Recensioni di rhys89

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Recensione alla storia Gli strati delle cipolle - 22/05/20, ore 16:53
Capitolo 1: Gli strati delle cipolle
[Valutazione del contest "La danza dei sette veli"]

Titolo:
Questo titolo all’apparenza semplice mi ha colpito per le sue numerose interpretazioni: c’è il significato letterale, in cui ogni strato richiama uno dei “veli” richiesti dal contest; c’è il significato metaforico, perché col progredire della storia vediamo sempre un diverso lato dei protagonisti; infine, ovviamente, la cipolla stessa ha molta importanza nella trama e viene ripresa in più occasioni.



Sviluppo dei “veli”:
I vari veli sono separati non soltanto da un effetto grafico – lo spazio editoriale – ma anche da un salto temporale più o meno lungo (si va dalle poche ore alle poche settimane). Ho molto apprezzato questo espediente, perché rende ancor più chiaro l’effetto dello scorrere del tempo e della conseguente graduale evoluzione del rapporto tra i due protagonisti.
Altra cosa che ho molto apprezzato è stata la scelta di raccontare questa evoluzione attraverso episodi non sempre positivi: inizialmente c’era molta antipatia tra i due – o almeno c’era da parte di Davos – ed è stato molto azzeccato utilizzare talvolta anche degli scontri per far progredire il loro rapporto.
Oltre agli scontri, ovviamente, è poi stata data molta importanza ai segnali positivi di avvicinamento e ai più o meno velati tentativi di seduzione. Riguardo a quest’ultimi, ci sono stati un paio di casi in cui sono stati resi forse troppo espliciti (sottolineando proprio nel testo che si trattava di atti di seduzione mentre mi sarebbe piaciuto di più se fossero rimasti solo sottintesi tra le righe), ma nel complesso le richieste del contest sono state ampiamente soddisfatte.
Ultimo ma non ultimo, ho apprezzato la scelta di rendere entrambi i protagonisti “seduttori e sedotti”: sia pure questo loro gioco inizi con Melisandre – che semplicemente si comporta come sempre, consapevole del proprio fascino – Davos non resta passivo a subire l’evolversi di questo rapporto ma, al contrario, anche lui svolge con le sue scelte un ruolo da perfetto comprimario.



Caratterizzazione dei personaggi:
La scelta di utilizzare il POV di Davos è stata a mio parere molto interessante: Davos è un personaggio molto sottovalutato nel fandom, apparentemente così semplice da sembrare quasi bidimensionale ma che nasconde invece una personalità estremamente sfaccettata e complessa che tu hai saputo gestire alla perfezione.

Partendo dal principio, trovo adeguata la considerazione di Davos su Melisandre: per una mente pragmatica come la sua trovare una rivista con l’immagine di una donna avvenente non significa nulla di più di ciò che appare, ovvero che il proprietario della suddetta rivista – Stannis, in questo caso – fosse semplicemente attratto dalla donna in questione come si può essere attratti da una celebrità che si conosce solo attraverso i media.

Una considerazione destinata ad essere completamente smentita quando Stannis – contro ogni previsione razionale – invita Melisandre a far parte del suo team per la campagna elettorale.
A questo proposito, ho adorato la cieca fiducia che traspare dalle parole di Stannis – “questa è la donna che risolleverà la nostra campagna elettorale” – in netto contrasto con l’evidente scetticismo di Davos.

L’atteggiamento di Melisandre, in risposta alla fredda accoglienza di Davos, è assolutamente perfetto e coerente col personaggio: esattamente come nel canon, Melisandre si rende perfettamente conto di non essere la benvenuta, ma lungi dal mostrarsi intimidita sceglie invece di assumere un atteggiamento tanto sicuro di sé da sconfinare nell’arroganza.

Anche la sua piccola provocazione con gli anelli di cipolla è adeguata al contesto: Melisandre è ben consapevole del proprio fascino, e lo utilizza fin da subito per dimostrare a Davos che non solo non ha intenzione di farsi mettere i piedi in testa, ma che al contrario esigerà il rispetto che il suo ruolo e il suo lavoro meritano.

Inutile dire che Davos capisce subito l’antifona, e capisce anche che non sarà facile ignorare – figuriamoci considerare una collega! – quella donna che ha fatto irruzione nel suo ufficio e nella sua tranquilla vita lavorativa.


L’insofferenza di Davos per Melisandre si manifesta fin da subito, e nonostante si sforzi di utilizzare parole cortesi è evidente quale sia il suo reale stato d’animo. Trovo assolutamente coerente un atteggiamento del genere: proprio come nel canon, Davos si dimostra un uomo schietto e sincero, che nonostante cerchi di adattarsi al linguaggio “politicamente corretto” che è necessario nel suo lavoro non riesce a fare del tutto propria quella maschera, e le sue emozioni sono facilmente leggibili da chiunque – non solo da una fine osservatrice come Melisandre.

Melisandre che gioca letteralmente col fuoco. Ho molto apprezzato l’accenno a questo suo particolare legame col fuoco: non solo strizza l’occhio al lettore richiamando il canon, ma è anche importante per la sua attuale caratterizzazione.
Melisandre, infatti, continua imperterrita con le proprie abitudini, incurante del prossimo e del fatto di aver invece preteso da Davos una rinuncia – per quanto piccola – che lei non ha neppure preso in considerazione di dover fare.

E a Davos questo, inutile dirlo, non piace per niente. Particolarmente azzeccata, a questo proposito, la frecciatina che le rivolge: “Cos’è che facevi da piccola? Dare fuoco alle cose?”
È ironica e pungente, non tanto da risultare sgarbata ma abbastanza da palesare ancora meglio la propria irritazione. Oh, e ovviamente c’è anche quel principio di scontro verbale che sarà importantissimo per l’evoluzione del rapporto di questi due personaggi.

Invece non mi ha convinta tutta la riflessione sulla piromania legata ai serial killer. O meglio, poteva anche starci un piccolo accenno, – ad esempio il fatto che la piromania in età infantile è uno dei segni rivelatori di un possibile serial killer – ma tutto quel discorso specifico sui criminologi e i loro studi mi è sembrato poco adatto al personaggio. Soprattutto perché non ci viene spiegato perché mai abbia tali conoscenze – l’aveva sentito al telegiornale il giorno prima? Gliene aveva parlato qualcuno per qualche motivo? Si era informato in seguito ad uno specifico avvenimento accaduto a lui o a qualcuno di sua conoscenza? – e Davos non dà l’impressione di essere una persona che per semplice cultura personale conosce gli studi di criminologia…

D’altro canto la risposta di Melisandre è perfettamente coerente col suo personaggio, con quel sorrisetto indulgente che lascia trapelare il suo divertimento per l’irritazione del suo collega. E, ovviamente, anche il discorso successivo sul fuoco e sulla paura del buio calza a pennello con la sua caratterizzazione.
Forse è stato un po’ un azzardo citare esplicitamente il motto “la notte è oscura e piena di terrori” in un contesto moderno, ma devo ammettere che è un azzardo riuscito perché non stona affatto: il discorso si è andato pian piano tingendo di una sfumatura più cupa e misteriosa e Melisandre non risulta per nulla forzata o innaturale nel pronunciare parole del genere.
Inoltre, ad aggiungere verosimiglianza c’è il fatto che, comunque, Davos si rende conto che un discorso del genere è piuttosto strano, ma dopo averci pensato su si accorge che lei non sta affatto scherzando.
Mi piace anche che queste parole, unite al fuoco delle candele e all’atteggiamento generale di Melisandre lo spingano a paragonare il tutto ad un sortilegio: non solo richiama il canon, ma è anche decisamente plausibile che un uomo semplice e concreto come Davos guardi a qualcosa di così lontano dalla sua realtà con quel sospetto che è storicamente associato al misticismo e alla stregoneria.

La frase con cui se ne esce subito dopo è assolutamente fuori contesto e proprio per questo assolutamente credibile: rende perfettamente l’idea di come Davos abbia detto la primissima cosa “innocua” che gli passasse per la mente solo per togliersi d’impiccio e spezzare quella strana atmosfera. Inoltre, anche qui, possiamo apprezzare il richiamo al canon con questo accenno all’analfabetismo di Davos in GoT.


Il terzo velo si apre con la rabbia di Davos. Rabbia, questa volta, giustificata da ben più di un’antipatia “a pelle”: è il profondo affetto che nutre per Shireen a muovere questa rabbia, ed è naturale che sia così, e che Davos si infuri con Melisandre per la sua idea di sfruttare quella bambina “dandola in pasto ai media” solo per avere più voti.

La freddezza pragmatica con cui Melisandre ribatte è anch’essa fedele al suo personaggio: lei non ha nulla contro Shireen né tantomeno le importa qualcosa di lei, la sua è semplicemente un’idea – scaltra, per quanto insensibile – per controbilanciare i voti che Renly riesce ad ottenere mettendo in mostra le discriminazioni subite per la sua omosessualità. È il suo lavoro, dopotutto, ed è stata assunta anche e soprattutto per la sua capacità di mirare alla vittoria a prescindere dai mezzi utilizzati per ottenerla (o almeno è questo che ci vuol far credere).
Per questo sminuisce con noncuranza l’invettiva di Davos: dopotutto, come dice lei stessa, non sta mica proponendo di bruciarla viva [adoro questa citazione, ma ci torneremo dopo], solo di usare la sua triste storia a vantaggio di suo padre.

Mi ha colpito molto, inoltre, la cieca fiducia di Davos in Stannis che qui si dimostra nell’assoluta sicurezza che “Stannis non approverà mai una simile idea”. Mi ha colpito perché Davos fa il suo lavoro con passione e devozione, e se ha seguito fedelmente Stannis per tutti questi anni non è per lo stipendio ma per una sincera ammirazione per lui e per ciò che rappresenta. Ed è per questo che le parole di Melisandre fanno ancora più male.

Infatti, di fronte all’ennesima offesa contrapposta all’elogio del loro capo, Melisandre lascia cadere la maschera fredda ma politicamente corretta e se ne esce con un paio di frecciatine tanto velenose da essere quasi letali, soprattutto perché basate sulla verità.
Possiamo quindi intuire che Melisandre è ben consapevole dei lati oscuri di Stannis, e mentre Davos finge di non vederli lei invece li accetta con naturalezza: anche qui, vediamo come Melisandre si dimostri superiore a cose come affetti o giudizi, mirando sempre a un qualcosa di più grande e più importante.

