello che avevano passato. Com’era difficile trovare la propria strada e capire cosa si voleva veramente. Non era stata proprio lei a tenere Harry lontano un anno intero, lui che le sorrideva e verso il quale adesso provava il fortissimo impulso di correre, per abbracciarlo e stargli vicina?
Perchè non il Quidditch, aveva detto Harry.
Davvero, pensò, perchè no?
 
Alcune note veloci:
-Il fratello di Kingsley e la sua famiglia sono una mia creazione. Lui è uno dei protagonisti della mia serie incentrata sugli amici di Arthur e Molly ai tempi della scuola e degli anni prima della prima Guerra Magica. Per chi lo conosceva già, probabilmente è stato un po’ uno shock scoprire che Hector è morto (e non solo lui!)... ma ne parlerò più diffusamente in futuri aggiornamenti di questa storia e della serie.
-Sulle modalità di assunzione al Ministero ho inventato praticamente tutto. I dipartimenti del Ministero sono quelli indicati dalla Rowling. Ho immaginato che l’Ufficio Misteri non assumesse tirocinanti, visto la particolarità, e che per l’Ufficio Applicazione della Legge Magica ci volesse almeno un attestato di studi più alto di Hogwarts, come un diploma in Magisprudenza.
-Sull’Accademia Auror ho sbrigliato la fantasia, usando le poche informazioni canon che si hanno. Se vi venisse in mente qualcosa che va proprio in contrasto con quanto ho scritto fatemelo notare!
 
A presto e un bacio!
Oru

 
 
 

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