L’iniziale non-reazione di Davos alle accuse di Melisandre a Stannis – sulla sua infedeltà o sul suo essere un cattivo padre – rende chiaro, come dicevo, che anche Davos ne era a conoscenza. È molto interessante, però, che continui a ignorare tali difetti e fingere che non esistano, scegliendo invece di scagliarsi nuovamente contro Melisandre quando lei insiste su questo fronte perché è molto più facile credere che lei lo stia plagiando piuttosto che ammettere che il suo idolo abbia dei lati oscuri.
È un atteggiamento forse un po’ immaturo, il suo, ma lo trovo molto calzante col personaggio di Davos e con quella che – fino ad ora – è sempre stata la sua visione del mondo: bianco o nero, giusto o sbagliato, buono o cattivo.
Questo Davos è un uomo che non accetta l’esistenza delle sfumature, quindi è naturale per lui rifiutare la verità e addossare ogni colpa sulla nuova arrivata che, oltre che stargli antipatica a pelle, di certo non fa nulla per farsi benvolere da lui.

Altrettanto plausibile però risulta lo sfogo successivo, quando Davos – stanco di sentire verità scomode – cerca in tutti i modi di farla smettere di parlare, arrivando ad afferrarle malamente il polso. È un gesto quasi violento che si discosta totalmente dalla sua personalità, ma non è OOC proprio perché è stata una reazione dettata dalla rabbia e subito dopo che se ne rende conto – o meglio, dopo che Melisandre glielo fa notare – torna sui propri passi e addirittura se ne vergogna.
Mi è piaciuta molto questa cosa, perché nonostante continui ad essere arrabbiato con Melisandre – come afferma lui stesso – Davos è un uomo buono e qui vediamo che è ben consapevole di aver commesso un errore. Mi è piaciuto perché non cerca di giustificare il proprio gesto con un banale “sì ma lei mi ha provocato”, come forse avrebbero fatto altri, ma soprattutto mi è piaciuto perché allo stesso tempo il proprio errore nella sua testa non sminuisce quelli di Melisandre nei suoi confronti.
È evidente che per lui due torti non si annullano a vicenda, e questa è una verità troppo sottovalutata a mio parere.


Il gongolare di Melisandre, all’inizio del quarto velo, risulta estremamente naturale – per quanto forse irritante – perché sappiamo bene come le piaccia spiazzare tutti, sia nemici che alleati. Possiamo inoltre leggere tra le righe che non aveva fatto parola con Davos dei suoi nuovi piani per supportare Stannis, e questo suo mantenere il mistero fino all’ultimo secondo è un altro dei suoi tratti più caratteristici.

E Davos, infatti, è suo malgrado sorpreso dell’assenza di Shireen, soprattutto dopo la sua ultima discussione con Melisandre. Trovo verosimile, anche se forse un po’ ingenuo, il suo credere di essere in parte responsabile di questo cambiamento… anche se lui stesso tiene a freno i propri sentimenti ricordandosi che, se Melisandre non avesse trovato un’alternativa altrettanto vantaggiosa, avrebbe proseguito per quella strada senza guardare in faccia a nessuno.
Nonostante cerchi di fare l’indifferente Davos è rimasto comunque molto colpito da questa scelta di Melisandre, e giustamente cerca di indagare più a fondo sull’opzione che infine ha salvato Shireen dall’essere data in pasto ai media.

La spiegazione di Melisandre è permeata da una quieta ma inequivocabile soddisfazione, e la malizia che traspare dalle sue parole ben si sposa con i gesti sicuri con cui si avvicina a Davos: è una donna intelligente e consapevole del proprio fascino e sa bene che quello è il momento migliore per colpire le difese già indebolite di Davos… e infatti riesce senza difficoltà a notare che lui non resta indifferente.

Qui mi è piaciuto molto il comportamento di Davos: c’è uno squisito contrasto tra ciò che pensa la sua testa – che disapprova il comportamento di Melisandre e il suo essere senza scrupoli – e ciò che invece “pensa” il suo corpo, che ne è innegabilmente attratto. È bello anche che lui stesso se ne renda ben conto, e questo gli fa onore perché non è qualcosa di facile da ammettere anche per un uomo onesto e schietto come lui.
In sua difesa, però, c’è da sottolineare che l’aver saputo che Melisandre ha infine scelto di non coinvolgere Shireen nei suoi piani ha giocato un ruolo fondamentale in questa sua resa: non è stata solo una questione di ormoni e di “ragionare col bassoventre”, cosa che sarebbe risultata forzata per il personaggio di Davos, ma tutto un insieme di circostanze che lo hanno portato a cadere vittima dell’incantesimo di questa novella Circe.


La tensione delle settimane successive a quel momento è assolutamente plausibile, soprattutto da parte di Davos che si è visto smascherato: non solo si è reso conto in prima persona di essere attratto da Melisandre, ma è anche evidente che lei stessa ne fosse al corrente.
Sono un po’ dubbiosa invece per quanto riguarda proprio Melisandre: da parte sua non so quanto sia verosimile questo tipo di tensione, perché non si è mai realmente esposta con Davos; ci ha flirtato un po’, vero, ma è stato più che altro un modo per scoprire le sue carte più che per svelare le proprie.
D’altro canto, come ha ipotizzato Davos, può benissimo essere che la sua decisione di non coinvolgere Shireen sia stata realmente influenzata dalla volontà di dimostrare a Davos di non essere un mostro, e magari Melisandre si è resa conto di essere stata toccata dalle sue parole più di quanto avesse voluto.
Non sono convinta che questo basti a renderla tesa nei suoi rapporti con Davos, ma mi piace che venga specificato che lei “sapeva di essere in vantaggio” e che quindi è in qualche modo più tranquilla rispetto a Davos.

Davos che, invece, dal momento che si è reso conto di essere stato scoperto cerca in tutti i modi di evitare di essere provocato di nuovo evitando direttamente qualsiasi contatto con Melisandre, per quanto gli è possibile. È un atteggiamento che può sembrare da codardi e Davos di certo non lo è… tuttavia è comunque un uomo prudente, e inoltre è consapevole dei propri limiti: per questo, credo che il suo più che il gesto di un codardo sia semplice istinto di conservazione.

Istinto che, tuttavia, non riesce a tenerlo lontano per sempre dal suo oggetto del desiderio.
Mi è molto piaciuto il fatto che Davos si sia avvicinato a Melisandre, dopo averla evitata tanto a lungo, proprio in un momento particolare come quello (la sera prima dei risultati delle elezioni), in cui la trova da sola con una bottiglia di vino circondata dalle candele accese. È come se in tutto questo tempo avesse cercato una qualche scusa per avvicinarla di nuovo, e avesse colto al volo la curiosità di quella strana situazione per mettere a tacere quella campanella d’allarme che probabilmente gli risuonava in testa e farsi avanti.

Anche l’atteggiamento di Melisandre mi è sembrato naturale e calzante col personaggio, nonostante si tratti di una sfumatura di lei piuttosto rara da trovare e decifrare: l’insicurezza.
Melisandre non sa come andranno quelle elezioni, ed è preoccupata non solo perché ha lavorato sodo ma anche perché ci tiene moltissimo… eppure, proprio per questo, finge indifferenza come sempre: la sua paura le impedisce di lasciare l’ufficio ma il suo orgoglio le vieta di rivelare il vero motivo.

Eppure, in qualche modo, a Davos il suo non detto pare bastare. Forse perché in quelle settimane in cui si è impegnato tanto ad evitarla ha anche imparato a conoscerla, forse perché è più intuitivo di quanto voglia far credere… sia quel che sia, capisce che c’è qualcosa di più dietro.
Cosa non lo sa, ovviamente, ma per la prima volta da quando la conosce sceglie di mettersi davvero in gioco: avrebbe la possibilità di andarsene senza neppure inventare una scusa, dato che realmente ha un impegno, e invece sceglie di rimanere.
Non solo, ma lo fa fingendo di aggrapparsi alla stessa motivazione che ha addotto Melisandre per giustificare la sua presenza in ufficio a quell’ora tarda, quando ormai non c’è più nessun altro.
E quel “neanch’io ho qualcuno da cui tornare” è tanto semplice quanto ricco di una profondità senza precedenti, perché per la prima volta Davos ammette senza esservi costretto di avere un qualche legame con Melisandre, e invece di esserne impaurito lo accoglie con naturalezza e ne fa lo spunto perfetto per iniziare una conversazione che fino ad allora aveva sempre evitato.
Inoltre, forse è proprio la consapevolezza di aver trovato qualcosa in comune – oltre al lavoro – ad aver aiutato Davos a prendere questa decisione: quella mesta sofferenza che traspare da una frase così semplice implica una solitudine a cui è purtroppo abituato, e scoprire che, forse, anche Melisandre ne soffre deve essere stato un input non indifferente.

Ho adorato il genuino stupore di Melisandre quando Davos prende una sedia e si siede davanti alla sua scrivania, perché sottolinea ancora meglio la stranezza di un gesto del genere da parte di un uomo con cui aveva un rapporto decisamente teso e allo stesso tempo rivela il suo stupore nel sentirsi smascherata: si capisce che lei aveva sinceramente creduto di essere stata una brava bugiarda e di aver lasciato intendere di essere lì da sola con lo scopo di rimanerci e aspettare tranquilla i risultati… e invece quell’uomo che fino a ieri cercava in ogni modo di ignorarla pare aver scoperto il suo bluff.
E, infatti, sentendosi improvvisamente vulnerabile Melisandre reagisce inizialmente quasi attaccando Davos con quel brusco “Che diavolo pensi di fare?” che per la prima volta lascia intravedere una crepa nella maschera ha sempre indossato.

Credo che lo stupore di Melisandre abbia avuto anche l’effetto di rendere Davos più sicuro di sé: per la prima volta è lui quello in vantaggio, e questo lo sprona a procedere su quel sentiero insidioso tirando fuori le sue amate cipolle e osando addirittura proporre alla collega di condividerle… insieme al vino che ha lei, ovviamente.
Questa sua inedita sicurezza pare essere piuttosto gradita a Melisandre, abituata da sempre ad essere lei a fare la prima mossa – o così lascia supporre.
E tuttavia non è nelle sue corde rimanere impassibile di fronte a delle avance, e subito reagisce “contrattaccando” con una delle sue frecciatine maliziose.
Il tono però adesso è giocoso, e anche questa sua neanche tanto velata insinuazione ad un appuntamento galante non viene recepita da Davos come una minaccia, al contrario: è una provocazione che lo diverte e forse lo lusinga anche, tanto da osare ancora di più e spingerlo a provocarla a sua volta.

Questo loro scambio di battute rivela un passaggio chiave nel loro rapporto: non c’è più una preda e un predatore, ma due persone consapevoli della reciproca attrazione che si stuzzicano per il puro piacere di farlo.

Il velo si chiude con un Davos che, finalmente libero dalle catene autoimposte che lo tenevano alla larga da Melisandre, gioca con lei prendendola forse affettuosamente in giro, citando quella sua frase misteriosa che tanto lo aveva turbato al loro primo incontro.
La sua è una mossa audace e inaspettata e la citazione non sfugge a Melisandre che, dimostrando un’autoironia decisamente inedita, scoppia a ridere di vero cuore.

E questo lato umano che mai aveva lasciato trapelare, ammalia Davos ancor più di quello magnetico e misterioso e suadente che lo avevano attirato in principio: Melisandre è ancora tutto quello, ovviamente, ma – come sospettava – è anche molto, molto di più.


La cosa più interessante di questo sesto velo è stata il confronto tra le due reazioni simili eppure diametralmente opposte dei due protagonisti alla notizia della sconfitta di Stannis.

Entrambi sono delusi perché entrambi avevano ovviamente sperato il contrario, ma mentre Davos accetta la notizia con amareggiata rassegnazione Melisandre ne viene totalmente sopraffatta.

Se contrapposto alla reazione di Melisandre, Davos sembra quasi restare indifferente alla notizia, anche se sappiamo che non è così. Devo dire che mi è piaciuto molto questo suo atteggiamento così composto, perché credo ben si sposi con la sua personalità: Davos è un uomo pragmatico e razionale, e pur stimando Stannis riesce ad ammettere senza difficoltà che forse “non era il cavallo giusto su cui puntare” e che “il rischio era preventivato”.

Per Melisandre, invece, è diverso. Ho trovato estremamente realistico il suo ostentare una completa indifferenza alla notizia, soprattutto perché quell’espressione apatica dietro cui si nasconde rende chiaro fin da subito che in lei c’è qualcosa che non va. E questo, in effetti, è esattamente quel che succede quando una persona orgogliosa come lo è lei subisce un duro colpo: vuol fingere indifferenza per non mostrare di essere stata ferita, ma nonostante solitamente riesca a recitare così bene da ingannare – quasi – tutti la cosa più simile a una forma di difesa che riesce a mettere in atto in un momento del genere è un’espressione neutra. È come se stesse impiegando così tante energie nel non crollare che, davvero, non riesce a fare più di così.

Anche il fatto che Davos cerchi a modo suo di consolarla è realistico: dal suo punto di vista sono entrambi sulla stessa barca, dato che entrambi sostenevano Stannis e quindi entrambi ci sono rimasti male alla notizia della sua sconfitta, per questo di primo acchito la reazione di Melisandre gli sembra probabilmente eccessiva.

Eppure, nonostante non riesca a comprenderla – non ancora – non pensa nulla di negativo di lei neppure per un istante, ed è un pregio così raro da meritare di essere ben sottolineato. Perché pur non capendo i suoi sentimenti lui li rispetta, esattamente come ha iniziato a rispettare lei.

Ed è verosimile anche che alla fine Melisandre crolli e butti fuori quel che pensa, anche se in piccola parte. Perché se possiamo capire che le intenzioni di Davos sono buone, capiamo anche che il dolore di Melisandre è sincero e profondo e probabilmente sentirsi dire che dopotutto “era solo una campagna” deve essere stato come rigirare il coltello in quella ferita fin troppo fresca.

Per questo mi ha stupito che non sia sbottata, ma abbia esposto i suoi pensieri con compostezza – soprattutto dopo che Davos ha affermato di poterla capire, mentre invece non era affatto così.
È vero che Melisandre possiede un autocontrollo ben più alto della media e che inoltre è talmente orgogliosa da imporre a se stessa un ulteriore contegno… tuttavia, proprio per la profondità del dolore e della delusione che sta provando in quel momento, mi sarei aspettata una reazione più accesa. Anche poco, anche solo nelle prime battute per poi tornare sui propri passi e riaffrettarsi a indossare di nuovo la maschera.

Tuttavia, mi piace il fatto che, mentre parla e mette a nudo i propri reali pensieri, la voce le si incrini – ma solo leggermente – e la schiena sia scossa da brividi, a dimostrazione concreta dell’enorme marea che la sta travolgendo.

Il discorso che fa a Davos sul “politico che era stato promesso” sembra totalmente fuori contesto in un’ambientazione moderna e inizialmente stona un po’, ma il fatto che Davos stesso ne sottolinei la stranezza – per assurdo – lo rende più verosimile: sì, è strano, – sembra dire Davos – ma dopotutto Melisandre è sempre stata un po’ strana, con quel suo “modo di parlare enigmatico e quella sorta di fanatismo” che molte volte lo ha confuso, quindi paradossalmente sarebbe la “normalità” a risultare strana.

Allo stesso modo, l’excursus di Davos sulle cipolle sembra troppo filosofico per il personaggio pragmatico che è – come sottolinea la stessa Melisandre – ma invece, in seconda battuta, ci si rende conto che si adatta perfettamente al contesto e al tono della conversazione.

Il contenuto, neanche a dirlo, è assolutamente perfetto: Davos parte da qualcosa di semplice come delle cipolle per riuscire ad esprimere una concezione del mondo e delle persone molto più articolata di quella che potrebbe apparire in superficie.
Come dice lui stesso, le persone hanno molti strati, e se nel suo strato più esterno c’è un uomo semplice e concreto, andando più a fondo – togliendo qualche strato – troviamo qualcuno che è ben consapevole della complessità dell’animo umano, e proprio per questo impone a se stesso di non fermarsi all’apparenza lasciandosi guidare dai pregiudizi, ma di continuare ad indagare e immagazzinare informazioni.
E così, strato dopo strato, riuscire a vedere sempre un pezzetto in più.

È naturale che Melisandre sia rimasta meravigliata da questo discorso, secondo me, perché mentre il lettore è ben consapevole dei pensieri di Davos – e quindi delle sue numerose sfaccettature – lei ha sempre visto solo il lato che Davos ha voluto mostrarle.
Ed è ironico pensare che proprio Davos, che indagava con tanto interesse su Melisandre e si chiedeva quanti strati ancora stesse nascondendo, proprio lui celava i propri senza accorgersene, e con tale impegno che – a differenza sua – Melisandre ha fatto molta più fatica a vedere oltre la superficie.

Ma comunque alla fine non ha davvero importanza, perché finalmente entrambi hanno abbattuto i muri che li tenevano lontani e si sono messi in gioco.

È Melisandre quella che al termine di questo velo si lascia andare e scoppia a piangere, ma secondo me entrambi, in questo abbraccio, sono fragili come cristalli: puri e trasparenti, senza più nessuna maschera a proteggere il loro vero Io.


Con l’inizio del settimo velo vediamo che Melisandre è ormai tornata padrona di sé: è sempre innegabilmente triste, certo, ma ormai sembra aver accettato l’inevitabile e ha iniziato a mettere via le sue cose.

Mi ha colpito la premura di Davos di chiedere il permesso per entrare nel loro ufficio. Non è qualcosa di affettato o ironico come potrebbe sembrare ad un primo veloce sguardo, ma invece è una cortesia sincera e disinteressata. Nonostante si siano avvicinati molto, infatti, Davos – essendo consapevole dei sentimenti di Melisandre riguardo a tutta questa situazione – non dà per scontato di essere una presenza gradita, per lei, ma invece avverte del proprio arrivo per darle almeno il tempo di ricomporsi se fosse necessario.
O almeno, io l’ho vista così.

Ho trovato molto naturale la reazione di Melisandre alla notizia del nuovo lavoro di Davos e del suo conseguente trasferimento: è inizialmente delusa e questo ci lascia capire che anche dal suo punto di vista si erano avvicinati molto e avevano iniziato a legare e forse – forse – aveva sperato in qualcosa di più… ma Melisandre è sopra a ogni cosa una donna estremamente orgogliosa, e quindi è ovvio che celi subito la delusione dietro un sorriso e si congratuli con Davos per la bella notizia.

Cerca anche di scherzarci su, altra cosa coerente con lo sviluppo che in questa storia ha avuto il suo personaggio, ma la cosa interessante è che Davos, invece, non raccoglie la provocazione come aveva iniziato a fare negli ultimi tempi.
Non che questo sia strano, in effetti, perché si capisce che la sua testa è talmente assorbita da ciò che vuol chiedere che tutti i suoi sforzi sono concentrati sul mantenere la calma e andare fino in fondo a quella strada che ha deciso di intraprendere – possibilmente senza pensare a cose come “mi sto rendendo ridicolo” e “ma chi voglio prendere in giro a lei non interesso”.

La non-reazione di Melisandre alla sua proposta – o meglio, alla notizia che presto riceverà una proposta di lavoro da Jon – sembra confermare tutte le sue paure inespresse, e mi ha fatto tenerezza vedere il povero Davos cercare di scusarsi per quello che aveva ritenuto un gesto gentile ma che a quanto pare è stato solo l’ennesimo sbaglio.

Una nota di merito va secondo me al modo in cui si giustifica. Perché anche se forse una buona parte di lui spera che accetti per averla ancora accanto a sé, vediamo che si è sforzato sinceramente di comprendere le sue motivazioni e la sua causa. Quella “sorta di fanatismo” con cui Melisandre seguiva Stannis è qualcosa che ancora gli è estraneo, eppure vediamo tutta la sua onestà nel presentarle Jon con le sue stesse parole: il politico che era stato promesso.

E credo che in buona parte sia stato proprio questo suo evidente sforzo a far cedere Melisandre: quel bacio non era un banale ringraziamento per averle trovato un nuovo lavoro, ma dettato dalla sua gioia e riconoscenza per quell’uomo così diverso da lei che nonostante questo è riuscito a vincere i suoi inziali pregiudizi e lei si è spinto tanto vicino da iniziare a comprenderla… o almeno ci sta provando, ci sta provando sul serio.

Ultimo ma non ultimo, ho adorato l’improvviso ritorno a quel suo atteggiamento seduttore che l’ha contraddistinta per tutta la storia e che tuttavia, adesso, appare completamente diverso.

Probabilmente perché, ormai, giocano entrambi a carte scoperte, e quello che inizialmente era un modo per dimostrare la propria superiorità adesso è semplicemente l’espressione concreta di quel qualcosa ancora agli inizi che promette di crescere sempre di più e di cui sia lei che Davos sono ben consapevoli.



Stile e trama:
Prima di iniziare, ci sono alcuni errori/refusi che volevo farti notare:
- La prima volta che se l’era vista comparire davanti – in carne e ossa, nel suo ufficio – scoprì immediatamente […] --> I tempi devono concordare, quindi utilizza il trapassato prossimo oppure il passato remoto per entrambi.
- “Ha solo 8 anni, se non te ne sei accorta![…] --> In un’opera narrativa i numeri (fatta eccezione per date, indirizzi e numeri cardinali come “stanza 501”) devono essere sempre scritti in lettere.
- […] la carta delle discriminazioni subìte in gioventù […] --> Con la sola eccezione delle parole tronche (così, perché, subì ecc.), in italiano l’accento non è necessario che sia espresso graficamente. In realtà, segnalare graficamente l’accento in mezzo alla parola è una scelta talmente desueta che spesso viene proprio considerata errore.
- Non abbastanza da farle male, ma sufficientemente per mostrargli la sua immunità a quei tentativi. --> Mostrare a lei (Melisandre): “mostrarle”.
- Perché si ritrovo a pensare che lei era meravigliosa. --> Manca l’accento: “ritrovò”.
- “Melisandre!” la chiamó per attirare la sua intenzione. --> Il tipo di accento è sbagliato: “chiamò”.
- Ho inoltre notato che dopo i puntini di sospensione utilizzi sempre la lettera maiuscola, mentre non occorre: i puntini di sospensione sono un segno di punteggiatura semi-forte, quindi dopo di essi è necessaria la maiuscola se e solo se sono utilizzati per concludere il periodo.

Passando alla valutazione vera e propria, lo stile di questa storia è fresco e scorrevole, ricco di un lessico variegato che pur essendo talvolta più ricercato non è mai tanto elevato da stridere con il contesto. Ho molto apprezzato anche la differente struttura dei vari periodi, a volte brevi altre piuttosto lunghi. In particolare, questi ultimi sono ben strutturati e si avvalgono della giusta punteggiatura (soprattutto virgola, punto e virgola e trattino) per consentire di mantenere un buon ritmo di lettura ed evitare il fastidioso “effetto elenco”.

Altra cosa che mi è piaciuta è stata la ricchezza di dialoghi e, soprattutto, la cura con cui essi sono stati strutturati sia per lessico che per sintassi: in particolare, ogni battuta di Melisandre sembra essere pronunciata proprio dalle sue labbra tanto hai imitato bene il suo modo di esprimersi.
Ovviamente anche le frasi di Davos sono coerenti col personaggio, anche se risaltano meno (ma tutto risalterebbe meno confrontato con la teatralità di Melisandre), e lo stesso narratore selettivo si accorda a questo suo modo di fare, parlare e pensare.

I numerosi rimandi al canon sono la terza chicca che – secondo il mio modesto parere – ha aggiunto notevole valore alla storia: non solo sono davvero molti, ma sei riuscita ad incastrarli perfettamente in questo nuovo contesto da te creato tanto da non risultare mai forzati.
E così, durante la lettura, ci troviamo a sorridere sotto i baffi per rimandi palesemente eclatanti come le cipolle del buon Davos o il fuoco di Melisandre, ma abbiamo anche l’accenno all’analfabetismo di Davos (“mi chiedevo sempre perché diavolo notte si scrivesse con due t”) al rogo della piccola Shireen (ok, questo in effetti non fa sorridere), al cervo in legno che Davos intaglia con lei; e poi ancora Stannis che tradisce la moglie depressa, la candidatura di Renly contro Stannis, quella di Thorne contro Jon… mi fermo qui perché credo di aver reso bene l’idea, ma sono sicura che potrei continuare ancora a lungo.

Ultimo ma non ultimo, trovo l’ambientazione assolutamente perfetta: passiamo dal gioco del trono e il suo contesto medievaleggiante al suo esatto corrispettivo moderno, quello delle elezioni politiche.

Ma torniamo un momento indietro e ripartiamo dall’inizio, altrimenti rischio di perdermi per strada le cose che vorrei dire.


Ho trovato interessante come hai gestito il primo velo, con questo “doppio primo incontro” tra i due protagonisti: quello “a senso unico”, in cui Davos vede un’immagine di Melisandre su una rivista, e quello in cui invece si incontrano di persona.

Non ricordo se nel canon Davos avesse già sentito parlare di Melisandre o soltanto della religione di R’hllor, in ogni caso mi è piaciuto che il tono generale dell’incontro sia stato non precisamente positivo.
Certo, qui Davos è un politico e non un contrabbandiere e riesce a controllarsi tanto da non dimostrare apertamente la propria ostilità, ma in ogni caso rimane quel senso di fastidio dato dall’improvvisa invasione del suo campo e dei suoi spazi personali. Dopotutto, come dice lui stesso, Davos ha seguito fedelmente Stannis per anni, e adesso invece il suo capo è talmente invaghito di questa femme fatale da lasciarle persino più libertà e potere decisionale di quanto ne abbia Davos stesso.

Come ti ho già detto mi è piaciuto il rimando al canon con le cipolle, tuttavia mi lascia perplessa che per Davos il “solito pranzo” sia un sacchetto di cipolle fritte del McDonald: non mi sembra molto plausibile, soprattutto per un uomo adulto, e avrei forse preferito che fosse stato presentato come uno spuntino, una specie di guilty pleasure da concedersi di tanto in tanto.

Per quanto riguarda Melisandre, la sua entrata in scena è deliziosamente fastidiosa, con quella sua blanda arroganza che la contraddistingue anche nel canon, e ho apprezzato particolarmente il dettaglio dei guanti rossi che spiccano per la loro peculiarità in un contesto moderno.

Anche il modo in cui invade lo spazio personale di Davos per prendere uno dei suoi anelli di cipolla è carino, ma qui – come ti ho già accennato – ho trovato superfluo rimarcare “come se fosse una specie di atto di seduzione”: hai descritto molto bene la lascivia lentezza con cui compie quel gesto, era sottinteso che ci fosse un intento seduttivo e secondo me avrebbe anzi avuto più impatto se fosse rimasto seminascosto tra le righe.

Ultimo ma non ultimo, ho trovato particolarmente azzeccato il paragone con cui si chiude il velo, tra Melisandre e la scrivania che Davos si vede installare nel proprio ufficio, perché sembra quasi la dimostrazione concreta di ciò che Davos sta provando dentro di sé.


Con l’apertura del secondo velo, ritroviamo Davos che si impegna a controllare le proprie reazioni, eppur tuttavia non riesce a fare a meno di trovare estremamente irritante quella sua nuova collega – irritazione che, nonostante la sua buona volontà, traspare dalle sue parole apparentemente cortesi.

Melisandre giocherella col fuoco in un modo che ricorda da vicino il canon ma che al contempo è perfettamente plausibile nel mondo in cui questa storia è ambientata: sarebbe stato assurdo se avesse ad esempio infilato una mano in mezzo alle fiamme e non si fosse scottata, mentre invece passare la punta del dito sopra una fiamma è qualcosa di blando e facilmente attuabile – per dire, io pure l’ho fatto qualche volta.

La frecciatina di Davos sulla possibile piromania di Melisandre mi ha fatto sorridere, e anche se non condivido l’eccessiva dovizia di particolari sugli studi di psicologia – come ti ho già detto – ho molto apprezzato questa piccola digressione.

E, tra l’altro… se ti dico che io e mio fratello ci divertivamo da pazzi a dar fuoco alle cose nel camino ti spaventi? xD

Ok torno seria, giuro… eccomi.

Davos sta indugiando chiedendosi se approfondire la questione o no, ma Melisandre interrompe i suoi pensieri con un’improvvisa confidenza che mi ha lasciato piacevolmente sorpresa: non solo dà la falsa impressione di essere una risposta alle silenziose – e maligne – insinuazioni di Davos, ma è anche un vero e proprio scorcio della sua vita così intimo da risultare quasi stonato in questo contesto. Quasi.
Perché l’atmosfera – complice il fuoco delle candele e l’atteggiamento di Melisandre – si è fatta strana, quasi mistica. E respirando quest’aria irreale, discorsi che solo cinque minuti prima sarebbero sembrati folli sono invece giustificati, e – anziché riderne come solitamente avrebbe fatto – Davos ne è suo malgrado impressionato.

Infranta quella bolla di misticismo con la banale considerazione di Davos tutto ritorna alla normalità, e mi piace che il velo si concluda con l’epiteto poco lusinghiero che Davos nella propria mente associa a Melisandre.
Forse sono io, ma ho visto nel suo definirla “una pazza” anche del risentimento legato al senso di inadeguatezza e, sì, forse anche di stupidità che lo ha colto quando si è reso conto di essere stato quasi ipnotizzato dalle sue parole. Lui, sempre così serio e razionale, si è lasciato coinvolgere così tanto da quegli strambi discorsi sul fuoco e la notte e il terrore del buio da avere l’impressione di trovarsi di fronte a un qualche sortilegio… e la cosa non gli è affatto piaciuta.


Il terzo velo inizia con una discussione piuttosto accesa, e la reazione di Davos alla notizia di ciò che Melisandre vuol fare a Shireen è, come già detto, molto azzeccata.
Tutto il loro dialogo è scorrevole e ben curato, e abbiamo un gran numero di rimandi al canon uno dietro all’altro.
Inizialmente, sono sincera, quel “non sto mica suggerendo di bruciarla su una pira” un po’ mi stonava: ok strizzare l’occhio al lettore, ma sembrava fuori contesto in un’ambientazione come questa. Tuttavia, l’ho letta e riletta molte volte, e alla fine mi sono convinta che, pur essendo un qualcosa di decisamente sopra le righe, tuttavia ben si accordava in generale con il modo di parlare di Melisandre.

Una delle citazioni che preferisco viene proprio dalla bocca di Melisandre, ovvero “La politica è un gioco crudele in cui bisogna utilizzare ogni mezzo a nostra disposizione per vincere.”
Mi piace perché racchiude perfettamente tutta l’essenza stessa di Game of Thrones rapportandola in un contesto che è il suo esatto specchio nel nostro mondo, ovvero proprio la politica e le sue elezioni.

Un piccolo appunto tecnico prima di passare la resto del dialogo:
- “Beh, ti darò adesso una grande sorpresa: […] --> una sorpresa si “fa”, non si dà; sarebbe più corretto dire “ti darò una grande notizia”.

Puntigliosità a parte, ho apprezzato il fatto che dalle parole di Melisandre traspaiano notizie su Stannis che però non vengono approfondite. Magari è un controsenso, me ne rendo conto, ma mentre l’accennare ai difetti di Stannis – al suo tradire la moglie e al suo essere un pessimo padre – serviva a Melisandre per mettere a tacere Davos e le sue insinuazioni sul fatto che fosse lei quella cattiva, aggiungere dettagli sarebbe servito solo a rigirare il coltello nella piaga e, anziché giovare alla sua causa, sarebbe stato anzi controproducente.

È vero che rimangono dei dubbi a proposito – Stannis tradiva la moglie con Melisandre come nel canon o con qualcun’altra? E che malattia ha Shireen? Perché Stannis non la vede mai? – ma sono quei dubbi buoni, che ti lasciano quietamente insoddisfatto facendoti intravedere tutto un mondo dalla finestra aperta, consapevole che non è compito di questa storia fartela attraversare.

In questo dialogo c’è di nuovo un passaggio che sottolinea che Melisandre sta “sfoggiando le sue consuete doti seduttive”, cosa secondo me superflua da rimarcare perché già ben visibile. Tuttavia in questo caso mi piace che ci sia subito dopo il confronto tra quello che lei pensava di fare e quello che è stato invece l’effetto ottenuto: Davos, anziché esserne sedotto, è ancor più irritato dal suo atteggiamento.

Al termine di questo terzo velo c’è un’ulteriore evoluzione del rapporto tra Davos e Melisandre, ma non è affatto positiva. Come ti ho già detto, mi è piaciuto come hai interpretato le direttive del contest perché questo loro rapporto non sarebbe stato reso a dovere se non avesse attraversato anche delle fasi conflittuali; e infatti, prima di una risalita verso il positivo, abbiamo un iniziale fastidio che sfocia in una vera e propria rabbia.
Coerente coi personaggi, e oltretutto particolarmente intrigante per la trama.


Col quarto velo abbiamo infine il risultato della strategia di Melisandre per appoggiare Davos e la sua campagna elettorale.
Ho trovato azzeccata la scelta di iniziare il paragrafo con la fine del servizio, perché raccontarlo nei dettagli sarebbe risultato pesante per la storia. Invece, sottolinearne solo gli aspetti salienti – come lo scroscio di applausi con cui si conclude e le numerose personalità di spicco rigorosamente maschili – lo rende abbastanza concreto da essere verosimile ma non troppo puntiglioso.
Questo, oltre che rendere la lettura più scorrevole, ha evitato anche il rischio di incorrere in eventuali errori sulla reale struttura di questi eventi (a meno che tu non li organizzi di mestiere e/o abbia fatto ricerche in proposito per studiarli, in qual caso è servito solo allo stile).

Voglio prendermi qualche momento per farti i complimenti per la scelta della città: non conoscevo Mission Viejo, ma cercandola ho visto che si tratta di una città californiana sulla costa… che guarda caso ricorda molto da vicino la struttura di Approdo del Re.
È una cosa da poco apparentemente, ma è anche da queste piccole cose che si nota la cura dei particolari e lo apprezzo sempre molto.

Come dicevo, ho apprezzato il fatto di non descrivere minuziosamente né il servizio né la strategia politica di Melisandre… ma questo ha comportato un problema a posteriori: il lettore non era a conoscenza di quale fosse, questa strategia.
Hai ovviato alla cosa facendo esprimere a Davos questo stesso dubbio così da avere le giuste informazioni, e questo ha permesso di inserirle nella storia senza appesantirla; tuttavia, dato che – a differenza del lettore – Davos ha visto il servizio per intero logica vorrebbe che lui fosse già a conoscenza della strategia di Melisandre, quindi risulta un po’ forzato il fatto che abbia bisogno di ulteriori delucidazioni da parte sua.

È vero che questo discorso della strategia si lega a doppio filo con quello successivo che porta alle provocazioni di Melisandre e che quindi è importante per la trama, ma forse sarebbe stato più convincente se Davos, anziché chiedere spiegazioni, avesse semplicemente fatto le sue considerazioni sul fatto che quelle “personalità di spicco” sono tutte maschili e poi avesse tratto le debite conclusioni. O almeno, questo è il mio modesto parere.

Una delle cose che ho apprezzato di più di questo paragrafo è la reazione di Davos alle nuove provocazioni di Melisandre. Non tanto per la reazione in sé, ma perché viene spontaneo fare il confronto col paragrafo precedente: in entrambi i casi Melisandre si avvicina cercando di sedurlo, ma nel terzo velo scatena una reazione di rabbia, qui invece riesce nel suo intento.
Perché?
Beh, la risposta è tanto semplice quanto squisitamente profonda: nello scorso velo Davos aveva appena saputo che Melisandre voleva far del male (non fisico, ma sempre di male si tratta) a Shireen e questa sua insensibilità lo disgustava; qui, invece, ha scoperto che Melisandre ha rinunciato all’idea di coinvolgere Shireen optando per una strategia più innocua, dimostrandogli che in fondo non è un mostro come aveva pensato.
Davos, quindi, è sì attratto dal corpo di Melisandre, ma ciò che ha fatto pendere l’ago della bilancia da una parte o dell’altra – in entrambi i casi – è il suo aspetto interiore, più che quello esteriore.

E così, nella testa di Davos Melisandre passa da essere spietata a irresistibile.
Da qui, il loro rapporto inizia la sua lenta ma inesorabile risalita verso il lieto fine.


Con l’inizio del quinto velo abbiamo quello che credo sia il time-skip più ampio di tutta la storia. È una scelta che trovo azzeccata, perché con la fine dello scorso velo si ha un netto cambiamento nel rapporto tra i due protagonisti – o meglio, nella concezione che Davos ha di Melisandre – ed è lecito pensare che dopo una svolta così decisiva ci sia bisogno del tempo per assestare le cose prima di un’ulteriore passo avanti.

E, infatti, viene lasciato intendere che le cose tra i due sono rimaste fino ad ora in una situazione di stallo… soprattutto perché proprio Davos continua a mantenersi alla larga da Melisandre, nonostante questa continuasse a punzecchiarlo per provocare una sua reazione.

A questo proposito, sarebbe stato interessante sapere cosa mai ne pensasse Melisandre di quel comportamento di Davos: era delusa o amareggiata? Era divertita? Era semplicemente curiosa?
Tuttavia, queste domande fanno parte – per quanto mi riguarda – di quei dubbi “buoni” di cui ti ho già parlato: stimolano la curiosità del lettore che però è consapevole di non poter ricevere risposta per via del narratore selettivo, e quindi rimane intrigato e non amareggiato.

Una cosa che invece mi ha lasciata un po’ perplessa è la mancata spiegazione sul perché Melisandre, al contrario di Davos, non fosse stata invitata alla cena organizzata da Stannis. Va bene che Davos è un collaboratore di lunga data e Melisandre invece è arrivata da pochi mesi, tuttavia la formalità dell’abbigliamento di Davos lascia intendere che fosse una cena ufficiale e non un ritrovo tra amici e familiari, quindi sarebbe stato naturale invitare anche Melisandre in quanto membro attivo e importante del suo entourage per la campagna elettorale.
Capisco che per esigenza di trama doveva rimanere da sola in ufficio, ma avrei preferito che se ne facesse cenno, magari aggiungendo che Melisandre aveva deciso di non partecipare alla cena per motivi suoi.

Ho trovato perfetto il modo in cui si evolve questo velo: inizia con Davos che evita Melisandre e finisce con i due che cenano insieme a lume di candela (o quasi)… eppure il passaggio è così ben orchestrato che risulta estremamente naturale, come se non potesse essere altrimenti.

È come se questa improvvisa vulnerabilità di Melisandre fosse il segnale che Davos aspettava, quello che ha creato una breccia nel muro che li divideva e gli ha fatto capire che, se voleva avvicinarsi a lei, era “ora o mai più”.
Sì, è vero che nelle settimane precedenti Melisandre continuava a stuzzicarlo, ma era un gioco a cui Davos non si sentiva ancora pronto a giocare, mentre adesso… adesso le cose erano cambiate. E in meglio, stavolta.


Per contrapposizione al lungo salto temporale tra il quarto e il quinto velo, tra il quinto e il sesto sono trascorse appena poche ore: la cena è finita, i risultati sono arrivati e la delusione ha cancellato ogni sorta di maliziosa allegria che si era fatta largo nella stanza.

Ho già analizzato ampiamente entrambe le reazioni a questa notizia, ma restano comunque un paio di cose da dire.

Primo, che il parallelismo con il canon è palese e godibilissimo, nonostante le dovute differenze per mantenerlo plausibile, e ho adorato come hai saputo ricreare le stesse dinamiche in un contesto ben lontano dall’ambientazione di GoT: Davos – soprattutto nei libri, ma anche nella serie – ammette in più di un’occasione che Stannis non è certo il favorito per la vittoria, ma con lo stesso ardore ribadisce anche che lui lo seguirà fino in capo al mondo; Melisandre, invece, era assolutamente certa che fosse destinato alla vittoria ed è stato proprio questo a spingerla a seguirlo.

Secondo, ho letto tra le righe anche un ulteriore rimpianto che nel canon non è ben analizzato: con quel “non hai idea di quello che ho fatto per arrivare in questa posizione” sembra che Melisandre accenni al fatto che, al giorno d’oggi, è estremamente difficile per una donna raggiungere una posizione di rilievo in politica, molto più che per un uomo; per questo – anche per questo, oltre al già citato discorso del “politico che era stato promesso” – Davos non può capire, perché in quanto uomo non ha mai dovuto affrontare le discriminazioni cui probabilmente ha fatto fronte lei.
Un discorso troppo femminista? Non so, forse. Comunque lo trovo verosimile, e inoltre adoro l’idea che ci sia questa sfumatura nascosta… quindi mi va bene così.

Un minuscolo appunto solo perché sono una persona estremamente puntigliosa: durante il discorso finale, quello sulle cipolle, ad un certo momento il punto di vista del narratore scivola da quello di Davos a quello di Melisandre, analizzando per qualche riga i suoi pensieri (precisamente il pezzo “Non poteva negare di sentirsi incuriosita da quel discorso, non tanto per il significato in sé, ma perché svelava un modo di pensare per metafore che lei non si era aspettata da un uomo così pragmatico.
Forse lui aveva ragione, dopotutto: le persone erano un po' come le cipolle e, da quando si erano incontrati per la prima volta, anche lui aveva rivelato più di uno strato.”)
Ora, partendo dal presupposto che mi è piaciuto moltissimo leggerlo, devo però sottolineare che dal momento che il narratore della storia è sempre stato selettivo e ha sempre raccontato le vicende dal punto di vista di Davos, questo excursus nei pensieri di Melisandre sarebbe stato da evitare.

Il paragone che Davos fa tra le cipolle e le persone è davvero bellissimo, e mi piace che qualcosa di così importante sia stato ripreso anche nel titolo della storia.
La cosa che mi piace di più, però, è il messaggio che ho letto dietro a questo discorso, e soprattutto al motivo che ha spinto Davos a pronunciarlo. Perché è stato come se si fosse reso conto che, se voleva spingere Melisandre ad abbassare le proprie difese per lasciarsi avvicinare, doveva essere lui per primo ad abbassare le proprie.
E allora, per la prima volta da quando si conoscono, si apre davvero con lei, le mostra quello strato più interno che fino ad allora aveva tenuto ben nascosto… e infine, solo infine, la invita a fare lo stesso.
La invita a lasciarsi andare, come ha fatto lui, in una muta preghiera di permettergli di consolarla con la consapevolezza che le lacrime non sono una debolezza, ma solo la prova concreta di un’umanità che Melisandre tanto a lungo ha cercato di mascherare.


Ultimo piccolo balzo in avanti, ed è il momento di fare le valigie.
Si capisce che è passato davvero poco tempo dall’ultimo paragrafo, – e conseguentemente dalla notizia della sconfitta di Stannis – ma nonostante questo Davos ha già ricevuto un’altra proposta di lavoro.
Di primo acchito sembra un po’ troppo affrettato, ma riflettendoci ho capito che, invece non è affatto strano. Dopotutto fino a che Stannis era in gioco Davos non era “sul mercato”, diciamo, quindi possiamo presupporre che qualcuno magari lo stava già tenendo d’occhio, e abbia colto l’occasione della sconfitta di Stannis per averlo nel proprio entourage consapevole che adesso nulla avrebbe potuto impedirgli di accettare questo nuovo lavoro.

Il fatto che questo “qualcuno” sia Jon è l’ennesimo rimando al canon che delizia tanto il lettore, soprattutto se accoppiato al nome del suo oppositore e perfino alla città per cui si candida: Philadelphia… dove Davos “si farà piacere anche la neve”.
L’ho detto prima, ma mi ripeto: questi dettagli così curati mi rendono tanto, tanto felice quando leggo una storia.

Mi è anche piaciuto il punto in cui Davos afferma di aver parlato di Melisandre come “una donna capace di compiere miracoli”, ma forse hai calcato un po’ troppo la mano con quel “saresti capace di resuscitare l’intera campagna elettorale”: dopotutto il rimando alla resurrezione di Jon era sottinteso in quei fantomatici miracoli compiuti da Melisandre, aggiungere quest’ultimo pezzetto è risultato un po’ forzato e in contrasto col resto del discorso che invece è ben costruito e molto naturale.
Forse, secondo me, si sarebbe potuto evitare; soprattutto perché c’erano già moltissimi rimandi al canon e tutti inseriti magistralmente.

Tutto il dialogo e le azioni dei protagonisti sono ben descritti e verosimili, ma in particolare ho apprezzato il punto in cui Davos si rende conto della non-reazione di Melisandre: si percepisce distintamente il suo sorriso entusiasta farsi dapprima incerto per poi trasformarsi in un’espressione preoccupata, e il lettore lo segue a ruota passando da una quieta euforia alla perplessità.

E poi, ovviamente, ho amato alla follia il bacio.
Quel bacio tanto anelato che nonostante sapessi che si sarebbe presentato mi ha colto comunque di sorpresa… proprio come Davos, che – poverino – non fa neppure in tempo a rendersene bene conto che Melisandre si è già allontanata.

Ora che siamo praticamente alla fine, voglio prendermi del tempo per rivelarti quanto abbia apprezzato la grande importanza che è stata data al sorriso e alla risata in questa storia: sono una ferma sostenitrice del fatto che un sorriso può avere mille e più sfumature e io stessa ne faccio abbondante uso nelle mie storie, e ho adorato come hai saputo delineare l’evoluzione del sorriso di Melisandre di pari passo con l’evoluzione del suo rapporto con Davos.

Dulcis in fundo, la chiusura con Davos che tira le fila del suo rapporto con Melisandre è assolutamente perfetta: in tre semplici parole il lettore si trova a rivivere tutto d’un fiato l’intero racconto, per poi concluderlo con un sorriso soddisfatto sulle labbra.




Gradimento personale:
Ci sono moltissime cose che ho apprezzato di questa storia – come spero si sia capito – ma forse quella che mi è rimasta più impressa, insieme all’ottima caratterizzazione dei personaggi, è stata la scelta di concludere ogni velo con un aggettivo esemplificativo: sembra quasi espressione concreta del piccolo o grande salto che è stato compiuto all’interno del paragrafo nella relazione tra i due protagonisti, e la cosa più bella è che non risulta mai forzato, aiutando il lettore a rendersi ancor meglio conto dell’andamento della storia senza per questo essere invadente.



A presto!
rhys89
(Recensione modificata il 22/05/2020 - 04:54 pm)
Recensione alla storia Vino e Lussuria - 25/03/18, ore 13:03
Capitolo 1: Vino e Lussuria
[Recensione premio per il S.Valentine flash contest. Non proverò nemmeno a scusarmi per il ritardo, spero che almeno sia stata una sorpresa gradita…]
Ho scelto questa storia sia perché è l’ultima che hai pubblicato, e volevo darti un parere su qualcosa il più recente possibile… sia perché il comico e la poesia non sono affatto il mio genere, e quindi ero molto curiosa (anche perché nelle tue note dici che il comico è ciò in cui riesci meglio).
Che dire: ho fatto proprio un’ottima scelta!
La tua storia è scorrevole dalla prima all’ultima parola, leggera e frizzante come l’aria d’alta montagna.
Le accuse – neppure troppo velate – ai tre fratelli Baratheon si susseguono dal primo al terzogenito (ed ho molto apprezzato la scelta di quest'ordine) senza possibilità di appello per nessuno dei tre, ma i versi in rima danno a tutto quanto un ritmo scanzonato che consente al lettore il lusso di soffermarsi per un po’ soltanto sulla parte divertente del tradimento (dimenticando che è la causa principale dei guai dei tre disgraziati xD).
Il finale è davvero una chicca, la perfetta ciliegina sulla torta di questa storia breve ma estremamente piacevole.
 
In conclusione, ti faccio i miei complimenti: sei riuscito a farmi apprezzare una storia che contiene ben due dei (pochi) generi che solitamente evito per questione di gusti personali. Non è mica da tutti, sai? ^_-
 
A presto!
rhys89
Recensione alla storia Solo due giorni - 18/12/16, ore 21:36
Capitolo 1: Solo due giorni
[Valutazione del contest It's too cliché - Seconda edizione]

Titolo:

Il titolo è estremamente semplice, eppure allo stesso tempo molto evocativo. Si adatta alla perfezione ad una storia che, sotto l’apparenza di un “banale” cliché, nasconde un sottofondo molto più complesso e articolato.



Uso del cliché:

Il cliché è rispettato con molta cura in ogni suo punto: il bacio che Ned e Rob si scambiano mentre quest’ultimo è sotto l’effetto dell’alcol è il motore che muove le fila di tutto il racconto, che si suddivide letteralmente in “prima” (come sono arrivati al bacio) e “dopo” (gli effetti che ha avuto sui due protagonisti).



Caratterizzazione dei personaggi:

La storia si apre in medias res con un’immersione totale nella mente di Robert.
Robert Baratheon non è fatto per pensare, preferisce agire d’istinto, ma anche lui in casi eccezionali si ritrova a fare i conti con qualcosa che non può risolvere con un pugno o una risata. E se poi quel caso riguarda proprio Ned, allora arriva persino a perderci il sonno.
Si può quasi toccare con mano la frustrazione che prova nel sapere di aver dimenticato qualcosa – qualcosa d’importante, qualcosa che riguarda Ned – ma non riuscire a ricordare che cosa.

Quando sente aprirsi la finestra e vede l’oggetto delle sue elucubrazioni sgattaiolare via di nascosto – lui, il figlio modello, quello che Robert non può e nemmeno vuole essere – è naturale calarsi a sua volta dalla finestra e seguirlo. È una curiosità legittima, si dice, perché Ned è sempre così dannatamente perfetto che non può davvero lasciarsi sfuggire l’occasione di scoprire questo segreto che lo rende più umano – più come lui.

E il fatto che se lo immagini mentre scopa con una ragazza senza volto né nome ha un retrogusto amaro che si affretta a cancellare dalla mente, perché è troppo più facile ignorare i pensieri scomodi, piuttosto che farci i conti.


Non appena Robert raggiunge quell’insegna il capitolo si interrompe, e subito dopo ci troviamo all’improvviso catapultati indietro di due giorni, e stavolta osserviamo tutto attraverso gli occhi di Ned.

Ned che assiste assieme a Rob alla partenza di Jon, consapevole che il loro tutore è preoccupato all’idea di lasciarli soli a casa, – principalmente per Robert – ma nonostante questo non si tira indietro rinunciando a quel viaggio di lavoro, perché il dovere prima di tutto.

Di Jon nel canon non sappiamo molto, ma quel poco che ci è stato concesso conoscere è riversato tutto in queste righe: un uomo severo ma giusto, con un profondo affetto per quelli che considera a tutti gli effetti figli suoi ma un rispetto ancora maggiore per il dovere, cui non si sottrae per nulla al mondo – una lezione che Ned assimila da lui, facendola propria.

Ripercorrendo velocemente la strada che ha portato Rob e Ned ad essere affidati a lui, scopriamo quel passato difficile che grava sulle spalle di entrambi, e che li ha portati a erigere delle difese egualmente forti ma diametralmente opposte per proteggersi dal mondo esterno – e da se stessi.

La profonda ammirazione che Ned ha per Jon trasuda da ogni frase, tanto quanto la lealtà assoluta che ha per Rob: due persone e personalità completamente diverse, ma ugualmente importanti ai suoi occhi e nella sua vita.

Il rapporto tra Ned e Rob è forte e naturale, fatto di piccoli gesti quotidiani e parole e silenzi rilassati, ed è solo quando Robert menziona la festa – e la ragazza che secondo lui Ned dovrebbe farsi – che la maschera di Ned si incrina: iniziamo a vedere che c’è qualcosa sotto la superficie di controllato affetto fraterno, qualcosa che diventa più concreto quando Ned si lascia andare alla corrente dei propri pensieri, al sicuro nella sua camera.

Mi piace molto l’apparente controsenso dei suoi pensieri: sostiene di “fingere una normalità artefatta” per Jon, per non dargli problemi, perché se fosse per lui sarebbe tentato di lasciarsi andare e confessare tutto. “Cadere e cadere e farsi male.”
È quasi come se cercasse in modo inconscio di giustificarsi con se stesso, convince dosi che se non affronta i suoi sentimenti e le dirette conseguenze non è per codardia, ma per rispetto di Jon.

Quando si risveglia e non trova Rob si fa quasi prendere dal panico. Lui, che ha sempre tutto perfettamente sotto controllo, quando si tratta di Rob perde il suo proverbiale sangue freddo e si comporta come un ragazzo qualunque – e non come “un adulto nel corpo di un ragazzo”.

Ho trovato estremamente verosimile la sua reazione nello scoprire, una volta arrivato alla festa, che Rob è in camera con Cersei: da un lato c’è il sollievo di saperlo al sicuro… dall’altro c’è questo dolore senza nome che gli mozza il fiato.

Anche la scelta – masochistica – di andare a controllare Robert è molto realistica, nonostante possa apparentemente sembrare il contrario: Ned sa bene cosa troverà in quella stanza, ma vuole comunque vederlo con i propri occhi per auto infliggersi una specie di “terapia d’urto”, nella speranza (vana) di mettersi il cuore in pace una volta per tutte.
E invece no, invece aprire quella porta e vedere Rob godere delle attenzioni di Cersei fa soltanto un male cane, non comporta nessuna epifania.

Vedere Rob che esce da in fretta e furia da quella stanza è una sorpresa tanto per Ned quanto per il lettore, e confesso che, nonostante ami alla follia il narratore selettivo, in questo caso mi dispiace non sapere perché mai Robert ha agito così d’impulso… o meglio, che cosa si è detto per giustificare a se stesso il fatto di aver interrotto quella che è probabilmente una delle sue occupazioni preferite solo per tornare a casa con Ned.

Ma vabbè, in ogni caso Robert ha raggiunto Ned e il suo mondo smette di girare a vuoto, perché adesso che le cose sono tornate nella normale routine – con Rob incapace di prendersi cura di se stesso e Ned che si occupa di lui – è facile lasciarsi tutto alle spalle, e nascondere di nuovo quei sentimenti scomodi nell’angolino in cui devono restare relegati.

Ma poi succede. È un unico istante di debolezza, un solo momento in cui Ned si concede di abbassare la maschera – perché nonostante quello che dicono di lui rimane pur sempre un essere umano – e, così facendo, permette a Rob di vederlo davvero… anche se forse non è esatto dire così. Forse bisognerebbe dire che in questo modo permette a se stesso di vedersi attraverso gli occhi di Rob. E di capire che ha capito tutto, chissà da quanto tempo.

Patetico.
Ned si sente patetico per quello che prova, per non essere riuscito a nasconderlo meglio, per non riuscire a negarlo adesso, non in modo convincente… per non riuscire a rifiutare Rob, e quel bacio brusco che nonostante sia profondamente sbagliato è nella sua testa il massimo che potrà avere da lui, ciò che più si avvicina a quello che realmente vuole e ha sempre voluto.

Attraverso gli occhi di Ned, i gesti e le parole di Rob risultano bruschi ai limiti della cattiveria gratuita, con quel “velo di derisione” che rimane sul suo viso a bacio finito, ed è naturale che Ned reagisca, per una volta, da codardo, fuggendo a rifugiarsi in camera sua.

Analizzando però il comportamento di Robert in maniera più oggettiva, per quanto possibile, non credo che avesse realmente intenzione di ferire Ned: sì, lo prende bellamente in giro sui suoi sentimenti, e se avesse avuto un minimo di sensibilità e tatto in più se lo sarebbe risparmiato, – ma d’altro canto se avesse avuto più sensibilità e tatto non sarebbe stato Robert – ma secondo me nei suoi intenti voleva essere solo uno sfottò senza conseguenze, semplicemente uno dei tanti che gli rivolge ogni giorno e che Ned ha imparato a ignorare.

Per quanto riguarda l’averlo baciato, si possono solo fare ipotesi: forse da un lato c’è la voglia di avere una conferma concreta dei suoi sospetti (un po’ come Ned che, nonostante avesse sentito tutti i resoconti delle avventure di Rob, vuole vedere con i suoi occhi mentre sta con Cersei), dall’altro la curiosità disinibita dall’alcol di vedere cosa lui, Robert, avrebbe provato in un frangente del genere, di scoprire se gli sarebbe piaciuto oppure no.

E quella rabbia che Ned sente nel bacio potrebbe essere, per Rob, dovuta da un lato all’irritazione per il fatto che il suo migliore amico gli ha nascosto una cosa così importante… dall’altro alla consapevolezza che, probabilmente, neppure lui gli è indifferente.

Con la luce del sole ritorna anche la compostezza di Ned, la sua tendenza intrinseca a fare sempre la cosa giusta, che in questo caso è l’onestà: non può e non vuole negare ciò che è successo, ma è fermamente convinto che questo non cambierà nulla, perché dopotutto “è un suo problema, non di Rob”, e lui è intenzionato ad assumersene ogni “responsabilità”.

È per questo che scoprire che Rob non si ricorda – o finge di non ricordarsi – niente della sera prima lo destabilizza tanto. Di nuovo, Ned si trova in una situazione in cui la soluzione più facile per lui si sovrappone a quella giusta per qualcun altro (e non uno qualsiasi, ma Rob), e di nuovo il suo senso del dovere soccombe a quell’auto-inganno, accettando di recitare in quella commedia di cui soltanto lui è consapevole.

Il problema è che ormai Ned non riesce più a fingere come prima, perché mentre fino a ieri si era limitato ad osservare Rob dall’ombra convinto di non essere visto, ora lo sa. Sa che Rob sa, sa che fa finta di non saperlo, e non può fare a meno di chiedersi cosa succederebbe se Rob si ricordasse di quel fatidico bacio, spianando la strada per quel chiarimento che invece gli è stato negato.

Ned è diviso tra il sollievo e il rimpianto, tra la paura che quel ricordo avrebbe rovinato per sempre il suo rapporto con Rob e la speranza che invece avrebbe potuto cambiarlo in meglio, ed è naturale che alla fine non ce la faccia più a mantenere la calma ed esploda – seppur in maniera contenuta – con Rob, sputandogli contro parole velenose che non pensa davvero, solo per fargli provare una minima parte del male che lui per primo deve sopportare a causa sua.

Robert non ha giustamente idea di cosa stia succedendo al suo amico: era una giornata come tutte le altre, si sono comportati entrambi come sempre… e ora se ne esce con quell’acidità gratuita. È ovvio che ci sia rimasto male, ed è ovvio che ribatta a tono.

Così com’è ovvio che Ned, a quel punto, si senta in colpa e si rimangi tutto, e per la seconda volta in due giorni si concede di essere consapevolmente un codardo, sfuggendo agli occhi indagatori di Rob per rifugiarsi nella sua stanza.

Ned ha paura, è naturale, ma ho trovato molto appropriato che non sia rimasto a crogiolarsi nell’autocommiserazione (non sarebbe affatto da lui), scegliendo invece di reagire a quella situazione che cerca di soffocarlo. E se non può parlare con Robert per il suo bene – di questo ne è sempre convinto – almeno può cercare di andare avanti, di sbloccarsi da quello stato di impasse in cui è invischiato da chissà quanto tempo e accettare il fatto che ha il maledetto diritto di cercare di essere felice, di trovare qualcuno con cui non debba fingere di essere chi non è.

Mi è piaciuta molto la scena nel locale, con un Ned che – nonostante i buoni propositi – si sente totalmente spaesato in quel posto nuovo, tanto da accettare di confidare a un tizio mai visto prima tutto ciò che gli ribolle nel cuore e nell’anima. Nonostante non si fidi di lui, nonostante non conosca le sue intenzioni, nonostante sia un tipo solitamente riservato, Ned rivela a questo Howland (tra l’altro non mi ricordavo chi fosse e ho dovuto cercarlo su internet…) tutto quello che fino ad allora aveva ammesso soltanto a se stesso (e non sempre). E anche questo è del tutto naturale, nella sua stranezza, perché – per qualche motivo che nessuno si spiega e che probabilmente ha a che fare con la voglia di parlare con qualcuno veramente in grado di dare un parere oggettivo – ci sono volte in cui è più semplice confidarsi con un estraneo, piuttosto che con un amico.
Specie nel caso di Ned, che di veri amici ha soltanto Rob – cui per ovvie ragioni non può parlare.

Dopo essersi sfogato, finalmente Ned riesce ad avere una visione più chiara della sua vita, di ciò che gli sta succedendo e di quello che lui per primo si aspetta da se stesso.

E visto che ormai non può e non vuole continuare a nascondersi, per quanto possibile (c’è ancora il problema di Rob e il fantasma di quel bacio dimenticato), la prima cosa che fa è essere sincero con Jon: dopotutto è il suo punto di riferimento, l’uomo che ammira sopra ogni cosa, che lo ama come un padre e a cui deve tutto, e dal momento che quella verità non è più un tabù auto-imposto continuare a mentirgli sarebbe per Ned una mancanza di rispetto imperdonabile.

Non è facile, per niente, ma alla fine Ned riesce a buttare fuori quelle poche parole che suonano alle sue orecchie come una condanna, aspettando trepidante il verdetto. E qui Jon conferma di essere l’uomo affidabile che già conosciamo, ascolta in silenzio la confessione di Ned e poi, comprendendo le sue paure, lo rassicura.
Non sembra sorpreso e probabilmente anche lui, come Rob, aveva già il sospetto che ciò che Ned prova per il suo amico andasse al di là dell’affetto fraterno, ma a differenza di Rob non ne fa cenno: “va tutto bene” è l’unica cosa che Ned ha bisogno di sentire, adesso, ed è esattamente ciò che gli dice.


Tornare nella mente di Robert dopo questo lungo (su carta) viaggio nel passato è veramente strano, ma è una stranezza positiva, perché adesso i suoi tormenti su quel “qualcosa” che si è scordato e la sua curiosità quasi morbosa sul comportamento anomalo di Ned assumono tutta un’altra valenza.

Scopriamo anche che in realtà Rob non aveva finto solo con Ned di non conoscere il suo segreto, diciamo così, ma nascondeva la realtà anche a se stesso: era più facile far finta di niente, perché ammettere quella verità scomoda avrebbe portato con sé domande ancora più scomode che non aveva voglia di farsi… e che continua a rimandare, nonostante tutto. Nonostante la sua mente continui a proporgli immagini non volute di Ned che fa sesso con altri uomini e nonostante queste immagini lo confondano ancora di più.

E la prima ammissione che riesce a farsi, in questo marasma di sensazioni nuove e sconosciute e scomode, è che ferito e arrabbiato con Ned per non essersi confidato con lui, per avergli nascosto questo lato così importante.
La seconda, è che vederlo parlare con quel tizio e capire che invece a lui Ned ha detto tutto – e magari non ci ha solo parlato ma è andato oltre – lo fa incazzare oltre misura, perché nessuno si deve permettere di intromettersi tra lui e Ned, men che meno un Signor Nessuno.

È un attacco di gelosia in piena regola ed è evidente a tutti meno che hai diretti interessati, perché Rob giustifica quella furia col pretesto di sentirsi “tradito e abbandonato” dal suo migliore amico, e Ned… lui è davvero troppo sorpreso e confuso da quell’atteggiamento per riuscire a vederlo per ciò che è, e la cosa non sorprende affatto (dopotutto è entrato in quel locale proprio perché convinto di non avere una singola chance con Rob).

Una volta fuori quella rabbia cieca si trasforma in un bisogno impellente di sapere, di sentirsi sbattere in faccia quella verità che ormai non riesce più a negare ma che ancora fatica ad accettare.
Sembra un po’ come quel bacio dato d’impulso sotto l’effetto dell’alcol, ma stavolta Ned non ha più voglia di fuggire da quel confronto che dentro di sé anela da fin troppo tempo: Rob vuole la verità e lui gliela dice, tutta. Anche quella che non aveva chiesto, anche quella che quel bacio dimenticato aveva riportato nelle tenebre dell’oblio.

Ned getta al vento ogni cautela, abbatte ogni muro e parla col cuore in mano, rivelando che non solo gli piacciono gli uomini, ma gli piace lui, lui e nessun altro.

È qualcosa che Rob inconsciamente sospetta da tempo, ma sentirla dire da Ned, ad alta voce, la rende terribilmente reale e questo lo spaventa più di quanto voglia e possa ammettere anche a se stesso, e istintivamente reagisce nel modo che gli è più congeniale, quello che finora gli ha permesso di relegare tutti i dati scomodi in un angolo e vivere tranquillo nella sua beata ignoranza.

“No.”
È un rifiuto istintivo e irrazionale, un meccanismo di difesa che crolla non appena l’istinto cede il posto alla ragione e si rende davvero conto delle conseguenze disastrose che potrebbe avere quell’atteggiamento. Si rende conto che potrebbe perdere Ned… e si rende conto che non ha intenzione di permetterlo.

E dopo quel momento di lucidità Rob cede di nuovo le redini all’istinto, perché dopotutto è Ned quello che ragiona mentre lui è bravo ad agire, e quindi agisce: strattona Ned all’indietro e lo bacia d’impulso, bruscamente e a lungo, e anche se quell’altro bacio (il primo, quello da cui tutto ha avuto inizio) rimane nascosto tra la nebbia dell’alcol adesso è finalmente arrivata la consapevolezza che, sì, c’è stato davvero.

Con quel bacio crollano tutte le barriere di Rob, così come con il primo erano cadute quelle di Ned: per quanto ammetterlo sia difficile, adesso lo sa, sa che questo sentimento senza nome – è troppo, troppo presto per dargliene uno – non è solo da parte di Ned, ma anche da parte sua.

E alla fine non è poi così importante che Rob non sia bravo con le parole, perché in fondo con Ned non gli sono mai servite.



Stile e trama:

Lo stile di questa storia è estremamente introspettivo, ma grazie alla sintassi limpida e ben curata non risulta mai pesante: si alternano periodi brevi ad altri più lunghi ma mai tanto da rallentare il ritmo della narrazione, che procede fluido e ben scandito dalla prima all’ultima riga.

Il lessico è semplice ma non spoglio, quotidiano con alcune punte di ricercatezza che aggiungono colore senza appesantire, mentre quello degli sporadici dialoghi è perfettamente calibrato sul vocabolario di chi sta parlando in quel momento.

La trama di per sé è molto semplice, come ci si aspetta da una storia basata su un cliché, ma la struttura della storia la rende molto originale.

Innanzitutto l’intero arco narrativo è costituito da due soli giorni, e se da un lato è stato (forse) un po’ un azzardo, dall’altro secondo me ha costituito una delle carte vincenti di questa storia: non ci sono salti temporali che vadano oltre le poche ore mentre il resto del tempo è descritto minuziosamente sia nei pensieri che nelle azioni del protagonista di turno, e questo aiuta moltissimo il lettore a empatizzare con loro, immergendosi nella storia – e nella loro testa – con tutte le scarpe.

Altra cosa che mi ha positivamente colpito, è la duplice suddivisione parallela presente/passato e POV Rob/Ned: unendo il cambiamento temporale a quello di narratore hai al contempo evitato troppi “sbalzi” che avrebbero potuto confondere il lettore e dato vivacità alla storia.

In particolare, ho apprezzato particolarmente la scelta del duplice narratore selettivo: in questo modo hai consentito al lettore l’accesso privilegiato alla mente di entrambi i tuoi protagonisti, consentendogli di capirne tutti i dubbi e i pensieri, ma hai mantenuto quel velo di mistero che il narratore onnisciente avrebbe sollevato, portandolo a voler scavare più a fondo, a farsi domande, a cercare di utilizzare gli indizi che lasci nei capitoli dedicati all’uno o all’altro per analizzare e comprendere quei pensieri che invece sono nascosti… o almeno, a me è successo così, ed è una cosa che mi ha letteralmente conquistata.

Lo sviluppo della trama è sempre lineare e le azioni, i pensieri e i dialoghi si susseguono in maniera realistica e naturale, con un ritmo che sul finale aumenta dapprima impercettibilmente e poi sempre di più, tanto alla fine di quel bacio tanto agognato anche il lettore si ritrova col fiato corto e il battito accelerato come dopo una lunga corsa.

È talmente concentrato nello sforzo di rincorrere quella verità celata, quel chiarimento che sembrava così irraggiungibile che trovarsi all’improvviso sotto lo stendardo del traguardo dapprima lo destabilizza un po’. Poi però si ferma, chiude gli occhi per riprendere fiato e li tiene così mentre con i pensieri ripercorre tutto il viaggio fatto finora.
E poi sorride, perché alla fine l’ha capito: quello non è un vero finale… quello è solo l’inizio.



Gradimento personale:

Ho amato ogni particolare di questa storia, dalla coppia (su cui peraltro finora non avevo mai letto nulla) alla struttura dei capitoli allo stile della narrazione.
In effetti, l’unico vero difetto che sono riuscita a trovarle è che… finisce troppo presto!
Recensione alla storia Due pupazzi di neve e un lupo infreddolito - 13/07/15, ore 12:16
Capitolo 1: Due pupazzi di neve e un lupo infreddolito
[Recensione premio per il S.Valentine flash contest]
Drabble molto dolce e tenera, che rende giustizia ad una coppia molto bella ma molto poco valorizzata nella storia originale.

L'immagine di Robb che finge di non avere freddo - perché in fondo uno Stark non ha mai freddo, AU o non AU ù.ù - è dannatamente perfetta, così pure come il suo modo quasi infantile ma davvero tenero per fare la pace: ce lo vedo proprio, Robb, ad ammontinare neve su neve, incurante del freddo per far sorridere la sua ragazza!

L'unico, minuscolo appunto che voglio farti è questo: il diadema si porta sulla fronte, quindi non è corretto parlare della "pietra sistemata a mo' di diadema sul petto".

A parte questo, però, la tua drabble mi è piaciuta davvero molto e mi ha fatto sorridere, il che non guasta ^_-

A presto!
rhys89
Recensione alla storia The last breathe you take- all'ultimo istante. - 18/05/15, ore 12:14
Capitolo 1: The last breathe you take- all'ultimo istante.
Sedicesima classificata al S.Valentine flash contest: The last breathe you take - all'ultimo istante di hp_in_my_heart

Correzioni

1. Non finchè non avrò trovato […] --> Hai sbagliato l’accento: è “finché”.
Ho controllato per scrupolo l’elenco delle citazioni, e lì era scritto correttamente.
2. Sussurrò Daenerys accarezzandogli il volto e piangendo. --> Prima del gerundio presente ci vuole qualche congiunzione che colleghi la principale “Sussurrò Daenerys” con le subordinate “accarezzandogli il volto e piangendo”, ad esempio una semplice virgola --> Sussurrò Daenerys, accarezzandogli il volto e piangendo.
3. […] increspò le labbra di ser Jorah prima che i suoi occhi […] --> Non è un errore, ma essendo la frase conclusiva ci vedrei molto bene una virgola per dare una piccola pausa prima del gran finale ed aggiungere un tocco di pathos in più. --> […] increspò le labbra di ser Jorah, prima che i suoi occhi […]


Griglia di valutazione

Aderenza al tema: 5/5
Un uomo disposto a morire pur di vedere almeno un’ultima volta il viso della persona che ama… sì, direi che decisamente ci siamo, col tema del contest!

Utilizzo della citazione: 10/10
Citazione inserita integralmente, senza alcuna modifica e molto ben contestualizzata.

Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
È Jorah, dalla testa ai piedi: è perfettamente coerente col suo carattere, e soprattutto con quel sentimento che prova per Dany, la decisione di tornare a combattere per la sua bella, rischiando la vita pur di riuscire a rientrare nelle sue grazie… o almeno a vederla un’ultima volta.
Daenerys, invece, non mi ha convinta molto: sebbene la scena di lei che piange per quell’uomo che l’ha sempre amata sia molto bella e commovente, Dany è una donna estremamente forte, e – anche se è plausibile che ormai, al punto in cui è inserita la tua storia, lo abbia perdonato e quindi sia tornata a volergli bene come prima del suo allontanamento – ritengo improbabile che arrivi addirittura a piangere per lui.

Introspezione: 5/10
Mi rendo conto che in così poche parole sia difficile rendere un’adeguata introspezione psicologica dei personaggi, ma nella tua drabble ti sei limitata a descrivere il susseguirsi delle azioni, piuttosto che soffermarti sui pensieri e sentimenti del tuo protagonista (che era la una delle richieste del contest).
Tuttavia il susseguirsi delle azioni rende molto bene sia il pathos del momento che i sentimenti di entrambi e questo ha alzato il punteggio, mantenendolo a metà.

Stile: 7/10
Hai usato frasi molto brevi e incisive, cosa che ha reso la lettura veloce e priva di intoppi.
Tuttavia con questa scelta il testo, soprattutto nella parte centrale (da “Cercava di farsi riammettere” fino a “potesse udirlo”), ne risulta frammentato, con molte pause forti a delimitare azioni che si susseguono una dopo l’altra senza quasi spiegazione dando quasi la fastidiosa sensazione di leggere un elenco.
Invece mi è molto piaciuta l’ultima parte (da “Io non morirò” in poi), e in particolare l’ultima frase: trovo che sia molto suggestiva, nella sua semplicità.

Grammatica e sintassi: 4,75/5
Ad eccezione dei due piccoli appunti che ti ho fatto (solo i punti 1 e 2, il 3 è un semplice consiglio personale), la grammatica è perfetta e la sintassi molto ben curata.

Originalità: 4,5/5
La coppia non è molto originale, vero, ma l’uso in una future!fic mi è molto piaciuto, soprattutto considerando il suo contesto: come ti ho già detto, trovo che quanto hai descritto nella tua drabble sia molto affine sia al personaggio di Jorah che all’adorabile tendenza di Martin di far schiattare tutti i personaggi più interessanti della sua storia.


In conclusione

Aderenza al tema: 5/5
Utilizzo della citazione: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Introspezione: 5/10
Stile: 7/10
Grammatica e sintassi: 4,75/5
Originalità: 4,5/5
Totale griglia: 45,25/55

Bonus citazione: 1/1
Bonus narrazione: 1/2
Bonus avvertimenti: 0/1
Bonus pairing: 3/4
Totale bonus: 5/7



Totale definitivo: 50,25 punti.